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Modelli Teorici ed Operativi della Psicologia di Comunità

PSICOLOGIA DI COMUNITA’
Obiettivo: porre al centro del proprio intervento il cambiamento, miglioramento della qualità della vita e il benessere
della popolazione. Le persone vengono considerate nel contesto in cui sono inserite. L’intervento non si focalizza
solo sulle convinzioni e le abilità di una persona, ma si considera il suo contesto di vita.
Una disciplina alternativa che incentra l’attenzione all’origine sociale del disagio e dei disturbi psichici vs concezione
individualistica dominante nonnchè alla costruzione di un quadro concettuale e metodologico specifico, che
costituisce la base dell’azione nel sociale. Essa si propone di affrontare i problemi sociali non nella comunità o per la
comunità, ma con la comunità e ttenere i cambiamenti desiderati dalle persone di quella data comunità rispetto alle
loro condizioni di vita

Nei vari contesti in cui questa disciplina si è sviluppata, ha assunto caratteristiche diverse. La disciplina nasce in
un’ottica “contro” (anni ’70), in un periodo in cui erano animate numerose lotte per i diritti civili e sociali; in tale
ottica questa disciplina si pone a supporto di questi movimenti. È importante che la disciplina utilizzi le conoscenze
acquisite, in funzione del cambiamento e abbia un orientamento a migliorare la qualità di vita e il benessere della
popolazione. Parliamo quindi di un’ottica “contro” perché si cerca di valorizzare la persona e di adottare strategie
diverse da quelle utilizzate in quel periodo.

Rappaport → punti focali della PdC sono:


- focus sulla prevenzione
- adozione di un orientamento sistemico-ecologico
- orientamento verso il cambiamento sociale e verso i contesti
- attenzione sullo sviluppo di competenze (individuali e di comunità)
- promozione delle diversità culturali
La psicologia deve quindi essere meno interessata a curare e più a prevenire. La disciplina propone una visione
particolare della persona, perché focalizza l’attenzione su di essa intendendola come sistema complesso, al fine di
valorizzarne competenze, capacità e differenze culturali. La persona non è la sua diagnosi, ma da questa diagnosi si
possono valorizzare competenze e capacità individuali.

Heller 1984  la psicologia i comunità può essere definita come un orientamento


• rivolto più alla prevenzione che al trattamento
• che enfatizza più il rafforzamento delle competenze che l’eliminazione del deficit
• che si focalizza sull’interazione tra persone e ambiente

ORIGINI USA
La PdC nasce negli USA nel 1965 a Swampscott (Boston) ad un convegno di fondazione. Da lì si formalizza una
divisione di PdC. Vengono quindi prodotti e diffusi lavori riguardanti la disciplina. Viene anche fondata la prima rivista
di psicologia di comunità e trova ampia applicazione in America Latina, per poi svilupparsi in Europa e, di
conseguenza, in Italia.
La disciplina non è però nata negli USA, anche se questa prospettiva è stata molto influente anche sul lavoro
europeo. Negli USA iniziano a rendersi conto che l’accesso ai servizi spesso è impedito da condizioni di
disuguaglianza strutturali. Si passa quindi da un’ottica di colpa individuale ad una responsabilità del contesto, in una
visione ecologica del rapporto individuo-ambiente. Si inizia a parlare anche delle istituzioni che non curano, e si pone
enfasi sulla prevenzione. A
l momento della nascita negli USA quindi, gli obiettivi della disciplina erano: promuovere interventi preventivi a
livello di comunità locale e sviluppare nuovi approcci interdisciplinari al disagio mentale e sociale. Si ricercarono
quindi nuovi modi di intervenire sulla crisi, lavorare sulla salute mentale e promuovere il cambiamento nelle
comunità locali
Pisoclogia di comunità in USA  2 tradizioni
- Tradizione radicale (70-80) ricercatori ma anche attivisti contro istituzionalizzazione, contro il victim blaming
- Tradizione moderata (80-90): auto aiuto, sostegno sociale,valorizzazione delle diversità
Elementi in comune: empowerment, advocacy,ricerca-azione partecipata,dare voce

La disciplina ha una sua peculiarità che è molto legata ai contesti, ha una storia molto impo che ha influenzato anche
la storia negli Stati Uniti, ma anche in altri continenti. Ci sono stati sviluppi della disciplina in diverse parti del mondo,
che hanno assunto connotazioni differenti

La PdC nel mondo


- Australia: divisioni ambientali ed ecologiche
- Nuova Zelanda: minoranze aborigene e sviluppo rurale
- Canada → la disciplina ha una connotazione legata al territorio poiché esistono comunità indigene non
raggiungibili che sperimentano condizioni di vita molto particolari, per le quali l’inclusione ha un significato
molto importante. Il focus è quindi rivolto alla prevenzione e alla promozione del benessere della
popolazione
- Italia → il welfare è pubblico per cui si è cercato di sviluppare reti e partnership. Lavorare nelle comunità
richiede più attori che si confrontano e lavorano insieme su una territorialità circoscritta. Prilletensky ha dato
un grande impulso al lavoro sulla promozione del benessere (modello SPEC).
- Sudafrica → la PdC è legata all’Apartheid. Durante questo periodo essa era bianca, di matrice nord-
americana, quindi colonizzatrice, poco radicata nel tessuto locale e nelle tradizioni degli abitanti di quel
paese. Nel post-Apartheid è, invece, maturata una consapevolezza rispetto alla necessità di una PdC
prettamente sudafricana, che non riconoscesse e mettesse a valore solo le esperienze dei bianchi, ma anche
dei neri. Un gruppo di psicologi hanno progettato un archivio sull’Apartheid (Apartheid Archive Project) che
contiene storie individuali che rischiano di essere dimenticate, che raccontano la quotidianità → processi di
quindi di coscientizzazione (Freire).
- Giappone → caratterizzato per una cultura fortemente collettivista, non ha trovato una parola “comunità”
che tenesse insieme a dimensione territoriale e la dimensione relazionale della comunità. Vi è più
un’attenzione a problemi sociali locali (terremoti, anziani, hikikomori).
- America Latina → la PdC si trova in un contesto fortemente segnato dalla colonizzazione, quindi i temi
dominanti sono quelli della liberazione rispetto ai sistemi di oppressione legati alle culture e alle modalità
colonizzatrici. È importante il tema della coscientizzazione in quanto i sistemi di oppressione sono molti e
spesso questi non sono conosciuti, ma soprattutto non si sa che le persone possono fare qualcosa per
combatterli. Da questo viene la forte connotazione politica della disciplina della psicologia di comunità in
America Latina. Si adotta quindi una prospettiva critica, traducendo l’insoddisfazione in azione,
promuovendo un cambiamento sociale che metta al centro la persona nella comunità, e non il singolo
individuo ➔ Esiste una rete europea, ma ancor più globale, di psicologia di comunità.

PDC in Europa
- 1995 primo congresso europeo di psicologia di comunità
- Nascita ENCP (european network of community psychology)
- Napoli 2005: nascita d european community psychology association (ECPA)

Definizioni della disciplina in matrice europea


Orford  descrive la PdC come un’area di ricerca, una disciplina accademica e un patrimonio conoscitivo e tecnico
che fonda una professione di aiuto (incentrata quindi sull’aiutare l’individuo). La peculiarità è sempre il contesto in
cui la persona si trova, infatti la disciplina si colloca in una posizione di ponte tra ambito psicologico e sociale, tra
sfera privata e pubblica dell’esperienza umana.

Amerio descrive la disciplina come un’area di ricerca e di intervento sui problemi umani e sociali, che si rivolge
all’interfaccia tra sfera individuale e collettiva (psicologica e sociale) e che intende coniugare la ricerca con un
intervento capace di unire il senso di “cura” della clinica con l’apertura “politica” propria del lavoro nel sociale.
Si è quindi usciti dai dipartimenti di igiene mentale (psichiatrici) per spostarsi all’interno delle problematiche della
comunità organizzata e questo spostamento ha portato allo sviluppo di un nuovo quadro metodologico specifico,
che costituisce la base dell’azione nel sociale. Esistono quindi strumenti specifici e interventi volti alla valorizzazione
e al supporto degli individui, e al comprendere i legami che esistono all’interno della comunità stessa
ECPA (Associazione Europea di Psicologia della Comunità): associazione che nel tempo ha ridefinito gli obiettivi della
PdC. Una società scientifica ha l’obiettivo di valorizzare le conoscenze, aprire un dibattito teorico e sviluppare nuove
teorie. L’ECPA è impegnata sul lavoro delle competenze (compreso nel definire gli standard che devono avere gli
psicologi di comunità) e supporta anche lo sviluppo di progetti tra università.
Iniziativa che è stata lanciata dall’ECPA (ma in realtà da un insieme di attori che sono la SCA e Steam Community
TurboX) è quella della creazione di una piattaforma che contiene esempi ed esperienze per lavorare nel contesto di
questa disciplina. Questa banca nasce da una scoperta che durante il periodo della pandemia ha spinto a fare questa
proposta. Pur a fronte di una serie di situazionicritiche e di difficoltà dovute al periodo, sono stati capaci di introdurre
risorse e di trovare soluzioni inaspettate. Noi ci lavoriamo con le comunità, ma vedere le comunità capaci di
inventare risposte a problemi quotidiani, inventare risposte dal basso e partire dall’esperienza di qualcuno sulla base
di un investimento (magari senza neanche risorse) era sembrato qualcosa da tenere ben custodito e da valorizzare.
Da qui idea della banca per raccogliere questo patrimonio e capire poi, nel lungo periodo, come queste capacità e
risorse emerse potrebbero essere messe a valore in futuro per la progettazione

Obbiettivi psicologia di comunità ECPA


- Confronto tematiche e metodologie della disciplina
- Luoghi dove si attivano collaborazioni per ricerche
- Aumentare L capacità degli psicologi di comunità di influenzare le politiche pubbliche

SIPCO società italiana di psicologia di comunità – donata Francescato, Palmonari, Zani

Le sfide di oggi: Agenda 2030 Nazioni Unite Obiettivi di sviluppo sostenibile


Sconfiggere la povertà una volta per tutte. ci sono milioni di persone che vivono con meno di 1,25 dollari al giorno:
questa condizione si chiama povertà estrema.
Garantire a tutti il diritto alla salute. I due obiettivi da raggiungere assolutamente sono la riduzione del tasso di
mortalità materna e il tasso di mortalità infantile. Due piaghe che colpiscono soprattutto i Paesi più poveri.
Garantire a tutti il diritto all’istruzione. Avere un buon livello d’istruzione è l’unico modo per sfuggire alla trappola
della povertà, sperare di avere un futuro migliore, lontano dalla fame e dalla miseria.
Raggiungere la parità di genere. In alcuni Paesi del mondo, le donne non hanno alcun diritto.
Città e comunità devono diventare più sicure, sostenibili e inclusive. Le città sono luoghi dove bisogna vivere bene e
dove tutti devono avere la possibilità di vivere in maniera dignitosa.
Introdurre modelli responsabili di produzione e di consumo. Ridurre lo spreco e rispettare l’ambiente.
Intervenire per contrastare i cambiamenti climatici. Servono misure urgenti e specifiche prima che sia troppo tardi.
Garantire pace e giustizia. Senza questi due principi, non si raggiungerà ma l’uguaglianza tra tutti i popoli del mondo

APPROCCIO ECOLOGICO IN PSICOLOGIA DI COMUNITA’


“Comunità” è una parola utilizzata in varie accezioni, e dal punto di vista etimologico rimanda a tre significati:
- communis, dimensione del bene comune, è qualcosa che appartiene a tutti, che è condiviso, a cui teoricamente
tutti dovrebbero avere accesso in modo equo, in ragione della loro appartenenza
- cum-moenia, luogo in cui ci sono mura comuni, ovvero confini che possono essere più o meno permeabili, ma che
contribuiscono a formare l’identità della comunità che è importante nell’esperienza che le persone hanno delle loro
comunità di riferimento-senso di comunità
- cum-munia corrisponde ai doveri comuni espressi attraverso lo svolgere attività e azioni di cui si è responsabili in
virtù di una appartenenza. Significa che non c’è soltanto ciò che è di mia appartenenza, ma c’è anche il dovere
comune, responsabilità collettiva in virtù della mia appartenenza, in una logica della reciprocità e fiducia-non c’è solo
il dovere dei singoli ma anche della comunità.

Ferdinand Tonnies (1887)


- Gemeinschaft  comunità basata sulla volontà organica e legata a diversi fattori (attaccamento, affetto per
famiglia vicinato tradizione, morale). Nella comunità i legami sono intimi, durevoli, esclusivi, e c’è un
implicito di somiglianza tra le persone. Le persone sento necessaria la propria esperienza e di grande
importanza
- Gesellshaft società caratterizzata da legami su base meccanicista e non basati su una necessità
profondamente esperita dagli individui, e modi di pensare caratterizzati da individualismo che possono
essere conflittuali e concorrenti. Dopo Tonnies

DOPO TONNIES Lettura che fa Tonnies è stata ampiamente utilizzata, ma anche superata e oggi esistono due
approcci quando si definisce la comunità

Approccio teorico all’idea di comunità (comunità come spazio simbolico, enfasi sulla dimensione psicologica di
comunità )
Uso del concetto di comunità come luogo di memorie, in cui si dorma l’dientità social e ilsentimento di
appartenenza, dove si elaborano le interazioni positive o conflittuali con i membri del proprio gruppo e quelli di altri
gruppi sociali
Il concetto di comunità’ rimanda al modo on cui le persone vivono le relazioni e assume una connotazione simbolica
e affettiva che contribuisce a definire l’identità sociale delle persone.
Bauman (1996) modernità come epoca della comunità contraddistinta dal desiderio di comunità. Luogo di
scambio dialettico tra individuo e società: è nelle comunità che si sviluppano una comprensione del mondo e ci
definiamo come essere sociali.
Howart (2001) non possiamo che vivere nella comunità: dobbiamo essere in essa per poter realizzare un senso di
sé distinto, attaccamento e individualità)

Approccio empirico all’idea di comunità (comunità come oggetti concreti, enfasi sulla dimensione spaziale e
strutturali; rapporto di potere)
Uso del concetto di comunità per indicare insiemi sociali concreti, oggetto di osservazione e di intervento.
Insiemi definiti a partire da: caratteristiche territoriali, abitudini di vita, attività, cultura, condivisione di relazioni di
prossimità e vicinato
“comunità” possono anche essere organizzazioni/istituzioni (famiglia, suola, ospedale, carcere)
Comunità educante; di pratiche (portale partecipazione RER); locale; di incontro (tinder)

La necessità di adottare approcci complessi – multileivello- ecologici allo studio delle comunità e d quello che accade
a loro interno
Problemi e comportamenti umani hanno eziologia multifattoriale
▪ Problemi di sopravvivenza: liberarsi dalle condizioni che rendono precaria la vita (fame, sete, malattie,
diseguaglianze)
▪ Problemi di eccellenza: ottenere il più alto grado possibile di qualità di vita, (liberandosi da oppressioni non
materiali, ideologie, alienazione etc.)

La metafora ecologica
Si basa sul principio che i fenomeni nascano e si sviluppino nei contesti. Per questo motivo il paradigma scientifico
adotta un’analisi congiunta di fattori sia individuali che contestuali, per accogliere la complessità dei fenomeni e
attivare le risorse per il cambiamento.
Importante è accogliere la complessità dei fenomeni e attivare risorse individuali e contestuali utili per il
cambiamento e risoluzione dei problemi

ORIGINI METAFORA ECOLOGICA


Lewin primo a parlare nell’ “Ecologia psicologica” di quanto siano importanti i dati non psicologici nel
condizionamento delle persone. Sono dopo la loro analisi si può passare all’esame dei dati psicologici.
C=f(P,A) => il comportamento è funzione dell’interazione tra caratteristiche delle paersone e dell’ambinete
Importanti le percezioni => ambienti non solo oggettivi ma anche come sono soggettivamente esperiti
Interesse per real world issues=> la psicologia deve e interessarsi a problemi socili reali
È stato il primo a parlare di ricerca-azione e della possibilità di comprendere la realtà attraverso la sua
trasformazione (“se vuoi comprendere davvero qualcosa, prova a cambiarla”). Ha inoltre messo in luce, forse più di
tutti, come il piccolo gruppo fosse il dispositivo chiave per il cambiamento
Bronfenbrenner (1917-2005)
Le persone hanno esperienza diretta di alcuni contesti ma ci sono anche contesti di cui le persone non hanno
esperienza diretta ma che influenzano il loro comportamento e le loro traiettorie evolutive => visione ambiente
ecologico come serie di strutture concentriche
Ecologia dello sviluppo come lo studio de progressivo adattamento reciproco tra un essere umano attivo e le
proprietà mutevoli delle situazioni ambientali

I sistemi concentrici
Microsistema: schema di attività, ruoli e relazioni interpersonali di cui l’individuo ha esperienza diretta (famiglia,
scuola, gruppo di pari)
Mesosistema: sistema di microsistemi, comprende le interconnessioni tra due o più situazioni ambientali (casa-
scuola; ospedale-famiglia)
Esosistema: sistemi di cui la persona non ha esperienza diretta, ma che influenzano i suoi sistemi micro e meso
(organi collegiali della scuola; posto di lavoro dei genitori) Macrosistema: sistemi di ambito più ampio che
determinano l’ideologia e la struttura sociale in cui operano la persona e i suoi sistemi di complessità minore
(mercato del lavoro; ruoli sessuali)
Cronosistema: il sistema di eventi ambientali e delle transizioni nel corso della vita, nonché delle circostanze storico-
sociali. Elementi all’interno di questo sistema possono essere sia esterni, come i tempi della morte di un genitore, o
interni, come i cambiamenti fisiologici che si verificano con la crescita.

