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TOSSICOLOGIA

Libro per studiare: galli malinovich – ripassare: elementi di tossicologia

La farmacologia studia le interazioni tra i farmaci e gli organismi viventi. Queste interazioni possono
cambiare la risposta in un sistema biologico: il cambiamento può essere un effetto terapeutico (atto a
contrastare una patologia), altrimenti può essere un evento avverso  ed è proprio questo oggetto di
studio della tossicologia.
Un effetto farmacologico (derivante dall’interazione molecola/organismo) può quindi essere terapeutico o
avverso.
Il farmaco, sostanza esogena tipicamente, può essere naturale, vegetale, sintetico… ed è utile per il
contrasto e/o la prevenzione di una patologia. Il farmaco può essere sintomatico o preventivo!

Farmaco = qualsiasi sostanza o prodotto di origine animale, vegetale, minerale o sintetica usato o che si
intende usare per modificare sistemi biologici o patologici per un organismo con un effetto POSITIVO,
portando quindi un beneficio a chi lo riceve.
Veleno = è un agente capace di produrre delle risposte dannose in un sistema biologico alterandone
seriamente le funzioni o producendo la morte. Ha effetti gravissimi anche in piccole quantità.

Però è la DOSE CHE FA IL VELENO! Per esempio, il veleno del serpente: molti veleni sono stati infatti usati
per la ricerca e sintesi di nuove molecole.

Ciò che differenzia farmaco (da tossico) da veleno è la dose (se somministrato a organismi viventi), la
concentrazione (se somministrato a colture), l’individualità personale (es. età, sesso, gravidanza, etnia…) …
 ogni cosa che assumiamo o a cui siamo esposti (inquinanti, elementi radioattivi,
microparticelle sugli alimenti (cibo precotto o biscotti con i loro ingredienti (conservanti,
antiacido, edulcoranti)), prodotti per l’igiene della persona e della casa…) sono potenzialmente
tossiche.

Nel 1500 Paracelso infatti dice “tutte le sostanze sono veleni, non ce n’è alcuna che non sia un veleno. Solo
la giusta dose differenzia il veleno dal rimedio”.

La tossicologia nasce come “scienza degli avvelenamenti” (1500 a.C.) ed è definita come la scienza che
studia le proprietà chimico-fisiche, gli effetti e il meccanismo d’azione delle sostanze capaci di interagire e
danneggiare in maniera reversibile o irreversibile gli organismi viventi.

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AREE DELLA TOSSICOLOGIA:
Tossicologia sperimentale;
Tossicologia clinica – cura degli avvelenamenti;
Tossicologia ambientale – inquinanti chimici in aria, acqua o nel terreno;
Tossicologia alimentare – contaminazione di alimenti;
Tossicologia industriale – produzione di agenti tossici ed esposizione dei lavoratori agli stessi;
Tossicologia da abuso;
Tossicologia forense – con analisi post-mortem a scopi giuridici e/o investigativi;
Tossicologia bellica;
Tossicologia normativa;
Tossicologia occupazionale – il luogo dove lavoro mi espone a sostanze tossiche? Es tinte degli
appartamenti, lavoro in fabbrica metallurgica con esposizioni all’amianto che precludono l’insorgenza di
tumori polmonari. Devo però conoscere la sostanza tossica per ridurne dal punto istituzionale l’utilizzo, di
modo da regolamentare la quantità di sostanza cui si può essere esposti. Questa non sarà mai a zero però!
Tossicologia regolatoria – prevede la regolamentazione della quantità di agenti tossici nella nostra vita,
come negli alimenti.

Esposizione = implica i diversi modi con cui veniamo a contatto con queste sostanze, che sia esposizione
orale, respiratoria… in ambito scolastico, lavorativo, domestico…

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GLI AGENTI TOSSICI (rientrano tra questi quelli naturali e quelli antropologici):
Veleno = capace di produrre una reazione tossica in organismi viventi;
Xenobiotico = “esterno al nostro organismo” = sostanza cui siamo esposti (che sia nell’aria, nei liquidi, sulla
cute…);
Tossina = è una sostanza di origine naturale: TTX (tetradotossina) è un veleno che dal punto di vista
quantitativo ha un effetto molto marcato (tipico del veleno);
Tossico = sostanza tossica = è di origine antropogenica: es scarichi industriali non correttamente
manutentati, PFAS (non metabolizzabili e che stimolano la produzione di ROS) …
Antidoto = sostanza che impedisce o contrasta gli effetti del veleno;

CLASSI DI AGENTI CHIMICI


Agenti chimici industriali – sono sostanze di sintesi, intermedi, prodotti di degradazione (es PFAS) …
Fitofarmaci – insetticidi, diserbanti, fungicidi…
Additivi alimentari – sostanze aggiunte ad alimenti sia ad uso umano sia animale (che possono poi vengono
consumati) e possono essere antiossidanti, aromatizzanti, edulcoranti…
Farmaci – ad uso umano e veterinario, presidi medico-chirurgici, somministrati a bambini o a carni da
macello;
Xenobiotici ambientali – sono metalli, idrocarburi policiclici aromatici…
Eccipienti – come nel caso del lattosio; sono quelli che nella tecnologia farmaceutica facilitano la
somministrazione, modificano il luogo e il tempo di rilascio e appunto potrebbero essere tossici per
esempio stimolando il sistema immunitario.

CLASSIFICAZIONE DEGLI EFFETTI TOSSICI che si differenziano in base a:


Organo bersaglio – rene, fegato, SNC…
Uso – fitofarmaci, solvente, additivo alimentare…
Fonte – tossine naturali, sostanze di sintesi…
Effetto – mutazione, cancro, danno epatico (aflatossine) o renale…

Ci saranno quindi sostanze palesemente genotossiche, che alterano quindi il genoma interferendo con la
sintesi e l’assemblaggio delle proteine. Diversamente dai ROS hanno meccanismo meno diretto ma non
meno pericoloso. Sostanze capaci di indurre mutazioni NON reparabili sono per esempio le radiazioni del
sole.

 la tossicità è quindi in funzione della concentrazione dell’agente tossico;

Esempio: le aflatossine sono prodotte dall’errato mantenimento delle derrate alimentari e da climi
“favorevoli”. Dopo essere metabolizzate dal fegato, formano addotti con il materiale nucleico dello stesso
portando al carcinoma.

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Nell Tossicologia noi descriviamo, o comunque dobbiamo poter descrivere, la relazione che c’è tra un
effetto tossico (di diverso tipo, immediato, ritardato, neurologico, cardiaco, ecc.) e la sostanza che l’ha
generato. È d’uopo costruire una curva che descriva questa relazione, come nella farmacologia. Si devono
poi identificare i target della sostanza tossica, conoscere almeno un elemento della struttura biologica con
cui questa interagisce a dare l’effetto tossico; può essere un mitocondrio, un canale, una pompa protonica,
la membrana, un enzima… qualsiasi struttura nell’organismo
Per poter costruire la curva, bisogna poi identificare i parametri utili da monitorare per osservare gli
eventuali effetti dello xenobiotico (misura della tossicità).

Per esprimere una curva dose-risposta, devono quindi essere presenti contemporaneamente:
 Rapporto di causalità: un effetto relazionale tra gli eventi;
 Esistenza di uno o più bersagli molecolari;
 Un metodo per misurare la tossicità – ad esempio si testa la sostanza X su una coltura isolata, il
sistema biologico più “semplice”. Per vedere se la sostanza è tossica posso misurare la vitalità delle
stesse tramite appositi coloranti, che variano di intensità. Si metto quindi in relazione,
quantificandolo, il farmaco aggiunto con l’effetto osservato.

Quando si produce una risposta tossica è avvenuta una interazione.


La sostanza ha interagito con un sito presente nel sistema vivente ad una appropriata concentrazione e per
un periodo sufficientemente lungo.
Sono quindi importanti:
- La via di somministrazione;
- La durata della stessa – es. diuretici come antipertensivi: l’utilizzo per lungo tempo causa disturbi a
livello renale che possono evolvere in insufficienza renale.
- La frequenza di esposizione – qui entra in gioco anche la velocità di metabolismo ed eliminazione!
Importante è quindi valutare il profilo di farmacocinetica di ciò che si somministra.

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Si deve quindi disegnare una curva che mette in relazione l’effetto tossico con la dose a cui il soggetto è
stato esposto. Ci sono diversi modi di valutazione della curva dose-risposta:

DL50: usata esclusivamente in studi sperimentali (animali);


IT: si applica esclusivamente ai farmaci; importante poiché mette in relazione la dose efficace e la dose
tossica nel soggetto SANO (normale funzionalità renale o epatica, per cui c’è normale metabolismo ed
eliminazione del farmaco). Ci da informazioni su quanto è possibile aumentare la dose senza sforare nel
range delle dosi tossiche. In base a questo i farmaci sono classificabili in a basso IT (poco margine di
variazione di dose senza incappare in dosi tossiche) o ad alto IT (farmaci più maneggevoli, permettono
aggiustamenti della terapia aumentando o variando la dose, la posologia, la via di somministrazione ecc.)
MS: per farmaci e xenobiotici. Ci dà informazioni più cautelative dell’IT, considerando non l’effetto sul 50%
della popolazione, ma l’effetto nel 99% dei soggetti e la tossicità nell’1%. Si calcola un margine numerico
per poter evitare molto di più eventuali effetti tossici.
NOAEL: indica il livello o la dose a cui possiamo essere esposti senza l’osservazione della comparsa di un
evento avverso.
LOAEL: è il livello (o la dose) più basso cui si iniziano ad avere effetti tossici: da qui in poi quindi ci sarà
sempre la comparsa di effetti tossici.

Esempio: osservando la tabella si vede come la DL50 scenda sempre più: dall’etanolo alla tossina botulinica,
la più tossica sostanza finora conosciuta, diminuisce la dose in corrispondenza della quale si verifica la
mortalità del 50% dei soggetti (animali). La
diossina ha una elevatissima capacità di
attraversare le membrane cellulari, meccanismo
d’azione molto particolari. Porta a problemi
polmonari, al SNC, problemi teratogeni, cancro,
ecc. (disastro di Seveso, perdita nube tossica
contenente diossina TCDD)

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La curva graduale (la sigmoide) esprime una relazione continuata dose-risposta in un numero definito di
individui a diverse concentrazioni di sostanza misurandone gli effetti. Descrive una curva in cui si raggiunge
il massimo dell’effetto ed è possibile calcolare i parametri numerici visti prima (EC50, DL50, ecc.)

La curva quantale invece mostra come dentro una popolazione soggetti fenotipicamente diversi rispondano
in maniera diversa ad uno stesso stimolo, per le variazioni strutturali e di corredo enzimatico,
suddividendoli in responsivi, non-responsivi e iper-responsivi. Questa curva da informazioni quindi sulla
variabilità di responsività da parte della popolazione rispetto ad una data sostanza. (parlando di farma, in
base alla responsività geografica sarà necessario effettuare, per esempio, un aggiustamento sulla dose
consigliata di farmaco).

RELAZIONE DOSE-RISPOSTA DELL’ EFFETTO TOSSICO

Asse x: dose di farmaco. Asse y: effetto. Graficare in scala naturale genera una curva molto ripida, che
comporterà una difficoltà di lettura delle variazioni di effetto che si verificano al crescere della dose. Si è
passati quindi alla sigmoide, che presenta una parte centrale sufficientemente lineare (dal 25 al 75% della
curva circa) e gli estremi in cui la pendenza è marcatamente minore rispetto alla precedente ed è possibile
apprezzare in modo più preciso le variazioni, generata utilizzando la scala semilogaritmica; qui il punto di
flesso corrisponderà all’EC50. In questo modo posso graficare in funzione della dose anche la comparsa
degli effetti tossici e l’effetto letale.
Le tre curve parallele hanno in
comune l’interesse nei confronti
dei punti di flesso, perché in
ciascun caso essi evidenziano
rispettivamente l’EC50, il DT50 e
il DL50.
Non tutte le curve dose-risposta
hanno lo stesso andamento.

Per quanto riguarda l’esposizione


ai nutrienti essenziali si ha una

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regione centrale chiamata regione di omeostasi, l’insieme di concentrazioni che ci garantiscono l’omeostasi
nel meccanismo.
Quando queste dosi si riducono o crescono troppo, l’omeostasi viene pregiudicata e scaturiscono processi
che divengono patologici, dovuti sia a ipo- che a iper-vitaminosi .

La curva A prende in considerazione l’effetto avverso, dove da dosi


terapeutiche si passa a concentrazioni tossiche.
La curva B vede poi l’effetto protettivo che deve essere equilibrato e
non troppo accentuato.
La curva C invece unisce le due precedenti ottenendo la curva di
omeostasi caratteristica.

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La curva quantale esprime come una popolazione risponde ad una sostanza esogena, considerando anche
pazienti con comorbilità (ed eventualmente politerapia) o difficoltà di metabolismo.
Da sinistra a destra, si vede come l’effetto passi da minimo a medio a eccessivo, evidenziando pazienti
insensibili (resistenti) -> poco responsivi -> normalmente responsivi (parte centrale della curva, solitamente
la maggioritaria ma dipende dalla sostanza e dalla variabilità della popolazione presa in esame) -> iper-
responsivi.
Nell’immagine a destra si mette in evidenza invece la forma e la pendenza che la curva può assumere; se
ripida la popolazione risponde in maniera analoga alla sostanza, la popolazione è omogenea. Se invece la
popolazione risponde in modo differente questa sarà eterogenea ed avremo una curva che cresce
lentamente.
Con i dati raccolti si
costruisce quindi una
sigmoide. Si deve definire un
livello in corrispondenza del
quale non vedo un effetto
tossico e un livello al quale
individuo una concentrazione
o una dose che corrisponde
alla più bassa da cui si inizia a
presentare un effetto tossico.
Interpolando all’asse delle x i
dati della sigmoide, si ottiene
una linea che interseca l’asse
in un punto definito valore
soglia, caratterizzato da un valore numerico quantitativo al di sotto del quale NON si ha tossicità.
Misurare solo il NOAEL non conviene a causa delle possibili piccole variazioni interindividuali (e di
concentrazione)!

La condizione ideale è quando le due curve


sono parallele tra loro; nella realtà però
questo non si verifica. Si è definito l’indice
terapeutico che le pone in relazione la curva
delle dosi che portano all’effetto desiderato e
tossico.

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Per esempio: se TD50 = 200mg, ED50 = 20mg, allora l’IT = 200/20 = 10. Teoricamente con questo indice
potrei portare la dose a 10, 20, 50, 100 mg e dovrei aspettarmi effetti tossici.

I farmaci con IT molto basso, fissato per


convenzione ad un valore < 2, hanno
maneggevolezza ridotta (es. anticoagulanti,
antiepilettici, ecc.).
Il rischio è che l’aumento di dose o
concentrazione sfori nelle dosi o
concentrazioni tossiche.
Per le sostanze con basso indice terapeutico è
previsto quindi il monitoraggio periodico del
paziente, con la raccolta di campioni di sangue
venoso di modo da capire se si sta o meno
raggiungendo concentrazioni tossiche.

Si è pensato quindi di
utilizzare una
valutazione che
tenesse conto del
rischio di tossicità
nell’1% nell’ambito
della popolazione
esaminata (mentre
prima erano
considerato il 50%).
Basta che uno solo
manifesti effetti
tossici, ed in base a
quello si calcola un
range, chiamato il
margine di sicurezza,
più cautelativo poiché
più restrittivo. Nel caso del fenobarbital abbiamo due curve ideali (di effetto terapeutico e di effetto
tossicologico parallele). Considerando solo l’indice terapeutico, osservo ec50 e dt50. Ma alla base della

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curva posso individuare TD1, che è la dose a cui l’1% della popolazione riscontra effetti tossici, ed in
relazione alla ED99 (dose efficace nel 99% dei pazienti, che si individua sulla curva di efficacia) posso
disegnare un range di dosi che identifica il margine di sicurezza, molto più ristretto rispetto all’indice
terapeutico, come si evince dall’immagine. In sostanza è il range all’interno del quale neanche uno
manifesta effetti tossici. (l’IT è il range di dosi tra: dose a cui il 50% della popolazione ha effetto -ED 50- e
dose a cui il 50% della popolazione manifesta effetti tossici -DT50-)

I test tossicologici vengono effettuati, secondo criterio, su diverse specie animali. Raramente vengono
effettuati sui primati e la sperimentazione è svolta solamente in centri autorizzati, pochi al mondo, a causa
dell’elevato costo e controllo della stessa (animale più geneticamente simile all’uomo a livello nervoso,
soprattutto).
Si raccolgono dati relativi alla tossicità di una
sostanza in diversi specie di animali,
comunemente topo, ratto, coniglio, cane…
ma non basta ottenere questi dati e
applicarli tal quali all’uomo.
Si devono prima inviarli a organizzazioni ad
hoc che li valutano. Se promossi, il progetto
viene inoltrato all’ISS e al Ministero della
Salute, completo con tutte le spiegazioni
circa la via di somministrazione scelta, la
frequenza delle stese, la durata della
terapia… qui il Ministero può approvare
totalmente o in parte il progetto e lo può
discutere.

Si possono convertire i dati sperimentali relativamente all’uomo con una equazione.


Km è una costante tipica della specie animale trattata.

Per esempio:

C’è anche un fattore di sicurezza: ciò che è calcolato, si può applicare tal quale? No, c’è una differenza di
specie appunto per esempio topo e uomo! Quindi per passare il valore interspecie si deve dividere per 10
per garantire questo margine. Oltre a questo, si divide ulteriormente per 10 di modo da essere certi del
valore considerando anche tutte le variazioni interindividuali, tenendo in considerazione la presenza di
gruppi fragili.

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2 Marzo 2022

Tra gli agenti chimici si trovano i coloranti, gli


edulcoranti, esaltatori di sapidità… e si possono
trovare negli alimenti, nei vestiti, nei giocattoli,
nelle
Intrinsecamente tutte le sostanze hanno un certo vernici…tossico: un esempio è il talco iniettato in vena
potenziale
con l’eroina tagliata contro quello sparso sulla pelle, delle radiazioni come i raggi X diagnostici o di
Chernobyl… è impossibile vivere senza essere esposti a sostanze tossiche.

Nel caso della cancerogenesi ci sono molti elementi concorrenti per la risposta tossica; in assenza di
condizioni favorevoli al suo mutamento e accrescimento la massa neoplastica muore.

Per xenobiotico si intende una sostanza biologicamente attiva; si possono includere una miriade di
sostanze. Ogni sostanza però molteplici effetti, (farmaco: effetto desiderato ed effetti indesiderati, o il
veleno della vipera, vede dei componenti che si prestano sia a tossina che a farmaco, in funzione
dell’utilizzo e della circostanza).
Possiamo dividere gli effetti indesiderati in collaterali e avversi: quelli collaterali, fastidiosi ma non causa di
malessere, e gli effetti avversi che invece hanno effetto negativo sulla salute, in pratica sono sempre tossici.

Report del 2017 del centro antiveleni americano su


soggetti, sostanze, ambito maggiormente interessati da

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tossicità. Il 90% di eventi denunciati di esposizione ad agenti tossici è stato in casa, percentuali molto
minori nel posto di lavoro, scuola, ospedali o ristoranti.
Le vie di esposizione più riscontrate sono riportate nel grafico a torta dove si vede come la via maggiore sia
quella di ingestione.

I soggetti più esposti sono appartenenti all’età pediatrica con un 45%, proprio a causa della loro abitudine
di analizzare oralmente gli oggetti. C’è il 27% degli adulti abbastanza preoccupante.

Grafico a desta: 77% di esposizione non intenzionale, ma c’è il 19% della popolazione che si è intossicata
intenzionalmente (curiosità, abuso di sostanze o proprio intenzioni suicide). Solo il 2% delle tossicità risulta
da imputare a reazioni avverse dovute da farmaci.

Nella lista dei bambini, la discriminante è rispetto a quello che viene trovato e ingerito più facilmente.
Tra i 20 e 60 anni i primi sono gli analgesici (sdoganati, sono farmaci da banco, in autoprescizione),
successivamente i sedativi e gli ipnotici. C’è da considerare come l’aumentata richiesta recente di ansiolitici
possa anche essere frutto della situazione sanitaria dovuta al covid, che ha creato nuove preoccupazioni in
soggetti che non ne avevano.
Tra gli anziani invece non sorprende vedere al primo posto gli eventi avversi legati all’uso di farmaci
cardiovascolari.

Nell’ambito dell’utilizzo dei farmaci è anche utile valutare l’errore terapeutico, che si identifica in diverse
situazioni: errata o raddoppiata posologia, confusione tra scatole di farmaci per somiglianze o diversità,

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autoprescrizioni e acquisto online di farmaci o integratori da altri paesi di cui non si conosce la lingua e
risulta impossibile leggere il foglietto illustrativo, o non se ne conosce l’esatta composizione o se rispettano
o meno le norme di buona fabbricazione, acquisto su consiglio da parte del sanitario del farmaco errato,
dose non corretta, assunzione di troppe dosi insieme (es. nelle sostanze di origine naturale o integratori),
vie di somministrazione non corrette. E’ importante notare come nei soggetti maggiori di 20 anni l’errore
terapeutico rappresenta il 60% degli eventi in cui si manifesta un effetto tossico; per le altre fasce di età
sono minori.

Le sostanze che causano rischi più gravi, a prescindere dalla fascia di età sono quelli che danno effetti simili
agli oppioidi, le street drugs (droghe psicostimolanti) e il paracetamolo, che a dosi elevate porta a un
multiorgan failure, contrastabile solo con N-acetilcisteina entro 12 ore, dopo 16 il fegato è in completo
stato necrotico, o trapianto di fegato

Quando avviene un’intossicazione si può praticare la decontaminazione (cioè il tentativo di allontanare, in


qualche modo, la sostanza responsabile della tossicità e questo dipende, oltre che dalla sostanza, anche dal
paziente e dalla sua storia clinica; per esempio, a seguito di ingestione di sostanze corrosive non è
consigliabile l’induzione del vomito poiché può creare o esacerbare la lesione al tubo digerente).
Il modo di decontaminazione più usato è la somministrazione di carbone attivo, che adsorbe sulla sua
superficia la sostanza da eliminare, o la somministrazione di purghe per facilitare l’allontanamento per via
intestinale. In ogni caso è anche importante tenere in considerazione il tempo di esposizione e la
distribuzione della sostanza (se è ancora nello stomaco o se è già nell’intestino…).

Caso di uso di lavanda vaginale per via orale:

Anche l’assunzione di prodotti naturali può


esporre il paziente a gravi intossicazioni, come
nel caso di chi non identifica correttamente la
pianta che sta trattando (caso mortale per
colchico scambiato per zafferano, aconito per
radicchio selvatico o le confusioni tra i funghi
raccolti; molto gravi Mandragora scambiata per
borraggine, di belladonna (Atropa Belladonna)
scambiata per mirtillo nero).

Caso della Mandragora: pratica di iniezioni sottocutanee per dolore alla spalla da parte di medico
omeopatico (LOL).

La base molecolare alla base per cui si verifichi una


manifestazione tossica è la presenza di una

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concentrazione x dello xenobiotico in esame che determinerà un cambiamento nel sistema biologico nel
peggioramento dello stato di salute

LE VIE E I SITI DI ESPOSIZIONE


- Tratto gastrointestinale (ingestione, via orale);
- Polmoni (via inalatoria);
- Pelle (via topica, percutanea, dermica);
- Sangue (via endovenosa).

A seconda della via di esposizione ci sono caratteristiche diverse dell’intossicazione: per esempio, la via
inalatoria è quella con più rapido accesso nel torrente ematico perché i polmoni ricevono la maggior parte
della gittata cardiaca. E’ importante discriminare le vie di esposizione perché l’assorbimento, che è una fase
della farmacocinetica o della tossicocinetica che descrive il tempo necessario alla sostanza per attraversare
le membrane e raggiungere il torrente ematico e la quota che ne arriva, varia sensibilmente e possiamo
definire un differente rischio tossicologico.

 Il rischio tossicologico è crescente passando da:


 Via topica: c’è un rischio tossicologico minore poiché per raggiungere il corrente circolatorio c’è la
barriera dell’epidermide e del derma;
 Via orale: nei casi di tossicità tra farmaci è ai primi posti per frequenza, perché è la più praticata,
non essendo però quella caratterizzata da rischio maggiore. La sostanza, infatti, deve attraversare
sia lo stomaco che l’intestino, passando attraverso ambienti a pH diversi (es. i latticini sono alimenti
con alte capacità tamponante, però contengono calcio, che è uno dei più forti secretagoghi
dell’acido cloridrico dello stomaco (si usava infatti per curare l’ulcera in tempi passati, non sapendo
dell’effetto collaterale successivo dell’assorbimento di calcio);
 Via intradermica;
 Via sottocutanea;
 Via intraperitoneale;
 Via inalatoria;
 Via endovenosa (solo nel caso di farmaci o di sostanze d’abuso. esempio delle droghe tagliate male:
tutta la dose è in circolo e da lì lo xenobiotico può passare ai vari distretti e ai vari organi).

DURATA E FREQUENZA DI ESPOSIZIONE:


1. Acuta: singola esposizione e manifestazione quasi immediata, dopo massimo 24 ore
dall’esposizione;
2. Subacuta: implica dosi ripetute nell’arco di tempo di 1 mese;
3. Subcronica: successiva a dosi ripetute, insorge dopo le ripetizioni per 1-3 mesi;
4. Cronica: la tossicità che insorge dopo dosi ripetute per almeno 3 mesi (spesso diversi anni)

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Nelle situazioni di esposizione dell’uomo, la frequenza e la durata delle reazioni tossiche sono meno
definite di quelle negli studi animali.
Esposizioni ambientali possono essere descritte come acute (singolo incidente o singola esposizione),
subcroniche (esposizione per settimane o mesi) e croniche (ripetute per mesi o anni).
Tossicità acuta -> subcronica -> cronica.
Esempio:
Si è preso un campione di soggetti sani a cui è stato
somministrato un farmaco. A tempi regolari dalla
somministrazione si sono raccolti campioni di sangue.
Nel caso della linea continua, dopo circa 2 ore dalla
somministrazione si ha il picco di concentrazione
plasmatica che poi sia per eliminazione che per
assorbimento diminuisce.
Nel caso della curva di puntini si sono osservati
soggetti con disfunzionalità renale, quindi un’alterata
capacità di eliminazione del farmaco per via renale ed
un accumulo ematico, rischiando di sforare nelle
concentrazioni ematiche tossiche, mentre in quella
tratteggiata i soggetti presentavamo una
compromissione renale ancora più marcata
(insufficienza renale).
Pur essendo la stessa la dose somministrata si hanno diversi picchi in base allo stato di salute renale, che
non implica necessariamente una disfunzione patologica, ma potrebbe anche essere semplicemente il caso
di soggetti anziani, in cui la disfunzione è fisiologica. Vediamo quindi diversi profili tossicologici: l’indice
terapeutico si riduce a causa della concentrazione residua di farmaco in circolo, che resta superiore alle
dosi terapeutiche per un tempo prolungato, aumentando il rischio.

Somministrazione ripetuta di farmaco. Nel caso di


normale funzionamento renale si ha un incremento
nella quota del picco massimo, fino ad arrivare ad
una concentrazione massima costante (ca. 20). Nel
caso dei pazienti con insufficienza renale invece la
quota massima continua a salire fino al
raggiungimento di un plateau che risulta molto
maggiore rispetto a quello raggiunto dal soggetto
sano.

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RELAZIONE TRA VELOCITA’ DI ELIMINAZIONE E FREQUENZA DI ESPOSIZIONE

I riquadri ocra e glicine indicano le


concentrazioni necessarie per ottenere
una risposta tossica: si ha quindi la
fuoriuscita della curva dalla finestra
terapeutica.

Una singola dose di agente tossico che


produce effetti tossici può essere senza
effetto se la stessa dose viene suddivisa e
somministrata ad intervalli.

Nel caso del farmaco A, a lenta eliminazione e indicato dalla linea verde, la somministrazione ripetuta porta
ad un accumulo di farmaco dovuto alla somministrazione eseguita quando ancora la somministrazione
precedente aveva una concentrazione residua non trascurabile.
Le concentrazioni tossiche sono raggiunte dopo la seconda somministrazione.
Nel caso del farmaco B, a velocità di eliminazione equivalente alla frequenza di dosaggio, vedrà a lungo
andare un accumulo dovuto al rallentamento della funzionalità renale, sfociando infine al di fuori dalla
finestra terapeutica seppur in un minor tempo.
Essendo quindi la sua emivita uguale alla frequenza di esposizione, si raggiungeranno le concentrazioni
tossiche dopo la quarta somministrazione.
Nel caso del farmaco C, a veloce eliminazione vede, nonostante le dosi ripetute, il mantenimento della
concentrazione sanguigna al di sotto delle dosi tossiche, garantendone la sicurezza.
La sua emivita è minore della frequenza di somministrazione e non si avranno somme di quantità di
sostanza: NON raggiungerà quindi concentrazioni tossiche.

TIPI DI TOSSICITA’
Quanto tempo dopo l’esposizione ad una sostanza si manifesta la tossicità?
1. Tossicità funzionale vs. Tossicità cellulare;
2. Tossicità immediata vs. Tossicità ritardata (es cancerogenesi, teratogenesi, a danno del prodotto del
concepimento, come il DES (dietilstilbestrolo) assunto come antinausea in gravidanza che ha
portato i figli di queste madri ad avere cancro ovarico, malfunzionamento a testicoli e disfunzioni
cognitive, quindi un effetto ritardato addirittura nei figli);
3. Tossicità locale (quando è interessato solo il distretto esposto allo xenobiotico) vs. Tossicità
sistemica (quando l’alterazione funzionale è a carico di più distretti e può portare al MultiOrgan
Failure);
4. Tossicità reversibile vs. irreversibile;
Modalità in cui gli xenobiotici manifestano tossicità:
- Reazioni allergiche: allergeni, apteni, modificatori di antigeni cellulari, risposta immunitaria;
- Reazioni idiosincrasiche: sono di base genetica e non prevedibile;

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1. LA TOSSICITA’ FUNZIONALE:
Consiste nell’alterazione delle funzioni del tessuto, dell’organo o del sistema senza avere un danno diretto
alle cellule.
- Esempio 1: agonista istaminergico: una sostanza che provoca vasodilatazione, risposta sistemica,
NON causa danni diretti alle cellule dei vasi; tuttavia, provoca ipotensione e riduzione del flusso
ematico  è tossicità sistemica, non a carico dei vasi.
- Esempio 2: agonista adrenergico: causa la contrazione della muscolatura vasale periferica
attraverso stimolazione dell’alfa1, quindi si riduce il calibro dei capillari, aumenta la resistenza
periferica. Non danneggia i vasi ma può causare tossicità renale, cardiaca, cerebrale. L’interazione
con il recettore alfa1 sui vasi porta ad un aumento della resistenza periferica sistemica che,
appunto, può affaticare il muscolo cardiaco, senza rompere o indurre in apoptosi i recettori stessi.
- Esempio 3: una sostanza che stimola il rilascio di insulina dalle cellule pancreatiche, senza
danneggiarle, che causa ipoglicemia e tossicità a carico del SNC, che necessita del glucosio per
funzionare. Se non giunge sufficiente glucosio o ossigeno al neurone per un periodo di tempo
cospicuo, questo risponde con una parossistica attività elettrica che può portare a convulsioni e crisi
simil epilettiche.
- Esempio 4: una sostanza antagonista degli ormoni sessuali (come gli ftalati: nei pirottini di carta da
dolci, nella plastica del biberon come indurenti, nel cartone della pizza) subentra a questi
sregolando l’asse ipotalamo-ipofisi creando tossicità riproduttiva senza causare danno alle cellule. I
bambini esposti non vedevano il legarsi del testosterone agli organi target perché lo ftalato lo
spiazzava: si aveva il blocco dello sviluppo dei caratteri sessuali secondari e tendevano alla
femminilizzazione.

2. LA TOSSICITA’ CELLULARE:
Consiste nell’alterazione della funzione o nella distruzione di una molecola bersaglio, che provoca danno
cellulare.
L’entità del danno dipende da:
- Tipo di cellula coinvolta, tipo di target molecolare e importanza della funzione cellulare alterata;
- Capacità di riparazione da parte della cellula, cioè rimozione e sostituzione dei componenti
danneggiati (alcune cellule e alcuni sistemi di regolazione di funzioni posso trovare strade
alternative all’espletamento della funzione. Es. blocco di un recettore: può essere reversibile o
irreversibile. In quest’ultimo caso il recettore risulterà nuovamente disponibile solo se la cellula è in
grado di sintetizzarlo ex novo ed il danno sarà proporzionale alla tempestività di replacement);
- Estensione dello stesso: se è particolarmente esteso e/o irreversibile, si ha la morte cellulare. Le
cellule ora hanno due possibilità:
o Essere sostituite da cellule dello stesso tipo (divisione cellulare): si ha riparazione totale del
danno (impossibile nel caso dei neuroni, incapaci di replicarsi); se la spinta riparativa è così
marcata da sovrastimolare il processo, questa diviene incontrollata ed autonoma arrivando
all’insorgenza di neoplasie. Spesso il controllo salta perché ci sono sostanze che sono in
grado di interferire coi meccanismi di controllo della replicazione (cancerogene).
o Morte cellulare programmata, che ripulisce il tessuto da residui e può eventualmente
sostituirle con nuove cellule sane; se invece la cellula non riesce ad andare incontro alla
morte programmata partono processi infiammatori, che si estendono poi a tutto il tessuto
compromettendone la funzione.

17
o Per riparare come meglio può il danno, la cellula provvede alla formazione di tessuti
connettivi di riparazione: i tessuti cicatriziali. Si tratta di tessuto fibrotico, con eccesso di
collagene e fibronectina che comporta una diminuita o alterata funzionalità d’organo.

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3. LA TOSSICITA’ IMMEDIATA O RITARDATA:
L’esposizione allo xenobiotico può essere acuta o cronica. Non è detto che l’evento sfavorevole
(alterazione funzionale/cellulare) avvenga nell’immediatezza dell’esposizione; ci sono diversi contesti in cui
la cellula o l’organo esposti manifestano l’effetto dopo un tempo x di latenza.
Si definisce quindi il periodo di latenza dipendente da:
- Meccanismo di tossicità attraverso cui si manifesta l’alterazione a livello cellulare o del tessuto;
- Via di somministrazione;
- Dosaggio;
- Frequenza di esposizione;

SEDE DI TOSSICITA’:
Le sostanze che possono avere tossicità locale sono le sostanze di natura caustica e di natura irritante, che
possono causare alterazioni al distretto di contatto (i polmoni, se l’esposizione è per via inalatoria, la
mucosa del g.i. se per ingestione o la pelle).
La tossicità può essere sistemica e causare alterazioni in diversi siti. Questo dipenderà dal luogo di contatto,
dalla distribuzione dello xenobiotico e dall’assorbimento dello stesso, in funzione della natura dello
xenobiotico.

4. LA TOSSICITA’ LOCALE E SISTEMICA da parte dello stesso xenobiotico:


Esempio degli anestetici odontoiatrici:
- tossicità locale: nel sito di somministrazione possono verificarsi reazioni allergiche (alcune molecole
utilizzate hanno intrinsecamente una spiccata capacità allergenica) o neuriti (per esempio se viene
erroneamente inoculato nel nervo e non nella gengiva);
- tossicità sistemica: derivano dall’assorbimento sistemico causato dalla scorretta somministrazione,
e possono coinvolgere:
o sistema cardiovascolare: interazione con la conduzione elettrica va a carico dei tessuti di
conduzione del cuore e del SN. possono avere effetto ionotropo negativo, aritmie,
ipotensione (per questo viene somministrato con vasocostrittore);
o SNC: agitazione, tremori, convulsioni, coma;

5. LA TOSSICITA’ REVERSIBILE O IRREVERSIBILE:


È un tipo di tossicità dipendente dalle capacità rigenerative del tessuto danneggiato. Il fegato è un organo
resiliente, ha grandi capacità rigenerative.
Un esempio è il fegato grasso, caratterizzato da un
accumulo di trigliceridi e lipidi nel tessuto. È dovuto a una
non corretta alimentazione magari, una tossicità
reversibile con la dieta. Il caso della tossicità irreversibile
sempre sul fegato è dato dalla cirrosi.

Altro esempio di tossicità irreversibile a carico del cervello di un alcolista:


le parti scure sono maggiori perché l’alcol ha determinato la morte delle
cellule nervose, con un ingente danno relativo alle funzioni connesse.

19
IL BIOACCUMULO E LA BIOMAGNIFICAZIONE

Si è verificato che le concentrazioni ematiche di alcune sostanze


tossiche ambientali in organismi viventi è superiore a quelle
dell’ambiente stesso in cui vivono.
Il fenomeno può essere dovuto da due processi: la
BIOMAGNIFICAZIONE, secondo cui si osserva che le
concentrazioni aumentano progressivamente allo scalare dei
gradini della catena alimentare -risiede quindi in un rapporto
organismo organismo- ed il BIOACCUMULO, dovuto
all’esposizione continua dell’individuo al tossico presente
nell’ambiente -presenta quindi una relazione individuo-ambiente
(Ostriche e mitili di valve (cozze) sono casi estremi, perché filtrando l’acqua marina possono contenere
livelli di mercurio e cadmio cento mila volte superiore a quelli presenti nelle acque dove vivono). Ne
consegue che
 La biomagnificazione deriva quindi dal bioaccumulo.

IL BIOACCUMULO - IL CASO DEL MERCURIO:


Il mercurio va incontro ad
un ciclo per cui risultano
esposti organismi sia di
ambiente terrestre che
marino. Ma da analisi
svolte su pesci, si rilevò
che il contenuto nelle loro
carni arrivava a 2 ppm
(dove il limite consentito
dalla Commissione Europea è 1.0 ppm) per quelli che
vivevano in zone adiacenti a raffinerie e che quindi ne
ricevevano le acque reflue. Oltre ad essere interessato da fenomeno di biomagnificazione (il mercurio
presente nell’acqua viene ingerito dal fitoplancton e risale la catena alimentare divenendo sempre più
concentrato, con i pesci al vertice della piramide alimentare che arrivano ad avere una concentrazione da
3mila a 27mila volte maggiore rispetto all’acqua in cui vivono), i pesci risultano essere grandi
bioaccumulatori di Hg. Ad influire sul bioaccumulo sono le caratteristiche fisiche della specie: il mercurio
presenta grande affinità per il tessuto muscolare, per cui i pesci magri, con contenuto muscolare maggiore
dell’adipe sono le forme viventi più a rischio e ne accumulano grandi quantità.
Caso particolare: il tonno pinna gialla, pur essendo magro, è risultato tra quelli che contenevano meno Hg.
Il motivo è che questo viene pescato da giovane ed il tempo di esposizione al mercurio è ridotto. In più vive
in acque tropicali ed ha necessità metaboliche ridotte rispetto a specie marine che vivendo in acque fredde
hanno bisogno di mantenere una elevata attività metabolica e quindi di cibarsi di frequente.
Diversamente accade con il tonno a pinna blu che consuma una maggiore quantità di pesciolini.

20
CLASSIFICAZIONE DELLE SOSTANZE TOSSICHE IN CATEGORIE IN BASE ALLA
LORO TOSSICITA’:

Difenilidramina e teofillina
sono conosciuti come antistaminici.

Pericolo = è una proprietà intrinseca posseduta da una determinata entità, potenzialmente capace di
causare danni per la salute e/o per la sicurezza.
Rischio = è la probabilità che entro un predefinito intervallo di tempo ci sia un evento sfavorevole per la
salute o per la sicurezza, in relazione all’esistenza di un pericolo.

