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TOSSICOLOGIA

APPUNTI DELLE LEZIONI


Ilaria Rossi

UniPD – CdL in Chimica e Tecnologia Farmaceutiche


A.A. 2018-2019
Tossicologia – IR19

INTRODUZIONE

La tossicologia è lo studio degli effetti avversi delle sostanze chimiche sugli organismi viventi.
Oggi è definita come una scienza che studia le proprietà chimico-fisiche, gli effetti ed il meccanismo
d’azione delle sostanze capaci di interagire e danneggiare, in maniera reversibile e/o irreversibile, gli
organismi viventi.

Gli effetti avversi si possono osservare sia in seguito alla somministrazione di un farmaco che
all’esposizione ad alcune sostanze1. E importante sottolineare che, al contrario della somministrazione,
l’esposizione è un contatto non volontario. Per esempio, siamo esposti ai tossici delle vernici dei muri,
siamo esposti agli inquinanti dell’acqua quando ingeriamo la verdura innaffiata con essa, ecc.
In entrambi i casi, somministrazione ed esposizione, si parla comunque di effetto avverso: effetto
dannoso non desiderato che può essere di grado lieve, moderato o severo.
accezione negativa di un effetto in un organismo vivente.
L’effetto avverso non è altro che l’accezione negativa di un effetto che si può riscontrare in un organismo
vivente e risalta subito l’idea che nell’organismo si avrà un danno, una riduzione del benessere.

Questa disciplina ha come obiettivo principale la stima del rischio per l'uomo e per l'ambiente
derivante dall'esposizione a tali sostanze al fine di sviluppare, se necessario, adeguate misure preventive
e/o restrittive.
Il termine "rischio" ha un preciso significato in tossicologia esso corrisponde alla probabilità che si
verifichi un effetto avverso.
Un tossicologo è dunque un esperto che possiede le necessarie competenze per esaminare la natura di
questi effetti avversi (stima qualitativa della pericolosità ) e per valutare la probabilità del loro verificarsi
in determinate condizioni (stima quantitativa del rischio).

La tossicologia è stata, e in parte resta, strettamente legata alla farmacologia in quanto, per centinaia di
anni, si occupata essenzialmente delle sostanze utilizzate come farmaci o rimedi.
La farmacologia è una branca della scienza che studia le interazioni tra i farmaci e gli organismi viventi
intesi come vegetali, animali e specie umana.

Il farmaco è una sostanza estrattiva (di origine animale, vegetale, minerale) o di sintesi capace di
alterare la risposta di un sistema biologico. E giusto dedurre che, sulla base della definizione di
tossicologia, possa portare ad un beneficio ma anche ad un danno.
Secondo l’OMS il farmaco è una qualsiasi sostanza o prodotto usato o che si intenda usare per modificare
od esplorare sistemi fisiologici o patologici con beneficio di chi lo riceve.
La stessa molecola verrà chiamata sostanza tossica quando il beneficio verrà meno e prevarrà la
tossicità .

Il vaccino è l’emblema di questo aspetto: si tratta di un sistema salvavita, la cui introduzione nella terapia
è stata un’evoluzione enorme. Tuttavia, lo si può considerare a tutti gli effetti un farmaco? Qualcuno
afferma che sia tossico e che possa portare degli effetti avversi. Tuttavia, occorre prestare attenzione al
bilancio tra il benessere del soggetto e la gravità della risposta tossica. In base a quale sia l’aspetto
maggioritario si può decidere se utilizzare o meno il suddetto farmaco.

1 L’esposizione copre un range di eventi molto più ampio della semplice somministrazione. Per esempio,
se si utilizza acqua inquinata per innaffiare una campo di verdure, indirettamente l’inquinante arriva
sulle nostre tavole assumendo i suddetti cibi.
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Tossicologia – IR19

Farmaco o veleno?
Un monaco, Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim, detto Paracelso (1493-1541
d.C), 500 anni fa affermò che:

“Tutte le sostanze sono veleni, non ce n’è alcuna che non sia un veleno. Solo la giusta dose differenzia il
veleno dal rimedio.”

L’affermazione è ancora valida oggi, ed attesta oltre all'importanza della dose in tossicologia anche
questo stretto legame con la farmacologia. Solo in tempi più recenti, (da alcuni decenni), l'interesse della
tossicologia si è esteso anche allo studio degli effetti avversi di sostanze chimiche non terapeutiche pre
senti nell'ambiente, o liberate in esso nel corso del loro ciclo produttivo, distributivo o durante il loro
utilizzo, potendo contaminare aria, acqua suolo venendo in contatto con l'uomo, gli animali e le piante.

Dall’affermazione di Paracelso ne consegue che, modificando parametri come la dose o l’esposizione,


può potenzialmente essere modificata l’azione che la sostanza vanta sull’organismo e una stessa
molecola può essere farmaco o veleno.
Per esempio, le vitamine sono fondamentali per il processo biologico ma, quando se ne abusa, si cade in una
situazione di tossicità (ipervitaminosi)2.

La tossicologia, come è possibile intuire, non è una materia del tutto nuova. Infatti, già in passato vi erano
conoscenze in merito alle attività tossiche di alcune sostanze3.
Tuttavia, negli ultimi anni si è tentato di garantire un metodo scientifico, quindi un approccio razionale,
alla materia. Oggi, infatti, si considera una sostanza come veleno sulla base di dati scientifici supportati
da fatti e sperimentazioni.

Storicamente, tanto maggiori erano gli studi per mettere a punto i veleni, più aumentavano i trattati sugli
gli antidoti.
Trattati sui veleni Trattati sugli antidoti
Nasce come “scienza degli avvelenamenti” Papiro Nicandro di Colofone “Alexipharmaca” (200 a.C.)
di Ebers (1500 a.C.) Maimonide “ Veleni ed altri antidoti” (1200 d.C)
Ippocrate (400 a.C.)
Teofrasto e Dioscoride(300-400 a.C.)
Cleopatra (69-30 a.C.)
Mitridate VI del Ponto (134-63 a.C.)
Lucrezia Borgia (1480-1519)
Caterina dei Medici (1520-1590 d.C)
Paracelso (1493-1541 d.C)

2Questo esempio verrà ripreso più volte nel corso delle lezioni.
3Socrate che si suicidò con il decotto di cicuta, Cleopatra avvelenata da un serpente, Lucrezia Borgia che
uccideva gli avversari politici con delle gocce di veleno. Oggi ci sono altri esempi: armi di distruzione di
massa per avere un vantaggio in guerra, il fratello di Kim Jong-un suicidato con un’iniezione letale di veleno
nel collo, ecc.

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Tossicologia – IR19

Aree della tossicologia

Appare evidente che l’approccio allo studio degli effetti tossici di una sostanza sugli organismi viventi è
un’attività alquanto complessa che richiede numerose competenze. La tossicologia, quindi, si avvale di
nozioni che arrivano da molti ambiti (biologia, chimica, patologia, fisiologia, genetica, farmacologia, ecc.)
e viene applicata in altrettante situazioni:

1. Tossicologia sperimentale
2. Tossicologia clinica: si occupa delle malattie causate o associate all’esposizione a livelli tossici
di sostanze. In genere gli operatori sono dei medici tossicologi specializzati nel trattamento delle
emergenze e degli avvelenamenti.
3. Tossicologia ambientale: si occupa della definizione degli effetti causati da inquinanti chimici
presenti nell’aria, nell’acqua e nel terreno sugli organismi viventi. Il tossicologo ambientale
concorre a definire i valori limite e a sviluppare misure di contenimento.
4. Tossicologia alimentare (contaminazione di alimenti)
5. Tossicologia industriale - occupazionale (produzione di agenti tossici ed esposizione dei
lavoratori ad essi). Si occupa dei casi in cui i soggetti, in ambito lavorativo, sono esposti a
sostanze tossiche. Per esempio: Thyssenkrupp o esposizione all’amianto.
6. Tossicologia da abuso e regolatoria: definisce i livelli di sostanze da abuso che sono di ambito
prettamente tossicologico, non necessariamente stupefacenti. Per esempio: caso di bambini
brasiliani esposti volontariamente a sniffare colla e benzina: sostanze con uso diverso che
diventano sostanze d’abuso.
7. Tossicologia forense: si occupa degli aspetti medico-legali connessi con gli effetti dannosi delle
sostanze chimiche. Una delle caratteristiche salienti della sua professione consiste nella capacità
di stabilire le cause di morte e nel determinare le circostanze a seguito di indagine post-mortem.
Vengono analizzati tessuti prelevati nel corso delle autopsie alla ricerca di sostanze tossiche che
possono aver causato il decesso4. Per esempio: in caso di guida in stato di ebrezza il tossicologo
clinico-forense andrà a trovare un possibile nesso casuale tra le sostanze presenti nei campioni
biologici analizzati e l’evento accaduto, per aiutare nel delineare le conseguenze legali.
8. Tossicologia bellica: interessa le armi chimiche. Agente Arancio e Napalm erano sostanze usate
per defogliare le foreste vietnamite che
hanno provocato gravi conseguenze nelle
popolazioni.
9. Tossicologia normativa
Il tossicologo normativo è colui che ha la
responsabilità di decidere, sulla base dei dati
forniti dai tossicologi descrittivi (indici di
tossicità ) e sulla base dei meccanismi noti
(modalità d'azione), se l'uso di un farmaco o
l'esposizione ad una particolare
dose/concentrazione di una data sostanza
chimica pone rischi sufficiente mente bassi da
poter essere commercializzata in sicurezza per
un dato scopo. Ad esempio le agenzie regolatorie
(FDA, EMEA, ecc.) si avvalgono di questa figura.
Allo stesso modo le agenzie di protezione
ambientale ricorrono al tossicologo normativo
per decisioni attinenti l’utilizzo di sostanze
chimiche che possono rappresentare un rischio
per la salute dell'uomo o per l'ambiente.

4 Da un fatto di cronaca: due cadaveri in pineta a Livorno, nel loro stomaco c’erano delle foglie di piante

comuni mediterranee (oleandri). In questo caso si studia che nell’organismo le sostanze contenute
erano tossiche e hanno causato la morte.

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Tossicologia – IR19

Possiamo distinguere diverse aree della tossicologia in base alla tipologia di esposizione, alla dose
alla quale siamo esposti, alla durata e alla classe. Per esempio, si potrebbe essere esposti ad una
sostanza nostro malgrado (tintura nella parete di casa, acquistare sempre lo stesso surgelato o cibo che
ha dei conservanti dannosi), e in questo caso si rientra in una casistica involontaria, accidentale. Può
capitare, invece, che l’esposizione sia involontaria ma dovuta a ignoranza e incoscienza, sottovalutazione
del pericolo.

LIVELLO ESPOSIZIONE TOSSICOLOGIA


Tipo Dose Durata Classe
I Volontaria Elevata Breve Clinica
Involontaria Elevata Breve Clinica
(accidentale)
II Occupazionale Media Media Industriale
(assorbimento
cutaneo,
inalatorio)
III Cronica Bassa Lunga Sperimentale
Epidemiologica

Come si vede in tabella, è importante considerare diversi fattori nel momento in cui si va a definire un
effetto tossico. La tossicità può essere diversa a seconda del tipo di assorbimento, del tempo di
esposizione, della dose, ecc.

Tra le maggiori difficoltà vi è quella di trovare il nesso causale tra un effetto ritardato ciò che ne è stato
promotore. Questo serve, innanzitutto, per allontanare il tossico ed evitare esposizioni successive, ma
anche per poter utilizzare un eventuale antidoto corretto5.
Va considerato anche il soggetto: parte della popolazione è fragile e quindi più suscettibile al danno
(bambini, donne in gravidanza, anziani) mentre la parte di popolazione giovane e sana ha una maggiore
tolleranza.

5 Va ricordato che non tutte le sostanze, nonostante siano tossiche, comportano il medesimo
trattamento. In alcuni casi, ad esempio, è bene indurre il vomito, in altri è sconsigliato.

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Tossicologia – IR19

Agenti tossici

Un veleno è un agente capace di produrre delle risposte dannose in un sistema biologico alterandone
seriamente le funzioni o producendone la morte. L’aspetto caratterizzante il veleno è che questo provoca
effetti gravissimi anche in piccole quantità .

Uno xenobiotico è una sostanza estranea all’organismo, si tratta di una qualunque sostanza con cui
l’organismo entra in contatto. In generale non ne viene definita la tossicità , sta all’utente instaurare delle
misure tali da salvaguardare il benessere.

Tossina: sostanza tossica di origine unicamente naturale e comprende le sostanze prodotte da piante,
animali, funghi e batteri.

Tossico o sostanza chimica tossica: sostanza di origine antropogenica (es. di origine industriale)

Antidoto: sostanza che impedisce o contrasta gli effetti del veleno. L’antidoto ha senso nelle condizioni
in cui è noto l’agente tossico.

Esempio di cronaca: PFAS


Per contrastare il problema, nelle zone tra Vicenza e
Padova sono stati applicati dei filtri particolari nelle
condutture di acqua che arrivano in casa, per
eliminare la quantità di PFAS. È noto che i livelli
fisiologici nel sangue dovrebbero essere pari a zero e
non superiori ad un limite massimo, tuttavia nella popolazione al di sotto dei 15 anni i valori erano 4-5
volte oltre al limite. La Regione Veneto, inoltre, ha dei
limiti strumentali di detection della sostanza molto
migliori che nel resto d’Europa e questo ha generato
un dibattito su quale fosse il valore “pericoloso”.
Va considerato, inoltre, che una larga fetta di
popolazione è esposta e, ad oggi, non abbiamo
sufficienti dati in merito alla tossicità a lungo termine
ma solo a 5-10 anni. Altro elemento che fa discutere è che gli atti del simposio di cui a lato, non sono mai
stati pubblicati.

Altri esempi
Sostanze capaci di mimare molecole endogene come ormoni tiroidei o sessuali: all’università di Padova, in
un centro studi andrologico, è stato portato avanti uno studio su maschi con comparsa di segni di
femminilizzazione, ovvero modifica dei caratteri sessuali. I medici hanno misurato gli interferenti endogeni
(su recettori di testosterone, estrogeno, TSH) e hanno notato che, tanto maggiori erano gli interferenti
endogeni, tanto maggiore era la comparsa di caratteri sessuali femminili.
Altro quesito si pone con i campi elettromagnetici di cellulari e WiFi. È comune avere la rete WiFi o
ricaricare il cellulare sul comodino a fianco al letto, ma ad oggi non abbiamo dei dati in merito agli effetti
avversi nati dall’esposizione volontaria/involontaria ciò.

Da questi esempi ne deduciamo che non sempre possiamo capire la gravità dell’esposizione e oggi
siamo esposti a sostanze delle quali non conosciamo ancora del tutto i rischi a lungo termine.

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Tossicologia – IR19

Classi di agenti chimici

 Agenti chimici industriali (sostanze di sintesi, intermedi, prodotti di degradazione): di queste


sostanze, in genere, percepiamo facilmente il rischio.
 Fitofarmaci (insetticidi, diserbanti, fungicidi…): il fitofarmaco garantisce che la produzione sia
al 100%, senza di esso, però , non abbiamo una produzione adeguata o conforme alla qualità
voluta dal mercato, quindi viene considerato indispensabile.6
 Additivi alimentari (antiossidanti, conservanti, aromatizzanti, edulcoranti…): il gelato, il cibo
precotto, tutte le sostanze aggiunte agli alimenti che servono per migliorare l’aspetto dei cibi o il
loro profumo, sono potenzialmente tossici. La potenzialità di tossicità è sempre determinata
dalla dose e dalla frequenza di esposizione e assunzione.
 Farmaci (ad uso umano e veterinario, presidi medico-chirurgici): alcuni esempi sono
rappresentati dai farmaci per malattie croniche utilizzati nell’uomo, come gli anti-ipertensivi.
Anche i farmaci ad uso veterinario per gli animali utilizzati nella produzione di alimenti per
l’uomo sono rischiosi, per esempio somministrando antibiotici per poter destinare tutti gli
animali al consumo, l’antibiotico viene in parte assunto anche dal consumatore.
 Xenobiotici ambientali (metalli, idrocarburi policiclici aromatici…).
 Eccipienti: alcuni eccipienti causano delle reazioni avverse che possono rientrare nella tossicità .
Ricordiamo che nella definizione dell’AIFA di farmaco generico, l’unica parentela con branded è
la bioequivalenza (stesso principio attivo e forma farmaceutica).

Classificazione degli effetti tossici


La tossicità si classifica in base a:
 Organo bersaglio: fegato, rene, snc, sistema ematopoietico, ecc.
 Uso (in quale ambito si è esposti): fitofarmaci, solventi, additivi alimentari.
Conoscere l’uso è importante per capire quanto può essere tossica una sostanza perché aiuta a
quantificare l’esposizione alla stessa. Immaginiamo un pesticida: il soggetto più a rischio non sarà
il consumatore, bensì l’agricoltore che lo utilizza direttamente.
 Fonte: tossine naturali, sostanza di sintesi.
Per esempio, il Botulino viene comunemente usato per velleità estetiche ma la probabilità di
imbatterci in una quantità di tossina è nulla nella vita quotidiana: in questo caso la fonte naturale
è tale da ridurre il rischio.
 Effetto: mutazione, cancro, danno epatico, renale, ecc. L’effetto in quanto tale è fondamentale
per capite la gravità della situazione.
Un esempio comune è la Talidomide che provoca focomelia, malformazione nel feto. L’effetto
avverso lo ha subito il feto, non la madre.

6In merito a questo si apre una divagazione circa gli alimenti BIO e OGM: se un contadino, accanto al suo
campo, ha un campo con prodotti OGM o trattati con fitofarmaci, è certo che la sua produzione risentirà
dell’influenza di quella adiacente. Un campo BIO di fianco ad uno coltivato con fitofarmaci non sarà mai
100% biologico.

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Tossicologia – IR19

DL50
E valido il principio di correlazione dell’effetto con la
concentrazione, quindi possiamo prevedere l’effetto
avverso attraverso dei parametri, primo fra tutti la
DL50.

Il primo test che viene effettuato in tossicologia è


quello per determinare la letalità acuta di una sostanza
negli animali da laboratorio (in genere ratto o topo).
La DL50 è la dose che causa la morte nel 50% degli
animali esposti allo xeniobiotico.
Si utilizza solo negli animali e ha come corrispettivo
nell’uomo la dose tossica perché per evidenti questioni
etiche non è possibile sperimentare la dose letale.
La DL50 è misurata in mg/kg e a lato ci sono alcuni
esempi. Si può facilmente dedurre che la sostanza più
tossica sarà quella con una DL50 minore (ne basta
meno per causare letalità ).
In seguito si analizzerà come la determinazione della sola letalità acuta non sia sufficiente a delineare
l’intero spettro di tossicità della sostanza.

Come classificare un effetto tossico?

Per caratterizzare il profilo tossicologico di una sostanza occorre effettuare, come in farmacologia,
numerosi test. Questi sono atti a valutare non solo la tossicità in acuto, ma anche quella sub acuta a
medio e lungo termine e l’eventuale presenza di effetti teratogeni o cancerogeni. Inoltre, è importante
valutare il livello di esposizione per gli organismi e l’ambiente.
Le analisi risultano diverse a seconda delle
necessità , alcuni esempi:
1. Campionamento del sangue di animali
esposti alla tossina in cerca di mediatori
dell’infiammazione
2. Prelievo di organi per vederne la
funzionalità
3. Osservazione in vivo del comportamento
dell’animale in funzione dell’esposizione, ecc.

Quello che è importante è andare a definire una curva che metta in relazione la dose con la risposta e
quindi con l’effetto tossico.

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Tossicologia – IR19

I requisiti per definire una sostanza tossica sono:

1. Esistenza di uno o più bersagli molecolari


La dose-risposta implica, parimenti alla farmacologia, che la sostanza tossica interagisca col
sistema biologico.
Nella pratica, la molecola va ad interagire con recettori, fosfolipidi di membrana, DNA, enzimi,
canali, ecc. ovvero con dei bersagli molecolari, qualsiasi sia il modo con cui entra
nell’organismo.
Tutti i bersagli farmacologici possono essere interessati dall’interazione tossica e lo xenobiotico
non solo interagisce con tutti i bersagli noti ma addirittura con molti più di quanti possiamo
immaginarne.

2. Definizione della relazione di causalità


Nell’ambito della curva dose-risposta deve esserci un nesso di causalità.
Per definire il nesso di causalità possiamo portare un esempio:
Un guidatore investe un pedone e lo uccide, la prima cosa da fare è chiarire di chi sia la
responsabilità e valutare se il soggetto sia sotto l’effetto di qualche sostanza che ne altera le
capacità di guida (attraverso esami del sangue o delle urine).
1. Caso in cui il soggetto ha assunto una sostanza alterante le capacità di guida un mese
prima. Se la sostanza non ha un effetto così prolungato, non ci può essere nesso tra gli
eventi.
2. Caso in cui il soggetto abbia assunto una sostanza alterante le capacità di guida qualche
minuto prima. Se la sostanza ha un effetto immediato, c’è un nesso di causalità.
3. Caso in cui il soggetto abbia assunto una sostanza alterante le capacità di guida dopo
l’incidente. È evidente l’assenza di un nesso.
Importante per capire se un effetto avverso è frutto dell’assunzione della sostanza è definire il
nesso di causalità.

3. Metodo per misurare la tossicità


Possono essere sfruttati vari metodi per definire se una sostanza è tossica o meno e in base al
tipo di danno che si ipotizza, si va a scegliere il test più adatto.
Se vogliamo misurare la tossicità a livello cellulare, possiamo porre in una piastra delle cellule
immortalizzate, creando un ambiente fisiologico grazie al quale attecchiranno sulla piastra e
potranno crescere. Se aggiungendo la sostanza da saggiare si nota che le cellule si staccano,
significa che sono morte e quindi che la sostanza è tossica.
Per misurare la tossicità in gravidanza, si può somministrare la sostanza ad un topo e osservare se
porta a termine la gravidanza, il parto, quanti cuccioli nascono e se questi hanno delle mutazioni.
Per osservare la tossicità a carico del SNC possiamo valutare il comportamento di un animale in
seguito a somministrazione di una sostanza. In questi test si valuta la sua capacità decisionale
ponendo il topo in un percorso (una sorta di plastico a forma di Y) e osservando, in un intervallo di
tempo, se attua delle scelte e quale strada prende. Oppure, si può far nuotare l’animale e si valuta
se va da una sponda all’altra o se nuota in circolo, ecc.
Se la manifestazione tossica è legata ad un prodotto metabolico (ad un biotrasformato) si possono
fare analisi specifiche sui metaboliti.

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Tossicologia – IR19

Relazione dose-risposta dell’effetto tossico

Misurare l’effetto tossico, quantificarlo, implica mettere in atto delle misure e utilizzare dei parametri,
molti sovrapponibili all’ambito farmacologico. Questo aspetto è dovuto al fatto che, nella
sperimentazione del farmaco, è obbligatorio presentare dati circa l’efficacia ma anche relativi alla
tossicità , per valutare il rapporto rischio-beneficio. Inoltre, si quantifica l’effetto tossico anche per
avere la possibilità di traslare all’uomo le informazioni ottenute dagli animali.

I parametri utilizzati sono:


 ED50, dose che causa 50% della risposta
 DL50, dose letale nel 50% dei soggetti (animale)
 DT50, dose tossica nel 50% dei soggetti (uomo)
 IT, indice terapeutico
 MS, margine di sicurezza
 NOAEL, No Observerd Adverse effect Level
 LOAEL, Lowest Observed Adverse Effects Level

I dati che indicano la tossicità possono essere validi se utilizziamo valori numerici degli effetti tossici,
come quando dobbiamo dire se c’è un effetto terapeutico.

La valutazione della relazione dose-risposta prende in considerazione il rapporto quantitativo


esistente tra le dosi somministrate o ricevute per una particolare via, e con una particolare
durata e frequenza di esposizione, e tipo (o i tipi) di effetti tossici prodotti.
Indipendentemente dal tipo di risposta tossica che si sta investigando, la relazione che lega il grado della
risposta avversa alla quantità di sostanza somministrata assume un andamento grafico riproducibile
che rappresenta uno dei concetti più fondamentali della tossicologia: la relazione dose-risposta.
Per quelle sostanze (la maggioranza) che mostrano un effetto soglia (ovvero la necessità di superare una
data dose per poter produrre un effetto tossico), la relazione dose-risposta assume tipicamente un
andamento sigmoide.
Da un punto di vista pratico si distinguono relazioni dose-risposta sigmoidi di tipo individuale e di tipo
quantale.

1. Graduale-individuale
Descrive la relazione dose-risposta nel singolo individuo a concentrazioni diverse e
crescenti di sostanza.
In questa situazione si descrive la dose in funzione della risposta da osservare, quindi
possiamo scegliere i parametri che meglio si addicono (effetti nell’uptake di calcio, morte della
cellula tumorale ecc.). Questo tipo di risposta è caratterizzato da un aumento graduale della
severità dell'effetto tossico con l'aumentare della dose e per questa ragione si definisce anche
con il termine: relazione dose-risposta graduale.
Attenzione alla bivalenza dell’informazione: quando si valuta la tossicità , non sempre questa
ha un risvolto negativo. Infatti, nel caso di farmaci per trattare i tumori, questi devono
necessariamente essere tossici per la cellula mutata, l’importante è che non siano tossici per la
cellula sana.
Si definisce graduale perché l’effetto continuo in un determinato intervallo di dosi:
aumentando la dose di xenobiotico si misura la variazione della risposta.

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2. Quantale
Descrive la risposta dose-effetto in una popolazione di individui a dosi crescenti di farmaco.
Il risultato in questo caso è più significativo perché prende in considerazione una sfera più
ampia.
Il termine quantale (derivato partico-dalla meccanica quantistica) è stato qui scelto in quanto le
risposte osservate possono assumere solo valori discreti del tipo tutto o nulla. Cioè per ogni
data dose un singolo individuo appartenente alla popolazione è classificabile o come responder
oppure come non-responder, senza altre possibili alternative.

Per esempio, prima di commercializzare un farmaco Europeo in Asia, occorre considerare che i due
ceppi etnici hanno caratteri genetici che possono condizionare la risposta a determinati agenti e
occorre avere ben chiare le differenze possibili: non si può prescindere da queste informazioni per
commercializzare un farmaco.

Sebbene queste distinzioni fra le relazioni siano utili, concettualmente i due tipi di risposta sono
pressoché identici. Infatti nei grafici che descrivono questi due tipi di relazione sull'asse delle ordinate
viene riportata per entrambi la risposta (che dunque può essere o il grado di risposta di un singolo
individuo oppure la percentuale dei "responders" in una popolazione) e sull'asse delle ascisse la gamma
delle dosi somministrate.

Prendiamo come esempio una classe di studenti Italiani: la risposta sarà diversa a seconda del sesso e
condizionata da età e ceppo etnico sono i medesimi. Oltre a questi due aspetti vanno presi in considerazione
i polimorfismi, che spesso però sono sovrapponibili ai ceppi etnici.

Forma della curva dose-risposta

Valutando la risposta ad un farmaco, in generale potremmo osservare una curva dose-risposta con un
andamento Gaussiano, perché la maggior parte della popolazione risponde allo stesso modo. La
restante parte di popolazione, però , può essere più sensibile e quindi rispondere di più e avere un effetto
tossico peggiore o più resistente della media.
La forma assunta dalla curva dose-risposta ha implicazioni importanti nella valutazione della tossicità .
Oltre alle curve dose-risposta caratteristiche delle relazioni graduali o quantali, si possono incontrare
due altri particolari tipi di relazione dose-risposta che richiedono alcuni approfondimenti.
Il primo tipo è caratteristico delle sostanze note come nutrienti essenziali ed assume una forma ad U,
mentre il secondo tipo, è proprio di sostanze di natura eterogenea che mostrano una relazione dose-
risposta bifasica definita ormesi: caratterizzata da un effetto positivo a basse dosi e da un effetto
negativo alle alte dosi. Graficamente questo andamento tende ad assumere una forma J.

Per costruire una curva dose-risposta in laboratorio vanno stabiliti i riferimenti7 dell’esperimento e
somministrando la sostanza a dosi crescenti si osserva il risultato.
Per esempio, si può porre una quantità di fattore di crescita in una piastra con delle cellule isolate. Man
mano che si aumenta il fattore di crescita si quantifica l’effetto biologico sulla popolazione cellulare (si
valuta quanto proliferano). Misurando semplicemente in modo lineare, però , si arriverebbe presto al
valore massimo o plateau, senza riuscire a valutare gli incrementi più piccoli (grafico all’estrema
sinistra).
Invece, utilizzando un grafico semilogaritmico (grafico semilog scale), per piccoli spostamenti lungo la
X si hanno grandi spostamenti lungo la Y. All’inizio e alla fine sono presenti due flessi che possono essere
utili a capire se si è arrivati o meno al 100% dell’effetto (ad esempio alla saturazione di tutti i recettori).

 Aumentando la dose si possono definire effetti diversi!

7 Cosa si vuole osservare, si stabilisce il tipo di esperimento da fare.

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Tossicologia – IR19

Nel grafico di sinistra possiamo osservare come, ad una dose bassa, la sostanza può avere un effetto
terapeutico. Tuttavia, la stessa sostanza a dosi crescenti può manifestare effetto tossico o addirittura
letale. Fortunatamente, le curve sono spostate verso destra, il che implica che la comparsa dell’effetto
terapeutico (ED508) avviene senza avere comparsa di effetti tossici. Inoltre, ad un effetto massimo non
abbiamo la comparsa di significativi effetti tossici.

I dati di tossicità che si ottengono dai grafici, possono


essere calcolati esattamente come i dati relativi
all’effetto. Il parametro che viene modificato, di volta in
volta, è il tipo di effetto tossico che si va ad osservare.
Nella pratica, al posto di toxic effect si indica il tipo di
effetto tossico osservato, quindi, per esempio, danno
renale, danno neurologico, ecc.

8Per esempio, volendo valutare l’effetto di NorA in un tessuto ricco di recettori adrenergici, il massimo
effetto sarà dato dalla saturazione degli stessi. Visto il 100% di effetto si traccia una linea parallela
all’asse delle X che corrisponde al 50% dell’effetto e si va a valutare la dose alla quale si raggiunge questo
valore. Questa misurazione si attua sia per valutare la dose efficace che quella tossica o letale.

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Tossicologia – IR19

Relazione dose-risposta dell’effetto tossico: il caso dei nutrienti essenziali

Per le sostanze richieste per le normali funzioni fisiologiche e per la sopravvivenza (per esempio
vitamine o elementi essenziali in tracce, quali cobalto, selenio e cromo), la forma della relazione dose-
risposta individuale, determinata per l'intera gamma di dosi, assume come detto una tipica forma ad U.
Ciò significa che a livelli di dosi molto basse e quindi di marcata deficienza di tali nutrienti, le sostanze
che seguono questa particolare relazione dose-risposta, mostreranno un elevato grado di effetti avversi
che tende a decrescere poi a scomparire con l'aumento della dose. Quando la dose si trova nella gamma
delle dosi fisiologiche non si verificheranno effetti avversi e potremmo dire che l'organismo si trova in
una situazione di omeostasi. Qualora la dose sia aumentata, si potranno raggiungere livelli tossici con
manifestazioni qualitativamente diverse da quelle che si verificano alle dosi molto basse.

Il grafico non potrà più essere quello di una sigmoide


continua che va da 0 a 100% come nel classico grafico
dose-tossicità visto in precedenza.

Per attualizzare questi concetti, un esempio può essere


rappresentato dagli integratori alimentari. Per
definizione questi sono agenti che servono per
migliorare il benessere dell’organismo andando a
sopperire a delle carenze. Ad oggi, però , sappiamo che
integratori vitaminici utilizzati in modo sconsiderato
possono portare a ipervitaminosi9 (comune tanto quanto
l’ipovitaminosi nei bambini più piccoli).
Malgrado non ci siano grandi quantità di dati relativi
all’esposizione a lungo termine, la tossicità in questo
senso è prevedibile in quanto ci sono delle precise
quantità dei vari nutrienti che definiscono il range della
regione di omeostasi oltre ai quali non si dovrebbe
andare. Quando si cade a livelli troppo bassi o si va a
livelli troppo alti si rientra in casi estremi di carenza o di
tossicità . Questo vale per quasi tutti i nutrienti essenziali
e per alcuni componenti che oggi integriamo con
alimentazione e altre modalità . Il grafico in alto è
esplicativo di questa situazione: a basse dosi c’è un
effetto negativo di carenza, ad alte dosi c’è un effetto
tossico mentre nella regione tra i due effetti si rientra in
un range di attività positiva.

Effetto dei polifenoli nel vino rosso


Secondo alcuni studi, sarebbe dimostrata l’attività cardio
protettiva (migliorano contrattilità e vasodilatazione)
dei polifenoli presenti nel vino rosso. Tuttavia, ad alte
concentrazioni si hanno i classici effetti macroscopici
degli etilisti, quali cirrosi, fibrosi e carcinoma epatico.
I polifenoli (etanolo compreso), sono elementi che
possono essere rappresentati con una curva ormetica
come a lato.

La differenza tra profilo protettivo e tossico è data dalla dose e dall’ambito in cui ci troviamo.

9Per sostanze come le vitamine, dosi inferiori a quelle minime richieste giornalmente, come pure quelle
superiori alla soglia di sicurezza, possono essere associati ad effetti tossici.

12
Tossicologia – IR19

Rappresentazione quantale: frequenza di tossicità

Con la rappresentazione quantale si va a valutare


semplicemente chi risponde e chi no. la valutazione
tutto o nulla permette di rappresentare i risultati in un
grafico sempre di tipo gaussiano, in cui l’80% della
popolazione interessata risponde più o meno allo
stesso modo ad una dose identica di sostanza. Agli
estremi del grafico si pongono coloro che rispondono
troppo o troppo poco.

Mantenendo l’esempio dell’etanolo, possiamo fare un


paragone della risposta alla somministrazione di un
bicchiere di vino tra popolazioni diverse. Possiamo
prendere come riferimento la valutazione delle
capacità di guida.
1. Piccola porzione del campione che,
nonostante l’assunzione del bicchiere di vino
non ha alcun effetto sulla capacità di guida10
(non rispondono all’effetto dell’alcol).
2. Grande porzione del campione che ha lievi effetti sulle capacità di guida (risposta normale).
3. Piccola parte del campione che non ha tolleranza all’etanolo e ha grosse alterazioni nelle capacità
di guida anche a minime concentrazioni di sostanza (rispondono troppo all’effetto).

Riuscire ad etichettare un paziente come responder o non responder ha delle implicazioni enormi in
ambito farmaceutico: i soggetti che si pongono agli estremi della curva dovranno necessariamente avere
un protocollo terapeutico adattato alla loro condizione (il che implica una dose minore per i soggetti che
rispondono troppo e una maggiore per coloro che non rispondono abbastanza, ovviamente rimanendo
nelle concentrazioni terapeutiche). In questo modo, si può andare a prevenire il danno da tossicità nelle
popolazioni più suscettibili.

Un altro aspetto importante che si ricollega alla differenza di risposta è relativo alle politiche farmaco-
economiche: se volessimo commercializzare un farmaco in un altro continente, per esempio in Asia,
potremmo avere dei problemi nel dosaggio e problemi di tossicità che renderebbero inutile e addirittura
pericolosa la vendita.

10 Attenzione. Va considerato che la domanda che viene posta può essere, per esempio: ha deficit di
attenzione alla guida? In questo modo, se la risposta è NO anche ad alte dosi, il soggetto è un non
responder (regge bene l’alcol) mentre se la risposta è SI anche a piccole dosi si ha un effetto tossico. Il
grafico può cambiare a seconda del riferimento.

13
Tossicologia – IR19

Forma e pendenza della curva dose-risposta

La pendenza dà una buona indicazione di


come parte della popolazione risponderà
all’esposizione alla sostanza tossica.
Nel grafico in alto sono stati posti due punti
di riferimento: 10 e 50%.
Tracciando la parallela all’asse X possiamo
osservare come questa incontri le due curve
in punti molto diversi.

1. Quando tutti i membri di una


popolazione reagiscono in modo
simile, la curva dose- risposta è ripida
(curva azzurra) e si dice che la popolazione è omogenea. La curva è una sigmoide e con piccole
variazioni delle concentrazioni comportano grandi variazioni di effetto nella maggior parte della
popolazione.
2. Se alcuni soggetti sono più sensibili di altri (popolazione eterogenea) e allora la curva è meno
inclinata (curva viola). La curva in questione abbraccia un intervallo di dosi molto più ampio e
questo comporta la presenza di una maggiore variabilità all’interno della popolazione perché le
dosi sono molto diverse nonostante la risposta attesa sia la stessa.

Se volessimo ipotizzare uno studio scientifico11, la condizione fondamentale è la definizione della


popolazione sulla quale eseguirlo.
Per esempio, prendendo come campione solo gli studenti universitari in aula, togliamo dei bias: gli
studenti hanno circa tutti la stessa età e origine.
Se aggiungessimo al campione una popolazione di bambini di una classe elementare, andrebbe
considerata l’aggiunta della variabile relativa all’età per condurre correttamente lo studio.
Le due popolazioni in studio, infatti, sono omogenee tra loro ma non una con l’altra.
Ne consegue che, analizzando i risultati, questi saranno diversi sia per quanto riguarda l’effetto
terapeutico che per quello tossico.
Mettendo assieme i dati degli studenti universitari e di quelli della scuola elementare si può stratificare
lo studio ma è importante che non bisogna mescolare i risultati per non ottenere una curva come quella
meno pendente.

Aprendo uno studio a donne incinte, anziani e bambini, senza filtrare i risultati prima di rappresentarli
graficamente, si può incorrere in errori grossolani perché le tre popolazioni fragili citate hanno alcune
caratteristiche diverse nel funzionamento del loro organismo rispetto a una popolazione di soggetti
adulti e sani.
 È fondamentale reclutare una popolazione omogenea o produrre dei risultati stratificati.

11 Al fine di sfruttare in modo appropriato la relazione dose-risposta, dovrebbero essere soddisfatte un


certo numero di assunzioni. La prima è che vi sia un chiaro rapporto di causalità tra la sostanza
somministrata e l’effetto avverso osservato. La seconda è che l’intensità della risposta sia correlata
alla dose. Ciò presuppone l’esistenza di uno o più recettori-bersagli molecolari con i quali deve esserci
l’interazione per avere la risposta. Quest’ultima deve essere proporzionale alla concentrazione
dell’agente al sito bersaglio che a sua volta è in relazione con la dose somministrata. La terza assunzione
è che esista un preciso metodo per misurare ed esprimere la tossicità .

14
Tossicologia – IR19

I valori di NOAEL e LOAEL

In ambito tossicologico, poi, ci sono dei parametri nuovi relativi in modo specifico all’effetto tossico:
 NOAEL (No Observed Adverse Effect Level): la più alta concentrazione che non causa effetto
tossico. La più alta dose sperimentale per la quale non si osserva un effeto avverso. Il valore di
NOAEL è usato per derivare la RfD, dose di riferimento giornaliera, e la ADI, dose giornaliera
accettabile.
 LOAEL (Lowest Observed Adverse Effects Level): la più bassa concentrazione (livello o dose) che
causa un effetto tossico.
 Threshold (soglia12): dose sotto la quale non si manifesta tossicità .

NOAEL e LOAEL servono nella pratica tossicologica per indicare se una certa sostanza è pericolosa o
meno (per esempio, nel caso delle polveri sottili). Nei grafici in alto i valori di NOAEL e LOAEL sono molto
distanti e generalmente sono molto più vicini, però danno una buona indicazione del livello tossico.
Le due misure sono correlate perché vanno a definire un intervallo di dose che trova riscontro in ambiti
quali la sanità pubblica, la tossicologia ambientale e quella alimentare.

Indice terapeutico IT
L’indice terapeutico è definito in generale come il rapporto tra la dose richiesta per produrre un
effetto tossico e la dose capace di produrre un effetto terapeutico desiderato.
Andando a misurare il valore di IT si può capire come si comporta il farmaco. IT si calcola come:

𝑇𝐷
𝐼𝑇 =
𝐸𝐷

ED è la dose che causa la comparsa dell’effetto voluto nel 50% dei soggetti mentre la TD (o LD) è la dose
che causa la comparsa degli effetti tossici nel 50% dei casi.
Quindi, per esempio, se TD50 = 200mg e ED50=20mg, allora IT=200/20=10 che è indicativo di un farmaco
relativamente sicuro.

12 Attenzione: per le sostanze cancerogene/mutagene non è possibile definire una soglia di azione. Per
tali composti, che portano a una mutazione del DNA, si deve considerare che anche la più piccola dose
può indurre danni irreversibili. Tali danni possono sommarsi per contatto ripetuto scatenando, in
funzione della dose totale e del tempo, la formazione di tumori o di altri danni permanenti. Rispettando
i valori limite di queste sostanze, si minimizza il rischio di patologia neoplastica, ma il rischio non viene
eliminato.
I valori limite per i cancerogeni hanno un altro significato rispetto a quello delle altre sostanze dotate di
soglia: non essendo presente un valore soglia, si ammette che una dose infinitesimale può provocare
effetti dannosi per la salute umana.

15
Tossicologia – IR19

Osservando i grafici a lato, per prima cosa


possiamo notare che fortunatamente le curve di
tossicità sono più spostate verso destra rispetto a
quelle dell’effetto desiderato.
Nel caso in alto c’è un grande indice terapeutico e
la distanza tra le due curve è ampia: il farmaco è più
maneggevole perchè prima di ottenere un effetto
tossico c’è stato il raggiungimento del massimo
dell’effetto terapeutico.
Purtroppo, non si riscontrano queste condizioni
con tutti i farmaci e un esempio è il secondo grafico,
che potrebbe essere quello di un farmaco come il Warfarin. Nella pratica la dose di farmaco non può
essere aumentata troppo in quanto si rientra molto presto in effetti tossici.

Per sistemare la dose si va a osservare l’indice terapeutico e così si può valutare la sicurezza della
terapia.

Per IT≤2.0, il farmaco si considera con basso indice


terapeutico (NTI, Narrow Therapeutic Index). In questi
casi si rischia facilmente di rientrare negli effetti tossici
anche aumentando di poco la dose.
Un farmaco con NTI richiede il monitoraggio regolare
dei livelli plasmatici per garantire adeguato effetto
terapeutico ed evitare effetti tossici.

Nel caso in cui un farmaco NTI non funzionasse, è più utile


cambiare classe di farmaco piuttosto che andare ad
aumentare la dose avvicinandosi alla tossicità .

Esempi di farmaci con NTI:


 Digossina (cardiotonico): Tachiaritmie, blocco atrioventricolare
 Ciclosporina (immunosoppressore): tossicità renale, ipertensione, iperlipidemia
 Teofillina (broncodilatore): tossicità sul SNC
 Warfarin (anticoagulante): emorragie

Nel grafico a destra è rappresentato un altro caso in cui possiamo trovarci. La curva di tossicità e di
effetto terapeutico, nonostante siano disposte come
nei casi precedenti (tossico a destra) in
corrispondenza della parte alta si incrociano: c’è un
ambito di dosi terapeutiche che danno un effetto
tossico.
Questo fenomeno accade quando le curve non sono
parallele in tutto l’andamento e fa notare che non
sempre è sufficiente il calcolo della ED50 per avere
tutte le informazioni.

L’uso delle dosi mediane nel calcolo dell’indice terapeutico non dà informazioni circa la pendenza
delle rispettive curve dose-risposta per l’effetto terapeutico e tossico e non tiene conto di quanto e con
quali frequenze i soggetti possono discostarsi da tale valore

Per superare questo inconveniente si possono usare la DE99 (dose efficace nel 99% dei soggetti) per
l’effetto desiderato e la DL1 (dose capace di causare la morte dell’1% dei soggetti) per l’effetto tossico.

16
Tossicologia – IR19

Margine di sicurezza
Al fine di superare le limitazioni che accompagnano l‘uso dell’indice terapeutico si ricorre ad un altro
valore indice, chiamato margine di sicurezza13. Il margine di sicurezza rappresenta il rapporto tra la
dose che produce un effetto tossico nell’1% dei soggetti e la dose che produce l’effetto desiderato
nel 99% dei soggetti esaminati.

𝑇𝐷
𝑀𝑆 =
𝐸𝐷

Nel grafico a lato, al contrario del caso precedente, le due


curve sono parallele e, sia nella dose massimale che alla
base della sigmoide, sono distanziate sempre di una
stessa quantità X.

Considerando solo ED50 e TD50 si hanno delle buone


informazioni generali ma, riducendo al minimo la
risposta tossica (1%) e allo stesso tempo aumentando al
massimo l’effetto terapeutico (99%) possiamo portare
un risultato più sicuro. Si tratta, di fatto, di una
condizione di estrema cautela in cui si cerca di ridurre il
più possibile la probabilità di rientrare nel caso tossico,
per poter immettere un farmaco in commercio con una
buona certezza di effetto positivo.

Estrapolazione di specie

La valutazione della relazione dose-risposta è principalmente derivata da studi sugli animali e


solo raramente può essere desunta da studi sulle popolazioni.
Oltre a considerare una popolazione di animali più rispondente alla caratteristiche (per esempio, per
valutare la tossicità nelle donne si scelgono topi femmina), va tenuto conto che il dato deve essere poi
riportato all’uomo.
E intuibile che le differenze tra gli animali e l’uomo siano enormi, quindi occorre prestare particolare
attenzione.

Un aspetto banale ma da non sottovalutare è che gli animali da laboratorio hanno tutti lo stesso regime
alimentare, attività e stile di vita. Nel caso dell’uomo questo non avviene: a partire dal cibo abbiamo già
e prime grosse differenze, banalmente, nella colazione. Al di fuori dell’attività lavorativa ci sarà chi fa
sport, chi suona uno strumento, ecc. Da questo possiamo capire che il topo è il modello sperimentale
più pulito possibile e che riportare una sperimentazione all’uomo risulta molto complesso. Per rendere
la situazione semplice si dovrebbe far mangiare lo stesso pasto alla stessa ora, si dovrebbe sottoporre
ogni individuo allo stesso stress, alle stesse ore di sonno ecc.
Dato che questa operazione di semplificazione non è possibile, occorre convertire i dati animali
all’uomo, specialmente quelli tossicologici. Per fare ciò , si tiene in considerazione il NOAEL nell’animale
e, sulla base di studi tossicologici animali, si può calcolare la dose equivalente nell’uomo (HED, Human
Equivalent Dose).

𝑯𝒖𝒎𝒂𝒏 𝑬𝒒𝒖𝒊𝒗𝒂𝒍𝒆𝒏𝒕 𝑫𝒐𝒔𝒆 (𝐻𝐸𝐷 𝑖𝑛 𝑚𝑔/𝑘𝑔) = 𝐴𝑛𝑖𝑚𝑎𝑙 𝐷𝑜𝑠𝑒(𝑚𝑔/𝑘𝑔) × 𝐴𝑛𝑖𝑚𝑎𝑙 𝐾𝑚 / 𝐻𝑢𝑚𝑎𝑛 𝐾𝑚

13 Al fine di considerare gli individui maggiormente sensibili all’effetto tossico, la dose letale prescelta (o dose
tossica) è la DL1, ovvero la dose in grado di portare morte all’1% degli animali trattati. Sull’altro versante, al fine
di considerare gli individui meno responsivi all’effetto terapeutico desiderato, la ED presa in esame è quella
efficace nel 99% degli animali trattati (ED99).

17
Tossicologia – IR19

HED prende in considerazione quanto calcolato nell’animale e lo moltiplica delle costanti che sono
diverse a seconda della specie, viste e differenze spesso notevoli tra queste. Il dato deve essere
modificato, banalmente, anche per passare dal ratto al topo, in quanto questo hanno un valore di Km
diverso.
Km è un fattore di correzione che riflette la relazione Topo 3
tra peso corporeo e superficie corporea. In un soggetto
Ratto 6
adulto (peso 60 Kg, superficie corporea pari a 1.6 m2),
Km = 37. Cavia 8

Per le specie animali più comuni i valori di Km sono Coniglio 12


riassunti in tabella a lato.
Cane 20
Se nel topo il valore di NOAEL = 5 mg/Kg, calcolo Uomo 37
HED = (5 x 3)/37 = 0.4 mg/Kg14

Si può capire da questi calcoli che il topo può essere esposto a concentrazioni 10 volte maggiori che
nell’uomo.
Va tenuto conto del fatto che i topi, popolando praticamente ogni regione del globo, sono sottoposti ad
un numero di stimoli enorme, al quale riescono a resistere molto bene. Questa loro grande capacità di
adattamento va considerata quando valutiamo il passaggio di specie, perché sicuramente il topo sarà più
forte dell’uomo a determinati fattori. Per questo motivo, oltre a calcolare il NOAEL si va ad aggiungere
un fattore 10 per ridurre ulteriormente la capacità di avere tossicità .

Il valore di HED, quindi, viene ulteriormente diviso per 10 (safety factor, fattore di sicurezza) per
garantire un ragionevole margine di sicurezza e ridurre i rischi di tossicità nei trials clinici.
 Il dato sperimentale è traslato all’uomo calcolando HED e poi diviso per 10.

Per produrre una manifestazione tossica un agente chimico o un suo metabolita deve poter interagire
con specifici siti dell’organismo ed essere presente ad una appropriata concentrazione per un periodo
sufficientemente lungo, tale da evocare il danno.

Il danno che insorge può essere, per esempio, sui fosfolipidi di membrana, sul trasporto degli elettroni
nella catena, ecc.
Sulla base di questo concetto, risultano importanti:

Via e siti di esposizione alla sostanza

Durata e frequenza di esposizione: accennavamo a quanto fosse importante il tempo di
contatto con una sostanza per determinare il rischio di una sostanza tossica. Per i pesticidi è più
a rischio chi lo usa l’agricoltore, che ha una frequenza di esposizione maggiore. Uno studente non
è ugualmente a rischio se non ne fa uso ma ne viene a contatto solo in via del tutto eccezionale.

In ogni caso, ci sono sostanze che anche in minime quantità evocano effetti tossici, ma è fondamentale
valutare la quantità e l’esposizione per capire l’entità del problema.

14 In pratica è il NOAEL dell’uomo.

18
Tossicologia – IR19

L’80% delle sostanze che danno effetti tossici, causano problemi per via del blocco di agenti chimici in
senso lato, ci sono poi fitofarmaci e cosmetici
(non si usano più test su animali, bensı̀ nuove
metodiche di test di tossicità ) e solo una piccola
parte è data dai farmaci. E importante osservare
come la maggior parte del rischio è rappresentato
dagli agenti chimici, non dai farmaci o fitofarmaci
come si potrebbe pensare.

Parlando di uno xenobiotico ci riferiamo a una


sostanza estranea all’organismo, capace di
alterare la risposta del corpo. L’alterazione può avvenire nella sua complessità o può alterare solo un
sistema, un organo, ecc.
Si intende, quindi, l’induzione di modifiche e alterazioni quantitative funzionali nell’organismo
vivente.
L’azione può essere:
1. Specifica se va selettivamente su un recettore. Per esempio, l’atropina è un antagonista dell’ACh,
l’intossicazione da atropina è mediata dal recettore per la stessa.
2. Aspecifica se non è mediata da un recettore. Per esempio, possiamo avere un effetto ad un altro
livello e non sulla superficie della membrana cellulare o nucleare che promuovono l’azione solo se
c’è ligando. In questo caso potremmo avere una modifica della struttura fosfolipidica di membrana,
non mediata da un recettore ma comunque con effetto tossico.
Effetti:
1. Desiderati
2. Indesiderati: generalmente sono difficilmente districabili dall’effetto desiderato perché non
legati all’effetto, per esempio la sonnolenza data dagli antistaminici. Alcuni effetti indesiderati
sono comunque utili in alcune situazioni, rifacendosi all’esempio precedente, in passato gli
antistaminici venivano usati per indurre il sonno, quindi si sfruttava l’effetto. Tra gli effetti
indesiderati ci sono, tuttavia, effetti che procurano un danno che si traduce con alterazioni
funzionali e dell’omeostasi sia di gruppi di cellule che, più in grande, di distretti organici o
dell’organismo intero.

19
Tossicologia – IR19

Casi

Dal sito dell’associazione americana dei centri antiveleni arrivano una serie di casi e tabelle interessanti.

Nelle tabelle ricavate sono classificati tutti i casi di tossicità che sono pervenuti e sono stati distinti per
cercare di capire se il rischio di esposizione è maggiore a casa, al lavoro, ecc.
Come si vede a lato, il 90% degli interventi del centro antiveleni implicava casi di esposizione a
xenobiotici avvenuti in casa.
La via di esposizione maggioritaria è rappresentata per l’80% dall’ingestione15, come evidenziato dal
grafico sotto. Seguono l’apparato cutaneo e la via inalatoria, mentre solo una minima parte è esposta
attraverso il morso (es. rettili)

15Caso: soggetto ingerisce varecchina al bar perché quest’ultima era stata trasferita in una bottiglia
dell’acqua senza etichetta.

20
Tossicologia – IR19

L’età media di coloro che sono più soggetti all’esposizione è rappresentata dai bambini di età inferiore
ai 6 anni (45%) e non è una dato che stupisce. Il bambino, infatti, è meno conscio di ciò che sta accadendo
e, oltretutto, tende ad assaggiare ogni cosa.
Una buona percentuale, 27%, è rappresentata poi dagli adulti tra i 20 e i 59 anni. (sono inclusi sia i
contatti volontari che accidentali).

Le ragioni delle esposizioni sono rappresentate prevalentemente da contatti non intenzionali (vedi nota
del bar) che rappresentano il 77% dei casi. Tuttavia, dalle indagini risulta che un 19% delle esposizioni
è avvenuto intenzionalmente quindi a scopo suicida16 o per uso non corretto della sostanza e con le
sostanze d’abuso.

Il 2% è rappresentato dalle reazioni avverse


che si distinguono ulteriormente in reazioni
avverse al farmaco, a varie sostanze e al cibo.

Per quanto concerne i farmaci, va


considerato che una minima parte della
popolazione assume il farmaco al di fuori del
regime terapeutico, nella maggior parte dei
casi si tratta di soggetti anziani che
dimenticano di averlo assunto e quindi ne
assumono una dose doppia o dimenticano di
assumerlo durante la giornata.
Per i bambini si considera che questi
possono assumere farmaci inavvertitamente
ma in genere non rientrano nei casi sopra
descritti perché il regime terapeutico viene
controllato da un genitore.
Con i farmaci generici è aumentata
l’incidenza di questo problema: una certa
percentuale di ADR accadono perché i
soggetti hanno assunto il farmaco sbagliato o
hanno assunto dose non corretta (fai da te)
oppure ancora, hanno assunto insieme
farmaci che dovrebbero essere presi a distanza, ecc.

16 Viene sottolineato come modalità di suicidio siano tra le più fantasiose, dal blister di tachipirina al
flacone di barbiturici. Una delle peggiori è a mezzo di ustione data da soda caustica per ingestione.

21
Tossicologia – IR19

Il problema nasce dal fatto che, al momento dell’immissione in commercio, non essendo possibile dare
lo stesso nome del branded, si è giocato con i colori. Tuttavia, l’anziano assume i farmaci
prevalentemente ricordando forma e colore della scatola e, se questa cambia, si possono generare delle
situazioni pericolose per il paziente che assume dosi doppie.
Ci sono poi dei casi di tossicità dovuta a mal interpretazione della via di somministrazione (vedere
esempio del Tantum Rosa).
Una formulazione o dose non corretta possono altresı̀ generare problemi: per esempio se manca la
formulazione da 5mg non si può sempre dividere la compressa da 10mg in due parti e le porzioni non
saranno sempre uguali.
Per quanto riguarda le reazioni avverse da cibi, un esempio ci perviene da un articolo comparso sui
quotidiani qualche mese fa: una ragazza con una serie di allergie ha ordinato un piatto cucinato con
quantità infinitesimali di sostanze alle quali la ragazza era allergica ed è morta a causa di uno shock
anafilattico.

In tabella una serie di sostanze considerate come gran parte delle cause di tossicità . Facendo una media
tra tutti i soggetti (media delle età ) l’11% dell’effetto tossico è dovuto all’esposizione agli analgesici. Il
7,4% è rappresentato dalle sostanze per la pulizia per la casa.
Se si considerano, invece, i bambini al di sotto dei 6 anni, il 13% viene esposto a sostanze di natura
cosmetica e l’11% a sostanze utilizzate per la pulizia della casa.

Nell’adulto tra i 20 e i 59 anni la situazione varia leggermente: al primo posto ci sono gli analgesici, che
vengono utilizzati in maniera molto disinvolta e frequente, anche considerando che sono farmaci da
banco. Al secondo posto ci sono antipsicotici e ipnotici, che al momento sono in largo utilizzo nella
popolazione.
Considerata la fascia di età sembra quasi paradossale l’esposizione tossica a sostanze per la pulizia.

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Tossicologia – IR19

Nel caso dei soggetti anziani, risulta invece importante il dato relativo ai farmaci cardiovascolari perché
a quest’età in genere si inizia ad assumerli e, vista l’età sempre più avanzata, si va in contro a problemi
di tossicità a causa della mancata attinenza al piano terapeutico come visto prima.

Tra le sostanze alle quali è esposta una donna in gravidanza, al primo posto ci sono gli analgesici, al
secondo le sostanze per le pulizie di casa. Paradossalmente, la percentuale è più alta di tossicità è
rappresentata da prodotti con i quali si ha quotidianamente a che fare tra le mura di casa piuttosto che
ai farmaci (oltretutto si consideri che la donna in gravidanza non prende molti farmaci mentre è spesso
a casa dove può essere esposta a molte di queste sostanze tossiche).

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Tossicologia – IR19

In generale, i dati analizzati globalmente sottolineano come il maggior rischio sia rappresentato
dall’acetaminofene (circa 10%), utilizzato correntemente e con un uso troppo disinvolto. E seguito da
sostanze quali gli oppioidi (8%), e solo in minima parte da farmaci cardiovascolari, antidepressivi, ecc.

Un buon 11% è rappresentato da droghe e sostanze stupefacenti (uso illecito). Nei grafici sottostanti si
evidenziano gli effetti tossici tradotti in decessi di soggetti esposti a sostanze d’abuso. La curva a sinistra
rappresenta i decessi per overdose dal 1999 al 2017. A destra, invece, la distinzione tra le diverse
sostanze d’abuso in correlazione con la percentuale di morte per overdose. Negli ultimi anni ha avuto
una grande impennata la categoria di oppioidi sintetici.

24
Tossicologia – IR19

Per quanto riguarda l’intervento


terapeutico, nel 48% dei casi si procede
con la semplice decontaminazione, in
genere portata avanti con sostanze
come carbone attivo, lassativi, sciroppo
emetico di ipecacuana, lavanda
gastrica, irrigazione intestinale: sono
approcci d’urgenza che allontanano la
causa della tossicità .
Solo nel 12% si passa all’intervento terapeutico con farmaci salvavita e antidoti.

Di seguito due casi di cronaca relativi a tossicità .

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Tossicologia – IR19

La denuncia dei centri antiveleni di Milano-Niguarda e Pavia

Bevono per sbaglio lavanda vaginale, boom di intossicate. Sotto accusa lo spot.

Intossicazione acuta da ingestione impropria di benzidamina cloridrato per irrigazione vaginale


(Tantum Rosa®): casistica del Centro Antiveleni di Pavia17
Casistica clinica: Il Centro Antiveleni di Pavia nel periodo Dicembre 2009 - Ottobre 2010 ha registrato
13 casi di donne con età compresa tra i 23 e 87 anni di ingestione impropria di benzidamina cloridrato
per uso esterno (Tantum Rosa®, 500mg/bustina).
Tutti i pazienti hanno dichiarato di aver interpretato non correttamente l'indicazione all’utilizzo del
farmaco credendo che dovesse essere assunto per via orale.18

La sintomatologia presentata è stata: parestesie periorali (alterazione della sensibilità ) e vomito in 4


pazienti, vertigini in 3 e allucinazioni in 1.

La benzidammina è un principio attivo anti-infiammatorio appartenente alla famiglia dei FANS. A


dosaggi piuttosto elevati, dai 500 ai 3000 milligrammi, la benzidammina ha effetti psicotropi. A tali
dosaggi agisce sul sistema dopaminergico, determinando sensazioni di euforia. A dosi più alte si
riscontrano allucinazioni, ideazione paranoidea (comportamento paranoide), secchezza delle fauci e
convulsioni.

Frequenza di esposizione a piante


Si tratta di un problema che è comparso in particolar modo negli ultimi anni, quando è comparso il
binomio (errato) naturale-sano pubblicizzato oggi. Spesso si incorre in rischi ed effetti avversi legati ad
un utilizzo troppo disinvolto delle sostanze naturali, pensando erroneamente siano sani. In tabella ci
sono gli elenchi delle sostanze con la conseguente casistica di effetti avversi. Sono casi di esposizione
volontaria e non.

17 Le sostanze tossiche note e i relativi antagonisti sono presenti in liste specifiche nel sito del centro
antiveleni di Pavia.
18 La responsabilità è stata data alla pubblicità , poco chiara. In realtà la popolazione interessata era dai

25 anni in su quindi paradossale che non sia stato chiaro come utilizzarla.

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Tossicologia – IR19

Centri antiveleni
I centri di gestione dei veleni, come quello di Milano-ospedale di Niguarda, sono centri in cui arrivano
sia le segnalazioni di casi di intossicazione avvenuti, sia le segnalazioni in caso di emergenza perché sono
un punto di riferimento per i medici per trattare l’intossicazione (Es. portiamo un bambino in ospedale
per intossicazione, il medico effettua una consulenza diretta col centro), in questo modo si riesce ad avere
una terapia rapida e una buona riduzione degli effetti avversi.
A seconda della sostanza tossica e della via di contatto, ci sono diverse tecniche da adottare per
allontanare lo xenobiotico e limitare i danni (aumentare l’eliminazione, ridurre l’assorbimento, ecc.).

Segnalazioni di intossicazioni da uso di piante selvatiche a scopo alimentare o di automedicazione: le


specie officinali vengono utilizzate in modo improprio, oppure avviene uno scambio con specie simili,
ma velenose, al momento della raccolta.
 Mortali: si sono, ad esempio, rivelate le ingestioni accidentali di colchico (Colchicum Autumnalis)
scambiato per aglio ursino (Allium Ursinum) e di aconito (Aconitum spp) scambiato per radicchio
selvatico (Cicerbita alpina)
 Molto gravi: anche le ingestioni di veratro (Veratrum Album) scambiato per genziana (Gentiana
lutea), di Mandragora (Mandragora off) scambiata per borraggine (Borago off), di belladonna
(Atropa Belladonna) scambiata per mirtillo (Vaccinium myrtillus).

Il caso della mandragora


Pianta vivente a forma di neonato. Quando si sradica, piange in un tono cosi acuto da uccidere chi lo ascolta
(le piante giovani fanno solo svenire). Il suo estratto riporta alla condizione originaria le persone vittime
di un qualsiasi incantesimo. Vengono utilizzate per riportare alla normalità le persone pietrificate dal
Basilisco in Harry Potter e la Camera dei Segreti.

Fra le piante la più famosa è indubbiamente la famigerata


Mandragora, circondata dal mistero fin dall’antichità .
Le leggende dicevano che cresceva ai margini dei patiboli e ai piedi
degli impiccati, fecondata dal loro sperma secreto per effetto
secondario della morte subitanea per strangolamento, e che per
questo la sua forma ricorderebbe quella umana, con le radici
biforcate simili ad un paio di gambe.
Gli erbari medioevali attribuivano poteri prodigiosi a tutte le parti
di questa pianta, ma nel Rinascimento tali credenze vengono
contestate; il Donzelli e il Mattioli le deridono, mentre l’Antidotario
Romano si limita a descrivere questa pianta senza commenti.
Oggi sappiamo comunque che essa era allora usata per le sue reali
proprietà antispastiche e sedative (contiene sostanze con nucleo
tropanico come l’atropina).

La mandragora veniva considerata una creatura a metà del regno


vegetale e animale, come il meno noto agnello vegetale.

27
Tossicologia – IR19

Caso clinico: shock anafilattico da iniezione sottocutanea di mandragora d3, un farmaco


omeopatico
(Helbling A, Brander KA, Pichler WJ, Müller UB. Anaphylactic shock after subcutaneous injection of
mandragora D3, a homeopathic drug. J All Clin Imm 2000; 106: 989)

Una donna di 32 anni, senza una precedente storia di atopia19 o ipersensibilità al cibo, iniziò una terapia
omeopatica prescritta dal suo medico di famiglia per un fastidioso dolore alla spalla. La terapia
consisteva in iniezioni sottocute di 0,3 ml di mandragora D6 (2 volte/settimana), successivamente
aumentata in dose e potenza fino a D3, secondo le raccomandazioni del suo medico di famiglia.

Nonostante la donna riportasse rigonfiamenti locali ricorrenti dopo le iniezioni fatte da sé , dopo 4 mesi
il medico iniziò a fare molte piccole iniezioni di una soluzione (2 ml) di mandragora D3 a livello della
spalla e del gomito. Circa 5 minuti dopo tali iniezioni, comparvero formicolii a livello del palmo delle
mani e a livello del cuoio capelluto, nausea, gonfiore alle labbra e palpebre20.
Comparvero inoltre severa dispnea e crampi a livello dell'addome inferiore. Nei minuti successivi la
paziente ebbe un collasso e perse conoscenza e inoltre si verificò perdita involontaria delle feci.

Dopo un iniziale trattamento di emergenza, la paziente fu ricoverata nell'unità di terapia intensiva di un


vicino ospedale e fu dimessa 24 ore dopo21.
Furono effettuati prick test cutanei con un pannello di comuni allergeni inalanti, con mandragora D3 e
con polvere di radice cruda e fu dimostrata una reazione positiva (ponfo) alla mandragora D3 e alla
polvere di radice, ma non agli allergeni inalanti.

Dieci soggetti controllo atopici non risultarono positivi al prick test alla mandragora D2 (una
concentrazione 10 volte più elevata del D3). Non vennero rilevati anticorpi IgE specifici per mandragora
nel siero di pazienti mediante il sistema sperimentale ImmunoCAP FEIA, 3-4 mesi dopo la reazione sopra
descritta.

Il caso sopra descritto dimostra che il trattamento omeopatico può stimolare severi sintomi allergici
con evidenze in vivo di sensibilizzazione a questa sostanza. Per definizione in un farmaco omeopatico il
PA è diluito 10-26 ma nonostante questo margine di sicurezza le preparazioni omeopatiche possono far
scaturire delle reazioni avverse e non solo. Non vanno considerati totalmente sicuri a prescindere e
quindi non vanno somministrati alla popolazione fragile22.
Perciò gli estratti delle piante utilizzati come rimedi omeopatici possono ancora contenere determinanti
antigenici che sono riconosciuti dalle cellule T e dagli anticorpi IgE (come rivelato dalla positività del
patch test). Queste componenti possono indurre sensibilizzazione alle ripetute iniezioni sottocutanee di
piccole dosi, come mostrato per l'estratto di mandragora.
In conclusione, i rimedi omeopatici contenenti estratti di piante possono avere ancora una potenziale
attività allergizzante e non possono essere considerati assolutamente "sicuri".

19 Predisposizione genetica ad allergie e ipersensibilità .


20 Sono i primi segni di shock anafilattico.
21 Questo suppone che i segni siano regrediti.
22 Nel bambino il microbiota non è ben formato quindi il bambino (fino a 12 anni) non ha un SI che

contrasta correttamente l’agente esterno.

28
Tossicologia – IR19

CARATTERIZZAZIONE DEL RISCHIO


Identificazione del pericolo
Pericolo: è la proprietà intrinseca posseduta da una determinata entità capace di causare danni per la
salute e/o la sicurezza
Rischio: è la probabilità dell’occorrenza, entro un predefinito intervallo di tempo, di un evento
sfavorevole (per la salute e/o per la sicurezza) conseguente all’esistenza di un pericolo.

La presenza di una sostanza tossica non implica necessariamente un avvelenamento ma questo dipende
dalla gestione della sostanza e dalle misure messe in atto per evitare l’esposizione. Per esempio, una
sostanza che rappresenta un pericolo (come una sostanza chimica), se viene utilizzata in condizioni
particolari, con la necessaria attenzione, non rappresenta un rischio come quando viene utilizzata in
modo sconsiderato. Esempio: il detersivo per la lavatrice è intrinsecamente pericoloso, se lo si conserva
nella bottiglia del succo e a portata di bambini, lo si rende un rischio. Se, invece, viene tenuto nella sua
confezione e in un luogo poco accessibile, allora il rischio è notevolmente ridotto.

Caratterizzazione del pericolo


un concetto importante nella caratterizzazione
del rischio è rappresentata dalla differenza tra il
rischio percepito e quello realmente esistente.

Come si vede nella tabella a lato, si è abituati ad


associare alcuni rischi a sostanze che, nella realtà
dei fatti, non sono effettivamente rischiose.
Tra i rischi maggiormente percepiti si riscontrano per primi, per esempio, la possibilità di trovare residui
di fitofarmaci negli alimenti o problematiche relative agli additivi alimentari. Come si vede a sinistra,
questi in realtà sono tra i fattori in fondo alla classifica.
Il rischio reale, sostanziato dall’evidenza e non influenzato culturalmente è nettamente diverso.
Uno dei problemi più grandi è rappresentato dalla resistenza batterica (intossicazione), ma purtroppo
non è percepito23.
In generale, spesso si percepisce solo il beneficio associato ad una determinata attività e si sottovalutano
i rischi ad essa associati (per esempio, il fumo di sigaretta comporta una beneficio psicologico nel
soggetto, che non ha una capacità oggettiva di valutare il rischio associato).

Il fatto di non riuscire a valutare correttamente il rischio rende i soggetti altamente vulnerabili perché
se non si percepisce il rischio non si provvede nemmeno a misure che permettano di gestire il rischio.

In tabella una stima del rischio associata ad


abitudini di vita giornaliera e a fenomeni naturali.

L’accettabilità di un rischio dipende dalla natura


dell’attività esaminata. In generale, il rischio
associato ad attività volontarie, piacevoli, o che
comportano di benefici, come l’abitudine al fumo,
alla guida, sono più accettabili ai singoli individui.

23Si consideri che da qui a 20 anni ci saranno più morti per resistenze batteriche che per eventi
cardiovascolari.

29
Tossicologia – IR19

Per definire il rischio occorre innanzitutto definire il livello di esposizione e ci sono due possibili livelli:

1. Esposizione esterna: la concentrazione in cui una data sostanza è presente nei vari comparti
(ambiente, dieta, aria, lavoro, prodotti ad uso voluttuario).
Viene valutato, in questo senso, la via di esposizione. Potenzialmente ogni via di contatto
possibile con la sostanza può essere una via di esposizione (cutanea, inalatoria, orale, ecc.).
Oltre a questi fattori, si valuta la situazione in cui si è esposti. Infatti, andando a caratterizzare il
rischio occorre capire quanto si entra in contatto con la sostanza, quindi dove la si trova, quante
volte al giorno si può avere il contatto, ecc.
Per esempio: un lavoratore può entrare in contatto con un ambiente lavorativo con aria insalubre
per un tot di ore. Il rischio al quale è esposto un individuo part-time sarà minore di quello al quale
è esposto un individuo full-time.
2. Esposizione interna: la concentrazione alla quale una data sostanza è presente nei vari distretti
corporei e nel sito di azione.
Se consideriamo, per esempio, un farmaco, questo si distribuirà nell’organismo sulla base delle
sue diverse caratteristiche chimico-fisiche e interagirà in modo più o meno specifico con il sito
target. Il livello si esposizione interna dipende da come si distribuisce. Nei farmaci, sappiamo
che le sostanze lipofile tendono all’accumulo epatico, renale, adiposo e centrale.
Per quanto riguarda la tossicità , si può effettuare un parallelismo con la farmacocinetica: in
tossicocinetica consideriamo alcuni distretti maggiormente interessati dal deposito delle
sostanze tossiche, quali capelli, unghie, ossa e in generale i tessuti particolarmente
cheratinizzati24.
Per quanto riguarda il destino della sostanza nell’organismo, va tenuto conto che, una volta
entrati in contatto con uno xenobiotico, anche se questo non è dannoso come tale, può subire
processi metabolici tali da attivarlo in tossico.
Va tenuto conto della concentrazione tossicologicamente rilevante della sostanza, quindi va
definita una soglia al di sopra della quale si possono avere problematiche per la salute.

24In genere per capire se un soggetto è stato esposto tempo prima ad una particolare sostanza, si
eseguono delle analisi sui capelli.

30
Tossicologia – IR19

Nella caratterizzazione del rischio compaiono tre fasi.

1. Identificazione del pericolo

In questa prima fase si valuta la pericolosità intrinseca della sostanza in esame. In questo modo si
definiscono tutte le caratteristiche intrinseche come la reattività in determinati ambienti, la forma, il
colore, il profilo acido-base, la struttura tridimensionale, la solubilità , ecc.
Valutazione della pericolosità intrinseca della sostanza dal punto di vista chimico-fisico secondo
indicazioni di:

 Identità
o Presenza di isomeri e loro %
 Purezza
o % ingrediente attivo
o Impurezze
o Prodotti di degradazione
 Stabilità
o Durante l’immagazzinamento: per esempio, la conservazione delle bottiglie di plastica di
acqua al sole può determinare il rilascio di sostanze dannose.
o Prodotti di interazioni con altre sostanze come additivi, edulcoranti a contatto con fibre,
proteine, lipidi del cibo. Bisogna sapere che il conservante non interagisca col prodotto
alimentare perché il tutto viene ingerito nella sua complessità .
 Polarità
 Solubilità
 Coefficiente di ripartizione ottanolo/H2O
 Tensione di vapore
 Potenziale di ionizzazione
 Reattività chimica
 Stabilità pH fisiologico: un farmaco potrebbe non essere stabile a pH fisiologico e dare
problemi.
 Formulazione

Per effettuare la valutazione si sfruttano:


 SAR ( Structure-Activity relationship)
 Banche dati per vedere se la struttura molecolare nello spazio mostra similitudini o gruppi
sostituenti presenti in altre molecole di cui già si conoscono le caratteristiche tossicologiche.

In base all’analisi della struttura si ipotizza un certo tipo di interazione per similitudine con molecole
attive.

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Tossicologia – IR19

2. Caratterizzazione del pericolo


Questa fase prevede una serie di approcci sperimentali atti a valutare se la sostanza può evocare un
effetto tossico o meno. A tal proposito compaiono in letteratura tutta una serie di esperimenti e di test
che permettono di vedere se e dove è manifestata la tossicità : cellule, tipo di animale, apparato in cui c’è
manifestazione di tossicità , ecc. si testa se la tossicità è di tipo cronico o acuto, si seleziona il modello
sperimentale tenendo conto di fattori come la differenza della specie25.

La sostanza si valuta sia come tale che come metabolita, per valutare se il rischio compare solo in seguito
a biotrasformazione. Per avere informazioni in merito, si attuano dei test biologici in piastre a 96 pozzetti
in cui vengono poste le cellule del tessuto in studio e la sostanza potenzialmente tossica e poi si vanno a
valutare le alterazioni della proliferazione.
Si può osservare anche se trattando delle cellule con la sostanza ci sono delle alterazioni nei pathway
cellulari (attivazione o disattivazione di trasduzione), nella formazione delle membrane fosfolipidiche,
ecc. In seguito si eseguono delle quantificazioni dell’effetto per mezzo di curve dose-risposta al fine di
capire e quantificare l’eventuale effetto tossico.

25Per sapere se una sostanza avrà o meno una tossicità in cronico, si valuta l’intera vita del topo (circa
24 mesi) e non solo alcuni mesi.

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Tossicologia – IR19

I test possono essere:

1. Tossicocinetica: si tratta di test basati sugli stessi principi della farmacocinetica (concentrazioni
plasmatiche, metabolizzazione epatica, metaboliti attivi o meno, ecc.). La caratterizzazione della
sostanza si traduce in una sperimentazione animale oppure si sfruttano pazienti già sottoposti
ad esposizione di sostanze sospette per valutare la concentrazione della stessa sostanza o dei
suoi metaboliti.
2. Definizione della tossicità (acuta o cronica): a seconda del tipo di tossicità la situazione può
essere diversa. Nella tossicità acuta si determinano parametri come LD50 orale, cutanea e
inalatoria, eventuali reazioni di irritazione.
3. Genotossicità: si cita il caso della talidomide, farmaco non testato sulle femmine gravide di topo.
Quando è stato somministrato alle donne incinte non si aveva idea del possibile danno che poteva
incorrere.
In seguito, si notò che tutti i bambini nati da madri che avevano assunto il farmaco in gravidanza
erano gravemente malformati e da quel momento si sono resi necessari i test di genotossicità .
La sostanza analizzata per genotossicità può essere tossica:
a. A lungo termine/cancerogenesi: Una sostanza come l’alcol, ad esempio, può essere tossica
lungo termine e dare cirrosi e poi fibrosi che evolve in carcinoma. Per testarla mantengo in vita
il topo 18 mesi o il ratto 24, al fine di paragonare la sua vita a quella dell’uomo.
b. A breve termine
c. Nella riproduzione si valutano tutte le fasi della gravidanza (fecondazione, impianto,
sviluppo, parto e stato di salute del nato) e la fertilità del maschio.
d. Nello sviluppo: si tratta della cosiddetta tossicità dello sviluppo in cui a seconda del periodo
della gravidanza in cui si ha l’esposizione si hanno effetti diversi.
Per esempio, la sindrome fetoalcolica: si tratta di una patologia devastante che si manifesta
con iperattività in età scolare, alterazioni comportamentali come riduzione capacità
intellettive, faces (alterazione dei caratteri facciali).
Queste fasi delle analisi tossicologiche sono atte a garantire che i test siano stati fatti a tutti i
livelli.
Non è necessariamente detto che tutte le fasi debbano dare come risultato la sicurezza, ma
semplicemente si hanno le informazioni relative al possibile o sconsigliato utilizzo.

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Tossicologia – IR19

Studi sperimentali ed epidemiologici


 Studi sperimentali: Si somministra la sostanza con precise modalità (dose, tempo, via…) e se
ne studiano gli effetti tossici. L’esposizione alla sostanza è controllata mentre quella ad altre
sostanze è eliminata o comunque controllata (gruppi di controllo).
 Studi epidemiologici: Si studiano gli effetti di una sostanza su popolazioni che sono comunque
esposte alla sostanza, presente nell’ambiente o somministrata a scopo terapeutico (farmaci,
vaccini). L’esposizione non può essere controllata (tranne che per i farmaci) e gli individui sono
contemporaneamente esposti a molte altre sostanze o condizioni che possono influenzare
l’effetto tossico.

Le informazioni ottenute tramite sperimentazione possono fornire dei dati sui quali, però , occorre
operare delle scelte: a seconda degli organi considerati, nelle varie specie, si otterranno delle curve
diverse di esposizione alla sostanza in funzione dell’effetto.

Vantaggi degli studi sperimentali


 Condizioni di esposizione facilmente manipolabili
 Possibilità di misurare effetti diversi
 Possibilità di variare parametri (età , sesso, specie, dieta, ecc.) e fattori modulatori della risposta
 Potenzialità di valutare i meccanismi

Svantaggi degli studi sperimentali


 Possibili differenze di specie: va sempre considerata la barriera di specie, quindi quanto il
modello animale ricalca la condizione clinica umana.
 Incertezza della rilevanza dell'effetto nell'uomo
 Limitata variabilità interspecifica
 Condizioni di esposizione irrealistiche: si tratta di una condizione che rappresenta sia un
vantaggio che uno svantaggio. Chiaramente, avere delle condizioni sperimentali strettamente
controllate dall’operatore, introduce un’approssimazione non indifferente dato che nella realtà
l’uomo non va incontro ad esposizione alle stesse sostanze in modo controllato, ma casuale.

Sorge spontaneo chiedersi come mai si continui ad eseguire


la sperimentazione animale in vivo.
La risposta è che per tutti quei casi di condizioni
patologiche che non possono essere studiate tramite
un modello più semplice come quello delle colture
cellulari, in cui mancano la parte di assorbimento del
farmaco, lo smaltimento, il metabolismo, è necessario lo
studio in vivo.
Inoltre, alcuni effetti tossici (indicati in tabella a lato) sono
evidenziabili e misurabili solo in vivo, quindi il modello cellulare risulterebbe molto limitato. In alcuni
casi, servono anche particolari specie animali che presentano delle date caratteristiche.
Nello studio dell'Ondansetron ad esempio (farmaco 5-HT3 antagonista, antiemetico adiuvante della
chemioterapia), gli studi clinici andavano necessariamente fatti su una specie animale che presentasse il
riflesso del vomito (tanti animali invece non ce l'hanno), per questo sono stati scelti i furetti invece dei topi.

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Tossicologia – IR19

3. Valutazione dell’esposizione umana


Mentre nei punti precedenti si cercano le informazioni relative alla sostanza in sé e al comportamento
generale, in questo caso si va a studiare l’esposizione dell’uomo alla sostanza in esame, per valutare se
il rischio è alto o meno.
Per esempio: se si analizza una sostanza antibiotica, non si può considerare che essa sia presente solo nel
latte, ma va tenuto conto che potrebbe essere presente anche nella carne. Inoltre, dopo aver capito dove la
si trova, va considerato anche quante volte vengono assunti tutti gli alimenti contenenti l’antibiotico per
analizzare la quantità complessiva di agente tossico.

L’esposizione è data dalla somma di tutte le possibili esposizioni giornaliere e non solo la singola
esposizione che, presa singolarmente, non necessariamente è pericolosa (vedere esempio del pesticida e
dell’agricoltore).

