Neuropsicofarmacologia
Neuropsicofarmacologia
Prof. Villa
Nella ricerca farmaceutica vengono utilizzati i cani Bigle, perfetti per studi vascolari, sia di
carattere cardio-vascolare che cardio-cerebrale, perché hanno una pressione ematica costante
sono infatti soggetti a variazioni di pressione molto piccole.
Come nasce un farmaco:
Un farmaco è una sostanza o un’associazione di sostanze impiegata per curare o prevenire una
specifica malattia.
Ma come si valuta se un medicinale è davvero efficace e, soprattutto, non arreca danni alla salute?
Per comprendere le sue proprietà, quantificare il rapporto tra gli eventuali rischi e i benefici che
se ne traggono dalla sua assunzione, la molecola chimica che aspira a diventare un farmaco è
sottoposta a una lunga serie di studi, condotti prima in laboratorio e su animali e poi sull’uomo.
Queste ricerche, la cui durata oscilla in genere tra i sette e i dieci anni, sono a carico del
“proprietario” del farmaco (il più delle volte un’industria farmaceutica) e si articolano in diverse
fasi: studi “in vitro” e “in vivo” sugli animali (sperimentazione preclinica) e studi cosiddetti di fase
1, di fase 2 e di fase 3 eseguiti sull’uomo (sperimentazione clinica).
La sperimentazione preclinica:
Questa fase della sperimentazione è utile per osservare come si comporta e qual è il livello di
tossicità della molecola su un organismo vivente complesso: quale è la via di somministrazione,
come viene assorbita e successivamente eliminata.
Inizialmente sono eseguiti gli studi “in vitro” al fine di comprendere le caratteristiche della
molecola chimica da cui si ritiene di poter ricavare un farmaco. In pratica, la sostanza viene
messa in provetta insieme a colture cellulari o a microrganismi e sottoposta a una serie di test.
Questi esperimenti vengono eseguiti in laboratori altamente specializzati.
Soltanto quando si è appurato in laboratorio che la molecola possiede potenziali effetti
terapeutici si può passare alla sperimentazione sugli animali (studi “in vivo”).
La sperimentazione clinica:
Fase 1: Ha inizio con lo studio di fase 1 la sperimentazione del principio attivo sull’uomo che ha lo
scopo di fornire una prima valutazione della sicurezza e tollerabilità del medicinale. Se il farmaco
dimostra di avere un livello di tossicità accettabile rispetto al beneficio previsto (profilo
beneficio/rischio) allora può passare alle successive fasi della sperimentazione.
Le recenti normative sugli animali hanno fatto spazio sempre di più alla ricerca in vitro.
Quanti anni ci vogliono per poter concludere lo studio di fase 1 di un qualsiasi farmaco?
Sono stimati 15 anni.
Gli investimenti richiesti per poter studiare dei farmaci nuovi è dell'ordine di grandezza dei
miliardi di dollari (32 miliardi per il primo decennio del 2000) e la richiesta è crescente.
Bisogna considerare anche la resa di questi investimenti: nel primo decennio del 2000 per un
investimento di 32 miliardi di dollari sono stati immessi sul mercato 20 nuovi farmaci; le
prospettive per il prossimo decennio prevedono una spesa triplicata ma con un uguale numero di
nuovi farmaci.
Ma quanto è stimato il mercato dei farmaci mondiali cardiovascolari? Prendiamo in
considerazione 4 grosse categorie di farmaci tra cui il propanololo e la rianitidina che ha
completamente cambiato la cura dell'ulcera gastrica perché è un antagonista dei recettori
istaminergici dello stomaco e non solo blocca la formazione di acido cloridrico, patogenesi
dell'ulcera, ma è in grado di chiudere le ulcere che già si stavano formando (ultimamente
vengono sostituiti con gli inibitori delle pompe protoniche, ne sono stati venduti centinaia di
milioni negli anni '70 e '80 e un miliardo solo nel 1990.
Il mercato globale dei farmaci è stimato essere intorno ai 700 miliardi di dollari.
I paesi che hanno maggior fatturato e che investono di più sono:
Stati Uniti d'America;
Giappone;
Svizzera
In Italia sono più gli addetti alle biotecnologie che quelli che si occupano di ricerca.
Esistono 2 sezioni del SNP: quella ortosimpatica e quella parasimpatica; a parte le differenze
anatomiche quello che ci interessa è la diversa organizzazione. La catena gangliare
paravertebrale è costituita da gruppi di neuroni che utilizzano l'acetilcolina (Ach) come
neurotrasmettitore. Nella sezione parasimpatica, invece, troviamo un' organizzazione anatomica
diversa nel senso che il neurone che parte dal midollo finisce direttamente, o tramite un neurone
internunciale (di collegamento), nell'organo effettore ed i neurotrasmettitori sono diversi:
se è presente il neurone internunciale, come nella midollare del surrene, il nt è ancora
l'ach;
nella muscolatura liscia cardiaca, nelle ghiandole salivari è l'ach;
nella muscolatura liscia renale troviamo la dopamina.
Troviamo ach anche nel sistema nervoso somatico cioè le terminazioni che innervano la
muscolatura scheletrica.
Quando parleremo dei farmaci colinergici o anticolinergici, a seconda che questi passino o meno
la BBB, dovremmo considerare gli effetti sia di carattere periferico sia encefalico; lo stesso vale
per i farmaci adrenergici cioè quelli che agiscono sui recettori dell'adrenalina e della
noradrenalina e per quelli dopaminergici.
L'organizzazione mondiale della sanità ha stilato una classifica delle malattie più letali:
1) le malattie vascolari: infarto del miocardio
2) le neoplasie
3) l'ischemia cerebrale.
Le malattie neoplastiche, però, dovrebbero essere spostate al terzo posto perché i termini con cui
si valutano queste malattie è la sopravvivenza a 5 anni e la sopravvivenza di queste malattie non
comporta delle conseguenze invalidanti per la vita, cosa che invece non si può dire di un'ischemia
cerebrale che, sotto questo profilo, è molto più invalidante di una neoplasia.
Nonostante l'ischemia cerebrale sia la seconda o la terza causa di morte nel mondo, le industrie
farmaceutiche non investono molto sulla ricerca in questo campo perché finora tutte le terapie
che sono state studiate si sono rivelate fallimentari. Uno dei motivi è che non si conoscono le
cause della malattia.
In generale, esistono solo 3 tipi di terapie:
1) terapia sintomatica: cura solo ed esclusivamente il sintomo della malattia (febbre curata con
antipiretico);
2) terapia sostitutiva: consiste nella sostituzione di un qualche cosa che non c'è più per un certo
motivo (insulina nel diabete);
3) terapia causale patogenetica: rimuove la causa vera della malattia ma solo di poche malattie
conosciamo la causa.
Ci sono anche casi in cui ciò che viene ipotizzato non viene poi riscontrato a livello clinico, cioè ci
sono molte malattie in cui c'è l'ipotesi che è stata ritenuta valida, sono stati sintetizzati farmaci ad
hoc per l'ipotesi, ma la somministrazione di questi farmaci nell'uomo non ha dato un esito
positivo, una delle cause di ciò può essere la mancanza di una modellistica accurata.
È necessario distinguere allora la componente biologica da quella medica del problema.
Per altre patologie, invece, si sa quale è la causa ma non c'è il farmaco che può intervenire sul
sistema recettoriale coinvolto.
La frequenza di mutazioni spontanee è di 10 -9 / 10-14 , la frequenza di errore della DNA
polimerasi,(linea somatica) ; questa è ovviamente una frequenza bassissima , in particolar modo
per poter operare la selezione di un clone neoplastico, cioè in altre parole è una frequenza troppo
bassa per poter imputare ad un evento di mutazione spontanea la formazione di un clone
neoplastico; quindi probabilmente le malattie neoplastiche nascono per motivi legati al rapporto
che l'organismo ha con l'ambiente (influenza dell’ambiente sul genoma induce la
modificazione del fenotipo da un fenotipo sano ad un fenotipo malato). Inoltre, che non si ha
difronte una malattia esclusivamente ad eziogenesi genetica ce lo dice l'anamnesi retrospettiva:
un paziente può sviluppare neoplasia senza che i suoi ascendenti l'abbiano mai sviluppata; e
viceversa. Questo vale per le malattie neoplastiche e per l'ipotesi genetiche di malattie
neurologiche e psichiatriche. Il fattore genetico è spesso essenziale ma non sufficiente, cioè può
essere un fattore predisponente ma non determinante.
Spesso le malattie hanno un'origine multifattoriale.
I farmaci possono agire legandosi a recettori oppure possono agire in modo aspecifico cioè senza
avere interferenza con i recettori (principio di Fegurdson: Farmaci aspecifici possono
interagire sulla biofase in modo aspecifico). Gli anestetici come l'etere e il cloroformio agiscono
secondo il principio di Fegurdson. Si sta cercando di capire se farmaci ritenuti ad azione
recettoriale in realtà abbiano anche una componente di tipo aspecifico, dipende molto dal
sistema che viene coinvolto; vale anche viceversa: alcuni farmaci ritenuti aspecifici forse hanno
anche una componente recettoriale. Uno di questi è l'uretano, un farmaco anestetico ma che al
contempo induce processi neoplastici.
I farmaci che si legano ad un particolare tipo di recettori (α o β adrenergici, per esempio) sono
chiamati farmaci selettivi, non specifici.
Sistema di trasduzione del segnale
Il sistema di trasduzione del segnale segue il principio di economia energetica cellulare, cioè se
per ogni sistema recettoriale avessi diversi sistemi effettoriali questo sarebbe estremamente
dispendioso in senso energetico, ecco perché ci sono solo 2 o 3 sistemi effettoriali. Il sistema di
trasduzione fa capo a quella classe di proteine che tutti i sistemi trasduzionali hanno, con qualche
eccezione: le proteine G.
In questo modo la biofase risparmia tantissima sintesi proteica. In alcuni casi questo sistema
diventa così importante da venire bypassato: nei sistemi che trasducono il segnale in maniera
ionica, i cosiddetti sistemi ionotropi, il sistema di trasduzione collima con i sistema effettoriale
perché è il passaggio dello ione che determina l'effetto modificando l'elettrofisiologia della
cellula. I sistemi ionotropi o ionotropici si contrappongono a quelli che invece necessitano delle
proteine G e dei sistemi di trasduzione: si chiamano sistemi metabotropi o metabotropici. Questi
sistemi sono energia dipendenti.
Qual è il sistema del primo messaggero che è stato scoperto nel piccione negli anni '70 più
utilizzato dalle cellule animali? È il sistema dell'cAMP.
l'cAMP deriva dall'ATP, quindi se l'ATP non c'è non può formarsi l'cAMP e di conseguenza non
funziona il sistema di trasduzione del segnale E se viene somministrato un farmaco che si lega al
sistema adrenergico esso non funziona. È quindi importante durante un esperimento sapere
quale è la carica di energia potenziale della cellula, specialmente in quei tessuti in cui la carica di
energia potenziale è limitata, come lo è il cervello.
La carica di energia potenziale nel cervello è di 0,95 μM per grammo di tessuto, cioè è
bassissima; ecco perché il rifornimento di energia sotto forma di glucosio deve essere costante,
ed ecco perché in condizioni di ipoglicemia il metabolismo cellulare crolla ed il paziente sviene
(effetto biologico).
Gli ormoni, come l'insulina, sono delle sostanze che trasmettono a distanza, contrapposti agli
ormoni locali, gli autacoidi, e che agiscono laddove vengono rilasciati, come ad esempio
l'istamina.
I farmaci che agiscono sui recettori seguono il modello ormonale.
Nt e ormoni agiscono sui recettori
I recettori attivano le proteine G.
Le proteine G agiscono su:
adenilato ciclasi
guanilato ciclasi
fosfolipasi
canali ionici
Poi ci sono i secondi messaggeri:
cAMP
cGMP
IP3--> Ca--> calmodulina
Ca--> fosfatidilserina
che attivano:
proteinchinasi cAMP dipendenti
proteinchinasi cGMP dipendenti
proteinchinasi Ca-calmodulina dipendenti
proteinchinasi fosfatidilserina dipendenti
I terzi messaggeri sono rappresentati dai substrati per le diverse protein chinasi con conseguenti
e diversi effetti biologici.
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Le proteine coinvolte sono chinasi quindi tutto dipende dalla fosforilazione o dalla
defosforilazione; il fosforo non si trova libero nel citoplasma perché è tossico e altamente
reattivo come i gruppi metili. La S-adenosil-levometionina è un coenzima coinvolto nel
trasferimento di gruppi metile. Il gruppo metilico attaccato all'AA non può essere ceduto per
motivi chimici e solo dopo la reazione metionina + ATP con formazione di S-adenosil-
levometionina il gruppo metile può essere trasferito ad un farmaco, e anche ai nt, perché il
gruppo metile attaccato ad un atomo di zolfo acquista una parziale carica positiva δ+ ed può
essere ceduto più facilmente.
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5) Sistema SERCA: SERCA (Sarco/Endoplasmatic Reticulum Calcium ATPasi), presente sul reticolo
sarcoplasmatico o endoplasmatico con funzione di sequestrare Calcio all'interno delle cisterne.
6) PMCA (Plasma Membrane Calcium ATPasi), tipica della membrana plasmatica, pompa Calcio
all'esterno della cellula.
Parlando del sistema di trasduzione del segnale un fattore estremamente importante anche dal
punto di vista patologico è il tempo.
Eventi misurabili in ms sono:
la conduzione dell'impulso
il rilascio dei nt
la trasmissione sinaptica veloce
i trasmettitori veloci sono rappresentati da Glut e Ach
apertura di canali ionici VD
l’esocitosi
apertura canali ionici attivati da ligandi
Eventi misurabili in s sono:
trasmissione sinaptica lenta
neuromodulazione
trasmettitori lenti sono rappresentati da monoamine e acido arachidonico
attivazione recettori accoppiati a proteine G, accoppiati a canali ionici
Eventi misurabili in un lasso temporale di h:
plasticità sinaptica
effetti farmacologici ritardati: tolleranza farmacologica nel caso della tachifilassi; se invece
si instaura in un tempo più lungo delle ore si parla di bradifilassi (trattamento del morbo
di Parkinson)
I fattori che agiscono a livello genetico e che quindi modificano il livello di espressione di un
determinato gene, sono elementi di trasmissione molto lenti, si parla di giorni e mesi. Un esempio
di quanto tempo ci voglia per i fattori di crescita, per attivare la sintesi delle proteine è offerto
dagli antidepressivi. La teoria più accreditata per le depressioni è una diminuzione delle
concentrazioni di adrenalina (AD) e noradrenalina (NA) nello spazio sinaptico. Quando si
somministra un farmaco antidepressivo l'effetto sulle concentrazioni dei nt è istantaneo, vuol
dire che le concentrazioni di AD e NA dopo 30/40 minuti dalla somministrazione del farmaco
tornano normali; l'effetto terapeutico si ottiene solo dopo 15/20 minuti dalla somministrazione
del farmaco. Come si spiega come scollamento temporale? Si ipotizza che la differenza temporale
sia dovuta al tempo necessario affinché vengano risintetizzati i recettori, quindi per attivare la
sintesi ex novo di recettori ci vogliono 2/3 settimane.
Nell'apparato somatico troviamo una prevalenza di recettori colinergici nicotinici, ionotropici e
quindi a trasmissione veloce; nell'ippocampo, invece, deputato alla memorizzazione, e quindi non
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ad un processo che deve essere veloce, troviamo una prevalenza di recettori colinergici
muscarinici.
Il pH dello stomaco è di 1.5 per la digestione delle proteine, quindi non si può pensare di
somministrare per via orale ad esempio l’NGF ad un paziente con demenza e sperare che questa
proteina riesca ad arrivare ai neuroni. Allora pensarono di somministrarlo con un'iniezione
intracerebroventricolare nell'animale da esperimento e con l'uso di un apparato stereotassico:
Strumento neurochirurgico che consente di operare nell’encefalo, quando è necessario
raggiungere formazioni situate in profondità, risparmiando le strutture soprastanti e riducendo
al minimo la lesione cranica. Si basa sull’uso di un’apparecchiatura applicata al capo
dell’operando: permette di dirigere lo strumento chirurgico con movimenti orientati e graduati in
precedenza (sulla base di uno studio radiologico preoperatorio, che utilizza tecniche di imaging,
TC o RMN) ma non si può certo pensare di somministrarlo con la stessa tecnica al paziente uomo;
(in realtà ho letto che lo si fa) . L' NGF nel cervello di ratto ha prodotto la formazione di tumori
cerebrali infatti l' NGF è un fattore di crescita tumorale, questa proteina è stata scoperta da un
fisiologo che studiava i tumori , il quale ha visto che durante la crescita tumorale veniva prodotta
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Barriera emato-encefalica
Il cervello è un organo isolato, segregato dal resto dell'organismo da barriere di carattere
anatomico-funzionale. La BBB ha delle grosse influenze per quel che riguarda la capacità dei
farmaci di arrivare all'interno dell'organo cerebrale. Le penicilline, per esempio, non passano la
BBB e non riescono quindi ad arrivare al parenchima cerebrale. La barriera è costituita da una
grandissima varietà di lipidi ed, in particolare, fosfolipidi; quindi un farmaco per poter essere
utilizzato nelle terapie che riguardano il cervello deve:
essere lipofilico in modo tale da poter penetrare facilmente le membrane biologiche
avere un basso peso molecolare: a parità di altre condizioni, più un farmaco ha alto peso
molecolare è più difficilmente potrà passare attraverso le membrane biologiche
essere elettricamente neutro in modo da interagire il meno possibile con le cariche
elettriche presenti nelle membrane.
La BBB è formata dall'unione stretta e senza pori delle cellule endoteliali dei capillari cerebrali e
delle cellule dei plessi coroidei, le cellule sono fittamente stipate mediante la formazione di
giunzioni serrata che non consentono il passaggio di sostanze attraverso la via para-cellulare ma
solo l’utilizzo esclusivo della via trans-cellulare, “consentita” solo a molecole altamente lipofiliche
e con basso peso molecolare o a molecole in grado di usufruire degli specifici trasportatori
presenti sulla membrana luminale e apicale.
Si possono avere anche dei farmaci che, proprio perché non sono lipofili, possono essere di
grande attività terapeutica: un esempio è dato dalla terapia del morbo di Parkinson in cui si
somministra il precursore della dopamina perché la dopamina non è in grado di passare la BBB
in quanto è un'amina e quindi dotata di carica elettrica. Il sistema dopaminergico, oltre che a
livello encefalico, è localizzato anche a livello renale; i recettori della dopamina renali controllano
la pressione ematica tramite la secrezione di renina (La renina è un enzima proteolitico della
classe delle idrolasi, che viene secreto dalle cellule iuxtaglomerulari del rene. Ha una funzione
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importante nella regolazione della pressione arteriosa ed è coinvolto nei processi fisiologici che
inducono l'ipertensione arteriosa. La renina è deputata all'attivazione del processo che trasforma
l'angiotensinogeno in angiotensina, che a sua volta viene convertita, a livello dei capillari
polmonari, nel prodotto biologicamente attivo, l'angiotensina II, in grado di stimolare la
secrezione di aldosterone. Agendo come enzima proteolitico, la renina scinde la molecola di
angiotensinogeno a livello di un residuo di leucina, per generare angiotensina. La regolazione
della sua secrezione è principalmente dipendente da tre fattori:
Se somministro un farmaco precursore della dopamina, cosa succede quando arriva nel rene,
quindi ancora prima di venire a contatto con la BBB? Viene captato dalle cellule renali e
metabolizzato a dopamina la quale agirà sui recettori. Quindi la L-DOPA interferisce con la
regolazione della pressione ematica del paziente, cioè ha un effetto secondario (e non collaterale)
dovuto alla sua azione farmacologica.
Cosa dobbiamo fare quindi per evitare quest'effetto secondario? È necessario somministrare un
farmaco che inibisca l'enzima che catalizza la reazione da L-DOPA a dopamina la DOPA-
decarbossilasi.
E come faccio affinché il farmaco inibisca solo l'enzima renale e non quello encefalico? Basta che
l'inibitore non passi la BBB. Ed infatti la carbidopa è un farmaco idrofobo che agisce
esclusivamente a livello periferico.
Come fa un farmaco a passare dal compartimento ematico al compartimento interstiziale e poi a
quello endocellulare? Usando dei trasportatori amminoacidici che non sono specifici, sono
pseudospecifici cioè trasportano anche molecole e sostanze che sono simili al loro substrato
d’elezione, ma non necessariamente identiche. La dopamina non può essere somministrata, sia
perché carica sia perché entra in competizione a livello della barriera con i trasportatori di altri
amminoacidi; ed ecco perché la L-DOPA viene somministrata lontano dai pasti.
La barriera diventa instabile durante crisi ipertensive, fasi iperglicemiche, processi infiammatori
o tumorali.
Alcune zone del SNC non sono protette:
zona chemocettrice bulbare
ipofisi
eminenza mediana
epifisi.
Sistemi di trasporto diversi si trovano sulle 2 membrane della cellula endoteliale (apicale e
luminale). Quindi alcune sostanze, come la glicina, possono solo uscire dal SNC; altri amminoacidi
invece , come la fenilalanina, possono entrare ed uscire.
La necessità di passare all'interno della cellula espone i farmaci alla possibilità di essere
metabolizzati prima di entrare nel SNC. In virtù di questo metabolismo alcune sostanze non
penetrano affatto. La L-DOPA, essendo metabolizzata durante il passaggio attraverso la cellula
endoteliale, arriva in quantità ridotta a contatto con i neuroni.
Che importanza funzionale ha la BBB oltre a quello molecolare di doppio transito? Ci sono delle
patologie in cui la BBB diventa più permeabile alle sostanze che circolano all'interno del sangue e,
in senso opposto, che si formano all'interno dei neuroni in condizioni patologiche. Per cui questo
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Sistemi trasmettitoriali:
SISTEMA ADRENERGICO:
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METABOLISMO:
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Da qui il concetto di prevalenza, cioè la realtà tissutale non è così schematica, ma si parla di
prevalenza anche perché in molti tessuti c'è una miscela di recettori.
Cosa rappresentano i sottotipi recettoriali? Un recettore α1 può essere localizzato sia a
livello vascolare che in altre parti, quindi dire che mediano risposte diverse non è corretto,
la loro funzione è collegata alla fisiologia dell’organo in cui sono presenti. Il recettore
colinergico in equilibrio con il recettore adrenergico ad es, negli occhi regolano la
dilatazione e la contrazione della pupilla; cioè a secondo dell'organo in cui sono localizzati
mediano funzioni diverse. La funzione specifica quindi in realtà è una funzione d'organo
specifica.
Come mai sono presenti in modo così vario, in miscele recettoriali e prevalenti in
determinate zone? Cosa rappresentano questi sottotipi recettoriali?
Rappresentano una piccola diversità per specificità d'organo.
La maggior parte di questi recettori è rappresentato da glicoproteine; e allora qual è la
variabilità biologica associata alle proteine? Ovviamente la variabilità è data dalla
sequenza amminoacidica il che significa che tra di loro hanno sequenze amminoacidiche
leggermente diverse.
Lo sviluppo della chimica computazionale ha portato alla sintesi di molecole che, in
laboratorio, si possono produrre in grandi quantità e che quando somministrate e quindi
messe a contatto con la biofase, si legano a recettori diversi, anche se appartenenti agli
stessi sistemi recettoriali; questi recettori rappresentano dei sottogruppi. Quando sono
presenti tutte le sottoclassi recettoriali il neurotrasmettitore non seleziona un
sottogruppo, ma si lega a tutti i recettori; quindi la risposta dipende dalla frequenza
relativa dei recettori presenti in un organo. Artificialmente vengono selezionati sottotipi
adrenergici crescenti, ma l'adrenalina si lega a tutti i recettori adrenergici.
Gli stessi recettori collegati ad organi diversi svolgono funzioni d'organo diverse.
Quindi questi recettori sono proteine, spesso a funzione enzimatica, che corrispondono
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alle forme isoenzimatiche delle proteine catalitiche. Gli isoenzimi differiscono tra di loro
per piccole variazioni nella sequenza amminoacidica: per esempio la lattato deidrogenasi
(LDH) cerebrale è analoga alla LDH1 presente nei muscoli, ma quest'ultima svolge
un'attività molto più rilevante per far fronte alle condizioni di anaerobiosi.
REAZIONE CATALIZZATA:
Ci sono tante isoforme recettoriali perché sono proteine e quindi soggette a piccole
variazioni o a sostituzioni; in vitro è il ligando che seleziona un sottogruppo recettoriale.
SISTEMA GLUTAMMATERGICO:
I recettori per l'acido glutammico vengono classificati in base alla selezione operata dal
ligando: ( sbobina:la classificazione è artificiale perché ciò che si lega sono sostanze
artificiali) (acido quisqualico, NMDA (N-metil diaspartico), acido cainico etc..); l'acido
glutammico in realtà si lega a tutti questi recettori.
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C'è un'altra differenza tra questi recettori e gli altri: consideriamo l'ach, come avviene la
sintesi di ach? Colina + acetilCoA
Come avviene la sintesi dell'adrenalina? È una sintesi fatta ad hoc, cioè c'è una via un po'
più complicata che per l'ach e che richiede più passaggi, cioè richiede più enzimi diversi
tra di loro anche se, non necessariamente, superspecifici.
C'è una via ad hoc per la sintesi dell'acido glutammico? No, l'acido glutammico è un
intermedio metabolico e deriva dal ciclo dei acidi tricarbossilici: α-chetoglutarato viene
catalizzato dall'enzima glutammato deidrogenasi a acido glutammico.
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A questo punto l'acido glutammico può seguire diverse reazioni enzimatiche a dimostrazione
del fatto che è un intermedio metabolico prima di un nteurotrasmettitore:
1) può essere trasformato in glutammina dall'enzima glutammina sintasi
2) può essere trasformato in GABA attraverso l'attività dell'enzima glutammato decarbossilasi; il
GABA poi viene trasformato in semialdeide succinica che rientra nel ciclo degli acidi
tricarbossilici
3) può tornare ad α-chetoglutarato perché l'enzima glutammato deidrogenasi è bivalente perché
dipende dall'ATP.
