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MODULO 1: CORRENTI E AUTORI CLASSICI DELLA PSICOLOGIA

1.1 Wundt Wilhelm

Biografia:

Nato in Germania 1832. Infanzia difficile, muore il padre inizia a studiare medicina, famiglia povera. Diventa professore di filosofia
presso l’università di Lipsia e nel 1879 fonda quello che è considerato il primo laboratorio di psicologia sperimentale. Dalle sue
teorie psicologiche derivano vari indirizzi anche in parte contrapposti tra cui il funzionalismo e l’introspezionismo. Muore nel 1920

Opere:

Scrisse molto, più famoso è il "Compendio di psicologia" (1900) una delle prime opere psicologiche complete che è quasi un
manuale di psicologia.

o Elementi di psicologia fisiologica 1873-74


o Contributi alla teoria della percezione sensoriale 1858-62
o Lineamenti di psicologia 1896
o Logica 1880-83
o Psicologia dei popoli 1900-20

Principi:

Fondatore della psicologia scientifica. Fonda il primo laboratorio di psicologia sperimentale a Lipsia, Germania, nel 1879.

Compendio di Psicologia: opera complessa e molto articolata, presenta l’oggetto di studio della psicologia sperimentale ed il
metodo di indagine. Wundt dà spazio alla descrizione delle sensazioni, alle forme psichiche, alle rappresentazioni, descrive gli stati
psichici e lo sviluppo psichico del bambino. Lo scritto inizia con la definizione di psicologia:

o Metafisica: come la scienza dell’anima, dove i processi psichici sono considerati fenomeni dai quali si deve dedurre
l’esistenza di una sostanza metafisica.
o Empirica: la scienza dell’esperienza interna, dove i processi psichici fanno parte dell’esperienza.

Metafisica, rappresenta la psicologia per come è stata concepita per molto tempo ed è superata dallo sviluppo di un metodo
empirico, la seconda fa nascere l’equivoco, che la psicologia abbia ad occuparsi d’oggetti i quali sono diversi da quelli della così
detta esperienza esterna. L’esperienza esterna resta comunque oggetto di studio insieme dell’esperienza interna.

Secondo Wundt, esperienza interna ed esterna rappresentano due punti di vista diversi ma non due cose diverse.

o Esperienza esterna: ha un contenuto che è chiamato oggetti dell’esperienza. È un esperienza mediata e viene studiata
dalle scienze naturali.
o Esperienza interna: è la cognizione di questo contenuto ed è chiamato soggetto conoscente.

Oggetto di studio della psicologia è il contenuto dell’esperienza nella sua relazione col soggetto nelle qualità, che sono
immediatamente attribuite ad esso dal soggetto. Centrale per Wundt è l’analisi dell’esperienza immediata Caratterizzata da
immediatezza, mancanza di interpretazione, giudizi, ragionamenti e dall’essere quindi pura e consapevole.

(Esperienza indiretta o mediata, ne tiene conto un fisico o un chimico, oggetto di studio delle scienza naturali)

Esperienza immediata composta da:

o Elementi del contenuto oggettivo dell’esperienza: definiti come elementi di sensazione, come suono, sensazione di caldo
o freddo.
o Elementi soggettivi: Sono i sentimenti semplici o elementi sentimentali, i sentimenti che accompagnano una sensazione
di caldo, freddo o un suono.

Ogni sentimento è legato sia da elementi rappresentativi sia da una parte di un processo psichico, svolto in un determinato
momento e soggetto a variazioni e cambiamenti.
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Esperienza immediata= contenuto oggettivo dell’esperienza + quello che il soggetto sente.
La connessione di questi due elementi, contenuto oggettivo e soggetto che sente, è alla base della vita psichica nel suo complesso
ed è compito della ricerca psicologia lo studio delle leggi di connessione tra sensazione e sentimento.

Secondo Wundt la psicologia deve usare un metodo sperimentale, lui introduce il termine di introspezione ovvero l’analisi degli
stati mentali del soggetto, concentrandosi in particolare sulle sue esperienza interne, sulle sensazione, sui sentimenti e pensieri.
Sostiene che gli stati mentali possono essere analizzati scientificamente solo se manipolati in modo sperimentale, riproducendo il
contesto e analizzando le variabili. Lo studio dovrebbe basarsi su esperimento e osservazione, come nelle scienze empiriche. La
psicologia si studia attraverso l’osservazione sperimentale  Si basa sull’intervento volontario dell’osservatore in un opera di
manipolazione e controllo dei processi psichici in esame in grado di produrre delle modifiche significative.

Il laboratorio da lui fondato ha utilizzato questo metodo di ricerca basato sull’osservazione sperimentale. Uno stimolo è un
qualunque tipo d energia fisica che eserciti un’influenza su una persona e determini una risposta.
Principalmente veniva misurato il tempo di reazione, la misurazione del tempo intercorrente tra un input ricevuto da un soggetto
e la risposta emessa dallo stesso soggetto.
Wundt nelle sue ricerca volle misurare la velocità dei processi mentali semplici, partendo dal presupposto che le funzioni più
veloci erano quelle più elementari, riteneva che individuati questi processi si poteva capire come questi si combinassero fra loro
per dare origine a processi mentali più complessi. Nonostante questo Wundt riconobbe che non era tutto operazionalizzabile e
analizzabile secondo un rapporto diretto con le variabili sperimentali. Infatti tutti i contenuti complessi hanno tra loro sede
adeguata di indagine al di fuori della psicologia individuale e vanno trattati nell’ambito della psicologia dei popoli.

Psicologia dei popoli: si occupa di studiare lo spirito del popolo, ricostruire le rappresentazioni comuni appartenenti ad una
determinata comunità, studia le manifestazioni di come si incarna lo spirito di un popolo e come esse si determinano (cultura,
religione, lingua ecc.).

La psicologia sperimentale e la psicologia dei popoli sono i due rami principali della psicologia scientifica.

PSICOLOGIA SCIENTIFICA PSICOLOGIA SPERIMENTALE

PSICOLOGIA DEI POPOLI

1.2 Correnti classiche della psicologia

Tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 nascono e si consolidano quelle che sono definite le scuole e le teorie classiche della
psicologia:

o Funzionalismo
o Strutturalismo
o Comportamentismo
o Gestaltismo
o Primo Cognitivismo

1.2.1 Strutturalismo

Edward Titchener

Biografia:

Nasce in Inghilterra nel 1867. Studia filosofia alla Oxford University. Dopo la laurea si trasferisce a Lipsia per lavorare con Wundt.
Si trasferirà in America perché riceve una cattedra alla Cornell University. Editore di Mind e dell’American Journal of Psychicology.
Muore nel 1927.

Principi:

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Ha frequentato il laboratorio di Wundt, traduce in inglese Principi di psicologia riprende la sua opera, fondando negli USA una
scuola che fino agli anni 20 ebbe notevole importanza. Nel laboratorio di Cornell University con le sue ricerche contribuì a definire
le caratteristiche dello strutturalismo che ha come scopo l’analisi della struttura della mente.

Anche per Titchner l’oggetto della psicologia è l’esperienza diretta considerata dal punto di vista del soggetto che la vive. Cercò di
analizzare gli “elementi” di base o “blocchi costituitivi” della psiche e l’interrelazione fra questi nella percezione e nell’esperienza
conscia. Egli adottò il metodo introspettivo, ancora più di Wundt, intesa come osservazione delle esperienze coscienti, praticata
da osservatori accuratamente preparati e sotto criteri tipici della sperimentazione. L’osservatore doveva descrivere solamente ciò
che notava attraverso la propria percezione, o che avveniva nella propria mente, senza interferenza, ed esporre verbalmente il
proprio vissuto.

Tuttavia l’introspezione si dimostrò uno strumento poco adatto a rispondere alla maggior parte degli interrogativi, per quanto
sistematiche fossero le osservazioni.

1.2.2 Funzionalismo

Principi

William James, studioso americano, ampliò la ricerca della psicologia includendovi il comportamento animale, esperienza religiosa
e comportamento abnorme. Il suo primo importante testo Principles of Psychologhy contribuì a far diventare la psicologia una
scienza autonoma. Il termine funzionalismo si deve all’interesse per James per le modalità di funzionamento della mente che ci
consentono di adattarci all’ambiente.

I funzionalisti si rifacevano alle teoria proposte da Charles Darwin, il quale spiegò l’evoluzione delle creature viventi in termini di
necessità di sopravvivenza. I funzionalisti intendevano scoprire in che modo la mente, la percezione, le abitudini, le emozioni ci
aiutano ad adattarci e a sopravvivere.

1.2.3 Comportamentismo

Principi

Il funzionalismo e lo strutturalismo furono messi in discussione dal comportamentismo, un approccio alla psicologia il cui oggetto
di studio è il comportamento osservabile. Il comportamentismo si oppone fortemente allo studio della “mente” o “dell’esperienza
conscia”. Watson basò la sua analisi su ciò che poteva essere osservato e cioè gli stimoli e le risposte di un animale. Watson
adottò il concetto di “condizionamento” formulato dal fisiologo russo Ivan Pavlov e contribuì a fare della psicologia una scienza
sperimentale. Watson pubblica nel 1913 il manifesto del comportamentismo, viene identificato come il padre della corrente.

1.2.4 Cognitivismo

Principi

I comportamentisti radicali sono stati criticati per aver ignorato il ruolo fondamentale che i processi cognitivi svolgono nella nostra
esistenza. Le critiche nacquero da alcuni studiosi come Miller e Broadbent, diedero l’impulso per lo sviluppo di un nuovo modello
conoscitivo incentrato sullo studio dei processi del funzionamento della mente. Il cognitivismo si occupa di studiare i processi
medianti i quali le informazioni vengono eseguite dal sistema sensoriale, trasformate, elaborate, archiviate e recuperate.
Apprendimento, percezione, memoria, soluzione di problemi, attenzione, linguaggio e emozioni sono materia di studio del
Cognitivismo.

1.2.5 Psicologia della Gestalt

Principi

Psicologi tedeschi Max Wertheimer (1880-1943), Kurt Koffka (1886-1941), Wolfgang Köhler (1887-1967), sono stati i principali
promotori e realizzatori scientifici della psicologia della Gestalt. I loro studi si basavano sul principio secondo cui: il tutto è
qualcosa in più della somma delle parti e la parola tedesca Gestalt definita come” forma, modello o insieme”

La Gestalt contribuì a sviluppare indagini e modelli teorici su pensiero, la memoria, l’apprendimento e la percezione come unità
globali, non dividendo le esperienze nei suoi costituenti principali.
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1.2.6 Psicoanalisi e psicologia dinamica

Principi

La psicoanalisi nasce in ambito medico – psichiatrico. Nel momento in cui la psicologia americana acquisiva una maggiore
scientificità, un medico austriaco, Sigmund Freud, stava formulando delle idee radicalmente diverse che aprivano nuovi orizzonti.

Freud è considerato il padre della psicoanalisi. Egli considera la vita mentale una sorta di iceberg di cui solo una piccola parte
risulta osservabile e cosciente: la parte della mente che sfugge alla consapevolezza fu chiamata “inconscio”, e sono presenti i
pensieri, gli impulsi ed i desideri inconsci a influenzare il nostro comportamento. La nostra psiche si evolve attraverso un continuo
processo di conflitti.

1.2.7 Psicologia umanistica

Principi

La psicologia umanistica è un approccio che pone l’accento sull’esperienza umana soggettiva. Rogers e Maslow rifiutano l’idea
freudiana che l’agire umano sia interamente governato da pulsioni inconsce.

Gli psicologi umanistici pongono l’attenzione sul libero arbitrio. Sostengono che anche se le esperienze passate ci condizionano
siamo comunque in grado di vivere esperienze creative, significative e soddisfacenti.

La nozione di autorealizzazione (arrivo a soddisfare i miei bisogni) di Maslow è un concetto fondamentale della psicologia
umanistica e significa attuare lo sviluppo complessivo delle proprie potenzialità per diventare la migliore persona possibile.

MODULO 2: FUNZIONALISMO E CONTRIBUTO DI WILLIAM JAMES

2.1 Funzionalismo

Il funzionalismo è un approccio di studio, inaugurato negli Stati Uniti alla fine dell’Ottocento. Il background teorico – culturale su
cui si innesta il funzionalismo è costituito dalle teoria evoluzionistiche di Darwin da cui deriva la definizione della psicologia come
studio delle funzioni mentali in quanto strumento di adattamento all’ambiento.

Il funzionalismo pone enfasi su ciò che la “fa” la mente e su come “funziona” il comportamento: laddove la coscienza viene
definita come stream of consiousness, ovvero flusso dinamico e continuo di esperienza non ulteriormente scomponibile in altri
elementi. Scompare il dualismo mente – corpo.

Mentre gli strutturalisti si limitano a descrivere e demandano ai biologi il compito di spiegare, i funzionalisti descrivono e spiegano
restando all’interno della psicologia. Oggetto della ricerca psicologica sono le attività metnali relative all’acquisizione,
all’immagazzinamento, all’organizzazione e valutazione delle esperienze, che vengono utilizzate come guida per il comportamento
adattivo.

Il manifesto del funzionalismo uscì nel 1907 The province of functional psychology ad opera di Angell. L’autore rifiutava l’idea di
una mente astratta, staccata dal contesto ambientale.

2.2 il contributo di William James

Biografia:

Nasce a NY nel 1842, famiglia calvinista e primogenito di 4 figli. Si laurea in medicina nel 1869, poi prosegue da autodidatta per
approfondire le sue conoscenze nel campo della psicologia. Inizia a lavorare all’università di Harvard, ove creò uno dei primi
laboratori di psicologia sperimentale. 1890 viene pubblicata Principles of Psychology, composta da due volumi nei quali venivano
citate le prime teorizzazioni funzionaliste. Nel 1910 muore.

Principi:

Il funzionalismo ebbe il suo principale riferimento in Principle of Psychology. Qui James proponeva una visione della psicologia che
si contrapponeva a quella proposta dagli strutturalisti. James ha definito la mente come l’adempimento di scopi futuri e dalla
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scelta di mezzi per il loro conseguimento. I processi mentali sono considerati nella loro tensione verso un fine, uno scopo ai fini
dell’adattamento all’ambiente e in questa dinamica continua il pensiero è sempre in cambiamento e non è distinguibile in elementi
separati. L’autore parla di “corrente di pensiero” (Stream of Thought) o corrente di coscienze (Stream of consciusness).

Seppure James – come Titchener – consideri fondamentale il ruolo dell’introspezione per l’analisi della psiche, lui lo usa in
maniera meno rigida rispetto Titchener, rivolgendosi ad essa come fonte di idee piuttosto che banco di prova.

2.3 Principles of Psychology

Definita come un opera monumentale da Meccaci nel 1992. James in questo volume fornisce delle più ricche descrizioni
dell’esperienza, del comportamento e della natura umana.

2.3.1 L’oggetto della psicologia

Il capitolo inizia con la definizione di psicologia: la psicologia è scienza che studia i fatti della vita mentale e le loro condizioni.
James non concorda con le due correnti filosofiche più antiche quali “spiritualisti”, che credevano in una presenza metafisica
dell’anima e giustificavano i comportamenti in base a questo, e gli “empiristi/associazionisti”, i quali sostenevano che la mente è
solo frutto della pura esperienza. Secondo James, sia l’una che l’altra, hanno spiegato i fenomeni mentali in maniera insufficiente.
Per James fondamentale per lo psicologo è indagare e indagare le condizioni nelle quali un evento mentale si manifesta, o capire il
meccanismo con il quale prediligiamo alcune informazioni esterne rispetto ad altre. Per James ogni attività mentale è
strettamente legata al corpo, in quanto ad un cambiamento di stato mentale corrisponde sempre un cambiamento fisiologico,
questi due mondi sempre secondo James interagiscono continuamente. Così tanto che bisognerebbe domandarsi a fronte di ogni
cambiamento fisiologico se alla base non ci sia un aspetto di carattere mentale.

2.3.2 La coscienza di sé

Importante per la psicologia della personalità. Per la prima volta con James viene descritto il concetto di sé, ed attua una
distinzione tra io e me.