Per quanto concerne l’uomo, si va a considerare il parametro NOAEL, che nella curva di correlazione
dose-effetto dava delle informazioni importanti. Il valore di NOAEL viene opportunamente diviso per un
fattore di sicurezza per tener conto delle variabili affrontate in precedenza.
Per paragonare la quantità alla quale è esposto il topo e quella alla quale è esposto l’uomo, si deve
considerare l’intake giornaliero (dose giornaliera ammissibile) o ADI (Admissible Daily Intake, Dose
Giornaliera Ammissibile).
L’ADI è la dose che può essere assunta da un individuo adulto per tutto l’arco della vita senza rischio
apprezzabile per la salute e si calcola come

𝐴𝐷𝐼 = 𝑁𝑂𝐴𝐸𝐿/𝑆𝐹

Dove:
 NOAEL = la più elevata quantità di sostanza che non causa effetti tossici.
 SF (Safety Factor) = trasforma il NOAEL in ADI, e può variare da 10, 100 a 1000 a seconda della
popolazione sulla quale è avvenuto il test.
SF=10, quando si hanno studi sulla popolazione umana.
SF=1000, quando si hanno studi sull’animale a breve termine, quindi non testato per molto
tempo. Il valore viene diviso per un numero molto più grande per avere maggior sicurezza.

Quando vengono compiuti più studi su diverse specie animali, i NOAEL calcolati sono calcolati per
ciascuno studio. IL NOAEL usato per calcolare il valore di ADI sarà quello che ha evidenziato un effetto
tossico alla dose più bassa.

Esempio pratico
Si testi un antibiotico P nel topo, nel ratto
e nel coniglio, ovvero in diverse specie. A
seconda della specie interessata, ci
saranno dei diversi andamenti nella curva.
Tuttavia, sorge un dubbio in merito a
quale sia il NOAEL da utilizzare nella
trasposizione all’uomo.
Per avere il maggior margine di cautela si
sceglie sempre quello più basso tra tutti,
perché presume che l’effetto tossico
avvenga a dosi minori rispetto agli altri e
può garantire maggior sicurezza.
Una singola specie non è sufficiente a
predire la complessità dei sistemi biologici e più specie non risolvono le diverse suscettibilità tra animali
e uomo.

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Tossicologia – IR19

Occorre traslare il dato


murino e quello umano, per
farlo si sfrutta un fattore che
tiene conto della tossicità
differente (se, per esempio, il
topo possiede una variante
enzimatica che trasforma il
farmaco in tossico, ma questa
variante enzimatica non è
presente nell’uomo o
viceversa, questo dato è da
tenere presente).

Non basta tenere conto del


passaggio animale-uomo, ma
occorre tenere presente anche
una differenza tra persone
diverse. Infatti, ricordando la
curva gaussiana di
distribuzione degli effetti,
anche se la maggior parte dei
soggetti presenta una risposta
simile, non devono essere
trascurate le due code della
curva.
Inoltre, la popolazione non è
mai omogenea e vanno
considerate le porzioni a
rischio (donne incinte, bambini e anziani), quindi si mette in conto un ulteriore fattore di cautela.
infatti, una volta messo in commercio, il farmaco potrebbe essere usato anche in un bambino o in un
anziano.
Per esempio, partendo dal NOAEL nell’animale, man mano che si divide per il SF, ci si sposta a dosi
sempre più piccole per garantire una minimizzazione dell’effetto tossico. In conclusione, possiamo
capire come il dato sperimentale sia indispensabile ma non applicabile tal quale.

I valori ottenuti dalla curva sperimentale vanno divisi per un fattore 10 per la barriera di specie,
e per un altro fattore 10 al fine di tutelare le popolazioni più intrinsecamente fragili: così ottengo
l'ADI, ovvero la dose a cui posso essere esposto durante l'arco della vita.

Esempio: MeHg
 2,5 µg/kg NOAEL (animals)
 0,25 µg/kg humans
 0,025 µg/kg sensitive populations

36
Tossicologia – IR19

Le dosi ricavate dagli studi sperimentali consentono di prevedere livelli di esposizione sicuri per
farmaci e xenobiotici, nei limiti delle conoscenze disponibili.

Le informazioni sulla relazione dose-risposta sono combinate con le informazioni sull’entità


dell’esposizione per produrre una stima della probabilità di osservare l’effetto tossico nella
popolazione.

Per valutare i livelli espositivi di sicurezza utilizziamo diversi indici:

 IT (therapeutic index) e MS (Safety Margin) per i farmaci


 RfD (reference dose): dose soglia con assenza di effetti apprezzabili sulla salute
RfD=[NOAEL/(UF*MF)] valori compresi da 10 e 1000 in relazione alla particolare sostanza. UF
è il valore di incertezza mentre MF è un fattore di correzione.
 ADI (Acceptable Daily Intake) è la quantità giornaliera di un composto chimico che, assunta
per tutto il periodo della vita, appare priva di rischi apprezzabili per la salute.
ADI=[NOAEL/(UF*MF)] come RfD.
In alimenti o acqua, è la dose di xenobiotico che si presume non causi danni sull'uomo (si
presume perché sono tutte sostanze testate solo su animali e il cui valore sull'uomo è ottenuto
analiticamente, non è testato sperimentalmente su uomini)
 TLV (Treshold Limit Value): livelli soglia nell'aria che determinano una probabilità di rischio
inaccettabile se superati.

Livelli soglia di esposizione per agenti tossici presenti negli alimenti e nell’acqua
Dato il valore di ADI (Admissible Daily Intake, mg/Kg/die) come dose di xenobiotico che si presume non
causare rischio apprezzabile per l’uomo, se assunto per l’intero arco della vita.
Dato TLV come concentrazione massima di residui in alimenti (Food Daily Intake) e acqua (Water Daily
Intake) per contenere l’esposizione di xenobiotico nei valori ADI.
Possiamo allora definire:

𝐴𝐷𝐼 ∗ 𝐾𝑔 (𝑏𝑜𝑑𝑦 𝑤𝑒𝑖𝑔ℎ𝑡)


𝑇𝐿 =
𝐹𝐷𝐼 (𝐾𝑔)𝑜 𝑊𝐷𝐼 (𝐿)

Nel determinare livelli di esposizione si devono considerare tutte le fonti di esposizione alle sostanze
interessate, come già sottolineato nel caso ad esempio degli antibiotici, l'esposizione avviene non solo per
terapie a base di farmaco, ma anche attraverso la carne da allevamento, dal latte ecc.
Va quindi correlato il dato sperimentale dato dall’esposizione animale con la quantità effettiva di
sostanza con la quale l’uomo può entrare in contatto: il dato raccolto nella sperimentazione animale ha
delle caratteristiche diverse rispetto a quelli ottenuti dagli studi epidemiologici, perché
nell'esperimento è l'operatore che regola ogni aspetto dell'esposizione (specie, sesso, modalità ,
dieta, contesto sociale, dose, tempi a cui sono sottoposti gli animali ecc), che è estremamente controllata
e ripetitiva, mentre nell'esposizione epidemiologica osservata nell'uomo tale esposizione è molto più
varia e non controllata.
I fattori da tener presente nel corso dell’analisi dell’esposizione, perché ne possono alterare i risultati,
possono essere:
 Stile di vita (fumatori, alcolisti…)
 Alimentazioni diverse in soggetti diversi (se qualcuno non si alimenta con proteine animali
ha un'esposizione con esiti differenti rispetto agli altri)
 Sesso, età
 Etnia e genetica
 Stato di salute e patologie preesistenti che possono implicare regimi terapeutici particolari,
con cui lo xenobiotico può interferire variando le sorti dell'esposizione (diabete, ipertensione,
possibile alterazione della funzione renale coinvolta principalmente nella detossificazione
dell'organismo e quindi responsabile della determinazione dei parametri di tossicocinetica).
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Tossicologia – IR19

Tutti questi fattori rendono i dati non puliti: negli studi epidemiologici si deve selezionare la
popolazione in modo da rendere il dato estremamente valido, che consenta quindi la determinazione di
una relazione causa-effetto valida e inequivocabile.
Per valutare l'esposizione umana in quanto tale si studiano tutti i residui di xenobiotici sui cibi, sulle
bevande, sui derivati animali destinati ad uso umano.
Necessitiamo quindi di dati precisi sul consumo e sulla presenza in modo quantitativo delle sostanze
d'interesse (i cosiddetti dati di consumo).
Va tenuto presente che ogni popolazione, per motivi geografici, sociali o culturali, si alimenta in modo
differente: alcune popolazioni non mangiano maiale, altre eccedono in carboidrati, ecc. e questi fattori
vanno tenuti presente.

L'alimento può essere rischio di tossicità perché vi si trovano:


 Molti additivi alimentari (conservanti, coloranti, esaltanti del sapore...)
 Residui di fitofarmaci nei prodotti agricoli allo stato grezzo
 Farmaci veterinari (la cui quantità dipende dal metabolismo, distribuzione, interruzione o
wash-out del farmaco prima dell'abbattimento dell'animale intrapreso al momento opportuno).

La stima del consumo alimentare di additivi, residui di pesticidi, farmaci


veterinari, richiede la disponibilità dei dati sul consumo degli alimenti e sulle
concentrazioni delle sostanze chimiche presenti.

Nei casi più semplici, l’additivo alimentare è stabile nell’alimento fino al


suo consumo, quindi deve essere stabile anche alle procedure di
preparazione. Inoltre, gli additivi devono essere inerti rispetto agli altri
componenti contenuti nell’alimento.
In altri casi la quantità di sostanza può cambiare prima del consumo dell’alimento e può dare origine a
prodotti tossici per:
 degradazione degli additivi alimentari durante la conservazione
 residui di fitofarmaci nei prodotti agricoli allo stato grezzo, che si accumulano nelle successive
fasi di lavorazione
 quantità di farmaci veterinari nei prodotti alimentari dipendenti da metabolismo, distribuzione,
e periodi di sospensione intercorsi tra trattamento e abbattimento degli animali

Per valutare l'esposizione umana si usa il valore TMDI (Tolerable Maximum Daily Intake) che
rappresenta la massima quantità giornaliera assumibile di additivi, fitofarmaci e farmaci veterinari.
E sempre inferiore all’ADI, in genere corrisponde al 10-15% dell'ADI per ciascuna sostanza, al fine di
evitare che l’esposizione a diversi alimenti contenenti la stessa molecola potenzialmente tossica non
comporti pericolo dalla somma dei suoi livelli nella dieta: una stessa sostanza tossica può pervenire
all'uomo da più alimenti diversi (contribuisce all'ADI e non alla TMDI).

Confronto tra le evidenze ottenute nella caratterizzazione del pericolo e i dati provenienti
dall’esposizione umana: maggiore è la distanza tra l’ADI e il valore di esposizione, più elevata è la
soglia di confidenza.

38
Tossicologia – IR19

VIE E SITI DI ESPOSIZIONE

Per avere delle informazioni valide circa la tossicità di una sostanza, occorre valutare attraverso quali
modalità si può essere esposti alla stessa.

Quelle che per i farmaci rappresentano le classiche vie


di somministrazione, diventano per gli xenobiotici (tra
cui i farmaci) le vie di esposizione e sono:

 Tratto GI (ingestione)
 Polmoni (inalazione)
 Pelle (via topica, percutanea, dermica)
 Sangue (via endovenosa)

Il rischio tossicologico dipende dalla via di


esposizione: la via endovenosa è molto più rischiosa
della via topica, perché quest'ultima prevede una fase di
assorbimento verso il torrente ematico che non prevede mai la
penetrazione di tutta la sostanza all'interno dell'organismo, mentre la
via endovenosa sı̀.

Nell’ordine, dalla più rischiosa alla meno rischiosa, troviamo:


1. Via endovenosa (iv)
2. Via inalatoria
3. Via intraperitoneale
4. Via sottocutanea (sc)
5. Via intradermica
6. Via orale (os)
7. Via topica

In base alla durata e alla frequenza di esposizione, ne distinguiamo diversi tipi:

Tipo di esposizione Durata Frequenza


Acuta Meno di 24 ore Singola esposizione
Subacuta 1 mese Dosi ripetute
Subcronica 1-3 mesi Dosi ripetute
Cronica Più di 3 mesi Dosi ripetute

É importante questo distinguo perché le 4 esposizioni hanno esiti differenti.

Nelle situazione di esposizione dell’uomo, la frequenza e la durata sono meno definite che negli studi
animali, perciò esposizioni ambientali possono essere descritte come acute se si ha un singolo incidente
o episodio di esposizione, subcroniche nel caso di un’esposizione di qualche settimana o mese e
croniche se l’esposizione risulta ripetuta per mesi o anni.

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Tossicologia – IR19

ELEMENTI CONDIZIONANTI L'ESITO DELLA RISPOSTA TOSSICOLOGICA

CASO A.1: DOSE SINGOLA – INSUFFICIENZA RENALE (condizioni patologiche nel paziente)

Il grafico mostra 3 curve dose-risposta differenti per lo stesso farmaco, con 3 valori di CL diversi: a
concentrazioni superiori, si rischia di sforare nell'effetto tossico, uscendo dall'ambito di concentrazioni
benefiche definite dall'indice terapeutico.
In tale caso, l’effetto tossico non dipende dalla sostanza ma dal soggetto esposto. Per esempio nel caso
di un anziano con valori di CL che evidenziano insufficienza renale, si definisce un quadro clinico che tiene
conto di un’eliminazione lenta e rischiosa del farmaco.

La stessa sostanza che in un individuo sano raggiunge certi


valori di Cmax permanenti per un certo lasso di tempo, in un
individuo con insufficienza renale risulta pericolosa perché
mette il paziente a rischio di comparsa di effetti tossici.
Man mano che l'insufficienza risulta essere più grave il quadro
si criticizza, tanto che le curve dose-risposta arrivano a
differenziarsi notevolmente, indice del fatto che la condizione
patologica determina la tossicità o meno della sostanza.

È ragionevole aspettarsi effetti tossici dovuti solamente


ad una patologia intrinseca al paziente.

CASO A.2: DOSE RIPETUTA – INSUFFICIENZA RENALE (condizioni patologiche nel


paziente)

Nel caso dell'esposizione ripetuta e non occasionale, se il


paziente ha una funzionalità renale nella norma non ci sono
problemi. Il profilo cambia nel caso di insufficienza
renale: la filtrazione ed eliminazione del farmaco della dose
precedente non viene completata prima della successiva e le
due si sommano.
Ne consegue che in tempi molto brevi le dosi raggiungono
un livello di concentrazione nell’organismo che è più
alto rispetto a quello che serve per avere solamente un
effetto terapeutico, lasciando invece spazio ad un effetto
tossico.

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Tossicologia – IR19

CASO B: sostanze con emivita differente

Nel grafico a lato è rappresentata


la relazione tra la velocità di
eliminazione e la frequenza di
esposizione. Osservando la prima
la parte del grafico, sapendo che
raffigura l’andamento della
somministrazione di una dose
singola di sostanza, si nota che le
concentrazioni che sulle ordinate
vanno da 2 a 4 (area arancione)
sono concentrazioni associate ad
un effetto tossico, mentre quelle
al di sotto del 2 no.

Le 3 sostanze prese in esame sono A, B e C:


 La sostanza A ha una velocità di eliminazione molto lenta, è somministrata al tempo 0 e viene
scarsamente eliminata per via di caratteristiche intrinseche alla sostanza stessa
 La sostanza B ha una velocità di eliminazione pari alla frequenza di dosaggio (1 giorno), parte
da un livello di concentrazione alto, ma gradualmente viene eliminata (in modo più efficiente
rispetto ad A)
 La sostanza C ha una velocità di eliminazione maggiore della frequenza di dosaggio (5 ore) e
viene eliminata in modo più veloce di tutte e tre

Nel caso di esposizioni ripetute delle tre sostanze:


 Nel caso delle sostanze A e B, a somministrazioni ripetute si tende sempre a raggiungere,
prima o poi, una concentrazione tossica.
La sostanza A, in particolare, al momento della seconda somministrazione è ancora in larga
parte presente a livello plasmatico: questo implica che alla seconda somministrazione si abbia
il raggiungimento di una dose quasi doppia rispetto a quella iniziale.
 La curva B rappresenta un quadro intermedio. Avendo B un tasso di eliminazione maggiore di A,
richiede un numero di somministrazioni ripetute maggiore rispetto ad A per arrivare nel
range di concentrazioni che provocano effetti tossici.
 La sostanza C, invece, ha emivita minore della frequenza di dosaggio quindi viene smaltita
sempre prima della seconda somministrazione e non ho effetti additivi.

In questo caso, a variare l'esito dell'esposizione è una caratteristica intrinseca alla sostanza,
ovvero l'emivita.

Una singola dose di agente tossico che produce effetti tossici può essere senza effetto se la stessa dose
viene suddivisa e somministrata ad intervalli:
 La sostanza A raggiunge le concentrazioni tossiche dopo la 2° somministrazione
 La sostanza B con emivita = frequenza di esposizione, dopo la 4° somministrazione
 La sostanza C con emivita < frequenza di esposizione, non raggiunge mai le concentrazioni
tossiche.

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Tossicologia – IR19

TIPI DI TOSSICITÀ

Ci sono diversi tipi di tossicità , riassumiamo in breve:


 Funzionale: a carico di un sistema d'organo
 Cellulare: interessa una linea cellulare, quindi un tessuto oppure alcune cellule dello stesso
 Reazioni allergiche: condizioni di reattività immunitaria (allergeni, apteni, modificatori di
antigeni cellulari, risposta immunitaria
 Idiosincrasica: reazioni imprevedibili all'esposizione di un farmaco che hanno una base
genetica
 Immediata: gli effetti immediati si manifestano dopo una singola esposizione e in tempi molto
brevi.
 Ritardata: gli effetti possono dipendere da una singola esposizione o dalla somministrazione
ripetuta di più dosi. Si manifestano dopo un certo periodo di tempo e il periodo di latenza dura
da alcuni giorni (effetti neurotossici degli organi fosforici) o può essere molto lungo, fino a 10-
20 anni per gli effetti cancerogeni.
 Locale: gli effetti si manifestano nel sito di primo contatto tra l’agente tossico e il sistema
biologico
 Sistemica: l’agente tossico deve essere assorbito dall’organismo ed esplica la sua azione in un
punto lontano da quello del contatto iniziale.
 Reversibile: l’effetto reversibile è un effetto che scompare quando termina l’esposizione
all’agente tossico. la reversibilità dell’effetto dipende dalla capacità del tessuto di riparare il
danno.
 Irreversibile: gli effetti permangono anche alla sospensione dell’esposizione.

Tossicità funzionale
Consiste nell’alterazione delle funzioni cellulari del tessuto o dell’organo senza danno diretto alle
cellule.
Quindi, coinvolge un sistema d'organo, alterando le funzioni cellulari di un tessuto che non è
necessariamente quello in cui avviene l’interazione con il bersaglio molecolare.

 Esempio 1: agonista istaminergico, una sostanza che provoca vasodilatazione non causa danni
diretti ai vasi sui quali agisce ma causa danni da risposta ipotensiva con ridotta perfusione
renale, danni al SNC e ai polmoni, tutti distretti strettamente dipendenti dalla perfusione ottimale
dell'organismo (ipotensione e riduzione di flusso ematico).
 Esempio 2: agonista adrenergico che causa contrazione vasale non danneggia il vaso ma
semplicemente lo contrae. Tuttavia, può causare tossicità renale, cardiaca o cerebrale perché le
dirette conseguenze dell'interazione sono ipertensione che porta ad ictus, danneggiamento della
pompa cardiaca, danneggiamento della funzionalità renale26.
 Esempio 3: una sostanza che stimola il rilascio di insulina dalle cellule pancreatiche (senza
danneggiarle) con fissazione del glucosio, causa ipoglicemia e tossicità indiretta anche a carico del
SNC che è fortemente dipendente dal glucosio.
 Esempio 4: una sostanza antagonista degli ormoni sessuali può causare tossicità riproduttiva
senza causare danno alle cellule dell’apparato riproduttivo. Infatti, può agire indirettamente solo
sugli ormoni come gli interferenti endocrini atti a modificare i bilanci a feedback negativo dell'asse
neuroendocrino.

Una sostanza agisce su un distretto ma ne danneggia altri, in virtù del fatto che nel nostro
organismo regna l'omeostasi, basata sulla stretta interconnessione tra diversi compartimenti
funzionali e morfologici.

26 L’ipertensione è particolarmente pericolosa rispetto all'ipotensione in questo sito.


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Tossicologia – IR19

Tossicità cellulare

Consiste nell'alterazione del funzionamento o nella distruzione di una molecola bersaglio, che
provoca un danno cellulare. La tossicità dipende dal bersaglio colpito e dalla funzione che questo stesso
bersaglio media fisiologicamente, non è a carico della sostanza tossica.

L'entità del danno dipende da vari fattori:


 Importanza della funzione mediata
 Capacità di riparazione da parte della cellula
 Danno irreversibile e/o esteso, eventuale morte cellulare
 Possibilità di sostituire le cellule danneggiate e in questo modo riparare il tessuto (no SNC).

Se l'area del danno è estesa e il tessuto necrotizza, oltre all’infiammazione si ha la formazione di tessuti
connettivi di riparazione (tessuti cicatriziali) che vanno a sostituire il tessuto danneggiato. Questo
comporta una riparazione solo parziale del danno perché non è correlato a un ripristino della
funzione, bensı̀ una perdita parziale della stessa.
Si tratta di un fenomeno particolarmente pericoloso a livello cardiaco in quanto il tessuto cicatriziale
diviene una zavorra per i cardiomiociti ancora funzionanti.

La progressione della rigenerazione del tessuto può essere eccessiva e sfociare in fenomeni di
cancerogenesi, è tipico l’esempio del fegato. In quest’organo si assiste ad una delle forme di tumore più
gravi perché ha pochi segni (difficile diagnosi precoce in tempo utile), ed è ad alto rischio di metastasi
per via dell'eccellente irrorazione. Inoltre, i trattamenti farmacologici sono ancora poco efficaci come si
evince dai dati si sopravvivenza a 5 anni.

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Tossicologia – IR19

Tossicità immediata/ritardata

 Immediata: si manifesta a breve termine dall'esposizione.


 Ritardata: si manifesta dopo mesi o anni dall'esposizione. E un grosso problema perché uno dei
modi di ridurre l'entità del danno da tossico è allontanare la sostanza tossica dall'organismo,
prevenendo ulteriori esposizioni (tipo reazione allergica ad un farmaco). Tuttavia, se
l'esposizione avviene molto prima della reazione tossica è particolarmente complessa la
definizione della correlazione causa-effetto.
Ad esempio: il dietilstilbestrolo è un farmaco che veniva molto utilizzato nelle donne in gravidanza. Una
ventina di anni in seguito al parto, le figlie femmine di donne trattate con il farmaco manifestano
adenocarcinoma uterino con elevatissima frequenza. Problemi gravi si riscontrano anche nei figli maschi.
Risalire alle cause è stato molto difficile per via del lasso di tempo consistente.

La tossicità ritardata quindi consiste nell'esistenza di un periodo di latenza che dipende:


 Dal meccanismo con cui il tossico media la sua tossicità, cosı̀ come gli agenti cancerogeni
sono tutti molto lenti perché implicano una serie di meccanismi di trasformazione neoplastica
che richiedono molto tempo per avvenire
 Dalla via di somministrazione
 Dal dosaggio
 Dalla frequenza di somministrazione

Durante il bombardamento di Hiroshima le morti immediate furono dovute all'assorbimento delle


radiazioni contestuali all'esplosione per chi era entro raggio più vicino al punto dell’esplosione. Le morti
che sono avvenute nei vent'anni successivi all'esplosione sono state causate dall'esposizione cronica alla
radioattività anche ad un raggio molto maggiore e per un tempo infinitamente più lungo.

Quando si considera l’effetto avverso che un tossico può creare, non sempre si parla di azione locale. Le
sedi della tossicità possono infatti essere diverse:
 Tessuto in particolare: sostanze irritanti come SDS, che sono caustiche e irritanti per le vie
respiratorie, oppure acidi forti come HCl.
 Sistemico: implica necessariamente che ci sia un contatto con il flusso ematico da parte della
sostanza tossica, mediante un processo di assorbimento oppure per via ev. Deve avvenire
anche la sua distribuzione e l'arrivo agli organi bersaglio (non è necessariamente detto che
la sostanza che causa tossicità sistemica agisca indistintamente su tutto l'organismo, l’effetto
potrebbe presentarsi principalmente a carico di un organo piuttosto che un altro), e ai siti di
accumulo (primo tra tutti il tessuto adiposo, che può accumulare sostanze per molto tempo che
poi possono essere rilasciate dopo dimagrimenti molto bruschi) ecc.
 Ci sono molecole che hanno tossicità sia locale che sistemica: un caso eclatante è quello
rappresentato dagli anestetici locali, che possono dare nel sito di somministrazione delle reazioni
allergiche oppure dei danni alle terminazioni nervose. Il loro effetto terapeutico prevede
l'alterazione della conducibilità elettrica: come modalità di somministrazione si prevede l'uso
precauzionale di un vasocostrittore, che limita l'effetto dell'anestetico nel sito di interesse,
impedendo che l'anestetico arrivi al cuore (pericolo di ipotensione, effetto inotropo negativo,
aritmie) e al SNC (agitazione, tremori, coma, convulsioni), ed ottimizzandone l’efficacia.

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Tossicologia – IR19

Tossicità reversibile e irreversibile


Prendendo come esempio il fegato, sappiamo che quest’organo ha una spiccata capacità rigenerativa.
In caso di danno, le cellule epatiche proliferano per ripararlo e per ripristinare la funzione.
Nel caso di infiammazioni epatiche molto gravi e intense, il meccanismo suddetto può portare neoplasie
e carcinomi epatici.
Ci sono due tipologie di tossicità :
 Reversibile: per esempio la steatosi epatica (o fegato
grasso), che è un accumulo di lipidi che altera la
funzionalità epatica: questo quadro clinico è spesso
originato da uno stile di vita e da una dieta poco sana ed
equilibrata, e proprio agendo sulla dieta si riesce a risolvere
la tossicità.
 Irreversibile: la tossicità da etanolo, derivata dal consumo
cronico nel caso dell’alcolismo, causa il danneggiamento
permanente della sostanza bianca nel cervello e la sua
scomparsa, con la sostituzione con tessuto cicatriziale, che dà
luogo ad aree morte del cervello.

Bioaccumulo e biomagnificazione
Bioaccumulo: fenomeno che si manifesta quando un essere vivente in un ambiente immagazzina una
quantità di sostanza tossica superiore di quello presente nell’ambiente in cui vive.
Ad esempio, le cozze (organismi bioaccumulatori) filtrano l’acqua e accumulano sostanze in essa contenute
concentrandole, presentandole in quantità maggiore rispetto all'ambiente in cui si trovano.

Biomagnificazione: salendo verso l’alto nella catena alimentare, verso le specie più complesse, la
quantità di sostanza tossica cresce. A causa di ciò si depositano negli elementi superiori della
catena alimentare quantità di tossici superiori a quelle che normalmente si assumerrebbero
attraverso un’esposizione al semplice ambiente in cui si vive.

La biomagnificazione deriva dal bioaccumulo in quanto siamo esposti al tossico nel cibo che
assumiamo, rappresentato da organismi bioaccumulatori.

In quest’ottica si comprende come gli organismi bioaccumulatori fungano da bioindicatori per


valutare i livelli di sostanze tossiche ai quali esposta la popolazione in quel determinato ambiente.

Lo stesso concetto viene utilizzato in viticoltura, quando si pianta una pianta di rosa all’inizio di ogni
filare: questo accorgimento viene adottato perché la rosa è soggetta a tutte le infestazioni da parassiti
che colpiscono anche la vite, quindi se la pianta di rosa è malata anche la vite è esposta allo stesso
parassita e potrebbe ammalarsi.
Un altro esempio di bioaccumulo si ha in ambiente marino: il fitoplancton in questo ecosistema è la
forma di vita più semplice, e costituisce il cibo del pesce azzurro. Le specie più grandi si cibano del pesce
più piccolo e la quantità di sostanze tossiche (ad esempio di PCB, inquinanti ambientali tossici per la
salute) che si trovano aumenta sempre più, nonostante i livelli nell’ambiente possano risultare
comunque bassi.
In cima alla piramide alimentare resta sempre la specie umana, che è contemporaneamente quella che
è maggiormente in grado di influenzare l’ambiente e anche quella che ne subisce maggiormente gli effetti
tossici.

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Tossicologia – IR19

Il caso del bioaccumulo del mercurio è


particolarmente significativo : questo metallo
pesante si accumula nelle acque reflue derivanti da
attività antropogeniche ed entra nel ciclo del
mercurio.
In seguito, subisce una serie di passaggi per cui lo si
ritrova nell’acqua, nel terreno, ma anche nelle
specie animali che vivono nell’ambiente
interessato (compreso l’uomo). Il mercurio viene
accumulato in modo particolare nel tessuto
muscolare.

Al giorno d’oggi, tutta la carne e il pesce ad uso


alimentare vengono controllati e sono soggetti a
norme stringenti dalle autorità competenti sia italiane che europee per certificare la provenienza
dell’alimento: questo perché ci sono aree del Pianeta in cui gli alimenti suddetti vengono allevati o
anche solo pescati e confezionati (e quindi prima controllati nei livelli di sostanze tossiche) in cui i livelli
limite sono meno restrittivi di quelli presenti in Italia o in Europa, e questo potrebbe esporci
attraverso il cibo a livelli di tossine che per noi sono pericolosi.
Il tonno è un pesce che presenta una particolarità: il tonno della varietà “pinna gialla” è meno soggetto
all’accumulo di mercurio perché predilige come alimentazione dei pesci dalle carni più magre e vive
in acque calde, quindi la necessità metabolica di introitare cibo è ridotta rispetto ai tonni che vivono in
acque più fredde. Questi ultimi, invece, sfruttano il cibo per mantenere le condizioni omeostatiche
dell’organismo e sono più soggetti alla contaminazione da mercurio.

Lo stesso ragionamento del tonno si può applicare a tutti i prodotti derivati da animali allevati, come
carni e latte. Questo perché può capitare di nutrire le mucche da allevamento, da cui ricaviamo entrambi
gli alimenti, con erba e altri alimenti contaminati dal terreno. Ciò significa che ogni essere umano
potrebbe essere esposto alle stesse tossine.
Mentre un individuo adulto e sano dispone di molti strumenti a livello fisiologico che consentono di far
fronte all’assunzione di quantità modeste di sostanze, le categorie particolarmente a rischio sono i
bambini e i neonati, perché esposti tramite l'alimentazione e l'allattamento (anche la madre è
esposta e costituisce una barriera ma allo stesso tempo un mezzo che media l'esposizione), ma anche
durante la gravidanza e il concepimento.
In base alle quantità che causano tossicità, le sostanze tossiche vengono distinte 3 categorie:
 Molto tossici: se DL50 è sotto i 5
mg pro kg di peso corporeo
 Tossici: se DL50 compresa tra 5 e
50 mg/kg
 Nocivi: se DL50 compresa tra 50 e
500 mg/kg

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Tossicologia – IR19

Danno cellulare

Ci sono alcuni elementi fondamentali che concernono l'interazione tra sistema biologico (che sia una
singola cellula, un tessuto, un organo o un intero organismo) e xenobiotico.
Lo xenobiotico in questione avrà delle caratteristiche proprie sia chimiche che fisiche, che
influenzeranno la natura dell’esposizione ed eventualmente la sua entità , e all’interno del sistema
biologico la molecola bersaglio dell'interazione può essere di varia natura (componenti di membrana,
recettori, DNA, neurotrasmettitori, ormoni, ecc.).
Lo xenobiotico vi instaura un legame più o meno duraturo (ionico, covalente, non covalente…) che
dipende dal bersaglio e dalla natura stessa dello xenobiotico.

Mentre l’interazione tra xenobiotico e bersaglio implica che lo xenobiotico abbia avuto accesso
all’organismo e al sistema biologico interessato, le sue conseguenze dipendono dalla natura della
molecola bersaglio e dalla funzione che media. L'effetto che lo xenobiotico ha sulla molecola
bersaglio può essere diverso:
 Trasformazione: la cellula in seguito all’interazione varia le capacità replicative
 Distruzione della cellula
 Riparazione: fenomeno jolly che può avvenire oppure no e può quindi dare vita a diverse
situazioni a seconda che il danno venga effettivamente riparato (e la funzione fisiologica del
sistema biologico sia quindi ripristinata) oppure no.
L'interazione prevede meccanismi specifici e aspecifici.

47
Tossicologia – IR19

Meccanismi specifici
Il meccanismo specifico si basa sull'interazione selettiva dello xenobiotico con proteine particolari
(recettori di membrana, enzimi, canali ionici, trasportatori, ecc.), con alterazione delle funzioni
cellulari e conseguente danneggiamento dell'equilibrio, perdita dell'omeostasi e tossicità
cellulare/d'organo (se il danno è esteso, come nel caso di danneggiamento del tratto intestinale derivato
dall’ingerimento di sostanze dannose, cui sono esposte tutte le cellule del tubo digerente).
Si instaurano legami di tipo non covalente, quindi non troppo stabili e destinati ad essere rotti. Questi
meccanismi sono tipici delle sostanze naturali, che sono in grado di:
 Inibire o attivare enzimi
 Danneggiare il rilascio di sostanze messaggere: per esempio la tetrodotossina, rilasciata dal
pesce palla, utilizzata in ricerca perché inibisce in maniera selettiva la secrezione pre-
sinaptica dell’acetilcolina, e viene usata quindi per capire, ad esempio, se un campione di
intestino si contrae per effetto della componente neurogena o per altro motivo.
 Bloccare recettori: può funzionare da antagonista, come l'atropina.
 Inibire il trasferimento di elettroni attraverso la catena respiratoria mitocondriale: così
facendo privano la cellula della principale fonte di energia, ostacolando la sintesi di ATP.
 Interagire con componenti del citoscheletro: alterano l'impalcatura della cellula e
compromettono l’integrità della membrana cellulare a cui esso è ancorato e spesso comportano
la morte della cellula.
Inoltre, danneggiare il citoscheletro e la membrana significa compromettere anche l’identità
funzionale della cellula, che spesso presenta dei recettori esposti sulla membrana che la
rendono competente a mediare particolari funzioni: se questo fenomeno avviene su molte
cellule di un tessuto, la funzione mediata dall’organo di cui questo fa parte può venire meno o
essere danneggiata.
Come si vede dalla tabella, sono molte le sostanze naturali che hanno la capacità di danneggiare in modo
specifico una funzione a livello cellulare e sono presenti anche alcune sostanze che godono di più effetti
tossici su funzioni differenti, il che le rende particolarmente pericolose (potenziamento dell’effetto
tossico).

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Tossicologia – IR19

Altre sostanze sono, per esempio:


1. Acido cianidrico: inibizione del trasporto di elettroni dei mitocondri mediante il legame del Fe3+
alla citocromo ossidasi
2. Fluoroacetato: trasformato in fluoroacetil Co-A e introdotto nel ciclo dell’acido citrico,
trasformato in fluoro citrato e inibizione dell’anzima aconitasi
3. Iodoacetato: inibizione della glicolisi per carbossilazione del gruppo SH della gliceraldeide fosfato.

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Tossicologia – IR19

Meccanismi aspecifici

Ci sono poi alcune sostanze che si avvalgono di meccanismi aspecifici, si tratta di molecole e
metaboliti elettrofili che sono estremamente reattive con sostanze ricche di elettroni presenti nel
nostro organismo, tipicamente nucleofili come le basi azotate (DNA e RNA), le proteine, i lipidi, ecc..
Questo implica che le specie in questione siano attive su quasi tutti i tipi di cellule e possono agire
contemporaneamente su più siti di attacco, andando a moltiplicare la loro pericolosità in virtù di un
potenziamento (sinergismo) dell’effetto tossico.
I meccanismi aspecifici prevedono che:
1. La sostanza (o un suo metabolita reattivo) reagisce con un qualunque substrato biologico con
un legame di tipo covalente che è più duraturo e stabile e quindi può protrarsi:
o fino all'allontanamento del tossico
o fin quando la cellula ri-sintetizza il bersaglio inficiato dal tossico per ripristinare la
normale attività: la cellula potrebbe non avere i mezzi energetici o molecolari per
farlo, oppure se il turnover del bersaglio avviene in una sede e con delle modalità
differenti da quelle contestuali alla cellula.
2. I legami covalenti formatisi dal tossico o dal suo metabolita generato dall’organismo stesso,
portano ad un alterato funzionamento della cellula e, se il danno è esteso, ad una tossicità
d’organo e di sistema.
Nelle ustioni per esempio, se il danno è davvero grave ed esteso è la cute nella sua totalità ad essere
compromessa al punto da mettere a rischio la vita del paziente.
Esistono test per poter appurare se tale danno è a carico del tossico o del suo metabolita ed è
estremamente importante questa informazione perché il metabolismo umano non è standard
ed omogeneo in tutta la specie umana e questo porta all’identificazione di categorie più a rischio
di altre.
3. Alcune sostanze modificano i fluidi biologici nella loro composizione:
o pH: sostanze acide e basiche possono alterare il pH del liquido extracellulare ma anche
della cellula stessa
o sostanze chelanti e sali che alterano la composizione ionica, come ad esempio le
tetracicline (che appunto sequestravano gli ioni Ca2+)
o sostanze che causano impoverimento di cofattori enzimatici (deplezione,
malassorbimento)
o sostanze che portano all’alterazione della concentrazione di metaboliti intermedi,
stimolando o inibendo determinate vie enzimatiche e metaboliche.
Il risultato è sempre la sofferenza tissutale/d'organo.

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Tossicologia – IR19

Valutazione delle conseguenze del danno cellulare


Per valutare l’entità delle conseguenze di un danno cellulare occorre considerare l’importanza della
funzione alterata, e per farlo occorre conoscere tale funzione.
Se ad esempio si studia una sostanza che interferisce con il trasferimento di elettroni a livello mitocondriale,
il danno sarà più grave rispetto ad una sostanza che interferisce con un recettore di membrana che la
cellula può ri-sintetizzare.
In base a questa analisi possiamo stabilire l'entità del danno e capire se questo è reversibile oppure no:
 Possibilità di allontanare il tossico dal sito interessato
 Possibilità di sintetizzare un nuovo recettore (nel caso in cui il bersaglio della tossina fosse
uno di questi)
 Probabilità di riparazione del danno: per esempio la polimerasi sbaglia di continuo ma gli
errori sono sempre arginati da enzimi riparatori o dalla ridondanza del codice genetico e questo
rende tali errori non molto gravi.
 Probabilità di rigenerazione del tessuto: in questo caso la spesa energetica per l’organismo è
completamente diversa. Per rigenerare un tessuto occorre rigenerare le cellule che abbiano la
stessa funzione e che abbiano lo stesso pattern metabolico, ma non è così semplice. Ci sono
sistemi particolarmente predisposti alla riparazione tissutale e altri che lo sono molto meno,
in cui questa misura risolutiva è meno probabile, oppure se avviene può avvenire in modo
errato, causando un ulteriore danno. Per esempio, nelle malattie neurodegenerative, il danno è a
carico di un apparato che degenera progressivamente ed in modo non controllato, perché il
tessuto non è in grado di contenere il danno, che lentamente ma inesorabilmente procede verso il
deterioramento delle funzioni principali.

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Tossicologia – IR19

La probabilità che il danno effettivamente si verifichi in seguito all’esposizione dipende dall’esito del
bilancio complessivo che risulta da due gruppi di fattori:
 Condizioni ostacolanti il danno:
o Esistenza di barriere biologiche (membrana cellulare, barriera emato-encefalica,
barriera placentare…)
o Sito di deposito: se il tossico si accumula in un sito di deposito non si dissemina per tutto
l’organismo, e secondariamente non può interagire con le controparti, anche se d’altro
canto potrebbe esso stesso un sito di tossicità
o Legame con le proteine plasmatiche o proteine intracellulari, che ingabbiano la sostanza
in un sistema, rendendola inefficace
 Condizioni che facilitano il danno:
o Trasportatori di membrana: alcuni vengono usati dagli xenobiotici per
complementarietà di struttura e profilo ionico.
o Legame intracellulare irreversibile con proteine con cui la sostanza si lega
irreversibilmente, concentrandosi nel sito del danno.
o Porosità dell'endotelio capillare: se il capillare è integro la sostanza non può che seguire
il torrente circolatorio, mentre grazie alle fessure dell'endotelio questa giunge allo
spazio intercellulare lasciando il convoglio ematico, potendo interagire con il sistema
biologico e con maggiore probabilità che riesca a causare il danno.

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Tossicologia – IR19

Specie reattive
 Radicali liberi: sono i più
pericolosi, perché hanno un
elettrone spaiato che cercano di
eliminare reagendo con qualsiasi
altra specie stabile. Nella loro
formazione si ha una rottura
omolitica un legame.
 Nucleofili: sono i meno reattivi,
tipici composti azotati (spesso
substrati degli elettrofili).
 Elettrofili: particolarmente
reattivi, reagiscono in
particolare con lipidi, proteine e
acidi nucleici.
Alterazione delle normali funzioni cellulari senza danno cellulare primario diretto (tossicità funzionale)
 tossicità d’organo o sistema (tossicità cellulare secondaria)

 Una sostanza che provochi vasodilatazione (es., alfa1-bloccante, agonista istaminergico) non
causa danni diretti ai vasi ma provoca ipotensione e riduzione del flusso ematico: danni
cerebrali, renali ecc.
 Una sostanza che causa contrazione della muscolatura vasale (es. agonista adrenergico) non
danneggia i vasi ma causa tossicità cardiaca, cerebrale, renale
 Tossicità funzionale: alterazioni delle funzioni di un sistema (nervoso, cardiovascolare,
endocrino), possibile danno d’organo
 Una sostanza che stimoli il rilascio di insulina dalle cellule pancreatiche (senza danneggiarle)
causa ipoglicemia e tossicità a carico del sistema nervoso centrale (danno neuronale indiretto)
 Una sostanza antagonista degli ormoni sessuali può causare tossicità riproduttiva senza causare
danno diretto alle cellule dell’apparato riproduttivo.

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Tossicologia – IR19

RADICALI

Un radicale è una molecola o frammento molecolare che contiene una o più elettroni spaiati nel
suo orbitali. I radicali sono specie chimiche altamente reattive, in grado di interagire con tutte le
strutture del sistema biologico, quali proteine,
lipidi e acidi nucleici, perciò sono sostanze
pericolose.
I radicali si generano da una separazione equa
(omolisi) degli elettroni, a differenza degli ioni,
che originano invece da una separazione non equa
(eterolisi) degli elettroni.
E proprio la presenza dell’elettrone spaiato che
spiega la reattività chimica del radicale nei
confronti del substrato biologico.

Tipi di reazioni alla base di una reazione tossica:


 Legame covalente (forte): si ha la formazione di addotti covalenti tra sostanze tossiche
elettrofile; i radicali liberi interagiscono con macromolecole biologiche di tipo nucleofilo, come
proteine e acidi nucleici.
Questi legami sono estremamente svantaggiosi per noi, perché la sostanza tossica resta legata
al substrato biologico e quindi altera la funzione biologica o distrugge la molecola bersaglio
oppure il legame stesso conferisce al bersaglio proprietà antigeniche (e quindi iperattività e
reazione allergica).
 Legame non covalente (più deboli): formazione di legami a idrogeno, ionici, forze di Van Der
Waals con recettori di membrana, recettori intracellulari, canali ionici ed enzimi.
Questi legami sono più vantaggiosi per noi, perché essendo il legame labile, viene liberato prima
il bersaglio biologico.
 Sottrazione di idrogeno: è la reazione attraverso cui i radicali liberi convertono molecole
biologiche in radicali.
 Trasferimento di elettroni: è alla base dell’ossidazione o riduzione di molecole biologiche (es.
ox di Fe2+ in Fe3+ e la metaemoglobinemia)
 Reazioni enzimatiche: la tossina difterica blocca l’allungamento della catena amminoacidica
nella sintesi proteica

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Tossicologia – IR19

Conversione di radicali liberi o specie reattive ROS in molecole meno reattive


L’anione superossido è il radicale maggiormente dannoso, sia perché è quello prodotto più
comunemente, sia perché è in grado di interagire con una grande varietà di substrati biologici.
Fortunatamente, esistono de sistemi cellulari di contrasto che riducono i radicali liberi convertendoli in
molecole meno reattive e più facilmente eliminabili:
 Superossido dismutasi (SOD)
 Catalasi (CAT)
 Glutatione perossidasi (GPO)
Questi sistemi però sono attivi solo nel sistema biologico, quindi hanno una limitata capacità d’azione.

Es. Se viene consumato tutto il GSH e non viene più ripristinato (es. alcolisti, digiuno forzato), non c’è più
modo di contrastare l’insulto ossidativo.
Quindi, ci possono essere alcune condizioni patologiche dell’organismo in cui c’è una maggiore
suscettibilità al danno ossidativo.

Sedi cellulari di formazione di radicali liberi

Le sedicellulari in cui si ha maggior formazione di radicali sono:


 Mitocondri: sede di respirazione cellulare e di fosforilazione ossidativa
 Perossisomi: sede della β-ossidazione acidi grassi con produzione di H2O2
 Citocromo P450, che sono enzimi ossidanti
 Enzimi citosolici: es. xantina ossidasi
 Cicloossigenasi

Le specie radicaliche si formano quando varia la tensione parziale di ossigeno in un tessuto, per es.
in seguito a riperfusione di un tessuto ischemico, da xenobiotici, per carenza di vitamine antiossidanti
(vitamine A, E, C) nell’invecchiamento, in stati infiammatori acuti e cronici, durante disordini immunitari.
Alcune sostanze vengono trasformate in radicali, a contatto col substrato biologico, quindi è la
biotrasformazione operata dall’organismo a produrre sostanze potenzialmente reattive e quindi
tossiche.

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Tossicologia – IR19

Rappresentazione schematica di una cellula sana vs cellula


sotto attacco
A sinistra è riportata una cellula in condizioni di
omeostasi, equilibrio.
A destra invece è riportata una cellula sotto attacco
radicalico (i pallini rappresentano i radicali). I radicali
non sono localizzati, ma diffusi in tutta la cellula perché
essi reagiscono con tutte le strutture, dalla membrana al
nucleo.

E importante capire come avviene il danno, il quale può


manifestarsi con un’alterata funzione del sistema
biologico, ma anche con la distruzione del substrato (a
causa dell’interazione col radicale).

Perché è importante il ruolo dei radicali liberi nelle risposte tossiche?


Es. L’esposizione ai raggi solari UV causa invecchiamento precoce, ma può causare anche melanoma, ovvero
tumore della pelle soprattutto nei fenotipi con epidermide chiara.

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Tossicologia – IR19

Il radicale libero può essere prodotto per varie cause:


 Alimentazione
 Alcol
 Raggi solari UV
 Radiazioni
 Pesticidi
 Stress
 Fumo
 Smog
 Farmaci

Il danno radicalico può avere svariate conseguenze:


 Demenza
 Ictus
 Cardiopatie
 Disordini neurologici
 Invecchiamento precoce
 Cataratta
 Infiammazione
 Diabete senile
 Artrite reumatoide
 Altri disordini cellulari
 Cancro

La capacità del danno radicalico di provocare questi effetti dipende dall’entità del danno e quindi:
 quando avviene l’esposizione
 frequenza di esposizione
 concentrazione della sostanza a cui si è esposti
 stato di salute dell’organismo e capacità di contrastare il danno

Fisiologicamente, la biotrasformazione metabolica (principalmente a carico epatico) serve a


trasformare le molecole (endogene e soprattutto esogene) con l’obiettivo di eliminarle.
Questo in realtà non è sempre vero, perché potrebbe anche servire a passare dal profarmaco al farmaco.
Le reazioni in questione sono a carico di un pool di enzimi presenti principalmente nel fegato, ma anche
a livello di barriera ematoencefalica, placenta, intestino, apparato respiratorio, ecc.. Si trovano quindi in
tutti i distretti dell’organismo che ci mettono in contatto con l’ambiente esterno e vanno a trasformare
le sostanze esterne o in composto positivo o in composto tossico.

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Tossicologia – IR19

Si distinguono quindi:

Tossificazione (o attivazione metabolica): conversione/biotrasformazione di sostanze esogene


in prodotti tossici. Permette di capire se la sostanza è tossica di per sé oppure se diventa tale quando
viene in contatto col sistema biologico.

Detossificazione: biotrasformazione della sostanza in specie più facilmente eliminabili. Servi


quindi ad eliminare sostanze tossiche o a prevenirne la formazione.

1. Tossificazione da radicali liberi dell’O2


La tossificazione è una reazione negativa, in cui la reazione del radicale libero col substrato
produce sostanze tossiche.
Il sistema delle mono-ossigenasi citocromo P-450-dipendenti è responsabile dell’ossidazione
di substrati esogeni ed endogeni (farmaci, acidi grassi, steroidi, ecc.) e della riduzione di pochi
composti. Il citocromo P-450, in presenza di certi substrati, porta ad una parziale riduzione
dell’ossigeno molecolare O2 e alla formazione di anione superossido O’2- e di perossido di
idrogeno H2O2 (che è meno pericoloso perché può poi essere convertito in H2O).
O2 + e- → O2’- + H2O

2. Meccanismi cellulari dell’azione tossica dei radicali liberi.


Il radicale libero ha un’azione tossica perché è alla base di varie reazioni, quali:
 stress ossidativo
 perossidazione dei lipidi
 deplezione del gruppo tiolico nelle proteine → alterazione della struttura di recettori,
enzimi, trasportatori, canali di membrana, ecc.
 alterazione dell’omeostasi del Ca2+

3. Detossificazione: tentativo di contrastare il danno radicalico attraverso delle reazioni


enzimatiche.
 detossificazione delle sostanze xenobiotiche
 detossificazione dei radicali liberi

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Tossicologia – IR19

Anione superossido
La generazione a cascata dei radicali liberi dell’O2 avviene in moltissimi casi di tossificazione.
Lo ione superossido viene prodotto:
 quando ci sono composti che reagiscono spontaneamente con l’O2 auto-ossidandosi (es.
catecolamine= adrenalina)
 per intervento di alcuni sistemi enzimatici (es. xantino-ossidasi, aldeide-ossidasi, CYP450) che
trasformano la sostanza in radicale
 quando una radiazione ionizzante attraversa una soluzione acquosa contenente O2
 durante l’attivazione della fagocitosi dei granulociti come mezzo battericida: l’organismo
produce il radicale come meccanismo di difesa dai microrganismi.
Normalmente, questi meccanismi servono
all’organismo. Il problema sorge quando la
produzione dei radicali non è più controllata o
quando i sistemi di contrasto funzionano male.
In figura, il ruolo dell’ossigeno nel danno cellulare.
L’ischemia causa danno cellulare, riducendo l’apporto
cellulare di ossigeno. Altri stimoli, come quello della
radiazione, inducono danno attraverso specie
tossiche dell’ossigeno attivato.

Con stress ossidativo si intende la serie di eventi innescati dai radicali liberi:

 Perossidazione lipidica
 Ossidazione e deplezione di glutatione: il GSH è la forma ridotta e quindi funzionante, se però
viene ossidato e non più ulteriormente ridotto, viene a mancare un glutatione in grado di
contrastare il danno
 Ossidazione dei gruppi tiolici proteici: alterazione (riduzione o eliminazione) della funzione
della proteina
 Alterazione dell’omeostasi ionica: attraverso l’alterazione delle pompe di membrana,
necessarie per mantenere la corretta composizione di ioni intra e extracellulare; attraverso
l’alterazione dei pori di membrana, attraverso cui passa l’acqua; attraverso l’alterazione dei
recettori di membrana che riconoscono i fattori di crescita.
 Danno al DNA
 Alterazioni citoscheletriche
 Alterazioni mitocondriali (dove viene prodotta ATP) e deplezione di ATP: la cellula quindi
resta senza energia
 Comparsa di siti di fragilità sulla membrana: può portare a lisi cellulare
 Morte della cellula

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Tossicologia – IR19

Perossido di ossigeno
L’H2O2 si produce sempre in concomitanza alla generazione di O2 a causa della reazione di dismutazione
mediata dalla superossidismutasi. Il radicale OH si produce a partire dall’ H2O2 attraverso due reazioni:
 reazione di Fenton: H2O2 + Fe2+ → Fe3+ + OH- + OH’
 reazione di Haber-Weiss: H2O2 + O2- ---Fe2+---→ O2 + OH- + OH’

Tra le forme dell’ossigeno, i radicali idrossilici sono la specie più tossica perché altamente reattiva e priva
di ogni meccanismo di inattivazione endogena

Perossidazione lipidica
Comprende una complessa serie di eventi attraverso i quali le catene di acidi grassi dei fosfolipidi di
membrana sono convertiti in una serie di prodotti di frammentazione. Nella lipoperossidazione il
radicale sottrae un H+ alla catena dell’acido grasso insaturo.
Le conseguenze sono:
 l’immediata alterazione strutturale e funzionale della membrana (che funziona da barriera, ma
è anche sito di scambi ionici e di localizzazione di trasportatori e recettori)
 la produzione a cascata di radicali reattivi

La perossidazione porta alla distruzione dei lipidi che normalmente danno la consistenza alla
membrana. Il tutto causa l’alterazione della struttura della membrana e quindi alterazioni della
funzionalità .

Perossidazione lipidica di acidi grassi poliinsaturi


Quando i lipidi di membrana vengono in contatto con un radicale, questo reagiscono col lipide
rendendolo a sua volta una specie radicalica per perdita di un H. Dopodiché il radicale reagisce con altre
molecole lipidiche.
I radicali, quindi, agiscono da
innesco di una reazione a catena.

La frammentazione dei lipidi porta


alla produzione di due prodotti:
 4-idrossi nonenale
 malondialdeide (MDA),
che è utilizzata come
marcatore di stress
ossidativo in quanto è il
prodotto finale.

I lipidi ossidati possono a loro volta


ossidare le proteine di membrana.
La formazione di radicali può
danneggiare strutture distanti dal
sito iniziale d’attacco.

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Tossicologia – IR19

Oltre ai lipidi, i radicali possono reagire con acidi nucleici, carboidrati e proteine. Le proteine sono ricche
in gruppi tiolici –SH che vengono ossidati dai radicali dell’ossigeno, con conseguente perdita di
funzionalità o distruzione della proteina.
R-SH + X° → RS + HX

Esempio del tetracloruro di carbonio


Il CCl4 veniva utilizzato in passato come componente nel liquido degli estintori, nel liquido di
raffreddamento nei frigoriferi, nei condizionatori,
negli smacchiatori e nei lavaggi a secco. Questo può
far dedurre che alcuni soggetti fossero più a rischio
di altri.
Il problema del CCl4 è che viene metabolizzato a
radicale triclorometile °C-Cl3, che a sua volta
forma a serie di composti estremamente reattivi
con una potenzialità tossica molto elevata:
 a triclorometanolo, fosgene e CO2 (in
condizioni aerobie)
 a cloroformio, esacloroesano e CO (in
condizioni anaerobie)

Inoltre, in questa forma può dare luogo alla


perossidazione lipidica, causando tossicità a vari
livelli:
 epatica: degenerazione e necrosi →
tossicità maggiore perché la
biotrasformazione avviene
prevalentemente nel fegato
 renale: degenerazione e necrosi
 polmonare: irritazione bronchiale,
polmonite, edema polmonare
 cute: dermatite
 cardiaca: aritmie
 SNC: azione depressiva
 azione irritante sull’apparato gastro-
enterico.

Meccanismo d’azione
Il CCl4 induce un’alterazione dei lipidi, in particolare una perossidazione lipidica, e successivamente i
lipidi perossidati si accumulano negli
epatociti -poiché a livello epatico la
biotrasformazione è massiva- (NB. Gli
epatociti servono sia a biotrasformare sia a
produrre bile). Questo ingombro lipidico
negli epatociti provoca una serie di
conseguenze a tutto ciò che ha attorno
(proteine, mitocondri, nucleo, ecc.). In
particolare, i danni che possono portare
alla morte cellulare sono il
danneggiamento del mitocondrio (che
causa l’incapacità di produrre ATP) e
l’alterazione della quantità di Ca2+
intracellulare.

61
Tossicologia – IR19

Oggi il CCl4 viene utilizzato per allestire un modello animale di danno epatico. Si somministra il CCl4 al
ratto o al topo tramite sonda orale per 50-60 min. Dopodiché si valuta la trasformazione della molecola
in radicale tossico.
Nel modello sperimentale di induzione del danno epatico, si pretratta l’animale con degli induttori
enzimatici del tipo citocromo P450 e solo successivamente si somministra il CCl4, in modo tale questo
venga biotrasformato in radicale molto più velocemente.

Riassumendo : Meccanismo d’azione de radicali

 danno diretto: i radicali interagiscono direttamente con bersagli cellulari, ossia lipidi
(perossidazione lipidica), proteine (ossidazione gruppi tiolici proteine), acidi nucleici
(modificazioni ossidative del DNA)
 danno indiretto: i radicali interagiscono con componenti cellulari e questa interazione porta al
danno.
Es. inattivazione della capacità del glutatione a tornare allo stato ridotto, cosı̀ da bloccare il
sistema di contrasto (ossidazione del GSH a GSSG: le proteine rimangano ossidate!)
 danno non generato dai radicali: in questo caso intervengono dei meccanismi di difesa che
riparano le lesioni causate dai radicali.
Es. Danno ossidativo al DNA. Il DNA possiede dei sistemi per riparare il danno che richiedono
energia, se però l’energia non è sufficiente, la cellula va indirettamente incontro a morte. Questo
accade perché il danno attiva un enzima adibito alla riparazione del danno (ADPRT) → questo
enzima consuma NAD e se questo cofattore non viene ripristinato (quindi si ha una carenza di
NAD) la reazione non procede: inibizione catena respiratoria mitocondriale → diminuzione ATP
→ danno cellulare.

62
Tossicologia – IR19

MECCANISMI DI TOSSICITÀ

Fasi che avvengono dal momento in cui si ha il contatto tra la sostanza tossica e il sistema biologico fino
alla risposta tossica.

Fase 1: Rilascio dello xenobiotico


Rilascio dello xenobiotico dal sito di esposizione (es. cute) fino al bersaglio. La sostanza tossica deve
innanzitutto attraversare le membrane cellulari per poter raggiungere il torrente ematico, dove può
essere distribuito. A questo punto passa attraverso il fegato, dove può essere attivato oppure
detossificato. A seconda di quale sarà il destino a livello epatico, si avrà una diversa via di escrezione
(urina, feci, bile, dal tratto respiratorio).
In queste fasi, lo xenobiotico può essere sequestrato ed accumulato in un tessuto (es. adiposo, osseo,
adiposo del SNC)
 assorbimento
 distribuzione
 attivazione metabolica e detossificazione
 escrezione

Fase 2: reazione del tossico con la molecola bersaglio


 l’effetto dipende dai tipi di reazione: es. una reazione che instaura un legame forte impedisce di
ripristinare la funzione.
 Effetti su molecole bersaglio: possono alterare la funzione, distruggere il bersaglio, rendere il
bersaglio un antigene che innesca una reazione allergica.

Fase 3: disfunzione cellulare e tossicità risultante. Riguarda:


 disregolazione (o regolazione alterata)
 alterazione omeostasi cellulare: interferenza con ATP e Ca2+

Fase 4: riparazione efficiente o riparazione errata


Non sempre i sistemi enzimatici di contrasto sono in grado di svolgere efficacemente la loro attività , o
perché il danno è troppo elevato e il tentativo di riparazione inutile oppure perché il danno non viene
riparato ma trasmesso alle cellule figlie.
Es. Nel caso di un evento ulcerativo della mucosa gastrica, le cellule circostanti l’area del danno iniziano a
migrare verso il sito e a secernere dei fattori di crescita per riparare il danno; si forma un tessuto fibrotico,
che ha sì una similarità morfologica, ma non svolge la stessa funzione.
 Riparazione molecolare
 Riparazione cellulare
 Riparazione tissutale

63
Tossicologia – IR19

MECCANISMI DI DIFESA DELLA CELLULA

Prima di riparare il danno, il sistema biologico cerca di contrastarlo e questo può effettuarlo attraverso
diversi sistemi:

1. Sistemi antiossidanti, che impediscono la formazione delle specie radicaliche:


 catalasi (CAT): trasforma H2O2 → H2O + O2
 superossido-dismutasi (SOD): converte l’anione superossido in H2O2

2. Agenti che interferiscono con la propagazione della reazione tossica (come quella
radicalica), inducendo la terminazione o la formazione di un radicale meno reattivo.
 Vitamine A, C, E (sono vitamine antiossidanti): reagiscono con i radicali liberi, cedendo
un elettrone e trasformandosi in radicali stabili o detossificati dai sistemi enzimatici.
 il glutatione ridotto (GSH): è un meccanismo fisiologico di contrasto al danno. Esso
reagisce coi radicali, cedendo un elettrone e formando cosı̀ il radicale GS°. L’unione di
due radicali GS° forma il glutatione ossidato (GSSG) che viene poi ridotto dalla glutatione
reduttasi.

Schema generale di reazione


Lo xenobiotico interagisce con qualsiasi molecola bersaglio, attraverso una certa reazione (covalente o
non covalente). L’interazione dipende da quanto la molecola è accessibile (es. Nel caso del DNA, essendo
impaccato nella struttura cromosomica è difficile accedervi) ma anche dalla funzione che media il
bersaglio e dalla sua reattività . Gli effetti risultanti possono essere diversi: il bersaglio può essere
trasformato, distrutto ed eventualmente riparato.

L’interazione tra lo xenobiotico e la molecola bersaglio causa una serie di eventi biochimici e cellulari
che a loro volta possono attivare i meccanismi di difesa a livello molecolare, cellulare o tissutale. Quando
le alterazioni indotte dal tossico superano le capacità riparative, i danni si manifestano a vari livelli
dell’organizzazione biologica (macromolecole, organuli, tessuti, organi). L’identificazione delle molecole
bersaglio coinvolte nella tossicità di uno xenobiotico è fondamentale per la valutazione dei rischi
associati alla sua esposizione. Le macromolecole come gli acidi nucleici, le proteine e i lipidi di
membrana rappresentano i bersagli principali e più importanti da un punto di vista tossicologico.
Una molecola endogena, per essere un bersaglio, deve avere la reattività e la struttura chimica per
permettere legami covalenti e non covalenti con il tossico. La reazione del tossico con le molecole
endogene può causare disfunzione o distruzione cellulare.

64
Tossicologia – IR19

EFFETTI DELLE SOSTANZE TOSSICHE SULLE MOLECOLE BERSAGLIO

Distruzione della molecola bersaglio


Alcuni xenobiotici, le tossine, possono legarsi al bersaglio biologico attraverso legami crociati,
che sono legami molto forti che inattivano la struttura e rendono il bersaglio suscettibile alla
degradazione spontanea. Il complesso tossina-recettore viene infatti indirizzato al complesso
lisosomiale, dove viene distrutto.

Formazione di neoantigeni
Il legame covalente di alcune xenobiotici alle proteine può formare i neoantigeni, che sono in
grado di evocare una risposta immunitaria. In questo caso non si modifica il bersaglio, ma si
cambia l’effetto.
Es. penicillina, nichel

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Tossicologia – IR19

Disfunzione della molecola bersaglio

L’interazione con la sostanza tossica altera la conformazione o la struttura della proteina e ne modifica
di conseguenza la funzione. Es. attività catalitica di un enzima, legame covalente di prodotti tossici al
DNA e alterazione della replicazione.
Es. Esistono degli xenobiotici che interagiscono col DNA grazie alla loro particolare struttura planare, per
cui sono in grado di intercalarsi tra le basi del DNA, rendere così la struttura più rigida e quindi incapace
di effettuare la trascrizione.

Disregolazione dell’espressione genica:

Alterazione della trascrizione di fattori di trascrizione e regione regolatoria dei geni: non avviene
l’interazione diretta tra xenobiotico e recettore, ma esso impedisce la trascrizione del bersaglio.

Struttura del gene.


La zona promotore è costituita da una serie di basi
condizionanti per avviare la trascrizione: a questo
livello si legano le proteine capaci di dare il segnale
di inizio.
Questa zona è molto importante, soprattutto se è sito
di legame di xenobiotici, che possono stimolare o
inibire la trascrizione, col risultato che a valle o il
trascritto è troppo oppure è troppo poco.

Alterazione della trasduzione del segnale (traduzione di un messaggio chimico extracellulare in una
risposta intracellulare): alcuni agenti tossici alterano la fosforilazione recettoriale, che è proprio la
reazione che permette di trasdurre un determinato segnale.
Alcuni xenobiotici come esteri del forbolo, fumonisina B, e Pb2+ facilitano la fosforilazione di alcuni
trasduttori di segnale, promuovendo la mitosi e la formazione del tumore.
Alcuni xenobiotici come microcistina LR (da alga verde) e acido okadaico (da dinoflagellato) inibiscono
le fosfatasi e quindi provocano una fosforilazione aberrante delle proteine.
L’esito dipende dallo xenobiotico, dall’interazione, dalla funzione della proteina.

Alterazione della produzione di segnali extracellulari: gli ormoni ipofisari hanno effetti mitogeni sulle
ghiandole endocrine. La produzione di ormoni ipofisari è sotto controllo feedback negativo degli ormoni
delle ghiandole periferiche. La perturbazione di questo sistema influenza negativamente la secrezione
ormonale dell’ipofisi e quindi delle ghiandole periferiche

Esempio. Nell’asse neuro-endocrino, i centri comunicano con la periferia tramite degli ormoni o dei fattori
di controllo dell’attività di alcune ghiandole che vengono immessi in circolo (L’asse ipotalamo-ipofisi è la
più importante area di interconnessione tra sistema nervoso e sistema endocrino: l’ipotalamo riceve segnali
dal sistema nervoso autonomo e da altre aree cerebrali e secerne neurormoni peptidici che stimolano o
inibiscono il rilascio di ormoni dall’ipofisi). Alterando questo sistema, che funziona con un meccanismo di
regolazione a feedback negativo (ossia tanto più ormone è in circolo, tanto meno sarà la sollecitazione alla
produzione), viene inviato ai sistemi centrali un segnale di blocco della produzione ormonale, in quanto
l’organismo registra livelli elevati di ormone. Di fatto, la quantità di ormone reale è troppo bassa, quindi
non arriva a sufficienza in periferia e perciò non media la sua funzione. Gli interferenti endocrini lavorano
in questo modo: sono sostanze tossiche anche a piccole quantità, che mimano l’azione degli ormoni
endogeni, quindi bloccano l’ormone naturale e allo stesso tempo bloccano anche la produzione.

66
Tossicologia – IR19

Effetti degli ormoni ipofisari sulle ghiandole periferiche e feedback negativo

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Tossicologia – IR19

Disregolazione dell’attività cellulare

Di cellule elettricamente eccitabili, ossia neuroni e cellule del muscolo scheletrico, liscio, cardiaco: la
perturbazione dell’attività cellulare può essere dovuta ad alterazioni della concentrazione dei
neurotrasmettitori, funzionalità del recettore, trasduzione del segnale, processo che porta alla
terminazione del segnale.
Di altre cellule (trascurabile).

Es. Come alterare la funzionalità del muscolo scheletrico? (La placca motrice è la struttura di giunzione tra
la terminazione nervosa e la muscolatura ed è dove viene liberata l’acetilcolina)
a. Intervenendo sul neurotrasmettitore, in modo da alterare funzionalmente il tessuto eccitabile: si
impedisce la liberazione di acetilcolina, che quindi non arriverà mai a livello post sinaptico e perciò
si avrà paralisi muscolare.
b. Interferendo con la trasduzione del segnale, che parte dal recettore e arriva alla struttura in cui è
richiesta la contrazione del muscolo: l’acetilcolina viene liberata, ma poi degli agenti tossici
interferiscono.
c. Bloccando i sistemi di spegnimento del segnale, viene aumentata la stimolazione del sistema
(l’attività dell’acetilcolina sul recettore è tempo-dipendente, ossia dopo circa 1ms viene degradata
dall’acetilcolinesterasi).

Agenti che agiscono sui sistemi di segnalazione per neurotrasmettitori e provocano disreglazione
dell’attività temporanea delle cellule elettricamente eccitabili, come i neuroni e le cellule muscolari.

La tubocurarina è un antagonista non depolarizzante che agisce sul recettore per competizione con ACh.
L’atropina (Belladonna) è un antagonista competitivo del recettore che impedisce all’Ach di frenare
l’attività cardiaca: il risultato è la tachicardia.

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Tossicologia – IR19

Invece che agire sul recettore, si può agire anche su altri bersagli, ossia i canali.
La tetrodotossina (tossina del pescepalla) blocca il canale del Na+ voltaggio dipendente, impedendo alla
terminazione di liberare l’Ach. Quindi agisce a monte, perché l’Ach resta nella giunzione presinaptica.

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Tossicologia – IR19

Alterazione omeostasi cellulare

L’omeostasi cellulare è l’insieme di funzioni che garantiscono la sopravvivenza della cellula e il


suo corretto funzionamento e prevede:
 sintesi di molecole endogene
 assemblaggio di complessi macromolecolari (es. reticolo endoplasmatico, necessario per la
maturazione e l’organizzazione delle proteine)
 mantenimento dell’ambiente intracellulare (corretto bilancio ionico intracellulare rispetto
all’esterno)
 produzione di energia per il funzionamento

Un’alterazione dell’omeostasi provoca deplezione di ATP, che è la fonte principale di energia,


necessaria per permettere:
 contrazione muscolare
 polimerizzazione del citoscheletro
 motilità cellulare (movimento delle cellule verso un sito di lesione)
 divisione cellulare
 trasporto vescicolare (es. trasporto di vescicole contenenti Ach)
 mantenimento morfologia cellulare
 funzionamento trasportatori di membrana

Fosforilazione ossidativa
L’ATP è la fonte di energia della cellula, che viene liberata quando l’ATP viene scissa in AMP (che poi avrà
anche funzione di secondo messaggero) e ADP. Man mano che viene prodotta energia, è anche necessario
ripristinare la quantità di ATP e questo è possibile attraverso la fosforilazione ossidativa, che avviene a
livello dei mitocondri.

Per impedire la produzione di energia, si può


sottrarre l’ossigeno oppure rendere non più
disponibile il cofattore.

Questa reazione richiede dei cofattori enzimatici, P e O2, e dal prodotto di degradazione dell’ATP,
permette di ripristinare l’ATP stessa.
Questa reazione prevede il trasporto di elettroni con eliminazione di H+. Per ogni passaggio quindi c’è
l’espulsione di H+ dalla membrana mitocondriale interna, che crea un’elevata
concentrazione esterna di H+ (accumulo di H+ tra la membrana interna ed esterna
del mitocondrio). Poiché queste due membrane sono impermeabili, gli H+ non
possono più rientrare attraverso la membrana. Questo permette di creare un
gradiente, che viene sfruttato dall’ATP sintetasi, una pompa protonica attraverso
la quale i protoni possono entrare nel mitocondrio.
Man a mano che i H+ passano, il gradiente protonico diminuisce. La diminuzione di gradiente protonico
va a diminuire anche l’attività del complesso enzimatico ATP-sintetasi di sintetizzare ATP.

L’alterazione della fosforilazione ossidativa è dannosa per le cellule in quanto la mancata ri-
fosforilazione dell’ADP, ne comporta l’accumulo e la mancanza di ATP come fonte energetica.
Ci sono numerose sostanze che alterano la sintesi di ATP, come cianuro, tetracloruro di carbonio, DDT,
benzochinone ecc. e agiscono in modalità diverse: impedendo il trasporto di elettroni, inibendo la
cessione di H alla catena di trasporto degli elettroni, inibendo la cessione di ossigeno, inibendo la
fosforilazione dell’ATP, alterando il potenziale di membrana mitocondriale, ecc..

70
Tossicologia – IR19

Agenti tossici capaci di alterare la sintesi mitocondriale di ATP

71
Tossicologia – IR19

Aumento di Ca2+ intracellulare


La concentrazione di Ca2+ intracellulare libero è strettamente regolata poiché il Ca2+ è necessario per
l’attività di molti enzimi di lisi, quali proteasi (lisi di proteine), fosfolipasi (lisi di lipidi), endonucleasi
(lisi di acidi nucleici) e anche caspasi, e regola molte attività cellulari. Sostanze che danneggiano i
sistemi responsabili del mantenimento della concentrazione di Ca2+ provocano un suo aumento con
attivazione di molti enzimi litici e conseguente morte cellulare (necrosi o apoptosi).
Inoltre, elevate concentrazioni di Ca2+ a livello intracellulare, eliminano il gradiente necessario all’ATP
sintetasi per svolgere la sua attività .

Si può agire su più livelli per alterare il sistema di produzione di energia. Un altro metodo prevede di
aumentare le cariche H+ dentro il mitocondrio: in questo modo diminuisce il gradiente e quindi la
capacità dell’ATP sintetasi di sintetizzare l’ATP. Questo è possibili gradi al Ca2+.

Il Ca2+ come messaggero cellulare


La cellula sequestra il Ca2+ in alcune strutture e lo libera a livello citoplasmatico in caso di necessità .
Modificazioni transitorie della [Ca2+] citoplasmatico regolano funzioni cellulari (sono definite
transitorie perché riguardano una determinata fase della vita di una cellula), quali:
 secrezione
 differenziazione
 proliferazione cellulare
 espressione genica
 rilascio di neurotrasmettitori
L’omeostasi del Ca2+ è controllata grazie a:
 canali: che ne permettono l’entrata nella cellula
 trasportatori e ATPasi Ca2+-dipendenti: che ne permettono l’estrusione cellulare e l’accumulo
(RE e mitocondri)

La [Ca2+] intracellulare è circa 10-7 M (100-200nm)


La [Ca2+] extracellulare è circa 10-3 M (1mM)

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Tossicologia – IR19

Il Ca2+ come messaggero di tossicità


Un aumento di Ca2+, causa l’attivazione di:
 proteasi (caspasi): hanno azione
distruttiva nei confronti delle proteine
del citoscheletro e della membrana.
 endonucleasi: causano la
frammentazione della cromatina del
DNA e quindi morte cellulare. Es.
glucocorticoidi, TCDD (diossina)
 fosfolipasi: catalizzano l’idrolisi dei
lipidi di membrana
 ATP: l’aumento di Ca2+ mitocondriale,
aumenta le cariche positive nella
matrice del mitocondrio, diminuendo
il gradiente di concentrazione e quindi
la forza motrice necessaria per far
funzionare l’ATP-sintetasi. Come
conseguenza, si ha una netta riduzione
di ATP, il disaccoppiamento della
fosforilazione ossidativa, la
generazione di specie radicaliche di
ossigeno, la lipoperossidazione di
membrana, la denaturazione delle
membrane, il blocco delle pompe per
mancanza di ATP, fino alla morte
cellulare.

Agenti capaci di alterare il Ca2+ intracellulare


Sono sostanze molto diverse tra loro, accumunate dalla capacità di aumentare l’afflusso di Ca2+ nel
citoplasma (es. CCl3, detergenti) oppure di inibire l’estrusione. L’effetto finale è l’aumento di
concentrazione intracellulare. La cellula che non è in grado di riparare il danno, va incontro a morte.

73
Tossicologia – IR19

MORTE CELLULARE

La morte cellulare si può manifestare attraverso due diversi meccanismi: necrosi e apoptosi.
Necrosi: è la conseguenza di una rapida perturbazione dell’omeostasi cellulare causata da danno
acuto da agente tossico o da evento patologico (ischemia, ipossia, ipertermia).
Inizia con un aumento di permeabilità della membrana (che altera l’equilibrio ionico), quindi un
aumento del volume della cellula, si ha il rilascio di enzimi proteolitici e il rigonfiamento degli organelli
cellulari. Di conseguenza, si ha la lisi delle membrane e la degradazione cellulare.
Gli agenti in grado di portare a necrosi, sono quelli che interferiscono con la produzione di ATP. In questo
caso il decremento di ATP è rapido e ingente.
E accompagnata da uno stato infiammatorio del tessuto.
1. Rigonfiamento cellulare
2. Rigonfiamento degli organelli citoplasmatici
3. Blocco della sintesi proteica
4. Blocco della sintesi di ATP
5. Degradazione casuale del DNA
6. Lisi cellulare
La cellula necrotica si trova in un citoplasma con numerose strutture, ma ha perso la normale struttura
organizzata.

Apoptosi: morte cellulare programmata che coinvolge singole cellule.


1. Inizia con un aumento di concentrazioni di Ca2+, che viene rilasciato dal RE, dai mitocondri e
dallo spazio extracellulare.
2. Il Ca2+ è implicato inizialmente nella traduzione del segnale per l’attivazione di proteinchinasi e
fosfatasi in grado di regolare le molecole effettrici dell’apoptosi. Dato che attiva degli enzimi,
proteasi e nucleasi, che necessitano energia, si ha un calo progressivo e lento di ATP.
3. Gli ATP restanti sono sufficienti per far avvenire gli eventi biochimici dell’apoptosi.
4. Si ha una prima frammentazione e successivamente la formazione di corpi apoptotici.
5. Il materiale genetico viene degradato tramite specifiche proteasi.
E una modalità di morte più lenta e costituisce un meccanismo fisiologico, messo in atto durante alcuni
processi, quali:
 controllo della proliferazione cellulare nella fase di embriogenesi, ossia durante la formazione
dell’organismo, perché è necessario bilanciare la proliferazione, bloccandola quando il tessuto è
formato.
 formazione dell’osso: si ha la contemporanea formazione delle trabecole ossee e la limatura,
quindi la riduzione della proliferazione.
 rinnovo delle cellule intestinali: la mucosa intestinale è in contatto con gli agenti provenienti
dall’esterno ed è in continuo e rapido rinnovamento della barriera tissutale.
 rinnovo delle cellule del midollo osseo

Non è accompagnata da uno stato infiammatorio del tessuto.


 Raggrinzimento cellulare
 Conservazione della morfologia ultrastrutturale
 Sintesi proteica attiva
 Conservazione del metabolismo energetico
 Degradazione regolare del DNA e condensazione della cromatina in masse ben definite
 Frammentazione della cellula in corpi apoptotici

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Tossicologia – IR19

La cellula apoptotica è molto diversa dalla cellula necrotica. La cellula apoptotica va inizialmente
incontro ad una frammentazione del nucleo e ad una degradazione del materiale genetico da parte delle
nucleasi (in particola, è tagliato in multipli tra loro, es. 200-400-600), con formazione di piccoli corpi
apoptotici. Le invaginazioni della membrana cellulare sono una caratteristica tipica di questa cellula.

Poiché l’apoptosi non ha conseguenze infiammatorie, è stato utilizzato come marcatore dell’effetto
tossico di alcuni xenobiotici.
Si induce l’apoptosi con un farmaco o uno xenobiotico, si lisa la cellula ed estrae il DNA genomico. Questo
viene messo in un gel di agarosio e sottoposto ad una corrente elettrica. Si effettua quindi una
elettroforesi e si acquisisce la foto.
 Normalmente, il materiale genetico di una cellula sana appare come una banda bianca integra,
ad alto PM perché è tutto il materiale genetico della cellula.
 Se il materiale genetico è degradato/tagliato, appare una specie di scia/frammentazione del
segnale, perché ci sono frammenti più piccoli che migrano ad una velocità diversa rispetto ai
frammenti più grandi (migrano dopo perché pesano di più ).

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Tossicologia – IR19

Intorno al 2005, l’apoptosi è stata studiata come possibile opzione terapeutica per mettere a punto un
antitumorale che portasse la cellula tumorale alla morte, senza indurre la morte delle cellule sane.
Oggi in realtà gli approcci sono diversi e sono più improntati sull’immunoterapia: l’idea non è uccidere
direttamente la cellula, ma riattivare il sistema immunitario affinché attacchi dall’interno le cellule
tumorali.

Questa review discute la potenziale


applicazione dell’apoptosi come
marcatore di effetto tossico.

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Tossicologia – IR19

RIPARAZIONE o RIPARAZIONE ERRATA (Fase 4)


Riparazione molecolare
 Proteine: l’ossidazione dei tioli proteici può essere contrastata tramite riduzione enzimatica, in
modo da ripristinare l’attività di questi gruppi funzionali; degradazione ad opera di lisosomi; le
heat-shock protein vengono sintetizzate in grande quantità e provvedono al corretto
ripiegamento delle proteine danneggiate
 Lipidi: idrolisi + riduzione dell’acido grasso perossidato (ossidazione del glutatione)
 DNA: all’interno del nucleo ci sono degli enzimi che riconoscono e riparano il DNA danneggiato
Nonostante l’elevata reattività con elettrofili e radicali liberi, il DNA è piuttosto stabile grazie al
fatto che è impaccato a formare la cromatina e in parte anche perché esistono diversi meccanismi
di riparazione per mantenerne l’integrità .
Il danno al DNA determina un arresto della progressione del ciclo cellulare, in modo da
consentire la riparazione del danno. I meccanismi di riparazione infatti richiedono tempo.
Se il danno è troppo esteso e non può essere riparato, si può avere apoptosi
Se il danno non viene riparato e la cellula non va incontro ad apoptosi, il danno del filamento di
DNA induce una mutazione nel filamento figlio al momento della replicazione cellulare. I livelli
di mutazione aumentano con la velocità di divisione cellulare.
Si può avere:
o Riparazione diretta: l’enzima DNA fotoligasi lega in modo corretto i filamenti di DNA
danneggiati dall’esposizione alla radiazione UV dopo aver scisso basi pirimidiniche
adiacenti, dimerizzate dalla luce UV.
o Riparazione diretta per escissione: l’enzima DNA glicosilasi riconosce le basi alterate,
le rimuove e le sostituisce con il nucleotide corretto tramite una DNA polimerasi e poi
una ligasi che unisce i frammenti.

