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PSICOLOGIA CLINICA

05/10/2022

Cosa indica il termine clinica? Si riferisce non solo al concetto di cura in generale, ma a un atteggiamento terapeutico
basato sulla vicinanza, l’ascolto e un approccio basato sulla conoscenza personalizzata della storia della persona che si
incontra.

Le origini della psicologia clinica: La psicologia clinica trae origine dalla confluenza di due diverse tradizioni e
professioni che si collocano a cavallo tra 1800 e 1900:

1. La pratica dei reattivi mentali per la valutazione dei bambini intellettivamente deficitari che poi si allargherà all’età
adulta
2. La pratica dell’ipnosi nel trattamento dell’isteria che sarà poi sviluppato da Freud e dalla psicoanalisi

Le due guerre mondiali furono di grande impulso per la disciplina perchè legate alla creazione di test attitudinali per la
selezione militare e per reinserire i reduci di guerra.

A cosa è legata la malattia mentale?

3. A un mancato riconoscimento da parte degli “Altri Significativi”


4. A una rigidità di funzionamento e un mancato adattamento a fronte dei diversi contesti della vita
5. A un divieto di accesso verso alcune esperienze emotive

Le tre fonti informative: pensieri, emozioni, corpo

La psicologia clinica si occupa di persone che presentano un analfabetismo emotivo.

Modello circomplesso delle emozioni

1) Destra: piacevole
2) Sinistra: spiacevole
3) In alto: attivante
4) In basso: non attivante

CAPITOLO 1 - NASCITA E AFFERMAZIONE DELLA PSICOLOGIA CLINICA

1. CHE COSA SIGNIFICA “APPROCCIO CLINICO”


CLINICA deriva dal greco “kline” (letto) e indica le attività che il medico svolge al letto del malato. Fa riferimento alla
malattia e alla sofferenza, al fatto di dare aiuto, in seguito ad una minuziosa e prolungata osservazione, col ricorso a
conoscenze e metodi psicologici.

Lo psicologo clinico fornisce aiuto in molteplici condizioni di sofferenza e malattia mediante ricorso a
conoscenze e procedure che derivano dalle varie branche della psicologia.
• La finalità dello psicologo clinico è porgere aiuto e rispondere alla dimensione psicologica di sofferenza
che ha luogo immediatamente davanti a lui. Identifica i segnali disfunzionali del comportamento di un
individuo considerando anche il contesto.

L’approccio clinico si avvicina ad un approccio idiografico, ovvero che pone come oggetto di indagine
l’individuo nella sua forma storicamente determinata.

La psicologia clinica segue l’ottica del particolare, lo studio intensivo e l’approfondimento del singolo caso e delle sue
specificità.

2. PSICOLOGIA CLINICA E PSICOLOGIA DI BASE

Nella cultura italiana sono state spesso presentate come due discipline separate, diverse se non addirittura contrapposte.
Oggi le 2 discipline (psicologia di base e lavoro clinico) hanno un rapporto di continuità: la psicologia clinica come
scienza applicata = diretta emanazione e applicazione del corpus di conoscenze e delle metodologie sviluppate dalla
psicologia di base nelle sue varie branche al <<letto>> del malato e ai problemi che lo affliggono.

• QUINDI: La psicologia clinica è empirica mentre quella di base e teorica!

3. DEFINIZIONI

Gli psicologi clinici non si occupano solo di disturbi mentali, pero fanno parte degli psicologi che studiano e si
occupano specificatamente di disturbi mentali.

Una delle prime definizioni di psicologia clinica (soggetta a critiche) risale al 1919 ad opera dell’American
Psychological Association:
La psicologia clinica integra scienza, teoria e pratica per capire, predire, alleviare il disadattamento il disagio e
la disabilità ma anche per promuovere l’adattamento umano e lo sviluppo personale. Questa psicologia si
concentra sugli aspetti intellettivi, biologici, psicologici, sociali e comportamentali del funzionamento umano
lungo tutto l’arco di vita, nelle varie culture e a tutti i livelli socio-economici.

C’e poi anche una definizione italiana scritta dal COLLEGIO DEI PROFESSORI UNIVERSITARI E DEI
RICERCATORI DI PSICOLOGIA CLINICA DELLE UNIVERSITA’ ITALIANE:

La psicologia clinica è un settore della psicologia che i cui obiettivi sono la spiegazione, la comprensione,
l’interpretazione e la riorganizzazione dei processi mentali disfunzionali o patologici, individuali e interpersonali,
unitamente ai loro correlati comportamentali e psicobiologici.
Le sue metodologie sono volte alla consulenza, diagnosi, terapia o comunque di intervento sulla struttura e
organizzazione psicologica individuale e di gruppo, nei suoi aspetti problematici, di sofferenza e di disadattamento
e nei suoi riflessi interpersonali, sociali e psicosomatici.
La psicologia clinica è altresì finalizzata agli interventi atti a promuovere le condizioni di benessere
sociopsicobiologico e i relativi comportamenti, anche preventivi, nelle diverse situazioni cliniche e
ambientali. La psicologia clinica si articola in pratiche come la psicologia della salute e counseling,
psicodiagnostica, psicopatologia e psicoterapia, che è l’ambito applicativo che più caratterizza la psicologia
clinica, come punto di massima convergenza tra domanda, conoscenze psicologiche disponibili, fenomeni
indagati e metodi utilizzabili.

Non sempre è facile stabilire i confini tra psicoterapia, intervento psicologico, trattamento, counselling. le finalità
della psicoterapia possono risultare in base all'orientamento differenti e in parte non determinate ma lo scopo della
psicoterapia non è quello di rendere la persona normale o adattata al sistema.

4. TAPPE DI UN PERCORSO

La psicologia clinica trae origine a cavallo tra il 1800 e il 1900 (in Europa(Binet, Janet, Freud, Jung), più precisamente
in Francia e in Germania, ma si sviluppa soprattutto negli Stati Uniti: antisemitismo nazista e perché la società era
caratterizzata da un forte dinamismo economico e sociale) dalla confluenza di due diverse tradizioni e professioni:

• La pratica dei reattivi mentali per la valutazione dei bambini con deficit intellettivi, che nei decenni
successivi si allargherà l'età adulta e a test di personalità.
• La pratica dell’ipnosi nel trattamento dell’isteria, che presto cederà il passo alla grande lezione freudiana e
alla lunga egemonia psicanalitica.
Nella psicologia americana egemone fu l’orientamento funzionalista, che voleva trasformare e migliorare il
funzionamento umano.

I momenti di maggior espansione per tale disciplina furono i due conflitti mondiali, dove forte fu la richiesta sociale di
collaborare con test mentali e attitudinali per la selezione dei militari e nell’opera di reinserimento di militari mutilati o
reduci.

- Nel primo dopoguerra, soprattutto negli Stati Uniti, troviamo equipe per i servizi sociosanitari per
l’infanzia. - Nel secondo dopoguerra, troviamo equipe per i servizi negli ospedali psichiatrici, anche in
Italia.

LE TAPPE FONDAMENTALI DELLA PSICOLOGIA CLINICA


o 1875 Viene fondato a Lipsia da Wilhelm Wundt il primo laboratorio di psicologia; a questa data si associa spesso la
nascita della psicologia.
o 1880 Jean-Martin Charcot, prestigioso direttore dell’ospedale della Salpêtrière a Parigi, ottiene il riconoscimento
ufficiale, da parte degli organismi medici dell’epoca, dell’ipnosi come legittimo trattamento medico in psichiatria.
o 1880 Joseph Breuer prende in cura a Vienna una giovane isterica, che diventerà celebre col nome di Anna O. grazie
a quanto ne verrà scritto quindici anni dopo dallo stesso Breuer e da Freud nei famosi Studi sull’isteria.
o 1881 Sigmund Freud si laurea in medicina all’Università di Vienna. o 1883 Emil Kraepelin pubblica il suo
manuale di psichiatria in quattro volumi, grazie al quale sarà considerato il «padre della psichiatria».
o 1889 Alfred Binet costituisce il primo laboratorio di psicologia a Parigi, alla Sorbona; si occuperà principalmente
di misura dello sviluppo intellettivo.
o 1890 Pierre Janet è invitato da Charcot a dirigere alla Salpêtrière un laboratorio di psicologia patologica. Janet si
era occupato di storia dell’isteria e del mesmerismo, aveva già scritto un trattato cui faranno riferimento i suoi
seguaci per rivendicare a lui la priorità della scoperta dell’inconscio rispetto a Freud.
o 1890 James McKeen Cattell, all’Università della Pennsylvania, conia l’espressione mental test e promuove la
creazione di test mentali in vista anche di molteplici utilizzi applicativi.
o 1892 Viene fondata l’American Psychological Association, la prima associazione di psicologi al mondo. o 1896
Lightner Witmer, un allievo di Cattell e di Wundt, istituisce la prima clinica psicologica e tiene un corso di
psicologia clinica nell’Università della Pennsylvania; a questa data viene fatta risalire la nascita della psicologia
clinica. Tale clinica aveva lo scopo di studiare, analizzare e trattare i deficit e le incapacità mentali.
o 1897 Sante de Sanctis, un medico dell’Università di Roma che aveva studiato l’ipnosi a Parigi con Charcot, fonda
la «Rivista quindicinale di psicologia, psichiatria, neuropatologia».
o 1900 Freud pubblica L’interpretazione dei sogni e presenta l’analisi dei sogni e le libere associazioni come metodi
terapeutici per le psiconevrosi.
o 1904 È approvata in Italia la legge 14 febbraio 1904, n. 36, concernente «Disposizioni sui manicomi e sugli
alienati». Essa pone il manicomio come struttura cardine della cura ai malati mentali («alienati»); il ricovero è di
competenza dell’autorità di pubblica sicurezza, secondo i criteri della «pericolosità» e del «pubblico scandalo»; tale
legge regolerà l’assistenza psichiatrica fino al 1978.
o 1904 In Francia, il ministro della pubblica istruzione chiede la collaborazione di Alfred Binet per distinguere i
bambini ipodotati, che avrebbero potuto trarre giovamento da apposite classi speciali invece delle classi scolastiche
normali; l’anno seguente appare la prima scala Binet-Simon.
o 1909 Muore a Torino Cesare Lombroso, considerato il padre dell’antropologia criminale; aveva goduto di una
popolarità straordinaria e le sue opere erano conosciute, tradotte e studiate pressoché in tutto il mondo. Le tesi più
popolari – ma certo le più caduche – della sua opera riguardavano le teorie fisiognomiche, per le quali i tratti
somatici e la struttura del cranio indicherebbero tratti del carattere e inclinazioni criminali.
o 1909 G. Stanley Hall fa venire negli Stati Uniti Freud e Jung; esporranno le loro idee agli psicologi americani in un
ciclo di seminari alla Clark University (in una facoltà di Psicologia, non in un istituto psichiatrico!).
o 1910 È fondata la Società italiana di psicologia (SIP).
o 1911 Alfred Adler rompe con la Società psicoanalitica di Vienna. A lui si deve il costrutto di «complesso di
inferiorità». Adler si dividerà tra l’Europa e gli Stati Uniti, dove si trasferirà definitivamente nel 1936.
o 1913 È identificata la presenza della spirocheta Treponema pallidum nei tessuti del sistema nervoso centrale dei
pazienti affetti da una tra le più diffuse «malattie mentali» dell’epoca: una forma di demenza associata a paresi e
chiamata «paralisi (o paresi) generale». La paralisi generale con la sua eziologia sifilitica diviene il paradigma di
riferimento per le malattie mentali e ci si attendono in futuro simili scoperte.
o 1913 John B. Watson pubblica l’articolo Psychology as the Behaviorist Views It in cui rivendica il distacco della
psicologia dalla filosofia e la sua collocazione nel novero delle scienze naturali, obiettive e sperimentali. L’articolo
verrà considerato un manifesto programmatico e sancirà la nascita di un nuovo orientamento, il comportamentismo.
o 1917 Con la partecipazione degli Stati Uniti alla Prima guerra mondiale, vengono sviluppati test da utilizzare per la
selezione delle reclute; 1.726.000 uomini vengono esaminati in gruppo e 83.000 individualmente.
o 1918 Woodworth promuove l’uso dell’espressione «psicologia dinamica» come denominazione-ombrello capace di
includere tutte le scuole di pensiero psicologico clinico-applicative.
o 1919 All’interno dell’American Psychological Association si costituisce la sezione di Psicologia clinica. o 1920
Watson e Rayner pubblicano il famoso caso di Little Albert, dove riportano l’induzione sperimentale di una fobia:
lo scopo è dimostrare il carattere acquisito delle paure e sconfessare la teoria freudiana delle fobie.
o 1921 Carl Gustav Jung pubblica la sua opera fondamentale, I tipi psicologici, dove introduce la distinzione tra
introverso ed estroverso.
o 1921 Gordon Allport propone di adottare la nozione di «tratto», nello studio della personalità, in alternativa a
quella di «tipo psicologico»; la personalità sarebbe descrivibile in base a una struttura gerarchica di tratti.
o 1921 Herman Rorschach pubblica le sue famose tavole e il relativo manuale; il reattivo di Rorschach diverrà un
popolarissimo test psicologico.
o 1921 Negli Stati Uniti viene fondata la Psychological Corporation per iniziativa di J.M. Cattell. Scopo precipuo è la
costruzione e commercializzazione di test psicologici. Essa esercitò un’influenza moderatrice relativamente all’uso
di tecniche psicodiagnostiche selvagge.
o 1923 Con la riforma Gentile viene abolito in Italia l’insegnamento della psicologia in qualsiasi scuola di ogni
ordine e grado, sostituito dall’insegnamento della storia della filosofia.
o 1925 Viene fondata la Società psicoanalitica italiana (SPI). o 1926 Lo Stato di New York dichiara illegale l’analisi
condotta da non medici. o 1931 Viene fondata la «Rivista italiana di psicoanalisi»; ne è direttore Edoardo Weiss,
un medico triestino che aveva studiato a Vienna. Nel 1939 Weiss deve emigrare negli Stati Uniti a causa delle leggi
razziali italiane. La rivista rinascerà solo nel 1955, sotto la direzione di Cesare Musatti, con il nome di «Rivista di
psicoanalisi». o 1932 Un medico rumeno, Jacob Levy Moreno, conia per primo l’espressione «terapia di gruppo»;
sviluppa inoltre lo psicodramma: un metodo diagnostico e psicoterapeutico che combina «il gioco dei ruoli e il
trattamento spontaneo».
o 1933 A Mosca si apre per iniziativa dello psichiatra Djagarov quello che viene considerato il primo «ospedale di
giorno» (day hospital) psichiatrico al mondo: una struttura aperta di tipo semi-ospedaliero, specializzata nella
risocializzazione dei malati, che al 90% sono pazienti psicotici.
o 1933 Adolf Hitler diventa cancelliere del Reich tedesco. Poco dopo avvia un programma di sterilizzazione diretto a
persone sofferenti di insufficienza mentale, epilessia, schizofrenia, psicosi maniaco-depressiva, sordità, cecità
congenita e deformità varie (riguardò 225.000 persone). Il regime nazista vieta la psicoanalisi in Germania e ordina
la chiusura di molte istituzioni psicoanalitiche e psicologiche. Molti psicologi emigrano, principalmente negli Stati
Uniti. o 1935 Margaret Mead, un’antropologa, dimostra attraverso lo studio di comportamenti sessuali in tre
diverse culture primitive che comportamenti in passato ritenuti istintivi o ereditari variano con la cultura e possono
anzi essere il risultato diretto dell’apprendimento sociale.
o 1939 Scoppia la Seconda guerra mondiale. Agli psicologi vengono richiesti interventi eccezionali per la
valutazione del personale militare e per l’assistenza alle vittime di traumi di guerra. Si stima che, nel solo anno
1944, siano stati somministrati 60 milioni di test standardizzati a 20 milioni di individui. Nelle forze armate degli
Stati Uniti vengono occupati circa 1.700 psicologi; più della metà è impegnata in compiti di assistenza psicologica
e psicoterapia.
o 1943 Appare il Minnesota Multiphasic Personality Inventory (MMPI), frutto della collaborazione tra lo psicologo
Starke Hathaway e lo psichiatra J.C. McKinley.
o 1945 Nello stato del Connecticut è promulgata la prima legge di certificazione per gli psicologi; questo evento è
considerato il primo riconoscimento legale della professione. L’anno dopo la Virginia adotta una certificazione per
gli psicologi clinici. Dopo un sostegno iniziale, il mondo psichiatrico manifesta una dura opposizione, specialmente
alla possibilità che gli psicologi clinici esercitino al di fuori delle strutture ospedaliere e svolgano psicoterapia nella
pratica privata.
o 1948 Kurt Lewin, uno psicologo tedesco di formazione gestaltista emigrato negli Stati Uniti, introduce i T-groups
(gruppi di formazione, T = training); diverranno popolari soprattutto nel mondo degli affari e dell’alta dirigenza. o
1948 La terapia ambientale, resa famosa da Bruno Bettelheim, viene usata dapprima nei centri residenziali di
trattamento per bambini, poi si diffonde fino a diventare il metodo privilegiato di cura in molti ospedali e cliniche
per i malati mentali adulti.
o 1949 Cesare Musatti pubblica il suo celebre Trattato di psicoanalisi, nel quale raccoglie le lezioni tenute nel suo
corso all’Università di Padova, prima di essere allontanato dall’insegnamento a causa delle leggi razziali.
o 1949 A Boulder, nel Colorado, si tiene una conferenza che determinerà l’identità degli psicologi clinici americani:
professionisti-scienziati, in grado di effettuare autonomamente diagnosi psicologica, psicoterapia, ricerca; queste
tre componenti furono ironicamente ribattezzate la «trimurti» o la «santissima trinità» della psicologia clinica. Il
curriculum formativo prevedeva una formazione universitaria in psicologia fino al livello di dottorato di ricerca e
un robusto internato in strutture cliniche.
o 1951 Edoardo Abbele fonda a Firenze le Organizzazioni speciali (OS), casa editrice specializzata nella
pubblicazione e distribuzione di test psicologici, sulla scia della Psychological Corporation di Cattell.
o 1951 Carl Rogers pubblica La terapia centrata sul cliente; verrà tradotto in Italia nel 1970. Rogers sviluppa una
modalità di sostegno e counselling psicologico che chiama «terapia non direttiva» e più tardi «terapia centrata sul
cliente».
o 1952 L’American Psychiatric Association, prendendo atto dell’immobilismo dell’Organizzazione mondiale della
sanità nel mettere a punto una classificazione internazionale delle malattie mentali, procede autonomamente e
produce il Diagnostic and Statistical Manual (DSM-I).
o 1952 Hans Eysenck pubblica The effects of psychotherapy: An evaluation. L’articolo è considerato l’atto di nascita
del vasto filone di ricerche sull’efficacia della psicoterapia.
o 1958 Harry Harlow pubblica le sue ricerche sul comportamento di giovani scimmie (macaco) allevate con
simulacri materni di spugna e gommapiuma; deprivate della madre naturale, cresceranno inibite socialmente e
sessualmente; gli psicologi clinici presteranno estrema attenzione alle deprivazioni affettive precoci.
o 1958 Albert Ellis descrive la Rational-Emotive Therapy; nello stesso anno Joseph Wolpe descrive la
desensibilizzazone sistematica e altre tecniche derivate dai principi dell’apprendimento per il trattamento delle
nevrosi; Nathan Ackerman descrive la psicodinamica della vita familiare.
o 1960 Roland Laing pubblica L’io diviso; con David Cooper dà origine al cosiddetto movimento dell’antipsichiatria.
o 1963 Ha inizio a Gorizia l’esperienza di ospedale aperto di Franco Basaglia, che cambierà il volto della psichiatria
italiana.
o 1968 È la stagione delle occupazioni studentesche; nelle facoltà si tengono gruppi di studio e «controcorsi»
autogestiti. Per esempio a Torino, a Palazzo Campana, si tiene un controcorso dal titolo «Psicanalisi e repressione
sociale»; un po’ dappertutto seminari su Marx e Freud, su psicoanalisi e critica alla società alienata, su L’uomo a
una dimensione di Herbert Marcuse.
o 1971/72 Sono attivati in Italia i primi corsi di laurea in Psicologia a Padova e a Roma; sono quadriennali e collocati
nella facoltà di Magistero, la Cenerentola tra le facoltà universitarie italiane. Esiste un corso di Psicologia clinica
come insegnamento complementare.
o 1976 In Italia, con la riforma degli ordinamenti universitari, la Psichiatria si svincola dalla Neurologia, dopo una
secolare dipendenza. o 1977 Smith e Glass pubblicano la prima metanalisi, dalla quale risulta che la psicoterapia dà
miglioramenti superiori al non trattamento.
o 1978 In Italia viene approvata la legge n.180, che verrà denominata comunemente «legge Basaglia»: vieta nuovi
ricoveri in ospedale psichiatrico e dispone la graduale chiusura di quelli esistenti. La legge pone fine a una
concezione «asilare» della salute mentale e pone le fondamenta di una riforma psichiatrica tra le più avanzate al
mondo. A quest’epoca, nei dati Istat, risultano presenti 146 psicologi occupati tra ospedali e centri di igiene
mentale in tutta Italia. L’importanza del corpo. Il riconoscimento legale degli psicologi clinici in Italia e culminato
con la L. Gozzini nel 1986.
o 1980 Con la terza edizione del DSM-III scompare il termine «nevrosi», al quale viene rimproverata scarsa utilità e
una troppo marcata connotazione eziologica. Scompare pure la categoria diagnostica dei disturbi psicosomatici, che
è in parte sostituita dalla più comprensiva categoria «fattori psicologici incidenti su una condizione fisica».
o 1987 Con la revisione del DSM-III (DSM-III-R) l’omosessualità cessa di essere considerata un disturbo mentale.
o 1988 Sono istituite in Italia le Scuole di specializzazione in psicologia clinica: hanno durata quadriennale e vi
possono accedere laureati in medicina e in psicologia.
o 1989 La legge 18-2-1989 n. 56 istituisce in Italia l’ordine degli psicologi; la legge ha avuto un iter travagliato,
lungo oltre vent’anni, principalmente per la questione del riconoscimento della psicoterapia. Oltre a riconoscere
legalmente la professione di psicologo, la legge prevede che la formazione di psicologi e medici in psicoterapia
sarà svolta presso scuole di specializzazione universitaria o presso istituti a tal fine riconosciuti.
o 1994 È istituito il Dipartimento di salute mentale; la denominazione vuole sottolineare la collaborazione delle
diverse competenze professionali.
o 2006 Il riassetto delle Scuole di specializzazione di area psicologica prevede cinque annualità e le seguenti
tipologie:
1. Neuropsicologia, 2. Psicologia del ciclo di vita, 3. Psicologia della salute, 4. Valutazione psicologica e consulenza.
o 2007 Una sentenza del Consiglio di Stato prevede che alle scuole di specializzazione in psicologia clinica possano
accedere solo i laureati in psicologia e non più i laureati in medicina.
CAPITOLO 2 – LA PSICODIAGNOSTICA

L’ESAME PSICODIAGNOSTICO

È un percorso di sostegno psicologico e di counselling, e anche un momento altamente specialistico e richiede


competenze e tecniche psicodiagnostiche. L’ottica della psicologia clinica è guardare il singolo.

L’esame psicodiagnostico:
 può essere descritto come un complesso processo di raccolta, analisi ed elaborazione di informazioni
(rilevanti) volte a rispondere ad uno dei tanti quesiti di pertinenza della psicologia clinica => le
indicazioni relative al l'opportunità di un trattamento psicoterapeutico, la valutazione delle condizioni
psicologiche per gravi provvedimenti voglio vogli, ecc..
 ha una struttura formale costituita da una successione sistematica e organizzata di approfondimenti
successivi => AMPIO VENTAGLIO DI IPOTESI ALTERNATIVE DA PRENDERE IN ESAME.
 Non è una passiva raccolta di informazioni, ma un processo attivo, simile ad un processo di problem-
solving e decision making: un complesso processo di raccolta e di elaborazione di informazioni relative al
soggetto in questione.
 è più di una diagnosi: non opera nell’ottica della classificazione nosografica, ovvero della semplice
categorizzazione del soggetto all’interno di una determinata malattia, ma nell’ottica
dell’approfondimento e dell’analisi del singolo caso e delle sue peculiarità.
 L’obiettivo è l’acquisizione di una conoscenza più approfondita del soggetto lungo molteplici
dimensioni psicologicamente rilevanti.
 Può includere la formulazione di una diagnosi di disturbo mentale: è una chiarificazione preliminare, non
esaurisce l'esame psicodiagnostico che è un insieme più ampio.

Tecniche della psicodiagnostica: Colloquio clinico, Assessment psicofisiologico, Osservazione, Interviste


strutturate, Test psicodiagnostici autovalutativi, Tecniche proiettive, Test di intelligenza, Valutazione cognitiva e
neuropsicologica.

IL COLLOQUIO CLINICO
 Asse portante dell’esame psicodiagnostico che ha come finalità => l’esame del problema che porta il
paziente a rivolgersi ad uno psicologo clinico => Il quale deve collocare tali problemi all'interno di un
reticolo di elementi costitutivi della storia personale del soggetto, dall'insieme delle sue caratteristiche
personologiche, dalla rete di relazioni familiari e sociali.
 Va al di là del semplice livello di ascolto empatico => è un processo di ricerca attiva intelligente delle
coordinate che danno un senso psicologico a quanto paziente propone.
 Il colloquio clinico:
1. Utilizza materiale verbale e il sistema cognitivo-verbale (ciò che il paziente pensa e ciò che il
paziente dice di se).
2. Rappresenta un setting di osservazione specifico e strutturato: lo psicologo fa un lavoro di
osservazione del comportamento del paziente in una situazione data (postura, contatto oculare,
mimica, non verbale e para verbale, ecc).
3. Costituisce un esempio di comportamento interpersonale significativo: consente perciò
l’analisi delle variabili di relazione che si stabiliscono nell’interazione tra paziente e psicologo.
 FINALITÀ:
1. esame del problema del paziente
2. stabilire una relazione di fiducia e collaborazione nella diade paziente-psicologo.
 TOPOGRAFIA DEI COLLOQUI INIZIALI
1. Fase dei preliminari
2. Apertura vera e propria, in genere con una domanda molto aperta “Di che problemi parliamo?”.
Il termine “disturbo” o “malattia” sono evitati.
3. Specificazione del problema (fase del problema iniziale): Lo psicologo cerca di ottenere
un’ampia e precisa descrizione del problema lamentato attualmente: attenzione sul presente, su
quanto la persona pensa e prova.
4. Analisi delle variabili funzionalmente correlate: Il colloquio tenderà ad individuare variabili che
influenzano aspetti del problema in esame.
5. Allargamento (frasi dei problemi attuali) lo psicologo allargherà l'esame agli ulteriori problemi
presenti attualmente al di là di quello proposto inizialmente
6. Storia dei problemi (fase delle ipotesi eziopatogenetiche) il colloquio risalirà poi al primo
insorgere del problema e lo ripercorrerà nel tempo fino al momento attuale storia del problema
7. Storia personale (fase del profilo complessivo): Un ampio spazio sarà poi dedicato alla storia
personale: questa fase del colloquio mette tra parentesi gli elementi problematici o patologici che
hanno dominato fin qui il colloquio, per ripercorrere la storia della persona nei suoi elementi e
nei suoi avvenimenti “normali”
8. Analisi delle aspettative: Nelle sue fasi conclusive, il colloquio ritornerà su quanto il paziente si
aspetta dallo psicologo clinico e dall’esame psicodiagnostico in corso
9. Restituzione e chiusura: Il colloquio clinico che conclude l’esame psicodiagnostico non e più
volto a raccogliere informazioni, ma a dare informazioni: lo psicologo spiega nel modo più
semplice e trasparente quanto l’esame psicodiagnostico ha messo in luce.

IL MODELLO MULTIDIMENSIONALE

Le informazioni che lo psicologo può utilizzare per condurre l’esame psicodiagnostico sono molte, e sono state
classificate in “classi” a seconda del “canale” dal quale provengono; si distinguono almeno 3 classi principali:

- 1° classe: e data dalle informazioni provenienti da canale verbale: tutto ciò che il paziente riferisce
attraverso i vari metodi d’indagine (colloquio, intervista ecc). Sono influenzate da variabili di diverso
grado soggettive, sono legate al contesto e connesse alla relazione interpersonale, e da variabili proprie
allo psicologo (bias idiosincrasici).
- 2° classe: informazioni provenienti da un’ osservazione diretta del comportamento della persona
(comportamento non verbale nel corso del colloquio clinico), influenzate dalle variabili di contesto, di
relazione e dalle variabili dell’osservatore.
- 3°classe: registrazioni strumentali dell’attivazione psicofisiologica dell’individuo (es. attività cerebrale,
ecc.).

La psicologia inizialmente ha utilizzato questi tre principi sia nella pratica psicodiagnostica sia nella ricerca clinica =>
ma non possiamo parlare di un consapevole approccio multidimensionale, L'idea era chi una pluralità di fonti potesse
attenuare le distorsioni.

Anni 70 -> rivoluzione concettuale: misure relative a uno o all'altro canale non sono interscambiabili tra loro, non
possono essere considerati come misure sotto angolazioni (deformazioni) diverse di uno stesso fenomeno o di uno
stesso costrutto: vanno invece considerati come valutazioni o misurazioni di dimensioni tra loro connesse ma
relativamente indipendenti.

MODELLO MULTIDIMENSIONALE DELL'ASSESSMENT = spazio tridimensionale definito lungo un


continuum:

- Cognitivo-verbale
- Comportamentale-motorio - Psicofisiologico
Una valutazione multidimensionale cerca di integrare informazioni e misurazioni provenienti da diversi piani, come il
piano delle emozioni, quello dell’osservazione esterna, quello delle relazioni familiari, quello storico, etc.
Es. Esame psicologico multidimensionale: Jung elabora una lista di 100 parole che vengono lette al soggetto il
quale deve rispondere la prima cosa che gli viene in mente. Jung osserva il comportamento dell’esaminato, prende
nota di quanto tempo ci mette a rispondere, registra le alterazioni della respirazione, etc.

ASSESSMENT PSICOFISIOLOGICO

È deputato alla valutazione delle specifiche modalità del sistema di risposte psicofisiologiche della persona in esame.
Lo psicologo registra in forma continua, per un certo periodo di tempo (da 20 a 45 min.) una serie di indici
psicofisiologici; i più comuni sono:

- l’attività mioelettrica, che è indicativa del livello di tensione muscolare; è rilevata in genere sulla
superficie del muscolo frontale, come attività elettromiografica (Emg) media in unità di tempo (in genere
un secondo) in microvolt (µV);
- la frequenza cardiaca, rilevata con un cardiotacometro (frequenzimetro cardiaco) in battiti per minuto
(bpm);
- la frequenza respiratoria, cioè il numero di cicli inspiratori ed espiratori per minuto (varianti in media da
16 a 20);
- la temperatura periferica cutanea, rilevata in genere mediante un termistore, con sensibilità superiore al
centesimo di grado centigrado, collocato sul palmo oppure su di un dito della mano;
- la pressione sistolica e diastolica, in mm/Hg, rilevata elettronicamente a intervalli di uno o due minuti in
genere;
- la conduttanza cutanea, rilevata in microohm per cm2 con elettrodi posizionati sulle dita, che riflette le
modifiche dell’attività delle ghiandole sudoripare della pelle; era indicata in passato come «risposta
psicogalvanica» e rappresenta la più antica e gloriosa forma di rilevazione psicofisiologica.

Una parte significativa della tecnologia dell’assessment psicofisiologico deriva dal lie director (rilevatore di bugie), la
macchina della verità utilizzata da tempo in sede giudiziale per evidenziare alterazioni fisiologiche associate alla
produzione di risposte non veritiere.

Una volta analizzata la linea di base, in molti casi interessa valutare una reazione di attivazione
(fasica): lo
psicologo intende cioè confrontare il livello di attivazione in presenza di condizioni stimolo specifiche.
- Si parlerà allora di profilo psicofisiologico, importante nella valutazione del rilassamento, che e l’obiettivo
di molteplici training svolti da psicologi clinici.
Tra l’autovalutazione soggettiva e le rilevazioni psicofisiologiche si possono riscontrare correlazioni molto basse o
addirittura negative => Parliamo di alessitimia quando al diminuire dell’autovalutazione soggettiva dell’attivazione e
della tensione gli indici di risposta psicofisiologica aumentano, mentre all’aumentare dell’autovalutazione soggettiva gli
indici psicofisiologici diminuiscono.

- Alessitimia = incapacità a riconoscere, denominare e verbalizzare il mondo delle emozioni e ciò


favorirebbe l'insorgenza di malattie psicosomatiche o il mancato riconoscimento cognitivo della presenza
di lievi tensioni che interferiscono ad esempio con l'addormentamento o comportamento alimentare o
sessuale.

OSSERVAZIONE

Si parlerà di osservazione naturalistica quando l’osservazione ha luogo nell’ambiente naturale nel quale
spontaneamente si verifica il comportamento in esame.

- Esempi di osservazione naturalistica sono presenti nel caso di disturbi alimentari. Alcuni specialisti
trovano utile pranzare con il paziente, nel corso dell’esame psicodiagnostico.
Si definisce reattività ad un comportamento il cambiamento (per es. aumento o diminuzione della frequenza) che il
comportamento di quella persona viene ad avere per il solo fatto di essere osservato; in linea di massima, la reattività
va scemando con il protrarsi o con il ripetersi delle osservazioni.

Più che di osservazioni episodiche, si parlerà, in psicologia clinica, di “periodi di osservazione” secondo i tempi più
opportuni.

- Gli psicologi clinici dunque cominciano ad uscire dai loro studi perché alcuni disturbi presentano
comportamenti visibili solo nel contesto di vita quotidiano.
GRIGLIA DI OSSERVAZIONE: x registrare il comportamento manifesto.

Una tecnica intermedia tra la valutazione soggettiva e l’osservazione e l’AUTOMONITORAGGIO:

- L’automonitoraggio è la procedura più prossima all’osservazione in tutti i casi in cui l’osservazione


da parte di altre persone non sia possibile; è anche la procedura d’elezione per quanto riguarda
eventi interni:
impulsi, emozioni, pensieri.
- Es. fumatore che annota tutte le volte che accende una sigaretta: è soggetto a effetti di reattività: il
semplice fatto di tenere l'automonitoraggio di un comportamento indesiderato porta a una sua piccola
riduzione.
- Es. Periodo di automonitoraggio della compulsione a rubare qualche oggetto o per i sentimenti di rabbia e
dei pensieri aggressivi che si provano nei confronti di una persona.

- INTERVISTE STRUTTURATE BIAS DEL VALUTATORE:


- la propensione ad ancorare l’intero processo valutativo a specifiche informazioni (anchoring bias),
- la tendenza a cercare conferme per l’ipotesi formulata, piuttosto che a vedere se essa può essere
sconfermata (confirmation bias),
- la tendenza a farsi influenzare da fattori contestuali (diagnosis momentum),
- l’eccessivo uso delle informazioni raccolte per prime (order effect),
- l’eccessiva sicurezza (overconfidence bias),
- la decisione prematura di considerare acquisiti gli elementi necessari per la diagnosi (premature closure)

Interviste strutturate: a metà strada tra l’osservazione diretta e l’autovalutazione soggettiva.

- Sono simili al colloquio clinico, ma sono molto meno libere: contenuto e modalità delle domande sono
infatti prestabiliti.
- A differenza del colloquio clinico, è una tecnica standardizzata e ci si aspetta che un differente
intervistatore otterrebbe sostanzialmente le medesime risposte.
- Ha due fondamentali differenze dal colloquio clinico: valuta un costrutto specifico e dà luogo ad un
punteggio o ad una classificazione relativa a quel costrutto.

ESEMPI di interviste:

L’ Adult Attachment Interview : sviluppata da George, Kaplan e Main (1985) allo scopo di classificare lo “stile di
attaccamento” (distanziante, sicuro, coinvolto/preoccupato, con lutti o traumi irrisolti, inclassificabile) in età superiore
ai 16 anni. Intervista semi strutturata, 1h, 18 domande aperte che indagano l’esperienza del soggetto con le principali
figure di riferimento nell’infanzia. L'intervista viene audio registrata, trascritta integralmente, subisce operazioni di
codifica e classificazione al fine di assegnare una categoria principale dello stile di attaccamento. Categorie prese
dalla Strange situation:
1. attaccamento distanziante (dismissing), qualora l’individuo manifesti un tentativo attivo di limitare
l’influenza delle esperienze e delle relazioni di attaccamento rispetto alla vita attuale;
2. attaccamento sicuro (free-autonomous), quando il soggetto appare realmente libero di esplorare i propri
sentimenti e i propri pensieri relativi alle aree indagate e presenta un quadro di consapevolezza rispetto sia
ai dati di realtà sia ai significati a essi attribuiti;
3. attaccamento coinvolto o preoccupato (entangled-preoccupied), qualora l’intervistato offra un quadro
confuso che mostri un invischiamento tuttora presente e attivamente disturbante;
4. attaccamento con lutti o traumi non risolti (unresolved), nel caso in cui siano presenti indici formali di
mancata risoluzione di gravi lutti, abusi o traumi di altro genere;
5. attaccamento inclassificabile (cannot classified), qualora la sovrapposizione degli aspetti non consenta la
classificazione in nessuno degli stili di attaccamento previsti.

Intervista strutturata o Type A Coronary Orone Behavior Structured Interview: sviluppato da due cardiologi, è
un'intervista provocativa che tende a far emergere reazioni di irritazione o di ostilità, l'attenzione è volta in parte al
contenuto delle risposte del paziente e all'osservazione del comportamento dell'intervistato, alla mimica del volto, alle
variazioni di intonazione della voce e alla gestualità. L'intervista viene videoregistrata e esaminata con una griglia di
analisi, questa intervista indaga il costrutto Tipo A messo a punto attraverso l'esame di un campione di individui sani
seguiti per 10 anni sotto il profilo cardiovascolare con l'intento di eventuali alcuni fattori di rischio di infarto miocardico
di matrice psicologica che si aggiungono a quelli di matrice genetica e biologica.

Intervista clinica strutturata per il DSM-5: di carattere diagnostico che fa riferimento al sistema di diagnosi del
DSM, è un flow chart diagnostico, che guida l’intervistatore nell’utilizzare moduli diversi in base al paziente che ha
davanti e a seconda delle risposte iniziali. In base alle risposte si indica se quella caratteristica è PRESENTE, se è
PRESENTE A UN LIVELLO SOTTO SOGLIA, se è PRESENTE A UN LIVELLO CLINICAMENTE
SIGNIFICATIVO.

