Quando si parla di “psicologia dello sviluppo” ci si riferisce ai cambiamenti che si verificano nell’individuo
con il procedere dell’età. Questi cambiamenti possono essere:
Le teorie si differenziano per il ruolo attribuito a fattori genetici e ambientali nello spiegare il cambiamento.
Le teorie comportamentiste ritengono che le influenze ambientali modellino il comportamento in modo da
determinare la natura delle abilità che si sviluppano oltre che il ritmo con cui si sviluppano.
Altre teorie pensano, invece, che il bambino si sviluppi in un determinato modo a causa della
programmazione genetica. Le teorie organismiche ritengono che il bambino risulti dall’interazione tra un
organismo dotato di determinate competenze geneticamente programmate e particolari condizioni
ambientali; quindi le influenze esterne e quelle interne si combinano tra di loro in modi complessi per cui le
effettive esperienze che il bambino vive possono influire sul tipo di capacità che acquisisce.
Mentre i comportamentisti pensano che lo sviluppo sia un processo continuo e graduale, le teorie
organismiche ritengono che lo sviluppo sia discontinuo nei cambiamenti di natura qualitativa; ad esempio
le modificazioni che portano alla comparsa di una nuova capacità come la conquista del linguaggio o della
deambulazione o l’inizio della pubertà.
Maturazionismo
La maturazione è il meccanismo fondamentale che regola la comparsa di nuove abilità con il procedere
dell’età. Il programma genetico è talmente potente da influenzare le tendenze individuali proprie di ciascun
bambino.
Arnold Gesell è stato il maggiore esponente del maturazionismo. Rimase colpito dalla regolarità con cui
compaiono le prime abilità motorie del bambino, ipotizzando un programma genetico predeterminato.
Secondo l’autore lo sviluppo dovuto alla maturazione si verifica indipendentemente dalla pratica e
dall’esercizio; in altre parole non servirebbe insegnare a camminare, così come nulla dovrebbe essere fatto
affinché non inizi la pubertà. Gesell in un suo esperimento usò una coppia di gemelle di 11 mesi che non
erano ancora capaci di arrampicarsi sulle scale. Sottopose una delle due ad un addestramento quotidiano,
mentre l’altra non ricevette alcun trattamento. Qualche tempo dopo, la gemella di controllo cominciò
spontaneamente ad arrampicarsi sulle scale e venne sottoposta ad addestramento con la stessa tecnica
utilizzata per la sorella sperimentale. Alle fine le gemelle erano ugualmente abili ad arrampicarsi sulle scale.
Un’altra teoria che si ispira al maturazionismo è quella di Noam Chomsky per spiegare la comparsa del
linguaggio nel bambino: sostiene che la capacità del bambino di acquisire il linguaggio sia innata e specifica
dell’essere umano.
Comportamentismo
I principali esponenti di questo movimento, Bijou e Baer, sostengono che la cognizione non è nient’altro
che una particolare classe di comportamenti. Solo i comportamenti esterni e osservabili possono essere
oggetto di indagine scientifica, mentre bisogna evitare di rincorrere ciò che si trova dentro la testa del
bambino.
L’individuo è plasmato dall’ambiente, lo sviluppo viene ridotto al più semplice processo di apprendimento. I
meccanismi dell’apprendimento operano allo stesso modo durante l’intero ciclo vitale ed il comportamento
complesso non è che un insieme di comportamenti semplici o elementari ( teoria del riduzionismo).
Costruttivismo
Si afferma grazie alla divulgazione della teoria di Piaget che sostiene che il pensiero infantile sia
qualitativamente diverso da quello dell’adulto. I bambini costruiscono attivamente le proprie credenze e
conoscenze che sono discrepanti rispetto alle nostre, ma anche bizzarre (ad esempio un bambino crede che
il sole ci insegue mentre camminiamo). È evidente che credenze di questo tipo non riflettano in modo
diretto i dati dell’esperienza, né derivano da una disposizione innata del bambino. La soluzione proposta
dall’autore è che il bambino costruisce gradualmente la propria comprensione della realtà attraverso un
interscambio bidirezionale con l’ambiente. Nel corso dello sviluppo il sistema cognitivo subisce profonde
trasformazioni attraverso gli stadi dello sviluppo, che compaiono secondo una sequenza universale ed
invariante. Le descrizioni che Piaget fornisce delle strutture intellettive non corrispondono ai processi che
l’individuo mette in atto, ma sono rappresentativi di modelli logici astratti e lontani dal comportamento
reale.