La glutammato deidrogenasi è il primo enzima studiato allostericamente ed il substrato
allosterico di questo enzima è l'ATP che spinge la reazione verso la formazione di α-
chetoglutarato quando l'energia, sotto forma di concentrazioni di ATP, diminuisce nella cellula
perché il ciclo degli acidi tricarbossilici favorisce la corsa degli elettroni lungo la catena di
trasferimento elettronico, creando energia.
Esperimenti con le marcature dimostrano che, nel cervello, circa il 30/40% dell'acido
glutammico in condizioni di stato stazionario viene formato dalla reazione che parte
dall'α-chetoglutarato. Non sono dati assoluti perché alcuni contestano questi dati, ma in
condizioni di steady-state almeno il 20% deriva dal ciclo degli acidi tricarbossilici, il resto
dell'acido glutammico in parte proviene dalla glutammina ed il resto da quelle reazioni, di
cui non abbiamo parlato, che lo possono generare ex-novo: reazioni di transaminazione
(glutammato ossalacetato transaminasi GOT; glutammato piruvato transaminasi GPT sono
enzimi che trasferiscono il gruppo amminico da un amminoacido ad un alfa-chetoacido).
I vecchi autori chiamavano la reazione che dall'acido glutammico porta alla semialdeide
succinica secondo ciclo di Krebs, ma oggi si preferisce chiamarlo “shunt del GABA”.
La glutammina può essere fonte di acido glutammico? La reazione della glutammina
sintasi è reversibile? No, c'è un altro enzima che si chiama glutaminasi; e come mai per
trasformare l'acido glutammico in glutammina c'è bisogno di un enzima e per trasformare
la glutammina in acido glutammico c'è bisogno di un altro enzima? Perché una è una
reazione energeticamente favorita, cioè esoergonica e l'altra è una reazione endoergonica.
L'acido glutammico è il nt che si ritrova nei neuroni a più alta concentrazione perché è un
intermedio metabolico.
Con le sopracitate reazioni ATP dipendenti interviene un altro fattore importante anche
quando non siamo in steady-state: la glutammina non serve a formare il glutammato, ma
serve alla detossificazione ammoniacale ed infatti in queste reazioni vengono inglobate
due molecole di ammoniaca, tossica per il cervello. Questa reazione è altamente funzionale
nel fegato, per togliere l'ammoniaca che si forma, e nel cervello dove la sindrome
iperammoniemica è letale e sottende a patologie di diversa origine.
Parlando di acido glutammico è bene ricordare l'ipotesi di Choi sull’ eccitotossicità dell’ acido
glutammico: questo ricercatore sosteneva che in condizioni di ischemia cerebrale si liberavano
delle grandissime quantità di acido glutammico che finivano per interferire con i recettori per
l'acido glutammico aprendo così i canali del calcio; il conseguente ingresso di calcio ad alta
concentrazione nei neuroni corrispondeva alla degenerazione neuronale, bloccando i recettori
dell'acido glutammico con antagonisti si era quindi pensato di aver trovato la terapia per
l'ischemia cerebrale. Vengono quindi sintetizzati una grande quantità di questi antagonisti; vanno
in clinica e li somministrano a pazienti ischemici. La prova clinica ha dato il risultato opposto a
quello ipotizzato, portando alla morte dei pazienti; la prova patogenica di eccitotossicità dell’
acido glutammico quindi non regge. Perché? Perché le concentrazioni di acido glutammico in un
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paziente ischemico aumentano notevolmente, ma nel giro di 2-3 minuti, dopo di che scendono
molto rapidamente.
Sarebbe quindi bene suddividere i nt in 2 categorie:
sintesi ad hoc;
sintesi locale veloci: autacoidi (istamina)
sintesi più lenta di origine metabolica
Avvengono in tempi e in modalità estremamente diversi.
Molte delle deduzioni, delle ipotesi, sono fatte per via sperimentale su cervelli che non sono
umani, ma si parte da osservazioni effettuate su cervello di ratto, le vie neuronali dell’uomo e del
ratto non sono sicuramente uguali, possono essere analoghe o simili ma non uguali. Ad esempio
la via NIGRO-STRIATALE nel ratto è proprio così, cioè SOSTANZA NIGRA- STRIATO , lo striato a
sua volta è costituito da due parti: NUCLEO CAUDATO e PUTAMEN, nell’uomo il nucleo caudato e
il putamen non sono nella stessa struttura, ma sono due strutture indipendenti. Nonostante
queste ovvie differenze di carattere strutturale, si usano comunque in sperimentazione questi
animali, e le deduzioni e le scoperte che vengono effettuate con questa modellistica poi con i
giusti accorgimenti ,vengono identificate anche nell’uomo.
Per quanto riguarda la sperimentazione su culture cellulari, va fatta una considerazione; diciamo
che le culture cellulari hanno avuto un grande sviluppo negli ultimi 20 anni, le prime culture
neuronali sono stata fatte già negli anni 70. Ciò che ha permesso un grande sviluppo nel campo
delle culture cellulari è stato un grande sviluppo dal punto di vista tecnico: la scoperta di fattore
di crescita nel siero che potevano incentivare la crescita, ha dato sicuramente un grande impulso
a questo tipo di ricerca. Altro fattore che ha permesso l’avanzamento delle ricerche in questo
campo è sicuramente la rapidità nell’esecuzione; una ricerca di tipo farmacologico su un animale
ovviamente comporta tutta una serie di problematiche: numero degli animali richiesto, ci
saranno topi trattati in modo diverso..ecc… tutto un complesso di circostanze che comportano
anche un costo molto elevato, gli animali inoltre richiedono delle cure molto particolari. In
determinate ricerche dove si richiede ad esempio la selezione di ceppi, e soprattutto nelle
ricerche che implicano lo studio dell’invecchiamento come fattore di rischio nelle malattie
neurodegenerative, questi animali devono avere un’età adeguata, teniamo presente che un ratto
indipendentemente dal ceppo di appartenenza non vive più di 32 mesi, arrivare a 34 è tanto. Ci
sono poi delle problematiche legate ai ceppi ad esempio, il ceppo vista (non si sente benissimo
quindi non sono sicura sia proprio “vista” ma se qualcuno di voi lo ha scritto negli appunti lo
comunichi!) intorno al 26esimo/27esimo mese inizia ad avere grossi problemi a livello renale,
questo nella ricerca farmacologica è di fondamentale importanza perché i farmaci vengono
eliminati dai reni. Altro ceppo molto utilizzato è lo splendonei (anche qui non sono sicura del
nome) che è molto robusto ma è soggetto a malattie di carattere intrinseco come ad esempio
alcune patologie renali. Bisogna considerare l’aspetto economico, un ratto “banale” non volendo
avere nessuna pretesa particolare, non costa meno di 300-400€ , per avere un ratto di 26 mesi ad
esempio bisogna partire da un ratto di 3 mesi, e in questo caso non vengono fatti pagare solo i
ratti che arrivano al 26esimo mese ma tutti quindi un ratto di questo genere viene a costare 700-
800€ (non ho ben capito cosa volesse intendere il prof).
Le femmine vengono tutte fecondate artificialmente, perché non è così semplice ottenere
l’accoppiamento tra ratto M e ratto F, in questo modo si conosce perfettamente la data del
concepimento e verranno fatti nascere tutti nel giorno stabilito mediante taglio cesareo. Il
vantaggio del taglio cesareo sta anche nel fatto che l’animale che nasce non passa per le vie
genitali le quali comunque potrebbero essere infette. Un ratto di questo genere costa 1900€
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circa, per età compresa tra 25 e 30 mesi. Se si considera che per una sperimentazione di base ci
devono essere 10 topi di controllo, 10 topi trattati con il farmaco, basta fare i conti e vedere
quanto costa. Anche nel caso delle culture cellulari ci sono diversi problemi……queste cellule
derivano da embrioni, quindi ad esempio se si sta studiando l’Alzheimer che ha un’età di esordio
intorno ai 65 anni circa, bisogna considerare che il metabolismo cellulare di una cellula
embrionale coltivata in vitro a cui viene aggiunta l’amiloide per far si di simulare la malattia di
ALZ, non sarà mai uguale alla cellula di un soggetto di 70 anni, ad esempio, che ha sviluppato la
malattia di ALZ. Le cellule poste in cultura si adattano al nuovo ambiente quindi quello che si
osserva a livello sperimentale può essere anche il frutto di questo adattamento. Quindi secondo il
professore la cosa fondamentale è che il ricercatore dovrebbe conoscere molto bene quali sono i
limiti di quello che sta facendo, cioè bisogna sapere che il modello che si sta utilizzando non è
identico a ciò che realmente succede nel sistema fisiologico umano. Bisogna inoltre considerare
che non si arriva mai alla verità, ci si può avvicinare ma in realtà come afferma il principio di
indeterminazione di Heisenberg, più ci avviciniamo alla soluzione del problema, in realtà più ci
allontaniamo dal problema.
Il primo sistema che vediamo è il sistema colinergico, bisogna stare molto attenti alla
distribuzione dei recettori, (mostra un lucido con la distribuzione dei diversi recettori nei diversi
organi), quindi bisogna stare attenti al recettore prevalente, fa esempio di differenza tra i
recettori adrenergici nelle coronarie e nei vasi della pelle e in altri organi come reni, ghiandole
salivari…….
A seconda dell’organo quindi si hanno recettori e sottotipi recettoriali diversi e in ogni organo si
avrà un tipo che prevale e questo è da tener presente proprio per l’uso di farmaci che agiscono
proprio su di essi.
Recettori diversi di tipo adrenergico, stimolati dall’adrenalina, evocano intensità di risposta
diverse. Quindi in realtà quello che si vede come risultato di un’interferenza recettoriale, altro
non è che una sorta di sintesi dei singoli effetti evocati dalle singole sottoclassi recettoriali; ed è
un processo fondamentale questo.
La stessa cosa dicesi per i recettori colinergici, a seconda dei vari distretti di un organismo, si
possono avere risposte diverse, cioè la stimolazione del recettore colinergico, in alcuni settori
determina contrazione, in altri settori determina dilatazione. All’interno dello stesso sistema, per
esempio se noi prendiamo le arterie, per quanto riguarda le coronarie, la stimolazione del
recettore colinergico, determina contrazione , mentre determina dilatazione in tutte le arterie di
tutti gli altri organi. Questo ovviamente dal punto di vista farmacologico non semplifica le cose
ma le complica per quanto riguarda la risposta evocata, quindi ogni organo va trattato in modo
separato e distinto. Questo crea più di qualche problema soprattutto nella modellistica.
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sono i depressivi; con la tensione neuromuscolare sono i miorilassanti; con la percezione degli
stimoli, sono gli anestetici, un farmaco anestetico necessariamente non deve indurre anestesia,
può diminuire la percezione di uno stimolo. Con la percezione del dolore abbiamo gli analgesici,
per l’eccitabilità neuronale i neuromodulaori. (credo abbia proiettato una tabella nei lucidi in
merito a questi farmaci). Quindi questa è una classificazione di tipo funzionale dei farmaci.
Vediamo adesso il sistema colinergico partendo dall’aceticolina. Bisogna sapere che cosa si
intende per sistema colinergico encefalico e sistema colinergico periferico, sono due cose
completamente diverse e noi ci occuperemo di quello encefalico.
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A livello dell’ippocampo arrivano due vie di ingresso, per quanto riguarda gli impulsi, una è la via
setto-ippocampale , e il neurotrasmettitore coinvolto è l’acetilcolina, questi neuroni arrivano a
livello delle connessioni delle cellule piramidali dell’ippocampo; l’altro sistema è il sistema
glutammatergico che proviene dalla corteccia entorinale e arriva al così detto sistema delle fibre
muscoidi che sono alla base dell’ippocampo. Queste fibre muscoidi sono a loro volta collegate con
le cellule piramidali della corteccia ippocampale , le famose aree CA1-2 e3, e da un sistema
intrinseco dell’ippocampo che è il così detto sistema del….. (All'interno della formazione
dell'ippocampo si realizza un circuito seriale multisinaptico caratteristico. Questo circuito parte
dalla corteccia entorinale e si dirige verso i dendriti dei neuroni granulari del giro dentato,
tramite assoni che attraversano la scissura dell'ippocampo e sono perciò detti via perforante. I
neuroni del giro dentato hanno assoni che si dirigono tramite le fibre muscoidi verso il
sottocampo CA3 dell'ippocampo, dove contraggono sinapsi con i dendriti apicali dei neuroni
piramidali. A livello del sottocampo CA3 vi è una biforcazione: una parte degli assoni entra
nell'alveo ed esce dall'ippocampo attraverso il fornice; un'altra parte, detta collaterale di Schaffer,
si dirige verso il sottocampo CA1, i cui neuroni piramidali inviano afferenze al subicolo e dal
subicolo infine di nuovo alla corteccia entorinica. Il flusso unidirezionale di questo circuito è
spezzato solo dalle occasionali sinapsi fra i dendriti apicali dei neuroni di CA3 e CA1, e le fibre
della via perforante. Sebbene vi siano anche alcuni interneuroni inibitori GABAergici, il principale
neurotrasmettitore usato nella formazione dell'ippocampo è il glutammato, e la presenza
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è una reazione che avviene con un solo step, c’è un enzima la colina acetil transferasi, che
trasferische il gruppo acetile alla colina, e la fonte del gruppo acetilico è
l’acetiloCoA….cos’è l’acetilCoA? È un metabolita del metabolismo intermedio che si trova
in tutti i metabolismi, rappresenta infatti uno snodo metabolico per la cellula poi a
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seconda che ci sia ossigeno e mitocondri funzionanti si avrà una diversa disponibilità di
acetilCoA. La colina deriva da varie fonti:
- dalla dieta, le uova sono molto ricche di colina
- dal catabolismo dei fosfolipidi che mette a disposizione l’acetilcolina solo ed
esclusivamente nella fase di ricambio delle membrane , quindi nel tour-over delle
membrane.
- Dalla metabolizzazione dell’acetilcolina che nello spazio intersinaptico libera colina, la
quale per poter essere riutilizzata per la sintesi necessita di essere ricaptata perché
l’enzima di sintesi è citoplasmatico.
- Dalla sintesi de novo a partire dai singoli componenti, queste sono vie di salvataggio che
vengono attivate quando il componente manca nel sistema e manca anche la fonte.
No, quindi deve essere captata e trasferita dal compartimento ematico al compartimento
citoplasmatico neuronale da un trasportatore che può essere saturabile? È specifico? È
sensibile ai farmaci? Bisogna sapere queste caratteristiche.
Generalmente i trasportatori non sono specifici, non si sa se sia saturabile o meno…..l’unica
cosa certa è che è energia dipendente quindi avrà un trasporto massimo nell’unità di tempo
infatti non si può aumentare la concentrazione di ach nel cervello aumentando ad esempio il
consumo di uova. C’è un farmaco chiamato emicolinio che blocca il trasportatore, quindi
qualcosa di specifico deve esserci.
L’acetilcoenzima A deriva da varie fonti e viene utilizzato nel ciclo degli acidi tricarbossilici,
che serve per generare forze protoniche che verranno inseriti nella catena di trasporto degli
elettroni per permettere alla ATPsintetasi di sintetizzare ATP quindi energia, quindi
l’acetilcoenzimaA verrà sottratto a questa via per essere utilizzato per sintetizzare
l’acetilcolina.
L’acetilcolina sintetizzata viene vescicolata, i NT in generale vengono vescicolati perché
altrimenti sarebbero disponibili per essere utilizzati e verrebbero degradati, questa
vescicolazione avviene perché sulle membrane vescicolari c’è un’ATPasi Mg 2+ dipendente che
genera un gradiente protonico per cui il NT viene captato e “ingerito” .
La sintesi dell’acetilconia ha ripercussioni sul fronte energetico di un certo rilievo.
Una volta che arriva poi il potenziale d’azione la vescicola contenete l’acetilcolina si fonde con
la membrana rilasciando l’acetilcolina in quanti, nello spazio sinaptico dove interagisce con i
suoi recettori che sono postsinaptici . I recettori prevalenti nelle vie colinergiche encefaliche
sono nicotinici o muscarinici? Sono recettori veloci o lenti? Sono prevalentemente muscarinici
quindi lenti, ma questo non significa che non ci siano recettori di tipo nicotinico definiti NN
(nicotinici neuronali) . Quindi l’acetilcolina nello spazio sinaptico viene metabolizzata
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Quando si parla del sistema colinergico uno degli errori che viene effettuato più spesso sul piano
generale è di considerare che quello che vale per la periferia vale anche per il sistema nervoso
centrale, ma questo non è assolutamente vero.
Ad esempio a livello delle placche neuromuscolari che sono un esempio di sistema colinergico
periferico, la concentrazione dell’acetilcolina nel compartimento ematico è di 10 micromoli/litro
mentre a livello sinaptico è di 1 millimole/litro, mentre nelle vescicole è di 100millimoli/litro . Un
singolo impulso nervoso rilascia circa 300 vescicole corrispondenti a 3 milioni di molecole di
acetilcolina. Una considerazione di carattere energetico ci dice che se ci sono 3 milioni di
molecole di ach presenti considerando la sua via di biosintesi, dobbiamo pensare che essendo
data da una mole di acetilCoA e una mole di colina ci saranno 3 milioni di molecole ci acetilCoA
che vengono sintetizzate e questo la dice lunga sul consumo di energia necessario per
sintetizzare questa massa di ach. I recettori presenti sulla fibra muscolare sono 30 milioni e
legano due milioni di molecole al massimo. L’effetto farmacologico si realizza con l’interazione
con il recettore, è importante anche il fattore tempo , sono più efficaci i tempi di occupazione
recettoriale lunghi o brevi? Gram ha risolto questo problema con due esperimenti, uno di
carattere teorico ed è giunto alla conclusione che tanto più a lungo viene occupato il recettore,
tanto più alto è l’effetto farmacologico. Queste molecole restano legate al recettore per 2
millisecondi, il resto è metabolizzato dall’acetilcolinesterasi che ha una capacità cinetica di circa
14mila molecole al secondo. Questi dati suggeriscono che le forze molecolari in gioco sono
abbastanza importanti, si ha un grande consumo di energia.
Le sinapsi centrali sono 100 volte inferiori come numero, il potenziale generato è sia inibitorio
che eccitatorio, e i nuclei che sintetizzano l’acetilcolina sono localizzati in specifiche aree. Il
sistema colinergico encefalico fa cose diverse rispetto al periferico.
(credo mostri la struttura del recettore colinergico nicotinico e muscarinico non scende nei
dettagli accenna solo al fatto che uno è ionotropico e l’altro è metabotropico quindi più lento)
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Le malattie che sotto intendono una dell’ipotesi del sistema colinergico sono le così dette
demenze. La classificazione delle demenze, una delle prime prevedeva che le demenze fossero
suddivisibili in due famiglie: le MID(multi infartuale) e le SDAT (late onset). La diagnosi di
demenza non può essere fatta quando la persona è in vita. MID sta per demenze multi infartuali,
sono demenze (demenza= diminuzione delle capacità cognitive di una persona) dovute a piccole
o grandi occlusioni vascolari che possono avvenire per cause diverse che possono avvenire per
un certo periodo di tempo in cui è bloccato o diminuito l’afflusso sanguigno cerebrale in una
determinata area, sono quindi demenze di natura circolatoria. Oggi non sono più chiamate così
ma VAD cioè V= vascolari, il nome è cambiato ma il concetto è lo stesso. Questo tipo di demenze
rappresentano circa il 15% di tutte le demenze. SDAT sta per senile demenza di tipo alzheimer,
senili perché l’età di esordio è intorno ai 65 anni. Perché di tipo ALZ? Perché ALZ descrisse un
particolare tipo di demenza da cui prende il nome, la quale ha caratteristiche
anatomopatologiche ben precise. Una diagnosi di certezza di demenza di ALZ può essere fatta
solo post mortem perché è necessario l’esame microscopico del tessuto cerebrale. Quindi la
diagnosi viene fatta in base ai sintomi principali tra cui abbiamo: difficoltà della memoria a breve
termine, come sappiamo la memoria è distinta in due tipologie, memoria a breve termine e
memoria a lungo termine, quella a lungo termine è consolidata nel tempo. Nelle persone ansiane
si ha maggiore memoria di cose accadute molto tempo prima e minore memoria di eventi recenti,
quella che viene meno nell’ALZ è la memoria a breve termine. Come si fa la diagnosi di demenza?
Si fa un’analisi cognitiva del soggetto, viene quindi sottoposto a dei test psicometrici. Ma qual è la
validità di questi test? Sono abbastanza validi, però i soggetti che possono fare questi test
appartengono a ceti sociali diversi quindi bisogna anche considerare magari gli anni di
scolarizzazione del soggetto, che potrebbero inficiare sul risultato del test; quindi questi test
psicometrici presentano delle criticità. Quando il soggetto è sottoposto a questi test può anche
mentire, questo meccanismo si verifica proprio perché il soggetto non vuole esser dichiarato
demente quindi in modo autonomo cambia le sue risposte diciamo “ingannando” l’esaminatore.
Non esistono in questo caso dei test clinici che possono essere effettuati per la diagnosi di
demenza, purtroppo si possono effettuare solo questi test psicometrici che hanno grosse criticità.
Un tipo di valutazione clinica strumentale c’è ma ha un problema e cioè le modificazioni di
carattere morfologico che mostrano che un soggetto è demente avvengono tardivamente quindi
quando si ha una demenza conclamata, questa modificazione si presenta come atrofia corticale,
basta quindi fare una radiografia. Se la mattia si sviluppa circa a 65 anni di esordio medio questo
significa che prima di tutto la componente genetica se c’è è molto piccola, perché le malattie con
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alta componente genetica si sviluppano o alla nascita o in fase giovanile, come le malattie
cardiache, la mancanza del setto…. Nella schizofrenia dove si ha una elevata componente genetica
la patologia si presenta già in età adolescenziale. Nel caso di demenza in cui si ha insorgenza
verso i 65 anni molto probabilmente il danno inizierà molto prima rispetto alle modificazioni
morfologiche che si hanno nella fase conclamata, (mostra radiografia di un soggetto con demenza
in cui è evidente l’atrofia corticale). Il rilievo dell’atrofia corticale è compatibile con l‘ipotesi
colinergica? Si perché pur essendo i nuclei localizzati alla base dell’encefalo le loro proiezioni
arrivano alla corteccia cerebrale, quali sono queste proiezioni? Quelle dei nuclei della base e
l’atrofia è riferibile ad una degenerazione del numero delle sinapsi. Nella logica di questo sistema
il discorso si sposta sul come mai diminuisca il numero delle sinapsi. Morendo il neurone nel
nucleo basale non si ha più il passaggio dell’impulso a livello corticale e ciò provoca la
diminuzione del numero delle sinapsi e quindi l’atrofia corticale. Quindi l’atrofia corticale è il
segno morfologico di una disfunzione se vogliamo metabolica. Quindi il processo degenerativo
inizia precocemente, è molto lento nel progredire e si manifesta tardivamente. Passando
all’immagine funzionale con l’NMR è evidenziabile la differenza di attività metabolica delle
diverse aree, si è visto che si ha una sorta di ipometabolismo nei cervelli dementi, questo
mette in evidenza ovviamente la presenza di un sistema che sta degenerando. Ad un ricercatore
venne in mente di fare una cosa molto banale, e cioè prende il cervello di una persona con
diagnosi di demenza post mortem ed è andato a vedere quali sono i componenti alterati ma
neurochimici, cioè quale è la neurochimica del cervello di un paziente demente rispetto alla
neurochimica di un soggetto della stessa età deceduto però per cause diverse? E studiando i
neurotrasmettitori è venuto fuori che le concentrazioni di Ach nel cervello del demente sono
significativamente più basse rispetto al soggetto di controllo, cioè non deceduto per demenza. A
questo punto si è andati a vedere come erano i nuclei magnicellulari, quindi l’aspetto
anatomopatologico della degenerazione. È così quindi che nasce l’ipotesi colinergica delle
demenze. Un’analisi più approfondita ha portato ad un’altra osservazione e cioè si è notato che
non solo si ha una diminuzione della concentrazione dell’Ach ma si ha anche diminuzione
dell’enzima colina acetil transferasi cioè l’enzima che catalizza la formazione dell’Ach quindi a
questo punto la diminuzione dell’Ach può essere dovuta a questo meccanismo è stato visto che è
minore sia l’attività catalitica dell’enzima sia la sua concentrazione. Questa precisazione va fatta
perché non necessariamente se una componente enzimatica aumenti la sua concentrazione
,funzioni meno, cioè che diminuisca la sua attività. (secondo me il prof voleva dire che se
diminuisce la quantità di enzima non è detto che ne diminuisca l’attività…credo abbia confuso i
termini). Possiamo fare un esempio con il glucosio: si può monitorare il passaggio del glucosio
all’interno del parenchima ematico utilizzando un tracciante radioattivo (non capisco il nome), si
da per scontato che tanto più segnale radioattivo passi nel parenchima tanto più elevato sarà il
metabolismo in quella determinata area, ma questo non è vero! Anzi questo mi evidenzia solo il
livello del passaggio del glucosio nel parenchima ma se il tracciante c’è significa che il glucosio è
stato accumulato ma non utilizzato quindi non ho evidenza di metabolismo ma solo di accumulo,
di passaggio.
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Racconta di essere stato quando era giovane ad un congresso di neurologia in cui veniva
proclamato di aver scoperto il gene della demenza e che era presente sul cromosoma21, si scoprì
poi che questi studi erano stati effettuati su soggetti con trisomia 21, questi soggetti sono molto
affettuosi, contrariamente ai soggetti affetti da demenza che anzi sono molto distaccati e che
tendono all’isolamento, ovviamente i dati raccolti in questa ricerca non furono validi ma
comunque il cromosoma 21 risulta essere correlato con i casi di demenza, ma ci sono molti geni
coinvolti, la base genica di queste patologie è poligenica, ci deve essere quindi la concomitanza di
tante piccole cause la cui sommatoria causa la malattia, non esiste quindi il gene della demenza. È
stata quindi scartata l’ipotesi genetica ed è stata evidenziata l’ipotesi colinergica.