Camberwell Family Interview : sviluppata da Rutter e Brown (1966) e successivamente revisionata da Vaughn
e Leff (1976). L’intervista esplora le emozioni espresse dai familiari di pazienti psichiatrici nei confronti del loro
congiunto malato e prende in considerazione soltanto l’emotività esplicita del familiare senza fare inferenze su
stati d’animo inespressi. È un intervista standardizzata ma lascia l’intervistatore libero nel porre le domande.
Dura circa 1h, e i familiari sono intervistati singolarmente. La valutazione viene svolta da 2 psicologi.

Yale-Brown Obsessive Compulsive Scale (Y-BOCS): è un intervista semi strutturata sviluppata da ricercatori
dell’Universita di Yale e della Brown University. È stata costruita in riferimento ai criteri diagnostici del disturbo
ossessivo-compulsivo. È formata da 10 item: 5 per ossessioni e 5 per compulsioni. L’intervistatore valuta: a) durata o
frequenza, b) interferenza col funzionamento sociale e lavorativo, c) disagio soggettivo, d) grado di resistenza, e)
controllo percepito sulle ossessioni o compulsioni. La valutazione si basa sui contenuti espressi, sulle caratteristiche
extra verbali e para verbali delle risposte.

K-SADS: (Schedule for Affective Disorders and Schizofrenia Present – Lifetime Version for School Aged Children) (6-
17 anni). Lo strumento consta di una intervista introduttiva non strutturata che richiede circa 15 minuti e permette
l’acquisizione di dati demografici, notizie rilevanti sull’ambiente familiare, sulla salute del bambino, sulle tappe di
sviluppo, su eventuali trattamenti pregressi, sul rendimento scolastico, il tempo libero, la famiglia, eventuali traumi
subiti. segue una intervista diagnostica di screening (durata: 35-40 minuti) che indaga tutte le aree della

psicopatologia dell’età evolutiva comprese nell’asse 1 del DSM. Gli item sono codificati secondo un punteggio 0-3 o 0-
2. La positività al punteggio più alto rappresenta il criterio soglia per la somministrazione dei supplementi diagnostici.
Il punteggio finale viene dato dal clinico in base a tutte le informazioni raccolte e sui dati osservativi; necessita di un
esaminatore esperto.
TEST PSICODIAGNOSTICI AUTOVALUTATIVI

Integrano i colloqui clinici. Si tratta di test ad “ampio spettro”, cioè di carattere molto generale nelle prime fasi,
e poi più mirato nel corso delle fasi successive. I test vengono integrati con il colloquio clinico e altre procedure nel
corso dell’esame psicodiagnostico. Questi test potenziano il lavoro di esplorazione che lo psicologo svolge
attraverso il colloquio e permettono di esplorare meglio un costrutto psicodiagnostico.
Tutti questi test sono “autovalutativi” nel senso che si basano sulle risposte che il paziente fornisce relativamente
ai suoi comportamenti e alle sue caratteristiche psicologiche.
Di recente si e sviluppata anche la psicodiagnostica computerizzata: l’uso del computer ha consentito di minimizzare
i tempi per le operazioni di scoring, stesura dei referti, archiviazione e riutilizzo dei test.

ESEMPI:

• Minnesota Multiphasic Personality Inventory (MMPI): questionario sulla personalità


Sviluppato presso l’Università del Minnesota per opera di Hathaway e McKinley. È stato revisionato e oggi si fa uso
della sua seconda versione: Mmpi-II. L’intento principale del test -> screening -> discriminare la normalità dalla
patologia. Grazie a una serie di regole interpretative, lo psicologo riconosce ed eventualmente rigetta quei protocolli
che sono scarsamente attendibili. Dal Mmpi-II si ricavano ancora molteplici scale «supplementari» e «scale di
contenuto», le quali indagano aspetti più specifici. In tutto, il Mmpi-II è composto di 567 item. Ciascun item è espresso
in forma di affermazione con risposta dicotomica: «vero» o «falso».

• CBA (Cognitive Behavioural Assessment): indica una serie di tecniche di analisi di informazioni
provenienti dall’auto referto del soggetto
Le tecniche si sono sviluppate all’interno di una filosofia dell’esame psicodiagnostico che ha due fondamentali
presupposti.

- Il primo è detto integrazione orizzontale e presuppone il modello multidimensionale e una strategia di


integrazione tra le diverse componenti dell’esame psicodiagnostico.
- Il secondo è detto integrazione verticale e presuppone l’adozione, nel corso dell’esame
psicodiagnostico, di una strategia flessibile e «ritagliata sul caso specifico», che procede
gerarchicamente per approfondimenti successivi.
Da ciò la distinzione tra scale primarie, che si somministrano inizialmente, e scale secondarie, che si somministrano in
un secondo tempo e si scelgono sulla base dei risultati delle scale primarie, del colloquio clinico e delle eventuali altre
tecniche utilizzate nelle fasi precedenti dell’esame psicodiagnostico.

Le scale primarie Cba indagano, in maniera generale, ampie problematiche di potenziale interesse clinico; esse
tendono a individuare, in via di prima approssimazione, eventuali aree disfunzionali nella situazione di vita del
soggetto, che potranno essere oggetto di esplorazione a opera di successive scale secondarie.

• STAI (State-Trait Anxiety Inventory) = Test sulla misurazione dell’ansia


Risale a Cattell la distinzione, all’interno del costrutto di ansia, tra due accezioni fondamentalmente diverse: l’una
riferita a uno stato emotivo di un individuo in un dato momento e in una data situazione, l’altra riferita a una variabile di
personalità che può differenziare tra loro individui diversi. Spielberger aver reso corrente questa distinzione e aver
diffuso internazionalmente le denominazioni tecniche tuttora in uso:

- L’ansia di stato è concettualizzata «come uno stato transitorio emozionale o come condizione
dell’organismo umano caratterizzata da sentimenti soggettivi percepiti a livello cosciente di tensione e
apprensione, e dalla aumentata attività del sistema nervoso autonomo. Può variare nel tempo e fluttuare nel
tempo» [Spielberger, Gorsuch e Lushene 1980, 6].
- L’ansia di tratto, invece, si riferisce a «differenze individuali relativamente stabili nella disposizione
verso l’ansia, cioè a differenze tra le persone nella tendenza a rispondere con elevazioni dell’intensità
dell’ansia di stato a situazioni percepite come minacciose»
- Lo Stai consiste di 40 item, distribuiti in due scale di 20 item ognuna: una di stato, che viene indicata come
Y1, e una di tratto, che viene indicata come Y2.
o Le istruzioni della scala Y1 (ansia di stato) chiedono di fare riferimento a «come lei si sente
adesso, cioè in questo momento» e di scegliere la risposta che meglio descrive «i suoi attuali stati
d’animo».
o Le istruzioni della scala Y2 (ansia di tratto) chiedono, invece, di fare riferimento a «come lei
abitualmente si sente» e di scegliere la risposta che meglio descrive «come lei abitualmente si
sente».

• Beck Depression Inventory (BDI-II): test di depressione


Scopo del test è la misura dell’intensità della depressione: esso permette dunque di monitorare l’evoluzione dello stato
dell’umore nel corso di un episodio depressivo.

L’inventario è costituito da 21 item che indagano nell’ordine: 1) tristezza, 2) pessimismo, 3) fallimento, 4) perdita di
piacere, 5) senso di colpa, 6) sentimenti di punizione, 7) autostima, 8) autocritica, 9) suicidio, 10) pianto, 11)
agitazione, 12) perdita di interessi, 13) indecisione, 14) senso di inutilità, 15) perdita di energia, 16) sonno, 17)
irritabilità, 18) appetito, 19) concentrazione, 20) fatica, 21) sesso.

Le istruzioni chiedono di fare riferimento a «come Lei si è sentito nelle ultime due settimane». Il punteggio totale si
ottiene sommando il valore corrispondente alla risposta scelta dal soggetto per ciascun item, valore che può variare da 0
a3

• Million Clinical Multiaxial Inventory: valutazione dei disturbi di personalità


Il Millon Clinical Multiaxial Inventory-III (MCMI-III) costituisce internazionalmente il test per antonomasia dedicato
alla valutazione dei disturbi di personalità. Si tratta di un questionario per autosomministrazione formato da 175 item e
richiede da 30 a 60 minuti per la sua compilazione.

Lo scoring è relativamente complesso; la correzione a mano è sconsigliata dall’autore, che suggerisce il ricorso a un
apposito sistema di interpretazione automatica. Gli item danno luogo a tre gruppi di scale: 4 scale di validità, 14 scale
relative a configurazioni di personalità, 10 scale relative a sindromi cliniche. Queste configurazioni di personalità sono
largamente sovrapponibili ai disturbi di personalità delle moderne classificazioni. Esiste anche Millon Adolescent
Clinical Inventory (MACI).

TECNICHE PROIETTIVE

Le tecniche proiettive hanno come loro fondamento teorico l’ipotesi proiettiva: le risposte di un individuo a degli
stimoli ambigui, che gli vengono presentati, riflettono attributi significativi e relativamente stabili della sua
personalità.
- Vengono presentati al soggetto stimoli poco strutturati o ambigui e gli viene chiesto di “interpretarli”.
- Ci si attende che il materiale del test funzioni come uno schermo bianco sul quale il soggetto “proietta” le
sue caratteristiche psicologiche: conflitti, bisogni, atteggiamenti, interessi, ecc.
Si ha così una vasta concezione di proiezione: indica anche il ruolo attivo e costruttivo della persona nella percezione e
interpretazione della realtà.

Si parla di tecniche proiettive anziché di test perché:


- un test presume: sia una rigida standardizzazione, sia la possibilità di poter venire ripetuto, a breve
distanza di tempo, con i medesimi risultati.
- tali tecniche risentono di stati emotivi temporanei e la loro riapplicazione può portare a riscontri differenti
influenzati da fattori accidentali.
- esse non danno luogo a veri e propri punteggi, che soddisfano i rigorosi principi fissati dalla teoria dei test,
ma piuttosto a delle indicazioni generali che lasciano ampia libertà di interpretazione allo psicologo.

I primi metodo proiettivi nascono a fine ‘800 e consistono in liste di libera associazione di parole (vedi esempio di Jung
quando si parla di modello multidimensionale). In seguito, si svilupparono test proiettivi che hanno riguardato:

- l’interpretazione di stimoli privi di contenuto proprio, come il reattivo psicodiagnostico di Rorschach, sul
quale ci soffermeremo più avanti, il Test delle macchie di Holtzman, che comprende 45 tavole che
riproducono macchie d’inchiostro con caratteristiche percettive e di colore in parte diverse e più variegate
rispetto alle tavole di Rorschach, e lo Z-test di Zulliger [1968], che utilizza invece solo tre tavole;
- l’interpretazione di stimoli dal significato incompleto, come il Test di appercezione tematica (Tat) di
Murray, le cui tavole rappresentano persone raffigurate realisticamente in situazioni diverse e si chiede al
soggetto di utilizzare ogni tavola come spunto per una narrazione di sua fantasia;
- test semiproiettivi con stimoli simili a fumetti incompleti, dove si chiede al soggetto di completare il
disegno o le parole del fumetto, come The Picture-Association Method for Assessing Reactions to
Frustration di Rosenzweig [1945] utilizzato per valutare la frustrazione;
- la produzione di disegni, come il Disegno della casa, dell’albero e della figura umana o il Disegno della
famiglia [Tambelli e Zavattini 1998];
- la scelta di colori, come il Test di Lüscher che utilizza come stimoli dei cartoncini colorati e chiede al
soggetto di scegliere quelli con i colori preferiti;
- la manipolazione e il gioco, come le tecniche del Gioco del vassoio con la sabbia, il Test del villaggio
immaginario dove si utilizzano miniature di case, alberi, personaggi ecc. per costruire un villaggio
[Mucchielli 1976], lo Sceno-test che utilizza invece pupazzetti con cui giocare.

REATTIVO PSICODIAGNOSTIVO DI RORSHACH

La più nota tecnica proiettiva e il reattivo psicodiagnostico di Rorschach = è stata elaborata nel 1921 dallo psichiatra
tedesco Hermann Rorschach. Egli fece esprimenti con molte macchie d’inchiostro in gruppi di pazienti psichiatrici per
studiare problemi di percezione. Si trattava di macchie casuali d’inchiostro approssimativamente simmetriche.

- 10 tavole → 5 sfumature grigie e nere, 2 tocchi di rosso, 3 sfumature di vari colori.


Lo psicologo mostra al soggetto ogni tavola con la consegna di dire cosa vede, cosa potrebbe rappresentare ciascuna
tavola. Lo psicologo annota le risposte del soggetto, il tempo impiegato per rispondere, la posizione in cui vengono
tenute le tavole e ogni altra eventuale manifestazione del comportamento del soggetto.

- Terminata la presentazione, lo psicologo ripresenta ciascuna tavola chiedendo quali parti e quali aspetti
della figura hanno determinato la risposta o le risposte.
- Successivamente lo psicologo procede alla «siglatura» del protocollo così raccolto, La siglatura consiste
nella codifica di una serie di caratteristiche formali delle risposte; le categorie originariamente proposte da
Rorschach sono quattro :
o 1. il fattore determinante la risposta, che può essere la forma della macchia, il colore,
l’impressione di movimento;
o 2. la localizzazione, all’interno della tavola, del contenuto della risposta; la risposta può essere
un’interpretazione della tavola nella sua globalità, oppure di una sua parte, oppure di un suo
dettaglio minore, oppure degli spazi bianchi lasciati dalle macchie ecc.;
o 3. il contenuto della risposta, che può riferirsi ad animali, oggetti inanimati, uomini, parti
anatomiche ecc.;
o 4. l’originalità della risposta, giacché alcune risposte sono comuni («banali»), altre rare e
originali.
L’interpretazione
- si basa sulla frequenza delle caratteristiche delle risposte, come vengono evidenziate nella siglatura, oltre
che su indici quali il numero delle risposte, i tempi di reazione, i «rifiuti»
- offrirebbe sia una valutazione globale della personalità, sia una valutazione qualitativa dell’intelligenza,
sia un aiuto alla diagnosi differenziale.
Oggi esiste una pluralità di metodi d’impiego del reattivo di Rorschach:
- il metodo tedesco-svizzero, indicato in genere come «metodo europeo», che ha come riferimento il
manuale di Bohm [1969] e continua e sviluppa le indicazioni originarie di Rorschach;
- il metodo svizzero-francese, che ha come riferimento il manuale della Loosli-Usteri [1965] e le ricerche
svolte nei paesi francofoni, metodo anch’esso estremamente rispettoso dell’impostazione originaria
dell’autore; fra i metodi europei, caratterizzati dalla fedeltà all’impostazione originaria, ha un posto di
rilievo il manuale di Passi Tognazzo [1994];
- il metodo Klopfer, che ruppe con l’ossequio alla tradizione discostandosi per molti aspetti dal
procedimento originario [Klopfer e Davidson 1971]; formatosi a Zurigo, Klopfer si stabilì nel 1934 negli
Stati Uniti dove ebbe un ruolo di rilievo nella diffusione di tale test;
- il metodo Rapaport-Schafer [Rapaport, Gill e Schafer 1968], che propone un’accentuata impostazione
psicoanalitica nell’interpretazione delle risposte e dei loro contenuti; un’ancor più marcata collocazione
nel background psicoanalitico è stata sviluppata successivamente in Europa dalla scuola francese [Chabert
1982];
- il Sistema comprensivo di Exner [Exner 1974], che deve il nome al tentativo di operare una sintesi – o,
meglio, un superamento – dei numerosi sistemi di impiego del Rorschach; esso si pone volutamente come
un metodo «ateoretico», attento principalmente alle modalità con cui il soggetto struttura e organizza
percettivamente la macchia, e presenta una solida base psicometrica.

9. TEST DI INTELLIGENZA

La valutazione clinica può includere l’uso di test che riguardano la sfera cognitiva, esaminano cioè le abilita di
percezione, pensiero, memoria, apprendimento, visualizzazione, attenzione, ecc.

La valutazione dell’intelligenza si rivela spesso utile per affrontare la questione preliminare relativa alla possibilità che
le disfunzioni di un individuo siano associate ad una debolezza intellettiva complessiva.

- La scala Stanford-Binet che costituisce uno dei riadattamenti dello strumento originariamente ideato da
Binet per valutare il quoziente di intelligenza (QI), ovvero il rapporto (x100) fra età mentale (età
corrispondente alle prove cognitive che l’individuo e in grado di superare) ed età cronologica.
- Matrici Progressive di Raven che si basa sulla richiesta di una specifica operazione di ragionamento
induttivo su stimoli visivi → strumento di semplice somministrazione, non e eccessivamente influenzato
dal livello culturale dell’individuo esaminato e sembra misurare aspetti centrali dell’intelligenza (si parla
talvolta di fattore g).
Le scale WECHSLER godono di maggiore popolarità, per la loro solidità, flessibilità, standardizzazione. Le scale di
Wechsler si basano sulla somministrazione di una serie di prove che esaminano aspetti differenti del funzionamento
cognitivo.(verbale, visuospaziali…).

10. VALUTAZIONE COGNITIVA E NEUROPSICOLOGICA DI SPECIFICHE FUNZIONI

La necessità di valutazioni cliniche di aspetti specifici del funzionamento mentale insorge in tutti i casi in cui non è
sufficiente avere una stima complessiva dell’efficienza intellettiva dell’individuo, ma è necessario ottenere delle
valutazioni più fini, che tengano conto del fatto che un individuo può avere difficolta in un’area cognitiva, ma non in
un’altra e che, in taluni casi soprattutto conseguenti a lesione neurologica specifica, esso può presentare un disturbo
molto selettivo “dissociato” dal resto del funzionamento mentale.

Vantaggi delle valutazioni specifiche:

- Consentono una diagnosi più precisa del problema del malato.


- Possono offrire informazioni preziose anche per una valutazione medica generale (es. per la demenza di
Alzheimer) o per una valutazione delle aree interessate da un disturbo neurologico.
- Permettono di riconoscere lo specifico problema dell’individuo e compiere delle decisioni relative alle
modalità dell’intervento.
Gli strumenti disponibili sul mercato possono essere distinti con riferimento alle funzioni cognitive (memoria-test
della figura complessa di Rey-, attenzione, linguaggio, ecc.) o con riferimento alle aree del cervello che si ipotizza siano
interessate.

11. LA CLASSIFICAZIONE DEI DISTURBI MENTALI

Già alla fine dell’Ottocento si ebbero tentativi di realizzare una classificazione delle malattie internazionalmente
condivisa. l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) nella sesta revisione del Manual of the International
Statistical Classification of Diseases, Injuries, and Causes of Death, inserì, nel 1946, una sezione relativa ai disturbi
mentali.

- Si trattava di un lavoro molto grossolano che scontentò, tra l’altro, la numerosa e ricca comunità degli
psichiatri americani; questi procedettero autonomamente e diedero vita, nel 1952, a un loro Diagnostic
and Statistical Manual of Mental Diseases.
- La revisione attuale è nota come DSM-5 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Diseases-5).
Esistono 2 (principali) sistemi diagnostici (DSM-V / DSM-IV-TR e IDC10) che offrono classificazioni
categoriali e suddividono i disturbi mentali sulla base di set di criteri con caratteristiche descrittive…
ovvero sistemi nosografici!
Quindi la classificazione avviene attraverso due strumenti:
- ICD (International Statistical Classification of Diseases, Injuries and Causes of Death):
o classificazione internazionale delle malattie e dei problemi correlati, o stilata
dall'Organizzazione Mondiale della Sanita (OMS-WHO).
- DSM (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) o uno dei sistemi nosografici per i disturbi
mentali o psicopatologici più utilizzato da medici, psichiatri e psicologi di tutto il mondo, sia nella pratica
clinica che nell'ambito della ricerca.
o è ateoretico, cioè non ha preteso di fare scelte teoriche di campo, ma si e limitato a
identificare le tipologie più frequenti di disturbo psichico e a fotografarne gli elementi
associati.
Essi sono il prodotto di due storie separate, che fortunatamente si sono ricongiunte; oggi tra DSM-5 e Icd-11
esistono differenze di dettaglio e l’uno rimanda all’altro.
- Il DSM è molto più accurato ed è il riferimento principe nella ricerca scientifica e nelle valutazioni più
raffinate.
- L’ICD è d’obbligo a livello mondiale in base a precisi accordi tra i governi, è alla base delle statistiche e
della burocrazia ospedaliera, anche nel sistema sanitario italiano.
Il DSM, forse il sistema più diffuso e usato dai clinici, prevede una valutazione/classificazione multiassiale: il
paziente è valutato lungo cinque assi, ognuno dei quali si riferisce ad un diverso campo di informazioni che vanno
al di là della diagnosi e possono aiutare il clinico a pianificare il trattamento.
- Asse I - principali disturbi e altre condizioni che possono essere oggetto di attenzione clinica
- Asse II - disturbi di personalita e disturbi specifici dello sviluppo, come autismo e ritardo mentale
- Asse III - malattie organiche e le condizioni di ordine fisico che fossero eventualmente presenti in
parallelo
- Asse IV - eventi psicosociali stressanti che si ritengono aver contribuito all’insorgere o all’aggravamento
della patologia in atto
- Asse V - scala di funzionamento globale (valutazione globale del livello di funzionamento del paziente).
Entrambi i sistemi diagnostici offrono classificazioni categoriali e suddividono i disturbi mentali sulla
base di un set di criteri con caratteristiche descrittive.
07/10/2022

CAP 2:L’ESAME PSICODIAGNOSTICO


La psicodiagnostica è un’attività di raccolta di info, analisi ed elaborazione di info affinché abbiano un senso, serve per
rispondere a dei quesiti diagnostici. Rappresenta il primo passo per capire come aiutare la persona. A volte il primo
passo di un percorso di sostegno psicologico e di counselling e si limita a colloquio clinico, altre volte è un momento
altamente specialistico che richiede tecniche psicodiagnostiche precise.

ICD e DSM  essi sono i principali manuali diagnostici.

Per gran parte del 900 si sono avute definizioni e stime epidemiologiche molto varie perché tradizioni psicopatologiche
differenti portavano a definirli diversamente e a fare uso di criteri più o meno ampiamente comprensivi.

Dopo i primi tentativi di diagnosi delle patologie l’OMS inserì nel loro manuale i disturbi mentali (ma solo alla sesta
revisione nel 1946 e in modo incompleto). La comunità degli psichiatri americani diede vita nel 1952 a una loro
Diagnostic and Statistical Manual of Mental Diseases (DSM) oggi arrivata alla quinta revisione DSM-V.

L’OMS ha nel frattempo migliorato il suo manuale di International Classification of Diseases denominato ICD tanto
che oggi siamo arrivati all’undicesima versione.

Le differenze tra i due manuali:

 ICD-11 e DSM-V sono il frutto della collaborazione di svariati gruppi di lavoro e di innumerevoli società
scientifiche.
 Oggi il DSM si usa per fare diagnosi accurate ed è il riferimento principe nella ricerca scientifica.
 L’ICD-11 è invece d’obbligo a livello mondiale in base a precisi accordi tra governi e è il “linguaggio” con sui
si esprime la burocrazia ospedaliera anche nel sistema sanitario italiano.

Nell’ultima versione del DSM (DSM-V):

 Ridurre la comorbilità e i confini a volte sfumati fra disturbi


 Ridurre il ricorso alla categoria NAS
 Dare maggiore attenzione al genere e alle specificità culturali
 Garantire l’omogeneità con l’ICD-11
 Integrare i dati provenienti da neuroscienze, neuroimaging e dalla ricerca genetica

Il DSM è composto da 3 sezioni + appendice:

I. Sezione I – Aspetti di base (Intro, uso del manuale, ecc)


II. Sezione II – Criteri diagnostici e codici
III. Sezione III – Misure emergenti e modelli
IV. Appendice

PDM-Psychodynamic Diagnostic Manual

Frutto di un lavoro collettivo volto a integrare gli sforzi di DSM e ICD.Ha un taglio prettamente psicodinamico che
interrompe una tradizione ostile a ogni tipo di sistematizzazione diffusa in ambito psicoanalitico.

12/10/2022

CAP 3: LA PSICOLOGIA CLINICA DELLO SVILUPPO


Quando si può parlare di disturbo in età evolutiva?

Non sempre è facile tracciare un confine tra quella che può essere una crisi transitoria e ciò che costituisce un vero e
prorpio disturbo.
La tabella ripercorre le varie problematiche che + frequentemente compaiono alla varie età e che poi spariscono  la
loro frequenza non rappresenta un elemento psicopatologico a meno che l’intensità e la frequenza non siano eccessive.

Per parlare di disturbo in età evolutiva gli studiosi usano:

1. Modelli ottimali di funzionamento e di adattamento personale e trova incrinature più o meno grandi nei
bambini che non rispecchiano questo funzionamento

2. Principi statistici elementari : il comportamento problematico è disadattivo se è presentato da meno del 2.5%
o con riferimento alle 2 deviazioni standard sotto la media

Gli aspetti che bisogna prendere in considerazione quando si osserva un possibile disturbo educativo sono:

a) Disturbi emotivo- comportamentali


b) Problemi interpersonali
c) Problemi di apprendimento/insuccesso scolastico
d) Eziologia
e) Deviazione della norma
f) Cronicità
g) Severità
h) Prognosi

LA CLASSIFICAZIONE DEI DISTURBI PSICOLOGICI EVOLUTIVI

La psicopatologia è animata da un accesso dibattito volto a definire se sia meglio un sistema dimensionale o un sistema
categoriale per la classificazione dei disturbi psicologici evolutivi.

Le caratteristiche dei due sistemi sono:

1. Descrizione categoriale: All’interno di una classifazione tassonimica o categoriale i disturbi vengono


classificati con sistemi tassonimici che distinguono in categorie distinte i vari disturbi.

Riconosciamo a tale sistema il vantaggio della chiarezza, e la possibilità di ricondurre casi diversi ad una comune
famiglia di disturbi  es. se si individua un caso con un certo profilo di problemi alimentari, la possibilità di
diagnosticarlo in termini di anoressia nervosa permette di collegarlo ad altri simili ed orientare la valutazione
diagnostica e l’intervento.

Tra gli svantaggi del sistema categoriale abbiamo:


6. Eccessiva schematizzazione
7. Etichettatura  un bambino classificato in relazione a un preciso disturbo può finire per essere condizionato nel
suo modo di affrontare la vita e, condiziona anche il modo in cui gli altri lo vedono.
8. Grado di continuità?
9. Distinguere tra disturbi

2. Descrizione dimensionale: tale sistema consiste nel esaminare una serie di problematiche descritte nei sistemi
calssificatori e considerarle in prospettive dimensionali e quindi come tutte potenzialmente compresenti in uno
stesso individuo e a tutti i possibili livelli di intensità.

Un sistema dimensionale che ha ricevuto un certo grande di influenza è il Child Behavior CheckList (CBLC) di
Achenbach

Tale sistema prevede:

 Valutazioni date da mamma o insegnanti al comportamento del bambino


 I punteggi sono trasformati in un punteggi T standardizzati ove 50 riflette il valore medio tipico.
 Le varie dimensioni sono ricondotte a due fattori:
10. Sintomi internalizzanti: il bambino si ripiega senza esibirli in direzione degli altri (ansia, fobie, timidezze)
11. Sintomi esternalizzanti: sono diretti verso l’esterno (aggressività, disobbedienza, iperattività)

Esempio CBCL

Un’altra dimensione da tenere sotto controllo nella psicopatologia è l’autocontrollo  in base a questa dimensione i
problemi di un bambino possono essere caratterizzati o da un eccessivo autocontrollo, tipico dei problemi di internazionalizzazione o
da uno scarso autocontrollo visibile nei sintomi esternalizzanti.

TEORIE E FATTORI SOTTOSTANTI AI DISTURBI PSICOLOGICI DELLO SVILUPPO

Il dibattito ruota spesso intorno tra natura e nutrimento culturale:


12. Approccio biologico: Trova una conferma per quelle malattie psicologiche che hanno un riscontro genetico chiaro
(es. Studi schizofrenia sui gemelli)

Quello che emerge dalla ricerca è che in molte situazioni il corredo genetico produce una predisposizione ma NON una
causalità verso la presenza di disturbi psicologici

Approccio psiconiologico: Trova una conferma per quelle malattie psicologiche che hanno un riscontro genetico chiaro
(es. Studi schizofrenia sui gemelli)

Quello che emerge dalla ricerca è che in molte situazioni il corredo genetico produce una predisposizione ma NON una
causalità verso la presenza di disturbi psicologici

13. L’approccio comportamentista radicale.

Tra questi due approcci ce ne sono molti che si pongono nel mezzo:

13/10/2022

LA TEORIA

DELL’ATTTACCAMENTO

Il sistema di attaccamento è uno dei sistemi motivazionali, cioè un bisogno basilare. I sistemi motivazionali sono:

1) Cooperativo
2) Sessuale
3) Agonistico
4) Accudimento
5) Attaccamento

Ognuno di questi sistemi si attiva in determinate situazioni con l’emergere di alcune emozioni:

- Agonistico: si attiva in caso di competizione, in particolare in presenza di risorse scarse  molto spesso legato
all’emozione della rabbia
- Cooperativo: è l’area in cui lo psicologo deve riuscire a stare  “lavoriamo per un obbiettivo comune”
- Accudimento: emerge in caso di paura- ansia verso stati altrui. Nella relazione psicologo-paziente non deve
attivarsi tale sistema.
- Sessuale: gioia- paura. Legato al bisogno di affiliazione
- Attaccamento

Il sistema di attaccamento è attivato da:

1. fatica, dolore fisico e/o emozionale, solitudine;


2. generale percezione di essere vulnerabile a pericoli ambientali, o di non poter soddisfare da soli i bisogni
necessari alla sopravvivenza (alimentarsi, proteggersi dal clima sfavorevole, dormire).

META DEL SISTEMA: conseguimento della vicinanza protettiva di una persona, possibilmente disponibile a fornire
conforto e protezione.

È disattivato da:

1. conseguimento della vicinanza protettiva a una persona, preferibilmente disponibile a offrire aiuto
2. protratta impossibilità di conseguire aiuto.

Il Padre serve?

1. Durante il 1° anno è essenziale


per garantire la serenità della
madre, legittimare il suo impegno
e confermare la sua competenza

2. Dal 3° anno entra in scena anche


nella dimensione di esplorazione,
ludica o cognitiva e in seguito può funzionare come correttivo che dà al bimbo una cornice relazionale di
sicurezza e un ambito in cui il bimbo può raccontare e raccontarsi le difficoltà e insicurezze sentite nel
rapporto con la mamma senza percepirsi in modo giudicante come crudele e responsabile

3. Diventare caregiver in alcuni ambiti specifici ed esclusivi

FATTORI SOCIALI E SOCIOLOGICI PROBLEMATICI


Gil studi sul rischio psicosociale sono orientati a ricnoscere come un concorso di fattori d’ordine sociale possa produrre
un valore di rischio cumulativo che, se supera una certa soglia, produrrà un problema. Si esaminano in particolare I
seguenti fattori:

 Famiglia
 Svantaggio socio-culturale
 Gruppi minoritari

1. Famiglia: Ambito fondametale di vita del bambino  varie tipologie di fattori, quali cultura, religione,
sociale, hanno necessariamente conseguenze sullo sviluppo psicologico del bambino. Separazioni, maternità
parziali, adozioni possono essere un rischio man on necessariamente. Uno studio di (Fava et al., 2000) su 23
adolescenti adottati valutati tramite AAI hanno mostrato che una buona metà dei ragazzi aveva uno stato
mentale più risolto di quello del gruppo di controllo.

2. Svantaggio socioculurale: può portare a situazioni di emarginazione e povertà di risorse e mezzi intellettuali
culturali e economici che possono aiutare lo sviluppo psicologico del bambino. L’importanza dei fattori
socioculturali nella psicopatologia evolutiva è documentata dagli effetti dagli effetti prevendivi sulle realtà
urbane a rischio.

Numerosi sono i risvolti dello Svantaggio socioculturale:

1. La condizone di povertà della famiglia non permette di offrire al bambino le opportunità e le sicurezze di cui
può godere un coetaneo che cresce in un ambiente agiato.
2. Non risorse per fornisce stimoli ricchi e articolati al bambino
3. Lo svantaggio può condurre all’emarginazione della famiglia 
- Nuclei familiari isolati
- Intere comunità

3. Gruppi minoritari: problemi linguistici es. Immigrati di prima o seconda generazione. Test culture-free in cui
la conoscenza della lingua può avere una scarsa influenza. Povertà, discriminazione e isolamento
sociale sono condizioni che insieme allo stress e la scarsa accettazione del ruolo paentale, aumentano la
probabilità che si verificano fenomeni gravi di abuso dell’adulto sul bambino. Si distinguono:

A. Patologia nella somministrazione della cura: Non provvedere ai bisogni (fisici e/o psichici) di salute e di
crescita del bambino in modo adeguato (qualitativamente e quantitativamente) e in rapporto al suo momento
evolutivo. Può essere disfunzionale sia una mancanza di cura sia un eccesso di cura (ipercuria) (es. madri
iperprotettive non permettono il processo di autonomia del bambino). Si po' parlare poi di discuria (es. le
mamme che fanno usare il biberon a sei anni)  intralcio il processo di sviluppo.
B. Maltrattamento psicologico: Azioni di svalutazione, umiliazione, denigrazione e sevizia psicologica,
esercitate in maniera continuativa e duratura nel tempo (attraverso comunicazioni verbali, atteggiamenti e/o
comportamenti).  contaminazione del sé. Bambini che non credono di essere abbastanza  vivono il rifiuto
in tutte le relazioni. Si frantuma l’immagine di sé.
Anche il ruolo dell’insegnate ha un ruolo in ciò  effetto devastante sui bambini in età scolare.
In tale categoria rientra anche la strumentalizzazione del bambino nelle questioni di coppia  la
conflittualità di coppia può avere diverse sfumature:
- Strumentalizzazione del bambino: bambino come mezzo per ferire l’altro  triangolazione
- Esposizione del bambino alla violenza  es. orfani speciali / es. violenza assistita  anche assistere alla
violenza può avere un impatto traumatico sul bambino.
C. Maltrattamento fisico: Eseguire e/o permettere che si eseguano azioni o e/omissioni, che mettono il bambino
in condizioni di subire lesioni fisiche.  anche il semplice permettere che ciò accada è maltrattamento.
Conseguenze nella mancata elaborazione di modelli relazionali salutari: chi ha subito un maltrattamento fisico
tende ad avere come base relazionale la violenza: genitori di bambini maltrattati possono essere stati a loro
vota maltrattati.
D. Abuso sessuale: Coinvolgimento in QUALSIASI attività sessuali, con assenza di piena consapevolezza e
possibilità di scelta da parte del minore, in violazione dei tabù familiari e delle differenze generazionali.
Prima veniva considerato abuso sessuale solo la penetrazione ad oggi una qualsiasi attività che indica attività
sessuali: anche il solo esporre il bambino ad una visione di un filmato.
La relazione non parte mai come sessuale ma come affettiva  progressivamente cambia modalità e i contatti
da affettuosi diventano sempre + sessuali.

PROBLEMATICHE EVOLUTIVE CON IMPLICAZIONI SOCIALI

Si prendono in esame: Bullismo, tossicodipendenza, delinquenza giovanile.

1. Bullismo: comportamento prepotente manifestato con costanza nel tempo che produce una interazione
prevaricante su una vittima.
Sul piano individuale il bullo può essere un bambino con caratteristiche di dominanza e assertività,
aggressività, e rifiuto dei coetanei.

2. Tossicodipendenza: il Bullismo può essere precursore di disturbi più gravi o può mantenersi in modo limitato
e non svilupparsi. In adolescenza il bullismo associato ad altri fattori tra cui curiosità, insuccesso scolastico,
mancanza di reti educative e sociali forti ecc. può portare ad assunzione di droga.
3. Delinquenza giovanile

ADHD E DISTURBI DELLA CONDOTTA (DC)

I disturbi della condotta si riferiscono a comportamenti incontrollati che violano il diritto di altri e nei casi più gravi le
norme sociali.  DC

I disturbi di attenzione/iperattività si riferiscono all’incapacità di mantenere l’attenzione (inattenzione) e di controllare il


grado della propria attività (iperattività)  ADHD

- Il bambino appare incapace di mantenere attenzione nel lungo periodo o manifesta impulsività più di quanto
non si osserva normalmente nei suoi coetanei.
- Appare incapace di smettere di parlare o di agitarsi anche quando gli si dice di stare fermo, si muove in modo
scomposto e disordinato, fatica a instaurare relazioni amicali.

Come differenziamo il bambino vivace al bambino con la ADHD?

Devono presentarsi 6 (o più) dei seguenti sintomi di disattenzione sono persistiti per almeno 6 mesi con una intensità
che provoca disadattamento e che contrasta con il livello di sviluppo:

Disattenzione

1. (a) spesso non riesce a prestare attenzione ai particolari o commette errori di distrazione nei compiti scolastici,
sul lavoro, o in altre attività

2. (b) spesso ha difficoltà a mantenere l'attenzione sui compiti o sulle attività di gioco

3. (c) spesso non sembra ascoltare quando gli si parla direttamente

4. (d) spesso non segue le istruzioni e non porta a termine i compiti scolastici, le incombenze, o i doveri sul posto
di lavoro (non a causa di comportamento oppositivo o di incapacità di capire le istruzioni)

5. (e) spesso ha difficoltà a organizzarsi nei compiti e nelle attività


6. (f) spesso evita, prova avversione, o è riluttante ad impegnarsi in compiti che richiedono sforzo mentale
protratto (come compiti a scuola o a casa)

7. (g) spesso perde gli oggetti necessari per i compiti o le attività (per es., giocattoli, compiti di scuola, matite,
libri, o strumenti)

8. (h) spesso è facilmente distratto da stimoli estranei

9. (i) spesso è sbadato nelle attività quotidiane

Iperattività

1. (a) spesso muove con irrequietezza mani o piedi o si dimena sulla sedia

2. (b) spesso lascia il proprio posto a sedere in classe o in altre situazioni in cui ci si aspetta che resti seduto

3. (c) spesso scorrazza e salta dovunque in modo eccessivo in situazioni in cui ciò è fuori luogo (negli adolescenti
o negli adulti, ciò può limitarsi a sentimenti soggettivi di irrequietezza)

4. (d) spesso ha difficoltà a giocare o a dedicarsi a divertimenti in modo tranquillo

5. (e) è spesso "sotto pressione" o agisce come se fosse "motorizzato"

6. (f) spesso parla troppo

7. (g) spesso "spara" le risposte prima che le domande siano state completate

8. (h) spesso ha difficoltà ad attendere il proprio turno

9. (i) spesso interrompe gli altri o è invadente nei loro confronti (per es., si intromette nelle conversazioni o nei
giochi)

Alcuni dei sintomi di iperattività-impulsività o di disattenzione che causano compromissione erano presenti prima dei
12 anni di età. Una certa menomazione a seguito dei sintomi è presente in due o più contesti (per es., a scuola (o al
lavoro) e a casa)

Deve esservi una evidente compromissione clinicamente significativa del funzionamento sociale, scolastico, o
lavorativo.