Il costruttivismo, infine, trascura il contesto sociale in cui si svolge l’attività intellettiva dell’individuo
affermando che invece avvenga in un qualche contesto vuoto.
Gli psicologi, fino alla fine degli anni ’70, tendevano a considerare lo sviluppo del bambino solamente nel
contesto della scuola materna e del rapporto madre-figlio o nei laboratori, dove venivano richiesti
comportamenti insoliti e innaturali.
Al primo livello c’è il microsistema, dove il bambino vive i rapporti più stretti con la famiglia, l’insegnante e i
coetanei a scuola. Al secondo livello c’è il mesosistema, in cui il bambino impara a leggere e a scrivere non
solo come gli viene insegnato a scuola ma anche tramite i legami esistenti tra loa scuola e la famiglia e dalla
loro natura. Al terzo livello c’è l’esosistema, che riguarda le condizioni di vita e di lavoro della famiglia, della
scuola e del gruppo di coetanei. Quindi, lo sviluppo del bambino dipende anche da situazioni ambientali in
cui egli non è neppure presente. Al quarto livello abbiamo il macrosistema, ovvero l’insieme delle politiche
sociali e dei servizi che caratterizzano una comunità socio-culturale.
La validità delle teorie stadiali è stata fortemente dibattuta negli ultimi decenni e con il tempo è cresciuto
l’interesse degli psicologi dello sviluppo per le differenze individuali; aspetto questo trascurato dalle teorie
stadiali.
Le differenze individuali, intese sia come differenze nello sviluppo di individui diversi ( interindividuali) sia
come differenze tra aspetti dello sviluppo in uno stesso individuo ( intraindividuali), possono essere
spiegate solo considerando l’interazione tra fattori maturativi, ambiente, apprendimento ed istruzione.
Molti studiosi hanno analizzato differenze nel temperamento, nella popolarità e nell’acquisizione del
linguaggio.
I bambini si differenziano molto anche nel ritmo di acquisizione della lingua. Nelle ricerche italiana
sull’apprendimento della lingua ci sono bambini che pronunciano le loro prime parole a 8-9 mesi e bambini
che cominciano a parlare a 18-20 mesi. La precocità di alcuni bambini così come la lentezza di altri è nella
norma. Infatti, il bambino che parla tardi non evidenzierà in seguito un ritardo del linguaggio. La precocità
sul piano linguistico è associata ad alcune variabili socio-demografiche, anche se questa associazione
andrebbe ulteriormente verificata.
Per studiare i cambiamenti legati all’età facciamo affidamento principalmente a due tipologie di metodi per
la raccolta di informazioni: quelle longitudinali e quelle trasversali.
I disegni di ricerca longitudinali sono caratterizzati dallo stesso gruppo di individui che viene
osservato e valutato per un periodo più o meno lungo, di solito solo alcuni anni. Le osservazioni e
le valutazioni sono condotti a intervalli temperali scelti dal ricercatore. Questa tipologie consente
di seguire lo sviluppo individuale nel tempo e di rispondere a domande circa la stabilità del
comportamento indagato e consente di determinare gli effetti di esperienze e condizioni
antecedenti sullo sviluppo successivo. Di contro, si tratta di un metodo costoso e si corre il rischio
di perdere i soggetti nel corso della ricerca per cause accidentali o per abbandono volontaria.
Infine, può nascere confusione tra i cambiamenti legati all’età e quelli di tipo sociale e storico che si
verificano nel corso della ricerca. In questo caso diventa difficile capire se le eventuali differenze
individuate nelle successive osservazioni dipendono dal fatto che i soggetti sono cresciuti o
piuttosto dal fatto che sono cambiate le loro condizioni di vita.
I disegni di ricerca trasversali sono caratterizzati da gruppi di individui di età diversa che vengono
confrontati nello stesso momento temporale. Consentono di individuare le differenze tra le età,
sono poco costosi, veloci nell’esecuzione e di facile replicabilità. Di contro, non consentono di
studiare i cambiamenti individuali nel corso del tempo.
Gli studi trasversali sono più comuni e numerosi di quelli longitudinali e sono indubbiamente più utili
quando si vuole operare in breve tempo ed avere un confronto su soggetti di età diversa.
