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Manuale di Neuropsicologia di Gianfranco Denes, Luigi Pizzamiglio


Capitolo 36: Neuropsicologia delle emozioni (Elisa Ciaramelli e Giuseppe Di Pellegrino) 1. Introduzione
Il termine emozioni → si riferisce a una varietà di esperienze vissuti soggettivi (per esempio, sentimenti di paura,
rabbia, felicità) associati a modificazioni del sistema nervoso autonomo ed endocrino, e a cambiamenti dei processi
sensori-motori e cognitivi.
La funzione delle emozioni → è altamente adattiva e consiste nel rilevare e dare priorità a stimoli o eventi
significativi per l'organismo (come potenziali pericoli o opportunità presenti nell’ambiente fisico e sociale) allo
scopo di facilitare e coordinare un set di risposte cognitivo-comportamentali e di aggiustamenti fisiologici
appropriati alle richieste ambientali.
Il dibattito psicologico si è focalizzato sull’idea che le emozioni varino:
a. lungo un continuum dimensionale. Secondo il modello dimensionale più popolare, le emozioni sono
riconducibili a due dimensioni principali: valenza (o valore positivo/negativo dello stato emotivo) e
arousal (o intensità di attivazione/inattivazione fisiologica).
Però, gli approcci dimensionali offrono sì una spiegazione unitaria ed economica del vissuto emotivo, ma
non riescono a dar conto all' ampia varietà delle esperienze emotive esperite.

b. sull’esistenza di distinte categorie di emozioni. I modelli categoriali considerano le emozioni come


entità distinte (per esempio, gioia, paura, rabbia) ciascuna con uno specifico profilo comportamentale,
cognitivo, fisiologico, neurale e di esperienza soggettiva, corrispondente ad una ben definita tendenza
all’azione.
Esiste un generale accordo tra gli studiosi che specifiche regioni cerebrali svolgono un ruolo cruciale nelle
emozioni:
✓ Gli studi di Hess, Bard e Cannon per primi mostrarono che nuclei dell'ipotalamo e del tronco
dell'encefalo coordinano le componenti vegetative e somatiche delle reazioni emotive.
Per esempio, la stimolazione elettrica dell'ipotalamo dell'animale evoca rabbia predatoria, mentre la
disconnessione del proencefalo produce la cosiddetta falsa rabbia.
Questi risultati indicano che strutture sottocorticali possono direttamente elicitare comportamenti emotivi, ma che
la corteccia è necessaria per adeguare in modo appropriato le reazioni emotive al contesto.
✓ Un terzo gruppo di strutture, il sistema limbico secondo la definizione di MacLean, medierebbe poi tra
valutazione corticale (appraisal) esecuzione sottocorticale delle reazioni emotive.
✓ Studi più recenti in neuroscienze mettono in evidenza un sistema cerebrale per la rilevazione e la risposta
a stimoli emotivi più complesso e distribuito, che coinvolge strutture sia
corticali sia sottocorticali, tra le quali assumono una particolare importanza: l’amigdala, la corteccia
prefrontale ventromediale (vmPFC) e l'insula.

2. Amigdala
L’amigdala (o complesso amigdaloideo) è un voluminoso nucleo che giace nella profondità anteromediale del lobo
temporale, subito davanti all’ippocampo. L' amigdala include una dozzina di nuclei interconnessi.
La parte afferente, il complesso basolaterale, riceve informazioni appartenenti a tutte le modalità sensoriali da
due distinte vie (LeDoux):
• Segnali sottocorticali rapidi, provenienti direttamente dal talamo, che permettono reazioni emotive veloci
ma indifferenziate.
• Segnali maggiormente elaborati e dettagliati, ma più lenti, da aree corticali associative.
- Dal complesso basolaterale, i segnali sono ritrasmessi al nucleo centrale (principale sorgente di
proiezioni efferenti dall' amigdala).
- Il nucleo centrale a sua volta modula l'attività sinaptica in specifiche aree target dell’ipotalamo e del
tronco dell'encefalo (direttamente responsabili delle modificazioni ormonali e vegetative che
caratterizzano le risposte emotive).
- Il nucleo centrale invia inoltre proiezioni a diverse regioni corticali (cortecce sensoriali, prefrontale
e ippocampo).
Oltre che al nucleo centrale, il complesso basolaterale dell’amigdala invia specifiche proiezioni al nucleo
accumbens e allo striato dorsale, regioni critiche nel controllo delle azioni strumentali dirette a uno scopo
(avvicinamento/allontanamento a stimoli emotivi) e dello stato motivazionale per eseguirle.

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Nell'uomo, diverse sono le cause che possono determinare la lesione dei nuclei amigdaloidei. Tra le più comuni vi
sono: malattie infiammatorie, tra cui l'encefalite limbica e da Herpes simplex, che producono ampie lesioni non
focali di entrambe le amigdale e delle regioni circostanti del lobo temporale; danno unilaterale dell’amigdala
che si può osservare dopo resezione chirurgica del lobo temporale anteriore per il trattamento di epilessie
farmacoresistenti; alterazioni bilaterali dell'amigdala a esordio infantile si instaurano nella sindrome di Urbach-
Wiethe, una malattia genetica rara in cui si assiste a una diffusa e progressiva calcificazione dei vasi sanguigni,
seguita da atrofia, di entrambe le amigdale, che appaiono ipofunzionanti negli studi fMRI.

2.1 Sindrome di Kluver-Bucy


Nel 1973, Kluver e Bucy osservarono che la rimozione bilaterale di parte dei lobi temporali nella scimmia (in
particolare amigdala, ippocampo e cortecce temporali adiacenti) causava un insieme caratteristico di
comportamenti: la sindrome di Kluver-Bucy.
Dopo le lesioni di queste regioni gli animali esibivano:
• Eccessiva docilità
• Tendenza ad avvicinarsi senza esitazione a oggetti inanimati e animati, esaminandoli con la bocca
piuttosto che con le mani (iperoralità)
• Ipersessualità
• Alterazioni del comportamento alimentare con coprofagia
• Di particolare rilievo era la completa assenza di reazioni emotive, sia motorie sia vocali (solitamente
prodotte in risposta a stimoli o situazioni che evocano paura o rabbia negli animali)
• Si associavano, inoltre, vistose alterazioni del comportamento e delle interazioni sciali, con perdita della
gerarchia di dominanza (che normalmente si stabiliscono nella colonia)
Ricerche successive mostrarono che la sola rimozione bilaterale dell'amigdala era sufficiente a indurre la sindrome
di Kluver-Bucy. Questi primi studi sono stati cruciali per portare l’attenzione sul ruolo dell’amigdala nelle
emozioni.

2.2 Apprendimento emotivo


Numerose evidenze sperimentali indicano che l’attività neurale dell’amigdala è modulata sia da:
• Stimoli emotivi innati o incondizionati, che possiedono intrinseche qualità appetitive o aversive (p.e.
cibo o dolore).
• Stimoli emotivi appresi o condizionati.
La comprensione di come uno stimolo neutro acquisisce valore emotivo costituisce il tema centrale degli studi
sull’apprendimento emotivo.
Nel condizionamento classico aversivo (o condizionamento della paura), uno stimolo neutro (stimolo
condizionato) acquisisce un valore emotivo in seguito all’associazione con stimoli emotivi innati (incondizionati),
e arriva suscitare reazioni emotive anche quando presentato da solo. Ricerche sull’animale hanno rilevato che
l'amigdala è necessaria per l'acquisizione, il mantenimento e l’espressione di risposte emotive condizionate
a stimoli minacciosi e appetitivi.
Durante l'apprendimento, la convergenza di segnali relativi allo stimolo condizionato e incondizionato sui
medesimi neuroni dell'amigdala produce modificazioni plastiche a livello del complesso basolaterale, che sono
critiche per il formarsi delle memorie emotive.
→ In linea con gli studi sull’animale, Bechara e colleghi descrissero un paziente con lesione selettiva
bilaterale dell'amigdala che non mostrava risposte emotive condizionate (variazioni della SCR) a
stimoli visivi o uditivi in precedenza associati a uno stimolo aversivo incondizionato (un suono). Però, il
ruolo dell'amigdala appare limitato alla sola espressione fisiologica della paura condizionata, infatti
la lesione dell’amigdala non impediva al paziente di acquisire una normale conoscenza esplicita della
relazione tra stimolo condizionato e stimolo incondizionato.
È infatti noto che l'acquisizione di questa conoscenza esplicita dipenda dall'ippocampo. Infatti, pazienti con lesione
ippocampale ma amigdala intatta rivelano la dissociazione opposta: normale risposta condizionata negli indici
psicofisiologici senza consapevolezza esplicita della relazione tra stimoli condizionati e incondizionati.

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Nell'uomo, il significato emotivo di uno stimolo, oltre che attraverso l'esperienza (per esempio condizionamento
classico, può essere appreso per via simbolica, mediante la comunicazione linguistica: nei compiti di
apprendimento emotivo istruito, i partecipanti non ricevono uno stimolo aversivo, ma viene detto loro che un
evento spiacevole (per esempio, una breve scossa elettrica) potrebbe verificarsi in congiunzione a uno stimolo
neutro.
Risultati sperimentali dimostrano che l' apprendimento emotivo istruito - basato sulla rappresentazione astratta
della paura- dipende da meccanismi diversi dall' apprendimento emotivo condizionato: mentre quest'ultimo è
associato all' attivazione bilaterale dell'amigdala (o della sola amigdala di destra nel caso di stimoli condizionati
presentati in modo inconsapevole), la paura suscitata verbalmente produce attivazione limitata alla sola
amigdala di sinistra, coerentemente con la lateralizzazione a sinistra del linguaggio. Infatti, pazienti con lesione
dell'amigdala sinistra mostrano una diminuzione delle risposte psicofisiologiche a stimoli avversivi attraverso la
comunicazione verbale, mentre il danno dell'amigdala destra compromette le risposte emotive a stimoli avversivi
presentati nella modalità visiva.

2.3 Vantaggio del processamento cognitivo di stimolo emotivi


Le emozioni esercitano una notevole influenza sull’attenzione, facilitando l'elaborazione di stimoli emotivi,
soprattutto in condizioni di risorse attentive limitate.
Esempio: esempi classici vengono dai compiti di ricerca visiva, in cui la detenzione di uno stimolo target
tra un insieme di distrattori è facilitata quando il target è uno stimolo emotivo (per esempio, immagini di
un ragno) rispetto a quando è neutro.
Recenti evidenze indicano che l'amigdala è il substrato nervoso necessario a mediare il vantaggio nel
processamento di informazione emotiva, modulando l'attività dei circuiti nervosi corticali coinvolti nei
processi percettivi e attentivi. Infatti, scene a contenuto emotivo evocano maggiore attivazione nella corteccia
occipitale laterale rispetto a scene neutre, ed espressioni emotive del volto e del corpo producono, rispettivamente,
un selettivo aumento dell’attività dell’area fusiforme (FFA) e delle aree fusiforme ed extrastriata rispetto a facce
e corpi neutri. In questi studi, l'aumento delle risposte corticali a stimoli emotivi e correlato all' attivazione
dell’amigdala.
Anche gli studi neuropsicologici di pazienti con lesioni dell’amigdala indicano che questa regione è necessaria
per il vantaggio attentivo osservato per l’informazione emotiva.
→ Anderson e Phelps esaminarono questo tema usando il paradigma dell’attentional blink. I risultati di
questo esperimento indicano che, in condizioni di risorse attentive limitate, gli stimoli emotivi hanno
più probabilità di raggiungere la consapevolezza rispetto a quelli neutri, e che l'amigdala gioca un
ruolo causale nel mediare la facilitazione attentiva per stimoli emotivi. Si ritiene che tale bias attentivo
risulti dalle proiezioni, sia dirette sia mediate dall' attivazione di neuroni colinergici del proencefalo
basale, sulle cortecce sensoriali, dove l'elaborazione degli stimoli emotivi sarebbe potenziata e
amplificata.
Dirette evidenze sperimentali in favore di questa ipotesi emergono da uno studio di neuroimaging condotti in
soggetti sani e in pazienti con sclerosi del lobo temporale mediale che coinvolgeva solo l'ippocampo oppure
amigdala e ippocampo.
Esperimento: ai partecipanti erano presentate coppie di case o facce (con espressioni di paura o neutra,
allineate orizzontalmente e verticalmente. In blocchi di prove separate, i soggetti dovevano prestare
attenzione o alla coppia orizzontale o a quella verticale, decidendo se le immagini di ciascuna coppia
erano uguali o diverse.
Risultati: I soggetti di controllo sani e i pazienti con lesioni limitate all' ippocampo mostravano una
maggiore attivazione della corteccia visiva, particolarmente FFA, quando i volti erano emotivi rispetto
ai neutri (indipendentemente dal fatto che prestassero attenzione ai volti). Tuttavia, l'aumento
dell'attivazione FFA per volti emotivi Non si osservava nei pazienti con danno di amigdala e ippocampo.

Inoltre, eventi che suscitano una risposta emotiva si ricordano anche meglio con maggior persistenza e
vividezza gli eventi neutri. Sebbene, la memoria episodica dipende principalmente da altre strutture celebrali, in
particolare l'ippocampo, diverse evidenze sperimentali indicano che il vantaggio mnestico delle informazioni
emotive su quelle neutre e determinato in modo critico dall’attività dell’amigdala.
L' ampiezza del vantaggio mnestico per l'informazione emotiva varia in funzione del paradigma sperimentale. Per
esempio, pazienti con lesioni dell’amigdala rivelano un normale vantaggio nel ricordo di stimoli emotivi

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rispetto a stimoli neutri quando il recupero avviene immediatamente dopo la codifica, ma non.se avviene
dopo intervalli maggiori. Questi risultati suggeriscono che l'amigdala un ruolo fondamentale nel modulare i
processi di consolidamento (dipendenti dall' ippocampo) delle tracce mnestiche per stimoli emotivi. È importante
notare che una lesione dell’ippocampo, in assenza di danno dell’amigdala, produce un deficit della memoria
esplicita, ma lascia evidente nei pazienti normale vantaggio mnestico per stimoli emotivi.