Le demenze senili devono essere studiate bene e suddivise in realtà in due tipi; c’è una
classificazione delle demenze legata all’invecchiamento e una particolare forma di demenza
conosciuta come morbo di Alzheimer. Le demenze legate ad Alzheimer è caratterizzata da un
quadro completamente diverso da quelle legate all’invecchiamento e questa differenza non è
legata alle capacità cognitive tra i due tipi di demenza, ovvero non si può distinguere l’una
dall’atra tramite approcci diagnostici come i test cognitivi, ma si può distinguerle solo dopo un
esame post- mortem. La ragione di questo è dovuta al fatto che nel cervello di questi pazienti
(morbo di Alzheimer) è presente una struttura ben precisa che ne consente il chiaro
riconoscimento solo dopo la morte del paziente stesso. Queste strutture caratteristiche si trovano
sia all’interno del neurone che al suo esterno. Quelli interni sono detti grovigli neurofibrillari,
questi raggruppamenti proteici sono costituiti da: frammenti di Beta-amiloide e ptoteina TAU
iperfosforilata, generalmente questi grovigli si localizzano al livello del soma neuronale. I grovigli
esterni al neuroni vengono definiti placche senili. Quindi facendo una analisi post-mortem dei
neuroni dei pazienti affetti da morbo di Alzheimer si ha questo quadro morfo-patologico che
permette di distinguerla dalle altre forme si demenza.
Valutiamo meglio come sono fatti i grovigli neurofibrillari interni. Le neurofibrille sono dette
anche neurotubuli, e sono delle strutture che hanno una funzione di carattere strutturale, ovvero
che consentono dia dare forma e struttura alla cellula neuronale e funzionale, ovvero il trasporto
assonale. Il trasporto assonale che va in due direzioni dal soma verso la sinapsi e viceversa, e
questo è importante perché i costituenti cellulari vengono sintetizzate a livello del nucleo e
trasformate poi a livello delle sinapsi ,dove servono. Una delle proteine che costituisce questi
tubuli è la proteina Tau. Questa proteina più si ritrova nello stato fosforilato più tende a
degradarsi strutturalmente, quindi la proteina tau che è un normale costituente dei microtubuli
nelle persone sane, nei cervelli dei pazienti malati di Alzheimer tende ad essere e rimanere
iperfosforilata. Facendo delle considerazioni; la prima è che le fosforilazioni nelle proteine
avvengono con un dispendio energetico in quanto il fosforo viene trasferito alle proteine
attraverso enzimi specifici come le chinasi, le quali spesso usano l’ATP come molecola da cui
prelevare il gruppo fosfato, la seconda considerazione è che l’iper fosforilazione di queste
proteine contribuisce alla formazione di queste strutture neurofibrillari focalizzate all’interno
della cellula. Dal punto di vista strutturale la perdita di struttura, appunto, delle proteine tau fa si
la proteina si stacchi dal microtubulo e che quest’ultimi perdono la stabilità, infatti i microtubuli
tendono a dissembrarsi, questo comporterebbe la perdita funzionale del trasporto assonale, in
altre parole mancando il trasporto di vescicole cariche di neurotrasmettitori o di enzimi che
servono a sintetizzarlo, i neuroni non potranno a livello sinaptico rilasciare il neurotrasmettitore
stesso e quindi si ha la perdita di una delle funzioni principali della cellula nervosa ovvero la
trasmissione del segnale a livello sinaptico. Tutto questo porta alla degenerazione del neurone.
Ad oggi non si conosce il meccanismo che porta alla iperfosforilazione delle proteine tau.
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Un’altra proteina che ha un ruolo importante nella patogenesi dell’Alzheimer è la Beta amiloide.
In passato i vecchi autori hanno sempre descritto in anatomia patologica dei cosiddetti pigmenti
che sono presenti in tutte le cellule di tutti gli organi, questi pigmenti erano stati riscontrati
persino nelle cellule dei vasi. Questo portò a definire la presenza di questi pigmenti come
“amiloidosi sistemica”, che appunto sta ad indicare la presenza di questa amiloide dappertutto.
Una domanda che bisogna porsi è: Se queste placche sono presenti in tutto l’organismo perché la
malattia si sviluppa solo nel tessuto cerebrale dei cervelli dei pazienti affetti da Alzheimer? La
presenza di queste placche è caratteristica di cervelli di pazienti Alzheimer ma si può riscontrare
anche in cervelli di pazienti normali, questo perché fondamentalmente è un deposito che si
ritrova in tutto l’organismo, infatti, si dice che la demenza dell’Alzheimer correla maggiormente
con i grovigli neurofibrillari piuttosto che con la presenza di accumuli di beta-amiloide, in altre
parole la presenza di accumuli di beta-amiloide è presente in maniera sistemica ovunque
nell’organismo (sia nel cervello che a livello sistemico) ed è un conseguenza dovuta
all’invecchiamento dell’organismo, ma in casi di demenza di Alzheimer la presenza nel tessuto
cerebrale in concomitanza con altri effetti può portare all’insorgenza della patologia stessa.
Alla luce di tutto questo lsembra che la presenza di proteina TAU iperfosforilata, sia la causa
diretta della malattia, in quanto la tau è un componente molto importante della struttura dei
microtubuli neurali, invece la maggior parte della ricerca concentra i propri sforzi sulla presenza
di questi accumuli di beta amiloide (ricorda che sono dei frammenti proteici).
La beta-amiloide deriva da una proteina che è presente nel cervello in maniera ubiquitaria ed è
strettamente legata alla membrana plasmatica questa proteina che è fondamentalmente il
precursore della beta-amiloide è detta APP.
L’APP è una proteina che guarda sia la parte interna della cellula (porzione intrinseca) che
esterna della cellula (porzione estrinseca). La funzione fisiologica dell’APP non è ancora
conosciuta, infatti non si sa quale funzione compia nell’organismo.
Il suo metabolismo in cosa consiste? Essendo una proteina il suo catabolismo (degradazione)
avviene attraverso la rottura dalla proteina in frammenti più piccoli, da parte di enzimi detti
secretasi (alfa beta e gamma). I Frammenti generati dal taglio di questi enzimi hanno lunghezze
diverse, i frammenti più interessanti sono quelli di lunghezza di 40 – 42 amminoacidi. I tagli
possono avvenire normalmente oppure possono avvenire in maniera errata, alcuni frammenti
che appartengono al catabolismo dell’APP, si assemblano all’esterno della cellula dando origine a
degli accumuli. La presenza di questi accumuli contribuisce alla degenerazione dei neuroni,
quindi il taglio dell’APP può dare origine, in base a come è tagliata, a frammenti patogenetici o
fisiologici. Una ipotesi può essere che l’APP si ritrovi a livello della membrana a causa di un
errore nella sua sintesi, infatti se l’APP prodotta geneticamente non normale che favorisce un
taglio errato delle secretasi ovviamente questa darà origine frammenti patogenetici, questa
ipotesi genetica prevede una modificazione nella sequenza dell’APP. Questa ipotesi è stata
ritenuta abbastanza valida anche se ad oggi si sa che questa mutazione non è sempre presente
nei pazienti, quindi non vi è un stretta correlazione tra la mutazione e la patologia (infatti molti
credono che la causa non sia genetica o non solo genetica).
Si possono distinguere due vie una via fisiologica e una amilodogenica, se l’APP viene processata
nella via fisiologica viene prodotta una APP funzionale di cui ancora non si conosce bene la
funzione, l’unica funzione che si conosce è presumibilmente quella di fattore di crescita, se l’APP
segue la via amiloidogenica questa viene tagliata dalle secretasi può generare due tipi di
frammenti, uno lungo 40 amminoacidi oppure uno da 42 amminoacidi. Le mutazioni sull’APP
generebbero la formazione di frammenti da 40 aa ma anche da 42 amminoacidi. I frammenti
generati si aggregano tra di loro. Perché si formano questi frammenti? Il fatto è che il taglio
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dovuto alla secretasi è un processo catabolico che porta al rinnovamento delle APP presenti nella
membrana, in altre parole come tutte le proteine presenti nelle cellule anche l’APP ha una sua
emivita e ad un certo punto deve essere degradata e sostituita da altre APP, la degradazione ,
dunque avviene per mezzo degli enzimi (alfa beta e gamma secretasi). I frammenti che si
formano, nella via patogenica, si aggregano tra loro e danno origine alla degenerazione del
neurone. L’aggregazione è dovuta al fatto che i frammenti generati sono insolubili quindi
tendono, immersi nel mezzo acquoso come quello delle cellule, ad aggregare tra loro. Ora nel
processo fisiologico normalmente i frammenti generati dall’APP sono solubili in modo che questi
possono essere trasportati dal parenchima cerebrale entrare nel torrente circolatorio e dunque
essere eliminati, mentre nel processo patologico i frammenti essendo insolubili tendono ad
aggregarsi tra loro poiché sono circondati da un mezzo acquoso come può esserlo il parenchima
cerebrale (matrice extracellualre).
Lo studio sulla presenza di accumuli di APP nella ricerca è importante poiché causa la morte delle
cellule neuronali, e generalmente il modello sperimentale prevede che nelle cellule in coltura
venga inserita la presenza di questi aggregati cellulari per poter vedere come le cellule
reagiscono, molto più complicato è invece creare un modello sperimentale che permetta di avere
una iperfosforilazione delle proteine tau.
Una domanda è: come fanno questi accumuli a causare una degenerazione della cellula
neuronale?
Una ipotesi potrebbe essere (anche se ancora non è stato provato) che i frammenti in qualche
modo promuoverebbero l’attività di chinasi che fosforilano la proteina tau (all’interno della
cellula), contribuendo così alla iperfosforilazione della proteina e quindi alla formazione dei
grovigli neurofibrillari, c’è da precisare che gli aggregati di beta-amiloide insolubili sono
all’esterno della cellula mentre i grovigli neurofibrillari costituiti da proteina tau iperfosforilata
sono all’interno della cellula.
Un’altra ipotesi è che la sola presenza di questi accumuli all’esterno della cellula causa un
degenerazione.
La terapia usata per l’Alzheimer prevede l’uso di molecole in grado bloccare le secretasi in
particolare di quelle secretasi che prevedono il taglio errato dell’APP. Questi farmaci sono già
stati sintetizzati, e fondamentalmente sono in grado almeno dalle osservazioni in vitro, di
impedire l’accumulo dei frammenti di beta-amiloide, ma vi sono degli effetti che in vivo non sono
stati considerati che impediscono l’uso dei farmaci come terapia, ovvero: il fatto che le secretasi
sono ubiquitarie quindi presenti in tutte le cellule dell’organismo, e che queste secretasi svolgono
delle funzioni fisiologicamente importanti che sono coinvolte nel catabolismo dell’APP, quindi
non posso essere bloccate tutte.
Nella fase di sperimentazione i pazienti che presumibilmente sono affetti da alzhaimer
(“presumibilmente” perché la diagnosi della malattia allo stato attuale può essere fatta solo post
mortem o in stadio molto avanzato) sono stati trattati con beta-bloccati, ma la sperimentazione è
stata bloccata immediatamente in quanto l’effetto dei beta-bloccanti è stato disastroso sui
pazienti. In buona sostanza, l’utilizzo di bloccanti delle secretasi, produce un effetto di blocco in
tutte le cellule di tutto l’organismo e ciò comporta la perdita di un corretto catabolismo dell’APP
in tutte le cellule ciò è sicuramente molto grave per l’organismo. (sic stantibus rebus) pensare
ancora che l’unica causa sia l’accumulo di beta-amiloide ma è evidente che vi è un certa
correlazione con l’ iperfosfarilazione della proteina Tau.
L’Alzheimer come altre demenze è più frequente nelle femmine che nei maschi nonostante vi
siano in entrambe l’APP, ovviamente ancora non si conosce quale può essere il motivo.
33
Un altro problema legato allo studio dell’Alzheimer è quello delle cavie usate per la
sperimentazione, infatti, per essere ritenuta valida la sperimentazione di un eventuale farmaco il
modello sperimentale usato deve essere congeniale o comunque rispecchiare la malattia
presente nell’uomo, un altro problema legato ai modelli usati è l’età, infatti, i topi usati spesso
sono di età troppo giovane, mentre si dovrebbero usare cavie che in qualche modo abbiano
un’età che corrisponde ai 65 anni nell’uomo. Per quanto riguarda le culture cellulari, le cellule
usate non rispecchiano per nulla la condizione fisiologica della cellula del morbo di Alzheimer,
basti pensare che la cellula neuronale in vitro dell’animale preso in esame non rispecchia
totalmente le condizioni metaboliche di una cellula neuronale dello stesso animale in età più
avanzata (si presume i 65 anni equivalenti dell’uomo), e questo come altri fattori che non
possono essere riprodotti in vitro con solo delle cellule in coltura, rende difficile la
sperimentazione con solo colture cellulari del morbo di Alzheimer.
I problemi sulla modellistica animale usata per malattie come le demenze o l’Alzheimer sono
dovuti anche al fatto che ad esempio utilizzando dei topi come modelli ,come si fa a valutare se un
topo è demente? Se non posso somministrare dei test psicometrici che mi consentono di
diagnosticare la malattia come faccio a diagnosticare? questo fa capire che l’Alzheimer
fondamentalmente è una malattia dell’uomo. Inoltre ci sono delle difficoltà anche nel
diagnosticare le demenze nell’uomo in quanto i test psicometrici dipendono molto dalla scolarità
dell’individuo, in individui che hanno un basso grado di scolarizzazione (analfabeti) se non
capiscono le domande dei test somministrati non potranno mai essere valutati correttamente,
invece una persona altamente scolarizzata come può essere un medico, che può conoscere bene
la dinamica della malattia, per non farsi attribuire lo status di demente, risponde in maniera tale
da invalidare il test, alterando le risposte.
Ipotesi colinergica.
é stato osservato che in questi individui con il morbo di Alzheimer come nei pazienti dementi è
presente una diminuzione delle funzioni del sistema colinergico, si ha infatti una diminuzione
dell’acetilcolina presente a livello cerebrale. Quindi un terapia che viene valutata per fare in
modo di avere una maggiore quantità di acetilcolina a livello della sinapsi è quella di bloccare
l’attività dell’aceticolinesterasi. Bloccando l’attività di questo enzima l’acetilcolina che viene
rilasciata a livello sinaptico non viene degradata e quindi rimane a livello dello spazio
intersinaptico ciò consente di mantenere più alta la concentrazione di alcetilcolina a livello
sinaptico, dove potrà agire più a lungo a livello del recettore posto sul neurone post-sinaptico. I
farmaci usati per questa funzione possono essere di tipo naturale, sintetico oppure semi-
sintetico. Il farmaco naturale che viene utilizzato ancora è la Fisiostigmina, la quale viene
ottenuta da una pianta detta Physostigma velenosum. Questo farmaco è in grado di bloccare
l’attività dell’acetilcolinesterasi non solo cerebrale ma di tutto l’organismo, quindi l’effetto della
molecola può dare origine ad effetti secondari a livello di altri distretti tissutali.
Il prof precisa!
Effetti secondari: gli effetti dovuti al meccanismo molecolare di un farmaco (molecola o
sostanza) a livello di un altro distretto tissutale, diverso dal tessuto che vogliamo colpire,
vengono detti effetti secondari, in questo caso la fisiostigmina che deve colpire solo a livello
cerebrale, invece colpisce anche secondariamente a livello di altri distretti tissutali.
Effetti collaterali: sono gli effetti che un farmaco (molecola o sostanza) ha indipendentemente
dal suo meccanismo molecolare.
La fisiostigmina è un farmaco efficace se vengono superati i suoi effetti secondari. Per questo è
stato creato un farmaco che è semisintetico ed è detto neostigmina, questa molecola è un
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Per concludere uno degli argomenti legati alle demenze, tra le varie forme di demenza troviamo
quella di tipo giovanile, dove si pensa che vi sia una componente genetica a caratterizzarla.
Parlando delle preseniline, sono delle proteine che hanno dei geni localizzati sui cromosomi 14,
e 1 mentre il gene dell’APP è localizzato sul cromosoma 21. Fino a poco tempo fa si pensò che
dato che la trisomia 21 (sindrome di Down) è una malattia dove gli individui affetti hanno un
fenotipo che presenta delle capacità cognitive limitate, vi fosse una correlazione tra le demenze e
il cromosoma 21 (in realtà non è così). Parlando di demenze in generale, le forme familiari di
demenza (di Alzheimer) in questo caso sono legate al cromosoma14 e/o cromosoma 1, dove sono
presenti i geni delle preseniline. Le mutazioni spontanee hanno una bassa frequenza, infatti la
loro stima che riguarda sia le cellule batteriche che le cellule animali, è di 10-7 fino a 10-14.
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Quindi le mutazioni a carico dei geni delle presenilline possono essere una delle cause della
neurodegenerazione, però bisogna tenere conto del fatto che le mutazioni spontanee sono molto
rare. Alcune proteine come sorcina, betacatenina, calsenilina e altre sono in grado di legarsi
alle preseniline, ma di cui ancora non si conoscono bene la funzione, l’unica proteina di cui si
conoscono le funzioni è calsenilina che una proteina in grado di legare il calcio, inoltre quando si
lega alla presenilina di secondo tipo pre-sen 2 questa è in grado di andare a legare la caspasi 3
attivandola. La caspasi 3 è un segnale apoptotico che può portare alla morte della cellula.
L’apoptosi è un evento che si contrappone alla necrosi, entrambi i processi portano alla morte
cellulare ma la differenza sostanziale, risiede nel fatto che una è ATP dipendente l’altra invece no
(apoptosi è un processo ATP dipendente). L’ATP, sotto questa luce, in qualche modo può essere
visto come fattore di regolazione ovvero in base alle disponibilità della cellula si può prediligere
la presa di una via piuttosto che un’altra. Un altro tentativo che è stato perseguito è quello di
immunizzare degli animali con degli anticorpi contro i frammenti amiloidogenici e si notò che vi
era un riduzione delle placche, ma il problema è che gli animali trans-genici che venivano quindi
regolati sotto questo profilo (immunizzati contro i frammenti amiloidogenici) non sviluppano i
filamenti elicoidali (credo si riferisca ai grovigli neurofibrillari) . La conclusione è che le demenze
senili correlano molto di più con la formazione di grovigli neurofibrillari rispetto alla formazione
di placche, ovvero nella maggior parte dei pazienti dementi la degenerazione endocellualre è
molto più correlabile con la diagnosi di demenza, infatti vi sono pazienti che presentano una
demenza ma non presentano una elevata quantità di beta-amiloide. Quindi il vero problema delle
demenze è rappresentato dalla iperfosforilazione delle proteine tau.
SDAT presenta delle caratteristiche ben precise come l’atrofia corticale ovvero si ha una
degenerazione dei neuroni a livello corticale, soprattutto nella corteccia parietale, temporale e
nell’ippocampo. Quindi non è tutto il cervello ad essere coinvolto dalla neurodegenerazione e
questo dato e correlabile con quella che è l’ipotesi colinergica. L’attività terapeutica prevede che
vengano bloccate le azioni del sistema di ricaptazione dell’acetilcolina, in modo che la quantità di
acetilcolina presente a livello dello spazio intersinaptico aumenti e si abbia una maggiore
stimolazione dei neuroni post sinaptici, esistono già dei farmaci anticolinesterasici. In un lavoro
dove è stato osservato che nelle membrane plasmatiche sinaptiche la forma isoenzimatica
dell’acetilcolinestersi a livello sinaptico ha una forma globulare, denominata G4. Questa
osservazione di carattere biochimico potrebbe avere dei risvolti di carattere farmacologico,
infatti la scoperta di questa isoforma, ha spinto la ricerca di farmaci che avessero delle capacità di
legare le forme globulari dell’acetilcolinesterasi (cerebrale) evitando dunque il legame, del
farmaco, con le isoforme presenti a livello sistemico. La Tacrina è un farmaco che durante la fase
clinica aveva dato degli ottimi riscontri, purtroppo si è visto che durante la fase 2 su un campione
molto più ampio di popolazione (ovviamente affette da demenza), nelle prime due settimane
avevano dato un buon risultato di miglioramento delle loro attività cognitive (misurate tramite
test psicometrici) rispetto ai pazienti di controllo che invece non venivano trattati. Passate le due
settimane nonostante il trattamento il farmaco diventava sempre meno efficace, come se si
sviluppasse una tolleranza farmacologica, del tipo bradifilassi (che si istaura lentamente). Questo
evento, fece capire che nei pazienti trattati con tacrina dopo due o tre settimane dal trattamento
avevano un maggiore deterioramento cognitivo che era maggiore rispetto a quello dei pazienti
non trattati. All’inizio si pensò che il problema che causa il farmaco fosse dovuto ad una carenza
di dose, quindi aumentando la dose si pensò che potesse risolversi il problema, in realtà si
osservò che che aumentando la dose il farmaco diventava tossico e si verificava la morte dei
pazienti. La causa della morte era dovuta alla necrosi massiva del tessuto epatico, quindi ciò che
si face fu di bloccare la sperimentazione e ritirare il farmaco dal mercato. Attualmente come
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Caratteristica generale delle demenze, è che hanno una maggior incidenza nelle donne. Questo
fenomeno si pensa sia legato ad una minore protezione dovuta agli estrogeni, che nella fisiologia
delle donne calano e non svolgono più il loro ruolo protettivo in seguito alla menopausa
Un altro aspetto che non deve sorprendere è legato al processo infiammatorio. Ci sono
moltissime patologie che hanno come componente accessoria o determinante lo sviluppo un
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processo flogistico. Secondo alcuni questo processo è un effetto della patologia, secondo altri ne è
la causa.
Ad esempio: alcuni sostengono che lo sviluppo dei tumori sarebbe solo l’ultima parte di processi
infiammatori di tipo cronico, prima si sviluppa la metaplasia e poi la neoplasia. Nella metaplasia
c’è lo sviluppo di un processo infiammatorio caratterizzato da un particolare bio-attivismo
cellulare che prevede cambiamenti come la formazione massiva di radicali liberi e lo
spostamento del metabolismo da aerobio a anaerobio. Questi però sono tipici anche del
pregresso del processo anti-infiammatorio, che si ha nelle fasi iniziali. Solo successivamente il
proseguo di questo processo anti-infiammatorio cronico ha esito in un processo patologico.
Questa tesi deriva da una considerazione chimica generica, non più legata soltanto ai tumori, che
cerca di spiegare l’origine delle neoplasie al di fuori delle mutazioni spontanee delle cellule
staminali, che hanno una bassa frequenza non sufficiente a spiegare gli indici di incidenza. In
tutte le persone il susseguirsi di processi infiammatori originati in risposta a fattori ambientali
alla lunga hanno esito in una modificazione da metaplastica a neoplastica. La stessa modifica
potrebbe verificarsi nel caso delle demenze. Con osservazioni estemporanee si è notato che lo
sviluppo di demenze è meno frequente in quei pazienti sottoposti a trattamenti cronici anti-
infiammatori, necessari per la cura di altre patologie in contemporanea.
Quindi ci sono molte ipotesi ma ognuna delle quali non spiega fino in fondo l’origine delle
demenze.
Durante il processo infiammatorio si ha la formazione di ROS e secondo l’ipotesi energetica,
abbastanza prossima alla verità, ci sarebbe alterazione del sistema energetico fondamentale per
la sussistenza del cervello.
A questo punto si tratta di chiarire quali sono i rapporti che intercorrono tra il metabolismo
energetico e le altre ipotesi, poiché è noto che ad esempio i ROS si formano proprio a livello del
complesso 4 del mitocondrio, la catena di trasferimento elettronico, che man mano che aumenta
l’età dell’individuo tende al essere sempre meno efficiente. In alternativa durante
l’invecchiamento, i mitocondri cerebrali non vengono più sostituiti e si assiste, in microscopia
elettronica, all’accumulo di idroperossidi, di perossidazione lipidica di altissimo grado con
formazione di ROS a causa della rottura della struttura omeostatica delle membrane
mitocondriali, in particolare della membrana interna dove solo localizzati i complessi della
catena di trasferimento elettronico, che in seguito alle perossidazioni, si disorientano rispetto alla
matrice della membrana e assumono delle conformazioni strane. Il problema è che questa
deformazione di tutta la membrana interna provoca l’allontanamento dei citocromi tra di loro. È
un processo strutturale che si autoalimenta dato che l’allontanamento dei citocromi l’uno
dall’altro comporta il fatto che l’elettrone, che nelle condizioni di normalità può percorrere una
distanza ben precisa nel passaggio tra i vari citocromi, all’aumentare di questa distanza, non
viene più trasferito da un citocromo all’altro ma cade letteralmente nella membrana e innesca
appunto la formazione di radicali liberi. Ora visto che questo avviene nelle condizioni di carenza
effettivamente questo aspetto dei radicali liberi sotto il profilo energetico lo possiamo senz’altro
agganciare.
Un altro fattore riguarda il vaso quindi l’ipotesi degli estrogeni come concausa, poiché gli
estrogeni sembrerebbero protettivi dei vasi. Ora abbiamo già accennato al fatto che
nell’invecchiamento si assiste ad un aumento dei casi di ipertensione idiopatica, nota come
ipertensione essenziale, dove non è possibile distinguere una causa organica specifica. Di solito
su 100 casi di ipertensione solo il 10-15% sono ipertensioni organiche, tutte le altre sono
essenziali o idiopatiche. Non riuscire a definire una causa organica significa non riuscire ad
evidenziare quel qualcosa che sia la causa. Ad esempio una delle cose che succede durante
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Quindi fisiologicamente se tutto questo ciclo genera 36ATP ci dice che il metabolismo cerebrale
consuma una grandissima quantità di ATP per ogni mole di glucosio, anche vero che per avere
tutta questa energia la deriva esclusivamente dal glucosio a differenza di altri organi che possono
utilizzare altre molecole come fonte di energia come gli acidi grassi (nel cuore).
Per ottenere ATP si necessita sia di glucosio che di O 2 . Infatti se non c’è O 2 vi è la formazione
dall’acido piruvico ,di acido lattico, che determina l’acidificazione dell’ambiente cellulare
(aumento di concentrazione idrogenionica) con conseguente autolisi delle cellule per attivazione
degli enzimi lisosomiali. Questi enzimi sono soprattutto proteolitici, poiché le proteine sono una
fonte di energia. Quindi questo è un tentativo maldestro del cervello di sopperire alla mancanza
di fonti energetiche momentanee, questo poi determinerà una NECROSI (ci tiene a sottolineare
che non sia apoptosi). In questo caso l’apoptosi non si vede molto. Nel caso servisse:
Il cervello potrebbe prendere energia anche dal glicogeno, cosa che avviene nel fegato ma la
glicogenolisi nel cervello non è significativa a causa delle basse concentrazioni del glicogeno.