Esperimento: il ricercatore predispone una situazione in cui sono note le variabili, manipola una o
più di queste variabili indipendenti e rileva se la modificazione influenza in qualche modo il
comportamento indagato ( variabile dipendente). Solitamente vengono utilizzate due tipologie di
gruppo:
gruppo sperimentale: sottoposto alla manipolazione della variabile indipendente;
gruppo di controllo: non riceve alcun trattamento o un trattamento diverso.
L’esperimento si caratterizza per la manipolazione e per il controllo delle variabili e per
l’assegnazione causale dei soggetti ai gruppi sperimentale e di controllo. Viene solitamente
condotto in laboratorio ma può essere realizzato anche in un ambiente naturale. I risultati della
ricerca sperimentale difficilmente possono essere generalizzati al di fuori dell’ambiente controllato
in cui sono stati raccolti. Ha, comunque, una buona validità interna nel senso che, se le condizioni
sperimentali sono ben controllate e gli altri aspetti della situazione sono mantenuti costanti, la
relazione tra variabili indipendenti e variabili dipendenti è proprio quella proposta dal ricercatore.
In conclusione, tutti i metodi presentano vantaggi e svantaggi. La scelta del metodo dipende dal
fenomeno che si vuole indagare e dagli obiettivi che si pone la ricerca. In ogni studio si possono
anche applicare diversi metodi; se i risultati derivanti coincidono, le conclusioni tratte dallo studio
ne saranno rafforzate.
Prima di nascere, il bambino ha alle spalle già 9 mesi di vita prenatale durante i quali sopravvive grazie
allo stretto rapporto con l’organismo della madre. Da esso ne ricava nutrimento e protezione.
1. Periodo neonatale
2. Prima infanzia
3. Seconda infanzia
4. Terza infanzia
5. Adolescenza
Durante i primi due anni di vita il bambino conquista le principali abilità motorie. Abbiamo in prima fase
uno sviluppo della postura: intorno ai 4-5 mesi il bambino sta seduto con un appoggio minimo, intorno ai 7
mesi comincia a stare seduto da solo anche solo per un momento, tra i 9-12 mesi sta in piedi da solo.
Successivamente avviene uno sviluppo della deambulazione, che vede il suo affermarsi tra i 13-14 mesi
quando il bambino cammino da solo.
Le tappe dello sviluppo motorio non sono rigide e variano da individuo a individuo. Le differenze individuali
possono dipendere dai tempi, modi e strategie dello sviluppo delle abilità motorie: il bambino sceglie il
proprio stile nel movimento.
4. LO SVILUPPO PERCETTIVO
In passato il bambino era considerato un recettore passivo, ma in realtà non lo è in quanto dotato di una
serie di prerequisiti percettivi e cognitivi precoci che si sono strutturati sin dall’età prenatale e che li
consentono, una volta venuto al mondo, di poter scegliere quello che gli sta accanto e di entrare in
relazione con l’ambiente.
Questo modo di entrare in relazione con il mondo si differenzia tra sensazione e percezione.
La sensazione è un processo attraverso cui le informazioni dell’ambiente vengono recepite dai recettori
sensoriali ( vista, udito, ecc) e trasmesse al cervello.
La percezione è un processo attivo e dinamico di elaborazione degli stimoli sensoriali che precede
attraverso l’analisi, la selezione, il coordinamento e l’elaborazione delle informazioni.
La differenza tra percezione e sensazione è che quest’ultima è stata un elemento negletto nella psicologia,
inizialmente poco rilevante. Diversamente, se oggi immaginiamo quante cose poggiano sulla sensazione
scopriamo che la vita è regolata da questa.
Quando un bambino nasce, egli porta con sé un bagaglio molto ricco, in particolare gusto e olfatti che sono
legati alla sopravvivenza; infatti, le percezioni olfattive e gustative hanno due principali finalità: nutrizione e
mediazione della relazione con il caregiver.
5. LO SVILUPPO COGNITIVO
In particolare, secondo Piaget esiste una continuità tra organizzazione biologica e intelligenza e l’organismo
si adatta costruendo materialmente forme nuove, l’intelligenza costruisce nuove strutture mentali che
servono a comprendere e a spiegare l’ambiente. L’individui che conosce è un attivo costruttore delle
proprie conoscenze.