NICCHIA ECOLOGICA (Bronfenbrenner) → regioni dell’ambiente particolarmente favorevoli o sfavorevoli per lo


sviluppo del soggetto. Questo spiega perché a parità di difficoltà, le persone abbiano esiti evolutivi diversi

Jim Kelly  principi di funzionamento dei sistemi biologici (applicabili anche alle comunità)
- Interdipendenza: i contesti sono in rapporto di reciproca interazione, cambiamento su un contesto si
ripercuote sugli altri nel cambiamento delle strutture e delle funzioni all'interno degli ambienti sociali,
variano anche i modi in cui gli individui e i gruppi affrontano gli eventi, con una corrispondente variazione
nello svolgimento dei ruoli adattivi e disadattivi relazioni dirette e indiretta tra i contesti, influenze sugli
ambienti e sui comportamenti variano in funziona della cultura del tempo e al ruolo che la persona assume
nel sistema
- Distribuzione delle risorse → creazione, distribuzione, spostamento delle risorse nel sistema Riferendosi a
come l'energia viene creata e trasferita all'interno dei sistemi biologici (per esempio, la catena alimentare),
questo principio sottolinea l'importanza di guardare la storia dello sviluppo di un ambiente sociale in termini
di gestione delle risorse le risorse (conoscenze, competenze, beni materiali, potere) si muovono sempre
all'interno e tra le comunit
- Adattamento : risposta dell’individuo ai mutamenti ambientali (e dell’ambiente in relazioni ai cambiamenti
dell’individuo) → dipende dalle risorse Questo principio si basa sull'evidenza che la disponibilità di sostanze
nutritive influenza la presenza di un organismo in un dato habitat. Si concentra su come gli ambienti
influenzano gli individui e i gruppi attraverso le loro richieste, norme, valori, strutture, processi, opzioni e
vincoli. Allo stesso tempo, richiama l'attenzione sulle strategie, e la loro evoluzione dinamica nel tempo, che
gli individui e i gruppi mettono in atto per far fronte, adattarsi e cercare di cambiare gli ambienti in cui
vivono. Processo reciproco tra individuo e contesto
- Successione → ambiente in costante cambiamento, che ha effetti diversi su gruppi diversi Basato
sull'osservazione dei cambiamenti progressivi che avvengono nella struttura delle specie, nella struttura
organica e nel flusso della distribuzione dell'energia e della produzione all'interno delle comunità biologiche,
questo principio introduce una prospettiva temporale. La successione sottolinea come gli ambienti sociali
siano in un continuo e dinamico corso di cambiamento che altera la loro ecologia nel tempo, e anche rispetto
agli altri principi. Necessità di adottare una prospettiva temporale

Le Strutture di trattenimento per stranieri irregolari in Italia


• Centri di permanenza per i rimpatri luoghi di trattenimento del cittadino straniero in attesa di esecuzione di
provvedimenti di espulsione (art. 14, D.Lgs. 286/1998) (Ex CIE)
• In tali strutture lo straniero deve essere trattenuto con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza ed il
pieno rispetto della sua dignità. Il trattenimento è disposto con provvedimento del questore per un periodo di 30
giorni, prorogabile fino ad un massimo di 90 giorni. In casi particolari il periodo di trattenimento può essere
prolungato di altri 30 giorni.
• 10 centri in Italia ( 450 presenze, Novembre 2020) a Roma l’unico centro che accoglie anche le donne

Limitata ricerca empirica sulla detenzione degli immigrati e sulle esperienze vissute dalle persone nei luoghi di
trattenimento (Bosworth, 2014)
valutazione clinica degli effetti della detenzione sulla salute mentale:
• La detenzione influisce negativamente sulla salute mentale e fisica delle persone detenute in particolare i gruppi
vulnerabili (per esempio, i bambini e i richiedenti asilo).
• Con l'aumentare della durata della detenzione, aumentano anche i sintomi di ansia, depressione e PTSD, che
persistono anche al ritorno in comunità.
• Carico emotivo per i professionisti che lavorano nei centri di detenzione: rischio di esaurimento emotivo e burn-out
(Hall, 2012; Kronick et al., 2018; Puthoopparambil et al., 2015)

Limite della maggior parte degli studi: prospettiva centrata sull’individuo Assenza di attenzione alle interdipendenze:
tra livelli interpersonale, organizzativo, istituzionale, sociopolitico

Disegno di ricerca Esposito


• Studio di caso qualitativo (Lincoln & Guba, 1985)
•Molteplici strategie di raccolta dati all'interno di un approccio etnografico-critico
• Interviste (88 migranti trattenuti, 14 operatori) • Osservazione partecipante (617 ore sul campo) • Analisi
documentale (normativa, testi, materiali sul CPR)

Risultati: Interdipendenza  Lo spazio di vita dei detenuti e dei professionisti, e le loro interdipendenze persona-
ambiente interdipendenze, sono influenzati a più livelli dal sistema di detenzione. Benessere personale, sistemi
familiari, reti sociali e comunitarie.
Risultati: ciclo delle risorse  La scarsità di risorse, servizi, attività e informazioni crea un ambiente molto
angosciante per i detenuti aumentando anche i sentimenti di impotenza e frustrazione nei professionisti deputati ad
assisterli.
Risultati: adattamento  I detenuti e i professionisti mettono in atto strategie per far fronte alla detenzione e alla
sua instabilità, così come per sfidare le difficili condizioni che sopportano. Es: sostegno reciproco tra detenuti,
religione, proteste.
Risultati: successione Esperienza temporale della detenzione «peculiare» legata ai rapporti di potere. Senso di
"attesa" e sospensione permeato da una paura pervasiva di cambiamenti bruschi e dirompenti come la
deportazione.

Risultati e conclusioni: justice


Disumanizzazione e depersonalizzazione caratterizzano il trattamento delle persone detenute (ad es, l'assegnazione
di un numero ai detenuti). Condizioni di vita misere e scarsa comunicazione con gli ufficiali con potere decisionale
sulle procedure di immigrazione/rimpatrio. Senso di confusione e incertezza, abusi di potere e brutalità della polizia.
- Costi immensi della detenzione in termini di sofferenza umana (per le persone detenute ma anche per i
professionisti che lavorano con loro).
- Arbitrarietà e disumanità che caratterizzano i siti di detenzione (persistenti condizioni di ingiustizia - abbandono,
sofferenza e abuso).
- Incertezza e instabilità ipervulnerabilizzano le persone detenute.
- Il business intorno alla detenzione (il complesso industriale della detenzione).
Visione ecologica: necessità di affrontare le disuguaglianze strutturali su cui si basa l'immigrazione immigrati,
piuttosto che cercare di migliorarla (o renderla "più umana"), come suggeriscono modelli di alternative alla
detenzione
Approccio ecologico
Implicazione per l’azione
- Agire sui contesti porta benefici maggiori consente di agire indirettamente sugli individui
- garantisce una maggiore persistenza del cambiamento nel tempo, perché crea le condizioni ambientali in
grado di sostenerlo
- I programmi di prevenzione e promozione del benessere più efficaci (e più duraturi) sono quelli che
prevedono molteplici strategie, orientate sia al cambiamento individuale che al cambiamento degli ambienti
di vita delle persone
Per agire è necessario:
▪ studiare e interpretare i problemi sociali e individuali ponendo attenzione all’interazione fra gli individui e i
sistemi/contesti ambientali e sociali in cui vivono, a vari livelli di analisi
▪ Lavorare sul campo
▪ Favorire la partecipazione attiva della popolazione

Implicazione per la ricerca


Contestualismo
- Le teorie del comportamento e le ricerche riflettono la cultura e il contesto articolare nei quali sono generate
- Molte conoscenze scientifiche dovrebbero essere viste come particolari e probabilmente non generalizzabili
al di fuori dei contesti locali che le hanno prodotte (dove per “contesti” si intendono tutti i livelli ecologici,
dal macro al micro)

I principi che devono guidare l'azione (Levine)


1. Un problema sorge in un setting o in una situazione
• I fattori situazionali causano, innescano, esacerbano e/o mantengono il problema
• Importante quindi conoscere il setting e comprendere l’adattamento degli individui a questo, lavorando su campo
2. Un problema sorge perché la capacità adattiva del setting è bloccata
Vi è sempre interazione tra individuo e ambiente, le condizioni del setting (es. presenza o meno di risorse)
modificano le abilità del singolo e viceversa
3. Per essere efficace, un aiuto deve essere collocato in modo strategico rispetto all’insorgere del problema
La tempistica dell’intervento è importante, la prevenzione deve riuscire ad anticipare i fenomeni
Le azioni in un setting devono coordinarsi e non ostacolars
4. Gli scopi e i valori dell’operatore o del servizio di aiuto devono essere coerenti con gli scopi e i valori del
setting
Ogni setting e ogni operatore hanno dei valori, spesso latenti
Per lavorare insieme i valori devono coincidere e non essere in contrapposizione: questo creerebbe conflitti per la
riuscita dell’azione e ostacoli al cambiamento
5. La forma d’aiuto deve essere stabilita in modo sistematico, usando le risorse naturali del setting o mediante
l’introduzione di risorse che possono diventare istituzionalizzate come parte del setting
Importante comprendere e potenziare le risorse esistenti
Se si creano cambiamenti o aggiungono risorse, queste dovrebbero diventare parte del setting e permanere anche
alla fine dell’intervento (es. uso di non professionisti che vivono nel territorio)

Occorre adottare una epistemologia prospettivista (perspectivist): riconoscere e valorizzare anche i “punti di vista”
soggettivi dei partecipanti all’interno dei processi di ricerca. Richiamo esplicito ad una epistemologia
sociocostruzionista e critica;
❑ poiché la conoscenza è imperfetta e i metodi disponibili conducono solo a una approssimazione della “verità”, la
scienza della comunità deve enfatizzare la generazione e la verifica delle ipotesi allo scopo di far avanzare la
conoscenza (approccio scientifico)
❑ poiché metodi diversi conducono a diverse approssimazioni alla “verità”, la scienza della comunità deve adottare
molteplici metodi (triangolazione metodologica);
❑ poiché è essenziale che la conoscenza sia applicabile a diverse persone e contesti, la scienza della comunità non
deve fondarsi solo sulla validità interna (validità esterna ed ecologica)

Occorre adottare una prospettiva complessa:


- attenzione al sistema di interdipendenze tra gli elementi dei contesti ecologici
-attenzione alla multicausalità e alla multidirezionalità delle relazioni causali
Attenzione all'oridne del combiamento (Watzlawick, 1974)
- Primo ordine: intervento individuale
- Second'ordine: cambiamento strutturale, in assenza di una trasformazione del sistema culturale
- Terz'ordine: cambiamento strutturale e culturale orientato a:
• 1. facilitazione della coscienza critica;
• 2. sviluppo di capacità volte ad azione e cambiamenti che si auto-sostengono;
• 3. promozione della riflessività

Senso di comunità
Sarason (1974)  la percezione di similarità con gli altri , una accresciuta interdipendenza dagli altri, una
disponibilità a mantenere questa interdipendenza offrendo o facendo per gli altri ciò che si si aspetta e la sensazione
di essere parte di una struttura pienamente affidabile e stabile

Mcmillan e Chavis “ senso di comunità  sentimento che i membri provano di appartenere, di essere importanti gli
uni per gli altri e per il gruppo, e una fiducia condivisa che i bisogni dei membri possono essere soddisfatti mediante l
‘impegno di essere tutti insieme. McMillan e Chavis hanno delineato, nel loro modello, quattro componenti del senso
di comunità:
1. Senso di appartenenza: sentirsi parte di una comunità e il vissuto di sicurezza emotiva che ne consegue. Il
“fare parte” è una necessità dell’essere umano e la comunità può rispondere a questo bisogno
confini e simboli possono contribuire al senso di appartenenza. Identificazione e senso di appartenenza sono cose
distinte ma tra loro vi è una correlazione importante
2. La connessione emotiva condivisa: insieme dei legami che le persone hanno instaurato nel tempo nella
comune convinzione di condividere insieme la storia , i luoghi il tempo in quella comunità. Dimensione che
ha a che fare con la qualità affettiva del legame: tanto più condivido con quella comunità una storia
significativa di successi ed esperienze, tanto più questi legami diventeranno significativi per me e
sosterranno i processi di appartenenza. Senso di comunità più elevato durante eventi traumatici condivisi
3. L’influenza: il sentire di avere importanza, di fare la differenza per un gruppo e il gruppo per i suoi membri”
ovvero la percezione che la comunità abbia influenza sui suoi membri e allo stesso tempo che loro possano
influenzare la comunità. La comunità tende a spingere al conformismo i suoi membri, l’importante però è
riconoscere questa doppia accezione (agente attivo o agente passivo).
4. Integrazione e soddisfazione dei bisogni: idea che i bisogni dei membri della comunità vengono soddisfatti
proprio attraverso l’essere parte di quella comunità il che significa che una comunità i cui membri
condividono scopi e valori comuni è capace di soddisfare sia il singolo che la collettività. Tanto più la
comunità risponde ai bisogni del singolo, tanto più contribuirà a farlo sentire parte e rafforzerà il suo senso
di comunità. Allo stesso tempo, il singolo sarà più disponibile a impegnarsi per quella comunità e contribuirà
a far sì che i bisogni delle persone come lui saranno soddisfatti.

Aggiornamento 1996  “spirito di appartenenza un sentimento che c’è tra una struttura autoritaria che puà essere
fidata, una cosceinza che lo scambio e il reciproco beneficio che ne provene dall’essere insieme e lo spirito che
proviene da esperienze comuni e che vien preservato nell’arte”
Nuovo modello di McMillan
La reciprocità, l’equità e la solidarietà sono i principi che regolano lo scambio sociale in un contesto basato sulla
fiducia e l’appartenenza
Lo spirito di comunità, si traduce in una storia collettiva che viene simbolizzata nell’arte, e racconta i valori della
comunità.
I valori condivisi sono la forza integrativa della comunità
l’elemento saliente per l’esercizio positivo del potere è lo sviluppo della fiducia negli altri, nelle norme e nell’autorità
istituzionale
Cosa è una comunità

McClelland La comunità è vista quindi come una risorsa che contribuisce al soddisfacimento di una serie di bisogni
In particolare bisogno di “affiliazione” “achievement” “power”

March & Olsen La comunità come responsabilità: Questa visione del senso di comunità, centrata sul ruolo delle
norme, suggerisce anche una diversa lettura della relazione tra senso di comunità , e benessere e impegno attivo.

Nowell e Boyd: La maggior parte dei lavori visti erano basati sul modello quadripartito di SoC che concettualizza la comunità
come una risorsa, Nowell e Boyd sono convinti che il modello assume una prospettiva un po’ riduttiva perché considera come se
alla fine la questione dell’impegno e la questione di appartenenza dipendesse solo dalla capacità che la comunità ha di
soddisfare i bisogni delle persone.
➔ Critica sul fatto che nell’esperienza delle persone la comunità non rappresenta solo una risorsa.
Per loro la logica con la quale le persone agiscono non è solo legata alle conseguenze del suo comportamento, ma logica anche
della concretezza. Si ipotizza una relazione un po’ più articolata tra SoC, benessere e partecipazione rispetto a quella vista negli
studi precedenti.
Seguendo la riflessione di Nowell e Boyd l’accezione di senso di responsabilità comunitario si modifica con il benessere perché è
come dire: se il legame della mia comunità è più inteso nell’ottica di responsabilità che non nella soddisfazione di bisogni, allora
il legame deriverà più che dalla mia appartenenza, dal mio impegno attivo. La partecipazione come una logica conseguenza del
sentirsi responsabili della propria comunità e come elemento che lega con la relazione con il benessere psicologico. Essi non
vogliono demolire o cancellare la concettualizzazione precedente, ma vogliono integrarla mostrando che quando parliamo di
SoC come responsabilità (senso di responsabilità comunitario), l’accezione di senso di comunità è l’elemento che soddisfa i
bisogni individuali. Le ricerche empiriche hanno mostrato che queste relazioni sono effettivamente state confermate
empiricamente

Metodi di rilevazione del senso di comunità (SoC)


- Metodi quantitativi per adulti: – Sense of community index (SCI) – Scala Italiana del senso di comunità
- Metodi quantitativi per adolescenti – Neighbourhood Youth Inventory (NYI) – Scala italiana del senso di
comunità per adolescenti
Sono stati utilizzati anche metodi qualitativi, principalmente: - focus group (chiedendo quali sono le loro esperienze
nella comunità, i bisogni, ecc---) - photovoice (utilizzo della fotografia per dare voce ai partecipanti) - profili di
comunità (descrivono i legami che le persone hanno con la comunità, le opportunità che vedono in essa, le info su
indicatori che si associano alla connessione emotiva).

Sense of community index (Perkins, Florin, Rich , chavis 1990)


Deriva direttamente dal modello quadripartito di Chavis e McMillan, le quattro scale si rifanno alle quattro
caratteristiche base del concetto di SoC stilate da McMillan (appartenenza, influenza, connessione emotiva e
soddisfacimento dei bisogni). Questo strumento è basato su un modello teorico ed è breve, questo ha determinato
la sua popolarità. Ha 3 item per ciascuna dimensione del costrutto. Strumento usato in molti contesti a livello
internazionale che però ha mostrato qualche problema di dimensionalità perché anche se basato su modello
teorico, al test empirico (analisi fattoriale di tipo confermativo), ha mostrato che non sempre le dimensioni teoriche
venivano rilevate nel momento della rilevazione applicata. Inoltre, secondo alcuni autori, questi problemi di
dimensionalità potevano essere associati al fatto che questa scala è troppo breve.

Versione nei pazienti sichiatirici ) Brief Sense of Community Index- Disability (BSCI-D) si associa a riduzione della
loneliness (UCLA Loneliness Scale) e distress psichiatrico (a aumento delle relazioni di vicinato

Scala Multi-dimesionale del Senso di Comunità per le Comunità Locali (Prezza et al)
scala multidimensionale pensata per la misurazione del costrutto riferito alle comunità locali. Scala che ha 4
dimensioni, ma che solo in parte corrispondono a quelle di McMillan e Chavis.
Item
- Appartenenza - Aiuto in caso di bisogno - Soddisfacimento dei
- Influenza condivisa - Clima sociale e legami bisogn
Il Neighbourhood Youth Inventory (NYI)
Dimensioni: Sostegno (8 item), Attività (4 item), Amicizia (4 item), Sicurezza (6 item)

CORRELATI PSICOSOCIALI DEL SOC


Partecipazione : + SoC + attenzione al contesto = mobilitazione delle energie per intervenire + più legame
con gli altri membri = più disponibilità a intervenire in loro favore = controllo ambientale
Benessere Il SoC funge risorsa di coping:
- attenua l’impatto negativo di situazioni critiche
- riduce lo stress percepito
- aumenta la capacità/disponibilità di risorse per affrontare le situazioni critiche
Quindi associazione positiva tra partecipazione e SoC, tra SoC e benessere (spesso troviamo che il SoC è un fattore
che media la relazione fra partecipazione e benessere), SoC e percezione di sicurezza nel proprio contesto di vita
(idea che se ci sono dei legami mi sento parte del mio contesto tenderò a percepirlo come più sicuro e in parte
questo confermato anche per quanto riguarda la paura della criminalità) e SoC e l’empowerment psicologico (infatti,
se pensiamo all’empowerment come percezione di controllo, accesso alle risorse e partecipazione, appare chiara
l’associazione con una comunità in cui vedo delle opportunità).
Altre associazioni più recenti: SoC con il benessere sociale, con il comportamento prosociale, con appartenenza al
gruppo e impegno civico (associazione positiva un po’ più debole della prosociale, ma comunque positiva con il SoC).