Nel caso degli anziani l’ossigenazione cerebrale non è ottimale, quindi l’O 2 che entra nel neurone
(è un gas quindi entra per diffusione è non ci sono problemi) deve poter essere utilizzato ma se la
catena di trasporto elettronico non funziona tutto l’O 2 non utilizzato si accumula e aumenta la
concentrazione di specie ROS.
A cosa serve questo ATP prodotto?
Le concentrazioni di ATP cerebrale non sono molto elevate nell’economia metabolica. Questo
concetto che la concentrazione di ATP risulti molto basso è dovuto al fatto che viene
continuamente sintetizzato e consumato, per cui c’è un equilibrio tra i vari nucleotidi. È sbagliato
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valutare le condizioni energetiche di una cellula valutando il solo quantitativo di ATP, quindi si
usa un’equazione di Echinson(?) che mette in relazione le concentrazioni dei vari nucleotidi tra
di loro, determinando quello che è il potenziale energetico cellulare, che nel cervello è di 95,
molto basso.
Ma di tutto questo ATP cosa se ne fa il cervello se continua a consumarlo e deve risintetizzarlo
ogni volta.
È stato stimato che il consumo cerebrale è di 30-40 Watt, quindi molto alto.
Il cervello utilizza circa 80-85% dell’ATP prodotto per permettere il trasferimento dei segnali
elettrici per mantenere il potenziale transmembrana, che consente la corretta funzionalità dei
neuroni e lo scambio di segnali.
Quindi si vede quanto la produzione di ATP sia centrale nel mantenimento della corretta
funzionalità cerebrale, non solo nella cellula ma soprattutto tenendo conto del concetto di unità
micro-vaso-tissutale e l’importanza della circolazione in tutto questo.
Ora tutto questo è più importante nell’eziologia dell’Alzheimer rispetto al peso che ha la β-
amiloide, poiché determina un cambiamento radicale del metabolismo cellulare. In questi termini
l’osservazione che la colina acetiltrasferasi ha una concentrazione molto bassa nei cervelli che
presentano demenza è importante poiché indice del fatto che se anche l’acetil CoA fosse presente
non potrebbe essere disponibile per la sintesi.
Quindi giustificano l’ipotesi metabolica:
1) I processi infiammatori con iper-attivazione delle vie ossidative e formazione di radicali
per mancanza di O2;
2) L’importanza dei vasi come elemento di regolazione; poiché la loro transitabilità cellulare
cambia nel momento in cui si irrigidiscono e cambia la morfologia delle loro cellule
epiteliali, con accumulo endocellulare di amiloide (come evidente dall’anatomia patologica
le cellule vascolari contengono amiloide ma come elemento cellulare costitutivo in
negativo poiché le irrigidisce);
Ad esempio la CO2 ha un effetto di tipo vasodilatatore sull’omeostasi vascolare (iper-
cambia aumento della pressione parziale di CO 2 nel sangue), quindi anche i singoli
metaboliti hanno influenza sul sistema e influenzano il grado di ossigenazione cellulare.
Qualcuno ha definito l’Alzheimer come un’ ipossica cronica, ovvero la conseguenza cronica
a lungo termine di una carenza di O 2.
La demenza è una patologia che non si riesce a curare ma si può solo rallentare poiché non sono
note le cause d’origine e si possono solo effettuare ipotesi sui dati e le osservazioni acquisite fino
ad ora.
Caratteristiche generali:
Età d’esordio: intorno ai 60-65 anni, è difficile che se insorga a 50 anni
Stadi della patologia: 1° stadio -> amnesia, alterazioni memoria a brave termine
2° stadio -> alterazioni della comprensione di parole e confusione mentale
perdita della concentrazione
perdita orientamento spaziale, e perdita dell’equilibrio
3° stadio -> il paziente non è più autosufficiente
Alterazioni neurologiche gravi
Capacità intellettive sono ridotte a zero
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Le demenze sono destinate ad avere sempre maggior incidenza dato lo stretto legame che queste
patologie hanno con l’aumentare dell’aspettativa di vita e l’impossibilità al momento di fornire
una terapia risolutiva.
Gli aspetti psichiatrici vanno dalla depressione alla agitazione psicomotoria.
Alterazioni neurochimiche: presenza delle β-amiloide; al procedere della malattia ci sono altre
evidenze che riguardano i neurotrasmettitori come la diminuzione della noradrenalina e della
5idrossitriptamina (serotonina) a livello sinaptico e queste condizioni sono legate alla possibile
manifestazione di depressione.
Terapia psichiatrica: antidepressivi e sedativi nel caso di pazienti molto agitati.
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Una volta venivano chiamate demenze vascolari, ora invece si chiamano VAD. Qui la ricerca delle
origini può essere più complicata perché siccome sono vascolari allora il fattore di rischio più
comune, se non addirittura il fattore epigenetico delle VAD è l’ipertensione, che è il fattore
patogenetico di tante malattie a livello cerebrale e sistemico.
Per queste patologie esiste un modello animale: un ceppo di ratti ottenuto per modificazione
genetica di uno speciale ceppo di ratto modificato che si chiama wistar one, che sviluppa
spontaneamente la malattia. Grazie alla presenza di questo modello animale siamo in grado di
fare un parallelismo tra le osservazioni sul paziente e quelle sul modello animali, ad esempio
nella somministrazione e sulla risposta di farmaci antipertensivi.
Nei pazienti ipertesi si vedono:
modificazioni morfologiche (microscopia elettronica):
iperplasia astrogliare
diminuzione del volume dell’ippocampo
alterazioni citoscheletriche con conseguente disfunzione cellulare.
modificazioni metaboliche :
diminuzione della utilizzazione dei substrati
diminuzione del consumo locale, in aree specifiche quindi, del glucosi
diminuzione dell’acetilcolina
diminuzione del metabolismo della colina
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L’ipossia ipossica si definisce come la diminuzione della pressione parziale dell’ossigeno nel
sangue quindi meno ossigeno viene trasferito dal compartimento ematico al compartimento
cellulare , ciò porta ad una variazione del metabolismo energetico della cellula.
Secondo alcuni queste ipossie ipossiche croniche possono sfociare in una demenza vascolare.
Quindi i diuretici abbassano la pressione di perfusione e potrebbero teoricamente intervenire
con lo svilupparsi di una demenza vascolare.
Non è stato provato effettivamente che questo possa avvenire ma non è stato provato neanche
l’opposto. Questo fattore, questa ipossia cronica non sembrerebbe essere un fattore
determinante come le teorie vorrebbero dimostrare, di sicuro non serve a prevenire le demenze
vascolari .
Si utilizzano i farmaci betabloccanti che si usano nella terapia dell’ischemia cardiaca perché il
loro razionale utilizzo è che i beta-bloccanti bloccano i recettori beta ( I betabloccanti sono una
classe di farmaci con azione bloccante dei recettori β-adrenergici. A questa classe appartengono
farmaci che bloccano in maniera non selettiva tutti i recettori β-adrenergici e altri che possono
bloccare anche selettivamente uno dei tre tipi di beta recettori: recettori β1, β2 e β3. Vengono
utilizzati principalmente come antiaritmici come antipertensivi e antianginosi. Proteggono il
cuore dagli effetti catecolaminergici tossici, portando alla downregulation dei recettori beta
quindi sono Farmaci che agiscono sul sistema cardiovascolare con riduzione della frequenza
cardiaca e della pressione arteriosa, inibendo i recettori β ( recettore) del sistema simpatico,
che sono presenti in numerosi organi ma, in particolare, nel cuore e nel sistema vascolare e sono
stimolati dalla noradrenalina che agisce quale neurotrasmettitore. Neutralizzandone l’azione
viene ridotto il consumo cardiaco di ossigeno e quindi indirettamente la pressione arteriosa. I b.
inoltre esercitano un effetto sul sistema respiratorio poiché provocano la broncodilatazione. ) a
livello del miocardio. La stimolazione dei recettori beta determina l’aumento di tutti gli effetti
cardiaci, l’effetto inotropo (positivo), cronotropo (positivo), omotropico positivo ossia
aumentano la forza contrattile, la capacità di aumentare la frequenza delle contrazioni e un
miglioramento generalizzato per la funzionalità cardiaca ma stimolazione della stessa.
In un soggetto con infarto del miocardio, il cuore deve essere messo a riposo altrimenti si va in
debito di ossigeno e quindi si usano farmaci betabloccanti cioè antagonisti dei recettori beta per
rallentare la frequenza dei battiti, le richieste di lavoro cardiaco, questo rallentamento riduce la
pressione di perfusione.
Questo può essere un effetto benefico ai fini dello sviluppo di una demenza vascolare? Non
direttamente, nel senso che non è detto che diminuendo la pressione attraverso la
somministrazione di betabloccanti si abbia una protezione dallo svilupparsi di una demenza
vascolare.
Questo dato collima con il dato precedente in cui l’abbassamento della pressione viene realizzato
con i farmaci diuretici.
Altri farmaci somministrati in caso di ipertensione cronica sono i Calcio antagonisti. La
contrazione della muscolatura liscia vascolare è dovuta all’azione dello ione calcio che è
essenziale affinché i filamenti di actina e miosina scorrano rapidamente l’uno sull’altro. I calcio
antagonisti sono dei farmaci vasodilatatori perché bloccano o rallentano la capacità della cellula
vascolare di contrarsi e quindi di ridurre il calibro del vaso. Diminuiscono per questo il rischio di
demenze vascolari, lo sviluppo del morbo di Alzheimer e delle ischemie cerebrali?
Per quanto riguardo le demenze vascolari e la demenza di ALZ vi è un consenso positivo mentre
non succede nulla per quanto riguarda l’ ischemia cerebrale.
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La causa è di carattere metabolico perché questi calcio antagonisti bloccano l’ingresso di calcio
all’interno della cellula cioè diminuiscono la possibilità che le concentrazioni endocellulari di
calcio aumentino a dismisura e questo è noto come eccittossicità da calcio. I calcio antagonisti più
che facilitare lo scorrimento delle catene…. Qui il punto focale è il blocco delle….di calcio. I canali
al calcio sono regolati sia dai VOC sia dai recettori. L’acido glutammico regola via recettore
l’ingresso di calcio nei neuroni, lo fa anche nelle cellule dei…….
….
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a attivo e di fatto bloccano la loro azione sui vasi lasciando inalterata la loro pressione del sangue.
Gli ACE inibitori sono farmaci che agiscono solo ed esclusivamente sull’enzima ACE e quindi sono
privi di effetti collaterali con un’eccezione, questo ACE essendo un enzima proteolitico trasforma
un’altra proteina del sistema che appartiene al sistema delle carniteine. Le carniteine sono
presenti in una forma inattiva e vengono attivate dall’enzima ACE.
L’effetto collaterale del blocco delle carniteine è un effetto secondario. Molti pazienti trattati con
ACE-inibitori sviluppano una tosse stizzosa.
ACE-inibitori dal punto di vista chimico si dividono in due categorie:
ACE-inibitori che passano la barriera ematoencefalica diminuiscono il rischio di demenza
vascolare
ACE-inibitori che non passano la barriera ematoencefalica e quindi non fanno nulla in termini
della diminuzione del rischio che si sviluppi la demenza
L’ enzima si trova nel sangue!
Gli ACE-inibitori agiscono sui vasi…….l’agiotensina da attiva a inattiva, l’agiotensina sta nei vasi!
Questi ACE inibitori che passano la barriera non agiscono solo a livello del compartimento
ematico……che cosa facciano non lo sa nessuno.
Angiotensina2 agisce stimolando la contrazione delle cellule vascolare suoi recettori, è
un’interazione recettoriale. L’angiotensina ha dei recettori precisi e farmacologici hanno provato
a sintetizzare non tanto l’ACE-inibitori quanto l’antagonista recettoriale di questi recettori
dell’agiotensina nella forma attiva.
I farmaci sono stati sintetizzati e si chiamo antagonisti di questi recettori e l’effetto rilevato è che
riducono l’atrofia delle cellule oppure agiscono autodiminuendo lo stroke, diminuendo l’ischemia
cerebrale e lo sviluppo delle lesioni nella sostanza bianca.
Il discorso si sposta dagli ACE-inibitori come farmaci antipertensivi a farmaci neuroprotettori
sottoforma di blocco recettoriale per l’angiotensina2.
Parliamo sempre di ipertensione cronica riferita allo sviluppo di demenze vascolari.
Nell’animale da esperimento le alterazioni morfologiche (l’atrofia) sono diffuse mentre nell’uomo
riguardano solo le aree occipitali e temporali, escludendo l’area frontale, che è però la sede
dell’integrazione cognitiva. Ci sono alterazioni di carattere metabolico ma le …sono di tipo
regionale. Dall’NMR si vede una diminuzione del flusso regionale occipito-temporale, dove c’è
l’atrofia, e la diminuzione di metabolismo energetico si vede anche nella parte della corteccia
prefrontale e nell’ippocampo, che sono regioni di demenza.
La memoria a breve termine e le capacità cognitive hanno più a che vedere con la modificazione
biochimica. Nell’uomo si vede una cosa che nell’animale non si vede.
Gli animali sono del tipo spontaneamente ipertesi ottenuti per modificazioni ingegneristica dei
geni,……
La regolazione omeostatica della tensione vascolare è un’equilibrio omeostatico tra la capacità
dei fattori di vasocostringere e vasodilatare, il risultato di queste forze che si oppongono porta
all’omeostasi. Se io tolgo il gene, io perdo la capacità omeostatica….
IL problema è l’adattamento che non si vede nell’animale.
Succedono adattamenti a livello dei vasi, nelle ischemie cerebrali abbiamo lesioni della materia
bianca e siccome i vasi che vengono lesionati sono quelli piccoli, quelli terminali, allora si
formano le ischemie lacunari. Le ischemie lacunari sono ischemie periferiche!
Dall’altra parte vi è un rimodellamento, il sistema cerca di adattarsi ed è tipico dai sistemi
omeostatici. Se abbiamo le ischemie lacunari e abbiamo anche dell’arteria… abbiamo un
decremento cognitivo ma rimandato nel tempo come dire che la malattia debba essere cronica
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per manifestarsi, questo rientra nel discorso delle demenze vascolari dove l’età di esordio à 65
anni.
Se invece vi è il rimodellamento autoregolativo, il sistema cerca di ripristinare l’omeostasi, che il
ratto non fa. Accade che ci sono quelle modificazioni di carattere vascolare che riguardano la
perfusione del parenchima, cioè come dire che se il vaso si sta rimodellando io posso avere sia
fenomeni di iperperfusione o di ipoperfusione ma non ha importanza questo perché sia
perfusione che l’ipoperfusione esiteranno in demenza vascolare perché la mancanza di ossigeno
è tanto dannosa quanto la presenza di ossigeno superiore alla norma perché innescano le
reazioni perossidative quindi danno un danno e si va verso la perdita cognitiva.
Alterazioni vascolari di tipo degenerativo…
L’arteriosclerosi diminuisce il calibro dei vasi, determina le modificazioni strutturali e funzionali
delle membrane e il termine anatomopatologico che descrive questa degenerazione si chiama
lipo…. cioè rarefazione della sostanza bianca che comporta la demenza.
Strutture, variazioni strutturali e funzionali legate e sostenute da un minimo comune
denominatore ossia la variazione integrale di tutto il cervello sia parte neuronale che vascolare.
….
Le demenze sono destinate ad aumentare, l’età media della popolazione cresce e non vi è uno
sviluppo delle ricerche di questi aspetti.
RIASSUNTO
Ipertensione è un fattore di rischio per quanto riguarda gli infarti e numerose patologie
degenerative. Tra le demenze esistono numerose VAD, di natura vascolare, e l’ipertensione
sembra essere un fattore patogenico nelle demenze vascolari.
Terapia dell’ipertensione: diuretici (abbassano la pressione ematica, ma non è una terapia vera e
propria), che sono associati a farmaci antiipertensivi. I diuretici determinano una diminuzione
del volume ematico riducendo la quantità di acqua nel sangue. Tuttavia i diuretici non
prevengono la demenza vascolare (dati su studi su animali).
Farmaci beta-bloccanti sono un’altra categoria di farmaci che abbassano la pressione sanguigna,
ma a quanto pare nemmeno questi prevengono la demenza vascolare.
Inoltre, i Ca2+-antagonisti impediscono ingresso di ca2+ nelle cellule vascolari. La regolazione
delle concentrazioni endogene di Ca2+ è dovuta soprattutto ai recettori del glutammato, e i Ca2+-
antagonisti permettono un abbassamento di pressione, ma l’azione di questi farmaci è anche
generalizzata, quindi presentano diversi effetti collaterali. I recettori per il Ca2+ sono molto
eterogenei e distribuiti in proporzioni diverse in base all’organo interessato. Inoltre il Ca2+ che
entra nelle cellule ha anche altri sistemi che ne regolano l’omeostasi (binding proteins,
ricaptazione, storaggio mitocondriale e sarcoplasmatico, ecc).
L’ipertensione è data da un’eccessiva contrazione delle cellule dell’epitelio vascolare, che si
possono contrarre in presenza di Ca2+. Ovviamente se si riduce il Ca2+ endogeno, la contrazione
verrà attenuata. Ma tuttavia non è tutto qui, ci sono altri meccanismi che intervengono. Al
momento si indaga se questi farmaci antiipertensivi abbiano un qualche effetto preventivo sulla
demenza vascolare. Ma anche in questo caso, coi Ca2+-antagonisti, non c’è una modificazione del
rischio di uno stroke (infarto cerebrale), e nemmeno una riduzione nella frequenza. Tuttavia
questi farmaci diminuiscono notevolmente il rischio di infarti cardiaci, e sembra riducano il
rischio di sviluppare demenza di Alzheimer. La loro azione si spiega anche in questo caso su base
metabolica.
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Un aspetto importante di questi farmaci è la capacità più o meno marcata di passare la BBB. Più
elevata è questa capacità, migliore è la loro azione sulla prevenzione delle demenze vascolari e di
Alzheimer.
Ace-inibitore: categoria farmacologica più utilizzata per l’ipertensione. L’ACE enzima che
controlla a lungo termine la pressione arteriosa. Sistema tensina/tensinogeno:
l’angiotensinogeno è una molecola sintetizzata a livello epatico, rilasciata in circolo, e costituisce
il precursore dell’angiotensina-1, polipeptide derivato ad opera dell’enzima renina (prodotto nel
rene, che quindi partecipa al controllo della pressione). Angiotensinogeno/angiotensina-1 non è
attivo, costituisce a sua volta il precursore dell’angiotensina-2, polipeptide che di forma
attraverso l’intervento dell’ACE (angiotensin convertin enzyme).
Angiotensina-2 è attiva a livello vascolare, dove determina vasocostrizione, tende ad aumentare
la tensione. Un farmaco ACE-inibitore blocca la formazione di angiotensina-2, quindi è un
antiipertensivo a lungo termine. Questo sofisticato meccanismo è sfruttato largamente (gli ACE-
inibitori sono gli antiipertensivi più prescritti) perché questi farmaci agiscono sull’enzima, quindi
hanno un effetto molto specifico, senza determinare effetti collaterali, sono farmaci molto
selettivi. Tra l’altro è un farmaco molto disponibile, perché agisce a livello ematico, non ha
bisogno di essere assorbito.
Tuttavia c’è un solo effetto collaterale, questi farmaci provocano a molti pazienti trattati una
tosse stizzosa. Essa è dovuta al fatto che l’ACE esiste anche in una forma che interviene nel
sistema delle carniteine (trasforma il carniteinogeno in carniteina). Soprattutto nel caso degli
ACE-inibitori vale il discorso della permeabilità nella BBB. Alcuni ACE-inibitori possono
attraversarla, altri no (in base alla struttura chimica).
Per descriverne l’azione, prima di tutto si considera un effetto cognitivo: non hanno effetti
cognitivi, e quando ce li hanno agiscono abbassando la manifestazione di una di una demenza.
Successivamente vengono differenziati sulla base della loro capacità di permeare la BBB, quelli
che permeano diminuiscono la demenza vascolare, gli altri non hanno alcun effetto cognitivo.
Sul piano terapeutico l’uso di questi farmaci permette, in base al tipo di sintomatologia, di curare
non solo l’ipertensione, ma anche la demenza vascolare (se si considerano le due patologie
correlate tra loro). Ma non è l’abbassamento dell’ipertensione di per sé che consente la riduzione
della demenza, ma il tipo di farmaco utilizzato, che quindi agisce in qualche modo con effetti
diversi.
Le demenze poi non sono necessariamente vascolari, ma possono essere delle SDAT.
Un’altra classe di farmaci ipertensivi molto importanti sono gli inibitori dei recettori per
l’angiotensina-2, che sono localizzati a livello vascolare. L’effetto di questi farmaci, ai fini della
demenza, è dato da una riduzione dell’atrofia, una delle caratteristiche morfologiche associate
alla demenza. Inoltre diminuiscono l’incidenza dell’ischemia cerebrale (stroke) e anche il rischio
di infarti della sostanza bianca. Il denominatore comune tra demenza e ipertensione anche in
questo caso è assente, perché in funzione del farmaco utilizzato nel trattamento antiipertensivo si
hanno effetti diversi.
Il trattamento con questi farmaci su pazienti ipertesi dementi hanno mostrato alterazioni
morfologiche a livello cerebrale, che però è più frequente nelle aree occipitali e temporali,
escludendo l’area frontale, che è però la sede dell’integrazione cognitiva. Dall’NMR si vede una
diminuzione del flusso regionale occipito-temporale, dove c’è l’atrofia, e la diminuzione di
metabolismo energetico si vede anche nella parte della corteccia prefrontale e nell’ippocampo,
che sono regioni di demenza. Quindi, i farmaci antiipertensivi che agiscono sul sistema
dell’angiotensina, nell’uomo, riducono l’atrofia cerebrale, ma in regioni non coinvolte con le
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demenze, perché la regione corticale e ippocampale sono ugualmente colpite da atrofia e ridotto
metabolismo, ma su essi i farmaci non hanno effetto.
Valutando l’aspetto morfologico si vede una atrofia corticale, nell’animale. Ma nell’uomo l’atrofia
colpisce in modo particolare la corteccia occipito-temporale. Se si valuta il metabolismo
energetico nell’animale, questo conferma le osservazioni fatte sull’uomo.
Interpretazione: la lesione metabolica precede quella morfologica. L’atrofia è solo una
conseguenza di una disfunzione metabolica, che determina riduzione del flusso, diminuita
captazione di glucosio, fino a quando si manifesta la lesione morfologica. Ipotesi che va per la
maggiore.
[Fine patologie legate al sistema colinergico]
Le ischemie cerebrali
Un errore di carattere epidemiologico cioè l’Organizzazione mondiale della sanità pone le
ischemie cerebrali al terzo posto, al primo l’ischemia del miocardio, al secondo posto le neoplasie.
Per sequele si intende cioè che succede dopo che il paziente ha avuto la malattia acuta:
nel caso dell’infarto del miocardio, se supera la fase acuta il problema è quasi risolto il
paziente può condurre una vita quasi normale;
nel caso di malattie neoplastica se l’individuo supera la fase acuta della manifestazione
della malattia o perché il tumore viene asportato con intervento chirurgico, senza
conseguenze, l’individuo sopravvive, o tramite il trattamento farmacologico, se il
trattamento farmacologico è attivo nel senso che elimina tutte le cellule neoplastiche.
Obbedisce alla legge del tutto o del nulla o sopravvive o no
nel caso delle ischemie vi è anche qui il problema della sopravvivenza o no ma se
sopravvive bisogna vedere in quali condizioni. Uno degli esiti più frequenti delle ischemie
cerebrali è l’emiparesi cioè l’individuo rimane paralizzato oppure non parla più bene, sono
le cosiddette sequele.
Sono quindi più invalidanti le ischemie cerebrali che le altre due.
Quindi al primo posto l’ infarto del miocardio e al secondo poste le ischemie cerebrali.
La terapia:
per quanto riguarda le malattie cardiache se si interviene in tempo si può intervenire
anche con quella chirurgia interventistica e risolutiva , oggi è possibile delle epicellule
…all’ interno delle coronarie permettendo vasodilatazione costante
malattie neoplastiche: terapia chirurgica o terapia chirurgica+chemioterapia o
chemioterapia
nell’ ischemia cerebrale la possibilità terapeutica è limitata. L’alteplase è un farmaco
trombolitico che scioglie il trombo è stato introdotto in clinica nel 1995. Oltre alla terapia
trombolitica si cerca di inserire degli stent anche nelle carotidi. La terapia con alteplase e
stent può migliorare del 40% la vita del paziente.
Un dato allarmante è l’aumento delle ischemie cerebrali:
nel 2013 ci sono stati 200mila casi in italia, la stima statistica del 2020 sarà di 300mila casi. Il
costo medio di un paziente tra i 15mila e 20 mila euro a persona.
La reale fisiopatologia dell’ischemia cerebrale non è conosciuta e l’intervento farmacologico con
target cellulare non c‘ è!
Il modello dell’ischemia cerebrale è l’animale! Esistono dei modelli in vitro.
LEZIONE 11
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Le modificazioni biochimiche diventano evidenti dopo un certo periodo di tempo, per esempio la
persona dopo 2,3 mesi dal TIA inizia ad avere disturbi motori ( si siede difficilmente, si alza
difficilmente) ,quindi a questo punto è anche facile sbagliare la diagnosi cioè se non vi è un esame
anamnestico della storia pregressa dell’individuo queste iniziali difficoltà motorie possono essere
prese come Parkinson iniziale ma così non è perché nel nostro caso il paziente ha avuto un TIA.
La terapia del TIA è diversa da quella del Parkinson.
In questi casi si deve fare una risonanza magnetica e se effettivamente vi è un locus degenerativo,
a quel punto lo si rileva e ci si deve aspettare il successivo TIA prendendo le giuste precauzioni.
Dopo un certo periodo il soggetto avrà difficoltà a deglutire, è il TIA che si manifesta come
degenerazione.
Evento acuto si traduce in tanti piccoli eventi acuti che si ripetono.