I sintomi non si manifestano esclusivamente durante il decorso di un Disturbo Generalizzato dello Sviluppo, di
Schizofrenia, o di un altro Disturbo Psicotico, e non risultano meglio attribuibili ad un altro disturbo mentale (per es.,
Disturbo dell'Umore, Disturbo d'Ansia, Disturbo Dissociativo, ecc).

Tabella SDAI: utilizzata per la diagnosi di ADHD. Essa presenta 18 sintomi organizzati in tabella

- Item pari: iperattività


- Item dispari: disattenzione

Tebella.

19/10/2022

Sebbene la maggior parte dei soggetti abbiano sintomi sia di disattenzione che di iperattività-impulsività, vi sono alcuni
soggetti in cui predomina o l'una o l'altra caratteristica. Il sottotipo appropriato (per una diagnosi attuale) dovrebbe
essere indicato sulla base della caratteristica sintomatologica predominante negli ultimi 6 mesi.

 Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività, Tipo Combinato, Questo sottotipo dovrebbe essere usato se 6
(o più) sintomi di disattenzione e 6 (o più) sintomi di iperattività-impulsività hanno persistito per almeno 6
mesi. La maggior parte dei bambini e degli adolescenti con questo disturbo presentano il Tipo Combinato. Non
si sa se ciò vale anche per gli adulti affetti dal disturbo.

 Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività, Tipo con Disattenzione Predominante. Questo sottotipo


dovrebbe essere usato se 6 (o più) sintomi di disattenzione (ma meno di 6 sintomi di iperattività-impulsività)
sono persistiti per almeno 6 mesi.

 Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività, Tipo con Iperattività-Impulsività Predominanti. Questo


sottotipo dovrebbe essere usato se 6 (o più) sintomi di iperattività-impulsività (ma meno di 6 sintomi di
disattenzione) sono persistiti per almeno 6 mesi. Ciò non toglie che in questi casi la disattenzione spesso possa
essere una manifestazione clinica significativa.

Come intervenire?

1) Osservare il comportamento del bambino

2) Monitorare e rinforzare le condotte adeguate al fine di migliorare le prestazioni scolastiche

3) Importante la precocità: meglio partire dai primi anni di scolarità

4) La multidimensionalità che deve svolgersi a più livelli: È fondamentale ricercare coerenza e partnership
educativa tra tutti i contesti:

1. Con il singolo bambino


2. Contesto familiare
3. Con il contesto di classe

OBIETTIVI

- Incrementare i comportamenti più idonei (I tempi di attenzione) attraverso strategie che semplifichino il
compito
- Ridurre i comportamenti più disturbanti (irrequietezza motoria)
- Stimolare il bambino ad apprendere specifiche abilità sociali utili per un miglior adattamento all’ambiente

20.10.2022

DISTURBO OPPOSITIVO PROVOCATORIO DOP

Una modalità di comportamento negativistico, ostile, e provocatorio che dura da almeno 6 mesi, durante i quali sono
stati presenti 4 (o più) dei seguenti:

1. Spesso va in collera
2. Spesso polemizza con gli adulti
3. spesso sfida attivamente o si rifiuta di rispettare la/le richieste o regole degli adulti
4. Spesso irrita deliberatamente le persone
5. Spesso accusa gli altri per i propri errori o il proprio cattivo comportamento
6. È spesso suscettibile o facilmente irritato dagli altri
7. È spesso arrabbiato e rancoroso
8. È spesso dispettoso e vendicativo

Bisogna considerare soddisfatto un criterio solo se il comportamento si manifesta più frequentemente rispetto a quanto
si osserva tipicamente in soggetti paragonabili per età e livello di sviluppo. L'anomalia del comportamento causa
compromissione clinicamente significativa del funzionamento sociale, scolastico o lavorativo.
I comportamenti non si manifestano esclusivamente durante il decorso di un Disturbo Psicotico o di un Disturbo
dell'Umore.

La condotta provocatoria oppositiva può avere la funzione di proteggere aspetti di sé fragili o rimettere in scena ciò che
“non si è capito”.

Perché tale comportamento? Da cosa può essere dipeso?

- Carenza di attenzioni da parte degli altri: si comporta in modo da attirare attenzione altrui in modo
disfunzionale
- Per farsi sentire ha visto modalità disfunzionali a casa e li rimetti in scena
- Circolo vizioso attorno al quale si struttura l’identità del bambino
- Protezione di aspetti fragili del sé

Come intervenire?

- Il lavoro è di aiutare i genitori a mostrarsi flessibili ma allo stesso tempo serenamente fermi quando decidono
di porre dei limiti;
- Non giudicare o disconfermare il bambino  es. non dire mai “sei …”;
- Costruire una relazione che consenta di arrivare a empatizzare con le preoccupazioni del bambino  riuscire a
far “parlare” tutte le emozioni adattive.

Differenziare DOP da ADHD

I soggetti con comportamento oppositivo possono fare resistenza a compiti lavorativi o scolastici che richiedono
applicazione per riluttanza a conformarsi alle richieste altrui.  Questi sintomi devono essere differenziati
dall'evitamento dei compiti scolastici osservato nei soggetti con ADHD. Complica la diagnosi differenziale il fatto che
alcuni soggetti con ADHD sviluppano un'attitudine oppositiva secondaria verso tali compiti e svalutano la loro
importanza, ma è spesso più una razionalizzazione del proprio fallimento e non un’opposizione aprioristica.

L’ ADHD può essere comune nei bambini con Dop

DISTURBO DELLA CONDOTTA

Pattern ripetitivo e persistente di comportamento in cui i diritti degli altri e le regole sociali sono violati. Per una
diagnosi di DC devono essere presenti almeno 3 aspetti negli ultimi 12 mesi di cui almeno uno negli ultimi 6 mesi:

- Aggressione a persone o animali


- Distruzione di proprietà
- Imbroglio o furto
- Seria violazione delle regole  voglia di creare il caos
- Livelli pervasivi ed elevati di aggressività, avidità, opportunismo, tendenza a mentire, atti vandalici, furti,
crudeltà verso persone e animali
- Azioni che infrangono le norme sociali o le leggi (scappare di casa)
- Insensibilità, instabilità, malvagità e mancanza di rimorso e coscienza morale

Spesso esiste una corrispondenza tra disturbo della condotta e sviluppo di un comportamento antisociale.

La responsabilità del comportamento rimanere sempre colpa di noi adulti. La presenza e il sostegno è fondamentale per
limitare le possibilità di disturbo della condotta.

Come intervenire?

Uno dei fattori terapeutici è l’organizzazione di un setting clinico:

1. Trattamento multimodale
2. Strutturazione di setting multipli
Lavorare con il bambino:

- Trovare la giusta distanza: evitare precoce attivazione sistema motivazionale attaccamento e relative emozioni
critiche.
- Puntare sull’attivazione in seduta di altri sistemi motivazionali interpersonali tentando di incrociarli da un
atteggiamento cooperativo
- Definizione condivisa degli obiettivi di lavoro

DOP E DC  Se il DOP è rivolto ad altre persone verso cui il bambino si mette in opposizione senza conseguenze
antisociali gravi il DC presenta un profilo di maggiore gravità.

Coloro che hanno una diagnosi di DC includono anche una diagnosi di DOP.

DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO

I bambini con disturbi specifici dell’apprendimento presentano gravi difficoltà a scuola mantenute nel tempo che non
sono legate ad un chiaro fattore esterno ma che sembrano avere una fisionomia intrinseca (discalculie, disgrafie,
dislessie).

A scuola sono riconosciuti come DSA, all’interno dei BES (Bisogni educativi speciali) che prevedono un piano
didattico specializzato (PDP).

I disturbi specifici dell’apprendimento vengono distinti in:

- Dislessia evolutiva
- Discalculia
- Disgrafia
- Ecc.

I seguenti disturbi riguardano processi cognitivi di base.

Criteri diagnostici:
- Bassa prestazione in una prova standardizzata non riconducibile a danno cerebrale,
- svantaggio socioculturale,
- scarsa istruzione,
- problemi emotivi.

DISTURBI DELLA COMUNICAZIONE

Oggi si analizza spesso la relazione tra i DSA e il disturbi di comunicazione e coordinazione motoria.

I disturbi della comunicazione presentano numerose categorie a seconda che il problema riguarda maggiormente la
sfera ricettiva o quella espressiva o interessi maggiormente una delle dimensione del linguaggio.

Il disturbo del linguaggio viene preso in considerazione soprattutto per la fascia prescolare. Moloto spesso sfocia in un
DSA.

Un caso particolare di disturbo della comunicazione: La Balbuzie

Questi bambini nel corso dello sviluppo linguistico presentano forme lievi di balbettio in certi casi tale difficoltà a
produrre un discorso fluente ritmato si mantiene a lungo nel tempo le balbuzie provocano disagio emotivo e
comunicativo.

Gli studi hanno individuato dei fattori critici legati allo sviluppo delle balbuzie:

- Fattore biologico
- Fattori fisiologici come scarso coordinamento fra controllo della voce articolazione e respirazione.

DISTURBO DELLA COORDINAZIONE MOTORIA

Un'altro disturbo evolutivo che è in relazione con quello specifico dell'apprendimento e il disturbo della coordinazione
motoria.

Tale disturbo si caratterizza per una difficoltà a sviluppare abilità di movimento e di coordinazione del corpo. Il
bambino con tale disturbo può presentare dei ritardi:

- nelle prime fasi dello sviluppo neuromotorio (deambulazione);


- nelle esecuzioni di azioni coordinate (imitazioni o esecuzione di movimenti complessi)
- nell’esecuzione di azioni finalizzate (vestirsi).

Queste difficoltà risultano legate ad aspetti specifici dell'apprendimento. Ad esempio, il disturbo non verbale. Questo
disturbo si caratterizza di difficoltà di elaborazione dell'informazione viso spaziale problemi aritmetici di coordinazione
motoria e di rapporti sociali nonostante un'intelligenza verbale nella norma ma basta intelligenza non verbale.

DISABILITÀ INTELLETTIVA

Si caratterizza per la pervasività delle difficoltà cognitive che si estendono a quasi tutti gli aspetti del funzionamento
mentale e dell’apprendimento provocando una compromissione nell’adattamento alla vita sociale rispetto alle seguenti
aree principali: comunicazione, cura personale, vita in casa, abilità sociali, autogestione, salute e sicurezza, abilità
scolastiche funzionali, tempo libero o lavoro.

Si parla di ritardo mentale quando la persona ha un punteggio di QI inferiore a 70 (2 deviazioni standard inferiore alla
media).

I casi di confine non si fa la diagnosi di ritardo mentale. Se la diagnosi viene effettuata su una persona che ha più di 18
anni bisogna preoccuparsi di verificare che la persona abbia manifestato problemi simili anche durante lo sviluppo.

DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO

I disturbi generalizzati dello sviluppo, alcuni esempi sono:


- L'autismo
- Il disturbo di asperger
- Disturbo disintegrati.

Autismo: Deficit persistenti nella comunicazione sociale e nell’interazione sociale in contesti multipli che si riferiscono
a scarsa reciprocità emotivo-sociale, carenze nei comportamenti interattivi non-verbali (scarso contatto oculare,
disinteresse o difficoltà nel fare amicizia):

4. Difficoltà a mantenere il contatto visivo


5. Difficoltà a rispondere

In molti casi si rileva una sovrapposizione con la diagnosi di ritardo mentale ma può anche essere caratterizzato da un
alto funzionamento (high functioning).

La caratteristica comune è lo scarso interesse verso l’altro.

Due aspetti fondamentali per la diagnosi:

1. Deficit persistenti nella comunicazione sociale e in contesti multipli che si riferiscono a scarsa reciprocità
emotivo sociale carenza nei comportamenti interattivi non verbali disinteresse o difficoltà nel fare amicizia.
2. Pattern di comportamento, interessi alla redazione e attività ristretti, ripetitivi che si riferiscono a
comportamenti ripresi turni aderenza rigida alla routine interessi molto ristretti e ossessivi reazioni insolite a
stimoli sensoriali

Mentre tempo fa Bettelheim parlava di genitori dall’atteggiamento freddo ora sono state verificate che ci sono
condizioni biologiche che compromettono:

 L’efficienza delle funzioni esecutive legate alle operazioni prefrontali di controllo della mente

 Lo sviluppo di una teoria della mente (meccanismi imitativi tramite attivazione dei neuroni a specchio sono
meno presenti)

 La capacità di considerare l’insieme manca spesso una coerenza centrale che porta a focalizzarsi su dettagli
degli stimoli  i bambini si focalizzano sui dettagli

 In molti casi si rileva una sovrapposizione con la diagnosi di ritardo mentale ma può anche essere
caratterizzato da un alto funzionamento (high functioning)

27/10/2022

DISTURBI DA TIC E EVACUAZIONE

DISTURBI DA TIC: Molti bambini presentano piccoli tic, il problema insorge quando questi tic si mantengono nel
tempo e assumono accentuazioni eccessive come nel disturbo di Tourette.

Tale sindrome si diagnostica quando compaiono con elevata frequenza sia tic motori sia almeno un tic legato all'uso
della voce. In questo disturbo il tic è così frequente, improvviso e inopportuno da provocare serie difficoltà sociali.

DISTURBI DELL’EVACUAZIONE: incapacità di controllare l’eliminazione di urina enuresi e delle feci encopresi
sono considerate rilevanti solo dopo i cinque anni e quando non sono dovute a condizioni fisiche. Anche nei 5 anni
soprattutto nei maschi l’enuresi è un fenomeno presente mentre se questo è presente oltre i 12 è necessaria un’attenta
considerazione.
L’ enuresi è stata al centro di sforzi di ricerca e ha portato ad individuare fattori genetici, fisiologici, psicologici che
sono relati al disturbo. Tra i fattori organici ci possono essere infezioni e anomalie del sistema genitore in ario, a
patologie neurologiche come la spina bifida e ha diabete.

Il trattamento  La tecnica più conosciuta per il trattamento dei disturbi di evacuazione e la Pad and Bell: essa si basa
sull'attivazione di un sistema di allarme quando il bambino durante il sonno bagna le lenzuola.

DISTURBI D’ANSIA E DEPRESSIONE

CAPITOLO 4 - LA MALATTIA MENTALE

1. LA FOLLIA E LA SUA STORIA

Nell’antichità classica troviamo 2 concezioni della follia:


1. Follia inviata dagli dei per punire qualcuno
2. Follia per i filosofi (Ippocrate di Cos) è una malattia come le altre e più precisamente in un’affezione del
cervello.
 Queste due concezioni convivono nell’antichità greco-romana.

Con il cristianesimo scompaiono gli dei ma rimangono i demoni.

 Un esempio è la comparsa del termine ossessione è derivazione di ossesso, che non è altro che un demone
minore codificato nella demonologia medievale.
Per tutto il medioevo i folli venivano visti come persone indemoniate che dovevano essere allontanate dalla città o
addirittura uccise, solo la preghiera li poteva salvare.

Con l’umanesimo e il rinascimento la condizione dei folli accenna a migliorare.

 Anche nella pittura fiamminga si riscontrano eventi del genere, come la “NAVE DEI FOLLI”.
 I folli allora avevano spesso esistenza vagabonda. Le città li cacciavano volentieri dalle loro cerchie; li si
lasciva scorrazzare in campagne lontane, quando non li si lasciva ad un gruppo di mercanti o pellegrini.
Nel 1527 vicino a Londra viene fatto costruire l’Hospital of St. Mary Of Betlehem (betlemme) per
custodire i lunatici che viene storpiato in Bedlam sinonimo di confusione caotica.
 Il termine ospedale non deve trarre in inganno poiché i luoghi della follia erano ospizi e prigioni in cui i
soggetti non erano affatto curati ma semplicemente gettati in prigione.
Solo l’illuminismo e la rivoluzione francese liberarono queste persone dalle catene inflitte loro e da una
rappresentazione sociale imperniata su superstizioni e stregonerie.
 Philippe Pinel <<spezzare le catene degli alienati>> attuò una riforma di carattere umanitario
affermando che i sofferenti affidati alle sue cure erano esseri umani e in quanto tali spettavano loro diritti e
dignità proclamati dalla rivoluzione francese.
o affermava che i sofferenti affidati alle sue cure erano esseri umani e in quanto tali spettavano loro
diritti e dignità.
o sosteneva che: i malati di menti lungi dall’essere per questi meritevoli di punizione, avevano
bisogno di rispetto. Noi dal canto nostro dobbiamo sostenerli e restituire loro ragione => È
questo il cosiddetto => trattamento morale.
o sviluppò una nosografia medico-filosofica con un trattato del 1801 che classifica i disturbi
mentali in 4 categorie:
1. Melanconia e depressione
2. Mania ed estrema eccitazione
3. Idiozia e ritardo mentale
4. Demenza e confusione mentale
In Italia=> Vincenzo Chiarugi fece riadattare l’ospedale di Bonifazio e introdusse un atteggiamento di assistenza ai
malati di mente improntato all’umanità e alla razionalità.

- Il folle è vittima di errori di giudizio, ovvero fallaci interpretazioni della realtà.


- Chiarugi viene considerato forse il primo professore al mondo di malattie mentali.
In Germania invece sul finire dell’800 Kraepelin considerato il vero padre della psichiatria moderna attua una
differenziazione tra psicosi maniaco-depressiva e schizofrenia (dementia precox che esordisce in età giovanile).

 Con Kraepelin si apre la stagione della psichiatria descrittiva il cui compito principale era quello di
descrivere quadri clinici ed evoluzioni tipiche al fine di dare anche il proprio nome alla malattia, come fu
per Alzheimer. In questa ottica i fenomeni psicopatologici vengono concettualizzati come
manifestazioni di sottostanti malattie mentali, cioè una modalità della persona di essere nel mondo,
ciascuna con un’evoluzione tipica. (box paresi generale p. 114)
La cultura tedesca sviluppò oppositori della nosografia psichiatrica di Kraepelin:

Binswanger e Jaspers diedero vita alla psicopatologia fenomenologica che vede la malattia mentale come uno
dei modi di porsi dell’essere umano e una particolare disposizione soggettiva nei confronti della realtà e della vita
interpersonale.
 Il rimprovero mosso alla psichiatria descrittiva fu quello di interessarsi più alle malattie che ai malati. In
un’ombra totale sorse e prosperò l’istituzione manicomiale per tutto il Novecento.

Ma la grande svolta si ha con Freud e con il pensiero psicanalitico, che:


 ammorbidì il concetto di malattia mentale
 ridiede continuità tra normalità e patologia
 venne sviluppata la psicogenesi delle malattie mentali meno gravi, le psiconevrosi.  venne indicata una
metodologia di trattamento.
La prospettiva psicoanalitica anche se non assoluta e incontrastata fu egemone per gran parte del secolo
scorso. Sono nell’ultimo terzo del 900’ si affermò un paradigma, quello comportamentale e cognitivo che si
pose in alternativa a quello psicoanalitico, dalla perdita dell’egemonia psicoanalitica emerse una terza forza:
il modello familiare e sistemico.
 Oggi si è sviluppata una diffidenza verso ogni sorta di riduzionismo
 Prevale il riferimento al principio di causalità multipla cioè che a nessun caso di malattia mentale è
attribuibile una sola causa ma le malattie mentali sono sempre ascrivibili al concorso di molteplici
fattori=> DISTINGUIBILI a seconda che siano:
o Fattori remoti al momento dell’esplosione del disturbo, detti Fattori di diatesi
(vulnerabilità) o Fattori prossimi al momento del disturbo, detti Fattori precipitanti (stress)
 Si parla quindi di “modelli diatesi-stress” in quei casi dove si cerca di ricostruire le complesse interazioni
tra molteplici fattori e si avanza l’ipotesi che la maggior parte dei disturbi sia causata da una combinazione
di vulnerabilità predisponente (diatesi) e alcune circostanze precipitanti (stress).
Si parla anche di modelli socio-psico-biologici che ci porta a considerare le 3 classi di fattori che si
incontrano nello studio delle malattie mentali:
1) Fattori che traggono origine dall’ambiente sociale, culturale, educativo e familiare
2) Fattori che traggono origine dalla specifica elaborazione psicologica che il soggetto opera
nell’esperienza(personalità, emozioni, pensiero)
3) Fattori che traggono origine dalla ereditarietà e da successive possibili alterazioni del funzionamento del
sistema nervoso. (box 4.2pag116)

2. STIGMA SOCIALE

Il termine “STIGMA” indica un insieme di atteggiamenti, stereotipi e credenze che un gruppo sociale o la
società nutre nei confronti di gruppi sociali particolari che ritiene devianti e tiene ai margini.
 I malati di mente continuano oggi ad essere oggetto di uno stigma sociale e l’OMS ritiene che lo stigma
sia l’ostacolo più importante e negativo ai futuri progressi nel campo della salute mentale. Il processo di
stigmatizzazione prevede 4 fasi:
1. Etichettatura: si crea una etichetta che identifica un gruppo di persone e che può essere descritta come un
marchio negativo (Es. malati di mente, bambini difficili, utenti dei servizi psichiatrici, extracomunitari, ex
carcerati, drogati, omosessuali)
 fase cruciale; clinici e psichiatri sono restii a formulare diagnosi che possano generare stigma.
 I professionisti della salute mentale hanno un sacrosanto terrore delle profezie auto-attuate: quelle in cui
chi prevede contribuisce all’attuazione dell’evento predetto.
 Etichettare una persona con un qualche termine potrebbe esacerbare i comportamenti problematici
dell’interessato
 Gli psicologi sanno che l’etichetta potrebbe diventare una profezia che si autoadempie, e conoscono
l’effetto Rosenthal: Robert Rosenthal fu reso celebre da una sua ricerca nella quale ad alcuni insegnanti
viene detto all’inizio dell’anno scolastico, cha alcuni loro allievi avrebbero avuto presto uno sviluppo
brillante. Ciò non era vero, i bambini erano stati scelti a caso. Alla fine dell’anno scolastico, questi
bambini avevano raggiunto risultati scolastici alti. Essere guardati con aspettative positive dagli insegnanti
è un aiuto oggettivo.
2. Etichetta viene associata a credenze e stereotipi propri di quella società => «i malati di mente sono
pericolosi», «dallo psicologo vanno i pazzi», «i drogati sono ladri».
3. le persone che rientrano nell’etichetta non sono considerate per se stesse, ma in virtù dell’etichetta e Attributi
propri all'etichetta connotano le persone che rientrano nell'etichetta come diverse, meno umane. Vengono
viste come «diverse» e in contrapposizione ai più, vengono definite dei «loro» in contrapposizione ai «noi».
4. In virtù dell’etichetta mento il gruppo stigmatizzato perde lo status e diviene oggetto di discriminazioni. (es.
non si affitta facilmente un appartamento a chi frequenta il day hospital psichiatrico)
Lo stigma è spesso basato sull’ignoranza, su mancanza di informazioni, su convinzione infondate, su paure
irrazionali, su fenomeni di contagio e conformismo sociale, e può essere fomentato dai media. La dignità deve
sempre rimanere in primo paino.

3. INCAPACITA’ DI INTENDERE E VOLERE

Per capacità di intendere significa riconoscere correttamente il significato e il valore dei fatti e delle azioni e le
loro conseguenze morali e giuridiche secondo la cultura corrente.
Per capacità di volere intendiamola capacità di agire o il non agire come conseguenza di una scelta libera e
ragionata.
 CAPACITA’ DI INTENDERE E VOLERE: è quindi un concetto legale, quando una persona è affetta da
infermità mentale è incapace di provvedere ai propri interessi e su provvedimento del tribunale può essere
interdetta e viene nominato un tutore.

Una incapacità di intendere e di volere riduce o elimina addirittura la responsabilità in sede penale.

Attualmente chi compie un reato per vizio di mente non è imputabile, ma è costretto al ricovero in un ospedale
psichiatrico giuridico.

4. TRATTAMENTO SANITARIO OBBLIGATORIO

Il trattamento sanitario obbligatorio (TSO) ha sostituito il ricovero coatto previsto dalla legislazione psichiatrica del
1904, che si basava sul concetto di pericolosità per se e per gli altri o pubblico scambio.

Ora è una procedura finalizzata alla tutela della salute e viene disposto quando:
 Esistono alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici
 L’infermo non vuole sottoposi volontariamente a questi trattamenti
 Non ci sono le condizioni che consentono di adottare tempestive e idonee misure straordinarie
extraospedaliere.
Il TSO è disposto dal sindaco del comune dove risiede la persona su proposta motivata di un medico e convalidata da
un medico del servizio sanitario di zona.

È reso esecutivo da medici e infermieri accompagnati e coadiuvati dai vigili urbani. Entro 48 ore dal ricovero il
provvedimento deve essere trasmesso al giudice tutelare, che nelle 48 ore successive deve convalidarlo o non
convalidarlo.

 Il ricovero ha luogo presso servizi psichiatrici di diagnosi e cura (SPDC).


 Ha una durata di 7 giorni, ma può essere rinnovato in caso ne permanga la necessità; altre volte il paziente
acconsente a prolungarlo come ricovero volontario.
 Durante il ricovero il paziente conserva tutti i suoi diritti, ivi compresa la scelta del medico e del luogo di
cura.
Il TSO è stato istituito dalla legge di riforma psichiatrica 180/1978 (legge Basaglia) ed è regolamentato dagli
articoli 33-35 della legge 833/1978, che ha istituito il servizio sanitario nazionale.

5. ISTITUZIONI TOTALI E RIFORMA PSICHIATRICA

GOFFMAN- in Asylums, le istituzioni totali: i meccanismi dell’esclusione e della violenza:


 Un istituzione totale viene definita come il luogo di residenza e di lavoro di gruppi di persone che si
trovano a dividere una situazione comune cioè l’essere tagliate fuori dalla società trascorrendo parte della
loro vita in un regime chiuso e formalmente amministrato.
Goffmann descrive ciò che realmente succede in una istituzione totale, li descrisse come prigioni, manicomi e
campi di concentramento, dove vi è una degradazione degli esseri umani, descrive queste come delle situazioni
che derubano l’individuo della sua identità producendo una patologia specifica chiamata sindrome da
istituzionalizzazione.
Molti studiosi hanno ritenuto che la cronicità manicomiale fosse in gran parte il prodotto di una patologia
istituzionale: abolendo l’istituzione si aboliva la patologia aggiuntiva data dall’istituzionalizzazione.
 Il manicomio va distrutto e non riformato è stata La parola d’ordine del movimento antistituzionale
legato alla figura di Franco Basaglia.

Franco Basaglia (1924-1980) nacque a Venezia è studiò Medicina e neurologia a Padova. La sua formazione culturale
fu influenzata dalla fenomenologia di Heidegger.
 Pensava che la follia fosse presente in ognuno di noi come la ragione, ma la società denigra la prima
e accetta solo la seconda, dando il compito alla psichiatria di eliminarla.
Arrivato all’Ospedale psichiatrico di Gorizia come Direttore trovò una situazione degradata.

 Presto quello di Gorizia divenne un Ospedale aperto, operando una rivoluzione nella prassi assistenziale
da divenire il punto di riferimento del movimento “antiistituzionale italiano”.
Nel 1963 operò una trasformazione della cultura e della prassi assistenziale e ottenne l’approvazione della
legge 180/1978 nota come legge Basaglia.
 Questa impose la chiusura dei manicomi e limitò il TSO
 Obiettivo era ridurre la segregazione e attuare riconoscendo appieno dei diritti e la necessità di una vita
di qualità dei pazienti meglio seguiti e curati da ambulatori territoriali.
Accanto al rifiuto dell’istituzione totale veniva quindi proposta una rete di servizi diffusi con ricorso all’assistenza
domiciliare, all’uso di strutture residenziali non ospedaliere, day hospital e comunità terapeutiche orientate verso la
riabilitazione.

 La legge 180 era una legge quadro che affidava alle regioni il compito di organizzarne l’applicazione.
Ma oggi esiste il rischio di sviluppare una nuova cronicità relativa all’inadeguatezza delle cure.
 Poiché dalla dimissione dei pazienti poi ritornano nell’istituzione, creandosi così il fenomeno della porta
girevole.
 Inoltre l’inadeguatezza delle cure porta il soggetto a ricadute sul piano fisico e a una deriva sociale.

6. SALUTE MENTALE BASATA SULLE EVIDENZE

Dagli anni 80 si è diffuso in tutto il mondo delle professioni sanitarie un nuovo atteggiamento volto a migliorare la
qualità delle cure e delle prestazioni sanitarie.

Il Pioniere di questa svolta è stato, l’epidemiologo Archibald Cochrane, il quale richiama l’attenzione sulla
grande ignoranza che c’è circa la reale efficacia di molte pratiche sanitarie, e sull’assenza di valutazioni e
controlli nelle strutture e nelle attività sanitarie.
2 aspettii importanti:
 l’Opportunità di far dipendere le decisioni sanitarie da un’adeguata prova di efficacia (una terapia va
considerata inefficace fino a prova contraria). Questa posizione in contrasto con interessi consolidati.
Decidere in base a evidenze di efficacia implica una crescita della metodologia e della qualità della
ricerca e la necessità di non dar credito allo sperimentalismo dozzinale. Si apriva una stagione di
confronto collegiale basta sulla forza della documentazione.
 Diffusione delle conoscenze in materia sanitaria. Prima di internet la consultazione sulla letteratura
scientifica non era agevole per il professionista. Pochi professionisti hanno familiarità con una grande
biblioteca scientifica. Inoltre è complesso il problema dell’accesso alle conoscenze da parte dei malati.
Sono apparse cosi riviste scientifiche on-line(EVIDENCE-BASED MEDICINE).
Gli sviluppi delle comunicazioni informatiche infatti hanno potenziato e diffuso l’accesso all’informazione
più qualificata.
Questo movimento internazionale va sotto il nome della Medicina Basata sulle Evidenze ed è volto a:
1. Promuovere standard di cura migliori
2. Attenuare le differenze nel livello delle prestazioni sanitarie tra diverse regioni
3. Basare sull’evidenza scientifica le decisioni nelle politiche sanitarie
4. Valutare quantitativamente l’efficacia degli interventi
5. Valutare la qualità delle cure e la soddisfazione degli utenti
6. Disseminare tra i professionisti i risultati di ricerca in forme accessibili
7. Creare linee guida di aiuto e indirizzo.
La pratica di questa Medicina non è altro che l’uso coscienzioso, esplicito delle migliori evidenze nel prendersi
cura di singoli pazienti.
 La pratica della medica basata sull’evidenza significa integrare l’esperienza clinica individuale con le
migliori evidenze cliniche esterne offerte dalla ricerca.
In questo contesto la pratica clinica e l’esperienza attuata dalle evidenze scientifiche attuali possono offrire migliore
applicabilità e risultati.

- Ma questo atteggiamento incontra ancora resistenze; esse comportano una diminuzione di potere della
politica e dell’ideologia nelle grandi scelte sanitarie.

7. LINEE GUIDA

L’espressione LINEE GUIDA indica una serie di strategie diagnostiche e terapeutiche mirate a facilitare le
decisioni cliniche, si tratta di una serie di raccomandazioni o norme comportamentali cliniche, utili nell’iter
diagnostico, per specifiche categorie di pazienti.
 Sono opera di comitati rappresentativi basate sulle evidenze scientifiche sempre più aggiornate.
 Possono essere sviluppati da gruppi locali di professionisti, da società o riviste scientifiche.
 L’autorevolezza di tali linee guida varia in rapporto alla credibilità scientifica degli organismi e alla
validità dei percorsi metodologici utilizzati. I comitati nello specifico integrano i vari dati empirici e le
opinioni del gruppo di lavoro e rendono esplicito il livello di affidabilità di ogni raccomandazione.
Le singole raccomandazioni sono siglate con delle lettere:
 A: procedura o test diagnostico fortemente raccomandato perché sostenuto da prove scientifiche di buona
qualità
 B e C: procedure sulle quali si nutrono dubbi  D e E: riservate a procedure sconsigliate.
Le linee guida classificano anche i livelli di prova che sono alla base delle raccomandazioni.
 Si parla di prove di tipo I quando derivano da più studi clinici controllati. Le cifre successive indicano
prove via via meno solide, la cifra più alta (VI) indica il caso più debole dove sono assenti evidenze
scientifiche.

Gli obiettivi principali della redazione delle linee guida sono:

1. Migliorare la qualità dell’assistenza


2. Ridurre le disparità geografiche e sociali
3. Ridurre i costi
4. Promuovere comportamenti professionali rivolti vs efficacia e appropriatezza.
Le linee guida possono essere d’aiuto per facilitare la comunicazione tra pazienti e professionisti attraverso l’uso
di un linguaggio comprensibile.
Le linee guida non hanno mai carattere prescrittivo: il giudizio finale deve essere espresse dal clinico, alla luce dei
dati clinici del paziente.

Le linee guida non devono essere confuse con i protocolli diagnostici-terapeutici.


 Le linee guida sono raccomandazioni e suggerimenti per il curante con un elevato grado di flessibilità
mentre i protocolli sono schemi predefiniti che descrivono il percorso diagnostico-terapeutico di gruppi
di pazienti.

Esistono dei limiti e dei pericoli associati alla diffusione delle linee guida:

• Difficoltà di applicazione in contesti assistenziali degradati e disomogenei


• Rischio di sviluppare dei ricettari e di trascurare lo studio approfondito del paziente
• Difficoltà di coniugare l’inevitabile rigidità delle linee guida con il bisogno di specificità e il desiderio di
autonomia degli operatori sanitari
• Timore dell’incremento del numero di cause intentate per negligenza professionale.
Le linee guida sono presenti anche in merito alla sfera della salute mentale.
 Dal 1851 l’APA (American Psychiatric Association) pubblica raccomandazioni specifiche allo scopo di
assistere gli psichiatri nel processo decisionale al fine di migliorare l’assistenza ai pazienti.
 Il NICE (National Institute For Health and Clinical Excellence) è l’agenzia di governo inglese incaricata
di fornire indicazioni e linee guida per promuovere la salute in termini di prevenzione e assistenza da
parte del SSN (servizio sanitario nazionale).
Cosa fa il NICE? Stende periodicamente linee guida nei vari ambiti della salute mentale. Esso ha attivato un sito per la
più ampia consultazione. È considerata un’agenzia autorevole.

8. EPIDEMIOLOGIA DEI DISTURBI MENTALI

L’epidemiologia è la disciplina che studia la frequenza e la distribuzione dei fenomeni morbosi (nel nostro caso dei
disturbi mentali) e alcune variabili che contribuiscono alla loro insorgenza e diffusione.
 Il tasso di prevalenza è il numero di casi presenti in un dato momento in una popolazione, specificando
l’intervallo temporale cui ci si riferisce (12 mesi o per tutta la vita).
 Gli studi epidemiologici sono complessi e costosi.
Per quanto concerne lo studio epidemiologico italiano quello più importante è stato condotto a Sesto Fiorentino, ma tali
studi mancano di rappresentatività cioè i risultati non possono essere generalizzati con sicurezza, poiché i risultati
possono essere influenzati da un’infinità di variabili.

 Una strategia consiste nel fare ricorso a procedure di campionamento statistico.


 Così è possibile rappresentare nel campione un’intera nazione.
In Italia nel 2000 ha preso vita un ampio progetto internazionale per uno studio epidemiologico delle comunità,
chiamato WHO.(box 4.5 pag. 130)
La sezione Europea (ESEMeD) di studi sui disturbi mentali mette in luce che in Europa 1 persona su 4 va
incontro ad un disturbo mentale almeno una volta nella vita, (depressione, ansia o fobie sono quelli più
comuni).
 Si può stimare che in Italia più di 8,5 milioni di Adulti abbiano sofferto di disturbi mentali.
Nell’epidemiologia delle malattie mentali, non sono insolite differenze tra paesi vicini => a denotazione della crucialità
di fattori ambientali, il livello dello sviluppo socioeconomico, gli stili di vita.

La differenza in rapporto al genere:


 le donne hanno il doppio delle probabilità di andare incontro a disturbi mentali rispetto agli uomini, per
via degli stereotipi che descrivono l’uomo forte e la donna fragile.
 Gli unici disturbi che hanno tassi comuni nei due sessi sono le psicosi (schizofrenia e disturbi bipolari),
 A carattere prevalentemente maschile abbiamo l’abuso di sostanze e il disturbo antisociale di personalità.
Una delle variabili comunemente considerata in questi studi è l’età: la malattia decresce con il procedere
dell’età. Ma bisogna tenere conto del fatto che le generalizzazioni e le inferenze possono essere
ingannevoli, bisogna quindi attenersi sempre a dati empirici puntuali.

9.COMORBIDITA’
 Le diagnosi dei disturbi mentali, non sono autoescludenti, anzi il fatto di soffrire di un determinato
disturbo aumenta la probabilità di soffrire anche di altri disturbi mentali.
 Con il termine “Comorbidità o Comorbilità” si indica la presenza contemporanea di due o più
disturbi mentali.
 la Depressione è la categoria in cui più spesso si osserva comorbidità, mentre le fobie specifiche sono il
disturbo cui meno si associano altri disturbi.
 Percentuali elevate di comorbidità sono presenti nei disturbi di personalità.
10. RICORSO AD AIUTO SPECIALISTICO

Secondo diversi studi la maggior parte delle persone con problemi mentali non è assistita né da professionisti né
dai servizi sanitari e in ciò pesano variabili culturali e storici, pregiudizi e disponibilità delle strutture.
 5 persone su 6 vivono in silenzio la propria sofferenza psicologica
 In Italia il servizio sanitario nazionale è gratuito (diversamente da altri paesi), e gli interessati possono
accedere ai servizi di salute mentale senza la mediazione del medico di famiglia.

02/11/2022

CAP 5: SCHIZOFRENIA E ALTRI DISTURBI PSICOTICI

ALLUCINAZIONI E DELIRIO

Le psicosi, o stati psicotici, implicano una perdita di contatto con la realtà, manifestata attraverso il delirio e/o le
allucinazioni. Al contrario, le nevrosi, o stati nevrotici, non comportano la perdita di contatto con la realtà.

 Allucinazione: percezione sensoriale che ha il senso impellente di realtà di una percezione oggettiva ma che si
manifesta in assenza di una stimolazione esterna del relativo organo di senso.

Le allucinazioni possono riguardare tutte le modalità sensoriali e la persona può rendersi conto o meno che sta avendo
un'allucinazione. L’esperienza allucinatoria transitorie possono manifestarsi in persone non affette da disturbi mentali.

