Per più di duemila anni la psicologia è stata intesa nel suo senso etimologico di “disciplina che ha per oggetto l'anima”. Quando nel Settecento e nell'Ottocento cominciò a farsi strada l'idea che la psiche potesse essere meglio conosciuta con l'analisi dell'esperienza venne a crearsi un mutamento nel metodo d'indagine. Ma l'oggetto della psicologia rimase la psiche, anche se la sua caratterizzazione di sostanza veniva sostituita con l'analisi delle sue funzioni. Il comportamentismo rappresenta il capovolgimento più radicale nell'assunzione dell'oggetto di studio della psicologia, dal momento che ritiene che sia importante il comportamento osservabile, ma giunge a rifiutare che debba occuparsi della coscienza. L'oggetto “psiche” viene esplicitato nei “contenuti psicologici”, che devono essere studiati tramite la loro manifestazione osservabile nei comportamenti. Uno dei motivi fondamentali di questo cambio radicale è l'aspirazione a dare una fondazione scientifica alla psicologia per collocarla nella famiglia delle scienze naturali. Il comportamentismo fu un movimento nordamericano e solo negli anni '50 fu conosciuto in Europa. Nasce nel 1913, anno in cui J.B. Watson pubblica un articolo programmatico dal titolo La psicologia così come la vede il comportamentista. Watson fu il divulgatore di una serie di idee e temi che da tempo stavano maturando. Chi legge il saggio di Watson si rende conto dell'influenza della sperimentazione sugli animali. L'evoluzionismo darwiniano aveva chiarito che fra l'uomo e le altre specie animali non vi era una differenza. Era possibile fare ricerca psicologica con gli animali. Studiare la psicologia degli animali poteva voler dire diverse cose. Se l'oggetto della psicologia era la coscienza, si sarebbe dovuta conoscere la natura della coscienza animale. Ma in base all'esame del comportamento osservabile ciò poteva avvenire in modo precario. Watson fece proprio quel disagio affermando che la vera psicologia degli animali doveva considerare il loro comportamento, per il fatto che l'oggetto della psicologia si identificava col comportamento. L'apprendimento era l'acquisizione di movimenti e non di nozioni. La legge dell'effetto di Thorndike è una legge che si caratterizza per un approccio comportamentista. L'autore riteneva di specificare una caratteristica fondamentale dell’“intelligenza animale”. La legge ci dice che “un'azione accompagnata o seguita da uno stato di soddisfazione tenderà a ripresentarsi più spesso, mentre un'azione seguita da uno stato di insoddisfazione tenderà a ripresentarsi meno spesso”. La legge sottolinea il carattere adattivo dell'azione umana, il cui manifestarsi era legato al venire ricompensati. Le curve di apprendimento da lui tracciate erano favorevoli ad un apprendimento graduale. Tutta l'opera di Watson è percorsa da una vena polemica. Il primo bersaglio fu il metodo introspettivo. L'introspezione significa “guardare dentro di sé” e così aveva costituito la base di raccolta di informazioni per la psicologia. Watson riteneva l'introspezione non scientifica per due motivi: l'osservatore si identificava con l'osservato; l'osservazione era compiuta da una persona che parlava di cose che gli altri non potevano vedere. La privatezza dei dati introspettivi veniva criticata perché, con quel metodo, si giungeva a descrizioni osservative insoddisfacenti. Watson pensava a due abusi del metodo introspettivo: a quello tradizionale che aveva portato alla proliferazione di concetti non specificati, e a quello strutturalista personificato nella figura di Titchener. Qui “introspezione” riguarda una maniera sofisticata di descrivere la propria esperienza cosciente, scomponendola in elementi semplici. Titchener aveva ammesso che si trattava di un'arte difficile e l'arte è un fatto soggettivo e sottoposto a interpretazione. Il metodo introspettivo aveva portato a conclusioni differenziate o anche opposte e non era pervenuto a un'unificazione dei termini usati. il comportamentismo watsoniano Fra il 1913 e il 1930 si sviluppa il comportamentismo