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L’apprendimento è un processo che si manifesta sotto forma di cambiamenti adattativi durevoli del

comportamento indotti dall’esperienza individuale. Le capacità di apprendere, ossia di stabilire relazioni


causali tra eventi e di modificare il proprio comportamento in base a tali esperienze, e di memorizzare tali
relazioni (ovvero immagazzinarle e successivamente richiamarle) sono rese possibili dalla particolare
organizzazione funzionale del sistema nervoso. Gli studi condotti sugli animali hanno dimostrato come il
cervello possegga uno o più meccanismi neurali attraverso i quali gli stimoli e le azioni possono essere
associati tra loro. I meccanismi di base, biochimici e fisiologici, che regolano la trasmissione dell’impulso
nervoso, si sono conservati nel corso dell’evoluzione e sono sostanzialmente gli stessi negli invertebrati e
nell’uomo. I risultati ottenuti in laboratorio e sul campo in diverse specie animali hanno quindi
rappresentato una solida base teorica per la comprensione dei processi cognitivi complessi (e dei relativi
substrati biologici) caratteristici della specie umana. [➔ cognizione spaziale; comportamento sociale;
memoria; neurone, Neuroni specchio; recettore nervoso] Nell’a. di tipo non associativo, che viene
solitamente considerato la forma più semplice di a. e che risulta ampiamente diffuso in tutto il regno
animale, è presente un singolo stimolo. Si può distinguere tra abituazione e sensibilizzazione. Nel caso
dell’abituazione (➔), si osserva una diminuzione della risposta emessa quando gli stimoli vengono
presentati ripetutamente. Tale diminuita reattività (che non è riconducibile ad adattamento sensoriale o a
fenomeni di fatica muscolare) non comporta, a differenza delle altre forme di a., un’acquisizione di nuove
risposte, quanto piuttosto perdita di quelle acquisite perché lo stimolo viene considerato non rilevante.
L’abituazione gioca quindi un ruolo fondamentale, durante lo sviluppo, in individui giovani che devono
selezionare gli stimoli a cui reagire, tralasciando quelli irrilevanti. Nel caso invece della sensibilizzazione, la
risposta a uno stimolo risulta aumentata rispetto ai valori attesi dopo presentazione a un singolo stimolo di
intensità molto elevata. I dettagli molecolari di entrambe queste forme di a. sono stati studiati nel
mollusco Aplysia californica, una lumaca di mare.

Apprendimento associativo: L’a. associativo riguarda le relazioni tra due eventi (due stimoli, uno stimolo e
una risposta, una risposta emessa e un evento successivo). Nel condizionamento classico si apprende che
uno stimolo fa prevedere un evento successivo, nel condizionamento operante vengono apprese le
conseguenze del proprio comportamento. Il condizionamento classico.  Nel condizionamento classico (o
pavloviano), uno stimolo inizialmente a carattere neutro (stimolo condizionato), per es. il suono di un
campanello, viene ripetutamente associata alla presenza della carne liofilizzata (stimolo incondizionato) e si
osserva che questo finisce per evocare la risposta prima incondizionata e ora condizionata di salivazione nel
cane. Il fisiologo russo Ivan Petrovic Pavlov, dopo aver osservato sporadicamente questo fenomeno durante
i suoi studi sulla digestione nei cani (la risposta di salivazione dei cani risultava associata al camice bianco
dell’operatore che portava il cibo), condusse un’analisi sistematica del fenomeno, definendolo riflesso
condizionato (associazione tra stimolo condizionato e risposta condizionata) e descrivendone
successivamente varie caratteristiche: l’andamento nel tempo, con una diminuzione della latenza alla
risposta condizionata, l’estinzione dopo ripetute presentazioni dello stimolo condizionato in assenza dello
stimolo incondizionato. Gli studi di Pavlov costituirono un passaggio fondamentale nello studio dell’a., che,
da allora, divenne un’analisi obiettiva di stimoli e di risposte misurabili in laboratorio. Un caso particolare di
condizionamento classico pavloviano è l’a. di un’avversione condizionata alimentare. Si tratta di una forma
di a. associativo, in cui il malessere gastrointestinale provocato da un alimento (gusto specifico del cibo
ingerito) induce un’avversione per quell’alimento, che verrà quindi successivamente evitato. L’intensità
della risposta di evitamento dipende dall’intensità del malessere, dal grado di familiarità del soggetto per
quell’alimento, dall’intensità della stimolazione gustativa associata. L’avversione condizionata di tipo
alimentare, consente di riassumere alcuni aspetti importanti del condizionamento classico: il valore
adattativo di tale a., soprattutto per le specie con grande capacita di adattamento, il cui successo dipende
da un equilibrio tra esplorazione alimentare ed evitamento di potenziali tossine presenti nell’ambiente
naturale; le significative limitazione biologiche nella natura sensoriale degli stimoli presenti nel paradigma:
nella maggior parte delle specie (compresa quella umana) l’avversione condizionata si stabilisce solo verso
stimoli di natura gustativa e a fronte di una successiva insorgenza di uno stato di malessere interno; a
differenza di altre forme di a., il condizionamento classico richiede un numero ristretto di esperienze (anche
una singola) e si instaura nonostante lo stato di malessere si presenti a distanza di ore dall’ingestione del
cibo.