Riparazione cellulare
Non tutte le cellule sono riparabili. Ad esempio, a livello del sistema nervoso la riparazione è più difficile
a causa della struttura diversa. Le cellule nervose periferiche sono ricoperte da uno strato di mielina e
caratterizzate dai nodi di Ranvier, che permettono la trasmissione dell’impulso. A livello centrale, invece,
ci sono gli oligodendrociti, che con le proprie estroflessioni ricoprono le terminazioni assoniche. Nei
neuroni periferici con danno dell’assone, la riparazione richiede la presenza di macrofagi (spazzini) e le
cellule di Schwann. I macrofagi rimuovono i detriti di cellule non più funzionanti, danneggiate o in
apoptosi per fagocitosi e producono fattori di crescita e citochine che stimolano le cellule di Schwann a
proliferare (e quindi l’assone ad allungarsi). Mentre migrano insieme all’assone che ricresce, le cellule
di Schwann guidano fisicamente l’assone verso la cellula bersaglio da innervare.
Nel SNC la ricrescita assonica è impedita dagli oligodendrociti

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Tossicologia – IR19

Riparazione tissutale
Il tessuto può andare incontro a due destini:
 rigenerazione del tessuto per proliferazione
 morte cellulare per apoptosi; questo meccanismo è fondamentale e fisiologico per i tessuti
costituiti da cellule in continuo rinnovamento, quali:
o midollo osseo
o epitelio respiratorio
o epitelio gastrointestinale
o epidermide cutanea
Al contrario, l’apoptosi non è una strategia auspicabile per la riparazione tessutale, nei tessuti
costituiti da cellule non replicanti e non sostituibili, in quanto potrebbe implicare la perdita di
componenti importanti per il tessuto e potrebbe venire meno la sua funzione.
o neuroni
o cardiomiociti
o cellule germinali femminili

Subito dopo il danno, le cellule adiacenti alla zona danneggiata entrano nel ciclo di divisione cellulare:
passano dalla fase G0, entrano nella fase G1 e progrediscono verso la mitosi M. Il tessuto provvede cosı̀ a
sostituire le cellule perse con l’apoptosi.

Il processo rigenerativo inizia con il rilascio di mediatori chimici, come TNF-α e IL-6, da parte di cellule
danneggiate, e successivamente di fattori di crescita come HGF e il TGF-α.
In particolare, nella mucosa del tratto GI si verifica la migrazione cellulare: le cellule dell’epitelio
adiacenti alle cellule danneggiate, migrano rapidamente nel sito di lesione e ristabiliscono la continuità
di superficie prima ancora che avvenga per replicazione cellulare.
In seguito al danno, anche la matrice extracellulare, costituita da proteine, glicosaminoglicani e
glicoproteine, deve essere sostituita. Per fare ciò , i fattori di crescita PDGF e TGF-β stimolano la
proliferazione delle cellule a produrre collagene, fibronectina, acido ialuronico.

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Tossicologia – IR19

Che ruolo hanno gli xenobiotici? Esempio di uno studio sperimentale


Scopo clinico: capire se farmaci diversi (tra cui FANS) interferiscono coi processi riparativi.
Sono stati innanzitutto selezionati degli indicatori di danno e di riparazione e poi è stato osservato
sperimentalmente l’effetto dei farmaci.

Sono stati utilizzati due gruppi di ratti: uno di confronto e un altro che è stato trattato con acido acetico
per via orale per indurre un’ulcera. Dopo tot giorni di protocollo sperimentale, gli animali sono stati
sacrificati per prelevare lo stomaco. L’organo è stato lavato e fissato per fare una immuno-istochimica e
confrontare il sano col malato. Tutto questo serve per stabilire il modello sperimentale ed è necessario
prima di poter procedere con la somministrazione di xenobiotici o farmaci.
 Animale sano (sx): la zona scura mostra le cellule in attiva replicazione e le cellule che migrano
verso la superficie per rinnovare l’epitelio gastrico.
 Animale ulcerato (dx): in questo caso si nota uno stacco/una mancanza di integrità ; si ha poi uno
slargamento delle ghiandole secretrici; ma soprattutto si vede una specie di cucchiaio -tipico
dell’ulcera gastrica- che indica il tessuto lesionato che costituirà il vallo dell’ulcera.

A questo punto, sono stati trattati gli animali con farmaci antinfiammatori appartenenti a gruppi diversi
(ossia con profili di selettività COX-1 e COX-2 diversi):
 indometacina 1: non selettivo
 celecoxib e valdecoxib: selettivi per COX-2
 DFDU e DFU: selettivo per COX-
 SC: COX-1 selettivo
Questi animali sono stati sacrificati per prelevare lo stomaco ed effettuare una immuno-istochimica. E
stata lisata una parte di tessuto con l’ulcera ed è stato valutato se il trattamento coi farmaci interferiva
col processo di danno oppure modulava il processo riparativo.
Sono stati selezionati due antigeni:
 Caspasi 3: esiste in forma inattiva e in forma attiva, che è presente quando un tessuto subisce
un insulto tossico. E stata valutata la densitometria della caspasi attiva, per vede se e quanto è
espressa e quindi stabilire la gravità del danno.
 PCNA: è un parametro di riparazione, in quanto tutte le volte che un tessuto è danneggiato,
questo fattore tenta di ripararlo.

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Tossicologia – IR19

Risultati ottenuti
 La somministrazione di inibitori selettivi di COX-1 aumenta la caspasi 3e quindi aumenta il
danno, mentre il fenomeno riparativo non varia significativamente  NO
 La somministrazione di indometacina aumenta il danno e riduce la spinta riparativa del tessuto
 NO
 La somministrazione di inibitori selettivi di COX-2 riduce la caspasi 3 e quindi riduce il danno,
senza interferire col fenomeno riparativo.

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Tossicologia – IR19

MECCANISMI DI ADATTAMENTO

In seguito ad un danno del sistema biologico, tale sistema può mettere in atto un insieme di procedure
di riparazione del danno stesso, oppure un processo di adattamento alla presenza dello xenobiotico,
ossia -invece di contrastare il danno- l’obiettivo diventa conservare l’omeostasi= l’equilibrio funzionale
del sistema. L’adattamento è la risposta dell’organismo finalizzata a conservare o recuperare
l’omeostasi.
Tale meccanismo scaturisce perché alcuni xenobiotici inducono dei cambiamenti adattativi, come:
 diminuita cessione del tossico al bersaglio
 aumento del sequestro dell’agente tossico da parte di proteine intracellulari. Es.
Metallotioneine, presenti a livello epatico e non renale: l’esposizione a metalli xenobiotici
aumenta l’espressione di queste proteine che legano e quindi sequestrano il metallo, bloccando
così l’interazione con l’ambiente circostante. È perciò un meccanismo adattativo successivo
all’esposizione di uno xenobiotico.
 aumento della detossificazione dell’agente tossico: si può avere un’alterazione del
metabolismo di molti xenobiotici e questo può aumentare o diminuire il processo di
detossificazione. Es. Farmaci che inducono una variazione dell’espressione degli enzimi CYP450
(inibitori ed induttori), possono portare anche ad una variazione del proprio metabolismo.
 aumento della estrusione dell’agente tossico dalla cellula, in seguito ad un aumento
dell’espressione o dell’attività delle proteine di estrusione: se lo xenobiotico interagisce con la
componente nucleica, ne influenza la trascrizione e può far aumentare l’espressione delle
pompe.
Es. Fe e Cd assunti con la dieta influenzano l’espressione di un trasportatore per i metalli
divalenti negli enterociti.

Quindi, è utile fare una distinzione:


 Contrastare il danno tossico porta alla riparazione
 Compensare una disfunzione porta ad un adattamento

La riparazione può essere:


 Efficiente
 se causa l’apoptosi della cellula danneggiata: viene eliminata la causa, la struttura
cellullare che non funziona.
 se porta ad una proliferazione con la finalità di ripristinare la funzionalità e la struttura
del tessuto o dell’organo.
 soprattutto se ripristina l’omeostasi, cioè l’equilibrio dell’organo o del tessuto
 Inefficiente
 se, in seguito ad un danno, la cellula non è riuscita a programmare la morte apoptotica
(per assenza di ATP) e va incontro a necrosi tissutale, il che implica un processo
infiammatorio che può degenerare fino ad un’alterazione funzionale del tessuto o
dell’organo.
 se provoca fibrosi: anche se il tessuto cicatriziale sana il danno, non è più funzionale.
 se i meccanismi messi in atto determinano processi cancerogenetici: è quindi il tessuto
stesso che, in seguito ad un insulto tossico di diversa natura, reagisce per riparare il
danno, ma di fatto ne provoca di ancora maggiori.

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Tossicologia – IR19

NECROSI TISSUTALE
Avviene perché il danno soverchia e disabilita i meccanismi riparativi come:
 la riparazione delle molecole danneggiate
 l’eliminazione tramite apoptosi delle cellule danneggiate
 la sostituzione tramite divisione cellulare delle cellule eliminate via apoptosi

FIBROSI
Consiste in un’eccessiva deposizione di matrice extracellulare a causa dell’azione pro-fibrotica del TGF-
β, che stimola la sintesi dei singoli componenti della matrice (collagene e fibronectina prodotte dalle
cellule adiacenti) e inibisce la degradazione della matrice.
In seguito al danno, avviene innanzitutto la migrazione di diversi componenti cellulari vicini nella sede
del danno, e successivamente la secrezione di fattori di crescita, necessari sia per ripristinare le cellule
funzionali sia per ricostruire la matrice a base di collagene e fibronectina.
Feedback positivo: TGF- β stimola la trascrizione del suo stesso gene.

CANCEROGENESI
Non è sempre detto che si riesca a riparare il danno genetico o ad indurre l’apoptosi della cellula e
soprattutto non sempre si riesce a controllare lo stimolo proliferativo cellulare.
La cancerogenesi è caratterizzata dalla perdita di regolazione della crescita cellulare, ossia non
riesce a controllare lo stimolo proliferativo: più è veloce la replicazione (e quindi maggiore è la
proliferazione), maggiori sono le mutazioni che le cellule accumulano e tali mutazioni permettono alle
cellule di passare da uno stato di normalità ad uno pre-canceroso; in particolare si generano dei veri
propri cloni, ossia un insieme di cellule che hanno accumulato più mutazioni e che transitano da uno
stato di normalità ad uno pre-canceroso e poi canceroso.
La cancerogenesi può svilupparsi in seguito ad un inappropriato funzionamento dei meccanismi di
riparazione. Infatti, non sempre lo stimolo riparatorio è efficiente, ma al contrario si può avere:
 fallimento della riparazione del DNA
 fallimento dell’induzione di apoptosi
 mancato arresto della proliferazione cellulare

La perdita del controllo della riparazione è dovuta


principalmente all’alterazione dell’espressione di
due gruppi di geni: i proto-oncogeni e i geni
oncosoppressori. I prodotti di trascrizione di
questi due gruppi sono delle proteine in grado di
interagire con diversi recettori ed influenzare la
vita cellulare.

82
Tossicologia – IR19

Protoncogeni
Sono geni che codificano per proteine che stimolano la progressione delle cellule attraverso il ciclo
cellulare e permettono alla cellula di ricominciare il ciclo proliferativo. Essi sono:
 Fattori di crescita
 Recettori per i fattori di crescita
 Proteine del sistema di trasduzione, come proteine G, protein-chinasi, cicline, fosfatasi,
cAMP: sono tutte molecole proteiche intracellulari che trasducono un segnale extracellulare con
una risposta intracellulare alla cellula stessa (fosfatasi, chinasi, AMP ciclico, adenin ciclasi).
Tutti questi elementi provocano l’attivazione della proliferazione della cellula, andando ad attivare o a
bloccare diversi geni.
Normalmente, i protooncogeni sono attivati in modo transitorio, ossia aumentano solo in determinati
momenti:
 durante l’embriogenesi
 nella rigenerazione tissutale o d’organo
 per la stimolazione di cellule da parte di ormoni.
Il problema insorge nel momento in cui l’attivazione è permanente, in quanto favorisce la
trasformazione neoplastica.
Generalmente la risposta della cellula ha un condizionamento, una modulazione di attività nucleare.

Geni oncosoppressori
Al contrario dei protoncogeni, i geni oncosoppressori sono dei geni che
codificano per proteine che inibiscono la progressione delle cellule
attraverso il ciclo cellulare. Essi sono:
 Inibitori di protein-chinasi ciclina-dipendente
 Fattori di trascrizione che attivano geni codificanti per gli
inibitori protein-chinasi ciclina-dipendente
 Proteine che bloccano fattori di trascrizione coinvolti nella
sintesi del DNA e nella divisione cellulare

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Tossicologia – IR19

La cellula è paragonabile ad una macchina a due componenti: una ha una spinta positiva verso la
proliferazione cellulare, l’altra ha una spinta negativa. Fisiologicamente, nel corso della vita, l’azione di
una e dell’altra è variabile, ma la perdita del controllo di questo rapporto porta alla proliferazione
incontrollata e di conseguenza a neoplasie.

Alcune sostanze possono condizionare la trascrizione genica a livello nucleare in modo da alterare il
sistema di trasduzione. Ma come si definisce la tossicità di un genotossico?

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Tossicologia – IR19

GENOTOSSICITÀ
La genotossicità rappresenta la branca della tossicologia che studia le
alterazioni nelle componenti genetiche indotte da agenti chimici o fisici con
delle proprietà particolari in grado di alterare la funzionalità degli acidi
nucleici. Le interazioni possono portare a diverse conseguenze: la
sospensione del prodotto genico (faccio in modo che il DNA non codifichi
più per quel prodotto), la diminuzione o l’aumento della sua attività o la
perdita delle sue capacità funzionali.
Infatti, cambiando anche solo un codone nel DNA, questo può portare alla trascrizione di un mRNA
codificante per una proteina totalmente diversa, oppure generare un recettore che espone dei residui
diversi e non è quindi più in grado di legarsi al suo ligando fisiologico, oppure ancora generare un codone
di stop e bloccare la sintesi proteica.
La sequenza del DNA è disposta in doppio filamento antiparallelo a doppia elica. È costituito dall’insieme
di basi azotate che sono accoppiate in modo complementare con una legge ben definita di
corrispondenza. Nell’insieme si impaccano a costituire i cromosomi, strutture ad X con braccia più o
meno lunghe.

Fino a 20 anni fa, si sequenziava il


DNA tramite elettroforesi su gel di
acrilammide: si estraeva, si
marcava con isotopi radioattivi e si
amplificava il tratto. Al termine
dell’esame, su una carta da filtro si
poneva in camera oscura (perché
erano presenti radioisotopi), si
poneva una lastra fotografica e si
otteneva per ogni base in sequenza
un segnale letto da sx a dx.
Oggi esiste il sequenziatore
automatico che permette di
ottenere l’analisi di frammenti
molto più grandi di DNA in minor
tempo.

I fattori che influenzano il danno genetico sono:


 quantità/concentrazione del tossico nell’ambiente
 assorbimento e distribuzione nell’organismo (eventuale preferenziale affinità verso un tessuto
rispetto ad un altro)
 capacità metabolizzante dei tessuti: a livello epatico c’è la maggiore capacità di detossificazione,
ma è possibile avere pool enzimatici in grado di biotrasformarla anche nella placenta, epitelio
respiratorio, intestino o BEE. Il risultato può essere sì di detossificazione, ma anche di
tossificazione.
 reattività del composto chimico con i bersagli
 capacità di riparare il danno, che cambia da tessuto a tessuto
 abilità del tessuto bersaglio di riconoscere e sopprimere la moltiplicazione di cellule mutate.
Questo principio è attualmente alla base di un nuovo progetto di immuno-terapia oncologica, in
cui si sfrutta l’esistenza del sistema immunitario nell’organismo in modo da educarlo a
riconoscere la cellula tumorale come una non-self, indirizzando così l’attacco.

85
Tossicologia – IR19

Agenti che danneggiano il DNA


 Agenti fisici: comprendono le radiazioni in alcuni intervalli di lunghezza d’onda:
o Radiazioni ionizzanti come i raggi gamma ed i raggi x
o Radiazioni ultraviolette: specialmente i raggi UV-C (~260 nm), che sono fortemente
assorbiti dal DNA, e i raggi UV-B (ossia le radiazioni a lunghezza d’onda maggiore), che
possono attraversare la fascia di ozono atmosferico;

 Agenti chimici: comprendono


o radicali dell’ossigeno: specie chimiche altamente reattive prodotte durante la normale
respirazione cellulare o altre vie biochimiche.
o agenti chimici ambientali: molti idrocarburi (compresi quelli presenti nel fumo di
sigaretta) e prodotti di microrganismi e piante, come le aflatossine presenti in alimenti
ammuffiti (malconservati)
o agenti chimici usati in chemioterapia: in particolare nella lotta contro i tumori

Meccanismi molecolari alla base dell’induzione di mutagenesi


I meccanismi molecolari alla base dell’induzione di mutagenesi da parte di xenobiotici sono diversi a
seconda del tipo di sostanza cancerogena.
 Analoghi di basi: se lo xenobiotico ha una struttura analoga alle basi, viene incorporato nel DNA
durante la replicazione e la differente struttura porta ad appaiamenti non corretti che causano
errori nella replicazione.
Esempio. La 2-amminopurina è un analogo dell’adenina: può appaiarsi con la timina, e se
protonata, con la citosina (transizione AT_GC)
 Agenti intercalanti: se lo xenobiotico è un agente intercalante -a struttura planare-, si intercala
all’interno della doppia elica, si lega alle basi e stabilizza la formazione di occhielli, causando la
delezione o l’addizione di singole coppie di nucleotidi. Può arrivare a bloccare la replicazione del
DNA.
Esempio. proflavina, arancio di acridina M
 Agenti alchilanti: se lo xenobiotico è un agente alchilante, può portare ad un errore di codifica
dell’acido nucleico; in particolare causa l’alchilazione dell’ossigeno in posizione 6 della guanina
e si genera la O6-alchilguanina, che si appaia erroneamente con la timina (transizione GC_AT).
Esempio. Etilmetansulfonato

Il danno genetico si manifesta generalmente tramite una o più mutazioni, che possono avere entità
diverse. La mutazione è definita come un processo che altera la sequenza di basi del DNA a diversi livelli.
Possono essere:
 geniche o puntiformi: coinvolgono poche basi
 cromosomiche: coinvolgono interi cromosomi, sia per qualità che per quantità

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Tossicologia – IR19

La mutazione può essere ereditabile se colpisce una cellula germinale. Infatti, si distinguono mutazioni:
A. somatiche: colpiscono cellule differenziate e individuali; la mutazione rimane confinata nella
tipologia della cellula e viene tramandata per mitosi solo nelle cellule figlie di uguale
differenziazione (ereditata solo dai discendenti di una cellula). Se una cellula di uno dei tessuti
subisce una mutazione, tutte le cellule di questa linea che si generano da esso saranno mutate,
indipendentemente dal grado di differenziazione che subiranno.
B. germinali (ovocita o spermatozoo): colpiscono le cellule in riproduzione (trasmessa attraverso
le generazioni).
Es. Nel caso di un ovulo fecondato, se una cellula subisce una mutazione, tutte le cellule
somatiche nate da questa cellula che si generano da esso, saranno mutate, indipendentemente
dal grado di differenziazione che subiranno.

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Tossicologia – IR19

MUTAZIONI PUNTIFORMI

Un possibile meccanismo di alterazione dell’acido nucleico, consiste nell’induzione di una mutazione,


Le mutazioni puntiformi si dividono in:

 Transizioni: comprendono:
o sostituzioni di una purina (G o A) con un’altra purina
o sostituzione di una pirimidina (C o T) con un’altra
pirimidina

 Transversioni: sostituzioni di una purina con una pirimidina e viceversa

Le mutazioni possono portare a conseguenze diverse e a seconda del tipo prendono un nome diverso:
 Mutazione silente: sostituzione di una base che provoca un cambiamento nella trascrizione, ma
il codone codifica sempre per lo stesso amminoacido. In questo caso, non cambia la funzionalità
della proteina.
Esempio. Mutazione da AT a GT in terza posizione del codone forma un codone che codifica
ancora per la lisina.

 Neutra: sostituzione di una base che cambia l’amminoacido trascritto con uno che non cambia
la funzionalità della proteina (proprietà chimiche simili).
Esempio. Mutazione per transizione da AT a GC cambia il codone per lisina ad arginina

 Missenso: sostituzione di una base che provoca la trascrizione di un amminoacido diverso,


quindi la proteina può cambiare.
Esempio. Mutazione per transizione da AT a GC cambia il codone per la lisina ad acido
glutammico

 Nonsenso: sostituzione di una base che comporta la formazione di un codone di stop; la sintesi
proteica viene quindi interrotta.
Esempio. Mutazione per trasversione da AT a TA cambia il codone per la lisina a codone di stop
UAA

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Tossicologia – IR19

 Frameshift: inserzione o delezione di una o qualche coppia di basi che altera la fase di lettura.
Esempio. Inserzione di una coppia di basi GC scombina il messaggio a valle della glutammina

Quali sono i meccanismi attraverso cui è possibile indurre una mutazione?


Se una sostanza è moto simile ad una base azotata, può essere reclutata nella sintesi del DNA e quindi
scambiata per la base corretta. Nei processi di replicazione del DNA, quindi, ci saranno delle alterazioni
strutturali del DNA stesso
- agenti intercalanti, ovvero molecole con una struttura planare che hanno la capacità di
intercalarsi all’interno dell’elica del DNA impedendo la replicazione della cellula;
- sostanze che determinano l’alchilazione di alcune basi, cioè attaccano su una base azotata dei
gruppi alchilici, in particolare sull’O in posizione 6 della guanina

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Tossicologia – IR19

MUTAZIONI CROMOSOMICHE

Le mutazioni possono interessare una quantità superiore di materiale genetico, addirittura tratti interi
di cromosomi. Le mutazioni o aberrazioni cromosomiche possono alterare sia il numero che la
struttura dei cromosomi.

Alterazioni del numero di cromosomi


Ogni specie ha un numero di cromosomi caratteristico e il numero di cromosomi è lo stesso in tutti gli
individui appartenenti alla stessa specie. Poiché i cromosomi sono disposti a coppie di omologhi, il
numero cromosomico viene convenzionalmente indicato come 2n. Si definiscono:
 diploidi: le cellule che posseggono la doppia serie di cromosomi omologhi, cioè un numero 2n
di cromosomi
 aploidi: le cellule che posseggono un solo membro di ogni coppia di omologhi, cioè un numero
n di cromosomi (come le cellule destinate alla riproduzione).

L’uomo ha nelle sue cellule somatiche 46 cromosomi (2n=46), cioè 23 coppie di cromosomi
omologhi, di cui:
 22 coppie costituiscono i cromosomi somatici o autosomi
 1 coppia è formata da due cromosomi sessuali diversi nei due sessi (eterocromosomi). Se la
cellula appartiene ad un maschio si distingue per avere, tra gli altri, un cromosoma X e un
cromosoma Y (XY), se la cellula appartiene ad una femmina, ci sono due cromosomi X (XX).

Possono verificarsi diversi tipi di modificazioni:


 Modificazioni dell’intero set cromosomico: euploidia aberrante (differisce dal normale per un
ristretto numero di cromosomi)
 Modificazioni di una parte del set cromosomico: aneuploidia (trisomia 21)

Osservando l’assetto cariotipico (o cromosomico) si possono evincere le diverse mutazioni


cromosomiche. Le più comuni implicano la presenza di un cromosoma in eccesso o in difetto, ma
possono prevedere anche la deformazione del cromosoma sano (alterazione strutturale). Un braccio più
corto comporta una minor quantità di informazioni genetiche.

Esempi di sindromi da alterazioni numero cromosomi


 Sindrome di Wolf: delezione cromosomica del braccio corto del cromosoma 4.
Conseguenze cliniche: microcefalia, ipotonia, labbro leporino.
 Sindrome del grido del gatto (sindrome di Cri du chat): delezione cromosomica sul braccio
cromosoma 5.
Conseguenze cliniche: pianto somigliante al lamento di un gatto dovuto all’ipoplasia delle
cartilagini della laringe, ritardo mentale grave, microcefalia*, ritardo della crescita, cardiopatia
congenita.
 Trisomia 13 (sindrome di Patau): labioshisi, e palatoschisi, polidattilia (dita delle mani e dei
piedi in soprannumero), occhi piccoli, ritardo psicomotorio, cardiopatia, encefalopatia,
anoftalmia. La maggior parte degli individui muore entro i primi tre mesi di vita.
 Trisomia 21 (sindrome di Down): terza copia del cromosoma 21.

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Tossicologia – IR19

Conseguenze cliniche: ritardo nella capacità cognitiva e nella crescita fisica e caratterizzata da
un particolare insieme di caratteristiche del viso.

* Un paio di anni fa c’è stata l’allerta


mondiale del Zika virus, per la possibile
interferenza con lo sviluppo del feto nelle
donne che avessero contratto questo virus.
Esso è in grado di alterare la migrazione
delle cellule quando si forma il tubo neurale
durante l’embriogenesi: i bambini nati da
madri affette dal virus soffrivano perciò di
microcefalia (ossia una ridotta dimensione
del cranio e quindi un ridotto sviluppo
dell’encefalo)

Alterazione della struttura di cromosomi


L’alterazione a livello cromosomico può essere di diversa gravità:
 Traslocazione reciproca: prevede lo scambio del contenuto genico da un braccio all’altro; può
comportare serie conseguenze.

 Delezione: comporta la perdita di materiale genetico da trascrivere.

 Duplicazione

 Inversione

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Tossicologia – IR19

MECCANISMI DI RIPARAZIONE DEL DNA

Nei processi di degradazione chimica o a seguito di esposizione a xenobiotici, sono numerosi i nucleotidi
che vengono danneggiati. Una cellula mutata sopravvive se il cambiamento genetico non è dannoso o
quando le consente di acquisire vantaggi selettivi di proliferazione e differenziamento.
La maggior parte delle mutazioni sono dannose, ma esistono meccanismi enzimatici di riparazione
del DNA, che permettono cioè alla cellula di autoripararsi e ovviare al danno. In particolare, nel caso del
DNA, viene attivato un sistema attraverso cui il danno viene riparato attraverso degli enzimi, per es. per
de-alchilazione, escissione diretta o per fotoliasi.

 FOTOLIASI
Nel momento in cui il DNA è esposto a radiazioni non ionizzanti, come le UV, può accadere che
l’energia immagazzinata venga utilizzata dalle basi adiacenti per formare un legame tra loro. Questo
legame, però, altera la struttura del DNA, irrigidendolo. Un DNA troppo rigido
non è in grado di replicarsi.

Esempio. Formazione di dimeri di timina, a causa di radiazioni non ionizzanti


UV: tra timine adiacenti sulla stessa elica o su eliche diverse si forma un
legame covalente che distorce il DNA e ne impedisce l’appaiamento corretto
A-T.

Per eliminare il legame, quindi, la cellula sfrutta degli enzimi specifici, le


fotoliasi, che vengono attivate dalla luce visibile e poi riconoscono e rompono
il legame anomale tra basi. L’enzima restituisce le due basi libere,
ripristinando la funzionalità dell’acido nucleico.

 DE-ALCHILAZIONE
Un secondo tipo di danno al DNA è rappresentato dall’alchilazione, cioè dal trasferimento di gruppi
metilici o etilici a siti reattivi delle basi e ai fosfati del DNA. La guanina è particolarmente soggetta a
metilazione sull’ossigeno in posizione 6 e dà luogo alla O6-metilguanina, che si accoppia in modo errato
con la timina e produce una transizione GC-AT durante la replicazione.
Questa lesione è rimossa dall’enzima O6-metilguanina metiltransferasi, che riconosce la guanina
metilata, rimuove il gruppo metilico e lo trasferisce ad un aminoacido dell’enzima. Di fatto libera la base
azotata (guanina).

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Tossicologia – IR19

 RIPARAZIONE DIRETTA PER ESCISSIONE DI BASI


L’enzima DNA glicosilasi riconosce le basi alterate, le rimuove e le sostituisce con il nucleotide corretto
tramite una DNA polimerasi. Le nuove basi sono saldate grazie alla DNA ligasi. Porta alla sostituzione
delle cellule mutate con cellule sane.

Questi processi di riparazione però non sempre vengono messi in atto in modo efficiente. Quando il
sistema di riparazione fallisce, possono insorgere gravi patologie. Alcuni esempi:


Xeroderma pigmentosus: gli individui affetti da questa patologia sono
particolarmente suscettibili allo sviluppo di melanomi e carcinomi in
seguito ad esposizione alle radiazioni UV. Le cellule di questi soggetti hanno
un cariotipo normale (non hanno perso cromosomi), ma quando vengono
esposte alle radiazioni UV -che provocano un danno- mostrano incremento
di aberrazioni cromosomiche.
Questi effetti sono imputabili a mutazioni a carico di geni che codificano per
il complesso sistema enzimatico di riparazione per escissione, che risulta
quindi in difetto di produzione o in totale assenza di enzimi importanti per
tali fenomeni riparativi. Finché non si ha un danno genetico, la patologia non provoca sintomi.


Sindrome di Louis-Bar: provoca atassia cerebellare (ossia difficoltà di deambulazione),
telangiectasie, immunodeficienza.
I soggetti portatori hanno un’aumentata sensibilità alle radiazioni e predisposizione allo
sviluppo di leucemie.
Sembra essere dovuta ad una alterazione dei meccanismi di checkpoint del ciclo cellulare, in
particolare ad una transizione G1/S e G2/M (i checkpoint sono dei punti strategici del ciclo
cellulare perché lasciano alle cellule il tempo di riparare il DNA danneggiato). Se però i sistemi
di rallentamento del ciclo cellulare vengono meno, le cellule col DNA danneggiato non vengano
più bloccate per dar tempo ai sistemi di riparazione del DNA di agire e le cellule continuano a
dividersi e proliferare, trasmettendo il danno -ossia la mutazione- alle cellule figlie. Si ha quindi
si ha un rapido accumulo di cambiamenti genetici.

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Tossicologia – IR19

IMPATTO DELLE MUTAZIONI SULLA SALUTE DELL’UOMO

Esiste una correlazione tra l’efficienza del sistema riparativo e la durata della vita di una cellula e ad
agire da orologio biologico sono i telomeri. I telomeri sono la parte terminale dei cromosomi e sono delle
sequenze ripetute non codificanti che garantiscono la lettura completa del DNA (fino alla fine del
cromosoma). La lunghezza diminuisce con le replicazioni cellullari: più corto è il telomero, tanto più
numerose sono state le divisioni cellulari (invecchiamento), ecco perché la lunghezza del telomero è un
parametro che indica la durata di vita cellulare. Di recente ha preso molto piede la ricerca di una
strategia per permettere il mantenimento dei telomeri, in modo da aumentare la resistenza vitale della
cellula.

Esistono dei test per misurare la tossicità di un composto a livello del corredo genetico, che può
variare a seconda dell’impatto che le mutazioni1 hanno sulla salute dell’uomo. Il principio fondamentale
per utilizzare un test è che esso deve permettere di valutare la variazione di una funzione:
 della correlazione tra efficienza dei sistemi riparativi e durata della vita (telomeri)
 della correlazione fra eventi mutazionali e processo cancerogenetico (attivazione dei proto-
oncogeni in oncogeni mediante induzione di mutazioni puntiformi e riarrangiamenti
cromosomici/inattivazione di geni onco-soppressori)
NB. NON TUTTI I COMPOSTI CANCEROGENI SONO MUTAGENI!

I test di mutagenesi e di cancerogenesi valutano il potenziale cancerogeno. Il principio alla base di


questi test è la possibilità di misurare una funzione che viene alterata dalla mutazione indotta.

TEST DI GENOTOSSICITÀ
I test a breve e a lungo termine possono essere condotti sia in vitro (potenziale genotossico in coltura
cellulare) che in vivo (nell’animale). I test in vitro sono meno costosi: si possono fare test sui batteri, in
laboratori non dotati di dispositivi particolari e soprattutto per una tossicità a breve termine. Per la
tossicità a lungo termine, si può somministrare la sostanza all’animale da esperimento e poi prendere
le cellule di un determinato distretto (es. midollo) e osservare se c’è un danno nel cariotipo, cioè nel
cromosoma o nella sequenza.
Tra i test a breve termine i principali sono:
 Test per l’analisi delle mutazioni geniche: comprende il Test di Ames sulla Salmonella
Typhimurium (ma anche su altri ceppi) e i test di mutazione locus specifici su cellule di
mammifero in coltura.
 Test per l’analisi delle aberrazioni cromosomiche strutturali: comprende i test di citogenetica
in vitro ed in vivo In questo caso si colorano alcune cellule per poter poi vedere il materiale
genetico al microscopio e capire se sono integri o meno.
 Test per l’analisi delle anomalie del numero di cromosomi: comprende il test del micronucleo
in vitro ed in vivo.

TEST DI MUTAGENESI
Servono a rivelare se una sostanza è in grado di provocare mutazioni geniche. Circa la metà dei
carcinogeni noti (positivi al test di cancerogenesi animale a 2 anni) è mutagena.
Mutazioni nelle cellule germinali possono provocare malattie ereditarie (es. fibrosi cistica) e concorrere
a determinare malattie ‘multifattoriali’ quali diabete, ipertensione ecc.
Principio dei test: la mutazione deve produrre un cambiamento del fenotipo rilevabile mediante
appropriate tecniche.

1
Mutazioni = sviluppo di processi fisiopatologici, quali disordini della fertilità, patologie ereditarie,
cancro, invecchiamento, aterosclerosi, ecc.
94
Tossicologia – IR19

Test di Ames

Questo test utilizza dei ceppi mutanti di Salmonella typhimurium, che hanno perso la capacità di
sopravvivere in assenza di istidina (his-). Si basa quindi sulla capacità di un ceppo mutante di Salmonella
typhimurium di sopravvivere in assenza di istidina. Questo tipo di batterio wild type è in grado di
sopravvivere in queste condizioni in quanto riesce a produrre istidina da sé e formare colonie, ossia i
cloni proliferanti.
Mutando il gene codificante per la sintesi endogena di istidina, il ceppo mutato vivrà solo se forniamo
His nell’ambiente. Di conseguenza un ceppo mutato di Salmonella (detto His-) in una ambiente privo di
His, muore.
Se, però, il ceppo His- viene trattato con una sostanza mutagena e la mutazione interessa il gene
codificante per l’istidina (retromutazione), il ceppo batterico può riacquistare la capacità di sintesi di
his e quindi di sopravvivere.

Questo test è molto economico, di facile esecuzione e permette di verificare se una sostanza è mutagena
di per sé o se lo diventa dopo bioattivazione da parte di un pool enzimatico. Questa caratteristica è
permessa dall’utilizzo nel terreno di una frazione microsomiale epatica (S92), che contiene degli enzimi
epatici metabolizzanti, che a contatto con la sostanza mutagena sono in grado di biotrasformarla. Per
verificare se il mutageno è diretto (e quindi induce la retromutazione come tale) o deve essere attivato,
si sfruttano dei batteri su più piastre in diverse condizioni:
 piastra con batteri his- senza istidina (controllo)
 piastra con batteri his- + fattore mutageno
 piastra con batteri his- + fattore mutageno + S9 (lisato epatico del ratto)
Occorre avere un campione di controllo, ossia una piastra senza His in cui sono stati seminati batteri,
perché a volte i batteri che replicano molto velocemente vanno incontro a mutazioni spontanee. Il
controllo serve proprio perché la retromutazione può avvenire spontaneamente. L’obiettivo è capire se
le x colonie viste nella piastra a dx sono dovute al mutageno o ad una retromutazione spontanea.
La maggior parte dei cancerogeni sono indiretti.

Esecuzione del test


1. Vengono posti i batteri His- (del ceppo mutato) nel terreno di agarosio con la sostanza da testare
(+S9) e si lascia in incubazione per 1h.
Per preparare la coltura si inizia versando l’Agar fuso su una piastra sterile. Dopo solidificazione
del terreno, si versa il brodo con la coltura batterica. Si chiude la piastra e si lascia in incubazione.
Dopo 24h, se l’ambiente è corretto per il ceppo batterico, si vedranno una serie di puntini
bianchi, che corrispondono alle colonie batteriche (clone). Questo significa che il batterio si è
riprodotto.
2. Si trattano i batteri con un mutageno
3. Si trasferiscono i batteri in un medium privo di istidina e si lascia in incubazione per 1-2 giorni.
4. Si esegue la conta delle colonie: il
numero di colonie è una misura della
potenza mutagena. Ogni colonia che
si sviluppa è generata da un singolo
batterio retromutato (His+). Tanto
maggiore è il numero di colonie,
tanto maggiore è la potenza
mutagena.
La conta effettiva si calcola tramite
la differenza tra il numero di colonie
in presenza della sostanza e il
numero di colonie nel campione di
controllo (senza la sostanza).

2 S = substrato
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Tossicologia – IR19

Risultato
Se nella terza piastra (quella con l’S9) si sviluppa un numero maggiore di colonie -rispetto alla seconda
piastra-, significa che la sostanza è solo potenzialmente mutagena, perché per esserlo deve essere prima
biotrasformata.
Se nella seconda piastra si sviluppa un numero maggiore di colonie, significa che la sostanza è di per sé
mutagena.

L’incorporazione di questo composto causa la riduzione della crescita cellulare, ma anche la morte dei
microrganismi. Il parametro di misura utilizzato è la sopravvivenza dei batteri, che è una misura
quantificabile. Viene variato il cariotipo.

Si possono utilizzare anche altri ceppi batterici in modo da rilevare la mutazione in altri geni. Di solito
si utilizza la Salmonella perché è il ceppo più diffuso. Si potrebbero mutare anche altri geni che hanno
una funzione correlata alla sopravvivenza cellulare, quindi con pompe di trasporto che pompano fuori
la sostanza, enzimi, sostanze che riparano il DNA, ecc.
Molti ceppi hanno anche altre mutazioni che aumentano la sensibilità al test, ad esempio: aumentata
permeabilità agli xenobiotici, eliminazione dei sistemi di riparazione del DNA, ecc.

Il grafico a lato mostra i risultati del test di Ames, che


indicano la presenza di composti mutageni nell’urina del
fumatore. Da notare come S9 aumenta la mutagenicità
usando i ceppi TA98 e TA1538, mentre invece il ceppo
TA1535 non risponde. L’urina die non fumatori manca
di mutageni.

Tale test viene effettuato in diverse condizioni: in


presenza di S9 (viola e celeste) sia in assenza di esso. Dal
grafico si vede che il numero di colonie è decisamente
maggiore in presenza di un pool enzimatico: la sostanza
mutagena incognita deve essere biotrasformata per
agire= ossia indurre la retromutazione.

I sistemi di induzione metabolica (come la frazione


microsomiale S9) non mimano perfettamente il
metabolismo in vivo. Tessuti diversi dal fegato possono,
infatti, metabolizzare in modo diverso gli xenobiotici. Vi è inoltre il contributo della flora intestinale.

Il rapporto attivazione/detossificazione in vitro può essere diverso da quello in vitro.

Test concettualmente simili al test di Ames

Concettualmente smile al test di Ames, c’è il test dove si muta l’enzima ipoxantina-guanina
fosforibosiltransferasi (HGPRT), che permette l’incorporazione della 6-tioguanina (e composti
analoghi) nel DNA, provocando l’inibizione della crescita cellulare e la morte cellulare. Una mutazione
del gene codificante per HGPRT ad opera di una sostanza mutagena può consentire alla cellula di
sopravvivere in presenza di 6-tioguanina: l’enzima mutato non è più in grado di prendere la tioguanina
e quindi di indurre la morte del batterio.
Per eseguire il test, la procedura è molto simile:
1. Cellule + sostanza test
2. Incubazione in presenza di 6-tioguanina
3. Conta delle colonie

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Tossicologia – IR19

Un altro test correlato al test di Ames si basa sul principio secondo cui un enzima permette di
incorporare nella struttura del DNA la sec-tioguanina. Tale incorporazione, non solo causa la riduzione
della crescita cellulare, ma anche la morte dei microorganismi. Se questi ultimi vengono esposti ad una
sostanza capace di mutare questo enzima, l’enzima non sarà più in grado di inglobare la sec-tioguanina
e quindi non si avrà più l’inibizione della crescita e la morte dei batteri. Misurando la sopravvivenza
batterica, è possibile capire se c’è stata o meno una mutazione del DNA.

Test dei micronuclei

Un saggio molto utilizzato per valutare l’aberrazione cromosomica è il test dei micronuclei, che sono dei
frammenti di cromosoma o cromosomi interi che non vengono incorporati nel nucleo durante la mitosi.
Quando le sostanze mutagene provocano la frammentazione del cromosoma, si generano una serie di
corpuscoli più piccoli del nucleo, i micronuclei, ciascuno contenente parte del cromosoma rotto
(vescicole contenenti il materiale genetico). Questo test quindi si effettua quando il danno coinvolge
lunghe sequenze di DNA. Attraverso la conta dei micronuclei nella cellula, si può capire qual è l’effetto
della sostanza mutagena (se lo è). Il numero di micronuclei dà l’idea del danno causato, che viene
misurato come indice di danno cromosomiale.
Può essere effettuato sia in vitro sia in vivo, misurando i micronuclei degli eritrociti immaturi (i
micronuclei rimangono nella cellula dopo l’estrusione del nucleo durante la maturazione).

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Tossicologia – IR19

Test per l’aberrazione cromosomica

L’azione tossica non necessariamente si traduce in una mutazione di poche basi, ma potrebbe
interessare un’area cromosomica molto allargata (quindi una sequenza di DNA molto lunga). In questo
caso si parla di aberrazione cromosomica perché di fatto viene alterato il cariotipo, cioè l’assetto
genetico.
Questi test misurano il danno al DNA, che si manifesta come danno della struttura del cromosoma, e può
prevedere: rotture, riarrangiamenti, delezioni, duplicazioni, inversioni. Questo tipo di danno è
coinvolto nella cancerogenesi e generalmente nello sviluppo di anomalie fetali e malattie congenite (si
verificano fin dalla nascita). Gli agenti che causano il danno cromosomico sono detti clastogeni.

I test per l’aberrazione cromosomica classici -che permettono di verificare che effettivamente il danno
sia a carico di lunghe sequenze di DNA- si basano sulla rivelazione del danno mediante analisi
citogenetica dei cromosomi animali o umani in metafase (analisi di cellule effettuata al microscopio
dopo colorazione). La valutazione del danno richiede notevole abilità ed esperienza.
Metodo. Il materiale cellulare (animale o umano) viene sottoposto ad una colorazione cellulare che
evidenzia i cromosomi al microscopio ottico. Attraverso il microscopio è possibile sia effettuare la conta
dei cromosomi, sia visuaalizzare la struttura del materiale per capire se ha subito delle alterazioni (es.
bracci più o meno corti).
Generalmente,
il test si può fare:
 in vitro: si utilizzando linee cellulari di mammifero. La più utilizzata è la CHO (Chinese Hamster
Ovary), una linea cellulare ovarica di cavia, perché fornisce cellule con un cariotipo ben definito
e stabile, con un basso numero di cromosomi di grandi dimensioni (più facilmente osservabile
al microscopio). Le cellule vengono trattate durante la fase S del ciclo cellulare (fase di
duplicazione del genoma); le aberrazioni sono osservate alla prima divisione cellulare.
 in vivo: si somministra la sostanza potenzialmente genotossica ad animali che poi si
sacrificheranno. Il tessuto analizzato che viene prelevato è il midollo osseo perché fornisce un
gran numero di cellule in replicazione. Al microscopio ottico si osserva il cariotipo delle cellule.

Finora sono state trattate le modalità attraverso cui delle sostanze possono causare tossicità a livello del
corredo genetico e questa tossicità può essere una mutazione che interessa una, due o poche basi oppure
alterare l’assetto genetico, ovvero intere parti di codici.
Una delle patologie più evidenti di danno al DNA e quindi di affetto avverso è il cancro.

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Tossicologia – IR19

CANCEROGENESI
La cancerogenesi è per definizione il processo attraverso cui si sviluppa il cancro.
Una tipologia di cancerogenesi è la cancerogenesi chimica, che studia i meccanismi attraverso i quali i
cancerogeni chimici inducono il cancro (sviluppo e utilizzo di sistemi atti a determinare il potenziale
cancerogeno di una sostanza nell’uomo).
Il cancro è un ampio gruppo di patologie con gradi di invasività, gravità, manifestazioni e quindi
trattabilità farmacologica chirurgica molto diversi tra loro, ma tutte caratterizzate dalla crescita
incontrollata di cellule anormali, che producono una popolazione cellulare in grado di moltiplicarsi e
invadere sia tessuti circostanti che lontani. La cellula cancerosa può crescere anche in condizioni
sfavorevoli e invadere un tessuto anche molto diverso dal tessuto di origine e addirittura sopravvivere
in condizioni in cui le cellule di quel tessuto entrano in sofferenza.
La caratteristica fondamentale è che le cellule cancerose non sono differenziate, ovvero perdono la
loro differenziazione e quindi la loro funzione. Nella cellula non differenziata viene alterata la velocità
di divisione cellulare rispetto alla apoptosi: prevale la proliferazione a discapito della morte delle cellule.
Una cellula cancerosa, infatti, è una cellula mutata che ha portato ad una variazione di funzione e
perdendo la funzione originaria, va incontro ad un’alterazione del rapporto tra velocità di divisione
cellulare e apoptosi3 (vantaggio terapeutico di selettività rispetto alle cellule normali) (l’apoptosi è un
processo vantaggioso per la cellula che ha riportato un danno in quanto non provoca stati infiammatori
e in genere porta ad una riparazione complessiva del tessuto). È quindi una cellula non differenziata che
si riproduce in modo incontrollato e indipendente dai meccanismi di regolazione dell’organismo. È
slegata da qualsiasi tessuto: riesce ad attecchire e a moltiplicarsi in qualsiasi distretto.
Una cellula differenziata (e quindi con una funzione ben definita) implica un ambiente specifico e
preferenziale in cui sopravvivere. È una cellula, quindi, più fragile.

Cellule sane versus Cellule tumorali

Le cellule tumorali acquisiscono progressivamente, nel corso di successive generazioni, alterazioni


strutturali e funzionali. Queste alterazioni conferiscono al tumore, oltre alla velocità e autonomia di
crescita (si parla di vantaggio clonale rispetto al tessuto, in quanto sono cellule che replicano quando
e come vogliono), le caratteristiche di invasività e di formare metastasi.
 Con il termine invasività si intende la capacità di distribuirsi in tessuti diversi da quello
d’origine.
Esempio. Il tumore colon-rettale nasce sulla mucosa, ma penetra anche nella sottomucosa, poi
nei vasi fino alla muscolatura del tratto GI.
 Con il termine metastasi, invece, si indica la possibilità che una cellula attecchisca in un tessuto
diverso molto lontano dall’origine.
Esempio. Negli organi in cui c’è una massa tumorale altamente vascolarizzata, il tumore passa
nel torrente circolatorio ed ha tutta una serie di possibilità per attecchire (es. carcinoma
epatico). Ciò è possibile perché la cellula cancerosa, avendo perso il controllo della propria
proliferazione e avendo accumulato alterazioni di tipo strutturale e funzionale, si adatta anche
ad ambienti molto diversi da quello di origine.

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Tossicologia – IR19

La cellula tumorale, avendo subito modifiche funzionali, ha un grado di adattamento maggiore rispetto
a quello di una cellula sana, è perciò meno sensibile al cambiamento di condizioni (se una cellula
sana trova il suo ambiente adatto a livello renale,
difficilmente potrà sopravvivere in un altro distretto;
se subisce un danno e non lo riesce a riparare, va
incontro ad apoptosi).
La caratteristica principale, però, resta la perdita del
controllo della crescita, che è continua anche se va a
contatto con delle superfici o se sono danneggiate.
Nelle cellule tumorali non si ha l’inibizione da
contatto come nelle cellule sane (le cellule sane
bloccano la replicazione se hanno altre cellule vicine,
perché la proliferazione potrebbe alterare la
struttura del tessuto).
La cellula tumorale difficilmente va incontro ad apoptosi.

I vantaggi delle cellule tumorali sono:


 Proliferazione rapida e non controllata
 Autonomia nella proliferazione
 Perdita del differenziamento (e quindi della funzione)
 Mancanza di adesione cellulare
 Capacità invasiva
 Può andare incontro a metastasi

La formazione di cellule cancerose dà luogo a neoplasie, che possono essere distinte in benigna e
maligna

Neoplasia benigna Neoplasia maligna


 Crescita lenta  Crescita rapida o lenta
 Poche cellule in proliferazione (in  Numerose figure mitotiche
mitosi)
 Architettura ben differenziata e  Perdita di differenziazione,
mantenuta, disorganizzata;
simile al tessuto d’origine perdita architettura tessuto d’origine
 Massa delimitata con precisione, senza  Localmente invasiva, infiltrazione tessuti
invasione nel tessuto circostante circostanti
 Assenza di metastasi  Metastasi

Grazie a queste caratteristiche, la neoplasia benigna è l’unica ad essere asportabile chirurgicamente.

100
Tossicologia – IR19

FATTORI CHE INFLUENZANO LA CANCEROGENESI

La suscettibilità allo sviluppo di una neoplasia è determinata da interazioni complesse tra:


 età: l’età avanzata implica un maggior numero di replicazioni cellulari e quindi una maggior
probabilità che esse abbiano accumulato mutazioni
 ambiente: con “ambiente” non viene implicata la sola esposizione a sostanze chimiche, ma
anche lo stile di vita (fumo, dieta, comportamenti culturali e sessuali, radiazioni), lavoro,
radiazioni naturali o mediche, esposizione a sostanze presenti nell’aria, nell’acqua e nel suolo. Il
35-80% dei tumori è correlato all’ambiente in cui si vive o lavora.
 patrimonio genetico dell’individuo.
Lo sviluppo del cancro è influenzato sì da fattori genetici, ma anche da fattori epigenetici (esposizione,
ambiente, abitudini di vita ed altro).
Esempio. Angelina Jolie ha scoperto di avere una mutazione a carico di un gene che aumenta la predisposizione all’insorgenza
di un tumore alla ghiandola mammaria. Dato che sia madre che nonna erano morte per tumore al seno, ha dichiarato di aver
eseguito la dissezione della suddetta ghiandola. Questa misura drastica potrebbe essere stata inutile perché, nonostante il
patrimonio sia a rischio, il tumore potrebbe insorgere solo in particolari condizioni epigenetiche.

Una delle patologie più evidenti di danno, e quindi di effetto


avverso, è il cancro. La cancerogenesi ha sempre più
rilevanza perché il cancro è una delle principali cause di
morte in tutti i Paesi sviluppati (nel 2002 è stata registrato
che il cancro rappresenta la seconda causa di morte negli
Stati Uniti).
L’incidenza di morte per cancro in determinati distretti
corporei è estremamente diversificata ed è influenzata sia
dal periodo storico sia dal sesso del paziente, questo perché
l’esposizione e le abitudini di vita sono diverse, tanto da
provocare una vera e propria inversione di trand
d’insorgenza del tumore specifico. Questo è legato al fatto che la cancerogenesi ha una molteplicità di
manifestazioni estremamente ampia.

Sotto è riportato uno studio sull’incidenza di diversi tumori nel maschio, effettuato dalla American
Cancer Society nel periodo tra 1930 e 2011 negli Stati Uniti (trends di morte).
Dagli anni ’30 in poi è stato registrato un aumento di incidenza della maggior parte di tumori, alcuni dei
quali però introno agli anni ’90 sono andati incontro a riduzione.
Ad esempio, dopo il 1980 c’è stato un rapido declino di mortalità per cancro al polmone: in questi anni
è stato infatti introdotto il divieto di fumare in luoghi pubblici.
Nelle donne, il trend delle morte per patologie tumorali è totalmente diverso. Negli anni ’90 c’è stato un
picco di mortalità per tumore al polmone nelle donne: l’indipendenza femminile che ha ridotto i limiti
etici imposti dalla società, ha permesso anche alle donne di fumare senza pregiudizi. Successivamente,
però, sono stati imposti i “Divieti di fumo” in alcuni luoghi chiusi pubblici.
Negli anni ‘80 è stato previsto un maggior controllo del sistema GI che ha permesso di far diminuire
l’incidenza tumorale a questo livello: riuscendo a diagnosticare in modo precoce un eventuale tumore
al colon-retto, la mortalità è notevolmente diminuita (ai soggetti dai 45 anni in su viene consigliata una
colonscopia per individuare eventuali polipi intestinali prima che si trasformino in tumori).
Generalmente questo tipo di tumore mostra i primi sintomi in uno stato relativamente avanzato.
Dagli anni ‘90 al 2011, invece, aumenta l’incidenza di morte per tumore epatico, principalmente a causa
della difficoltà di diagnosi precoce. La possibile causa può essere dovuta all’esposizione a sostanze poco
diffuse prima degli anni 90 oppure ad un cambiamento dello stile di vita (es. malattie metaboliche,
obesità).

101
Tossicologia – IR19

Questa correlazione, però, non è sempre così lineare.

Dal punto di vista tossicologico è importante capire se il trend si mantiene costante nelle epoche o meno,
perché se il trend è costante significa che l’individuo può essere costantemente esposto ad una sostanza
tossica. Se invece il trend cambia, significa che è cambiata l’esposizione ad una sostanza, magari perché
sono cambiate le modalità di diagnosi (diagnosi precoce) o di terapia.

Influenza dei componenti ambientali sull’eziologia del cancro


È stata messa in relazione l’origine geografica (ceppo etnico) con l’ambiente.
In questo caso, l’incidenza di insorgenza tumorale è espressa come rapporto tra il tasso di mortalità
nelle popolazioni considerate rispetto ad una popolazione di bianchi californiani con la stessa
distribuzione di età.
Il grafico mostra come nella popolazione giapponese ci sia un’elevata insorgenza di tumori, soprattutto
a carico di stomaco e fegato. La domanda che sorge spontanea è: l’insorgenza tumorale elevata è dovuta
al fatto che sono giapponesi (profilo genetico particolare) o all’ambiente presente in Giappone?
Per rispondere a questa domanda, è stato
eseguito uno studio su immigrati giapponesi
in USA: dal grafico si evince che l’insorgenza
tumorale è comunque più elevata nel ceppo
etnico orientale rispetto ai nativi americani,
ma risulta minore rispetto ai giapponesi che
vivono in Giappone.
Un ulteriore cambiamento si è osservata nella
prima generazione di figli di immigrati
giapponesi in America: la tendenza tumorale
si riduce ulteriormente. Il fatto che la prima
generazione di figli sia meno suscettibile è
spiegabile dal fatto che l’unione di due etnie
diverse generi un genotipo nel figlio che avrà il contributo di entrambi i genitori.
Questo significa che la suscettibilità ai tumori è influenzata sia dal ceppo etnico sia dall’ambiente in
cui essi si trovano.
Un altro fattore da tenere a mente è se il ceppo etnico è culturalmente chiuso per usi e tradizioni, sia per
combinazioni matrimoniali che per alimentazione. Infatti, a seconda del cibo che viene ingerito, le
sostanze nutritive ma soprattutto quelle potenzialmente tossiche sono diverse, di conseguenza anche le
patologie che possono indurre sono diverse.

102
Tossicologia – IR19

Associazioni causali tra esposizione e sviluppo tumori

Percival Pott (Inghilterra, 1713-1788) fu il primo medico ad osservare un aumento di insorgenza di


tumore al testicolo in molti spazzacamini, a causa dell’esposizione ai prodotti di combustione. Riuscì,
quindi, ad individuare una correlazione tra effetto tossico di una sostanza e ambiente lavorativo (tra
cancro e professione). Da questa considerazione ha preso piede la tossicologia occupazionale.

Oggigiorno, possiamo avere diverse associazioni causali tra esposizione e sviluppo tumori:
Cloruro di vinile Tumore al fegato
Coloranti azoici Tumore alla vescica
Benzene Leucemia
Dietilstilbestrolo (DES) Carcinoma della vagina
Fumo di sigaretta Cancro al polmone

Alcuni individui possono anche non sviluppare tumori in seguito all’esposizione prolungata ad una
sostanza cancerogenetica: in questi casi, probabilmente, il soggetto è munito di fattori particolari di
protezione, da renderlo più resistente rispetto alla media della popolazione (es. fumatori cronici che
vivono fino all’anzianità).

103
Tossicologia – IR19

I grafici sottostanti rappresentano i risultati degli studi dell’American Cancer Society e sono utili per
avere un quadro d’insieme dell’insorgenza dei tumori negli USA, il rapporto tra donne e uomini e la
correlazione con l’ambiente e il periodo storico.

104
Tossicologia – IR19

CLASSI DI AGENTI CANCEROGENI

Da cosa dipende la possibilità che una cellula diventi cancerosa?


La trasformazione di una cellula sana in cellula tumorale, dipende principalmente dalla possibilità che
essa venga esposta a sostanze presenti nell’ambiente (30-80%). Bisogna inoltre tener conto della
complessa interazione tra età dell’individuo, patrimonio genetico e ambiente (es. stile di vita, dieta,
comportamenti di tipo culturale o sessuale, fatto di vivere in una regione piuttosto che un’altra).
Gli agenti cancerogeni si distinguono in:

 Agenti genotossici: agenti che danneggiano direttamente la struttura del DNA


 Sono mutageni nei test di mutagenesi in vitro e in vivo (positivi al test di mutagenesi).
 Causano alterazioni permanenti del patrimonio genetico dell’ospite (mutazioni).
 In seguito a processi di mutazione, una cellula normale acquisisce geni per il cancro durante
il processo di trasformazione cellulare.

 Agenti epigenetici (non genotossici):


 Non risultano mutageni nei test di mutagenesi in vitro.
 Non sono in grado di generare mutazioni, ma pongono le condizioni favorevoli per lo sviluppo
di un processo di cancerogenesi; possono alterare l’espressione di altri geni, ma sono in grado
di indurre la formazione del tumore solo se è già presente un danno a livello genetico.
Contribuiscono all’espansione clonale di cellule con un genotipo alterato (alterazioni di DNA),
dando origine ad un tumore.
Es. Una sostanza epigenetica, quindi presente nell’ambiente, che si lega in maniera selettiva
al recettore degli androgeni, non altera direttamene il DNA, ma alterando la struttura del
recettore e quindi la possibilità di essere attivato, ne altera la funzione; questo a sua volta si
traduce con una risposta genica, ovvero la soppressione o l’induzione di alcune sostanze.
Es. I farmaci che sono anche induttori/inibitori del citocromo P450, potrebbero indurre la
biotrasformazione di una sostanza xenobiotica in un agente genotossico.

 Le cellule normalmente contengono geni per il cancro in uno stadio inattivo; questi diventano
attivi mediante meccanismi di regolazione genica
 Non alterano la struttura primaria del DNA, ma alterano l’espressione (aumento o riduzione)
o la repressione di determinati geni e/o causano alterazioni nei meccanismi di trasduzione del
segnale che regolano eventi, quali la proliferazione, la differenziazione e l’apoptosi cellulare.
Potrebbero legarsi a fattori importanti per il ciclo vitale cellulare, come l’NF-kb, che è un
complesso citoplasmatico che media tantissime reazioni nucleari: la mancata
internalizzazione di questo fattore nel nucleo ne impedisce l’azione, ossia la sintesi di enzimi,
recettori, ecc..
Oltre ad alterare l’espressione di alcuni geni e quindi la sintesi di alcune proteine, infatti,
potrebbero legarsi ad alcune proteine citoplasmatiche che servono per trasdurre il segnale.
Es. Una sostanza xenobiotica passa facilmente la membrana cellulare e arriva nel citoplasma,
dove si lega al NF-kb impedendone la traslocazione al nucleo. Il bersaglio di interazione è una
proteina citoplasmatica, ma l’effetto finale è un’alterazione della funzione.

 In assenza di alterazioni genetiche non sono in grado di indurre la formazione di


tumori: anche se un gene subisce una mutazione, è difficile che si sviluppi il tumore a meno
che l’ambiente non comporti una causa scatenante (iniziatore).
 Molti agenti epigenetici facilitano la proliferazione di cellule con un genotipo alterato (cellule
contenenti un oncogene/i e/o un gene/i) soppressore di tumore mutati) e inducono
l’espansione di queste cellule alterate o “iniziate”.

105
Tossicologia – IR19

Gli agenti epigenetici si dividono in 4 categorie:


- Fattori di crescita come gli ormoni: estrogeni coniugati e dietilstilbestrolo
- Farmaci immunosoppressori, come azatioporina e ciclosporina A. In alcune situazioni,
come un trapianto, è necessario sopprimere il sistema immunitario, accettando però i vari
rischi (ossia mancano le difese nei confronti degli insulti cancerogenici). Al giorno d’oggi sta
prendendo sempre più piede l’immunoterapia oncologica in modo da educare il sistema
immunitario a riconoscere con non self le cellule tumorale.
- Sostanze allo stato solido: esposizione a materie plastiche e asbesto.
- Promotori di tumori in modelli sperimentali umani, come la diossina e il fenobarbitale.
Il fenobarbitale è un induttore enzimatico e l’induzione di enzimi epatici può provocare
l’attivazione di sostanze pro-cancerogene (es. caso del tetracloruro di carbonio, che
normalmente viene biotrasformato a radicale metilico). Viene usato nell’animale in modo da
provocare un’induzione di enzimi, in questo modo si avrà un maggior effetto nel momento
in cui eseguiamo il test di tossicità. Nel modello sperimentale murino, per far sì che il danno
epatico avvenga più velocemente, si pretrattano gli animali col fenobarbitale per indurre gli
enzimi, in maniera tale che quando l’animale sarà esposto al CCl4, ci saranno più enzimi che
lo biotrasformano a radicale e quindi l’azione tossica sarà maggiore.

Ci sono quindi sostanze che a causa della loro interazione con dei bersagli diversi dalle cellule stesse -
che saranno poi oggetto di trasformazione cancerosa- pongono le condizioni più favorevoli alla
formazione del tumore.

106
Tossicologia – IR19

DETERMINAZIONE DEL POTENZIALE CANCEROGENO DI UNA SOSTANZA

Una delle modalità di determinazione del potenziale cancerogeno di una sostanza prevede di allestire
uno studio sperimentale, che però deve seguire l’etica di sperimentazione animale. Generalmente è
condotto sulla specie murina (ratto, topo) in condizioni controllate. Questi studi hanno dei bias e
svantaggi.
Tali studi però presentano degli svantaggi/delle complicazioni:
 Differenze di specie: lo studio è effettuato su specie differenti da quella umana, quindi la
suscettibilità alle sostanze può essere diversa (il risultato potrebbe essere favorevole sulla
specie murina, ma non è detto che lo sia anche sulla specie umana)
 Utilizzo di alte dosi (MTD = massima dose tollerata) per indurre il danno: nello studio vengono
forzate le condizioni, che difficilmente si creano nella quotidianità.
 Breve ciclo vitale dei roditori: 18 mesi per il topo e 24 mesi per il ratto; l’uomo ha una vita
molto più lunga e quindi può avere un’esposizione quali-quantitativa diversa.
 Condizioni controllate nello studio sperimentale: questo non succede nell’uomo.
 Alta incidenza tumorale di base in alcuni organi
 Scarsa numerosità del campione: per etica sperimentale bisogna limitare il numero di animali,
che deve essere il minimo possibile.
 Elevata variabilità del campione umano (razza, età, sesso, stile di vita, esposizione)
 Necessità di estrapolazione da alte a basse dosi per valutazione del rischio umano.

Studi di cancerogenesi nei roditori (2 anni)


Specie: ratti o topi, di entrambi i sessi.
Durata dell’esperimento: 18 mesi per il topo, 24 mesi per il ratto (l’intera vita dell’animale).
Con l’età, gli animali sviluppano normalmente tumori, perciò è necessario paragonare l’incidenza dei
tumori nel gruppo trattato con quella di un gruppo di controllo/non trattato. In presenza di una sostanza
carcinogena, l’insorgenza di tumore aumenta.
Lo studio a 2 anni è un buon modello per valutare il potenziale cancerogeno nell’uomo: tutti i
cancerogeni umani noti sono risultati cancerogeni anche nell’animale, in opportune condizioni
sperimentali (con la possibile eccezione dell’arsenico).

 Un problema degli studi di carcinogenesi è la predittività. Per carcinogeni poco potenti, i


risultati sono spesso di difficile interpretazione e possono dipendere in modo critico dalle
condizioni sperimentali. Essi possono dare un falso negativo perché nonostante un singolo
carcinogeno poco potente non determini tossicità, essa può insorgere con un insieme di questi
fattori.

107
Tossicologia – IR19

CLASSIFICAZIONE IARC

In che relazione stanno i dati sperimentali con le evidenze nella clinica?


In altre parole, esistono dati epidemiologici che dicono che l’esposizione alla sostanza x è da mettere in
relazione con l’insorgenza del tumore oppure si hanno solo i dati sperimentali?

Le sostanze cancerogene vengono classificate dallo IARC (Agenzia internazionale per la ricerca sul
cancro, OMS) a seconda di quanto certa è la capacità di generare tumori sia nell’uomo che nella specie
animale (in base all’evidenza più o meno accertata).
 Gruppo 1: l'agente (miscela) è cancerogeno certo per l'uomo o provoca sufficiente
cancerogenicità nell'uomo (sostanze che inducono lo sviluppo di tumore a tutti coloro che ne
sono esposi).
120 sostanze (es. amianto)
 Gruppo 2A: l'agente (miscela) è probabilmente cancerogeno per l'uomo, ma non certo. Si
hanno prove limitate di cancerogenicità negli esseri umani e prove sufficienti di cancerogenicità
negli animali da esperimento.
82 sostanze
 Gruppo 2B: l'agente (miscela) è possibilmente cancerogeno per l'uomo. Si hanno prove
limitate di cancerogenicità negli esseri umani e prove insufficienti di cancerogenicità anche negli
animali da esperimento.
311 sostanze
 Gruppo 3: l'agente (miscela o esposizione) non è classificabile per la sua cancerogenicità per
l'uomo. L'evidenza di cancerogenicità è inadeguata nell'uomo e inadeguata o limitata negli
animali da esperimento (perché uno studio sperimentale -ma anche clinico- abbia validità, deve
essere condotto nelle condizioni che escludono tutti gli eventi confondenti).
500 sostanze
 Gruppo 4: L'agente (miscela) non è probabilmente cancerogeno per l'uomo. L’evidenza
suggerisce la mancanza di cancerogenicità nell'uomo e negli animali da esperimento.

Questa classificazione è in costante aggiornamento, perché man mano che si scoprono nuove evidenze,
viene aggiornata.

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Tossicologia – IR19

Quando una sostanza diventa carcinogena?


Quando uno xenobiotico è in grado di indurre la trasformazione di una cellula normale a cellula
cancerosa?

Degli studi epidemiologici hanno evidenziato che l’incidenza di tumori aumenta esponenzialmente con
l’età, perché più una cellula vive, maggiore è il tempo in cui può accumulare mutazioni (c’è un fattore di
correlazione diretto con l’invecchiamento).
Una sostanza, però, per diventare carcinogena, deve produrre da 3 a 7 mutazioni critiche (o HITS) in
una singola cellula affinché questa assuma caratteristiche neoplastiche. Tali mutazioni si accumulano
nel clone cellulare derivante dalla cellula con la prima mutazione (es. carcinoma colon/retto) e affinché
la cellula si trasformi, devono provocare:
 alterati processi di replicazione o di riparazione DNA (in caso di danno, un mancato
rallentamento del ciclo cellulare impedisce alla cellula di riparare il danno, che verrà quindi
trasmesso alle cellule figlie)
 danno ossidativo del DNA, ad opera di sostanze genotossiche dirette
 danni del DNA causati da cancerogeni ambientali, che possono essere di diversa natura chimica

L’iperproliferazione veloce non permette una buona correzione del danno provocandone, invece, la
stabilizzazione. Ecco perché la maggior parte dei tumori ha origine monoclonale, cioè deriva da una
singola cellula che si è replicata senza riparare il danno, il quale si è replicato insieme ad essa. Le cellule
figlie presenteranno lo stesso danno.
Se la mutazione non viene riparata e quindi permane nel corredo genetico della cellula, quest’ultima può
andare incontro ad una crescita cellulare facilitata; facilitata perché la mutazione potrebbe aver
abbattuto i geni codificanti per le proteine dell’apoptosi, oppure potrebbe aver portato
all’iperespressione dei recettori per fattori di crescita, oppure potrebbe aver alterato la sequenza
codificante per cicline, necessarie per definire il passaggio ad una fase successiva del ciclo cellulare
(saltando questo passaggio di controllo, la cellula si replica quando e come vuole). Ciò porta
all’espansione del clone mutato, ovvero la cellula prolifera dando luogo a tante cellule che hanno in
comune il danno, cioè il clone mutato.
Molte cellule tumorali presentano delle mutazioni addizionali, ossia -ad ogni replicazione-
introducono successive mutazioni sequenziali critiche in geni bersaglio (oncosoppressori e oncogeni)
di una singola cellula e ciò aumenta in maniera esponenziale. Un clone cellulare necessita decenni per
accumulare molteplici mutazioni critiche così da consentire alla progenie di produrre il cancro.
La massa tumorale, durante lo sviluppo della neoplasia, sarà un insieme di cellule anche diverse tra loro
a livello funzionale, perché hanno accumulato mutazioni diverse (ci saranno sia le cellule progenitrici
del tumore, ossia le più “vecchie”, sia le cellule più “nuove” con mutazioni diverse). Resta comunque la
caratteristica comune del mancato controllo replicativo.
Una mutazione può colpire diversi distretti genici.

Dal punto di vista della terapia ciò è molto importante, perché alcuni nuovi farmaci antitumorali hanno
come bersaglio nella cellula tumorale un recettore, quindi, affinché il farmaco funzioni, questo recettore
dev’essere presente. Nel caso di una massa tumorale priva del recettore, una terapia antagonista del
recettore per trattare risulta fallimentare (ciò vale anche per un enzima o una proteina del sistema di
trasduzione).
Una cellula che muta, cambia anche diversi target, per cui le mutazioni possono andare a carico della
sequenza di bersagli molecolari molto diversi tra di loro, perché mentre la cellula è in rapida
replicazione, accumula altre mutazioni. Di conseguenza, non si avrà una massa omogenea di cellule, ma
saranno tutte caratterizzate dall’essere svincolate dal controllo proliferativo e anche da una morte
programmata.

109
Tossicologia – IR19

Le mutazioni che possono accumularsi nel clone sono a carico di:


 gene RAS (oncogène), che si può attivare.
 gene p53, che è considerato il guardiano del genoma perché è una proteina che riduce l’attività
proliferativa eccessiva.
L’insorgenza del tumore dipende dall’alterazione di proto-oncogeni e oncosopressori.

I proto-oncogeni codificano per proteine che sono fattori di crescita o fanno parte dei sistemi di
trasduzione dei segnali extracellulari. Alcuni importanti oncogeni sono:
 RAS: è una molecola di trasduzione del segnale, che media l'effetto di molti fattori di crescita
(proliferazione e differenziazione cellulare)
 MYC: è un fattore di trascrizione
 SRC: è una proteina tirosina chinasi
 HER-2/NEU, chiamato anche erbB-2: è un recettore del fattore di crescita
 hTERT: è un enzima coinvolto nella replicazione del DNA
 Bcl-2: è una proteina associata alla membrana che impedisce l'apoptosi
Quando questi fattori aumentano, la cellula perde il suo carattere differenziato e quindi la connotazione
funzionale, di conseguenza è molto più resistente.

I geni oncosoppressori del tumore sono un’altra famiglia di geni che se mutati perdono attività, cioè
producono proteine inattive. Normalmente esplicano una funzione negativa sulla crescita cellulare.
Si conoscono 18 geni soppressori di tumore (+12 identificati)
Si tratta di geni i cui trascritti sono:
 Proteine regolatrici negative (inibitorie) della crescita e replicazione cellulare
 Proteine induttrici dell’apoptosi
 Proteine coinvolte nella riparazione del DNA e nell’adesione cellulare
 p53, è il gene più frequentemente mutato nei tumori umani. Viene detto guardiano del genoma,
perché quando è poco espresso, il vantaggio proliferativo è aumentato (in molte forme tumorali
è down regolato)

Attivazione di oncogeni e inattivazione di geni soppressori di tumori (oncosoppressori) all’interno di


una singola cellula sono due eventi fondamentali nella cancerogenesi, in quanto portano a crescita
incontrollata + capacità alterata di morire per apoptosi.
Questo vantaggio proliferativo delle cellule tumorali trova largo impiego di test in vitro: le linee cellulari
che posso produrre sono primarie (vita molto breve a causa dei meccanismi insiti della cellula) oppure
immortalizzate (derivanti da una massa tumorale: vive anche 6 mesi).
In questo caso, per verificare la potenzialità tossica di uno xenobiotico dobbiamo misurare il numero di
passaggi di riattecchimento della cellula. Questo perché se cambia la proliferazione, la cellula perde il
suo carattere iniziale.

Se la mutazione non viene corretta, la cellula andrà incontro ad una crescita facilitata per diversi
motivi:
 mancata attivazione dell’apoptosi
 iperespressione dei fattori di crescita
 influenza delle cicline (definiscono i passaggi tra le varie fasi del ciclo cellulare)
Questo dà luogo all’espansione del clone mutato. L’insieme delle mutazioni addizionali accumulate dalla
cellula vengono definite mutazioni multiple su geni critici. I geni critici sono gli oncosopressori e gli
oncogeni.

110
Tossicologia – IR19

MODELLO MULTIFASICO della CANCEROGENESI


(o cancerogenesi multistep)

Quando una cellula normale subisce un danno genetico ad opera di uno xenobiotico e tale danno non
viene riparato, viene trasmesso alle cellule figlie. Queste cellule ne accumulano in un numero tale da
rendere slatentizzata il controllo della proliferazione.

Esempio. Il modello multifasico di carcinogenesi può essere applicato al tumore colon-retto.


Nel tumore colon-rettale, le mutazioni che si accumulano sulle cellule figlie sono a carico di bersagli
molecolari diversi che hanno un ruolo nel controllo. La massa tumorale attraversa stadi diversi con nomi
specifici perché hanno caratteristiche diverse in termini di invasività, capacità metastatica e di
differenziazione. Arrivata la fase della formazione della neoplasia maligna (in questo caso carcinoma),
si può avere metastasi.

La parte più interna del tubo digerente, che viene a contatto con le sostanze nutritive, è la parte
mucosale. Andando verso l’esterno, si trovano lo strato sottomucoso, i vasi, la componente muscolare
ed infine la parte sierosa.
La massa tumorale cresce nel
sito di origine fino ad invadere il
tessuto vicino. Un tumore a
carico del tubo digerente può
facilmente andare incontro a
metastasi, perché è costituito da
tessuti molto vascolarizzati. È
sufficiente il distacco di un
aggregato di cellule tumorali
dalla massa che entra in circolo
per diffondersi all’intero
organismo.

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Tossicologia – IR19

Schema della cancerogenesi chimica


L’evento iniziale è dato da delle mutazioni di cellule somatiche. Tali mutazioni possono portare a:
 attivazione di oncogeni, che hanno come effetto la promozione della crescita
 alterazione di geni che regolano l’apoptosi, il cui effetto è la riduzione della morte e quindi
l’aumento della sopravvivenza
 inattivazione di geni soppressori di tumori (p53), il cui effetto è l’aumento della crescita e della
sopravvivenza.
Questi tre eventi possono avvenire contemporaneamente perché possono anche essere conseguenti
l’uno all’altro.
Il risalutato di questi tre eventi è l’espressione di proteine alterate (alterazione sia della quantità che
della qualità delle proteine) e la perdita dell’espressione di proteina regolatrici negative della crescita.
Il mancato controllo della crescita si manifesta con l’espansione clonale, ossia la singola cellula si divide
e accumula ulteriori mutazioni somatiche, fino a dar luogo ad una neoplasia. La neoplasia può
degenerare fino a produrre una vera e propria neoplasia maligna.
Esempio. Una mutazione a carico delle pompe di efflusso per i farmaci (multi drug resistance), fa sì che
la cellula esprima un numero maggiore di pompe di efflusso, quindi pone le condizioni ideali per non
essere attaccata da una sostanza con attività tumorale (perché ogni volta che tale sostanza cercherà di
attraversare la membrana, la cellula la ributterà fuori).

112
Tossicologia – IR19

Esiste una sequenza di eventi che in genere che porta alla trasformazione da cellula normale a cellula
neoplastica. Questi eventi sono:

1. FASE DI INIZIAZIONE
L’iniziazione è un evento immediato che danneggia il genoma in maniera irreversibile, senza che ci sia,
cioè, una riparazione enzimatica del danno al DNA prima della replicazione cellulare. Solo se c’è
irreversibilità dell’effetto, sia dosi frazionate del cancerogeno somministrate in successione che una
dose singola, di pari entità, provocano il medesimo
risultato sulla cellula colpita. Anche se la cellula è
mutata, non è necessariamente neoplastica (sono
necessarie dalle 3 a 7 mutazioni affinché lo sia).

2. FASE DI PROMOZIONE
La promozione non provoca un danno diretto al DNA, è reversibile e richiede un livello soglia di
trattamento cronico, al di sotto del quale l’effetto non si manifesta. Affinché il tumore cresca, devono
essere accumulate più mutazioni e deve essere favorita l’espansione. In questo caso si otterrà una
mutazione a carico del fenotipo4 (fenotipo mutato) e non del genotipo (un genotipo mutato si avrebbe
a causa di un’alterazione sulla sequenza del DNA). Quindi la cellula mutata rappresenti il fenotipo che
replica di più e questo può portare all’espansione del clone, cioè alla proliferazione della singola cellula
che porta con sé la mutazione e non solo quella genetica, ma anche una mutata risposta all’evento.
Gli agenti che permettono questa fase sono:
 Fattori promotori: sono sostanze presenti nell’ambiente che favoriscono la progressione
dell’espansione. Queste cambiano il fenotipo della cellula
o Fattori dietetici
o Abuso di alcool
o Gravidanze in età avanzata
 Fattori sia iniziatori che promotori (della trasformazione della cellula):
o Fumo
o Raggi UV
Ci sono anche fattori che hanno un duplice ruolo, ovvero sono siano iniziatori (arrecano il danno) sia
promotori della trasformazione (es. fumo di sigaretta e raggi UV).

Fondamentale è la successione degli eventi, perché in


questa successione si può sviluppare il tumore, se invece la
sequenza temporale si inverte, il tumore non si sviluppa.

4
Il fenotipo è la traduzione in un evento macroscopico nella cellula che era solo genetico. Una modifica a carico del
fenotipo è implicata da una mutazione sul DNA, la quale ha modificato la funzione o il comportamento della cellula.
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Tossicologia – IR19

Esempio. Caso in cui individuo A è stato esposto ad una sostanza iniziatrice x che ha causato una
mutazione. Anche se il genotipo è mutato, in mancanza di esposizione al promotore, non si avrà nessun
tumore. Nel caso in cui, invece, ci sia un iniziatore che provochi una mutazione irreversibile (e
irreparabile), e successivamente l’individuo venga esposto ad una sostanza promotrice, il tumore si
sviluppa.
Il grafico presenta varie situazioni con i relativi risultati. La linea che congiunge ciascuna lettera al
risultato rappresenta il corso della vita dei pazienti considerati.
 A: in presenza di un iniziatore non si avrà tumore
perché rappresenta la dose sub-soglia.
 B: dopo la dose sub-soglia data dall’iniziatore, il
trattamento cronico con promotore produce
tumore.
 D: l’inversione di questi due eventi non provoca
tumore.
Ovviamente l’esposizione a questi agenti è molto più
complessa di questo schema, sia perché l’ambiente in
cui viviamo cambia, sia perché ognuno ha una suscettibilità diversa verso gli xenobiotici.

3. FASE DI PROGRESSIONE
Questa fase è caratterizzata da due eventi: invasività cellulare con eventuale capacità di generare
metastasi. La cellula mutata quindi prolifera in qualunque tipo di tessuto, ovvero invade ambiti che non
sono propri del tessuto di origine e a seconda del tessuto invaso, questo può dare luogo a metastasi,
ovvero all’insorgenza del processo tumorale anche in zone molto distanti dal tessuto di origine.
La cellula necessita però di ulteriori trasformazioni geniche.

…Riassumendo…

Il processo di danno (cancerogenesi) può essere evocato o da una sostanza che si trasforma in un
cancerogeno finale (es. trasformazione metabolica attuata dall’organismo) o da una sostanza con attività
cancerogenica di per sé.
Il risultato del danno, che può essere una mutazione o la formazione di un addotto covalente col DNA
che ne blocca la replicazione, può essere riparata in modo efficiente, inefficiente o non essere
minimamente riparata (se la cellula è andata incontro al ciclo cellulare troppo velocemente e non ha
avuto il tempo di riparare il danno). In questi ultimi due casi, la cellula mutata-iniziata ha una mutazione
silente (non è cancerogena), ma se viene a contatto con agenti promotori, si ha la formazione di una
massa tumorale (espansione monoclonale) che porta alla formazione della neoplasia benigna.
Successivamente, accumulando più mutazioni, può degenerare in una neoplasia maligna.

