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Psicologia, evoluzione di una scienza

La psicologia è lo studio scientifico della mente (è la nostra personale


esperienza interiore) e del comportamento (azioni degli esseri umani e
degli animali non umani). La psicologia è un tentativo di usare metodi
scientifici per affrontare gli interrogativi fondamentali sulla mente e sul
comportamento.

Già i pensatori greci, come Platone ed Aristotele, si interrogavano su


come funzionasse la mente. Platone sosteneva l’innatismo, ovvero,
riteneva che certi tipi di conoscenza sono innati o connaturati.
Aristotele, invece, riteneva che la mente del bambino fosse una tabula
rasa su cui veniva scritte le esperienze. Inoltre era un empirista e
sosteneva quindi che tutta la conoscenza veniva acquisita mediante
l’esperienza.

Cartesio sosteneva che corpo e mente sono due enti diversi, il copro è
fatto di una sostanza materiale, mentre la mente o anima (nel 600
ancora non sapevano che l’anima e la mente erano due cose diverse) è
fatta di una sostanza incorporea o spirituale. Egli sosteneva che la
mente influenzava il corpo attraverso la ghiandola pineale.

Hobbes, invece, insieme a molti altri, si poneva in contrasto con


quanto affermato da Cartesio. Egli sosteneva che mente e corpo non
sono affatto cosa diverse, la mente è ciò che fa il cervello.

Gall pensava che mente e cervello fossero collegati dalla loro


dimensione. Dopo aver condotto diversi esperimenti su cervelli di
persone ed animali morti, sviluppò la teoria psicologica della
frenologia. Secondo la frenologia specifiche abilità e caratteristiche
mentali sono localizzate in specifiche aree del cervello. Inoltre
sosteneva che le protuberanze o le rientranze presenti nel cranio,
riflettevano la dimensione delle aree celebrali sottostanti. Toccando
una delle protuberanze si poteva stabilire se una persona era
amichevole, prudente e via dicendo (arriva a queste conclusioni
basandosi su prove aneddotiche o su osservazioni casuali).

Flourens asportava chirurgicamente parti specifiche del cervello di


animali e trovò che le loro azioni erano differenti rispetto a quelle degli
animali con il cervello integro.
Broca lavorò con un paziente che aveva subito una piccola lesione
nell’area sinistra del cervello. Il paziente era incapace di parlare,
riusciva ad articolare un’unica sillaba che era “tan”. Egli però era
capace di intendere e di comunicare a gesti. Dimostrò così che mente
e cervello erano strettamente legati. Broca e Flourens furono i primi a
dimostrasse che la mente si fonda su una sostanza materiale che è il
cervello. La fisiologia è lo studio dei processi biologici specialmente
umani. Due fisiologi si distinsero particolarmente:

▲ Helmholtz: aveva sviluppato un metodo per misurare la velocità


degli impulsi nervosi nella zampa di rana, adattò poi questa tecnica
agli esseri umani. Addestrò i partecipanti a reagire quando applicava
loro uno stimolo (un input sensoriale proveniente dall’ambiente) a
parti diverse della gamba. Una volta applicato lo stimolo misurava il
tempo di reazione. I dati raccolti mostrarono che quando veniva
stimolato l’alluce, piuttosto che la coscia, il tempo di reazione era più
lungo. Questo mostrò che i processi mentali non avvenivano
istantaneamente.

▲ Wundt: nel 1879 aprì all’università di Lipsia dedicato esclusivamente


agli studi psicologici, questo segnò ufficialmente la nascita della
psicologia come campo di studi indipendente. Wundt riteneva che la
psicologia scientifica doveva concentrarsi sull’analisi della coscienza.
Adottò un approccio di tipo strutturalistico analizzando gli elementi di
base che costituiscono la mente. Questo approccio consisteva nel
dividere la coscienza in sensazioni ed emozioni elementari. Ogni cosa
nuota nel flusso della coscienza e Wundt cercò di analizzarle in
maniera sistematica, utilizzando il metodo dell’introspezione
(osservazione soggettiva della propria esperienza personale). Usò i
tempi di reazione introdotti da Helmholtz per esaminare la distinzione
tra percezione e interpretazione di uno stimolo. Fece un esperimento e
disse ai partecipanti di premere un pulsante quando sentivano il
suono. Ad alcuni fu detto di concentrarsi sul suono, ad altri sul
premere. Ne risultò che il primo gruppo impiegava più tempo poiché
dovevano prima interpretare il suono e poi premere il pulsante.

James concordava con Wundt su alcuni punti, come, l’importanza di


concentrarsi sull’esperienza immediata e l’utilità tecnica
dell’introspezione, ma dissentiva sul fatto che la coscienza si potesse
dividere. Egli sviluppò il funzionalismo, lo studio dello scopo a cui
adempiono i processi mentali nel permettere alle persone di adattarsi
al proprio ambiente. Il pensiero di James si ispirava alle idee della
selezione naturale di Darwin. Secondo quanto sostenuto da Darwin,
James, sosteneva che le capacità mentali devono essersi evolute in
quanto adattive, ovvero, perché aiutavano gli esseri umani a risolvere
problemi e ad aumentare le loro probabilità di sopravvivenza.

Hall si concentrò sull’età evolutiva e sull’istruzione. Egli riteneva che nel


corso del suo sviluppo, il bambino, passa attraverso le fasi che
ripercorrono la storia evolutiva del genere umano.

Le illusioni sono degli errori di percezione, memoria, giudizio in cui


l’esperienza soggettiva risulta differente rispetto alla realtà oggettiva.
La percezione del movimento, secondo Wertheimer, non poteva però
essere spiegata tramite gli elementi separati che compongono
l’illusione, piuttosto con il fatto che il lampo di luce mobile viene
percepito come un tutt’uno anziché come somma delle sue due parti.
Questo insieme unitario è la gestalt. Questa interpretazione portò poi

allo sviluppo della psicologia della gestalt, un approccio psicologico che


evidenzia come spesso si percepisca l’intero piuttosto che la somma
delle parti.

In contemporanea alla psicologia della gestalt, altri psicologi,


scoprirono che i comportamenti bizzarri di pazienti con disturbi
psicologici potevano aprire una strada sul come funziona la mente.
Il disturbo dissociativo dell’identità implica la presenza di due o più
identità distinte all’interno dello stesso individuo. L’isteria è una
perdita temporanea delle funzioni temporali cognitive o motorie, di
solito in seguito ad esperienze emotivamente sconvolgenti.

Freud iniziò a compiere osservazioni sui pazienti isterici e arrivò a


sviluppare delle sue teorie per spiegare i starni sintomi e
comportamenti dei pazienti. Egli teorizzò che molti dei comportamenti
potevano essere ricondotti ad esperienze infantili dolorose che però la
persona non riusciva a ricordare. Secondo Freud questi ricordi perduti
rivelavano la presenza di una mente inconscia. L’inconscio è la parte
della mente che opera al di fuori della consapevolezza conscia ma che
influenza azioni, pensieri e sentimenti consci. Sviluppò così la teoria
psicanalitica, un approccio che sottolinea l’importanza dei processi
mentali inconsci nel plasmare sentimenti, pensieri e comportamenti.
La teoria psicanalitica costituì la base di una terapia, la psicanalisi, che
si propone di far emergere il materiale inconscio alla consapevolezza
cosciente. La teoria divenne controversa quando Freud iniziò a
sostenere che per comprendere i pensieri, le emozioni ed i
comportamenti occorreva un’esplorazione approfondita delle sue
prime esperienze sessuali e dei suoi desideri sessuali inconsci
(all’epoca il sesso era ancora un tabù).

Gli psicologi iniziarono a nutrire seri dubbi su molti aspetti delle teorie
freudiane poiché avevano una verificabilità limitata. Fu così che
nacque la psicologia umanista, un approccio alla comprensione della
natura umana che pone in risalto il potenziale positivo degli esseri
umani. Le persone vengono considerate come liberi agenti dotati di un
bisogno innato di svilupparsi, crescere e realizzare il proprio
potenziale.

Fu messo poi in discussione l’oggetto di studio della psicologia. Nacque


quindi il comportamentismo, un nuovo approccio che si focalizzava
sullo studio scientifico del comportamento oggettivamente
osservabile. Watson riteneva che l’esperienza individuale aveva un
carattere soggettivo e non poteva essere considerato come oggetto di
indagine scientifica. Propose quindi di concentrarsi sul
comportamento che poteva essere osservato dall’esterno non che
misurato. Fu influenzato dagli esperimenti di Pavlov.

