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Il comportamentismo

In questa lezione parleremo del comportamentismo, che è un approccio teorico che ha contribuito in maniera
significativa alla psicologia dell'educazione.
Il comportamentismo studia l'apprendimento in termini di relazione tra gli stimoli dell'ambiente le risposte degli
individui. È un approccio teorico che rifiuta ogni concetto che si riferisce alla mente e i suoi contenuti.
L'oggetto di studio è esclusivamente il comportamento direttamente osservabile e misurabile.
Il metodo di indagine è di tipo sperimentale, assolutamente rigoroso, con grande attenzione al controllo delle
variabili e in particolare al controllo delle variabili intervenienti, affinché possano essere individuate le leggi che
governano il comportamento sulla base delle risposte agli stimoli ambientali.
Il comportamentismo è un movimento tipicamente nordamericano che attorno agli anni 50 iniziò ad essere
conosciuto anche in Europa. Il suo fondatore è stato Watson che nel 1913 ha pubblicato un articolo intitolato "La
psicologia così come la vede il comportamentista".
In questo articolo sono contenuti gli elementi più importanti del movimento comportamentista, e la dichiarazione
che la psicologia debba occuparsi del comportamento in quanto unico elemento direttamente osservabile e
misurabile, e non possa occuparsi dei processi mentali in quanto difficilmente misurabili e quantificabili in maniera
oggettiva.
Questo movimento in psicologia nasce sulla spinta di correnti teoriche estremamente importanti; tra queste
un'influenza notevole è stata esercitata dal funzionalismo che influì ampiamente sul comportamentismo per varie
ragioni. Innanzitutto, grazie al funzionalismo è stata spostata l'attenzione dalla natura della coscienza ai suoi
processi, e alla valenza di questi processi per l'adattamento all'ambiente.
Inoltre, è stato considerato l'uomo come un animale che reagisce all'ambiente, e quindi come un animale che
presenta dei comportamenti che sono comuni anche alle altre specie. Inoltre, il funzionalismo ha contribuito a dare
fiducia alle potenzialità conoscitive e applicative della psicologia, e non soltanto alla psicologia come disciplina di
indagine senza un risvolto nei vari contesti di vita.
L'esponente del comportamentismo Watson attaccò il metodo introspettivo che fino ad allora era stato utilizzato in
psicologia, affermando che non può essere considerato un metodo scientifico in quanto coloro che studiano la
psiche attraverso il metodo introspettivo si identificano con l'osservato, e perciò non appena l'osservatore inizia ad
osservare la propria coscienza, questa muta per definizione il suo oggetto di osservazione dal momento che viene a
includere la coscienza del osservatore stesso.
L'osservazione introspettiva viene compiuta da una persona che parla di cose che gli altri non possono vedere
direttamente, e pertanto le osservazioni descritte a cui si giunge, e il risultato di queste osservazioni, sono
discordanti e spesso insoddisfacenti.
Il comportamentismo ritiene pertanto che l'oggetto di studio della psicologia debba essere il comportamento
osservabile.
La psiche, i suoi processi e le sue strutture vengono studiati tramite le loro manifestazioni direttamente osservabili in
termini di comportamento.
Uno dei motivi di questo cambiamento radicale è l'aspirazione a dare una base scientifica alla psicologia, affinché
possa essere collocata tra le scienze biologiche, e pertanto nella grande famiglia delle scienze naturali.
L'influenza esercitata sul comportamentismo dalla sperimentazione sugli animali fu imponente, in particolare
l'evoluzionismo darwiniano aveva chiarito che tra l'uomo e le altre specie non vi è una differenza radicale tale per cui
l'uomo possiede un'anima e gli animali no; pertanto, se non esiste questa differenza anche il comportamento umano
può essere studiato utilizzando i metodi dello studio del comportamento animale.
Perciò è plausibile fare ricerche in psicologia anche studiando il comportamento animale, con la possibilità di
studiare alcuni eventi comportamentali in organismi meno complessi come l'uomo, e massimizzare il grado di
controllo sull'ambiente e soprattutto controllare le caratteristiche delle esperienze passate.
La sperimentazione sugli animali permette di controllare le variabili intervenienti e di manipolare l'esperienza
passata, ad esempio l'osservazione del comportamento di un topo in laboratorio consente di controllare qual è stata
l'esperienza passata, se l'animale ha vissuto in un ambiente povero oppure in un ambiente arricchito di stimoli, e di
manipolare gli stimoli che riceve dall'ambiente; ad esempio l'intensità della luce a cui viene esposto, la quantità di
cibo che può raggiungere, il numero di altri elementi presenti nell'ambiente circostante che possono stimolare
l'animale.
Quindi la sperimentazione sugli animali consente una maggiore libertà anche nelle procedure rispetto alla
sperimentazione nell'uomo, con la possibilità di avere la disponibilità dei soggetti sperimentali nell'ora e
nell'ambiente desiderato dai ricercatori.
Secondo Watson la psicologia deve considerare solo il comportamento anche nell'uomo, e nega pertanto la rilevanza
dei processi di coscienza.
Il comportamentismo nega inoltre il ruolo dell'ereditarietà e mette a fuoco la modificabilità della personalità umana
attraverso dei processi di condizionamento che sono simili ai processi di apprendimento a cui vanno incontro gli
animali.
La Prima Guerra Mondiale ebbe un ruolo fondamentale nella psicologia americana, in quanto diede una grossa
spinta a compiere una svolta applicativa.
Spinse pertanto gli psicologi a lasciare gli ambienti accademici per applicare i principi di apprendimento e di
insegnamento anche sul campo. In particolare, nel corso della Prima Guerra Mondiale, agli psicologi venne affidato il
compito di sottoporre l'esercito a test selettivi in modo da scegliere i migliori soldati ed evitare grossi corsi di
addestramento per reclute con bassa prestazione intellettiva.
Questo ha portato gli psicologi a riflettere su come valutare e misurare in maniera omogenea le caratteristiche delle
persone, e come poter applicare quindi le conoscenze, per quanto riguarda il funzionamento cognitivo, ad ambiti di
rilevanza per la comunità e per la società.
Come abbiamo detto l'oggetto di studio del comportamentismo, ovvero l'unità di osservazione psicologica, è il
comportamento.
Nella sperimentazione psicologica, Watson si interessa di variabili dipendenti che sono complesse, quindi di risposte
che non sono soltanto semplici risposte ma anche concatenazione di risposte. I comportamenti non sono altro che la
combinazione di reazioni più semplici che sono studiate dalla fisiologia.
Gli studi di Watson partono infatti dagli studi della fisiologia compiuti sugli animali che avevano consentito di
evidenziare un principio di apprendimento estremamente potente presente negli animali.
Questo principio di apprendimento prende il nome di condizionamento classico.
Il condizionamento classico è un principio secondo cui gli organismi producono una risposta artificiale di fronte ad
uno stimolo naturale.
Come fa un animale ad essere condizionato?
L'animale viene esposto ad uno stimolo incondizionato, e questo stimolo incondizionato da una risposta
incondizionata.
Per stimolo incondizionato si intende uno stimolo ambientale in grado di sollecitare una risposta senza che vi sia
stato nessun processo di insegnamento e di apprendimento precedente. Gli studi di fisiologia hanno dimostrato
infatti che esiste un riflesso incondizionato che è la salivazione. I riflessi incondizionati sono pertanto queste
concatenazioni tra stimolo incondizionato e risposta incondizionata. Negli studi di fisiologia il riflesso della
salivazione è stato studiato nel cane, e in questi esperimenti condotti da Pavlov con una finalità di studiare appunto
la fisiologia della salivazione, è stato visto come un animale che si trova in uno stato di bisogno, e che quindi è stato
affamato, di fronte alla presentazione del cibo incomincia a salivare.
Questa risposta non è stata insegnata ma è una risposta incondizionata ad uno stimolo naturale che è il cibo.
Ecco Pavlov ha visto nei suoi studi di fisiologia che se si comincia ad abbinare allo stimolo incondizionato uno stimolo
artificiale, come ad esempio sono di una campanella, si ottiene ugualmente, dall'abbinamento di questi due stimoli,
una risposta incondizionata. Se questi stimoli vengono abbinati in misura ripetuta, in un modo ripetuto e sistematico
con una certa continuità spazio-temporale, allora l'animale impara ad associare allo stimolo artificiale questa
risposta incondizionata. A quel punto è possibile presentare esclusivamente lo stimolo artificiale per produrre la
risposta desiderata. Quando l'animale produce la risposta desiderata allora lo stimolo artificiale è diventato uno
stimolo condizionato, ovvero è stato appreso in seguito alla contiguità spazio-temporale con lo stimolo naturale, e la
risposta non è più una risposta incondizionata ma è una risposta condizionata. Vedete quindi come l'apprendimento
avviene per condizionamento e per abbinamento tra una risposta naturale, tra uno stimolo naturale e uno stimolo
artificiale che danno luogo ad una risposta appresa
Questo tipo di processo di apprendimento è un processo estremamente elementare che può essere applicato anche
all'uomo. Uno degli esperimenti più famosi condotti da Watson, e che dimostra la potenza dell'apprendimento per
condizionamento, è il caso del piccolo Albert. In questo esperimento il piccolo Albert giocava con un topolino
quando gli venne fatto sentire alle spalle un rumore molto forte; da quel momento in poi il bambino ebbe paura dei i
topi e generalizzò questa paura anche ad altri animali pelosi. Il rumore era stato uno stimolo incondizionato in grado
di provocare per sé una risposta di paura. La sua associazione con un altro stimolo faceva sì che il bambino fosse
condizionato ad aver paura anche per il topolino e, per effetto della generalizzazione dello stimolo, anche paura
degli altri animali. Le nevrosi pertanto potevano essere spiegate secondo Watson in termini di condizionamento, e
potevano essere definite in termini di risposte emozionali apprese per condizionamento dall'ambiente.
Per Watson non soltanto le nevrosi potevano essere apprese per condizionamento, ma anche il linguaggio. Il
linguaggio può essere acquisito per associazione con un oggetto e il suo nome, e il nome a quel punto evoca la stessa
risposta evocata dall'oggetto. Progressivamente l'intero sistema di movimenti che produce il linguaggio viene
organizzato per produrre le parole, e l'attività di pensiero secondo Watson non è altro che il risultato di
apprendimenti comunicativi che non si esauriscono con il linguaggio verbale ma che possono includere anche altre
forme di comportamento, ad esempio il linguaggio non verbale e poi il pensiero. Come vedete quindi l'approccio
comportamentale è un approccio che studia le leggi di base che governano il comportamento, e tra queste leggi la
legge principale è quella del condizionamento classico di cui abbiamo parlato. Quindi noi produciamo delle risposte
al nostro ambiente perché siamo stati condizionati, abbiamo imparato a fornire delle risposte a stimoli artificiali
prodotti dalla nostra cultura che sono stati associati in maniera sistematica a stimoli di tipo naturale in grado di
promuovere determinati comportamenti negli individui. Come potete comprendere questa visione dell'individuo è
una visione estremamente passiva che ha spinto Watson ad affermare che bambini diversi in circostanze diverse,
sottoposti a stimolazioni diverse, possono sviluppare determinate competenze a prescindere dalle loro inclinazioni
naturali, e quindi è possibile attraverso programmi di condizionamento fare in modo che ad esempio il bambino si
orienti verso la musica, oppure sviluppi capacità logico matematiche, oppure esprima le sue capacità tramite l'arte
semplicemente sottoponendo i bambini a diversi programmi di condizionamento che possono determinarne il corso
futuro della loro esperienza.
Naturalmente questa è una visione estremamente passiva dell'individuo che è stata in qualche modo superata dagli
studi successivi. In particolare, gli studi condotti in laboratorio sugli animali hanno portato ad evidenziare altre
modalità di risposta all'ambiente, e altre leggi che governano l'apprendimento. L'apprendimento che si verifica in un
ratto addestrato a percorrere un labirinto consiste nell'acquisizione di una serie di movimenti e non di conoscenze, e
l'animale viene considerato una cavia di laboratorio ideale per studiare i processi psicologici alla base
dell'apprendimento umano.
Uno degli autori che ha maggiormente studiato il comportamento animale in condizioni controllate è stato
Thorndike, che ha ideato diversi dispositivi per lo studio del comportamento animale, tra cui il "labirinto a T" e la
famosa "gabbia di Thorndike".
Nel labirinto a T, l'animale dopo aver percorso i corridoi dei percorsi a forma di lettera T, si trovava davanti dei luoghi
di scelta e doveva prendere delle decisioni su quale delle direzioni poteva portare all'acquisizione del cibo. Thorndike
attraverso i labirinti con questa forma dimostrò che l'apprendimento può avvenire per prove ed errori.
Quindi cominciò a studiare ancora meglio il comportamento animale per comprendere se esistono delle regolarità, e
se l'apprendimento per prove ed errori può essere in qualche modo previsto e controllato. Per studiare meglio
questo fenomeno ha ideato una gabbia nella quale veniva rinchiuso un animale che si trovava in uno stato di
deprivazione, e quindi era affamato. Thorndike ha studiato quanti tentativi compie un gatto per riuscire a liberarsi da
questa gabbia per raggiungere il cibo. Questa gabbia è caratterizzata da un dispositivo che la fa aprire una volta che
l'animale ha imparato a premere una leva.
Osservando i gatti impegnati in questa operazione del liberarsi dalla gabbia per raggiungere il cibo, Thorndike ha
concluso che l'apprendimento si verifica gradualmente, per prove ed errori, attraverso una serie di tentativi che
portano al consolidamento dei comportamenti adeguati e portano invece ad abbandonare i comportamenti che non
realizzano un effetto desiderato.
Thorndike sulla base di questi studi ha definito la cosiddetta legge dell’effetto, secondo cui l'apprendimento avviene
in funzione delle conseguenze del comportamento. Le azioni seguite dalla riduzione degli stati di bisogno e di
ricompense tendono ad essere altamente ripetute
Questa legge, definita legge dell'effetto, è una legge estremamente importante per i processi di insegnamento e di
apprendimento, ed è una legge che governa anche i comportamenti degli studenti in classe, pertanto per gli
insegnanti è fondamentale comprendere che un alunno tenderà a ripetere quei comportamenti che vengono
gratificati ed incoraggiati e tenderà invece a dimenticare e ad abbandonare quei comportamenti che non
massimizzano l'ottenimento di una ricompensa. Naturalmente per massimizzare questo tipo di apprendimento è
importante che le ricompense soddisfino uno stato di bisogno dell'alunno, e quindi siano altamente individualizzata
e siano calibrate sui bisogni e sui desideri degli alunni, e non siano invece delle procedure standardizzate che non
tengono conto delle caratteristiche individuali.
Questa legge sottolinea il carattere ad adattivo e utilitaristico delle azioni umane, il cui manifestarsi appare legato
alla possibilità di ricevere una ricompensa. Thorndike ha tracciato delle curve di apprendimento basate sui tempi di
reazione dei gatti all'interno della scatola. Queste curve di apprendimento indicano che l'apprendimento è graduale
e non è frutto di una comprensione improvvisa dei meccanismi, ma che l'animale si avvicina per tentativi ed errori
gradualmente al raggiungimento dell'obiettivo. Con il susseguirsi dei tentativi il tempo necessario al gatto per uscire
dalla gabbia decresce regolarmente e gradualmente, senza brusche cadute, come se l'animale procedesse per piccoli
passi apprendendo le risposte corrette e abbandonando le risposte che non sono adattive. Quindi in sintesi le
informazioni che derivano dal comportamentismo più classico come quello Watsoniano e dagli studi successivi
condotti sugli animali, sono quelle che l'individuo reagisce all'ambiente per soddisfare uno stato di bisogno, e che i
processi di apprendimento sono dei processi ad attivi che mirano a raggiungere l'effetto desiderato per prove e per
errori, per approssimazioni successive, e quindi l'insegnante in classe può utilizzare delle strategie di stimolazione e
delle situazioni nelle quali l'individuo deve trovare la soluzione corretta per massimizzare l'ottenimento di una
gratificazione legata ai propri bisogni e alle proprie necessità.

Il neocomportamentismo
In questa lezione vedremo un avanzamento della teoria comportamentista.
La teoria comportamentista, infatti, ha presentato tutta una serie di elementi e di leggi che sono estremamente utili
per la psicologia dell'educazione. Tuttavia, è una disciplina che al suo interno ha attraversato numerose evoluzioni e
al giorno d'oggi si completa con l'esperienza di numerosi studi condotti non soltanto sugli animali ma anche sugli
individui in contesti sempre più complessi, e in contesti di apprendimento che riguardano tutto l'arco di vita.
In questa lezione vedremo un superamento dell'approccio del condizionamento classico che è costituito dal
neocomportamentismo. Il neocomportamentismo è lo studio del comportamento umano che tiene conto di un
elemento ulteriore che non è stato considerato nel condizionamento classico, ovvero il fatto che l'individuo
apprende non soltanto sulla base di associazioni tra stimoli artificiali e stimoli naturali, ma apprende sulla base delle
conseguenze delle proprie azioni.
Il maggior esponente del neocomportamentismo è Skinner che ha distinto tra due classi di comportamenti: i
comportamenti rispondenti e i comportamenti operanti.
Per quanto riguarda i comportamenti rispondenti, questi corrispondono ai comportamenti riflessi e possono
coincidere con i comportamenti che vengono appresi nel condizionamento classico.
Quindi l'individuo risponde agli stimoli naturali nell'ambiente, senza che intervenga nessun processo di
apprendimento, ma può essere condizionato ad apprendere dagli stimoli artificiali attraverso un processo di
associazione tra gli stimoli artificiali e gli stimoli naturali.
L'altra classe di comportamento prende il nome di comportamento operante.
Secondo la definizione di Skinner, l'individuo non è un individuo passivo nel contesto, ma si presenta nei vari contesti
di apprendimento, e quindi anche a scuola, con un bagaglio di comportamenti che sono stati già appresi
dall'esperienza precedente, e l'individuo non attendere le stimolazioni da parte dell'insegnante, ma l'individuo è
attivo nel contesto e mette in atto dei comportamenti volti ad ottenere una gratificazione.
Per questa ragione il comportamento dell'individuo si definisce operante in quanto l'individuo opera nel contesto
attivamente e apprende a mantenere quelle operazioni, quei comportamenti che sono funzionali per i vari contesti
di vita, e ad abbandonare quei comportamenti che invece non vengono gratificati e non ottengono alcun tipo di
conseguenza una volta che vengono prodotti.
In questa diapositiva potete osservare una vignetta molto divertente nella quale si osservano due ratti da laboratorio
che commentano tra di loro il comportamento del ricercatore, ed uno dei due dice: guarda, ogni volta che premo il
bottone l'umano prende appunti.
Si vede quindi come il processo di osservazione del comportamento dell'animale possa essere ribaltato e possa
essere applicato anche al ricercatore.
In qualche modo il ricercatore ritiene, attraverso la disposizione di questi strumenti e di questi percorsi con dei
meccanismi di causa ed effetto per il raggiungimento del cibo, di condizionare gli animali; ma può essere anche vero
il contrario, ovvero che gli animali stanno condizionando il ricercatore a produrre dei comportamenti come
conseguenza delle loro azioni.
Qual è la formula e la regola che sta alla base del condizionamento operante?
Come vedete questa regola si compone di un ulteriore elemento costituito dal RINFORZO.
In questo tipo di condizionamento un comportamento che già appartiene al repertorio di risposte comportamentali
di un individuo, può cambiare a seconda delle conseguenze.
Pertanto, la concatenazione del processo di insegnamento non è più soltanto stimolo-risposta, ma stimolo risposta-
rinforzo.
Che cosa dovete considerare riguardo a questa legge dell'apprendimento?
Bisogna considerare il fatto che il rinforzo deve essere contingente alla risposta.
Per rinforzo si intende una conseguenza che aumenta la probabilità che la risposta comportamentale si manifesti in
futuro.
Pertanto, non esistono dei rinforzi in assoluto, ma il rinforzo è una conseguenza che assume questa natura in base
alla sua funzione.
Quindi se la conseguenza aumenta la probabilità che l'azione si ripresenti futuro può essere considerata un rinforzo;
se questo non avviene allora, a parità di conseguenza, non abbiamo ottenuto un apprendimento per
condizionamento operante.
Altro elemento importante è che l'apprendimento non avviene soltanto per risposto uno stimolo, ma
l'apprendimento avviene perché si crea un'associazione forte tra la risposta allo stimolo e la sua conseguenza, e
questa conseguenza deve essere tesa a massimizzare la gratificazione.
Il comportamento operante diventa condizionato quando passa sotto il controllo di uno stimolo particolare, e quindi
quando non c'è più bisogno della conseguenza ma il comportamento dell'individuo viene elicitato esclusivamente da
uno stimolo ambientale.
Le conseguenze definite rinforzi possono essere di tipo positivo o negativo.
Ora, il termine positivo o negativo non ci deve ingannare, nel senso che non ogni caso tutte le conseguenze che
vengono definite rinforzi aumentano le probabilità che il comportamento si manifesti.
Tuttavia, non tutti i rinforzi devono essere necessariamente delle gratificazioni, ma consistono in aggiungere o
eliminare delle conseguenze dall'ambiente, e questa azione deve risultare in un aumento delle probabilità di una
risposta. Il rinforzo di tipo positivo è una conseguenza che aumenta la probabilità che l'azione si manifesti
aggiungendo un elemento all'ambiente.
Nel contesto scolastico in genere l'insegnante tende a far seguire una risposta corretta una lode o un
incoraggiamento; se la lode e l'incoraggiamento sono degli incentivi per l'alunno per ripetere la risposta corretta in
futuro, allora le lodi e l'incoraggiamento hanno svolto la funzione di rinforzo.
Un esempio invece di rinforzo negativo consiste nell'eliminare dall'ambiente scolastico delle condizioni che possono
essere delle condizioni avverse.
Quindi l'eliminazione delle condizioni avverse massimizza la performance dell'alunno.
Ad esempio, un alunno particolarmente diligente che sta svolgendo in maniera corretta i compiti può essere
rinforzato dal fatto che l'insegnante possa eliminare magari due operazioni della scheda che devono ancora essere
svolte per gratificare l'alunno.
Quindi l'alunno è stato talmente diligente e attento che l'insegnante gli concede di saltare due operazioni in quella
determinata performance.
Quindi aver eliminato qualcosa dall'ambiente aiuta l'alunno ad essere motivato a compiere di nuovo in futuro in
maniera diligente e rapida i compiti prodotti dall'insegnante.
Quindi per concludere è molto importante che l'insegnante non consideri le conseguenze dei comportamenti degli
alunni come in assoluto gratificanti o non gratificanti, ma che compia una continua analisi dei rinforzi, quindi un
monitoraggio dell'effetto che le conseguenze hanno sul comportamento degli alunni.
Se si vuole fornire agli alunni un rinforzo di tipo positivo occorre aggiungere degli elementi all'ambiente; quindi
fornire un premio, fornire una gratificazione, consentire all'alunno di accedere alla prossimità di interazione con altri
compagni, eccetera.
L'effetto del rinforzo dipende dallo stato di bisogno dell'individuo, e quindi va studiato di volta in volta e da
circostanza a circostanza. Il rinforzo negativo è sempre una conseguenza che aumenta la probabilità che si manifesti
comportamento desiderato, ma viene definito negativo perché si elimina qualcosa dall'ambiente, e quindi si riduce
magari una condizione avversa, si riduce la fatica o la frustrazione, e questo è gratificante per gli alunni.
Quindi vedete come anche al giorno d'oggi l'approccio comportamentale offre agli insegnanti numerosi strumenti
per gestire il comportamento in classe degli alunni e per promuovere i comportamenti d'apprendimento.
Parlando ancora in dettaglio di tipi di rinforzo noi possiamo scegliere tra rinforzi primari e rinforzi secondari.
Diciamo che a scuola è possibile erogare soprattutto rinforzi di tipo secondario, ovvero dei rinforzi che sono stati
appresi.
I rinforzi primari sono i rinforzi naturali, quelli che non devono essere insegnati all'individuo per svolgere un'azione
gratificante. Un esempio di questi rinforzi sono il cibo e l'acqua.
L'acqua e il cibo soddisfano dei bisogni naturali, per cui se l'individuo si trova in uno stato di deprivazione non ha
assolutamente bisogno che nessuno gli insegni a mangiare o gli insegni a bere dell'acqua per alleviare la sete.
Nel contesto scolastico voi potete fare leva sui rinforzi di tipo secondario, ovvero attività e situazioni che sono state
associate ad una conseguenza piacevole e che aumentano la probabilità dell'individuo di impegnarsi nei compiti di
apprendimento.
Tra questi ritroviamo ad esempio lo svolgere delle attività. In genere gli alunni sono gratificati nel poter svolgere
delle attività di disimpegno come il colorare e chiacchierare anche con i compagni dopo aver fornito una risposta di
apprendimento corretta alle sollecitazioni dell'insegnante.
Un altro rinforzo di tipo secondario è il possesso.
In genere gli alunni sono fortemente motivati dal possedere qualcosa, tant'è che nei contesti di insegnamento
spesso gli insegnanti forniscono o mettono in palio, a seguito dei comportamenti di insegnamento corretti, degli
oggetti come un libro, dei colori, delle matite colorate, per il possesso dei quali gli alunni si impegnano nei compiti di
apprendimento. Inoltre, in classe noi possiamo utilizzare anche le gratificazioni di tipo sociale.
Gli alunni sono motivati a perseverare nelle attività di apprendimento in seguito sorrisi, applausi, complimenti, lodi e
incoraggiamenti. Il mio invito per gli insegnanti è quello di abbinare sempre le gratificazioni di tipo sociale anche a
rinforzi secondari di tipo tangibile come gli oggetti, le attività di gioco e le attività di disimpegno.
Questo aiuta gli alunni a rispondere in maniera positiva alle lodi di incoraggiamento dell'insegnante, e quindi a
trovare anche nelle gratificazioni sociali una ragione per l'impegno nel contesto scolastico.
Skinner ha studiato gli effetti di programmi differenti di rinforzo, specificando la relazione tra l'acquisizione di
comportamenti e gli eventi rinforzanti.
In particolare, il rinforzo può essere erogato seguendo strategie diverse a seconda dell'obiettivo dell'insegnamento.
Come linea generale posso dirvi che il rinforzo può essere estremamente frequente nei momenti iniziali
dell'apprendimento, e quindi può seguire tutte le risposte corrette, ma man mano che si procede verso
l'apprendimento dovrebbe essere dilazionato, e quindi dovrebbe seguire soltanto alcune risposte corrette seguendo
dapprima un ordine fisso, quindi dapprima ogni due o tre risposte corrette, e poi ad intervalli intermittenti: quindi
dopo due risposte corrette, dopo dieci risposte corrette, dopo una e poi di nuovo dopo cinque.
Infatti, è l'aspettativa del rinforzo che guida i comportamenti di apprendimento degli individui, e non il ricevere il
rinforzo di per sé.
È importante che nel contesto scolastico voi creiate negli alunni l'aspettativa di ricevere un rinforzo al termine del
proprio comportamento, e poi incominciate a variare l'erogazione di questo rinforzo programmandolo in maniera
opportuna con la finalità di mantenere l'impegno e la motivazione. Il paradigma del condizionamento operante è
uno schema fondamentale della psicologia, in particolare della psicologia dell'educazione.
È molto utile per spiegare gli apprendimenti complessi che altrimenti non potevano essere interpretati sulla base del
semplice condizionamento classico.
Il condizionamento operante si applica a qualunque tipo di risposta in quanto ciascuno di noi può apprendere grazie
alle conseguenze delle proprie azioni. Le principali risposte umane sono rinforzate da eventi che ne provocano il
mantenimento e il consolidamento, e queste risposte possono essere funzionali o disfunzionali.
Pertanto, il mio invito è quello di analizzare anche i comportamenti problema, i comportamenti disfunzionali che voi
potete osservare come insegnanti all'interno della classe attraverso la legge del condizionamento operante.
È possibile che alcuni alunni abbiano appreso a mettere in atto dei comportamenti di disturbo e dei comportamenti
disadattivi, perché queste azioni vengono incoraggiate e vengono rinforzate dall'ambiente circostante, come ad
esempio le risate dei compagni o il ricevere l'attenzione da parte degli insegnanti, magari attenzioni di tipo negativo
ma pur sempre attenzioni.
Quindi Skinner con il comportamentismo mette in luce la manipolabilità del comportamento umano e denuncia il
ruolo giocato dalle principali agenzie educative quali la famiglia, lo Stato e la Chiesa, nel condizionare, attraverso il
condizionamento operante, le azioni degli individui.
Per quanto riguarda i comportamenti problema, una strategia importante è quella di individuare la funzione dei
comportamenti problematici in classe, cercare di modificare le conseguenze di questi comportamenti, quindi se sono
comportamenti messi in atto per attirare l'attenzione bisogna cercare di ignorare questi comportamenti, ma al
contempo ricordatevi sempre di insegnare un'abilità sostitutiva che possa assolvere alla stessa funzione del
comportamento problema, e quindi portare l'alunno ad essere gratificato non più con un comportamento
disadattivo ma con un comportamento che da voi è desiderato ed è apprezzato.