Esempio: ci saranno delle condizioni in cui è probabile che, a un certo punto, si verifichi un evento
sfavorevole.
- Rischio di prendere il Covid  il covid è intrinsecamente pericoloso; conoscere il rischio mi
permette di prendere provvedimenti, come mantenere il distanziamento e le protezioni.
Il covid è intrinsecamente pericoloso, quando stava con i pipistrelli non rappresentava un rischio.
Il fatto che ci sia una sostanza intrinsecamente pericolosa (es. acido cloridrico) non per forza rappresenta
un rischio (se io sono a casa e la boccetta è in laboratorio non c’è rischio; se sono in laboratorio, se è stato

21
versato nella bottiglia dell’acqua… allora è rischioso)  il pericolo rimane lo stesso, il rischio è dettato dalle
condizioni di contorno della cosa pericolosa, che aumentano o riducono la probabilità di sperimentare un
danno.
CARATTERIZZAZIONE DEL RISCHIO:

La caratterizzazione del rischio può essere viziata dalla percezione del rischio. Questa tabella è di due anni
fa; probabilmente oggi, dopo due anni di covid, la percezione del rischio di tossine di origine biologica o
intossicazioni di origine batterica sarebbe maggiore, perché la percezione del rischio è frutto anche
dell’esperienza personale a riguardo, del bagaglio culturale, della preparazione tecnico-scientifica ecc.

Cosa rende la percezione diversa dall’oggettività del rischio?


Il rischio oggettivo di essere presi da
un fulmine è basso e qui la
soggettività dello stesso concorda.

Ciò che fa diminuire la percezione del


rischio riguardo un pericolo è se
viene associato ad attività volontarie
piacevoli o che procurano una specie
di benessere personale, come
l’abitudine al fumo e alla guida.

Per la caratterizzazione del rischio reale è necessario prendere in considerazione diversi fattori:
Qual è il livello di esposizione?
Esterna:
o A quale concentrazione una data sostanza è presente nei vari comparti ambientali, nella
dieta, nell’aria, negli ambienti lavorativi o nei prodotti ad uso voluttuario?
o Attraverso quali vie l’uomo è esposto?
o In quali situazioni si è esposti? (lavoro, ambiente, stili di vita, alimentazione…);
questo tipo rilevazione evidenza per quanto tempo l’esposizione dura nel tempo, con quale
frequenza, a che livello, in che modo;

22
Accertata la presenza e la quantità di sostanza nociva nell’ambiente, è poi necessario valutare il livello di
Esposizione Interna:
o A quale concentrazione una data sostanza è presente nei vari distretti corporei, quali
possono essere i possibili siti di accumulo (SNC, adipe, ossa, ecc.) o eventuali siti d’azione
specifici;
o Destino della sostanza all’interno dell’organismo (metabolismo ed escrezione della
sostanza);
o Concentrazioni rilevanti dal punto di vista tossicologico.
Si deve quindi:
1. Identificazione del pericolo  valutazione della pericolosità intrinseca della sostanza;
2. Caratterizzazione del pericolo  valutazione degli effetti tossici nei confronti della specie umana,
passando prima per test su cellule isolate, tessuti animali o organismi animali; i dati ottenuti in
questi esperimenti serviranno per costruire un’idea dell’effettivo rischio in seguito all’esposizione;
3. Valutare l’esposizione umana  es. in seguito all’utilizzo sconsiderato e/o scorretto degli antibiotici
si è evidenziata l’antibiotico resistenza. Alle volte siamo esposti a queste sostanze in modi non
“classici” (alimentazione). Subentrano quando si interrompe precocemente la terapia, con
l’alimentazione con specie animali da macello degli allevamenti intensivi, …;

Si fanno una serie di considerazioni dove, all’aumento della dose, disegno delle curve dose-risposta.

1. IDENTIFICAZIONE DEL PERICOLO:

23
Si devono identificare le caratteristiche chimico-fisiche della sostanza in esame, la SAR di sostanze analoghe
attraverso le banche dati, valutazione della sostanza in organismo

Valutazione della tossicocinetica: è


molto importante per valutare la
tossicità stessa della sostanza e per
permettere di costruire il grafico
dose-effetto.
Si analizzano via via le differenti
relazioni sia in termini di tossicità
acuta con le DL sia in termini di
meccanismi d’azione, come la
genotossicità, esponendo cellule in
vitro o in vivo allo xenobiotico.
Si passa poi ai test per la tossicità a
breve termine, propria di ogni
differente specie: nell’uomo la vita
media varia da 82-86 anni, nel topo
18-24 mesi; la valutazione della tossicità a breve termine si farà quindi in base al modello animale utilizzato
ed i tempi di sviluppo.
La tossicità a lungo termine, importante perché mima l’esposizione ad una sostanza cancerogena; una certa
sostanza presente spesso nel tempo e che non da una tossicità immediata, ma solo molto tempo dopo
l’esposizione stessa.
La tossicità dello sviluppo: si testano le sostanze negli animali in gestazione. si verifica confrontando il
gruppo trattato con quello di controllo in animali della stessa specie, si osserveranno per esempio il
numero di cuccioli sani, il corredo genetico, il numero di aborti. nel caso dei topi alla prima gravidanza, le
madri mangiano i cuccioli; lo xenobiotico si somministrerà quindi alle seguenti.

2. CARATTERIZZAZIONE DEL PERICOLO:


Nella specie umana si analizzano le condizioni di esposizione e si valuta il rischio attraverso l’utilizzo di
alcuni indici quantitativi:

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ADI = dose giornaliera ammissibile  dose che può essere assunta da un individuo adulto per tutto l’arco
della vita senza rischio apprezzabile per la salute.
È definita dalla relazione tra NOAEL (rilevato sperimentalmente, è la più elevata quantità di sostanza che
non causa effetti tossici, ottenuta sperimentalmente) e SF (safety factor, che valuta la distanza tra modello
sperimentale utilizzato per calcolare il NOAEL e il dato reale).

Per avere una panoramica della potenziale


tossicità di una sostanza si usano specie di
animali diverse in condizioni diverse
(femmine gravide, ecc.) e si misura il NOAEL
in ciascun caso. L’ADI si calcola
considerando il NOAEL che ha evidenziato
un effetto tossico alla dose più bassa, come
misura cautelativa.

Focomelia = esempio di reazione avversa ad un farmaco nei confronti del prodotto del concepimento,
subentrata nell’essere umano poiché le sperimentazioni non erano state effettuate su femmine in
gestazione.
Per riportare i dati ottenuti sull’animale all’uomo si introduce il fattore di sicurezza, che è quindi un fattore
correttivo, e che sarà tanto più grande tanto più differente dall’uomo è il modello in esame, geneticamente
e metabolicamente.

Fattore 10 tra alcune specie e uomo; ulteriore


fattore 10 per adattamento alla variabilità della
popolazione umana, tenendo conto dei soggetti
fragili e sensibili.
Durante la sperimentazione clinica dei farmaci si
selezionano un numero ristretto di volontari, poi
volontari sani uomini, escludendo una ulteriore
fetta della popolazione, ecc. La selezione è
rigorosa per non avere interazioni di tipo
farmacocinetico o farmacodinamico che non farebbero individuare un chiaro profilo di tollerabilità (o
tossicità, dipende dai casi). Una volta in commercio il medicinale è però somministrato ad un ampio bacino
di pazienti caratterizzati da storie cliniche soggettive e sarà oggetto di osservazione (farmacovigilanza) per
ottenere i dati relativi alla somministrazione alla popolazione reale (aree diverse, alimentazione diversa,
ecc.)

Nel caso di soggetti sensibili, la distanza dal NOAEL


caratterizzato sperimentalmente è ancora
maggiore rispetto alla media della popolazione.
Esempio:

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Quando caratterizzo un pericolo parto dalla curva sperimentale (la più spostata a destra) che mi permette
di caratterizzare il pericolo vedendo la relazione tra maggior parte della popolazione e la comparsa di effetti
non voluti. Dall’animale ottengo il NOAEL; poi, con il fattore di sicurezza, ho la traslazione della curva verso
sinistra. Per comprendere anche i soggetti più fragili o sensibili si sposterà ancora a sinistra la curva.

Queste sono tutte le modalità (soprattutto in riferimento a


cibi e bevande) con cui si definisce il livello al di sotto del
quale l’esposizione è sicura; al di sopra è possibile incorrere
in alcune reazioni tossiche.

per i farmaci c’è IT e MS; per sostanze


alimentari i livelli soglia sono definibili per
l’acqua, moltiplicando ADI della sostanza per il
peso espresso in chili diviso per FDI o WDI.
Questo indica la concentrazione massima di
residui presenti nel mezzo in esame.

Prescindendo da considerazioni etiche, tutto


ciò che è utilizzabile oggi è stato possibile
grazie alla sperimentazione animale.
Nonostante ad oggi non sia possibile sostituire
il modello animale, si stanno cercando nuovi
metodi di sperimentazione. L’abbandono del
modello animale può però portare a dei bias.

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La differenza tra le due tipologie di studi è
intrinseca ai modelli stessi.
Nel caso dello studio sperimentale necessito
dosi esatte, gruppo di controllo,
esposizione… valuto esattamente ogni
parametro, stabilendo i gruppi di animali, le
dosi, le vie di somministrazione, per quanto
tempo queste sono protratte,
l’alimentazione, i ritmi sonno-veglia… lo
studio viene stabilito tutto a tavolino. Ma
alcuni effetti sono evidenziabili solo in vivo,
utilizzando modelli animali adeguati.

Nel caso dello studio epidemiologico invece la popolazione è più variegata, si è soggetti a fluttuazioni dei
risultati dovute al gran numero di variabili presenti e si cercherà di capire quali influenzeranno o
confonderanno maggiormente i risultati dello studio (profilo genetico, abitudini alimentari, attività fisica,
pattern metabolici, ecc.).

Nello studio clinico, non posso misurare effetti diversi, soprattutto in quelli retrospettivi (es. via di
somministrazione, tipologia di campione da prelevare…). È poi impossibile eliminare tutte le variabilità
mantenute appositamente costanti come nello studio sperimentale che permette di valutare anche
eventuali pericolosità per il feto o variazioni della soggettività e dell’affettività delle cavie.

3. VALUTAZIONE DELL’ESPOSIZIONE UMANA:


Nei casi più semplici, l’additivo alimentare è stabile nell’alimento fino al suo consumo. In altri casi però la
quantità di sostanza può cambiare prima del consumo dell’alimento.
- Può esserci la degradazione degli additivi alimentari durante la conservazione;
- Possono esserci residui di fitofarmaci nei prodotti agricoli allo stato grezzo che si accumulano poi
nelle successive fasi di lavorazione;
- Possono esserci residui di farmaci veterinari; la loro quantità dipende dal metabolismo, dalla
distribuzione e dai periodi di sospensione intercorsi tra trattamento e abbattimento degli animali.
Normalmente viene riportato un indice TMDI (tolerable maximum daily intake) definito come la massima
quantità giornaliera assumibile di additivi, fitofarmaci e farmaci veterinari. È inferiore all’ADI: deve appunto
essere pari al 10-15% di questo per ciascuna sostanza, al fine di evitare che l’esposizione a diversi alimenti
contenenti la stessa molecola potenzialmente tossica non comporti pericolo dalla somma dei suoi livelli
nella dieta.

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Si confrontano quindi le evidenze ottenute nella fase della caratterizzazione del pericolo e i dati provenienti
dall’esposizione umana.
Maggiore è la distanza tra l’ADI e il valore di esposizione, più elevata è la soglia di confidenza.

LA TOSSICOCINETICA:
La domanda a cui risponde questo studio è: lo xenobiotico come raggiunge il torrente circolatorio? [mentre
a “come lo xenobiotico causa tossicità?” è relativa alla tossicodinamica].

Lo xenobiotico può arrivare al suo target per contatto con il


recettore, può essere distribuito dalle proteine
plasmatiche, si immagazzina nei tessuti per cui è affine (es.
tessuto osseo, adiposo, SNC, ecc.), può venire
biotrasformato nel fegato in una sostanza attiva o in una
non attiva, essere escreto dai reni o con la bile attraverso
con le feci, può essere ridistribuito al sangue, …

Il modo con cui lo xenobiotico interagisce con il recettore


può essere specifico (target particolare) o aspecifico (non
un target molecolare preciso, come può essere
l’abbassamento del pH).

1. PASSAGGIO ATTRAVERSO LA MEMBRANA CELLULARE:


La sostanza può entrare in contatto con le nostre cellule per esempio epiteliali. A questo punto dovrà
attraversare le membrane delle cellule, costituite da fosfolipidi.

Per esempio, può trovarsi a dover attraversare l’epitelio stratificato della pelle, l’epitelio dell’albero
respiratorio, l’epitelio intestinale, l’endotelio dei capillari, le cellule del tessuto o dell’organo bersaglio, …
Con il sistema costituito da recettori, canali ionici, pompe ecc. la cellula riesce a rispondere agli stimoli
esterni e adegua il proprio comportamento in funzione di essi. Se una sostanza viene internalizzato tramite
trasporto attivo o passivo dipende dalle caratteristiche chimico-fisiche dello xenobiotico stesso e dal
tessuto con cui interagisce.

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2. L’ASSORBIMENTO:
Indica il passaggio del farmaco dal sito di somministrazione al plasma.

La via di somministrazione influisce su:


- l’inizio dell’azione dello xenobiotico;
- l’intensità dell’azione dello xenobiotico (via cutanea è lenta e il farmaco arriva piano piano al target
ed un po’ si perde per strada; endovenosa assorbimento nullo, subito tutto disponibile ed effetto
maggiore);
- la durata dell’azione dello xenobiotico;

Ci sono inoltre delle variabili relative a:


- via di somministrazione;
- le caratteristiche chimico fisiche;
- lo spessore delle membrane o del tessuto da attraversare prima di guadagnare il torrente ematico;
- la permeabilità dell’area o del distretto  regolata dalla Legge di Fick;
- il numero delle barriere da superare;

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- il pH del mezzo  regolata dall’equazione di Henderson-Hasselbalch;
- gli agenti degradativi  la microflora intestinale: quando scompensato si è visto essere coinvolto
anche nella patogenesi di malattie neurodegenerative come l’Alzheimer o il parkinsos. Il microbiota
varia da soggetto a soggetto;
- la forma farmaceutica  definisce in quale modo vengo a contatto con il farmaco;
- caratteristiche intrinseche (l’anatomia e la fisiologia) del sito di assorbimento.

L’equazione mette in relazione l’equilibrio tra la forma


dissociata o indissociata di acidi o basi deboli.

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2A. L’ASSORBIMENTO CUTANEO:
Questo dipende dallo spessore della cute. Un esempio di zona con cute molto permeabile e sottile è la
mucosa dell’occhio.
Ci sono inoltre delle condizioni che facilitano il passaggio dello xenobiotico, come il dimetilsolfossido che,
rimuovendo la superficie lipidica della cellula, facilita il passaggio della sostanza.

2B. L’ASSORBIMENTO POLMONARE:


Nell’albero polmonare, la zona migliore da attraversare per lo
xenobiotico è la parete alveolare. In questo caso guadagna subito
l’accesso al flusso ematico.
È un distretto con una elevata superficie di scambio con l’esterno,
ricca di vascolarizzazione e caratterizzata da un veloce flusso
ematico. Questi fattori, insieme alla struttura dell’epitelio
respiratorio, favoriscono l’assorbimento di xenobiotici.

Si deve però tenere in considerazione il coefficiente di ripartizione


sangue/gas. Quando un gas viene inalato, si instaura un equilibrio
di ripartizione tra le molecole della sostanza tra i due scomparti.
Si hanno due casi:
- coefficiente basso: la velocità di assorbimento dipende dal flusso
sanguigno  la perfusione è il fattore limitante;
- coefficiente alto: il fattore limitante la velocità di assorbimento è
la ventilazione;

Per esempio: deposizione di sostanze tossiche nei polmoni si verificano nei casi di asbestosi e silicosi.

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2C. L’ASSORBIMENTO NEL TRATTO GASTROINTESTINALE:

È la via più frequente di contatto con xenobiotici/tossici. Il tubo gastrointestinale è costituito da diverse
cellule. Quelle più esterne costituiscono la mucosa; sotto di queste ci sono il tessuto muscolare e infine la
sierosa. La doppia muscolatura permette alla contrazione e all’onda peristaltica di proseguire dallo stomaco
al retto.
La particolarità del tratto intestinale è la grande superficie assorbente, grazie alla presenza dei villi
intestinali. Questi, a loro volta, sono costituiti da uno strato epiteliale che vede sottostanti dei vasi
sanguigni. Attraverso la vena porta tutte le sostanze e i nutrienti assorbiti saranno poi portati al fegato,
dove verranno biotrasformate in funzione della loro natura chimica.

 l’assorbimento dipenderà:
1) dal pH del tratto che si sta considerando e dalla motilità gastrointestinale  il pH nel tubo digerente
varia da 2 a 8. Il cibo ingerito può fare da tampone.

Le
sostanze
che

introduciamo nell’organismo appena entrano in contatto


con fluidi biologici (saliva, sangue, urina, succo gastrico…) vedono delle modifiche del pH.

32
Questo condiziona un mancato o un aumentato
assorbimento delle sostanze. Somministrando farmaci
che portano ad una modifica del pH di questi distretti di
interesse si può modificare l’assorbimento. Questo
meccanismo è sfruttato soprattutto per favorire
l’escrezione renale di xenobiotici attraverso le urine.
Una sostanza indissociata riesce a passare meglio
attraverso le membrane, viceversa se si trova nel suo
stato dissociato. Le caratteristiche della sostanza stessa
determineranno lo stato di dissociazione o
indissociazione dello xenobiotico.

L’antiacido, bloccando i recettori H2, blocca la secrezione gastrica. Questo ha conseguenze relative
all’assorbimento di altri farmaci a livello gastrico e di altri nutrienti. Sono condizionate anche la stabilità e la
permeabilità di tali sostanze e le eventuali infezioni: alzando il pH si può stimolare la proliferazione di certi
batteri e virus.
L’anticolinergico invece è implicato per il fatto che la secrezione gastrica è sotto il controllo del sistema
colinergico.

Qui è calcolato il pH per ciascuna condizione


in cui un acido debole o una base debole
può trovarsi.
Per esempio, a pH = 3 un acido con pka = 5 si
troverà per la maggior parte non dissociato.
Viceversa, nel caso della base debole.

Il concetto di trappola ionica descrive ciò che accade


all’acido o alla base deboli nei diversi compartimenti.
[nel caso di acidi o basi forti il problema non si pone].
Nel compartimento tissutale, il fenobarbitale (acido
debole) sarà in forma prevalente non dissociata.
Passando al sangue, l’entità della dissociazione inizia ad
essere significativa. All’urina si avrà l’inversione
dell’equilibrio.
Allo stesso modo si può ragionare per l’amfetamina.
Per allontanare questi xenobiotici si agisce sul pH delle
urine, cercando di mantenerlo il più alcalino possibile, di
modo da spingere l’equilibrio verso la forma dissociata.
L’attraversamento delle membrane sarà ostacolato e la
sostanza si troverà costretta a rimanere nelle urine.

2) dalla motilità gastrica e intestinale  dipende anche dalla quantità di cibo presente. Nei casi di stipsi o
diarrea si ha rispettivamente un rallentamento o un velocizzamento della stessa, con conseguenza un
eccessivo o insufficiente assorbimento di nutrienti o degli xenobiotici. Sono influenzati quelli che sono:
a. inattivati dallo stomaco;

33
b. assorbiti nell’intestino;
c. somministrati in forme gastroprotette;
L’etanolo ad alto grado (come la grappa) riduce la motilità
intestinale, conferendo un senso di pesantezza pronunciato.
Agisce quasi paralizzando temporaneamente la
muscolatura. In basso grado invece è il contrario.

La metoclopramide è un farmaco procinetico, utile per velocizzare lo svuotamento gastrico.


La motilità intestinale è controllata prevalentemente dal sistema nervoso parasimpatico, con l’acetilcolina.
Di conseguenza un anticolinergico causa rallentamento dello svuotamento gastrico e costipazione. Allo
stesso modo accade anche nell’assunzione di oppioidi come la morfina, il cui effetto collaterale maggiore è
la stipsi.
I

farmaci spasmolitici (anticolinergici) sono usati per


rilassare la muscolatura. Di conseguenza portano ad un
rallentamento dell’onda peristaltica.
Al contrario i purganti possono funzionare in due modi:
rigonfiandosi assorbendo acqua all’interno dell’intestino
finendo per stimolare le pareti del tubo; oppure
irritando la parete della mucosa di modo da stimolare le
contrazioni della stessa;

3) dalla superficie assorbente:

34
35
4) dallo stato di riempimento o replezione;

5) dall’attività transcitotica  è una forma di passaggio dei nutrienti attraverso la formazione di vescicole.
Sono così assorbite:
a. proteine fisiologiche come le immunoglobuline;
b. proteine (es: la tossina botulinica);
c. particelle varie di materiali sintetici (es: polistirene, PEG);

6) dalla presenza di trasportatori specifici per l’assorbimento di:


a. sostanze nutritive come zuccheri e amminoacidi;
b. sostanze essenziali come le vitamine;
c. ioni inorganici;

2C1. IN CASO DI SOVRADOSAGGI, SFRUTTANDO IL pH…


- Xenobiotici acidi si concentrano nel plasma;
- Xenobiotici basici si accumulano nello stomaco  si fa una lavanda gastrica acida di modo da
promuovere la presenza della forma dissociata, quindi carica;
- Nel basso pH dello stomaco si ha una quasi completa ionizzazione delle sostanze basiche a causa
della trappola ionica.
- Per esempio:
PROBLEMA 1
Il pH dello stomaco è 2,5. La pka del pentotal sodico è 7,4
ed è un acido debole. Se ad un paziente viene
somministrato pentotal sodico per via orale e non
endovenosa, sarà osservabile l’effetto ipnotico?
PROBLEMA 2
Un farmaco base debole con pka di 7,8 è noto per avere
effetti teratogeni  passa la placenta.
Se viene somministrato per via endovenosa a una donna in stato di gravidanza, questo farmaco
attraverserà la placenta, avendo effetti sul feto?

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2C2. Altri effetti del cibo sulla MOTILITA’:
- Aumenta la viscosità  ostacola il contatto delle molecole con la parete intestinale, rallentando:
o lo svuotamento gastrico e la motilità intestinale;
o la disaggregazione e la dissoluzione (nel caso di forme farmaceutiche): il volume del lume
interno è occupato dal cibo;
- Stimola le secrezioni gastro-intestinali  come pepsina e sali biliari;
- Compete per i sistemi di trasporto  come per esempio trasporto di amminoacidi e L-DOPA;
- Complessazione di molecole  come tetracicline, fluorochinoloni; alle volte la chelazione porta alla
precipitazione;
- Aumenta il flusso ematico attraverso il fegato (qui farmaci some il propranololo avranno un minore
effetto di primo passaggio);
- Può ridurre l’effetto di primo passaggio intestinale  come nel caso di ingestione di succo di
pompelmo;
- Può adsorbire farmaci diversi  pectina;

Il cibo può portare alla riduzione dell’assorbimento di svariati antibiotici per la presenza di calcio nei cibi
per formazione di chelati insolubili.
Allo stesso tempo può portare ad un aumento dell’assorbimento di farmaci liposolubili per formazione di
emulsione oleosa con il grasso ingerito e di micelle con i sali biliari.
Per ogni grafico si sono analizzati pazienti diversi e se ne è campionato il sangue dopo intervalli di tempo
costanti.

Nel caso del diclofenac si hanno:


-
nel caso dei pazienti a
digiuno: si è avuto un
picco e una successiva
discesa di diclofenac;
- nel caso dei pazienti
dopo un pasto: si ha una lenta salita della concentrazione plasmatica
con il medesimo picco;

Nei due casi si avrà quindi un tempo differente impiegato per avere il picco: in chi ha mangiato si
verificherà un’insorgenza dell’effetto ritardata.

Nel caso della norfloxacina si hanno:


- nel caso del
paziente a
digiuno: un
picco che
insorge dopo
nemmeno due ore;
- nel caso dei pazienti che hanno assunto yogurt e latte si ha
un notevole abbassamento del picco;

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L’assunzione di latticini ha quindi diminuito notevolmente l’AUC del medicinale.

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Nel caso della ciclosporina si hanno:
- nel caso di pazienti con un
pasto a basso tenore lipidico:
si ha un picco discreto che poi
diminuisce;
- nel caso di pazienti con un
pasto ad alto tenore lipidico:
si ha un picco quasi 3 volte maggiore rispetto al primo;

Cambierà la concentrazione dei lipidi a cui il paziente è esposto. Indipendentemente dallo stomaco pieno o
vuoto si hanno effetti differenti basati su cosa si è mangiato.

2C3. La via di somministrazione determina sia il grado di assorbimento che il potenziale


tossico:
Per esempio:
Un soggetto ingerisce acqua ricca di nitrati; alcuni batteri sono in grado di ridurli a nitriti e hanno la capacità
di interagire con alcune strutture a dare cancerogenesi e a formare metaemoglobina.

- Nel neonato  l’acidità gastrica è inferiore a quella dell’organismo adulto. I batteri che nell’adulto
non sopravvivrebbero al pH gastrico, nello stomaco del neonato possono invece prolificare (Il
microbiota del neonato risulta maturo dopo circa due anni dalla nascita, quando il bambino mangia
ormai tutto, è da lì che prende la biodiversità della flora intestinale). Questi andranno a ridurre i
nitrati ingeriti a nitriti, che a loro volta trasformeranno l’emoglobina in metaemoglobina, con rischio
di anossia tissutale.
Questo genere di intossicazioni può subentrare anche nel caso di spinaci triturati o omogeneizzati.
La conversione del nitrato in nitrito è performata da enzimi nitrato-reduttasi liberati
successivamente alla rottura delle foglie;

- Nell’ adulto  la metaemoglobina in piccole quantità viene ridotta ad emoglobina attraverso


l’enzima metaemoglobina reduttasi, derivante dall’attività della glucosio-6-fosfatodeidrogenasi
(enzima la cui carenza o alterata espressione genetica causa il favismo = suscettibilità spiccata
all’azione ossidante degli xenobiotici). Soggetti che portano polimorfismo su questo enzima vanno
incontro a rischio di anossia tissutale come i neonati.
I nitriti possono anche essere additivi di carni e pesci affumicati; l’acidità gastrica facilita la
reazione tra nitriti e ammine (pesci), causando la formazione di nitrosammina, favorendo
l’insorgenza di tumori a fegato e vescica.

3. DISTRIBUZIONE DI SOSTANZE TOSSICHE:


La velocità con cui uno xenobiotico si distribuisce tra il sangue e i vari compartimenti tissutali e l’entità della
distribuzione dipendono da diversi fattori:
A. Il flusso ematico che raggiunge ciascun compartimento;
B. Il volume di ciascun compartimento;
C. La capacità della sostanza tossica di legarsi alle proteine plasmatiche;
D. La capacità della sostanza tossica di passare le membrane;

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E. La permeabilità del letto capillare regionale;
F. L’affinità della sostanza tossica per i diversi compartimenti;

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3A. IL FLUSSO EMATICO
Il flusso ematico non è costante nel tempo e non raggiunge con la stessa quota tutti i distretti corporei,
inoltte alcuni lo ricevono prima ed altri dopo
Abbiamo due fasi della distribuzione del flusso ematico:

- prima fase: riflette la gittata cardiaca e il flusso ematico attraverso i tessuti. I primi quindi a ricevere
la gittata cardiaca sono Cuore, fegato, rene e polmoni ricevono la maggior parte del farmaco nei
primi minuti dopo l’assorbimento (sono gli organi più perfusi);
- seconda fase: con calma arriva a muscoli, viscere, cute e tessuto adiposo in modo più lento e
riguardante una maggiore frazione della massa corporea;
esempio: quando c’è necessità di terapia antibiotica, si può scegliere tra svariati farmaci. La scelta
ricade sulla molecola che ha maggiore affinità per il tessuto da proteggere o curare (osseo se è post
estrazione, vescicale se cistite, ecc.)

compartimenti dove si può distribuire lo xenobiotico:

Ogni tessuto presenta un contenuto qualitativamente e


quantitativamente diverso in proteine, lipidi e altri componenti
che possono determinare un temporaneo sequestro della
sostanza.

Per esempio:
Il flusso ematico e la permeabilità sono i due fattori che
maggiormente condizionano la velocità di distribuzione
di uno xenobiotico.
In questo esperimento sono state somministrate
concentrazioni, in funzione del tempo, di uno stesso
xenobiotico in tre organi con simili permeabilità ma
flusso ematico molto diverso. L’equilibrio è raggiunto in
minuti differenti in base all’organo analizzato!
Il tessuto adiposo rischia di diventare un deposito della
sostanza che può avere poi una ridistribuzione.
3B. IL VOLUME APPARENTE DI DISTRIBUZIONE:
È
definito
come il
volume
in cui si
assume
che una
sostanza
si distribuisca in modo uniforme e funge da indice della distribuzione di una sostanza nell’organismo.

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3C. SITI DI DEPOSITO/SEQUESTRO DELLE SOSTANZE TOSSICHE:
1. Proteine plasmatiche  la quota legata a queste è “inagibile” (sia nei confronti dell’effetto
terapeutico che tossico);
2. Fegato e reni (dipende dalla fisiologia di questi organi. Se alcuni metaboliti tossici vengono prodotti,
è qui che succede e vi sarà la concentrazione maggiore; alcune molecole poi rimangono bloccate
nelle cellule tubulari del rene, dove esplicheranno maggiormente la loro azione);
3. Tessuto adiposo  ci andranno le sostanze lipofile;
4. Tessuto osseo;

3C1. LE PROTEINE PLASMATICHE:


Le sostanze tossiche, come i farmaci, possono legarsi in modo più o meno efficace alle proteine
plasmatiche in funzione della loro natura chimico-fisica; solo la porzione libera sarà quella effettivamente
disponibile ed attiva.
Le interazioni con le proteine possono essere di tipo farmacodinamico, ma più spesso farmacocinetico. Il
legame dello xenobiotico può perfezionarsi con albumina e/o globuline.
Questo legame aumenta l’emivita delle sostanze ad esse legate ed è saturabile: il suo eccesso rispetto
all’equilibrio comporta quindi una percentuale di xenobiotico libero nel sangue.

Ci possono però essere fenomeni di:


- Spiazzamento: lo xenobiotico, di cui conosco la quota libera nel sangue in funzione dell’equilibrio di
legame con la proteina sequestrante, può essere spiazzato da un’altra sostanza esogena, con
conseguente aumento della concentrazione del primo xenobiotico e annessi danni transitori o
permanenti (quando lo xenobiotico è una tossina); nel caso di interazioni tra farmaci menzioniamo
invece l’incompatibilità tra sulfamidici e antidiabetici: il sulfamidico spiazza l’antidiabetico, che è ora
tutto libero di agire, a dare risposta ipoglicemica eccessiva.
- Competizione: il meccanismo è lo stesso dello spiazzamento, ma qui lo xenobiotico compete con
molecole endogene;
 Per esempio: penicillina, solfonammide, tossico della tetraciclina: la sulfonammide spiazza la
bilirubina dall’albumina. Quando la quota di bilirubina aumenta, arriva al cervello. Nell’adulto la bee
lo impedisce, mentre con meningite o febbre la permeabilità cambia e la bilirubina può passare.
Encefalopatia da metastasi epatica: il fegato che ha metastasi invadente rilascia concentrazioni
molto alte di bilirubina, 10 o 20 volte di più. Il soggetto diventa giallo -ittero- e si riscontra
sofferenza celebrale: allucinazioni, convulsioni, confonde sogno con realtà. Nei neonati, in cui la BEE
non è ancora funzionalmente adeguata, si ha il passaggio di bilirubina presente nel torrente ematico
al cervello, causando danni neurologici gravi.
Nel soggetto anziano, che vede un costante e graduale impoverimento delle risorse biologiche, ha
BEE inefficace ed è necessario avere accorgimenti superiori.

3C2. FEGATO E RENE:


sono in grado di sintetizzare proteine specifiche in seguito all’esposizione a metalli. Hanno una elevata
capacità di legare le sostanze, per esempio una somministrazione di piombo già dopo soli 30 minuti nel
fegato provoca una concentrazione maggiore di quella plasmatica.

Le proteine specializzate nell’organo del fegato sono:


- (La ligandina che lega acidi organici);

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- Le metallotionine:
o nel fegato  la loro sintesi è indotta quando le cellule entrano in contatto con i metalli. Le
proteine legano i metalli di modo da impedire allo stesso di essere dannoso e formano un
complesso stabile sia a livello biologico che geografico;
o nel rene  il meccanismo di sequestro è diverso rispetto al fegato; il complesso
metallotionina-metallo, presente nel tessuto reanle per esempio nel tubulo, viene inglobato
dai lisosomi (spazzino della cellula, ricco di enzimi litici) nel tentativo di tagliarlo per rendere
innocua la minaccia. In questo caso però il complesso è troppo grande e porta ad una
rottura del lisosoma, causando il riversamento nell’ambiente intracellulare degli enzimi
lisosomiali che tagliano il complesso proteina-metallo, rendendolo tutto di nuovo disponibile
ad accumularsi nelle cellule;

3C3. IL TESSUTO ADIPOSO:


È il deposito primario per le sostanze lipofile e il suo sequestro determina una minore concentrazione
ematica che giungerà ai siti bersaglio (revisione della terapia). La tossicità di sostanze lipofile è minore nei
soggetti obesi; tuttavia, la rapida mobilizzazione dei grassi (dimagrimento) può indurre un improvviso e
pericoloso aumento di concentrazione delle sostanze accumulate e possibile tossicità da ridistribuzione.
Per esempio: il grasso è la zona di deposito preferita del DDT e policlorobifenili.

3C4. IL TESSUTO OSSEO:


Questo tessuto funge da deposito di metalli come Pb, F e Sr. A prescindere dalla quantità di piombo a cui
siamo esposti, il 90% del piombo è infatti concentrato nello scheletro.
Nelle ossa c’è una elevata superficie di scambio disponibile nei cristalli di idrossiapatite, in cui avviene
scambio tra F- e OH- e tra Ca++ e Pb++, Sr++. La presenza di questi aumenta l’attività degli osteoclasti, con
rischio di osteoporosi (consumo continuo dell’osso mentre i metalli rimangono lì)
Un aumento dell’attività osteoclastica è determinato anche dall’attività del paratormone, che per bilanciare
l’omeostasi del calcio induce la degradazione dell’osso e il rilascio delle sostanze tossiche in esso
immagazzinate portando ad un aumento delle concentrazioni ematiche.

3D. LE BARRIERE AL PASSAGGIO DEGLI XENOBIOTICI:


Sono:
- La barriera ematoencefalica per il tessuto nervoso;
- La placenta che preserva il prodotto di concepimento durante la gravidanza;
- La barriera ematotesticolare che preserva il tessuto testicolare.
La permeabilità di queste barriere non è costante. Tutto il tessuto biologico è sottoposto ad una variabilità
funzionale nel tempo causata dalle fasi fisiologiche o da condizioni patologiche (come variazioni di
temperatura, infezioni, esposizione a sostanze tossiche che sfruttano trasportatori presenti nella barriera
destinati a sostanze endogene, rimodellamento, invecchiamento, ecc.)
Le barriere sono anche vulnerabili in base all’età del soggetto. Anziani e bambini hanno barriere più fragili,
quindi più permeabili.

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3D1. LA BARRIERA EMATOENCEFALICA:
È una struttura all’interno del quale il vaso,
costituito da cellule disposte affiancate, vede
la presenza di cellule che lo contornano
come astrociti, glia a seconda del distretto;
tali strutture aggiuntive sono necessarie per
ridurre l’accesso al cervello di sostanze
indesiderate o tossiche.

DIFFERENZA TRA CAPILLARE NORMALE E


CEREBRALE: Il capillare cerebrale è
costituito anch’esso da uno strato di
cellule endoteliali del capillare, tra una e
l’altra ci sono le tight junction, proteine
che fanno da ponte tra una cellula e
l’altra e servono per creare una
superficie continua senza fessure. Ci
sono trasportatori, pompe di efflusso
(come la glicoproteina P), enzimi di
biotrasformazione ecc.
All’esterno ci sono gli astrociti che con le
loro estroflessioni coprono e rivestono il
vaso creando un secondo strato di
protezione e selezione verso le sostanze
che possono o meno passare (in base alla lipofilia o se hanno un trasportatore addetto).

CARATTERISTICHE ANATOMICHE E FUNZIONALI DELLA BARRIERA EMATOENCEFALICA


La funzionalità di questa barriera dipende da patologie concomitanti (infiammazione) ed età (bambini,
anziani scarsa efficienza).

1. L’entrata nel tessuto cerebrale è condizionata dalle stesse regole che si applicano ai processi di
attraversamento delle membrane cellulari: solo la quota di farmaco libero può entrare nel cervello.
Il trasportatore favorisce il passaggio delle molecole da un lato all’altro del capillare.
2. La solubilità nei lipidi e/o il grado di ionizzazione sono fattori determinati nell’attraversamento di questa
membrana.
3. Alcune sostanze lipofile possono riuscire ad entrare ma vengono rimosse da trasportatori e non
raggiungono concentrazioni sufficienti, come nel caso della ciclosporina.
4. Altre sostanze invece sfruttano il trasporto mediato da carrier.

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Per esempio:
1. L’MPTP derivato della meperidina di cui è prodotto collaterale di sintesi, è una sostanza che in virtù della
sua struttura simile alle molecole endogene (es dopamina), sfrutta il trasportatore specifico per
attraversare la bee ed entrare nel tessuto nervoso. Qui ci sono le MAO, capaci di trasformare farmaci e
molecole endogene. L’MPTP entrato nella cellula acquisisce una carica positiva, non è in grado di uscire dal
neurone e si deposita nei nuclei della sostanza grigia e della substantia nigra, dove causa alterazioni
funzionali dei mitocondri e conseguente morte del neurone. Il soggetto che ha internalizzato questa
sostanza vede l’insorgenza di una patologia Parkinson-simile di derivazione iatrogena, dovuto non tanto
alla vecchiaia ma ad altre cause;
2. Il 2-PAM è un derivato con un ammonio quaternario, non passa nel cervello ed è inefficace nel
contrastare l’inibizione della colinesterasi causata da insetticidi organofosforici;
3. La ciclosporina;
4. Il CH3Hg si combina con la cisteina, formando un complesso sulfidrilico simile alla metionina, che viene
trasportato da un carrier per aminoacidi.

3D2. LA PLACENTA:
La placenta è il nesso funzionale tra la madre e il prodotto del concepimento. È una struttura molto
complessa, costituita da molti strati di tessuto e da una irrorazione sanguigna molto importante, che porta
il sangue ossigenato e ricco di sostanze nutritive al figlio; sempre tramite la placenta il flusso ritorna alla
madre con le sostanze di scarto metabolico del

feto.
Se la madre produce degli anticorpi nei confronti di un patogeno, attraverso la pinocitosi questi possono
passare dalla madre al prodotto di concepimento.
È una struttura particolarmente ricca di
trasportatori specifici, ed alcuni xenobiotici li
sfruttano riuscendo quindi ad arrivare al feto e dare
luogo, per esempio, all’effetto teratogeno. Non
necessariamente uno xenobiotico deve attraversare
la placenta per arrecare danno; può anche solo
mandare in sofferenza metabolica o in anossia la
placenta; ancora condizioni patologiche della madre
che alterano la circolazione sanguigna e l’irrorazione
della placenta non è efficace; o anche traumi che
portano poi al distacco placentare, il figlio non ha
più nessun modo di sopravvivere.

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La barriera quindi deve, allo stesso tempo, proteggere il feto e garantire l’arrivo allo stesso di sostanze utili
allo sviluppo.