Il cane di Pavlov

Ogni volta che Pavlov dava da mangiare ai cani faceva sentire loro un
suono. Dopo un po' di tempo che al cane veniva presentato il suono
poi il cibo, questo iniziava a salivare al solo sentire del suono. Questo
perché lo stimolo neutro (la campana) diventa condizionante, cioè
produce salivazione dopo che è stato associato mentalmente al cibo
(stimolo incondizionato) in virtù del rinforzo.

Ispirato da questi esperimenti, Watson insieme alla sua allieva Rayner,


condusse degli esperimenti su un bambino. Insegnò al piccolo Albert a
nutrire un sentimento di paura verso un ratto bianco, fino ad allora
innocuo per il bambino. Con questo esperimento dimostrò che il
comportamento umano è influenzato da molti fattori, ma sicuramente
uno dei più rilevanti è l’ambiente.
Skinner sviluppò un nuovo genere di comportamentismo. Egli
sosteneva che negli esperimenti di Pavlov i cani erano partecipanti
passivi, ma nella realtà, gli animali agiscono nel proprio ambiente.
Creò quindi la camera di condizionamento, o meglio nota come gabbia
di Skinner o Skinner box. La gabbia era dotata di una leva e di un
vassoio con del cibo, un ratto affamato poteva ottenere il rilascio di
cibo premendo la leva. Solitamente il ratto premeva sulla barra per
caso, poi il numero di volte in cui la leva veniva premuta cresceva
considerevolmente fin quando il ratto non aveva più fame. Questo
dimostra il principio del rinforzo, secondo il quale le conseguenze di
un comportamento determinano se esso avrà maggiori o minori
probabilità di essere riprodotto di nuovo.

L’avvento del computer ebbe un enorme impatto sulla psicologia, fece


infatti riaffiorare l’interesse per i processi mentali. Il riemergere di
questi interessi diede vita alla psicologia cognitiva, uno studio
scientifico dei processi mentali, comprendenti la percezione, il
pensiero, la memoria ed il ragionamento.

Molti furono i pionieri del cognitivismo. Barlett riteneva importante


studiare la memoria che riguardava informazioni che hanno a che fare
con la vita quotidiana. Sottopose ai suoi soggetti delle storie da
ricordare e notò che questi commettevano errori quando, passato un
lasso di tempo, cercavano di richiamarle alla memoria. I partecipanti il
più delle volte ricordavano ciò che si aspettavano accadesse e non ciò
che realmente era accaduto. Ebbinghaus fece ricerche su se stesso.
Egli voleva capire con quale velocità e con che efficienza riusciva a
memorizzare e poi ricordare sillabe senza senso formate da tre
lettere. Piaget, si concentrò sugli errori percettivi e cognitivi dei
bambini al fine di comprendere la natura e lo sviluppo della mente
umana. Egli dai suoi esperimenti ipotizzò che ai bambini più piccoli
mancasse una particolare capacità cognitiva che permetteva ai
bambini più grandi di rendersi conto che la massa di un oggetto
rimane costante anche quando questa viene divisa. Lewin sosteneva
che fosse possibile prevedere il comportamento di una persona nel
mondo reale se si giungeva a comprendere la sua esperienza
soggettiva nel mondo. Si rese conto che l’interpretazione che davano le
persone allo stimolo avrebbe determinato il comportamento
successivo.
Lashley condusse degli esperimenti sui ratti per scoprire in quale
punto preciso del cervello si verificava l’apprendimento. Li addestrò a
percorrere un labirinto e poi chirurgicamente gli rimuoveva parti del
cervello. Il risultato di tali esperimenti fu che maggiore era l’area
rimossa e maggiore era la difficoltà nel percorrere il labirinto. Altri
scienziati cercarono di trovare una risposta precisa e diedero vita alla
psicologia fisiologica. Quest’area si è poi evoluta nelle neuroscienze
comportamentali, un ambito che collega i processi psicologici alle
attività del sistema nervoso e ad altri processi organici.
Le neuroscienze cognitive sono il campo di ricerca che tenta di
comprendere i legami tra i processi cognitivi e l’attività cerebrale.

La psicologia evoluzionistica spiega la mente e il comportamento in


termini di valore adattivo delle capacità che la selezione naturale ha
preservato nel corso del tempo. Affonda le sue origini nella teoria della
selezione naturale elaborata da Darwin. Gli psicologi che
appartengono a questa corrente vedono la mente come un insieme di
moduli specializzati, costruiti in modo da risolvere i problemi. Il
cervello è costruito in modo da far bene alcune cose e non farne altre.

La psicologia sociale riconosce che l’individuo fa parte di una rete


sociale formata da altre persone e prende in esame il modo in cui gli
individui si influenzano ed interagiscono gli uni con gli altri.

La psicologia culturale si occupa degli effetti della cultura di


appartenenza sugli individui e identica somiglianze e differenze tra
persone di diverse culture.

I metodi della psicologia La misurazione consiste di due compiti:


definire (processo che collega le proprietà alle definizioni operative) e
rilevare (le definizioni operative vengono collegate alle misurazioni). Se
uno dei due passaggi viene eseguito male la misurazione mancherà di
validità, caratteristica di un’osservazione che consente di trarre
conclusioni accurate. Una buona definizione operativa deve avere
validità di costrutto, ovvero, la tendenza di una definizione operativa e
di una proprietà condividere significato. Una caratteristica
fondamentale dello strumento di rilevazione è l’affidabilità, cioè deve
avere la tendenza di produrre sempre lo stesso risultato ogni volta che
viene utilizzato per misurare lo stesso oggetto. Oltre che affidabile
deve essere anche sensibile. Per sensibilità si intende la tendenza a
produrre risultati diversi quando lo strumento viene utilizzato per
misurare oggetti differenti. Talvolta gli psicologi si avvalgono dello
studio dei casi singoli per studiare individui eccezionali. Per studiare le
persone comuni, invece, utilizzano i campioni, una porzione di
popolazione. Secondo la legge dei grandi numeri quando aumentano
le dimensioni del campione aumenta anche la fedeltà con cui gli
attributi del campione riflettono gli attributi della popolazione dalla
quale esso è stato tratto. (se prendo un mazzo di carte composto da
carte nere e rosse, avrò il 50% di possibilità che la carta che pescherò
sarà rossa, ed il 50% che sarà nera). Le misure del campione vengono
poi rappresentate graficamente, servendosi della distribuzione di
frequenza, che indica il numero di volte che ciascuna misura è stata
osservata. Solitamente assume la forma di distribuzione normale, in
cui le misure sono per la maggior parte concentrate attorno alla media
e diminuiscono verso le estremità. Esistono due importanti tipi di
statistiche descrittive:

▲ Descrizione della tendenza centrale. Le tre descrizioni più frequenti


sono:

a. Moda: il valore della misura osservato con maggiore frequenza. b.


Media: il valore medio delle misure. c. Mediana: il valore che è
maggiore o uguale a metà dei valori nella distribuzione di

frequenza, e minore e uguale all’altra metà dei valori. In una


distribuzione normale questi tre elementi hanno lo stesso valore.

▲ Descrizione della variabilità: è il grado in cui le misure in una


distribuzione di frequenza differiscono le une dalle altre. L’intervallo
compreso tra il valore della misura più alta e il valore della misura più
bassa è detto range.

La prima forma di ricerca è quella descrittiva. Nasce con lo scopo di


descrivere i fenomeni, ma, non è in grado di dimostrare le leggi causa-
effetto, si limita all’ipotesi. C’è da sapere però che durante una ricerca
se al soggetto viene fatta una domanda può succedere che questa
andrà ad influire sul suo comportamento. Si può risolvere il problema
con diverse tecniche:

• Serie di coperture: per non influenzare i risultati posso utilizzare una


serie di coperture, ad esempio posso dire alle persone che stanno
partecipanti allo studio che non sono lì per essere studiate ma sono lì
per un’attività differente.

• Singolo cieco: consiste nel non rivelare la struttura della ricerca. I


soggetti non sanno quale è lo scopo della ricerca e né a quale
condizione sono stati assegnanti.

• Doppio cieco: la struttura della ricerca non viene rivelata né al


soggetto né allo sperimentatore. Solitamente è un generatore casuale
a stabilire l’architettura della ricerca, decide come collocare i soggetti
nei vari gruppi.

La ricerca descrittiva può essere fatta anche attraverso i sondaggi,


questionari e interviste. Vengono realizzati a campione, ma
quest’ultimo deve essere rappresentativo della popolazione che si sta
studiando.