Vorrei concludere questa lezione parlando di una delle evoluzioni dell'approccio comportamentale che prende il
nome di teoria dell’apprendimento sociale.
Questa teoria rivaluta il ruolo della imitazione dell'osservazione come processo di apprendimento.
Quindi mantiene fermi i principi del condizionamento classico e del condizionamento operante ma ritiene che
l'individuo apprenda anche osservando dei modelli di comportamento, quindi non soltanto sperimentando la
gratificazione su di sé e sulla conseguenza delle proprie azioni.
Il principale esponente della teoria dell'apprendimento sociale è Bandura. Secondo Bandura gli individui regolano il
proprio comportamento in base alle osservazioni delle conseguenze delle azioni proprie ma anche delle azioni altrui.
Gli individui creano conoscenze, aspettative e credenze riguardo alle conseguenze delle proprie azioni, e queste
aspettative vengono create osservando il comportamento degli altri individui della società.
Questa teoria è nata in quanto Bandura si è reso conto che molto spesso gli individui manifestano comportamenti
che non sono stati mai rinforzati precedentemente nella loro esperienza, e questo era un fenomeno estremamente
sorprendente in quanto secondo i principi del condizionamento l'individuo dovrebbe mettere in atto esclusivamente
dei comportamenti che sono stati rinforzati nella sua esperienza di vita.
Un principio di apprendimento importante, secondo Bandura, è costituito dalla imitazione sociale che contribuisce a
mantenere la conformità sociale e la disciplina; pertanto noi mettiamo in atto, e gli studenti metteranno in atto in
classe dei comportamenti che non sono stati direttamente rinforzati nella loro esperienza, ma che hanno visto
essere premianti del comportamento di altri individui, in particolare di individui che sono per loro significativi.
Il bambino acquisisce la tendenza ad imitare perché è stato rinforzato nelle prime risposte imitative, e una volta che
questo meccanismo si è stabilito applica il processo di imitazione anche nelle esperienze future.
Progressivamente la tendenza ad imitare viene ad assumere un peso sempre maggiore, in particolare con l'età il
comportamento dei modelli potenziali costituisce il suggerimento per l'emissione di comportamenti simili che il
soggetto deve già tuttavia possedere nel proprio repertorio comportamentale.
Ad esempio, gli studenti al giorno d'oggi possono individuare come modelli di comportamento personaggi famosi
che vengono presentati alla televisione e che adottano un determinato comportamento; ad esempio gli alunni
possono sviluppare comportamenti altruistici perché imitano un personaggio famoso che viene gratificato dal punto
di vista sociale ed economico nella nostra società per aver, ad esempio, compiuto delle azioni di beneficenza.
Ecco allora che l'individuo compie a sua volta delle azioni altruistiche non perché è stato rinforzato direttamente nel
compiere queste azioni, ma perché ha visto che altre persone famose, e che sono premiate dalla società, mettono in
atto questi comportamenti ed hanno delle conseguenze positive.
Quindi nuove risposte possono essere acquisite tramite i modelli che vengono osservati e che vengono imitati.
Un concetto chiave per la teoria dell'apprendimento sociale è quello del rinforzo vicariante, pertanto un
comportamento viene appreso e viene consolidato, essendo però già presente nel repertorio comportamentale
dell'individuo, viene consolidato non perché l'individuo viene gratificato direttamente, ma perché viene gratificato
un personaggio nella nostra società che ha una valenza emotiva e significativa per il bambino estremamente
pregnante. Esiste quindi una circolarità di relazione tra individuo e ambiente tale per cui il comportamento
dell'individuo influenza l'ambiente e le risposte dell'ambiente vanno a influenzare l'individuo.
Per quanto riguarda il contesto scolastico, la teoria dell'apprendimento sociale ha delle implicazioni notevoli;
l'insegnante per il bambino può costituire un modello dei comportamenti da adottare, in quanto è un individuo che
presenta caratteristiche di desiderabilità sociale, presenta delle caratteristiche di status maggiore rispetto a un
bambino, di autorità, di capacità di decisione nel contesto educativo.
Pertanto, voi come insegnanti avete una grossa responsabilità perché potreste diventare dei modelli per i vostri
alunni per l'apprendimento di nuovi comportamenti, in particolare di comportamenti adattivi per la scuola, per la
famiglia e per la società.
Per Bandura il rinforzo agisce anziché nella fase di acquisizione, nella fase di mantenimento delle risposte, per cui
una risposta che è stata appresa precedentemente viene consolidata per imitazione di modelli socialmente appetibili
e validi. Secondo la teoria dell'apprendimento sociale si evidenzia come modelli e rinforzi possono agire non solo per
incentivare le risposte dell'individuo, ma anche per inibirle qualora precedentemente apprese.
Per cui un comportamento disfunzionale viene dismesso dall'individuo perché è stato sanzionato in altri individui
della società.
Secondo bandura la teoria dell'apprendimento sociale illustra dei principi che stanno alla base dell'autoregolazione
sociale, quindi l'individuo non ha la necessità di avere delle conseguenze avverse ad azioni che sono deprecabili ma è
sufficiente che sappia che nella società di appartenenza queste azioni vengono condannate e vengono punite, e
quindi non ha bisogno di esperire direttamente una conseguenza avversa per abbandonare quei tipi di
comportamento.
Un individuo può mostrarsi socialmente inadeguato perché non ha appreso comportamenti sociali adeguati, oppure
perché ha visto che questi comportamenti socialmente inadeguati vengono comunque premiati dalla società di
appartenenza.
Quindi il mio invito è che come futuri insegnanti voi ragioniate sull'importanza dei modelli che vengono offerti agli
alunni per il loro comportamento in classe, e che possiate apprezzare la forza dei processi di imitazione e di
osservazione nell'apprendimento, in particolare per quanto riguarda l'apprendimento di comportamenti sociali.
Il cognitivismo
Il cognitivismo è un approccio allo studio dei processi mentali che è nato come reazione all’approccio
comportamentale.
Per tanti anni infatti negli Stati Uniti gli psicologi si sono focalizzati su un comportamento direttamente osservabile e
hanno rifiutato di studiare la psiche e la coscienza e i processi mentali giustificando questa scelta dal fatto che i
processi mentali non potessero essere direttamente osservati e misurati.
Ora con la creazione dei computer e quindi con l'avvento delle nuove tecnologie gli psicologi hanno avuto a
disposizione degli strumenti potenti dei modelli potenti per poter ricreare i processi mentali osservarli misurarli
quantificarli e quindi applicare un metodo scientifico anche allo studio della psiche.
Pertanto, il cognitivismo è quel l'approccio che studia i processi mentali alla base dell'apprendimento utilizzando il
computer come metafora per studiare la mente. In particolare, i processi che vengono considerati dal cognitivismo è
che vedremo noi nel corso delle nostre lezioni sono l'attenzione la memoria e il ragionamento.
Naturalmente il cognitivismo si è occupato di tantissimi altri processi che sono estremamente affascinanti come ad
esempio la creatività come la capacità di pensiero divergente, la capacità di problem solving la capacità di trovare
soluzioni innovative per raggiungere determinati obiettivi.
Come scelta didattica io ho pensato di proporvi questi tre processi che sono alla base del processo di
apprendimento, con la finalità di incuriosirvi ad approfondire questi temi ulteriormente nella vostra carriera di
insegnanti. Il cognitivismo, quindi, si occupa di studiare come cambia l'elaborazione delle informazioni con lo
sviluppo.
Vedrete nel corso delle mie lezioni come i termini utilizzati dai cognitivisti siano dei termini che si richiamano
tantissimo al funzionamento del computer.
Quindi la mente viene considerato come un elaboratore di informazioni così come il computer che elabora segnali
elettrici e informazioni è di natura elettrica e informatica il cervello è una struttura che elabora informazioni sotto
forma di trasmissioni/neurotrasmissioni a livello cerebrale che derivano da un input sensoriale e che vengono poi
trasformate in elementi di conoscenza e che producono un output in termini di azioni.
Quindi tutto ciò che noi vedremo nel corso delle mie lezioni fa sempre riferimento al computer come un modello per
la comprensione e per lo studio della mente umana.
Una delle domande che si sono posti i cognitivisti è come cambiano i processi di elaborazione delle informazioni
nello sviluppo umano. E questa domanda è molto utile per gli insegnanti perché voi avrete a che fare con alunni di
età differenti e che si trovano i momenti evolutivi differenti.
Diciamo che in linea generale i cambiamenti dello sviluppo sono influenzati dall'aumento delle capacità e soprattutto
dalla velocità di elaborazione. L'elaborazione dell'informazione infatti viene considerata efficace se avviene in tempi
rapidi e che sono tempi funzionali per il processo di apprendimento.
Un alunno a rischio di insuccesso scolastico, infatti, non è tanto un alunno che non risolve un compito ma è un
alunno che impiega un tempo eccessivo nella risoluzione del compito stesso. Pertanto, la velocità e la rapidità di
informazione è un aspetto importante nel processo di apprendimento.
È molto importante anche la quantità di informazioni che possono essere elaborate in un determinato tempo in
quanto con lo sviluppo l'individuo deve essere capace di elaborare un numero sempre maggiore di informazioni.
Naturalmente la dotazione biologica le predisposizioni individuali ma anche L'esperienza e l'allenamento
contribuiscono allo sviluppo delle risorse cognitive sia in termini di velocità che in termini di quantità.
Pertanto, il mio invito è quello di utilizzare gli elementi della teoria cognitivista per promuovere nel contesto classe
delle attività di allenamento di apprendimento di potenziamento che possono aumentare la velocità di elaborazione
ma anche la quantità di informazioni che possono essere elaborate contemporaneamente.
Un aumento di capacità sottende un miglioramento delle capacità di elaborazione con lo sviluppo i bambini riescono
ad elaborare contemporaneamente numerose informazioni mentre inizialmente tendono ad elaborare
un'informazione per volta abbiamo visto come con il modello di Piaget come questa tendenza ad elaborare
un'informazione per volta è una tendenza che contrasta il pensiero logico quindi un alunno che tende ad elaborare
una informazione alla volta non riesce a compiere dei ragionamenti di tipo causale e soprattutto ad organizzare in
maniera logica le informazioni.
Inoltre, e gli individui diventano sempre più rapidi nell'elaborazione delle informazioni e questa rapidità viene spesso
misurata in termini di tempi di reazione. Quindi quanto tempo impiega l'alunno a dare una risposta alle mie
sollecitazioni come insegnante. La velocità è associata ad una buona prestazione a livello cognitivo e il segreto sono
le strategie efficaci di elaborazione delle informazioni.
Quindi quello che voi dovete promuovere negli alunni sono l'utilizzo di strategie di elaborazione delle informazioni
che gli permettano di essere rapidi e gli permettono di elaborare il numero maggiore di informazioni possibili
contemporaneamente.
Fondamentalmente affronteremo insieme diversi meccanismi di elaborazione delle informazioni che cambiano nel
tempo. L'individuo esposto alle informazioni presentate nel contesto classe deve compiere tutta una serie di processi
cognitivi. In particolare, deve codificare le informazioni fornite dall'insegnante.
La codifica è un processo di trasformazione degli input sensoriali e migliora con la capacità di ignorare le informazioni
ridondanti e gli permette di focalizzarsi su quelle salienti.
Mentre voi state ascoltando il video delle mie lezioni vedrete come molte delle informazioni che io propongo sono di
natura ridondante, vengono ripetute.
Mentre ci sono delle informazioni nuove, informazioni che sono estremamente rilevanti. Il vostro compito sarà
pertanto quello di selezionare le informazioni rilevanti e di trasformarle in Significato ed elaborare il significato e
trasformarlo in rappresentazioni mentali che siano coerenti con le conoscenze che voi già possedete.
Un altro processo che l'insegnante può promuovere per migliorare l'apprendimento è il processo dell'automaticità è
il processo attraverso cui si elaborano le informazioni con il minimo sforzo cognitivo ad esempio nel contesto classe il
processo di lettura e di scrittura devono diventare automatici in modo che l'individuo possa liberare risorse cognitive
da dedicare al contenuto. Se il processo di scrittura non è automatico l'individuo deve compiere uno sforzo cognitivo
notevole per poter scrivere in maniera corretta in maniera coerente e non può quindi focalizzarsi sul contenuto.
Ecco quindi che l'insegnante è un promotore di conoscenza ma anche di competenze che devono essere
automatizzate.
Inoltre, gli individui devono costruire una strategia di apprendimento in quanto l'apprendimento avviene nei contesti
educativi utilizzando strategie diverse e queste strategie possono essere più o meno efficaci.
La strategia è un processo attraverso cui i bambini elaborano le informazioni e le strategie possono caratterizzarsi
per una auto modifica ovvero si adattano in base alle nuove situazioni di apprendimento.
Pertanto, se una strategia di apprendimento è disfunzionale dovrebbe essere abbandonata per lasciare spazio ad
una strategia più funzionale. Infine, vedremo nel corso delle mie lezioni il processo di metacognizione: è il processo
attraverso cui i bambini riflettono sulla conoscenza delle proprie azioni e quindi riflettono sul modo in cui
acquisiscono le informazioni e su come sanno ciò che hanno acquisito.
Ecco, il primo argomento che tratteremo insieme in questa lezione è l'argomento dell'attenzione. Insieme alla
motivazione è un aspetto centrale per l'apprendimento in quanto l'attenzione è l'interfaccia tra l'individuo e
l'ambiente.
Grazie ai processi di attenzione l'individuo può apprendere le informazioni che vengono trasmesse dagli insegnanti e
può focalizzarsi sulle informazioni rilevanti. Ho scelto per aprire questo argomento una vignetta molto divertente nel
quale un alunno guarda l'orologio appeso sulla parete della propria classe e fa questo commento.
Guardando l'orologio dice “Guarda sono quasi le 11! Wow, le ultime due ore sono veramente volate e poi fa una
riflessione e quindi l'alunno dice" a “Spero che l'insegnante non abbia detto nulla di importante”.
Ecco, un alunno di questo tipo è un alunno estremamente a rischio di insuccesso scolastico in quanto è un alunno
che ha trascorso le ultime due ore di lezione senza focalizzarsi minimamente sulle informazioni importanti trasmesse
nel contesto classe.
Quindi quali sono le strategie che l'insegnante può utilizzare per migliorare i processi di attenzione e in particolare in
che cosa consiste l’attenzione?
Ecco i meccanismi dell'attenzione sono fondamentalmente tre quindi un individuo si trova in uno stato di allerta e
l'allerta è la quantità di attenzione dedicata ad un compito.
L'allerta è massima di fronte agli stimoli nuovi mentre diminuisce progressivamente di fronte agli stimoli noti. Un
altro processo di attenzione prende il nome di attivazione e implica l'attivazione di circuiti neuronali specifici legati
alla percezione.
Pertanto, le mie aree neuronali si attivano di fronte a stimoli di natura visiva. E questa attivazione può essere guidata
dalla dalle caratteristiche degli stimoli percettivi, ma badate bene anche dalle mie esperienze pregresse e dai
significati personali, per cui l’attivazione delle aree cerebrali segue un processo non soltanto di basso livello quindi
che è determinato dagli stimoli sensoriali ma anche i processi di alto livello governate dalle aree cerebrali.
Le mie esperienze passate fanno in modo che le esperienze sensoriali diventino salienti perché sono familiari perché
sono state apprese in circostanze precedenti o perché sono associate ad un vissuto emotivo a particolare.
Pertanto, il compito dell'insegnante è quello di promuovere nell’alunno delle esperienze di apprendimento nelle
quali l'alunno impara ad associare a determinati contenuti percettivi una certa rilevanza. Una rilevanza non soltanto
di natura fisica intesa come densità di colore di numerosità di dettagli eccetera ma soprattutto una rilevanza di tipo
culturale. È pertanto compito dell'insegnante sottolineare quali sono le informazioni rilevanti in un determinato
compito di apprendimento, quali sono le strategie che l’insegnante utilizza per sottolineare l’importanza di queste
informazioni. Per esempio, le immagini l'uso dei colori la grandezza della scrittura e via dicendo.
Infine, un ultimo meccanismo di attenzione è il meccanismo dell'orientamento. Questo meccanismo è
estremamente importante in quanto consiste nell’orientamento spaziale dell'attenzione.
L'attenzione spaziale è orientata in modo esplicito e si accompagna spesso a rotazione del capo o degli occhi.
Fate bene attenzione perché molto spesso l'orientamento dell’attenzione avviene in maniera implicita in assenza di
movimenti oculari.
Pertanto, è possibile che gli alunni stiano prestando un'attenzione uditiva ai contenuti delle vostre parole anche se
non vi stanno guardando negli occhi e se col corpo non sono direttamente orientati verso di voi.
Comunque l'orientamento dell'attenzione è un aspetto fondamentale per esporre l'alunno all'accesso alle
informazioni rilevanti e gli insegnanti spesso utilizzano delle strategie per facilitare l'orientamento verso le
informazioni importanti ad esempio distribuiscono gli alunni in cerchio per fare in modo che gli alunni possano in
qualche modo avere un accesso facilitato alle informazioni oppure gli alunni con particolari difficoltà di attenzione
vengono avvicinati alla lavagna o le fonti di informazione in modo che non vi siano barriere tra loro e le informazioni
proposte dall'insegnante.
I processi di attenzioni oltre alle tre componenti assumono delle tipologie differenti e queste tipologie sono
essenzialmente tre l'attenzione sostenuta l'attenzione selettiva l'attenzione divisa. Queste tre tipologie di attenzione
sono funzionali per l'apprendimento e l'insegnante deve cercare di promuovere queste tre tipologie di attenzione
nel corso delle attività didattiche. Il primo tipo di attenzione prende il nome di attenzione sostenuta e consiste nella
capacità di prestare attenzione per un tempo prolungato ad un oggetto o a un evento anche in presenza di eventuali
cambiamenti. L'attenzione sostenuta è necessaria ad esempio nei processi di lettura nel quale l'individuo deve
prestare un tempo di attenzione significativo per poter comprendere il testo. L’alunno deve essere in grado di
leggere un testo anche se intervengono dei cambiamenti nell'ambiente ad esempio se un compagno parla ad alta
voce o se l'insegnante fa una domanda ad un altro compagno o cerca di intervenire nel caso di comportamenti di
disturbo. È fondamentale anche nel corso del vostro apprendimento e-learning che voi applichiate un’attenzione
sostenuta significativa alle lezioni nei video e alle lezioni presentate sotto forma di testo.
L'altro tipo di attenzione prende il nome di attenzione selettiva e consiste nella capacità di prestare attenzione ad un
aspetto specifico dell'ambiente. Per quanto riguarda gli apprendimenti questo tipo di attenzione è fondamentale ad
esempio nell'apprendimento della lettura di fronte ad un testo scritto.
È fondamentale che gli alunni sappiano identificare le lettere che compongono una parola e sappiano poi
concatenare queste lettere.
Pertanto, tutti i compiti di apprendimento richiedono non soltanto un’attenzione sostenuta al compito ma anche la
capacità di scegliere le informazioni rilevanti. Ad esempio, in una scheda didattica l'alunno non deve
necessariamente leggere tutto il contenuto ma può focalizzarsi sul titolo, sulle istruzioni e poi eseguire determinati
esercizi tralasciando ad esempio altri.
L'attenzione selettiva come vedete quindi è alla base di strategie di apprendimento efficaci che possano
massimizzare l'apprendimento riducendo lo sforzo da parte dell'alunno. Un altro tipo di attenzione importante che
viene esercitata dagli alunni nei contesti educativi è la cosiddetta attenzione divisa. Consiste nella capacità di
prestare attenzione contemporaneamente a due elementi specifici dell'ambiente ad esempio nel contesto classe gli
alunni possono prestare attenzione al linguaggio verbale dell'insegnante e contemporaneamente leggere le
informazioni che sono state rappresentate nella lavagna.
Questa capacità consente di integrare le informazioni provenienti da 2 canali e quindi arricchire le conoscenze da
parte degli alunni.
Ecco brevemente vorrei concludere questa lezione indicandovi come evolvono i processi di attenzione dalla nascita
fino all'età adulta. In particolare, all'adolescenza. Ecco i processi attentivi sono presenti sin dalla nascita e i neonati
sanno identificare e fissare i contorni di uno stimolo. A 4 mesi sanno prestare attenzione selettiva e sostenuta ad un
oggetto e l'attenzione selettiva, che è un prototipo dell'attenzione volontaria, si manifesta e gli permette di
manifestare la preferenza per alcuni stimoli. Questo tipo di attenzione è presente sin dalle prime settimane di vita.
Vedete quindi come voi potete lavorare in classe su processi di attenzione, l’attenzione sostenuta e l'attenzione
selettiva, che sono presenti fin dall'età precocissima e che quindi gli alunni hanno avuto modo di allenare nelle
proprie esperienze di vita.
Paradigma classico per studiare l'attenzione nei bambini non verbali è il paradigma dell'abituazione. Mi preme
spiegare questo tipo di paradigma perché può essere utile per comprendere anche come funziona l'attenzione degli
alunni. Anche se non viene esplicitamente descritto questo da parte dell'alunno, il processo che vi descrivo e prende
il nome di abituazione. Si presenta lo stesso oggetto, una sequenza di azioni ripetute fino a quando i bambini
perdono interesse e quindi il tempo di osservazione decresce.
Se si propone un oggetto nuovo, una nuova sequenza di azioni, il tempo di osservazione aumenta. Questo paradigma
si utilizza per comprendere in quali oggetti sono percepiti come diversi da quelli a cui il neonato si è abituato.
Qui vedete in questa immagine un neonato nel grembo della sua mamma che osserva due stimoli che sono uguali.
Dopo che il neonato si è abituato. quindi, i tempi di attenzione decrescono e si presentano stimoli nuovi e si vede se
c'è la ripresa dell'attenzione. Ecco questo paradigma così semplice ci dà delle informazioni anche come insegnanti
perché il processo di abituazione e di disabituazione agisce costantemente anche nei processi di apprendimento in
classe pertanto. Ricordatevi che quando gli alunni sono esposti ripetutamente allo stesso tipo di informazioni i tempi
di attenzione possono decrescere e quindi l'attenzione può diventare poco funzionale all'apprendimento.
Un modo per riprendere i processi di attenzione è quello di presentare delle novità in modo da attivare il processo di
disabituazione e fare in modo che l'alunno si focalizzi di nuovo sui contenuti di apprendimento.
Un altro paradigma che viene utilizzato sempre col bambino preverbale per studiare i processi di attenzione è il
paradigma della preferenza visiva. Si presentano al bambino due oggetti diversi e si studiano i tempi di osservazione.
In questa immagine che vedete nella diapositiva che ho scelto per voi si vedono due immagini di due animali un
pesce rosso e un cagnolino e al centro vedete in quel buchino scuro è presente una telecamera che consente di
osservare la direzione dello sguardo del bambino nell'osservare questi stimoli. Ecco la direzione dello sguardo indica
che se il bambino mostra maggiore interesse, maggiore attenzione verso uno stimolo significa che ha una preferenza
verso quel particolare stimolo. Perché ho scelto di presentarvi questo paradigma anche se rappresenta bambini
molto piccoli?
Perché voglio dirvi che i tempi di attenzione sono indicatori dell'interesse, quindi maggiore è il tempo di attenzione
verso i contenuti di a p p r e n d i m e n t o m a g g i o r e è l ' i n t e r e s s e d e l l ’ a l u n n o v e r s o
quell’apprendimento e maggiori sono le opportunità di apprendere determinati contenuti.
Pertanto, il compito dell'insegnante è quello di spingere gli alunni verso sempre ottimali condizioni di attenzione nei
contenuti di apprendimento. I ricercatori utilizzano il processo di abituazione e attenzione in modo selettivo agli
stimoli e per abitazione si intende una risposta diminuita rispetto ad uno stimolo dopo ripetute presentazioni. Per
disabituazione invece recupero della risposta abituata dopo un cambiamento.
Pertanto, è importante è che voi sappiate che l’attenzione è governata dalle novità e dell'abituazione, tale per cui
quando uno stimolo diventa familiare l'attenzione decresce per poi riprendere di fronte agli stimoli nuovi. I neonati
con danno cerebrale non presentano un processo di abituazione nella norma mentre voi chiaramente potete quindi
lavorare con i processi di abituazione e disabituazione nel contesto classe.
Che cosa succede con lo sviluppo al procedere dell’età? I bambini sono sempre più capaci di concentrarsi sul
compito per periodi prolungati, di pianificare la ricerca delle informazioni importanti che li aiutano a raggiungere uno
scopo e di focalizzarsi su un’informazione pertinente dopo i 6-7 anni i bambini sanno pianificare eseguire una ricerca
visiva sistematica per svolgere un compito, per risolvere un problema, e questo cambiamento evolutivo riflette il
passaggio di un controllo cognitivo all'attenzione che permette ai bambini di agire in maniera impulsiva e più
riflessiva.
Uno degli argomenti che tratteremo insieme saranno, infatti, i processi di autoregolazione che permettono ai
bambini di autodeterminare il proprio percorso di apprendimento.
L'attenzione per le informazioni salienti aumenta con lo sviluppo e diminuisce la tendenza di elaborare i dettagli
rilevanti. Aumenta la capacità di dividere l'attenzione su più fronti e aumenta anche la capacità di sostenere
l'attenzione. Quindi io vi ringrazio appunto per l'attenzione che avete dedicato a questa unità e passeremo nella
lezione successiva a parlare dei processi di memoria.
Come abbiamo detto nell'introduzione all'approccio cognitivista questa teoria si è occupata dei processi che sono
centrali per l'apprendimento, tra cui l'attenzione, la memoria e il ragionamento. In questa lezione ci occuperemo dei
processi di memoria.
In questa vignetta molto divertente si vede praticamente come l'alunno cerchi di dare un senso alle conoscenze che
vengono trasmesse in classe fornendo delle elaborazioni del tutto personali che non sempre vanno nella direzione
dei significati che vengono trasmessi dall'insegnante.
In questa diapositiva successiva ho rappresentato il cervello come un sistema elettronico che trasmette delle
informazioni perché vorrei ricordarvi che tutti i processi che descriveremo verranno descritti come dei sistemi di
elaborazione delle informazioni.
Il cognitivismo infatti è quella corrente psicologica che utilizza il computer come modello per lo studio della mente e
pertanto utilizza un linguaggio che ha a che fare con l’elaborazione delle informazioni, la loro codifica e il loro
magazzino e immagazzinamento e il loro recupero.
La memoria viene pertanto definita come la capacità di conservare le informazioni nel tempo tramite processi di
trasformazione di ricordo e di recupero di questo ricordo.
Che differenza c'è tra comprendere e memorizzare? Esistono delle strategie che aiutano gli alunni a memorizzare
meglio i contenuti? E che relazione esiste tra la comprensione del contenuto e la capacità di ricordare di
immagazzinare questi contenuti e di recuperarli per raggiungere un certo obiettivo?
I cognitivisti hanno cercato di dare una risposta a tutti questi interrogativi e hanno fondamentalmente elaborato un
modello di memoria che si compone di almeno tre elementi. I processi naturalmente sono estremamente complessi
e in questa lezione io ho scelto di semplificarli presentandovi la descrizione di base dei processi di memoria che
andrebbero naturalmente approfonditi con i risultati della Ricerca Scientifica più recente. E tuttavia la mia idea è che
l'insegnante debba perlomeno padroneggiare queste conoscenze di base sui processi di memoria per poter sfruttare
il funzionamento del cervello nella progettazione di attività educative che possano massimizzare l'apprendimento da
parte degli studenti. Quindi secondo i cognitivisti i ricordi possono essere immagazzinati per periodi di permanenza
differenti a tre livelli a livello di una memoria a breve termine a livello di una memoria a lungo termine e tramite la
memoria di lavoro la Working Memory.
Che cos'è la memoria a breve termine? Si tratta fondamentalmente di una memoria di tipo sensoriale, è l'interfaccia
tra l'individuo e l'ambiente, ovvero un sistema di memoria che ha una limitata capacità di ritenzione delle
informazioni. Una volta che le informazioni sono state percepite possono restare nella memoria a breve termine per
circa 15/30 secondi. Questa memoria può contenere soltanto pochi pezzetti di informazioni alla volta e questi pezzi
sono delle unità, sono blocchi di informazioni che riescono ad essere elaborati insieme. Questi blocchi di
informazione possono essere contenuti dalla memoria a breve termine in quantità limitate, ovvero possono essere
presenti dei 5 ai 9 elementi ciascuno dei quali può a sua volta contenere diverse informazioni.