Benessere sociale (Keyes, 1998)


• Integrazione sociale: essa consiste nella valutazione della qualità della propria relazione con la società e la
comunità. Si riferisce alla misura in cui le persone sentono di avere qualcosa in comune con gli altri e di appartenere
alle proprie comunità e società. Essa, si contrappone all'isolamento e al senso di solitudine.
• Realizzazione sociale: è la valutazione delle potenzialità e dell'andamento complessivo della società. Corrisponde
alla credenza che la società abbia delle potenzialità che si realizzano attraverso le istituzioni e i cittadini. Le persone
con livelli di benessere più alti nutrono fiducia nella società e nelle sue istituzioni, e possono riconoscere le
potenzialità della società.
• Coerenza sociale: si riferisce alla percezione della qualità, dell'organizzazione del mondo sociale, e include il
desiderio di conoscere la società e il suo funzionamento. In base a questo criterio, le persone con livelli di benessere
più alti percepiscono che la società è intelligibile e ha un funzionamento comprensibile, che esiste un ordine delle
cose e un significato sottostante. Questo criterio è affine alla percezione di un significato nella vita e al senso di
coerenza personale (Antonovsky, 1980)
• Accettazione sociale: le persone che possiedono questa caratteristica nutrono fiducia negli altri, pensano che gli
altri siano capaci di gentilezza e che possano essere laboriosi; hanno opinioni favorevoli sulla natura umana, e si
sentono a proprio agio con gli altri. Si tratta della dimensione parallela all'accettazione di sé (Ryff, 1989)
• Contributo sociale

Dunque, è sorto il dubbio dell’appartenenza del senso di comunità come caratteristica dell’individuo o delle
comunità, e ne è risultato che vi siano in gioco sia:
- determinanti individuali → caratteristiche sociodemografiche (età, genere, livello d’istruzione, reddito, stabilità
residenziale, presenza di figli in età scolare), valori (post-materialistici e tradizionali, entrambi positivamente
connessi al senso di comunità) e tratti di personalità (big five e ruolo dell’estroversione).
- determinanti di comunità → l’ampiezza, la densità, i fattori urbanistici e la storia e memoria collettiva.

Determinanti individuali
valori
- valori post-materialistici (libertà, autoespressione, tolleranza) sono positivamente connessi al senso di
comunità
- valori tradizionali (famiglia, religione) sono positivamente connessi al senso di comunità
Tratti di personalità
- Studio sui Big Five (estroversione, amicalità, coscienziosità, stabilità emotiva e apertura mentale)
- Ruolo dell’ estroversione
Logica interazionista Il senso di comunità è funzione dell’interazione tra l’individuo e la comunità: contano le
caratteristiche della persona (variabili individuali), nella misura in cui mediano il significato che essa assume per gli
individui, ma contano anche le caratteristiche della comunità nella misura in cui vengono incontro alle aspettative e
alle esigenze personali.

Senso di comunità virtuale


• Blanchard (2007) ha definito il Senso di Comunità Virtuale come l’insieme dei sentimenti di membership, identità,
cambiamento e attaccamento al gruppo in un contesto virtuale (chatroom, forum, ecc) mediato dalla comunicazione
elettronica.
• l’identificazione e il sostegno reciproco sono le dimensioni principali del Senso di Comunità Virtuale.

Senso di comunità scolastico • Il senso di comunità scolastico(SSoC) è stato definito da Goodenow (1993) come “l’appartenenza
di un individuo ad un gruppo sociale scolastico da lui considerato importante e il sentimento di essere accettato e valorizzato dai
membri di tale gruppo”. • Per Bateman (2002) il SSoC descrive gli aspetti psicologici del setting e dei gruppi scolastici che
soddisfano il bisogno di sostegno e di appartenenza

validazione di uno strumento di misura multidimensionale (10 items): Membership, Emotional connection, e Opportunities •
Buone caratteristiche psicometriche • Relazione con il benessere (effetti multilivello) • Relazione con il comportamento
aggressivo

Validità transculturale del SdeC si può definire un modello universale di senso di comunità, estendibile attraverso i luoghi, i
tempi, i gruppi? NO, (Mak, Cheung, Law, 2009), perché esso è chiaramente contesto-dipendente e inseparabile dai significati che
gli individui assegnano alla comunità e ai gruppi, e al valore che attribuiscono all’appartenerv

Senso di comunità multiplo (il caso dei migranti) Nei gruppi di migranti l’analisi del senso di comunità è stata
finalizzata principalmente ad approfondire le dinamiche dell’identità, i processi di acculturazione (Sonn, 2002; Sonn,
Fisher, 1996; 1998; 2005) e l’impatto sul benessere psicologico. Costruire senso di comunità non solo rispetto al
gruppo etnico di origine, ma anche rispetto alla società di accoglienza, sembra dunque un elemento estremamente
rilevante per favore i processi di integrazione e il contatto interculturale. E uno strumento che può favorire lo
sviluppo di legami e investimento nella comunità ospitanti è rappresentato dalla partecipazione in attività comuni
che riguardano il quartiere o la città in cui migranti e autoctoni vivono insieme, attraverso le quali i “nuovi arrivati”
possono incontrare e rielaborare in forma attiva la cultura del paese che li ha adottati

Senso di comunità negativo  ll senso di comunità può avere una valenza negativa e non necessariamente
associarsi a esiti indesiderabili, ma svolgere, al contrario, una funzione protettiva (Brodsky, 1996; Arcidiacono, 2000;
Barbieri, 2014) : in particolari circostanze è preferibile un atteggiamento di distacco, che può realizzarsi attraverso un
allontanamento fisico oppure attraverso il disinvestimento emotivo o un meccanismo di identificazione in negativo.

Brodsky  Dimensioni senso di comunità negativo


 Distintività. La forza inversa del sentirsi parte e del bisogno di affiliazione è rappresentata dal bisogno di
distinguersi e differenziarsi dagli altri membri, dalla consapevolezza di essere diversi e dal rifiuto di
associarsi, o di essere associati, a chiunque altro nella comunità.
 Astensione. La variante negativa dell’influenza è definita come un atteggiamento di passività e indifferenza
nei confronti di ciò che accade nella comunità, insieme alla tendenza a ritrarsi da qualsiasi forma di azione: le
persone non vogliono essere né bersaglio né fonte di influenza.
 Frustrazione. L’opposto della soddisfazione e dell’integrazione dei bisogni corrisponde alla percezione della
comunità come fonte di frustrazione. Non soltanto le persone sentono che la comunità non viene incontro
alle loro esigenze, aspettative e desideri, ma essi la percepiscono come un ostacolo al loro bisogno di riuscita
e di autorealizzazione, come un agente che vanifica i loro sforzi.
 Alienazione. Speculare al sentimento di condivisione e di connessione con gli altri è il sentimento di
estraneità, di non familiarità e di disconnessione dalla comunità, dai suoi membri, e dalla sua cultura. Le
persone si sentono “straniere”nella loro comunità.

EMPOWERMENT
Rappaport  letteralmente significa “acquisizione di potere” overo incremento delle capacità delle persone di
controllare attivamente la propria vita.
Zimmerman enfatizza l’importanza di 4 requisiti L’empowerment è una variabile continua non dicotomica; può
mutare nel tempo quindi non lineare, si specifica in relazione al contesto e alla popolazione; è un costrutto articolato
su diversi livelli

Questi livelli sono tre e si definiscono:


• psicologico: nel caso in cui si occupi di variabili interpersonali e individuali;
• organizzativo: quando riguarda la mobilitazione delle risorse sociali e di opportunità di partecipazione (quanto le
organizzazioni sono in grado di sostenere processi di organizzazione, leadership, ecc);
• sociale e di comunità: nel caso in cui si occupi di variabili sociopolitiche e l’attivazione dei cittadini per il
cambiamento sociale.

Zimmerman 2000  pietre miliari del concetto di empowerment


- Controllo: capacità percepita o reale di influenzare le decisioni
- Consapevolezza critica: comprensione del funzionamento delle strutture del potere dei processi decisionali
della gestione delle risorse
- Partecipazione: attuare azioni per ottenere risultati

Processi empowering

Livello individuale: lavorare con il singolo sulla capacità di prendere decisioni, sulle risorse e sulla capacità di
collaborare per lavorare sulla percezione di controllo e la consapevolezza critica
processi: abilità di decision-making, gestione di risorse, lavoro con altri outcomes: percezione di controllo,
consapevolezza critica, partecipazione

Organizzazioni: distinte tra empowering (gli interventi e le azioni messe in atto per attuare il cambiamento) ed
empowered (l’esito del cambiamento). Dentro l’organizzazione andremmo a lavorare soprattutto su processi di
leadership condivisa, su una max responsabilizzazione degli individui e valorizzazione dell’individuo come attore che
ha un potere e una sua capacità decisionale e che ha una sua autonomia e può sostenere le sue idee
Processi presa di decisioni collettive , leadership, condivisa, responsabilità outcomes: sviluppo
organizzativo, lavoro di rete, influenza nelle policies

Comunità: più collettivo, si parla della partecipazione dei cittadini per aiutarli nell’autorganizzazione dei membri
della comunità e aiutarli ad accedere a certe risorse
azione collettiva per accedere alle risorse, tolleranza per le diversità outcmes: pluralismo di leadership,
coalizioni, risorse comunitarie

Empowerment psicologico
L’empowerment psicologico rappresenta una delle accezioni di empowerment che pone l’attenzione dei ricercatori
perché c’è un assunto sul fatto che, in assenza di un processo di empowerment psicologico che riguarda l’individuo,
è difficile che ci possa essere quello organizzativo che riguarda la comunità.

Mechanic: definisce l’empowerment psicologico come il processo attraverso il quale l’individuo comprende che gli
obiettivi e i risultati che persegue dipendono dalle strategie che attiva per raggiungerli. Definizione che più di altre è
focalizzata sull’individuo, tralasciando la dimensione relazionale.

Bruscaglioni 1994  tra le dimensioni dell’empowerment psicologico rientrano


- percezione di autoefficacia
- percezione di competenza
- ideologia del possibile : è possibile intervenire sugli avvenimenti
- tendenza alla speranza
- locus of controll interno (attribuire a sé la causalità degli eventi)
 empowerment come processo di ampliamento delle possibilità (attraverso miglior uso delle risorse attuali e
potenziali acquisibili ): empowerment = ampiezza delle possibilità tra le quali un soggetto (individuale o collettivo)
può scegliere

Empowerment come processo di cambiamento da stato di impotenza appresa a stato di speranza appresa

I risultati dell’empowerment individuale si muovono su tre componenti:


- intrapersonale (sentimento di self-efficacy e competenza-es il controllo)
- interazionale (pensiero critico ed ecological awareness)
- comportamentale (partecipazione e messa in atto di azioni).

Quindi l’EMPOWERMENT vuol dire responsabilizzazione, potenziamento, delega e trasferimento del potere,
arricchimento, aumento di capacità di fare, sviluppo di potenzialità, apertura a nuovi mondi possibili, creatività
liberata, aumento di conoscenza. Questo processo ha dimensioni più cognitive (interne all’individuo), ma anche una
dimensione che rimette l’individuo all’interno del suo contesto, quindi non tutto l’empowerment sta nella testa delle
persone, ma una parte di empowerment sta anche nella loro abilità di agire e di comprendere il contesto.
Dimensione comportamentale che deriva da una revisione anche critica di quella che è la mia condizione in quel
contesto.

Kiefer requisiti dell’empowerment psicologico, per cui l’acquisizione di abilità, conoscenze e potere sufficiente da
influenzare la propria vita sia possibile attraverso
- lo sviluppo di un potente senso di sé (sense of self), che promuove il coinvolgimento sociale attivo. Parte che
riguarda la dimensione più interna e che chiama in causa gli aspetti più emozionali e della capacità degli
individui (un senso di sé che ci spinge all’azione);
- la capacità di fare un’analisi critica dei sistemi sociali e politici che definiscono il proprio ambiente. Quindi,
una lettura critica del proprio contesto che consente di capire in primis, che cosa dipende da me e quindi è
più modificabile partendo dal mio impegno o strategie, e poi capire che cosa è condizionato da fattori di tipo
macro-sociale o politico
- l’abilità di sviluppare strategie di azione, coltivare e sviluppare risorse per raggiungere i propri scopi;
- la capacità di agire in modo efficace in collaborazione con altri per definire e raggiungere scopi collettivi.
Strategie efficaci possono essere ad esempio quella di lavorare insieme ad altre persone. Non
necessariamente quando parliamo di empowerment individuale parliamo di un processo che vede
l’individuo isolato, ma la collaborazione con altri è sicuramente un dispositivo importante. Però quando la
dimensione competizione prevale rispetto a quella della collaborazione non ci sono scopi collettivi, ma scopi
puramente individuali. In un processo di empowerment, bisogna considerare l’altro come fonte di risorse e
di opportunità.

RUOLO DELLA COLLABORAZIONE NEI PROCESSI DI EMPOWERMENT (Cox e Parson): con la collaborazione può
avvenire la costruzione di nuove narrazioni, la validazione delle esperienze collettive, con una conseguente riduzione
dell’auto-biasimo e una maggiore validazione reciproca e lo sviluppo di conoscenze e capacità critica per ricollocare il
problema nel contesto.

EMPOWERMENT ORGANIZZATIVO
L’empowerment organizzativo consiste nei processi e nelle strutture organizzative che aumentano la partecipazione
dei membri e migliorano l’efficacia dell’organizzazione nel raggiungere i propri scopi. Vi possono essere due
tendenze di organizzazione:
 l’organizzazione empowering → che dà opportunità ai propri membri di aumentare il controllo sulla propria
esistenza (organizzazioni che contribuiscono alla crescita dei propri membri e alla valorizzazione delle loro
risorse)
 l’organizzazione empowered → che si sviluppa con successo e che influenza le decisioni politiche.

Un’organizzazione dovrebbe tendere ad entrambi gli approcci (individuale e organizzativo) perché l’empowerment
organizzativo porta ad avere maggiori profitti, a lavorare in maniera più efficiente e con maggiore soddisfazione e
benessere dei suoi membri. Quindi dentro le organizzazioni da un lato si può utilizzare:
- l’approccio individuale (self empowerment → lavoro centrato sull’individuo o sull’aggiramento delle cause che
determinano condizione di impotenza o di malessere sul lavoro e lavoro sulle risorse e capacità)
- approccio più organizzativo → coinvolge i gruppi, è orientato soprattutto alla formazione di leadership
empowering. Leader che sappiano valorizzare e coinvolgere i loro operatori. Spesso in questo approccio si utilizzano
dei gruppi di lavoro che hanno un orientamento alla collaborazione

Picardo → individua due percorsi per quanto riguarda l’empowerment organizzativo:


1. approccio psico-sociopolitico → obiettivo l’emancipazione da una situazione di svantaggio, e sfrutta strumenti
come l’analisi clinica diagnostica, la ricerca-azione e la rimozione delle cause di powerlessness;
2. approccio socio-organizzativo → lavora sulla relazione individuo-organizzazione e vede inclusi processi di
leadership empowering ed empowered work group

Empowerment dell’utente dei servizi di salute mentale


Policy, advocacy, capacity building, cross-sector alliances and collaborative working

Recovery: modo di vivere una vita piena, soddisfacente nonostante la malattia. Andare oltre l’etichetta e sviluppare
un nuovo significato alla propria vita e nuovi scopi.
Il sostegno sciale supporta la recovery
Supporto tra pari e recovery
 supporto tra pari informale, spontaneo
 servizi o gruppi di auto mutuo aiuto
 impiego di utenti in qualità di operatori alla pari
per far si che avvengano ci deve essere un apertura volta a riconoscere il potenziale di queste forme di sostegno

AGGIUNGERE SLIDE MAL DI PSCICHE SUPPORTO TRA PAARI E RECOVERY

AGGIUNGERE PEER EDUCATION

Peer support worker  memrbo del corpo dei professionisti socio-sanitari presenti nei servizi che ha vissuto o sta
vivendo un problema di salute menale, ha l’obbiettivo di dare speranza, fungere da fonte di ispirazione, sostegno e
informazione verso altri utenti.

Benefici per gli altri utenti


 aumento dei livelli di empowerment negli utenti sostenuti dai peers
 maggiore senso di indipendenza
 speranza e fiducia nella possiilità di recupero
Benefici per i peer
 maggiore senso di indipendenza e responsabilizzazione
 aumento di autostima e autoefficacia (empowerment)
 migliore qualità della vita
 avere un lavoro (vantaggio economico, senso di autoefficacia, sviluppo relazioni sociali, scansione temporale
della quotidianità)

EMPOWERMENT SOCIALE DI COMUNITA’


L’empowerment sociale è un processo intenzionale e continuo, centrato sulla comunità locale che comporta rispetto
reciproco, riflessione critica, attività di cura (caring), partecipazione di gruppo, e attraverso il quale le persone di una
comunità locale, deficitarie di un’equa distribuzione delle risorse valide, possano accedere più facilmente alle risorse
e accrescere il controllo su di esse (Cornell Empowerment Group, 1989).
OBIETTIVO DELL’EMPOWERMENT DI COMUNITA’: cambiamenti sociali, istituzionali e politici, in una comunità,
attraverso la partecipazione delle persone (ricordiamo che la Montero sottolinea la dimensione politica
dell’intervento di PdC). Il focus principale è migliorare la qualità della vita per le comunità e il benessere e ridurre le
disuguaglianze di potere e povertà. L’empowerment di comunità è inoltre costruito attraverso credenze e “verità”
individuali e della collettività locale.
Sonn e Quayle sottolineano alcuni esempi di processi e domini su cui è possibile lavorare per ottenere
l’empowerment di comunità (strategie dell’empowerment di comunità) :
 l’acquisire la fiducia in modo da involvere al meglio i partecipanti (le persone per starci devono fidarsi,
questo processo richiede tempo e oggetti non prettamente psicologi)
 essere responsivo, sensibile e consapevole, paziente, flessibile perché i temi della comunità non sono
necessariamente i nostri tempi (a loro non interessa che i nostri tempi siano finanziati per un anno, a loro
magari serve più tempo per portare a termine un processo di cambiamento),
 provvedere risorse e conoscenza, fare connessioni, costruire alleanze, saper lasciar andare
➔ Il fine dell’empowerment sociale è favorire lo sviluppo di una comunità competente.