Evento acuto vero e proprio si traduce in una degenerazione massiva.
Nel TIA , nella fase iperacuta e nella fase acuta si ha riduzione del flusso ematico il che può
comportare alterazione del metabolismo cellulare perché la tensione parziale dell’ossigeno tende
a diminuire e questo comporta che il tessuto progressivamente riceve meno ossigeno
determinando ipossia ipossica cronica.
Questa diminuzione della tensione parziale dell’ossigeno comporta alcune modificazione
metaboliche:
È visibile un rigonfiamento cellulare e la frammentazione dei ribosomi.
Nella fase di rigonfiamento cellulare alcune volte sono presenti anche vacuoli (segno di
degenerazione) e la frammentazione dei ribosomi. Questa fase è ancora reversibile, ad un certo
punto però il procedere delle lesioni diventerà irreversibile.
Già dal punto di vista terapeutico nella fase di reversibilità parliamo di vulnerabilità selettiva di
area.
Il cervello ha una struttura complessa, i neuroni sono organizzati in nuclei che nel loro insieme
funzionalmente costituiscono l’area funzionale, per esempio un certo gruppo di neuroni è
deputato al linguaggio, un’altra area alla visione ecc…
Dal punto di vista fisiopatologico non tutte le aree sono sensibili allo stesso modo, ci sono aree
che soffrono di più per esempio per l’abbassamento della pressione parziale dell’ ossigeno e altre
meno.
La vulnerabilità selettiva crea qualcosa di nuovo perché l’evoluzione della noxa patologica
(danno patologico) che si presenta in quell’area sarà specifica di quest’ultima.
La vulnerabilità selettiva di area è un concetto molto importante poiché ci sono delle aree che
hanno funzioni molto più importanti di altre, ad esempio rispetto alle aree emifunzionali.
Ci sarà una progressione della lesione fino all’irreversibilità.
La manifestazione della vulnerabilità selettiva inizia con la degenerazione dei mitocondri che si
manifesta con un rigonfiamento mitocondriale e una micro-vacuolizzazione delle creste
mitocondriali (invaginazioni della membrana interna). Anche in presenza di un’iniziale
manifestazione patologica dei mitocondri il sistema può essere recuperato, attraverso la
riperfusione/mancanza di riperfusione.
In caso di TIA per una piccola frazione temporale in quel focus è mancata la circolazione. Per
definizione nel TIA si avrà la ripresa della circolazione altrimenti non si potrà avere la
restitutitio.
Il problema di riperfondere il tessuto è fondamentale. Non esistono farmaci che bloccano il danno
da riperfusione ( Si parla di danno da riperfusione ad un tessuto quando la circolazione
sanguigna torna al tessuto dopo un periodo di ischemia. L'assenza di ossigeno e nutrienti crea
una condizione in cui il ripristino della circolazione ha come risultato l'infiammazione e lo stress
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ossidativo con conseguente danno ai tessuti coinvolti, invece della ripresa della normale
funzionalità.) Il risultato causato da essa può essere peggiore rispetto al danno causato
dall’attacco ischemico. Caso eclatante nell’ischemia cerebrale è l’utilizzo di farmaci bloccanti i
recettori dell’acido glutammico, quando questi recettori vengono bloccati viene bloccato
l’ingresso di calcio all’interno dei neuroni a causa del fenomeno dell’eccitotossicità neuronale.
Quando si è passati dalla sperimentazione alla pratica tutto ciò si è rivelato disastroso perché non
si è osservato nessun recupero e nessuna protezione ma le persone andavano incontro a morte,
meglio dare il mannitolo ad alto peso molecolare che blocca l’edema cerebrale.
Nella fase di riperfusione ci sono degli eventi ben precisi ma che hanno una loro tempistica,
caratterizzati ciascuno da eventi molecolari ben precisi.
Il core dell’ischemia è necrotico, attorno a questo centro necrotico tutti i processi proteolitici
sono stati attivati (i lisosomi sono sensibili alle concentrazioni di ATP, l’ATP va a 0 ,i lisosomi si
aprono e gli enzimi proteolitici si attiva ed iniziano a digerire il tessuto e non si può intervenire
farmacologicamente nell’arco necrotico perché non vi è circolazione ematica e quindi il farmaco
non arriva. Attorno a questo focus vi è un’area a cui è stato dato il nome di penombra ischemica
ma non è giusto questa è un’area di penombra in cui si ha ancora del tessuto proprio in virtù della
vulnerabilità selettiva (alcuni neuroni più vulnerabili sono degenerati e altri sono ancora
funzionanti e altri poco funzionanti).
La zona di penombra presenta un residuo di circolazione ematica quindi è più o meno irrorata e il
farmaco potrebbe quindi essere veicolato in quella zona.
Una delle critiche fatte alla penombra è data dal fatto che benché sia stato misurato il flusso
ematico cerebrale, in quella zona in realtà abbiamo valori di flusso ematico diversi perché si
forma una sorta di gradiente pressorio di diffusione dell’ossigeno. Quindi la riperfusione
determina un gradiente pressorio e a seconda di dove si trova la cellula essa potrebbe o meno
riuscire a non andare in contro a danno.
Cosa avviene nella penombra ischemica ,che non è omogenea dipende dai gradienti, ritenuta
recuperabile?
Secondo alcuni autori nella penombra si verifica:
in assenza di ossigeno, la catena di trasporto degli elettroni non funziona in modo corretto,
l’ossigeno è l’accettore degli elettroni, quindi questi ultimi cadono nella matrice mitocondriale,
sulle membrane mitocondriali e dato che sono reattivi ossidano le membrane.
Studi più sofisticati hanno rilevato che non è tanto la perossidazione quanto l’ossidazione dei
neuriti.
Problema di modellistica
Il modello di ischemia cerebrale nell’animale da esperimento: il ratto.
Nel modello animale da esperimento si legano determinate arterie, in genere le carotidi (si può
legare anche la cerebrale media) si ha così un’ischemia mimando ciò che avviene nell’ uomo,
anche se nell’uomo si verifica in modo diverso, vi è un trombo che parte dall’atrio sinistro.
Per studiare la riperfusione nell’animale si slega l’arteria o si toglie la clip. Nell’uomo non avviene
questo, io ho un trombo che parte dall’atrio sinistro e che va nel torrente circolatorio ed entra
nella carotide e fino a quando è più piccolo del vaso non accade nulla ma quando si trova ad
essere più grande del vaso lo blocca. La terapia utilizza un trombolitico ma il trombo non viene
sciolto istantaneamente, la lisi del trombo richiede un certo periodo di tempo.
Nell’animale appena apro la clip immediatamente il sangue riperfonde mentre nel cervello
dell’uomo non accade in modo così immediato.
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La formazione dei radicali liberi è dovuta al fatto che il sangue immediatamente inizia a
ricircolare e i mitocondri improvvisamente si trovano ad operare in un ambiente iperossigenato
non riuscendo a supportare tale sistema.
Tutto l’ossigeno che arriva improvvisamente ,magari quando il catabolismo era già diventato
anaerobio con formazioni di una grande quantità di acido lattico, e ciò determina acidosi tissutale
e quindi attivazione delle membrane dei lisosomi ossia viene innescata l’autolisi cerebrale. Gli
idrogenioni si comportano farmacologicamente da antagonisti competitivi dei recettori
farmacologici (basici, bibasici, acidi).
Nell’uomo vi è il dubbio che ciò avvenga perché il trombo viene sciolto molto lentamente dal
farmaco fibrinolitico per cui i mitocondri ricevono questa circolazione più lentamente, in altri
termini non avrebbero questo sovraccarico improvviso e potrebbero adattarsi.
Il danno da riperfusione descritto in termini di radicali liberi dell’ossigeno avviene nell’animale
ma non nell’uomo o se questo danno da riperfusione è presente sicuramente gli esiti che
determina a livello cellulare sono meno importanti.
Se si chiudono le 2 carotidi io ho un’ ischemia cerebrale? No
ho un’ ischemia cerebrale incompleta, perché il cervello riceve sangue anche dalle vertebrali non
solo dalle carotidi ( sistema vertebro-basilare) poi alla base del cervello vi è il poligono di Willis
che raccoglie il sangue dalle vertebrali e dalle carotidi. Per avere un’ ischemia completa devo
chiudere i 4 vasi oppure mettere l’animale in ipotensione ipovolemica cioè si toglie un po’ di
massa ematica e questo determina un‘ipotensione dovuta alla diminuzione della volemia.
Il roditore gerbillo presenta una modificazione geneticamente predeterminata, una
modificazione vascolare dei vasi che irrorano il cervello, per cui chiudendo solo 2 vasi si chiude
tutta la circolazione ma è presente solo in condizioni di omozigosi.
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PROBLEMA:
Eseguo un’ischemica completa con chiusura dei 4 vasi, il sangue non circola più nel tessuto
cerebrale, lascio passare del tempo e riapro i vasi, il tessuto riceve subito sangue.
Eseguo un’ischemia incompleta cioè chiudo solo le carotidi, il sangue continua a fluire nel
cervello anche se in misura minore tramite le vertebrali.
Il metabolismo viene maggiormente alterato dall’ischemia completa o incompleta?
Le modificazioni metaboliche sono più determinanti nell’incompleta.
Nell’ischemia completa io non ho più la circolazione per un certo periodo di tempo.
Nell’ischemica incompleta il sangue continua a perfondere il cervello ma siccome la quantità di
ossigeno e glucosio è inferiore il metabolismo cambia da aerobio a anaerobio con formazione di
una grande quantità di acido lattico che innesca subito fenomeni di autolisi cerebrale.
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Mentre nel tessuto cerebrale che non ha ricevuto sangue e ossigeno ecc… per un certo periodo di
tempo io avrò una lesione e poi una riperfusione, in funzione dei tempi di lesione, io potrò avere
modificazioni irreversibili o modificazioni reversibili per via della penombra.
Nel tessuto che subisce l’Ischemia incompleta, io ho una parte che subisce ciò che avviene
nell’ischemia completa ma dall’altra parte non è che il metabolismo si blocca ma continua perché
riceve ossigeno, glucosio ma la quantità sarà insufficiente per innescare il metabolismo aerobio e
quindi verrà attivato un meccanismo anaerobio che porterà alla formazione di acido lattico, il
quale distruggerà quella parte di tessuto che magari nell’ischemia completa sarebbe stato
distrutto solo nel core ischemico con formazione della penombra.
Il recupero si ha sia nell’ischemia completa che nell’ischemia incompleta ma è più facile
recuperare dall’ischemia completa (necrosi+penombra) rispetto a quella incompleta (necrosi +
penombra+cambiamento metabolico). La penombra nell’ischemia incompleta diventa necrosi.
Nell’ uomo avviene l’ischemia completa.
A livello della necrosi non vi è circolazione mentre terapeuticamente si agisce a livello della
penombra perché qui vi è ancora circolazione. La zona più importante per il recupero è la
penombra.
PATOLOGIE CRONICHE
Di carattere neurodegenerativo. L’eziologia della maggior parte delle malattie
croniche/neurodegenerative è sconosciuta e questo crea un problema: se non conosciamo la
causa vera della malattia è molto difficile studiarne una terapia. Le terapie attualmente sono per
la maggior parte sintomatologiche, l’effetto è di dilazionare nel tempo l’aggravarsi della malattia.
Ciononostante si pensa tra i fattori eziologici più importanti vi siano la neurotossicità di
amminoacidi eccitatori (acido glutammico) e il danno radicalico. Il danno radicalico deriva
dall’osservazione che trattandosi di patologia ad insorgenza media attorno ai 65 anni vi sia un
accumulo, una sommatoria di danni che presi singolarmente potrebbero essere reversibili ma
che sommati diventano di difficile risoluzione. Per quanto riguarda l’acido glutammico la prima
osservazione che si deve fare è che le interpretazioni sono un po’ semplicistiche, anche perché
farmacologicamente non è che si abbiano poi dei riscontri particolari dopo terapie contrastanti
l’acido glutammico. Tuttavia la teoria dell’acido glutammico spiega alcuni processi cellulari come
l’apertura dei canali del calcio VOLT-DIP che permettono l’entrata di ioni Ca alterando
l’omeostasi di questo ione. Tuttavia non si prendono quasi mai in considerazione i sistemi che la
cellula ha per contrastare questo eccessivo ingresso di Calcio. Ricordiamoli:
-concentrazioni di calmodulina. Lega con rapporto stechiometrico 1:4. È una proteina
ubiquitaria presente in tutti gli organi ma in concentrazioni diverse. Gli organi più vulnerabili alle
malattie degenerative sono nel SNC. Nel SNC la concentrazione di calmodulina non è costante,
diminuisce in funzione dell’invecchiamento. Ne consegue che diminuisce anche la sua capacità di
legare il calcio. Da tenere presente che in termini di termodinamica è solo un problema di
capacità, significa che la capacità che ha la calmodulina di tamponare l’eccessivo ingresso di Ca è
legata alla sua quantità. Molto più importanti sembrerebbero tutti quei processi energia
dipendenti:
Calcio-magnesio ATPasi legata alle membrane sinaptiche. Il suo ruolo è direttamente
correlato con l’arrivo dell’impulso sinaptico. Quando c’è polarizzazione il calcio entra e
permette l’estrusione del NT. Il Ca che entra viene preso e buttato fuori ad opera di questa
ATPasi. Sulle membrane sinaptiche esistono anche altre ATPasi: una ad alta e una a bassa
affinità per lo ione Ca. Quella ad alta affinità è un fattore di regolazione istante per istante
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mentre quella a bassa affinità è un fattore termocinetico, più capacitativo che regolatorio.
La Ca-Mg ATPasi rimane l’unico enzima di cui funzionalmente si è dimostrata la
connessione con l’ attività della Na/K ATP-asi ,cioè dati sperimentali dimostrano che più
che con il potenziale, la trasmissione dell’impulso si ha solo se viene creato l’ambiente per
la trasmissione. La Na/K gioca quindi un ruolo chiave.
La trasmissione è resa possibile solo ed esclusivamente perché la Na/K prima crea il
presupposto affinché vi possa essere la depolarizzazione, se non ci fossero le cariche
negative e positive poste in un certo modo non potrebbe esserci la depolarizzazione, la
dimostrazione di ciò deriva dall’analisi del meccanismo d’azione molecolare dei farmaci
digitalici. La digitale è una miscela di sostanze che viene estratta dalla digitalis purpurea o
lanata (stella di natale, rossa e bianca). Questi farmaci hanno struttura mista e sono
utilizzati in una malattia ingravescente e letale che è l’insufficienza cardiaca congestizia
(mancata capacità del cuore di ossigenare i tessuti periferici). L’analisi dettagliata del
meccanismo d’azione della digitale in questa patologia spiega il ruolo fondamentale che la
Na/K ha nel SNC. La digossina e la digotossina (principali farmaci digitali) bloccano
l’attività della Na/K e aumentano la contrattilità del miocardio. Hanno effetto terapeutico
ma sono estremamente tossici. La loro concentrazione ematica va messa sotto controllo
stretto, il medico dovrebbe una volta a settimana richiedere il dosaggio ematico della
digitale. Interferire farmacologicamente con la Na/K può infatti essere letale. Ritornando
al SNC l’impulso nervoso può trasmettersi solo se la funzionalità della Na/K è ottimale.
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quella dei lipoperossidi, perché l’azoto è particolarmente presente nelle proteine e questo
provocherebbe il blocco di molti enzimi. La fisiopatologia ha dimostrato che tra la parte lipidica e
quella proteica, quella funzionale è la proteica, enzimatica. La perossidazione lipidica c’è
nell’invecchiamento ma il ruolo patogenetico lo gioca la nitroperossidazione. Fatto sta che a
seguito di queste questioni c’è l’attivazione delle endonucleasi e si assiste alla frammentazione
del DNA, quindi mancanza di sintesi proteica. Ci sono dei farmaci come per esempio la CDP-colina
(io capisco CDP…inserisco definizione trovata in rete: CDP-colina (citidina 5'-diphosphocholine)
è un precursore essenziale per la sintesi di fosfatidilcolina, uno dei componenti di membrana
cellulare che è degradato durante ischemia cerebrale) che si usava nell’ischemia cerebrale,
nell’invecchiamento e siccome stabilizza le membrane biologiche e siccome gli enzimi sono
immersi nella membrana, riacquistano la loro struttura quaternaria idonea ad esplicare la loro
funzione. Se viene meno la struttura enzimatica viene meno la sua funzione. I lipidi agiscono
indirettamente favorendo o meno la struttura enzimatica. Siamo all’ultima fase, dopo che il DNA
si frammenta il danno diventa irreversibile.
ISCHEMIA CEREBRALE
Vediamo come si classificano le ischemie:
sono classificate nella WHO al terzo posto. Tra le malattie letali al primo posto ci sono le malattie
cardiovascolari al secondo le neoplastiche e al terzo le ischemie, bisogna considerare le sequele.
Nelle ischemie cerebrali le cose più gravi sono le sequele, per esempio paralisi. Considerando la
sequela e non la incidenza forse al secondo posto sarebbe meglio mettere le ischemie cerebrali.
Esistono due tipi di ischemia:
ictus ischemico (cerebri) 70-80% dei casi, blocco della circolazione, trombo.
ischemia emorragica (lui poi usa la dicitura ictus emorragico) 20-25%
Questa classificazione è molto importante per gli aspetti farmacologici che comporta.
La terapia dell’ictus ischemico consiste nella somministrazione di un trombolitico che lisa il
trombo. L’ictus emorragico invece ha una terapia diversa .
Ictus ischemico È una condizione caratterizzata dall’occlusione di un vaso (ischemia) a causa di
una trombosi (25%) o di un’embolia (70%) o, meno frequentemente, da un’improvvisa e grave
riduzione della pressione di perfusione del circolo ematico.
Ictus emorragico (intracerebrale o intraventricolare)È una condizione determinata dalla
presenza di un’emorragia intracerebrale non traumatica.
Attacco ischemico transitorio (TIA) Il TIA si differenzia dall’ictus per la durata che nel TIA è
inferiore alle 24 ore (di solito pochi minuti).)
Una degli effetti collaterali della terapia è quello di trasformare un ictus ischemico in una
ischemia emorragica. Quando si ha una emorragia si ha sangue riversato all’esterno, si può
aspettare il riassorbimento oppure si toglie chirurgicamente. Qual è la sede in cui
frequentemente si hanno queste emorragie? Dove ci sono i vasi più importanti, emorragia
subaracnoidea.
Abbiamo anche i TIA o un INFARTO LACUNARE.
In questo tipo di infarto si chiude un vaso terminale che tipicamente è alla periferia della
corteccia. Come vedete ci sono vari tipi che presentano caratteristiche diverse. Cosa comporta un
infarto lacunare??si ha un’ occlusione e ipertensione e in genere una ischemia lacunare trova il
suo corrispondente cronico in una demenza. L’esito di questa ischemia lacunare è una demenza.
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Cosa può succedere dell’attacco ischemico transitorio? Forma delle modificazioni che nel giro di
24-48 ore si risolvono però costituisce un elemento per cui poi verrà un’ischemia…ma di questo
abbiamo già parlato.
EMORRAGIA SUBARACNOIDEA: la causa molto spesso è la presenza di un aneurisma.
L’aneurisma appare come una piccola evaginazione che si pone esternamente al vaso che risulta
in quel punto più lasso. Nella maggior parte dei casi questi aneurismi si rompono. Si possono
legare isolandoli dal contesto vascolare o tirarli via. Vale la pena l’intervento? assolutamente sì.
Ictus emorragico vero e proprio:
20-30% dei casi. Può essere dovuto alla rottura di questi aneurismi oppure alla rottura di una
arteria, i vasi più a rischio sono quelli dove c’è la biforcazione perché la pressione qui agisce
creando turbinati. Il problema grosso dal punto di vista fisiopatologico è il fatto che questo
extravaso di sangue contiene oltre al sangue il Ferro. In una emorragia c’è il ferro. Questo ferro
comporta l’innesco di una reazione di FENTON con formazione di radicali. Il ferro è usato dai
sistemi biologici perché si ossida e si riduce facilmente.
L’edema che si forma in seguito all’emorragia è dovuto al blocco della Na/K ATPasi, se questa non
funziona il sodio rimane nelle cellule e quindi c’è richiamo di acqua. L’edema di per sè è
abbastanza pericoloso perché è inestinguibile poiché contenuto nella teca cranica. La formazione
di edema comporta aumento della pressione endocranica e compressione di tutte le strutture
cerebrali. Il mannitolo ad alto PM per osmosi richiama acqua sia dallo spazio interstiziale sia da
quello cellulare. Il Mannitolo è un farmaco aspecifico che agisce secondo i principi di Ferguson ed
è utilizzato per prevenire edema.
Dopo edema si ha ischemia secondaria dovuta a compressione dei vasi (in genere si previene e
non si arriva mai a questo). Più importante invece è la formazione dell’ematoma perché si
instaura un processo infiammatorio.
ICTUS ischemico VERO E PROPRIO: 70/80% dei casi
Il trombo arriva quasi sempre dal ventricolo sinistro perché è lì che si formano i trombi ,poiché ci
sono le biforcazioni dei vasi. Dove ci sono le valvole c’è un reflusso e questo genera dei turbinati e
in queste condizioni si può avere coagulazione del sangue. Il coagulo si può staccare e può
navigare lungo il torrente circolatorio. Un altro è il trombo bianco, quando c’è un processo
aterosclerotico (Quando l'endotelio dei vasi sanguigni subisce una lesione, solitamente a seguito
di un trauma, le piastrine aderiscono fra di loro sul punto di rottura, formando il cosiddetto
"trombo bianco", e cominciano a produrre sostanze vasocostrittrici come la serotonina, che
induce la contrazione del vaso sanguigno danneggiato spremendo al di fuori il siero (plasma
senza fattori della coagulazione) e rallentando il flusso sanguigno. Viene prodotta anche la
tromboplastina, che attiva a cascata i fattori della coagulazione; in questo modo si innesca una
cascata di reazioni che permetteranno di attivare la protrombina in trombina. Questa, a sua volta,
attiverà il fibrinogeno (proteina lunga e lineare) in fibrina (proteina filamentosa e insolubile).
L'intreccio dei filamenti di fibrina trattiene le piastrine, i globuli rossi e i leucociti, formando il
trombo definitivo (detto anche "trombo rosso"). Successivamente interverrà nella lisi del coagulo
la plasmina, attivata a sua volta dal plasminogeno. Una deficienza di plasmina può provocare una
tendenza alle trombosi e aumentare il rischio di infarto.)
Può essere interessante sapere quale può essere il problema diagnostico. La presenza di placche
a livello carotideo dà dei segni clinici, il paziente può avere mal di testa…si fa fare un ecoDoppler
e si può stabilire la percentuale di occlusione della carotide. Si consiglia la rimozione della placca
quando l’occlusione del vaso è superiore al 60%. L’occlusione determina una necrosi. Si ha il
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focus, si ha ischemia focale con un punto, un focus, ben preciso, con localizzazione certa. Intorno
a questo focus c’è la penombra. Nella penombra c’è una circolazione ematica residua ed è la parte
più importante perché qui si può arrivare con i farmaci, tuttavia lì avvengono delle reazioni e si
ottiene la sindrome da riperfusione.
Perdita dell'omeostasi ionica: durante la fase di ischemia, a causa della deplezione di ATP,
si ha una progressiva riduzione della funzionalità della pompa Na +/K+ ATPasi. In
conseguenza di questo evento si ha un accumulo intracellulare di sodio che porta al
rigonfiamento osmotico della cellula. Per limitare questo fenomeno, il sodio intracellulare
viene scambiato con il calcio extracellulare, microsomiale e mitocondriale attraverso gli
scambiatori 2Na+/Ca2+. In conseguenza di ciò viene limitato l'accumulo di osmoliti
inorganici nel citosol, mentre si realizza un netto incremento del calcio citosolico.
Attivazione dell'enzima xantina ossidasi: l'accumulo di calcio citosolico porta
all'attivazione di numerosi enzimi calcio-dipendenti (fosfolipasi, proteasi, endonucleasi). Tra
gli enzimi attivati vi è la calpaina, una proteasi, che taglia irreversibilmente l'enzima
xantina-deidrogenasi trasformandolo nell'isoforma xantina-ossidasi. Quest'ultimo enzima
ossida la ipoxantina (prodotta dalla degradazione dell'adenosina a sua volta derivante dal
catabolismo dell'ATP) ad acido urico usando come substrato l'ossigeno e producendo nel
corso della reazione anione superossido, importante fonte di radicali liberi dell'ossigeno.
Produzione di nitroperossido: il monossido d'azoto prodotto dalle cellule endoteliali in
risposta all'ischemia si combina con l'anione superossido formando il radicale
nitroperossido. Quest'ultimo, oltre ad essere un potente ossidante, può attivare direttamente
l'enzima nucleare PARP-1, il quale determina la polimerizzazione dei resiui di NAD+,
riducendo ulteriormente le possibili fonti energetiche cellulari. PARP-1 è inoltre in grado di
promuovere la fuoriuscita dai mitocondri di elementi pro-apoptotici (AIF)
Disfunzioni mitocondriali: danni alla membrana mitocondriale (causati dalle fosfolipasi),
sommati agli squilibri della concentrazione del calcio determinano disfunzioni alla catena di
trasporto degli elettroni, con aumentata instabilità mitocondriale. Come risultato viene
aumentata la produzione di ROS mentre si riduce la sintesi di ATP e viene favorita la
creazione dei pori di transizione di permeabilità mitocondriale, con l'innesco della via
intrinseca dell'apoptosi.
Richiamo di cellule infiammatorie: il danno ischemico porta all'attivazione delle cellule
endoteliali che reclutano in loco cellule infiammatorie circolanti come i neutrofili e i
monociti. Le cellule infiammatorie attivate a loro volta rilasciano grandi quantità di enzimi
litici e possono essere esse stesse fonte di ROS a causa dell'assemblaggio del complesso della
NADPH-ossidasi.
Eccitotossicità: nel caso l'ischemia riguardi il tessuto nervoso, si può verificare un ulteriore
fenomeno. Il glutammato rilasciato dai neuroni morenti può andare ad attivare i recettori
NMDA del glutammato nei neuroni circostanti, incrementando ulteriormente in questi ultimi
l'afflusso di calcio e potenziando così i meccanismi lesivi sopra descritti.