Se voi pensate alla vostra capacità di memorizzare un numero di telefono ad esempio vi rendete conto che una serie
più lunga di numeri, più lunga di 9 cifre di elementi, può essere ricordata se viene raggruppata in gruppi di cifre e
quindi la capacità di memoria a breve termine aumenta con il raggruppamento delle informazioni in unità. –
Che cosa succede poi alle informazioni nella memoria a breve termine? Se queste informazioni vengono in qualche
modo ripetute e reiterate, allora passano nella memoria a lungo termine che per definizione è una memoria nella
quale le informazioni vengono conservate per un periodo illimitato di tempo. Ora questa, diciamo, definizione è una
definizione piuttosto semplicistica in quanto i ricercatori hanno studiato in modo sperimentale le caratteristiche
della memoria a lungo termine e siamo incapaci di dire effettivamente per quanto tempo i ricordi vengono
conservati nella memoria a lungo termine e se effettivamente la capacità della memoria a lungo termine sia di tipo
illimitato. Quindi questa è una definizione diciamo un po' generale della memoria non corroborata da studi scientifici
ben definiti. Tuttavia, possiamo dire che la maggiore differenza tra memoria a breve termine e memoria a lungo
termine è il tempo per il quale vengono conservate le informazioni.
La memoria a lungo termine è la memoria che deve essere il target degli insegnanti in quanto in questa memoria
vengono conservate le conoscenze che vengono proposti nei sistemi scolastici.
Le informazioni vengono raggruppate all'interno di schemi mentali e di reti di significati che ne permettono il
recupero anche dopo tanto tempo. Infatti, le informazioni vengono inserite nelle informazioni già presenti nella
memoria dell'individuo e possono essere recuperati sulla base degli obiettivi necessari in un determinato momento.
La memoria a lungo termine si suddivide in memoria episodica e in memoria semantica.
La memoria episodica conserva la storia personale dell'individuo e ricordi riferiti a sé mentre la memoria semantica
deriva dalla memoria episodica attraverso degli schemi. La memoria semantica, quindi, racchiude i significati delle
esperienze regole più generali che possono essere generalizzati anche ad altri contesti e altre situazioni.
Per quanto riguarda la memoria episodica abbiamo detto che conserva la storia personale dell'individuo, i ricordi
riferiti al sé. Questi ricordi tuttavia sono isolati, connessi allo specifico contesto spazio-temporale, nei quali si sono
manifestati e a cui si riferiscono. Sono conservati secondo un criterio associativo senza un ordine logico e senza un
ordine cronologico. Questa memoria contiene il ricordo degli eventi ovvero episodi contestualizzati in termini
spaziali e temporali recuperabili senza particolare partecipazione emotiva. I ricordi personali sono invece costruiti
nella memoria autobiografica che vedremo insieme.
La memoria autobiografica è un tipo particolare di memoria che contiene non solo gli eventi ma anche i collegamenti
concettuali che descrivono questi eventi, i collegamenti emotivi e sociali che gli eventi hanno causato, e pertanto è
una memoria che raccoglie le informazioni sotto forma narrativa.
La memoria di eventi riferite al sé è il risultato di una costruzione sociale interattiva tra l'adulto e il bambino che
insieme condividono la codifica dell'esperienza soggettiva in forma narrativa. È attraverso il dialogo che abbiamo
studiato insieme nella teoria di Bruner e Vygotskij che l’adulto individua e organizza le proprie conoscenze sotto
forma di un racconto e di una storia.
Pertanto, nella memoria autobiografica gli eventi realmente accaduti si mescolano con la definizione di eventi che
vengono forniti dai partner sociali e della comunicazione e dalle descrizioni che l'individuo riceve nei membri
significativi della propria comunità. L'adulto nel dialogare col bambino utilizza un linguaggio in forma narrativa. Per
sottolineare l'importanza di alcuni aspetti dell'evento e favorirne il ricordo il bambino apprende questo modo di
codificare l'esperienza e la interiorizza nella memoria autobiografica.
L’insegnante da questo punto di vista ha un ruolo chiave in quanto l'insegnante costantemente nel contesto classe
propone agli individui in forma narrativa i contenuti della conoscenza.
Quindi gran parte della modalità con cui l'individuo conserverà gli elementi di conoscenza forniti in classe
rispetteranno il dialogo della narrazione che è stata costruita all'interno del gruppo.
Con l'apprendimento del linguaggio il bambino si impadronisce di un importante strumento culturale che gli
permette di riconoscere riorganizzare e di rielaborare la propria esperienza. Il ricordo congiunto è molto frequente
nelle pratiche familiari, nelle istituzioni scolastiche e nei contesti scolastici.
Il ricordo congiunto consiste quindi nel rielaborare insieme significati e diciamo che è maggiore la familiarità tra gli
individui, maggiori sono le storie condivise, elaborazione congiunta degli eventi.
La condivisione sociale dei ricordi è una conferma del senso di appartenenza ad una storia comune e rinforza
l'identità delle persone coinvolte per cui per ciò che riguarda la scuola è fondamentale che l'insegnante mette in atto
dei processi nei quali i bambini raccontano delle storie condivise delle esperienze compiute insieme come
appartenente al gruppo classe per sviluppare un'identità condivisa e quindi un’appartenenza all'istituzione
scolastica. Ricordatevi che gli alunni a rischio di abbandono e con basso rendimento scolastico sono spesso alunni
che non hanno sviluppato l'identità all'interno della classe quindi che non si riconoscono nell’istituzione scolastica e
che quindi non hanno un senso di appartenenza a questa istituzione.
Per quanto riguarda la memoria autobiografica c'è una corrispondenza tra lo stile genitoriale e la successiva capacità
del bambino di ricordare gli eventi.
Ci sono infatti dei genitori che vengono definiti alti collaboratori ovvero genitori che si accontentano di un livello
minimo di partecipazione del bambino alla rievocazione di un evento e completano loro con la descrizione dei
dettagli e racconto di una storia a ricostruire l'evento passato.
Altri genitori vengono definiti bassi collaboratori e sono dei genitori che di fronte alle difficoltà del bambino nel
ricordare un evento cambiamo argomento pertanto non offrono un modello di ricordo dell'evento stesso, non
offrono una narrazione. Ecco i risultati delle ricerche hanno indicato che i figli degli alti collaboratori producono
ricordi più particolareggiati e queste ricerche sono importanti per gli insegnanti perché ci indicano come la
narrazione degli eventi non deve essere, almeno in un momento iniziale, esclusivamente a carico degli alunni, ma
l'insegnante può con la propria narrazione, con il dialogo, presentare una narrazione e la conta degli eventi che poi
può essere interiorizzata dagli alunni e entrare a far parte del loro ricordo.
Parliamo adesso della memoria semantica. Questa memoria deriva dalla memoria episodica.
Nella memoria semantica i ricordi vengono organizzati in copioni definiti script ed elaborati tramite linguaggio che
consente di generalizzare, di esplicitare la conoscenza di eventi.
La memoria semantica contiene la rappresentazione dei concetti e delle loro relazioni cioè tutte le conoscenze che si
formano con l'aiuto dei processi di astrazione.
La memoria semantica contiene sistemi di conoscenza organizzate, integra i concetti formati su base sensoriale in un
sistema gerarchico all'interno del quale gli oggetti e gli eventi possono essere categorizzati e denominati. La
memoria semantica è la memoria che costituisce il target dei processi di insegnamento e di apprendimento della
scuola in quanto l'insegnante non è troppo interessato al fatto che i bambini ricordino degli elementi
particolareggiati di un evento ma piuttosto che costruiscono delle mappe e delle reti semantiche che gli permettano
di collegare i concetti tra loro e poi di recuperare ricordi in vista di un obiettivo.
Ecco per concludere parliamo proprio del tipo di memoria che consente di recuperare le informazioni per risolvere
un compito. Questa memoria prende il nome di memoria di lavoro ed è finita in questo modo perché una memoria
che si attiva per eseguire un compito in vista di un obiettivo.
La memoria di lavoro consente l'assemblamento e l'elaborazione delle informazioni mentre si prendono decisioni, si
risolvono i problemi e si interpreta il linguaggio scritto e orale.
La memoria di lavoro si compone di due elementi di memoria a breve termine uno per linguaggio e l'altro per le
informazioni visuo-spaziali.
Si compone inoltre di un esecutivo centrale che controlla in modo consapevole il sistema, decide quali informazioni
vengono immagazzinate, mette in relazione le informazioni della memoria a breve termine con quelle della memoria
a lungo termine.
In questa diapositiva potete osservare quello che è uno schema della memoria di lavoro. Vedete quindi si tratta di
un'architettura estremamente complessa dove c'è l'esecutivo centrale che governa il flusso delle informazioni della
memoria a breve termine. Le memorie a breve termine sono essenzialmente tre: la memoria fonologica, la memoria
visuo-spaziale e il buffer episodico.
Nella memoria fonologica abbiamo appunto gli aspetti legati ai suoni e gli aspetti legati all'articolazione dei contenuti
che vengono prodotti.
Diciamo che l'esecutivo centrale dirige l'attenzione verso le informazioni rilevanti e fa in modo di sopprimere le
informazioni rilevanti inappropriate coordinando i processi cognitivi quando un compito deve essere svolto insieme
ad un altro compito. L’esecutivo centrale integra le informazioni del loop fonologico (un circuito che conserva e
mantiene le informazioni fonologiche - i suoni linguistici) e il taccuino visuo-spaziale che conserva le informazioni
visive e spaziali (ad esempio le mappe mentali, le forme e i colori).
Nel 2000, Baddeley ha integrato il modello aggiungendo il buffer episodico, che conserva le rappresentazioni che
integrano le informazioni fonologica e spaziali visive e altre informazioni. Queste informazioni non sono elaborate
dagli altri due sistemi all'interno di una rappresentazione semantica unitaria, pertanto le informazioni sono custodite
temporaneamente. Il buffer episodico è estremamente importante perché ci dice che anche la memoria di lavoro
pertanto non agisce in maniera estemporanea quindi non attiva i suoi processi in maniera nuova di fronte ai diversi
obiettivi ma fa tesoro delle esperienze passate. Pertanto, grazie al buffer episodico si recupera la strategia ed
elaborazione delle informazioni che si sono rivelati efficaci in passato e che consentono all'individuo di massimizzare
il proprio apprendimento o di ottenere il massimo risultato dalle proprie azioni mettendo in atto una capacità di
elaborare le informazioni visuo-spaziali, informazione acustica e funzionale all'esecuzione di un determinato
compito. La Working Memory e quel tipo di memoria che ci permette ad esempio di ritrovare un percorso all'interno
di un contesto nel quale abbiamo lavorato per tanto tempo e per il quale nel quale invece ultimamente non abbiamo
più avuto modo di lavorare quindi la memoria di lavoro Attiva le informazioni visuo-spaziali per farci ritrovare le
azioni di determinati oggetti che è da tanto tempo che non utilizziamo. Vedete quindi come è una memoria di
interfaccia tra le informazioni provenienti dall'ambiente e le informazioni provenienti dalla memoria a lungo termine
nella quale noi abbiamo conservato delle conoscenze e delle strategie che possono essere utili per gli
apprendimenti. La memoria di lavoro è memoria centrale per l'apprendimento di lettura scrittura e tutti i processi di
apprendimento che vengono innescati dalla scuola. La memoria di apprendimento è la memoria di lavoro. La
memoria centrale per l'apprendimento e può essere stimolata degli insegnanti attraverso delle attività che implicano
la risoluzione di un problema l'esecuzione di un compito.
Abbiamo visto un elemento centrale della memoria di lavoro è costituito dall’esecutivo centrale che quindi tende a
focalizzare l'attenzione sono informazioni rilevanti a inibire altre informazioni che potrebbero interferire col
compito. Come si può potenziare la memoria di lavoro?
Si può potenziare attraverso attività che implicano la capacità dell'alunno di organizzare in sequenza le informazioni,
di stabilire le relazioni tra le informazioni, quindi dalla più pregnanti alla meno premiante, quindi mettere in
sequenza, categorizzare tutto ciò che può riguardare la capacità dell'alunno di recuperare informazioni dalla
memoria a lungo termine per raggiungere un obiettivo didattico specifico nel contesto educativo.
Quindi il mio consiglio è che gli insegnanti utilizzino queste modalità di funzionamento del cervello per ottimizzare gli
apprendimenti e stimolando non soltanto la memoria a lungo termine con la creazione quindi di contenuti semantici
organizzati in maniera gerarchica ed i collegamenti tra i concetti ma anche organizzando l'esperienza dell'alunno in
forma narrativa per stimolare la memoria autobiografica e soprattutto potenziando quella che la memoria di lavoro
mettendo l'alunno in condizioni di risolvere problemi che sono rilevanti per le attività da svolgere in classe e sono
funzionali per gli apprendimenti stessi.

In questa lezione parleremo dei processi di metacognizione. La metacognizione è il sapere di sapere che include la
conoscenza su quando e dove utilizzare particolari strategie per apprendere e per risolvere i problemi.
Un processo che rientra a livello di metacognizione è la metamemoria che include la conoscenza individuale rispetto
alla propria memoria ovvero sapere come funziona la nostra memoria e quali sono le condizioni che permettono di
massimizzarla. Le conoscenze metacognitive sono fondamentali per l'apprendimento in quanto lo scopo
dell'insegnante è quello di fare in modo che lo studente sia autodetermini nel processo di apprendimento ed abbia
sempre minori necessità di intervento da parte dell'insegnante.
Riuscire a stimolare negli alunni la consapevolezza di quali sono le condizioni ottimali per l'apprendimento per la
memorizzazione significa massimizzare e aumentare le probabilità di successo scolastico.
Ad esempio per quanto riguarda questo corso e-learning voi potete riflettere su quali sono le condizioni migliori per
memorizzare le informazioni fornite dalle lezioni video dalle schermate testuali e potete organizzare questa
conoscenza in maniera coerente includendo la nelle conoscenze da voi già possedute e massimizzando le strategie di
apprendimento come dicevo nell'introduzione scegliendo un luogo tranquillo e isolato appunto per studiare un
ambiente che vi consenta di massimizzare l'attenzione verso le informazioni rilevanti e ridurre eventualmente le
distrazioni.
Per quanto riguarda la metacognizione, la metacognizione è un processo che evolve nel tempo e quindi si presenta
in misura diversa nei bambini a seconda dell'età. Le informazioni principali che voglio fornirvi sono relative a quello
che succede nel passaggio dall'età prescolare all'adolescenza entro i 5-6 anni i bambini sanno che i concetti familiari
sono più facili da apprendere rispetto ai concetti non familiari. Che gli elenchi brevi sono più facili da imparare
rispetto agli elenchi lunghi e che riconoscere le informazioni è più facile che ricordarle. Inoltre, dimenticare diventa
più probabile col passare del tempo nel contesto di apprendimento.
Per quanto riguarda la metacognizione nei bambini e adolescenti entro il quinto anno della scuola primaria si
comprende anche che ricordare il contenuto è più facile che ripetere un contenuto di per sé mentre i bambini in età
prescolare hanno un'opinione esagerata sulle loro capacità mnemoniche, ché sono valutati in modo più realistico
negli ultimi anni della scuola primaria.
Pertanto, attenzione perché quando lavorate con gli alunni nella scuola primaria soprattutto i primi anni è possibile
che sovrastimino la loro capacità di ricordare un contenuto e pertanto non mettano in atto tutte quelle strategie che
possono essere necessarie per l'apprendimento.
Entro i 7 – 8 anni i bambini iniziano ad apprezzare l'importanza dei suggerimenti per la memoria e i bambini della
scuola primaria migliorano le loro capacità metacognitive di monitorare in maniera consapevole e di controllare i
processi mentali, vanno incontro ad un apprendimento di tipo autoregolato.
Ovvero sono in grado di autogenerare e di auto monitorare i pensieri i sentimenti e i comportamenti che
intraprendono per raggiungere un obiettivo.
Gli adolescenti sono decisamente i più abili dei bambini nel gestire e monitorare le loro attività di apprendimento.
Hanno un miglior livello metanalitico di comprensione delle strategie cioè hanno la capacità di riconoscere la
migliore strategia da utilizzare e il momento in cui utilizzarla.
Gli adolescenti sono decisamente più introspettivi dei bambini e possono valutare i propri pensieri e le proprie
emozioni per riuscire almeno nelle prestazioni di apprendimento.
È vero anche il contrario ovvero che questa grande attenzione verso il mondo emotivo del mondo psicologico da
parte dell'adolescente può interferire con l'apprendimento.
È fondamentale pertanto che gli insegnanti creino nella classe un clima di fiducia e un clima sereno che faciliti
l'apprendimento e che consenta all'adolescente di distogliersi dalle proprie preoccupazioni personali o delle proprie
idee riferite alla propria condizione personale per poter apprendere in un clima caratterizzato da un'emotività
positiva che possa quindi promuovere l'apprendimento e la soddisfazione nell'apprendimento.
Uno degli aspetti della metacognizione di cui vorrei parlarvi, per concludere l’illustrazione dei processi metacognitivi,
è il concetto di teoria della mente. Questo concetto è un concetto estremamente importante in quanto riguarda la
capacità degli individui di elaborare una teoria su come funzionano i processi mentali alla base del comportamento.
Nel contesto classe gli individui non fanno altro che leggere il comportamento dell'insegnante in termini di stati
mentali.
Leggono anche il comportamento dei compagni in termini di intenzioni di desideri di credenze di opinioni. E pertanto
i comportamenti sociali che si realizzano nel contesto di apprendimento vengono interpretati alla luce di questa
teoria della mente. Perché si chiama teoria? Perché gli individui possiedono un sistema di conoscenze e di
competenze integrate tra loro che possono spiegare il comportamento umano in termini di stati mentali.
Pertanto, io penso che l'insegnante scrive alla lavagna perché vuole comunicarmi un contenuto e perché intende che
quel comportamento indicato alla lavagna che quell'informazione indicata alla lavagna sia un contributo rilevante.
Pertanto tutti i processi di apprendimento e di insegnamento vengono letti dagli alunni in termini di stati mentali e
da questa lettura e dall'accuratezza con cui gli alunni mettono in atto questa lettura dipende il successo e il
rendimento scolastico, ovvero gran parte del successo nel contesto classe dipende da quanto gli studenti sono
strategici e sono abili nel comprendere le aspettative degli insegnanti e le sue intenzioni e nel rispondere, quindi, agli
aspetti psicologici alla base del comportamento.
Ma come si può valutare la teoria della mente e nel contesto educativo? Allora innanzitutto è stato ideato dai
ricercatori un compito che prende il nome di compito della falsa credenza.
Questo compito valuta la capacità di bambini di mettersi nei panni dell'altro e quindi di comprendere lo stato
mentale dell'individuo che sta alla base del loro comportamento.
Il compito della falsa credenza consiste in una storia molto semplice che viene qui in questa diapositiva illustrata
nella quale si presentano ai bambini 2 bamboline una bambolina Sally e una bambolina Anna. La bambolina Sally ha
una palla che nasconde dentro un cestino e a questo punto la bambolina Sally lascia la stanza e mentre lei non c'è la
bambolina Anna prende la biglia e la trasporta dal cestino alla scatola.
A questo punto Sally ritorna e viene chiesto ai bambini dove Sally cercherà la palla e perché. Questo compito molto
semplice è in grado di discriminare tra i bambini che possiedono un'attività della mente e quelli che non la
possiedono. I bambini che possiedono la teoria della mente diranno che Sally cercherà la palla dove l'aveva lasciata
perché non sa che è stata spostata pertanto la loro teoria della mente gli dice che se un individuo non ha visto che è
avvenuto uno spostamento il suo comportamento lo porterà a cercare l'oggetto laddove era stato riposto
inizialmente.
I bambini che non possiedono una teoria della mente diranno che Sally cercherà la palla dove si trova realmente in
quanto secondo loro il comportamento dell'individuo è regolato dalla realtà dei fatti e non dalle credenze e dalle
opinioni sulla realtà dei fatti che talvolta possono essere anche diverse dalla realtà. Solitamente i bambini con uno
sviluppo atipico superano la prova di falsa credenza attorno ai 4 anni di età tra i 3 anni e mezzo e quattro anni e
mezzo con delle differenze individuali.
Tuttavia, esistono dei casi di bambini con sviluppo neurologico atipico che a causa di una patologia come ad esempio
l'autismo non sono in grado di superare la prova della falsa credenza. Riescono a superare questa prova a 10 anni di
età mentale.
Sono pertanto dei bambini che restano completamente ciechi all'intenzione degli altri individui alla base del
comportamento e reagiscono al comportamento degli altri come se fosse guidato dalla realtà dei fatti. Naturalmente
questa è una prova molto semplice che richiede, per fare una valutazione delle abilità di teoria della mente, di abilità
cliniche importanti e quindi non può essere somministrata con leggerezza ma io la presento qui a lezione come
esempio paradigmatico di come si può porre un bambino di fronte a delle situazioni critiche che permettono di far
emergere se interpreta il comportamento in termini di stati mentali oppure interpreta un comportamento in base
alla sua visione egocentrica della realtà.
Questa abilità della teoria delle mente non emerge improvvisamente nello sviluppo tra i 3 anni e mezzo e i 4 anni e
mezzo ma si fonda su una serie di precursori che per i fini delle conoscenze che vorrei trasmettervi con le mie lezioni
mi limito ad elencare in questa diapositiva.
La teoria della mente si fonda pertanto sull'abilità di attenzione congiunta di comunicazione intenzionale tramite
l'utilizzo dei gesti come adesso di indicazione sulle abilità di imitazione sulle abilità di gioco di finzione sulla
distinzione tra apparenza e realtà.
Quindi sulla capacità di comprendere che un oggetto può apparentemente sembrare possedere determinate
caratteristiche ma che in realtà ne possiede altre ad esempio ci sono degli oggetti come delle spugne che possono
apparentemente sembrare ad esempio delle rocce o delle pietre.
Tuttavia, i bambini riescono a distinguere attorno ai 3 anni di età qual è la distinzione tra la forma apparente di un
oggetto e la sua sostanza.
Inoltre, la capacità di elaborare una teoria della mente si fonda sulla abilità metacognitive ovvero sulla capacità di
elaborare rappresentazioni mentali di secondo ordine. Una rappresentazione mentale di prim'ordine è la conoscenza
diretta della realtà invece la rappresentazione di secondo ordine è la capacità metacognitiva di pensare alla realtà
circostante. Quindi io penso a come mi rappresento la realtà dei fatti.
Ecco tutti questi precursori emergono nel bambino entro il secondo anno di vita e sono fortemente compromessi nei
bambini con disturbo dello spettro autistico. In questa lezione vorrei quindi pertanto lanciare un messaggio agli
insegnanti che è relativo al fatto che le abilità sociali che voi trovate negli alunni delle vostre classi si sviluppano
naturalmente si fondano su questa abilità fondamentali che emergono nei primi due anni di vita e che possono
tuttavia risultare compromessa in caso di patologie dello sviluppo che determinano dei deficit nell'interazione
sociale con conseguente vulnerabilità anche per quanto riguarda gli apprendimenti, non tanto per difficoltà di
apprendimento ma per difficoltà di comprendere i comportamenti che le persone che agiscono nei contesti educativi
mettono in atto per veicolare gli apprendimenti.
La teoria della mente ha pertanto uno sviluppo che copre i primi anni di vita. Anche i bimbi più piccoli sono curiosi
rispetto alla natura della mente umana. Quando i bambini hanno due o tre anni iniziano a comprendere
fondamentalmente le percezioni i desideri e le emozioni ma non soltanto una minima cognizione di come l'attività
mentale possa essere legata al comportamento.
Tra i 4 e 5 anni iniziano a capire che la mente può rappresentare gli oggetti e gli eventi in modo dettagliato, ma che
queste rappresentazioni mentali possono essere anche sbagliate come nella prova di Sally e Anna e che possono
essere sbagliate perché l'individuo non ha assistito alle trasformazioni che hanno quindi modificato la
rappresentazione sulla corrispondenza tra la rappresentazione mentale e la realtà dei fatti.
Pertanto, i bambini tra i 4 anni e 5 anni diventano consapevoli che l'accesso alla conoscenza è fondamentale per
formare delle rappresentazioni che siano realistiche e quindi che non era la conoscenza del mondo in sé che guida le
azioni ma è la possibilità di modificare queste conoscenze in base alla realtà dei fatti che rende i comportamenti
congruenti o incongruenti con le circostanze esterne. Con la seconda infanzia, la fanciullezza, i bambini concepiscono
la mente come un'attività costruttrice di conoscenza, quindi come un centro di elaborazione.
La realtà non influenza direttamente il nostro comportamento ma è la mente che media la relazione tra la realtà
esterna e il comportamento.
I bambini passano perciò da una comprensione che le convinzioni possono essere sbagliate alla comprensione che la
mente attiva un processo interpretativo che si traduce in una consapevolezza che lo stesso evento può essere
interpretato in svariati modi da individui diversi a seconda dell'accesso alla conoscenza a cui sono stati esposti.
Nella prima infanzia esiste una comprensione molto precoce che le azioni delle persone sono governate da
intenzioni, da obiettivi. In uno studio condotto nel 1998 dalla Woodward è stato dimostrato che i bambini a 5 mesi di
età abituati alla visione di un filmato nel quale una persona afferra sempre lo stesso oggetto si disabitua nel mondo
pronunciato quando cambia l’obiettivo dell’azione rispetto al cambiamento di un movimento e pertanto a partire dai
5 mesi i bambini sono in grado di predire quello che è l'obiettivo di un movimento e quindi di completare anche
un'azione interrotta da parte degli individui.
Su questa base e su questa comprensione dell’intenzione delle azioni si basa gran parte dell'apprendimento a scuola.
L'insegnante compie tutta una serie di atti come ad esempio prendere in mano un libro prendere in mano un
quaderno, fare il tentativo di scrivere alla lavagna e già dalla comprensione dell'intenzione di queste azioni gli alunni
si auto organizzano e si creano delle aspettative circa le intenzioni degli insegnanti.
Quindi se l'insegnante scrive alla lavagna gli alunni comprendono che non sta scrivendo un contenuto che è
significativo soltanto per sé ma che è un contenuto di apprendimento importante per la classe, per tutta la classe e
di conseguenza orienteranno la loro attenzione verso i contenuti scritti alla lavagna.
Capite bene che un alunno che non possiede questo tipo di comprensione è impossibilitato nell'accesso alla
conoscenza e quindi deve essere aiutato attraverso sistemi che aiutano il bambino a comprendere le intenzioni alla
base del nostro comportamento.
Un caso speciale natura in cui questa capacità di attribuire le intenzioni alla base delle azioni è compromessa
abbiamo detto è il caso del disturbo dello spettro dell'autismo.
A 18 mesi i bambini sono in grado di imitare gli atti interrotti completando l'azione. Quindi in età precocissima gli
individui sanno qual è l'obiettivo della tua azione anche se tu non la porti a termine.
A quest'età emerge il gioco simbolico e l'empatia, ovvero la capacità di cogliere un'emozione nell'altro individuo
distinguendolo da un proprio stato emotivo.
Tra l’anno e mezzo e i tre anni i bambini comprendono i desideri e le emozioni altrui. I bambini comprendono che
una persona è felice se l'azione raggiunge l'obiettivo desiderato. E quindi ad esempio che un bambino è contento se
può utilizzare l'altalena e se appunto questo che era il suo obiettivo. La comprensione dei desideri ed emozioni si
riflette anche nel linguaggio. I bambini attorno a quest'età utilizzano parole come: il volere sentire, fare finta,
eccetera.
Tra i 3 e i 5 anni i bambini superano il compito della falsa credenza di cui abbiamo parlato, comprendono la
distinzione tra apparenza e realtà a partire dai 3 anni e comprendono che l'accesso alla conoscenza coincide con la
possibilità di elaborare le informazioni quindi che vedere=conoscere e che se una persona non ha accesso alle
informazioni non può neanche elaborare informazioni corrette per quanto riguarda la realtà.
Dopo i 6 anni i bambini padroneggiano abilità di lettura della mente più complesse secondo un ragionamento
ricorsivo soprattutto livelli veramente elevati di complessità ovvero i bambini iniziano a distinguere anche le funzioni
delle bugie, delle promesse, dell'impegno sociale e prima dei 6 anni questa incapacità nel comprendere le bugie le
promesse l'impegno sociale riduce la loro attendibilità in qualità di testimoni oculari nell'ambito della testimonianza.
Quindi questa mia lezione vuole essere un invito agli insegnanti a cogliere la dimensione sociale nei contesti di
apprendimento e al fatto che molto spesso le risposte dei bambini alle vostre domande le reazioni dei bambini alle
attività che vengono strutturate possono essere condizionate dalle loro capacità di meta–rappresentazione dalla loro
capacità di ragionare non soltanto sui contenuti di apprendimento ma anche sugli aspetti sociali che stanno alla base
del comportamento interpersonale.
Mi piace chiudere questa lezione illustrando una possibile modalità di analisi delle capacità dei bambini di pensare
quello che l'altro pensa che è la prova di falsa credenza di secondo ordine.
Questa prova viene somministrata ai bambini a partire dai 6 anni di età e implica la capacità di capire non tanto
quella che è la conoscenza del mondo di un'altra persona ma di capire quello che un'altra persona pensa della
conoscenza del mondo su una terza persona.