2.4 Riconoscimento di emozioni


Studi di neuroimaging mostrano che l’amigdala è attivata dall' espressione emotiva dei volti, particolarmente
espressioni di minaccia o paura (anche presentate in modo subliminale), e che tale attivazione correla
positivamente con il corretto riconoscimento delle espressioni.
Tuttavia, altri studi hanno notato che l'attivazione dell'amigdala non è specifica per la paura ma associata a
un’ampia gamma di espressioni facciali, incluse felicità, sorpresa e rabbia Come anche a segnali emotivi
espressi dal corpo.
L'analisi di pazienti neurologici è stata particolarmente informativa sul ruolo funzionale dell’amigdala nella
percezione ed elaborazione delle emozioni in stimoli di natura sociale.
Esempio: S.M. aveva un deficit selettivo nel giudicare l’intensità della paura espressa da un volto a fronte
di una normale capacità di riconoscere informazioni come il genere, l’età o l’identità della persona
raffigurata. Nel descrivere spontaneamente volti impauriti, la paziente usava molto raramente la parola
paura spesso confondendola con altre emozioni, anche se poteva riconoscere la paura attraverso altri
canali sensoriali, per esempio dal tono della voce.
In un volto, la regione degli occhi fornisce importanti segnali sociali per molte specie, in particolare la paura
dipende dall’analisi di segnali provenienti dagli occhi. L' amigdala sembra essere il substrato neurale critico
per elaborare informazioni da questa regione del volto. Studi neuroimaging dimostrano che sia la direzione
dello sguardo sia la dimensione della pupilla modulano l'attività dell'amigdala in risposta a volti impauriti. Gli
occhi di una faccia spaventata sono particolarmente efficaci nell’attivare l’amigdala, anche quando presentati
brevemente e subito mascherati.
Esempio: Infatti uno studio dei movimenti oculari di S.M. ha rivelato che, diversamente dai soggetti di
controllo, lei si soffermava a esplorare naso e bocca di un volto emotivo anziché la regione degli occhi,
per cui falliva nell’utilizzare importanti informazioni provenienti da questa regione del volto,
necessarie per il riconoscimento della paura. Però, quando S.M. era esplicitamente istruita a fissare
gli occhi di un volto, il riconoscimento della paura diventava accurato, miglioramento che regrediva non
appena era di nuovo lasciata libera nell’esplorare i volti emotivi.
Oltre che nell’analisi delle espressioni facciali emotive, l'amigdala è implicata nell’elaborazione di altre
informazioni che segnalano potenziale minaccia. Per esempio, pazienti con danno bilaterali dell'amigdala
falliscono nel giudicare accuratamente volti che soggetti sani hanno valutato in modo negativo nelle dimensioni
di affidabilità e amichevolezza.

2.5 Significato funzionale dell’amigdala


I risultati degli studi funzionali e lesionali nell'uomo hanno messo in evidenza il ruolo dell'amigdala
nell'apprendimento, nella memoria emotiva, nel comportamento e nella cognizione sociale.
L' amigdala opera come un filtro che assegna elevata priorità e risorse attentive a stimoli di particolare rilevanza
per l'organismo, modulando i circuiti nervosi critici in un dato compito situazione. Il suo ruolo è particolarmente
cruciale in situazioni non predicibili, e nelle quali gli stimoli appaiono ambigui o necessitano di elaborazione
ulteriore.
Esempio: Whalen Ha proposto che il ruolo dell'amigdala nel processamento di espressioni facciali di
paura sia dovuto all' intrinseca ambiguità del volto impaurito, che indica la presenza di una minaccia, ma
non la sua origine. Il reclutamento dell’amigdala servirebbe proprio a disambiguare stimoli
minacciosi.
L'analisi degli stimoli emotivi dell’amigdala avverrebbe in modo rapido, automatico e non consapevole, attraverso
una via sottocorticale, la cosiddetta via bassa (che veicola input visivi “grezzi” dal talamo e dal collicolo superiore
direttamente all’ amigdala). L' amigdala riceve informazioni sugli stimoli emotivi anche da una via con elevata
risoluzione ma più lenta, la via alta (che ritrasmette input visivi passando dal talamo e dalle cortecce sensoriali e
associative prima di giungere all' amigdala).

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3. Corteccia prefrontale ventromediale (vmPFC)


La corteccia prefrontale e un vasto territorio della neocorteccia che ha raggiunto sviluppo e complessità funzionale
massimi nei primati, in particolare nell'uomo, dove occupa oltre un terzo dell’intero manto corticale. È considerata
la sede più elevata nella gerarchia dei processi cognitivi e affettivi, e svolge un ruolo fondamentale nel
controllo esecutivo del comportamento adattivo.
È una corteccia altamente eterogenea, suddivisibile in aree fortemente interconnesse.
Si parla di corteccia prefrontale ventromediale (vmPFC) per riferirsi alla porzione ventrale della faccia mediale
della corteccia prefrontale (al di sotto del livello del genu del corpo calloso) e al settore mediale della superficie
corticale orbitale (giro retto e giri orbitali mediali).
La corteccia orbitofrontale laterale, insieme alla porzione ventrale della convessità laterale del lobo frontale, va a
formare la corteccia prefrontale ventrolaterale.
Le aree ventromediali e orbitofrontali caudali della corteccia prefrontale sono fortemente connesse con strutture
quali l'amigdala, lo striato ventrale e l'ippocampo (aree critiche per le emozioni, l'analisi dei segnali di rinforzo e
la memoria).
nell'uomo, le più comuni cause di lesione di vmPFC sono i tumori (in particolare, i meningiomi ha sede orbitale,
l'emorragia subaracnoidea conseguente a rottura di aneurismi dell’arteria comunicante anteriore), l'ictus ischemico
(in particolare, a carico dell’arteria cerebrale anteriore) e il trauma cranico.

3.1 Sociopatia acquisita


Il coinvolgimento della corteccia prefrontale ventromediale nelle emozioni apparve chiaro dalle prime
osservazioni di pazienti con lesioni in quest’area.
Esempio: Il caso più famoso è quello di Phineas Gage, un capocantiere del Vermont che aveva subito una
grave lesione bilaterale di quest’area in seguito a un'esplosione accidentale. sebbene non mostrasse deficit
cognitivi macroscopici (quali disturbi percettivi, di memoria o di linguaggio) chi lo conosceva asseriva
che “non era più lui”. Il suo comportamento era diventato sconsiderato, impulsivo e caratterizzato
da scarsa empatia e poca preoccupazione per le conseguenze delle proprie azioni.
Un altro caso è quello di E.V.R, che aveva sostenuto una lesione bilaterale vmPFC conseguente alla
rimozione di un tumore. Il paziente aveva intelligenza, memoria, linguaggio e abilità di ragionamento
logico relativamente preservati, ma pochi mesi dopo l'intervento perso il lavoro perché inaffidabile, perse
ingenti somme di denaro per scelte economiche mal condotte, e si allontanò dalla moglie dagli amici.
Studi recenti hanno corroborato queste prime osservazioni e mostrato una serie di sintomi presenti in maniera
consistente dopo lesione di vmPFC, che includono:
• Scarsa espressione e controllo delle emozioni
• Scarsa empatia
• Inappropriatezza sociale
• Mancanza di consapevolezza circa la propria condizione
• Irritabilità
• compromissione della presa di decisione
Pseudopsicopatia e sociopatia acquisita sono i termini che furono coniati per descrivere la presentazione clinica
di pazienti con lesione vmPFC, che ricorda quella di individui con diagnosi psichiatrica di psicopatia e sociopatia.

3.2 Marcatori somatici e valutazione affettiva


Studi sperimentali hanno seguito le prime osservazioni aneddotiche, per indagare i meccanismi responsabili
della compromissione del comportamento dopo lesione di vmPFC.
Dal momento che i pazienti con lesione di vmPFC hanno tipicamente buone capacità intellettive ai test
standardizzati, ma un comportamento disattivo nella vita reale, sono stati concepiti paradigmi sperimentali che
mimassero in maniera più fedele la presa di decisione in contesti reali (in altre parole, tipi di test che richiedono al
soggetto stesso di valutare quanto una scelta sia giusta sbagliata).
Esperimento: nel Iowa gambling test (IGT) ai partecipanti sono presentati quattro Mazzi di carte. In ogni
prova, il soggetto deve selezionare la carta di un mazzo, che può far guadagnare o perdere una somma
ipotetica di denaro. I mazzi di carte (in apparenza uguali) sono molto diversi: le carte dei mazzi A e B,
ad alto rischio, fanno vincere di frequente somme elevate, ma ogni tanto fanno perdere somme ancora
maggiori; al contrario, le carte dei mazzi C e D, a basso rischio, sono associate a vincite ma anche a

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perdite più modeste. pertanto, nel lungo termine è più vantaggioso, dal punto di vista economico,
selezionare le carte dei mazzi a basso rischio.
Risultati: Bechara e colleghi hanno dimostrato che all'inizio del gioco sia i soggetti sani sia i pazienti
con lesione di vmPFC preferiscono i mazzi ad alto rischio (attratti dalle forti vincite). Tuttavia, mentre
soggetti di controllo dopo aver esperito le prime perdite gradualmente orientano le proprie scelte sui
mazzi a basso rischio, i pazienti vmPFC continuo a preferire i mazzi ad alto rischio (E nel corso del
gioco finiscono per perdere soldi). I pazienti vmPFC hanno un normale aumento della risposta di
conduttanza cutanea (SCR) dopo aver vinto o perso una somma denaro. Col tempo, però, nei soggetti di
controllo aumenta la SCR anche prima di selezionare dai mazzi rischiosi, il che si affianca a un graduale
cambiamento nelle scelte, le quali vanno a cadere sempre più spesso sui mazzi a basso rischio. Tali
risposte emotive anticipatorie sono assenti nei pazienti vmPFC, che perseverano nella scelta dai
mazzi svantaggiosi.
Secondo Antonio Damasio la vmPFC sarebbe necessaria per sviluppare e conservare marcatori somatici,
Ovvero connotazioni affettive di opzioni comportamentali che si sono rivelate vantaggiose o svantaggiose (per
esempio una perdita all’IGT).
Attivandosi al momento della presa di decisione, i marcatori somatici consentono di connotare
emotivamente le opzioni comportamentali disponibili, generando un bias a favore/sfavore
dell’implementazione di opzioni marcate positivamente/negativamente.
I marcatori somatici sono necessari e sufficienti per la prestazione all’IGT: pazienti vmPFC che alla fine del gioco
avevano ben compreso la struttura del gioco in termini di presenza di mazzi più o meno rischiosi comunque
fallivano nel compiere scelte vantaggiose; viceversa i soggetti sani che alla fine del gioco non avevano ben
concettualizzato la struttura del gioco comunque sceglievano dai mazzi vantaggiosi.
I pazienti con lesione di vmPFC perdono tale conoscenza disposizionale: resta capace di analizzare i pro e
contro di un’opzione di scelta ma in una maniera distaccata, che non è sufficiente per garantire scelte
adattive.

3.3 Computazione del valore soggettivo


La presa di decisione è un processo multicomponenziale, che richiede di costruire una rappresentazione mentale
delle diverse alternative, attribuire loro un “valore soggettivo” (o utilità) e selezionare l'opzione con il valore
soggettivo più alto.
Oggi si pensa che vmPFC giochi un ruolo fondamentale nella stima del valore “soggettivo “di una opzione di
scelta, che cioè rifletterà non le singole caratteristiche oggettive di un'opzione (per esempio, entità, probabilità con
cui verrà elargita, tempo al quale verrà elargita) ma la valutazione sintetica, pesata e globale che ne fa uno
specifico soggetto per fare la sua scelta.
Il sistema di valutazione del valore soggettivo dovrà pertanto avere due caratteristiche fondamentali: la capacità
di rappresentare e confrontare opzioni diverse che variano su caratteristiche multiple usando lo stesso
codice neurale e la flessibilità di risposta.
Studi di neuroimaging mostrano che nell'uomo vmPFC codifica il valore soggettivo di un'ampia varietà di stimoli,
che comprende sia i rinforzi primari sia stimoli piacevoli dal punto di vista estetico o culturale e guadagni monetari.
Esperimento: uno studio mostra che l'attivazione di vmPFC in seguito alla presentazione di un prodotto
che il soggetto desidera acquistare si riduce se il prezzo del prodotto è eccessivo, il che indica bene come
quest’area integra diversi aspetti di uno stimolo nella rappresentazione del valore.
Lesioni di vmPFC alterano la capacità di sviluppare preferenze.
Esperimento: Fellows e Farah hanno presentato pazienti vmPFC, soggetti normali, i pazienti di
controllo con lesioni non in vmPFC, coppie di stimoli (per esempio, persone famose, alimenti, orologi)
e chiesto quale elemento di ciascuna coppia preferissero. Ogni stimolo veniva presentato più volte, di
volta in volta appaiato con stimoli diversi. Un sistema coerente di preferenza prevede che se un
soggetto preferisce A a B e B a C, allora deve preferire anche A a C.
Risultati: i pazienti vmPFC, a differenza di entrambi i gruppi di controllo, facevano un alto numero di
scelte che disobbediva a tale regola, denunciando un’incapacità di mantenere preferenze stabili.
Un altro fattore che influenza notevolmente il valore soggettivo di un premio è il momento in cui sarà disponibile.
Nella situazione di scelta intertemporale (per esempio, preferisci 10 € ora o 30 € fra un mese?), Gli individui
tendono a preferire ricompense piccole ma immediate a ricompense più grandi ma lontane nel tempo (= un

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fenomeno che riflette la diminuzione del valore soggettivo di un premio futuro all'aumentare del ritardo con cui
sarà disponibile, detto delay discounting).
Studi di neuroimaging mostrano che vmPFC codifica il valore soggettivo di un premio futuro sintetizzandone
l'entità e la distanza temporale. I pazienti vmPFC hanno un delay discounting più ripido di soggetti di controllo
sani e celebrolesi, manifestando una maggiore tendenza a preferire i premi immediati rispetto premi anche
maggiori ma ritardati. Dunque, assegnano un peso sproporzionato al fattore distanza temporale rispetto al fattore
entità del premio.

3.4 Espressione e controllo delle risposte emotive


Uno dei cambiamenti più evidenti dopo lesione di vmPFC è a carico dell’espressione e della regolazione delle
emozioni, e coinvolge da un lato apatia, ridotta espressività emotiva e mancanza di empatia, dall’altro lato
irritabilità e incapacità di controllo delle emozioni.
Studi sperimentali hanno dimostrato che i pazienti vmPFC hanno una ridotta SCR a una varietà di stimoli emotivi,
quali scene, facce, suoni e anche musica.
▪ Una emozione paradigmaticamente poco espressa dai paziente vmPFC è quella del rimorso.
Esperimento: in uno studio sperimentale in cui partecipanti sceglievano quale di due puntate fare in una
lotteria, i pazienti vmPFC era normalmente capaci di provare emozioni in risposta a quello che avevano
vinto, ma se successivamente apprendevano che scegliendo l'altra opzione avrebbero guadagnato di più
riportavano meno rimorso per la scelta fatta e una ridotta risposta di conduttanza cutanea rispetto
ai soggetti di controllo.