COMUNITA’ COMPETENTE (Iscoe) → comunità che ha un repertorio di possibilità e di alternative (potere), che sa da
dove e come ottenere risorse (conoscenza) e che chiede di essere autonoma (motivazione e autostima).
Compito dello psicologo di comunità è sostenere il processo di empowerment sociale, favorendo l’assunzione di
responsabilità da parte della comunità attraverso l’azione sociale (strategia potenzialmente conflittuale) e lo sviluppo
di comunità ( strategia, invece, cooperativa).
Sviluppo di comunità sviluppare senso di coesione sociale, sensibilizzare i cittadini (collaborazione e
cooperazione), promuovere leader locali, usare le competenze dei professionisti per favorire le esperienze di
autoorganizzazione e innovazione sociale, favorire reti di collaborazioni tra servizi formali e informali (modalità
flessibili, decentrate e autogestite di presa di decisione), accrescere il senso di comunità.
Azione sociale accrescere la consapevolezza degli svantaggiati, ridistribuire le risorse, modificare gli equilibri di
potere senza l’uso della violenza (azione di social advocacy).

Sono stati sollevati alcuni paradossi impliciti nel concetto di empowerment, tra cui:
BIas psicocentrico
 enfasi sui sentimenti di efficacia unita ad una sottovalutazione del raggiungimento di potere reale
 enfasi sugli aspetti cognitivi ed emotivi dell’empowerment psicologico, dimenticando gli aspetti sociali,
materiali e politici (Prilleltensky → focus sugli aspetti più strettamente cognitivi, individuali fa sì che a volte ci
si dimentichi degli aspetti contestuali, andando così a ridurre il significato dell’intervento o dell’approccio
orientato all’empowerment);
Bias etnocentrico
 enfasi sull’autonomia che aumenta la competizione tra e dentro i gruppi, a scapito di approcci più
cooperativi (Riger → uno degli aspetti paradossali è il fatto che abbiamo parlato di un processo che coinvolge
la persona e ha orientamento a sostenere controllo autonomia consapevolezza partecipazione. Le persone
però potrebbero anche non volere tutto questo. Proprio perché ci muoviamo in una cornice di tipo
relazionale non possiamo semplicemente dire: aumento il tuo potere, qualche volta le persone possono
resiste a un intervento orientato all’empowerment anche perché la condizione di oppressione potrebbe dare
dei vantaggi secondari. Le persone possono anche resistere a un processo di empowerment e rifiutarlo.
Magari anche vantaggi più piccoli e materiali);
 enfasi sulla dimensione individuale: bisogna superare le concezioni individualistiche, l’empowerment è
fondamentalmente un concetto collettivo.
Oltre a queste problematiche, altri tre paradossi sono lo stigma che viene attribuito alle persone che si intende
aiutare; la complessità del processo di oppressione, spesso favorita dagli stessi oppressi; lo sbilanciamento del
potere tra individui e professionisti, la cui soluzione è l’autodeterminazione e la figura dello psicologo solo come
guida al raggiungimento dell’emancipazione e cambiamento delle condizioni sociali.

La misurazione dell’empowerment
PSYCHOLOGICAL EMPOWERMENT SCALE AT WORK (PES – Spreitzer) → scala che si basa su un modello
dell’empowerment a quattro dimensioni riferite agli stati psicologici individuali rispetto al proprio lavoro:
 significatività (corrispondenza tra le richieste dei compiti e il sistema di valori, credenze e ideali della
persona)
 abilità (convinzione di possedere abilità e strumenti per svolgere il lavoro adeguatamente)
 autodeterminazione (sensazione di controllo rispetto al proprio lavoro, libertà d’iniziativa e possibilità di
decidere come organizzare il lavoro)
 influenza (convinzione di avere una incidenza sugli esiti del proprio lavoro)
È stata dimostrata la validità di questa scala anche nell’ambito infermieristico.
Critica: l’esistenza di tre dimensioni in quanto autodeterminazione e influenza sembrerebbero sovrapporsi.
Nella maggior parte dei casi, per misurare l’empowerment, si utilizzano degli strumenti auto somministrativi poiché
non vi sono strumenti di tipo osservativo.
Le metodologie utilizzate per raccogliere le info riguardo l’empowerment sono specifiche, infatti vi sono scale di tipo
psicometrico adattate in funzione di specifici contesti di applicazione o di specifiche popolazioni.

STRUMENTO PER MISURARE L’EMPOWERMENT PSICOLOGICO A LAVORO (Pietrantoni e Prati) → misura quanto le
persone si sentano competenti e capaci rispetto al lavoro che svolgono, quanto controllo hanno e quanta capacità
hanno di decidere rispetto agli esiti del proprio lavoro. Alcuni dati mostrano come emergano differenze di genere
rispetto all’importanza attribuita alla significatività. Chi opera su turni ritiene di avere un livello di
autodeterminazione più basso rispetto a chi non lo fa, quindi il livello di empowerment si associa anche ad aspetti di
tipo contestuale.
EMPOWERMENT PERSONALE E POLITICO (EMPO – Francescato) → scala psicometrica che misura tre componenti
chiave dell’EMP:
- capacità di porsi obiettivi e di raggiungerli efficacemente
- la mancanza di speranza e di fiducia
- l’interesse verso questioni sociopolitiche e la partecipazione politica, considerati indicatori di consapevolezza
critica.

MISURAZIONE DELL’EMPOWERMENT DI COMUNITA’ (i domini di Laverack e Labonte) L’empowerment di comunità è


più difficile da misurare attraverso strumenti self report che ci permettono di cogliere la dimensione individuale ma
difficilmente quella collettiva. Quindi è stato proposto questo strumento di misurazione da Labonte e Laverak che
hanno identificato i domini dell’empowerment di comunità ovvero le dimensioni rilevanti perché si possa parlare di
empowerment di comunità. Gli autori hanno proposto uno strumento di misura di questi domini che richiede
interviste, osservazioni, osservazioni partecipate e analisi della statistica dei progetti.

La resilienza
RESILIENZA: Termine che viene sviluppato in ambito ingegneristico e indica la capacità di un materiale di resistere
agli urti senza spezzarci. In ecologia invece: capacità di una specie di autoripararsi dopo un danno. Invece, la
definizione inerente alla teoria dei sistemi chiama in causa una complessità: non si parla di individuo o di oggetto
materiale, ma si parla di un sistema in grado di approfittare del cambiamento per svilupparsi mantenendo la sua
coesione. Dopo una crisi è in grado di fronteggiarla, riorganizzarsi e svilupparsi anche da un punto di vista qualitativo.
La resilienza è un concetto che emerge per capire come mai alcuni, di fronte a situazioni avverse, siano
maggiormente capaci di far fronte ai rischi, evitandone gli effetti negativi e uscendone positivamente. Può essere
definita come un adattamento riuscito nonostante i rischi e le avversità.
L’esposizione ai rischi o alle avversità, infatti, è un prerequisito essenziale della resilienza. La capacità di adattarsi dei
sistemi, degli individui, non dipende solo dalle caratteristiche degli stessi, ma anche dalle opportunità che vengono
offerte dal contesto. Per resilienza si intende quindi la capacità di adattamento anche in circostanze sfavorevoli,
legata non solo alle risorse individuali, ma anche alle opportunità offerte dal contesto (Zani e Cicognani).
La ricerca dice che la modalità di affrontare il cambiamento in situazioni di emergenza è relativamente poco
influenzata da quelle che sono le caratteristiche di personalità, perché anche persone che nella vita ordinaria sono
abituate a svolgere posizioni autorevoli o di leadership riconosciuta, in situazioni sfavorevoli potrebbero andare in
difficoltà o in “panico”. Attenzione quindi che si è spostata a vedere la resilienza come processo, come forma di
adattamento che coinvolge le capacità di coping (di fronteggiare la situazione), di migliorare la propria condizione.
Soprattutto quando ci riferiamo alla capacità di migliorare la propria condizione fa riferimento al concetto di
CRESCITA POST-TRAUMATICA. Il fenomeno della crescita post traumatica è meno diffuso di quanto invece lo siano i
processi di resilienza. La visione ecosistemica della resilienza percepisce l’individuo legato in una rete complessa di
relazioni, così che l’individuo, la famiglia e il più largo contesto siano interconnessi e fattori da ciascun dominio
contribuiscano al processo di coping. La resilienza non va intesa come assenza di patologia, o resistenza, o
sopravvivenza, ma come capacità di crescita, anche con accresciute capacità di funzionamento, e come dicevamo
sopra, come un processo dinamico piuttosto che come un tratto stabile. La resilienza è un’alternativa a quando
l’empowerment non è possibile.

Quando anche la psicologia di comunità inizia ad occuparsi di resilienza?


Anne Brodsky  RESILIENZA come adattamento di successo nonostante il rischio e le avversità. Non soltanto
sopravvivere alle circostanze, ma anche recuperare. Ha messo a punto il modello transteoretico dell’empowerment
e della resilienza (TMER). Come sottolineato da Brodsky, la resilienza è un processo in cui interagiscono 5
componenti:
• consapevolezza, per sviluppare “narrative” alternative e rianalizzare le proprie esperienze in
modo diverso e per progettare azioni che le rendano attuabili e reali
• intenzione di stabilire, perseguire e mantenere scopi per marcare una differenza con l’esistente. Tali scopi si
distinguono in concreti (sicurezza, comunità, istruzione) e ideali (democrazia, giustizia, diritti). Intenzione quindi
rispetto a degli obiettivi che le persone si danno che possono essere seguita da azioni concrete;
• azioni, basate sull’abilità di problem solving, skills e sulla capacità di individuare e utilizzare le risorse appropriate;
• riflessione per poter fronteggiare rischi e ostacoli altrimenti ritenuti insormontabili;
• mantenimento nell’intero processo, anche rispetto a rischi non risolvibili. Questo include elementi come la
protezione, il senso psicologico di comunità, la flessibilità e l’adattamento ai cambiamenti, e la valutazione positiva
degli step raggiunti.
➔ Questo modello parte dal riconoscimento di alcune caratteristiche dell’empowerment e dal fatto che questo è un
costrutto chiave per la disciplina, che richiede anche un cambiamento, consapevolezza e acquisizione del potere in
un’acquisizione che accade nel contesto reale. Si rende conto che entrambi i costrutti sono ampiamente utilizzati
nelle scienze sociali, che sono abbastanza presenti anche nella psicologia di comunità → Tentativo della Brodsky di
capire che cosa cambia e quando possiamo parlare di resilienza o di empowerment.
Vi sono alcune similitudini e alcune differenze tra i concetti di resilienza ed empowerment.

Vi sono alcune similitudini e alcune differenze tra i concetti di resilienza ed empowerment.


SIMILITUDINI
- caratteristiche positive sono: la descrizione di processi e outcome per l’adattamento e il superamento di situazioni
avverse; approcci basati sulla forza; il riconoscimento, il rispetto e la promozione delle capacità locali; il lavoro entro i
valori e le culture locali; l’importante supporto fornito alle comunità svalutate.
- caratteristiche problematiche che condividono sono: la mancanza di chiarezza nella definizione,
nell’operazionalizzazione e nella misurazione; l’uso intercambiabile.

DIFFERENZE: la resilienza ha obiettivi orientati al potere sociale irrealistici e potenzialmente dannosi e contesti ad
alto rischio. Mentre l’empowerment ha obiettivi orientati al potere, focalizzati sull’interno o sull’esterno e possono
entrare in gioco contesti a basso rischio.

Sintesi modello di resilienza della Brodsky: noi partiamo da un presupposto di consapevolezza, di formulazione di un obiettivo
di cambiamento, a seconda del contesto in cui ci muoviamo: orientamento più verso la resilienza (mi permette di adattarmi, ma
non di cambiare la situazione), quando invece il contesto è permeabile si può attivare un processo di empowerment. In questa
rilettura del processo dinamico non si stabilisce che la resilienza o l’empowerment siano uno migliore dell’altro, semplicemente
occorrono in condizioni diverse (o possibilità di trasformazione sociale o situazioni che sono cambiamenti che però non mettono
in discussione lo status quo). Es donna che è in uno stato teocratico posso informarmi, documentarmi, attivare un gruppo di
donne che condividono le mie idee, ma non posso manifestare per i miei diritti altrimenti pongo a rischio la mia vita (questo non
accade in una situazioni in cui l’azione sociale può avere uno spazio di tipo trasformativo). La resilienza consiste in obiettivi
interni e a livello locale, che sono mirati ad azioni e risultati intrapersonali, per adattare o resistere alla situazione così come
sono. L’empowerment, invece, è attuato a livello sociale, e mira al cambiamento esterno delle relazioni, situazioni, dinamiche di
potere o contesti, e coinvolge cambi di potere così come un cambiamento interno/psicologico

EMPOWERMENT SOCIALE
DEFINIZIONE "Processo intenzionale e continuo centrato sulla comunità locale che comporta rispetto reciproco,
riflessione critica, attività di cura (caring), partecipazione di gruppo, attraverso il quale le persone di una comunità
locale lacking an equal share of valued resources possono accedere più facilmente alle risorse e accrescere il
controllo su di esse (Cornell Empowerment Group, 1989)

OBIETTIVO DELL’EMPOWERMENT DI COMUNITA’: cambiamenti sociali, istituzionali e politici, in una comunità,


attraverso la partecipazione delle persone (ricordiamo che la Montero sottolinea la dimensione politica
dell’intervento di PdC). Il focus principale è migliorare la qualità della vita per le comunità e il benessere e ridurre le
disuguaglianze di potere e povertà. L’empowerment di comunità è inoltre costruito attraverso credenze e “verità”
individuali e della collettività locale.
Sonn e Quayle sottolineano alcuni esempi di processi e domini su cui è possibile lavorare per ottenere
l’empowerment di comunità (strategie dell’empowerment di comunità) :
- l’acquisire la fiducia in modo da involvere al meglio i partecipanti (le persone per starci devono fidarsi, questo
processo richiede tempo e oggetti non prettamente psicologi)
- essere responsivo, sensibile e consapevole, paziente, flessibile perché i temi della comunità non sono
necessariamente i nostri tempi (a loro non interessa che i nostri tempi siano finanziati per un anno, a loro magari
serve più tempo per portare a termine un processo di cambiamento),
- provvedere risorse e conoscenza, fare connessioni, costruire alleanze, saper lasciar andare

➔ Il fine dell’empowerment sociale è favorire lo sviluppo di una comunità competente.

COMUNITA’ COMPETENTE (Iscoe) → comunità che ha un repertorio di possibilità e di alternative (potere), che sa da
dove e come ottenere risorse (conoscenza) e che chiede di essere autonoma (motivazione e autostima).
Compito dello psicologo di comunità è sostenere il processo di empowerment sociale, favorendo l’assunzione di
responsabilità da parte della comunità attraverso l’azione sociale (strategia potenzialmente conflittuale) e lo sviluppo
di comunità ( strategia, invece, cooperativa).
Con sviluppo di comunità si intende: sviluppare senso di coesione sociale, sensibilizzare i cittadini (collaborazione e
cooperazione), promuovere leader locali, usare le competenze dei professionisti per favorire le esperienze di
autoorganizzazione e innovazione sociale, favorire reti di collaborazioni tra servizi formali e informali (modalità
flessibili, decentrate e autogestite di presa di decisione), accrescere il senso di comun
ità.
Con azione sociale si intende, invece, accrescere la consapevolezza degli svantaggiati, ridistribuire le risorse,
modificare gli equilibri di potere senza l’uso della violenza (azione di social advocacy).

I paradossi dell’empowerment Sono stati sollevati alcuni paradossi impliciti nel concetto di empowerment, tra cui:ù
o enfasi sui sentimenti di efficacia unita ad una sottovalutazione del raggiungimento di potere reale
o enfasi sugli aspetti cognitivi ed emotivi dell’empowerment psicologico, dimenticando gli aspetti sociali,
materiali e politici (Prilleltensky → focus sugli aspetti più strettamente cognitivi, individuali fa sì che a volte ci
si dimentichi degli aspetti contestuali, andando così a ridurre il significato dell’intervento o dell’approccio
orientato all’empowerment);
o enfasi sull’autonomia che aumenta la competizione tra e dentro i gruppi, a scapito di approcci più
cooperativi (Riger → uno degli aspetti paradossali è il fatto che abbiamo parlato di un processo che coinvolge
la persona e ha orientamento a sostenere controllo autonomia consapevolezza partecipazione. Le persone
però potrebbero anche non volere tutto questo. Proprio perché ci muoviamo in una cornice di tipo
relazionale non possiamo semplicemente dire: aumento il tuo potere, qualche volta le persone possono
resiste a un intervento orientato all’empowerment anche perché la condizione di oppressione potrebbe dare
dei vantaggi secondari. Le persone possono anche resistere a un processo di empowerment e rifiutarlo.
Magari anche vantaggi più piccoli e materiali);
o enfasi sulla dimensione individuale: bisogna superare le concezioni individualistiche, l’empowerment è
fondamentalmente un concetto collettivo.