Molte sostanze assunte durante la gravidanza


possono risultare poi teratogene e causare al prodotto
di concepimento:
- La morte;
- Un’alterazione funzionale;
- Un’alterazione della struttura ossea;
- Un ritardo nello sviluppo.
La sostanza può aver attraversato la placenta,
danneggiato la placenta, alterato lo stato di salute
della madre e di conseguenza del prodotto di concepimento. Vediamo a sopra qualche esempio che
rivedremo poi nella teratogenesi.
L’etanolo non ha nessuna struttura preclusa, passa ovunque; non c’è una dose minima che la donna in
gravidanza può assumere senza rischiare l’effetto teratogeno: anche la minima molecola può creare
conseguenze sul feto.
Gli antiepilettici assunti in stato di gravidanza invece, per esempio, porta il bambino ad avere la spina
bifida: le vertebre non si chiudono attorno al midollo che rimane esposto, con gravi implicazioni sul
condurre una vita normale.
Disturbi di iperattività o difficoltà di apprendimento del bambino nell’età scolare (4-6 anni) possono essere
manifestazioni ritardate di un’esposizione ad un agente teratogeno durante la gravidanza.

4. L’ELIMINAZIONE DI UNO XENOBIOTICO: allontanamento dall’organismo


1) Metabolismo o biotrasformazione 
prevede una modifica chimica della
molecola che, nella maggior parte dei
casi, sarà resa più solubile ed idrofila per
eliminarla per via renale. Si possono
ottenere metaboliti attivi o inattivi.
Il metabolismo è prevalentemente
epatico, ma non esclusivamente. CYP450
come tutti gli altri enzimi ad attività
metabolica sono presenti in tutti i tessuti
corporei, a cui si ricorda di aggiungere
tutti gli enzimi batterici caratteristici dei batteri che ci colonizzano.
2) Escrezione  non c’è biotrasformazione ma viene eliminata così come è dopo che questa è
stata distribuita ed ha espletato la sua azione (a meno che non si leghi in modo irreversibile a
qualche bersaglio molecolare). Sono sostanze intrinsecamente idrofile.
Un esempio sono le sostanze radioattive come il trizio, usato come marcatore in ambito sperimentale.
Si sostituisce ad un atomo di H nella molecola e si può rilevare la concentrazione tramite spettroscopia.
Questo si sostituisce a molecole corrispondenti non radioattive in tessuti organici e, a seconda del suo
tempo di decadimento permane nell’organismo fino a quando la molecola contenente l’idrogeno sostituito
non viene rinnovata… si lega però a tutti gli idrogeni che trova: non lo levi più (tempo di decadimento di
circa 3 000 anni).

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4A. POSSIBILI ESITI DELLA BIOTRASFORMAZIONE:
Il metabolismo è a carico
principalmente del fegato (80%) ma
enzimi con attività metabolica sono
presenti anche su tutte le mucose,
nell’apparato respiratorio, in quello
intestinale (epiteli) e prodotti dal
microbiota intestinale (enzimi di natura
batterica).
Caso di metaboliti attivi: il metabolita
prolunga l’azione farmacologica che
può essere quella desiderata o una
tossica, ed è quindi necessario
caratterizzarlo. Codeina si trasforma in morfina, che ha attività farmacologica diversa da quella della
codeina, usata come antitussivo. La fenacetina è il paracetamolo e dà luogo ad un metabolita
particolarmente reattivo, che interagisce col substrato biologico a livello degli epatociti e causa un danno
ossidativo tale che il glutatione presente non riesce a tamponare perché viene interamente consumato;
questo succede a dosi superiori di 2g. Nel giro di 16 ore, senza antidoto, si ha insufficienza epatica acuta
fatale.
Altro caso: soggetto con il sistema del glutatione alterato, scarsa reattività del sistema antiossidante,
causato da stati patologici o fisiologici/stili di vita, come nel caso del soggetto a digiuno, dove questo
sistema è rallentato  la tossicità può avvenire anche a concentrazioni terapeutiche.
Allo stesso modo si analizza l’alcolista: l’etanolo cronicamente assunto, oltre a mettere fuorigioco il
glutatione, è un induttore metabolico  stimola l’attività del citocromo, aumentando la conversione del
paracetamolo a metabolita tossico, risultando in manifestazione tossica anche a dosi terapeutiche

Caso dei profarmaci: si somministra nei casi in cui il farmaco non è stabile chimicamente o nell’ambiente
gastrico, non è disponibile, è necessario che non sia attivo nelle prime fasi di esposizione ma solo dopo il
passaggio epatico (basso IT?); la sua attività dipende solo dal citocromo e dal suo livello di attivazione
metabolica. In caso di soggetti politrattati con farmaci che possono modulare l’attività enzimatica epatica è
necessario valutare le conseguenze che potrebbero avere sull’attivazione dei profarmaci: nel caso di
somministrazione di farmaci
inattivanti metabolici, c’è rischio di
andare incontro a fallimento
terapeutico (do il farmaco ma non
vedo l’effetto; mancata scomparsa
del sintomo patologico. Questo
effetto avverso rientra nella
categoria F = failure).

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4B. BIOTRASFORMAZIONE E TOSSICITA’:
La biotrasformazione epatica può dar luogo a intermedi molto reattivi; si possono avere:
- Intermedi reattivi: generalmente elettrofili (hanno una carenza elettronica spiccata che li porta a
reagire con nucleofili biologici (acidi nucleici, proteine, basi azotate, ecc.) danneggiandoli anche
irreversibilmente. Con gli acidi nucleici può formare addotti stabili, che vincola geometricamente la
struttura impedendogli di cambiare conformazione per trascrizione, replicazione, ecc.
o Possono essere carbocationi, nitrenio, aziridinio, episolfonici, epossidi.
- Radicali liberi: molecole con uno o più elettroni spaiati, derivanti dalla rottura simmetrica del
legame; possono interagire con la maggior parte delle molecole biologiche e danno reazioni
radicaliche a catena. Uno di questi eventi è rappresentato dalla perossidazione lipidica, che
danneggia la membrana citoplasmatica per degradazione dei fosfolipidi costituenti, fino a lisi
cellulare e morte.
o Può essere il CCl4  CCl30 + Cl0;

Gli xenobiotici (sia farmaci che non farmaci)


possono essere trasformati in intermedi reattivi
caratterizzati da una certa tossicità che si
riscontra nell’organo o nel tessuto in cui si
originano, per questo il fegato è spesso organo
bersaglio di tossicità.

4C. ENZIMI PREPOSTI ALLA BIOTRASFORMAZIONE:

- Fase I: generazione di un particolare gruppo


funzionale che è identificato come target;
- Fase II: lo coniugazione con una molecola molto
idrofila di modo da aumentarne la solubilità e
facilitarne l’escrezione renale.
Caratteristiche: scarsa selettività ma alta densità
con cui compensano. Inoltre al fegato arriva il
flusso della vena porta (come volume secondo
solo all’aorta), quindi tutto ciò che passa per il
tratto g.i., cibo farmaci veleno ecc, ed abbiamo il metabolismo di primo passaggio. Pur essendo qui
concentrati, sono presenti anche in altri distretti come la mucosa intestinale, i polmoni, l’epitelio nasale, la
barriera ematoencefalica e placentare, tutti distretti che rappresentano un accesso all’interno
dell’organismo. Gli enzimi metabolici hanno attività modulabile: indotta, inibita o variata nella velocità.

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Gli enzimi preposti alla biotrasformazione hanno una preferenza per le molecole lipofile e sono sensibili ad
eventuali modifiche.

4C1. LOCALIZZAZIONE CELLULARE DEGLI ENZIMI PREPOSTI ALLA BIOTRASFORMAZIONE:

A prescindere dal tipo di cellula, questi enzimi sono


localizzati nel reticolo endoplasmatico, chiamati
microsomiali. Presenti anche nella frazione solubile
del citoplasma e in minor quantità, nei lisosomi,
mitocondri, perossisomi e nella membrana nucleare

IL CITOCROMO P450:
Questo è l’enzima più importante nel metabolismo degli xenobiotici. È una proteina intrinseca di
membrana contenente un gruppo eme, dove il ferro può esistere in forma ossidata o ridotta.
Una volta complessato in forma ridotta con CO, ha un massimo di assorbimento a 450 nm (Pigmento che
assorbe a 450 nm, da qui il nome).

L’enzima presenta polimorfismo, mutazioni che alterano la funzionalità del citocromo (funziona meno o
non funziona per niente→ profarmaci che non vengono attivati, xenobiotici che non vengono
metabolizzati, ecc.); l’incidenza è anche su base etnica (alcuni gruppi etnici hanno una frequenza di
polimorfismo a carico del citocromo marcata, altri meno= variabilità di frequenza) nella popolazione.
Questo porta ad una notevole variabilità individuale, causando una alterata farmacocinetica o
tossicocinetica. In questo grafico sono
analizzate le percentuali con cui i vari
citocromi entrano in gioco nel metabolizzare

le differenti sostanze.

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Alcune isoforme di citocromo sono più attive nella metabolizzazione dei farmaci. CYP3A4, CYP2D6, CYP2C9.

 Le diverse isoforme di citocromo sono responsabili di varie risposte tossiche:


Il caso del benzopirene:

Il benzopirene non è di per sé una sostanza cancerogena,


ma a seguito di metabolismo a carico del citocromo viene
convertito in un addotto che presenta una funzionalità
epossidica, sostanze con potenziale cancerogeno
riconosciuto in grado di interagire e formare un addotto
molto stabile con gli acidi nucleici impedendogli di
espletare le normali funzioni.

Il caso dell’aflatossina:
Composto prodotto da microrganismi per errata
conservazione di derrate alimentari, soprattutto cereali. Una
volta ingerita, viene convertita in un derivato capace di
legarsi stabilmente al DNA. Si è scoperto per l’alta incidenza
di cirrosi e carcinoma epatico in popolazioni dell’America
centrale, soprattutto brasile. Qui il grano era conservato in
condizioni non idonee, da cui l’incidenza trasversale a
prescindere da sesso, età, esposizione in ambienti diversi, ecc.

Il caso del paracetamolo:


La tossicità epatica da paracetamolo non è da
correlare al meccanismo d’azione (inibizione
delle ciclossigenasi, mentre lo è per la
tossicità renale), ma è dovuta al suo
metabolismo in casi di sovradosaggio.
A dosi terapeutiche, viene solfatato o
glucuronato; solo il 7-10% subisce
biotrasformazione a carico del citocromo in
benzochinonimmina. Nel soggetto sano
questa quota non risulta tossica perché viene efficacemente contrastata dal glutatione.
A dosi molto elevate invece quel 10% di benzochinonimmina prodotta inizia ad essere una quantità elevata,
tanto da saturare il sistema ossidoriduttivo del glutatione, essere presente in eccesso ed espletare potente
attività epatotossica. (in soggetti fragili o compromessi invece può succedere anche a dosi terapeutiche)

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Il caso dell’etanolo:

Altro caso di isoforma cyp450


responsabile di tossicità riguardo il
metabolismo dell’etanolo. Quando
ingerito, l’etanolo può subire
biotrasformazione da parte del
citocromo (in alto) o della catalasi
(in basso), portando alla produzione
di acetaldeide (metabolita tossico
propriamente detto) che, di nuovo
trasformata nei mitocondri, dà
luogo ad acido acetico eliminato poi
come anidride carbonica e acqua.
La produzione di questo intermedio
tossico viene sfruttata ai fini terapeutico per trattare l’etilismo: il disulfiram è un inibitore enzimatico che
impedisce la conversione dell’acetaldeide in acido acetico facendola accumulare nei tessuti e
permettendole di espletare tutti i suoi effetti tossici (nausea, vomito, alterazioni cardiovascolari, tant’è che
il trattamento viene effettuato solo in ambiente ospedaliero). In questo modo si cerca di operare una
disuassefazione, facendo associare questi effetti sgradevoli al consumo di alcol e quindi disabituarlo al
consumo. (percorso di rieducazione e disintossicazione dell’etilista cronico).

Il destino delle diverse sostanze


all’interno del corpo dipende
sicuramente dalle proprietà
intrinseche e dalla natura dello
xenobiotico, che determina se e quali
biotrasformazioni subirà. Altro fattore
molto importante è però la
modulazione degli enzimi metabolici:
la loro attività non è costante, essendo

51
proteine sono soggetti a numerose
fluttuazioni di intensità dell’attività,
che è inoltre modulabile da
innumerevoli fattori, endogeni ed
esogeni, che vediamo di fianco.
Età: nei bambini l’apparato metabolico epatico, così come il microbiota intestinale, le barriere fisiche ed il
sistema immunitario sono scarsamente sviluppati, rendendoli più vulnerabili a risposte diverse rispetto a
quelle dell’adulto. L’attività dei citocromi p450 è più scarsa e bisogna tenerne conto nella definizione di una
terapia o nel calcolo del rischio a seguito di esposizione a xenobiotici in generale.
Sesso: ci sono delle differenze tra M e F
Fattori ambientali e stile di vita: include le abitudini, gli ambienti frequentati, zona in cui si vive (vedi ILVA)
Dieta: alcuni cibi sono capaci di indurre (crucifere, acroleina generata da cotture eccessive o fritture) o
inibire (pompelmo)
Farmaci manco a dirlo (anche, ovviamente, naturali)
Fattori genetici: consiste nell’esistenza di polimorfismi, ovvero esistenza di variante polimorfica: Proteina
con sequenza di amminoacidi diversa da quella corretta di quell’enzima, dovuta al fatto che sul Dna si è
venuta a creare una mutazione, tale per cui nel momento della trascrizione e traduzione vengono a crearsi
delle proteine che funzionano meno o per nulla rispetto a quelle corrette.
Se questi polimorfismi coinvolgono gli enzimi deputati al metabolismo si ottiene un’alterazione dello
stesso.
Malfunzionamento del fegato: se per epatite, insufficienza epatica o tumore viene alterato il
funzionamento del maggiore sito di metabolismo, verrà alterato il pattern di biotrasformazione degli
xenobiotici.

4C2. INDUZIONE DEGLI ENZIMI:

Gli enzimi epatici possono essere inibiti o indotti.


L’induzione può essere di due tipi: induzione di espressione, parte uno stimolo che induce la traduzione del
DNA e quindi la sintesi di una proteina, con conseguente aumento del numero delle proteine e
potenziamento dell’attività metabolica; oppure si può avere induzione di attività biochimica.
Le conseguenze dell’induzione enzimatica variano in base alle condizioni.

52
Se somministro un farmaco sottoforma di profarmaco in un paziente i cui enzimi metabolici sono stati
indotti, si ha un aumento della sua biotrasformazione e aumento di concentrazione della specie attiva,
rischiando di sfociare in un effetto tossico. Viene alterato il profilo farmacologico di quel farmaco perché
anziché essere trasformato in un tempo t, sarà trasformato in un tempo t’ minore di t. Può anticipare
l’effetto terapeutico oppure averlo troppo accentuato.
Se invece è il caso di un farmaco attivo di per sé e che ha metaboliti inattivi, con l’induzione enzimatica
l’effetto terapeutico viene ridotto drasticamente a causa della maggiore conversione, sottraendo più
velocemente la quota di specie attiva → Riduzione effetto terapeutico.
Posso invece osservare un aumento effetto terapeutico quando lo stesso meccanismo è subito da un
farmaco che dà metaboliti attivi, rischiando in alcuni casi di arrivare a concentrazioni tossiche.

Il fenobarbitale (sedativo ipnotico) è l’induttore più forte del citocromo che conosciamo, è utilizzato in
alcuni modelli di epatocarcinoma da CCl 4: per potenziare gli effetti cancerogeni del CCl 4 ed accelerare i
tempi dell’insorgenza della malattia nel ratto viene somministrato fenobarbitale: dopo due settimane di
trattamento si passa al trattamento con il tetracloruro di carbonio che vede, in massimo un mese,
l’insorgenza della cancerogenesi quando, senza il primo trattamento, la si avrebbe dopo 60/70 giorni.
I barbiturici in generale sono comunque discreti induttori degli enzimi, seppur meno potenti del
fenobarbital.
L’etanolo può essere definito co-responsabile dell’effetto tossico del paracetamolo, in quanto chiaro
induttore del citocromo. Esso favorisce la biotrasformazione del paracetamolo in benzochinonimmina (a
dosi terapeutiche). Un soggetto etilista cronico, che vede l’induzione dei citocromi per l’assunzione cronica
di etanolo, è posto ad un rischio maggiore di tossicità epatica anche a dosi terapeutiche.

 MECCANISMO DI INDUZIONE:

Il meccanismo prevede l’interazione con recettori della cellula che presenta i citocromi, ad esempio
epatica.
Vediamo il meccanismo di induzione della TCDD, una diossina, presa come modello per la presenza dei 4
atomi di Cl da cui l’attività di induzione metabolica massima; è una sostanza lipofila, passa abilmente la
membrana e può legarsi alla struttura recettoriale citoplasmatica (vedi schema), che è presente come
complesso multiproteico. Al momento del legame il complesso cambia conformazione, espone una
sequenza di localizzazione nucleare, trasloca nel nucleo e con questa sequenza esposta riconosce e lega
specifici segmenti del DNA, che si trovano nel promotore del gene che codifica per il P450, e questo innesca

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il segnale di inizio trascrizione di RNA e poi traduzione in proteina corrispondente. (Questa sequenza di
DNA è noto anche come DRE -dioxin regulatory elements, analogamente al GRE per i corticosteroidi).

4C3. INIBIZIONE DEGLI ENZIMI:


È possibile inibire l’attività enzimatica in modo molto più semplice, non è necessario agire a livello di
espressione genica, anche se a volte succede che sia ridotta la sintesi degli enzimi, ma non è molto
frequente.
Si può avere la temporanea riduzione dell’attività di alcuni enzimi metabolici in seguito a:
- Inibizione competitiva o irreversibile  si ha quando lo xenobiotico si lega all’enzima, bloccandolo o
rendendo indisponibile il sito di legame al substrato naturale;
- Alterata disponibilità dei cofattori  il cofattore è una molecola essenziale all’enzima dare luogo alla
biotrasformazione;

L’inibizione enzimatica come conseguenza può:


- aumentare l’intensità e la durata dell’effetto terapeutico, perché il farmaco non viene metabolizzato (e
quindi eliminato), col rischio però di sfociare nel range delle concentrazioni tossiche;
- diminuire l’attività farmacodinamica e tossica (nel caso dei profarmaci, dove l’intervento metabolico è
necessario alla generazione del metabolita attivo che espleterà l’attività farmacologica).

Tra gli inibitori troviamo:


- antifungini  ci sono interazioni tra antifungini e antistaminici molto importanti, perché possono portare
all’alterazione dell’attività elettrica del cuore, fenomeno del QT lungo, inducendo un effetto tossico di un
farmaco che, di suo, non lo ha;
- cimetidina  non più utilizzata a causa della sua potente attività di interferenza negativa con il sistema
metabolico e quello di interferenza con recettori degli androgeni, che nel maschio causava ginecomastia,
impotenza;
- alcol assunto in acuto (grosse quantità in breve periodo di tempo);
- succo di pompelmo;
La zona gialla corrisponde alle
concentrazioni terapeutiche, mentre
quella rosa alle concentrazioni tossiche.
Quando abbiamo la possibilità di
polimorfismo ad una proteina,
consideriamo l’esistenza di due alleli =
due sequenze geniche: il wild, naturale
sano, e il variant, mutato.
Può essere mutato un solo allele o entrambi per esprimere proteine varianti, ma il fenomeno sarà più
marcato nell’omozigote mutato rispetto all’eterozigote. L’omozigote mutato non ha neanche una sequenza
che codifica per la proteina corretta, per cui tutti i farmaci che dovrebbero essere metabolizzati da quella
specifica isoforma rimangono tal quali, andando nel range delle concentrazioni tossiche a parità di dose con
wild/wild e wild/variant.
Nonostante la mancanza del pattern metabolico, la concentrazione plasmatica ad un certo punto
diminuisce anche nell’omozigote mutato, perché il farmaco dal torrente ematico si distribuisce in altri
distretti e, man mano che si ridistribuisce ai tessuti, la concentrazione plasmatica tenderà a ridursi

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arrivando all’eliminazione del farmaco attraverso la bile -quindi nelle feci- o per via renale, in base alla sua
natura chimica. I tempi saranno inevitabilmente dilatati.

5. L’ESCREZIONE
Una sostanza, in virtù della sua struttura chimica, può essere escreta immutata oppure metabolizzata e poi
escreta.
È possibile condizionare l’escrezione di modo da accentuarla o limitarla. È solito combattere le
intossicazioni da xenobiotici tossici stimolando, e quindi aumentando, l’escrezione.
Alcune vie di escrezione sono utili nel caso della medicina forense (come sangue, urine, campioni biologici
diversi (come capelli, sudore, saliva, feci…)). Si ha da considerare come via di escrezione anche il latte
materno, soprattutto se si deve trattare una madre con antibiotici o se viene esposta a tossine.
Vie principali di escrezione:
- renale: è la via preferita di escrezione di sostanze piccole e idrofile; le lipofile e/o particolarmente
ingombranti sono eliminate in altro modo;
- biliare: le sostanze sono biotrasformate a livello epatico e vengono poi riversate nell’intestino dalla
colecisti contemporaneamente alla bile. Lo xenobiotico nell’intestino può essere:
 substrato di enzimi batterici che scindono il coniugato, rigenerando la molecola iniziale e le
permettono di tornare in circolo perché viene riassorbita;
 eliminato con le feci  non riassorbito;
 riassorbito dall’intestino  questo dipende dalla struttura della molecola stessa.
Vie di escrezione secondarie:
- latte materno
- lacrime, sudore, saliva
- capelli (si ritrovano anche molto tempo dopo l’esposizione, come oppioidi)
- intestinale
-
5A. L’ESCREZIONE RENALE:
L’escrezione renale avviene
attraverso il tessuto renale
che possiede una unità
filtrante: il nefrone. Questo
presenta il glomerulo, il
filtro vero e proprio
attraverso cui passa il
sangue.
Dato che la concentrazione
ematica di una sostanza è
generalmente maggiore di
quella renale, le sostanze
dal torrente circolatorio
passano attraverso la
membrana del glomerulo al
rene. Questo è possibile per molecole con caratteristiche ben definite: piccole e idrofile e da lì attraversano
le porzioni successive del nefrone, dove posso essere riassorbite o secrete portando alla produzione di
urina. Tutte le sostanze essenziali o che impegnerebbero troppo l’organismo a risintetizzarle vengono

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riassorbite, come le vitamine; le sostanze derivate dal catabolismo, o metaboliti di farmaci e xenobiotici ora
idrofili vengono secrete ed eliminate con l’urina.
Molecole ad alto peso molecolare e proteine non passano attraverso il glomerulo (se il soggetto è sano).
Alcuni antibiotici causano spiccata tossicità renale (infiammazione) alterando la permeabilità del glomerulo
al punto che riescono a passare anche le proteine, tra cui l’emoglobina: se si rilevano tracce di emoglobina
all’analisi delle urine è segno di danno renale.
Attraverso il nefrone quindi le
sostanze utili sono riassorbite,
quelle di scarto come i metaboliti
dati dalla biotrasformazione dei
medicinali possono essere secrete
(la secrezione è un processo attivo,
in cui le sostanze attraversano una
membrana contro gradiente e che
necessita la spesa di energia da
parte della cellula) oppure filtrate,
cioè il passaggio secondo gradiente
delle sostanze.

 vengono secrete sostanze sia di natura


endogena che esogena

5A1. LA CLEARANCE RENALE E RIASSORBIMENTO:


Per capire se l’escrezione attraverso il rene è ottimale
è necessario misurare la funzionalità renale; un indice
molto importante è la clearance renale (l’efficienza
del rene nell’eliminazione delle sostanze). Per
definizione è il volume di plasma che contiene la
quantità x escreta dal rene in un’unità di tempo;
operativamente viene calcolata dividendo la velocità
di escrezione renale per concentrazione plasmatica
della molecola d’interesse. Per capire se una sostanza
ha avuto un effetto tossico sul rene analizzo le
caratteristiche dell’urina ed osservo la velocità di
filtrazione renale.
È possibile modificare arbitrariamente la funzionalità renale nei casi in cui sia necessario per velocizzare
l’eliminazione di una sostanza, nei casi di intossicazione o di sovradosaggio di un farmaco, per esempio
inducendo una diuresi forzata somministrando quantità significative di fluidi e furosemide (stimola la
diuresi); si può modificare il pH, modificando l’equilibrio di dissociazione della sostanza in esame a favore
della forma ionica affinché sia più efficacemente eliminata con
le urine, oppure con l’emodialisi.
Una condizione essenziale per accelerare l’escrezione è che lo
xenobiotico sia eliminato già di default dal rene per sua
natura.
Un’altra condizione necessaria è che la sostanza sia soggetta
ad un equilibrio di dissociazione, in questo modo potrò

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modificare il pH urinario in modo da spostare l’equilibrio verso la forma ionica ed evitare che ci sia un
riassorbimento della forma neutra a livello dei tubuli renali.
Nel caso in cui il pH dell’urina fosse alcalinizzato per somministrazione di bicarbonato, verrà stimolata
l’eliminazione di sostanze acide (es. fenobarbitale, aspirina). Sostanze basiche invece si troveranno perlopiù
nella loro forma neutra e verranno marcatamente riassorbite a livello dei tubuli, ritornando al sangue (ad
un’analisi dell’urina l’amfetamina non sarà rilevata)
Esperimento: somministrazione a 3 soggetti a diverse condizioni di una dose fissa di metamfetamina per via
orale. È stata poi registrata la quantità
di amfetamina escreta in funzione del
tempo.
Nella linea tratteggiata nera abbiamo il
soggetto a cui viene somministrata
soltanto metanfetamina. La sua
eliminazione dipende soltanto dalla
concentrazione della molecola e dal
pH fisiologico delle sue urine. Dopo
12h circa si può verificare la presenza
di un plateau.
Nella linea tratteggiata blu: si sono
somministrati al paziente dei
modificatori di pH che portano ad
un’alcalinizzazione delle urine, la
forma prevalente al’equilibrio sarà quella neutra, riattraverserà quindi le membrane delle cellule tubulari e
tornerà al circolo ematico; nelle urine se ne riscontrerà una quantità infinitesimale.
Nella linea rossa: si sono somministrati degli acidificatori delle urine, portando il pH a circa 5. La quantità
nelle urine è significativamente più alta, perché la maggior parte di metanfetamina a livello renale è in
forma ionica.

In questo esperimento del 1970 si sono


trattati con amfetamine dei soggetti divisi in
due gruppi, uno a cui sono state basificate le
urine ed uno a cui sono state acidificate,
andando a rilevare tre parametri: le quantità
di sostanza nelle urine, nel sangue e le
manifestazioni cliniche dei singoli soggetti.

 farmaci la cui escrezione può essere aumentata dalla variazione del pH urinario:
- in urine acide  amfetamina, codeina, impramina, meperidina, morfina, nicotina, procaina;

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- in urine alcaline  acetazolamide, amminoacidi, nitrofurantoina, fenilbutazone, probenecid, acido
salicilico, sulfonammidi;

Caso del probenecid:


È un farmaco antigottoso, per
diminuire i valori di acido urico
ematico. Il probenecid ha un
doppio punto d’attacco: sulla
superficie (sia apicale che
basolaterale) delle cellule dei
tubuli renali ci sono numerosi
trasportatori addetti alla
fuoriuscita delle sostanze nel
sangue o nelle urine; il probenecid
blocca i trasportatori OAT1 e
OAT3, incaricati della secrezione attiva di acido urico dal sangue ai tubuli, e URAT, che favorisce il
riassorbimento dell’acido urico dall’urina al tubulo renale
ciche causa inibizione e competizione rispettivamente con i sistemi di trasporto e riassorbimento.

5B. L’ESCREZIONE BILIARE:


Alcune sostanze vengono eliminate tramite le feci previa
interazione con la bile. Dall’intestino gli xenobiotici arrivano al
fegato tramite la vena porta che raccoglie il sangue refluo delle
mucose intestinali; qui alcuni passano alla vena cava senza subire

alcuna modifica e vengono distribuiti a tutti i distretti, mentre


altri, per le loro dimensioni e/o per la loro natura chimica, subiscono l’attacco da parte degli enzimi epatici
(metabolismo di primo passaggio): dopo la biotrasformazione, i metaboliti possono essere rilasciati nel
torrente ematico e quindi distribuiti oppure essere riversati nella cistifellea, dove c’è la bile con gli acidi
biliari.
Dal fegato, quotidianamente, circa 1 litro di bile al giorno è riversata nel dotto epatico per poi andarsi ad
accumulare nella cistifellea. In seguito ad uno stimolo questa si contrae riversando la bile e tutti gli
eventuali xenobiotici nel coledoco che sfocia poi nel duodeno.

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La bile nell’intestino svolge il ruolo di emulsionare i lipidi introdotti con l’alimentazione per renderli
attaccabili dalle lipasi, quindi favorendone la digestione e l’assorbimento. I metaboliti rilasciati
nell’intestino insieme alla bile possono essere eliminati con le feci oppure, se ha subito coniugazione,
essere nuovamente idrolizzati a metabolita libero dagli enzimi batterici del microbiota. La sostanza ora
libera può essere nuovamente riassorbita, con conseguente prolungamento dell’effetto farmacologico, che
sia un farmaco o un tossico (questo ciclo è denominato circolo entero-epatico)
Per uno xenobiotico entrare a far parte della bile è possibile perché il fegato è ricco di trasportatori che si
occupano della secrezione all’interno dei dotti biliari.
Esistono quattro diversi sistemi di trasportatori:
- per gli anioni organici (OATP, glucuronoconiugati);
- per cationi organici (OCT, destrotubocurarina);
- per gli acidi biliari (BSEP);
- per sostanze non ionizzate (digitalici);

5B1. L’ESCREZIONE CON LE FECI:


Si ha una eliminazione diretta senza assorbimento nel tratto gastrointestinale nel caso di xenobiotici ad alto
peso molecolare come polimeri e ammoni quaternari. Questi raggiungono il tratto intestinale attraverso la
bile oppure sono qui secreti dagli enterociti tramite diffusione passiva o tramite il fisiologico turnover
cellulare dell’epitelio intestinale.

5C. L’ESCREZIONE ATTRAVERSO L’APPARATO RESPIRATORIO:

La via polmonare è la via di escrezione di metaboliti e xenobiotici che sono in fase gassosa nel sangue. Da
questo passano agli alveoli tramite diffusione passiva (e quindi secondo gradiente):
[xenobiotico]plasma > [xenobiotico]aria alveolare

I gas poco solubili nel sangue (come l’etilene) sono quindi eliminati più rapidamente di quelli più solubili
(come il CHCl3).
I liquidi molto volatili sono paragonati a gas e quindi si eliminano esclusivamente seguendo questa via,
sono sostanze come gli anestetici volatili e l’etere.

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 L’eliminazione dei gas è inversamente proporzionale alla velocità di assorbimento e la quantità di
sostanza escreta dai polmoni è proporzionale alla sua tensione di vapore.

Gli anestetici altamente liposolubili (es. alotano, metossiflurano…) possono essere presenti nell’aria
espirata fino a 2-3 settimane dopo l’esposizione a causa del loro deposito nel tessuto adiposo, che funge
quindi da reservoir.
La via di eliminazione polmonare è sfruttata da strumenti
come l’etilometro.
Il rapporto di etanolemia (= concentrazione di etanolo nel
sangue) e aria alveolare è relativamente costante  80mg
di etanolo in 100 ml di sangue producono 35 g/100 ml di
etanolo nell’aria espirata.
L’etanolo viene rapidamente assorbito a livello dello
stomaco e del piccolo intestino, passa nel torrente
circolatorio, molto velocemente, e da qui si distribuisce a
tutti i fluidi biologici e ai tessuti in proporzione al contenuto
di acqua. Viene anche eliminato molto rapidamente, ad una
velocità di circa 0,1 g/kg per ora (= 0,15-0,20 g/L per ora nel sangue) ad opera del fegato. Dopo 6-8 ore
dall’assunzione, l’etanolo, non è più rilevabile nel sangue.
In confronto al sangue e all’aria espirata, l’etanolo nelle urine può essere ritrovato anche alcune ore più
tardi, essendosi le urine raccolte nella vescica.
Un’ ultima parte di etanolo viene eliminata per via polmonare (per questo funziona il test del palloncino).
quando la concentrazione
ematica arriva a 0,8 si ha la
depressione dei centri motori
e perdita equilibrio (incapacità
di camminare lungo una linea
retta). Dopo 1,2 c’è mancanza
totale di coordinazione e
andatura barcollante, non c’è
percezione e reattività al
pericolo. Da 4 in poi abbiamo
una vera e propria
intossicazione, si perde
conoscenza, rischio coma,
depressione dei centri
respiratori e morte. (**) i
valori sono indicativi perché
nei soggetti di sesso femminile
gli effetti si hanno ad una dose più bassa. Questo avviene
per la diversa composizione corporea: quantità di acqua,
quantità di muscolo e distribuzione dell’adipe.

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5E. L’ESCREZIONE ATTRAVERSO IL LATTE:
Le sostanze tossiche vengono escrete nel latte per diffusione semplice, quindi parliamo di sostanze lipofile.
Possono essere escrete anche le sostanze basiche perché il latte ha un pH di circa 6,5, quindi leggermente
minore di quello del sangue.
Le liposolubili invece diffondono insieme ai grassi dal sangue nella ghiandola mammaria: il latte contiene il
3-4 % di lipidi.
Per esempio, sostanze escrete nel latte: DDT, PBP, piombo.
Tossicità da escrezione nel latte:
cloramfenicolo → danni al midollo osseo del neonato
diazepam → si accumula e causa sedazione al neonato,
che dorme parecchio
Ma soprattutto è un meccanismo da tenere in
considerazione nelle donne che fanno uso di sostanze
d’abuso, per una duplice motivazione: hanno una
tossicità intrinseca, che si espleterà nel neonato con
tutti i danni conseguenti, ed inoltre lo espongono a periodiche crisi d’astinenza tra un allattamento e l’altro.
Questo fenomeno si verifica anche alla nascita: quando la madre è un’utilizzatrice di sostanze d’abuso
durante la gestazione, il feto viene esposto a queste sostanze attraversi gli scambi ematici con la madre che
avvengono nella placenta. Al momento della nascita cessa la relazione funzionale con il sangue materno
attraverso il taglio del cordone ombelicale, le due circolazioni sanguigne sono ora indipendenti ed alcuni
neonati manifestano subito segni di crisi d’astinenza.
Caso particolare delle tetracicline (= antibiotici): sono di colore giallo, hanno una forma simile alle chele di
un granchio ed hanno la capacità di chelare il calcio inglobandolo nella loro struttura. Nei bambini esposti a
questi farmaci le tetracicline, che hanno alta affinità per i tessuti ricchi di calcio, si legano e rimangono
bloccate nel tessuto dentario, per cui si avrà una colorazione gialla dello smalto dei denti permanenti.

4F. VIE DI ESCREZIONE ̴ I CAPELLI:


L’accumulo di xenobiotici nei capelli è un processo irreversibile e quantitativamente trascurabile, ma
rimangono nei capelli molto tempo dopo l’uso, per cui diviene utile nel caso di rilevazione di droghe
d’abuso come cocaina, oppiacei, amfetamine e tetraidrocannabinoli.

LA TOSSICITA’ DELLO SVILUPPO

La tossicità a carico del prodotto di concepimento cambia in funzione della fase dello sviluppo in cui
avviene l’esposizione.
Teratologia = area specializzata dell’embriologia che studia l’eziologia dello sviluppo anormale (cioè le
imperfezioni presenti alla nascita).
Teratogeni = xenobiotici che causano malformazioni nel feto in via di sviluppo, in qualsiasi fase di esso
(farmaci come gli antiepilettici, sostanze d’abuso, ormoni presenti negli anticoncezionali, sostanze tossiche

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con cui venimo a contatto nella vita quotidiana attraverso l’ambiente o la dieta, componenti delle sigarette
e metalli pesanti).
Teratogenesi = tossicità dello sviluppo, alterazioni morfologiche e funzionali causate da agenti chimici o
fisici che interferiscono con la normale crescita, con l’omeostasi, lo sviluppo, la differenziazione e il
comportamento.

Quanto è frequente l’effetto teratogeno?


- nel 57% delle gravidanze definite positive attraverso i
livelli di gonadotropina corionica umana (hCG) prelevati
dal plasma e non attraverso l’amenorrea, non daranno
luogo ad una gravidanza clinicamente visibile = non sarà
portata a termine.
- 15-20% di gravidanze possono dare luogo ad aborti (di
cui il 90% è nel primo trimestre).

Di fianco vediamo la frequenza delle alterazioni


congenite nel neonato e le cause possibili. Una grossa
fetta sono cause sconosciute, mentre vediamo il 4-5%
dovute a sostanze tossiche.
Per comprendere la suscettibilità a malattie congenite e
la possibile presenza di effetti teratogeni è necessario
rivedere le basi fisiologiche della gestazione

1. GESTAZIONE - FASI E CRITICITA’:


- La prima e la seconda settimana sono rappresentate dalla fase di fecondazione e impianto della blastocisti
nella parete uterina (mucosa endometriale). Qui va incontro ad una differenziazione e si discriminano i 3
foglietti embrionali (ectoderma, mesoderma ed endoderma). Da ciascuno di questi si sviluppano organi che
possono anche essere distribuiti in distretti molto lontani tra loro, ma mantengono la stessa caratteristica
funzionale e spesso las tessa suscettibilità a determinate malattie, come il cancro.
- Dalla terza all’ottava settimana si ha la fase di embriogenesi, la più delicata e sensibile. È infatti la più
suscettibile ad agenti capaci di alterare i processi di differenziazione cellulare. In questa fase i processi
proliferativi coesistono con i fenomeni pro-apoptotici fisiologici, che servono a delimitare le diverse
strutture di modo da regolare finemente la spinta proliferativa, mentre nelle prime due fasi la suscettibilità
è polarizzata: o muore o supera l’insulto tossico e la gravidanza continua.
- Dalla nona settimana al parto, classificata come la fase del periodo fetale, non c’è costruzioni di nuovi
apparati ma si accrescono e si sviluppano le strutture originatesi nel periodo embrionale.
Molti casi di teratogenesi si verificano accidentalmente perché le donne non sanno di essere in gravidanza,
stato che viene definito clinicamente con la misurazione della gonadotropina circa alla sesta settimana di
amenorrea, momento in cui è già avviata l’organogenesi della fase embrionale; di conseguenza in quel
tempo una donna potrebbe essere stata esposta o essersi esposta ad un agente tossico, chimico o fisico
come le radiazioni, senza sapere che fosse in
gestazione.

1A. FATTORI MATERNI DI


TERATOGENESI:

62
Anche l’organismo materno può essere causa di teratogenesi. Si osservano una serie di alterazioni
funzionali nel corpo della madre (che vediamo qui di fianco) fisiologicamente associate allo stato gravidanza
che influenzeranno la farmacocinetica e la tossicocinetica.

Le funzioni che si riscontrano aumentate sono quelle necessarie a far fronte ai bisogni del feto.
Per quanto riguarda quelle diminuite troviamo una ridotta motilità gastrica (difficoltà a digerire per ridotto
svuotamento gastrico), a causa di ormoni che regolano una serie di funzionalità nei diversi distretti tra cui il
pattern di motilità gastrointestinale; diminuzione della quota di proteine ematiche, possibile problema se la
madre assume farmaci che legano proteine plasmatiche perché avremmo una maggiore concentrazione di
farmaco libero e conseguente aumento dell’effetto farmacologico, così come diminuisce l’effetto del primo
passaggio del metabolismo epatico.
Si riscontrano inoltre alterazioni del bilancio idrico-eletrolitico: tipico è l’edema e la ritenzione idrica,
riscontrabile soprattutto negli arti inferiori.
FATTORI CHE CONCORRONO AL DANNO AL
PRODOTTO DI CONCEPIMENTO:
I fattori materni di suscettibilità inducono dei
cambiamenti che rendono la madre ed il prodotto di
concepimento più suscettibili:
- lo stress, che riduce la reattività del sistema
immunitario per la madre e per il figlio
- background genetico, che può dare
malformazioni o predisposizioni ad una
malattia
- lo stato metabolico, come diabete, obesità
(stato infiammatorio di basso grado
abbastanza rilevante, deficit metabolici)
- stati patologici, come ipertensione,
disfunzioni cardiache, insufficienza renale, cancro che oltre ad essere dannosi di per sé obbligano la
madre all’assunzione di farmaci specifici
Unfiglio:
Troviamo poi i potenziali effetti della madre sulla sopravvivenza del esempio di tossicità dello
sviluppo è anche la morte del feto.
- uso di sostanze d’abuso
- Stili di vita non corretti
- Squilibrio endocrino che si esaspera durante la gravidanza

Altre sostanze invece riguardano direttamente le strutture funzionali della gravidanza danneggiandole o
attraversandole e arrivando direttamente al prodotto di concepimento.