(Allucinazioni ≠ Illusioni o fissazioni che sono invece i deliri)

 Il delirio: falsa convinzione che comportano interpretazione non corretta di percezione di esperienze.
Distorsioni ed esagerazioni del pensiero deduttivo.

I deliri possono essere suddivisi sulla base del loro contenuto:

1) Delirio di controllo  la persona ritiene che i propri sentimenti o i propri comportamenti siano sotto il
controllo di una forza o di una volontà esterna;
2) Deliri erotomanici  la persona è convinta che una persona sei innamorata di lei e cerca di corrisponderle a
distanza;
3) Delirio di gelosia  la persona è convinta che il proprio coniuge o partner sia infedele;
4) Delirio di grandiosità  il soggetto è convinto di disporre di un particolare talento non riconosciuto e aver
fatto un'invenzione importantissima di avere una missione da compiere;
5) Delirio di inserzione del pensiero  la persona ritiene che i pensieri che formula non siano propri ma siano il
prodotto di persone che li inseriscono nella sua mente;
6) Delirio di persecuzione  convinzione di essere vittime di una cospirazione spiato di essere spiato
danneggiato molestato;
7) Delirio di riferimento  vari eventi e comportamenti altrui vengono interpretati come se fossero ispirati da
speciali riferimenti orientati al soggetto;
8) Delirio somatico  tema centrale è l'aspetto il funzionamento del proprio corpo, per esempio, emanare cattivo
odore dalla propria pelle;
9) Delirio di trasmissione del pensiero  i propri pensieri sono visti o letti dagli altri trasmessi ad alta voce in
modo da essere percepiti dagli altri.

A. SITNOMI POSITIVI  caratteristiche che vengono aggiunte allo stato d'essere di qualcuno - riflettono
una distorsione o un eccesso di funzioni normali
B. SINTOMI NEGATIVI  sono caratteristiche che vengono rimosse dallo stato di essere della persona 
diminuzione una perdita delle funzioni normali.

I sintomi positivi sono:


- le allucinazioni
- i deliri
- l'eloquio disorganizzato  una distorsione del linguaggio e della comunicazione nelle quali si riflette la
disorganizzazione del pensiero (esempio perdere il filo del discorso). scarso senso logico passando da un
argomento all’altro (deragliamento), risposte in base a collegamenti indiretti (tangenzialità), può produrre un
eloquio incoerente e linguisticamente disorganizzato (insalata di parole;
- un comportamento disorganizzato o caotico cioè distorsione del controllo del comportamento  marcate
anomalie motorie che vanno da eccessiva attività motoria non finalizzata (eccitamento catatonico) e possono
giungere alla totale immobilità (stupor catatonico), assunzione di sembianze da statua con immobilità,
inespressività e inaccessibilità.

Nell ‘eloquio disorganizzato abbiamo il comportamento catonico  quando vi sono delle anomalie motorie (catalessi:
totale immobilità motoria. In questo comportamento si indicano:

- mutacismo
- ecolalia
- ecoprassia.

In sintomi negativi: riguardano tre principali manifestazioni:

1. appiattimento dell'affettività: il viso del soggetto appare in mobile non reattivo;


2. alogia: riduzione della fluidità e della produttività del pensiero;
3. abulia: incapacità di iniziare o continuare i comportamenti finalizzati ad una meta.

LA SCHIZOFRENIA

Sofronia viene considerata il disturbo mentale più grave può essere fortemente invalidante limitare l'autonomia di chi ne
soffre sia nelle relazioni sociali che nella vita quotidiana.

Per parlare di schizofrenia è richiesta la presenza di almeno due tra i sintomi positivi e negativi sopra riportati.

L’età media d’insorgenza del primo episodio psicotico si situa tra i 20 e i 25 anni per gli uomini e intorno ai 30 anni per
le donne. Si può verificare un esordio tardivo intorno ai 40 anni. Generalmente i primi sintomi di questo disturbo non
sono sintomi psicotici (deliri ed allucinazioni), bensì dei segnali che indicano un cambiamento nella vita del soggetto.

LE FASI DELLA SCHIZOFRENIA

 Tre fasi della schizofrenia:


 FASE PRODROMICA: il ritiro sociale, la perdita d’interesse nelle attività scolastiche e lavorative, il
comportamento inusuale, scoppi di rabbia ed il deterioramento nell’igiene e nell’ordine. In genere questi
sintomi si manifestano in seguito ad un normale evento di vita, vissuto dal soggetto in maniera
particolarmente stressante (es. esami, servizio militare, separazioni, perdite). Spesso i familiari del
soggetto identificano l’evento antecedente l’insorgenza dei primi sintomi e rimangono stupiti dal
cambiamento successivo (es. riferiscono che il loro congiunto “non è più lo stesso”). Sintomi di esordio
NON PSICOTICI. Essa è improvvisa e dura per mesi o anni
 FASE ATTIVA: caratterizzata dalla presenza della sintomatologia acuta timicamente psicotica
 FASE RESIDUALE: non sono + presenti i sintomi psicotici ma non è ancora possibile una ripresa della
vita precedente e si osserva un appiattimento dell’emotività.

LA SINTOMATOLOGIA

C. SITNOMI POSITIVI  caratteristiche che vengono aggiunte allo stato d'essere di qualcuno - riflettono
una distorsione o un eccesso di funzioni normali
D. SINTOMI NEGATIVI  sono caratteristiche che vengono rimosse dallo stato di essere della persona 
diminuzione una perdita delle funzioni normali.

I sintomi positivi sono:

1. le allucinazioni
2. i deliri
3. l'eloquio disorganizzato  una distorsione del linguaggio e della comunicazione nelle quali si riflette la
disorganizzazione del pensiero (esempio perdere il filo del discorso). scarso senso logico passando da un
argomento all’altro (deragliamento), risposte in base a collegamenti indiretti (tangenzialità), può produrre un
eloquio incoerente e linguisticamente disorganizzato (insalata di parole); Nell ‘eloquio disorganizzato abbiamo il
comportamento catonico  quando vi sono delle anomalie motorie (catalessi: totale immobilità motoria. In
questo comportamento si indicano:
- mutacismo
- ecolalia
- ecoprassia.
4. comportamento disorganizzato o catatonico cioè distorsione del controllo del comportamento  marcate
anomalie motorie che vanno da eccessiva attività motoria non finalizzata (eccitamento catatonico) e possono
giungere alla totale immobilità (stupor catatonico), assunzione di sembianze da statua con immobilità,
inespressività e inaccessibilità.

Nell ‘eloquio disorganizzato abbiamo il comportamento catonico  quando vi sono delle anomalie motorie (catalessi:
totale immobilità motoria. In questo comportamento si indicano:

 mutacismo
 ecolalia
 ecoprassia.

In sintomi negativi: riguardano tre principali manifestazioni:

4. appiattimento dell'affettività: il viso del soggetto appare in mobile non reattivo;


5. alogia: riduzione della fluidità e della produttività del pensiero;
6. abulia: incapacità di iniziare o continuare i comportamenti finalizzati ad una meta.

Per parlare di schizofrenia è richiesta la presenza di almeno due tra i sintomi positivi e negativi sopra riportati, per un
tempo significativo. Pe fare la diagnosi di schizofrenia almeno due sintomi devono essere un delirio, un’allucinazione o
eloquio disorganizzato.

In aggiunta per almeno 6 mesi il livello di funzionamento in una o più delle aree principali (es: lavoro, relazioni
interpersonali e la cura di sé) deve risultare marcatamente al di sotto del livello raggiunto prima dell’esordio (anche
se questo lasso di tempo può comprendere periodi di sintomi prodromici o residui), di cui 1 mese di sintomi sopracitati.

TIPOLOGIE DI SCHIZOFRENIA

Esistono diversi tipi di schizofrenia:

1. Paranoide  mi devo proteggere dal mondo. Deliri e allucinazioni e uditive in un contesto di funzioni
cognitive sostanzialmente preservate)
2. Disorganizzato  disorganizzazione dell’eloquio e del comportamento
3. Catatonica  sintomatologia catatonica principalmente presente
4. Indifferenziata  non si caratterizza in ognuno dei 3 pur presentando sintomi evidenti
5. Residuo  i sintomi positivi non sono + presenti

Fasi

1. PRODROMICA: fase di esordio, essa è improvvisa e dura per mesi o anni


2. FASE ATTIVA: caratterizzata dalla presenza della sintomatologia acuta timicamente psicotica
3. FASE RESIDUALE: non sono + presenti i sintomi psicotici ma non è ancora possibile una ripresa della vita
precedente e si osserva un appiattimento dell’emotività.

DIAGNOSI

Devono essere presenti per almeno un mese almeno due sintomi e almeno uno di questi deve essere uno tra i sintomi
psicotici positivi (allucinazione, deliri, eloquio disorganizzato) l’altro sintomo può essere comportamento
disorganizzato o sintomi negativi.

Il disturbo comporta inoltre un grave deterioramento di una o più delle principali aree di funzionamento come il lavoro
le relazioni e la cura di sé. Questa compromissione deve essere presenti per almeno 6 mesi (anche se questo lasso di
tempo può comprendere sintomi prodromici o residui) di cui almeno 1 mese con i sintomi sopracitati.

09/11/2022

ALTRE TIPOLOGIE DI DISTURBI PSICOTICI:

- Disturbo delirante: uno o più deliri non bizzarri che persistano per almeno un mese
- Disturbo psicotico breve: insorgere improvviso di uno o più sintomi psicotici positivi
- Disturbo schizoaffettivo: sintomi psicotici combinati con caratteristiche del disturbo dell’umore
- Disturbo schizofreniforme: sintomi positivi della schizofrenia ma di durata inferiore.

EREDITÀ E AMBIENTE

Se un familiare soffre di schizofrenia, gli altri membri hanno probabilità più elevata di sviluppare la malattia. Rischio
per la popolazione generale è inferiore all’1% mentre per i parenti di primo grado è del 6.5%

La percentuale di coppie di gemelli monozigoti, che presentano lo stesso disturbo è del 48% contro il 17% dei gemelli
dizigoti. In caso di progenie di due genitori con schizofrenia è del 46%

Dal confronto tra bambini adottati, quelli che hanno genitori biologici schizofrenici hanno un rischio superiore di
sviluppare la malattia

Ci sono almeno 7 regioni cromosomiche identificate come possibili geni di trasmissione c’è quindi una vulnerabilità
poligenica che potrebbe concorrere a sviluppare questo disturbo.

I tassi di rischio di un gemello dizigote sono del 17% mentre di un comune fratello del 9% anche se dal punto di vista
genetico hanno un elevato grado di somiglianza e condividono I medesimi aspetti ambientali.

MA:

- Un gemello dizigote condivide la stessa vita intrauterina (es se la mamma fuma, prende l’influenza, si spaventa,
ecc)
- Il tasso di concordanza tra quelli che condividono la stessa placenta è doppio rispetto a quelli con placenta
diversa
- Tra fratelli di età diversa è più probabile che i genitori adottino strategie educative diverse offrendo un ambiente
diverso.

EZIOLOGIA DELLA SCHIZOFRENIA

Ad oggi NON c’è una spiegazione eziologica chiara e univoca

Anomalie strutturali: dilatazione dei ventricoli (riduzione tessuto cerebrale e perdita di materia grigia nell’area
prefrontale).  L’area prefrontale malfunzionante è una caratteristica dei sintomi negativi.
Sistema dopaminergico: eccessiva trasmissione dopaminergica tanto che in passato negli anni ’50 si è scoperto che un
antistaminico era in grado di spegnare allucinazioni e deliriIpotesi dopaminergica: i sintomi psicotici e la
schizofrenia sembra derivino da un’eccessiva trasmissione di dopamina MA ¼ dei pazienti schizofrenici non risponde
comunque alla clorpromazina (Largactil) che blocca i siti recettoriali della dopamina.

Attualmente non sono state ancora individuate con chiarezza ed univocità le cause della schizofrenia, sebbene siano
stati condotti molti studi a riguardo. Perchè nei gemelli monozigoti il tasso non è del 100%?

Diverse ricerche epidemiologiche hanno messo in rilievo che la povertà e l’isolamento sociale potrebbero essere, in
soggetti vulnerabili, fattori scatenanti l’insorgenza di questo disturbo. L’ipotesi inversa, invece, sostiene che sarebbe
proprio il cattivo funzionamento sociale a determinare uno spostamento verso condizioni mentali ed economiche
inferiori.

L’insieme dei risultati finora ottenuti dalla ricerca sembrerebbe coerente con il modello eziologico denominato
“diatesi-stress”. Secondo questo modello sarebbe la diversa combinazione di fattori di ordine biologico, psicologico e
sociale a determinare il grado di vulnerabilità alla schizofrenia: se la vulnerabilità di un soggetto risultasse alta,
basterebbero bassi livelli di stress per indurre i sintomi; se, invece, la vulnerabilità risultasse bassa, la sintomatologia
comparirebbe solo in caso di stress ambientali elevati.

TEORIZZAZIONI:

1. La madre schizofrenogena: Freida Fromm-Reichmann parlava erroneamente di madre schizofrenogena e ha


sostenuto che sarebbero le madri a causare la schizofrenia: madri fredde e oppressive.  Non esiste riscontro
che le madri del paziente schizofrenico siano diverse dalle altre. Si tratta di una teoria basata su molto metodo
induttivo e limitate basi empiriche.

2. Il doppio legame: secondo Bateson la schizofrenia trae origine da disfunzioni nella comunicazione come
quella seguente:

- 2 o + persone
- Esperienza ripetuta
- Un’ingiunzione primaria negativa (es. “non fare così o ti punisco”)
- Un’ingiunzione secondaria in conflitto con la prima comunica non verbalmente in cui il messaggio implicito
potrebbe essere es. “non considerarla una punizione!” o “non sottostare alle mie punizioni” (o ancora se l’altro
genitore invalida a un livello più astratto e implicitamente le ingiunzioni del primo)
- Una terza ingiunzione negativa che impedisce alla vittima di sfuggire dalla situazione ad es. manifestando
incostanti promesse d’amore o simili
- Basterà poi che siano presenti anche solo parziali ingiunzioni contradditorie per reiterare la disfunzione
comunicativa
- Il modello ingiunzioni contradditorie può allora essere assunto anche dalle voci allucinatorie

Un esempio: se la madre, infastidita dalla sua presenza, dice al suo bambino: “Non giocare qui. Vai in un’altra stanza,
così sei più tranquillo”, lo immette in una situazione paradossale nella quale, qualsiasi sia la scelta, il bambino si
ritrova nella situazione costrittiva di andare contro i suoi sentimenti. Restare accanto alla madre, pur sentendosene
rifiutato, gli provocherebbe sensi di colpa. Allontanarsene, andrebbe contro la sua volontà e il suo naturale sentimento
di dipendenza.

3. La consapevolezza di sé: Frith identificò un processo cognitivo di alto ordine definito meta-rappresentazione
o consapevolezza di sé allucinazione e deliri arrivano perché la persona ha un basso monitoraggio dei suoi
pensieri: fatica a riconoscere i propri pensieri e li confonde come pensieri esterni che si inseriscono nella
propria mente.
Questo è il processo responsabile delle alterazioni che impediscono al soggetto con schizofrenia di mantenere il
controllo sulle proprie azioni e sui propri pensieri percependoli come se fossero creati dall’esterno.

4. Laing sosteneva che la schizofrenia è una risposta sana ad un ambiente alienante: a livello familiare il
malato è il salvatore  si sacrifica. Diventa il Caprio espiatorio: la sua malattia protegge gli altri da ulteriori
tensioni e pericolose esplosioni.

Altre ricerche hanno esaminato il ruolo delle famiglie  Si parla di famiglie a alta emotività espressa in cui il
paziente è oggetto di forti critiche conflitti e commenti negativi: qui a contrario delle famiglie a bassa emotività
espressa vi è un maggiore rischio di ricadute nel momento in cui il paziente torna a casa dopo l’ospedalizzazione

TRATTAMENTO

E’ necessario l’intervento di più figure professionali tra loro coordinate: quindi è necessaria una struttura che possa
garantire una presa in carico articolata.

I Servizi di diagnosi e cura sono le strutture dedicate a questo di solito collocate negli ospedali generali

Il ricovero è usualmente breve (15 gg) e alla dimissione il trattamento prosegue nelle strutture territoriali a diversi livelli
di protezione (ambulatori CPS, centri diurni, servizi di riabilitazione)

La linea di trattamento più usata oggi abbina terapia farmacologica e terapia psicosociale

Si sono dimostrati utili gli interventi psicologici mirati a abbassare il livello di emotività espressa a livello familiare,
interventi psicoeducativi a scopo informativo che non prevedono un ingaggio psicoterapeutico.

Molti pazienti necessitano un trattamento volto a ripristinare o conservare le elementari competenze per la vita
quotidiana o la vita sociale

Gli interventi possono utilizzare tecniche di social skills training, di ergoterapia, o possono semplicemente fornire
sollievo alle famiglie

In termini di efficacia va detto che molte ricerche evidenziano l’importanza di formazione a un lavoro retribuito che
miri a un reinserimento

Alcune evidenze sottolineano che a livello di psicoterapia è cruciale intervenire al primo esordio della malattia per avere
una maggiore efficacia } In particolare esistono prove di efficacia legate alla psicoterapia cognitiva e comportamentale
da applicare in sinergia con trattamenti di tipo psicoeducativo familiare indirizzati a singoli nuclei familiari e training di
competenza sociale in gruppo e individuali (fatti soprattutto in Australia e nord-Europa).

ERRORI PASSATI

INTERVENTI PRECOCI

E’ cruciale mettere in atto un intervento precoce al primo episodio psicotico: un intervento quanto più tempestivo è
maggiormente in grado di scongiurare la crisi psicotica o almeno di rendere meno drammatica l’evoluzione della
malattia.

Gli elementi chiave di un buon intervento precoce sono 3:

- Riconoscimento dell’esordio psicotico e assistenza precoce


- Valutazione e trattamento della crisi
- Sostegno nella fase di recupero

Valutazione diagnostica: SCID-5, Brief Psychiatric Rating Scale, PANSS


Terapia farmacologica: basse dosi di neurolettici atipici che portano a una remissione dei sintomi entro 3 mesi nel
50% dei casi e entro 6 mesi nel 65% e entro 12 mesi nell’80%

È difficile perché:

- I sintomi peggiorano spesso gradualmente prima di un vero e proprio evento precipitante.


- Esperienze simil-psicotiche si riscontrano anche nella popolazione generale: credenze bizzarre, pensiero
magico, ideazione paranoide.
- È importante riconoscere la fase prodromica: spesso deliri e allucinazioni sono precedute da settimane di
isolamento sociale, di abbassamento dell’umore o altre modifiche emozionali
- È difficile discriminare tra emergere della schizofrenia e periodi di crisi in età giovanile
- Il problema è che le persone non sono in grado di riconoscersi come malate per loro la realtà in cui sono è molto
più certa in cui siamo immersi noi

L’assunzione di droghe quali eroina cocaina o LSD e altre sostanze allucinogene va indagata per una corretta diagnosi
differenziale

La comorbidità di dipendenza è elevata e raggiunge il 50% a volte le sostanze sono usate per effetto calmante

Elementi scatenanti sono spesso delusioni affettive fallimenti scolastici o professionali

La suicidarietà è elevata e raggiunge anche il 10%: va valutata sia l’ideazione suicidaria (quanto sia già “pianificata”)
che gli elementi di rischio reale (farmaci letali, armi ecc.)

Il 20% presenta sintomi persistenti nonostante un trattamento farmacologico adeguato

Se è vero che i farmaci possono ridurre i sintomi è anche vero che il recupero funzionale non è così rapido

La compromissione sociale o lavorativa può perdurare a lungo dopo il primo esordio psicotico

PROGNOSI

Secondo l’OMS dopo un episodio psicotico acuto:

A. un terzo guarirà e tornerà a svolgere la vita precedente


B. un terzo si riprenderà dalla fase acuta, ma dovrà continuare a prendere farmaci e avrà una riduzione nel
rendimento sociale e lavorativo
C. un terzo evolverà verso una condizione cronica con serie difficoltà a mantenere il lavoro e una vita sociale
circoscritta alla famiglia e alle strutture psichiatriche

10/11/2022

CAPITOLO 6: DISTURBI DEPRESSIVI E BIPOLARI


I disturbi dell'umore sono molteplici presentano diverse gravita e diverse sono le modalità di intervento.

Più di una persona su dieci va incontro a un disturbo depressivo nel corso della vita

Le modalità di trattamento possono variare molto a seconda del livello di gravità  valutazione e trattamento di tali
disturbi sono problemi comuni nella pratica della psicologia clinica.

EPISODIO DEPRESSIVO MAGGIORE

Si tratta di un fatto transitorio (almeno due settimane) in cui si rileva un cambiamento rispetto al precedente livello di
funzionamento del soggetto con sintomi che causano un disagio clinicamente significativo o una comprimissione del
funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti.
Emergono almeno cinque dei seguenti sintomi:

1- Umore depresso per la maggior parte del giorno


2- Marcata diminuzione di interesse o piacere per le attività  anetonia
3- Significativa perdita o aumento di peso o appetite
4- Insonnia o ipersonnia quasi ogni giorno
5- Agitazione o rallentamento psicomotorio quasi ogni giorno
6- Faticabilità o mancanza di energia quasi ogni giorno
7- Sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessivi o inappropriati (che possono essere deliranti) quasi ogni
giorno
8- Ridotta capacità di pensare o concentrarsi quasi ogni giorno
9- Pensieri ricorrenti di morte, ricorrente ideazione suicidaria senza un piano specifico, o un tentativo di suicidio,
ideazione di un piano per commettere suicidio

Nel lutto potremmo individuare i sintomi sopra riportati ma la diagnosi di depressione maggiore viene contemplata solo
se c’è qualche sintomo specifico oltre al naturale processo di elaborazione del lutto.

Prognosi:

- Il 50% di chi ha avuto un episodio depressivo ne avrà un secondo.


- Il 70% di chi ne ha un secondo ne avrà un terzo.
- Il 90% di chi ne ha un terzo ne avrà un quarto.

Il disturbo depressivo maggiore si caratterizza per la presenza di uno o + episodi.

Depressione ricorrente: quando si verifica la presenza di almeno due episodi depressivi maggiori separati da un
intervallo di almeno due mesi.

DISTURBO DISTIMICO

Si caratterizza per un umore cronicamente depresso accertato lungo un periodo di almeno due anni. I sintomi che
causano compromissione ma meno gravi di quelli presenti nell’episodio depressivo maggiore.

Quando ha una durata di molti anni è difficile differenziare il disturbo dal funzionamento abituale dell’individuo, non
va confuso con lo stile introverso o ritirato che è caratteristica di temperamento.

EZIOLOGIA DELLA DEPRESSIONE

Ad oggi si propende per un'eziologia multifattoriale:

1. Ereditarietà: Ricerche sui gemelli evidenziano un 37% di ereditabilità per il disturbo depressivo maggiore 
ai fattori genetici si da un ruolo moderatamente importante che può determinare una maggiore una minore
vulnerabilità a fronte di eventuali fattori depressogeni che si possono incontrare nel corso della vita.

Si tratta di configurazioni poligeniche più che di uno specifico “gene dell’umore”. Ossia di combinazioni di più geni
che meglio spiegano l’estrema varietà psicobiologica presente nei disturbi depressivi (aumento calo di sonno o di peso).

2. Nel corso della depressione si verifica una forte iperattività dell'amigdala a fronte della diminuita attività
della corteccia prefrontale, del giro del cingolo anteriore dell'ippocampo.

Tale pattern pattern di attivazione suggerisce l'idea di una risposta emozionale intensa a determinati stimoli, risposta che
non viene controbilanciata dai sistemi cerebrali coinvolti nel valutare i costi e benefici nel formulare azioni nel valutare
decisioni nel perseguire il sistematicamente un fine in presenza di una data emozione.

3. Anomalie neurotrasmettitoriali: Si verifica per via di alterazioni a livello di monoamine neurotrasmettitoriali


(serotonina, dopamina e noradrenalina) e alterazioni endocrine.
In passato si pensava ci fosse una sottoproduzione di monoamine rinforzato con I farmaci serotoninergici
(ipotesi monoaminergica)  Oggi si pensa che siano I recettori per la serotonina ad essere iposensibili per cui
gli abbassamenti del neurotrasmettitore produrrebbero ripercussioni importanti.

4. Anomalie neuroendocrine: Per ciò che riguarda le alterazioni endocrine va evidenziato che la depressione è
associata a elevati livelli di cortisolo che è l’ormone dello stress di solito prodotto per prepararci di fronte a
minacce.

Si registra infatti una sovraeccitazione dell’amgidala che causa anomalie neuroendocrine nell’asse ipotalamo-ipofisi-
surrene per alcuni causata da stressor importanti durante l’infanzia (maltrattamenti, abbandoni, assenza di supporto).
Nel lungo periodo l’iperproduzione di cortisolo dà luogo a sintomi simili quali quelli della depressione.

5. Natura psicologica  fattori di rischio di natura psicologica sono la struttura di personalità e la modalità
di elaborazione cognitiva: ci si riferisce in particolar modo alla dimensione di personalità che viene definita
nevroticismo o labilità emozionale misurata nei test di personalità di Eysenck, ad esempio il big five. I
punteggi di tali test sono in grado di predire il rischio di un individuo di sviluppare un episodio repressivo
6. Fattori sociali di rischio: A livello cognitivo la reiterazione di schemi cognitivi basati su una visione negativa
del sè (inamabilità) possono essere un altro fattore predittivo che porta a avere un’attribuzione negativa stabile
e globale: “tutto è destinato a peggiorare e io ne sono la causa”.  Spesso questo si origina in una relazione di
attaccamento distaccata o disconfermante.

Spesso l’episodio è causato da un evento stressante accaduto nei 12 mesi prima/ ci possono anche essere stressor
meno evidenti come il protrarsi di un lavoro insoddisfacente.

Data la sua causalità multipla lo psicologo clinico dovrà ricostruire ad personam fattori in gioco nello specifico episodio
depressivo.

FARMACI:

1- IMAO (Iproniazide) primi farmaci che rendono inattivi gli enzimi che ossidano le monoamini
(noradrenalina, serotonina, dopamina).
2- Antidepressivi Triciclici (Imipramina) consentono a una maggiore quantità di monamini di
raggiungere il recettore e eccitarlo inibendo la ricaptazione che avverrebbe altrimenti (55-70% di
efficacia) ma hanno alcuni effetti indesiderati (aumento di peso, stanchezza, ansia)
3- SSRI Inibitori Selettivi della ricaptazione della serotonina (Citalopram, Zoloft), la loro azione sui
neurotrasmettitori è più specifica dei triciclici e meno controindicazioni (55-70% di efficacia). Quando
miglioramento compare va mantenuto stesso dosaggio per 6 mesi. Evitare interruzioni brusche.
Continuare per almeno 6 mesi da fine dell’episodio depressivo per evitare recidive.

Mai smettere da solo gli psicofarmaci

Altri trattamenti:

- Stimolazione magnetica transcraniale: campi magnetici al cervello dirette su specifiche aree del cervello: in
caso di depressione è la stimolazione della corteccia prefrontale dorsolaterale sinistra.

Terapia psicologica:

 In casi di depressione grave può essere necessario aspettare che I sintomi siano alleggeriti dai farmaci e
iniziare il percorso dopo 20 giorni dalla prima assunzione

 La terapia integrata con I farmaci aumenta le probabilità di successo del 10-20%


 La terapia più consigliata è quella cognitiva, una più recente è la cognitiva orientata alla mindfulness in cui il
paziente impara a collocarsi in un’ottica decentrata più “protettiva, soprattutto indicata nei casi di depressione
ricorrente.

 Psicoterapia interpersonale: un intervento psicodinamico breve in cui l’attenzione non è al mondo interno del
paziente ma alle relazioni che intrattiene con gli altri. È più adatto alla depressione lieve o lieve moderata data
da problemi interpersonali (lutti, divorzi, conflitti di ruolo o mancanza di competenze relazionali)

 Psicoterapia familiare: utile in particolare quando il paziente depresso è un minore, in questi casi spesso la
depressione è il riflesso di un disagio familiare più ampio che si riflette sul figlio

16/11/2022

EPISODIO MANIACALE

Alterazione grave dell’umore con un umore anormalmente e persistentemente elevato espansivo o irritabile per
almeno una settimana tale da compromettere il funzionamento abituale con almeno 3 sintomi fra:

- Autostima ipertrofica o grandiosità


- Diminuito bisogno di sonno
- Loquacità maggiore del solito
- Fuga delle idee o pensieri che si succedono rapidamente
- Distraibilità (attenzione troppo facilmente deviata da stimoli)
- Aumento dell’attività finalizzata (sociale, lavorativa, scolastica, sessuale)
- Eccessivo coinvolgimento in attiva potenzialmente dannose (shopping compulsivo, comportamento sessuale
sconveniente, investimenti in affari avventati.

Prognosi: Il 90% va incontro a altri episodi maniacali o depressivi; il 10% prima o poi si suicida.

EPISODIO IPOMANIACALE: manifestazione meno grave che dura almeno 4 giorni non richiede
ospedalizzazione né provoca una marcata compromissione in ambito lavorativo.

DISTURBO BIPOLARE

 Nel disturbo bipolare c’è un’altissima componente genetica. Altissima componente genetica: tasso di
concordanza tra i gemelli monozigoti è del 79-87%, i familiari di primo grado hanno un rischio del 10%.
Meccanismo eziologico simile a quello della depressione

 Il trattamento farmacologico è d’obbligo e fa ricorso a stabilizzatori dell’umore quali il carbonato di litio


efficace nel 75% dei casi e di delicata somministrazione (e interruzione)

Esistono varie tipologie di disturbo bipolare:

1) Disturbo bipolare di tipo I: è caratterizzato da un decorso con uno o più episodi maniacali
2) Disturbo bipolare di tipo II: è caratterizzato da un decorso con uno o più episodi depressivi maggiori e
almeno un episodio ipomaniacale
3) Disturbo ciclotimico: alterazione dell’umore cronica con numerosi episodi ipomaniacali e periodi con
sintomi depressivi che non raggiungono l’intensità di un episodio depressivo maggiore (per una corretta
diagnosi è necessario aspettare almeno 2 anni).

La terapia:

Psicoterapia utile come accompagnamento per gran parte della vita.


 Aiutare il paziente ad accettare la propria malattia
 Aiutarlo a fronteggiare le fasi depressive e valorizzare le proprie competenze
 Aiutare la famiglia a cercare un equilibrio riconoscendo segnali prodromoci delle fasi maniacali e depressivi

IL SUICIDIO

Termini:

 Suicidio: è qualunque atto a esito fatale


 Suicidio mancato: è l’atto suicidario fallito ma potenzialmente mortale
 Suicidio tentato/parasuicidio: l’intenzione non è tanto togliersi la vita quanto esprimere un gesto
vendicativo di protesta o di richiamo

(In caso di depressione il suicidio è del 7% negli uomini e 1% tra le donne.)

Il paziente depresso non vede il suo stato come transitorio, non riesce a ricordare un passato felice e davanti a sé vede
solo un eterno dolore: il suicidio può apparire a volte l’unica strada  Il paziente si trova in un mondo
ATEMPORALE.

Il tasso di suicidio è elevato pazienti con disturbi bipolare, abuso di sostanze, schizofrenia, personalità, disturbi d'ansia e
gravi malattie fisica, persone di età avanzata (oltre i 75 anni). La stragrande maggioranza dei suicidi è associata alla
malattia mentale (95%); ciò non toglie che i tentativi di suicidio portati a termine possono essere frutto di una scelta
responsabile si parla in questo caso di suicidio razionale.

Culturalmente è un comportamento che si scontra con le maggiori religioni, ma in alcune epoche storiche era una
alternativa percorribile (filosofia stoica).

VALUTARE IL RISCHIO SUICIDARIO

Allo psicologo è richiesta valutazione dell’ideazione suicidaria: quanto a lungo questo pensiero distoglie l’attenzione,
parlarne in terapia non è un tabù può essere anzi fonte di sollievo e condivisione.

È da indagare l’impulsività, la tendenza al passaggio all’atto e il significato che può stare dietro a tale gesto:

- Un gesto estremo per conquistare un amore perduto

- Il modo per ricongiungersi a una persona amata (coniugi anziani)

- Una ritorsione per punire gli altri e indurre colpa

- Il tentativo di riparare colpe reali o presunte (aborti, fallimenti)

- Il tentativo di liberarsi da sentimenti ritenuti inaccettabili (impulsi pedofili, desideri omosessuali)

- Il frutto di un impulso momentaneo e incontenibile

Una condizione di solitudine isolamento uno stato socioeconomico e culturale basso, una diagnosi psichiatrica pregressa
o multipla, sono considerati fattori di rischio Otto elementi sono considerati importanti per valutare il rischio di
suicidio:

 Valutare la gravità dei tentativi precedenti


 La storia dei tentativi precedenti
 La presenza acuta di ideazione suicidaria
 Condizione psicologica di grave disperazione
 Morte come sollievo, ristoro da tribolazioni insopportabili
 Una storia familiare con presenza di suicidi
 Assunzione eccessiva di alcol
 Presenza di episodi recenti di perdita
Lo psicologo clinico deve lavorare per proteggere la vita della persona  massima reperibilità (anche incontri
quotidiani)

Rischio suicidio - cosa fare

 Richiamare alla mente le ragioni per morire le ragioni per vivere “nessuno si prenderebbe cura del mio
gatto”
 Rivalutare le une e le altre su una base oggettiva e secondo un punto di vista neutrale
 Suggerire il dubbio sulla stabilità delle proprie convinzioni attuali “questa potrebbe essere una crisi
temporanea”
 Elencare su un foglietto le ragioni per vivere e insistere perchéé il paziente tenga il foglietto a portata di
mano
 Programmare una serie di attività da mettere in atto all’apparire di pensieri suicidari (numeri di
emergenza)
 Costruire un piano per iniziare a affrontare lo specifico problema che è causa del desiderio di suicidio
 Se necessario pianificare al minuto in accordo con il paziente le successive 24 ore

L’accertamento di un rischio consistente può costringere lo psicologo a infrangere il segreto professionale anche
accettando il rischio di compromettere la relazione terapeutica. In questi casi è importante:

 Mettere in allerta i familiari: indicare di eliminare armi o farmaci tossici, lasciare il paziente solo il meno
possibile

 Prendere contatto con i servizi di salute mentale per valutare l’ipotesi di un recupero ospedaliero
eventualmente anche con TSO

CAP.7 I DISTURBI D’ANSIA, DISTURBI CORRELATI A EVENTI TRAUMATICI E


DISTURBO DELLO SPETTRO OSSESSIVO
Ansia: in alto a sinistra. È un fenomeno patologico ma svolge funzione adattiva.

Preoccupazione: indica un’attività cognitiva imvolontaria

L'ansia è un meccanismo utile e fondamentale per l'adattamento può diventare disattiva o addirittura patologica appunto
l'ansia presente nella stragrande maggioranza dei disturbi mentali.

L’ANSIA E LA SUA STRUTTURA

Anzi e preoccupazioni croniche ed eccessive sono considerate l'aspetto centrale del disturbo d'ansia generalizzato.

Per raggiungere la soglia del disturbo si richiede che:

a. L'ansia, le preoccupazioni o i sintomi fisici causino disagio clinicamente significativo menomazione nel
funzionamento sociale, lavorativo o in altre aree importanti.
b. Ansia e preoccupazioni si manifestano per la maggior parte dei giorni per almeno 6 mesi;
c. Difficoltà di controllo della preoccupazione
d. Presenti per la maggior parte dei giorni almeno 3 dei seguenti sintomi: irrequitezza, faticabilità, difficoltà a
concentrarsi, irritabilità, tensione muscolare, alterazione del sonno (addormentamento o mantenimento
difficoltoso, risvegli continui).

L'essenza del disturbo e cognitiva, nel lavoro della mente che mantiene di continuo nella spirale che mantiene di
continuo uno stato di allarme e preoccupazione: l'aspetto emozionale e quello somatico non sono al centro, ma
conseguono.

ATTACCO E DISTRUBI DI PANICO


Attacco di panico: manifestazione d’ansia intensa, breve e transitoria in cui ci devono essere almeno 4 dei seguenti
sintomi:

 Palpitazioni
 Sudorazione
 Tremori
 Dispnea o sensazione di soffocamento
 Sensazione di asfissia
 Dolore al petto
 Nausea o disturbi addominali
 Sensazione di sbandamento
 Derealizzazione  perdita del senso della realtà: il soggetto derealizzato percepisce l'ambiente circostante
come irreale, sconosciuto o insolito e manifesta una sensazione soggettiva di non-appartenenza a ciò che
fa o dice.
 Depersonalizzazione  è un disturbo che si manifesta con la sensazione persistente o ricorrente di essere
distaccati dal proprio corpo o dai propri processi mentali
 Paura di perdere controllo o di impazzire
 Paura di morire

Due tipologie di attacco di panico:

- Attacco di panico provocato  emerge a fronte di un evento stressante (es. devo volare e ho paura dell’aereo)

In questo tipo di attacco di panico è evidente il rapporto stimolo-risposta: la paura inizi sia eccessiva in concomitanza
con l'esposizione alla situazione temuta.

- Attacchi di panico non provocati  l’attacco di panico arriva in modo inatteso; L'attacco sopravviene del tutto
inatteso, ha un inizio improvviso e raggiunge l'apice rapidamente.

Spesso la persona pensa di avere un infarto che richiede immediata assistenza, paura di morire, di perdere il controllo o
di stare per impazzire.

Disturbo di panico: esperienze di attacchi di panico inaspettati e ricorrenti per un periodo non inferiore ad un mese. I
pazienti hanno persistenti preoccupazioni di poter avere nuovi attacchi e alterazioni del proprio comportamento.

L'età di esordio si riscontra tra la tarda adolescenza e i 35 anni. I consanguinei hanno una probabilità 4 7 volte maggiore
di sviluppare tale disturbo.

In un certo numero di casi può essere riferito un desiderio di fuggire dal luogo in cui si sta manifestando l'attacco. Col
passare del tempo è possibile che l'interessato divenga sensibile a luoghi e situazioni dove ha sperimentato l'attacco di
panico, ciò lo porterebbe ad evitare quei luoghi  possibile passaggio da un disturbo di panico senza agorafobia ad un
disturbo di panico con agorafobia.

L'agorafobia l'ansia relativa all'essere in luoghi o situazioni dove sia difficile o imbarazzante allontanarsi oppure
dove sia difficile o impossibile chiedere aiuto. Per esempio, se si presentassero alcuni sintomi di panico quando il
soggetto si trova in una chiesa affollata, in un treno o nel traffico.