Io: tutto ciò che indica se stessa, vale a dire la somma integrale di tutto quanto egli può dir suo, coincide con il soggetto
consapevole, capace di conoscere, di prendere iniziative nei confronti della realtà esterna e di riflettere su se stesso.

Me: è il sé conosciuto dall’Io

Secondo James, l’Io è composto da tre parti:

1. I fattori che lo compongono


2. Sentimenti ed emozioni che suscitano
3. Le azioni a cui portano

Vengono spiegati i “fattori” che costituiscono l’Io:

1. Io materiale: si riferisce alla conoscenza degli aspetti fisici e corporei, all’ambiente, ai beni e ai famigliare che la persona
sente come parte di sé.
2. Io sociale: il modo in cui l’individuo pensa che gli altri lo percepiscano. James sostiene che: un uomo ha tanti sé sociali
quanti sono gli individui che lo riconoscono e che portano un’immagine di lui nella loro mente
3. Io spirituale: considerato come l’autocoscienza, la parte più durevole e intima del Sé che contiene atteggiamenti,
interessi, la coscienza morale e disposizioni psichico generali. L’io spirituale è frutto di un processo riflessivo del “pensare
a noi stessi come pensanti”
4. Io pure: è l’astratto principio dell’unità personale.

MODULO 3: LA TEORIA DELLA GESTALT E LA PERCEZIONE

3.1 Dalla psicofisica alla psicologia della gestalt

Gli studi in ambito percettivo sono da ricondurre a Teodor Fechner che studiò la relazione tra sensazioni e stimoli corrispondenti
attraverso delle leggi matematiche che regolano tale rapporto, dando vita ad una scienza sperimentale chiamata Psicofisica.

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Alla psicofisica classica introdotta da Fechner, seguirono due indirizzi sperimentali: la psicologia della Gestalt ed il
Comportamentismo. Tra la fine dell’800 e i primi anni ’30 del 900 si consolida la “fenomenologia”. La fenomenologia fondata da
Edmund Husserl, ha la sua massima espressione con la nascita della psicologia della Gestalt una nuova corrente filosofica che si è
sviluppata dopo il 1912 in Austria, Germania, Praga e Padova. I principali teorizzatori sono Max Wertheiner, Kurt Koffka e
Wolfgang Köhler, che in seguito all’avvento del nazismo in Germania emigrarono negli Stati Uniti. La Gestalt contribuì a sviluppare
le indagini nell’ambito dell’apprendimento, memoria, pensiero, psicologia sociale.

La Gestalt si interessò subito allo studio della percezione quel processo che attraverso gli organi di senso ci permette di ricevere
ed interpretare le informazioni proveniente dall’ambiente. Per questa teoria l’uomo tende a percepire il mondo esterno
attraverso un processo bottom – up, dal basso verso l’alto, partendo dai dati sensoriali del mondo esterno. La mente umana tende
a percepire gli oggetti nella loro interezza ignorando le singole componenti, allo stesso modo la Psicologia della Gestalt sostiene
che la percezione è più della semplice forma degli elementi che la compongono e l’unità della forma viene espressa dalla forma
attraverso cui gli elementi si organizzano.

Gli studi sugli aspetti percettivi proposti dalla teoria della gestalt si riducono agli studi fatti da Wertheimer sulla percezione del
movimento e in particolare sugli studi del 1912 sul movimento stroboscopico.

3.2 la psicologia della Gestalt in Italia

In Italia la psicologia della Gestalt arrivò relativamente tardi, alla fine degli anni ’20. Prima della diffusione della psicologia della
Gestalt, la psicologia italiana ea dominata da evoluzionisti e positivisti. Per la sua diffusione fu importante Vittorio Benussi a
Padova.

Biografia:

Nasce a Trieste nel 1878. Si trasferisce a Graz nel 1896 dove si laurea in Filosofia. 1919 divenne professore di psicologia
sperimentale nella facoltà di lettere e filosofia di Padova. Sofferente di crisi depressiva si suicidò ne 1927.

I suoi studi possono essere divisi in due fasi:

1. Dedicata ai temi delle illusioni ottiche, della percezione della Gestalt, della percezione del movimento e del tempo.
2. Dedicata ai fenomeni della suggestione, dell’ipnosi e di psicoanalisi.

Principi:

Tema centrale per Benussi è la “plurivocità formale”. Ha contribuito anche a evidenziare


le differenze individuali nel percepire un dato stimolo.

Esempio di plurivocità: Qui la persona può percepire un vaso, ma un'altra potrebbe


invece percepire 2 volti. Eppure non c’è nessuna differenza sul organo usato per vedere
ma la differenza sta su il percepire quello che stiamo vedendo, quindi anche se la cosa è
la stessa può essere percepita diversamente. Questa percezione è definita asensoriale da
Benussi in quanto il figurarsi un’immagine piuttosto di un'altra non appartiene al senso
della vista come non dipende dallo stimolo ma è un altro processo che segue un'altra via.

Cesare Musatti

Fu allievo di Benussi ed ha continuato la ricerca sulla percezione, anche lui in un secondo


momento si dedicherà agli studi di psicoanalisi.

Nel 1984, quando era completamente dedito alla psicoanalisi scrisse l’introduzione al testo: Forma ed esperienza.

Biografia:

Nasce a Dolo nel 1897, Frequenta il liceo a Venezia e poi si iscrive all’università a Padova. A 19 anni fu chiamato a servizio militare
e mandato nel 1917 al fronte come ufficiale. Terminata la guerra torna a Padova per concludere gli studi. Allievo di Benussi, ne
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divenne assistente dopo la laurea e gli successe come titolare alla cattedra di psicologia all’università di Padova dopo la sua morte.
Contribuì a diffondere in italia la psicologia della Gestalt, divenne il primo studioso italiano di psicoanalisi. Tenne il primo corso di
psicoanalisi freudiana all’università di Padova nell’A.A 1933-34. Essendo ebreo da parte di padre, fu allontanato dall’insegnamento
universitario e gli venne affidata una cattedra al liceo. 1947 termina la guerra ottiene all’università di Milano la prima cattedra di
Psicologia dove insegnò fino al 1967. 1955 direttore della Rivista di Psicoanalisi. 1976 curatore della edizione italiana delle Opere
di Sigmund Freud. Muore a Milano nel 1989.

3.3 Gaetano Kanizsa: Il suo contributo allo studio delle illusioni ottiche

Gaetano Kanizsa e Fabio Metelli sono stati allievi di Cesare Musatti. Kanizsa fu fondamentale per lo sviluppo della psicologia
sperimentale in Italia e aiutò a diffonderla a livello internazionale.

Biografia:

Gaetano Kanizsa 1913 – 1993 è considerato uno dei maggiori esponenti della ricerca percettologica italiana. Compì gli studi
classici a Trieste e studiò filosofia a Padova dove si laureò nel 1938 con Musatti discutendo la tesi sulle immagini eidetiche. Nel
1947 divenne assistente di Metelli a Firenze e successivamente di Musatti a Milano. Nel 1953 ottenne la cattedra di psicologia
all’università di Trieste. Il famoso triangolo coi margini quasi percettivi fu presentato per la prima volta nel 1954 e divenne uno dei
più famosi fenomeni percettivi più studiato con la pubblicazione nel 1976 su Scientific American. La definitiva consacrazione della
sua fama internazionale si ebbe nel 1979, con la consacrazione di Organization in Vision. Muore a Trieste nel 1993.

3.3.1 La grammatica del vedere

Pubblicato per la prima volta nel 1980, propone un’ampia trattazione su come percepiamo oggetti e i fenomeni delle illusioni
ottiche a cui siamo soggetti. Lui dichiara che il mondo visivo che ci troviamo di fronte agli occhi non è la semplice copia del mondo
fisico che ci circonda. Ma è anche il frutto del nostro sistema visivo, che attraverso una serie di operazioni complesse, elabora i
messaggi sensoriali che provengono dall’ambiente esterno.

Nel primo capitolo egli sostiene che la percezione non può essere considerata come un mero processo di registrazione passiva
degli oggetti presenti nel mondo esterno, ma è qualcosa di più complesso. Egli afferma: il nostro mondo fenomenico, costituito
dagli oggetti o dagli eventi che viviamo come presenti intorno a noi, non è una copia diretta dell’ambiente fisico, ma il risultato di
una serie di mediazioni. L’oggetto fisico emette o riflette radiazioni luminose di varia frequenza ed intensità. Dall’area della
stimolazione retinica ha inizio una catena di processi fisiologici che modificano lo stato fisiologico dell’area corticale alla quale
giungono. Quando apriamo gli occhi ci troviamo di fronte il nostro solito mondo (…) ma non rimane traccia di radiazioni, impulsi
nervosi, processi retinici. Per la maggior parte delle persone non esiste questo problema: per queste persone vediamo queste cose
intorno a noi perché queste cose sono intorno a noi e basta. Un approccio del tutto diverso lo ha proposta la psicologia della
Gestalt. Una delle sue caratteristiche p l’importanza attribuita all’esperienza diretta. Si tratta del metodo fenomenologico,
consiste nel presentare a un osservatore una situazione stimolante richiedendo al soggetto la descrizione delle sue esperienze
immediate e genuine.

Egli propone una serie di esempi a sostegno. (Vedi dispensa)

3.3.2 Il mio triangolo

Kanizsa si interessa anche del fenomeno per il quale sorgono dei


contorni nel campo visivo anche quando essi non ci sono, e li chiama
contorni senza gradiente. Divenne famoso per l’illusione “il Triangolo d
Kanizsa” che presentò per la prima volta nel 1954 presso il X Congresso
degli psicologi italiani, divenne presto uno dei fenomeni percettivi più
studiati.

Noi vediamo due triangoli equilateri bianchi sovrapposti l’uno all’altro. In


realtà nessuno dei due triangoli è effettivamente disegnato. La
descrizione di ciò che si vede nella figura è: di un triangolo molto bianco
sovrapposto a un triangolo disegnato a tratto; il primo nasconde
parzialmente anche tra dischi neri. Il triangolo bianco, inesistente,

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sembra essere più luminoso della zona circostante, mentre quell’area ha la stessa luminosità delle altre zone.

Kanizsa afferma che il percepire due triangoli sovrapposti succede in quanto il nostro sistema percettivo ha la tendenza innata a
vedere sempre una figura con uno sfondo sottostante. Per il nostro sistema non c’è una figura senza sfondo. Questo principio vale
anche per le figure come questa dove i margini sono fisicamente inesistenti. La nostra valutazione percettiva ha bisogno del
contrasto figura/sfondo e anche quando non c’è la si crea lo stesso.

3.3.3 La teoria della Gestalt: la posizione di Kanizsa

Seppure Kanizsa sia stato uno dei più autorevoli psicologi della teoria della Gestalt, egli ne critica la semplificazione come teoria
percettiva. Infatti l’attenzione rivolta alla percezione non esclude l’interesse per gli altri campi della vita psichica come il pensiero
produttivo. Nel 1978 scrisse un capitolo intitolato La teoria della Gestalt: distorsione e fraintendimenti, in cui sono enunciate le 10
misconcezioni e fraintendimenti sulla teoria della Gestalt.

1. La Gestalt: licenza terminologica o vaghezza concettuale?


Come mai è invalso l’uso di dire la Gestalt invece che teoria della Gestalt o psicologia della Gestalt? A nessuno è mai
venuto in mente di usare per “l’idealismo” il termine “l’idea”. Una prova del motivo è data dal fatto che in italiano non
esiste una parola che traduca appieno il termine tedesco. Per molti anni è stato tradotto come “forma”, che ha portato
però a molti equivoci. Gestalt dovrebbe essere tradotto con il termine “struttura organizzata”, in contrapposizione ad
“aggregato”, “mucchio”, “somma”.
2. La psicologia della Gestalt è soprattutto “una psicologia della percezione”
Qui vuole sfata il mito che il Gestaltismo si sia interessato solo della percezione, sostiene che è vero che c’è stata grande
attenzione rispetto alla percezione, ma che è stato anche più ampia. Cita Köhler e Wertheimer ed i loro scritto, dice che è
vero che si sono dedicati alla percezione, ma anche ad altri problemi come la psicologia della personalità e la psicologia
sociale.
3. La teoria della Gestalt “è una teoria riduzionista”.
In questa parte spiega invece che la teoria proposta da Kohler in cui la teoria della Gestalt poteva essere applicata anche
in fisica e chimica (ovvero le creazioni naturali di legami magnetici, gravitazionali ecc. come eventi non casuali) non va
presa come un tentativo di spiegare il superiore con l’inferiore o come un tentativo di ridurre i fenomeni psichici a quelli
materiali. La psicologia della Gestalt secondo Kanisza non è un mero materialismo, va valutata scientificamente per
quello che in maniera scientifica è riuscita a dimostrare. E quindi continuerà ad aver valenza scientifica anche se la teoria
di Kohler dovesse risultare inesatta.
4. La teoria della Gestalt è “una teoria innatista”
In questa sezione spiega perché è nato questo equivoco: Poiché gli psicologi Gestalisti hanno ridimensionato il ruolo
dell’esperienza nella percezione attuale affermando che ci siano delle percezioni innate quali grandezza, profondità ecc.
per alcuni è sembrato logico chiamarli innatisti, ma nessun estalista ama essere considerato innatista. Comunque si
pensa che questi meccanismi di percezione innati vengano tramandati per ereditarietà.
5. La teoria della Gestalt “rifiuta l’analisi”
Il tutto è più della somma delle parti. Questa affermazione è una delle formule semplificatorie più ricorrenti nelle
divulgazioni della teoria. Posso dire che un triangolo è costituito fa tre lati, ma non posso dire che la triangolarità risulta
dalla somma delle tre quantità di triangolarità contenute in ciascun lato. La critica dei Gestaltisti non era rivolta al
procedimento analitico in quanto tale, bensì a quei particolari strumenti di analisi che si erano dimostrati inadeguati ad
avere ragione della complessità dei fenomeni.
6. La teoria della Gestalt è “una teoria vitalista”
Gestalt condivide l’antimeccanicismo (corrente precedente all’evoluzionismo che cercava ogni spiegazione nella fisica e
volevano spiegare la vita come una macchina che si autoregola) ma non la concezione del disordine nel mondo materiale
o di trovare una forza al di sopra della natura che regola questo mondo, la Gestalt piuttosto sostiene che vi sia invece ci
sia un ordine iologico/naturale dovuto dalle esigenze degli esseri viventi e che non cozza con le scienze naturali.
7. La teoria della Gestalt “nega l’azione dei fattori motivazionali nella percezione”
Qui spiega come la Gestalt nonostante il pensiero dopo l’avvento della corrente del new look non esclude i fattori
motivazionali o dell’io (bisogni, desideri, valori ecc.) nella percezione degli stimoli. Ma ne ridimensione l’importanza che
fino a prima era considerata centrale, invece secondo la Gestalt ha una posizione ben definita e al pari del io
Fenomenologico, quindi ogni Gestalista dovrebbe distanziarsi dalle teorie del New Look.
8. La teoria della Gestalt “nega l’azione dell’esperienza passata”
Secondo Knizsa questo è il pregiudizio più duro a morire nei confronti della Gestalt ed è dovuto soprattutto alla
conoscenza parziale delle opere dei suoi autori. Bisogna pensare che quando le teorie Gestaliste nascevano la psicologia
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scientifica era dominata da gli empiristi. L’enorme differenza sul concetto di esperienza è che per gli empiristi
l’esperienza passata ha sempre effetto sulla percezione, mentre per i Gestalisti le percezioni non possono avere un
ordine casuale di esposizione durante la vita. Quindi nasceva l’esigenza di proteggere i propri studi dalla facile critica
empiristica “vede/percepisce questo poiché ha incontrato questa situazione in passato”. Questo ha portato a
fraintendimenti.
9. Per la teoria della Gestalt “la regolarità equivale a simmetria”
In questo caso analizza i fraintendimenti dati dall’incomprensione della PREGNANZA. Uno dei principi della Gestalt è la
PREGNANZA ovvero la tendenza di un processo a realizzare lo stato più ordinato, più stabile, più regolare con le
condizioni date. Questo porta tanti a fraintendere e a chiedersi perché il mondo allora non è fatto di forme
simmetricamente perfette (quadrati, triangoli ecc.). Questo è un totale fraintendimento, la PREGNANZA sostiene che
tutti gli stati stazionari o semi-stazionari evolvono fino al raggiungimento di uno stato finale, indipendente dal tempo, e
conservano solo l’energia necessaria per il mantenimento in quello stato.
10. Per la teoria della Gestalt “i problemi si risolvono mediate l’insight”
In questa sezione Kanizsa chiarisce cosa si intenda per insight, i Gestalisti intendono con questo termine “vedere dentro”
ed è un termine che appartiene alla soluzione dei problemi, è il termine per descrivere un tratto specifico del pensiero
produttivo. Visto che per loro non è possibile che la soluzione ai problemi possa avvenire attraverso prove ed errori con
un raggiungimento casuale, utilizzano questo termine per sottolineare la differenza tra una soluzione intelligente giunta
per ragionamento da una raggiunta a caso. Questo ha portato tanti a pensare che i Gestalisti attribuissero a questo
termine una forza soprannaturale che ci muove verso la risoluzione di problemi complessi, ma non c’è nulla di più errato
secondo i Gestalisti la soluzione è portata dalla RISTRUTTURAZIONE della situazione e del problema, per questo effetto la
situazione diviene trasparente, l’insight accompagna ma non produce la soluzione.