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Oggi si tende a somministrare il trombolitico e si mette nella carotide uno stent che quando
arriva dove c’è la lesione viene aperto e tiene aperto meccanicamente il vaso. Dopo un po’ lo stent
viene inglobato nella parete del vaso e lo dovrebbe tenere pervio. Oggi si usano stent medicati.
Nello stent c’è il farmaco, si ottengono buoni risultati.
Sindrome da riperfusione:
se il trombo viene rimosso improvvisamente, improvvisamente si ha riperfusione, come
nell’animale da laboratorio, quindi c’è il rischio elevato di danno da riperfusione. Quindi vale la
pena utilizzare un trombolitico ed aspettare una ripresa graduale della circolazione o intervenire
con uno stent e ripristinare immediatamente la circolazione? Argomento aperto. Secondo alcuni
vale la pena secondo altri c’è qualche problema.
Riprendiamo il discorso sulle ischemie cerebrali. La necrosi è dovuta a delle NOS esogene che
avviano dei processi riparativi che si hanno sia nelle patologie acute che in quelle croniche.
Non possiamo dire che la guarigione sia senza conseguenze, se ho emorragia cerebrale io posso
guarire ma riportare esiti. Questa patologia passa da una fase in cui è ancora reversibile ad una in
cui si manifesta la necrosi che porta inevitabilmente alla fase di irreversibilità. Gli elementi più
importanti che si manifestano nella fase di irreversibilità sono le proteasi e i lisosomi che
digeriscono letteralmente il tessuto nervoso. In queste condizioni e nella pre-necrosi molti tessuti
adattano il proprio metabolismo ma non accedono alla parte proteica, traggono energia da altro.
Facciamo un esempio:
l’ischemia cardiaca può recuperare perché la fonte di energia diventa la componente lipidica, gli
acidi grassi; il tessuto riesce quindi a recuperare utilizzando l’energia prodotta dal metabolismo
di questi lipidi. Nel tessuto cerebrale questo non avviene, la prima classe di componenti cellulari
che si deteriora sono le proteine. Ecco perché le sequele del tessuto cerebrale dal punto di vista
biologico sono nettamente maggiori. Uno dei concetti che spesso sfugge è che la biochimica non è
la stessa per ogni organo; ogni organo ha il suo profilo enzimatico e un suo profilo metabolico.
Quando abbiamo parlato delle demenze abbiamo parlato del metabolismo dell’ APP. l’amiloide si
genera in tutti i tessuti,( amiloidosi sistemica), ma solo nel tessuto cerebrale genera una
patologia.
Il calcio può portare a fenomeni di apoptosi e necrosi a secondo delle vie .…l’ apoptosi può essere
generata solo da incremento di fattori trofici e stabilizzazione omeostasi del calcio, e questa è la
parte di reversibilità del fenomeno, la parte che porta alla apoptosi è una sola, l’attivazione di
endonucleasi.
Non è escluso che ci siano fenomeni di apoptosi nella penombra ma questo non è un fattore di
rilevanza patogenetica durante la fase di recupero da un’ ischemia cerebrale.
Molto più rilevanti sono i fenomeni calcio-dipendenti che portano alla necrosi.
Il messaggio che deve passare è che esiste una chiara distinzione tra fenomeni apoptotici,
endonucleasi, e la necrosi a fattore multiplo (più fattori entrano in gioco ed esitano in necrosi).
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Il grafico esamina le caratteristiche distintive, cioè i fattori che proteggono rispetto non all’evento
acuto, il trombo che chiude un’arteria, ma bensì sull’evoluzione del tempo, il cosiddetto recupero.
Viene messo in evidenza quello che succede.
L’acido glutammico si sviluppa nell’arco dei minuti. Il tempo in cui le concentrazioni salgono e
diventano tossiche, sono minuti. Da un certo momento in poi queste concentrazioni
diminuiscono. Perché?
Le concentrazioni nei primi minuti salgono dopo di che, gradatamente ma abbastanza
velocemente, diminuiscono. Cosa vuol dire? Viene metabolizzato! questa è la biologia della
penombra… ma la terapia?
Quando hanno somministrato antagonisti dell’acido glutammico nei pazienti ischemici il risultato
è stato negativo, pessimo, perfino dannoso; il blocco dei recettori dell’acido glutammico non aiuta
nel recupero. Non servono. Perché? Perché nel momento in cui si ha aumento di acido
glutammico il paziente è ancora a casa…non serve somministrare l’antagonista dopo che l’acido
glutammico già viene metabolizzato. Nella penombra vengono attivati tutti quei meccanismi per
metabolizzarlo nell’arco dei minuti appena successivi all’evento acuto.
Se il paziente non inizia la terapia tradizionale con Alteplase entro le tre ore le possibilità di
recupero sono basse. (si pensa ora che si possa estendere a quattro ore, il professore non
concorda)
Cominciano dopo l’acido glutammico, dopo mezz’ora, un processo infiammatorio e i processi
apoptotici, sempre nella penombra. Nella penombra l’ischemia non c’è? sembrerebbe che nella
penombra, essendo molto eterogenea sia dal punto di vista morfologico che funzionale, ci siano
dei punti focali ischemici e in quei casi c’è la necrosi. Quindi anche nella penombra potrebbero
esserci delle piccole zone di necrosi. L’apoptosi viene vista come un fattore di risoluzione, che
serve per spazzar via ciò che non serve più, ma qui è un fattore di danneggiamento che viene
accompagnato infatti da un processo infiammatorio che procede per giorni e finisce dopo
settimane. Se io tratto con cortisone un paziente ischemico recupera prima. Si scioglie la prognosi
dopo 72 ore. Le donne sono più soggette all’ischemia.
Uno dei difetti in cui non dobbiamo cadere è quello di dare un senso stretto a quello che succede.
Quando si dice che il fegato è detossificante non è vero. Ci sono reazioni farmaco-metabolizzanti
che non avvengono secondo una logica epatica ma perché il fegato funziona secondo le leggi della
chimica. Il prodotto della metabolizzazione spesso è tossico, perché il fegato ubbidisce a delle
regole della fisica. L’apoptosi è un processo chimico e come tale si comporta. Non possiamo
attribuirgli un significato malefico o benefico. È tutto relativo anche in rapporto ad un processo
fisiopatologico.
A questo punto vediamo la parte protettiva, terapia che agisce nella penombra…non stiamo
parlando di alteplase (per il compartimento ematico):
anti-eccitotossicità teorici
rigenerazione (formazione di vasi, neurogenesi…etc…etc…) però può essere possibile o
trova un terreno fertile solo quando la parte precedente è stata contrastata.
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Alteplase è indicato nel trattamento dell'infarto miocardico acuto e dell'embolia polmonare acuta
con compromissione emodinamica.
La somministrazione di Alteplase deve avvenire il più precocemente possibile dall'insorgenza dei
sintomi. La somministrazione di Alteplase deve essere eseguita da un Medico esperto nei
trattamenti trombolitici ed il paziente attentamente controllato.
Dopo trattamento con Alteplase, la terapia con eparina dovrebbe essere iniziata quando i valori
di aPTT sono inferiori al doppio del limite normale superiore.
Ipertensione.
Uno dei fattori di rischio maggiore è l’ipertensione. L’ipertensione è una malattia che colpisce la
fascia di età che va dai 60-65 anni. Su 100 casi, soltanto 15 corrispondono ad una malattia
organica: per il restante non c’è una causa (idiopatica). Dai 65 anni è uno dei maggiori fattori di
rischio per l’ischemia. I farmaci più utilizzati sono i farmaci che bloccano la conversione
dell’angiotensina 1 in angiotensina 2. L’angiotensinogeno è una proteina che viene
sintetizzata a livello epatico e viene rilasciata nel torrente circolatorio.
Questo angiotensinogeno ad opera di un ormone secreto dal rene, che si chiama renina, viene
trasformato in angiotensina 1, farmacologicamente inattivo. L’angiotensina 1 viene trasformata
in angiotensina 2 da un enzima che si chiama ACE, farmacologicamente attiva: è uno dei più
potenti fattori vasocostrittori endogeni. I farmaci anti-ipertensivi della classe inibitori dell’ACE
bloccano la trasformazione dell’angiotensina 1 in angiotensina 2, agendo legandosi all’enzima e
bloccandone l’attività. L’effetto di questi farmaci su questo enzima ha aperto una discussione sul
fatto se l’ACE debba essere considerato il recettore per il farmaco. In genere la classifica di
recettore si riferisce ai sistemi recettoriali, anche se in molti casi i recettori possono essere parti
integranti (non capisco bene cosa dice).
Poi c’è un altro aspetto importante:
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Grafico 1
In ordinata è rappresentata la percentuale di inibizione dell’attività dell’enzima, in ascissa
abbiamo i tempi, e nell’istogramma in “nero” è rappresentata la concentrazione del farmaco in
mg/ml di sangue. Nel grafico si vede che la concentrazione di farmaco attivo diminuisce nel
tempo, fino a scomparire dopo 24 ore dal torrente circolatorio. Il problema di interesse è diverso:
essendo gli istogrammi “grigi” la percentuale di inibizione dell’attività dell’enzima, si vede che i
due fenomeni sono sfalsati: l’inibizione persiste. Dopo 18 ore c’è il 60% di inibizione, ma il
farmaco è completamente esaurito. I farmaci che tipicamente si legano ad enzimi inibendoli
hanno un’azione che perdura nel tempo molto più prolungata rispetto alla concentrazione del
farmaco. Questo sembra essere un fenomeno tipico, che però contraddice i canoni della patologia:
l’effetto di un farmaco è proporzionale al numero dei recettori che vengono occupati. Questa
osservazione contraddice questo assunto. La questione è che se gli enzimi sono il bersaglio
farmacologico di un farmaco, possono essere considerati come i recettori farmacologici di quei
farmaci, rispetto alla visione tradizionale di recettore come sistema complesso.
Per sottolineare l’importanza dell’ipertensione, il grafico successivo è molto significativo. Questo
grafico è stato costruito su di una corte di pazienti ischemici, che hanno avuto un’ischemia
cerebrale e che sono trattati farmacologicamente. Il farmaco utilizzato qui è un betabloccante. Nel
60 % dei casi ischemici si sviluppa ipertensione. Come è stato costruito il grafico? I pazienti
venivano sottoposti a registrazione televisiva a loro insaputa: in ordinata abbiamo la frequenza
cardiaca, in ascissa il tempo. I pazienti non sapevano di essere registrati. Cos’è successo? I puntini
sono la registrazione della frequenza cardiaca nei pazienti trattati con il farmaco, mentre l’altro
grafico è la registrazione della frequenza cardiaca di pazienti sani. I grafici sono molto differenti:
sulla tv veniva proiettato prima un dramma, poi una commedia e poi un documentario. Notiamo
che in persone normali la frequenza cardiaca durante il dramma porta delle oscillazioni, cioè il
dramma proiettato era efficace, c’era un riscontro emotivo. Queste oscillazioni non fanno bene.
Passati alla commedia, c’è un abbassamento della pressione, ed anche se sono presenti variazioni
il livello medio è inferiore. I battiti sono regolari, con piccole oscillazioni, sopportabili per i vasi.
Ancor meglio quando si è passati al documentario, nel senso che qui non sono presenti più
oscillazioni, ma la media è uguale alla commedia. Questa è la reazione a stimoli esterni in soggetti
sani.
Depressioni
Le vie che riguardano il sistema adrenergico si dividono in vie ascendenti e discendenti. Le vie
discendenti non ci interessano. Il locus ceruleus (LC) è il nucleo dove ci sono i neuroni
adrenergici. Pur originando in un nucleo, le loro proiezioni vanno praticamente a tutta la
corteccia cerebrale. Tutti i nuclei che sintetizzano l’adrenalina e la noradrenalina encefalica
proiettano alla corteccia. Questo per quanto riguarda la parte anatomica del sistema. Il fatto che
le terminazioni di questo sistema arrivino alla corteccia giustifica la patologia. Esistono diversi
tipi di depressione.
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metabolizzante, sono enzimi solubili. Per un periodo non si sapeva dove fossero localizzati, se
all’interno del neurone, o se ci fossero delle COMT esterne, nello spazio sinaptico. Adesso si
ritiene che le COMT siano in entrambi i posti. Sono stati messi appunto abbastanza recentemente
dei farmaci in grado di bloccare l’attività delle COMT, con il presupposto di aumentare le
concentrazioni di noradrenalina.
Poi ci sono altre reazioni, alcune specifiche altre no, ad esempio le aldeide deidrogenasi agiscono
con diversi substrati. Il 3-Metossi-4 idrossifenilglicole è un prodotto metabolico. Questi
metaboliti e altri che si formano, noi li ritroviamo nelle urine. Questo fatto ha comportato la
possibilità di studiare il catabolismo delle catecolammine direttamente in vivo nell’uomo
andando a dosare i metaboliti delle urine, in altri termini studiando il turn over farmacologico.
Questi sono i composti biochimici necessari da sapere per studiare le depressioni.
Una volta liberati adrenalina e noradrenalina agiscono con propri recettori localizzati ad hoc. A
noi interessano i recettori localizzati nel SNC, anche se sono presenti ovunque, variamente
distribuiti; questo comporterà il fatto che la somministrazione di sostanze che interferiscono con
questi recettori non potranno essere selettive per i recettori encefalici. Per le depressioni questo
problema si risolve da se. Si sono andate a vedere le concentrazioni di adrenalina e
noradrenalina.
Il correlato neurochimico delle depressioni è una carenza delle concentrazioni di noradrenalina
nello spazio sinaptico, che comporta minore stimolazione dei recettori.
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Parentesi: un medico aveva in trattamento pazienti ipertesi. Il farmaco che questo medico usava
era la reserpina. Come agisce, e perché è antiipertensivo? La reserpina blocca a livello sinaptico
la vescicolazione dei neurotrasmettitori, essenziale per non essere immediatamente
metabolizzato. La vescicolazione richiede l’intervento di una pompa protonica che funziona ad
idrogenioni, una ATPasi. La reserpina blocca la pompa, e impedisce la vescicolazione. Se parliamo
di noradrenalina, non può essere vescicolata e metabolizzata. L’ipertensione è dovuta ad un
aumento di noradrenalina in circolo, per questo la reserpina è un farmaco ipertensivo. Questo
medico osservò che una parte dei pazienti diventavano depressi. Per via indiretta ha capito che
se le catecolammine si abbassano in concentrazione, si instaura una depressione.
Si deve bloccare il sistema di ricaptazione, e questo è proprio quello che fanno i farmaci
antidepressivi.
I primi farmaci in cui è stato dimostrato che questo è il loro meccanismo d’azione sono dei
farmaci triciclici, a tre anelli. 3 anelli erano ritenuti gli elementi indispensabili per avere
un’azione antidepressiva per blocco del NET. In realtà la cosa non è semplice.
Il blocco della vescicolazione non riguarda solo la noradrenalina. Quando si interagisce con
recettori, bisogna aspettarsi un effetto duplice. Es: un farmaco veramente efficace è la clonidina,
farmaco di scelta antipertensivo per l’ipertensione post ischemica. Si somministra questa. Cosa fa
questo farmaco? È un agonista dei recettori alfa2 centrali. I recettori adrenergici encefalici sono
postsinaptici e sono di tipo beta, e sono legati al sistema di neurotrasmissione che fa capo
alll’cAMP, anzi e stato dimostrato che il recettore beta adrenergico centrale è la stessa adenilato
ciclasi, che trasforma l’ATP in cAMP.
La clonidina abbiamo detto è un agonista dei recettori alfa2. È stato dibattuto a lungo su dove
sono localizzati i recettori alfa2 encefalici, e sono presinaptici. I farmaci antipertensivi sono quelli
che si legano ai recettori alfa1 vascolari, in quanto l’ipertensione è data da un eccesso di
noradrenalina in circolo. Come fa la clonidina ad avere effetto antipertensivo? Questi tipi di
farmaci sono detti farmaci antipertensivi ad azione centrale. Qual è il meccanismo di azione? Non
bloccano l’attività dell’adrenalina. Questi recettori, di per se, la loro stimolazione, determina una
diminuzione del release di adrenalina e noradrenalina: la loro stimolazione blocca il release di
noradrenalina nello spazio sinaptico. Il recettore rappresenta un sistema di feedback naturale di
autoregolazione di secrezione di noradrenalina. Perché la clonidina non viene usata in terapia??
Perché fa venire le allucinazioni.
I sistemi realmente presenti nel tessuto cerebrale deputati alla captazione della noradrenalina
sono due: uno è il NET, l’altro non è ancora identificato, ma c’è, visto con i farmaci. Qui il discorso
di complica: se andiamo a vedere le caratteristiche cinetiche sono diverse:
La Vmax del sistema NET è 1.2 nmol/g/min. La Km è la concentrazione a cui si arriva alla
metà della velocità massima, ed è 0.3 μmol/L. Questo corrisponde ad un sistema ad alta
affinità (fattore di intensità). Gli inibitori sono la cocaina (vedi ipotesi schizofrenia),
l’anfetamina, i farmaci antipertensivi TCA.
L’altro è un sistema di ricaptazione a bassa affinità (fattore capacitativo): Vmax 100
nmol/g/min, Km 250 μmol/L, si trova in membrana non neuronale, ed è inibita da ormoni
steroidei.
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È chiaro che se i farmaci antidepressivi triciclici agiscono sul sistema NET, cioè regolandolo, la
loro efficacia terapeutica sarà necessariamente molto più ampia, infatti nessuno si
permetterebbe dal punto di vista farmacologico di utilizzare farmaci antidepressivi triciclici come
terapia dell’ipertensione.
Il problema che ha uno psichiatra che fa una diagnosi di depressione è che finché la depressione è
ad un grado basso ok, in quelli ad alto grado, si hanno tendenze suicida. L’uso di questi farmaci
triciclici ha fatto diminuire di molto i livelli di suicidi con diagnosi di depressione.
Le cose non sono così semplici. Perché? Si viene a scoprire che a livelli delle membrane
plasmatiche sinaptiche esiste un altro sistema di ricaptazione che fa capo ai recettori per la 5-HT
(5idrossitriptamina), nota anche come enteramina e serotonina.
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Perché serotonina? La 5-HT ematica ha delle funzioni per l’attivazione piastrinica. Perché
enteramina? Perché questa sostanza si ritrova anche nelle cellule dell’apparato gastroenterico,
regolandone la mobilità. Questa non ha nulla a che vedere con la 5-HT encefalica, stessa struttura
chimica ma azione fisiologica diversa, sintetizzata dal rafe mediano. Nel cervello la classificazione
recettoriale ci aiuta: recettori H1, H2 e H3.
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Vi sarebbe sempre una diminuzione della 5HT. La terapia è la stessa: la 5-HT viene ricaptata dal
sistema SERT. La terapia è l’utilizzo di farmaci bloccanti il sistema SERT. È saltato fuori che a
questo livello di farmaci antidepressivi esistono le seguenti classi:
quelli che bloccano esclusivamente il sistema per la noradrenalina,
quelli che bloccano esclusivamente il sistema per la 5-HT, che si chiamano SSRI,
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Gli antidepressivi triciclici di prima generazione bloccano tutti e tre i trasportatori della
Noradrenalina, dell'adrenalina e serotonina.
Il trasportatore di Adrenalina e noradrenalina si chiama Net e quello della serotonina si chiama
Sert. Un farmaco molto utilizzato è il Prozac (Fluoxedina), che blocca preferibilmente il recettore
Sert e prede il nome di SSRI.
DEPRESSIONI
Si distinguono 3 tipi di depressione:
⁃ reattiva o esogena: l'elemento che scatena l'evento depressivo è di natura esterno. È come se
fosse una reazione ad un evento esterno che può capitare nel corso della vita. È ancora
aperto il dibattito sull'argomento che riguarda il ruolo della famiglia (disgregante o
aggregante): dal punto di vista scientifico non si rilevano verità oggettive. Si tratta più di
argomenti psicologici anziché psichiatrici. Bisogna considerare che anche la società incide,
non solo la famiglia. Unipolare o Maggiore: si ha nel 75% dei casi, è la più frequente
Poi vi sono altri tipi di depressione che insorgono spontaneamente, di cui non si conosce la causa.
⁃ Endogena o bipolare: ha origine nell'ambiente familiare. le persone affette alternano crisi di
profonda depressione a crisi maniacali, di grande iperattività. In questo caso è difficile
spiegare la teoria monoaminergica. C'è stato un tentativo di conciliare le concentrazioni di
adrenalina e noradrenalina, però è piuttosto difficile anche perché c'è un problema con la
teoria monoaminergica.
Spesso l'uso dei farmaci serve per evidenziare meglio le ragioni di una patologia e in
questo caso è la stessa cosa. Utilizzando i farmaci antidepressivi, sia quelli che bloccano
entrambi i neurotrasmettitori, sia utilizzando i farmaci SSRI, si ha un evento: se ho un
paziente e somministro un antidepressivo, le sue concentrazioni di adrenalina e
noradrenalina salgono rapidamente (1h). A questo punto ci si aspetterebbe che l'individuo
abbia un atteggiamento diverso; questo invece non accade!
Ciò che succede è che per avere questo atteggiamento di remissione del comportamento da
depresso a normale è necessario somministrare il trattamento per 2 o 3 settimane.
Oggettivamente non si sa cosa succede di preciso. Si pensa che siccome la depressione dipende da
una carenza di neurotrasmettitori, il numero di recettori diminuirebbe a livello della membrana.
Secondo alcuni il numero diminuisce, secondo altri vengono solo internalizzati.
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Teoria della supersensibilità recettoriale: fenomeno che si riferisce al fatto che quando un
sistema recettoriale per un periodo di tempo non viene più stimolato da un neurotrasmettitore,
nel caso in cui venisse successivamente di nuovo stimolato, risponderebbe in una maniera
anomala: la risposta sarebbe molto superiore rispetto a quella normale.
Da non confondere con la upregulation and downregulation, in cui non è ben chiaro se è un
problema di sensibilità recettoriale o di numero di recettori.
La ricerca farmacologica è diretta principalmente verso il problema del suicidio: si cerca di
sintetizzare dei farmaci che abbrevino il tempo di latenza. Questi farmaci sono stati sintetizzati e
si è riusciti a diminuire il tempo di latenza da 20-21 circa (es.desipramina) a 10-15 giorni
(fluoxetina) di risposta. Cioè il paziente risponde all'effetto farmacologico a pieno dopo 10-15 gg.
I tempi variano anche in base al paziente.
Cosa si faceva quando non c'erano gli antidepressivi ciclici? Si utilizzavano gli inibitori delle mao
(monoamino ossidasi). Le mao sono enzimi che metabolizzano le amine mediante ossidazione e
sono organizzate a livello dei mitocondri. Quindi è un sistema farmacometabolizzante
mitocondriale.
Qual è la differenza farmacologica tra un farmaco che blocca la ricaptazione e uno che blocca il
suo metabolismo?
Si tratta di farmaci antidepressivi che bloccano la metabolizzazione delle amine.
Mentre se uso un farmaco che blocca la ricaptazione della noradrenalina, blocco il sistema con cui
la noradrenalina dallo spazio intersinaptico passa nel citoplasma;
se invece blocco la metabolizzazione mitocondriale dell'adrenalina e della noradrenalina, blocco
la noradrenalina e l'adrenalina presente nel citoplasma, non quello presente nella fessura
sinaptica (quella ricaptata). Ciò fa si che gli effetti dei farmaci antidepressivi inibitori delle mao
siano quindi meno evidenti.
I farmaci imao (inibitori delle meo) inoltre, bloccano la metabolizzazione di enzimi che non sono
specificatamente deputati per metabolizzare l'adrenalina, ma bloccano la metabolizzazione di
tanti altri farmaci. es. i farmaci imao vengono utilizzati anche nella terapia per il morbo di
Parkinson che non ha niente a che vedere con la depressione.
A causa degli effetti collaterali, gli imao tendenzialmente non vengono utilizzati.
comt: enzimi che metabolizzano adrenalina e noradrenalina. Sono enzimi solubili che si trovano
sia nel citoplasma che nello spazio intersinaptico. quindi le comt extracellulari metabolizzano la
noradrenalina e l'adrenalina che si trovano nello spazio sinaptico.
Esistono dei farmaci che bloccano l'attività delle comt. Bloccando una compt extracellulare,
aumenteranno le concentrazioni di adrenalina e noradrenalina presenti nello spazio sinaptico.
Questi farmaci triciclici, che bloccano il reuptake, hanno degli effetti collaterali? Gli effetti
collaterali di questi farmaci sono molteplici. es. danno un fenomeno di ingrassamento del
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paziente ed è un fenomeno molto visibile. Altri effetti collaterali dei farmaci triclicici sono:
offuscamento della vista, sonnolenza, sedazione, aritmie ventricolari (il peggiore effetto
collaterale).
Però siccome stiamo parlando di effetti centrali, la depressione considerata anche come
disordine del comportamento, questi farmaci coinvolgono anche la sfera psichica di una persona.
Ci sono dei quadri sovrapposti di patologie (es.disturbi ossessivo-compulsivi, disturbi bipolari...)
che richiedono l'utilizzo di farmaci diversi e ciò fa capire la complessità delle patologie che
riguardano il SNC.
L'altra complessità sta nel fatto che generalmente i pazienti hanno difficoltà nell'assumere
farmaci, ciò si manifesta soprattutto durante le prime 2-3 settimane, quando manca il riscontro
della terapia. È un atteggiamento definito “accondiscendenza” (compliant in inglese): il soggetto
perde l'accondiscendenza, quindi continua a prendere il farmaco nonostante non tragga
beneficio.
Farmaci atipici: sono quei farmaci che hanno un effetto completamente diverso dai precedenti.
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La depressione è una malattia mentale, psichiatrica, c'è qualcosa che non va nella persona quindi
dalla depressione si può uscire solo se viene ridotta la causa che l'ha prodotta. I farmaci inoltre,
non sono sufficienti: se l'individuo non si sforza a reagire non ne esce. L'effetto dei farmaci è
momentaneo, quindi è necessario rimuovere la causa.
I farmaci quindi possono aiutare, ma serve anche l'autoconvinzione di poter guarire.