Esiste un’altra forma di ricerca che è quella correlazionale, che consiste


nell’osservare e nel vedere come vanno le cose. Questi tipi di studi non
permettono mai di trarre conclusioni rispetto alla casualità dei
fenomeni studiati. Per stabilire se due variabili abbiano un rapporto
casuale bisogna per prima cosa stabilire se abbiano un rapporto.
Occorre quindi misurare una variabile molte volte mettendo poi a
confronto i pattern di variazione di ciascuna serie di misure. Se i
pattern covariano allora le variabili sono correlate. Le correlazioni
servono a prevedere il valore di una variabile in base a ciò che
sappiamo del valore dell’altra. La direzione e la forza di una
correlazione sono misurate dal coefficiente di correlazione (r).

Quando si osserva una correlazione tra due variabili non è possibile


concludere che esse sono legate da una relazione causale, perché
esiste un numero infinito di terze variabili che potrebbero essere la
causa di entrambe. Il problema della terza variabile però può essere
risolto manipolando una variabile indipendente, assegnando a caso i
partecipanti nei vari gruppi, e misurando una variabile dipendente.
Queste due misure vengono poi messe a confronto nei diversi gruppi.
Se dalle statistiche risulterà che vi è una probabilità inferiore al 5% che
l’assegnazione causale sia fallita, allora si può dedurre che le differenze
nelle misure siano state causate dalla manipolazione.
La ricerca sperimentale si serve degli esperimenti per indagare sui
rapporti causa effetto. Non risulta però essere un metodo perfetto,
poiché, l’esperimento ha dei limiti di complessità, ovvero non posso
studiare troppe cose insieme, ed etico. Un esperimento realizzato sulla
base di un’ipotesi serve a prevedere alcuni comportamenti e a dare
delle spiegazioni, frutto dell’interpretazione dello sperimentatore. In
psicologia la ricerca sperimentale viene fatta sulla base di un ciclo
sperimentale, così strutturato:

1. Formulazione dell’ipotesi

2. Operazionalizzazione delle variabili, che ha lo scopo di creare una


procedura standardizzata.

3. Creo un campione

4. Raccolgo e organizzo i dati 5. Somministro l’esperimento

6. Applico una tecnica statistica a scelta tra:

■ Descrittiva: descrivo in maniera generica i dati e poi faccio la media ■


Inferenziale: permette di affermare che quello che è accaduto
nell’esperimento è

frutto di una causalità.

7. Traggo le conclusioni dell’ipotesi

SENSAZIONE E PERCEZIONE Per sensazione si intende la semplice


consapevolezza della stimolazione di un organo di senso. Dopo che
una viene registrata nel SNC, a livello cerebrale ha luogo la percezione.
Per percezione si intende l’organizzazione, l’interpretazione e
l’identificazione di una sensazione allo scopo di formare una
rappresentazione mentale. Tutti i sensi (che in realtà sono di più dei 5
sensi classici) trasformano una stimolazione fisica in segnali sensoriali
detti trasduzione, cioè un segnale nervoso fatto di elettricità. Tutti i
sistemi sensoriali hanno delle soglie, se una stimolazione fisica è
inferiore ad un certo valore il senso non la capta.

Tutti i sistemi sono in grado di rilevare un solo elemento che è il


cambiamento. I nostri sistemi sensoriali sono fatti per percepire i
cambiamenti. Ad esempio riusciamo a vedere perché i nostri occhi
generano continuamente un cambiamento muovendosi.

La psicofisica studiando i sensi ha posto l’accento sulle soglie.

1. soglia assoluta: si ha quando non si riesce a percepire qualcosa


perché poco intensa o viceversa. La stimolazione viene percepita il
50% delle volte. Questa cifra è dovuta al fatto che quando viene
presentato uno stimolo questo può essere percepito oppure no. Posso
quindi dare due risposte, “ho sentito/non ho sentito” quindi posso
indovinare il 50% delle volte). Sopra il 50% di risposte esatte non sta
più rispondendo a caso.

2. Soglia differenziale: anche chiamata jnd (just noticeable difference)


legata a quando e quanto riesco a percepire la differenza minima tra
due stimoli. Varia in funzione dell’intensità inziale dello stimolo.

-Per le misurazioni la psicofisica si serve di diversi metodi, come:

▲Metodo dei limiti: si da una stimolazione che gradualmente aumenta


o diminuisce di intensità. Il limite di questo metodo sta nel fatto che i
sistemi sensoriali si abituano a certe stimolazioni.

▲ Metodo degli stimoli costanti: gli stimoli vengono presentati in


ordine random, non in ordine di intensità e quindi non ci si abitua.

▲Metodo dell’aggiustamento: viene data una manopola al soggetto e


gli viene chiesto di gestire la soglia in modo da trovare il primo punto
in cui sente lo stimolo.

▲Metodo staircase: è dato dall’alternanza tra i due metodi dei limiti fin
quando non ci si setta su un livello.

Secondo la legge di Weber la differenza appena rilevabile di uno


stimolo rappresenta una proporzione costante indipendente dalla
variazione di intensità. Ad esempio se ho una busta di mele e ne tolgo
una non sentirò la differenza del peso, se invece ne tolgo la metà sarò
in grado di percepire che la busta è più leggera.

La teoria della rilevazione del segnale afferma che la risposta ad uno


stimolo dipende sia dalla sensibilità del soggetto allo stimolo in
presenza di rumore che dal suo criterio di risposta. Questa teoria
propone un metodo per misurare la sensibilità percettiva, ovvero con
quanta efficienza il sistema percettivo rappresenta gli eventi sensoriali,
a prescindere da quelle che sono le decisioni del soggetto. Accade
però che la sensibilità ad una stimolazione prolungata tende a
scemare con il passare del tempo, poiché l’organismo si adatta alle
condizioni in cui si trova. Questo fenomeno prende il nome
di adattamento sensoriale. Un esempio di questo fenomeno è che
quando entriamo in piscina e l’acqua risulta essere fredda, dopo poco
tempo ci abituiamo alla temperatura dell’acqua e non la percepiamo
più come fredda.

La vista La percezione della luce non dipende dall’uomo ma la luce


possiede le sue proprietà che sono: lunghezza (determina la
percezione del colore), ampiezza (determina ciò che percepiamo, ad
esempio la luce) e la purezza (determina la saturazione e l’intensità dei
colori).

La luce che raggiunge l’occhio passa per prima cosa attraverso la


cornea, un tessuto esterno trasparente e liscio, che imprime una
curvatura al raggio luminoso e lo invia attraverso la pupilla.
Quest’ultima è un’apertura circolare sull’iride, la parte colorata che ha
il compito di controllare la dimensione della pupilla e quindi di stabilire
la quantità di luce che deve entrare nell’occhio. Dietro l’iride i muscoli
interni all’occhio controllano la curvatura del cristallino al fine di
deviare i raggi luminosi e concentrarli sulla retina. La retina è un
tessuto sensibile alla luce situato sul fondo del bulbo oculare. I muscoli
cambiano la forma del cristallino per riuscire a mettere a fuoco gli
oggetti.

La retina contiene due fotorecettori che traducono i raggi luminosi in


impulsi neurali:

• Coni: rilevano il colore e operano in condizioni di luce normale.


Questi ci consentono di mettere a fuoco i dettagli fini.

• Bastoncelli: si attivano in condizioni di luce fioca. Servono per la


visione notturna.

I bastoncelli sono però assenti nell’area della fovea, situata nella


regione centrale. In quest’area della retina la visione è più chiara.
La retina è costituita da tre strati distinti, lo strato più interno è
formato dai fotorecettori, quello intermedio dalle cellule bipolari che
hanno la funzione di raccogliere i segnali neurali dei bastoncelli e dei
coni per poi trasmetterlo allo strato più esterno della retina. Qui le
cellule gangliari della retina organizzano i segnali e li inviano al
cervello. Una data RGC risponderà alla luce che cade in un qualsiasi
punto all’interno di quel piccolo settore della retina, detto campo
recettivo. Si definisce campo recettivo la zona della superficie
sensoriale che, quando viene stimolata, provoca un cambiamento
nella frequenza di scarica di quel neurone. All’interno di un campo
recettivo accade che i fotorecettori rispondono agli stimoli in maniere
differenti, ad esempio inibendo o eccitando alcune cellule. I segnali
inviati alle RGC attraverso le cellule bipolari riflettono gradi differenti di
attivazione del recettore, mediante il processo di inibizione laterale. Il
colore è la nostra percezione della lunghezza d’onda della luce.
Quando viene percepito il colore i coni nella retina codificano le
lunghezze d’onda della luce riflessa dalla superficie di un oggetto.
L’elaborazione del colore nel sistema nervoso avviene in due fasi, una
prima di codificazione che avviene nella retina, e una seconda di
elaborazione che avviene nel cervello. La luce che colpisce la retina
provoca un pattern di risposta specifico in ognuno dei tre tipi di coni
(del blu, del verde e del rosso). Il pattern di risposta dai tre tipi di coni
fornisce un codice specifico per ogni colore, questo processo prende il
nome di rappresentazione tricromatica del colore.