MODULO 4: LE IDEE E TEORIE DI DARWIND, JAMES E WUNDT

4.1 Le emozioni: la posizione di Charles Darwin

Darwin famoso naturalista celebra per aver formulato la teoria dell’evoluzione, è stato anceh il primoa d occuparsi in maniera
scientifica dello studio delle emozioni. Nel 1972 pubblica il suo saggio L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali.
Immediato successo, ma subito dopo non ebbe più fortuna per lunga parte del ‘900, caratterizzato dalle teorie associazioniste (la
mente è una tabula rasa sino a quando non riceve delle impressioni dai sensi, depositandosi nella memoria e associandosi tra loro,
vanno a costituire la nostra vita mentale.

La discrepanza tra queste due visioni è marcata: per Darwin l mente non è una tabula rasa, bensì i meccanismi cognitivi umani e
animali hanno dei substrati biologici, i quali sono influenzati dall’evoluzione attraverso la selezione naturale. Frutto di questa
concezione è che l’espressione delle diverse emozioni è innata, adattiva e si ritrova invariata in uomini di diversa estrazione
culturale di civiltà diverse, ma anche, in primati non umani o altri animali. Ad esempio: il riso nell’uomo e nello scimpanzé è simile
ciò testimonia un origine comune.

Biografia:

Nasce in Inghilterra nel 1809. Su consiglio del padre si iscrive a medicina, ma i suoi interessi convergono sulla storia naturale grazie
alle idee che iniziavano a circolare sulla botanica e sulla zoologia. Visti i deludenti risultati nello studio, il padre decide di iniziarlo
alla vita ecclesiastica, mandandolo a Cambridge. Le lezioni di botanica lo entusiasmano. Inizia a classificare insetti. Nel 1831 si
imbarca come naturalista sul brigantino Beagle. Nel corso di questo viaggio raccoglie molto materiale. Questo viaggio gli ispira la
conclusione che le specie si modificano gradualmente, negli anni successivi elaborerà la teoria dell’evoluzione. I suoi sforzi
confluiscono dopo 20 anni nel libro L’origine delle specie per mezzo della selezione naturale, in cui seguono anni di discussioni, con
una sostanziale accettazione, nell’ambito scientifico dell’idea di evoluzione, mentre maggiori resistenze incontrerà il concetto di
selezione naturale. Con L’origine dell’uomo e la selezione sessuale Darwin formula la concezione naturalistica dell’uomo e illustra il
principio di continuità con gli animali, concludendo che la discendenza dell’uomo deriva da un unico ceppo comune, con
successiva diversificazione. Egli può essere considerato il fondatore di un nuovo ramo di filosofia della scienza, che ha avuto una
profonda influenza nello sviluppo del metodo scientifico in diverse discipline. Muore nel 1882.

Opere:

o L’origine delle specie per mezzo della selezione naturale 1859


o L’origine dell’uomo e la selezione sessuale 1871
o L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali 1872
o Le variazioni degli animali e delle piante allo stato domestico 1868

Principi:
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EXPRESSION OF EMOTIONS MAN AND ANIMALS

Darwin in quest’opera individua I tre principi fondamentali che spiegano la maggior parte delle espressioni e dei gesti usati
involontariamente dall’uomo e dagli animali, sotto influenza delle emozioni e delle sensazioni.

1. Principio delle abitudini associate: Ogni atto volto a creare un sollievo o ad alleviare un disagio, quindi un atto utile, tende
a trasformarsi in abitudine poiché viene poi ripetuto dal individuo/animale nel tempo al ripresentarsi della stessa
situazione. La forza dell’abitudine spesso è tale che viene ripetuto anche in situazioni in cui non provochi nessun
vantaggio funzionale. Per avvalorare questa teoria ci deve essere un’associazione nel tempo di stati d’animo e movimenti
del corpo, quindi fa questi esempi: quando siamo pensierosi spesso ci grattiamo la testa come se avessimo veramente un
prurito in quel punto; quando invece ci troviamo in una situazione imbarazzante spesso ci schiariamo la voce con un
colpetto di tosse.
2. Principio dell’antitesi: questo secondo principio è quello dell’antitesi, secondo il quale stati d’animo di segno opposto ad
essi, generano una forte ed innata tendenza a eseguire movimenti ed atti di natura opposta anche se sono del tutto
inutili, a causa dell’abitudine dell’associazione. Darwin a favore di questa tesi propone questo esempio: quando un cane
si avvicina ad un uomo cammina dritto, rigido, con il pelo alzato, orecchie tese e la coda rivolta verso l’alto è in uno stato i
“rabbia” quando però scopre che l’uomo è il suo padrone subito incomincia a scodinzolare, inarca la schiena, abbassa le
orecchie e il pelo; questi atteggiamenti solo all’antitesi allo stesso modo l’uomo quando abbassa la mascella, rilassa i
muscoli facciali, alza le sopracciglia e si stringe nelle proprie spalle dimostra “impotenza” invece se serra la mascella,
gonfia il petto, aggrotta le sopracciglia, stringe i pugni e irrigidisce le braccia dimostra “determinazione” ed è pronto ad
attaccare.
3. Principio dell’azione diretta del sistema nervoso: sostiene che l’espressione delle emozioni è direttamente legata al
sistema nervoso, alla sua organizzazione e alle sue connessioni che trasportano l’eccitazione sensoriale ai diversi organi
del corpo. Tuttavia alcune reazioni involontarie non sempre sono utili e funzionali per il contesto; ad esempio il tremore
delle mani, la sudorazione e l’aumento del battito cardiaco, non sempre sono delle manifestazioni delle emozioni, queste
reazioni fisiologiche posso manifestarsi per svariate cause; febbre, paura o freddo.

4.2 Emozioni: William James

La prima teoria delle emozioni si affaccia sul panorama scientifico della psicologia nel 1884, quando James pubblica l’articolo
What in the emotion?, in questo articolo James fa riferimento a Darwin come uno dei principali studiosi che hanno segnato l’inizio
dello studio delle emozioni come espressione fisiologica; egli segna l’inizio dell’analisi del modo con il quale ogni creatura porta il
segno delle proprie “relazioni speciali” impresse nel proprio sistema nervoso.

Una visione completa della sua teoria emerge dalla lettura del capitolo “Le emozioni” tratto da Principles of Psychology. L’autore
inizia citando alcuni passi di autore che hanno contribuito allo studio delle emozioni come Lange, Darwin e Mantegnazza. Darwin
riporta integralmente un estratto che descrive la manifestazione fisica della paura, presentando le reazioni fisiologiche come
l’accelerazione del battito cardiaco, sudorazione, secchezza della bocca.

Nel successivo capitolo viene presentato il centro della sua teoria, ovvero che le emozioni sono definite dalle espressioni
corporee, vale a dire che l’emozione è radicata nell’espressione corporale. L’autore fa riferimento ai processi neurofisiologici, ha
definito l’emozione come il sentire. Egli descrive: secondo la mia teoria i mutamenti corporei sono la diretta conseguenze della
percezione del fatto eccitante e la nostra sensazione di quei mutamenti mentre essi avvengono è l’Emozione.

Il senso comune sostiene: “Perdiamo le nostre fortune” e di conseguenza “siamo tristi e piangiamo”. Diversamente James
sostiene che l’ordine va invertito, ci sentiamo triste perché piangiamo. A sostegno di ciò l’autore riporta che continuamente siamo
soggetti a modificazioni corporee al punto che l’intero organismo può essere definito come una cassa di risonanza e tali
manifestazioni sono SENTITE nel momento in cui si manifesta.

L’emozione coincide comunque con la dimensione corporea; per ogni emozione esiste una reazione fisiologica (esperienza
viscerale) che la accompagna. Ammette che comunque la sperimentazione di questa teoria è difficilmente applicabile in quanto
dovrebbe prendere in considerazione tutti gli organi visceralmente stimolati nel momento in cui avviene l’esposizione al fattore
eccitante.

4.3 Sentimento e emozione: Wilhelm Wundt

Differenza nella concezione delle emozioni rispetto a James. Nel Compendio di psicologia 1896 l’autore dedica un capitolo alle
emozioni.

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Il primo punto è dedicato a descrivere la differenza tra sentimento ed emozione che sta principalmente nell’intensità. Secondo
Wundt il sentimento è uno stato non durevole. Le emozioni sono una serie di sentimenti svolgetesi nel tempo (che) si riuniscono in
un decorso connesso producendo sul soggetto un’azione più intensa che un sentimento singolo. Dice però che nei sentimenti
ritmici, cioè quei sentimenti legati ad un decorso temporale e che quindi hanno una certa durata con la possibilità di riprendersi,
c’è maggiore possibilità che diventino realmente emozioni.

Il secondo punto lo dedica a far presente che nella lingua le diverse emozioni hanno nomi che non rappresentano processi
individuali, ma come nei sentimenti, rappresentano intere classi, in cui in ciascuna si può inserire una quantità di singole emozioni
secondo certi caratteri comuni.

MODULO 5: IL CONDIZIONAMENTO CLASSICO, IL RUOLO DI WATSON

5.1 Inquadramento storico

Con apprendimento si definiscono le modificazioni piuttosto durevoli delle possibilità di comportamento che si basano sulle
esperienze. Quando i parla di “teorie dell’apprendimento” ci si riferisce agli studiosi del comportamento animale e umano,
appartenenti al filone storico denominato comportamentismo.

La nascita del comportamentismo è associata alla data 1913 con la pubblicazione dell’articolo Psychology as the behaviorist views
it, da parte dello psicologo statunitense Watson. Watson e gli altri esponenti principali applicarono il metodo del condizionamento
e il rigore della ricerca sperimentale nello studio del comportamento.

Il comportamentismo ha dominato la ricerca psicologica nord – americana nel campo sperimentale fino agli anni ’60,
successivamente cominciò ad entrare in crisi per l’effetto sia di fattori esterni, sia di fattori interni.

5.1.1 Il condizionamento classico

Il fisiologo russo Ivan Pavlov, mentre conduceva delle ricerche sui processi digestivi nei cani, osservò che essi producevano saliva
non solo alla vista del cibo, ma anche in situazioni diverse. Pavlov chiamò questo fenomeno secrezione psichica. Individuò i principi
che stanno alla base del condizionamento classico, per il quale si apprende ad associare uno stimolo neutro ad un altro stimolo,
tramite abbinate ripetute.

Egli presuppone l’esistenza di due tipi di riflessi:

1. Riflessi dovuti alla sola conduzione del sistema nervoso, che sono innati, chiamati riflessi incondizionati.
2. Riflessi che si basano sulla capacità di formare connessioni che sono acquisiti e che si possono chiamare riflessi
condizionati.

Pavlov individua la coincidenza temporale dell’associazione tra due stimoli la formazione dei riflessi condizionati, come la
ripetizione tra la prestazione di un suono nello stesso momento in cui viene presentato il cibo; dopo varie ripetizioni il suono
stesso senza cibo stimolerà le ghiandole salivari. Il suono è uno stimolo neutro SN, il cibo è uno stimolo incondizionato SI o SIC,
perché incondizionatamente suscita suscitano la risposta salivare. Il riflesso salivare che appare in presenza del cibo è chiamato
risposta incondizionata RI o RIC, mentre il riflesso salivare che appare dopo l’associazione suono e cibo è chiamato risposta
condizionata RC. L’intervallo che intercorre tra suono e cibo è chiamato intervallo inter stimoli IIS o ISI.

5.2 Il comportamentismo di Watson

Watson riconosce la procedura introdotta di condizionamento introdotta da Pavlov la modalità principale di funzionamento del
comportamento umano. Nell’articolo Psychology as the Behaviorist views it 1913, propone un rovesciamento delle prospettive
psicologiche dell’epoca. Egli annuncia che l’oggetto di studio della psicologia è l’analisi del comportamento osservato e che i
concetti di “processi mentali”, “coscienza” e “introspezione” non hanno valore scientifico. Watson ebbe un istruzione di tipo
funzionalista il suo insegnante fu Angell, poi successivamente prende le distanze da questo approccio soggettivo e ne delinea uno
che si basa sul controllo del comportamento e sull’analisi sperimentale e qualitativa.

Biografia:

Nasce a Greenville, sud Carolina nel 1878. Si diploma alla Furnham University successivamente ottiene un dottorato di ricerca in
psicologia presso la Chicago University. 1913 pubblica l’articolo Psychology as the behaviourist views it, noto come il manifesto del
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comportamentismo. Eletto presidente dell’American Psychological Association nel 1915. Durante la 1° GRM divenne maggiore
dell’esercito americano. Tornato a Baltimora si innamora della sua assistente. Divorziando dalla moglie è costretto ad
abbandonare la carriera universitaria. Si dedica alla pubblicità e diventa vice – presidente della Walter Thompson Company. Fonda
la Psychological Corporation insieme a Titchener. Poco prima di morire una delegazione dell’American Psychological Association lo
ha redento dall’ostracismo cui l’avevano relegato quando era giovane professore, muore nel 1958.

5.2.1 La psicologia secondo il comportamentismo.

Watson nel suo articolo Psychology as the behaviourist views it del 1913 definisce che la psicologia in quanto settore delle scienze
naturali ha come oggetto di studio la previsione e il controllo del comportamento che può essere manipolato e controllato. Quindi
i dati di coscienza non possono essere l’oggetto di studio della psicologia, come facevano gli psicologi precedenti con
l’introspezione, perché non sono dati scientifici osservabili obbiettivamente e misurabili. Watson riconosce nel riflesso
condizionato l’unità di analisi per lo studio della rispostaqr appresa e la formazione di abitudini, cioè comportamenti più
complessi.

5.2.2 I contenuti del comportamentismo di Watson

Nelle pubblicazioni di Watson si ritrovano alcune costanti, come i concetti di “Stimolo” e “Risposta”, termini fondamentali per
definire i principi di condizionamento classico e che sono necessari per definire l’apprendimento. Altri concetti che Watson
definisce sono “Sensazione”, “Emozione” e “Personalità” che evidenziano come il comportamentismo di Watson si propone di
comprendere i principi di funzionamento dell’intera persona.

5.2.2.1 Stimolo e risposta

Nell’articolo An Attempted formulation of the Scope of Behavior Psychology 1917 si trova una descrizione dei termini “Stimolo” e
“Risposta”.

Stimolo: si fa riferimento di volta in volta ad eventi puramente fisici, come i raggi di luce che colpiscono gli occhi, le onde acustiche
percepite dall’orecchio.

Risposta: si fa riferimento alle unità molecolari di comportamenti, cioè a sequenze di risposte semplici e risposte più complesse
che hanno luogo simultaneamente.

5.2.2.2 Sensazione

Watson studiò il campo delle sensazioni per dimostrare che il metodo obbiettivo era più efficace di quello introspettivo, visto che
per studiare i fenomeni sensoriali, specie negli animali era necessario studiarne il comportamento motorio. È impossibile chiedere
ad un animale che cosa vede o che cosa sente, ma si può studiare che cosa vede e sente, cioè i processi sensoriali, attraverso il
comportamento dell’animale in risposta a determinati stimoli.