Quindi, vedete il ragionamento si fa sempre più ricorsivo e crescendo nel tempo noi non soltanto possiamo pensare
quello che l'altro pensa ma anche quello che l'altro pensa che io penso e quello che l'altro pensa che io penso che
l'altro pensi, quindi con livelli ricorsività che raggiungono davvero complessità elevate.
Questa prova è la prova di falsa credenza di secondo ordine e concludiamo questa lezione leggendo a grandi linee i
contenuti di questa storia. In questa storia un personaggio che è Mary va al parco con John e mentre stanno al parco
arriva il furgone dei gelati. John vuole comprare un gelato ma ha lasciato i soldi a casa e deve andare a prenderli per
poter comprare il gelato. Il gelataio lo rassicura e gli dice che starà al parco tutto il giorno che può andare a prendere
i soldi e tornare al parco per comprare il gelato più tardi.
Allora John va a casa ma mentre John si allontana il gelataio cambia idea decide che non sarà al parco di pomeriggio
ma che andrà a vendere i gelati vicino alla chiesa sperando di trovare più persone che potranno comprare il gelato.
Allora avvisa Mary e dice “ho deciso di non stare al parco andrò a vendere i gelati vicino alla chiesa per poter
vendere di più”.
La prima domanda di comprensione che viene fatta ai bambini è se John a sentito il gelataio dire questo a Mary e
ovviamente la risposta è no nel senso che non ha sentito non ha avuto accesso a questa conoscenza perché è andato
a casa. Di pomeriggio Mary va a casa e il gelataio va a vendere i gelati vicino alla chiesa. Mentre il gelataio guida per
andare verso la chiesa incontra per strada John e gli dice “Guarda ho cambiato idea. Non sarò al parco questo
pomeriggio perché non ci sono abbastanza persone ma andrò a vendere i gelati vicino alla chiesa”. Il Gelataio
prosegue a guidare per dirigersi verso la chiesa. Quindi l'altra domanda di comprensione è questa “Mary ha sentito il
gelataio dire a John questa informazione.
La risposta naturalmente è no perché Mary non ha visto che il gelataio ha incontrato John, quindi non ha avuto
accesso a questa conoscenza.
Di pomeriggio Mary va a casa di John e bussa alla porta e la madre di John gli dice che è andato a comprarsi un
gelato. Quindi domanda sulla credenza “Dove pensa Mary che John sia andato a comprare il gelato?” i bambini che
possiedono una falsa credenza, la capacità di teoria della mente, diranno che Mary pensa che John sia andato al
parco. Perché? Perché Mary non sa che John ha incontrato il gelataio.
Naturalmente la risposta viene considerata corretta se i bambini rispondono anche a due domande di controllo che
sono la domanda di realtà e la domanda di memoria.
Dov'è andata davvero John a comprare il gelato? E quindi è andato realmente alla chiesa dove si trovava il furgone
dei gelati. All'inizio della storia si trovava il furgone del gelato?
Al parco. E questa è una domanda di memoria. Capite bene come la possibilità di indagare la teoria della mente sia
una capacità complessa e naturalmente come dicevo prima deve essere integrata con una competenza clinica che
naturalmente non può essere improvvisata e non può essere esercitata senza un'adeguata preparazione e un lavoro
di equipe e assolutamente un accordo con i genitori e con altri professionisti che si occupano appunto delle abilità
cognitive e metacognitive dei bambini.
Tuttavia, il mio esempio puramente didattico vuole costituire un monito per gli insegnanti per riflettere su
ragionamenti estremamente complessi che i bambini mettono in atto dal punto di vista sociale per interpretare e per
prevedere il nostro comportamento come insegnanti in classe.
E pertanto, grandissima cura deve essere dedicata alle esplicitazione degli obiettivi, all'organizzazione delle regole,
all'accordo con i bambini sugli obiettivi che ci si attende da loro senza mai dare per scontato che gli alunni possano
leggere la nostra mente in maniera accurata affinché possiamo tutelarli dagli errori di attribuzione dell'intenzione
che potrebbero guidare le loro risposte e potrebbero ridurre la loro capacità di rispondere alle sollecitazioni
dell'ambiente scolastico oppure viceversa creare quelle condizioni di comprensione di dialogo e di chiarezza
dell'accesso delle informazioni che possono massimizzare l'apprendimento e rendimento scolastico.
L’approccio costruttivista
In questa unità vedremo l'approccio costruttivista.
Il principale esponente dell'approccio costruttivista è Jean Piaget. Jean Piaget è stato un biologo, psicologo,
pedagogista e filosofo svizzero, ed ha fondato l'epistemologia genetica che consiste nello studio sperimentale delle
strutture e dei processi cognitivi che determinano la costruzione della conoscenza.
Piaget ha pubblicato oltre 60 libri e centinaia di articoli scientifici.
Nel 1921 divenne direttore dell'Istituto Jean-Jacques Rousseau di Ginevra, presso il quale iniziò le sue ricerche sugli
schemi mentali dei bambini in età scolare.
L'oggetto di studio nelle sue ricerche sono stati suoi tre figli che furono studiati per definire lo sviluppo cognitivo e
linguistico nel bambino, dalla nascita sino all'adolescenza.
Jean Piaget ha studiato il modo in cui i bambini costruiscono attivamente la loro conoscenza sul mondo esplorando
la realtà fisica. Secondo Piaget l'intelligenza è una forma di adattamento all'ambiente, e così come il corpo ha
strutture che gli consentono di adattarsi alla realtà, allo stesso modo le strutture mentali ci aiutano ad adattarci al
mondo circostante.
Quando il bambino cerca di costruire una comprensione del mondo, elabora schemi mentali. Secondo Piaget lo
schema mentale è un modello di pensiero, oppure un modello di azione, che il bambino utilizza per rappresentare e
per interpretare la realtà circostante. Un esempio di schema mentale è lo schema dell'apprensione che il bambino
utilizza in età molto precoce, ed è uno schema di tipo sensomotorio, ovvero uno schema che si realizza attraverso
l'azione concreta dell'afferrare un oggetto e che produce determinate sensazioni a livello sensoriale.
Gli schemi d'azione o gli schemi mentali sono per Piaget unità elementari di conoscenza che si sviluppano nel corso
dell'interazione con l'ambiente.
Quando Piaget parla di costruzione della conoscenza si riferisce alla costruzione della conoscenza del mondo fisico,
quindi ad elementi quali il tempo e lo spazio, le lunghezze, le dimensioni fisiche della realtà.
Questo studioso ritiene che sia sufficiente l'interazione del bambino con il mondo fisico per promuovere la
costruzione di schemi mentali e quindi promuovere la conoscenza della realtà.
La teoria di Piaget ha come oggetto di studio lo sviluppo dell'intelligenza, pertanto Piaget non si è occupato dello
sviluppo delle emozioni, dell'affettività e di altri aspetti che sono stati invece oggetto di studio di altre teorie.
Secondo Piaget l'intelligenza è un insieme di strutture, di funzioni e di processi mentali che consentono all'individuo
di interagire con l'ambiente, e questi processi cognitivi alla base dello sviluppo dell'intelligenza, vengono definiti da
Piaget come Invarianti Funzionali.
Un'invariante funzionale è un meccanismo biologicamente predeterminato di funzionamento generale
dell'organismo che governa tutte le azioni di una persona, che non varia con l'età (e per questo viene definito
invariante) e che è universale, ovvero è presente in tutti gli individui e in tutte le parti del mondo, quindi è
indipendente dalla cultura di appartenenza.
L'invariante funzionale è un principio generale che sta alla base della costruzione della conoscenza e del
comportamento degli individui.
Secondo Piaget, la costruzione attiva della conoscenza del mondo avviene grazie all'azione sulla realtà e le invarianti
funzionali che promuovono la costruzione della conoscenza sono due: l’Adattamento e l’Organizzazione.
Noi vedremo in dettaglio entrambe queste invarianti funzionali.
L'adattamento regola le interazioni tra l'organismo e l'ambiente, e si compone di due processi: Assimilazione e
Accomodamento. L'adattamento consente l'interfaccia tra l'individuo e l'ambiente circostante, e quindi è funzionale
all'interazione con la realtà.
L'altra invariante funzionale è l'organizzazione che regola la coerenza delle strutture mentali grazie a un processo di
Equilibrazione: la mente dell'individuo tende infatti costantemente al disequilibrio a causa della necessità di
adattarsi alle nuove situazioni e alle nuove informazioni che vengono ricevute dall'ambiente: l'equilibrazione
consente alla mente di riorganizzarsi per far fronte a questa novità.
Come dicevamo, l'adattamento si compone di due processi: assimilazione e accomodamento. L'assimilazione si
verifica quando i bambini incorporano nuove informazioni negli schemi mentali già presenti; l'accomodamento
avviene invece quando i bambini modificano i propri schemi mentali per adattarli alle caratteristiche delle
informazioni e delle esperienze nuove assimilate.
La forma più alta di adattamento e l'atto di intelligenza, ed è la condizione in cui assimilazione e accomodamento
raggiungono il maggior equilibrio.
Assimilazione e accomodamento sono costantemente in interazione tra loro, nel senso che l'individuo, se possiede
uno schema d'azione per agire sulla realtà, cerca dapprima di assimilare la nuova realtà allo schema d'azione già
presente, e successivamente se la realtà è così diversa da non lasciarsi assimilare, allora l'individuo accomoda il suo
schema d'azione al nuovo elemento di realtà.
Ad esempio, abbiamo visto precedentemente un bambino, nel corso del primo anno di vita, afferrare una palla:
questo bambino ha assimilato la palla allo schema d'azione dell'afferrare; se però il bambino deve afferrare anziché
una palla, quindi anziché un oggetto rotondo e così regolare, dovesse afferrare un cucchiaio, allora dovrà
accomodare il suo schema d'azione dell'apprensione alla forma del cucchiaio che è completamente diverso da quello
della palla. In questo senso se il bambino riesce a realizzare un perfetto equilibrio tra i processi di assimilazione e
quello di accomodamento, mette in atto la sua intelligenza appieno.
Dunque, riuscendo a trasporre lo schema d'azione della palla al cucchiaio riesce perfettamente ad adattarsi
all'ambiente e alla nuova realtà.
Esistono però due casi in natura in cui assimilazione e accomodamento non sono in equilibrio: uno di questi casi è il
gioco di finzione.
Nel gioco di finzione il bambino, prima dei due anni di età, cerca di mettere in atto il processo di assimilazione anche
ad elementi della realtà che non possono essere assimilati ai suoi schemi d'azione.
Pertanto, il bambino prima dei due anni, nel gioco del far finta, afferra una banana e fa finta che sia un telefono.
In questo caso utilizzare la banana come se si trattasse di un altro oggetto che però non è reale, fa prevalere
l'assimilazione sull'accomodamento, quindi nessuno schema mentale viene accomodato alle caratteristiche
dell'oggetto e si realizza un'azione su un oggetto immaginario.
Il caso in cui invece prevale l'accomodamento è costituito dall'imitazione.
Sempre nel periodo precedente ai due anni di età, i bambini cominciano a imitare azioni che hanno osservato
precedentemente, e quindi per esempio possono imitare un adulto che cucina riproducendo le azioni dell'atto del
cucinare. Naturalmente non sono in grado di eseguire il processo autonomamente senza imitare l'azione, però in
questo caso cercano di accomodare i propri schemi d'azione ad un'azione che è estremamente complessa e che non
riescono a padroneggiare. In questo caso non c'è un equilibrio tra assimilazione e accomodamento, non c'è un vero e
proprio apprendimento, per cui il bambino senza il modello non potrebbe riprodurre quell'azione così complessa che
ha osservato nell'adulto e si limita ad imitare le azioni osservate. In questo caso non si realizza un vero e proprio atto
di intelligenza, non vi è apprendimento come diceva Piaget, ma c'è la prevalenza del processo di accomodamento.
Per dare un senso alla realtà i bambini organizzano cognitivamente le loro esperienze.
Grazie all'organizzazione, allo stesso livello di sviluppo le abilità e le competenze disponibili, seppur appartenenti ad
ambiti diversi, sono estremamente omogenee tra loro. L'organizzazione mentale può essere definita osservando il
comportamento e analizzando il linguaggio dei bambini. Infatti, le azioni, le frasi e le parole prodotte dai bambini
riflettono l'organizzazione mentale sottostante.
Il fine dell'organizzazione è quello di promuovere l'adattamento attraverso l'assimilazione e l'accomodamento, e
l'organizzazione funziona secondo un principio di costruzione olistica, ovvero le trasformazioni evolutive che
riguardano le strutture mentali, coinvolgono la struttura mentale nel suo insieme e non schemi mentali isolati o parti
specifiche dell'organizzazione mentale. La trasformazione in una parte comporta sempre il cambiamento in tutta la
struttura attraverso un processo di Equilibrazione che di solito è un processo di equilibrazione di tipo maggiorante,
ovvero quando le strutture mentali si riequilibrano, danno luogo a un'organizzazione di complessità maggiore
rispetto all'organizzazione precedente. Il sistema cognitivo è tendenzialmente sempre in disequilibrio per effetto del
processo di assimilazione che lo vincola ad interagire con l'ambiente e ed appropriarsene, quindi ogni qual volta
l'individuo cerca di assimilare elementi nuovi della realtà agli schemi mentali, ecco che si produce, a livello di
organizzazione mentale, un disequilibrio. Il disequilibrio è determinato da un conflitto puramente cognitivo che
insorge nel tentativo di comprendere la realtà. La mente pertanto avverte un conflitto tra lo schema mentale
presente a livello interno e la realtà circostante che non si lascia assimilare a quello schema mentale e necessita
pertanto di un accomodamento. Il disequilibrio viene superato grazie un processo di equilibrazione che consiste nella
riorganizzazione della struttura mentale e che consente ai bambini di passare da uno stadio cognitivo a uno stadio
successivo, quindi a un livello qualitativamente differente e di complessità, come dicevamo, maggiore rispetto allo
stadio precedente. La teoria di Piaget è una teoria molto affascinante in quanto riesce a descrivere lo sviluppo
cognitivo dei bambini dalla nascita sino all'adolescenza. È una teoria che viene definita Stadiale in quanto Piaget ha
individuato quattro stadi evolutivi che si differenziano per il livello di età e per la qualità del pensiero e del linguaggio
che viene manifestato dai bambini nel loro comportamento, nelle loro azioni e nelle loro parole. Questo modello è
estremamente utile per l'insegnamento in quanto ci permette di capire quali sono le abilità possedute dai bambini
alle diverse età. Questi stadi sono qualitativamente differenti tra loro e sono gerarchicamente ordinati, nel senso che
lo stadio successivo si basa sulle competenze sviluppate nello stadio precedente, e una volta che emerge uno stadio
a un livello superiore le competenze presenti nello stadio precedente spariscono completamente, questo per effetto
della riorganizzazione della mente che cambia in maniera considerevole la sua natura. Vedremo in questa parte della
nostra lezione molto velocemente le caratteristiche di questi stati che poi svilupperemo in maniera più precisa nelle
lezioni successive. Il primo stadio prende il nome di stadio Sensomotorio e va dalla nascita fino ai due anni. In questo
stadio i bambini acquisiscono conoscenze sul mondo attraverso le azioni che vengono coordinate con le esperienze
sensoriali. Il bambino progredisce da un'azione di tipo riflesso, quindi gli schemi di azione evolvono rispetto ai riflessi
presenti alla nascita, ad un pensiero di tipo simbolico, un pensiero che però è di tipo rudimentale e che si manifesta
soltanto alla fine di questo stadio. Lo stadio sensomotorio è uno stadio molto affascinante in quanto riguarda i
bambini fondamentalmente preverbiali. In questo stadio è possibile comprendere l'organizzazione mentale del
bambino osservando attentamente il suo comportamento. Nello stadio Preoperatorio, il secondo stadio, che va dai
due ai sette anni, il bambino utilizza le rappresentazioni mentali, il pensiero pertanto è passato da un livello
sensomotorio a un livello simbolico e consente al bambino di pensare a realtà che non sono immediatamente
presenti grazie al linguaggio e all'immaginazione. Tuttavia, questo pensiero presenta dei limiti importanti, ovvero i
bambini nello stadio preoperatorio sono bambini egocentrici, hanno delle credenze magiche riguardo la realtà e
inoltre il loro pensiero di tipo irreversibile, ovvero quando assistono delle trasformazioni del mondo fisico non sono
in grado di tornare indietro con l'immaginazione allo stato precedente la trasformazione. Lo stadio invece che va dai
sette agli 11 anni, che quindi riguarda i bambini in età scolare, prende il nome di Stadio Operatorio Concreto. In
questo stadio il bambino può ragionare in modo logico su eventi concreti della realtà e può comprendere le
trasformazioni che avvengono nella realtà. Alcune di queste trasformazioni avvengono a livello puramente
percettivo, ovvero determinati elementi della realtà fisica possono cambiare la loro forma apparente ma restare
uguali nella sostanza in termini di peso, di numerosità, e sempre considerando dei parametri di tipo fisico; il bambino
in questo stadio è in grado di compiere operazioni logiche applicate però a oggetti estremamente concreti, quindi è
in grado di compiere addizioni, sottrazioni e moltiplicazioni, e soprattutto è in grado di organizzare la realtà in classi
gerarchiche, quindi è in grado di compiere una classificazione. Il bambino in età scolare può anche disporre gli
oggetti in serie ordinate secondo una caratteristica comune a tutti gli oggetti, e può anche compiere relazioni di
transitività, ovvero una volta compresa la relazione che lega due oggetti può comprendere anche la relazione
rispetto ad un terzo oggetto che viene paragonato agli oggetti precedenti. Nel quarto stadio, chiamato Stadio
Operatorio Formale, che va dagli 11 anni in poi, il preadolescente e l'adolescente ragionano in maniera astratta,
quindi sono in grado di compiere tutte le operazioni apprese nel periodo operatorio concreto e di applicarle ad una
realtà che non è più presente, non è più concreta ma è una realtà del tutto simbolica. È in questo periodo che gli
individui sono in grado di compiere dei ragionamenti estremamente complessi utilizzando dei simboli che
rappresentano la realtà, come le formule algebriche e le formule chimiche. Non hanno pertanto più bisogno di
compiere esperienze concrete ma possono progettare, programmare e immaginare al di là della realtà stessa. Quindi
capite bene come questo livello di sviluppo del pensiero sia estremamente complesso, estremamente evoluto e
rappresenti il livello massimo evoluzione dell'intelligenza umana.
– Stadio Sensomotorio (0 – 2 anni) –
In questa lezione vedremo le caratteristiche dello stadio sensomotorio. Lo stadio sensomotorio e lo stadio che va da
zero a due anni. Quando mi interfaccio con i futuri insegnanti e parlo dello stadio sensomotorio, in genere devo
convincere i miei studenti a prestare particolare attenzione a questo momento evolutivo; questo perché i bambini
da zero a due anni non sono ancora entrati nel circuito scolastico, e pertanto per un futuro insegnante questo stadio
può sembrare una conoscenza del tutto superflua. Permettetemi di premettere che invece la conoscenza dello
sviluppo del bambino preverbale, dai zero ai due anni, è uno strumento utilissimo per l'intervento educativo
dell'insegnante nei casi in cui deve interfacciarsi con alunni che hanno avuto ostacolato lo sviluppo linguistico e
comunicativo a causa di patologie di tipo evolutivo, bambini quindi che si trovano nella scuola dell'infanzia, nella
scuola primaria o secondaria a dover affrontare i processi di apprendimento e di insegnamento con un linguaggio
verbale che è inferiore rispetto alla proprietà cronologica. Ci sono casi di patologie, come ad esempio il disturbo
dello spettro autistico, che compromettono lo sviluppo naturale del linguaggio. Ecco che allora in questi casi l'alunno
può presentare elevate capacità di ragionamento ma scarse capacità di comunicazione verbale. Come ci si può
approcciare come insegnanti ad un alunno che comunica come un bambino di età compresa tra i zero e due anni,
quindi con parole incomplete, con uno o due parole al massimo, e che non riesce ancora a pronunciare neanche una
frase? È proprio la conoscenza dello stadio sensomotorio che vi permetterà di apportare programmi educativi
adeguati a questo tipo di alunni. Ecco, lo stadio sensomotorio è stato studiato da Piaget in maniera estremamente
minuziosa, e quindi in questa lezione vedremo proprio i vari passaggi che il bambino compie nella sua crescita, dalla
nascita ai due anni. Durante questo periodo il bambino conosce il mondo attraverso gli schemi d'azione. Quindi il suo
cervello è programmato attraverso delle modalità di azione che producono degli effetti sensoriali per il bambino, e
che regolano le azioni successive e le successive azioni sulla realtà. In questo stadio compare l'intelligenza
sensomotoria costituita da strutture cognitive che prendono il nome di schemi d'azione. Gli schemi d'azione sono
legati ai sensi e alla motricità; questa è la ragione per cui un bambino piccolo, dallo zero e due anni, ha sempre la
necessità di muoversi e di esplorare dal punto di vista sensoriale la realtà circostante. Piaget ha indagato come i
bambini comprendono la realtà fisica, che si compone di spazio, di tempo e di caratteristiche sensoriali degli oggetti.
Come fa un bambino da zero a due anni a comprendere la proprietà degli oggetti? Deve necessariamente toccarli,
esplorarli, per comprendere le distanze deve percorrere queste distanze. Per comprendere le proprietà degli oggetti
deve lanciare questi oggetti per capire con quanta rapidità raggiungono il terreno, deve poterli manipolare per
capire se sono ruvidi, si sono lisci, per capire se sono caldi o freddi. Ecco questa è la ragione per cui il bambino dallo
zero ai due anni o un alunno che presenta un'età mentale attorno ai due anni, ha sempre necessità di compiere delle
azioni concrete sulla realtà per conoscere le proprietà. Quindi il suo cervello presenta degli schemi mentali che in
realtà non sono ancora simbolici ma sono costituiti da azioni, per cui il bambino non riesce a stare fermo perché il
movimento e l'azione sono suo modo di pensare così come noi non possiamo, in età adulta, impedirci di pensare in
nessun momento, ma il nostro cervello in continua azione ha la necessità di elaborare Informazioni e di trasformarle,
di modificarle per raggiungere obiettivi diversi. All'inizio di questo stadio i bambini hanno a disposizione
comportamenti riflessi per interagire con la realtà. Alla fine di questo stadio i bambini saranno in grado di produrre
schemi sensomotori complessi e di utilizzare simboli rudimentali. Lo stadio sensomotorio si compone di ben sei
sottostadi, che vedremo uno per uno. Alla nascita sono presenti i riflessi innati che vengono poi sostituiti dalle prime
abitudini e dalle reazioni circolari primarie. Queste lasceranno il passo alle reazioni circolari secondarie, che poi
verranno Coordinate (coordinazione reazioni circolari secondarie) e si trasformeranno in reazioni circolari terziarie
che danno spazio alla novità e alla curiosità del bambino. Le reazioni circolari terziarie verranno, alla fine dello stadio
sensomotorio, interiorizzate e produrranno gli schemi mentali (interiorizzazione degli schemi). Ecco che in questo
elenco di Sottostadi voi potrete riconoscere in futuro, quando avrete la fortuna di lavorare con bambini che hanno
delle caratteristiche simili a quelle del periodo sensomotorio, potrete grazie alla conoscenza di questi Sottostadi
creare dei programmi educativi che possono aiutare i vostri alunni a ripercorrere quelle tappe evolutive che a causa
di una patologia sono state in qualche modo compromesse, e quindi necessitano di essere raggiunte per arrivare a
uno sviluppo comunicativo e ad una capacità di rappresentazione simbolica più elevata, perlomeno a livello di
bambino in età prescolare. Ecco, i riflessi innati sono molto conosciuti, ovvero sono quella dotazione biologica che
permette ad un neonato di interagire da subito con la realtà. Un riflesso innato molto famoso è il riflesso di suzione; i
bambini molto piccoli alla nascita, se sollecitati dal punto di vista tattile, tendono subito a mettere in atto questa
azione della suzione che non gli è stata insegnata in maniera deliberata dall'adulto, ma che appartiene alla loro
dotazione biologica. I riflessi innati hanno la caratteristica di essere involontari, e quindi il bambino produce queste
azioni a prescindere dalla sua volontà. I riflessi innati hanno una grandissima funzione adattiva, ovvero permettono
all'individuo di adattarsi all'ambiente circostante. Un altro di questi riflessi è riflesso di pensione: se voi provate a
premere delicatamente con un dito sul palmo della mano di un neonato vedrete come il neonato tenderà ad
afferrare il vostro dito. Ecco, afferrare, succhiare, consentono al bambino di stare vicini all'adulto della propria specie
e di ricevere nutrimento e protezione. E quindi vedete che questi riflessi hanno una grandissima funzione adattiva. –
– Ben presto, entro il primo mese di vita, questi riflessi evolveranno nel senso che il bambino sarà in grado di
interagire con la realtà applicando questi riflessi, e questa interazione porterà all'evoluzione di schemi di azione che
gli permettono di interagire con la realtà in maniera sempre più complessa. Dall'uno ai quattro mesi l'infante saprà
coordinare le informazioni provenienti dagli organi di senso è saprà dare luogo a delle reazioni circolari primarie.
Permettetemi di spiegare che cos'è il termine reazione circolare: la reazione circolare è un meccanismo di fissazione
dell'esperienza attraverso la ripetizione; ecco, i bambini da uno a quattro mesi tendono a ripetere in maniera
importante delle azioni che compiono casualmente. Queste reazioni circolari, per via della ripetizione, vengono
quindi apprese e si trasformano in abitudine. L'abitudine è uno schema di azione basato su un riflesso, quindi un
comportamento che è partito da un riflesso e che diventa indipendente dallo stimolo sollecitante perché è stato
esercitato, quindi è stato ripetuto nel tempo. Quindi il passaggio è questo: il bambino afferra un oggetto sulla base di
un riflesso innato e poi tende a ripetere questa azione in maniera circolare, in maniera ripetuta, perché è un'azione
che ha determinato un effetto piacevole sul proprio corpo, e a causa della ripetizione questo comportamento
diventa abitudine. Ecco allora che abbiamo le reazioni circolari primarie: sono azioni orientate verso il corpo del
neonato che vengono ripetute dopo aver provocato casualmente qualcosa di interessante. Ad esempio, il bambino
succhia casualmente il pollice e ripete l'azione fino a farla diventare un'abitudine e, dopo aver succhiato casualmente
il pollice e sperimentato una sensazione piacevole, questa azione viene ripetuta per riprodurre quell'evento
piacevole. Dai quattro agli otto mesi l'infante si orienta verso gli oggetti e le azioni che vengono ripetute; queste
azioni però sono orientate verso l'ambiente e non sono più orientate verso il proprio corpo. Per questa ragione si
chiamano reazioni circolari secondarie. Che cosa succede? Succede che il bambino può urtare casualmente un
sonaglio appeso sopra la sua culla e ripete questa azione per far durare lo spettacolo interessante. Nonostante
queste azioni siano dirette agli oggetti, gli schemi d'azione non sono intenzionali e non sono orientati a uno scopo,
ma si tratta di semplici reazioni circolari secondarie, ovvero reazioni che vengono ripetute nel tempo perché causano
uno spettacolo interessante. Ecco qui c'è già un piccolo suggerimento per il lavoro con un bambino che è fermo ad
uno stadio sensomotorio a causa di una patologia. Se voi lavorate con alunni non verbali, che tendono a mettere in
bocca gli oggetti, è possibile, se dalla loro valutazione neuro psichiatrica emerge questo, che si trovino ancora in uno
stadio sensomotorio. Ecco, come si fa quindi a far passare un alunno da un livello di reazione circolare primaria,
ovvero mettere in bocca un oggetto per suscitare una sensazione interessante, ad un livello successivo? Il livello
successivo è che l'alunno compia azioni sugli oggetti, quindi dovete fare in modo che l'alunno, se mette in bocca
ripetutamente la penna, provi a battere quella penna sul tavolo; quindi questo è, come dire, un elemento didattico
importante che vi permette di iniziare un processo educativo anche con alunni particolarmente compromessi dal
punto di vista dello sviluppo cognitivoQual è il terzo passaggio? Le reazioni circolari secondarie sono isolate tra loro,
ed anche se sono dirette verso l'esterno non sono intenzionali. Ecco che allora è importante che queste azioni rivolte
verso gli oggetti inizino ad essere coordinate. Con la coordinazione delle reazioni circolari secondarie il bambino
conquista l'intenzionalità, diventa cioè capace di coordinare azioni diverse orientate intenzionalmente verso una
meta. Ad esempio, avvicinano la mano dell'adulto ad un giocattolo che non riescono ad azionare autonomamente.