2. FATTORI CHE DETERMINANO LA TERATOGENESI:


2A. COMPARTIMENTI:
I compartimenti in cui si possono esplicare le proprietà teratogene di uno xenobiotico sono:
- Materno  altera la farmacocinetica (ADME);

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- Placentare  altera la sua funzione di barriera, trasporto (scambio sangue ossigenato/ricco di
anidride carbonica), metabolismo (anche sulla placenta ci sono tutta una serie di enzimi addetti alla
biotrasformazione);
- Embrionale  bersaglio: può essere più o meno suscettibile geneticamente e quindi resistente agli
insulti esterni;

1) FATTORI MATERNI che posso dare teratogenesi:


o Genetiche  incidenza di labio-palatoschisi (labbro leporino, mancata fusione delle ossa del
palato);
o Patologie  ipertensione, diabete incontrollato, infezioni;
o Dietetiche  malnutrizione o ipernutrizione (in entrambi i sensi – magrezza eccessiva /
obesità / dieta squilibrata);
o Stress  acustico, da immobilizzazione;
o Stile di vita  assunzione di alcol, fumo, sostanze d’abuso

2) FATTORE PLACENTARE
o Placenta  possono esserci alterazioni morfofunzionali della placenta a causa di esposizione
a sostanze che la mandano in sofferenza e causano poi tossicità al feto;
3) FATTORI EMBRIONALI
o Suscettibilità intrinseca dell’embrione, il modo in cui risponde ad uno xenobiotico è
soggetto a variabilità genenetica

3. GLI EFFETTI TERATOGENI:


Questi effetti possono essere di due tipi:
4) Teratogeni diretti  sono effetti causati da una interazione diretta tra il prodotto di concepimento e
lo xenobiotico (agente infettivo, farmaco, alimento, sostanze del fumo di sigaretta, metaboliti
tossici…).
5) Teratogeni indiretti  sono tutte quelle sostanze che hanno un effetto tossico sulla madre o sulla
placenta.

Principi di teratogenesi:
1. La suscettibilità agli effetti teratogeni dipende dal genotipo dell’embrione e dai fattori ambientali
avversi.
 la possibilità che l’embrione o il feto vada incontro ad eventi avversi dipende dalla sua costituzione
genetica e da come essa influisce sulla risposta ad un agente esterno.
2. La suscettibilità e i danni che si riportano a seguito dell’esposizione dipendono dallo stadio dello
sviluppo e dall’epoca in cui l’esposizione avviene  lo sviluppo prevede una serie successiva e
irripetibile di eventi che sono ben definiti dal punto di vista cronologico; se si interferisce con una fase
non c’è modo che questa si riproponga in futuro. Ogni momento dello sviluppo è dedicato ad un
distretto particolare e una volta che si è interferito il danno sarà permanente.
3. Gli agenti teratogeni agiscono con meccanismi specifici  così come nel caso degli xenobiotici, i
meccanismi che danno luogo ad un insulto tossico, alterazione funzionale, danno di tipo teratogeno

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dipendono dalle sostanze stesse a cui si è esposti, per cui ogni meccanismo sarà proprio della sostanza
considerata.
4. Le proprietà chimico-fisiche del composto teratogeno determinano la sua capacità di raggiungere il feto
e i suoi tessuti in via di sviluppo  queste caratteristiche permettono di discriminare gli agenti
teratogeni diretti e indiretti, ipotizzare i loro target e il meccanismo tramite cui esplicano l’attività.
5. Le quattro principali manifestazioni di uno sviluppo anomalo causato da agenti teratogeni sono:
- Morte
- Malformazione (alterazione della struttura del tessuto o del sistema)
- Deficit funzionale (non viene alterata la struttura ma solo il funzionamento)
- Ritardo nella crescita (aspetto più difficilmente attribuibile alla tossicità dello sviluppo a causa delle
manifestazioni così a lungo termine degli effetti -ad esempio si sono svolte ricerche riguardo
l’autismo come manifestazione di tossicità dello sviluppo)
6. Le manifestazioni di tossicità a carico dello sviluppo sono legate alla dose  l’entità con cui una
tossicità si manifesta aumenta all’aumentare della dose, analogamente al principio base della
tossicologia.

L’agente teratogeno può essere definito, insieme alle sue caratteristiche principali, come:
- Organo specifico (a carico di un distretto)
- Specie specifico (importantissimo saperlo per gli studi preclinici: il fatto che in una specie non si
riscontri tossicità dello sviluppo da parte di una sostanza non esclude che ci sia in altre, per cui
prima di poter stilare un profilo tossicologico è necessario testarla su diverse specie)
- Dose specifico
Un farmaco famoso è la talidomide (antinausea), che non sembrava tossica nelle specie testate, ma lì il
problema fu che non erano proprio state incluse le femmine gravide. L’effetto teratogeno riscontrato è
la focomelia (gli arti hanno l’aspetto di pinne, come nelle foche).

4. PERIODI CRITICI NELLO SVILUPPO:


L’esito della manifestazione di tossicità
dipende dalla fase in cui il feto o l’embrione
vengono esposti:
- Fase di preimpianto (fecondazione e
impianto)  è nelle prime due settimane
dopo l’accoppiamento, quando la
blastocisti inizia ad attecchire alla mucosa
uterina. Il danno in questa fase equivale alla morte dell’embrione; in alternativa, il danno viene superato
con conseguente attecchimento sulla mucosa. È una risposta del tipo “tutto o nulla”: aborto (perdita col
flusso ematico) /riassorbimento da parte del corpo o superamento del danno.
Sostanze che hanno questo tipo di effetti sono: solventi, DDT, interferenti endocrini come gli ftalati o
sostanze che si ritrovano nel cartone della pizza e nei pirottini da forno (molecole strutturalmente simili
agli ormoni che interferiscono con il corretto funzionamento degli assi neuroendocrini, perché
competono al legame con il recettore degli ormoni e bloccano il segnale. Questo causa un mancato
sviluppo degli apparati, principalmente riproduttivi ma non solo. ), idrocarburi policiclici aromatici
- Dall’impianto all’organogenesi (embriogenesi)  qui un insulto porta ad alterazioni morfologiche
maggiori (vertebre, ossa…).

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Sostanze che hanno questo tipi di effetti sono: talidomide (focomelia), derivati dell’acido retinoico, acido
valproico (= antiepilettico, causa la spina bifida), carbamazepina, litio, ACE inibitori (per l’ipertensione),
solventi, interferenti endocrini
- Dallo stadio fetale a quello natale (periodo fetale)  le strutture sono formate ma ci possono essere
malformazioni minori accompagnate ad alterazioni funzionali e tumori, ritardo nella crescita. Sostanze
che hanno questi tipi di effetti sono: metalli, etanolo,
interferenti endocrini, farmaci antiepilettici o
antidepressivi.

Per valutare gli


effetti tossici delle
sostanze nei
modelli animali è
necessario tenere
presente delle
tempistiche con
cui si avvicendano
le fasi dello
sviluppo in ogni
singola specie per
poter praticare
l’esposizione nel
periodo adeguato.

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Per evitare di utilizzare modelli animali nella sperimentazione sulla tossicità è possibile effettuare degli
studi in vitro su cellule isolate, uova o embrioni

5. RELAZIONE DOSE-EFFETTO E CONCETTO DI SOGLIA:

Gli effetti teratogeni sono dipendenti dalla dose


somministrata.
- Ad alte dosi: aumenta la frequenza di feti malformati e della
gravità delle malformazioni, fino alla letalità;
- A basse dosi: si possono produrre ritardi nella crescita.
Esiste però una dose soglia, diversa da sostanza a sostanza,
sotto la quale grazie all’organismo materno il prodotto di
concepimento non affronta il rischio di malformazioni, in
quanto la madre mette in atto dei sistemi di riparazione o di
difesa in grado di contrastare gli effetti dell’esposizione. In
seguito al superamento della dose soglia si manifestano gli
effetti embriotossici e teratogeni, proporzionali alla dose.

Vediamo a fianco le sostanze tossiche durante lo sviluppo


embrionale PER L’UOMO; abbiamo sia agenti fisici, chimici e
biologici (batteri e virus).

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6. AGENTI EMBRIOTOSSICI NELL’UOMO ED EFFETTI:
- I retinoidi, forniti per
ovviare il deficit della
vitamina A o quando ci
sono problemi di tipo
dermatologico, sono
derivati spiccatamente
lipofili, attraversano le
membrane agilmente e
sono in grado di alterare
la formazione delle ossa
del cranio, portando alla
cranioschisi dovuta alla
mancata saldatura con
conseguente mancanza
della protezione
all’encefalo.
- L’assunzione di etanolo
durante la gravidanza
causa FAS = sindrome
feto-alcolica, inoltre sottopone il feto agli effetti dei metaboliti tossici della sostanza, come l’acetaldeide.
7. MECCANISMI ALLA BASE DELLA TERATOGENESI:
- Alterata integrità o funzione degli acidi nucleici  un esempio di agente teratogeno che opera con
questo meccanismo è l’aflatossina che, una volta a contatto con gli acidi nucleici, forma degli
addotti molto stabili. Viene così bloccata la struttura a doppia elica del DNA impedendo l’apertura e
la lettura delle informazioni contenute in questo. Alterare la struttura degli acidi nucleici significa
alternarne la funzione.
- Alterazioni cromosomiali  questo può essere molto diversificato.
- Alterata mitosi  quindi una sostanza che altera i processi di divisione cellulare.
- Ridotto apporto di precursori o substrati  questi permettono agli enzimi di svolgere i loro compiti.
Se lo xenobiotico si lega al precursore o al substrato, questo non sarà più capace di interagire con
il/gli enzima/i partner;
- Ridotto supplemento energetico  la sostanza danneggia il mitocondrio: si ha una carenza
energetica dovuta all’alterazione per esempio della sua membrana. Non è più in grado di produrre
ATP;
- Alterazioni di membrana  uno xenobiotico lipofilo, per esempio, entra nel doppio strato
fosfolipidico e ne altera la struttura. La membrana può rompersi, con conseguente fuoriscita del
materiale citoplasmatico e necrosi della cellula. Quando invece il danno consiste nella
scompaginazione del mosaico liquido la cellula va incontro ad un danno da malfunzionamento di
tutte le strutture che risiedono nella membrana (canali, pompe, recettori, ecc.).
- Inibizioni enzimatiche  se la sostanza tossica si lega al precursore dell’enzima o al substrato la
reazione enzimatica è bloccata. Per esempio, viene alterato il sistema del glutatione: il soggetto
vede l’impoverimento dei passaggi GSH ossidato a ridotto e viceversa  viene meno la capacità di
far fronte ai danni ossidativi e nel feto avremo un alterato stato ossidativo di tutti i componenti
tissutali, che può portare alla morte.

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Nell’ambito della teratogenesi tutti questi meccanismi possono portare solo a tre tipi di risposta possibile:
- Proliferazione cellulare (tumori)
- Morte cellulare
- Alterata interazione cellula-cellula (comunicazione cellulare)

Le sostanze possono essere reattive di per sé o


avere dei metaboliti reattivi; questi hanno la
capacità di interagire col sistema biologico e
contrarre con esso dei legami più o meno forti
(proteine, lipidi, acidi nucleici, tutto!). In particolare,
nel caso degli acidi nucleici il danno può essere
fronteggiato da sistemi di riparazione; quando
questi sistemi non funzionano per patologia, per
malnutrizione, infiammazione generale,
trattamento farmacologico ecc., c’è possibilità di
esplicazione del fenomeno teratogeno per
malfunzionamenti di trascrizione genica, traduzione
dell’RNA, sintesi di proteine (enzimi, recettori, strutturali, ecc.), collocazione folding e maturazione delle
proteine. Disastro totale insomma.

8. LA SINDROME FETO-ALCOLICA (FAS):


E’ un insieme di segni e sintomi derivati dall’assunzione di etanolo da parte della madre durante la
gravidanza.
Le manifestazioni cliniche sono:
- Anomalie facciali
- Carenze nella crescita  corpo di piccole dimensioni accompagnato da deformità scheletriche:
costole deformate e sterno sprofondato, cranio piccolo, parete toraciche appiattite, sindattilia (dita
fuse tra loro) delle mani o dei piedi, come le zampe delle papere
- Malformazioni strutturali d’organo  soffio cardiaco, incompleto sviluppo delle strutture cerebrali,
malformazioni genitali, alterazioni anatomiche renali, che comporteranno alterazioni funzionali
degli organi coinvolti. Alcune sono necessarie alla diagnosi di FAS ma non tutte devono essere
contemporaneamente presenti.
- Ritardo mentale  si manifesta nei primi anni di vita con difficoltà di apprendimento, di risoluzione
dei problemi, di iperattività infantile, scarso coordinamento, diminuzione dell’attenzione e della
concentrazione, irritabilità, scarsa memoria. Questi ritardi si verificano dopo la nascita, nel periodo
scolare. Alcuni soggetti manifestano queste patologie in età avanzata (15-17 anni)
- Problemi comportamentali in età
avanzata

Le caratteristiche discriminanti devono


essere sempre presenti per la diagnosi
(rime palpebrali brevi, naso corto, filtro
indistinto - l’avvallamento tra il naso ed il

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labbro è breve e piatto), quelle associate non sempre sono presenti (micrognazia -mento sfuggente,
epicanto -piega sopra la palpebra che arriva a coprire l’angolo interno dell’occhio). La diagnosi si fa al
momento della nascita o nei primi giorni di vita.
Anche il SNC può essere più o meno gravemente compromesso:
paragonando la struttura encefalica di due bambini di 6 settimane
uno sano ed uno affetto da FAS si vede come le dimensioni siano
molto differenti, il volume dei due emisferi è minore, il numero e la
profondità delle circonvoluzioni (che servono ad aumentare la
superficie encefalica) è minore, per cui ci si aspetta scarso sviluppo
del SNC, problemi di tipo cognitivo e più in generale un ritardo
mentale, di entità che dipenderà dalla durata dell’esposizione e dalla
fase di gestazione in cui è stato esposto.
Si nota come la maggiore incidenza della sindrome feto-alcolica si abbia nei paesi dove il consumo di alcol
rientra negli abituali usi e costumi.
In Italia, l’incidenza della FAS è tra lo 0,5 e il 3 casi ogni 1000 bambini nati vivi. Uno studio del policlinico
Umberto I, l’unico studio a riguardo svolto in Italia, stima che l’incidenza sia 4-12 su 1000, arrivando a 2,3-
6,3 su mille nei casi di espressione parziale della sindrome (FASD).
Tra le donne che assumono quantità rilevanti di alcol in gravidanza, tra il 4 e il 40 % partorisce bambini
affetti da danni alcol-correlati di diverso grado  FAS like syndrome.

 MECCANISMI CAUSA DELLA FAS:


Nella tossicità, in generale, può essere dovuto alla sostanza in sé o al suo metabolita; in questo caso il
danno è da imputarsi ad entrambi.
- L’etanolo, sostanza di esposizione diretta, causa:
o Alterazione dei processi di proliferazione cellulare e di apoptosi, i due processi biologici in
equilibrio tra loro durante lo sviluppo fetale  da studi sperimentali fatti sul topo, si è
notato che esponendo la madre all’alcol durante la gravidanza i cuccioli alla nascita
presentavano un aumento di indice apoptotico nei tessuti derivati dalle creste apicali
dell’abbozzo dell’arto (nelle prime fasi della gestazione i foglietti embrionali si dispongono a
formare delle creste, abbozzi di quello che saranno gli arti), attraverso la marcatura con
sostanze specifiche per l’apoptosi; hanno poi correlato l’indice apoptotico con le
malformazioni alla nascita del cucciolo, riscontrando una diretta corrispondenza tra
esposizione all’alcol → intensità del segnale di morte cellulare → malformazione
macroscopica.
o Alterazione del citoscheletro e della migrazione cellulare delle creste neurali  le
componenti dei tre foglietti embrionali migrano nella struttura e vanno a disporsi nello
spazio per andare a costituire gli organi viscerali, quelli periferici, il tubo neurale, ecc.
L’etanolo cambia l’entità della migrazione, alterando quindi la distribuzione delle coste e
delle vertebre lungo il canale vertebrale
- L’acetaldeide rinforza l’azione dell’etanolo perché mette KO i sistemi di contrasto allo stress
ossidativo, riduce la difesa intracellulare nei confronti dello stress ossidativo  il sistema del
glutatione viene saturato, permettendo all’etanolo di esplicare la sua azione tossica senza alcun
mezzo che lo contrasti.

9. L’ACIDO RETINOICO:

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È una sostanza endogena prodotta dal metabolismo epatico della vitamina A (retinolo) da parte dell’alcol
deidrogenasi e dell’aldeide-deidrogenasi.
Sia stati di ipovitaminosi che di ipervitaminosi causano problemi allo sviluppo del prodotto di
concepimento. Ipovitaminosi nel bambino piccolo portano a rallentamento della crescita; diete carenti di
vitamina A possono portare allo sviluppo di malformazioni oculari come microftalmia (=bulbo oculare
molto piccolo) o anoftalmia (assenza totale del bulbo nel cavo oculare). Parallelamente, eccesso di
vitamina A può causare malformazioni a livello del SNC, alterazione nella disposizione delle ossa
craniofacciali, del cardiovascolare, del timo o degli arti. Non c’è un periodo circoscritto di suscettibilità
all’acido retinoico, tutte le fasi della gravidanza sono ugualmente suscettibili alla tossicità dell’acido
retinoico.
L’adulto può trovarsi a dover assumere medicinali derivati retinoidi come l’isotretionina nel trattamento
dell’acne cistica grave; si somministrato questi farmaci per via topica o per via orale, ma in una donna in
gravidanza la differenza è sostanziale: l’assunzione orale di isotretinoina da parte di una donna in
gestazione comporta un rischio di malformazioni fetali di circa il 20% (1 su 5). I bambini in questione
possono incorrere nella sindrome da isotretinoina, presentando: idrocefalo (i ventricoli cerebrali
contengono una quantità spropositata di liquido cefalorachidiano, che determina un aumento della
pressione a carico del tessuto cerebrale e deforma le elastiche ossa craniche del bambino; i bambini con
idrocefalo presentano una caratteristica forma della testa, sproporzionatamente grande rispetto al resto
del corpo, con una fronte molto prominente. Generalmente non superano i 4-5 anni di età), microcefalia
(scatola cranica molto piccola in confronto allo spazio di alloggiamento necessario all’encefalo; la forte
pressione intracranica è data dalle pareti ossee che premono verso l’interno sul tessuto cerebrale in
accrescimento e, analogamente all’idrocefalo, causa grave alterazione funzionale – ritardi mentali gravi),
malformazioni delle orecchie, difetti cardiaci e anomalie degli arti. Oltre a questo, un’embriopatia di questo
tipo comporta un aumento del rischio di aborto spontaneo o parto prematuro.
Nel caso dell’applicazione locale di derivati retinoidi il farmaco e i suoi metaboliti non presentano effetti
teratogeni: non si trovano a valori dosabili nel plasma.
Per quanto riguarda invece l’assunzione orale, il farmaco ha un’emivita di circa 50 ore. La maggior parte di
questo e dei suoi metaboliti sono eliminati nei primi dieci giorni dopo l’ultima dose per cui a soggetti di
sesso femminile si consiglia di aspettare almeno un mese dalla fine della terapia prima di tentare una
gravidanza (wash-out).

 MECCANISMI DI TOSSICITA’ DELL’ACIDO RETINOICO (e dei suoi metaboliti):


Il meccanismo attraverso cui i derivati retinoidi esplicano la propria attività tossica consiste nella
modulazione di geni coinvolti nel corretto, attraverso l’interazione con specifici recettori nucleari: RAR e
RXR. (Ne deriva che nessuno dei composti ha difficoltà nel passare la membrana cellulare e nucleare,
perché spiccatamente lipofili).
Analogamente ai composti cortisonici, passano le membrane, si legano ad alcuni recettori intracellulari,
migrano nel nucleo ed il complesso è in grado di indurre la trascrizione di alcuni geni piuttosto che inibire la
trascrizione di altri, interferendo sull’equilibrio proliferativo-apoptotico caratteristico dello sviluppo
embrio-fetale. Nello specifico, il complesso recettore-ligando agisce da fattore di trascrizione per geni
strutturali dell’asse embrionale cefalo-caudale e dorso-ventrale, responsabile dello sviluppo dell’encefalo,
delle vertebre e degli arti.
Fisiologicamente si è visto che la vit A, analogo sintetico dell’isotretinoina, interagisce con i suoi recettori
nucleari senza creare un insulto tossico nel prodotto di concepimento; il fattore discriminante è la
concentrazione della sostanza, che a seguito di trattamento farmacologico raggiunge livelli tissutali da 170
a 1400 volte superiori rispetto a quelli fisiologici. Ne deriva che l’attivazione preferenziale di tali geni

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rispetto ad altri dipende sia dalla concentrazione di acido retinoico che dal tempo di attivazione dei
recettori. Per l'applicazione locale, il farmaco e i suoi metaboliti non presentano valori dosabili sul plasma e
pertanto non hanno effetto teratogeno.
Durante la formazione di somiti (= strutture segmentali che formano le vertebre) l’esposizione all’acido
retinoico porta, nel topo, alla formazione di vertebre con caratteristiche morfologiche tipiche di segmenti
anteriori o posteriori rispetto alla posizione della vertebra.

10. CLASSIFICAZIONE DEL POTENZIALE TERATOGENO:


Dal punto di vista normativo, la FDA ha definito una lista di codici identificati da lettere dell’alfabeto
ognuna associata ad un livello di rischio teratogeno da apporre sulle confezioni dei medicinali. Questa
classificazione è abbastanza datata, per cui dopo il 2015 per rendere il messaggio più efficace si è deciso di
scrivere per intero delle frasi esplicative; si possono avere dati da studi animali, da studi sull’uomo, da studi
con una alta variabilità, in singolo o doppio cieco, con studi randomizzati, su molti pazienti e a dosi
differenti…
 Dati completi e confrontabili chiaramente con altri conferiscono adeguatezza allo studio.
La classificazione aiuta quindi a discriminare le categorie basandosi sulla forza dell’evidenza: le più efficaci e
rilevanti prove di teratogenicità di una sostanza sono sempre le evidenze cliniche, cioè dati estratti da studi
sull’uomo. Una volta appurato il rapporto causa-effetto non sono più necessari studi sperimentali.

N: sono indicati tutti quei farmaci senza prove di teratogenesi per mancanza di studi. Non si hanno prove,
non sono stati testati. Donne in gravidanza possono assumerli “con il beneficio del dubbio”.
X: sono tutti i farmaci controindicati in gravidanza. Per queste sostanze c’è la dimostrazione in clinica che
l’esposizione è causa certa di anomalie o malformazioni nel prodotto di concepimento. Si indica quindi in
sostanze con un indice di rischio positivo dal potenziale certamente teratogeno nel caso di assunzione in
gravidanza. Assolutamente da non assumere.

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D: indicano i farmaci che hanno un’evidenza positiva di rischio teratogeno, tramite studi nella specie umana
anche retrospettivi. Per questi farmaci il rapporto rischio-beneficio è sfavorevole. A questa categoria
appartengono: antipertensivi, bloccanti dei recettori per i sartani e alcune benzodiazepine.
C: il rischio non è escluso. Gli studi di esposizione diretta su modelli animali evidenziano un rischio certo di
teratogenesi, ma il dato non è altrettanto forte per quanto riguarda gli studi sull’uomo, gli effetti non sono
chiari. Il rischio è certo per gli animali, mentre nell’uomo è da non escludere per mancanza di evidenze
sufficienti a stabilire se lo è o non lo è. A questa categoria appartengono: il tramadolo, definito come
oppioide atipico, vede il suo effetto conseguentemente alla biotrasformazione in metabolita attivo, è usato
come antidolorifico. Altri farmaci che appartengono a questa categoria sono i calcio-bloccanti e
corticosteroidi.
B: farmaci dal profilo teratogeno non chiaro, non si può escludere per certo che siano teratogeni.
(Richiedono accorgimenti terapeutici come, per esempio, la diminuzione della dose o il cambiamento del
trattamento. Abbiamo amoxicillina, pantoprazolo, metformina farmaci abbastanza duttili e sicuri).
L’attribuzione a questa categoria è dovuta al fatto che negli studi su modelli animali l’esposizione diretta
non ha causato teratogenesi, ma parallelamente non sono presenti studi adeguati e attendibili sulla
popolazione umana femminile: il dato generato non è forte e sicuro a causa del cattivo disegno dello studio
clinico, per criteri di reclutamento, definizione della dose, numero di pazienti, ecc.
A: farmaci che hanno dimostrato per certo di non evocare un rischio negli studi clinici. Qui lo studio ha
evidenza incontrovertibile, è stato disegnato in maniera razionale.
Ad oggi per utilizzare maggiore cautela sono state rimosse le lettere identificative delle categorie di rischio
e sono state sostituite con delle frasi esplicative di più larga comprensione.
 Ricorda:
La fase caratterizzata da massima suscettibilità è quella tra la terza e l’ottava settimana, circa il terzo
trimestre, corrispondente alla fase di organogenesi. Nelle altre fasi invece c’è meno suscettibilità ad insulti
tossici, questo però non esclude ci possa essere un danno, seppur minore, alla funzionalità.
Nello studio animale si ha la conduzione dell’esperimento durante tutte le fasi della gravidanza, non
sapendo però se questa potrà o meno essere portata al termine. La differenza è che la tossicità si potrebbe
manifestare nelle prime fasi.
Nella specie umana lo studio di teratogenesi è sempre retrospettivo e osservazionale, non si possono
sottoporre gestanti a trattamenti con farmaci ovviamente. Le evidenze sono quindi ricavate a posteriori. In
tutti gli studi pre-autorizzativi sono esclusi donne, bambini, anziani e gestanti (popolazioni fragili).

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TOSSICODINAMICA
Il danno cellulare

Come mai un agente fisico o chimico


a cui si è esposti è capace di creare
un’alterazione funzionale o un
danno?
Riesce a creare un danno perché in un
certo momento della sua permanenza
nel sistema biologico troverà un
oggetto a cui legarsi, portando a delle
conseguenze.

L’interazione tra lo xenobiotico ed il suo target dipende da diversi fattori:


- Caratteristiche del bersaglio:
o accessibilità: può essere nel citosol, sulla membrana mitocondriale, in quella cellulare ecc.
o reattività: quanto facilmente può reagire col target
o funzioni mediate: cioè con quali meccanismi interferisce. È importante per definire quale tipo di
tossicità scaturirà da questo legame. Se, per esempio, sono coinvolte le cellule pacemaker del
cuore che impartiscono il segnale elettrico al tessuto miocardico il danno sarà molto grave,
perché toglie al tessuto la regolazione dell’attività elettrica del cuore.
- L’esito dell’interazione tra xenobiotico e target dipende anche dal tipo di legame che viene ad
instaurarsi:
o legame covalente (molto forte): lo xenobiotico è legato alla molecola target in modo stabile,
l’alterazione della funzione è protratta nel tempo e così la risposta tossica si può manifestare per
molto tempo e l’unico modo per il sistema biologico di ovviare al danno è la degradazione del
complesso xenobiotico-target e sintesi ex-novo della struttura “sequestrata” da parte
dell’organismo, ammesso che il processo non sia compromesso.
Se il target dello xenobiotico è un acido nucleico, l’organismo può tentare di mettere in atto
alcuni meccanismi di riparazione, in cui enzimi preposti tagliano la parte legata allo xenobiotico,
sostituiscono i nucleotidi nel punto corretto e altri enzimi saldano il legame (meccanismo
taglia&cuci), permettendo al DNA di continuare ad espletare la sua funzione. In alcuni casi, però,
questa capacità riparativa viene meno o non è sufficiente, perché il sistema è alterato
(organismo debilitato), il danno è troppo esteso e grave, e di conseguenza questo permane. Se il
danno ha interessato:
 cellule germinali (oociti e spermatozoi): la linea trasmetterà il danno a tutte le cellule
figlie;
 cellule somatiche danneggiate: si ha la limitazione del danno a quel tessuto, a
quell’organo, a quel sistema, a quella linea cellulare;

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o legame non covalente (meno forte): legame reversibile, porterà ad una interazione limitata nel
tempo e causerà un danno limitato nel tempo;

Infine, gli effetti che derivano da questa interazione possono essere:


o trasformazione: un esempio di trasformazione è il caso della neoplasia;
o distruzione: qualora il legame fosse troppo forte e compromettesse la funzionalità dell’oggetto;
o riparazione: qualora il danno sia riparato correttamente ed efficientemente; tuttavia può creare
un danno ulteriore se instaura una spinta proliferativa incontrollata;
Ricorda che anche i più comuni e sicuri farmaci sono tossici superata una certa dose!

1. MECCANISMO SPECIFICO di TOSSICITA’

Gli xenobiotici interagiscono selettivamente con specifiche proteine = bersaglio molecolare = componente
specifico della cellula (es. trasportatori, canali ionici, enzimi…) causando il danneggiamento di specifiche
funzioni cellulari, creando una tossicità generale e/o d’organo (non necessariamente causano anche una
tossicità cellulare).
Solitamente i legami che performano sono di tipo non covalente.

Per esempio:
o agonista dei recettori adrenergici α1: i recettori si trovano sui vasi e conseguentemente al legame
causano una risposta cellulare, la vasocostrizione, ma non tossicità cellulare. E’ possibile però avere una
tossicità funzionale se viene marcatamente alterata funzionalità vascolare con l’eccessiva
vasocostrizione periferica, e quindi l’omeostasi dell’organismo;
o sostanza che stimola la liberazione pancreatica di insulina: non c’è tossicità cellulare ma c’è tossicità
funzionale  nel caso di massivo rilascio di insulina si può avere ipoglicemia troppo pronunciata, che
può portare al coma ipoglicemico.
o sostanza che stimola i recettori dell’istamina = agonista del recettore istaminico: l’interazione istamina-
recettore causa vasodilatazione. Si ha quindi una vasodilatazione periferica e ciò determina una
marcata caduta pressoria.
 Questo tipo di xenobiotico NON dà tossicità cellulare ma dà una tossicità di sistema, portando poi al
proseguimento del danno da poca perfusione al SNC  è quindi una tossicità di sistema in un certo
distretto che poi, con meccanismo indiretto, si ripercuote su altri sistemi.
Vanno distinti:
o tossicità diretta: il danno si ha nei confronti della cellula;
o tossicità indiretta: il danno non c’è nel singolo elemento biologico ma si ha come risposta del
sistema d’organo;
Affinché si abbia un effetto tossico, è necessario che lo xenobiotico interagisca con un bersaglio e determini
un’alterazione.
A seguito dell’interazione e dell’alterazione si ha quindi la possibilità di trasformare il substrato biologico, di
distruggerlo o di ripararlo.

Molte sostanze tossiche naturali si legano in modo selettivo a singoli componenti cellulari. Sono quindi in
grado di danneggiare le funzioni cellulari specifiche.

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Queste possono:
- inibire o attivare enzimi
- danneggiare il rilascio di sostanze messaggere o interferire con le funzioni ioniche
- bloccare i recettori
- inibire il trasferimento di elettroni attraverso la catena respiratoria mitocondriale
- interagire con componenti del citoscheletro

2. MECCANISMI NON SPECIFICI:

La maggior parte delle sostanze tossiche di sintesi invece reagiscono in modo aspecifico con le strutture
naturali.
I metaboliti elettrofili possono formare legami covalenti alle posizioni nucleofile di macromolecole cellulari
come le proteine, i lipidi, gli acidi nucleici. Questi radicali libero possono anche dare luogo a reazioni di
addizione o sottrazione con queste molecole cellulari!
 Si formano o si rompono legami covalenti (formazione di addotti, ossidazioni, sottrazione di atomi…).
Ciò causa alterato funzionamento o distruzione dei componenti cellulari colpiti, scatenando quindi una
tossicità cellulare che si riflette poi in tossicità di organo o sistema.

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Esempi:
Agente che neutralizza l’acidità gastrica per le sue proprietà basiche, senza necessariamente agire sulla
pompa protonica, cambiano i fenomeni di assorbimento, di funzionalità, sterilità dello stomaco ecc.
L’EDTA è una sostanza chelante che nell’organismo chela ioni di grosso volume, come il Ca 2+ (stesso modo
lo possono fare le tetracicline). In questi casi si deve ben ponderare il rapporto rischio-beneficio e valutare
l’ipotesi di trovare un farmaco sostitutivo.

Oltre a questo, possono agire contemporaneamente su più siti di attacco, alterando allo stesso tempo più
funzioni cellulari. Il danneggiamento di queste può poi portare ad un sinergismo degli effetti tossici.
In genere, non è chiaro quali dei numerosi siti di attacco cellulare siano responsabili dell’effetto tossico.

Questo tipo di meccanismo è dovuto quasi sempre alla formazione di metaboliti reattivi e non alla sostanza
stessa.
Alcune sostanze modificano la composizione dei fluidi biologici, portando alterazioni causanti tossicità
cellulare e/o d’organo:
o pH (acidi e basi);
o composizione ionica (Sali, chelanti);
o cofattori enzimatici (deplezione, malassorbimento);
o concentrazione di metaboliti intermedi (stimolazione o inibizione di vie metaboliche, come
steatosi);

Tossicità funzionale = alterazione delle funzioni di un sistema (es. nervoso, cardiovascolare, endocrino) con
possibile danno d’organo pur agendo su un bersaglio specifico; l’azione tossica non è diretta sul bersaglio,
ma lo è la risposta messa in atto dal sistema.
[Per esempio, alterazioni funzionali possono essere quelle sopracitate di: agonismo dei sistemi
istaminergici, adrenergici, di analoghi dell’insulina, di antagonismo degli ormoni sessuali]
 Ci può essere, riassumendo, una alterazione delle normali funzioni cellulari senza danno primario
diretto (= tossicità funzionale). Questa può portare ad una tossicità cellulare secondaria (= tossicità di
organo o di sistema).

Le possibili conseguenze di un danno cellulare dipendono da:


o importanza e funzione del componente cellulare interessato  esempio: tossicità a carico dei
neuroni da parte delle sostanze inducono convulsioni (attività elettrica parossistica): la gravità
del danno per l’organismo dipenderà dal tipo di neuroni che lo subiscono.
o entità e reversibilità del danno  se il danno molecolare è di lieve entità, la cellula è in grado di
ripararlo e ripristinare la funzione danneggiata. Se invece coinvolge componenti cellulari
essenziali, si ha la morte cellulare per necrosi; i materiali residui della necrosi fanno partire
segnali infiammatori, si ha infiammazione e formazione di tessuti connettivi di riparazione, cioè
di tessuti cicatriziali (nei tessuti dove è possibile, ad esempio nel sistema nervoso no). La
riparazione sarà parziale e quindi la funzionalità dell’organo sarà alterata o diminuita.
o probabilità di riparazione del danno e di rigenerazione del tessuto  dipende dalle
caratteristiche intrinseche del tessuto: in alcuni le cellule morte possono essere sostituite da
cellule dello stesso tipo tramite divisione cellulare, ottenendo la riparazione totale del danno
(cellule epatiche). Se però il tessuto interessato è quello del sistema nervoso centrale NON si ha

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la replicazione. Se però i meccanismi apoptotici, che controllano la spinta riparativa, vengono
meno per deficit del sistema immunitario o altre patologie minano le risorse omeostatiche
dell’organismo, partono processi che arrivano alla neoplasia

 Se ci sono danni a carico di una struttura cellulare o tessuto la cui funzione è molto rilevante, il danno e
quindi l’effetto avverso avrà una rilevanza maggiore (es prende di mira il cuore o altre cellule eccitabili
come i neuroni (come le sostanze capaci di indurre convulsioni)).
 Se il danno è molto esteso, le cellule vanno incontro alla morte. Questa modalità è piuttosto frequente:
ha infatti il vantaggio di eliminare eventuali residui capaci di causare risposta infiammatoria all’interno
del tessuto stesso. Una eventuale infiammazione può alterare il funzionamento di altre cellule o creare
un danno ancora maggiore. Le cellule spazzine ripuliranno il tutto e, se possibile, nuove cellule
rimpiazzeranno le vecchie.
 Se una cellula è danneggiata ed è possibile ripararla, cioè il sistema conosce il modo per farlo e lo può
attuare, il danno viene risolto e diviene reversibile senza apoptosi.
 La capacità riparativa e rigenerativa del danno dipende dalle capacità intrinseche degli organi, dalle
risorse del tessuto e dai meccanismi di controllo. Qualora questi fossero sbilanciati si avrebbe la
preponderanza degli stimoli proliferativi rispetto agli apoptotici, sfociando nella condizione
neoplastica.

In un tessuto la possibilità di evocare un danno e di evocare una riparazione al danno dipende da diversi
fattori.
Condizioni che facilitano il danno:
o porosità dell’endotelio capillare: se il capillare ha sregolate fenestrature (nel caso di processi
infiammatori) si ha fuoriuscita di plasma e componente ematica che causano edema
o trasporto di membrana specializzato: la capacità dello xenobiotico di sfruttare un trasportatore adibito
ad altre sostanze endogene tende a causare un danno maggiore. La molecola estranea, potendosi
spostare e avendo un bersaglio specializzato, vede più facile l’esito di dare reazioni avverse.
o legame intracellulare irreversibile: fin tanto che un elemento del sistema biologico è legato a una
sostanza xenobiotica, questo elemento funzionerà poco o nulla. Se il legame è irreversibile, l’unico
modo per ripristinare la funzione dell’elemento colpito è soppiantarlo grazie alla sintesi proteica e al
turnover proteico: in un certo momento la proteina o il substrato alterato sarà eliminato e sostituto
con uno di neosintesi in base a ogni quanto l’organismo lo risintetizza, da poche ore a giorni, dipenderà
dal tessuto e dalla riserva energetica della cellula. Un segnale di trascrizione è un processo che richiede
alla cellula una cospicua spesa energetica e non sempre può avvenire

Condizioni che ostacolano il danno (per più o meno tempo e in certe condizioni):
o legame a proteine plasmatiche: lo xenobiotico legato funge da sito di deposito, non è libero di
esplicare il danno. Contemporaneamente però potrebbe impedire il legame con altre sostanze, come i
farmaci o componenti endogene, rendendo la quota di farmaco libero maggiore perché lo spiazza dal

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suo target: questo può favorire l’insorgere di reazioni avverse dovute al farmaco, seppur a dosi
terapeutiche.
o barriere specializzate: queste fungono da protezione sia fisica che chimica di determinati distretti nei
confronti di una sostanza tossica
o siti di deposito: il deposito di xenobiotico all’interno di questi impedisce la loro libera circolazione. È
però una soluzione momentanea: i siti possono infatti andare incontro a cambiamenti (es tessuto
adiposo a seguito di dimagrimento, tessuto osseo a seguito di squilibri ormonali che causano
catabolismo maggiore dell’osso, ecc.) e rilasciare la sostanza stessa più o meno tempo dopo a
concentrazioni più o meno elevate.
o associazioni con proteine intracellulari

3. LE SPECIE REATTIVE E I RADICALI:

Le specie reattive più pericolose sono i radicali liberi e gli elettrofili. I primi poiché molto instabili, i secondi
poiché sono costantemente alla ricerca di doppietti elettronici (i più comuni sono quelli degli acidi nucleici e
delle proteine).