5.2.2.3 Apprendimento

Per Watson l’apprendimento è fondamentale per spiegare i più disparati comportamenti umani, non inventa però nessuna
innovativa idea in merito. Mantiene la teoria di frequenza e recenza. Per es. nelle prove esposte ad un ratto in laboratorio la
risposta corretta è la più frequente (quella che avviene in ogni sessione sperimentale) quindi quella che ha più probabilità di
fissarsi nel comportamento. Inoltre la risposta corretta è anche la più recente cioè l’ultima ad esser stata emessa che per questo
ha maggior forza associativa (più probabilità di essere emessa). Interessante è l’apprendimento del linguaggio secondo Watson,
secondo il quale il bambino sviluppa una risposta condizionata circolare determinata dalla contiguità temporale tra l’emettere il
suono e sentirlo e tra il vedere l’oggetto e sentire ripetuto uno stesso suono da gli altri. Inoltre ritiene anche il pensiero abbia una
natura senso-motoria essendo linguaggio sub vocalico ed è permesso dalle abitudini laringeo faringee.

5.2.2.4 Stati affetti i ed emozioni

Per Watson anche gli stati affettivi sono il risultato di un apprendimento, secondo il modello dei riflessi condizionati. Le emozioni
sono un insieme di risposte unitario, che comporta delle profonde modificazioni in tutti i meccanismi corporei ed in modo
particolare nei sistemi viscerali e ghiandolari.

5.2.2.5 Personalità

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Secondo Watson la personalità è la somma dei comportamenti osservabili, il prodotto finale dei nostri sistemi di abitudini. Non
riconosce l’esistenza di tratti stabili della personalità e afferma che è la situazione ambientale a far affiorare un comportamento o
un altro.

5.3 Il condizionamento delle abitudini

Secondo Watson le emozioni fondamentali che possono essere individuate fin dalla nascita sono tre: paura, rabbia e amore. Da
queste tre si apprendono le emozioni più complesse. Ogni emozioni di base si differenzia dalle altre sulla base degli stimoli che la
provocano e delle risposte emesse.

Per quanto riguarda la paura le principali situazioni che evocano risposte di para sono:

1. Improvvisa mancanza di sostegno fisico da parte del bambino ad esempio lasciandolo da una persona ad un’altra
2. I suoni intensi
3. Portare via improvvisamente la coperta al bambino che sta per addormentarsi
4. La produzione di scosse improvvise o stimoli analoghi.

Le risposte a questi stimoli sono il trattenere il fiato, l’ammiccamento delle palpebre, lo stringere le labbra, piangere e nei bambini
più grandi la risposta di fuga.

Per quanto riguarda la rabbia, gli stimoli che la provocano sono la restrizione importa dei movimenti del bambino, fargli tenere le
braccia strette ai fianchi, bloccargli il gomito ai quali succedono risposte come, l’irrigidimento del corpo, chiusura delle mani a
pugno, faccia che si arrossa e nei bambini più grandi compaiono le risposte come schiaffi, morsi e spinte.

Per quanto riguarda l’amore, gli stimoli possono essere il tenere in braccio il bambino, l’accarezzargli le zone erogene,
l’ondeggiamento, e le risposte sono sorrisi, gorgoglii, e nei bambini più grandi il protendere le braccia in avanti.

La paura, la rabbia e l’amore sono le modalità fondamentali di risposte emozionali; mediante il metodo dei riflessi condizionati
stimoli che non producevano risposte emozionali poi le producono; le emozioni grazie alle secrezioni ghiandolari producono
energia per le azioni istintuali e abituali. Un noto studio sull’apprendimento delle emozioni p stato quello sul piccolo Albert.

Nell’articolo Conditioned emotional reactions di Watson vengono descritte le fasi di condizionamento classico delle emozioni
producendo nel bambino Albert il condizionamento alla paura. Lo scritto presenta le fasi di apprendimento della risposta di paura;
nel paragrafo L’elaborazione di risposte emozionali condizionate viene descritto l’associazione ripetuta tra rumore – colpire la
sbarra di metallo – SI ratto che da stimolo neutro SN in seguito all’associazione con il rumore diventa stimolo condizionato SC. Nel
paragrafo successivo è stato verificato il transfert della risposta condizionata ad altri elementi (coniglio, cane, pelliccia, cotone). In
conclusione è stata presentata un ipotetica procedura di eliminazione delle risposte condizionate, mai attuata però perché il
bambino è tato portato via.

5.3.1 Commenti sull’esperimento del piccolo Albert

Lo psicologo Beck nel 2009 pubblicò un articolo nel quale rendeva nota la vera identità di Albert B. il bambino si chiamava Douglas
Merritte, figlio dell’infermiera Arvilla Merritte e nacque il 9 marzo 1919. Douglas morì il 10 magio 1925, all’età di 6 anni, perché
idrocefalo dal 1922. In un lavoro successivo Beck dimostra che in realtà Douglas era idrocefalo fin dalla nascita, mettendo in crisi
la veridicità di quanto detto da Watson, sul fatto che il bambino fosse normale e in buona salute. Attualmente è in corso un
dibattito circa l’identità del piccolo Albert e la validità della situazione sperimentale. La questione è stata anche commentata da
un punto di vista etico. Infatti secondo alcuni critici, lo studio non si può considerare etico. Questa ricerca non riceverebbe il
consenso di un comitato etico se si volesse replicare attualmente, in quanto carente di alcuni punti fondamentali;

1. Rispetto dell’anonimato
2. Consenso informato del soggetto
3. Altera le condizioni psicofisiche del soggetto senza ripristinare l’iniziale stato emotivo al termine della condizione
sperimentale. (Infatti Albert è stato portato a casa prima dell’eliminazione delle risposte condizionate, significa che non
c’era rimozione degli effetti negativi causati dallo studio e il benessere psicologico di Albert dopo la sua esperienza non è
mai stata accertata.)

5.4 Il condizionamento delle emozioni oggi

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Lo studio di Watson e Rayner è stato citato spesso come prova delle fobie adulte come quelle per i ragni, serpenti, spazzi chiusi
ecc. Esse sarebbero dovute a episodi di condizionamento, nel quale l’oggetto della paura è stato associato a conseguenze avverse.
Molte fobie infatti emergono a seguito di un’esperienza traumatica (il bambino si avvicina al cane, il cane lo morde, il bambino da
quella volta ha paura dei cani); in questi casi uno stimolo precedentemente neutro (cane) si associa a un evento traumatico
(morso) che provoca ansia. Questo si spiega perfettamente con il condizionamento classico, uno stimolo precedentemente neutro
per associazione ad un evento traumatico vissuto diviene da solo fonte di una risposta condizionata. Molte persone inoltre hanno
la tendenza ad evitare le cose fonte di ansia/fobia poiché le aiuta a ridurre lo stato d’ansia mantenendo così il condizionamento
vivo attraverso il condizionamento operante. Alcune fobie possono essere apprese attraverso l’osservazione come per esempio
dei genitori molto paurosi possono trasmettere le loro fobie ai figli. Le fobie sono state il primo campo di applicazione della
“Bhevior Therapy”. Nel 1924 Mary Jones illustrava una procedura di decondizionamento per esposizione in vivo graduale di un
bambino che aveva paura di un ratto, un coniglio, una pelliccia, un batuffolo di cotone. Nel 1958 Wolpe mirava all’inibizione
dell’ansia tramite il condizionamento di risposte antagoniste all’ ansia stessa, come il rilassamento. Così tramite la
desensibilizzazione sistematica il paziente imparava a reagire a determinati stimoli che in precedenza procuravano ansia,
mettendo in atto una nuova risposta condizionata. Ai giorni nostri si usa usare questo condizionamento inverso all’esposizione in
vivo che si basa sull’abituazione dell’ansia. Il soggetto che rinuncia a praticate i propri meccanismi di evitamento e si espone alla
situazione temuta per un periodo sufficientemente lungo, assisterà ad un calo dell’ansia soggettiva. Diverse di queste esposizioni
porteranno all’estinzione della fobia, poiché la situazione stimolo eliciterà solo un’ansia trascurabile.

5.5 il condizionamento secondo Skinner; cenni

Biografia:

Nasce in Pennsylvania nel 1904. Laurea in lettere vuole diventare scrittore ma fallisce. Si iscrive a psicologia ad Harvard e svolge
esperimenti sul condizionamento operante. Insegna a University of Minnesota e Indiana University. Dal 1958 al 1974 insegna
psicologia ad Harvard. Muore di leucemia nel 1990.

Opere:

1. Walden Two
2. The Technology of teaching
3. Beyond freedom and dignity
4. About Behaviourism

Principi:

Il comportamentismo creato da Skinner è stato definite “radicale” per evidenziare il suo federe sviluppo all’ortodossia watsoniana.
Secondo Skinner l’ambiente non solo stimola o frena, il comportamento viene modellato e conservato in funzione delle
conseguenze che produce. Il condizionamento operante si basa sulla legge dell’effetto di Thorndike (1874 – 1949) che afferma
che: delle varie risposte date in una stessa condizione, quelle che sono accompagnate o immediatamente seguite da soddisfazione
dell’animale diventeranno, a parità di altre condizioni, più strettamente connesse con la situazione così che, al ripresentarsi di essa,
sarà più probabile che tali risposte si verifichino: quelle risposte che sono accompagnate o immediatamente seguite da
insoddisfazioni dell’animale saranno indebolite, a parità di altre condizioni, le loro connessioni cono quella situazione , così che, al
ripresentarsi di essa, sarà meno probabile che vi si verifichino. Quanto maggiore sarò la soddisfazione o l’insoddisfazione, tanto
maggiore sarà il consolidamento o l’indebolimento del legame.

Il condizionamento introdotto da Skinner è chiamato operante per sottolineare come il soggetto operi attivamente sull’ambiente
e non si limiti a reagire in esso. Il condizionamento operante anlizza l’associazione Risposta – Rinforzo (R – R); quindi quando gli
animali forniscono una risposta adeguata per ottenere rinforzo positivo o per evitare un rinforzo negativo, si parla di avvenuto
condizionamento tra il tipo operante emesso e l’effetto prodotto.

MODULO 6: IL COMPORTAMENTISMO SECONDO TOLAMN

6.1 Inquadramento storico

Nel comportamentismo radicale, l’apprendimento era valutato in funzione delle risposte emesse dall’animale testato. Per il
condizionamento classico è centrale l’associazione Stimolo – Risposta (S – R), manipolando lo stimolo si analizza che effetti
produce nella risposta. Mentre per il condizionamento operante introdotta da Skinner l’attenzione si posa sull’associazione
Risposta – Rinforzo (R – R), la risposta e quindi la sua prestazione che diventava l’indice di apprendimento. Questa teoria però è
messa in crisi dal neocomportamentismo. Con il neocomportamentismo c’è un progressivo recupero dell’interesse a “guardare
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dentro” la scatola nera, cioè di comprendere il comportamento nella sua dimensione mentale e cognitiva. Tolman tramite alcuni
esperimenti dimostra che l’assenza di prestazione non significa assenza di apprendimento, quindi l’apprendimento non
corrisponde alla prestazione dell’animale.

6.2 Il comportamentismo di Tolman

Il comportamentismo di Tolman è stato definito molare, intenzionale e flessibile. Con “molare” si intende lìidea di considerare il
comportamento ad un livello più ampio, rispetto al livello troppo “molecolare£ considerato dagli associazionisti S – R O S – S. tra
glis timoli e le risposte ci sono delle variabili interveniente.

Per Tolman, le proprietà fondamentali del comportamento sono le sue cause iniziali (stati fisiologici interni e cause ambientali
esterne) e le determinanti che intervengono tra le cause inizianti e il comportamento finale. Il comportamento può essere
descritto secondo l’equazione: B= f (S, P, H, T, A)

 B  variabile dipendente finale


 S  stimoli ambientali
 P  impulsi fisiologici
 H  fattori di eredità
 T  addestramento precedente
 A  età

Scomponendo tale funzione complessa si ottengono variabili intervenienti come le domande, le cognizioni, le capacità, le
aspettative, che devono essere definite in modo completamente operazionale.

Tolman quindi amplia la visione del comportamento. Il comportamento non è una mera contrazione muscolare e secrezione
ghiadolare, cioè non va descritto come movimenti. Lui lo definisce come prestazione di un insieme nuovo e unico di proprietà
descrittive specifiche, nuove proprietà che possono essere descritte e conosciute indipendentemente da qualunque attività
muscolare o ghiandolare sottostante.

Biogafia:

Nasce a Newton nel 1886. Studia elettrochimica e successivamente psicologia ad Harvard. Introdotto alla critica del metodo
introspettivo grazie al lavoro di Yerkes. 1912 si reca a Giessen, in Germania, dove conosce i primi sviluppi sulla teoria della Gestalt.
1832 opera più importante Purpositive behaviour in animals and man. Muore nel 1959

6.2.1 Scopi e cognizioni

Due aspetti fondamentali introdotti da Tolman sono: scopi e cognizioni che egli descrive nell’articolo Purpose and cognition: the
determiners of animal learning del 1925. Si tratta di concetti nuovi perché non si limitano alle consuete nozioni fisiologiche di
stimolo, eccitazione neurale, resistenza sinaptica e contrazione muscolare, ma comprendono nozioni immediate e proprie al senso
comune. Queste nozioni sono descritte in termini oggettivi e comportamentistici e non in termini mentalistici.

L’apprendimento animale come quello umano secondo Tolman è da considerarsi “la ricerca di una meta”, come una serie di
impulsi esplorativi iniziali (impulsi cognitivi iniziali) e come l’acquisizione di una serie di adattamenti finali all’oggetto (cognizioni
finali). La ricerca della meta è un atteggiamento puramente comportamentistico e non vi è nulla di mentalista, in quanto si
intende la persistenza fino al raggiungimento dello scopo/meta, come per un ratto compiere il labirinto per arrivare al cibo. Tale
persistenza è data dalla condizione fisiologica di fame, non si sa se cosciente. Fatti puramente oggettivi per Tolman sono solo 1) la
condizione fisiologica di fame 2) le condizioni oggettive del labirinto che il ratto percorre fino al raggiungimento del cibo. Lo scopo
è descritto come la ricerca della meta e tutti gli scopi si riducono alla fine a pulsioni verso o via stati fisiologici finali.

6.3 Le mappe cognitive

Tolman nel 1948 ha introdotto il termine “mappa cognitiva” nell’articolo Cognitive maps in rats and man. Con questo termine
indica una rappresentazione che viene appresa e che permette al soggetto di agire per raggiungere la meta. Secondo Tolman, le
mappe cognitive possono formarsi anche in assenza di rinforzi e senza che nulla né manifesta la presenza.

6.4 Cognitive maps in rats and man

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Tolman sostiene che ci siano 2 linee di pensiero rispetto all’interpretazione degli esperimenti sui ratti; un filone sono gli psicologi
animali, che ritengano che il comportamento dei ratti nel labirinto dipenda da semplici S-R che rafforzate o indebolite producono
l’apprendimento (fa l’esempio del centralino telefonico, ci sono chiamate in entrata e risposte in uscita verso i muscoli). L’altro
filone (quello dove lui si sente di appartenere) sono i tecnici di campo, i quali pensano che durante il labirinto il ratto si formi una
mappa di campo dell’ambiente nel cervello; si pensa quindi che il ratto durante il percorso sia esposto a molti stimoli e condotto
verso lo scopo delle risposte, si pensa anche che intervengano processi cerebrali più complessi; benché il ratto riceva
innumerevoli stimoli il suo cervello è molto selettivo su quali concentrarsi in un dato momento, quindi il cervello è più un
“controllo mappe”. Le mappe possono essere ristrette ad una determinata situazione o essere di più ampia portata, inoltre
possono anche essere corrette o sbagliate e quindi possono portare il ratto o non portarlo alla meta.