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Tossicologia – IR19

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Tossicologia – IR19

TOSSICOCINETICA
Dall’esposizione alla risposta tossica
La tossicocinetica rappresenta la strada percorsa da una
sostanza tossica ed è di fondamentale importanza per
determinare l’esito della tossicità.
Come la farmacocinetica, anche la tossicocinetica dipende
dalla natura chimica dello xenobiotico e dal distretto
dell’organismo dove interagisce.
Una sostanza tossica causa tossicità quando raggiunge ed
interagisce col bersaglio. L’interazione esita con una
disfunzione della cellula, che si manifesta con un danno. La
manifestazione di tossicità provocata dal può essere
dovuta:
- ad un’interazione diretta col target
- ad un danno a livello cellulare che si traduce in
un’alterazione funzionale
- ad una riparazione errata o inefficiente (es. di tipo fibrotico o cancerogenico)

La tossicità di uno xenobiotico generalmente implica un assorbimento: l’assorbimento varia a seconda


che la sostanza si trova in forma dissociata o indissociata, in forma libera o legata alle proteine
plasmatiche.

Il destino di un agente tossico nel nostro organismo dipende


dalla via coinvolta nell’esposizione: dopo essere stato
assorbito, passa nel torrente circolatorio, dove può esistere
solubile o legato alle proteine plasmatiche. Da questo
compartimento (torrente circolatorio) può andare:
 nei siti di deposito
 nei siti di biotrasformazione (prevalentemente nel
fegato), in modo da essere biotrasformato ed
eventualmente escreto
 in un sito bersaglio, la cui interazione provoca
tossicità.

Vie di assorbimento delle sostanze tossiche


 Inalazione: i polmoni hanno una superficie alveolari e di circa 100m2 e sono la via di
penetrazione più importante.
 Contatto: la pelle di un individuo di statura media ha una superficie di circa 1,8m2 ed è un’ottima
barriera, se è integra
 Ingestione: l’apparato digerente normalmente non ha molta importanza nell’ambiente di
lavoro, salvo nel caso di comportamenti errati.
Gli xenobiotici possono infatti essere assunti in forma solida, liquida o gassosa.
A seconda della via di assorbimento, le conseguenze dell’azione tossica possono essere molto diverse
(es. se una sostanza tossica viene a contatto con la pelle, avrà una fase di assorbimento diversa rispetto
alla stessa sostanza somministrata per via inalatoria). L’assorbimento è influenzato anche dall’integrità
del tessuto con cui va a contatto e dallo spessore dell’epitelio.

116
Tossicologia – IR19

Passaggio attraverso la membrana


In ogni caso, la sostanza tossica, per essere assorbita, deve penetrare attraverso la membrana cellulare
(una sostanza viene assorbita solo se passa attraverso l’epitelio) e questo passaggio avviene attraverso
le cellule che costituiscono:
 Epitelio stratificato della pelle
 Epitelio dell’albero respiratorio, molto sottile perché permette gli scambi gassosi
 Epitelio intestinale
 Endotelio dei capillari
 Cellule del tessuto/organo bersaglio (membrana plasmatica).
È importante conoscere la struttura perché a ciascuna è associata una funzione diversa e così la capacità
assorbente. Oltre all’epitelio, ciascun distretto è caratterizzato da un proprio microambiente che
influenza l’assorbimento di uno xenobiotico (acidità gastrica, muco intestinale, ecc.).

A lato è riportata la rappresentazione immunoistochimica di


epiteli del sistema GI, in diverse aree (esofago, stomaco,
intestino tenue e crasso). In generale, queste strutture
presentano:
 strato di cellule epiteliali ricoperte da muco con flora
intestinale
 strato mucoso
 strato sottomucoso (vascolarizzato)
 strato muscolare e sieroso, che racchiude il tubo GI

117
Tossicologia – IR19

MEMBRANA CELLULARE
La membrana plasmatica ha una struttura a mosaico fluido. La fluidità della
membrana dipende da:
 contenuto in colesterolo
 lunghezza e grado di insaturazione delle catene di acidi grassi dei fosfolipidi
 ionizzazione delle teste polari dei fosfolipidi

Funzioni della membrana cellulare


 Difesa del contenuto cellulare
 Mantenimento del gradiente osmotico
 Mantenimento del gradiente elettrico
 Regolazione del passaggio di soluti
 Ricezione di messaggi extracellulari
 Comunicazione fra cellule adiacenti
 Metabolismo di composti endogeni
 Riconoscimento della cellula

Funzioni dei componenti della membrana


Le macromolecole che costituiscono la membrana sono:
 Lipidi: 75% di fosfolipidi, 20% di colesterolo, 5% di glicolipidi.
Costituiscono un involucro, quindi rappresentano la prima barriera. Hanno una funzione di
isolamento del contenuto della cellula per formazione di una barriera semipermeabile (fungono
da isolanti) e di regolazione della fluidità della membrana
 Proteine: si suddividono in integrali o transmembrana e periferiche.
È la classe più eterogenea: sono in grado di formare pori/canali sulla superficie, ma possono
anche essere trasportatori, recettori, enzimi o trasduttori.
 Glucidi o zuccheri:
Fungono da marchio di riconoscimento: il residuo glucidico serve a dare la destinazione finale
(mitocondrio, membrana, ecc.) alla proteina.

118
Tossicologia – IR19

TRASPORTO DI MEMBRANA

Uno xenobiotico può penetrare la membrana attraverso diverse modalità, a seconda delle proprie
caratteristiche chimico-fisiche (es. PM).

TRASPORTO PASSIVO (o DIFFUSIONE PASSIVA)

Il trasporto passivo NON richiede energia e segue il gradiente di concentrazione.


Sono in grado di attraversa la membrana con questo meccanismo:
 Piccole molecole idrofiliche (PM<600 Da): passano per filtrazione (sfruttano i pori sulla
membrana).
 Sostanze liposolubili: la velocità di trasporto è funzione della liposolubilità.
Coefficiente di ripartizione n-ottanolo/H2O Kow
 Molecole con un basso grado di ionizzazione, come acidi e basi deboli
Acidi e basi fortemente ionizzati e molecole polari non riescono a diffondere passivamente attraverso la
membrana.

Il passaggio secondo gradiente (passivo) si suddivide in:


A. Diffusione passiva semplice: diffusione attraverso la fase lipidica,
attraverso le maglie della membrana.
B. Filtrazione: diffusione attraverso i pori
Questi due processi NON sono saturabili, che significa che il passaggio
attraverso la membrana può essere continuo.

119
Tossicologia – IR19

DIFFUSIONE PASSIVA SEMPLICE

La diffusione semplice è un tipo di passaggio attraverso la membrana cellulare che non richiede l'utilizzo
di proteine canale o di proteine carrier.
Le sostanze idrofobiche passano con
facilità e velocemente attraverso la zona
delle catene idrocarburiche del doppio
strato lipidico. Piccole molecole polari
come l'acqua passano con più difficoltà.
Molecole polari più grosse come
zuccheri semplici o amminoacidi non
riescono a passare nella zona idrofobica
se non in tempi troppo lunghi.

DIFFUSIONE PASSIVA FACILITATA

La diffusione facilitata NON richiede energia e avviene secondo gradiente di concentrazione. È mediata
da una proteina trasportatrice o carriers, che è un
sistema saturabile (ossia funziona finchè ci sono
proteine libere; quando il sistema è saturato, non passa
più alcuna sostanza, sia che sia una sostanza necessaria
all’organismo sia che sia un farmaco o un tossico),
specifico e competitivo.

Esempio. Il trasporto del glucosio avviene per


diffusione facilitata. Anche se è presente in elevate
concentrazioni da un lato della membrana, a causa delle
sue caratteristiche chimiche non è in grado di
attraversare lo spessore, ma richiede un carrier proteico,
che cambia conformazione a seconda del binding con
una molecola.

120
Tossicologia – IR19

TRASPORTO ATTIVO

Il trasporto attivo RICHIEDE energia perché avviene CONTRO il gradiente di concentrazione. È mediato
da una proteina trasportatrice. È un sistema selettivo, saturabile, specifico e competitivo.
Può andare in diverse direzioni (dentro e fuori dalla cellula) e può portare più di una molecola alla volta,
anche in direzioni diverse:
 Uniporto: prevede il trasporto di una sola
sostanza
 Simporto: prevede il trasporto di più sostanze
nella stessa direzione
 Antiporto: prevede il trasporto di più sostanze in
direzioni opposte

Pompa Na+/K+ ATPasi


La pompa Sodio-Potassio pompa il K+ all'interno della cellula e contemporaneamente il Na+ all'esterno,
che per a causa della diffusione tenderebbero a fare il contrario.
1. Quando è aperta verso l’interno, i siti per il Na+ sono
inizialmente liberi. A questi siti si legano 3 ioni Na+ e al sito
di attacco dell'ATP una molecola di ATP, che libera un
gruppo fosfato (ATP  ADP + P) liberando l'energia; in
questo modo determina il cambiamento di forma della
proteina, che si apre verso l'esterno liberando gli ioni Na+
nello spazio extracellulare.
2. Ora ai siti di attacco del K+ si legano 2 ioni K+ e dal sito
dell'ATP si stacca l'ADP: la proteina riprende la sua forma
iniziale e si apre verso l’interno della cellula liberando i
due ioni K+ all'interno del citoplasma. A questo punto la proteina trasportatrice ritorna nelle
condizioni di partenza e può ricominciare il ciclo di trasporto.

Esempio. Il trasporto del glucosio prevede il co-trasporto in enterociti e cellule dei tubuli renali
 CONTRO gradiente di concentrazione
 CO-trasporto con il Na+ che è poco concentrato nelle
cellule e tende ad entrare

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Tossicologia – IR19

Trasportatori Farmaci
Per amminoacidi Gabapentina, Metildopa, Baclofene, L-dopa, D-cicloserina
Per oligopeptidi Cefalosporine, Captopril, Lisinopril
Per il fosfato Fosfomicina
Glicoproteina P Ciclosporina A, Vinblastina
Per acidi monocarbossilici Acido salicilico, Pravastatina
Per glucosio Derivati del glucosio

Sostanze che interferiscono col meccanismo di trasporto attivo


In tabella sono riportate tutte quelle sostanze che interferiscono con il processo di sintesi dell’ATP e che
quindi interferiscono anche col meccanismo di trasporto attivo. Tali sostanze potrebbero quindi andare
ad interferire col trasporto di sostanze nutritive piuttosto che di un farmaco.

ENDOCITOSI
Per attraversare la membrana, la cellula può sfruttare l’endocitosi. Questo processo implica che la
membrana origini delle estroflessioni in grado di
inglobare una particella. La vescicola che si forma
(endosoma), verrà:
 destinata alle vie di degradazione
(fagocitosi), se la sostanza è solida
 inglobata nel citoplasma, dove può migrare
fino ad un bersaglio, dove rilascerà il
contenuto (pinocitosi), se la sostanza è
liquida

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Tossicologia – IR19

ASSORBIMENTO
È il passaggio del farmaco dal sito di somministrazione al plasma. La via di somministrazione influisce
su:
 inizio dell’azione dello xenobiotico
 intensità dell’azione dello xenobiotico
 durata dell’azione dello xenobiotico
L’assorbimento è trascurabile se l’esposizione è endovenosa (es. il morso di un serpente)

Variabili che condizionano l’assorbimento di una sostanza


 Via di somministrazione
 Caratteristiche chimico-fisiche dello xenobiotico
 Spessore e permeabilità della membrana (Legge di Fick)
 Numero delle barriere da superare
 pH del fluido (equazione di Henderson-Hasselbalch): fluidi gastrici (da 1 a 5), intestinali, sangue
(7,4), lacrime…
 Agenti degradativi, che permettono di non dover avere la necessità del passaggio epatico per
ottenere l’attivazione della sostanza (la microflora intestinale presenta dei batteri non patogeni
che hanno un’attività di tipo biochimico-enzimatico che permette di idrolizzare determinate
sostanze).
 Forma farmaceutica
 Anatomia e fisiologia del sito di assorbimento, a livello sia strutturale che funzionale.

Assorbimento di xenobiotici
Sostanze insolubili Fagocitosi
Sostanze idrosolubili, non ionizzabili small Filtrazione
Sostanze idrosolubili, non ionizzabili large Trasporto Attivo
Sostanze idrosolubili, ionizzate a pH Trasporto Attivo
fisiologico
Sostanze liposolubili, elettroliti deboli Diffusione
Sostanze liposolubili apolari Diffusione

Proprietà Diffusione Diffusione Trasporto attivo


semplice facilitata
Necessita di particolari proteine di No Sì Sì
membrana
Altamente selettivo No Sì Sì
Saturabile No Sì Sì
Può essere inibito No Sì Sì
Regolato da ormoni No Sì Sì
Contro gradiente No No Sì
Richiede energia cellulare No No Sì

L’assorbimento dipende quindi da:


 Solubilità nei lipidi
 Grado di ionizzazione
 Grandezza della molecola

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Tossicologia – IR19

Assorbimento cutaneo di agenti tossici


In sezione, la pelle è costituita da diversi strati di cellule, che uno xenobiotico deve attraversare per
poter arrivare alla componente ematica. Lo strato cutaneo ha uno spessore e delle caratteristiche
diverse a seconda dei distretti dell’organismo e perciò ciascuna zona ha diversa permeabilità agli agenti
esterni.
Ad es., lo stato di idratazione dello strato corneo condiziona l’assorbimento. Lo strato corneo
superficiale è costituito da:
 zona plantare e palmare, 400-600 mM di spessore
 zona degli arti, schiena, addome, 8-15 mM
Lo spessore di questo strato può però essere ridotto con solventi come il DMSO, che facilita la
penetrazione dello xenobiotico, perché rimuove la matrice lipidica. L’assorbimento è facilitato anche se
è compromessa l’integrità dello strato corneo a causa di escoriazioni o ferite.

Spessore da
attraversare prima
di arrivare ai
capillari sanguigni
e linfatici

Assorbimento di sostanze tossiche attraverso i polmoni


L’assorbimento di xenobiotici è favorito dall’elevata superficie di scambio con l’esterno, dalla ricca
vascolarizzazione, dal veloce flusso ematico e dalla struttura dell’epitelio respiratorio.
L’apparato respiratorio è costituito da trachea, bronchi e alveoli. L’unità funzionale dell’apparato è
l’alveolo, che permette lo scambio gassoso tra l’aria inspirata e il sangue. Quando un gas inalato
raggiunge i polmoni, le molecole diffondono dallo spazio alveolare al sangue e si instaura un equilibrio
di ripartizione tra le molecole della sostanza nei due scomparti: il sangue ricco di CO2 o di sostanze
volatili, scambia il contenuto attraverso il sottilissimo epitelio dell’alveolo; la CO2 viene liberata e il
sangue si arricchisce di O2 e delle sostanze presenti nell’aria.
La velocità di assorbimento dipende dal coefficiente di
ripartizione sangue/gas:
 Coefficiente basso: la velocità di assorbimento dipende
dal flusso sanguigno (la perfusione è il fattore limitante)
 Coefficiente alto: la ventilazione è il fattore limitante

La deposizione di sostanze tossiche nei polmoni possono


provocare patologie quali asbestosi (provocato dall’esposizione
all’amianto) o silicosi.
Generalmente l’esposizione inalatoria ad uno xenobiotico vede la
manifestazione di tossicità sul sito d’assorbimento.

124
Tossicologia – IR19

Assorbimento di sostanze tossiche nel tratto gastrointestinale

Questa via comprende: cavo orale, esofago, stomaco e tratto intestinale.


Le sostanze tossiche possono venire ingerite, ma raggiungono questo sistema anche se l’esposizione
coinvolge un'altra via d’assorbimento. Gli organi e i tratti che compongono questo distretto hanno
struttura simile:
 Tessuto mucoso
 Tessuto sottomucoso
 Tessuto muscolare: è longitudinale, circolare, frapposto e le sue contrazioni coordinate
generano le onde peristaltiche. Queste permettono la spinta dell’organo e del suo contenuto in
senso aborale (dalla bocca all’ano)
 Tessuto sieroso
 vasi sia arteriosi che venosi
ma sono molto diversi per spessore e funzione, nei diversi tratti.

Esempio. L’intestino è costituito da uno strato epidermico con cellule a stretto contatto tra loro.
Il tubo intestinale è caratterizzato da un’irrorazione sanguigna esterna -sia di tipo venoso che di tipo
arterioso- e presenta diversi strati, che -dall’interno verso l’esterno- somigliano ad una mano guantata.
Al di sotto della superficie mucosa sono presenti cellule di natura diversa (es. cellule che fanno parte del
sistema immunitario), seguono lo strato muscolare e la componente vasale. Lo stato muscolare è
importante perché essendo di tipo longitudinale-circolare frapposto, le contrazioni coordinate dello
strato longitudinale e circolare generano l’onda peristaltica, cioè la spinta che viene data all’organo e
quindi al suo contenuto, in senso aborale, cioè dalla bocca verso l’anno.
Nel dettaglio, il villo intestinale è costituito da cellule molto superficiali e a stretto contatto tra di loro
(sono quelle che vengono a contatto con cibi e xenobiotici) caratterizzate da uno strato significativo di
muco, in cui possono esserci peptidi ad attività antimicrobica e microbi, che servono per l’omeostasi
dell’organismo. In caso di stati infiammatori a livello intestinale o regimi alimentari squilibrati (es. diete
ad alto regime lipidico), le connessioni tra le cellule sono più lasse, ossia c’è più spazio tra una cellula e
l’altra, e quindi virus e batteri -che normalmente sono confinati qui (e non possono passare)- penetrano
all’interno del villo e scatenano delle reazioni di tipo
immunitario.

125
Tossicologia – IR19

Le caratteristiche/gli elementi funzionali da considerare per analizzare l’assorbimento del sistema GI


sono i seguenti:
 Presenza di trasportatori per l’assorbimento di:
o sostanze nutritive (zuccheri e aminoacidi)
o sostanze essenziali (vitamine)
o ioni inorganici
o Questi stessi trasportatori possono inglobare xenobiotici o farmaci.

 Attività transcitotica (formazione di vescicole: fagocitosi e pinocitosi) per l’assorbimento di:


o Proteine fisiologiche (immunoglobuline)
o Proteine (tossina botulinica)
o Particelle varie di materiali sintetico (polistirene, PEG)

 Superficie assorbente, che è la maggiore di tutto l’organismo. Nell’immagine è riportata una


sezione di intestino. Esso è suddiviso in:
 Duodeno: circa 25 cm, mescolamento e digestione, dotti dal pancreas e colecisti
 Digiuno: circa 1 m, digestione e assorbimento, aumento di pliche e villi
 Ileum: circa 2 m, maggior assorbimento, placche di Peyer (tessuto linfatico)
L’intestino tenue è il luogo di maggior assorbimento. Es. Aspirina: 30% assorbita nello stomaco
+ 70% nell’intestino

 pH e motilità gastrointestinale: l’assorbimento di una sostanza è fortemente influenzato dal


passaggio gastrico.
o Se la sostanza tossica/farmaco ha caratteristiche tali da essere assorbita a livello
gastrico, la minor superficie di contatto e le condizioni più rigide rispetto all’intestino,
permetteranno un assorbimento minore.
o Se, però, l’assorbimento è previsto a livello intestinale, la superficie è maggiore e così
l’assorbimento.
La latenza d’azione tra esposizione ed effetto tossico è molto ridotta per cui si manifesta prima.

 Stato di riempimento o replezione dell’apparato digerente: la presenza di cibo nello stomaco


influenza sia l’ingombro sterico sia lo stato funzionale (sostanze che stimolano la secrezione di
enzimi o di succhi, variazione del pH). La presenza di cibo ritarda l’assorbimento dei farmaci
perché:
 diminuisce la velocità di svuotamento gastrico
 diluisce il principio attivo

126
Tossicologia – IR19

MOTILITÀ GASTRICA
Lo stomaco è un organo costituito da una mucosa, un robusto strato muscolare e uno strato sieroso.
Lo strato muscolare liscio è doppio (longitudinale e circolare) e permette la contrazione delle pareti in
modo da mescolare il cibo all’interno e permettere così un omogeneo contatto con acidi ed enzimi
gastrici= proteasi (io modo le proteine si scindono in aa) e, a tempo debito, svuotarne il contenuto. Lo
svuotamento gastrico è un processo esponenziale di t1/2 = 20 - 60 min per pasti moderati o fluidi.
Il pH e il comportamento dello stomaco cambiano a seconda del suo stato di riempimento.
Tanto più veloce è lo svuotamento gastrico, tanto maggiore sarà l’assorbimento a livello intestinale.
L’intestino, però, ha una struttura e soprattutto un pH diverso: l’assorbimento di una sostanza è perciò
influenzato dalla natura della molecola e dal grado di ionizzazione che avrà in questo distretto.
Es. Se un farmaco o una sostanza tossica viene assorbito a livello gastrico, si riduce il tempo di
permanenza dello stomaco e quindi si riduce la possibilità di assorbimento. Se invece viene assorbito a
livello intestinale, allora viene accelerata la fase di permanenza nell’intestino e quindi la latenza d’azione
tra l’esposizione e l’effetto terapeutico/tossico è molto ridotto (quindi l’effetto si manifesta prima).

Lo svuotamento gastrico può essere influenzato da diversi fattori:


 una patologia in corso
 assunzione di farmaci che attivano i recettori sulla superficie del tessuto gastrico e aumentano
lo svuotamento gastrico. Es. L’assunzione di un procinetico assieme ad un farmaco che deve
essere assorbito a livello gastrico, porta ad una diminuzione della quota di farmaco che viene
assorbita. Es. L’assunzione di un purgante, che attiva la peristasi intestinale e quindi lo
svuotamento dell’intestino, assieme ad un farmaco, da una parte riduce l’assorbimento del
farmaco, ma dall’altra il purgante è una forma di decontaminazione da una sostanza tossica,
perché lo si allontana dall’organismo.
o Farmaco ad attività simpatica: l’aumento dell’attività simpatica aumenta il tempo
necessario per svuotare lo stomaco; la paura, ad esempio, limita questo processo perché
impegna le energie in altri distretti corporei.
o Farmaco ad attività anticolinergica, sia direttamente (atropina) sia per effetto
secondario (fenotiazina), rallentano questi processi.
 tipologia del pasto (grasso, alcol): un pasto ricco di lipidi rallenta lo svuotamento. Generalmente,
un bicchierino di superalcolico a fine pasto migliora la digestione perché favorisce lo
svuotamento gastrico ma, in alcuni soggetti, può paralizzarlo

Ogni fattore che promuove lo svuotamento gastrico (es. farmaci procinetici), aumenta l’assorbimento di
xenobiotici.
Il principale agente contratturante del tratto GI è l’acetilcolina, tranne che per l’innervazione del vago
in cui avviene l’effetto opposto rispetto al cuore. Se il tono vagale è ridotto, sono ridotti anche la
secrezione gastrica acida, lo svuotamento gastrico e la contrattilità intestinale.

ASSORBIMENTO NELLO STOMACO


A digiuno pH gastrico 1.2 – 1.8
A stomaco pH gastrico 3–5
pieno

I farmaci acidi, se sufficientemente liposolubili sono assorbiti perché non ionizzati.


Esempio: Aspirina pKa = 3.5  [R-COO-]/[R-COOH] = 10(pH-pKa) = 10(1,5-3,5) = 10(-2) = 1/100
Significa che 1 sola molecola su 101 è dissociata e quindi lo xenobiotico è in forma idonea per essere
assorbito.

127
Tossicologia – IR19

La velocità di svuotamento gastrico è:


aumentata da: diminuita da:
 fame o digiuno  diminuzione del pH
 posizione sdraiata sul fianco dx  cibo solido (grassi, proteine): lo
 elevati volumi di fluidi svuotamento gastrico avviene più
 ansia lentamente rispetto all’assunzione di un
 ipertiroidismo cibo liquido o semiliquido
 farmaci (es. metoclopramide, che è un  viscosità elevata
procinetico, quindi agisce sui recettori  soluzioni ad alta osmolarità
presenti nello stomaco, causa contrazione  gravidanza
della parete muscolare e quindi  ipotiroidismo
svuotamento)  ulcera gastrica
 farmaci (es. anticolinergici,
antidepressivi triciclici, ecc.)

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Tossicologia – IR19

MOTILITÀ INTESTINALE
La motilità intestinale condiziona solo l’entità dell’assorbimento. Il tempo di transito di un farmaco
nell’intestino tenue è di circa 4 ore. Un’eccessiva motilità intestinale (purganti), diminuisce
l’assorbimento; infatti, il purgante ha spesso l’azione di decontaminazione dell’organismo. La
contrazione in questo caso è necessaria per trasferire il contenuto verso l’ano per essere eliminato.
La motilità intestinale può cambiare (diarrea/stipsi):
 un soggetto stitico assorbe maggiormente di un soggetto sano.
 un soggetto con diarrea, invece, assorbe molto meno di un soggetto sano.

La motilità intestinale è influenzata da:


 Attività vagale (colinergica): se aumentata, aumenta la motilità.
Lo stato di attivazione del sistema parasimpatico mantiene l’equilibrio neurovegetativo
dell’organismo, insieme all’attività antagonista del tono simpatico. Per esempio, l’attività vagale
favorisce la digestione e l’assorbimento intestinale, in quanto aumenta la secrezione gastrica e
la motilità intestinale e rilascia lo sfintere pilorico, regola lo svuotamento della vescica, rallenta
il battito cardiaco, stimola la secrezione delle ghiandole lacrimali e salivari ecc.
 Cibo: rallenta il tempo di transito
 Farmaci spasmolitici: utilizzati per de-contrarre la muscolatura liscia. Poiché è grazie alla
muscolatura liscia che avviene l’onda peristaltica, se questa non avviene, si ha un rallentamento
del tempo di transito.
 Purganti: aumentano la motilità intestinale

Caratteristiche chimico-fisiche di xenobiotici


L’assorbimento gastrointestinale avviene quasi esclusivamente per diffusione passiva
Molecole piccole e neutre (EtOH, HCN)  alta diffusibilità
Molecole altamente liposolubili (olio minerale)  inassorbite
Molecole altamente idrosolubili (antibiotici  inassorbite
aminoglicosidi)

Caratteristiche anatomo-fisiologiche del tratto digerente


A livello del tubo digerente ci sono zone diverse con pH, struttura
e funzione diversi, ma soprattutto variabili di funzionamento
diversi.

ASSORBIMENTO NELL’INTESTINO
Avviene per la maggior parte nell’intestino tenue.
Il pH sale progressivamente, sia per diluizione del succo gastrico sia per alcalinizzazione dovuta ai
bicarbonati pancreatici.
Duodeno pH intestinale 5–7
Digiuno pH intestinale 6.3 - 7.3
Ileo pH intestinale 7–8

L’assorbimento di basi è molto aumentato, mentre è buono per acidi con pKa basso.

129
Tossicologia – IR19

EFFETTO DEL CIBO SULL’ASSORBIMENTO

Esempio di effetto del cibo sull’assorbimento dei farmaci


L’effetto del cibo è trascurabile sull’assorbimento se il farmaco è assunto 30 min prima o 2 h dopo i
pasti.
NB. Il latte o i derivati latticini -quindi i prodotti con alto contenuto di Ca2+- riducono l’assorbimento di
svariati antibiotici. Questo perché il Ca2+ nei cibi forma con l’antibiotico dei chelati insolubili.
Nell‘esperimento seguente, sono stati somministrati diversi farmaci (singolarmente) a digiuno e dopo il
pasto. Dopo regolari intervalli di tempo, sono stati prelevati dei campioni di sangue e tramite HPLC è
stata misurata la quantità di farmaco presente. L’obiettivo è ricavare il valore della Cmax necessario per
poi calcolare la AUC.

Concentrazione plasmatica di Diclofenac (FANS)


o a digiuno
 dopo un pasto
Da questo grafico si vede come l’assunzione del farmaco a
digiuno raggiunge la Cmax in un tempo più breve rispetto ad un
soggetto a stomaco pieno, questo perché cambia la probabilità di
andare a contatto con la superficie della parete e inoltre il pasto
rallenterebbe lo svuotamento gastrico.

Concentrazione plasmatica di norfloxacina (antibiotico)


o a digiuno
 con 300 mL di latte
 con yogurt
Da questo grafico si evince che la concentrazione di
antibiotico nel sangue è maggiore nel soggetto a digiuno
(raggiunge il picco di Cmax dopo circa 1h, dopodiché la
concentrazione plasmatica si dimezza), probabilmente
perché il calcio che è contenuto nei due prodotti ha complessato il farmaco riducendone la
biodisponibilità.
La differenza tra latte e yogurt sta nella consistenza e l’obiettivo era capire se la consistenza influiva
sull’assorbimento.

Concentrazione plasmatica di ciclosporina


 pasto a basso tenore lipidico
 pasto ad alto tenore lipidico
Dal questo grafico, invece, si vede come un pasto ricco di lipidi
rallenta lo svuotamento gastrico e aumenta la concentrazione
di farmaco nel sangue (+ 1/3). Si ha l’aumento
dell’assorbimento di farmaci liposolubili grazie alla
formazione di un’emulsione oleosa con il grasso ingerito o per
la formazione di micelle con i sali biliari.

130
Tossicologia – IR19

Altri effetti del cibo


 Aumenta la viscosità: rallenta lo svuotamento gastrico e la motilità intestinale, rallenta la
disaggregazione e la dissoluzione, ostacola il contatto delle molecole con la parete intestinale
 Stimola le secrezioni gastro-intestinali: pepsina, sali biliari
 Ci sono poi delle sostanze che stimolano la produzione di succhi gastrici. Questi succhi
garantiscono l’acidità gastrica, la quale permette l’attivazione delle proteasi gastriche, ossia gli
enzimi che degradano le proteine (es. carne, tossine) ma anche molti xenobiotici.
 Compete per i sistemi di trasporto: aminoacidi - L-dopa
 Complessazione: tetracicline, fluorchinoloni
 Aumenta il flusso ematico attraverso il fegato: propranololo (minore effetto di primo
passaggio)
Le sostanze piccanti facilitano la digestione. Esempio. Il peperoncino, che contiene la Capsaicina,
causa la deplezione della combinazione nervosa a livello gastrico, liberando peptidi. Questa
liberazione fa sì che interagiscano con il tessuto circostante causando un aumento di flusso
ematico. L’area su cui agisce questa sostanza, libera peptidi (sensazione di bruciore) e perciò
perde la funzionalità dei recettori per il dolore, ma attiva un richiamo di sangue nell’area e
questo favorisce la vascolarizzazione del tessuto gastrico e il suo funzionamento.
 Può ridurre l’effetto di primo passaggio intestinale: succo di pompelmo
 Può adsorbire farmaci diversi: pectina

Tutte queste considerazioni valgono per qualsiasi sostanza, anche per le sostanze tossiche.
La via di somministrazione influenzerà perciò anche l’esito della risposta tossica.

Esempio. Riboflavina somministrata per via orale.


La riboflavina ed il suo 5'-fosfato sono additivi alimentari censiti
dall'Unione Europea e identificati rispettivamente dalle sigle E 101 e E
101a.

Vantaggi della via di somministrazione orale (per os):


 garantisce un’ampia superficie di assorbimento
 è considerata la più sicura e pratica delle vie di somministrazione
 permette l’uso di forme a rilascio controllato.

Svantaggi della via di somministrazione orale:


 determina un assorbimento variabile e relativamente lento (presenza di cibo)
 subisce l’effetto di primo passaggio e la sostanza può andare incontro a inattivazione chimica o
enzimatica nel lume gastrointestinale.

Il pH delle varie zone dell’intestino e dello stomaco può subire variazioni anche notevoli, in quanto è
condizionato da:
 Digiuno: riduce il pH gastrico
 Stato patologico, come ulcere o tumore gastrico
 Tipologia di cibo: un pasto ricco di grassi, oltre a cambiare il pH e rendere più viscoso il fluido
gastrico, rallenta le contrazioni della parete e quindi la velocità di svuotamento.
 Farmaci come PPI (inibitori della pompa protonica), anticolinergici (scopolamina, atropina ma
anche farmaci che hanno come effetto collaterale l’attività anticolinergica) o altri (antiacidi).

131
Tossicologia – IR19

ASSORBIMENTO DI SOSTANZE TOSSICHE NEL TRATTO GASTROINTESTINALE

L’assorbimento quindi dipende anche dalle caratteristiche degli xenobiotici, quali:


 Liposolubilità e ionizzazione
 Assorbimento di ioni
 Dissoluzione

Fattori fisiologici che influenzano l’assorbimento di xenobiotici


 Estensione della superficie assorbente: molto maggiore nell’intestino rispetto allo stomaco.
 pH dei fluidi GI
 Motilità GI: soggetta a forti variazioni
 Flusso ematico: variabile
 Presenza di trasportatori: molto maggiore nell’intestino rispetto allo stomaco

Altri fattori che influenzano l’assorbimento di xenobiotici sono:


 Cibo: aumenta la viscosità e perciò diminuisce la diffusione
 Motilità: aumenta l’agitazione e quindi diminuisce lo strato di diffusione
 Volume dei fluidi: diminuisce la concentrazione della sostanza e quindi il gradiente che guida
l’assorbimento

La principale sede di assorbimento di xenobiotici è l’intestino perché:


 La superficie disponibile per l’assorbimento è molto maggiore rispetto a quella dello stomaco:
- Superficie dello stomaco: 1 m2
- Superficie dell’intestino: 200 m2
 La perfusione ematica è molto maggiore rispetto a quella dello stomaco
- Perfusione ematica dello stomaco: 150 mL/minuto
- Perfusione ematica dell’intestino:1 L/minuto
 La densità e la varietà dei trasportatori è molto elevata
Esempi di trasportatori nell’intestino: zuccheri, amminoacidi, basi pirimidiniche
 La gamma di pH è ampia
- Stomaco: 1 – 3.5
- Duodeno: 5 – 7
- Ileo: 8
- Crasso: 8
- Sangue: 7.4

La velocità di svuotamento gastrico influenza soprattutto l’assorbimento di farmaci e xenobiotici:


 che vengono assorbiti nell’intestino
 che vengono inattivati nello stomaco
 somministrati in forme gastroprotettore

132
Tossicologia – IR19

DECONTAMINAZIONE
Per decontaminare l’organismo da un’intossicazione, si possono eseguire numerose procedure:
 Lavanda gastrica
 Induzione del vomito: tramite la somministrazione di sciroppo di ipecacuana
 Stimolazione dell’evacuazione intestinale: se è passato troppo tempo dall’ingestione della
sostanza, che è quindi già stata assorbita, si va ad aumentare la motilità intestinale al fine di
ridurre la presenza della sostanza dell’intestino e aumentare lo svuotamento intestinale.
 Alterazione del pH delle urine: possibile solo se la sostanza ha delle caratteristiche tali da
permetterlo.
Questo processo può avere anche dei risvolti legali: nel caso del doping, cambiando il pH delle
urine, è possibile condizionare la presenza della sostanza nelle urine.

Il passaggio delle sostanze attraverso la membrana avviene secondo la legge di Fick (valida per
sostanze che non siano elettroliti deboli), ossia una relazione tra lo spessore della parete cellulare e
l’area della membrana, e la concentrazione del farmaco. Secondo la legge di Fick il flusso molare= (C1
– C2)*D*A/d con:
- Flusso molare= velocità del passaggio dal compartimento 1 al compartimento 2
- C1 e C2: concentrazione del farmaco (F) nei due compartimenti (C)
- D: coefficiente di diffusione, che dipende sia da F che da C, cioè può essere identificato come
coefficiente di ripartizione
- A: area delle membrane che F deve attraversare
- d: spessore delle membrane da attraversare

Diverso è il caso degli xenobiotici con basso peso molecolare (MW < 1000) e degli elettroliti deboli (acidi
o basi) e perciò scarsamente dissociati. In soluzione nei fluidi organici, le due forme -dissociata e
indissociata- coesistono.
 La forma indissociata ha una maggiore liposolubilità rispetto alla forma dissociata, e perciò è
più permeabile alle membrane.
 La forma dissociata, essendo più polare e quindi più idrofilica, è più solubile nel sangue ma ha
una maggior difficoltà ad attraversare le membrane.
Le membrane sono molto più permeabili alle forme non-ionizzate dei farmaci, dotate di maggior lipofilia
rispetto alle forme ionizzate. Le condizioni che aumentano l’idrofilicità, impediscono alla sostanza di
attraversare facilemente le barriere.
Questa caratteristica è di fondamentale importanza se viene correlata al pH del fluido in cui si trova. Si
tratta infatti di un’equazione che mette in relazione la sostanza (acido o base debole) col pH del fluido
biologico (sangue pH=7.4, succo gastrico pH=1-5, secrezioni intestinali pH=5-8) in cui si trova. Questo
significa che, a seconda del tratto GI in cui la sostanza si trova, sarà in grado o meno di attraversare la
barriera cellulare e di essere assorbita.

133
Tossicologia – IR19

Grado di ionizzazione
A seconda del grado di ionizzazione si può avere anche un diverso riassorbimento a livello renale:
 Se la sostanza viene riassorbita, torna in circolo e perdura l’effetto
 Se la sostanza non viene riassorbita, ma viene invece favorita l’escrezione, l’effetto
farmacologico termina.

Sotto è riportata una tabella che esplicita la relazione data dall’equazione di Fick e considera un acido
debole con pK=5 o una base debole con una pK=5. Si simula la possibilità che l’acido o la base si trovino
in un fluido con un pH diverso. quello che si ottiene è che:
 l'acido debole con pK=5, in un fluido con pH=3, ha solo 1 molecola su 5 dissociata.
 l'acido debole con pK=5, in un fluido con pH=7, è quasi totalmente dissociato.
Questo serve per capire se e in quali liquidi biologici la sostanza è dissociata o meno e questo condiziona
il riassorbimento o l’escrezione.

134
Tossicologia – IR19

La frazione di farmaco che si trova nella forma non ionizzata dipende dalla sua natura chimica, dal suo
pKa e dal pH dei fluidi organici nei quali si trova in soluzione.
Sia per acidi che per basi, pKa = -log Ka, ma è anche il pH al quale il 50% della molecola è in forma
ionizzata.

135
Tossicologia – IR19

Sapere in che forma si trova una sostanza in un liquido biologico ci permette di sfruttare il fenomeno
della trappola ionica, ossia la condizione per cui una sostanza che si viene a trovare in un fluido
biologico ad un pH tale per cui la sostanza è in forma ionizzata/polare, essendo in un sistema biologico
non riesce più ad attraversare la membrana plasmatica, restando intrappolata. Questo fenomeno può
accadere in moltissimi tessuti.
Anche lo stomaco può rappresentare una trappola ionica (in tal caso si parla di trappola ionica gastrica)
perché se un farmaco resta intrappolato in questo distretto, si manifesta il fenomeno di lesività di un
farmaco. La somministrazione di un farmaco quindi può indurre la trappola ionica (PPI nello stomaco
cambia il pH gastrico).
La funzione di trappola ionica dipende dal pH del fluido.

Questo meccanismo può essere sfruttato anche per nascondere una sostanza assunta, in modo da
concentrarla in un distretto che non si analizza. In questo modo, si evita che si trovi nelle urine, facendola
riassorbire. Ovviamente un’analisi del sangue scoprirebbe le carte in tavola.
Al contrario, si può accelerare l’eliminazione di una sostanza (es. dopante) in modo da non trovarla più
né nel sangue né nelle urine.

In caso di sovradosaggio, gli xenobiotici acidi si concentrano nel plasma, mentre quelli basici si
accumulano nello stomaco (lavanda gastrica acida). Nel basso pH dello stomaco si ha una quasi completa
ionizzazione di sostanze basiche (“fenomeno della trappola ionica”).

Esempio
Nel caso del fenobarbitale, alcalinizzando l’urina si
facilita l’eliminazione, mentre acidificando l’urina,
l’equilibrio si sposta, quindi viene riassorbito e torna in
circolo.

Esempio
È possibile prolungare gli effetti dell’Anfetamina (base
debole con pKa=10) soministrando bicarbonato, quindi
alcalinizzando le urine. Il bicarbonato aumenta la frazione
di anfetamina indissociata, che può essere riassorbita nel
nefrone e tornare in circolo. In caso di overdose, si
acidificano le urine per aumentarne l’escrezione.

Esempi

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Tossicologia – IR19

#Problema 1
Qual è la percentuale di fenobarbitale (acido debole, pKa = 7.4) che si trova nella forma ionizzata nelle
urine a pH 6.4?

#Problema 2
Se ad un paziente viene somministrato pentotal sodico per via orale e non per via endovenosa, sarà
osservabile l’effetto ipnotico?
Le informazioni note sono:
- pH dello stomaco = 2.5
- pKa del pentotal sodico = 7.4 (è un acido debole)
- somministrazione per os (se fosse stato per via E.V. il pH sarebbe cambiato a 7.4)
Per capirlo, si sfrutta l’equazione di Fick.

#Problema 3
Un farmaco con caratteristiche di base debole con pKa di 7.8 è noto per avere effetto teratogeni. Se viene
somministrato per via endovenosa ad una donna in stato di gravidanza, questo farmaco attraverserà la
placenta ed avrà effetto sul feto?
Le informazioni note sono:
- pH del fluido = 7.5
- pKa del farmaco = 7.8
Anche in questo caso, si applica l’equazione di Fick.

137
Tossicologia – IR19

La via di somministrazione può condizionare il potenziale tossico.


Ad esempio, l’acqua potabile contaminata da nitrati dà esiti diversi in una popolazione fragile (bambini)
rispetto a quella adulta.
Normalmente i nitrati vengono convertiti a nitriti, i quali hanno una forte potenzialità tossica in quanto
sono in grado di interagire con l’emoglobina e causare la formazione della metaemoglobina, che ha
scarsa capacità di legare O2. Ecco perché questa interazione può portare ad anossia (=scarso
approvvigionamento d’ossigeno nel sangue).
Nei bambini l’acidità gastrica è ridotta perché i sistemi che la garantiscono devono ancora maturare
completamente. Questo comporta una minor attivazione degli enzimi gastrici, ma anche ad una minor
efficienza della sterilizzazione del contenuto gastrico (il pH=1,8 dell’adulto assicura che i batteri
presenti non vengano trasferiti in forma vivente nei tratti successivi, quindi sterilizza il contenuto).
Fanno eccezione solo il Lactobacillus e Acidophilus che sono resistenti al pH acido.
Questa condizione si manifesta anche negli adulti che assumono farmaci inibitori di pompa protonica
(PPI).
Per questo motivo, una delle patologie che si sta manifestando frequentemente negli ultimi 20 anni è la
SIBO o sindrome da iperproliferazione batterica, ossia una sindrome dovuta ad una crescita
eccessiva di batteri nell’intestino, dovuta al cambio di pH gastrico.
Nei bambini questa sindrome fa sì che i batteri risalgano lungo il canale intestinale verso lo stomaco,
dove l’acidità non è così spiccata. A questo livello, i batteri sono in grado di ridurre i nitrati in nitriti,
trasformando l’emoglobina in metaemoglobina. Conseguenza, i bambini possono andare incontro ad
anossia.
Un altro caso che si è verificato, riguarda alimenti come gli spinaci che vengono utilizzati triturati o
omogenizzati nella dieta infantile. Nelle foglie degli spinaci, i nitriti sono già presenti perché nelle foglie
sono presenti degli enzimi in grado di convertirli a partire dai nitrati. Quindi, nel momento in cui
vengono somministrati gli spinaci in questa, si liberano i nitriti che possono provocare gravi
intossicazioni nei bambini.
Nell’adulto (ha un’acidità gastrica più spiccata), invece, anche se si formasse metaemoglobina in piccole
quantità, ha un corredo enzimatico tale da riconvertirla in emoglobina, soprattutto grazie alla
metaemoglobina reduttasi. Il problema, però, è che questo enzima deve la sua attività alla presenza di
un altro enzima, il glucosio 6-fosfato deidrogenasi. Se questo enzima non funziona bene, viene meno sia
la capacità di riconvertire la metaemoglobina in emoglobina, provocando anossia, sia soprattutto la
capacità di ripristinare il glutatione GSH (molto frequente nei casi di pazienti con predisposizione
genetica). Non riuscendo a ripristinare il glutatione ridotto, l’organismo non riesce a contrastare l’azione
delle sostanze ossidanti.
Inoltre, i nitriti possono trovarsi come tali negli additivi delle carni (prosciutto rosa) o nei pesci
affumicati per rendere più appetibile il cibo. A livello dell’organismo, l’acidità gastrica facilita
l’interazione tra i nitriti presenti e le ammine dando luogo alle nitrosammine (che oggi sono classificate
come cancerogeni certi di classe 1, in quanto responsabili dell’insorgenza del tumore al fegato e alla
vescica).

INIBITORI DEL PROCESSO MULTIFASICO DI CANCEROGENESI


Sono tutte quelle sostanze che vanno ad interferire col ciclo cellulare (ritardano la progressione
cellulare,). Possono essere diverse sostanze naturali e di sintesi:
 Vitamina C: perché evita la formazione di nitrosamine nello stomaco
 Fibre nelle verdure: ostacolano l’assorbimento intestinale di cancerogeni
 β -carotene, selenio, α-tocoferolo: in quanto antiossidanti (contrastano il danno)
 Alcuni flavonoidi che inibiscono il legame covalente dei cancerogeni al DNA
 Retinoidi, β -carotene, selenio, α -tocoferolo, indoli delle crucifere e composti
organosolforati di cipolla e aglio: in grado di inibire l’azione dei promoventi

La dieta ha un ruolo fondamentale nella prevenzione alla cancerogenesi. La corretta alimentazione


potrebbe anche ridurre la suscettibilità a determinate sostanze cancerogene. Ovviamente, essa non è
sufficiente per essere completamente protetti dai carcinogeni: ogni giorno siamo a contatto con più
carcinogeni di quello che pensiamo.

138
Tossicologia – IR19

MEMBRANE E BARRIERE
In tossicocinetica si analizzano membrane e barriere che fungono da ostacolo per il passaggio di alcune
sostanze potenzialmente tossiche per l’organismo.
In alcuni casi le sostanze vengono bloccate ma va tenuto conto che in alcuni distretti esse possono
sfruttare trasportatori specifici per penetrare nel lume del vaso ed essere distribuite.
Le barriere più conosciute sono:
 Ematoencefalica
 Ematotesticolare
 Placenta

Barriera ematoencefalica
La barriera ematoencefalica (BEE) è una barriera tra la
componente ematica e il tessuto cerebrale.
È una barriera più selettiva e complessa di molte altre in
quanto costituita da capillari provvisti di un ulteriore strato
protettivo esterno formato da cellule chiamate astrociti1. Le
sostanze, quindi, devono affrontare un percorso più selettivo
prima di arrivare al SNC.

Permeabilità capillare
Riferendosi alla permeabilità capillare ci si riferisce sempre
alle strutture più semplici, come i sinusoidi epatici, che
presentano delle cellule con delle ampie fenestrature atte a
permettere lo scambio delle componenti che sono all’interno
del torrente plasmatico con l’esterno (sostanze tossiche,
xenobiotici, ormoni, farmaci, ecc.).
Nella struttura normale del capillare (non nel SNC) le cellule
endoteliali presentano spesso degli spazi intracellulari dette
fenestrature che possono essere più o meno ampie e
permettono entrata e uscita di sostanze dal lume.
Nel caso del capillare nell’encefalo (capillare della BEE) c’è
un ulteriore stato formato dai prolungamenti degli astrociti
che rendono più difficile l’accesso al tessuto.
In prossimità delle cellule dell’endotelio esistono anche dei
trasportatori per sostanze utili al tessuto (vitamine,
sostanze organiche, ecc.) e pompe di efflusso2.

1 Gli astrociti sono cellule particolari costituenti della neuroglia e si trovano nel sistema nervoso
centrale. A livello embrionale gli astrociti, come tutti gli elementi della neuroglia (escluse le cellule
satelliti e le cellule di Schwann), a parte la microglia di derivazione mesodermica, derivano
dall'ectoderma del tubo neurale.
2 Proteine che estrudono dalla cellula le sostanze entrate.

139
Tossicologia – IR19

È importante conoscere la struttura della barriera in quanto possiamo prevedere quali sostanze
possono passare o meno
Alcune sostanze sfruttano, inoltre, una certa somiglianza chimica per ingannare i trasportatori e riuscire
ad entrare nella cellula oppure possono interagire, con il trasportatore, bloccandolo o riducendone
l’attività.

140
Tossicologia – IR19

Caratteristiche anatomiche e funzionali della barriera ematoencefalica

Le tight junctions3 impediscono il passaggio di


sostanze polari attraverso le vie paracellulari, la
diffusione di sostanze più lipofile è contrastata
dai sistemi di efflusso dei trasportatori per
xenobiotici presenti sulle cellule endoteliali.
Le cellule gliali, gli astrociti, contribuiscono
alla barriera secernendo fattori che modulano
la permeabilità delle cellule endoteliali e gli
astrociti con i loro processi avvolgono la
barriera.

Il passaggio attraverso la BEE è regolato dagli


stessi principi che valgono per
l’attraversamento delle membrane cellulari:
una sostanza con spiccato carattere lipofilo
passa più facilmente attraverso la membrana,
mentre una sostanza con uno spiccato carattere ionizzante avrà più difficoltà.

L’accesso al tessuto cerebrale è determinato dal carattere lipofilo e/o dal grado di ionizzazione.
Solo la quota di farmaco libero può entrare nel cervello e la solubilità nei lipidi e/o grado di ionizzazione
sono fattori determinanti.

Es 2-PAM, derivato ammonio quaternario, non passa nel cervello ed è inefficace nel contrastare l’inibizione
della colinesterasi causata da intossicazione da organofosforici4. La presenza dei gruppi organici e dei
gruppi PO4 sono due caratteristiche che ne determinano una spiccata capacità di passare attraverso la
BEE. Un caso tipico di intossicazione è rappresentato dai contadini che ne fanno largo uso in campagna:
si provvede a spogliare il soggetto dagli abiti contaminati, lavare la cute e cercare di ridurre il passaggio.
L’intossicazione da organofosforici va a causare un’inibizione della acetil colinesterasi (AChE –
enzima che idrolizza ACh) e quindi causa una maggior concentrazione di ACh nelle sinapsi con
conseguente maggior stimolazione recettoriale. I risultati sono: aumento della secrezione ghiandolare,
pupille a punta di spillo, peristalsi aumentata, ipotensione, broncocostrizione, contrazioni muscolo-
scheletriche involontarie.
L’approccio per ridurre il danno da avvelenamento da organofosforici è quello di contrastare l’inibizione
dell’enzima, che si attua con la somministrazione di derivati come la pralidossina (2-PAM, un derivato
ammonio quaternario). La molecola presenta un problema di carica: l’ammonio quaternario, essendo
carico, non oltrepassa la BEE quindi è inefficace nel contrastare gli effetti centrali dell’avvelenamento.
Un altro approccio all’intossicazione è dato dalla somministrazione di un anticolinergico come l’atropina,
che passa la BEE, così come l’intossicazione da atropina può essere contrastata con la somministrazione di
ACh-stimolatori.

Alcune sostanze lipofile possono riuscire ad entrare ma vengono rimosse da trasportatori e pompe
da efflusso come la Glicoproteina P, e non raggiungono concentrazioni sufficienti per avere una funzione.
Es ciclosporina. L’esito dipende nuovamente dalle caratteristiche della sostanza.

3 Le giunzioni occludenti (giunzioni strette o tight; o Zonulae occludentes) impediscono il passaggio dei
fluidi tra le cellule andando a formare attorno al perimetro cellulare una cintura continua detta zonula.
Sono particolarmente presenti negli epiteli di rivestimento (es.pelle) e negli epiteli intestinali per far sì
che non filtrino sostanze tra i vari ambienti. Nelle giunzioni occludenti gli spazi interstiziali sono
annullati in corrispondenza dei punti nodali: punti in cui i lembi di membrana che si affrontano sono
saldamente coesi. La totalità delle membrane adiacenti è percorsa da ripetute serie di tali punti, sicché
i lembi di membrana appaiono anastomizzati tra loro.
4 All’inizio del secolo venivano usati come armi chimiche mentre in seguito sono stati impiegati come

pesticidi.
141
Tossicologia – IR19

Altre sostanze sfruttano trasporto mediato da carrier. Es. mercurio metilato, CH3Hg, si combina con la
cisteina, formando un complesso sulfidrilico simile alla metionina, che viene trasportato da un carrier per
aminoacidi perché inganna il trasportatore. Il mercurio, in questa forma, ha accesso all’encefalo.

La permeabilità della BEE non è omogenea in tutto il SNC, ma varia in maniera molto sensibile in
funzione del flusso ematico (le aree più irrorate sono più permeabili). Esistono delle condizioni in cui la
permeabilità della BEE è ulteriormente variata per:
1. Processi flogistici: in caso di infiammazione a carico della membrana viene alterata la
selettività e la funzionalità come barriera.
2. Età: nei soggetti molto giovani o anziani la BEE è scarsamente funzionale, quindi in queste due
popolazioni fragili ci possono essere alterazioni da parte di xenobiotici che normalmente non
hanno il SNC come target di tossicità. Nell’adulto, infatti, la struttura è integra.
3. Condizionamento della permeabilità per favorire il passaggio di sostanze quali i farmaci.
Sottoporre a ultrasuoni la BEE la rende più permeabile (esperimento recente), quindi possiamo
adottare questo escamotage per veicolare farmaci antitumorali nell’encefalo che normalmente
non arriverebbero in loco. Allo stesso modo può essere favorito l’accesso ad una sostanza tossica.

I fenomeni di trasporto attivo hanno ruolo nel determinare le concentrazioni di xenobiotico nel cervello
(ATPtransporters, ABC, SLC). Fenomeni di efflusso tramite
trasportatori (MDR, BCRB) sono presenti sul versante apicale
(blood side) della membrana plasmatica e spostano
xenobiotici assorbiti nei capillari verso il sangue.
MDR e BCRP contribuiscono all’efflusso della β-amiloide dal
cervello. Nei pazienti con Alzheimer i livelli di espressione di
MDR1 sono ridotti, quelli di BCRP sono aumentati.
La permeabilità della MEE varia in maniera molto sensibile da
un’area all’altra, probabilmente da mettere in relaizone con il
flusso ematico (zone più irrorate di altre) ad esempio
corteccia, ipotalamo, lobo posteriore dell’epifisi. Esisono delle
condizioni in cui la permeabilità è ulteriormente cambiata, ad
esempio un processo di infiammazione a livello delle
membrane o l’età. Nei soggetti molto giovani e molto anziani
la BEE è meno funzionale. Alcuni xenobiotici possono dare
tossicità solo in soggetti di età particolari.
Un altro caso si nota con l’esposizione ad ultrasuoni che
rendono più permabile la BEE e possono essere usati per
migliorare l’efficacia di farmaci come ad esempio
chemioterapici.

142
Tossicologia – IR19

Barriera placentare
La placenta è un vero e proprio organo con anatomia,
fisiologia e funzione ben definite a seconda delle fasi della
gravidanza. Può secernere ormoni che condizionano il suo
stesso funzionamento.
Ha il compito connettere l’embrione o il feto all’utero e
presiedere agli scambi materno-fetali fino al termine della
gravidanza, attraverso la fitta rete di seni dove circola il
sangue materno con un flusso pari a 600mL/min.
Protegge il feto da sostanze nocive presenti nel sangue
materno e permette di scambiare sostanze di scarto come CO2
con O2.
Garantisce il passaggio di numerose sostanze, processi di
trasporto attivo consentono il passaggio di sostanze nutritive
e vitamine dalla madre al feto.
Produce ormoni necessari per il mantenimento della gravidanza (estrogeno,progesterone).
Consiste di numerosi strati di cellule interposti tra la circolazione fetale e quella materna (grande
componente vasale), strati che variano con il periodo di gestazione e da una specie all’altra.
Il passaggio attraverso la placenta implica la distribuzione dei farmaci dalla circolazione materna a
quella fetale.

Oltre ad essere una barriera multistrato, è provvista anche di enzimi con capacità biotrasformanti.
5

È provvista, inoltre, di enzimi, trasportatori e pompe di efflusso tra cui:


 Organic anion transporting polypept ides;
 Organic anion transporters (OAT);
 Organic cation transporters (OCT);
 Trasportatori delle monoammine (MAO);
 Equilibrative nucleoside transporters (ENT);
 P-glycoprotein;
 Breast cancer resistance protein (BCRP);
 Multi drug resistant protein (MDR);
Il trasportatore è presente con l’intento di regolare le funzioni
fisiologiche di mantenimento dell’omeostasi e permettere lo sviluppo del prodotto del concepimento,
ma svariate sostanze possono legarsi ai trasportatori e sfruttarli per entrare e causare danni.

5 Figure 1. A schematic representation of the syncytioblast. Free drugs and their metabolites usually
cross the placenta by passive diffusion, transporter-mediate transfer, or both. Within the syncytium,
drugs can undergo phase I and phase II metabolism. P-gp, P-glycoprotein; BCRP, breast cancer
resistance protein; MRP, multidrug resistance-associated protein; OATP, organic anion-associated
polypeptide; OAT, organic anion transporter; OCT, organic cation transporter; OCTN, organic
cation/carnitine transporters; SERT, serotonin transporter; NET, norepinephrine transporter; ENT,
equilibrative nucleoside transporter; CYP, cytochrome P450; UGT, uridine diphosphate
glucuronosyltransferases.

143
Tossicologia – IR19

La pletora di sostanze che se assunte durante la gravidanza causano malformazioni fetali è molto vasta,
tra queste ricordiamo sia farmaci che sostanze d’abuso:
 Androgeni e derivati del testosterone;  Litio;
 ACE-inibitori;  Antibiotici aminoglicosidi;
 Anticoagulanti orali;  Tetracicline e fluorochinoloni;
 Antagonisti dell’acido folico;  Etanolo;
 Acido valproico;  Cocaina;
 Benzodiazepine;  Talidomide: da cui sono partiti gli studi
 Carbamazepina; sulle alterazioni dello sviluppo.
 Fenitoina;

144
Tossicologia – IR19

ELIMINAZIONE DEGLI XENOBIOTICI


Per essere assorbiti e distribuiti ai vari distretti dell’organismo i farmaci devono possedere
caratteristiche fisico-chimiche che sono diverse da quelle che ne favoriscono l’eliminazione.
Il destino dello xenobiotico dopo l’assunzione è rappresentato da due vie:
1. Escrezione: valgono le leggi opposte all’assorbimento. La lipofilia e l’assenza di cariche
elettriche facilitano l’assorbimento, ma sono caratteristiche sfavorevoli per l’eliminazione che
viene favorita se la sostanza possiede caratteristiche idrofile. E’ quindi necessario che
l’organismo provveda alla trasformazione delle molecole lipofile in idrofile modificandone la
struttura.
2. Metabolismo o biotrasformazione: il processo di biotrasformazione delle sostanze ed in
particolare dei farmaci è detto metabolismo dei farmaci.
Il metabolismo ha lo scopo di trasformare, all’interno dell’organismo, le sostanze estranee in
composti più polari e più idrosolubili, aumentandone l’escrezione. Queste reazioni in genere
sono portate avanti ad opera di enzimi, tra cui una classe importante è quella dei CYP450.
Quando una sostanza viene a contatto con l’organismo può essere biotrasformata e andare
incontro a diversi destini, variando per esempio la sua attività, i suoi effetti terapeutici o tossici.

Alcuni esiti della biotrasformazione:


 La sostanza rimane inalterata in seguito a passaggio epatico
 Farmaco attivo in metabolita inattivo
AmfetaminaFenilacetone tramite deaminazione,
FenobarbitalIdrossifenobarbital tramite idrossilazione
Atropina  Acido tropico
 Farmaco attivo in metabolita attivo
CodeinaMorfina tramite demetilazione (il metabolita attivo non ha lo stesso spettro
farmacologico del composto di origine)
ProcainamideN-Acetilprocainamide tramite acetilazione
Fenilbutazione Ossifenbutazone tramite idrossilazione
Propranololo  idrossipropranololo (il metabolita attivo ha lo stesso spettro
farmacologico del composto di origine: viene prolungato l’effetto)
 Farmaco inattivo in metabolita attivo (profarmaci)
EtacillinaAmpicillina tramite idrolisi
Ossicodone  ossimorfone
SulfasalazinaSulfpiridina+Ac. 5-aminosalicilico tramite azoriduzione
 Farmaco attivo in metabolita reattivo
AcetaminofeneMetabolita reattivo con necrosi epatica, dato da idrossilazione aromatica
BenzopireneMetabolita reattivo con carcinogenesi, dato da idrossilazione aromatica
Fenacetina  N-Acetilbenzochinonimina (metabolita tossico)

La biotrasformazione si può concludere con due esiti:


1. Prodotto di detossificazione, da eliminare (esito positivo)
2. Composto bioattivato (esito negativo), in questo caso si ha tossificazione.
La tossicità può essere messa in relazione con intermedi reattivi o con la formazione di radicali liberi
(vedi tetracloruro, trasformato in radicale dal fegato e somministrazione concomitante di induttore6).

6Nell’esperimento si procede trattando con un induttore per 2 settimane, poi con il tetracloruro. Infine,
creato il danno epatico nel modello sperimentale si studia l’esito. In un soggetto che assume un farmaco
con capacità di induzione del P450, esposto al tetracloruro (per esempio in ambito professionale). In
questo caso il soggetto è esposto al rischio di tossicità da tetracloruro.
145
Tossicologia – IR19

Intermedi reattivi
Elettrofili, con elevata instabilità chimica,
interagiscono con nucleofili (legame
covalente con DNA, RNA, proteine).
I composti in grado di fornire reattivi
elettrofili sono tantissimi, ricordiamo
idrazine, aflatossine, mostarde azotate,
ecc. queste ed altre sono sostanze che in
seguito alla biotrasformazione subita
nell’organismo si trasformano in tossici.
Ci sono alcuni farmaci come fenitoina o
talidomide che danno luogo a
manifestazioni sul feto, il paracetamolo
viene invece biotrasformato in una
sostanza che si accumula nel fegato, il
quale è sia luogo di biotrasformazione che
di bioaccumulo. Altre sostanze alle quali
possiamo essere esposti non hanno nulla a che vedere con i farmaci e sono, per esempio, l’aflatossina, il
metanolo, il benzene, ecc. essi in seguito a biotrasformazione danno luogo alla formazione di intermedi
reattivi.

A lato alcuni intermedi reattivi elettrofili.

Sono presenti, tra le sostanze reattive, sia


farmaci sia sostanze già citate.

Radicali liberi
Atomi o molecole con uno o più elettroni spaiata, derivano da rottura simetrica di legame, elevata
instabilità, causano perossidazione lipidica in presenza di ossigeno (stress ossidativo). Ricordiamo
CCl4CCl3°+Cl°
Il paracetamolo viene biotrasformato in una sostanza che si accumula nel fegato, quindi la sede di
biotrasformazione è anche la sede di tossicità a quel composto.

146
Tossicologia – IR19

Enzimi preposti alla biotrasformazione

Ricordiamo alcuni concetti fondamentali per quanto riguarda il metabolismo.


Per prima cosa, sappiamo essere suddiviso in due fasi:
 Fase I (bioattivazione), reazioni di ossidazione, riduzione, idrolisi. Sono dette reazioni di
funzionalizzazione ovvero che introducono (ossidazione e riduzione) o espongono (idrolisi)
un gruppo funzionale.
 Fase II (bioinattivazione), sono prevalentemente reazioni di coniugazione con acidi
(glucuronico, solforico, acetico) o amminoacidi, tutti gruppi che aumentano l’idrofilia della
molecola. I gruppi che vengono legati, infatti, presentano spiccate caratteristiche di idrofilicità.

FASE I (Funzionalizzazione) FASE II (Coniugazione)


Ossidazioni Glucoroniltransferasi
Citocromo P450 Acetiltranseferasi
Alcool Deidrogenasi Sulfotransferasi
Aldeide Deidrogenasi e ossidasi Metiltransferasi
Xantina ossidasi Glutatione transferasi
Prostaglandina H sintasi Aminoacido transferasi
Riduzioni
Citocromo P450
Idrolisi
Esterasi
Amidasi

Alcune sostanze possono subire entrambe le fasi di metabolismo, alcune possono subire solo le reazioni
di fase I e altre ancora solo quelle di fase II. Fasi diverse hanno enzimi preposti specifici (il citocromo
è considerato come un enzima jolly perché media sia Red che Ox e catalizza la maggior parte delle
biotrasformazioni).
Nella fase II ci sono enzimi deputati al trasferimento di gruppi specifici al substrato, quindi sono delle
transferasi.

147
Tossicologia – IR19

Gli enzimi che metabolizzano gli xenobiotici in genere mancano di selettività, ma questa scarsa
efficienza è compensata dalla loro grande quantità. In genere riconoscono solo il gruppo funzionale,
quindi riescono a funzionare comunque, nonostante non selezionino una molecola precisa.
Gli enzimi biotrasformanti si trovano in grande concentrazione nei principali punti di accesso
all’organismo (mucosa intestinale, fegato,
polmoni, epitelio nasale) o a specifici
distretti (barriera ematoencefalica,
placenta). Il motivo di tale distribuzione è
quello di poter bloccare sul nascere l’ingresso
di una sostanza potenzialmente nociva.
Un’altra caratteristica importante è
l’inducibilità, cioè l’organismo risponde
all’esposizione a xenobiotici incrementando
la sintesi degli enzimi che li metabolizzano. È
possibile aumentare il grado di espressione di
un enzima (quindi si ha una maggiore
capacità biotrasformante) ma si può anche
inibire la sua espressione, quindi ci sarà
carenza dell’enzima con conseguente
mancata biotrasformazione.
Poter conoscere e modificare l’attività di
enzimi metabolici è fondamentale per gli
scopi farmaceutici.
I composti tossici possono entrare da varie
vie (polmoni, pelle, intestino) e
successivamente il torrente circolatorio lo
porta al fegato che biotrasforma la tossina in
base alle sue caratteristiche. In seguito
questa potrà essere eliminata attraverso la
cute (sudore), i polmoni (aria espirata vedi
esempio etilometro ed etanolo), l’intestino
(feci e bile) e i reni (urina).

Gli enzimi preposti alla biotrasformazione si


trovano a livello:
 della barriera ematoencefalica,
 dei polmoni,
 della cute,
 del fegato,
 del rene
 della placenta.
 Nel caso dei fluidi extracellulari, l’attività metabolica è limitata a reazioni idrolitiche.
 Un’altra sede importante di biotrasformazione è quella legata alla microflora intestinale che
catalizza reazioni di idrolisi e di riduzione. In quest’ultimo caso bisogna ricordare che i batteri
hanno capacità metabolica sui farmaci e su alcune tossine, inoltre alcuni ceppi batterici
possono produrre ormoni tra cui la serotonina, che potrebbe interagire con delle terapie
antiserotoninergiche o pro-serotoninergiche.
 A livello cellulare, gli enzimi sono prevalentemente localizzati nel reticolo endoplasmatico
liscio (struttura cellulare in cui si verifica la maturazione delle proteine aggiungendo la
sequenza zuccherina che definisce la localizzazione finale della proteina. In queste zone ci sono
enzimi microsomiali, presenti anche in mitocondri e perossisomi) e in parte presenti anche nella
frazione solubile del citoplasma e in minor quantità nei lisosomi, nei mitocondri, nei
perossisomi e nella membrana nucleare.

148
Tossicologia – IR19

Reazioni di fase I : CYP450


Il citocromo P450 è l’enzima più importante nel metabolismo degli xenobiotici, ossida e riduce molecole
molto diverse tra loro, il che implica che la maggior parte delle sostanze verrà biotrasformata da un solo
P450. Presenta le seguenti caratteristiche importanti:
 È una proteina intrinseca di membrana contenente un gruppo eme, dove il ferro può esitere
in forma ridotta o ossidata;
 Complessato in forma ridotta con
CO, ha un massimo di
assorbimento a 450nm
(Pigmento che assorbe a 450
nm);
 Sono state identificate più di 150
isoforme codificate da 60 geni
diversi. Ogni isoforma ha la
possibilità di biotrasformare
substrati diversi;
 Presenta polimorfismi e
variabilità di frequenza nella
popolazione;
Nell’immagine vediamo la grande capacità dei P450 di
metabolizzare gruppi di sostanze.
Il citocromo P450 è in grado di ossidare un numero enorme
di sostanze ma i tipo di reazione ossidative che può
catalizzare sono limitati. Ricordiamo infatti:
 Idrossilazione di un atomo di carbonio alifatico o
aromatico;
 Epossidazione di un doppio legame;
 Ossigenazione di S o N;
 Dealchilazione di O, S o N;
 Deaminazione, desolforazione o dealogenzione
ossidativa;

Il metodo di nomenclatura dei citocromi ci permette di


risalire:
 superfamiglia (insieme di isoforme),
 famiglia (identità amminoacidica>40%)
 sottofamiglia (identità amminoacidica>55%).
Sono state identificate 74 diverse famiglie di cui 14 presenti
nei mammiferi.
Es: CYP1A1 indica il citocromo 1 appartenente alla
sottofamiglia A con isoforma 1.
Il 3A4 catalizza la maggior parte delle reazioni, insieme al 2D6.

149
Tossicologia – IR19

Di seguito qualche esempio in cui sono coinvolte delle isoforme particolari nella biotrasformazione di
tossine in intermedi reattivi di tipo tossico.

Il benzopirene, ad opera del CYP1A1, viene


trasformato in diversi epossidi e tramite
anche altri enzimi si ottiene un composto
finale che ha una struttura molto diversa
dalla struttura di partenza. Tuttavia,
quest’ultima è direttamente responsabile
dell’effetto carcinogenico. L’epossido, infatti,
può formare un addotto molto stabile con il
DNA7.

Un altro esempio è quello riguardante


l’aflatossina, che è convertita dal CYP1A2 o
dal CYP3A4 in un intermedio epossidico che
è il diretto responsabile della sua tossicità.

Infine, il caso più noto è quello del


paracetamolo, convertito nel suo metabolita
tossico. Il paracetamolo è un FANS
estremamente impiegato. All’utilizzo di
paracetamolo in condizioni non appropriate
si associa una tossicità molto elevata.
Prevalentemente, alle normali dosi, viene
solfonato o glucoronidato permettendone
l’eliminazione renale. Una piccola parte della
dose terapeutica somministrata (7-10%) di paracetamolo viene, tuttavia, ossidata dal CYP2E1 e
successivamente coniugata al glutatione per permetterne l’eliminazione.
Somministrando dosi elevate8, però, si produce una maggior quantità di derivato tossico
(parabenzochinone ossidato) che non trova un’altrettanta elevata quantità di glutatione, quindi tutta la
sostanza tossica in eccesso è libera di espletare la propria tossicità con il tessuto epatico. Una delle
manifestazioni più eclatanti è la necrosi epatica.

L’etanolo viene biotrasformato in compartimenti cellulari diversi (persossisomi, citolsol ,microsomi)


da enzimi diversi come l’alcol deidrogenasi, il CYP450 e la catalasi. Attraverso queste tre vie diverse
l’alcol viene trasformato in acetaldeide, componente tossica.

7 Dato che si parla di tossicità, possiamo immaginare che la conseguenza della trasformazione dia
problemi in quanto l’organismo non riesca a contrastare il prodotto tossico creato. Si crea, quindi,
un’alterazione permanente delle cellule che in presenza di condizioni favorevoli porta a sviluppare un
tumore.
8 Più di 4g nel bambino e 7-10g nell’adulto.

150
Tossicologia – IR19

Normalmente, l’acetaldeide subisce l’attività


dell’aldeide deidrogenasi per dar luogo
all’acido acetico. Questo passaggio viene
sfruttato nel trattamento dell’etilista cronico,
viene infatti somministrato il disulfiram
inibitore dell’aldeide deidrogenasi: bloccando
questo passaggio l’aldeide non si trasforma ad
acido acetico ma si accumula come
acetaldeide creando la classica
sintomatologia (nausea, mal di testa ecc.). In
questo modo, più alcol assume il soggetto, più
si sentirà male e sarà psicologicamente
portato a ridurne il consumo.

151
Tossicologia – IR19

I substrati trasformati dal P450 sono sostanze molto diverse tra di loro, appartenenti alle classi
terapeutiche più disparate: dal macrolide alla ciclosporina, agenti ipoglicemizzanti, antiepilettici,
inibitori di pompa, ecc.
Alcuni substrati sono elencati di seguito:

Alcuni di essi, inoltre, non sono semplicemente substrati ma rappresentano anche i modulatori
dell’attività del citocromo (inducendo o riducendo l’attività).
1. L’effetto complessivo che ne risulta è un maggiore metabolismo, quindi si accelera
l’eliminazione e l’effetto diminuirà prima.
2. Inoltre, se la sostanza blocca l’attività del citocromo, si arriva all’accumulo e alla manifestazione
tossica.
3. Più comunemente i substrati vanno ad interferire con il metabolismo di altri farmaci
(interazione di farmaci dal punto di vista farmacocinetico: interferenza del farmaco X con il
metabolismo del farmaco Y).
L’attività enzimatica può essere modulata attraverso:
a. un’induzione farmacologica
b. un’inibizione farmacologica
La quantità ed espressione dell’enzima nel tessuto può essere regolata da ormoni, quindi cambia
in soggetti che hanno disequilibri ormonali, stati patologici e più semplicemente in soggetti che
presentano polimorfismi legati al gene che codifica per il CYP450.

Alterare l’attività enzimatica significa alterare la possibilità di produrre o non produrre dei
metaboliti idrofili, di disattivarli ed eliminarli o di produrre/non produrre sostanze responsabili di
effetti tossici o di bioattivare o meno dei farmaci (per esempio profarmacofarmaco).
Capire se l’enzima funziona e quantificarne l’attività condiziona l’esito dell’eliminazione ma anche la
risposta stessa ad un farmaco.

152
Tossicologia – IR19

I fattori che condizionano l’attività sono:


 Età (bambini e anziani, come per la BEE sono soggetti a rischio e sono accomunati dal non avere
un pattern enzimatico perfettamente funzionante. Nel caso dei bambini si tratta di un mancato
sviluppo dovuto alla giovane età, nel caso degli anziani a causa del decadimento fisiologico. In
queste due popolazioni la dose di farmaco che va somministrata deve essere strettamente
controllata perché l’esito è poco prevedibile);
 Sesso;
 Fattori ambientali (esposizione a fumo di sigaretta o inquinamento da idrocarburi aromatici);
 Dieta (rientra nello stile di vita come i fattori ambientali)
o Induttori: crucifere, carne di manzo molto arrostita alla brace
o Inibitori: bioflavonoidi del succo di pompelmo;
 Farmaci
o Induttori: barbiturici, anticonvulsivanti, antistaminici, iperico
o Inibitori: estrogeni, cimetidina, anticoagulanti9
 Fattori genetici (portatori di polimorfismi sulla sequenza del gene10)
 Alterata funzionalità epatica (casi di epatite, tumori epatici, ecc. riducono significativamente
la funzione detossificante del fegato).

9 Soggetto anziano assume anticoagulanti per pregressa patologia cardiaca. Ha una capacità di
detossificazione ridotta in quanto il farmaco inibisce l’attività del P450. Tale soggetto è più propenso a
manifestare effetto tossico se sottoposto ad altre terapie.
10 La proteina prodotta non è corretta, non viene prodotta, ecc.

153
Tossicologia – IR19

Reazioni di Fase II

Le reazioni di fase II o di coniugazione sono reazioni


enzimatiche di biosintesi: un composto esogeno o un
metabolita derivato dalle reazioni di fase I si lega in modo
covalente con una molecola endogena mediante i gruppi
funzionali -OH, -COOH, -NH2, -SH. I sistemi enzimatici
coinvolti si trovano soprattutto localizzati nel citoplasma.
Caratteristica fondamentale dei coniugati è la loro
polarità che li rende facilmente eliminabili. Il
meccanismo di reazione prevede consumo di energia, infatti, necessita dell’attivazione di cofattori ad
intermedi ad alta energia. Le reazioni di fase II sono più rapide di quelle di fase I e sono direttamente
collegate alla disponibilità del cofattore, se lo sottraggo (per esempio consumandolo) questa reazione
non può avvenire finché non viene sintetizzato.

Una modalità tramite la quale è possibile interferire con le reazioni metaboliche è rappresentata
dall’alterazione della disponibilità del cofattore. In alcune reazioni, infatti, la presenza di un cofattore
è necessaria per il corretto sviluppo del processo. Sottraendolo alla reazione, per esempio
consumandolo, la reazione non riesce ad avvenire finchè non viene risintetizzato (ma ci vuole del tempo,
intervallo in cui possono manifestarsi degli effetti tossici).

REAZIONE SUBSTRATO ENDOGENO ENZIMA TIPO DI SUBSTRATO


Glucoronazione Ac. UDP glucoronico UDP-glucoroniltransferasi Fenoli, alcoli: morfina,
diazepam, digossina
Acetilazione Acetil-CoA N-acetiltransferasi Ammine:isoniazide,
clonazepam
Glutatione GSH-S-transferasi Epossidi Ac. Etacrinico

Glicina Glicina Acil-CoA glicinatranferasi Acidi carbossilici:


salicilico, carbossilico
Solfato Fosfoadenosil fosfosolfato Sulfotransferasi Fenoli, alcoli, ammine:
paracetamolo, metildopa
Metilazione S-adenosilmetionina Transmetilasi Dopamina, adrenalina,
istmina

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Tossicologia – IR19

Glucoronidazione
La glucoronidazione è la più comune reazione di fase II e consiste nel trasferimento di un gruppo
funzionale dell’acido glucornico ad un substrato.
Il trasferimento avviene ad opera della UDP-glucoroniltranferasi, enzima presente nel reticolo
endoplasmatico del fegato e in altri tessuti come rene, intestino, cute, cervello, milza e mucosa nasale.
In tutti questi distretti, quindi, si può avere l’eliminazione del composto a patto che ci sia disponibilità
di cofattore. Il sito di glucoronidazione è un eteroatomo nucleofilo quale O, S o N.
Alcuni esempi di composti endogeni che subiscono glucoronidazione sono: bilirubina, ormoni steroidei
e tiroidei.
I derivati di questa reazione sono polari, idrosolubili ed accumulati nella bile11 oppure eliminati con
le feci.

Coniugazione con glutatione GSH


Il glutatione è un tripeptide (acido glutammico, glicina e cisteina). La sua coniugazione è catalizzata
dall’enzima glutatione S-transferasi presente nel citoplasma (>95%) e nel reticolo endoplasmatico
(<5%).
Poiché in molti tessuti è presente ad alte concentrazioni (nel fegato fino a concentrazioni di 10 mM ma
anche in intestino, reni, surrene e polmoni), in alcuni casi non è necessaria l’azione dell’enzima affinché
avvenga la coniugazione (reazione non enzimatica). Va tenuto conto che la reazione avviene fino al
consumo del glutatione: è importante avere delle riserve di glutatione da utilizzare come sistemi di
contrasto.
Si richiama l’esempio del paracetamolo: l’intermedio tossico è prodotto in piccola quantità e il sistema di
contrasto del glutatione tiene sotto controllo la sua tossicità. Quando si ha un eccesso di intermedio reattivo
dovuto a un eccesso di dose, si ha il consumo del glutatione e la mancata detossificazione. Si rimanda al
grafico sottostante per approfondire.

Effetto protettivo del glutatione


 Al tempo 0 le scorte di glutatione sono intatte.
 Alla somministrazione di quantità crescenti di
paracetamolo il glutatione viene consumato per
coniugare l’intermedio reattivo, fintantoché il
glutatione non sarà consumato.
 Al termine del grafico c’è una grande quantità di
metabolita reattivo e il sistema protettivo del
glutatione non funziona più, si ottiene solo l’effetto
tossico che può manifestarsi con necrosi epatica.

I substrati dell’enzima comprendono un grande numero di xenobiotici con due caratteristiche comuni:
 Presenza di un atomo elettrofilo
 Idrofobicità.

11 La bile o fiele è un liquido basico di colore giallo-verde secreto dal fegato della maggior parte degli
animali vertebrati. La bile, attraverso i dotti epatici, viene riversata nella colecisti (cistifellea) che è un
sacchetto in cui si deposita. In molte specie essa, una volta prodotta dal fegato, viene immagazzinata e
modificata nella cistifellea durante il periodo di digiuno e iniettata nel duodeno durante l'assunzione di
cibo. Ha la funzione di emulsionare i grassi nell’intestino, affinchè essi vengano assorbiti. Insieme alla
bile, arrivano nella colecisti anche le sostanze trasformate tramite glucuronazione, che rimangono in
sede fino a che dall’intestino non arriva lo stimolo di contrazione. La contrazione della colecisti permette
il riversamento della bile nell’intestino attraverso il dotto coledoco, insieme alle sostanze glucuronate,
che sulla mucosa intestinale incontrano il microbiota intestinale. Quest’ultimo possiede enzimi detti
beta-glucuronidasi: la sostanza glucuronata viene scissa e torna come sostanza iniziale che è riassorbita
e rientra nel circolo enteroepatico fino a che, poco alla volta, non viene consumata per la scarsa resa di
reazione di scissione del legame con l’acido glucuronico (vedi argomento).
155
Tossicologia – IR19

Inducibilità degli enzimi


Una caratteristica degli enzimi epatici è che la loro sintesi e attività può aumentare in seguito a
somministrazione ripetuta di farmaci, pesticidi, sostanze chimiche di origine industriale e alimenti
(etanolo). L’induzione farmaco-metabolica si traduce in una accelerazione del metabolismo e,
normalmente, in una riduzione dell’azione farmacologica non solo della sostanza induttrice, ma
anche di farmaci somministrati contemporaneamente all’induttore.