3A. TIPI DI REAZIONI:


Le possibilità di indurre un danno sono legate al tipo di legame che si instaura tra lo xenobiotico ed il
target, da cui il tempo di permanenza dell’effetto.
I diversi tipi di reazione possono essere:
o legame covalente: si formano addotti covalenti tra le sostanze tossiche elettrofile (= radicali liberi) con
macromolecole biologiche di tipo nucleofilo (= proteine e acidi nucleici). L’organismo, per liberarsi dalla
sostanza tossica, deve risintetizzare ex-novo il substrato;
o legame non covalente: si formano legami ad idrogeno e ionici con i recettori di membrana o
intracellulari, con i canali ionici o con gli enzimi;
o sottrazione di idrogeno: è la reazione attraverso cui i radicali liberi convertono le molecole biologiche in
altri radicali;
o trasferimento di elettroni: è alla base dell’ossidazione o della riduzione delle molecole biologiche.
Per esempio: l’ossidazione del Fe2+ in Fe3+ e la metaemoglobina;
-reazioni enzimatiche: per esempio, la tossina difterica blocca l’allungamento della catena amminoacidica
nella sintesi proteica;

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3B. CONVERSIONE DI RADICALI LIBERI O SPECIE REATTIVE IN ROS IN MOLECOLE MENO
REATTIVE:

L’organismo è provvisto di sistemi enzimatici in grado di neutralizzare alcune specie reattive.


Gli enzimi superossido dismutasi (converte l’anione superossido in perossido di idrogeno), catalasi
(converte il perossido d’idrogeno in acqua) e glutatione perossidasi (catalizzata la riduzione del perossido
d’idrogeno utilizzando il glutatione come donatore di elettroni) sono i più coinvolti in questi meccanismi.
In alcuni casi però questi sistemi di conversione sono meno efficienti, come nei pazienti fragili o in pazienti
immunocompromessi, e viene meno la capacità di far fronte all’insulto tossico.
Questi sono insulti, detti anche spine irritative, a cui siamo costantemente esposti, perché il nostro
organismo trasforma molte sostanze a cui siamo normalmente esposti in specie radicaliche o elettrofile, ma
non subiamo danni proprio per i sistemi di contrasto efficaci. È quando vengono meno che può subentrare
una tossicità

3C. SEDI DI FORMAZIONE DI RADICALI LIBERI:


I siti di formazione dei radicali liberi, spesso coincidenti con le zone dove è performato il metabolismo,
sono:
- mitocondri, sede della respirazione cellulare e della fosforilazione ossidativa;
- perossisomi  sede della β-ossidazione degli acidi grassi con produzione di H2O2;
- citocromo P450 e tessuti ricchi di questo enzima (come il fegato, ma non solo);
- enzimi citosolici (come la xantina ossidasi);
- ciclossigenasi;

Le specie radicaliche si formano quando varia la tensione parziale di ossigeno in un tessuto, per esempio:
- conseguentemente alla riperfusione in un tessuto ischemico, dove si ha un burst di ossigeno
(massiva produzione di radicali; dopo un’ischemia è questo che causa i maggiori danni)
- da xenobiotici
- per carenza di vitamine antiossidanti come la A, la E e la C;

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- nell’invecchiamento
- in stati infiammatori sia acuti che cronici
- durante disordini immunitari
- Alimentazione scorretta
- Stress overwelling, dove l’organismo è sopraffatto dagli eventi
Stress ossidativo e presenza di radicali sono legati a insorgenza di cancro, malattie metaboliche, patologie
neurodegenerative, malattie del sistema cardiovascolare, tutte quelle
patologie alla base della quale c’è una condizione infiammatoria
significativa, come l’artrite reumatoide.

Le differenze tra la cellula in mancanza di danno e quella sotto attacco


di radicali liberi sono svariate, poiché il radicale è capace di interagire in
maniera diffusa con un gran numero di bersagli, come mitocondri,
membrane cellulari, mitocondriali e nucleari e acidi nucleici (lipidi di
membrana, proteine di trasporto, recettori ecc.).

3D. PROCESSI DI TOSSIFICAZIONE E DETOSSIFICAZIONE:


Processi di: [da sapere definizione ed esempi, come paracetamolo]
- Tossificazione = conversione/biotrasformazione di sostanze esogene in prodotti tossici all’interno
dell’organismo (è il sistema metabolico che trasforma la sostanza dalla sua forma originale in una
diversa, processo chiamato attivazione metabolica); comprende la tossificazione da radicali liberi
dell’ossigeno e si ha con meccanismi cellulari come:
o stress ossidativo
o perossidazione dei lipidi
o deplezione del gruppo tiolico nelle proteine
o alterazione dell’omeostasi del calcio
- Detossificazione = biotrasformazione che converte sostanze esogene in molecole con un grado di
tossicità e/o reattività minore; comprende:
o detossificazione delle sostanze xenobiotiche
o neutralizzazione dei radicali liberi

Per esempio:
Nel caso del paracetamolo, il nostro organismo determina un destino metabolico diversificato: alcune vie
metaboliche portano a metaboliti più solubili e quindi eliminati per via renale, mentre un altro pathway
metabolico lo trasforma in una specie con spiccate caratteristiche tossiche; subisce quindi sia
detossificazione che tossificazione. Allo stesso modo avviene per l’etanolo, biotrasformato per essere
eliminato, ma se il processo si ferma all’acetaldeide abbiamo accumulo di un metabolita tossico ed il
processo risulta in una tossificazione.

3D1: TOSSIFICAZIONE DA RADICALI LIBERI DELL’OSSIGENO:


La trasformazione ad opera dell’organismo di ossigeno molecolare in radicali avviene da parte delle mono-
ossigenasi citocromo P450-dipendenti, responsabile della parziale riduzione di O 2 con formazione di anione
superossido (O2- ) e perossido d’idrogeno (H2O2).

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L’anione superossido si produce in determinate situazioni:
- alcuni composti vanno incontro ad auto-ossidazione, reagendo spontaneamente con l’ossigeno
molecolare (come le catecolammine)
- con l’intervento di sistemi enzimatici specifici come le xantino-ossidasi, le aldeide-ossidasi e il
CYP450
- quando la radiazione ionizzanti attraversa soluzioni acquose che contengono ossigeno
- quando si verifica la fagocitosi da parte dei granulociti come risposta a microrganismi, entità
pericolose: è attraverso l’anione che il sistema immunitario può far fronte all’ingresso di patogeni
grazie alle sue proprietà battericide. Quando però questo meccanismo sfugge al controllo
dell’organismo, i radicali possono attaccare altri substrati biologici e causare un danno.

3E. EVENTI NEGATIVI INNESCATI DAI RADICALI LIBERI:


In ordine crescente di gravità sono:
1. Perossidazione lipidica  i radicali liberi alterano la struttura dei lipidi con gli elettroni spaiati
2. Ossidazione e deplezione del glutatione (GSH)  il glutatione si ossida quando ci sono sostanze
ossidanti, fungendo da protettore e da “falso bersaglio”; ad opera di diversi enzimi torna poi al suo
stato ridotto. Se la ciclicità viene interrotta, il GSH resta ossidato, non potendo più svolgere la sua
funzione protettiva qualora ci fossero attacchi da altre sostanze ad alto potere ossidanti. Il sistema non
è più in grado di difendersi da stimoli ossidanti che andranno quindi a danneggiare direttamente altri
bersagli.
3. Ossidazione dei gruppi tiolici proteici  le proteine hanno la loro caratteristica struttura quaternaria.
Alterare questi gruppi significa alterarne la struttura e di conseguenza la funzionalità. Per proteina
sono intese quelle del citoscheletro, della membrana, recettoriali, trasportatrici, costitutive dei canali
ionici, ecc.
4. Alterare le pompe di membrana  quindi il trasporto attraverso la membrana
5. Danno al DNA  anche qui la conformazione della struttura è fondamentale per la sua funzione.
Cambiarla vuol dire fargliela perdere.
6. Alterazioni citoscheletriche
7. Alterazioni mitocondriali e deplezione di ATP
8. Comparsa di siti di fragilità sulla membrana
9. Morte della cellula

3E1. LA PEROSSIDAZIONE LIPIDICA O LIPOPEROSSIDAZIONE:


Comprende una complessa serie di eventi attraverso i quali il radicale interagisce con le catene di acidi
grassi dei fosfolipidi di membrana che sono convertiti in una serie di prodotti di frammentazione.

Il radicale è capace di interagire direttamente con


i lipidi di membrana, sottraendo un H + alla catena
degli acidi grassi insaturi. Questo determina una
reazione a catena che impoverisce la membrana
cellulare di lipidi.
Quando la catena laterale lipidica è alterata
quindi non è più in grado di garantire la struttura
e la funzione della membrana (perde la densità

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idrofobica), scompaginando di conseguenza anche tutte le altre strutture in essa presenti (pori, canali,
recettori…).
Conseguenza è quindi l’alterazione strutturale e funzionale della membrana (che funziona da barriera, ma è
anche sito di scambi ionici e di localizzazione di trasportatori e recettori) e si producono a cascata radicali
reattivi. La MDA può essere analizzata come parametro per misurare il livello di stress ossidativo subito
dalla cellula, per esempio a seguito di somministrazione di un certo farmaco. Livelli basali di MDA sono
vicine allo zero, ma non zero.

[Oltre ai lipidi, i radicali possono reagire con acidi nucleici, carboidrati e proteine. Queste sono ricche in
gruppi tiolici –SH che vengono ossidati dai radicali dell’ossigeno, con conseguente perdita di funzionalità o
distruzione della proteina:
R-SH + X° RS + HX ]

L’acido grasso a cui è sottratto l’idrogeno causa una serie di riarrangiamenti che portano alla formazione
della malondialdeide (MDA). Questa è misurabile attraverso tecniche sperimentali di modo da avere un
indice dello stress ossidativo cui è stato sottoposto il tessuto. Questo non sarà mai a zero poiché un certo
livello ossidativo è fisiologico e sempre presente.

A:
membrana
sana

B: lipidi
che hanno
subito

perossidazione

Per esempio - tetracloruro di carbonio C-Cl4:


La tossicità di questo composto è anche una tossicità professionale (=come l’asbestosi o l’esposizione a
raggi del personale tecnico radiologico), perché si trova in strumenti o prodotti utilizzati per svolgere
determinati lavori. Esiste una tossicologia occupazionale incaricata di ridurre al minimo il rischio di tossicità
negli ambienti lavorativi. Questo composto veniva infatti usato in passato come componente liquido di
estintori, frigoriferi, condizionatori, smacchiatori e lavaggi a secco.

Viene metabolizzato a radicale triclorometile e, in questa forma, può dare inizio alla perossidazione lipidica
con estrema efficacia, con tutte le conseguenze del caso. Questo sua volta:
- in condizioni aerobie dà luogo a triclorometanolo, fosgene e anidride carbonica;

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- in condizioni anaerobie: dà luogo a cloroformio e a monossido di
carbonio;
I distretti che vanno incontro a tossicità da tetracloruro sono tutti i siti in
cui può essere biotrasformato:
- Fegato: perché è il principale metabolizzatore del CCl4. La prima
azione tossica si verifica nel sito di biotrasformazione perché è il
luogo con la maggiore concentrazione di metabolita tossico. Può
portare a carcinoma epatico, degenerazione e necrosi
- Rene: causa degenerazione e necrosi
- Polmoni: irritazione bronchiale, polmonite, edema polmonare
(spesso consegue la morte)
- Cute: dermatite
- Cuore: aritmie
- SNC: azione depressiva del SNC
- Tubo gastro-enterico: ha azione irritante e può sfociare nel cancro.

Questa sostanza
determina anche danni mitocondriali, importanti poiché il
loro danneggiamento causa un deficit di produzione di
energia, rendendola incapace di portare avanti i normali
processi ma soprattutto riparare qualsiasi danno,
costringendo la cellula alla morte.
Un danno a questi organelli è spesso accompagnato da un
aumento della concentrazione di calcio intracellulare;
normalmente la sua concentrazione è finemente regolata,
alcuni stimoli liberano il calcio e altri lo sequestrano,
limitandolo in determinate. Questo perché il calcio libero
attiva svariati enzimi: le fosfolipasi che, digeriscono i fosfolipidi di membrana, alcune proteasi e nucleasi,
che digeriscono o idrolizzano gli acidi nucleici. Avere quindi un’alta concentrazione di calcio intracellulare
porta alla distruzione della cellula.

3F. MECCANISMO D’AZIONE DEI RADICALI:


- Danno diretto  i radicali interagiscono direttamente con bersagli cellulari, come nella perossidazione
lipidica, nell’ossidazione di proteine, modificazioni ossidative del DNA.
- Danno indiretto  smontando la parete cellulare altera tutte le strutture presenti su quella parete,
alterando tutte le funzioni cellulare da esse regolate. Può anche causare un danno indiretto ossidando
il GSH a GSSG, rendendo suscettibili di ossidazione tutte le molecole cellulari. Ma il GSH è incaricato
anche alla riparazione di danni ossidativi già avvenuti, che con la sua deplezione rimarranno tali:
o Danno non generato direttamente dal radicale  consiste nel fatto che ci sono meccanismi
di difesa cellulari capaci di riparare i danni causati dai radicali. Questi però a loro volta
possono essere causa di ulteriori danni se non funzionano correttamente.
Per esempio: il danno ossidativo al DNA causa l’attivazione delle ADP-ribosilTransferasi,
capaci di riparare questo genere di danni. Per funzionare, l’enzima necessita del cofattore
NAD. Lo utilizza, consumandolo, e si verifica una inibizione della catena respiratoria
mitocondriale e quindi della produzione di energia da parte del mitocondrio.

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L’ATP nella cellula inizia a ridursi: la cellula non è più capace di essere autonoma in tutte le
sue funzioni ed il danno cellulare può conseguire con la morte della cellula.

3F1. LE FASI DEL MECCANISMO DI TOSSICITA’:


1. Rilascio dal sito di esposizione al bersaglio  ingestione, respirazione, ecc. per esempio tramite la cute
si viene a contatto con una sostanza tossica, questa deve passare attraverso la membrana, deve essere
assorbita e distribuita, si attiva la via metabolica di tossificazione o detossificazione, in base alla
sostanza in esame, e viene eventualmente escreto. Implica quindi tutte le fasi della tossicocinetica.
2. Interazione dello xenobiotico con il target  Nel periodo di permanenza nel torrente ematico e di
distribuzione ai tessuti ha la possibilità di interagire con i diversi bersagli cellulari; questa sarà definita
da:
a. Tipo di reazione  forza del legame che viene ad instaurarsi, che può essere a idrogeno,
covalente, reversibile, irreversibile.
b. Effetti su molecole bersaglio  il legame può risultare in diverse conseguenze, come
determinare la degradazione o la distruzione del target, una diminuzione, un aumento o una
soppressione della funzionalità preposta.
3. Disfunzione cellulare e tossicità risultante  la tossicità dipende dalla funzione del bersaglio. Si può
avere anche una disregolazione, cioè alterazione dei meccanismi che regolano la funzionalità di quel
distretto o di quel bersaglio (Può essere la regolazione genica, assemblaggio proteico, o funzionale) La
sostanza può alterare i trasportatori, modificarne il turnover, sottrarre ATP alla cellula ecc.
4. Riparazione o riparazione errata  quando si verifica un danno può instaurarsi un fenomeno
riparativo che ha come finalità ricostituire il bersaglio danneggiato o alterato pe garantire la
funzionalità finale della cellula, del tessuto o dell’organo. Se il danno viene riparato correttamente
torna tutto ok. Se invece la riparazione è errata o incontrollata aggiunge un danno a quello già
esistente: la cellula può continuare a riprodursi con questo danno oppure dare origine ad un tessuto
neoplastico. Per esempio: nel caso di un taglio sulla cute si forma poi la cicatrice. Questo meccanismo
di riparazione è stato utile parzialmente: ora la pelle non è più elastica come prima ma la superficie del
tessuto è stata ricostituita. La cellula ha prodotto collagene per bloccare lo stimolo lesivo con lo scopo
appunto di ripristinare la struttura tissutale. La fibronectina però che si viene a depositare rende la
cute cicatriziale più sottile, meno elastica e meno sensibile: la struttura è stata ricostituita ma ha
parzialmente perso la sua funzionalità. Quando la cicatrice si forma nel miocardio a seguito di infarto
avremo una parte di tessuto che è incapace di svolgere le funzioni miocardiche.
La riparazione e l’entità del danno sono specifiche di singoli distretti, non esiste una modalità generica
di riparazione del danno per tutto l’organismo. Il SNC è in grado di riparare ma con grande difficoltà, il
SNP ripara. Il sistema cutaneo è in grado di riparare in modo abbastanza efficace ma dipende
dall’entità del danno, se c’è ustione nell’80% del tessuto cutaneo è praticamente impossibile.
In tutti i tessuti, chi più chi meno, la riparazione dipende dai sistemi di difesa.

3G. MECCANISMI DI DIFESA DELLA CELLULA:


Nell’organismo ci sono dei sistemi di difesa che costantemente riparano danni e ripristinano funzioni; un
danno che invece si manifesta palesemente è un danno troppo esteso, oppure avviene in soggetti fragili,

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che hanno meccanismi di difesa deficitari, o pazienti immunodepressi (AIDS o in pazienti che hanno subito
trapianto e sono trattati con immunosoppressori per favorire l’attecchimento del trapianto).Un danno che
invece c’è ma non si vede si ha qualora questi meccanismi siano coinvolti e sufficienti.

Questi meccanismi di difesa sono dei sistemi


enzimatici antiossidanti che trasformano i
composti con alto potere ossidante in molecole
meno reattive, quindi meno pericolose, come la
catalasi e la SOD.

Ci sono poi una serie di meccanismi di difesa


operati da agenti che ingeriamo con la dieta,
come le vitamine A, C ed E. Il nostro corpo non è
in grado di sintetizzarle e sono incredibilmente
importanti per contrastare attivamente gli insulti
tossici, siano essi chimici (xenobiotici, farmaci,
ecc. o fisici (raggi UV). Molte creme solari contengono vitamine per contrastare i radicali formati dalle
radiazioni UV.
Poi ovviamente abbiamo il glutatione, di cui però siamo provvisti in quantità limitata: se la quantità di
agente tossico è elevata ed il glutatione viene saturato, l’agente tossico in eccesso ha modo di esercitare
tutta la sua capacità tossica (ad es. il paracetamolo somministrato in dose terapeutiche genera un 7-8% di
benzochinonimmina che viene efficacemente gestito dai nostri meccanismi di difesa; tuttavia, se questi
sistemi sono alterati o insufficienti o le dosi sono maggiori di 2gr/die, si sfocia nella tossicità prima epatica,
accompagnata da insufficienza renale, a cui segue la multiorgan failure ed il decesso, a meno di pronto
trapianto o somministrazione di NAC in tempi congrui. Nel soggetto immunocompromesso (AIDS o
alcolista) il sistema glutatione è defedato e con la somministrazione di anche soli 2g di paracetamolo si ha
tossicità da paracetamolo)

4. EFFETTI DI SOSTANZE TOSSICHE SU MOLECOLE BERSAGLIO:


1. Disfunzione della molecola bersaglio  alterazione della funzione per alterazione della conformazione
(organizzazione spaziale) come nei recettori o nei canali, oppure per alterazione della struttura (implica
interazione con gruppi atomici della molecola, come i gruppi tiolici di una proteina, o residui specifici,
non più disponibili all’interazione col legante naturale) = la disfunzione è conseguenza del solo legame
col target (proteina, acido nucleico, lipidi, tutte le molecole la cui funzione è strettamente legata a
struttura e conformazione.
2. Distruzione della molecola bersaglio  la sostanza può legarsi al bersaglio biologico, instaurando
legami così forti (come i legami crociati) che, in alcuni casi, possono determinare la degradazione
spontanea del bersaglio biologico.
Per esempio: il meccanismo attraverso il quale si ha la downregulation: quando il recettore è
iperstimolato la cellula ritira i recettori dalla membrana mettendoli da parte nel citosol per un
secondo momento oppure portandoli ai lisosomi e quindi alla degradazione.
Allo stesso modo il complesso xenobiotico-target può essere destinato alla componente lisosomiale e
degradato dagli enzimi nelle loro componenti essenziali.

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3. Formazione di neoantigeni  il legame covalente di xenobiotici a proteine può creare un complesso
che funge da neoantigene e scatenare una risposta immunitaria, per esempio una reazione allergica. La
sensibilizzazione nei confronti di una molecola chimica porta il sistema immunitario a riconoscere e
reagire nei confronti di tutte le molecole che hanno struttura simile. Questo fenomeno è chiamato
allergia crociata. Dopo il primo contatto c’è la sintesi di anticorpi specifici che saranno pronti ad
attaccare la sostanza primaria che ha causato la risposta immunitaria e quelle che hanno struttura
affine.
Per esempio: penicillina, nichel, tossine animali e tossine vegetali.

Dal punto di vista molecolare, con il


termine disfunzione si indicano:
- una disregolazione dell’espressione
genica, cioè di come e quando quel
bersaglio viene sintetizzato nella
cellula;
- una disregolazione dell’attività
cellulare, quindi la funzione di alcuni
bersagli, come per esempio le cellule
elettricamente eccitabili in cui
interferire con la propagazione dell’impulso elettrico implica indurre una disregolazione funzionale;
- alterazione dell’omeostasi cellulare (danno mitocondriale per esempio)

4.1 DISFUNZIONE
4.1.a. LA DISREGOLAZIONE DELL’ESPRESSIONE GENICA
Concetti fondamentali: il nostro corredo genetico
è costituito da sequenze di geni codificanti
inframezzati da zone di DNA non codificante,
chiamato finora junk DNA (DNA spazzatura).
[Negli ultimi 20 anni si è scoperto invece che ha
dei siti di regolazione che determinano come e
quando un gene viene trascritto].
Nella struttura del gene si possono identificare:
- esoni a cui sono inframezzati un certo numero di
introni; il numero è variabile in base al gene
specifico.
- il promotore → zone di DNA che precedono lo
start codon; sono presenti delle sequenze specifiche, riconosciute ed attivate da fattori nucleari (proteine),
alcune in grado di indurre la trascrizione, altre di inibirla. Sono i modulatori della trascrizione.
(L’RNA trascritto verrà poi maturato, tradotto ed infine avremo il prodotto di sintesi proteica).
Una molecola può agire da disregolatore dell’espressione genica in diversi modi:
- indurre inibizione della trascrizione legandosi ai fattori fisiologici di stimolazione della trascrizione
ed impedendogli di esplicare la sua attività
- legarsi ed attivare direttamente siti che inibiscono la trascrizione
Le modalità sono svariate ma tutte prevedono l’interazione con il promotore.

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Oltre che con la trascrizione, una sostanza tossica
può interferire con altre fasi della regolazione
genica:
- trasduzione del segnale: lo xenobiotico può
modulare le risposte intracellulari
conseguenti ad uno stimolo extracellulare,
bloccandole o potenziandole.
Piombo o esteri del forbolo facilitano la
fosforilazione di segnali di trasduzione inducendo
la mitosi. Essendo questo un fenomeno di
proliferazione cellulare, il processo può risolversi
nell’insorgenza di neoplasia.
Infine, può esserci interferenza attraverso la produzione di segnali extracellulari: gli anabolizzanti, per
esempio, hanno il compito di aumentare la massa muscolare (e non sempre questo implica un aumento
della forza). Avendo però una struttura simile al testosterone, questi interferiscono con l’asse
neuroendocrino preposto alla regolazione dell’apparato riproduttivo maschile.
Gli assi neuroendrocrini, in generale, vedono il collegamento di alcuni centri del SNC (prevalentemente
ipotalamo e ipofisi) con la periferia. In queste strutture del SNC avviene il rilascio di ormoni, che a loro volta
regolano l’attività periferica di diverse ghiandole (sessuali, tiroide, ecc.). il meccanismo di regolazione di
questi assi è a feedback negativo, per cui il livello ematico di ormone prodotto in periferia (ormone
tiroideo, estrogeno, testosterone…) regola a sua volta la produzione del fattore di rilascio “di sé stesso”.
Essendo l’anabolizzante simile al testosterone, l’asse lo confonde con l’androgeno naturale bloccando
quindi la produzione di fattore di rilascio del testosterone a livello ipofisario e ipotalamico. Si ha quindi
un’alterazione dell’asse e, in questo caso, sterilità e impotenza.
Un altro esempio è il caso dell’assunzione di cortisonici. L’interruzione della terapia NON va fatta
bruscamente ma gradualmente proprio perché la produzione del cortisolo è deputata all’asse
neuroendocrino.

4.1.b DISREGOLAZIONE DELL’ATTIVITà CELLULARE


La disregolazione dell’attività in cellule elettricamente eccitabili (neuroni, muscolo scheletrico, muscolo
liscio e cellule pacemaker del cuore) può essere dovuta ad alterazioni della concentrazione dei
neurotrasmettitori, della funzionalità del recettore o del processo che porta alla terminazione del segnale.
(se in un sistema cellulare una proteina è attiva quando fosforilata, una sostanza tossica può interferire con
l’eccitabilità della cellula attivando una fosfatasi, che defosforila la proteina).

88
Nella tabella vengono
riportati esempi di agenti
(terminologia neutra,
perché in alcuni contesti
vengono utilizzati per
determinati scopi):
tubocurarina ha azione
tossica perché determina
paralisi muscolare,
agendo come antagonista
sui recettori nicotinici, ma
suoi analoghi vengono
utilizzati nell’anestesia
generale; altro esempio
sono gli alcaloidi dell’atropa belladonna,
come l’atropina che trovava impiego
terapeutico in campo oculistico per indurre midriasi e poter ossrvare il fondo oculare, ma questa se ingerita
si può andare incontro a sindrome colinergica per blocco dei recettori muscarinici, che comporta la perdita
del controllo vagale sul cuore (crisi tachicardica acuta) e ipertermia (blocco del sistema neuro-vegetativo
impedendo la produzione di sudore)

4.1.c. L’ALTERAZIONE DELL’OMEOSTASI:


L’omeostasi è una condizione di equilibrio
tra i diversi distretti e componenti funzionali
dell’organismo che ne garantisce il corretto
funzionamento. Molto importante in
condizioni basali, ma anche in risposta ad
uno stimolo esterno (ad esempio se la T
esterna è troppo bassa è necessario
utilizzare le riserve energetiche per
aumentare il tasso metabolico, oppure
quando il SNC è in sofferenza perché i livelli
di glucosio sono troppo bassi, il sistema
mette in atto una serie di segnali a cascata
per mobilitare le riserve di glicogeno epatico
e far fronte alla carenza a livello centrale).
Quando un agente altera l’equilibrio si verificano risposte tossiche, per l’incapacità del sistema biologico di
rispondere a determinate necessità.
L’alterazione dell’omeostasi può avvenire:
1. riducendo la capacità della cellula di produrre ATP
2. aumentando la concentrazione di Ca2+ intracellulare (stimolo all’apoptosi)
3. producendo ROS (specie radicaliche all’ossigeno)
Il risultato di tutti e tre questi fenomeni è la morte cellulare.

Deplezione ATP

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La produzione di ATP è così importante poiché è necessaria per qualsiasi azione cellulare: contrazione
muscolare, costruzione del citoscheletro, motilità cellulare (le cellule migrano), trasporto vescicolare (per
esempio per il rilascio di neurotrasmettitori o per mantenere la morfologia cellulare, come esporre
determinate proteine sulla membrana), mitosi, ecc. Nell’economia cellulare oltretutto l’ATP viene
idrolizzato per produrre AMP (che diventerà cAMP) e ADP, liberando energia.
Grazie all’equilibrio all’interno della cellula e
all’azione dell’ATP-sintetasi, la quantità di ATP
viene continuamente ripristinato, attraverso la
fosforilazione ossidativa.
La fosforilazione ossidativa avviene a livello
della membrana mitocondriale interna
attraverso un sistema di trasporto degli
elettroni e concomitante espulsione progressiva
di protoni.
Questo crea un gradiente elettrochimico a cavallo
della membrana mitocondriale interna,
impermeabile alla maggior parte delle specie
chimiche, indispensabile all’ATP-sintetasi che sfrutta
l’energia derivante per sintetizzare ATP a partire da
ADP e fosfato inorganico.
Questo meccanismo funziona fintanto che è
possibile mantenere un gradiente di concentrazione.
Tutte quelle sostanze che lo modificano portano ad
una scarsa o nulla produzione di ATP che a sua volta
porterà alla morte cellulare.
Anche nel caso dell’apoptosi serve energia!!! E di conseguenza, privata dell’ATP, la cellula morirà di necrosi,
innescando un processo infiammatorio nel tessuto.

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- Rotenone, contenuto nei pesticidi, responsabile dell’insorgenza di malattie neurodegenerative.
- DDT
- cianuro

Aumento di Ca2+ intracellulare:


La concentrazione di Ca++ intracellulare libero è strettamente regolata poiché il Ca ++ è necessario per
l’attività di molti enzimi (proteasi, fosfolipasi, endonucleasi ecc.) e regola molte attività cellulari. Sostanze
che danneggiano i sistemi responsabili del mantenimento della concentrazione di Ca++ provocano un suo
aumento con attivazione di molti enzimi litici e conseguente morte cellulare (necrosi o apoptosi).

Ca2+come messaggero cellulare fisiologico:


Variazioni di concentrazioni citoplasmatiche del calcio sono legate a funzioni molto importanti:
- differenziazione cellulare
- esocitosi e secrezione
- proliferazione e divisione
- espressione genica
- rilascio di neurotrasmettitori
L’omeostasi del Ca2+ è controllata da canali, aperti solo in determinate circostanze e che ne permettono
l’entrata nella cellula, pompe Ca2+-ATPasi, che ne permettono l’estrusione citosolica e l’accumulo nelle
strutture preposte (RE e mitocondri).

Ca2+ come messaggero di tossicità:

91
Quando la concentrazione di calcio
citoplasmatico aumenta vengono attivate
determinate proteasi (CASPASI), che hanno
azione distruttiva nei confronti delle proteine
del citoscheletro e della membrana,

nucleasi, che tagliano il DNA, fosfolipasi, che catalizzano l’idrolisi dei lipidi di membrana.

Tra gli agenti che alterano l’omeostasi del calcio ce ne sono alcuni che impediscono l’uscita dello ione dal
citosol, prolungandone la permanenza, come paracetamolo, cloroformio, CCl4.
Altri invece favoriscono la fuoriuscita nel citosol dai siti di riserva, come acidi grassi liberi, CCl 4, detergenti.

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LA MORTE CELLULARE:
può avvenire per necrosi o per apoptosi:

Lascia detriti che invadono il tessuto


circostanze e causano una risposta
infiammatoria, con conseguente danno.

Fisiologicamente e possibilmente il
nostro sistema preferisce la morte
per apoptosi, morte programmata e
controllata, che necessita di energia,
finalizzata alla sostituzione della
cellula non funzionante con nuove
cellule e senza lasciare detriti
cellulari.

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Il calcio attiva proteasi e nucleasi, che necessitano
di ATP: in primo luogo avviene la condensazione
della cromatina (struttura in cui viene impaccata
la doppia elica del DNA), poi si formano i budding,
una specie di estroflessioni della cellula che si
staccheranno e costituiranno poi delle porzioni
autonome, i corpi apoptotici; questi non
innescano un processo infiammatorio perché
vengono eliminati da fagociti necrofagi, come i
macrofagi non c’è versamento di materiale
citoplasmatico nel tessuto. In questo modo il
tessuto è in grado di sostituire le cellule morte
con cellule nuove funzionali ed è possibile il
mantenimento del numero di cellule del sistema.

Quando invece la cellula muore per necrosi,


il sistema va incontro alla lisi cellulare, che
innesca una risposta infiammatoria in tutta
la zona circostanze: c’è il richiamo di
linfociti, di fattori di adesione, alterazione
della funzionalità tissutale, a scapito anche
delle cellule sane.
E’ un processo osmotico, con rigonfiamento
della cellula e degli organelli, blocco della
sintesi di ATP (quindi la cellula va in carenza
di energia), il DNA si degrada in modo
casuale e alla fine abbiamo lo scoppio vero e proprio con versamento di tutto il materiale citoplasmatico.
Nel processo di apoptosi la degradazione del
DNA è regolare e controllata, attraverso la
frammentazione in unità di peso crescente da
parte delle nucleasi

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Il numero indica il tempo di esposizione ad un agente pro-apoptotico. Si vede un profilo diverso per ogni
tempo considerato:
- t0 = banda unica; il DNA è bene impaccato e quindi così pesante da non riuscire ad attraversare le maglie
di agarosio;
- t15’ = una parte del DNA inizia ad essere tagliata, penetra attraverso le maglie del gel poiché più piccolo;
- t45’ = ci sono delle bande con una dimensione ben definita. Confrontandola con la colonna nota M si
vedono le paia di basi dei diversi frammenti: le cellule sono entrate in apoptosi e si sono formati i
raggrinzimenti. Il DNA è stato tagliato in dimensioni crescenti e proporzionali.
- t70’ = qui il processo è giunto al suo termine.
Le cellule ai diversi tempi si vedono a fianco al grafico: si evidenziano, con il passare dei minuti, i vari nuclei
in cui il DNA è stato tagliato nelle sue diverse porzioni. Questo test si può usare per vedere l’attività tossica
sul DNA da parte di xenobiotici come sostanze tossiche o nuovi farmaci (es. un antitumorale che induce
apoptosi nelle cellule neoplastiche).

FASE 4: RIPARAZIONE O RIPARAZIONE ERRATA:


La riparazione è il tentativo della cellula o del tessuto di limitare il danno. I fenomeni di riparazione sono
quotidiani nel nostro organismo. A seconda del target da riparare si parla di:
- riparazione molecolare (proteine, lipidi, DNA)
Proteine: l’ossidazione dei tioli proteici può essere contrastata tramite riduzione enzimatica;
degradazione ad opera di lisosomi; le heat-shock protein vengono sintetizzate in grande quantità e
provvedono al corretto ripiegamento delle proteine danneggiate Lipidi: idrolisi + riduzione
dell’acido grasso perossidato (ossidazione del glutatione)
- riparazione della funzione cellulare
- riparazione tissutale (come le cicatrici)

LA RIPARAZIONE DEL DNA


Nonostante la elevata reattività con elettrofili e radicali liberi, il, DNA è piuttosto stabile grazie al fatto che è
impaccato a formare la cromatina e perché esistono diversi meccanismi di riparazione per mantenerne
l’integrità; questi meccanismi però richiedono e di conseguenza un arresto alla progressione del ciclo
cellulare (Le chinasi associate alle cicline sono delle proteine che controllano il ciclo cellulare regolandone il
passaggio attraverso le diverse fasi). Tutte le sostanze che interferiscono direttamente con i sistemi
riparativi oppure interferiscono con i meccanismi di regolazione delle cicline, impedendo alla cellula il
blocco temporaneo del ciclo cellulare, rendono impossibile la riparazione.
Se il danno è esteso la cellula induce l’apoptosi.
Se il danno non viene riparato e la cellula non va incontro ad apoptosi, il danno del filamento di DNA
danneggiato induce una mutazione nel filamento figlio al momento della replicazione cellulare e si creerà
quindi una linea genetica cellulare che ha ereditato questa mutazione; i livelli di mutazione aumentano con
la velocità di divisione cellulare. Se la cellula che ha subito il danno è un gamete, al momento della
fecondazione si genererà un individuo con TUTTE le cellule mutate (alterazioni funzionali in più distretti,
tumori sparsi, aborto)

Riparazione diretta del DNA:


L’enzima DNA fotoliasi lega in modo corretto i filamenti di DNA danneggiati dall’esposizione a radiazione
ultravioletta dopo aver scisso basi pirimidiniche adiacenti dimerizzate dalla luce UV. (vedi genotossicità)

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Riparazione diretta per escissione: il complesso enzimatico DNA glicosilasi riconosce le basi alterate, le
rimuove, le rimpiazza con il nucleotide corretto tramite una DNA polimerasi ed infine una ligasi salda il
legame tra la base ed il resto dell’elica

Riparazione cellulare
La riparazione cellulare non è attuabile da tutte
le cellule e non in egual misura.
Esempio: nel SNP ci sono vere e proprie cellule,
cellule di Schwann, che ricoprono l’assone a
formare la copertura mielinica; nel SNC invece
troviamo gli oligodendrociti, che costituiscono
solo tratti di mielina. Nei neuroni periferici con
danno dell’assone, la riparazione richiede la
presenza di macrofagi e di cellule di Schwann. I
primi rimuovono la cellula morta e i detriti per
fagocitosi e producono fattori di crescita e
citochine che stimolano le cellule di Schwann a
proliferare e migrare. Le cellule di Schwann
invece, mentre migrano insieme all’assone che ricresce, lo guidano fisicamente verso la cellula bersaglio da
innervare. Questo meccanismo non è possibile a livello centrale perché l’oligodendrocita ingabbia l’assone
e non può determinarne la direzione.

Riparazione tissutale
La riparazione tissutale può dare luogo ad apoptosi o proliferazione. Nel primo caso si ha la delezione attiva
delle cellule danneggiate, nel secondo si ha fenomeno rigenerativo.
L’apoptosi è una strategia utile per riparare il tessuto ed evitare la possibile insorgenza di fenomeni
infiammatori.
L’apoptosi come strategia riparativa tissutale di un danno è tipica di tessuti costituiti da cellule in continuo
rinnovamento:
- midollo osseo
- epitelio respiratorio
- epitelio gastrointestinale
- epidermide cutanea
Tessuti con scarsa attività di replicazione o costituiti da cellule non sostituibili perché sono cellule non
replicanti non vanno incontro ad apoptosi come strategia riparativa e sono:
- Neuroni
- Cardiomiociti
- Cellule germinali femminili (oociti)

1. La riparazione del tessuto, e quindi la proliferazione, vede l’eliminazione per apoptosi delle cellule
danneggiate. (per misurare l’indice apoptotico sperimentalmente, si dosano alcuni fattori
caratterizzanti, come la CASPASI 3)
2. Contemporaneamente parte lo stimolo rigenerativo, costituito dal rilascio di fattori di crescita,
molecole che stimolano le cellule alla divisione cellulare. Oltre a questo, si ha anche la presenza del

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fenomeno della migrazione cellulare mediato dagli stessi fattori, cellule sane migrano verso il sito di
danno a ricostituire il tessuto. Fondamentale è la buona vascolarizzazione della zona, per favorire la
crescita cellulare. Se il tessuto dopo l’ulcera va incontro ad ischemia, questa non si ripara.

L’ulcera da uso prolungato di FANS si è scoperto


derivare dal concomitante blocco dei sistemi di
difesa del tessuto (blocco di COX-1 e COX-2).
Altri FANS invece non sono lesivi per la mucosa
gastrica e soprattutto non interferiscono col
processo riparativo.

RECAP:
Subito dopo il danno, le cellule adiacenti alla zona danneggiata entrano nel ciclo di divisione cellulare:
passano dalla fase G0, entrano nella fase G1 e progrediscono verso la mitosi (M)
Il tessuto provvede così a sostituire le cellule perse con l’apoptosi. IL processo rigenerativo inizia con il
rilascio di mediatori chimici, come TNF-alfa e IL-6, da parte di cellule danneggiate, e successivamente di
fattori di crescita come HGF e il TGF-alfa.
Un fenomeno fondamentale che accompagna la riparazione tissutale è quindi la migrazione, spostamento
delle cellule dal tratto sano al sito di lesione, in modo da ristabilire la continuità di superficie prima ancora
che avvenga per replicazione cellulare.

Parallelamente alla proliferazione cellulare è fondamentale che sia ricostituita la matrice extra-cellulare,
costituita da proteine (fibronectina, collagene, …), glicosaminoglicani, glicoproteine, che costituisce la rete

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in cui sono ancorate le cellule del tessuto. I fattori di crescita PDGF e TGF-beta, che stimolano le cellule a
proliferare, le inducono anche produrre le sostanze che costituiscono la matrice, cioè collagene,
fibronectina, acido ialuronico, ecc.

