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COMUNITA’

1. SU QUALI CONCETTI SI BASA LO PSICOLOGO DI COMUNITÀ


2. NASCITA E DEFINIZIONE DELLA PSICOLOGIA DI COMUNITA’
3. LA PSICOLOGIA DI COMUNITÀ
4. STORIA DELLA PSICOLOGIA DI COMUNITÀ
5. LA PSICOLOGIA DI COMUNITÀ, APPROCCI TEORICI
6. LO SVILUPPO DI COMUNITÀ
7. LA PREVENZIONE
8. PSICOLOGIA DI COMUNITÀ IN ITALIA, LEGGI
9. PSICOLOGIA DI COMUNITÀ IN ITALIA
10. LO PSICOLOGO NEL SISTEMA SOCIO-SANITARIO
11. GLI AMBITI DI INTERVENTO DELLO PSICOLOGO NEI SERVIZI TERRITORIALI
12. L'INTERVENTO DELLA PSICOLOGIA DI COMUNITÀ IN AMBITO SCOLASTICO
13. PSICOLOGIA DI COMUNITÀ IN AMBITO SCOLASTICO LE STRATEGIE D’INTERVENTO
14. OBIETTIVI PRINCIPALI DELLA PSICOLOGIA DI COMUNITÀ
15. PSICHIATRIA PREVENTIVA CAPLAN
16. TEORIE ECCEZIONALISTA E TEORIA UNIVERSALISTICA
17. PSICOLOGIA AMBIENTALE BARKER E MOOS E DIFFERENZA CON LEWIN
18. BARKER
19. BARKER TEORIA DEL DIMENSIONAMENTO RELATIVO
20. PROSPETTIVA ECOLOGICA DI KELLY E LEVINE
21. APPROCCIO SISTEMICO DI BATESON
22. FRANCESCATO, OTTO PROFILI
23. WEBER
24. PARK E LA SCUOLA DI CHICAGO
25. LEWIN
26. IL METODO GORDON
27. MURREL: APPROCCIO SISTEMICO
28. DOHRENWALD TEORIA DELLA CRISI E DELLO STRESS PSICOSOCIALE
29. BRONFENBRENNER TEORIA DELLO SVILUPPO DEL CONTESTO
30. I NUOVI SETTORI DI APPLICAZIONE DELLA PSICOLOGIA DI COMUNITÀ
31. PSICOLOGIA DI COMUNITÀ - AREE DI INTERESSE E GLI AMBITI DI INTERVENTO NEGLI ANNI ’90
32. WELFARE STORIA
33. WELFARE E I MODELLI DI FUNZIONAMENTO
34. IL WELFARE TIPOLOGIZZAZIONE ELABORATA DI FERRERA
35. IL WELFARE IN ITALIA
36. AOM ANALISI ORGANIZZATIVA MULTIDIMENSIONALE
37. AOM ASSUNTI DI BASE
38. AOM DIMENSIONI
39. BURN-OUT
40. BURN-OUT MASLACH
41. EMPOWERMENT
42. EMPOWERMENT KIEFER
43. EMPOWERMENT PROGETTO PER GLI STUDENTI
44. STRATEGIE DI EMPOWERMENT DI RETE
45. GLI EVENTI NORMATIVI E PARANORMATIVI
46. LA PSICOLOGIA DELL’EMERGENZA
47. LA PSICOLOGIA DELL’EMERGENZA IN ITALIA
48. LA DEISTITUZIONALIZZAZIONE
49. LA TEORIA DELLA DEISTITUZIONALIZZAZIONE
50. DEISTITUZIONALIZZAZIONE LEGGE BASAGLIA
51. CRISI
52. CRISI LINDEMANN
53. CRISI TERKELSEN EVENTI CRITICI IN NORMATIVI E PARANORMATIVI
54. I GRUPPI DI LAVORO
55. GRUPPI - PICCOLI GRUPPI
56. GRUPPO DI LAVORO E LAVORO DI GRUPPO
57. GRUPPI DI AUTO AIUTO SELF HELP
58. GRUPPI AUTO AIUTO SECONDO FRANCESCANO E PUTTON
59. GRUPPI AUTO AIUTO EFFICACIA
60. SOSTEGNO SOCIALE MODELI
61. SOSTEGNO SOCIALE FUNZIONI
62. IL SOSTEGNO SOCIALE E IL LAVORO DI RETE
63. VOLONTARIATO
64. RETE SOCIALE
65. RETE SOCIALE MARSELLA E SNYDER
66. IL LAVORO DI RETE
67. LA SCALA LIKERT
68. LA DEVIANZA
69. STRESS
70. TOSSICODIPENDENZA
71. TOSSICODIPENDENZA L’INTERVENTO DELLO PSICOLOGO DI COMUNITÀ
72. DEVIANZA E TOSSICODIPENDENZA
73. LA FORMAZIONE PSICOSOCIOLOGICA NELLE ORGANIZZAZIONI
74. RICERCA E VALUTAZIONE IN PSICOLOGIA DI COMUNITÀ
75. LA RICERCA AZIONE (ACTION-RESEARCH)
76. LA RICERCA SPERIMENTALE
77. LA RICERCA SPERIMENTALE E LA RICERCA INTERVENTO PARTECIPANTE
78. RICERCA DIAGNOSTICA
79. RICERCA PARTECIPATA
80. LA RICERCA VALUTATIVA
81. LA VALUTAZIONE
82. HUMAN ECOLOGY
83. SENSO DI COMUNITA’
84. BENESSERE
85. I FOCUS GROUP

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86. OBIETTIVI DELL’ANALISI DI COMUNITÀ
87. MARTINI E SEQUI MODELLO DI SVILUPPO DI COMUNITÀ
88. DISAGIO MENTALE
89. ISTITUZIONE PENITENZIARIA
90. PROGETTO OBIETTIVO
91. SOSTEGNO SOCIALE MISURE
92. ISTITUZIONI TOTALI GOFFMANN
93. TRE RIVOLUZIONI NEL CAMPO DELLA SALUTE MENTALE

1. SU QUALI CONCETTI SI BASA LO PSICOLOGO DI COMUNITÀ

L’obiettivo della psicologia di comunità è quello di migliorare la qualità di vita e il benessere dei
singoli e del gruppo, il focus dell’attenzione si sposta dall’istituzione alla comunità locale e
territoriale come contesto di vita quotidiano della popolazione. E un’ideologia il cui interesse
primario è quello della prevenzione, infatti non interviene quando il problema è in atto, ma che
cerca di riconoscere le cause degli stessi per intervenire prima della loro esplosione. La figura
dello psicologo si connota di aspetti nuovi, non è più un professionista chiuso all’interno del suo
studio intento a cercare le ragioni profonde del malessere dell’altro che a lui chiede aiuto, o
chiuso all’interno del suo laboratorio per studiare il comportamento e pensiero dell’uomo, ma è
un professionista calato nel sociale che si impegna attivamente per la promozione del
cambiamento sociale, un impegno che necessita anche di un’attività di ricerca continua che copra
tutte la fasi dell’intervento, dall’analisi dei bisogni del contesto alla valutazione degli esiti degli
interventi realizzati.

2. NASCITA E DEFINIZIONE DELLA PSICOLOGIA DI COMUNITA’

La psicologia di comunità nasce dall’esigenza di esplorare sottosettori poco considerati dalla


psicologia clinica e dalla psichiatria, utilizzando però il contributo di altre discipline, quali la
sociologia, l’urbanistica, l’economia. La denominazione ufficiale della psicologia di comunità
viene coniata nel 1965 durante il Convegno a Swampscott (Boston) sulla “formazione degli
psicologi per l’igiene mentale di comunità” . Le sue radici però affondano nella cultura americana
intorno agli anni ’60, quando troviamo un contesto storico–culturale di emancipazione e
rivendicazione dei diritti delle minoranze. I partecipanti a questo famoso convegno
condividevano la necessità di un approccio interdisciplinare allo studio dei problemi, dei metodi
e delle tecniche di intervento nella comunità. Obiettivo è quello di migliorare la qualità di vita e
il benessere dei singoli e del gruppo. Heller definisce la psicologia di comunità come un
orientamento rivolto più alla prevenzione che al trattamento, più alle competenze dell’individuo
e ai modi per rafforzarle che ai deficit, un orientamento che si focalizza sull’interazione tra la

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persona e l’ambiente. La psicologia di comunità pone al centro un nuovo oggetto di studio,
mutuato da Lewin, che è la relazione circolare esistente fra le persone. Un’altra definizione
importante e quella data da Orford, che la definisce una disciplina e un’area di ricerca che occupa
una posizione di ponte fra la persona e l’ambiente, nonchè un patrimonio conoscitivo e tecnico
che forma una professione di aiuto.

3. LA PSICOLOGIA DI COMUNITÀ

Il concetto di Comunità, fa riferimento a un' entità sociale globale, formata da persone che hanno
legami molto stretti e trascende il singolo sia politicamente che eticamente. Nel corso dei secoli,
il concetto si é evoluto fino a essere considerato come un insieme di individui che condividono
un'appartenenza territoriale, e sono legati da relazioni di dipendenza reciproca. In quest'ottica
assumono un significato importante gli assunti di comunità locale e senso di comunità. Dove la
comunità locale fa riferimento a un insieme di persone che stanno insieme per perseguire le
condizioni di base della vita quotidiana, implicitamente legata ad un territorio. Il senso di
comunità è, secondo Sarason, legato alla percezione della similarità con gli altri, e della
disponibilità a mantenere legami di interdipendenza. Mc Millan aggiunge inoltre il concetto di
appartenenza e fiducia condivisa. Concetto importante, in quanto l'operatore sociale lavora per
stimolare lo sviluppo del senso di comunità, promuovendo i leader e la partecipazione attiva del
singolo nella risoluzione dei problemi nel rispetto delle regole. Inoltre gli obiettivi principali della
psicologia di comunità sono la prevenzione e la promozione della salute, del benessere e del
miglioramento della qualità di vita. Per quanto riguarda la prevenzione, Korchin distingue tre
tipologie di prevenzione: una primaria che ha lo scopo di impedire l'insorgere delle malattie nella
popolazione, quella secondaria di diminuire la diffusione delle malattie già presenti nella
popolazione e individuare trattamenti efficaci, mentre la prevenzione terziaria è volta a
attenuare le conseguenze della patologia e corrisponde alla cura e alla riabilitazione. Per quanto
riguarda invece la promozione del benessere, il concetto di benessere è un concetto complesso
e si può distinguere in benessere oggettivo, e benessere soggettivo. Infine il benessere
psicologico è legato all'accettazione di sé, all'autonomia, alla padronanza dell'ambiente in cui si
vive.

4. STORIA DELLA PSICOLOGIA DI COMUNITÀ

La denominazione ufficiale della psicologia di comunità viene coniata nel 1965 durante un
Convegno a Swampscott sulla “formazione degli psicologi per l’igiene mentale di comunità”.
Dove emersero i limiti della concezione individualistica del disagio e la necessità di acquisire un
approccio interdisciplinare allo studio e al trattamento dei disturbi mentali in comunità,
considerando l'individuo intrinsecamente legato all'ambiente in cui è inserito. La Psicologia di
Comunità è stata definita da Amerio come un'area di ricerca e di intervento sui problemi umani
e sociali, che si rivolge in modo particolare all’interfaccia tra la sfera personale e quella collettiva.

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La storia della psicologia di comunità trova la sua origine nei cambiamenti relativi al modo di
considerare la malattia mentale da parte della collettività. A partire dai primi decenni del 1800 ci
furono cambiamenti epistemologici che portarono a considerare la malattia mentale come
prodotto della società. In seguito la psicologia cominciò a trovare campi di applicazione
nell'istruzione e nella selezione di soldati americani durante la prima guerra mondiale. Durante
la seconda metà del 1900, in America si assiste ad una serie di eventi che cominciano a modificare
l'ambito di applicazione della psicologia, come: l’APA, che dichiara che la psicologia si deve
occupare della promozione del benessere del genere umano; la Joint Commission che realizza
uno studio relativo alla necessità di de-istituzionalizzare i malati mentali e di curarli nella
comunità, seguito da una legge, (1963) che impone di ridurre i ricoveri negli ospedali psichiatrici
e di curare le persone nella propria comunità. Principio base di tale ottica è lo sviluppo di un
approccio interdisciplinare alla malattia mentale.

Negli anni '90 si assiste allo sviluppo e al consolidamento della disciplina e l’attività degli
psicologici di comunità si fonda su concetti quali: empowerment, auto e mutuo aiuto e il
sostegno sociale.

5. LA PSICOLOGIA DI COMUNITÀ, APPROCCI TEORICI

La psicologia di comunità ha come obiettivo quello di promuovere il benessere e la qualità della


vita dei sistemi sociali per garantire agli individui la soddisfazione dei loro bisogni. Per
raggiungere un tale scopo è necessario compiere un’analisi organizzativa del sistema e delle
interazioni fra questo e gli individui che ne fanno parte per mettere in atto delle strategie di
intervento adeguate ed efficaci. Le organizzazioni sono fenomeni complessi e per questo prende
sempre più piede l’utilizzo di approcci multidimensionali che permettano di osservare più aspetti
e lati del fenomeno organizzativo. Bruscaglioni afferma che, quando si parla di organizzazioni, le
teorie non sono in competizione fra loro, ogni approccio vede solo una parte dei fenomeni che
si verificano all’interno di un’organizzazione. Bruscaglioni identifica quattro approcci teorici per
lo studio delle organizzazioni: L’approccio sociologico-strutturale: centra il focus sulla
distribuzione di potere, sulla divisione della qualità del lavoro e sulla conflittualità tra le classi
presenti nell’organizzazione. L’approccio sistemico-funzionale: evidenzia la cooperazione e la
funzionalità dell’organizzazione vista come un sistema complesso e integrato. L’approccio
socioanalitico: studia le componenti latenti, inconsce individuali e collettive cioè le emozioni, i
pensieri e gli atteggiamenti, spesso difensivi che legano l’individuo all’organizzazione e di cui non
sempre è consapevole; L’approccio psicosociale: approfondisce il fattore umano e lo sviluppo
delle risorse umane in rapporto all’efficienza organizzativa.

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6. LO SVILUPPO DI COMUNITÀ

Lo sviluppo di comunità è definito come il processo che ha lo scopo di creare una a condizione di
progresso sociale e economico attraverso la partecipazione attiva della comunità. Il processo di
cambiamento che tende al miglioramento della qualità di vita grazie alla capacità della comunità
di risolvere i problemi e soddisfare i bisogni. Il cambiamento sociale avviene attraverso la
partecipazione attiva e la condivisione, essi devono essere i principi guida, gli obiettivi e le risorse
attraverso cui si attua il cambiamento. Negli ultimi anni si è data attenzione alla comunità locale
e orientamento partecipativo dei servizi, sviluppo del "senso di comunità" e l'empowerment
individuale e sociale. Le principali strategie individuate da Clinard, Levin e Perkins sono: Senso di
coesione sociale; Rinforzare le esperienze di associazione spontanea; Sensibilizzare i cittadini su
problemi e mete comunità; Identificare e incoraggiare le capacità dei leader locali; Sviluppare
coscienza civica. I fattori che contribuiscono allo sviluppo di comunità sono: coinvolgimento;
partecipazione, creazione di connessioni, senso di responsabilità sociale. Lo psicologo di
comunità ha come obiettivo la promozione dello sviluppo di comunità, egli deve conoscere la
comunità al fine di programmare interventi mirati e contestuali.

7. LA PREVENZIONE

Il concetto della prevenzione nasce all’interno del modello della public health che indaga e
analizza le cause della malattia ed interviene per prevenirle attraverso azioni che hanno lo scopo
di modificare le condizioni ambientali e di rafforzare l’organismo contro le patologie. In Italia è
un concetto che prende sempre più piede anche perché legittimato dalla legge di Riforma
sanitaria 833 del 1978. E‟ un concetto che viene approfondito nell’ambito della medicina sociale
e Korchin, definisce tre tipi di prevenzione: 1) Prevenzione primaria: ridurre la possibilità di
malattia di una popolazione che è esposta al rischio. Lo scopo è quello di impedire l’insorgere
stesso delle malattie. Gli interventi di prevenzione primaria possono essere rivolti: alla società;
alla comunità: o ai piccoli gruppi. Per Prevenzione secondaria, si intende diminuire la diffusione
e la cronicizzazione della malattia quando questa si è già espressa all’interno della popolazione e
gli strumenti principali sono la diagnosi e la cura precoce. Prevenzione terziaria vuol dire:
attenuare le conseguenze di una malattia in chi l’ha già avuta. Lo scopo è quello di aiutare a
superare il senso di inferiorità e inadeguatezza, , ma anche quello di impedire il progredire della
malattia. Nei casi di prevenzione secondaria e terziaria l’aspetto preventivo si riferisce al fatto di
attuare interventi che evitino lo strutturarsi di condizioni patologiche più gravi. Il primo ad
applicare questi concetti è Caplan.

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8. PSICOLOGIA DI COMUNITÀ IN ITALIA, LEGGI

I fattori che influenzano lo sviluppo della Psicologia di Comunità in Italia sono, a livello teorico,
la diffusione delle idee della scuola di Palo Alto e gli studi sulla pragmatica della comunicazione;
a livello pratico, invece, l’azione di deistituzionalizzazione condotta da Franco Basaglia e dagli
esponenti della Psichiatria Democratica danno legittimità di un‟idea del disagio non più come un
problema individuale ma come sintomo di un sistema disfunzionale; questa nuova concezione
viene poi anche formalizzata dall’erogazione di alcune leggi innovative quali: La legge n. 118 del
1971 che prevede lo stanziamento di fondi da parte del Ministero della Sanità ad enti pubblici e
a persone giuridiche del privato sociale. La legge n. 405 del 1975 con l’istituzione dei consultori
familiari, il servizio di assistenza alla famiglia e alla maternità. La legge n. 685 del 1975 circa le
norme sulle sostanze stupefacenti e la tossicodipendenza. La legge n. 374 del 1975 ovvero la
riforma dell’Ordinamento Penitenziario, e la successiva legge 663 del 1986, che sottolinea come
la carcerazione debba essere un periodo di recupero e non solo di espiazione della colpa. E grazie
all’opera, poi, dello psichiatra Franco Basaglia che venne introdotta la Legge n. 180 del 1978 sugli
accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori. Una legge che apre le porte alla
deistituzionalizzazione dei malati di mente. La legge n. 833 del 1978 sulla Riforma Sanitaria
Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale.

