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DISPENSA DI

PSICOLOGIA
GENERALE

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presa la fotocopia, anche ad uso didattico, non autorizzata per iscritto.
Questa dispensa si considera ad uso esclusivo dei corsisti SAF

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INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA PSICOLOGIA
All’interno di questo percorso didattico vengono analizzati i maggiori modelli teorici psicologici
che spiegano cosa è la mente e come si struttura. Dopo l’esplicitazione degli obiettivi didattici e una
premessa all’intero percorso, vengono articolati i contenuti teorici dei tre modelli psicologici classi-
ci, completati da una conclusione orientata all’analisi degli orientamenti attuali. In ordine, affronte-
remo i seguenti argomenti:
1) Introdotta da Sigmund Freud, la psicoanalisi propone un modello di funzionamento della mente
e dei processi psichici dell’uomo da un punto di vista dinamico, con particolare enfasi
sull’inconscio, i sogni e la sessualità infantile.
2) Il comportamentismo, introdotto da John Watson, propone un modello basato sulla considera-
zione che il comportamento esplicito è l'unica unità di analisi scientificamente studiabile della psi-
cologia.
2) Il cognitivismo, sistematizzato da Ulric Neisser, è una forma di sapere a carattere multidiscipli-
nare, che ha come oggetto lo studio dei sistemi intelligenti, tra cui naturalmente la mente umana
modelli teorici psicologici

CAPITOLO I - STORIA DELLA PSICOLOGIA SCIENTIFICA


La psicologia è una scienza antica e nuova allo stesso tempo. Fin dall’ antica Grecia filosofi e pen-
satori si sono a lungo interrogati sulla natura dell’uomo, sul suo comportamento e sul suo modo di
pensare.
Il termine “psicologia” deriva dal greco e letteralmente indica il “discorso sull’anima”, che sta ap-
punto ad mostrare il carattere meditativo-filosofico assunto da questa disciplina. È solo alla fine del
XIX secolo che si pone la necessità di considerare la psicologia come disciplina autonoma e non
solo come una semplice branca della filosofia. Nel 1879 Wundt fonda a Lipsia il primo laborato-
rio di psicologia sperimentale: questa data segna l’inizio, secondo gli storiografi, della psicologia
scientifica.
Definizione del termine psicologia: cos’è la psicologia?
Il termine psicologia deriva dal greco psyché (ψυχή) = spirito, anima e da logos (λόγος) = discorso,
studio. Letteralmente la psicologia è quindi lo studio dello spirito o dell'anima.
Attualmente è una disciplina che si propone di fornire un’interpretazione empiricamente fondata
sulle funzioni mentali (misurare le funzioni mentali)
La psicologia moderna nasce intorno alla metà dell’Ottocento quando si crearono quelle premesse
culturali e metodologiche che portarono alla creazione dei primi laboratori di Psicologia.
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La psicologia è la scienza che studia:
1. Il comportamento degli individui
2. Le loro dinamiche interne
3. I loro processi mentali ossia quelli che intercorrono tra gli stimoli sensoriali e le relative ri-
sposte
4. I rapporti tra l’individuo e l’ambiente
Ambiti applicativi della psicologia
 Sperimentale
 Lavoro
 Giuridico
 Pedagogico
 Sport
 Evolutivo
 Clinico
 Patologico

Nascita della psicologia scientifica


“Una spiegazione scientifica è una teoria ipotetica che è controllata in modo empirico e che assai
spesso porta a risultati che non sono intuitivi, spiegazioni che non sono intuibili attraverso
l’apparenza del fenomeno”. Per questa ragione le antiche discipline umane non erano considerate
realmente scientifiche poiché non producevano dimostrazioni valide e una conoscenza autentica.
Fu tra il 1850 e il 1870 che vari scienziati, tra cui fisici e medici, iniziarono ad occuparsi dello stu-
dio della psiche analizzando le funzioni mentali relative alla psicologia fisiologica quali: sensazio-
ni, le emozioni e le attività intellettive.
Lo scopo era quello di applicare allo studio della mente le metodologie già applicate alle scienze na-
turali, dando così vita ad una nuova disciplina: la psicologia scientifica.

Storia della psicologia scientifica


Nel 1873 ci fu la pubblicazione dell’opera considerata il primo vero trattato psicologicoscientifico
dal titolo “Fondamenti di psicologia fisiologica”.
Wilhelm Wundt può essere considerato il padre fondatore della psicologia, che nel 1879 diede ori-
gine a Lipsia al primo laboratorio di ricerca psicologica.
Wundt fu uno dei primi scienziati a tentare di stabilire dei criteri oggettivi per lo studio del com-
portamento umano e a pensare che la psicologia potesse diventare una scienza autonoma.
Wilhelm Wundt e i suoi collaboratori compirono ricerche e studi su: tempi di reazione; attenzione;
associazioni mentali; psicofisiologia dei sensi (in particolare la vista e l’udito).
Wundt collegò strettamente i processi psichici a quelli cerebrali, sostenendo la loro reciproca in-
fluenza.

Espansione della psicologia scientifica


Nei primi laboratori di Psicologia si cercò per la prima volta di studiare sistematicamente, secon-
do le modalità che caratterizzano l’approccio scientifico ed empirico, le funzioni mentali ed il
comportamento umano.
Il compito della psicologia era particolarmente arduo: cercare di poter misurare le funzioni umane
che traggono origine da un’entità non materiale come l’anima.
Fino ad allora il compito dello studio delle funzioni mentali era a carico della fisiologia.

Storia della psicologia scientifica

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Fra i principali autori che contribuirono alla nascita della moderna psicologia è importante ricorda-
re: Charles Darwin, che propose anche la teoria sulle emozioni.
Charles Darwin propose la teoria dell’evoluzione delle specie secondo cui la selezione naturale
agisce sulla variabilità dei caratteri.
Secondo Darwin tra la specie umana e le altre specie animali esiste una continuità evolutiva, che si
evidenzia nei comportamenti individuali e in quelli sociali per cui le specie animali e vegetali ven-
gono selezionate in base al maggiore o minore grado di adattamento all’ambiente.
Gustav Theodor Fechner, diede vita alla psicofisica, studiando il rapporto tra stimoli fisici e sensa-
zioni mentali. Fechner autore del libro “Elementi di psicofisica”, nel 1860, fu il primo ad utilizzare
metodologie di tipo oggettivo per misurare e per confrontare le funzioni della mente tramite i loro
correlati psicologici.
Egli forniva, inoltre, una formula per la misura della relazione tra stimolo e sensazione e dei me-
todi di misura delle attività mentali e degli atteggiamenti sociali. Fechner riuscì a dimostrare che gli
eventi mentali possono essere misurati nei termini delle loro relazioni con gli eventi fisici.
Ernst Weber elaborò con Fechner la principale legge della psicofisica, in cui si dimostra che ad un
aumento di intensità dello stimolo fisico non corrisponde un uguale aumento di intensità della corri-
spondente risposta mentale.
Incremento dello stimolo (fisico) Diverso Incremento della sensazione (psichico)
La legge di Weber-Fechner sottolinea che: se l’intensità fisica di uno stimolo aumenta gradual-
mente, la nostra sensazione non aumenta allo stesso modo, ma aumenta prima rapidamente e poi
più lentamente.

Hermann Ebbinghaus allievo di Wundt fu tra i primi ad applicare il metodo sperimentale allo stu-
dio della memoria.
Nel 1885 pubblicò il libro "Sulla memoria".
Nel 1890 fondò la "Rivista di psicologia e fisiologia degli organi di senso".
Nel 1885 postula, sulla base di numerose ricerche sperimentali, la legge di Ebbinghaus secondo la
quale: tra l'ampiezza del materiale da memorizzare e il tempo di apprendimento vi è un rappor-
to costante.
L'approccio di Ebbinghaus alla memoria viene definito associazionismo.
Negli Stati Uniti fu William James a fondare alla fine Ottocento il primo laboratorio di psicolo-
gia ad Harvard.
Nel 1890 pubblicò il libro «Principi di psicologia» in cui sostenne che il comportamento andava
considerato come una forma di adattamento all’ambiente.
I comportamenti e i processi mentali variano perché la mente del soggetto deve adattarsi a condi-
zioni di vita sempre diverse; quindi i processi psicologici devono essere studiati nel tempo (prospet-
tiva evolutiva).
James fu il fondatore del Pragmatismo per cui ciò che conta è il risultato pratico.

Principali correnti teoriche della psicologia


Per quello che concerne la psicologia in quanto disciplina scientifica non esiste un approccio unita-
rio o universalmente accettato .
Nel XX secolo si è andati incontro ad un fiorire di prospettive e visioni della psicologia assai di-
versificate fra loro, sia sul piano metodologico sia sul piano speculativo:
 Funzionalismo e Introspezionismo
 Psicologia della Gestalt
 Psicologia Dinamica
 Comportamentismo
 Cognitivismo
 Epistemologia Genetica

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 Psicologia Comparata-Evoluzionismo
 Neuroscienze

Strutturalismo e introspezionismo
Le teorie di Wundt costituirono la matrice concettuale da cui nacque lo strutturalismo.
Anche se il padre dello strutturalismo può essere considerato l’allievo di Wundt, l’americano Ed-
ward Titchener (1867-1927).
Wundt sosteneva che i contenuti psichici sono realtà complesse che possono essere scomposti nelle
unità più semplici che li costituiscono. Tale convinzione prende il nome di elementarismo.
La posizione strutturalista di Wundt si interessava della interrelazione delle varie parti del siste-
ma nervoso e di come esse operano congiuntamente nella sensazione e nella esperienza conscia
(Canestari e Godino, 2007).
I processi di eccitazione dalla stimolazione degli organi di senso attraverso i neuroni sensoriali arri-
vano fino alle più basse e più alte aree cerebrali per poi ritornare ai muscoli.
In parallelo con tali processi si manifestano gli stati soggettivi di coscienza analizzati con la tecnica
dell’introspezione.
I soggetti venivano precedentemente addestrati all’introspezione, poi gli veniva effettuata la stimo-
lazione con la presentazione di uno stimolo controllabile e misurabile e, successivamente invitati a
fare dei resoconti dettagliati delle sensazioni provate (metodo introspettivo).
L’introspezione sistematizzata si fondava sull’autoosservazione e sulla descrizione minuziosa e
sistematica del vissuto del soggetto.
In tal modo si volevano studiare i meccanismi della mente umana divisa nei suoi elementi costituti-
vi.
Un presupposto di tale metodo era che: esso costituisse l’unico modo di esplorare direttamente il
funzionamento mentale dell’uomo, e la sua sistematizzazione e l’addestramento accurato lo rendes-
sero uno strumento attendibile ed intersoggettivamente valido.
Lo psicologo americano era convinto che la mente è il risultato della somma di molteplici elemen-
ti coscienti semplici.
Da questa concezione di struttura mentale deriva il termine “strutturalismo”.
Con la morte di Tichener morì anche lo strutturalismo.
Il metodo si presta sia a distorsioni intenzionali che a distorsioni involontarie, per cui i dati relati-
vi all’esperienza e al vissuto del soggetto sono ottenibili solo attraverso una tecnica di tipo intro-
spettivo (difficilmente replicabili).

Conclusioni
La psicologia ha come oggetto di studio le funzioni mentali.
La psicologia scientifica moderna nasce a Lipsia (Germania) nel 1879 con la fondazione da parte di
Wilhelm Wundt del primo laboratorio di psicologia sperimentale.
La scuola di Wundt si basava sul metodo della introspezione abbandonato agli inizi del Novecento.
Nonostante la sua decadenza, lo strutturalismo ebbe un ruolo storico fondamentale per i presuppo-
sti della psicologia scientifica in quanto sistematizzò una metodologia scientifica, inoltre ha avuto il
merito di aver rivendicato l'originalità dei fenomeni psichici rispetto a quelli organici nonostante
non sia riuscita a cogliere la complessità e l'unità della vita psichica.

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1.1 LA NASCITA DELLA PSICOLOGIA SCIENTIFICA

Wihlelm Wundt applica il metodo delle scienze naturali all’indagine sulla psiche. Oggetto d’ in-
dagine: “l’esperienza umana immediata”, ciò che può essere immediatamente recepito dalla co-
scienza del soggetto e pertanto quantificabile e sperimentale. Metodo: introspezione, fondato su
regole precise e sistematiche. Attraverso tale metodo era possibile indagare sulla struttura della
mente, individuandone le componenti e le leggi di interazione. Principi teorici: Associazionismo
per il quale ogni processo psichico andava scomposto in elementi psichici semplici ed associati tra
loro. Risultati: resoconti introspettivi sulla durata, la chiarezza, l’intensità degli stimoli fisici, oltre
a misurazioni dei tempi di reazione agli stimoli stessi.
La nuova scienza, la psicologia, si fonda quindi sulla possibilità di sottoporre la soggettività ad ana-
lisi empirica e di indagarla attraverso il metodo sperimentale. Gli sviluppi successivi, specialmente
quelli nordamericani, tenderanno ad accentuare l’assimilazione della psicologia alle scienze della
natura, trasformando l’oggetto d’indagine in qualcosa di più adatto alla metodologia scientifica.

Strutturalismo e funzionalismo
Ad opera di Cattel, allievo di Wundt, e di Galton nascono i primi test mentali con l’intento di mi-
surare le differenze tra gli individui; l’interesse si sposta dall’esperienza sensoriale alla variabilità
delle prestazioni e delle capacità soggettive.
Allievo di Wundt, Edward Tichener, fonda in America la scuola strutturalista.
Principi teorici: psicofisiologia sperimentale; metodo sperimentale, elementismo associazionistico
e misurazione psicologica.
Oggetto d’indagine: l’ esperienza, considerata come dipendente dal soggetto. Le categorie che si
riferiscono all’esperienza umana immediata sono:
– la mente, somma di tutti i processi mentali nella vita di un individuo;
– la coscienza, somma di tutti i processi mentali che hanno luogo in un determinato momento pre-
sente nella vita dell’individuo.
Scopo dell’indagine: descrivere i contenuti elementari della coscienza ed evidenziare le leggi che
ci sono dietro.
Metodo: introspezione; il soggetto impara a descrivere il processo determinato in lui dall’oggetto-
stimolo e non l’oggetto in quanto tale.
Il funzionalismo appare come una tipica espressione della nuova cultura nordamericana e il suo
principale ispiratore è James.
Principi teorici: teorie evoluzionistiche di Darwin e tradizione europea di Wundt.
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Oggetto d’indagine: i processi mentali, ridefiniti in termini di “funzioni” come la sensazione e
l’emozione; processi mentali nuovi, come la percezione, la motivazione, l’apprendimento e il pen-
siero.
Metodo: studio del comportamento umano nell’interazione con l’ambiente naturale, sperimentazio-
ne di laboratorio praticata in modo meno sistematico. Il funzionalismo è stato il primo orientamento
psicologico importato dall’America in Europa e ha influenzato notevolmente anche la psicologia
italiana.

1.2 LA PSICOLOGIA DELLA GESTALT


Psicologia della forma o Gestalt = dal tedesco forma o configurazione.
Secondo Wolfgang Köhler (1929) la parola “Gestalt” designa una entità concreta e individuale che
esiste come qualcosa di staccato e che ha come uno dei suoi attributi la forma o la configurazione.
Una Gestalt è un prodotto della organizzazione e l’organizzazione è il processo che produce la Ge-
stalt.
Nel processo di organizzazione secondo Max Wertheimer “ciò che concerne una parte della totalità
è determinato da leggi intrinseche, inerenti la totalità”.
Punto focale degli studi della corrente della gestalt è la globalità di un’esperienza.
Questi studi puntano alla comprensione delle leggi dell’organizzazione della struttura nel suo in-
sieme a partire dall’esame del fenomeno.
La psicologia della Gestalt non studia singolarmente il comportamento o la mente divisa in tante
funzioni, ma cerca di coglierne i principi dell’organizzazione.
La globalità dei processi psichici (percezioni, memoria, pensieri...) si avrebbe in virtù di leggi inte-
riori presenti in tali processi e non sotto l'influenza di cause esterne.
Esempio: la canzone che non viene vista solo come un insieme di note ma timbro, espressività, ar-
monia, significatività e risonanza soggettiva.
La scuola della Gestalt tende a sottolineare non solo l'organizzazione sintetica, dinamica e globale
del campo percettivo, ma anche il fatto che tale campo viene determinato da tensioni interne pro-
dotte da bisogni che determinano delle reazioni.
• Esempio del mare per pescatore e pittore.
Le ricerche sugli effetti ottici, hanno evidenziato come le sensazioni o percezioni complesse sono
qualcosa di più della semplice somma di unità più semplici.

Max Wertheimer e il "fenomeno phi"


Il "fenomeno phi" consiste nella rapida successione di accensione e spegnimento di "molti punti
luminosi statici" che produce un complessivo effetto di "un unico punto luminoso in movimento”.
L'organizzazione del risultato percettivo segue delle leggi peculiari ed è indipendente dalla cono-
scienza dello stimolo che ha generato la percezione.
Secondo Max Wertheimer il movimento apparente è determinato dall’organizzazione degli ele-
menti costitutivi, in tal modo si vuole dimostrare che nel processo percettivo l’organizzazione pre-
cede gli elementi in quanto è legata a fattori innati.

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I due cilindri hanno la stessa grandezza, ma il cilindro A viene percepito più grande del cilindro B,
soprattutto a causa del contesto prospettico ove sono inseriti.
Secondo i principi di unificazione formale elaborati da Wertheimer le parti di un campo percetti-
vo tendono a costituire delle Gestalt, che saranno tanto più coerenti, solide e unite, quanto più gli
elementi avranno le seguenti caratteristiche:
 vicinanza;
 somiglianza;
 tendenza a forme chiuse;
 disposizione lungo la stessa linea;
 movimento concorde;
 destino comune;
 pregnanza (con questo termine i gestaltisti intendevano una serie di caratteristiche che ren-
dono una forma particolarmente armonica, simmetrica, semplice).
Legge della pregnanza o della buona forma, dove per buona forma si intende una serie di caratte-
ristiche che rendono la forma particolarmente armonica, simmetrica e semplice.
La legge della pregnanza afferma che gli elementi del campo percettivo tendono a costituire Ge-
stalt quanto più pregnanti possibile.
La legge dell’esperienza passata sostiene che il nostro sistema nervoso è predisposto per la perce-
zione delle buone forme da cui deriva il principio dell’isomorfismo, secondo cui se il nostro mon-
do fenomenico possiede una forma, una struttura e una dinamica dobbiamo trovare a livello del Si-
stema Nervoso Centrale una forma, una struttura e una dinamica che la rispecchino.

Le tre linee sono interpretate, grazie all’esperienza passata, come le ombreggiature di una E illumi-
nata dall’alto in basso e da sinistra a destra.
Una volta “vista” la figura, non sarà più possibile non vederla.
A Wolfgang Köhler (1920) si deve la definizione di Gestalt che per molti anni è stata considerata
di fatto la definizione “ufficiale”:
– «Con Gestalten si intendono quelle situazioni e processi psichici le cui specifiche caratteristiche e
impressioni non possono essere derivate dalle caratteristiche e impressioni delle parti che somman-
dosi le compongono» (Köhler, 1920).
Christian Von Ehrenfels
• La qualità propria del tutto è data dalle relazioni che intercorrono tra i singoli elementi e dalla
loro struttura e non dalla semplice addizione dei singoli elementi.
1. Il tutto è più della somma delle parti
2. Il tutto ha proprietà che non esistono nelle parti
3. Le stesse parti diversamente collegate producono un "tutto" differente
4. Parti differenti possono produrre lo stesso "tutto"
Gestalt è la psicologia della forma: corrente di pensiero psicologico sorta in Germania all’inizio
del secolo (1912-1935) in contrapposizione alla psicologia di Wundt. L’atto di nascita della Gestalt
viene fatto coincidere con la pubblicazione del lavoro sul movimento stroboscopico di Werthei-
mer. Tra i precursori della Gestalt vengono citati Kant, Brentano e Von Ehrenfels .
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Principi teorici: la Gestalt assume che il tutto è più della somma delle parti e che una stessa parte
inserita in due totalità diverse può assumere caratteristiche diverse. Quindi il modo di rapportarsi
all’esperienza non parte dai singoli elementi ma da entità globali aventi una intrinseca organizza-
zione.
Nell’ Istituto di Psicologia di Berlino Max Wertheimer,Wolfang Kohler e Kurt Kofka, conducono
una serie di esperimenti, soprattutto percettivi, che dimostrano i limiti dell’associazionismo wund-
tiano, fino a sviluppare la nozione di forma, come totalità significativa.
Metodo: fenomenologico.
Oggetto d’indagine: esperienza diretta, ciò che deve essere preso in considerazione sono i fatti
così come ci vengono forniti dai nostri organi di senso e la descrizione del significato intenzionale
delle forme di esperienza vissuta.
Per spiegare un ordine di tipo dinamico viene elaborata, da Köhler e da Wertheimer, una teoria
che usa strumenti concettuali quali forze, campo, equilibrio.
La teoria del campo viene descritta con strumenti propri della fisica dei campi. Vengono definiti
dei “principi di unificazione formale” che sono le “regole” che descrivono il comportamento delle
parti sul campo:
– la “vicinanza” (si vedono due gruppi da 3 e mai uno da 5 ed uno da 1);
– la “somiglianza” (due dischi e due quadratini, non gruppi di un disco e un quadratino),
– la “continuità” (una riga retta ed una sinusoidale, non due angoli),
– la “chiusura” (le parti tendono a formare unità chiuse).
Confronto tra Köhler (Gestaltista) e Thorndike (comportamentista) in tema di apprendimento.
Thorndike - l’apprendimento avviene sulla base dell’esperienza e di un modello “trial & error”:
si perviene alla soluzione del problema in seguito a tentativi casuali che vengono corretti in seguito
all’osservazione dei risultati.
Köhler - la soluzione al problema avviene per “fenomeni “creativi”, per strategie non casuali:
vengono colti i nessi della situazione e, attraverso una ristrutturazione del campo cognitivo (in-
sight) viene risolto il problema. La soluzione per insight non nega l’esperienza passata: in assenza
di altre strategie il soggetto replica dei comportamenti noti, la discontinuità si verifica solo quando
si creano le condizioni per una strategia creativa.

Costruttivismo
Nel costruttivismo un aspetto importante riguarda il modo in cui si ricostruisce a livello fenomeni-
co/soggettivo l’unità dell’oggetto fisico (problema del costituirsi dell’oggetto).
Costanza di forma: il fenomeno del trapezio rotante per cui se una figura a forma di trapezio iso-
scele viene fatta ruotare attorno a un asse verticale parallelo alle basi ed è osservata a una distanza
di alcuni metri, la percezione che ne risulta non è di rotazione ma di oscillazione a destra e a sini-
stra come se fosse una finestra che sbatte per il vento.
Il trapezio rotante che viene percepito come una finestra che oscilla (finestra di Ames), è spiegato
con il fatto che, essendo l’esperienza passata che struttura l’apprendimento, è più facile vedere
una finestra che oscilla che un trapezio che ruota.
La finestra che oscilla si configura come una “figura buona”, una figura presente fin dalle prime
fasi della vita quindi il soggetto in base alla sua esperienza passata crede di trovarsi di fronte a una
finestra rettangolare e non trapezoidale.
Tutte le volte che facciamo ruotare una configurazione contenente un indizio di profondità (lu-
ce/ombra, convergenza di linee, sovrapposizione, gradiente di densità di punti ecc.) non percepia-
mo una rotazione ma un'oscillazione.

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1.3 IL COMPORTAMENTISMO
Il comportamentismo è un indirizzo psicologico fortemente influenzato dallo spirito pragmatista
della cultura americana degli inizi del ‘900.
Il fondatore della psicologia comportamentista è John Watson.
L’oggetto specifico della psicologia diventa il comportamento visto attraverso le sue manifesta-
zioni osservabili.
Renzo Canestrari e Antonio Godino (2007) definiscono comportamentismo: quella prospettiva di
ricerca psicologica che esclude a priori ed intenzionalmente dal campo di studio tutti gli elementi o
i fattori che non sono direttamente osservabili e quantificabili.
Non vengono esaminati i processi elaborativi mentali e non viene considerato nessun processo
intermedio tra lo stimolo e la risposta, escludendo i contenuti correlati alla soggettività.
Il comportamentismo è la psicologia del paradigma Stimolo-Risposta.
Le differenze interindividuali non sono innate, ereditarie o strutturali, dipendono
all’apprendimento e dal condizionamento (ambiente di vita).
La psicologia comportamentista è una branca oggettiva e sperimentale delle scienze naturali che si
propone lo studio dei contenuti psicologici (emozione, abitudine, apprendimento, personalità, ecc.)
attraverso la manifestazione osservabile nei termini di comportamenti:
– emotivi;
– abitudinari;
– d'apprendimento;
– costitutivi della personalità.
I processi mentali nella metafora comportamentista vengono rappresentati come una sorta di
"black box", una scatola nera di cui non è importante comprendere il funzionamento interno, e di
cui ci dovrebbero interessare solo gli Input intesi come Stimoli e gli Output intesi come Risposte,
non riconoscendo, in tal modo importanza ai metodi basati sull'introspezione.
L’influenza della teoria dell’evoluzione di Darwin sul comportamentismo fu fondamentale.
Dal momento in cui è stato chiarito che tra l’uomo e le altre specie animali non vi era una differenza
dicotomica per la presenza o meno di un’anima era possibile riprodurre la ricerca psicologica anche
con animali, con una serie di importanti vantaggi.
Il principio del condizionamento sostiene che nell’organismo esistono risposte incondizionate a
determinate situazioni.
Un organismo affamato che riceve del cibo reagirà salivando, una luce improvvisa sugli occhi pro-
vocherà sicuramente una contrazione della pupilla.
In questo caso sia il cibo che il fascio di luce sono chiamati stimoli incondizionati in quanto rap-
presentano eventi che si producono nell’ambiente e che provocano incondizionatamente una
determinata risposta nell’organismo.
L’atto di nascita del comportamentismo viene fatto coincidere con la pubblicazione del saggio “La
psicologia così come la vede il comportamentista” redatto nel 1913 da Watson, il fondatore.
Oggetto di studio: il comportamento, come azione complessa manifestata dall’organismo nella
sua interezza e come combinazione di reazioni semplici.
Metodo: metodo sperimentale di laboratorio, consente di isolare e manipolare le variabili indi-
pendenti (ambientali), osservandone gli effetti su singole variabili dipendenti (comportamento).
Scopo: scoprire regolarità nelle variazioni al fine da stabilire rapporti di causalità e leggi generali.
Principi teorici: frequenza e recenza (tanto più spesso e tanto più recentemente un’associazione si
è verificata, tanto più probabilmente si verificherà); e condizionamento (nell’organismo esistono
risposte incondizionate a certe situazioni).
Per Watson i comportamenti complessi sono il risultato di una lunga storia di condizionamenti,
mentre le emozioni (paura, rabbia, amore) sono elementari, basate sugli stimoli ambientali, a parti-
re dalle quali si costruiscono le altre. Watson, inoltre, nega che l’uomo al momento della nascita è
dotato di un bagaglio psicologico personale: il neonato è senza istinto, intelligenza o doti innate, sa-
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rà l’esperienza a formarlo psicologicamente. La mente è considerata una tabula rasa e l’uomo è il
prodotto delle sue esperienze. Quindi importante è l’apprendimento, come l’uomo acquisisce i vari
comportamenti che formeranno la sua personalità.
Altro esponente significativo del comportamentismo è E.L.Thorndike. Attraverso ricerche con gli
animali conclude che il loro apprendimento si verifica gradualmente con tentativi ed errori, portan-
do a consolidare le reazioni dell’organismo che erano state premiate. Legge dell’effetto: un’azione
seguita da uno stato di soddisfazione si ripresenterà più frequentemente rispetto ad un’azione segui-
ta da una condizione di insoddisfazione. Questa legge sottolinea il carattere adattivo e utilitaristico
delle azioni umane. L’apprendimento è graduale, in quanto l’animale non afferra immediatamente
la soluzione ma, a piccoli passi, imprime le risposte giuste e cancella quelle sbagliate.
Il comportamentismo (riepilogo)
Gli psicologi osservano, direttamente o mediante strumenti, lo stimolo che giunge ai recettori senso-
riali e la risposta degli organismi a questi stimoli. Cosa c’e’ in mezzo, tra gli stimoli e le risposte,
che possa spiegare perchè un organismo si comporta in un certo modo in risposta a un certo stimo-
lo?
I comportamentisti trattano quello che c’e’ tra gli stimoli e le risposte come una “scatola nera”, dal
momento che ciò che è mentale non è osservabile e quantificabile, e concentrano la loro attenzione
sul compor tamento.
Che cosa è il comportamento? Secondo l’approccio comportamentista esso non è altro che una ri-
sposta dell’individuo allo stimolo che proviene dall’ambiente, che può essere appresa. Secondo Pa-
vlov stimolo e risposta possono essere condizionati. Possiamo parlare, quindi, di apprendimento
condizionato o pavloviano, secondo il quale la risposta a un certo stimolo dipende dal tipo di even-
to che, sulla base dell’esperienza passata, associamo alla stimolo. Secondo questa visione, ciò che
noi apprendiamo è un’associazione di stimoli. Si può apprendere la paura? Secondo gli associazio-
nisti, la paura non è altro che una risposta emozionale incondizionata scatenata da stimoli pericolo-
si, spiacevoli e dolorosi, e il condizionamento svolge un ruolo importante nelle reazioni emotive. La
reazione di paura davanti a uno stimolo ha una funzione adattiva per l’individuo.
uno studio assai noto di apprendimento delle emozion è il caso del piccolo Alber t realizzato da
Watson: L’esperimento dimostra che il rumore è uno stimolo incondizionato, in grado di provocare
per sé una risposta di paura, che pertanto viene definita incondizionata. Tale stimolo, associato con
il topolino, che rappresenta lo stimolo neutro, provoca nel bambino un condizionamento ad avere
paura del topolino. Questa reazione è definita r isposta condizionata. La paura viene poi estesa ad
altri oggetti aventi caratteristiche simili.
L’organismo umano è solo un recettore passivo di stimoli che provengono dall’ambiente o è capace
di agire attivamente sull’ambiente, mettendo in atto comportamenti che non dipendono
da specifici stimoli? Skinner ha cercato di andare oltre la semplice associazione stimolo risposta
presentata dal condizionamento classico, considerando che una risposta può essere attivata senza la
necessità di uno stimolo, ma subordinata alla possibilità di una ricompensa. Per dimostrare la sua
idea costruisce un dispositivo sperimentale: la Skinner box.
Come funziona la Skinner box?
Una cavia, per esempio un topo, viene messa in una gabbia, dotata di un dispositivo erogatore
di cibo collegato ad un bottone che ne permette l'attivazione. La cavia è lasciata "libera" di muover-
si all'interno della gabbia senza "condizionamenti sperimentali". Il topo aziona la leva casualmente
e osserva che l'effetto prodotto è la comparsa del cibo. Nel corso dell’esperimento, il topo aumenta
le pressioni della leva e finalizza sempre di più le proprie azioni verso l'erogazione di cibo. Questo
meccanismo rappresenta il funzionamento del condizionamento st rumentale o operante.
Il rinforzo è, per Skinner, la condizione specifica in grado di aumentare la probabilità che una
risposta si verifichi; può essere posit ivo, se la risposta che produce ha come conseguenza una
ricompensa, o negat ivo se la risposta che produce ha come conseguenza l’eliminazione dello stimo-
lo negativo.
Cosa è un rinforzo?
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I comportamentisti parlano di rinforzo positivo quando la presentazione di un certo stimolo, in
conseguenza ad una certa risposta operante, fa aumentare la probabilità che la stessa risposta venga
emessa in futuro. Sono rinforzi positivi, quindi, il cibo, il denaro, la lode e tutte le cose che le per-
sone si sforzano attivamente di ottenere.
Si parla, invece di rinforzo negativo quando la rimozione dallo stimolo, che consegue una certa ri-
sposta, rende quella stessa risposta più probabile. Sono rinforzi negativi le scariche elettriche, i forti
rumori, i rimproveri e tutte le cose che le persone si sforzano attivamente di evitare. Il rinforzo ne-
gativo non va confuso con la punizione, dal momento che essa è rappresentata dal processo me-
diante il quale le conseguenze di una risposta rendono la risposta stessa meno probabile nel futuro.
Anche la punizione può essere positiva o negativa. Uno strumento molto usato per studiare il com-
portamento degli animali è il labirinto. Fin dagli inizi del 1900 gli psicologi constatarono che i topi
erano in grado di imparare qual era la via giusta, anche in un labirinto di notevole complessità. Co-
me avveniva questo apprendimento? Tolman ipotizzò l’esistenza di mappe cognitive, cioè
l’organizzazione schematica mentale dell’ambiente esterno. Per dimostrare l’esistenza delle mappe
Tolman eseguì una serie di esperimenti con tre situazioni sperimentali diverse. Tre topi affamati
vennero posti in un labirinto complesso. Nella pr ima situazione il topo venne sempre ricompensato
per tutta la durata dell'esperimento con del cibo posto alla fine del labirinto. Nella seconda situazio-
ne il topo non venne mai ricompensato. Infine, nella terza situazione, il topo venne ricompensato
solo a partire dall'undicesimo giorno di prove.

1.4 LA PSICOANALISI DI FREUD


Psicologia dinamica
La psicologia dinamica è una disciplina che comprende diversi modelli teorici della mente che
hanno come riferimento concettuale originario la teoria psicoanalitica di Sigmund Freud, fondatore
della psicoanalisi.
Il termine "psicoanalisi" compare per la prima volta nel 1896 in uno scritto di Sigmund Freud "L'e-
reditarietà e l'etiologia delle nevrosi".
In "Introduzione alla psicoanalisi" lo stesso Freud, nel delineare gli obiettivi teorici, sottolinea
che: “noi non vogliamo semplicemente descrivere e classificare i fenomeni, ma concepirli come in-
dizi di un gioco di forze che si svolge nella psiche, come l’espressione di tendenze orientate verso
un fine, che operano insieme o l’una contro l’altra. Ciò che ci sforziamo di raggiungere è una con-
cezione dinamica dei fenomeni psichici. Nella nostra concezione i fenomeni percepiti vanno posti
in secondo piano rispetto alle tendenze, che pure sono soltanto ipotetiche” (Freud 1915-17, pp.
247-247).
La concezione dinamica della vita psichica implica che: i fenomeni psichici sono la risultante di
forze interne di cui la persona non è consapevole; le forze in gioco sono orientate ognuna verso
una propria meta che possono essere anche in contrapposizione (conflitti); la vita mentale
dell’individuo è inconscia.
L’assunto fondamentale comune alla psicoanalisi e alla psicologia dinamica, a differenza del
comportamentismo e del cognitivismo, è: Comportamenti, emozioni, convinzioni, tutto ciò che è
manifesto è la risultante di spinte motivazionali profonde e inconsce.
Psicoanalisi = Psicologia del profondo

Nascita della psicoanalisi


Partendo dallo studio delle nevrosi, il modello psicoanalitico unì progressivamente i fenomeni psi-
copatologici con quelli normali, estendendo il proprio interesse a diversi campi del sapere umano.
Freud basò i suoi lavori sugli studi dell’isteria, osservando che nelle donne isteriche alla base di de-
terminate alterazioni funzionali non era riscontrabile un'alterazione organica, questo favorì l’ipotesi
di un'origine psichica e non somatica dell'isteria.
Fu una rivoluzione in quando veniva abbandonata la posizione fisiologica a favore di un punto di
vista prettamente psichico.
12
La teoria psicoanalitica e la concezione stessa dell’inconscio proposta da Freud si fonda su tre con-
cetti:
1. Pulsione
2. Energia
3. Spazio

Concetti chiave della teoria freudiana


• Pulsione: processo dinamico consistente in una spinta (carica energetica, fattore di motricità) che
fa tendere l’organismo verso una meta. Secondo Freud, una pulsione ha la sua fonte in una ecci-
tazione somatica (stato di tensione); la sua meta è di sopprimere lo stato di tensione che regna
nella fonte pulsionale; la pulsione può raggiungere la sua meta nell’oggetto o grazie ad esso (La-
planche, Pontalis 1967).
• Energia: sostrato energetico postulato come fattore quantitativo delle operazioni dell’apparato
psichico. Si parla di energia libera o energia legata in riferimento ai diversi processi che regola-
mentano la dimensione inconscia da quella conscia. Dal punto di vista genetico, lo stato libero
dell’energia precede quello legato tipico dei processi secondari (Laplanche, Pontalis 1967).
• Spazio: se il concetto di energia sostanzia i punti di vista dinamico ed economico della psicoanali-
si (Rapaport, 1960), il concetto di spazio è lo sfondo per i punti di vista topografico e strutturale e
per la nozione di oggetto (Matte Blanco, 1954).
La prima topica si fonda sull’ipotesi che l’apparato psichico possa essere scomposto in sistemi
funzionalmente differenziati: naturalmente l’ipotesi ha senso solo «attraverso una realizzazione
spaziale che si serve di immagini per istituire luoghi, “località” psichiche, regioni distinte per
funzioni dove siano possibili […] scambi e rapporti dinamici» (Petrella, 1988).
Sistema conscio
Sistema preconscio
Sistema inconscio
«[…] Se [gli istinti] si sono spinti fino alla soglia e sono stati rimandati indietro dal guardiano, ciò
significa che sono inammissibili alla coscienza. In tal caso li chiamiamo rimossi.
Ma anche gli impulsi che il guardiano ha ammesso oltre la soglia non sono per questo diventati
necessariamente coscienti; lo possono diventare solo se riescono ad attirare su di sé lo sguardo
della coscienza.
A buon diritto chiamiamo perciò questo vano il sistema pre-conscio».
Nel «L’Io e l’Es» (1922) Freud propone una rivisitazione del modello ipotizzando la presenza di tre
«istanze» che sostituiscono le tre «stanze» della prima topica.
I processi del sistema Inconscio sono atemporali, cioè non sono ordinati temporalmente, non sono
alterati dal trascorrere del tempo, non hanno, insomma, alcun rapporto col tempo.
L’inconscio non è direttamente osservabile ma a conferma della sua esistenza abbiamo la presen-
za o assenza di particolari fenomeni quali: atti mancati, sogni, passaggi all’atto, sintomi, che sono
interpretati come rappresentazione di tale istanza psichica.
«La psicologia psicoanalitica non cerca puramente di descrivere i fenomeni psichici, ma di spiegar-
li come il risultato della interazione e controreazione di forze, vale a dire in modo dinamico».
La crescita del movimento analitico ha abbraccio tutto il XX secolo con Melanie Klein, Carl Gustav
Jung, Anna Freud, Alfred Adler e Wilfred Bion.

Cognitivismo
Tra il 1950 ed il 1975 si attua la rivoluzione cognitivista.
Fine del 1970: nascita della scienza cognitiva.
Il cognitivismo non è una scuola in quanto non vi è mai stato un "manifesto" cognitivista, ma è un
particolare tipo di approccio allo studio della psiche.
Il termine cognitivismo sarà utilizzato solo dopo l'uscita nel 1967 di "Psicologia cognitivista" di Ul-
ric Neisser.
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Il cognitivismo nasce dal comportamentismo e per reazione ad esso, ma ne conserva molti aspetti.
• I campi in cui il cognitivismo ha dato finora i maggiori risultati sono lo studio della memoria,
l'analisi del pensiero verbale e della comprensione di frasi (psicolinguistica di Noam Chomsky).
Neisser nel 1967 scriveva che "tutto quel che sappiamo della realtà è stato mediato non solo dagli
organi di senso, ma da sistemi complessi che interpretano continuamente l’informazione fornita
dai sensi".
Processi mentali
Elaborazione interna costituita dagli eventi che hanno luogo entro l’organismo tra lo stimolo
d’ingresso ("in-put") e la risposta d’uscita ("out-put")
Questi eventi interni non sono direttamente osservabili.
I cognitivisti, infatti, studiano la mente umana attraverso le inferenze tratte dai comportamenti
osservabili (differenza con il metodo introspettivo di Wundt).
Secondo questo modello la mente umana funziona come un elaboratore attivo delle informazioni
che le giungono tramite gli organi sensoriali, in analogia con i meccanismi di tipo cibernetico: più
esattamente sono i processi cognitivi che vengono presi in esame ed analizzati in quanto funzioni
organizzative.
Molte ricerche cognitiviste seguono un modello di tipo cibernetico: ridurre il funzionamento della
mente umana seguendo l’architettura dei calcolatori elettronici.
La teoria sulle fasi del funzionamento mentale si basa sulla costruzione di un programma logico
di simulazione di un calcolatore elettronico.
Il cognitivismo non si limita a studiare le semplici connessioni dirette tra stimoli e risposte (com-
portamentismo) ma lo fa in modo più elaborato:
S - elaborazione mentale - R
Questo modello è stato definito H.I.P. = Human Information Processing.
L’opera di Donald Hebb costituisce la rottura definitiva con i neo comportamentisti.
L’interesse si orienta verso i processi che si svolgono all’interno dell’individuo.
Hebb studia le "variabili intervenienti" ossia quei processi interposti tra stimolo e risposta, che
si verificano all'interno dell'individuo e che sono non direttamente osservabili.
Hebb si distaccava dal comportamentismo perché sosteneva che le strutture interne sono collegate
al Sistema Nervoso Centrale.
«Piani e struttura del comportamento» di Miller George A., Galanter Eugene e Pribram Karl H.
(1960)
Il comportamento non è più considerato come un riflesso, ogni volta che vogliamo compiere
un’azione formuliamo e pianifichiamo la sequenza dei comportamenti da eseguire (esempio:
prendere una penna dal tavolo).
TOTE = Test-Operate-Test-Exit

Relazione tra cognitivismo e comportamentismo


Critiche al cognitivismo
Troppa fiducia all’intelligenza artificiale.
Difficoltà a confrontare modelli dell’interno guardando solo all’esterno.
Il funzionalismo cognitivo non si concentra sui meccanismi che realizzano le funzioni cerebrali.
Il Comportamentismo studia associazioni Stimolo- Risposta:
–S R- la mente = scatola nera
Il Cognitivismo indaga i processi mentali che mediano:
–S Mente R- la mente come elaboratore delle informazioni (Neisser, 1967)

Scienza cognitiva
Anni’70: crisi del cognitivismo nascita della scienza cognitiva.
La metafora mente = computer è inadeguata perché il computer è un “falso analogo del cervello”.
(Edelman, 1992)
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Ogni unità non è simbolo unico ma pattern d’attivazione.
Il significato è visto come una proprietà emergente dall’organizzazione.
Mente =Computer
diventa
Mente =Cervello Informazione

L’opera di Sigmund Freud, padre della psicoanalisi, costituisce una frattura epistemologica nel
pensiero psichiatrico, fino ad allora improntato a premesse organicistiche. Ciò che costituisce una
novità assoluta è la proposta, per noi oggi scontata, di una interpretazione psicologica dei processi
mentali. Freud si iscrive alla facoltà di medicina di Vienna nel 1873. Tra i tanti corsi che frequen-
ta, c’è quello di Brucke, che a Vienna rappresenta la Scuola di Berlino. Dopo la laurea però Freud si
convince che la pura fisiologia non può spiegare certi fenomeni psicologici; conosce il pensiero del
filosofo Herbart, nella cui psicologia ha un ruolo importante il concetto di inconscio. Freud inizia a
dubitare dei modelli razionalistici quando studia certi processi psicopatologici, in particolare
l’isteria, e nota che ai vari disturbi a livello organico non corrispondono alterazioni di tessuti e di
organi. Nel 1885 Freud frequenta le lezioni di Charcot ed ha modo di conoscere la tecnica
dell’ipnosi. Attraverso l’ipnosi egli faceva scomparire i sintomi isterici, che però si riproponeva alla
fine dell’ipnosi. Freud insieme a Breuer, un medico, adotta una variante al metodo ipnotico: dopo
aver messo in stato ipnotico il soggetto, lo invita a ricordare esperienze dolorose che egli ipotizza
essere la vera causa dei sintomi nevrotici. Attraverso questo metodo detto “catartico” ( liberatorio)
il paziente rivive queste esperienze con un’enorme partecipazione emotiva.
Freud si allontana ben presto dall’ipnosi, poiché essa non permette al paziente di controllare co-
scientemente le proprie rappresentazioni traumatiche e lo riporta alla “autodifesa” della rimozione.
Egli accerta che nell’infanzia si originano pensieri e desideri legati alla sessualità, e da ciò deriva
l’incompatibilità di determinati pensieri con la vita cosciente. Lo studio delle nevrosi aveva portato
Freud a ritenere che esiste un mondo psichico sconosciuto alla dimensione cosciente: esso si mani-
festa sia nei sintomi delle nevrosi, sia nella condotta psichica normale attraverso l’analisi dei sogni,
dei lapsus e del motto di spirito.
Nel 1923 Freud chiarisce il senso del suo progetto:
“Psicoanalisi è il nome: 1) di un procedimento per l’indagine dei processi psichici di cui altrimenti
sarebbe pressoché impossibile accedere; 2) di un metodo terapeutico (basato su tale indagine) per il
trattamento dei disturbi nevrotici; 3) di una serie di conoscenze psicologiche acquisite per questa
via che gradualmente si assommano e convergono in una nuova disciplina scientifica” (da S.Freud,
Dizionario di Sessuologia, 1923; pag 439)
L’indagine del profondo si avvale di un nuovo metodo: il metodo clinico. Il nucleo della cono-
scenza diventa l’interpretazione: una lettura esperta delle manifestazioni esterne dell’altro che
sappia decifrare ciò che è nascosto. Molto importante è notare che il terapeuta, nel metodo psicoa-
nalitico, non è parte attiva dell’operazione: è il soggetto che agisce, si “cura”, riappropriandosi delle
parti dimenticate e rimosse. È questo il metodo delle libere associazioni. Il paziente, inoltre, trasfe-
risce sull’analista tutti quegli stati emotivi che ha vissuto nella prima infanzia e che sono ancora at-
tivi nella vita adulta, condizionandola nelle relazioni che intrattiene con gli altri quotidianamente: il
transfert, il riattivarsi di situazioni affettive, emotive, cariche di significati e di valori per il sogget-
to, che si esprimono grazie alla relazione analitica.
Freud analizza, inoltre, il compromesso tra tendenze perturbanti e le forze dell’Io, che vorrebbero
negarle, nel sogno e negli atti mancati. Nel sogno la censura che permette di realizzare
“l’appagamento di un desiderio”; il lavoro onirico trasforma questo desiderio in maniera alluci-
natoria; infine il materiale onirico subisce un’elaborazione secondaria per rendere il sogno più
coerente e comprensibile. Questa elaborazione aumenta mano a mano che si avvicina il risveglio
per poi agire fortemente nel momento del racconto dello stesso. Gli atti mancati, come la dimenti-
canza di parole o nomi, i lapsus di scrittura e lettura, la perdita e lo smarrimento di oggetti, sono

15
azioni, movimenti che apparentemente si eseguono senza intenzione, ma sono invece intenzioni
rimosse dalla persona e quindi vengono intesi allo stesso modo di sintomi nevrotici.
La psicoanalisi (riepilogo)
Chi è veramente l'uomo? Chi sei tu? Corpo o anche anima? Sigmund Freud ha tentato di rispondere
con un approccio nuovo: “Cosa sai tu?”.
Prima della rivoluzione psicoanalitica la “psiche” era identificata con la coscienza. Freud afferma
che la nostra mente è in costante attività, eppure solo una piccola parte di questa attività mentale è
conscia, cioè sotto il controllo consapevole del soggetto. Freud suppone che ci sia un mondo dietro
lo specchio: da una parte il mondo che ci è accessibile, il mondo fenomenologico della coscienza;
dall'altra parte dello specchio una specie di doppio, in cui esistono altre idee, altri pensieri, altre
immagini, altri ricordi. L’inconscio viene eletto da Freud a punto di vista privilegiato da cui osser-
vare l’uomo.
Freud paragona il sistema dell'inconscio ad una grande anticamera, in cui tutti gli impulsi psichici
giostrano come singole entità. Attigua a questa anticamera ce n’è una seconda, più stretta, una spe-
cie di salotto, in cui risiede la Coscienza. Ma, sulla soglia tra le due stanze, esercita le proprie man-
sioni un guardiano, che esamina e censura i singoli impulsi psichici e, se
non gli sono graditi, non li ammette nel salotto.
La rimozione é un'operazione con cui si cerca di respingere le rappresentazioni ritenute pericolose
dall’io, mantenendole nell'inconscio: è possibile che alcune di queste rappresentazioni, trasformate,
raggiungano la coscienza. Ciò avviene attraverso la tecnica analitica che utilizza il metodo delle li-
bere associazioni.
Immaginate di stendervi su un divano, il vostro corpo si rilassa, e senza sforzarvi abbandonatevi al
corso dei vostri pensieri. Se vi chiedessi di nominare il primo pensiero che vi viene in mente, pian
piano tutti i vostri i pensieri si concentrerebbero in un unico campo. L’analista cerca di collegare i
vostri pensieri con il materiale rimosso. Il campo gravitazionale di questi pensieri rappresenta il ma-
teriale rimosso che, attraverso il metodo delle libere associazioni, viene riportato alla coscienza.
Secondo Freud, nella vita psichica di ogni individuo esiste un residuo attivo della vita passata e in
particolare di quella infantile. E’ possibile che il passato si possa ripetere nel presente; e quindi, è
possibile che ciò accada anche nella situazione analitica.
Nella situazione analitica il paziente, inconsciamente, vive il suo analista come una persona che è
stata significativa nel proprio passato. In base a ciò, si sviluppa una serie di sentimenti nei suoi con-
fronti, che ricordano quelli provati per le figure genitoriali nella vita infantile.
È questo il meccanismo che Freud definisce Transfert. Quando il transfert è positivo diviene un
elemento molto utile, mentre quando è negativo potrebbe compromettere la relazione analitica.
Il metodo più impiegato da Freud, al quale viene anche associato il metodo delle libere associazioni,
è l’interpretazione dei sogni.
I sogni, secondo Freud, sono l’appagamento di un desiderio inconscio rimosso. La mente umana,
però, non permette che nel sogno affiori semplicemente ciò che tende a tener nascosto durante la
veglia. Per questo, afferma Freud, ciò che vediamo nei sogni non è, semplicemente, ciò che è stato
rimosso, ma costituisce contenuti rimossi presentati in forma rielaborata attraverso:
- un meccanismo di condensazione, che prevede che in unico oggetto siano cristallizzati molteplici
contenuti;
- e un meccanismo di spostamento, per cui il contenuto si sposta su oggetti che non c’entrano nulla.
Freud sostiene, quindi, che la psiche è una unità complessa, costituita da precisi componenti, i co-
siddetti “luoghi della psiche”, che nella seconda topica freudiana sono:
1) l’Es, sede degli stimoli umani che obbedisce al principio di piacere, è la parte inconscia della
psiche;
2) il Super Ego che è la coscienza morale, luogo della moralità e delle inibizioni, è la parte censoria
della psiche rappresentante dei genitori;
3) l’Ego, che è la parte organizzata della psiche, deve fare i conti con i due padroni che sono l’es ed
il super ego, dei quali cerca di equilibrare le pulsioni mantenendo l’armonia.
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Conclusioni
La psicologia dinamica è anche chiamata Psicologia del Profondo, fu fondata da Freud alla fine
del XIX secolo, postula l’esistenza di fattori non osservabili come l’inconscio e utilizza il metodo
clinico basato sulla interpretazione.
Freud ebbe l’intuizione di postulare una pluralità di livelli della funzione mentale ed una serie di
meccanismi che li pongono in relazione.
Il comportamentismo si limitava a sottolineare esclusivamente l’importanza di connessioni sem-
plici e dirette tra Stimoli e Risposte (S-R).
Il cognitivismo attraverso l’uso di tecniche di laboratorio e di simulazione al calcolatore trae delle
inferenze dai comportamenti osservabili secondo il paradigma Stimolo-Elaborazione mentale-
Risposta (S-OR).