Quindi il terzo passaggio qual è? Da un livello sensomotorio di insistere nel succhiare gli oggetti, l'alunno con un
disturbo evolutivo dovrebbe passare a compiere le azioni sulla realtà, a compiere azioni con oggetti, e poi dovrebbe
coordinare queste azioni. Quindi il passo didattico successivo è quello di far compiere azioni con oggetti sulla realtà
in sequenza. Ad esempio, battere la penna sul tavolo e poi lanciarla: può sembrare un tipo di educazione molto
elementare, però è un passaggio importante per arrivare al livello dell'intenzionalità. Quindi quando il vostro alunno
riuscirà a compiere due, tre o quattro azioni con oggetti in sequenza avrà raggiunto la capacità di governare in
maniera intenzionale le proprie azioni, quindi non sarà più schiavo di quei comportamenti compulsivi di mettere gli
oggetti in bocca, ma finalmente il suo schema d'azione sarà rivolto verso la realtà circostante. Se voi ci pensate
questo è un prerequisito fondamentale per gli apprendimenti; scrivere sul quaderno e usare la penna è un'azione
intenzionale che implica un grande autocontrollo, per cui è un passaggio, questo che io vi ho descritto dalle reazioni
circolari primarie a quelle secondarie e la coordinazione degli schemi d'azione, fondamentale per mettere in grado
qualunque alunno con qualunque livello mentale di partenza, di poter apprendere nei contesti educativi Che cosa
succede a partire dai 12 ai 18 mesi? I bambini sono affascinati dalle caratteristiche degli oggetti della realtà e dalle
tante cose che possono compiere con gli oggetti. In questo periodo mettono in atto le reazioni circolari terziarie;
sono schemi in cui il bambino intenzionalmente esplora nuove possibilità con gli oggetti facendo cose sempre nuove
ed esplorandone i risultati. È questa l'età in cui i bambini buttano tutti gli oggetti per terra dal seggiolone per sentire
il rumore, per riuscire a capire con quanta rapidità raggiungono il suolo, e si chiamano reazioni circolari perché
queste azioni compiute con gli oggetti per ottenere uno spettacolo interessante vengono ripetute più e più volte, e
questo è un meccanismo di pensiero molto potente per il bambino e gli permette di esplorare la realtà e di
conoscere la realtà nelle sue varie sfaccettature.ùNell'ultimo stadio si ha l'interiorizzazione degli schemi. Questo
stadio va dai 18 ai 24 mesi e il bambino comincia a interiorizzare tutte quelle azioni che ha compiuto nella realtà,
quindi non ha più bisogno di far rotolare la palla per poter pensare alla palla, o alla palla che rotola, non ha più
bisogno di lanciare un oggetto per poter comprenderne le caratteristiche e capire se un oggetto è duro, morbido,
pesante leggero, ma può in qualche modo iniziare ad immaginare. Il simbolo, il pensiero simbolico, è un'immagine
sensoriale interiorizzata, o una parola che rappresenta un evento.
È questa infatti l'età della comparsa delle prime parole grazie alle quali i bambini si sganciano dalla realtà immediata
e possono riferirsi a realtà che non sono direttamente presenti. I simboli permettono al bambino di rappresentarsi
oggetti o eventi concreti senza percepirli o senza agire direttamente su di essi.
Durante lo stadio sensomotorio avviene anche un'altra grandissima conquista per quanto riguarda lo sviluppo
mentale che Piaget definisce permanenza dell’oggetto. Questa è una conquista importantissima per lo sviluppo
cognitivo, perché è una condizione fondamentale per l'insegnamento; il bambino comprende che gli oggetti o gli
eventi continuano ad esistere anche quando non possono essere rilevati dagli organi di senso, quindi anche quando
il bambino non li vede, non li sente e non riesce a toccarli. Verso la fine del periodo sensomotorio gli oggetti sono
permanenti, e quindi sono separati dal sé ed esistono pertanto nella realtà a prescindere dall'azione stessa. Uno dei
test classici con cui la permanenza dell'oggetto è stata studiata da Piaget, è quello di nascondere un oggetto
interessante sotto un fazzoletto: i bambini nello stadio sensomotorio che non hanno ancora la permanenza
dell'oggetto, smettono di cercare l'oggetto quando questo viene nascosto mentre i bambini che hanno la capacità di
immaginare l'oggetto al di là della realtà percepita cercheranno l'oggetto nel luogo in cui è stato nascostoQuesta
capacità cognitiva non emerge improvvisamente, ma attraversa diversi passaggi che vediamo illustrati in questa
diapositiva. Quindi da zero a un mese i bambini sono caratterizzati dai riflessi: quando un punto di luce si muove in
un campo visivo il bambino lo segue, ma se il punto di luce scompare dalla sua vista il bambino a un mese smetterà
di cercare questo punto luminoso; quindi la scomparsa della stimolazione percettiva determina anche la scomparsa
del comportamento di ricerca. Da 1 a 4 mesi il bambino osserva brevemente il punto in cui la luce è scomparsa, e
quindi dimostra a quattro mesi di avere già una certa rudimentale capacità di pensare all'oggetto quando non è
presente. Da 8 a 12 mesi il bambino cerca l'oggetto nel punto in cui è scomparso attivamente grazie ad uno stadio
precedente, che è quello dai 4 agli 8 mesi, in cui dopo aver coordinato gli schemi semplice il bambino osserva e tocca
il punto in cui l'oggetto è scomparso anche se non riesce a cercarlo attivamente. Quindi diciamo che la vera e propria
comparsa della permanenza dell'oggetto sia ha a 8 mesi, nei quali il bambino cerca di sollevare il fazzoletto per
cercare l'oggetto nascosto. Questa abilità si fa poi sempre più complessa nel tempo: tra i 12 e i 18 mesi i bambini
sanno individuare l'oggetto che scompare e riappare in più luoghi, e quindi indicano di avere l'immagine mentale
dell'oggetto scomparso, e tra i 18 e i 24 mesi cercano attivamente l'oggetto in più luoghi immaginando che l'oggetto
mancante sia stato spostato e quindi cercando di prevedere questo spostamento anche se non è stato osservato
direttamente.
Ecco se voi riuscite a trasportare questa capacità per quanto riguarda le attività didattiche vedrete come gran parte
dei processi di insegnamento e apprendimento si basano sulla permanenza dell'oggetto. Voi utilizzerete come
insegnanti tantissimi mediatori simbolici: le lettere i numeri le parole, le quantità rappresentate da disegni, quindi
cercherete di rappresentare contenuti attraverso dei simboli. Ecco la capacità di permanenza dell'oggetto è un
prerequisito per immaginare oggetti che non sono direttamente presenti, per cui un'altra indicazione che ci viene
dallo stadio sensomotorio è quella di verificare negli alunni, che a causa di una patologia non hanno sviluppato un
linguaggio verbale, la loro capacità di pensare ad oggetti nascosti, e se questa abilità non è presente può essere
insegnata attraverso gli step che abbiamo appena visto in questa diapositiva.
In questa lezione parleremo dello stadio preoperatorio teorizzato da Piaget. Questo stadio riguarda i bambini di età
compresa tra i 2 e i 7 anni. In questa fase i bambini iniziano a rappresentare il mondo attraverso parole, immagini,
disegni, e il gioco del far finta. Emerge il ragionamento mentale ma anche l'egocentrismo e le credenze magiche.
Questo pensiero pertanto si caratterizza per una capacità di immaginare il mondo in maniera estremamente
intuitiva, che naturalmente porta il bambino a compiere degli errori, quindi ad immaginare ad esempio che una
pianta possa nutrirsi come il bambino, abbia bisogno di acqua per bere o abbia bisogno di concime per mangiare, e
che abbia quindi una vita propria che assomiglia molto alle caratteristiche della vita del bambino. Quindi anche una
entità inanimata come una pianta o un oggetto possano pensare, possono avere dei sentimenti e compiere dei
ragionamenti così come fa il bambino. Il bambino in questo stadio non compiere operazioni mentali, che sono azioni
interiorizzate che gli permettono di eseguire mentalmente ciò che prima eseguiva fisicamente; riesce tuttavia ad
immaginarsi la realtà attraverso l'utilizzo del linguaggio, l'utilizzo delle immagini e del gioco di finzione. In questo
senso il pensiero preoperatorio è un tipo di pensiero più potente rispetto al pensiero sensomotorio nel quale il
bambino aveva bisogno di agire direttamente sulla realtà. Tuttavia, manca un'organizzazione logica del pensiero, e
questa mancanza espone il bambino a compiere numerosi errori di interpretazione dei meccanismi fisici e dei
meccanismi biologici e sociali che sono presenti nella realtà circostante. Ecco, come definisce Piaget l'operazione
mentale? L'operazione mentale è un'azione interiorizzata che permette di compiere mentalmente ciò che può essere
compiuto fisicamente. Ad esempio, dal punto di vista fisico, nell'interagire con l'ambiente, noi compiamo numerose
operazioni; in genere addizioniamo quantità quando decidiamo di mangiare una fetta di torta e poi di mangiarne
anche un'altra ad esempio, oppure compiamo operazioni di divisione, quando i bambini distribuiscono delle
caramelle tra loro, quando si dividono 10 caramelle in cinque compagni e decidono di darne due a ciascuno. Dal
punto di vista dell'operazione mentale, queste operazioni possono essere compiute mentalmente e senza dover
necessariamente eseguire l'azione. Tuttavia, le operazioni mentali sono presenti soltanto nello stadio successivo,
mentre a livello intuitivo il bambino non può ancora eseguire queste operazioni ma può iniziare ad immaginare,
quindi a ricostruire mentalmente, ciò che è stato esplorato e compreso tramite il comportamento. Il bambino
possiede pertanto, nello stadio preoperatorio, schemi mentali, rappresentazioni mentali che egli ha costruito
limitatamente agli oggetti e alle azioni sperimentate nella realtà. Questi schemi mentali non sono coordinati tra loro
e pertanto non sono organizzati in maniera logica. Il pensiero preoperatorio viene definito come prelogico, perché
dominato dalla realtà immediata e incapace di considerare più di un aspetto alla volta. Ad esempio, i bambini in età
prescolare non sono in grado di comprendere che la mamma può essere contemporaneamente figlia e sorella,
perché si fermano ad un dato percettivo pregnante e soprattutto orientato verso la propria realtà di vita. Il pensiero
preoperatorio si caratterizza per due aspetti che prendono nome di egocentrismo e mancanza di reversibilità, e
vedremo come Piaget ha studiato questi processi e come li ha descritti utilizzando dei compiti sperimentali molto
precisi. Diciamo che per quanto riguarda lo stadio preoperatorio, è possibile distinguere due Sottostadi: lo stadio che
va dai 2 ai 4 anni, nel quale il bambino si rappresenta mentalmente un oggetto non presente e incomincia a
immaginare una realtà che non è direttamente alla sua portata; una capacità che consente di comprendere che il
bambino si trova nel Sottostadio della funzione simbolica è lo scarabocchio, che a questa età rappresenta dei
contenuti che non sono direttamente riconoscibili nella forma grafica, ma che il bambino riporta come rappresentati
da questi schemi e da queste rappresentazioni grafiche. Quindi quando un bambino esegue uno scarabocchio e gli
viene chiesto che cosa rappresenta, il bambino è in grado di attribuire un significato ben preciso che corrisponde alla
propria esperienza di vita pur non avendolo rappresentato graficamente sul foglio. Ecco vi parlavo prima del
processo dell'egocentrismo: l'egocentrismo descritto da Piaget è un processo che non ha nulla a che fare con la
tendenza dei bambini di stare al centro dell'attenzione, si tratta invece di un egocentrismo di tipo cognitivo.
L'egocentrismo consiste nell'incapacità di distinguere due punti di vista differenti. Questi punti di vista possono
appartenere a due persone diverse oppure allo stesso individuo, e quindi possono essere rappresentazioni
alternative della stessa realtà. Piaget ha studiato l'egocentrismo tramite un test che prende il nome di test delle tre
montagne.
In questa diapositiva iniziate a intravedere come viene strutturato questo test: l'adulto e il bambino siedono ai lati
attigui di un tavolo, e al centro del tavolo viene posizionato un plastico; nel plastico sono presenti tre montagne che
possono essere osservate da quattro angolazioni diverse, o da tre angolazioni diverse, che vengono rappresentate
nelle immagini che l'adulto mostra al bambino. A seconda del punto di osservazione le montagne appaiono in
maniera differente. Queste montagne si caratterizzano per una differente grandezza e per il fatto che in cima a
ciascuna montagna è presente un oggetto, ad esempio una bandierina, oppure una casetta, oppure una croce.
Quindi osservando il plastico da una certa angolazione il bambino vedrà le montagne da una determinata
prospettiva, e deve riuscire a capire qual è la prospettiva che l'adulto vede spostandosi nei lati diversi del tavolo. –In
questa diapositiva vedete ancora meglio come sono strutturate le tre montagne. Come vedete le montagne sono di
dimensioni differenti, presentano degli oggetti diversi in cima, e il bambino viene fatto sedere a un lato del tavolo e
deve immaginare che cosa un'altra persona, oppure una bambola vedrà posizionandosi i lati differenti. Ecco qui
vedete infatti uno schema del grafico e lo sperimentatore posiziona una bambola di volta in volta ai lati del tavolo e
chiede al bambino di scegliere l'immagine che rispecchia meglio il punto di vista della bambolaEcco nel Sottostadio
del pensiero intuitivo caratterizzato da egocentrismo i bambini comprendono la realtà in maniera intuitiva e si
pongono domande del tipo: perché cadono le foglie? Perché splende il sole? Perché si cresce? Sono anche in grado
di dare risposta a questi tipi di domande, ma sono inconsapevoli di come hanno acquisito questa conoscenza e di
qual è l'origine della conoscenza stessa. Sviluppano cioè una conoscenza della realtà senza utilizzare il pensiero
razionale. Le spiegazioni che possono dare i bambini a questo livello di età, ad esempio sul perché splende il sole, è
perché il sole splende per illuminare la giornata del bambino e permettere agli individui di lavorare, di andare a
scuola eccetera. Vedete quindi come i processi di natura fisica e di natura biologica vengono assolutamente spiegati
tramite un pensiero magico, e il bambino non sa spiegare qual è l'origine di queste conoscenze a cui è arrivato. –
Schermate Unità 1 – Pag. 44 – In particolare, nello stadio preoperatorio abbiamo diversi tipi di pensiero magico, e di
seguito vedremo ciascuna di queste tipologie. Una tipologia di pensiero magico e l'animismo. È una caratteristica del
periodo preoperatorio che consiste nel credere che oggetti inanimati abbiano qualità legate agli esseri viventi e siano
capaci di compiere azioni (ad esempio l'albero spinge la foglia facendola cadere), e quindi come entità inanimate,
come abbiamo detto in premessa, siano in grado di compiere delle azioni che compirebbe un essere umano Un'altra
tipologia di pensiero magico è il finalismo. Il Finalismo è il principio secondo cui si crede che tutti i fenomeni abbiano
lo scopo orientato a garantire all'uomo le condizioni di una vita serena. Ad esempio, la pallina rotola perché vuole
andare dal bambino e la luna sorge perché vuole dire ai bambini di andare a dormire, pertanto ogni fenomeno fisico
che riguarda la realtà è funzionale alla vita e al benessere del bambino ed è stato appositamente creato per facilitare
l'uomo nel suo adattamento con l'ambiente. Un altro tipo di pensiero magico è l'Artificialismo. L'Artificialismo è la
tendenza a credere che le cose siano state costruite dall'uomo o da un'attività divina che opera secondo le regole
della costruzione umana. Ad esempio, i laghi e fiumi sono stati scavati dall'uomo per accogliere l'acqua, le montagne
sono state costruite dall'uomo raggruppando e ammucchiando la terra, il sole splende perché un'entità divina ha
acceso un fiammifero e gli ha permesso quindi di incendiarsi e di essere costituito dal fuoco e di illuminare la terra.
Vedete quindi come il pensiero del bambino prelogico, del bambino dai due ai sette anni di età, è un pensiero che
presenta numerosi limiti, pertanto anche l'insegnamento deve tener conto di questa difficoltà dei bambini di
integrare in un sistema coerente, in un sistema logico, i vari concetti che ha sviluppato a questa età. I limiti di questo
pensiero sono sicuramente la centrazione, ovvero la tendenza del bambino a concentrarsi su una sola caratteristica
escludendo tutte le altre. Un'altra caratteristica è l'irreversibilità di pensiero, ovvero l'incapacità di annullare,
invertire o compensare un certo risultato. L'altra caratteristica è la difficoltà a comprendere la conservazione, ovvero
in questi bambini manca la consapevolezza che l'alterazione dell'apparenza di un oggetto o di una sostanza non ne
cambia le sue proprietà di base. Piaget ha studiato questi tre limiti del pensiero preoperatorio creando dei piccoli
esperimenti nei quali mostrava a dei bambini degli oggetti e gli chiedeva di descriverne le proprietà. Per quanto
riguarda la Centrazione, l'esperimento più classico che è stato utilizzato è quello di presentare ai bambini diversi
oggetti che vengono raggruppati secondo una determinata caratteristica e chiedere al bambino quale la
caratteristica più pregnante; ad esempio si presentano i bambini dei bastoncini di lunghezza diversa, un bambino
durante il periodo preoperatorio tende a ignorare le lunghezze diverse dei bastoncini e ad allinearli tenendo conto
soltanto di una estremità, e quindi il bambino può dire che bastoncini sono tutti di una lunghezza uguale perché
considera soltanto l'estremità che è stata allineata e non considera invece le diverse lunghezze presenti all'estremità
opposta.
Secondo Piaget le azioni interiorizzate e gli schemi mentali sono interiorizzazioni di percezioni e di movimenti e
quindi non costituiscono ancora un sistema coerente di conoscenza. Queste azioni sono isolate e non sono
coordinate in un sistema coerente e il bambino incapace di attivarne più di una alla volta, quindi centra la sua
attenzione su una caratteristica e ignora le altre. Gli schemi mentali sono pertanto molto rigidi reversibili e il dato
percettivo prevale sulla rappresentazione mentale. Ad esempio, se il bambino convive con un animale domestico
come un gatto, e il suo gatto è un gatto bianco e nero, il bambino a livello preoperatorio potrà pensare che tutti i
gattini sono bianchi e neri perché questa è la sua esperienza di vita. Quindi il dato percettivo prevale sul concetto e
sulla rappresentazione mentale. L'irreversibilità del pensiero è stata studiata tramite le prove di conservazione che il
bambino non supera prima del periodo operatorio concreto, quindi prima dei sette anni di età.
Con questa diapositiva voi potete osservare una prova di conservazione. Questo esperimento è un esperimento
estremamente semplice che Piaget ha condotto presentando ai bambini due contenitori, il contenitore A e B che
sono di grandezza uguale; vedete che questi contenitori sono larghi e bassi e contengono entrambi la stessa quantità
di liquido. Ad un certo punto il liquido del contenitore B viene versato del contenitore C, e come potete osservare
siccome il contenitore C è più strette e più lungo, allora il liquido si solleva come livello. A questo punto viene chiesto
al bambino quale dei contenitori contiene più liquido e perché. Il bambino che è in grado di conservare le qualità dei
liquidi è consapevole che l'alterazione dell'apparenza di una sostanza non cambia le sue qualità, quindi queste
situazioni sono state utilizzate da Piaget per comprendere se il bambino ha superato il pensiero preoperatorio,
ovvero quel pensiero che invece gli permette di centrarsi soltanto sul livello del liquidò e ignorare che è avvenuta
una trasformazione soltanto a livello percettivo e non a livello di sostanza. Le situazioni create e utilizzate da Piaget
per studiare questo processo sono varie, e ne vediamo alcuni esempi.
Vedete in questa diapositiva un altro esempio di prova della conservazione della quantità del liquido dove vedete
che il bambino indica il contenitore con il livello di liquido più alto come il contenitore contiene più liquidò, quindi
questo è sicuramente un bambino a livello preoperatorio. Vedete sempre in questa diapositiva una bambina che si
interfaccia con la conservazione del numero; in questa prova sempre ideata da Piaget, vengono rappresentate ai
bambini due file di monete, ciascuna fila è costituita da cinque monete. Ad un certo punto l'adulto aumenta la
distanza tra le monete di una delle due file e pertanto una delle due file sembra più lunga non perché sono state
aggiunte delle monete ma perché è stata aumentata la distanza tra gli elementi che compongono la fila, e quindi si
chiede il bambino di indicare quale delle due file è più lunga perché. In questo caso il bambino preoperatorio
tenderà a dire che è più lunga la fila dove è stata aumentata la distanza tra le monete anziché dire che le due file
sono uguali perché nessuna moneta è stata aggiunta e nessuna moneta è stata tolta. Vedete un altro esempio di
prova di conservazione: questa bambina ha a disposizione due quantità uguali di didò, una sotto forma di palla
mentre l'altra è stata invece distesa per formare una forma più sottile, più allungata. Quindi viene chiesto ai bambini
in quali delle due forme è presente più didò o se sono presenti in quantità uguali. Come potete osservare il bambino
a livello preoperatorio tende a dire che è presente una maggiore quantità di didò nella forma più allungata perché
centra la sua attenzione esclusivamente su una delle proprietà degli oggetti, e quindi si focalizza sulla lunghezza e
non sul fatto che nessuna quantità di didò è stata aggiunta o è stata tolta durante l'esperimento.
Quindi questa tendenza a focalizzarsi su un aspetto percettivo senza tener conto dell'aspetto percettivo
complementare, quindi senza fare un ragionamento logico che compensa le varie caratteristiche della realtà
percepita, costituisce un limite importante del pensiero preoperatorio e insieme all'egocentrismo contribuisce a
rendere il bambino a livello preoperatorio estremamente vulnerabile alle suggestioni della realtà circostante e quindi
incapace di contrastare la prevalenza dell'atto percettivo per comprendere la realtà in maniera logica. Un altro limite
del pensiero preoperatorio e il pensiero Trasduttivo; in questo caso il bambino collega i concetti da lui posseduti in
maniera lineare, quindi non in termini di causa ed effetto ma passa da un particolare al particolare. Ad esempio nel
caso in cui il bambino in età prescolare debba descrivere una festa di compleanno, il bambino inizia a parlare della
festa di compleanno, poi dice che c'erano tanti bambini, tra questi bambini c'era suo migliore amico Marco, che
Marco è un bambino gentile, che a Marco gli piacciono le macchinine, le sue macchinine preferite sono di colore
rosso, il rosso è il colore della frutta come la mela, eccetera; come vedete il discorso, il ragionamento del bambino in
età prescolare va dal particolare al particolare e non segue un filo logico. Secondo Piaget i bambini in età prescolare
ragionano in questo modo per effetto della mancanza di coordinazione degli schemi mentali che sono ancora troppo
legati all'esperienza ed estremamente ancorati al dato percettivo. Quindi per concludere, un insegnante che fa
riferimento al modello Piagettiano deve tener conto, se lavora con bambini in età prescolare, di quelle che sono le
caratteristiche del pensiero preoperatorio e del pensiero prelogico, deve tenere conto del pensiero magico che è
sempre presente delle credenze dei bambini, deve tener conto del fatto che le conoscenze non sono organizzate in
maniera coerente, soprattutto non presentano nessi causali tra di loro, ma vengono organizzate dal particolare al
particolare e sono estremamente permeate delle esperienze dirette. Un altro limite di questo pensiero è
l'egocentrismo che si riflette nei processi di insegnamento e di apprendimento. Un bambino egocentrico da un punto
di vista cognitivo non è motivato ad esplicitare all'insegnante le origini della propria conoscenza perché ritiene che
ciò che sa è conosciuto anche dall'insegnante, e questo si riflette anche nel linguaggio, per cui la mia
raccomandazione è che quando si lavora con bambini a livello prelogico, quando si pongono delle domande è
necessario approfondire, chiedere al bambino di fare degli esempi, di raccontare di più, di scendere sempre più nei
dettagli perché la carenza di informazioni nel linguaggio può riflettere un egocentrismo cognitivo molto più che
un'assenza di conoscenza dei fenomeni che sono stati eventualmente presentati dall'insegnante e che sono stati
oggetto di apprendimento da parte dei bambini. 1.1.4 – Pensiero operatorio concreto (7 – 11 anni) – Schermate
Unità 1 – Pag. 56 – In questa lezione vedremo il Periodo Operatorio Concreto. Questo periodo va dai 7 agli 11 anni e
riguarda quindi i bambini in età scolare. Questo periodo è estremamente interessante per gli insegnanti che si
occupano dell'educazione dei bambini nella scuola primaria. Lo studio delle caratteristiche del pensiero operatorio vi
permetterà di sviluppare numerose idee per la didattica e per l'insegnamento. Tra i 7 e gli 11 anni il pensiero del
bambino si caratterizza per un aspetto essenziale che prende il nome di reversibilità. La reversibilità di pensiero è la
base del pensiero logico che consiste nella coordinazione di punti di vista differenti degli individui che possono
appartenere ad individui diversi oppure anche lo stesso individuo. A questa età i bambini sono in grado di
immaginare un loro contenuto mentale e un contenuto mentale alternativo, di paragonare i contenuti mentali tra
loro e di comprendere somiglianze e differenze. Questo processo consente la reversibilità di pensiero, ovvero la
capacità di pensare ad una realtà che si è trasformata a causa di un'azione, e di immaginare le caratteristiche di
questa realtà nel periodo precedente alla trasformazione. In questo periodo, grazie alla reversibilità di pensiero e al
superamento dell'egocentrismo, scompare il pensiero magico che era costituito dall'Animismo, dal Finalismo e
dall'Arificialismo; il bambino pertanto non pensa più alla realtà fisica come ad una realtà modificata e creata
esclusivamente dall'uomo, oppure da una divinità, ma riesce a comprendere che le caratteristiche della realtà fisica
come ad esempio lo scorrere dei fiumi, la formazione dei laghi, la creazione delle montagne, sono dovuti a
trasformazioni fisiche della realtà e non ad azioni dell'uomo o ad azioni di entità divine superiori per soddisfare i
bisogni del bambino. Quindi il pensiero del bambino è veramente un pensiero che si stacca da queste credenze
magiche e gli permette di apprendere dei concetti legati alla biologia, alle scienze, alla fisica e ad altri aspetti che
possono descrivere la realtà in maniera logica. Il ragionamento di tipo logico è un ragionamento di tipo causa-effetto
e permette al bambino di spiegare tutta una serie di trasformazioni che avvengono nella realtà fisica. – Schermate
Unità 1 – Pag. 57 – Il ragionamento logico sostituisce quello intuitivo che caratterizzava invece periodo precedente.