Questo risultato dimostra che vmPFC è implicata nella risposta di regret (rimorso), anche se studi successivi
hanno mostrato che una significativa riduzione di queste emozioni si osserva solo se anche i settori laterali della
corteccia orbitofrontale sono interessati dalla lesione.
▪ I pazienti vmPFC sono anche classicamente descritti come poco empatici.
Oggi si sa che l'empatia, intesa come capacità di comprendere e condividere le emozioni altrui, opera sia
attraverso meccanismi automatici di contagio emotivo (basati su sistemi di risonanza emotiva), sia
attraverso meccanismi più controllati di simulazione dell'esperienza altrui (associati all'attività di una rete
di aree celebrali mediali che include vmPFC). Esperimento: studi sperimentali hanno mostrato che una
lesione di vmPFC lascia possibile il contagio emotivo automatico (per esempio, soffrire alla vista di un
altro che soffre) ma compromette in maniera significativa la capacità di assumere la prospettiva di
un'altra persona per simularne l'esperienza emotiva.

▪ Il ruolo di vmPFC nell’espressione delle emozioni è indirettamente testimoniato anche dall’evidenza che
pazienti con lesione di vmPFC sono paradossalmente protetti da disturbi dell'umore.
Esempio: in un campione di reduci dal Vietnam che avevano riportato lesioni cerebrali, la probabilità
di aver sviluppato un disturbo post traumatico da stress era minima nei pazienti che avevano una
lesione di vmPFC rispetto ad altre aree celebrali. I pazienti con lesione di vmPFC riportano meno
spesso anche i sintomi emotivi classici della depressione (come sentimenti di tristezza, colpa o scarso
valore personale) anche se sono normalmente suscettibili ai sintomi somatici della depressione (come i
cambiamenti nell’appetito o nel sonno).
Inoltre, è da notare che sebbene generalmente caratterizzati da ridotta espressione emotiva, i pazienti con lesione
vmPFC sono in alcuni contesti paradossalmente descritti come iperattivi, irritabili e anche aggressivi. Questa
evidenza è stata evidenziata da Moretti nell’ultimatum game. Esperimento: in questo gioco economico, i
partecipanti vengono informati che una persona ha ricevuto una somma di denaro (10 €) e deve dividerla con loro,
i quali possono accettare o rifiutare l'offerta, nel qual caso nessuno dei due preferisci alcuna somma.
Risultati: i soggetti normali tipicamente accettano offerte eque (ad esempio, 6 € per il proponente e 4 €
per chi riceve); mentre tendono ad arrabbiarsi e rifiutare offerte percepite come inique (per esempio, 9 €
per il proponente è 1 € per chi riceve), Anche se così facendo perdono soldi.
I pazienti vmPFC rifiutano le offerte inique ancora più frequentemente dei soggetti sani, mostrando
ancora minore tolleranza per queste.
Il rifiuto delle offerte inique da parte dei partecipanti vmPFC è tuttavia diverso qualitativamente da quello
dei soggetti sani: in questi ultimi si ritiene finalizzato a impartire una “punizione altruistica” al proponente

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(volta a insegnargli una regola sociale di lealtà). A questo proposito, infatti, se le offerte inique sono fatte
da un computer (al quale non si attribuiscono intenzioni e che comunque non potrebbe apprendere nulla
dal rifiuto) i soggetti normali li accettano in misura maggiore, perché in questo caso è più adattivo
guadagnare dei soldi.
Al contrario, pazienti vmPFC rifiutano anche le offerte inique del computer. Ciò dimostra che non sono
in grado di modulare le proprie reazioni di rabbia per ottenere un vantaggio economico, e che la
loro rabbia non è di natura sociale.

3.5 Cognizione sociale e morale


Alcuni studiosi assegnano a vmPFC un ruolo primario nella cognizione sociale.
Esperimento: In uno studio sperimentale, i pazienti vmPFC mettevano in atto più spesso di soggetti
normali e pazienti di controllo comportamenti inappropriati durante un'intervista con un estraneo, per
esempio rivelando informazioni troppo personali. I pazienti vmPFC non ritenevano di essersi
comportati in modo inappropriato durante l'intervista e non riportavano imbarazzo.
Un dato interessante dello studio di Beer e colleghi è che quando ai pazienti vmPFC veniva mostrato la
videoregistrazione dell'intervista fatta con l'estraneo, essi ne coglievano l’inappropriatezza, e i loro rating di
imbarazzo si normalizzavano.
Il problema di questi pazienti non sembra quindi l’incapacità di valutare in astratto l’appropriatezza sociale
di un comportamento, ma mentre lo mettono in atto. Non nella conoscenza quando nell’implementazione
online delle norme sociali.

Altri studi convergono nel riportare anomalie nel comportamento sociale in questi pazienti.
Esempio: i pazienti vmPFC approvano più spesso di controlli sani e cerebrolesi azioni che normalmente
elicitano “disgusto interpersonale” e in studi sulle preferenze di vicinanza interpersonale si pongono
troppo vicino all'altro.
Altri segnali efficaci sull’inappropriatezza di un comportamento vengono dalla lettura veloce delle reazioni
emotive altrui. È stato dimostrato che i pazienti con lesione di vmPFC sono deficitari nell’identificare le
espressioni facciali e vocali tipiche delle emozioni, specialmente quelle a valenza negativa, come paura, disgusto,
rabbia e tristezza, ma anche la sorpresa.
I pazienti con lesione di vmPFC sono anche deficitari nell’infierire le emozioni altrui. Esperimento: alcuni studi
hanno chiesto di valutare scenari sociali fittizi che potevano contenere un faux pas (passo falso), ovvero
un’azione del protagonista che involontariamente crea imbarazzo e dispiacere nella vittima (p.e. dire a
qualcuno che non abbiamo gradito un regalo senza sapere che lo ha portato lui).
La detenzione di faux pas è un’espressione sofisticata di cognizione sociale: perché richiede di simulare sia lo
stato mentale del protagonista sia quello della vittima, ed è consistentemente compromessa in pazienti con
lesione di vmPFC.
Coerentemente con ciò, i pazienti vmPFC sono deficitari in compiti di teoria della mente: i quali richiedono di
inferire stati mentali altrui (p.e. le credenze secondo le quali essi operano, che possono essere false o differenti
dalle proprie).
Un altro aspetto della cognizione sociale riguarda la capacità di compiere scelte morali, cioè conformi ai valori
morali condivisi col proprio gruppo sociale. In una serie di esperimenti Greene e colleghi hanno indagato le basi
neurali del giudizio morale esaminando la risposta cerebrale a situazioni dette dilemmi morali (= i quali
contrappongono Istanze morali e istanze utilitaristiche, ovvero volte alla massimizzazione del bene comune).
Esperimento: 1. In un tipico dilemma morale personale, il footbridge dilemma, ai soggetti viene chiesto
di immaginare di essere su un binario, accanto a un signore corpulento, e di accorgersi che un treno in
arrivo sta per travolgere 5 operai che stanno lavorando sul binario. Un modo per impedire tale disgrazia
sarebbe spingere il signore corpulento sotto il treno, in modo che il suo corpo fermi il treno. Questo
causerebbe la morte dell'uomo, ma il salvataggio dei 5 operai, con un guadagno netto di vite umane.
Pochi soggetti normali affermano che quest’azione è accettabile.
2. Diverso e il caso di un dilemma analogo, ma di natura stavolta impersonale, il trolley dilemma, in cui
la stessa situazione potrebbe essere risolta attraverso un dispositivo meccanico per deviare il treno su di
un binario dove si trova un solo operaio. In questo caso, gli individui sono più propensi ad avallare
l'azione proposta.

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Si pensa che nei dilemmi morali personali l'anticipazione di emozioni, quali la colpa e la vergogna che
deriverebbero dall’uccidere una persona con le proprie mani, impedisca ai soggetti la realizzazione delle azioni
proposte, non importa quali siano le conseguenze della loro scelta.
• Studi di neuroimaging hanno evidenziato che vmPFC è più attiva durante la contemplazione di dilemmi
morali personali piuttosto che impersonali, il che suggerisce che quest’area sia la base neurale delle
emozioni morali.
• Studi neuropsicologici hanno confermato questa ipotesi in modo empirico: pazienti con lesione di
vmPFC sono più propensi dei soggetti normali e dei pazienti con lesioni in altre sedi a ritenere
accettabili moralmente le violazioni morali personali, mentre non si discostano dai controlli nei dilemmi
morali impersonali, meno emotivi.
• Uno studio successivo ha mostrato che i soggetti normali esibiscono un aumento della risposta di
conduttanza cutanea (SCR) prima di accettare una violazione morale personale, e i soggetti con un
maggiore aumento della SCR erano quelli globalmente meno propensi ad approvare lezioni morali.
I segnali emotivi generati durante la contemplazione di dilemmi morali potrebbero pertanto comportarsi
come dei marcatori somatici che etichettano le violazioni morali come non desiderabili, scoraggiandone
l’implementazione. Questo aumento della SCR non è evidente nei pazienti vmPFC, che non
sviluppano risposte emotive all' anticipazione delle violazioni morali, e basano la loro decisione solo su
considerazioni di tipo utilitaristico.
La prospettiva che vede vmPFC implicata in maniera prioritaria nella cognizione sociale spiegherebbe anche
perché i pazienti vmPFC sono ipoemotivi ai dilemmi morali e iperemotivi all' ultimatum game: sia sentire colpa e
vergogna al pensiero di una violazione morale (nonostante il guadagno che ne deriverebbe), sia sopprimere la
rabbia per un'offerta iniqua in funzione di altre considerazioni, richiedono introspezione, autoregolazione e
considerazione dell'effetto sociale delle proprie azioni.
3.6 Significato funzionale di vmPFC
C'è un dibattito in corso su quale sia la funzione principale di vmPFC nelle emozioni.
• Seguendo la prima prospettiva, a oggi è la teoria del valore soggettivo (Fellows) che sembra capace di
spiegare la maggior parte dei dati sull’effetto di una lesione di vmPFC sul comportamento, rispetto, per
esempio, alla teoria della cognizione sociale.
Infatti pazienti vmPFC manifestano problemi nello stimare il valore affettivo di opzioni di scelta anche
in compiti economici senza connotazione sociale; viceversa si è visto che scelte marcatamente sociali,
per esempio quelle politiche, dipendono dalla capacità di sviluppare valori soggettivi sintetici dei vari
attributi dei candidati, e comportamenti marcatamente sociali, come il rifiuto di offerte inique
all'ultimatum game, vengono influenzati da manipolazioni che influenza il valore soggettivo delle
opzioni di scelta.
È possibile tuttavia che aree distinte di vmPFC abbiano funzioni diverse, alcune implicate in maniera aspecifica
nella stima del valore affettivo delle opzioni di scelta, altre specializzate per codificare opzioni e premi di natura
sociale.
C'è infine da considerare che nessuna delle prospettive principali esposte riesce a considerare un'altra funzione cui
vmPFC partecipa in maniera importante, la memoria.
→ vmPFC è attiva quando gli individui ricordano il passato, immaginano il futuro, e simulano
il punto di vista di altre persone, tutte attività che richiedono di prescindere dalla situazione presente e
simularne di alternative.
Pazienti con lesione di vmPFC hanno problemi a ricordare il passato e a immaginare il futuro, e possono
mostrare un disturbo particolarmente invalidante, la confabulazione, che consiste nella produzione di memoria
false.
Oggi si ritiene che vmPFC serva a simulare eventi complessi, monitorando integrando informazioni provenienti
da memoria episodiche multiple e conoscenze schematiche. Un deficit di simulazione di eventi complessi
alternativi alla realtà percepita potrebbe di fatto contribuire ai problemi che pazienti vmPFC hanno
nell’immaginare gli stati mentali altrui, le conseguenze di una violazione morale, la rilevanza dei premi futuri in
compiti di delay discounting.

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4. Insula
L' insula, o corteccia insulare, è una struttura che giace nella profondità del solco laterale, nascosta sotto i lobi
frontali e temporali. È ritenuta il “quinto lobo nascosto”, con funzione: di integrare segnali automatici, viscerali,
sensoriali e motori che partecipano in maniera importante alla guida del comportamento emotivo.
L’insula ha connessioni diffuse con molte aree cerebrali: nell’uomo ha connessioni con bidirezionali con i lobi
frontali, parietali, temporali, il giro del cingolo e strutture sottocorticali quali l’amigdala, il talamo e i gangli della
base.
A livello citoarchitettonico, l’insula è suddivisibile in due regioni diverse che si ritiene abbiano proprietà funzionali
diverse:
1) Una regione anteriore agranulare. L’insula anteriore ha connessioni reciproche con regioni del sistema
limbico, quali vmPFC, il giro del cingolo, l’amigdala, lo striato ventrale e si ritiene implicata
nell’integrazione di informazione automatica e viscerale ai processi emotivi e motivazionali.
2) Una regione posteriore granulare. L’insula posteriore riceve connessioni afferenti dai nuclei sensoriali
del talamo attraverso il tronco encefalico, e dalle cortecce associative parietali, occipitali e temporali, e
si ritiene coinvolta nell’integrazione di segnali somatosensoriali, vestibolari e motori.
Un’altra proprietà dell’insula che ne supporta la funzione integrativa proposta è la presenza dei neuroni di von
Economo (una classe di neuroni grandi e fusiformi, presenti in maniera abbondante anche nel cingolo anteriore,
particolarmente adatti alla rapida integrazione di informazioni a lunga distanza). L’insula è principalmente irrorata
dall’arteria cerebrale media.