Per Piaget le strutture cognitive non hanno un’origine solo interna e di contro le pressioni esterne non sono
esse le sole cause dello sviluppo, ma diventano efficaci nella misura in cui vengono incorporate
dall’organismo.
a) Lo sviluppo è comprensibile all’interno della storia evolutiva delle specie, di cui l’organizzazione
biologica e psicologica dell’uomo costituisce l’apice;
b) L’organismo è attivo e si modifica attraverso gli scambi con l’ambiente;
c) Lo sviluppo consiste nella trasformazione di strutture che non sono innate, ma si costruiscono
grazie all’attività dell’individuo.
Se confrontiamo l’intelligenza del bambino con quella dell’adulto è facile constatare che sono caratterizzate
da strutture assai diverse, tuttavia le modalità di funzionamento della vita mentale rimangono le stesse. In
questa compresenza di strutture variabili e di funzioni invarianti, Piaget trova la soluzione al problema della
continuità, non soltanto tra le varie forme di intelligenza, ma anche tra intelligenza e organizzazione
biologica.
Lo sviluppo come adattamento poggia su due concetti fondamentali e che intervengono ogniqualvolta che
le strutture interne devono far fronte a nuovi bisogni: assimilazione e accomodamento.
L’intelligenza è assimilazione in quanto incorpora nei propri schemi i dati dell’esperienza, ma è al contempo
accomodamento perché gli schemi attuali vengono modificati per adattarli a nuovi dati.
Quindi l’assimilazione tende alla conservazione mentre l’accomodamento tende alle novità.
Queste due funzioni complementari che garantiscono un equilibrio tra continuità e cambiamento,
determinano l’adattamento dell’organismo all’ambiente. Questo equilibrio è destinato a rompersi e a
ricostruirsi continuamente in forme più avanzate.
Piaget ritiene che l’adattamento e l’equilibrio siano funzioni invarianti, cioè modalità di funzionamento
generale.
1. Stadio senso-motorio ( dalla nascita ai 18 mesi): questo stadio è caratterizzato dalla risposta del
bambino alla realtà che è di tipo sensoriale e motorio; reazioni al presente immediato; non si fanno
progetti né si hanno scopi; egocentrismo radicale ( non vi è consapevolezza di se stesso e
dell’esistenza di un mondo fuori di sé); reazione circolare primaria ( le azioni sono centrate sul
corpo dell’infante e si realizza una sintesi di assimilazione e accomodamento che porta alla
costituzione delle prime abitudini). Tra i 4-8 mesi compaiono le reazioni circolari secondarie e lo
sviluppo dell’interesse per la realtà esterna. Tra gli 8-12 mesi compare la capacità di applicare gli
schemi già posseduto a situazioni nuove e compare una differenziazione tra mezzi e fini. Tra i 18-24
mesi il bambino sviluppa la capacità mentale di inventare nuovi mezzi mediante combinazione
mentale; inoltre si passa dalla ricerca dell’oggetto scomparso quando gli spostamenti sono visibili
alla ricerca dell’oggetto quando invece gli spostamenti sono invisibili. Abbiamo, quindi, la
costruzione della nozione di oggetto permanente che, insieme ai concetti di spazio – tempo-
causalità, permette al bambino di agire in un ambiente in cui gli oggetti sono dotati di esperienza
propria, occupano uno spazio comune a quello in cui si colloca il bambino, assumono relazioni
spaziali obiettive e fanno parte di eventi ordinati temporalmente e percepiti come fonti autonome
di causalità.
2. Stadio preoperatorio ( dai 2 ai 6 anni): il bambino è in grado di imitare in modo differito e di usare il
linguaggio per riferirsi a oggetti, persone o situazioni assenti. In questa fase, l’egocentrismo del
bambino diventa intellettuale, ossia il bambino pensa in maniera egocentrica in quanto non riesce
ad immaginare che la realtà possa presentarsi in modi differenti da come la percepisce; ignora tutti
i punti di vista diversi dai suoi. Tra i 4-6 anni il bambino riconosce che gli oggetti e le persone la
propria identità nonostante subiscono trasformazioni che ne possono modificare l’aspetto.
Successivamente il bambino impara a decentrarsi, cioè a non considerare se stesso come unico
punto di riferimento.
3. Stadio operatorio concreto ( dai 7 ai 12 anni): le azioni mentali isolate si coordinano tra loro e
diventano azioni concrete caratterizzate da reversibilità. Il bambino comprende che le azioni
possono essere disfatte o rovesciate sia in senso fisico che mentale e che successivamente si può
tornare alla situazione iniziale.