Gli aspetti più complessi della visione richiedono un’elaborazione da


parte del cervello. Metà degli assoni del nervo ottico che escono da
ciascun occhio provengono dalle cellule gangliari della retina che
codificano le informazioni del campo visivo destro, mentre l’altra metà
codifica quelle del sinistro. Questi due fasci di fibre nervose si
collegano rispettivamente agli emisferi cerebrali sinistro e destro. Il
nervo ottico che esce da ciascun occhio si dirige al nucleo genicolato
laterale, situato nel talamo (riceve input da tutti i sensi tranne che
dall’olfatto). Da qui il segnale visivo viaggia verso la parte posteriore
del cervello verso l’area V1, l’area del lobo occipitale che contiene la
corteccia visiva primaria. In questa regione le informazioni vengono
mappate.

Una delle funzioni fondamentali della percezione è la percezione della


forma degli oggetti. Questa dipende dalla posizione e
dall’orientamento dei margini di un oggetto. Due vie visive si
proiettano dalla corteccia occipitale alle aree visive situate in altre parti
del cervello:

1. Via ventrale: attraversa il lobo occipitale per entrare nei livelli più
bassi del lobo temporale. Comprende le aree del cervello che hanno il
compito di identificare la forma e l’identità di un oggetto.

2. Via dorsale: si dirige in alto dal lobo occipitale verso il lobo parietale
collegandosi alle aree corticali che identificano la posizione ed il
movimento dell’oggetto.

Esistono però forme di danni cerebrali che portano all’incapacità di


riconoscere gli oggetti mediante la vista, è il caso della agnosia della
forma.

Prima di riconoscere un oggetto il sistema visivo deve organizzare la


rappresentazione delle varie parti di un oggetto in un’unica
rappresentazione integrata. La psicologia della Gelstat ha
caratterizzato molti aspetti della percezione umana. Hanno stabilito
delle regole di organizzazione percettiva, che sono:

• Semplicità: la spiegazione più semplice è di solito la migliore.

• Chiusura: tendiamo ad inserire gli elementi mancanti di una scena


percettiva in modo chiudere gli spazi vuoti e a percepire l’oggetto
come completo.

• Continuità: i margini o i contorni che hanno lo stesso orientamento


tendono ad essere raggruppati insieme a livello percettivo.

• Somiglianza: aree che si somigliano per colore, luminosità, forma o


trama superficiale vengono percepite come appartenenti allo stesso
oggetto.

• Vicinanza: oggetti che si trovano vicini tendono ad essere raggruppati


insieme.

• Movimento comune: elementi di un’immagine visiva che si muovono


insieme vengono percepiti come parti di un unico oggetto in
movimento.

Sono state elaborate due teorie sul riconoscimento di oggetti:


♦ Teoria del riconoscimento di oggetti in base all’immagine mentale:
afferma che un oggetto visto in precedenza viene conservato nella
memoria e va a costruire un template (una sagoma). In altre parole, è
una rappresentazione mentale che può essere confrontata
direttamente con la forma di un oggetto nella sua immagine retinica.
Questa teoria presenta però due limiti. Il primo è dato dal fatto che
riesco a riconoscere un oggetto famigliare al di là del suo
orientamento. Inoltre stando a quanto affermato da questa teoria non
dovrei essere in grado di riconoscere un oggetto mai visto poiché non
ho un suo template in memoria.

♦ Teoria del riconoscimento degli oggetti in base alle loro parti: dice
che il cervello decostruisca gli oggetti osservati in un insieme delle loro
parti. Il sistema per il riconoscimento costruisce l’immagine di un
oggetto a partire dalle sue parti visibili, rileva le relazioni spaziali tra
queste parti e poi confronta questa con la descrizione stutturale con
gli interventi della memoria. Il limite principale di questa teoria risiede
nel fatto che consente il riconoscimento dell’oggetto solo a livello delle
categorie e non del singolo oggetto.

Gli oggetti sono organizzati in tre dimensioni: altezza, lunghezza e


profondità. La nostra retina è però in grado di percepire soltanto la
lunghezza e l’altezza, per percepire la profondità si utilizzano una serie
di indizi di profondità. Questi indizi sono di diverso tipo:

• Indizi monoculari: Elementi di una scena che forniscono informazioni


sulla profondità quando sono osservati con un occhio solo. Questi
indizi si basano sul rapporto distanza- grandezza. Egli indizi
monoculari possono essere:

• Grandezza relativa: sfrutta la differenza di grandezza dell’immagine


retinica.

• Grandezza famigliare

• Prospettiva lineare: è il fenomeno secondo cui le linee parallele


sembrano convergere con l’aumentare della distanza.

• Gradiente di tessitura: si ha quando si osserva una superficie con


pattern più o meno uniforme. Questo fenomeno si verifica perché la
grandezza degli elementi che costituiscono il pattern diminuisce
all’allontanarsi dell’osservatore.
• Sovrapposizione: si verifica quando un oggetto blocca in parte la vista
di un altro.

• Altezza relativa nell’immagine: dipende dal campo di visione.

• Indizi binoculari di profondità: esistono perché abbiamo la visione


stereoscopica, perché i due occhi essendo distanti registrano visioni
leggermente differenti. Se guardiamo un oggetto da molto vicino
aumenta la disparità binoculare, cioè la differenza nelle immagini
retiniche dei due occhi.

• Indizi di profondità basati sul movimento: basato sul parallasse di


movimento, cioè un indizio della profondità che si basa sul movimento
della testa nel tempo.

L’uomo è fortemente vulnerabile alle illusioni, definite come gli errori


di percezione, di memoria o di valutazione in cui l’esperienza
soggettiva diverge dalla realtà oggettiva. Le illusione ottiche dipendono
dal fatto che quando si osservano due oggetti che proiettano immagini
retiniche della stessa grandezza, l’oggetto che si percepisce come più
lontano verrà percepito come più grande. Proviamo la sensazione di
oggetti in movimento tramite le differenze nell’intensità di scarica dei
neuroni specializzati nel rilevare il movimento. Questi processi
possono provocate le illusioni del movimento apparente, ovvero, la
percezione del movimento come risultato di segnali alternati che
appaiono in rapida successione in punti diversi.

L’udito La percezione del suono dipende dalle onde sonore, cioè dalla
variazione di pressione che si trasmette attraverso l’aria in un
determinato arco di tempo. L’onda sonora possiede 3 dimensioni:

1. Frequenza: dipende da quanto spesso il picco della compressione


dell’aria passa attraverso l’orecchio. Le variazioni nella frequenza
vengono percepite come variazioni di tono, cioè quanto è acuto o
grave un suono.

2. Ampiezza: corrisponde al volume.

3. Complessità: corrisponde al timbro, che ci fornisce informazioni


sulla natura del suono.
È la frequenza a fornire il maggior numero di informazioni utili al fine
dell’identificazione del suono.

L’orecchio si compone di tre parti:

a. Orecchio esterno: comprende il padiglione, il canale uditivo e i


timpano. Questo raccoglie le onde sonore e le invia all’orecchio medio.

b. Orecchio medio: contiene il martello, l’incudine e la staffa, tre


ossicini che si combinano formando una leva che intensifica le onde
sonore e le invia all’orecchio interno.

c. Orecchio interno: contiene la coclea, un tubo a forma di chiocciola,


pieno di liquido. La coclea ospita la membrana basilare, si tratta di una
struttura che forma ondulazioni quando le vibrazioni provenienti dagli
ossicini raggiungono il liquido cocleare. Questo movimento
ondulatorio stimola le cellule ciliate che rilasciano molecole di
neurotrasmettitore che danno inizio ad un segnale neurale che viaggia
fino al cervello.