9. PSICOLOGIA DI COMUNITÀ IN ITALIA

L’interesse per la psicologia in Italia si sviluppa già alla fine dell’800 però solo negli anni ’40 la
psicologia trova spazio nelle aziende e nel campo minorile. In paricolare dal 1945/1968 si parla
di fase pre-professionale, dal 1968/1979 di fase pre-istituzionale: nel 1971 nasce il Corso di
Laurea. Dal 1980 ad oggi, si parla di fase di legittimazione in cui vi è un aumento del numero di
psicologi che si suddividono sostanzialmente in psicologi universitari e socio-sanitari. Da
segnalare, l’esperienza del Masterplan lavoro e progetto Metropoli per Roma: che prevede
l’attivazione di percorsi di reinserimento lavorativo per persone ex tossicodipendenti, alcolisti,
detenuti ecc. Gli obiettivi specifici sono: lavoro di rete, competenze per reinserirsi nel mondo del
lavoro in modo "protetto" ma stabile; realizzazione dell'inserimento attraverso figure di tutor per
orientare, formare e inserire stabilmente. Negli anni i fattori di ostacolarono lo sviluppo e il
consolidamento della ps di comunità in Italia sono stati: fattori politici, ovvero l’avversione e
l’ostracismo verso le discipline psicologiche da parte del fascismo; fattori culturali: la diffidenza
da parte della comunità nei confronti della disciplina; fattori professionali: l’introduzione tardiva
come disciplina accademica e la formazione tardiva di un Ordine degli psicologi e del relativo
Albo.

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10. LO PSICOLOGO NEL SISTEMA SOCIO-SANITARIO

L’interesse per la psicologia in Italia si sviluppa già alla fine dell’800 però solo negli anni ’40 la
psicologia trova spazio nelle aziende e nel campo minorile. In particolare dal 1945/1968 si parla
di fase pre-professionale, dal 1968/1979 di fase pre-istituzionale: in cui vi è un aumento di
interesse per alcuni aspetti della psicologia; in particolare nel 1971 nasce il Corso di Laurea. Dal
1980 ad oggi invece, si parla di fase di legittimazione in cui vi è un aumento del numero di
psicologi che si suddividono sostanzialmente in psicologi universitari e socio-sanitari. Inoltre le
leggi che sono state emanate in Italia a partire dagli anni ’70 che regolamentano la figura dello
psicologo nei servizi socio-sanitari sono: L. 431/1968: psicologo affianca lo psichiatra nei servizi;
DPR 616/1977: decentramento funzioni statali, attribuzione ai servizi socio-sanitari del compito
di promozione e recupero della salute; L. 833/1978: Riforma Sanitaria; L. 761/1979:
riconoscimento ruolo dello psicologo in ambito sanitario; DPR 821/1984: autonomia
professionale psicologo; DL 502/1992: psicologo stesso trattamento dei dirigenti sanitari. Mentre
le attività che lo psicologo svolge all’interno dei servizi socio-sanitari sono: prevenzione,
promozione alla salute; riduzione del danno; abilitazione; riabilitazione; sostegno. Inoltre lo
Psicologo si rivolge a singoli, gruppi, istituzioni. Partecipa alla programmazione generale del
servizio e può dare un contributo specifico alla formazione degli operatori. Egli ha inoltre il
compito di creare programmi di educazione alla salute per rispondere ai bisogni emergenti dei
cittadini.

11. GLI AMBITI DI INTERVENTO DELLO PSICOLOGO NEI SERVIZI TERRITORIALI

Dipartimento di Salute Mentale; Dipartimento Materno-Infantile; Servizi Territoriali per


Tossicodipendenti; Presidi Ospedalieri delle ASL; consultori, servizi per gli anziani o per portatori
di Handicap, ecc. All’interno di questi servizi gli psicologi svolgono attività di: - prevenzione;
diagnosi; abilitazione; riabilitazione; sostegno alla persona, alla famiglia, al gruppo e alla
comunità. Lo psicologo non si occupa solo della cura e della riabilitazione di persone colpite da
un evento patologico, ma lavora per promuovere il benessere e per migliorare la qualità di vita
di tutti i cittadini. In conformità con i principi della psicologia di comunità, lo psicologo analizza i
bisogni specifici della comunità ne ritrova le cause e i fattori di rischio e interviene soprattutto
per prevenirli. La prevenzione richiama o rimanda ai concetti di patologia e di malattia perché
appunto si previene la malattia, la patologia o il disagio. Quindi, l’aspetto positivo, su cui ci si
concentra è la promozione della salute e del benessere.

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12. L'INTERVENTO DELLA PSICOLOGIA DI COMUNITÀ IN AMBITO SCOLASTICO

La psicologia di comunità ha focalizzato la sua attenzione sulla scuola, in quanto è un ambito nel
quale la popolazione giovanile è facilmente raggiungibile, e occupa una larga fascia d’età che va
dai 5 ai 6 anni, fino ai 18/19. In particolare la scuola italiana presenta condizioni funzionali
disagiate e difficoltà strutturali, inoltre vi é un elevato tasso di dispersione scolastica.
Parallelamente la scuola presenta anche punti di forza, quali: la presenza di insegnanti preparati,
sperimentazioni, nuovi provvedimenti legislativi che incentivano l'autonomia. In ambito
scolastico si individuano 2 modelli formativi: quello tradizionale caratterizzato da un
insegnamento centrato sul docente e sui contenuti; il nuovo modello: centrato sul dialogo tra
docenti e allievi con attenzione al contesto in cui vivono gli allievi. Gli interventi che lo psicologo
mette in atto in ambito scolastico sono di tre tipi: Prevenzione primaria: mirano a favorire
l’interazione scuola/famiglia, o a migliorare tecniche didattiche; Prevenzione secondaria: mirano
all’individuazione precoce di bambini disturbati; Prevenzione terziaria: mirano a curare qualità
del contesto scolastico. Inoltre la psicologia scolastica ha subito trasformazioni in conseguenza a
avvenimenti politici e sociali, ovvero: negli Anni 70: l’inserimento di alunni con handicap nelle
classi normali; la diffusione delle droghe tra i giovani e negli Anni 90: la sperimentazione
dell’autonomia scolastica. Oggi la psicologia scolastica tenta di integrare sempre di più singolo e
comunità. Le strategie di intervento elaborate nei contesti scolastici si focalizzano sul
miglioramento del benessere degli studenti, sul coinvolgimento dei genitori nella scuola, ridurre
i problemi emozionali e di apprendimento e promuovere comportamenti sociali tra studenti.

13. PSICOLOGIA DI COMUNITÀ IN AMBITO SCOLASTICO LE STRATEGIE D’INTERVENTO

La psicologia di comunità ha focalizzato la sua attenzione sulla scuola, in quanto è un ambito nel
quale la popolazione giovanile è facilmente raggiungibile. In particolare la scuola italiana presenta
condizioni funzionali disagiate e difficoltà strutturali, inoltre vi é un elevato tasso di dispersione
scolastica. Le strategie d’intervento elaborate e sperimentate nei contesti scolastici negli ultimi
dieci anni hanno lo scopo di: migliorare il benessere degli studenti; favorire il coinvolgimento dei
genitori nelle scuole; ridurre i problemi emozionali o di apprendimento; promuovere
comportamenti pro sociali negli studenti. Le strategie d’intervento più utilizzate nei contesti
scolastici sono: L’educazione socio affettiva; I profili di comunità e il lavoro di rete; I gruppi di
auto aiuto; L’analisi organizzativa multidimensionale. L’educazione socio affettiva è la
metodologia più diffusa i cui obiettivi sono: rinforzare l’empowerment individuale e di gruppo;
ridurre in modo efficace il disagio emotivo e la demotivazione dei docenti e degli alunni;
migliorare la capacità di riconoscere ed esprimere i propri sentimenti e le proprie emozioni,
migliorare i rapporti tra insegnanti e alunni, e tra gli studenti stessi. Comprende anche un
momento formativo per genitori, affinchè riescano ad aiutarle i loro figli e a capire e a gestire
meglio le loro emozioni.

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14. OBIETTIVI PRINCIPALI DELLA PSICOLOGIA DI COMUNITÀ

Gli obiettivi principali della psicologia di comunità sono: La prevenzione, La promozione della
salute e del benessere, e il miglioramento della qualità della vita. Il concetto della prevenzione
nasce all’interno del modello della public health che indaga e analizza le cause della malattia ed
interviene per prevenirle attraverso azioni che hanno lo scopo di modificare le condizioni
ambientali e di rafforzare l’organismo contro le patologie. e Korchin, definisce tre tipi di
prevenzione: 1) Prevenzione primaria: ovvero ridurre la possibilità di malattia di una popolazione
(o in un uomo) che è esposta al rischio. Lo scopo è quello di impedire l’insorgere stesso delle
malattie. Gli interventi di prevenzione primaria possono essere rivolti: alla società, alla comunità,
o ai piccoli gruppi. 2) Prevenzione secondaria: ovvero diminuire la diffusione e la cronicizzazione
della malattia quando questa si è già espressa all’interno della popolazione. 3) Prevenzione
terziaria: attenuare le conseguenze di una malattia in chi l’ha già avuta. Tali interventi
comprendono la cura e la riabilitazione dei soggetti con disturbi mentali affinchè sviluppino
comportamenti funzionali ad un positivo reinserimento nella società. Fondamentalmente nei casi
di prevenzione secondaria e terziaria l’aspetto preventivo si riferisce al fatto di attuare interventi
che evitino lo strutturarsi di condizioni patologiche più gravi.

15. PSICHIATRIA PREVENTIVA CAPLAN

Il primo ad applicare concetti nel settore da lui definito di psichiatria preventiva è Caplan, il
modello preventivo consta di due orientamenti: 1) Prevenire il verificarsi della patologia e il suo
cronicizzarsi e quindi realizzare interventi di riduzione del danno; 2) Realizzare interventi di
promozione della salute e del benessere psicologico. Esistono, però degli ostacoli nella
attuazione dell’ottica e della strategia preventiva che sono insiti sia nella mentalità comune che
all’interno delle scienze sociali, nonché un predominio di una concezione eccezionalista rispetto
alla concezione universalista tanto nelle analisi che nella soluzione dei problemi sociali. Ritenere
che un problema sia la risultante di un difetto individuale, favorisce la produzione di interventi
orientati all’individuo più che al sistema e alla cura e alla riabilitazione più che alla prevenzione
del disagio e alla promozione del benessere. Il crescente aumento di situazioni di disagio e la
richiesta sempre maggiore di interventi di cura portano gli operatori a rispondere più
all’emergenza presente che non al disagio in via di sviluppo, viene privilegiata la presa in carico
delle situazioni più gravi. Le caratteristiche peculiari delle scienze sociali, sono un altro fattore
che frena il dominio dell’ottica preventiva, perché è più facile combattere la malattia quando si
conosce l’agente scatenante. In ambito psicologico e sociale le variabili correlate al disagio sono
molteplici. Questo implica che sul piano concreto in psicologia di Comunità è necessario lavorare
in due direzioni: Realizzare interventi di prevenzione “reattiva” e Attuare azioni di prevenzione
“proattiva”.E’ necessario quindi un cambiamento dell’atteggiamento generale della popolazione
nella gestione e risoluzione dei problemi: una partecipazione di tutti alla gestione diretta della
propria salute evitando meccanismi di delega.

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16. TEORIE ECCEZIONALISTA E TEORIA UNIVERSALISTICA

Si occupano, in particolare di spiegare il disagio psicologico e sociale. Nella teoria eccezionalista


o della selezione sociale il disagio è causato da alcuni fattori individuali (congeniti, caratteriali, di
personalità) assolutamente casuali e imprevedibili che relegano i soggetti portatori in una
situazione di svantaggio. Il disagio è dunque un evento eccezionale non prevedibile che va curato
attraverso un trattamento riparativo, incentrato sulla persona e può essere un trattamento
farmacologico, psicoterapeutico o riabilitativo. Nella teoria universalistica o delle cause sociali,
invece, il disagio è una conseguenza della non corretta distribuzione delle risorse della comunità.
Per sanare il disagio è quindi necessario un intervento collocato a livello sociale, come gli
interventi di prevenzione. Molti contributi sviluppati negli ultimi decenni hanno sviluppato dati
che vanno a sostegno di entrambe le ipotesi, le due teorie non rappresentano necessariamente
poli opposti ma sono le variabili individuali e ambientali che concorrono insieme alla
strutturazione del disagio. Oggi la psicologia di comunità si trova ad adottare un modello del
disagio e del benessere complesso e interattivo.

17. PSICOLOGIA AMBIENTALE BARKER E MOOS E DIFFERENZA CON LEWIN

Altro modello teorico su cui si fonda la psicologia di comunità è la psicologia ambientale. E’ un


approccio strettamente connesso con la prospettiva ecologica, ed è una disciplina che studia il
benessere e il comportamento degli uomini, prendendo in considerazione le transazioni che
avvengono tra gli individui e l’ambiente socio-fisico. I due massimi esponenti sono: Barker e
Moos. Barker, formato alla scuola di Lewin e suo collaboratore, portò agli estremi gli
insegnamenti del suo maestro, concentrando il suo lavoro di ricerca sull’analisi dei fattori fisico-
oggettivi, dei fattori non psicologici del contesto, nella determinazione del comportamento. Egli
sottovalutò, rispetto a Lewin, l’aspetto soggettivo della variabile ambientale privilegiando una
concezione oggettiva e osservabile. Lo sforzo di comprendere come il mondo reale, il contesto e
gli ambienti di vita quotidiana influenzano l’azione, lo spinse a intraprendere un lunghissimo
lavoro basato sul metodo dell’osservazione naturalistica. Interessato inizialmente ai problemi
dello sviluppo infantile, formò una postazione di osservazione del comportamento in una piccola
città del Kansas con l’intento di scoprire e descrivere le condizioni di vita e il comportamento
quotidiano dei bambini della città e capire come l’ambiente del mondo reale quotidiano influenzi
il comportamento. In base a questo metodo lo psicologo non è un operatore che manipola e
controlla gli eventi ma è un semplice trasduttore che codifica e trasmette fedelmente i fenomeni
osservati.

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18. BARKER

è stato il primo ad occuparsi dello studio dell’ambiente come vera entità attiva che struttura,
ordina e dà significato ai comportamenti delle persone, ma ha posto l’individuo in una posizione
di passività di fronte al contesto ambientale. In particolare nella determinazione del
comportamento da importanza ai fattori fisico-oggettivi. Propone il metodo dell'osservazione
naturalistica per comprendere l'influenza dell'ambiente di vita sul comportamento. Ma
successivamente passò al SETTING COMPORTAMENTALE cioè un’unità ambientale minima in cui
si attuano comportamenti intenzionali significativi con un programma di setting. In particolare
indicatori importanti nell'osservazione del setting sono: il Grado di penetrazione: ovvero il grado
con cui i soggetti interagiscono con il setting, ed in particolare 6 sono le zone di penetrazione,
ovvero più centrale è la zona maggiore è il livello di responsabilità del soggetto di poter diventare
leader unico del setting; se invece è nella zona periferica il suo ruolo sarà di osservatore passivo
o ascoltatore. L’altro indicatore è la Ricchezza del setting: ovvero combinazione dei diversi
sottogruppi che entrano nel setting, dalle azioni che si verificano in quel setting e dal tempo di
apertura del setting, poichè tali setting offrono ai membri più opportunità di partecipazione e di
assunzione di responsabilità. In particolare i setting sottodimensionati offrono maggiori
opportunità, mentre in quelli sovradimensionati ci sono molte persone e pochi ruoli per cui c’è
passività.

19. BARKER TEORIA DEL DIMENSIONAMENTO RELATIVO

La teoria del dimensionamento relativo propone la superiorità del funzionamento del setting di
piccole dimensioni rispetto a quello di grandi dimensioni. Secondo questa teoria i Setting
sottodimensionati o sottopopolati offrono ai propri abitanti maggiori opportunità ed esercitano
più pressione affinchè ricoprano ruoli o posizioni di responsabilità, godono cioè di una maggiore
interdipendenza e coesione interna. Nei setting sovradimensionati, invece, ci sono molte
persone e pochi ruoli, per cui maggiore è la tendenza alla passività e al non coinvolgimento. La
prospettiva proposta da Barker non è in grado di integrare l’approccio fenomenologico con quello
oggettivo, l’autore ha il merito di aver considerato l’ambiente non come un semplice luogo nel
quale si svolgono i fatti sociali, ma come una vera e propria entità attiva che struttura, ordina e
dà significato ai comportamenti delle persone che vi risiedono. I suoi limiti invece sono l’aver
considerato l’individuo come uno spettatore passivo di fronte al contesto ambientale. Moos, a
differenza di Barker si propone di cogliere proprio il rapporto fra le strutture organizzative e i
vissuti soggettivi, elaborando il concetto di pressione ambientale: l’insieme di stimoli e processi
che caratterizza certi ambienti e che esercita un’influenza sugli individui che vi accedono. In
questo ambito, Ha sviluppato una serie di scale per esaminare fattori fisici, organizzativi e
interpersonali che caratterizzano una determinata struttura secondo la percezione di chi
appartiene ad essa.

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20. PROSPETTIVA ECOLOGICA DI KELLY E LEVINE

Altro modello teorico su cui si fonda la psicologia di comunità è la prospettiva ecologica di Kelly
e Levine. La prospettiva ecologica tende a riportare l’attenzione degli psicologi sull’osservazione
dei fenomeni nei loro setting naturali, tratta unità di analisi più ampie rispetto al singolo
individuo, enfatizza i setting naturali più che il laboratorio e il contesto clinico come luoghi
appropriati per l’intervento e la ricerca. L’impiego dell’approccio ecologico consente di
enfatizzare la relazione fra la persona e l’ambiente piuttosto che esaminare isolatamente le loro
caratteristiche e di concepire anche la ricerca come un’attività da svolgere sul campo nel
tentativo di cogliere gli scambi fra persone, contesti, ambienti ed eventi Secondo questa
prospettiva il comportamento umano è visto in termini di adattamento dell’individuo alle risorse
e alle circostanze. E’ dunque possibile correggere gli adattamenti mal riusciti modificando la
disponibilità delle risorse e rafforzandole, creando nuovi servizi, scoprendo la forza di reti sociali
esistenti, piuttosto che focalizzarsi sulla psicopatologia. L’individuo è visto come persona dotata
di competenze che può usare per il proprio sviluppo, più che affetta da deficit da correggere e
eliminare. Kelly propone quattro principi, derivanti dall’ecologia biologica, come guida per
pianificare gli interventi nella comunità: 1) L’interdipendenza; La ciclicità delle risorse;
L’adattamento; La successione. Levine invece propone 5 principi per la pratica in psicologia di
comunità : Un problema sorge in un setting o in una situazione: i fattori situazionali causano,
peggiorano, e/o mantengono il problema; 2) Un problema sorge perché la capacità adattiva, di
problem solving, del setting sociale è bloccata; 3) Per essere efficace, un aiuto deve essere
collocato in modo strategico rispetto all’insorgere del problema; 4) Gli scopi e i valori
dell’operatore o del servizio di aiuto devono essere coerenti con gli scopi e i valori del setting; 5)
La forma dell’aiuto fornito deve poter essere stabilita in modo sistematico, usando le risorse
naturali del setting o mediante l’introduzione di risorse che possono diventare istituzionalizzate
come parte del setting.