1.5 L’EPISTEMOLOGIA GENETICA DI PIAGET


L’epistemologia genetica piagetiana ha per oggetto la conoscenza così come essa si sviluppa
nell’interazione organismo ambiente: il problema della relazione fra il soggetto che agisce o pen-
sa e gli oggetti della sua esperienza. Per condurre le proprie ricerche Piaget inventa il “colloquio
clinico” per scandagliare lo sviluppo dell’intelligenza dei bambini: un metodo misto, tra il collo-
quio e l’osservazione, che consiste nel ricostruire le credenze del bambino e sottoporgli domande
mirate mentre risolve un compito. L’indagine si propone di rivelare il funzionamento delle strut-
ture cognitive nei diversi stadi dell’esperienza e le trasformazioni che si attuano nel passaggio
dall’uno all’altro stadio.
Il passaggio da uno stadio di sviluppo dell’intelligenza ad un altro si basa sulla base di compiere
operazioni mentali descrivibili in termini di operazioni logiche. Lo stadio finale, adulto, è quello di
padroneggiare le operazioni che ci permettono di controllare ipotesi nelle quali sono presenti casi
che possono falsificare le ipotesi stesse. Due processi, l’assimilazione e l’accomodamento, gene-
rano un equilibrio che riorganizza le strutture mentali e determina lo sviluppo ontogenetico. La no-
zione fondamentale, di derivazione darwiniana, è quella di adattamento. L’intelligenza umana, per
Piaget, non è altro che una forma di adattamento
all’ambiente.

1.6 IL COGNITIVISMO
Il termine “cognitivo” indica tutti quei processi che comportano trasformazioni, elaborazioni, ridu-
zioni, immagazzinamenti, recuperi e altri impieghi degli input sensoriali. Il cognitivismo è
un’analisi del modello mentale che fa riferimento a un’idealizzazione del sistema nervoso a cir-
cuiti di un elaboratore. L’oggetto di indagine, definito in termini di attività e di processo è una
congettura. L’interesse dei cognitivisti è rivolto più all’individuazione di modelli in grado di spie-
gare perfettamente un singolo comportamento in ogni minimo dettaglio, e non all’enunciazione di
grandi principi generali, informatori del comportamento globale di un individuo.
Il paradigma computazionale simbolico teorizzato da Fodor definisce il sistema cognitivo come
una serie di regole per la trasformazione di simboli. Il modello HIP (Human Information Proces-
sing): la mente umana è un elaboratore di informazione, in cui gli stimoli vengono trasformati in
rappresentazioni, attraverso strutture che entrano in funzione secondo modalità specifiche e diffe-
renziate. Ogni processo può essere scomposto in unità sottoposte ad un sistema gerarchico di con-
trollo.
L’unità di analisi è identificata in quello che è chiamato il TOTE (Test-Operate-Test-Exit): ogni
volta che un individuo deve compiere un’azione, in primo luogo verifica nell’ambiente se la situa-
zione è congruente con gli obiettivi dell’azione che deve svolgere, poi passerà a verificare che
l’azione abbia dato i risultati voluti e quindi uscirà dall’unità TOTE per passare all’unità successiva.
Ogni modello sviluppato ai cognitivisti, tuttavia, è applicabile solo ad una classe circoscritta di fe-

17
nomeni e di esperimenti per cui, l’artificialità presupposta dai modelli cognitivi ha allontanato sem-
pre di più la ricerca psicologica dalle situazioni di vita quotidiana.
Il cognitivismo (riepilogo)
Mentre i teorici comportamentisti considerano quello che c’è tra lo stimolo proveniente
dall’ambiente e la risposta dell’individuo, una scatola nera, i cognitivisti si sono prefissi, nei propri
paradigmi epistemologici, di aprire tale “scatola nera” e di indagare e rappresentare i processi men-
tali, che divengono ora gli obiettivi privilegiati dell’indagine psicologica. Il cervello viene parago-
nato all’hardware di un computer , abitato dalla mente, che rappresenta il software. La versione
del cognitivismo incentrata sull'analogia mente-computer è designata come corrente Human Infor-
mation Processing (HIP). Nel paradigma HIP la mente è intesa come un'istanza che filtra, selezio-
na, riorganizza e trasforma i dati che le provengono dall'esterno attraverso operazioni prevalente-
mente di tipo computazionale. L’obiettivo più ambizioso dei cognitivisti è la spiegazione di come
dal cervello possa emergere la mente, in altri termini, di come “la struttura crei la funzione”. La
mente è un elaboratore di rappresentazioni e, per questo, il computer, che è un sistema che elabora,
trasforma e lavora con simboli e strutture simboliche, è stato usato come modello della mente uma-
na. Il cognitivismo, concependo la mente in termini di processamento e di informazione, consente
di dar conto anche di altri tipi di processi che vanno dalla motivazione alla teoria degli scopi, della
decisione e della pianificazione ed oggi è possibile studiare anche i processi emotivi.
Nel 1950, il matematico britannico Alan Turing, presentò un test, noto appunto come Test di
Turing, che serviva a valutare il comportamento di una macchina rispetto all'intelligenza umana.
In questo test, una persona, detta esaminatore, comunicava con un altro soggetto tramite una tele-
scrivente, senza sapere se il soggetto era un altro essere umano o una macchina. Se l'esaminatore
non riusciva a distinguere la macchina dall’umano, si sarebbe potuto affermare che una macchina si
comportava in modo intelligente. Il primo software che simulava il comportamento umano e che ot-
tenne un certo successo, fu Eliza, un programma scritto nel 1966 da Joseph Weizenbaum. Eliza si-
mulava uno psicoterapeuta e quindi riusciva ad imitare in modo abbastanza convincente una con-
versazione con un paziente. Il test di Turing è stato criticato per il peso eccessivo che esso finisce
per attribuire all'aspetto linguistico dell'intelligenza.

Le neuroscienze
Le neuroscienze studiano il cervello attraverso l’uso di strumenti oggettivi e indagano
l’organizzazione neurale e funzionale della mente, avvalendosi di diverse fonti di osservazioni em-
piriche, come per esempio studi con pazienti con deficit neuropsicologici (disordini cognitivi ed
emotivo-motivazionali associati a lesioni o disfunzioni cerebrali).
Scopo di tale branca è quello di creare un ponte tra le neuroscienze e la psicologia attraverso un
approccio “bottom-up”, che parte dal basso scegliendo come oggetto di studio i contenuti non pro-
posizionali della cognizione sociale ossia parte dai dati per capire la mente e la coscienza.
_ Al contrario dell’approccio top-down.
_ Importanza negli studi del PTSD e della aggressività.
I metodi utilizzati dalle neuroscienze sono:
– Clinico: registrazione del comportamento (spontaneo, durante l’esecuzione di test);
– Neuroanatomia strutturale e funzionale per la determinazione della sede e dell’estensione della
lesione o disfunzione cerebrale: Esame post-mortem; EEG; Immagini del cervello in vivo (TAC,
PET); Lesioni virtuali.
Neuroni specchio
Scoperti nel 1992 da e colleghi presso il dipartimento di neuroscienze dell'Università di Parma (stu-
di sui macachi). Il neurone specchio è un neurone specifico che si attiva sia quando si compie un'a-
zione sia quando la si osserva mentre è compiuta da altri (in particolare tra animali della stessa spe-

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cie). Si chiamano specchio perché il neurone dell'osservatore "rispecchia" il comportamento
dell'osservato, come se stesse compiendo l'azione egli stesso. Giacomo Rizzolatti, neuroscienziato
italiano (1937)
Quando osserviamo una data persona compiere una determinata azione si attivano, nel nostro cer-
vello, gli stessi neuroni che entrano in gioco quando siamo noi a compiere quella stessa azione.
Questo fatto ci permette di comprendere con facilità le azioni degli altri in quanto nel nostro cer-
vello si accendono circuiti nervosi che richiamano analoghe azioni compiute da noi in passato.
Sembrerebbe che il "sistema specchio" entri in azione soltanto quando il soggetto osserva un com-
portamento che egli stesso ha effettuato in precedenza.
Vedere non è solo un’operazione di registrazione passiva dei comportamenti, ma di simulazione
immediata a livello pre-conscio.
Individuati nei primati, in alcuni uccelli e nell'uomo (Area di Broca e nella corteccia parietale infe-
riore del cervello).
Studi recentissimi (Fogassi et al. 2005; Iacoboni et al. 2005) hanno dimostrato che i neuroni spec-
chio sono alla base delle capacità di riconoscere e comprendere le azioni degli altri e le inten-
zioni che le hanno promosse.
Le neuroscienze studiano, quindi, il cervello attraverso l’uso di strumenti oggettivi e indagano
l’organizzazione neurale e funzionale della mente, avvalendosi di diverse fonti di osservazioni em-
piriche, come per esempio studi con pazienti con deficit neuropsicologici (disordini cognitivi ed
emotivo-motivazionali associati a lesioni o disfunzioni cerebrali). Scopo di tale branca è quello di
creare un ponte tra le neuroscienze e la psicologia attraverso un approccio “bottom-up”, che parte
dal basso scegliendo come oggetto di studio i contenuti non proposizionali della
cognizione sociale ossia parte dai dati per capire la mente e la coscienza.
Al contrario dell’approccio top-down.
I metodi utilizzati dalle neuroscienze sono:
– Clinico: registrazione del comportamento (spontaneo, durante l’esecuzione di test);
– Neuroanatomia strutturale e funzionale per la determinazione della sede e dell’estensione della le-
sione o disfunzione cerebrale:
 Esame post-mortem;
 EEG;
 Immagini del cervello in vivo (TAC, PET);
 Lesioni virtuali.

Psicologia comparata
La psicologia animale o comparata studia il comportamento e i processi psichici negli animali.
Obiettivo principale: attraverso la descrizione della vita abituale degli animali approfondire i temi
della psicologia generale.
I processi psichici sono diversi da animale ad animale ma hanno elementi di base comuni.
Esistono schemi fondamentali dell’apprendimento che accomunano gli animali, ma possono
cambiare da una specie all’altra i tempi in cui tale apprendimento si verifica.
La comparazione si estende anche all’uomo animale evoluto (scimmie antropomorfe).
Metodo: studio degli animali in laboratorio, mediante osservazioni ed esperimenti, con condizio-
ni rigorose di indagine.
Etologia
Dal greco ethos e logos che significano rispettivamente «carattere» o «costume» e «ragionamento».
Disciplina che studia il comportamento animale nel suo ambiente naturale .
Metodo: Osservazione nell’ambiente naturale e registrazione dei loro comportamenti.
Etologia

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Ogni comportamento ha un significato funzionale immediato, questo può essere stato programma-
to a livello evolutivo o per uno scopo più generale, ad esempio, per assicurare la sopravvivenza sua
e di conseguenza della sua specie.
Konrad Lorenz
Studiò medicina ma la sua vera passione era la zoologia, in particolare lo studio degli uccelli, tanto
che, nel 1933, si laureò anche in questa disciplina.
Nel 1937 iniziò l’insegnamento di psicologia animale e anatomia comparata all’Università di
Vienna.
Nel 1973 venne insignito del Premio Nobel per la fisiologia e la medicina insieme agli etologi
Niko Tinbergen e Karl Von Frisch.
Nel comportamento animale non vi sono solo istinti ma anche strutture psichiche ereditarie ossia
meccanismi filogenetici programmati che determinano concatenazioni causali rinnovabili.
Secondo Lorenz nasciamo con istinti caratteristici di ogni singola specie che possono essere in-
fluenzati dall’esperienza e dall’apprendimento.
Di conseguenza, l’ambiente e l’esperienza fungono da modulatori dell’espressione degli istinti di
base della specie.
Istinto = fenomeno autonomo e spontaneo, innato, quindi geneticamente condizionato.
Opposizione con la teoria comportamentista che riduceva l’agire degli animali al semplice prodotto
della reazione a stimoli esterni.
Gli animali si servono di informazioni acquisite nel corso dell'evoluzione della specie, attraverso
i geni ma sono anche capaci di rielaborarle al fine di sopravvivere al meglio in un ambiente sogget-
to a continui mutamenti.
La nuova acquisizione tende sempre a rinforzare la struttura innata, specializzandola (orso pola-
re, leone che caccia in acqua).
Etologia umana
Dopo gli anni ‘50 studio su animali superiori (scimmie), in modo tale da capire i meccanismi psi-
cologici generali e trasferirli all’uomo.
Contributo allo studio dello sviluppo psicologico.
Lorenz nell’analizzare il comportamento degli animali ha identificato dei periodi definiti sensibili
in cui si crea una prima associazione stimolo-innesco del comportamento istintivo che resterà stabi-
le e immodificabile per tutto l’arco della vita.
A questo fenomeno egli ha dato il nome di imprinting (Lorenz, 1935) definendolo come processo
durante il quale un animale sviluppa un attaccamento sociale per un particolare individuo o og-
getto.
L’imprinting rappresenta una modalità innata d'apprendimento dell'oggetto biologico (figura
materna, partner sessuale) su cui si fissa un determinato modello di comportamento istintivo.
L’imprinting è un processo istantaneo e irreversibile e ha la funzione di evitare l’attacco dei pre-
datori, di trovare cibo e riparo, di riconoscere la propria specie (accoppiamento, migrazioni).

Il modello epistemologico-genetico
Jean Piaget: primi studi sul pensiero infantile (Ginevra 1920-1930).
Per capire il meccanismo psicologico delle operazioni logiche e del ragionamento causale tiene in
considerazione l’ambiente sociale e il linguaggio.
Metodi utilizzati inizialmente da Piaget:
– Test;
– Osservazione.
Metodo clinico
Libera conversazione con il bambino su un tema, guidato da chi fa le domande che segue le rispo-
ste: “seguendo il bambino in ogni sua risposta, facendo quindi parlare sempre più liberamente,
sebbene guidati da lui, si finisce per ottenere, in ciascun campo dell’intelligenza un procedimento
clinico di esame analogo a quello che gli psichiatri hanno adottato come mezzo di diagnosi”.
20
_ Inconveniente: difficile applicazione.
Metodo diretto
Si applica ad un materiale concreto “si creano davanti al fanciullo alcune piccole esperienze di fi-
sica e si domanda il perché di ciascun avvenimento. Si ottengono in tal modo informazioni di prima
mano sull’orientamento mentale dei bambini”.
Il linguaggio interviene per giustificare azioni concrete realmente effettuate.
Studi sistematici su alunni scuola Ginevra e sui tre figli.
Metodo critico
Conversazione libera con il bambino (vantaggi del colloquio).
Introduzione di domande e discussioni dopo o durante le manipolazioni esercitate sugli oggetti che
suscitano una determinata azione nel soggetto.
Linguaggio in funzione dell’intera azione (giustificare azioni e interpretazioni) per rivelare un
comportamento logico preciso.
Critico perché non si limita a registrare la risposta del bambino.
• Epistemologia = studio della conoscenza.
• Merito di Piaget è la ricollocazione dell’epistemologia sul terreno dell’esperienza scientifica.
• Studia anche la natura della mente umana > livello genetico.
• L’epistemologia genetica vuole risalire alle sorgenti, studiare la genesi della conoscenza nella
prospettiva in cui non c’è conoscenza predeterminata né nelle strutture del soggetto, poiché sono
il risultato di una costruzione effettiva e continua, né nei caratteri preesistenti dell’oggetto in quanto
non sono conosciuti che per la mediazione di queste strutture.
Questo modello mira a spiegare i processi cognitivi umani (percezione, intelligenza) ricostruendo
le fasi (stadi) del loro sviluppo in senso evolutivo, dall’infanzia all’età adulta.
Ogni stadio evolutivo (in tutto 5) è preceduto necessariamente da un altro stadio in cui si attuano
operazioni mentali che stanno alla base delle operazioni successive.
Lo sviluppo non lineare ha influenze:
 socioculturali (apprendimento sociale);
 conflitto socio-cognitivo (lo sviluppo del pensiero deriva dalla coordinazione delle risposte
reciproche che si realizza nel corso delle interazioni sociali);
 esperienze personali.
L'ordine degli stadi è immutato ma non i percorsi e le modalità con le quali gli stadi si organiz-
zano.
Per Piaget l’intelligenza è una delle forme dell’adattamento.
Adattamento: conservazione e sopravvivenza = equilibrio tra organismo e ambiente.
Assimilazione: incorporazione nella struttura che li trasforma di elementi dell’ambiente. Questo
processo predomina nella prima fase di sviluppo.
Accomodamento: modificazione della struttura in funzione delle modifiche dell’ambiente. Bambi-
no non si limita ad osservare l’ambiente ma tenta di dominarlo.
Adattamento = equilibrio tra assimilazione e accomodamento (organismo si trasforma in funzione
dell’ambiente).
Intelligenza = capacità cognitiva strettamente legata al concetto di "adattamento all'ambiente".
Jean Piaget ha dimostrato che: la differenza tra il pensiero del bambino e quello dell'adulto è di tipo
qualitativo in quanto il bambino non è un adulto in miniatura ma un individuo dotato di struttura
propria; il concetto di intelligenza intesa come capacità cognitiva è strettamente legato al concetto
di "adattamento all'ambiente".

Conclusioni
Secondo la psicologia comparata è possibile studiare soggetti di una determinata specie animale
per ricavare conclusioni che riguardano altre specie e che si possono estendere anche all’uomo.
L’ambiente e l’esperienza fungono da modulatori dell’espressione degli istinti di base della specie.

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Jean Piaget attraverso l’epistemologia genetica ha dimostrato che la differenza tra il pensiero del
bambino e quello dell'adulto è di tipo qualitativo in quanto il bambino non è un adulto in miniatura
ma un individuo dotato di struttura propria. Inoltre, il concetto di intelligenza intesa come capacità
cognitiva è strettamente legato al concetto di "adattamento all'ambiente".
Le neuroscienze indagano l’organizzazione neurale e funzionale della mente.
Evoluzione delle tecnologie e della psicologia comparata ha evidenziato alcune carenze del com-
portamentismo per cui gli animali sono come automi che agiscono in modo meccanico.

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CAPITOLO II - I METODI DI INDAGINE NELLE APPLICAZIONI PSICO-
LOGICHE.
Metodo scientifico
La conoscenza scientifica è caratterizzata dalla sistematicità delle informazioni e tende a fornire
spiegazioni verificabili (o, meglio, falsificabili) dei fenomeni osservati.
Il sapere scientifico è sistematico in quanto cerca di formulare leggi valide in tutte le condizioni.
«L’obiettivo specifico della scienza è l’organizzazione e la classificazione della conoscenza secon-
do chiari principi esplicativi». (Bem e de Jong, 2006)
La scienza deve sia descrivere che spiegare le relazioni causali sottostanti i fenomeni osservati.
Descrivere = delineare ciò che accadrebbe se modificassimo in modo deliberato alcuni elementi del
sistema sotto osservazione.
Spiegare = stabilire in base a quale meccanismo e in quali condizioni sussiste una data relazione
causale.
Il metodo scientifico ha diverse prospettive di ricerca:
• Osservativo: che si limita a descrivere le situazioni senza operare un controllo delle
variabili. L’osservazione consiste nella registrazione del comportamento degli indi-
vidui nella loro condizione naturale attraverso una minima interferenza dello speri-
mentatore nel comportamento dei soggetti sui quali viene condotta la ricerca.
• Correlazionale: semplice osservazione dei fatti che si presentano nel mondo.
• Sperimentale: manipolazione deliberata e sistematica delle cause (sperimentazione).
All'inizio il metodo sperimentale era utilizzabile solo in laboratorio.
La tradizione sperimentalista è riconducibile al binomio Wundt-Pavlov con l’applicazione del me-
todo sperimentale allo studio, in situazioni controllate, delle relazioni causali riguardanti alcuni
processi psicologici di base (percezione e apprendimento).
Critiche: concentrazione su aspetti eccessivamente molecolari dei processi psicologici e eccessivo
riduzionismo operato nel chiuso dei laboratori in termini di causa e effetto (Cattell, 1966).
Il comportamento è un fenomeno complesso e determinato da più concause che agiscono con-
temporaneamente.
Esigenza: tenere conto di tutte le variabili ambientali e individuali.
Prodotto: passaggio da una visione dei fenomeni psicologici sostanzialmente bivariata ad una vi-
sione multivariata (un effetto determinato da più cause).
• Esempio: il comportamento aggressivo di una persona potrebbe essere stato causato da una serie
di concause come l’impulsività, problemi socio-economici, conflittualità intra-famigliare.
Non si può parlare in questo caso di una causa determinante, bensì di una catena causale o di un
processo.
Il meccanismo causale è il processo o la catena di eventi attraverso la quale la causa determina
l’effetto o, in altre parole, il meccanismo rappresenta la teoria o la spiegazione di come una serie di
eventi può arrivare a determinare un certo fenomeno (Presaghi, 2006).

Metodo osservativo
Variabili comportamentali studiate attraverso l’osservazione:
 Eventi di cui può essere rilevata la frequenza di comparsa;
 Stati comportamentali caratteristiche durevoli nel tempo, con un inizio e una fine.
 Carta e matita: trascrizione delle annotazioni per preparare delle check-list di comporta-
menti di cui verificare la presenza.
 Diari: o Rischio: trascrizioni non fedeli e interpretazioni troppo personali. o Vantaggio: vi-
sione globale.
 Videoregistrazione

Metodi di ricerca di tipo correlazionale


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Si studia la co-variazione di due o più variabili (all'aumentare dei valori di una, aumentano i valo-
ri dell'altra).
Tipi di variabili che si possono mettere in correlazione:
– variabili "strutturali" (età, sesso, ecc.);
– punteggi delle risposte rilevate attraverso uno strumento o questionario.
È possibile calcolare un coefficiente di correlazione che ci dà informazioni sulla direzione e sulla
intensità della relazione; può avere anche una capacità predittiva.

Metodo sperimentale
Il metodo ipotetico-deduttivo o di verifica delle ipotesi è basato sul fatto che la sua validità di-
pende dai risultati della stessa verifica, al contrario del metodo induttivo che genera leggi a partire
dall’osservazione dei fatti, mediante generalizzazione del comportamento osservato prescindendo
dalla sperimentazione.
Tale metodo consiste nella ricerca di ipotesi che devono essere verificate o falsificate all'interno
di una situazione sperimentale (non naturale), producendo dei fenomeni attraverso la manipolazio-
ne di variabili.
Ogni ricerca sperimentale è costituita da tre elementi fondamentali (Cox e Reid, 2000):
1. le cause, che assumono il ruolo (attivo) di variabile indipendente, vengono manipolate diret-
tamente dallo sperimentatore e in letteratura sono spesso dette trattamenti o condizioni spe-
rimentali;
2. gli effetti, che assumono il ruolo (passivo) di variabile dipendente e in letteratura vengono
anche definite risposte;
3. le unità sperimentali cioè le persone (comunemente dette soggetti o partecipanti), oppure
gli oggetti, gli animali o altro, che vengono sottoposti alle condizioni sperimentali.
Il modo con cui vengono selezionati i soggetti condiziona la generalizzabilità dei risultati.
La selezione deve essere casuale (randomizzata).
L’indagine scientifica è caratterizzata da diverse fasi:
 osservazione del fenomeno;
 formulazione delle ipotesi;
 verifica;
 valutazione.
In ogni esperimento, qualunque sia il fenomeno studiato, viene manipolata una variabile indi-
pendente e vengono misurati gli effetti di tale manipolazione sulla variabile dipendente.
Variabile indipendente: stimolo manipolato dallo sperimentatore. È l’elemento che si ipotizza es-
sere causa di effetti su una variabile dipendente.
Scopo: attribuire una serie di valori diversi alla variabile causale e cercare di stabilire se valori dif-
ferenti della v.i. provocano effetti differenti nella v.d.
Variabile dipendente: solitamente rappresenta qualche aspetto misurabile del comportamento di un
soggetto.
Scopo: osservare se il valore della v.d. è modificato o meno al variare del valore della v.i.
Per rilevare con certezza il rapporto tra variabile indipendente e variabile dipendente è fondamenta-
le che tutte le altre variabili siano mantenute costanti per evitare l’interferenza di variabili inter-
venienti.
Gruppo sperimentale
• È sottoposto alla modificazione della condizione in esame.
• Ai soggetti di questo gruppo viene rilevato il punteggio di autovalutazione prima e dopo la som-
ministrazione del farmaco.
Gruppo di controllo
•Non subisce cambiamenti. Utilizzato anche nelle sperimentazioni mediche e farmacologiche (pla-
cebo).

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• I soggetti di questo gruppo vengono trattati nello stesso modo, ma, invece del farmaco, vengono
somministrate loro delle sostanze inattive (placebo) oppure niente.

Disegni sperimentali
Disegno tra soggetti le condizioni coincidono con i gruppi. Tramite l’appaiamento si cerca di ren-
dere omogenei i due gruppi in esame.
Disegno entro i soggetti lo stesso gruppo viene sottoposto a tutte le diverse condizioni.
Viene attuato un piano a sequenze temporali: il comportamento del soggetto in una condizione vie-
ne confrontato con il comportamento dello stesso soggetto in un’altra condizione.
• Longitudinale: i soggetti vengono seguiti nel corso del loro sviluppo. Svantaggi: tempi lunghi
(mortalità, abitudine alla ripetizione delle prove, invecchiamento degli strumenti).
• Trasversale: confronto, in un unico momento temporale, di soggetti di età diverse. Fornisce in-
formazioni in tempi brevi e si possono sostituire i soggetti che sono stati persi durante il corso della
sperimentazione. Si perdono le informazioni sui processi.

Tipologie di esperimenti
Classicamente gli esperimenti vengono raggruppati in quattro categorie (Shadish et al., 2002;
Campbell e Stanley, 1966; Cook e Campbell, 1979):
1. Veri esperimenti o esperimenti randomizzati: a cui viene applicato il metodo di assegnazione
casuale.
2. Quasi esperimenti: le variabili indipendenti sono assegnate perché non sono manipolabili. In un
quasi esperimento non si possono manipolare completamente le variabili indipendenti, ma si osser-
vano categorie di soggetti. Problema di interpretazioni alternative a quella della relazione causale
ipotizzata: non si è in grado di sapere se la differenza comportamentale è causata dalle differenze tra
i gruppi, piuttosto che dalla variabile indipendente.
3. Esperimenti naturali: non è possibile manipolare direttamente le cause o i trattamenti come av-
viene nelle situazioni sperimentali in cui si possono confrontare situazioni che presentano una certa
condizione (trattamento) con altre in cui la condizione è assente, o sono presenti altre condizioni
(Shadish et al., 2002,). Esempio: studi epidemiologici
4. Esperimenti correlazionali o non esperimenti.

Conclusioni
Il metodo sperimentale consiste nel variare la o le variabile/i indipendente/i per osservare e valu-
tare le modificazioni della/e variabile/i dipendente/i.
Nella ricerca in psicologia si decide l'ipotesi da testare, si allestisce il gruppo di controllo e quello
sperimentale, si raccolgono i dati e si valuta se accettare o rifiutare l'ipotesi.
Il metodo deduttivo aspira a dimostrare, mediante la logica pura, la conclusione nella sua totalità,
partendo da premesse. Le teorie prescindono dall’esperienza.
Il metodo induttivo crea leggi a partire dall’osservazione dei fatti, mediante generalizzazione del
comportamento osservato.
L’esperimento rappresenta la situazione e lo strumento ideale per descrivere una relazione causale
(causaeffetto) tra due o più variabili che sono state misurate in laboratorio.
Il nucleo centrale di ogni esperimento è costituito da due elementi: la manipolazione e
l’osservazione sistematica degli effetti prodotti.
Il metodo sperimentale, tipico delle scienze naturali, in cui esiste una netta distinzione tra “osser-
vatore” ed osservato”, viene adattato, nelle fasi storiche della sua fondazione, alla ricerca psicologi-
ca. Tuttavia in psicologia tale metodologia non può essere totalmente sservata, proprio a causa del-
la difficoltà dell’oggetto che essa si propone di studiare.
Kuhn (1962) utilizza il termine paradigma per denominare l’insieme degli elementi che compon-
gono l’ossatura dell’attività di ricerca. La scelta del paradigma è strettamente dipendente dal tipo
di problema che si vuole prendere in esame. Se infatti, un determinato paradigma può risultare effi-
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cace per lo studio di un fenomeno particolare, può non esserlo altrettanto se applicato ad un altro
fenomeno.
Il primo passo che lo psicologo deve fare è quello di formulare ipotesi scientifiche per l’argomento
che lo interessa. Il secondo è quello di scegliere il metodo di ricerca che più si adatti all’oggetto,
tra il metodo sperimentale, correlazionale e descrittivo. Il terzo passo da fare è la scelta del metodo
di raccolta dei dati che può essere soggettivo (autodescrizione) o oggettivo (osservazione).
L’ultimo passo riguarda invece il contesto ambientale in cui si svolge la ricerca: sul campo o in la-
boratorio. Le tre dimensioni (metodi, raccolta dati e contesto della ricerca) sono riportate nel mo-
dello presentato da Hendricks e collaboratori sulle
strategie di ricerca.

2.1 LA DIAGNOSI
Il termine diagnosi deriva dal greco «dià» (attraverso) e «gnosis» (conoscenza) e sta a significare la
conoscenza della persona attraverso la raccolta e l’elaborazione di una serie di dati riferiti alla sua
storia personale e ai suoi sintomi. Formulare una diagnosi non significa applicare "un'etichetta" ma
comprendere l'individuo nella sua globalità (Menninger, 1966).
La diagnosi, intesa come processo, è il risultato dell’integrazione di diversi fattori di ordine biologi-
co, psicologico, sociale e di una visione unitaria dell’individuo (M. Clotilde Gislon 1988).
La diagnosi è intesa come processo integrato e risultato dell'integrazione di differenti fattori:
 biologici (componente genetica);
 componente acquisita (traumi, malattie);
 psicologici;
 sociali.
Per raggiungere tale obiettivo è fondamentale conoscere anche i diversi aspetti dello sviluppo nor-
male del bambino perché consente di comprendere fino a che punto «un sintomo è quasi fisiologico
ad una data età, è inquietante ad un’altra, è nettamente patologico ad un’altra ancora». (Giovanni
Bollea 1980).
Processo diagnostico raccogliere attentamente le informazioni in modo da sapere esattamente con
che cosa ci stiamo confrontando per individuare le strategie più appropriate.

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2.2 DIAGNOSI NOSOGRAFICA-DESCRITTIVA
Suddivide gli individui per categorie e crea una classificazione dei pazienti.
Considera l’esperienza soggettiva di minore importanza rispetto ai sintomi stessi.
Nosografia: malattie vengono classificate con criteri sistematici.
Approccio descrittivo ed ateoretico con l’identificazione dei vari disturbi a livello sindromico in ba-
se alla loro specificità sintomatologica (Guaraldi e Ruggerini 1999).

Esame clinico: il colloquio


L’esame clinico può essere effettuato attraverso:
1. Intervista non strutturata: libera, aperta;
2. Intervista semi-strutturata: serie di domande poste in modo flessibile;
3. Intervista strutturata: domande in serie e formulazione fissa (ai fini della ricerca).
Il clinico "non interroga" il paziente come farebbe un poliziotto e "non intervista”, come farebbe
un giornalista né discorre con il proprio paziente come farebbe col portinaio: deve mettersi in rela-
zione affettiva e riflessiva con lui.
Deve scegliere il piano più favorevole alla comunicazione e comprensione.
Non deve essere solamente una strategia diagnostica, "ma un incontro che ha già un significato
terapeutico" (H. Ey, P. Bernard, Ch. Brisset, 1978)
Importanza del setting
L'esame sistematico del comportamento comprenderà
 l'aspetto;
 il comportamento verbale;
 il comportamento non verbale (mimica, sguardo).
Altre componenti che costituiscono il colloquio
Le capacità cognitive e il linguaggio dei bambini sono meno sviluppate rispetto ad un adulto.

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I bambini e adolescenti sono accompagnati dagli adulti, generalmente i genitori, e raramente ac-
cedono di propria volontà.
Spesso la richiesta viene formulata da persone esterne alla famiglia (insegnanti, tribunale dei mi-
nori ed altre figure professionali).
Differenza tra colloquio anamnestico e colloquio clinico
Durante il colloquio anamnestico l’attenzione del clinico è prevalentemente rivolta all’emergere
di una successione di eventi che si sono presentati nel corso della storia del soggetto; in occasione
del colloquio clinico, invece, l’interesse è prevalentemente rivolto al vissuto emozionale e al signi-
ficato dinamico che gli eventi assumono per l’individuo, lasciando spazio al discorso spontaneo.

2.3 ANAMNESI
Anamnesi dal greco anámnesis = ritorno al passato; ricordo.
Finalità: ricostruzione della storia della persona attraverso dati di ordine biologico, psicologico e
sociale.
• Età adulta via diretta con il paziente
• Età evolutiva via indiretta attraverso il racconto dei genitori sulla storia del proprio
figlio in relazione ai sintomi riportati (attuali e passati), alle prime tappe dello sviluppo psi-
cofisico, agli avvenimenti importanti della sua vita e ai sui suoi rapporti interpersonali.
L’anamnesi generale fornita dal paziente è da completare con le notizie fornite dai familiari e com-
prende dati biografici e sociali.
L'anamnesi deve riportare dati relativi alla vita del paziente dal punto di vista:
 biologico (nascita, sviluppo, malattie, incidenti, gravidanze);
 psicologico;
 sociale (famiglia, rapporti sociali, lavoro).
Riguarderà la storia personale, dall'infanzia al momento presente, con l'esplorazione dei momenti di
rilievo che caratterizzano i vari periodi.

2.4 IL METODO DI RICERCA


Il metodo sperimentale è considerato il metodo scientifico più utilizzato nelle strategie di ricerca in
psicologia; permette al ricercatore il massimo controllo sulle condizioni in cui viene effettuata la
ricerca e lo studio della relazione causa-effetto fra gli eventi osservati. Una volta stabilita l’ipotesi
di partenza, formulata in termini chiari e precisi si assume come variabile indipendente
quell’elemento la cui variazione si presume causi una variazione in uno o in diversi elementi, che
vengono per questo detti, variabili dipendenti.
L’esperimento consiste nel variare la variabile indipendente e osservare se, come e quanto, viene
influenzata la variabile dipendente, in condizioni di stabilità di altri elementi presenti nell’ambiente,
per essere sicuri che esso sia causato esclusivamente dalla modificazione della variabile indipenden-
te.
Una strategia che permette di limitare e controllare le possibili forme di interferenza è quella di ef-
fettuare un campionamento: il ricercatore, durante la progettazione della ricerca, delimita una po-
polazione di individui sulla quale svolgere lo studio del fenomeno. Il campione deve possedere le
medesime caratteristiche della popolazione per generalizzare i risultati ottenuti a tutti gli altri
membri della popolazione. Un ulteriore strategia utilizzata è quella di dividere il campione in due
gruppi:
– un gruppo sperimentale, in cui è sempre presente la variabile che deve essere esaminata o stu-
diata
– un gruppo di controllo, in cui questa condizione è assente, al fine di escludere che i risultati sia-
no influenzati da elementi o condizioni alternative.
Particolari attenzioni nell’uso e nel controllo delle procedure di ricerca:

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– Il compito: bisogna evitare compiti troppo facili portano ad un livello massimo di performance da
parte della maggior parte dei soggetti sottoposti ad esperimento (“effetto tetto”); se i compiti sono
troppo difficili nessuno dei soggetti sarà in grado di svolgerlo (“effetto pavimento”).
– Le consegne: bisogna evitare consegne poco comprensibili o variabili da una somministrazione
all’altra; o che lo sperimentatore induca involontariamente il soggetto a fornire particolari risposte,
o che provochi interpretazioni diverse nelle diverse somministrazioni.
– Le aspettative dello sperimentatore: possono influenzare le performance dei soggetti e la raccol-
ta dei dati; tale effetto è noto come effetto Rosenthal, eliminabile attraverso l’utilizzazione di osser-
vatori che non siano a conoscenza né delle ipotesi sperimentali né della distribuzione dei soggetti
nei diversi gruppi, questo metodo è noto come “doppio cieco”.
Quando non è possibile operare sulla variabile indipendente il ricercatore sceglierà il metodo cor-
relazionale, dal momento che non è possibile fare ipotesi sulla direzione degli effetti si rilevano le
eventuali associazioni tra le variabili. Una volta acquisito un campione sufficientemente ampio, pur
se non casuale si procede mettendo in relazione le caratteristiche dei soggetti campionati con le va-
riabili osservate. Per analizzare le relazioni tra le variabili si può ricorrere al coefficiente di corre-
lazione che esprime la direzione e l'intensità della correlazione tra le variabili.
La correlazione può essere:
– nulla: quando le variabili sono completamente indipendenti;
– positiva: quando il rapporto che lega le variabili è direttamente proporzionale;
– negativa: quando il rapporto che lega le variabili è inversamente proporzionale.
Quando il ricercatore compie delle rilevazioni empiriche su persone “dal vivo”, può perseguire un
semplice intento descrittivo, senza però operare un controllo delle variabili: i dati vengono raccolti
per avere un quadro generale o per valutare l'intensità di un fenomeno psicologico (metodo descrit-
tivo).

2.5 TECNICHE PER LA RACCOLTA DEI DATI


Il ricercatore, dopo aver definito quale metodo di ricerca adottare, deve decidere quali tecniche im-
piegare per raccogliere le informazione che gli sono necessarie, collegate all’obiettivo della ricerca.
L’intervista è una delle tecniche più utilizzate e si distingue in:
– intervista non strutturata: la formulazione delle domande non è predefinita; l’intervistatore de-
cide l’ordine delle domande in base a come si svolge l’interazione con il soggetto, l’analisi dei ma-
teriali richiede più tempo ed è maggiormente complessa.
– intervista strutturata: schema rigido di domande, poste secondo un ordine definito e secondo
una serie di opzioni predefinite; consente di porre a tutti gli intervistati domande comparabili in si-
tuazioni simili e di trattare con ognuno tutti i temi previsti, ed inoltre fornisce informazioni che pos-
sono essere facilmente quantificate.
Il questionario è una tecnica di autosomministrazione che richiede la minima partecipazione da
parte del ricercatore. Nella sua forma più comune è definito come un colloquio strutturato, realiz-
zato proponendo per iscritto domande o affermazione a cui il soggetto risponde scegliendo tra una
gamma di risposte previste; corredato di istruzioni dettagliate per poter rispondere in completa au-
tonomia; la somministrazione può essere individuale o in gruppo; si utilizzano domande aperte o
domande chiuse. Inoltre esso può essere impiegato nelle più disparate situazione di ricerca, e garan-
tisce l’anonimato dei partecipanti ma può prestarsi a falsificazione intenzionale delle risposte, le
domande possono risultare poco comprensibile ed indurre in errore il soggetto, oppure ci può essere
scarsa motivazione degli intervistati.
In ambito psicosociale viene utilizzato il focus group, che consiste in un’intervista basata sulla di-
scussione di un gruppo di persone, che produce un particolare tipo di dati qualitativi. I protagonisti
sono i partecipanti ed il conduttore, che discutono tra loro, avendo ben definito il programma e gli
obiettivi del loro incontro. La focalizzazione della discussione si attiva a partire da uno stimolo. At-
traverso questa tecnica è possibile evidenziare sia le dinamiche di interazione e di comunicazione
che avvengono all’interno del gruppo sia i contenuti attorno ai quali tali dinamiche si organizzano.
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Nelle tecniche proiettive i materiali usati consistono in macchie di inchiostro, frasi o storie a com-
pletare; stimoli che evocano un’ampia libertà di espressione e seguono un criterio di valutazione
soggettivo e che consentono di raccogliere informazioni ricche e dettagliate.
L’osservazione diretta consente di integrare i dati acquisiti con ulteriori indicazioni tratte diretta-
mente dai comportamenti verbali in una specifica situazione. La durata e i periodi dell’osservazione
variano da frazioni di tempo molto brevi a varie ore in rapporto alla natura ed agli scopi della ricer-
ca. L’osservazione diretta sistematica richiede un elevato livello di prestazione professionale
dell’osservatore, che può risultare una delle fonti d’errore, tra cui:
– effetto alone, per cui una persona per la quale proviamo simpatia potrà essere valutata, senza al-
cuna ragione obiettiva, anche intellettivamente brillante;
– processo di proiezione, mediante il quale si attribuiscono ad altri i propri pensieri, atteggiamenti,
motivazioni;
– effetto Hawthorne: la consapevolezza di essere osservati influenza il comportamento delle per-
sone e la reattività del soggetto.

2.6 LE RICERCHE LONGITUDINALI


Uno studio longitudinale consiste nell’osservazione ripetuta di un fenomeno nel corso del tempo,
allo scopo di evidenziarne gli aspetti costanti e/o i cambiamenti, e di fornire una spiegazione.
L’approccio longitudinale è considerato da molti il modo più caratteristico per affrontare lo studio
dello sviluppo psicologico. Esso prevede che i dati siano raccolti per ciascuna variabile per almeno
due distinti periodi; i soggetti analizzati in ciascun periodo devono essere gli stessi o devono essere
quantomeno comparabili da un periodo all’altro. In molti studi vengono utilizzate simultaneamente
due o più procedure di raccolte dati che possono includere anche la rilevazione di dati non psicolo-
gici, attinenti alle caratteristiche fisiche dei soggetti.
Il termine “nel tempo” evoca una durata considerevole delle osservazioni, spesso coincidente con
l’intero arco di vita; e la distanza temporale tra le osservazioni dipende dal periodo evolutivo con-
siderato. Anche il numero delle osservazioni è funzionale allo scopo della ricerca. Ci sono due
problemi principali nella ricerca longitudinale:
– uno pratico: il ricercatore deve attendere anni per completare la sua ricerca, mentre la coorte au-
menta di età.
– uno teorico: una ricerca longitudinale può confondere l'età con il periodo in cui si svolge la prova,
cioè con il tempo.
Non c'è modo di eliminare questi elementi di confusione, sottoponendo alla prova individui presi da
due o più coorti in due o più tempi diversi.
Le caratteristiche fondamentali del metodo osservativo sono:
– la rinuncia al controllo delle variabili indipendenti;
– la scelta di osservare un fenomeno così come si verifica in natura.
L’osservazione inoltre
– s’interessa delle relazioni che potrebbero esistere tra le variabili in risposta a specifiche manipola-
zioni sperimentali;
– non rispetta necessariamente il requisito della formulazione di ipotesi alternative;
– si pone dei fini descrittivi più che esplicativi e difficilmente è in grado di verificare relazioni cau-
sa-effetto.
Una ricerca è ecologicamente valida quando l'ambiente di cui i soggetti fanno esperienza ha proprio
le caratteristiche che il ricercatore suppone o assume.

2.7. DIAGNOSI PSICODINAMICA


La diagnosi psicodinamica è un processo che considera l’individuo in funzione della sua totalità.
La diagnosi psicodinamica si può definire “comprensiva” in quanto tesa a “comprendere” il pa-
ziente nella sua unicità (Glen O. Gabbard, 1994).

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La diagnosi ha come finalità principale l’attività conoscitiva e trasformativa, in quanto anche se
non può ancora promuovere un reale mutamento, può tuttavia avviarlo, prospettando al paziente una
possibile via d’uscita, attraverso la riformulazione dei suoi problemi.
All’interno del setting psicodinamico la comunicazione è il cardine della relazione e tutto dipende
dal campo relazionale.