4. Stadio operatorio formale ( dai 12 anni in poi): le operazioni formali consentono il ragionamento
ipotetico – deduttivo, ossia consente al bambino di compiere operazioni logiche su premesse
puramente ipotetiche e di ricavarne le conseguenze appropriate. Ipotetico perché, una volta
individuati i potenziali fattori coinvolti in un fenomeno, li varia in modo sistematico per verificare
quali causino quel fenomeno. Inoltre, consente di compiere induzioni e deduzioni.
5.1 Lo sviluppo cognitivo secondo l’approccio dell’elaborazione dell’informazione
L’approccio all’elaborazione dell’informazione (HIP) è un approccio allo studio del pensiero e della
memoria e si rifà alle simulazioni dell’intelligenza su computer e vede la mente umana simile a un
computer e vede la mente umana simile a un computer. La mente elabora e manipola in vario modo le
informazioni che arrivano dall’ambiente o che sono in memoria codificandole, ricodificandole,
combinandole, conservandole o recuperandole dalla memoria.
Nello spiegare lo sviluppo cognitivo questo approccio pone l’enfasi sulla prestazione piuttosto che sulla
competenza, vede i cambiamenti nell’intelligenza come quantitativi e lo sviluppo come continuo.
Le capacità cognitive sono specifiche per dominio, quindi ci possono essere molte intelligenze piuttosto
che un’unica intelligenza.
Alla fine degli anni ’80, alcuni studiosi iniziano a sostenere che la metafora piagetiana del bambino come
“piccolo scienziato” sia parziale. Gli scienziati vogliono indagare su come il bambino arrivi a comprendere sé
stesso e gli altri, a capire le motivazioni, i desideri, le intenzioni e le credenze che permeano la sua
esperienza di vita e quindi come il bambino costruisce la sua conoscenza del mondo psicologico.
Viene, quindi, attribuita al bambino una “teoria della mente” riguardante il funzionamento degli esseri
umani in quanto diversi dagli oggetti inanimati.
Il punto di partenza della teoria della mente sono da un lato le emozioni fondamentali ( amore, odio e
paura) e gli stati fisiologici ( fame e sete, dolore, eccitazione) e dall’altro le percezioni e le sensazioni.
Le emozioni e gli stati fisiologici generano i desideri, mentre le esperienze percettive generano e
alimentano le credenze. Le azioni, invece, producono risultati che attivano reazioni emotive congruenti:
siamo felici oppure tristi quando i risultati soddisfano o meno i nostri desideri. Gli stati mentali chiave in
questa teoria sono i desideri e le credenze.
Secondo Harry Wellman il desiderio è uno stato mentale più semplice della credenza.
Secondo molti studiosi la teoria della mente si sviluppa secondo 4 moduli distinti, ossia:
Alcuni studiosi pensano che la comprensione della mente propria e altrui si costruisca a partire dall’attività
del bambino e dalla sua esperienza del mondo sociale.
Molti studi hanno analizzato il ruolo della teoria della mente nello sviluppo atipico offrendo un contributo
importante alla comprensione del deficit autistico. L’autismo implica un deficit nella capacità di
comprendere la mente, di cogliere gli aspetti psicologici, sociali e simbolici e per questo non si manifesta
precocemente ma solo quando inizia ad emergere un ritardo in varie aree del comportamento sociale, tra
cui l’attenzione condivisa, l’attenzione non richiesta ed il gioco di finzione, che presuppongono abilità
rappresentative e simboliche.
Linguaggio e comunicazione non sono la stessa cosa: il linguaggio è una parte della comunicazione. Per
linguaggio intendiamo l’utilizzo delle parole e anche delle dimensioni paraverbali, mentre all’interno della
comunicazione la maggior parte dei messaggi che vi sono tra gli esseri umani passano attraverso il canale
non verbale ( 70%).
La parte non verbale si compone dell’aspetto paraverbale ( tutto ciò che accompagna l’uso della parola,
esso colora la nostra comunicazione) e dell’aspetto non verbale ( tutto ciò che ha a che fare con la nostra
cultura, i gesti, la postura, lo sguardo, l’espressione del viso e la prossemica). Noi usiamo anche l’aspetto
verbale ( uso del verbo e della parola).