Dall’orecchio interno il potenziale d’azione raggiunge il talamo e l’area


A1 (porzione del lobo temporale che contiene la corteccia uditiva
primaria). Le aree uditive dell’emisfero sinistro sono deputate
all’analisi dei suoni relativi al linguaggio, mentre le aree di destra
analizzano i suoni ritmici e la musica. L’orecchio ha sviluppato due
meccanismi per codificare la frequenza delle onde sonore:

• Codice di posizione: la coclea codifica frequenze differenti in posizioni


diverse della membrana basilare. Il movimento della membrana
provoca il ripiegamento delle ciglia che a sua volta provoca un segnale
neurale nel nervo acustico. La posizione che i recettori attivati
assumono sulla membrana basilare contribuisce alla percezione del
suono.

• Codice temporale: la coclea registra le basse frequenze attraverso il


taso dei potenziali d’azione che entrano nel nervo acustico. I potenziali
d’azione che partono dalle cellule ciliate sono sincronizzate con i picchi
delle onde sonore in arrivo.

La capacità di localizzare le fonti sonore dipende dal fatto che gli


orecchi si trovano ai lati opposti della testa.
Il mantenimento dell’equilibrio dipende dal sistema vestibolare,
costituito da tre canali semicircolari pieni di liquido e dagli organi
adiacenti che si trovano nella coclea. I canali sono orientati in tre
direzioni perpendicolari tra loro e sono ricoperti da cellule ciliate che
rilevano il movimento del fluido quando la testa si muove. Anche la
visione contribuisce nel mantenimento dell’equilibrio.

Il tatto La percezione tattile ha inizio a partire dall’esplorazione attiva


dell’ambiente fatta toccando e afferrando gli oggetti con le mani.
Riusciamo a captare i dettagli di un oggetto, ad esempio la sua
tessitura, grazie a quattro diversi tipi di recettori che si trovano sotto la
superficie della pelle. Questi campi recettivi lavorano all’unisono
producendo una ricca esperienza tattile. Il tatto inizia con la
trasduzione in segnali neurali delle sensazioni della pelle. La
rappresentazione neurale della superficie corporea è regolata da due
principi:

1. Organizzazione controlaterale: la parte sinistra del corpo è


rappresentata nella parte destra e viceversa.

2. Le regioni più estese della corteccia sensoriale corrispondono alle


parti della superficie cutanea che hanno maggiore risoluzione.

Un aspetto fondamentale del tatto al fine della sopravvivenza è


il dolore, che ha il compito di segnalare un danno o un potenziale
danno al corpo. Accade però che si ha un dolore in una parte interna
del corpo, come ad esempio al cuore, ma questo dolore viene
percepito sulla superficie del

corpo. Questo fenomeno prende il nome di dolore riferito, meglio


definito come la sensazione di dolore che di ha quando le informazioni
sensoriali provenienti da aree interne ed esterne convergono sulle
stesse cellule nervose del midollo spinale. Secondo la teoria del gate-
control, i segnali che arrivano dai recettori del dolore presenti nel
corpo possono essere bloccati da interneuroni nel midollo spinale con
un feedback proveniente da due direzioni. Il dolore può essere
bloccato dai recettori della pelle, ad esempio sfregando l’area colpita,
oppure modulando l’attività dei neuroni che trasmettono i segnali del
dolore.
L’olfatto L’olfatto è direttamente collegato al prosencefalo e possiede
proiezioni che arrivano fino al lobo frontale e all’amigdala, quindi,
questo senso è in stretta relazione coinvolte nel comportamento
emotivo e sociale. Il senso dell’odorato ha origine dai recettori
dell’olfatto, situati nell’epitelio. Le molecole odoranti, ovvero gli odori
delle sostanze che arrivano al naso, si legano ai recettori. Se vengono
creati abbastanza legami i recettori inviano potenziali d’azione al nervo
olfattivo. Gruppi di recettori inviano i propri assoni al bulbo olfattivo,
una struttura cerebrale. Questo invia i propri segnali a vari centri del
cervello, tra cui le aree responsabili del controllo delle pulsioni
primarie, delle emozioni e dei ricordi. Nell’olfatto si verifica il
fenomeno dell’adattamento sensoriale, cioè dopo qualche minuto
l’odore percepito si attenua.

Il gusto La lingua è ricoperta di piccole protuberanze chiamate papille,


ognuna delle quali contiene i calici gustativi, da cui ha inizio la
sensazione del gusto. Il gusto possiede 5 tipi principali recettori, che
sono:

• Salato • Acido • Amaro • Dolce • Saporito

Ogni calice contiene vari tipi di recettori, che portano all’estremità


apicale i microvilli che reagiscono con le molecole gustative.

LA MEMORIA La memoria è un processo cerebrale complesso e fragile


che costruisce, immagazzina e recupera ricordi in costante evoluzione.
Possiede tre funzioni chiave:

1. Codifica: il processo attraverso il quale trasformiamo in memoria


persistente ciò che percepiamo, pensiamo o sentiamo.

2. Immagazzinamento: è il processo che permette di conservare le


informazioni nella memoria a lungo termine.

3. Recupero: si tratta del processo attraverso il quale riportiamo alla


mente le informazioni precedentemente codificate ed immagazzinate.

I ricordi si formano combinando le informazioni che abbiamo già nel


cervello con le informazioni che arrivano attraverso i sensi.

Esistono 3 diversi processi di codifica:


▲ Codifica elaborativa: la ritenzione a lungo termine è fortemente
potenziata dalla codifica elaborativa, che consiste nel collegare
attivamente le informazioni nuove alle conoscenze già presenti nella
memoria. Uno degli esperimenti condotti a tal proposito vede coinvolti
3 gruppi che devono effettuare diversi tipi di analisi di una lista di
parole. Il primo gruppo doveva eseguire un’analisi semantica delle
parole, doveva cioè pensare al significato (il gatto è un animale), il
secondo gruppo doveva fare un’analisi della rima, i partecipanti
dovevano cioè trovare una parola che rimasse con quella presentata
ed infine il terzo gruppo doveva eseguire un’analisi visiva, cioè doveva
dire se la parola presentata era stata scritta in maiuscolo od in
minuscolo. Il risultato dell’esperimento fu che chi aveva eseguito
l’analisi semantica, e quindi aveva fatto un’elaborazione delle parole
presentate, riusciva a ricordare

meglio. La codifica elaborativa è associata all’aumento di attività nella


parte interna del lobo temporale sinistro e nella parte inferiore del
lobo frontale sinistro.

▲ Codifica visiva: consiste nell’immagazzinare nuove informazioni


trasformandole in immagini mentali. Da numerosi studi è emerso che
la codifica visiva può migliorare la memoria in misura sostanziale.
Questo tipo di codifica attiva le regioni del cervello occipitale, centro
dell’elaborazione visiva.

[esperimento fatto in classe, per esame. 1. Cancello di casa, diana con


i mocassini 2. Cancello Annalisa, Emma che si fa la barba con
il rasoio 3. Cancello di Anna berti, Pietro si fa giustizia con Luigia 4.
Belvedere, parrucchino con l’elmetto che corre 5. Casa zi Sergio, si
lancia con la scopa 6. Marven, marven si butta con la corda
sul divano 7. Orto di trotta, selly ha paura di Luisina]

▲ Codifica organizzata: consiste nella classificazione in categorie di


una certa serie di item sulla base delle relazioni esistenti tra loro.
Attiva la regione superiore del lobo frontale sinistro.

La memoria può essere vista come un magazzino che si compone di 3


grandi comparti: memoria sensoriale, memoria a breve termine e
memoria a lungo termine.
La memoria o registro sensoriale più studiata è la memoria iconica,
definita come il deposito a rapido decadimento delle informazioni
visive. Sperling nel 1959 inizia ad esplorare una procedura
sperimentale diversa, il resoconto totale. Consisteva nel far vedere una
matrice di lettere in un lasso di tempo brevissimo e il soggetto doveva
ricordare più lettere possibile, ma i soggetti riuscivano a ricordare un
numero molto ridotto di lettere. Sperling allora iniziò a presentare in
un punto temporale la matrice di lettere, prima della matrice
presentava una schermata continua ed una freccia o un suono
indicavano su quale riga concentrarsi ,in questo caso riescono a dire
tutte le lettere preseti in quella riga (questo tipo è detto resoconto
parziale). Pian piano Sperling inizia a diminuire il tempo che intercorre
tra il primo e il secondo passaggio, fino ad arrivare al momento che
freccia e matrice vengono presentati insieme. Poi decide di presentare
la freccia o il suono subito dopo che la matrice è stata presentata. Nel
momento in cui il soggetto deve orientare la sua attenzione dopo aver
visto l’immagine diventa un compito di memoria. Allungando o
diminuendo il tempo tra i due passaggi Sperling riesce a vedere
quanto tempo dura il ricordo sensoriale, più velocemente viene
presentata la freccia dopo aver visualizzato l’immagine più il soggetto
riesce a ricordare meglio. Grazie a questo esperimento si riesce ad
avere una stima molto precisa della memoria iconica, il soggetto riesce
a dire la risposta fino a 250 millisecondi, questo vuol dure che la
memoria iconica, cioè le immagini restano sulle retine per ¼ di
secondo.