È stato valutato, inoltre, il livello energetico cerebrale di pazienti con la depressione ed è venuto
fuori dalla risonanza magnetica di questi soggetti che c'erano delle disfunzioni metaboliche. Per
cui c'è questa ipotesi metabolica della depressione che riguarda soprattutto le aree corticali
parietali, un pezzo dell'area frontale e temporo-parietale e qualcuno sull'amigdala. È un quadro
abbastanza eterogeneo. Dal punto di vista anatomico sono coinvolte le sinapsi terminali.
Caratteristiche cinetiche
[…] Cerchiamo di capire qual è il senso... Questi sono i farmaci più utilizzati, e sono paragonati fra
di loro in funzione della loro biodisponibilità, del legame […], del […], quali sono i loro metaboliti
[…], […] e soprattutto le concentrazioni plasmatiche terapeutiche. La concentrazione plasmatica
deve essere mantenuta il più possibile costante perché si abbia un effetto. Teniamo presente che
per questi farmaci l'effetto si ha dopo 2-3 settimane di trattamento. Ciò che emerge da questa
analisi è che somministrare un farmaco piuttosto che un altro non dà lo stesso risultato, nel senso
che le caratteristiche sono molto diverse. Ad esempio l'amitriptilina ha un altissimo legame con
le proteine, che vuol dire che ha un'alta affinità per l'albumina (legame aspecifico per un
fenomeno di adsorbimento, che segue le isoterme di Langmuir ed è termperatura-dipendente): la
biodisponibilità del farmaco non può che essere bassa. L'albumina costituisce una specie di
reservoir, una riserva di farmaco che viene liberato man mano nella stessa quantità di quello che
viene eliminato (c'è un equilibrio dinamico). Questo fa sì che il tempo di dimezzamento sia
piuttosto basso, [volume di distribuzione relativo], e la concentrazione plasmatica (espressa in
ng/mL sangue) varia da 80 a 200: al massimo è possibile raggiungere una concentrazione di 200
ng/mL, che non è molto alta. Questo farmaco ha come metabolita attivo la nortriptilina: molto
spesso questi farmaci, così come capita ad esempio con i tranquillanti, sono interconvertibili, cioè
si metabolizzano con vie che possono determinare la formazione di farmaci attivi e qualche volta
più attivi del farmaco originale, come per esempio la desipramina che ha come metabolita attivo
l'imipramina, che ha caratteristiche farmacocinetiche diverse. Prendiamo ad esempio la
nortriptilina. Quali sono le caratteristiche di questo farmaco? Come biodisponibilità è più o meno
simile, avendo una struttura chimica assimilabile (simile affinità per l'albumina, simile
distribuzione nel plasma). Il metabolita attivo è idrossilato (reazione molto semplice di
farmacometabolismo). Ciò che cambia è invece la finestra terapeutica [...] da 50 a 150 ng/mL: è
più bassa. Questo vuol dire che è un po' più tossica. Il messaggio è quindi che nello scegliere
questi farmaci bisogna anche stare attenti alle loro caratteristiche farmacocinetiche. Il farmaco
più potente di tutti questi (guardiamo la dose minima) è questo [slide] che agisce a una
concentrazione estremamente bassa, e ha un t½ di sole 11 ore: ha un effetto molto immediato, e
quindi è anche molto tossico.
Effetti collaterali
Ce ne sono tanti, uno è l'effetto sedativo. In un farmaco antidepressivo l'effetto di sedazione non
è positivo. La sedazione è maggiore per alcuni, assente per altri. Il farmaco più potente non ha
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effetti collaterali di rilievo, ma dal punto di vista dell'effetto procrastinato nel tempo, quello che si
desidera in una farmacoterapia della depressione, la sua emivita breve non è il massimo, anche se
non dà sedazione, non ha effetti antimuscarinici, blocca il trasportatore della serotonina e quello
della noradrenalina e non interferisce con il trasporto della dopamina. Altri hanno invece effetti
collaterali molto rilevanti, come questo [slide] che ha un grande effetto sedativo, un grande
effetto antimuscarinico, e agisce di più sul trasportatore della serotonina (++) che sul
trasportatore della noradrenalina (+). Si fa ricerca per costruire dei farmaci che siano più selettivi
per un sistema che per un altro (gli SSRI sono un esempio), ma questa selettività è un fatto
relativo: molto spesso non c'è un'assoluta selettività per un sistema (es. SERT) piuttosto che per
un altro (es. NET), ma ci sono delle caratteristiche miste, per cui un sistema è più bloccato di un
altro, o due sistemi sono bloccati nella stessa misura. Bloccare esclusivamente la ricaptazione
della serotonina, oltre che molto difficile, potrebbe non essere la cosa più utile: anche se alcuni
attribuiscono alla serotonina un ruolo maggiore, probabilmente anche la noradrenalina è
implicata nella depressione.
La terapia della depressione non è semplice. Tra gli effetti indesiderati vi sono infatti anche la
sonnolenza, i tremori, l'insonnia, la visione offuscata, l'ipotensione ortostatica, l'aggravamento
delle psicosi, la sindrome da sospensione: quando ormai il soggetto sembrerebbe abituato ad
assumere il farmaco antidepressivo, nel momento in cui sembrerebbe guarito, sospendendo la
terapia può avere una sindrome causata dal fatto che questi farmaci agiscono sulla sfera psichica.
La sfera psichica è uno dei grandi misteri del cervello, anche perché le persone sono una diversa
dall'altra! Ci sono fattori familiari, ecc. C'è chi sopporta meglio un farmaco e chi non lo sopporta...
Uno dei dati più negativi è quello dell'abuso [...]. L'aspetto sessuale è meno importante. È invece
più importante, dato che il trattamento dura alcuni mesi, l'aumento di peso, anche rapido (anche
se in parte dovuto alla ritenzione idrica): ci sono persone che lo soffrono particolarmente. Più
temibile è l'effetto della visione offuscata: è di riscontro abbastanza comune il fatto che dopo
circa un mese e mezzo di trattamento un paziente noti di vederci peggio, e potrebbe attribuire
questo fatto magari all'invecchiamento... La sfera psichica viene coinvolta in modo sostanziale.
Questo fatto è importante soprattutto in relazione al fatto che i pazienti pensano di non guarire;
bisogna far loro capire che accanto a un sollievo che è per alcuni qualcosa di estremamente
sottile (se non c'è lo sforzo del paziente, questo non esce dalla depressione, o ne esce per poi
ricaderci) ci sono questi effetti. La cronicizzazione della malattia è piuttosto frequente.
Ipotesi sulla depressione
Torniamo alla parte biologica e alle teorie sui neurotrasmettitori. L'ipotesi aminergica è
esaustiva? Qual è la nostra opinione su questo correlato neurochimico? Regge poco! Prima di
tutto l'aumento della concentrazione delle catecolammine dopo la somministrazione del farmaco
avviene nel giro di 30 minuti – 1 ora ed è un effetto transitorio (nel giro di mezz'ora i sistemi
farmaco-metabolizzanti agiscono), mentre ci vogliono 3 settimane per avere l'effetto terapeutico.
Ci sarebbe secondo alcuni una nuova sintesi di recettori. A questo punto il problema si sposta
dalla concentrazione del neurotrasmettitore alla sua sensibilità recettoriale. Potremmo allora
dire che abbiamo l'effetto farmacologico massimo quando tutti i recettori sono occupati. Ma i
recettori si attaccano all'agonista e se ne staccano rapidamente, con l'unica eccezione dei farmaci
più attivi, che tendono a rimanere attaccati ai recettori post-sinaptici per più tempo. Quali sono le
prove che ci suggeriscono che sia una questione di recettori? Se la questione si sposta dalla
concentrazione del farmaco al recettore, il passaggio successivo è che il farmaco interferisce
meccanicamente sul reuptake, ma poi viene inesorabilmente coinvolto il sistema di trasduzione,
il quale in genere richiede energia. Quindi abbiamo: blocco del reuptake, aumento del
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neurotrasmettitore, aumento della stimolazione dei recettori una volta che questi sono stati
sintetizzati (le 2-3 settimane di latenza si spiegano come il tempo richiesto per la sintesi dei
recettori); una volta che i recettori sintetizzati vengono occupati si avrebbe l'effetto terapeutico.
Però il problema si sposta al sistema di trasduzione. Questa potrebbe essere una buona
interpretazione di carattere molecolare, che però va oltre la concentrazione del
neurotrasmettitore in quanto tale. L'osservazione è farmacologica e si ha una dimostrazione
empirica sull'uomo. Esiste un farmaco antidepressivo che non abbiamo nell'elenco, perché non
blocca la ricaptazione delle catecolammine, ma è un anti-ipertensivo: è un farmaco che da una
parte nega l'ipotesi aminergica, e dall'altra ci dice che il meccanismo d'azione sta nella parte
trasduttiva, benché i singoli elementi molecolari di questa ad oggi ci sfuggano. Si tratta dei sali di
litio. I sali di litio non bloccano il reuptake, ma bloccano uno dei due fondamentali sistemi di
trasduzione del segnale, il ciclo dei fosfatidilinositoli. Questo spiega anche il meccanismo di
azione antidepressivo dei cosiddetti antidepressivi atipici, che non sono farmaci di prima scelta
(ma soltanto il 40% dei pazienti è sensibile a questi ultimi!). Come farmaci di seconda o terza
scelta si usano i sali di litio, con tutti i problemi che questi portano.
La ricerca attualmente è orientata soprattutto a cercare di capire che cosa succeda a questi
sistemi di trasmissione del segnale. Un'evidenza è data dalla fluoxetina non vista come un
farmaco bloccante del SERT, ma studiata nelle conseguenze postisinaptiche, ed è la seguente:
sembrerebbe che vengano modificati all'interno della cellula alcuni fattori, la cui concentrazione
aumenta sotto somministrazione di fluoxetina. Si dà molta importanza a uno di questi, che è
CREB, fattore di trascrizione derivante dal sistema del cAMP. L'ipotesi è che l'aumento di CREB
citoplasmatico comporti l'ingresso di CREB nel nucleo, dove questo si legherebbe ai TATA box
attivando probabilmente la trascrizione di tante cose. Indubbiamente il numero dei recettori
disponibili aumenta (lo si vede con esperimenti di binding in eccesso o di autoradiografia), ma
non è detto che questo dipenda da un aumento dei recettori sintetizzati: i recettori sintetizzati
potrebbero essere stati mascherati all'interno delle membrane, e solo successivamente esposti
(ad es. se valutiamo l'espressione di 40 recettori, non è detto che questi siano quelli
neosintetizzati, ma potrebbero essere i «vecchi» recettori che erano stati inglobati nella
membrana biologica perché non stimolati e a seguito della somministrazione del farmaco sono
tornati sulla superficie della membrana). La differenza la fa il fatto che esporre dei recettori che
non erano esposti non costa sicuramente tanta energia quanta ne consumerebbe una neosintesi
recettoriale. In questa ipotesi è ammesso e non concesso che l'ingresso di CREB nel nucleo e il
suo legame con la TATA box avvenga sempre e comunque; in realtà il sistema potrebbe essere
bloccato da altri fattori (è una cosa che avviene).
Un'ultima cosa che mette in risalto questa questione della selettività di azione: una figura ci fa
vedere come alcuni farmaci siano selettivi per la noradrenalina (capostipiti: desipramina,
nortriptilina), poi ci sono quelli non selettivi, e poi quelli selettivi per la serotonina (i più utilizzati
sono la paroxetina e la fluoxetina, perché sono quelli con meno effetti indesiderati).
[Alcuni sostengono che i recettori che «spariscono» sarebbero quelli che la teoria di Stephenson
chiama i «recettori di riserva». Mentre secondo la prima teoria elaborata l'effetto massimo si ha
con la massima occupazione dei recettori esposti, Stephenson dice che per alcuni tipi di farmaci
l'effetto massimo si ha anche con una parziale occupazione dei recettori. Ne è stata data la
dimostrazione. Infatti le curve sigmoidi si suddividono tra curve estremamente ripide e curve
molto più «inclinate». I recettori che non necessitano di essere occupati potrebbero essere quelli
in soprannumero, che vengono internalizzati e possono emergere nel giro di una settimana. Il
vantaggio farmacodinamico della fluoxetina rispetto alla desipramina dipende proprio da questo.
79
Morbo di Parkinson
Trattiamo certi aspetti del morbo di Parkinson che potremmo non conoscere.
Le vie dopaminergiche encefaliche sono tre:
⁃ Via tubero-infundibolare, che governa la secrezione lattea.
⁃ Via meso-limbica-corticale, che parte dalla parte mediale del cervello. Va al sistema limbico
(ruolo nelle emozioni) e alla corteccia (ruolo nell'ideazione).
⁃ Via nigro-striatale, che parte dalla substantia nigra pars compacta e arriva allo striato.
La via implicata nel morbo di Parkinson è la via nigro-striatale, mentre una disfunzione della via
meso-limbica-corticale crea i presupposti delle schizofrenie (la via tubero-infundibolare non ci
interessa).
Mentre la disfunzione della via nigro-striatale è caratterizzata da una carenza di dopamina, la via
meso-limbica-corticale è caratterizzata in senso patologico da un eccesso di dopamina.
Modelli e ipotesi
Si tratta chiaramente di una degenerazione di neuroni, come nelle demenze: i neuroni della
substantia nigra (dove si trovano i corpi cellulari). Ma qual è la fisiopatologia? Le ipotesi ci
servono per spiegare aspetti terapeutici.
⁃ Accumulo di alfa-sinucleina
⁃ Ipotesi dei tossici ambientali (dei pesticidi). Inizialmente c'era un'ipotesi di carattere virale, ma
un virus deve essere, evidenziato, e questo non è mai accaduto. L'osservazione che dà
origine a questa ipotesi è un dato epidemiologico: si è visto che le popolazioni rurali
avevano un'incidenza del morbo di Parkinson maggiore rispetto a quella delle popolazioni
urbane. C'era un precedente: un pesticida che veniva utilizzato era il parathion, che a
livello epatico subisce una reazione farmaco-metabolizzante di ossidazione e si trasforma
in paraoxon, che è il vero tossico. In questo caso invece l'ipotesi riguarda molteplici
sostanze. La critica fatta a questa ipotesi è che l'osservazione è stata fatta negli Stati Uniti,
ad esempio in Oregon, uno stato ad intensa coltivazione, dove si fanno due (anche tre)
raccolti in un anno, e quindi l'esposizione è maggiore, ma questi lavori sono limitati a un
territorio, non rappresentativo di tutti i territori di coltivazione...
⁃ Disfunzione nella catena di trasporto elettronico mitocondriale (complesso I), con conseguente
accumulo di ROS. È un'ipotesi nata con la questione delle neurotossine di tipo MPTP,
collegata anche all’ ipotesi precedente, di carattere più generale. Un giorno si presenta ad
un medico in California una persona giovane che ha una sintomatologia tipica del morbo
di Parkinson (triade sintomatologica). L'osservazione di questo medico, particolarmente
attento, è che non è possibile che un individuo di 23 anni possa manifestare la triade
patologica del morbo di Parkinson ( bradicinesia, rigidità, tremore) , che ha un'età media
di esordio intorno ai 65 anni. Dopo un paio di giorni arriva un'altra persona che manifesta
la stessa sintomatologia. Si scopre che questi sono studenti di chimica, che utilizzando una
sequenza reattiva pubblicata e pubblicizzata da un fornitore di reagenti sintetizzavano il
tossico meperidina. Nella sintesi della meperidina si forma, come contaminante, in piccola
quantità il MPTP, ed è a questa sostanza che venne attribuito l'effetto tossico. Questa
osservazione ha un valore scientifico, prima della scoperta del MPTP il modello utilizzato
nella ricerca di farmaci antiparkinsoniani era quello della 6-idrossidopamina (6-OHDA),
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81
gliali. Il dato sul complesso I è artefatto dal fatto che nell'omogenato sia dei cervelli di pazienti
con morbo di Parkinson, sia di cervelli di controllo della stessa età, non ci sono solo neuroni, ma
anche glia, in condizioni di espressione infiammatoria.
-farmaci derivati dall’ergot ,sono agonisti del recettore dopaminergico D2, quello maggiormente
rappresentato nel sistema nigro-striatale ; sono prodotti metabolici derivati da un fungo
chiamato Claviceps purpurea (Ergot), fungo che infetta l’ avena conferendole un aspetto
rossastro. L’ingestione dell’avena e dei suoi prodotti provocava l’ ingestione del farmaco che
porta vasocostrizione periferica portando a gangrena delle estremità. Essi presentano una
struttura complicata, non è possibile una loro sintesi ex-novo in laboratorio, ma vengono
considerati derivati di sostanze chimiche e di sintesi farmacologica tra cui l’ergotina (derivati
ergolinici) e sostanze che dal punta di vista strutturale richiamano ,almeno in parte, l’ acido
lisergico conosciuto anche come LSD(sostanza farmacologica di sintesi). Che collegamento hanno
ergotina e acido lisergico con la dopamina? Si guarda la forma di struttura.
Questa somiglianza di carattere strutturale fa si che l’ acido lisergico che contiene nella sua
molecola la dopamina si legha come agonista ai recettori dopaminergici D2.
Lsd che proprietà ha? Usato molto negli anni ’70, è un allucinogeno, portando a visione di figure
psichedeliche. Cosa stimola? Il sistema dopaminergico ma anche il sistema meso-limbico-
corticale. Un trattamento a lungo termine con tanta L-dopa, che effetto può avere in paziente
parkinsoniano? La L-dopa si legherà a tutti i recettori dopaminergici quindi avremo 2 effetti
collaterali: il paziente diventa schizofrenico.
La proprietà che deve avere un farmaco per legarsi a un recettore dopaminergico è avere la
giusta distanza interatomica tra l anello e l atomo di azoto. Il primo farmaco è stato la
bromopectina, poi tutti i derivati dell’ ergopectina, dell’ergopistina, poi una miscela di vari
diidro-derivati chiamati: diidroergocornina, diidroergocristina. Questi non possono essere
farmaci di sintesi, perché in laboratorio non è possibile farli. Nel medioevo succedeva che le
persone mangiano l’ avena contaminata dal fungo e quindi anche i metaboliti del fungo. Questi
sono agonisti del recettore dopaminergico, cioè mimano l’azione della L-dopa. Dove si legano
questi recettori? La distanza tra anello e atomo di azoto ( nella figura del lucido prof) è
esattamente quella richiesta, ma questo riguarda solo la capacità ligante del farmaco; l’ effetto
farmacologico è dato dal legame del farmaco con il suo recettore e dalla capacità di dare l’effetto
farmacologico. Questi sono agonisti. Dove risiede la capacità intrinseca di dare l’effetto di questi
diidro-derivati, cioè dove si attacca la parte diidro? Nella parte della struttura molecolare dove si
ha la distanza richiesta. Essi sono in grado di stimolare molto più efficacemente il recettore.. ecco
perché oggi la terapia si fa con i diidro-derivati, la sostituzione di quel derivato con i diidro-
derivati aumenta la capacita di indurre lo stimolo farmacologico attraverso cambiamento
conformazionale del recettore, ma non aumenta l’affinità. Considerazione terapeutica: questa
patologia è dovuta alla perdita recettoriale, e noi agiamo con il farmaco sul 10% di cellule che
rimangono dalla degenerazione che è il 90% in presenza di patologia. Finché il numero di
recettori è ancora sufficientemente alto è utile somministrare la L-dopa; ancora oggi si fa L-dopa
83
SCHIZOFRENIA
Malattia psichiatrica di una certa entità.
Possiamo considerare la sua fisiologia divisa in 2 parti:
1)un controllo dell’ attività inibente( serotonina, GABA, endorfine, recettori per le
benzodiazepine)
2)un controllo attivante (noradrenalina, dopamina, acetilcolina) .
Come ci si accorge del prevalere di un’attività inibente o attivante? Al controllo inibente fanno
capo il sonno , la riduzione dell’apprendimento, il controllo delle convulsioni e gli stati
d’ansia..(cerca di reprimere), invece di una funzione attivante fanno capo una grande motilità,
l’attività esploratoria, l’atteggiamento sessuale attivo. Avere un equilibrio non è una cosa
semplice e non c’è farmaco che tenga.
Per quanto riguarda il controllo inibente quali sono le manifestazioni patologiche ? es.
irrequietezza, insonnia (o per la schizofrenia o per un problema organico alla prostata si ha
esigenza ad andare in bagno più volte durante la notte, >uomini ma due o tre volte è già un segno
patologico). Perché questi esempi? bisogna stare attenti a non confondere problemi di carattere
organico, impulso alla minzione, con problemi di natura psichiatrica. Una scuola psichiatrica dice
che c’è e non c’è una base organica, opposta a un’altra scuola che sostiene l’opposto. La
psichiatria biologica cerca di fare una sintesi di questi due sistemi. Esiste un famosissimo
esperimento che ha condotto negli anni ’70 (Mengazzi), per dimostrare la base organica del
comportamento animale: prese le scimmie , anestetizzate, nel loro cervello furono inseriti degli
elettrodi in aree ben precise ( amigdala, ippocampo ventrale.. seguendo apparato stereotassico)
ed in funzione di dove si mandava lo stimolo elettrico la scimmia faceva esattamente quello per
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cui l’area stimolata è solita fare ad es. stimolazione elettrica amigdala, la scimmia cominciava a
mangiare, se stimolazione nuclei della base , camminava in senso rotatorio, la stimolazione di una
certa area del sistema limbico, la scimmia diventata improvvisamente aggressiva, viceversa
stimolazione del sistema GABAergico, la scimmia era calma e cosi via.. esperimento molto
significativo perché poneva alla base del comportamento una base organica.
Questo dimostra che questi neurotrasmettitori hanno un ruolo, dando ragione, non alla teoria
psicologica, ma alla teoria della psichiatria biologica, che vede nelle manifestazioni l’intervento di
sostanze chimiche. Non c’è malattia che dimostri questo più della schizofrenia. La malattia
depressiva a seguito del trattamento farmacologico modifica il comportamento della persona
depressa ma solo dopo 2-3 settimane di trattamento, mentre le concentrazioni di adrenalina e
noradrenalina cambiano nel giro di mezzora anche se in mezzora il depresso non manifesta
sintomi contrari alla depressione.
La schizofrenia non è una malattia ben definita, non lo è per le sue cause, esistono varie ipotesi.
L’incidenza nella popolazione è 1-2%,stima bassa. Come si manifesta? Sintomo primario:
allucinazioni. Affligge le persone in età adolescenziale dai 10 anni in su, ciò suggerisce l’esistenza
di una componente genetica particolarmente rilevante e se così fosse c’è un modo per capire se è
vero, come? Se gemelli omozigoti manifestano entrambi la malattia questa è la dimostrazione a
livello fisico che è genetica, i dati di fatto contraddicono questa osservazione, non è detto che
omozigoti in cui uno in età adolescenziale è affetto da schizo automaticamente anche il fratello
sarà affetto da schizofrenia, uno può esserlo e l’altro fratello no. Non è di tipo ereditario assoluto.
(non è un carattere dominante)
Nella schizofrenia ho 2 tipi di segni clinici: sintomi positivi e negativi.
SINTOMI POSITIVI: allucinazioni, delirio, elaborazione di tipo fantastico ( durante sonno o dormi-
veglia i pazienti raccontano di vedere animali come ombre sulle pareti, ragni, ratti, serpenti nel
letto) è come se lo schizofrenico tornasse indietro nell’evoluzione.. perché schizofrenia è una
parola greca composta da due parole e significa “ragionamento dissociato”, cioè dissociazione tra
corteccia cerebrale e ciò che sta sotto = schizofrenia. Come mai gli animali? È come se il soggetto
attivasse ciò che sta sotto la corteccia che è il sistema limbico, il ricordo in senso evoluzionistico
dei suoi antenati, la somma di tutto il DNA che abbiamo in realtà è la somma di tutti i DNA che
abbiamo accumulato nel corso della vita, cosi alcuni spiegano che il DNA è molto di più che
quello che serve è ridondante. Il prof non la pensa assolutamente così come questa ipotesi.
SINTOMI NEGATIVI: riguardano soprattutto le persone non gravemente malate, cioè la tendenza
ad isolarsi dagli altri, la costante assenza di risposte di carattere emotivo. Es. ragazzo che si
chiude nella stanza e non ne vuole sapere di niente e nessuno. Circa il 10-15% di queste persone
ha atteggiamento suicida.
TEORIA BIOLOGICA: esiste nel cervello un’anomalia neurochimica? Autore è Carlson, anno 2000.
Lui ha fatto un’osservazione di carattere indiretto, farmacologico, ha visto che i farmaci che
agiscono sul sistema dopaminergico ( apomorfina, farmaco agonista recettori D2) determinano
una sindrome simile a quella schizofrenica. Qui la deplezione della dopamina può essere
prevenuta dall’azione dell’anfetamina, chiaramente dimostrando l’interferenza del sistema
dopaminergico, anche se in modo indiretto.
Per la prima volta in farmacologia è stata stabilita una diretta correlazione tra la dose dei vari
farmaci e l’effetto terapeutico anche in relazione agli esperimenti in vitro, come dire se prendo un
farmaco agonista o antagonista del recettore dopaminergico e vado a determinare la sua capacità
inibente ( caso antagonista) del legame a una preparazione di recettori dopaminergici, la
cosiddetta IC50 ( concentrazione che inibisce il legame del 50% dell’agonista) trovo che la sua
concentrazione è esattamente in parallelo con la dose somministrata nell’uomo, stabilendo una
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direzione diretta tra: dose somministrata nell’uomo-concentrazione che si raggiunge nel cervello
nell’uomo-concentrazione in vitro-effetto farmacologico.
Altra osservazione a questo proposito è la dimostrazione della teoria di Stephenson; teoria dei
recettori dove Ariens dice che per avere effetti massimali devono essere occupati 100% dei
recettori, cioè l’effetto è proporzionale al numero di recettori occupati, mentre Stephenson dice ,
NON è necessario che tutti i recettori siano occupati per avere un effetto massimale, ma è
sufficiente che ne vengano occupati una parte e quelli non occupati costituiscono una riserva
recettoriale; nel caso della schizofrenia non è necessario che il 100% dei recettori siano occupati
ma basta un’occupazione del 70- 80% ,prova che i recettori di riserva esistono in modo
particolare nel caso del sistema dopaminergico, meso-limbico-corticale.
Questa è la prima ipotesi, di tipo indiretto.