21. APPROCCIO SISTEMICO DI BATESON

L’approccio sistemico di Bateson e Murrell si fonda sul concetto di sistema. Tale concetto, già
postulato di base della Teoria della Gestalt, è stato approfondito a partire dagli anni ‘50 quando
si giunse ad una definizione di sistema aperto inteso come unità complessa e organizzata,
caratterizzata dall’interdipendenza delle parti tra loro e dalla relazione con l’ambiente. Grande è
stato il contributo alla teoria dei sistemi di Gregory Bateson. Essendo un antropologo, desiderava
riuscire a spiegare che sia l’uniformità che la variabilità dei comportamenti nelle diverse culture
sono governate da regole ben precise. Bateson distinse due tipi di comportamento: 1.
simmetrico in cui i protagonisti stanno su un livello di uguaglianza; 2. asimmetrico in cui una
persona assume una posizione contraria rispetto al modo di porsi assertivo o sottomesso
dell’altro. Secondo Bateson la società contiene due tipi di forze: - Da un lato quella che spinge i
partecipanti a schemi di progressivo antagonismo fino alla possibile rottura da parte di un

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gruppo; Dall’altro quella che sostiene l’adattamento, il compromesso e la coesione sociale.
Inoltre si occupò dello studio dei processi della comunicazione familiare e diede vita alla Scuola
di Palo Alto dove, per la prima volta, si considerò il sistema familiare come totalità anziché come
agglomerato di individui. Nell’ambito di questo approccio il sistema viene considerato come
un’unità intera e unica che consiste di parti in relazione fra loro, tale che l’intero risulti diverso
dalla semplice somma delle parti e qualsiasi cambiamento in una di queste influenzi la globalità
del sistema. Le proprietà del sistema sono:- la totalità, la retroazione, l’equifinalità e la
multifinalità: i risultati non dipendono dalle condizioni iniziali ma dalla natura del processo e dai
parametri del sistema.

22. FRANCESCATO, OTTO PROFILI

Promuovere lo sviluppo di comunità è un obiettivo specifico dello psicologo di comunità : per


raggiungerlo è necessario conoscere approfonditamente la realtà su cui si deve intervenire. La
comunità intera quindi diventa ambito di studio e di intervento. Conoscere la comunità
permette di programmare interventi mirati e di individuare tutti quei fattori che interagiscono
in maniera complessa all’interno della stessa come le caratteristiche del territorio, delle reti e
degli ambienti sociali, dei bisogni ma anche delle problematiche e delle risorse esistenti. Martini
e Sequi hanno ideato uno strumento per l’analisi di comunità che permette di tracciare il profilo
di comunità e che a sua volta comprende altri sette profili : Profilo territoriale; Profilo
demografico; Profilo delle attività produttive: Profilo dei servizi; Profilo istituzionale; Profilo
antropologico; Profilo psicologico. Come qualsiasi altro processo di conoscenza anche l’analisi di
comunità non è oggettiva e universale, e non rispecchia fedelmente l’oggetto di studio. Lo
strumento per l’analisi di comunità è stato usato in diversi contesti e per raggiungere obiettivi
diversi. E nel tempo è stato sottoposto ad alcuni cambiamenti fra cui quelli introdotti dalla
Francescato e dai suoi collaboratori arrivando alla formulazione del metodo degli Otto Profili. Si
tratta di un metodo di ricerca partecipata, che è molto utile per studiare il territorio e favorire un
lavoro di rete. I cambiamenti effettuati principalmente riguardano: L’aggiunta, ai sette profili
individuati da Martini e Sequi, del profilo del futuro, per valutare come viene vissuto, dalla
popolazione, il rapporto tra presente e futuro; Il potenziamento della strumentazione di ricerca
dei profili; La creazione di un gruppo di ricerca interdisciplinare composto da rappresentanti
diversi della comunità e da esperti esterni alla comunità-target.

23. WEBER

Weber, distingue la comunità dall’associazione. Parliamo di comunità quando l’orientamento


all’azione si fonda su un sentimento di appartenenza soggettivamente sentito dagli individui che
ad essa partecipano, parliamo di associazione nella misura in cui la disposizione all’agire sociale
poggia su un legame di interessi motivato razionalmente rispetto al valore e allo scopo. Weber
affermerà che la grande maggioranza delle relazioni sociali ha in parte il carattere di una

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comunità, in parte il carattere di un’associazione. Nel pensiero di Weber e Tönnies troviamo la
descrizione di una comunità come un tipo ideale delle forme che assume la convivenza umana, i
cui aspetti essenziali sono: L‟interdipendenza delle relazioni tra le persone appartenenti; Il forte
grado di omogeneità rispetto ai valori e alle norme condivise; Il loro prospettarsi come elementi
interiorizzati piuttosto che formalmente espressi; Il forte senso dell‟ingroup rispetto
all‟outgroup.

24. PARK E LA SCUOLA DI CHICAGO

Park elabora specificatamente il concetto dello Human Ecology, modello di base dell’attuale
Psicologia di Comunità. Una comunità umana è per Park da vedersi come un insieme interrelato
di unità che “simbioticamente” stanno insieme. Una comunità presenta tre caratteristiche
essenziali: 1) la condivisione e l’organizzazione su un territorio; 2) la comunità è più o meno
radicata in questo territorio; 3) gli individui vivono in una relazione di reciproca dipendenza.
Quindi, una popolazione, organizzata in un territorio, radicata in modo più o meno forte in questo
territorio, in cui i singoli membri intrattengono relazioni di reciproca dipendenza. Le idee della
Scuola di Chicago e di Park vengono riprese anche da autori più recenti come Amerio, nel 2000,
che identifica in queste tre dimensioni del concetto di comunità le più adeguate e utilizzabili per
la psicologia di comunità. L’aspetto territoriale della comunità è intesa anche in senso culturale,
organizzativo e sociopolitico, che permette di definire la comunità come il contesto concreto nel
quale la vita quotidiana delle persone si svolge, in cui è possibile cogliere il legame tra i fattori
oggettivi e psicologici individuali. Questo concetto di comunità consente di giungere ad elaborare
anche il concetto di SENSO DI COMUNITA’ un sentimento attraverso il quale si definiscono i
rapporti fra le persone tra loro e con il territorio che condividono.

25. LEWIN

La Teoria del Campo secondo Lewin, può essere definita un “metodo di analisi delle relazioni
causali fra eventi orientata a fornire una comprensione scientifica dei fatti sociali”. Secondo
questa teoria ogni evento è determinato dall’insieme di fattori, individuali e ambientali, in
relazione di interdipendenza, in un dato momento, presenti all’interno del campo psicologico.
Viene quindi proposto un concetto di prospettiva temporale che comprende, oltre che il
presente, il passato e il futuro psicologico, sia a livello di realtà sia a vari livelli di irrealtà. Il campo
di cui parla Lewin è un sistema dinamico di forze, interagenti fra di loro; è la totalità dei fatti
coesistenti nella loro interdipendenza che è proprio il punto centrale del pensiero di Lewin,
perché le leggi del campo non sono determinate dalle caratteristiche dei singoli elementi ma dal
sistema globale. Nell’ambito dei fatti esistenti in un dato momento, tre sono le aree in cui i
mutamenti sono oggetto di interesse per lo psicologo: 1) lo spazio di vita, la relazione tra la
persona e l’ambiente psicologico così come viene visto da essa. 2) fatti che, pur essendo nel
mondo fisico e sociale, non entrano nel campo psicologico, in quanto non hanno effetti diretti

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sull’individuo. 3) fatti che si collocano nella zona di confine, in quanto posti tra lo spazio di vita
e il mondo esterno, in un processo continuo di interscambio mediante i processi percettivi.
Nell’ambito delle forze che influenzano il comportamento, Lewin prende in considerazione sia
fattori interni al soggetto, come i bisogni, sia fattori sociali, quali l’appartenenza ad un gruppo, le
norme, le ideologie. Lewin considera l’individuo un soggetto attivo: la relazione tra persona e
ambiente non si basa su un rapporto lineare di causa-effetto, ma su una transazione continua e
reciproca. Rilevante il contributo di Lewin anche alla metodologia della ricerca, infatti fornisce
delle indicazioni metodologiche utili per giungere a una comprensione scientifica dei fatti sociali:

26. IL METODO GORDON

Gordon propone alcune metodologie utili in classe per creare un’efficace relazione fra gli
insegnanti e l’allievo e fra gli allievi stessi. Sottolinea la grande importanza che rivestono
l’accettazione, l’autenticità, l’empatia, la corretta comunicazione nel rapporto fra adulti e giovani
al fine di promuovere l’autofiducia, l’autocontrollo, la disciplina, la creatività, sviluppando così
negli studenti il senso di autonomia e di responsabilità nonché la capacità di contribuire nel
definire le regole che governano la vita della classe. Gordon, considera che genitori ed insegnanti,
anche se mossi da buone intenzioni, non sempre riescono ad aiutare i ragazzi nel risolvere le loro
difficoltà, poiché si rapportano in modo sbagliato, ne bloccano la creatività, ne diminuiscono la
fiducia in sé stessi. Gli educatori finiscono col favorire la dipendenza anziché l’autonomia.
Gordon si propone, di insegnare a impostare una relazione efficace con gli studenti, ed a gestire
le dinamiche interne di una scolaresca attraverso: procedimenti che portano l’insegnante a
“trasformare sé stesso” nel modo di trattare con gli allievi; insegnare ai docenti ad incoraggiare
e stimolare maggiori responsabilità nei giovani a loro affidati. Tecniche fondamentali per
modificare i comportamenti inadeguati e per impostare una relazione efficace tra l’insegnante e
l’allievo sono l’ascolto attivo, il messaggio io, e la risoluzione dei conflitti con il metodo del
problem solving.

27. MURREL: APPROCCIO SISTEMICO

I sistemi sociali giocano un ruolo importante nell'influenzare il comportamento del singolo; in


quest'ottica la psicologia di comunità è un ramo della psicologia applicata, dotata di coscienza
sociale e volta al cambiamento dei sistemi sociali. Il benessere psicologico dipende dal grado di
armonia tra aspettative e capacità individuali, dalle richieste dell'ambiente e dalle risorse
disponibili. Murrel utilizza il concetto di accomodamento intersistemico per indicare il grado di
compatibilità dell'interazione tra sistemi sociali e individuo. Talvolta vi è incongruenza tra
aspettative, bisogni e regole sociali e questo può essere per l'individuo fonte di disagio. Per
Murrel in questo caso il problema và interpretata in funzione del grado di congruenza o
incongruenza tra le aspettative, bisogni, modelli culturali, regole presenti nei diversi sistemi
sociali. In particolare SEI sono i LIVELLI DI INTERVENTO: I primi due interventi sono focalizzati

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sulla persona: ricollocamento individuale e intervento sull'individuo. Gli altri interventi sono a
livelli più complessi: interventi sulla popolazione: intesi come strategie per sviluppare le risorse
di un gruppo a rischio; interventi sul sistema sociale: si tratta di operare mutamenti strutturali e
funzionali sui sistemi, in modo da facilitare la gestione dei problemi degli individui; interventi
intersistemici: l’azione, in questo caso, è diretta su più sistemi.

28. DOHRENWALD TEORIA DELLA CRISI E DELLO STRESS PSICOSOCIALE

Dohrenwald Elabora il modello dello stress psicosociale secondo il quale “il processo inizia con
un episodio che riguarda il verificarsi di uno o più eventi stressanti e che termina con un
cambiamento psicologico, positivo o negativo, o con il ripristino della situazione psicologica
iniziale”. Gli episodi di vita stressante possono essere causati da eventi ambientali e situazionali
oppure da caratteristiche psicologiche della persona coinvolta nell’evento. In questo modello
entrambi i mediatori: situazionali e psicologici della relazione stress patologica sono importanti
perché interagiscono con la reazione allo stress. Dohrenwald sostiene che si possa intervenire
molto prima della reazione allo stress con servizi di intervento sulla crisi. Per cui i mediatori
psicologici consentono di far emergere risorse quali valori e abilità di coping, che consentono alla
persona di far fronte ai suoi problemi. I mediatori situazionali possono essere utili quando le
risorse individuali sono insufficienti (sistemi di sostegno sociale e ricorso a risorse collettive).

29. BRONFENBRENNER TEORIA DELLO SVILUPPO DEL CONTESTO

Propone un modello ecologico che sottolinea l’inscindibilità dell’individuo dall’ambiente in cui


cresce e si sviluppa. Sottolinea l'inscindibilità dell'individuo dall'ambiente in cui cresce e si
sviluppa e propone una lettura multidimensionale del contesto. Il rapporto individuo ambiente
si caratterizza per la reciprocità. Il comportamento del singolo è condizionato da strutture
concentriche che agiscono su di lui: se poniamo l'individuo al centro vi è il micro-sistema
dell'esperienza diretta (es. famiglia), poi il meso-sistema o sistema dei micro-sistemi (es. rapporti
scuola-famiglia); vi è poi l'eso-sistema che comprende i sistemi a cui l'individuo non ha esperienza
diretta (es. lavoro del partner); infine il macro-sistema ossia il sistema sociale allargato che
influenza tutti i sistemi sottostanti (es. disoccupazione). L’autore che eredita da Lewin il concetto
di rapporto dinamico individuo-ambiente, sottolinea l’inscindibilità dell’individuo dall’ambiente
in cui cresce e si sviluppa. Propone un modello di lettura del contesto a più livelli che risulta
molto coerente con la teorizzazione di Murrell e con l’attenzione della psicologia di comunità al
rapporto di interdipendenza degli elementi di un sistema. Il modello “processo-persona-
contesto-ambiente” si basa su tre assunti fondamentali: 1. il rapporto individuo-ambiente
caratterizzato dalla reciprocità; sia l’ambiente che l’individuo sono in grado di influenzarsi a
vicenda; 2. anche i contesti più remoti, quelli non direttamente sperimentati, possono produrre
delle modificazioni nel comportamento dell’individuo; 3. ogni persona si caratterizza come

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entità dinamica, ossia un soggetto attivo che reagisce alle pressioni ambientali e ristruttura il
proprio spazio di vita.

30. I NUOVI SETTORI DI APPLICAZIONE DELLA PSICOLOGIA DI COMUNITÀ

Gli psicologi di comunità si sono sempre occupati di problemi sociali e a partire dagli anni ’80
hanno ampliato i loro ambiti di intervento al terzo settore, ovvero settori organizzativi di natura
privata volti alla produzione di beni e servizi destinati alla collettività. Uno degli ambiti del terzo
settore è la cooperativa sociale. In particolare esistono diverse tipologie di cooperative sociali:
Coop. Integrate; Coop. di solidarietà sociale; e Coop. di servizi sociali. I servizi gestiti dalle coop.
Sociali sono: il Pronto intervento sociale: ovvero interventi su segnalazione in situazioni critiche
(abbandono, trascuratezza, maltrattamento...). Inserimento sociale: centri diurni, vacanze,
attività rivolte a svantaggiati. Assistenza domiciliare e Telesoccorso. Il ruolo dello psicologo nelle
cooperative sociali é quello di coordinare le attività superando i momenti di crisi e agevolando
cambiamenti evolutivi. Un altro ambito del terzo settore è il volontariato, l'attività di volontariato
é regolata dalla legge 266/1991. I compiti dello psicologo nelle organizzazioni di volontariato
sono di collaborazione alla sensibilizzazione del territorio, accogliere nuovi membri, facilitare
comunicazione e collaborazione, fungere da sostegno per il leader attivando interventi di
prevenzione al burn-out. Un altro settore di applicazione innovativo dello psicologo di comunità
è il mondo del lavoro, ovvero dagli anni ‘80 si assiste ad una rivalutazione del contesto lavorativo,
considerato determinante per il benessere di chi vi lavora .L'obiettivo dello psicologo nei contesti
lavorativi é quello di valorizzare la persona attraverso strategie di empowerment sui singoli, sui
gruppi e sull'organizzazione

31. PSICOLOGIA DI COMUNITÀ AREE DI INTERESSE E GLI AMBITI DI INTERVENTO NEGLI


ANNI ’90

Le aree di interesse e gli ambiti di intervento della psicologia di comunità negli anni ’90 sono:
gruppi più emarginati dalla società: minoranze etniche, immigrati, ecc.,con lo scopo di favorire
una risoluzione pratica dei problemi presentati e un’integrazione reale nel tessuto sociale. Dalla
fine degli anni ‘80 in poi, l’obiettivo è quello di influenzare le politiche sociali e statali attraverso
la diffusione dei risultati degli studi e delle ricerche sui diversi problemi sociali. In questo modo
si spera di favorire dei cambiamenti legislativi e finanziamenti per nuovi progetti e servizi, in
particolare a favore dei gruppi svantaggiati. Sostegno agli adolescenti, con programmi di
prevenzione contro la dispersione scolastica; per migliorare l’adattamento e il rendimento
scolastico. Sul tema della salute l’attenzione oltre che su tematiche quali quelle dello stress si
rivolge anche alla violenza sulle donne, all’ omossessualità e a gruppi a rischio di contagio AIDS e
altre malattie infettive Negli anni ‘70 ma, soprattutto negli anni ‘80, la psicologia di comunità si
diffonde anche negli altri paesi, perché in comune vi è il desiderio di andare oltre la psicologia
individuale, di mettere insieme la persona, l‟ambiente e il contesto e di guardare alle loro

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interazioni per comprenderne il funzionamento globale dei comportamenti; ma in comune vi è
anche l’enfasi sulla prevenzione e sulla ricerca.

32. WELFARE STORIA

Il Welfare state, conosciuto anche come Stato sociale o assistenziale, è un sistema di norme teso
a eliminare le disuguaglianze sociali ed economiche tra i cittadini. La realizzazione di questo
progetto sociale si basa sulla collaborazione tra le figure professionali che lavorano nei diversi
servizi (educativi, sanitari, sociali, culturali). Il problema della tutela dei bisognosi è sempre stato
presente in ogni comunità organizzata. In particolare nel Medioevo: nei confronti dei poveri i
primi interventi realizzati erano forme di beneficenza e si assistenza allo scopo di fornire un tetto
a chi non l'aveva e di ripulire il tessuto sociale dai miserabili. Nel 1700: si svilupparono le prime
forme di beneficenza laica nei confronti dei bisognosi; nel 1800: dopo la rivoluzione industriale si
assiste ad un aumento dei lavoratori che vivono nelle città, senza legami familiari che si trovano
in una situazione di bisogno; nascono le assicurazioni e si comincia a parlare di previdenza sociale.
Nel 1942: con il Rapporto Beverdige: si definiscono le basi del Welfare State. Ad ogni cittadino
deve essere garantita una soglia di sussistenza, o minimo di benessere. Il concetto centrale è
quello di bisogno. La logica è quella redistributiva, sia fra generazioni che fra classi sociali diverse.
I fattori che hanno favorito la nascita del Walfare sono stati le Spinte politiche; le Spinte
ideologiche; le Spinte economiche.