Gli esperimenti descritti e commentati da Tolman si dividono in 5 gruppi:

1. Esperimenti sull’apprendimento latente


2. Esperimenti sulla prova-ed-errori vicaria
3. Esperimenti di ricerca dello stimolo
4. Esperimenti sulle ipotesi
5. Esperimenti di orientamento spaziale

6.4.1 Esperimenti sull’apprendimento latente

6.4.1.1 Ipotesi di partenza

Tolman parte dal presupposto che, se il rinforzo è necessario per determinare l’apprendimento nei ratti, allora le curve delle
medie degli errori e del tempo impiegato dai ratti per andare dalla partenza allo scompartimento con il cibo non dovrebbe
differire tra un gruppo in cui i ratti vengono inseriti preliminarmente per esplorare il labirinto senza ricevere rinforzi e tra un
gruppo di ratti affamati direttamente nel labirinto che ricevono rinforzo. Se le curve dei gruppi sono diverse, allora si potrà
concludere che è avvenuto apprendimento anche senza rinforzo.

6.4.1.2 Procedura e risultati esperimento di Honzik e Tolman

Hanno testato l’ipotesi per verificare l’apprendimento latente usando un labirinto a corridoio a T di 14 unità e tre gruppi di ratti,
due di controllo denominati HNR e HR e uno sperimentale HNR – R.

Un gruppo di ratti non ha mai trovato il cibo nel labirinto (HNR: Hungry Non Reward); un gruppo che trova sempre cibo quando
raggiungeva il punto finale (HR: Hungry Reward); e un terzo gruppo che ha trovato cibo alla fine del labirinto dall’undicesimo
giorno (HRN – R: Hungry Non Reward – R Reward)

Per ogni prova vengono calcolati il numero di errori che il ratto faceva durante il percorso e si può vedere come la media degli
errori tra i tre gruppi sono diversi. Il gruppo di controllo HNR, che non riceve rinforzo, mantiene abbastanza stabile la quantità di
errori, il gruppo di controllo HR diminuisce man mano che passano i gironi, visto che ogni volta che raggiunge la gabbia del cibo
riceve un rinforzo (il cibo), ed apprende così a raggiungere la meta con meno errori. Il gruppo HNR – R: fino all’undicesimo giorno i
ratti si comportano come il primo gruppo di controllo HNR, ma dall’undicesimo giorno in cui cominciano a trovare il cibo,
diminuiscono in modo repentino la quantità di errori nella scelta del percorso, questo comportamento dimostra che i ratti fino
all’undicesimo giorno stanno comunque
apprendendo.

Tolman arriva a concludere che i ratti dei gruppi


sperimentali, durante le fasi preliminari senza
rinforzo, elaborano una mappa cognitiva del
labirinto, ma che questo apprendimento non
fosse rilevabile nella loro prestazione perché
rimaneva latente, si manifesta solo quando il
soggetto individua l’opportunità di servirsene
per raggiungere una meta.

6.4.2 Esperimenti prova – ed – errore vicarica o


VTE

16
L’esperimento prova – ed – errore fu introdotta da Muenzinger 1938, per designare il comportamento di esitazione e di sguarda
avanti – indietro, osservabile nei ratti quando si trovano in un punto di scelta, prima di prende una via o l’altra. Per questo
esperimento viene usata una struttura nella quale il ratto si trova a scegliere di oltrepassare tra due sportelli a disposizione. Se
sceglieva quello sbagliato poteva saltare indietro e riprovare, se sceglieva quello giusto si apriva e trovava il cibo. Tolman trovò
che quando la scelta era facile (scegliere tra uno sportello bianco o nero) gli animali apprendevano prima, ma mostravano
comportamenti di esitazione nel punto di scelta, rispetto a quando era difficile.

Questi risultati vanno contro le aspettative comuni, ci si aspetterebbe che quanto più scegliere è difficile, tanto più si prendano in
esame le possibilità. Succede il contrario, i ratti non conoscono le istruzioni e l’apprendimento consiste nello scoprirle. Più grande
è la differenze tra i due sportelli, più essi sono attratti percettivamente da questa differenza ed esitano. Il comportamento prova –
ed – errore vicaria è la prova che nei momenti critici, l’attività dell’animale non consiste nel rispondere passivamente a stimoli
discreti, ma piuttosto nel selezionare attivamente e confrontando tali stimoli, esitando di fronte ad essi.

6.4.3 Esperimenti di ricerca dello stimolo

Hudson nel 1943 compì un esperimento, esaminò uno alla volta dei ratti affamati in una gabbia dove venne posizionata una tazza
a strisce con dentro del cibo (pattern visivo) ogni qual volta che un ratto provava a venirci in contatto prendeva la scossa. Rimesso
in gabbia il ratto, anche se aveva preso la scossa un'unica volta instaurava un meccanismo di evitamento del pattern visivo
(andava dall’altra parte della gabbia, lo copriva di segatura ecc.). Hudson però noto che i ratti nel momento subito successivo in
cui prendevano la scossa si guardavano intorno per capire da dove fosse arrivata, quindi ipotizzò che i ratti associassero la scossa
al pattern visivo e che se esso fosse scomparso al momento della scossa i ratti non avrebbero appreso ad associarlo ad essa; così
creò una condizione in cui quando i ratti toccavano il pattern prendevano la scossa e contemporaneamente si spegneva la luce, il
risultato fu che un numero significativo dei ratti non apprese l’associazione e non evitava il pattern visivo. Per Tolman esperimenti
di questo tipo rafforzano la nozione del carattere selettivo ampliamente attivo nella creazione della mappa cognitiva del ratto:
Essi cercano attivamente stimoli significativi per formarsi la propria mappa e né ne subiscono passivamente, ne reagiscono a tutti
gli stimoli presenti nella gabbia.

6.4.4 Esperimenti sulle ipotesi

Proposto da Krech 1932. Lui usa una gabbia a quattro scomparti, per entrare in ognuno dei quali era necessario scegliere tra due. I
ratti compivano il percorso 10 volte al giorno. Trovò che i ratti passavano per scelte sistematiche, prima tutte le porte di destra, se
questo non aveva successo, sceglieva tutte quelle di sinistra, poi tutte quelle scure, ecc. Krech chiamò questa scelta sistematica
ipotesi.

Secondo Tolman, le scelte sistematiche dei ratti non sono processi verbali, ma si rifanno a mappe cognitive, che offrono piste
provvisorie da mettere alla prova una dopo l’altra, fino a trovare quella corretta. Questo mette in luce le caratteristiche
dell’apprendimento che è simile ad una mappa ed è iniziato dal soggetto.

6.4.5 Esperimento di orientamento spaziale e conclusioni articolo

Esperimenti in cui il ratto impara a muoversi all’interno di un ambiente labirinto,


individuando e apprendendo delle scorciatoie quindi ad orientarsi spazialmente.
Nello studio di Tolman e Ritchie e Kalish, i ratti venivano istruiti a fare un percorso da
un punto A ad un punto G attraverso una serie di tubi. H corrisponde alla posizione
della Luce nella stanza (molto
importante per
l’orientamento.

Dopo un certo periodo di tempo il


percorso viene modificato aggiungendo 16
vie. I ratti dovevano raggiungere

17
attraverso queste nuove vie il punto G in cui c’è il cibo.

Mediamente i ratti incominciano una selezione entrando per qualche centimetro in ogni tunnel, ma percorrendone per intero
solo uno. Controllando i risultati l’elevata scelta dell’uscita 6 da parte dei ratti (direzione in cui c’era il cibo prima senza le 16
uscite) dimostrerebbe che i ratti durante il loro addestramento iniziale avevano acquisito non semplicemente una mappa ristretta
ad una striscia, ma una mappa più ampia e complessiva, che collocava il cibo in una determinata direzione della stanza.

In un altro studio i ratti venivano fatti correre attraverso un tavolo. Alcuni ratti furono addestrati
per trovare il cibo in F1 altri in F2.

Dopo 8 giorni di addestramento, il tavolo fu fatto


ruotare di 180° e fu aggiunta una serie di corridoi a
raggiera.

A questo punto i tatti correvano per il tavolo fino al


viale centrale, ma quando si trovano li restano bloccati
e passano molti secondo a tastare tutti i corridoi,

scegliendone alla fine uno che


percorrevano tutto.

Questi sono i risultati delle


scelte fatte dai ratti nella seconda
condizione di rotazione e aggiunta di
corridoi.

Questi risultati dimostrano che i ratti avevano


appreso un orientamento spaziale che
andava al di là del apprendimento
della via per reperire il cibo, in quanto si
dirigevano verso significativamente verso dove il cibo si trovava in quel momento, anche se la condizione lo poneva in una
collocazione diametralmente opposta in termini di percorso da seguire. Quindi anche qua si può concludere che questi animali
hanno mappe che non si restringono ad una sola striscia (il percorso). “Ciò completa il mio resoconto degli esperimenti: abbiamo
esaminato gli esperimenti sull’apprendimento latente, VTE, l’esperimento di ricerca dello stimolo, gli esperimenti sulle ipotesi e
ultimi esperimenti di orientamento spaziale.”

Passò poi ad un problema di interesse e di rilevanza per l’uomo; ovvero quali sono le condizioni che favoriscono le mappe di
ampia portata negli uomini come nei ratti. Ci sono prove, secondo Watson, sparse nella letteratura che le mappe ristrette
sembrano indotte: 1- da lesioni cerebrali 2- da una disposizione inadeguata degli stimoli 3- da una dose eccessiva di ripetizioni
dell’addestramento al percorso originario 4 - dalla presenza di condizioni frustranti troppo forti.

La convinzione di Tolman che buona parte dei cosiddetti “meccanismi psicologici” considerati i demoni della società fossero
dovuti ad una ristrettezza di mappe cognitive a loro volta dovute da eccessiva frustrazione o una motivazione eccessivamente
forte. Quindi fa un elenco di tre “dinamismi” (comportamenti) che si riconcilierebbero a mappe cognitive ristrette o eccessiva
frustrazione:

REGRESSIONE- termine usato per quei casi in cui l’individuo a fronte di problemi più complessi ha una regressione ad
atteggiamenti infantili; Es pratico una donna di mezz’età sempre stata iperprotetta alla morte del marito regredisce fino a vestirsi
come le figlie e rivaleggiare per i corteggiatori e richiedere continue attenzioni come un bambino. L’argomentazione che esprime
è che: 1 la regressione deriva da una situazione emotiva presente troppo grave 2 consiste a nel ritornare ad una mappa troppo
ristretta e troppo antecedente, dovuta essa ad una frustrazione eccessiva nella prima infanzia;

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FISSAZIONE- regressione e fissazione solitamente sono associate, infatti per esprimere la presenza di mappe cognitive precedenti
indebitamente presenti si dice che si sono fissate. Ciò è persino dimostrato con i ratti, se vengono troppo motivati
nell’apprendimento trovano poi difficoltà a riapprendere se il percorso dovesse cambiare, poi a seguito di uno shock come una
scossa elettrica tendono a tornare alla mappa precedente (come la donna)

SPOSTAMENTO DELL’AGGRESSIVITA’ SU ESTRANEI –L’adesione da parte dell’individuo in un gruppo è molto forte nell’uomo come
nei primati, l’individuo impara presto a riconoscersi nel gruppo e a fare suoi gli scopi del gruppo stesso, impara inoltre che non
deve trasferire la sua aggressività sui membri del suo gruppo, quindi la trasferisce su estranei. Si può sostenere che lo
spostamento di questa aggressività consiste in un restringersi della mappa cognitiva: l’individuo arriva a non comprendere più
dove si trovi veramente la causa della sua frustrazione. Come i contadini poveri del Sud USA invece di prendersela con i capitalisti
e il sistema economico se la prendono con i neri, e gli esempi si sprecano. Questo non significa che un gruppo non interferisca con
gli scopi di un altro e che tutta l’aggressività e trasferita, ma bisogna però ammettere che “più e più volte gli uomini sono accecati
da motivazioni troppo violente e da frustrazioni troppo intense che spingono ad ostilità verso gli estranei cieche, ottuse e
terribilmente dannose. E lo spostamento di questa ostilità verso gli altri copre tutto un arco dalle discriminazioni contro le
minoranze fino ai conflitti mondiali.”

La soluzione secondo Tolman deriva dall’educazione dei bambini, che deve essere tale da non provocare e da controllare che non
vi siano eccessive frustrazioni o motivazioni troppo violente; insomma che ci sono varie vie per raggiungere degli scopi e che
alcune sono più sicure di altri e che il benessere di bianchi e neri / cattolici e ebrei / russi / americani sono interconnessi. Bisogna
per fare passi in avanti essere controllo e controllori tra di noi che tutti siano in uno stato di motivazione moderata e che non ci
siano frustrazioni non necessarie, così facendo si eviterà lo sviluppo di mappe cognitive limitate. Lo studio di mappe cognitive è
tuttora studio di più discipline.

MODULO 7: LA MEMORIA – EBBINGHAUS

Ebbinghaus (1850-1909) è uno tra gli autori che hanno dato un impulso fondamentale allo studio della memoria, oggetto della sua
ricerca furono le funzioni mentali superiori, nello specifico la memoria. Si distinse per il metodo ovvero l’osservazione sistematica
(propria dei comportamentisti più che della scuola tedesca). Fu il primo studioso associazionista della memoria, ovvero nell’idea
che l’apprendimento consista nello stabilire associazioni, e che tutti i nostri processi di memoria funzionino per associazioni.

Il Modello associazionista deriva dal filosofo Aristotele, ma fu Ebbinghaus il primo a farci uno studio sistematico. Obbiettivo
Ebbinghaus era quello di studiare la memoria pura, quella che porta a ricordare senza l’aiuto di particolari accorgimenti, trucchi o
strategie. Ebbinghaus aderì alla corrente del EMPIRISMO RADICALE secondo la quale nasciamo come una tabula rasa senza
nessuna conoscenza o capacità di organizzarla; per questa ragione è stato molto criticato da gli studiosi successivi, in quanto
questa credenza è troppo limitante nello studio della memoria; ad ogni modo il suo guardare ai fatti e alle relazioni tra essi fu
grande spunto poi per il funzionalismo.

Biografia:

Nasce a Barmen nel 1850. A 17 anni inizia gli studi di storia e filologia all’università di Bonn. Fa molti viaggi in Inghilterra, dove
conosce la corrente associazionista di James e Mill, d in Francia, dove legge, Elementi di Psicofisica di Fechner; che lo portano a
volgersi vero i problemi scientifici e psicologici, iniziando in particolare un’analisi sperimentale sulla memoria. Nel 1885 pubblica
un trattato Sulla memoria. Nel 1909 muore di polmonite.

7.1 La memoria secondo Ebbinghaus

La memoria nei suoi effetti

Ebbinghaus parla della memoria, sottolinea che gli stati mentali come Sensazioni – sentimenti – idee sono presenti nella nostra
mente solo per un periodo di tempo, ma quando non sono più presenti ciò non significa che li abbiamo eliminati completamente;
Il modo di richiamarli può essere volontario, ovvero volontariamente richiamiamo alla mente immagini passate, durante questa
procedura ad emergere alla mente sono anche svariate immagini che non intendevamo richiamare. Questa sarà un’immagine che
ricordiamo e che la volontà ha riportato da noi. In un secondo gruppo, stati mentali anche distanti anni, ritornano alla mente in
maniera totalmente involontaria; anche in questo caso riconosciamo lo stato mentale come uno stato mentale che ricordiamo e
abbiamo già vissuto. Osservazioni più attente di questo secondo gruppo ci fanno notare che queste riproduzioni non sono del
tutto casuali o accidentali. Anzi vengono portate alla luce da immagini mentali attualmente presenti. Esse si verificano in oltre in
certe modalità particolari ovvero seguono le leggi dell’associazione. In fine vi è un terzo vasto gruppo, ovvero gli stati mentali
scomparsi; Ovvero quelli stati che danno prova della loro esistenza grazie al comportamento dell’individuo che ne riporta

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l’esperienza dal modo in cui ne trae informazioni nel caso si trovi in un’analoga situazione, ma che non gli torna alla coscienza
quando vengono utilizzati.