Interocezione
Si ritiene che l'insula giochi un ruolo cruciale nell’interocezione, ovvero la percezione cosciente della condizione
fisiologica dello stato del proprio corpo.
Studi di neuroimaging hanno infatti mostrato che l'attivazione dell'insula non predice solo la percezione
consapevole di stimoli minacciosi ma anche la consapevolezza dei cambiamenti fisiologici a questi associati.
L'interocezione è una componente basilare del processamento emotivo, al punto che la discussione del rapporto
fra emozione e interocezione ha portato alla formulazione delle prime teorie periferiche delle emozioni (secondo
le quali le emozioni originano da - anziché causare - particolari costellazioni di risposte corporee. Ad esempio,
sudorazione per la paura, pianto per la tristezza. Oggi sappiamo che questa relazione è mediata dagli schemi
cognitivi, che impongono bias nell’associazione di un'emozione piuttosto che un’altra a un particolare pattern di
risposte somatiche.
Tuttavia, elementi delle teorie periferiche delle emozioni permeano i modelli dominanti del comportamento
emotivo, come la teoria dei marcatori somatici (= che sono proprio costellazioni di risposte viscerali associate
alle opzioni comportamentali in esame.)
Pazienti con lesioni di vmPFC non sviluppano marcatori somatici e non fanno scelte attive all’IGT (nonostante
una buona conoscenza teorica della situazione). Allo stesso modo, anche i pazienti con lesione all' insula falliscono
all’IGT, facendo scelte svantaggiose che non rispecchiano l'esperienza delle perdite associate alla selezione
dei mazzi svantaggiosi.
All'interno del modello di Bechara e Damasio, l'insula sarebbe un substrato neurale importante per la
rappresentazione consapevole e l'esperienza dei marcatori somatici nella forma di gut feeling (sensazioni
fisiche “di pancia” capaci di orientare verso particolari scelte).
Una prova importante del coinvolgimento dell'insula nell'interocezione viene dalla modifica del craving (brama)
associato a dipendenza in seguito a lesioni dell’insula.
Esempio: un esempio di craving (e di interocezione) è l'urgenza di fumare dei fumatori, che si impone
alla coscienza come bisogno a tal punto da disturbare in maniera significativa l'attività cognitiva in corso.
Naqvi e colleghi hanno dimostrato che lesioni all' insula conseguenti a ictus diminuivano in maniera significativa
la dipendenza da fumo: i pazienti con lesioni dell’insula, rispetto a quelli con lesioni in altre aree celebrali,
riportavano di aver smesso di fumare con facilità, come se “il loro corpo avesse dimenticato la brama del fumo”.
Gli autori attribuiscono questo effetto a ridotta interocezione sugli stati interni associati al craving, o a
ridotta anticipazione delle caratteristiche edoniche del fumo, una sorta di “memoria interocettiva”
collegabile ai marcatori somatici di Damasio. (Un’altra popolazione clinica che esibisce una marcata capacità
di ignorare le sensazioni viscerali – in questo caso associate alla fame – è quella di pazienti con anoressia nervosa,
anche loro caratterizzati da anomalie funzionali a carico dell’insula).

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Un altro esempio di fallita interocezione è il caso dell'anosognosia per l'emiplegia, Ovvero la negazione della
paralisi che affligge un arto (solitamente di sinistra) che si osserva talvolta in pazienti cerebrolesi (solitamente a
destra).
L’anosognosia riflette mancata consapevolezza dello stato del proprio corpo anche se può manifestarsi con
modalità e intensità diverse che vanno:
• dall’inconsapevolezza più risoluta per la plegia: il paziente afferma con decisione che può muovere l'arto
plegico.
• all' indifferenza emotiva: anosodiaforia
• ad affermazioni confabulatorie che l' arto plegico è lontano
• oppure appartiene ad un'altra persona: somatoparafrenia
Attraverso uno studio di sovrapposizione lesionale, Karnath e colleghi hanno mostrato che l'insula posteriore è
una delle strutture più frequentemente lesionate nei pazienti con anosognosia per l'emiplegia dopo ictus, sebbene
la sindrome sia assolutamente sostenuta da lesioni multiple e altri studi abbiamo invece enfatizzato l'insula
anteriore come correlato lesionale importante.
In uno studio recente, è stato evidenziato che, sebbene i pazienti con anosognosia per l'emiplegia negassero la
rilevanza personale dei concetti collegati alla plagia (ad esempio, sedia a rotelle, stampelle) essi fallivano
nell’inibire tali contenuti in test associativi impliciti rispetto a pazienti emiplegici non anosognosici, come se
i deficit motori non fossero a loro estranei come lasciavano pensare i resoconti verbali.
Si pensa quindi che l'insula sia responsabile della ri-rappresentazione consapevole di informazione
interocettiva, motoria e multisensoriale precedentemente processata in altre aree corticali e sottocorticali, che
sta alla base della rappresentazione del proprio essere fisico ed emotivo nel momento presente.
Tale rappresentazione è una base importante anche delle operazioni cognitive ed emotive che implicano la
distinzione tra sé e gli altri. Ad esempio, i soggetti sani hanno la consapevolezza dei confini e della proprietà del
loro corpo (body ownership).
Esperimento: studi sperimentali mostrano che si può interferire con la body ownership attraverso una
illusione multisensoriale nota come illusione della mano finta (rubber hand illusion).
Quando la mano di soggetti sani (nascosta dalla vista) viene stimolata in maniera sincrona con una mano
di plastica posta in una posizione compatibile con quella del corpo, questi affermano che la loro mano è
di fatto dove si trova la mano finta, che adesso sentono come proprio. La rubber hand illusion si
accompagna ad attivazione dell'insula posteriore di destra, di nuovo a supporto dell’ipotesi che l'insula
sia implicata nell’attribuire la stimolazione sensoriale corrente al proprio corpo, contribuendo a
costruire la consapevolezza del sé corporeo.
4.1 Riconoscimento ed esperienza consapevole di emozioni
Gli studi di neuroimaging mostrano attivazione dell'insula durante la risposta automatica associata a emozioni
sia positive sia negative.
In uno studio che coinvolgeva un vasto gruppo di pazienti cerebrolesi è stato mostrato che lesioni a carico di insula,
corteccia somatosensoriale, opercolo frontale e giro sopramarginale, sono associate a deficit nella
categorizzazione di espressioni facciali. Si pensa che l’insula medi le reazioni fisiche associate alle emozioni,
che sarebbero importanti per la simulazione e il riconoscimento delle stesse.
Tuttavia, le prove a sostegno di deficit nel riconoscimento di emozioni dopo lesione dell’insula sono poche, a
eccezione dell’emozione del disgusto, più criticamente legata a questa struttura. Esperimento: Calder e colleghi
hanno descritto un paziente, N.K., che a seguito di una lesione che coinvolgeva l’insula di sinistra e i gangli della
base aveva sviluppato una compromissione nel riconoscimento del disgusto da espressioni sia facciali sia vocali,
e anche una minore esperienza soggettiva di disgusto.
→ Tuttavia, c'è bisogno di un numero maggiore di studi neuropsicologici sul coinvolgimento delle insule in
emozioni a diversa valenza.
Esperimento: Adolphs e colleghi hanno descritto il caso del paziente B. (che a causa di encefalite erpetica
aveva sostenuto una lesione bilaterale che comprendeva una vasta porzione dell’insula anteriore, oltre
che ad amigdala, ippocampo, gangli della base e le cortecce temporali e orbitofrontali.
Al paziente B., soggetti sani e pazienti con lesioni cerebrali che non coinvolgevano l’insula vennero
proposte, in diversi trial, una soluzione salina e una soluzione contenente saccarosio.

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I soggetti sani riconobbero in ciascun caso cosa stavano assaggiando, bevvero la soluzione dolce ed
evitarono quella salina, trovando la disgustosa.
B. bevve completamente entrambe le soluzioni, che non riconobbe né distinse ed equiparò a comuni bibite
gasate. Tuttavia, se B. poteva assaggiare le due bibite in successione, allora sceglieva di bere quella dolce.
In altre parole, B. è incapace di esprimere il suo gradimento per stimoli piacevoli/spiacevoli, a meno
che non sia forzato confrontarli direttamente.
Questa dissociazione riporta l'attenzione sul ruolo dell’insula nella consapevolezza dei vissuti emotivi. Tuttavia,
recenti studi di caso singolo hanno fallito nel trovare evidenze a favore dell’ipotesi che l'insula sia il substrato
neurale unico della consapevolezza emotiva e interocettiva. Infatti, Damasio e colleghi hanno mostrato che il
paziente B. aveva comunque una consapevolezza emotiva e interocettiva nel maggior parte dei casi preservata.
Dunque, il fatto che la consapevolezza interocettiva ed emotiva siano in larga parte possibili a seguito di lesioni
insulare ha portato a pensare che queste non originano dall'insula come unico substrato neurale, ma da una rete
distribuita che include regioni di più basso livello, come il talamo e i nuclei della base.
Le regioni di basso livello assicurerebbero lo svilupparsi di reazioni emotive di base, mentre l'insula le ri-
rappresenterebbe a livello corticale sotto forma di sentimenti, e sarebbe coinvolta nell’interfacciare le
esperienze emotive a processi cognitivi quali linguaggio e la presa decisione.

4.2 Significato funzionale dell’insula


Attualmente le teorie del funzionamento dell’insula non sono in grado di spiegare la vasta gamma e l'eterogeneità
dei sintomi neuropsicologici conseguente lesioni insulari.
Tuttavia, c'è un relativo accordo sul fatto che l'insula: contribuisca a rappresentare segnali interocettivi
multisensoriali (insula posteriore) → per formare una sorta di “immagine interocettiva” del soggetto in un
determinato momento, e di integrarla con informazione affettiva e cognitiva per generare sentimenti coscienti
(insula anteriore).
Rendendo esplicito al soggetto il proprio stato interno in un determinato momento, la corteccia insulare
genererebbe bias nella valutazione di opzioni comportamentali, motivando all’ottenimento di quelle che più
rispondono ai bisogni “viscerali”.

Capitolo 37: Neuropsicologia dell’intersoggettività (Salvatore M. Agliotti e Valentina Moro)


1. Introduzione
Nella vita sociale il successo nell’interazione dipende in massima parte dalle capacità degli interlocutori di
cogliere i messaggi in arrivo e di rispondere in modo adeguato ad essi.
Nei mammiferi la sintonizzazione intersoggettiva è necessaria al cucciolo che deve la sua sopravvivenza alla
capacità della madre di cogliere e anticipare i suoi bisogni elementari, per esempio il cibo e riposo; ma in realtà è
indispensabile in ogni situazione sociale.
La capacità alla base di queste sintonizzazioni implica la condivisione e comprensione degli stati fisici e mentali
degli altri individui, un processo che influenza profondamente la reattività interpersonale, vale a dire l’insieme di
cambiamenti comportamentali, fisiologici e neurologici indotti dalle interazioni sociali che, in ultima istanza,
suscitano reazioni e risposte orientate verso sé stessi oppure verso gli altri.
La lettura degli stati mentali altrui si basa su due diversi tipi di meccanismi, riassunti da due diversi approcci:
1) La teoria della teoria (TT): secondo cui la lettura della mente altrui si basa su regole inferenziali
acquisite nel corso dello sviluppo, in virtù delle quali si apprende a mettere relazione stimoli esterni di
varia complessità (per esempio, un'espressione facciale di minaccia) con un comportamento (per esempio,
la decisione di attaccare o fuggire).
In altri termini, l'attribuzione all'altro di determinati stati mentali si baserebbe sulla nozione che determinati
ragionamenti teorici implicano tacitamente regole causative conosciute razionalmente.
2) La teoria della simulazione (TS): secondo questa teoria, per comprendere gli stati altrui vengono
utilizzati i propri. Per esempio, l'osservazione (o l’immaginazione) di una persona impaurita
comporterebbe la riproduzione interna (simulazione) di come ci si potrebbe sentire se si fosse al posto
della persona osservata (o immaginata).
In pratica la differenza fondamentale tra la TT e la TS è che secondo la prima “leggiamo gli altri” sulla base di
regole astratte, mentre la seconda assume che il processo abbia luogo tramite incorporazione (a livello emozionale

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e sensomotorio) di quello che oggettivamente osserviamo nell’altro e tramite confronto con quello che stiamo
provando.
Quindi, per la TT non c’è bisogno di provare quello che l’oggetto della nostra “lettura” sta provando; mentre, per
la TS deve esserci una corrispondenza tra il soggetto che effettua l’atto simulato e l’oggetto che lo ha innescato.
L’interazione con altri individui è caratterizzata da una vasta gamma di risposte e comportamenti diversi tra loro
per una serie di caratteristiche, quali, per esempio:
• L’essere orientati verso sé stessi (p.e. essere stressati per la sofferenza altrui ed essere conseguentemente
bloccati, incapaci di agire) oppure verso l’altro (p.e. essere in grado di consolare una persona in difficoltà).
• Essere consapevoli oppure inconsapevoli.
• Coinvolgere la sfera emozionale oppure quella cognitiva.
Di conseguenza, i fenomeni innescati dalla relazione con gli altri che definiscono la reattività interpersonale
sono molteplici. Con questo termine si fa riferimento ai comportamenti innescati dalla presenza e/o
dall’interazione con gli altri individui. Alcune delle principali condizioni di reattività interpersonale si possono
suddividere in tre gruppi:
1) Contagio emozionale o sensorimotorio; stress personale; empatia emozionale.
2) Mentalizzazione (o teoria della mente); empatia cognitiva;
3) Preoccupazione empatica; comportamento pro-sociale e di aiuto; altruismo.

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Empatia emozionale (o affettiva): risposta emozionale che origina dal provare la stessa emozione
(isomorfismo emozionale) osservata o immaginata in un'altra persona o che ci si aspetta si dovrebbe provare
nella situazione in cui si trova la persona con la quale si empatizza.
Indica la condizione in cui si “risuona” con il sentire (feelings) altrui. Potendo aver luogo sia a livello consapevole
sia implicito, questa abilità presenta chiari legami con processi ancora più elementari – quale il mimicry
(imitazione spontanea dei movimenti altrui) – che promuovono legami sociali. Va sottolineato che condividere
emozioni fortemente negative può risultare molto stressante per l'empatizzante e non è auspicabile in condizioni
in cui si deve mantenere un certo distacco.
Empatia cognitiva: è la capacità di immaginare e attribuire stati fisici e mentali ad un'altra persona anche quando
non è presente e non è direttamente osservata e senza che ci sia isomorfismo cognitivo oppure emozionale. In
pratica, non si prova quello che si attribuisce all'altro ma si esperiscono stati, sia cognitivi si emozionali, per
“l'altro” ma non uguale a quello che l'altro prova. La teoria della mente viene assimilata l'empatia cognitiva.
Utilizzare l'empatia cognitiva riduce il carico emozionale e quindi minimizza lo stress che comporta il
condividere esperienze emotive negative. Va tuttavia notato che quest’abilità si ritrova in grado elevato in
individui appartenenti alla cosiddetta “dark triad” (come narcisisti, machiavellici e sociopatici), che sono privi di
simpatia e compassione.
È quindi necessario immaginare una sorta di equilibrio tra i due tipi di reattività interpersonale. In altre parole,
per reagire agli stati altrui è necessario non perdere la calma e non farsi travolgere dalle emozioni. Essere dotati
di empatia cognitiva consente a coloro che ne sono provvisti di gestire al meglio specifiche situazioni. Essere
privi di empatia emozionale però, espone al rischio di rimanere freddi temendo il coinvolgimento, e di non essere
pertanto in grado di fornire l'aiuto che servirebbe. Nonostante il possibile effetto collaterale ovvero il rischio di
sfinimento psicologico, l'empatia emozionale rende possibile la sintonizzazione profonda con l'altro, come
mostrano alcune categorie di persone che ne sono dotate per ragioni professionali.