FANS: hanno una tossicità connessa alla


loro azione farmacodinamica, cioè legata
all’azione farmacologica (per esempio il
danno collaterale su sistema immunitario
non è legato all’azione farmacologica).
In virtù del loro meccanismo d’azione,
tolgono alla mucosa gastrica dei sistemi di
difesa e protezione. Azioni protettive di
COX-1 sullo stomaco: produzione muco,
produzione di bicarbonato, irrorazione
sanguigna.
Azione della COX-2: stimola la
proliferazione cellulare, aumenta
l’adesione dei leucociti, interferisce con ischemia locale e a seconda dell’ambito tissutale è responsabile
della modulazione di produzione dei ROS.
Si è scoperto che ci sono dei FANS in grado di provocare un’ulcerazione gastrica attraverso la loro struttura
chimica, detta acidica: i FANS acidici sono in grado di alterare la funziona mitocondriale, ridurre lo spessore
idrofobico a livello della mucosa e ridurre la funzionalità della barriera epiteliale.
Inibitori selettivi COX-1: aumentano la spinta apoptotica ma non variano quella proliferativa.
Inibitori selettivi COX-2: diminuiscono la spinta apoptotica e aumentano la spinta proliferativa (top!)
Inibitori COX-1 e COX-2 non selettivi: aumentano la spinta apoptitica e diminuiscono la spinta proliferativa:
aggravano marcatamente l’ulcera preesistente.

Meccanismi di adattamento
Oltre alla spinta riparativa, l’adattamento è la compensazione di una disfunzione, finalizzata a conservare o
recuperare l’omeostasi.
Il rene è uno dei pochi organi che compensa la funzione perduta; un altro è il fegato, qui però la
compensazione troppo pronunciata o prolungata porta ad una iper-proliferazione: tumore. Essendo molto
vascolarizzato è difficile tenere sotto controllo il processo proliferativo (passa tanto ossigeno, sostanze
nutritive, fattori di crescita, ormoni, ecc.), per cui un fegato cirrotico, che cerca di adattarsi alla situazione
infiammatoria data dall’epatite con massiva proliferazione, esita quasi sempre in neoplasia.
Meccanismi di adattamento si verificano ad esempio perché alcuni xenobiotici inducono alcuni
cambiamenti adattativi: alcuni aumentano il loro sequestro da parte di proteine cellulari. Caso eclatante
sono le metallotioneine quando veniamo esposti a cadmio e metalli pesanti. Questi riescono a indurre la
sintesi proteica delle metallotionine stesse. Nel fegato il meccanismo è efficiente, quando invece sono
prodotte nel rene, il complesso Me-metallotionine nelle cellule tubulari del rene (molto ricche in
componente lisosomiale) viene inglobato dai lisosomi. Dato l’ingombro, il lisosoma scoppia e vengono

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liberati tutti gli enzimi litici, che rompono il complesso, liberando nuovamente il metallo all’interno della
cellula che porterà alla tossicità renale.
Un altro metodo di adattamento nel caso di una perdita di funzione è l’aumento della detossificazione,
attraverso un’induzione metabolica, come nel caso dell'etanolo e del fenobarbitale. Questi aumentano la
sintesi o l’attività di enzimi appartenenti al pathway di biotrasformazione, aumentando di conseguenza la
loro quota di inattivazione (e produzione di metaboliti).
Ulteriore esempio è l’induzione di proteine di estrusione, come la glicoproteina P (= MDR1). Questa viene
sovraespressa di modo da accentuare l’efflusso dello xenobiotico, farmaco o tossina che sia. In terapia la
presenza di questa proteina genera resistenza al farmaco. Alcuni xenobiotici favoriscono la compensazione
funzionale inducendo la propria estrusione dalla cellula.
Es. Fe2+ e Cd2+ assunti con la dieta influenzano l’espressione di un trasportatore per i metalli divalenti negli
enterociti.
Se il sistema biologico contrasta il danno, fa partire la riparazione. Se compensa un’alterazione funzionale,
vuol dire che si adatta.
Le conseguenze della riparazione sono:
- riparazione efficiente  prevede l’induzione dell’apoptosi e un fenomeno proliferativo controllato che mi
permette di avere nuove cellule capaci di espletare le funzioni precedentemente alterate;
- riparazione inefficiente  le cellule danneggiate vanno in necrosi, attivando l’infiammazione. Inoltre
determina la formazione di tessuto fibrotico, cellule che non hanno la funzione di quelle che sostituiscono.
Serve solamente a ripristinare la continuità tissutale, ma non funzionale.
A seconda poi della spinta proliferativa propria del tessuto (fegato, mucosa intestinale, …) è possibile che
questo sia incapace di controllare il processo e che ci sia insorgenza di cancro.

LA GENOTOSSICITA’
La genotossicità è la tossicità a carico degli acidi nucleici; si occupa dello studio delle alterazioni nelle
componenti genetiche indotte da agenti chimici o fisici, siano questi xenobiotici, radiazioni, farmaci o
tossine.
Tali alterazioni possono portare alla sospensione del prodotto genico (cioè il frutto della traduzione del
mRNA maturo, le proteine), alla diminuzione o all’aumento di attività del prodotto, alla perdita delle sue
capacità funzionali.
Se conosco delle sostanze, notoriamente capaci di creare danno genetico, devo anche chiedermi in che
modo può portarle.

I filamenti di DNA, appaiati con le estremità 5’-3’ e 3’-5’, vanno ad impaccarsi a formare i cromosomi,
tipicamente costituiti da 4 bracci, 2 più lunghi e 2 più corti, uniti tramite il centromero. Su questa struttura
impacchettata con la cromatina si susseguono le sequenze dei geni.

I fattori che influenzano il danno genetico sono:


- Concentrazione del tossico nell’ambiente
- Assorbimento e distribuzione nell’organismo
- Capacità metabolizzante del tessuto (quanto il tessuto attiva una sostanza o la detossifica)

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- Reattività del composto chimico con i bersagli
- Capacità di riparare il danno (fegato → cancro; neuroni centrali e miocardio → non riparano)
- Abilità del tessuto bersaglio di riconoscere e sopprimere la moltiplicazione di cellule mutate (sistemi
attivati quando si verifica il danno)

1. Le mutazioni
DEF: È un processo che altera la sequenza di basi del DNA.

Le mutazioni possono essere:


- Geniche o puntiformi (coinvolgono poche basi rispetto alla sequenza normale)
- Cromosomiche (coinvolgono interi cromosomi, milioni di basi. Sono colpiti molti geni)

La mutazione è un cambiamento nel corredo genetico di una cellula ereditabile dalle cellule figlie.
A seconda che si verifichino in cellule somatiche o germinali:

Cellula somatica: si ha una


parziale trasmissione del
danno alla linea genetica
discendente dalla cellula
mutata.
Cellula germinale: tutte le
cellule di tutti i tessuti del
prodotto di concepimento
presentano la mutazione.

1.a Le mutazioni puntiformi


Dal punto di vista strutturale, ci possono essere:
- Transizioni  sostituzioni di una purina (A, G) con un’altra purina o di una pirimidina (C, T) con un’altra
pirimidina (=A-T diventa G-C)

- Transversioni  sostituzioni di una purina con una pirimidina e viceversa. Queste causano le seguenti
mutazioni:

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Dal punto di vista funzionale invece, dato che ad ogni tripletta di basi corrisponde univocamente un
amminoacido, le mutazioni possono portare ad errori di lettura del codice genetico e di conseguenza nel
prodotto genico. Distinguiamo:
- Mutazione missenso  la sostituzione genera una tripletta che codifica per un amminoacido diverso.

- Mutazione nonsenso  la sostituzione della base porta ad una tripletta che codifica per un codone di
stop, con terminazione precoce della catena amminoacidica. La proteina derivante sarà più corta di n a.a. e
sarà malfunzionante.

Nel caso in cui si verificassero mutazioni nella sequenza del promotore, tali da impedire il riconoscimento
dei fattori di trascrizione, non si avrebbe neanche l’inizio della trascrizione del gene.
- Mutazione neutra  la nuova tripletta codifica per un amminoacido dalle proprietà chimiche simili a
quello originario.

- Mutazione silente  la nuova tripletta codifica per lo stesso amminoacido della tripletta originale.
- Frameshift  letteralmente “spostamento della cornice”. La sostanza genotossica opera un’inserzione o
una delezione di una coppia di basi. Si ha quindi lo slittamento della sequenza di tutte le basi a valle della
mutazione e il conseguente errore di lettura di tutto il gene.

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1.b Le mutazioni cromosomiche
Il numero di cromosomi è lo stesso in tutti gli individui appartenenti alla stessa specie. L’uomo ha nelle sue
cellule somatiche 46 cromosomi (2n=46), 23 coppie di cromosomi omologhi: 22 sono coppie di omologhi
che costituiscono i cromosomi somatici, o autosomi, mentre una coppia è formata da due cromosomi
sessuali diversi nei due sessi (eterocromosomi).
Quando il numero delle coppie viene alterato (per esposizione a radiazioni ionizzanti o per malattia
genetica), tutto il corredo genico che si trova sul cromosoma danneggiato subisce alterazione.

Alterazioni del numero dei cromosomi


- MODIFICAZIONE DELL’INTERO SET CROMOSOMICO: euploidia aberrante (differisce dal normale per
un ristretto numero di cromosomi)
- MODIFICAZIONI DI UNA PARTE DEL SET CROMOSOMICO: aneuploidia (riguarda solo determinate
coppie di cromosomi, es. trisomia 21)
Le coppie 1, 2 e 3 sono normali; nella 4 e
nella 5 invece alcuni bracci sono molto
piccoli del normale, a favore invece di quelli
più grandi. Si riportano di conseguenza la
sindome di Wolf e sindome del grido del
gatto.
In alcuni casi alcune coppie posso andare
incontro ad inserzione di un nuovo
cromosoma, cioè le trisomie.

Sindrome di Wolf: delezione cromosomica


del braccio corto del cromosoma 4. Questa
perdita si associa alle sueguenti dondizioni
cliniche: microcefalia, ipotonia, labbro
leporino

Sindrome del grido del gatto: delezione cromosomica sul braccio cromosoma 5. Conseguenze cliniche:
pianto somigliante a lamento del gatto, riduce lo sviluppo delle cartilagini della laringe (ipoplasia delle
cartilagini della laringe), ritardo mentale grave, microcefalia, ritardo della crescita, cardiopatia congenita.

Mutazioni cromosomiche dal punto di vista strutturale


le diverse zone corrispondono ai diversi
geni.
1. Viene persa una parte del corredo
genico
2. Una parte si ripete due volte
3. La sequenza dei geni non viene
rispettata

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Alcune modificazioni coinvolgono due bracci del cromosoma o di cromosomi diversi:
1.traslocazione da un braccio all’altro
2.traslocazione reciproca tra due cromosomi omologhi.

2. Agenti che danneggiano il DNA:


- Radiazioni in funzione della lunghezza d’onda.
o Radiazioni ionizzanti come raggi gamma e X
o Radiazioni ultraviolette, specialmente UV-C (circa di 260 nm), fortemente assorbite dal DNA; i raggi
UV-B invece possono attraversare la fascia di ozono atmosferico
- Radicali dell’ossigeno  sono specie chimiche altamente reattive prodotte durante la normale
respirazione cellulare o altre vie biochimiche
- Agenti chimici ambientali  come il fumo di sigaretta (che non è solo genotossico ma è anche un
promotore della cancerogenesi, favorendo l’insorgenza e l’attecchimento del tumore), molti
idrocarburi, prodotti di microrganismi e piante (come le aflatossine)
- Agenti chimici usati come chemioterapici  hanno la finalità specifica di arrecare danno al DNA delle
cellule neoplastiche, ma lo possono indurre anche in quelle sane.

3. Meccanismi molecolari alla base della mutagenesi


1. Analoghi di basi  grazie alla loro somiglianza strutturale con le basi azotate, vengono incorporati nel
DNA durante la replicazione, ma le diverse proprietà chimiche portano a legami con basi e a errori
nella replicazione.
Per esempio: la 2-amminopurina, un analogo dell’adenina, si può appaiare con la timina. Se viene
protonata si può appaiare anche con la citosina. Si ha transizione AT → GC.
2. Agenti alchilanti  attaccano gruppi alchilici (etile o metile) all’ ossigeno in posizione 6 della guanina,
dando luogo all’O6-alchilguanina, che si appaia erroneamente con la timina (transizione GC_AT).
Es. etilmetansulfonato
3. Agenti intercalanti  si intercalano a causa della loro struttura planare all’interno della doppia elica e
si legano alle basi. Stabilizzano la formazione di occhielli e causano la delezione o l’addizione di singole
coppie di nucleotidi.
Per esempio: proflavina, arancio di acridina. L’etidio bromuro, planare, è un forte intercalante. Si
posiziona tra le basi del DNA e, esposto all’UV, emette un segnale. Per questo era molto usato in
laboratorio per osservare il DNA; oggi è vietato perché cancerogeno.

4. Meccanismi di riparazione del DNA


1. Fotoliasi: l’energia associata alla radiazione UV
causa la dimerizzazione di timine adiacenti
tramite legame covalente che ne impedisce la
mobilità e la replicazione. L’enzima proprio
grazie all’energia dell’UV si attiva e
rompe i legami tra le due timine

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2. Agenti dealchilanti: nel caso dell’alchilazione della guanina, interviene la O6-metilguanina
metiltransferasi che riconosce la guanina metilata, rimuove il gruppo metilico e lo trasferisce ad un
aminoacido dell’enzima
3. Riparazione per escissione: rimozione di basi alterate, come già visto. (complesso enzimatico glicosilasi,
polimerasi, ligasi)

Quando il sistema riparativo del DNA fallisce:

I soggetti in questione non hanno


sistemi che riparano i danni indotti da
radiazione UV

Affinché la riparazione sia possibile è


necessario, come detto, che venga
interrotto il ciclo cellulare. Se per
qualche motivo questo non può
succedere, il danno diventa acquisito
per mancanza di tempo di riparazione.

Test di genotossicità
I test a breve termine possono essere condotti sia in vitro (potenziale genotossico in coltura cellulare) che
in vivo (nell’animale)
Test per analisi delle mutazioni geniche (Test di Ames su Salmonella Typhimurium e test di mutazione
locus specifici su cellule di mammifero in coltura)
Test per l’analisi delle aberrazioni cromosomiche strutturali (test di citogenetica in vitro ed in vivo)

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Test per l’analisi delle anomalie del numero di cromosomi (test del micronucleo in vitro ed in vivo)

Test di mutagenesi
Servono a rivelare se una sostanza è in grado di provocare mutazioni geniche.
Per testare il potenziale mutageno di una sostanza è strettamente necessario che il cambiamento nella
sequenza nucleotidica produca un cambiamento nel fetonipo rilevabile -attraverso le appropriate
tecniche- e riproducibile.
Circa la metà dei carcinogeni noti (positivi al test di cancerogenesi animale a 2 anni) sono mutageni. 
Mutazioni nelle cellule germinali possono provocare malattie ereditarie (es. fibrosi cistica) e concorrere a
determinare malattie ‘multifattoriali’ quali diabete, ipertensione ecc.

Test di Ames
I batteri di Salmonella typhimurium (condizioni wild type) sono in grado di sintetizzare da soli
l’amminoacido istidina. Questo test utilizza ceppi mutanti che invece hanno perso la capacità di
sopravvivere in assenza di istidina (il gene incaricato della sintesi dell’istidina è stato mutato
dall’operatore). In coltura questi batteri, a meno di somministrazione di istidina, muoiono. Se la colonia,
esposta ad una sostanza X di cui si vuole testare la capacità mutagena, riesce a sopravvivere e a
proliferare senza la somministrazione di istidina, significa che è avvenuta una retromutazione per cui i
batteri hanno riacquistato la capacità di sintetizzare his- per conto proprio. Nella conduzione del test, si
preparano una piastra senza his- per il controllo negativo (per verificare che la colonia muoia, anche se è
possibile che si verifichino retromutazioni spontanee e una minima parte dei batteri sopravviva) ed una
piastra con his- per il controllo positivo (cioè che in presenza di his- la colonia sopravvive). In questo
modo possiamo distinguere mutageni diretti e indiretti (dopo biotrasformazione)
Per osservare il potenziale mutageno non solo della sostanza di per sé ma anche dei suoi metaboliti,
oltre alle piastre di controllo e a quella del ceppo con la sostanza X, si prepara una terza piastra di
coltura con la sostanza X in esame e l’S9, frazione microsomiale epatica di ratto, ricchissima di enzimi. In
questo modo si può verificare se i metaboliti sono mutageni (per esempio l’aflatossina non è mutagena
di per sé, lo sono i suoi metaboliti). Il potere mutageno è misurato in base al tasso di sopravvivenza della
piastra trattata in confronto a quella del controllo negativo.
Vantaggi: economico, duttile, strumenti di facile reperibilità, risultati in tempi brevi.
Svantaggi: il lisato epatico S9 manca di enzimi metabolici presenti in altri distretti (falso negativo)
In vivo la sostanza potrebbe essere detossificata (falso positivo)
È necessario quindi condurre altri esperimenti per confermare il risultato:
l’enzima ipoxantina-guanina fosforibosiltransferasi (HGPRT) permette l’incorporazione della 6-
tioguanina (e composti analoghi) nel DNA  inibizione della crescita cellulare e/o morte cellulare. Una
mutazione del gene codificante per HGPRT può consentire alle cellule di sopravvivere in presenza di 6-
tioguanina. Cellule + sostanza test  incubazione in presenza di 6-tioguanina  conta delle colonie.

Test per l’aberrazione cromosomica


Misurano il danno al DNA che si manifesta come danno delle strutture del cromosoma: rotture,
riarrangiamenti, delezioni, duplicazioni, inversioni.

105
Questo tipo di danno è coinvolto nella cancerogenesi e nello sviluppo di anomalie fetali e malattie
congenite.
Gli agenti che causano danno cromosomico sono detti clastogeni.
I test per l’aberrazione cromosomica classici si basano sulla rivelazione del danno mediante analisi
citogenetica, effettuata al microscopio ottico, dei cromosomi in metafase. La valutazione del danno
richiede notevole abilità ed esperienza.

Test in vitro: Utilizzano linee cellulari di mammifero con pattern genetici che facilitano l’analisi. La più
utilizzata è la CHO (Chinese Hamster Ovary), che fornisce cellule con un cariotipo ben definito e stabile, con
un basso numero di cromosomi di grandi dimensioni. Le cellule vengono trattate durante la fase S del ciclo
cellulare (fase di duplicazione del genoma); le aberrazioni sono osservate alla prima divisione cellulare.
Test in vivo: Si somministra la sostanza ad animali vivi, che poi vengono ammazzati. Il tessuto analizzato è il
midollo osseo, che fornisce un gran numero di cellule in replicazione.
Test dei micronuclei:
Quando avviene un danno a carico del pattern
cromosomico si generano micronuclei, frammenti di
cromosoma o cromosomi interi che non vengono
incorporati nel nucleo durante la mitosi e che sono
osservabili al microscopio.
Può essere effettuato sia in vitro sia in vivo,
misurando i micronuclei degli eritrociti immaturi (i
micronuclei rimangono nella cellula dopo l’estrusione del nucleo). Il numero di micronuclei dà la misura
dell’entità del danno.
Agente cancerogeno non è intercambiabile con mutageno: il mutageno danneggia il DNA, il cancerogeno è
l’agente a cui possiamo associare una relazione causale con l’insorgenza di una trasformazione cellulare da
sana a cancerosa. Non tutto ciò che è mutageno è cancerogeno (esistono mutazioni vantaggiose per
l’organismo e su queste si basa la selezione naturale), come non necessariamente la sostanza che pone le
condizioni reali affinché la neoplasia insorga è quella che causa danno diretto al DNA.

LA CANCEROGENESI
DEF: processo attraverso cui si sviluppa il cancro.
In particolare, si parla di CANCEROGENESI CHIMICA quando lo studio verte sui meccanismi attraverso i quali
le sostanze chimiche inducono il cancro (sviluppo e utilizzo di sistemi atti a determinare il potenziale
cancerogeno di una sostanza nell’uomo)
Le cellule cancerose sono cellule non differenziate, che si riproducono in modo incontrollato e
indipendente dai meccanismi di regolazione dell’organismo. Vi è un’alterazione del rapporto tra velocità di
divisione cellulare e apoptosi e questo determina un grande vantaggio selettivo a scapito delle cellule sane.
Questa modulazione avviene tramite attivazione dei proto-oncogeni e silenziamento dei geni
oncosoppressori, dando vantaggio alla spinta proliferativa. Se il regolatore del ciclo cellulare è mutato, per
esempio, la cellula entra come in un loop: prolifera molto velocemente e questa velocità causa un maggior
numero di errori di trascrizione rispetto al normale, che la cellula accumula come mutazioni. (di media
servono dalle 5 alle 7 mutazioni concomitanti perché una cellula diventi cancerosa).
Gli agenti cancerogeni sono distinguibili in:

106
1. Genotossici: l’alterazione proliferativa della cellula è causata da un danno al corredo genetico, che
sia puntiforme o cromosomico; risultano mutageni sia in vivo che in vitro, causando alterazioni
permanenti del patrimonio genetico dell’ospite.
2. Non genotossico: sono quelli che agiscono a livello epigenetico, nella regolazione dell’espressione.
Non risultano positivi a test di mutagenesi in vitro perché non alterano la struttura primaria del
DNA, alterano l’espressione di determinati geni, attivandone alcuni e reprimendone altri (per
esempio repressione di geni pro-apoptotici), e/o causa alterazioni nei meccanismi di trasduzione del
segnale che regolano eventi quali la proliferazione, la differenziazione e l’apoptosi cellulare.
Contribuiscono all’espansione clonale di cellule con un genotipo alterato, dando origine ad un
tumore. Può agire solo se il danno è già avvenuto.
N.B.: in assenza di alterazioni genetiche non sono in grado di indurre formazione di tumori.
Questi facilitano la proliferazione di cellule con un genotipo alterato (cellule contenenti un
oncogene(i) e/o un gene(i) soppressore di tumore mutati) e inducono l’espansione di queste cellule
alterate o “iniziate”. Si dividono in quattro categorie:
1. Ormoni (estrogeni coniugati e dietilstilbestrolo)
2. Xenobiotici immunosoppressori (azatioprina e ciclosporina A): interferiscono col naturale pattern
difensivo dell’organismo
3. Sostanze allo stato solido (materie plastiche e asbesto (amianto))
4. Promotori di tumori in modelli sperimentali umani, come diossina e fenobarbital: sono entrambi
modulatori enzimatici
(nei tumori il p53, che frena le spinte proliferative, è spesso alterato dagli agenti epigenetici)
Alcune sostanze sono sia genotossiche che agenti epigenetici.

DETERMINAZIONE DEL POTENZIALE CANCEROGENO DI UNA SOSTANZA


I test vengono effettuati su specie murine (topi e ratti). I dati generati dal modello sperimentale hanno un
alto valore scientifico, ma bisogna tenere sempre presenti alcuni fattori:
- Differenze di specie: il metabolismo e la biotrasformazione potrebbe differire tra la specie murina e
l’uomo
- Condizioni sperimentali: le dosi utilizzate sono molto elevate, vicine alla MTD e ciò risulta in una
forzatura sperimentale (molto difficile che nella realtà un individuo sia esposto a tali
concentrazioni); inoltre bisogna considerare che l’animale è chiuso in gabbia, zero attività fisica,
l’alimentazione non è naturale, l’esposizione alla luce non segue i ritmi naturali.
- Scarsa numerosità del campione
- Ciclo di vita breve (la tossicità degli agenti cancerogeni si manifesta sulla lunga distanza)
Studi di cancerogenesi:
• Specie: ratti o topi, di entrambi i sessi.
• Durata: 18-24 mesi (l’intera vita dell’animale).
• Con l’età, gli animali sviluppano normalmente tumori  è necessario paragonare l’incidenza dei tumori
nel gruppo trattato con quella di un gruppo di controllo, non trattato.
• Lo studio a 2 anni è un buon modello per valutare il potenziale cancerogeno nell’uomo: tutti i
cancerogeni umani noti sono risultati cancerogeni anche nell’animale, in opportune condizioni
sperimentali.
• Predittività: per carcinogeni poco potenti, i risultati sono spesso di difficile interpretazione e possono
dipendere in modo critico dalle condizioni sperimentali.

107
Esiste una classificazione delle sostanze cancerogene in cui il criterio principale è il peso (veridicità) del
risultato, cioè la forza dell’evidenza. (come per la classificazione delle sostanze teratogene).

1: ho evidenze nella specie umana che


quell’agente o quella miscela sono
cancerogeni. Evidenza clinica.
2A: evidenza limitata nella specie umana e
evidenza sufficiente nella sperimentazione
2B: l’evidenza nella specie umana è ancora
minore rispetto al 2A ma continua ad
esserci evidenza sperimentale.
3: non si può classificare come cancerogena
per gli uomini perché le evidenze non sono
adeguate e non lo sono neanche nelle
specie sperimentali. (il dato raccolto non è
significativo, univoco)
4: probabilmente non è cancerogeno
perché la mancanza di relazione causale tra la neoplasia e l’esposizione è ancora più ridotta.

CELLULE SANE vs. CELLULE CANCEROSE


Sane:
٠ Inibizione da contatto → cellule a contatto tra loro subiscono vicendevole inibizione della
proliferazione
٠ Sensibilità alle condizioni esterne (pH, nutrienti specifici, ecc.)
٠ Danneggiate  morte cellulare programmata
Cancerose:
٠ Sdifferenziate e non hanno particolari necessità metaboliche
٠ Sfuggono al controllo apoptotico
٠ Autonomia di crescita
٠ Mancanza di adesione cellulare (prolifera in tutte e tre le direzioni)
٠ Capacità invasiva (riesce ad attecchire anche in altri distretti perché la capacità replicativa non
dipende dalle condizioni esterne) → Metastasi

definita

108
CANCEROGENI RICONOSCIUTI

PVC → tumore al fegato


Coloranti azoici → tumore alla vescica
Benzene → Leucemie
Dietilstilbestrolo → tumore alla vagina (tossicità ritardata, nelle figlie di madri esposte)
Fumo di sigaretta → tumore al polmone

Studi sull’incidenza del cancro


1. Studi epidemiologici: incidenza di tumori aumenta esponenzialmente con l’età
2. Sono necessarie da 3 a 7 mutazioni critiche o “hits” in una singola cellula affinché essa assuma
caratteristiche neoplastiche. Tali mutazioni si accumulano nel clone cellulare derivante dalla cellula con la
prima mutazione (carcinoma colon/retto).
3. Mutazioni per:
• alterati processi di replicazione/riparazione DNA
• danno ossidativo del DNA
• danni del DNA causati da cancerogeni ambientali

La maggior parte dei tumori ha origine monoclonale, cioè derivanti da una singola cellula. Col tempo però
vengono accumulate sempre più mutazioni per la rapida proliferazione e per la perdita di sistemi che
riparano errori di replicazione, per cui tempo dopo le cellule figlie avranno caratteristiche diverse da quella
originaria, nonostante il tumore sia monoclonale.

Nel processo della cancerogenesi è


possibile individuare fasi distinte, per
cui viene definito multistep: (caso del
tumore al colon retto)
1. Alterato pattern proliferativo
2. Adenoma: neoplasia benigna
che nel tempo accumula altre
mutazioni dannose, fino a
diventare…
3. Carcinoma: neoplasia maligna
in cui tanti bersagli sono
mutati, la possibilità di
trattamento sono limitate;
aumentano le caratteristiche
di invasività a dare…
4. Metastasi

109
PROTO-ONCOGENI
Un proto-oncogène è un gene normale che può diventare oncògeno (oncogène) a causa di mutazioni o di
un aumento dell'espressione. Geni che generano ambiente favorevole allo sviluppo della neoplasia.
I proto-oncogeni codificano per proteine che sono fattori di crescita o fanno parte dei sistemi di
trasduzione dei segnali extracellulari. Esempi di importanti oncogeni:
• ras (a signal transduction molecule) media l’effetto di molti fattori di crescita (proliferazione e
differenziazione cellulare)
• myc (a transcription factor)
• src (a protein tyrosine kinase kinase),
• HER-2/neu, also called erbB-2 (a growth factor receptor),
• hTERT (an enzyme involved in DNA replication)
• Bcl-2 (a membrane-associated protein that prevents apoptosis)

ONCOSOPPRESSORI
Sono geni i cui trascritti sono:
• Regolatori negativi della crescita e replicazione cellulare
• Regolatori dell’apoptosi
• Coinvolti nella riparazione del DNA e nell’adesione cellulare
• p53 è il gene più frequentemente mutato nei tumori umani (“guardiano del genoma”).

110
Quando una mutazione inattiva l’espressione di questi geni, si perde il controllo alla spinta proliferativa
cellulare.

MODELLO MULTIFASICO DELLA CANCEROGENESI

FASE I: generazione del danno e


mancata riparazione. Il danno diventa
un’informazione acquisita dal corredo
genico. Si crea la prima cellula
cancerosa.

FASE II: la cellula mutata riesce a


proliferare grazie ad agenti promotori
che alterano l’ambiente, per esempio
disattivando l’apoptosi.

FASE III: dalla massa di partenza


(tumore primario) vengono colonizzati
altri distretti, anche molto lontani.

111
EVIDENZA SPERIMENTALE: a seguito di esposizione ad agenti iniziatori ed agenti promotori, si verificano le
combinazioni ed i tempi di esposizione utili all’insorgenza della neoplasia.

112
EPATOTOSSICITA’
Il fegato è l’organo bersaglio dell’azione tossica di molti xenobiotici di varia origine (alimentare; industriale;
professionale; medicamentosa)
o Sostanze naturali (in alimenti; nella medicina complementare e alternativa):
٠ Amanitotossine e amanitofalloidine contenute in funghi macroscopici (es.: Amanita phalloides,
verna, ecc.)
٠ Aflatossine elaborate da funghi microscopici (es.: Aspergillus flavus, A. parasiticus, Penicillium
puberulum), che possono contaminare frutta secca, foraggi (cereali, derrate), soprattutto in
condizioni inadeguate di conservazione
٠ Erbe medicinali (nella medicina complementare e alternativa)
٠ Integratori di sostanze naturali da paesi esteri con regolamentazione più blanda (soprattutto
sostanze dimagranti)
o Non farmaci:
٠ Metalli (As; Fe; fosforo bianco; Hg organico o metilmercurio; Pb)
٠ Idrocarburi alogenati alifatici (CCl4, cloruro di vinile) ed aromatici (benzene; bifenili polialogenati;
diossine)
٠ Insetticidi clorurati (DDT, clordano, aldrin, dieldrin)
٠ Amine organiche
٠ Alcooli (etanolo, metanolo)
٠ Eteri (dietiletere)  Glicoli (glicole etilenico)
٠ Aldeidi (formaldeide, acroleina)
٠ Chetoni (acetone)
o Farmaci:
Virtualmente qualsiasi farmaco, anche il più sicuro, può causare danni al fegato (da lievi a gravi e fatali)
 Il danno epatico rappresenta la principale causa (3-10%) di reazioni avverse ai farmaci (ADR), con
incidenza più elevata fra gli eventi avversi gravi, ed il principale motivo di sicurezza per:
٠ Non approvazione all’immissione in commercio di nuovi farmaci
٠ Ritiro dal commercio ed avvertenze per l’impiego di farmaci già in uso (v. esempio nimesulide)
Il danno epatico farmaco-indotto è una causa comune di malattia epatica acuta o cronica e la
principale causa di morte per insufficienza epatica acuta.
Il danno epatico può essere prodotto da molte classi di farmaci di comune impiego clinico
 Paracetamolo, FANS
 Antibiotici
 Ormoni sessuali
 Amiodarone (antiaritmico)
 Antitubercolari (isoniazide)
 Antidepressivi
 Agenti psicotropi
 Anticonvulsivanti
 Antireumatici

113
 Agenti antidiabetici
 Antiretrovirali
 Anestetici inalatori
 Antiipertensivi
 Farmaci per trattamento di ipercolesterolemia (statine)

FATTORI DI VULNERABILITÀ DEL FEGATO AL DANNO

La vena porta è il secondo vaso più grande del corpo e fa fluire al fegato tutto il sangue venoso refluo
dall’intestino, con tutto quello che è stato assorbito a livello intestinale. Inoltre, nell’unità di tempo la
quota di flusso ematico che passa per il fegato è estremamente significativa (30% della gittata cardiaca)

114
E’ questa la sede principale del metabolismo, che sia tossificazione o detossificazione di xenobiotici.

e glicogeno

(Consegue con la sepsi)

Bilirubina nel bambino passa bee e dà tossicità al SNC


Nell’adulto, l’ittero dà encefalopatia secondaria.

Di sostanze sia esogene che endogene

Poco eme circolante

*Porfiria cutanea tarda tossica (per distinguerla dalla porfiria di origine genetica)
Alterazione degli enzimi preposti alla sintesi dell’eme (uroporfirinogeno decarbossilasi epatica) che porta
all’accumulo nel fegato di porfirinogeni (precursori dell’eme) tossici nel fegato e nel sangue; soggetti
acquistano grande fotosensibilità, per cui quando esposti alla luce riportano dermatosi (forti dolori,
vescicole). Inoltre, c’è poco eme circolante ed il sangue ha poca capacità di trasportare ossigeno, per cui il
soggetto risulta pallido.
Esempi di xenobiotici che possono provocare porfiria tossica:

 Esaclorobenzene

 Diossine

 Bifenili policlorurati

115
 Etanolo (uso cronico)

Le tre zone dell’acino epatico


1. Zona periportale: comprende gli epatociti più vicini alla triade portale da dove si diramano in piccoli
vasi la vena porta e l’arteria epatica
- È la zona con maggiore apporto di O2 e nutrienti
- Gli epatociti di questa zona hanno intensa attività metabolica (ossidazione di acidi grassi,
produzione di glucosio, secrezione di acidi biliari e di enzimi destinati alla sintesi cellulare)
- Gli epatociti di questa zona sono i primi a venire in contatto con gli xenobiotici circolanti
assorbiti nel sangue portale dall’intestino tenue

2. Zona mediozonale: comprende gli epatociti mediamente irrorati


- Responsabile della rigenerazione tessutale
3. Zona centrolobulare: comprende gli epatociti meno irrorati
- Vi si concentrano gli enzimi microsomiali (citocromi P450, epossido idrolasi, glutatione
transferasi, glucuronil transferasi) preposti alla detossificazione degli xenobiotici
- Spesso è la più colpita da tossicità perché maggiormente concentrato
Le lesioni zonali del parenchima epatico sono classificate come: - Periportali - Mediozonali - Centrolobulari

116
Popolazione fragile: soggetti vulnerabili per patologia (es. AIDS), per trattamenti che sopprimono il sistema
immunitario (es. antitumorali, trapianto, cortisone), o per fattori fisiologici (età, gravidanza sia per la madre
che per il prodotto di concepimento, pattern metabolico legato all’etnia).

Test di funzionalità epatica


- I danni epatici possono essere esclusivamente funzionali oppure anche morfologici, con lesioni
reversibili o irreversibili, acute o croniche
- Test che indicano una necrosi degli epatociti
 Elevati livelli plasmatici di: alanina aminotransferasi (ALT); aspartato aminotransferasi (AST)
- Test che indicano una colestasi (difficoltosa escrezione biliare): mancato flusso di bile attraverso il fegato
per calcoli o ostruzioni
 Elevati livelli plasmatici di: fosfatasi alcalina (ALP); gammaglutamiltransferasi (gamma-GT); 5’-
nucleotidasi
 Elevati livelli plasmatici di bilirubina coniugata (o diretta)

- Anomalie nei test di funzionalità epatica (valori anche 3-5 volte più grandi del limite superiore normale)
sono comuni, tuttavia esse sono spesso transitorie (es. statine) e solo in una minoranza di casi si sviluppa
un danno epatico (fenomeni di adattamento al danno sostanza-indotto?)
- I danni epatici da xenobiotici, se non sono particolarmente estesi, di solito sono reversibili (grande
capacità del fegato di rigenerare e riparare il danno)

Siti cellulari di danno epatico: (praticamente tutto il parenchima e l’epatociti)


- Membrana plasmatica
o Rottura o danno alle pompe (paracetamolo, etanolo, derivati del mercurio)
o alterata permeabilità, incremento concentrazione plasmatica di enzimi, ALT, AST, LDH

117
- Mitocondri (alterato stato energetico)
o Alterata permeabilità e riduzione di attività del ciclo di Krebs (cocaina, dicloroetilene, CCl 4)
- Reticolo endoplasmatico (sede di maturazione delle proteine)
o Proliferazione con paracetamolo, CCl4, cocaina
- Lisosomi (molto frequente): essendo gli spazzini, quando la sostanza inglobata è troppo voluminosa e/o
non si riesce a degradare, si spaccano i lisosomi e gli enzimi digeriscono i tessuti circostanti
o Aumentano di volume e di numero, nel tentativo di rimuovere materiale danneggiato
- Nucleo
o Interazione con DNA (aflatossina con i suoi metaboliti attivi crea addotti stabili col DNA,
nitrosamine)

Meccanismi cellulari di danno epatico


- Accumulo di lipidi: la manifestazione è il fegato steatosico, che al’esame ecografico appare biancastro
per accumulo di goccioline lipidiche. La condizione è reversibile attraverso regime alimentare consono
(CCl4, solventi, tetraciclina, etanolo, metotrexato)
- Inibizione della sintesi proteica: privano l’organo di enzimi metabolici o necessari alla funzionalità
dell’organo stesso (CCl4, dimetilnitrosamina)
- Perossidazione lipidica: sostanze ossidanti posso indurre degradazione della componente lipidica della
membrana epatocitica (CCl4, iodoformio, tetracloroesano)
- Colestasi (Sali biliari, steroidi, eritromicina)
- Necrosi  CCl4, aflatossina, paracetamolo, etanolo, nitrosamina
- Cirrosi  Sali biliari, eritromicina, steroidi
- Cancerogenesi  aflatossina, CCl4, insetticidi organoclorurati

Meccanismi patogenetici dei danni epatici indotti da xenobiotici 


La maggior parte degli eventi tossici a carico del fegato è legata alla sua capacità intrinseca di
biotrasformazione (processo di bioattivazione epatica=biotrasformazione a metaboliti reattivi), il
metabolita attivo qui è più concentrato e per il principio fondamentale per cui l’entità del danno è
proporzionale alla dose il tessuto epatico sarà il primo bersaglio di tossicità.
I danni epatici indotti da xenobiotici possono coinvolgere uno o più tipi cellulari (epatociti, cellule dei dotti
biliari, cellule dell’epitelio dei sinusoidi, cellule stellate, cellule di Kupffer).
In base al meccanismo patogenetico, la tossicità epatica indotta da xenobiotici può essere divisa in:
 Tossicità diretta
 Tossicità idiosincrasica

Danni epatici tossici (diretti)


- Rari (circa il 5%), sono dovuti ad intrinseca tossicità dello xenobiotico o suo metabolita reattivo
- prevedibili perché riproducibili negli animali da esperimento; questo ci dà un vantaggio
- Indipendenti da precedenti esposizioni (a differenza della tossicità immunitaria che invece dipende dalla
prima esposizione)
- Dose- e tempo-dipendenti (quantità a cui si è esposti e frequenza di esposizione/somministrazione)
- Periodo di latenza breve (tipo l’esempio paradigmatico del paracetamolo o gli antitumorali che hanno una
pletora di tossicità multidistretto)
Esempi:

118
 Pochi farmaci
 Paracetamolo
 Antitumorali (metotrexate, ciclofosfamide)
 Vitamina A
 Prodotti erboristici (tipo, provenienza, contaminazioni, uso scorretto per superficialità)
 Tossine di piante e funghi
 Non farmaci, presenti nell’ambiente lavorativo, domestico, naturale: CCl 4, fosforo, metalli (ferro,
rame, mercurio)

Danni epatici idiosincrasici


Idiosincrasia significa evento non prevedibile.
Rappresentano la maggior parte (circa il 95%) degli eventi epatotossici; sono imprevedibili e di
conseguenza più problematici perché non permettono la gestione del rischio. Mentre quelli diretti sono
tempo- e dose- dipendenti, i danni idiosincrasici si verificano già a dosi terapeutiche, a causa di una
sensibilità del soggetto e per questo si verificano in una minoranza dei pazienti.
Non sono riproducibili negli animali da esperimento
Si manifestano solitamente entro 5-90 giorni dall’inizio dell’esposizione, il che significa tutto e nulla.
Possono essere riconosciute reazioni idiosincrasiche:
- Immuno-mediate: chiamate anche reazioni autoimmuni (anticorpi-mediate o cellule T-mediate),
quando una sostanza/metabolita (che funge aptene) si lega covalentemente a proteine cellulari
(vettori) diventando Ag completo. Da soli non scatenano la risposta immunitaria, solo legati.
- Non immuno-mediate: reazioni idiosincrasiche propriamente dette (o metaboliche), quando una
sostanza/metabolita si lega a proteine cellulari, DNA o altra molecola cellulare causandone
disfunzioni.