watsoniano. La teoria elaborata da Watson non si presenta come un sistema organico e definito. Il comportamento è stato esplicitato nei termini di “adattamento dell'organismo all'ambiente”, “contrazioni muscolari”, “insieme integrato di movimenti”, “azioni”. Si può dire che l'unità d'osservazione psicologica è per Watson il comportamento nel senso di azione complessa manifestata dall'organismo nella sua interezza, “qualsiasi cosa esso compia come voltarsi verso una luce o in direzione opposta, saltare al presentarsi di un suono, o altre attività più altamente organizzate come avere dei bam-bini, scrivere libri, ecc.”. Nella sperimentazione psicologica che esegue, Watson si interessa di variabili dipendenti complesse. Il suo “molecolarismo” e “riduzionismo” teorico si specificano nell'idea che quei comportamenti non sono altro che la “combinazione” di reazioni più semplici, di molecole costituite dai singoli movimenti fisici che in quanto tali sono studiati dalla fisiologia e dalla medicina. I principi di composizione delle unità semplici in unità complesse non modificano la natura delle prime, semplicemente le compongono. I principi cui Watson fa principale riferimento sono la frequenza, la recenza e il condizionamento. I principi della frequenza e della recenza ci dicono che tanto più spesso o tanto più recentemente un'associazione si è verificata, con tanta maggiore probabilità si verificherà. Il principio del condizionamento parte dalla rilevazione del fatto che nell'organismo esistono risposte incondizionate a determinate situazioni. Altri stimoli che siano stati associati agli stimoli incondizionati provocheranno anch'essi la reazione incondizionata, pur non avendo alcuna relazione con essa. La ricerca sul condizionamento era di particolare importanza per il comportamentista perché, da un lato, individuava precise unità-stimolo e precise unità-risposta, e dall'altro offriva un principio chiave per spiegare la genesi delle risposte complesse. Si poteva ipotizzare che i comportamenti complessi esibiti dall'uomo potessero essere il risultato di una lunga storia di condizionamenti. Watson esprimeva l'idea che la paura, la rabbia e l'amore fossero le emozioni elementari e si definissero sulla base degli stimoli ambientali che le provocano. A partire da quelle emozioni si costruirebbero le altre. Un caso famoso di apprendimento di emozioni è quello del piccolo Albert. Albert giocava piacevolmente con un topolino allorché gli venne fatto sentire alle spalle un violento rumore. Il rumore era uno stimolo incondizionato in grado di provocare di per sé una risposta di paura; la sua associazione con un altro stimolo (il topolino) faceva sì che il bambino fosse condizionato ad aver paura anche a causa del topolino e, per effetto della generalizzazione dello stimolo, di altri oggetti aventi caratteristiche simili. Per Watson, le stesse leggi che regolano l'apprendimento emotivo erano alla base delle altre acquisizioni ed in particolare delle “abitudini”. La proposta metodologica di Watson richiedeva di fondarsi sull'osservazione del comportamento, e in questo caso del comportamento verbale (che veniva accolto come insieme di significati verbalizzati), e dunque il pensiero avrebbe dovuto essere inferito dal linguaggio. Ma la proposta “filosofica” (altri hanno parlato di “ontologia” o “metafisica”) era quella di negare reale esistenza al pensiero e di assimilarlo al linguaggio. Per Watson, il linguaggio viene acquisito per condizionamento. Progressivamente all'intero sistema di movimenti (delle corde vocali ecc.) che provocano l'emissione del suono-parola può sostituirsi una parte di movimenti. Watson riteneva che in questa maniera si venisse formando il pensiero e suggeriva che esso potesse essere ricondotto a un insieme di abitudini laringiche. il ruolo dell’esperienza e le grandi teorie dell’apprendimento Watson accolse l'importanza attribuita agli istinti ereditari nell'uomo, ma poi optò per una posizione che da un lato non riconosceva l'utilità del concetto di istinto, e dall'altro negava che l'uomo