2.8. METODO PSICOANALITICO


L’attenzione della psicoanalisi si è spostata dai sintomi ai processi psichici che li sottendono.
La più importante rivoluzione psicoanalitica in ambito diagnostico è relativa ad un diverso modo di
considerare il sintomo, non più identificato con l’aspetto “oggettivo” della patologia, bensì visto
come sostituto dell’inconscio.
L’interpretazione è al centro della dottrina e della tecnica freudiana.
Si potrebbe caratterizzare la psicoanalisi con l’interpretazione, cioè con la messa in evidenza del
senso latente di un materiale.
Il lavoro terapeutico si concentra sulla decodificazione dei materiali (sogni, libere associazioni,
lapsus, agiti) prodotti dal paziente per cui “le espressioni del paziente sono in realtà allusioni ad al-
tro, lo psicoanalista prova a dedurre cosa giaccia dietro quelle allusioni e a comunicare al paziente
quanto ha dedotto” (Otto Fenichel, 1951).
«Con il termine interpretazione intendiamo il processo di trasformazione del materiale simboli-
co inconscio in termini che hanno significato cosciente [e] la comunicazione del risultato del
processo di decodificazione che lo psicoterapeuta fa al paziente» (Grasso, Lombardo, Pinkus,
1988).
Secondo Bateman Anthony e Jeremy e Holmes (1998) la psicoanalisi per oggetto di studio ha anche
la natura e il ruolo dei fenomeni mentali inconsci: la teoria e la pratica del trattamento psicoanaliti-
co e del transfert e controtransfert in particolare.
Secondo una definizione classica il transfert è un processo mediante il quale il paziente trasferisce
sull’analista esperienze passate e sentimenti potenti (dipendenza, amore, attrazione sessuale, fru-
strazione, odio) già sperimentati nelle relazioni precoci con figure significative.
Il paziente non ha la consapevolezza di questa connessione per cui vive i propri sentimenti come
pertinenti al presente e non come derivanti dalle situazioni passate.
Il concetto di controtransfert fu introdotto da Freud nel 1912 e venne considerato inizialmente
come un intralcio al trattamento, secondo lui indicava che l’analista aveva bisogno di una analisi
personale.
Attualmente il concetto di controtransfert viene riferito ai pensieri e sentimenti esperiti
dall’analista che sono pertinenti al mondo interno del paziente e possono essere utilizzati al fine
di comprendere il significato delle sue comunicazioni.
I meccanismi di difesa sono volti a proteggere l’individuo da conflitti, idee ed emozioni spiacevo-
li.
Nella letteratura freudiana le difese dell’Io furono teoreticamente concettualizzate attraverso
un’attenta analisi delle loro proprietà psichiche fondamentali: sono lo strumento principale con cui
il soggetto gestisce gli istinti e gli affetti; sono inconsce; possono essere sia adattive che patologi-
che.
Il termine “resistenza”, che Freud nel 1899 definì come “qualsiasi cosa disturbi l’andamento del
lavoro analitico”, descrive il “muoversi” del meccanismo difensivo all’interno della relazione te-
rapeutica.
I sogni sono la forma che l’attività psichica assume durante il sonno.
Ciò che si ricorda viene definito contenuto psichico manifesto.
Ciò che produce il sogno viene definito contenuto onirico latente (desideri, tendenze, pensieri in-
consci).
Il significato reale del sogno non corrisponde al significato eventualmente individuabile nel sogno
31
manifesto.
Lavoro onirico = processo che trasforma contenuto latente in contenuto manifesto del sogno.
Censura onirica = deformazione contenuto latente > funzione di impedire ai desideri inconsci
l’accesso alla coscienza.
Il sogno è un custode del sonno = compromesso tra desiderio di dormire e tendenze rimosse
Tecnica di interpretazione: analisi simbolica e associazioni libere.

2.9. PSICODIAGNOSI
Psicodiagnostica: processo di intervento che mira alla conoscenza e alla valutazione delle caratteri-
stiche di personalità di un soggetto, si basa su:
 osservazione;
 colloquio clinico;
 somministrazione di una batteria di test psicologici.
Quest’integrazione di diversi “strumenti” permette un’accurata analisi e descrizione della strut-
tura psicologica dell’esaminato, degli eventuali aspetti psicopatologici nonché l’individuazione di
un trattamento specifico (Stefano Caruson, 2010).

Metodo psicometrico
Psicometria: disciplina che si occupa della misurazione di variabili psicologiche e della loro tra-
sformazione in numeri, rende possibile la quantificazione delle osservazioni relative alle caratteri-
stiche personologiche degli individui.
Test psicometrici
La parola test deriva dal latino e significa attestazione, verifica, prova.
Uno strumento di misura è l’insieme delle procedure utilizzate per derivare la misura di un com-
portamento o di un costrutto come per esempio una lista di sintomi (check-list), un questionario
sull’aggressività o un sistema di osservazione.
La misura è il processo che permette di assegnare dei valori quantitativi ad oggetti o eventi (o co-
strutti) in base ad una serie di regole (Presaghi, 2007).
Il punteggio ottenuto da un soggetto viene confrontato rispetto a dei punteggi normativi (presta-
zioni tipiche osservate in un campione di persone con certe caratteristiche desiderate).
Parametri di un test
• Standardizzazione = la somministrazione del test deve avvenire con procedure uniformi, con le
stesse modalità (materiali, limiti di tempo, frasi da utilizzare, assegnazione del punteggio) per tutti i
soggetti.
• Campionamento = un fattore distribuito in modo causale tende ad inscriversi in una curva sim-
metrica detta curva normale o di Gauss (curva a campana con la media al centro).
Un test è ben tarato quando i punteggi sono proporzionali all’intensità del fattore che il test intende
misurare e i punteggi devono avere una distribuzione normale perché nella popolazione generale
ogni fattore o caratteristica tende a distribuirsi in modo causale.
L’Attendibilità si riferisce alla precisione dello strumento, valutando anche quanto errore è in-
cluso nelle misure.
La misura ottenuta dal test deve essere ripetibile, ossia il punteggio deve essere sempre uguale
quando si ripete la prova sullo stesso soggetto e nelle stesse condizioni (esempio del metro di legno
che misura la statura).
Verifica della attendibilità tramite il test-retest o splithalf (dividere il test in due).
La Validità denota la capacità di una misura di cogliere effettivamente la caratteristica che inte-
ressa, e non un’altra.
Quando si misura una caratteristica non direttamente osservabile, bisogna sempre porsi criticamente
il dubbio di aver misurato effettivamente quella caratteristica psicologica (costrutto) e non qualcosa

32
di diverso. Esempio: esperti valutino la sufficienza, la chiarezza e la rilevanza degli argomenti trat-
tati nello strumento di misura.
I test psicologici costituiscono nella pratica clinica, un utile ed ulteriore mezzo di indagine e richie-
dono una preparazione specialistica ai fini:
 della somministrazione;
 dell’attribuzione del punteggio;
 dell’interpretazione dei risultati.
La scelta della batteria di test è chiaramente collegata a ciò che si intende valutare, considerando
sia quanto emerso dai colloqui clinici sia il motivo della somministrazione.
Critiche all’uso dei test:
– sono artificiosi, in quanto i compiti hanno una scarsa attinenza con quanto compiuto comunemen-
te dalle persone nella vita di tutti i giorni;
– la struttura dei test appare semplicistica;
– sono tautologici, in quanto la variabile misurata sarebbe stata definita dal metodo stesso della sua
misurazione;
– sono influenzati dall'atteggiamento dei soggetti nei confronti del test.

I reattivi mentali si possono suddividere in:


Test di livello o test attitudinali: in base al tipo di test si possono misurare le abilità, l’intelligenza,
il profitto e le attitudini; esplorano le funzioni intellettive, misurando la riuscita o il fallimento di
una serie di prove standardizzate.
Test di personalità che si dividono in due categorie:
– questionari = diagnosi di tipo quantitativo soprattutto su tratti e sintomi (strutturati e semistruttu-
rati, self-report e report-form);
– tecniche proiettive = diagnosi di personalità secondo un approccio dinamico e strutturale.
Tecniche proiettive: il materiale e le modalità di presentazione sono standard, ma lo stimolo è am-
biguo, non è definito e non ha un significato preciso.

2.10. TEST DI INTELLIGENZA


Il test di intelligenza è costituito da una selezione di stimoli e di prove diverse, in funzione del tipo
di intelligenza che vogliamo misurare.
Nell’interpretazione dei punteggi dobbiamo stare attenti perché stiamo misurando l’intelligenza
psicometrica, in quanto ci perdiamo tutti gli aspetti legati alla intelligenza.
I test di abilità misurano le capacità degli individui in specifici ambiti cognitivi (verbale, matema-
tico, spaziale ecc.).
Abilità = capacità che le persone possiedono nel risolvere problemi e nell’eseguire particolari com-
piti.
I test di intelligenza si basano su misure indirette di una caratteristica non osservabile e di
complesso significato, misurano le abilità generali cognitive e di ragionamento.
Il punteggio di ogni individuo è rapportato alla sua età o alla prestazione di un gruppo di riferi-
mento.
I più utilizzati sono:
 le Scale di Wechsler (WAIS-R-adulti, WISCIII-età scolare e WIPPSI- età prescolare);
 le Matrici Progressive di Raven.

1904 Alfred Binet e Theodore Simon

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Scala metrica dell’intelligenza primo test di intelligenza individuale per l’identificazione di bam-
bini con ritardo mentale. Lo stimolo è standardizzato e la risposta esatta chiaramente definita. Le
prove erano scalate per età.
Punteggi espressi in età mentale rapportata all’età cronologica.
Scala Stanford-Binet 1916 Terman (Università di Stanford)
Il quoziente di intelligenza (QI) viene considerato come il rapporto tra l’età cronologica e l’età
mentale del soggetto.
QI = EM/EC

Terman-Merrill forma L-M (1960)


In quest’ultima versione il QI, calcolato come rapporto tra età mentale e età cronologica, venne so-
stituito con un QI detto di «deviazione», che sta ad indicare in che misura la persona devia al di
sopra o al di sotto della prestazione media data dai soggetti della stessa età.

Scale di Wechsler
Nelle scale Wechsler le prove erano tarate in funzione dell’età cronologica e tenevano conto del
“deterioramento fisiologico”.
Successivamente Wechsler passò dal concetto di età mentale a quello di QI (Quoziente di Intelli-
genza), elaborando una scala standardizzata con media 100 e deviazione standard 15 tale da forni-
re degli elementi statistici concreti per cogliere il potenziale intellettivo.
È il metodo più diffuso per valutare il QI, ma viene utilizzato anche per misurare l’eventuale dete-
rioramento mentale, per individuare il tipo d’intelligenza, distinguendola tra pratica e verbale, per
individuare le eventuali carenze intellettive del soggetto.
«L’intelligenza è sfaccettata e multideterminata.
Quello che si richiede sempre non è una particolare abilità, ma una competenza generale o una ca-
pacità globale che, in un modo o nell’altro, mettano un individuo in grado di comprendere il mondo
e far fronte in modo efficace alle possibilità che offre. L’intelligenza è una funzione dell’intera
personalità e dipende da altri fattori oltre a quelli inclusi nel concetto di capacità cognitive».
(David Wechsler 1981)
I risultati che il soggetto ottiene vengono quantificati all’interno di:
– un «QI verbale» test «verbali»:
• Informazione (quante ali ha un uccello?);
• Comprensione (perché le automobili hanno i pneumatici?; perché dobbiamo pagare le tasse?);
• Ragionamento aritmetico;
• Somiglianze;
• Vocabolario;
• Memoria di cifre.
– Un «QI di performance» test di «performance»:
• Completamento di figure;
• Riordinamento di storie figurate;
• Disegno con i cubi;
• Ricostruzione di figure;
• Cifrario;
• Labirinti.
– Un punteggio totale.
Le prime domande o «perfomance» sono più semplici, mentre le ultime sono più difficili e risol-
vibili solo da una piccola minoranza.
Le persone che sono nella media riescono a rispondere o a risolvere i problemi fino a circa la metà
della scala.
Quoziente intellettivo (QI) = rapporto tra età mentale e età cronologica moltiplicato per 100.

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Il QI di 100 esprime la perfetta proporzione tra le prestazioni del soggetto e quelle medie normali
della popolazione generale.
Fascia della normalità 85<100>115

2.11. TEST PROIETTIVI


Il termine proiettivo fa riferimento alla dinamica di produzione delle risposte, al fatto che la perso-
na «mette fuori o proietta» sullo stimolo caratteristiche sue proprie, aspetti della propria personali-
tà.
Secondo Sigmund Freud «la proiezione all’esterno di percezioni interne è un meccanismo primitivo
cui soggiacciono, per esempio, anche le nostre percezioni sensoriali; ad esso va, quindi, normal-
mente attribuita una parte rilevantissima nella configurazione del nostro mondo esterno …»
«… In condizioni la cui natura non è stata ancora sufficientemente precisata vengono proiettate
verso l’esterno, allo stesso modo delle percezioni sensoriali, anche proiezioni interne di processi
emotivi e mentali; in tal modo vengono utilizzate per configurare il mondo esterno percezioni che
dovrebbero legittimamente restare nel mondo interno».
I test proiettivi non sono dei test psicometrici in senso stretto perché non producono un punteg-
gio o una misura oggettiva ma solo una risposta soggettiva che va interpretata.
I test proiettivi possono essere suddivisi nella pratica clinica in:
 Test proiettivi strutturali: permettono di indagare anche la struttura dinamica della perso-
nalità (il Rorshach è il più importante).
 Test proiettivi tematici: pongono il soggetto davanti a stimoli che possono evocare un
tema (disegni di figure o animali poste in un determinato ambiente). Partendo dalle imma-
gini stimolo il soggetto deve raccontare una storia (esempio T.A.T. – C.A.T.).
 Test proiettivi di completamento: in cui si presenta al soggetto una situazione sviluppata
solo in parte e gli si dà la consegna di completarla (Favole della DUSS).
 Test proiettivi grafici o carta e matita (figura umana, famiglia, albero): utilizzano il dise-
gno secondo una specifica consegna e rilevano sia aspetti riguardanti lo sviluppo mentale o
maturazione intellettiva, che elementi della personalità. Nell’interpretazione si conside-
rano gli aspetti: formali, contenutistici e grafici.

2.12. TEST PERSONALITÀ QUANTITATIVI


Minnesota Multiphasic Personality Inventory-MMPI
Uno dei test per la valutazione della personalità più diffuso a livello mondiale, la cui prima edi-
zione risale al 1940.
La derivazione strettamente empirica del test, la sua diretta applicabilità a livello clinico e diagno-
stico, la scarsa influenzabilità a livello di somministrazione e di siglatura da parte
dell’esaminatore, gli hanno permesso di affiancarsi alle tecniche proiettive nel ruolo di strumento di
elezione nella clinica e nella ricerca.
MMPI test che registra la presenza e la gravità di disturbi di personalità (cut-off clinico).
Dal test è possibile ricavare:
 indicatori di validità;
 scale cliniche;
 scale di contenuto.
Scale cliniche dell’MMPI-2 e MMPI-A

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Scale di contenuto dell’MMPI-2 e MMPI-A

Misure dei sintomi (life events, ansia, depressione, disturbi del comportamenti)
Misure per assessment generale (SCL-90, ASEBA)
Test selezione lavorativa (tecniche di colloquio mirate, test di rendimento specifico o test di perso-
nalità con analisi di profilo

Conclusioni
È importante differenziare tra i test attitudinali, di intelligenza e i test proiettivi per una valutazio-
ne dinamica e strutturale della personalità.
I test di personalità di tipo quantitativo ci permettono di quantificare un livello patologico del di-
sturbo.
I test proiettivi non sono dei test psicometrici in senso stretto perché non producono un punteggio o
una misura oggettiva ma solo una risposta soggettiva che va interpretata.
I test attitudinali misurano le abilità, l’intelligenza, il profitto e le attitudini.

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CAPITOLO III - L’APPRENDIMENTO
L’apprendimento è la modificazione più o meno stabile nel comportamento concreto o potenziale
di un soggetto a seguito di una esperienza della persona o animale, solitamente ripetuta nel tempo
(Canestrari e Godino, 2007).
Processo di apprendimento implica una nuova modalità di risposta stabilmente diversa rispetto
a prima (guidare).
Le condotte acquisite possono essere modificate (cambiare modo di guidare).
Il materiale appreso se non viene ripetuto può essere dimenticato (non guidare per tanti anni).
L’apprendimento segue ad una esperienza (es. dei bambini e della presa elettrica).
L’imitazione non è apprendimento, ma è una condotta transitoria.
Un comportamento può modificarsi perché abbiamo appreso dall’esperienza che una certa rispo-
sta ad uno stimolo ci evita un danno o ci procura un vantaggio.
Comporta un vantaggio evolutivo e rappresenta una forma di adattamento.

3.1 APPRENDIMENTO E CAMBIAMENTO


L’uomo, come le specie animali, per adattarsi all’ambiente dispone di due strumenti:
– l’evoluzione biologica,
– l’apprendimento.
Darwin pose in evidenza come la modificazione biologica e l’apprendimento interagiscono modifi-
cando reciprocamente il proprio effetto. Il processo di selezione naturale delle caratteristiche biolo-
giche risulta, infatti, profondamente influenzato dall’apprendimento di nuovi comportamenti,
che rendono più semplice la trasmissione ereditaria di caratteristiche possedute da alcuni individui
che consentono l’adattamento.
L’apprendimento è una modificazione comportamentale che è conseguente, o viene indotta da,
un’interazione con l’ambiente ed è il risultato di esperienze che portano a stabilire nuove modalità
di risposta agli stimoli provenienti dall’ambiente esterno. L’apprendimento comporta innanzitutto
un cambiamento nell’interazione tra il comportamento dell’individuo e un evento ambientale. Un
evento ha effetto sul comportamento di un individuo solo se possiede una funzione-stimolo, che
dipende sia dalle caratteristiche fisiche dello stimolo che dalla storia delle interazioni
dell’organismo.
Il cambiamento consiste in una diversa modalità di comportamento attraverso la quale
l’organismo modifica l’ambiente che lo circonda. Il contesto rappresenta l’insieme degli eventi si-
tuazionali che fanno da sfondo ad una determinata situazione.
L’apprendimento va distinto da due fenomeni:
– l’assuefazione, la progressiva diminuzione della forza di una risposta alla ripetuta presentazione
di uno stimolo, nell’arco di un breve periodo
– la sensibilizzazione, il fenomeno inverso all’assuefazione: uno stimolo ripetuto sensibilizza il no-
stro organismo, provocando una risposta più forte.

37
3.2 APPRENDIMENTO E CONDIZIONAMENTO
Un classico approccio allo studio dell’apprendimento è quello del Comportamentismo.
L’assunto alla base di tale prospettiva teorica è che l’apprendimento avvenga per un’associazione
di stimoli e risposte.
Uno dei modi più classici per studiare l’apprendimento è quello messo a punto da Ivan Pavlov
(1849-1936), fisiologo e comportamentista, noto come “condizionamento classico o rispondente”.
Egli definì la comparsa, nel cane, del riflesso di salivazione, quando esso annusava la carne, rispo-
sta incondizionata, non dipendente da nessuna condizione se non quella di riflesso naturale. Pavlov
notò che il cane anticipava questa reazione salivando alla vista del cibo: ipotizzò, quindi, che uno
stimolo, inefficace per la risposta di salivazione, avesse assunto per l’animale un nuovo significato,
dipendente dall’esperienza avuto, di segnale che anticipava la comparsa del cibo.
Nella procedura sperimentale, nota come condizionamento, venivano presentati in successione, per
un certo numero di volte, due stimoli:
– uno stimolo artificiale, lo squillo di un campanello, che biologicamente non influenzava la rispo-
sta di salivazione del cane;
– uno stimolo incondizionato, una porzione di carne, che causava automaticamente la salivazione
da parte del cane.
Dopo un certo numero di accoppiamenti nella presentazione dei due stimoli, il solo squillo del cam-
panello era in grado di provocare la risposta di salivazione del cane.
Pavlov definì tale risposta “appresa”, risposta condizionata ed il processo di sostituzione dello
stimolo “condizionamento”.
L’acquisizione di risposte condizionate è un meccanismo di adattamento che riguarda tutti gli esseri
viventi. Nell’uomo è stato studiato il condizionamento di varie risposte come quella di salivazione,
con stimoli fisici e verbali e quella di contrazione della pupilla tramite il suono di un campanello e
nell’apprendimento di risposte emozionali specifiche, tra cui le paure e le fobie.
La paura è una risposta emozionale incondizionata provocata da stimoli pericolosi, spiacevoli o
dolorosi che non si apprende La fobia è, invece definita, come una risposta di paura irrazionale,
incontrollabile e originata da stimoli e situazioni non pericolosi; può essere, così, il risultato di con-
dizionamento a stimoli insignificanti.
All’inizio degli anni Venti, Watson tentò di applicare sperimentalmente alcuni principi del condi-
zionamento allo studio ed alla terapia delle fobie. Egli condizionò sperimentalmente la paura di un
bambino di 11 mesi, il piccolo Albert, associando alla presenza di una piccola cavia bianca ad un
rumore improvviso: dopo sette presentazioni degli stimoli associati, la semplice vista della cavia
provocava una risposta condizionata di paura, che, più tardi, venne generalizzata ad altri stimoli con
caratteristiche simili. Watson ipotizzava la possibilità di applicare le stesse leggi del condiziona-
mento a scopo terapeutico.
L’applicazione delle conoscenze sperimentali e dei principi del condizionamento in ambito clinico
prendono il nome di “terapia del comportamento”. Il condizionamento classico implica
l’apprendimento di relazioni tra eventi; ma descrive solo una parte della vastità e della complessità
dell’apprendimento degli esseri viventi; la maggior parte delle volte, e soprattutto per gli esseri
umani, l’apprendimento è dato dal continuo meccanismo di trasformazione che gli esseri viventi
esercitano sull’ambiente. Thorndike, prima e successivamente Skinner hanno analizzato sperimen-
talmente il rapporto tra il comportamento e le sue conseguenze sull’ambiente.
La “Skinner box” è una gabbia in cui si trova una leva collegata con un meccanismo che consente
l’erogazione programmata di conseguenze, entrambi collegati ad un registratore cumulativo delle
risposte. La cavia è libera di esplorare l’ambiente e, casualmente, finisce con il premere il dispositi-
vo di risposta all’interno della gabbia che provoca l’erogazione del cibo, programmata da parte del-
lo sperimentatore. La registrazione delle risposte dimostra che l’emissione del comportamento di-
venta sempre più frequente fino a produrre una “curva di apprendimento”.

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Gli esperimenti di Skinner dimostrano che le conseguenze di un comportamento possono indebolire
o rafforzare la probabilità di comparsa del comportamento che le ha prodotte.
La più importante funzione di un evento conseguente è quella di funzionare da rinforzo positivo.
Si possono classificare:
– rinforzi primari: possiedono questa caratteristica senza bisogno di alcun intervento artificiale
umano,
– rinforzi secondari: acquisiscono solo successivamente la funzione di rinforzo, frutto della storia
individuale e sociale di ognuno.
Oltre alle caratteristiche fisiche, la funzione di rinforzo di un evento-stimolo è data anche dal conte-
sto, interno ed esterno, dell’organismo che interagisce con quell’evento-stimolo.
– Rinforzi generalizzati: sono gli stimoli sociali, come l’affetto o l’attenzione;
– Rinforzi dinamici: non provengono da stimoli ambientali ma dai nostri stessi comportamenti: i
comportamenti preferiti dall’individuo diventano rinforzi per atri comportamenti meno gradito. È
questo il principio, studiato da Premack, noto come “principio della nonna”: la nonna dice al ni-
pote: “quando avrai rimesso in ordine la stanza potrai vedere i cartoni animati”.
– Rinforzo negativo: il comportamento produce come conseguenza l’allontanamento o la cessazio-
ne di uno stimolo spiacevole.
Pavlov si accorse che, presentando ripetutamente lo stimolo condizionato senza associarlo più allo
stimolo incondizionato che agiva da rinforzo, la risposta di salivazione del cane progressivamente
cessava. L’estinzione è un processo altamente adattivo, permette all’organismo di non rispondere
più ad uno stimolo diventato per lui inutile. Tale processo può essere utilizzato anche nella clinica o
nell’educazione e la resistenza all’estinzione diviene così uno dei parametri più importanti per mi-
surare l’apprendimento.

3.2.1. Condizionamento classico


Ivan Pavlov partì dagli studi sul sistema digerente osservò che: nel mettere il cibo in bocca ai cani
si registrava un aumento della salivazione secondo un riflesso naturale (comportamento del tutto
automatico e geneticamente programmato).
I cani producevano saliva anche con rumori che precedevano la somministrazione del il cibo: passi
dell’inserviente o vista della ciotola.
Questo riflesso non è innato di conseguenza secondo Pavlov doveva essere appreso.
Studio sistematico dei processi di apprendimento con una metodologia sperimentale.

Fasi dell’esperimento
Fase 1

La salivazione era misurata con un tubo collegato alle ghiandole salivari.


Prima del condizionamento il suono della campanella non produceva nessun tipo di salivazione.
Stimolo incondizionato (SI): non influenzato dal ricercatore.

Fase 2
Suono CAMPANELLA (stimolo neutro = non ha legame con il cibo) e poi CIBO.

Fase 3
Suono della CAMPANELLA (stimolo condizionato perché utilizzato per ottenere una data rispo-
sta) SALIVA (risposta condizionata perché è stata associata al cibo)
Università degli Studi Guglielmo Marconi
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Riflesso incondizionato

Condizionamento classico: gli individui imparano a rispondere a uno stimolo condizionato con
una risposta condizionata, se questo stimolo è associato più volte a uno stimolo incondizionato.
Il numero delle associazioni affinché si ottenga un condizionamento è variabile a seconda dello
stimolo condizionato e della specie animale.
Cosa ha dimostrato Pavlov? Uno stimolo inizialmente neutro, presentato per diverse volte in
stretta contiguità temporale con uno stimolo che per sua natura evoca una risposta riflessa è in
grado di evocare una risposta riflessa simile.
Ulteriori osservazioni: lasciando riposare il cane e poi sottoponendolo nuovamente al test si poteva
osservare che la risposta di salivazione che era stata precedentemente appresa ricompariva = Recu-
pero spontaneo.
Una risposta estinta non viene completamente estinta, non si dimentica la risposta appresa.
Ma c’è un limite temporale se cessano per molto tempo le associazioni fra SC e SI (curva di estin-
zione).
L’estinzione dipende dalla frequenza con cui il comportamento è stato eseguito, dall’intensità del-
lo SI e da molti altri fattori (individuali).

Fenomeno della generalizzazione dello stimolo


La risposta condizionata non compare solo davanti allo stimolo condizionato originale ma può
essere estesa alla gamma degli stimoli prossimi allo stimolo condizionato (il cane che impara a sali-
vare anche con suoni con toni diversi).
Di conseguenza è possibile addestrare il cane a discriminare specifici stimoli.
Secondo i comportamentisti questo meccanismo sta alla base della fissazione delle nevrosi fobico-
ossessive.

3.2.2. Condizionamento operante


Burrhus Skinner (1938)
Il condizionamento classico non riusciva a spiegare il ruolo attivo dell’essere vivente sull’ambiente
che lo circonda.
Questo tipo di apprendimento si mette in atto tramite la somministrazione di ricompense e puni-
zioni.
Si basa sul concetto di rinforzo positivo (aumenta la probabilità che si produca di una risposta de-
siderata) o negativo (produce risposta di evitamento).
Apprendimento = Risultato del condizionamento mediante rinforzo
I comportamenti sono emessi spontaneamente dal soggetto e sono successivamente rinforzati e
aumentano o diminuiscono in funzione del rinforzo dato.
La Skinner Box è una gabbia nella quale viene posto un animale (ratto) in uno stato di attivazione
(fame = ricerca di cibo) contenente una leva che dispensa cibo e un pavimento collegato con energia
elettrica.

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La frequenza di risposta di un determinato comportamento (per es. la pressione della leva) viene
misurata in funzione del rinforzo, cioè della probabilità che un comportamento venga reiterato nel
futuro.
Rinforzi positivi
(ricompense come per es. la somministrazione di cibo) hanno la caratteristica di aumentare la fre-
quenza del comportamento
Rinforzi negativi
(punizioni, come per es. una scossa elettrica) hanno la caratteristica di diminuire la probabilità che
l’animale ripeta tale comportamento
Cosa ha dimostrato Skinner? Una risposta può essere attivata senza che vi sia obbligatoria-
mente uno stimolo in quanto diventa subordinata alla possibilità di una ricompensa.

3.3 APPRENDIMENTO E COGNIZIONE


Nell’apprendimento cognitivo c’è una ristrutturazione cognitiva dei dati della esperienza.
Nasce da una osservazione e comprensione di una relazione logica fra esperienza e concetti (più
sviluppata nell’uomo).
Per comprendere questo processo si utilizza il linguaggio (analisi delle fasi del processo di elabora-
zione a livello mentale).
Processo di insight
Comprensione dei rapporti fra fattori che costituiscono lo snodo dell’apprendimento cognitivo è sta-
to dedotto dai cambiamenti della sua condotta (Canestrari e Godino, 2007)
Albert Bandura conia il termine “modellamento” per indicare quel tipo di apprendimento che en-
tra in gioco quando il comportamento di un organismo che osserva si modifica in funzione del com-
portamento di un altro organismo, che acquista la funzione di modello. Secondo Bandura il com-
portamento individuale è fortemente influenzato dalle aspettative che ciascuno di noi nutre nei
confronti delle proprie capacità:
– Aver ottenuto in passato buoni risultati o essere riusciti in particolari compiti influisce sulla per-
cezione delle proprie abilità, sulle aspettative di riuscita e sul nostro comportamento; così come
l’attribuzione di cause che hanno determinato il successo.
– Se si attribuisce un successo alle proprie capacità o al proprio impegno si attribuirà un successo
anche a situazioni future; l’attribuzione dell’insuccesso a fattori negativi come la fortuna, porta in-
vece a ritenere che il risultato negativo possa ripresentarsi e scoraggia ad impegnarsi nuovamente di
fronte ad un compito.
In base a questi principi Bandura ha elaborato la teoria della self-efficacy (auto-efficacia).
Dal livello di self-efficacy che una persona possiede derivano:
– la modalità di reazione alle difficoltà della vita,
– l’entità dello sforzo e la capacità di perseverare di fronte agli ostacoli e alle esperienze di falli-
mento,
– la quantità di stress e la depressione vissuta.

41
42
3.4 PRINCIPI DELL’APPRENDIMENTO APPLICATI ALLO STUDIO
Il livello di motivazione ed il desiderio di apprendere, anche se sollecitati, non si mantengono co-
stanti nel tempo. La nostra attenzione dimostra di non essere cotante, ma di variare con un ciclo ca-
ratterizzato da un periodo di circa un’ora e mezza. Questo significa che nel periodo di un’ora e
mezza c’è una fase di 45 minuti in cui siamo più attenti della media e una fase di 45 minuti in cui
rendiamo di meno. Lo scarso interesse verso un argomento o la mancanza di una scadenza o di al-
tre pressioni esterne limitano l’attivazione, se invece si è molto motivati o interessati i momenti di
disattenzioni si riducono a pochi minuti. Tuttavia un periodo di impegno estremo, eccessivamente
protratto potrebbe portare ad un aumento incontrollato dell’ansia e degli effetti negativi dello stress.
Molto importante per conseguire il successo nello studio è la definizione del comportamento di
studio. L’autocontrollo è la capacità di proporsi in modo autonomo degli obiettivi, di stabilire del-
le strategie per raggiungerli, di mettere in atto queste strategie organizzandosi in modo tale da sen-
tirci controllati maggiormente da nostre decisioni personali piuttosto che da eventi esterni. L’auto-
osservazione favorisce di cambiare il proprio comportamento nella direzione desiderata.
In linea di massima un buon metodo di studio consiste nel dedicare una prima lettura piuttosto ra-
pida del testo alla comprensione del significato globale del testo, cercando il filo conduttore che
porta alla comprensione dei concetti fondamentali su cui si basa il testo. La seconda lettura è inve-
ce dedicata all’approfondire i dettagli che nella prima lettura erano stati solo sfiorati: questi dettagli
saranno fissati in modo stabile nella memoria a lungo termine durante la fase di rielaborazione e di
sintesi di quanto è stato letto.
La rielaborazione avviene a ogni fine capitolo o ad ogni fine sessione, se i capitoli sono troppi lun-
ghi; ed è importante dedicarvi circa il 50% del tempo totale dello studio. Infine per consolidare ulte-
riormente il ricordo di quanto appreso, si possono riguardare gli appunti e cercare di ricostruire il
materiale proposto nel testo: questa verifica serve a fissare nella memoria a lungo termine il mate-
riale già appreso e a fare associazioni tra le varie parti del materiale di studio.

3.5 LA MEMORIA E I SUOI PROCESSI

43
Esistono numerosi tipi di memoria ognuna dedicata a una funzione diversa.
La memoria è limitata in termini quantitativi e in termini di durata.
Funzione della memoria: si basa sulle conoscenze passate per utilizzarle nel presente attraverso il
processo di immagazzinamento degli stimoli esterni e interni in modo tale da renderli riutilizzabili
successivamente.
La memoria si basa sui seguenti processi dinamici:
 Codifica
 Immagazzinamento
 Recupero

Codifica
• È il primo e fondamentale stadio della memorizzazione (trasformazione dei dati), in cui
l’informazione viene decifrata e si riferisce al livello iniziale di elaborazione che porta alla rappre-
sentazione dell’informazione in memoria.
• Il codice è quell’insieme di regole che si utilizzano per trasformare le informazioni esterne in mo-
do che possano essere immagazzinate e conservate nella memoria.
• Fallimenti in questo stadio determinano un fallimento nella memorizzazione che potrebbero im-
pedire poi la rievocazione.

Immagazzinamento
• Avviene dopo la codifica e consiste nella creazione di una traccia mnestica permettendo la conser-
vazione dell’informazione.
• Per favorire il processo della ritenzione facciamo ricorso al meccanismo della reiterazione o ripe-
tizione dell’informazione, che favorisce la fissazione del ricordo in una traccia mnestica.

Recupero.
• La traccia mnestica, se registrata nella memoria a lungo termine, è potenzialmente permanente.
• Essa può essere rievocata spontaneamente o tramite la presentazione di un indizio e può essere
utilizzata.
• Il recupero può avvenire attraverso due processi:
– riconoscimento;
– rievocazione.

Nel riconoscimento: il soggetto deve stabilire se il materiale che gli si presenta davanti gli si è pre-
sentato già in precedenza oppure no (più facile).
La rievocazione può essere:
– libera;
– seriale;
– guidata.
Nella rievocazione libera sono frequenti errori (omissioni).
Nella rievocazione si verificano effetti di posizione seriale, detti primacy e recency.
Robinson e Brown (1926) sono stati tra i primi a mostrare l’effetto della posizione seriale.
In un compito di richiamo gli elementi iniziali (primacy) e finali (recency) di una lista preceden-
temente appresa vengono ricordati meglio di quelli centrali.

Effetto di primacy (modello modale)


Riflesso della memoria a lungo termine: tramite strategie di ripasso, infatti, è possibile che i primi
elementi della lista abbiano il tempo di essere immagazzinati nella memoria a lungo termine.
Effetto di recency

44
Riflesso della memoria a breve termine: il tempo trascorso tra la memorizzazione e la rievocazione
sarebbe sufficientemente breve da consentire il richiamo degli ultimi elementi della lista.

Nella rievocazione seriale il materiale deve essere ricordato nella stessa sequenza con cui era stato
presentato.
• Errori: materiale rievocato in un ordine sbagliato.
Nella rievocazione guidata vengono forniti degli indizi utili per recuperare il materiale da ricorda-
re. Un compito normalmente utilizzato è il completamento, in cui dopo la presentazione di una li-
sta di elementi (per es. parole) è chiesto al soggetto di completare uno stimolo.

3.5.1. Fattori che influenzano l'acquisizione e la conservazione del materiale memorizzato


Fattori relativi al soggetto:
 Condizione psico-fisica
 Motivazione e interesse (attenzione)
 Novità del materiale da memorizzare
Fattori relativi al materiale da memorizzare:
 Materiale dotato di significato soprattutto personale e ben organizzato che segue uno schema
logico (melodia di una canzone vs parole slegate senza senso)
 Uso di tecniche operative per la memorizzazione

3.5.2. Tipi di memoria


Modello di Atkinson e Shiffrin
• modello input-output composto da tre componenti;
• ipotizza che l’informazione proveniente dall’esterno entra nel magazzino a breve termine, che
controlla il flusso in ingresso e in uscita dalla memoria a lungo termine.

Memoria sensoriale
• Capacità di acquisizione e trasmissione del segnale che entra nel sistema.
• Uno stimolo lascia una prima brevissima traccia nella modalità sensoriale in cui viene presenta-
to.

Memoria a breve termine


• La MBT è un sistema a capacità limitata.
• Il materiale è raccolto con la percezione in maniera quasi automatica e resta registrato senza parti-
colare sforzo.
Limiti:
• la durata non supera generalmente i 15-30 secondi (es. numero di telefono). Se non c’è una ripe-
tizione il materiale viene dimenticato e non immagazzinato.
45
• la quantità d’informazione che siamo in grado di immagazzinare dipende della memoria sensoria-
le, che determina la quantità di informazione che si è in grado di processare, ma può essere reso più
efficiente raggruppando l’informazione in pezzi.
Per memorizzare una serie di numeri, per esempio, 12345678: l’informazione si può organizzare
più efficientemente raggruppando le cifre a due a due (12 34 56 78).
Span
– ampiezza della MBT di un singolo individuo;
– viene misurata tramite la ripetizione seriale di una lista di stimoli, organizzata in ordine crescente.
L’informazione contenuta nella MBT decade con una velocità nell’ordine dei secondi ed è stimata
essere intorno a 7± 2 elementi.
Lo span di MBT varia tra gli individui e in base al tipo di informazione da ritenere (per es. lette-
re, numeri, immagini, configurazione spaziali, etc.) (Miller, 1956).

Memoria a lungo termine


• Chiamata anche memoria permanente.
Registrazione stabile del materiale pervenuto dalla memoria a breve termine favorita dalla ripetizio-
ne (es. studio).
• Tulving (1972) ha proposto una classificazione della MLT che ancora oggi viene largamente
accettata, distinguendo tre componenti:
• la memoria episodica;
• la memoria semantica;
• la memoria procedurale.

Memoria di lavoro
– Il concetto di memoria di lavoro è stato proposto inizialmente da Miller, Galanter e Pribram
(1960) e poi adottato da Baddeley e Hitch (1974) per enfatizzare la natura multimodale della
MBT e distinguere il proprio modello da quelli precedenti che vedevano la MBT come un magazzi-
no unitario.
La memoria di lavoro si può definire come un sistema dedicato al mantenimento e immagazzi-
namento di una limitata quantità di informazioni in una rappresentazione attiva per un breve perio-
do, necessario a rendere disponibile il suo utilizzo e a sottendere il pensiero umano (Baddeley e
Hitch, 1974).

Tre componenti del sistema.


1. Componente articolatorio-fonologica (circuito articolatorio-fonologico):
• deputata al mantenimento e all’elaborazione di informazioni verbali.

46
• Il modello del ciclo fonologico include un magazzino capace di trattenere informazioni di
tipo fonetico per qualche secondo prima che queste decadano, tramite il processo di ripas-
so che coincide con il discorso interiore.
• È importante nei compiti di comprensione linguistica e nel fare i calcoli a mente.
2. Componente visuo-spaziale (taccuino visuospaziale):
• deputata al mantenimento e all’elaborazione dell’informazione visiva e spaziale.
• È importante nella lettura, nella formazione di immagini mentali e nella pianificazione
motoria.
3. Esecutore centrale:
• è il sottosistema ipotizzato per coordinare le sub-componenti della memoria di lavoro.
• È preposto al controllo, al coordinamento, alla manipolazione e all’uso delle informazioni
contenute negli altri due moduli.
•Tale componente sembra avere il compito di guidare l’attenzione e rivolgerla verso il
compito da eseguire.

In una delle più recenti versioni del modello di memoria di lavoro (Baddeley, 2000; 2003) è stata
ipotizzata una nuova sub-componente.
4. Buffer episodico:
• sottosistema separato, che può essere considerato la componente di immagazzinamento
dell’esecutivo centrale;
• avrebbe la capacità di integrare informazioni da diverse fonti e immagazzinarle sotto
forma di episodi (Mereu, 2010).

3.5.3. Perdita di memoria

3.6 LE TEORIE ASSOCIAZIONISTE


La memoria come capacità di conservare informazioni, rimanda innanzitutto ad un complesso di
funzioni psichiche, con l’ausilio delle quali l’uomo è in grado di attualizzare impressioni od infor-
mazioni passate. La memoria umana è considerata il prodotto di tre distinti momenti:
– una prima fase di acquisizione, in cui ai soggetti vengono presentati gli stimoli da apprendere;
47
– una fase di ritenzione, durante la quale avvengono cambiamenti, più o meno sostanziali, nelle
tracce mnestiche;
– una fase di recupero, corrispondente alla produzione del materiale.
La concezione associazionista della memoria presuppone il legame tra le tracce; ll’uomo è un sog-
getto passivo di fronte alla mole di informazioni, che gli arrivano quotidianamente e lo studio della
memoria come pura capacità e quindi come semplice contenitore. In questa ottica i processi mne-
stici sono scollegati da caratteristiche interne del soggetto.
Ebbinghaus (1885) fu il primo a studiare i processi di funzionamento della memoria attraverso
esperimenti di memorizzazione di trigrammi senza senso (esempio: consonante, vocale, consonan-
te). La tecnica utilizzata era la seguente: dopo l’apprendimento ed il successivo recupero di una se-
rie iniziale costruì ed imparò numerose altre serie derivate dalla prima, nelle quali ciascuno degli
item veniva spostato in avanti di una o più posizioni.
Ebbinghaus constatò che i tempi di memorizzazione delle serie derivate erano strettamente con-
nessi al legame esistente tra queste e la serie iniziale: quanto più era prossimo il legame tra serie de-
rivata ed originale, tanto migliore risultava la memorizzazione. Attraverso un altro esperimento Eb-
binghaus dimostrò che le persone, anche quando dicono di non ricordare nulla di ciò che hanno
appreso in precedenza, possono riapprendere lo stesso materiale in un tempo inferiore a quello che
era stato necessario durante il primo apprendimento. L'esperimento consisteva nel presentare ai
soggetti alcuni items da studiare, dopo una sessione di studio i soggetti venivano sottoposti ad una
prova di rievocazione. Dopo alcune settimane ai soggetti sembrava solitamente di non ricordare più
nulla. Ma nel momento in cui veniva ripetuta la procedura di apprendimento, il tempo di studio era
inferiore alla prima volta.
Il risparmio di tempo nella memorizzazione indicava, secondo Ebbinghaus, che era rimasta una
qualche memoria del materiale appreso. L’oblio, cioè la perdita del materiale memorizzato, secondo
l’autore, dapprima molto rapido, diventa sempre più lento con il passar del tempo. La curva dell'o-
blio, anche se scende a valori minimi, non arriva mai allo zero assoluto, per cui almeno qualcosa di
ciò che abbiamo appreso lo ricordiamo sempre. Ebbinghaus e gli altri studiosi dell’epoca spiegaro-
no questo fenomeno chiamando in causa il concetto di esercizio, elemento cardine della teoria as-
sociazionista sulla memoria, secondo il quale è solo la pratica che favorisce l’apprendimento.

3.7 LE TEORIE COGNITIVISTE


Sul finire degli anni 50 e gli inizi degli anni 60, il cognitivismo imponeva una nuova concezione
della mente, secondo cui i processi interni ed invisibili potevano essere indagati con rigore scienti-
fico. L’uomo è un soggetto in grado di intervenire sulle informazioni in entrata ed elaborarle, attra-
verso l’utilizzo di strategie.
Nel 1968 Atkinson e Shiffrin presentarono un modello sulla memoria umana, vista come funzione
mentale attiva, assimilata alle operazioni compiute da un elaboratore. Dalla considerazione
dell’uomo come elaboratore di informazioni deriva la teoria dello Human Information Proces-
sing (H.I.P).
Il modello di Atkinson e Shiffrin prevede tre magazzini di memoria:
– un registro sensoriale in grado di catturare le informazioni in entrata, provenienti dai sensi, e di
trattenerle per brevissimo tempo senza codificarle. Il registro sensoriale visivo veniva detto iconico
e decadeva dopo 0.5 secondi; mentre il registro sensoriale uditivo era detto ecoico, aveva una durata
di 2 secondi;
– memoria a breve termine: un magazzino di memoria a capacità limitata;
– memoria a lungo termine: un magazzino per la definitiva archiviazione.
Il processo di controllo che determina il passaggio dal magazzino sensoriale a quello a breve termi-
ne è l’attenzione, mentre dalla MBT alla MLT è la codificazione. Una volta depositata nella MLT
l’informazione non può andare persa.
Craik e Lockhart (1972) ipotizzarono tre livelli di elaborazione:

48
– strutturale: una parola viene codificata come una sequenza di lettere scritte con un certo carattere
tipografico,
– fonetico: una parola viene codificata in termini di proprietà acustiche, – semantico: una parola
viene codificata sulla base degli attributi del suo significato.
Questo modello spiega la differenza tra memoria a breve e a lungo termine come un effetto appa-
rente dovuto alla differente profondità di elaborazione. Secondo gli autori l’attività cognitiva co-
stituisce un sistema volto alla percezione ed alla comprensione degli eventi:tanto più profonda è
l’elaborazione tanto maggiore è la comprensione.
Baddeley e Hitch (1974) introdussero il concetto di memoria di lavoro (working memory), de-
scrivendola come un sistema, a più componenti, in cui vengono mantenute temporaneamente delle
informazioni mentre si svolgono atri compiti.
Nella nozione di memoria di lavoro si individuano tre sistemi di funzionamento:
– centrale esecutiva: rappresenta la parte più nobile, ha capacità limitata e sovrintende ai compiti di
ragionamento e decisione;
– processo articolatorio:è coinvolto nell’immagazzinamento e nell’elaborazione del materiale ver-
bale, conserva l’informazione in forma fonologica, ha una organizzazione temporale in serie e la
sua capacità è determinata dalla durata temporale;
– magazzino visuospaziale: è coinvolto nell’immagazzinamento e nell’elaborazione del materiale
visuo-spaziale, è paragonato ad un foglio di appunti.
Negli esperimenti classici sulla memoria di lavoro vengono in genere predisposte due prove. Il
compito richiesto ai soggetti è quello di svolgerle contemporaneamente; coinvolgendo così le due
componenti, visiva e verbale, in modo differenziato e premettendo così di esaminare il ruolo della
centrale esecutiva. I compiti di tipo visivo e di tipo verbale influenzano negativamente l’esecuzione
di altrettanti compiti della stessa natura; mentre un minor grado di interferenza si verifica nel caso
in cui i compiti sono di natura diversa. I risultati confermano l’esistenza di una memoria di lavoro,
diversa dalla semplice MBT, che consente lo svolgimento di operazioni complesse e concomitanti,
e l’esistenza di due sottosistemi, verbale e visivo, che consentono l’elaborazione e
l’immagazzinamento di materiale differenziato.
Tulving (1972) ha proposto una distinzione all’interno della memoria a lungo termine, tra due tipi
di conoscenze che in essa sarebbero depositate:
– una conoscenza episodica, definita anche memoria autobiografica, esprime esperienze vissute,
ricordi della propria esistenza, è autoconsapevole , connotativa, contraddistinta da chiari riferimenti
spaziotemporali ed autoreferente;
– una conoscenza semantica, invece, è più rigida e cristallizzata, è simbolica, impersonale ed
esprime le nostre conoscenze del mondo.
La memoria procedurale riguarda tutte le conoscenze che possediamo sullo svolgimento di una
particolare attività senza essere necessariamente consapevoli di come e quando le abbiamo apprese;
la memoria esplicita si manifesta quando la prestazione in un compito richiede il ricordo consape-
vole delle esperienze precedenti; la memoria implicita che si manifesta quando la prestazione in un
compito è senza ricordo consapevole.