*Etanolo →è
doppiamente
tossico: di per
sé e proprio
metabolita
(acetaldeide)
inoltre è
induttore
metabolico del
CYP450

119
Manifestazioni di tossicità epatica:
Il danno epatico da xenobiotici può mimare ogni nota malattia epatica, con una gravità clinica che va da
asintomatiche alterazioni dei test di funzionalità epatica fino all’insufficienza epatica fulminante (a sviluppo
rapido, entro giorni-settimane; con un tasso di mortalità del 90%)
Colestasi: bile non va nella
cistifellea e può riversarsi nel
torrente ematico, con ittero e
tossicità cerebrale (encefalopatia
secondaria da insufficienza
epatica)
Esposizione a CCl4 o
fenobarbitale insorgenza di
processi di tipo cancerogeno nel
fegato
Epatite protratta nel tempo può
indurre la risposta del fegato di
tipo fibrotico, che cerca di far fronte allo stato infiammatorio depositando collagene e alla lunga cambia la
struttura dell’organo (a cellule che funzionano, differenziate si sostituisce una cicatrice fibrotica; il rischio è
che il fegato risponda allo stato infiammatorio e fibrotico con eccessiva spinta riparativa-proliferativa →
fegato cirrotico o fibrotico esita spesso in neoplasia).

Classificazione dei danni epatici indotti da xenobiotici


In base all’andamento degli indici di funzionalità epatica, i danni epatici indotti da farmaci sono classificati
in tre gruppi:
1. Danno di tipo epatocellulare (acuto e cronico)
 caso dell’epatite acuta e cronica (stato infiammatorio che interessa l’organo)
Aumento predominante, di varia entità, di AST/ALT; con o senza ittero.
2. Danno di tipo colestatico (acuto e cronico): impedisce il normale deflusso della bile attraverso
l’organo
 Colestasi per ostruzione dei canali biliari, alterata conformazione dei canali biliari, sostanze
che causano degenerazione morfologica del canale biliare
Aumento predominante di ALP; aumento di gammaGT; con o senza ittero
3. Danno di tipo misto
 Colestasi con danno epatitico
Aumento associato, di varia entità, di AST/ALT e ALP (nessuno dei due valori predomina); con o
senza ittero

1. Danno Epatocellulare
È la forma più comune (55-60%) ed è associato alle forme cliniche più severe. Si manifesta come necrosi
degli epatociti (più o meno massiva) con reazione infiammatoria annessa che interessa tutto l’organo, per
cui l’epatite acuta è la manifestazione più comune. Il periodo di latenza può essere breve (ore-giorni),

120
intermedio (1-8 settimane) o lungo (1-12 mesi). Il problema di una latenza così lunga è la difficoltà di
individuare il fattore eziologico per cui sarà difficile mettere in atto una strategia di contrasto efficace o
corretta.
Il danno epatocellulare si opera con meccanismo tossico (diretto) il cui agente più esemplificativo è il
paracetamolo.
Può avere anche una componente idiosincrasica, per cui alcune sostanze in maniera imprevista causano
epatite acuta o cronica. (più raro)

Paracetamolo (Ac)
Nell’adulto, il paracetamolo,
in singola dose orale
terapeutica (325-1000 mg), è
biotrasformato
prevalentemente per
coniugazione con ac.
glucuronico e/o ac. Solforico.
Circa l’80% della
biotrasformazione avviene per
questa via.
Un 8-10% viene invece
metabolizzato dal
citocromo p450, con
formazione di un metabolita
reattivo (Ac*) da cui la spiccata tossicità. E’ una benzochinonimmina, molecola dalle spiccate proprietà
elettrofile che andrà ad interagire energicamente con molecole nucleofile del substrato biologico (ammine
della lisina, tioli delle cisteine, atomi di azoto delle basi azotate, ecc.). Come tutti i distretti, anche il fegato è
ben provvisto di sistemi di contrasto, rappresentati principalmente dal glutatione: questo capta gli
elettrofili, forma derivati mercapturati che vengono poi efficacemente eliminati con le urine.
I problemi insorgono quando il sistema del glutatione viene saturato e può avvenire per due motivi:
- Dosi eccessive di paracetamolo, per cui la quantità effettiva di Ac* (10% della dose) diventa una
quantità maggiore rispetto a quella del GSH (dose>4gr in su)
- Glutatione presente in quantità minore del normale
Quando il GSH è depletato, il metabolita reattivo elettrofilo (Ac*) può produrre ROS e formare addotti con
proteine, RNA e DNA, con conseguente necrosi cellulare (zona 3 centrolobulare del fegato; porzione
midollare del rene=insufficienza renale. Viene messo KO il sistema di escrezione. Si parla di multiorgan
failure)

Intossicazione da paracetamolo
Il sintomo non è caratteristico ma mima altre condizioni patologica per cui è difficile reagire con prontezza
allo stato; i sintomi principali sono nausea, sudorazione fredda; la necrosi cellulare comporta un severo
danno epatico, per cui si rilevano livelli plasmatici di ALT > 1000 U/L (normalmente 35/40). L’esordio
avviene in 4-5 giorni, inizia con una sintomatologia gastrointestinale ed il decorso è generalmente fatale.
Costituisce la più comune causa di insufficienza epatica acuta fulminante (causa principale di trapianto di
fegato). La quantità di paracetamolo, in singola dose, in grado di dare sintomi tossici varia molto da
individuo a individuo:
- 4-10 g  epatotossicità nei bambini
- 10-15 g  epatotossicità negli adulti

121
- 15-25 g (o > 4 gr/giorno per alcuni giorni) solitamente letali negli adulti
Il rischio di insufficienza epatica acuta da paracetamolo (anche con dosi terapeutiche) è più elevato in
alcune condizioni d’uso
- In presenza di ridotti livelli epatici di GSH (es. nel digiuno, in soggetti deperiti, debilitati; anche a dosi
terapeutiche)
- Negli etilisti (2-6 g/giorno).
In quanto consumatore cronico di etanolo presenta bassi livelli basali di GSH e l’induzione delle
isoforme del citocromo responsabili della trasformazione del paracetamolo in benzochinoimmina
(duplice danno).
Meccanismo: induzione della sintesi del CYP2E1 da parte dell’etanolo   formazione del
metabolita tossico del farmaco;  sintesi di GSH

Si sviluppa in 3 fasi:
Fase 1: poche ore dal sovradosaggio, si manifestano in nausea, vomito, pallore e sudorazione. Questi non
sono sintomi specifici imputabili al paracetamolo oppure sono solo sintomi lievi nelle prime 24 ore.
Fase 2: 24-72 ore in seguito al sovradosaggio, sintomi di accresciuto danno epatico. In generale il danno
avviene negli epatociti direttamente coinvolti nella metabolizzazione il farmaco. L'aumentato danno
epatico altera i marker biochimici della funzionalità epatica, con un incremento significativo di
transaminasi. Si può sviluppare insufficienza renale acuta, generalmente causata o da sindrome
epatorenale o da sindrome da disfunzione multiorgano (poco compatibile con la sopravvivenza).
Fase 3: 3-5 giorni in seguito al sovradosaggio, necrosi epatica conclamata che porta ad insufficienza epatica
fulminante con complicazioni quali: difetti della coagulazione del sangue (perché nel fegato vengono
sintetizzate le proteine responsabili della coagulazione; posso verificarsi emorragie), ipoglicemia spiccata
(non c’è più controllo dei livelli ematici di glucosio e idrolisi del glicogeno), insufficienza renale,
encefalopatia epatica (nel sangue si riversa la bile, che ad alte concentrazioni arriva al SNC), edema
cerebrale (viene meno l’attività fagocitaria delle cellule di kuppfer, che scongiurano l’entrata in circolo
dei batteri e tossine batteriche provenienti dal g.i.; può verificarsi tossiemia fino all’arrivo di questi
prodotti batterici nel cervello), sepsi (sempre per le cellule kuppfer), insufficienza multiorgano e morte.

Terapia dell’intossicazione da paracetamolo


- Somministrazione per os (140 mg/kg seguiti da 70 mg/kg ogni 4 h per 72 h) di N-acetilcisteina
(precursore del GSH), che stimola la sintesi epatica di GSH
- Molto efficace soprattutto entro 12-16 ore max dall’ingestione di paracetamolo (prima
dell’insorgenza di danno epatico significativo, perché dopo 16h il fegato è in necrosi totale e il NAC
non serve a nulla)
- Riduce la mortalità anche 16-36 ore dopo l’avvelenamento
- Trapianto dell’organo

Tetracloruro di carbonio (CCl4)


Viene inalato e si accumula nel fegato.
Con la biotrasformazione epatica dà luogo ad un radicale, CCl3˙. A medio termine: steatosi epatica, necrosi
epatica. A lungo termine: Tumori epatici. Il potenziale cancerogeno del CCl 4 è così conclamato che viene
utilizzato a livello sperimentale per indurre il cancro nei modelli animali

Steatosi epatica

122
Alterazione epatocellulare zonale; può
essere accompagnata da infiammazione e
fibrosi (steatoepatite)
È una risposta molto comune ed
aspecifica: consiste nell’accumulo negli
epatociti di gocce di grasso (soprattutto
trigliceridi) sotto forma di vacuoli di varie
dimensioni che vanno ad occupare gli
spazi funzionali delle cellule epatiche
interferendo con la loro funzione.
Rilevabile già solo con analisi ecografica.
Si può distinguere:
- Steatosi macrovescicolare (es.
amiodarone, tamoxifene)
- Steatosi microvescicolare (es. acido
valproico)

Caratteristiche della steatosi:


- Spesso reversibile; può essere acuta (per avvelenamenti da CCl4, bifenili polialogenati, fosforo,
tetracicline) o cronica (quando il soggetto è esposto cronicamente per protocollo terapeutico -
metotrexato, acido valproico- o etanolo)
- Il contenuto in lipidi può essere > 5% del peso del fegato (fegato grasso)
- Riproducibile negli animali da laboratorio: grosso vantaggio per studi di epatotossicità dei farmaci
- Risposta tossica in correlazione positiva con la dose (proporzionale) e tempo-dipendente (frequenza di
esposizione)

Xenobiotici che aumentano il rischio di steatosi epatica:


- Farmaci: metotrexato (antitumorale); acido valproico (anticonvulsivante); amiodarone (antiaritmico);
nifedipina (calcio-antagonista); corticosteroidi; tetracicline; aspirina; etanolo (consumo eccessivo).
- Non farmaci, avvelenamenti con: CCl4; dimetilnitrosamina; bifenili polialogenati; fosforo; aflatossine
(ruolo anche nel carcinoma epatico).

Etanolo

alterazioni di
sensibilità
periferica, tremore
agli arti, tic

la cirrosi esita in
carcinoma

123
etilista è spesso immunodepresso

2. Danno Colestatico
Danno alle vie biliari con conseguente riduzione o interruzione del flusso biliare  accumulo di bile negli
epatociti;  pigmenti biliari che vengono riversati nel sangue. Questi sono tossici  ittero
La colestasi cronica (più rara di quella acuta) può evolvere in sindrome di scomparsa dei dotti biliari
intraepatici, che può essere irreversibile o regredire molto lentamente (fino a 2 anni) e non sempre
completamente.
Esempi: solo farmaci
 Antiretrovirali (soprattutto in combinazione)
 Eritromicina (antibiotico macrolide)
 Fenotiazine (antipsicotici)
 Antidepressivi triciclici
 Steroidi (estrogeni; anabolizzanti 17-alchilati)
 ACE-inibitori (antiipertensivi)
 Sulindac (FANS)

Il rischio di una colestasi cronica (più rara di quella acuta) è che evolva in sindrome di scomparsa dei dotti
biliari intraepatici, perché consumati dalla bile che non defluisce; può essere irreversibile o regredire molto
lentamente (fino a 2 anni) e non sempre completamente

3. Danno misto (Colestatico ed epatocellulare)

124
Clinicamente ed eziologicamente più vicino al tipo colestatico.
Esempi:
- Associazione amoxicillina/acido clavulanico
- Anticonvulsivanti (carbamazepina, fenitoina)
- Ciclosporina (immunosoppressore)
- Associazione trimetroprim/sulfametossazolo (antibiotico/sulfonamide)
- Prodotti erboristici

*Sia le colestasi che le forme miste sono generalmente attribuite a meccanismo immuno-mediato, allergico

Epatotossicità crociata tra farmaci che hanno struttura simile: legata spesso ad una struttura chimica: una
sostanza che in virtù della sua struttura chimica è simile ad un’altra che interferisce con un bersaglio
biologico è in grado di evocare tossicità nella stessa modalità.
La tossicità, come la risposta immunitaria, ha una base di meccanismo crociato che riconosce la struttura:
strutture simili evocano la stessa tossicità sullo stesso bersaglio.

DANNO IN ACUTO: Insufficienza epatica acuta (o fulminante)

Condizione estremamente seria per cui la possibilità di sopravvivenza è molto bassa.


Può essere sintomatica:
- ittero, colorazione delle mucose
- prurito: la bilirubina circolante in concentrazioni elevate, oltre a colorare le mucose, in periferia
stimola le terminazioni nervose. Il prurito è una manifestazione clinica di tossicità.
o asintomatica.
Il rischio di insufficienza epatica acuta fatale è associato soprattutto al danno epatico da:
- Paracetamolo (circa il 40% dei casi) nelle dosi viste prima
- Antitumorali (metotrexate, ciclofosfamide)
- Prodotti erboristici, cui origine, natura, titolazione, controllo, contaminazioni sono sconosciuti.
- Tossine di piante e funghi (aflatossine)
- CCl4
- Alotano
- Isoniazide
- Propiltiouracile
- Fenitoina ed acido valproico

DANNO EPATICO CRONICO

1. Fibrosi/Cirrosi

Malattia epatica cronica, necessita di svariato


tempo per svilupparsi. E’ progressiva,
caratterizzata da estesa necrosi degli epatociti,
accompagnata da eccessivo accumulo di
tessuto connettivo (cicatriziale), con

125
conseguente alterazione dell’architettura e delle funzioni dei lobuli epatici  Alterazione morfologica
irreversibile del parenchima epatico
Il processo cirrotico può durare per molti anni e, se non si arresta, porta a morte (emorragie interne, coma
epatico)
I malati di cirrosi (così come quelli contagiati dai virus dell’epatite B e C) sono a maggior rischio di
sviluppare carcinoma epatico

2. Neoplasie benigne e maligne


Bioattivazione dell’aflatossina
Adenoma: neoplasia benigna a carico degli
epatociti.
Carcinoma: neoplasia maligna a carico degli
epatociti, invasiva e che metastatizza. Secondo i
dati più recenti, ha un’incidenza relativamente
ridotta in europa, soprattutto quando indotto da
xenobiotici, mentre ha un’incidenza
particolarmente significativa in Sud America (circa
60%) per l’estesa presenza di virus epatitici (la
condizione infiammatoria dell’organo induce
neoplasia) e per la cattiva conservazione delle derrate alimentari che vengono contaminate da muffe, e
quindi aflatossine (soprattutto B1 quella implicata nel processo) che biotrasfomata diventa genotossica.
Altra causa è l’uso degli steroidi anabolizzanti, che trovano uso in ambito sportivo. Questi interferiscono
con l’asse neuroendocrino per questo si riportano casi di sterilità o impotenza
Non solo gli epatociti ma anche altre strutture possono incorrere nello sviluppo di neoplasie: si tratta di
neoplasie dei sinusoidi (vasi molto piccoli che servono a veicolare il sangue proveniente dalla vena porta e
dall’arteria epatica alla vena centro-lubulare; possiamo distinguere l’angiosarcoma (del tessuto connettivo
e dell’endotelio dei sinusoidi) e colangiosarcoma (delle cellule del coledoco): sono neoplasie rare ma
altamente maligne, con altra incidenza di metastasi perché essendo cellule cancerose che si sviluppano nei
vasi sanguigni, è facile che si stacchino e tramite flusso ematico raggiungano altri distretti (alta incidenza
nel polmone e nel cervello).
Causati da: Dietilstilbestrolo (estrogeno di sintesi; non più in uso), Steroidi (estrogeni; anabolizzanti),
Diossido di torio (mezzo di contrasto radioattivo), Arsenicali, Cloruro di vinile, CCl4

Cloruro di vinile
(CH2=CH-Cl)

Utilizzato come propellente per spray. Principale componente del PVC e, quindi, di tutte le materie
plastiche. Assorbito per via inalatoria e per via cutanea.
Azione tossica a breve termine: disturbi a livello del SNC, fegato, apparato respiratorio, apparato
scheletrico. A lungo termine: aberrazioni cromosomiche (da cui agente genotossico oltre che cancerogeno)
Duplice azione:
cellule somatiche → tumori cutanei, tumori polmonari
cellule germinali → malformazioni congenite che si manifestano nella prole dei soggetti esposti (tossicità
ritardata)

Prodotti erboristici

126
Drammatico aumento dell’uso di medicine complementari e alternative. Sono spesso prodotti non
standardizzati e frequentemente contaminati.

Trattamento dei danni epatici indotti da xenobiotici


La diagnosi differenziale è difficile ed è solitamente una diagnosi di esclusione: necessaria anamnesi precisa
e particolareggiata per escludere man mano patologie che presentano sintomi simili a quelli del paziente
Nella gran parte dei casi, i danni epatici indotti da xenobiotici (soprattutto farmaci) sono lievi ed auto-
limitanti, ed il fegato recupera spontaneamente dopo la sospensione dell’esposizione
 Raramente si verifica epatite cronica, dottopenia, cirrosi o addirittura morte
 La maggior parte dei casi di morte derivano da insufficienza epatica fulminante o, meno comunemente,
da complicanze di cirrosi  Se non diagnosticati precocemente e trattati adeguatamente, i danni epatici
possono progredire a forme molto gravi  Non esiste un trattamento specifico per le reazioni epatotossiche
idiosincrasiche, eccetto nei casi di insufficienza epatica fulminante, quando il trapianto di fegato può essere
essenziale per salvare la vita del paziente
Trattamento:
Essenziale l’identificazione precoce della sostanza epatotossica, per minimizzare il danno
Immediata sospensione dell’esposizione alla sostanza sospettata
Monitoraggio della funzionalità epatica attraverso la misurazione degli enzimi epatici (raccomandato per la
gran parte degli agenti) con regolari prelievi di sangue venoso
Trattamento non specifico, maggiormente per trattare la sintomatologia e di supporto
Corticosteroidi di non provata efficacia, eccetto che nelle reazioni immuno-mediate (allergiche) (?)
N-acetilcisteina (antidoto) per il sovradosaggio di paracetamolo
Immediato trapianto di fegato nelle forme fulminanti
NEFROTOSSICITA’
Il rene rispetto agli altri distretti ha un vantaggio perché ce ne sono due lol; anche solo uno adatta la
propria funzionalità a sopperire l’eventuale mancanza dell’altro (per asportazione o danno). Come il fegato,
ha alte capacità di adattamento (sono organi compensatori) ma per questo i segni di sofferenza saranno
mostrati solo quando il danno è largamente diffuso e difficilmente fronteggiabile. Sottoposto ad insulto
tossico, molti parametri di funzionalità renale rimarranno nella norma per molto tempo (come la velocità di
filtrazione renale); saranno alterati solo quando il danno è irreversibile.

Fattori che contribuiscono alla vulnerabilità del rene al danno da xenobiotici


La maggior parte degli xenobiotici (compresi molti farmaci) sono escreti per via renale 
Elevato flusso ematico (circa 25% della portata cardiaca): è proprio quello il suo ruolo, filtrare il sangue per
rimuovere sostanze del catabolismo fisiologico, sostanze esogene metabolizzate a specie idrofile o idrofile
già di loro che vengono escrete con le urine.
Oltre il meccanismo di filtrazione, nel rene avviene anche la concentrazione del filtrato (urina) perché non
venga eliminata tutta l’acqua filtrata; questo espone le cellule tubulari ad elevate concentrazioni di
xenobiotici
Il rene è sede di ulteriore biotrasformazione di xenobiotici, con possibile bioattivazione intrarenale a
metaboliti nefrotossici che qui vedono la maggiore concentrazione (=maggiore danno)
Nel rene c’è la possibilità che precipitino gli immunocomplessi, complessi anticorpo-antigene, ad esempio
sulla superficie del glomerulo o nella zona tubulare e il precipitato interferisce col normale processo di
filtrazione. Dato che la parete del glomerulo è molto sottile e ha permeabilità molto selettiva, i complessi
ostruiscono il filtro e si può andare incontro a glomerulo-nefrite.

127
Fattori extra-renali che determinano ipoperfusione renale contribuiscono ad aumentare l’incidenza della
nefrotossicità (si parla di tossicità pre-renale a carico di distretti o fattori con diretta ripercussione sul
sistema renale):
- Ipotensione → Un elemento essenziale per il corretto funzionamento del rene è la pressione
sanguigna. Quando il sangue arriva al rene ha un valore pressorio significativo che fa da spinta
propulsiva attraverso il glomerulo, poi in funzione del volume della molecola e dell’eventuale carica
ionica passeranno o meno la membrana glomerulare. Se, per patologie in atto (insufficienza
cardiaca, sepsi) o per trattamenti farmacologici, la pressione del sangue in arrivo al rene è troppo
bassa il sistema di filtrazione si arresta e le sostanze di rifiuto si accumulano a livello renale.
- Vasocostrizione renale → da xenobiotici; costrizione dell’arteria renale preclude la corretta
defluizione del sangue al sistema.
- Ipovolemia → volume ematico circolante ridotto, non riesce a irrorare efficacemente il rene. Dovuta
a emorragia, ustioni maggiori, perdita di flusso

Unità morfologica funzionale: il nefrone

Struttura preposta all’escrezione dei prodotti


del catabolismo (metaboliti di origine
endogena).
Sintesi e rilascio di ormoni, in particolare la
renina, che insieme all’angiotensina costituisce
il sistema di regolazione della pressione
arteriosa (molti farmaci hanno come target
questo sistema).
Equilibrio acido-base.
Regolazione del volume e della composizione
dei fluidi extracellulari mediante eliminazione di
acqua ed elettroliti.
Riassorbimento di sostanze essenziali (e
xenobiotici, in base alle loro caratteristiche
chimico-fisiche).
Secrezione: rilascio attivo attraverso
trasportatori che contro concentrazione eliminano alcune sostanze.

Manifestazioni di nefrotossicità

128
La nefrotossicità si manifesta col danno alle funzioni specifiche renali di filtrazione e riassorbimento
(funzioni di membrana):
-  Permeabilità della membrana glomerulare  eliminate anche molecole più grandi (albumina,
gamma-globulina, emoglobina -sangue rosa-) che passano nell’ultrafiltrato  proteinuria, che, se
ingente, porta a carenza di proteine, formazione di edemi ed insufficienza renale.
-  Superficie filtrante o  pressione di filtrazione  quando sulla superficie filtrante c’è un
precipitato che occlude la membrana. Ridotta produzione di ultrafiltrato  accumulo nel sangue di
prodotti azotati del catabolismo di proteine e aminoacidi (urea, creatina)  uremia, creatininemia
  azotemia
- Arresto della filtrazione  (se blocco renale→ morte).  produzione di urina (oliguria, anuria) 
insufficienza renale, uremia, creatininemia. Incapacità a detossificare il sangue → prodotti di scarto
circolanti.
- Insufficiente riassorbimento di H2O (es. diabete mellito)  Poliurìa (= eliminazione di urina molto
diluita)
- Mancato riassorbimento delle sostanze disciolte nel filtrato  Eliminazione di sostanze
indispensabili per l’organismo (aminoacidi, glucosio, elettroliti)
- Danno alle membrane cellulari  Fuoriuscita dai compartimenti cellulari di enzimi, soprattutto
proteolitici e degradano le componenti proteiche  enzimuria

Risposte fisiopatologiche del rene ad insulto tossico


1. Danno renale acuto
(insufficienza renale
acuta)
2. Adattamento in
seguito ad insulto
tossico, ad es.post
esposizione a
metallotioneine
3. Danno renale cronico
(insufficienza renale
cronica)
1. Danno renale acuto
Declino della VFG e
comparsa di composti del
metabolismo dell’azoto nel
sangue

129
→ Insufficienza renale acuta – Meccanismi patogenetici

a) Vasocostrizione renale (danno prerenale)  ipoperfusione renale Danno


glomerulare  ipofiltrazione
Esempi: amfotericina B (fungicida); cisplatino (antitumorale); ciclosporina
(immunosoppressore); antibiotici aminoglicosidici; FANS; mezzi di
contrasto radiologici
b) Glomerulonefrite immune o flogistica
Esempi: antibiotici citotossici (doxorubicina, mitomicina); ciclosporina
(immunosoppressore); antireumatici; litio (antimania)
c) Necrosi tubulare acuta da danno tubulare diretto (dose-dipendente)
Esempi: antibiotici (aminoglicosidi; -lattamici); amfotericina B
(fungicida); cisplatino (antitumorale); paracetamolo; mezzi di contrasto
radiologici; metalli pesanti; idrocarburi alogenati; micotossine
d) Nefrite tubulo-interstiziale immune o flogistica; edema interstiziale
Esempi: antibiotici (-lattamici; tetracicline; sulfonammidi); FANS
e) Ostruzione tubulare o ureterale (danno post-renale) da depositi di cristalli
(cristalluria)
Esempi: sulfonamidi; metotrexato (antitumorale); mezzi di contrasto
radiologici.

2. Adattamento all’insulto tossico

130
A seguito di perdita di massa
funzionale, si verificano aumenti
compensatori della VFG
accompagnati da incrementi di
processi di riassorbimento,
mantenendo così l’equilibrio
funzionale.
Nei test clinici la funzionalità
renale globale appare normale
Alterazioni di funzionalità renale
indotte da sostanze chimiche
possono non essere evidenti se
non quando il danno sarà esteso
Ipertrofia compensatoria

3. Danno renale cronico


Consiste nel deterioramento continuo e progressivo della funzionalità renale a causa della perdita di cellule
funzionali, i nefroni. A seguito di ciò, ci sono incrementi della pressione e del flusso glomerulare a scopo
adattativo. Essendo meno le unità funzionali, quelle rimanenti devono aumentare l’attività.
Consegue atrofia e fibrosi. Incrementi compensatori di pressione e flusso nei glomeruli rimanenti causano
danno meccanico dei capillari e alterazione di permeablità
Xenobiotici responsabili:
1. Nefrite cronica tubulointerstiziale immune o flogistica (nel 5-10% dei casi di insufficienza renale cronica)
Esempi: analgesici; cisplatino (antitumorale); litio (antimania); ciclosporina (immunosoppressore); metalli
pesanti (Cd, Pb)
2. Necrosi papillare da ischemia o danno cellulare  Esempi: analgesici; FANS

Meccanismi del danno cellulare renale


1. Morte cellulare  apoptosi a basse dosi / necrosi ad alte dosi e coneguente risposta infiammatoria
2. Formazione di reattivi tossici  Xenobiotici bioattivati localmente o in sede extrarenale possono
indurre stress ossidativo, produzione di ROS, attacco proteine, lipidi, DNA (nelle cellule dei tubuli ci
sono i citocromi)
3. Mitocondri: deplezione ATP
4. Lisosomi: metallotionine. Degradazione cellulare a seguito di lisi.
5. Omeostasi del Calcio: alterano i sistemi di controllo della concentrazione di calcio.
6. Fosfolipasi
7. Endonucleasi
8. Proteinasi

Valutazione della nefrotossicità


Esame delle urine e indicatori plasmatici
- Colore

131
- Volume (raccolta urine nelle 24h)
- pH
- Glicosuria
- Proteinuria
- Danno glomerulare  albumina (alto PM)
- Danno tubulare  proteine a basso peso molecolare (2 -microglobulina)
- Cristalli o sedimento (emoglobinuria, ematuria) (precipitati, sulfamidici) urina non limpida
- Velocità di filtrazione glomerulare (VFG)
- determinazione clearance creatinina o inulina (filtrate, non riassorbite, non secrete)
- creatininemia, azotemia

Sedi dell’azione degli agenti nefrotossici


1. Glomerulo: si genera glomerulonefrite di origine immune o flogistica. Sito primario di deposizione di
immunocomplessi Ag-Ac sulla membrana basale del glomerulo (superficie esterna), con
conseguente ispessimento  Sito d’azione per agenti nefrotossici che neutralizzano o  numero di
cariche anioniche fisse sulla membrana basale del glomerulo  Alterazione delle proprietà
selettive di carica e/o di dimensione del glomerulo  proteinuria. Xenobiotici: penicillina, Hg
2. Tubulo prossimale: è la sede di più frequente tossicità a carico del sistema renale, perché è la
porzione del nefrone deputata al riassorbimento di determinate sostanze dal filtrato per cui qui
avremo la maggiore concentrazione. Inoltre, è la sede quasi esclusiva di trasporto tubulare
(secrezione) di cationi e anioni organici, proteine a basso P.M. e peptidi, coniugati del GSH; metalli
pesanti
Sede (quasi esclusiva) di bioattivazione (citocromo P450, β-ligasi)
Questa porzione vede poi un elevato consumo di O 2 e glucosio, per cui una variazione di
concentrazioni di questi nel sangue porta in anossia/ipossia questa porzione → elevata suscettibilità
all’ischemia: non filtra più.
Xenobiotici responsabili:
Antibiotici aminoglicosidici, cisplatino, paracetamolo e FANS, Mezzi di contrasto radiologici
(soprattutto per reazioni immunitarie locali), Metalli pesanti, idrocarburi alogenati, Micotossine
3. Ansa di Henle/Tubulo distale/Dotto collettore (siti poco comuni di tossicità), capita però da parte
dei FANS.
4. Vie urinarie: alcune sostanze risultano tossiche non nel rene perché sono solo di passaggio ma nella
vescica, perché qui fisiologicamente sostano per un periodo maggiore di tempo
Non costituiscono un bersaglio per i composti nefrotossici, ma le amine aromatiche* sono
potenzialmente cancerogene per l’epitelio della vescica.
*2-naftilamina (risultante dalla produzione del colorante anilina); benzidina; 4- aminobifenile
(esposizione professionale)

132
I metalli pesanti hanno un meccanismo d’azione particolare: interagiscono con i gruppi sulfidrilici delle
proteine mitocondriali.
In presenza di questi metalli, rene e fegato inducono la sintesi delle metallotioneine, che li legano
impedendogli di esplicare la loro capacità tossica; il complesso viene filtrato dal glomerulo e riassorbito nel
tubulo prossimale. Qui viene inglobato dai lisosomi e gli enzimi proteolitici rompono il legame, il lisosoma
scoppia ed il metallo è di nuovo libero.

Farmaci nefrotossici e loro effetti sul rene


1. Aminoglicosidi: la tossiciltà è correlata al numero di gruppi aminici:
streptomicina<tobramicina<amikacina<neomicina. Vengono eliminati esclusivamente con le urine,
anche a dosi terapeutiche possono causare insufficienza renale acuta. Ha incidenza abbastanza
elevata (20-26% dei pazienti trattati). Meccanismo d’azione: vengono filtrati, arrivano nel tubulo
prossimale e riassorbiti. Il gruppo amminico può legarsi ai fosfolipidi di membrana, essere
internalizzati nella cellula e poi nei lisosomi, dove si concentrano causando rottura dei lisosomi
stessi, con il conseguente rilascio di enzimi proteolitici: ciò causa alterazione di pompe di membrana
e dei sistemi di trasduzione del segnale omeostasi del calcio  si attivano gli enzimi litici Ca-
dipendenti e necrosi tubulare. La tossicità è dose-dipendente e correlata ai gruppi NH2 presenti
nelle loro molecole.
2. -Lattamici: Penicilline → riducono flusso ematico renale e determinano glomerulonefrite di tipo
immunitario. La severità della risposta tossica dipende dalla dose e dalla forza del trattamento
Cefalosporine → possono accumularsi nelle cellule del tubulo prossimale e alterarne la
funzionalità.
3. Anfotericina B: induce disfunzione renale caratterizzata da uremia, poliuria, eliminazione di K + con le
urine e conseguente ipokaliemia. Ciò determina uno squilibrio elettrolitico a livello ematico che può
inficiare sulla funzionalità di altri distretti, primo su tutti il cuore. L’incidenza del 75-85% dei pazienti
trattati!

133
Meccanismo d’azione: causa danno prerenale tramite vasocostrizione dell’arteriola renale,
riducendo il flusso ematico diretto al rene. In più interagisce con le molecole di colesterolo delle
cellule tubulari, che genera dei veri e propri pori acquosi che determina insufficiente escrezione di
H+ e massiva eliminazione di K+ nelle urine.
4. Antibiotici citotossici (doxorubicina, mitomicina C): causano glomerulonefrite
5. Cisplatino: eliminato prevalentemente per via renale; bioattivato a metaboliti nefrotossici in grado
di alchilare purine e pirimidine con conseguente inibizione della sintesi di DNA, che impedisce alle
cellule di recuperare dal danno: il nefrone viene privato della fisiologica possibilità di far fronte ai
danni.  insufficienza renale (acuta e cronica). Incidenza: quasi tutti i pazienti trattati! Causa
necrosi a livello dei tubuli prossimale e distale, del dotto collettore (tratto del nefrone che raccoglie
l’ultrafiltrato e poi portarlo all’eliminazione) (danno persistente)   flusso renale e VFG; uremia e
creatininemia; enzimuria; ematuria;  escrezione di Mg2+  ipomagnesiemia
6. Metotrexato: cristalluria (precipitazione nei tubuli renali del farmaco immodificato e dei suoi
metaboliti secreti attivamente dalle cellule epiteliali)
7. Ciclosporina A (agente immunosoppressore): utilizzato nei casi di trapianto per evitare rigetto. La
disfunzione renale in questo caso è reversibile: riduce il flusso ematico a causa della vasocostrizione
renale. Il farmaco induce la sintesi di prostanoidi (trombossano ed endotelina) da parte delle COX
che hanno un’attività vasocostrittrice.
8. FANS:
Insufficienza renale acuta
Correlata all’azione farmacologica principale (inibizione della sintesi di prostanoidi). Nel rene però le
prostacicline hanno un’importante azione fisiologica (non patologica, legata all’infiammazione) di
vasodilatazione, per garantire l’adeguata perfusione a livello renale in alcune condizioni particolari:

Insorge (entro ore) dopo assunzione di dosi elevate di FANS o in pazienti le cui malattie di base
portano ad una emodinamica renale (flusso ematico renale) dipendente dalla sintesi di
prostaglandine vasodilatatrici compensatorie (PGE2). Di solito rapidamente reversibile alla
sospensione del farmaco.

Insufficienza renale cronica


a- Nefrite interstiziale allergica, non correlata all’azione farmacologica principale (=inibizione della
sintesi di prostaglandine). Risposta alla capacità intrinseca della molecola di formare
immunocomplessi, fungere da aptene, di interferire col sistema immunitario (=stimolazione del
sistema immunitario). È rara, ma grave. Può insorgere dopo parecchi mesi fino a 1 anno di
trattamento con il FANS (soprattutto fenoprofene)

134
b- Necrosi papillare, meccanismo ad oggi ancora non noto.
Caratterizzata da:  VFG; perdita della capacità di concentrare l’urina; iperpotassiemia; acidosi
metabolica; anuria. Insorge di solito dopo un prolungato (> 3 anni) uso di dosi elevate di farmaci
analgesici da soli o in combinazione (aspirina/fenacetina; paracetamolo/caffeina ??)
(normalmente nota come nefropatia da analgesici)

9. Paracetamolo: Il paracetamolo in dosi elevate (dosi totali giornaliere > 4 g), in combinazione con
altri analgesici o negli etilisti (per induzione enzimatica da etanolo) può provocare necrosi tubulare
acuta (entro poche ore dalla somministrazione, reversibile con la sospensione dell’assunzione)
caratterizzata da:  azotemia;  VFG; glicosuria; proteinuria. La tossicità, analogamente a quanto
succede per gli altri FANS, è legata al suo meccanismo d’azione farmacologica
10. Anticonvulsivanti  Fenitoina  glomerulonefrite; segni di arterite  Trimetadione e parametadione
(non in uso in Italia)  rischio di sindrome nefrotossica
11. Anestetici generali inalatori a base di flurano (alotano, enflurano, metossiflurano)  insufficienza
renale acuta (dovuta agli ioni fluoro)  Meccanismo d’azione: ostacolo al riassorbimento prossimale
di Na+ e H2O  sovraccarico delle parti distali del nefrone con conseguente esaurimento
funzionale
12. Mezzi di contrasto radiologici (iodoippurati, iodotalamati): in particolare quando somministrati per
via intra-arteriosa e se usati per l’angiografia renale in pazienti con persistente deficit della funzione
renale  insufficienza renale acuta, dovuta sia ad alterazioni emodinamiche (vasospasmo
dell’arteriola afferente) che a danno tubulare (necrosi tubulare prossimale; cristalluria)

TOSSICITA’ DEL SISTEMA IMMUNITARIO


Il sistema immunitario è
organizzato in modo da
rappresentare un forte punto
di difesa dell’organismo,
caratterizzato da diversi
organi specializzati:
- organi linfoidi di tipo
primario
- organi linfoidi di tipo
secondario

- organi linfoidi di tipo terziario: sono strutture biologicamente presenti che sono vere e proprie difese
fisiche. Sono i polmoni, la cute, l’intestino, il tratto genito-urinario. Vedono la presenza di cellule di
memoria ed effettrici che hanno lo scopo di attaccare ed eliminare l’agente infettivo. Nel caso delle
malattie autoimmuni però finiscono per attaccare cellule dell’ospite.

135
L’immunità
Per IMMUNITA’ si intende una serie di meccanismi che permettono all’organismo di distinguere materiale
estraneo a sé stesso (non-self) dal materiale appartenente all’organismo stesso (self) e di neutralizzare e/o
eliminare tale materiale estraneo. Distinguiamo immunità innata da immunità acquisita
Immunità innata:

Immunità acquisita:

L’antigene è una
sostanza in grado di
indurre una risposta
immunitaria quando
viene introdotta
nell’organismo. Essa è
in grado di causare la
produzione di un
anticorpo specifico ed
è capace di legarvisi.

Deve possedere specifiche caratteristiche di COMPLESSITA’ STRUTTURALE e di INGOMBRO STERICO:


Proteine>>>polisaccaridi>lipidi Peptidi con PM>10000 Da sono immunogeni. Gli apteni sono antigeni di
piccole dimensioni che devono coniugarsi con proteine carrier per evocare una risposta specifica.

136
Quando la precipitazione o
l’agglutinazione avviene in
distretti sensibili (rene, vasi
sanguigni -causa vasculite) si
instaura ostruzione,
infiammazione.