1.1 La reattività intersoggettiva nella filogenesi e nell’ontogenesi


Il primatologo Frans de Waal in una serie di studi comparativi dei comportamenti intersoggettivi in varie
specie e nel corso dello sviluppo di una stessa specie ha mostrato che la reattività verso i co-specifici aumenta
in complessità nella filogenesi e nell’ontogenesi.

Filogenesi
La capacità di reagire agli altri deve necessariamente esistere in tutti i gruppi viventi animali con istinto di
gregarietà, che già alla nascita risultano reattivi alle emozioni dei loro co-specifici. Tuttavia, mentre forme di
empatia relativamente primitive quali il contagio emozionale, l'effetto camaleonte, lo sbadiglio, il mimicry sono
praticamente ubiquitari in queste specie, forme più evolute mature (quali la presa di prospettiva o la simpatia)

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sono probabilmente appannaggio di specie più complesse quali primati, soprattutto quelli umani (o comunque
di specie nelle quali è chiara la distinzione tra sé e l’altro).
Ad esempio, il concetto di contagio emotivo è chiaramente presente in etologia per far riferimento ai fenomeni di
congregazione tipici delle greggi o degli stormi di uccelli.
Una delle prime ricerche sulla reattività all'esperienza altrui è stata condotta allenando dei ratti.
Esperimento:
1) I ratti sono stati allenati a premere una leva per ottenere del cibo. La pressione della leva veniva
poi associata a una scossa elettrica erogata a un secondo ratto visibile dal primo. Assistere allo stress
dell'altro induceva il primo ratto a non premere la leva, anche a costo di rimanere senza cibo per
lunghi periodi. L'effetto era influenzato dal fatto che il primo ratto avesse partecipato a sua volta a
esperimenti in cui aveva subito shock elettrici simultaneamente allo stesso co-specifico cui, premendo
la leva, avrebbe procurato dolore. In altre parole, già i ratti riescono a identificare che la propria
esperienza emozionale è coordinata con quella dei co-specifici.

2) Un secondo importante studio, anche questo effettuate in periodi antecedenti alla moderna
concettualizzazione dell’empatia, ha esplorato la capacità di ratti di ridurre, tramite specifici
comportamenti, lo stress percepito da un co-specifico.
nella prima parte del protocollo sperimentale il ratto imparava non premere una leva per evitare che il
co-specifico - visibile al primo - ricevesse stimoli elettrici dolorosi. Successivamente, lo stesso rotto
vedeva e sentiva un co-specifico molto stressato perché sospeso nell'aria tramite una carrucola, e doveva
imparare a premere la leva per liberare il ratto e ridurre lo stress.
Risultati: il numero di pressioni della barra - per ridurre lo stress altrui - aumentava rispettivamente di
più di 10 volte e di più di 3 volte rispetto alla condizione di controllo (visioni di un blocco di polistirolo
sospeso in aria) a seconda che il ratto sospeso in aria fosse o meno precedentemente conosciuto dal
primo ratto.
Questi risultati indicano che perfino i roditori riescono a mettere in atto comportamenti di aiuto verso i co-
specifici, sia conosciuti sia sconosciuti.
Il tema dell'empatia dei roditori e tornato attuale grazie a una ricerca di Langford: il quale ha incluso una chiara
componente sociale nell’esame della reazione di un topo testimone del dolore di un co-specifico.
Esperimento: questi ricercatori hanno somministrato stimoli dolorosi di due tipi, acido acetico
intraperitoneale - che procura dolori addominali - e formalina nella zampa - che induce dolore locali. (Il
comportamento di contorcimento dell'animale è quello di leccamento della zampa iniettata con formalina
sono stati considerati indici del dolore provato dai topi).
Rilevante per l'argomento del contagio emozionale è che osservare la sofferenza di un topo, specie se
affettivamente prossimo, induce nell’osservatore comportamenti tipici di chi sta provando dolore in prima
persona esacerbando l'eventuale dolore indotto da sostanze algogene.
Altrettanto interessante è il fatto che nei ratti sottoposti a iniezioni dolorose, il comportamento conseguente è
ridotto in presenza di un maschio non familiare che non prova alcun dolore, come se sentirsi minacciati (dal
maschio estraneo) induca gli animali a non mostrare la propria debolezza. In un ulteriore studio, Masserman e
colleghi si sono concentrati sulle scimmie.
Esperimento: i ricercatori hanno allenato le scimmie a scegliere tra due catene quella associata al rilascio
della maggiore quantità di cibo. Una volta appreso il compito, lo sperimentatore apportava una modifica
della situazione consistente nel fatto che tirare la catena per ottenere la maggior quantità di ricompensa
per sé stessi comportava: l'erogazione di una scossa elettrica l'altra scimmia.
Vedere la sofferenza e sentire lamenti del co-specifico ha comportato che circa il 66% delle scimmie
tirasse la catena associata al dimezzamento della quantità di cibo. Ancora più stupefacente fu che alcune
scimmie smisero di procurarsi il cibo fino a 12 giorni. Va sottolineato che le scimmie che hanno scelto
di digiunare erano quelle che avevano esperienza di stimoli dolorosi e conoscevano la scimmia cui
avrebbero inflitto dolore scegliendo di tirare una delle due catene.
Per riassumere, gli studi sugli antecedenti animali dell’empatia umana, per quanto largamente incompleti, indicano
l'esistenza di forti legami tra forme basilari (contagio, mimicry) e forme più sofisticate (preoccupazione empatica,
compassione e presa di prospettiva, comportamenti pro-sociali) di reattività intersoggettiva.

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Ontogenesi: tappe maturative della reattività interpersonale nell’uomo


Alcuni autori ipotizzano l'esistenza di un sistema innato che rende possibile già alla nascita una transazione
intersoggettiva sé-altro, per esempio la simpatia intersoggettiva di Trevarthen; altri autori suggeriscono invece
che a partire dal secondo mese di vita i bambini instaurano una consonanza affettiva: ciò che è riprodotto in
maniera sincronizzato è un comportamento che riflette lo stato emozionale della persona.
Il classico esempio di questo processo è l’immediata reazione di pianto dei neonati quando sentono il pianto altrui.
Esperimento: a questo proposito è interessante l’esperimento nel quale sono state esaminate le reazioni
di bambini appena nati all’ascolto del proprio pianto, di quello di altri neonati della stessa età o di età
maggiore, e di quello di uno scimpanzè della stessa età.
Risultati: l’ascolto proposto a neonati in stato di pianto comportava che si calmassero ascoltando il
proprio e continuassero a piangere ascoltando quella altrui; l'ascolto proposto a neonati in stato di
calma non comportava alcuna reazione al proprio pianto, al pianto di un bambino più grande e a quello
dello scimpanzé, suggerendo che il contagio era non soltanto specie-specifico, ma anche età-
specifico.
Questi studi suggeriscono che i neonati hanno la capacità di effettuare delle forme primitive di
distinzione sé-altro pur non implicando la presenza di autoconsapevolezza che compare intorno al
secondo anno di età.
Anche i fenomeni di imitazione automatica sembrano comparire molto presto nello sviluppo. Esperimento: in
alcuni studi si mostrava che neonati di poche ore effettuavano movimenti di protrusione della lingua
o di apertura della bocca in corrispondenza temporale con gli stessi movimenti fatti da un adulto,
questo suggerisce che esiste una sorta di predisposizione innata limitazione.
In aggiunta alle evidenze che già i neonati presentano comportamenti di contagio emozionale, è stato dimostrato
che all’età d circa due anni e mezzo i bambini mostrano empatia (nel senso di provare esattamente quello che
provano gli altri ma, a differenza del contagio, distinguendo chiaramente soggetto-oggetto.)
Inoltre, i bambini a tre anni cominciano a comprendere relazioni causali tra eventi e ad assumere che le altre
persone hanno aspettative, pensieri, sensazioni e intenzioni nettamente separate dalle proprie.
A conferma della complessità crescente dei vari costrutti per descrivere l'intersoggettività, sono le ricerche sullo
sviluppo della simpatia (provare preoccupazione per gli altri senza isomorfismo emozionale) e della
Schadenfreude (termine che indica la gioia per le sofferenze altrui): queste due emozioni sono in un certo senso
complementari e opposte, con la prima che suscita comportamenti pro-sociali e di approccio, e la seconda al
contrario comportamenti antisociali di evitamento o di aggressione. Paradossalmente, sebbene opposte, queste due
emozioni complesse possono avere la stessa causa scatenante (la sofferenza altrui) con il senso del “ben gli sta”
come dimensione cruciale che indirizza verso il primo il secondo sentire.
Rudolph e colleghi hanno dimostrato che non avere responsabilità della sfortuna capitata ed essersi
comportato in maniera morale: indirizzano verso la simpatia, invece che verso la Schadenfreude.
La chiara percezione di queste due emozioni sembra comparire: intorno ai quattro anni. Esperimento: un
recente studio ha esaminato 346 bambini nel compito di: osservare diversi tipi di storie figurate
nelle quali il protagonista poteva: - Apparire moralmente corretto oppure no
- Creare un disagio per propria colpa oppure no
- Mostrare una relazione emotiva con i partecipanti oppure no.
Al protagonista della storia capitava un incidente (p.e. cadere nel fango).
Risultati: lo studio ha dimostrato che già all’età di quattro anni i bambini provavano simpatia o
Schadenfreude a seconda che il protagonista della storia si fosse comportato moralmente o meno e
fosse stato responsabile o meno dei suoi atti.

2. L’empatia: Alle origini della parola


Nel linguaggio comune il termine empatia è utilizzato in generico riferimento a una serie di processi prosociali
quali la solidarietà e l'aiuto, al punto che essere empatici è considerata una sorta di virtù.
Tuttavia, nella ricerca scientifica, il termine empatia ha sollevato un dibattito riguardo a cosa effettivamente
indichi: mentre alcuni autori attribuiscono all’empatia – spesso definita in modo leggermente diverso da ciascuno
– un ruolo importante nel promuovere una società migliore; lo psicologo Paul Bloom sostiene che – data la
sua natura eminentemente emozionale – l’empatia ci rende cechi rispetto alle conseguenze a lungo termine delle
nostre azioni, perché ci spinge a guardare le cosse solo da una sola angolatura e quindi a scotomizzare l’interezza

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degli scenari. Esempio: il fatto che si sia più empatici verso il proprio gruppo entico renderebbe un giurato bianco
poco adatto a fornire giudizi imparziali nei confronti di un imputato nero se si usasse l’empatia come bussola
morale.
Al di là di tutto, la polemica sembra nascere proprio sul fatto che: la definizione di empatia sia ristretta, e che
riguardi un costrutto unidimensionale, basato unicamente sul rispecchiamento emozionale.

2.2 Complessità terminologiche e tassonomiche


In realtà, classicamente l'empatia è stata studiata come costrutto multidimensionale che contiene all'interno molte
forme di reattività intersoggettiva.
Secondo un influente psicologo sociale Daniel Batson il termine empatia fa riferimento a fenomeni molto diversi
che comunque riguardano due importanti domande, ovvero:
• come si può comprendere cosa individuo pensa e “sente” nel vedere immaginare gli stati altrui;
• quali sono i meccanismi che portano l'individuo a rispondere agli stati degli altri mettendo in atto
comportamenti sintonici (p.e. di aiuto) oppure distonici (cioè non utili alla persona in difficoltà, come ad
esempio inerzia a causa dello stress indotto dalla sofferenza altrui) o addirittura dannosi (p.e.
Schadenfreude, ovvero la gioia nell’osservare, immaginare, conoscere le sfortune altrui).
Questa concettualizzazione tiene in considerazione classici studi di psicologia sociale che hanno sviluppato
questionari per valutare i tratti empatici e considera le condizioni in cui gli stati altrui inducono reazioni auto-
orientate oppure reazioni etero-orientate, che consentono di mettere in atto comportamenti prosociali
nonostante il coinvolgimento emozionale oppure di mantenere il dovuto distacco evitando isomorfismo
emozionale.
Tuttavia, essa non è una definizione accettata per almeno due ordini di motivi: il primo è la mancanza di
completezza, nel senso che i concetti sviluppati non includono tutti i possibili fenomeni innescati dalla relazione
interpersonale; il secondo è il disaccordo tra le varie discipline interessate al tema di cose il termine empatia
debba/possa indicare.
Il tentativo di classificare specifici sottofenomeni che consentono di operazionalizzare i costrutti in vista
dell’analisi quantitativa di ciascuno di essi, ha portato definizioni più restrittive secondo le quali:
l'empatia implica che un individuo sia in uno stato emozionale isomorfo a quello di un altro, che lo stato di
cui sopra sia indotto dalla percezione/immaginazione delle emozioni altrui e che si abbia consapevolezza
della relazione causa effetto, vale a dire che lo stato affettivo dell’altro sia la causa del proprio.

3. La valutazione dell’empatia emozionale


La maggior parte degli indici soggettivi di empatia sono ottenuti tramite questionari che possono indagare:
• i tratti (ovvero le caratteristiche personologiche stabili) empatici (p.e. come si reagirebbe a una
situazione in astratto)
• oppure lo stato (p.e. come sì reagisce in realtà davanti a una specifica situazione come ad esempio
l'osservazione della foto di una persona sofferente).
Quindi in aggiunta ai fattori individuali stabili nel tempo, è importante valutare possibili cambiamenti di reattività
in specifici istanti (dal momento che l'empatia influenza - ed è influenzata - eventi specifici che possono, se
particolarmente traumatici, prevalere su un determinato tipo di reattività inerente alla propria personalità che in
astratto, ad esempio, ci farebbe reagire poco).
❖ Uno dei più diffusi questionari per la valutazione dei tratti empatici è l'indice di reattività interpersonale
(IRI).
Si tratta di un questionario self-report con 28 affermazioni a cui rispondere esprimendo il grado di accordo
su una scala Likert a 5 punti (1: mai d'accordo; 5: sempre d'accordo). Questo test prevede che, nell'ambito
del costrutto multidimensionale dell’empatia, siano individuabili almeno quattro sottocostrutti, i quali
descrivono componenti separabili del processo di immaginare come si reagirebbe a una certa esperienza
provata da un cospecifico (i quali descrivono la relazione interpersonale e la sintonizzazione con gli altri):

1. Il primo sottocostrutto vale a dire lo stress personale, misura l'influenza negativa sul soggetto
indotta dalla visione/immaginazione dello stato di disagio (per esempio, dolore) del suo simile.
Si tratta quindi di una forma di reattività derivata dall’altro ma centrata sul sé.