Il condizionamento operante.  Nella seconda forma di a. associativo, il condizionamento operante (detto


anche strumentale o a. per prove ed errori) un’attività volontaria (per es., un movimento) viene associata
con un rinforzo. Negli stessi anni degli studi sui cani di Pavlov in Russia, lo psicologo sperimentale
statunitense Edward L. Thorndike condusse i primi esperimenti per valutare in animali da laboratorio il
progressivo stabilirsi di un’associazione tra una risposta motoria emessa e un evento. Successivamente
Burrhus F. Skinner mise a punto una gabbia sperimentale per il ratto contenente un meccanismo
(operandum, da cui il termine operante) che, quando azionata, forniva un rinforzo positivo (in genere del
cibo). Dopo la prima pressione casuale della leva, l’animale impara (per tentativi ed errori) ad associare la
sua attività (la pressione sulla leva) con il rinforzo positivo; la presenza del rinforzo aumenta la probabilità
che il comportamento che lo ha preceduto sia ripetuto. In possesso di queste informazioni, tutte le volte
che il ratto e affamato e si ritrova nella stessa gabbia e probabile che fornisca la risposta appropriata. A
differenza del condizionamento classico, che risulta limitato ad alcune risposte riflesse specifiche che
vengono evocate da stimoli particolari, il condizionamento operante coinvolge comportamenti spontanei la
cui frequenza aumenta se questi inducono variazioni favorevoli.
Utilizzazione terapeutica del condizionamento.  Alcune forme di condizionamento associativo sono state
utilizzate nell’uomo a scopo terapeutico. Tecniche di desensibilizzazione sistematica per contrastare
disturbi d’ansia sono basate sulla associazione tra stimolo ansiogeno e induzione di una risposta
antagonista all’ansia (per es., uno stato di rilassamento muscolare) per inibire reazioni emotive spiacevoli.
Anche il biofeedback  (utilizzato in casi di dolore cronico, pressione sanguigna elevata) è una forma di
condizionamento operante utilizzato in clinica per monitorare alcune funzioni corporee e meglio
controllarle.

Apprendimento sociale: In molte specie animali, dagli insetti ai primati, l’a. individuale può essere
influenzato dal contesto sociale. La presenza di altri individui conspecifici e di interazioni sociali può sia
aumentare le probabilità che si manifestino comportamenti già presenti nel proprio repertorio, sia
promuovere l’acquisizione di comportamenti del tutto nuovi. Attraverso il ruolo di osservatore di un
comportamento altrui, si possono acquisire informazioni che riguardano l’ambiente o gli effetti
sull’ambiente dei comportamenti osservati (a. sociale non imitativo), oppure informazioni che concernono
direttamente il comportamento osservato (a. sociale imitativo). L’a. sociale non imitativo è un fenomeno
piuttosto comune nel mondo animale, attraverso il quale si stabiliscono preferenze alimentari in specie
onnivore, si identificano luoghi specifici di foraggiamento, si acquisiscono particolari modalità di
manipolazione per accedere a risorse alimentari altrimenti non disponibili. L’a. sociale imitativo, quello in
cui si impara a eseguire un’azione osservandone la sua esecuzione da parte di altri, è invece meno diffuso
nel mondo animale e limitato ad alcune specie, come l’uomo, le scimmie antropomorfe, alcuni uccelli
canori. Neuroni specializzati a rispondere a particolari stimoli, che sono coinvolti in fenomeni plastici, sono
stati evidenziati nella corteccia visuomotoria di primati non umani. Queste neuroni (➔), detti neuroni a
specchio (mirror neurons), aumentano la loro attività elettrica quando, per es., la scimmia osserva un’altra
scimmia compiere un’azione, come maneggiare uno strumento. L’attivazione dei neuroni a specchio
potrebbe corrispondere a fenomeni plastici associati all’a. sociale.