Esiste poi la memoria ecoica, il deposito a rapido decadimento delle


informazioni uditive, che dura tra i 2 ai 4 secondi.

[Se si decide di far vedere uno sono stimolo per un determinato arco
di tempo e basta, si sfrutta il fenomeno del masking. La memoria dei
registri sensoriali è strutturata in modo che quando arriva un nuovo
contenuto caccia il precedente. Per far rimanere uno stimolo per poco
tempo basta che subito dopo ne venga presentato un altro. Mentre nel
registro sensoriale lo stimolo rimane consultabile proprio come è
visto, senza filtri, nella memoria a breve termine vengono ricordate
soltanto le cose su cui si è posto attenzione.]

Il magazzino a breve termine, o memoria a breve termine è un


deposito in cui le informazioni non sensoriali vengono mantenute per
più di qualche secondo ma meno di un minuto. Al fine di mantenere le
informazioni nella memoria a breve termine si usa la ripetizione, un
processo che consiste nel ripetere le parole o i numeri a mente. Miller
scoprì che le persone riuscivano a ricordare all’incirca 7 elementi
(items). Prima di Miller, Ebbinghaus, condusse degli esperimenti su se
stesso, memorizzando grandi liste, come sillabe senza senso. Il
materiale da memorizzare non doveva avere senso poiché se non ha
senso, non ha significato, non si hanno agganci nella memoria a lungo
termine. Il processo chiave della memoria è breve termine è la
reiterazione per il mantenimento. Paterson e Paterson cercò di evitare
questa ripetizione di mantenimento, per farlo diceva una serie di cose,
ad esempio sillabe senza senso; poi venivano dati numeri di 3 cifre, poi
i soggetti dovevano contare indietro di 3 in 3 a voce alta. Questa serie
di compiti impediva la reiterazione di mantenimento. Grazie a questo
esperimento fu possibile studiare la durata della memoria a breve
termine, che dipende dai materiali, ma dura all’incirca tra i 30 e i 60
secondi.

Per memoria di lavoro si intende il mantenimento attivo delle


informazioni nel deposito a breve termine. Comprende sottosistemi
che immagazzinano e manipolano le immagini visive o le informazioni
verbali. È una memoria attiva e consapevole (per alcuni è la coscienza)
ed è divisa in aree di memorizzazione e in processi. Il modello originale
prevede 3 sottosistemi: attentivo (detto esecutivo centrale) loop e
magazzino fonologico (deputato alla memorizzazione di parole o di
qualsiasi cosa che sia pronunciabile) e taccuino visivo spaziale (tiene
tutte le informazioni visive e spaziali).

La memoria a lungo termine è un deposito in cui le informazioni


possono essere mantenute per ore, giorni, mesi o anni. Quanto più le
info rimangono nella memoria a breve termine quanto più è probabile
che rimangano i quella a lungo termine. Per questo tipo di memoria
esiste un effetto onnipresente, chiamato effetto della posizione seriale.
Quando si ha una serie di cose si ricordano bene le prime, male quelle
in mezzo, bene le ultime. Una delle giustificazioni date a questo
fenomeno è legata alla differenza tra le due memorie, quando si ha
una lista di cose da ricordare mano a mano che la lista va avanti si
iniziano a ripetere le prime parole, le prime parole presentate sono
state ripetute per così tanto che sono finite nella memoria a lungo
termine, questo fenomeno si chiama effetto di priorità. Le parole alla
fine riesco a ricordale anche se non sono finite nella memoria a lungo
termine grazie all’effetto recenza, essendo state presentate da poco
riesco a ricordarle. Si è scoperto che l’ippocampo svolge un ruolo
cruciale nell’inserimento di nuove informazioni nel deposito a lungo
termine. Se si ha un danneggiamento in questa regione può verificarsi
una condizione nota come amnesia anterograda, cioè l’incapacità di
trasferire nuove informazioni dal deposito a breve termine a quello a
lungo termine. Oppure può verificarsi un’amnesia retrograda, che
consiste nell’incapacità di recuperare le informazioni acquisite prima
della lesione.

La formazione dei ricordi dipende dai cambiamenti nelle sinapsi e il


potenziamento a lungo termine (si tratta di un aumento della forza
della trasmissione neurale che deriva dal rafforzamento delle
connessioni sinaptiche) rafforza le connessioni sinaptiche. L’avvio
dell’LTP è controllato dall’ NMDA, un sito recettore dell’ippocampo che
influenza il flusso di informazioni che passa da un neurone all’altro
attraverso le sinapsi.

Ma come si generano le sinapsi?

I neuroni sono le unità funzionali che consentono di ricevere e


processare i formazioni, di agire, apprendere e memorizzare. Un
neurone è costituito dal corpo cellulare, dai dendriti e dall’assone. Per
svolgere determinate funzioni, i neuroni, lav rano in gruppo o in reti e
p ssiedono proprietà chimiche i grado di pr pagare gli impulsi elettrici.
I segnali i entrata sono ricevuti nei dendriti, generando potenziali
d’azione che si propagano tramite l’assone fino alla sinapsi.
quest’ultima possiede tre componenti: il terminale assonico, la fessura
sinaptica e il dendrite del neurone postsinaptico. Quando il pote ziale
d’azione arriva alla sinapsi vengono rilasciati i neurotrasmettitori, che
gli consentono di attraversare la fessura sinaptica. Così facendo il
neurone postsinaptico può ricevere e decodificare l’informazione
elettrica.

Uno dei modi migliori per recuperare un ricordo è imbattersi in


un’informazione esterna che sia in qualche modo collegata con il mio
ricordo. L’informazione esterna prende il nome di indizio per il
recupero. Secondo il principio di specificità della codifica un indizio per
il recupero può essere efficace nel riportare alla mente
un’informazione quando aiuta a ri-creare il modo specifico il cui
quell’informazione è stata inizialmente codificata. Si ha la tendenza a
ricordare meglio un’informazione quando durante il recupero ci si
trova nello stesso stato in cui ci si trovava nella fase di codifica, questo
fenomeno è noto come recupero stato- dipendente. Secondo
l’elaborazione appropriata al trasferimento del ricordo, quest’ultimo,
tende a trasferirsi da una situazione a un’altra quando elaboriamo le
informazioni in un modo che è appropriato agli indizi per il recupero
che saranno disponibili in seguito.

Esistono almeno due tipi diversi di memoria:

♦ Memoria esplicita: conosciuta anche con il nome di memoria


dichiarativa, si esprime tramite il linguaggio. Si tratta di un ricordo
cosciente ed intenzionale di concetti, dati o avvenimenti specifici.
Questo tipo di memoria contiene due sottoinsiemi:

1. Memoria semantica: contiene la conoscenza generale del mondo,


ovvero, la conoscenza del significato delle parole, concetti, schemi e
strutture di riferimento.

2. Memoria episodica: è la capacità di ricordare in maniera precisa


esperienze specifiche vissute personalmente, in luoghi e tempi
concreti, come testimoni o protagonisti.

♦ Memoria implicita: si tratta della memoria inconscia di un’abilità,


che non viene però recuperata sotto forma di ricordo ma tramite
azioni o automatismi. Coincide con tutte le abilità motorie che si
ricordano senza attenzione cosciente come guidare o camminare. Si
divide in:

1. Memoria procedurale: contiene i ricordi del futuro. Si tratta di una


memoria improntata al futuro che ha il compito di ricordare di
ricordare. Non si tratta di un sistema di memoria distinto, ma fa
scattare dove e quando necessario il ricordo.

2. Priming: si ha una maggiore capacità di pensare a uno stimolo in


conseguenza di un’esposizione recente allo stimolo stesso, questo
fenomeno prende il nome di priming. [es. viene chiesto di
memorizzare una lista di parole, in quella di alcuni soggetti c’è la
parola luna, poi ai soggetti viene chiesto di elencare le loro marche di
prodotti preferiti. I soggetti che avevano memorizzato la parola luna
tra i loro prodotti nominavano tide, che significa marea.]