La misurazione dell’empowerment PSYCHOLOGICAL EMPOWERMENT SCALE AT WORK (PES – Spreitzer) → scala che
si basa su un modello dell’empowerment a quattro dimensioni riferite agli stati psicologici individuali rispetto al
proprio lavoro:
- significatività (corrispondenza tra le richieste dei compiti e il sistema di valori, credenze e ideali della persona)
- abilità (convinzione di possedere abilità e strumenti per svolgere il lavoro adeguatamente)
- autodeterminazione (sensazione di controllo rispetto al proprio lavoro, libertà d’iniziativa e possibilità di decidere
come organizzare il lavoro)
- influenza (convinzione di avere una incidenza sugli esiti del proprio lavoro)
È stata dimostrata la validità di questa scala anche nell’ambito infermieristico.
Critica: l’esistenza di tre dimensioni in quanto autodeterminazione e influenza sembrerebbero sovrapporsi.
Nella maggior parte dei casi, per misurare l’empowerment, si utilizzano degli strumenti auto somministrativi poiché
non vi sono strumenti di tipo osservativo. Le metodologie utilizzate per raccogliere le info riguardo l’empowerment
sono specifiche, infatti vi sono scale di tipo psicometrico adattate in funzione di specifici contesti di applicazione o di
specifiche popolazioni.

GRUPPI AUTO MUTUO AIUTO


Definizione di gruppo di selfhelp (Katz e Bender, 1976) “Strutture di piccolo gruppo, a base volontaria, finalizzate
al mutuo aiuto ed al raggiungimento di particolari scopi”
Costituiti da pari che si uniscono per assicurarsi reciproca assistenza nel soddisfare bisogni comuni, per superare un
comune handicap o un problema di vita, oppure per impegnarsi a produrre desiderati cambiamenti personali o
sociali.
Enfatizzano le interazioni sociali faccia a faccia e il senso di responsabilità personale dei membri.
Assicurano assistenza materiale e sostegno emotivo;
Orientati verso una qualche “causa”, propongono una “ideologia” o “valori” sulla base dei quali i membri possano
acquisire o potenziare il proprio senso di identità personale

Caratteristiche dei gruppi di auto-aiuto


Origine: spontanea, non dipendente dalle autorità o istituzioni esterne
Obiettivo: aiuto reciproco per fronteggiare problemi comuni
Fonte d’aiuto: membri del gruppo fornitori e fruitori di sostegno
Composizione: parità, simmetria e condivisione problema o condizione
Controllo: da parte dei membri, occasionalmente esperti esterni come consulenti o supervisori
Attività: partecipazione, autogestione, selfempowerment,

Il potere e la leadership sono su basi pari


Il coinvolgimento è personale : ogni persona decide autonomamente se e come prendere parte al gruppo;
La responsabilità è personale: ogni persona è protagonista del cambiamento che vuole ottenere, la persona stessa è
la prima risorsa per sé e per il gruppo ;
L’orientamento è all’azione : le persone imparano e cambiano facendo. Uno degli scopi dei gruppi è quello di
sperimentare nuovi stili di vita e di comportamento, nuovi modi di sentire e trasmettere i propri vissuti. (learning by
doing, changing by doing)

Principi di funzionamento/fattori di efficacia  Incontro tra pari ▪ Principio dell’helper therapy ▪ Senso di
appartenenza

Principio dell’ helper therapy L’intento comune di tutti i gruppi di auto - aiuto è quello di trasformare coloro che
domandano aiuto in persone in grado di fornirlo
Senso di migliore competenza interpersonale, poiché il sostegno fornito va a incidere sulla vita di un’altra persona
Equilibrio tra il dare e l’avere, nelle relazioni con gli altri, sentendosi meno dipendenti e riducendo i costi dell’aiuto

Senso di appartenenza i membri “si trovano inseriti in una sorta di microcosmo o di piccolo sistema sociale in cui essi
smettono di essere esclusivamente dei devianti o portatori di qualche patologia o sofferenza, ma diventano piuttosto
membri di un “aggregato” di tipo quasi familiare” (Gartner e Riessman, 1984)
Gruppi di auto aiuto: il facilitatore dovrebbe
• essere a conoscenza degli obiettivi e del problema che caratterizzano il gruppo;
• essere capace di facilitare un gruppo, valorizzando la comunicazione circolare;
• essere capace di trasferire questa competenza ai membri del gruppo;
• essere in grado di non vestire i panni dell’esperto chiamato a dare risposte ma indossare quelli del facilitatore della
comunicazione;
• essere capace di orientare la comunicazione del gruppo rispetto ai temi e ai punti condivisi dallo stesso gruppo;
• essere capace di creare un clima accogliente e di fiducia;
• essere capace di contenere la propria e altrui ansia

Lo psicologo di comunità e i gruppi di self help


• Nella comunità territoriale: promozione, sensibilizzazione, creare reti, mappare risorse, rilevare bisogni,
opportunità
• Nei gruppi: formazione di primo e secondo livello, facilitazione, supporto specifico (if needed) • Nella comunità
scientifica/professionale: fare ricerca/sensibilizzazione/chiarezza rispetto al ruolo nel sistema di welfare

Le evidenze scientifiche: astinenza


COSA  Kelly & Yeterian (2011) – Durata e stabilità dell’ astinenza degli alcolisti – Riduzione dei costi dei servizi:
partecipazione ai gruppi AA “produce” esiti equivalenti a quelli di alcuni tipi di terapia professionale a costi più bassi
COME  Allargamento dei network di sostegno alla sobrietà • Senso di autoefficacia e motivazione all’astinenza

Le evidenze scientifiche: salute mentale • I gruppi di auto aiuto rappresentano “una forma di trattamento” che
funziona rispetto al problema del gruppo? (oltre il sostegno sociale) Studi longitudinali o quasi sperimentali –
Sintomatologia psichica – Tassi di ospedalizzazione – Funzionamento sociale – Aderenza al trattamento
• Miglioramento della sintomatologia psicologica (ansia, stress) (7/12)
• Equivalenza in termini di effetto a trattamenti professionali (CBT) (2/5)
• Non differenze tra membri e non membri (5/12)
• Non fanno male (12/12) • Effetto “dosaggio

MISURAZIONE DELL’EMPOWERMENT DI COMUNITA’ (i domini di Laverack e Labonte) L’empowerment di comunità è


più difficile da misurare attraverso strumenti self report che ci permettono di cogliere la dimensione individuale ma
difficilmente quella collettiva. Quindi è stato proposto questo strumento di misurazione da Labonte e Laverak che
hanno identificato i domini dell’empowerment di comunità ovvero le dimensioni rilevanti perché si possa parlare di
empowerment di comunità. Gli autori hanno proposto uno strumento di misura di questi domini che richiede
interviste, osservazioni, osservazioni partecipate e analisi della statistica dei progetti.
I domini sono:
- partecipazione comunitaria → in attività di piccoli o grandi gruppi
- sviluppo della leadership locali → Ꚙ alle responsabilità locali nell’avvio e nella conduzione
- Utilizzo di strutture organizzative → Attiva utilizzo delle strutture presenti e l'eventuale attivazione di nuove
strutture
- Valutazione dei problemi → Capacità di individuare problemi, possibili soluzioni e azioni necessarie
- Mobilizzazione delle risorse → Mobilizzazione di risorse interne e negoziazione di risorse esterne
- Chiedersi il perché → Capacità di valutare criticamente le cause dei problemi e il modo in cui la comunità ne
favorisce gli effetti negativi
- Legami con gli altri → Capacità di ricercare e gestire partnership, interne ed esterne alla comunità, finalizzate allo
sviluppo
- Consulenti esterni → Capacità di interagire in modo efficace con agenti esterni per poi rendersi da questi autonomi

Resilienza
La resilienza un concetto che emerge per capire come mai alcuni, di fronte a situazioni avverse, siano maggiormente
capaci di far fronte ai rischi, evitandone gli effetti negativi e uscendone positivamente. • Resilienza come ‘‘…
successful adaptation despite risk and adversity’’ (Masten 1994).
Per resilienza si intende quindi la capacità di adattamento anche in circostanze sfavorevoli, legata non solo alle
risorse individuali ma anche alle opportunità offerte dal contesto (Zani, Cicognani, 1999; Cicognani, 2012)
Può essere definita come un adattamento riuscito nonostante i rischi e le avversità  Masten
L’esposizione ai rischi o alle avversità, infatti, è un prerequisito essenziale della resilienza. La capacità di adattarsi dei
sistemi, degli individui, non dipende solo dalle caratteristiche degli stessi, ma anche dalle opportunità che vengono
offerte dal contesto. Per resilienza si intende quindi la capacità di adattamento anche in circostanze sfavorevoli,
legata non solo alle risorse individuali, ma anche alle opportunità offerte dal contesto (Zani e Cicognani).
La resilienza come processo, come forma di adattamento che coinvolge le capacità di coping (di fronteggiare la
situazione), volto a migliorare la propria condizione. Soprattutto quando ci riferiamo alla capacità di migliorare la
propria condizione.
In tal senso rappresenta la capacità di crescita, anche con accresciute capacità di funzionamento, e come dicevamo
sopra, come un processo dinamico piuttosto che come un tratto stabile. La resilienza è un’alternativa a quando
l’empowerment non è possibile.

Quando anche la psicologia di comunità inizia ad occuparsi di resilienza?


RESILIENZA (Anne Brodsky) come adattamento di successo nonostante il rischio e le avversità. Non soltanto
sopravvivere alle circostanze, ma anche recuperare. Ha messo a punto il modello transteoretico dell’empowerment
e della resilienza (TMER).
Come sottolineato da Brodsky, la resilienza è un processo in cui interagiscono 5 componenti:
• consapevolezza, per sviluppare “narrative” alternative e rianalizzare le proprie esperienze in modo diverso e per
progettare azioni che le rendano attuabili e reali
• intenzione di stabilire, perseguire e mantenere scopi per marcare una differenza con l’esistente. Tali scopi si
distinguono in concreti (sicurezza, comunità, istruzione) e ideali (democrazia, giustizia, diritti). Intenzione quindi
rispetto a degli obiettivi che le persone si danno che possono essere seguita da azioni concrete;
• azioni, basate sull’abilità di problem solving, skills e sulla capacità di individuare e utilizzare le risorse appropriate;
• riflessione per poter fronteggiare rischi e ostacoli altrimenti ritenuti insormontabili;
• mantenimento nell’intero processo, anche rispetto a rischi non risolvibili. Questo include elementi come la
protezione, il senso psicologico di comunità, la flessibilità e l’adattamento ai cambiamenti, e la valutazione positiva
degli step raggiunti.
➔ Questo modello parte dal riconoscimento di alcune caratteristiche dell’empowerment e dal fatto che questo è un
costrutto chiave per la disciplina, che richiede anche un cambiamento, consapevolezza e acquisizione del potere in
un’acquisizione che accade nel contesto reale. Si rende conto che entrambi i costrutti sono ampiamente utilizzati
nelle scienze sociali, che sono abbastanza presenti anche nella psicologia di comunità → Tentativo della Brodsky di
capire che cosa cambia e quando possiamo parlare di resilienza o di empowerment.

Vi sono alcune similitudini e alcune differenze tra i concetti di resilienza ed empowerment.


SIMILITUDINI
 caratteristiche positive sono: la descrizione di processi e outcome per l’adattamento e il superamento di
situazioni avverse; approcci basati sulla forza; il riconoscimento, il rispetto e la promozione delle capacità
locali; il lavoro entro i valori e le culture locali; l’importante supporto fornito alle comunità svalutate.
 caratteristiche problematiche che condividono sono: la mancanza di chiarezza nella definizione,
nell’operazionalizzazione e nella misurazione; l’uso intercambiabile.

DIFFERENZE: la resilienza ha obiettivi orientati al potere sociale irrealistici e potenzialmente dannosi e contesti ad
alto rischio. Mentre l’empowerment ha obiettivi orientati al potere, focalizzati sull’interno o sull’esterno e possono
entrare in gioco contesti a basso rischio.

Sintesi modello di resilienza della Brodsky TMER


noi partiamo da un presupposto di consapevolezza, di formulazione di un obiettivo di cambiamento, a seconda del contesto in
cui ci muoviamo: orientamento più verso la resilienza (mi permette di adattarmi, ma non di cambiare la situazione), quando
invece il contesto è permeabile si può attivare un processo di empowerment. In questa rilettura del processo dinamico non si
stabilisce che la resilienza o l’empowerment siano uno migliore dell’altro, semplicemente occorrono in condizioni diverse (o
possibilità di trasformazione sociale o situazioni che sono cambiamenti che però non mettono in discussione lo status quo). Es
donna che è in uno stato teocratico posso informarmi, documentarmi, attivare un gruppo di donne che condividono le mie idee,
ma non posso manifestare per i miei diritti altrimenti pongo a rischio la mia vita (questo non accade in una situazioni in cui
l’azione sociale può avere uno spazio di tipo trasformativo). La resilienza consiste in obiettivi interni e a livello locale, che sono
mirati ad azioni e risultati intrapersonali, per adattare o resistere alla situazione così come sono. L’empowerment, invece, è
attuato a livello sociale, e mira al cambiamento esterno delle relazioni, situazioni, dinamiche di potere o contesti, e coinvolge
cambi di potere così come un cambiamento interno/psicologico

Le reti sociali
È impo analizzare la struttura delle reti sociali perché aiuta a capire alcuni aspetti del loro funzionamento. La
struttura delle reti non è indipendente dalle opportunità e risorse che può offrire.
Barnes è stato il primo a usare il termine “reti sociali” nell’accezione con la quale lo utilizziamo oggi, ovvero come
sistema di relazioni che le persone hanno al di fuori delle reti professionali o amicali.
Precursori
 Bott studia le reti nelle famiglie e il loro l’impatto notando che c’era una distinzione tra:
o reti segregate → dove uomini e donne in coppia avevano ruoli separati; si caratterizzavano per
l’avere una forte valenza di controllo e in qualche modo rispecchiavano un modello tradizionale del
funzionamento delle famiglia
o reti congiunte → tendevano ad essere un po’ più aperte, consentivano infatti maggiore apertura e
libertà.
 La scuola della Gestalt: Moreno (1934, 1955) la sociometria
 La scuola di Harvard: l’approccio strutturale della sociologia nordamericana (teoria dei grafi e
modelli matematici) dopo gli anni ‘60
 TEORIA DELLA FORZA DEI LEGAMI DEBOLI (Granovetter) → quando si pensa ai legami facciamo riferimento
ai legami significativi per l’individuo. Anche i legami deboli, quindi persone con le quali si hanno relazioni
meno intense, possono rappresentare una risorsa importante perché possono essere l’elemento che
connette ad altre reti. Il legame debole diventa una risorsa.
Ci sono evidenze epidemiologiche raccolte in tutti i continenti che dicono che essere inseriti in una rete sociale è
fondamentale per il benessere perché ci permette di avere legami e di usufruire di sostegno sociale

RETE SOCIALE: è un insieme specifico di legami tra un insieme definito di persone. È un complesso di strutture sociali
che includono un gruppo di punti ed un gruppo di legami che connettono questi punti.

Secondo Cohen e Wills essere inserito in una rete sociale permette di:
• Vivere esperienze positive;
• Riscoprire all’interno della comunità un insieme di ruoli stabiliti socialmente riconosciuti e gratificanti;
• Sviluppare legami e/o rapporti supportivi

Ci sono studi longitudinali che mostrano come ci sia un’associazione positiva nell’essere inseriti in
reti e indici di salute di benessere. Ma non tutte le reti sono buone o funzionali per il benessere
persona però, quando si entra in una rete disfunzionale per il benessere e le motivazioni che lo
avevano portato ad entrare sono state ragioni di appartenenza e di legami

Le caratteristiche della rete sociale sono:


1. Struttura → comprende variabili morfologiche quali:
• l’ampiezza: il numero di persone incluse nella rete che va poi a influenzare la presenza di legami diretti,
indiretti o ponti
• densità: il grado di interconnessione fra i membri della rete
• frequenza dell’interazione: livello di interazione che le altre persone della rete hanno tra di loro per capire
quanto è densa
• molteplicità: la specializzazione o il focus dei contenuti delle reti su argomenti più ampi
• composizione:il grado di omogeneità o eterogeneità rispetto alle caratteristiche di ego.
2. qualità delle relazioni → comprende variabili che descrivono il tipo di relazione tra i membri, come la reciprocità o
simmetria, la vicinanza e qualità affettiva dei legami
3. funzione → il tipo di sostegno fornito.

Per la mappatura delle reti


Diagramma di Todd e carte di Rousseau sono strumenti per mappare le reti.
Gli strumenti di mappatura possono essere utilizzati sia nella formazione degli operatori dei servizi,
ma anche come strumenti di valutazione e progettazione delle attività condivise. Strumenti semplici
che però possono essere adattati agli specifici gruppi di lavoro, questo li rende molto utili.

Carte di Rousseau → un codice per rappresentare i legami relazionali a seconda della loro forza e
importanza. Quello che aggiunge questa tipologia di mappatura è il fatto di avere incluso qualche
elemento che va a qualificare anche i legami, il senso qualitativo e non solo quantitativo. Un aspetto
importante delle reti è che consentono di scambiare risorse di sostegno. È possibile che gli attori
della rete siano deputati primariamente a fornire alcune risorse di sostegno particolare

La funzione svolta dai membri della rete dipende anche dal tipo di rete di supporto, se un sistema
di sostegno informale (primario, come la famiglia, o secondario, come le associazioni gruppi
elementi costitutivi del capitale sociale) oppure un sistema di sostegno formale (quella rete di prima
che si occupa di adolescenti nel territorio). Sinergia maggiore tra i sistemi di sostegno formale e
informale, nella pratica nel sistema dei servizi la collaborazione tra formale e informale è sempre
più richiesta.

IL SOSTEGNO SOCIALE può essere:


- oggettivo (ricevuto)
- soggettivo, nel caso in cui sia sostegno percepito o la soddisfazione per il sostegno fornito.
A volte potrebbe anche essere che il tipo di sostegno che noi offriamo nell’ambito di un servizio non sia quello che le persone
sentono di aver bisogno. Ecco perché, soprattutto con servizi nuovi che devono rispondere alle esigenze sociali emergenti,
diventa importante ascoltare i destinatari, perché loro sono in grado di dire di cosa hanno bisogno. Oggi sempre di più anche gli
operatori si trovano a dover gestire situazioni emergenti che sono diverse rispetto a quelle di qualche tempo fa e quindi l’ascolto
dei destinatari dei servizi diventa un elemento chiave per tenere conto di esigenze nuove che si manifestano. Non sempre i
modelli di lavoro sviluppati nel tempo reggono difronte a queste nuove necessità che magari si diversificano. Questa è una sfida
perché non è sempre semplice ripensare a un servizio in forma strutturale, ma attraverso il coinvolgimento si possono dare
risposte a questi bisogni.