L’agorafobia è costituita da due componenti:

- Ansia esperita
- Condotte di evitamento
 Mentre il trattamento con il disturbo di panico semplice è breve il trattamento del disturbo quando vi è
associata agorafobia è più difficoltoso

FOBIE SPECIFICHE

Fobie specifiche: paura marcata e persistente e sproporzionata per uno stimolo preciso o situazioni chiaramente
riconoscibili. La paura deve essere percepita incontrollabile e, per essere chiamata fobia, causa una compromissione
sociale lavorativa o in sfere importanti per lui.

 Fobia specifica per sangue/infezioni/ferite: il 75% delle persone con questa patologia causa svenimenti:
reazione fisiologica caratterizzata da una risposta lipotimica vagale.  questo ci ricorda che prima di tutto c’è
il corpo.

Ipotesi eziologiche  2 filoni:

1. La fobia sta sempre per qualcun altro, simbolo legato spesso ad allegorie sessuali  Freud

Il primo filone afferma che non è possibile che una persona grande, colta, intelligente, piena di buon senso, coraggio sia
terrorizzato da un topo, da un pipistrello, da uno scarafaggio. La spiegazione dietro a quell’innocuo “animaletto”, il
paziente deve essere sentire un pericolo micidiale che stava al di là di ciò che i sensi e la ragione potevano cogliere.

2. Il secondo filone ha guadato le fobie come puri e semplici esempi di apprendimenti infelici.

Watson lavorò con i topi condizionati secondo il condizionamento pavloviano inducendo loro una fobia con il tempo.
Col te vuoi clinici svilupparono tecniche di successo come la desensibilizzazione sistematica, il modellamento,
l'esposizione graduale.

L'ingrediente terapeutico efficace l'esperienza diretta, che va sotto il nome di esposizione che può essere modulata,
graduata secondo differenti modalità, attraverso il controllo. L'impiego di auto istruzioni adattive può incrementare i
trattamenti basati Sull'esposizione, come pure la ristrutturazione cognitiva delle cognizioni fobiche. Con queste
modalità il successo per le fobie specifiche è al 80-90%.

Trattamento farmacologico: non ci sono farmaci specifici. È possibile usare le benzodiazepine e i betabloccanti per la
riduzione dei sintomi d’ansia. L’abbinamento di tali farmaci alle procedure di trattamento non incrementa I risultati del
trattamento ma alla lunga può ostacolarlo.
FOBIA SOCIALE

La fobia sociale è caratterizzata da una paura marcata e persistente relativa a differenti situazioni. La persona tema di
agire: emozioni di imbarazzo, vergogna, umiliazione.

Le persone possono manifestare reazioni forti a carico del SNA: rossore, sudorazione, diarrea, malessere.

L’esposizione alla situazione temuta può manifestarsi con marcata ansia anticipatoria. Essa è caratterizzata da una
paura marcata e persistente relativa a una o più situazioni sociali o prestazionali e da intense condotte di evitamento 
la persona comincia a preoccuparsi varie ore al giorno fin da varie settimane prima di un evento sociale difficilmente
evitabile.

Può instaurarsi in circolo vizioso per: non posso aggiunge ansia anticipatoria che determina un atteggiamento di
apprensione sintomi d'ansia, che determinano una prestazione realmente scadente e imbarazzante, che determina in
seguito maggioranze anticipatoria.

La diagnosi di fobia sociale è appropriata solo se l'interessato è consapevole del carattere irragionevole o eccessivo
della propria paura e se va incontro alle limitazioni gravi per la propria vita quotidiana.

Un aspetto critico è dato dalle condotte di evitamento che si possono sviluppare e che possono essere più o meno
gravemente invalidanti. Ciò può compromettere lo sviluppo di relazioni sociali, nel corteggiamento e nelle esperienze
sessuali.

Elevato rischio di alcolismo Inoltre in questi casi è facile cadere nella dipendenza da sostanze: esse danno la forza per
evitare che gli altri vedano il vero me.

La farmacoterapia con antidepressivi e la psicoterapia sono di aiuto anche se è limitato. La terapia cognitivo
comportamentale si è dimostrata efficace ma con tassi di successo minori rispetto a quelli ottenuti nel trattamento
dell’attacco di panico o le fobie specifiche.

In questo settore ha avuto forte influenza il Modello di Clark e Walls: hanno individuato una predisposizione alla
fobia sociale (diatesi cognitiva):

 Distorsione nella valutazione della gravità di eventi sociali negativi


 Criteri eccessivamente elevati nelle prestazioni sociali
 Convinzioni autosvalutative su di sè e sulle proprie capacità (“non ho nulla di interessante da dire”)
 Convinzioni disfunzionali sugli altri ritenuti attenti competenti e critici

Vedi libro

DISTURBI CORRELATI AD EVENTI TRAUMATICI E STRESSANTI

Esperienze traumatiche che causano morte o minaccia di morte o minacce all’integrità fisica propria o altrui ai quali la
persona assista con sentimenti di impotenza e orrore possono provocare una forte emozione di ansia.  esse vengono
definite con il termine di stress estremo (prima si usava il termine trauma).

In seguito ad evento traumatico possono comparire esperienze dissociative, sensazioni soggettive di insensibilità, di
distacco o assenza di reattività emozionale, derealizzazione o depersonalizzazione; amnesia dissociativa. A ciò si
accompagna la sensazione di continuare a rivivere continuamente nell’evento traumatico e la tendenza a evitare lo
stimolo temuto.

Sono spesso presenti difficoltà nella qualità del sonno, incubi, ipervigilanza reazioni di allarme esagerate.

La sintomatologia può interferire con la possibilità dell’individuo di mobilitare le difese personali o di riferire ai
familiari l’esperienza traumatica e spesso si ricorre all’isolamento dal mondo esterno

Laddove sono presenti I sintomi di cui sopra e nella slide precedente per 4 settimane si parla di disturbo acuto da stress
mentre se il disturbo supera il mese si parla di disturbo post-traumatico da stress
DISTURBO ACUTO DA STRESS VS PTSD

 Come nel PTSD il disturbo acuto da stress è collegato ad esperienze traumatiche o altamente stressanti, durante
le quali l’individuo ha sperimentato pericolo per la propria salute fisica o psicologica
 La differenza sostanziale tra disturbo acuto da stress e disturbo post traumatico da stress è relativa al tempo di
durata del disturbo. Se questi sintomi sono presenti fino ad un mese dopo l’evento traumatico allora si parla di
disturbo da stress acuto, quando invece si supera il mese e i sintomi continuano ad essere presenti è di PTSD

DISTURBO DA ADATTAMENTO

Gli eventi stressanti possono essere ricorrenti (ad esempio legate a momenti di crisi all’interno di una relazione
sentimentale) o continui (ad esempio la scoperta di una malattia grave)

Gli eventi stressanti possono riguardare il singolo, una famiglia o un’intera comunità. In caso di lutti il disturbo da
adattamento può essere diagnosticato quando le reazioni emotive e comportamentali sono considerate eccessive e
sproporzionate per intensità, qualità e persistenza

DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO E DISTURBI CORRELATI

Le ossessioni sono pensieri o immagini mentali ricorrenti che causano ansia marcata e sono vissuti come intrusivi o
inappropriati.

La persona è estremamente consapevole che le ossessioni siano un prodotto della propria mente a differenza della
schizofrenia dove I pensieri sono ritenuti un’inserzione nella propria mente di pensieri estranei dovuti a poteri altrui

Sa che sono irragionevoli a differenza del depresso dove sono ritenute giustificate (caso mai eccessive)

Sono ossessioni egodistoniche che comportano una lotta estenuante per scacciare queste idee

Le compulsioni sono comportamenti ingiustificati ripetuti in modi stereotipati e sproporzionati

La persona si sente spinta a ripetere il comportamento per ridurre l’ansia che accompagna una certa ossessione o per
tenerla a bada

Sa che sono irragionevoli e cerca di combatterle senza successo: anche le compulsioni sono egodistoniche

Il Disturbo ossessivo-compulsivo è caratterizzato dalla presenza di ossessioni e compulsioni che causano marcato
disagio facendo consumare almeno 1 ora al giorno interferendo con le normali abitudini della persona.

La persona si sente spinta a ripetere il comportamento per ridurre l’ansia che accompagna una certa ossessione o per
tenerla a bada

Sa che sono irragionevoli e cerca di combatterle senza successo: anche le compulsioni sono egodistoniche

La terapia psicologica più efficace si basa sull’esposizione prolungata agli stimoli ansiogeni accompagnata da una
rigorosa prevenzione della risposta (ossia di compulsioni e rituali) in regime ospedaliero

Sono anche presenti procedure di trattamento ambulatoriale di tipo cognitivo che funzionano per i casi più lievi
(ossessioni senza compulsioni o fase post-trattamento ospedaliero)

I farmaci usati di solito sono SSRI e la clomipramina (Anafranil) possono ridurre la sintomatologia del 50% ma quando
I pazienti interrompono la terapia le recidive sono frequenti

Nei casi più gravi può essere utile un ricovero per 2-4 settimane basato su un regime di esposizione e prevenzione della
risposta 24 ore su 2

Disturbo di dismorfismo corporeo La preoccupazione riguarda un supposto difetto nell’aspetto fisico:


La persona passa molte ore a pensare al loro supposto difetto provando sentimenti di vergogna Sono convinti che tutti
prestino attenzione proprio a tale aspetto e pensano di essere derisi o compatiti: possono cercare soluzioni mediche o
interventi chirurgici per “correggere” i difetti supposti Altri disturbi ossessivi sono il disturbo da accumulo o la
tricotillomania (disturbo da strappamento di peli)

Vedi slide

CPITOLO 8: DISTURBI ALIMENTARI, SESSUALI, DISSOCIATIVI, CORRELATI A


SOSTANZE E DI PERSONALITA’

DISFUNZIONI SESSUALI

Le disfunzioni sessuali possono essere:

- Presenti fin dall’inizio dell’attività sessuale  tipo permanente


- Svilupparsi solo dopo un periodo di funzionamento normale.  tipo acquisito

- Essere di tipo situazionale ossia relative a specifiche contingenze  tipo situazionale


- generalizzata cioè al di là di situazioni e partner specifici.  tipo generalizzato

Le disfunzioni sessuali possono essere causate da 4 variabili:

 Fattori psicologici
 Fattori combinati: in cui I fattori psicologici hanno un ruolo ma si ritiene che una condizione medica generale
o l’uso di sostanze (effetti collaterali dei farmaci) contribuiscano a mantenere la disfunzione
 Fattori legati a condizione medica: effetti fisiologici diretti di una condizione medica come lesione del
midollo, ipotiroidismo, disturbi genito-urinari
 Fattori legati a sostanze: effetti fisiologici diretti di una sostanza (coca, amfetamine, oppiacei) di abuso di
farmaci

Le disfunzioni sessuali riguardare 1 delle seguenti fasi del ciclo di risposta sessuale:

1. Desiderio: consiste nel fantasticare sull’attività sessuale e nel desiderio di praticare attività sessuale.
2. Eccitazione: consiste nella sensazione soggettiva di piacere sessuale e nelle modificazioni fisiologiche
concomitanti (erezione, lubrificazione, ecc.)
3. Orgasmo: picco di piacere sessuale con allentamento della tensione sessuale e contrazioni ritmiche dei
muscoli perineali e degli organi riproduttivi.
4. Risoluzione: sensazione di rilassamento e benessere generale.

Vari disturbi legati alla fase del desiderio e dell’eccitazione:

1) Disturbo da desiderio sessuale ipoattivo maschile: persistente carenza o assenza di pensieri o fantasie
sessuali/erotici e di desiderio di attività sessuali che si valuta il rapporto con l'età quel contesto di vita generale
socioculturale dall'interessato.

2) Disturbo da desiderio sessuale ipoattivo femminile: significativa riduzione o dall’assenza di fantasie,


pensieri, desideri sessuali o dall'assenza di sensazioni genitali e non genitali ed eccitazione sessuale in risposta
a possibili stimoli sessuali, inclusi rapporti sessuali.

3) Disturbo Erettile: marcata difficoltà ad ottenere un’erezione o a mantenerla fino al completamento. Può
trattarsi di un problema situazionale o generalizzato.

4) Disturbo del dolore genito-pelvico e della penetrazione: in cui si rilevano differenti forme di dolore spesso
connesse tra loro: marcata tensione o contrazione dei muscoli del pavimento pelvico durante il tentativo di
penetrazione vaginale, marcato dolore vulvo-vaginale o pelvico durante il rapporto, marcata paura per il dolore
prima, durante o come risultato della penetrazione sessuale.

3 disturbi della fase dell’orgasmo:

1. Disturbo dell’orgasmo femminile che corrisponde all’assenza di orgasmo in almeno il 75% dei rapporti o un
marcato ritardo o una marcata riduzione delle sensazioni orgasmiche
2. Eiaculazione precoce: in cui in almeno il 75% dei rapporti l’eiaculazione si verifica circa un minuto dopo la
penetrazione vaginale e prima che l’interessato lo desideri
3. Eiaculazione ritardata: in cui in almeno il 75% dei rapporti è presente assenza di eiaculazione o un suo
marcato ritardo non intenzionale.

DISFORIA DI GENERE

L’omosessualità è stata cancellata dall’elenco delle malattie menali sono nel 1990.

Si parla di Disforia di genere: sofferenza di chi si ritrova estraneo nel proprio corpo e non sente di appartenere al
genere assegnatogli alla nascita e un forte desiderio di liberarsi da queste caratteristiche in modo da acquisire il genere
opposto.

Identità di genere diverso da orientamento sessuale.

Omofobia: una paura e un’avversione irrazionale nei confronti dell’omosessualità.

PARAFILIE

Varie tipologie:

 Esibizionismo: impulsi sessuali mostrati a un estraneo che non se lo aspetta (raramente sono tentativi di
fare sesso con l’estraneo)
 Voyeurismo: osservare furtivamente soggetti che non se lo aspettano mentre sono impegnati in attività
sessuali
 Frotteurismo: toccare o strofinarsi con una persona non consenziente (es. In mezzi pubblici e si allontana
prima di essere scoperto)
 Disturbo da travestitismo: toccare o strofinarsi con una persona non consenziente (es. In mezzi pubblici
e si allontana prima di essere scoperto)
 Pedofilia: Fantasie o impulsi sessuali (di varia natura o intensità) rivolti a bambini in età o soggetti in età
preburale. Non mancano purtroppo I casi di incesto.
 Masochismo sessuale comporta eccitazione tramite l’atto reale di essere umiliato o percosso (fustigazioni,
automutilazioni, perforazioni, ecc.)
 Sadismo sessuale si ricava eccitazione dalla sofferenza psicologica o fisica della vittima tramite azioni
reali, la soddisfazione deriva dal controllo totale della vittima che spesso è terrorizzata dall’anticipazione
di qualche atto sadico.

DISTURBI DISSOCIATIVI

I sintomi dissociativi sono alterazioni marcate della coscienza, della memoria, e della percezione dell’ambiente.
Vanno considerati di per sè psicopatologici solo quando producono grave disagio da compromettere il
funzionamento sociale o lavorativo.

Essi sono:

1. L’amnesia dissociativa è l’incapacità di rievocare uno o più episodi personali importanti. Solitamente
connesse a un limitato periodo di tempo dopo o durante un evento molto stressante. O più raramente possono
esserci amnesie generalizzate che si estendono a una o più fasi di vita
2. Fuga dissociativa: ha come manifestazione centrale un allontanamento improvviso e inaspettato da casa o
luogo di lavoro abituale. Il soggetto manifesta confusione circa la propria identità o a ricordare come sia
arrivato lì.
L’amnesia dissociativa può essere mantenuta anche durante sotto ipnosi o sotto effetto di farmaci
3. Disturbo dissociativo dell’identità: presenza di due o più identità distinte ciascuna con il proprio modo di
relazionarsi con l’ambiente che assume il controllo del comportamento in modo ricorrente

Il soggetto vive in uno stato come se ciascuna delle sue parti avesse una propria storia personale non integrata
con l’altra.
4. Depersonalizzazione: si intende un’alterazione nella percezione dell’esperienza di sè: la persona si sente
staccata dal corpo come un osservatore esterno di se stessi. Capita quando ci sono cose non sostenbili
5. esperienza di irrealtà o distacco nei confronti dell’ambiente: persone o oggetti possono essere percepiti come
irreali, come parti di un sogno

DISTURBI DI PERSONALITÀ

La diagnosi di Disturbo di personalità si basa sul funzionamento a lungo termine della persona al di là degli eventuali
eventi stressanti specifici

Si tratta di modelli abituali rigidi e pervasivi di esperienza interiore e di comportamento che deviano marcatamente
rispetto alle aspettative della cultura dell’individuo:

 Modalità di percepire e interpretare se stessi e gli altri

 La varietà, l’intensità, la labilità e l’adeguatezza della risposta emotiva

 Il funzionamento interpersonale

 Il controllo degli impulsi

Le stime di prevalenza tra la popolazione generale sono molto elevate si aggirano tra il 4,4% e il 13%

Sebbene I tratti di personalità siano distribuiti nella popolzione secondo un continuum è ancora oggi comune pensare ai
disturbi secondo cluster

Esempi: cluster a

 Disturbo paranoide: interpretano la realtà all’insegna del sospetto e della diffidenza:

Pensano di essere sfruttate o dubitano senza giustificazione della lealtà altrui

Possono provare costantemente rancore e essere incapaci di dimenticare offese che pensano di aver ricevuto

Possono essere gelosi in modo patologico, raccogliere prove banali per suffragare le proprie convinzioni di gelosia

 Disturbo scizoide
 Disturbo schizotipico:

cluster B:-

 Disturbo istrionico  non tollerano di non essere al centro.


 Disturbo narcisistico: pezzo di antisocialià  sfrutamento dell’altro. Pezzo di istrionico  volontà di
stare al centro

DISTURBI DA SOSTANZE CORRELATE

L’abuso è una modalità patologica d’uso di una sostanza che dà luogo a conseguenze dannose in 12 mesi in cui si
rileva:
- Ripetuta incapacità di adempiere ai compiti connessi con il proprio ruolo lavorativo o scolastico o familiare
(assenze, trascuratezze, mancato accudimento)
- Ricorrente uso della sostanza in situazioni rischiose (maneggiando armi, guidando auto)
- Ricorrenti problemi legali (arresto per molestie o percosse)
- Persistenza nell’uso della sostanza nonostante ricorrenti problemi interpersonali causati dagli effetti della
sostanza (liti in famiglia)

L’abuso diventa Dipendenza nel momento in cui vi è una modalità patologica di uso della sostanza con almeno 3 o più
delle seguenti condizioni:

- Tolleranza ossia il bisogno di quantità notevolmente maggiori della sostanza per raggiungere l’intossicazione
- Astinenza quando dopo un uso prolungato le concentrazioni ematiche. (Ogni sostanza ha emivita e comparsa
di sintomi con tempi diversi)
- Sostanza spesso assunta in quantità maggiori di quanto previsto inizialmente
- Tentativi infruttuosi di ridurre l’uso
- Grande quantità di tempo spesa in attività legate alla sostanza
- Riduzione di importanti attività sociali o lavorative
- Uso continuativo della sostanza nonostante la consapevolezza di avere un problema (fumo cannabis anche se
ho bronchite

Le 10 sostanze che inducono conseguente per il funzionamento psichico:

1. Alcol
2. Anfetamine
3. Caffeina
4. Cannabis
5. Cocaina
6. Allucinogeni
7. Inalanti
8. Nicotina
9. Oppiace
10. Fenciclidina
11. Sedativi, ipnotici, ansiolitici

DISTURBI ALIMENTARI

A sottolineare il peso dei fattori culturali, si evidenzia che questo disturbo è maggiormente presente nei paesi
industrializzati, dove non vi è carenza di cibo e dove è enfatizzato il valore estetico del corpo della donna. } Il rapporto
attuale in termini di genere è infatti di 10:1 } L’anoressia mentale è il disturbo più drammatico con una prevalenza
attuale che oscilla tra il 0,3% e il 3,7% con un’età di insorgenza che ha picchi a 14 e 18 anni

Il termine anoressia mentale è fuorviante perchè vuol dire mancanza di appetito. Invece in questo tipo di disturbo la
perdita di appetito è rara. È invece caratterizzata da: } Intensa paura di acquistare peso } Restrizione dell’assunzione di
cibo che porta a uno stato di grave sottopeso (BMI = kg/m2 sotto a 17) } Distorsioni relative alla propria immagine
corporea e al valore attribuito al peso o all’aspetto fisico } [Amenorrea nelle donne, cioè assenza di almeno 3 cicli
mestruali consecutivi dopo la comparsa del menarca o se in età prepuberale si assiste a un ritardo nella comparsa del
menarca] Presente nel DSM IV ora tolto

Si distingue in due sottotipi } Anoressia di tipo I: Condotte restrittive } Anoressia di tipo II: Restrizione + altre condotte
di eliminazione (palestra, jogging, attività sportiva, vomito autoindotto, lassativi e diuretici, Quasi sempre I soggetti
rifiutano di ammettere la gravità della propria condizione e hanno un basso livello di alleanza terapeutica Difficile
distinguere quando vada attribuito a travagli adolescenziali e quando a problematiche prettamente alimentar

Cap 10
Di prendere qualche boccata d'aria di stare di stare quando poss nella calma eccetera quindi rafforzare le emozioni
positive e poi il cope indaga invece la presenza di strategie di trattative cioè strategie inefficaci che sono messe in atto
un po alla cieca ma che non hanno nessun tipo di finalità utile ecco e quindi capire quando usare uno e quando l'altra
dipende dalle coping skills cioè per esempio io non so appunto sono abbassato l'appello di antonietti e certo posso
utilizzare un po di strategie focalizzate sull emozione perché sono molto anche questo è molto importante però se
utilizzo solo queste e vado al prossimo appello senza fare niente di più di diverso probabilmente non passo ci vogliono
anche un'integrazione tra queste e

Stress e malattia

Teoria della debolezza somatica: frone genetico

Teoria della reazione specifica: + individuale  debolezza somatica individuale

Teorie psicoanaliiche: il sintomo può stare per qualcos’altro.

Ruolo del malato

Sindromi psicosomatiche

Alto a sinitra  malattia coronariche

Ataccmento evitente  negazione della malattia

Gestione dello stress:

1. Cambiamenti esterni
2. Ristrutturazione cognitiva

CAPITOLO 8 - DISTURBI ALIMENTARI, SESSUALI, DA DIPENDENZA,


SOMATOFORMI, DISSOCIATIVI E DI PERSONALITA’
Si tratta di un raggruppamento di disturbi che ha visto negli ultimi decenni un incredibile aumento, in passato
erano considerati rarissimi. Questo fenomeno pare essere determinato in relazione a cambiamenti culturali
specialmente nei paesi maggiormente industrializzati => i disturbi mentali sono fenomeni che riflettono la cultura e le
sue variazioni.

1. I DISTURBI ALIMENTARI
 Sono un gruppo di sindromi cliniche in cui ad una condizione psicopatologica corrisponde un alterato
comportamento alimentare.
 si ha una differenza tra i generi, in un rapporto tra femmine e maschi di 10:1.

I quadri clinici proclamati più critici sono:


 ANORESSIA NERVOSA si tratta di un rapporto patologico con il proprio corpo, con la propria
identità e con la propria sessualità.
o la paura di ingrassare è fortissima.
o Il rifiuto di mangiare è in questo caso più che un problema con il cibo, è il tentativo di modificare,
dimagrendo, il proprio corpo.
o L’età di insorgenza ha una distribuzione bimodale con due picchi a 14 e 18 anni.
o L'evoluzione e gli esiti sono variabili:
 A un episodio di anoressia nervosa segue una completa remissione (dopo 5 anni nei 2/3 dei
casi)
 Altri casi presentano un'evoluzione cronica che richiede il ricovero in un ambiente ospedaliero per il
ripristino del peso corporeo o la correzione degli equilibri elettrochimici.
 Il DECESSO può verificarsi sia in rapporto alla denutrizione, sia in seguito al suicidio. o è il disturbo
mentale con maggiori mortalità.
 Il termine anoressia può essere forviante, indica la perdita dell’appetito quando in realtà è rarala la
perdita di appetito.
 La manifestazione fondamentale dell’anoressia nervosa è il rifiuto di mantenere il peso al di sopra del
peso minimo per età e statura.

 PER QUESTO SI FA RIFERIMENTO ALL’INDICE DI MASSA CORPOREA(BMI)


BMI=KG/M 2
 La perdita di peso si ha dopo drastiche restrizioni ad assumere cibo, dette condotte restrittive.
 Il soggetto può imporsi: eccessiva attività fisica e può praticare condotte di eliminazione (vomito, uso di
lassativi, diuretici).
o L’anoressia nervosa ha ulteriori manifestazioni essenziali:

• un’intensa paura di acquistare peso, di «diventare grassi», che non viene mitigata dall’evidenza
dello stato di emaciazione e di sottopeso;
• distorsioni relative sia alla percezione sia al valore attribuito all’aspetto fisico e al peso;
• nelle donne, amenorrea, cioè assenza di almeno tre cicli mestruali consecutivi dopo la prima
mestruazione (menarca), mentre in età prepuberale il disturbo può condurre a un ritardo nella
comparsa del menarca.
Si registra un’alterazione dell’immagine corporea per ciò che riguarda la forma e dimensioni del corpo, tali da
sfiorare il delirio.

 in genere l’addome, i glutei, le cosce


Si osserva un’eccessiva influenza del peso e della forma del corpo sui livelli di autostima:
 la perdita del peso viene considerata come una conquista e un segno di autodisciplina,
 l’aumentare del peso viene considerata come una inaccettabile incapacità di autocontrollo.
Questi soggetti raramente riconoscono di avere un problema con il peso.
 La quasi totalità delle persone interessate è di sesso femminile alle prese con: l’immagine corporea, la
conquista della propria identità, la conquista dell’autonomia dei genitori, la conquista della propria
identità sessuale.
L’attenzione per l’anoressia:
 è recente (1960), pioniere ne fu H. Bruch (psicoanalista tedesca, trapianta in America);
 Nei medesimi anni un’altra psicoanalista, Mara Palazzoli Selvini, fu autrice di una delle prime importanti
monografie sul tema => si è allontanata dalla psicoanalisi per volgere l’attenzione negli anni successivi
alle famiglie delle pazienti e alle teorie della patologia della comunicazione e dei sistemi familiari che
arrivavano da Palo Alto.
 Negli anni 70 venne introdotta la terapia familiare, una grande rivoluzione che permise di affrontare
pazienti ostici con pochissima motivazione al trattamento => Il ricorso al setting familiare(la famiglia al
completo) forniva uno spiraglio prezioso.
Il titolo di un’opera divulgativa della Bruch: La gabbia dorata: l’enigma dell’anoressia mentale.
 La Gabbia dorata di cui parla la Bruch è una famiglia perfetta dove il tema del perfezionismo è alla
base del disturbo.
Salvador Minuchin 1974 => sostenne la tesi che i disturbi dell’alimentazione colpissero le famiglie invischiate:
 dove ogni membro è estremamente coinvolto con gli altri con pochi spazi di autonomia personale e di
differenziazione tra i genitori e i membri della famiglia.
 Questa eccessiva coesione può rendere difficili i processi di cambiamento, crescita e autonomia, quindi
l’anoressia non è una patologia del singolo ma una patologia del sistema familiare.
 I DA possono diventare soluzioni che permettono al malato di manifestare la propria autonomia senza
arrivare alla rottura con la propria famiglia.
Su queste basi la terapia della famiglia ha rappresentato la prima seria proposta terapeutica per l’anoressia.
Oggi prevale l’idea che la cura dell’anoressia nervosa vada affidata a un equipe multidisciplinare con:

 Nutrizionisti, specialisti in medicina interna, psichiatri e psicologi clinici con specifiche competenze
psicoterapeutica.
Trattamento:

 ambulatoriale vada riservato ai casi meno gravi => le linee guida del NICE raccomandano un costante
monitoraggio dello stato fisico del pz.
 mentre per i casi più gravi sia necessario il ricorso al regime di ricovero ospedaliero o in day hospital
con uno staff specificamente dedicato e consuetudine di appropriati piani terapeutici.
 Alla dimissione => trattamento psicologico strutturato e regolare.
Non tutti i trattamenti psicologici sono accettati, quelli validi sono:

- La terapia cognitiva analitica


- La terapia cognitiva e comportamentale
- La terapia interpersonale - Interventi familiari.

2. BULIMIA NERVOSA

Un’abbuffata o crisi bulimica è l’ingestione in un certo lasso di tempo (breve: min 2 h) di una quantità di cibo
esagerata rispetto a quello che la maggior parte delle persone potrebbe mangiare nello stesso tempo/condizioni.
 Il soggetto ha la sensazione di perdere il controllo, di non riuscire a smettere di mangiare, di non
poter controllare cosa e quanto stia mangiando.
 L’episodio termina quando non c’è più nulla da mangiare o per la sensazione di malessere e pienezza.
Va oltre la golosità, qui si caratterizza per la quantità del cibo e non per la qualità.
 Avvengono di nascosto e in solitudine -> il soggetto se ne vergogna e cerca di tenere i conviventi
all’oscuro
 Sono indotte da stati depressivi di umore, condizioni di stress interpersonale, sentimenti di
insoddisfazione
 A volte sono la conseguenza della fame accumulata mediante i digiuni e le restrizioni che il soggetto si
impone.
 Durante l’abbuffata vi può essere una momentanea riduzione dell’umore depresso, ma i sentimenti
successivi sono di vergogna, spietata autocritica e umore depresso.
Dette abbuffate si possono osservare anche in casi di anoressia nervosa, ma sono tipiche di un disturbo
dell’alimentazione: la bulimia nervosa.

Le sue manifestazioni sono:


• Presenza di abbuffate
• Appropriati metodi compensatori per prevenire l’aumento del peso (induzione del vomito) o Il
vomito riduce la sensazione di malessere fisico susseguente, oltre a ridurre la paura di ingrassare.
o Tra le misure compensatorie troviamo -> digiuno per giorni, sport eccessivo

Attribuiscono importanza spropositata al peso e alla forma corporea e questi fattori condizionano i loro livelli
di autonomia.
- Maggiore tra il genere femminile: 6.1 -> i maschi 10:1
- Fattori psicologici possono avere un ruolo nell’eziologia e nel decorso di moltissimi casi di obesità.
L’obesità non compare tra le classificazioni dei disturbi mentali, perché non è stata accertata l’associazione con
alcuna sindrome psicologica.

3. DISFUNZIONI SESSUALI

La sfera sessuale implica infinite sfaccettature -> interessa tutto il corpo e la vita psicologica.
 È evidente la relazione tra problematiche sessuali e problemi della relazione affettiva di coppia.
DISFUNZIONI SESSUALI che riguardano: uno o più fasi del ciclo di risposta sessuale:

a) IL DESIDERIO, La prima fase consiste in fantasie sull’attività sessuale e nel desiderio di praticare
attività sessuale.
b) ECCITAZIONE, La seconda fase consiste nella sensazione soggettiva di piacere sessuale e nelle
modificazioni fisiologiche concomitanti: tumescenza del pene ed erezione nel maschio, vasocongestione
pelvica, lubrificazione e dilatazione della vagina, tumescenza dei genitali esterni nella femmina.
c) ORGASMO, La terza fase consiste in un picco di piacere sessuale, con allentamento della tensione
sessuale e contrazioni ritmiche dei muscoli perineali e degli organi riproduttivi. Nel maschio vi è la
sensazione di inevitabilità dell’eiaculazione, seguita dall’emissione di sperma; nella femmina vi sono
contrazioni (non sempre percepite soggettivamente come tali) della parete del terzo esterno della vagina;
sia nel maschio sia nella femmina, lo sfintere anale si contrae ritmicamente.
d) LA RISOLUZIONE, La quarta fase consiste in una sensazione di rilassamento muscolare e di benessere
generale. Durante questa fase, i maschi sono fisiologicamente refrattari a ulteriori erezioni e orgasmi per
un periodo variabile di tempo; al contrario, le femmine possono essere in grado di rispondere a nuove
stimolazioni quasi immediatamente.
La disfunzione può essere:
 presente fin dall’inizio dell’attività sessuale (tipo permanente)
 svilupparsi solo dopo un periodo di funzionamento normale (tipo acquisito).  limitata a
certi tipi di stimolazione, di situazioni o di partner (tipo situazionale)  manifestarsi
indipendentemente da tali fattori (tipo generalizzato).

Da punto di vista eziologico possono distinguersi 4 possibilità:


1. i fattori psicologici hanno un ruolo preminente nell’insorgenza, nella gravità, nell’esacerbazione o nel
mantenimento della disfunzione sessuale (disfunzione sessuale dovuta a fattori psicologici);
2. i fattori psicologici hanno un ruolo, ma si ritiene che anche una condizione medica generale o l’uso di
sostanze (inclusi gli effetti collaterali dei farmaci) contribuiscano al mantenimento della disfunzione
(disfunzione sessuale dovuta a fattori combinati);
3. si ritiene che la disfunzione sessuale sia dovuta esclusivamente agli effetti fisiologici diretti di una
condizione medica generale, come per esempio lesioni al midollo, sclerosi multipla, lesioni al lobo
temporale, diabete mellito, ipotiroidismo, disfunzione ipofisaria, disturbi vascolari, disturbi genito-urinari
(disfunzione sessuale dovuta a una condizione medica generale);
4. si ritiene che la disfunzione sessuale sia del tutto spiegata dagli effetti fisiologici diretti di una sostanza
di abuso (per esempio, alcol, amfetamine, cocaina, oppiacei), di un farmaco (per esempio, fluoxetina,
farmaci antipertensivi, neurolettici, ansiolitici, antidepressivi, steroidi anabolizzanti) o dall’esposizione a
una sostanza tossica (disfunzione sessuale indotta da sostanze).

Sono 4 i disturbi che interessano le fasi del desiderio:


1. disturbo da desiderio sessuale ipoattivo maschile, che descrive una persistente carenza o assenza di
pensieri o fantasie sessuali/erotici e di desiderio di attività sessuali, che va valutata in rapporto con l’età e
il contesto di vita generale e socioculturale dell’interessato;
2. disturbo del desiderio sessuale e dell’eccitazione femminile, che può essere dato da una significativa
riduzione o dall’assenza di fantasie, pensieri, desideri sessuali o dall’assenza di sensazioni genitali e non
genitali ed eccitazione sessuale in risposta a possibili stimoli sessuali, inclusi i rapporti sessuali;
3. disturbo erettile, che consiste in una marcata difficoltà di ottenere un’erezione durante l’attività sessuale
o di mantenerla fino al completamento. Come altre disfunzioni sessuali, può trattarsi di un problema
generalizzato o di un problema situazionale, che si verifica solo con determinati tipi di stimolazione,
situazioni o partner;
4. disturbo del dolore genito-pelvico e della penetrazione, disturbo nel quale si raccolgono differenti
forme di dolore sovente connesse tra loro: marcata tensione o contrazione dei muscoli del pavimento
pelvico durante
il tentativo di penetrazione vaginale, marcato dolore vulvo-vaginale o pelvico durante i tentativi di
penetrazione o il rapporto, marcata paura per il dolore prima, durante o come risultato della penetrazione
vaginale.

Sono 3 i disturbi che interessano la fase dell’orgasmo:


1. disturbo dell’orgasmo femminile, che può corrispondere all’assenza di orgasmo in tutti o quasi tutti
(75100%) i rapporti sessuali, come pure a un marcato ritardo o una marcata riduzione delle sensazioni
orgasmiche;
2. eiaculazione precoce, il disturbo indica che in tutti o quasi tutti (75-100%) i rapporti sessuali
l’eiaculazione si verifica circa un minuto dopo la penetrazione vaginale e prima che l’interessato lo
desideri.
3. eiaculazione ritardata, che implica l’assenza di eiaculazione o un suo marcato ritardo, non intenzionale,
nel 75-100% dei rapporti sessuali.

Queste disfunzioni sessuali possono essere di tipo:


1. PERMANENTE: disfunzione è presente dall’inizio dell’attività sessuale,
2. ACQUISITO: si sviluppa dopo un periodo di funzionamento normale, 3.
SITUAZIONALE: è limitata a certi tipi di stimolazione, di situazioni o partner,
4. GENERALIZZATO: si manifesta indipendentemente dai fattori precedenti.

Tutte la disfunzioni sessuali possono creare sentimenti di inadeguatezza nei confronti del partner e compromettere le
relazioni.

DISTURBI PARAFILICI (PERVERSIONI SESSUALI)

Le loro caratteristiche sono: Fantasie, impulsi o comportamenti ricorrenti e intensamente eccitanti sessualmente che
riguardano oggetti inanimati, bambini o altre persone non consenzienti o che producono la sofferenza e l’umiliazione
propria o del partner.

 Le parafilie devono essere distinte dall’uso non patologico di fantasie utilizzate come stimolo per
l’eccitazione nella comune vita delle persone
 Le fantasie e i comportamenti sono parafilici solo quando portano ad un disagio clinicamente
significativo o inducono menomazioni in aree importanti della vita (interferiscono con le relazioni
sociali, danno esito a complicanze legali)
 Riguardano in massima parte individui di sesso maschile
Le singole parafilie si differenziano in base alla specifica focalizzazione:
• Esibizionismo le fantasie riguardano l'esposizione dei propri genitali ad un estraneo che non se lo aspetta,
generalmente non vi sono tentativi di vera e propria attività sessuale con l'estraneo. o A volte il soggetto si
masturba mentre si esibisce o mentre immagina di esibirsi
• Voyeurismo la focalizzazione parafilica si ha nell’osservare i soggetti che non se lo aspettano (di solito
estranei), mentre si spogliano o sono impegnati in attività sessuali. Non viene ricercata nessuna attività
sessuale con la persona osservata. Guardare x ricevere l’eccitazione sessuale
• Frotteurismo comporta il toccare o lo strofinarsi contro una persona non consenziente. Il soggetto strofina i
propri genitali contro le cosce o le natiche della vittima, oppure ne palpeggia genitali e mammelle, per esempio
in luoghi affollati e mezzi di trasporto pubblico, e si allontana prima di poter essere scoperto.
• Feticismo la focalizzazione parafilica riguarda oggetti inanimati: feticci (mutande reggiseni calze)con la
quale il soggetto si masturba strofinandosi il feticcio.
• Disturbo da travestimento comporta il procurarsi eccitazione sessuale indossando abiti del sesso opposto o Il
disturbo riguarda maschi eterossessuali o bisessuali, il disturbo può essere accompagnato da disforia di genere
un senso persistente di disagio connesso al proprio ruolo sessuale.
o Il disturbo parafilico non è dato dal fatto di travestirsi, ma dal fatto di raggiungere soltanto in questo
modo l’eccitazione sessuale.
o Si considera disturbo solo nel caso di un’intensità tale da compromettere significativamente aree
importanti del funzionamento personale o sociale dell’individuo.
• Pedofilia: impulsi riguardano bambini prepuberi di una specifica fascia di età. I soggetti con pedofilia hanno
attrazione per bambini o bambine di una specifica fascia d'età.
o I soggetti con pedofilia di solito riferiscono attrazione per bambini o bambine di una specifica fascia
d’età. Quei soggetti che passano ad atti concreti possono limitarsi a spogliare il bambino, a guardarlo, a
carezzarlo, a masturbarsi in sua presenza, oppure giungere ad atti sessuali a danno del bambino,
esercitando vari gradi di violenza. Come è purtroppo ampiamente noto, non mancano i casi di incesto.