Le frequenti ripetizioni

Oltre a questa essenziale conoscenza dell’esistenze della memoria e dei suoi effetti, sappiamo bene che esistono condizioni dalle
quali dipendono sia la sopravvivenza interna sia la fedeltà e l’immediatezza della riproduzione. Come si comportano in modo
diverso individui diversi. Chi ricorda bene, chi poveramente. Questo non si riscontra solo nel paragonare individui diversi, ma anche
confrontandoli in momenti diversi, che sia mattina o sera, che sia giovane o vecchio. […] la ritenzione e la riproduzione dipendono
in larga misura dall’attenzione e dall’interesse connessi agli stati mentali al loro primo insorgere. Dopo uno sola vivida esperienza,
il bambino che si è bruciato evita il fuoco, e il cane che è stato picchiato di allontana dalla frusta. In circostanze normali sono
necessarie numerose ripetizioni perché sia possibile la riproduzione di un dato contenuto. Parole, discorsi e poesie di una certa
lunghezza non si possono apprendere con una sola ripetizione, anche se il soggetto usa la massima concentrazione ed è molto
abile. Un sufficiente numero di ripetizioni aumentano la sicurezza e la facilità dell’esecuzione.

A partire da tutti questi assunti Ebbinghaus decide di intraprendere uno studio sistematico volto a comprendere il funzionamento
delle concezioni già esistenti sulla memoria come: “chi impara in fretta, dimentica in fretta” o “gli anziani dimenticano in fretta ciò
che gli è accaduto di recente”; che fino ad allora non avevano nessuna base scientifica.

7.2 Esplorazione scientifica di Ebbinghaus

Non avendo a disposizione un laboratorio Ebbinghaus usò sé stesso come soggetto sperimentale. Egli si sottopose ad un’analisi
sperimentale e quantitativa della memoria, imparando a memoria migliaia e migliaia di liste di sillabe ed esaminando il proprio
ricordo dopo periodi di tempo diversi. Ebbinghaus si sottopose ad un’analisi sperimentale della memoria imparando migliaia e
migliaia di liste di sillabe, e ne esaminò il ricordo in tempi diversi. Sottoponendosi lui stesso poté anche analizzare le differenze
individuali che sono una variabile considerevole nella memoria. Egli stabilì un criterio di misurazione nel numero di ripetizioni
necessarie perché un certo materiale venisse riprodotto poi correttamente, inoltre decise che le sillabe delle liste dovevano
essere prive di senso, in quanto le poesie come le sillabe con senso possono essere soggette ad associazione e quindi all’utilizzo di
memorie precedenti (variabili non controllabili dallo sperimentatore) e non permetterebbero lo studio della memoria pura.

CAPITOLO 3

IL METODO DI INDAGINE

3.1 Serie di sillabe senza senso

Con le vocali e consonanti dell’alfabeto tedesco sono state create 2300 sillabe composte di una vocale tra due consonanti, sono
state mescolate e poi pescate casualmente per creare file di sillabe di lunghezze diverse. Le sillabe in uso erano accuratamente
messe da parte fin tanto che erano utilizzate e poi rimescolate nel mucchio. Lo scopo era riuscire utilizzando la lettura a
memorizzarle e poi data la prima sillaba a ripeterle tutte di seguito con il giusto ritmo e con la consapevolezza di non stare
sbagliando.

3.2 Vantaggi derivati dal tipo di materiale

Le sillabe non hanno un significato compiuto una volta creata la fila, quindi non sono associabili a nessun particolare di altro tipo
(come poesie e narrazioni). Tuttavia la semplicità e l’omogeneità del materiale non va assolutamente sopravvalutata, vi sono delle
interferenze che per quanto minime permettono l’assimilazione di certe serie più facilmente di altre; il che le rende non così
distanti dalla lingua parlata; Ma i veri vantaggi stanno nel poter creare migliaia di combinazioni omogenee a differenza di brani e
numeri (i brani di prosa e poesia non sono confrontabili e misurabili tra loro e i numeri sono in numero troppo limitato per creare
abbastanza combinazioni)

3.3 Introduzione delle condizioni sperimentali il più possibile costanti

Leggevo le diverse serie dall’inizio alla fine. Di tanto in tanto c’era un test per controllare se ero in grado di ripetere tutta la serie.
La regola era che se c’era un’esitazione da lì in poi dovevo leggere la serie e poi rileggerla dall’inizio

1. La lettura e la recitazione avevano un ritmo costante 150 sillabe al minuto; per misurarla usavo il ticchettio di un orologio

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2. Per non variare troppo l’accento nella recitazione ho messo le sillabe a gruppi di 3 o 4 così la variazione sarebbe stata più
o meno regolare in tutte le serie
3. Dopo aver appreso una serie intercorrevano 15 secondi in cui prendevo nota dei risultati prima di continuare la lettura
della seconda serie dell’esperimento.
4. Durante l’apprendimento, cercavo di tenere a mente il mio scopo che era di apprendere il più rapidamente possibile. Nel
limite che una decisione cosciente possa influire sul comportamento. Cercavo anche di allontanare ogni elemento di
distrazione, per quanto possibile anche quella di variare posto per le prove.
5. Non ho mai usato le sillabe per creare un qualche tipo di associazione mnemonica, anche perché non ne conosco la
tecnica; a memoria era solo frutto della ripetizione.
6. La cura principale è stata di creare condizioni obbiettive di vita, ovvero di creare delle condizioni sempre simili per avere
un confronto adeguato, quindi il confronto si poteva fare solo per esperimenti fatti con condizioni similari di vita nelle 24
ore precedenti; quindi quando sono avvenute delle variazioni importanti nel corso dei mesi ho fermato la
sperimentazione per poi riprendere con un periodo di addestramento che variava in base al periodo di stop.

3.4 Fonti di errore

Ho già parlato delle varianti che possono intervenire di tipo involontario come associazioni mnemoniche o le condizioni di vita. Ma
ci sono altre condizioni non controllabili. La prima è che se una serie viene letta in un momento di particolare “chiarezza mentale”
può essere afferrata al volo, ovvero essere ripetuta subito dopo la prima lettura. Ma viene anche dimenticata altrettanto
velocemente perché è raro poterla ripetere poco dopo; allo stesso modo se viene letta in un momento di particolare “lentezza
mentale” la ripetizione della prima serie senza errori viene ritardata di molto. Queste due condizioni ipoteticamente si
compensano per grandi gruppi come questo studio. La seconda è un problema di aspettativa, per quanto si provi ad eliminare
l’idea di fondo o l’aspettativa di certi risultati, questa può insinuarsi pericolosamente. Anche il controllo costante dei risultati
numerici potrebbe portare a degli stati di rilassatezza/nervosismo significativi. Per ovviare a questo problema ho lasciato nascosti i
risultati il più a lungo possibile, di modo che fosse relativamente difficile farsi un’idea dell’andamento. Nonostante questo lo
scopo non era di cogliere le soglie assolute, ma di creare dei dati confrontabili, quindi queste fonti di errore non possono essere
fonte di eccessiva preoccupazione.

3.5 Misurazione del lavoro richiesto

Il numero di ripetizioni necessario per la memorizzazione di una serie fino alla prima riproduzione corretta non era inizialmente
determinato con un calcolo, ma indirettamente con la misura in secondo del tempo necessario alla memorizzazione. Per certe
prove, era necessario contare direttamente le ripetizioni. Legava ad uno spago piccolo bottoni. Durante la memorizzazione tenevo
in mano lo spago e ad ogni nuova ripetizione spostavo di qualche centimetro il bottone. Quando invece veniva conservato con
precisione il ritmo prescritto di 150 colpi per minuto, ogni sillaba richiedeva 0.4 secondi. Quando si interrompeva la semplice
lettura della serie per tentare la recitazione a memoria, le inevitabili esitazioni prolungavano il tempo di quantità lievi ma
piuttosto uniformi. Quando mi dedicavo più a lungo alla lettura diretta delle sillabe, avveniva una certa accentuazione e
accelerazione del ritmo, per cui il tempo per ogni sillaba tendeva ad abbassarsi al di sotto del tempo standard di 0.4 secondi.

3.6 Periodo delle prove

Le prove si sono svolte in due periodo, negli anni 1879 – 80 e 1883 – 84. Le prove fatte nelle due sessioni non sono confrontabili
tra loro per via dei metodi adottati e dell’orario del giorno in cui sono state fatte differente tra loro.

7.2.2 Esemplificazione della pratica dell’apprendimento ripetuto

Nel capitolo 8 de “La Memoria” Ebbinghaus descrive in dettaglio gli esperimenti che indagano l’apprendimento ripetuto. Nello
specifico

Ebbinghaus ha spiegato come ha appreso più volte le stesse serie di sillabe a distanza da 24h da una sessione ad una altra; Man
mano che i giorni passavano il numero di ripetizioni per riapprendere la serie diminuiva, fino a non necessitare più di lettura.
Sottolinea anche un aspetto sulla lunghezza del materiale, in quanto nota che è più facile apprendere poche serie lunghe che
molte e brevi. Alla fine Ebbinghaus fa una considerazione su quello che oggi chiamiamo “effetto spacing” ovvero che è più
conveniente distribuire le ripetizioni del materiale nel tempo invece di concentrarle tutte insieme, ovvero non importa se dopo la
ripetizione o apprendimento del primo giorno non la volta seguente ci si accorge di non ricordare nulla, perché saranno
necessarie meno ripetizioni per memorizzarlo la volta dopo.

7.2.3 Criticità nel metodo di Ebbinghaus

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Nonostante l’importanza storica di Ebbinghaus la sua metodologia di ricerca è stata oggetto di numero critiche; i risultati si basano
su un solo soggetto sperimentale, lo stesso sperimentatore; è quindi difficile ottenere risultati dai quali ricavare effetti estendibili
a tutta la popolazione. Un altro limite è che il soggetto sperimentale è esperto; i soggetto avrebbero dovuto essere persone
ingenue rispetto alla tipologia dell’esperimento e agli obbiettivi. Un alto limite è che le sue ricerche si sono focalizzate sulla
memoria verbale considerando le parole senza senso. Non sono stati presi in considerazione stimoli visuo – spaziali e materiale
complesso.

7.3 L’importanza dell’effetto della pratica negli studi sulla memoria

Lo studio di Ebbinghaus è stato fondamentale per lo sviluppo degli studi successivi sulla memoria moderna.

7.3.1 L’effetto della pratica: Baddeley e Longman

Questo studio è stato condotto su richiesta del ministero delle poste britanniche negli anni ’70. I postini dovevano imparare a
battere a macchina il codice per mezzo di una tastiera.

Baddeley e Longman intrapresero questo studio, organizzando la seguente situazione sperimentale.

4 gruppi di partecipanti:

1. Gruppo 1: eseguiva 1 sessioni da 1 ora al giorno 1X1


2. Gruppo 2: eseguiva 2 sessioni da 1 ora al giorno 2X1
3. Gruppo 3: Eseguiva 1 sessione da 2 ore al giorno 1X2
4. Gruppo 4: Eseguiva 2 sessioni da 2 ore al giorno 2X2

La prestazione di tutti i partecipanti è stata misurata in termini di numero di battute corrette in media al minuto. I risultati hanno
evidenziato che il gruppo 1X1 è quello che impara a battere sulla tastiera ne minor numero di ore e che ha la ritenzione migliore.
Baddeley e Longman però sottolineano che se da un lato la pratica distribuita porta ad un migliore apprendimento, dall’altro lato
necessita di più tempo e non soddisfa i partecipanti, che percepiscono meno i progressi che fanno, rispetto a chi si allena in modo
intensivo. Gli autori comunque confermano che i compiti sono meglio appresi quando vengono praticati poco e spesso, piuttosto
di stipare troppo informazioni in una singola sessione.

7.3.2 Spacing effect: Ottimizzare lo studio scolastico e universitario

L’effetto spacing si riferisce al fatto che a parità di tempo impiegato a studiare un determinato materiale, si ottiene un risultato
migliore distanziando nel tempo le sessioni di studio piuttosto che studiando tutto in una sola volta. Per la prima volta dimostrato
d Ebbinghaus.

MODULO 8: LA MEMORIA COSTRUTTIVA E BARTLETT

Le idee sperimentali di Ebbinghaus hanno favorito lo sviluppo di studi finalizzati alla conoscenza del funzionamento dei processi di
apprendimento e memorizzazione. Tra i maggiori esponenti troviamo Fredric Charles Bartlett (1886-1969) psicologo inglese che
ha proposto metodologie inedite sullo studio della memoria e in particolare sulla costruzione dei ricordi e su le loro modificazioni
nel arco del tempo.

A differenza di Ebbinghaus, Bartlett, non applica un metodo di ricerca rigoroso con manipolazione delle variabili da parte dello
sperimentatore, ma studia la memoria in aspetti della vita quotidiana attraverso un’osservazione sistematica. Secondo Bartlett la
Memoria era un fenomeno impossibile da misurare solo in maniera quantitativa come aveva tentano Ebbinghaus, ma necessitava
di una misurazione qualitativa in quanto impossibile da scindere dà le altre funzioni superiori come pensiero e immaginazione. Le
ipotesi formulate da Bartlett si sono poi rivelate di grande valore euristico, come per esempio la teoria degli schemi.

Biografia:

Nasce in Inghilterra nel 1886. Studiò scienze morali e nel 1931 divenne professore di psicologia sperimentale. Divenne membro
della Royal Society dal 1932. Nel 1948 gli fu conferito il titolo di cavaliere. Muore nel 1969.

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8.1 La memoria secondo Bartlett

L’opera più importante di Bartlett è La memoria 1932, in cui sin dall’introduzione evidenzia la complessità dello studio di questo
processo mentale: Lo psicologo, che usi o no il metodo sperimentale, ha a che fare non semplicemente con reazioni, ma con esseri
umani; di conseguenza, lo sperimentatore deve tener conto del comportamento quotidiano dell’individuo in situazioni di normalità,
oltre a registrarne le risposte in laboratorio. Bartlett si era reso conto di non poter studiare la percezione senza studiare i processi
mentali ad essa collegati, come l’immaginazione e il ricordo. Decise quindi di cominciare con un attento studio sia dei modi in cui
percepiamo gli oggetti comuni, sia della rievocazione immediata dei dati percettivi, per poi passare dall’osservazione sistematica
dei fenomeni percettivi allo studio dell’immaginazione essa consiste nell’utilizzare delle esperienze che non sono più perfettamente
presenti agli organi sensoriali della percezione.

Grazie a questo Bartlett inizia a studiare la memoria, senza perdere di vista la complessità delle interconnessioni con la
percezione, l’immaginazione e il pensiero. Dobbiamo convincerci che i ricordi non sono affatto una collezione di immagini senza
vita, bensì sono in continuo movimento e costituiscono la base dei nuovi adattamenti alle continue e mutevoli richieste
dell’esperienza, fornendo lo sfondo e gli schemi selettivi per le nuove reazioni percettive, dirigendo gli atteggiamenti in determinate
direzioni, fornendo alimento alla costruzione di immagini e orientando la soluzione dei problemi.

Bartlett si propose di studiare in modo realistico la memoria proprio nel modo cioè in cui essi si verificano effettivamente in
qualsiasi individuo normale, sia all’interno che all’esterno del gruppo sociale. In particolare per analizzare come i ricordi siano
tramandati “di bocca in bocca” e di come la stessa persona li ripeta dopo un intervallo di tempo, decise di adottare un metodo più
funzionale, detto delle “riproduzioni ripetute”, utilizzando come materiale delle strutture narrative complesse.

La mente ricorda

Ebbinghaus si mise ad imparare elenchi, ripetendo ciascuna parola ad alta voce e cercando infine di ripetere a memoria l’intero
elenco […] Naturalmente non capita spesso che ciò che mandiamo a mente sia così talmente privo di significato come ciò che
imparava Ebbinghaus […] Nella nostra vita quotidiana può capitarci di assistere ad un avvenimento e di doverlo descrivere, più
tardi, ad un’altra persona, la quale a sua volta lo descriverà ad una terza, e così via, la descrizione passa di bocca in bocca, fino a
raggiungere una forma che la gente ripete senza troppi ulteriori cambiamenti. Così diffondono le voci, così si formano le opinioni, e
così funzionano ininterrottamente le memorie. E così noi conduciamo i nostri esperimenti.