La memoria non è però perfetta, compie degli errori, che sono:


• Labilità: è il dimenticare con il passare del tempo

• Distrazione: è una mancanza di attenzione che porta ad una


dimenticanza

• Blocco: è l’incapacità temporanea di recuperare informazioni

• Erronea attribuzione di memoria: consiste nel confondere la fonte di


un ricordo

• Suggestionabilità: quando vengono incorporate in un ricordo


informazioni fuorvianti

• Distorsione: è l’influenza di conoscenze, convinzioni ed emozioni


attuali su ciò che si ricorda del passato

• Persistenza: si tratta del ripresentarsi indesiderato di un ricordo che


vogliamo dimenticare

L’apprendimento

La memoria nel morbo di Alzheimer

È il tipo di demenza più frequente. Al principio della malattia viene


colpita la me oria epis dic , il paziente dimentica quindi le esperienze
recenti. In seguito viene colpita anche la memoria semantica. Con
l’avanzare della malattia l’amnesi retr grada aumenta, e il paziente,
ricord soltanto fatti avvenuti venti o trenta anni prima. Viene
compromessa anche la sua memoria spaziale, il paziente non è in
grado di orientarsi.

L’apprendimento è un’esperienza che provoca in chi apprende un


cambiamento relativamente permanente di stato. Può essere
consapevole e deliberato oppure inconsapevole. Alcune forme di
apprendimento cominciano come esplicite ma col tempo diventano
implicite, ad esempio, le prime volte che guidiamo facciamo attenzione
a molti movimenti, che poi diventano automatici. Una forma semplice
di apprendimento è l’assuefazione, si tratta di un processo in cui
l’esposizione ripetuta o prolungata ad uno stimolo porta ad una
graduale riduzione della risposta, cioè con l’esperienza la reazione a
uno stimolo cambia. Per capire meglio questo processo facciamo un
esempio, nella casa a fianco c’è un cantiere e spesso si sentono rumori
assordanti, la prima volta che sento il rumore mi spavento, la seconda
volta che lo sento sono meno impaurita, al terzo rumore non avrò più
una reazione. L’assuefazione sparisce però dopo un certo lasso di
tempo in cui quello stimolo non si presenta, ma se mi espongo
nuovamente a quello stimolo posso ricreare il processo di
assuefazione.

Il condizionamento classico, una forma di apprendimento, fu studiato


da Pavlov, che lo definì come uno stimolo neutro che evoca una
risposta dopo essere stato associato ad uno stimolo che suscita di per
sé una risposta spontanea. Questo si basa su quattro principi di base,
elaborati da Pavlov grazie alle sue sperimentazioni sui cani.

1. Stimolo incondizionato (SI): nell’esperimento di Pavlov corrisponde


alla presentazione del cibo. Si definisce come uno stimolo che in un
organismo produce costantemente una data reazione spontanea.

2. Risposta incondizionata (RI): corrisponde alla salivazione del cane. È


una risposta automatica evocata in modo costante da uno stimolo
incondizionato.

Poi Pavlov decide di associare l’associazione del cibo ad un suono.

3. Stimolo condizionato: il suono del campanello. Si tratta di uno


stimolo che inizialmente era neutro e che non produceva nessuna
reazione all’organismo. Se infatti prendiamo un cane qualsiasi, al quale
non è mai stato associato il suono alla presentazione del cibo, questo
non inizierà a salivare al solo sentire il suono della campanella.

4. Risposta condizionata: la salivazione al solo sentire il suono della


campanella. È una risposta simile ad una risposta incondizionata ma è
provocata da uno stimolo condizionato.

Inoltre si basa su:

• L’acquisizione: è la fase in cui lo stimolo condizionato e quello


incondizionato si presentano abbinati.

• Condizionamento di secondo ordine: lo stimolo incondizionato è uno


stimolo che ha acquistato la propria capacità di generare
apprendimento in seguito a una procedura precedente in cui è stato
usato come stimolo condizionato.
• L’estinzione: si ha quando presento per molte volte lo stimolo
condizionato (il suono della campanella) senza presentare più lo
stimolo incondizionato (il cibo). Dopo un certo numero di volte si
presenterà quindi l’estinzione, cioè il soggetto non reagirà più allo
stimolo 8il cane quando sente il campanello non saliva). Lo stimolo
condizionato non evoca più una risposta condizionata, diventando così
uno stimolo neutro.

• Recupero spontaneo: può accadere però che dopo l’estinzione alla


presentazione dello stimolo condizionato si presenti nuovamente la
risposta condizionata.

• Generalizzazione: si ha una risposta condizionata anche se lo stimolo


condizionato è leggermente diverso da quello usato durante
l’acquisizione.

• Discriminazione: è la capacità di distinguere gli stimoli simili.

Il tipo di condizionamento più efficace è quello che sfrutta il sistema


anterogrado, ovvero presento prima lo stimolo neutro e poi lo stimolo
incondizionato. Bisogna prestare molta attenzione anche alla storia
degli apprendimenti dell’individuo, ovvero quali condizionamenti già
possiede, poiché una risposta estinta viene appresa più velocemente
rispetto ad una nuova risposta. Una volta che si è verificato un
condizionamento non si può sostituire uno stimolo neutro con un
altro, questo fenomeno prende il nome di bloccaggio. Se il cane
impara a salivare al suono del campanello sarà molto difficile riuscire a
condizionarlo alla luce.

I ricercatori hanno scoperto che gli organismi semplici sono sensibili


alla precisione con cui lo stimolo condizionato permette di predire
quello incondizionato, quindi, il condizionamento classico implica
qualche livello di cognizione. Gli aspetti evolutivi del condizionamento
classico mostrano che ogni specie è biologicamente predisposta ad
acquisire ad acquisire particolari associazioni SC- SI basate sulla storia
evolutiva. Il condizionamento classico non è quindi un meccanismo
arbitrario che forma semplicemente delle associazioni, ma, si tratta di
un meccanismo che si è evoluto per via della sua funzione di tipo
adattiva.
Il condizionamento operante è un tipo di apprendimento in cui le
conseguenze del comportamento di un organismo determinano il suo
ripetersi o meno nel futuro. Thorndike voleva capire quanto i
comportamenti attivi influenzino gli ambienti, e per farlo condusse
degli esperimenti. Mise un gatto l’’interno di una gabbia che poteva
essere aperta dall’interno. Lo sperimentatore non diede da mangiare
all’animale ma mise fuori la gabbia del cibo, che il gatto avrebbe
potuto raggiungere solo riuscendo ad aprire la gabbia. Ad un tratto, in
maniera casuale colpisce la leva che apre la porta della gabbia ed
arriva al cibo. Allora Thorndike lo rimette nella gabbia, lo affama
ancora, e ripete la cosa. Il gatto questa volta ci mette meno a riuscire
ad aprire. Continua a ripetere l’esperimento fin quando il gatto diventa
velocissimo a compiere quest’azione. Quella del gatto è una forma di
apprendimento. Grazie a queste osservazioni può formulare la legge
dell’effetto che dice che il comportamento, quindi anche
l’apprendimento, è controllato dalle sue conseguenze. Se un
comportamento mi porta conseguenze positive molto probabilmente
lo ripeterò. Parecchi anni più tardi Skinner coniò il
termine comportamento operante che si manifesta quando un
organismo mette in atto un comportamento in grado di produrre un
impatto sull’ambiente. Egli studiava i comportamenti attivi e sosteneva
che questi non dipendevano dalle stimolazioni precedenti ma dalle
conseguenze. I due elementi cardine solo il rinforzo (è qualsiasi cosa
che accade nell’ambiente che rende più probabile la ripetizione di quel
comportamento in futuro) e la punizione (è qualsiasi cosa che accade
nell’ambiente che rende meno probabile la ripetizione di quel
comportamento in futuro). A loro volta si distinguono in positivi e
negativi, termini che non hanno nulla a che vedere con il valore, ma si
riferiscono al fatto di presentare uno stimolo, nel caso sia positivo,
oppure di togliere uno stimolo, nel caso in cui sia negativo.

[EX. Rinforzo positivo hai fatto tutti i compiti quindi ti do una


caramella, probabilmente anche domani farai tutti i compiti per
prendere la caramella. Rinforzo negativo se la smetti di abbaiare ti
libero. Punizione positiva se ti sei comportato male ti appendo per un
paio di giorni. Punizione negativa hai fatto tardi ti tolgo le chiavi della
macchina, è negativa perché tolgo uno stimolo, è una punizione
perché non voglio che ripeti la stessa cosa.]