• Masochismo sessuale: atto reale e non simulato di essere umiliato, percosso o fatto soffrire in vario modo.
o Esempi di atti masochistici agiti da sé o con un partner sono costrizioni fisiche, punture, perforazioni,
automutilazioni, fustigazioni, schiaffeggiamenti, percosse, umiliazioni come farsi urinare addosso ecc.
Una forma particolarmente pericolosa (e a volte letale) è denominata «ipossifilia» e implica eccitazione
sessuale da deprivazione di ossigeno tramite compressione, cappi, legature.
• Sadismo sessuale il soggetto ricava eccitazione sessuale dalla sofferenza psicologica e fisica della vittima
tramite azioni reali e non simulate.
o Le fantasie sadiche più comuni implicano un controllo totale della vittima, che è terrorizzata
dall’anticipazione di qualche atto sadico.
o La maggior parte dei soggetti con sadismo sessuale manifesta i propri impulsi sessuali con partner
consenzienti, ma si danno casi di pratiche su partner non consenzienti, con ovvie implicazioni anche
legali.

5.DISFORIA DI GENERE

Nella maggior parte del secolo scorso l’omofobia è stata classificata come malattia.

 Nel 1973 l’APA (American Psychiatric Association) rimuoveva questa dal DSM. L’OMS ha cancellato
l’omofobia dall’elenco delle malattie mentali nel 1990 e prevedeva una nuova categoria, l’omosessualità
egodistonica, rimossa a sua volta nel 1987.
 L’Organizzazione mondiale della sanità ha cancellato l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali
nel 1990.
 Il caso dell’omosessualità rientra nel cosiddetto relativismo storico e culturale che permea la storia della
psicopatologia.
In questo contesto si sono sviluppate nuove attenzioni verso i termini di:
 SESSO: va riferito agli indicatori biologici di maschio e femmina: organi sessuali, capacità
riproduttiva, come i cromosomi sessuali, le gonadi, gli organi genitali sia interni sia esterni non ambigui;
 GENERE: è utilizzato per indicare il ruolo vissuto dal soggetto in pubblico (donna, uomo, bambino).
Qui i fattori biologici si integrano con fattori sociali e psicologici nello sviluppo del genere.

La DISFORIA DI GENERE costituisce una delle nuove classi diagnostiche introdotte nel 2015 col DSM-5.

 Nel DSM-IV era previsto il “disturbo dell’identità di genere”, oggi cancellato.


 Non si pone più l’accento sull’identificazione con un genere diverso dal sesso biologico, ma sulla
sofferenza connessa al fenomeno dell’incongruenza di genere, ossia alla sofferenza e al disagio affettivo e
cognitivo di chi si ritrova estraneo nel proprio corpo e non sente di appartenere al genere assegnatogli alla
nascita, ma vorrebbe appartenere al genere opposto.

La disforia di genere descrive il disagio sia affettivo sia cognitivo di individui che si identificano (in modo permanente
o transitorio) con un genere diverso da quello assegnato alla nascita. Tra le caratteristiche che accompagnano il
disagio:

- desiderio di liberarsi delle proprie caratteristiche sessuali e acquisire quelle del genere opposto, da cui
il ricorso a ormoni del sesso opposto e a chirurgia degli organi genitali (chirurgia della riassegnazione
sessuale)
Queste problematiche sono connesse con il relativismo storico e culturale e variano al variare delle modifiche culturali,
politiche e religiose delle varie epoche.

 Non si prenda perciò la classificazione odierna come immutabile, ma come lo stadio di un lungo cammino
di emancipazione della psicologia clinica, della psicopatologia e della psichiatria, dai pregiudizi omofobici
dell’Ottocento.

In merito all’ OMOFOBIA – questa è un neologismo del linguaggio comune e indica <<paura e un’avversione
irrazionale nei confronti di alcune categorie come omossessuali, gay, lesbiche e transessuali basata sul pregiudizio:
simile al razzismo. Descritta così dal Parlamento Europeo nel 2006.

 Si manifesta nella sfera pubblica e privata sotto forme diverse, quali discorsi intrisi di odio e istigazioni alla
discriminazione, dileggio, violenza verbale, psicologica e fisica, persecuzioni e omicidio.

6.DISTURBI DISSOCIATIVI

Sono disturbi caratterizzati da alterazioni marcate della coscienza e della memoria, del senso di identità e della
percezione dell’ambiente.
• L’alterazione può essere improvvisa, graduale, transitoria o cronica.
• Rappresentano una dissociazione di funzioni che usualmente sono tra loro integrate.
• I sintomi dissociativi non vanno considerati come manifestazioni psicopatologiche, spesso non
producono ne grave disagio ne necessità di aiuto psicologico.
• In altri casi possono dare a luogo a disturbi mentali.
Possono includere fenomeni di:
 Amnesia dissociativa - l'incapacità di rievocare uno o più episodi personali importanti.
o Lacune collegate ad eventi traumatici o estremamente stressanti,
o L'amnesia può essere circoscritta ad un determinato periodo di tempo, di solito le prime ore seguenti ad
un intervento disturbante.
o Rare sono le amnesie generalizzate (incapacità di ricordare l’intera vita) e le amnesie continuative
(incapacità di ricordare da un certo momento al presente) o Alcuni soggetti possono gradualmente
rievocare i ricordi dissociativi e altri possono una forma cronica di amnesia

 Fuga dissociativa – che ha come manifestazione centrale l’ allontanamento improvviso e inaspettato da


casa accompagnato dall’incapacità di ricordare in toto o in parte il proprio passato.
o La comparsa di una fuga dissociativa è collegata a eventi di vita traumatici e stressanti. o
L’allontanamento può variare da un viaggio di un paio d’ore a vagabondaggi di vari mesi.
o Il recupero è rapido.
o L’amnesia dissociativa può porre difficili problemi psicodiagnostici in casi ove sia ipotizzabile un
tentativo di simulazione, per esempio, in soggetti che cercano di sottrarsi a imputazioni legali, a
obblighi finanziari o personali, in soldati in situazioni di combattimento ecc. La simulazione dei sintomi
dissociativi può essere mantenuta anche durante interviste sotto ipnosi o sotto l’effetto dei barbiturici.
 Disturbo dissociativo dell'identità – è caratterizzato dalla presenza di due o più identità distinte, ciascuna
con i suoi modi relativamente costanti di percepire e di pensare nei confronti di se stessa e dell’ambiente.
o incapacità di ricordare notizie personali importanti come l’amnesia dissociativa.
o Il soggetto vive ciascuno stato della personalità come se avesse una sua storia personale, un’identità
distinta a volte con un nome diverso, un sesso diverso e un età diversa.
 Depersonalizzazione: alterazione nella percezione o nell’esperienza di sé tale per cui la persona si sente
staccata dal proprio corpo oppure come un osservatore esterno del proprio corpo o dei propri processi mentali.
o Sentirsi come un automa o Il soggetto si sente come se stesse vivendo
un sogno.
o È un esperienza comune
 si intende un’esperienza di irrealtà o distacco nei confronti dell’ambiente circostante; persone e oggetti
possono venire percepiti come irreali, come parti di un sogno, talvolta possono risultare deformati visivamente.
 Durante tali episodi la percezione di realtà permane intatta => i soggetti sono pienamente consapevoli di non
essere degli automi, di non essersi allontanati dal proprio corpo, di non essere all’interno di un sogno o di un
film ecc.

RAPTUS: è utilizzato per indicare un episodio improvviso a carattere esplosivo il cui soggetto compie, in uno
stato di coscienza obnubilata, atti impulsivi che possono avere conseguenze drammatiche. Può essere: - R.ansioso
- R. omicida
- R. suicida

7.DISTURBI CORRELATI A SOSTANZE

Ci sono illimitate sostanze che possono dar luogo a fenomeni di abuso e dipendenza con conseguenze fisiche,
mentali e comportamentali di varia gravità, quelle di principale rilievo per la psicologia clinica sono
raggruppabili in 11 classi:
1. Alcol. Segni di intossicazione alcolica sono: pronuncia indistinta, incoordinazione, marcia instabile,
nistagmo (cioè un movimento ritmico e involontario di uno o di entrambi gli occhi), deficit di attenzione o di
memoria, stupor (cioè uno stato di perdita pressoché completa della coscienza) o coma; caratteristica è pure
la presenza di comportamenti disadattivi significativi (per esempio, comportamento sessuale o aggressivo
inappropriato, compromissione del funzionamento sociale e lavorativo) e modificazioni psicologiche (per
esempio, labilità dell’umore, difetto delle capacità critiche).
2. Amfetamine o simpaticomimetici ad azione simile. Sono stimolanti potenti del SNC con effetti psicoattivi
più duraturi della cocaina ed effetti simpaticomimetici periferici più potenti; possono essere procurati con
prescrizioni oltre che sul mercato illegale. L’intossicazione generalmente comincia con un senso di esagerato
benessere, seguito dallo sviluppo di sintomi come euforia, con senso di aumentata energia, tendenza a
socializzare, loquacità, ipervigilanza, suscettibilità interpersonale, ansia, tensione o rabbia, litigiosità,
compromissioni delle capacità critiche; sintomi che si sviluppano durante o poco dopo l’assunzione di
amfetamine sono: tachicardia o bradicardia, midriasi (cioè dilatazione della pupilla), ipertensione o
ipotensione, sudorazione o brividi, nausea o vomito, perdita di peso.
3. Caffeina. Il consumo medio di caffeina nei vari paesi varia tra 50 e 400 mg/giorno; i sintomi che possono
comparire per un uso eccessivo (a livelli superiori a 1g/giorno) comprendono irrequietezza, eccitamento,
insonnia, contratture muscolari, flusso incoerente del pensiero e dell’eloquio, tachicardia o aritmia
cardiaca, ridotta sensibilità alla fatica e agitazione psicomotoria; con dosi superiori ai 10 g di caffeina vi è
rischio di morte. La crisi può interessare un periodo di 2-6 ore e i sintomi di intossicazione tendono a durare 6-
16 ore dopo l’ingestione.
4. Cannabis. I cannabinoidi sono sostanze derivate dalle foglie della pianta cannabica, come marijuana e
hashish, e vengono generalmente assunti per fumo; l’intossicazione comincia con un senso di elevato
benessere seguito da sintomi che comprendono euforia con riso inadeguato e grandiosità, sedazione,
letargia (cioè stato di sonno profondo), compromissione della memoria a breve termine, difficoltà ad
eseguire processi mentali complessi, deficit della capacità critica, percezioni sensoriali distorte, deficit
della esecuzione motoria e sensazione di rallentamento del tempo; tali effetti psicoattivi sono
accompagnati, entro due ore dall’assunzione di cannabis, da iperemia (cioè marcato afflusso di sangue)
congiuntivale, aumento dell’appetito, secchezza delle fauci e tachicardia; possono darsi alterazioni percettive e
allucinazioni che il soggetto riconosce come dovute alla sostanza.
5. Cocaina. La cocaina viene estratta dalla pianta della coca e viene consumata in diverse preparazioni e
con diverse concentrazioni e modalità di assunzione (foglie di coca che vengono masticate, polvere di
cocaina che viene inalata attraverso le narici o disciolta in acqua ed iniettata endovena, «crack» per
inalazione). Si tratta di una sostanza di abuso ad azione breve che ha effetti euforizzanti estremamente
potenti e produce una sensazione istantanea di benessere, fiducia ed euforia non appena viene iniettata o
fumata; i sintomi di intossicazione sono analoghi a quelli delle amfetamine e, nel caso di intossicazione
cronica, vi può essere ottundimento dell’affettività con stanchezza o tristezza e ritiro sociale; possono
presentarsi allucinazioni o illusioni visive, uditive e tattili («cimici da coca»).
6. Alucinogeni. Le sostanze più note di questo gruppo sono l’acido lisergico (Lsd), la mescalina, e la
cosiddetta «ecstasy»; sono assunte principalmente per via orale. L’intossicazione generalmente comincia con
effetti stimolanti come irrequietezza e attivazione del sistema nervoso autonomo; sensazioni di euforia
possono alternarsi rapidamente a depressione o notevole ansia, iniziali illusioni visive o esperienze
sensoriali potenziate possono dare il via ad allucinazioni, generalmente visive e spesso riguardanti forme
o figure geometriche, false percezioni di movimento nei campi visivi periferici, lampi di colore, colori
intensificati, scie di immagini di oggetti in movimento, immagini postume, aloni intorno oggetti, macropsia
(cioè percezione che gli oggetti siano più grandi di quanto sono effettivamente) e micropsia (cioè percezione
che gli oggetti siano più piccoli di quanto sono effettivamente); le turbe percettive associate alla
compromissione della capacità critica possono comportare pericolo, per esempio, tentativi di «volo» da luoghi
elevati.
7. Inalanti. Idrocarburi e altre sostanze volatili presenti in sostanze come benzina, colla, diluenti per vernici,
smacchiatori ecc.; l’intossicazione è accompagnata da segni come vertigini, turbe visive (visione offuscata o
diplopia), nistagmo, incoordinazione, eloquio indistinto, marcia instabile, tremore ed euforia e modificazioni
psicologiche e comportamentali come litigiosità, aggressività, apatia, deficit della capacità critica.
8. Nicotina. L’intossicazione da nicotina si verifica raramente e non è stata ben studiata; il problema della
nicotina, infatti, è costituito piuttosto dalla dipendenza.
9. Oppiacei. Oppiacei naturali (per esempio, morfina), semisintetici (per esempio, eroina), sintetici (per esempio,
codeina, metadone); l’intossicazione può dare euforia iniziale, seguita da apatia, disforia, agitazione o
rallentamento psicomotorio, deficit della capacità critica; l’intossicazione è accompagnata da miosi (cioè
costrizione della pupilla dell’occhio), sonnolenza, eloquio indistinto, compromissione dell’attenzione e della
memoria, disattenzione verso l’ambiente fino al punto di ignorare eventi potenzialmente lesivi; una severa
intossicazione può condurre a coma, depressione respiratoria, midriasi e anche alla morte.
10. Fenciclidina (Pcp) o arilcicloexilaminici ad azione simile. Sono sostanze sviluppate negli anni ’50 come
anestetici per impieghi chirurgici, che negli anni ’60 divennero sostanze da strada vendute illegalmente con
svariati nomi (per esempio, «polvere d’angelo») e possono essere assunte per varie vie; gli effetti raggiungono
il picco entro pochi minuti, se inalate o iniettate, entro due ore se assunte per via orale; gli effetti delle
intossicazioni più leggere si risolvono dopo 8-20 ore, mentre nelle intossicazioni gravi possono persistere per
parecchi giorni; dosi elevate producono amnesia, anestesia e coma, mentre dosi minori inducono euforia,
loquacità, pensiero disorganizzato, modificazioni dello schema corporeo delle percezioni sensoriali,
depersonalizzazione e sensazioni di derealizzazione.
11. Sedativi, ipnotici o ansiolitici. Questa classe include la maggior parte dei farmaci prescritti per il sonno e
antiansia, come benzodiazepine, carbamati, barbiturici e ipnotici simili ai barbiturici; come l’alcol, questi
farmaci deprimono il sistema nervoso centrale e danno intossicazione in gran parte simile a quella alcolica.

L’abuso è una modalità patologica d’uso di una sostanza che dà luogo a ricorrenti e significative conseguenze
dannose, porta a menomazione e/o a disagio clinicamente significativo.
 Il lasso di tempo da considerare è convenuto in 12 mesi.

L’abuso da sostanze dà luogo alle seguenti CONDIZIONI RICORRENTI:

• Incapacità di adempiere ai principali compiti connessi con il proprio ruolo sociale


• Uso della sostanza in situazioni fisicamente rischiose (MENTRE SI GUIDA)
• Ricorrenti problemi legali
• Uso della sostanza nonostante problemi sociali o interpersonali causati dagli effetti di questa.

Ripetuti abusi possono portare al fenomeno della dipendenza da quella determinata sostanza.
PER COMPRENDERE LA DIPENDENZA È NECESSARIO CAPIRE 2 FENOMENI
 L’uso continuativo di una sostanza dà luogo a effetti via via minori: quindi occorrono al soggetto quantità
crescenti prima di raggiungere l’intossicazione
TOLLERANZA: corrisponde al bisogno di quantità notevolmente più elevate della sostanza per raggiungere
l’intossicazione o l’effetto desiderato.

 Questo grado varia da sostanza a sostanza.


Quando però le concentrazioni ematiche di una sostanza declinano rapidamente, si sviluppano spiacevoli sintomi di
ASTINENZA.

Sintomi e caratteristiche dell’astinenza variano anche essi da sostanza a sostanza e si riferiscono all’emivita della stessa
(la sua capacità di restare in circolo nel sangue).

 > la durata d’azione della sostanza, > sarà l’intervallo tra cessazione dell’uso e inizio dei sintomi
d’astinenza > sarà al durata prevedibile dell’astinenza.

ASTINENZE
 Nel caso di astinenza da alcool , già dopo 12 ore si presentano le prime crisi di astinenza: sudorazione,
tremore, insonnia, nausea, vomito, allucinazioni o illusioni visive, tattili e uditive transitorie, agitazione
psicomotoria e ansia.
 Nel caso della cocaina a causa della sua breve emivita bisogna ripetere con frequenza l’assunzione, per
mantenere un senso elevato di benessere.
 La sindrome di astinenza da nicotina include 4 o più dei seguenti sintomi: umori disforico o depresso,
insonnia, irritabilità, frustrazione o rabbia, ansia, difficoltà di concentrazione, diminuzione della FC,
aumento appetito o peso.
 Nel caso dei cannabinoidi non si riscontrano sintomi clinicamente rilevabili.

La DIPENDENZA DA SOSTANZE è definita come modalità patologica d’uso della sostanza che
conduce a menomazione o a disagio clinicamente significativo, sulla base della presenza di 3 o più
condizioni presenti nell’arco di un anno:
1. Tolleranza
2. Astinenza
3. La sostanza è assunta spesso in quantità maggiori di quanto il soggetto aveva previsto
4. Il soggetto tenta senza successo di ridurre la sostanza
5. Una grande quantità di tempo viene spesa in attività necessarie a procurarsi la sostanza
6. Riduzione o interruzione di importanti attività sociali, lavorative o ricreative
7. Uso continuativo della sostanza nonostante la consapevolezza di avere un problema, di natura fisica o
psicologica

La comunità terapeutica: è un’invenzione inglese, nata per umanizzare i reclusori giovanili, le carceri, gli ospedali.

 Nata con JONES, direttore delle prime istituzioni psichiatriche a carattere comunitario.
 Fu MAIN a coniare il termine di “comunità terapeutica”- >trasformare l’ospedale in un microcosmo cui
concorrono pazienti ed operatori.
 L’esperienza della comunità terapeutica è legata al rifiuto del rapporto duale tra medico e paziente e
all’idea che le forze ambientali giochino un ruolo nel trattamento.
 Le sue caratteristiche sono: appiattimento della piramide dei rapporti, presenza di riunioni di tutta la
comunità, permissività, interazione.
 Negli anni 70-80 per via dell’aumentare del fenomeno della tossicodipendenza si vede il proliferare di
comunità terapeutiche. Ma al loro interno furono introdotte regole.
 Per Creare una comunità occorre avere uno staff istruito e che sappia riconoscere i bisogni dei pz.
 Nel nostro sistema sanitario la COMUNITA’PSICO-SOCIOTERAPEUTICA è un presidio sanitario
assistenziale residenziale extraospedaliero rivolto a soggetti che hanno un disagio psichiatrico importante.

8. DISTURBI DI PERSONALITA’

Il concetto stesso di Personalità cioè modalità perduranti o modelli abituali di percepire, rapportarsi e
pensare nei confronti dell’ambiente e di se stessi che si manifestano in un ampio spettro di contesti sociali e
personali importanti.
L’aspetto chiave è quello della stabilità: la diagnosi di disturbo di personalità si basa sul funzionamento a lungo
termine della persona, al di là di periodi stressanti, dei sintomi, dei periodi più o meno lunghi di difficoltà e crisi. Tali
caratteristiche sono riconoscibili durante l’adolescenza e la prima età adulta.

I disturbi di personalità sono vari e rappresentano dei modelli abituali di esperienza interiore e di comportamento che
deviano rispetto alle aspettative della cultura dell’individuo. Essi rappresentano dei modelli abituali di esperienza
interiore e di comportamento che possono coinvolgere più aree:

 cognitiva: cioè le modalità di percepire e interpretare se stessi e gli altri e gli avvenimenti
 affettiva: la varietà, l’intensità, la labilità e l’adeguatezza della risposta emotiva
 interpersonale: il funzionamento interpersonale
 impulsività: il controllo degli impulsi
Tale modello abituale ha caratteristiche estreme, cioè è:

 rigido e inflessibile da un lato da un lato  estremamente permissivo dall’altro.


Infatti è questa estremizzazione che determina un disagio clinicamente significativo e una compromissione
del funzionamento sociale.
- Ci si chiede dove collocare la soglia di demarcazione tra disturbo di personalità e dei tratti di personalità
semplicemente eccentrici

Nella tradizione psicopatologica dei disturbi della personalità ha da sempre prevalso un approccio categoriale.

 Oggi invece si assiste a un’alternativa che è l’approccio dimensionale, dove si ha un continuum tra un
disturbo e un altro.
 L’elevata comorbidità (con altri disturbi) presente tra i vari disturbi di personalità è un argomento forte
contro la categorialità
La COPRESENZA di un disturbo di personalità ha importanti riflessi sulla prognosi, sull’aderenza del trattamento e
sui risultati.

Attualmente si è soliti distinguere 10 principali disturbi di personalità, raggruppabili in 3 CLUSTER = GRUPPI


CON ASPETTI DI SOMIGLIANZA TRA LORO. I disturbi si dividono così:
CLUSTER “A” gruppi di personalità caratterizzati dalla stravaganza e
dall'eccentricità 1) DISTURBO PARANOIDE DI PERSONALITA’
 Le persone analizzano la realtà all’insegna della diffidenza e del sospetto.  Le intenzioni altrui sono viste
come malevoli.
 Presumono di essere ingannate.
 Dubitano dell’affidabilità di chi le sta accanto.
 Scorgono significati minacciosi nelle parole altrui.
 Possono essere gelosi in modo patologico. 2) DISTURBO SCHIZOIDE DI PERSONALITA’
 È dato da una modalità pervasiva di distacco dalle relazioni sociali e una gamma ristretta di esperienze e di
espressioni emotive nei contesti interpersonali.
Le persone con tale disturbo presentano le seguenti caratteristiche:
1. Sembrano non desiderano relazioni intime, far parte di una famiglia o gruppo
2. preferiscono stare da sole e avere lavori e passatempi che non implicano l’interazione con gli altri
3. dimostrano poco o nessuno interesse per le esperienze sessuali
4. provano piacere in poche o nessuna attività
5. non hanno amici stretti
6. sembrano indifferenti alle critiche altrui e non sono preoccupate di ciò che glia altri possono dire di loro
7. spesso provano un’affettività ristretta e appaiono fredde e distaccate, provano raramente emozioni intense
come rabbia o gioia
3) DISTRUBO SCHIZOTIPICO DI PERSONALITA’
Presenta un quadro pervasivo di deficit sociali e interpersonali, accentuati da un acuto disagio e da una ridotta
capacità riguardanti le relazioni strette ed eccentricità del comportamento. Caratteristiche:
 Idee di riferimento, cioè interpretazioni scorrette di avvenimenti casuali come se avessero un significato
particolare per l’interessato
 Presentano credenze strane, o di avere un potere speciale nell’influenzare gli avvenimenti (pensiero
magico o potere speciale)
 Esperienze percettive insolite (sentire la presenza di persone)
 Stranezze nel pensiero e nell’eloquio: metaforico, iperbolato, stereotipato  Sospettosità o ideazione
paranoide
 Affettività inappropriata
 Comportamenti eccentrici/strani
 Nessun amico stretto o confidente al di fuori dei parenti di primo grado  Eccessiva ansia sociale.
CLUSTER “B” gruppo di disturbi della personalità caratterizzati dalla marcata espressività delle
manifestazioni cliniche
1) DISTURBO ANTISOCIALE DI PERSONALITA’
 corrisponde al termine psicopatia e sociopatia.
 È dato da un quadro di inosservanza e violazione dei diritti dell’altri.  Non si ha conformismo alle norme
sociali.
 Può mentire, truffare.
 Ha condotte spericolate e non si cura della sicurezza propria e altrui.  Mostra scarso rimorso delle proprie
azioni.
2) DISTURBO BORDERLINE DI PERSOANLITA’
 è caratterizzato da un quadro di instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé e dell’umore,
ha una marcata impulsività.
Presenta:
• Sforzi per evitare un abbandono reale o immaginario
• Relazioni interpersonali instabili e intense caratterizzate dall’alternanza fra gli estremi di iperidealizzazione
e svalutazione
• Marcata instabilità dell’immagine e della percezione di sé
• Impulsività (gioco d’azzardo, abuso di sostanze, abbuffate)
• Comportamenti suicidari o automutilanti
• Instabilità affettiva
• Sentimenti cronici di vuoto
• Rabbia intensa e immotivata
• Ideazione paranoide
3) DISTURBO ISTRIONICO DI PERSONALITA’
 sono caratterizzati da un’emotività eccessiva e un comportamento di ricerca di attenzione.
 Si sentono a disagio quando non sono al centro dell’attenzione.
 Attirano l’attenzione attraverso l’aspetto fisico o con un comportamento provocante.
 Spesso si considerano le relazioni molto più intime di quanto non siano  Le loro espressioni emotive sono
esagerate e teatrali.
 Hanno un elevato grado di suggestionabilità
4) DISTURBO NARCISISTICO DI PERSONALITA’
 quadro di grandiosità, necessità di essere oggetto di ammirazione.
 Questi soggetti hanno un senso di autostima grandioso -> si sovrastimano, speciali, unici, tutto gli è dovuto,
approfittano degli altri.
 Sono assorbiti da fantasie di illimitati successi.  Si ritengono superiori.
 Mancano di empatia.
CLUSTER “C” gruppo di disturbi della personalità causati dall'ansietà e da problemi di controllo
emotivo 1) DISTRUBO EVITANTE DI PERSONALITA’
 modalità pervasiva di inibizione sociale, sentimenti di inadeguatezza e ipersensibilità al giudizio negativo.
 Nel timore di essere criticate evitano comportamenti che necessitano di un contatto interpersonale.
 Si vedono poco attraenti, inette, inferiori e si possono sentire umiliate dalle critiche.  Evitano contatti
sociali pur desiderandoli
2) DISTURBO DIPENDENTE DI PERSONALITA’
 hanno un bisogno eccessivo di essere accuditi.
 Con un forte timore di separazione, con un comportamento sottomesso e dipendente. 
Essi si reputano incapaci di badare a se stessi.
 Permettono ad altri di prendere decisioni al posto loro.  Stentano a fare progetti.
4) DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO DI PERSONALITA’
 classificato nell’ICD-10 come DISTURBO ANANCASTICO
 Caratterizzato dalla preoccupazione per l’ordine, da un’attenzione ai dettagli perfetta, che interferisce con il
completamento dei compiti intrapresi.
 Presentano una dedizione al lavoro che porta a ignorare ogni altro aspetto della vita sociale.  Inflessibile
e piena di scrupoli morali.
 Ha un attaccamento eccessivo agli oggetti (difficile gettare cose).
 Diverso dal DOC DEI DISTURBI D’ANSIA.
CAPITOLO 9 - PROBLEMI PSICOLOGICI DELL'ANZIANO

1. LA CONDIZIONE PSICOFISICA DELL’AZIANO

Le differenze tra gli anziani sono così evidenti che si avverte la necessità di operare ulteriori distinzioni:

Età anziana:
 giovani anziani: fra i 65 e i 74 anni  anziani anziani: fra i 75 e gli 84 anni  ultra anziani: a partire
dagli 85 anni.
Gli anziani potrebbero avere disturbi legati a stati depressivi o vissuti ipocondriaci legati al loro stato fisico, ma non è
provata l’incidenza maggiore di questi disturbi rispetto ad altre età.

 Tutti gli anziani devono affrontare problemi di adattamento specifici, dovuti alla PERDITA DI FORZA
FISICA e di POSIZIONI DI PRIVILEGIO/SICUREZZA E AL PROGRESSIVO RISCHIO DI
ISOLAMENTO
 La demenza interessa solo la fascia anziana è un problema psicologico e sociale di prima importanza

Il declino fisico dell'anziano è inevitabile e riguarda quasi tutti gli aspetti del funzionamento sensoriale (vista,udito),
della forza muscolare, delle capacità sessuali.

- Il declino fisico è influenzato dal: ruolo del DNA, proteine, sistema endocrino.
- Molti aspetti del calo fisico hanno conseguenze dirette sul piano psicologico: < sicurezza di Sé.
- Deficienze fisiche -> condizioni di debolezza, indignazione, bisogno degli altri sul piano dei problemi
mentali poi sul piano psicologico e sociale.

Al calo fisico si accompagna un calo delle funzioni psichiche che interessa principalmente memoria, attenzione
e funzioni intellettive.

 L'abbassamento generale della efficienza intellettiva dell'anziano si caratterizza per una perdita di abilità
e rapidità nell'esecuzione delle operazioni mentali e per un indebolimento delle funzioni di intelligenza
fluida.
 Le funzioni di intelligenza cristallizzata, legate all'esperienza, sono maggiormente conservate e possono
essere ben utilizzabili e mettere in condizioni di vantaggio.

Il declino della memoria: è associato all’invecchiamento

 il declino delle abilità mnestiche comincia negli esseri umani molto presto, attorno ai 25 anni, ma
nell'anziano esso sembra accentuarsi e produrre problemi nella vita quotidiana di una certa gravità e
sistematicità.
 Ciò sembrerebbe causato da aspetti deficitari del funzionamento cognitivo e da una motivazione minore a
eseguire uno sforzo cognitivo

Le problematiche fisiche e psichiche dell'anziano sono aggravate da un ambiente sfavorevole:

 depressione, povertà economica, sfera affettiva scarsa, cattiva alimentazione, tossicità dell'ambiente,
assenza di servizi sociali specifici per l'anziano, inadeguato rapporto col sistema sanitario. Sembra inoltre
che gli uomini siano più sensibili delle donne ai fattori di rischio legati alla terza età: la stabilità emotiva e
la percezione di autoefficacia diminuiscono nell'uomo col passare degli anni, mente nella donna
aumentano.

2. DEMENZA
La demenza è una condizione di deterioramento progressivo delle capacità intellettive che compromette la capacità di
vita autonoma dell'individuo.

 Si parla i demenza quando vi è compromissione intellettiva e mnestica tale da compromettere la vita di


tutti i giorni, associata a mutamenti considerevoli nel pensiero astratto e/o nel giudizio e/o della
personalità.
La diagnosi di demenza è conseguenza dell'esclusione di altri tipi di diagnosi e quindi data di default.

 Per questo motivo alla demenza sono associate una serie di caratteristiche di origine diversa, accomunate
dal fatto che non sono riconducibili a nessun'altra patologia già conosciuta.
Oggi il fenomeno della demenza è in aumento e sta diventando un problema di ordine medico e sociale rilevante
→ a causa dell'aumento della durata media di vita.

ESEMPI DI DOMANDE E PROVE TIPICHE NELLA VALUTAZIONE DEL DETERIORAMENTO


COGNITIVO DELL’ANZIANO (ripresi dal Min Mental State)
Tipi di demenza:
DAT (Dementia of Alzheimer Type)
 Dal nome del neurologo tedesco Alois Alzheimer che nell’800 la descrisse
 dovuta a un deterioramento irreversibile del tessuto cerebrale associato all'aumento di depositi di amiloide
e di ammassi di proteine nelle cellule nervose: Grovigli neurofibrillari.
Il paziente DAT mostra inizialmente problemi di concentrazione e memorizzazione, con alcune manifestazioni di
irritabilità. I sintomi del paziente aumentano fino a diventare agitato, disorientato e presso per poi perdere tutte le
capacità di autonomia fino al momento della morte, che avviene dopo circa 12 anni dall'insorgenza.  I familiari
possono avere un elevato livello di stress, ansia, depressione NON C’È UNA CURA MA CI SONO INIZIATIVE
PER ALLEVIARLA:

1. Provvedere a una tempestiva diagnosi eziologica.


2. Fornire un adeguato livello di cure specifiche (...).
3. Ottimizzare lo stato funzionale:
• valutare l’ambiente e suggerire modifiche;
• stimolare l’attività fisica e mentale;
• evitare situazioni che affaticano le funzioni intellettuali, utilizzare supporti mnesici quando possibile.
4. Identificare e trattare le alterazioni comportamentali e i sintomi psichici.
5. Identificare e gestire i rischi e le complicanze (guida, cadute, alimentazione ecc.).
6. Fornire informazioni al paziente e alla famiglia (...).
7. Fornire supporti socioassistenziali e consulenze al paziente e alla famiglia:
• servizi territoriali e residenziali sociali e assistenziali, temporanei o definitivi;
• supporto economico;
• problemi legali ed etici;
• supporto psicologico per il superamento dei conflitti. Fonte: Bianchetti e Trabucchi [2010].

Demenza multi-infartuale, dovuta a una serie di infarti

Demenza dovuta ad affezioni neurologiche (Corea di Huntington, Parkinson…)


Demenza causata da infezione da HIV
Demenza dovuta da idrocefalo

L'irreversibilità della situazione legata alla demenza suggerisce un limitato spettro di interventi possibili in campo
psicologico e medico: essi sono volti più che altro alla cura dell'ambiente e al sostegno dei familiari.

 Il fine degli interventi è quello di ritardare il più possibile le conseguenze debilitanti della malattia,
mantenendo il paziente attivo e il più possibile autonomo.
 Si preferiscono programmi di gruppo

3. DELIRIUM O STATO CONFUSIONALE ACUTO


 Patologia molto diffusa che può indurre una errata valutazione della demenza
 Sintomi: scarso funzionamento intellettivo e perdita di memoria (come demenza)
 DIFFERENZE DELLA DEMENZA -> ha un'insorgenza più rapida, una durata breve con una possibilità
di ritorno alle condizioni di partenza.
 Si manifesta con alterazione tra momenti di delirio e momenti di apatia; frequente è la presenza di
illusioni.
 L'anziano più esposto per lo sviluppo di questo disturbo perché è più sensibile e fragile. Può insorgere a
causa di eventi traumatici (es: intervento chirurgico).

4. CARATTERISTICHE DEI DISTURBI PSICHICI NELL’ANZIANO

National Institute of Mental Health (NIMH) degli Stati Uniti che indicherebbe che quando i vari disturbi mentali
vengono considerati nel loro insieme, le persone al di sopra dei 65 anni presentano i tassi complessivi più bassi di tutte
le fasce d’età.

 I disturbi mentali degli anziani possono però assumere forme particolari.


Possono essere causati da alcuni fattori:
 intossicazione da farmaco, istituzionalizzazione-> potenziali conseguenze gravi,  pensionamento,
isolamento fisico
Gli anziani possono essere soggetti a problemi psichici verificabili in altre età. Questi problemi assumono
caratteristiche specifiche in ragione della specificità della condizione anziana.

Due problemi dell'anziano che hanno potenziali conseguenze psicopatogene sono rappresentati:

 dall'assunzione di farmaci (contribuisce all'insorgenza di varie patologie cliniche quali il delirium, la


depressione, lo stato d'ansia)
 dalla istituzionalizzazione (l'anziano, dovendosi adattare alla nuova situazione finisce per impegnarsi
meno, credere meno nella sua capacità di decidere e controllare la situazione, svolgere minore attività
fisica e psichica).

I disturbi d’ansia
 non sembrano essere maggiori nell’anziano ma si caratterizzano in maniera diversa.
 i problemi più frequenti riguardano le fobie e i disturbi di ansia generalizzata
 La condizione anziana può ovviamente implicare maggiori problemi legati all’ansia per malattie proprie o
di persone care, per la morte, per la sicurezza economica, per i possibili rischi associati al movimento (si
pensi al caso dell’osteoporosi), al declino dell’efficienza cognitiva, al timore di risultare inadeguati. Questi
fattori comporterebbero una maggiore frequenza di comorbidità disturbo d’ansia-disturbo dell’umore.
La depressione è prevalentemente di tipo unipolare.
 Sintomi che interessano specificamente la depressione senile sono la tristezza, la perdita di interessi verso
l’ambiente, l’irritabilità, l’impulso a piangere, il sentirsi preoccupati anche per vicende insignificanti, il
vuoto interiore, lo svuotamento affettivo, il senso di perdita del controllo
 La depressione può costituire una delle cause primarie della propensione al suicidio, che si manifesta con
notevole frequenza negli anziani di sesso maschile
 La soluzione suicidaria sembra essere associata anche a fattori socioculturali, se è vero che essa è
differentemente presente in vari paesi del mondo (l’Italia è meno interessata rispetto alla maggioranza dei
paesi occidentali) e cambia di generazione in generazione.
I disturbi psichici che possono avere una particolare frequenza nell’anziano sono legati anche a condizioni fisiche

 Insonnia o apnea
 Problemi di udito
 Sfera sessuale: l’uomo ha un’erezione meno rapida e meno prolungata e un aumento del periodo
refrattario (minore capacità di nuova erezione ravvicinata); la donna ha minori contrazioni vaginali e
minore lubrificazione, con il pericolo di qualche piccolo dolore durante il rapporto.
ISTITUZIONALIZZAZIONE
 La parziale perdita di autonomia, eventuali difficoltà economiche, preoccupazioni dei familiari relative
alla capacità dell’anziano di prendere cura di se stesso possono indurre alla sua collocazione in una casa di
riposo.
 Ciò può avere conseguenze DELETERIE sul benessere psichico dellpanziano
 Il momento dell’istituzionalizzazione può essere stressante, richiedendo l’adattamento a un ambiente
nuovo e a forme di vita differenti, ma non è del tutto prognostico delle conseguenze successive, che
possono essere positive (in casi di istituti innovativi che tengono conto dell’aspetto psicologico) ma anche
particolarmente gravi.
 L’anziano si impegna meno, crede meno nella sua capacità di decidere e controllare la situazione, svolge
minore attività psichica e fisica, la sua vigilanza e la sua muscolatura si indeboliscono.
 il benessere psichico dell’anziano non sia correlato positivamente (ma anzi sia talvolta correlato
negativamente) col grado di assistenza ricevuta: maggiore assistenza significa anche minor
autodeterminazione.