33. WELFARE E I MODELLI DI FUNZIONAMENTO

Il Welfare state, conosciuto anche come Stato sociale o assistenziale, è un sistema di norme teso
a eliminare le disuguaglianze sociali ed economiche tra i cittadini. La realizzazione di questo
progetto sociale si basa sulla collaborazione tra le figure professionali che lavorano nei diversi
servizi (educativi, sanitari, sociali, culturali). Esistono vari modelli di welfare: Modello residuale:
in cui lo stato attua solo interventi temporanei; Modello remunerativo: in cui gli interventi dello
stato riflettono i meriti e i rendimenti dei lavoratori; Modello istituzionale-redistributivo: in cui
gli interventi dello stato sono il cardine della società, forniscono prestazioni universali sulla base
del principio del bisogno. Ferrera fornisce una classificazione in cui distingue tra: Modello
occupazionale puro: secondo cui ogni persona è coperta in base ai contributi versati nella sua
vita lavorativa; Modello occupazionale misto: comprende sia la previdenza che la sicurezza
sociale; Modello universalistico puro: secondo il quale la comunità è fondata sulla
redistribuzione; Modello universalistico misto: riconducibile al modello redistributivo.

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34. IL WELFARE TIPOLOGIZZAZIONE ELABORATA DI FERRERA

Il Welfare state, conosciuto anche come Stato sociale o assistenziale, è un sistema di norme teso
a eliminare le disuguaglianze sociali ed economiche tra i cittadini. Importante è la
tipologizzazione elaborata di Ferrera nel 1992. che fornisce una nuova classificazione in cui
distingue tra: Modello occupazionale puro: riconducibile al modello remunerativo, secondo cui
ogni persona è coperta in quanto lavoratore e in base ai contributi versati nella sua vita lavorativa.
Modello occupazionale misto: riconducibile sempre al modello remunerativo, comprende sia la
previdenza che la sicurezza sociale. Modello universalistico puro: riconducibile, invece al
modello redistributivo, secondo il quale la comunità diventa un immenso labirinto di
redistribuzioni. Modello universalistico misto: riconducibile anche questo al modello
redistributivo. Negli ultimi vent’anni sia il modello universalistico che quello occupazionale sono
andati in crisi per cambiamenti di tipo economico, sociale e demografico. Infatti L’economia non
è più quella rapida crescita capace di produrre entrate fiscali sufficienti da ridistribuire sotto
forma di protezione sociale. Per questo le entrate fiscali non sono più sufficienti a coprire tutti i
bisogni. Si viene a creare uno squilibrio fra bisogni e risorse disponibili e, questo, genera la crisi.
Elemento determinante del cambiamento e della crescita nella domanda di interventi di welfare
è certamente il cambiamento di alcuni dati sociali importanti come: il ruolo della famiglia; il
lavoro femminile e il cambiamento demografico

35. IL WELFARE IN ITALIA

In Italia si sono privilegiate le politiche a salvaguardia dell’occupazione e dei redditi dei


lavoratori, e soprattutto la creazione di un sistema pensionistico. Nel settore dei servizi si sta
attuando un modello di welfare mix, all’interno del quale tuttavia il terzo settore vive molto su
erogazione di risorse pubbliche. Nell’ambito dello sviluppo delle politiche del welfare, è
importante considerare con particolare attenzione le politiche direttamente finalizzate a creare
una rete di servizi sociali che garantiscano accettabili condizioni di vita e un’uguaglianza di
opportunità per tutti. Servizi che rispondono ai diritti di cittadinanza espressi tra l’altro nella
Costituzione Italiana: diritto alla salute, all’istruzione, ecc. In Italia, la tappa più importante di
questo percorso è nel 1978 l’approvazione della Riforma Sanitaria, la legge 833, che diede vita,
negli anni ’80, a un Servizio Sanitario Nazionale che doveva offrire uguali prestazioni a tutti i
cittadini. Alla base della riforma ci sono delle linee guida: Prevenzione delle malattie e del
disagio sociale; Superamento di ogni intervento emarginante; L’integrazione tra servizi sociali
e sanitari; La partecipazione dei cittadini alla programmazione e al controllo dei servizi. Viene
quindi istituito un unico ente responsabile della politica sanitaria (il Servizio Sanitario Nazionale)
e contemporaneamente molte funzioni sono state demandate alle Regioni.

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36. AOM ANALISI ORGANIZZATIVA MULTIDIMENSIONALE

Le organizzazioni sono fenomeni complessi e per descriverle è necessario adottare un approccio


multidimensionale. In particolare ci sono quattro approcci principali dell'analisi organizzativa:
l’approccio Sociologico-strutturale: centra il focus su distribuzione del potere, qualità del lavoro
e conflittualità; l’approccio Sistemico-funzionale: evidenzia la cooperazione; l’approccio Socio-
analitico: studia le componenti inconsce individuali e collettive (difese, emozioni, pensieri);
l’approccio Psicosociale: approfondisce il fattore umano e lo sviluppo delle risorse in relazione
all'efficienza organizzativa. Negli ultimi anni, molti autori hanno messo in atto tentativi di
integrazione, come il Metodo delle Metafore di Morgan: che permette una lettura complessa
attraverso metafore quali macchina, cervello; la Metodologia dell'Intervento dei sistemi totali
di Flood e Jackson: fa riferimento ad un certo numero di metafore sui sistemi per favorire il
pensiero creativo.. In particolare un metodo di analisi delle organizzazioni molto importante e
usato dagli psicologi di comunità è l’AOM elaborata da Francescato nel 1988, utilizzata come
strumento diagnostico e tecnica di formazione, modalità di ceckup organizzativo in un momento
di crisi dell'organizzazione.

37. AOM ASSUNTI DI BASE

Gli Assunti di base dell’AOM sono: tutte le realtà organizzative hanno variabili comuni; i diversi
approcci si focalizzano su aspetti diversi dell'organizzazione; nessuna lettura del funzionamento
organizzativo è più vera di altre, sono visioni diverse della stessa realtà. Per quanto riguarda gli
Obiettivi usare una approccio multidimensionale permette di : aumentare le capacità dei singoli
soggetti di valutare problemi e i punti di forza della propria organizzazione; per formulare
diagnosi multipla; e permette ai soggetti di essere consapevoli di tutte le variabili utili da
considerare per il cambiamento e che promuovano l'empowerment organizzativo. I Benefici
connessi all’uso dell’AOM come schema-guida: permette al consulente di avere una visione
d'insieme del funzionamento dell’organizzazione; Accresce la capacità di analisi di chi dirige e
lavora nella stessa organizzazione; Esamina il grado di accordo psicosociale; Valuta l’aspetto
psicologico delle variabili organizzative; Esamina aspetti soggettivi e oggettivi dell'organizzazione.
Inoltre l’AOM costituisce una chiave di lettura delle realtà organizzative che tiene conto di 4
dimensioni: la Dimensione Strategico-strutturale; la Dimensione funzionale; La Dimensione
Psicodinamica; Socio-analitica.

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38. AOM DIMENSIONI

l’AOM costituisce una chiave di lettura delle realtà organizzative che tiene conto di 4 dimensioni:
la Dimensione Strategico-strutturale: che comprende gli aspetti giuridici-legislativi, economici-
sociali, politici-sociali, architettonici immobiliari; la Dimensione funzionale: elaborato da
Tancredi. Secondo l’autore ogni organizzazione è vista come un organismo inserito nell'ambiente
costituito da 3 sistemi: sistema del controllo di gestione, che indica le funzioni di pianificazione,
organizzazione, controllo; il sistema operativo. Si distinguono 3 sottosistemi: acquisizione,
trasformazione e collocazione delle risorse; il sistema informativo include le funzioni di
raggruppamento delle informazioni e consiste in 5 fasi: raccolta dati, trasmissione dati,
archiviazione, elaborazione dati. La Dimensione Psicodinamica: Modo in cui viene vissuta a livello
inconscio l'organizzazione da parte del singolo, spesso vi è una relazione ambivalente (sia positiva
che negativa) e genera un conflitto intrapsichico che spesso viene affrontato attraverso uso di
meccanismi di difesa primitivi o come la scissione e la proiezione che può portare a
responsabilizzazione dei livelli inferiori o delega verso l'alto.

39. BURN-OUT

Può essere definito come una particolare tipologia di stress cronico, che comporta uno stato di
sofferenza psicofisica del soggetto, insieme ai sentimenti di inadeguatezza professionale,
mancata gratificazione personale, demotivazione, disinvestimento, risentimento e cinismo
rispetto al lavoro. In particolare quando l'operatore sente di non poter rispondere efficacemente
alle richieste degli utenti, può manifestare sintomi fisici, psicologici, comportamenti e relazionali.
Secondo Maslach la sindrome é caratterizzata da 3 dimensioni: esaurimento emotivo,
depersonalizzazione, ridotta realizzazione. I sintomi si distinguono in: aspecifici (irrequietezza,
stanchezza, esaurimento); somatici (ulcere, cefalee, nausea), psicologici (depressione, bassa
stima di sé, senso di colpa). L’insorgenza della sindrome segue generalmente 4 fasi: l’entusiasmo
idealistico ovvero idealizzazione della scelta professionale; la stagnazione: l’operatore lavora ma
si accorge che il lavoro non soddisfa del tutto i propri bisogni; la frustrazione, è la fase più critica
in quanto non si sente più in grado di aiutare nessuno; e l’apatia, fase in cui si ha una vera e
propria morte professionale. Colpisce gli operatori socio-sanitari, il personale di servizio, gli
insegnanti. Le cause derivano da fattori ambientali e sociali, lavorativi, individuali. Gli interventi
per prevenire la sindrome di Burn-out sono: lo Sviluppo dello staff; Intervento sull'organizzazione
del lavoro; Sviluppo programmi di formazione per dirigenti; Gestione di conflitti organizzativi;
Definizione degli obiettivi dei programmi e modelli di gestione; Formazione operatori.

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40. BURN-OUT MASLACH

Uno dei modelli più noti per descrivere il fenomeno del burn-out è quello proposto da Maslach
che, con il termine sindrome del burn-out fa riferimento ad una condizione di esaurimento e di
demotivazione riscontrata soprattutto negli operatori socio-sanitari. L’autrice soprattutto in
questo ambiente, osserva che dopo un periodo di gratificazione e di entusiasmo il professionista
tende ad esaurirsi e, appunto a demotivarsi. Oggi viene considerata una malattia in preoccupante
aumento ed è molto comune tra i professionisti del sociale come gli operatori di comunità, gli
educatori, gli insegnanti, i riabilitatori psichiatrici, gli assistenti sociali o gli infermieri nei quali
infatti il coinvolgimento emotivo e lo stress psicologico sono evidenti. L’autrice propone un
modello a tre componenti: 1) esaurimento emotivo: 2) depersonalizzazione: 3) ridotta
realizzazione personale. E’ importante specificare che le componenti non devono essere intese
come delle fasi che si succedono in maniera rigida, ma sono degli elementi di un disagio unitario
e sono influenzate dal contesto sociale in cui il professionista lavora. La rilevanza poi di queste
dimensioni è stata rilevata dalla prassi empirica, grazie ad uno strumento di misura introdotto
dalla stessa Maslach; si tratta del questionario self-report tradotto. Esso mira ad indagare le tre
dimensioni, attraverso l’utilizzo di 22 item. Nel questionario le dimensioni sono considerate come
delle sub scale e sono così divise: l’esaurimento emotivo ha 9 item; la depersonalizzazione 5 item;
la realizzazione personale 8.

41. EMPOWERMENT

È uno dei temi centrali della ps comunità, concetto chiave apparso negli anni '70. È un processo
che permette di acquisire potere e accrescere la capacità delle persone. Le Caratteristiche
dell’empowerment sono: la capacità di esercitare controllo sulle decisioni; la consapevolezza
critica; azione collettiva, ovvero azioni messe in atto per raggiungere gli obiettivi attraverso la
mobilitazione delle risorse esistenti. Secondo una definizione più recente si tratta di un costrutto
“multilivello”: un livello Psicologico: che comprende le variabili intrapsichiche e relazionali del
soggetto; Organizzativo: che comprende la mobilitazione delle risorse sociali e l’opportunità di
partecipazione; un livello Sociale e di comunità.In particolare l’Empowerment psicologico è un
Continuum che va da una condizione di passività a una condizione in cui il soggetto ha controllo
sugli eventi partecipando e impegnandosi nella comunità. Bandura: lo definisce come la
convinzione di poter padroneggiare con successo le situazioni. Secondo Bruscaglioni è il processo
di ampliamento delle possibilità che il soggetto ha, attraverso il miglior uso delle risorse. Secondo
Torre è un processo attraverso il quale le persone acquisiscono la forza di partecipare,
condividere e influenzare eventi e istituzioni. L’Empowerment sociale è definito come il processo
intenzionale continuo e centrato sulla comunità locale che comporta rispetto reciproco,
riflessione critica, cura e partecipazione di gruppo, una comunità disempowerment è priva di
potere e speranze. Lo sviluppo dell'empowerment sociale è reso possibile dall'azione sociale, lo
sviluppo sociale e l'aumento del senso di comunità.

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42. EMPOWERMENT KIEFER

È uno dei temi centrali della ps comunità, concetto chiave apparso negli anni '70. È un processo
che permette di acquisire potere e accrescere la capacità delle persone. Secondo una definizione
più recente si tratta di un costrutto “multilivello”: un livello Psicologico: che comprende le
variabili intrapsichiche e relazionali del soggetto. Kiefer nell’81 lo definisce come un processo di
acquisizioni di abilità politiche, informazioni e competenze e ritiene che i requisiti per poter
parlare di empowerment sono: lo sviluppo di un potente senso del sé (sense of self) che
promuove il coinvolgimento sociale affettivo; la capacità di fare un’analisi critica dei sistemi
sociali e politici che definiscono il proprio ambiente; l’abilità di sviluppare strategie di azione e
coltivare risorse per raggiungere i propri scopi; la capacità di agire in modo efficace in
collaborazione con altri per definire e raggiungere degli scopi collettivi. L’empowered è quindi
colui che controlla la propria vita, partecipa ad associazioni e organizzazioni in modo da acquisire
potere e aumentare la percezione della propria competenza.

43. EMPOWERMENT PROGETTO PER GLI STUDENTI

ha lo scopo di promuovere l’empowerment individuale l’ empowerment e di gruppo, e di


modificare l’atteggiamento verso il lavoro negli studenti di una scuola superiore in un’area con
elevato tasso di disoccupazione. Gli psicologi che si sono occupati del progetto hanno elaborato
un programma basato su un mix di tecniche di educazione socio-affettiva e di psicologia di
comunità. Gli studenti hanno utilizzato il circle times per discutere i loro atteggiamenti e desideri
verso il lavoro e i loro sentimenti soprattutto verso il lavoro autonomo e quello dipendente. In
più sono stati fatti interventi per avvicinare la scuola al mondo del lavoro facendo raccontare ai
ragazzi quello che secondo loro sono le prospettive di lavoro per i giovani. Quello che emerge è
un clima emotivo fatto di rassegnazione e disperazione, spesso apatia. Molti immaginano di non
trovare lavoro e di finire in carcere o di cadere nella droga. Un piccolo gruppo pensa di trovare
un lavoro valido presentando un clima emotivo meno depresso e un certo ottimismo nei
confronti del futuro. Un interessante risultato è emerso nel follow – up svolto un anno dopo in
cui un certo numero di studenti, genitori, insegnanti soddisfatti dell’esperienza svolta hanno
cercato fondi per riproporre il progetto in altre scuole, mentre nelle regioni più disagiate non è
stato riattivato nessun corso dimostrando invece la necessità di strategie di intervento più lunghe
appunto in zone disagiate.

44. STRATEGIE DI EMPOWERMENT DI RETE

Le Strategie di empowerment di rete hanno l’obiettivo di promuovere relazioni e scambi, tra


organizzazioni lavorative, sindacali, servizi soci sanitari e ricreativi, istituzioni (ministeri,
assessorati, associazioni e gruppi di territorio) per affrontare insieme un problema di interesse
comune. Ci sono diversi modi in cui le organizzazioni lavorative possono essere al servizio del

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territorio : offrendo le strutture aziendali come luoghi di incontro per le associazioni di quartiere
o per sponsorizzare feste, eventi, ricorrenze o progetti proprio di miglioramento del quartiere;
sostenendo l’empowerment dei prepensionati che svolgono attività di volontariato prima di
andare in pensione. Infatti, questi lavoratori vengono prestati dall’azienda alle associazioni di
volontariato che possono avere bisogno delle loro competenze. Il mentoring: attività di
volontariato su ragazzi che hanno problemi a scuola. Le aziende cedono alcune ore, pagate
dall’azienda stessa, ad alcuni dipendenti per organizzare corsi o stage formativi che facilitano
l’accesso dei giovani in azienda. Un altro ambito attuale di applicazione della psicologia di
comunità è il panorama politico e la pubblica amministrazione. I settori in cui la psicologia di
comunità è chiamata dalla legislazione ad attivarsi sono quelli della politica sociale, e dello
sviluppo del lavoro. Nell’ambito della politica sociale la Commissione Europea si è interessata
alle questioni riguardanti le pari opportunità fra uomo e donna, la sicurezza sociale dei lavoratori
migranti e il razzismo. Un altro contesto applicativo è la pubblica amministrazione.

45. GLI EVENTI NORMATIVI E PARANORMATIVI

Gli eventi normativi sono eventi prevedibili o previsti, sono attesi dagli individui che imparano a
sviluppare una mappa mentale delle fasi del ciclo vitale che permette loro di ipotizzare cosa
accadrà nel prossimo futuro e di valutare di conseguenza l’adeguatezza, rispetto all’età, del
proprio comportamento nei vari periodi della vita. Dal momento in cui sono associati alle
transizioni da uno stadio di sviluppo a un altro questo tipo di crisi prende il nome di crisi
evolutiva (ad esempio: l’ingresso nella scuola per un bambino, o nel mondo del lavoro per un
giovane adulto, il fidanzamento o il matrimonio, la nascita del primo figlio, il distacco di un figlio
adolescente, il pensionamento, ecc.). Ciò che è importante sottolineare è che la prevedibilità
della crisi comporta un orientamento verso interventi di tipo preventivo. Gli eventi
paranormativi sono, invece, eventi accidentali, inaspettati, improvvisi e spesso causati da cause
ambientali (esempio morti a causa di incidenti o per malattie improvvise, rapine o sequestri).
Poiché si tratta di eventi imprevedibili la crisi prende il nome di “crisi situazionale”. Rispetto alle
conseguenze della crisi uno dei più ovvi effetti è lo stato di sconvolgimento o squilibrio
emozionale, da cui derivano sentimenti di tensione, incapacità e disperazione della persona
durante il periodo di crisi, può toccare molti aspetti della vita dell’individuo: comportamenti,
pensieri, sentimenti, relazioni sociali. Un individuo in crisi tende ad essere più debole,
suggestionabile e vulnerabile (aspetto negativo) che, paradossalmente implica anche un aspetto
positivo dal momento che le difese sono per un certo periodo destrutturate, c’è maggiore
disponibilità e apertura al cambiamento.