3.8 APPLICAZIONI SUL FUNZIONAMENTO DELLA MEMORIA


La difficoltà ad apprendere nuove informazioni viene attribuita ad una ridotta capacità, i cui limiti
siano rigidamente prefissati. Nella fase di acquisizione del materiale non è la capacità di memoria
ad essere principale ma il modo con cui le informazioni in entrata vengono codificate ed elaborate.
La memoria umana può quindi essere migliorata ed usata in modo più efficace.
Le tecniche maggiormente utilizzate si dividono in:
– verbali: la più efficace è la rima, gli acronimi e gli acrostici;
– visive: si basano invece sull’uso di immagini mentali.
Gli studi sulla memoria sono stati utilizzati anche nella testimonianza
oculare.
49
Loftus e Palmer (1974) hanno condotto un famoso studio:
Ai soggetti veniva mostrato il filmato di un incidente automobilistico. Ad alcuni veniva chiesto
“A che velocità andavano quando le auto si sono urtate?”. Ad altri veniva chiesto “A che velocità
andavano le auto quando si sono scontrate?”. Le stime della velocità erano superiori nel secondo
caso rispetto al primo, inoltre i soggetti ritenevano di ricordare, dopo una settimana, di aver visto
vetri rotti nel secondo caso rispetto al primo caso.
Tale esperimento dimostra che i soggetti integrano due tipi diversi di informazione:
– l’informazione raccolta nel corso della percezione dell’evento originario;
– l’informazione acquisita successivamente.
Elisabeth Loftus ha sostenuto che informazioni fuorvianti acquisite successivamente all’evento
vengono spesso integrate con le informazioni originarie. Se questo fosse corretto, significa che il ri-
cordo originario viene distrutto e sostituito da un ricordo nuovo prodotto dalla fusione di informa-
zioni vecchie e informazioni nuove. I bambini sono meno accurati degli adulti, forniscono un nu-
mero minore di dettagli se devono ricordare determinati eventi stimoli senza suggerimenti; tuttavia
se si ristabilisce il contesto dell’evento originale la loro prestazione può essere più accurata di quel-
la di un adulto. Gli anziani hanno prestazioni peggiori nel riconoscimento di visi di persone estra-
nee e ricordano un basso numero di dettagli; come i bambini, sono influenzati dalle informazioni
post-evento.
La legge di Yerkes-Dodson descrive la relazione tra lo stress/arousal e il ricordo dei dettagli: un
basso livello di stress genera una scarsa prestazione, mentre un moderato livello di stress tende a fa-
cilitarla. Al contrario, un alto livello di stress deteriora la memoria. Molti fattori possono alterare la
ritenzione, specialmente quella riguardante i dettagli, portando ad una ricostruzione differente
dall’evento originale. Quando un individuo riproduce ripetutamente lo stesso ricordo, il racconto
diventa più semplice e coerente. Le distorsioni sono maggiori quanto è più lungo il periodo inter-
corrente tra l’evento originario e l’informazione erronea. Per questo la prima deposizione è quella
più attendibile mentre quelle successive sono più soggette ad errori.
Una tecnica efficace per produrre una buona testimonianza è il ripristino del contesto, ricostruen-
do la condizione originale e chiedendo di riferire sistematicamente tutti i dettagli situazionali e per-
sonali dell’evento in esame. In generale lo stress, la motivazione e l’attenzione sono processi che
influenzano particolarmente la testimonianza oculare. Nella identificazione di una persona si pre-
sentano notevoli errori dovuti non solo alla conoscenza dell’indiziato, al numero di identificazioni
e di presentazioni, al tipo di istruzioni fornite e agli effetti della suggestione e dell’influenzamento
ma anche all’attrattiva e alla distintività del viso dell’indiziato o alla pressione e all’autorità di chi
interroga.

3.9. APPRENDIMENTO PER PROVE ED ERRORI


Edward Lee Thorndike (1932)
La forma più elementare di apprendimento, comune a tutti i mammiferi, avviene per prove ed er-
rori in base a: la legge dell’effetto secondo cui la probabilità che un comportamento venga ripetuto
in futuro aumenta se seguito a breve distanza da un evento positivo e diminuisce se seguito a breve
intervallo da un evento negativo, generalmente un sistema di premi e punizioni.
L’apprendimento viene rinforzato dall’esercizio e sarebbe più probabile quando il soggetto è
pronto a riceverlo.
Un esempio di questo tipo di apprendimento può essere ritrovato nell’uomo, sottoforma di certi tipi
di scaramanzie.
L’uso di una penna particolare può facilmente essere associato all’esito di un esame come la vitto-
ria della nazionale di calcio viene talvolta attribuita all’aver indossato una particolare maglietta.
Queste sequenze di eventi non hanno una logica relazione causale ma sono comunque imputate a
una relazione causa-effetto.

50
3.9.1. Teoria della Gestalt
Wolfgang Köhler (1958)
La relazione tra stimoli e risposte non è talvolta sufficiente a descrivere l’apprendimento.
Gli elementi del campo possono essere connessi in modo unitario e all’improvviso, grazie ad una
intuizione chiamata insight che comporta una ristrutturazione del campo cognitivo.
L’apprendimento si ha quando gli elementi sono riorganizzati secondo una nuova configurazione
mentale.
Esperimento: inserendo delle scimmie in gabbie ricche di stimoli, intorno a cui è distribuito del ci-
bo non direttamente, la sequenza di comportamenti tipicamente osservata: inizia con una prima fase
in cui la scimmia tenta di raggiungere il cibo; in caso di insuccesso, segue una pausa in cui la
scimmia sembra non essere più interessata al cibo; successivamente e spesso improvvisamente
l’animale, tramite l’utilizzo di uno degli oggetti nella gabbia (per es. un bastone), è in grado di
raggiungere il cibo.
Questa modalità di soluzione dei problemi è chiamata insight (consapevolezza delle relazioni, non
esperita come un fatto a sé stante, ma emergente dalle caratteristiche dell’oggetto considerato).
La ristrutturazione cognitiva avviene all’improvviso per intuizione.
Dopo la prima intuizione gli scimpanzé erano in grado di ripetere l’azione che avevano già effet-
tuato in precedenza per cui si assiste ad una forma di apprendimento per insight.

3.9.2. Apprendimento vicario


Albert Bandura (1973)
Si tratta di un apprendimento per mezzo del quale il soggetto acquisisce informazioni dalle espe-
rienze di successo e insuccesso degli altri, evitando di esporsi in modo diretto al rischio
dell’insuccesso personale, favorendo, così, l’abbandono di comportamenti disfunzionali.
Capacità degli individui di apprendere modalità comportamentali e tendenze affettive tramite la
semplice osservazione o modulazione.

51
CAPITOLO IV - L’INTELLIGENZA
4.1 GLI STUDI PSICOMETRICI
I primi studi psicometrici, che risalgono agli inizi del secolo, erano basati sull’analisi delle diffe-
renze individuali in abilità poco rilevanti e legate a comportamenti percettivi e motori.
Tali studi ebbero un forte sviluppo nella selezione, nell’orientamento e nella diagnosi. Si possono
distinguere due categorie di test d’intelligenza:
– Test di Binet e Simon/Scala Weschler: utilizzano indici globali che differenziano i livelli di età
o diverse posizioni rispetto alla media dello stesso gruppo di età. Questa tipologia di test permette di
raggiungere, come risultato, un Quoziente di intelligenza (QI), che dovrebbe rappresentare il livel-
lo generale di efficienza del soggetto in prove di tipo verbale e di tipo pratico, caratteristiche di una
certa età.
– Test metodi analitici: misurano diverse dimensioni non correlate tra loro, permettono di costruire
dei profili attitudinali dell’individuo e di confrontarli con quelli tipici di gruppi sociali o profes-
sionali. Negli anni '50 e '70, Cattell utilizza, nella costruzione dei test di intelligenza, il metodo fat-
toriale tenendo conto dell’influenza dei fattori culturali e delle condizioni educative nello svilup-
po cognitivo dei soggetti.
Cattell distingue:
– intelligenza potenziale: deriva dalle caratteristiche genetiche del soggetto, dalla sua realizzazione
ottenuta attraverso l’interazione con l’ambiente
– intelligenza fluida e cristallizzata: spiega non solo le differenze inteindivinduali nello sviluppo,
ma anche il diverso declino delle funzioni intellettuali nella vecchiaia.
I test che misurano l’intelligenza fluida, basandosi su capacità percettive di apprendimento e di ra-
gionamento analogico, danno risultati migliori nei più giovani, mentre i test che misurano
l’intelligenza cristallizzata misurano abilità basate sulle conoscenze, che restano stabili nella vec-
chiaia. La distinzione di Cattell tra le diverse capacità mentali permette di tener conto della variabi-
lità dovuta all’eredità o all’ambiente ed è utile nel fare previsioni sulle possibilità di sviluppo di
un soggetto o di un gruppo svantaggiato. Gli studi psicometrici e l’analisi fattoriale sono come
fotografie a più dimensioni, da punti di vista diversi, che danno delle coordinate della posizione
dell’individuo rispetto ad un gruppo e di un gruppo rispetto all’altro.
Negli anni '70 si accese un ampio dibattito sulla questione dei fattori ambientali o ereditari
dell’intelligenza, che ha portato alla formazione di due grandi blocchi ideologici:
– teorie che accentuano i caratteri genetici dell’intelligenza e valorizzano le diffe-
renze individuali,
– teorie che accentuano l’importanza dei fattori acquisiti attraverso il condiziona-
mento culturale e accentuano il valore di un’educazione completamente egualitaria.
In un articolo del 1969 Jensen sosteneva che la varianza delle differenze individuali attribuibili a
fattori genetici è molto più estesa di quella da attribuire a fattori ambientali.
Tale risultato dimostrava l’inutilità dell’educazione nei gruppi sociali svantaggiati, dovuta
all’inferiorità razziale dei negri. Ricerche più recenti hanno dimostrato la plasticità
dell’intelligenza. Nello sviluppo dell’intelligenza vi è un forte peso delle componenti genetiche,
ma queste interagiscono con l’ambiente, che esercita un’influenza più forte nei primi anni di vita
e nella vecchiaia. L’ambiente agisce già a livello prenatale e postatale, aumentando i fattori di ri-
schio a svantaggio delle classi povere (gravidanze difficili, malnutrizione, rischi da parto, malattie
infantili).

4.2 GLI STUDI SPERIMENTALI


Tra il 1920 ed il 1950 si afferma l’indirizzo sperimentale, che critica l’introspezionismo della
scuola di Wurzburg, e adotta il metodo dello studio obiettivo del comportamento. Il Comporta-
mentismo cerca di porre su basi scientifiche l’osservazione del comportamento intelligente, cen-
52
trando l’attenzione soprattutto sui processi di apprendimento, sulle associazioni stimolo-risposta,
sul ruolo dei rinforzi esterni, positivi e negativi. La scuola della Gestalt concentra le sue attenzioni
sul processo di problem solving (Kohler) e sui processi percettivi o sui processi mnestici (Bart-
lett).
La psicologia genetica di Jean Piaget e della sua scuola cerca di tracciare la costruzione progressi-
va delle operazioni del pensiero nel corso dello sviluppo, ne descrive le sequenze e propone un
modello esplicativo che si applica sia alle strutture biologiche sia a quelle cognitive. Piaget critica
sia le impostazioni di tipo associazionista (che definisce “genesi senza struttura”), sia quelle di ti-
po gestaltista (definite “struttura senza genesi”) e considera una serie di fasi evolutive che il bam-
bino attraversa, caratterizzate da una sua strutturazione che la rende qualitativamente, e non solo
quantitativamente, diversa da quella precedente.
La prima fase, divisa a sua volta in vari altri periodi, è quella sensomotoria. L'intelligenza si svi-
luppa secondo Piaget su una “base pratica”, attraverso l'azione. All'inizio il bambino ha a disposi-
zione solo un corredo innato di riflessi, le sue percezioni non sono né coordinate tra di loro, né
coordinate alle azioni. Progressivamente si formano le prime abitudini, coordinazioni tra percezio-
ne e azione.
Secondo Piaget l’intelligenza è un caso particolare di adattamento biologico. L’adattamento è il
risultato di un equilibrio tra organismo ed ambiente ottenuto attraverso:
– processi di assimilazione: incorporazione nei propri schemi mentali delle offerte dell'ambiente
– processi di accomodamento: modificazione del comportamento sulla base delle richieste ambien-
tali.
L’organizzazione è l’aspetto strutturale dell’adattamento attraverso cui il pensiero organizza se
stesso.
L’attività intellettuale nasce dal bisogno di conoscere (motivazione primaria ed intrinseca) per
cui la formazione di nuove strutture cognitive genera a sua volta nuove funzioni e porta verso la
conquista delle cose e verso la riflessione su se stessi. Tra i 14 e 16 anni, secondo Piaget, l'uomo
raggiunge lo stadio ultimo del suo sviluppo cognitivo, che segna l'acquisizione delle operazioni
logicoformali: il soggetto è in grado non solo di cogliere relazione tra fenomeni, ma di formulare
ipotesi e dedurre soluzioni. Tipico del pensiero adulto è la possibilità di "riflettere su sé stessi",
elaborando vere e proprie formulazioni di teorie sull'uomo e sulla vita, ed idee sulle trasformazioni
che regolano il mondo, il lavoro e la società.
Le operazioni mentali, anche le più astratte, si sviluppano da operazioni concrete, e queste a loro
volta si basano sull’azione interiorizzata. La teoria costruttivista piagetiana descrive la nascita
dell’intelligenza come una interazione continua fra i processi interni derivanti dalla programmazio-
ne ereditaria. La molla dell’apprendimento è un meccanismo di equilibrazione continua che modi-
fica e riorganizza gli schemi innati che porta all’esplorazione di vari tipi di possibilità, alle scelte e
all’utilizzazione dell’errore per elaborare nuove procedure.
L’incontro tra le teorie piagetiane ed il cognitivismo dà origine ad un nuovo indirizzo di ricerca, il
neo-piagetiano, che spiega i meccanismi della transizione da uno stadio al seguente formulando le
regole dei vari passaggi in termini di connessione. Secondo Vygotskij il linguaggio non serve solo
per comunicare con gli altri, ma per trasformare il pensiero in strutture cognitive più alte. Lurrija
sottolinea che la formazione dei processi mentali più alti si trasmette attraverso la relazione con gli
adulti, e la maturazione delle funzioni psichiche superiori riflette la storia dell’umanità.
A partire dagli anni '70 si sviluppa un ulteriore indirizzo di ricerca sull’intelligenza: il Cognitivi-
smo. Lo studio delle operazioni mentali è condotto in base ad inferenze sui processi mentali che si
svolgono nella famosa scatola nera e mai esplorati, verificando le ipotesi fornite dai modelli
dell’elaborazione delle informazioni. Il Cognitivismo studia tecniche per indagare sui processi di
codificazione e di elaborazione e controllo delle informazioni, si producono nuovi modelli
dell’attenzione, della percezione, della memoria verificate con tecniche sperimentali che permettono
di studiare il comportamento intelligente.

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Studi recenti in ambito cognitivista riconoscono l’importanza degli aspetti personali, lo stile cogni-
tivo, negli aspetti interni dei processi intelligenti, e l’influenza del contesto nella relazione
dell’individuo con il mondo esterno. Gli stili di pensiero sono modi preferiti di esprimere o usare
una o più abilità. L’intelligenza è selezione e modellamento attivo dell’ambiente, che l’individuo
cerca di cambiare nel modo più favorevole. I soggetti più dotati sono quelli che riescono di più a
modificare l’ambiente e ad affrontare compiti nuovi.
La versione più recente di una teoria pluralistica dell’intelligenza è rappresentata dagli studi, con-
dotti da Howard Gardner, sulla possibilità di interventi destinati all’educazione precoce di soggetti
svantaggiati. Gardner critica le concezioni tradizionali dell’intelligenza come razionalità, logica,
conoscenza ma anche le concezioni dell’intelligenza come capacità unica e tipica degli esseri uma-
ni, innata e posseduta, in maniera più o meno ampia dai vari individui.
Egli sostiene che ci sono molte forme particolari di intelligenza, che vengono sviluppate in cultu-
re diverse o in individui specifici.
Il suo elenco delle forme di intelligenza comprende l’intelligenza:
1. Linguistica: legata alle capacità di utilizzare un vocabolario chiaro ed efficace.
2. Logico-matematica: riguarda il ragionamento deduttivo, la schematizzazione e le catene logiche.
3. Spaziale: capacità di percepire forme ed oggetti nello spazio.
4. Corporeo-cinestesica: padronanza del corpo che permette di ben coordinare i movimenti
5. Musicale: capacità di riconoscere l'altezza dei suoni.
6. Personale: valorizzazione dl Sé attraverso forme espressive come la poesia o la letteratura.
7. Interpersonale: riguarda i rapporti con gli altri e la capacità di comunicazione e di relazione.
8. Intrapersonale: riguarda la capacità di comprendere le proprie emozioni e di incanalarle in for-
me che siano socialmente accettabili.
Attraverso l’attenta esplorazione delle storie evolutive dei personaggi famosi e di poli e culture,
Gardner sostiene che risultati eccezionali vengono ottenuti quando il potenziale innato viene pla-
smato da pratiche educative e da una cultura che si accordano con le preferenze individuali.

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CAPITOLO V - I PROCESSI MENTALI: LA PERCEZIONE (PARTE PRI-
MA)
5.1 SENSAZIONE E PERCEZIONE
La percezione è il processo attraverso il quale le informazioni raccolte dagli organi di senso sono
organizzate in oggetti ed eventi provvisti di un significato per il soggetto.
Gli psicologi hanno distinto il modo nel quale noi riceviamo le informazioni dal mondo esterno in
due fasi separate:
– sensazione: riguarda il modo in cui i nostri organi di senso rispondono agli stimoli esterni e come
queste risposte vengono trasmesse al cervello
– percezione: si riferisce all’elaborazione dei segnali sensoriali che avviene nel cervello e che porta
a costruire una rappresentazione interna per quegli stimoli.
Percepire può essere paragonato al risolvere un puzzle complicato: è necessario prendere pezzi di
informazioni presenti nel mondo esterno in modo tale da formare un quadro comprensivo inter-
no.
Le domande chiave che la psicologia si pone in quest’area sono:
– come le informazioni che provengono dal mondo vengono trasformate in segnali nel cervello?
(sensazione);
– come questi segnali neurali danno luogo a immagini visive (percezione).

5.1.1 La sensazione
Nei nostri organi di senso esistono dei neuroni specializzati, i recettori, che hanno il compito di
tradurre le stimolazioni provenienti dall’esterno in impulsi nervosi, che vengono passati ai neuroni
con i quali i recettori sono connessi e, quindi, veicolati al cervello.
Il processo attraverso il quale i recettori trasformano uno stimolo fisico in una serie di impulsi ner-
vosi viene detto codifica sensoriale o trasduzione. Tale processo può essere diviso in due classi:
– quantitativo,
– qualitativo.
Una volta operato il processo di trasduzione, le informazioni vengono trasmesse al cervello dove
arrivano (con la sola eccezione delle sensazioni olfattive) al talamo. Dal talamo, le informazioni
vengono proiettate nelle aree specializzate della corteccia dove vengono interpretate come imma-
gini, suoni, ecc. L’uomo possiede dei potenti trasduttori sensoriali che permettono il passaggio
dell’informazione dal mondo esterno a quello interno ma che al contempo limitano ed escludono
molte altre informazioni.
La branca della psicologia che si occupa dello studio delle relazioni che ci sono tra le caratteri-
stiche fisiche di uno stimolo e l’esperienza sensoriale che ne deriva, è la psicofisica, termine co-
niato da Gustav Theodor Fechner, un fisico che fu il pioniere di questo tipo di indagine.
Fechner definì il concetto di soglia assoluta, lo stimolo più debole che riesce a suscitare una sensa-
zione; essa, in qualche modo, demarca il confine tra i livelli di energia sufficientemente elevati per
produrre una sensazione e quelli troppo deboli per farlo. La soglia assoluta segna il confine fra gli
stimoli che sono recepiti dall’organismo (stimoli sovraliminari) e gli stimoli che non vengono av-
vertiti dagli individui (stimoli subliminari).
Per valorizzare la soglia differenziale appena percepibile, nel 1834 lo psicofisico tedesco Weber la
definì come una proporzione costante dell’intensità dello stimolo iniziale. La psicofisica classica
era basata sull’assunto che ogni stimolo con sufficiente intensità da aggiungere la soglia assoluta
verrebbe rilevato. Tutte le variazioni della soglia misurata dipendano più dal giudizio del soggetto
che dalla reale variazione della sensibilità allo stimolo; è necessario allora definire una misura del-
la sensazione che non sia influenzata dalle istruzioni di comportamento.
La teoria della detenzione del segnale di Green e Swets (1966) afferma che il soggetto deve deci-
dere autonomamente se la sensazione è stata prodotta da uno stimolo e se sia il risultato di un ru-
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more registrato dal sistema sensoriale. Il rumore è definito come un qualsiasi tipo di disturbo ca-
suale che interviene durante il processo percettivo. È quindi un meccanismo decisionale che pre-
cede, esamina e definisce la conclusione percettiva, tenendo anche in considerazione il rapporto
costo beneficio che deriva dalla decisione che si va ad assumere.
La teoria della detenzione del segnale introduce due concetti chiave:
– il rumore;
– il criterio soggettivo di decisione.
Il concetto di criterio soggettivo di decisione esprime il grado di evidenza di cui un osservatore ha
bisogno prima di dare una risposta positiva. Inoltre la risposta a uno stimolo cambia con il tempo:
se uno stimolo viene presentato in continuazione, la risposta del sistema sensoriale che lo rileva
tende a diminuire nel tempo. Questo fenomeno rappresenta un esempio di quello che viene definito
adattamento sensoriale.

5.1.2 La percezione
La percezione rappresenta la fondamentale modalità attraverso la quale noi acquisiamo le infor-
mazioni sul mondo esterno. Con il termine di “percezione” si intende designare ogni tipo di espe-
rienza causata dalla stimolazione dei nostri sensi. Quello che noi tutti vediamo corrisponde in
genere solo parzialmente a quello che esiste nella realtà e a quello che viene registrato dal nostro
occhio. Ciò che percepiamo può essere, al contrario, particolarmente fedele a dispetto del fatto che
gli occhi non sono in condizione di registrare certe dimensioni, come ad esempio la profondità.
Il primo problema che la psicologia deve affrontare è stabilire quali differenze ci sono fra ciò che
percepiamo e ciò che esiste nella realtà. Una delle circostanze in cui tale differenza si manifesta in
modo vistoso è data dalle cosiddette illusioni ottico- geometriche, semplici disegni che ingannano
l’osservatore sulle caratteristiche dei loro elementi. Alcune illusioni si basano sulle nostre interpre-
tazioni di indici di profondità ambigui ed incoerenti; altre usano la nostra tendenza a vedere gli
oggetti della stessa grandezza indipendentemente dalla loro distanza dall’osservatore, altre ancora
comportano distorsioni nella direzione degli elementi o nella grandezza degli angoli che gli ele-
menti formano tra loro.

Con il termine ‘completamento amodale’ si indica il fenomeno che avviene in


quelle figure in cui la presenza delle parti nascoste si realizza comunque: esse so-
no presenti percettivamente anche se non esiste corrispettivo fisico o fisiologico.
Anche in quello che è stato definito movimento stroboscopico si opera
un’unificazione, erché al posto di due luci che si accendono e si spengono con in-
termittenza si vede una luce sola, costantemente accesa, ma in movimento. Nel
movimento stroboscopico due luci vicine tra loro si accendono e si spengono
secondo una cadenza precisa: quando si spegne la prima l’altra si accende, e non
vediamo due luci ma una sola luce che si sposta rapidamente dal posto in cui si trova la prima al po-
sto in cui si trova la seconda. Questo movimento non è reale ma puramente mentale.
La mente umana organizza costantemente l’attività percettiva in modo da cogliere oggetti ed even-
ti in modo unitario e coerente. Questa segmentazione del flusso continuo delle stimolazioni ci
consente di distinguere gli oggetti gli uni dagli altri, di riconoscerli, di muoverci nel nostro ambien-
te, di fare previsioni attendibili sullo svolgimento futuro degli eventi. La percezione rappresenta un
esempio di quello che i matematici chiamano un “problema mal definito”, vale a dire un problema
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con troppe possibili soluzioni. Il problema della percezione può venire infatti riformulato come
quello della ricostruzione, a partire da un input retinico a 2D, di un mondo a 3D.
5.1.2.1 Teorie della percezione
Il problema fondamentale che il nostro sistema percettivo deve risolvere è quello
dell’indeterminazione: data un’immagine retinica e la sua rappresentazione non è possibile rico-
struire in modo certo lo stato di cose che la ha determinata. Ciò nonostante noi siamo in grado di
costruire una rappresentazione del mondo che risulta simile al vero. Come fa il sistema percettivo
a risolvere il problema dell’indeterminazione? Per cercare di dare una risposta a questa domanda
sono state formulate diverse teorie.

5.2 LA TEORIA EMPIRISTA


Nel 1867 von Helmholtz dimostrò che i dati che ci provengono dagli organi di senso sono parcella-
ri e danno origine unicamente a sensazioni elementari. Secondo Helmotz queste sensazioni ele-
mentari vengono integrate e sintetizzate sfruttando le esperienze passate e il conseguente appren-
dimento. Un individuo adulto, in base all’esperienza passata, compie una specie di ragionamento
inconsapevole in virtù del quale corregge e integra le sensazioni elementari.

5.3 LA TEORIA DELLA GESTALT


Nata in Germania all’inizio del ‘900, la scuola della Gestalt, i cui massimi esponenti sono We-
rheimer, Kohler, Koffka e Lewin, si oppone al principio empirista dell’esperienza passata. Se-
condo la Gestalt, la percezione è un processo primario e immediato risultante dall’organizzazione
interna delle forze che si vengono a creare fra le diverse componenti di uno stimolo (campo per-
cettivo). L’esperienza passata ha un ruolo secondario e non influisce direttamente sui processi di
organizzazione del campo fenomenico. Per gli psicologi della Gestalt la figura organizzata, signi-
ficativa, diventava pertanto l’unità di misura della percezione e ad essa la ricerca doveva essere
indirizzata. Wertheimer individuò una serie quasi infinita di "leggi" sul funzionamento delle ge-
stalt percettive, la più importante delle quali è la legge della pregnanza: ciò che viene percepito
contiene una forma organizzata che è la migliore possibile, in date condizioni ambientali, ossia
risponde ad un principio di economia dell’organizzazione (il massimo dell’informazione nella strut-
tura più semplice).
Le altre leggi della Gestalt sono:
– Legge della vicinanza: gli elementi del campo percettivo vengono uniti in forme con tanta
maggior coesione quanto minore è la distanza tra loro.
– Legge della somiglianza: gli elementi vengono uniti con tanta maggior coesione quanto
maggiore è la loro somiglianza.
– Legge della direzione: gli elementi vengo riuniti in Forme in base alla loro continuità di di-
rezione.
– Legge della chiusura: le linee che formano delle figure chiuse tendono a essere viste come
unità.

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Appare chiaro come, nella prospettiva di Wertheimer, l’articolazione degli elementi in unità per-
cettive non dipende dalle caratteristiche e dalle qualità dei singoli elementi bensì
dall’organizzazione totale della configurazione degli elementi. In tempi più recenti gli psicologi
della Gestalt si sono impegnati in ricerche approfondite che potessero validare le loro intuizioni sul
processo percettivo e, in questo percorso, il loro modello si è spostato verso una accentuazione dei
fattori interni all’organismo nella formazione delle gestalt, allontanandosi dalla prospettiva origi-
naria di Wertheimer sulla possibilità di quantificare oggettivamente, nell’ambiente, le "buone ge-
stalt".

5.4 LA TEORIA DEL NEW LOOK


Il nome New Look of perception fu dato al movimento da Krech (1949) con l’intento di differen-
ziarsi dal "vecchio" punto di vista dei gestaltisti, che escludevano nel processo percettivo l'interven-
to di qualsiasi fattore diverso da quelli propri della dinamica del campo percettivo. Gli psicologi del
New Look volevano invece studiare l'influenza nella percezione proprio di altri fattori, dalle varia-
bili personologiche a quelle sociali, dai valori ai bisogni, dalle motivazioni ai giudizi probabili-
stici. Secondo il New Look, quando si percepisce uno stimolo si compie una operazione di catego-
rizzazione vale a dire di identificazione e classificazione dello stimolo percepito.
In un noto esperimento Jerome Bruner ha evidenziato come la percezione degli oggetti sia in-
fluenzata dai bisogni e dalle motivazioni provate dall’individuo in un particolare momento. Mo-
strando a bambini di disagiate condizioni socio-economiche una moneta da mezzo dollaro essi la
percepivano come più grande rispetto a un disco di cartone. Questo fenomeno non aveva invece
luogo in bambini di classe socioeconomica più elevata. L’esperimento dimostrava, quindi, come
la condizione soggettiva (povertà) influenza la percezione dell’oggetto, distorcendola.

5.5 LA TEORIA ECOLOGICA


La teoria ecologica di James Gibson affronta lo studio della percezione da una prospettiva evolu-
zionistica. Secondo tale prospettiva l’idea che il cervello debba basarsi sulle inferenze o sulle espe-
rienze passate per formare concetti che risultano essenziali per la sua sopravvivenza non ha molto
senso. Dal punto di vista di Gibson il sistema visivo è costruito per interpretare quegli indizi che
massimizzano le sue funzioni.
Gibson afferma che gli stimoli contengono sufficienti informazioni perché noi li possiamo percepi-
re, non sono necessari ulteriori ricordi o ulteriori elaborazioni per interpretare i dati sensoriali.
Un’ampia gamma di informazioni è contenuta nella distribuzione spaziale e temporale degli
stimoli (ad esempio distanze degli ostacoli o configurazione del terreno). Queste disponibilità pre-
senti nella stimolazione sono dette affordance. Percepire significa, quindi, essere in grado di co-
gliere queste informazioni percettive presenti nell’ambiente circostante.

5.6 LA TEORIA DI MARR


David Marr ha proposto la più influente teoria computazionale della visione. La percezione, se-
condo Marr, è un processo organizzato in maniera gerarchica: compiti distinti vengono eseguiti
in ciascun livello di elaborazione e l’output di ciascun livello serve come input per il livello suc-
cessivo. Il primo passo consiste nel costruire, in base ad alcune caratteristiche come linee e punti,
quello che viene detto lo schema grezzo originario (raw primal sketch).
Secondo Marr il nostro sistema percettivo funziona sulla base del riconoscimento e della regi-
strazione delle frequenze spaziali ed è dotato di cellule deputate alla rilevazione delle differenze
di intensità luminosa. Lo schema grezzo originario viene costruito sulla base delle differenze di
luminosità dell’immagine. Dallo schema grezzo originario il sistema visivo estrae una rappresen-
tazione delle superfici, e delle loro dimensioni e del loro orientamento, presenti nell’immagine
visiva portando alla costruzione dello schema a due dimensioni e mezzo (2 and a half dimensional
model).
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Nella costruzione dello schema a due dimensioni e mezzo, elementi che sono percepiti come si-
mili tendono a essere aggregati in unità percettive, mentre elementi dissimili sono percepiti co-
me distinti e separati. In questa prospettiva, Marr riprende i principi di aggregazione già proposti
dalla Gestalt. Dallo schema a due dimensioni e mezzo si arriva finalmente alla costruzione alla
rappresentazione a tre dimensioni dell’oggetto.

5.7 ARTICOLAZIONE FIGURA-SFONDO


La prima segmentazione del flusso delle stimolazioni, in ambito visivo, consiste
nell’articolazione figura-sfondo. Si tratta di un processo universale e costante: non c’è figura sen-
za sfondo.
Le proprietà dell’articolazione figura-sfondo sono:
– La figura ha forma, lo sfondo è amorfo e differenziato.
– Il contorno appartiene alla figura e non allo sfondo
– La figura ha un’estensione definita, mentre lo sfondo continua dietro la figura in maniera indeter-
minata.
– La figura appare in risalto rispetto allo sfondo.
– La figura ha carattere oggettuale (è una cosa) mentre lo sfondo è meno distinto.
I fattori che determinano l’articolazione figura-sfondo sono:

Quando questi fattori non riescono a intervenire, si creano le condizioni per ottenere le cosiddette
figure reversibili, figure nelle quali si ha un’inversione tra figura e sfondo. Si tratta di configura-
zioni instabili e ambigue nelle quali si registra un’alternanza periodica e regolare tra figura e
sfondo.

5.8 INDIZI MONOCULARI E BINOCULARI


La visione monoculare è quella che si forma nei nostri organi di senso e si basa sull’informazione
che proviene da un solo occhio. Nella visione monoculare la percezione della profondità è rivelata
da alcuni indizi:
– l’accomodazione, la messa a fuoco dell’oggetto;
– la sovrapposizione;
– il chiaroscuro, spesso usato nelle rappresentazioni pittoriche.
Il più importante indizio binoculare di profondità è costituito dalla disparità retinica (o binocula-
re), provocata dalla distanza che esiste fra i due occhi (circa 65 mm). Questa distanza fa sì che di
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ogni oggetto vengano fornite due distinte immagini retiniche che risultano leggermente diverse.
Il cervello usa la disparità fra queste immagini per calcolare la distanza che ci separa da oggetti re-
lativamente vicini.

5.9 LA PERCEZIONE DEL MOVIMENTO


La percezione del movimento ha molti aspetti paradossali. Quando ci spostiamo, o anche quando
semplicemente muoviamo gli occhi, le immagini proiettate sulla retina si spostano in continua-
zione; eppure noi non abbiamo, in genere, l’impressione che le cose siano in movimento. Inoltre,
siamo in grado di cogliere movimenti che avvengono solo all’interno di un ristretto rango di velo-
cità: non riusciamo infatti a veder crescere l’erba o a cogliere il percorso di un proiettile.
Esistono alcuni fenomeni che permettono al nostro sistema visivo di produrre la percezione del mo-
to. Il primo fenomeno è il cosiddetto effetto cascata: se si guarda per un periodo di tempo prolun-
gato un’immagine in movimento e poi si sposta lo sguardo su un’immagine statica, si ha l’illusione
che la nuova scena si muova in direzione opposta all’immagine precedente. Tale effetto è dato
sull’esistenza nella nostra corteccia di neuroni specializzati per rilevare il movimento che avviene
in una data direzione; quando si guarda a lungo uno stimolo in moto questi neuroni si adattano al
moto in questione e diventano meno sensibili o più affaticati.
Un altro affascinante fenomeno è quello del movimento stroboscopio osservato da Wertheimer
nel 1912 . Egli proiettò in successione su uno schermo due linee verticali, vicine l’una all’altra: se
l’intervallo fra le due immagini era minore di 30 ms, le due linee erano viste come contemporanee e
statiche; se l’intervallo era superiore ai 200 ms si vedeva prima l’immagine di una linea e dopo
dell’altra. Wertheimer chiamò questo tipo di movimento, movimento ottimale. Con intervalli leg-
germente superiori, si vedeva una linea che si sposta con moto continuo da un punto all’altro; Wer-
theimer chiamò questo movimento puro (o movimento phi).
Un ultimo interessante fenomeno relativo al movimento è il cosiddetto movimento autocinetico: se
in una stanza completamente buia si fissa un piccolo punto luminoso statico, dopo un po’ si ha
l’impressione che il punto compia a caso dei movimenti di una certa ampiezza. In questo caso, gli
spostamenti del punto luminoso sulla retina, in assenza di ogni altro punto di riferimento, sono at-
tribuiti al movimento del punto stesso. Se si accende e spegne alternativamente il punto in questio-
ne, o se si introduce nell’ambiente un secondo punto luminoso, l’effetto autocinetico scompare.

5.10. FISIOLOGIA DELLA VISIONE


Le immagini vengono proiettate sottosopra sulla retina, a causa della rifrazione del cristallino, ma
interpretate correttamente dal cervello.
I fotorecettori, (coni e bastoncelli) si trovano nella retina e loro assoni confluiscono nel nervo ot-
tico.
Il nervo ottico, attraverso alcuni nuclei sottocorticali raggiunge la corteccia visiva primaria da do-
ve partono connessioni verso altre aree della corteccia.
Tutti i fotorecettori confluiscono in un punto della retina per formare il nervo ottico, che conduce i
segnali dalla retina al sistema nervoso centrale.
In quel punto vi è la macchia cieca: la luce che raggiunge la macchia cieca non viene inviata al si-
stema nervoso centrale, a causa dell’assenza di fotorecettori e conseguentemente, siamo ciechi in
quella precisa parte dell’occhio.
In condizioni normali non siamo consapevoli di questo piccolo difetto, poiché il nostro sistema ner-
voso ha dei meccanismi di compensazione che riempiono la zona cieca del campo visivo.
Tuttavia, in particolari situazioni è possibile evidenziarla.
Con questa immagine è possibile “vedere” la macchia cieca.
Coprendo l’occhio sinistro e fissando la stella con l’occhio destro da una distanza di circa 20 cm si
dovrebbe veder sparire il cerchio (si provi ad avvicinarsi e allontanarsi fino a che il cerchio non
scompare).

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5.11. PERCEZIONE VISIVA
Percezione visiva: processo che implica il riconoscimento e l’interpretazione degli stimoli regi-
strati dai nostri sensi.
Possiamo dividere la percezione visiva in due stadi:
1. percezione fisica degli stimoli visivi da parte degli occhi;
2. successiva elaborazione di tali stimoli da parte del cervello.
Funzione: acquisire l’informazione sul mondo esterno.
Teorie iniziali di comprensione del processo percettivo.
• Realismo ingenuo:
– quando percepiamo è come se fotocopiassimo la realtà;
– non si effettua una distinzione tra mondo fisico e mondo percepito.
Concezione errata perché talvolta stimoli identici corrispondono a percezioni diverse.
• Associazionismo:
– la persona si abitua a vedere in un certo modo, in funzione della probabilità con cui gli stimoli si
trovano associati nell’ambiente.
– La percezione degli stimoli è intesa come la semplice somma di sensazioni elementari come le li-
nee, i punti le caratteristiche fisiche dello stimolo.
• Realismo critico:
– parte da un’accurata distinzione tra mondo fisico, informazione ottica e mondo percepito;
– pone come problema di studio empirico la misura del grado di corrispondenza tra mondo fisico e
mondo percepito.
• Empirismo (Helmoltz):
– ogni processo percettivo è frutto di un apprendimento e dell’esperienza passata, che influenzano
la percezione attuale;
– le percezioni sono costruite combinando insieme sensazioni più elementari.
• Innatismo:
– i fenomeni percettivi possono essere spiegati sulla base di leggi innate che guidano e organizzano
i processi percettivi.
L’interpretazione dello stimolo visivo è stato oggetto di studio della Psicologia della Gestalt.
La percezione è il risultato dell’organizzazione interna di “forze”, generate dai vari aspetti di un
oggetto o di un evento, governate da principi innati che permettono di dare un senso alla percezio-
ne.

5.12. PRINCIPI GENERALI DELLA PERCEZIONE


• Attenzione selettiva:
– sistema cognitivo non è in grado di elaborare contemporaneamente tutti gli innumerevoli stimoli
sensoriali che riceve.
– Seleziona in base a: caratteristiche dello stimolo; caratteristiche personali.
• Organizzazione percettiva:
– tendenza a strutturare complesse configurazioni sensoriali in forme dotate di significato.

Gli elementi di una figura vengono raggruppati in base ai seguenti principi:


• Prossimità: gli elementi più vicini tra loro sono percepiti come parte di una stessa forma. Con il
principio della vicinanza si tendono a raggruppare elementi vicini tra loro, dando luogo a
un’organizzazione verticale.
• Somiglianza: gli oggetti più simili tra loro sono raggruppati. Con il principio della somiglianza si
tende a raggruppare oggetti simili tra di loro perché simili, dando luogo a un’organizzazione oriz-
zontale, nonostante tutti gli elementi siano equidistanti.

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• Pregnanza: figure dotate di significato vengono predilette in caso di più interpretazioni possibili.
La nostra mente, tende a organizzare gli elementi di un’immagine nell’insieme più semplice e coe-
rente possibile, in modo che quest’ultimo abbia una forma significativa e pregnante.
• Destino Comune: raggruppa gli elementi in movimento verso la stessa direzione.
• Esperienza: organizzazioni familiari saranno favorite rispetto a forme nuove (esempio della per-
cezione della lettera E).
• Continuità: configurazioni formate da linee continue sono facilmente rappresentate come un in-
sieme. Tendiamo a riunire i segmenti in modo da formare linee il più possibile continue.
• Chiusura: configurazioni chiuse vengono preferite a quelle aperte. Tendenzialmente vediamo le
forme come delimitate da un contorno continuo e ignoriamo le eventuali interruzioni di tale conti-
nuità.
I raggruppamenti, rispettano in generale il principio della Buona Forma: viene sempre preferita la
configurazione più semplice e coerente possibile.

5.13. LEGGI DELL’ORGANIZZAZIONE PERCETTIVA


Figura-sfondo
– Criterio della sovrapposizione.
– Le forme che si trovano collocate su altre ci appaiono come figure su uno sfondo.
– Tendenza a far emergere delle figure (in genere scure) su uno sfondo più chiaro.

Figura ambigua e reversibile.

Si può percepire:
– vaso chiaro su sfondo scuro;
– due profili umani.
Mancando indizi di profondità e di sovrapposizione il cervello non riesce a “decidere” quale sia la
percezione giusta e può passare da una all’altra.
• Area occupata
– La zona distinta e/o delimitabile che occupa l’estensione minore tende ad essere colta come figu-
ra, mentre quella dotata di maggiore estensione verrà colta percettivamente come sfondo (Canestrari
e Godine, 2007).
• Destino comune

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– La Percezione avviene in base alla modificazione nel tempo e sulla base del destino comune
dell’immagine.
Gatto immobile quando caccia sfondo
Gatto che si sposta (movimento) figura in uno sfondo

Aree delimitate da un contorno e chiuse tendono ad essere percepite come figure


Il triangolo bianco sembra più luminoso eppure non è delimitato da nessun segmento.
Triangolo di Kanisza, 1955

5.14. PERCEZIONE DI PROFONDITÀ


La percezione della profondità è dovuta a indici monoculari e binoculari.
Indizi monoculari sono legati alla messa a fuoco:
– densità microstrutturale: è relativa alle superfici dell’ambiente;
– gradiente di tessitura e densità: gradiente di densità della microstruttura sulla retina varia in
funzione del tipo di superficie che osserviamo.
Indizi pittorici
– il chiaroscuro;
– l’occlusione o la sovrapposizione parziale;
– l’altezza sul piano dell’orizzonte;
– la prospettiva lineare.
Disparità binoculare: nella visione binoculare le immagini monoculari provenienti dagli occhi non
sono perfettamente identiche.
Visione ciclopica: le due immagini non perfettamente identiche vengono automaticamente combi-
nate e fuse in una singola visione.
Questo processo prende il nome di fusione binoculare.
Indizi binoculari
– Convergenza: gli occhi convergono in un determinato angolo per mettere a fuoco un oggetto.
– Accomodazione del cristallino: variazione della capacità ottica dovuta all’inspessimento del cri-
stallino quando mette a fuoco un oggetto.

5.15. ILLUSIONI OTTICHE


Le illusioni ottiche dimostrano che la percezione non sempre è in tutto e per tutto veridica.

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Alcune illusioni dipendono dalla natura dei meccanismi sensoriali, altre dal modo in cui il sistema
visivo utilizza l’input ottico per fornire all’osservatore una rappresentazione dell’ambiente.
• Illusioni di movimento: movimento apparente o stroboscopico (fenomeno phi); finestra di Ames.

Immagine di movimento apparente


• Illusioni percettive ottico-geometriche: la percezione della profondità può portare ad una errata
applicazione della costanza di grandezza.
Le due linee orizzontali parallele sono della stessa lunghezza, ma quella superiore sembra più lunga
di quella inferiore.

• Illusione di Ponzo o illusione dei binari, in cui una linea sembra più lunga dell’altra.

• Stanza di Ames:
– illusione ottica basata su una particolare modificazione prospettica;
– stanza di forma trapezoidale;
– due persone di altezza normale collocate agli angoli opposti della stanza;
– osservazione frontale.

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• Percezione: stanza di forma cubica e le due persone vengono percepite l’una come gigante e
l’altra come piccolissima.
Spiegazione in base alla nostra esperienza passata che influenza la percezione attuale. Stanze di
forma cubica sono più frequenti di stanze di forma trapezoidale.
• Costanza percettiva. Processo in base al quale le persone percepiscono gli oggetti e gli eventi
della realtà come invariati e stabili, nonostante vi possa essere la variazione degli stimoli prossimali.
• Costanza della grandezza. Generata dalla relazione oggetto-ambiente di riferimento (immutato e
stabile).
• Costanza della forma. Processo di attribuzione agli oggetti la stessa forma, nonostante il variare
delle forme che essi proiettano sulla retina.

5.16. PERCEZIONE ACUSTICA


Psicoacustica, studia il comportamento dei meccanismi fisiologici e psicologici che intervengono
nella percezione uditiva:
– la capacità dell'udito di valutare le caratteristiche fisiche dei suoni;
– la capacità di coglierne le variazioni.
Alla percezione uditiva si possono applicare gli stessi principi della percezione visiva.
• Campo di percezione umano: da 20 a 20000 Hz (20 kHz).
• Onde sonore di pressione d’aria. Il suono si può descrivere in termini di frequenza e intensità.
Funzioni principali della percezione acustica:
– comunicazione (linguaggio);
– localizzazione sorgenti (direzione dei suoni e distanza dalle sorgenti).
• Effetto mascheramento. Effetto per cui due o più suoni prodotti assieme si "disturbano" recipro-
camente. Ciò causa la tendenza di un ascoltatore a privilegiare certi suoni piuttosto che altri. Il caso
più evidente è quello in cui suoni forti «coprono» (mascherano) suoni deboli (conversazione sul
marciapiede e rumore di una moto che passa).
65
– I-doser (infrasuoni).

Conclusioni
L’organizzazione dei dati sensoriali può provocare due tipi di illusioni: di movimento e ottico-
geometriche.
Le persone percepiscono gli oggetti e gli eventi della realtà come invariati e stabili nonostante vi
possa essere la variazione degli stimoli prossimali.
La percezione della profondità è dovuta a indici monoculari e binoculari.
Psicoacustica studia il comportamento dei meccanismi fisiologici e psicologici che intervengono
nella percezione uditiva.