Questo stadio segna il passaggio dal dominio della percezione al dominio della logica, tuttavia il ragionamento logico
può essere applicato esclusivamente a situazioni estremamente concrete, quindi non può essere applicato a
elaborazioni di contenuti che non hanno una realtà concreta per il bambino e che non possono essere percepiti. Le
operazioni concrete sono azioni mentali irreversibili, come abbiamo detto, che riguardano oggetti reali ed
estremamente concreti. Le strutture mentali di questo periodo consistono in operazioni logiche, come ad esempio la
classificazione, ma anche in operazioni infralogiche, come ad esempio le relazioni spazio-temporali tra gli oggetti che
ne definiscono ad esempio la velocità, oppure la capacità di comprendere la relazione tra parte e tutto, e tra gli
oggetti insieme come ad esempio la capacità di compiere delle misure sulla realtà. Capite bene come con un
bambino tra i 7 e gli 11 anni sia possibile approntare dei programmi didattici estremamente complessi che possono
sfruttare la capacità di ragionamento logico applicata alla realtà concreta. – Schermate Unità 1 – Pag. 58 – Le
operazioni logiche includono trasformazioni della realtà nelle quali viene coinvolta una certa azione da parte del
bambino, un'azione inversa che ne annulla gli effetti, e un'azione reciproca che annulla l'azione stessa. Quindi il
ragionamento si basa su due forme logiche di reversibilità. La reversibilità per inversione, quindi ogni operazione può
essere annullata da un'azione opposta, e la reversibilità per reciprocità, cioè se A è maggiore di B, allora B è minore
di A. Questo consente agli insegnanti di dare degli input ai bambini che poi assumeranno per la mente del bambino
un valore enorme, in quanto grazie alla capacità di ragionare in maniera logica il bambino potrà generalizzare le
competenze apprese in relazione a un determinato contenuto, a contenuti più ampi e stabilire relazioni logiche tra i
vari concetti. – Schermate Unità 1 – Pag. 59 – Il bambino risponde correttamente al compito della conservazione del
liquido in questa età, ma nel giustificare la sua risposta ricorre solo ad una delle due regole. Il compito della
conservazione del liquido è stato da noi illustrato nella lezione precedente, ed è un compito molto semplice, ideato
da Piaget, è molto famoso per quanto riguarda lo studio dello sviluppo cognitivo che consiste semplicemente nel
predisporre un setting nel quale il bambino può osservare i due contenitori che sono uguali tra loro, e ché
contengono la stessa quantità di liquido. Piaget per somministrare il compito della conservazione introduceva un
terzo contenitore che era più stretto però più alto. Ecco allora che Piaget versava il liquido di uno dei due contenitori
dal contenitore basso e largo al contenitore alto e stretto, e il liquido si sollevava dal punto di vista percettivo, e
quindi chiedeva ai bambini se la quantità di liquido era diversa rispetto alla condizione precedente oppure no. I
bambini nello stadio operatorio concreto sono in grado di superare questa prova dicendo che la quantità di liquido
non è cambiata anche se è cambiato il livello, anche se livello è salito, e la quantità non è cambiata per diverse
ragioni. Le spiegazioni che possono offrire a questa età, sono che se l'acqua venisse di nuovo versata nel contenitore
basso ma più largo, i livelli di liquido ritornerebbero come prima. Vedete quindi che il bambino è in grado di
compiere mentalmente una operazione inversa. Un altro tipo di giustificazione è la seguente: l'acqua in questo
contenitore è più alta ma l'altro contenitore è più largo, quindi sono in grado di mettere in correlazione le proprietà
dei contenitori, quindi mettono in correlazione la larghezza con l'altezza e non considerano più soltanto l'elemento
percettivo più pregnante come facevano i bambini nel pensiero preoperatorio con un livello di intelligenza più
maturo, ma sono in grado di compiere queste correlazioni e di conservare la quantità di una realtà che si è
trasformata se nulla è stato aggiunto e nulla è stato tolto. – Schermate Unità 1 – Pag. 60 – Queste due regole della
reversibilità di pensiero sono delle regole estremamente importanti per comprendere la realtà circostante, tuttavia
continuano ad essere separate tra loro e a non essere coordinate. Per questa ragione nel dare la spiegazione degli
esempi i bambini sanno fare riferimento soltanto ad una delle due regole e non ad entrambe. Le operazioni mentali
saranno coordinate tra loro soltanto nel periodo operatorio formale, per cui il bambino in età scolare ha
un'intelligenza logica estremamente avanzata rispetto allo stadio precedente, tuttavia non è ancora un'intelligenza
perfetta, è ancora estremamente vincolata alla realtà circostante ed ha ancora bisogno di esperienze concrete e
potrà diventare flessibile, coordinata e completa soltanto nel periodo della pre adolescenza e dell'adolescenza. –
Schermate Unità 1 – Pag. 61 – Ecco ma che cosa può chiedere un'insegnante della scuola primaria ad un bambino tra
i 7 e gli 11 anni? Sicuramente quello che voi dovrete fare sarà lavorare sulle abilità di classificazione, di seriazione e
sulla capacità di applicare le regole della transitività. Il processo di classificazione è un processo estremamente
importante per l'adattamento all'ambiente, per lo sviluppo dell'intelligenza; classificando i bambini sono in grado di
comprendere le relazioni tra gli insiemi e i sottoinsiemi, quindi comprendono che una persona può essere allo stesso
tempo un padre, un fratello, un nipote. Questo tipo di pensiero era impossibile nel bambino preoperatorio in quanto
il pensiero era del tipo assolutamente intuitivo e non poteva comprendere tutte queste relazioni tra le parti, per cui
un genitore è un genitore e non può essere figlio della nonna o il fratello della zia. Naturalmente questi limiti di
pensiero pongono al bambino preoperatorio, il bambino piccolo della scuola dell'infanzia, in grave difficoltà nella
comprensione del mondo e spesso lo portano ad ignorare degli elementi di realtà che invece sono importanti.
Un'altra competenza logica importante è quella della seriazione. Gli insegnanti della scuola primaria lavorano
costantemente su questa abilità logica, che è la capacità logica di ordinare gli oggetti in base a una proprietà
quantificabile che è condivisa da questi oggetti in misura diversa. Spesso si chiede appunto agli alunni di ordinare in
termini di grandezza, di intensità, di numerosità, e questo permette al bambino di distinguere tra gli oggetti che sono
diversi, tra gli oggetti che vanno dal più grande al più piccolo, i gruppi di oggetti dal più numeroso meno numeroso,
eccetera. L'operazione di seriazione è molto importante per fare delle scelte. Grazie alla capacità di seriazione il
bambino è in grado di stabilire delle priorità, qual è l'obiettivo che è più importante è l'obiettivo meno importante,
qual è il compito che è più difficile in quanto richiede una maggiore quantità di tempo rispetto al compito che invece
è più semplice e che richiede una minore quantità di tempo. Vedete quindi come classificazione e seriazione
permettono ai bambini in età scolare di ragionare in maniera logica e di essere strategici anche nel processo di
apprendimento. L'altra regola importante è quella della transitività, ovvero la capacità di ragionare e di combinare
tra loro relazioni diverse. Questo consente agli insegnanti e dare delle spiegazioni logiche in relazione a determinati
oggetti che verranno poi generalizzate del bambino ad altri contesti e ad altre situazioni. – Schermate Unità 1 – Pag.
62 – Ecco riportato in questa diapositiva un esempio molto semplice di classificazione. Vedete che in questa
immagine gli oggetti vengono classificati per colore, che è rappresentato da quell'elemento in alto nella scatola.
Quindi il bambino deve disporre insieme tutti gli oggetti blu, tutti gli oggetti verdi, gialli e rosa.
Capite bene che gli oggetti sono diversi per altre caratteristiche, sono diversi per forma ma sono diversi per funzione,
e tuttavia il bambino riesce andare oltre queste differenze per cogliere le caratteristiche comuni riuscendo a cogliere
la relazione tra i diversi oggetti che fanno parte della stessa categoria. Quindi è in grado di paragonare la classe con
le sue sottoclassi senza confonderle grazie al ragionamento logico. – Schermate Unità 1 – Pag. 63 – Invece nel
periodo precedente, quindi il periodo prescolare, il bambino non era in grado di classificare ma era in grado di
ammucchiare gli oggetti. Piaget definisce questa capacità così primitiva di classificare, la capacità di compiere delle
collezioni. Quindi sino ai cinque anni il bambino compie delle collezioni figurali. Gli oggetti sono riuniti senza un
criterio comune ma solo per formare oggetti più complessi. Ad esempio, a questa età i bambini raggruppano gli
oggetti tra loro per formare ad esempio un trenino oppure un cerchio. Dopo i cinque anni i bambini realizzano delle
collezioni quando cercano di classificare, e raggruppano gli oggetti in base ad un criterio ma non sono in grado di
compiere operazioni logiche fra gli elementi. – Schermate Unità 1 – Pag. 64 – Ecco questo è un esempio di
classificazione prelogica: il bambino non sa aggiungere gli oggetti di una classe complementare a quelli di una classe
includente e più ampia. Di fronte alla domanda " ci sono più caramelle o più dolci? ", osservando questa immagine
che vedete nella diapositiva il bambino prelogico tenderà a dire "più caramelle" perché sono quelle più numerose e
più colorate contenute nel contenitore. In realtà la classe dei dolci è quella più numerosa perché è quella che le
comprende tutte, ma il bambino prelogico non è in grado di compiere questa operazione. Un bambino con un
pensiero operatorio concreto comprende invece che le classi dei dolci comprendono anche quella delle caramelle.
Un altro quesito che può essere posto per capire le capacità di classificazione dei bambini in età prescolare, è quello
rappresentato dall'immagine dei fiori. Si può fare questa domanda i bambini: ci sono più rose o più fiori? Il bambino
in età prescolare tenderà a dire: ci sono più fiori, ma realtà le rose sono a loro volta dei fiori per cui la categoria dei
fiori è una categoria più ampia che include le rose, e quindi al quesito non può essere data una risposta logica senza
chiarire qual è la classe sovraordinata e la classe sotto ordinata. – Schermate Unità 1 – Pag. 65 – 41 Un'altra abilità
molto importante su cui lavorare in età scolare è la capacità di seriazione, che consiste nel saper ordinare gli oggetti
in base ad una proprietà quantificabile condivisa da questi oggetti in maniera diversa. Ecco in questo materiale
strutturato che ho pensato di presentarvi per darvi delle idee su come lavorare sulla seriazione, vedete che gli
oggetti qui si distinguono per colore, ma all'interno di ciascuna categoria ci sono delle grandezze diverse; quindi in
questo caso la grandezza deve essere ordinata e gli oggetti devono essere messi in riga dal più piccolo al più grande o
viceversa. Questa capacità non è una capacità banale ma indica la capacità di fare dei paragoni tra gli oggetti e
individuare la proprietà comune che poi deve essere organizzata in maniera crescente. – Schermate Unità 1 – Pag. 66
– Ecco vedete qui un esempio invece di seriazione prelogica. Quindi nel periodo prelogico i bambini non fanno altro
che raggruppare le cose, quindi mettono insieme gli oggetti grandi con gli oggetti piccoli, oppure allineano le punte
dei bastoncini per ignorarne le estremità, stabiliscono cioè relazioni di somiglianza per cui non sono in grado di
seriare ma come abbiamo detto prima mettono insieme degli oggetti in una sorta di collezione sulla base di una
caratteristica ma non più di due caratteristiche messe insieme per creare classi sovraordinate o sotto ordinate. Un
elemento importante per saper mettere in serie e per saper categorizzare infatti è quello di considerare almeno due
proprietà alla volta degli oggetti, quindi non più soltanto una, non soltanto il colore ma anche ad esempio il colore e
la grandezza, il colore e la funzione. Questo ci permette di poter ragionare in maniera logica e non fare delle
collezioni di oggetti che poi non sono utili per l'adattamento alla realtà. – Schermate Unità 1 – Pag. 67 – L'ultima
regola che viene appresa dai bambini in età scolare è la regola della transitività. È l'ultima regola di cui parliamo e
che viene appresa insieme al concetto di classificazione e di seriazione. Questa capacità coinvolge il ragionamento di
tipo logico, e permette ai bambini di combinare una serie di relazioni tra loro. Quindi se A è maggiore di B e B è
maggiore di C, allora anche A è maggiore di C. Quindi se esiste una relazione tra un primo e un secondo oggetto e
anche tra il secondo e il terzo oggetto, allora esiste una relazione tra il primo e il terzo oggetto. Quindi se il
bastoncino A è più lungo del bastoncino B e il bastoncino B è più lungo del bastoncino C, allora il bastoncino A è
anche più lungo del bastoncino C. Questa regola permette al bambino di compiere delle inferenze su realtà e di
ragionare su aspetti che non sono stati considerati direttamente ma alle cui relazioni con gli oggetti precedenti
possono semplicemente essere inferiti. – Schermate Unità 1 – Pag. 68 – Il sistema delle operazioni logiche
comprende due insieme di operazioni che sono la reversibilità per inversione della reversibilità per reciprocità.
Quindi nella reversibilità per inversione ogni operazione è annullata la quella opposta, mentre nella reversibilità per
reciprocità abbiamo il ragionamento per cui se A è maggiore di B allora B è minore di A. Vedete quindi come
insegnanti che grandi potenzialità avete a disposizione. Il bambino in realtà nell'apprendere un'operazione logica
apprende anche la sua relazione inversa e la sua relazione reciproca, per cui le potenzialità dell'insegnamento sono
veramente notevoli. – Schermate Unità 1 – Pag. 69 – Vorrei chiudere questa unità parlando di un aspetto particolare
del pensiero di Piaget. Piaget aveva cercato di comprendere come i bambini comprendono la realtà fisica, e nella
prima lezione abbiamo parlato del processo di organizzazione mentale grazie al quale, una volta acquisita una
capacità di ragionamento, questa veniva generalizzata a tutti i contenuti mentali e a tutti gli schemi mentali presenti
in quel determinato periodo evolutivo. In realtà nei suoi studi Piaget ha rilevato un cosiddetto Décalage orizzontale,
ovvero "capacità simili non emergono nello stesso momento in un determinato stadio di sviluppo". Si è accorto di
questo aspetto studiando i processi di conservazione, ovvero si è accorto che mentre alcuni aspetti come la
conservazione della lunghezza, del numero e della quantità vengono appresi simultaneamente da parte dei bambini,
altri aspetti sono un po' più complessi e vengono appresi nel periodo successivo, come ad esempio il concetto di
volume, il concetto di peso e il concetto di massa. Quindi vedete come anche nello sviluppo del pensiero, in qualche
modo la complessità del materiale che deve essere elaborato cognitivamente, ha un certo peso sul ragionamento
logico e quindi viene appreso in maniera tardiva rispetto ad altri elementi che sono più tangibili come ad esempio la
lunghezza, il numero e la quantità degli oggetti
– Stadio delle operazioni formali (11–15 anni) – Schermate Unità 1 – Pag. 73 – In questa lezione vedremo l'ultimo
stadio di sviluppo ipotizzato da Piaget. Questo stadio prende il nome di stadio delle operazioni formali e riguarda i
ragazzi a partire dagli 11 anni di età. Lo stadio delle operazioni formali è il quarto e ultimo stadio di sviluppo
ipotizzato da Piaget e consiste in quel periodo evolutivo in cui gli adolescenti vanno oltre le esperienze concrete e
pensano in modo astratto e logico. A questa età gli individui sono in grado di risolvere un problema esclusivamente
dal punto di vista verbale, per cui gli insegnanti non hanno più bisogno di elaborare delle strategie educative
estremamente concrete per trasmettere le informazioni. Il ragionamento diventa di tipo ipotetico deduttivo, ovvero
gli individui hanno la capacità cognitiva di elaborare ipotesi su come risolvere un problema e sistematicamente
dedurre la migliore strategia possibile per risolvere il problema stesso. Questo non era assolutamente possibile nel
periodo operatorio concreto, nel quale il bambino aveva bisogno di vedere gli elementi di un problema per poterlo
risolvere. Nel pensiero operatorio formale è sufficiente una presentazione verbale del problema. Questo non vuol
dire che l'utilizzo di supporti visivi, di strategie di insegnamento come le mappe concettuali, gli schemi, la possibilità
di svolgere degli esperimenti in una didattica laboratoriale non sia indicata per il bambino di età superiore agli 11
anni e l'individuo di età superiore agli 11 anni, ma vuol dire che anche in assenza di strategie educative con supporti
alla didattica, vi può essere una comprensione dei problemi, dal punto di vista logico, presentati dagli insegnanti.
Quindi vi può essere una comprensione dei concetti anche a prescindere da un'esperienza percettiva diretta
immediata e concreta. Dicevo nella lezione precedente che in questo stadio gli individui sono in grado di elaborare e
di immaginare una realtà rappresentata da simboli come il linguaggio, ma anche da simboli numerici e da simboli
algebrici, o da formule fisiche e formule chimiche, pertanto le potenzialità di insegnamento che voi avete davanti per
i ragazzi a partire dagli 11 anni di età sono estremamente illimitate. – Schermate Unità 1 – Pag. 74 – Per quanto
riguarda questo stadio, nel pensiero delle operazioni formali l'individuo riesce a pensare al pensiero in sé. Presenta
quindi la capacità di riflettere sulla propria condizione, sulla condizione degli altri, e quindi questo processo dà luogo
all'idealismo e al possibilismo. Mentre i bambini pensano in modo estremamente concreto (ciò che è reale è
pertanto limitato), gli adolescenti pensano a ciò che loro desiderano per sé e per gli altri, e quindi cercano di pensare
ad un mondo ideale e possibile. Il pensiero naturalmente è più logico, procede sempre meno per prove e per errori,
si sviluppano ipotesi è strategie logiche per sviluppare queste ipotesi. Quindi questa è un'indicazione estremamente
preziosa per gli insegnanti. È proprio a questa età in cui deve essere stimolato il pensiero critico da parte degli alunni,
possono essere invitati a risolvere dei problemi di diverso livello di complessità partendo da delle ipotesi, e possono
essere invitati a sviluppare delle strategie per raccogliere elementi che possono confermare o disconfermare questa
ipotesi. – Schermate Unità 1 – Pag. 75 – Ho presentato in questa diapositiva un test classico presentato da Piaget per
comprendere se l'individuo si trova ad un livello di ragionamento operatorio formale. Per scoprire quale fattore
determina l'oscillazione del pendolo, il ragazzo deve formulare delle ipotesi su quale sia il fattore determinante e
deve variare sistematicamente gli elementi a uno a uno fino a che tutte le possibilità non siano state verificate.
Quindi un problema di natura logica che veniva posto da Piaget, è determinare le possibili numerosità di oscillazioni
di un pendolo. Voi sapete bene che le oscillazioni sono funzione di alcune caratteristiche come il peso che si trova
alla fine del filo, la lunghezza del filo, l'altezza da cui il filo comincia a pendere, e quindi per risolvere questo
problema nel periodo operatorio formale l'individuo non ha bisogno di svolgere questa esperienza concretamente
ma può fare delle ipotesi e può variare i diversi elementi che possono essere utilizzati nel ragionamento logico per
dare delle spiegazioni e per giungere a delle conclusioni. – Schermate Unità 1 – Pag. 76 – Ecco, quali sono le
implicazioni del modello di Piaget per l'intervento educativo? Ne abbiamo accennato in tutte le lezioni, però a
questo punto abbiamo modo di ricapitolare qual è l'importanza del modello Piagetiano per il processo educativo. –
Schermate Unità 1 – Pag. 77 – Diciamo che l'indicazione più forte che proviene dal modello Piagetiano è che l'alunno
deve assumere un atteggiamento di tipo costruttivo, ovvero deve imparare ad apprendere tramite l'autoscoperta,
pertanto l'insegnante deve porre l'alunno di fronte a problemi concreti, o astratti a seconda del livello di sviluppo, e
deve invitare l'alunno a risolvere questi problemi applicando i propri schemi mentali; il ruolo dell'insegnante è quello
di facilitare l'apprendimento e non quello di dirigerlo, per cui è fondamentale che l'insegnante adotti un approccio di
ascolto attivo nei confronti dell'alunno, sappia quindi ascoltare le sue spiegazioni, sappia osservare il suo
comportamento, e sappia porre delle domande appropriate. La capacità da parte dell'insegnante di fare domande ai
propri alunni non è una capacità così scontata; il metodo che Piaget ci suggerisce è quello di adottare un approccio di
tipo clinico, ovvero l'insegnante dovrebbe porre delle domande che sono in grado di sollecitare le spiegazioni dei
bambini, e non di suggerirle. Un esempio di questo tipo di domanda è: "dimmi di più, fammi vedere, e come mai",
anziché chiedere "perché" oppure fare delle domande che implicano delle risposte del tipo "sì o no". Questo è
estremamente importante perché solitamente i bambini tendono a prevedere le risposte che l'insegnante vorrebbe
sentirsi dire di fronte a queste domande, per cui di fronte ad una domanda che implica la sì o no " tendono per
almeno 70% delle volte a rispondere si. Questo è un procedere molto pericoloso perché potrebbe portare
l'insegnante a sotto stimare le conoscenze del bambino e la comprensione della realtà, pertanto è importante che il
fare domande sia un fare domande per ottenere le reali spiegazioni e non spiegazioni che siano conformi alle
aspettative dell'insegnante o a quello che l'alunno crede essere l'aspettativa dell'insegnante. Inoltre, per
l'insegnamento, secondo Piaget, è fondamentale partire dal livello di pensiero del bambino, e da quelle che sono le
sue conoscenze di base; quindi è fondamentale per Piaget lavorare attraverso operazioni logiche nel pensiero
operatorio concreto, e lavorare invece con strategie educative che stimolano il pensiero intuitivo, la percezione, e
che sfruttano anche la capacità di pensiero magico nei bambini in età prescolare. Pertanto, questo modello ci invita
ad essere molto cauti, a fare un'analisi dei prerequisiti, delle conoscenze e delle competenze dei bambini, e di
calibrare i programmi di insegnamento sulle capacità cognitive dei bambini e sulle loro conoscenze pregresse. Il
modello invita gli insegnanti a svolgere delle valutazioni continue proprio per valutare se il bambino si trova ad uno
stadio di ragionamento prelogico oppure ad uno stato di ragionamento logico, operatorio concreto oppure
operatorio formale, e l'indicazione è quella di promuovere naturalmente l'intelligenza, ovvero la capacità del
bambino di auto scoprire il mondo attraverso i processi di assimilazione e accomodamento, che come abbiamo visto
sono in grado di dare luogo alla riorganizzazione mentale, quindi alla capacità della mente di riorganizzarsi per far
fronte alle trasformazioni che intercorrono nella realtà. È importante trasformare quindi l'aula in un setting di
esplorazione e di autoscoperta, dove il ruolo dell'insegnante sia quello di agevolatore e non il ruolo di una persona
che trasmette conoscenze ad un individuo che deve costruirle. – Schermate Unità 1 – Pag. 78 – Il metodo di indagine,
il metodo di valutazione degli alunni che Piaget ci suggerisce prende il nome di “Metodo Clinico-Critico”. Questo
metodo è un metodo estremamente potente per comprendere lo stato di conoscenza del bambino. Come si lavora?
L'insegnante può predisporre delle prove e dei compiti che, con materiali concreti e manipolabili, permettano di
verificare il comportamento del bambino di fronte a questi problemi che sarebbero troppo difficili da porre in
termini esclusivamente verbali; anche perché se immaginate che un bambino operatorio concreto è un bambino che
non riesce a ragionare in maniera logica senza avere degli oggetti concreti, delle situazioni concrete su cui lavorare. –
Schermate unità 1 – Pag. 79 – Quindi il metodo clinico-critico consiste nel porre il bambino di fronte ad un problema
e poi porre delle domande aperte così come negli esempi che ho fatto precedentemente, e quindi evitare i perché,
evitate risposte si o no, ma permettere al bambino di spiegare meglio con sollecitazioni del tipo: dimmi di più, fammi
vedere, come mai, eccetera. Naturalmente la teoria di Piaget presenta dei limiti, e vedremo nella lezione successiva
alcuni autori che hanno superato i limiti di questa teoria e che ci permettono di utilizzare tutta una serie di
indicazioni ancora oggi nei contesti educativi. Sicuramente uno dei limiti è che le competenze dei bambini indicate
da Piaget in quelle specifiche fasce di età sono state ritrovate in bambini di età inferiore da ricercatori che hanno
esplorato le stesse competenze più avanti nel tempo. Quindi attualmente l'emergere ad esempio del pensiero logico,
avviene prima dei sette anni, quindi prima di quanto ipotizzato da Piaget, ed è stato visto che questo è possibile se si
utilizzano dei materiali più concreti e più legati alla vita e all'esperienza quotidiana del bambino. Inoltre, gli stadi non
sono così unitari come pensava Piaget, nel senso che non sono delle fasi nettamente separate così come indicate da
questo modello, e come anche indicato un po' dalla presenza dei Décalage. Quindi è possibile che il bambino sia in
grado di lavorare e di elaborare informazioni con modalità differenti a seconda del contenuto su cui sta lavorando e
non in maniera così uniforme come ipotizzato da questo modello psicologico. Inoltre, secondo Piaget l'insegnamento
tramite imitazione era un insegnamento che aveva degli effetti transitori e che non determinava un vero e proprio
atto di intelligenza. Ne abbiamo parlato nelle lezioni precedenti, quindi il processo imitativo secondo Piaget
determina un apprendimento transitorio che scompare non appena scompare il modello di riferimento. Altri teorici
che si sono occupati dei processi di apprendimento e di insegnamento ritengono invece che l'osservazione e
l'imitazione siano dei processi importanti per l'apprendimento e che possano produrre delle modifiche importanti a
livello cognitivo nell'organizzazione mentale degli individui. Altro limite della teoria di Piaget è quello di aver
trascurato la dimensione sociale ed interattiva dell'apprendimento. Quindi secondo Piaget l'insegnante è un
semplice facilitatore che si deve limitare a creare delle condizioni ideali per l'insegnamento. Questo limita
naturalmente le potenzialità del modello, perché voi sapete bene come in realtà i processi di insegnamento e di
apprendimento avvengano all'interno di un gruppo che è quello del gruppo classe, e avvengano in interazione con
l'insegnante, e che la relazione tra alunno e insegnante sia un aspetto determinante non soltanto per la motivazione
all'apprendimento, ma proprio per la comprensione dei concetti, l'elaborazione delle procedure di risoluzione dei
problemi, e l'apprendimento di tutta una serie conoscenze. Quindi con questa teoria diciamo che Piaget esclude
dalla sua analisi e dalla sua concettualizzazione la forza dei legami sociali all'interno dei quali avviene invece
naturalmente il processo di apprendimento. Quindi non considera assolutamente importante l'interazione tra
coetanei per la condivisione delle conoscenze, non considera assolutamente importante l'interazione con l'adulto
per la trasmissione della conoscenza, e soprattutto egli ritiene di aver elaborato un modello che sia universale,
quindi un modello che sia comune a tutte le culture. Quindi secondo Piaget tutti i bambini in tutte le parti del
mondo, nati in tutte le culture, attraversano i quattro stadi di cui abbiamo parlato oggi. Ecco in realtà questa
concettualizzazione si è rivelata limitante in quanto la cultura influenza lo sviluppo della conoscenza e le modalità di
ragionamento degli individui attraverso due processi: la produzione di significati e di sistemi simbolici, come ad
esempio la letteratura, la musica, la matematica e le discipline che vengono insegnate a scuola, e inoltre la cultura
influenza lo sviluppo mentale cognitivo attraverso la creazione di prodotti che vengono creati dall'uomo per
intervenire sulla realtà; quindi questi manufatti, questi prodotti anche tecnologici che vengono utilizzati
dall'individuo come ad esempio il computer, permettono alla mente di svilupparsi in quanto nel tentativo di
padroneggiare l'utensile, il manufatto costruito dall'individuo per adattarsi alla realtà, la mente si modifica e si
evolve secondo livelli di complessità crescente. Ad esempio a scuola insegniamo agli alunni ad utilizzare la penna per
produrre dei segni grafici sulla carta; ecco che la necessità di utilizzare questo strumento culturale che è la penna e
che è il quaderno, porta la mente dell'individuo ad organizzarsi secondo modalità ben precise; ad esempio l'utilizzo
della scrittura nelle società occidentali porta la mente degli individui ad organizzare il pensiero dall'alto verso il basso
e da sinistra verso destra, quindi questa è una modalità di ragionamento che viene poi trasferita anche ad altri
contesti e ad altre situazioni. Ma esporre i bambini anche a produzioni artistiche e musicali porta i bambini ad
apprendere una conoscenza del mondo legata a quei sistemi simbolici, pertanto anche la rappresentazione di
concetti quali per esempio l'amicizia, la lealtà, il senso di famiglia, sono fortemente influenzate dalle produzioni
artistiche alle quali il bambino è esposto, dalla produzione dei programmi televisivi alla produzione dei racconti
rappresentati nelle storie per bambini, o nei libri, con i quali i bambini o gli individui vengono a contatto. Pertanto, la
creazione di schemi mentali non dipende soltanto dall'esplorazione del mondo fisico ma anche dall'esplorazione del
mondo culturale, e quindi questo grande limite della teoria Piagetiano verrà superato poi dagli autori che vedremo
nelle lezioni successive, che completano un tassello che riguarda lo sviluppo mentale. Quindi la mente non è,
diciamo, semplicemente un sistema che consente all'individuo di adattarsi all'ambiente fisico, ma la mente è un
sistema che consente agli individui di adattarsi ad un ambiente di tipo sociale; quindi risolvere problemi che non
sono soltanto di natura cognitiva ma che sono di natura sociale e relazionale, e sviluppare e creare dei prodotti che
sono utili per la società di appartenenza e che sono ritenuti utili per la comunità di riferimento. Se voi ci pensate
quando lavorate in classe con gli alunni come insegnanti, voi avete chiari quali sono gli obiettivi che sono rilevanti
per la vostra cultura di appartenenza; nella nostra cultura occidentale è estremamente rilevante imparare a leggere,
a scrivere, comprendere il testo, riuscire a creare dei temi, dei disegni, risolvere dei problemi aritmetici, fare i calcoli
matematici; ecco questi sono tutti aspetti che sono rilevanti per la nostra cultura di riferimento.