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46. LA PSICOLOGIA DELL’EMERGENZA

Si occupa dello studio della prevenzione e del trattamento dei fenomeni psichici, cognitivi e
comportamentali che insorgono in situazioni di emergenza. Alcune delle principali caratteristiche
di questo tipo di interventi sono il non avere come scopo l’analisi delle cause profonde ; si
propone infatti di conoscere le modalità di attuazione nel “qui e ora”, verificando come le
persone fanno fronte agli eventi critici. Per questo si dovranno distinguere gli aspetti che tendono
a mantenere o a rinforzare la situazione di crisi dalle componenti invece in grado di favorire
potenzialmente un cambiamento costruttivo. L’obiettivo non consiste tanto in una ricostruzione
o in una trasformazione strutturale dell’individuo, quanto in un cambiamento comportamentale
inteso come acquisizione di nuove capacità di risolvere quel problema specifico. Nella psicologia
dell’emergenza l’intervento a breve termine e limitato nel tempo è il trattamento di elezione
nelle situazioni di crisi La durata del processo di aiuto dovrebbe corrispondere più o meno al
tempo in cui si ristabilisce spontaneamente la stabilità personale. L’intervento sulla crisi richiede
agli operatori un comportamento più attivo, più direttivo e più orientato al problema, rispetto
ad altri tipi di terapia. La psicologia dell’emergenza ha due settori principali di intervento: sul
singolo: si occupa degli eventi traumatici che la persona subisce direttamente e a cui si trova ad
assistere o dei quali viene a conoscenza; sulla collettività: si occupa degli eventi traumatici che
colpiscono intere comunità.

47. LA PSICOLOGIA DELL’EMERGENZA IN ITALIA

La psicologia dell’emergenza in Italia ha una storia piuttosto recente; il primo intervento


significativo della psicologia dell’emergenza è stato la fondazione dell’Istituto di Sociologia
internazionale di Gorizia in seguito al terremoto in Friuli nel 1976. L’ISIG si occupa di attivare
interventi di: – informazione: volti a rendere consapevoli le varie comunità dei rischi presenti nel
loro territorio e della possibilità di ridurli; formazione: con l’obiettivo di sviluppare nel sistema
sociale quelle competenze che possono renderlo in grado di reagire adeguatamente al verificarsi
di una situazione di emergenza. La psicologia dell’emergenza risulta essere molto impegnativa
perché abbraccia situazioni spesso drammatiche con individui che mettono in atto resistenze
profonde che si manifestano attraverso silenzi protratti e aggressività. Mauri, ritiene che tutti i
quadri clinici, ovvero tutte le risposte disadattive che chiedono di essere gestite, possono
riguardare il singolo come la collettività quando questa è sottoposta a stress dovuto a calamità
naturali o eventi eccezionali; per questo motivo le procedure adottate da un’équipe psicologica
che opera dopo un disastro naturale sono le stesse di una équipe psicologica in una UCP, dal
momento che entrambe intervengono in una situazione di crisi e le tecniche di approccio al
problema risultano simili.

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48. LA DEISTITUZIONALIZZAZIONE

Nel corso degli anni la deistituzionalizzazione ha assunto significati diversi : ha significato la lotta
contro ogni pratica terapeutica basata sulla restrizione fisica della libertà individuale ed è stato
considerato un approccio teso a bilanciare i rapporti di forze tra l'individuo ed il sistema. Come
concetto deve molto ai contributi della sociologia, della psicologia sociale e dell'antropologia e
ad autori come Goffman e Focò. Attualmente la deistituzionalizzazione può essere considerata
come un processo in cui l'individuo, in particolare il cittadino con gravi disturbi psichici, ottiene
una maggiore autonomia ed autorità riguardo alle decisioni della sua vita in tutte le fasi della
carriera di paziente psichiatrico rispetto ai professionisti che sono impiegati dalle istituzioni
psichiatriche o ad altri rappresentanti di istituzione coinvolti nei complicati processi che regolano
il trattamento di queste persone. L'intera pratica della deistituzionalizzazione si conforma ad un
ideale implicito di aumentare la possibilità di scelta dell'individuo ammalato. Per quanto riguarda
la situazione italiana, una tappa importantissima nel processo di deistituzionalizzazione è
rappresentata dalla legge 180, conosciuta anche come legge Basaglia. In generale la legge
basaglia ha previsto la chiusura dei manicomi, definiti come dei veri e propri lager, e l'inserimento
degli utenti in strutture alternative come i centri diurni, le case famiglia ecc. Questa legge
introduce il concetto della centralità della persona umana rispetto a qualsiasi tipo di intervento
sulla malattia, mettendo fuori legge ogni attività repressiva nei confronti del malato, compresa
la coercizione dell'azione di ricovero.

Deistituzionalizzazione in america. In America i programmi di deistituzionalizzazione cercano di


attuare tre fasi: un intervento dentro l’ospedale per umanizzare la struttura e il trattamento e
per favorire un processo di autonomia dei singoli pazienti ricoverati; la programmazione di una
situazione di vita protetta all’interno della comunità, nello specifico grazie alla creazione di
comunità alloggio, case famiglia, il day hospital, tenendo presente il grado di autonomia
raggiunto dal paziente; un totale reinserimento nella comunità. Tutte le ricerche effettuate in
America mettono in evidenza che il programma di dimissioni dall’istituzione fallisce quando non
è supportato da un precedente programma riabilitativo o quando non c’è un sostegno reale per
l’inserimento in comunità. Quindi è necessario creare delle condizioni riabilitanti e un’ efficace
preparazione al rientro in comunità già all’interno delle istituzioni totali: predisporre una rete di
servizi che accolga la persona subito dopo le dimissioni, per prestare aiuti economici e consulenze
occupazionali o ricreative; preparare la famiglia quando questa esista, al rientro a casa del
paziente; creare un rapporto collaborativo tra gli operatori delle istituzioni ospedaliere e quelle
delle istituzioni territoriali; formare e riqualificare il personale socio sanitario e operare una
continua pressione politico professionale verso la deistituzionalizzazione

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49. LA TEORIA DELLA DEISTITUZIONALIZZAZIONE

Nel corso degli anni la deistituzionalizzazione ha assunto significati diversi : ha significato la lotta
contro ogni pratica terapeutica basata sulla restrizione fisica della libertà individuale ed è stato
considerato un approccio teso a bilanciare i rapporti di forze tra l'individuo ed il sistema. La teoria
della deistituzionalizzazione si fonda su alcuni assunti di base. La prima considerazione da fare è
che ogni stato ha 4 problemi sociali : la malattia, la follia, la povertà e la delinquenza. Per ognuno
di questi problemi esiste una istituzione deputata a gestirlo. La deistituzionalizzazione prende
avvio dalla constatazione che l'istituzione psichiatrica tradizionale nel tentativo di perseguire la
guarigione ottiene invece una cronicizzazione del problema mentale. Con la
deistituzionalizzazione si sposta l'interesse dalla malattia mentale alla sofferenza mentale, si da
una maggiore enfasi alla natura complessa dell'uomo e ci si predispone alla comprensione del
sintomo e ad un intervento più mirato. La deistituzionalizzazione, è intesa proprio come la
necessità di smontare l'istituzione e nel caso specifico di smontare l'apparato psichiatrico che
gestisce un oggetto diverso da quello reale per costruire una nuova psichiatria che si interessa
della sofferenza mentale. E' possibile rintracciare due fasi nel processo di deistituzionalizzazione
: la fase di deistituzionalizzazione manicomiale e la fase territoriale o di comunità.

50. DEISTITUZIONALIZZAZIONE LEGGE BASAGLIA

Una tappa importantissima nel processo di deistituzionalizzazione è rappresentata dalla legge


180 del 1978. Questa legge, conosciuta anche come legge Basaglia, in un secondo momento
confluì quasi per intero nella legge 833 con la quale viene istituito il Servizio Sanitario Nazionale.
La legge Basaglia consta di 11 articoli ognuno dei quali è poi costituito da diversi commi. In
generale la formula della legge 180 ha previsto la chiusura dei manicomi, definiti come dei veri e
propri lager, e l'inserimento degli utenti in strutture alternative come i centri diurni, le case
famiglia ecc. Questa legge introduce il concetto della centralità della persona umana rispetto a
qualsiasi tipo di intervento sulla malattia, mettendo fuori legge ogni attività repressiva nei
confronti del malato. Proibì ogni ghettizzazione dei malati mentali in strutture totali, restituendo
protezione e dignità sociale ed umana all'interno di un diritto di cittadinanza che è inalienabile.
La legge 180 poi istituì i reparti di psichiatria all’interno degli ospedali prevedendo anche il ricorso
ai ricoveri obbligatori soltanto in circostanze eccezionali e per brevissimi periodi di tempo dando
cosi il via alla diffusione di strutture territoriali per i servizi di salute mentale e alla
regionalizzazione della gestione di tali servizi.

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51. CRISI

Al termine Crisi viene dato non solo un’accezione negativa, ma occasione per scegliere,
potenzialità di cambiamento. Tra i contributi teorici troviamo Lindemann il quale identificò tre
fasi fisiologiche necessarie per il superamento dello stato di crisi (lutto): accettazione delle
emozioni dolorose provocate dalla perdita; riesame attivo delle esperienze e dei vissuti;
sperimentazione di nuovi modelli. In particolare Terkelsen postula la necessità in un momento
di crisi della messa in atto di meccanismi di adattamento, un cambiamento e una riorganizzazione
degli strumenti usati nella gestione degli eventi della vita. Studiando le dinamiche familiari,
l'autore distingue tra eventi critici normativi o prevedibili e eventi paranormativi o accidentali.
Caplan individua quattro stadi di evoluzione di una crisi: aumento di tensione in seguito ad un
evento esterno, sensazione di inefficacia, mobilitazione di risorse personali o ambientali, crisi
vera e propria se nessuna strategia ha successo. Una crisi può evolvere in tre modi: ripristino
della situazione precedente, crescita psicologica e reazione disfunzionale persistente. Gli
interventi attuabili nelle situazioni di crisi sono diversi a seconda che gli eventi che hanno causato
la crisi siano prevedibili o meno. Quando si ha a che fare con eventi prevedibili si lavora
principalmente sulla preparazione alle conseguenze dell'evento, avendo ben chiaro l'evento
stressante, è possibile identificarne anche gli effetti. Gli interventi si basano su strategie di
gestione dello stress sia a livello cognitivo comportamentale, sia psicofisiche e emotive. Quando
al contrario si tratta si eventi imprevedibili è necessario mettere in atto vari tipi di intervento:
interventi di primo e secondo ordine o), interventi di psicologia dell'emergenza, interventi di
prevenzione alla cronicizzazione dei danni post-traumatici.

52. CRISI LINDEMANN

I primi studi sulla crisi sono stati effettuati da Lindemann, psichiatra del Massachusetts, che
condusse i primi studi sulla crisi, seguendo un centinaio di persone che avevano perso
all’improvviso parenti o amici in seguito a un incendio scoppiato in un night-club di Boston.
L’autore seguì molte di questa persone che presentavano stati d’ansia e di depressione
ipotizzando che essi non riuscivano ad elaborare in modo adeguato il proprio dolore. Grazie
all’esperienza di questo lavoro clinico, Lindemann identificò tre fasi nel processo di
“elaborazione del lutto”. 1. accettazione delle emozioni dolorose provocate dalla perdita: il cui
scopo è quello di rievocare i ricordi associati con l’evento traumatico e, quindi, l’intervento del
terapeuta aiuta il paziente a esprimere emozioni connesse all’evento traumatico; 2. riesame
attivo delle esperienze ed eventi, positivi e negativi, vissuti col defunto: lo scopo di questo stadio
è di aiutare l’individuo ad apprezzare la ricchezza del suo rapporto con lo scomparso senza
idealizzarlo; 3. sperimentazione di nuovi modelli di relazioni e interazione di ruoli in grado di
sostituire alcune delle funzioni che il defunto adempiva nella vita del superstite. Questo primo
lavoro di elaborazione si basa su alcuni elementi fondamentali: la catarsi emozionale; la
valutazione cognitiva; lo sviluppo di nuove forma di comportamento.

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53. CRISI TERKELSEN EVENTI CRITICI IN NORMATIVI E PARANORMATIVI

Terkelsen in questo ambito distinse gli eventi critici in normativi e paranormativi a seconda della
loro prevedibilità.

Gli eventi normativi sono eventi prevedibili o previsti, sono attesi dagli individui che imparano a
sviluppare una mappa mentale delle fasi del ciclo vitale che permette loro di ipotizzare cosa
accadrà nel prossimo futuro e di valutare di conseguenza l’adeguatezza, rispetto all’età, del
proprio comportamento nei vari periodi della vita. Dal momento in cui sono associati alle
transizioni da uno stadio di sviluppo a un altro questo tipo di crisi prende il nome di crisi. è
importante sottolineare è che la prevedibilità della crisi comporta un orientamento verso
interventi di tipo preventivo. Gli eventi paranormativi sono, invece, eventi accidentali,
inaspettati, improvvisi e spesso causati da cause ambientali (esempio morti a causa di incidenti
o per malattie improvvise, rapine). Poiché si tratta di eventi imprevedibili la crisi prende il nome
di “crisi situazionale”. Rispetto alle conseguenze della crisi uno dei più ovvi effetti è lo stato di
sconvolgimento o squilibrio emozionale, da cui derivano sentimenti di tensione, incapacità e
disperazione della persona durante il periodo di crisi, può toccare molti aspetti della vita
dell’individuo: comportamenti, pensieri, sentimenti, relazioni sociali. Un individuo in crisi tende
ad essere più debole, suggestionabile e vulnerabile che, paradossalmente implica anche un
aspetto positivo dal momento che le difese sono per un certo periodo destrutturate, c’è
maggiore disponibilità e apertura al cambiamento.

54. I GRUPPI DI LAVORO

sono gruppi costituiti da persone che condividono un compito, che hanno un obiettivo da
raggiungere. Il tratto che li caratterizza di più è l’interdipendenza fra i membri, necessaria per il
raggiungimento dello stesso obiettivo. Nel momento in cui si individuano le competenze,
distribuiscono i ruoli e le responsabilità, si programmano i tempi e le modalità di attuazione del
lavoro in un’ottica di compartecipazione e condivisione. Una distinzione necessaria da fare è
quella che esiste tra gruppo di lavoro e lavoro di gruppo; Muti, 1986 intende come gruppo di
lavoro un gruppo più o meno formale di persone che costituiscono una unità organizzativa di
dimensioni ridotte e che lavorano insieme per il raggiungimento dell’obiettivo. Il lavoro di gruppo
è un metodo da adottare per raggiungere un obiettivo non realizzabile singolarmente perché
necessita di coordinare l’azione di più persone. Gli interventi della psicologia di comunità nei
gruppi di lavoro mirano a migliorare la qualità della vita delle persone che ne fanno parte,
aumentando le caratteristiche positive del setting ambientale in modo che tutti trovino
possibilità di crescita reali e svolgano mansioni adeguate alle proprie competenze e ai propri
bisogni e rinforzando l’empowerment, creando degli obiettivi realisticamente raggiungibili, ed
evitando sentimenti di onnipotenza o, al contrario di frustrazione. Gli psicologi di comunità
intervengono nei gruppi di lavoro mediante molteplici strategie: l’analisi organizzativa; la
consulenza sistemica; l’intervento sulla crisi; la ricerca-intervento.

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55. GRUPPI - PICCOLI GRUPPI

La psicologia di comunità dà molta importanza ai piccoli gruppi, la scuola, il lavoro, ecc, … perché
proprio in questi si sviluppano i legami deboli in cui l’individuo può sperimentare la solidarietà e
l’appartenenza senza sentirsi costretto. I piccoli gruppi sono considerati, in psicologia di
comunità, strutture intermedie tra l’individuo e la comunità e sono sistemi costituiti da un
numero ristretto di persone in cui i bisogni personali possono essere soddisfatti ma in cui nascono
anche i sentimenti di rispetto per l’altro o le capacità di cooperazione, e che ci rendono capaci di
vedere che ci sono diversi punti di vista. Il piccolo gruppo è molto importante perché consente di
soddisfare i bisogni che ogni persona ha di appartenenza, di sentirsi parte di qualcosa cercando
di vedere ciò che ci rende più simili e non ciò che ci contraddistingue, e uno di individuazione,
che ci spinge a raggiungere gli obbiettivi e a distinguerci in qualche modo dagli altri sviluppando
delle competenze, delle capacità o delle attitudini particolari. Il piccolo gruppo è importante
perché permette di sperimentare l’interdipendenza, caratteristica che permette all’uomo di
riconoscere che si è utili agli altri come gli altri lo sono per il singolo e che insieme si possono fare
delle cose che da soli non si potrebbero fare..

56. GRUPPO DI LAVORO E LAVORO DI GRUPPO

I gruppi di lavoro sono gruppi costituiti da persone che condividono un compito, che hanno un
obiettivo da raggiungere. Il tratto che li caratterizza di più è l’interdipendenza fra i membri,
necessaria per il raggiungimento dello stesso obiettivo. Nel momento in cui si individuano le
competenze, distribuiscono i ruoli e le responsabilità, si programmano i tempi e le modalità di
attuazione del lavoro in un’ottica di compartecipazione e condivisione. Un gruppo di lavoro sono
ad esempio i medici e gli infermieri che possono lavorare in gruppo ma lo sono solo quando
possono operare insieme. Non è sempre detto che un gruppo di lavoro, le persone di un gruppo
di lavoro, lavorino in gruppo. Una distinzione necessaria da fare è quella che esiste tra gruppo di
lavoro e lavoro di gruppo; Muti, 1986 intende come gruppo di lavoro un gruppo più o meno
formale di persone che costituiscono una unità organizzativa di dimensioni ridotte e che lavorano
insieme per il raggiungimento dell’obiettivo. Il lavoro di gruppo è un metodo da adottare per
raggiungere un obiettivo non realizzabile singolarmente perché necessita di coordinare l’azione
di più persone.