66
CAPITOLO VI - LA MOTIVAZIONE
Definizione di motivazione
Forza che guida il comportamento, lo sostiene e lo dirige verso uno scopo o obiettivo.
È un processo o stato interiore che almeno in parte rende conto del perché una persona intraprenda
o meno un’azione finalizzata al raggiungimento di un determinato scopo o obiettivo. (Canestrari e
Godino, 2007)
Motivazione primaria: meccanismo di tipo fisiologico basilari per la sopravvivenza (fame, sete).
Motivazione secondaria: meccanismo di tipo psicologico cognitivo come concetti, credenze reli-
giose, ideologie.
Motivazione intrinseca: vengono soddisfatti bisogni interni per cui non è presente nessun tipo di
incentivo o di rinforzo esterno.
Motivazione estrinseca: vengono soddisfatti bisogni di successo e si ha una ricompensa esterna.
Il concetto di motivazione è connesso ai bisogni, ai fini, cioè a quegli elementi che hanno una fun-
zione di regolazione nei rapporti tra la persona e l’ambiente.
Il comportamento di ogni essere vivente è orientato alla realizzazione di un certo numero di sco-
pi e alla soddisfazione di determinati bisogni mediante singoli azioni o una serie di attività tra loro
coordinate. Con il termine motivazione si indica la forza che spinge l’uomo ad agire per soddi-
sfare le proprie esigenze. Il sistema motivazionale contempla al suo interno vari livelli gerarchici:
da risposte comportamentali più semplici si passa via via a livelli di comportamenti più elaborati.
In particolare si possono prendere in considerazione tre livelli:
– i riflessi: si tratta di risposte automatiche e del tutto non apprese, che spesso hanno una fun-
zione regolatoria dell’organismo per ristabilire un equilibrio che è stato modificato;
– gli istinti: rappresentano una vera e propria risposta comportamentale, messa in atto
dall’organismo in relazione a determinate sollecitazioni ambientali, sono automatici e non ap-
presi;
– le pulsioni: forza interna dell’organismo, determinata da una serie di bisogni “naturali”, non
seguono una sequenza prefissata.

6.1 I BISOGNI
Mentre la pulsione rappresenta una spinta interna all’organismo dettata da particolari esigenze bio-
logiche, il bisogno dà un contenuto concreto a quella spinta. I bisogni non sono connessi solo con
le pulsioni fisiologiche ma possono riguardare aspetti complessi della vita umana, valori astratti e
possono inoltre dipendere, in qualche misura, da ciò che gli altri si aspettano da noi e da ciò che
noi ci aspettiamo dagli altri.
In relazione alla complessità dei bisogni nell’uomo lo psicologo Abraham Maslow propose un
modello gerarchico, che prevede differenti livelli di sviluppo nei sistemi motivazionali, cognitivi
ed emotivi che danno vita al comportamento umano. Secondo Maslow, i bisogni umani possono
essere organizzati in cinque diversi gruppi in relazione alla loro primarietà e alla loro distanza dal-
le esigenze biologiche dell’organismo.
Il primo gruppo comprende i bisogni fisiologici, che dipendono da pulsioni fisiologiche quali il
mangiare, il dormire, il respirare, strettamente legati alle funzioni corporee.
Il secondo gruppo comprende i bisogni di sicurezza, che portano alla ricerca delle figure parentali
che sono in grado di assicurare al bambino la dovuta protezione e che fanno sì che egli si senta pro-
tetto.
Il terzo gruppo comprende i bisogni di appartenenza e di amore, che consistono nell’esigenza di
sentirsi parte di un gruppo, di cooperare con i suoi membri, di dare e ricevere amore.
Il quarto gruppo comprende i bisogni di riconoscimento e di rendimento che consistono
nell’esigenza di veder riconosciuti i propri meriti in relazione al proprio ruolo, di essere competenti
e produttivi, viene soddisfatto quando una persona riesce a sviluppare in pieno le proprie capacità.

67
Il quinto gruppo fa riferimento al bisogno di realizzazione di sé, in virtù del quale le capacità po-
tenziali di ciascuna persona trovano la loro più piena applicazione e il massimo punto di crescita.
Si potrebbe aggiungere un ulteriore livello, che comprende il bi-
sogno di trascendenza che consente di andare oltre se stessi e di
sentirsi parte di un insieme più vasto, di ordine cosmico o divino.

Per Maslow i bisogni appartenenti ad un gruppo superiore ri-


chiedono sempre l’esistenza di quelli propri dei livelli inferiori.
Il modello di Maslow può essere sostanzialmente ridotto a tre
gruppi di bisogni che richiedono competenze comunicative e
cognitive diverse.

6.2 LE TEORIE SULLA MOTIVAZIONE


Nell’ottica comportamentista è possibile, attraverso il condizionamento, modificare sia il com-
portamento animale ed umano sia le motivazioni ed i bisogni che ne costituiscono la base. Attra-
verso gli studi sul condizionamento, si è cercato di legare gli stimoli appresi a delle pulsioni se-
condarie, anche esse acquisite. In un classico esperimento proposto da Miller (1948), dei ratti era-
no posti in una gabbia bianca dal fondo metallico: immettendo della corrente elettrica sul fondo
della gabbia gli animali fuggivano in un’altra gabbia attigua e comunicante di colore nero.
Nel corso dell’esperimento si notò che, dopo un certo numero di prove, i ratti posti nella gabbia
bianca fuggivano nell’altra gabbia, anche se il fondo della prima non era più elettrificato. Secondo
Miller dalla pulsione originaria legata all’evitamento del dolore era scaturita una nuova pulsione,
configurabile come paura per il colore bianco, pulsione questa che rispetto alla prima indubbia-
mente risultava appresa. Inoltre la motivazione scatena comportamenti finalizzati a ottenere delle
ricompense.
Sigmund Freud ha spiegato la motivazione all’interno della sua teoria pulsionale, analizzando in
che modo le pulsioni possono indirizzare il comportamento umano. Una pulsione è un costituente
psichico geneticamente determinato che opera producendo uno stato di eccitazione, di tensione
che spinge l'individuo all'attività. Il concetto di pulsione va differenziato da quello di istinto.
Secondo Freud gli uomini sono influenzati, nel loro agire, da due pulsioni di base:
– la sopravvivenza/procreazione sessuale (Eros),
– la morte/distruttività (Thanatos).
Tutti gli istinti hanno un origine, uno scopo e un oggetto. Lo scopo di ogni spinta è quello di riusci-
re a ridurre tale tensione. Gli individui devono trovare un bersaglio, un oggetto grazie al quale poter
ridurre tale tensione, altrimenti insorgono insofferenza, infelicità e ansia.
L’uomo non può soddisfare direttamente le sue pulsioni istintive perché nella realtà ci sono regole
morali e sociali che glielo impediscono, per cui attiva dei meccanismi di difesa verso esse. Secon-
do Freud, il meccanismo della sublimazione è fondamentale per il mantenimento del benessere
dell’individuo, per la usa sopravvivenza e per lo sviluppo della civiltà. La teoria della sublimazione
risulta valida, non solo per la spiegazione di molti casi clinici, ma anche di molte condotte “norma-
li”, come le scelte vocazionali e professionali, l’inclinazione verso specifici hobby, la formazione di
rapporti di coppia, ecc.
Secondo la teoria pulsionale etologica, il cui principale esponente è Konrad Lorenz, le pulsioni
sono istinti caratteristici della singola specie, ma che possono essere influenzate dall’esperienza
e dall’apprendimento. Questa teoria sostiene che ogni animale possiede un repertorio singolare e
determinato di pulsioni istintuali in relazione alla sua struttura genetica. L’ambiente e
l’esperienza agiscono come “modulatori” dell’espressione degli istinti di base della specie.
Gli etologi hanno dedotto che la relazione fra stimolo e tipo di risposta è innata poiché è uguale in
tutti gli individui della stessa specie. Inoltre, hanno osservato che, quando un dato comportamento
motivato viene indotto ripetutamente e, in sequenza ravvicinata, diviene sempre più difficile sol-

68
lecitare la manifestazione. Da ciò gli etologi hanno concluso che la messa in atto di un comporta-
mento motivato specie-specifico riduce il livello dell’impulso.
Anche se il comportamento istintivo è specifico e innato lo stimolo scatenante la sequenza com-
portamentale specie-specifica può essere sostituito. Tale sostituzione è possibile solo in determina-
ti (e brevi) periodi iniziali della vita, i cosiddetti periodi sensibili.
In questi periodi si forma una prima associazione stimolo-innesco del comportamento istintivo,
associazione che resterà stabile e immodificabile per tutta la vita. La dimostrazione più conosciu-
ta di questo fenomeno, noto come “imprinting”, è l’esperimento di Lorenz con gli anatroccoli.
La significatività delle ricerche sull’imprinting per la comprensione della motivazione sociale
umana, nasce soprattutto dalla corrispondenza tra i risultati sperimentali delle ricerche degli etologi
e le osservazioni compiute da Spitz, Wolff e Bowlby su bambini privati delle normali cure materne.
In particolare Bowlby ha concepito la relazione madre-bambino come ricerca
di vicinanza tra i due partners e tale ricerca del contatto è considerata una predisposizione innata
da cui dipende lo sviluppo sociale. Da ciò nasce un ampio filone di ricerche sul bisogno di rice-
vere cure parentali e sulle diverse forme di attaccamento, da cui non si può prescindere per avere
un quadro del livello di sviluppo psico-sociale del bambino.
Il modello cognitivista evidenzia i cambiamenti, nel sistema cognitivo, di valore e di norme nel
passaggio da un tipo di motivazione a un altro. Secondo i cognitivisti motivazioni e bisogni sono
dei concetti dinamici che cambiano in rapporto al numero di informazioni provenienti
dall’ambiente che l’organismo è in grado di elaborare. L’elaborazione delle informazioni in entrata
provoca una continua sistemazione e ristrutturazione dei piani progettati per il conseguimento di
determinati obiettivi. Il cambiamento in questo caso riguarda sia i bisogni sia le azioni necessarie
per soddisfarli.
I concetti di pulsione e di motivazione variano in funzione di:
– intensità,
– persistenza,
– direzione.
Intensità, persistenza e direzione sono in qualche modo connesse con l’elaborazione delle infor-
mazioni in entrata e influenzano con informazioni di ritorno gli stessi processi cognitivi.

6.3 LA MOTIVAZIONE ALL’APPRENDIMENTO


In riferimento all'istruzione, il concetto di motivazione dello studente viene usato per spiegare il
grado in cui gli studenti investono attenzione e sforzo nelle attività scolastiche, cioè la loro dispo-
nibilità a impegnarsi in attività di apprendimento.
Nell'uso del termine 'motivazione all’apprendimento' è opportuno distinguere due accezioni:
– motivazione come tratto: l 'orientamento motivazionale;
– motivazione come stato: l'atteggiamento dell'individuo nei confronti di una situazione specifica.
In generale, quando si parla di allievi motivati o demotivati ci si riferisce all'orientamento moti-
vazionale, in cui giocano molti fattori e, in particolare, la "storia" di successi e insuccessi di ciascun
individuo. Quando si parla di "motivare gli allievi", ci si riferisce spesso alle modalità per costrui-
re un atteggiamento (stato motivazionale) positivo nei confronti di una specifica attività. I due
aspetti sono tuttavia strettamente legati.
Pur nella varietà dei quadri teorici di riferimento, gli studiosi sono concordi nell'individuare nella
motivazione tre elementi fondamentali:
1. gli obiettivi: la rappresentazione mentale di un evento desiderato o da evitare;
2. le reazioni affettive che accompagnano i vari momenti del comportamento motivato;
3. le percezioni, o aspettative, che l'individuo ha relativamente alla propria capacità di raggiungere
l'obiettivo e alle risorse che l'ambiente gli offre.

69
6.4. TEORIA OMEOSTATICA
Cannon (1929)
Fondamento di questa teoria è il bisogno.
I bisogni derivano dalle necessità biologiche dell’organismo che devono essere soddisfatte.
Quando questo non avviene si avverte il bisogno e si attiva una pulsione.
Esempio: assenza di cibo prolungata fame ricerca di cibo.
L’attivazione scatta quando arriva un segnale fisiologico di bisogno (che ha superato un livello so-
glia) che deve essere soddisfatto.
Omeostasi
– Processo generale di mantenimento di un determinato equilibrio dell’organismo attraverso un
meccanismo di controllo di retroazione.
– La costanza delle condizioni interne che il corpo deve mantenere attivamente per sopravvivere.
Il concetto di omeostasi è stato introdotto per la prima volta da Claude Bernard in seguito agli stu-
di sui meccanismi relativi al mantenimento della temperatura corporea e della pressione sangui-
gna.
Alcune proprietà del corpo devono restare costantemente entro i limiti di un ristretto intervallo di
variazione (temperatura corporea, l'ossigeno, l'acqua e le molecole di sostanze nutritive che sono
fonti di energia).
Cannon sottolineò che il mantenimento dell'omeostasi non coinvolge solo i processi interni dell'or-
ganismo, ma anche il suo comportamento verso l'esterno (cibo, acqua, vestiti per mantenere la tem-
peratura corporea).
La motivazione è legata all’equilibrio delle pulsioni.
È necessario che l’organismo metta in atto una serie di processi per mantenere lo stato interno co-
stante.
Squilibrio omeostatico correzione equilibrio.

6.5. TEORIA PULSIONALE ETOLOGICA


Lorenz
• Pulsioni
• Sono specie-specifiche e possono essere influenzate dall’esperienza e dall’apprendimento (ogni
specie ha delle pulsioni caratteristiche).
• Dall’analisi dei comportamenti di alcuni animali Lorenz ha identificato dei periodi definiti critici
o sensibili.
Imprinting
prima associazione tra lo stimolo e l’innesco del comportamento istintivo, associazione che poi ri-
marrà stabile e immodificabile per tutta la vita.
Periodo critico
tempo durante il quale la madre, fornendo l’assistenza sotto forma di cura parentale, assiste il picco-
lo affinché ultimi tale maturazione.
Esso rappresenta una modalità innata d'apprendimento dell'oggetto biologico (figura di accudimen-
to) su cui si fissa un determinato modello di comportamento istintivo.
L’imprinting è un processo istantaneo e irreversibile e ha la funzione di evitare l’attacco dei pre-
datori, di trovare cibo e riparo, di riconoscere la propria specie (accoppiamento, migrazioni).
Studio dell’imprinting con le oche (ochetta Martina).

Tinbergen
Molti aspetti del comportamento di insetti, pesci, rettili e uccelli sono altamente prevedibili, in
quanto essi producono la stessa risposta di fronte a specifici stimoli ambientali, attraverso schemi di
azione fissi.
Relazione stimolo - risposta di tipo riflesso.
70
Esempio di comportamento istintivo: spinarello (piccolo pesce delle acque dolci in Europa, 1951).
– Nella stagione degli amori il maschio dello spinarello cambia colore nella regione del ventre, che
passa dal grigio cupo al rosso brillante.
– In questa fase costruisce il nido e attacca qualsiasi altro spinarello maschio che invada il suo terri-
torio.
– Modellini di spinarello più o meno precisi legati ad un filo sottile.
– Tinbergen ha inserito questi modellini nel territorio dei maschi scatenando un attacco da parte del
maschio solo a quelli con il ventre rosso, nel tentativo di difendere il proprio territorio.
– Stimolo scatenante attacco è il ventre rosso, non la presenza dello spinarello.

6.6. TEORIA DELL’ATTACCAMENTO


Bowlby
Il comportamento del bambino si basa su quattro sistemi:
• esplorazione;
• affiliazione;
• paura-attenzione;
• attaccamento (sistema motivazione centrale dello sviluppo del bambino).
• Teoria dell’attaccamento - 1969
– Il bambino non è spinto tanto da pulsioni e bisogni fisiologici, quanto da una motivazione pri-
maria a costruire relazioni con adulti che possano prendersi cura di lui.
• Attaccamento
– processo strutturato dalle interazioni madre-bambino che governerà le interazioni, le relazioni e
gli affetti. Lo stile di attaccamento può modificarsi durante il corso della vita e la figura di attacca-
mento, qualora la madre fallisse, può essere espletata anche da altre figure vicine al bambino che
possono rivestire la funzione di base sicura (caregiver).
Si definisce “comportamento di attaccamento” ogni forma di azione che tende ad ottenere o a man-
tenere la vicinanza con un altro differenziato e preferito.
Innesco del comportamento di attaccamento > separazione o minaccia di separazione dal caregi-
ver

Spitz – anni ’40


Ricerca su bambini ospedalizzati, con deprivazione psicologica.
Nonostante ricevessero cure alimentari ed igieniche adeguate, circa un terzo moriva prima di
compiere un anno e numerosi altri mostravano segni di grave ritardo, sia fisico che psicologico.
Ha dimostrato l’importanza fondamentale del legame affettivo e calore di un caregiver, contatto fi-
sico, rassicurazione.

Harlow
Studi con le scimmie rhesus sugli effetti della separazione dalla madre sui piccoli di scimmia.
La motivazione affiliativa o di attaccamento corrisponde al senso di piacere legato al contatto con
un altro individuo e al dispiacere di esserne separato o di restare da soli.
Macachi rhesus cresciuti in completo isolamento manifestavano depressione e spavento estremi.
Nel reinserimento con le altre scimmie non erano in grado di integrarsi nel gruppo.
Macachi allevati con madri artificiali:
– una formata da fili metallici con un biberon artificiale contenente latte;
– una formata da un’intelaiatura di ferro ricoperta di morbido tessuto spugnoso.
I piccoli di macachi si nutrivano dalla madre di ferro ma sviluppavano l’attaccamento per
quella ricoperta di spugna.
La freddezza non permette al piccolo di sentire la madre come protettiva.
Essi passavano la maggior parte del tempo appoggiati alla madre di spugna e andavano su quella
di metallo solo per nutrirsi.
71
Quando venivano spaventati di rifugiavano tra le “braccia” della madre di spugna.
Da questo esperimento è emerso che è più importante il bisogno del contatto piuttosto che quello
del nutrimento.

72
CAPITOLO VII - LE EMOZIONI
Le emozioni sono risposte adattative, predisposte biologicamente a situazioni ed eventi che coin-
volgono processi neuropsicologici, psicofisiologici, cognitivi e di controllo del comportamento.
Principali funzioni delle emozioni sono:
o adattative
o comunicative
Segnalare all’esterno il proprio stato e le proprie intenzioni.
L’espressione delle emozioni aiuta a regolare l’interazione durante gli scambi comunicativi so-
ciali, in quanto permettono di comunicare informazioni da individuo a individuo (ad esempio, l'ab-
bracciarsi per esprimere affetto o il lamentarsi per richiedere aiuto).
Informazioni su noi stessi.
Le risposte emozionali sono caratterizzate, nell’uomo, sia da indicatori verbali sia da indicatori
non verbali. Attraverso il linguaggio è possibile comunicare l’esperienza emotiva; alcuni segnali
non verbali, in primo luogo le espressioni facciali, possono essere usati come mezzo per esprimere
in maniera diretta le proprie emozioni.
Le risposte emotive racchiudono molteplici aspetti:
 componente cognitiva: consentono la continua valutazione in termini cognitivi degli stimoli
ambientali;
 componente fisiologica: implicano a vario titolo l’attivazione del sistema nervoso centrale, del
sistema nervoso autonomo e del sistema endocrino che si traduce in tensioni muscolari, modifi-
cazioni del battito cardiaco, salivazione
 componente espressivo-motoria: si esprimono attraverso movimenti del volto e del corpo, o
con differenti toni della voce e modificazioni dell’eloquio;
 componente motivazionale: predispongono l’organismo ad agire, a elaborare piani per realiz-
zare determinati scopi e per soddisfare specifici bisogni;
 componente soggettiva: consentono una riflessione soggettiva sull’esperienza e il vissuto
emozionale, con un’attribuzione di nomi a specifici stati emotivi.

7.1 TEORIE SULL’EMOZIONE


Esistono quattro prospettive teoriche abbastanza delineate negli studi delle emozioni:
1. il filone di studi che inizia con James (1884) e definisce le risposte fisiologiche;
2. la prospettiva evoluzionistica darwiniana, che sottolinea l’universalità dell’espressione
emotiva facciale e la continuità in linea filogenetica di tale espressione;
3. la prospettiva cognitivista, in base alla quale le emozioni sono inserite in un sistema di co-
municazione tra individuo e ambiente;
4. il costruttivismo sociale, che definisce le emozioni come degli insiemi, costituiti da regole,
che si evolvono e assumono un diverso significato in relazione a un differente contesto storico
e sociale.
In passato vi sono state accese polemiche circa il ruolo e l’importanza che alcune componenti
possono assumere nella definizione delle emozioni. La prima in ordine storico è quella che ha visto
contrapposte le ipotesi di James - Lange e di Cannon - Bard.
La teoria delle emozioni James-Lange ribalta l’idea del senso comune che considera i cambiamenti
fisiologici dell’attivazione emozionale come una conseguenza, o al massimo una concomitanza,
del vissuto affettivo.
Nel 1927, Cannon in un importante articolo sull’American Journal of Physiology afferma che le
emozioni sono indipendenti dalle modificazioni viscerali e che le manifestazioni somatiche non
sembrano differire da emozione a emozione. Secondo Cannon anche se noi siamo generalmente co-
scienti del tipo di esperienza emotiva che stiamo vivendo le attività viscerali non vengono percepi-
te con molta esattezza, in quanto tali regioni somatiche non sono ben innervate. La corteccia cere-

73
brale inibisce costantemente la tendenza alla scarica degli schemi di comportamento emotivo co-
dificati nel nucleo diencefalico del talamo, un centro nervoso che elabora e integra le percezioni.
Schachter e Singer in un famoso esperimento, indussero, mediante iniezioni di adrenalina, speci-
fici mutamenti nelle risposte fisiologiche di un certo numero di soggetti. Le variabili furono ma-
nipolate in maniera da ottenere diverse condizioni sperimentali: in particolare si indagò su una
condizione in cui i soggetti furono correttamente informati dei cambiamenti corporei che di lì a po-
co avrebbero provato e su altre due condizioni in cui i soggetti rispettivamente , non furono per nul-
la informati o informati in modo sbagliato. I risultati indicarono che i soggetti di queste ultime due
condizioni si lasciarono più facilmente coinvolgere, da un collaboratore degli sperimentatori, in at-
tività emotive, così da attribuire a tali attività la causa delle modificazioni dell’arousal.
Alla contrapposizione tra l’ipotesi di James Lange e la teoria di Cannon Bard si aggiunge quella
più moderna tra:
– coloro che sostengono il primato degli elementi cognitivi nello studio delle emozioni, secondo i
quali la risposta motorio-comportamentale e l’esperienza emotiva sono sempre successive alla
valutazione dell’evento;
– coloro che affermano, invece, il primato dell’emozione e sostengono la tesi che le risposte moto-
rio-comportamentali precedono sia l’esperienza sia la valutazione di una situazione emozionale.

Teoria evoluzionistica di Darwin


Darwin sviluppò la sua teoria delle emozioni a partire dall’osservazione dei comportamenti di
uomini e animali, giungendo alla conclusione che le emozioni sono essenziali per la sopravviven-
za e l’adattamento dell’individuo all’ambiente.
Attenzione rivolta alle caratteristiche espressive delle emozioni.
Le espressioni emozionali sono innate:
 Alcune espressioni emozionali sono simili in molti animali
 Alcune espressioni emozionali compaiono sia negli adulti che neonati
 Alcune espressioni emozionali appaiono identiche sia nei bambini nati ciechi che nei nor-
movedenti
 Alcune espressioni emozionali compaiono in maniera simile in individui appartenenti a cul-
ture diverse

La teoria periferica di James


Il sentimento dell’emozione non è all’origine, ma è la conseguenza delle modificazioni organiche
periferiche (da questo deriva il nome di teoria periferica).
L’esperienza emozionale altro non è che la percezione soggettiva di una serie di modificazioni
vegetative (respiratorie, circolatorie, gastroenteriche), espressive, che possono riguardare ad esem-
pio le espressioni facciali, e comportamentali (il correre, ad esempio) in risposta ad uno stimolo
emotigeno (stimolo interno o esterno in grado di elicitare una risposta emozionale).
Teoria fisiologica di James- Lange
Ogni emozione è caratterizzata da uno specifico pattern di attivazione viscero-somatica.
L’esperienza emotiva dipende dal feedback delle risposte comportamentali, viscerali ed endo-
crine.
Stimolo emotigeno > Suscita variazioni viscerali e comportamentali > Esperienza emotiva

La teoria centrale di Cannon


Secondo Cannon l’origine dell’emozione è dentro il cervello.
74
L’esperienza emotiva dipende dall’attività di alcune strutture del Sistema Nervoso Centrale, in
particolar modo dalla neocorteccia e da una struttura sottocorticale (il talamo).
Il feedback viscerale assume un ruolo secondario e non primario nella produzione della sensazione
emozionale.
La risposta emotiva è conseguente alla stimolazione di alcune specifiche zone del cervello:
l’ipotalamo (teoria centrale).

1937 - Papez: la base fisiologica dell’organizzazione delle emozioni è stata collocata nel sistema
limbico (cervello viscerale).
Circuito di Papez
• Amigdala: ruolo fondamentale nelle reazioni fisiologiche e comportamentali, come dolore, paura,
presenza di cibo.

La teoria cognitivo-attivazionale di Schachter e Singer

La teoria cognitivo-motivazionale-relazionale di Lazarus (1966)


Concetto di appraisal: valutazione cognitiva che guida la decisione del soggetto in relazione ai
danni o ai benefici che può ricavare da una specifica situazione.
Lazarus (1966) distingue:
Appraisal primario
• Valutazione della situazione in relazione ai propri obiettivi
Appraisal secondario
• Valutazione della gestione della situazione-stimolo (coping)
Re-appraisal
• Valutazione del cambiamento che si può ricavare nella relazione con l’ambiente, in funzione
dell’appraisal primario e secondario
I tre diversi tipi di appraisal si pongono in un rapporto circolare: l’emozione è quindi il prodotto
di un processo cognitivo continuo.

La teoria psicoevoluzionistica di Plutchik (1983)


Sono meccanismi comunicativi e di sopravvivenza fondati su adattamenti evolutivi.
Hanno una base genetica.
Sono catene complesse di eventi con circuiti di feedback stabilizzanti che producono qualche tipo
di omeostasi comportamentale.
La relazione fra emozioni si può rappresentare con un modello strutturale tridimensionale a forma
di cono.
75
Modello multidimensionale delle emozioni
Le emozioni variano per intensità e per somiglianza reciproca, presentano un carattere bipolare:
la gioia è l’opposto della tristezza.
Le emozioni sono disposte verticalmente (irritazione, rabbia, ecc.), mentre la circonferenza defini-
sce il grado di somiglianza delle emozioni.
Ai poli del cerchio sono collocate invece le emozioni opposte (estasi-dolore, adorazione-
repulsione, ecc.).
Paul Ekman (1989): le espressioni facciali sono il prodotto di un numero ristretto di emozioni, de-
finite di “base” o “primarie”.
Ekman elenca sei emozioni di base:
– Gioia
– Tristezza
– Sorpresa
– Paura
– Rabbia
– Disgusto
Le emozioni di base sono:
 determinate geneticamente
 universali
 distinte
Ognuna delle emozioni di base si caratterizza per un proprio pattern che consiste di:
– comportamento facciale caratteristico;
– esperienza cosciente distinta (un sentimento);
– basi fisiologiche.
Le espressioni facciali hanno una natura comunicativa fondamentale per l’adattamento della
persona alle situazioni ambientali.
Le emozioni secondarie, o derivate, risultano dalla combinazione delle emozioni di base.
Le emozioni di base sono riconoscibili in tutte le culture.
Il riconoscimento dell’emozione non viene influenzata dal contesto in cui si presenta.

7.2 SVILUPPO E MANIFESTAZIONE DELLE EMOZIONI


John Watson, nel 1924, conducendo degli studi sui neonati individuò la presenza di tre emozioni
fondamentali che si instaurano già nella fase neonatale. Le emozioni riscontrate nei neonati sono:
• la paura, che nei bambini si manifesta con pianto acuto, arresto del respiro, manine chiuse a pu-
gno;
• l’ira, caratterizzata da grida, respiro irregolare, gesticolazioni;
• l’amore, che i bambini esprimono mostrandosi sereni e calmi, distesi, accennando dei sorrisi.
Secondo Bridges la manifestazione emotiva del neonato e del bambino fino a circa sei settimane
di vita è solamente un’eccitazione indifferenziata. E’ solo successivamente che si realizzano due
tipi di eccitazione, di cui una positiva ed una negativa, che per lui corrispondono alla contentezza
e al disagio. La causa di questo graduale sviluppo della capacità di esprimere le emozioni è dupli-
ce:
– percettiva,
– cognitiva.

7.3 L’ESPRESSIONE FACCIALE DELLE EMOZIONI


Il primo studioso che ha posto l’accento sul valore emotivo delle espressioni facciali è stato Char-
les Darwin, l’ideatore della teoria dell’evoluzione. Darwin sosteneva che molte delle espressioni
facciali, delle emozioni, fossero state selezionate per ragioni di adattamento all’ambiente. Tutto

76
ciò ha un valore sul piano personale e sociale; ad esempio la paura è un'emozione che segnala in
genere un pericolo, e quindi è utile comunicarla ad altri membri della stessa specie.
Paul Ekman ha studiato per molti anni le espressioni facciali, raccogliendo una grande quantità di
dati. Attraverso i suoi studi è stato possibile arrivare ad una descrizione particolareggiata del
comportamento di molti muscoli facciali. Le emozioni segnalate dal volto sono state studiate attra-
verso l'osservazione attenta di fotografie e videofilmati, esaminati al rallentatore. I dati raccolti so-
no stati identificati in modo simile anche all’interno di culture molto diverse.
Le espressioni del volto sono complesse e ambigue in quanto provengono da un sistema duplice,
volontario e involontario, capace di mentire e di dire la verità, spesso contemporaneamente. Ek-
man ha individuato tre tecniche che normalmente le persone utilizzano per sviare l'interlocutore
dal comprendere l’emozione che prova:
– la dissimulazione;
– l'attiva falsificazione;
– facilità nel fingere emozioni positive.
Nel suo libro, I volti della menzogna, Ekman fornisce almeno tre indizi per poter ritenere che una
espressione non sia sincera :
– asimmetria,
– tempo,
– collocazione.

7.4 L’INTELLIGENZA EMOTIVA


La nozione di intelligenza emotiva, già descritta da Howard Gardner nelle due forme, intraperso-
nale e interpersonale, è stata sviluppata da Daniel Goleman, il quale distingue due principali sot-
tocategorie:
1. le competenze personali, riferite alla capacità di cogliere i diversi aspetti della propria vita emo-
zionale;
2. le competenze sociali, relative alla maniera con cui comprendiamo gli altri e ci rapportiamo ad
essi.
L'intelligenza emotiva personale comprende:
– la consapevolezza di sé, che ci porta a dare un nome e un senso alle nostre emozioni negative,
aiutandoci a comprendere le circostanze e le cause che le scatenano;
– l'autocontrollo, implica la capacità di dominare le proprie emozioni, il che non vuol dire negarle
o soffocarle, bensì esprimerle in forme socialmente accettabili;
– la capacità di motivarsi, mantenendola anche di fronte alle difficoltà o quando le cose non vanno
come avevamo previsto o speravamo.

L'intelligenza emotiva sociale è costituita da:


– empatia, ossia dalla capacità di riconoscere le emozioni e i sentimenti negli altri, ponendoci
idealmente nei loro panni e riuscendo a comprendere i rispettivi punti di vista, gli interessi e le dif-
ficoltà interiori.
– comunicazione, la capacità di parlare agli altri, facendo coincidere il contenuto esplicito dei mes-
saggi (trasmesso dalle parole) con le proprie convinzioni ed emozioni (involontariamente rivelate
attraverso il linguaggio del corpo).
Secondo Goleman, l'intelligenza emotiva si può sviluppare attraverso un adeguato allenamento,
diretto soprattutto a cogliere i sentimenti e le emozioni, nostri e altrui, indirizzandoli in senso co-
struttivo.

77
CAPITOLO VIII - L’ATTENZIONE
Concetto di attenzione
L’attenzione è, secondo William James «l’atto per cui la mente prende possesso in forma limpida e
vivace di uno fra tanti oggetti e fra diverse correnti di pensieri che si presentano come simultanea-
mente possibili essa implica l’abbandono di certe cose, allo scopo di trattare più efficacemente con
altre, ed è uno stato che trova precisamente il suo opposto in quello stato di dispersione, confusione,
che viene detto “distrazione”» (da Principi di psicologia, 1890 p. 298).
L’attenzione è quell’insieme di dispositivi e meccanismi che consentono di concentrare e focaliz-
zare le proprie risorse mentali su alcune informazioni piuttosto che su altre.
L’attenzione favorisce l’ingresso alle informazioni che vengono selezionate ancora prima di giun-
gere alla consapevolezza (attenzione selettiva = filtro).
Funzione del filtro: salvaguardare il cervello dagli innumerevoli stimoli che gli arrivano continua-
mente.
L’attenzione può essere spaziale perché si concentra sullo spazio circostante per cui diventa: visiva,
uditiva, gustativa, tattile ecc.
Limiti dell’attenzione: non può essere sostenuta (esempio dello studio).

L’effetto cocktail party


L’effetto cocktail party (Cherry, 1953):
– permette di comprendere l’attenzione selettiva e l’attenzione automatica;
– rappresenta la possibilità di filtrare (escludere) larga parte di stimoli, anche dello stesso senso,
riuscendo ad organizzare in maniera logica e comprensiva un suono unico, oggetto di concentrazio-
ne, rispetto ad un insieme di altri suoni che si sovrappongono ad esso.
Esempio della festa in cui possiamo ascoltare quello che dice un nostro amico e concentrarci in que-
sta conversazione senza prestare attenzione alle altre persone che parlano intorno a noi abbas-
sando la soglia di attenzione sui suoni che in quel momento il cervello considera secondari (brusio,
musica) = attenzione selettiva.
Ma il cervello può distogliere immediatamente l’attenzione dalla conversazione in atto qualora su-
bentrasse uno stimolo esterno che colpisce la nostra attenzione (es. qualcuno che pronuncia il nostro
nome) = attenzione automatica.

Funzioni dell’attenzione
1. Mettere in evidenza alcune informazioni
2. Escludere dalla coscienza altre informazioni
Per l’attenzione valgono gli stessi meccanismi della organizzazione della Gestalt, ossia la buona
forma, la coerenza, il contrasto tra figura e sfondo.
Il processo di focalizzazione dell’attenzione deriva dalla limitata disponibilità del sistema menta-
le ad elaborare i segnali (la capacità attentiva è legata anche alla difficoltà del compito).
Suoni con rilievo percettivo attirano maggiormente la nostra attenzione e vengono registrati
con maggiore facilità.
La capacità di prestare attenzione a più stimoli è legata alla difficoltà del compito da un punto
di vista cognitivo e alla distribuzione delle risorse.
Concetto di automatizzazione
 Pratica > automatizzazione (esempio guida in macchina).
 Basso livello di vigilanza durante la guida su strade conosciute (possiamo anche ascoltare la
radio e fare altre azioni).
 Alto livello di vigilanza quando la strada è nuova o tortuosa o la velocità è sostenuta.
Il mantenimento di una buona vigilanza (attenzione sostenuta) e il non commettere errori è facili-
tato dalle caratteristiche dello stimolo (Castiello e Umiltà, 1992).
Fattori psico-fisici che regolano e facilitano l'attenzione:
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 condizione neuro-funzionale del soggetto (es. uso di psicofarmaci o stato di freschez-
za/riposo). Cambia la quantità di energia disponibile;
 isolamento dell'oggetto (esempio studio) dagli stimoli perturbatori dell'ambiente (esempio
radio, tv);
 variazione dello stimolo. La troppa staticità porta ad assuefazione e perdita di interesse;
 intensità dello stimolo;
 novità, che stimola la curiosità e quindi l’attenzione;
 interesse (es. materia di studio).

Dalla attenzione alla coscienza


Il legame tra attenzione e coscienza, secondo alcuni autori, sarebbe relativo alla funzione
dell’attenzione che è quella di consentire ad alcune informazioni di raggiungere la consapevo-
lezza.
Coscienza
La coscienza è uno stato di consapevolezza di sé e dell’ambiente (Fish, 1967).
Il termine coscienza fa riferimento :
• alla consapevolezza interiore dell’esperienza;
• al soggetto che reagisce intenzionalmente agli oggetti;
• alla conoscenza di un sé consapevole (Sims, 1995).
Funzione della coscienza = regolazione della propria relazione con l’ambiente.
Non solo dimensione conscia della nostra psiche, ma anche inconscia.
Inconscio nella pratica clinica:
– persona con grave malattia cerebrale può essere incosciente;
– persona che dorme è incosciente;
– persona vigile e sana che è cosciente solo di certe parti dell’ambiente circostante.
Inconscio: processi mentali non osservabili (materiale rimosso dalla coscienza), ma che si manife-
stano con: atti mancati, lapsus, sogni o sintomi(nevrosi).
La parte conscia è legata tramite la percezione alla realtà esterna al soggetto.
Il preconscio rappresenta l’anticamera della coscienza, in cui vi sono tutti quei contenuti psicolo-
gici di cui l’Io consapevole si può impadronire in ogni momento.
Dimensioni della coscienza
1. Stato di veglia = Vigilanza
• Facoltà di rimanere deliberatamente svegli. Le oscillazioni e i gradi di vigilanza
sono condizionati dall’organismo stesso (autoregolazione del ritmo sonno-veglia) e
dallo stato complessivo della persona (salute e animo).
• Dallo stato di vigilanza si arriva al sonno attraverso vari stati di sonnolenza.
2. Chiarezza della coscienza = Lucidità
• Comprende le funzioni cognitive e percettive. Capacità di percepire come tali gli
oggetti che si mostrano al soggetto e può essere dimostrata per esempio con la chia-
rezza di pensiero.
• La lucidità è strettamente legata con il grado di coscienza.
3. Coscienza di sé = Io-cosciente
• La persona ha conoscenza di sé stessa come vivente e agente. Io coerente e unita-
rio.

L’attenzione può essere definita come una funzione psichica posta a livello conscio che ha due
importanti effetti:
– mettere in evidenza alcune informazioni;
– escludere dalla coscienza tutte le altre informazioni.

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In psicologia l’attenzione viene messa in correlazione con il livello di attivazione (arousal) del
soggetto, anche se i due processi non si identificano. Il grado di attenzione dipende dal livello di
attivazione dell'organismo; proprio in quanto processo di selezione di informazioni l'attenzione
può essere definita un “processo cognitivo”.
L'attenzione viene stimolata da variazioni improvvise dell'intensità degli stimoli o dalla comparsa
nell'ambiente di stimoli rivestiti di un particolare significato per il soggetto.
Poster (1980) individua due momenti successivi nella registrazione automatica:
– l'orientamento, volgersi in direzione dello stimolo;
– la detenzione, la registrazione cosciente e il rilevamento dello stimolo.
Cohen e Gelber (1975) affermano che è opportuno differenziare i meccanismi che presiedono all'o-
rientamento verso lo stimolo da quelli coinvolti durante la fissazione.

8.1 L’ATTENZIONE SELETTIVA


L’attenzione selettiva è la capacità di selezionare una o più fonti della stimolazione interna o
esterna in presenza di stimoli che si trovano in competizione. L’attenzione selettiva sembra dipen-
dere da due meccanismi:
– attivazione che opera sull’informazione, attivandone le rappresentazioni di significato;
– inibizione che “sfuma” e rende poco accessibili i significati dell’informazione non rilevante, ini-
bendo la risposta.
Per ogni oggetto esistono diverse rappresentazioni mentali che risiedono in diverse zone del cervel-
lo; la percezione di un unico oggetto attraverso queste molteplici rappresentazioni dipende da un
meccanismo attentivo che seleziona e integra le caratteristiche dell’oggetto che si trova in una data
posizione. Secondo la teoria della selezione precoce la selezione degli stimoli avviene nelle pri-
missime fasi dell’elaborazione. Secondo la teoria della selezione tardiva, invece, tutti gli stimoli
sono elaborati fino al livello del loro significato, la selezione avviene solo in fase di risposta.
Lo studio dell'attenzione selettiva è stato avviato da Cherry (1953) che cercò di capire come sia
possibile che fra stimoli molteplici provenienti dal mondo esterno, il soggetto ne selezioni alcuni la-
sciandone decadere altri. In un noto esperimento dimostrò che stando in una stanza affollata un
soggetto riesce a percepire con chiarezza una conversazione che si svolge dall'altra
parte della stanza, ma che considera particolarmente importante; questo fenomeno è opera dell'at-
tenzione focalizzata che sembra attenuare la voce della persona con cui si conversa permettendo
l'ascolto di una voce più lontana (fenomeno del “cocktail party” ).
Donald Broadbent (1958) asserì, invece, che i soggetti hanno la capacità di prestare attenzione ad
una sola voce alla volta, perché il messaggio a cui non si presta attenzione non viene elaborato per-
cettivamente e quindi non passa dalla memoria immediata ed a breve termine a quella a lungo ter-
mine (Teoria del Filtro Primario). Un esempio di insuccesso dell'attenzione selettiva è rappresen-
tato dallo "stroopeffect" (Stroop, 1935): se si mostrano a soggetti delle parole stampate in colori
diversi e si chiede loro di ignorare le parole e di riferire solo il colore dell'inchiostro, essi non rie-
scono ad eseguire nel caso in cui le parole sono nomi di colori diversi dal colore dell'inchiostro.
Un’altra teoria in grado di spiegare un numero maggiore di fenomeni, e quindi più convincente, è
quella del filtro tardivo o terminale di Norman. Secondo questa teoria anche i segnali a cui non si
presta attenzione arrivano al cervello e vengono tutti elaborati almeno parzialmente. Tale ela-
borazione sarebbe però inconscia ed automatica e l’informazione non verrebbe immagazzinata in
modo permanente in memoria.

8.2 L’ATTENZIONE VISUO - SPAZIALE


Dall’attenzione visuo-spaziale dipende la capacità di selezionare particolari regioni dello spazio.
L’attenzione visuo-spaziale può essere:
– diffusa o focale rispetto all’estensione dell’area su cui si concentra;

80
– ad orientamento automatico o volontario rispetto alla dipendenza o non dipendenza dalle aspet-
tative coscienti del soggetto.
L’attenzione focale richiede un certo tempo di attivazione; quando ciò non è possibile si verificano i
tipici errori di combinazione errata di caratteristiche (congiunzioni illusorie).
La teoria dell’integrazione delle caratteristiche presuppone che l’elaborazione visiva degli og-
getti avvenga in due fasi:
– una fase preattentiva in cui vengono individuate le singole caratteristiche degli oggetti;
– una fase attentiva vera e propria in cui tali caratteristiche vengono integrate.
Una revisione della teoria dell’integrazione delle caratteristiche afferma inoltre che la selezione at-
tentiva visiva possa basarsi su 4 diversi meccanismi:
– posizione,
– caratteristiche,
– posizioni definite dagli oggetti,
– oggetto.
Dal punto di vista anatomico l’attenzione visiva spaziale si basa su una rete molto complessa di
aree corticali e sottocorticali. Secondo la teoria premotoria l’attenzione spaziale deriverebbe
dall’attivazione di circuiti neurali corticali e sottocorticali che trasformerebbero l’informazione spa-
ziale in azioni. Una volta inviato un segnale che indica dove dirigere l’attenzione si attiva un pro-
gramma motorio in grado di direzionare i movimenti degli occhi in modo tale da condizionare la
risposta allo stimolo.

8.3 L’ATTENZIONE SOSTENUTA


L’attenzione sostenuta è la capacità di mantenere l’attenzione su eventi critici per un lungo pe-
riodo; presuppone operazioni di selezione e controllo mantenute nel tempo. Dipende molto dalla
frequenza di comparsa degli stimoli e anche dalla loro modalità sensoriale. Negli studi
sull’attenzione sostenuta si è visto che all’aumentare dei tempi di attenzione aumentano anche i
tempi di reazione agli stimoli (quindi anche delle risposte corrette); inoltre aumentano gli errori di
omissione e di falso allarme.
La vigilanza è invece la capacità di monitorare eventi nel tempo con bassa frequenza di accadimen-
to. La prestazione è influenzata sia dai livelli di arousal che dalle aspettative e dalle richieste del
compito. Può dipendere inoltre dalla sensibilità al segnale e dal criterio di risposta. Le strutture ce-
rebrali più coinvolte nell’attenzione sostenuta e nella vigilanza sono la formazione reticolare, il
sistema colinergico nei gangli della base, la corteccia prefrontale destra.
Per lo studio dell'attenzione sostenuta senz'altro il metodo più usato è il clock test. L'apparato spe-
rimentale consiste di un video a forma di orologio che simula un radar sul quale scorre una lancet-
ta che avanza di uno scatto ogni secondo. In alcuni momenti, casuali, la lancetta compie due scatti
contemporaneamente ed è questa sua anomalia nello spostarsi che i soggetti devono cogliere e se-
gnalare premendo un pulsante. L'esperimento dura due ore, e mostra che il 20% dei segnali critici
(il doppio scatto) riconosciuti decresce in funzione dello scorrere del tempo con una rapida cadu-
ta durante i primi 30 minuti e un decremento graduale per il restante tempo.

8.4 ATTENZIONE E COSCIENZA


L’esistenza della coscienza (o consapevolezza) come costrutto psicologico a sé stante e distinto
dall’attenzione emerge in tutti quei casi clinici in cui si osservano dissociazioni tra le conoscenze
inconsce e quelle consce. Esempi di questi casi clinici sono la cecità corticale, la prosopagnosia,
l’eminegliegenza spaziale unilaterale e l’amnesia. Esperimenti condotti con la tecnica
dell’ascolto dicotico e la tecnica del mascheramento visivo hanno inoltre evidenziato come
l’elaborazione degli stimoli possa avvenire in maniera inconsapevole.
A questi fatti sono state date finora tre spiegazioni:

81
a. una postula l’esistenza di centri superiori per l’elaborazione cosciente di stimoli già elaborati
da altri centri corticali specializzati: una disconnessione tra tali aree specializzate e centri superiori
porterebbe ad una mancanza di consapevolezza;
b. un’altra ipotizza che i meccanismi di elaborazione danneggiati, pur continuando a funzionare,
non sarebbero in grado di attivare il sistema della consapevolezza;
c. una terza spiegazione afferma che sarebbero danneggiati i sistemi di trasmissione del prodotto
dell’elaborazione degli stimoli alla coscienza.

8.4.1. Stati di coscienza e ritmi biologici circadiani


Patologie della coscienza
• stato di veglia
Disturbi della vigilanza
• chiarezza della coscienza
Disturbi della lucidità
• si assiste ad uno scadimento – prevalentemente quantitativo - della coscienza dovuto ad alterazioni
della quantità e della intensità dei livelli di vigilanza.

• Abbassamento quantitativo della coscienza


– La coscienza può essere considerata un continuum dalla veglia e dalla piena consapevolezza fino
al coma (Sims, 1995).

Obnubilamento della coscienza


Lieve diminuzione della chiarezza di coscienza e della vigilanza, lieve sonnolenza, difficoltà di at-
tenzione e concentrazione (condizioni organiche, cefalea, intossicazione alcolica).
Sonnolenza
Rallentamento psico-motorio. Addormentamento in determinate condizioni, ma con facile risveglio.
Riflessi integri, ma diminuzione del tono muscolare.
Coma
Non c’è il risveglio immediato. Anche gli stimoli più forti non provocano movimenti di difesa. To-
no muscolare fortemente diminuito. Scomparsa del riflesso pupillare alla luce. Vi sono cinque livel-
li del coma che si differenziano in base ai segni neurologici ed elettroencefalografici e vanno dal
coma leggero fino alla morte cerebrale.
Morte
Perdita irreversibile della coscienza, cessazione della funzionalità della corteccia e degli emisferi
cerebrali.

Cause
 traumi cranici
 tumori
 infiammazioni encefalo
 malattie infettive
 intossicazioni da farmaci o droghe
 epilessia

• Disturbi qualitativi della coscienza


– Ridotta lucidità
Delirium tremens
Sindrome di scadimento della coscienza con anomalie intrusive della percezione e dell’umore.
Disorientamento parziale o totale, confusione, pensiero incoerente.
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Disconoscimento dell’ambiente
Cause
 astinenza da alcol e/o farmaci
 psicosi

Confusione
Incoerenza, disorientamento generale, allucinazioni, deliri, stato d’animo ansioso.