L’induzione degli enzimi è un fenomeno temporaneo, salvo il caso in cui si abbia un polimorfismo e
quindi non si abbia un’isoforma funzionante. L’aumento di alcuni enzimi biotrasformanti si ha in seguito
ad un’esposizione cronica a xenobiotici.
Può portare a:
 Riduzione effetto terapeutico: può essere alla base di fenomeni di apparente resistenza alla
terapia. In questo caso ci si pone di fronte a ulteriore pericolo, perché si presume che la dose non
sia sufficiente e la si aumenta. Se, per esempio, si sospende il trattamento inducente
(volontariamente, se si termina la terapia, o involontariamente, se si smette di assumere un certo
alimento, ecc.) e contemporaneamente si mantiene la terapia, l’attività metabolica torna normale
ma la dose di farmaco era stata aumentata e si ricade in fenomeni di tossicità.
 Aumento effetto terapeutico
 Aumento effetto tossico: la presenza di induttore può portare alla somministrazione di dosi
elevare di farmaco associato che diventano tossiche alla sospensione del trattamento inducente.

Tra gli
xenobiotici inducenti
rappresentati in tabella, sono
presenti moltissimi farmaci ma
anche sostanze insetticide e
l’alcol. Tra questi sono presenti
anche gli additivi alimentari,
che son comunemente utilizzati
in maniera piuttosto inconscia
ma che possono interagire se
presenti in quantità elevate.

Xenobiotici inducenti la biotrasformazione di farmaci

156
Tossicologia – IR19

Dal punto di vista molecolare è possibile indurre un enzima se esiste un meccanismo che prevede
l’esistenza di un recettore citoplasmatico. Questo recettore è definito recettore per gli idrocarburi e
funziona con un meccanismo simile a quello del recettore per i glucocorticoidi. Il recettore si trova,
appunto, nel citoplasma ed è un complesso multiproteico. L’idrocarburo (pallina nera nell’immagine),
che passa agevolmente la membrana viste le caratteristiche chimiche (lipofilia), giunge nel citoplasma
ed è tanto più affine tanti più atomi di Cl presenta nelle posizioni laterali. Un esempio è rappresentato
dalla diossina: passa la membrana, si lega al recettore e si ha una modifica conformazionale del
recettore. Il recettore migra verso il nucleo perché in tale sede si ha l’attivazione dei fattori di
trascrizione.
Il complesso diossina-recettore (con conformazione modificata) trasloca nel nucleo e subisce
dimerizzazione in presenza di un fattore nucleare ed espone una sequenza che lega la sequenza
promotrice dei geni, DREs (come il GRE dei glucocorticoidi: elemento responsivo glucocorticoidi). Così
facendo si ha l’inizio della trascrizione e quindi l’espressione del gene stesso. In questi casi, dato che
deve essere aumentata l’attività del citocromo, si avrà la trascrizione del gene che codifica per il CYP450.
Si traduce con la sintesi del mRNA che esce dal nucleo e nel citoplasma viene trasformato in sequenza
proteica che post-maturazione assumerà le sembianze del CYP450.

Ligando esterno alla cellula  Induce la produzione dell’enzima a livello genico

Meccanismo preciso di induzione enzimatica:


1. L’affinità di legame tra molecola e recettore per gli idrocarburi AhR è direttamente
proporzionale al numero di atomi di cloro sostituiti nelle posizioni laterali e risulta massima
quando gli atomi di cloro sono sostituiti nelle posizioni laterali.
2. La 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina (TCCD) è il composto con maggiore affinità di legame
per il recettore.
3. La molecola di diossina passa attraversa la membrana cellulare e si lega quindi con il recettore
citosolico AhR, che esiste come complesso multiproteico;
4. In seguito al legame, AhR cambia conformazione, permettendo di esporre una sequenza di
localizzazione nucleare, con conseguente traslocazione del complesso nel nucleo;
5. Il complesso ligando-AhR subisce quindi una dimerizzazione con una proteina nucleare ARNT
(AhR Nuclear Translocator): tale processo converte l’AhR nella forma DNA legante ad altra
affintà (1,19);
6. Il legame del complesso multimerico ligando:AhR:ARNT al suo specifico sito di
riconoscimento sul DNA, detto DRE (Dioxin Regulatory Elements), a monte del gene CYP1A1
e altri, stimola la trascrizione di questi geni con conseguente produzione di mRNA per il
citocromo P450 CYP1A1 e quindi induzione enzimatica.

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Tossicologia – IR19

Inibizione degli enzimi


L’inibizione dell’enzima può essere portata avanti in vari modi e si tratta sempre di una temporanea
riduzione dell’attività di alcuni enzimi biotrasformanti. Anche in questo caso, l’inibizione non
temporanea è data da polimorfismo che altera la struttura dell’enzima stesso, non lo fa sintetizzare o lo
fa sintetizzare con funzione diversa o nulla.
Può essere data da:
1. Inibizione competitiva o irreversibile: una sostanza si lega all’enzima, l’interazione
irreversibile si verifica nei soggetti che presentano polimorfismi
2. Alterata disponibilità di cofattori fondamentali all’attività: nella maggior parte dei casi sono
presenti cofattori, la cui concentrazione può essere variata al fine di ottenere un inibizione (es.
glutatione e paracetamolo)
3. Alterata sintesi enzimatica, per esempio a causa di una mutazione/polimorfismo che in base a
dove si trova può causare proteine (in questo caso enzima) monche o totalmente inattive
4. Interferenza col meccanismo di trascrizione

Può portare a:
 Aumento dell’intensità e della durata dell’effetto, sia terapeutico che tossico.
 Diminuzione dell’attività farmacodinamica e/o tossica. Se blocchiamo l’enzima che attiva il
profarmaco in farmaco, non avremo effetto terapeutico.

Esempi di inibitori sono: antifungini, macrolidi, chinina, cloramfenicolo, fenotiazine, antidepressivi,


serotoninergici, cimetidina (non più utilizzata), alcool (soprattutto in esposizione acuta), succo di
pompelmo.

158
Tossicologia – IR19

POLIMORFISMI E FARMACOGENETICA
La farmacogenetica è una branca emergente della farmacologia che si occupa dei fattori genetici
ereditari che creano differenze tra le persone nell’azione dei farmaci.
La capacità intrinseca dell’organismo di
metabolizzare uno xenobiotico può essere
correlata a profili genetici. Se questi ultimo sono
diversi, creano nella popolazione delle capacità
differenziate di metabolizzare una sostanza.
Tutti siamo soggetti all’attività di induttori e
inibitori enzimatici, tuttavia nei soggetti che, per
corredo genetico, hanno un’alterata attività
metabolica, notiamo una risposta diversa ad un
farmaco/xenobiotico anche in assenza di
alteratori della funzionalità enizmatica.
Per questo motivo, esistono dei test
farmacogenetici atti a prevedere il tipo di
risposta del paziente al farmaco.

Si è visto che all’interno di una popolazione ci sono tre classi di risposta ad un farmaco:
1. Gran parte dei soggetti rispondono in maniera uniforme: la risposta è simile nella maggior parte
della popolazione (responder).
2. Alcuni soggetti rispondo all’esposizione con la manifestazione dell’affetto avverso (toxic
responder).
3. Alcuni soggetti non rispondono al farmaco (non responder).

I tre profili rispondono a mutazioni genetiche intercorse, che possono essere:


1. Delezione del gene: manca la porzione di
sequenza del gene codificante per
l’enzima. Il sistema biologico non
produrrà l’enzima previsto e quindi non ci
sarà la funzionalità associata a
quell’enzima (non si avrà
biotrasformazione di alcuni substrati
specifici).
2. Sequenza corretta che permette di
sintetizzare l’enzima: il metabolismo sarà
normale.
3. Mutazione che genera un enzima con
qualche amminoacido diverso. Se gli
amminoacidi in questione sono funzionali
alla stabilizzazione dell’enzima, si otterrà una struttura instabile con alterato metabolismo,
generalmente ridotto. Questo si traduce nella possibilità di trasformare il substrato, ma non con
una resa del 100%.
4. Mutazione che altera a capacità di interazione con il substrato (per esempio riconoscimento
di un substrato diverso dal canonico). L’enzima funziona ma genera metaboliti diversi che non
sono funzionali.
5. Il soggetto potrebbe essere portatore di un profilo genetico con più copie di uno stesso gene e
che viene letto e tradotto in quantità maggiori: si generano più copie dell’enzima e si ottiene una
capacità metabolica più spiccata. Questo per esempio può causare un consumo maggiore del
farmaco o nel caso del profarmaco un effetto farmacologico più spiccato con associati però più
effetti collaterali.

159
Tossicologia – IR19

Dato che ci possono essere diversi profili di risposta, possiamo capire l’utilità di prevedere dei test
preventivi, atti a somministrare il farmaco corretto nella quantità ideale. Ci sono alcune terapie che
prevedono l’analisi genetica preventivamente alla definizione del piano terapeutico da seguire.

Nomenclatura
La nomenclatura prevede il nome del citocromo (ad esempio CYP2D6) affiancato da un asterisco che si
legge “star” ed un numero che indica una sequenza di codifica per quell’enzima con caratteristiche
particolari (es. alterata specificità di substrato).

Analizzando i tre casi canonici:


 Soggetto wild/wild12: il soggetto presenta un corredo genetico
“normale” (omozigote per il wild type). Il farmaco quindi rimarrà nel
range terapeutico e sarà caratterizzato da efficacia e assenza di effetti
tossici.
Al soggetto viene somministrato il farmaco X, a intervalli regolari si
preleva un campione di sangue e si dosa X all’HPLC. Si ricava il grafico a
lato con la Cmax entro il range di concentrazioni che hanno effetto
terapeutico.

 Soggetto wild/variant: il soggetto è eterozigote ed ha un solo allele


che funziona correttamente, che è in grado di trascrivere il gene e dare
la proteina funzionante. In questo caso il farmaco viene metabolizzato
con poca efficienza. Il paziente presenterà quindi la possibilità di
insorgenza di effetti tossici.
Il sistema funziona parzialmente, per una sola copia del gene e quindi al
50%. La porzione non metabolizzata si accumula nel plasma e
descrivendo la curva C-t (grafico a lato) si nota che si ha il superamento
del range di concentrazioni terapeutiche.

 Soggetto variant/variant: il soggetto è omozigote per il gene variato.


Non è in grado di metabolizzare correttamente il farmaco e ad esso
saranno associati notevoli effetti tossici.
Nel soggetto, somministrando la stessa dose dei casi precedenti e
prelevando il campione di sangue agli stessi tempi si nota una
concentrazione plasmatica molto elevata, tale da avere grandi effetti
tossici.

12 Va tenuto conto che di un gene esistono 2 copie, due alleli. La mutazione del corredo genetico può avvenire anche

solo su una delle due oltre che in entrambe: soggetto eterozigote od omozigote.
160
Tossicologia – IR19

Ai fini della predittività della tossicità di un farmaco si deve conto di:


1. Efficienza del sistema metabolico
2. Possibile alterazione genetica dell’enzima ma anche di un substrato (per esempio può essere
alterato il recettore che funge da target molecolare dello xenobiotico).

In figura sono rappresentate diverse


combinazioni di situazioni: a sinistra vi
è un grafico che rappresenta il
funzionamento del sistema metabolico
normale, etero e omozigote per le
mutaizioni (wt=wildtipe e m=mutato).
Nel mezzo è presente un secondo
grafico che rappresenta la
concentrazione plasmatica di farmaco
(quindi l’effetto) in funzione della
tipologia del recettore sul quale si lega
il farmaco o lo xenobiotico
metabolizzato a sinistra (sempre wt e m
combinati).

A. Enzima metabolizzante wild/wild, permette di avere il massimo di concentrazione plasmatica a


30 perché viene metabolizzato in tempi normali.
1. WT/WT: effetto previsto, la curva raggiunge il plateau
2. WT/M: interazione ridotta del 35% (in questo esempio)
3. M/M: tossicità metabolica minima, mancato effetto13
B. Enzima metabolizzante wild/mutato, permette di avere una concentrazione plasmatica più alta
(a 65) perché viene metabolizzato in tempi più lunghi.
1. WT/WT: effetto maggiore di A1, perché c’è maggior farmaco che arriva al recettore
2. WT/M
3. M/M: problema della possibile tossicità da dose come nel punto A3
C. Enzima metabolizzante wild/wild, permette di avere il massimo di concentrazione plasmatica
che arriva a 99 perché non viene metabolizzato.
1. WT/WT: effetto molto più elevato di B1
2. WT/M
3. M/M: condizione peggiore con minimo effetto e massima tossicità.

13Attenzione: questo spinge ad utilizzare una maggiore quantità di farmaco, che provoca effetti tossici dati
dall’eccessiva concentrazione utilizzata.
161
Tossicologia – IR19

162
Tossicologia – IR19

DISTRIBUZIONE
La comparsa della risposta tossica può essere condizionata sia da un alterato metabolismo, sia da un
metabolismo alterato dalla co-somministrazione di altri farmaci (interazioni) che dall’assorbimento.

Distribuzione: fase cinetica che include tutti gli eventi che interessano lo xenobiotico dal
momento in cui esso entra nel torrente circolatorio fino a quando viene eliminato (tramite
metabolismo e/o escrezione)

La fase della distribuzione inizia nel momento in cui il farmaco è arrivato al torrente circolatorio, si
distribuisce e viene a contatto con l'organismo nella sua totalità. Entra infatti nel torrente circolatorio e
vi rimane fino a quando viene metabolizzato e poi escreto.

Dallo schema a lato possiamo vedere come lo


xenobiotico arriva al sito di azione tramite la
circolazione sistemica. Nel sito d'azione si può legare a
un bersaglio o essere presente nella sua forma libera.
Per affinità può distribuirsi e andare prevalentemente
in depositi tissutali (osso, adipe, ecc.) e in tali siti si lega
a proteine delle cellule, oppure può rimanere libero nel
tessuto.
Va comunque tenuto conto che il farmaco è in
equilibrio tra i diversi compartimenti.
Una volta raggiunto l’equilibrio di distribuzione le
concentrazioni del farmaco nel sangue e nei diversi tessuti non sono necessariamente eguali, ma rimane
[ ]
comunque costante il rapporto [ ] , proprio di ogni tessuto.
Nella condizione di equilibrio, non si ha una quantità di farmaco uguale nei diversi distretti, ma viene
mantenuto costante il rapporto tra la quantità libera e la quantità legata nei diversi distretti.
Nel caso di uno xenobiotico o di un farmaco (quindi una sostanza potenzialmente tossica), la
componente potenzialmente tossica, così come quella in grado di esercitare un effetto faramcologico,
è quella libera.

La composizione stessa del tessuto (percentuale di lipidi o della componente proteica) è fortemente
condizionante per definire la quantità di xenobiotico:
 Legato a un substrato biologico
 Libero

163
Tossicologia – IR19

Distribuzione di sostanze tossiche


La distribuzione di sostanze tossiche è condizionata dalle stesse leggi che condizionano la distribuzione
di un farmaco. La velocità con cui uno xenobiotico si distribuisce tra il sangue e i vari compartimenti
tissutali e l’entità della distribuzione dipendono da vari fattori:
 Vascolarizzazione: il flusso ematico di ciascun compartimento (si intende un distretto o un
organo)
 Il volume di ciascun compartimento
 La permeabilità del letto capillare regionale, del compartimento. I capillari possono essere
diversamente permeabili a seconda che si tratti di organi diversi (rene, cuore, cervello14), così la
sostanza può essere immessa nel torrente circolatorio ma restare ivi confinata.
 Ci sono, poi, delle caratteristiche intrinseche della sostanza tossica:
o La capacità della sostanza di passare le membrane
o La capacità della sostanza di legarsi alle proteine plasmatiche
o L’affinità della sostanza per i diversi compartimenti. Esempio: i metalli hanno una
spiccata affinità per il tessuto osseo. Quando si trovano nel torrente circolatorio,
prevalentemente prendono la via del tessuto osseo e qui si accumulano.

Uno xenobiotico passa dal letto vascolare (compiente ematica) al tessuto, diffondendo secondo la legge
di Fick, quindi seguendo un gradiente di concentrazione. È fortemente condizionato dall'area della
membrana e dallo spessore della membrana.
Il passaggio dall'arteriola al capillare venoso è determinato dalla pressione con cui arriva al capillare,
quindi da un gradiente pressorio.

 Il flusso ematico determina le fasi della distribuzione.

Esiste una prima fase nella distribuzione di una sostanza tossica.


La prima fase vede una distribuzione prevalente agli organi più irrorati. Riflette la gittata cardiaca e il
flusso ematico attraverso i tessuti.
In una prima fase, se ho una sostanza tossica nel
corrente circolatorio, questa sicuramente si
distribuisce a:
 Cuore,
 Fegato,
 Polmoni,
 Reni.
la distribuzione prevalente in tali sedi è dovuta al
fatto che sono gli organi che ricevono il maggior
flusso ematico. Quindi, immediatamente dopo
l'avvenuto assorbimento e l'arrivo nel torrente
ematico, la sostanza si distribuisce in tali sedi.

In una seconda fase, si distribuisce agli altri distretti, cioè:


 La componente muscolare,
 I visceri a livello dell'intestino,
 La cute,
 Il tessuto adiposo.
Questi sono i distretti che hanno un flusso ematico ridotto, il che non significa che la sostanza non arriva
ma semplicemente che ci arriva più lentamente. Nel caso del tessuto adiposo, una sostanza può arrivare
ed essere accumulata in sede, togliendola dal circolo, per essere poi ceduta più lentamente. Quindi,
alcuni di questi tessuti rappresentano dei veri e propri siti di stoccaggio che compromettono l'esito
dell'interazione tra la sostanza tossica e l'organismo.

14 Esempio: la barriera ematoencefalica. Il vaso è ricoperto dagli astrociti e impedisce un passaggio molto facilitato.
164
Tossicologia – IR19

Volume dei compartimenti organici


Una sostanza può distribuirsi prevalentemente nei fluidi extracellulari, ovvero i fluidi localizzati negli
spazi interstiziali (tra una cellula e l'altra), che rappresentano la componente acquosa di un tessuto.
La capacità della sostanza di distribuirsi in un compartimento dipende dalla sua capacità di passare
attraverso la membrana. Può sia accumularsi nel fluido extracellulare che intracellulare, inoltre può
anche essere sequestrata nel plasma.
Esempio: se la sostanza lega in maniera significativa al proteine plasmatiche, queste la cederanno molto
difficilmente e quindi non avrà la possibilità di attraversare i tessuti.
Nel plasma si potrebbe avere:
 Una sostanza che si distribuisce solo nel plasma,
 Una sostanza che si distribuisce anche all'interno delle cellule ematiche, quindi occupa un
volume maggiore.

Fluidi transcellulari (2,5% del peso corporeo):liquor cerebrospinale, fluidi intraoculari, peritoneali,
pleurici, sinoviali, gastrointestinali ed eventualmente fetali.

La sostanza, infine, può ripartirsi in tutta l’acqua presente nell’organismo, che è un volume molto
significativo (dato dalla somma di tutte le diverse componenti). Questi diversi compartimenti hanno
volumi diversi.
I volumi sono:
 Acqua corporea totale (42 l) (Il volume di acqua corporea totale di 42 litri è associato a un
soggetto di 70kg).
 Fluidi intracellulari (27 l)
 Fluidi extracellulari (15 l)
 Intravascolari (6 l)
 Extravascolari (9 l)
 Cellule ematiche (3 l)
 Plasma (3 l)

Volume di distribuzione

Il corpo umano può essere considerato come un


sistema con un volume costante, entro cui si
distribuiscono gli xenobiotici. Il liquido totale che
costituisce l’organismo può essere suddiviso in
diversi compartimenti funzionalmente distinti:
 Acqua plasmatica o intravascolare;
 Acqua interstiziale o extracellulare;
 Acqua intracellulare;

Il farmaco può avere una distribuzione molto piccola,


quindi volumi molto piccoli (solo acqua plasmatica ad
esempio) o volumi molto estesi.
In alcuni casi i farmaci hanno un volume di
distribuzione superiore all'acqua corporea totale.
Questo significa che si sono legati ai siti di deposito
come l’adipe e il tessuto osseo.
L’accumulo preferenziale in un tessuto piuttosto che
in un altro è legato alla diversità istologica e di
composizione (in lipidi, proteine, ecc.) dei singoli
tessuti.

165
Tossicologia – IR19

Cosi, sapendo che il tessuto del sistema nervoso centrale ha una componente lipidica superiore a quella
presente nel tessuto del miocardio, dove invece prevale la componente proteica, se una sostanza con
alta affinità per i lipidi arriva nel cuore attraverso il torrente ematico, avendo scarsa affinità per questo
tessuto si accumulerà solo in minima quantità. La medesima sostanza, invece, si accumulerà in quantità
notevoli nel tessuto adiposo.

L'affinità di uno xenobiotico nei confronti di un tessuto piuttosto che un altro rappresenta un
temporaneo sequestro. Esistono delle modalità con cui possiamo ridurre la quantità di xenobiotico
legato nel sito di deposito.
Ogni tessuto presenta un contenuto quantitativamente e qualitativamente diverso in proteine, lipidi e
altri componenti che possono promuovere un temporaneo sequestro della sostanza. Questo si traduce
in una diversa affinità della sostanza per i diversi tessuti.

Diffusione dal letto vascolare al fluido interstiziale

È la ridistribuzione, non l’eliminazione, a porre termine all’effetto, quando si somministra


rapidamente, in singola dose, un farmaco altamente liposolubile che agisce su un organo ad elevata
irrorazione. Se la somministrazione è in forma continua o ripetuta anche i tessuti meno vascolarizzati si
saturano progressivamente, e, una volta cessata la somministrazione, l’esaurimento dell’effetto
dipenderà solo dalla velocità di eliminazione.

Caso: singola somministrazione di uno xenobiotico.

L’effetto del farmaco somministrato


cambia in funzione della
redistribuzione.
I primi organi in cui sarà distribuito
sono quelli a maggior circolazione:
 Cuore,
 Rene,
 Polmoni.

In un primo momento, quindi, viene


sequestrato dal torrente circolatorio
e portato in questi siti. Pertanto, il
termine dell'effetto non è dovuto
all'eliminazione, ma alla
ridistribuzione e al sequestro dal
circolo.

In caso di somministrazione continua o ripetuta il farmaco ha il tempo di saturare anche gli altri tessuti
meno vascolarizzati.
Quindi, anche se in un primo momento va a cuore, reni e polmoni, in seguito si distribuisce anche agli
altri tessuti a seconda delle caratteristiche di affinità.

Il flusso e la permeabilità sono i due fattori che maggiormente condizionano la velocità di


distribuzione di uno xenobiotico.

166
Tossicologia – IR19

Prendiamo in esame la concentrazione di una sostanza in tre distretti: rene, cervello, adipe.
Nel grafico sono rappresentate le concentrazioni, in funzione del tempo, di uno stesso xenobiotico in tre
organi con simile permeabilità, ma flusso diverso. L’equilibrio è raggiunto in circa 1 minuto per il rene
e 6 minuti per il cervello. Sono necessarie delle ore per raggiungere l’equilibrio tra plasma e tessuto
adiposo.

I distretti in esame hanno una permeabilità simile, ma hanno un flusso ematico diverso. Se misuriamo
le concentrazioni presenti nei diversi tessuti, la quantità misurata nei tessuti rispecchierà il loro flusso
ematico.
 Il tessuto adiposo è quello meno irrorato, per raggiungere la stessa concentrazione di sostanza
presente immediatamente nel rene ci vorranno tempi molto lunghi.
 Il cervello ha un grado di irrorazione maggiore rispetto al tessuto adiposo, quindi a parità di
tempo ci sarà una buona concentrazione di sostanza e la curva avrà un andamento graduale.
 Il rene ha un’alta perfusione ematica e quindi un flusso ematico molto maggiore, la sostanza
arriva al rene praticamente con effetto immediato (attenzione ai tossici, anch’essi arrivano
velocemente in questa sede!). Il grado di perfusione ematica è fondamentale per il suo stato di
funzionalità. Se la pressione arteriosa scende sotto certi livelli, il rene entra in uno stato di
alterazione funzionale ed entra in sofferenza. La pressione con cui arriva il sangue attraverso
l'arteriola è troppo bassa per permettere la filtrazione.

Volume apparente di distribuzione

Il volume apparente di distribuzione Vd di uno xenobiotico è un volume calcolato ed è definito come il


volume di liquido in cui si assume che una sostanza si distribuisca in modo uniforme. È il volume
di liquido nel quale bisognerebbe sciogliere la quantità di sostanza presente nell’organismo per ottenere
una concentrazione pari a quella plasmatica.
Il volume apparente di distribuzione Vd di uno xenobiotico è un volume calcolato ed è definito come il
volume in cui si assume che la sostanza si distribuisca in modo uniforme. È un indice della
distribuzione di una sostanza nell’organismo.

Si calcola tramite il rapporto tra la quantità di farmaco che somministrato (dose) e la concentrazione
ematica all'equilibrio secondo la formula:

𝑞𝑢𝑎𝑛𝑡𝑖𝑡à 𝑑𝑖 𝑓𝑎𝑟𝑚𝑎𝑐𝑜 𝑠𝑜𝑚𝑚𝑖𝑛𝑖𝑠𝑡𝑟𝑎𝑡𝑎 (𝑚𝑔) 𝑚𝑔


𝑉𝑑 = 𝑚𝑔 = 𝑚𝑔/𝐿 = 𝐿
𝑐𝑜𝑛𝑐𝑒𝑛𝑡𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑚𝑖𝑠𝑢𝑟𝑎𝑡𝑎 𝑎𝑙𝑙 𝑒𝑞𝑢𝑖𝑙𝑖𝑏𝑟𝑖𝑜 ( 𝐿 )

167
Tossicologia – IR19

Il volume di distribuzione può assumere valori:


1. Ridotto: Vd = 5 - 6 L per sostanze confinate a livello vascolare ma che possono entrare negli
eritrociti. Quando abbiamo sostanze con un volume di distribuzione che si aggira intorno ai 5
litri, si tratta di sostanze che, a causa delle proprie caratteristiche chimiche, sono confinate nel
letto vascolare. Esempio: le sostanze entrano nei globuli rossi, ma non sono in grado di passare
attraverso i capillari, quindi distribuirsi fuori dal vaso.
Lo xenobiotico rimane confinato nel plasma:
Volume reale di distribuzione = Volume apparente di distribuzione
Esempio: macromolecole come il destrano
2. Vd = 10 - 20 L per sostanze troppo idrosolubili per passare attraverso le membrane cellulari e
sciogliersi nell’acqua cellulare e nel tessuto adiposo, quindi confinate nei fluidi extracellulari.
Sono sostanze che non riescono ad attraversare le membrane cellulari perché hanno delle
caratteristiche di idrofilicità troppo spiccate, quindi rimangono confinate nel fluido
extracellulare. (Sono nel tessuto, ma sono tra le cellule e non nelle cellule.)
Lo xenobiotico si distribuisce ai fluidi extracellulari
Volume apparente di distribuzione = 15 L
Esempio: molecole idrofile, farmaci con carica permanente o ricchi di gruppi polari
3. Vd > 20 L per sostanze legate estensivamente a tessuti extravascolari (grasso, fegato e ossa).
(Superiori all'acqua corporea totale, cioè superiore ai 42 litri).
Si tratta di sostanze che hanno un volume apparente di distribuzione anche di 100-114litri. Sono
legate in maniera significativa a tessuti extravascolari. La presenza plasmatica è molto ridotta.
Sono arrivati attraverso il torrente circolatorio nei diversi distretti, sono stati sequestrati dai
diversi distretti, quindi la quantità presente nel torrente circolatorio è stata ridotta perché si
accumulano soprattutto nel tessuto osseo o nel tessuto adiposo. Per lipofilicità si acumulano
anche nel sistema nervoso centrale.
Lo xenobiotico si distribuisce ai fluidi corporei totali
Volume di distribuzione caratteristico di molti farmaci = 40 L

Come si misura il volume di liquido presente in una vasca da bagno?


Si mette una quantità nota di colorante nella vasca, ad esempio 350 mg. Si agita bene l’acqua fino ad avere
una soluzione uniforme e quindi si dosa la concentrazione finale del colorante. Se si misura una
concentrazione di 10 mg/L, allora il volume di liquido nella vasca da bagno Vd sarà pari a 35L.

La furosemide o l'eparina hanno un volume di


distribuzione calcolato di 5 litri. Prevalentemente
sono confinate all'apparato vascolare.

Ci sono sostanze come l'amoxicillina che ha un volume


di distribuzione tra 20 e 40 quindi si distribuisce bene
nell'acqua corporea totale.
Con gli antibiotici di questo tipo possiamo riscontrare
dei vantaggi, soprattutto se usati in ambito
odontoiatrico.

168
Tossicologia – IR19

In caso di una patologia di tipo odontoiatrico, ci sono


alcuni antibiotici che non funzionano perché non
riescono ad arrivare al tessuto osseo e non
raggiungono qui la concentrazione minima efficace
(MIC).

Nel caso di dolori articolari, allo stesso modo, non si


può assumere un FANS qualunque, perché potrebbe
non arrivare in sede articolare.
Il risultato è che, non vedendo alcun effetto, il
paziente tende ad assumerne ancora (arrivando alla
dose tossica) oppure il farmaco esplica solo gli effetti tossici.
Sapere come si distribuisce una sostanza tossica o un farmaco è un'informazione utile per ottimizzare
la terapia e valutare se si ottiene un vantaggio o meno.

Molti xenobiotici presentano un Vd superiore al più alto volume anatomicamente possibile.


Valori di Vd molto alti indicano una distribuzione dello xenobiotico in tessuti poco vascolarizzati
(tessuto adiposo) dove si deposita e rimane sequestrato in alte concentrazioni.
 Scarsa vascolarizzazione del tessuto implica lento assorbimento dello xenobiotico libero
dal sangue al tessuto adiposo e così rilascio dello xenobiotico dal tessuto di deposito del
sangue.
Quindi, se lo xenobiotico si lega ampiamente ai tessuti, il suo Vd sarà maggiore del 60% del peso
corporeo rappresentato dall’intera acqua corporea.
Più uno xenobiotico è distribuito fuori dallo spazio plasmatico, tanto più piccola è la concentrazione
plasmatica e quindi il rapporto Q/C.
Il Vd della chinicrina è 40000 L. Se il volume del plasma è 3 litri significa che solo un tredicimillesimo
(3/40000) della quantità di chinicrina è presente nel plasma.

Siti di deposito
Si tratta di un temporaneo sequestro. Esiste la possibilità che dal suo sito di deposito lo xenobiotico
venga rimosso.

I siti di deposito «sequestro» di sostanze tossiche sono:


 Proteine plasmatiche
 Fegato e reni
 Tessuto adiposo
 Tessuto osseo

169
Tossicologia – IR19

Proteine plasmatiche
Nel plasma, nel torrente circolatorio, ci sono le proteine plasmatiche, prevalentemente albumina e
globulina.15
Sostanze diverse (tossiche e farmaci) possono avere un'affinità di legame per le proteine plasmatiche
molto diversa. Alcune si legano a una piccola frazione (5%), ma ci sono farmaci che si legano al 90-95%
delle proteine plasmatiche.
1. Se la frazione legata è il 5%, il 90% del farmaco o sostanza tossica è libero/a di agire.
2. Se il legame con la proteina plasmatica è significativo, si hanno basse percentuali di farmaco
libero di evocare l'effetto terapeutico oppure di sostanza tossica libera di evocare l'effetto
avverso.

Le proteine plasmatiche sono parte di un sistema biologico, pertanto sono componenti saturabili,
perchè ne esistono un numero limitato e fissato nel plasma. Nel caso ci fosse un eccesso di farmaco o di
sostanza tossica, questo si lega alle proteine plasmatiche.

Esempio: ci sono 100 molecole di proteine plasmatiche e 1000 molecole di sostanza tossica. Le prime 100
molecole si legano perché hanno affinità, le altre rimangono libere perché in numero di proteine disponibili
è stato saturato. Quindi, 900 sono libere di dare l'effetto terapeutico o tossico. In questo caso si ha un
eccesso di sostanza rispetto alla capacità di legare le proteine.

A volte, tuttavia, ci sono interazioni tra sostanze nonostante non siano state somministrate
quantità eccessive.
Può succedere nei confronti di:
 uno xenobiotico (farmaco spiazzato da un altro farmaco o una sostanza tossica che spiazza un
farmaco),
 nell'ambito di una sostanza esogena (tossica o farmaco) che spiazza una sostanza endogena.

Spiazzamento di uno xenobiotico da parte di un’altra sostanza: aumento di concentrazione dello


xenobiotico libero nel plasma con danni transitori o permanenti (sulfamidico+ antidiabetico,
ipoglicemia).

Esempio: una sostanza che si lega per il 95% alla proteina plasmatica. Solo il 5% è libero e dà una risposta
terapeutica o tossica. Se viene prescritto un farmaco B che ha un'affinità uguale o superiore per le proteine
plasmatiche, il farmaco B somministrato successivamente spiazza il 95% del farmaco A, che è stato
somministrato valutando che a una certa dose una certa parte era occupata sulla proteina plasmatica.
Ci si trova in una condizione di spiazzamento della proteina plasmatica, quindi il farmaco A viene liberato
nel plasma, quindi è maggiore la quota libera di dare effetti tossici.

Esempio: farmaci anticoagulanti. Somministrando un farmaco B, l'anticoagulante é spiazzato dal legame


con le proteine plasmatiche, maggiore è la quota di farmaco anticoagulante in circolo.
Effetto tossico: rischio di emorragie, perché la dose somministrata è tarata su un certo tipo di legame.

15 Il legame con le proteine plasmatiche consente di aumentare l’emivita delle sostanze ad esse legate
Il legame con le proteine plasmatiche è saturabile: un eccesso di sostanza comporta una quota di tossico
libero nel sangue

170
Tossicologia – IR19

Competizione degli xenobiotici con composti endogeni


Esempio: penicillina, sulfonamide e tetraciclina nei bambini.
La tetraciclina non si somministra nei bambini per la tossicità a livello del tessuto dentario, che assume
una colorazione giallastra. Questo accade in quanto la tetraciclina ha una grande affinità per gli ioni Ca,
molto concentrati nei denti.
La penicillina e la sulfonamide possono spiazzare la bilirubina dal legame con l’albumina. Pertanto, la
bilirubina va in circolo, ma nel soggetto adulto non causa grossi danni. Nel neonato, invece, dato che la
BEE non è ben formata e lascia passare più sostanze, la bilirubina in circolo rischia di accumularsi a livello
centrale, causando danni neurologici gravi.

Si tratta di un esempio che dimostra come un fenomeno può essere tossico in età diverse e soprattutto la
tossicità può manifestarsi in siti molto diversi dal sito di esposizione (dal sangue al SNC).

Sostanze che causano tossicità a livello del sistema nervoso centrale: in questo caso le sostanze possono
causare un’alterazione dei vasi, che avviene in tutto l’organismo ma si ripercuote più gravemente sui
vasi centrali.

Esempio: sostanza capace di ridurre drasticamente la pressione arteriosa. Un'ipotensione massiva e


pronunciata fa soffrire il cervello e il rene. Ne consegue che una sostanza con azione ipotensiva può essere
tossica per il cervello in maniera indiretta.

171
Tossicologia – IR19

Fegato e reni: sito di sequestro


All'interno di alcuni tessuti ci sono delle componenti endogene che legano delle sostanze in particolare
e che riescono a ridure il potenziale di tossicità.
Nel fegato, ci sono le cosiddette metallotioneine, cioè delle proteine che complessano i metalli evitando
che questi causino dei danni.
Problema nel caso dei metalli: esiste un sistema di contrasto a livello epatico, che permette il blocco del
metallo prima che venga distribuito. Nel rene, invece, le metallotioneine complessate ai metalli che sono
entrate in circolo vengono rotte e il metallo nel rene risulta libero. Risulta quasi paradossale il fatto che,
in tali casi, non è il fegato a subire la tossicità da metalli, ma il rene.
Il sistema di contrasto funziona bene nel fegato, ma nel rene è il contrario perché il complesso viene rotto
e il metallo si libera.

Fegato e rene hanno elevata capacità di legame


Una singola somministrazione di piombo provoca dopo 30’ nel fegato [Pb]>50[Pb] plasma
Proteine specializzate nell’organo:
 Ligandina, lega acidi organici;
 Metallotionine, legano i metalli.

Tessuto adiposo
Anche nel tessuto adiposo si parla di temporaneo sequestro con una successiva (anche a distanza di
molto tempo) mobilizzazione.
In genere il tessuto adiposo è un deposito primario per sostanze lipofile, quindi per affinità di
caratteristiche. Il fatto che le sostanze lipofile si depositino nell'adipe implica che la concentrazione
ematica venga ridotta, perché la sostanza viene localizzata all’esterno del circolo sanguigno e di
conseguenza diminuisce la concentrazione ai siti bersaglio. La tossicità di sostanze lipofile è minore nei
soggetti obesi ma va tenuto conto che la rapida mobilizzazione dei grassi può indurre un improvviso
aumento di concentrazione dell’agente tossico.

Esempio. La tossicità legata all’esposizione a sostanze lipofile è ridotta nei soggetti obesi, perché la
quantità di tessuto lipofilo (adiposo) è talmente alta che si ha un sequestro di sostanza molto elevato.
Sorge un problema con il DDT o i policlorobifenili quando il tessuto adiposo va incontro a una mobilitazione
molto veloce e repentina (veloce dimagrimento). In questo caso, il contenuto della cellula adiposa viene
immesso nel torrente ematico. Pertanto, la sostanza che era tessuto adiposo e in situ non aveva manifestato
la tossicità, alla mobilitazione (che può avvenire anche molto tempo dopo l'esposizione), si trova ad essere
liberata dal tessuto adiposo e a essere immessa nel circolo ematico, manifestando la tossicità.

172
Tossicologia – IR19

Tessuto osseo
La situazione nel tessuto osseo è analoga alle precedenti. Questo è un tessuto con un'alta affinità per:
 Piombo (il 90% Pb è concentrato nello scheletro)
 Fluoro, Elevata superficie di scambio cristalli di idrossiapatite, scambio tra F- e OH-, tra Ca++ e
Pb, Sr.
 Stronzio.
Questi metalli sostituiscono facilmente il calcio, quindi, in seguito ad un’esposizione significativa a tali
sostanze, queste si possono accumulare in sede sostituendo la materia costituente (il calcio). Finchè non
si avrà la mobilitazione del tessuto, esso rappresenterà un sito di stoccaggio.
Un aumento dell’attività osteoclastica, per esempio per somministrazione di paratormone, causa
rilascio di sostanza tossica e aumento di concentrazioni ematiche.
Esempio: gli effetti del paratormone sul bilancio del calcio nell'organismo. Se nell'organismo serve più
calcio, il paratormone mobilizza il calcio dalle ossa, quindi impoverisce l'osso di calcio perché serve in un
altro distretto. Se al soggetto viene somministrato l’ormone ma nell’osso è presente molto Pb, si libererà
anche questo.

Nel caso di ossa come il bacino o le vertebre, si ha un continuo ricambio e rimodellamento. Per queesto,
ci sono due spinte opposte:
 Produrre cellule dell'osso,
 Limare l'osso al fine di mantenere sempre la stessa forma.

In seguito all'azione del paratormone, aumenta l'attività osteoclastica, cioè quella di limatura del tessuto
osseo, con conseguente liberazione di calcio. Continuando a consumare l’osso, si arriva al punto in cui
nelle cellule non è più presente Ca (sostituito con Pb), e inizia a liberarsi il tossico. Anche molto tempo
dopo l'esposizione alla sostanza tossica, si possono avere manifestazioni di tossicità che sono tra le più
varie:
 Nei confronti del sistema nervoso centrale,
 Nei confronti del sistema immunitario,
 Nei bambini l'intossicazione da piombo interferisce con lo sviluppo del sistema nervoso centrale,
quindi carenza di capacità di apprendimento.

I casi analizzati sono esplicativi di tossicità ritardata: un primo momento non c’è l'effetto tossico, ma lo
si scopre in seguito in caso di dimagrimento (se si accumula nell'adipe), o per una variazione ormonale
(terapia).

173
Tossicologia – IR19

174
Tossicologia – IR19

ESCREZIONE
Quando l'organismo è esposto a uno xenobiotico, è
suscettibile alla danno.
La suscettibilità al danno dipende da:
 Esistenza e il funzionamento di meccanismi
protettivi,
 Esistenza di siti di deposito che lo
sequestrano e non lo rendono disponibile,
 Meccanismi di detossificazione tra i quali
consideriamo:
 La biotrasformazione a cui segue
l'eliminazione,
 L'eliminazione diretta.

Meccanismi protettivi

Sono meccanismi che, quando non funzionanti, potrebbero interferire con l'insorgenza del danno.
Comprendono:
1. Esistenza di sistemi antiossidanti: il glutatione, meccanismi antiossidanti a carico delle
vitamine (il ruolo della vitamina E, tocoferolo, e C, acido ascorbico è antiossidante), tioredoxina
2. Sistemi come la superossido dismutasi (SOD) o la catalasi. Hanno il compito di convertire
una specie chimica reattiva in qualcosa meno reattivo, quindi meno pericoloso.
3. Heat shock proteins dette anche stress proteins (proteine dello stress, HSP60), che sono
responsabili del folding delle proteine e di eliminare le proteine che hanno subito un'alterazione
strutturale o che sono danneggiate.
Il sistema biologico preferisce eliminare qualcosa non funzionante piuttosto che tenere delle
componenti inefficienti. La proteina alterata è incapace di mediare una funzione, quindi le heat
shock proteins la portano la sistema di degradazione, come i lisosomi e in questo modo viene
rimossa.
4. Ci possono essere enzimi ad attività
proteasica, che scindono le proteine
in maniera specifica. Hanno un ruolo
nell'inattivare dei peptidi di tipo
tossico.

I meccanismi protettivi possono funzionare in


un primo momento, ma in seguito potrebbero
perdere in efficienza.

175
Tossicologia – IR19

Eliminazione di uno xenobiotico


In seguito all’assunzione, la sostanza arriva al fegato attraverso il torrente ematico e in sede:
 Può essere metabolizzata o biotrasformata (modificazione chimica dello xenobiotico)
 Può non subire alcuna biotrasformazione (caso più semplice) per essere escreta nella sua
forma originaria (rimozione dello xenobiotico immodificato o dei suoi metaboliti
dall’organismo).
Quindi, l’eliminazione di uno xenobiotico è il risultato di questi due processi.
L'esito in risposta tossica può essere fortemente condizionato da un'alterata biotrasformazione che
dipende dalle caratteristiche delle xenobiotico e del sistema (polimorfismo, spiazzamento...).

Vie di escrezione

 Vie principali:
 La via preponderante è quella attraverso le urine, cioè un'eliminazione di tipo renale.
 La seconda via è quella di escrezione biliare.
 Vie secondarie:
 Intestinale (rimane nel contenuto intestinale),
 Sudore (ci sono sostanze o farmaci eliminati attraverso il sudore),
 Saliva,
 Lacrime.
 Alcuni xenobiotici possono eliminati anche in latte e capelli.

Questi liquidi biologici possono essere presi in considerazione nella tossicologia forense per capire se il
soggetto è stato esposto o
meno a una sostanza tossica.

Alcuni distretti potrebbero


rappresentare dei siti di
elezione in cui andare a
ricercare le sostanze (il
distretto può essere un
marcatore).
Nel caso del latte, ai fini di
stabilire la tossicità per il
neonato che viene allattato,
è importante sapere se la
sostanza (tossico o farmaco)
può arrivare nel latte. Se un
farmaco viene escreto nel
latte, il neonato viene
esposto al farmaco. Nel neonato, potrebbero esserci esiti diversi rispetto alla madre, perché il neonato
 Ha la barriera ematoencefalica più vulnerabile,
 Non ha il pattern enzimatico intestinale che gli permette di biotrasformare alcune sostanze
 Ha le membrane cellulari maggiormente diffusibili, quindi la sostanza attraversa più facilmente
i tessuti.

176
Tossicologia – IR19

Escrezione renale
In questo caso la sostanza viene eliminata attraverso il rene,
che è costituito da tessuto organizzato attraverso l'unità
funzionale, che è il nefrone.
Il nefrone è costituito da:
 Una struttura globulare chiamata capsula di
Bowman,
 Una serie di dotti in stretta connessione con il
torrente ematico (capillari). Attraverso questi canali
avvengono gli scambi tra:
 Sangue
 Dotti renali.
In questa struttura, a seconda delle necessità dell’organismo,
si decide:
 Cosa eliminare,
 Cosa riassorbire.

Cambiando il pH delle urine si può decidere se riassorbire o eliminare una sostanza, per esempio un
farmaco, per prolungarne l’attività o per non farla emergere nei test antidoping (vedi poi).

La filtrazione renale è responsabile del riassorbimento o dell’eliminazione della sostanza. In genere


l’organismo recupera le sostanze nutritive perché sono utili mentre le sostanze tossiche (in generale gli
xenobiotici) sono allontanate.
In realtà, la scelta viene attuata in funzione delle caratteristiche della sostanza: se il tossico è stato
metabolizzato e reso idrofilo, viene facilmente eliminato.

La funzione di filtro dell'organismo è garantito da un flusso ematico importante. Il rene, infatti, riceve
circa il 25% del sangue immesso in circolo dalla gittata cardiaca. Il flusso, al fine di garantire la
filtrazione, deve essere costante e con una pressione ben definita.
Dalla figura a lato possiamo notare come è fatto il nefrone: si hanno
un vaso entrante nella capsula e un vaso che esce. La pressione
sanguigna va mantenuta costante in questa sede per spingere il
sangue attraverso la capsula e permettere l’eliminazione o il
riassorbimento di metaboliti (prodotti di degradazione
dell'organismo, ma anche xenobiotici, farmaci o tossine). Il
passaggio nella capsula di Bowman è precluso a cellule e proteine.
Quando le urine hanno una colorazione scura, vuol dire che le
componenti ematiche sono passate attraverso il rene.

Ci sono tantissime condizioni e sostanze che alterano la struttura del


rene in maniera tale che non funga più da filtro.
La principale alterazione è la nefrite, uno stato infiammatorio che determina mancata selettività di
filtrazione. La diagnosi avviene tramite l’analisi delle urine che appaiono scure, perchè sono passati
componenti ematiche che normalmente non devono passare.

Nelle analisi delle urine si valuta la funzionalità attraverso la quantificazione dell’albumina, che
rappresenta la dimensione di cutoff e quindi non deve essere presente. Oltre a questo parametro si può
misurare anche la velocità di filtrazione glomerulare, che può determinare un effetto tossico.
L'alterazione della funzione renale è, quindi, misurabile.

177
Tossicologia – IR19

In tabella alcune sostanze importanti per omeostasi ed escrezione.

A lato ci sono le percentuali si


riassorbimento e filtrazione nelle
diverse porzioni del rene.

178
Tossicologia – IR19

CLEARANCE RENALE: indice del meccanismo di escrezione dei farmaci


L’efficienza del rene nell’eliminare una sostanza può essere espressa tramite la clearance, ovvero il
volume di plasma contenente la quantità di sostanza escreta dal rene nell’unità di tempo:

METODI PER ACCELERARE L’ESCREZIONE DI FARMACI


Condizioni:
 La sostanza è escreta dal rene
 La sostanza è riassorbibile nei tubuli renali
Diuresi forzata (fluidi+ mannitolo, furosemide)
Modificazione del pH urinario
Tecniche extracorporee (emodialisi, etc)

ELIMINAZIONE RENALE: riassorbimento passivo


I tubuli contorti prossimale e distale sono deputati al riassorbimento di una notevole quantità di filtrato
glomerulare.
Molecole liposolubili e non ionizzate vengono riassorbite a livello dei tubuli renali e tornano in circolo.
Poiché il grado di ionizzazione di una sostanza (acido o base debole) dipende dal pH dell’ambiente in
cui si trova, alterazioni del pH delle urine possono modificarne l’escrezione.
L’alcalinizzazione delle urine, che si ottiene somministrando bicarbonato, favorisce l’eliminazione di
sostanze acide come il fenobarbitale e l’aspirina e riduce l’escrezione di sostanze basiche come
l’amfetamina.
L’acidificazione delle urine con NH4Cl favorisce l’eliminazione dei sostanze basiche (anfetamine).
Il riassorbimento dipende anche dal flusso urinario.

179
Tossicologia – IR19

Il destino delle sostanze assunte, quindi, può essere


diverso e i fenomeni principali sono:
 Riassorbimento
 Secrezione
 Eliminazione come tale

Tratti diversi del nefrone sono interessati da processi


diversi:
 Riassorbimento
 Riassorbimento ed escrezione.

L’unità funzionale attraverso cui possiamo eliminare lo xenobiotico è la stessa che è molto colpita dalla
tossicità perchè rientra tra le parti necessarie per permettere l’eliminazione. Giocando sul pH delle urine
sappiamo che alcune sostanze prediligono l’eliminazione o il riassorbimento. Questo rientra in contesti
terapeutici come la detossificazione per avvelenamento ma anche per evitare il rilevamento della
sostanza dopante.

Esempio eclatante di come il riassorbimento più o meno spiccato si traduce in un comportamento clinico.
Esperimento anni 70: un gruppo di pazienti affetto da psicosi da amfetamina è stato diviso in due gruppi:
1. gruppo con urine alcalinizzate
2. gruppo con urine acidificate
Viene fatto un prelievo ematico regolare nel tempo, dosato in amfetamina. Lo scopo dell’approccio è
capire se diminuisce la psicosi da amfetamina (che comprende anche DDA e comportamenti paranoidi)
in funzione dell’escrezione urinaria.
Si misura la presenza di amfetamine in urine e sangue e con un test a punteggio si misura l’entità e
l’intensità del comportamento clinico della paranoia o allucinazione, quantificando l’intensità della
psicosi in funzione del tempo (per capire se la manifestazione aveva corrispettivo ematico).

Urine acidificate (acidificando si va a


spostare l’equilibrio dell’amfetamina
verso la forma polare indissociata,
sfruttando la trappola ionica quindi
non passa nel tubulo per tornare in
circolo): le manifestazioni cliniche
hanno intensità contenuta e si
estendono per una durata limitata.
Nel tempo il comportamento
diminuisce (lungo Y) e dura poco. La
manifestazione clinica è correlabile
alla quantità di urine nel sangue? Nel
sangue raggiunge una certa
concentrazione e poi si riduce. Nelle
urine abbiamo una quantità
significativa che diventa pari a zero
dopo un paio di giorni. Come riduco la
quantità nel plasma, aumento la
quantità nelle urine.

180
Tossicologia – IR19

Urine alcalinizzate: i soggetti hanno un quadro completamente diverso. Se alcalinizzo le urine,


trasformo l’amfetamina nella forma non polare e indissociata quindi più lipofila e facilmente
riassorbibile. Ne troviamo poca nelle urine, perché è riassorbita, quindi ne abbiamo tanta nel sangue e
quindi c’è tanto effetto psicotico (effetto prolungato). L’intensità della reazione è superiore a quella nei
pazienti acidificati ed è protratta nel tempo perché la concentrazione ematica si mantiene più alta
avendo ridotto l’eliminazione. Grazie all’alcalinizzazione, la sostanza eliminabile viene invece assorbita:
se facessimo un test delle urine troveremmo una quantità minima e quasi trascurabile di sostanza,
esattamente l’opposto di quello che si riscontra in soggetti con le urine acidificate.

Elenco di farmaci la cui escrezione può essere aumentata dalla variazione del pH urinario
In urine acide: In urine alcaline:
 Amfetamina  Acetazolamide
 Codeina  Aminoacidi
 Imipramina  Nitrofurantoina
 Meperidina  Fenilbutazone
 Morfina  Probenecid
 Nicotina  Acido salicilico
 Procaina  Sulfonamidi

La possibilità di interferire con l’eliminazione dello xenobiotico è fondamentale per intervenire


correttamente.

Probenecid è un inibitore del trasportatore presente nel tubulo prossimale. Si usa come antigottoso quando
si ha un eccesso di acido urico plasmatico per non farlo riassorbire e forzarne l’eliminazione (generalmente
c’è un accumulo di acido urico che, in elevate concentrazioni, precipita come cristallini nelle articolazioni,
che diventano doloranti).

Nel tubulo l’acido urico in generale passa e viene ceduto alle urine, ma può anche essere riassorbito da
trasportatori specifici.
Il probenecid inibisce i trasportatori quindi
impedisce il riassorbimento e contribuisce
alla diminuzione dell’acido urico presente,
favorendone l’eliminazione.
La molecola veniva usata per interferire con
l’eliminazione di penicillina durante la prima
guerra mondiale, quando scarseggiava e si
cercava di protrarre l’effetto del farmaco più
possibile.
Somministrando il probenecid si impedisce
l’eliminazione della penicillina e si fa
aumentare la quantità di farmaco disponibile
per l’attività. Oltre al prolungamento della
presenza del farmaco e quindi la possibilità di
agire, però, aumenta anche la sua tossicità.

"Giving the flu drug together with probenecid doubles the time that Tamiflu's active ingredient stays in
the blood, doubles its maximum blood concentration, and multiplies 2.5-fold the patient's total exposure
to the drug (see graph, and G. Hill et al. Drug Metab. Dispos. 30, 13-19; 2002)"

181
Tossicologia – IR19

Somministriamo il tamiflu in presenza di probenecid o


cimetidina.
Tamiflu da solo ha una concentrazione plasmatica che
aumenta per poi essere destinata a diminuire via via
che procede l’eliminazione. La stessa cosa avviene se
viene somministrato con la cimetidina (che oggi non
viene usata, ma che interferisce con il metabolismo:
l’idea era capire se l’associazione dava tossicità).
Se tamiflu e probenecid vengono associati, invece, si
impedisce l’eliminazione del tamiflu: tmax resta uguale
ma Cmax è quasi doppia perché si interferisce con
l’escrezione. In risposta probabilmente ci sarà tossicità a causa dell’elevata concentrazione raggiunta.

182
Tossicologia – IR19

Circolo enteroepatico
Una sostanza assunta per la via orale, per esempio un farmaco, viene assorbita a livello GI. A questo
punto potrà entrare in circolo ematico grazie ai
numerosi vasi che irrorano
l’intestino e che vanno a confluire
nella vena porta a livello epatico.
Dal fegato la sostanza:
1. Non viene metabolizzata
ed entra nella circolazione
sistemica
2. Viene biotrasformata,
con l’obiettivo di
detossificare, per esempio
coniugando acido
glucuronico. Il prodotto
coniugato può prendere due
strade.
A livello epatico, gli epatociti concorrono a formare i dotti biliari e versano qui il sia contenuto
biliare prodotto che tutto quello che è presente nell’epatocita, anche uno xenobiotico
metabolizzato.
Attraverso i dotti biliari, la bile viene portata nella cistifellea che rappresenta un deposito che
libera la bile, tramite il dotto coledoco, nell’intestino.
La bile è un concentrato di composti organici con elevato peso molecolare (>400) e un certo
grado di idrofilia. Viene prodotta dal fegato in quantità di circa 1 litro al giorno La bile va a
riversarsi nel dotto epatico, per poi andare ad accumularsi in una specie di sacchetto chiamato
cistifellea. In seguito ad uno stimolo la cistifellea si contrae riversando la bile nel dotto coledoco
che sfocia nell‘intestino e più precisamente nel duodeno la bile svolge un ruolo molto
importante, che è quello di emulsionare i lipidi introdotti con l'alimentazione per favorirne la
digestione e l'assorbimento. Grazie a questa emulsione i lipidi sono infatti maggiormente
digeribili, quindi attaccabili da enzimi
specifici denominati lipasi Le sostanze
glucuronate, quindi, possono:
a. Essere escrete come tali con le feci
b. Essere substrato di batteri del
microbiota intestinale che
idrolizza il legame con l’acido
glucuronico (beta-glucuronidasi). La
molecola, liberata della
coniugazione, entra nuovamente in
circolo, prolungando sia l’effetto
terapeutico che, soprattutto, quello
tossico.
Attenzione: viene comunque
eliminata, perché ad ogni circolo
parte non subisce idrolisi a causa
della scarsa resa della reazione
batterica e viene eliminata con le
feci.

183
Tossicologia – IR19

In media, attraverso la bile, vengono escrete sostanze


con un PM superiore a 300 Dalton e polari, tramite
trasportatori attivi.
I composti con un PM > a 300-500 vengono
attivamente escreti nella bile tramite dei
trasportatori che spostano le sostanze esogene dal
plasma verso il fegato e dal fegato nella bile.
Quali sono i trasportatori:
 Trasportatori per gli anioni organici (OATP,
glucuronoconiugati)
 Trasportatori per i cationi organici (OCT,
destrotubocurarina)
 Trasportatori per gli acidi biliari (BSEP)
 Trasportatori per sostanze non ionizzate (derivati digitalici) che sono sostanze con PM molto
significativo che non passerebbro mai la membrana

Destino delle sostanze escrete con la bile:


 Escrezione con le feci 
o Eliminazione diretta senza assorbimento nel tratto gastrointestinale (xenobiotici ad alto
PM, es. polimeri, ammonio quaternario)
o Raggiungimento del tratto intestinale via bile
o Secrezione nel lume intestinale da enterociti (diffusione passiva o rinnovamento
dell’epitelio intestinale durante in normale turnover cellulare)
 Riassorbimento
 Conversione enzimatica e riassorbimento

A lato il confronto tra la massa della sostanza e la via


di escrezione, studiate nel ratto.
Lo studio serve per capire la relazione tra il PM e la via
di escrezione prediletta.
Aumentando il PM si riduce l’eliminazione
urinaria e aumenta l’eliminazione biliare perché la
sostanza è troppo ingombrante per essere eliminabile
per via renale.

Altre vie di escrezione


 Polmonare
 Fluidi biologici come sudore o saliva
 Tessuti: unghie, pelle, capelli e tessuti cheratinizzati
 Latte materno: effetto avverso sul neonato.

Capelli
Grande importanza in tossicologia forense: lo xenobiotico permane per più tempo e dà informazioni su
esposizioni molto precedenti a sostanze come stupefacenti o veleni. L’accumulo nei capelli è un processo
irreversibile, quantitativamente trascurabile (test per sostanze d’abuso).
La determinazione nei capelli è frequentemente usata per scoprire l’assunzione di farmaci d’abuso quali
cocaina, oppiacei, amfetamine, tetraidrocannabinoli.

184
Tossicologia – IR19

Via polmonare
Sfrutta una struttura anatomica caratterizzata da un epitelio molto favorente gli scambi, principalmente
gassosi, tra gas dell’aria e componente ematica: via di escrezione per xenobiotici e metaboliti che sono
in fase gassosa nel sangue.
E una grande superficie di assorbimento per sostanze presenti in aria ma anche per l’escrezione di
materia, perché con gli alveoli eliminiamo CO2 ma anche, per esempio, etanolo.
 Sono escreti per diffusione passiva dal sangue agli alveoli tramite gradiente di concentrazione
Condizione: [xenobiotico]plasma> [xenobiotico]aria alveolare
 I gas con bassa solubilità nel sangue sono eliminate più rapidamente (es. Etilene) di quelli con
alta solubilità (CHCl3)
 I liquidi molto volatile si eliminano esclusivamente tramite polmoni (etere e anestetici)
 L’eliminazione dei gas è inversamente proporzionale alla velocità di assorbimento: anestetici
altamente liposolubili, come alotano e metossiflurano, possono essere presenti nell’aria espirata
fino a 2-3 settimane dall’esposizione, a causa del deposito nel tessuto adiposo
 La quantità di sostanza escreta dai polmoni è proporzionale alla sua tensione di vapore

La via di escrezione inalatoria si usa con l’etilometro per la misurazione della quantità di alcol alla quale
il soggetto è esposto. Il rapporto tra la quantità nell’aria e nel sangue è costante: il rapporto di etanolemia
(concentrazione di etanolo nel sangue) e aria alveolare è relativamente costante, 80 mg di etanolo per
100 ml di sangue producono 35 μg/100ml di etanolo nell'aria espirata.

185
Tossicologia – IR19

L’etanolo viene assorbito velocemente a livello GI e passa velocemente nel sangue dove si distribuisce a
tutti i distretti. Viene eliminato rapidamente ad opera del fegato, quindi la maggior parte è metabolismo
ossidativo (acetaldeide, acido acetico, anidride carbonica e acqua).
Una parte trascurabile è metabolizzata tramite
meccanismo non ossidativo.
Molto, invece, si accumula nel sudore, nell’aria
espirata, nelle urine. Quindi se volessi verificare
l’esposizione del soggetto all’etanolo, prelevo un
campione di urine o faccio l’etilometro, (meno
interessante l’analisi del sangue dove permane 6-8
ore).

L’ etanolo ingerito viene rapidamente assorbito


a livello dello stomaco e del piccolo intestino,
passa nel torrente circolatorio e da qui a tutti i
fluidi biologici ed ai tessuti in proporzione al
contenuto di acqua.

Viene eliminato rapidamente, ad una velocità di circa 0,1 g/kg per ora, (0,15-0,20 g/l per ora nel sangue)
ad opera del fegato quindi, dopo 6-8 ore dall’assunzione, non è più rilevabile nel sangue.
In confronto al sangue ed all’aria espirata, l’etanolo nelle urine può essere ritrovato anche alcune ore più
tardi, ciò dovuto alla raccolta delle urine nella vescica.

Per l’etanolo si parla di tossicità di


genere, ovvero di una tossicità diversa a
seconda che il soggetto sia un maschio o
una femmina.
Soggetto donna raggiunge prima
dell’uomo il tasso alcolemico di 0,5 g/l per
via del peso e, a parità di peso, della
diversa distribuzione di adipe.

Man mano che aumenta la concentrazione


ematica si aggravano le manifestazioni di
tossicità : l’alcol ha un profilo di tossicità in
correlazione alla dose che è tipico e
strettamente dose dipendente. Vedi
tabella.

186
Tossicologia – IR19

Escrezione attraverso il latte

Le sostanze tossiche vengono escreti nel latte


per semplice diffusione. Sia le sostanze di base
che i composti liposolubili possono essere
escreti nel latte. Le sostanze di base possono
essere concentrate nel latte poiché il latte è più
acido (pH ~ 6,5) rispetto al plasma sanguigno.
Poiché il latte contiene 3-4% di lipidi, gli
xenobiotici liposolubili possono diffondersi
insieme ai grassi del plasma nella ghiandola
mammaria e quindi possono essere presenti
nel latte materno. Le sostanze chimicamente
simili al calcio possono anche essere escreti
nel latte insieme al calcio.

Casi noti di tossicità (farmaco + effetto):


 Cloramfenicolo: possibili danni al midollo osseo
 Diazepam: accumulo e sedazione
 Eroina: assuefazione e dipendenza
 Metadone: possibile sindrome di astinenza se l’allattamento viene interrotto
 Propiltiouracile: ridotta funzionalità della tiroide
 Tetracicline: deposito permanente nei denti (tossicità data dalla colorazione gialla del dente)

Viene prescritto di interrompere l’allattamento per tempi diversi a seconda della sostanza (tabella sotto)

187
Tossicologia – IR19

188
Tossicologia – IR19

TOSSICITÀ DELLO SVILUPPO


Teratologia: area specializzata dell’embriologia e studia l’eziologia dello sviluppo anormale (cioè le
imperfezioni presenti alla nascita)
Teratogeni: xenobiotici che causano malformazioni nel feto in via di sviluppo (farmaci, sostanze
d’abuso, ormoni presenti negli anticoncezionali, componenti delle sigarette e metalli pesanti)
Teratogenesi: tossicità dello sviluppo, alterazioni morfologiche e funzionali causate da agenti chimici o
fisici che interferiscono con la normale crescita, con l’omeostasi, lo sviluppo, la differenziazione e il
comportamento.

Esiti avversi in gravidanza


 Il 57% delle gravidanze rilevate da hCG a 8-9 giorni dopo la fecondazione non si sviluppano come
gravidanze rilevabili clinicamente
 Il 15-20% delle gravidanze riconoscibili termina con un aborto spontaneo, il 90% nel primo trimestre
 Il 2% delle gravidanze termina in aborto> 20 settimane
 Il 2-3% dei neonati ha malformazioni gravi abbastanza gravi da richiedere il ricovero in ospedale

Cause più frequenti di danni al prodotto del concepimento

 malattia ereditaria che incide nel


20% dei casi
 disturbi cromosomici (sostanze con
attività genotossica causano
alterazioni strutturali, come
malformazioni, che funzionali)
 malattie virali contratte dalla madre
che causano alterazioni congenite nel
bambino (rosolia, varicella, ecc.)
 malattie metaboliche della madre
(madri diabetiche danno vita a
bambini con malformazioni)
 60-70% dovuto a cause sconosciute:
rappresentano la fetta maggiore delle
alterazioni congenite a possiamo
sperare che si scoprano le cause

189
Tossicologia – IR19

Gestazione: fasi e criticità


Fasi diverse della gestazione prevedono aspetti diversi oltre che contributi ormonali che variano.
 1-2 settimana: fecondazione e impianto blastocisti nella mucosa endometriale (la mucosa è
iperemica e ipertrofica a causa degli ormoni che ne regolano l’attività ). In questa fase si
differenziano i foglietti embrionali (ecto, meso, endoderma).
 3-8 settimana: embriogenesi (fase più delicata).
In questa fase si ha una maggiore suscettibilità ad agenti capaci di alterare i delicati e complessi
fenomeni di proliferazione e differenziazione cellulare (teratogenesi). In questa fase è più
pericolosa la modifica perché influisce sulla funzione dei tessuti.
 9 settimana – parto: periodo fetale di accrescimento e maturazione funzionale di tessuti e
apparati

NB: il riconoscimento usuale di una gravidanza di verifica intorno alla 6° settimana di amenorrea,
quando è già iniziata l’organogenesi. Il rischio di esposizione accidentale, quindi, è molto alto.
Negli accertamenti tipo RX o Risonanze con MDC si richiede di firmare un certificato di assenza di stato di
gravidanza.

Alterazioni continue di diversi parametri durante la gestazione influenzano significativamente


farmacocinetica e tossicocinetica. A lato alcuni esempi di fattori materni variabili, sia come
potenziamento che come diminuzione. Per esempio, diminuisce la motilità gastrica e la donna in
gravidanza presenta grande pesantezza di stomaco, si ha anche un’alterazione delle proteine ematiche ma
anche dell’equilibrio elettrolitico (ritenzione).

Aumento Diminuzione
1. Ventilazione polmonare 1. Motilità gastrica
2. Consumo di ossigeno 2. Proteine ematiche (albumine,
3. Gittata cardiaca (fino al 30-40%) glicoproteina acida)
4. Flusso ematico (da 50 ml/min a 600 3. First pass effect
ml/min) Altro
5. Volume eritrocitario 1. Colestasi (frequente)
6. Vascolarizzazione uterina 2. Alterazione equilibrio elettrolitico
7. Metabolismo basale
8. Filtrazione renale (fino a 30-50%)

190
Tossicologia – IR19

Xenobiotici e condizioni materne influenzano lo sviluppo corretto del feto (vedi schema).
In seguito all’esposizione ad una sostanza tossica possono esserci dei fattori materni di suscettibilità
(cerchio blu) come la denutrizione, l’età avanzata, il background genetico, ecc.
I potenziali effetti della madre
sono diversi, infatti un tossico può
generare anemia, squilibri
endocrini, ridotto flusso ematico
uterino e quindi scarsa irrorazione,
alterata funzionalitò polmonare e
quindi scarsa ossigenazione
sanguigna, ecc. (riquadro verde).
Sono tutti eventi potenziali a carico
della madre che influiscono in modo
indiretto sulla salute del bambino.

C’è poi un’altra modalità di


interazione, diretta: per esempio la
madre assume un farmaco e questo
attraversa la placenta (dopo
trasformazione in tossico).
Le sostanze tossiche passano
attraverso placenta e interferiscono
con lo sviluppo del feto. Oppure,
capita che alterino la funzione della
placenta stessa (spessore,
vascolarizzazione, alterano il
trasporto di sostanze nutritive
quindi al bambino non arriva la sostanza nutritiva, alterano il metabolismo, ecc. riquadro rosa).
Infine, l’ultimo bersaglio è direttamente la suscettibilità embrionale (embrione e feto hanno gradi
diversi di sviluppo, attenzione al termine).

Le vie attraverso cui si pregiudica il corretto sviluppo sono, quindi:


 Di tipo diretto (placenta)
 Di tipo indiretto (madre)

Compartimenti interessati sono, quindi:


 Materno (variazione di ADME, cinetica, durante la gravidanza)
 Placentare (funzione di barriera, trasporto, metabolismo)
 Embrionale (bersaglio): suscettibilità dell’embrione (diverso da feto)

Condizioni materne che possono dare effetti teratogeni


 Genetiche (labiopalatoschisi): nei soggetti bianchi è maggiore, quindi c’è predisposizione etnica
 Patologiche(ipertensione, diabete incontrollato, infezioni come il virus rosolia)
 Dietetiche (malnutrizione)
 Stress acustico o da immobilizzazione (visto solo nel ratto)
 Stili di vita (assunzione di alcool – sindrome fetoalcolica1 –, fumo diretto e non, stupefacenti)

1 La sindrome alcolica fetale (FAS) è la manifestazione conclamata dei danni causati dal consumo
di alcol durante la gravidanza. Venne descritta per la prima volta in Francia nel 1968 da Paul Lemoine e
successivamente, agli inizi degli anni '70, dagli statunitensi Smith e Jones che ripresero le ricerche e
attribuirono alla sindrome il nome di Fetal Alcohol Syndrome, ridefinendo quella serie di malformazioni
e alterazioni comportamentali che venivano chiamate Funny Looking Kids ("bimbi dall'aspetto
bizzarro"). La sindrome raccoglie una serie di sintomi che possono presentarsi nei bambini che, durante
la gravidanza della madre, sono venuti a contatto con l'alcol. Gli studi oggi hanno evidenziato che la FAS
191
Tossicologia – IR19

Gli effetti teratogeni sono:


 Diretti
 Indiretti (risultato di un effetto tossico sui compartimenti materno o placentare)

Principi di teratogenesi
Ci sono alcuni principi che sono stati declamati perché la teratogenesi risponde ad alcune osservazioni:
1. Suscettibilità agli effetti teratogeni dipende dal genotipo dell’embrione e i fattori ambientali
avversi.
2. Suscettibilità agli effetti teratogeni varia in rapporto allo stadio dello sviluppo e all’epoca
dell’esposizione ad un evento avverso o ad un agente potenzialmente avverso. Durante la
gravidanza ci sono una serie di fasi che si susseguono e interferire con una fase piuttosto che con
un'altra modifica le conseguenze.
a. Fase iniziale: alterazioni morfologico-strutturali (focomelia)
b. Fase finale: alterazioni funzionali (la struttura è allestita ma ne alteriamo il
funzionamento: comportamento, sviluppo cognitivo)
3. Agenti teratogeni agiscono con meccanismi specifici. Accelerazione dell’apoptosi, teratogenesi
indotta da virus zika (vedi poi).
4. Le proprietà chimico-fisiche del composto teratogeno determinano la sua capacità di
raggiungere il feto e i suoi tessuti in via di sviluppo.
5. Le quattro principali manifestazione di uno sviluppo anomalo sono rappresentate da:
 Morte
 Malformazione
 Ritardo nella crescita
 Deficit funzionale (SNC, reni, cuore, ecc.)
6. Le manifestazioni di uno sviluppo anomalo aumentano all’aumentare della dose.

Virus Zika (breve approfondimento)


Nel 2016, nelle zone del Sud America,
c’è stata un’impennata dei contagi da
virus Zika, molto pericoloso nelle
prime fasi della gravidanza. Il virus
provoca la microcefalia, ovvero i
bambini hanno la testa di dimensioni
ridotte. Il problema è che la riduzione
della circonferenza del cranio è
accompagnata da una riduzione dello
sviluppo del SNC. I bambini nascevano
con un accentuato ritardo mentale.
Il virus è in grado di alterare, tramite
specifiche tossine, la migrazione di
componenti di cellule nervose durante
la formazione del SNC, determinando
un aumento di apoptosi dei futuri neuroni.

rappresenta l'espressione più grave di un insieme di effetti di diversa gravità ed espressività


denominata Fetal Alcohol Spectrum Disorder (FASD). Questi effetti possono essere di vario tipo e
manifestarsi in modo diverso. I principali danni sono: anomalie fisiche e mentali, alterazioni
comportamentali, deficit di attenzione e apprendimento. I danni sono generalmente permanenti, mentre
è importante affermare che il FASD è evitabile al 100% se una donna non consuma alcol durante la
gravidanza.
192
Tossicologia – IR19

L’insulto teratogenico dipende dalla sostanza chimica e dalla capacità di raggiungere il feto. Può essere:
 Organo specifico
 Specie specifico: rappresenta un problema perché alcune sostanze sono teratogene nel modello
sperimentale murino e non nell’uomo, ma anche viceversa. In questo secondo caso non si può
prevedere l’azione teratogena
 Dose specifico (in genere dose dipendenti)

Periodi critici nello sviluppo e manifestazioni che seguono l’esposizione a xenobiotici


Le possibili conseguenze dell’interferenza nello sviluppo
sono diverse a seconda del periodo della gravidanza e sono
riassumibile nel grafico sottostante. La diversità si realizza
dal momento che, durante i 9 mesi, si verificano eventi
diversi.

 Se esistono interferenze dello sviluppo nella fase del preimpianto, ci può essere letalità
dell'embrione, che può portare a:
o Aborto,
o Riassorbimento del prodotto di concepimento.
 Nella fase successiva, dall'impianto all’organogenesi (terza-ottava settimana), le interferenze
con lo sviluppo possono avare delle conseguenze molto più macroscopiche, ad esempio delle
malformazioni strutturali che interessano:
o L’assetto osseo,
o Altri distretti
Dalla terza settimana alla quinta, se il prodotto di concepimento fosse esposto a sostanze
teratogene, potrebbe essere alterato il sistema nervoso centrale.
Va tenuto comunque conto che il sistema nervoso centrale continua a svilupparsi fino al termine
della gravidanza e oltre. Basti pensare alla permeabilità delle barriere ematoencefaliche, che
si modifica fino a uno o due anni dopo la nascita.
Ci sono, quindi, dei sistemi che continuano a maturare e svilupparsi durante il periodo della
gravidanza e oltre.
L’osso che costituisce il palato è suscettibile ad alterazioni maggiori tra la settima-ottava
settimana, questo significa che se l’embrione è esposto a sostanze nocive in un periodo
precedente, l’osso in questione probabilmente non verrà alterato
 Dallo stadio fetale allo stadio natale (nona-trentottesima settimana), quando la maggior parte
dei distretti sono già sviluppati, ci possono essere delle alterazioni funzionali anziché
morfologiche (ormai il feto è formato):
o Un ritardo dello sviluppo dell’accrescimento del prodotto di concepimento,
o Fenomeni che danno luogo alla cancerogenesi.
Nelle ultime settimane possono comparire ritardi nello sviluppo e nell'accrescimento del feto.
Ad esempio, il bambino nasce sotto peso (in alcuni casi la nascita sottopeso può essere segno di
un'azione tossica a seguito dell'esplosione a farmaci oppure a xenobiotici).
L'esposizione durante il periodo fetale fino al periodo immediatamente prenatale può alterare il
comportamento.

Dalla terza all'ottava settimana l'azione teratogenetica si manifesta con malformazioni di tipo
strutturale mentre dalla nonna alla 38esima, fino al completamento della gravidanza, le
alterazioni sono prevalentemente di tipo funzionale.

La tabella che segue è costruita in maniera tale da mostrare le settimane di gravidanza a partire dal
tempo zero che è il concepimento, in basso si vede la distinzione del periodo.
Il tratto nero rappresenta il periodo di maggiore suscettibilità a malformazioni e alterazioni dei
diversi distretti.

193
Tossicologia – IR19

Oggi è ancora oggetto di dibattito l'esposizione a sostanze o xenobiotici che potrebbero essere causa
dell'insorgenza dell'autismo. Molti associano l'autismo all'esposizione ai vaccini ma non ci sono dati
scientifici a sostegno di tale tesi. Tuttavia, il problema potrebbe essere legato all’esposizione, durante la
gravidanza, di sostanze che potrebbero indurre patologie tipo autismo.
La sensibilità maggiore è in relazione alla fase di gestazione.

Periodi critici nello sviluppo


Nel grafico a lato sono stati messi in
relazione due fattori: momento della
gravidanza vs. sensibilità -suscettibilità .

Si possono avere anche effetti


teratogeni durante la fase
dell'impianto (prime due settimane dal
concepimento), ma in questa fase vale la
legge del tutto o nulla:
 L'impianto non attecchisce sulla
mucosa, quindi va incontro ad
aborto spontaneo o
riassorbimento,
 Oppure attecchisce e prosegue.

La moltitudine di alterazioni di tipo morfologico si registra soprattutto durante il periodo


dell'organogenesi in cui tanti distretti diversi sono in via di sviluppo.
Questo è il periodo della gravidanza in cui si ha il maggiore contributo da parte di fenomeni proliferativi,
cioè accrescimento di tessuti, bilanciato da fenomeni apoptotici (termine della proliferazione di alcune
cellule). In tale periodo si ha anche la differenziazione cellulare, per esempio le cellule che costituiranno
il tessuto del miocardio si differenziano affinché possano assolvere alla funzione del miocardio, differente
sarà il destino delle cellule che costruiranno i gangli para vertebrali (parte del sistema nervoso centrale).

194
Tossicologia – IR19

Tossicità dello sviluppo embrio-fetale

Nel primo periodo, cioè il periodo che va dalla fecondazione all'impianto, l'effetto è tutto o nulla:
 La gravidanza prosegue,
 Si va incontro ad aborto spontaneo e riassorbimento.

Le sostanze in grado di interferire con questa prima fase sono:


 Sostanze presenti nell'ambiente,
 Farmaci,
 Ddt,
 Il grosso gruppo di interferenti endocrini, cioè tutte quelle sostanze che sono chimicamente
estremamente differenti le une dalle altre, ma interferiscono con gli assi neuroendocrini,
 Idrocarburi di tipo aromatico.

Nella seconda fase, ossia l'embriogenesi, si hanno malformazioni di entità diverse che possono essere
ridotte, ma anche maggiori.

Esempio: talidomide. Fu scoperto che era teratogena soltanto dopo che ci fu un numero molto significativo
di bambini nati con malformazioni.
Grazie a questo evento sfortunato, abbiamo corretto il nostro atteggiamento, ora è obbligatorio il test per
la tossicità dello sviluppo prenatale e postnatale di sostanze o di farmaci che verranno introdotti in
commercio.

Durante questa fase della gravidanza, i derivati dell'acido retinoico e gli antiepilettici sono quelli che
danno le conseguenze più evidenti e le malformazioni maggiori.

Nel periodo fetale, quando l'esposizione a sostanze di tipo teratogeno è in grado di causare alterazioni
prevalentemente funzionali, si può andare in contro a insorgenza di tumori.
Le sostante interessate sono:
 Metalli,
 Etanolo,
 Interferenti endocrini,
 Antidepressivi,
 Antiepilettici.

Nello studio della tossicità dello sviluppo Giorni dopo concepimento


è importante avere modelli sperimentali
adeguati. Esistono una serie di modelli in Specie Impianto Periodo Periodo fetale
vitro con i quali si cerca di mimare l'effetto embrionale
finale di un farmaco o di uno xenobiotico Uomo 6-7 20-56 56-280
sul prodotto di concepimento, ma è un
modello limitato che fornisce un risultato Coniglio 7-8 8-16 17-32
ridotto. Ratto 6-8 9-17 18-22
In vivo, si usano generalmente:
 Lagomorfi (conigli), Topo 4-6 7-16 17-20
 Specie murina (ratti e topi).

Essendo l'arco di vita dell'animale diverso da quello dell'uomo, occorre sapere:


 La durata della gravidanza,
 Il periodo di fertilità delle femmine o dei maschi,
 In modo tale da avere un modello sperimentale adeguato.

195
Tossicologia – IR19

Nell'uomo abbiamo le seguenti fasi:


 L'impianto si verifica 6-7 giorni dopo il concepimento,
 Il periodo embrionale è quello tra i 20 e i 60 giorni,
 Il periodo fetale va dai 60 giorni fino al termine della gravidanza.

Negli animali va proporzionalmente ridotto


tutto il periodo di analisi, vista l’aspettativa
di vita nettamente minore.
Conoscere la durata dei periodi di
gravidanza è fondamentale per definire un
protocollo di studio sull’animale.

La prima parte dello studio di tossicità è


relativo alla fertilità . Infatti, prima di tutto
occorre capire se lo xenobiotico influenza la
possibilità di avere o meno dei figli, pertanto
si valutano:
1. Spermatogenesi: somministrazione
dello xenobiotico per 60 giorni,
successivo accoppiamento con
femmina.
2. Fertilità femminile: esposizione per 40-50 giorni (corrisponde circa a un ciclo)
Infine, se la femmina riesce a rimanere incinta, si prosegue l’esposizione durante tutta la gravidanza e
l’allattamento.
La tossicità dello sviluppo può essere studiata in maniera diversificata, per esempio tra maschio e
femmina.

Gli obiettivi di questi studi sono molto diversi, perché possiamo avere informazioni:
 Circa l'effetto dello xenobiotico sulla produzione di spermatozoi nel maschio.
 Sulla produzione di ovociti nella femmina,
 Sul successo dell'accoppiamento tra maschio e femmina,
 Sul numero di feti per ciascuna gravidanza,
 Sul numero di gravidanze portate a termine nell'animale,
 Sul tipo di eventuali malformazioni dei cuccioli nati, sul peso dei cuccioli nati,
 Sul peso delle madri che può essere un indice di tossicità da parte di una sostanza di tipo
xenobiotico.