Linfociti T vanno incontro ad


espansione clonale: tante
copie della stessa cellula,
quella che riconosce
l’antigene.

I linfociti B e T riconoscono
l’antigene in forme diverse.
I linfociti B riconoscono
l’antigene in forma solubile, cioè in forma nativa. I linfociti T riconoscono l’antigene solo nella sua forma
frammentata in 8-9 aminoacidi esposto sulla superficie di cellule come macrofagi, che l’hanno fagocitato,
frammentato ed esposto.

Gli anticorpi
Gli anticorpi sono immunoglobuline, ovvero glicoproteine, prodotti dalle cellule B, che si trovano nei fluidi
circolanti. Sono distinti in 5 sottotipi:
- IgM
- IgG
- IgE
- IgD
- IgA
Sono costituiti da catene leggere e catene pesanti in cui si riconosce una regione costante, detta FC, che
media le funzioni effettrici, come la fissazione del complemento e il legame con i fagociti, e da una regione
variabile, che determinano la specificità anticorpale in quanto si legano all’antigene.
la risposta allergica
è univoca a
prescindere da chi
la evoca, perché la
regione costante
degli anticorpi è
identica in tutti i
tipo di
immunoglobuline
ed è quella che
definisce la risposta
effettrice el sistema
immunitario.

137
Risposta immunitaria
Distinguiamo una risposta primaria ed una risposta secondaria.
Risposta primaria: impiega da 8 a 14 giorni; produce linfociti B e T che mantengono memoria dell’antigene
con cui sono entrati in contatto. Non si ha alcuna manifestazione clinica in questa fase, sarà la seconda
esposizione a generare una reazione manifesta.
Risposta secondaria: può avvenire anche molto tempo dopo la prima esposizione. Impiega meno tempo
della risposta primaria, 1-3 giorni e si manifesta con quadro clinico tipico della reazione allergica.

L’IMMUNOTOSSICITA’

La tossicità a carico del sistema


immunitario può manifestarsi da
parte di un agente
immunodepressore (farmaci,
xenobiotici, virus) o di uno che
genera immunostimolazione, cioè
innesca la reazione immunitaria in
circostanze che non lo
richiederebbero (ad esempio i
pollini). L’iper-responsività del
sistema immunitario ad agenti non
pericolosi è la forma di
immunotossicità più comune.
Le allergie e le malattie autoimmuni possono essere organo-specifiche (ad es. asma bronchiale allergica,
dermatite da contatto allergica, epatite autoimmune) o sistemiche (ad es. shock anafilattico, Lupus
eritematoso sistemico -LES-, sclerodermia).

1. Le allergie
Si verificano in un numero limitato di individui e con un’incidenza che non è prevedibile sulla base di studi
preclinici.
Richiedono una precedente esposizione (contatto sensibilizzante) allo stesso xenobiotico o ad uno
strutturalmente correlato ad esso:
a) Il primo contatto con lo xenobiotico procede senza manifestazioni cliniche (fase della
sensibilizzazione, normalmente dai 7 ai 14 giorni), perché l’attivazione delle reazioni di
ipersensibilità richiede la presenza di una quantità significativa di anticorpi (Ac) xenobiotico(Ag)-
specifici già formati o di cellule T della memoria
b) Alla riesposizione allo xenobiotico (contatto scatenante) si ha l’interazione Ag-Ac o Ag-cellula T della
memoria, che provoca le tipiche sindromi cliniche associate alle reazioni immunitarie.
Le manifestazioni cliniche di tipo immunitario sono stereotipate: i sintomi sono molto simili anche
se causati da sostanze diverse e non assomigliano alle azioni usuali dello xenobiotico sensibilizzante
c) La reazione solitamente cessa al cessare dell’esposizione allo xenobiotico

138
Fattori che influiscono sulla risposta allergica agli xenobiotici
- Via di esposizione allo xenobiotico:
• L’applicazione topica si associa ad un’alta incidenza di sensibilizzazione
• La somministrazione endovenosa si associa ad un’alta incidenza di grave e rapida anafilassi
- Storia personale e/o familiare di allergia a xenobiotici

Classificazione delle risposte allergiche secondo Gell e Coombs


Sulla base del tempo di latenza e comparsa dei sintomi in seguito all’esposizione scatenante all’Ag, secondo
i noti meccanismi effettori che sono alla base delle risposte fisiopatologiche, si distinguono:
- Risposte di ipersensibilità immediata, di Tipo I, II e III
• Coinvolgono meccanismi mediati da anticorpi
• Hanno rapida insorgenza (alcuni minuti o ore)
- Risposte di ipersensibilità ritardata, di Tipo IV
• Coinvolgono meccanismi mediati da cellule T
• Hanno insorgenza ritardata (dopo ore o giorni)

ricorda: allergia crociata

Le forme più comuni di risposta allergica


(prevalentemente di origine occupazionale)
indotta da sostanze chimiche non-
farmacisono:
Tipo I  asma
Tipo IV  dermatiti da contatto
Perché la via epidermica e quella respiratoria
sono i siti di esposizione più frequente, in
generale.

139
L’anafilassi sistemica
E’ dovuto ad allergeni che circolano nel torrente ematico, è la risposta di sensibilizzazione più grave che si
può verificare ed è potenzialmente fatale se l’intervento sanitario non è immediato. La manifestazione è
improvvisa e rapida (alcuni secondi o minuti), mentre la durata può essere più prolungata soprattutto
quando l’allergene persiste (ad es. se ingerito) o se la risposta è bifasica ( prevede una risposta immediata
ed una reazione tardiva, diverse ore dopo la prima reazione).

Manifestazioni:
si ha degranulazione dei mastociti (di cui sono
ricchi i tessuti respiratori e intestinali) e rilascio
all’esterno di istamina, eparina, ATP e altri
mediatori dell’infiammazione.
Istamina determina massiva vasodilatazione e
aumento di permeabilità vascolare →
ipotensione ed extravasazione di componente
liquida e corpuscolata del sangue attraverso le
fenestrature endoteliali (edema). Arriva alla
muscolatura liscia dell’apparato respiratorio,
dove causa broncocostrizione ed aumento delle
secrezioni bronchiali → dispnea
A livello gastrointestinale aumenta la peristalsi
(diarrea, crampi) da parte dei mediatori lipidici
Citochine infiammatorie mediano la risposta
infiammatoria in tutti i distretti
Nei granuli ci sono anche enzimi proteolitici che
attaccano la componente proteica cellulare →
danno ulteriore.
L’anafilassi sistemica generalmente è dovuta a sostanze che riescono a guadagnare il torrente ematico
(tossine o allergeni alimentari, punture d’insetto, farmaci per via endovenosa). Le manifestazioni successive
dipenderanno dalla via di esposizione:
1- Sistemica (farmaci per via endovenosa): a carico del sistema cardiovascolare: ipotensione (causata
dall’azione vasodilatante dell’istamina e dall’extravasazione del sangue), tachicardia (come
compensazione alla diminuita perfusione conseguente all’ipotensione)  shock
2- Orale (farmaci per via orale o allergeni degli alimenti):
 Sistema G.I.: vomito, diarrea, crampi addominali
 Alte vie respiratorie: edema laringeo (extravasazione del sangue nel tessuto laringeo)

140
 ostruzione  asfissia
 Basse vie respiratorie: ipersecrezione bronchiale; broncospasmo  ostruzione con dispnea
(dati dall’istamina)
3- Transcutanea (punture di insetti): a carico del Sistema respiratorio o cardiovascolare in eguale
probabilità
In tutti i casi possono essere presenti anche manifestazioni cutanee (prurito, orticaria, eritema,
angioedema)
Nelle reazioni fatali sono coinvolti sia il sistema respiratorio che il sistema cardiovascolare.
Cause comuni di anafilassi sistemica
 Antibiotici (penicilline, cefalosporine)
 Mezzi di contrasto radiografici (iodati)
 Veleni di imenotteri
 FANS
 Alcuni alimenti
 Lattice
Trattamento dell’anafilassi sistemica:
- Immediata somministrazione di adrenalina per via intramuscolare o intracardiaca (0,5-1 mg,
ripetibile se necessario ogni 3-10 min) per trattare la fase precoce
- Mantenimento della pervietà delle vie aeree tramite ossigenoterapia o tracheotomia
- Fluidoterapia per reintegrare i liquidi ematici persi con l’extravasazione
- Massaggio cardiaco esterno per eventuale crisi cardiaca
- Somministrazione di corticosteroidi per contrastare efficacemente il broncospasmo e prevenire la
fase tardiva dell’anafilassi

2. Immunodeficienza secondaria (o acquisita)


2.1– Farmaci
- Immunosoppressori (ciclosporina A)
- Glucocorticoidi; FANS; antireumatici
- Antitumorali (inibiscono anche il ciclo replicativo delle cellule prodotte dal midollo osseo)
- Radioterapia
- Antifungini (griseofulvina)
- Sostanze d’abuso (etanolo,
oppioidi, cannabinoidi, cocaina)

Riducono la responsività del


sistema immunitario; ne risulta
un’estrema suscettibilità del
paziente a patogeni infettivi.

141
Ciclosporina A
La sua attività è dovuta all’inibizione della proliferazione dei linfociti T attraverso il blocco della via Ca 2+-
dipendente che porta alla trascrizione di IL-2, citochina fondamentale alla proliferazione del linfocita, e
conseguente soppressione delle fasi più precoci dell’espansione clonale.
Dal punto di vista molecolare, la ciclosporina si lega alla ciclofillina A, considerata il “recettore”, il target
principale per la ciclosporina. Tale legame porta alla formazione di un complesso macromolecolare, che si
lega a sua volta alla calcineurina, proteina ad attività fosfatasica, bloccandola. L’attività fosfatasica è
essenziale per la defosforilazione del NF-ATC (cytosolic nuclear factor of activated T cells) che quando
defosforilato, trasloca nel nucleo e induce la trascrizione di numerosi geni, tra cui IL-2, che stimola la
proliferazione dei linfociti T.

Corticosteroidi
Il cortisone ha un’azione molto potente di inibizione di produzione IL-2 (per questo viene somministrato
in casi di anafilassi) e attraverso due distinti meccanismi, uno genomico e uno non genomico (il più
veloce).
Essi si legano al recettore intracellulare citoplasmatico per i glucocorticoidi, complesso di proteine HSP
(sistema fisiologico per eliminare le proteine foldate male), inducendo il distacco del recettore dal
complesso macromolecolare formato con HSP90 e la sua traslocazione a livello nucleare.
Qui il complesso interagisce con sequenze del promotore di diversi geni, sia proinfiammatori che
antinfiammatori, determinando l’induzione della trascrizione di geni antinfiammatori ed il blocco della
trascrizione di geni proinfiammatori. Super potente!
Inoltre, inibisce la trascrizione del gene codificante per l’IL-2 e di altre citochine, e tale azione è
responsabile della ridotta risposta linfocitaria.
Per questo induce linfocitopenia, che consiste in una riduzione del numero di linfociti circolanti di durata
che dipende dai tempi di somministrazione

2.2 - Non farmaci


• Benzene e idrocarburi polialogenati (bifenili policlorurati e polibrominati; diossine)
• Insetticidi organofosforici (parathion, malathion) ed organoclorurati (DDT, aldrin, lindano)
• Metalli in alte concentrazioni per esposizione sistemica (Pb, Ni, Cd, Hg organico e inorganico, As,
organostannici)
• Inquinanti atmosferici (esposizione per via inalatoria):
٠ gassosi (ozono, ossido d'azoto);
٠ metalli aviotrasportati (Ni, Cd, Zn, Pb, Mg);
٠ asbesto;
٠ silice

3. Reazioni autoimmuni indotte da xenobiotici


Agiscono con meccanismo per cui il sistema immunitario inizia a reagire nei confronti di proteine self,
facendo insorgere malattie autoimmuni. Ad oggi la maggior parte delle malattie autoimmuni nell'uomo è
di origine idiopatica (cioè di origine sconosciuta).
La maggior parte delle malattie autoimmuni causate da xenobiotici è caratterizzata dalla produzione di
autoanticorpi (IgG) contro proteine self o proteine self modificate dal legame con lo xenobiotico. I

142
meccanismi effettori più frequentemente coinvolti sono quelli delle reazioni di ipersensibilità di tipo II
(citolitiche) e di tipo III (da immunocomplessi).

a- Anemia emolitica autoimmune


Il bersaglio è la membrana degli eritrociti.
Esempi di composti chimici attivanti:
• Farmaci: metildopa (antiipertensivo; L-DOPA (antiparkinson); acido mefenamico (FANS)
• Non farmaci: pesticidi (dieldrin)

b- Malattia di Goodpasture: glomerulonefrite con accumulo lineare di Ig sulla membrana basale


glomerulare. Non solo si perde la capacità filtrante del glomerulo per ostruzione della membrana, ma
anche attivazione della risposta infiammatoria causata dall’attivazione del sistema immunitario delle Ig.
Questo succede per eccessiva produzione di collagene nei capillari del rene e degli alveoli polmonari.
Duplice manifestazione clinica infatti: nefrite ed emorragia polmonare che infarcisce il tessuto
polmonare.
Farmaci: penicillamina
c- Miastenia gravis: il bersaglio è il recettore colinergico di tipo nicotinico sulla giunzione neuromuscolare.
Tutta la muscolatura striata volontaria è interessata ed il muscolo non si può contrarre; ne consegue
l’impossibilità alla deambulazione e una perdita progressiva del tono muscolare
Farmaci: penicillamina, Sali d’oro

d- Glomerulonefrite: accumulo granulare di Ig sulla membrana basale glomerulare; Ag impiantato sulla


membrana basale glomerulare dalla circolazione.
Non farmaci: composti del mercurio

e- Lupus Eritematoso Sistemico: malattia infiammatoria cronica di cute, tessuto connettivo e specifici
organi interni, associata a presenza di auto-Ac contro DNA, RNA e proteine nucleari circolanti e strie
eritematose della cute esposta al sole.
Esempi di composti chimici attivanti:
• Farmaci: idralazina (antiipertensivo vasodilatatore); procainamide (antiaritmico); isoniazide
(antitubercolare); penicillamina, sali d'oro (terapia dell’artrite reumatoide); fenitoina
(anticonvulsivante); griseofulvina (antimicotico); antibiotici (penicillina, streptomicina); metildopa
(antiipertensivo)
• Non farmaci: siliconi

143
TOSSICITA’ CARDIOVASCOLARE
1. Il cuore
Pompa cardiaca: forza propulsiva della
circolazione sanguigna. Alternanza di sistole e
diastole. Mentre atrio è in sistole l’atrio è in
diastole e viceversa. Cellule pacemaker:
cellule eccitabili, permettono la conduzione
dell’impulso contrattile. Cellule contrattili:
cellule muscolari (cardiomiociti).
La contrazione delle cellule miocardiche è
dovuta ai potenziali d’azione che si formano
nelle cellule pacemaker del nodo senoatriale,
per passare attraverso gli atri al nodo
atrioventricolare, e da qui, attraverso le fibre
del Purkinje, a tutto il ventricolo.
Cardiomiocita: unità contrattile principale.
Presenta canali al calcio, la cui apertura
determina aumento di calcio intracellulare,
favorita anche dal rilascio dalle strutture
intracellulari, e si innescano fenomeni che
richiedono ATP, la contrazione: le miofibrille
(filamenti sottili di actina e filamenti spessi di
miosin)a scorrono l’una sull’altra consumando
ATP, il muscolo si accorcia e si sviluppa forza.
Al termine il muscolo si rilascia e le fibre
scorrono in senso opposto.
A differenza del muscolo scheletrico, il cuore
contiene meno materiale contrattile (50% vs
80%) e più materiale mitocondriale (35% vs 2%): nel cuore avere energia disponibile è più importante che
avere capacità contrattile. Conseguenza: tutte le sostanze o condizioni che causano deplezione di ATP o
alterano la componente mitocondriale alterano pesantemente la funzione cardiaca.
I parametri fisiologici più sensibili per la tossicità cardiaca sono quindi la capacità di produrre energia e la
possibilità di mobilitazione dello ione Ca2+, segnale della contrazione.
Il cuore risulta vulnerabile agli effetti degli xenobiotici a causa della limitata capacità proliferativa dei
cardiomiociti e a seguito di un insulto tossico la massa perderà unità funzionali, rimpiazzate da tessuto
cicatriziale.
Cellule pacemaker: il ciclo cardiaco inizia quando le cellule pacemaker che vanno incontro a
depolarizzazione spontanea e trasmettono un impulso elettrico alle cellule vicine. Le cellule pacemaker non
si contraggono. La depolarizzazione spontanea può avvenire nel nodo senoatriale, nel nodo
atrioventricolare, nel fascio di His e nelle fibre del Purkinje, una rete che abbraccia il cuore in modo che
tutte le cellule contrattili possano ricevere lo stimolo. L’impulso elettrico determina apertura dei canali al

144
calcio, che si lega alla troponina C e alla tropomiosina, determinandone un cambio conformazionale.
L’evento è accompagnato ad idrolisi dell’ATP che permette il cambio conformazionale della miosina e la sua
interazione con l’actina.

Profilo del potenziale d’azione cardiaco

1- Nella cellula a riposo la densità di carica


elettrica conferisce al lato interno della
membrana un potenziale negativo rispetto
all’esterno della cellula (fase 4).
2- Quando si scatena il potenziale d’azione, i
canali al Na+ si aprono, si verifica un rapido
afflusso all’interno della cellula di Na+ e inizia la
fase di ascesa del potenziale (fase 0).
3- Ad un certo punto abbiamo la chiusura dei canali al Na e l’attivazione dei canali al K+, che permettono
+

la fuoriuscita di K+ (necessaria affinché all’interno sia possibile l’entrata di un ulteriore ione positivo, il
calcio), il potenziale scende leggermente (fase 1) ed inizia ad entrare Ca2+.
4- L’entrata di calcio attraverso il canale induce il reticolo endoplasmatico a rilasciare ulteriore Ca 2+,
dando luogo al plateau di fase 2.
5- La chiusura dei canali al Ca 2+ e il continuo efflusso di K + (fase 3) ripolarizzano la cellula, che torna a
riposo col potenziale d’azione a -70mV.
Ci sono condizioni, farmaci o tossici che allungano il plateau di fase 2 (periodo refrattario) e la cellula non
riesce a rispondere allo stimolo successivo. Al contrario, se riduce il periodo refrattari, la cellula va incontro
ad una depolarizzazione quando ancora non è terminata la contrazione precedente. (=aritmia).

Valutazione della funzionalità cardiaca


 L’indicatore principale di funzionalità cardiaca è la gittata cardiaca, ossia il volume di sangue pompato dai
ventricoli al minuto. A riposo il cuore pompa 5 litri di sangue/min, mentre durante un’attività fisica intensa
si arriva a 20 l/min
 La pressione sanguigna corrisponde alla forza che il sangue esercita sulle pareti dei vasi. Dipende dalla
gittata cardiaca e dalle resistenze periferiche. Nell’individuo adulto la pressione media è 70/120
(diastole/sistole)
 Elettrocardiogramma (ECG), si basa sulla misurazione dell’attività elettrica del cuore durante il ciclo
cardiaco. L’insorgere degli impulsi nel miocardio porta alla generazione di differenze di potenziale che
possono essere registrate

2. Disturbi nella funzionalità cardiaca

Possono essere distinti in:


• Cronotropi, relativi alla velocità di battito
• Inotropi, relativi alla contrattilità dei miociti
• Dromotropi, relativi alla conduttività dell’impulso elettrico
• Batmotropi, relativi all’eccitabilità del muscolo cardiaco

145
3. RISPOSTE TOSSICHE DEL CUORE
3.1. Ischemia: Inadeguata perfusione miocardica che non garantisce il fabbisogno di ossigeno e nutrienti
(per l’aterosclerosi, che causa ostruzione nei vasi).
L’ischemia prolungata può portare all’infarto a causa dell’interruzione del flusso ematico e conseguente
morte delle cellule miocardiche. Le aree danneggiate in maniera irreversibile durante l’infarto sono
sostituite da tessuto cicatriziale: il rimodellamento cardiaco consiste nella perdita iniziale di miociti,
successiva attivazione dei fibroblasti che formano la cicatrice; inoltre il cuore cerca di adattarsi al
danno tramite ipertrofia dei cardiomiociti rimanenti e alterata geometria cardiaca (aumenta di
dimensione), che modifica il microcircolo cardiaco. (oltre a non avere capacità rigenerativa, il cuore è
sprovvisto di sistemi di contrasto al danno ossidativo, per cui un agente ossidante ha la capacità di
danneggiare incontrastato i mitocondri ed il cuore subisce un danno enorme, a causa del suo elevato
fabbisogno di ATP.)
3.2. Prolungamento dell’intervallo QT e aritmie: alcune sostanze (anche utilizzate in terapia, come i
digitalici) aumentano la disponibilità di calcio intracellulare alterando il canale al Ca 2+. Spesso si va
incontro a digitalizzazione, esaurimento funzionale, per cui il trattamento deve essere breve. Alcune
sostanze sono uscite dal prontuario farmaceutico proprio perché alteravano l’intervallo QT, come la
cisapride, un procinetico che interagisce con i recettori della serotonina intestinali offrendo un
approccio terapeutico nelle patologie a carico della motilità intestinale.
3.3. Ipertrofia e insufficienza cardiaca (scompenso): Può essere la risposta compensatoria del cuore ad
un carico di lavoro aumentato, come succede nell’ipertensione prolungata, che contribuisce
all’ipertrofia, soprattutto nel ventricolo sinistro, o come risposta ad una lesione, in cui l’ipertrofia dei
miociti superstiti può essere necessaria per sostenere gittata cardiaca e mantenere le funzioni vitali.
Il miocardio ipertrofico può andare incontro a scompenso perché l’ipertrofia non corrisponde anche ad
un’aumentata capacità contrattile e diventa insufficiente, ovvero la contrattilità ventricolare è
inadeguata, ridotta nonostante la massa e la gittata cardiaca diminuita. Se interessa la parte destra, il
sangue si accumula nelle estremità e si sviluppano edemi, se interessa la parte sinistra il sangue
ristagna nei polmoni e si sviluppa edema polmonare

4. MECCANISMI DI CARDIOTOSSICITA’
Le sostanze cardiotossiche possono agire direttamente inducendo danni di carattere strutturale (es.
necrosi, degenerazione, infiammazione) o funzionale (es. alterazione attività elettrica, contrattilità) o
indirettamente (sul sistema nervoso centrale o sul sistema endocrino, sistema renina-angiotensina per
esempio).
I bersagli molecolari posso essere:
4.1. Interferenza con l’omeostasi ionica, risulta in disturbi del ritmo cardiaco:
a. inibizione del Na+,K+-ATPasi: aumenta [Na+] intrac. a riposo che causa un aumento di [Ca++]
intracellulare e rilascio di Ca dai depositi, contribuiscono all’azione inotropa di alcuni agenti
b. blocco dei canali al Ca2+: il blocco di questi canali produce effetto inotropo negativo a causa del
ridotto rilascio dai depositi
c. blocco dei canali al K+: aumento della durata del potenziale d’azione e prolungamento della fase
refrattaria

146
d. blocco dei canali al Na+: è necessaria una depolarizzazione maggiore affinché i canali al Na + si
aprano. In questo modo si riduce la velocità di conduzione e si prolunga la durata del QRS
4.2. Alterazione del flusso sanguigno (es. vasocostrizione o vasodilatazione): i recettori adrenergici (alfa
nei vasi e beta nel cuore). Le catecolamine attraverso la stimolazione dei recettori beta adrenergici
aumentano la frequenza cardiaca, la contrattilità e il consumo di ossigeno del miocardio, mentre
attraverso l’attivazione dei recettori alfa sui vasi coronarici causa vasospasmo coronarico. Se i
recettori beta vengono inibiti in alcuni stati patologici, le azioni dirette sui vasi coronarici possono
essere prevalente e causare alterazione della circolazione coronarica
4.3. Stress ossidativi non compensati da sistemi antiossidanti (es. SOD, CAT, glutatione reduttasi). In
condizioni di ischemia/riperfusione si ha la formazione di ROS che causano perossidazione lipidica,
perdita integrità di membrana, disfunzione mitocondriale, alterazioni omeostasi Ca 2+, aritmie.

Per ragioni svariate il tessuto


miocardico può subire un’ischemia,
momentanea interruzione del flusso
sanguigno a quella zona. Quando la
circolazione riprende, la riperfusione
causa i danni maggiori perché il
tessuto viene a contatto con i ROS
prodotti da O2 che
determinano: .perossidazione dei
fosfolipidi sia delle cellule contrattili
che pacemaker; interessa tutte le
membrane, citoplasmatica e
mitocondriale. I canali ne risentono e
altera la permeabilità. Si traduce in aritmie e infarto per morte dei cardiomiociti.
4.4. Disfunzioni mitocondriali e del sarcolemma: possono alterare [Ca2+] intracellulari e la sintesi di ATP
(il 90% di ATP usato dai miociti è prodotto dalla respirazione mitocondriale). Le [Ca 2+] extracellulare sono
molto maggiori di quelle del Ca2+ libero intracellulare a riposo
4.5. Apoptosi e oncosi (riassorbimento osseo associato a lesioni cellulari): nel periodo immediatamente
successivo a infarto miocardico, danno ischemico, a lesioni da I/R la morte dei cardiomiociti avviene per
apoptosi, ma principalmente con la necrosi, che si verifica in momenti successivi all’insulto. Peptidi e
citochine rilasciati durante la progressione di malattie cardiache, come angiotensina, TNF-a ligando FAS
sono in grado di causare apoptosi anche in vitro.

5. BIOMARCATORI DI CARDIOTOSSICITA’
1. Creatina chinasi (CK): enzima che catalizza il trasferimento di un fosfato dalla creatina fosfato all’ADP a
formare ATP. Ne esistono tre isoenzimi (CK-MM, muscolo scheletrico; CK-BB, rene e sistema nervoso;
CK-MB, miocardio). Un aumento dei livelli plasmatici dell’isoforma cardiaca è considerato marcatore
specifico di danno cardiaco.
2. Mioglobina: emeproteina che serve come deposito intracellulare di ossigeno, è presente in tutti i tessuti
muscolari. Un suo aumento non è indicativo in modo specifico di danno miocardico. Indica che c’è una
sofferenza muscolare ma non si sa in quale distretto.
3. Proteina C reattiva: Indicatore di infiammazione sistemica e vascolare, utile come biomarcatore perché i
processi di danno seguono un processo infiammatorio, sia per necrosi o danno ossidativo. Per appurare
la cardiotossicità va dosata in combinazione con la troponina. Da sola può avere valore predittivo nella
prognosi della cardiopatia coronarica.

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4. Peptide natriuretico di tipo B (PNB): È un neurormone secreto dai ventricoli in seguito ad un aumento di
tensione di parete. L’incremento a livello plasmatico, quindi, indica che la pressione interna al cuore è
aumentata. Induce una riduzione di riassorbimento di sodio a livello dei reni, contrasta l’ipertrofia
cardiaca
5. Troponine: Sono componenti dei cardiomiociti e modulano le interazioni tra actina e miosina quando il
calcio entra nel citosol; quindi, sono in grado di controllare la contrazione muscolare. In condizioni
normali non sono misurabili nel sangue, ma in seguito a danno cardiaco sono rilasciate in circolo, dove
rappresentano indicatore specifico di danno miocardico (nell’immediatezza di infarto miocardico).

6. SOSTANZE CARDIOTOSSICHE
Farmaci: alcune classi sono particolarmente note per la loro attività cardiotossica.
Antineoplastici, anestetici, psicotropi, antibiotici, cardiovascolari
La cardiotossicità dei farmaci può essere causata da un’azione aumentata del suo principale effetto
farmacologico sul cuore (es. digitale, procainamide), oppure con meccanismi non correlati al loro uso
terapeutico e ai principali effetti farmacologici
Sostanze industriali: Metalli pesanti, solventi, alcoli
Sostanze naturali: Peptidi, ormoni

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Antracicline
Sono antineoplastici molto efficaci ma con un’incidenza di cardiotossicità rilevante (7-10%); sono molto
evidenti nella popolazione pediatrica, categoria in cui vanno valutati con molta cautela i protocolli
terapeutici in modo che la tossicità cardiaca non sia tale da impedirne l’utilizza (categoria fragile).
Fattori che determinano cardiotossicità:
1- Producono radicali liberi a livello mitocondriale, dove il farmaco viene ridotto a semichinone e
successivamente riossidato a composto iniziale (doxorubicina).
2- Induzione di apoptosi: anche se non innesca un processo infiammatorio, il tessuto cardiaco ha scarsa
capacità proliferativa quindi il cuore andrà in sofferenza funzionale
3- Inibizione di sintesi di proteine e acidi nucleici: l’autonomia funzionale delle cellule viene minata
4- Rilascio di ammine vasoattive
5- Interferenza con i meccanismi di rilascio e ricaptazione del calcio dal Reticolo sarcoplasmatico
N.B.:Le attività tossiche sono
aggravate dal fatto che il tessuto
cardiaco non ha sistemi di contrasto.
Doxorubicina
Struttura lipofila, passa agilmente le
membrane.
Gruppi funzionali significativi:
1. i chinoni vengono ridotti a
radicali semichinonici da enzimi dei
cardiomiociti, che andrà a produrro
ROS→stress ossidativo, cardiotossicità
in acuto.
2. Può essere prodotto un altro
metabolita (DOXOL) quando il

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chetone sulla catena laterale viene ridotto a gruppo alcolico secondario, che risulta più idrofilo e non riesce
più a passare le membrane. Il farmaco si accumula nel cardiomiocita e porta a cardiotossicità di tipo
cronico

6. Tossicità a carico dei vasi sanguigni


L’aterosclerosi è la manifestazione di un cambiamento strutturale della parete vascolare che coinvolge un
ispessimento della tonaca intima del vaso. Esso viene a formarsi in seguito alla migrazione di cellule della
muscolatura liscia (dalla tonaca media) nella tonaca intima e successiva proliferazione, con produzione di
collagene, elastina a formare la placca ateromatosa (contiene anche mediatori dell’infiammazione). Il lume
vasale è ridotto→ Ipertensione renale, ictus, ischemia, infarto.
La trombosi: massa semisolida che si forma nel circolo sanguigno da eritrociti e piastrine, sia a livello
venoso che arterioso. Il rischio consiste nella possibilità che una parte del trombo si stacchi dalla massa
capaci di ostruire altri vasi, in distretti anche lontani (cervello, carotide). Farmaci che inducono trombosi:
contraccettivi orali vecchi, poi sono state cambiate le formulazioni.
Ipertensione e ipotensione: la marcata riduzione di pressione arteriosa sistemica è un effetto comune nei
casi di intossicazione da sostanze che deprimono il sistema nervoso centrale, gli antiipertensivi e nelle
reazioni anafilattiche. L’ipertensione può risultare dall’incremento di sostanze ad azione vasocostrittrice nel
torrente ematico come angiotensina e catecolamine.

Meccanismi di tossicità
La suscettibilità del sistema vascolare alla tossicità di xenobiotici deriva dal fatto che le sostanze assorbite
per via orale, respiratoria, cutanea e somministrate per via endovenosa entrano in contatto con le cellule
vascolari prima di raggiungere altri distretti.
Le sostanze chimiche possono indurre cambiamenti degenerativi e/o infiammatori nei vasi, come effetto
diretto di un eccessivo effetto farmacologico o come risultato secondario all’azione di sostanze chimiche o

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dei loro metaboliti con i componenti dei vasi. Le sostanze tossiche possono raggiungere lo spazio sub-
endoteliale e danneggiare le cellule della muscolatura liscia.
I meccanismi più comuni includono:
1) Alterazione della struttura e della funzione di membrana
2) Stress ossidoriduttivo con distruzione dei meccanismi di controllo di espressione genica e inattivazione
dei sistemi antiossidanti
3) Bioattivazione specifica di sostanze tossiche o mancata inattivazione (presenza di cit P450)
4) Accumulo di tossine attive a livello del letto vascolare. Gli idrocarburi aromatici si accumulano nella fase
lipidica della placca aterosclerotica.

Spesso possono concorrere all’azione tossica molteplici meccanismi simultaneamente, ma la modulazione


della crescita e del differenziamento delle cellule vascolari sono tra gli effetti più comuni.
Aterosclerosi: la placca determina
ostruzione del vaso che può tradursi
in ischemia, con conseguenze che
dipendono dal vaso, infarto o
trombosi
Ipertensione: l’eccesso di pressione
sulla parete vascolare è uno stimolo
alla proliferazione cellulare,per cui i
vasi si ispessiscono; si riduce lo
spazio del lume vasale ed arrivare a
ischemia cerebrale o infarto
Ipotensione: rischio minore, ma in
casi gravi c’è insufficienza
circolatoria, scarsa perfusione
periferica, crisi tachicardica e shock:
il cuore si ferma.

Sostanze ad azione tossica sui vasi


1- Sostanze allo stato gassoso:
prodotti di combustione dei motori,
monossido di carbonio, danneggia la tonaca intima, forma placche ateromatose → aterosclerosi. Il
problema è che si stacchino pezzi e vadano ad impattare con altri vasi a dare trombosi
2- farmaci:
ciclofosfamide
penicillamina
gentamicina
mezzi di contrasto iodati: inducono fenomeni coagulativi e allergici

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TOSSICITA’ DEL SISTEMA NERVOSO
IMPORTANTE: i neuroni sono altamente dipendenti dal metabolismo AEROBIO del glucosio (ricavano ATP
dalla glicolisi aerobica, con O2) e sono quindi estremamente sensibili a condizioni di ipossia/anossia. Tutte
le sostanze che inducono anossia (arteriosa, anemica, ischemica o citotossica) sono neurotossiche, anche
se non neurotropiche.

BARRIERE FISICHE
Barriera ematoencefalica e barriera ematoliquorale

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Meccanismo di tossicità della N-metil-4-piridina

MTPT è il metabolita attivo della N-Me-4-piridina, sottoprodotto di sintesi della meperidina (sostanza
d’abuso, sintesi domestica); è molto lipofilo, bassa la bee. Dà una tossicità iatrogena parkinsos-simile.
Per la presenza dell’ammina, viene metabolizzato dalle MAO tipo B all’interno del SNC e trasformato in
ione piridinio, che non può più passare le membrane obv. Questo interagisce col trasportatore della
dopamina per la somiglianza strutturale e viene trasportato all’interno dei neuroni. Qui interferisce con la
struttura mitocondriale alterandone l’attività: morte del neurone, specificatamente nel tessuto della
substantia nigra, stessi nuclei del SNC interessati dal morbo di parkinson da cui patologia parkinso-simile.

153
Il soma ha tutta la
macchina metabolica per il
sostentamento, mentre la
periferia no.

Il trasporto assonale
È responsabile del movimento di mitocondri, lipidi, vescicole sinaptiche, proteine ed altri costituenti
cellulari verso il e dal corpo cellulare (soma) di un neurone attraverso il citoplasma del suo assone.
Gli assoni (1.000-10.000 volte la lunghezza del soma) non contengono ribosomi o altri mezzi per produrre
proteine e quindi dipendono dal trasporto assonale per tutte le loro necessità proteiche. Il trasporto
assonale è responsabile anche del movimento di molecole destinate alla degradazione nei lisosomi.
Mediato da proteine motrici specializzate che usano ATP come fonte di energia ed operano il trasporto
lungo i microtubuli microtubuli, orientati longitudinalmente nell’assone. Le proteine motrici, chinesina e
dineina, modificano la loro forma grazie all’idrolisi dell’ ATP, si muovono di poco sopra e sotto i
microtubuli, facendo muovere sostanze, mediatori, ecc.

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Interferenza col trasporto assonale
- Tassolo e alcaloidi della vinca (vincristina, vinblastina)
- Colchicina
Impediscono la polimerizzazione e la linearizzazione delle proteine responsabili del trasporto assonale
(tubulina dei microtubuli)

Drug-induced neurological disorders (DIND)


Alterazioni neurologiche dovute all’esposizione a farmaci; possono insorgere sia all’inizio del trattamento
che per brusca sospensione.
Possono insorgere anche dopo molto tempo, la neurotossicità è infatti sottostimata per l’impossibilità di
correlare il danno e l’agente responsabile.
Se il danno interessa il SNC si parla di encefalopatia, se SNP neuropatia craniale e neuropatia periferica.

Encefalopatia
- Alterazioni della funzione sensoriale: Possono essere associate a deficit visivi, alterazione generale delle
percezioni ed allucinazioni ‡
- Alterazioni della funzione motoria ‡ Possono essere associate a debolezza muscolare e paralisi o, al
contrario, a tremori, convulsioni ed iperattività ‡
- Alterazioni delle risposte fisiologiche ‡ Possono essere associate a ipo- o ipertermia, ad alterazioni del
comportamento alimentare e dei cicli di sonno e veglia
- Alterazioni della reattività del SNC: Possono essere associate a irritabilità, agitazione, nervosismo, euforia,
psicosi, apatia, letargia e depressione ‡
- Alterazioni della sfera cognitiva ed associativa Possono essere associate a disturbi dell’apprendimento,
della memoria, dell’attenzione e confusione mentale

Neuropatia
La funzione alterata ed i sintomi dipendono dal tipo di nervo (motore, sensoriale, autonomo) che ha subito
il danno. Le conseguenti neuropatie possono essere:
- Motorie
- Sensoriali

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- Sensoriali-motorie
La debolezza muscolare costituisce il sintomo più comune di danno ad un nervo motore
Un danno ad un nervo sensoriale causa una serie più complessa di sintomi, poiché ogni nervo sensoriale
innerva più distretti e ne risentono più funzioni a valle, altamente specializzate.
sintomi di un danno ad un nervo autonomo sono numerosi e dipendono da quali organi o ghiandole sono
coinvolti, e possono comprendere anche altre complicanze, quali depressione ed insonnia. Le disfunzioni a
carico dei nervi autonomi possono diventare pericolose per la vita e possono richiedere interventi medici di
emergenza nei casi in cui la funzione respiratoria sia compromessa o quando si sviluppino aritmie cardiache

Meccanismi patologici di neurotossicità


1. Indiretti
Arrecano danni indiretti
a- tutte le sostanze che inducono una diminuzione dell’apporto di O 2 o di glucosio al cervello (CO,
cianati, barbiturici -perché inducono depressione della respirazione)
b- Sostanze che danneggiano le barriere anatomiche (flogogene ad esempio)
c- Farmaci che causano alterazioni in altri sistemi e danni secondare al SN:

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2. Diretti
I meccanismi diretti dipendono dall’interazione della sostanza con le cellule nervose, generando lesioni
neurotossiche sia nel SNC che nel SNP (nervi periferici e gangli) che sono solitamente classificate, in base al
sito anatomico interessato ed al quadro clinico che ne deriva, in:
a- Neuropatie, interessano il soma del neurone
b- Assonopatie (prossimali, centrali, distali)
c- Mielinopatie: gli agenti tossici attaccano le cellule che producono la mielina -cellule di Schwann, nel
SNP; oligodendrociti, nel SNC- o la guaina mielinica stessa
d- NEUROTOSSICITÀ ASSOCIATA ALLA NEUROTRASMISSIONE CHIMICA alle sinapsi.

Saturnismo: intossicazione da piombo per contaminazione delle acque

Assonopatie
Differenza tra assoni SNC e SNP: gli assoni periferici hanno capacità rigenerativa, quelli centrali no.
Un’assonopatia centrale implica perdita funzionale della popolazione neuronale.
Farmaci:

Mielinopatie
Sono molto meno comuni.

Le neurotossine
Diversi organismi (scorpioni, serpenti, ragni, pesci, alghe, funghi, batteri, etc.) producono neurotossine.
Le neurotossine agiscono sulle cellule del SN, solitamente attraverso un'interazione con le proteine di
membrana dei neuroni, quali i canali ionici alterando la neurotrasmissione.

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