Ritmi biologici circadiani


Vigilanza e prestazione sono influenzate dai ritmi di funzionamento dell’organismo a cadenza quo-
tidiana, detti ritmi circadiani.
Tali ritmi, regolano i parametri di funzionamento fisiologico del corpo:
– pressione arteriosa;
– tono muscolare;
– velocità del metabolismo;
– temperatura corporea;
– cortisolo nel sangue;
– ciclo sonno-veglia.
Funzioni corporee hanno delle variazioni periodiche in un periodo di circa 24 ore.
Il corpo è come dotato di un orologio interno che regola la velocità, la cadenza e l’efficacia della
maggior parte delle sue funzioni (Oliveiro Ferraris, 1983).
Università degli Studi Guglielmo Marconi
I ritmi circadiani hanno un orologio endogeno, ma sono adattati all’alternanza del giorno e della
notte.
Questo è stato dimostrato attraverso l’isolamento, durante il quale i ritmi biologici vengono mante-
nuti.
I ritmi circadiani influenzano le prestazioni di un individuo - tra cui anche quelle cognitive - per cui,
per esempio, l’attenzione prolungata, la capacità di studiare variano nell’arco della giornata.
– Massimo delle prestazioni: prime 3 o 4 ore dopo il risveglio del mattino.
– Minimo delle prestazioni: dopo cena.

Persone
“TIPO MATTUTINO (allodole)”

Persone
“TIPO POMERIDIANO (gufi)”
• Oscillazione nel livello delle prestazioni di circa 70-90 minuti.

8.4.2. Il sonno
Sonno: stato di coscienza alterato in cui vediamo e sentiamo solo cose presenti nella nostra mente.
– Studi oggettivi sul sonno intorno agli anni 50 con l’uso del EEG
– Metodo: registrazione su carta delle onde elettriche prodotte dalla attività dei neuroni corticali e
sottocorticali. Elettrodi posizionati sul cuoio cappelluto con una crema fluida che favorisce la tra-
smissione del segnale.
Dai tracciati dell’EEG in stato di veglia e di sonno sono emerse differenti fasi di funzionamento:
– Fase 0 = Veglia rilassata. Fase zero del sonno > onde alfa (alta frequenza, irregolari e modesta
ampiezza)
– Fase o stadio 1 = Dormiveglia. Fase di addormentamento o sonno leggero. Frequenza e ampiezza
delle onde iniziano a ridursi.
– Fase o stadio 2 = Sonno medio. Onde miste di varia intensità con fusi del sonno.

83
– Fase o stadio 3 = Sonno sincronizzato. Il sonno diventa profondo, punte delle onde più ampie e
numerose.
– Fase o stadio 4 = Sonno profondo o ad onde lente.
Sonno più profondo. Il soggetto si desta con difficoltà. Onde più lente e ampie. Tono muscolare
basso e battito cardiaco più lento.
Fase R.E.M. presenta onde veloci, piccole e irregolari, movimenti oculari (palpebre chiuse). Il son-
no in questa fase è sempre profondo. Per le sue caratteristiche viene chiamato anche sonno para-
dosso.
Fase R.E.M. coincide in gran parte con il sogno.
Un intero ciclo si ripete 4-5 volte e ognuno di essi dura circa 90-110 minuti.
Deprivazione di sonno comporta:
o difficoltà di concentrazione;
o difficoltà di applicazione ai compiti, anche quelli semplici;
o mancanza di lucidità;
o allucinazioni (lunghe deprivazioni);
o compromissione fisica e collasso;
o morte (nei casi più estremi).
Sogno: particolare forma di pensiero fantasticato, ricco di associazioni, talvolta bizzarre, e sgancia-
to dalla realtà.
Sonno e sogni hanno la funzione di difendere la nostra salute mentale.
La durata del sonno cambia da specie e specie e, nell’essere umano, con l’età. Essa cala con
l’invecchiamento (adulto normale circa 8 ore).

8.4.3. Droghe e coscienza


La somministrazione di sostanze chimiche (farmaci, droghe, alcol) può alterare lo stato di coscien-
za.
Le droghe possono essere classificate in:
– sedative: barbiturici, oppio, morfina, eroina;
– inebrianti: alcol (legale);
– allucinogeni: hashish, marijuana, cannabis;
– eccitanti: nicotina (legale), cocaina, crack.
Provocano tolleranza e assuefazione: fenomeno biologico dell'adattamento dell'organismo alla
presenza di sostanze tossiche che costringe un individuo ad assumere dosi sempre crescenti di droga
per ottenere gli stessi effetti.
Effetti
 Effetti sul funzionamento mentale e sul tono dell’umore.
 Effetto sullo stato di coscienza in funzione della intensità e della gravità.
 Effetto acuto (alcol: euforia, disinibizione, annebbiamento idee, difficoltà di articolare le pa-
role, depressione dell’umore)
 Effetto cronico (disturbi metabolici es. cirrosi epatica che possono portare alla demenza)
 Dipendenza e craving (astinenza senza alcol. Condizione fisiologica per cui l’organismo è
assuefatto e ne richiede sempre di più).

Categoria di droghe: eccitanti o stimolanti


Anfetamine (sintetiche) Stimolante che può causare gravi danni al sistema nervoso centrale; para-
noia; allucinazioni auditive; disturbi della personalità; problemi cardiovascolari; ipertermia.
Cocaina (naturale)
– Anestetico a livello locale.
– Provoca attivazione del sistema nervoso simpatico: tachicardia, vasocostrizione, ipertermia, au-
mento della pressione arteriosa.

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– Genera attivazione del sistema nervoso centrale: aumenta la vigilanza, induce euforia, acuisce le
sensazioni percettive, sensazione di aumentata forza fisica e capacità mentale, sopprime il sonno e
la fame.
– L'abuso continuato di cocaina porta ad una riduzione dell'attività metabolica dei neuroni cerebrali
e quindi ad una diminuzione della loro funzionalità
– Genera nella sfera psichica: ipereccitazione, ansia, tensione, paranoia; crisi persecutorie aggressi-
vità e allucinazioni

8.5 CAMPI APPLICATIVI


Fin dai primi mesi di vita l’individuo è dotato di un sistema che gli consente di elaborare gli sti-
moli in modo differenziato e di fissare le proprie risorse su un bersaglio preferito. Nel corso dello
sviluppo, fattori biologici e fattori ambientali interagiscono nello sviluppo delle capacità attenti-
ve. L’educazione, il gioco, l’istruzione scolastica apportano un contributo significativo per lo svi-
luppo della capacità sia di selezionare che elaborare gli stimoli, permettendo al bambino di svilup-
pare le strutture cognitive e le abilità.
L’attenzione quindi va intesa come un processo selettivo presente fin dalla nascita che si perfe-
ziona e incrementa nella sua capacità insieme al progredire delle abilità percettive e cognitive. In-
fluenzano la prestazione del soggetto alcuni ritmi di funzionamento dell’organismo a cadenza quo-
tidiana, i cosiddetti “ritmi circadiani” che interessano diversi parametri di funzionamento fisiolo-
gico del corpo. Uno dei più fondamentali ed evidenti fra questi ritmi è quello di veglia/sonno. Il
corpo, quindi, muta nella sua funzionalità come se fosse dotato di un orologio che regola la velocità,
la cadenza e l’efficacia della maggior parte delle sue funzioni.

8.6. CONCLUSIONI
L’attenzione è l’insieme dei dispositivi e dei meccanismi che consentono di concentrare e focaliz-
zare le proprie risorse mentali su alcune informazioni piuttosto che su altre.
Per l’attenzione valgono gli stessi meccanismi della organizzazione della Gestalt.
L'attenzione selettiva rivolta in una sola direzione implica l'inibizione di ogni altra attività diver-
gente e comporta un maggiore dispendio energetico.
La coscienza è uno stato di consapevolezza di sé e dell’ambiente.

85
CAPITOLO IX - IL LINGUAGGIO E LA COMUNICAZIONE
In psicologia il linguaggio è stata la funzione psichica ad essere studiata con maggiore ritardo ri-
spetto ad altre tematiche, che le ha collocate in una prospettiva scientifico-positiva, costituendo
così l'ambito della psicologia del linguaggio. Una forte spinta alla nascita di una psicologia del lin-
guaggio è venuta dal comportamentismo americano che ha sempre considerato questo campo un
settore privilegiato per le proprie ricerche. Alla fine degli anni '40 alcuni psicologi sperimentalisti
appartenenti ad orientamenti diversi (neocomportamentismo, neofunzionalismo e cognitivismo)
hanno effettuato una serie di ricerche i cui risultati costituiscono la base della psicolinguistica con-
temporanea.
Il linguaggio è un sistema multidimensionale assai complesso che può essere visto secondo varie
prospettive, ed è certamente una delle capacità che più caratterizza la specie umana. Il linguaggio
è questo mezzo più idoneo a comunicare, a stabilire rapporti ed è saldamente legato al pensiero
e al comportamento. In psicologia il linguaggio è generalmente considerato come una forma di
condotta comunicativa che, attraverso un sistema socializzato di simboli aventi la medesima effi-
cacia per tutti i soggetti di uno stesso contesto socio-culturale, trasmette informazioni e determina
rapporti d'interazione.

9.1 FUNZIONE DEL LINGUAGGIO


Le funzioni cui il linguaggio assolve sono numerose; tra queste vanno considerate quella comuni-
cativa e quella simbolica e d'astrazione.
Nel 1970 M.A.K. Halliday affermò che il linguaggio serve a comunicare qualcosa a qualcuno in
qualche modo, e individuò in tale sistema tre importanti funzioni:
– ideativa,
– interpersonale,
– testuale.
La funzione ideativa consente all'individuo di esprimere, attraverso il linguaggio, conoscenze,
esperienze sia sul mondo interiore, sia sul mondo esterno.
La funzione interpersonale permette agli individui di comunicare tra loro in un libero scambio
d'informazioni e di colloquio dialettico consentendo così la creazione e il mantenimento di rap-
porti tra le persone nel rispetto dei reciproci ruoli.
La funzione testuale, infine, è caratterizzata dalla presenza di un legame esistente tra le varie parti
del messaggio linguistico e la situazione contestuale.

9.2 SVILUPPO DEL LINGUAGGIO


Lo sviluppo del linguaggio si attua generalmente attraverso quattro fasi che consentono lo studio
delle prime vocalizzazioni.
Nella prima fase è considerato il vagito del bambino al momento della nascita e il successivo re-
pertorio vocale che, nelle prime settimane, è molto limitato. Anche se in questa fase la vocalizza-
zione è abbastanza diffusa i bambini si muovono in concomitanza con i suoni del linguaggio degli
adulti.
Nella seconda fase, che va dalle prime tre settimane di vita ai quattro-cinque mesi, il bambino pro-
duce dei suoni non intenzionali. E' questo il periodo in cui il bambino pronuncia tutti i fonemi lin-
guistici e in cui le sue vocalizzazioni cominciano ad interagire con quelle della madre.
Nella terza fase, che parte dai sei mesi per arrivare all'incirca verso la fine del primo anno e viene
connotata come "fase della lallazione", il bambino comincia il suo caratteristico balbettio, che rap-
presenta il segnale che egli sta imparando a parlare. I suoni del linguaggio del bambino diventano
vari e continui e, almeno all'inizio di questa fase, sembrano essere gli stessi in ogni ambito cultura-
le.

86
Nella quarta fase, che inizia verso la fine del primo anno, compaiono le prime parole riconoscibi-
li: il bambino di un anno avrà, in media, un vocabolario di due o tre parole che aumenterà, a due
anni, a circa cinquanta e, a tre anni, a mille parole.
Nello sviluppo del linguaggio vengono distinti tre aspetti essenziali:
– il fonetico: inizia nei primi mesi di vita del bambino per concludersi verso i tre anni;
– il morfologico: si verifica tra il primo e il secondo anno di vita con l'avvio dell'apprendimento
della struttura specifica della lingua;
– il semantico: si verifica inizialmente in modo sollecito e successivamente, dopo la fine dell'adole-
scenza, in maniera sempre più lenta.

9.3 LA COMUNICAZIONE
La comunicazione umana è un insieme complesso di simboli e segni che ci servono ad interpreta-
re il nostro ruolo sociale secondo un copione che noi stessi scriviamo. La caratteristica essenziale
del linguaggio è quella di essere un processo di comunicazione inserito in un contesto sul quale
si innestano le più importanti funzioni di interazione sociale.

Roman Jakobson nei suoi Saggi di linguistica generale ha individuato gli attori del processo co-
municativo.
– mittente: la persona che parla;
– destinatario: chi ascolta;
– messaggio verbale: ciò che l’emittente dice attraverso le parole;
– messaggio non verbale: ciò che l’emittente e il destinatario si dicono attraverso i gesti e le posi-
zioni del corpo.
Se consideriamo la situazione con più attenzione, emergono altri aspetti. Il messaggio inviato dal
mittente al destinatario deve essere compreso da quest’ultimo. La persona che ascolta compie un
lavoro di interpretazione del messaggio ricevuto, cerca di capire il significato delle parole, non so-
lo in generale, ma anche all’interno del loro contesto; analizza e valuta i gesti, dandone una inter-
pretazione in rapporto al messaggio verbale; cerca di dedurre il significato di eventuali parole non
ben comprese o sconosciute o prende atto di non aver compreso il messaggio, chiedendo ulteriori
informazioni. Tutto questo lavoro si chiama decodifica.
Ogni messaggio utilizza un codice, vale a dire un sistema di segni cui è stato attribuito un particola-
re significato: l’emittente può scegliere di esprimersi in un codice linguistico, gestuale, artistico,
rituale a condizione però che esso sia condiviso dal destinatario. Ogni comunicazione, inoltre, av-
viene attraverso un canale particolare: la conversazione può avvenire faccia a faccia, o telefonica-
mente, per lettera, via internet. Possiamo, quindi, definire la comunicazione come il passaggio di un

87
messaggio codificato dall’emittente al destinatario attraverso un canale, in un contesto preciso, e
con la presenza di qualche forma di rumore.
La teoria di Jakobson si completa con la precisazione delle differenti funzioni del linguaggio:
o emotiva è centrata sul mittente, di cui esprime le emozioni e sensazioni;
o persuasiva è orientata verso il destinatario, che si cerca di convincere a fare o approvare qual-
cosa;
o referenziale dà informazioni su un fatto, un oggetto, una situazione;
o fàtica ha la funzione di stabilire e mantenere il contatto comunicativo, rimediando anche alle
distorsioni dovute al rumore;
o metalinguistica ha come oggetto lo stesso codice, di cui dà chiarimenti;
o poetica pone in risalto il messaggio in se stesso.

9.4 LA COMUNICAZIONE NON VERBALE


Nel campo della relazione, le affermazioni hanno una validità limitata: esiste un linguaggio del
corpo, dei gesti, del volto che esprime più liberamente e più sinceramente la verità sulla relazione.
La comunicazione non verbale non si tratta di una forma di comunicazione secondaria e in qualche
modo accessoria: da essa traiamo una quantità di informazioni ed indicazioni addirittura superiore a
quelle della comunicazione verbale. Una prima importante forma di comunicazione non verbale è
la posizione stessa del corpo di colui che comunica, che viene studiata dalla prossemica.
La posizione dei corpi delle persone che comunicano non è mai casuale: dipende da una parte dalla
relazione che esiste tra loro e dall'altra da regole culturali condivise.
Possiamo distinguere:
– zona intima: che si estende quanto il nostro avambraccio, in cui consentiamo di accedere solo alle
persone con le quali abbiamo maggiore familiarità;
– zona personale: avviene a distanza di un braccio con l'interlocutore;
– zona pubblica: propria delle comunicazioni pubbliche senza vero contatto personale;
– zona sociale: la distanza tra le due persone è pari a due braccia tese.
Importanti fonti di informazioni sono la postura del corpo e la mimica facciale. Lo psicologo
Paul Ekman ha indicato alcuni indizi per smascherare chi sta mentendo:
– la asimmetria del volto;
– la durata: una espressione che dura più di qualche secondo appare forzata, e quindi falsa;
– la sincronizzazione della mimica facciale con i movimenti del corpo e con l'espressione verba-
le.
Infine, comunichiamo con le mani. Esistono linguaggi interamente basati sui gesti delle mani,
come le lingue di segni usate dai sordomuti, che fanno un uso simbolico dei gesti. Con i gesti di
automanipolazione trasmettiamo, invece, involontariamente delle informazioni riguardanti la rela-
zione anche se spesso l'interlocutore non è in grado di interpretare quei segnali. Questi gesti posso-
no esprimere interesse o rifiuto.

9.5 COMUNICAZIONE
Nella linguistica: scambio di informazioni mediante uno o più linguaggi (verbale, gestuale, iconi-
co, musicale etc.) tra un’emittente e un destinatario.
Comunicazione: trasmissione, diffusione di qualcosa agli altri
Comunicazione: produzione intenzionale di un qualche tipo di segno che possa essere percepito e
interpretato come tale da un’altra persona.
Comunicazione negli animali
 Gli animali utilizzano forme più o meno complesse di comunicazione anche vocale.
 Condotta specie-specifica, innata, stereotipata, identica in animali della stessa specie (polpo
australiano).

88
 Forme di comunicazione aggiuntive compaiono con lo sviluppo (es. acquisizione della ca-
pacità comunicativa di un animale domestico che impara a comunicare i propri bisogni al
proprio padrone).
Settori della comunicazione umana:
 Sintassi
 Semantica
 Pragmatica
SINTASSI:
• Problemi sintattici alle proprietà statistiche del linguaggio (parole e configurazioni).; problemati-
che legate alla codifica e decodifica dell’informazione.
SEMANTICA:
• Significato e simboli del messaggio (parole e significato); significato della comunicazione.
PRAGMATICA:
• Effetti e influenza della comunicazione sul comportamento; relazioni tra lingua e contesto; compe-
tenza comunicativa (Watzlawick e la scuola di Palo Alto).

9.6 CIRCUITO DELLA COMUNICAZIONE


Elementi che concorrono a realizzare un singolo atto comunicativo:
1. Emittente
•fonte delle informazioni. Importanti le caratteristiche individuali e di personalità (stili comunicati-
vi es. aggressivo).
2. Ricevente
•chi accoglie il messaggio, lo decodifica, lo interpreta e lo comprende.
3. Codice
•l’insieme dei simboli e delle regole sintattiche utilizzati nella comunicazione (parola parlata o
scritta, immagine, comportamento, azione, tono). Deve essere condiviso almeno in parte dall'emit-
tente e dal ricevente.

• Emittente usa processo di codifica: traduzione dell’informazione da trasmettere attraverso il co-


dice che deve essere comprensibile al ricevente.
• Ricevente usa il processo di decodifica: trasforma i segni in concetti, in relazione a quello che
l’emittente voleva comunicargli.
• Filtro di comunicazione con elementi consci, inconsci e culturali.
• Errori di comprensione : variabili intervenienti.
• Feedback: retroazione. effetto dell’informazione quando torna indietro all’emittente, relativo allo
stato del ricevente dopo che ha ascoltato il messaggio.; può essere positiva (causerà cambiamento),
o negativa (mantenimento dello status quo).
Sistema in grado di regolarsi da solo e di adattarsi al cambiamento.
Un’altra caratteristica della comunicazione è la circolarità: noi siamo sia emittenti che riceventi.
89
9.7 ASSIOMI DELLA COMUNICAZIONE
Cinque assiomi della comunicazione umana (Paul Watzlawick (1971; 1974).
1. Primo assioma: l’impossibilità di non comunicare
• Messaggio inteso come unità di comunicazione che include sempre, in una situazione di interazio-
ne, un comportamento, che sia esso paraverbale e/o non verbale.
• Di conseguenza non è possibile non comportarsi, per cui non è possibile non comunicare.
2. Secondo assioma: livello di contenuto e livello di relazione
Ogni comunicazione ha:
•aspetto di contenuto (contenuto del messaggio componente di informazione trasmessa);
•aspetto di relazione (riguarda i comunicanti – ruolo- ).
• Con questi due aspetti il contenuto viene classificato dalla relazione.
3. Terzo assioma: la punteggiatura della sequenza di eventi
• Serie di comunicazioni: sequenza ininterrotta di scambi.
• La punteggiatura di una sequenza di una comunicazione organizza gli eventi comportamentali ed
è quindi essenziale per l’interazione.
• La natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i
comunicanti.
4. Quarto assioma: comunicazione numerica ed analogica
• Nella comunicazione umana si hanno due possibilità di far riferimento agli oggetti:
•numerica, è relativa al linguaggio verbale e alla logica dei contenuti trasmessi e si basa su
un’assegnazione simbolica e sul significato delle parole. Il linguaggio numerico serve a scambiare
informazioni sugli oggetti e a trasmettere la conoscenza nel tempo.
•analogica: relativa al linguaggio non verbale e si esprime attraverso una rappresentazione e un rin-
forzo (gesti, mimica, tono della voce, ritmo, atteggiamento corporeo).
• La comunicazione non verbale è una comunicazione analogica.

5. Quinto assioma: interazione simmetrica e complementare


• scambi di comunicazione simmetrici: una persona che parla tende a rispecchiare il comportamen-
to dell’altro, creando un’interazione simmetrica;
• scambi di comunicazione complementari: il comportamento di una persona che parla completa
quello dell’altro, creando un’interazione complementare.

9.8 MEZZI DI COMUNICAZIONE


 Scrittura
 Disegno
 Immagine
 Azione
 Non verbale
90
 Linguaggio
Scrittura
Rappresentazione grafica della lingua attraverso lettere, simboli o segni.
Non è universale.
Disegno
Comunicazione di tipi limitato e specializzato.
Immagine
Fotografia o sequenza di immagini.
Può rappresentare un flusso comunicativo a se stente o può rafforzare.
Linguaggio di tipo polisemico: può essere soggetto a differenti interpretazioni perché ha più signi-
ficati e in esso il livello espressivo non può essere separato da quello del contenuto.
Azione
Danza (esempio rumba cubana).
Classi di condotte (schiaffi, carezze) rinforzano contenuti della comunicazione linguistica.
Comunicazione non verbale
La comunicazione avviene maggiormente (circa al 65%) attraverso il canale visivo dei gesti
(Birdwhistell 1971).
Fisiognomica: scienza che studia il linguaggio gestuale.
Il linguaggio non verbale è tendenzialmente molto più efficace del linguaggio verbale per esprime-
re emozioni complesse e può trasformare il senso generale della comunicazione.
Elementi per la comprensione del linguaggio non verbale:
• sguardo (bocca –sorriso-, sopracciglio);
• postura (rilassata, tesa);
• movimenti (mani);
• prossemica (distanza mantenuta dalle persone durante una conversazione).

9.9 LINGUAGGIO
• Forma superiore di comunicazione che passa attraverso la vista e l’udito.
• Il linguaggio può essere verbale o gestuale (sordomuti).
• Il linguaggio è un sistema di segnalazione (es. osservazione della mimica facciale o gestuale) che
si fonda su di una relazione convenzionale fra strutture fenomeniche e designazione di significati
(Canestrari e Godino, 2007).
Il linguaggio è un sistema integrato fatto di costituenti:
– fonemi;
– morfemi;
– sintagmi;
– frasi;
– testi
Tali costituenti possono funzionare in combinazioni infinite per via di regole ricorsive di riscrittura.
Proprietà del linguaggio
 Dislocazione: è possibile riferirsi ad eventi e luoghi non presenti alla percezione dei parte-
cipanti alla comunicazione.
Scopo della interazione
 Elaborazione del contenuto del messaggio.
 Selezione parole appropriate per raggiungere lo scopo del messaggio attraverso quel conte-
nuto.

9.10 TEORIE SULLO SVILUPPO DEL LINGUAGGIO


Modello
• Programma biologico che corrisponde ad una Grammatica Universale (GU) che contiene la
91
descrizione degli aspetti strutturali condivisi da tutte le lingue naturali;
• universalità del linguaggio: presente in tutti gli esseri umani indipendentemente dall’ambiente di
vita.
Presupposto
• lo sviluppo del linguaggio è un processo attivo con il quale il bambino scopre progressivamente
le regole della grammatica universale.
Competenza linguistica è innata e precede l’esecuzione.
Linguaggio ha un dispositivo di acquisizione completamente autonomo, indipendente sia
dall’intelligenza che dalla capacità comunicativa.

Piaget (1945)
 Posizione interazionista (intermedia tra quella innatista e quella empirista).
 Il linguaggio compare durante il periodo sensomotorio (primo stadio).
 L’acquisizione del linguaggio è per Piaget strettamente legata allo sviluppo cognitivo e di-
pendente da esso.

Posizione funzionalista
 Presuppone l’esistenza di una relazione di continuità tra la comunicazione prelinguistica
(caratterizzata da gesti e vocalizzi) e la comparsa del linguaggio.
 Le prime parole sono dei veri e propri “atti linguistici” (Searle, 1976).

Bruner (1983)
 Postula l’esistenza di un sistema di supporto all’acquisizione del linguaggio, il Language
Acquisition Support System - L.A.S.S., fornito dall’ambiente sociale.
 Sviluppo del linguaggio: interazione tra componenti maturative e stimoli ambientali.
Esempio è l’utilizzo da parte degli adulti del baby talk (tipico linguaggio che viene utilizzato pre-
valentemente dai caregivers nell’interazione con i neonati ed i bambini piccoli).
Questo tipo di linguaggio non risulta affatto impoverito ed è perfettamente adeguato alle competen-
ze comunicative dei bambini.
Caratteristiche principali del baby talk sono:
– parlare lento con intonazione accentuata;
– tono della voce più alto;
– pause più lunghe;
– espressioni verbali brevi;
– frasi ben formate;
– scarsità di proposizioni subordinate;
– numero limitato di vocaboli;
– riferimento al qui ed ora;
– parole caratteristiche (impiegate solo con bambini piccoli ad es. “bua, nanna”);
– ripetizione delle espressioni del bambino;
– espressioni per richiamare l’attenzione del bambino;
– numero più elevato di domande.

92
9.11 SVILUPPO DEL LINGUAGGIO

I tempi dello sviluppo del linguaggio sono differenti nei due sessi, le femmine generalmente sono
più precoci di circa 2-4 mesi.

La produzione delle prime parole (in media 15 parole) è:


– in una prima fase legata alle sollecitazioni dell’adulto, in contesti specifici (ad es. durante la
lettura di una favola “come fa il cane?”);
– in una fase intermedia per anticipare o per ricordare un’azione;
– infine come simboli per categorizzare la realtà che lo circonda, anche in assenza della persona o
dell’oggetto in questione.
L’evoluzione dell’utilizzo delle parole:
93
– parte da una forte contestualizzazione e ipoestensione (cane per indicare solo il proprio cane);
– passa per l’iperestensione (cane per indicare tutti gli animali a quattro zampe);
– arriva alla decontestualizzazione.
Riguardo all’ampliamento del vocabolario, le prime parole vengono acquisite con una certa lentez-
za, ma tra i 18 ed i 36 mesi si assiste ad una vera e propria esplosione del vocabolario (18 mesi cir-
ca 80 parole; 2 anni circa 300).
Si chiama fase monoverbale perché il bambino fino al secondo anno di vita si esprime utilizzando
solo una parola per volta e non costruendo frasi.

3. Linguaggio telegrafico (20-24 mesi)


 Inizialmente le parole funzionano da frasi intere (olofrasi);
 attorno ai 24 mesi inizia lo sviluppo della morfologia e i bambini utilizzano un linguaggio
telegrafico (in genere frasi composte da due parole);
 attorno ai 36 mesi si può osservare un’esplosione della morfologia ed i bambini iniziano ad
utilizzare tutte la parti di una frase.
20-24 mesi

4. Acquisizione grammaticale e sintattica


 Tra i 2 e i 6 anni si può osservare uno sviluppo semantico con un’estensione del vocabola-
rio che può accrescere di circa 10 parole al giorno.
 Intorno ai 6-7 anni circa 3000 parole.
2-7 anni

94
CAPITOLO X - IL SONNO E I SOGNI
Conoscere i processi del sonno e il significato dei propri sogni significa conoscere sé stessi. In que-
sto affascinante campo sono due gli indirizzi di studio:
– le neuroscienze, e in particolare quella scienza che si occupa dello studio delle funzioni del si-
stema nervoso che è la neurofisiologia, interessate ai meccanismi del sonno;
- la psicoanalisi che si interessa del sogno e dei suoi significati.

10.1 IL SONNO
Nel 1929 uno psichiatra bavarese, H. Berger, parlò per la prima volta dell’elettroencefalogramma
(EEG) nell’uomo. Nel 1937 A. Loomis, E. Harvey e G. Hobart fecero la prima descrizione elet-
troencefalografica del sonno mettendo in evidenza cinque tipi particolari d’onde corrispondenti a
cinque stadi di sonno:
– A: sonnolenza,
– B: sonno leggero,
– C: sonno mediamente profondo,
– D ed E: sonno profondo.
Furono E. Aserinsky e N. Kleitman che nel 1953, studiando la motilità oculare durante il sonno,
giunsero alle seguenti conclusioni:
1. da quattro a cinque volte per notte, dietro le palpebre abbassate, i globi oculari hanno dei movi-
menti rapidi, coniugati, orizzontali e verticali, isolati o a scariche di qualche secondo;
2. i soggetti svegliati in quei momenti sono spesso in grado di raccontare un sogno.
È la scoperta del sonno REM, che si differenzia dal sonno con onde EEG sincrone o non-REM per
la presenza di:
– un tracciato elettrico corticale fortemente desincronizzato,
– atonia dei muscoli posturali,
– movimenti oculari rapidi,
– comparsa di onde monofasiche nel sistema visivo,
– aritmia respiratoria e cardiaca con variazioni della pressione arteriosa sistemica.
Per analizzare l’organizzazione del sonno la polisonnografia deve comprendere:
– elettroencefalogramma (EEG),
– elettrooculogramma (EOG): è la registrazione delle differenze di potenziale indotte dagli spo-
stamenti dei globi oculari, registrate mediante elettrodi di superficie posti nella regione periorbita-
ria.
– elettromiogramma: registrazione delle attività elettriche muscolari spontanee, raccolte mediante
elettrodi di superficie.
Nel 1957 W. Dement e N. Kleitman rivedono la precedente classificazione di Loomis, e stabili-
scono lo schema neurofisiologico ormai classico in cui il sonno viene scomposto in quattro di-
verse fasi:
– FASE 0: veglia rilassata;
– FASE 1: sonno leggero;
– FASE 2: sonno medio;
– FASE 3: sonno sincronizzato;
– FASE 4: sonno profondo sincronizzato.

10.2 IL SOGNO
Il sonno e il sogno difendono la nostra salute mentale e la capacità di avere un valido contatto col
mondo esterno. Il numero di ore di sonno necessario è molto variabile da specie a specie, e
nell’uomo varia con l’età, così come varia il numero di ore che passa nella fase REM del sonno.
Col progredire dell’età varia anche il contenuto dei sogni:

95
– fino a 7-8 anni: sono semplici realizzazioni di desideri e dipendono palesemente dalle esperienze
della giornata appena trascorsa;
– adulto: è influenzato dalle esperienze avvenute settimane e mesi prima.
Mentre il sonno è una necessità biologica; il sonno con sogni, collegato alle facoltà cerebrali su-
periori e mentali, ha la funzione di promuovere i processi di selezione ed elaborazione delle in-
formazioni accumulate durante la giornata favorendone l'immagazzinamento nella memoria. Se-
condo Evans e Newman avanzano l'ipotesi che il processo di selezione delle informazioni da im-
magazzinare in memoria avviene durante il sonno, quando l'organismo non è impegnato ad intera-
gire con l'ambiente esterno.

10.3 L’INTERPRETAZIONE DEI SOGNI DI SIGMUND FREUD


Sigmund Freud concepisce il sogno come il risultato di un processo psichico, rappresentazione
dell'appagamento mascherato di desideri repressi in un modo tale, e tramite immagini, che assi-
curano che loro intima natura non sia svelata. Durante il sonno infatti la censura messa in atto dalla
coscienza si affievolisce e così l'inconscio, coi suoi desideri rimossi, preme con più intensità e gene-
ra tensioni.
La realizzazione dei desideri si attua in forma allucinatoria, tramite mascheramenti e deformazio-
ni, effettuate dalla censura della coscienza stessa, che, sebbene affievolita, può ancora dire la sua: il
fine di queste deformazioni é di rendere accettabili alla coscienza i contenuti rimossi. Il sogno ha
un contenuto manifesto, quale appare al sognatore che racconta il proprio sogno; ma il vero signi-
ficato del sogno sta nel contenuto latente che é stato trasformato dal la voro del sogno, dando luo-
go al contenuto manifesto.
L'interpretazione dei sogni risale dal sogno come risultato finito agli elementi per i quali é stato
composto secondo regole e meccanismi specifici. Le regole sintattiche che presiedono al collega-
mento degli elementi del sogno sono:
– la condensazione: é la tendenza ad imprimere tramite un solo elemento più elementi connessi tra
loro;
– lo spostamento: consiste nel trasferimento di interesse da una rappresentazione ad un'altra.
Secondo Freud la censura opera anche in altri comportamenti della vita quotidiana:
– nelle amnesie temporanee, per esempio di certe parole;
– nei lapsus, in cui una parola viene detta anziché un'altra;
– nei motti di spirito, in determinati gesti automatici o involontari.
Per lo più questi sono atti mancati, azioni in cui il risultato apertamente perseguito e solitamente
raggiungibile non viene raggiunto, ma é sostituito con un altro atto.

10.4 CARL GUSTAV JUNG E L’INCONSCIO COLLETTIVO


Secondo l'altro grande psicanalista, Carl Gustav Jung aveva i sogni sono creazioni, rappresenta-
zioni oltre che contenuti dell'inconscio personale anche temi propri dell'inconscio collettivo, quella
parte della nostra psiche che conserva simboli universali, detti archetipi, che non provengono da
acquisizioni personali ma sono ereditati dalla specie come risultato della storia dell'umanità a par-
tire dalle origini.
Jung giunse a formulare il concetto di inconscio collettivo proprio grazie all'interpretazione di un
suo sogno, in cui compare un classico simbolo onirico: la casa. Il procedimento utilizzato dagli ana-
listi junghiani nell’interpretazione dei sogni è l’amplificazione che consiste nel richiedere al sog-
getto di intrattenersi sul proprio sogno, fornendo le sue impressioni su di esso, esprimendo quel che
in esso lo colpisce in modo particolare, arricchendolo con altre immagini e simboli.

10.5 GLI INCUBI E I SOGNI D’ANGOSCIA


Studi recenti riportano che i contenuti onirici sono più spesso negativi che positivi:
– il 64% sono associati ad apprensione, ansia e tristezza;
96
– il 70% ha come temi l'angoscia e la paura, gli incontri caratterizzati da aggressività si verificano
più spesso di quelli benevoli e confidenziali, e gli atti ostili compiuti o subiti sono il doppio di quelli
amichevoli;
– solamente il 18% sono sogni felici ed euforici.
Gli incubi non sono propriamente sogni; si verificano nel quarto stadio del sonno profondo e
non sono sogni ricchi di eventi. Essi assumono prevalentemente la forma di immagini statiche e
sfuocate, situazioni isolate, alle quali si accompagnano intense sensazioni di paralisi e ansia, sen-
so di oppressione toracica, di soffocamento e palpitazioni. Al risveglio, a causa della mancanza di
vivide immagini, non si ricorda cosa esattamente terrorizzava, il ricordo di cosa è accaduto è nebu-
loso o più spesso assente; rimane solo una forte paura.
Gli incubi sono frequenti nei bambini ed insorgono generalmente fra i 4 e i 12 anni per poi scom-
parire nell'adolescenza. La loro comparsa in età adulta e il loro persistere nel tempo sono legati a si-
tuazioni di vita stressanti e a problemi psicologici nella sfera affettiva, oppure sono dovuti alla
brusca interruzione di alcuni trattamenti farmacologici (come i sonniferi barbiturici). La causa
dell'incubo è sconosciuta ma si tende ad attribuirla a un disturbo nel processo di risveglio dal sonno
profondo.
I sogni terrifici si distinguono dagli incubi per la dinamica e la vividezza delle immagini, per la
complessità degli eventi e per la minor intensità delle reazioni ansiose suscitate.
Questi sogni sono molto comuni e tendono a cambiare forma via via che l'individuo affronta i pro-
pri nuclei problematici nella vita. In psicoanalisi non si bada a questi dettagli psicofisiologici, così
incubi e sogni terrifici sono inclusi sotto la comune denominazione di sogni d'angoscia.
Per Freud i sogni d'angoscia sono il risultato di un fallimento del lavoro della censura.
Secondo Ernest Jones, uno dei primi allievi di Freud, le caratteristiche fondamentali dell'incubo
sono:
– un terrore insopportabile;
– un senso di oppressione e peso sul petto;
– la convinzione di trovarsi irrimediabilmente paralizzati.
In psicoterapia i sogni d'angoscia offrono il mezzo più diretto per scoprire il vero problema che as-
silla la vita del soggetto e ci si rivolge ai sogni ordinari per giungerne alla soluzione. Nei sogni
d'angoscia il sognatore si trova di fronte ad una situazione onirica che minaccia la sua identità, ed
è per questo che sono più frequenti durante l'adolescenza e le crisi della mezza età.
E' possibile distinguere i sogni d'angoscia in tre grosse categorie interpretative
– riproduzione di esperienze traumatiche vissute dal soggetto nel passato, situazioni o pericoli
alle quali non ha potuto adeguatamente reagire;
– originati da timori nei confronti dei propri impulsi, sessuali e aggressivi;
– prodotto mentale di semplici sensazioni d'origine corporea.

10.6 L’IPNOSI
L’ipnosi è uno stato di alterazione indotta della coscienza durante il quale la persona sperimenta
dei cambiamenti di percezione, di memoria e di condotta; richiede una collaborazione da parte del
soggetto. Usando le ingiunzioni suggestive indotte dal clinico, il soggetto sotto ipnosi può avere
delle allucinazioni positive (percepire l’esistenza di oggetti o persone inesistenti) o delle allucina-
zioni negative (non percepire qualcosa che in realtà è presente).
L’ipnosi produce effetti importanti sulla memoria, il più noto dei quali è l’amnesia post-ipnotica.
Un altro interessante e noto fenomeno è quello della suggestione postipnotica: il soggetto a distan-
za di ore o di giorni dall’ipnosi compie una determinata azione esattamente nell’ora e nel modo che
gli era stato suggerito dall’ipnotizzatore durante la seduta. Il tracciato EEG delle persone sotto ip-
nosi assomiglia molto a quello dello stato di veglia rilassata, cioè alla fase 0 del sonno. La relazio-
ne con la realtà si presenta come se fosse focalizzata e passasse attraverso la suggestione delle in-
giunzioni dell’ipnotizzatore.

97
CAPITOLO XI - L’INTELLIGENZA E I PROCESSI COGNITIVI
11.1 CHE COSA È L’INTELLIGENZA
L'intelligenza è l'insieme innato di funzioni conoscitive, adattative e immaginative, generate
dall'attività cerebrale dell‘uomo. L’intelligenza è anche definibile come la capacità di ragionare e
di risolvere problemi.

11.2 GLI STUDI PSICOMETRICI


I primi studi psicometrici, che risalgono agli inizi del secolo, erano basati sull’analisi delle diffe-
renze individuali in abilità poco rilevanti e legate a comportamenti percettivi e motori. Tali studi
ebbero un forte sviluppo nella selezione, nell’orientamento e nella diagnosi.
Si possono distinguere due categorie di test d’intelligenza:
- Test di Binet e Simon/Scala Weschler: utilizzano indici globali che differenziano i livelli di età o
diverse posizioni rispetto alla media dello stesso gruppo di età. Questa tipologia di test permette di
raggiungere, come risultato, un Quoziente di intelligenza (QI), che dovrebbe rappresentare il livel-
lo generale di efficienza del soggetto in prove di tipo verbale e di tipo pratico, caratteristiche di una
certa età.
Test metodo-analitici: misurano diverse dimensioni non correlate tra loro, permettono di costruire
dei profili attitudinali dell’individuo e di confrontarli con quelli tipici di gruppi sociali o professio-
nali.
Negli anni '50 e '70, Raymond Bernard Cattell utilizza, nella costruzione dei test di intelligenza, il
metodo fattoriale tenendo conto dell’influenza dei fattori culturali e delle condizioni educative
nello sviluppo cognitivo dei soggetti.
Cattell distingue:
- intelligenza potenziale: deriva dalle caratteristiche genetiche del soggetto, dalla sua realizzazione
ottenuta attraverso l’interazione con l’ambiente;
- intelligenza fluida e cristallizzata: spiega non solo le differenze interindividuali nello sviluppo,
ma anche il diverso declino delle funzioni intellettuali nella vecchiaia.

I test che misurano l’intelligenza fluida, basandosi su capacità percettive di apprendimento e di ra-
gionamento analogico, danno risultati migliori nei più giovani, mentre i test che misurano

98
l’intelligenza cristallizzata misurano abilità basate sulle conoscenze, che restano stabili nella vec-
chiaia.
La distinzione di Cattell tra le diverse capacità mentali permette di tener conto della variabilità do-
vuta all’eredità o all’ambiente ed è utile nel fare previsioni sulle possibilità di sviluppo di un sog-
getto o di un gruppo svantaggiato. Gli studi psicometrici e l’analisi fattoriale sono come fotogra-
fie a più dimensioni, da punti di vista diversi, che danno delle coordinate della posizione
dell’individuo rispetto ad un gruppo e di un gruppo rispetto all’altro.
Negli anni '70 si accese un ampio dibattito sulla questione dei fattori ambientali o ereditari
dell’intelligenza, che ha portato alla formazione di due grandi blocchi ideologici:
– teorie che accentuano i caratteri genetici dell’intelligenza e valorizzano le differenze indivi-
duali;
– teorie che accentuano l’importanza dei fattori acquisiti attraverso il condizionamento culturale
e accentuano il valore di un’educazione completamente egualitaria.
In un articolo del 1969 Arthur Jensen sostiene che la varianza delle differenze individuali attribui-
bili a fattori genetici è molto più estesa di quella da attribuire a fattori ambientali. Tale risultato di-
mostrava l’inutilità dell’educazione nei gruppi sociali svantaggiati, dovuta all’inferiorità razziale
dei negri.
Ricerche più recenti hanno dimostrato la plasticità dell’intelligenza. Nello sviluppo
dell’intelligenza vi è un forte peso delle componenti genetiche, ma queste interagiscono con
l’ambiente, che esercita un’influenza più forte nei primi anni di vita e nella vecchiaia.
Tra il 1920 ed il 1950 si afferma l’indirizzo sperimentale, che critica l’introspezionismo della
scuola di Wurzburg, e adotta il metodo dello studio obiettivo del comportamento.
Il comportamentismo cerca di porre su basi scientifiche l’osservazione del comportamento
intelligente, centrando l’attenzione soprattutto sui processi di apprendimento, sulle associazioni
stimolo-risposta, sul ruolo dei rinforzi esterni, positivi e negativi.
La scuola della Gestalt concentra le sue attenzioni sul processo di problem solving (Kohler) e sui
processi percettivi o sui processi mnestici (Bartlett).

11.3 IL PROBLEM SOLVING

99
11.4 LA PSICOLOGIA GENETICA
La psicologia genetica di Jean Piaget e della sua scuola cerca di tracciare la costruzione progressi-
va delle operazioni del pensiero nel corso dello sviluppo, ne descrive le sequenze e propone un
modello esplicativo che si applica sia alle strutture biologiche sia a quelle cognitive.
Piaget critica sia le impostazioni di tipo associazionista (che definisce “genesi senza struttura”),
sia quelle di tipo gestaltista (definite “struttura senza genesi”) e considera una serie di fasi evolu-
tive che il bambino attraversa, caratterizzate da una sua strutturazione che la rende qualitativamen-
te, e non solo quantitativamente, diversa da quella precedente.
La prima fase, divisa a sua volta in vari altri periodi, è quella senso-motoria. L'intelligenza si svi-
luppa secondo Piaget su una “base pratica”, attraverso l'azione. All'inizio il bambino ha a disposi-
zione solo un corredo innato di riflessi, le sue percezioni non sono né coordinate tra di loro, né
coordinate alle azioni. Progressivamente si formano le prime abitudini, coordinazioni tra percezio-
ne e azione.
Secondo Piaget l’intelligenza è un caso particolare di adattamento biologico, risultato di un equi-
librio tra organismo ed ambiente ottenuto attraverso:
– processi di assimilazione: incorporazione nei propri schemi mentali delle offerte dell'ambiente;
– processi di accomodamento: modificazione del comportamento sulla base delle richieste ambien-
tali.
L’organizzazione è l’aspetto strutturale dell’adattamento attraverso cui il pensiero organizza se
stesso. L’attività intellettuale nasce dal bisogno di conoscere (motivazione primaria ed intrinse-
ca) per cui la formazione di nuove strutture cognitive genera a sua volta nuove funzioni e porta ver-
so la conquista delle cose e verso la riflessione su se stessi.
Tra i 14 e 16 anni, secondo Piaget, l'uomo raggiunge lo stadio ultimo del suo sviluppo cognitivo,
che segna l'acquisizione delle operazioni logico-formali: il soggetto è in grado non solo di cogliere
relazione tra fenomeni, ma di formulare ipotesi e dedurre soluzioni.
Tipico del pensiero adulto è la possibilità di "riflettere su sé stessi", elaborando vere e proprie for-
mulazioni di teorie sull'uomo e sulla vita, ed idee sulle trasformazioni che regolano il mondo, il la-
voro e la società. Le operazioni mentali, anche le più astratte, si sviluppano da operazioni concre-
te, e queste a loro volta si basano sull’azione interiorizzata.
La teoria costruttivista piagetiana descrive la nascita dell’intelligenza come una interazione con-
tinua fra i processi interni derivanti dalla programmazione ereditaria.

100
L’incontro tra le teorie piagetiane ed il cognitivismo dà origine ad un nuovo indirizzo di ricerca, il
neopiagetiano, che spiega i meccanismi della transizione da uno stadio al seguente formulando le
regole dei vari passaggi in termini di connessione.
Aleksander Romanovic Lurija sottolinea che la formazione dei processi mentali più alti si tra-
smette attraverso la relazione con gli adulti, e la maturazione delle funzioni psichiche superiori ri-
flette la storia dell’umanità.
A partire dagli anni '70 si sviluppa un ulteriore indirizzo di ricerca sull’intelligenza: il cognitivismo.
Lo studio delle operazioni mentali è condotto in base ad inferenze sui processi mentali che si
svolgono nella famosa scatola nera e mai esplorati, verificando le ipotesi fornite dai modelli
dell’elaborazione delle informazioni.
Secondo Lev Semyonovich Vygotskij il linguaggio non serve solo per comunicare con gli altri, ma
per trasformare il pensiero in strutture cognitive più alte.