196
Tossicologia – IR19

Metodi alternativi utilizzati per valutare la tossicità dello sviluppo

Generalmente, gli studi di tossicità dello sviluppo sono


oggetto di una sperimentazione in vivo.
Al momento, infatti, non esistono modelli alternativi che
permettano di studiare in altro modo la tossicità sullo
sviluppo.
Si stanno sviluppando alcuni modelli in vitro, ad esempio:
 Cellule tumorali ovariche di topo o di ratto che
vengono utilizzate per capire se lo xenobiotico
altera in qualche modo la loro proliferazione.
 Cellule embrionali umane che vengono messe in
coltura, si esegue una conta numerica e si vede
come rispondono all'esposizione a uno xenobiotico,
sempre in vitro.
 Cellule nervose di retina di embrione di pollo
per comprendere la possibile tossicità sull’apparato
visivo durante lo sviluppo dell'embrione
 Alcuni esperimenti su Drosophila (moscerino
della frutta), per verificare se nello sviluppo viene
alterato un sistema piuttosto che un altro.

In genere sono test in vitro che oggi implicano lo studio


dell'azione di uno xenobiotico nei confronti del sistema
biologico.
Ad oggi si tende a espiantare l’embrione dell’animale, a
coltivare cellule dell’animale in vitro o a fare l'esperimento
in vivo, sempre sull'animale. Tuttavia, al momento non ci
sono altre modalità per andare a studiare la complessità
dello sviluppo embrionale. Infatti, il sistema prevede un
organismo integrato in cui tanti fattori contribuiscono al
corretto sviluppo:
 L'instaurarsi della placenta,
 La perfusione ematica,
 La pressione arteriosa,
 L'alimentazione,
 La secrezione di pattern ormonali diversi a seconda
della fase della gravidanza.

Al momento, dobbiamo attenerci a questo tipo di sperimentazione in vitro o in vivo negli animali
fecondati.

197
Tossicologia – IR19

Relazione dose effetto in tossicologia prenatale

Solo in seguito al superamento di una dose


soglia si manifestano effetti embriotossici e
teratogeni negli esperimenti su animali. I dati
si basano sul numero (in %) di embrioni
danneggiati per ogni madre.
All'aumentare della dose, aumenta la
frequenza di malformazioni e la gravità della
malformazione che avviene.
Esiste un livello, cioè una dose soglia,
 Al di sopra del quale si possono
manifestare effetti tossici,
 Al di sotto del quale non si manifestano.

La presenza di queste dosi soglia è il motivo per cui, generalmente, nella sperimentazione tossicologica
si usano tre dosi, di cui una in grado di indurre una lieve diminuzione del peso corporeo per analizzare
l’interazione con i pattern che garantiscono l'omeostasi. La dose minore, invece, è quella in
corrispondenza della quale non si devono osservare effetti tossici.

A lato è presente una tabella che riassume i composti


ritenuti tossici nell’uomo. Ci sono vari composti ma
anche agenti fisici, come le radiazioni. Anche alcuni
agenti infettivi (virus come rosolia, varicella, sifilide,
ecc.) sono noti per il loro potenziale effetto teratogeno e
malformante sul prodotto di concepimento.
E possibile che alcune alterazioni a carico della madre,
come malattie metaboliche (obesità e diabete), possano
influenzare il nascituro.
Infine, ci possono essere dei tumori virilizzanti, ovvero
delle condizioni in cui c’è una preponderante
componente ormonale che può condizionare lo sviluppo
corretto nel bambino.
Anche stili di vita scorretti possono creare danni
permanenti, per esempio alcol.

Esempio: l'esposizione all'alcol è causa di malformazioni


nel prodotto di concepimento; infatti, si può avere la
sindrome fetoalcolica.
Oltretutto, l’alcol è anche uno degli agenti tossici più
potenti nei confronti della fertilità maschile. Pertanto, l'esposizione frequente all'alcol rappresenta nel
soggetto maschio una vera e propria castrazione (condizione. Gli etilisti cronici sono quei soggetti in cui
è più presente la sterilità .
Prima ancora di arrivare al prodotto di concepimento, si tratta di ostane che interferiscono con la fertilità
del maschio e della femmina.

Ci sono sostanze in grado di interferire con l'asse neuroendogeno, quindi con il controllo di
spermatogenesi e ciclo mestruale, alterando la fertilità del soggetto.

198
Tossicologia – IR19

Farmaci e prodotti chimici


I farmaci e le sostanze in grado di causare un'azione teratogena sono
numerosissime:
 Sostanze di abuso (cocaina, eroina...)
 Ormoni (androgeni),
 Fumo di tabacco,
 Inibitori dell'enzima per la conversione dell'angiotensina
(antipertensivi),
 Sostanze presenti nell'ambiente (piombo),
 Antibiotici (aminoglicosidi, tetracicline), vitamina a quando viene
somministrata ad alte dosi.

Agenti embriotossici nell'uomo ed effetti

Se somministrati durante la gravidanza, gli


antiepilettici sono in grado di causare l'insorgenza
della spina bifida.
Quando si forma il tubo neurale con il foglietto
embrionale, il tubo si salda e costituisce un vero e
proprio tubo, da cui poi si sviluppa il midollo spinale
e tutte le componenti del sistema nervoso.
In alcuni casi, ad esempio nei soggetti esposti a
sostanze come l'acido valproico, il tubo non si salda.
In questo modo la componente che costituisce la
colonna vertebrale, all'interno della quale c'è il
midollo, non è correttamente formata.
Di fatto, si forma una componente del sistema
nervoso che risulta essere a stretto contatto con l'ambiente esterno e che causa un'alterazione della
qualità della vita o un'alterazione di funzioni nel bambino estremamente importante.

Esempio. Etanolo causa la sindrome fetoalcolica di gradi diversi , quindi con manifestazioni estremamente
diverse.
Esempio. Ciclofosfamide, che dà luogo a: malformazioni di tipo cardiovascolare, malformazioni alla mano,
ritardo nello sviluppo.
Caso eclatante. Dietilstilbestrolo è in grado di causare tossicità ritardata non nelle donne che avevano
assunto il farmaco bensì nella progenie, cioè nella prima generazione di figli e figlie (soggetti maschi e
femmine). Nelle femmine nate da madri che avevano assunto il dietilstilbestrolo, intorno ai 18-20 anni, si
manifesta carcinoma della vagina, nei maschi si ha una mancata migrazione del sacco scrotale.
L'esposizione al litio durante la gravidanza può dare luogo a difetti cardiaci e di formazione del tubo
neurale.

Sostanze diverse possono causare effetti diversi: dipende dalla dose e dal periodo della
gravidanza a cui la madre si espone.

199
Tossicologia – IR19

Meccanismi alla base della teratogenesi

I meccanismi alla base della teratogenesi sono estremamente diversi ma traducono in risposte di tipo
patogenetico molto limitate.
Un meccanismo attraverso cui una sostanza può indurre una malformazione potrebbe essere
l'alterazione dell'integrità o della funzione degli acidi nucleici.

L'azione di teratogenesi può essere:


 Indiretta se viene modificato lo stato di salute della madre o lo stato di funzionamento della
placenta (non arrivano ossigeno, sostanze nutritive, ecc.).
 Diretta sul prodotto del concepimento: la sostanza a cui la madre è esposta arriva nel torrente
circolatorio, passa la placenta e arriva al prodotto di concepimento.

La sostanza potrebbe:
 Alterata integrità o funzione degli acidi nucleici
 Alterazioni dei pattern cromosomiali
 Alterata mitosi, condizionamento del processo
proliferativo
 Ridotto apporto di precursori o substrati
 Ridotto supplemento energetico
 Alterate caratteristiche di membrana
 Inibizioni enzimatiche

Una delle principali modalità con cui uno xenobiotico causa


tossicità è rappresentata dalla perdita di capacità di
ripristinare ATP, quindi enzimi e trasportatori non funzionano più .
Molte funzioni energetiche della cellula, quindi, verranno meno e ci saranno conseguenze molto diverse
a seconda del soggetto: uno stesso xenobiotico può essere teratogeno nel feto e innocuo nell’adulto, che
ha già sviluppato tutti i sistemi.
L’esposizione si traduce con una risposta patogenetica unica nel feto, con:
 Proliferazione cellulare alterata: La differenziazione cellulare è fondamentale per costruire
tessuti costituiti da cellule uguali, che interagiscono con una componente nervosa o una
componente mucosale.
Le cause alla base di un'alterata proliferazione cellulare o di una indotta morte cellulare non sono
del tutto note per tutti gli xenobiotici. Si pensa che siano da mettere in relazione all'insorgenza
di stress ossidativo e di danno alla componente nucleica.
Ad esempio, ci sono sostanze che possono avere effetti teratogeni per interazioni con le
componenti dei segnali di trasduzione.
 Morte cellulare (apoptosi)
 Alterata interazione cellula-cellula: la comunicazione tra cellule è fondamentale perché
stabilisce i nessi funzionali nei tessuti, motivo per cui la cellula tumorale, che perde l'interazione
tra le cellule, cresce in modo random.

Esempio: proteina secondo messaggero in una cellula, la cui attivazione porta all'espressione di geni per
esprimere delle strutture particolari nella cellula che deve differenziarsi.
Se lo xenobiotico interferisce col sistema di trasduzione, modifica l'attivazione di alcuni geni che sono
importanti per differenziare la cellula nervosa da quella cardiaca e il processo non avviene..

200
Tossicologia – IR19

FAS – Sindrome fetoalcolica


Una delle sostanze più di frequente causa di malformazioni è l’etanolo, che fa parte della nostra
alimentazione nella dieta mediterranea.
Quando la madre, durante la gravidanza, non interrompe l'esposizione all'alcol, questo comportamento
si può tradurre nell'embrione, feto e successivamente individuo umano in una serie di alterazioni che
sono:
 Di tipo strutturale
 Di tipo funzionale, che implica un'alterazione di comportamento.

La sindrome fetoalcolica è l'insieme delle alterazioni dello sviluppo nel feto a seguito dell'esposizione
della madre all'alcol.

Sintomi
Ci sono delle connotazioni/caratteristiche discriminati che sono ad esempio le alterazioni della facies,
cioè della struttura del viso e l'effetto teratogenico si può manifestare anche con un ritardo della crescita
del bambino. Il corpo è di piccole dimensioni, lo sviluppo fisico è lento e ritardato nel tempo.
Ci possono essere alterazioni morfologiche, cioè deformità dello scheletro:
 Nel torace si possono trovare costole e sterno deformati,
 Il cranio è piccolo,
 La parete toracica è appiattita,
 C’è sindattilia, cioè le dita sono saldate tra di loro come se fosse un arto palmato (pinna di una
foca), il tessuto è rimasto tra un dito e l'altro. Si dice sindattilia delle mani.

In alcuni soggetti può portare a malformazioni d'organo oltre che di struttura ossea e di caratteristiche
specifiche del viso. Infatti, possiamo avere:
 Alterazione funzionale dell'apparato cardiovascolare, quindi il soffio cardiaco,
 Un insufficiente sviluppo delle strutture cerebrali,
 Malformazioni all'apparato riproduttivo (genitali),
 Alterazioni anatomiche all'apparato renale2.

In queste condizioni nel soggetto in cui è diagnosticata la sindrome fetoalcolica, ci sono gradi diversi di
gravità.
I sintomi possono essere concomitanti (possono sussistere nello stesso soggetto), oppure ci sono
soggetti che hanno la prevalenza di una modifica della componente strutturale ossea piuttosto che
organica.

2 Sintomi:
 Anomalie facciali
 Carenze di crescita (corpo di piccole dimensioni, sviluppo fisico lento)
 Deformità scheletriche (costole e sterno deformati, cranio piccolo, parete toracica appiattita,
sindattilia delle mani e dei piedi o palmate)
 Malformazioni d’organo (soffio cardiaco, incompleto sviluppo strutture cerebrali, malformazioni
genitali, alterazioni anatomiche renali)
 Ritardo sviluppo mentale (difficoltà di apprendimento, a risolvere problemi, iperattività
infantile, scarso coordinamento, diminuzione dell’attenzione, irritabilità , scarsa memoria,
 Problemi comportamentali in età avanzata

201
Tossicologia – IR19

A queste alterazioni morfologiche si accompagna in genere un ritardo di sviluppo mentale che si


traduce con
 Difficoltà di apprendimento,
 Difficoltà a risolvere i problemi,
 Scarso coordinamento,
 Scarsa capacità di memorizzare gli eventi,
 Iperattività infantile,
 Problemi dell'attenzione.

Generalmente i bambini affetti da sindrome fetoalcolica sono affetti da deficit di attenzione. Possono
comparire dei problemi di tipo comportamentale anche quando il soggetto è adulto.

Quindi, è una sindrome che interessa a 360º lo sviluppo del soggetto perché coinvolge
 La componente strutturale ossea,
 La struttura di organi,
 Il funzionamento di organi (alterazioni di tipo renale o incompleto sviluppo delle strutture
cerebrali),
 Capacità cognitive.
Caratteristiche discriminanti
Alla nascita e nel periodo immediatamente successivo, i
bambini affetti da sindrome fetoalcolica hanno alcune
caratteristiche discriminanti:
 Le rime delle palpebre estremamente brevi,
 La zona della faccia appiattita,
 Il naso corto,
 Il filtro indistinto (l'avvallamento tra il mento e il
labbro è generalmente appiattito),
 Il labbro superiore sottile.

A queste caratteristiche discriminanti per fare la diagnosi, si associano delle caratteristiche che possono
essere presenti, ma non necessariamente.
Le caratteristiche associate possono o meno essere presenti e sono:
 Ridotta plica epicantica, cioè la plica all'angolo dell'occhio con la palpebra.
 Ponte nasale basso.
 Anomalie nell'orecchio.
 Micrognazia, ossia il mento molto ridotto, quasi inesistente.

Sorge spontaneo chiedersi quale sia la quantità di alcol che determina tossicità . In realtà non c’è un
regola ben definita, ma è noto che tanto maggiore è la dose, tanto maggiore è la gravità con cui si
manifesta la sindrome.
In alcuni soggetti potrebbe essere causa di malformazioni anche un semplice bicchiere di vino bevuto a
pranzo con regolarità . In una donna etilista cronica, il rischio della nascita del bambino con la sindrome
fetoalcolica è molto maggiore.

202
Tossicologia – IR19

Encefalo di un bambino
A sinistra l’encefalo di un bambino di 6 settimane sano.
A destra l’encefalo di un bambino di 6 settimane con la
sindrome feto alcolica.
Si nota la dimensione è molto ridotta, circa un 30% in
meno.
Nell’encefalo la struttura fondamentale è rappresentata
dalla presenza di circonvoluzioni lungo la superficie
esterna, che non sono presenti nel bambino malato.

A parità di età , quindi, abbiamo un encefalo molto diverso:


massa fisicamente più ridotta e funzionalmente deficitaria.
Si hanno delle conseguenze sull'apprendimento, capacità cognitiva, controllo dell'organismo che è
totalmente alterato.

Incidenza della FAS3


Osservando una mappa della distribuzione di utilizzo di alcol si nota la corrispondenza della
distribuzione e dell'incidenza della FAS. Si raggiunge il massimo della percentuale di utilizzo di alcol
nell'ex URSS. Unica eccezione è l'Australia, che è una tra le aeree con consumo più evidente di alcol, ma
in cui l'incidenza di FAS è molto bassa. Paesi musulmani denotano assenza di FAS, in quanto per motivi
religiosi il consumo di alcol è pari a zero. Nel bacino mediterraneo, l'utilizzo di alcol (vino) fa parte della
nostra cultura, purtroppo esistono pochissimi studi fatti sulla popolazione italiana per quantificare il
fenomeno.
In genere, a livello mondiale, l'incidenza della FAS oscilla tra 0.5 e 3 casi su 1000 individui nati vivi.
In Italia la stima cade tra i 4 e i 12 soggetti su 1000 nati vivi.
All'interno della denominazione FAS esiste una più ampia denominazione che si chiama disordini
associati alla sindrome FAS, un insieme più grande dove le alterazioni sono molto variegate, e si
possono trovare sfumature di intensità diversa della stessa sindrome.

3 Non esistono dati certi sull’incidenza della sindrome feto-alcolica (FAS) in Italia. Tuttavia, uno studio
del centro di alcologia del Policlinico Umberto I di Roma, effettuato nella provincia del Lazio, stima una
prevalenza pari a 1,2 su 1000 nati vivi. Si arriva poi a un 6% nel caso di espressioni parziali della
sindrome, ovvero della FASD. Da un’analisi del meconio (le prime feci del neonato) di 607 neonati
condotta dall’Istituto Superiore di Sanità , nell’ambito di uno studio multicentrico in collaborazione con
le Unità di Neonatologia di sette ospedali italiani, è emerso che l’esposizione prenatale all’alcol è
mediamente del 7,9%, con una variabilità che va dallo 0% di Verona al 29,4% di Roma. Quindi, circa 8%
dei neonati sono esposti all’assunzione di alcol durante la vita intrauterina. Tra le donne che bevono
quantità rilevanti di alcol in gravidanza, una percentuale compresa tra il 4% e il 40% partorisce bambini
affetti da danni alcol correlati di vario grado.
203
Tossicologia – IR19

Meccanismi causa della FAS


L'etanolo ha la capacità di alterare i processi di proliferazione cellulare e di apoptosi. Questo è
stato visto sperimentalmente; in particolare nel topo è stato osservato che la cresta apicale dell'abbozzo
dell’arto (quindi la struttura che si sarebbe sviluppata a formare l'arto dell'animale) andava incontro ad
apoptosi.
Nell'esperimento, risultava estremamente correlabile l'entità dell'apoptosi con la dose e la
malformazione, quindi maggiore è la dose, maggiore è l'apoptosi, maggiore è la malformazione.
L'alcol altera anche la struttura del citoscheletro e la capacità delle cellule (delle creste neurali)
di migrare.
La capacità di migrare delle cellule è alla base della formazione di strutture e tessuti molto importanti,
in particolare delle creste neurali, cioè di quella struttura iniziale da cui poi si possono formare tutti gli
altri distretti4.
Esperimento in vitro: sono state isolate le creste neurali e sono state trattate con l'etanolo.
Si osserva che l'etanolo disaggrega le strutture citoscheletriche (come microtubuli e microfilamenti), altera
la morfologia della cellula, ma altera anche i contatti tra le cellule che sono necessari per dare luogo
successivamente a un tessuto uniforme con una funzione ben differenziata.

L'etanolo viene metabolizzato ad acetaldeide e il prodotto del metabolismo ha una capacità di


interferenza nei confronti delle difese contro lo stress ossidativo, ovvero, se si espongono in vitro
degli embrioni post-impianto all’acetaldeide, si ottiene una riduzione di GSH ridotto.
La riduzione del glutatione ridotto è correlabile con la gravità delle malformazioni. Meno GSH è presente,
maggiori sono le malformazioni.
L’acetaldeide riduce la difesa intracellulare verso lo stress ossidativo (l’esposizione in vitro di embrioni
post-impianto di ratto all’acetaldeide riduce il contenuto di GSH e tale riduzione è direttamente
correlabile con la frequenza e la gravità delle malformazioni)
Nella sindrome feto alcolica i responsabili sono etanolo e acetaldeide che, nonostante abbiano
meccanismi diversi, contribuiscono entrambi all'estrema variabilità di malformazioni che si possono
verificare.

4(su creste neurali isolate in vitro l’etanolo causa disaggregazione delle strutture citoscheletriche, come
microtubuli e microfilamenti, con alterazione della morfologia cellulare, dei contatti cellula-cellula e
dell’adesione al substrato)

204
Tossicologia – IR19

Acido retinoico

Altra sostanza in grado di evocare l'azione teratogena è l'acido retinoico che si ottiene dal metabolismo
della vitamina A. Essa viene trasformata a livello epatico dall’alcol-deidrogenasi e dall’aldeide-
deidrogenasi ad acido retinoico.

Le condizioni in cui si può avere una malformazione causata dall’esposizione all'acido retinoico sono:
 Ipovitaminosi
 Diete povere di vitamina A.

L'alterazione rispetto ai livelli omeostatici sia in difetto che in eccesso della vitamina A può produrre
malformazioni.
 Diete carenti di vitamina A causano malformazioni al livello oculare, ad esempio:
o La microftalmia (cioè l'occhio molto piccolo),
o Anoftalmia (nella cavità oculare manca il bulbo oculare).
 Un eccesso di vitamina a può dare malformazioni a carico di:
o Cranio – strutture craniofacciali
o Viso,
o Cuore,
o Arti
o Timo
o SNC.
Il prodotto di concepimento è suscettibile alla tossicità dell'acido retinoico durante tutta la gravidanza.
Viene usata come analogo sintetico dell'acido retinoico l'isotretinoina. Questa viene prescritta:
 Nei casi di deficit di vitamina (ipovitaminosi),
 Nel caso dell'acne cistica grave.
Se la donna durante la gravidanza assume l'isotretinoina per via orale, il rischio di malformazioni è molto
elevato (circa il 20%): si parla di sindrome da isotretinoina che può portare ad aborto o al parto
prematuro.

I bambini affetti da questa sindrome presentano:


 Idrocefalo,
 Microcefalia,
 Malformazione alle orecchie,
 Difetti cardiaci,
 Anomalie degli arti.

Il derivato sintetico non si prescrive per via orale, ma per via locale.
Dopo l'applicazione locale, il farmaco e i suoi metaboliti non presentano valori dosabili sul plasma e
pertanto non hanno effetto teratogeno. Dato che l'isotretinoina nella sua forma orale ha un'emivita di 50
ore, la maggior parte del farmaco e dei suoi metaboliti vengono eliminati nei primi 10 giorni dopo
l'ultima dose. Per motivi di sicurezza si raccomanda la sospensione della terapia almeno un mese prima
di tentare una gravidanza.
Nel caso di acne cistica, non somministriamo alla donna in stato di gravidanza l'analogo sintetico per via
orale, ma attraverso applicazioni locali, che non hanno un effetto di tipo teratogeno.

Nel caso di idrocefalo, è come se la struttura all'interno dell'encefalo fosse un ventricolo unico, quindi
si perde la componente del tessuto esterno e aumentata lo spazio interno. Questi porta a due effetti:
 Grande quantità di liquido all'interno del tessuto cerebrale (molto superiore a quello che
sarebbe presente nei ventricoli), che possono esercitare una pressione nei confronti del tessuto
nervoso propriamente detto.
 Interi sistemi del sistema nervoso centrale vengono meno perché occupati da questa cavità unica
all'interno dell'encefalo.

205
Tossicologia – IR19

In genere i bambini con idrocefalo hanno carenze estremamente significative di capacità cognitive e di
controllo dell'organismo. Solitamente hanno un’aspettattiva di vita molto breve, non arrivano ai 20 anni
e sono destinati a un decesso molto prematuro.

Meccanismi di tossicità dell'acido retinoico

I retinoidi modulano geni responsabili del corretto sviluppo embrionale. La modulazione avviene
attraverso eventi in sequenza.
L'acido retinoico ha la capacità di interagire e legarsi con recettori specifici, che sono quelli che
corrispondono all'acronimo RAR o XAR. (recettori RAR e RXR nucleari)
Sono recettori di tipo nucleare, servono nell'omeostasi dell'organismo e del tessuto, perché il recettore
con il ligando costituisce un complesso unico e si comporta come fattore di trascrizione per geni
strutturali per l’asse embrionale cefalo-caudale e dorso-ventrale responsabile dello sviluppo
dell’encefalo, del sistema nervoso centrale e periferico, delle vertebre e degli arti.

Quando questi geni vengono attivati in maniera preferenziale, cioè quando l'organismo è sottoposto a
un trattamento farmacologico con acido retinoico, gli effetti dipendono sostanzialmente
 dalla concentrazione utilizzata,
 dal tempo di attivazione del recettore.

Quando si espone l'organismo a dosi teratogene di acido retinoico, a livello tissutale embrionale i livelli
dei retinoidi aumentano in maniera molto significativa (dalle 200 alle 1400 volte superiore) rispetto ai
normali livelli fisiologici nei tessuti.
I derivati retinoidi sono presenti nell'organismo a concentrazioni plasmatiche e tissutali molto più basse.
Il trattamento, ovvero la somministrazione alla madre di acido retinoico o di derivati semisintetici, causa
l'aumento dei livelli tissutali nell'embrione in maniera molto maggiore rispetto ai livelli fisiologici.
Questi livelli di retinoidi sono in grado di interagire con i propri recettori che sono responsabili della
struttura dell'asse cefalo-caudale (dalla testa fino all'ano), quindi tutta la struttura non solo ossea
(vertebrale), ma anche il sistema nervoso coinvolto con la struttura.

Quando si formano i somiti, cioè le strutture segmantali che poi saranno le vertebre a completamento
dello sviluppo, nel topo le vertebre hanno caratteristiche morfologiche tipiche di segmenti anteriori o
posteriori rispetto alla posizione della vertebra.
Nella colonna vertebrale ci sono una sequenza di componenti vertebrali che hanno, a seconda dell'area,
una struttura molto diversa. E il motivo per cui è diversa l’area cervicale rispetto a quella dell'osso sacro
(ultimo pezzo della colonna vertebrale).
Se esiste una sovraesposizione all'acido retinoico, si perde la diversa struttura corrispondente alle
diverse aeree.
Potrebbe esserci un’area lombare con una struttura tipica delle vertebre dell'area toracica o cervicale:
la struttura è totalmente inappropriata per la porzione di colonna.
La colonna vertebrale ha delle caratteristiche strutturali e funzionali importanti che sono garantite dalla
varietà di struttura. Man mano che si scende, cambia anche il lume vertebrale in cui è presente il midollo
spinale.
A seguito del cambio della forma della vertebra, si modificano:
 la parte esterna,
 la struttura interna, quindi la compatibilità con il midollo spinale.
Questo significa alterare la funzione del sistema nervoso in questa area.

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Tossicologia – IR19

FDA e gravidanza
Negli USA, nella pagina di FDA, ci sono delle indicazioni sulla modalità con cui si indica il rischio di
teratogenicità sui farmaci. Fino a qualche anno fa, FDA aveva una modalità di classificazione del rischio
per la gravidanza espressa in lettere.Nel 2016 è cambiata la modalità di indicare il rischio di
teratogenicità : invece di indicare una lettera sulla confezione del farmaco, viene indicata una descrizione
in cui risultata essere più chiaro il rischio.
Nel farmaco che era indicato con la lettera A, attualmente viene indicato sull'etichetta un messaggio in
cui si legge che non esiste un rischio in studi controllati condotto nell'uomo.
Si scrive un messaggio invece di indicare una lettera, perché il messaggio risulta essere più chiaro.

Lettera A: "studi condotti nell'uomo adeguati e ben controllati (disegnati in maniera opportuna) non
sono riusciti a dimostrare il rischio per il feto nel primo semestre di gravidanza. Non c'è evidenza anche
nei trimestri successivi".
I farmaci indicati, insieme a quello su cui è apposta l'etichetta, non risultano essere responsabili di
tossicità nel primo e nei successivi trimestri.Gli studi condotti sull'uomo sono stati incapaci di mostrare
la tossicità (fail), quindi non sono tossici.
 Lettere diverse inducano messaggi diversi.
 Classificazione delle sostanze carcinogene: esiste la classificazione in gruppi a seconda che sia
probabile o possibile nello studio animale, a seconda che l'evidenza di tossicità fosse stata testa
in studi clinici. Quindi si classificano gruppi diversi. Qui, si fa nello stesso modo.

Lettera B. Il primo è il risultato che si ottime nell'uomo, il secondo è il risultato negativo che si ottiene
negli studi condotto sugli animali.
Questi farmaci (a cui prima si dà la lettera B nella classificazione) oggi sono farmaci che non sono stati
in grado di dare tossicità se testati sugli animali. Riporta esempi.

Lettera C: gruppo di farmaci in cui il rischio non è escluso, perché :


 nello studio condotto sull'animale sono state attenute alcune alterazioni dello sviluppo,
 non è detto che questa condizione sia simile nella specie umana.
Ne sono certo nell'animale, nella specie umana non posso escludere il rischio.

Lettera D o X: a causa di studi condotti nell'uomo, esiste realmente il rischio di malformazioni.


Nel caso di farmaci che avevano la lettera X, l'evidenza è ancora maggiore perché è stata dimostrata negli
animali e nell'uomo, quindi sono sostanze totalmente controindicate nelle donne in stato di gravidanza.

Lettera N è per farmaci che non sono stati ancora catalogati, per i quali non ci sono evidenze derivanti
né da studi su animale né dallo studio condotto sull'uomo.

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Tossicologia – IR19

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Tossicologia – IR19

TOSSICITÀ DEL SISTEMA ENDOCRINO E INTERFERENTI


ENDOCRINI

Il sistema endocrino è il sistema di comunicazione chimica del corpo, che utilizza i vasi sanguigni
per muovere sostanze chimiche in tutto il corpo e per comunicare con diverse cellule del corpo.
Il sistema endocrino regola il metabolismo, la crescita, lo sviluppo e la pubertà e la funzione degli
organi.
Si possono avere effetti tossici sul prodotto di concepimento anche grazie a effetti indiretti, ad esempio
l'alterazione dell'asse neuroendocrino.
Gli agenti capaci di interferire con il sistema endocrino sono agenti che possono interferire con la fertilità
maschile e femminile, con lo sviluppo del prodotto del prodotto di concepimento, con lo stato di salute
post-natale. A questo gruppo di sostanze capaci di alterare il sistema endocrino appartengono i
cosiddetti interferenti endocrini.

Sistema endocrino

Il sistema di endocrino permette la comunicazione tra distretti anche molto distanti tra loro attraverso
molecole che sono gli ormoni. Sono secrete in alcuni distretti, arrivano nel torrente circolatorio e
portano l'informazione anche molto lontano, ad esempio periferia.

Esempio: controllo neuroendocrino della funzione riproduttiva.


Ci sono delle strutture a livello dell'encefalo che controllano la funzionalità periferica dell'apparato
riproduttivo femminile e maschile.
E importante perché regola il metabolismo, quindi regola le reazioni alla base dei processi energetici,
quindi regola:
 La crescita dell'organismo,
 Lo sviluppo,
 L’insorgenza del periodo puberale,
 La funzione finale dell'organo.

Qualsiasi cosa interferisca con il sistema endocrino, interferisce con:


 Metabolismo basale (attività energetica causata dal l'attivazione del sistema vegetativo),
 Crescita dell'organismo stesso,
 Tempo di insorgenza delle pubertà .
Ci sono xenobiotici che sono in grado di accelerare l'insorgenza dell'età puberale, ad esempio anticipare
la pubertà . Invece di 12-13 anni, ci sono casi in cui l'esposizione tossica anticipa la pubertà a 9-10anni,
quindi la maturazione sessuale è anticipata sia nei maschi che nelle femmine.

Uno xenobiotico può essere capace di alterare il sistema endocrino e alterare la funzione di un organo.

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Tossicologia – IR19

Ghiandole secernenti ormoni


Nel sistema endocrino abbiamo le seguenti ghiandole:
 Ghiandola pineale,
 Ipofisi,
 Ghiandola tiroidea,
 Ghiandole adrenergiche,
 Pancreas,
 Ovaio,
 Testicoli.

Sui reni ci sono delle capsule/cappucci del rene, che sono le ghiandole capaci di produrre ormoni.
Ci sono ghiandole anche a livello del sistema nervoso centrale e a livello del pancreas. Sono tutte
ghiandole in grado di sintetizzare e secernere/liberare gli ormoni che funzionano come messaggeri, cioè
portano un'informazione da un sito all'altro.

Ghiandole maggiori
La ghiandola pineale produce
melatonina quindi regola i cicli
sonno-veglia.
La ghiandola tiroidea è localizzata
nel collo e produce gli ormoni tiroidei
che sono fondamentali per l'attività
metabolica (cioè il modo con cui
l'organismo produce e consuma
energia) e per il controllo dell'attività
cardiaca.
Il pancreas produce l'insulina che
regola i livelli di glucosio
nell'organismo, quindi un'alterazione
della funzione può portare a una
malattia metabolica, cioè una
diminuzione o aumento del glucosio.

210
Tossicologia – IR19

Assi neuroendocrini
La distribuzione anatomica dà un'idea di come sono regolati tra di loro.
Si parla di asse neuroendocrino per indicare l'esistenza di nessi funzionale tra:
 Strutture del sistema nervoso centrale:
o Ipotalamo,
o Ipofisi,
 Strutture periferiche
o Tiroidi,
o Gonadi, che sono ovaio e testicoli,
o Corteccia midollare del surrene.

I fattori di inibizione sono rilasciati dalle strutture centrali e hanno il compito di determinare la
funzionalità dell'ipofisi.
Attraverso il rilascio di neuro ormoni, cioè ormoni a localizzazione prevalentemente centrale (ad
esempio, vasopressina e ossitocina), l'ipotalamo può influenzare la funzionalità dell'ipofisi. Dall'ipofisi
si possono regolare funzioni attraverso la liberazione di ormai trofici, come:
 TSH, liberato dall'ipofisi stimola la tiroide a produrre T3 e T4,
 FSH, stimola le ovaie a produrre progesterone e estrogeno
 LH,
 ACTH: l'adrenocorticotropo ha la capacità di stimolare la corteccia o la midollare del surrene.

Sono composti chimici che servono a stimolare in periferia la funzione della ghiandola.

211
Tossicologia – IR19

L'ormone è una molecola che porta un'informazione:


 la porta dall'ipotalamo all'ipofisi, quindi si chiama neuroormone,
 la porta dall'ipofisi alla periferia attraverso la secrezione nwl torrente circolatorio. Viene secreto
nell'encefalo e, attraverso il circolo, arriva al distretto periferico.

Il sistema è finemente regolato e le due parti principali riescono a decidere se sintetizzare e secernere
ancora ormoni trofici in base al meccanismo a feedback negativo.
 L'ipotalamo rilascia fattori che stimolano a rilasciare fattori che vanno in periferia a stimolare
l'azione finale. Questo funziona regolando i propri livelli di ormone.
 Quando la tiroide, le ovaie, i testicoli e la midollare del surrene producono ormoni, questi vanno
nel torrente circolatorio. Attraverso la loro concentrazione plasmatica, attraverso l'irrorazione
sanguigna, tornano ai centri.
 Attraverso l'ipotalamo e l’ipofisi viene segnalato il livello di ormone periferico presente. In
questo modo ipotalamo e ipofisi possono bloccare l'ulteriore sintesi di ormoni trofici, quindi la
periferia stimola, o meglio regola l'attività dei centri e viceversa. E un meccanismo complesso,
che potrebbe saltare molto facilmente: basta che ai centri arrivi un messaggio sbagliato. Ad
esempio, una sostanza è un analogo degli ormoni periferici, quindi somiglia strutturalmente.
Viene riconosciuta dall'ipotalamo o dall'ipofisi.
 Il risultato è che l'ipotalamo e l'ipofisi riconoscono questa struttura come l'ormone finale,
bloccano la propria stimolazione a produrre ulteriore ormone, quindi si interrompe questo loop
causando la mancata stimolazione periferica. Quindi alcune funzioni vengono meno perché non
ho l'ormone che media quella funzioni.

Alcuni agenti xenobiotici che interferiscono con il sistema endocrino sono i corticosteroidi naturali oppure
quelli somministrati a scopo terapeutico.
Somministrando un corticosteroide a scopo terapeutico, questo interferisce con l'asse neuroendocrino
(centro rispetto alla periferia). La presenza di corticosteroide a livello ematico fa sı̀ che i centri blocchino
la stimolazione ulteriore di produzione di corticosteroidi naturali.
Non si deve interrompere bruscamente il trattamento ma gradualmente, cosı̀ si ripristina il sistema
neuroendocrino a step senza arrivare ad una condizione di estrema alterazione del sistema.

Esposizione a sostanze di tipo estrogenico


Queste sostanze non solo influenzano l'asse endocrino di tipo riproduttivo (motivo per cui lo
somministriamo), ma altera tutti i sistemi in cui si ha un controllo da parte dell'estrogeno:
 Tessuto adiposo,
 Ossa,
 Sistema cardiovascolare,
con tutta una serie di conseguenze.

Esempio: anabolizzanti sono usati per aumentare la massa proteica del muscolo. In questo ha una
struttura molto simile agli androgeni, talmente simile che ci assume anabolizzanti ha il grosso problema
della sterilità , perché l'anabolizzante interferisce con l'asse neuroendocrino e sopprime la produzione
di ormoni sessuali maschili che quindi non supportano più la funzione riproduttiva oreficeria.5
Il consumatore abituale di anabolizzanti ha delle masse muscolari molto potenziate, ma è a rischio di
sterilità a causa dell’interferenza con l'asse neuroendocrino.

5 Corticosteroidi naturali o somministrati a scopo terapeutico possono frenare l’attività dell’ipofisi, mentre l’esposizione ad una sostanza
estrogenica può influenzare non solo l’asse endocrino riproduttivo, ma anche altri sistemi endocrini e apparati come le ossa, il tessuto adiposo
e il sistema cardiovascolare.
Alterare il sistema endocrino può causare notevoli effetti a livello periferico.
La fine regolazione dei diversi assi endocrini è stabilita durante lo sviluppo fetale/neonatale e potenziali interferenze in questa fase della vita
possono provocare un’alterata e permanente funzionalità dell’asse
Esempio: uso di corticosteroidi. La sospensione del trattamento deve essere graduale perché l’interruzione brusca ha un impatto evidente con l’asse
ipotalamo-ipofisi-periferia. Si hanno risposte tossiche a causa di questa interruzione.
Steroidi anabolizzanti: nella pratica agonistica sono usati per aumentare la massa magra e potenziarne la forza. Negli utilizzatori cronici ha
un’interferenza con l’asse neuroendocrino inducendo sterilità.

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Tossicologia – IR19

Gli effetti degli interferenti

I possibili effetti di interferenti endocrini somministrati a scopo terapeutico (farmaci e ormoni) e


ambientale dipendono dal momento di esposizione:
 L’esposizione in età adulta può essere compensate da meccanismi omeostatici e può non
risultare alcun effetto significativo
 L’esposizione durante il periodo di sviluppo (embrionale o fetale) può causare alterazioni
permanenti delle funzioni e della sensibilità a segnali attivatori e inibitori

I diversi sistemi endocrini sono estremamente connessi funzionalmente: a causa del cross-talk tra i
diversi sistemi endocrini possono verificarsi effetti non prevedibili nei sistemi endocrini non
coinvolti nell’effetto diretto dell’interferente. Quindi, potrebbe esserci un effetto avverso in un distretto
molto diverso e lontano da quello in cui è avvenuto il contatto come l’alterazione del ritmo cardiaco
dovuto a danni alla tiroide.

Case Study - Hormonal Contraceptives

Una molecola emblematica di interferenza con il sistema endocrino è la pillola anticoncezionale. L’azione
è dovuta all’interferenza col sistema endocrino.
9 maggio 1960, la Food and Drug Administration ha approvato "la pillola”, combinazione di un estrogeno
e un progesterone, per inibire la fertilità femminile.
Dagli anni 60 la formulazione è cambiata tantissimo, allo scopo di alterare la fertilità femminile
interferendo con il concepimento. Con le prime pillole anticoncezionali si aveva un maggior rischio CV:
varie erano le segnalazioni dei pazienti con coaguli di sangue e embolia polmonare. Oggi la nuova
formulazione, riducendo il dosaggio, ha lo scopo di ridurre la tossicità appena descritta.

Case Study - DES

Nel secondo dopoguerra si usava un estrogeno sintetico per alleviare i sintomi della menopausa e per
prevenire gli aborti spontanei. L’utilizzatore è rappresentato dalle donne in fase di menopausa o in
gravidanza. Si scopre solo in seguito che la sostanza ha scarsa efficacia nella prevenzione dell’aborto
spontaneo e in seguito (20 anni dopo) viene osservato che nella prima generazione di figlie femmine si
ha un’alta incidenza di carcinoma vaginale. E un esempio emblematico di tossicità ritardata.

 1938 - synthetic estrogen diethylstilbestrol (DES)


 1941 the FDA approved its use for menopausal symptoms and 1947 to prevent miscarriages
 1953 the first study indicating that DES was not effective in preventing miscarriages
 1971 first study was published link DES to vaginal cancer in female offspring

Case Study - BPA

BPA è un indurente per resine epossidiche e plastiche, entrato a far parte di quasi ogni ambito della vita
quotidiana. Si scoprı̀ avere effetto sul sistema endocrino anche a dosi molto basse, motivo per il quale ci
fu il divieto di introdurre BPA nelle componenti in plastica per bambini, dal biberon ai giocattoli, piatti,
posate, ecc.

 1891 - Bisphenol-A (BPA), created by Aleksandr Dianin


 estimated use per year of 6 billion pounds – used in consumer products

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Tossicologia – IR19

Case Study - Atrazine


L’atrazina è una sostanza molto utilizzata in passato
negli USA come diserbante, oggi vietata.
Nella mappa a lato sono rappresentate le zone in cui
c’era maggiore esposizione e che, secondo gli studi,
coincidono con quelle in cui la popolazione di rane
maschio ha assunto caratteri femminili fino a cambiare
sesso. Il sospetto che la sostanza potesse essere tossica
è nato proprio da questa osservazione.

 herbicides like Atrazine, used to kill broadleaf


and grassy weeds
 banned in the European Union as a persistent
ground water contaminant
 most widely used herbicides in the US
 Atrazine feminizes male frogs by disrupting the endocrine system

Case study - Agente arancio o diossina

Durante la guerra in Vietnam gli americani utilizzavano


la diossina come agente defoliante per scovare i
vietcong nelle foreste. Venne chiamato agente arancio
per via del colore del bidone dove era trasportato.
La diossina ha una permanenza nell’ambiente di circa
20-30 anni e la quantità distribuita nel territorio era tale
da distruggere tutta la componente vegetale.
La struttura della diossina è simile a quella
dell’estradiolo (come in genere accade con le sostanze interferenti, hanno struttura che somiglia a
ormoni endogeni).
Oggi sappiamo che circa 40 anni dopo l’utilizzo delle sostanze, ci sono ancora conseguenze in
popolazioni successive a quelle dell’esposizione. E stata causa di malformazioni molto evidenti sia in
soggetti nati da madre in gestazione durante il conflitto sia da madri più giovani, rimaste incinte in
seguito. Uno dei risultati più evidenti è l’idrocefalo.

Victor Yuschenko, un candidato alla presidenza in Ucraina nel 2002, subì un attentato e fu avvelenato, si
pensa attraverso diossina: il risultato è una patologia denominata cloracne.

Seveso, luglio 1976: uno dei disastri di contaminazione più gravi del mondo. Agli inizi di luglio, a Seveso un
paese vicino a Milano, c’era una fabbrica che produceva esaclorofenolo, che veniva poi usato come
intermedio in industria farmaceutica e cosmetica.
A seguito di un problema legato al mancato raffreddamento del reattore, ci fu una perdita dall’impianto
che generò una nube tossica. Circa una settimana dopo, nel momento in cui la notizia venne resa pubblica,
la popolazione denunciava già bruciore agli occhi e fastidi di vario genere. Il territorio venne delimitato in
aree diverse in base alla prossimità dello stabilimento (la zona A era quella in cui era presente lo
stabilimento, B, C, D, ecc. le circostanti). La zona A aveva qualche migliaio di abitanti che, però, furono
evacuati solo due settimane dopo il disastro, quando ormai il danno da esposizione era già iniziato.

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Tossicologia – IR19

La diossina ha una LD50 di 0,02 che, confrontata con un insetticida, ci dà l’idea di quanto poca ne serva
per essere tossica. Ad oggi, 40 anni dopo l’incidente, continuano gli studi sul disastro di Seveso.
Nel 2001 è stato riportato un aumento di tutte le tipologie di tumore, non solo a carico del sistema
ematopoietico come le leucemie. Sono stati riscontrati anche notevoli problemi alla tiroide e alterazioni
dell’asse neuroendocrina non solo in bambini nati da madri che al momento del disastro erano incinte,
ma anche in bambini nati anni dopo il disastro, da madri che al tempo erano state esposte. Oltre a
problemi alla tiroide, si sono scoperti danni alla funzionalità cardiaca e un ridotto sviluppo cognitivo.

Nel 2018 è stata pubblicata una review che ha lo scopo di fare il punto sulle conseguenze dell’esposizione
massiva del ’76. Sono stati censiti vari studi fatti a cadenza regolare in numerosi soggetti esposti al
tossico, per valutare il decorso. Sono state riscontrate alterazioni della pressione, della funzionalità del
sistema riproduttivo, l’antropometria ecc.

Gli ftalati

Gli ftalati sono un altro esempio di sostanze che hanno scatenato reazioni ritardate che si possono
osservare anche molti anni dopo l’esposizione.

Gli ftalati hanno delle conseguenze notevoli sulla generazione immediatamente esposta e su quelle
successive.
Nel 2014 è stato condotto uno studio in cui veniva misurato, dal concepimento al settimo anno di età , il
livello di ftalati nel sangue della madre e del bambino. La conseguenza nel bambino nato in questa
situazione era un’alterata risposta agli stimoli esterni, come l’alterata velocità di processare le
informazioni e un alterato QI.

Endocrine Disrupting Chemicals - EDC

Sotto la definizione di interferenti endocrini rientrano tantissime sostanze strutturalmente diverse.


Alcune di esse sono create dall’uomo e danno un’ampia gamma di effetti colaterali (farmaci)
Il termine fu introdotto per la prima volta nel 91, alla Wingspread Conference Center a Racine,
Wisconsin, tenuta da Theo Colburn
The term was introduced into the scientific literature in 1993. Colborn T, vom Saal FS, Soto AM (EHP, 101(5)
October 1993).

Le principali prreoccupazioni relative agli EDC sono:


1. Possono produrre effetti avversi anche a basse dosi di esposizione
2. Siamo esposti a dosi multiple di EDC, dal concepimento e per tutta la vita
3. Gli agenti chimici sono ampiamente distribuiti nell’ambiente e contaminano non solo l’uomo ma
anche l’animale

Nel 91 è stato fatto anche un elenco di possibili interferenti, molte delle evidenze di oggi ai tempi non
erano nemmeno in discussione ma c’era solo il sospetto.
Possibili effetti di interferenti endocrini:
 Alterazioni dello sviluppo e dei caratteri sessuali secondari determinando femminilizzazione e
mascolinizzazione e viceversa (alterazione del carattere sessuale secondario)
 Alterazioni riproduttive con diminuzione della fertilità
 Alterazioni comportamentali e del sistema immunitario6 (il che ha come conseguenza la
suscettibilità nei confronti di tantissimi insulti esterni)
 Alterazioni del metabolismo e quindi della capacità dell’organismo di trasformare le sostanze.
 Cancro

6 Negli ultimi 10 anni c’è stato un aumento dell’incidenza di asma nei bambini. L’asma è un’alterazione
del SI e si pensa che questa alta incidenza sia da correlare con sostanze presenti nell’ambiente, sia
inquinanti che interferenti endocrini.
215
Tossicologia – IR19

Possibili meccanismi di interferenti endocrini:


 Alterazioni della produzione di ormoni
 Alterazioni nell regolazione degli assi neuroendocrini
 Modifica dei sistemi ormonali a feedback (far saltare il sistema del feedback negativo se la
sostanza viene percepita come un ormone e manda il segnale di blocco)
 Alterazioni del trasporto ormonale
 Alterazioni del legame recettoriale (l’interferente si lega al recettore, impedendo all’ormone di
legarsi e impedendo l’azione dell’ormone)
 Alterazioni delle vie di trasduzione (l’ormone è un trasmettitore che, in seguito a legame con il
reccettore, causa l’attivazione del sistema di trasduzione, altera la via di connessione tra
l’ormone e la risposta della cellula, facendo nuovamente alterare il sistema di controllo)

Interferire con il sistema endocrino vuol dire interferire sia con recettori periferici che con SNC, ecc.,
quindi i meccanismi sono molteplici.

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Tossicologia – IR19

L’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi mostra marcate variazioni funzionali nelle diverse fasi della vita:
 Sia la secrezione di GnRH che le gonadotropine subiscono variazioni nel periodo fetale,
durante la pubertà e l’invecchiamento.
 Alterazioni di fondo tra uomo e donna: durante il periodo riproduttivo, le modificazioni dei
livelli ormonali dell’asse riproduttivo nel maschio sono molto limitate, mentre nella femmina
seguono fluttuazioni periodiche in base al ciclo ormonale che controlla ciclicamente la
maturazione dell’ovocita e la preparazione dell’apparato riproduttivo alla fecondazione e alla
gravidanza. In entrambi ci sono fluttuazioni nell’arco della vita, ma nell’uomo sono limitate.

Farmaci con azione interferente endocrina sull’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi


 Analoghi del GnRH. Sono utilizzati per il trattamento della pubertà precoce, nell’endometriosi
e nel carcinoma della prostate e del seno. Sono farmaci che inibiscono la stimolazione pulsatile
del GnRH e determinano una ridotta produzione di Gn e di ormoni sessuali causando:
o Sintomi di menopausa
o Ridotta libido e aumento di osteoporosi nella donna (interferendo con l’ormone sessuale
interferiamo anche con la formazione dell’osso)
o Impotenza e ridotta libido nell’uomo
 Chemioterapici. Agenti come ciclofosfamide, clorambucile, busulfan causano danni agli
apparati riproduttivi maschile e femminile. Il cisplatino causa azoospermia (capacità di produrre
gli spermatozoi) temporanea nel maschio e mancata ovulazione nella femmina. Effetto
reversibile, ma con tempi lunghi (dopo 5 anni 80% di recupero)
 Steroidi anabolizzanti. Utilizzati illegalmente per migliorare le prestazioni sportive, sono
derivati sintetici del testosterone che stimolano il metabolismo proteico con incremento di forza,
massa muscolare e riduzione di massa grassa. Usati a dosi superiori a quelle terapeutiche
(doping), causano:
o Inibizione della sintesi di testosterone7 da parte delle cellule di Leydig che può portare
a:
 azoospermia,
 crescita della mammella nel maschio,
 alterazione della voce,
 atrofia dei testicoli (sono tutti effetti estrogenici non controbilanciati da
produzione androgenica perché è stato sbilanciato il controllo)
 Farmaci che inducono alterazione della libido. Effetto secondario a variazioni dei livelli
ormonali, sono inclusi antipsicotici, antidepressivi, liltio, beta-bloccanti e diuretici.

Quando il sistema riproduttivo maschile può essere vulnerabile a queste sostanze in diverse fasi della
vita
Il Sistema riproduttivo maschile è vulnerabile:
 durante lo sviluppo fetale delle gonadi, in seguito ad esposizione maternale (fase prenatale). La
madre può essere esposta agli interferenti e il bambino può subire alterazione.
 durante il periodo prepubere (prima che inizi la spermatogenesi). Si tratta di un periodo di alta
suscettibilità
 durante tutto il periodo spermatogenetico (dalla pubertà alla vecchiaia) si ha potenzialmente
suscettibilità agli interferenti. A differenza della menopausa, l’andropausa ha dei limiti molto più
sfumati e soprattutto shiftati, motivo per cui si arriva sino alla vecchiaia.
Agenti tossici possono alterare la funzionalità del sistema riproduttivo attraverso diversi meccanismi:
 Alterazione del n. di cromosomi e/o struttura cromosomica (traslocazioni, delezioni, o inserzioni
cromosomiche) o mutazione genica delle cellule germinali.
 Azione citotossica diretta agli spermatozoi con conseguenze sulla speramatogenesi e vitalità ,
motilità e morfologia dello sperma. La fertilità nel maschio è valutata anche, tra le altre cose,
tramite vitalità e motilità dello spermatozoo.
 Effetto sul comportamento sessuale.

7 Lo steroide viene scambiato per testosterone, bloccando il segnale a monte e causando sterilità
217
Tossicologia – IR19

Quindi, può esserci alterazione del corredo genetico, delle cellule spermatozoo ma anche macroscopica
del comportamento. In più interferisco con l’asse NE variando la modalità con cui centri ipotalamo e
ipofisi controllano la funzionalità periferica.

Di seguito i tossici che alterano il comportamento sessuale8

Meccanismi attraverso cui le sostanze possono alterare il sistema riproduttivo. Possono dare effetti
molto diversi, come la ginecomastia (sviluppo della mammella) data da estrogeni e progestinici.

8 Comportamento sessuale dell’uomo risiede nei gangli periferici.


218
Tossicologia – IR19

Alterazione della spermatogenesi e della qualità dello sperma


La spermatogenesi avviene nei tubuli seminiferi, consiste nella produzione di spermatozoi ed è operata
dalle cellule del Sertoli.

Le condizioni di alterata fertilità maschile sono legate ai parametri di caratterizzazione del seme che
vengono alterati:

Contaminanti ambientali che funzionano da interferenti endogeni alterano la fertilità del maschio.
Lo studio è stato condotto da un gruppo padovano in seguito al sospetto che si fosse qualche agente in
grado di causare femminilizzazione in maschi puberali.
Non è stata data una certezza, ma vi è un’elevata probabilità che ci sia una connessione tra EDC e
interferenza con le cellule di Leydig e del Sertoli. Alterando la qualità dello sperma si ha un’alterazione
anche della funzionalità endocrina e viceversa.
Ad oggi sono solo ipotesi in quanto il meccanismo non è noto.

219
Tossicologia – IR19

In 1996, the U.S. Food Quality Protection Act and the Safe Drinking Water Act directed the EPA to establish
a program to test for endocrine disruption chemicals In 1998 the EPA established the Endocrine Disruptor
Screening Program and took the first step to define and validate tests for endocrine disrupting chemicals
The tests include cell-based (in vitro) screening tests suitable to rapidly examine the approximately 85,000
chemicals in use prior to more sophisticated animal-based tests. The program has progressed very slowly
and it was not until 2007 that testing began

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Tossicologia – IR19

Alterazione dell’apparato riproduttivi femminile

Le fasi del ciclo riproduttivo femminile sono molto più complesse, a partire dalla maturazione
della cellula uovo alla fecondazione, fino al successivo impianto dell’embrione all’interno
dell’utero, quindi l'apparato femminile è suscettibile agli interferenti endogeni in tutte le
fasi.

Siti e meccanismi
 I barbiturici possono inibire la secrezione gonadotropinica
 Antidepressivi o allucinogeni (quindi in generale sostanze ad attività stimolatoria),
oppure anche sedativi, sono in grado di alterare o la componente adrenergica o
dopaminergica dell'ipotalamo, che è il centro di regolazione per la funzionalità
gonadotropinica e quindi mi altera anche i livelli a valle.
 Cannabis e crack possono aumentare il numero di aborti spontanei, dare problemi alla
fertilità della donna in generale o dare problemi comportamentali, sempre con un
meccanismo ancora non noto.

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Tossicologia – IR19

Disfunzioni gonadiche femminili

Sono alterazioni dovute ad antitumorali come ciclofosfamide, mostarde azotate, alchilanti,


agenti ionizzanti, che possono causare:
1. Sterilità irreversibile con menopausa prematura
2. Disfunzioni sessuali

Questi effetti dipendono dall’età del soggetto, dalla durata del trattamento e dalle
concentrazioni con cui si entra in contatto. Ne sono bersagli preferenziali ovaio e cellule uovo.
Il benzopirene causa la distruzione dell'ovocita, e l’attivazione enzimatica di vie che alterano la
produzione ormonale. La disfunzione gonadica può essere causata anche dal DDT, che mima
attività dell'estrogeno e altera quindi il ciclo mestruale.

Queste sostanze, tossiche nei confronti dell’apparato riproduttivo femminile, possono:


 Accorciare il periodo di fertilità
 Causare una menopausa prematura
 Anticipare la pubertà
 Alterare l'incidenza delle gravidanze
 Causare ripercussioni nell'allattamento, che è regolato da recettori anch’essi presenti
nell’ipotalamo
 Portare all’insorgenza di tumori e compromissione del sistema immunitario
 Portare la donna all’incapacità di portare a termine la gravidanza, quindi ad avere un
aborto o un parto prematuro
 Alterare il tratto riproduttivo maschile e femminile.

Meccanismo
L'IE è in grado di mimare l'ormone endogeno, nella donna gli estrogeni e nell’uomo gli
androgeni: si lega al recettore occupando il sito e impedendo all'ormone fisiologico di mediare
la corrispondente funzione (può farlo per la somiglianza strutturale che vanta con il ligando
endogeno). Si comporta quindi da antiestrogeno o antiandrogeno.

In definitiva, un IE può agire attivando o antagonizzando il sistema ormonale:


Se agisce da agonista ha 3 meccanismi a disposizione:
1. Aumentare i co-attivatori, cioè elementi fondamentali nella sintesi degli ormoni
steroidei
2. Stimolare l’attività enzimatica che produce ormoni steroidei
3. Ridurre la degradazione dei recettori aumentando il sistema di signaling dell'ormone
stesso

Se agisce da antagonista invece può:


1. Inibire la sintesi dell'ormone o degli enzimi coinvolti nella steroidogenesi
2. Depletare fattori importanti per la sintesi
3. Legarsi a proteine di trasporto utili al sistema riproduttivo

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Tossicologia – IR19

I contaminanti ambientali e i metalli pesanti sono considerati in molti casi come IE: il DDT ad
esempio è soggetto ad accumulo nelle catene alimentari per via del suo uso in tempi antecedenti
come insetticida, quindi l’uomo vi è esposto in questo modo, tramite l’alimentazione; la diossina
(e simili) deriva dalla combustione e produzione di altre sostanze, come le impurezze in un
prodotto commerciale, oppure dal bioaccumulo nelle catene alimentari.
Questo per dire che posso entrare in contatto con IE in modi diversi attraverso l'ambiente
(alimenti, aria, suolo, acque) oppure attraverso anche integratori, oggetti di uso comune come
i materiali plastici, e che quindi questi sono molto pericolosi non solo perché svolgono nel
nostro organismo un’azione tossica da non sottovalutare, ma anche e soprattutto perché
nell’ambiente in cui viviamo sono presenti in quantità tali da essere considerati fonte di
tossicità.

Standard regolatori
Verso la fine degli anni ’90, proprio perchè queste sostanze permeano l'ambiente in modo così
preponderante, negli USA è iniziato un programma di screening ambientale per cercare queste
sostanze interferenti con il sistema endocrino: si voleva fare a tappeto un controllo sugli effetti
di queste sostanze presenti nell’ambiente, e di fatto questo era un proposito di partenza più che
buono (ma pur dovendo iniziare nel 1998, fu avviato solo nel 2007). Sono state screenate ad
oggi circa 85mila sostanze tramite dei test in vitro.
Si è scoperto che 2 derivati degli ftalati sono usati nel coating farmaceutico per rilascio
controllato: circa 50 formulazioni con obbligo di ricetta e 75 OTC contengono questi ftalati, che
agiscono come interferenti endocrini. Lo stesso studio riporta che alcuni soggetti che hanno
assunto farmaci come Omeprazolo, Mesalamina o altri hanno concentrazioni nelle urine di
metaboliti degli ftalati maggiori rispetto ai normali: questi pazienti sono quindi esposti a
concentrazioni maggiori di ftalati (che sono IE) solo perché stanno seguendo tale piano
terapeutico.

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Tossicologia – IR19

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Tossicologia – IR19

NEUROTOSSICITÀ
Neurotossicità da xenobiotici

Il sistema nervoso, sia centrale che periferico, è l’organo bersaglio dell’azione tossica di molti
xenobiotici. Le manifestazioni sono estremamente varie, in quanto il sistema è composto da diverse
componenti che controllano diversi distretti. Alcune manifestazioni: alterazione sensoriali, alterazioni
comportamentali, alterazioni motorie.

Alcune sostanze coinvolte nelle manifestazioni di nefrotossicità:


 Non farmaci
– Metalli pesanti (Hg, Pb, As, Mn, Al)
– CO; cianuro
– Solventi organici (esano); acrilamide
– Metanolo; MPTP
– Insetticidi (composti organofosforici, carbammati, organoclorurati, piretroidi)
 Alcaloidi e neurotossine naturali
– Nicotina; muscarina
– Neurotossine
 Farmaci

Neuroni
Il neurone rappresenta l’unità funzionale più piccola del SN. È una cellula eccitabile, cioè capace di
modificare il suo potenziale di membrana in risposta ad alcuni stimoli; inoltre, è capace di trasmette le
informazioni attraverso l’impulso elettrico. Il neurone è sono costituiti da:
 un corpo cellulare o soma, dove risiede l’attività metabolica della cellula
 diversi prolungamenti
o assone: connette la terminazione e il corpo
o dendriti: costituiscono una ramificazione che permette di entrare in contatto con più
neuroni.
Possono essere molto ramificati e svolgono la funzione principale di favorire la
comunicazione alle sinapsi con altri neuroni o con cellule effettrici, mediante il rilascio di
neurotrasmettitori (neurotrasmissione chimica).

225
Tossicologia – IR19

Caratteristiche anatomiche e funzionali del SN


alla base della sua suscettibilità all’azione delle sostanze neurotossiche

Nel sistema nervoso la trasmissione del segnale avviene per neurotrasmissione chimica attraverso le sinapsi.
La trasmissione dell’impulso e quindi la mediazione di una funziona è legata all’instaurarsi di connessioni. Tanto
più l’unità funzionale ha connessioni con altri neuroni, tanto più è funzionale.
Oltre alle connessioni neurone-neurone, esistono anche connessioni neurone-cellula muscolare o neurone-
ghiandola o neurone-cellula miocardica. Il SN infatti prende contatto anche con altre strutture per regolarne
l’attività e quindi la funzione.
In prossimità della terminazione pre-sinaptica, si ha la liberazione di un neurotrasmettitore che trasmette
un’informazione al neurone. Nella maggior parte dei neurotrasmettitori, il rilascio della molecola avviene tramite
la fusione di vescicole con la membrana pre-sinaptica e successivamente liberazione nel vaso sinaptico, che per
definizione è lo spazio che intercorre tra la porzione pre-sinaptica e la porzione post-sinaptica (che può essere
un neurone, un muscolo, una ghiandola, ecc.). Sulla terminazione post-sinaptica ci saranno recettori specifici per
tradurre il messaggio che viene veicolato dal neurotrasmettitore.

Una caratteristica funzionale del SN, è che si tratta di un tessuto ad elevata vascolarizzazione, ossia ad alto flusso
sanguigno (14% della gittata cardiaca per il SNC).
Inoltre, ha delle richieste metaboliche ed energetiche particolari: l’attività del neurone è strettamente
dipendente dal metabolismo del glucosio, perché la cellula -attraverso il processo di glicolisi- lo trasforma in
ATP. I neuroni, infatti, essendo altamente dipendenti dal metabolismo aerobio del glucosio (glicolisi aerobica
ATP) e quindi (più delle cellule gliali) estremamente sensibili alla ipossia/anossia (anche di breve durata),
necessitano di un apporto elevato di glucosio.
Questo significa che le sostanze che, con vari meccanismi, inducono:
 ipossia (riduzione dell’apporto di ossigeno) o anossia (il blocco totale di ossigeno)
 ipoglicemia spinta (riduzione dell’apporto di glucosio)
sono potenzialmente neurotossiche, anche se non sono neurotropiche, e causano sofferenza del tessuto nervoso.
La carenza o assenza di ossigeno, infatti, può causare la morte del neurone, in quanto si riduce la produzione di
ATP e quindi dell’energia che serve alle strutture cellulari per mantenere la concentrazione di alcuni ioni sotto
controllo. Ad esempio:
- l’incremento significativo di Na+ determina il richiamo di acqua all’interno della cellula, che va incontro a lisi
- l’incremento significativo di Ca2+ intracellulare innesca l’attivazione delle caspasi e della morte cellulare

Classificazione dell’anossia ed esempi di sostanze che inducono anossia


 Anossia arteriosa: insufficiente apporto di O2; la capacità di trasporto dell’O2 è normale, ma scostante a
causa della riduzione di O2. Può essere causata da:
o Irritanti polmonari
o Farmaci che deprimono la respirazione (barbiturici, oppioidi)
 Anossia anemica: compromissione dei sistemi di trasporto ematico dell’O2, per ridotta capacità di
legame col sangue. Può essere causata da:
o CO: spiazza l’O2, per cui la quantità di O2 che il sangue trasporta, è ridotta (anche se magari il
flusso ematico è costante).
o Sostanze che inducono metaemoglobinemia
 Anossia ipocinetica o ischemica: diminuzione della pressione arteriosa, che causa una riduzione del
flusso ematico. La quantità di sangue che arriva al cervello è scarsa e l’organo inizia ad andare in
sofferenza. Può essere causata da:
o Farmaco anti-ipertensivo
o Sostanze che causano arresto cardiaco, vasodilatazione generalizzata, emorragie, trombosi delle
arterie cerebrali
 Anossia citotossica: incapacità delle cellule di utilizzare l’O2. Può essere causata da:
o Eccesso di insulina (quindi c’è poco glucosio): può portare ad ipoglicemia
o Cianuro
o Acido solfidrico
o Azidi
o 2,4-dinitrofenolo

226
Tossicologia – IR19

Il sistema nervoso (soprattutto centrale) è provvisto di barriere anatomiche che lo separano dal sangue ed
ostacolano la diffusione dal sangue al SN di sostanze idrofile, ma non di quelle lipofile.
 Barriera emato-encefalica e barriera emato-liquorale nel SNC: impediscono l’accesso al SN di
sostanza tossiche.
Condizioni in cui la barriera emato-encefalica diventa instabile (es. traumi, sclerosi multipla, tumori
maligni, meningite, crisi ipertensive o iperglicemiche, stati febbrili elevati, aterosclerosi in soggetti
anziani) facilitano il passaggio degli xenobiotici che normalmente non la attraversano e quindi ne
favoriscono la potenziale neurotossicità. Le sostanze che danneggiano le barriere anatomiche, in
particolare quella emato-encefalica, sono neurotossiche.
Tale barriera, però, non sempre è efficiente e in alcuni casi potrebbe non funzionare; questo potrebbe
succede a causa di:
o trasformazione della sostanza in un intermedio tossico
o trasporto della sostanza tossica attraverso la barriera (tramite dei recettori della barrier9
o condizioni patologiche della barriera -come febbre, infiammazione o mal funzionamenti- che
possono consentire il passaggio della sostanza tossica
 Barriera sangue-nervo nei nervi periferici: rispetto alla barriera emato-encefalica, è molto meno
efficiente e può essere deficitaria nelle radici posteriori dei gangli e nel perineurium, rendendo queste
strutture più vulnerabili del cervello agli agenti neurotossici

La notevole estensione spaziale dei neuroni rende impossibile la diffusione di prodotti sintetizzati nel soma
(proteine strutturali e funzionali, neurotrasmettitori, vescicole sinaptiche) e richiede l’operatività di un sistema
di trasporto bidirezionale (il trasporto assonale) per permettere la comunicazione tra il soma e la parte distale
del neurone
Qualsiasi sostanza che interrompa gli scambi soma-assone porta alla degenerazione dell’assone, per blocco della
sua fonte di nuove proteine ed accumulo dei prodotti del catabolismo, e ad effetti dannosi sulla funzione del
nervo.

Meccanismo di neurotossicità dell’MPTP o 1-metil 4-fenil 1,2,4,6 tetraidropiridina


Grazie alla sua struttura, questa metil fenil pirazina attraversa molto facilmente la barriera ematoencefalica.

La cellula gliale è una cellula che ha sia la funzione di supporto al tessuto del SN sia un’azione trofica, ossia
produce fattori di crescita fondamentali per la neurogenesi. La cellula gliale ha anche una funzione di
segnalazione di un danno, un’ischemia o un trauma, perché produce delle citochine infiammatorie, quali TNF-α
e IL-1β, entrambe caratterizzate da dei recettori specifici, che una volta attivate possono dare luogo al processo
di fagocitosi.
La cellula gliale, inoltre, possiede degli enzimi monoamminossidasi, che sono in grado di trasformale la molecola
di partenza in uno ione, che -a contatto con la terminazione nervosa propriamente detta- sfrutta il trasportatore
della dopamina per entrare nella cellula nervosa. Una volta entrata, va ad alterare la funzionalità del
mitocondrio, in particolare scombina il processo metabolico di sintesi di ATP del neurone.
Questo -soprattutto nei neuroni della substantia nigra- causa
La tossicità da MPTP viene considerata Parkinson-simile, perché dà gli stessi sintomi, ossia incapacità di iniziare
o terminare un’attività motoria, bradicinesia, tremore, ecc. Però non è dovuta ad una degenerazione legata all’età
o all’invecchiamento, bensì all’esposizione alla sostanza.

*MPP+, ione piridinio, neurotossico


stress ossidativo, danno alla catena respiratoria mitocondriale (complesso I)

227
Tossicologia – IR19

TRASPORTO ASSONALE
Un aspetto molto importante nella neurotossicità, è quello relativo al trasporto assonale.
L’assone è fondamentale perché mette in comunicazione funzionale la periferia del neurone con il soma. La
maggior parte di funzioni avvengono nel soma (nel pirenoforo), dove è presenta tutta la macchina metabolica:
produzione di energia, sintesi di neurotrasmettitori, sintesi di proteine di struttura necessarie per far funzionare
la terminazione presinaptica, la formazione della vescicola sinaptica, ecc.

Il trasporto assonale è responsabile del movimento di mitocondri, lipidi, vescicole sinaptiche, proteine ed altri
costituenti cellulari verso il e dal corpo cellulare (soma) di un neurone attraverso il citoplasma del suo assone.
Gli assoni (1.000-10.000 volte la lunghezza del soma) non contengono ribosomi o altri mezzi per produrre
proteine e quindi dipendono dal trasporto assonale per tutte le loro necessità proteiche.
Il trasporto assonale è responsabile anche del movimento di molecole destinate alla degradazione nei lisosomi.

La comunicazione tra il soma e la periferia è bidirezionale, ossia può essere:


 Anterograde: soma  periferia (dendriti o terminazione dell’assone); serve per portare tutto quello
che la periferia non è in grado di provvedere (quindi proteine strutturali, neurotrasmettitori, ecc.)
 Retrogrado: periferia  soma; serve per trasportare le sostanze di scarto, derivanti dal catabolismo,
ma anche i prodotti che hanno subito l’azione dei lisosomi.

Inoltre, il trasporto assonale può essere distinto in:


 Trasporto assonale veloce
o Anterogrado (verso la sinapsi; 100-400 mm/giorno): trasporta vescicole derivate dal Golgi (via
secretoria), mitocondri, enzimi necessari per l’attivazione di neuropeptidi
o Retrogrado (verso il soma; 100-200 mm/giorno): trasporta endosomi e lisosomi (via endocita),
mitocondri, elementi del reticolo endoplasmatico; ma trasporta anche recettori per fattori di
crescita attivati al sito di attivazione nel nucleo; alcune tossine (tetanica) e virus (herpes,
varicella, rabbia, polio, HIV)

 Trasporto assonale lento


o Anterogrado (verso la sinapsi; 0,1-6 mm/giorno): pPer scivolamento passivo lungo la rete dei
microtubuli. Trasporta neurofilamenti, microtubuli, enzimi per la sintesi dei neurotrasmettitori
classici, proteine del citosol e del citoscheletro.
o Riparazione/sostituzione di subunità del citoscheletro

Quindi, interrompendo la comunicazione tra il


soma e la periferia, si avrà un’alterazione di
funzione e a soffrirne di più sarà la periferia,
perché non arrivano più le sostanze fondamentali
dal soma.

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Tossicologia – IR19

Meccanismo del trasporto assonale


Il trasporto assonale sfrutta delle proteine, dette tubuline, che possono polimerizzare in una specie di struttura
a cuscinetti in grado di ruotare e ruotando può trasportare sulla superficie dei cuscinetti la proteina.
Questo sistema funziona in un continuo equilibrio tra la tubulina polimerizzata e quella libera. Interferendo con
questo equilibrio, il trasporto viene bloccato. L’interruzione del trasporto assonale porta a morte la terminazione
sinaptica, ma soprattutto ha un andamento retrogrado, ossia la tossicità parte dalla periferia e va verso il soma.
Questo significa che nelle prime fasi, si può avere un totale mal funzionamento della periferia, mentre il soma è
intatto. Lasciando integro il soma, il soma stesso può produrre altre estensioni e connessioni dendritiche con
altre cellule, per ovviare la carenza. Se però passa tropo tempo e la tossicità arriva anche al soma, tutto il
neurone muore. In conseguenza alla morte del neurone, viene a mancare una connessione tra le reti e a seconda
del ruolo della connessione, si hanno conseguenze diverse (es. può riguardare motilità, sensibilità, regolazione
temperatura, apprendimento, ecc.).

Il trasporto assonale è mediato da proteine motrici specializzate, chinesina e dineina, che usano l’ATP come
fonte di energia e che operano lungo i “binari” dei microtubuli. I microtubuli giacciono lungo l’asse dell’assone.
Tali proteine motrici, in presenza di ATP modificano la loro forma e si muovono di poco sopra e sotto i
microtubuli.

229
Tossicologia – IR19

Esempi di farmaci che interrompono il trasporto assonale


 Tassolo e alcaloidi della vinca (vincristina, vinblastina): agiscono come antimitotici per inibizione
della formazione del fuso mitotico nelle cellule che sono bloccate allo stadio di metafase.  inizialmente
utilizzati con azione antitumorale
 Colchicina: è un antimitotico. Inoltre, determina l’inibizione della motilità cellulare dei leucociti (con
blocco dell’attività fagocitaria)  azione antigottosa; azione antinfiammatoria (es. recente, pericarditi)
Sia tassolo che colchicina interferiscono col trasporto assonale, ma con aspetti diversi. Infatti, mentre il tassolo
stabilizza i singoli monomeri di tubulina impedendo la polimerizzazione, la colchicina si lega ai dimeri della
tubulina, bloccandoli, e impedisce la costruzione della struttura rotante di trasporto.

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Tossicologia – IR19

DISORDINI NEUROLOGICI INDOTTI DAGLI XENOBIOTICI


Comportano variazioni avverse neuroanatomiche, che si verificano a qualsiasi livello dell’organizzazione del SN o
nella funzione somatica/autonoma, sensoriale, motoria e/o cognitiva del SNC e/o del SNP.
Sebbene le sostanze neurotossiche siano letali solo in alcune circostanze, le disfunzioni che esse possono causare
sono in grado di incidere profondamente sulla qualità della vita dell’individuo.

Fattori predisponenti o di rischio correlati all’individuo (es. diabete mellito, cancro, etilismo, deficienze
vitaminiche o neuropatia congenita) e/o alla sostanza possono influenzare sensibilmente lo sviluppo della
neurotossicità.
Per la gran parte degli effetti neurotossici indotti da xenobiotici (compresi farmaci) non esistono, sino ad oggi,
specifici trattamenti farmacologici. La sospensione controllata dell’esposizione alla sostanza o la promozione
della sua escrezione rappresentano attualmente le comuni misure terapeutiche.

Costituiscono solo una piccola parte di tutte le malattie neurologiche, ma nella diagnosi differenziale di pazienti
che presentano disturbi neurologici o neuromuscolari, è importante considerare i farmaci o altri xenobiotici
come probabile causa.
In generale, i segni ed i sintomi dei disordini neurologici, se prontamente diagnosticati, sono solitamente
reversibili. Il pronto riconoscimento di un disordine neurologico può evitare l’insorgenza di gravi deficit
neurologici
I neuroni, in particolare quelli del SNC, una volta danneggiati, hanno una limitata capacità rigenerativa.
I nervi periferici, pur avendo una grande capacità rigenerativa in risposta ad un danno, possono rigenerare solo
se il soma dei neuroni è rimasto integro

DISORDINI NEUROLOGICI INDOTTI DA FARMACI


Con Drug-induced neurological disorders (DIND) si intendono tutte quelle alterazioni di risposta del SN
indotte da farmaci. L’insorgenza di disordini neurologici associati all’uso di un farmaco, possono avvenire:
 all’inizio della terapia farmacologica
 durante una brusca sospensione della terapia farmacologica
 a distanza di molti mesi o anni dall’inizio del trattamento cronico con un farmaco: in tal caso, la diagnosi
può essere particolarmente problematica; infatti, la tossicità ritardata è difficilmente associabile alla
sostanza tossica.

Gli effetti indesiderati sul SN causati dai farmaci (drug-induced neurological disorders, DIND) comprendono
disordini neurologici associati con l’uso (appropriato o inappropriato) dei farmaci, sovradosaggio degli stessi o
interazioni tra di essi.
Inoltre, nella maggior parte dei casi la manifestazione della neurotossicità è subclinica, ossia clinicamente non
molto evidente. In aggiunta, i disturbi neurologici subclinici in forme più leggere, facilmente restano trascurate o
non diagnosticate.
Alcuni farmaci possono esacerbare/aggravare i disturbi neurologici preesistenti, spesso subclinici o non
diagnosticati. Anche le interazioni tra farmaci possono aumentare la neurotossicità dei singoli agenti. Es. Se una
sostanza provoca tossicità subclinica e per necessità si è costretti a somministrare una sostanza che interferisce
col metabolismo della prima, riducendolo, si ha un ulteriore accumulo della prima e ad accumulo successivo il
danno è ancora più evidente.
Ci potrebbero essere anche dei fattori predisponenti, come deficienze vitaminiche o una neuropatia congenita.
In questo caso il danno del farmaco si sovrappone ad una condizione che è già alterata.
Bisogna infine tener conto della vulnerabilità nei confronti del disturbo neurotossico negli anziani (es. potrebbe
avere un’insufficienza renale che aumenta la plasmatica) e dei bambini (ha una barriera ematoencefalica ancora
molto lassa o degli enzimi epatici che non inattivano lo xenobiotico).

Generalmente l’esatta incidenza dei DIND è particolarmente difficile da stabilire ed è probabile che sia
ampiamente sotto-stimata, proprio perché o ha manifestazioni subcliniche oppure è tardiva.

Non esistono cure farmacologiche per i danni neurologici. L’approccio quindi prevede di prevenire una possibile
neurotossicità oppure di ridurre al minimo le manifestazioni della tossicità, sospendendo l’esposizione alla
sostanza e promuovendone la secrezione.
Fondamentale resta una diagnosi molto precoce.

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Tossicologia – IR19

Esempi di farmaci più frequentemente coinvolti nei DIND


Per numerosi farmaci di uso clinico corrente è ben documentata la capacità di indurre disturbi neurologici,
solitamente in dipendenza della dose e della durata del trattamento. Molto più numerosi sono gli agenti
sospettati di causare neurotossicità.
I farmaci più frequentemente coinvolti nei DIND appartengono alle famiglie farmacologiche degli
 Antitumorali
 Antiretrovirali
 Antimicrobici
 Farmaci cardiovascolari
 Ipnotici
 Psicotropi
 Anticonvulsivanti
 Antireumatici

Quadri clinici nei disordini neurologici indotti da xenobiotici


Gli xenobiotici possono colpire virtualmente qualsiasi porzione del neuro-asse, causando sindromi neurologiche.
Sostanza-specifiche o, più spesso, del tutto indistinguibili da quelle osservate nelle malattie idiopatiche.
Alcuni xenobiotici danneggiano solo una parte del SN (SNC o SNP).
Altri più di una, causando alterazioni che, a seconda della porzione del SN interessata e della funzione da essa
regolata, possono manifestarsi con diversi segni e sintomi neurologici.

La denominazione del danno dipende da dove si verifica la manifestazione tossica. Il quadro clinico delle
disfunzioni causate da xenobiotici, infatti, può interessare:
 SNC: la manifestazione tossica è costituita dall’encefalopatia
 SNP: la manifestazione tossica è costituita dalla neuropatia craniale e dalla neuropatia periferica

Come si manifesta una tossicità a carico del sistema nervoso?

Diagramma di due neuroni, centrali o periferici, con i siti primari delle lesioni inducibili da xenobiotici.

232
Tossicologia – IR19

ENCEFALOPATIA
Le encefalopatie sono caratterizzate da una costellazione di segni e sintomi che riflettono il coinvolgimento di
specifiche strutture cerebrali. Possono esserci:
 Alterazioni della funzione sensoriale: possono essere associate a deficit visivi, alterazione generale
delle percezioni ed allucinazioni.
 Alterazioni della funzione motoria: in questo caso, la possibilità di manifestarsi è duplice perché
possono essere associate a:
o debolezza muscolare e paralisi
o a tremori, convulsioni ed iperattività (attività contrattile esacerbata)
 Alterazioni delle risposte fisiologiche: possono essere associate a ipotermia o ipertermia, ad
alterazioni del comportamento alimentare e dei cicli di sonno e veglia.
 Alterazioni della reattività del SNC: possono essere associate a irritabilità, agitazione, nervosismo,
euforia, psicosi, apatia, letargia e depressione.
 Alterazioni della sfera cognitiva ed associativa: possono essere associate a disturbi
dell’apprendimento, della memoria, dell’attenzione e confusione mentale.
Es. La sindrome feto alcolica può manifestarsi con un’alterazione di comportamento o del grado di
attenzione.

Nell’encefalopatia indotta da farmaci si osservano frequentemente convulsioni e, nei casi più gravi, possono
verificarsi anche paralisi e coma, con successivo decesso.

233
Tossicologia – IR19

NEUROPATIA (craniale e periferica)


Poiché ogni nervo periferico ha una funzione altamente specializzata in una specifica parte del corpo, i danni ai
nervi periferici possono ingenerare un’ampia varietà di sintomi. La funzione alterata ed i sintomi dipendono dal
tipo di nervo (motore, sensoriale, autonomo) che ha subito il danno.
Le conseguenti neuropatie possono essere:
 Motorie: la debolezza muscolare costituisce il sintomo più comune di danno ad un nervo motore.
 Sensoriali: un danno ad un nervo sensoriale causa una serie più complessa di sintomi, poiché i nervi
sensoriali hanno funzioni più ampie ed altamente specializzate.
 Sensoriali-motorie

Nel SNP ci sono i cosiddetti nervi autonomi, che controllano una serie di funzioni vegetative come la contrattilità
e secrezione intestinale, la funzionalità carica, lo stato di attivazione ghiandolare, ecc..
I sintomi di un danno ad un nervo autonomo sono numerosi e dipendono da quali organi o ghiandole sono
coinvolti; possono comprendere anche altre complicanze, quali depressione ed insonnia. Le disfunzioni a carico
dei nervi autonomi possono diventare pericolose per la vita e possono richiedere interventi medici di emergenza
nei casi in cui la funzione respiratoria sia compromessa o quando si sviluppino aritmie cardiache (proprio
perché i nervi autonomi controllano queste funzioni).