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2. Il secondo sottocostrutto, la preoccupazione empatica, fa riferimento alla risposta emozionale


innescata dalla percezione/immaginazione dell’emozione attribuita all’altro.
Questo tipo di reazione è orientata all'altro ed è dunque più propriamente ascrivibile al concetto
di empatia come congruenza emozionale (negativa o positiva) tra soggetto e oggetto.
In questo senso è la sottoscala che indica l'empatia propriamente detta.
3. Il terzo è la presa di prospettiva, si riferisce al processo cognitivo con il quale ci si mette nei
panni altrui. Non implica condivisione emozionale (ed è per questo da taluni definita empatia
fredda) e consente di mantenere una netta separazione tra soggetto e oggetto.
Questa sottoscala è un indicatore di uno specifico aspetto dell’empatia cognitiva.
4. Il quarto sottocostrutto è fantasizzazione. Secondo l’autore stesso questo sottocostrutto ha
validità psicometrica molto limitata.

❖ Oggi in Italia è disponibile anche la validazione della Balanced Emotional Empathy Scale (BEES) che
Albert Mehrabian ha predisposto per rilevare la tendenza empatica.
È composta da 30 item e ha la particolarità di analizzare e misurare la condivisione affettiva in situazioni
connotate non solo da emozioni negative, ma anche da emozioni positive.

4. Fenomeni e correlati neurali dell’empatia emozionale (e di forme di reattività a essa collegate)


È importante menzionare l'analisi delle variazioni a livello neurochimico indotte dalle relazioni intersoggettive.
Nelle specie sociali, uno dei più potenti meccanismi inter-attivi è quello alla base delle cure parentali (per l’ovvia
implicazione che riveste al fine della sopravvivenza del proprio gruppo e di quelli affini).
Sulla base di queste considerazioni molti studi si sono concentrati sulla relazione neurochimica fra tali meccanismi
e la reattività empatica: focalizzando in particolare l'attenzione su neuro-ormone, classicamente conosciuto per
le sue funzioni di controllo relativamente semplici di organi periferici quali utero e mammella, secreto dai neuroni
ipotalamici e trasportato tramite gli assoni dell’ipofisi posteriore da cui viene rilasciato nel sangue come gli ormoni
classici.
Dal punto di vista della funzione fisiologica di base, l’ossitocina ha come organo bersaglio: la muscolatura
dell'utero e il mioepitelio delle ghiandole mammarie.
Pertanto, l’ossitocina (OXT) è responsabile:
• della stimolazione delle contrazioni della muscolatura liscia dell'utero nel travaglio e nel parto, oltre
che dei miociti dei dotti mammari che contraendosi consentono l'emissione del latte. In virtù di queste
proprietà l’ossitocina esogena è impiegata in terapia per stimolare e regolare le contrazioni uterine o per
arrestare l'emorragia post partum.
• L’ OXT gioca un ruolo fondamentale in comportamenti complessi come quelli affiliativi ed emozionali.
Ad esempio, nei vertebrati, regola comportamenti come:
- l’apprendimento
- l’attaccamento sociale
- è responsabile di differenze individuali nei comportamenti socio-sessuali (p.e. elevati livelli di
ossitocina favoriscono la monogamia)
- nell’attaccamento e accudimento materno (p.e. i livelli di ossitocina influenzano la capacità
delle madri di non respingere il proprio neonato nonostante i recenti dolori da parto)
- nell’empatia e nei comportamenti pro-sociali (p.e. i livelli di empatia suscitata dall'
osservazione di scene emotive sono associate all' aumento di ossitocina e all' aumento di
generosità verso gli stranieri, testimoniato dal comportamento in un gioco economico).
• Un altro importante fenomeno nel quale questo neuro-ormone sembra avere un ruolo rilevante è quello
della fiducia interpersonale, che sembra maggiore dopo somministrazione intranasale di ossitocina.
• Anche il miglioramento della comunicazione nelle coppie sempre influenzato dai livelli di questa
sostanza che sembrano molto più elevati nelle persone innamorate si da poco. Esperimento: di grande
interesse sono gli studi (in doppio cieco controllato) nei quali coppie potevano assumere ossitocina
intranasale (vs placebo) prima di avviare una discussione su temi potenzialmente conflittuali.
Risultati: La registrazione video (e la successiva analisi) e il controllo dei livelli di cortisolo
(ormone dello stress) dopo la discussione, hanno mostrato che il gruppo che aveva preso

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ossitocina esibiva una comunicazione positiva molto più sviluppata di quella negativa e livelli di
cortisolo ridotti rispetto al gruppo placebo. Questi dati sono d'accordo con il fatto che i livelli
salivari di ossitocina sono associati positivamente con i livelli di attaccamento parentale e
negativamente con lo stress psicologico da distacco o da depressione.
• Inoltre, sono riportate evidenze a favore del ruolo dell’ossitocina nel promuovere generosità e altruismo.
Esempio: è stato dimostrato che la somministrazione di ossitocina aumenta la quantità di soldi
offerti in classici giochi economici quale il gioco dell’ultimatum (nel quale il giocatore designato
come offerente – pur potendo scegliere di offrire piccole cifre – offre in media più del 30% della
somma disponibile; contraddicendo così la teoria dell’uomo economica, secondo la quale i
rapporti umani sono regolati dal puro interesse personale).
Importanti studi comportamentali hanno dimostrato che la forte spinta affiliativa dell'ossitocina implica
l'aderenza assoluta al proprio gruppo, con le possibili conseguenze del caso. Infatti, De Dreu e colleghi
hanno dimostrato il “lato oscuro” dell’ossitocina, che si può manifestare come:
o Una forma di “parrocchialismo” che promuove fiducia e cooperazione all’interno del proprio gruppo ma
genere aggressività verso gruppi diversi dal proprio.
o Etnocentrismo (è stato dimostrato che l’assunzione di ossitocina favorisce la creazione – a livello non
coscienti – di favoritismo verso il proprio gruppo).
o Disonestà, nel senso che le persone che avevano assunto ossitocina sono state più favorevoli a mentire
per ottenere un guadagno maggiore in un gioco economico (non beneficio personale, ma beneficio al
gruppo).
Infine, è stato condotto uno studio volto a esplorare l'effetto della somministrazione intranasale di ossitocina
sull'attività cerebrale indotta in padri dalla vista di foto dei loro bambini (rispetto foto di bambini sconosciuti o
di adulti sconosciuti) o dal pianto dei bambini sconosciuti. I risultati hanno mostrato che l’ossitocina faceva
aumentare la reattività dei padri alla vista dei propri bambini. Gli effetti venivano riscontrati in regioni cerebrali
legate alla gratificazione (sistema striatale), all' empatia (corteccia cingolata) e all'attenzione (corteccia visiva),
suggerendo che l’ossitocina predispone i padri a essere empatici verso la propria prole.
Anche se la maggior parte degli studi sui socio-modulatori chimici riguardano l’ossitocina, anche altre sostanze
possono avere un ruolo modulatorio in comportamenti sociali affiliativi ed empatici: gli oppioidi endogeni, i quali
vengono rilasciati durante il contatto sociale (un fenomeno spiegato con il noto effetto gratificante delle interazioni
sociali non conflittuali).
Anche se gli oppioidi sembrano essere coinvolti più nell’attaccamento che nell’empatia, è stato dimostrato che
le persone dipendenti da questa sostanza tendono a non mostrare alcuna forma di empatia verso gli altri.
Un altro importante livello di analisi è quello neurale. A livello neurale, numerosi studi hanno testato l'ipotesi che:
le esperienze in prima persona e quelle vicarie attivano delle rappresentazioni neurali almeno in parte
condivise (in analogia con quanto mostrato nel dominio motorio dai neuroni e meccanismi “specchio”).
Esperimento 1: un importante contributo al tema viene dallo studio lesionale condotto su un ampio
campione di cerebrolesi, nel quale si dimostra come un danno alle cortecce somatosensoriali destre
comprometta la valutazione dello stato emotivo di una persona in base alla visione del viso.
Sembra quindi che per riconoscere gli stati emozionali negli altri sia richiesta l’integrità di
strutture che elaborano l’informazione legata al proprio corpo.
In pratica, durante il riconoscimento dell’espressione facciale di un’emozione sarebbe attivo un meccanismo di
simulazione interna della stessa che farebbe uso delle rappresentazioni somato-sensoriali associate a tale
espressione.
Esperimento 2: seguendo questa logica, studi di risonanza magnetica funzionale (fMRI) hanno esaminato
soggetti sani nel compito di osservare dei volti (o parti di essi tipo occhi o bocca) con espressioni
emozionali in una certa condizione, e di imitare le stesse espressioni in un’altra condizione.
Risultati: mostrarono che l’attività cerebrale in regioni coinvolte nell’imitazione di azioni (cortecce
frontali bilateralmente) ed emozioni (insula) segue lo stesso andamento delle reti coinvolte
nell’osservazione confermando che la semplice visione di una data emozione in un modello attivi
regioni simili a quelle che sarebbero chiamate in gioco durante l’esperienza in prima persona dello
stesso stato.

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Esperimento 3: in un altro studio sempre di fMRI è stato chiesto ai soggetti sani di inalare odore che
evocavano un’esperienza di disgusto e di osservare la stessa emozione nell’altro attraverso la
somministrazione di brevi videoclip.
Risultati: hanno mostrato che essere spettatori dell’esperienza di disgusto nell’altro produce
l’attivazione della stessa struttura nervosa implicata nell’esperienza soggettiva, ovvero l’insula
anteriore di sinistra.
Questi dati sembrano confermare il coinvolgimento dell’insula dell’esperienza soggettiva del disgusto e
nella capacità di riconoscerlo nell’altro.
Il concetto della sovrapposizione di attività neurale per eventi esperiti in prima persona o osservati in altri è
ulteriormente confermata da studi che prendono in considerazione: la modalità tattile e dolorifica.
Esperimento 1: Keysers e colleghi, per esempio, utilizzando la risonanza magnetica funzionale,
forniscono un chiaro esempio di “rispecchiamento” tattile. Lo studio ha infatti mostrato che la
corteccia somatosensoriale secondaria - una regione dove hanno luogo computazioni complesse
riguardanti il senso del tatto - era attiva sia quando i soggetti ricevono uno stimolo tattile sia quando
vedevano il tocco su un'altra persona.
Esperimento 2: altrettanto interessanti sono gli studi sulla sovrapposizione del dolore esperito vs
osservato/immaginato in altri.
L’esperienza sensoriale-emozionale del dolore è stata a lungo considerata fortemente privata e non condivisibile,
al punto che la stessa nozione di empatia per il dolore era sembrata piuttosto controintuitiva.
In realtà, il filone di studi che ha prodotto risultati importanti ha goduto del vantaggio che il sistema neurale
sottostante la percezione del dolore in prima persona fosse abbastanza ben conosciuto: infatti, era noto che
l'esperienza del dolore fisico è mappata in un circuito nervoso chiamato matrice per il dolore (pain matrix) che
consta di una parte (nodo affettivo) cosiddetta affettiva (legata alle cortecce cingolate e insulari e alla codifica
della spiacevolezza gli stimoli dolorosi).
Esperimento: In uno degli esperimenti più conosciuti, è stata registrata, sempre tramite fMRI, l'attività
neurale di persone di sesso femminile (nell’idea che le donne siano più empatiche)
- che provano dolore (erogato da una stimolazione elettrica del dorso della mano)
- oppure immaginavano lo stesso dolore erogato il proprio amato (più le donne devono però
immaginare il dolore dell'altro ma non ne vedevano gli effetti, come ad esempio smorfia di dolore
facciale).
Il paragone tra l'attività evocata dal dolore su sé stesse e sull’amato ha fornito una misura diretta
dell’eventuale comunanza tra esperienze prima in terza persona.
Risultati: il risultato principale è stato che il substrato nervoso comune il dolore proprio e dell’amato
comprendeva le cortecce insulari e quella del cingolo, che fanno parte del nodo affettivo della matrice
per il dolore. Inoltre, la reattività al dolore altrui era direttamente proporzionale al grado di empatia
emozionale di tratto (misurata attraverso questionari) suggerendo che i cambiamenti neurali riflettessero
proprio la reattività empatica e che quindi tanto più una persona empatica tanto più si attivavano le
strutture sopra indicate.
La conclusione che l'empatia per il dolore non utilizza il nodo sensorimotorio della pain matrix è stata però smentita
da studi successivi.
Uno studio importante sulle variabili che possono influenzare l'empatia per il dolore è stato condotto da Singer
e colleghi.
Esperimento: Il paradigma sperimentale di questo studio ha previsto che i veri soggetti sperimentali
interagissero con due attori (confederati dallo sperimentatore) che venivano presentati come gli altri
partecipanti a due esperimenti indipendenti, uno sullo “scambio sociale” e l'altro su l'elaborazione del
dolore.
Il primo esperimento creava le condizioni per testare le ipotesi del secondo, vale a dire che la
percezione dell’equità dell'altra/o influenza il modo con cu si empatizza verso di lei/lui.
1) Nel primo esperimento: gli attori partecipavano ripetutamente al gioco del dilemma del prigioniero,
in cui il guadagno economico di ciascun giocatore dipende dall’atteggiamento cooperativo dell’altro.
I veri partecipanti (ingannati riguardo al fatto che il loro partner di gioco fossero dei complici)
venivano fatti giocare con due categorie di attori: il primo adottava una strategia di equa divisione;

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il secondo attore giocava in modo iniquo e scorretto. I partecipanti maschi giocavano con altri due
partecipanti/attori maschi e le femmine con altre due partecipanti/attrici donne.
Il gioco economico-sociale è risultato efficace nell’indurre nei veri partecipanti giudizi e atteggiamenti
positivi verso i giocatori (attori) corretti e negativi verso quelli scorretti.
2) Nella seconda parte dell’esperimento: l’attività cerebrale dei soggetti sperimentali, sia maschi che
femmine, veniva registrata quando:
- provavano dolore essi stessi
- quando ricevevano una segnalazione luminosa che il dolore sarebbe stato inflitto ai giocatori
corretti o a quelli scorretti.
Risultati: hanno mostrato che immaginare il doloro del giocatore corretto induceva aumento di
attività neurale nella componente affettiva della matrice per il dolore (insula e cingolo) sia nei soggetti
maschi sia nelle femmine.
Nel caso in veniva immaginato il dolore del giocatore scorretto il nodo affettivo della matrice del
dolore continuava a essere attivo nelle donne, mentre i soggetti di sesso maschile non mostravano
alcuna attività neurale legata all’empatia. Anzi, nei soggetti di sesso maschile che avevano mostrato
desiderio di vendetta nei confronti del giocatore scorretto, sia assisteva ad aumento di attività del
nucleus accumbens (= una regione cerebrale legata alla ricompensa).
Se l'idea sulle differenze nelle reazioni empatiche fosse corretta, queste dovrebbero essere più evidenti, per
esempio, in soggetti appartenenti allo stesso gruppo etnico.
Esperimento: la conferma di questa ipotesi è stata ottenuta in uno studio (Avenanti, 2005) effettuato
con la stimolazione magnetica transcranica, nel quale venivano mostrate a soggetti bianchi italiani e
a neri africani residenti in Italia delle immagini di aghi che penetrano sul dorso di mani della pelle di
colore diverso.
Risultati: Lo studio ha mostrato come immagini dolorose relativa al proprio all'altro gruppo razziale
producono una diversa reattività al dolore altrui. in particolare, l’inibizione cortico-spinale rilevata
durante l'osservazione del dolore di un individuo del proprio gruppo etnico e ritenuta un indice di
contagio sensorimotorio, era assente durante l'osservazione del dolore di individui appartenenti
a un gruppo etnico diverso dal proprio.
È di rilievo il fatto che quanto più le persone erano inconsciamente soggetta al pregiudizio razziale
tanto più faticavano a identificarsi spontaneamente nella sofferenza fisica di individui dei gruppi
etnici diversi dal proprio.
In altri termini, sarebbero gli stereotipi e i pregiudizi razziali collegati al colore della pelle a influenzare e a
ridurre la naturale compartecipazione alla sofferenza altrui che si manifesta perfino di fronte a soggetti
percepiti come non familiari.