La prospettiva storico-culturale
La teoria dello sviluppo di Vygotskij
Vediamo in questa lezione la teoria dello sviluppo secondo Vygotskij, ovvero l'approccio socio-costruttivista. –
Schermate Unità 2 – Pag. 3 – Vygotskij e il fondatore della scuola storico culturale. L'aspetto che caratterizza questo
studioso dello sviluppo mentale, è il fatto di essere stato maestro, pertanto i processi che egli descrive sono dei
processi che ha avuto modo di osservare durante la sua professione come insegnante. Nel 1925 divenne direttore
del dipartimento per l'istruzione dei bambini handicappati, e in seguito dell'Istituto di defettologia. Vediamo quindi
che la sua formazione ha a che fare non soltanto come insegnante degli alunni in classe, ma in particolare nel lavoro
con bambini che hanno avuto delle anomalie nello sviluppo a causa di patologie, che hanno quindi alterato lo
sviluppo naturale delle abilità mentali e del linguaggio. Dal 1928 al 1931 affronta il problema della storicità delle
funzioni psichiche, in quanto egli ritiene che la conoscenza sulla realtà non si basi soltanto sulla realtà fisica, ma che il
modo in cui gli individui conoscono il mondo sia fortemente influenzato dalle caratteristiche storiche e culturali a cui
l'individuo appartiene. L'opera più rilevante di questo autore, se volete farvi riferimento, si intitola "Storia dello
sviluppo delle funzioni psichiche superiori" scritta nel 1931. È un'opera estremamente rilevante in quanto in questa
opera Vygotskij descrive come la mente dell'individuo passi da un livello di funzionamento estremamente
elementare, di tipo biologico, ad un livello di funzionamento più articolato che si arricchisce dell'interiorizzazione di
segni e strumenti prodotti dalla cultura di riferimento. Quindi un'attenzione che può essere spontanea nel neonato,
che può essere catturata dall'intensità dei suoni, oppure dall'intensità della luce, diventa un'attenzione superiore
quando viene mediata dei simboli culturali. Ad esempio, noi siamo abituati nella nostra cultura a prestare attenzione
alle scritte sui cartelli, anche se i cartelli non sono necessariamente luminosi o troppo grandi; siamo abituati nella
nostra cultura a prestare attenzione al contenuto dei libri, anche se i libri sono privi di illustrazioni e i testi non sono
colorati. Pertanto, l'interiorizzazione dei sistemi simbolici come il linguaggio, i codici numerici, e altri simboli prodotti
dalla nostra cultura guidano il nostro pensiero e le nostre funzioni mentali. – Schermate Unità 2 – Pag. 4 – Secondo
Vygotskij i bambini costruiscono attivamente la loro conoscenza. Le funzioni mentali sono influenzate dalla
dimensione sociale dell'esperienza e i contenuti mentali prendono forma nell'interazione con gli altri e vengono
interiorizzati. Secondo Vygotskij pertanto le conoscenze esistono dapprima a livello sociale e culturale, e soltanto
dopo vengono apprese dagli individui.
Quindi un processo che è praticamente inverso a quello descritto da Piaget secondo cui invece le conoscenze si
sviluppano per interazione con la realtà fisica e sono prodotte e autoprodotte dall'individuo che interagisce con la
realtà attraverso i processi di assimilazione e di accomodamento. – Schermate Unità 2 – Pag. 5 – L'evoluzione della
mente avviene tramite l'acquisizione di strutture psichiche di complessità crescente, ovvero la nostra mente evolve
dalle funzioni psichiche inferiori alle funzioni psichiche superiori. Lo sviluppo biologico trova espressione nelle
funzioni psichiche inferiori, ovvero nei primi anni di vita, dalla nascita fino ai due anni, tutte le nostre funzioni
mentali lavorano ad un livello puramente biologico: la percezione, la motricità, le emozioni, l'attenzione spontanea,
la memoria non volontaria; l'individuo ricorda episodi che sono pregnanti dal punto di vista emotivo e percettivo,
mentre non ricorda altri episodi che sono pregnanti magari dal punto di vista sociale. – Schermate Unità 2 – Pag. 6 –
Grazie al linguaggio le funzioni psichiche inferiori diventano funzioni psichiche superiori, ovvero l'attenzione diventa
volontaria, si sviluppa il pensiero e la capacità di calcolo, la memoria diventa logica e il ragionamento è guidato
dall'utilizzo dei simboli e dei segni linguistici. Che cosa si intende per memoria logica? Come dicevo la memoria
biologicamente determinata e catturata da aspetti che sono pregnanti o dal punto di vista emotivo o dal punto di
vista percettivo, mentre la memoria logica è quella che state mettendo voi in atto nell'apprendere i contenuti
veicolati da questi video e da queste lezioni, ovvero state cercando di organizzare in maniera logica le nuove
conoscenze con le conoscenze pregresse per riproporle poi in un sistema organizzato ancora più complesso che vi
permetta poi di risolvere problemi e di raggiungere obiettivi funzionali all'insegnamento. Ecco questo tipo di
memoria è una memoria logica in quanto voi riuscite a ricordare informazioni che non sono significative dal punto di
vista percettivo ed emotivo, anzi sono neutre, ma sono importanti per quanto riguarda le informazioni culturali che
vengono veicolate. Quindi in questa transizione il linguaggio gioca un ruolo importante, e attraverso l'acquisizione
del linguaggio che le funzioni psichiche inferiori vengono interiorizzate diventando funzioni psichiche superiori.
Diciamo che secondo Vygotskij lo sviluppo biologico della mente e lo sviluppo culturale viaggiano in maniera
parallela dagli zero ai due anni di età, prima dello sviluppo del linguaggio. Con lo sviluppo del linguaggio finalmente
la linea evolutiva di tipo biologico e la linea evolutiva di tipo culturale si incontrano attraverso questo processo di
interiorizzazione dei significati culturali. Quindi è soltanto a partire dal momento in cui il bambino in grado di
utilizzare linguaggio che le sue funzioni psicologiche diventano funzioni psichiche superiori, quindi sono mediate dai
significati che l'individuo apprende dalla cultura di appartenenza. – Schermate Unità 2 – Pag. 7 – È grazie al
linguaggio che il bambino può svincolarsi dalla situazione concreta e può decontestualizzare la sua conoscenza. Le
funzioni psichiche superiori implicano la modifica strutturale dei processi cognitivi e la perdita delle loro
caratteristiche immediate, della dipendenza dalla realtà. Se voi ci pensate nell'utilizzare il linguaggio noi ci riferiamo
a elementi, concetti e persone che non sono direttamente presenti, e tuttavia riusciamo a immaginare e a fare dei
ragionamenti su di essi. Quindi l'interiorizzazione del sistema simbolico costituito dal linguaggio amplifica le
potenzialità di ragionamento e di pensiero degli individui e gli consente di andare oltre la realtà immediata– Nello
sviluppo delle funzioni psichiche, prima di arrivare ad una completa interiorizzazione, tuttavia vengono attraversate
diverse fasi che non vengono distinte in stadi così definiti come quelli indicati da Piaget, ma che vengono invece
delineati attraverso il funzionamento mentale. Quindi prima che il calcolo diventa mentale, il bambino ha la
necessità di contare con le dita, oppure di contare con gli oggetti. Prima che la memoria diventi logica, l'individuo ha
bisogno di servizi di segni esterni per ricordare, per esempio apporre un appunto su un quaderno, o una x sulle cose
che ha già svolto oppure sulle cose che deve svolgere con urgenza. Quindi ci sono diversi passaggi e diciamo che gli
individui si servono di segni e di simboli esterni per aiutare il proprio ragionamento prima che le abilità simboliche
vengano completamente sviluppate e che quindi il linguaggio assolva alla sua funzione di ragionamento così come
pensata da Vygotskij. – Schermate Unità 2 – Pag. 9 – In questa diapositiva potete osservare quali sono le tappe dello
sviluppo del linguaggio. Secondo il modello di Vygotskij il linguaggio evolve secondo una sequenza che è contro
intuitiva perché è estremamente diversa da quella proposta da Piaget. Secondo Piaget infatti il linguaggio emerge
soltanto una volta che l'individuo ha interiorizzato i propri schemi d'azione, e quindi ha svolto tutta una serie di
esperienze con il mondo esterno che gli hanno consentito di apprendere tutta una serie di schemi per interagire con
la realtà circostante. Quando questi schemi vengono interiorizzati e diventano pertanto schemi mentali è possibile
l'utilizzo del linguaggio che non è altro che l'espressione della modalità di ragionamento dei bambini. Per Vygotskij il
discorso è completamente capovolto per cui esiste una prima fase in cui è presente il linguaggio sociale. Quindi il
linguaggio sociale da zero a due anni è rivolto verso l'esterno per comunicare con gli altri ed ha una finalità del tutto
utilitaristica. I bambini comunicano per richiedere e fare delle richieste agli altri affinché gli altri eseguano delle
modifiche dell'ambiente per raggiungere i loro obiettivi. Quindi fanno una richiesta ai genitori per ottenere del cibo,
per ottenere oggetti, per ottenere conforto, e quindi questo linguaggio prende il nome di linguaggio sociale perché
rivolto agli altri per finalità utilitaristiche. Il livello di sviluppo superiore del linguaggio è il linguaggio interiore; il
linguaggio interiore coincide per Vygotskij con il pensiero, guida l'elaborazione dei piani per agire sulla realtà e fa sì
che l'attenzione sia governata dalle intenzioni e dei progetti razionali. Ecco il linguaggio interiore si manifesta attorno
ai 10 anni. Tra i due e i 10 anni abbiamo un altro tipo di linguaggio che prende il nome di linguaggio egocentrico.
Questo linguaggio è un linguaggio implicito, può contenere delle omissioni, perché è un linguaggio che il bambino
utilizza per guidare la propria azione. Si dice quindi egocentrico perché non ha un uso sociale, ma il bambino parla a
voce alta quando deve eseguire un compito per pianificare l'azione. Infatti, il linguaggio egocentrico tende ad
aumentare nelle situazioni in cui si presentano problemi e il bambino ha difficoltà a risolvere quella determinata
situazione con la quale si sta confrontando. Vedete quindi come l'idea del linguaggio per Vygotskij è quella di un
sistema simbolico che aiuta le funzioni mentali a passare da un livello inferiore di tipo biologico a un livello superiore
di tipo culturale e di tipo interiore, e permette di pianificare l'azione. Il passaggio pertanto è il seguente: è il
linguaggio che promuove lo sviluppo del pensiero e non il pensiero che promuove lo sviluppo del linguaggio, come
invece riteneva Piaget. Tramite il linguaggio il bambino guida la sua azione, la riorganizza, la pianifica, la svincola
dalla realtà. Mentre parla le parole sono la sua realtà oggettiva di riferimento. Il linguaggio serve per la
comunicazione e per l'interazione sociale, ma è anche strumento interno che guida il pensiero. – Schermate Unità 2
– Pag. 11 – Pertanto, tutto lo sviluppo cognitivo ruota attorno all'acquisizione del sistema linguistico. Il linguaggio è
lo strumento per eccellenza per il trasferimento dell'esperienza a livello sociale, e il linguaggio ha anche una funzione
di autoregolazione. Quando viene interiorizzato diventa pensiero. Se voi ci pensate il linguaggio verbale o scritto, e
gli altri linguaggi prodotti nella nostra società, sono i mezzi più potenti di trasmissione culturale. Attraverso il
linguaggio, l'arte e la scrittura, e gli altri sistemi simbolici, noi apprendiamo anche a scuola tutti i contenuti che sono
necessari e che sono importanti per la nostra società di riferimento. Ed è grazie all'apprendimento di queste
procedure di questi contenuti che la nostra mente si organizza ed è in grado a sua volta di produrre dei prodotti
culturali che sono rilevanti per la società di appartenenza. – Schermate Unità 2 – Pag. 12 – I bambini grazie
linguaggio sviluppano concetti logici, sistematici e razionali, attraverso il dialogo con un interlocutore che nel caso
della scuola è costituito dall'insegnante oppure dai compagni. La transizione da una intelligenza pratica legata alla
realtà un'intelligenza condivisa e condivisibile, perché astratta, non avviene soltanto attraverso il linguaggio, ma
avviene nell'interazione con gli altri grazie al processo di interiorizzazione. – Schermate Unità 2 – Pag. 13 – Ora
Vygotskij nella sua teoria non ha specificato in maniera dettagliata che cosa intende per processo di
interiorizzazione, ha descritto però la dinamica attraverso la quale l'insegnante può stimolare l'interiorizzazione di
contenuti culturali e quindi può stimolare l'apprendimento negli alunni. Ecco, un processo che per voi è importante
nei contesti di insegnamento e di apprendimento è il processo che avviene all'interno della zona di sviluppo
prossimale. Secondo Vygotskij lo sviluppo cognitivo è il risultato delle interazioni del bambino con gli altri più
competenti che gli trasmettono strumenti culturali necessari per l'attività intellettuale. Nel caso della scuola, l'altro
più competente è l'insegnante che è il membro adulto della comunità di riferimento, e gli altri più competenti
possono essere i compagni che si trovano ad un livello di competenza superiore in relazione ad un determinato
contenuto. Lo sviluppo cognitivo avviene nella cooperazione con gli altri e il bambino è un apprendista che sviluppa
la sua conoscenza grazie alla guida dell'adulto. Secondo Vygotskij infatti, così come per i mestieri che sono
importanti per la nostra società, avviene un processo di apprendistato. E quindi come un individuo meno
competente viene preso in carico da un maestro che lo guida nell'apprendimento, che gli spiega come risolvere
determinati problemi, e che grazie al dialogo e all'esempio rende palese all'apprendista la sua modalità di pensiero.
Anche l'insegnante deve accogliere l'alunno come un apprendista, e quindi come un membro meno competente
della propria società a cui sta insegnando degli elementi e delle conoscenze importanti per adattarsi alla realtà
sociale e culturale. L'insegnante pertanto tramite il dialogo e l'esempio, rende palese all'alunno il proprio pensiero e
le proprie modalità di ragionamento e gli permette di acquisire non soltanto contenuti culturali ma anche abilità di
problem solving e di elaborazione delle informazioni che sono utili per il contesto sociale di riferimento. – Schermate
Unità 2 – Pag. 14 – L'istruzione è fondamentale per lo sviluppo cognitivo del bambino. Quindi a differenza di Piaget
secondo cui l'istruzione era un processo che facilitava una maturazione biologica che si arricchiva dell'interazione
con la realtà fisica, secondo Vygotskij l'inserimento del bambino in contesti culturali quali la scuola ed altre
esperienze di apprendimento, invece è centrale. Ma che cosa si intende per zona di sviluppo prossimale? Vygotskij la
definisce come la differenza tra il livello di sviluppo effettivo di un individuo, che si manifesta quando risolve un
compito da solo, e il suo livello di sviluppo potenziale che si esprime se il compito viene risolto con l'indicazione di un
adulto più competente. – Schermate Unità 2 – Pag. 15 – Ecco che in questa diapositiva ho rappresentato un
diagramma molto semplice formato da cerchi concentrici che vuole mostrare il concetto di zona sviluppo prossimale.
La zona di sviluppo prossimale è l'area che sta al centro tra il cerchio piccolo, che rappresenta ciò che l'alunno sa
svolgere in autonomia, e il cerco più ampio esterno che rappresenta quello che l'alunno non sa ancora fare, la sua
potenzialità. La zona di sviluppo prossimale sta al centro e rappresenta ciò che l'alunno è in grado di fare con il
supporto dell'insegnante, con il supporto di un compagno più competente in quella determinata abilità. Ecco, nella
zona di sviluppo prossimale, l'alunno viene supportato, gli vengono forniti degli esempi verbali ma anche degli
esempi pratici su come risolvere un problema. E quindi l'alunno riesce a compiere dei compiti superiori rispetto alle
proprie capacità per tendere poi alla interiorizzazione di questi processi e quindi alla capacità di svolgere in
autonomia queste competenze. – Schermate Unità 2 – Pag. 16 – Il partner si colloca ad un livello di sviluppo
superiore, e pertanto ha un ruolo educativo importante. L'insegnante ha un ruolo educativo determinante negli
apprendimenti degli alunni, e la mediazione simbolica ha un ruolo chiave. Quindi l'insegnante attraverso il linguaggio
propone una mediazione simbolica dei contenuti, e può utilizzare anche una serie di altri prodotti culturali come ad
esempio i libri, le immagini ed altri sistemi di rappresentazione simbolica, e l'uso delle tecnologie ad esempio, che
permettono all'individuo di comprendere determinati processi e di interiorizzare determinate procedure. È
l'interazione sociale che promuove la trasformazione delle potenzialità in capacità, quindi il ruolo dell'insegnante è
quello di spingere sempre l'alunno al di là delle proprie potenzialità grazie all'impiego di strumenti culturali come il
linguaggio, la scrittura e la lettura. Vedete quindi come qui riconoscete gran parte del lavoro che gli insegnanti
quotidianamente svolgono in classe. Quindi la tendenza a richiedere sempre di più da parte dell'alunno a partire dal
suo livello di competenza attuale per tendere sempre al miglioramento. Secondo Vygotskij dalla maturazione
biologica dipende il livello di partenza e pertanto ci dà un'informazione molto utile per l'insegnamento anche con
alunni che, a causa di un disturbo nello sviluppo, non presentano le competenze degli alunni corrispondenti all'età
cronologica, ma si trovano ad un livello inferiore. Pertanto, grazie ad una valutazione del punto di partenza l'idea è
che l'insegnante possa portare il bambino esprimere una sua potenzialità; quindi partendo da una competenza già
acquisita passare al livello immediatamente successivo. – Schermate Unità 2 – Pag. 17 – Questo passaggio avviene
attraverso i mediatori simbolici, strumenti di produzione intellettuale; a scuola utilizzano in particolare i libri, o i
prodotti multimediali che possono trasmettere i contenuti desiderati e le procedure desiderate. I mediatori simbolici
sono sistemi di segni, parole e numeri, immagini, elementi musicali eccetera, che vengono appresi non per
imitazione o per condizionamento, ma sono il prodotto dello sviluppo culturale i cui contenuti vengono interiorizzati.
– Schermate Unità 2 – Pag. 18 – In questa diapositiva vedete l'esempio di un bambino molto piccolo che si interfaccia
con un libro illustrato, un libro di stoffa, nel quale però sono presenti dei simboli che sono importanti per la cultura.
Ad esempio, viene rappresentato un animale o determinati colori, con determinate azioni. Quindi l'utilizzo dei libri
illustrati e di altri mediatori simbolici, media l'acquisizione dei significati importanti per una cultura da parte del
singolo, e la scuola è il contesto ideale per esporre gli alunni a questi sistemi di mediazione simbolica ai quali
possono avere accesso, e l'accesso all'informazione voi sapete che promuove lo sviluppo linguistico e lo sviluppo
cognitivo attraverso l'interazione con l'insegnante e l'interazione con i pari. – Schermate Unità 2 – Pag. 19 – A livello
interpersonale i mediatori simbolici regolano le attività sociali, l'interazione e gli scambi, a livello intrapersonale
guidano il pensiero e il comportamentoHo inserito in questa diapositiva l'immagine di alcuni adolescenti che
utilizzano i tablet e i cellulari, e che sono appunto rappresentativi di come la mente si trasformi nell'utilizzo di questi
mediatori, e che quindi l'attenzione di questi individui venga completamente assorbita verso i contenuti culturali
trasmessi da questi dispositivi, e allo stesso tempo vedete che si trasforma anche l'interazione interpersonale che in
qualche modo viene ridotta e viene magari amplificata dall'utilizzo dei social network tramite questi dispositivi, ma
l'interazione faccia a faccia viene sacrificata e ridotta per dare spazio ad altri tipi di interazione. 1.2.2 – La teoria dello
sviluppo di Vygotskij – PARTE II – Schermate Unità 2 – Pag. 22 – In questa lezione vedremo un approfondimento della
teoria di Vygotskij con particolare riferimento al ruolo dell'insegnante nell'accompagnare l'alunno attraverso la zona
di sviluppo prossimale. Uno dei metodi che Vygotskij ci suggerisce per consentire all'alunno di esprimere le proprie
potenzialità, è quello di applicare il processo di Scaffolding. Diciamo che lo Scaffolding può essere definito come un
supporto graduato, modulato sulle capacità del bambino. Il termine è un termine inglese che deriva dal verbo “to
Scaffold”, che significa sostenere; quindi lo Scaffolding è la capacità degli insegnanti di sostenere l'alunno durante
l'attraversare la zona di sviluppo prossimale ed è un supporto che però non deve essere rigido, ma deve essere
estremamente flessibile e deve essere ridotto man mano che il bambino progredisce verso l'autonomia. Quindi il
bambino agisce al suo livello che, come abbiamo visto nelle lezioni precedenti, è un livello determinato dallo
sviluppo biologico, mentre l'adulto provvede a sostenere il bambino nel processo di apprendimento, e quindi a
guidarlo nell'espressione delle sue potenzialità. Le maggiori competenze dell'adulto sostengono il bambino
nell'apprendere le nuove competenze e nel consolidare le competenze già apprese. Diciamo che il modo migliore per
applicare un processo di Scaffolding è quello di passare da un massimo di sostegno del bambino nei momenti iniziali
dell'apprendimento, e ridurre sempre di più questo sostegno man mano che il bambino si esercita in una
determinata abilità e raggiunge una certa autonomia. – Schermate Unità 2 – Pag. 24 – Il tipo e il grado di supporto
dipendono dal compito e delle c o m p e t e n z e d e l b a m b i n o . N e i m o m e n t i i n i z i a l i dell'apprendimento,
quando il bambino sta imparando a risolvere un compito, la persona più esperta deve essere estremamente
presente.
Può in questo caso usare istruzioni dirette, dare un supporto preciso, portare il bambino all'esecuzione di un
determinato compito mostrando il modello dell'esecuzione corretta. Man mano che le competenze individuali
dell'alunno aumentano, la guida può essere minore sino ad essere eliminata del tutto. L'aiuto fornito deve essere
flessibile, e deve essere modulato sulle caratteristiche del bambino. Uno dei rischi dell'insegnamento tramite
Scaffolding è quello di rendere gli alunni dipendenti dal nostro aiuto e dai nostri suggerimenti. Per questo voi dovete
prestare particolare attenzione al modo in cui vi approcciate al bambino nell'aiutarlo ad attraversare la zona di
sviluppo prossimale. Diciamo che i tipi di supporto più facili da ridurre sono ad esempio i supporti visivi; quindi se il
bambino deve eseguire un compito, è possibile fornirgli il modello di ragionamento attraverso lo schema, o
attraverso una mappa concettuale alla quale il bambino può far riferimento. Questi supporti visivi possono essere
poi sfumati o ridotti fino a risultare in elenchi molto essenziali del procedimento e poi a scomparire del tutto. Il
supporto più difficile da eliminare è il supporto verbale. Gli insegnanti tendono ad utilizzare il linguaggio verbale in
misura veramente importante nel processo di insegnamento, gran parte delle istruzioni vengono fornite attraverso il
linguaggio verbale, gran parte delle indicazioni vengono fornite attraverso questo linguaggio. E tuttavia è il tipo di
Scaffolding più difficile da eliminare, perché crea una forte dipendenza negli adulti. Pertanto, l'indicazione dal
modello di Vygotskij è quello di utilizzare uno Scaffolding innanzitutto che sa flessibile, per cui anche nel caso noi
vogliamo fornire delle istruzioni verbali, è molto importante che queste istruzioni vengano abbinate ad informazioni
visive, le quali poi lasceranno lo spazio a un supporto non verbale e sia più facile poterlo sfumare ed eliminare in
modo da lasciare il bambino autonomo nelle sue competenze. Il supporto inoltre deve essere contingente all'interno
di interazioni collaborative adulto-bambino, che possono essere interazioni educative esplicite ma anche informali,
come il gioco e la conversazione. Ecco che da questa indicazione deriva una implicazione estremamente pratica per
l'insegnamento; laddove ci siano dei problemi di comportamento nella classe o con un singolo individuo, è molto
importante interrompere il processo di insegnamento e di apprendimento per focalizzarsi sulla gestione dei
comportamenti problematici o sulla risoluzione dei conflitti, o lavorare sulla motivazione dell'alunno. Quindi è
fondamentale che l'insegnante possa lavorare in un clima della classe che sia positivo e in una interazione con
l'alunno nella quale l'alunno sia motivato a seguire le indicazioni dell'insegnante e a collaborare, a stabilire un
dialogo costruttivo con l'insegnante nel quale l'alunno ha una parte attiva. Pertanto ricordatevi che lo Scaffolding
può essere presentato agli alunni in queste condizioni ottimali e in ogni situazione in cui queste condizioni ottimali
vengono meno è importante interrompere il processo e lavorare per ricostruire un clima sereno, per aumentare la
motivazione all'apprendimento anche con delle pause per facilitare la ripresa dell'attenzione e per rispondere ai
bisogni degli alunni e quindi mettere al primo posto la collaborazione e il dialogo che sono i requisiti necessari per
applicare un processo di Scaffolding funzionale. Il dialogo infatti è uno strumento importante di Scaffolding che si
inserisce nella zona di sviluppo prossimale. Può servire e può essere utile per l'insegnante per rendere palese
all'alunno il proprio processo di pensiero. Quindi attraverso il dialogo l'insegnante spiega come si può arrivare ad una
determinata soluzione, come nuove informazioni possono essere inserite in informazioni pregresse e rende palese il
proprio processo di pensiero all'alunno– Schermate Unità 2 – Pag. 26 – I bambini infatti possiedono una serie di
concetti che spesso non sono sistematici, ma sono disorganizzati e spontanei. Attraverso il dialogo i concetti del
bambino vengono a contatto con i concetti sistematici organizzati e logici dell'adulto. Quindi l'adulto fornisce un
modello del proprio pensiero che è il modello ideale per organizzare le conoscenze. Le conoscenze del bambino si
organizzano pertanto in maniera razionale dialogando e confrontandosi con l'adulto. Ricordatevi che il dialogo
presuppone una reciprocità, un'alternanza, uno scambio alla pari nella conversazione ed è molto diversa dalle
istruzioni dirette che fosse invece possono rendere lo Scaffolding rigido, e creare dipendenza così come abbiamo
descritto precedentemente. Quindi il dialogo si caratterizza per la flessibilità e per la capacità di lasciare anche lo
spazio importante per l'alunno per riflettere e per esprimere la comprensione delle varie conoscenze e delle nuove
conoscenze che vengono illustrate. – Schermate Unità 2 – Pag. 27 – Le strategie di Scaffolding possono essere tra le
più varie: dalla suddivisione di un compito complesso in parti più semplici e organizzate gerarchicamente, dalle
tecniche per promuovere l'attenzione, come dicevamo prima, l'utilizzo di pause strategiche che possono intervenire
nei momenti in cui l'attenzione sta per calare, fornire esempi e mettere in rilievo gli aspetti del compito anche
attraverso l'utilizzo di colori, di immagini, oppure sottolineando le informazioni più salienti con esempi che possono
essere pregnanti e significativi per gli alunni, controllo dei livelli di frustrazione dell'alunno e l'uso di lodi e rinforzi,
perché abbiamo detto che lo Scaffolding deve avvenire in situazioni in cui è massima la collaborazione dell'alunno,
pertanto i livelli di frustrazione devono essere monitorati. Se l'alunno si trova in uno stato di disagio o di bisogno
anche legato alla difficoltà del compito, è importante che l'insegnante si prenda cura di questi livelli di frustrazione e
cerchi di riportare nell'individuo e nella classe i livelli di frustrazione minimi e gestibili che possono essere anche
funzionali all'apprendimento. In particolare, ci sono delle emozioni che facilitano l'apprendimento, come ad esempio
la gioia, l'interesse e la curiosità, pertanto l'insegnante può far leva su queste emozioni per introdurre le nuove
conoscenze. Altre emozioni invece come l'ansia, la paura e la noia, portano a comportamenti di evitamento e sono
disfunzionali per il processo di apprendimento, pertanto vanno evitate e quando ci sono emozioni di questo tipo è
importante che l'insegnante lavori con attività di disimpegno, o con attività piacevoli per consentire all'alunno di
elaborare queste emozioni e di riprendere uno stato affettivo positivo che possa essere produttivo per
l'apprendimento. Lo Scaffolding può avvenire attraverso l'uso di svariati mediatori simbolici; possiamo utilizzare il
computer e altri strumenti di produttore intellettuale come i libri di testo, come le produzioni artistiche, come le
produzioni artistiche da parte dei bambini eccetera. Quindi come vi dicevo Vygotskij indica il dialogo come
strumento di Scaffolding essenziale però è possibile utilizzare anche immagini e altre fonti di mediazione simbolica
che sono a disposizione dell'insegnante grazie anche l'utilizzo delle nuove tecnologie. – Schermate Unità 2 – Pag. 28
– Ecco diciamo che il processo di apprendimento è strettamente legato allo sviluppo linguistico dei bambini, e quindi
è importante che l'insegnante sia consapevole di quanto il linguaggio possa aiutare il pensiero nelle varie fasi
evolutive. Abbiamo visto nelle lezioni precedenti che inizialmente linguaggio e pensiero sono indipendenti tra loro;
ad esempio prima dei due anni i bambini producono la lallazione, che un tipo di produzione linguistica senza
pensiero, quindi la produzione di suoni linguistici per il puro esercizio di produrre dei suoni sempre più articolati che
però non hanno intenzione comunicativa. A partire dai due anni i bambini comprendono gli oggetti hanno un loro
nome e usano le parole come forme simboliche di elaborazione della realtà. Ad esempio, producono delle frasi o
delle parole per ottenere qualcosa in cambio, quindi fanno delle richieste ai genitori tramite il linguaggio per
ottenere degli oggetti, per ottenere l'attenzione, per ottenere il cibo, e quindi fanno un uso che abbiamo definito
sociale del linguaggio. A partire dai tre anni il linguaggio diventa egocentrico quindi guida l'azione e il pensiero. A
partire dai sette anni il linguaggio viene interiorizzato e diviene linguaggio interiore. Questa è un'indicazione molto
importante per gli insegnanti, perché è possibile sfruttare questi livelli di sviluppo del pensiero e del linguaggio per i
processi di apprendimento. Una delle indicazioni che proviene dal modello di Vygotskij, infatti e quella di lavorare in
situazioni in cui il bambino possa utilizzare il linguaggio per rendere palese il proprio processo di ragionamento. È a
questo punto che l'insegnante può intervenire per correggere laddove le tipologie di ragionamento non siano
adeguate per quel tipo di competenza e offrire dei modelli di ragionamento più appropriati e ad un livello più
maturo. – Schermate Unità 2 – Pag. 29 – Quindi i bambini utilizzano il linguaggio per pianificare, per guidare e
monitorare il comportamento; capite bene come questa indicazione sia in qualche modo un po' in controtendenza
rispetto ai metodi più tradizionali di insegnamento che portano invece bambini ad utilizzare soprattutto il pensiero
nella risoluzione del compito e ad utilizzare molto poco il linguaggio. Ecco quali modi avete voi in classe, come
insegnanti, per stimolare l'utilizzo del linguaggio nella risoluzione dei problemi e nell'elaborazione delle conoscenze?
