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Capitolo 1: dalla psicologia filosofica alla scienza cognitiva.

1. Falsa partenza: l’introspezionismo sperimentale.


Il progetto di una psicologia come scienza sperimentale prese forma organica
all’inizio degli anni Settanta dell’Ottocento, con l’opera di Wilhelm Wundt
(Grundzuge der physiologischen Psychologie), che nel 1879 iniziò a Lipsia l’attività di
quello che è considerato il primo laboratorio di psicologia. Sull’impiego
dell’introspezione in ambito sperimentale gravava però l’obiezione di principio che,
qualche decennio prima, era stata mossa da Auguste Comte, secondo cui
l’introspezione o auto-osservazione non può aver luogo, perché porterebbe a
un’improbabile scissione della coscienza. Anche Franz Brentano fece sua l’obiezione
di Comte: secondo lui osservare gli oggetti dell’esperienza interna significa
modificarli, dunque alla fine ci si ritroverebbe a riflettere non sull’esperienza in atto,
ma su una ricostruzione ipotetica dell’esperienza stessa. Brentano trova però una
via di uscita da questo impasse, sostenendo che la fonte principale della conoscenza
psicologica non è l’auto-osservazione, ma la percezione interna; una volta che la
percezione interna ha colto il fenomeno psichico, tale fenomeno può essere oggetto
di osservazione retrospettiva, come disse John Stuart Mill secondo sui la memoria
consentirebbe al soggetto di analizzare una manifestazione psichica nell’attimo
immediatamente successivo al suo verificarsi. Il soggetto è perciò consapevole del
fenomeno psichico non nella forma che questo ha nell’istante del suo verificarsi, ma
in quella di un ricordo immediato e siccome questo ricordo non fa parte del flusso di
coscienza ma della memoria, la scissione della prima è evitata. Tuttavia si forma così
un ulteriore problema: riducendo l’introspezione alla memoria, la prima si carica di
tutte le imprecisioni e distorsioni che rendono la seconda inaffidabile. Per Wundt il
metodo retrospettivo ha essenzialmente due difetti: non porta alla luce nuovi
elementi, perché opera esclusivamente su ciò che il soggetto ricorda del fenomeno
in studio; il soggetto che ne fa uso può, senza averne intenzione, introdurre per
associazione elementi estranei, determinando confusione. In conclusione: la
psicologia sperimentale wundtiana non può che limitarsi ad osservare i fenomeni
psichici nel momento in cui essi hanno luogo, ma è limitata ai soli fenomeni psichici
più semplici, perché i fenomeni psichici superiori restano fuori dalla sua portata. Ma
d’altronde Wundt apparteneva alla tradizione dell’idealismo tedesco, il che lo
portava a respingere l’individualismo empirista. Insomma, la psicologia wundtiana
era troppo limitata per essere perseguita; alcuni allievi di Wundt cercarono però di
portarla oltre i processi psichici elementari: Titchener ad es. diede vita a un sistema
personale, la psicologia strutturale o strutturalismo, in cui compito dello psicologo è
lo studio della mente attraverso la scomposizione dei suoi elementi e la descrizione
delle leggi che governano la loro combinazione (in tal modo, si potevano osservare
anche i processi cognitivi superiori). Tuttavia ciò che determinerà realmente
l’insuccesso del metodo introspettivo in psicologia non sarà né il problema della
scissione della coscienza, né i problemi relativi alla retrospezione, bensì un’altra
obiezione anticipata da Comte: anche concedendo la possibilità dell’introspezione, i
dati introspettivi sono così contraddittori da risultare inutilizzabili per fini scientifici.
2. La mente come comportamento.
Con Charles Darwin abbiamo lo sviluppo di una visione naturalistica dei processi
psichici umani: per primo, Darwin, sostenne che la differenza fra la mente di un
uomo e quella di un animale è solo una differenza di grado, e non di qualità e che
non esiste finalismo nell’evoluzione della natura e della specie. Nella prospettiva
evoluzionistica, i processi psichici umani sono spiegati alla luce della loro funzione
adattativa e concepiti in continuità e non in opposizione con l’attività mentale degli
altri animali, concetto alla base della scuola funzionalista americana. l funzionalismo
è un indirizzo di ricerca in psicologia, inaugurato negli Stati Uniti alla fine
dell'Ottocento da William James e John Dewey, che interpreta i fenomeni psichici
non come elementi disgiunti fra loro (come cercava di fare il coevo strutturalismo