Skinner per condurre i suoi sperimenti creò una Skinner box. Vi


inserisce all’interno un ratto affamato, che riceve del cibo ogni qual
volta schiaccia una leva, e quindi continua a premerla fin quando non
si sfama. Skinner decide poi di sostituire la caduta del cibo con una
scossa elettrica, e

nota che il ratto non aziona più la leva. Quindi l’apprendimento


avviene in primo luogo per prove ed errori e segue la legge dell’effetto.
Secondo questa legge la connessione tra uno stimolo e una risposta
diventa attiva quando la risposta ha come effetto una conseguenza
positiva. Invece, la risposta diventa aversiva quando ha come effetto
una conseguenza negativa.

Un limite dei rinforzi è dato dall’effetto della sovra giustificazione, che


si ha quando le ricompense esterne possono minare la soddisfazione
intrinseca che deriva dall’attuazione di un comportamento.

I programmi di rinforzo son di due tipi:

▲ A rapporto: un rinforzo verrà elargito dopo un tot numero di


comportamenti. Ex ogni 5 colpi cade la pallina.

▲ A intervallo: si basano sul tempo che intercorre dall’ultimo rinforzo.


Un programma di intervallo di un minuto significa che il gatto preme
sulla leva, cade il cibo, poi può premere quanto vuole se non passa un
minuto non scende niente.

Entrambi possono essere fissi o variabili. I primi si hanno quando ogni


numero di volte viene elargito un rinforzo. Quello variabile il rinforzo
non compare dopo un tot numero di risposte ma è un media. Questi
generano dei comportamenti molto diversi:

▲ Rapporto fisso: dopo un po' che il ratto sta lì inizia a rispondere ad


una frequenza moderata, fino a che non raggiunge la caduta del cibo,
poi mangia e ricomincia. Il suo comportamento si adatta al fatto che
dopo un tot di volte cade il cibo.

▲ Rapporto variabile: la frequenza di risposta è più rapida e dopo la


palina di cibo ricomincia subito.

▲ Intervallo fisso: appena mangiato non risponde, inizia piano piano e


poi aumenta la frequenza, poi riprende.

▲ Intervallo variabile: frequenza di risposta moderata ma continuo.


Condizionamento classico VS condizionamento operante

La differenza tra il condizionamento classico e q ello perante risiede


nel fatto che in quello classi classico l’organismo passivo, nell’operante
è un organismo attivo che compie delle operazioni.

Curiosità…

Somigliano a comportamenti che l’uomo mette in atto in determinate


situazioni. -Il rapporto fisso sembra quello di un operaio che lavora a
cottimo. -Il rapporto variabile so iglia al gioco d’azz rdo. - intervallo
fisso sembra gli esami, quando mancano tanti giorni studio poco, poi
gli ultimi giorni studio tanto. -intervallo variabile sembra l’ispezione
casuale, compito in classe a sorpresa o i militari che controllano la
camerata a sorpresa.

Posso concatenare sequenze apprese, do una pallina di cibo


all’animale quando per caso fa una giravolta, poi per caso lo farà
ancora e lentamente inizierà a fare giravolte. Attraverso lo shaping
posso sviluppare comportamenti complessi. Smetto di dare lo
zuccherino quando fa la giravolta e glielo do quando fa giravolta e si
mette giù, diventando sempre più complesso. I nostri comportamenti
non precedenti possono portarci a rispondere al comportamento
operante in maniera molto diversa. L’addestratore stava insegnando a
tre polpi ad avvolgere una leva e tirarla per prendere il cibo. Albert ci
mette poco e lo impara perfettamente. Beltram dopo un po’ se ne va,
risponde in maniera molto diversa, è distratta. Charles non segue il
programma di rinforzo e non considera il cibo, esce fuori dall’acqua
sputa allo sperimentatore e tira talmente la leva da romperla. Questo
è influenzato dalla loro storia passata.

Tolman sosteneva che l’approccio stimolo risposta non era in grado di


spiegare l’apprendimento e sosteneva che l’esperienza condizionante
produceva una conoscenza, cioè la convinzione che si verificherà una
speciale ricompensa se viene prodotta una specifica risposta. Lo
stimolo non evoca direttamente una risposta ma stabilisce uno stato
cognitivo interno che poi produce il comportamento. I primi studi
eseguiti sui ratti all’interno dei labirinti dimostrano che la cognizione
influenza il condizionamento. Per dimostrarlo fa degli esperimenti con
tre gruppi di topi e li inserisce nel labirinto, tutti i giorni per tre
settimane. I 3 gruppi svolgono le loro attività in questo modo:
• Primo gruppo: il gruppo di controllo viene messo nel labirinto, ma
non riceve alcuna ricompensa se trova l’uscita. Questi ratti furono in
grado di migliorare la loro prestazione di poco.

• Secondo gruppo: questo gruppo di ratti riceveva regolarmente un


rinforzo ogni volta che arrivavano alla fine del labirinto. La loro
prestazione migliorò di molto.

• Terzo gruppo: per i primi 10 giorni dell’esperimento vennero messi


nel labirinto senza ricevere mai un rinforzo, nei giorni restanti venne
dato loro un rinforzo ogni volta che raggiungevano la meta. Questi
ratti hanno un cambiamento drastico, per i primi 10 giorni il numero di
errori è altissimo, ma dal momento in cui ricevono la ricompensa il
numero di errori cala a picco. Questi ratti nei primi giorni avevano
creato una mappa cognitiva del labirinto, cioè una rappresentazione
mentale delle caratteristiche fisiche dell’ambiente. I ratti hanno
mostrato un apprendimento latente, definito come una condizione in
cui si apprende qualcosa ma questo apprendimento si manifesta come
cambiamento comportamentale soltanto in futuro. I ratti mostrano
l’apprendimento solo dopo aver ricevuto la ricompensa.

P nti in comune tra il condizionamento classico e quello perante

1 continuità temporale. Centrale in entrambi. Se gli stimoli sono lonta i


nel tempo non c’è condizi namento.

2. discri inazione e generalizzazi ne degli stimoli. Studiando questi due


negli a imali condizionati a fare determinate c se riesco a studiare delle
cose incredibili.

3. apprendimenti idiosincratici o fobie e superstizioni. Il ratto nella


Skinner box per caso pri a di premere la leva ha rosicchiat un pezzo di
gabbia e poi ha premuto la leva e ha preso il cibo. È possibile che
apprenderà il fatto che deve prima rosicchiare e poi premere la leva.
Questo comportamento di rosicchiare non ha nulla a che vedere con il
rinforzo (superstizioni).

Si può apprendere anche con la sola osservazione delle azioni altrui, è


il caso dell’apprendimento osservativo (o per modeling). Bandura e
colleghi decisero di studiare questa forma di apprendimento sui
bambini. Presero due gruppi di bambini in età pre-scolare e li misero
all’interno di un’area giochi. Ad un tratto dell’esperimento viene
introdotto un modello adulto che iniziò a giocare con dei giocattoli per
adulti. Il primo gruppo lo vide giocare con Bobo in maniera violenta,
mentre l’altro gruppo lo vedeva giocare con questo pupazzo in
maniera amorevole. Poi i bambini vennero messi nella stanza con un
Bobo delle loro dimensioni, e questi si comportavano proprio come
l’adulto. Quando però i bambini vedevano che il comportamento
aggressivo dell’adulto veniva punito, questi manifestavano
un’aggressività inferiore.

Possiamo anche apprendere senza essere consapevoli del processo e


dei risultati dell’acquisizione di informazioni, questo tipo di
apprendimento prende il nome di apprendimento implicito. Questo
comportamento è presente soprattutto nei bambini, gli vengono
impartite regole esplicite di condotta sociale ma probabilmente non
sono consapevoli di quando e come hanno appreso una particolare
condotta. L’apprendimento implicito si distingue da quello esplicito per
delle caratteristiche ben specifiche:

• Nei compiti impliciti le differenze tra gli individui sono piccole, nei
compiti espliciti dove si ha una soluzione consapevole del problema, si
evidenziano grandi differenze.

• L’apprendimento implicito non è collegato al QI. Gli esperimenti


hanno rivelato che queste due forme di apprendimento usano vie
neurali differenti in maniera differente. Nell’esperimento in questione
ai partecipanti venne fatta vedere una serie di insiemi di puntini. Prima
dell’inizio dell’esperimento a metà dei partecipanti vennero date delle
istruzioni per facilitare la risoluzione del problema. Dovevano valutare
se i nuovi pattern di puntini erano conformi o no al prototipo. Si vide
che chi aveva ricevuto le istruzioni mostrava un aumento dell’attività
cerebrale nella corteccia prefrontale, parietale e nell’ippocampo,
mentre il secondo gruppo mostrava una diminuzione dell’attività nella
regione occipitale.

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