Evidenze empiriche molto forti di una relazione fra reti sostegno sociale e benessere: Sono stati creati due modelli per spiegare
le relazioni tra reti sociali, sostegno sociale e benessere.
- MODELLO DIRETTO: spiega che le reti e il sostegno hanno un effetto diretto sul benessere, come fattori protettivi, anche in
assenza di stress, ove fungerebbero da promotori del benessere grazie al senso di stabilità trasmesso. Vi sarebbe quindi un
rapporto diretto tra salute/malattia e le reti, anche nella dimensione in cui una malattia corrisponderebbe alla riduzione della
rete. La rete acquisterebbe una dimensione culturale e la sua funzione primaria sarebbe quella di rafforzamento dell’identità e
della sicurezza individuale, come quindi barriera di fronte agli stressor ambientali.
- MODELLO INDIRETTO: percepisce la relazione tra stress e benessere/malessere come mediata da una serie di fattori individuali
e/o ambientali, e tra questi il sostegno sociale fa da cuscinetto (buffer). Le reti non sono isomorfe al sostegno sociale, per cui un
gruppo di legami noncostituisce un sistema di sostegno e i legami non sono sempre supportivi. Nonostante, sia che si ipotizzi un
rapporto diretto o si chiamino in causa variabili di mediazione/moderazione tra rete e salute, essere inseriti in una rete sociale è
un presupposto per costruire legami e relazioni supportive.

Le reti non necessariamente producono sempre sostegno e a volte i legami non sono supportivi, ma disfunzionali rispetto
all’intervento che andiamo a fare, è più di allontanamento piuttosto che di ricucitura. Ecco perché nel lavoro di rete vengono
studiati alcuni elementi per capirne i punti di forza e di debolezza; il lavoro della mappatura è un lavoro di consapevolezza che
permette di identificare le risorse, si possono immaginare strategie per ricostruire questi legami

Una volta individuata e rappresentata la rete sociale, è possibile lavorare per raggiungere determinati obiettivi:
• Aumentare la consapevolezza delle relazioni presenti;
• Valorizzare gli elementi positivi delle relazioni;
• Minimizzare la dispersione delle risorse della ret;
• Rinforzare e sostenere i legami, e/o crearne di nuovi;
• Riorganizzare i sistemi di supporto;
• Reperire risorse nuove;
• Ricostruire la rete con nuovi legami;
• Contattare gli irraggiungibili.
➔ Tale tipo di intervento non è proprio di una prospettiva individuale/di gruppo, ma può anche essere applicato nel contesto
della prevenzione terziaria per ritessere reti, attivare gruppi di auto aiuto e attivare percorsi di sostegno. Nella prospettiva di
comunità e di prevenzione primaria e promozione della salute, tale tipo di intervento favorisce l’attivazione di
coalizioni/partnership (reti di comunità), la realizzazione di interventi di sviluppo di comunità, il sostegno di reti di auto aiuto e
del volontariato.

Dalla prevenzione e promozione della salute


Obiettivi degli interventi:
 Cura e riabilitazione
 Prevenzione del disagio psico-fisico
 Promozione della salute e del benessere della popolazione

Strategie preventive
Il modello della psichiatria preventiva di Caplan (1964):
1. Prevenzione primaria
2. Prevenzione secondaria
3. Prevenzione terziaria
Prevenzione primaria
È caratterizzata da interventi volti ad impedire l’insorgere di patologie o di situazioni di disagio a livello individuale
e/o sociale (es. screening, educazione alla salute nelle scuole e nei contesti lavorativi).
Target individui “sani”; mantenere le persone in salute
Es. “guadagnare salute: rendere facile le scelte salutari”: iniziative specifiche per persone a rischio o portatrici di
patologie (progetti che diventano di prevenzione secondaria, es. gruppi di cammino rivolti a persone con sindrome
metabolica) ma anche a soggetti sani. L’idea è quella di incentivare comportamenti salutari e ridurre la possibilità che
le persone si ammalino.
Es. vaccinazione
Prevenzione secondaria
Consiste in interventi tesi ad ostacolare il decorso di una situazione di disagio già verificatasi (diagnosi e cura
precoce) (es. aiuto psicologico prima di interventi chirurgici).
Target persone “a rischio”
Es. gruppi di cammino rivolti a persone con diabete
Es. campagne di screening, effettuate a partire da un certo periodo di vita quando la probabilità che si verifichi
alcune condizioni è più elevata, come il tumore al seno
Prevenzione terziaria
Coincide con la cura e la riabilitazione e si riferisce a quegli interventi volti a contrastare un disagio (o una patologia)
conclamato e a ridurre la disabilità.
Target persone con problemi
Es. intervento orientato alla riabilitazione da un punto di vista fisico e della motricità di persone con disabilità

Il modello di Catalano e Dooley (1980)


 Prevenzione proattiva: interventi tesi ad eliminare i fattori ambientali di stress (es. interventi sui determinanti
sociali).
 Prevenzione reattiva: interventi volti a incrementare le capacità delle persone di affrontare le situazioni di stress
(maggior parte degli interventi nell’ambito della salute pubblica).
Forme di prevenzione
L’Institute of Medicine, USA (1994, ha proposto le seguenti tre tipologie, definite sulla base del tipo di popolazione
bersaglio alla quale si rivolgono:
1. Interventi universali (=primaria): sono rivolti a tutta la popolazione; si tratta di una tipologia che coincide con la
prevenzione primaria, persone con rischio asso
2. Interventi selettivi: sono rivolti a gruppi di popolazione a rischio di sviluppare un disturbo o una malattia
prevenzione secondaria
3. Interventi indicati: si rivolgono alle persone che sono state identificate come portatrici di segni o sintomi della
malattia prevenzione terziaria

Interventi di tipo preventivo dello psicologo


 Fornire un supporto al funzionamento dei gruppi spontanei o informali (vd. guadagnare salute, valorizzazione
nelle strutture, esperti per esperienza)
 Partecipare alla programmazione generale del servizio ed elaborare soluzioni operative
 Progettare e realizzare interventi e strutture alternative a quelle assistenziali (per competenze, conoscenze…)
 Dare un contributo specifico alla formazione degli operatori (analisi del funzionamento dei servizi, condivisione
di metodologie e strumenti di lavoro)
 Promuovere e svolgere ricerche
 Impegnarsi nel funzionamento del lavoro di equipe, analizzando la dinamica dei processi decisionali
Progetto Gins  particolare focus sull’alimentazione “modulo educhef”. Il modulo comprendeva anche un
questionario che valutava le abitudini alimentari e conoscenze/competenze necessarie per preparazione oasi
ssalutari
Due orientamenti
La prevenzione può essere intesa come:
1. Riduzione del danno (prevenzione reattiva)
2. Promozione della salute e del benessere (prevenzione proattiva)

La riduzione del danno


È la strategia sanitaria e sociale che propone di diminuire gli effetti negativi e i rischi correlati al consumo di droghe
(Newcombe, 1992).I rischi possono essere sanitari (infezioni), sociali (marginalità, devianza), legali (legati alle misure
repressive). Es. essere senza fissa dimore: evoca molti rischi per la salute

I servizi accessibili:
 I centri di accoglienza diurni o notturni a “bassa soglia”
regole di ingresso o numero di posti limitato, ma spesso non è necessario presentare documenti; accesso
diverso rispetto a una casa per la salute o a un ambulatorio (appuntamento, tessera sanitaria; ostacolo per
tutelare persone che vivono in situazioni di marginalità)
 Il lavoro di strada (le unità mobili): funzione di andare laddove la condizione problematica si manifesta o si
esprimedal “curare” al “prendersi cura”

Riduzione del danno nei tossico-dipendenti


Luogo: interventi in strada (luoghi di aggregazione spontanea)
Obiettivi: che il tossico-dipendente non muoia, non si ammali, non delinqua, contrastare un percorso di progressiva
emarginazione sociale (malattia e morte)
Cosa si fa: monitoraggio, distribuzione di materiale sterile e beni di prima necessità, dare informazioni su sostanze e
servizi (funzione preventiva, sviluppo di consapevolezza), instaurare relazioni d’aiuto (elemento chiave, perché
avviene in un setting destrutturato)

Unità di strada per homeless


Luogo: interventi in strada, luoghi segnalati
Obiettivi: diminuire la condizione di disagio dei senza-fissa-dimora, monitorare il fenomeno, promuovere il
soddisfacimento di bisogni primari espressi dalle persone, promuovere la diffusione di informazioni corrette
Cosa si fa: interventi di monitoraggio supporto e prevenzione, distribuzione di materiale di prima necessità,
accoglienza e orientamento ai servizi adeguati, risposta alle segnalazioni di cittadini e/o servizi
Obiettivo di non avere una condizione giudicante: rischio di porsi in una relazione di tipo asimmetrico

OMS Carta di Ottawa la salute è uno stato di complete benessere fisico, mentale e sociale, che non coincide
nell’assenza di malattia.
Cowen (2000): Community Psychology and routes to psychological wellness
Modello per orientare gli interventi di promozione, basati su tre indicatori di benessere:
1. Presenza di competenze (vd. Life skill dell’OMS) = possesso effettivo e percezione di possesso di capacità
2. Empowerment
3. Resilienza
Altri modelli
 Positive Psychology (2000) (Ruff, benessere psicologico, well being therapy) – leggere
necessità di lavorare per promuovere capacità, competenze e caratteristiche per il benessere degli individui: dimensione
interazionale, caratteristiche di personalità, dimensione di controllo dell’ambiente, avere uno scopo nella vita
interventi centrati sull’individuo

 Positive Youth Development (Lerner 2005) e Positive o Successfull Ageing


o Positive Youth Development (Lerner, 2005): idea di lavorare per promuovere il benessere della persona (es. adolescente), non
focalizzando l’attenzione sulla dimensione del rischio (riducendo i fattori di rischio, informazione e prevenzione sui
comportamenti a rischio), ma valorizzando risorse, competenze e capacità (un adolescente che si sentirà realizzato e che avrà la
possibilità di dare un contributo e sarà facilitato ad avere un ruolo attivo, avrà esiti di sviluppo positivi) – ambiente facilitante:
modo per stare lontano dai rischi, il soggetto è protagonista del proprio percorso evolutivo (richiede sostegno forte da parte
della comunità che crei occasioni e opportunità di valorizzazione e riconoscimento).
o Positive o Successful Aging: sono stati individuati i fattori che contribuiscono a un invecchiamento positivo aspetti soggettivi e
oggettivi, aspetti legati alla salute e aspetti legati al benessere e alla dimensione psicosociale, a favore di un invecchiamento in
salute ma anche produttivo: anziani come soggetti attivi (siviluppo lungo tutto l’arco di vita

 Approccio critico: Isaac Prilleltensky

Il modello di Isaac Prilleltensky (dal 2000 a oggi)

Rete del benessere (Prilleltenski, 2009) benessere inteso come articolazione di benessere personale, relazionale,
organizzativo e collettivo
Personale  Senso di controllo • Salute fisica • Amore • Ottimismo • Competenza • Dignità • Crescita/sviluppo • Autostima •
Significati • Spiritualità
Relazionale  Sostegno • Affetto • Legami • Coesione • Collaborazione • Rispetto • Partecipazion
Organizzativo  Strutture efficienti • Regole chiare e comunicazione • Meccanismi di monitoraggio • Prospettiva e scopi •
Opportunità di apprendimento e di crescita • Senso di controllo • Identità e significati
Collettivo  Giustizia sociale ed uguaglianza • Senso di comunità e capitale sociale • Servizi alla persona adeguati • Prosperità
economica • Abitazione adeguata • Ambiente pulito • Sostegno alle strutture della comunità
 Il benessere è quindi visto come costrutto multidimensionale, notevolmente correlato
all’empowerment.

Il modello di Prilleltensky è lo SPEC (acronimo di Streghts, Prevention, Empowerment, Community conditions)


propone un approccio all’intervento basato:
 Sui punti di forza e le competenze della persona (approcci assets-based)
 Sull’uso di metodi di prevenzione primaria
 Promozione dell’empowerment e di Sviluppo di comunità , advocacy politica e azione sociale
collaborazione, azione di rete, empowerment sociale
Occorre compiere un cambiamento rispetto ammodo di intervenire in quanto , basandoci su ciò che sappiamo sul
benessere, diventa chiaro che dobbiamo cambiare l’ambiente e non solo gli individui (Prilleltensky e Nelson, 2000)
Occorre rimpiazzare un sistema legato alla diminuzione del deficit e sul cambiamento dell indidivuo a seconda dei
parare dell’esperto  DRAIN:
Deficit, Reattivo, Alienazione (professional driven: intervento basato su decisioni dell’esperto) poco spazio alla
partecipazione della comunità; cambiamento Individuale

capacità relativamente bassa di coinvolgere la popolazione, la condizione critica si è già manifestata, troppo
costoso
Occorer attuare un intevento SPEC
 Streghts (punti di forza)
 Prevenzione primaria (che diventa promozione, interventi proattivi)
 Empowerment (processo che coinvolge individui e comunità)
 Cambiamento delle condizioni della comunità

Una sua caratteristica è l’enfasi sui processi di “trasformazione” della comunità, andando oltre gli sforzi meramente
“migliorativi”, e in riferimento a quattro domini: dominio temporale, quello ecologico (azione sui contesti), dominio
della partecipazione (coinvolgimento attivo)e quello della capacità (riconoscere le risorse dei soggetti).

Bilanciare le azioni di miglioramento con la trasformazione (Prilleltensky, 20004)

Trasformazione:
Miglioramento:
 Prevenzione
 Trattamento
 La radice dei problemi
 Sintomi  Nel setting naturale
 In ambulatorio  Giustizia (in assenza di giustizia come può esserci il benessere, se il
 Beneficienza benessere è una condizione strutturale – condizioni di vita dignitose,
 Vittime passive accesso alle risorse)
 Individualistico  Comunitario
 Negazione del potere  Agenti del cambiamento
 Partecipazione al potere

L’ambito contestuale dei servizi sanitari e alla persona (Prilleltensky, 2005)


Gli interventi si collocano da una dimensione da più centrata sull’individuo a più centrata sulla comunità; da
interventi più di tipo proattivo a più di tipo reattivo
- Sul versante collettivo-reattivo: fornire aiuti generalizzati alle popolazioni
- Sul versante individuale-reattivo: centrati sulla crisi, terapia, trattamento, gestione di casi
interventi volti a sanare situazioni di crisi già manifestate

- Sul versante individuale-proattivo: lavorare sulle competenze individuali, consulenza all’empowerment


individuale (sviluppo di competenze)
- Sul versante collettivo-proattivo: modello SPEC
 intervenire prima che i problemi si presentino e in senso ecologico: esosistema e macrosistema
 occorre riallocare le risorse al giorno d’oggi sbilanciate sul trattamento e spostarle sulla prevenzione
È necessario fondere le strategie “migliorative” con quelle “trasformative” nelle professioni di aiuto alla persona. Non un “o/o
ma un sia/sia.

Prendere in considerazione la conciliazione dei ruoli: bisogna essere il grado di conciliare il ruolo di “aiuto” con
quello di agenti critici del cambiamento.
Conclusioni:
1. L’istituzionalizzazione di una coscienza critica consente di agire sul lungo termine.
2. Togliendo il controllo della salute e del benessere ai professionisti si sostiene l’empowerment delle popolazioni.
3. Attraverso l’attivazione dei clienti e membri della comunità è possibile incidere sulla fruizione passiva dei servizi.
PSCOLOGIA DELL’EMERGENZA
Psicotraumatologia
Si occupa di studiare l’impatto psicologico del trauma nel singolo (salute mentale, ma anche fisica) e le reazioni
individuali allo stress estremo e allo stesso tempo identificare metodi di prevenzione e trattamento del trauma in un
individuo, focalizzandosi soprattutto sul trattamento di tipo psicoterapeutico nella fase post-traumatica.