fosse, al momento della nascita, dotato di un bagaglio psicologico. Watson affermò che il neonato ha un repertorio di reazioni limitato, ma che interessano il corpo e non sono tratti mentali; il bambino nasce senza istinto, intelligenza o doti innate e sarà l'esperienza a caratterizzare la sua formazione psicologica. Watson così assumeva una posizione egualitaristica, secondo cui l'uomo era il prodotto delle sue esperienze. Assumeva importanza lo studio dell'apprendimento, del modo in cui l'uomo acquisisce il suo repertorio di comportamenti. L'opera di Tolman costituisce uno dei casi anomali della scuola comportamentista, visto che si differenziò dal comportamentismo watsoniano e accolse idee cognitiviste. La posizione “molecolaristica” di Watson rischiava di identificare il “comportamento” con le “contrazioni muscolari” e di rimandarne lo studio alla fisiologia. Tolman riteneva esistesse uno “specifico psicologico”, caratterizzato per la sua “molarità”, per la sua irriducibilità, che era di natura comportamentale e possedeva proprietà emergenti. Per Tolman, se caratterizzassimo il comportamento, daremmo una descrizione fisiologica. Per pervenire ad essa dovremmo tenere conto dei predicati emergenti del comportamento e del fatto che rivela “cognizioni” e “intenzionalità”. Nella sua opera, l'intenzionalità è tanto importante da far sì che si parli di comportamentismo intenzionale. Con sperimentazioni sugli animali, Tolman esplicita la problematica inerente all'intenzionalità del comportamento. Lo scopo è presente quando è presente una delle condizioni in rapporto all'oggetto-meta, allo scopo dell'azione: la costanza dell'oggetto-meta a dispetto delle variazioni nell'adattamento agli ostacoli intervenienti; la variazione nella direzione finale corrispondente alle posizioni differenti dell'oggetto-meta; la cessazione dell'attività quando un determinato oggetto-meta è tolto. La descrizione del comportamento diventerebbe insoddisfacente, se non si facesse riferimento a un oggetto-meta. Tolman parla di “variabile interveniente”, riconoscendo che un metodo oggettivo conosce solo la variabile dipendente rappresentata dal comportamento e da esso può inferire le caratteristiche delle variabili intervenienti “mentali”. Conoscendo i valori delle variabili indipendenti e del comportamento effettivo, è possibile fare inferenze sulle variabili intervenienti, entità obiettive definite nei termini delle “funzioni f”, che le connettono alle variabili indipendenti e al comportamento finale. La realtà ci dice che S può provocare risposte diverse, R1, R2, ... Rn, che non possono essere considerate funzioni di S, secondo lo schema: S→R dunque R=f(S), ma devono essere riferite a una variabile che interviene: S→I→R dunque R=f(IxS). Dal neopositivismo molti psicologi trassero i criteri per costruire teorie e modelli fondati sui dati empirici, ma includenti costrutti teorici, e la distinzione tra dati accettabili (dati “pubblici”) e non accettabili (“privati”). Clark Hull accolse da Watson il comportamentismo molecolare, da Thorndike l'idea che la ricompensa è un requisito dell'apprendimento, da Tolman le variabili intervenienti e costruì una teoria ipotetico-deduttiva che tentava per la psicologia la stessa sistematizzazione logica delle scienze fisiche. Il sistema di Hull consta di definizioni, postulati e teoremi, e consente di fare previsioni sulla direzione del comportamento. La teoria generale di Hull apparve nel 1943 nel libro Principi del comportamento. Skinner si interessa all'osservazione del comportamento e della sua relazione con le “contingenze di rinforzo”, occasioni in cui a una certa risposta ha fatto seguito una ricompensa. Skinner estrapola le sue analisi studia il comportamento con la Skinner-box. Si osserva che la risposta seguita da rinforzo tenderà a presentarsi con più frequenza (“condizionamento operante”). l’apprendimento sociale e la formazione della personalità Uno degli elementi caratteristici del comportamentismo è rappresentato dall’insistenza sui processi di apprendimento e sulle leggi