Ricordatevi che il modo è sempre il dialogo, e questo dialogo può essere innescato con l'insegnante, quindi
l'insegnante che permette ai bambini di esprimere la propria opinione, e quindi lascia uno spazio per fare domande
durante la lezione o al termine della lezione, ma il dialogo può essere stimolato anche tra pari; quindi la
predisposizione di attività e di momenti di apprendimento in cui il bambino possa dialogare ad esempio situazioni di
piccolo gruppo. L'uso del linguaggio aiuta l'autoregolazione e soprattutto è connesso all'attività pratica. Quindi i
bambini hanno bisogno di parlare per seguire i passaggi necessari allo svolgimento di un'azione. Questa è
un'indicazione importante per la gestione del comportamento dei bambini in classe, la capacità degli insegnanti di
distinguere quando si ha un linguaggio rivolto all'esecuzione dell'azione, e che quindi va incoraggiato, va spronato e
va implementato per aiutare la risoluzione dei problemi. – Schermate Unità 2 – Pag. 30 – Quindi, vi ricordate, la
funzione del linguaggio è una funzione importante, perché una volta che il linguaggio viene interiorizzato e aiuta
l'individuo a rappresentare la realtà circostante, le funzioni mentali si potenziano e diventano funzioni mentali di tipo
superiore. – Schermate Unità 2 – Pag. 31 – Quindi i bambini usano il linguaggio per comunicare con gli altri a partire
dal secondo anno di vita, senza necessariamente usare il linguaggio per guidare i loro pensieri. Prima che si compia il
passaggio da linguaggio esteriore a linguaggio interiore, i bambini attraversano quel periodo molto lungo di
linguaggio egocentrico, dai tre ai sette anni, che quindi è una modalità di apprendimento estremamente importante
soprattutto in età prescolare. – Schermate Unità 2 – (SLIDE MANCANTE) Il linguaggio egocentrico diventa
progressivamente sempre più ridotto, e a partire dai sette anni i bambini riescono ad agire senza dover verbalizzare.
Il linguaggio diventa allora interiore e costituisce il loro modo di pensare e di elaborare la realtà. I bambini che usano
il linguaggio interiore sono socialmente più competenti rispetto a coloro che non lo usano. Quindi l'obiettivo
dell'insegnante è quello di aiutare il bambino a interiorizzare i simboli e i segni della cultura per poter utilizzare il
linguaggio sottoforma di pensiero. Naturalmente il linguaggio interiore non ha caratteristiche simili al linguaggio
verbale; è molto più sintetico, può omettere delle parti perché la sua caratteristica è la rapidità. Quindi il processo di
pensiero del linguaggio interiore è estremamente più rapido rispetto al linguaggio verbale; per immaginare una
procedura, per immaginare il contenuto di una conoscenza i tempi sono più rapidi rispetto al descriverla
verbalmente o a raccontarla attraverso il linguaggio verbale. Quindi si parla di linguaggio che in realtà, nella teoria di
Vygotskij, coincide con il sistema simbolico del pensiero, quindi molto più sintetico, molto più rapido, molto più
efficace nel concettualizzare le informazioni rilevanti. – Schermate Unità 2 – Pag. 32 – Ecco a conclusione di questa
lezione ho preparato una serie di esempi su come poter applicare il modello di Vygotskij alla classe e
all'insegnamento in classe. È molto importante che l'insegnante attivi una valutazione dinamica e funzionale della
zona di sviluppo prossimale. Voi capite bene che questo è necessario per ciascun alunno della classe, ed è necessario
per ciascun compito che viene presentato, pertanto l'abilità dell'insegnante consiste nell'operare attraverso una
molteplicità di zona di sviluppo prossimale, ogni alunno è diverso dall'altro, parte da situazione differenti a seconda
del compito che deve affrontare, pertanto l'abilità dell'insegnante consiste nel saper cogliere il punto di partenza di
ciascuno e nello spingere ciascun alunno ai limiti delle proprie potenzialità per ogni attività che viene proposta.
Come fate a capire se avete valutato correttamente la zona di sviluppo prossimale? Non esistono testi standardizzati
per compiere questa osservazione, ma esistono degli indicatori comportamentali. Allora voi vi accorgete di aver
stabilito una corretta zona di sviluppo prossimale quando l'alunno riesce a svolgere un compito con il vostro
supporto, e dopo una serie di sessioni di allenamento nelle quali avete pian piano ridotto il vostro supporto riesce a
svolgere il compito in autonomia. Nel caso in cui, invece, l'alunno sarà già svolgere il compito autonomamente, avete
fissato la zona di sviluppo prossimale ad una competenza troppo bassa che pertanto era già presente nel repertorio
comportamentale di competenze dell'alunno. Quindi questo è il segnale di un errore. Oppure vi può capitare che
dopo una serie di sessioni nelle quali illustrati i procedimenti, dati degli esempi, l'alunno continui a non essere
autonomo nell'esecuzione del compito. Ecco che questo è un segnale importante che vi indica che avete settato la
zona di sviluppo prossimale a un livello troppo elevato, pertanto dovette rianalizzare il compito, rianalizzare i
prerequisiti e porre l'asticella ad un livello inferiore. – Schermate Unità 2 – Pag. 33 – Un'altra indicazione della teoria
di Vygotskij è quella di attivare il più possibile situazioni nelle quali l'alunno possa utilizzare il dialogo. Abbiamo detto
che una di queste condizioni è l'insegnamento attraverso l'interazione con un coetaneo. Ricordatevi che per
applicare le idee proposte dal modello di Vygotskij, il coetaneo deve essere un alunno più competente in una
specifica abilità, e pertanto deve essere in grado attraverso il dialogo e la conversazione di illustrare all'alunno quelle
che sono le procedure corrette e gli obiettivi di apprendimento da raggiungere. – Schermate Unità 2 – Pag. 34 – Altro
aspetto importante è che voi cerchiate di promuovere il linguaggio interiore, quindi la capacità dell'alunno di passare
dall'utilizzo del linguaggio verbale per guidare la sua azione a linguaggio interiore, quindi dell'utilizzo del pensiero. E
questo può essere fatto attraverso l'allenamento e la ripetizione di tutta una serie di competenze e tutta una serie di
compiti che vengono poi interiorizzati, dapprima guidati attraverso il dialogo e poi appesi e interiorizzati.. 35 – Altra
indicazione che proviene dal modello di Vygotskij è quella di utilizzare contesti significativi per l'apprendimento.
Quindi l'individuo deve essere motivato a risolvere determinati compiti e a elaborare determinate competente
perché le trova utili e le trova spendibili dal punto di vista sociale, relazionale e della comunità di appartenenza.
Quindi questa è un'indicazione estremamente preziosa che ci proviene da questo modello. – Schermate Unità 2 –
Pag. 36 – Infine, vedremo nelle unità successive come il modello di Vygotskij abbia avuto delle evoluzioni importanti
e trovi al giorno d'oggi espressioni nei modelli di cooperative learning. Quindi il cooperative learning è una situazione
in cui gli alunni cooperano insieme per raggiungere un obiettivo di apprendimento, e si caratterizza per il fatto di
presentare una responsabilità individuale, quindi dal comportamento e dall'apprendimento e dal successo del
singolo dipende il successo del gruppo, ma anche una responsabilità condivisa, e pertanto dal contributo di tutti
dipende il successo del singolo nel portare avanti una determinata attività. L'aspetto che caratterizza il cooperative
learning è la possibilità di dialogo non solo con l'insegnante ma soprattutto tra i pari, un dialogo che stimola quindi
l'attraversamento delle zone di sviluppo prossimale, che sono molteplici e sono specifiche per ogni attività che viene
presentata.
La psicologia culturale
In questa lezione, parleremo della Psicologia Culturale. Il maggior esponente della Psicologia Culturale è Bruner, che
è l'autore che ha studiato come i processi mentali, compreso il linguaggio, hanno un'origine sociale, e la cognizione è
estremamente influenzata dalla cultura di appartenenza. Secondo Bruner l'interazione con l'adulto è fondamentale
per lo sviluppo cognitivo. Bruner è un autore che ha rivoluzionato la psicologia più moderna mettendo insieme le
idee di Piaget e di Vygotskij, che erano due autori che prima della teoria di Bruner venivano classicamente
contrapposti. Quindi, Piaget spiegava lo sviluppo cognitivo attraverso l'assimilazione e l'accomodamento delle
strutture mentali in interazione con l'ambiente fisico, mentre Vygotskij focalizzava tutta la sua attenzione
sull'importanza dei processi sociali, di dialogo e di comunicazione all'interno della classe e con l'insegnante. Ecco che
Bruner mette insieme queste due teorie creando una teoria di costruzione della conoscenza che fa tesoro
dell'approccio stadiale di Piaget, quindi anche Bruner ritiene che lo sviluppo della conoscenza attraversi i diversi stadi
evolutivi a partire da una dotazione biologica dell'individuo, ma ritiene che i processi di socializzazione e di scambio e
di interazione non soltanto con gli individui, ma con la cultura di appartenenza, siano essenziali per lo sviluppo
cognitivo. – Schermate Unità 3 – Pag. 4 – Quindi Bruner, come Vygotskij, considera il linguaggio come importante per
l'apprendimento della conoscenza, e tuttavia Bruner (qui la docente nella lezione dice Vygotskij, ma a me pare chiaro
che si riferisce a Bruner, N.d.R.) fa un passo in più: ritiene che nel linguaggio noi non abbiamo saltato accesso alle
conoscenze culturali e alle conoscenze importanti per la gli apprendimenti e per la risoluzione di problemi importanti
per la nostra cultura, ma il linguaggio ci comunichi anche qualcosa in più, ovvero quali sono gli stati mentali e le
dimensioni psicologiche che stanno alla base del comportamento delle azioni degli altri. Bruner compie in psicologia
la cosiddetta svolta culturale, ovvero Secondo Bruner la mente è fondata sul significato e sulle modalità attraverso
cui il significato viene creato, e pertanto tutte le informazioni a cui noi siamo esposti, come le opere d'arte, le opere
musicali, la danza e tutti i linguaggi che vengono prodotti all'interno della cultura, producono conoscenza e plasmano
la nostra mente. Bruner è il fondatore della psicologia culturale che studia i modi in cui la società e la cultura
influenza lo sviluppo individuale. Abbiamo parlato nelle lezioni precedenti di come l'utilizzo degli strumenti e dei
manufatti possa influenzare la mente. Se voi ci pensate l'utilizzo dei computer e dei social network sta modificando
radicalmente il nostro modo di pensare e di pensarci all'interno della comunità. Seppur nella vita quotidiana
possiamo avere dei rapporti con un numero ristretto di persone l'utilizzo dei computer e dei socialmente network ci
mettono idealmente in connessione con diverse persone tutte le parti del mondo, e questo amplifica le possibilità
della nostra mente di pensare e modifica anche il nostro modo di pensare, ovvero la possibilità di pensare
contemporaneamente a quello che pensano un'altra persona in un mondo è in una posizione completamente
diversa dalla nostra in momenti che sono corrispondenti. Quindi vedete come l'utilizzo dei significati culturali e degli
strumenti creati dalla cultura modifica fortemente il nostro pensiero. Un esempio più classico che abbiamo fatto
nelle lezioni precedenti è che l'utilizzo della lettura e della scrittura ci porta ad esempio pensare in maniera lineare.
Se noi utilizziamo la scrittura su un quaderno, o la lettura di un libro, il nostro pensiero è abituato a procedere per
argomentazione. Quindi si parte da delle premesse, si ha uno svolgimento del ragionamento per arrivare a delle
conclusioni. Questo modo di pensare si riflette anche nell'utilizzo del nostro linguaggio nel modo in cui poi
elaboriamo le informazioni. La cosa cambia quando invece abbiamo accesso a delle informazioni attraverso Internet,
che è un mediatore culturale dove le informazioni vengono presentate all'interno di schermate e le informazioni non
sono gerarchicamente ordinate, ma sono presentate quasi con la stessa valenza, è pertanto la mente dell'uomo che
poi deve organizzare queste conoscenze che non vengono più presentate maniera sequenziale ma vengono
presentate in parallelo e possono essere fruite dall'utente in maniera estremamente rapida e maniera
estremamente accessibile. Quindi vedete come la cultura modifica i modi di pensare dell'individuo e ne modifica i
contenuti a seconda degli strumenti e dei mezzi che vengono impiegati per divulgare la conoscenza. – Schermate
Unità 3 – Pag. 5 – La cosa importante, il messaggio importante che proviene però della teoria di Bruner, è che è alla
base del comportamento umano vi è un significato, e pertanto gli individui quando interpretano il comportamento
altrui non fanno altro che interpretarne le intenzioni che stanno alla base dell'azione. Quindi per capire le intenzioni
secondo Bruner è fondamentale conoscere la cultura. La cultura influenza le intenzioni attraverso i mediatori
simbolici. Ho rappresentato in questa diapositiva dei prodotti culturali che sono ad esempio dei personaggi dei
cartoni animati che vengono presentati ai bambini, ciascuno di questi personaggi presenta delle caratteristiche
importanti; ecco alla base dei comportamenti di questi individui, anche fantastici e immaginari, ci sono delle
intenzioni e i bambini in principio sono stimolati a comprendere le intenzioni dei protagonisti alla base di alcune
connotazioni culturali che li riguardano. Ad esempio ci può essere il mostro che è più dispettoso, e che ha
determinate connotazioni quindi può essere magari più buffo, oppure il mostro che rappresenta una figura più
materna e gentile, con alcune connotazioni che sono familiari per la nostra cultura di appartenenza, un mostro che è
più simile a un animale domestico, e quindi ha caratteristiche magari di gentilezza e comportamenti di compagnia,
che sono però inferiti dal bambino sulla base della conoscenza della cultura di appartenenza. Quindi sono
comprensibili dalla lettura delle azioni dei protagonisti, perché si condivide un background culturale che è noto e che
ci permette di interpretare le azioni. Per quanto riguarda l'insegnamento questo ha una valenza straordinaria perché
ci indica che gli alunni, non soltanto risolvono i problemi che noi gli poniamo, o svolgono l'attività in classe perché
comprendono le nostre soluzioni verbali, ma perché sono sostenuti da una conoscenza culturale del contesto
scolastico, ovvero il fatto di frequentare una scuola per loro significa che vi è un'insegnante che trasmette la
conoscenza, che loro devono avere un atteggiamento collaborativo nei confronti dell'insegnante e che ci sono dei
compagni con i quali condividono delle esperienze, e quindi loro costantemente non fanno altro che leggere le
intenzioni alla base del comportamento dell'insegnante e interpretare questi comportamenti sulla base delle
intenzioni grazie alla storia condivisa, e alla storia condivisa all'interno della classe e della cultura di riferimento.
Questo significa che all'interno della classe va promosso dialogo costante per esplicitare la comprensione di queste
intenzioni, in modo che alunni e insegnanti siano allineati negli obiettivi comuni e quindi condividano la stessa
comprensione delle attività e la stessa comprensione delle finalità che vengono proposte. – Schermate Unità 3 – Pag.
6 – Ecco ma come fa il bambino a sviluppare la propria conoscenza del mondo? Secondo Bruner la comprensione
della realtà, e anche delle intenzioni dell'altro, avviene in età precocissima, molto prima dello sviluppo linguistico,
pertanto voi come insegnanti vi ritrovate dei bambini che hanno appreso a capire quello che l'altro pensa in età
estremamente precoce. Ecco nei primi anni di vita, da zero e due anni, i bambini partecipano attivamente alla vita
sociale della famiglia all'interno dei cosiddetti formati di attenzione condivisa. In questa diapositiva vedete una
madre che legge un libro illustrato insieme al suo bambino. Vedete che la madre sta dietro al bambino, il libro è
davanti a tutti e due e insieme condividono lo stesso focus d'interesse. Durante l'interazione è possibile che il
bambino ripetutamente guardi la madre, che la madre guardi il bambino e che insieme guardino il libro per
condividere lo stesso oggetto di attenzione. Ecco la lettura congiunta del libro in età precoce è un esempio molto
chiaro di formati di attenzione condivisa, e genitore e bambino sviluppano proprio degli schemi interattivi o dei
modelli di azione in base ai quali svolgono azioni abituali tra genitori e bambino sin dai primi giorni di vita. Questo
permette al bambino di crearsi delle aspettative su come devono essere svolte le azioni e di comprendere e di
anticipare l'intenzione dell'altro. – Schermate Unità 3 – Pag. 7 – In questa diapositiva vedete un altro esempio di
formato di attenzione condivisa, che è l'azione del bagnetto. Durante il bagnetto la madre ha l'obiettivo di curare
l'igiene del bambino, ma al contempo compie delle azioni che sono sempre le stesse, sempre ripetute, e tutto questo
(vedete qui la madre sorride e il bambino gioca) avviene sempre all'interno di formati di attenzione condivisa. Quindi
le interazioni si strutturano secondo degli schemi in cui adulto e bambino cooperano per uno scopo, quindi ad
esempio durante la pappa, la lettura di un libro e il bagnetto. Quindi l'elemento che è il filo conduttore è la
cooperazione. In genere sono azioni piacevoli, finalizzate alla cura del bambino, che si ripetono quotidianamente e
diventano delle routine. Naturalmente nei primi anni di vita le prime interazioni sono scandite dalle necessità di tipo
biologico, quindi il sonno, la nutrizione e l’igiene. Successivamente diventano attività che sono culturalmente
determinate. Quindi il primo messaggio che deve raggiungere gli insegnanti da parte della teoria di Bruner è che per
gli alunni è più facile comprendere le intenzioni dell'adulto, e quindi dell'insegnante, se queste vengono comunicate
all'interno di routine nelle quali si condividono gli stessi obiettivi e si svolgono delle azioni che sono prevedibili.
Quindi per facilitare il processo di comprensione delle vostre intenzioni da parte degli alunni è importante che le
vostre attività didattiche siano caratterizzate ovviamente da elementi di novità che hanno a che fare con i contenuti
di apprendimento, ma che si svolgano su un substrato di routine, di prevedibilità, che consentano quindi agli alunni
di comprendere quando è il momento che voi desiderate che stiano attenti, che la vostra intenzione sia quella di
trasmettere dei contenuti nuovi, o quando gli consentite anche di svolgere delle attività di disimpegno come la
chiacchiera o il disegno non finalizzato alla valutazione, oppure il movimento per permettere poi la ripresa
dell'attenzione; questo permette un’interazione soddisfacente all'interno di una cornice di condivisione di obiettivi in
classe. – Schermate Unità 3 – Pag. 8 – In questa diapositiva ho rappresentato una serie di formati di attenzione
condivisa che si realizzano nei primi anni di vita, sono esempi classici: la pappa, il momento della lettura di un libro,
momento del bagnetto, ma ho inserito anche degli altri aspetti che man mano avvicinano il bambino al mondo della
scuola, degli apprendimenti, come l'utilizzo di utensili come il martello, l'utilizzo delle viti e dei cacciaviti eccetera,
che quindi cominciano ad introdurre il bambino ad attività che sono importanti per la cultura di appartenenza, e
l'utilizzo ad esempio dei colori. Nei primi anni di vita tutte queste attività vengono svolte in collaborazione con un
adulto che stabilisce dei formati di attenzione condivisa, delle routine, e che permette ai bambini di prevedere le
intenzioni dell'altro. – Schermate Unità 3 – Pag. 9 – Ecco ma secondo il modello di Bruner come si sviluppa la
conoscenza? È fondamentale l'interazione con i care-takers, e l'insegnante è uno dei care-takers importanti per lo
sviluppo del bambino. Per care-takers si intende un individuo che si prende cura dell'individuo nella sua crescita.
Questa parola è formata da due termini: to care, quindi cura, e to take, cioè prendere, quindi i care-takers sono
coloro che si prendono cura del bambino. All'interno dei formati di attenzione condivisa il bambino impara ad
interpretare le azioni e il linguaggio dell'altro grazie alla regolarità con cui avvengono questi scambi e con cui
vengono usate le forme linguistiche al loro interno. Il bambino parte dal significato che azioni e linguaggio hanno
nella sequenza interattiva, impara esso stesso a produrre azioni di espressioni passando dall'uso di segnali non
convenzionali all'uso di parole e di gesti comunicativi.
Qual è però il modello di sviluppo cognitivo che Bruner ci propone? Ecco il bambino parte quindi da questa
comprensione della realtà molto intuitiva all'interno dei formati di attenzione condivisa e attraversa tre livelli di
sviluppo della conoscenza: un livello legato all'azione che prende il nome di rappresentazione esecutiva, un livello
legato all'immagine, che prende il nome di rappresentazione iconica, e un livello legato al simbolo, che prende il
nome di rappresentazione simbolica. – Schermate Unità 3 – Pag. 11 – La rappresentazione esecutiva è tipica dei
primi anni di vita, va da zero ai due anni e la realtà in questo stadio è codificata tramite l'azione, la manipolazione, la
percezione, l'attenzione e l'interazione sociale. Gli scopi del soggetto e le caratteristiche dell'ambiente governano
questo tipo di rappresentazione mentale. Ad esempio i ricercatori hanno stabilito che i bambini in età molto
precoce, diciamo attorno alla nascita, se sottoposti a un esperimento di suzione non nutritivo, ovvero se collegati ad
un dispositivo con un succhiotto che è collegato attraverso dei cavi ad un monitor nel quale compare un'immagine,
quest'immagine diventa sempre più nitida quando viene aumentato il ritmo della suzione da parte del bambino, è
stato visto che bambini anche molto piccoli sono in grado di aumentare i ritmi di suzione maniera strumentale,
quindi sanno che esiste un legame tra la propria azione e gli effetti che esercitano sul mondo. Quindi si ha una
rappresentazione della realtà legata alla percezione e alla propria azione sin dall'età molto precoce. – Schermate
Unità 3 – Pag. 12 – A partire dai due anni fino ai sette anni vi è una modalità di conoscenza che prende il nome di
rappresentazione iconica. La rappresentazione iconica è legata ai processi di osservazione e di imitazione. Quindi il
bambino codifica la realtà osservando le azioni degli altri, le imita e costruisce immagini interne della realtà stessa. Il
bambino non ha bisogno di agire sulla realtà, ma può conservare un'immagine della realtà che ha percepito e usarla
successivamente. Questa rappresentazione nell'immaginazione della realtà è molto simile alla realtà stessa, e
guiderà le azioni successive dei bambini. Schermate Unità 3 – Pag. 13 – Il terzo livello a partire dai sette anni quello
della rappresentazione simbolica. Il simbolo è costituito dal linguaggio verbale, quindi non assomiglia più alla realtà
ma ha una relazione arbitraria con i segni del linguaggio. La realtà è insita nei segni e media il significato culturale. I
bambini in età scolare si rappresentano la realtà svincolandola dal dato percettivo attraverso il linguaggio, quindi
sono in grado di elaborare concetti a livelli di complessità crescente. – Schermate Unità 3 – Pag. 14 – I tre sistemi
sono fortemente interconnessi tra loro e sono gerarchicamente ordinati. Sono simili ai livelli stadiali presentati da
Piaget con la differenza che non scompaiono nel tempo, ovvero una volta che emergono, come dire, permangono
per tutta la vita. Quindi da adulti noi possiamo rappresentare la realtà attraverso il sistema dell'azione, e se questo
non è sufficiente per comprendere la realtà possiamo fare ricorso ai processi di osservazione e di imitazione, e se
questi ancora non sono sufficienti per fornirci tutte le informazioni possiamo far ricorso ai processi di
rappresentazione simbolica tramite il linguaggio. Quindi le tre abilità di conoscenza sono interconnesse e voi come
insegnanti potete far leva su una modalità o sull'altra a seconda del concetto che state presentando. Per cui se un
concetto risulta difficile in termini di comprensione per gli alunni a livello verbale, potete passare ad una modalità
iconico rappresentativa. Se ancora tramite l'immagine e gli esempi il concetto risulta ancora complesso potete
passare ad un'attività motoria basata sull'azione per veicolare meglio questi significati. – Schermate Unità 3 – Pag. 15
– Ecco permettetemi di concludere l'illustrazione della teoria di Bruner parlando di un aspetto molto importante per
l'apprendimento che lui ci propone, che è il processo della narrazione. Gli individui imparano a conoscere il mondo
non soltanto attraverso questi tre sistemi di conoscenza, ma cercano di organizzare le conoscenze attraverso la
narrazione raccontando delle storie nelle quali includono tutta una serie di elementi.La narrazione è un processo
efficace se include il concetto di agentività: quindi ci sono individui che compiono azioni dirette ad uno scopo, ci
sono i protagonisti di questo racconto; una sequenza: quindi ci sono gli eventi che sono collegati dal punto di vista
sequenziale; e c'è anche una situazione straordinaria che avviene ad un certo punto della storia: quindi i bambini
mostrano di essere sensibili ai cambiamenti rispetto alla routine (sensibilità). Altro elemento che caratterizza la
narrazione è la capacità di assumere la prospettiva dei protagonisti, per cui quando i bambini organizzano la
conoscenza sulla realtà includendo degli agenti che compiono delle azioni in sequenza, e che possono essere anche
azioni straordinarie che implicano un cambiamento rispetto alla routine, leggono sempre lo stato mentale che sta
alla base di queste azioni. – Schermate Unità 3 – Pag. 16 – Pertanto, il bambino ha la necessità di riordinare i propri
vissuti secondo la narrazione, e la narrazione operando a livello di discorso, orienta l'acquisizione di nuove
conoscenze, e anche delle forme grammaticali. È anche grazie al pensiero narrativo che il bambino fa il suo ingresso
nella cultura di appartenenza. – Schermate Unità 3 – Pag. 17 – Nel corso delle interazioni sociali anche a scuola con
l'adulto e con i compagni, il bambino sviluppa il pensiero narrativo, che è una forma di organizzazione di elementi
mentali che riguardano le azioni, le intenzioni umane, e che vengono riprodotte tramite la narrazione. Il contenuto
del pensiero narrativo è quindi ricco non soltanto di eventi ma anche di motivazioni psicologiche che hanno portato
all'esecuzione di determinate azioni, aspetti emotivi che sono correlati a queste azioni. – Schermate Unità 3 – Pag.
18 – Il pensiero narrativo è naturalmente influenzato dal contesto culturale e consente di organizzare la conoscenza.
È un pensiero molto personale nel quale si esprimono non soltanto i racconti dei bambini, ma anche aspetti legati ai
significati che vengono elaborati nei contesti sociali di appartenenza, come ad esempio la classe. Quindi ciò che
caratterizza la vita degli alunni all'interno della classe è che gli alunni organizzano le proprie conoscenze in termini di
storia. Per cui, maggiori sono le storie condivise tra loro, migliori sono le capacità di comprendere le azioni degli altri
e di interpretarle in termini psicologici anche per quanto riguarda l'interazione con insegnante. Naturalmente il
pensiero narrativo è solo una parte per quanto riguarda gli apprendimenti, perché voi sapete che poi a lezione, per
quanto riguarda l'insegnamento, è importante stimolare anche un tipo di pensiero che Bruner definisce il pensiero
paradigmatico che è quello importante per l'apprendimento delle discipline e che procede quindi gerarchicamente,
dove esistono dei concetti centrali che poi si sviluppano in sotto-concetti e in relazione tra questi concetti, e che
permettono quindi di organizzare la conoscenza in maniera differente. Però il bello di questa teoria è che ci
comunica che l'insegnamento può essere un insegnamento di successo se si basa su routine condivise, se nella classe
viene stimolato il dialogo e la conversazione tra i bambini e tra i bambini e l'insegnante, che permette lo sviluppo di
queste forme narrative che il bambino utilizza per organizzare la propria conoscenza del mondo, la conoscenza di se
stesso e la conoscenza degli altri. Non ultima l'indicazione di utilizzare sempre modalità differenti per la trasmissione
delle conoscenze che vanno dall'azione all'immagine, alla rappresentazione simbolica tramite il linguaggio.

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