11.5 LEV SEMYONOVICH VYGOTSKIJ


Lev Semyonovich Vygotskij nacque nel 1896, lo stesso anno di Piaget, in una famiglia di intellet-
tuali ebrei di Russia. La sua numerosa famiglia amava fare stimolanti conversazioni attorno al sa-
movar. Già all'età di quindici anni Vygotskij veniva chiamato «il piccolo professore» per la sua re-
putazione di leader nelle discussioni tra studenti [Wertsch 1985b]. Egli spesso organizzava dibattiti
e finti processi in cui i suoi amici recitavano nel ruolo di personaggi storici come Aristotele e Napo-
leone [Wertsch 1985b]. Aveva una buona istruzione. Possedeva una laurea. in legge dell'università
di Mosca e aveva fatto molte letture in letteratura, linguistica, psicologia, arte, :scienze sociali e fi-
losofia. Dopo qualche tempo scrisse una dissertazione sull'Amleto di Shakespeare. Tale interesse
per il linguaggio e la letteratura si sarebbe espresso più tardi nel suo lavoro sullo svfluppo cogniti-
vo. Vygotskij insegnò psicologia come docente universitario in una città di provincia della Russia
occidentale. Il suo lavoro gli facea incontrare bambini con deficit congeniti quali cecità, sordità e
ritardo mentale. La sua ricerca di possibilità per aiutare questi bambini a realizzare il proprio poten-
ziale lo portò faccia a faccia con i problemi riguardanti lo sviluppo cognitivo. Il lavoro sistematico
di Vygotskij in psicologia cominciò nel 1924 quando lo psicologo russo Alexander Luria, colpito

101
dalla genialità di sua conferenza, gli fece ottenere un impiego presso l'istituto dì psicologia di Mo-
sca. Luria fece una descrizione di tale evento, che aveva come protagonista un giovane e sconosciu-
to insegnante di provincia: Quando Vygotskij salì a presentare la sua relazione, non aveva alcun te-
sto scritto da cui leggere, neppure degli appunti. Eppure parlava in modo scorrevole, senza mai dare
l'impressione di fermarsi a cercare l'idea successiva nella sua memoria [...] Invece di scegliere un
argomento di minore importanza, come sarebbe stato proprio per un giovane di ventotto anni che
parlava per la prima volta della sua professione ad un incontro di barbe grigie, Vygotskij scelse il
difficile tema del rapporto tra riflessi condizionati e comportamento cosciente dell'uomo [...] Ap-
parve chiaro che quest'uomo venuto da una piccola città della provincia della Russia occidentale era
una forza intellettuale che andava ascoltata [Luria 1979; trad. it. 1987,35].
Negli anni seguenti le conferenze di Vygotskij continuarono ad ispirare gli ascoltatori. A volte gli
studenti ascoltavano le sue lezioni anche attraverso le finestre aperte, con le aule che straboccavano.
Vygotskij, Luria e Leontiev, la «troika» della scuola [Luna 1979; trad. it. 1987, 35] costruirono con
entusiasmo una nuova psicologia basata sul marxismo, come parte della costruzione di un nuovo
stato socialista, dopo la rivoluzione russa. Luria ne parlò in questo modo: «Il nostro scopo, eccessi-
vamente ambizioso secondo la moda dei tempi, era di creare un nuovo e completo approccio ai pro-
cessi psicologici dell'essere umano» [Luria 1979; trad. it 1987, 36]. La mancanza di un'istruzione
formale da parte di Vygotskij rappresentava un problema per un gruppo così radicale! Wertsch
[1985b] sostiene che fu in gran parte a causa dei grandi cambiamenti sociali che Vygotskij fu in
grado di sviluppare le proprie teorie e influenzare la psicologia e l'educazione del tempo.Vygotskij e
i suoi colleghi volevano cambiare il modo di pensare dei cittadini da una mentalità feudale (padroni
e servi) di disperazione ed alienazione ad una mentalità socialista di attività autodiretta e di impe-
gno verso un'unità sociale più ampia, basata sulla condivisione, la partecipazione ed il supporto re-
ciproco. La nuova concezione sovietica era che ogni persona è responsabile del progresso dell'intera
società. Uno degli obiettivi principali era quello di eliminare l'analfabetismo di massa della società
sovietica. In reazione agli psicologi russi che li avevano preceduti, Vygotskij e i suoi colleghi co-
struirono una visione storico-culturale della psicologia evolutiva dando rilevanza alle attività menta-
li più alte, come il pensiero, la memoria e il ragionamento. Vygotskij si ispirava al lavoro di Pavlov
sulle «attività nervose più elevate» e conosceva psicologi europei come Piaget, Binet e Freud. Infat-
ti, parecchie sue pubblicazioni comprendevano commenti critici a Piaget [per esempio, Vygotskij
1962; trad. it.1990].
Vygotsltij estese le idee di Marx ed Engels sull'economia e la politica alla psicologia secondo tre
modalità principali, che verranno meglio descritte più avanti. In primo luogo, estese allo sviluppo
umano la loro tesi secondo cui gli uomini trasformano se stessi, oltre che la natura, attraverso il la-
voro e l'uso di strumenti. Il modo di produzione economica - ad esempio socialista, capitalista o
feudale - determina le condizioni di lavoro delle persone e le interazoni sociali, che a loro volta ne
influenzano le cognizioni - stili cognitivi atteggiamenti, percezione della realtà e convinzioni. Se-
condo la trasposizione fattane da Vygotskij alla psicologia evolutiva, sono le interazioni con altre
persone all'interno dei vari contesti sociali e gli «strumenti psicologici», come il linguaggio, usati in
queste interazioni che plasmano il pensiero del bambino. L'azione fatta con strumenti crea il pensie-
ro. In secondo luogo, Vygotskij sosteneva che il principio economico collettivistico della condivi-
sione dei beni è parallelo alla condivisione sociale delle cognizioni. La collettività degli adulti è re-
sponsabile della condivisione delle sue conoscenze con i bambini e gli altri membri meno avanzati
dalla società, per far avanzare il loro sviluppo cognitivo. In terzo luogo, Vygotskij sosteneva il prin-
cipio marxista (derivato da Hegel) della natura dialettica del cambiamento – che tutti i fenomeni so-
no costantemente sottoposti a cambiamento e si muovono verso una sintesi degli elementi conflit-
tuali e contraddittori. Per Vygotskij è questo processo che costituisce lo «sviluppo». Il pensiero
umano, come altri fenomeni, può essere compreso soltanto esaminandone la storia. Vi può essere
conflitto tra le strutture psicologiche che vanno sviluppandosi, tra l'opinione sostenuta al momento e
una nuova, tra il bambino e l'ambiente, tra natura e cultura, ecc. L'idea che le cognizioni possano
venire comprese in maniera completa soltanto studiandone lo sviluppo non appare oggi del tutto ri-
102
voluzionaria, ma al tempo di Vygotskij non era un'idea larga mente condivisa. Vygotskij continuò
ad interessarsi all'educazione, in special modo agli handicap fisici e mentali, ed a problemi medici
come la cecità, l'afasia e il ritardo mentale grave. Infatti, studiò parecchi anni medicina. Fondò vari
laboratori di ricerca, alcuni dedicati allo studio dei bambini con problemi fisici o mentali. Fece mol-
ta attività di insegnamento, portò continuamente avanti progetti di ricerca e pubblicò circa 180 ope-
re. Nei primi anni Trenta, Vygotskij fu vittima della lotta politica che avvenne durante il governo
Stalin. Il governo lo accusò di essere uno «psicologo borghese» dello stampo di Piaget e di altri psi-
cologi occidentali. Infatti, veniva guardato con sospetto perché faceva spesso riferimento a tali auto-
ri. Venne anche criticato per aver suggerito che le persone della minoranza analfabeta delle parti più
remote e industrializzate della Russia non avessero ancora sviluppato le capacità intellettuali di co-
loro che abitavano nelle parti più moderne. Particolarmente sospetto appariva il suo interesse per i
test di intelligenza - una «perversione pedologica» denunciata dal partito comunista, Il partito lo in-
cluse nella sua lista nera durante le purghe staliniste, così come molti altri psicologi. Dal 1936 al
1956 le sue opere vennero bandite, sebbene continuassero a circolare sottobanco. L'importante libro
Pensiero e linguaggio venne pubblicato in Russia nel 1934, l'anno della sua morte. Morì di tuberco-
losi all'età di 37 anni, dopo soli dieci anni di lavoro nel campo della psicologia - sebbene fossero
dieci anni molto significativi. Il genio precoce e la morte prematura di Vygotskij portarono a defi-
nirlo «il Mozart della psicologia» [Toulmin 1978]. La sua teoria «veniva proposta in maniera sche-
matica da un giovane genio, in corsa mortale contro la tubercolosi, durante una rivoluzione intellet-
tuale in una terra straniera, più di mezzo secolo fa» [Rogoff e Goncu 1987, 23]. Le idee di Vygo-
tskij vennero portate avanti dal lavoro di Luria ed altri psicologi, in particolare coloro che in Unione
Sovietica lavoravano a costruire una «teoria dell'attività». In quell'area, la sua influenza viene av-
vertita ancora oggi. Soltanto alcuni
brevi articoli di Vygotskij erano disponibili in inglese fino a quando nel 1962 non venne pubblicata
una traduzione di Pensiero e linguaggio. Gli sforzi di alcuni studiosi, tra cui Michael Cole, James
Wertsch, Jean Valsiner e Ann Brown negli Stati Uniti, resero le sue idee più acccessibili al mondo
di lingua inglese.
Un evento importante fu la pubblicazione nel 1987, del primo dei sei volumi previsti delle opere
complete di Lev Semyonovich Vygotskij [Rieber e Carton 1987].

103
CAPITOLO XII - LO SVILUPPO COGNITIVO
Cos’è la psicologia dello sviluppo?
• Sviluppo: modificazione strutturale e funzionale di un organismo che ha un carattere permanente
o degli effetti indotti e secondari di tipo permanente (Camaioni, 1993).
Il percorso dello sviluppo è lineare, discontinuo, non circolare.
Lo sviluppo è un processo che interessa simultaneamente tutti gli aspetti dell’organismo, sia funzio-
nali che strutturali.
Il concetto di sviluppo comprende anche quello di crescita (aumento di dimensione) e di matura-
zione (deriva da leggi e programmi interni dell’organismo).
Cambiamenti evolutivi biologici sono endogeni e indipendenti dall’ambiente.
Cambiamenti evolutivi psicologici dipendono dalla interazione dell’organismo e dell’ambiente.
La psicologia dello sviluppo è quella branca della psicologia che studia l'evoluzione e lo sviluppo
del comportamento umano, dalla nascita alla morte.
Età evolutiva: periodo evolutivo che intercorre dalla nascita all’adolescenza, perché rappresenta
quella fase in cui sono osservabili i cambiamenti (fisici, psichici e cerebrali) più rilevanti dettati, in
particolar modo, dall’elevata plasticità neuronale, caratteristica di questa fase di crescita.
All’inizio, le fasi dello sviluppo sono quasi uguali per tutti gli individui soprattutto nei neonati.
Lo sviluppo e il cambiamento non sono quindi fase specifici e caratterizzanti esclusivamente l’età
evolutiva, ma sono peculiari dell’intero ciclo di vita, dal momento che le funzioni psichiche subi-
scono mutamenti in una prospettiva life span.
La psicologia dello sviluppo ha, quindi, come oggetto di interesse tutto il ciclo di vita (Baltes e
Reese, 1986).

Principali modelli psicologici relativi allo sviluppo del bambino


Secondo alcuni autori (Miller, 1983), le teorie per la comprensione dello sviluppo devono:
 descrivere i cambiamenti che avvengono nel tempo in una o più delle seguenti aree di com-
portamento o attività psicosociali: pensiero, linguaggio, comportamento sociale, o percezio-
ne;
 descrivere i cambiamenti nella interazione fra differenti aree del comportamento, ponendo in
relazione comportamenti o aspetti di attività psicologici entro una certa area dello sviluppo e
idealmente tra diverse aree dello sviluppo stesso;
 spiegare il corso dello sviluppo di cui si è fatta la descrizione.
Quando una teoria spiega perché lo sviluppo proceda lungo quel percorso, essa spiega anche perché
non siano stati attuati altri possibili corsi di sviluppo.
Le teorie dello sviluppo hanno permesso di organizzare le informazioni relative a questa branca
della psicologia e di favorire il proseguimento delle ricerche in quest’ambito aprendo sempre
nuovi spunti alla comprensione dello sviluppo psicologico.
Scopo:
• spiegare la natura di base dell’uomo;
• se e come influiscono i fattori genetici e ambientali in tale processo;
• se esiste un’interazione tra loro, tentando, in tal modo di comprendere le cause sottostanti lo svi-
luppo e che cosa si sviluppa.
L’obiettivo delle teorie dello sviluppo cognitivo è quello di comprendere in che modo, nelle diver-
se fasi dello sviluppo, l’uomo codifica, struttura e organizza le informazioni che immagazzina nella
propria mente, in relazione a fenomeni e contenuti differenti.
Studi recenti dimostrano che le esposizioni precoci sono determinanti nella strutturazione del ca-
rattere e della personalità dell’adulto, giocando un ruolo insostituibile nella costruzione dei pro-
cessi cognitivi. Grazie alle moderne tecniche di osservazione, oggi sappiamo che il bambino, espo-
sto ad un ambiente culturalmente ed economicamente povero, capace di offrire pochi stimoli
verbali e, a volte, anche affettivi, raggiungerà minori performance cognitive.
104
12.1 IL PERIODO PRENATALE
Periodo che va dal concepimento alla nascita.
Si studia lo sviluppo del feto nel periodo di gestazione partendo dal presupposto che il feto è in
grado di :
– ricevere uno stimolo (intra ed extra uterino);
– elaborarlo;
– rispondere ad esso (Stassen Berger, 1996).
Lo sviluppo ha inizio con fecondazione in cui si può osservare la trasformazione dell'uovo, che da
semplice cellula fecondata, attraverso alcune fasi, diviene un organismo completo, dotato di organi
ed apparati.
Tale periodo si suddivide in tre fasi
 Periodo dell’ovulo: stadio germinale (ammasso di cellule indifferenziate in rapida moltipli-
cazione)
 Periodo embrionale: va dalla fine della 2° alla fine dell’8° settimana, quando l'embrione
mostra i primi abbozzi di organi ed apparati
 Periodo fetale: va dalla 9° alla 38° settimana, in cui si osserva la crescita e il perfeziona-
mento degli organi e delle proporzioni fino a quando l'embrione diviene feto
Feto: organismo immaturo e privo di vita autonoma, ma già strutturato in tessuti ed organi distin-
ti.
Negli ultimi mesi si ha un progressivo perfezionamento degli organi e delle funzioni, attraverso
la specializzazione delle cellule in organi ed apparati, fino a diventare un organismo completo capa-
ce di condurre una vita autonoma.
Durante la vita prenatale il feto impara a conoscere suoni, ritmi, sapori, emozioni che, sentiti e
provati dalla mamma, saranno tradotti in sensazioni dai neuro-trasmettitori; e a riconoscere la voce
e il ritmo del cuore della madre che lo calmerà anche dopo la nascita. Dal quarto - quinto mese di
vita fetale il feto impara ad ascoltare i fonemi della lingua che la madre utilizza per comunicare
con lui; a essere percepiti meglio sono l’intonazione e il suono delle vocali.
Secondo la teoria di Jean Piaget il periodo che va dalla nascita ai due anni di età è denominato pe-
riodo sensomotorio. L’autore descrive sei sottostadi principali di questo periodo che portano ad
una rudimentale capacità di simbolizzare azioni o eventi.

12.2 IL PRIMO ANNO DI VITA


Il primo stadio, quello dei riflessi (dalla nascita a un mese), comporta una crescente efficienza nel
funzionamento dei riflessi innati. Durante lo stadio dello sviluppo senso-motorio (da due a quat-
tro mesi) avvengono le reazioni circolari primarie (ripetizioni di
un'azione prodotta inizialmente per caso, che il bambino esegue per ritrovarne gli interessanti effet-
ti).
Alcuni studiosi (Kaye, 1977) hanno indicato l’importanza dell’allattamento al seno per apprende-
re il rispetto dei turni comunicativi (turn taking). Durante l’allattamento, infatti, la madre mette in
atto (insieme al neonato) esperienze di attività e pausa alternate, in una situazione in cui quando uno
è attivo, l’altro è passivo, e viceversa.
Le prime vocalizzazioni non di pianto compaiono tra i 2 e i 6 mesi, periodo nel quale si presentano
i suoni vocalici. Tra i 6 e i 10 mesi molti bambini hanno un'attività piuttosto frequente di lallazione.
La lallazione è parte dello sviluppo senso-motorio del bambino e permette al bambino di stabilire
un’immediata connessione tra le sensazioni (tattili e cinestetiche) prodotte dai movimenti articola-
tori e le sensazioni uditive prodotte dal suono.
Nel terzo stadio (dai quattro agli otto mesi) è di estrema importanza lo sviluppo delle reazioni cir-
colari secondarie (il bambino dirige la sua attenzione al mondo esterno oltre che al proprio corpo).
Il quarto stadio senso-motorio (dagli otto ai dodici mesi) implica la progressiva differenziazione
tra sé e il mondo. Viene stabilita la permanenza dell'oggetto.
105
12.3 LO SVILUPPO COGNITIVO-AFFETTIVO
Lo sviluppo cognitivo-affettivo del bambino si struttura attraverso:
– una componente genetica;
– una componente egualmente programmata, ma modificata e modificabile dalle esperienze offer-
te dall’ambiente sociale;
– un’ultima componente rappresentata dalla relazione con l’adulto.
La ricerca psicologica degli ultimi anni ha messo in evidenza la forte interazione tra processi di
socializzazione e apprendimento nello sviluppo dei primi anni di vita. Molti studi concordano nel
dire che l'ambiente di vita e di esperienza è fondamentale per sostenere e orientare lo sviluppo
armonico di questi processi.

12.4 IL BABY TALK


Il “baby talk” può essere definito come il linguaggio caratteristico che gli adulti rivolgono ai
bambini piccoli. Tale linguaggio viene perso nel corso del primo anno di vita, man mano che il
bambino diventa più competente dal punto di vista comunicativo. È un linguaggio adattato ed ido-
neo alle limitate capacità comunicative del bambino; che supporta le capacità del bambino, lo so-
stiene e lo conduce gradualmente verso una sempre più completa e corretta padronanza della pro-
pria lingua.
L’adulto modula e produce il “baby talk” a seconda di come egli interpreta il feed-back immedia-
to proveniente dal bambino. E’ fondamentale per un adulto che si voglia relazionare con un bambi-
no piccolo, cercare di comprendere e di analizzare accuratamente sia la comunicazione non verba-
le sia la comunicazione verbale.
Una caratteristica importante del “baby talk”, che è stata rilevata in seguito a diversi studi, riguarda
il suo rapporto con il livello socio-culturale-economico dell’adulto coinvolto. Lo stile adottato da
adulti appartenenti a classi medio alte è stato definito “codice elaborato”. Lo stile adottato da indi-
vidui appartenenti ad una classe bassa è stato definito “codice ristretto”.

12.5 IL SECONDO ANNO DI VITA


Durante il quinto stadio del periodo senso-motorio (dai dodici ai diciotto mesi), il bambino diviene
consapevole che un oggetto può essere spostato nello spazio conservando l'idea della permanenza di
esso. Un altro aspetto del quinto stadio è lo sviluppo delle reazioni circolari terziarie (scoperta di

106
mezzi nuovi mediante sperimentazione attiva). Il bambino ricorre sempre più spesso a modalità di-
verse per ottenere gli effetti desiderati.
Il sesto stadio (18-24 mesi) è caratterizzato dalla transizione da un'azione evidente ad una rappre-
sentazione mentale nascosta. Durante questo stadio il bambino è capace di imitazione differita, di
riprodurre a memoria il comportamento di un modello assente.

12.6 IL GIOCO SIMBOLICO


Intorno alla fine dei due anni, tra la fine dello stadio sensomotorio e l’inizio di quello pre-
operatorio, compare nel bambino il gioco di finzione. A questa età si verifica uno straordinario in-
cremento nell’attività simbolica e il bambino comincia a mostrare la capacità di capire il mondo
attraverso l’uso di simboli.
«[…] Il gioco simbolico inizia quando azioni di routine e oggetti sono distaccati dai loro ruoli ti-
pici e dalle loro funzioni e usati in una maniera atipica, giocosa […]» (Berk, 1991). Secondo Gre-
gory Bateson (1955) nel gioco simbolico i bambini devono mantenere due strutture di significato:
una struttura reale e una struttura di gioco.
«[…] La giustapposizione di un’azione reale e una di finzione intenzionale costituisce infatti la
struttura fondamentale del gioco simbolico, definito come un comportamento eseguito in una ma-
niera simulatoria, non letterale, o "come se" […]» (Garvey, 1977).
Secondo Lev Semënovič Vygotskij il gioco è il mezzo più efficiente per sviluppare il pensiero
astratto.
Le finalità del gioco simbolico, dal punto di vista cognitivo, sono sperimentare la possibilità di:
trovare l'identico nel diverso, che sta alla base dei processi cognitivi superiori di analisi e sintesi;
agire sui significati accostandoli in modo imprevisto e originale, che sta alla base del processo su-
periore della intuizione creativa.
Il gioco può essere considerato sotto due aspetti (o funzioni) fondamentali:
– come attività spontanea dalla quale trarre piacere e attraverso cui sviluppare la socialità e la
creatività;
– come mezzo per favorire lo sviluppo.

12.7 LO STADIO PRE-OPERATORIO


Alla fine del secondo anno di vita il bambino entra in quello che Piaget ha definito lo stadio pre-
operatorio, che introduce la comparsa dell’attività rappresentativa, attraverso attività ben ricono-
scibili come l’imitazione differita e il pensiero pre-logico intuitivo.
Il bambino comincia ad agire sul piano della rappresentazione e del pensiero interiore, anche se il
pensiero non può essere ancora definito logico, dal momento che le azioni mentali interiorizzate
hanno delle limitazioni. Questo periodo è caratterizzato dall’egocentrismo del
bambino; dallo sviluppo della concentrazione e da una modalità di pensiero caratterizzata
dall’irreversibilità.
Studi recenti dimostrano che la costruzione dei processi cognitivi avviene già durante la vita pre-
natale, in cui il feto impara a conoscere suoni e a riconoscere la voce e il ritmo del cuore della
madre che lo calmerà anche dopo la nascita. La teoria psicologica di riferimento per lo studio dello
sviluppo è quella di Jean Piaget, che denomina il periodo che va dalla nascita ai due anni di età,
periodo sensomotorio. Durante tale periodo il bambino passa, attraverso sei diversi stadi, da un
funzionamento basato su riflessi ad una capacità immaginativa e di rappresentazione.

12.8 LO SVILUPPO COGNITIVO NELL’INFANZIA


Infanzia (dal latino infans che significa letteralmente che non può parlare)
Prima infanzia:
– da zero a due anni (crescita corporea accelerata).
– Alla nascita i movimenti sono quasi tutti di tipo riflesso e non volontario.
107
– Coordinamento senso-motorio carente. Impara a camminare.
L’infanzia è caratterizzata da un tipo di intelligenza essenzialmente pratica e si determina in pre-
senza dell’oggetto, delle situazioni e delle persone basandosi principalmente sulla percezione (Dol-
le, 1991).
In questo stadio il bambino comprende il mondo limitatamente alle azioni fisiche che esercita diret-
tamente su di esso, muovendosi sulla base di riflessi e comportamenti organizzati (Miller, 1983).
Sviluppo cognitivo di Piaget > Stadio dell’intelligenza senso-motoria > dalla nascita fino ai due an-
ni
Modello di Freud, congiunzione tra
 Sviluppo affettivo
 Sviluppo somato-psichico

Prima infanzia
– fase orale: centralità della bocca e delle funzioni alimentari (ricerca del seno, oggetto primario).
Attraverso il costituirsi dell’oggetto si costituisce il primo nucleo della identità.
• Periodo critico e imprinting.
• Attaccamento.
• Già ad 8-9 mesi il bambino è in grado di riconoscere i volti (madre e padre).

Attualmente l’infanzia è stata suddivisa, da numerosi autori, in due ulteriori sottofasi che si pro-
traggono fino ai 10 anni di età.
1. Prima fanciullezza: ricopre il periodo che va dai 2 ai 7 anni di età.
– Velocità di accrescimento rallenta.
– Sistema nervoso è sviluppato e si attiva la memorizzazione a lungo termine.
– Aumenta la coordinazione senso-motoria e impara a giocare, correre, saltare, nuotare, andare in
bicicletta.

Piaget identifica questa fase con il periodo preoperatorio suddiviso in:


– pre-concettuale (2-4 anni);
– pensiero intuitivo (4-6 o 7 anni).
In questo stadio si passa da un’intelligenza senso motoria a quella rappresentativa, in cui prevale
la rappresentazione simbolica.
Durante questo periodo, il bambino può usare simboli per rappresentare gli oggetti e gli eventi con
una modalità sempre più organizzata e logica e compaiono le prime operazioni mentali.
Nella fase del pensiero intuitivo, il bambino usa la rappresentazione mentale per fare delle ipotesi
causali di tipo analogico.

Modello psicodinamico di Freud

108
2. Seconda fanciullezza: va dai 7 agli 11 anni.
– Rappresenta il periodo operatorio in cui il bambino acquisisce strutture logiche che gli permettono
di compiere svariate operazioni mentali.
– L’intelligenza operatoria concreta consiste nel classificare, nel seriare, enumerare gli oggetti e
le loro proprietà nel contesto di una relazione diretta tra il soggetto e l’oggetto concreto (Dolle,
1991).
Secondo Piaget si ha la fase delle operazioni concrete.
– Capacità di fare operazioni logiche vere e proprie.
– Il bambino è in grado di coordinare due azioni successive; di prendere coscienza che un'azione
resta invariata e di passare da una modalità di pensiero analogico a una di tipo induttivo.

Modello psicodinamico di Freud

Sviluppo morale secondo Kohlberg

L’ infanzia è il periodo evolutivo, che va dai tre anni agli undici anni, in cui avvengono i maggiori
cambiamenti ed evoluzioni nello sviluppo cognitivo umano. Tale periodo va suddiviso in due fasi:
- prescolare: compresa tra i 3 e i 6 anni;
- scolare: dai sei agli undici anni.

12.9 LO SVILUPPO DELLE EMOZIONI


Dopo i tre anni di età il bambino è in grado di esprimere in maniera più differenziata ed adattata al
contesto le sue emozioni. Con l’accresciuta complessità delle emozioni fondamentali, determinate
dallo sviluppo cognitivo e dalla socializzazione, compaiono nel repertorio emotivo dei bambini
prescolari le emozioni sociali ed autocoscienti.
Nell’età pre-scolare il mondo sociale dei bambini si amplia sia grazie ai rapporti più articolati che
si sviluppano nella cerchia familiare sia grazie alle maggiori occasioni di uscita da casa. A partire
dai tre anni l’individuo impara, attraverso l’interiorizzazione di immagini e idee, a frapporre tra le
proprie emozioni e l’azione, un tempo che permette di rielaborare ciò che succede.

109
12.10 IL PERIODO PRE-SCOLARE
L’età prescolare è, secondo Jean Piaget caratterizzata da una modalità di pensiero detto pre-
operatorio, fortemente influenzato dalla presenza di quella che l’autore definisce funzione simbo-
lica. Il pensiero del bambino in questa età è caratterizzato dalla concentrazione su di un unico
aspetto evidente di un evento, tralasciando gli altri altrettanto importanti e deformando in questo
modo il suo pensiero. Egli finisce cioè per considerare una parte come il tutto.
«Il bambino ha la giusta percezione dei dati della coscienza, ma è inconsapevole della via per la
quale sono stati raggiunti; in altre parole, possiede la capacità di “intuizione infantile ”». (J. Pia-
get)
Il pensiero pre-operatorio è irreversibile, lento e contraddittorio; il bambino non è capace di:
– mantenere inalterata la sua premessa nel corso di una sequenza di ragionamento;
– separare i diversi aspetti del suo ragionamento;
– collegare adeguatamente le trasformazioni successive di un evento, che lo rendono logico e coe-
rente.
La funzione simbolica consente al bambino di applicare l'esperienza passata agli eventi presenti.
Il bambino sviluppa la sua abilità a trattare gli oggetti come simboli di cose diverse da quello che
sono in sé (può usare una scopa come cavallo immaginario o una scatoletta come ricevitore del tele-
fono). Durante questo stadio il bambino comincia a sperimentare sempre più le rappresentazioni
mentali del mondo esterno e delle sue proprie azioni.
Il pensiero preconcettuale è anche egocentrico: il bambino pensa solo secondo il suo punto di vista
e non possiede la capacità di assumere il ruolo di un altro individuo. Questo tipo di pensiero è fon-
damentalmente un pensiero magico; Piaget definisce “magia” «[…] l’uso che
l’individuo crede di poter fare dei rapporti di partecipazione per poter “modificare la realtà”. La
“partecipazione” è il rapporto fra due esseri o due fenomeni aventi una diretta influenza l’uno
sull’altro, pur non esistendo fra loro né contatto spaziale né legame causale intellegibile».
Per Erik Erikson la fase che va dai 4 ai 6 anni è segnata dall’acquisizione dello spirito di iniziati-
va e dall’emergenza del senso di colpa.
Emerge «[...] il coraggio di porsi e di perseguire scopi validi, non inibito dalla sconfitta delle fanta-
sie infantili, dal senso di colpa e dalla paura delle punizioni». L'attività principale del bambino, a
questa età, è il gioco, attraverso cui può sperimentare le proprie capacità imparando così a conosce-
re la realtà, attraverso soprattutto i processi di imitazione ed identificazione con gli altri.

12.11 L’ETÀ SCOLARE


L’inizio della scolarizzazione conduce ad un profondo cambiamento nella vita sociale, intellettiva
ed affettiva del bambino. Tale fase è definita nel pensiero piagetiano dallo stadio
operatorio concreto, una delle fasi più importanti per la quantità è la qualità delle sue operazioni.
In questa fase il bambino è in grado di collegare, coordinare e dissociare le sue azioni da quelle
degli altri.
Le conversazioni diventano effettive comunicazioni reciproche, con reali scambi di informazioni.
Il bambino spiega non solo l’azione concreta, ma il proprio pensiero; è in grado di rivederlo e di
riflettere in modo critico su di esso. Scompaiono l’egocentrismo del linguaggio e del pensiero co-
gnitivo e le condotte impulsive.
La reversibilità rende il bambino capace di separare le connessioni di tipo causale esistenti tra due
fenomeni da quelle percettivamente simili, contigue nello spazio o nel tempo, ma soprattutto di ri-
conoscere e separare i processi causali che portano a risultati imprevedibili. Grazie alla reversibilità
del pensiero egli è in grado ora di compiere un’operazione logica.

110
12.12 IL PROCESSO DI APPRENDIMENTO: LETTURA E SCRITTURA

12.13 IL PENSIERO OPERATORIO FORMALE


Intorno ai quattordici anni l’individuo entra nello stadio del pensiero operatorio formale e diviene
progressivamente in grado di costruire sistemi o teorie sulla letteratura, la filosofia, la moralità,
l’amore, il mondo e di proiettarsi nel futuro con le aspettative, paure e desideri che ne conseguono.
Il passaggio dal pensiero concreto a quello formale, chiamato anche ipotetico-deduttivo, è un pas-
saggio graduale. Nel momento in cui il pensiero si libera dalla realtà, nasce l’immaginazione.

12.14 SVILUPPO INTELLETTIVO ED IDENTITÀ


Le teorie dell’apprendimento sociale hanno indagato i meccanismi attraverso cui lo sviluppo in-
tellettivo è condizionato da influenze del contesto di vita dell’individuo. Società, famiglia, gruppi
di coetanei, scuola hanno un’importante influenza sullo sviluppo dell’adolescente.
La presa di coscienza di sé avviene attraverso la sperimentazione di situazioni nuove, in cui il
soggetto può allenarsi a sostenere successi e insuccessi, superare gli ostacoli, scontrarsi con la realtà
e interpretarne i tratti più nascosti, apprendere le proprie abilità e scoprire i propri
limiti.
La personalità nasce nel momento in cui si forma un “programma di vita”, che presuppone la li-
bera riflessione e il pensiero formale o ipotetico - deduttivo.
Per Jerome Bruner il funzionamento del cervello plasma la cognizione, ma la cultura ha la capa-
cità di estendere il ragionamento oltre i suoi limiti naturali. Secondo questo autore tutti i
processi mentali sono originati da un fondamento sociale e culturale, da una influenza dei simboli,
delle ideologie, delle convenzioni.
Lo strumento principale di trasmissione del sapere è, secondo Bruner, la narrazione, in forma di
racconti personali, storici, culturali, religiosi, spirituali, scientifici. La narrazione è universale e cor-
risponde al modo in cui ognuno di noi organizza il proprio vissuto, ossia la realtà psichica, inten-
zioni, valori, emozioni. Il pensiero narrativo è visto come un tipo di funzionamento cognitivo che
organizza l’esperienza e la trasforma in consapevolezza.
Studiare lo sviluppo cognitivo da un punto di vista psicologico significa individuare strumenti teo-
rici adeguati a descrivere e spiegare lo sviluppo e l’acquisizione di conoscenze e capacità cogni-
tive.
Per Erik Erikson la fase che va dai 4 ai 6 anni è segnata dall’acquisizione dello spirito di iniziati-
va e dall’emergenza del senso di colpa.
Per Jerome Bruner il funzionamento del cervello plasma la cognizione, ma la cultura ha la capa-
cità di estendere il ragionamento oltre i suoi limiti naturali.
Piaget considera come fattori di sviluppo: la maturazione del sistema nervoso; l’esperienza ac-
quisita; la sperimentazione; l’interazione sociale insieme al linguaggio.

111
12.15 LA COSTRUZIONE DEL REALE NEL BAMBINO
Tratto da: Piaget J., (1967). La costruzione del reale nel bambino, La Nuova Italia, Firenze 1973.
Il primo stadio è magico: noi facciamo muovere le nuvole camminando. Le nuvole ci obbediscono a
distanza. L’età media di questo stadio è intorno ai cinque anni. Il secondo stadio è sia artificialistico
che animistico. Le nuvole si muovono perchè Dio o gli uomini le fanno muovere. L’età media di
questo stadio è intorno ai sei anni. Durante un terzo stadio, la cui età media è intorno ai sette anni, il
bambino suppone che le nuvole si muovano da sole, ma non dice nulla di preciso sul modo in cui si
compie questo movimento. Il movimento, però, è anche condizionato da cause morali e fisiche, e
ciò dimostra che l’artificialismo è stato semplicemente trasferito agli oggetti. Sono il sole, la luna,
ecc., che fanno muovere le nuvole; i corpi celesti, però, determinano questi movimenti, non nel mo-
do in cui una causa fisica determina i suoi effetti, ma piuttosto come un uomo costringe un altro
dandogli un ordine, con o senza l’intervento della forza fisica. Durante questo terzo stadio, il bam-
bino non dice nulla di preciso sul “come” del movimento spontaneo delle nuvole, ma è evidente che
nella sua mente vi è già, latente, uno schema motorio che prepara la strada alla spiegazione del
quarto stadio. I bambini del quarto stadio, infatti, dicono che il vento spinge le nuvole, ma il vento,
a sua volta, è venuto fuori dalle nuvole. L’età media di questo stadio è intorno agli otto anni. Quan-
do, infine, viene raggiunto il quinto stadio (in media intorno ai nove anni) compare una spiegazione
corretta.

12.16. LE FASI DELLO SVILUPPO PSICHICO: PRE-ADOLESCENZA


Pre-adolescenza (da 11 a 13 anni)
In questa fase, che secondo Piaget si protrae fino ai 15 anni (Periodo Operatorio Formale), le opera-
zioni mentali non sono più limitate a oggetti concreti ma possono essere applicate ad affermazioni
puramente verbali o logiche.
Questo stadio è caratterizzato dal fatto che il ragazzo manifesta un tipo di pensiero prettamente ipo-
tetico-deduttivo.

Adolescenza (da 13 fino ai 19 anni)


Il termine adolescenza deriva dal latino adolescere , che significa crescere.
L’adolescente ha come obiettivo finale il raggiungimento dell’autonomia e dell’indipendenza
(per questa ragione è difficile identificare un limite temporale che denoti la fine di questo ciclo di
vita).
Durante l’adolescenza i ragazzi e le ragazze affrontano numerosi cambiamenti, correlati alla matu-
razione affettiva e sessuale, all’acquisizione del pensiero ipoteticodeduttivo, all’ampliamento
degli interessi e alla costruzione della propria identità.
L’adolescente, quindi, è posto di fronte a compiti specifici le cui soluzioni rappresentano fondamen-
tali obiettivi di crescita. I principali compiti di sviluppo, caratteristici di questa fase, riguardano: la
sfera personale, l’ambito relazionale e il contesto sociale.
L’adolescenza è rappresentata da processi di maturazione biologica, da un’evoluzione nel funzio-
namento intellettivo e nel pensiero morale, dal fatto che la relazione con i genitori assume un
aspetto diverso e dallo sviluppo psicosessuale.
Queste forme di sviluppo influiscono con tutta la loro complessità sulle relazioni dell’adolescente
con se stesso e con gli altri e devono essere integrate nell’immagine che il ragazzo ha di sé e delle
persone con cui interagisce (Di Sauro & Manca, 2006).
Durante questo periodo si manifestano una serie di cambiamenti fisici sotto l’influsso di processi
di maturazione biologica.
L’insieme di queste trasformazioni somatiche permette alla maggior parte dei giovani di portare a
termine la costruzione della loro identità sessuale, cioè della definizione di sé come maschio o
come femmina.

112
I cambiamenti che si verificano mettono in discussione il sistema di rappresentazioni e di schemi
che fino a quel momento hanno regolato le relazioni dell’adolescente con il proprio corpo, con gli
altri individui, con gruppi di altri ragazzi, con gli oggetti e con le istituzioni sociali.
L’adolescente si trova a dover superare diversi compiti di sviluppo, in cui la dimensione di crescita,
che permette il raggiungimento della propria autonomia e la trasformazione, assumono valenze spe-
cifiche nel processo di formazione della propria identità (Di Sauro & Manca, 2006).
A tal proposito Erikson (1968) individua nella formazione dell’identità un compito di sviluppo pe-
culiare di tale periodo.
Acting
• Le tendenze all’acting, all’opposizione, alla ribellione, alla sperimentazione e al mettersi alla pro-
va attraverso gli eccessi, sono manifestazioni utili per lo sviluppo dell’autodefinizione (Blos, 1971).
• La tendenza ad agire (acting-out e acting-in), fisiologica in adolescenza, può rappresentare una
modalità della mente per elaborare una realtà interna ricca di continui cambiamenti, instabile e, tal-
volta, inquietante.
Attraverso l’agito l’adolescente comunica il proprio disagio e tale forma di comunicazione viene
caricata di un valore affettivo e simbolico.
L’azione lo aiuta a fronteggiare i conflitti interni (Vallario et al., 2005) ma il ricorso all’agito può
rappresentare, talora, una spinta verso condotte rischiose per sé e per gli altri.
Comportamenti a rischio: azioni intenzionali dagli esiti incerti che implicano la possibilità di
conseguenze negative per la salute (Giori, 1998) e che possono mettere in pericolo, sia a breve che a
lungo termine, il benessere fisico, psicologico e sociale della persona (Bonino e Cattellino, 2000).
In queste definizioni rientrano, ad esempio, il consumo di sostanze, gli incidenti stradali, dovuti
alla guida imprudente di veicoli e le conseguenze di un’attività sessuale non protetta.

Modello psicodinamico di Freud


• Fase genitale.
Energia libidica non concentrata solo sul proprio corpo, ma anche verso il rapporto con l’altra per-
sona.

Sviluppo morale di Kohlberg


• Dai 14 anni in poi: livello 3 (autonomo) e stadio post-convenzionale o fondato sui principi.
• Si divide in:
• stadio 5, nascita del relativismo e della tolleranza.
• stadio 6, nascita del proprio sistema di valori basato sulla razionalità e universalità.

Le fasi dello sviluppo psichico: gioventù


• Questa fase evolutiva dovrebbe essere caratterizzata dall’autonomia e dall’indipendenza e do-
vrebbe essere successiva all’adolescenza.

Gioventù o tarda adolescenza


Le fasi dello sviluppo psichico: età adulta
• Periodo di vita in cui l’individuo raggiunge un equilibrio psicofisico a livello cognitivo, fisiologi-
co, sociale e relazionale ed è caratterizzata da autonomia ed indipendenza.
• Fino ad alcuni anni fa si credeva, infatti, che nell’età adulta si raggiungesse anche la maturità ce-
rebrale e si andasse ad affrontare un periodo caratterizzato da staticità che andava incontro a decli-
no nell’età senile.
• Recenti ricerche hanno, invece, evidenziato come il cervello può avere una capacità di ristruttu-
razione anche nella vecchiaia.
• Un deterioramento cognitivo ed un invecchiamento, anche precoce, può essere causato o facilitato
dall’interazione di una serie di fattori esterni relativi a legami familiari, perdita di familiari, eventi
di vita vissuta stressanti dalla persona.
113
Le fasi dello sviluppo psichico: vecchiaia
• Fase evolutiva caratterizzata dall’invecchiamento.
• Con tale processo si intende una trasformazione regolare, ordinata o discontinua, legata al tem-
po, di determinati organismi in relazione all’ambiente in cui vivono.

12.16.1. L’influenza dell’ambiente nello sviluppo psicologico


Il bambino alla nascita ha il cervello e alcune capacità predeterminate in maniera rilevante dai
geni.
Tuttavia, l’ambiente in cui egli cresce può avere conseguenze anche sull’adattamento-
disadattamento del bambino (Zeanah, 1993).
Il contesto nelle prime fasi di sviluppo può manifestare effetti rilevanti anche sulla crescita dei pro-
cessi neuronali e sulla formazione delle sinapsi nel cervello.
Secondo Lorenz nasciamo con istinti caratteristici di ogni singola specie, che possono essere in-
fluenzati dall’esperienza e dall’apprendimento.
Di conseguenza, l’ambiente e l’esperienza fungono da modulatori dell’espressione degli istinti di
base della specie.
Il ruolo della madre, delle figure deputate all’educazione e allo sviluppo psicofisico del bambino
stesso, una corretta educazione dovrebbero favorire tale processo fisiologico, stimolandone le ri-
sorse interne e le potenzialità.
Molto frequentemente, invece, il bambino subisce condizionamenti dall’ambiente familiare e so-
ciale che vanno a interferire con il suo sviluppo.
La deprivazione (Winnicott, 1965), la mancata emissione di segnali sociali da parte di un genitore
nei confronti del figlio nel periodo critico (Vitale, 2007) favoriscono, in epoche successive, esiti di-
sadattavi e/o psicopatologici.
Per tutto il periodo critico (circa 30 mesi) il bambino tenta di reagire a questa condizione attraverso
il pianto, le urla, lo sputare il cibo, i calci e altri comportamenti simili, fino a quando non è costretto
a cedere a causa delle numerose sanzioni della ribellione con le conseguenze negative che questo
comporta a livello psichico e corporeo (Miller, 2005).

12.16.2. Dalla psicologia alla psicopatologia dello sviluppo


Modello della developmental psychopathology studia la psicopatologia in riferimento ai percorsi
dello sviluppo biologico, cognitivo e socio-emozionale che caratterizzano il ciclo vitale
dell’individuo.
Il bambino si confronta in ogni fase dello sviluppo con diversi compiti adattivi, in una costante inte-
razione dinamica tra organismo e ambiente.
• Psicopatologia: espressione di un fallimento nella negoziazione dei compiti evolutivi, a cui fa se-
guito un disadattamento o distorsione (Ammaniti e Sergi, 2002).
I fattori di rischio:
– elementi che segnalano, favoriscono o anticipano il disagio;
– non ne sono la causa, ma contribuiscono a determinarlo in un quadro multifattoriale
(Giori, 1998).
Possono incrementare la probabilità che una persona sviluppi difficoltà di tipo biologico, emo-
zionale o comportamentale in un determinato momento della vita (Ammaniti e Sergi, 2002).
I fattori protettivi: condizioni presenti nell’individuo o nel suo ambiente che possono mitigare gli
esiti previsti dalla presenza di determinati fattori di rischio o annullarne l’influenza negativa
mutando il percorso di vita del soggetto e prevenendo lo sviluppo di eventuali comportamenti de-
vianti (Ammaniti e Sergi, 2002).
Secondo Rutter (1985) i fattori protettivi agiscono mediante processi che consentono:
– la riduzione dell’impatto con la condizione di rischio;
– la riduzione della catena di reazioni negative;

114
– lo stabilirsi e il permanere di sentimenti di autostima e di efficacia personali;
– l’apertura a nuove opportunità di vita e di incontri.
• Resilienza: capacità individuale di mantenere un discreto livello di adattamento anche in con-
dizioni di vita particolarmente sfavorevoli (Bender e Losel, 1997).
Il termine deriva dal concetto, utilizzato in fisica, di “resilienza”, che rappresenta la caratteristica di
un materiale di ritornare alla forma originale dopo essere stato deformato sotto una pressione ester-
na.
In campo psicologico, la resilienza si riferisce all’utilizzo di risorse personali che, in presenza di
circostanze difficili e condizioni sfavorevoli, permettono all’individuo uno sviluppo
flessibile ed equilibrato (Ammaniti e Sergi, 2002).
• Vulnerabilità: sottoinsieme del rischio, riferito a fattori endogeni che possono fungere da mecca-
nismi nello sviluppo del disturbo (Price e Lento, 2001).
Modello a causalità multifattoriale e probabilistica: l’attenzione viene posta su quei processi e
meccanismi che favoriscono esiti di sviluppo non adattivi senza focalizzarsi esclusivamente su indi-
ci quantitativi. L’analisi dell’interazione tra fattori ambientali e le specifiche modalità di risposta
individuali, aiuta a capire gli esiti adattivi e disadattivi nel corso dello sviluppo (Cerutti e Manca,
2008).

115
CAPITOLO XIII - GLI ESPERIMENTI
13.1 IL CANE DI PAVLOV
Nel corso dei suoi esperimenti sull’attività digestiva dei cani, che gli valsero il premio Nobel nel
1904, Ivan Pavlov si trovò di fronte ad un fenomeno strano. Il ricercatore russo si accorse che i cani
presentavano un aumento di salivazione senza la presenza di cibo, quando si creavano delle condi-
zioni tipiche che anticipavano l'arrivo del nutrimento, come l’arrivo del tecnico che gli portava da
mangiare o il suono di un campanello che segnava l’inizio delle sessioni sperimentali. Egli provò
quindi a definire una situazione di laboratorio per studiare tale fenomeno. Quando al cane viene
presentato del cibo, questi ha una riflesso automatico di aumento della salivazione, chiamato rispo-
sta incondizionata. Il cibo viene definito stimolo incondizionato in quanto è in grado di provocare la
risposta automatica.
Ma come può uno stimolo biologicamente non rilevante scatenare questo stesso tipo di riflesso
sull’animale?
Nella sperimentazione di Pavlov, ai cani veniva presentato uno stimolo neutro artificiale (ad esem-
pio un campanello oppure una luce), ovvero un stimolo non in grado di produrre di per sé un au-
mento della salivazione. Successivamente alla presentazione di tale stimolo veniva presentato il ci-
bo (stimolo incondizionato). Dopo un certo numero di sequenze stimolo neutro - stimolo incondi-
zionato (cibo) si verificò nei cani un aumento di salivazione alla sola presentazione dello stimolo
neutro. Tale stimolo venne definito stimolo condizionato e la risposta da esso provocata riflesso
condizionato.
Nella condizione di gioco provata, si è visto quindi che due stimoli contigui (cibosuono) producono
un fenomeno associativo attraverso cui uno stimolo prima neutro, quindi non in grado di produrre la
risposta automatica prodotta dallo stimolo adeguato, può produrre gli stessi effetti di uno stimolo
incondizionato.
Il fenomeno per il quale uno stimolo neutro diventa condizionato è definito acquisizione.
L’acquisizione di risposte condizionate rappresenta un meccanismo di adattamento che riguarda tut-
ti gli esseri viventi.
Un altro importante fenomeno emerso attraverso tali osservazioni di laboratorio, è quello della ge-
neralizzazione dello stimolo, per il quale stimoli simili per alcune costanti ma non identici allo sti-
molo condizionato possono produrre lo stesso effetto di quest'ultimo. Le somiglianze tra gli stimoli
possono essere di tipo fisico, misurabile, e allora si parla di generalizzazione primaria oppure sog-
gettive o legate a differenze individuali ovvero con similitudini simboliche; in quest'ultimo caso ci
si riferisce ad una generalizzazione secondaria.
Sempre in una situazione sperimentale si è visto come sia possibile l'estinzione del comportamento
appreso (riflesso condizionato) dopo un certo numero di presentazioni dello stimolo condizionato
non associato alla presentazione di cibo. Quando però, dopo l'est inzione, si ripresenta il nesso asso-
ciativo tra lo stimolo condizionato e lo stimolo incondizionato, l'acquisizione della reazione condi-
zionata (salivazione nel nostro esempio) è molto più rapida rispetto alla prima volta. Si parla quindi
di riacquisizione. Tale fenomeno dimostra come l'estinzione sia un processo attivo, in grado di ini-
bire la risposta appresa e non di eliminarla.