4.1 Dall’empatia emozionale alla Schadenfreude


La comparazione sociale (= vale a dire il paragone tra sé e gli altri) sembra essere praticamente inevitabile quando
si vive in comunità e questo molto spesso conduce emozioni antiempatiche quali:
• L’invidia, nel caso in cui percepiamo la persona oggetto del paragone come superiore a noi.
• La Schadenfreude, ovvero il piacere che si prova alla notizia delle sventure della persona invidiata.
Al fine di studiare i meccanismi neurocognitivi di queste due emozioni, Takahashi e colleghi hanno messo a
punto due diversi esperimenti di risonanza magnetica funzionale:
1) Esperimento:
Nel primo studio il paradigma di induzione dell'invidia prevedeva che il partecipante venisse fatto
immedesimare in uno scenario che lo vedeva (lui studente maschio e di medio status in termini di abilità
e beni posseduti) paragonato a tre diversi possibili target:
• A: un altro studente (maschio) con maggiori qualità e abilità (A= superiore e rilevante)
• B: studentessa (femmina), con maggiori qualità ma con la quale il confronto non risulta rilevante
per il protagonista (B= superiore ma non rilevante)
• C: studentessa (femmina), con qualità e abilità mediocri, ma non rilevanti nel confronto (C=
simile e poco rilevante)

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Veniva registrata l'attività cerebrale per ciascun partecipante in ciascuna delle tre situazioni. Inoltre, ad ogni
partecipante veniva chiesto di fornire report soggettivi di quanta invidia avessero provato per ciascuno dei tre
studenti (utilizzando una scala da 1= poca a 6= molta).
Risultati: i punteggi di invidia erano massimi per il protagonista A, intermedi per il B e minimi per il C
(e questo dimostra che la manipolazione sperimentale volta a indurre invidia ha funzionato, nel senso che
l’invidia era modulata dalla quantità di beni posseduti dalla persona con cui avveniva il confronto e dal
grado di importanza che i partecipanti stessi davano al confronto).
In breve, se i beni dell'altro sono superiori ai miei e il confronto è rilevante per la concezione che io stesso
di me, provo forte invidia. Quando invece entrambi fattori non sono né superiori né rilevanti per me, sono
indifferente al confronto.
Interessante è il fatto che le attivazioni neurali sembrano riflettere lo stesso fenomeno. Infatti, la corteccia cingolata
anteriore - che si attiva quando la concezione che abbiamo di noi stessi, solitamente positiva, è in conflitto con le
informazioni provenienti dall'esterno - risultava massimamente attivate nella condizione di massima invidia.
2) Esperimento:
Nel secondo studio, volto a esaminare direttamente la Schadenfreude, si partiva dall’ipotesi per cui una
disgrazia subita da una persona che invidiamo attiva maggiormente le aree del cervello associate alla
Schadenfreude (che coinvolgono lo striato ventrale e l’accumbens).
Per indurre Schadenfreude, i soggetti del primo studio sono stati testati nuovamente nello scanner di
risonanza dopo aver letto una storia che descriveva eventi sfortunati capitato allo studente (A o C) che
nello studio precedenti era invidiato perché superiore e rilevante, e alla studentessa che nello studio
precedenti non era invidiata essendo di grado pari e non rilevante.
In seguito, a ogni partecipante veniva chiesto di fornire report soggettivi su quanto piacere avessero
provato per la sventura occorsa a ciascuno degli oggetti di paragone sociale.
Risultati: i punteggi di Schadenfreude erano maggiori per il personaggio invidiato rispetto a quello non
invidiato. Inoltre, il piacere al pensiero delle sfortune subite dal soggetto invidiato si accompagnava ad
aumento di attività nelle strutture correlate alla
Schadenfreude, vale a dire striato dorsale (caudale e putamen), quello ventrale, incluso il nucleo
accumbens, e corteccia orbitofrontale mediale.
Altro risultato importante è che l'attività dello striato ventrale nella condizione in cui si apprendeva della
sfortuna capitata alla persona invidiata correlava significativamente con i punteggi soggettivi di
Schadenfreude.
Questa correlazione indica che più si ha piacere per la sfortuna di una persona invidiata, tanto maggiore
l'attività è in una struttura che codifica varie forme di piacere e gratificazione.

5. Teorie della mente (ToM) ed empatia cognitiva


La reattività empatica emozionale garantisce la possibilità di percepire in modo vicario le sensazioni vissute da
un altro.
Dunque, l’esperienza propriamente empatica è un'esperienza emozionale corporea, che ci permette o talvolta ci
obbliga a provare quel che prova l'altro tuttavia è diversa dalla capacità di comprendere i processi mentali che
guidano il comportamento del nostro interlocutore.
Esempio: è possibile sentirsi empatici verso l’amico che prova rabbia per il fallimento di un suo progetto,
senza però riuscire a comprendere ciò che egli pensa circa le cause del proprio insuccesso o predire quelle
che saranno le sue successive azioni.
Per questo è necessaria la capacità di comprendere gli stati mentali, le credenze, desideri, intenzioni, emozioni,
che si attribuiscono all'altro, inferire quali siano le conoscenze in suo possesso e anticipare quelli che potranno
essere i suoi comportamenti.
Nel complesso queste abilità consentono di leggere la mente altrui e di comprendere cosa provano gli altri, a
livello sia cognitivo sia emotivo, ovvero di provare empatia cognitiva.
Due processi appaiono indispensabili:
• La consapevolezza circa il fatto che gli altri hanno degli stati mentali che possono differire dal proprio;
• La capacità di intuire, comprendere, interpretare quali siano questi stati mentali.

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5.1 Sviluppo ontogenetico della teoria della mente

o 18 mesi: numerose evidenze indicano uno sviluppo relativa precoce, ma progressivo, di queste abilità.
A quest’età i bambini riescono a capire cosa un’altra persona sta guardando e se più persone stanno
osservando lo stesso oggetto.Questa comprensione però è assolutamente implicita e molto diversa dalla
capacità di concettualizzare le credenze dell’altro e di anticipare i comportamenti.
o 2 anni: il bambino incomincia a capire le situazioni in cui l’altro “fa finta di” e mostra una prima
intuizione dei desideri altrui.
o 3/4 anni: iniziano a svilupparsi la comprensione delle false credenze (= cioè del fatto che un’altra
persona possa non avere tutte le informazioni che il bambino stesso possiede circa una situazione e,
quindi, se ne faccia un’idea sbagliata).
Esperimento test di Anne e Sally: è la situazione rappresentata in uno dei test più famosi e
utilizzati in questo ambito, in cui il bambino riesce a capire che se un oggetto viene spostato di
posizione, la persona uscita dalla stanza prima dello spostamento continuerà a cercare l'oggetto
nella posizione iniziale, non potendo sapere che in realtà è stato spostato. Questo indica che il
bambino ha sviluppato la capacità di rappresentare gli stati mentali degli altri andando
oltre le proprie rappresentazioni.
o Verso i 6/7 anni inizia a svilupparsi: l’idea di ciò che le altre persone immaginano su ciò che noi stessi
stiamo pensando (le credenze circa la credenza o le false credenze di secondo ordine).
o 9/11 anni: i ragazzi mostrano di essere capaci di riconoscere le gaffe (= quelle situazioni in cui qualcuno
dice qualcosa a qualcun altro che non avrebbe dovuto dire, senza rendersi conto che non avrebbe dovuto
dirlo). Si tratta della comprensione di una situazione a grande valenza sociale, in cui il ragazzo deve
riuscire a rappresentare due stati mentali: quello della persona che sta facendo la gaffe e quello della
persona che sta ascoltando che potrebbe sentirsi toccata o offesa da quanto ascolta. Questo richiede
ovviamente anche una comprensione di tipo empatico rispetto ai sentimenti e alle emozioni dell’altro.
o L’adolescenza è accompagnata da grandi cambiamenti nelle competenze e nel comportamento sociale.
o Nel passaggio dall’adolescenza all’età adulta le capacità di mentalizzazione si affinano.
Gli studi che hanno utilizzato paradigmi diversi (come la capacità di comprensione dell’ironia, la comprensione
delle emozioni sociali p.e. la colpa, la comprensione delle emozioni di personaggi di storie) hanno mostrato dei
cambiamenti nelle attivazioni delle reti neurali durante il passaggio dall’adolescenza all’età adulta: in particolare,
una riduzione nel reclutamento della corteccia prefrontale dorsale mediale (imputato a cambiamenti
neuroanatomici ma anche alla maturazione di strategie cognitive specifiche).
Esperimento: un interessante studio di risonanza magnetica funzionale ha confrontato tre gruppi
di adolescenti e giovani in un compito di lettura della mente (reading the mind: Baron-Cohen).
I ragazzi dovevano categorizzare le espressioni manifestate da alcuni sguardi presentati come
immagini a seconda degli stati affettivi che gli attribuivano. Ora, mentre in tutti i gruppi veniva
registrata un' attivazione della porzione posteriore del solco temporale superiore, solo i più
giovani mostravano anche attività nella corteccia prefrontale dorso mediale.
La cosa più interessante è che nei follow up a due anni questa attività si riduceva, dimostrando
una traiettoria di sviluppo nella quale queste attivazioni si riducono.
Lo sviluppo delle reti neurali implicate nella lettura della mente è comunque tra le più tardive a completare il loro
sviluppo, come dimostrato dal fatto che le prestazioni in compiti di assunzione della prospettiva di un’altra
persona, di comprensione delle aspettative e dell’ironia, continuano a migliorare dopo l’adolescenza e fino al
raggiungimento dell’età adulta.

6. La valutazione dell’empatia cognitiva (e della ToM)


Esistono oggi alcuni strumenti che il neuropsicologo può utilizzare all’interno della sua valutazione diagnostica:
1) Il test Reading the mind in the eyes (Baron-Cohen) valuta la capacità del soggetto di inferire gli stati
mentali altrui, in termini di pensieri o stati emotivi, a partire dall’osservazione dello sguardo. Fotografie
di sguardi estratti da volti reali, vengono presentate al paziente insieme a quattro aggettivi che indicano
stati mentali o affettivi. Il partecipante è invitato a scegliere quale tra questi aggettivi rappresenta meglio
lo sguardo visto.

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In una prima versione (36 item) questo test ha mostrato di discriminare soggetti con sindrome di Asperger
e autismo ad alto funzionamento, rispetto a un gruppo di controllo.
2) Per quanto riguarda la capacità di assumere il punto di vista di un’altra persona, uno strumento molto
utilizzato è il Perspective taking dell’Interpersonal reactivity index.
3) Le Strange stories (Happé) sono 24 storie brevi nelle quali il paziente deve individuare le intenzioni
– non espresse palesemente – dei personaggi. L’obiettivo è: cogliere la discrepanza tra l’espressione
verbale usata e il reale stato mentale. Con il medesimo intento di indagare la capacità di cogliere le
intenzioni delle altre persone.
Ciaramidaro e colleghi hanno utilizzato le storie figurate: alcune di queste storie chiedono semplicemente di
afferrare la relazione causale tra eventi che riguardano gli oggetti; altre riguarda invece l'intenzione
“privata”, cioè mostrano situazioni in cui un individuo compie delle azioni perché mossa da obiettivi personali.
Viene inoltre distinta l'intenzione sociale prospettica, dove le azioni sono svolte da un personaggio che ha un
obiettivo sociale ancora non condiviso con gli altri (il prospettico si riferisce appunto alla capacità di anticipare gli
effetti futuri dell'azione) e l'intenzione comunicativa, con storie che raffigurano azioni svolte da un personaggio
che possiede un obiettivo che condivide con qualcun altro presente nel contesto raffigurato.
Il confronto tra le diverse condizioni permette di distinguere disturbi nella comprensione di relazioni di
causalità da veri e propri deficit di lettura delle intenzioni dell'altro.
4) Le false credenze sono state studiate inizialmente nei disturbi dello sviluppo. Esse si basano sull’idea
che il bambino, che è a conoscenza di una determinata situazione e del suo cambiamento, riesca a
immaginare cosa un personaggio, che è ignaro di tale cambiamento, può pensare o fare.
Si tratta chiaramente di un compito di ToM nel quale il bambino deve riuscire a sganciarsi da ciò che lui
sa circa la situazione, assumere il punto di vista dell'altro, e quindi considerare solo le conoscenze che
questo possiede, e anticipare quale sarà il suo comportamento.
Il test classico è il test di Anne e Sally in cui si presenta un personaggio, Sally, che lascia un oggetto dentro il
suo cesto prima di uscire dalla scena. In sua assenza, un altro personaggio, Anne, sposta l’oggetto e lo mette in
una scatola. Ai bambini viene chiesto di predire dove Sally cercherà l’oggetto quando tornerà nella stanza.
Questo genere di compiti è molto utilizzato con i ragazzi, ma sono poco sensibili nella valutazione dei disturbi
della ToM nell’adulto.
5) Sullo stesso principio, tuttavia, sono stati elaborati degli strumenti per valutare i deficit delle false
credenze di primo e secondo ordine.
Tra questi, in Italia il test della teoria della mente (Prior) che propone 58 situazioni sociali nelle quali viene
chiesto al partecipante di fornire un’interpretazione delle ragioni per cui i personaggi si comportano in una certa
maniera.
Un esempio di lettura delle intenzioni di primo ordine: Katia ed Emma sono due bambine che stanno giocando a
casa. Emma prende una banana dal cestino della frutta avvicina all'orecchio. Dice Katia: “Guarda! questa banana
è un telefono”. (Le domande sono: “è vero quello che ha detto Emma?” e “perché Emma ha detto questo”).
Un esempio di lettura delle intenzioni di secondo ordine: un giorno, mentre stava giocando a casa, Anna
accidentalmente rovesciò e ruppe il vaso di cristallo preferito di sua madre. Anna sapeva che la madre si sarebbe
arrabbiata molto. Così quando la madre ritornò a casa e vide il vaso rotto e chiese ad Anna cosa fosse successo,
Anna disse: “il cane lo ha rovesciato, non è stata colpa mia”.
6) Per la valutazione della capacità di riconoscere le gaffe è possibile utilizzare il test dei falsi passi che
propone situazioni di questo tipo:
Jill si è appena trasferita nel suo nuovo appartamento. È andata a far shopping e ha
comprato delle tende per la sua camera. Quando aveva appena finito di arredare
l’appartamento la sua migliore amica Lisa va trovarla. Jill le fece fare un giro
nell’appartamento e le chiese “ti piace la mia camera da letto?”. Lisa rispose “quelle
tende sono orribili io spero che le cambierai con altre nuove”
Seguono poi le domande del tipo: “qualcuno ha detto qualcosa che non avrebbe dovuto dire o qualcosa di
imbarazzante?”, “perché?”, “perché pensi che lo abbia detto?”, “pensi che Lisa sapesse chi aveva comprato le
tende?”, “come pensi si sia sentita Jill?”. Altre domande servono poi ad accertare un sufficiente livello di
comprensione dei fatti narrati.
È ragionevole pensare che, al di là delle possibilità di avere dei cut-off di confronto, il giudizio sulle prestazioni
di questi compiti sia soprattutto qualitativo.