Il caso dell’imprinting: L’imprinting (➔), un processo attraverso il quale le preferenze sociali dell’individuo
immaturo si restringono a una particolare classe di stimoli, può risultare determinante per lo stabilirsi di un
legame con il genitore (imprinting filiale) o nella formazione delle preferenze sessuali dell’individuo adulto
(imprinting sessuale). Inizialmente osservato dall’ornitologo Oskar Heinroth e dall’etologo Konrad Lorenz
nella prima metà del Novecento, è stato successivamente studiato soprattutto in alcune specie di uccelli,
dove si verifica subito dopo la schiusa, ma è stato descritto anche in alcuni mammiferi, dove risulta
comunque meno diffuso, poiché nelle prime fasi dello sviluppo postnatale dei mammiferi sono soprattutto
gli stimoli olfattivi materni (ai quali la prole risulta passivamente esposta durante l’allattamento) a
determinare le successive preferenze sociali. L’imprinting è considerato una forma particolare di a. con tre
caratteristiche distintive: è limitato a una breve fase sensibile, il periodo perinatale, la cui durata varia da
specie a specie; si verifica in totale assenza di stimoli di rinforzo convenzionali (è sufficiente l’esposizione
del soggetto a un determinato stimolo in movimento durante la fase sensibile); produce modificazioni
comportamentali a breve e a lungo termine, non irreversibili, ma difficilmente estinguibili. Dati sperimentali
indicano come alcune sottoregioni dell’iperstriato ventrale (una regione presente negli emisferi
telencefalici degli uccelli) costituiscano la sede principale dove vengono immagazzinate le informazioni
rilevanti per il riconoscimento dello stimolo. A fenomeni di imprinting sono stati inoltre associate variazioni
strutturali a livello sia pre- che postsinaptico in alcuni circuiti dell’iperstriato ventrale sinistro (aumento dei
recettori NMDA, della dimensione della densità postsinaptica, della disponibilità di vescicole sinaptiche).

- Il termine educazione deriva dal latino “e-ducere”, che letteralmente significa “tirare fuori”.


L’educazione infatti serve a “tirare fuori” dal bambino e dall’adoscelente quelle qualità necessarie per la
vita all’interno della società di appartenenza. Attreverso l’educazione all’individuo vengono trasmessi
i valori e le regole di comportamento condivise nel gruppo familiare e sociale di cui fa parte. A seconda
della cultura cambieranno i valori e i metodi di trasmissione degli stessi. Le discipline che si occupano di
studiare i processi educativi sono la pedagogia, la psicologia e, più in generale, le scienze dell’educazione e
della formazione.  In passato l’educazione veniva concepita essenzialmente come una trasmissione
passiva di conoscenza dagli adulti ai bambini, i quali dovevano limitarsi ad apprendere quante
più informazioni possibili. Oggi invece si tende a preferire metodi educativi attivi, centrati
sulla partecipazione e sul coinvolgimento dei bambini, i quali diventano reali protagonisti del loro sviluppo.
Quindi, l’educazione non dovrebbe limitarsi alla mera trasmissione di nozioni, come spesso avviene nei
contesti scolastici, ma sostenere e favorire nel bambino il pieno sviluppo delle proprie attitudini e qualità
latenti.

- La formazione serve allo sviluppo di nuove capacità e abilità nella persona adulta. Specie


nell’ambito lavorativo, si è riscontrato un aumento nella domanda di programmi formativi per far aquisire
al lavoratore delle specificità professionali.  La formazione diviene in quest’ambito un vero e proprio
investimento sul “capitale umano”, i cui frutti sono visibili sia sul breve periodo, come aumento
della produttività, che sul lungo periodo, come sviluppo del potenziale. Un piano di formazione necessita
di una fase preliminare di analisi dei fabbisogni degli individui, dei ruoli e dell’organizzazione in generale.
I metodi formativi differiscono a seconda del minore o maggiore coinvolgimento delle persone nel loro
stesso progetto formativo: metodi passivi, come quello classico della lezione, si contrappongono a metodi
più attivi sul piano relazionale, come ad esempio i business game. Un altro esempio di formazione che
coinvolge attivamente i partecipanti è la formazione outdoor: lo scopo è quello di stimolare un processo
di apprendimento in situazioni inusuali per il soggetto e, in certi casi, estreme; vengono assegnati problemi
reali affinchè il soggetto sviluppi la capacità di attivare tutte le proprie risorse per sbloccare gli schemi
di apprendimento ormai consolidati da anni. Indipendentemente dal metodo utilizzato, la formazione non
è una semplice trasmissione di nozioni, ma un processo il cui ruolo è fondamentale lungo tutto l’arco di vita
della risorsa umana.

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