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57. GRUPPI DI AUTO AIUTO SELF HELP

I Gruppi di auto-aiuto detti anche di self-help: sono tutte quelle misure adottate da non
professionisti per mantenere o recuperare la salute. Le caratteristiche di questi gruppi sono:
piccoli gruppi a base volontaria mirati al raggiungimento di scopi particolari, enfatizzano le
relazioni emotive faccia a faccia e il sostegno emotivo. Si tratta di gruppi spontanei basati
sull'orizzontalità, ogni membro é sia fornitore che destinatario di aiuto e le attività sono
autogestite. In particolare i gruppi di self help nascono in America ed assolvono a diverse
funzioni, quali: il sostegno emotivo; il sostegno informativo; la possibilità di sperimentare modelli
di ruolo; la possibilità di sperimentare modalità di self-empowerment; la possibilità di nuove
relazioni sociali; permettono un confronto su strategie di coping. Inoltre secondo Levy i gruppi di
self help si distinguono in: controllo comportamentale (es. Alcolisti anonimi), difesa e sostegno
dallo stress, azione sociale e crescita personale. Secondo Francescato e Putton all'interno dei
gruppi di auto aiuto si distinguono quelli mirati al controllo del comportamento
(tossicodipendenza, alcolisti), i gruppi di portatori di handicap o malattie croniche, gruppi di
famigliari di persone affette da patologie gravi e gruppi di persone in crisi esistenziale. I Fattori
che garantiscono efficacia a questi gruppi sono: Socio-emotivi: ovvero abbassamento della
resistenza al cambiamento, una comunicazione diretta, l’identificazione con altri membri, un
sostegno informativo e emotivo, la socializzazione, l’acquisizione dello status di gruppo.

58. GRUPPI AUTO AIUTO SECONDO FRANCESCANO E PUTTON

Secondo Francescato e Putton, nella loro più recente classificazione del 1995, affermano che si
possono distinguere 4 tipi di gruppi di auto aiuto a seconda del problema affrontato dai
partecipanti, e dai meccanismi di aiuto e cambiamento attivati al loro interno: 1. gruppi di
controllo del comportamento: Il compito del gruppo è quello di aiutare ad eliminare e a non
ripetere comportamenti problematici (esempi: Alcolisti Anonimi, gruppi di tossicodipendenti,
gruppi di persone con disturbi alimentari o di pedofili, ecc..); 2. gruppi di portatori di handicap o
malattie croniche: in questo caso le persone non hanno la possibilità di cambiare la condizione
in cui vivono; 3. gruppi di parenti di persone con problemi gravi: gli appartenenti non vivono in
prima persona il problema ma la loro vita ne è condizionata perché sono legati affettivamente
alla persona che soffre. Il gruppo si propone in questo caso di portare loro sostegno e aiuto per
gestire la situazione; 4. gruppi di persone che attraversano un periodo di crisi: per crisi
intendiamo un periodo di grande turbamento, di disorganizzazione psichica, dovuto ad un evento
improvviso o ad un cambiamento che comporta una riorganizzazione dell’immagine di sé e della
propria identità. Il gruppo in questo caso ha il compito di sostenere ed aiutare la persona durante
tutto il periodo della crisi.

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59. GRUPPI AUTO AIUTO EFFICACIA

Si possono distinguere diversi fattori di efficacia a seconda della tipologia di gruppo di auto
aiuto: nei gruppi di controllo del comportamento: i fattori di efficacia sono i meccanismi di
identificazione e il modellamento. All’interno di questi gruppi, infatti, aumenta la fiducia nelle
proprie capacità. Nei gruppi portatori di handicap o malattie croniche: i fattori che rendono
efficace il gruppo sono: il sostegno emotivo, il sostegno informativo, l’identificazione con il
gruppo dei pari. Nei gruppi di parenti di persone con problemi gravi: i fattori più importanti
sono: il sostegno emotivo, informativo e strumentale; nei gruppi di persone che attraversano un
periodo di crisi: è importante il sostegno sociale fornito dal gruppo attraverso l’identificazione e
l’aiuto reciproco. Diverse ricerche hanno mostrato che i gruppi di auto-aiuto sono realmente
efficaci nei loro obiettivi e anche più di altre forme di sostegno e rispetto a trattamenti
tradizionali farmacologico o psicoterapico. La letteratura mostra l’efficacia dei gruppi nel
controllo dei comportamenti desiderati nel trattamento dell’alcolismo e delle tossicodipendenze
in genere. Rispetto ai gruppi portatori di handicap o di malattie croniche ad esempio in ambito
oncologico si è riscontrato un aumento della possibilità di sopravvivenza e una riduzione dei
disturbi dell’umore Rispetto ai gruppi di persone che attraversano periodi di crisi diversi studi
hanno invece dimostrato che il gruppo previene o riduce gli effetti a lungo termine legati ad
eventi traumatici

60. SOSTEGNO SOCIALE MODELI

Per capire in che modo la rete sociale fornisce il sostegno sociale e influenza quindi il benessere
della persona, due sono fino ad ora le prospettive di studio che aiutano a capire le azioni da
intraprendere e le situazioni in cui il sostegno interviene influenzando lo stato di salute fisica. La
prima prospettiva è quella del modello diretto o dell’effetto primario che studia come il sostegno
agisca nelle circostanze di vita e ipotizza una connessione lineare e diretta, appunto un “effetto
primario”, sul benessere. Per esempio la continuità dell’azione di sostegno favorisce: lo sviluppo
personale; acquisizione di appropriate modalità di difesa; il mantenimento della salute
psicofisica. Un sostegno insufficiente invece può avere un’azione patogenetica e quindi
provocare nell’individuo una maggiore vulnerabilità alla malattia. Secondo questo modello,
quindi, il sostegno sociale svolge un’azione di promozione della salute che avviene sia in presenza
che in assenza degli eventi stressanti. Più analitico e complesso è il secondo indirizzo di studi
rappresentato dal modello indiretto o dell’effetto cuscinetto. Si parte dall’ipotesi che il sostegno
sociale funga da tampone o da cuscinetto protettivo nei confronti dello stress e ne moderi le
conseguenze. La relazione tra stress e malattia è mediata da una serie di fattori individuali e/o
ambientali e ciò che viene esaminato è il modo in cui le risorse sociali sostengono gli individui che
si trovano ad affrontare particolari momenti critici ed eventi stressanti della loro esistenza. Molti
sono gli studi condotti sull’azione del sostegno sociale come moderatore dello stress.

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61. SOSTEGNO SOCIALE FUNZIONI

Le funzioni svolte dal sostegno sociale sono: sostegno emotivo: è la manifestazione d’affetto,
l’interesse e l’amore per l’altro e la tendenza a soddisfare i bisogni socio emotivi di base; sostegno
strumentale: è una forma di assistenza o di aiuto che consiste in un intervento più pratico;
sostegno informativo: aiuto volto ad arricchire le conoscenze della persona, quindi tutti i tipi di
informazione che circolano all’interno della comunità; sostegno affiliativo: deriva
dall’appartenenza ai gruppi formali o informali e permette la possibilità dei contatti sociali, o il
trascorrere il tempo libero in attività ricreative, con le altre persone. E’ possibile distinguere due
tipi di sistemi di sostegno: Il sistema informale: comprende i legami con i familiari, gli amici intimi,
le persone con cui si ha un alto grado di conoscenza e di confidenza e con cui si condividono le
idee basilari sulla vita, sugli affetti, gli interessi e gli obiettivi sono i gruppi primari, a partire dalla
famiglia, e le aggregazioni spontanee, i gruppi dei pari. Il sistema formale: composto dalle
strutture istituzionali e i professionisti che operano in contesti di cura di riabilitazione e
prevenzione psicosociale.

62. IL SOSTEGNO SOCIALE E IL LAVORO DI RETE

La rete sociale è un insieme di relazioni interpersonali di un individuo e la sociometria è lo studio


e l’analisi delle relazioni spontanee tra individui, prende in considerazione i criteri socio-affettivo
e socio-funzionale, autore fondamentale è Moreno. In particolare l`analisi dei legami permette
di tracciare una mappa sociometrica che rappresenta la tipologia di legami esistenti tra individui.
Beckman e Syme dimostrarono l'importanza dei legami sociali rispetto al benessere della
popolazione. Il sostegno sociale è un supporto emotivo, informativo, morale e materiale che è
possibile ricevere o dare all'interno di una rete sociale. In particolare i modelli di funzionamento
del sostegno sociale sono: diretto: che afferma che vi é un collegamento diretto tra sostegno
sociale e benessere e esso svolge una funzione indipendentemente dai livelli di stress; indiretto:
che afferma che il sostegno sociale è un tampone nelle situazioni di stress. Gli Effetti del sostegno
sociale sono la riduzione di qualità e quantità degli stimoli stressanti; attenuazione della
percezione di stress. Le modalità di intervento sono: favorire il collegamento tra sistemi, la
promozione della competenza e ottimizzazione delle potenzialità supportive delle reti sia rivolti
a individui che sistemici finalizzati all'accrescimento delle potenzialità terapeutiche;

63. VOLONTARIATO

è un’ attività libera e gratuita svolta per ragioni di solidarietà e di giustizia sociale che si rivolge :
a persone in difficoltà; alla conservazione del patrimonio culturale e artistico; alla tutela della
natura e degli animali. Nasce dalla spontanea volontà dei cittadini di fronte a problemi non risolti
o non adeguatamente affrontati dallo stato e dal mercato. Spesso i volontari intervengono in
situazioni in cui il lavoro professionale ha minore accesso. La realtà del volontariato è

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attualmente molto diffusa in Italia che è l’unico Paese in Europa che ha emanato una legge, la
legge n. 266 del 1991, che regola il volontariato organizzato. La legge 266 regolarizza il
volontariato organizzato: stabilisce la gratuità assoluta delle prestazioni fornite dai volontari in
modo personale e spontaneo; fissa il divieto assoluto di retribuzione degli operatori soci delle
associazioni ; prescrive che le associazioni debbano presentare democraticità nella struttura e
l’elettività e la gratuità delle cariche associative. Il volontariato può essere prestato
individualmente, o all’interno di una organizzazione strutturata che può garantire la formazione
dei volontari, il loro coordinamento e la continuità dei servizi. Gli ambiti di competenza e i settori
verso cui si dirige l’azione dei gruppi di volontariato sono vari. Esistono gruppi che si occupano:
di prevenzione all’abuso all’infanzia; di tutela dei diritti del malato; di lavoro giovanile; di
donazione di organi; di servizi per handicappati; di prevenzione di tumori; di assistenza
domiciliare anziani; di assistenza infermieristica, ecc.

64. RETE SOCIALE

La rete sociale è un insieme di relazioni interpersonali di un individuo e la sociometria è lo studio


e l’analisi delle relazioni spontanee tra individui, prende in considerazione i criteri socio-affettivo
e socio-funzionale, autore fondamentale è Moreno. In particolare la Rete è una metafora che
indica un insieme di soggetti collegati da rapporti di diversa natura, in campo psicologico indica
l'insieme dei rapporti tra persone, organizzazioni e sistemi. In ambito psico-sociale si possono
distinguere due livelli di intervento di rete: uno centrato sull'individuo e la sua rete e uno centrato
sull'organizzazione. Le caratteristiche fondamentali del lavoro di rete sono l'interazione tra
soggetti, la stabilità delle relazioni e la strutturazione dello scambio. Secondo Lauffer il lavoro di
rete é un processo di cambiamento che coinvolge diversi livelli di un'organizzazione: uno
individuale, uno sistemico, un livello funzionale, uno strutturale, e un livello psico-sociale. In
particolare le Tipologie di rete sono: Coesa: che è caratterizzata da buone possibilità di sostegno
e forte controllo normativo; Frammentata: che è formata da piccoli gruppi indipendenti tra loro,
buone possibilità di sostegno, poco normativa; Dispersa: è formata da una rete di persone che
quasi non si conoscono e hanno relazioni sporadiche e una minima possibilità di ricevere
sostegno. Gli obiettivi del lavoro di rete sono: aumentare consapevolezza delle reti presenti;
valorizzazione elementi positivi delle relazioni; minimizzare dispersione delle risorse; rinforzare
legami esistenti e crearne nuovi; riorganizzazione sistemi di supporto; contattare gli
irraggiungibili. Entrare nell'ottica del lavoro di rete significa riconoscere il ruolo delle solidarietà
naturali. La rete e il sostegno sociale costituiscono una ricchezza personale e collettiva da
mantenere e alimentare.

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65. RETE SOCIALE MARSELLA E SNYDER

La rete sociale è l’insieme delle relazioni interpersonali che caratterizzano la vita quotidiana di
ogni singolo individuo. Importante è la definizione che ne da Mitchell, nel 1969, secondo cui è un
insieme specifico di legami tra un insieme definito di persone. Le caratteristiche dei legami
aiutano a comprendere e ad interpretare il comportamento sociale delle persone. Marsella e
Snyder si soffermarono sulla descrizione delle diverse caratteristiche e proprietà distintive delle
reti sociali, individuando quattro dimensioni: 1. La struttura: le variabili morfologiche quali
l’ampiezza, la densità, la frequenza delle interazioni. 2. L’interazione fra persone: le variabili che
descrivono il tipo di relazione quali la reciprocità, la simmetria, la direzionalità e la molteplicità.
3. La qualità delle relazioni: le variabili che descrivono la qualità affettiva dei legami, ossia se
sono legami di amicizia, intimità o superficiali. •4. La funzione: la funzione svolta dai membri
della rete, come sostegno emotivo, aiuto materiale, consigli per risolvere problemi, ecc.

66. IL LAVORO DI RETE

Il lavoro di rete è un processo che richiede cambiamenti che coinvolgono tutti i diversi livelli di
un’organizzazione a livello individuale: richiede un cambiamento dell’identità personale; a livello
sistemico: occorre che ogni centro di erogazione di servizi impari a percepire se stesso come un
elemento “necessario ma non sufficiente” al raggiungimento dell’obiettivo; a livello funzionale:
c’è il ripensamento delle funzioni, dei ruoli dei singoli servizi; a livello strutturale: il processo viene
facilitato attraverso delle innovazioni legislative che permettano di regolare in modo più flessibile
le attività lavorative; a livello psicosociale: è necessario il cambiamento dei ruoli, dei rapporti tra
operatori, degli stili di leadership, della distribuzione delle modalità comunicative. Rispetto agli
obiettivi che il lavoro di rete si prefigge, una volta individuata e rappresentata la rete sociale, si
può lavorare per raggiungere, obiettivi come: aumentare la consapevolezza delle reti presenti;
valorizzare gli elementi positivi delle relazioni; minimizzare la dispersione delle risorse della rete;
rinforzare e sostenere i legami o crearne di nuovi; riorganizzare i sistemi di supporto; contattare
gli irraggiungibili; Lavorare in un’ottica di rete significa riconoscere il ruolo delle “solidarietà
naturali”, sviluppare pratiche innovative, utilizzare in modo più efficiente le risorse professionali
della comunità.

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67. LA SCALA LIKERT

E’ un questionario per rilevare quattro modalità di direzione: Autoritaria: potere distribuito in


base a posizione gerarchica occupata. Partecipativa: potere distribuito in base alle mansioni e ai
risultati ottenuti. Paternalistica: potere distribuito a seconda di alleanze personali. Democratica:
potere distribuito senza controllo. Ai fini della valutazione vengono indagate le seguenti aree:
l’area degli obiettivi; l’area delle decisioni; l’area del controllo della direzione; l’area
dell’interazione, delle motivazioni e, infine delle comunicazioni. Una cultura autoritaria
caratterizza un’organizzazione in cui il potere viene attribuito ai vari membri ed è da loro gestito
sulla base di una posizione gerarchica occupata o sulla base delle direttive del regolamento
interno. Una cultura paternalistico-clientelare caratterizza l’organizzazione in cui il potere è
distribuito fra i vari membri a seconda però dei collegamenti personali, delle alleanze che il
membro riesce a realizzare con gli altri membri dell’organizzazione. La cultura professionale-
partecipativa, invece caratterizza quelle organizzazioni in cui il potere è attribuito ai vari membri
in base alle mansioni e ai risultati che le persone garantiscono. Infine, una cultura democratica
invece, caratterizza una cultura in cui il potere è attribuito ai vari membri ma senza un controllo
da parte dell’organizzazione stessa.

68. LA DEVIANZA

La devianza è un concetto molto studiato. Emile Durkheim è il primo a considerare la devianza e


i delitti come un “fatto sociale” normale, considerando il delitto per esempio una risposta alla
mancanza o la carenza di norme sociali. Parsons nel 1937 parla invece del comportamento
deviante come risultato di un apprendimento difettoso, un errore di socializzazione. Merton nel
1938 invece guarda alla devianza come ad un fenomeno che può svolgere una funzione positiva
stimolando e favorendo il cambiamento sociale. E’ causato da una situazione oggettiva in cui la
società non mette a disposizione tutti i mezzi necessari per raggiungere le mete proposte. Di
particolar interesse per la psicologia di comunità è anche la visione che si sviluppa dalla Scuola di
Chicago in poi Autori come Park giunsero ad indicare come zone più criminali e delinquenziali
delle città quelle caratterizzate da maggiore disorganizzazione e maggiore mobilità demografica.
Un altro approccio importante è quello della “Labelling Theory” che sottolinea l’influenza dei
fattori sociali e dei gruppi sociali sul comportamento deviante. Becker ritiene che la devianza sia
quel fenomeno etichettato come tale, e individua come elementi fondamentali della devianza: la
norma che, creata dai gruppi sociali, indica e differenzia le azioni giuste da quelle sbagliate; non
è scelta da tutti e per questo per alcuni sarà imposta. Secondo Becker bisogna considerare però
che un individuo può infrangere una norma aderendo alla mentalità del gruppo di appartenenza.
Quindi coloro che giudicano in base alla norma definiscono outsiders il deviante, ma anche il
deviante, non riconoscendosi in essi, può definire outsiders colui che lo giudica. In sintesi
possiamo dire che Becker considera la devianza come un’azione collettiva.