TEORIA GLUTAMATERGICA 2001, cosa dice?
L’Acido glutammico attiva il talamo che attiva la corteccia. Non poteva non esserci una
dimostrazione o ipotesi glutamatergica.
Proietta l’immagine sul Parkinson, nuclei della base…
I nuclei della base, transito substantia nigra---corpo striato…la degenerazione di questa via porta
al morbo di Parkinson. Ma sempre nel corpo striato il fascio che va alla pars reticulata se
degenerato porta alla Corea. Questo circuito non si esaurisce nei nuclei della base ma è collegato
con la via mesolimbico-corticale con la corteccia. Il NT coinvolto è il glutammato, il neurone che
va alla corteccia è glutamatergico. Individui parkinsoniani trattati con L-dopa presentano stimoli
simil-schizofrenia e questo si spiega attraverso queste vie. L’ipotesi glutammatergica della
schizofrenia nasce da una considerazione…se io tratto i pazienti con antagonisti NMDA, come
Ketamina, il paziente manifesta la sindrome psicotica. Sostanzialmente glutammato e dopamina
esercitano effetti contrapposti. Il GABA è il prodotto catabolico del glutammato.
Uno schizofrenico manifesta anche un atteggiamento ansiogeno. La situazione è complicata.
Questa teoria detta anche del cancello talamico.
Il talamo sta in mezzo a queste vie…perché teoria del cancello? Se il cancello è aperto gli impulsi
passano liberamente. Se invece il cancello è chiuso allora NON vi è transito dell’impulso. La
diseguaglianza tra cancello aperto e chiuso è correlata con la schizofrenia. Il talamo funziona da
relè (può aprirsi o chiudersi).
Aumento dopamina o diminuzione acido glutammico…squilibrio del circuito…schizofrenia.
TEORIA SEROTININERGICA.
LSD, allucinogeno degli anni 70, stimola anche i recettori per la 5HT. La somministrazione di LSD
che è agonista dei recettori 5HT da effetti schizofrenici. I farmaci antagonisti sono di fatto degli
antipsicotici. Abbiamo una prova contraria. Esistono farmaci neurolettici con strutture diverse.
Quale sarà l’ipotesi vera?
Considerazione:
Un’osservazione sembrerebbe avere importanza. Osservazione abbastanza recente. La
schizofrenia è una malattia tipica dell’età adolescenziale in costante aumento. Se fosse una
malattia genetica potrebbe essere in costante aumento? E la componente ambientale? Abuso di
cocaina. La cocaina aumenta le concentrazioni di 5HT, e l’ uso della cocaina è in aumento e
questo come si fa a dire? Il Mario Negri ha visto che le concentrazioni di metaboliti della cocaina
nelle acque reflue aumentano. Questo è stato correlato ad un aumento dei casi di schizofrenia.
Dibattito sull’uso di cocaina.
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Finiamo brevemente la parte relativa alla schizofrenia con due osservazioni. Una si riferisce
all'uso di questi farmaci neurolettici, che sono di vario tipo […] e sono abbastanza complessi dal
punto di vista strutturale.
Quali sono le caratteristiche generali di questa terapia? I farmaci antipsicotici in senso «classico»
si comportano tutti da antagonisti dei recettori D2: se la schizofrenia è data da un eccesso di
dopamina, è chiaro che antagonizzare il recettore avrà l'effetto terapeutico desiderato, nella via
mesolimbica-corticale.
Il problema è che questi farmaci sono sì particolarmente efficaci, ma non privi di effetti collaterali
particolarmente gravi. Inoltre comunque, come nel caso degli antidepressivi, la popolazione dei
pazienti che risponde alla terapia non è molto elevata. Questo è uno dei motivi per cui la ricerca
dei farmaci antipsicotici è molto seguita. Si scoprono di volta in volta nuove categorie di farmaci e
possibilmente anche nuovi meccanismi di azione patogenetica relativamente alla schizofrenia.
Abbiamo già visto che oltre alla compromissione del sistema dopaminergico ci sarebbe un
coinvolgimento della 5-HT: e quindi il quadro, che prima era molto semplice, diventa un po' più
complicato, anche perché il disturbo più rilevante sono le distonie e discinesie tardive (il sistema
dopaminergico comprende infatti anche il sistema nigro-striatale). Quindi questi farmaci non
sono certo molto selettivi, ad esclusione dei neurolettici atipici (farmaci che non hanno né
un'azione sul sistema dopaminergico, né sul sistema della 5-HT, ma ciononostante sono dei buoni
neurolettici).
Classificazione dei neurolettici
La classificazione è abbastanza complicata. Quali sono le caratteristiche, un po' più sintetizzate?
Classi farmacologiche (a seconda della struttura):
[slide]
⁃ fenotiazine e derivati delle fenotiazine (es. clorpromazina)
⁃ alcaloidi della Rauwolfia serpentina (es. reserpina che ha anche altri effetti, essendo un
antiipertensivo)
⁃ aloperidolo (classe dei butirrofenoni), uno dei più usati
⁃ pirozide (derivata dalle piperidine)
⁃ benzodiazepine ([…])
⁃ composti eterociclici (es. sulpiride)
I farmaci più utilizzati sono la sulpiride e l'aloperidolo.
Effetti principali dei farmaci neurolettici
Il meccanismo è l'antagonismo per i recettori dopaminergici. Il problema è che l'azione si ha su
tutti i recettori dopaminergici.
C'è la discinesia tardiva. Ma quali sono gli effetti manifestati dall'80-90% dei pazienti?
⁃ Effetto sedativo
⁃ Diminuita attività locomotoria
⁃ Ipotensione (anche qui è implicato il sistema nigro-striatale)
⁃ (forse la cosa più rilevante) Influiscono anche sulla funzionalità ormonale, interferendo con
l'ipotalamo, i cui releasing factor sono collegati con l'attività ormonale cellulare.
Il quadro risulta quindi essere un po' complicato.
Struttura dei farmaci neurolettici
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Le strutture sono la cosa più interessante di questi farmaci. [slide con strutture]
I derivati fenotiazinici richiamano parecchio gli antidepressivi triciclici. Altri però hanno una
struttura completamente diversa, come i derivati della catena piperazinica e i butirrofenoni (es.
aloperidolo), che non sono chimicamente correlati. Quindi le strutture chimiche di questi farmaci
sono diverse tra di loro, e anche cercare di trovare una reazione uniforme, cioè delle
caratteristiche che deve avere un farmaco antischizofrenico diventa difficile: non c'è questa
relazione strutturale (riferita alla struttura del recettore D2).
Il farmaco che si discosta maggiormente è la clozapina, molto usata, appartenente alla quarta
generazione di farmaci neurolettici, i cosiddetti farmaci atipici (atipici perché non se ne conosce
l'esatto meccanismo di azione, vi sono soltanto delle ipotesi).
Quindi questa eterogeneità di carattere strutturale ci pone una difficoltà nell'individuazione di
quali caratteristiche occorrano per la costruzione di un farmaco neurolettico. Ad esempio un
farmaco agonista del sistema noradrenergico deve avere un caratteristico gruppo catecolico, un
antagonista deve avere una sostituzione del gruppo ossidrilico dell'anello catecolico o una
sostituzione o allungamento della catena dei due atomi di carbonio naturali che sposti il legame
dell'azoto. Qui non è invece possibile fare un ragionamento su queste strutture dal punto di vista
del rapporto tra struttura e azione, cioè di quella che si chiama medicinal chemistry.
Un'altra caratteristica abbastanza interessante è il fatto che questi farmaci, da un altro punto di
vista, sono stati estremamente importanti per un fatto che ha suscitato un importante interesse.
Apriamo una piccola parentesi per spiegare brevemente come si possono studiare i recettori non
necessariamente con il ricorso all'animale, ma eseguendo esperimenti «in vitro». In realtà non si
tratta di un'esecuzione in vitro, ma il materiale su cui si effettueranno i test in vitro viene
ottenuto per centrifugazione dal cervello dell'animale. È noto che i recettori sono localizzati sulle
membrane plasmatiche presinaptiche e (prevalentemente) postsinaptiche: si è perciò pensato di
usare la cosiddetta rappresentazione di Scatchard (Scatchard plot). Si prende dunque un cervello
di un animale, o un pool di cervelli. Con tecniche di ultracentrifugazione si ottengono le frazioni
subcellulari che interessano: in questo caso si preparano i sinaptosomi (quello che si ottiene
dopo una serie di centrifugazioni in cui in un mezzo isosmotico con il plasma questi sinaptosomi
si chiudono), o meglio ancora […]. Il sinaptosoma è praticamente una sinapsi in vitro, sopra alla
quale vi sono tutti i recettori. Poiché in genere la membrana postsinaptica rimane appiccicata
all'elemento presinaptico, il sinaptosoma comprende anche i recettori presinaptici. A questo
punto allora avendo questa pappetta si prendono vari farmaci (ad es. 50-60), li si aggiunge, e si va
a vedere il legame
di questi farmaci sui loro recettori (esperimento di screening). In realtà l'esperimento è un po'
più complicato. Una delle cose che si possono fare infatti è mettere prima l'agonista, che si lega a
tutti i recettori, poi aggiungere l'antagonista, che essendo più affine spiazza l'agonista dai
recettori, e quindi valutare l'entità dello spiazzamento: il farmaco si sostituisce all'agonista (in
questo caso la dopamina). Il vantaggio di questo esperimento è abbastanza intuitivo: non occorre
prendere un farmaco o agonista, marcarlo radioattivamente, iniettare una decina di animali,
sacrificarli, fare l'autoradiografia per vedere dov'è andato il farmaco o agonista marcato e
visualizzare dove si è inserito. C'è però un limite enorme: non si può infatti stabilire se questo
farmaco che si lega al recettore sia un farmaco agonista o un farmaco antagonista, perché quello
che viene valutato è solo ed esclusivamente la capacità ligante del farmaco, mentre se vogliamo
valutare l'attività di un agonista o di un antagonista dobbiamo misurare la risposta evocata.
Possiamo dedurre che una molecola è un antagonista se essa spiazza l'agonista, ma si potrebbe
invece trattare di un farmaco che ha proprietà agoniste addirittura maggiori di quelle del
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neurotrasmettitore (sono stati sintetizzati farmaci che sono farmacologicamente più attivi del
neurotrasmettitore naturale)! Quindi questo esperimento di spiazzamento secondo Scatchard
serve soltanto per vedere se un farmaco si lega. Nonostante questa limitazione, questo tipo di
esperimento è molto utilizzato, perché già valutare la capacità ligante di un farmaco è una cosa
buona: ad esempio il fatto che un farmaco a bassissima concentrazione si leghi estesamente ai
suoi recettori è già indice di una buona potenza farmacologica (il concetto di potenza è distinto
da quello di efficacia).
Proprio con questi farmaci antipsicotici è successo che qualcuno si sia preso la briga di
paragonare i parametri di legame secondo Schatchard nell'esperimento illustrato rispetto alla
concentrazione terapeutica che essi hanno nel compartimento ematico, nel paziente. Quindi per
la prima volta è stato fatto questo paragone tra i dati ottenuti nell'animale da esperimento
(concentrazioni spiazzanti, ecc.) e la concentrazione terapeutica ematica che questi stessi farmaci
raggiungono. Ciò che si è ottenuto è proprio questa cosa. [due grafici] In basso abbiamo in
ordinata la cosiddetta IC50, la concentrazione inibente il 50% dei recettori (che occupa il 50% dei
recettori) e in ascissa la concentrazione che il farmaco raggiunge nel compartimento ematico: la
dose terapeutica somministrata è vista (supposta) come concentrazione ematica […]. Vediamo
allora che il parametro IC50 in funzione dei vari farmaci è in sequenza lineare con la dose
terapeutica: si ottiene una retta. C'è quindi un rapporto preciso, un'equivalenza di carattere
numerico tra i valori in ascissa e quelli in ordinata. Concettualmente un grafico di questo genere
significa che quella stessa concentrazione che a livello del recettore occupa i recettori ha un
effetto terapeutico: per la prima volta sono stati messi in relazione i due parametri
apparentemente molto lontani tra di loro riferiti all'animale da esperimento e all'uomo. Questo
ha portato anche a validare la teoria dei recettori, che fino ad allora era stata vista, studiata ed
elaborata in esperimenti su organi in vitro (ad es. ileo di cavia, ma si sono usati anche cervelli): ad
esempio nel caso di un farmaco contratturante la stessa quantità di farmaco è quella che
determinerà la contrazione in un intestino umano. È abbastanza strano che questo sia stato visto
in un organo così difficile da studiare come è il tessuto cerebrale! Già si poteva illazionare
teoricamente che così fosse, ma qui ne è stata data proprio la prova sperimentale.
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La 5-HT è chiamata serotonina perché si trova anche nel siero, cioè nel sangue, dove viene
utilizzata per le funzionalità piastriniche (ha a che vedere con i sistemi di riparazione dei vasi
ecc., cioè con tutte quelle cose in cui è coinvolta l'aggregazione piastrinica).
Noi naturalmente ci riferiamo alla 5-HT encefalica, cioè al sistema cosiddetto ascendente.
Biosintesi della 5-HT
[slide] La via di biosintesi è una via ad hoc che parte dal triptofano (quindi ancora una volta il suo
precursore è un amminoacido). Ad opera di una triptofano idrossilasi, di una decarbossilasi, di
una ossidasi ecc. si arriva al suo metabolita acido 5-idrossi-indolacetico.
(Non usiamo la terminologia enteramina/serotonina, perché noi ci riferiamo alla 5-HT
encefalica!)
La possibilità di avere l'acido 5-idrossi-indolacetico nelle urine ha permesso ai ricercatori (come
è avvenuto per gli altri sistemi neurotrasmettitoriali) di studiare il turnover della 5-HT
direttamente nell'uomo, anziché nell'animale da esperimento (e questo viene fatto).
Ruolo della 5-HT
Le azioni della 5-HT sono in genere riconducibili alla sua struttura stereochimica, che ha una
particolarità. [slide] C'è una certa distanza interatomica tra due atomi di azoto della molecola
(5.84 Å), simile alla distanza di 6 Å tra due atomi di azoto della molecola del LSD e alla distanza di
5.75 Å tra due atomi di azoto della molecola di mermaina. Ne concludiamo che il LSD è in grado di
legarsi anche ai recettori della 5-HT, così come la mermaina. Sembrerebbe quindi che la
caratteristica fondamentale che deve avere un farmaco per legarsi ai recettori della 5-HT sia una
distanza interatomica tra due atomi di azoto intorno a 6 Å. Vedremo che in verità la questione è
un po' più complicata.
[slide] La particolarità dei recettori che legano la 5-HT è un'estrema complessità strutturale,
tanto che ogni mese in funzione delle sostanze che vi si legano viene aggiornata la classificazione
dei recettori per la 5-HT: la nomenclatura di questi recettori è pertanto estremamente
complicata.
Gli sforzi di nomenclatura nascono dalla considerazione dello sviluppo di farmaci sempre più
selettivi rispetto alle principali classi di recettori della 5-HT, e ha una sua ragion d'essere, perché
come vedremo una delle patologie in cui i recettori della 5-HT sono coinvolti in modo diretto
(oltre a depressione e schizofrenia) è l'emicrania: i recettori dei vasi cerebrali hanno un loro
sottotipo recettoriale ben preciso per una classe di recettori della 5-HT. L'individuazione di
questa peculiare localizzazione di questi recettori nei vasi cerebrali ha permesso di affrontare
con un relativo successo questo grosso problema dell'emicrania, che prima non si sapeva come
trattare. (C'era un farmaco a base di caffeina, il caffergot, che però non era molto efficace, e aveva
principalmente una funzione profilattica: quando l'emicrania era ormai diventata manifesta
prendere il farmaco non serviva a niente, mentre se il farmaco veniva preso prima dello
scatenamento della sindrome emicranica esso poteva, se non bloccarne l'insorgenza,
quantomeno far sì che la sua manifestazione clinica fosse di entità e livello nettamente inferiore,
più sopportabile.
I triptani possono invece bloccare anche un'emicrania conclamata (manifesta). Questo però costa
parecchio, e non è assolutamente una soluzione definitiva.
Possiamo distinguere sette tipi principali (indicati da un numero), che sono a loro volta soddivisi
in sottotipi (indicati da una lettera).
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fare coincidere con la fase dell'aura, anche quando essa non si manifesta) si ha una
vasocostrizione dei vasi cerebrali. A questa fase segue la vera e propria fase
dell'emicrania, che è invece al contrario una fase di vasodilatazione. La teoria vascolare
spiega anche la genesi del dolore, che come abbiamo detto è pulsante. Il pulsare del dolore
è riferito alla pulsazione della circolazione, e la vasodilatazione che ad esso si accompagna
determina una costrizione dei vasi: in questo modo vengono attivati i nervi sensitivi. Con
l'attivazione del nervo sensitivo (mediante recettori) si ha la genesi del dolore. Quindi si
ha vasocostrizione e poi vasodilatazione. Quando sono diventate disponibili macchine in
grado di valutare il flusso cerebrale è stato possibile determinare che effettivamente
all'inizio c'è una riduzione del flusso, corrispondente alla fase della vasocostrizione,
seguita da un aumento del flusso, che corrisponde alla fase vasodilatatoria.
2. Si spiegano così la variazione del flusso, l'aura, la pulsazione del dolore e la genesi del dolore
stesso (per stimolazione delle terminazioni nervose).
3. Teoria dei nervi sensitivi. È venuta fuori nel 1992. Il nome del ricercatore che l'ha proposta è
Moskowitz. Richiama in parte la teoria vascolare. L'attivazione a livello delle meningi
dovuta alla fase di vasodilatazione determina un'attivazione delle terminazini nervose che
fanno capo al nervo trigemino, che ha una grande diffusione nel cervello, determinando
una sorta di infiammazione neurogenica. L'attivazione del trigemino è mediata da fattori
proinfiammatori che si liberano e determinano una sorta di infiammazione. Il processo
infiammatorio sarebbe dunque l'esito di questa attivazione. L'attivazione viene chiamata
attivazione neurogenica perché origina dall'interno, con la stimolazione di certi fattori:
quello più importante, che è stato isolato nel sangue di donne affette da emicrania, si
chiama CGRP, ed è un peptide che ha a che fare con il gene che codifica per la calmodulina
(non si sa però quale sia la relazione tra queste due cose; si pensa che possa essere
coinvolta una variazione nelle concentrazioni di calcio, che del resto è sicuramente in
qualche modo aleno indiretto implicato nella costrizione e nella dilatazione). Questa teoria
spiega molto bene quello che diceva la teoria vascolare, e si collega ad essa.
4. [L'ultima teoria proposta cerchiamo di trattarla nel modo più «asettico» possibile [In realtà fa
un sacco di commentini ironici, NdR]] Teoria della «spreading depression» ([autore???],
2001). Vi sarebbe un'onda che origina dalla parte occipitale della corteccia alla velocità di
2 mm/min si sposta anteriormente. Questa onda sarebbe sostanzialmente un'onda di
depolarizzazione dovuta a uno squilibrio ionico, in cui il potassio avrebbe un ruolo
importante. Il lavoro originale da cui nasce questa teoria è stato fatto nel ratto: preso il
ratto, aperta la cute, tagliata la calotta cranica, esposto il cervello al potassio, con due
elettrodi si è vista questa onda di depolarizzazione del potassio.
Terapia dell'emicrania
Essendo coinvolto il sottotipo recettoriale 5-HT1, sono stati messi a punto dei bloccanti per
questo recettore: se la 5-HT stimolando il suo recettore determina la vasodilatazione dei vasi
cranici, la terapia punterà sulla vasocostrizione, quindi bisogna antagonizzare l'espansione del
vaso, che poi determinerà la compressione delle terminazioni nervose vascolari del trigemino,
con genesi del dolore (che è pulsante perché è coinvolto il sistema cardiocircolatorio).
I triptani, che bloccano la vasodilatazione e quindi il dolore, sono farmaci molto efficaci. Sono
stati commercializzati soltanto in tempi relativamente recenti, e inizialmente non erano
disponibili da parte del S.S.N. (anche oggi non sono in fascia A, ma in fascia B). Inizialmente la
confezione, estremamente costosa (130 mila lire), conteneva solo due piccole fiale e un apparato
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a molla per la somministrazione del farmaco sottocute (in seguito alla pressione di un pulsante
un ago entrava sotto la pelle quanto bastava per un'iniezione sottocutanea): questo sistema è
dovuto alla considerazione farmacocinetica che il farmaco si distribuisce molto velocemente e
può agire sulle coronarie, tanto che i primi sintomi potevano essere quelli di un'angina da
vasocostrizione coronarica. Non si è ancora riusciti a togliere questo effetto collaterale, che è
stato un po' ridimensionato con il passaggio alla via di somministrazione per os (compresse), che
però ne diminuisce moltissimo l'efficacia (l'assorbimento è molto più lento, mentre la
somministrazione sottocutanea era il giusto compromesso tra il tempo di farmaco-distribuzione,
la cinetica e l'effetto). L'effetto dell'iniezione inoltre durava poco, tra ½ ora e 1 ora, e il problema
dell'angina impediva di ripetere l'iniezione. (N.B. L'aura dura molto poco, e il farmaco non rischia
di avere effetto vaso-costrittivo prima che cominci la vasodilatazione, perché si deve distribuire:
si sfrutta questa differenza di tempo per prevenire l'emicrania.)
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Dove è localizzato questo neurotrasmettitore? In tutte le aree del SNC. Ma non fatevi ingannare.
L'acido glutammico è un intermedio presente a livello di tutti i neuroni in quanto il suo
metabolismo avviene in tutti i neuroni. Quindi questo è vero ma in genere si fa un discorso
sbagliato. Se l'acido glutammico viene trasformato in GABA, vale lo stesso discorso,
particolarmente nella substantia nigra, ma non è lui che è particolarmente presente bensì i suoi
recettori. Vuol dire che la recettività recettoriale nei confronti di un determinato
neurotrasmettitore è più concentrata in un'area piuttosto che in un'altra. Le aree cerebrali non
contengono tutte la stessa quantità di recettori ma in alcuni casi può essere una questione di
proporzioni (es. recettori prevalenti in un organo piuttosto che in un altro).
Quali sono le patologie corrispondenti? Sullo schema indica epilessia e ischemia (?)
Il recettore GABAergico è permeabile ad uno ione carico negativamente, il Cloro. Quindi l'effetto
che si avrà sull'elemento postsinaptico sarà di tipo inibitorio. Come mai uno ione negativo
determina una inibizione? Perché essendo il potenziale di membrana -70/-80 mV, se si apre il
recettore GABAergico, il potenziale scende a -110 /-120.
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Quali sono le patologie? Corea di Huntington...e non solo patologie neurologiche ma anche
psichiatriche come l'ansia o la difficoltà nel sonno.
Un recettore GABAergico può essere definito misto, perché sulla sua superficie (terminali
all'esterno delle frazioni di cui è costituito e anche il canale come tale) i siti di legame sono vari e
distribuiti in modo diverso. I due più importanti recettori sono i recettori delle benzodiazepine e
il recettore per i barbiturici, che sono le due classi di farmaci che interagiscono con il recettore.
Per quanto riguarda il recettore o il sito di legame delle benzodiazepine, questo è esposto
all'esterno. Il recettore per i barbiturici è localizzato all'interno del canale ionico.
Perché questa distinzione essenziale? Perché può interagire in maniera diversa se il canale è
aperto o chiuso, quindi i due farmaci possono, in un certo senso, interagire. Se le benzodiazepine
hanno un sito di legame esterno, vuol dire che il canale può essere anche chiuso quando le
benzodiazepine si legano al recettore. I barbiturici invece, per poter agire possono farlo solo se il
canale è aperto perché il recettore del barbiturico è localizzato all'interno del canale. Questa è
l'interpretazione “meccanicistica”, mentre dal punto di vista funzionale le benzodiazepine
possono agire anche in mancanza di GABA, mentre i barbiturici agiscono solo se il GABA è
presente (il GABA apre il canale!). Può essere chiamato “potenziamento” (in farmacologia clinica)
o “sinergismo di somma non competitivo” (farmacologia generale). Non competitivo perché i siti
di legame sono diversi. In generale il sinergismo di somma si ha sia in condizioni di competitività
recettoriale che in condizioni di non competitività. ESEMPIO Se il GABA ha 20 di stimolazione, il
barbiturico ha 10. qual è la stimolazione finale? L'effetto finale del sinergismo è maggiore della
somma aritmetica dei singoli effetti. Viene aumentata di molto la potenza farmacologica e
l'efficacia. Per avere lo stesso effetto di somma devo usare concentrazioni di farmaco più basse
rispetto a quelle che userei se l'effetto finale fosse solo la somma. Da ciò deriva un problema
relativo alla tossicità di questi farmaci. I barbiturici agiscono proporzionalmente alla dose
somministrata (ansiolitico, tranquillante, anestesia chirurgica, coma). Se questo farmaco agisce
sinergicamente è più o meno tossico delle benzodiazepine? Più tossico perché si sommano gli
effetti del barbiturico e del GABA, mentre le benzodiazepine agiscono anche in assenza di GABA.
Mentre è possibile aumentando la concentrazione del barbiturico arrivare al coma (agendo al
centro della respirazione), con l'uso delle benzodiazepine non si raggiunge mai l'effetto tossico
(sono farmaci più maneggevoli). Si può avere però il fenomeno della dipendenza dalle
benzodiazepine. Questi farmaci hanno come effetto secondario anche il fatto di essere dei
miorilassanti, quindi non solo il paziente si sente più tranquillo ma subisce anche il rilassamento
muscolare. Quindi questi farmaci possono anche essere utilizzati come anticonvulsivanti.
(meccanismo dell'acido valproico: blocca l'attività dell'enzima GABA amino transferasi, nello
shunt, quindi aumentano le concentrazioni di GABA).
Per quanto riguarda il recettore GABAergici esistono anche farmaci pro-convulsivanti, come la
bicucullina, e farmaci pro-ansiogeni come le betacarboline. Si tratta di una farmacologia opposta
a quella tradizionale: si tratta di agonisti inversi. La bicucullina è un agonista inverso del
recettore GABAergico, la betacarbolina è un agonista inverso anch'esso.
La bicucullina è molto interessante, essendo pro-convulsivante viene utilizzato per creare
modelli animali di epilessia.
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