Nell’arco dei 3 anni il bambino diventa capace di parlare, ma in precedenza comunica attraverso il pianto ed
il sorriso. Per diventare parlante egli attraversa una serie di fasi, si confronta con suoni di qualsiasi lingua
riproducendoli, poi questa capacità viene persa e vengono selezionati solo i suoni della propria lingua
materna.
1. La teoria innatista
2. La teoria interazionista
La teoria innatista trova le sue radici negli anni ’60 quando Chomsky ipotizzò l’esistenza del LAD ( Language
Acquisition Device), ossia un dispositivo innato di acquisizione della lingua per spiegare la capacità innata
dei bambini di apprendere il linguaggio. Il presupposto di fondo del LAD è che molti aspetti del linguaggio
sono universali ( ossia comuni a tutte le lingue e a tutte le culture) e che sono strutturati secondo una
Grammatica Universale (GU).
Secondo Chomsky il linguaggio è un insieme di regole che il bambino deve scoprire a cominciare dalle più
generali e semplici, per arrivare alle più specifiche e complesse. L’acquisizione del linguaggio è un processo
attivo di scoperta di regola e di verifica di ipotesi, in cui è importante partire da un numero limitato di
ipotesi che sono quelle presenti nella conoscenza innata del linguaggio.
Inoltre, secondo l’autore il bambino non viene influenzato dall’ambiente circostante in quanto quest’ultimo
è creativo nell’usare il linguaggio ed è capace di produrre e capire espressioni nuove mai ascoltate in
precedenza.
In sintesi, grazie a Chomsky lo sviluppo del linguaggio del bambino non viene più vista come una rozza
imitazione del linguaggio dell’adulto, ma come un processo attivo, creativo e guidato da regole.
La teoria interazionista è stata elaborata negli anni’70 quando inizia ad entrare in crisi l’idea che il
linguaggio si sviluppi indipendentemente da altre capacità.
Il linguaggio è dipendente dalle capacità cognitive sociali dell’individuo e si ritiene che i bambini debbano
sviluppare una sufficiente conoscenza del mondo prima di cominciare a parlare.
L’ipotesi cognitiva inserisce lo sviluppo del linguaggio all’interno dello sviluppo cognitivo del bambino e
recupera le ipotesi formulate da Piaget sui rapporti tra linguaggio e pensiero. Piaget sosteneva che il
linguaggio è un aspetto della capacità simbolica che compare nello stadio senso motorio e segna il
passaggio a quella rappresentativa.
Secondo questa tesi, lo sviluppo cognitivo precede la comparsa del linguaggio ed è autonomo rispetto ad
esso, mentre il linguaggio deriva e dipende dallo sviluppo cognitivo.
7. LO SVILUPPO SOCIALE
Il bambino vive immerso nelle relazioni sociali, ossia vive in stretta connessione tra il mondo delle
interazioni e i processi che guidano lo sviluppo sociale del bambino. Il termine “sviluppo sociale” negli ultimi
anni ha sostituito il termine “socializzazione”, poiché gli studiosi si sono accorti che è un errore considerare
il bambino una tabula rasa da plasmare, guidare e controllare in funzione delle esigenze sociali e attraverso
le pratiche educative.
Fino agli anni ’60 lo studio dei processi di socializzazione era concepito in chiave di acculturazione o di
acquisizione del controllo degli impulsi e di addestramento al ruolo, secondo prospettive incentrate sui
processi di apprendimento o di modellamento indotte dall’adulto.
Con l’espressione “sviluppo sociale” si intende invece che il neonato è un essere sociale fin da subito e che
diventa sempre più consapevole e competente grazie ai processi bidirezionali; infatti, la dimensione sociale
costituisce una chiave di interpretazione trasversale dello sviluppo e una prospettiva dalla quale osservare
l’emergere delle competenze cognitive e affettive nella loro dimensione relazionale.
La capacità di rapportarsi con gli altri richiama immediatamente le relazioni affettive primarie, lo sviluppo
delle emozioni, la capacità di comprendere i sentimenti e i pensieri propri e altrui.
Le competenze relazionali dei primi anni di vita assumono significati particolari nel momento in cui il
bambino acquisisce la comprensione di sé e degli altri, la coscienza di possedere un’identità separata dalle
altre persone, dalle quali può differenziarsi e rappresentare il Sé come un’ entità oggettiva.
L’emozione può essere definita come un allontanamento dal normale stato di quiete dell’organismo, cui si
accompagna un impulso all’azione e alcune specifiche reazione fisiologiche interne, ognuna delle quali si
esprime attraverso una diversa configurazione e designa diverse risposte emotive.