5. INTERVENTI PSICOLOGICI

Possono essere distinti in quelli che riguardano psicopatologie, e quelli che riguardano più in generale l'età anziana.

 Per le psicopatologie: le modalità di intervento dovrebbero essere indirizzate alla limitazione delle
conseguenze più gravi della malattia.

La psicoterapia si è rivelata efficace, purché riesca a tenere conto delle specificità cognitive della persona anziana.

6. SUSSESSFUL AGING

L’età anziana ha una sua specificità e certe limitazioni che possono richiedere un’attenzione psicologica
particolare.
Per l'età anziana in generale: successful aging → il normale processo di invecchiamento porta a una
trasformazione delle abilità individuali, caratterizzate da una perdita di ciò che non viene utilizzato (e che quindi
non è stato utile nell’arco di vita), controbilanciata da un miglioramento delle abilità soggettivamente più
significative.
 Baltes e Baltes [1991] parlano quindi di processi di selezione, ottimizzazione e compensazione, legati alla
minimizzazione degli svantaggi dovuti alla parziale perdita delle funzioni non utilizzate e alla
valorizzazione di quelle più importanti.
L'anziano ha più tempo a disposizione per curare i rapporti affettivi, per dedicarsi a interessi culturali e hobby
che arricchiscono il suo presente.

 Talvolta la sua maggiore selettività e la sua ricerca di pochi, ma profondi, legami vengono erroneamente
interpretate come indici di isolamento, mentre possono essere riferite a un «disfacimento
dell’inessenziale»
Volendo sostenere l'anziano è bene far leva su questi aspetti, stimolarlo verso attività, hobby, interessi Culturali,
cura degli animali.

Fattori che possono essere presenti e quindi incidere positivamente o essere assenti e quindi incidere
negativamente nell'adattamento dell'anziano:
GRUPPI METAGONITIVI: utili -> gli anziani sono invitati a riflettere sulla loro mente, a credere nella sua
modificabilità e a rafforzarla, concentrandosi su un potenziamento intellettivo o sulle dimensioni del benessere.

La legge italiana fornisce indicazioni sulle finalità e sull’organizzazione dei servizi sanitari e sui servizi sociali,
mentre non fa qualche cosa di simile per i servizi ricreativi e culturali, che dovrebbero essere in qualche modo
integrati ai precedenti e invece rischiano di essere episodici e scollegati.

 l’anziano che viene riconosciuto malato può essere seguito dal servizio sanitario,
 l’anziano che non è malato, ma comunque ha bisogno di aiuto, deve confidare su forme più precarie di
assistenza.

CAP 10 – DISTRUBI DA SINTOMI SOMATICI, PSICOSOMATICA E PSICOLOGIA


DELLA SALUTE
Si analizza il rapporto tra psicologia clinica e medicina. Analizzando i risvolti psicologici delle malattie fisiche e alla
possibilità di intervenire psicologicamente per analizzare stati ottimali di salute e benessere

1. DISTURBI DA SINTOMI SOMATICI

Nella professione medica si incontrano pazienti che lamentano disturbi somatici, per i quali sono cruciali aspetti di
natura psicologica. La maggior parte di tali pazienti riceve una diagnosi di:

DISTURBO DA SINTOMI SOMATICI


 in questo disturbo la sofferenza deriva dal modo in cui l’interessato interpreta la presenza dei sintomi
somatici, ponendoli al centro della propria vita.
 La diagnosi è fatta in base alla presenza di pensieri, preoccupazioni, comportamenti eccessivi correlati ai
sintomi somatici o alla salute, al tempo, alle energie che essi assorbono, alla presenza di un alto livello di
ansia connesso al sintomo.
 Oggi si dà importanza ad una concezione integrata dell’unità mente-corpo.
DISTURBO DI CONVERSIONE O DISTURBO DA SINTOMI NEUROLOGICI FUNZIONALI
 La caratteristica è la presenza di sintomi o deficit riguardanti le funzioni motorie volontarie o sensitive
(sintomi pseudoneurologici).
o I sintomi e deficit motori più comuni sono: alterazioni della coordinazione e dell’equilibrio,
paralisi o astenia localizzate, afonia, difficoltà a deglutire e ritenzione urinaria.
o I sintomi o deficit sensitivi comprendono: perdita della sensibilità tattile o dolorifica, diplopia
(un difetto della visione che consiste nel percepire un’immagine doppia), cecità, sordità - Altri
sintomi comuni sono attacchi epilettiformi o convulsioni.
 I sintomi di conversione non corrispondono all’alterazione di alcuna struttura anatomica o meccanismo
fisiologico noto, ma all’idea che l’interessato si è fatto di una condizione patologica.
 Il termine conversione deriva dall’ipotesi che il sintomo somatico rappresenti la risoluzione simbolica di
un conflitto psicologico inconscio, che riduce l’angoscia e che serve a tenere il conflitto fuori dalla
coscienza = GUADAGNO PRIMARIO -> il soggetto può trarre dal sintomo di conversione un
GUADAGNO SECONDARIO = cioè ottenere benefici esterni o evitare impegni e responsabilità sgraditi.
ANSIA PER LA SALUTE
 In primo piano c’è la paura dei sintomi somatici
 Livelli moderati di ansia per la salute sono adattivi e sostengono una responsabile attenzione per la
prevenzione e il riconoscimento precoce di gravi malattie.
 Livelli eccessivi di ansia per la salute: possono risultare disturbanti e controproducenti -> la
preoccupazione è sproporzionata:
o L’individuo si allarma spesso e facilmente, raggiunge un livello di ansia eccessivamente elevato.
 La preoccupazione scaturisce dall’erronea interpretazione di sintomi somatici che il paziente può
accusare, ma persiste al di là di appropriati esami e di esaurienti rassicurazioni da parte medica.
o i pazienti ritengono che i loro sintomi non ricevano l’attenzione appropriata e le cure necessarie
 deterioramento della relazione medico-paziente o è molto frequente cambiare medico,
sottoporsi a innumerevoli visite, esami diagnostici, terapie. o La vita familiare viene focalizzata
attorno al benessere fisico dell’interessato.
o Le relazioni sociali-lavorative ne risentono il quanto il soggetto crede di non ricevere le giuste
attenzioni da malato
I PAZIENTI AFFETTI DAI 3 DISTURBI PRECEDENTI
 Hanno la convinzione che la natura del problema sia fisica e sia collocata nel corpo
 Cercano raramente l’aiuto psicologico -> lo fanno per non perdere l’attenzione dei medici o perché forzati
dai familiari.
 Il loro pensiero è che la guarigione avvenga per opera e merito di un sapere esterno e di interventi esterni,
MAI PER UN PROCESSO DI CRESCITA PSICOLOGICA ED ESPLORAZIONE INTERIORE.
 Alleviamento della sintomatologia: effetto placebo, suggestione, opposi.
 Il trattamento d’elezione è quello psicologico

2. LO STRESS

Il termine stress descrive la reazione da parte dell’organismo agli stressor cioè i fattori di stimolo che causano la
reazione di stress e che possono essere:

 Gravi la morte di una persona cara, una menomazione grave


 Minori quotidiani intasamenti nel traffico
 Acuti un incidente
 Cronici un ambiente di lavoro competitivo e ostile

Hans Selye 1936 -> introduce per primo la sindrome generale di adattamento cioè il modo con cui l’organismo fa
fronte a eventi stressanti. Egli distingue tre fasi successive:

1. fase di allarme: viene attivato il sistema nervoso autonomo a fronte di eventi stressanti intensi;
2. fase di resistenza: l’organismo si adatta allo stress e, se questo è troppo intenso, presenta manifestazioni
transitorie come l’ingrossamento delle ghiandole surrenali, ulcere gastrointestinali ecc.;
3. fase di esaurimento: se il fattore di stress permane oppure se l’organismo non è in grado di mettere in atto
risposte adeguate, l’organismo va incontro a danni irreversibili, inclusa la morte.
Secondo Selye la reazione di stress ha un carattere adattivo cioè non è una condizione patologica anche se può
produrla.

 Lo stress è una reazione dell’organismo aspecifica collocata sul piano endocrino.


Fisiologia dello stress – Selye
Lo stressor agisce sull’ipotalamo che attraverso la
produzione di un ACTH releasing factor, introduce la
secrezione di ACTH e di ormoni corticosteroidi.
Questi producono involuzione del timo, atrofia dei
linfonodi, inibizione delle reazioni infiammatorie e
ulcere gastroduodenali

Per quanto riguarda la misurazione dello stress un primo problema posto dai ricercatori fu l’identificazione degli
avvenimenti esistenziali stressanti in rapporto con la malattia fisica.

Holmes e Rahe 1967 tentarono di isolare una serie di 43 eventi che presentavano una frequenza significativa prima
dell’insorgenza di malattie somatiche -> da dove costruirono la SOCIAL READJUSTMENT RATING SCALE:

EVENTO
VALORE MEDIO
1. Morte del coniuge 100
2. Divorzio 73
3. Separazione dal coniuge 65
4. Fine di un periodo di carcerazione 63
5. Morte di un familiare 63
6. Lesione o malattia grave 53
7. Matrimonio 50
8. Licenziamento dal lavoro 47
9. Riconciliazione con il coniuge 45
10. Pensionamento 45
11. Problemi di salute di un familiare 44
12. Gravidanza 40
13. Difficoltà sessuali 39
14. Acquisizione di un nuovo componente della famiglia 39
15. Riassestamento degli affari 39
16. Modificazione della situazione finanziaria 38
17. Morte di un amico intimo 37
18. Cambiamento del tipo di lavoro 36
19. Cambiamento nella frequenza delle liti col coniuge 35
20. Mutuo superiore ai 10.000 dollari 31
21. Preclusione del diritto di estinguere un’ipoteca o un prestito 30
22. Cambiamento delle responsabilità sul lavoro 29
23. Figlio o figlia che lascia la famiglia 29
24. Dissidi con i parenti acquisiti 29
25. Notevole successo personale 28
26. Inizio o fine dell’attività lavorativa del coniuge 26
27. Inizio o fine della scuola 26
28. Cambiamento nelle condizioni di vita 25
29. Modificazione delle abitudini personali 24
30. Dissidi con il principale 23
31. Cambiamento dell’orario o delle condizioni di lavoro 20
32. Cambiamento di residenza 20
33. Cambiamento di scuola 20
34. Cambiamento degli svaghi 19
35. Cambiamento delle attività parrocchiali 19
36. Cambiamento delle attività sociali 18
37. Mutuo o prestito inferiore a 10.000 dollari 17
38 Cambiamento delle abitudini del sonno 16
39. Cambiamento nella frequenza delle riunioni familiari 15
40. Cambiamento delle abitudini alimentari 15
41. Vacanza 13
42. Natale 12
43. Piccole infrazioni alla legge 11

Lazarus integra il modello di Selye con gli aspetti cognitivi connessi all’elaborazione soggettiva circa gli specifici
fattori stressanti.

 Le differenze individuali sono cruciali nel rendere stressante qualcosa che per altri può essere
indifferente; inoltre a fronte a fattori inequivocabilmente stressanti persone diverse reagiscono con
modalità diverse. Lazarus distingue due tipi di strategie di reazione:
 strategie focalizzate sul problema: con le quali l’individuo intraprende azioni dirette alla soluzione del
problema oppure ricerca informazioni che ne facilitino la soluzione oppure mette a punto un piano per far
fronte al problema;
 strategie focalizzate sull’emozione nelle quali la persona si sforza di ridurre le reazioni emotive negative,
per esempio facendo in modo di pensare ad altre cose e distrarsi, cercando conforto in altri, dedicandosi ad
attività capaci di indurre forti emozioni positive, assumendo sostanze che contrastino le emozioni
negative.

La risposta di stress è modulata in un duplice modo dalle caratteristiche psicologiche del soggetto:

 Fase di percezione ed elaborazione dei fattori stressanti


 Fase di fronteggiamento di tali fattori => Le caratteristiche che intervengono in questa fase e che
modulano le strategie sono denominate coping skills.
o L’intero processo di reazione e fronteggiamento dello stress è il coping.
Per quanto riguarda la misurazione dello stile di coping e la valutazione di questo il principale test è denominato
COPE cioè un questionario che distingue il coping in 3 categorie:

1. Meccanismi focalizzati sul problema


2. Meccanismi focalizzati sull’espressione emotiva
3. Meccanismi potenzialmente disadattivi.

Nella storia sulla ricerca dello stress si distinguono due stagioni:


1. Incentrata sulle proprietà degli stimoli stressanti e sulle caratteristiche della risposta a questi
2. Incentrata sulle variabili di mediazione che modulano l’elaborazione cognitiva ed emotiva e le risorse
messe in atto per fronteggiare lo stress

2. STRESS E MALATTIA

La sperimentazione sullo stress indotto sugli animali ha prodotto risultati eclatanti, tuttavia non è potuta essere replicata
su soggetti sperimentali umani; per questo motivo sono state introdotte in questo ambito ricerche correlazionali che
consentono solo di dire se esiste una relazione tra indici di stress e malattia senza dire il motivo. Le ipotesi e teorie
prodotte sono diverse:

 La teoria della debolezza somatica o lo stress esercita il suo effetto sull’organismo dove esso è
costituzionalmente più debole, per esempio, per fattori genetici;
o un individuo portatore di una forte familiarità di ipertensione avrebbe maggiori probabilità di
sviluppare proprio ipertensione se sottoposto a stress appropriato.
o La teoria è compatibile con l’originario modello di Selye, che concettualizza lo stress come una
reazione aspecifica.
 La teoria della reazione specifica [Lacey 1967] o esistono forti differenze individuali nella reazione del
sistema nervoso autonomo – per esempio un individuo potrebbe presentare una intensa risposta
cardiovascolare, mentre un altro individuo una forte risposta elettrodermica e una copiosa sudorazione.
o Nell’eziopatogenesi di un disturbo psicofisiologico si troverebbe dunque la specificità della
risposta individuale allo stress e non la debolezza costituzionale di un sistema d’organo.
 Le teorie psicoanalitiche o L’eziologia dei disturbi psicofisiologici si ritrovino conflitti psicologici e che la
natura di tali conflitti abbia un rapporto simbolico con lo specifico disturbo.
o Franz Alexander [1950] elaborò la teoria della rabbia trattenuta, sulla base delle sue
osservazioni nel trattamento psicoanalitico di pazienti ipertesi: gli impulsi ostili non espressi
creano uno stato emozionale di attivazione cronica che sarebbe responsabile dell’ipertensione.
 Teoria che respinge l’idea di un rapporto diretto fra stress e malattia e suggerisce che il rapporto sia di
natura indiretta: o l’associazione fra stress e malattia sarebbe reale, ma mediata dallo stile di vita e da
modificazioni di quei comportamenti che incidono sulla salute.
o Uno scarso supporto sociale può indurre facilmente a trascurare le cure in caso di malattia, ad
assumere irregolarmente i farmaci prescritti, a saltare le visite di controllo opportune, a indulgere
a rapporti sessuali promiscui e a rischio.
o Un livello elevato di stress potrebbe portare a fumare di più, ad assumere più caffè e più alcolici,
a dormire male, ad alimentarsi in maniera disordinata ecc.

4. RUOLO DI MALATO E COMPORTAMENTO DI MALATTIA

Due diverse persone di fronte agli stessi sintomi agiscono sotto l’influenza di una varietà di emozioni, convinzioni,
atteggiamenti, paure, aspettative e valori.

Parsons introduce il concetto di ruolo di malato (sick role)


 i sistemi sociali sviluppano norme esplicite in relazione alla malattia e all’invalidità.
 Sottolinea come l’individuo debba riconoscere che tale stato è indesiderabile ed egli debba impegnarsi e
cooperare per raggiungere la salute il prima possibile; egli inoltre deve dare prova di ciò utilizzando
servizi e professionisti.
 Perché l’individuo sia legittimato socialmente nel ruolo di malato non è quindi sufficiente la presenza dei
sintomi.
Il costrutto di comportamento di malattia (illness behavior) indica l’insieme dei comportamenti manifestati
dall’individuo che indicano che egli è fisicamente malato:
 lamenti verbali, andatura zoppicante, uso di un bastone, ricorso al medico, limitazioni delle proprie
attività, richiesta di riposo, assunzione di farmaci ecc
 Il concetto quindi rappresenta l’atteggiamento in generale nei confronti della malattia e il modo in cui i
sintomi sono percepiti e valutati dall’interessato.
Una sottoclasse di questi comportamenti ampiamente studiata è denominata comportamento-dolore (pain behavior)
che definisce gli aspetti osservabili del dolore come lamenti, movimenti lenti e cauti del corpo.

Pilowsky ha affrontato il problema dei comportamenti abnormi di malattia in particolare si è occupato del persistere
di un modo inappropriato e disadattivo di percepire, valutare e agire in relazione al proprio stato di salute, malgrado il
fatto che un medico abbia dato una ragionevole spiegazione della natura della malattia e dell’appropriato
comportamento da seguire.
Comportamenti abnormi:
 possono consistere nell’affermare di avere una malattia contro l’evidenza medica,  possono consistere
nel negare di avere una malattia.
È una nozione che collega concettualmente diverse problematiche come ad esempio la simulazione, l’ipocondria,
la negazione della gravità o l’esistenza di una malattia.
 L’adesione ad un concetto di sé come malato o disabile ->tanto + vi aderisce tanto + il suo
comportamento si modifica nella direzione della disabilità con sviluppo di dipendenza, disforia, tendenza a
evitare le comuni responsabilità sociali: rappresenta un indicatore di rischio.
La malattia può avere un vantaggio secondario, comportando potenziali benefici e inducendo a promuovere o
mantenere il ruolo di malato.
 In questo ambito è importante l’analisi delle variabili di contesto e l’interazione con la struttura sanitaria e
il nucleo familiare.
Il bisogno psicologico di assumere il ruolo del malato è uno dei criteri diagnostici dei disturbi fittizi ed è la
motivazione chiave alla produzione di sintomi fisici o psichici.

 La misurazione del comportamento di malattia è sottoposta ad osservazione diretta e attraverso un


questionario IBQ che esplora atteggiamenti rispetto alla malattia e la sua percezione delle reazioni di
persone significative.

4. PRINCIPALI SINDROMI PSICOSOMATICHE – La classificazione delle principali sindromi


psicosomatiche Un gruppo di studiosi ha suggerito precisi criteri definitori per le principali sindromi
psicosomatiche. Tale classificazione ha lo scopo di semplificare la comunicazione tra ricercatori e al suo
interno rientrano:

1. Alessitimia. Il concetto, introdotto da Sifneos [1973], indica l’incapacità di utilizzare parole appropriate
all’espressione delle emozioni.
2. Comportamento di Tipo A. Il costrutto, introdotto da Rosenmann e Friedman, si riferisce ai fattori
comportamentali di rischio di malattia coronarica, come un senso eccessivo di pressione temporale, un
eccessivo coinvolgimento nel lavoro e in attività sottoposte a scadenze, espressioni motorie indicative di fretta
e urgenza, ostilità e cinismo, umore irritabile, tendenza alla fretta, alta competitività, elevato livello di
aspirazioni [Rosenmann e Friedman 1977].
3. Comportamento abnorme di malattia. Il concetto, introdotto da Pilowsky, indica modalità disadattive che
vanno da un estremo di attenzione e allarme eccessivo o addirittura ingiustificato all’estremo opposto della
sottovalutazione e della negazione. Tale costrutto si può pertanto sottoarticolare nelle quattro sindromi
seguenti.
4. Fobia di malattia. Si tratta della paura persistente e priva di fondamento di soffrire di una determinata malattia
(per esempio, AIDS, tumore) e, a differenza dell’ipocondria, si esprime in forma di attacchi.247

5. Tanatofobia. Si tratta della paura di morire e dell’evitamento di quegli stimoli che in qualche modo si
colleghino alla morte (funerali, annunci mortuari ecc.).
6. Ansia per la salute. Si tratta di una preoccupazione generalizzata relativa alla malattia, al dolore e alle funzioni
somatiche.
7. Negazione di malattia. Si tratta della negazione persistente di soffrire di una malattia e di necessitare di
trattamento medico a fronte della presenza dei sintomi, dei segni clinici, della conoscenza della diagnosi o
della natura del trattamento medico in atto e a dispetto di una chiara ed esauriente informazione medica sul
proprio stato di salute.
8. Somatizzazione. Il costrutto indica la tendenza a esperire la sofferenza psicologica in forma di sintomi fisici e a
cercare aiuto medico per tali sintomi; si riferisce a disturbi medici funzionali, ma anche a reazioni esagerate
agli effetti secondari di una terapia medica che mostrino particolare suggestionabilità o una soglia
particolarmente bassa di tolleranza del dolore.
9. Sintomi di conversione. Si tratta di uno o più sintomi a carico delle funzioni sensoriali o della motricità
volontaria, in assenza di riscontro organico e di plausibilità neurofisiologica, in un quadro di personalità
istrionica o in associazione con stimoli scatenanti di natura emotiva.
10. Reazione da anniversario. Descrive il fenomeno per cui, o al raggiungimento della stessa età o in occasione
dell’anniversario della data nella quale un genitore o un familiare molto stretto è morto o ha sviluppato una
grave malattia, il paziente manifesta sintomi di attivazione neurovegetativa o disturbi medici funzionali o
sintomi di conversione. Il paziente non è consapevole di tale associazione e gli approfondimenti medici
escludono altre possibili patologie.
11. Umore irritabile. Indica uno stato d’animo caratterizzato da umore irritabile, in contrasto con il temperamento
abituale della persona, che richiede un estenuante esercizio di autocontrollo per non trasformarsi in esplosioni
con gesti o parole di rabbia.
12. Demoralizzazione. Descrive uno stato d’animo di sconforto o disperazione, caratterizzato dalla
consapevolezza di avere mancato il raggiungimento dei propri obiettivi esistenziali o di essere incapaci di far
fronte alla pressione dei problemi presenti.

5. GESTIONE DELLO STRESS E TERAPIE PSICOFISIOLOGICHE

Si parla di gestione dello stress perché lo scopo non è eliminare lo stress ma ridurlo o fronteggiarlo efficacemente. Si
possono raggruppare in 2 categorie -> le soluzioni possibili alla riduzione dello stress:

1. Necessità di cambiamenti esterni: riguardano modificazioni ambientali in cui è utile prendere decisioni,
allontanarsi da situazioni eccessivamente stressanti. Le cause riguardano:
• Vita familiare e affettiva
• Sfera professionale e rete sociale più ampia
• Scivolamento in abitudini e carichi di lavoro eccessivi
Lo psicologo clinico interviene con un lavoro di approfondimento psicodiagnostico e di successivo counseling.

2. Necessità di cambiamenti interni: significa cambiare il modo di vedere le cose e le risposte emotive.
 Si parla in questo caso di ristrutturazione cognitiva secondo cui il sistema di convinzioni della persona è
fondamentale per il cambiamento e la persona attraverso tecniche di autosservazione introspettiva e
organizzazione cognitiva viene aiutata a modificare aspetti disfunzionali di pensiero abituale.
 Tali modificazioni si estendono anche alla sfera delle emozioni oltre che a quelle del pensiero.
 Altre tecniche di gestione dello stress sono indirizzate alla riduzione del livello di attivazione e tendono a
far acquisire la capacità di ottenere volontariamente un rilassamento profondo.
Per rilassamento si intende una risposta opposta all’allarme che sul piano fisiologico è caratterizzata da:
• Riduzione del tono muscolare
• Riduzione della frequenza cardiaca
• Riduzione della pressione arteriosa
• Riduzione della frequenza respiratoria
• Aumento della temperatura periferica cutanea
• Riduzione dell’attività elettrodermica spontanea
• Aumento dell’intensità del ritmo cerebrale
La risposta di rilassamento esprime sia una riduzione dell’attivazione dell’SNA e del sistema endocrino con
diminuzione del livello di arousal a carico del SNC sia una sensazione soggettiva di calma e benessere.
Un rilassamento profondo può essere raggiunto per vie molto diverse ad esempio:
 attività che assorbono il soggetto, metodiche extrapsicologiche (yoga, meditazione), ipnosi che comporta
importanti modificazioni neuropsicologiche alla pari dello stato di coscienza.
 l’ipnosi è una metodica impiegata da oltre un secolo sia per l’induzione dello stato di rilassamento sia per
specifiche terapie di interesse psicofisiologico.
 Lo stato ipnotico comporta importanti modificazioni neurofisiologiche alla pari di alterazioni dello stato
di coscienza. -> le modificazioni neurofisiologiche connesse alla trance ipnotica hanno offerto un
approccio molto diretto a vari sintomi psicofisiologici, tanto che sono riportati interventi positivi in
pressoché tutti gli ambiti psicosomatici.
 In generale le tecniche di induzione operano un destrutturazione che altera i sottosistemi che
costituiscono lo stato di coscienza, modifica le certezze del soggetto e le trasforma da dati di fatto a mere
costruzioni soggettive.
La forma più evoluta di trattamento psicofisiologico è il biofeedback cioè:
 l’uso della moderna strumentazione psicofisiologica per fornire all’individuo informazioni immediate e
precise su variazioni di processi dell’organismo quali la temperatura cutanea periferica, attività cerebrale e
quella mioelettrica.
 Si presume che il fornire all’individuo info relative all’aumentare o diminuire di questi indici possa
facilitare sia l’acquisizione di un autocontrollo di certe funzioni, sia apprendimenti impliciti che portano a
sviluppare stati fisiologici compatibili con quelli associati a feedback positivo.
 Il biofeedback è utilizzato come trattamento specifico per alcuni disturbi psicofisiologici, in particolare le
applicazioni nell’epilessia e nella riabilitazione motoria.

6. DALLA MALATTIA PSICOSOMATICA ALLA MALATTIA

L’ipotesi psicosomatica è dualistica:

• Disturbi somatici che non hanno nulla di psicologico


• Disturbi psicosomatici che hanno una commistione di aspetti somatici e psichici.
Nella metà del 900 si è affermata in medicina e psicologia una posizione che richiama il fatto che tutti i disturbi
biologici hanno elementi psicologici e che tutti i disturbi psicologici hanno elementi biologici che vanno
considerati sia nella diagnosi sia nel trattamento.
L’espressione disturbi psicosomatici e disturbi psicofisiologici non indicano una classe di malattie ed è stata
abbandonata la pretesa di considerarli nei disturbi mentali e nervosi.
Nel DSM IV elimina la dicotomia mente corpo e introduce il disturbo da sintomi somatici e disturbi correlati. La
diagnosi si prevede piuttosto in basa al modo in cui il pz interpreta i sintomi; la diagnosi si basa su pensieri, sentimenti e
comportamenti anomali adottati in risposta a i sintomi.

La categoria diagnostica va riservata quindi a quelle condizioni in cui i fattori psicologici hanno un effetto clinicamente
significativo sul decorso o sull’esito di una condizione medica generale.

Sul piano della professione, per quanto riguarda il ruolo dello psicologo clinico si pensa ad una figura con

competenze di psicologia clinica, della salute, esperta nei processi psicologici che hanno spazio in tutto il campo della
Medicina: nelle fasi di diagnosi, nei processi di prevenzione, nelle fasi di cura, nelle fasi di riabilitazione.
7. MEDICINA COMPORTAMENTALE

Nella seconda metà del 900 si coniò l’espressione behavioral medicine per indicare l’applicazione di tecniche
comportamentali e cognitive a problemi della malattia fisica.

Una definizione completa ed elaborata è stata formulata nel 1978, nel corso di un meeting della National Academy
of Sciences degli Stati Uniti presieduto da Neal Miller e David Hamburg:

 La medicina comportamentale è il campo di studio interdisciplinare che si occupa dello sviluppo e


dell’integrazione delle scienze e delle tecniche biomediche e comportamentali rilevanti per la salute e la
malattia, nonché dell’applicazione di queste conoscenze e di queste tecniche alle attività di prevenzione,
diagnosi, cura e riabilitazione.
MEDICINA COMPORTAMENTALE: AMBITI DI Malattia di Raynaud
INTERESSE: Acufeni soggettivi (tinnitus) Morbo di Parkinson (problemi
Aderenza al trattamento e rispetto delle prescrizioni comportamentali)
mediche (compliance) Paure e fobie attinenti a malattie (patofobie)
Aids (problemi comportamentali, prevenzione) Paure e fobie attinenti a pratiche mediche
Artrite reumatoide Paure e fobie delle cure odontoiatriche
Asma bronchiale Paure e preoccupazioni ipocondriache
Abuso di alcolici
Abuso di farmaci (in pazienti Bpco e geriatrici) Preparazione del bambino e della famiglia a
Bruxismo intervento chirurgico
Cefalee ed emicrania Preparazione psicologica alla gravidanza e al
Colon irritabile parto
Crampo dello scrivano Preparazione psicologica a interventi di
Crisi pseudoepilettiche chirurgia demolitiva
Dermatite atopica Profilassi dell’igiene orale
Diabete (aspetti comportamentali) Psicoendocrinologia e infertilità femminile
Disturbi dell’apprendimento Rapporto medico/paziente
Disturbi del linguaggio Riabilitazione cardiologica
Encopresi Riabilitazione neuropsicologica
Enuresi Riabilitazione respiratoria
Formazione del personale sanitario Rispetto di diete e regimi terapeutici
Fumo Stress
Impatto psicologico dell’ospedalizzazione Terapia del dolore clinico
Informazione del paziente Terapia dello stress
Insonnia Tic
Insufficienze sessuali Torcicollo spastico
Interventi di riduzione dei fattori psicosociali di rischio di Trapianto d’organi
malattia coronarica e del Type-A behavior (comportamento Unità chirurgiche che attuano programmi di
del Tipo A) gestione dell’ansia preoperatoria e del dolore
Ipertensione essenziale postoperatorio
Malattia terminale Unità di terapia per ustionati gravi

Un ambito studiato dalla medicina comportamentale riguarda l’insonnia primaria che si caratterizza per:

 la persona fatica a iniziare il sonno, cioè ha una latenza di addormentamento che giudica eccessivamente
lunga (superiore comunque ai 30 minuti);
 una volta iniziato il sonno, la persona fatica a mantenerlo, ma si risveglia dopo alcune ore senza riuscire a
riprendere sonno o riprendendolo solo per risvegliarsi poco dopo altre volte;
 la persona riferisce al risveglio, indipendentemente dal numero di ore effettivamente dormite, che il sonno
non è stato ristoratore e accusa uno stato di affaticamento e stanchezza.
L’insonnia è un’esperienza comune ma per raggiungere la soglia clinica deve persistere per oltre un mese, causare
disagio clinicamente significativo, menomazione del funzionamento sociale.

L’insonnia primaria riguarda il caso in cui il disturbo non è dovuto ne ad altri disturbi né agli effetti di sostanze di
abuso o farmaci.

Per l’insonnia gli interventi psicologici sono raccolti in 3 gruppi:


- Il primo gruppo raccoglie quegli interventi che mirano in maniera diretta a diminuire il livello di
attivazione psicofisiologica del soggetto nelle fasi di addormentamento; esempi di tali interventi sono varie
tecniche di rilassamento e di biofeedback.
- Il secondo gruppo raccoglie interventi che mirano invece a modificare pattern comportamentali, abitudini
e risposte condizionate che frequentemente si creano attorno al sonno e al suo ambiente. Vi sono persone
che hanno trasformato la stanza da letto nella sede di attività che poco si conciliano con il sonno e spesso
riflettono, discutono e si abbandonano alle preoccupazioni quando sono a letto. Le strategie di intervento
tendono quindi a costruire – o più spesso a ricostruire – catene di stimoli condizionati che operino in
direzione ipno-inducente mediante l’applicazione dei principi del condizionamento classico e del
condizionamento operante. Molti di questi principi sono noti come igiene del sonno.
- Il terzo gruppo raccoglie invece un’ampia gamma di interventi che si focalizzano su convinzioni,
pensieri, abitudini mentali, apprensioni, paure ecc. che il soggetto insonne può coltivare circa il sonno e la
sua mancanza. La preoccupazione per il fatto di non dormire può creare un circolo vizioso. Alcune
persone si sforzano attivamente di dormire, ottenendo ovviamente l’effetto contrario. Gli interventi mirano
a una ristrutturazione più o meno ampia di articolazioni del sistema cognitivo del soggetto.
Nella cura dell’insonnia è preferibile un approccio integrato e un assessment approfondito identifica i fattori
implicati nella genesi e nel mantenimento dell’insonnia al fine di suggerire l’intervento d’elezione.

9. DALLA MALATTIA ALLA SALUTE

Nella seconda metà del 900 è mutato sia il concetto di malattia sia quello di salute;

 La salute era concepita in termini monodimensionali cioè lo stato fisico dell’organismo quando ha piena
funzionalità senza evidenza di malattie.
 L’OMS ha riconosciuto la natura multidimensionale di questo concetto integrandolo a dimensioni sociali,
culturali e soggettive.
 La definizione di salute quindi non è più quella di assenza di malattia ma quella di un completo stato di
benessere fisiologico, psicologico e sociale.
 Conseguentemente si modificano e si arricchiscono le misure della salute e nasce l’esigenza di indicatori,
di costrutti in positivo, oltrepassando gli indici epidemiologici e biomedici e il ricorso a misurazioni
psicologiche e di carattere soggettivo.
Un altro concetto importante è quello di qualità della vita cioè una percezione soggettiva rispecchiata da una
valutazione soggettiva che abbraccia in maniera integrata la salute fisica, lo stato psicologico, il grado di autonomia, le
relazioni sociali, le convinzioni e i valori personali.

Il costrutto di qualità della vita connessa a salute e malattia è ad ampio spettro e include:
• Stato fisico e abilità funzionali
• Stato psicologico e benessere soggettivo
• Interazioni sociali
• Stato e fattori economici e professionali
• Fattori di ordine religioso e spirituale
10. PSICOLOGIA DELLA SALUTE

Le prospettive integrative aperte e sviluppate dalla psicosomatica e dalla medicina comportamentale sfociano oggi nella
psicologia della salute cioè l’insieme dei contributi specifici (scientifici e professionali formativi) della disciplina
psicologica alla promozione e al mantenimento della salute, alla prevenzione e al trattamento della malattia,
all’identificazione di correlati eziologici e diagnostici della salute, della malattia, delle disfunzioni associate.

La psicologia della salute:


- Pone l’accento più sulla prevenzione che sul trattamento
- Ha come oggetto di studio il comportamento sano e malato
- È attenta più alla salute fisica che a quella mentale privilegiando le malattie di maggiore impatto
sociale (cardiopatie, neoplasie, HIV, broncopneumopatie)
- È interessata alla salutogenesi piuttosto che patogenesi.
Gli psicologi sono particolarmente attenti all’aspetto della prevenzione e della costruzione in positivo della
salute: il loro ruolo, all’interno della sanità e in particolare dell’ospedale generale, non è solo quello di curare e
aiutare a curare, ma è sempre più quello di sviluppare risorse nella prevenzione di base e nella costruzione della
salute.
 prevenzione può significare (anche se questo non è garantito) abbassamento, sul lungo periodo, del totale
della spesa sanitaria proprio spendendo di più per intervenire su tutti quei comportamenti-rischio che
determinano malattia, ricaduta, riospedalizzazione, cronicizzazione
Una prova della crescita della psicologia della salute nel nostro paese è offerta dalla nascita di scuole pubbliche di
specializzazione focalizzate sulla salute e dalla nascita di riviste specifiche.

CAP 11 - PSICOTERAPIA

1. CARATTERISTICHE COMUNI E PREREQUISITI DEI DIVERSI TIPI DI PSICOTERAPIA

Il termine psicoterapia si riferisce a trattamenti di disturbi mentali o problemi psicologici che utilizzano metodi
psicologici. Oggi accanto alle terapie tradizionali, troviamo psicoterapie estremamente brevi, mirate su singoli
problemi e legate ad un predefinito protocollo e questo suggerisce di privilegiare l’espressione trattamento
psicologico piuttosto che psicoterapia.

Le caratteristiche di base comuni alle varie forme di psicoterapia – FATTORI COMUNI:


1. Una relazione interpersonale tra pazienta e terapeuta e un’alleanza a esclusivo beneficio del paziente
2. Un luogo specifico e sicuro (setting) all’interno del quale si svolge questa relazione, nel quale tutto ciò che
avviene è confidenziale e distinto dalle normali attività e relazioni interpersonali.
3. La proposta da parte del terapeuta di nuove prospettive e punti di vista che danno un senso a sensazioni
confuse e indefinite
4. Un insieme di tecniche e procedure che specificano il modo di operare del terapeuta.

La relazione terapeutica presuppone questi requisiti:


1. Rispetto della riservatezza e tutela rigorosa del segreto
2. Accettazione del paziente e assenza di giudizio sul suo comportamento
3. Assenza di un interesse o coinvolgimento personale del terapeuta, che si estende all’esclusione della
psicoterapia dove esistano legami di parentela o di frequentazione amicale, rapporti di lavoro o d’affari, vincoli
di collaborazione o dipendenza (per esempio, personale dello stesso staff ospedaliero);
4. Messa tra parentesi delle convinzioni religiose, morali, politiche e dei valori e dei principi dello
psicoterapeuta e capacità di valutarne la non interferenza con lo svolgimento della terapia.

Vi sono differenti gradazioni dell’importanza che la relazione assume nel processo terapeutico:
 Si va da una posizione estrema che la considera elemento necessario e sufficiente quindi l’unico motore
attivo del cambiamento,
 Ad una posizione che privilegia il ruolo della tecnica e la considera come fattore necessario ma non
sufficiente a produrre un cambiamento.
o necessario per evitare demotivazione e interruzioni premature (drop-out), ma non sufficiente a
produrre cambiamento in assenza di tecniche efficaci.

Le diverse finalità dell’intervento psicoterapeutico sono:


1. Far fronte a una situazione di emergenza, a un momento di crisi, a situazioni di difficoltà psicologica
transitoria => per esempio alla sofferenza che può accompagnare un divorzio, un lutto, un evento
traumatico;
2. Far fronte a una condizione psicopatologica in atto e alla sintomatologia che le è connessa; => per
esempio al trattamento del disturbo di panico, del disturbo ossessivo-compulsivo, dell’anoressia nervosa;
3. Prevenire le possibili ricadute, una volta che il paziente abbia risolto la situazione acuta con trattamenti
psicofarmacologici o di altra natura; => per esempio alla depressione maggiore, all’abuso di alcol, alla
dipendenza da cocaina, alla schizofrenia;
4. Promuovere la crescita personale mediante il cambiamento di aspetti strutturali della persona,
indipendentemente dalla presenza di sintomatologia clinica o subclinica; => per esempio ai problemi di
carattere esistenziale.