basilari con cui l'individuo acquisisce nuove abilità. Il comportamentismo avrebbe dovuto offrire un contributo fondamentale alla comprensione dei fenomeni psicologici sociali. Ciò non è avvenuto a causa dell'insistenza a favore dei pochi principi basilari della learning theory sviluppati dall'analisi degli apprendimenti di ratti e piccioni. A partire dai contributi di Miller e Dollard, osserviamo un nuovo impulso a studiare questi fenomeni dall'interno, utilizzando in maniera originale idee della learning theory, ma valendosi di spunti della psicoanalisi, ad esempio. Un principio d'apprendimento è l’imitazione sociale, che gioca un ruolo centrale nelle acquisizioni sociali e mantiene la conformità sociale e la disciplina. Per Miller e Dollard, il bambino acquisisce una tendenza a imitare poiché è stato rinforzato nelle prime risposte di carattere imitativo. Il comportamento dei modelli potenziali costituisce il “suggerimento” per l'emissione di comportamenti simili che il soggetto deve avere già nel repertorio. Per Bandura, anche nuove risposte possono essere acquisite con l'osservazione di modelli. Bandura si è interessato dei comportamenti aggressivi mostrando come, pur con livelli bassi di frustrazione, si possa avere un bambino molto aggressivo qualora gli si facciano osservare modelli aggressivi. Per Bandura il rinforzo agisce nella fase del mantenimento delle risposte e nell'incrementare gli indici che ne descrivono la forza. Nella teoria comportamentista dell'apprendimento sociale viene sottolineato come modelli e rinforzi possano agire a incentivare certe risposte, ma anche a inibirle, se queste fossero state già apprese. Inoltre un soggetto può mostrarsi socialmente inadeguato, non solo per il fatto che ha appreso risposte scorrette, ma anche perché non possiede sufficienti abilità sociali, ovvero perché non ha appreso in maniera solida alcune risposte sociali necessarie. Nella teoria del comportamento sociale di Staats viene attribuita importanza agli stimoli emozionali collegati a risposte di carattere emozionale. Staats si ricollega alla “teoria dell'apprendimento” e al ruolo che attribuisce a concetti quali condizionamento rispondente e operante, rinforzo ecc., ma allarga la sua analisi a fenomeni come differenze individuali, apprendimenti cognitivi, acquisizione di atteggiamenti, pregiudizio, comunicazione, leadership ecc., oggetto della psicologia sociale. Le analisi della personalità (e della sua “specificità”) proposte da Bandura e Staats riprendono l'affermazione watsoniana per cui la personalità è una costellazione di comportamenti. La condotta individuale costituisce il punto focale della personalità e rinvia alle diverse situazioni specifiche che la provocano, e non a ipotetici “tratti interni”. L'apparente stabilità di alcuni tratti di personalità viene spiegata, da un lato, in base alla difficoltà di estinzione di risposte che sono state superapprese, dall’altro, in base alla stabilità che può avere l'ambiente che interagisce con l'individuo. L'atteggiamento comportamentista nei confronti della psicoanalisi è duplice: da un lato ne critica la debolezza metodologica inerente alle affermazioni sia di carattere teorico sia di interesse pratico e riferite alla presunta efficacia delle terapie analitiche; dall'altro è propenso a dare il giusto risalto e ad analizzare fenomeni psicoanalitici, quali transfert, ambivalenza, fattori inconsci, paure e nevrosi. Sears è un esponente rappresentativo di quel movimento di psicologi ancorati alle metodologie empiriche e interessati a verificare e supportare la teoria psicoanalitica rispetto alla quale egli vede continuità con la teoria comportamentista. Sears mette in luce come per la psicoanalisi la personalità sia il prodotto delle modalità con cui l'individuo è stato modificato da tali esperienze, traendone un apprendimento condizionante le esperienze successive. Le conseguenze ambientali dell'azione dell'individuo, cui il comportamentismo attribuisce grande peso, possono includere risposte da parte di un'altra o di più persone.