Meccanismi patologici di neurotossicità


Per evocare un’azione tossica, è necessario che lo xenobiotico entri in contatto col neurone?
La complessità del SN comporta che anche i meccanismi patologici con i quali agiscono le sostanze neurotossiche
siano estremamente complessi
I meccanismi patologici variano in modo considerevole a seconda della categoria degli xenobiotici considerata
La gran parte di essi non sono ancora del tutto noti
Da un punto di vista generale, gli xenobiotici possono causare neurotossicità attraverso due meccanismi:
 meccanismi indiretti: denominato neurotossicità secondaria
 meccanismi diretti: denominato neurotossicità primaria

 Meccanismi patologici indiretti


Qualsiasi sostanza che induca una diminuzione dell’apporto di O2 o di glucosio al cervello, provoca una
sofferenza del tessuto. Esempi:
 CO, cianati (metallurgia) inibizione della respirazione cellulare perdite centrali (parola, sensi,
movimento) fino a morte
 Barbiturici
Altre sostante in grado di provocare meccanismi neurotossici indiretti, sono tutte le sostanze che danneggiano le
barriere anatomiche, come tossine batteriche oppure sostanze che danno ipotermia, quindi uno stato febbrile
molto pronunciato in cui la barriera funziona di meno.
Similmente a molti disturbi neurologici -noti essere secondari a malattie di altri organi- anche quelli indotti dai
farmaci possono essere secondari a disturbi indotti da farmaci assunti per curare malattie di altri sistemi. In altre
parole, possono esserci sostanze in grado di causare altri tipi di patologie, che hanno conseguenze funzionali sul
SN.

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Tossicologia – IR19

Esempi di neurotossicità secondaria a disturbi farmaco-indotti su altri sistemi in base al sistema


primario coinvolto

Nella tabella sono riportati alcuni esempi di disturbi indotti da farmaci, su altri sistemi, però con conseguenze
all’apparto nervoso, centrale o periferico.
Ssostanze come gli anticonvulsivanti provocano la carenza di vitamine, che a sua volta causa demenza.
Farmaci utilizzati nella pratica clinica per controllare la pressione arteriosa o per regolare il ritmo contrattile del
cuore, che vengono utilizzati per trattare l’aritmia, causano ipotensione o ipertensione; questi eventi hanno una
conseguenza funzionale su SN. La tossicità di un antiaritmico sul SN non è diretta, ma è comunque in grado di
causare il danno per via indiretta, perché potrebbe alterare il flusso ematico che arriva al cervello, ecc..
I diuretici, invece, sono in grado di causare encefalopatia o convulsioni, perché un uso continuato porta ad
un’aterazione del bilancio elettrolitico e questo può trasdursi con effetti sul SNC.
Un anticoagulante può dare un’alterata coagulazione, che da una parte è l’effetto terapeutico, ma dall’altra
potrebbe provocare un’emorragia cerebrale o una trombosi cerebrale.
Il paracetamolo è un FANS, quindi viene utilizzato per avere un effetto infiammatorio, però ha anche una
tossicità a livello epatico. L’alterazione della funzionalità epatica causa un mancato controllo della funzione, che
si traduce a livello del SNC con encefalopatica epatica o con disordini respiratori oppure ancora, in casi più gravi
con il coma.
Il barbiturico o l’oppioide si utilizza per avere un effetto ipnotico o per indurre un’analgesia più spiccata, tuttavia
gli effetti collaterali legati all’attività farmacologica di questi farmaci, causano l’alterazione della funzione
respiratoria e questa -a causa di una diminuita ventilazione- potrebbe causare ipossia cerebrale.

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Tossicologia – IR19

 Meccanismi patologici diretti


I meccanismi diretti e le conseguenti manifestazioni di tossicità dipendono dall’interazione della sostanza con le
cellule nervose, ingenerando lesioni neurotossiche sia nel SNC che nel SNP (nervi periferici e gangli), che sono
solitamente classificate in base al sito anatomico interessato ed al quadro clinico che ne deriva, in:
 Neuronopatie: provocate da agenti che danneggiano primariamente il soma
 Assonopatie (prossimali, centrali o distali): provocate da agenti che danneggiano l’assone
 Mielinopatie: provocate da agenti che attaccano le cellule che producono la mielina o la guaina
mielinica (ossia la porzione che riveste la terminazione assonica; fondamentale per garantire la
trasmissione dell’impulso). Tali cellule sono le cellule di Schwann (nel SNP) e gli oligodendrociti (nel
SNC)
Infine, può esserci anche tossicità che si manifesta per alterazione della funzione sinaptica: alcuni agenti infatti
possono interferire con la neurotrasmissione chimica alle sinapsi. Es. Sia la tossina del tetano che la tossina
botulina hanno come manifestazione di tossicità la paralisi, che rispettivamente è spastica e flaccida, anche se il
sito di interazione è molto simile.

Quindi, la manifestazione di tossicità dipende dal sito interessato.

 Neuropatie farmaco-indotte
Molti farmaci di comune impiego terapeutico sono in grado di causare effetti neurotossici diretti, il più comune
dei quali è la neuropatia periferica. Circa il 2-4% delle neuropatie periferiche rilevate nelle cliniche
neurologiche, sono causate da farmaci, principalmente da alcuni farmaci utilizzati per il trattamento di gravi
patologie neoplastiche, dell’AIDS o per evitare il rigetto di organi in soggetti trapiantati. In questi casi, la gravità
della malattia è tale da far considerare la neuropatia come un rischio accettabile (il vantaggio terapeutico
prevale).
La diagnosi di neuropatia periferica iatrogena può essere difficile, in quanto può svilupparsi anni dopo l’inizio
della terapia e può non risolversi immediatamente alla sospensione dell’assunzione del farmaco.
Una pronta diagnosi, prima della comparsa dei sintomi, è fondamentale, consentendo un trattamento tempestivo
che riduce la gravità della neuropatia stessa.
- Se il danno sviluppatosi non è ancora esteso, il tessuto può essere completamente rigenerato.
- In caso di lesioni più gravi, la neuropatia può essere irreversibile.
Molti farmaci possono esacerbare neuropatie preesistenti, anche a dosi non tossiche.

Sono causate da un danno letale al soma (e quindi al pirenoforo, che è il corpo centrale del neurone) che
comporta la perdita irreversibile (necrosi) di neuroni con conseguente degenerazione di tutte le estensioni
citoplasmatiche neuronali (assone, dendriti) e della guaina mielinica. La degenerazione del neurone è seguita
dalla rimozione dei residui cellulari, da parte della microglia (le cellule gliali vengono attivate ogni volta che nel
tessuto c’è un danno o un trauma e hanno il compito di eliminare i residui cellulari). In questo caso, si parla di
gliosi reattiva, che corrisponde all’attivazione della glia ed è caratterizzata dal rilascio, da parte di microglia ed
astrociti, di citochine pro-infiammatorie (TNF-α e IL1β), oltre che NO, ROS, metalloproteasi e fattori di crescita.
Nel SNC, la gliosi reattiva è la prima risposta ad un danno neuronale ed è una risposta utile all’organismo, perché
segnala il danno, l’alterazione o il trauma. Questa risposta però tende ad automantenersi cronicizzandosi ed
instaurare nel tessuto nervoso una condizione pro-infiammatoria, danneggiando così i neuroni -ma anche altre
funzioni neuronali- a causa del continuo rilascio di fattori citotossici

Le neuronopatie possono essere causate da un grande numero di xenobiotici, compresi alcuni farmaci,
caratterizzati da specificità per i neuroni. Possono avere azioni:
 diffuse su diverse popolazioni neuronali
 selettive (a volte) su di un particolare gruppo di neuroni
Le conseguenze sono diverse: tante più strutture vengono interessate, tante più sono le funzioni che potrebbero
essere alterate.

I nervi periferici sono coinvolti nelle neuronopatie quando i neuroni danneggiati dallo xenobiotico risiedono sia
nei gangli periferici o nel cervello o midollo spinale ed hanno assoni che si estendono nei nervi periferici.
Ad esempio, la neuronopatia causata da alte dosi di piridossina si manifesta nel SNP.
Con plasticità neuronale si intende la capacità di una rete neuronale di trasferire delle funzioni ad altri neuroni.
Questa è una caratteristica molto importante nella neurotossicità, perché permette di ripristinare una funzione
che è stata alterata. Grazie alla grande plasticità, quindi, -ossia il trasferimento di funzioni ad altri neuroni- e
alla ridondanza del SN, i danni indotti dalle sostanze neurotossiche che portano a morte neuronale, se non sono
gravi, possono non essere subito evidenti e si potrà avere un ripristino della funzione alterata; mentre, se il
danno è esteso, comporterà la perdita delle funzioni controllate dalla zona degenerata.

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Tossicologia – IR19

Esempi di farmaci che più frequentemente provocano neuronopatie nell’uomo

I farmaci in grado di causare la neuropatia nell’uomo sono estremamente diversi. Ad esempio, gli aminoglicosidi,
che causano la perdita dell’udito per degenerazione dell’orecchio interno e quindi la funzione nervosa deputata
al controllo della funzione. Oppure la Fenitoina, un antiepilettico, che causa la degenerazione delle cellule di
Purkinje nel cervelletto e quindi la degenerazione della parte del SN deputato al controllo dei movimenti; di
conseguenza causa vertigini, atassia, nistagmo ottico (movimento rapido e continuo del bulbo oculare) e in alcuni
casi anche il coma.

Esempi di non-farmaci che più frequentemente provocano neuronopatie nell’uomo

Ci sono anche non farmaci in grado di causare neuropatia. Ad esempio, il mercurio, sia nella sua forma
elementare che metilica; il monossido di carbonio; il piombo; ecc..

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Tossicologia – IR19

Conseguenze dell’esposizione al piombo


Il piombo ha una tossicità sia a carico del SNC che del SNP e la tossicità nel SNC è molto più spiccata nei bambini.

In epoca antica, i romani credevano che il saturnismo fosse dovuto al fatto che i condotti dell’acqua erano
particolarmente inquinati da piombo. Attualmente, si sa che la tossicità nell’adulto si può manifestare con mal di
sta o con alterazione della memoria, mentre nel bambino la tossicità è molto più evidente perché può
manifestarsi con una vera e propria encefalopatia e si può avere anche un’alterazione delle capacità intellettive.
Nel SNP, nel soggetto adulto, il Pb causa un’alterazione della mielinizzazione, cioè della struttura della guaina
mielinica e quindi della conduzione dell’impulso.

Le fonti attraverso cui si può essere esposti al piombo, sono principalmente di due tipi:
 ambito professionale:
o verniciatura a spruzzo
o fonderie (ambito della metallurgia)
o miniere del piombo e procedure di estrazione del piombo
o combustione di batterie
 ambito non professionale:
o acqua
o polvere e scaglie da muri verniciati
o polvere domestica
o terreno delle città
o giornali
o gas di scarico delle automobili

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Tossicologia – IR19

ASSONOPATIE
Sono le forme di tossicità diretta sui neuroni più comunemente indotte dai farmaci.
Il sito primario di tossicità è l’assone di neuroni sia centrali che periferici, con conseguente degenerazione
reversibile dell’assone stesso e, secondariamente, della guaina mielinica, mentre il soma resta intatto. Questa
tossicità ha quindi un andamento retrogrado, perché va dalla periferia al soma. Questo significa che se il soma
resta intatto, si può avere la successiva rigenerazione dell’assone. Se invece il danno arriva fino al soma, il
neurone va incontro a morte.
La sensibilità al danno è direttamente proporzionale alla grandezza e lunghezza degli assoni. In particolare, sono
più vulnerabili:
- gli assoni grandi e lunghi del SNC, ossia gli assoni sensoriali ascendenti nelle colonne posteriori del
midollo spinale (che portano le informazioni sensoriali provenienti dalla periferia) e gli assoni motori
discendenti.
- gli assoni del SNP sensoriale e motorio, sono più vulnerabili

Nella gran parte delle assonopatie, le lesioni tendono a manifestarsi a livello distale (assonopatie distali) ed il
principale processo patologico è quello del tipo dying back, in quanto l’assone degenera progressivamente a
partire dalla sinapsi in modo retrogrado verso il soma

Il quadro clinico frequente della neuropatia periferica, consiste nella perdita di sensibilità tattile e di
temperatura a mani e piedi. A volte presenta anche elementi di perdita assonale e demielinizzazione. Se la
neuropatia procede e coinvolge anche il soma, si può avere la riduzione -inizialmente distale- delle capacità
sensorie e/o motorie
Le neuropatie periferiche con iniziale degenerazione assonale si presentano con sintomi prevalentemente
sensoriali e, se viene coinvolta la mielina, sono evidenti sintomi sia sensoriali che motori
Frequentemente, il bersaglio primario per l’azione tossica è il trasporto assonale.

Risoluzione della neuropatia


 gli assoni dei neuroni periferici possono rigenerare e la neuropatia solitamente si risolve
completamente alla sospensione dell’assunzione dell’agente neurotossico
 gli assoni dei neuroni centrali, invece, hanno un recupero minimo, se non inesistente

.
.

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Tossicologia – IR19

Esempi di farmaci che più frequentemente provocano assonopatie nell’uomo

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Tossicologia – IR19

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Tossicologia – IR19

Tra i farmaci che causano un danno dell’assone, ci sono agenti antimicrobici, farmaci antireumatici e farmaci
cardiovascolari (L’utilizzo delle statine, che è un farmaco antianemico, provoca l’alterazione della funzione
sensoriale; ci sono poi sostanze di origine naturale che vengono utilizzate in sostituzione della statina in qualità
di farmaco e hanno gli stessi effetti e le stesse tossicità), agenti antitumorali e anche altri farmaci.

Esempi di non-farmaci che più frequentemente provocano assonopatie nell’uomo

Ci sono poi anche dei non farmaci che possono causare danni all’assone. Ad esempio, l’acrilammide, fino a
qualche tempo fa veniva utilizzata in laboratorio per separare le protiene o gli acidi nucleici; oggni c’è il divieto in
laboratorio di utilizzare preparazioni a base di acrilammide, salvo norme di utilizzo particolarmente restrittive.
Questo perché l’acrilammide ha una tossicità che si manifesta con la neuropatia periferica.

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Tossicologia – IR19

MIELINOPATIE
Sono manifestazioni di tossicità a carico della guaina mielinica. Sono molto meno comuni delle assonopatie e
delle neuronopatie. Il bersaglio primario del danno è costituito dalle cellule che producono la mielina, ossia:
 oligodendrociti nel SNC
 cellule di Schwann nel SNP
o dalla guaina mielinica che avvolge gli assoni. La guaina mielinica è una sorta di manicotto che ricopre l’assone
e che ha una funzione fondamentale perché garantisce la propagazione dell’impulso. La guaina mielinica
presenta delle interruzioni regolari lungo l’assone, i cosiddetti nodi di Ranvier, ed è proprio attraverso questi noti
che viene trasmesso l’impulso. L’impulso elettrico quindi salta da un nodo all’altro e risulta più veloce.
Se però la struttura della guaina mielinica è alterata, significa che è alterata anche la trasmissione dell’impulso
tra il soma e la periferia.

Le mielinopatie sono indotte da agenti specifici che possono portano a:


 sfaldamento/separazione delle lamelle mieliniche (edema intramielinico, reversibile nella fase precoce
 completa demielinizzazione, ossia alterazione totale della guaina mielinica, causata dalla morte della
cellula mielinica stessa, con effetti funzionali significativi soprattutto nel SNC, dove il processo di
rimielinizzazione è meno efficace che nei nervi periferici.
Di conseguenza la copertura dell’assone non è efficacie e quindi non è più garantita la conduzione dell’impulso
elettrico. Infatti, la mielinotossicità è caratterizzata da una ridotta velocità di conduzione e da un’alterata
conduzione dell’impulso nervoso, con conseguenze funzionali, quali:
 Encefalopatia nel SNC
 Neuropatia periferica (o polineuriti) nel SNP

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Tossicologia – IR19

Esempi di farmaci che più frequentemente provocano mielinopatie nell’uomo

Tra i farmaci che provocano la mielinopatia ci sono gli agenti tumorali, gli antiaritmici, gli anticorpi monoclonali,
ecc..

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Esempi di non-farmaci che più frequentemente provocano mielinopatie nell’uomo

Tra i non farmaci che causano mielinopatie c’è l’esaclorofene, che inizialmente veniva utilizzato in ambiente
ospedaliero nella prevenzione di infezioni cutanee nei bambini e che quindi esponeva il neonato ad una possibile
tossicità.

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Tossicologia – IR19

NEUROTOSSICITÀ ASSOCIATA ALLA NEUROTRASMISSIONE


Gli effetti neurotossici conseguenti ad interferenza della neurotrasmissione, possono avvenire a vari livelli:
 pre-sinaptico
 post-sinaptico
 inter-sinaptico
Esistono molti xenobiotici in grado di interferire con questi meccanismi:
 Farmaci, che sono diretti alla manipolazione di questo processo a scopo terapeutico
 Alcaloidi e neurotossine naturali (animali, vegetali, funghi, batteri)
Rispetto alle tossicità precedenti, questo tipo di alterazioni, non porta alla degenerazione del neurone! e
sospendendo l’esposizione della sostanza, col tempo la funzione viene ripristinata.

La tossicità acuta reversibile dopo alte dosi e gli effetti prolungati che seguono l’esposizione cronica, sono
caratteristiche comuni delle sostanze che interagiscono con la neurotrasmissione chimica.
Le sostanze tossiche per la neurotrasmissione, eccetto gli aminoacidi eccitatori (glutammato in concentrazioni
elevate), non portano a degenerazione del neurone o dei dendriti o dell’assone.

I principali neurotrasmettitori coinvolti nella neurotossicità associata alla neurotrasmissione sono:


 l’acetilcolina (Ach): prima fra tutti, tant’è che si parla di sindrome colinergica.
 la dopamina (DA)
 l’acido-aminobutirrico (GABA)
 la serotonina (5-HT)
 la noradrenalina (NA)

Come si manifesta questa tossicità? Sia un eccesso che una carenza/deplezione di questi neurotrasmettitori può
essere associata a neurotossicità.

Esempi di farmaci che interferiscono con il processo di neurotrasmissione chimica attraverso le sinapsi

Un caso emblematico è rappresentato da sistema colinergico, in quanto ci sono due classi di farmaci in grado di
provocare neurotossicità in quanto modulano in senso opposto la neurotrasmissione colinergica.
 Farmaci anti-acetilcolinesterasici: bloccando l’acetilcolinesterasi, aumentano l’Ach nel vaso sinaptico
quindi alterano la neurotrasmissione chimica di tipo colinergico determinando un eccesso di
acetilcolina. Questa è una manifestazione tossica perché può causare:
o un eccesso di contrazione della muscolatura liscia e quindi uno svuotamento gastrico molto
rapido, crampi e diarrea.
o scialorrea, ossia un’evidente produzione di saliva; l’aumento di secrezione è sia a livello del cavo
orale che a livello dell’apparato respiratorio.
o bradicardia.
 Atropina: l’assunzione o l’esposizione all’atropina provoca carenza del sistema colinergico (carenza di
Ach). Questa è una manifestazione di tossicità perché può causare:
o stipsi, alterazione della funzionalità gastrica per carenza di secrezione.
o carenza di secrezione: sensazione di bocca asciutta e di sabbia nell’occhio.
o tachicardia.
L’alterazione della neurotrasmissione, in eccesso o in difetto, può interessare anche altri sistemi, come quello
della dopamina: l’associazione con amfetamina provoca un eccesso di DA, mentre l’associazione con sostanze di
tipo antipsicotico provoca una carenza/deplezione di DA.
L’alterazione della neurotrasmissione interessa anche il sistema gabaergico, che è il sistema inibitorio per
eccellenza. In presenza di uno xenobiotico che favorisce la trasmissione GABAergica, si ha una riduzione di
trasmissione nelle altre reti neuronali e si manifesta con sedazione, depressione fino al coma. Al contrario, in
presenza di una sostanza che interferisce con la trasmissione GABAergica, viene meno il freno naturale che
normalmente blocca le reti neuronali eccitatorie; si manifesta con ipereccitazione, tremori, convulsioni.

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Tossicologia – IR19

Esempi di farmaci che interferiscono con il processo di neurotrasmissione chimica attraverso le sinapsi

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Tossicologia – IR19

Le neurotossine
Sono tossine di origine naturale, prodotte da diversi organismi (scorpioni, serpenti, ragni, pesci; alghe, funghi,
batteri, ecc.).

Le neurotossine sono degli agenti che interferiscono con la neurotrasmissione. Esse agiscono sulle cellule del SN,
solitamente attraverso un'interazione con le proteine di membrana dei neuroni, quali i canali ionici. I canali
bersaglio possono essere quelli del Na, del K o del Ca.
Nella trasmissione dell’impulso nervoso, è fondamentale il potenziale di membrana: al momento dell’impulso
elettrico, si ha l’apertura di alcuni canali (Na), per cui la membrana va incontro a depolarizzazione (da -70 a
valori più positivi), fino a raggiungere un livello di depolarizzazione tale da innescare l’apertura dei canali del K e
ripristinare il potenziale di membrana iniziale.
Alterando la funzione del canale ionico, si altera il modo attraverso il quale la membrana eccitabile risponde ad
uno stimolo elettrico. L’interazione coi canali ionici nelle cellule eccitabili, ossia l’induzione di anomalie nella
funzionalità dei diversi tipi di canali ionici e quindi il blocco della propagazione dell'impulso neuronale, provoca
una paralisi motoria e quindi la morte dell'organismo; questo perché la paralisi motoria implica anche la
paralisi dei nervi responsabili della respirazione, per cui si ha anche la paralisi respiratoria.

Quando l’impulso elettrico arriva alla terminazione pre-sinaptica, le vescicole contenenti il neurotrasmettitore
migrano verso la membrana pre-sinaptica e si fondono con essa. Questa fusione è un fenomeno dovuto
all’esistenza di alcune proteine che interagiscono tra loro, ossia la sinaptoprimina/sinaptofisina ?? (componente
della vescicola) e la sintaxina (componente della membrana). Controllare! La fusione permette il rilascio del
neurotrasmettitore.
Impedendo l’interazione tra la membrana pre-sinaptica e la vescicola, non si ha la liberazione del
neurotrasmettitore e quindi non avviene la neurotrasmissione. Questo succede in presenza di neurotossine.

Il blocco della funzione vescicolare, può essere causato da:


 Tossina botulinica: rilasciata dal batterio Clostridium botulinum. Impedisce la fusione tra la membrana
pre-sinaptica e la vescicola e quindi impedisce il rilascio di acetilcolina. Di conseguenza, in presenza di
tossina botulinica, la giunzione muscolare o la sinapsi nervosa priva di Ach e quindi si paralizza la
neurotrasmissione.
 Provoca una paralisi flaccida, ossia senza tono muscolare.
 Tossina tetanica: rilasciato da un batterio. È in grado di risalire dalla terminazione pre-sinaptica fino al
soma, dove interagisce con gli interneuroni motori, caratterizzati da una componente nervosa di tipo
inibitorio che controlla l’attività contrattile. La tossina impedisce che ci sia il controllo inibitorio, per cui
resta solo il controllo contrattile, eccitatorio.
 Provoca una paralisi spastica, ossia col muscolo in contrazione.

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Tossicologia – IR19

Esempi di neurotossine

Tra le neurotossine più note c’è la muscarina (dai funghi), che è un noto ligando dei recettori per l’Ach.

Sono neurotossine anche la maggior parte degli insetticidi, quindi


 composti a base di nicotina: hanno una duplice funzione:
o a basse dosi attivano il recettore colinergico- nicotinico
o ad alte dosi impediscono l’attivazione del recettore colinergico-nicotinico
In questo caso la neurotossicità si manifesta con nausea, vomito, convulsioni.
 composti organofosforici (anche i gas nervini) e carbammati, organoclorurati: provocano una sindrome
colinergica.
 derivati piretroidi

Sindrome colinergica da
organofosforici
I sintomi da avvelenamento da
composti organofosforici dovuti ad
iperstimolazione colinergica (tab)
sono riconducibili ad un eccesso di
attivazione del sistema colinergico
(eccesso di Ach).

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Tossicologia – IR19

Interazioni tra farmaci che aggravano la neurotossicità

La co-somministrazione di due o più farmaci può aggravare la neurotossicità per interazioni sfavorevoli, sia di
tipo farmacodinamico che farmacocinetico. Numerosi fattori possono aumentare la probabilità di interazioni
clinicamente significative con farmaci che agiscono sul SN. Ad esempio:
 Impiego di farmaci che inducono o inibiscono gli enzimi epatici biotrasformanti i farmaci
 Farmaci con un basso indice terapeutico
 Farmaci che hanno molteplici azioni farmacologiche
 Pazienti ad elevato rischio di neurotossicità (anziani, malati, ecc.)

Le interazioni tra farmaci che portano a neurotossicità di solito si verificano nelle seguenti circostanze:
 aumento della neurotossicità di un farmaco -usato per trattare disturbi del SNC- che interagisce con un
altro farmaco (attivo o no sul SNC) che ne altera la biotrasformazione, e ad es. ridurne il metabolismo.
 aumento della potenziale neurotossicità per interazione tra farmaci che vengono usati per disturbi
diversi da quelli del SNC.

Ad esempio, i derivati fluorochinoloni e i farmaci antinfiammatori di tipo non steroide (es. Diclofenac) possono
interagire tra loro e l’interazione aumenta il rischio di convulsioni. Questo succede perché il fluorochinolone ha
una certa affinità per il recettore GABAergico, però in presenza di Diclofenac -che ne impedisce il metabolismo
perché interferisce col citocromo responsabile del metabolismo del fluorochinolone- si trova in concentrazione
molto maggiore rispetto a quello previsto e in queste condizioni spiazza il GABA dai siti recettoriali. Essendo il
GABA un sistema inibitore, toglierlo significa togliere un controllo inibitore e quindi aumentare l’eccitabilità della
rete neuronale, che si manifesta con la convulsione.

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Tossicologia – IR19

Esempi di disturbi neurologici dovuti ad interazioni tra farmaci

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Tossicologia – IR19

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Tossicologia – IR19

EPATOTOSSICITÀ
Epatotossicità da xenobiotici
Il fegato è l’organo bersaglio dell’azione tossica di molti xenobiotici di varia origine (alimentare, industriale,
professionale, medicamentosa).
 Sostanze naturali. La tossicità a causa di sostanze naturali è insorta negli ultimi anni, a seguito
dell’utilizzo di rimedi naturali, utilizzati anche senza un criterio scientifico appropriato. Comprendono la
medicina complementare e alternativa e le molecole contenute in alimenti, es esempio:
o Amanitotossine e amanitofalloidine contenute in funghi macroscopici (es. Amanita
phalloides, verna, ecc.)
o Aflatossine elaborate da funghi microscopici (es. Aspergillus flavus, A. parasiticus, Pennicilium
puberulum), che sono in grado di contaminare frutta secca, oli vegetali e foraggi (cereali ecc.),
soprattutto in condizioni inadeguate di conservazione
o Erbe medicinali: utilizzate correntemente nella medicina complementare e alternativa, senza
però conoscenze dei reali effetti e conseguenze.

 Non farmaci
o Metalli (As, Fe, fosforo bianco, Hg organico o metilmercurio, Pb)
o Idrocarburi alogenati alifatici (CCl4, cloruro di vinile) ed aromatici (benzene, bifenili
polialogenati, diossine)
o Insetticidi clorurati (DDT, clordano, aldrin, dieldrin)
o Amine organiche
o Alcooli (etanolo, metanolo): soprattutto in seguito ad un uso cronico
o Eteri (dietiletere)
o Glicoli (glicole etilenico)
o Aldeidi (formaldeide, acroleina)
o Chetoni (acetone)

 Farmaci: virtualmente qualsiasi molecola terapeutica, anche la più sicuro, può causare danni al fegato
(da lievi a gravi e fatali), in quanto è molto probabile che una biotossificazione -ossia la trasformazione
in agente tossico- abbia come primo sito di tossicità il tessuto epatico.
Il danno epatico rappresenta la principale causa (3-10%) di reazioni avverse ai farmaci (ADR), con
incidenza più elevata fra gli eventi avversi gravi, per questo è il principale motivo per cui si ha:
o non approvazione all’immissione in commercio di nuovi farmaci
o ritiro dal commercio ed avvertenze per l’impiego di farmaci già in uso, se la reazione avversa si
verifica post marketing (es. nimesulide)
Il danno epatico farmaco-indotto è una causa comune di malattia epatica acuta e cronica e la
principale causa di morte per insufficienza epatica acuta. Per evitare il decesso, in alcuni casi la
soluzione estrema è rappresentata dal trapianto d’organo.

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Tossicologia – IR19

Esempio della nimesulide


La nimesulide è farmaco antinfiammatorio non steroide (COX-2 inibitore).
Nella classe dei FANS, l’epatotossicità è variabile: composti diversi hanno frequenza e gravità di tossicità epatica
che dipende dalle molecole. Il danno epatico rappresenta un effetto collaterale raro dei FANS, tuttavia la
frequenza e la severità varia da un farmaco all’altro.
La nimesulide (immissione in commercio autorizzata nel 1985) presentava -rispetto agli altri FANS- una
maggiore incidenza di epatotossicità, se somministrata per os. Le reazioni avverse associate all’utilizzo di questo
farmaco erano:
 Reazioni epatiche lievi: aumento degli enzimi epatici -che sono infatti misura della funzionalità
epatica, quali aminotransferasi, fosfatasi alcalina e γ-GT; queste alterazioni sono per lo più transitorie e
reversibile e quindi scompaiono alla sospensione del farmaco.
 Reazioni epatiche molto rare, ma gravi: potevano insorgere colestasi, epatiti acute, epatiti fulminanti
(alcune delle quali fatali), insufficienza epatica acuta.

A seguito di questi eventi, sono stati presi dei provvedimenti recenti in merito a specialità medicinali a farmaci
generici contenenti nimesulide:
 Maggio 2007: l’Agenzia del Farmaco Irlandese ha sospeso la commercializzazione dei medicinali
contenenti nimesulide, a seguito della segnalazione di alcuni casi di insufficienza epatica grave che
hanno richiesto il trapianto di fegato.
 Settembre 2007: l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), al termine di una revisione della sicurezza
epatica delle formulazioni sistemiche dei medicinali contenenti nimesulide, ha concluso che il profilo
rischio/beneficio è positivo (quindi il farmaco viene mantenuto in commercio) a patto che siano
modificate le raccomandazioni sull’uso:
o Limitare la durata d’uso al più breve tempo possibile (non > 15 giorni)
o Limitare la dose orale giornaliera (non > 200 mg/die)
o Utilizzo controindicato in pazienti con una storia di reazioni epatotossiche alla nimesulide e
con epatopatia, perché più a rischio di sviluppare reazioni avverse di tipo epatico.
 Ottobre 2007: l’Agenzia Italiana del Farmaco ha modificato la classificazione del regime di fornitura dei
medicinali contenenti nimesulide con il passaggio alla dispensazione da ricetta ripetibile a ricetta
utilizzabile una sola volta, con l’obiettivo d ridurre il più possibile il rischio di esposizione

254
Tossicologia – IR19

Esempi di farmaci epatotossici


Il danno epatico può essere prodotto da molte classi di farmaci di comune impiego clinico, il che significa che
raggiungono un elevato numero di pazienti, quindi aumenta il numero di pazienti che può andare incontro a
danni.

•Paracetamolo, FANS •Antidepressivi •Antiretrovirali


•Antibiotici •Agenti psicotropi •Anestetici inalatori
•Ormoni sessuali •Anticonvulsivanti •Antiipertensivi
•Amiodarone (antiaritmico) •Antireumatici •Farmaci per trattamento di ipercolesterolemia
•Antitubercolari (isoniazide) •Agenti antidiabetici (statine)

Fattori che contribuiscono alla vulnerabilità del fegato al danno da xenobiotici


Il fegato è il primo organo a venire in contatto con gli xenobiotici dopo il loro assorbimento dal tratto GI e quindi
è anche il tessuto più vulnerabili, in quanto se tali sostanze vengono biotrasformate in qualcosa di nocivo, si
accumulano proprio a questo livello.
Le sostanze che arrivano al fegato possono andare incontro a:
 Biotrasformazione, ossia detossificate e quindi inattivate
 Bioattivazione, quindi trasformate in un intermedio o metabolita reattivo
Il fegato è la sede principale -ma non esclusiva- della biotrasformazione degli xenobiotici.

Nel fegato c’è una doppia irrorazione, da parte di:


 arteria epatica: drena al tessuto epatico il sangue ossigenato
 vena porta: drena il sangue venoso proveniente dalla parte inferiore dell’organismo e soprattutto dal
tratto GI; è un sangue scarsamente ossigenato, ma
ricco in nutrienti che sono stati assorbiti
nell’intestino.
Inoltre, è caratterizzato da un elevato flusso ematico: il
30% della portata cardiaca. Il flusso è intenso e grazie alla
morfologia e struttura dell’organo, avviene un rapido
scambio di sostanze tra il sangue (sinusoidi) e il parenchima
epatico. Questo rapido scambio può portare o alla
biotrasformazione dello xenobiotico o oppure ad un
semplice passaggio attraverso il tessuto, perché non tutte le
sostanze vengono trasformate dal fegato, e quindi
seguiranno il circolo ematico per essere distribuite
nell’organismo.

255
Tossicologia – IR19

Principali funzioni epatiche e conseguenze della loro compromissione


Le alterazioni funzionali che si verificano nel fegato, portano ad una serie di conseguenze che riguardano non
solo il fegato, ma anche altri organi, proprio perché il fegato svolge svariate funzioni. Questo significa che se la
funzione apatica viene alterata, vengono alterate anche le funzioni a cui è preposto il fegato.
 Omeostasi dei nutrimenti, ossia l’accumulo e la sintesi del glucosio e la captazione del colesterolo;
sono due sostanze necessarie per il corretto funzionamento dell’organismo.
Conseguenze della compromissione:
 Ipoglicemia: ridotti livelli epatici di glucosio
 Ipercolesterolemia: elevati livelli ematici di colesterolo
 Fagocitosi di particelle, batteri ed endotossine. Nel tessuto epatico ci sono le cellule di Kupffer, che
svolgono il ruolo dei macrofagi negli altri tessuti, ossia di fagocitare tossine, prodotti di batteri
intestinali o altre particelle di dimensioni ridotte.
Conseguenze della compromissione:
 Endotossinemia: ossia le tossine finiscono nel corrente ematico
 Sepsi, che si verifica nei casi più gravi: ossia la contaminazione sistemica che porta alla
compromissione della vita stessa.
 Sintesi proteica dei fattori di coagulazione, dei fattori che contribuiscono alla sintesi di proteine
plasmatiche (albumina), di lipoproteine.
Conseguenze della compromissione:
 difetti di coagulazione e quindi maggior probabilità di emorragia
 ipoalbuminemia: scarsità di albumina circolante, con un conseguente condizionamento del
trasporto di farmaci o xenobiotici nel plasma
Es. Se l’albumina lega una minor quantità di farmaco, a parità di dose, si può avere una
condizione in cui l’esposizione al farmaco o allo xenobiotico esita in un effetto tossico, che
generalmente non si verificava.
 ascite
 steatosi epatica
 Processi di biotrasformazione e detossificazione, di ormoni steroidei, bilirubina e ammoniaca, ma
soprattutto xenobiotici o farmaci.
Conseguenze della compromissione:
 ittero e -nei casi più gravi insorgenza del coma
 riduzione della comparsa dei caratteri secondari/sessuali maschili: questo perché il fegato è
preposto anche alla biotrasformazione di molecole endogene come gli ormoni steroidei.
 riduzione del metabolismo dei farmaci, come inattivazione;
Es. Dato un paziente con una funzione epatica compromessa, si può avere la comparsa di
tossicità alle stesse dosi che in un altro paziente sano non vedo.
Es. Al contrario, un altro paziente con una compromissione della funzionalità epatica, si
potrebbe andare incontro ad un mancato effetto farmacologico. È il caso dei profarmaci, che
devono essere biotrasformati per poter espletare la propria funzione terapeutica.
 Produzione di bile, che viene poi convogliata nella cistifellea o coleicisti e poi espulsa (escrezione
biliare) assieme a oppure va in ricircolo.
Conseguenze della compromissione:
 diarrea grassa: scarseggiando/mancando la bile, manca l’agente endogeno che emulsiona i
grassi e ne permette l’assorbimento.
 malnutrizione: se non riesco ad assorbire i grassi, viene meno una componente fondamentale
per l’omeostasi dell’organismo.
 deficit di vitamina E
 neurotossicità
 ritardata clearance di farmaci
 Biosintesi delle componenti dell’eme ed eliminazione di porfirine
Conseguenze della compromissione:
 Accumulo dei precursori dell’eme: questo determina una serie di conseguenze/ alterazioni,
definite porfiria.

Porfiria cutanea tarda


Le porfirie sono delle patologie dovute ad un non corretto processamento da parte del fegato dei precursori
dell’eme. Ne esistono di più forme. La più frequente, che può essere associata ad esplosione a xenobiotici, è la
porfiria cutanea tarda di tipo tossico.

256
Tossicologia – IR19

La porfiria cutanea tarda è un’alterazione della sintesi dell’eme che porta all’accumulo dei porfirinogeni (che
sono i precursori dell’eme) tossici nel fegato e nel sangue. È provocata dal’inibizione dell’enzima
uroporfirinogeno decarbossilasi a livello epatico e avviene per due motivi:
 Polimorfismo: di solito insorge in pazienti con un profilo genetico particolare, quindi è connesso
all’ereditarietà.
 Esposizione ad uno xenobiotico che ha come target molecolare l’enzima.
Questi precursori si accumulano principalmente a livello cutaneo.
Il paziente quindi ha una scarsa quantità di eme circolante e questo significa scarsa capacità di ossigenare il
tessuto.
Il paziente inoltre non può essere esposto al sole, perché la presenza dei precursori -in presenza di luce solare-
genera delle lacerazioni e vescicolazioni cutanee, con irritazione e prurito. Di solito, chi soffre di questa patologia
ha un colorito molto pallido e deve andare incontro frequentemente a trasfusioni di sangue per re-integrare ciò
che il fegato non riesce a produrre, cioè l’eme (mito di Dracula).

Alcuni xenobiotici che -alterando la funzionalità epatica- possono provocare porfiria tossica sono:
 Esaclorobenzene
 Diossine
 Bifenili policlorurati
 Etanolo: (uso cronico)

Nella maggior parte dei casi, la tossicità epatica non porta a morte, la perdita di funzioni epatiche può portare
ad alterazioni in altri organi, fino a morte.

Unità morfologica e unità funzionale del fegato


L’unità morfologica del fegato è costituita dal lobulo epatico (schematizzato in forma esagonale; dettaglio del
lobulo epatico sulla sx). L’unità funzionale dall’acino epatico.

La triade portale è costituita dalle ramificazioni terminali


della vena porta, dell’arteria epatica e dei dotti biliari
avvolte da tessuto connettivo.

L’acino epatico è l’unità funzionale ed è costituito da una


piccola massa parenchimale, comprendente la venula portale, l’arteriola epatica, il dotto biliare, i vasi linfatici ed
i nervi.
Ogni acino epatico giace tra due vene terminali epatiche (vene centrali) e, in base alla vicinanza al vaso afferente
terminale, può essere suddiviso in tre zone diverse -che sono quindi preposte a funzioni diverse-, con irrorazione
diversa (diverso apporto di O2 e nutrienti, ma anche di farmaci e xenobiotici) e diversamente fornite di enzimi.

257
Tossicologia – IR19

Le tre zone dell’acino epatico sono:


1. Zona periportale: comprende gli epatociti più vicini alla triade portale, da dove la vena porta e l’arteria
epatica si diramano in piccoli vasi. È la zona con maggiore apporto di O2 e nutrienti. Inoltre, gli epatociti
di questa zona sono i primi a venire in contatto con gli xenobiotici circolanti assorbiti nel sangue portale
dall’intestino tenue.
Gli epatociti di questa zona hanno intensa attività metabolica, ossia a questo livello avvengono
l’ossidazione di acidi grassi, la produzione di glucosio, la secrezione di acidi biliari e di enzimi destinati
alla sintesi cellulare.

2. Zona mediozonale: comprende gli epatociti mediamente irrorati (il grado di irrorazione è inferiore alla
zona 1). È responsabile della rigenerazione tessutale.

3. Zona centrolobulare: è localizzata nella parte centrale. Comprende gli epatociti meno irrorati. È la zona
in cui si concentrano gli enzimi microsomiali (citocromi P450, epossido idrolasi, glutatione transferasi,
glucuronil transferasi) preposti alla detossificazione degli xenobiotici. Spesso è anche la più colpita
dalle sostanze epatotossiche, in quanto è quella che viene in contatto con la maggior concentrazione di
sostanze biotrasformate.

Le lesioni zonali del parenchima epatico sono classificate in base all’area di interesse, come:
 Periportali
 Mediozonali
 Centrolobulari

Fattori di rischio per l’epatotossicità


Le risposte del fegato agli agenti epatotossici dipendono da numerosi fattori:
 Farmaco o xenobiotico
o Classe (struttura, meccanismo di interazione col substrato biologico)
o Dose
o Esposizione: breve o prolungata (acuta/cronica)
 Ambiente in senso lato
o Dieta e stile di vita (tabacco, etanolo, caffè)
o Tossine, conservanti alimentari
o Inquinanti
o Sostanze chimiche ossidanti
 Ospite
o Età: soggetti in età pediatrica (non hanno un pool di enzimi epatici completo, quindi la capacità
di biotrasformazione funziona meno e perciò la capacità di difesa è ridotta) e anziani (potrebbe
presentare già di per sé alterazioni di funzionalità epatica, quindi l’esposizione allo xenobiotico
aumenterebbe la suscettibilità al danno) sono molto più vulnerabili.
o Sesso
o Peso
o Fattori genetici (es. insorgenza profiria)
o Fattori immunitari: la risposta dell’organismo nei confronti dell’insulto esterno potrebbe essere
aggravata o al contrario tale per cui in un soggetto in salute il sistema immunitario svolge la sua
funzione di difesa, mentre in un soggetto in cui è compromesso il sistema immunitario (HIV)
l’unico a poter intervenire nella difesa è il fegato, a cui giungeranno quindi tutte le tossine,
xenobiotici ecc.
o Altre malattie (epatite virale, diabete)

Il fatto che alcuni individui siano suscettibili a sviluppare reazioni epatotossiche ed altri non lo siano dipende -
almeno in parte- dalla grande variabilità fenotipica inter-individuale derivante dall’ampia diversità
nell’espressione ed attività degli enzimi epatici (soprattutto citocromi P450) preposti alla biotrasformazione
degli xenobiotici.

La produzione di metaboliti reattivi a livello del fegato in quantità eccedente le capacità detossificanti del fegato
è alla base dei danni epatici da xenobiotici.

258
Tossicologia – IR19

Test di funzionalità epatica


Servono ad individuare un’eventuale alterazione di funzione e un’eventuale tossicità da xenobiotici.
Generalmente si valutano i livelli plasmatici degli enzimi epatici tramite analisi del sangue.
I danni epatici possono essere esclusivamente funzionali oppure anche morfologici, con lesioni reversibili o
irreversibili, acute o croniche.
I test si distinguono:
 Test che indicano una necrosi degli epatociti
o Elevati livelli plasmatici di alanina aminotransferasi (ALT) e aspartato aminotransferasi (AST)
 Test che indicano una colestasi (ridotta produzione di bile e soprattutto una ridotto flusso di bile
attraverso il fegato e una difficoltosa escrezione biliare)
o Elevati livelli plasmatici di fosfatasi alcalina (ALP), γ-glutamiltransferasi (γ-GT) e 5’-nucleotidasi
o Elevati livelli plasmatici di bilirubina coniugata (o diretta)

Anomalie nei test di funzionalità epatica (valori anche 3-5 volte più grandi del limite superiore normale) sono
comuni, tuttavia esse sono spesso transitorie/reversibili (es. statine) e solo in una minoranza di casi si sviluppa
un danno epatico (fenomeni di adattamento al danno sostanza-indotto?).
I danni epatici da xenobiotici, se non sono particolarmente estesi, di solito sono reversibili (grande capacità del
fegato di rigenerare e riparare il danno)

Meccanismi patogenetici dei danni epatici indotti da xenobiotici


I meccanismi alla base dell’effetto tossico di alcuni xenobiotici nel fegato sono legati o al farmaco di per sé
oppure al metabolita reattivo. In genere, più che allo xenobiotico in sé, l’epatotossicità è legata alla sua
bioattivazione epatica (biotrasformazione a metaboliti reattivi).
I danni epatici indotti da xenobiotici possono coinvolgere uno o più tipi cellulari (epatociti, cellule dei dotti
biliari, cellule dell’epitelio dei sinusoidi, cellule stellate, cellule di Kupffer). In base al meccanismo patogenetico, i
danni epatici indotti da xenobiotici possono essere classificati in:
 Tossici diretti
 Idiosincrasici
La differenziazione è molto importante, perché l’incidenza di tossicità è diversa e soprattutto anche la
prevedibilità è diversa.

 Danni epatici tossici diretti


Questi danni sono prevedibili, però sono anche rari (circa il 5%) e dovuti ad intrinseca tossicità dello
xenobiotico o suo metabolita reattivo. Sono indipendenti da precedenti esposizioni (riscontrabili in qualsiasi
paziente).
Spesso sono dose-dipendenti e tempo-dipendenti.
Sono riproducibili negli animali da esperimento, nei modelli sperimentali.
Generalmente hanno un periodo di latenza breve.
Esempi
 Pochi farmaci (sono pochi i farmaci utilizzati in terapia che provocano danni epatici)
o Paracetamolo
o Antitumorali (metotrexate, ciclofosfamide)
o Vitamina A
o Prodotti erboristici
 Tossine naturali, derivanti da piante e funghi
 CCl4, fosforo, metalli (ferro, rame, mercurio)

 Danni epatici idiosincrasici


L’idiosincrasia per definizione è una risposta ad un farmaco imprevedibile, quindi ha di per sé una connotazione
negativa.
Rappresentano la maggior parte (circa il 95%) di reazioni avverse a carico del fegato. Sono imprevedibili e i più
problematici e a causa della loro natura non riproducibili negli animali da esperimento, per l’incapacità di
ripristinare le condizioni di esposizione dell’organismo. Fortunatamente, si verificano in una minoranza dei
pazienti.
Hanno un periodo di manifestazione estremamente varia, ossia possono manifestarsi entro 5 o 90 giorni
dall’inizio dell’esposizione.

259
Tossicologia – IR19

Tali danni possono essere:


 Immuno-mediati: sono reazioni autoimmuni (Ach-mediate o cellule T-mediate) che si verificano
quando una sostanza/metabolita (che funge da aptene) si lega covalentemente a proteine cellulari
(vettori), diventando Ag completo. Di fatto quindi il metabolita funziona da aptene, quindi di per sé non
è in grado di scatenare una risposta immunitaria, ma appena si lega covalentemente ad una
macromolecola biologica (come una proteina), avviene un cambio conformazionale che rende il
complesso riconoscibile dal sistema immunitario come non self. Queste reazioni autoimmuni sono molto
gravi perché possono interessare distretti diversi e quindi compromettere diverse funzionalità.

 Non immuno-mediati: sono reazioni idiosincrasiche metaboliche. Si verifica quando una


sostanza/metabolita reattivo si lega a proteine cellulari, DNA o altra molecola cellulare, causando
disfunzioni cellulari del substrato a cui si è legato (e non una risposta del sistema immunitario).

Classificazione dei danni epatici indotti da xenobiotici


Le malattie epatiche indotte da xenobiotici, hanno una caratteristica fondamentale, ossia ripropongono un
quadro clinico che è tipico di un danno epatico, ma difficilmente associabile ad un agente xenobiotico (difficoltà
nel ricavare la relazione causa-effetto). Questo perché il danno epatico da xenobiotici può mimare ogni nota
malattia epatica, con una gravità clinica che va da asintomatiche alterazioni dei test di funzionalità epatica fino
all’insufficienza epatica fulminante (a sviluppo rapido, entro giorni-settimane; con un tasso di mortalità del
90%).
Di conseguenza, le manifestazioni possibili sono numerose:
 Epatite acuta o cronica
 Insufficienza epatica acuta
 Steatosi (fegato grasso)
 Colestasi acuta o cronica
 Interferenza con la funzionalità biliare: ittero
 Fibrosi/cirrosi e successivamente a carcinoma epatico
 Neoplasia benigna o maligna
 Danno vascolare

In base all’andamento degli indici di funzionalità epatica, i danni epatici indotti da farmaci sono classificati in tre
gruppi:
 Danno di tipo epatocellulare (acuto e cronico), che si traduce con:
 Epatite acuta e cronica, ossia uno stato infiammatorio generalizzato dell’organo e un’alterazione
di funzione.
Questo danno viene segnalato da un aumento predominante di alcuni enzimi (AST/ALT), con o senza
ittero (la presenza di ittero è un segno diagnostico molto più evidente).
 Danno di tipo colestatico (acuto e cronico), che si traduce con:
 Colestasi, ossia un rallentamento del flusso biliare nel tessuto epatico.
Questo danno viene segnalato da un aumento predominante di ALP, un aumento di γ-GT, con o senza
ittero.
 Danno di tipo misto, che si traduce con:
 Colestasi con danno epatico
Questo danno viene segnalato da un aumento associato, di varia entità, di AST/ALT e ALP (nessuno dei
due valori predomina), con o senza ittero

L’associazione tra tipo di danno e xenobiotico causale non è esclusiva: la stessa sostanza può essere associata
con tipi diversi di danno epatico.
I danni epatici indotti da xenobiotici a decorso acuto sono più frequenti di quelli a decorso cronico (durata
superiore a 3 mesi)

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Tossicologia – IR19

DANNO EPATOCELLULARE
È il più frequente (circa il 55-60%) ed è associato alle forme cliniche più severe.
Si manifesta come necrosi degli epatociti (più o meno massiva) accompagnata da una reazione infiammatoria
d’organo. L’epatite acuta è la manifestazione più comune.
Il periodo di latenza può essere breve (ore-giorni), intermedio (1-8 settimane) o lungo (1-12 mesi).

Meccanismi
 Tossico, ad esempio:
 Paracetamolo (la causa più comune)
 Antitumorali (metotrexate, ciclofosfamide)
 Prodotti erboristici; tossine di piante e funghi
 CCl4

 Idiosincrasico, può essere:


 Immuno-mediato
 Non immuno-mediato

Biotrasformazione ed epatotossicità dell’acetaminofene (Ac) o paracetamolo


La tossicità del paracetamolo è dovuta alla sua biotrasformazione in un reattivo, che è il derivato para
benzoinoil immina. Una volta nell’organismo, nell’adulto, il paracetamolo, in singola dose orale terapeutica
(325-1000 mg), è biotrasformato prevalentemente per coniugazione con acido glucuronico e/o acido solforico;
viene quindi eliminato sottoforma di glucoronato o di solfato.
A dosi più alte, invece, è biotrasformato per ossidazione da parte del citocromo P450 in un intermedio
elettrofilo reattivo e potenzialmente tossico. Tale intermedio ha quindi di per sé una connotazione di tossicità
legata alla sua estrema reattività con tutte le macromolecole biologiche che cedono elettroni.
In condizioni normali, invece, la quantità di paracetamolo che viene biotrasformata nell’intermedio reattivo è
minima e il sistema di controllo basato sulla presenza di GSH (glutatione) è in grado di contrastarlo.
L’interazione produce mercapturato, che successivamente viene eliminato con le urine.
Quando però il GSH è depletato, il metabolita reattivo elettrofilo (Ac*) può produrre ROS e formare addotti con
proteine epatiche (ma anche con proteine enzimatiche o con funzioni strutturali, RNA e DNA), con conseguente
necrosi epatocellulare (zona 3 centrolobulare del fegato, rene).

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Tossicologia – IR19

INTOSSICAZIONE DA PARACETAMOLO

Si tratta di un severo danno epatico e le analisi del sangue mostrano livelli plasmatici di ALT>1000 U/L (unità
per litro).
Può essere provocata dall’ingestione accidentale (bambini) o intenzionale (adulti suicidi) di paracetamolo.
L’esordio si ha dopo 4-5 giorni dall’assunzione, dopo una sintomatologia gastrointestinale (necrosi massiva), che
generalmente è fatale. Costituisce la più comune causa di insufficienza epatica acuta fulminante, che è fatale in
quanto il tessuto epatico va incontro a necrosi massima e anche tutte le funzioni del fegato vengono meno.
È anche la causa principale di trapianto di fegato.
La quantità di paracetamolo, in singola dose, in grado di dare sintomi tossici varia molto da individuo a
individuo:
 4-10 g provocano epatotossicità nei bambini
 10-15 g provocano epatotossicità negli adulti
 15-25 g (o > 4 g/giorno per alcuni giorni) solitamente sono letali anche negli adulti
La dose totale giornaliera non dovrebbe eccedere i 4 g.
Il rischio di insufficienza epatica acuta da paracetamolo (persino con dosi terapeutiche) è più elevato in alcune
condizioni d’uso:
 in presenza di ridotti livelli epatici di GSH (es. nel digiuno)
 negli etilisti (2-6 g/giorno): essi presentano una serie di manifestazioni tossiche a causa dell’uso cronico
di etanolo perché l’organismo è sprovvisto delle normali misure di contrasto al danno.
Meccanismo: l’etanolo è un induttore enzimatico e induce la sintesi del CYP2E1, che è l’isoforma che
trasforma il paracetamolo del metabolita tossico del farmaco.
 in condizioni di sovradosaggio

L’intossicazione da paracetamolo si sviluppa in tre fasi cliniche:


1° Fase: si verifica poche ore dopo il sovradosaggio e consiste in nausea, vomito, pallore e sudorazione. I
pazienti però spesso non hanno sintomi specifici oppure presentano solo sintomi lievi, come malessere.
Dura le prime 24h successive all'avvelenamento.
2° Fase: di verifica 24-72h in seguito al sovradosaggio, con sintomi di accresciuto danno epatico. In
generale, il danno avviene negli epatociti mentre metabolizzano il paracetamolo. In particolare,
l'aumentato danno epatico altera i marker biochimici della funzionalità epatica con un incremento di
transaminasi.
Si può sviluppare insufficienza renale acuta, generalmente causata o da una sindrome epatorenale o da
una sindrome da disfunzione multiorgano, che è la condizione che previene al decesso.
3° Fase: si verifica 3-5 giorni in seguito al sovradosaggio e si manifesta con una necrosi epatica che porta
ad insufficienza epatica fulminante con complicazioni che riguardano le funzioni del fegato, quindi:
difetti della coagulazione del sangue, ipoglicemia, insufficienza renale, ma anche encefalopatia epatica
(nelle prime ore di encefalopatia epatica, il soggetto ha problemi di regolazione del sonno e una
sonnolenza diurna; il giorno successivo, questi sintomi subiscono un aggravamento e si verificano
confusione mentale, perdita della memoria, irritabilità) a cui seguono edema cerebrale e sepsi, fino
all’insufficienza multiorgano (fegato e rene risultano insufficienti) e morte
La gravità dell'avvelenamento da paracetamolo varia in relazione alla dose assunta ed al trattamento ricevuto.

Terapia dell’intossicazione da paracetamolo


Somministrazione per os (140 mg/kg seguiti da 70 mg/kg ogni 4 h per 72 h) di N-acetilcisteina, che è il
precursore del glutatione (GSH) e che stimola la sintesi epatica di GSH stesso. Fondamentale però è la
tempestività di intervento. Il problema infatti è che la sintesi di GSH è un processo biochimico che richiede un
certo tempo fisiologico, quindi la somministrazione deve essere effettuata il più presto possibile dall’esposizione.
L’antidoto è molto efficace soprattutto entro 12-16 ore dall’ingestione di paracetamolo (prima dell’insorgenza di
danno epatico significativo). Permette di ridurre la mortalità anche 16-36 ore dopo l’avvelenamento.
Un’altra possibilità, più estrema, prevede il trapianto di fegato.

262
Tossicologia – IR19

EPATOTOSSICITÀ DEL TETRACLORURO DI CARBONIO

Il tetracloruro di carbonio non agisce in quanto tale, ma quando biotrasformato in un reattivo.


Esso è utilizzato in un pool farmacologico a livello sperimentale per indurre un modello sperimentale di tossicità
epatica: all’esposizione di CCl4, il ratto risponde col danno epatico e successivamente il carcinoma epatico.
Il tetracloruro di carbonio è impiegato in miscele refrigeranti dei frigoriferi, negli estintori, nei composti usati
per smacchiare vestiti o nelle soluzioni sgrassanti alimentari. Questo significa, che potrebbero esserci soggetti
più a rischio di altri (es. chi lavora in lavanderie). Inoltre, esistono una serie di misure cautelative, che devono
essere prese dal ricercatore in laboratorio, per evitare che esponendo l’animale al CCl4, possa essere esso stesso
esposto alla tossicità (bisogna lavorare sotto cappa, la stanza deve avere un adeguato sistema di ventilazione,
ecc.)
Il CCl4 viene inalato e si accumula nel fegato. Provoca:
 A medio termine porta a steatosi epatica (accumulo di lipidi) e poi a necrosi del tessuto epatico.
 A lungo termine porta a tumori epatici.
La necrosi del tessuto è legata ad una risposta del tessuto con uno stato infiammatorio che si protrae nel tempo e
che quindi aggiunge ulteriormente un danno alla funzionalità del tessuto.
La grande capacità rigenerativa del tessuto epatico, che generalmente è vantaggiosa, in questo caso favorisce
l’insorgenza del carcinoma epatico.

Esempi di farmaci epatotossici con meccanismo idiosincrasico immuno-mediato e non-immuno-mediato.


Il meccanismo idiosincratico è per definizione non prevedibile e quindi non riproducibile in un modello
sperimentale, e può causare problemi immuno-mediati (se coinvolge il sistema immunitario) oppure non
immuno-mediato (se l’interazione con un substrato biologico porta ad un’alterazione funzionale e quindi ad una
risposta dannosa).
Un noto farmaco che causa epatotossicità attraverso una risposta immunitaria è l’alotano, un anestetico generale
inalatorio. L’etanolo e il Diclofenac, invece, sono in grado di causare epatotossicità tramite entrambi i meccanismi
diversi. Paroxetina e fluoxetina, invece, sono due inibitori di re-uptake della serotonina (SSRI) che vengono
utilizzati come antidepressvio.

263
Tossicologia – IR19

STEATOSI

È un’alterazione epatocellulare zonale, che può essere accompagnata da infiammazione e fibrosi


(steatoepatite).
Consiste nell’accumulo di gocce di grasso (soprattutto trigliceridi) negli epatociti sotto forma di vacuoli di varie
dimensioni (possono accumularsi in una o più vescicole). Tali lipidi quindi non potranno essere utilizzati per
produrre le lipoproteine. Il contenuto in lipidi può essere > 5% del peso del fegato: in tal caso di parla di fegato
grasso. Può essere suddivisa in:
 Steatosi macrovescicolare (es. amiodarone,
tamoxifene)
 Steatosi microvescicolare (es. acido valproico)
La presenza di lipidi nel reticolo endoplasmatico
(principale sito di accumulo) può interferire con la
funzionalità del RE stesso, per questo può rappresentare
una risposta tossica.
Può essere causata o da una riduzione di ossidazione degli
acidi grassi oppure da una aumentata sintesi.
È una risposta molto comune ed aspecifica, spesso
reversibile:
- se dovuta all’alimentazione, cambiando la dieta si
può risolvere il problema
- se dovuta ad un farmaco, è sufficiente sospendere
il trattamento
Può essere
 acuta: es. avvelenamenti da CCl4, bifenili polialogenati, fosforo, tetracicline
 cronica: es. etanolo, metotrexato, acido valproico (antiepilettico).

Questa forma di tossicità è riproducibile negli animali da laboratorio, quindi è possibile definire le condizioni in
cui la risposta tossica può avvenire. Infatti, si tratta di una risposta dose-dipendente e tempo-dipendente.

Esempi di xenobiotici che provocano steatosi:


 Farmaci:
o Metotrexato (antitumorale)
o Acido valproico (anticonvulsivante)
o Amiodarone (antiaritmico)
o Nifedipina (Ca-antagonista)
o Corticosteroidi
o Tetracicline
o Aspirina
o Etanolo (consumo eccessivo)
 Non farmaci, avvelenamenti con:
o CCl4
o Dimetilnitrosamina
o Bifenili polialogenati
o Fosforo
o Aflatossine (producono anche il carcinoma epatico)

Rispetto al fegato sano, il fegato steatosico ha sia un aspetto macroscopico diverso (colorazione) sia un aspetto
microscopico diverso (sono visibili dei pallini bianchi nel tessuto, corrispondenti ai lipidi).

264
Tossicologia – IR19

TOSSICITÀ DELL’ETANOLO

Ha una connotazione diversa a seconda che si tratti di:


 Tossicità acuta: man mano che aumenta la dose, la neurotossicità si manifesta in maniera sempre più
intensa, passando da uno stato di iperattività, ad uno stato di inibizione dei freni inibitori, fino alla totale
mancanza di controllo dello stato di vigilanza ed una maggiore aggressività.
 Tossicità cronica: può manifestarsi con epatotossicità (steatosi, cirrosi), che avrà una conseguenza
sulla sintesi e biogenesi delle componenti della coagulazione; tossicità a carico del tubo GI (ulcere o
gastrite); neurotossicità, perché può dar luogo a neuropatie centrali (forme di delirio o sindrome di
astinenza) e neuropatie periferiche (tremori)

Metabolismo ed epatotossicità dell’etanolo

La tossicità dell’etanolo è dovuta in parte alla molecola stessa e in parte al suo prodotto biotrasformato. La
biotrasformazione consiste nell’ossidazione dell’etanolo ad acetaldeide ed è catalizzata da tre enzimi diversi:
 CYP2E1 nel reticolo endoplasmatico
 Alcool deidrogenasi (ADH) nel citoplasma
 Catalasi nei perossisomi
L’ossidazione dell’acetaldeide ad acido acetico avviene nel citoplasma e nei mitocondri ad opera dell’aldeide
deidrogenasi (ALDH). Successivamente è trasformata in CO2 e H2O, quindi segue il pathway escretorio attraverso
le urine.
L’ALDH è inibita irreversibilmente dal disulfiram (Antabuse), un agente farmacologico usato nella
disassuefazione degli etilisti. Questo è possibile perché, quando l’ALDH si accumula, causa una serie di sintomi
(vomito, ma di testa, nausea, vomito, ipotensione, difficoltà respiratoria) che potrebbero indurre l’etilista ad
interrompere l’assunzione di alcol. A causa della tossicità, però, questo tipo di trattamento deve essere effettuato
in centri specializzati (strutture ospedaliere), sotto stretto controllo medico.

265
Tossicologia – IR19

L’acetaldeide ed altri metaboliti reattivi (radicale etossilico) sono tossici in quanto possono causare
epatotossicità:
 direttamente: legandosi covalentemente a costituenti cellula. Può provocare:
 epatite non immuno-mediata
 cirrosi epatica
 indirettamente. Può provocare:
 epatite immune (agisce da aptene, ossia da sostanza che di per sé è incapace di scatenare una
reazione immunitaria, ma nel momento in cui si lega ad un costituente cellulare, costituisce un
complesso in grado di scatenare la reazione immunitaria)
 deplezione di GSH, vitamine e minerali

266
Tossicologia – IR19

DANNO COLESTATICO o COLESTASI


Ha una frequenza pari o superiore al danno di tipo misto. Colpisce soprattutto gli anziani ed ha una durata
particolarmente protratta dopo la sospensione dell’esposizione alla sostanza causativa
Si presenta con un danno alle vie biliari, che determina un aumento della permeabilità dei sinusoidi e dei
canalicoli biliari (queste sono strutture deputate esclusivamente a convogliare la bile), con una conseguente
riduzione o interruzione del flusso biliare, che provoca un accumulo di bile negli epatociti. I pigmenti biliari
quindi aumentano nel sangue, con manifestazione di ittero (caratterizzato da una colorazione giallastra della
cute).
Generalmente è un evento tossico acuto.
La colestasi cronica è più rara e può però evolvere in una sindrome più grave, che prevede la scomparsa dei dotti
biliari intraepatici: quindi manca la struttura necessaria a convogliare la bile, che quindi diffonde nel tessuto
epatico. Può essere irreversibile o regredire molto lentamente (fino a 2 anni) e non sempre completamente.

Esempi: solo farmaci


 Antiretrovirali (soprattutto in combinazione)
 Eritromicina (antibiotico macrolide)
 Fenotiazine (antipsicotici)
 Antidepressivi triciclici
 Steroidi (estrogeni; anabolizzanti 17-alchilati)
 ACE-inibitori (antiipertensivi)
 Sulindac (FANS)

DANNO MISTO
(colestasi con danno epatocellulare)

È clinicamente ed eziologicamente più vicino al tipo colestatico. Il danno misto comprende sia il danno
epatocellulare sia il danno colestatico. Sia le colestasi che le forme miste sono generalmente attribuite a
meccanismo immuno-mediato, allergico, quindi può anche rientrare nelle forme di danno idiosincrasico.

Esempi:
 Associazione amoxicillina/acido clavulanico (antibiotici β-lattamici)
 Anticonvulsivanti (carbamazepina, fenitoina)
 Ciclosporina (immunosoppressore)
 Associazione trimetroprim/sulfametossazolo (antibiotico/sulfonamide)
 Prodotti erboristici

267
Tossicologia – IR19

INSUFFICIENZA EPATICA ACUTA


È una compromissione funzionale del fegato molto grave, che può essere sintomatica (accompagnata da ittero e
prurito, i più frequenti), ma può anche essere asintomatica.
Il rischio di insufficienza epatica acuta fatale è associato soprattutto al danno epatico provocato da:
 Paracetamolo (circa il 40% dei casi)
 Antitumorali (metotrexate, ciclofosfamide)
 Prodotti erboristici
 Tossine di piante e funghi (aflatossine); CCl4
 Alotano
 Isoniazide
 Propiltiouracile
 Fenitoina ed acido valproico

Anche se con minor frequenza, praticamente tutti i danni acuti epatitici o misti gravi (presenza ed intensità
dell’ittero) possono evolvere in insufficienza epatica acuta, che è fatale e porta al decesso. Nel danno
asintomatico il danno è molto più elevato.

DANNO EPATICO CRONICO


FIBROSI/CIRROSI

Il danno epatico cronico è distinto in fibrosi e cirrosi.

 Fibrosi: rappresenta la riparazione di un danno tissutale mediante sostituzione delle cellule


parenchimali con tessuto connettivo.
 Cirrosi: è una patologia epatica cronica e progressiva, caratterizzata dal sovvertimento diffuso e
irreversibile della struttura del fegato, conseguente a danni di varia natura (infettiva, alcolica, tossica,
autoimmune) accumulatisi per un lungo periodo. Rappresenta quindi il quadro terminale della
compromissione anatomo-funzionale dell’organo.

È una malattia epatica cronica, progressiva, che implica un’esposizione protratta nel tempo. È caratterizzata da
un’estesa necrosi degli epatociti, che genera una risposta infiammatoria, la quale viene contrastata dal tessuto
epatico con un tentativo di rigenerare il tessuto. Il problema è che la rigenerazione avviene con una sostituzione
degli epatociti funzionali con tessuto connettivo cicatriziale. L’eccessivo accumulo di questo tessuto determina
un’alterazione dell’architettura e delle funzioni dei lobuli epatici. L’alterazione morfologica irreversibile del
parenchima epatico si accompagna con l’alterazione della funzione.
Il processo cirrotico può durare per molti anni e se non si arresta, porta a morte per emorragie interne e poi
coma epatico. I malati di cirrosi (così come quelli contagiati dai virus dell’epatite B e C) sono a maggior rischio di
sviluppare carcinoma epatico.

Esempi:
 Farmaci
o Vitamina A in dosi elevate
o Metotrexate (in basse dosi a lungo termine, nel trattamento della psoriasi)
o Isoniazide (antitubercolare)
o Metildopa (antiipertensivo)
o Eroina (farmaco d’abuso)
o Etanolo (uso cronico)
 Non farmaci
o Aflatossine (inducono cirrosi e successivamente carcinoma); CCl4; arsenicali
o Agenti virali: infezione da virus dell’epatite B (inducono cirrosi e successivamente
l’epatocarcinoma)

268
Tossicologia – IR19

NEOPLASIE BENIGNE e MALIGNE


Tra i danni epatici cronici, c’è la possibilità di insorgenza di neoplasie epatiche, che possono essere:
 Adenoma benigno degli epatociti
 Carcinoma (maligno) degli epatociti: hanno un decorso molto veloce e molto aggressivo.
In Europa, l’incidenza dei carcinomi epatici da xenobiotici è molto bassa, ma in molti Paesi tropicali e
subtropicali è molto alta (circa 60%), perché legati all’esposizione di sostanze particolari, come le
aflatossine. Rari e ed altamente maligni (sarcomi) sono:
o Angiosarcoma: interessa soprattutto tessuto connettivo ed endotelio dei sinusoidi
o Colangiosarcoma: interessa soprattutto le cellule del coledoco.
Questi sarcomi hanno una capacità di metastasi molto alta, perché interessano la parete del
vaso dei sinusoidi, quindi man mano che il tumore si forma, singole cellule possono essere
immesse direttamente nel torrente ematico e attecchire in altri distretti, anche molto lontani.

Cause probabili
 Consumo di alimenti ammuffiti (contaminazione da aflatossine)
 Estesa presenza del virus dell’epatite

Esempi di xenobiotici responsabili di neoplasie benigne


 Aflatossine (soprattutto la B1)
 Steroidi (estrogeni; anabolizzanti)

Esempi di xenobiotici responsabili di neoplasie maligne


 Dietilstilbestrolo (estrogeno di sintesi): non più in uso
 Steroidi (estrogeni, anabolizzanti)
 Diossido di torio (mezzo di contrasto radioattivo)
 Arsenicali
 Cloruro di vinile, CCl4

Tossicità del cloruro di vinile


(NON FATTO)

269
Tossicologia – IR19

Epatotossicità dei prodotti erboristici


Questo è un problema abbastanza recente, che è comparso con la diffusione dell’uso di questi prodotti,
soprattutto se provenienti da altri Paesi, e anche con la facilità di acquisto sul web (spesso venduti come prodotti
dimagranti o come soluzioni naturali per curare la disfunzione erettile). Spesso fatti i prodotti erboristici sono
correlati ai fake drugs o farmaci falsi, in quando si tratta di prodotti non standardizzati (composizione non
dichiarata) e frequentemente contaminati. A causa della diversa normativa nei vari Paesi, spesso contengono
delle impurezze, contaminanti e per questo possono causare tossicità, non solo di tipo epatico.
Drammatico è l’aumento dell’uso di medicine complementari e alternative.
Almeno 30 prodotti erboristici causano epatotossicità
 Minore, non specifica
 Epatite acuta, necrosi zonale, insufficienza epatica acuta
 Epatite cronica/fibrosi/cirrosi (nell’uso prolungato)
 Colestasi, sindrome di scomparsa dei dotti biliari
 Sindrome di ostruzione sinusoidale

NB. Naturale non è sinonimo di sicuro!!

Trattamento dei danni epatici indotti da xenobiotici


La diagnosi differenziale è difficile (non sono in grado di diagnosticare il danno collegandolo allo xenobiotico) ed
è solitamente una diagnosi di esclusione, ossia si arriva ad una quota di potenziali xenobiotici responsabili per
escludere altre cause.
Nella gran parte dei casi, i danni epatici indotti da xenobiotici (soprattutto farmaci) sono lievi ed auto-limitanti,
ed il fegato recupera spontaneamente dopo la sospensione dell’esposizione.
Raramente si verifica epatite cronica, dottopenia, cirrosi o addirittura morte. La maggior parte dei casi di morte
derivano da insufficienza epatica fulminante o, meno comunemente, da complicanze della cirrosi.
Se non diagnosticati precocemente e trattati adeguatamente, i danni epatici possono progredire a forme molto
gravi. Il problema è che non esiste un trattamento specifico per le reazioni epatotossiche idiosincrasiche, eccetto
nei casi di insufficienza epatica fulminante, quando il trapianto di fegato può essere essenziale per salvare la
vita del paziente. Questa però è una pratica complicata, non sempre applicabile in via emergenziale (es. Sono
preferiti i donatori giovani; i giovani pazienti hanno la precedenza rispetto ai pazienti anziani).

È essenziale l’identificazione precoce della sostanza epatotossica, per minimizzare il danno. Si procede poi con
l’immediata sospensione dell’esposizione alla sostanza sospettata e si effettua il monitoraggio degli enzimi
epatici (raccomandato per la gran parte degli agenti).
Il trattamento è non specifico, largamente sintomatico e di supporto, di solito a base di:
 Corticosteroidi: si somministrano nel caso di azione tossica a livello epatico solo di tipo epatico (non
hanno un’efficacia provata, eccetto che nelle reazioni immuno-mediate, allergiche)
 N-acetilcisteina (antidoto): si somministra nelle prima ore successive ad un sovradosaggio di
paracetamolo, con l’obiettivo di stimolare l’organo a sintetizzare glutatione e quindi contrastare l’azione
tossica del metabolita.
 Nelle forme fulminanti si può procedere solo con l’immediato trapianto di fegato.

270
Tossicologia – IR19

NEFROTOSSICITÀ
Il rene è il principale organo bersaglio per gli effetti tossici di molti xenobiotici,
compresi numerosi farmaci. Poiché i reni sono organi compensatori, i danni
renali non si rendono manifesti finché non sono estesi e gravi.
L’apparato renale comprende: reni, ureteri, vescica e uretra.

Fattori che contribuiscono alla vulnerabilità del rene al danno da xenobiotici


 La maggior parte degli xenobiotici (compresi molti farmaci) sono escreti per via renale: o sono
trasformati in sostanze idrofile ed eliminate con l’urina, oppure hanno una struttura chimica tale da
poter esser già eliminati così.
 Elevato flusso ematico: circa il 25% della portata cardiaca. L’entità dell’irrorazione sanguigno nel rene
è strettamente collegata al suo funzionamento: i livelli di pressione arteriosa che arrivano al rene sono
fondamentali per garantire il funzionamento dell’organo (infatti quando la pressione arteriosa scende al
di sotto di alcuni livelli, la funzionalità dell’organo può essere fortemente compromessa).
 Presenza di meccanismi fisiologici per la concentrazione dell’urina, possono portare anche alla
concentrazione di xenobiotici. Questo significa che gli xenobiotici possono raggiungere concentrazioni
più elevate nel rene piuttosto che ne sangue e quindi essere presenti in dosi maggiori nel tessuto renale
(cellule tubulari).
 Bioattivazione intrarenale od epatica a metaboliti nefrotossici: sostanze che non hanno una
connotazione tossica nel circolo ematico, potrebbero essere trasformate in sostanze tossiche nel rene.
 Principale sito di deposito di immunocomplessi, ossia quei complessi capaci di scatenare la risposta
immunitaria contro tutto il tessuto renale.
 particolare suscettibilità al danno immunologico
 Fattori extrarenali, che determinano una ipoperfusione renale, sembrano contribuire
all’incidenza/gravità dei danni al rene (sono nefrotossici):
 ipovolemia: causata da emorragia, ustioni, perdita di fluido GI e renale
 ipotensione: causata da insufficienza cardiaca o sepsi
 vasocostrizione renale: una vasocostrizione dei vasi che arrivano al rene provoca una riduzione
dell’apporto ematico.
 malattia epatica: causa una disfunzione multiorgano

Analogie Fegato-Rene
La capacità compensatoria del rene può essere paragonata alla capacità rigenerativa del fegato: sono entrambi
meccanismi di contrasto del danno.
L’elevato flusso ematico.
Sono numerosi gli xenobiotici capaci di evocare un effetto tossico in questi organi, nel fegato perché vengono
biotrasformati e nel rene perché vengono eliminati.

271
Tossicologia – IR19

Il glomerulo è un filtro a cui arriva l’arteriola glomerulare e riparte la venula glomerulare.


I processi funzionali che attribuiscono al rene la funzione di filtro sono diversi a seconda della zona. Il primo
evento è la filtrazione glomerulare, attraverso cui il sangue che arriva al rene viene filtrato, ossia la componente
corpuscolare/cellulare viene trattenuta nel glomerulo, mentre passa nel nefrone tutto ciò che ha una dimensione
compatibile con la parete glomerulare. Successivamente, si il riassorbimento di sostanze utili per l’organismo,
ma anche di xenobiotici liposolubili. Si può avere anche la secrezione attiva di sostanze organiche deboli, acide o
basiche.
Sempre a livello del tessuto renale si può avere un metabolismo, ossia una bioattivazione intrarenale. In tal caso,
acidificando o alcalinizzando l’urina, si sposta l’equilibrio verso la perdita della sostanza nell’urina o il
riassorbimento, ma quando una sostanza viene riassorbita, questa si concentra nelle cellule che costituiscono il
nefrone per poi passare ad es. per diffusione nel torrente ematico (se la struttura dello xenobiotico lo permette).
Il fatto che la sostanza si concentri nel tessuto, potrebbe essere un fattore di rischio.

Rappresentazione schematica delle funzioni del nefrone

Manifestazioni della nefrotossicità

La nefrotossicità si manifesta col danno alle funzioni specifiche renali di filtrazione e riassorbimento (funzioni di
membrana)
 Aumento della permeabilità della membrana glomerulare: di conseguenza, molecole più grandi
(albumina, γ-globulina) passano nell’ultrafiltrato e causano proteinuria che, se ingente, porta a carenza
di proteine, formazione di edemi ed insufficienza renale.
Un evidente segno di tossicità glomerulare è la colorazione rosso marrone-rosa dell’urina, che indica la
presenza di emoglobina a livello glomerulare.
 Diminuzione della superficie filtrante o riduzione della pressione di filtrazione, ossia la pressione
con cui il sangue arriva al rene: se la pressione è troppo bassa, il sangue non viene filtrato, quindi si ha
una ridotta produzione di ultrafiltrato, che causa un accumulo nel sangue di prodotti azotati del
catabolismo di proteine e aminoacidi (urea, creatina), a cui seguono uremia e creatininemia, che a loro
volta determinano l’aumento di azotemia.
 Arresto della filtrazione: determina la diminuzione di produzione di urina (oliguria, anuria), per cui i
vari xenobiotici restano nel sangue e provoca insufficienza renale, uremia, creatininemia.
 Insufficiente riassorbimento di H2O (es. diabete mellito): è il caso opposto al precedente. Prevede la
perdita di grosse quantità di acqua e assieme anche di elettroliti, con conseguente alterazione
dell’equilibrio elettrolitico (che potrebbe alterare anche la funzionalità cardiaca). Si verifica una
condizione di poliuria, ossia l’eliminazione di urina molto diluita.
 Mancato riassorbimento delle sostanze disciolte nel filtrato: causa l’eliminazione di sostanze
indispensabili per l’organismo, come aminoacidi, glucosio, elettroliti.
 Danno alle membrane cellulari: causa la fuoriuscita di enzimi e quindi enzimuria.

272
Tossicologia – IR19

Valutazione della nefrotossicità


Le varie disfunzioni si manifestano in combinazione tra loro o in successione temporale: la dose e l’intensità
d’azione della sostanza nefrotossica sono determinanti per la manifestazione tossica.
La valutazione della nefrotossicità si effettua attraverso l’esame delle urine, in cui si misurano:
 Colore, volume, osmolalità, pH (generalmente intorno a 6,4-6,5)
 Glicosuria: presenza di glucosio nel sangue.
 Proteinuria: presenza di proteine nel sangue. Può essere:
o Glomerulare: presenza di albumina nel glomerulo (normalmente, l’albumina non può passare
attraverso la parete del glomerulo perché ad alto PM)
 indice di un danno al glomerulo
o Tubulare: presenza di proteine a basso PM nell’urina (β2-microglobulina)
 indice di un danno nel tubulo renale
 Velocità di filtrazione glomerulare (VFG): dice in quanto tempo un certo volume di urina contenetene
degli xenobiotici viene depurato da tossine o dallo xenobiotico stesso. Si misurano i livelli di creatina
(creatininemia) e azoto (azotemia) (BUN) nel sangue.

Figure. Site-specific biomarkers, common nephrotoxicants, and mechanisms of injury.

Il glomerulo è la struttura all’interno del quale passa il sangue e rilascia la componente non corpuscolata e
proteica solo se a basso PM. Seguono il tubo prossimale, l’ansia di Henle e il tubulo distale che va a finire nei dotti
collettori.
Nel percorso attraverso il nefrone, il contenuto filtrato dal glomerulo può subire destini diversi, in quanto le
sostanze possono essere riassorbite oppure secrete e finire nella composizione finale dell’urina. Tratti diversi del
tessuto renale hanno una suscettibilità diversa all’azione degli xenobiotici, perché ci sono xenobiotici che hanno
una spiccata affinità per alcuni componenti del tessuto, come ad esempio alcuni trasportatori. Quindi
l’esposizione a xenobiotici diversi, può potenzialmente causare tossicità in tratti diversi del nefrone.
Ci sono sostanze (antibiotici) in grado di indurre tossicità già nel glomerulo (glomerulonefrite), causando
un’infiammazione immunitaria, ossia scatena la risposta immunitaria nei confronti di posizioni specifiche del
nefrone.