europeo di Edward Titchener), ma come funzioni mediante le quali l'organismo si
adatta all'ambiente sociale e fisico; esso fu una scuola di studi e di pensiero che
ebbe radici nell'Evoluzionismo, e che si sviluppò principalmente nel campo filosofico
e pedagogico lasciando da parte il campo psicologico. Per James, il principale difetto
dello strutturalismo consisteva nella sua incapacità di cogliere l’aspetto principale
della coscienza, il suo continuo fluire, che le permette di svolgere la sua funzione
adattativa. In tal modo James, andava a liquidare qualsiasi residuo spiritualistico
nell’idea di coscienza: essa non è più un’ essenza o una cosa, ma una funzione, cioè
una modalità della mente. Anche qui, però il ricorso alla metodologia
introspettiva/retrospettiva di Mill risultava problematico, per il suo carattere
antropocentrico che entrava in conflitto con la matrice naturalistica e darwiniana
che era alla base della scuola funzionalista: gli animali non potevano fornire
resoconti introspettivi. Nacquero dunque alternative di metodo, che sfoceranno
nella psicologia comportamentista, secondo cui le capacità mentali degli animali
risultano comprensibili solo se poste in relazione al loro comportamento. Il
comportamentismo pose fine ai buoni rapporti fra la psicologia scientifica e la
psicologia mentalistica (il mentalismo è un approccio psicologico volto alla
spiegazione del comportamento attraverso il ricorso a processi mentali non-
osservabili dall'esterno), come si evince dal manifesto del comportamentismo
Psychology as the Behaviorist Views it di John Watson. Una psicologia che aspiri alla
rispettabilità scientifica deve rifuggire dal carattere privato del mondo interiore e far
conto solo su dati pubblicamente osservabili, come le regolarità della risposta di un
organismo (il comportamento manifesto) a stimoli esterni. Limitando ciò che noi
chiamiamo mente al comportamento, Watson pensava di aver finalmente posto la
psicologia sulla strada della rispettabilità scientifica; ma questo si raggiungerà
specialmente con i neo-comportamentisti Hull, Skinner e Tolman, che trasformarono
la psicologia in vera scienza adottando il comportamentismo logico-semantico (il
linguaggio mentalistico è traducibile in linguaggio comportamentale). Alla fine, però,
i neo-comportamentisti rifiuteranno i principi fondamentali del comportamentismo
logico. Skinner, invece del comportamentismo logico, sembra oscillare fra due
differenti interpretazioni del comportamentismo psicologico: quella metodologica,
secondo cui le entità mentali esistono ma sono irrilevanti per la prassi scientifica;
quella ontologica ed esplicativa, secondo cui le entità mentali non esistono e
dunque la spiegazione del comportamento animale non può essere mentalistica.
Quest’ultima interpretazione è una variante della dottrina nota come materialismo
eliminazionista o eliminazionismo. Per comprendere questa posizione dobbiamo
citare Wilfrid Sellars, secondo cui quelli che sono i dati sensoriali (su cui si è basato
l’empirismo) non esistono (attacca il mito del dato e critica della psicologia del
senso comune); Sellars sviluppa la sua argomentazione mediante un racconto di
fantascienza antropologica, il Mito di Jones: immagina una comunità di individui, gli
antenati ryleani, privi del vocabolario cartesiano degli stati mentali: utilizzano
rigorosamente solo termini comportamentistici, che descrivono movimenti di corpi
in un dato spazio e in un dato tempo; questi antenati, per poter essere in grado di
parlare di sensazioni, pensieri e stati mentali, hanno bisogno di acquisire un
linguaggio in cui agli «episodi interiori» (pensieri e sensazioni) venga assegnato un
ben definito ruolo espressivo. Un linguaggio, si badi, che non può derivare,
cartesianamente, dall’osservazione introspettiva di sé, da un atto conoscitivo
interno. Piuttosto, i termini di questo nuovo vocabolario hanno la medesima natura
delle entità teoriche delle teorie scientifiche e, allo stesso modo di queste, sono
preliminari rispetto all’osservazione. È perché si possiede il concetto di elettrone che
si può osservare l’elettrone; è perché si possiede il concetto di introspezione che ci
può essere l’atto dell’introspezione. E i concetti non sono un possesso innato, ma
piuttosto qualcosa che si apprende.
3. Il bisogno di rappresentazioni mentali.

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