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7) Infine, esistono dei questionari che danno la possibilità di raccogliere informazioni sul comportamento del
paziente nel contesto quotidiano: il questionario DEX. È ovvio che trattandosi di interviste ai famigliari
o ai caregiver, quando vengono usate è necessario poteri definire il grado di attendibilità delle
informazioni.
Un altro questionario è quello di Cattelani il questionario di efficienza comportamentale.

7. Fenomenologia e correlati neurali dell’empatia cognitiva (e ToM)


Una prima componente, prerequisito della ToM, è la capacità di assumere la prospettiva dell’altro (perspective
taking).
Nell’assunzione di prospettiva un ruolo fondamentale è giocato dal solco temporale superiore coinvolto
nell’osservazione dei movimenti oculari e che offre informazioni su dove l’altro sta guardando. Oltre che nella
percezione del movimento biologico, è stato dimostrato un coinvolgimento del solco temporale superiore anche:
nella comprensione del significato di storie o sequenze visive che coinvolgono persone; nella comprensione delle
relazioni di causalità e dell’intenzionalità; nell’assunzione della prospettiva in prima persona.
➢ La giunzione temporale-parietale è coinvolta nelle rappresentazioni del mondo da divere prospettive
visive. Quest’area potrebbe in realtà avere anche un ruolo più generale nella comprensione delle false
credenze e nel giudizio delle emozioni e credenze degli altri.
➢ Lesioni nel lobo temporale, in particolare ai poli temporali possono implicare incapacità di usare le
informazioni acquisite con l’esperienza circa le persone (p.e. il loro aspetto, la loro voce) e il loro abituale
modo di reagire agli eventi.
Inoltre, con queste lesioni può essere compromessa la componente di “conoscenza” sociale, relativa in particolare
ai comportamenti che sono e che non sono appropriati nei diversi contesti. (In effetti, i lobi temporali sono zone
di convergenza, dove le informazioni provenienti dalle diverse modalità sensoriali si integrano per definire
percezioni e sensazioni. Di conseguenza, queste reti temporali ci permettono, non solo di accedere alla conoscenza
generale archiviata, ma anche di utilizzarla momento per momento, riferendola ad una particolare persona in un
determinato luogo o contesto – in poche parole: come si sente, cosa pensa e cosa è possibile fare).
➢ Cruciale per la teoria della mente è anche l’area mediale prefrontale, che comprende la porzione più
anteriore della corteccia cingolata e della corteccia paracingolata. Quest’ultima è risultata essere
attiva: nell’attribuzione di intenzioni a un sistema (anche computerizzato) e durante i compiti di tipo
cooperativo (quando più persone lavorano assieme per raggiungere un medesimo obiettivo).
Le cortecce paracingolate e prefrontale mediale: si attivano anche quando le persone pensano a comportamenti
futuri e intenzioni prossime riferite sia al sé sia agli altri (cioè quando fanno un’anticipazione del futuro).
➢ Infine, perché ci sia un’interazione e comprensione sociale efficace è indispensabile che i due
interlocutori riconoscano l’intenzione comunicativa dell’altro. In questo, l’area dorsomediale frontale
sembra avere un ruolo di rilievo.
Tuttavia, è stato anche suggerito che le aree posteriori del lobo parietale inferiore di sinistra possono avere un
ruolo cruciale di convergenza tra la cognizione sociale e il linguaggio.

8. Alterazione dell’empatia (emotiva e cognitiva) e di altre forme di reattività interpersonale


Nel tentativo di sistematizzare i vari deficit empatici, Smith ha descritto quattro possibili categorie a seconda che
siano caratterizzate da:
1) Bassa empatia cognitiva: a questo gruppo appartengono i disturbi dello spettro autistico, condizioni
nelle quali si hanno molte difficoltà ad assumere la prospettiva dell’altro, ma minori difficoltà a
condividere le emozioni.
2) Alta empatia cognitiva ma bassa empatia emozionale: a questo gruppo apparterrebbero le sociopatie
caratterizzate da eccellenti capacità di leggere la mente altrui ed elevata callosità emozionale nei confronti
degli altri.
3) Deficit in tutti i tipi di empatia: a questo gruppo apparterrebbero disturbi psicopatologici (p.e.
schizofrenia) e neurodegenerativi (p.e. le demenze).
4) Empatia aumentata e generalizzata: come quella che si registra nella Sindrome di Williams (una
malattia su base genetica) caratterizzata da disturbi di goffaggine motoria e ritardo mentale di grado
moderato o lieve.

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Nonostante vada riconosciuto a questo autore il tentativo di sistematizzare i deficit empatici, l'analisi descrittiva
caso per caso probabilmente risulta quella più adatta ad evitare generalizzazioni improprie.

8.1 Disturbo dello spettro autistico


Costituiscono una condizione caratterizzata da mancato sviluppo della reciprocità sociale emotiva con deficit
nei comportamenti comunicativi verbali e non verbali utilizzati per l’interazione sociale.
I bambini nello spettro autistico hanno difficoltà più o meno severe nel riconoscere e condividere le emozioni
degli altri; non riescono a capire il significato dei termini affettivi e provano grande disagio quando devono
interagire con gli altri e quando si chiede loro di empatizzare in situazioni vicine all’esperienza reale.
Queste informazioni derivano soprattutto da studi in soggetti con la sindrome di Asperger (autismo ad alto
funzionamento) in quanto le persone affette non presentano disturbi del linguaggio e dello sviluppo mentale
(che invece si accompagnano ad altre forme di autismo). Dunque, pur avendo tipicamente intelligenza nella media
o superiore, le persone con autismo ad alto funzionamento presentano: compromissione più o meno severa delle
interazioni sociali, comportamenti ripetitivi e stereotipati e interessi molto ristretti.

Gli studi classici si sono concentrati sul:


Deficit dell’empatia cognitiva, con particolare riferimento ai compiti di mentalizzazione.
Questi bambini si differenziano rispetto a coetanei in quanto non mostrano ad esempio comportamenti di
attenzione condivisa nell’orientamento dello sguardo verso lo spazio o gli oggetti osservati dal loro
interlocutore.
Nel corso dello sviluppo mostrano difficoltà nei giochi di finzione, e nella comprensione di dinamiche sociali,
quali: gli scherzi e le bugie, l’ironia e le gaffe, la comprensione delle emozioni complesse e delle intenzioni.
Infine, i ragazzi con autismo hanno prestazioni deficitarie nella comprensione delle false credenze di primo
grado.
Nonostante, gli studi sul deficit empatico con forniscano risultati univoci, vi è una larga convergenza nel ritenere
che: l’esperienza vicaria nello spettro autistico sia deficitaria e in parte spiegabile da attività subottimali in specifici
circuiti nervosi.
È interessante notare che: se da un lato questi soggetti non beneficiano della parte positiva dell’empatia (quella
che si connette con gli altri), dall’altro lato non sono danneggiati dai comportamenti antiempatici (originati per
esempio dal paragone sociale, essendo poco soggetti a provare Schadenfreude).

8.2 Disturbi psicopatologici


La sociopatia è un disturbo psichiatrico caratterizzato da alterazioni cognitive e comportamentali, quali il tratto
calloso-anemozionale, definito come scarsa espressività emotiva, assenza del senso di colpa, comportamento
antisociale e impulsività.
Le persone affette da questo disturbo commettono molti crimini violenti caratterizzati dalla costante violazione dei
diritti altrui. In questo senso il disturbo è considerato il prototipo dei deficit empatici.
Questi soggetti sono caratterizzati da una forte alterazione della capacità di compiere esperienze vicarie. Essi, per
esempio, presentano una nettissima riduzione delle risposte fisiologiche (tipo reattività cardiaca, cutanea o
pupillare) alla vista dello stress altrui; presentano ridotta reattività emozionale agli stimoli avversivi; non
sembrano capaci di riconoscere lo stress e il disagio nei volti altrui e non riconoscono le emozioni facciali
positive. inoltre, queste persone non sembrano trarre alcun piacere dalle interazioni sociali.
I pazienti schizofrenici sembrerebbero avere alterazioni nella capacità di comprendere gli stati mentali, credenze,
percetti, intenzioni ed emozioni altrui.
È interessante anche il fatto che alterazioni dei processi di mentalizzazione siano riportati anche nei disturbi
alimentari, quali l’anoressia.

8.3 Deterioramento cognitivo


Una certa rigidità e difficoltà ad aggiornare le conoscenze riferite al se sono state descritte anche nei pazienti con
malattia di Alzheimer, probabilmente conseguenze dei deficit cognitivi e di memoria in particolare.
Più recentemente, in uno studio sulla consapevolezza coinvolgente 130 pazienti con malattia di Alzheimer, sono
stati riportati atteggiamenti autocentrati, rigidità nel comportamento sociale e difficoltà specifica nell’assunzione
del punto di vista altrui e nell’accettazione dell'altrui punto di vista.

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Dal momento che questi sintomi sono presenti fin dalle fasi iniziali della malattia, quando i deficit cognitivi
sono ancora contenuti, è plausibile pensare che si tratti di sintomi specifici.

8.4 Lesioni cerebrali focali


Studi classici basati sull’approccio neuropsicologico delle lesioni focali hanno individuato la lesione prefrontale
(conseguente a traumi cranici, tumori, ma anche a danni vascolari di tipo emorragico – p.e. la rottura di aneurismi
dell’arteria comunicante anteriore) come prototipica di disturbi ascrivibili alla cognizione sociale in generale
e di teoria della mente in particolare.
Ad esempio, già agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso – quando gli studi sull’empatia erano ancora assenti
– è stato riportato che pazienti con lesioni orbitofrontali e ventromediali possono essere assolutamente capaci
di analizzare e commentare situazioni sociali presentate loro in forma astratta; ma mostrarsi allo stesso tempo
assolutamente inadeguati quando devono rispondere a situazioni sociali analoghe nella vita reale.
Questi pazienti spesso mettono in atto comportamenti disinibiti e irrispettosi delle regole sociali, sono incapaci
di leggere i messaggi sociali che gli inviano le altre persone, mostrano un comportamento stereotipato e rigido,
incapace di adattarsi a contesti e momenti diversi.
In questi pazienti, deficit della ToM, sono stati individuati a vari livelli dall’incapacità di interpretare le
espressioni trasmesse dallo sguardo all’incapacità di riconoscere l’inganno e di individuare le gaffe anche quando
la comprensione della storia e l’analisi delle false credenze sono conservate. Tuttavia, è importante precisare che
non sempre la lesione ventromediale prefrontale dà origine a deficit della ToM.
Una delle revisioni più complete ad oggi disponibili prende le mosse dal fatto che il 50% dei familiari di pazienti
con lesioni cerebrali focali (specie quelle riguardanti l’emisfero di destra) riportavano tra le difficoltà principali
del paziente: l’incapacità di comprendere i sentimenti e le emozioni altrui.
Gli studi principali hanno preso in esame sia casi singoli sia gruppi.
a. I casi singoli suggeriscono il coinvolgimento di una serie di strutture sia corticali (p.e. l’insula, la
corteccia prefrontale ventromediale, giro frontale inferiore) sia sottocorticali (amigdala e cervelletto) e
forniscono un quadro non del tutto omogeneo.
b. Nell’ambito degli studi di gruppo i pazienti con lesioni della corteccia ventromediale e della corteccia
frontale inferiore sono stati sottoposti a prove di empatia emozionale (riconoscimento di emozioni) e
cognitiva (test di false credenze) dimostrando una chiara doppia dissociazione sia a livello
comportamentale sia neurale.
In particolare, pazienti con lesione centrate sul giro frontale inferiore (area 44) presentavano disturbi di empatia
emozionale; mentre pazienti con lesioni nella corteccia prefrontale mediale presentavano disturbi prevalenti in
compiti di teoria della mente (empatia cognitiva).

8.5 Modulabilità farmacologica dei disturbi empatici in condizioni cliniche


Esiste una relazione tra la somministrazione intranasale di ossitocina e comportamenti empatici in persone sane:
dunque, diventa importante chiedersi se questa sostanza possa essere utilizzata efficacemente per ridurre i deficit
empatici associati a condizioni disfunzionali psichiatriche o neurologiche.
- Esistono al momento indicazioni preliminari che la somministrazione di ossitocina in pazienti
autistici riduca comportamenti stereotipici e migliori le prestazioni in compiti sociali.
È importante notare che la somministrazione di ossitocina intranasale sembra ridurre il
disinteresse dei soggetti con autismo ad alto funzionamento in compiti sociali.
- La somministrazione di ossitocina in pazienti schizofrenici dei sintomi (sia positivi sia negativi)
della malattia e migliora la prestazione in compiti di teoria della mente. Tuttavia, gli effetti non
sono sempre presenti e dipendono da molte variabili contestuali e personali (tipo lo stile di
attaccamento, la fase della malattia).
Inoltre, considerando il possibile “lato oscuro” dell’ossitocina e la complessità delle situazioni considerate, i dati
esistenti non sono univoci e possono autorizzare al massimo un cauto ottimismo.

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