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69. STRESS

Il termine è stress è stato introdotto da Selye il quale considera lo stress come “una reazione
non specifica esibita dall’individuo quando deve affrontare un’esigenza o adattarsi ad una
novità”. Per reazione non specifica si intende uno stato di attivazione del sistema nervoso
vegetativo e del sistema endocrino che interviene di fronte a stimoli stressanti di diversa natura.
Lo stress è di per sé una reazione psicologica adattiva caratteristica della vita che può tuttavia
assumere un significato patogeno quando è prodotta in modo troppo intenso, o per lunghi
periodi di tempo e non si accompagna a risposte sufficientemente efficaci. Quando lo stress
perdura nel tempo, si verifica quella che Seyle definisce “sindrome generale di adattamento” e
che consiste in tre fasi tipiche di reazione fisiologica allo stress: 1. reazione di allarme:
comprende lo shock iniziale di fronte all’evento stressante e la successiva mobilitazione dei
meccanismi fisici di difesa che contribuiscono a mantenere l’omeostasi dell’organismo
nonostante i vari mutamenti provocati dagli agenti stressanti. 2. resistenza: si tenta di ristabilire
un nuovo equilibrio e un nuovo adattamento alla situazione modificata dal fattore di stress. 3.
esaurimento: l’individuo viene sopraffatto da stress ripetuti e cronici e non è più in grado di
reagire con meccanismi di allarme che, per definizione, non possono essere permanentemente
e stabilmente attivi. In tale fase aumenta il rischio di contrarre una malattia. E’ importante
sottolineare che certi eventi critici, possono avere significati differenti da persona a persona.

70. TOSSICODIPENDENZA

La tossicodipendenza è un fenomeno molto complesso e una forma particolare di devianza. Il


DSM-IV, la definisce come una modalità patologica d’uso di una sostanza che conduce a una
menomazione o ad un disagio clinicamente significativi, manifestato da tre (o più) condizioni che
ricorrono in qualunque momento in un periodo di 12 mesi: tolleranza; astinenza; desiderio
persistente o tentativi infruttuosi di ridurre o controllare l’uso della sostanza; una gran quantità
di tempo spesa in attività necessarie a procurarsi la sostanza, ad assumerla o a riprendersi dai
suoi effetti; interruzione o riduzione d’importanti attività sociali, lavorative. Le sostanze più
utilizzate sono: L’Oppio e i suoi derivati: l’eroina e la morfina; L’Alcool; La Cocaina; Le
Anfetamine; L’Extasy; Gli Psicofarmaci; Gli Allucinogeni; Cannabinoidi,La Nicotina e la Caffeina.
La tossicodipendenza, è il risultato di una regressione e fissazione ai primi stadi dello sviluppo
della persona, in particolare alla fase orale. Freud stabilisce una connessione tra la l’uso delle
sostanze e le spinte narcisistiche e gli stati maniacali di tipo ossessivo. Secondo Olievenstein il
tossicodipendente è un individuo divenuto adolescente con uno sviluppo incompiuto
determinato dall’ impossibilità di superare la “Fase dello specchio”. Secondo Bergeret il
tossicodipendente ha registrato delle delusioni precoci, continue e ripetute all’interno delle sue
relazioni primitive e fondamentali. Questo comporta gravi disagi, nonché il rimanere ad una
modalità aggressiva per la soddisfazione dei propri bisogni. Secondo l’autore, la tossicomania si
fonda su tre elementi fondamentali: la personalità del tossicodipendente; il tipo di sostanza e
l’effetto che produce; l’influenza dell’ambiente.

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71. TOSSICODIPENDENZA L’INTERVENTO DELLO PSICOLOGO DI COMUNITÀ

Oggi l’intervento dello psicologo di comunità è utile nel campo della: cura, riabilitazione e
reinserimento, prevenzione e repressione delle forme di devianza e di tossicodipendenza ed
infine, nella valutazione dell’efficacia e dell’efficienza delle stesse strategie messe in atto. Per
quanto riguarda la cura lo psicologo può lavorare favorendo lo sviluppo di gruppi di auto mutuo
aiuto, poiché la possibilità di comunicare all’interno del gruppo sul proprio disagio, permette di
elaborare il disagio e di sviluppare una capacità critica ma anche di riconquistare una dignità da
parte di un soggetto che nel frattempo si modifica. Lo psicologo di comunità può agire anche
sulla rete, ossia sul modo con cui una persona, i gruppi e la comunità, definiscono e rendono
comunicabile la rappresentazione della realtà che vivono quotidianamente. La prevenzione è
l’altro campo di intervento. In un’ottica comunitaria gli interventi di prevenzione come :
Programmi di prevenzione nella scuola; Interventi di riduzione del danno: quindi: limitare le
conseguenze sociali correlate all’uso delle droghe; salvaguardare la salute dei soggetti dediti alle
pratiche endovenose per quel che riguarda le patologie da siringa, promuovere iniziative
specifiche volte a ridurre il fenomeno della overdose; avanzare proposte in prospettiva di un
eventuale coinvolgimento in percorsi terapeutici, Ridurre il danno significa, attivare tutte quelle
forme possibili di contatto e di accompagnamento affinchè siano garantite le condizioni cliniche,
psicologiche e sociali che permettano alla persona di compiere liberamente le proprie scelte. E’
necessario quindi da una parte fare in modo che i soggetti devianti, soprattutto i
tossicodipendenti, scoprano le loro abilità sociali, dall’altra, rendere il tessuto sociale più
flessibile e più pronto ad accettare quella forma di abilità sociale.

72. DEVIANZA E TOSSICODIPENDENZA

La Devianza: è un concetto studiato dal sociologo Durkheim che affermava che devianza e delitti
costituiscono un fatto sociale normale; Parsons riteneva che il comportamento deviante fosse il
risultato di un difettoso apprendimento, mentre Merton attribuisce la causa del comportamento
deviante ad una condizione oggettiva di mancanza di strumenti imputabile alla società stessa
(movimento strutturalfunzionalista). Importante è stato il contributo della scuola di Chicago
(Park) che evidenziò il nesso tra delinquenza e disorganizzazione e mobilità demografica in
determinate zone della città. Secondo Becker la devianza è quel comportamento che viene
etichettato come tale, si tratterebbe dunque di un'azione collettiva. Il concetto di devianza è
strettamente legato a quello di sicurezza, considerata come la possibilità di tenere sotto controllo
i fenomeni sociali e di riuscire a dare un'identità stabile a ciò che costituisce una minaccia.

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73. LA FORMAZIONE PSICOSOCIOLOGICA NELLE ORGANIZZAZIONI

Quaglino tenta di formulare una teoria generale della formazione evidenziando l'importanza del
legame tra formazione e cambiamento. La formazione va progettata e realizzata seguendo 4
tappe fondamentali: analisi dei bisogni, progettazione, azione formativa, valutazione dei
risultati. Il lavoro di Kaneklin si fonda su un approccio storico-metodologico: a partire dallo
sviluppo della psicosociologia in Italia,egli propone un metodo che si fonda principalmente
sull'analisi della domanda e prevede il coinvolgimento del soggetto nella definizione
dell'intervento, si tratta di un approccio volto al learning by doing (apprendimento
dall'esperienza) e rende il cliente l'attore principale della formazione. Il modello di Monteil
individua tre sistemi formativi che si differenziano tra loro per struttura, contenuto, obiettivi e
metodi di intervento: il sistema finalizzato preprogrammato: è costituito da un insieme di
individui con bisogni simili, presuppone lo svolgimento di un programma per perseguire un
risultato stabilito; caratterizzato da certezza. Il sistema finalizzato divergente: è costituito da un
gruppo differenziato svincolato dal meccanismo di regolazione esterno. Il sistema contrattuale
finalizzato: é formato da membri in rapporto paritario, é scarsamente controllato dall'esterno e
potenzialmente pericoloso per le istituzioni, si basa sull'incontro e la messa in comune di
competenze e rappresenta la condizione ottimale per un processo di formazione, invita a
mettersi in gioco elaborando un progetto personale di ricerca. Questi tre sistemi sono diversi tra
loro, non esiste un sistema migliore di un altro,piuttosto di un modello dinamico unificato, un
sistema dei sistemi di formazione.

74. RICERCA E VALUTAZIONE IN PSICOLOGIA DI COMUNITÀ

La psicologia di comunità di comunità ha evidenziato l’ importanza dell'osservazione delle


persone nel contesto naturale di appartenenza, in cui l'attenzione è posta sulla relazione tra
individuo e ambiente. Oggetto di studio è dunque contemporaneamente individuo, gruppo,
società e relazioni tra i vari livelli. Gli Obiettivi principali della ricerca in psicologia di comunità
sono aiutare le persone a comprendere meglio il contesto in cui vivono e favorire nuovi modi di
valutare problemi. La metodologia di ricerca si avvale di metodi quantitativi e qualitativi. I primi
hanno il limite di richiedere campioni ampi, vi è la tendenza a generalizzare e la complessità degli
eventi viene snaturata. I metodi qualitativi hanno il vantaggio di fornire descrizioni accurate degli
eventi, consentono di identificare comportamenti complessi, permettono di studiare gli oggetti
nel loro contesto naturale. La Ricerca sperimentale: prevede un gruppo sperimentale e uno di
controllo, richiede molto rigore dunque è molto difficile da attuare. La Ricerca diagnostica:
metodo di indagine che coniuga informazioni raccolte con la formulazione di nuovi programmi. Il
Metodo degli indicatori sociali: è un metodo descrittivo finalizzato alla rilevazione sistematica di
misure di malessere e benessere (es. Criminalità, disoccupazione, mortalità...). La valutazione:
importante è verificare qualità ed efficacia dei programmi di intervento al fine di evitare sprechi,
correggere interventi inutili, scegliere alternative diverse, controllare proposte. La Ricerca
valutativa: sottolinea l'importanza della valutazione nell'ambito della ricerca, la valutazione deve
essere su misura e deve seguire l'evoluzione del programma di intervento.

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75. LA RICERCA AZIONE (ACTION-RESEARCH)

è stata introdotta da Kurt Lewin negli anni ’40, divenendo in seguito la metodologia per
eccellenza in psicologia di comunità. Secondo la teoria del campo lewiniana la comprensione dei
fenomeni sociali e psicologici implica l’osservazione delle dinamiche delle forze che sono presenti
e che operano in un determinato territorio. L’autore punta l’attenzione su un metodo di ricerca
che è strettamente legato all’azione, non una ricerca di tipo conoscitivo e fine a se stessa ma una
ricerca improntata sull’azione che serve a promuovere il cambiamento della realtà esistente. I
principi di fondo della ricerca intervento riconosciuti negli anni sono: Rapporto circolare tra
teoria e prassi, che producono continui processi di trasformazione. Partecipazione e
collaborazione dei soggetti cui l’intervento di cambiamento è diretto. Di conseguenza gli
obiettivi della ricerca intervento sono: Ampliare le conoscenze esistenti sia a livello individuale
che organizzativo. Legittimare la percezione dei membri della comunità. Modificare i processi
decisori. Influenzare modalità di organizzazione della comunità. Le fasi della ricerca intervento
sono: - Fase di diagnosi: individuazione del problema, delle ipotesi e degli obiettivi. - Fase
conoscitiva: raccolta dati prima dell’intervento, per avere un quadro della situazione. - Fase
dell’intervento. - Fase valutativa con la raccolta dati dopo l’intervento per sapere se l’intervento
è stato efficace. La ricerca intervento, Incoraggia l’integrazione tra saperi differenti, e Permette
di sottolineare il ruolo costruttivo dell’azione.

76. LA RICERCA SPERIMENTALE

La ricerca sperimentale è il metodo che consente di tracciare conclusioni più precise e permette
al ricercatore di considerare la relazione tra alcuni eventi mantenendo costanti tutte le altre
variabili. Attraverso l’uso di un gruppo sperimentale e di un gruppo di controllo si cerca di
verificare l’ipotesi e permettere in questo modo di compiere delle inferenze sui rapporti di causa
ed effetto fra le variabili oggetto di studio. La ricerca sperimentale però richiede condizioni
rigorose che la rendono più difficile da attuare: È necessario un campione estratto dalla
popolazione sufficientemente rappresentativo. L’assegnazione dei soggetti nel gruppo
sperimentale e di controllo è casuale. La somministrazione di un trattamento è fatta solo al
gruppo sperimentale e non a quello di controllo, per verificare eventuali cambiamenti, dopo il
trattamento fra i due gruppi, e quindi verificare l’ipotesi di partenza. È necessario eliminare il più
possibile l’interferenza delle variabili di disturbo. Quando un completo controllo delle variabili è
difficile si può far ricorso all’ approccio quasi sperimentale in cui l’appartenenza di un soggetto
ad un gruppo non è casuale, ma utilizza le reali appartenenze di gruppo, tentando così di
approssimare il più possibile il setting sperimentale senza perdere la validità della ricerca. Questo
metodo è chiamato Disegno quasi sperimentale con gruppo di controllo non equivalente.

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77. LA RICERCA SPERIMENTALE E LA RICERCA INTERVENTO PARTECIPANTE

E’ possibile delineare le profonde differenze fra la ricerca Sperimentale e ricerca intervento


partecipante, nonostante entrambe cerchino di coniugare l’indagine con l’azione nella comunità.
La principale differenza risiede nell’obiettivo che i due approcci si prefiggono: la ricerca
sperimentale parte dalla verifica di ipotesi per stabilire rapporti di causalità, verificare i risultati
di un trattamento e poter cosi generalizzare gli esiti raggiunti; la ricerca intervento partecipante
ha invece come fine quello di raggiungere su gruppi motivati o a rischio dei cambiamenti
socialmente rilevanti per ampliarne l’applicabilità. Il criterio guida non è tanto quindi la validità e
rappresentatività dei risultati quanto l’utilità attuale e potenziale cioè la rilevanza sociale del
cambiamento che si vuole introdurre. Inoltre nella ricerca sperimentale l’oggetto di studio è
semplificato, le variabili sono isolate e il gruppo di controllo è selezionato a caso per essere
facilmente confrontabile con il gruppo sperimentale. Nella ricerca intervento partecipante invece
soggetto e oggetto sono spesso difficilmente distinguibili, sono prese in esame più variabili e
l’intervento è attuato su un unico gruppo senza controllo.

78. RICERCA DIAGNOSTICA

Si tratta di metodi d’indagine attraverso cui i ricercatori intervengono in un contesto


organizzativo o comunitario per analizzare i bisogni, le risorse esistenti ed evidenziare quindi i
problemi più importanti. In psicologia di comunità la ricerca diagnostica si propone di formulare
nuovi programmi o il migliorare quelli esistenti. Esempi di indagine diagnostica sono le indagini
epidemiologiche e il metodo degli indicatori sociali. L’epidemiologia è lo studio della frequenza
e delle cause dei disturbi fisici e mentali. E’ una disciplina che nasce all’interno della medicina
sociale per misurare il numero dei malati e delle patologia in genere esistenti all’interno di una
determinata popolazione, valutarne lo sviluppo e identificare la presenza di gruppi a rischio. I
concetti chiave di tale approccio sono l’incidenza, cioè il numero di nuovi casi di un particolare
problema in un determinato periodo, e la prevalenza o diffusione, cioè il numero totale dei casi
di una particolare condizione in un’area e momento determinati. I principali meriti degli studi
epidemiologici sono quelli di evidenziare il rapporto tra patologia e ambiente e ampliare l’
osservazione e l’ intervento a livello comunitario non solo individuale.

79. RICERCA PARTECIPATA

La ricerca partecipata si considera come strumento adeguato alla conoscenza della comunità,
dove per partecipazione si intende l’azione collaborativa di tutta la popolazione e in tutte le fasi
del processo, dal momento dell’acquisizione delle conoscenze, alla programmazione
dell’intervento stesso, e infine alla valutazione dell’intervento una volta che questo è stato
effettuato. Martini e Sequi parlano dell’analisi di comunità “non intesa come analisi dei bisogni
ma come un processo di presa di coscienza da parte dei soggetti delle loro condizioni, necessità,

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potenzialità, risorse, dei loro limiti, valori e desideri, ai fini del cambiamento non sono i dati ad
essere importanti ma il significato che i diversi attori sociali attribuiscono ai dati stessi”. Lo
strumento per l’analisi di comunità è stato usato in diversi contesti e per raggiungere obiettivi
diversi. nel tempo è stato sottoposto ad alcuni cambiamenti fra cui quelli introdotti dalla
Francescato e dai suoi collaboratori arrivando alla formulazione del metodo degli Otto Profili. Si
tratta di un metodo di ricerca partecipata, che è molto utile per studiare il territorio e favorire un
lavoro di rete. I cambiamenti effettuati principalmente riguardano: L’aggiunta, ai sette profili
individuati da Martini e Sequi, del profilo del futuro; Il potenziamento della strumentazione di
ricerca dei profili; La creazione di un gruppo di ricerca interdisciplinare composto da
rappresentanti diversi della comunità e da esperti esterni alla comunità.

80. LA RICERCA VALUTATIVA

è una procedura necessaria che serve a sottolineare l’importanza della valutazione nell’ambito
della ricerca. Se non è presente la valutazione non è possibile capire quanto il lavoro che è stato
compiuto sia realmente servito. La valutazione ha un’importanza fondamentale per evitare gli
sprechi nella ricerca, permettendo di correggere eventuali interventi inutili o impostati in
maniera non corretta. Un aspetto fondamentale di ogni valutazione è che deve essere dinamica
e flessibile, cioè deve seguire esattamente i cambiamenti che si presentano nell’evoluzione del
programma d’intervento o che sono originati da modifiche del contesto. La maggior parte delle
valutazioni viene effettuata su interventi già esistenti. Tale valutazione crea molto spesso delle
difficoltà dovute principalmente alle resistenze e alla scarsa cooperazione da parte dei soggetti.
Per quanto riguarda le fasi della ricerca valutativa possiamo distinguere le seguenti: Individuare
il problema e le finalità della valutazione; Identificare e descrivere il problema e lo scopo
generale; Sviluppare un modello d’intervento; Individuare la popolazione-bersaglio: ossia la
fascia di popolazione cui il programma deve rivolgersi, facendo attenzione a distinguere fra tre
principali tipologie: la popolazione a rischio; la popolazione in stato di bisogno; la popolazione
interessata.

81. LA VALUTAZIONE

Negli ultimi anni si è progressivamente diffusa la consapevolezza dell’importanza di effettuare


delle verifiche sulla qualità e l’efficacia dei programmi d’intervento. La valutazione serve a:
evitare gli sprechi; correggere degli interventi inutili o male impostati; controllare e scegliere
tra più alternative; Inoltre valutare permette di produrre dei vantaggi a più livelli. Per gli
operatori: permette di avere un feedback sul proprio lavoro, utile alla realizzazione dei
cambiamenti desiderati. Per l’Organizzazione: permette di migliorare la qualità del servizio
offerto. Per l’utente: promuove un atteggiamento partecipativo e aumenta il potere di

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intervento e controllo personale. Per l’amministratore/politico: permette di proporre
cambiamenti di programmi in atto o di promuovere interventi alternativi. Il termine valutazione
ha in ogni modo una duplice valenza, perché mentre da una parte vuole essere vista
maggiormente come una possibilità di riflessione, di cambiamento e di crescita, dall’altra è
vissuta nella società come un esame, un giudizio, una forma di controllo. Vi sono diverse tipologie
di valutazione. In primo luogo si possono evidenziare due macro approcci epistemologici:
L’orientamento realista e L’orientamento costruttivista. Oltre a queste due macro suddivisioni
allo studio della valutazione possono essere individuati 4 principali approcci alla valutazione in
base agli obiettivi specifici che si prefiggono: Approccio orientato agli scopi; Approccio orientato
alla presa di decisione; Approccio orientato all’utente; Approccio reattivo.