8.1.1 Il metodo delle riproduzioni ripetute: la guerra dei fantasmi

Bartlett, per studiare le modificazioni delle informazioni nel ricordo, decise di utilizzare il metodo delle riproduzioni ripetute, che
consiste nel presentare ai partecipanti delle storie e ad intervalli di tempo successivi richiedere loro di ricordare tale materiale. In
una sperimentazione descritta nel testo La memoria 1932, scelse per esempio di presentare una storia popolare dei nativi
americani detta “la guerra dei fantasmi”. Questa storia aveva alcune caratteristiche particolari, non apparteneva alla cultura dei
suoi soggetti che erano inglesi, non era logico e aveva carattere emotivo negativo. Fu scelta da Bartlett perché in grado di creare
nei partecipanti delle immagini mentali vivide.

Capitolo 5

Esperimento sulla memoria.


Il metodo delle riproduzioni ripetute.

5.1 Descrizione del metodo

Al soggetto veniva presentata una storia o un passo di prosa su un certo argomento, o un disegno semplice che doveva essere
studiato sotto certe condizioni prestabilite. Egli ne tentava una prima riproduzione solitamente dopo un intervallo di 15 minuti, ed
in seguito ne forniva ulteriori ad intervalli di lunghezza crescente. In questo capitolo si analizzerà solo il materiale verbale.

5.2 Il materiale usato ed il metodo di presentazione dei risultati

La storia usata è “la guerra dei fantasmi”

Volevano analizzare:

o Cosa effettivamente avvenga quando un racconto popolare viene trasferito da un gruppo sociale ad un altro.
o Gli avvenimenti descritti nella storia mancano di logica e di collegamento tra di loro, ed era desiderio scoprire come
soggetti educati si sarebbero comportati di fronte a questa mancanza di logica.
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o Il carattere emotivo negativo degli eventi narrati poteva provocare immagini visive vivide e si pensava che si potesse
approfondire alcune delle indicazioni riguardanti le condizioni e le funzioni dell’immaginazione che erano emerse dall’uso
de metodo della descrizione.

La guerra dei fantasmi

Una sera, due giovani di Egulac discesero il fiume per cacciare foche, e mentre stavano lì si fece nebbioso e calmo.
Udirono grida di guerra, e pensarono: "Forse è una spedizione guerresca". Fuggirono sulla spiaggia, e si nascosero dietro
ad un tronco.
Tosto sopravvenivano delle canoe, ed essi udivano il fruscio delle pagaie, e videro una canoa che si dirigeva verso di loro.
C'erano cinque uomini nella canoa, e dissero:
"Che ve ne pare? Vogliamo portarvi con noi per combattere con certa gente”. Disse un giovane: "Non ho frecce".
"Le frecce stanno nella canoa", risposero.
"Non verrò. Potrei restare ucciso. I miei genitori non sanno dove sono andato. Ma tu", soggiunse volgendosi al compagno,
"puoi andar con loro”. Così un giovane andò, mentre l'altro rincasò. Ed i guerrieri percorsero il fiume fino ad una città
sull'altro lato di Kalama.

Quelli del posto corsero verso l'acqua, ed iniziarono a combattere, e molti furono uccisi. Ma ad un certo punto il giovane
udì uno dei guerrieri che diceva:
"Presto, ritorniamo, quell'indiano è stato colpito”. Allora pensò: "Oh, sono spettri". Non si sentiva male, ma dicevano che
egli era stato colpito.
Così le canoe fecero ritorno ad Egulac, ed il giovane sbarcò a casa sua, ed accese un fuoco. E diceva a tutti: "State a
sentire, ho accompagnato i fantasmi, e combattemmo. Molti dei nostri, e molti degli avversari, caddero. Dicevano che io
son stato colpito, però sto benissimo”. Finì il suo racconto, poi tacque. Al sorgere del sole egli cadde a terra. Qualcosa di
nero uscì dalla sua bocca. La sua faccia si contorse. Tutti balzarono in piedi gridando.

Era morto.

Ciascun soggetto lesse mentalmente la storia due volte, al proprio ritmo di lettura.

5.3 Alcune riproduzioni complete e commentate

Dopo un intervallo di venti ore il soggetto fornì una prima riproduzione.

Da un punto di vista generale, la storia è considerevolmente abbreviata, principali omissioni: la fraseologica è diventata più
moderna, più giornalistica, la storia è diventata più coerente che nella forma originale. Ci sono numero omissioni ed alcune
trasformazioni. Otto giorno dopo lo stesso soggetto ricorda la storia di nuovo.

Durante le tendenze di mutamento manifestate durane la prima riproduzione paiono esser ora più marcate. La storia è diventata
ancora più concisa e coerente.

5.6 Sommario delle principali conclusioni tratte dal metodo delle riproduzioni ripetute

1. L’accuratezza della riproduzione, intesa in senso letterale, è piuttosto una rara eccezione che una regola.
2. Nella catena di riproduzioni di un singolo individuo, la forma o lo schema generale, una volta data la prima versione,
restano notevolmente stabili.
3. Nello stesso tempo lo stile, il ritmo ed il modo esatto di costruzione di un racconto vengono molto di rado riprodotti
fedelmente.
4. Con riproduzioni frequenti, la forma e gli elementi di un particolare ricordato diventato ben presto stereotipati, e da
questo momento in poi subiscono pochi cambiamenti.
5. Quando le riproduzioni non sono frequenti, l’omissione di particolari, la semplificazione degli eventi e della struttura, la
trasformazione di certi elementi in altri più familiare possono proseguire quasi indefinitamente.
6. Esistono almeno 2 tipi di memoria a lungo termine:

6.1 Quella in cui risiede la struttura generale del racconto, che è espressa dall’atteggiamento del soggetto verso il racconto,
come del resto il particolare dominante. Il processo è evidentemente costruttivo e viene usata l’inferenza.
6.2 Quella in cui sembrano entrare in azione solo uno o due particolari isolati che hanno colpito il soggetto
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7. Un particolare diviene predominante quando si adatta a gli interessi e alle tendenze presenti in un soggetto. Esso verrà
poi sempre ricordato, anche se modificato, e tenderà ad assumere una posizione sempre più iniziale.
8. Nella concatenazione dei ricordi, un posto molto importante è dato alla razionalizzazione, cioè alla riduzione del
materiale ad una forma soddisfacentemente trattabile.
9. Tale processo è spesso basato su un atteggiamento affettivo, ed è ciò che fornisce questa struttura di base, senza la
quale non saremmo in grado di ricordare nulla con persistenza
10. La razionalizzazione può estendersi anche ai dettagli o connettendoli tra loro così da renderli apertamente coerenti, o
collegando un particolare con altri non effettivamente presenti sull’originale
11. La razionalizzazione ha 3 forme principali:
1.1. Inizialmente il materiale dato viene connesso con qualche cosa d’altro, di solito si tratta di una spiegazione esplicita, e
viene trattato come simbolo di essa, con il passare del tempo viene sostituito con quello che per il soggetto simbolizzava
1.2. Processo di razionalizzazione involontario, il materiale viene plasmato e assume le caratteristiche peculiari del soggetto
che lo riporta
1.3. I nomi le frasi e gli eventi vengono subito trasformati nelle forme che riguardano il gruppo di appartenenza del soggetto
e non riportate come quelle originali.
12. Vi sono prove indicanti un ritardo nel manifestarsi del cambiamento, che vengono lasciati presagire settimane o magari
mesi prima di comparire effettivamente

8.1.2 Il carattere costruttivo della memoria

A partire dalle sperimentazioni quelle sopra proposte, Bartlett è arrivato a proporre il modello costruttivo della memoria. Bartlett
scrive, se prendiamo in considerazione le prove sperimentali piuttosto che i postulati teorici, pare che gran lunga più rispondente al
vero che la memoria sia una questione di costruzione piuttosto che una pura e semplice riproduzione.

Con il termine “costruttiva” Bartlett sottolinea che è la persona che opera, costruisce, con un ruolo determinante. Il concetto di
“schema” è visto come il risultato di questa costruzione da parte della persona. Bartlett parlando di “schemi” si riferisce al
concetto del neurologo Head, che affermava che l’esistenza di schemi che modificano le impressioni provenienti dall’input
sensoriale mettendole in relazione con tracce di impressioni passate.

Le linee principali del modello costruttivo sono:

1. Le persone interpretano la realtà e costruiscono i ricordi sulla base di schemi


2. I ricordi non sono una copia del mondo esterno, né tracce ben determinate depositate in memoria
3. I ricordi col passare del tempo si selezionano e si trasformano

Il libro “La mente nel lavoro e nel gioco” è un opera scritta da Bartlett per i non addetti ai lavori, quindi per persone non
necessariamente professori o esperti del settore. In questo testo spiega il complesso comportamento mentale nel lavoro, nel
gioco e in altre attività della vita quotidiana e passa in rassegna tutti i processi cognitivi nella vita quotidiana come la percezione, il
pensiero e la memoria. Il libro raccoglie per lo più le parti essenziali di una serie di conferenze che egli stesso ha tenuto alla Royal
Institution, e riporta numerosi esperimenti semplici praticamente alla portata di tutti.

8.2 Dopo Bartlett


Le osservazioni sistematiche di Bartlett hanno il merito di aver dato vita a tre filoni di ricerca negli anni successivi:

1. Il filone di ricerca nel campo sperimentale, con lo studio delle differenze individuali, degli stili percettivi e cognitivi e con il
test sperimentale delle sue osservazioni attraverso il metodo più rigoroso della verifica di ipotesi
2. Il filone di ricerca in campo psicoanalitico, con lo studio delle distorsione della memoria collegate all’inconscio
3. Il filone di ricerca nel campo sociale, con lo studio dei sistemi di credenze che filtrano le informazioni per renderle
congruenti con le informazioni e le credenze precedenti

Ulrich Neisser 1928 – 2012, noto per essere stato uno dei massimi esponenti del cognitivismo negli anni sessanta e per aver
proposto il modello HIP, che considerava la mente umana come un elaboratore, in grado di trasformare e integrare le
informazioni che arrivano ai sistemi sensoriali, in modo funzionale ai suoi bisogni ed interessi.

Negli anni 50 Neisser, cominciò a contrastare gli approcci che consideravano possibile il ripresentarsi di un ricordo nella stessa
identica forma. Riprendendo il lavoro di Bartlett, Neisser affermava che la memoria, così come la percezione, fosse usata in modo
costruttivo; le strutture cognitive, erano costruzioni elaborate nel corso dell’attività attentava con la funzione di facilitare il
ricordo, organizzandolo secondo i bisogni soggettivi, adattandoli all’Io.

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Neisser parla di Memoria utilizzando il termine latino memorata per riferisci alle cose che si ricordano. Nell’estratto dell’autore
prosegue citando il lavoro di Bartlett in cui ribadisce che i vari modelli di schemi di storie costituiscono una nuova classe di
memorata. Egli prosegue la trattazione individuando quali possono essere le classi di memorata, come gli schemi di sé, gli script,
lo studio, la conoscenza spaziale. L’autore prosegue che queste classi di memoria hanno in comune due caratteristiche:

1. Sono tutti basati su esperienze ripetute piuttosto uniche


2. Quelle occasioni possono non essere affatto richiamate alla mente, quindi non necessariamente si possono riferire ad
eventi specifici di questi

MODULO 9: LE IMMAGINI MENTALI: IL CONTRIBUTO DI GALTON


Tra gli autori che hanno dato il via alle ricerche psicologiche sulle immagini mentali troviamo Francis Galton 1822 – 1911. Durante
la sua vita Galton si è occupato di geografia, meteorologia, medicina, biologia, eugenetica e statistica. In psicologia è ricordato
come uno dei padri della psicometria, e per le sue idee nel campo dello studio dell’intelligenze.

9.1 Inquadramento storico sulle immagini mentali


Francis Galton è stato uno dei primi studiosi ad occuparsi della vividezza delle immagini mentali e di come queste siano differenti
da individuo a individuo. Il suo testo Inquires into human faculties and its development, nel quale c’è un capitolo dedicato al
Mental imagery, esce nel 1883, quando le prime posizioni teoriche che hanno contribuito alla definizione della psicologia come
scienza autonoma si stavano definendo e seppure nei testi come I Principi di Psicologia di James e Compendio di Psicologia di
Wundt venga dedicato un capitolo alle immagini mentali, il contributo di Galton sulle immagini mentali verrà considerato solo in
seguito. Il Breakfast table questionnaire proposta da Galton per lo studio della vividezza delle immagini mentali verrà ripreso da
James e gli studi di questo specifico aspetto si delineano più chiaramente solo con l’entrata in crisi del comportamentismo. Per il
comportamentismo infatti le immagini mentali sono incluse nella “scatola nera” e quindi non meritevoli di studio; sarà con
l’introduzione dello Human Infotmtion Processing, a più di 50 anni dalla proposta di Galton, che lo studio delle immagini verrà
affrontato sistematicamente con la ricerca.

9.1.1 Le immagini mentali viste dagli autori della psicologia: Wundt, James, Watson

Le immagini mentali sono un fenomeno noto. Quando cerchiamo di ricordare qualcosa è possibile che un’immagine salti alla
mente. Queste immagini possono essere spontanee o intenzionali e intervengono in un’ampia gamma di attività mentali.

L’interesse nei confronti delle immagini mentali può essere fatto risalire all’antichità. Platone, pensava che i ricordi fossero basati
sulle immagini, secondo il suo punto di vista, i ricordi si imprimono nella mente come delle figure che possono essere incise sulla
superfice di una tavoletta di cera. Anche per Aristotele le immagini mentali avevano un posto importantissimo nel pensiero,
considerava, come raffigurazioni interne della realtà simili nella forma alla realtà stessa e in grado di facilitare il richiamo dalla
memoria degli oggetti. Secondo Aristotele il pensiero e la memoria erano impossibili senza immagini. Le immagini mentali
rimasero un argomento filosofico fino alla nascita della psicologia. Wundt, considerato il padre della psicologia scientifica,
considerava le immagini mentali e le prendeva in esame con la tecnica dell’introspezione; i soggetti venivano quindi inviati a
descrivere le figure che visualizzavano ed egli cercava di analizzarne la struttura. In Compendio di Psicologia riporta che l’immagine
mnestica è data dalla cooperazione di una serie di elementi che rende l’analisi dell’immagine complessa e soggetta a differenze
individuali.

Anche James, esponente del funzionalismo, considera il ruolo delle immagini mentali e dedica interamente il capitolo 18 di I
Principi di psicologia a Immagination,

James – famoso Funzionalista, considera le immagini mentali e gli dedica un capitolo in “Principi di Psicologia”, egli sostiene che le
“copie che si formano nella mente” derivino da una sensazione che ha modificato il sistema nervoso sottolineando la relazione
mente-corpo; propone anche la differenza tra immagini riproduttive (copie letterali) e immagini produttive (immagini create dalla
combinazione di nuovi elementi). Inoltre James riprende la sperimentazione del The Breakfast Table Questionarie di Galton dove
enfatizza l’importanza delle differenze individuali nell’immaginazione: Ci sono individui che ricordano immagini vivide ed altri
invece che ricordano cosa hanno mangiato a colazione ma non lo associano ad immagini mentali; questi ultimi secondo Galton
formano delle verbal images.

Con l’avvento del comportamentismo e con le idee di Watson che le immagini mentali smisero di essere incluse nell’oggetto di
studio della psicologia. Watson afferma che: Che cosa intende dire una persona quando chiude gli occhi e le orecchie e dice: Vedo
la casa dove sono nato: il lettino in camera di mia madre dove dormivo da bambino, riesco perfino a vedere mia madre mentre mi
viene a rimboccare le coperte e sento la sua voce che mi dà teneramente la buonanotte? Commuovente certe, ma tutte chiacchere:
stiamo semplicemente mettendo in scena qualcosa. Il comportamentista non riconosce nessuna prova di immagini interiori in tutto

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questo. Abbiamo tradotto in parole, tutte queste cose da moltissimo tempo e non facciamo altro che ripassare verbalmente le
scene quando se ne presenti l’occasione.

Solo l’entrata in crisi del comportamentismo, lo studio elle immagini mentali ritornò ad essere oggetto di interesse in ambito
psicologico.