La psicologia dell’emergenza come psicologia applicata


La “psicologia applicata è un settore della psicologia che servendosi delle elaborazioni approntate a livello teorico dai vari
orientamenti e dalle varie scuole psicologiche, nonché dei modelli di riferimento forniti da altre discipline, ricava tecniche e
modalità operative per intervenire su problemi concreti,
La psicologia dell’emergenza fa riferimento ad altre discipline psicologiche (trae e diffonde):
 Psicologia sociale (comportamenti individuali e di gruppo in seguito a un’emergenza)
 Psicologia di comunità (studio di come una comunità reagisce, come uno psicologo può intervenire in una comunità per
fornire supporto)
 Psicologia clinica (PTSD)
 Psicologia dell’educazione (come uno psicologo si può spendere in termini di educazione pe promuovere strategie di coping
adattive in seguito a un disastro o a una situazione traumatica)
 Psicologia dell’organizzazione (riferimento agli operatori dell’emergenza)
 Psicologia culturale (es. psicologi che si recano in diverse parti del mondo a dare il loro contributo)

Applica un approccio psicosociale


 Visione delle reazioni degli individui non sempre come reazioni psicopatologiche ma anche come normali
reazioni a situazioni anormali => Non è orientata subito alla diagnosi e all’intervento terapeutico perché può
essere più dannoso che utile; per determinati disturbi serve un tempo (es. PTSD – 6 mesi)
 Non solo reazioni individuali ma anche collettive  uso Modelli di assessment e di intervento basati sia
sull’individuo che sui gruppi, organizzazioni e comunità.
Alcune definizioni
Disastro: (dis aster: cattiva stella) grave sciagura che provoca danni di vaste proporzioni con morte di persone,
soprattutto con riferimento a scontri ferroviari, collisioni aeree, navali.
Catastrofe: (capovolgimento nella strofa finale nelle tragedie greche) esito imprevisto e luttuoso di un’impresa.
Incidente: (in-cadere) avvenimento inatteso
danni di gravità e dimensioni tali da richiedere assistenza in supporto dallo Stato, enti locali e organizzazioni di
soccorso per riparare i danni, le perdite, le difficoltà e le sofferenze (FEMA, 1995).
Emergenza  ciò che irrompe nella normalità. il mondo scientifico lo utilizza per le circostanze improvvise e
inattese in cui vi è il pericolo o il rischio di morte o altre minacce all’integrità fisica degli esseri umani.
 Eventi macroscopici come i disastri
 Eventi più frequenti come gli incidenti classificati come emergenze quotidiane (es. incidente stradale in cui una
persona muore – eventi su scala ridotta rispetto a un disastro) o Maxiemergenze
Maxiemergenze  Si differenziano dalle situazioni di emergenza individuale o di piccola scala in quanto necessitano
di una risposta qualitativamente diversa. Esempio necessari interventi per il massiccio afflusso di feriti che può
portare una maxi emergenza
Incongruenze in letteratura
 vi sono ricerche su eventi classificati come disastri senza che vi siano state morti accertate. Per esempio, in seguito al
disastro avvenuto nella centrale nucleare di Three Mile Island non vi furono morti accertate fra i lavoratori e la popolazione del
circondario direttamente attribuibili all’accaduto.
 Non è chiaro poi se considerare «disastro» solo gli eventi che hanno un tempo limitato o anche traumi
interpersonali prolungati come nel caso della pulizia etnica o del genocidio (o guerre, carestie).
Primo disastro della storia moderna [Dynes 2000]
Terremoto di Lisbona il 1° novembre 1755 causò 60.000 vittime.
Transizione da una concezione religiosa di disastro come castigo divino a una concezione secolare in cui il disastro è una
minaccia e uno sconvolgimento dell’ordine sociale.
Quindi lo stato deve assumersi le responsabilità per le sue conseguenze.
Evoluzione nelle varie epoche storiche [Pepe 2006]
 Pre rinascimento: visione mitica nella quale la calamità era intesa come un evento ricollegabile alla volontà
punitrice delle divinità.
 Rinascimento: percezione del fenomeno non solo in termini naturali ma anche in termini di fattore umano (es.
terremoto dovuto a strutture non a norma, materiali non adatti a sopportare scosse sismiche, costruire in zone
non adatte, procedure non coerenti con i piani sismici).
La costruzione sociale moderna del disastro lo concepisce come conseguenza della natura o dell’opera umana, o,
più spesso, di entrambi.
Classificazioni e caratteristiche dei disastri
 I disastri naturali includono terremoto, eruzioni vulcaniche, inondazioni, siccità, uragani e tutti quegli eventi che
derivano da alterazioni atmosferiche o idrogeologiche; questi vengono definiti da alcune popolazioni come opera
di Dio, profezie, espressioni della natura selvaggia o malevola.
 I disastri indotti dall’azione umana sono a loro volta suddivisi in:
a. accidentali, riconducibili all’errore umano o a malfunzionamenti come gli incidenti stradali, le esplosioni
industriali, gli incidenti tecnologici, i crolli strutturali di edifici o infrastrutture di vario tipo;
b. intenzionali, quali gli omicidi e la violenza di massa o il terrorismo sia internazionale che locale (es.
genocidio).
Criticità delle tassonomie:
 Difficile attuare una netta suddivisione tra disastri naturali o disastri provocati dall’essere umano – es. disastro
nucleare di Fukushima. Le cause e le conseguenze dei disastri, il più delle volte, derivano dall’interazione tra eventi
naturali e fattori umani
 Con il temine «Natech» (nato dalla contrazione dei termini natural and technological) si intende un disastro
tecnologico innescato da un qualsiasi tipo di disastro naturale
Es. serbatoio di stoccaggio petrolifero della Chevron pesantemente danneggiato; eruzione del vulcano islandese che ha mandato
in tilt il traffico aereo dell’Europa intera.

Aspetti dell’emergenza o di eventi potenzialmente traumatici


 Imprevedibilità dell’evento
 Caratteristiche oggettive (spaziali, fisiche, temporali) e soggettive (interpretazioni, significati) dell’evento
 Ampiezza numerica, tipologia delle persone e dei gruppi sociali coinvolti (non è mai solo il singolo individuo)
 Combinazione di effetti e danni psicologici e fisici (modello biopsicosociale)

Approccio strutturale
Classificazione di Barton (1969) centrate sulle proprietà del disastro
 Impatto (morti, feriti, sfollati, danni proprietà)
 Livello di preparazione della comunità (alto/basso)
 Tempi di esordio dell’evento (improvviso, graduale, a più riprese – es. violenza di massa)
 Durata dell’evento stesso (breve, lungo, ripetuto)

Nella letteratura psicologica si fa riferimento a “evento potenzialmente traumatico”, inteso:


 A livello individuale  Violenza interpersonale come violenza sessuale, perdita traumatica se legata a
un’incidente, incidente come vittima primaria, diagnosi di malattia terminale

 A livello collettivo
o Minacce croniche (ripetute nel tempo): attacchi terroristici (con tempo indefinito), emergenze ambientali, violenza
di comunità (es. genocidi)
o Minacce con escalation: guerre, epidemia
o Minacce acute: disastri naturali, tecnologici, violenze di massa (es. attentati terroristici con andamento temporale
circoscritto – es. torri gemelle
Processi psicologici nel pericolo
La paura  a livello evoluzionistico rappresenta un’emozione alla base di una risposta istintiva ancestrale
(proveniente da evoluzione).
Predispone altre tipologie di risposta tra cui fight or flight
Gli studi classici di Cannon degli anni ’20  Di fronte alle minacce per la vita, gli individui fronteggiano la
situazione attraverso azioni di approccio diretto o di evitamento, il cosiddetto binomio fight or flight. La risposta di
«fight» (lotta) è decisamente meno frequente rispetto alla risposta di «flight» (fuga) nei confronti di un pericolo ed in
ogni caso è successiva alla considerazione dell’opzione fuga, tanto che alcuni studiosi propongono di modificare il
binomio fight or flight in flight or fight.
«Freezing» (congelamento) [Leach 2004]
terza possibile reazione ancestrale  Totale o parziale congelamento dei movimenti da parte della persona che sta
vivendo la situazione di emergenza, impedendo così la messa in atto di qualsiasi comportamento; può coinvolgere
sia gli operatori sia le vittime.
In una prospettiva etologica, il congelamento dei movimenti sarebbe un automatismo che aumenta le probabilità di
sopravvivenza in caso di attacco tipica degli animali i quali si fingono morti per evitare di essere sbranati dai
predatori che solitamente non divorano le carogne.
Alcune reazioni di immobilità tonica si possono manifestare anche nella specie umana in situazioni «predatorie»,
come quelle vissute dalle donne vittime di violenze sessuali, ma rimangono nella maggioranza dei casi altamente
disfunzionali.
Altre due reazioni:
 Spesso si parla di panico ma è un evento raro
 Modello implicito del “non è successo niente”  Reazione conformista

Es Smoke-filled room study (latanè e Darley) : da soli persone reagivano al fumo lasciando la stanza. Con altre
persone, sia che esse siano assistenti del ricercatore sia che siano soggetti ignari il pericolo viene fortemente
sottostimato

Ignoranza pluralistica: Nessuno offre chiari indizi su come interpreta la situazione. Si conclude che la situazione non
è drammatica altrimenti qualcuno si sarebbe certamente preoccupato.
Ciascuno pensa che gli altri abbiano più informazioni sulla situazione e quindi di fronte a un evento ambiguo le
persone osservano il comportamento altrui per cercare di interpretarlo correttamente senza considerare che anche
gli altri fanno lo stesso. Ciò porta a un'elevata probabilità di inazione.

Influenza maggioritaria (Asch): per comprendere e giudicare quello che ci circonda ci basiamo in larga misura sulle
risposte delle altre persone presenti. (Risposte di apparente tranquillità → nessuno dà segnali di allarme).

In situazioni ambigue la presenza di altre persone influisce sull’interpretazione della situazione e sull’intenzione di
agire  processo di influenza sociale
Le persone sono inconsapevoli dell’influenza che le situazioni contestuali possono esercitare sui loro comportamenti.
Le persone continuano a ritenersi razionali e indipendenti esecutori dei propri comportamenti

Il modello implicito del “non è successo niente” Nelle situazioni di emergenza spesso gli spettatori non sono
sicuri di come poter rispondere perciò esitano diventando senza volerlo modelli di passività per gli altri. Passività
come norma sociale

Quali sono le reazioni cognitive più frequenti in una situazione di pericolo?

Yerkes & Dobson’s inverted Ushaped curve La nostra prestazione sia cognitiva che comportamentale, in
situazioni di emergenza, dipende dal nostro grado di attivazione  arousal alto= prestazione bassa
Reazioni cognitive in situazioni di pericolo
 Aumentata capacità di processare le informazioni , sia quelle immagazzinate in passato o quelle acquisite
all’istante, per prendere delle decisioni sulle azioni da svolgere.
 Deterioramento delle funzioni cognitive (es. memoria, percezione, ragionamento, attenzione ecc.) – ricordo
vivido di pochi elementi (effetto tunnel)
 Focalizzazione dell’attenzione agli stimoli visivi e uditivi.
 Fenomeni di esclusione auditiva (per esempio, non hanno sentito rumori forti come esplosioni, spari o voci di
altri) – ma anche più rari casi di intensificazione uditiva, specialmente in condizioni di bassa visibilità [casi di
poliziotti e militari, es. Grossman e Christensen 2004]
 Tendenza a focalizzarsi su una o poche opzioni e non considerare tutte le alternative prima della presa di
decisione (Keinan, 1987). – Sembra, infatti, che la sola presenza di un pericolo possa catturare l’attenzione
necessaria per valutare tutti i possibili percorsi di azione alternativi.
 Messa in atto di comportamenti usuali invece che straordinari – una situazione di emergenza richiede
solitamente una risposta non abitudinaria.

Distorsioni percettive
 Restringimento visivo (tunnel vision)
o Effetto weapon focus: “tutto tranne la pistola mi sembrava scomparso e non mi ero accorto del
fuoristrada che mi stava arrivando di fianco”
Es. vittime di violenza – quando vengono interrogati ricordano pochi particolari, fanno fatica a ricordare elementi del
volto dell’aggressore (che magari ha un’arma).
o È l’esito di un restringimento attentivo su un compito solo ed è Connesso all’arousal del SN simpatico
(exp analoghe in seguito all’assunzione di sostanze come metafetamine)
 Dispercezioni uditive (non sentire rumori forti come esplosioni o spari/piccoli rumori diventano rumori
fragorosi)
 Attenuazione degli elementi olfattivi
 Allungamento temporale o effetto slow motion («sono stati i secondi più lunghi della mia vita»), frutto della
focalizzazione su pochi elementi spesso associato a senso di distacco

Dissociazione peritraumatica  “insieme di alterazioni della consapevolezza che si verificano durante un


esperienza traumatica”
L’alterazione della consapevolezza include
– depersonalizzazione, ovvero il senso di distacco da se stessi (per es., vedere se stessi dall'altra parte della strada),
– derealizzazione, ovvero avere una visione distorta dell’ambiente circostante (per es., percepire che le cose si muovono
al rallentatore, vedere le cose annebbiate, non essere consapevoli degli eventi di cui si sarebbe normalmente consapevoli).
+ prob. nelle esperienze traumatiche più gravi e quelle che riguardano la minaccia interpersonali (come le
aggressioni violente)

Deprivazione sensoriale prolungata  L’alterazione nella percezione dell’ambiente può condurre a


pseudoallucinazioni come risulta evidente dal resoconto di una vittima di sequestro durante la prigionia.

Effetto dello scorrimento cronologico di immagini e pensieri circa la propria storia di vita (life review)  Alcune
persone nelle situazioni di emergenza dicono di essersi visti «passare davanti tutta la propria vita», analogamente ad
altre che hanno attraversato un’esperienza prossima alla morte (near-death experience).
Questo può avere varie interpretazioni:
 le condizioni fisiologiche che limitano il funzionamento mentale,
 la tendenza illusoria a ricercare una condizione di sicurezza,
 il meccanismo adattivo di processamento rapido delle informazioni tratte dall’esperienza passata e utili per
gestire la situazione critica.

Risposta iperattiva  Vitalità intensa e non direzionata con azioni inefficaci e inadeguate.
Si verifica in alcuni casi immediatamente dopo il salvataggio (es., POW che vuole raccontare tutto).
Comportamenti stereotipici Schemi di azioni utilizzati in passato e ben conosciute senza calibrazione alle
circostanze. Esempi:
 Nei team multinazionali, tendenza a usare la propria lingua madre nelle situazioni di difficoltà
 (associato a diniego) Nella WWII, le famiglie ebree pulivano la casa prima di essere arrestate.
Diniego “Non sta accadendo a me.. Non può essere vero”. Aspetto intrapersonale, con funzione egodifensiva –
nego la realtà per difendermi.

Risposta ipoattiva Ottundimento (simil-depressione, le persone si lasciano andare), apatia, reazione depressiva.
Superstiti con sguardo vuoto, che non rispondono alle domande o semplicemente scuotono le spalle, si mettono a
sedere in mezzo al caos e ai detriti.

Aspetto collettivo: mi autoconvinco che non ci sia l’emergenza, perché vedo che tutti la pensano allo stesso modo e anche io.
Caso: apatia e ritiro nelle vittime di Hiroshima e Nagasaki In Giappone, detto “burabura” o la malattia del non fare niente

Senso di colpa (survivor guilt) Più frequente nelle unità coese (equipaggi, militari) arbitrariamente colpite da
evento con morti e sopravvissuti.
 Bias “del senno di poi” a posteriori : se avessi fatto questo…

Pensiero controfattuale  rappresenzaione mentale di un possiile scenario alternativo / migliore di qullo che è
veramente accaduto
La salute mentale dopo i disastri
Tassonomia delle vittime di Taylor (1999)
1. Le vittime primarie sono le persone coinvolte direttamente dall’impatto dell’evento critico (ovvero i deceduti e
sopravvissuti al disastro).
2. Le vittime secondarie sono le persone che hanno stretti legami relazionali con le vittime primarie
3. Le vittime terziarie sono i soccorritori che a qualsiasi titolo intervengono sul disastro (vigili del fuoco, operatori
sanitari, Croce Rossa, protezione civile, psicologi).
4. Le vittime di quarto livello sono i membri della comunità o persone che per qualche ragione si sono interessate
o occupate dell’evento (es. abitanti di un città colpita da un’alluvione, ma non colpiti direttamente).
5. Le vittime di quinto livello sono gli individui il cui equilibrio psicologico è tale per cui, anche se non sono stati
coinvolti direttamente, possono subirne le conseguenze.
6. Le vittime di sesto livello sono persone toccate lontanamente dal disastro come ad esempio individui che per un
diverso concorso di circostanze avrebbero potuto essere loro stessi vittime del primo tipo o che hanno spinto
involontariamente altri nella situazione della calamità (es. in caso di disastro aereo, persona che avrebbe dovuto
salire sull’aereo ma per qualche circostanza non è salito sull’aereo – sentono un collegamento).

Le ultime due categorie di vittime sono vittime in senso allargato => dibattito sul considerarle o meno vittime.

Che cos’è un evento traumatico?

Nel linguaggio comune, il termine trauma viene abusato.


Elementi da considerare:
 Categoria di eventi straordinari – definizione problematica: non
tutto ciò che è straordinario anche in senso negativo è
traumatico
 Risposta della persona: trauma è ciò che provoca un forte
disagio in molte persone (no reazione particolare di un singolo)
– criticità: cosa significa una definizione di stress in molte
persone?
 Valutazione cognitiva del’evento: trauma = evento che può
comportare una minaccia per l’integrità psicofisica
 Liste di eventi potenzialmente traumatici – approccio che in
parte segue il DSM-5; criticità: le liste non sono mai esaustive e
complete (eventi che possono essere traumatici che non fanno
parte della lista, vd. progresso della medicina, con diagnosi in fase precoce)
La presenza di eventi traumatici cambia a seconda della cultura e del periodo storico
 Reazioni peritraumatiche: ciò che la persona ha esperito durante l’evento traumatico orrore, senso di
impotenza
 Evento con forte intensità emotiva
 Qualcosa che sconvolge le nostre rappresentazioni del mondo, di noi stessi e degli altri
 Evento che comporta una svolta nella vita di una persona (racconto in termini di “prima di questa cosa” e “dopo
questa cosa”, es. diagnosi di malattia terminale

Esempi di traumi secondo il DSM


In parte il DSM adotta l’approccio della lista di eventi
 esposizione in guerra come soldato o civile,
 aggressione fisica reale o minacciata (es., attacco fisico, scippo, rapina, abuso fisico nell’infanzia),
 violenza sessuale reale o minacciata (per es., penetrazione sessuale forzata o facilitata da alcol/droghe, contatto sessuale
abusivo, abuso sessuale senza contatto, commercio sessuale)
 rapimento, ostaggio, attacco terroristico, tortura, prigionieri di guerra
 disastri naturali o provocati dall'uomo, gravi incidenti automobilistici.
 per i bambini, eventi sessualmente violenti possono includere esperienze sessuali inappropriate dal punto di vista dello
stadio di sviluppo, pur senza violenza fisica o lesioni.
 una malattia che mette a repentaglio la vita o una condizione medica debilitante non è necessariamente considerata un
evento traumatico.
 incidenti medici qualificati come eventi traumatici comprendono improvvisi eventi catastrofici (per es., svegliarsi durante un
intervento chirurgico, shock anafilattico).
 gli eventi vissuti come testimoni includono, ma non sono limitati a, l'osservare minacce o gravi lesioni, morte naturale,
abuso fisico sessuale di un'altra persona dovuto a un'aggressione violenta, violenza domestica, incidente, guerra o disastro,
o una catastrofe medica riguardante il proprio figlio (per es., un'emorragia che ne mette a repentaglio la vita).

Il DSM segue un approccio che fa riferimento anche ad altri criteri: tiene conto delle reazioni delle persone al
trauma, per esempio. Il trauma può essere un evento che la persona vive in prima persona, ma anche un evento di
cui si è testimoni, essendo coinvolti affettivamente.

Trauma or potentially traumatic events (PTEs)? (Kilpatrick et al., 2017)


Evento potenzialmente traumatico: consente di evitare il termine trauma, che già presuppone una reazione
estremamente negativa da parte della persona. L’evento ha la potenzialità di, ma non necessariamente porta a un
esito decisamente negativo (es. PTSD)
Quanto sono diffusi i PTEs?
La prevalenza di esposizione a PTEs va da 55% a 90% in campioni di adulti (Kilpatrick et al., 2017) – almeno una volta
nella vita sono esposti a evento potenzialmente traumatico (più della metà ne ha vissuto più di uno).
Prevalenza dei PTSD dal 7 al 10% (Kilpatrick et al., 2017) – meno frequente rispetto agli eventi potenzialmente
traumatico; fattori di resilienza.