13.2 I TOPI DI TOLMAN.


L'ipotesi fondamentale dell'esperimento era la seguente: gli animali del secondo gruppo al momento
della ricompensa (undicesimo giorno) si troveranno già in possesso di tutta una serie di conoscenze
e di informazioni (acquisite senza rinforzo) da utilizzare subito. Dovrebbero perciò giungere ad un
apprendimento assai più rapidamente dei ratti del primo gruppo. I dati dell'esperimento sembrano
confermare questa ipotesi.

116
La teoria presuppone il concetto di mappa cognitiva, che è la rappresentazione mentale della meta
e dello spazio che porta alla meta. La meta sarà raggiunta, secondo Tolman, secondo il percorso più
semplice e meno dispendioso (principio del minimo sforzo).
Si parla a questo proposito di apprendimento latente, cioè di un apprendimento non espresso, ma in
qualche modo presente ed utilizzato solo al momento opportuno. La ricompensa, secondo questa
teoria, ha funzione di indicare sia che è giunto il momento di utilizzare alcune informazioni o cono-
scenze precedentemente apprese, sia quali sono le conoscenze da utilizzare. Inoltre, secondo Tol-
man, si apprende anche senza rinforzi per fare fronte ad una situazione problematica, ma il com-
portamento non viene esibito se non si individua uno scopo da realizzare.
Il grafico sottostante rappresenta i risultati raggiunti dai tre gruppi sperimentali di Tolman.

117
CAPITOLO XIV - IL PENSIERO
14.1 INTELLIGENZA
Le funzioni mentali superiori ci distinguono nettamente dalle altre specie per livello e qualità.
Molti animali mostrano una condotta intelligente; Esempio: particolari scimmie in India utilizzano
arnesi come coltelli e sassi come martelli.
Le definizioni di intelligenza sono numerose.
Secondo Stern l’intelligenza è “la capacità generale di adattare il proprio pensiero e condotta di
fronte a condizioni e situazioni nuove”.
Intelligenza: abilità intellettuale, capacità dell’individuo di agire razionalmente per ottenere uno
scopo
Il possedere una di queste caratteristiche non significa essere intelligenti.
L’intelligenza comprende una serie di capacità:
 buona memorizzazione
 buona disposizione ad apprendere
 abilità nel risolvere i problemi
 attitudine a capire in fretta
 elasticità mentale
• Intelligenza creativa
– Capacità di immaginare un’alternativa non banale nella percezione o nell’uso di qualche cosa
(Canestrari e Godino, 2007).
Esempio del mattone
Funzione 1: costruzione edile
Funzione 2: peso, gradino, martello
• Intelligenza logica di tipo astratto
– Capacità di esaminare un evento in modo suddiviso e scomposto.
– Attraverso la logica riesco ad isolare i fattori che intervengono ad originarlo.

14.2 PENSIERO
Pensiero: organizzazione psichica altamente complessa, organizzata secondo il principio di realtà,
ma non limitata ai soli processi razionali ed intellettivi.
I contenuti del pensiero sono rappresentazioni mentali che possono avere forma:
• linguistica;
• immaginativa (visiva, uditiva, motoria);
• astratta.
Il pensiero umano funziona attraverso procedimenti percettivi e cognitivi di tipo economico, fina-
lizzati cioè a principi elaborativi che devono essere al tempo stesso il più possibile:
 Efficaci (raggiungere il risultato)
 Efficienti (raggiungere il risultato in tempi brevi)
Funzione della categorizzazione: semplificare l’esperienza e sintetizzare le molteplici varianti am-
bientali, considerandole appartenenti a categorie o classi.
Organizzazione dei processi di pensiero e degli schemi empirici:
 Livello percettivo/associazionistico (categorizzazione)
 Livello astrattivo/rappresentazionale (categorizzazione concettuale)
I meccanismi di codificazione e decodificazione degli input ambientali non sono limitati alla regi-
strazione percettiva (principi dell’associazionismo), ma tendono al graduale passaggio da una forma
di categorizzazione percettiva a quella più evoluta di categorizzazione concettuale.
La percezione e la codifica dei dati di realtà sembra, dunque, essere caratterizzata da una sorta di

118
ordinamento gerarchico e strategico che veicola una successione organizzata di risposte, guidate
da ipotesi di partenza, nel tentativo di arrivare alla soluzione del problema ambientale attraverso
specifiche strategie di elaborazione delle informazioni.

14.3 RAGIONAMENTO
Il pensiero logico o razionale è legato alla capacità di procedere a delle operazioni mentali astratte.
Ragionamento: processo caratterizzato dall’applicazione e dallo sviluppo di conoscenze e strategie
cognitive in nostro possesso per generare nuove conoscenze e per trarre conclusioni su un evento di
interesse.
Meccanismi di ragionamento:
 ragionamento deduttivo
 ragionamento induttivo
 ragionamento abduttivo

Ragionamento deduttivo: Basato sul processo di deduzione:


 consente una analisi più approfondita della situazione problematica e prevede un atto di
intelligenza di tipo dall’alto al basso caratterizzato dalla raccolta e dall’uso dei dati sul-
la base di una ipotesi di partenza e dello scopo da raggiungere (De Blasi, 2010);
 permette di stabilire se e quale conclusione consegue necessariamente dalle premesse
date.
Si basa principalmente sul sillogismo: argomentazione logica che consiste in una premessa prima-
ria e una secondaria e di una conclusione che deriva dalla logica delle due premesse.
Conclusione > Conseguenza logica
• Premessa primaria
– Tutti i bambini amano giocare.
• Premessa secondaria
– Caio è un bambino.
• Conclusione
– Caio ama giocare.

Ragionamento induttivo
Basato sul processo di induzione:
• prevede una analisi di tipo dal basso all’alto del campo problematico e consente la
soluzione del compito a partire dai dati a disposizione considerati come punti di par-
tenza dell’attività intellettiva (De Blasi, 2010);
• consente di giungere a conclusioni non certe e logicamente necessarie, ma probabil-
mente corrette.
Le premesse spingono verso certe conclusioni piuttosto che verso altre.
Partenza > Serie di casi omogenei
Deduzione > Inferenza o generalizzazione
• Premessa
– La settimana scorsa sono andata in una pizzeria e ho mangiato male.
• Deduzione
– Tutte le persone che andranno a mangiare in quella pizzeria mangeranno male (non è detto che sa-
rà sempre così).

Ragionamento abduttivo
• Premesse
– Caio sta guidando troppo veloce;
– Caio guida troppo veloce quando è in ritardo.

119
• Conclusione
– Caio è in ritardo.
Partendo da una situazione, scelgo una strategia che si adatta meglio alla mia situazione.
Ragionamento abduttivo: assunto implicito che esiste una regola per spiegare la situazione, ma
non è detto che quella regola sia corretta perché possono esistere anche altre variabili che a noi non
sono note.
• Esempio: Caio ha avuto un’emergenza.

14.4 PROBLEM SOLVING


Strategie per la soluzione di problemi (operazioni mentali eseguite nel percorso verso la soluzio-
ne).
Primo passo: generare mentalmente delle alternative.
Consiste nella esplorazione dello spazio del problema.
– Esempio strategia prove ed errori. La strategia vincente per la soluzione del problema viene me-
morizzata come migliore per cui riproposta qualora si ripresentasse lo stesso problema.
Strategie possibili:
1. Analisi mezzi-fini
Trasformazione del problema in una sequenza di sottoproblemi. Per arrivare alla soluzione del pro-
blema devo risolvere i singoli sotto-problemi.
2. Esame a ritroso
Arrivo alla soluzione del problema partendo dal risultato che io ritengo corretto e risalgo fino al
problema originario.
3. Insight
Nuova forma di consapevolezza circa la relazione funzionale che intercorre tra gli elementi perce-
pibili del campo. Improvvisa e imprevedibile apparizione della risoluzione, a volte anche senza ave-
re chiara consapevolezza di come ci si possa essere riusciti.

• Problema dei punti

– Cercate di tracciare 4 linee rette tali da toccare tutti e nove i punti rappresentati nella figura senza
sollevare la matita.
Possiamo non riuscirci per un ostacolo percettivo (quadrato non si può unire con una linea continua)
• Stato emotivo:
– ansia;
– arrendersi facilmente.

120
• Soluzione del problema dei punti.

Conclusioni
L’intelligenza è la capacità dell’individuo di agire razionalmente per ottenere uno scopo ed è
caratterizzata da differenti abilità.
Tale capacità ci permette di differenziarci dalle altre specie.
Il pensiero è quel processo psichico che funziona attraverso procedimenti percettivi e cognitivi di
tipo economico, finalizzati cioè a principi elaborativi che devono essere al tempo stesso il più pos-
sibile efficaci ed efficienti.
Il ragionamento è caratterizzato dall’applicazione e dallo sviluppo di conoscenze e strategie cogni-
tive in nostro possesso per generare nuove conoscenze. Può essere di tipo deduttivo, induttivo e ab-
duttivo.
Le strategie per la soluzione di problemi sono quelle operazioni mentali eseguite nel percorso verso
la soluzione del problema stesso.

121
CAPITOLO XV - LA PERSONALITÀ
La personalità evidenzia una complessità strutturale che consegue da predisposizioni biologiche
ereditate e da fattori esperienziali che portano a una differenza nei funzionamenti individuali.
Organizzazione Mondiale della Sanità (1992): la personalità è “una modalità strutturata di pensiero,
sentimento e comportamento che caratterizza il tipo di adattamento e lo stile di vita di un soggetto e
che risulta da fattori costituzionali, dello sviluppo e dell’esperienza sociale”.
Gordon Allport (1961): la personalità è l’organizzazione dinamica di tutti quei sistemi che determi-
nano l’adattamento di un soggetto al suo ambiente.
Gian Vittorio Caprara e Daniel Cervone (2000): la personalità è un complesso insieme di sistemi
psicologici che contribuiscono all’unità e alla continuità della condotta e dell’esperienza individuali,
sia come viene espresso sia come viene percepito dall’individuo e dagli altri.

15.1. DISTINZIONE TRA PERSONALITÀ, CARATTERE E TEMPERAMENTO


Il termine “carattere” compare con Teofrasto, discepolo di Aristotele e deriva dal greco:
 Kharássein: incidere, tratteggiare, iscrivere e
 Kharaktér: segni incisivi e affilati e strumento atto a produrli.
Jean Bergeret (1974) il carattere è: l’emanazione stessa della struttura profonda nella vita relazio-
nale, (…) la testimonianza visibile della struttura di base della personalità, il vero “segno esteriore
di ricchezza o di povertà strutturale”.
Ippocrate (V sec. a.c.) ha studiato per primo il temperamento.

15.2 TRATTI E DIMENSIONI DELLA PERSONALITÀ


Tratto = dimensione stabile dell’individuo (Allport, 1961).
DSM-IV-TR (2002)

122
Tratti = "modalità costanti di percepire e di mettersi in relazione con l'ambiente sociale e con se
stessi", messe in atto in un'ampia gamma di situazioni e determinanti nel guidare i comportamenti
dell'individuo.

15.2.1 Teorie dei tratti


Presupposto di base: le persone sono predisposte fin dalla nascita, per natura, a reagire e a compor-
tarsi secondo stili e tipologie della condotta che possono essere sistematizzati come tratti del carat-
tere o della personalità (Renzo Canestrari e Antonio Godino, 2007).
Cattell (1943) per primo fornisce una misura della personalità attraverso la divisione di questa in
tratti (o fattori di personalità) misurabili.
Attraverso una complessa procedura statistica l’autore ha distinto i seguenti 16 tratti bipolari (con-
trapposti a due a due).
Il questionario messo a punto dall’autore per la misurazione dei 16 tratti della personalità è il 16 PF
(Personality Factors).

Teoria di personalità Hans Eysenck (1982): modello fattoriale della personalità che si riferisce
anche agli aspetti biogenetici.
Le modalità generali di reazione corrispondono ad un diverso modo di funzionamento interno (a li-
vello fisiologico) dell’organismo.
Primo momento due dimensioni in grado di spiegare buona parte delle differenze individuali:
Introversione/Estroversione
Stabilità/Instabilità (o Nevroticismo)
Alle due dimensioni, Eysenck ne ha aggiunta una terza nel 1975: modello tridimensionale.
Psicoticismo: aspetti come l’impulsività, l’autonomia, l’aggressività, la ricerca di sensazioni e
l’insensibilità.
Sulla base di questa teoria, Eysenck ha creato l’Eysenck Personality Questionnaire (EPQ).

I Big Five
La teoria dei Big Five si colloca tra l’estrema complessità della teoria di Cattell (16 fattori) e
l’estrema semplificazione della teoria di Eysenck (3 fattori), attraverso la descrizione di 5 fattori
123
1. Energia
• orientamento fiducioso ed entusiasta nei confronti delle varie circostanze della vita, la maggior
parte delle quali sono interpersonali.
2. Amicalità
• ad un polo, caratteristiche come l'altruismo, il prendersi cura, il dare supporto emotivo, e, al polo
opposto, caratteristiche come l'ostilità, l'indifferenza verso gli altri, l'egoismo.
3. Coscienziosità
• caratteristiche come la precisione e l'accuratezza, l'affidabilità, la responsabilità, la volontà di ave-
re successo e la perseveranza.
4. Stabilità emotiva
• varietà di caratteristiche collegate all'ansietà e alla presenza di problemi di tipo emotivo, quali la
depressione, l'instabilità di umore, l'irritabilità, ecc.
5. Apertura mentale
• apertura verso nuove idee, verso i valori degli altri e verso i propri sentimenti.
132 item totali con risposta su scala Likert a 5 punti da assolutamente falso a assolutamente vero.
Adattamento italiano di Caprara et al., 1994
Ad ogni dimensione corrispondono due sottodimensioni per un totale di 10: dinamismo, dominan-
za, cooperatività, cordialità, scrupolosità, perseveranza, controllo dell'emozione, controllo degli im-
pulsi, apertura alla cultura e apertura all'esperienza.

Dal tratto al disturbo di personalità


I disturbi di personalità possono essere considerati come esagerazioni o distorsioni dei tratti sotto-
stanti, nel momento in cui le modalità di rapporto che essi rappresentano si fanno troppo rigide e
disadattive, provocando i disagi citati e impedendo di rispondere adeguatamente agli agenti stres-
santi nella vita dell'individuo (DSM-IV-TR, 2002).

Teorie psicodinamiche della personalità


Sigmund Freud L’evoluzione del soggetto passa attraverso una serie di fasi psicosessuali geneti-
camente determinate
 Fase-orale
 Fase-anale
 Fase-fallica
 Fase-di-latenza
 Fase-genitale
La fissazione ad una di queste fasi determina le peculiarità psicologiche di una personalità: ad
esempio l’ordine, la parsimonia e ostinatezza tipica della personalità anale o l’eccessiva sicurezza
di sé, la tendenza a imporsi, la vigorosità propria della personalità fallica.
L’importante apporto dato da Freud risiede, quindi, in una concezione dinamica della personalità
considerata in relazione a varie tendenze in conflitto che si rapportano raggiungendo un equilibrio
“instabile”.
Carl Gustav Jung (1921) ha delineato una struttura quaternaria della personalità, costituita dai se-
guenti quattro aspetti del funzionamento psichico che sono complementari, non in contrapposizione:
Ragione Sentimento
Sensazione Intuizione
Tali funzioni rappresentano le modalità peculiari attraverso cui i soggetti si relazionano col mondo e
percepiscono le esperienze.
Secondo Jung non è possibile, per una persona, sviluppare tutte le quattro funzioni allo stesso mo-
do; è, dunque, inevitabile che qualcuna si sviluppi maggiormente (funzione superiore) e che altre
rimangano scarsamente sviluppate (funzione inferiore).
Intuizione e sensazione: • Funzioni irrazionali
Ragione e sentimento: • Funzioni razionali
124
Otto Kernberg e le organizzazioni di personalità
Il tentativo di spiegare la personalità unicamente in termini di fissazione istintuale si è dimostrata
tuttavia riduttiva (McWilliams, 1994), tanto da sollecitare una visione multidisciplinare attenta alle
determinanti relazionali, biologiche e psicologiche della personalità normale e patologica.
Otto Kernberg (1984; 1996) distingue tre diverse organizzazioni di personalità:
1. Nevrotica
2. Borderline
3. Psicotica
Le organizzazioni si differenziano tra loro in relazione alle seguenti caratteristiche:
– Funzionamento dell’Io: un Io che sia in grado di svolgere la funzione di favorire l’esame di
realtà e di rimandare un’immagine congruente di Sé.
– L’Io è responsabile dei seguenti compiti:
• orientamento spazio temporale;
• giudizio;
• canalizzazione delle pulsioni;
• tolleranza alla frustrazione;
• percezione generale.
– Relazione con la realtà (esame di realtà): è una conseguenza del funzionamento dell’Io.
– Stili difensivi: esprimono il livello di gravità della patologia, il livello di strutturazione e
l’integrazione dell’Io.

Teorie comportamentali
Paradigma comportamentismo
Ogni manifestazione comportamentale è stata condizionata, per cui anche ogni aspetto della
personalità è stato appreso.
Stimolo Risposta
Burrhus Skinner: ogni aspetto della condotta ha origine in una esperienza di apprendimento con-
dizionato.
Concetto di rinforzo che interferisce nella scelta di alcuni comportamenti piuttosto che di altri
in funzione dell’esito positivo o meno.

125
CAPITOLO XVI - IL COMPORTAMENTO PROSOCIALE, AGGRESSIVO E
ANTISOCIALE
16.1 COMPORTAMENTO PROSOCIALE
Altruismo, comportamento di aiuto.
Si intende qualsiasi azione agita con l’obiettivo di beneficiare un’altra persona.
Esclude i comportamenti che hanno una matrice egoistica.
Non è sempre un comportamento disinteressato (ricompensa).
Bierhoff identifica due condizioni che definiscono le risposte come prosociali:
 intenzione di procurare un favore ad un’altra persona
 libertà di scelta
Cosa spinge a mettere in atto comportamenti pro sociali?
• dovere morale;
• empatia (capacità di mettersi nei panni dell’altro);
• reciprocità;
• autostima;
• riconoscimento;
• condivisione.

16.2 AGGRESSIVITÀ E COMPORTAMENTI AGGRESSIVI


Il termine aggressività viene spesso utilizzato in modo ambiguo ed equivoco creando una notevole
confusione.
Etimologia della parola aggressività dal latino
– ad :verso, contro, allo scopo di;
– gradior : vado, procedo, avanzo.
Dalla definizione emerge la componente relazionale dell’aggressività, di moto verso un oggetto.
Il comportamento aggressivo è caratterizzato dalla tendenza all'aggressione, vale a dire al compi-
mento di qualsiasi azione il cui intento, conscio od inconscio, è quello di offendere, danneggiare o
distruggere persone (comprese sé stessi), animali o cose.
Aggressività distruttiva: violenza che comporta sopraffazione e danno
Affinché un atto aggressivo possa essere vissuto come violento è determinante la dimensione sog-
gettiva, sia della vittima che dell’aggressore (Cerutti e Manca, 2008).
Da questo punto di vista l’oggetto della violenza è sempre deumanizzato e ignorato (Manca e
Mascia, 2006).
L’aggressività è intesa come un comportamento che ha lo scopo di far male o nuocere a più persone
(Parke e Slaby, 1983).
L’aggressività non sempre ha un’accezione negativa.
1. Aggressività difensiva
consente la difesa da pericoli obiettivi, si produce in risposta ad una minaccia ed è motivata dalla
paura (adattiva; es. aggressione per la strada).
2. Aggressività offensiva
violenza fine a se stessa che si manifesta sotto forma di attacco non provocato contro un’altra per-
sona o un altro animale.
3. Aggressività predatoria
funzionale alla sopravvivenza: animale che attacca e uccide la sua preda.

Alcuni autori (Coie et al., 1991) distinguono tra:


 Aggressività reattiva: reazione ad un attacco, ad una provocazione da parte di un terzo.

126
 Aggressività proattiva: intenzionalità di nuocere un’altra persona, di distruggere o di im-
possessarsi volontariamente di oggetti altrui. Quest’ultima viene suddivisa dagli stessi autori
in due sottocategorie: bullismo; aggressività strumentale.

L’aggressività può essere:


 diretta verso gli altri (attacchi fisici o verbali)
 rivolta verso il Sé (svalutazione, condotte auto lesive e/o autodistruttive)

Gli agiti autodistruttivi si possono manifestare in forme:


 Indirette: fumo, alcol o stili di vita particolarmente stressanti che hanno conseguenze a lun-
go termine sulla salute della persona
 Dirette: guida senza cinture, in stato di ebbrezza. Condotte che mettono a rischio la vita del
soggetto nel qui e nell’ora.
Gli attacchi al corpo si possono perpetrare anche attraverso modificazioni del proprio corpo (body
modification), piercing, tatuaggi, microdermal, branding (marchiare a fuoco parti del proprio corpo)
o condotte autolesive (Manca, 2009).
Autolesionismo
Modalità di attacco intenzionale del proprio corpo o di parti di esso in assenza di intento suicidario
e di gravi patologie mentali.
Esso si può manifestare con il tagliarsi (cutting), con lamette, forbici, coltelli, oggetti metallici, ve-
tro, con il bruciarsi (burning), con il graffiarsi e con lo scarificare parti del corpo (Manca, 2009).
Bjorkqvist e collaboratori (1992) hanno proposto una teoria sullo sviluppo di differenti stili aggres-
sivi nell’aggressione interpersonale.
Il comportamento aggressivo tende ad apparire nel seguente ordine:
 in modo fisico diretto
 in modo verbale diretto
 in modo indiretto
L’aggressione indiretta è definita come manipolazione sociale, l’obiettivo non è attaccato diretta-
mente, ma in modo subdolo, e l’aggressore può pertanto rimanere in incognito ed evitare il contrat-
tacco.
Con lo sviluppo delle capacità sociali, si rendono quindi possibili strategie più sofisticate di aggres-
sione di tipo indiretto (Bjorkqvist, 1994).

16.3 COMPORTAMENTI ANTISOCIALI


Il comportamento aggressivo si stabilizza e cronicizza nel corso tempo (Loeber, 1990; Moffitt,
1993).
Distinzione tra:
 comportamenti devianti: comportamenti inusuali, inattesi, bizzarri.
 comportamenti antisociali: condotte aggressive rivolte verso le persone e le cose, talvolta
esercitate all’interno di gruppi o di situazioni socialmente organizzate, che provocano rea-
zioni punitive nell’ambiente sociale.
Moffitt (1993; 2003) distingue tra:
– comportamento antisociale occasionale (adolescentlimited);
– comportamento antisociale cronicizzato all’interno della struttura di personalità (life-course per-
sistent).
Questi comportamenti si differenziano per persistenza e gravità, da atteggiamenti più di natura op-
positiva, quali il disobbedire o mentire, la violazione di leggi, l’uso e l’abuso di sostanze stupefa-
centi, il vandalismo e gli atti contro la persona.
Il comportamento antisociale è un comportamento altamente “sociale”, nel senso che si svolge
all’interno di situazioni di gruppo o di contesti collettivi.
127
Comportamento antisociale favorito da:
– gruppo dei pari;
– presenza di un supporto sociale.

16.4 ORIGINI BIOLOGICHE DELL’AGGRESSIVITÀ


Il comportamento aggressivo è regolato da specifiche regioni encefaliche, che includono princi-
palmente:
o l'ipotalamo;
o il lobo temporale mediale (che comprende il complesso amigdaloideo);
o la corteccia frontale orbitale .
Alcuni esperimenti dimostrano che i circuiti celebrali implicati nel controllo dei meccanismi di ag-
gressività/difesa sono collocati nell’ipotalamo mediale e laterale e nell’amigdala (Siegel, Roeling,
Gregg e Kruk, 1999; Gregg e Siegal, 2001).
Anche le strutture del sistema limbico sono implicate in maniera determinante nel comportamento
violento ed emotivo soprattutto come modulatori della rabbia.
I comportamenti aggressivi ed antisociali sono influenzati anche da fattori genetici (ereditari) ed
ambientali che interagiscono tra loro.
Probabilmente non esiste un "marker genetico" per il comportamento aggressivo/antisociale in
quanto il DNA non codifica tali comportamenti, ma proteine ed enzimi che formano ed influenzano
quei sistemi neurobiologici che a loro volta influenzano i fenotipi comportamentali complessi.
Esso è influenzato anche da alcuni neurotrasmettitori, tra cui il gene per la triptofano idrossilasi, che
codifica l’enzima limitante della sintesi della serotonina.
La serotonina è uno dei neurotrasmettitori maggiormente implicati nel comportamento aggressivo
(Carey, 1994).
La neurotrasmissione serotoninergica modula l’impulsività e la diminuzione dell’attività serotoni-
nergica disinibisce il comportamento: ne risultano, aumento di aggressività e disinibizione degli atti
aggressivi diretti contro gli altri o contro sé stessi (Coccaro & Kavoussi, 1996).
Relazione inversa tra serotonina e comportamento impulsivo/aggressivo

Al contrario l’aumento dell’attività serotoninergica inibisce l’aggressività.

128
CAPITOLO XVII - TEORIE SULL’AGGRESSIVITÀ
17.1. L’AGGRESSIVITÀ È INNATA O È APPRESA?
Etologia
L’aggressività è un istinto che esige una scarica periodica, che ha la specifica funzione di garantire
la sopravvivenza dell'individuo e della specie (Lorenz, 1969).
Istinto
Programma o modulo comportamentale a disposizione dell’individuo che, in seguito ad essersi in-
nescato in specifiche condizioni scatenanti, favorisce la messa in atto di sequenze d’azione prefissa-
te. È innato, ereditato e selezionato nella filogenesi.

Lorenz ha operato una sintesi tra innato e acquisito, giungendo alla conclusione che: ogni ap-
prendimento trova il suo fondamento in un programma inserito nel codice genetico della specie
animale, che induce l’organismo a moduli comportamentali indispensabili per la conservazione
dell’individuo.
Secondo Lorenz gli animali hanno in comune con altre specie animali un istinto generale al com-
portamento aggressivo.

Eibl-Eibesfeldt (1963)
Da un esperimento condotto su topi cresciuti in isolamento, privi di qualsiasi tipo di esperienza di
combattimento, ha dimostrato come questi ultimi tendono ad attaccare un altro topo che viene mes-
so nella loro gabbia.
Tale sperimentazione non prova che l’aggressività sia istintuale, ma sottolinea come tale fenomeno
non dipenda dall’apprendimento.

Wilson (1978)
L’aggressività nell’essere umano è innata.
Il comportamento aggressivo comprende al suo interno non meno di sette categorie:
• difesa e la conquista del territorio
• affermazione della predominanza entro gruppi ben organizzati
• aggressione sessuale
• atti di ostilità con cui viene terminato lo svezzamento
• aggressione contro la preda
• aggressione contro attacchi difensivi e contro i predatori
• aggressione moralistica e disciplinare per imporre le regole della società.
Ciascuna di esse può essere aggiunta, modificata o eliminata da una singola specie nel corso della
sua evoluzione genetica.

129
17.2 FUNZIONE DELL’AGGRESSIVITÀ

L’aggressività intraspecifica per le risorse del territorio e per l’accoppiamento, è funzionale per-
ché favorisce la selezione dei più forti e adattati, i quali hanno maggiore probabilità di trasmettere
a una discendenza i loro caratteri.
La lotta per la sopravvivenza, di cui parla Darwin, è quella intra-specifica, che rappresenta un im-
pulso biologicamente adattivo, innato e spontaneo che ha la funzione di conservazione della specie.
Secondo Morris (1968) il giusto scopo dell'aggressione intra-specifica a livello biologico consiste
nel sottomettere o nel portare il nemico alla fuga, non nell'ucciderlo.
In entrambi i casi lo scontro finisce e la controversia è risolta.
La lotta inter-specifica è funzionale, in quanto il predatore favorisce il miglioramento della specie
di cui si nutre, eliminando gli individui più deboli, meno capaci di fuggire o di difendersi.
In tutti i conflitti di tipo inter-specifico la funzione di conservazione della specie è molto più evi-
dente che in quelli intra-specifici.
Le forme umane di comportamento aggressivo sono specie-specifiche con caratteristiche simili ai
primati, ma con alcune peculiarità distintive della nostra razza.
Gli esseri umani presentano uno spettro di risposte e una scala comportamentale che appaiono o
scompaiono a seconda di particolari circostanze.
Per l'uomo, l'aggressività si manifesta anche in mancanza di condizioni ambientali scatenanti.
Una persona arrabbiata, che sente aumentare in sé la rabbia, è disposta a cercare anche le più picco-
le occasioni per innescare una lotta.

17.3 TEORIA DELL’APPRENDIMENTO SOCIALE


L’aggressività è un comportamento appreso, in base al quale il semplice atto di vedere un’altra
persona comportarsi in maniera aggressiva può favorire e/o aggravare il comportamento aggressi-
vo dei bambini (Bandura, Ross & Ross, 1961).
Parte del comportamento aggressivo è acquisito dall’imitazione del modello genitoriale e del grup-
po dei pari, ma anche dalla televisione e da altri mezzi di comunicazione di massa (Parke & Slaby,
1983).

I comportamenti aggressivi vengono innanzitutto osservati negli altri e, solo in seguito, il modello
appreso potrà servire ad orientare il comportamento in condizioni non necessariamente simili.
130
17.4 COMPRENSIONE PSICODINAMICA DELL’AGGRESSIVITÀ
Freud, 1905 «Tre saggi sulla teoria sessuale»
Nel corso dei primi studi Freud riconduce l'aggressività alla pulsione sessuale: «la sessualità della
maggior parte degli uomini si rivela mescolata ad una certa aggressività, all'inclinazione alla sopraf-
fazione, il cui significato biologico potrebbe risiedere nella necessità di superare la resistenza
dell'oggetto sessuale anche diversamente che con gli atti di corteggiamento. Il sadismo corrisponde-
rebbe allora ad una componente aggressiva della pulsione sessuale, resasi indipendente ed esagera-
ta, che usurpa per spostamento la posizione principale».

Freud, 1915 «Pulsioni e i loro destini»


Freud inserisce l’aggressività tra le pulsioni dell’Io intendendola come un’espressione di una ten-
denza all’autoconservazione.
L’aggressione è legata ad un bisogno dell’Io di liberarsi da qualsiasi stimolo possa essere fonte di
dispiacere.

Freud, 1920 «Al di là del principio di piacere»


Freud postula una innata pulsione distruttiva.

L’ultima e definitiva formulazione di Freud dell’Es, dell’Io e del Super-Io, invece, tiene conto della
sua nuova teoria delle pulsioni.
Dopo il 1920 nella teorizzazione dell’aggressività Freud non applica tale concetto solo alle relazio-
ni con l’oggetto o con se stesso, ma anche alle relazioni tra le diverse istanze (conflitto tra Io e
Super-Io).
La porzione che l’Io non è in grado di tollerare, viene repressa e spostata al Super-Io.

Se in fase di sviluppo il bambino riceve cure materne sufficientemente buone e vive in un ambiente
facilitante, la sua aggressività si integra nella personalità dell'individuo come una forma di energia
utile al lavoro e al gioco.
Se l’ambiente non è sufficientemente buono, l’aggressività si manifesta con manifestazioni di-
struttive e antisociali (Winnicott, 1965).
Lo stile materno di risposta ai bisogni del bambino è legato alla capacità della madre di uscire
gradualmente dalla fusione con il bambino e di dare una frustrazione minima che dovrà sempre
accompagnarsi alla possibilità di quel bambino di tollerare la frustrazione, tolleranza che aumenterà
con la crescita.

17.5 COMPORTAMENTISMO
Pavlov
Tecniche di condizionamento classico
Associazione ripetuta di uno stimolo neutro (che poi diventa condizionato) ad uno stimolo che su-
scita di per sé una risposta rabbiosa (generalmente scossa elettrica).

131
In tali operazioni erano previste tecniche di rinforzo, positivo o negativo, attraverso cui era possi-
bile premiare o punire l’emissione, anche casuale, di un comportamento aggressivo.

Skinner (1938)
Condizionamento operante
I processi di apprendimento si basano sul fatto che, attraverso il condizionamento operante, Skinner
favoriva nell’animale nuovi apprendimenti non presenti nel suo corredo innato, a differenza del
condizionamento classico di Pavlov che rinforzava i riflessi già presenti nell’animale.

L’aggressività:
– è indotta nell’individuo e nella società perché e finché serve;
– permane perché e finché è premiata, cioè finché si traggono vantaggi da comportamenti aggres-
sivi e violenti.
Le componenti di matrice filogenetica possono essere indebolite o esasperate a seconda
dell’apprendimento ricevuto nell’ambiente in cui si vive.

17.6 IPOTESI FRUSTRAZIONE-AGGRESSIONE


Frustrazione: stato in cui si viene a trovare un organismo quando la soddisfazione dei suoi biso-
gni viene ostacolata.
L’aggressività può essere considerata una reazione inadeguata alla frustrazione in quanto tale ag-
gressione non risolve il problema.
Dollard e collaboratori (1939): l’aggressività «è sempre una conseguenza ad uno stato di frustrazio-
ne» e, al contrario, «l’esistenza di una frustrazione conduce a qualche forma di aggressività».
La risposta aggressiva alla frustrazione non è la sola possibile e neppure è inevitabile, tuttavia essa
può divenire la reazione privilegiata se viene opportunamente rinforzata dal successo nel supera-
mento della tensione ed incoraggiata dall’approvazione del contesto.

132
SOMMARIO
INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA PSICOLOGIA ....................................................................................... 2
CAPITOLO I - STORIA DELLA PSICOLOGIA SCIENTIFICA .............................................................................. 2
1.1 LA NASCITA DELLA PSICOLOGIA SCIENTIFICA ........................................................................................................... 6
1.2 LA PSICOLOGIA DELLA GESTALT .............................................................................................................................. 7
1.3 IL COMPORTAMENTISMO ......................................................................................................................................... 10
1.4 LA PSICOANALISI DI FREUD..................................................................................................................................... 12
1.5 L’EPISTEMOLOGIA GENETICA DI PIAGET ................................................................................................................. 17
1.6 IL COGNITIVISMO .................................................................................................................................................... 17
CAPITOLO II - I METODI DI INDAGINE NELLE APPLICAZIONI PSICOLOGICHE. .................................. 23
2.1 LA DIAGNOSI ........................................................................................................................................................... 26
2.2 DIAGNOSI NOSOGRAFICA-DESCRITTIVA .................................................................................................................. 27
2.3 ANAMNESI .............................................................................................................................................................. 28
2.4 IL METODO DI RICERCA ........................................................................................................................................... 28
2.5 TECNICHE PER LA RACCOLTA DEI DATI ................................................................................................................... 29
2.6 LE RICERCHE LONGITUDINALI ................................................................................................................................. 30
2.7. DIAGNOSI PSICODINAMICA..................................................................................................................................... 30
2.8. METODO PSICOANALITICO ..................................................................................................................................... 31
2.9. PSICODIAGNOSI ...................................................................................................................................................... 32
2.10. TEST DI INTELLIGENZA......................................................................................................................................... 33
2.11. TEST PROIETTIVI .................................................................................................................................................. 35
2.12. TEST PERSONALITÀ QUANTITATIVI ...................................................................................................................... 35
CAPITOLO III - L’APPRENDIMENTO .................................................................................................................... 37
3.1 APPRENDIMENTO E CAMBIAMENTO ......................................................................................................................... 37
3.2 APPRENDIMENTO E CONDIZIONAMENTO ................................................................................................................. 38
3.2.1. Condizionamento classico ............................................................................................................................. 39
3.2.2. Condizionamento operante ........................................................................................................................... 40
3.3 APPRENDIMENTO E COGNIZIONE ............................................................................................................................. 41
3.4 PRINCIPI DELL’APPRENDIMENTO APPLICATI ALLO STUDIO ...................................................................................... 43
3.5 LA MEMORIA E I SUOI PROCESSI .............................................................................................................................. 43
3.5.1. Fattori che influenzano l'acquisizione e la conservazione del materiale memorizzato ................................. 45
3.5.2. Tipi di memoria ............................................................................................................................................. 45
3.5.3. Perdita di memoria........................................................................................................................................ 47
3.6 LE TEORIE ASSOCIAZIONISTE .................................................................................................................................. 47
3.7 LE TEORIE COGNITIVISTE ........................................................................................................................................ 48
3.8 APPLICAZIONI SUL FUNZIONAMENTO DELLA MEMORIA ........................................................................................... 49
3.9. APPRENDIMENTO PER PROVE ED ERRORI ................................................................................................................ 50
3.9.1. Teoria della Gestalt ....................................................................................................................................... 51
3.9.2. Apprendimento vicario .................................................................................................................................. 51
CAPITOLO IV - L’INTELLIGENZA .......................................................................................................................... 52
4.1 GLI STUDI PSICOMETRICI ......................................................................................................................................... 52
4.2 GLI STUDI SPERIMENTALI ........................................................................................................................................ 52
CAPITOLO V - I PROCESSI MENTALI: LA PERCEZIONE (PARTE PRIMA) ................................................. 55
5.1 SENSAZIONE E PERCEZIONE..................................................................................................................................... 55
5.1.1 La sensazione ................................................................................................................................................. 55
5.1.2 La percezione ................................................................................................................................................. 56
5.2 LA TEORIA EMPIRISTA ............................................................................................................................................. 57
5.3 LA TEORIA DELLA GESTALT .................................................................................................................................... 57
5.4 LA TEORIA DEL NEW LOOK ..................................................................................................................................... 58
5.5 LA TEORIA ECOLOGICA ........................................................................................................................................... 58
5.6 LA TEORIA DI MARR ............................................................................................................................................... 58
5.7 ARTICOLAZIONE FIGURA-SFONDO ........................................................................................................................... 59
5.8 INDIZI MONOCULARI E BINOCULARI ........................................................................................................................ 59
5.9 LA PERCEZIONE DEL MOVIMENTO ........................................................................................................................... 60
5.10. FISIOLOGIA DELLA VISIONE.................................................................................................................................. 60
133
5.11. PERCEZIONE VISIVA ............................................................................................................................................. 61
5.12. PRINCIPI GENERALI DELLA PERCEZIONE ............................................................................................................... 61
5.13. LEGGI DELL’ORGANIZZAZIONE PERCETTIVA ........................................................................................................ 62
5.14. PERCEZIONE DI PROFONDITÀ ................................................................................................................................ 63
5.15. ILLUSIONI OTTICHE .............................................................................................................................................. 63
5.16. PERCEZIONE ACUSTICA ........................................................................................................................................ 65
CAPITOLO VI - LA MOTIVAZIONE ........................................................................................................................ 67
6.1 I BISOGNI................................................................................................................................................................. 67
6.2 LE TEORIE SULLA MOTIVAZIONE ............................................................................................................................. 68
6.3 LA MOTIVAZIONE ALL’APPRENDIMENTO ................................................................................................................. 69
6.4. TEORIA OMEOSTATICA ........................................................................................................................................... 70
6.5. TEORIA PULSIONALE ETOLOGICA ........................................................................................................................... 70
6.6. TEORIA DELL’ATTACCAMENTO .............................................................................................................................. 71
CAPITOLO VII - LE EMOZIONI ............................................................................................................................... 73
7.1 TEORIE SULL’EMOZIONE ......................................................................................................................................... 73
7.2 SVILUPPO E MANIFESTAZIONE DELLE EMOZIONI ..................................................................................................... 76
7.3 L’ESPRESSIONE FACCIALE DELLE EMOZIONI............................................................................................................ 76
7.4 L’INTELLIGENZA EMOTIVA ..................................................................................................................................... 77
CAPITOLO VIII - L’ATTENZIONE ........................................................................................................................... 78
8.1 L’ATTENZIONE SELETTIVA ...................................................................................................................................... 80
8.2 L’ATTENZIONE VISUO - SPAZIALE ........................................................................................................................... 80
8.3 L’ATTENZIONE SOSTENUTA..................................................................................................................................... 81
8.4 ATTENZIONE E COSCIENZA ...................................................................................................................................... 81
8.4.1. Stati di coscienza e ritmi biologici circadiani ............................................................................................... 82
8.4.2. Il sonno .......................................................................................................................................................... 83
8.4.3. Droghe e coscienza ....................................................................................................................................... 84
8.5 CAMPI APPLICATIVI................................................................................................................................................. 85
8.6. CONCLUSIONI ........................................................................................................................................................ 85
CAPITOLO IX - IL LINGUAGGIO E LA COMUNICAZIONE .............................................................................. 86
9.1 FUNZIONE DEL LINGUAGGIO ................................................................................................................................... 86
9.2 SVILUPPO DEL LINGUAGGIO .................................................................................................................................... 86
9.3 LA COMUNICAZIONE ............................................................................................................................................... 87
9.4 LA COMUNICAZIONE NON VERBALE ........................................................................................................................ 88
9.5 COMUNICAZIONE .................................................................................................................................................... 88
9.6 CIRCUITO DELLA COMUNICAZIONE ......................................................................................................................... 89
9.7 ASSIOMI DELLA COMUNICAZIONE ........................................................................................................................... 90
9.8 MEZZI DI COMUNICAZIONE ..................................................................................................................................... 90
9.9 LINGUAGGIO ........................................................................................................................................................... 91
9.10 TEORIE SULLO SVILUPPO DEL LINGUAGGIO ........................................................................................................... 91
9.11 SVILUPPO DEL LINGUAGGIO .................................................................................................................................. 93
CAPITOLO X - IL SONNO E I SOGNI ...................................................................................................................... 95
10.1 IL SONNO............................................................................................................................................................... 95
10.2 IL SOGNO............................................................................................................................................................... 95
10.3 L’INTERPRETAZIONE DEI SOGNI DI SIGMUND FREUD ............................................................................................ 96
10.4 CARL GUSTAV JUNG E L’INCONSCIO COLLETTIVO ................................................................................................ 96
10.5 GLI INCUBI E I SOGNI D’ANGOSCIA ........................................................................................................................ 96
10.6 L’IPNOSI................................................................................................................................................................ 97
CAPITOLO XI - L’INTELLIGENZA E I PROCESSI COGNITIVI ....................................................................... 98
11.1 CHE COSA È L’INTELLIGENZA ................................................................................................................................ 98
11.2 GLI STUDI PSICOMETRICI ....................................................................................................................................... 98
11.3 IL PROBLEM SOLVING ............................................................................................................................................ 99
11.4 LA PSICOLOGIA GENETICA................................................................................................................................... 100
11.5 LEV SEMYONOVICH VYGOTSKIJ ......................................................................................................................... 101
CAPITOLO XII - LO SVILUPPO COGNITIVO ..................................................................................................... 104

134
12.1 IL PERIODO PRENATALE ...................................................................................................................................... 105
12.2 IL PRIMO ANNO DI VITA ....................................................................................................................................... 105
12.3 LO SVILUPPO COGNITIVO-AFFETTIVO .................................................................................................................. 106
12.4 IL BABY TALK ..................................................................................................................................................... 106
12.5 IL SECONDO ANNO DI VITA .................................................................................................................................. 106
12.6 IL GIOCO SIMBOLICO ........................................................................................................................................... 107
12.7 LO STADIO PRE-OPERATORIO .............................................................................................................................. 107
12.8 LO SVILUPPO COGNITIVO NELL’INFANZIA ........................................................................................................... 107
12.9 LO SVILUPPO DELLE EMOZIONI............................................................................................................................ 109
12.10 IL PERIODO PRE-SCOLARE ................................................................................................................................. 110
12.11 L’ETÀ SCOLARE ................................................................................................................................................ 110
12.12 IL PROCESSO DI APPRENDIMENTO: LETTURA E SCRITTURA ................................................................................ 111
12.13 IL PENSIERO OPERATORIO FORMALE ................................................................................................................. 111
12.14 SVILUPPO INTELLETTIVO ED IDENTITÀ .............................................................................................................. 111
12.15 LA COSTRUZIONE DEL REALE NEL BAMBINO ..................................................................................................... 112
12.16. LE FASI DELLO SVILUPPO PSICHICO: PRE-ADOLESCENZA .................................................................................. 112
12.16.1. L’influenza dell’ambiente nello sviluppo psicologico ............................................................................. 114
12.16.2. Dalla psicologia alla psicopatologia dello sviluppo ............................................................................... 114
CAPITOLO XIII - GLI ESPERIMENTI ................................................................................................................... 116
13.1 IL CANE DI PAVLOV............................................................................................................................................. 116
13.2 I TOPI DI TOLMAN. .............................................................................................................................................. 116
CAPITOLO XIV - IL PENSIERO .............................................................................................................................. 118
14.1 INTELLIGENZA .................................................................................................................................................... 118
14.2 PENSIERO ............................................................................................................................................................ 118
14.3 RAGIONAMENTO ................................................................................................................................................. 119
14.4 PROBLEM SOLVING ............................................................................................................................................. 120
CAPITOLO XV - LA PERSONALITÀ ...................................................................................................................... 122
15.1. DISTINZIONE TRA PERSONALITÀ, CARATTERE E TEMPERAMENTO ...................................................................... 122
15.2 TRATTI E DIMENSIONI DELLA PERSONALITÀ ........................................................................................................ 122
15.2.1 Teorie dei tratti .......................................................................................................................................... 123
CAPITOLO XVI - IL COMPORTAMENTO PROSOCIALE, AGGRESSIVO E ANTISOCIALE ................... 126
16.1 COMPORTAMENTO PROSOCIALE .......................................................................................................................... 126
16.2 AGGRESSIVITÀ E COMPORTAMENTI AGGRESSIVI ................................................................................................. 126
16.3 COMPORTAMENTI ANTISOCIALI .......................................................................................................................... 127
16.4 ORIGINI BIOLOGICHE DELL’AGGRESSIVITÀ ......................................................................................................... 128
CAPITOLO XVII - TEORIE SULL’AGGRESSIVITÀ ........................................................................................... 129
17.1. L’AGGRESSIVITÀ È INNATA O È APPRESA? .......................................................................................................... 129
17.2 FUNZIONE DELL’AGGRESSIVITÀ .......................................................................................................................... 130
17.3 TEORIA DELL’APPRENDIMENTO SOCIALE ............................................................................................................ 130
17.4 COMPRENSIONE PSICODINAMICA DELL’AGGRESSIVITÀ ....................................................................................... 131
17.5 COMPORTAMENTISMO ........................................................................................................................................ 131
17.6 IPOTESI FRUSTRAZIONE-AGGRESSIONE ............................................................................................................... 132
SOMMARIO ................................................................................................................................................................. 133

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