9.2 Lo studio delle immagini mentali di Galton

Galton fu il primo studioso a proporre una situazione sperimentale per lo studio delle immagini mentali, prima ancora degli
psicologi delle correnti classiche.

Gli dedica un capitolo del suo testo Inquires into Human faculties and its development (1883) chiamandolo Mental Imagery,
esponeva un’indagine sperimentale eseguita con la tecnica dell’introspezione, ovvero basandosi sulle descrizioni dei soggetti in
merito alle immagini mentali che riuscivano ad evocare. In questo capitolo Galton era focalizzato a scoprire quali fossero le
differenze individuali nelle facoltà mentali e da cosa potessero essere derivate.

Biografia:

Nasce nel 1822 a Sparkbrook, vicino Birmingham. È il cugino di Darwin. Frequenta numero scuole nell’area di Birmingham, nel
1836 entra al King Edwars nel quale trascorre due anni, successivamente si reca a Londra per studiare medicina. Nel 1940 parte
per un viaggio che lo porta in molte città tra le quali Vienna, Atene e Costantinopoli. Tornato a Londra inizia a studiare matematica
ma non prende la laurea perché si ammala, successivamente riprende la carriera medica tornando a studiare a Londra, ma nel
1844 il padre muore e lui inizia a viaggiare. Nel 1855 pubblica The art of travel, anche se per motivi di salute non viaggia più. Nel
1859 rimane affascinato dall’opera del cugino Dawin Origin of Species, così cambia interessi di studio e si dedica all’antropologia e
all’eugenetica. Nel 1869 pubblica Hereditary Genius e nel 1883 Human Faculty. Si interesserà anche alla statistica e alla nascente
psicometria. Galton ha studiato particolarmente le impronte digitali; egli scopre che rimangono costanti nella vita di una persona
e che la rendono unica. Muore nel 1911.

9.2.1 Il primo questionario sulle immagini mentali

Galton ha studiato le immagini mentali con l’uso del Breakfast table Questionnaire. Nel 1883, egli invido numero lettere ai suoi
colleghi nel quale proponeva di rispondere ad una serie di domande cercando di immaginare la tavola sulla quale avevano fatto
colazione. Le domande riguardavano in particolare l’illuminazione, la definizione e i colori dell’immagine mentale che si riusciva a
richiamare in memoria.

Le tre domande che l’autore propone sono:

o Illuminazione – L’immagine è debole o sufficientemente chiara? La sua luminosità è confrontabile a quella della visione
vera e propria?
o Nettezza di contorni- Tutti gli oggetti sono davvero, nello stesso momento, ben definiti? Oppure la parte che è meglio
definita è sempre più limitata nella visione vera e propria?
o Colori – I colori della porcellana, del pane tostato, della crostata del pane, mostarda, carne, prezzemolo, o di qualsiasi
altra cosa potesse trovarsi sul tavolo sono ben distinti e naturali?

L’ipotesi di Galton era che i suoi colleghi scienziati avrebbero risposto in modo accurato e rigoroso, visto l’amore per la precisione
dell’uomo di scienza. Dai risultati emerse tutt’altro, non tutti avevano la capacità di richiamare alla memoria una buona immagine
mentale. Allora Galton decise di ampliare la sua indagine proponendo il questionario a 100 soggetti.

Per le prime due domande, Galton decise di considerare insieme le loro risposte, introducendo il termine Vividness che include sia
Illumination che Definition dell’immagine mentale. Ha proceduto ordinando le risposte riguardanti l’immagine della tavola della
colazione dalla più in vivida alla meno vivida. Le risposte dall’1 alla 45 sono considerate come molto alte e alte in vividezza, le
risposte dalla 46 alla 88 come medie e dalla 89 alla 100 come molto basse.

9.2.2 Le immagini mentali: ereditarietà e apprendimento

A partire da questi risultati nei quali si osservano numerose differenze individuali, anche tra gli stessi uomini di scienza, Galton
conclude che tale abilità sia ereditaria. Afferma anche che la capacità di visualizzare le immagini vari anche tra le diverse razze. Nel
corso del capitolo riporta molti esempi, tra cui quello degli eschimesi, che hanno un innata capacità di mappare nella loro mente

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aree geografiche molto vaste. Galton afferma però che l’abilità dii immaginare possa anche essere appresa e migliorata con la
pratica. Galton conclude il capitolo sottolineando l’utilità nella vita quotidiana e lavorativa dell’utilizzo delle immagini mentali e
propone di continuare gli studi su come accrescere questa capacità.

9.3 Vividezza delle immagini mentali

L’appello di Galton riguardo l’importanza di continuare a seguire le immagini mentali non fu seguito, seguì un periodo fortemente
comportamentista che rifiutava qualsiasi cosa non fosse direttamente osservabile e misurabile. Gli studi ripresero con l’avvento
del cognitivismo, periodo nel quale tornò di interesse lo studio dei processi interiori.

Nel 1951, a 70 anni di distanza dalle ricerche di Galton, Roe trovò dei risultati simili rispetto alle differenze nelle abilità di
visualizzazione. Trovò che i biologi e i fisici sperimentali si auto valutavano con maggiori rappresentazioni visive, gli antropologi e
gli psicologi riportavano di fare riferimento di più ad un sistema verbale. L’altro filone di ricerca che seguì a distanza di tempo le
intuizioni di Galton, fu l’interesse per la creazione di test o questionari introspettivi sulle proprie capacità di immaginazione.

Uno di questi questionari creato per valutare la vividezza dell’immagine visiva è il Vividness of Visual Imagery Questionaire (VVIQ)
proposto da Marks nel 1973. Per la compilazione del questionario è richiesto di immaginare due volta, la prima ad occhi aperti e la
seconda ad occhi chiusi, quattro scene e per ogni scena vengono proposte quattro richieste specifiche. Al soggetto è richiesto di
valutare il grado di vividezza con una scala da 1, immagine chiara a 5 immagine poco o per niente vivida, e successivamente
attraverso la somma del punteggio si ottiene il grado complessivo di vividezza del soggetto.

9.3.1 Gli studi attuali sulle immagini mentali in relazione alle differenze individuali

Sono stati fatti degli studi rispetto alla vividezza delle immagini mentali in diverse categorie di persone. Lo scopo era di analizzare
come diverse persone (studenti di diversi corsi di laurea, persone di diverse professione) differiscono per la competenza
immaginativa.

Isaac e Marks nel 1994 hanno analizzato la vividezza delle immagini mentali in diverse categorie di persone. Nella serie di studi
proposta dagli autori è stato usato il VVIQ e il Vividness of Movement Questionnaire (VMIQ) predisposto con l’intendo di misurare
differenze individuali nella capacità di immaginare movimenti.

Nello studio numero 3 del loro articolo questi strumenti sono stati somministrati ad un ampio numero di studenti universitari di
diversi corsi di laurea. I risultati sono stati presentati in funzione del genere e dell’appartenenza ai diversi corsi di studio ed
evidenziano che alte valutazione nel VVIQ sono riscontrate nelle femmine che frequentano Scienze Motorie e nei maschi che
frequentano fisica. Gli studenti che frequentano scienze motorie hanno un immagine più vivida di movimento ed in particolare i
maschi. Gli studenti che invece riportano immagini meno vivide e nell’immaginare il movimento sono gli studenti di lettere e di
statistica.

Nello studio numero 4 sono stati presi in considerazione un ampio numero di 16 diverse discipline nelle autovalutazioni di
vividezza delle immagini mentali e movimenti immaginari. Dai risultati è emerso che gli sportivi che ripotano le immagini mentali
più vivide sono gli esperti in trampolino, mentre quelli che riportano immagini meno vivide sono i nuotatori, i tiratori, i giocatori di
golf, di volano e chi pratica atletica. Per quanto riguarda la capacità di immaginare il movimento hanno punteggi più alti coloro
che praticano trampolino e i ginnasti, mentre punteggi più bassi sono dei nuotatori, truffatori e coloro che praticano atletica.

Maria Kozhevnikov è una ricercatrice che si sta occupando dell’analisi dell’immaginazione visiva, che lei chiama Object Imagery,
come una componente distinta egli aspetti di immaginazione spaziale, che lei chiama Spatial Imagery. Per rilevar queste due
componenti ha messo a punto l’Object – Spatial Imagery questionnaire: con la componente object imagery si identifica la
preferenza centrata sulla formazione di immagini visive e vivide. Con la componente spatial imagery si identifica la preferenza
centrata sulla rappresentazione di relazioni spaziali di elementi. I punteggi dello stile Imagery Object sono in relazione con il VVIQ
ma non con lo stile di spatial imagery. In uno studio è stato ipotizzato che l’object imagery fosse collegata con il specializzarsi in
arti visive, mentre lo spatial imagery fosse in relazione con lo specializzarsi in scienze.

MODULO 10: IL PENSIERO PRODUTTIVO E L’APRENDIMENTO PER INSIGHT, I CONTRIBUTI DI WERTHEIMER E KÖHLER

Max Wertheimer e Wolfang Köhler sono i principali esponenti della teoria della Gestalt e hanno dato un contributo allo studio del
pensiero. Di Wertheimer verrà approfondito il contributo allo studio del pensiero produttivo e di Köhler verrà approfondito il
concetto di Insight e come sono stati esplorati.

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10.1 Max Wertheimer e il Pensiero produttivo.

Il pensiero produttivo o problem solving definito come quella forma di ragionamento che entra in azione ogni volta che ci troviamo
di fronte ad una situazione problematica, possibile di soluzione, ma tale da non presentare possibilità di soluzioni immediate e da
non permettere nemmeno l’impiego di schemi di comportamento abituali; tale situazione, se risolta, porta in genere ad una
nuova conoscenza.

Wertheimer opera una distinzione tra le funzioni assolte dalla logica e le funzioni permesse dal pensiero produttivo, che viene
introdotto nel seguente modo: Di tanto in tanto, il nostro pensiero funziona davvero in modo proficuo, si fa strada, scopre nuovi
orizzonti. Che cosa avviene esattamente? Wertheimer 1945

Il pensiero produttivo viene definito come “ristrutturazione”; Ristrutturazione indica che “non si riduce tutto ad una mera
riproduzione del passato, al riemergere di idee, di immagini, di comportamenti che sono già esistiti, ma che, accanto a quella
attività riproduttiva, ci sono anche processi che producono veramente il nuovo, che creano ciò che non è ancora stato, che fanno
scaturire l’idea mai sorta prima, almeno nella mente di quell’organismo pensante. Quindi l’intento è di stabilire la fenomenologia di
tali processi produttivi e le caratteristiche che li distinguono da quelli riproduttivi, individuando le condizioni che li favoriscono da
quelle che li ostacolano, localizzando i momenti cruciali del processo quando ha inizio la comprensione”. KANITSA 1973

Biografia:

Nasce a Praga nel 1880, studia legge e poi si dedica alla filosofia. A prtire dal 1912 a Francoforte si dedica, insieme a Köhler e
Koffka, allo studio della percezione visiva. Dal 1916 al 1925, lavora all’università di Berlino. Nel 1921 Wertheimer, Köhler e Koffka
fondano la rivista Psychologische Forshung, che diventerà veicolo primario delle pubblicazioni della teoria della Gestalt. Muore a
New York nel 1943.

Nella sua opera Productive Thinking Wertheimer è interessato ad analizzare le trasformazioni che il problema subisce mentre si è
intenti a trovare la giusta via per impostarlo bene, indipendentemente dall’età.” Perché a volte il nostro pensiero lavora veramente
e produttivamente: cosa succede in simili occasioni? Cosa avviene in realtà durante lo svolgimento di questo processo?”
Wertheimer 1945

Il 1° capitolo dell’opera Productive Thinking intitolato “l’area del parallelogrammo” descrive l’esperienza nel risolvere un compito
di geometria da parte di alcuni alunni di una classe di scuola elementare. Wertheimer osserva il problema esposta dall’insegnante
in classe e come questo viene affrontato dagli alunni e gestito dal maestro. Non si sofferma a trarre i suoi risultati in modo
quantitativo ma in modo qualitativo. Lo scopo è capire come i bambini siano arrivati alla soluzione e quali fattori abbiano giocato
un ruolo nel corso di questa prestazione.

10.2 Wolfgang Köhler

Köhler introdusse nelle sue trattazioni il concetto di insight, in italiano il termine significa visione dentro. Questo autore introdusse
per la prima volta il termine per descrivere il comportamento degli animal che si scoprivano capaci di prestazioni che non ci
eravamo aspettati di incontrare al di sotto del livello umano. L’insight per Köhler è l’improvvisa scoperta di un nuovo modo di
interpretare la situazione totale. L’insight è dunque la scoperta di rapporti tra gli elementi. L’analisi dei Gestaltisti verte sulle
risoluzioni dei problemi piuttosto che dell’apprendimento, inteso come accumulo di esperienze e ricorso alla continuità. L’insight
non nega l’esperienza passata. L’insight definisce l’intuizione nella forma immediata e improvvisa. La questione dell’insight viene
introdotta dall’autore presentando il campo totale, cioè presentando come gli elementi sono riconosciuti pari naturali del campo
totale e non possono essere considerati entità isolate altrimenti si rischia di cadere nell’atomismo.

Biografia:

Nasce in Estonia nel 1887. Studia scienze naturali e psicologia a Berlino. Con Wertheimer e Koffka diventa uno dei rappresentanti
della psicologia della Gestalt. Nel 1921 è tra i fondatori della rivista Psychologische Forshung. Nel 1934 emigra negli Stati Uniti,
dove riceve una cattedra nell’università di Pensylvania. La sua opera più importante è La Psicologia della Gestalt del 1929. Muore
nel 1967.

Köhler arriva a definire l’insight riferendosi all’esperienza vissuta della dinamica dei campi emotivi e motivazionali non meno che
all’esperienza della determinazione in situazioni intellettuali. Per spiegare come avviene l’insight egli descrive come l’esperienza
vissuta lavora in congiunzione con la fisiologia, l’io, e l’interazione dell’io con gli altri oggetti (dell’ambiente).

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Questo insieme di campi è supportato da una “dinamica cerebrale” di cui l’autore spiega i legami tra i vari processi. Questa teoria
entra in contrapposizione alla “teoria associazionista”: un evento non produce cambiamenti nei riflessi e nelle relazioni
condizionate ma gli eventi sono sempre mediati da vie nervose sufficientemente conduttrici. Questa idea di corrispondenze fra
esperienze ed eventi cerebrali è stata precursore di importanti temi della psicologia dinamica attuale come per es. le reti neurali, il
problem solving, mezzi-fini, ecc.

10.2.2 Sultano e l’apprendimento per insight

Tra il 1912 e il 1920, Köhler diresse la stazione di ricerca sugli antropoidi dell’accademia Prussiana delle scienze a Tenerife, dove
esaminò la capacità degli scimpanzé di risolvere problemi. La teoria più gettonata sugli animali era quella che faceva capo a
Thorndike, il quale individuò le leggi dell’effetto, secondo cui gli animali risolvono problemi con un comportamento casuale, per
tentativi ed errori, e che il successo rende solo più probabili le risposte corrette.

A questa teoria Köhler contrappose il suo modello, quello dell’apprendimento per intuizione. Köhler proponeva diversi tipi di
problemi agli animali.

Il comportamento osservato da Köhler non poteva essere quindi interpretato in termini di tentativi ed errore, ma si rivelava come
propriamente “intelligente”. Se l’animale, ad esempio, dovesse raggiungere il cibo appeso al soffitto della gabbia, ma che per farlo
avesse a disposizione due canne, nessuna delle due di per sé di lunghezza sufficiente, ma abbastanza lunghe se incastrate l’una
sull’altra, cosa accadrebbe? Köhler ha osservato che lo scimpanzé inizialmente fa dei tentativi con una canna alla volta, senza
successo, dopo abbandona i tentativi. Successivamente, l’animale modifica improvvisamente il suo comportamento, dimostrando
di aver “capito” e afferra le due canne, le unisce, raggiungendo il cibo senza incertezza. Ha compiuto un insight, è riuscito a
strutturare in modo radicalmente diverso gli elementi del suo campo fenomenico, dando loro un significato.

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