Problema della finalità del trattamento:


 Direttività - sarebbe: o PREVALICAZIONE nel caso di problemi di natura esistenziale o NEGLIGENZA
nel caso di un anoressica a rischio di morte

Psicoterapia breve -> forma di trattamento contenute in 20-50 sedute che non superano 1 anno ed esistono forme
di psicoterapia individuale, di coppia, di famiglia e di gruppo.

2.PSICOANALISI

Psicoanalisi è il
nome: procedimento per l’indagine di processi psichici cui altrimenti sarebbe pressoché
1) di un impossibile
accedere;
2) di un metodo terapeutico (basato su tale indagine) per il trattamento dei disturbi nevrotici; serie di
3) conoscenze
di una psicologiche acquisite per questa via, che gradualmente si assommano e convergono in
una nuova disciplina scientifica [Freud 1923; trad. it. 1977, 439].

 Sviluppata da Freud ed è nata come tecnica per la cura dei disturbi nevrotici, principalmente isterici;
comprende un insieme di costrutti teorici sul funzionamento e sviluppo della personalità.
 Una delle assunzioni di base è che la vita psichica si svolge in prevalenza fuori dalla consapevolezza e dal
controllo del soggetto, è in forma inconscia.
L’inconscio comprende contenuti psichici, attivamente esclusi dalla coscienza ai quali si può accedere solo in maniera
indiretta e deformata -> sogni, lapsus, atti mancati, sintomi psicopatologici.
I sintomi e le varie forme di disagio esprimono la presenza di conflitti inconsci la cui origine risale ai primi anni di
vita e un particolare disturbo dipende:

• Caratteristiche costituzionali del soggetto


• Ambiente di vita
• Esperienze
• Conflitti affrontati
• Configurazione della struttura psichica.
La psicoterapia in quest’ottica ha una funzione esplorativa = l’analisi:
 Ha lo scopo di ripercorrere la storia personale facendo emergere le rappresentazioni inconsce che
dominano il soggetto.
 Questo percorso -> riorganizza il mondo interno del soggetto cioè il suo modo di sentire e di pensare
arrivando al cambiamento del paziente: che coinvolge varie sfere ed è reso possibile a opera della presa di
consapevolezza dei contenuti psichici inconsci, dove affondano le proprie radici i disturbi emotivi attuali.
Il metodo utilizzato è quello delle associazioni libere cioè l’espressione libera dei pensieri senza censure.
Il setting è quell’insieme di regole che definisce la cornice di un trattamento:

 Lettino, pz disteso, analista alle spalle,


 L’analista è poco presente e attivo (neutralità dell’analista) e non esprime contrarietà o apprezzamento
(regola dell’astinenza). Interviene con interpretazioni per rendere il soggetto più consapevole dei
significati di comportamenti, parole e fantasie.
La psicoanalisi presume un lavoro molto impegnativo (4 sedute a settimana x 4-5 anni) e rappresenta un’esperienza
centrale nella vita affettiva del paziente che può favorire lo sviluppo di atteggiamenti emotivi nei confronti dell’analista
(transfert).

La formazione dello psicoanalista prevede un’analisi personale e poi un vero e proprio training con seminari e lezioni
e periodi di pratica sotto supervisione.

 Il candidato viene poi valutato da organismi dell’associazione e la selezione è severa.  Formazione


culturale e tecnica
 Senza la formazione dell’analista questo avrebbe difficoltà nel discernere ciò che proviene dalle reazioni
di transfert da ciò che proviene dalle scorie inconsce riattivate e finirebbe per manipolarlo
inconsapevolmente.
 La formazione degli psicoanalisti avviene attraverso associazioni private e tramite diverse associazioni:
o I primi embrioni di associazione psicoanalitica furono il «gruppo del mercoledì» costituito da Freud nel
1902 e la successiva Società psicoanalitica viennese.
o Nel 1910 sorse l’International Psychoanalytical Association (IPA), che attualmente conta circa
12.000 membri distribuiti in società nazionali a essa collegate e vincolate da uno statuto
internazionale.
o La società italiana si chiama Società italiana di psicoanalisi, fu costituita nel 1932 per iniziativa del
triestino Edoardo Weiss, fu soppressa dal e fu ricostituita nel 1946; oggi conta oltre 500
psicoanalisti.
 La distinzione tra psicoanalisi e psicoterapia psicoanalitica che è più direttamente finalizzata al
miglioramento del malessere e alla risoluzione dei sintomi.
La psicoanalisi:
 ha obiettivi più circoscritti e limitati ad alcuni nuclei di conflitto e sofferenza del pz  Sul piano tecnico
la durata riguarda sedute più brevi.
 Con il tempo la psicoanalisi è andata allargando l’ambito di applicazione psicoterapeutica a disturbi
psicosomatici, di personalità e alle psicosi.
 Si sono avute diverse scuole di psicoterapia breve che condividono il principio di una durata definita
della terapia più o meno rigorosa e con proprie tecniche.
 Può non essere utilizzato il lettino
 Non viene stimolato lo sviluppo della nevrosi da transfert
 Inoltre la psicoterapia psicoanalitica ha sperimentato setting diversi da quello individuale quindi quello
familiare, istituzionale e gruppale.
3.PSICOTERAPIE PSICODINAMICHE

Nella storia delle associazioni psicoanalitiche sono state frequenti le controversie che si sono tramutate in scissioni e
rotture.

 Nel 1911 Adler si trovò in distacco con Freud, se ne stacco è fondò una sua scuola che denominò
PSICOLOGIA INDIVIDUALE -> esiste tuttora, ha una propria organizzazione societaria, promuove
propri training per la formazione di analisti.
 Nel 1913 Jung si staccò da Freud e dalla Società internazionale di psicoanalisi -> coniò l'espressione di
PSICOLOGIA ANALITICA.
o L’approccio Junghiano presenta diverse teorie e tecniche o In Italia ci sono 2 associazioni:
 AIPA: associazione italiana di psicologia analitica
 CIPA: centro italiano di psicologia analitica
 Negli anni 30 Reich fù espulso dalla società viennese -> tale espulsione fu determinata dall'insorgere di
una sua patologia mentale.
o Egli sosteneva l'esistenza di interconnessioni tra la sfera psichica e quella somatica così profonde
e complesse da rendere indispensabile che in psicoterapia si intervenisse anche sul versante
corporeo.
o Da Reich prendono così vita le varie correnti di PSICOTERAPIA CORPOREA.
o Il setting prevede sia il rapporto faccia a faccia, sia l'uso del lettino, sia il contatto corporeo.
 Nella seconda metà del 900 sono fiorite varie forme di PSICOTERAPIE PSICODINAMICHE DI
GRUPPO. o Si usa distinguere tra psicoterapia di gruppo e psicoterapia in gruppo. o Il terapeuta di
gruppo considera il gruppo come un insieme le cui proprietà eccedono la somma degli elementi che lo
compongono; egli quindi centra la sua attenzione sulle dinamiche di gruppo e sul gruppo nella sua
totalità e non sulle componenti intrapsichiche individuali.
o Confederazione delle organizzazioni italiane per la ricerca sui gruppi (COIRAG), che ha
elaborato un progetto comune per la formazione alla psicoterapia di gruppo nel nostro paese.
o FATTORI CURATIVI NEGLI INTERVENTI DI GRUPPO SECONDO YALOM 1975:

 Jacques Lacan, che venne espulso dalla Società psicanalitica nel 1950 e organizzò una sua scuola tuttora
presente nei paesi francofoni.
o si limitò ad eliminare una vocale e parlò di PSICANALISI anziché psicoanalisi. o Riduzione
della seduta 20 minuti -> criticata
Altre volte la presa di distanza dal modello psicoanalitico si accompagna a psicoterapie che mutuano elementi da
più
modelli .
 il caso dell’ ANALISI TRANSAZIONALE ideata da Berne nel 1961 che riprende concetti e tecniche
sistemiche.
o comprende un approfondito esame delle transizioni che le persone mettono in atto tra se stesse e
le altre persone.
o Nell’analisi delle transazioni interpersonali, l’attenzione è rivolta ai giochi che le persone
giocano = le interazioni ripetitive che possono risultare distruttive e ai copioni che le persone
adottano nel gioco relazionale.
 Un esempio contemporaneo di terapia psicodinamica breve è la TERAPIA INTERPERSONALE di
Klerman e Weissman che fanno prevalentemente riferimento non allo sviluppo infantile ma ai problemi
del hic et nunc. Il terapeuta interpersonale non farà le seguenti cose:
1. non interpreterà i vostri sogni
2. non farà proseguire il trattamento a tempo indefinito
3. non scaverà nella vostra prima infanzia
4. non vi incoraggerà ad abbandonarvi ad associazioni libere
5. non vi farà sentire molto dipendenti dal trattamento o dal terapeuta

4. PSICOTERAPIA COGNITIVA E COMPORTAMENTALE


 Terapie ancorate ai dati di ricerca e ai contenuti teorici sviluppati sia all'interno della ricerca scientifica di
base.
 L’approccio cognitivo-comportamentale: concepisce la psicoterapia come un insieme di conoscenze, di
principi e di tecniche che emanano dalla psicologia di base e dalle acquisizioni della ricerca – principi e
tecniche che vanno via via modificandosi ed evolvendosi sia in virtù del modificarsi delle conoscenze
offerte dalla psicologia di base, sia in virtù dei riscontri di un vasto corpo di ricerche in psicologia clinica
e più specificamente in psicoterapia.

Prima fase storica: ATTENZIONE AI COMPORTAMENTI


 1970 British Association for Behavourial Psichotherapy una delle prime associazioni costituitesi in tale
ambito, proponeva nel proprio statuto la seguente definizione:
La psicoterapia comportamentale è l’applicazione delle scoperte della psicologia sperimentale e delle
scienze connesse al problema di aiutare le persone a modificare quegli aspetti del proprio
comportamento e della propria esperienza che procurano loro disagio.

Le origini della terapia del comportamento si collocano nel mondo anglosassone negli anni 60 e sono dovute al
confluire di due spinte sinergiche:
1. la valorizzazione di esperienze pionieristiche che provenivano dalla scuola pavloniana, dalle teorie
dell'apprendimento, dalla teoria dell'apprendimento sociale, dalla nascente psicologia cognitiva.
2. un diffuso scontento per i modelli di intervento psicoterapeutico dell’epoca, in primis quelli psicoanalitici.
Questi motivi di scontento possono essere ricondotti a 4 piani:
 il piano dell’epistemologia, dove esistevano motivi di insoddisfazione per la struttura logica della
teoria psicoanalitica e per il linguaggio allusivo o dichiaratamente metaforico di molte delle sue tesi
principali;
 il piano dell’integrazione (fino ad allora lacunoso), con le acquisizioni che provenivano dai vari rami
delle scienze psicologiche e delle neuroscienze;
 il piano dei risultati, dove c’era insoddisfazione per i limitati benefici a fronte di un trattamento lungo
e impegnativo;
 il piano dell’ampiezza delle applicazioni, dove si lamentava la possibilità di utilizzo solo con un
numero limitato dei problemi che si incontrano di frequente nella pratica clinica.

Nel corso degli anni 70 l’approccio comportamentale ebbe, nei paesi anglosassoni, uno sviluppo esponenziale che lo
portò presto a superare per diffusione la stessa psicoanalisi. Poi l’approccio si arricchì di costrutti cognitivi.

 La ricerca cognitiva recente fa dimostrato che in molti casi emozioni e cognizioni sono strettamente
interconnesse, e ha individuato 5 aspetti cognitivi fondamentali: le strutture mentali, i processi
cognitivi, le rappresentazioni e gli schemi, la metacognizione, le strutture neurali che sottostanno a
tali aspetti.
 Il modello cognitivo: metti l'accento sui processi cognitivi, assumi che in molti casi siano gli eventi
cognitivi a influenzare le emozioni e comportamenti.
 Negli stadi immediati e automatici dei processi cognitivi: il cervello elabora l'informazione offerta
dagli eventi ambientali o relazionali facendo impiego di schemi in strutture cognitive a vario livello di
organizzazione, le quali operano automaticamente, come le regole della sintassi che il parlante utilizza
nel suo comunicare quotidiano.
 La psicoterapia esplorerà tutti gli aspetti, ripercorrerà i passi attraverso i quali si suppone si sia venuta
creando la situazione di disagio presente, utilizzerà una pluralità di tecniche di trattamento con
l’obiettivo di modificare sia la struttura cognitiva sia la risonanza emozionale sia le modalità
comportamentali.

Esistono differenze nel valutare quali siano i fattori cruciali nell’eziologia di un disturbo e le componenti cruciali
dell’intervento terapeutico:
 il punto di vista psicodinamico: il trattamento cognitivo va criticato perché non affronta quei
conflitti inconsci che si suppone stiano all’origine del disturbo.
 il punto di vista cognitivo-comportamentale: il trattamento psicodinamico non tiene conto degli
specifici meccanismi che hanno prodotto e mantengono il problema e di fatto propone un intervento
generico, che in taluni casi non va al di là di un placebo, in quanto opera unicamente al livello delle
aspettative di miglioramento che tanto il terapeuta quanto il paziente alimentano congiuntamente.
Per quanto riguarda la prospettiva cognitiva comportamentale, l’intervento psicoterapeutico d’eccezione non è
sintomatico, ma è di carattere: con ciò si intende che il fulcro dell’intervento è dato dall’identificazione e
eziologico
dalla modificazione delle variabili che intervengono con maggior peso nel problema o nel disturbo.
 Per esempio in caso di balbuzie il fulcro dell’intervento potrebbe essere non la balbuzie, ma un
eccessivo livello di ansia sociale o un eccessivo livello di perfezionismo.
Il setting:
 In età adulta il setting è individuale e viso a viso,  in età infantile è più spesso familiare.
 Comune e anche il setting gruppale => Il gruppo è preferito dove i cambiamenti auspicati hanno a che
vedere con le relazioni interpersonali.
La durata dell’intervento si colloca al di sotto dell’anno e la frequenza delle sedute è settimanale.

 È difficile però dare delle informazioni di massima perché esistono moltissimi piani di trattamento
diversi.
All’interno di alcune impostazioni e filoni teorici emersi negli
anni 90  la durata del trattamento tende ad
allungarsi.

 Obiettivo di tale trattamento è una rivisitazione dell’organizzazione cognitiva della persona sia
nell’attualità sia lungo le sue principali linee evolutive a partire dai processi di attaccamento
infantile.
 Ciò sembrerebbe permettere un più incisivo trattamento dei problemi esistenziali dei disturbi
dissociativi e di disturbi della personalità.
Attualmente si parla di una terza generazione di approcci cognitivo-comportamentali:
 si fa riferimento allo sviluppo recente di una serie di spunti innovativi, che nascono dall’esperienza di
problematiche cliniche particolarmente pesanti; singoli professionisti o gruppi di professionisti hanno
provato (o stanno provando) a fronteggiarle con successo scostandosi in parte dalle modalità
tradizionali dell’approccio cognitivo-comportamentale e sperimentando vie in parte nuove, in parte
mutuate da altre tradizioni.
L’EABCT (European Association for Behaviour and Cognitive Therapy) ha formulato degli standard minimi per la
formazione in psicoterapia cognitivo-comportamentale: l’aspetto centrale è la grande quantità di pratica clinica
sotto supervisione.
 Non è considerata indispensabile ma non viene esclusa la formazione personale = quella parte della
formazione, che è volta all’esplorazione e alla modificazione degli aspetti disfunzionali o
francamente problematici dell’aspirante psicoterapeuta => analoga all’analisi personale nel
modello psicoanalitico.
In Italia esistono due società affiliate all’EABCT:
 l’AIAMC (Associazione italiana di analisi e modificazione del comportamento e terapia
comportamentale e cognitiva)
 la SITCC (Società italiana di terapia cognitiva e comportamentale)
Hanno vari compiti di promozione scientifica, organizzano training formativi in conformità alla legislazione
italiana (4 anni, 500 ore per anno), che prevedono un monte ore devoluto alla formazione personale.

5. PSICOTERAPIE UMANISTICHE

La psicologia umanistica viene indicata come la “terza forza” della psicologia accanto alla psicoterapia psicoanalitica e
a quella psicodinamica.

Questa terza forza consiste in un gruppo eterogeneo di forme di psicoterapia che hanno in comune un approccio
fondamentalmente umanistico alla psicoterapia.

Queste prospettive si collocano, nei confronti della persona, da una prospettiva di tipo filosofico; tutte assumono
l’esistenza di una condizione di autenticità dell’essere umano.

Il senso della terapia è raggiungere tale autenticità e favorire il dispiegamento delle potenzialità insite nella
persona.
Nella prima metà del secolo in Europa ha avuto un grande rilievo la concezione filosofica fenomenologia, che ha
avuto Husserl come massimo esponente.

La fenomenologia ha influenzato fortemente la psicologia umanistica, la psichiatria e in particolare la riflessione


psicopatologica di Minkoswski e in Italia Barison e Cargnello.

Anche l’esistenzialismo è uno degli antecedenti, Kierkegaard, Heidegger, Jaspers e Sartre sono i punti di riferimento di
questo movimento. Nella prospettiva esistenzialista la condizione umana presenta tutta una serie di caratteristiche
dolorose e difficili da accettare:

• la consapevolezza della morte, la coscienza che un giorno moriremo, che anzi abbiamo cominciato a
morire nel momento stesso nel quale siamo nati;
• la consapevolezza della nostra impotenza rispetto a miriadi di avvenimenti esterni e occasionali, che
possono avere drammatiche conseguenze sulla nostra vita e davanti ai quali nulla possiamo opporre;
• la consapevolezza di una fondamentale solitudine quale conseguenza della nostra irriducibile
individualità, unicità e libertà;
• la consapevolezza che di fronte alle scelte siamo irrimediabilmente soli e destinati a portarne piena
responsabilità nel bene come nel male;
• la consapevolezza che la vita e l’esistenza non hanno senso in sé, ma che ognuno di noi deve costruire e
creare il senso della propria esistenza.
Da tutto questo si evince che la condizione umana è contraddistinta da una fondamentale angoscia esistenziale. Compito
del terapeuta è rendere il rapporto terapeutico un incontro autentico tra due esseri umani, offrire sostegno empatia.

Il fatto di parlare di terapia fenomenologica o esistenziale è probabilmente una forzatura: infatti tali terapie si
proclamano ateoretiche e ascientifiche e presentano il problema (sia pur coerente con le premesse) di non aver
promosso ricerca empirica sulle basi teoriche e sull’efficacia terapeutica.

5.1. LA TERAPIA CENTRATA SUL CLIENTE DI CARL ROGERS


La terapia centrata sul cliente di Carl Rogers ha come presupposto l’ottimismo e la fede nella bontà intrinseca
della natura umana.
 Le persone sono per loro natura buone, capaci di comportarsi in maniera efficace e motivate a
migliorare se stesse.

Concetto cardine è quello di realizzazione di sé -> rappresenterebbe una tendenza innata dell’organismo definita
da Rogers tendenza attualizzante a sviluppare tutte le proprie capacità in modo che ciò serva a mantenerlo e
migliorarlo.
Compito del terapeuta è di offrire un’atmosfera non direttiva e facilitante ed un rapporto che consenta dispiegarsi di 3
principali caratteristiche:

1. Congruenza è considerata la qualità principale per uno psicoterapeuta: egli deve esprimere il «vero» Sé,
comunicando in maniera informale e sincera i propri sentimenti e i propri pensieri quando opportuno, senza
dissimulazioni o apparenze; al terapeuta è chiesto di presentarsi quale egli realmente è, senza trincerarsi nel
distacco professionale o nelle regole del setting, a differenza per esempio dello psicoanalista.
2. Empatia. Il terapeuta guarda il mondo del cliente assumendo come propri la prospettiva e il punto di vista del
cliente stesso e gli comunica che il suo punto di vista, il suo modo di pensare e di reagire emotivamente sono
compresi e apprezzati; questa empatia permette l’emergere di pensieri ed emozioni più intimi, che prima erano
troppo minacciosi per essere verbalizzati o per accedere a una piena consapevolezza agli occhi stessi del
cliente.
3. Accettazione positiva incondizionata a differenza delle relazioni nelle quali l’accettazione e l’amore sono
subordinati al rispetto di alcune regole e condizioni: le persone hanno valore per il fatto stesso di essere
persone e il terapeuta ha profondamente a cuore il proprio cliente, all’interno di una relazione calda non
invasiva; manifesta inoltre un’accettazione priva di valutazioni e giudizi e una ferma convinzione nella
capacità di autorealizzazione del cliente.

Rogers utilizza -> cliente in aperta contrapposizione con quella di paziente giacché rigetta radicalmente la diagnostica
psicopatologica e la nozione di malattia.

 Rogers è comunque pienamente consapevole che il proprio metodo rappresenta una metodologia di
counseling e una modalità di crescita individuale raccomandabile in presenza di problemi subclinici
piuttosto che una forma di trattamento dei principali disturbi psicopatologici.
Rogers:

 ha utilizzato per primo la registrazione audio delle sedute terapeutiche ai fini di ricerca.
 è stato anche uno dei maggiori propugnatori dei gruppi di incontro -> approccio centrato sul
cliente -> si presta in un setting gruppale a creare un ambiente facilitante.
 Il terapeuta opera come facilitatore delle interazioni e stimola i membri del gruppo a sviluppare
interazioni empatiche, positive e genuine tra di loro.

5.2 LA TERAPIA DELLA GESTALT

La terapia della Gestalt è dovuta Fritz Perls , il riferimento alla psicologia della gestalt si limita al carattere
olistico ed integrativo dei processi psicologici e all’adozione di occasionali analogie.
 Tale terapia da una concessione ottimistica della natura umana essa tende spontaneamente ad
esprimersi creativamente ed a sviluppare tutto il potenziale umano.
 In tale concezione ci si concentra sull’ hic et nunc il passato non esiste più, il futuro non esiste ancora.
 Porsi domande sul passato o sul futuro significherebbe perdere contatto con il presente.
La terapia gestaltica ha sviluppato una ricca serie di tecniche e di esercizi per facilitare la crescita e la
consapevolezza personale dei clienti -> fini la terapia fa un ampio ricorso all’espressione non verbale.
 Più del setting individuale la terapia gestaltica predilige il setting gruppale.
I gruppi di gestalt si focalizzano su quanto avviene qui ed ora e tendono ad aiutare ciascun membro del gruppo a
integrare i propri sentimenti e le proprie convinzioni.
 Ciascun membro viene posto a turno sulla sedia calda ed è incoraggiato a identificare sensazioni e
emozioni presenti, particolarmente se dolorose o incongruenti.

Il terapeuta commenta l’aspetto non verbale più di quello verbale.

Riguarda esperienze di gruppo e persone interessate a una crescita personale e non pazienti che chiedono psicoterapia.

6. TERAPIA SISTEMICA

Almeno nello scenario italiano è presente una quarta forza della psicoterapia: L’APPROCCIO SISTEMICO ALLA
TERAPIA FAMILIARE.

 L’oggetto di studio privilegiato è quanto avviene tra le persone, non le caratteristiche delle singole
persone.
Il contributo teorico principale è stato offerto da Bateson e da un gruppo di ricercatori del Mental Research Institute di
Palo Alto in California, a partire dagli anni ’50.

Sistema un concetto ripreso analogicamente dalla fisica matematica: un raggruppamento di elementi all’interno
dei quali intercorrono delle interazioni tali per cui ogni variazione nello stato di un elemento finisce con il
modificare lo stato di ognuno degli altri.
 lo studio del singolo elemento è marginale: centrale è l’analisi della totalità del sistema nel quale si
colloca l’elemento singolo.
 Il principio di causalità lineare viene sostituito dal principio di causalità circolare: in una famiglia il
comportamento del suo membro A influenza il comportamento di B e il comportamento di tutti gli
altri membri, ma a sua volta il comportamento di B influenza quello di A e di tutti gli altri membri.
 Le transazioni che hanno luogo all’interno di una famiglia possono essere descritte solo con sequenze
circolari e sarebbe arbitrario fissare un punto di origine.
 In ottica sistemica la psicopatologia non è vista come problematicità del singolo, ma come risultante
del sistema disfunzionali: pattern interattivi che si ripetono rigidamente nel tempo sono fonti di
psicopatologia.
o esempi di situazioni relazionali patogene sono descritte dalla teoria: per esempio: doppio
legame, triangolo perverso.

Un sistema tende a mantenere la propria omeostasi la terapia è un’azione volta a perturbare l’omeostasi, nella
speranza di favorire un cambiamento ed un riequilibrio in termini più adattivi.
 Sul piano della tecnica, esiste un notevole eclettismo; la terapia sistemica è piuttosto un modo
generale di pensare che una pratica di intervento puntualmente definita.

Su linee in parte diverse dalla scuola di Palo Alto si evolve il cosiddetto modello strutturale:

 la famiglia è vista meno dal punto di vista delle regole di comunicazione e più come struttura che
assolve le molteplici funzioni legate al ciclo vitale.
 I terapeuti strutturali sono meno inclini ad elaborare il retroterra teorico.
In particolare Salvatore Minuchin sviluppa modalità di concettualizzazione delle famiglie in base ai loro confini che
avranno vasta diffusione:

 ad un estremo una famiglia invischiata con confini estremamente permeabili, all’estremo opposto di
un immaginario continuum una famiglia disimpegnata caratterizzata da confini impermeabili.

Un terzo filone non approfondisce affatto la dimensione familiare ma quel particolare fenomeno che è la
comunicazione suggestiva e l’ipnosi: con Erickson l’ipnosi conosce una seconda giovinezza e diventa un fenomeno
interpersonale.
Negli anni ’80 si è aperta una profonda fase di revisione che va sotto il nome di seconda cibernetica nella quale
confluiscono principi derivati dalla biologia in particolare dalla cosiddetta scuola di Santiago (Maturana e Valera) altri
principi derivano dall’approccio conversazionale, dal costruttivismo radicale.

Il setting in terapia familiare è particolare: alla seduta è invitata l’intera famiglia intesa come nucleo che vive
abitualmente insieme.

 Secondo una modalità tipica di intervento nella stanza con la famiglia sono presenti due terapeuti
familiari, altri due terapeuti osservano la seduta dietro uno specchio unidirezionale.
Nel modello classico la seduta di terapia familiare può suddividersi in 5 fasi:
1. La preseduta: nella quale i componenti l’équipe terapeutica discutono prima dell’arrivo della famiglia le
informazioni già disponibili e le modalità di conduzione della seduta;
2. L’intervista familiare: che viene condotta dai due terapeuti a contatto con la famiglia;
3. La discussione: che si svolge tra i quattro terapeuti, in assenza della famiglia, nella quale viene discusso e
concordato l’intervento successivo;
4. la conclusione: nella quale uno dei terapeuti riferisce alla famiglia le valutazioni conclusive dell’équipe, con
un eventuale commento su cui invitare la famiglia a riflettere o una prescrizione pratica;
5. la postseduta: nella quale l’équipe, dopo aver congedato la famiglia, discute le reazioni che la famiglia ha
manifestato durante l’intervento conclusivo [Selvini Palazzoli et al. 1975].

In Italia l’approccio sistemico ha avuto origine e diffusione grazie alla presenza di Mara SelviniPalazzoli.

 Ancora nel 1967 ella aveva fondato a Milano il centro per lo studio della famiglia nel quale si
formarono ed operarono quanti costituirono la scuola di Milano.

7. INTEGRAZIONE IN PSICOTERAPIA

Come si è visto lo scenario psicoterapeutico è articolato in 4 approcci fondamentali, che a loro volta si frammentano in
una purità di orientamenti.

 Questa varietà di approcci appare ad alcuni una ricchezza mentre per altri significa che lo sviluppo
della psicoterapia è ancora ad un livello prescentifico.
Negli anni 80 si è affacciata una corrente caratterizzata dall’insoddisfazione per i diversi approcci e per gettare le basi
dell’integrazione della psicoterapia = MODELLO INTEGRATIVO.

 Il terapeuta di una determinata scuola aderisce al corpo teorico su cui quell’approccio si fonda e usa
procedure e tecniche coerenti con tale impianto teorico.
 Mentre il movimento integrativo non aderisce ad alcun approccio in particolare, ma è aperto
verso teorie e tecniche diverse e tende a costruire una struttura teorica globale.
Attualmente si possono distinguere tre tendenze che caratterizzano il movimento per l’integrazione della
psicoterapia:
1. Integrazione teorica in questa prima tendenza vengono integrati tra loro due o più modelli nella
speranza che il risultato sia migliorativo rispetto ai modelli di partenza.
 Si opera dunque una fusione di elementi concettuali e una interpretazione degli uni nel linguaggio
degli altri.
2. Fattori comuni questa tendenza prende in esame differenti forme di psicoterapia per cercare di
individuare gli elementi che si hanno in comune, i cosiddetti fattori comuni.
 Obbiettivo di questa tendenza è tracciare un profilo dei fattori che risultano maggiormente
associati al processo terapeutico.
3. Eclettismo tecnico a differenza delle prime due tendenze quest’ultima attribuisce una importanza molto
ridotta agli aspetti teorici, ha un atteggiamento pragmatico e non si interessa di capire perché funzionino
le varie tecniche psicoterapeutiche.
 La dizione eclettismo tecnico è stata data da Lazarus, il quale sostenne che in campo clinico ha da
prevalere un’istanza pragmatica e che il clinico può adottare tecniche di vari approcci
psicoterapeutici senza per questo accettare i fondamenti teorici da cui tali tecniche discendono.
 L’ eclettismo tecnico volge la propria attenzione all’individuazione del trattamento che risulti più
efficace per la specifica persona e per lo specifico problema. Invece di chiedersi “perché” una tecnica
funzioni, si chiede “per chi” essa funzioni.
8. EFFICACIA DELLA PSICOTERAPIA

E’ efficace l’intervento psicoterapeutico? Questa è la domanda fondamentale e rispondere è molto delicato.

Ad avviare il dibattito scientifico su tale questione troviamo Eysenck


 il quale osservava che per poter parlare di efficacia bisognava confrontare i dati con le remissioni spontanee
che si registravano in pazienti che non usufruivano della psicoterapia, ma solo nella blanda dell’opera di
sostegno non specialistico offerto dalle strutture mediche.
 L’analisi delle ricerche sull’efficacia della psicoterapia ha mostrato una forte variabilità nei risultati
dell’intervento: per alcuni soggetti produce grandi miglioramenti, per alcuni non produce miglioramenti
diversi dalla semplice remissione spontanea, mentre per altri produce un peggioramento.
 La psicoterapia in effetti può essere responsabile del cosiddetto effetto deterioramento: peggioramento dei
sintomi, manifestarsi di sintomi nuovi e problemi diversi.
Nell’ambito della questione sull’efficacia della psicoterapia una svolta fondamentale si ebbe nel 1977 con lo
sviluppo delle tecniche meta-analitiche.
 La meta-analisi è una tecnica statistica innovativa.
 Oggetto delle elaborazioni meta analitiche sono non gruppi di soggetti ma i raggruppamenti dei gruppi di
soggetti esaminati in ciascuna ricerca.
 La meta-analisi calcola un indice, detto dimensione dell’effetto che esprime quantitativamente quanto il
gruppo trattato sia migliorato rispetto al proprio gruppo di controllo.
Il primo elemento da prendere in considerazione per poter sostenere l’efficacia della psicoterapia è il fenomeno della
remissioni spontanee.

Un secondo elemento da valutare è l’effetto placebo.

 Questo termine si riferisce ad un miglioramento delle condizioni fisiche o psicologiche del paziente che va
attribuito alla sua convinzione di star ricevendo una qualche forma di cura piuttosto che al fatto che quella
cura sia effettivamente efficace.
Negli ultimi vent’anni le ricerche si sono concentrate sull’efficacia della psicoterapia con problematiche specifiche.

9. TRATTAMENTI PSICOLOGICI BASATI SULLE EVIDENZE (EVIDENCE BASED)

Esistono molte ragioni difficilmente contestabili:


• Le psicoterapie che affermano di essere utili per vari disturbi sono molteplici e diverse tra
loro: è opportuno potersi orientare.
• Esistono evidenze di effetti di deterioramento che la psicoterapia può produrre: i pazienti
devono avere la garanzia di non ricevere danno.
• I pazienti che intraprendono una psicoterapia fanno un investimento sotto molti aspetti:
hanno diritto di sapere se la psicoterapia che intendono intraprendere è sicura e utile.
• Nei servizi pubblici la spesa per psicoterapia grava sulla collettività: la collettività vuole
sapere se sta eventualmente pagando sprechi e interventi inefficaci.289
• La psicoterapia è una realtà marginale nella sanità dei vari paesi. La valutazione della sua
efficacia può fornire un’importante fonte di legittimazione e favorire la sua espansione
Efficacia di un intervento sanitario o sociosanitario = la capacità di modificare il decorso di una malattia o di un
problema o di produrre esiti di salute (miglioramento-riduzione) migliori di quanto non possa avvenire durante il
decorso spontaneo della condizione in esame, o per effetto delle nuove esperienze vissute spontaneamente dalla
persona, o della cosiddetta vis medicatrix della natura.

 i miglioramenti siano superiori ai possibili effetti collaterali o indesiderati e a


quelli dovuti alla mobilizzazione delle forze psicologiche messe in atto dal
paziente (Effetto Placebo) 3 diversi livelli nelle valutazioni d’efficacia:

 Efficacy = efficacia teorica; o obiettivo di stabilire se esista o


meno un certo effetto;
o = capacità di un intervento sanitario o psicosociale di produrre il risultato atteso a
livello sperimentale: l’efficacia teorica è studiata in condizioni sperimentali, con
soggetti selezionati, spesso in centri di eccellenza, con adeguato investimento di
risorse, con studi clinici controllati randomizzati.
o Se un dato intervento risultasse inefficace, non vi sarebbe motivo di affrontare
impegno e costo di diffonderlo nel servizio sanitario.
 Effectiveness = efficacia pratica o lo scopo è stabilire la generalizzabilità, la fattibilità e il
rapporto costi/efficacia di un trattamento, una volta che sia stato dimostrato efficace a livello
sperimentale; può essere definita come la capacità di un intervento sanitario o psicosociale
di produrre il risultato atteso nella realtà quotidiana dei servizi.
o è studiata nel lavoro giornaliero di routine, non con soggetti selezionati, ma con tutti
quelli che giungono all’attenzione dei servizi, con le risorse di cui normalmente si
dispone con studi 290«sul campo», studi sugli esiti ecc.
o L’eventuale insuccesso può indicare un gap tra le potenzialità teoriche messe a
disposizione dal progresso scientifico e lo stato dei servizi oppure il fatto che un
intervento non va diffuso nel territorio, ma concentrato in poche strutture di alta
specializzazione.
 Efficiency = efficienza o non riguarda la valutazione dell’intervento, ma del personale cui è
affidato tale uso; o un intervento ben collaudato può essere richiesto a personale non
sufficientemente qualificato, oppure a personale istituzionalmente qualificato, ma non
aggiornato o troppo demotivato.
o L’eventuale insuccesso non va attribuito al tipo di intervento, ma alle capacità del
personale addetto.

Il ministero della Sanità inglese chiese a Peter Fonagy di rispondere a tre domande fondamentali:

 Quali sono gli interventi psicoterapeutici che si sono dimostrati vantaggiosi, e per quali
categorie di pazienti?
 In che misura è possibile far riferimento a dati empirici che dimostrino in condizioni di
ricerca controllata l’efficacia delle terapie (efficacy) e la loro efficacia clinica nei servizi
(effectiveness)?
 I dati delle ricerche disponibili possono aiutare il servizio sanitario a riorganizzarsi e
potenziare il ricorso a terapie psicologiche adeguate ai bisogni della popolazione?
Risposta: I risultati di questa rassegna sembrano indicare la vantaggiosità di un servizio psicoterapeutico
multimodale: cioè non si basa solo sulla prassi psicoterapeutica, ma contempli più possibilità e differenti approcci.
Il rapporto stilava inoltre due elenchi di trattamenti psicoterapeutici:

 quelli ritenuti «chiaramente efficaci»,


 quelli giudicati «promettenti e/o con limitate prove d’efficacia»
L’American Psychological Association mise al lavoro, nel biennio 1993-95, un proprio gruppo
di studio per la promozione e la divulgazione delle procedure psicologiche. Esaminarono le
ricerche scientifiche esistenti, discusse e concluse i propri lavori stilando un elenco nel quale i
trattamenti psicologici erano distinti in 3 categorie:

 Categoria 1: trattamenti ben consolidati, ovvero quegli interventi a favore dei quali erano
disponibili almeno due ricerche controllate randomizzate (RCT), condotte da due gruppi di
ricerca diversi e indipendenti, che attestassero la superiorità di quel trattamento rispetto a
una condizione placebo o a un trattamento efficace alternativo.
 Categoria 2: trattamenti probabilmente efficaci, ovvero quei trattamenti per i quali
esistesse al momento un solo RCT a dimostrarne la superiorità rispetto al placebo, oppure
fosse stata dimostrata almeno la superiorità rispetto a gruppi di controllo in lista d’attesa.
 Categoria 3: trattamenti sperimentali/promettenti, ovvero quei trattamenti psicologici che
potevano vantare solo evidenze di più basso livello, per esempio studi senza adeguati gruppi
di controllo o una serie di casi clinici controllati.

I principali timori vertevano sul discredito che poteva ricadere su quei professionisti che si dedicavano a forme di
psicoterapia che erano state escluse da tali elenchi e sulla possibilità che tali elenchi offrissero argomento nelle
denunce legali a psicoterapeuti accusati di negligenza professionale.

Grazie a queste esperienze pionieristiche nacque la dizione Empirically Supported Treatments


(EST), che tanto utilizzo ha avuto in seguito.

È entrato nell’uso graduare il fondamento empirico dei trattamenti psicologici:

 al livello più alto si collocano gli interventi la cui efficacia sia documentata da più
ricerche controllate randomizzate che attestino la maggior efficacia rispetto a un
semplice effettoplacebo,
 al livello più basso gli interventi la cui efficacia sia documentata solo da rapporti
aneddotici di casi singoli.
Il problema è che le terapie psicologiche più efficaci e importanti sono spesso tra le meno
diffuse, mentre sono spesso diffusi interventi psicologici e prassi psicoterapeutiche di efficacia
non provata.

La ricerca scientifica potesse aiutare la psicoterapia, sia accrescendone la credibilità, sia


allargandone l’impiego nella sfera della salute mentale.

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