82. HUMAN ECOLOGY

Park elabora specificatamente il concetto dello Human Ecology, modello di base dell’attuale
Psicologia di Comunità.

Una comunità umana è per Park da vedersi come un insieme interrelato di unità che
“simbioticamente” stanno insieme. Una comunità presenta tre caratteristiche essenziali: 1) la
condivisione e l’organizzazione su un territorio. 2) la comunità è più o meno radicata in questo
territorio. 3) gli individui vivono in una relazione di reciproca dipendenza. Quindi, una
popolazione, organizzata in un territorio, radicata in modo più o meno forte in questo territorio,
in cui i singoli membri intrattengono relazioni di reciproca dipendenza. Le idee della Scuola di
Chicago e di Park vengono riprese anche da autori più recenti come Amerio, nel 2000, che
identifica in queste tre dimensioni del concetto di comunità le più adeguate e utilizzabili per la
psicologia di comunità.Viene sottolineato l’aspetto territoriale della comunità intesa anche in
senso culturale, organizzativo e sociopolitico, che permette di definire la comunità come il
contesto concreto nel quale la vita quotidiana delle persone si svolge, in cui è possibile cogliere
il legame tra i fattori oggettivi (aspetti geografici, economici, urbanistici) ecc. e psicologici
individuali (le rappresentazioni, i bisogni, le aspettative). Questo concetto di comunità consente
di giungere ad elaborare anche il concetto di SENSO DI COMUNITA’ un sentimento attraverso il
quale si definiscono i rapporti fra le persone tra loro e con il territorio che condividono.

83. SENSO DI COMUNITA’

Il concetto di SENSO DI COMUNITA’ ovvero il sentimento attraverso il quale si definiscono i


rapporti fra le persone tra loro e con il territorio che condividono. Sarason, nel 1974, definisce il
senso di comunità come la percezione della similarità con gli altri, una riconosciuta
interdipendenza con gli altri che si cerca di mantenere offrendo o facendo per gli altri ciò che ci
si aspetta da loro, la sensazione di essere parte di una struttura pienamente affidabile e stabile.
Definendola una percezione Sarason sottolinea il carattere soggettivo e di relazione del senso di

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comunità che, quindi, non resta fedele a se stesso nel tempo ma si modifica e cambia in relazione
ai vissuti dei singoli membri. Sarason inoltre parla del senso di comunità sia in termini di vissuto
soggettivo sia come una forza coesiva e motivante che agisce all’interno della comunità
favorendone il benessere. McMillan definisce il senso di comunità come un sentimento di
appartenenza sentito dai membri che sentono di essere importanti gli uni per gli altri e di una
fiducia condivisa nel fatto che i loro bisogni saranno soddisfatti dal loro impegno di essere
insieme. McMillan e Chavis ritengono che gli elementi fondanti del senso di comunità siano: il
senso di appartenenza; l’influenza e il potere; l’integrazione dei bisogni.

84. BENESSERE

Qualsiasi sia l‟intervento dello psicologo di comunità il fine ultimo è sempre il benessere. Ci sono
differenti definizioni a seconda del criterio utilizzato: Criteri esterni; Criteri interni.. Molte
ricerche hanno approfondito questi temi, soprattutto quello del benessere soggettivo. Alcune
mettono in evidenza che i giudizi soggettivi possono essere fuorvianti poiché la mente umana
riesce a distorcere la realtà in modo da farla corrispondere alle proprie aspettative. Altre hanno
messo in evidenza che lo stato di benessere soggettivo varia da momento a momento a seconda
degli eventi stressanti cui l’individuo è sottoposto e delle strategie di coping di cui dispone per
affrontarlo. Entrambi questi modi di percepire il benessere hanno dei limiti. Quando è l’esterno
a stabilire i criteri, c’è sempre il problema della relatività di tali criteri. Quando è l’individuo a
valutarli, c’è la difficoltà di trovare i fattori che causano sentimenti soggettivi di benessere. Al
benessere soggettivo e oggettivo si aggiunge anche il benessere psicologico, di cui la Riff ne
sottolinea sei caratteristiche; Accettazione di sé; Relazioni positive con le altre persone;
Autonomia; Padronanza dell’ambiente; Avere uno scopo nella vita; Crescita personale. Possiamo
quindi considerare il benessere un costrutto complesso che comprende tre dimensioni
fondamentali: il benessere psicologico, il benessere oggettivo e il benessere soggettivo.

85. I FOCUS GROUP

si identifica fondamentalmente con un piccolo gruppo all’interno del quale si discute dell’
argomento oggetto di indagine permettendo a tutti i partecipanti di esprimersi liberamente e di
confrontarsi con gli altri. Si tratta quindi di una discussione tra pari in cui nessuno occupa una
posizione dominante rispetto agli altri e il moderatore rimane, per quanto possibile, in una
posizione periferica, solo per sottolineare alcune posizioni emerse e trarne poi le conclusioni.
Questo strumento presenta gli stessi vantaggi dell’intervista face to face. Utilizzando questi
strumenti, durante l’esecuzione di una ricerca partecipata, lo psicologo di comunità ha un preciso
ruolo, quello di attivatore di risorse e di processi e consulente della comunità. La consulenza
prevede alcune fasi: analisi preliminare; definizione della consulenza; diagnosi della comunità;
definizione di mete da perseguire e procedure da utilizzare; assegnazione dei ruoli operativi;

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attuazione dell’intervento; valutazione dell’intervento; mantenimento; uscita; follow up, dopo di
solito sei mesi.

86. OBIETTIVI DELL’ANALISI DI COMUNITÀ

I principali obiettivi dell’analisi di comunità sono: Obiettivi a lungo termine: sviluppare comunità
empowering, cioè una comunità competente che dia ai residenti opportunità di esercitare
controllo, sviluppare competenze e partecipare alle politiche decisionali. Obiettivi a breve
termine: misurare il livello di empowerment attuale della comunità tramite l’analisi dei punti-
forza e delle aree problematiche. La ricerca partecipata si avvale di diversi strumenti, alcuni
tradizionali, altri di recente introduzione, quali: L’intervista face to face; Il sondaggio telefonico;
Il questionario self-report; I Focus Group. Utilizzando questi strumenti, durante l’esecuzione di
una ricerca partecipata, lo psicologo di comunità ha un preciso ruolo, quello di attivatore di
risorse e di processi e consulente della comunità. Lo psicologo di comunità instaura un rapporto
di consulenza non solo con il committente ma anche con i gruppi interessati al cambiamento.

87. MARTINI E SEQUI MODELLO DI SVILUPPO DI COMUNITÀ

Un modello di sviluppo di comunità molto interessante è il di Martini e Sequi che Identificano


alcuni fattori che contribuiscono allo sviluppo di comunità quali: Il coinvolgimento; La
partecipazione; La creazione di connessioni; Il senso di responsabilità sociale. I progetti di
sviluppo di comunità si prefiggono come scopo quello di aumentare il senso di responsabilità ma
anche il potere e le competenze attraverso lo sviluppo di strutture intermedie che promuovano
l’empowerment sociale. Promuovere lo sviluppo di comunità è un obiettivo specifico dello
psicologo di comunità : per raggiungerlo è necessario conoscere approfonditamente la realtà su
cui si deve intervenire. La comunità intera quindi diventa ambito di studio e di intervento.
Conoscere la comunità permette di programmare interventi mirati e di individuare tutti quei
fattori che interagiscono in maniera complessa all’interno della stessa. Martini e Sequi hanno
ideato uno strumento per l’analisi di comunità che permette di tracciare il profilo di comunità e
che a sua volta comprende altri sette profili : territoriale; demografico; Profilo delle attività
produttive; dei servizi; istituzionale; antropologico; Profilo psicologico. L’analisi di comunità
non è oggettiva e universale, e non rispecchia fedelmente l’oggetto di studio, infatti è soggetta a
diversi tipi di distorsione e uno fra questi è proprio l’occhio dello studioso.

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88. DISAGIO MENTALE

Nell'antichità la malattia mentale era ritenuta una condizione data dall'influsso di spiriti maligni.
Secondo Freud i disturbi mentali sono il risultato di un conflitto tra le 3 istanze che compongono
l'individuo (es, io e superio), la sua cura consisteva nel far emergere questi conflitti attraverso il
metodo delle libere associazioni. Melanie Klein, Winnicott e Bowlby concentrarono il proprio
lavoro sull'osservazione della relazione madre/bambino, l'attaccamento che si instaura tra i due
condizionerà tutta la vita dell'individuo. Secondo l'approccio sistemico relazionale la patologia
mentale trova origine nelle dinamiche disfunzionali della famiglia, solitamente il sistema familiare
dello psicotico é caratterizzato da comunicazione inefficace, invischiamento e confusione di ruoli
e alta emotività espressa. Secondo Ciompi la schizofrenia é data da fattori biologici che portano
a uno scompenso psicotico acuto, che diviene cronico in seguito ad una prolungata
ospedalizzazione. L'obiettivo del trattamento é il reinserimento della persona nella società
evitando l'emarginazione. L’ Isteria si può dividere in isteria da conversione e isteria dissociativa.
Nella classificazione attuale si parla di disturbo di somatizzazione, disturbo dissociativo e disturbo
istrionico di personalità. La psicosi é caratterizzata dalla mancanza di esame di realtà. Secondo la
teoria sistemica della scuola di Palo Alto, lo schizofrenico va studiato all'interno del nucleo
familiare che è caratterizzato dalla presenza di legami paradossali. La psichiatria classica tratta la
schizofrenia con farmaci, un tempo anche con elettroshock, lobotomia, coma insulinico. A partire
dagli anni 60 la psichiatria socio-dinamica propone terapie risocializzanti e riabilitative

89. ISTITUZIONE PENITENZIARIA

Nel celebre testo di Cesare Beccaria "dei delitti e delle pene, egli sosteneva la necessità di
proporzioni tra delitto e pena, criticando i metodi di tortura e la disuguaglianza di trattamento
tra ricchi e poveri. Nel 1891 viene approvato il regolamento generale degli stabilimenti carcerari
e dei riformatori governativi, esso pone in primo piano la realtà umana del condannato. Nel 1931
viene emanato il codice Rocco che introduce i concetti di recupero e rieducazione dei detenuti
attraverso un trattamento che si basa su lavoro, istruzione e educazione religiosa. L'articolo 27
della Costituzione dichiara che la responsabilità penale é personale, imputato non é considerato
colpevole fino alla condanna definitiva. Le pene non possono essere contrarie al senso di umanità
e devono tendere alla rieducazione. Non è ammessa la pena di morte. Nel 1975, legge 354: fine
educativo della pena, il detenuto ha la sua dignità, intervento individualizzato, concessione
misure alternative al carcere. Lo psicologo in carcere ha funzione di: 1. offrire sostegno a persone
in attesa di giudizio; 2. garantire trattamento individualizzati; 3. svolgere attività di prevenzione
diagnosi e cura all'interno del Sert dell'istituto per i tossicodipendenti; 4. valutare rischi di
autolesionismo e violenze. Dal 1975 ad oggi sono stati apportati cambiamenti all’interno delle
carceri, alle celle sono previsti spazi per la crescita dell'individualità, spazi per uffici, colloqui,
biblioteca, culto. Anche il concetto di tempo assume significati diversi, si tratta del tempo
dell'attesa, scompare l'idea di progettualità,il tempo é sentito come un vuoto.

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90. PROGETTO OBIETTIVO

Un processo di cambiamento sociale, che porta ad un miglioramento della qualità, può avvenire
in modo più efficace solo attraverso la partecipazione attiva e la condivisone da parte di tutti i
cittadini degli obiettivi da perseguire, e delle modalità con cui raggiungerli. Una metodologia
proficua è stata quella del “progetto-obiettivo” ossia una coerente strategia di interventi
applicati ad aspetti della tutela della salute che: si caratterizzano come fenomeni di rilevanza
sociale, per le cospicue fasce di popolazione coinvolte, per la gravità qualitativa dei rischi da
contrastare, per l’urgenza di interventi di riparazione e di prevenzione; si caratterizzano per la
mobilitazione della totalità dei servizi e delle risorse del settore sanitario; per il coinvolgimento
contestuale e organizzativo di altri settori di attività pubblica, allo scopo di fornire risposte più
efficaci. La logica che ha fatto maturare questo modello è quella della collaborazione piuttosto
che della tradizionale specificità e autonomia degli organismi e dei servizi. Ma con il passaggio al
modello decentrato, unitario e integrato si va modificandosi anche la caratterizzazione dei
termini pubblico e privato, in quanto il termine “pubblico” non indica più esclusivamente lo stato
centralista e accentratore, ma gli Enti locali e la loro autonomia, e il termine “privato” non indica
le opere delle istituzioni religiose, quanto il volontariato, l’associazionismo, la cooperazione
sociale, quello che alcuni chiamano il “terzo settore”.

91. SOSTEGNO SOCIALE MISURE

Per capire in che modo la rete sociale fornisce il sostegno sociale e influenza quindi il benessere
della persona, due sono fino ad ora le prospettive di studio che aiutano a capire le azioni da
intraprendere e le situazioni in cui il sostegno interviene influenzando lo stato di salute fisica. La
prima prospettiva è quella del modello diretto. Il secondo indirizzo di studi rappresentato dal
modello indiretto o dell’effetto cuscinetto. Rispetto alla dimensione oggettiva e soggettiva del
sostegno sociale sono state individuate poi anche alcune misure del sostegno sociale. Zimet
elabora il Multidimensional Scale of Perceived Social Support, che misura, attraverso 12 item,
l’adeguatezza del sostegno percepito secondo tre fonti: famiglia, amici, altri significativi. Un'altra
misura del sostegno sociale è il Social Support Questionnaire di Sarason; E’ un questionario che
misura: numero delle persone percepite come fonte di sostegno, soddisfazione nei confronti del
sostegno percepito come disponibile. Un'altra misura del sostegno sociale basata sul metodo
qualitativo è il Social Support Resource che è un’intervista strutturata che permette di rilevare
la capacità supportiva della rete sociale, chiedendo quali persone svolgono le varie funzioni della
rete.

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92. ISTITUZIONI TOTALI GOFFMANN

Con l’espressione di istituzione totale ci si riferisca ad un insieme di luoghi circondati da barriere


permanenti che ostacolano la percezione rispetto a ciò che avviene al suo interno da parte di
coloro che non vi appartengono. Asylums è una ricerca condotta negli ospedali psichiatrici
attraverso la quale Goffmann arriva alla elaborazione del concetto delle istituzioni totali. Per
definire una istituzione come istituzione totale è necessaria : 1) la presenza di fini stabiliti il cui
raggiungimento influisce sul grado di efficienza e di efficacia, 2) il rispetto delle norme per
regolare le aspettative dei membri e prevedere le sanzioni nel caso in cui la norma non venga
soddisfatta, 3) la struttura interna basata su un insieme di status e di ruoli, 4) il riferimento a
valori morali che influenzano l’attività dell’istituzione, 5) la presenza di tecniche di controllo delle
impressioni adoperate nell’istituzione. Goffman poi distingue fra quelle istituzioni che servono
ad isolare individui incapaci o affetti da malattie, da quelle che isolano coloro che sono
intenzionalmente pericolosi per gli altri, come i criminali, individuando cosi 5 categorie: 1)
istituzioni nate per la tutela delle persone incapaci ma non pericolose; 2) istituzioni nate per la
tutela delle persone che essendo incapaci di badare a se stessi rappresentano; 3) istituzioni che
proteggono la società da ciò che si rivela un pericolo intenzionale nei suoi confronti; 4) istituzioni
create con lo scopo di svolgere all'interno una certa attività; 5) istituzioni definite come staccate
dal mondo che hanno anche la funzione di servire come luoghi di preparazione per religiosi.

93. TRE RIVOLUZIONI NEL CAMPO DELLA SALUTE MENTALE

1. Durante gli anni della rivoluzione francese lo psichiatra Pinel fece scarcerare i soggetti
psichiatrici detenuti a Parigi, diffondendo un principio molto importante ovvero un trattamento
umanitario per i malati di mente, considerati come bisognosi di cure, non criminali o
impossessati. Mezzo secolo dopo Todd, psichiatra americano ribadisce questo principio,
ritenendo che in democrazia tutti i cittadini hanno responsabilità verso le categorie svantaggiate.
E’ la società che deve occuparsi di loro. Alla fine dell’800 questa posizione scompare in quanto
l’accento viene posto sul valore scientifico della psicologia, con lo psicologo distaccato dal
contesto, che studia la mente in laboratorio, con metodi scientifici.

2. Freud e la psicanalisi. Con l’ideologia freudiana poniamo l’uomo con i suoi conflitti intrapsichici
al centro dell’attenzione dello psicologo, che attraverso il colloquio, con le libere associazioni,
cerca di riportare alla luce il rimosso, causa prevalente delle psiconevrosi.

3. l’Associazione Americana di Psicologia (APA) dichiara come suo scopo principale quello di far
progredire la psicologia come scienza, come professione e come strumento per la promozione
del benessere del genere umano. Negli stessi anni in una Conferenza dell’Istituto Nazionale di
Salute Mentale sulla psicologia e l’igiene mentale, si sottolineava la necessità di un ruolo più
attivo dello psicologo come operatore sociale creativo e, sempre negli stessi anni la Joint
Commission, una Commissione Interdisciplinare per la Salute e la Malattia Mentale, realizza uno
studio i cui risultati misero in evidenza la necessità di togliere le persone dalle istituzioni

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manicomiali e di curarli nelle loro comunità. I dati della Joint Commission vengono usati per
l’avvio del Movimento di igiene Mentale di Comunità formalizzato nel 1963 da una legge:
Community Menthal Health Centers Act (CMHCs).

I Criteri adottati furono : Attenzione particolare alla comunità, Coinvolgere la comunità nelle
decisioni relative al soddisfacimento dei suoi bisogni, Richiedere il controllo medico dei pazienti
e Un orientamento verso la prevenzione primaria, secondaria, terziaria.

Vennero così stanziati dei fondi per la creazione di Centri di Igiene Mentale di Comunità: i
membri della comunità partecipano attivamente all’organizzazione del centro, la cura dei
ricoverati, la cura dei pazienti ambulatoriali, le attività diagnostiche, e abbiamo servizi innovativi
che sono i servizi di ospedalizzazione parziale, di emergenza, di consulenza, di formazione ai
professionisti nel campo della salute mentale, di riabilitazione, di ricerca.

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