Quali sono le conseguenze in termini di salute mentale dopo


un disastro?

1. Reazioni fisiologiche (elevato arousal: tensione, problemi di


sonno, senso di fatica)
2. Reazioni cognitive: es senso di colpa, intrusione
3. Reazioni emotive: ansia, agitazione…
4. Reazioni a livello sociale: ritiro, conflitto
Durata delle conseguenze
Vi è una diminuzione dei sintomi nel tempo – remissione solitamente spontanea. Con picco entro il primo anno (es.
anniversari). I casi di esordio ritardato sono rari. La presenza di sintomi nel primo periodo predice la presenza di
sintomi anche nel lungo periodo Solo una stretta minoranza mostra conseguenze durature

Qual è la diffusione di disturbi mentali dopo un disastro?

Meta-analisi di Rubonis e Bickman (1991)


Relazione fra disastro e psicopatologia arrivando a un indice che sintetizzasse 31 studi.
Dalla ricerca è emerso che in popolazioni esposte a un disastro si ha un aumento del 17% del tasso di prevalenza di
disturbi psicopatologici – aumento non drastico. In particolare aumentano prevalentemente disturbi d’,ansia,
dipendenze, depressione e PTSD

Disastri e salute mentale (Norris e Elrod, 2006) => la metà dei disastri prvoca un tasso di incidenza sulla
psicopatologia minore del 25%
Rassegna sistematica su disastri e PTSD (Galea, Nandi e Vlahov, 2005) – cambia a seconda del tipo di vittime.
La prevalenza del disturbo è del
 30-40% fra le vittime esposte direttamente,
 10-20% fra i soccorritori,
 5-10% nella popolazione generale (comunità colpita).

Tipi di popolazione (bambini, adulti e soccorritori) e salute mentale (Norris e Elrod, 2006)
- Minoranze etniche hanno più probabilità di avere un impatto.
- Tendenza a avere più impatto se problemi mentali pre-esistenti, genere femminile
- ETA’L’impatto del disastro varia a seconda del tipo di popolazione: più alto tra le persone minorenni, più
basso negli adulti (impennata intorno ai 50 anni, forse a causa di maggiore eventi stressanti nella vita)
- Fattori famigliari: essere single è stato associato ad una maggiore probabilità di sviluppo psicpatologie quali
depressione; alcuni dati suggeriscono che essere sposati è un fattpre di rischio per le donne mentre è un fattore
protettivo per gli uomini. Essere genitore è stato associato con maggiore rischio a acusa di maggiori responsabilità e
stress nella vita.

Tipi di disastro (violenza di massa, tecnologico e naturale) e salute mentale (Norris e Elrod, 2006) hanno
maggiore impatto i disastri causati intenzionalmente dall’uomo , rispetto a disastri tecnologici (a metà strada) o
naturali.
Questo è dovuto alla rappresentazione degli altri: gli altri non sono solo persone che possono soccorrere o dare
sostegno, ma sono anche quelli che possono essere violenti.

Salute mentale ed aree colpite (USA, paesi sviluppati e in via di sviluppo) I paesi in via di sviluppo sono quelli che
riportano conseguenze peggiori per quanto riguarda la salute mentale, a causa delle minori risorse a disposizione e la
minore efficienza dei soccorsi (es. in Italia è previsto un soccorso psicologico, in altri paesi non è neanche
considerato) risorse non solo finanziarie ed economiche ma anche in termini di capitale sociale, welfare, servizi
sanitari

Resilienza e crescita post-traumatica


Il modello dello stress psicosociale (Dohrenwend, 1978) Rappresenta le razioni umane di fronte allo stress,
identificando eventi di vita stressanti che hanno la capacità di suscitare una risposta di stress nelle persone. Il
modello propone tre possibili esiti:

- esito negativo (sviluppo di un disturbo)


- nessun esito
- esito positivo (crescita).
Alla fine degli anni ’70 il modello era patocentrico: parlando di stress si faceva riferimento solo a
conseguenze negative. Pensare che lo stress
possa avere addirittura una conseguenza
positiva era controintuitivo e rivoluzionario.
Due classi di mediatori
- individuali
- macro o della situazione
Il modello infatti contempla l’intervento di diverse
variabili a più livelli (es. variabili a livello macro, di
comunità, individuale: supporto sociale, senso di
comunità, senso di efficacia, valori, resistenza,
abitudine) che fungono da mediatori tra la reazione di
stress e l’esito che se ne viene a determinare.
A influire c’è anche l’intervento sulla crisi (formale o
informale), che può incidere sulla reazione di fronte allo
stress: una cosa è un lutto traumatico, un’altra è un
lutto traumatico con la consapevolezza di poter contare sul supporto.
La resilienza  concetto proveniente dall’ingegneria che indica la capacità di un materiale di assorbire energia in
caso di urto, ovvero di sopportare gli urti.
Psicologia: stabile omeostasi nel funzionamento fisico e psicologico di fronte alle avversità (Bonanno, 2004).
Buon adattamento nonostante (o a causa di) l’esposizione a fattori di rischio, a stressor o a traumi.
La resilienza, contrariamente a un modello di funzionamento umano basato sulla disfunzione, è un esito abbastanza
comune nella vita umana.
Fattori di rischio Variabili presenti a ogni livello sistemico (persona, famiglia, comunità, società) in grado di
predire problemi nell’adattamento (Malaguti, 2005). Vanno a costituire un fattore di stress.
Fattori di protezione Variabili, presenti anch’esse a ogni livello sistemico (persona, famiglia, comunità, società),
che sono in grado di controbilanciare l’effetto dei fattori di rischio.
Quando si intende la resilienza come processo i termini fattori di protezione o di resilienza possono essere
considerati sinonimi (Kaplan, 1999).
 Entrambi vanno intesi in senso probabilistico ovvero aumentano la probabilità (di rischio o di protezione) ma
non in senso assoluto

Resilienza: processo ed esito


Processo: l’evoluzione e l’interazione tra i diversi fattori di rischio e di protezione e l’esito.
Esito: funzionamento fisico e psichico non intaccato dalle difficoltà (Kaplan, 1999).
Differenti concezioni, ad esempio:
 assenza di indicatori di disturbi (sia a livello mentale che fisico);
 presenza di indicatori di salute in senso positivo (tornare a provare benessere positivo);
 successo scolastico e/o lavorativo;
 comportamento prosociale (capacità di prendersi cura degli altri);
 assenza di delinquenza.
capacità di tornare alla vita quotidiana
Traiettorie evolutive in seguito a eventi critici (Bonanno, 2005)
- resilienza  Rimane un funzionamento inalterato (grazie ad un adattamento) rispetto all’esposizione a
eventi potenzialmente stressanti. Non è un esito minoritario ma può coinvolgere anche più della metà (esito
maggioritario ). 35-55%
- Recupero  inizialmente l’impatto è forte ma con il tempo si torna a un livello di funzionamento simile a
quello pre-evento (non in senso assoluto). 15-35%
- andamento cronico  alcune persone subiscono un impatto grave a seguito del quale il funzionamento
continua a essere deteriorato anche dopo molto tempo. 10-30%
- esordio ritardato alcune persone inizialmente hanno un impatto medio, ma con il tempo l’impatto diventa
grave. 5-10%
Recupero: traiettoria evolutiva caratterizzata da un primo periodo (di solito almeno alcuni mesi fino ad uno o due
anni) di sintomatologia sottosoglia, da problemi interpersonali e da difficoltà nello svolgere i compiti quotidiani,
seguito da un graduale recupero al livello di funzionamento psicologico pre-evento.
Resilienza indica la capacità di mantenere un certo equilibrio nel funzionamento psicologico al di là di possibili
cadute momentanee.
Il ritorno al funzionamento psicologico precedente al fattore di rischio non deve essere preso alla lettera.
Resilienza: problematiche
 Problemi nelle definizioni e operazionalizzazioni di popolazione a rischio, fattore di rischio, fattore di protezione
e adattamento (esito di resilienza). Spesso si parla di resilienza tenendo conto di pochi fattori. Gli strumenti per
misurare la resilienza difficilmente possono dare una misura di chi affronterà meglio/peggio una avversità in
quanto intervengono troppi fattori difficilmente misurabili.
 Significato talmente ampio e indefinito che consente gli studiosi di interpretarlo in maniera idiosincratica.
Rorschach del nuovo millennio (Rutter, 1999)
 Utilizzo di disegni correlazionali
 Forte empirismo sganciato da un quadro teorico capace di spiegare i fattori comuni ai diversi studi (Caso, De Leo
e De Gregorio 2002).
Crescita post-traumatica Fenomeno comune a molte persone che hanno subito un evento traumatico:
cambiamento in senso positivo.
Reazioni ai traumi
 Aspetto periferico della resilienza: potenzialità di esperienze trasformative ed emozioni positive (Bonanno, 2004)
 Resilienza denota un ritorno omeostatico a una condizione precedente piuttosto che esperienza di cambiamenti
positivi dopo un trauma (Carver, 1998)
 Esperienze di crescita post-traumatica non presuppongono necessariamente un buon adattamento (Tedeschi e
Calhoun, 2004)
 La percezione di cambiamenti positivi riguarderebbe maggiormente le persone caratterizzate da una traiettoria
di guarigione piuttosto che di resilienza (Bonanno 2005)

Precursori concetto di crescita post-traumatica


 Il pensiero filosofico e religioso ha da lungo tempo riconosciuto che l’esperienza di eventi dolorosi può rendere le persone
più sagge, più forti, più vicine alla verità e/o a Dio (Tedeschi e Calhoun, 1995)
 Logoterapia di Frankl (1963): tipo di psicoterapia rivolta a persone che hanno affrontato grossi traumi (es. persone in campi
di concentramento), grazie a cui potevano affrontare le conseguenze di questi eventi terribili e trovare dei cambiamenti
positivi nella loro vita; la ricerca di significato può trasformare una tragedia in un trionfo (aver superato efficacemente e
traendo spunti positivi da un evento terribile)
 Teoria della crescita di Erikson (1963): crisi normativa come conflitto che è sì doloroso ma ha in sé forti potenzialità di
crescita
 Teoria della crisi di Caplan (1964): crisi come pericolo e opportunità di crescita
 Modello dello stress psicosociale della Dohrenwend (1978): i mediatori psicologici e situazionali interagiscono con gli eventi
di vita stressanti producendo tre possibili esiti: psicopatologia, nessun cambiamento o crescita psicologica
Nascita
Anni ‘80: prime ricerche sui “benefits” conseguenti a eventi negativi, come diagnosi di gravi malattie, lutto, infarto,
incidenti di autoveicoli, abuso sessuale, disastri.
Anni ‘90: primi questionari

 Changes in Outlook Questionnaire (CiOQ; Joseph, Williams e Yule, 1993): due fattori, positivo e negativo
 Posttraumatic Growth Inventory (PTGI, Tedeschi e Calhoun, 1996)
 Stress-Related Growth Scale (SRGS; Park, Cohen e Murch, 1996)
 Perceived Benefits Scale (PBS; McMillen & Fisher, 1998) – Benefit Finding Scale (BFS; Mohr et al, 1999)

Posttraumatic Growth Inventory (PTGI)


Uno dei primi e forse il più diffuso strumento self-report (Tedeschi & Calhoun, 1996) - 5 dimensioni
1. relazioni con gli altri: i comportamenti a livello interpersonale, lo stringere nuove relazioni, il rinsaldare quelle vecchie, il
provare compassione per gli altri
2. nuove possibilità: cambiamenti negli scopi di vita, alle scelte più consapevoli, a una volontà maggiore di cambiare ciò che
va cambiato
3. forza personale nei confronti degli ostacoli della vita: un cambiamento nell’identità, un maggiore affidamento su di sé
e una migliore accettazione su come vanno le cose
4. cambiamento spirituale: credenze religiose, nella loro condivisione con altri, nella connessione con le proprie radici
spirituali
5. apprezzamento per la vita: credenze nei confronti della vita, al desiderio di vivere più pienamente ogni singolo giorno
della propria vita, alle priorità su ciò che è importante e ai valori della vita
Fasi della comunità nel disastro (Myers e Wee, 2005)

Si parte con una situazione pre-disastro: vengono identificate tre situazioni (minaccia, avvertimento e allarme)
Fase pre-disastro
Minaccia, avvertimento e allarme
 Minaccia: relativa all’esistenza di rischi di disastro come la presenza nelle vicinanze di un vulcano attivo o di una
diga rischio che non si sa se e quando si tradurrà in un pericolo vero e proprio (es. Vesuvio: è possibile che ci
sia un’eruzione in futuro ma non si sa quando; grazie agli strumenti di cui disponiamo possiamo saperlo con un
piccolo anticipo, sempre a livello probabilistico). Si tende a non pensarci, per vivere più tranquilli e sereni; grazie
a tecnologie e normative, le minacce vengono ridotte a un livello di rischio accettabile, ma esistono sempre e
riguardano sempre la nostra vita (es. disastri naturali, incidenti). Non bisogna dimenticarsene, altrimenti non
reagiamo all’emergenza (cultura dell’emergenza, volta a prepararsi e a prevenire i rischi). In molti disastri la fase
della minaccia non è esistita: la comunità non era consapevole dei rischi.
 Avvertimento: si parla di probabilità, seppure alta (es. Vesuvio: segnali che ci indicano una possibile ripresa
dell’attività del vulcano, che non è più in quiete). Attenzione e preallarme nella PCI – protezione civile, che
predispone un piano di emergenza. In alcuni disastri non è esistita nemmeno la fase dell’avvertimento.
 Allarme: si parla di inevitabilità dell’evento, bisogna mettere in atto attività volte a ridurre l’impatto dell’evento
in termini di danni a cose o persone.
Impatto
Dura alcuni secondi (es. terremoto) fino a giorni (es. scosse di assestamento) o ancora di più.
Le reazioni nella popolazione fanno riferimento allo stress acuto.
Stress acuto: alterazioni dissociative come sensazione di irrealtà, assenza di reattività emozionale, rallentamento del
tempo, sensazione soggettiva di insensibilità, ridotta consapevolezza dell’ambiente.
Inventario
Le persone si orientano, cercano di valutare che cosa è successo, su come reagire e su dove sono le persone care (
possibile il sovraccarico delle linee telefoniche, ostacolando le attività e le richieste di soccorso).
Le strategie di coping più diffuse riguardano la ricerca di informazioni su quanto accaduto e la ricerca di un contatto
con familiari e amici.
Fanno una stima dei danni e dei potenziali pericoli.
Eroica
Crescendo dell’attivazione psicofisiologica e dell’arousal. Dopo aver ottenuto le informazioni, le persone solitamente
passano all’azione, per il desiderio di aiutare la comunità colpita e giustificare la profonda attivazione che provano a
livello psicofisiologico.
Comportamenti prosociali in un clima di iperattività e frenesia nella conduzione dei soccorsi.
Nell’inventario le strategie di coping sono maggiormente di tipo cognitivo, in questa fase sono volte all’azione e
all’aiuto (comportamentali).
L’elevato arousal psicologico può portare a sentimenti di euforia e invulnerabilità accompagnandosi a una riduzione
delle prestazioni cognitive (confusione, difficoltà nella comprensione, ecc.).
Tale stato di attivazione contribuisce a diminuire l’efficacia delle azioni e ad aumentare il rischio per la sicurezza
personale.
Luna di miele
Picco dello stato d’animo paradossalmente positivo.
 Dalla prima settimana al terzo mese dall’impatto.
 È caratterizzata da ottimismo e di fiducia nel pieno recupero della comunità nel giro di breve tempo. Le persone
che fanno parte della comunità sperimentano sentimenti positivi per il futuro (si sentono aiutati, soccorsi).
 Forte aumento del senso di comunità e della coesione dovuto alla sensazione di aver condiviso un’esperienza
drammatica.
 L’interesse dei media catalizza l’attenzione sulla comunità e contribuisce a far pervenire risorse in termini
finanziari, materiali e umani.
 I leader politici fanno visita alla comunità colpita e promettono piani di aiuti per la ricostruzione.

Questo sentimento di ottimismo e fiducia in molti casi va incontro a una totale o parziale disillusione.
Disillusione
 L’interesse dei media e della politica va scemando;
 Gli abitanti si rendono conto che le norme e le procedure per la ricostruzione sono complesse e richiedono
tempo. La ricostruzione è più difficile e complessa di quello che poteva sembrare nelle prime settimane; ci sono
dei vincoli.
 Alla caduta delle aspettative si accompagnano le difficoltà finanziarie/burocratiche (l’utilizzo immediato dei fondi
raccolti non è possibile nell’immediato) e un senso di fatica dovuto alla protratta attivazione la comunità si
sente abbandonata e si crea la credenza che nulla turnerà come prima.
 Questa fase può partire già alla distanza di pochi giorni dall’impatto e durare anche per mesi-
 Livello individuale: segni di stress cronico (a causa dell’attivazione prolungata).
 Livello di comunità: basso senso di comunità ed efficacia collettiva, conflitti e polemiche sulle responsabilità.

Questo crollo delle aspettative ha anche un significato positivo: consente alle persone di fare i conti con la realtà.
Ricostruzione
La riduzione delle aspettative può essere funzionale poiché permette alle persone di realizzare che l’attività di
ricostruzione sarà lunga e faticosa e di apprezzare ogni piccolo passo realizzato in questo senso.
I piccoli passi compiuti rinforzano nelle persone il senso di controllo (empowerment) e di autoefficacia collettiva.
Nella fase eroica si pensava alla ricostruzione con pochi sforzi; in questa fase ci si rende conto che gli sforzi dovranno
essere elevati.
Comincia a partire da qualche settimana dal disastro per durare anni (es. terremoto de L’Aquila).
Si cominciano a celebrare i primi anniversari del disastro (aumento dell’umore negativo).

Critiche al modello delle fasi:


 Prevede che la reazione della comunità sia sempre uguale, non tenendo conto dei fattori relativi al tipo di
disastro e al contesto (se manca la fase eroica il disastro viene dimenticato); ci sono disastri che possono
annientare la comunità, per cui non si può più parlare di comunità (se non a livello di nazione);
 Evidenze empiriche limitate.

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