Nello stesso tempo l’emozione è, quindi, una risposta fisiologica, motivazionale, cognitiva e comunicativa,
sempre accompagnata da una configurazione sia individuale che sociale.
Ogni emozione fondamentale presenta una sua configurazione comunicativa ( movimenti facciali,
movimenti corporei, tono della voce) essenzialmente universale. Le emozioni non si presntano mai senza
una regione, sono quindi contestualizzate.
Il livello motivazionale orienta all’azione e modifica il comportamento in funzione dei desideri e degli scopi.
La dimensione motivazionale da origine a piani capaci di regolare il comportamento, stabilire le priorità e i
sistemi di risposte.
A livello espressivo e comunicativo non appare semplice inibire o modificare la manifestazione delle
emozioni, soprattutto quando queste invadono l’individuo all’improvviso. Inoltre, le emozioni possiedono
una specifica dimensione sociale, esse infatti non si presentano mai casualmente e senza una ragione. Nello
specifico, lo schema di Plutchik illustra la catena dei principali eventi connessi all’emozione. Questa catena
incomincia con la percezione di uno stimolo, e finisce con un’interazione tra l’organismo e lo stimolo che ha
dato avvio alla catena di eventi. Le maggiori componenti della catena sono una valutazione cognitiva dello
stimolo, un’esperienza soggettiva o “sentimento”, un’eccitazione fisiologica, un impulso all’azione e un
comportamento manifesto.
Questo schema lascia intuire l’importanza dell’esperienza emotiva nel corso dello sviluppo e il significato
che essa riveste nell’organizzazione delle relazioni affettive.
Le teorie psicologiche che hanno studiato le emozioni si sono concentrate soprattutto sullo studio di
soggetti adulti.
Si fonda sull’idea che, da un iniziale stato di eccitazione indifferenziata, si vengano articolando, nel corso
dello sviluppo, specifiche e diverse emozioni. Dallo stato iniziale indifferenziazione emergono diverse
emozioni secondo tre diversi percorsi:
Sistema piacere-gioia: intorno ai 3 mesi vediamo la comparsa nel bambino di reazioni emotive
puntuali il cui significato cognitivo è attribuito allo stimolo. Il bambino indirizza il suo sorriso verso
l’oggetto o la persona con cui entra in contatto. La risposta indica un’emozione di piacere ed è
svincolata dalla semplice attivazione fisiologica.
Sistema circospezione – paura: intorno ai 4 mesi vediamo la comparsa di reazione di disagio che si
differenziano in disappunto e in sorpresa in base allo stimolo specifico che può intimorire o
spaventare. Queste risposte evolvono poi, dal 6 mese in poi, in emozioni più chiaramente evidenti
di circospezione e di paura.
Sistema frustrazione -rabbia: si manifestano reazioni di disagio come delusione ed insoddisfazione
quando al piccolo viene sottratto un oggetto che stringe o quando viene interrotta l’alimentazione.
Queste emozioni si evolvono spesso in rabbia o in collera.
Fu elaborata da Izard e colleghi e sostiene che il neonato possegga fin dalla nascita un certo numero di
emozioni fondamentali e differenziate, basate su programmi innati e universali. Izard individua 9
emozioni di base:
3. L’approccio funzionalista
Pone in evidenza il ruolo delle emozioni nella regolazione dei rapporti tra l’organismo e l’ambiente. Questa
prospettiva afferma che tutte le emozioni fondamentali sono presenti fin dalla nascita e relativamente
autonome dalle conquiste cognitive, a cui il loro sviluppo subordinato. Le caratteristiche espressive delle
emozioni sono intrinseche, ma non invarianti e la loro associazione cambia alla interazione tra individuo e
ambiente.
Le emozioni vengono intesse come sistemi di azione che spingono ad esprimere e a soddisfare bisogni che
hanno un significato adattivo.
Non tutte le emozioni sono universali, solo quelle fondamentali. Non tutti gli autori sono d’accordo nel
ritenere fondamentali certe emozioni come gioia, sorpresa, tristezza, paura, interesse, disgusto, rabbia.
Sono tutti d’accordo solo su gioia, tristezza, paura, rabbia.
L’universalità delle emozioni è testimoniata dalla costanza delle configurazioni facciali nel ciclo vitale e
anche dalle espressioni facciali dei neonati.