273
Tossicologia – IR19

274
Tossicologia – IR19

NEFROTOSSICITÀ
Il rene è il principale organo bersaglio per gli effetti tossici di molti xenobiotici, compresi numerosi farmaci. Poiché
i reni sono organi compensatori, i danni renali non si rendono manifesti finché non sono estesi e gravi.
L’apparato renale comprende: reni, ureteri, vescica e uretra.

Il rene attraverso l'eliminazione di acqua ed elettroliti altera l'equilibrio pressorio (cui contribuisce anche la
liberazione di renina, fondamentale per secernere poi angiotensina) ed elettrolitico dell'organismo.
Dal punto di vista dell'escrezione dei prodotti del metabolismo il rene è preposto alla filtrazione tramite
glomerulo e a fenomeni di riassorbimento di xenobiotici liposolubili e sostanze endogene che sono utili
(vitamine), e di secrezione di acidi o basi organici deboli, processo che sfrutta dei trasportatori. Infine, nel nefrone
possono avvenire trasformazioni di xenobiotici: localmente il rene può trasformare delle molecole e queste
possono accumularsi in questa sede, mettendo a rischio il tessuto renale stesso.

Fattori che contribuiscono alla vulnerabilità del rene al danno da xenobiotici

1. Fattore di perfusione ematica: il 20-25% della gittata cardiaca arriva al rene e con essa tutti gli xenobiotici
e non che si trovano in circolo.
L’entità dell’irrorazione sanguigno nel rene è strettamente collegata al suo
funzionamento: i livelli di pressione arteriosa che arrivano al rene sono
fondamentali per garantire il funzionamento dell’organo (infatti quando la
pressione arteriosa scende al di sotto di alcuni livelli, la funzionalità
dell’organo può essere fortemente compromessa).
2. Molti xenobiotici vengono eliminati per via renale, che quindi vi è
irrimediabilmente esposto. La maggior parte degli xenobiotici (compresi
molti farmaci) sono escreti per via renale: o sono trasformati in
sostanze idrofile ed eliminate con l’urina, oppure hanno una struttura
chimica tale da poter esser già eliminati così.
3. Il rene è un luogo di deposito per gli immunocomplessi, che attivano il SI
(come gli immunocomplessi da apteni): alcuni si depositano appunto nel rene,
altri riescono a legarsi a delle sue componenti e a scatenare delle risposte
immunitarie dirette contro il rene stesso. Gli immunocomplessi sono quei
complessi capaci di scatenare la risposta immunitaria contro tutto il tessuto
renale.
 particolare suscettibilità al danno immunologico
4. Al rene arrivano sostanze che non sono ancora state trasformate dal fegato e che qui possono subire una
biotrasformazione attraverso cui attivarsi come sostanze tossiche. Si parla di bioattivazione
intrarenale od epatica a metaboliti nefrotossici: sostanze che non hanno una connotazione tossica nel circolo
ematico, potrebbero essere trasformate in sostanze tossiche nel rene.
5. Presenza di meccanismi fisiologici per la concentrazione dell’urina, possono portare anche alla
concentrazione di xenobiotici. Questo significa che gli xenobiotici possono raggiungere concentrazioni più
elevate nel rene piuttosto che ne sangue e quindi essere presenti in dosi maggiori nel tessuto renale (possibile
esposizione delle cellule tubulari ad elevate concentrazioni di xenobiotici).
6. Fattori extrarenali: se ad esempio un farmaco abbassa in modo troppo accentuato la pressione arteriosa
(antipertensivo) riduce troppo la perfusione renale; se abbiamo un episodio emorragico con ipovolemia abbiamo
lo stesso risultato, e la perfusione renale diminuisce. Anche i FANS che evocano vasocostrizione renale sono
pericolosi per il rene: questi eliminano la componente vasodilatatoria a livello renale, che è mediata dalle
prostaglandine.
Fattori extrarenali, che determinano una ipoperfusione renale, sembrano contribuire all’incidenza/gravità dei
danni al rene (sono nefrotossici):
o ipovolemia: causata da emorragia, ustioni, perdita di fluido GI e renale
o ipotensione: causata da insufficienza cardiaca o sepsi
o vasocostrizione renale: una vasocostrizione dei vasi che arrivano al rene provoca una riduzione
dell’apporto ematico.
o malattia epatica: causa una disfunzione multiorgano

271
Tossicologia – IR19

Analogie Fegato-Rene
La capacità compensatoria del rene può essere paragonata alla capacità rigenerativa del fegato: sono entrambi
meccanismi di contrasto del danno.
L’elevato flusso ematico.
Sono numerosi gli xenobiotici capaci di evocare un effetto tossico in questi organi, nel fegato perché vengono
biotrasformati e nel rene perché vengono eliminati.

Il glomerulo è un filtro a cui arriva l’arteriola glomerulare e riparte la venula glomerulare.


I processi funzionali che attribuiscono al rene la funzione di filtro sono diversi a seconda della zona. Il primo evento
è la filtrazione glomerulare, attraverso cui il sangue che arriva al rene viene filtrato, ossia la componente
corpuscolare/cellulare viene trattenuta nel glomerulo, mentre passa nel nefrone tutto ciò che ha una dimensione
compatibile con la parete glomerulare. Successivamente, si il riassorbimento di sostanze utili per l’organismo, ma
anche di xenobiotici liposolubili. Si può avere anche la secrezione attiva di sostanze organiche deboli, acide o
basiche.
Sempre a livello del tessuto renale si può avere un metabolismo, ossia una bioattivazione intrarenale. In tal caso,
acidificando o alcalinizzando l’urina, si sposta l’equilibrio verso la perdita della sostanza nell’urina o il
riassorbimento, ma quando una sostanza viene riassorbita, questa si concentra nelle cellule che costituiscono il
nefrone per poi passare ad es. per diffusione nel torrente ematico (se la struttura dello xenobiotico lo permette).
Il fatto che la sostanza si concentri nel tessuto, potrebbe essere un fattore di rischio.

Rappresentazione schematica delle funzioni del nefrone

 Escrezione dei prodotti di metabolismo


 Regolazione del volume e della composizione dei fluidi extracellulari mediante eliminazione di acqua e
elettroliti
 Sintesi e rilascio di ormoni (renina)
 Equilibrio acido-base

272
Tossicologia – IR19

Manifestazioni della nefrotossicità


La nefrotossicità si manifesta col danno alle funzioni specifiche renali di filtrazione e riassorbimento (funzioni di
membrana). Quindi:
1. Aumento della permeabilità glomerulare: il glomerulo ha caratteristiche che non permettono il
passaggio di componente corpuscolata del sangue, ma solamente di proteine a basso PM. Variare la
permeabilità significa far passare anche parte corpuscolata del sangue, come le cellule in esso presenti,
con loro conseguente perdita tramite le urine. Se troviamo componenti corpuscolate del sangue nelle
urine e queste hanno alto PM allora sono indice di danno glomerulare, mentre se ho molecole a basso
PM il danno è nel tubulo (che non le riassorbe). Molecole più grandi (albumina, γ-globulina) passano
nell’ultrafiltrato e causano proteinuria che, se ingente, porta a carenza di proteine, formazione di edemi
ed insufficienza renale. Un evidente segno di tossicità glomerulare è la colorazione rosso marrone-rosa
dell’urina, che indica la presenza di emoglobina a livello glomerulare.
2. Ridotta superficie filtrante o ridotta pressione di filtrazione: una minore pressione con cui il sangue
arriva al rene. Se la pressione è troppo bassa, il sangue non viene filtrato, quindi si ha una ridotta
produzione di ultrafiltrato, che causa un accumulo nel sangue di prodotti azotati del catabolismo di
proteine e aminoacidi (urea, creatina), a cui seguono uremia e creatininemia, che a loro volta determinano
l’aumento di azotemia.
3. Arresto della filtrazione: riduzione o assenza della produzione di urina (diminuzione o assenza:
oliguria, anuria) che porta all'insufficienza renale, segnalata dall'accumulo nel sangue di varie sostanze
solitamente eliminate, uremia, creatininemia.
4. Insufficiente riassorbimento di acqua (es. diabete mellito): non si possono recuperare le sostanze
necessarie all’organismo, l'urina è molto diluita (proprio perché non si recupera acqua) e con un volume
molto abbondante (poliuria: tante urine molto diluite). È il caso opposto al precedente perché prevede la
perdita di grosse quantità di acqua e assieme anche di elettroliti, con conseguente alterazione
dell’equilibrio elettrolitico (che potrebbe alterare anche la funzionalità cardiaca).
5. Mancato riassorbimento delle sostanze presenti nel filtrato causa l’eliminazione di sostanze
indispensabili per l’organismo, come aminoacidi, glucosio, elettroliti.
6. Danno alle membrane cellulari delle cellule del tubulo, con fuoriuscita di enzimi (si ha la cosiddetta
enzimuria).

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Tossicologia – IR19

Figure. Site-specific biomarkers, common nephrotoxicants, and mechanisms of injury.

In seguito all'esposizione le cellule danneggiate:


● Possono morire, per necrosi o apoptosi (che porteranno rispettivamente ad un quadro infiammatorio
e no)
● Possono riparare il danno: questo porta ad un adattamento del tessuto che causa ripristino
strutturale e/o funzionale del tessuto e quindi dell'attività renale.

Le cellule che non hanno subito il danno vanno incontro a fenomeni compensatori: lavorano anche per quelle
che non lavorano più, questo è il motivo per cui si sopravvive con un solo rene (l'altro rene ha attività
vicariante).
Le cellule in questione vanno incontro a proliferazione cellulare o ipertrofia, si tenta di sanare il tessuto dal
danno e ripristinare la funzione.
Alla fine, il problema renale è proprio la sua capacità compensatoria: il danno al rene si palesa solamente
quando ci sono delle compromissioni tali da non essere compensate dal tessuto che resta sano ma a quel
punto il quadro è sempre grave, perché la funzione renale è stata sicuramente compromessa.

274
Tossicologia – IR19

Il quadro clinico finale può essere ricondotto a:


● Insufficienza renale acuta/danno renale acuto: è generalmente accompagnato da una forma di tossicità
immediata dall'esposizione ed è reversibile se cessa l'insulto acuto.
● Insufficienza renale cronica: non è reversibile perché il tessuto si è deteriorato lentamente, venendo in
alcune aree sostituito da tessuto fibroso che fa volume ma non ha funzione.
● Adattamento in seguito all’insulto tossico (Es. metallotioneine).

INSUFFICIENZA RENALE ACUTA

L'organo non è in grado di svolgere le normali attività a


cui è preposto. Consiste nel declino della velocità di
filtrazione glomerulare (VFG) e comparsa dei composti
del metabolismo dell’azoto nel sangue. Si presenta:
 Quando c’è vasocostrizione renale: le arterie
del glomerulo (afferente ed efferente) devono
presentare valori pressori ben precisi. Se c’è
una pressione eccessiva a livello afferente si va
incontro ad ischemia del vaso, con accumulo
pre-renale di sostanze azotate, che si rilevano
già nel sangue.
 Quando alcuni xenobiotici precipitano nel
parenchima renale per formazione di
complessi o per variazioni di pH: ci sono
precipitati intralobulari con conseguente
ostruzione lobulare, oppure infiammazione del
tessuto (causata anche dalla necrosi in altre
situazioni) che altera la funzione di filtrazione.

 Tutte le condizioni che portano ad una


riduzione della VFG connessa all’esposizione
a xenobiotici sono condizioni che possono
condurre ad un’insufficienza renale acuta

Meccanismi patogenetici dell'insufficienza renale acuta:


 Pre-renali: sono danni che coinvolgono le strutture che precedono l'accesso alla struttura
renale (ipoperfusione renale). Il danno prerenale è dato da vasocostrizione che provoca ipoperfisione, il
danno glomerulare causa ipofiltrazione. Esempi: amfotericina B, Cis-Pt, ciclosporina, aminoglicosidici,
FANS, MDC radiologici
 Renali:
o Glomerulonefrite immune o flogistica. Esempi: antibiotici citotossici (doxorubicinam
mitomicina), ciclosporina, antireumatici, litio
o Necrosi tubulare acuta da danno tubulare diretto (dose dipendente). Esempi: antibiotici
aminoglicosidi e beta-lattamici, amfotericina B, Cis-Pt, paracetamolo, MDC, metalli pesantim
idrocarburi alogenati, micotossine
o Nefrite tubulointerstiziale immune o flogistica, edema interstiziale Esempi: antibiotici (beta-
lattamici, tetracicline, sulfonamidi), FANS
 Post-renali: ostruzione degli ureteri o dei tubuli da depositi di cristalli (cristalluria), che rientra nelle
alterazioni funzionali dell'apparato renale anche se non coinvolge il nefrone. Esempi; sulfonamidi
metotrexato, MDC.

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Tossicologia – IR19

INSUFFICIENZA RENALE CRONICA

Anche in questo caso l'organo non funziona, ma degenera lentamente e progressivamente in seguito ad una
prolungata esposizione allo xenobiotico. Man mano che il tessuto si deteriora e “perde nefroni” il parenchima
risponde con aumenti di pressione e di flusso, cioè tenta di compensare la riduzione di VFG.
Nel momento in cui questo tentativo si protrae nel tempo si va incontro ad atrofia e fibrosi, ovvero alla perdita
definitiva della funzione. Tutto ciò si accompagna al danno sui capillari, strutture tramite cui il rene opera la
compensazione vera e propria.

Meccanismi patogenetici per l’insufficienza renale cronica:


 Nefrite tubulo-interstiziale infiammatoria-flogistica nel 5-10% dei casi di insufficienza cronica: si
crea un'infiammazione nel tessuto per xenobiotici che danno necrosi
Analgesici, Cis-Pt, litio, ciclosporina, metalli pesanti come Cd e Pb
 Nefrite tubulo-interstiziale immune: il tessuto diventa bersaglio del SI che viene attivato da complessi
Ag-Ac
 Necrosi papillare da ischemia o danno cellulare
Analgesici e FANS

ADATTAMENTO DEL TESSUTO

A livello renale sono presenti le metallotioneine, che


sono presenti anche a livello epatico. Sono espresse tanto
più metallo c’è in situ, perché tentano di sequestrare
quest’ultimo dal tessuto. Tuttavia, mentre nel fegato
questo meccanismo funziona molto bene, perché
sequestra il metallo impedendogli di danneggiare gli
epatociti, nel rene il complesso Me-proteina va a finire
nei lisosomi, che solitamente degradano la componente
cellulare: il complesso viene rotto e il metallo viene
nuovamente messo nelle condizioni di recare danni al
tessuto e alla sua componente cellulare.

Le varie disfunzioni si manifestano in combinazione tra


loro o in successione temporale: la dose e l’intensità
d’azione della sostanza nefrotossica sono
determinanti per la manifestazione tossica.

La valutazione della nefrotossicità viene fatta tramite l’esame delle urine: è una modalità non invasiva ed
estremamente semplice, che permette di caratterizzare componenti diverse che forniscono molte informazioni.
Troviamo:

● Colore: giallo paglierino è il colore normale, un rosso mattone invece indica componente
corpuscolata/emoglobina nelle urine e quindi danno glomerulare.
● Volume: condizioni anormali come poliuria e oliguria sono entrambe indici di un malfunzionamento anche se
il problema alla base è differente (come abbiamo già visto).
● Osmolarità
● pH generalmente intorno a 6,4-6,5
● Glucosio/glicosuria: il glucosio dovrebbe essere riassorbito nel tubulo, quindi è indice di un danno in
questo sito, oppure di una situazione di iperglicemia tale da portare organismo ad eliminarlo anche
quando normalmente verrebbe riassorbito.
● Proteine/proteinuria: normalmente non ce ne sono. Se troviamo proteine nelle urine i casi sono due:
o Se il PM delle proteine trovate è alto allora ci sono dei problemi al glomerulo renale, che è il
sito di filtrazione primario in cui tutte le proteine al di sopra del cut-off (normalmente,
l’albumina non può passare attraverso la parete del glomerulo perché ad alto PM - 60
kDa) non finiscono nell’ultrafiltrato ma restano nel sangue.
o Se il PM è basso allora i problemi sono localizzati nel tubulo renale (β2-microglobulina)

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Tossicologia – IR19

● Sedimenti: può trattarsi di ossalati, complessi di xenobiotici precipitati a causa del pH, cellule derivanti
dallo sfaldamento delle vie urinarie. I sedimenti possono chiarire il sito del danno nel caso di
emoglobinuria/ematuria:
o Se ho emoglobinuria ciò implica che gli eritrociti sono arrivati al rene già lisati (danno pre-renale)
o Se ho ematuria gli eritrociti sono integri e passano da integri attraverso il glomerulo (danno
renale al glomerulo)
● VFG: dice in quanto tempo un certo volume di urina contenetene degli xenobiotici viene depurato da tossine
o dallo xenobiotico stesso. Si misurano i livelli di creatina (creatininemia) e azoto (azotemia) (BUN) nel sangue.
La VFG viene misurata tramite la clearance di creatinina o inulina, che vengono filtrate ma mai riassorbite
quindi il loro tempo di clearance coincide con il passaggio del filtrato nel rene; oppure si misura tramite
creatininemia o azotemia.

Le sedi di tossicità degli xenobiotici sono diverse in tutto l’apparato urinario, di seguito le più importanti.

GLOMERULO (glomerulonefrite immune o flogistica)


Il glomerulo è la struttura all’interno del quale passa il sangue e rilascia la componente non corpuscolata e proteica
solo se a basso PM. Seguono il tubo prossimale, l’ansia di Henle e il
tubulo distale che va a finire nei dotti collettori.
Nel percorso attraverso il nefrone, il contenuto filtrato dal glomerulo
può subire destini diversi, in quanto le sostanze possono essere
riassorbite oppure secrete e finire nella composizione finale dell’urina.
Tratti diversi del tessuto renale hanno una suscettibilità diversa
all’azione degli xenobiotici, perché ci sono xenobiotici che hanno una
spiccata affinità per alcuni componenti del tessuto, come ad esempio
alcuni trasportatori. Quindi l’esposizione a xenobiotici diversi, può
potenzialmente causare tossicità in tratti diversi del nefrone.

Ci sono sostanze (antibiotici) in grado di indurre tossicità già nel glomerulo (glomerulonefrite), causando
un’infiammazione immunitaria, ossia scatena la risposta immunitaria nei confronti di posizioni specifiche del
nefrone.

La tossicità qui può causare infiammazione glomerulare o glomerulo-nefrite di tipo immune (glomerulonefrite
immune o flogistica). La struttura stessa del glomerulo è particolarmente predisposta all’accumulo di complessi
(sito primario di deposizione) tra antigene ed anticorpo, che depositandosi sulle pareti del glomerulo (membrana
bassale) rendono la filtrazione via via sempre più difficoltosa perché causano inspessimento. Questo è il sito
d'azione per agenti nefrotossici che alterano il numero di cariche negative-anioniche fisse sulla membrana
basale del glomerulo, compromettendone la selettività di filtrazione. L’alterazione nelle proprietà selettive di
carica e/o dimensione del glomerulo si manifesta con proteinuria, con proteine ad alto PM.
 Vale per antibiotici (penicillina, doxorubicina, mitomicina) e metalli pesanti tra cui Hg (elementare e
inorganico)
TUBULO PROSSIMALE (glicosuria, proteinuria, poliuria)
Sito d'elezione per la tossicità da xenobiotici, perché più esposto del resto del rene. Infatti, qui avviene la maggior
parte del riassorbimento e arricchimento di sostanze dal filtrato. È la sede selettiva di accumulo di metalli
pesanti e altri xenobiotici (nefrotossicità da elevate concentrazioni di sostanza a livello sia intracellulare che nel
filtrato).
Inoltre, è la sede (quasi esclusiva) di trasporto tubulare attivo (secrezione) di cationi/anioni organici, proteine
a basso OM e peptidi, coniugati del GSH e metallipesanti.
È la sede quasi esclusiva della bioattivazione (cit P450 , beta-ligasi) quindi è la sede del processo di
biotrasformazione che attiva gli xenobiotici tossici.
Infine, è anche la porzione del rene che ha il bisogno maggiore di ossigeno e glucosio, il che la rende più
suscettibile ad episodi ischemici, che causano a questo livello sofferenza renale.
 Vale per i mezzi di contrasto usati in radiologia, antibatterici come gli amminoglicosidi, il
paracetamolo, il cis-Pt, idrocarburi alogenati, metalli pesanti, micotossine

ANSA DI HENLE/TUBULO DISTALE/DOTTI COLLETTORI


Sono sedi di tossicità più inusuali. C’è una minor capacità di concentrare e acidificare l’urina con poliuria ADH-
resistente. Alcuni esempi: Amfotericina B (fingicida), Cis-Pt, FANS.

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Tossicologia – IR19

URETERI-vie urinarie
Sono i collegamenti tra rene e vescica e non costituiscono un bersaglio per i composti nefrotossici. Tuttavia,
possono andare incontro a cancerogenesi in seguito ad esposizione ad ammina aromatiche, così come la
vescica. Le amine aromatiche sono potenzialmente cancerogene per l’epitelio vescicale: 2-naftilamina (deriva
dalla produzione di anilina), benzidina, 4-aminobifenile (esposizione profssionale).

La maggior parte dei farmaci clinicamente importanti e degli agenti chimici nefrotossici hanno un effetto
citotossico diretto sul nefrone.

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Tossicologia – IR19

Di seguito gli agenti con attività nefrotossica che non sono farmaci.

Metalli pesanti
Hg (elementare e inorganico), Pb (organico e inorganico), Cd, Cr, Cu, U, Fe, Au, Pt, Bi, As organico e inorganico.
Sono caratterizzati da una manifestazione comune di tossicità, perché si accumulano nelle cellule del tubulo
prossimale a causa della presenza di sistemi di trasporto e siti di legame (quali i gruppi SH delle proteine).
La tossicità è data dall’interazione con i gruppi solfidrilici proteici critici a livello mitocondriale. A livello
mitocondriale servono a ripristinare la componente energetica, sintetizzando ATP, quindi si impedisce al rene di
avere energia.
La loro presenza causa sempre induzione della sintesi epatica di metallotioneine1, che a livello renale
legano i metalli pesanti stessi finendo nei lisosomi, dove vengono degradati e liberati nuovamente per causare
altri danni. Ricordiamo, infatti, che le metallotioneine diminuiscono la tossicità epatica ma aumentano quella
renale.
L’effetto avverso:
o A basse dosi causano una riduzione della VFG conseguente alla perdita di glucosio (glicosuria), AA
(amminoaciduria), proteine (proteinuria. Provocano anche poliuria.
o Ad alte dosi inducono la necrosi tubulare acuta e l’ostruzione del lume del tubulo prossimale.
Portano a conseguenze diverse, come anuria, uremia, blocco renale fino a coma e morte.
o Glomerulonefrite (immune o flogistica)
o Nefrite cronica tubulo-interstiziale (immune o flogistica)

Idrocarburi alogenati (solventi, pesticidi, erbicidi)


La nefrotossicità e spesso correlata alla bioattivazione nel rene e nel fegato, a seconda del tipo di somministrazione
e della dose possono essere sia epato che nefro tossici.
Con queste sostanze solitamente si entra contatto in ambito lavorativo, con un’esposizione professionale. Si hanno
manifestazioni diverse a basse e ad alte dosi.
Comprendono: bifenili policlorurati, dibenzo-diossine, aldrin, dieldrin, lindano che
● A basse dosi provocano glicosuria, aminoaciduria, proteinuria, diminuzione VFG, pliuria
● Ad alte dosi provocano necrosi acuta nel tubulo prossimale e, in misura minore, in altre porzioni del
nefrone. Causano anche: anuria, uremia, blocco renale fino a coma e morte
Ci sono anche paraquat e diquat, che causano:
● Ad alte dosi: lesioni renali che portano anche ad un aumento di lesioni polmonari da ridotta eliminazione
● A basse dosi: lesioni polmonari

Tossici che vengono attivati e sono dannosi nel rene

Derivati volatili del petrolio – idrocarburi derivati dal petrolio


Comprendono solventi, benzine, gasolio per autotrazione e kerosene. Causano:
1. Necrosi tubulare acuta
2. Glomerulonefrite
3. Per esposizione cronica inducono carcinogenesi (adenoma e carcinoma renali)

Alcoli polivalenti
Comprendono solventi, antigelo e ammorbidenti. Sono in questa categoria anche etilen e dietilen glicole e la
glicerina. Causano danno meccanico alle cellule epiteliali e ostruzione del lume del tubulo prossimale. In questo
modo si ha il blocco dell’urina, sovraespressione nei nefroni e accumulo di prodotti velenosi nel sangue.

Micotossine
Aflatossina B, provoca nefropatia e danni in vari organi.

1 Proteina a basso PM, ricca in Cisteina e dotata di elevata affinità per il Cd e altri metalli pesanti. Indotta da basse concentrazioni non tossiche
di metalli. Il complesso metallo-metallotioneina è biologicamente inattivo e la tossicità del metallo dipende dalla concentrazione di metallo
rimasto libero. Il complesso metallo-metallotioneina è filtrato dal glomerulo, viene riassorbito a livello del tubulo prossimale e quindi
degradato dai lisosomi delle cellule tubulari.
279
Tossicologia – IR19

Farmaci noti per avere tossicità renale

Amminoglicosidi
La tossicità di questi derivati (prima tra tutti la streptomicina) è legata ai loro gruppi amminici, a seconda di quanti
ne hanno risultano più o meno tossici. Sono farmaci eliminati esclusivamente con le urine e anche a dosi
terapeutiche causano insufficienza renale acuta.
La neomicina è la più tossica, seguono la micacina, la tobramicina, la streptomicina.
La tossicità a carico del rene è presente già a dosi terapeutiche e ha un'alta incidenza (20-25% dei pazienti
trattati).
Si manifesta con enzimuria, proteinuria, difetti del trasporto (glicosuria, amminoaciduria, presenza di Mg2+
e K+ eliminati nelle urine) e diabete insipido nefrogenico. Provoca una diminuzione VFG fino all’oliuguria e
anuria.
La loro tossicità è dovuta a dei danni al tubulo prossimale: la presenza di NH2 fa sì che la molecola si leghi ai
fosfolipidi di membrana, questi poi vengono internalizzati e raggiungono i lisosomi, inducendone la lisi.
Questi contengono però degli enzimi litici, che sono in grado di demolire le componenti cellulari e che ora vengono
liberati nel citoplasma della cellula: alterano trasportatori di membrana, ponti di membrana, l'omeostasi del calcio,
causano quindi la morte della cellula tramite necrosi.
Filtrati dal glomerulo e riassorbiti nel tubulo prossimale, mediante i gruppi amminici si legano ai fosfolipidi di
membrana e vengono internalizzati nella cellula e quindi nei lisosomi dove si concentrano causando rottura dei
lisosomi stessi, rilascio di enzimi proteolitici, alterazione di pompe di membrana, sistemi di trasduzione del segnale e
omeostasi del calcio. Causano necrosi tubulare acuta, dose dipendente, correlata ai gruppi NH2 presenti nelle loro
molecole.

β-lattamici (penicilline semisintetiche come meticillina)


In particolare le penicilline hanno due modalità:
1. meccanismo diretto sul flusso ematico , diminuisce il flusso ematico renale
2. meccanismo immunitario; glomerilonefrite immune (tipo III) di varia gravità che può culminare con
insufficienza renale acuta.
Lo stesso discorso vale per le cefalosporine (cefaloridin) . Sono sconsigliati per pazienti con reni già compromessi
o ad alte dosi, perché si accumulano nelle cellule del tubulo prossimale e attraverso il trasportatore degli anioni
organici nella membrana basolaterale inducono necrosi tubulare acuta e/o nefrite interstiziale immune (tipo II)
con conseguente risposta del SI.

Tetracicline (dimetilcortetraciclina)
Causano nefrite interstiziale, con poliuria, glicosuria, aminoaciduria, diabete insipido nefrogenico. Le tetracicline
scadute provocano sindrome simile a quella di Fanconi: nausea, vomito, poliuria, polidipsia, proteinuria, acidosi,
glicosuria, marcata aminoaciduria.

Sulfonamidi
Cristalluria (precipitazione in forma cristallizzata nei tubuli renali) dose dipendente, nefrote interstiziale immune
di tipo II.

Amfotericina B
Molecola usata come fungicida, la cui percentuale di incidenza di nefrotossicità è del 75-85% dei pazienti
trattati. Causa una disfunzione renale caratterizzata da uremia, poliuria, eliminazione di potassio e conseguente
ipopotassemia. Coinvolge tutti i segmenti del nefrone e porta a:
1. vasocostrizione pre-renale dell'arteriola diretta al glomerulo, da aumento dell'arrivo del
calcio.
2. Aumenta la permeabilità delle pareti dei tubuli prossimale e distale (da interazione diretta
del farmaco con il colesterolo e a seguito di questa interazione si formano dei canali acquosi o
pori totalmente permeabili sulla superficie cellulare che portano ad una perdita urinaria di
K+ e insufficiente escrezione di H+.

Agenti immunosoppressori
Tra questi rientra la ciclosporina A, che causa disfunzione renale acuta reversibile alla sospensione del
trattamento (minore flusso ematico e VFG, uremia, creatininemia). Questa è correlata alla vasocostrizione renale
indotta dal farmaco tramite la produzione di trombossani ed endotelina ad attività vasocostrittrice
(reversibile). Provoca anche nefrite tubulointerstiziale cronica (arteriopatia, sclerosi glomerulare, fibrosi
interstiziale e atrofia tubulare)

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Tossicologia – IR19

Antivirali (aciclovir, indinavir)


Insufficienza renale acuta oligurica da cristalluria

cis-Pt
Quasi tutti i pazienti trattati riscontrano tossicità renale perché la sostanza viene eliminata tramite il rene e qui
viene bioattivata per andare ad alchilare purine e pirimidine nelle cellule del tubulo, impedendo la sintesi
del DNA in modo irreversibile, impedisce alle cellule di riparare il danno. Si ha necrosi del tubulo prossimale e
distale, di dotto collettore, con riduzione di VFG e flusso renale, insufficienza renale acuta, perdita di globuli rossi
(ematuria), enzimuria, sbilanciamento importante dell'equilibrio elettrolitico (maggiore perdita di magnesio:
ipomagnesiemia), uremia, creatininemia.
Il cis-Pt entra nelle cellule renali tramite meccanismo passivo o facilitato. L’esposizione provoca l’attivazione di
pathways che sono promotori della morte cellulare (p35, MAPK, ROS, ecc.). nel mentre, il farmaco induce la
produzione di TNFa nelle cellule tubulari, il che provoca l’iniziazione della risposta immunitaria che contribuisce al
danno tubulare. Inoltre, il farmaco induce danni a livello del sistema vascolare del rene, che porta a ischemia tubulare
e minor VFG. Tutti questi meccanismi, insieme, causano danno renale acuto.

Metotrexato
Cristalluria: precipitazione nei tubuli renali del farmaco immodificato e dei suoi metaboliti secreti attivamente
dalle cellule epiteliali.

FANS e COXIB
Sono tra i farmaci più usati e sono in grado di dare un danno di tipo acuto ma anche di tipo cronico. Causano danno
glomerulare e necrosi tubulare, dovuta ad una scarsa perfusione del tessuto. Virtualmente, tutti i FANS e i COXIB,
in particolari condizioni d’uso, possono causare insufficienza renale acuta e cronica (16% dei pz. trattati).
I FANS provocano:
● Riduzione di VGF
● Ipertensione e insufficienza cardiaca
● Ridotta produzione di urine
Questo quadro clinico insorge dopo poche ore dall'assunzione di alte dosi di FANS per pazienti che nel rene
hanno un’emodinamica dipendente dalle prostaglandine di tipo compensatorio: alcune patologie (cirrosi,
insufficienza cardiaca, malattie cardiovascolari) infatti portano intrinsecamente alla produzione di sostanze
vasocostrittrici, a causa della riduzione di flusso ematico renale e riduzione del volume ematico, a cui
l'organismo risponde rilasciando appunto vasocostrittori come l’angiotensina, la vasopressina, le catecolamine
ecc.
In questi pazienti il flusso ematico renale viene garantito dalla presenza di PGE2 (prostaglandine di tipo
vasodilatatorio), proprio perché in generale ci sono livelli alti di vasocostrittori la cui azione deve essere
compensata da un’azione vasodilatatoria in situ: se però somministriamo alte dosi di FANS che inibiscono il
rilascio di PGE2 si esaspera il quadro vasocostrittore, con riduzione drastica di perfusione renale. Si arriva
al danno renale per scarsa perfusione dell'organo. L’insufficienza renale acuta da FANS (necrosi tubulare,
ipoperfusione) è correlata all’azione principale di inibizione delle PG. È caratterizzata da maggior resistenza
vascolare renale con minor flusso sanguigno e VFG. Si ha ritenzione idrosalina e quindi ipertensione e/o
insufficienza cardiaca, oliguria, ipoaldosteronismo iporeninemico quindi iperkaliemia. Insorge entro ore dopo
l’assunzione di dosi elevate di FANS o in pazienti le cui malattie di base portano a emodinamica renale dipendente
dalla sintesi di prostaglandine vasodilatatrici compensatorie PGE2. Di solito è rapidamente reversibile
all’interruzione del farmaco.

281
Tossicologia – IR19

Per il quadro da esposizione cronica da FANS il discorso è diverso: qui si causa un danno irreversibile, una
nefrite interstiziale di tipo allergico. Non è correlata all’azione farmacologica principale, è rara ma grave e
insorge dopo parecchi mesi-1 anno di trattamento con FANS, soprattutto fenoprofene.
Causa anche la necrosi papillare che è correlata con il declino della VFG molto accentuato, con incapacità totale
di concentrare l'urina e blocco totale della filtrazione con anuria. Questo porta all'aumento del K+ circolante a
seguito di un pesante squilibrio elettrolitico (iperpotassemia), che causa problemi al muscolo cardiaco. Presenta
acidosi metabolica tra i sintomi.
La necrosi papillare insorge in trattamenti di durata oltre i 3 anni, con uso di dosi elevate di farmaci analgesici da
soli o in combinazione (aspirina-fenacetina, paracetamolo-caffeina, ecc) e si chiama nefropatia da analgesici.

Paracetamolo
Con lo stesso meccanismo di danno epatico (produzione di un metabolita attivo) causa anche tossicità renale se si
superano i 4 g di paracetamolo al giorno, spesso in combinazione con altri FANS o negli etilisti (l’alcol causa
un’induzione enzimatica che lo trasforma nel suo metabolita tossico). Questo causa necrosi del tubulo prossimale
con aumento dell'azotemia e calo della VFG. Nell’urina causa la presenza di glucosio e proteine ma questo
effetto resta reversibile con la sospensione del trattamento farmacologico.
(Meccanismo d’azione: prevede la bioattivazione ad un metabolita altamente epato-nefrotossico, con deplezione
di GSH e stress ossidativo).
Il paracetamolo, usato da solo, è l’analgesico più sicuro in pazienti con insufficienza renale.

Anticonvulsivanti
Fenitoina (glomerulonefrite, segni di arterite)
Trimetadione e parametadione (non in Italia) danno rischio di sindrome nefrotossica.

Antireumatici
Per esempio i Sali d’oro, danno glomeriulonefrite progressiva immune quindi agiscono tramite attivazione SI

Anestetici generali inalatori a base di furano


Gli ioni F danno insufficienza renale acuta: ostacolano il riassorbimento di sodio e acqua con un sovraccarico delle
parti distali del nefrone ed esaurimento funzionale.

Litio
Diabete insipido nefrogenico, nefrite interstiziale cronica, glomerulonefrite

Diuretici
Nefrite interstiziale immune e insufficienza renale acuta

Mezzi di contrasto radiologici


Possono, soprattutto se somministrati per via intrarteriosa o per angiografia renale in pazienti con deficit renali,
dare luogo ad alterazione di tipo emodinamico tramite vasospasmo dell'arteriola afferente.
Contemporaneamente causano un danno a livello del tubulo (necrosi tubulare prossimale, cristalluria) e
insufficienza renale acuta.

282
Tossicologia – IR19

TOSSICITÀ DEL SISTEMA IMMUNITARIO


Il sistema immunitario è preposto alla difesa dell'organismo tramite segnalazione di possibile tossicità e
reazione conseguente. Prevede l'intervento di componenti cellulari ed organiche diverse tra loro:
● Organi linfoidi primari: midollo osseo, timo. Qui avviene maturazione e differenziazione dei linfociti
B e T.
● Organi linfoidi secondari: milza e linfonodi, qui avviene la presentazione degli antigeni ai linfociti
maturi. Interazione dei linfociti maturi con antigeni derivati da sostanze esogene.
● Organi linfoidi terziari: cute, polmoni, intestino e tratto genito-urinario, dove ci sono cellule di
memoria e cellule effettrici che esercitano azione immunologica. Le prime ricordano una precedente
esposizione alla sostanza ed in base a questo scatenano la risposta immunitaria, allo scopo di eliminare la
minaccia nell’organismo.

L'immunità è un termine che comprende tutta una serie di meccanismi che permettono all'organismo di
distinguere tra materiale self e non-self, ed eventualmente di eliminare quest'ultimo. Le modalità sono due:
1. Immunità innata o naturale costitutiva, aspecifica
É una modalità di difesa dell'organismo che elimina (molto spesso quotidianamente) potenziali patogeni
prima che insorga un'infezione. Gli elementi fondanti sono:
o Barriere fisiche e biochimiche: strato corneo della cute, muco del tratto naso-faringeo, lisozima
nelle secrezioni, ciglia nell'epitelio bronchiale, aumento di T corporea, riflesso della tosse, vomito,
starnuto
o Fattori solubili del plasma: citochine, sistema del complemento
o Cellule con ruoli specifici nel SI, dette immunocompetenti: si dividono in
 cellule fagocitarie (polimorfonucleati tra cui troviamo neutrofili, basofili, eosinofili,
monociti, macrofagi)
 linfociti NK

2. Immunità acquisita, estremamente specifica


Ciò che la differenzia dalla precedente è la sua specificità: le barriere fisiche sono lì indipendentemente
dalla natura del patogeno, mentre gli elementi di immunità acquisita appartenenti al SI possono
contrastare i patogeni in modo diverso e sono dotati di memoria che permette di riconoscere i patogeni
al secondo contatto. Vi è infatti un riconoscimento specifico tra antigene e anticorpo, che coinvolge
tutta una serie di cellule che mettono in atto la risposta immunitaria più adeguata, tramite la produzione
di anticorpi (immunoglobuline).
Per definizione l'antigene è una macromolecola che induce una risposta immunitaria quando l'organismo
vi entra in contatto, causando la produzione di un anticorpo specifico a cui si lega in modo altamente
specifico.
Perché ciò avvenga deve essere dotato di una certa complessità strutturale e ingombro sterico: le proteine
sono quelle maggiormente immunogeniche perché presentano caratteristiche maggiormente calzanti
per questi requisiti.
Le proteine però non causano sempre risposta immunitaria: se sono tanto piccole perdono la loro
immunogenicità (risultano immunogeniche solamente se PM > 10 kDa), e in queste condizioni possono
funzionare come apteni2, legandosi a dei carrier (cellule o altre proteine) che permettono di scatenare
comunque la risposta immunitaria.
Le componenti cellulari importanti per l’immunità acquisita sono:
o Linfociti T: riconoscono solo la forma frammentata in 8-9 AA dell’antigene, dopo che i macrofagi
l'hanno fagocitato, degradato e sono diventate APC (Antigen Presenting Cells), che espongono solo
alcune parti dell'antigene
o Linfociti B: riconoscono l’antigene nella sua forma nativa, solubile
o Immunoglobuline: hanno pesi e distribuzioni diverse in distretti diversi.

2
Gli apteni sono antigeni di piccole dimensioni che devono coniugarsi con proteine carrier per evocare una risposta specifica

283
Tossicologia – IR19

L’immunità acquisita si suddivide ulteriormente in due sottoclassi.


1. Immunità umorale: prevede la produzione di anticorpi da parte dei linfociti B. Quando
l'anticorpo si lega all'antigene, infatti, si formano degli immunocomplessi che possono
precipitare (se si tratta di immunocomplessi formati da antigeni solubili) o possono portare ad
agglutinazione (se gli antigeni si legano a delle vere e proprie cellule).
La precipitazione degli immunocomplessi può causare una risposta immunitaria sistemica, ma
causa anche tossicità in situ, come abbiamo visto nel caso della nefrotossicità.
2. Immunità cellulare: coinvolge soprattutto i linfociti T che, quando sono maturi, esprimono
recettori specifici per l'antigene, che li rendono competenti a legarlo e riconoscerlo (sempre
in presenza del MHC).
Una volta avvenuto il legame si ha l'attivazione ed espansione clonale dei linfociti T: questo
processo mediato dalla produzione dell'IL-2 porta ad una grandissima produzione di questi
stessi linfociti, tutti in grado di legare il medesimo antigene.
Ricordiamo che il ruolo dell’IL-2 è sfruttato in farmacologia, nei pazienti che hanno subito un
trapianto, in cui possono verificarsi fenomeni di rigetto dell’organo che sono mediati proprio
da questo meccanismo immunitario: i farmaci anti-rigetto spesso sono inibitori di IL-2, quale
principale mediatore chimico della risposta immunitaria cellula-mediata.

284
Tossicologia – IR19

Nell’immagine sono rappresentati i meccanismi di immunità acquisita mediati dai vari tipi di linfociti:

● Linfociti B: riconoscono e fagocitano l’antigene, neutralizzando qualsiasi tipo di patogeno. Dopo la


fagocitosi si ha l’attivazione del complemento.
● Linfociti T-helper: riconoscono l’antigene ed entrano in espansione clonale, con conseguente
neutralizzazione della minaccia.
● Linfociti T-citotossici: sono in grado di riconoscere un antigene legato su una cellula e di uccidere la
cellula che porta quell’antigene (questo meccanismo è sfruttato nelle moderne terapie antitumorali, in cui
si condizionano questi linfociti in modo che riescano a riconoscere selettivamente e ad attaccare le cellule
tumorali)

Al fine di indurre una risposta immune specifica nei confronti di un dato antigene, questo deve essere catturato e
modificato da parte di cellule accessorie dette APC (antigen presenting cells, macrofagi o cellule B), per poter poi
essere presentato ai linfociti.
Le APC fagocitano l’antigene, lo frammentano, lo espongono sulla propria superficie cellulare, legato al complesso
di proteine denominato MHC II.
Con il legame dell’antigene alle Ig poste sulla superficie della membrana cellulare, le cellule B mature passano ad
uno stato di attivazione, proliferano, e vanno incontro ad una differenziazione in cellula B con memoria oppure in
cellula produttrice di anticorpi.

285
Tossicologia – IR19

Ciò che distingue l’immunità innata da quella acquisita, oltre alle varie dinamiche cellulari presenti, è soprattutto
la tempistica. Nell'immunità acquisita sono previste due tempistiche di risposta:
1. Risposta primaria: avviene dopo 8-14 giorni. Si sviluppano cellule B e T della memoria, che ricordano
l'antigene con cui sono venute a contatto per moltissimo tempo: la nuova esposizione potrebbe avvenire
anche dopo anni, garantendo comunque efficacia di attivazione del SI.
2. Risposta secondaria: è più veloce (avviene entro 24-72 h) e molto più intensa. Avviene dalla seconda
esposizione all'antigene: è necessario solamente riconoscerlo fisicamente attaccandolo e dare luogo alla
risposta immunitaria vera e propria, che noi riconosciamo come reazione allergica, con la produzione
di molti linfociti t (espansione clonale).
N.B.: La risposta allergica è definita come una risposta imprevedibile e dato che nelle forme sistemiche e più gravi
può compromettere la sopravvivenza dell’individuo è anche considerata come uno degli avvenimenti più
pericolosi che si possano riscontrare in un paziente.

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Tossicologia – IR19

Approfondimento sulle immunoglobuline o Anticorpi

Si tratta di glicoproteine prodotte dalle cellule B, che hanno tutte la stessa struttura di base: troviamo sia catene
leggere che catene pesanti, con una regione costante (Fc) che media le funzioni effettrici (come il legame con i
fagociti e la fissazione del complemento) e una regione variabile preposta al riconoscimento specifico
dell'antigene.

Ne esistono 5 sottotipi, che si differenziano per:


● Emivita diversa
● Localizzazione diversa

Come si può vedere dalla tabella proposta, le immunoglobuline mediano risposte differenti nell’ambito del SI. In
parentesi le percentuali plasmatiche delle Ig.

Classe PM Vita media (giorni) Caratteristiche biologiche


(Dalton)
IgA (17%) 170.000 6 Si trovano nel secreti intestinali, bronchiali, salivari,
lacrimali. Formano dimeri e conferiscono immunità locale
prima che i microorganismi entrino in circolo.
Costituiscono, dove presenti, una prima linea di difesa
contro i patogeni che entrano in circolo dall’esterno (ad
esempio attraverso le vie aeree).
IgG (75%) 150.000 23 Fissano il complemento, passano la placenta
IgM (7%) 900.000 5 Fissano il complemento, agglutinano con facilità, formano
pentameri e vengono prodotte precocemente (risposta
primaria)
IgD (0,2%) 180.000 3 Poco abbondanti nel sangue. Hanno ruolo di recettore per
l’antigene e per l’espansione clonale. Circa il 50% del
linfociti B possiede IgD sulla sua membrana plasmatica.
IgE (0.004%) 190.000 2 Responsabili dei fenomeni allergici, si legano ai basofili e
ai mastociti provocandone la degranulazione e la
liberazione di mediatori flogistici. Sono coinvolte nei
fenomeni di tipo allergico, perché possono legarsi ai
mastociti causandone la degranulazione, ovvero la
liberazione dei granuli di istamina, fattori coagulanti e altri
mediatori della risposta allergica.

Al fine di scatenare la risposta immunitaria ci sono degli eventi fondamentali che devono necessariamente
avvenire:
1. L’antigene deve essere catturato e modificato dalle cellule immunitarie accessorie dette APC
(linfociti B oppure macrofagi), che lo devono collocare sulla loro superficie esterna per consentirne il
riconoscimento da parte degli altri linfociti B maturi. Le APC quindi fagocitano, frammentano e poi
espongono l’antigene sulla loro superficie cellulare, legato alle proteine del MHC II.
2. Quando è avvenuto il riconoscimento tra le immunoglobuline e i frammenti di antigene, le cellule del SI
(dette immunocompetenti, ovvero linfociti B maturi) passano ad uno stato di attivazione che si
concretizza fondamentalmente in una intensa proliferazione cellulare, differenziandosi in:
● Cellule B della memoria
● Cellule che producono anticorpi (cellule effettrici)

 Gli eventi scatenanti la risposta sono quindi l’internalizzazione dell’antigene, la sua modificazione
e conseguente esposizione, il riconoscimento con le immunoglobuline e l’attivazione delle cellule
immunocompetenti

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Tossicologia – IR19

IMMUNOTOSSICITÀ
Ci sono due modalità con cui uno xenobiotico può provocare immunotossicità:
1. Immunostimolazione (più frequente): ci sarà una risposta imprevedibile ed eccessiva rispetto allo
stimolo, che generalmente non dovrebbe provocare una risposta di quel tipo. Rientrano in questo
quadro anche le reazioni autoimmuni, in cui il SI reagisce non contro uno xenobiotico ma contro una
componente self dell'organismo.
2. Immunodepressione: ad esempio HIV/AIDS, in cui i soggetti sono molto vulnerabili a tutti i possibili
contatti con virus, batteri e patogeni che sono presenti nell'universo. Ha come conseguenza una maggiore
suscettibilità alle infezione e una maggiore incidenza di neoplasie.

Risposte del sistema immunitario. Le allergie e le malattie autoimmuni:


 Possono interessare solamente alcuni organi o tessuti (asma, dermatite da contatto allergica, epatite
autoimmune)
 Possono essere sistemiche ed interessare tutto l'organismo (shock anafilattico, lupus, sclerodermia)

Dal punto di vista fisiopatologico la causa non risulta sempre essere nota, ma in alcuni casi si sa che esiste una
certa predisposizione genetica per queste reazioni allergiche: questo perché la risposta del SI è mediata da
cellule e recettori, che spesso sono soggetti a polimorfismi e che quindi possono presentare variabilità
interindividuale non indifferente.

ALLERGIE A XENOBIOTICI
Le allergie sono reazioni avverse (e quindi patologiche) che avvengono attraverso l'attivazione del SI,
caratterizzate da entità spropositata e avvenute in seguito ad esposizione a sostanze che non sono
normalmente pericolose (pollini, acari della polvere, alimenti e additivi, farmaci, ecc.). presentano numerose
sintomatologie, da lievi e locali a gravi e sistemiche.
Possono interessare:
● Un apparato particolare (organo-specifiche, monosistemiche), come quelle della zona cutanea o
dell’apparato respiratorio
Manifestazioni monosistemiche:
o Apparato cutaneo (le più frequenti)
o Apparato respiratorio
o Manifestazioni ematologiche
o Manifestazioni epatiche
o Manifestazioni renali
● Più sistemi o tessuti, in questo caso sono dette generalizzate o multisistemiche, comprendono:
o Shock anafilattico
o Reazione tipo Malattia da siero
o Vasculiti
o Malattie autoimmuni iatrogene

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Tossicologia – IR19

Caratteristiche comuni a tutte le reazioni allergiche:


 Interessano un numero limitato di soggetti
 Non sono prevedibili attraverso gli studi animali
 Richiedono
o un primo contatto sensibilizzante asintomatico, in seguito al quale dopo 7-14 giorni si ha
l’attivazione di reazioni di ipersensibilità, con la formazione significativa di anticorpi rivolti verso
quello xenobiotico. Infatti, l’attivazione della reazione richiede la presenza di anticorpi Ag-
specifici già formati o di cellule T della memoria. Questa è la fase in cui i linfociti T in parte
finiscono a produrre anticorpi, e in parte costituiscono le cellule della memoria. È una fase
molto importante perché le cellule della memoria che vengono generate in questo momento non
hanno solamente la capacità di riconoscere quello specifico antigene, ma anche molecole
che vi somigliano molto, aprendo la possibilità che si verifichino in futuro anche reazioni
allergiche crociate. Non si hanno manifestazioni cliniche perché non sono ancora presenti
anticorpi specifici per quell'Ag.
o La seconda fase è detta invece contatto scatenante, e ha luogo quando avviene la riesposizione
all’antigene o ad una molecola molto simile: alla riesposizione il pattern anticorpale è già
pronto all’uso, quindi molto velocemente si ha la reazione da ipersensibilità che cessa al termine
dell'esposizione all'antigene. Le manifestazioni cliniche in questa fase sono definite stereotipate,
perché anche se sono scatenate da sostanze strutturalmente diverse avvengono sempre con le
stesse modalità.
 Le manifestazioni cliniche si interrompono al cessare dell’esposizione da xenobiotico.
Una risposta tossica che coinvolge il SI si differenzia dalle altre che abbiamo visto in precedenza perché:
● Il numero di soggetti che la sperimenta è
variabile, perché è imprevedibile per definizione,
ma generalmente basso. Contrariamente a quella
che può essere la risposta tossica o la risposta
idiosincrasica, qui è necessaria un’esposizione
precedente a quella scatenante la reazione. La
risposta idiosincrasica prevede comunque un
numero basso di soggetti che vi sono sottoposti, ma
questi hanno tutti un corredo genetico che presenta
qualche polimorfismo che li rende proni a
presentarla, e per questo è identificabile e
prevedibile a priori (se conosco il gene interessato).
● Non dipende dalla quantità di xenobiotico, a
differenza della risposta tossica classica (che varia
entità ma anche la modalità di tossicità in base alla dose) e dalla risposta idiosincrasica, che sono legate alla
dose.
● Il meccanismo d’azione prevede l’interazione antigene-anticorpo, dove l’anticorpo è una struttura
biologica specifica per il riconoscimento di un certo tipo di antigene o molecole molto simili; nella reazione
tossica classica invece abbiamo l’interazione di una molecola di xenobiotico con un recettore, una controparte
che è preposta a specifiche funzioni fisiologiche.
● L’effetto prodotto non dipende, come nella risposta tossica classica, dalla funzione espletata dal
farmaco o dalla controparte con cui lo xenobiotico ha interagito, bensì dipende da:
o Tipo di anticorpo rilasciato
o Eventuale azione diretta esercitata dal complesso antigene-anticorpo
● Il trattamento viene fatto sempre con anti-H1, glucocorticoidi o adrenalina, mentre per la reazione
tossica classica e per quella idiosincrasica si prevede un trattamento che dipende dallo xenobiotico e dal
substrato coinvolto (ho quindi degli antagonisti specifici). Gli anti-H1 intervengono solo nelle prime fasi della
risposta allergica, perché bloccando tale recettore in prossimità di distretti in cui è già stato attivato
dall’istamina liberata dai mastociti non si avrà alcun beneficio per il paziente ai fini del blocco della risposta
allergica ormai in corso: se ho già passato questo punto, uso dei glucocorticoidi o adrenalina.

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Tossicologia – IR19

Fattori di variabilità delle risposte allergiche


Un fattore da non sottovalutare nel considerare la diversificazione delle varie risposte allergiche è la via di
somministrazione:
● La via topica è associata ad un’alta incidenza di sensibilizzazione
● La via intravenosa corrisponde ad una alta incidenza di anafilassi sistemica grave e a decorso rapido
Nella variabilità delle risposte allergiche a xenobiotici un altro fattore importante è la storia clinica e familiare del
paziente.

CLASSIFICAZIONE DELLE RISPOSTE ALLERGICHE secondo Gell e Coombs


Le reazioni allergiche sono classificate in base al tempo di latenza e alla comparsa dei sintomi in seguito
all’esposizione scatenante dell’Ag. Secondo i noti meccanismi effettori che sono alla base delle risposte
fisiopatologiche si definiscono:
 Reazioni di ipersensibilità immediata: tipo I, II, III, hanno rapida insorgenza e si verificano dopo un
intervallo di tempo che va da qualche minuto a delle ore dall’esposizione. Coinvolgono meccanismi
mediati da anticorpi.
 Reazioni di ipersensibilità ritardata: tipo IV, hanno un’insorgenza che avviene da qualche ora dopo
l’esposizione fino a qualche giorno. Coinvolgono meccanismi mediati da anticorpi.

Quindi:
1. Risposte di tipo I – reazioni anafilattiche mediate da IgE: sono mediate dalle IgE e sono dette anche
reazioni anafilattiche. Si ha il legame tra anticorpo IgE e recettore sul mastocita (o sui basofili), che
quindi libera i granuli che contiene nel torrente circolatorio (reazione di degranulazione). I granuli
contengono istamina, serotonina e sostanze chemiotattiche, oltre a mediatori ad azione anticoagulante.
Nei 10-15 minuti successivi a questo evento comportano edema, vasodilatazione prolungata e
infiammazione. Sono quadri clinici che compaiono per reazioni allergiche di gravità variabile, come asma,
orticaria, allergie alimentari, shock anafilattico
Sono indotte da: penicilline e derivati beta-lattamici, cefalosporine, anidride ftalica, Pt, Ni
e toluene isocianato

2. Risposte di tipo II – citolitiche mediate da IgG e IgM: sono mediate da IgG e IgM, e sono anche dette
reazioni citolitiche. La reazione allo xenobiotico prevede la combinazione dell'anticorpo con la cellula
bersaglio e quindi l'attivazione dei linfociti NK. Questi inglobano anche la cellula presentante
l'antigene. Sono manifestazioni di questo tipo di reazioni malattie conosciute come l’anemia emolitica o la
miastenia grave.
 Sono indotte da molecole di xenobiotico che si comportano da apteni, come idralazina,
metildopa, procainamide

3. Risposte di tipo III – reazioni di Arthus medite da IgG: sono mediate dalle IgG, note anche come
reazioni di Arthus. Sono molto gravi perché si formano degli immunocomplessi Ag-Ab che precipitano
in vari distretti, tra cui le pareti dei vasi (vasculite) oppure il tessuto renale (glomerulonefrite). Provocano
lupus, glomerulonefrite o artrite reumatoide
 Sono indotte da apteni: penicillina, sulfonamide, tiouracile

4. Risposte di tipo IV – macrofagi e linfociti T: sono dette reazioni di ipersensibilità ritardata,


prevedono un secondo contatto con l'antigene e generano una risposta infiammatoria entro 1-3 giorni
dal contatto stesso. Un esempio è la dermatite da contatto.
Le causano gli apteni da Ni, benzocaina, penicillina, neomicina, Cr

Tipo Meccanismo Esempio


I IgE mediata Anafilassi acuta, orticaria
II Citolisi complemento-mediata Anemia emolitica
Opsonizzazione Trombocitopenia
III Danno da immuno-complessi Malattie da siero
Febbre da farmaci
Vasculiti
IV Cellule T-mediata Sensibilità da contatto

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Tossicologia – IR19

In particolare, la penicillina media tutti questi tipi di reazioni allergiche: la manifestazione più frequente per
l'allergia a questo antibiotico è l'orticaria, la febbre, ma si arriva anche a broncospasmo, vasculite, quindi
infiammazione della parete vasale, fino ad arrivare allo shock anafilattico, che può compromettere la
sopravvivenza del paziente.
Bisogna tenere a mente che questa estrema sensibilità alle penicilline implica anche che le cefalosporine possano
dare luogo a meccanismi di sensibilizzazione crociata.
La sensibilizzazione alla penicillina (antibiotico beta-lattamico) spesso è occulta: cibi contenenti penicillina o
Penicillum notatum.
Le reazioni avverse immuno mediate si verificano con elevata frequenza (1/100 somministrazioni).
Sensibilizzazione crociata con le cefalosporine (sempre beta-lattamici): circa 10% con cefalosporine di prima
generazione, 1-3% con quelle di terza generazione.
Ordine di frequenza delle reazioni allergiche alla penicillina:
● Orticaria,
● Febbre,
● Broncospasmo,
● Vasculiti,
● Malattia da siero/Steven-Johnson,
● Anafilassi.
Quasi tutte le classi di farmaci inducono allergie: Altri xenobiotici non farmaci:
● FANS ● Formaldeide presente nei detergenti, nei
● Anestetici disinfettanti (reazioni di tipo I e IV)
● Antiipertensivi e antiaritmici ● Anidride ftalica
● Contrasti in radiologia ● Metalli pesanti come Ni, Pt, Cr, Au, Hg,
● Chemioterapici antibiotici Be (reazioni alla bigiotteria contenente
nichel, per esempio)
● Pollini e polveri di casa
● Veleno degli imenotteri come le api e le
vespe
● Allergia al lattice

I farmaci possono indurre qualsiasi tipo di risposta allergica (tipo I, II, III e IV)
Le forme più comuni di risposta allergica (prevalentemente di origine occupazionale) indotta da sostanze chimiche
non-farmaci sono:
● Tipo I: asma
● Tipo IV: dermatiti da contatto

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Tossicologia – IR19

Anafilassi sistemica
È una risposta potenzialmente fatale, la cui insorgenza è solitamente rapida ed improvvisa, che è associata
ad una liberazione massiccia di allergeni nel circolo ematico. La sua potenziale gravità rende la
somministrazione di farmaci anti-H1 praticamente inutile: infatti, data la gravità del quadro clinico che viene a
delinearsi quando si ha uno shock anafilattico, gli interventi che vengono fatti sul paziente sono sempre rivolti a
ripristinare e garantire le sue funzioni di base, come la respirazione.
Un soggetto può sperimentare una reazione anafilattica ad una puntura di insetto, in modo imprevedibile, e nel
giro di qualche minuto dall’esposizione; la reazione può anche essere lunga se non è possibile allontanare lo
xenobiotico (es. ingestione), oppure se ci sono reazioni bifasiche (tardive, diverse ore dopo la prima reazione.
La parte della lingua e del primo cavo orale si rigonfiano, ostruendo le vie aeree ed impedendo la respirazione
in modo estremamente pericoloso.
Le manifestazioni successive dipendono dall'esposizione:
● Esposizione transcutanea: ne sono un esempio le punture di insetto, che causano alterazione funzionale
del sistema respiratorio, con costrizione delle vie aeree, oppure di quello cardiovascolare, con
vasodilatazione molto pronunciata con ipotensione periferica massiva che mette in difficoltà il
cuore.
● Esposizione orale: riguarda le allergie alimentari, interessa il sistema GI (con dolori, crampi
addominali, diarrea, vomito), le alte vie respiratorie (coinvolgimento che si ritrova tipicamente facendo
uso di deodoranti spray, quando si inala parte del propellente) con edema laringeo, ostruzione delle vie
respiratorie e asfissia, le basse vie respiratorie (eccesso di produzione di secrezione bronchiale che
ostacola la via dell'aria riempiendo il bronco, aumento della contrattilità bronchiale, broncospasmo, che
contribuisce al senso di dispnea).
● Esposizione sistemica: avviene a causa di assunzione per via endovenosa di farmaci (es. penicillina) e si
manifesta con alterazione dell'apparato cardiovascolare e con coinvolgimento significativo del
compartimento vascolare. Questo perché l'istamina causa vasodilatazione periferica ed ipotensione,
oltre ad un'aumentata permeabilità vascolare con accumulo dello spazio extravasale di sangue: arrivo
ad ipotensione, conseguente tachicardia, shock cardiogeno che indica un’attività cardiaca compromessa
che deve essere ripristinata per garantire la sopravvivenza dell’individuo.

In molti casi questa tossicità (l’anafilassi in generale) si rivela fatale, soprattutto se vede il coinvolgimento di
apparato cardiovascolare e respiratorio, anche perché necessita di un intervento immediato e di personale
competente, cosa non sempre possibile.
 Agenti che causano anafilassi fatale: antibiotici, punture di insetti, mezzi di contrasto per
radiologia, FANS, contatto con il lattice e alcuni alimenti

Trattamento anafilassi sistemica:


1. Ripristino attività cardiaca: adrenalina intramuscolare ripetuta nel tempo, massaggio cardiaco.
Immediata somministrazione di adrenalina per via intramuscolare (0,5-1 mg, ripetibile se necessario ogni
3-10 min),
2. Anti-H1 solo nelle fasi precoci: la prima operazione è seguita da antistaminici per trattare la fase precoce
3. Respirazione artificiale per mantenere la ventilazione. Mantenimento della pervietà delle vie aeree;
ossigenoterapia; fluidoterapia; massaggio cardiaco esterno
4. Interferire con attivazione SI e con manifestazioni periferiche come broncospasmo (corticosteroidi per
trattare il broncospasmo e prevenire la fase tardiva dell’anafilassi)

Comuni cause di anafilassi sistemica fatale:


● Antibiotici (penicilline, cefalosporine)
● Mezzi di contrasto radiografici (iodati)
● Veleni di imenotteri
● FANS
● Alcuni alimenti
● Lattice

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Tossicologia – IR19

SOSTANZE CHIMICHE CHE INDUCONO IMMUNOSOPPRESSIONE

Farmaci che possono indurre immunodeficienza secondaria o acquisita:


● Immunosoppressori: sono farmaci che sfruttano l’immunosoppressione come vantaggio terapeutico,
come i farmaci antirigetto che vengono somministrati a chi subisce un trapianto d’organo. Ciclosporina A
● FANS
● Antireumatici
● Glucocorticoidi
● Antitumorali
● Antifungini (griseofulvina)
● Sostanze d'abuso (etanolo, oppioidi, cannabinoidi, cocaina)

Fatta eccezione per quelle sostanze ad impiego terapeutico che sfruttano l’immunosoppressione per
alcune condizioni patologiche, tutte le altre sostanze citate in elenco causano immunodepressione come
effetto collaterale.

Effetto immunosoppressore della ciclosporina3


Inibisce la proliferazione dei linfociti bloccando la trascrizione dell'IL-2 tramite il blocco della via di signaling Ca2+-
dipendente.
In particolare, questo è possibile perché nelle cellule è presente la calcineurina, una proteina ad attività fosfatasica
che toglie gruppi fosfato all'NF-ATC, che così trasloca dal citoplasma al nucleo, dove fa da fattore di
trascrizione per l'IL-2.

 Inibendo la calcineurina (la ciclosporina si lega alla ciclofillina a, formando un complesso


macromolecolare che si lega proprio alla calcineurina, inibendola) questo sistema si blocca, e con esso
anche l'espansione clonale dei linfociti

Effetto immunosoppressore dei corticosteroidi


Gli effetti dei corticosteroidi sono mediati da recettori specifici in grado di modulare la trascrizione genica. Essi si
legano al recettore intracellulare per i glucocorticoidi inducendo il distacco del recettore dal complesso
macromolecolare formato con HSP90 e la sua traslocazione a livello nucleare.
Qui il recettore reagisce con il DNA, attivando o inibendo la trascrizione di geni il cui promotore contiene elementi
responsivi al recettore per i glucocorticoidi.
Inibisce la trascrizione del gene codificante per l’IL-2 e di altre citochine, e tale azione è responsabile della ridotta
risposta linfocitaria.
Induce linfocitopenia, che consiste in una rapida e transitoria riduzione del numero di linfociti circolanti.

Oltre ai farmaci, esistono anche altre sostanze chimiche in grado di indurre immunodeficienza secondaria (o
acquisita): e questi non sono farmaci
 Benzene; idrocarburi polialogenati (bifenili policlorurati e polibrominati; diossine)
 Insetticidi organofosforici (parathion, malathion) ed organoclorurati (DDT, aldrin, lindano)
 Metalli in alte concentrazioni per esposizione sistemica (Pb, Ni, Cd, Hg organico e inorganico, As,
organostannici)
 Inquinanti atmosferici (esposizione per via inalatoria): gassosi (ozono, ossido d'azoto); metalli
aviotrasportati (Ni, Cd, Zn, Pb, Mg); asbesto; silice

3 E’ dovuto all’inibizione della proliferazione dei linfociti T attraverso il blocco della via Ca++-dipendente della
regolazione della trascrizione di IL-2, e quindi alla soppressione delle fasi più precoci dell’espansione clonale
In particolare, la ciclosporina si lega alla ciclofillina A, che è considerata il recettore principale per la ciclosporina.
Tale legame porta alla formazione di un complesso macromolecolare che si lega alla calcineurina responsabile di
attività fosfatasica bloccandola. L’attività fosfatasica è essenziale per defosforilare del NF-ATC (cyctosolic nuclear
factor of activated T cells) che defosforilato, trasloca nel nucleo, e induce la trascrizione di numerosi geni tra cui
IL-2, che stimola la proliferazione dei linfociti T

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Tossicologia – IR19

Questa capacità di modulare il SI da parte degli xenobiotici sembra sia alla base, inoltre, dell’aumento di
incidenza di asma nei bambini. Negli ultimi anni, infatti, sembrerebbero avere un’aumentata sensibilità
soprattutto agli inquinanti atmosferici.

L’attività del Si può essere condizionata attraverso 2 principali modalità. La sua sensibilità, infatti, può venire:
 Aumentata (ipersensibilità del SI): in questo caso possiamo incorrere in una reazione sproporzionata nei
confronti di uno stimolo tossico o xenobiotico. Reazione allergica.
 Ridotta: in questo caso il SI viene indirizzato verso una componente dell’organismo stesso: reazione
autoimmune.

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Tossicologia – IR19

REAZIONI AUTOIMMUNI INDOTTE DA XENOBIOTICI


Nelle reazioni autoimmuni, il sistema immunitario riconosce come estranee proteine proprie (self) dell’organismo.
La maggior parte delle malattie autoimmuni nell'uomo è di origine idiopatica (cioè di origine sconosciuta).
La maggior parte delle malattie autoimmuni causate da xenobiotici è caratterizzata dalla produzione di
autoanticorpi (IgG) contro proteine self o proteine self modificate dal legame con lo xenobiotico. Il quadro clinico
che deriva da questa interazione è estremamente variegato.

I meccanismi effettori più frequentemente coinvolti sono quelli delle reazioni di ipersensibilità di tipo II
(citolitiche) e di tipo III (da immunocomplessi).

Esempi di malattie autoimmuni dell'uomo indotte chimicamente


Anemia emolitica autoimmune
L’organismo produce autoanticorpi contro la membrana degli eritrociti
Esempi di composti chimici attivanti (responsabili dell’effetto):
 Farmaci: metildopa (antiipertensivo; L-DOPA (antiparkinson); acido mefenamico (FANS)
 Non farmaci: pesticidi (dieldrin)

Malattia di Goodpasture
Una forma di glomerulonefrite con accumulo lineare di immunocomplessi (Ig) sulla membrana basale
glomerulare. Questa patologia è spesso correlata ad un problema respiratorio, in quanto provoca emorragie
polmonari. Il fattore in comune tra le due patologie è la presenza nel tessuto di collagene: gli autoanticorpi
prodotti, infatti, sono indirizzati al collagene che è presente nei capillari sia a livello alveolare che renale.
In questo caso la tossicità può avere una duplice manifestazione.
Esempi di composti chimici attivanti:
 Farmaci: penicillamina (terapia dell’artrite reumatoide)

Miastenia Grave
Il quadro cinico deriva dall’attacco di autoanticorpi nei confronti del recettore colinergico nicotinico NM sulla
giunzione neuromuscolare4. L’alterazione della placca neuromuscolare si traduce in debolezza muscolare.
Esempi di composti chimici attivanti:
 Farmaci: penicillamina, sali d'oro (terapia dell’artrite reumatoide)

Glomerulonefrite
Derivata dall’accumulo granulare di Ig sulla membrana basale glomerulare, alterandone lo spessore. In questo
modo viene alterato il passaggio dei componenti plasmatici dalla capsula di Bowman al tubulo prossimale: viene
alterata complessivamente la funzione del rene.
Esempi di composti chimici attivanti:
 Farmaci: sali d'oro (terapia dell’artrite reumatoide)
 Non farmaci: composti del mercurio

Lupus Eritematoso Sistemico (LES)


È una malattia infiammatoria cronica di cute, tessuto connettivo e specifici organi interni, associata a presenza di
autoAc circolanti e strie eritematose della cute esposta al sole. In questo caso il quadro è particolarmente
complesso perché gli antianticorpi attaccano le proteine nucleare e gli acidi nucleici. Questo implica che qualunque
cellula può essere un bersaglio: ecco perché la tossicità si manifesta a livello sistemico.
Esempi di composti chimici attivanti:
 Farmaci: idralazina (antiipertensivo vasodilatatore); procainamide (antiaritmico); isoniazide
(antitubercolare); penicillamina, sali d'oro (terapia dell’artrite reumatoide); fenitoina
(anticonvulsivante); griseofulvina (antimicotico); antibiotici (penicillina, streptomicina); metildopa
(antiipertensivo)
 Non farmaci: siliconi

4
Ricordiamo che esistono due tipi di recettori colinergici: nicotinici uno muscolare e uno gangliare. Il recettore
muscolare (o della placca neuromuscolare) traduce il segnale dell’acetilcolina in contrazione della muscolatura
scheletrica.
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Tossicologia – IR19

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Tossicologia – IR19

TOSSICITÀ CARDIOVASCOLARE
La tossicità cardiovascolare può essere sia a carico del cuore che della componente vascolare, quindi arterie e
vene.
I punti di vulnerabilità del cuore sono diversi (es. tutto ciò che interferisce con l’omeostasi ionica può interferire
col sistema di conduzione).

L’apparato cardiovascolare comprende un insieme di strutture ed organi ed è costituito da:


 una struttura muscolare (cuore), che è la pompa del sistema: è diviso in due atri e due ventricoli, separati
dal setto atrioventricolare ma collegati dalle valvole cardiache, le quali permettono che il sangue presente
nell’atrio scenda al ventricolo e poi nell’aorta.
 Un sistema di stimolazione e conduzione elettrica (cellule pacemaker), che garantisce la contrazione
coordinata del cuore
 Da un sistema di vasi (arterie e vene e anche vasi coronarici), che garantiscono la circolazione sistemica
La maggior parte della massa cardiaca è costituita da fibre muscolari striate, ma sono presenti anche fibroblasti
(tessuto connettivo), cellule vascolari e fibre del Punkinje (le quali distribuiscono l’impulso).

L’unità contrattile principale del cuore è costituita dal miocita cardiaco, che contiene degli elementi contrattili,
ossia le miofibrille, costituite a loro volta da filamenti spessi
(miosina) e filamenti sottili (actina). I miociti cardiaci sono a
stretto contatto tra loro per diminuire la resistenza al passaggio
dell’impulso: sono infatti uniti da dischi intercalari con gap
junction che comporta una rapida trasmissione di stimoli
elettrici da una cellula all’altra.
Oltre ai miociti propriamente detti, nel cuore ci sono anche altre
cellule, come fibroblasti (ossia tessuto connettivale), cellule di
tipo vascolare, cellule miocardiche specializzate a condurre un
impulso elettrico (come cellule pacemaker o fibronectine), ecc..
La contrazione miocardica comporta la liberazione di energia da
parte di ATP e del creatinofosfato e l’utilizzazione dell’energia da
parte delle proteine contrattili.

Il tessuto cardiaco è costituito per il 70% da fibre muscolari e per il 30% da tessuto connettivo e vasi. A differenza
del muscolo scheletrico, contiene meno materiale contrattile (50% vs 80%), ma più materiale mitocondriale
(35% vs 2%).

Ha una doppia innervazione (è sotto il controllo del sistema nervoso autonomo), poiché riceve:
 fibre parasimpatiche attraverso il nervo vago: controllo da parte del sistema colinergico, perché viene
rilasciata acetilcolina.
 fibre ortosimpatiche: vengono rilasciate catecolamine, come la noradrenalina.
Questa duplice componente è la manifestazione del cosiddetto antagonista fisiologico, perché dove l’acetilcolina
ha un’azione, le catecolamine svolgono attività opposta.

La funzione del cuore è quella di pompare/immettere sangue nell’albero circolatorio con una pressione sufficiente
al raggiungimento anche dei vasi più periferici. Inoltre, attraverso i vari coronarici si ha anche la distribuzione ai
polmoni: spinge il sangue venoso ai polmoni, dove si ossigena, e poi ridistribuisce nell’albero circolatorio il sangue
ossigenato.
Affinché questo sistema funzioni, è necessaria una coordinazione delle attività contrattili.
Il ciclo cardiaco comprende l’alternarsi di:
 sistole: contrazione della muscolatura cardiaca
 diastole: rilassamento della muscolatura cardiaca

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Tossicologia – IR19

Nelle cellule del cuore nasce l’impulso elettrico e viene propagato tramite le fibre del miocardio. La contrazione
delle cellule miocardiche è dovuta ai potenziali d’azione che si formano solo in miociti specializzati -ossia le
cellule pacemaker del nodo senoatriale (che segnano il ritmo del cuore)- per passare attraverso gli atri al nodo
atrioventricolare e da qui, attraverso le fibre del Purkinje, a tutto il ventricolo.
Nel tessuto del miocardio ci sono alcune aree che contribuiscono alla conduzione dell’impulso, ma non si
contraggono: nodo senoatriale e nodo atrioventricolare, fascio di his (serve a condurre e distribuire l’impulso
elettrico fino al margine inferiore del cuore) e fibre del Purkinje (che serve a distribuire l’impulso dal nodo
senoatriale).

Vulnerabilità cardiaca
Processi fisiologici vulnerabili sono tutti quelli riguardanti l’utilizzo di energia, i processi energetici e i movimenti
cellulare del Ca2+. Il cuore è vulnerabile agli effetti degli xenobiotici a causa della limitata capacità proliferativa
dei cardiomiociti e della propensione alla proliferazione e al rimodellamento dei fibroblasti cardiaci a seguito
di un insulto tossico. Il fibroblasto cerca di sanare un eventuale danno al cuore diminuendo tuttavia la sua attività
poiché sì prolifera, ma non ha né capacità di conduzione né capacità contrattile (cicatrice del miocardio).

Accoppiamento eccitazione/contrazione
La contrazione delle cellule miocardiche è dovuta ai potenziali d’azione che si formano in miociti specializzati, le
cellule pacemaker del nodo senoatriale, per passare attraverso gli atri al nodo atrioventricolare, e da qui,
attraverso le fibre del Purkinje, a tutto il ventricolo.
I. Il ciclo cardiaco inizia quando le cellule
pacemaker vanno incontro a
depolarizzazione spontanea e
trasmettono una corrente elettrica -ossia l
potenziale d’azione- alle cellule vicine. Le
cellule pacemaker non si contraggono. La
depolarizzazione spontanea può avvenire
nel nodo senoatriale, nel nodo
atrioventricolare, nel fascio di His e nelle
fibre del Purkinje. In condizioni
fisiologiche le cellule pacemaker
stabiliscono il ritmo del cuore.
II. La contrazione dei miociti inizia quando il
Ca2+ intracellulare si lega alla proteina
troponina C e alla tropomiosina e le loro
conformazioni cambiano.
III. Il cambio conformazionale delle due
proteine fa sì che l’ATP venga idrolizzato ad
ADP+P con liberazione di energia: ciò
causa una modificazione conformazionale
della miosina, che può interagire con
l’actina causando la contrazione (i
filamenti di miosina scorrono sui filamenti
di actina e si accorciano).

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Tossicologia – IR19

Profilo del potenziale d’azione cardiaco e ECG


1. Nella cellula a riposo, c’è una differenza di densità di carica tra
interno e esterno: la densità di carica elettrica conferisce al
lato interno della membrana un potenziale negativo rispetto
all’esterno della cellula (fase 4).
2. Quando si scatena il potenziale d’azione, i canali del Na+ si
aprono e si verifica un rapido afflusso all’interno della cellula
di Na+. Così inizia la fase di rapido aumento del potenziale
(fase 0) fino ad un massimo.
3. Raggiunto il massimo, si ha la chiusura dei canali del Na+ e
l’attivazione dei canali al K+, che permettono la fuoriuscita di
K+. Si avvia la fase 1 ed entra il Ca2+.
4. Quando la corrente al Na+ si riduce, il Ca2+ continua ad entrare
nella cellula dando luogo al plateau di fase 2.
5. A questo punto si ha la chiusura dei canali al Ca2+ e l’efflusso di K+, con rapida ripolarizzazione della
cellula (fase 3). Questa è una fase fondamentale, detta anche periodo refrattario, perché la cellula torna
ad essere eccitabile.

Ad ogni fase del potenziale d’azione, corrisponde un’onda -positiva o negativa- sull’ECG.
1. Onda P: corrisponde all’onda di depolarizzazione atriale
2. Onda QRS: corrisponde alla depolarizzazione ventricolare
3. Onda T: corrisponde alla ripolarizzazione ventricolare
L’onda QRS non è un’onda continua perché da un punto di vista funzionale, il ritardo serve perché se atrio e
ventricolo si contraessero contemporaneamente, il sangue non riuscirebbe ad essere pompato completamento dal
ventricolo all’atrio; si tratta quindi di un ritardo fisiologico necessario che permette prima la contrazione dell’atrio
(in seguito alla depolarizzazione) e poi, una volta che il sangue è stato spinto attraverso la valvola, la contrazione
del ventricolo che pompa il sangue verso il circolo sistemico (aorta).
Un’alterazione di contrazione atriale non è incompatibile per la vita, perché per forza di gravità il sangue scende
comunque nel ventricolo, anche senza una contrazione ottimale dell’atrio. Un’alterazione di contrazione
ventricolare, invece, è incompatibile per la vita: una aritmia ventricolare che si protrae per vari minuti provoca la
morte.
Ci sono stati casi di farmaci che sono stati ritritarti dal commercio perché responsabili del prolungamento del
complesso QRS. Infatti, un’alterazione del tratto Q-T, crea delle problematiche funzionali al cuore. Es. Cisapride,
un procinetico che in manifestò questo problema solo nella fase post-marketing.

299
Tossicologia – IR19

Valutazione della funzionalità cardiaca


L’indicatore principale è la gittata cardiaca, ossia il volume di sangue pompato dai ventricoli al minuto.
 A riposo il cuore pompa 5L di sangue/min
 Durante un’attività fisica intensa si arriva fino a 20L/min.
La pressione sanguigna corrisponde alla forza che il sangue esercita sulle pareti dei vasi. Dipende dalla gittata
cardiaca e dalle resistenze periferiche (componente vasale). Nell’individuo adulto la pressione media è 70/120
(diastole/sistole).
L’elettrocardiogramma (ECG) si basa sulla misurazione dell’attività elettrica del cuore durante il ciclo cardiaco:
l’insorgere degli impulsi nel miocardio porta alla generazione di differenze di potenziale che possono essere
registrate. È un sistema semplice, duttile e non invasivo.

Valutazione della tossicità cardiaca


I disturbi nella funzionalità cardiaca possono essere distinti in:
 Cronotropi: relativi alla velocità del battito
 Inotropi: relativi alla contrattilità dei miociti
 Dromotropi: relativi alla conduzione/conduttività dell’impulso elettrico
 Batmotropi: relativi all’eccitabilità del muscolo cardiaco (es. impianto di un pacemaker)

Le malattie cardiache si distinguono in acquisite (per esposizione ad un farmaco, inquinanti ambientali, stile di
vita scorretto) o congenite e possono essere dovute a:
 alterazione della tonaca esterna, ossia il tessuto del cuore
 alterazione delle arterie coronarie che collegano il cuore al polmone, quindi sono fondamentali per
l’ossigenazione del sangue venoso e soprattutto per il funzionamento stesso del cuore
 alterazioni del muscolo o delle fibre muscolari: tramite infezioni batteriche (miocardite)
 malattia della tonaca interna (endocardite)
 alterazioni o lesioni delle valvole cardiache, che mettono in comunicazione atri e ventricoli
 disturbi della conduzione dell’impulso: ossia un’aritmia (non tutti i miociti si contraggono in modo
efficiente).
Es. Il fenomeno del rientro del tessuto miocardico si manifesta quando un impulso elettrico che parte da
un’area del cuore, mentre si propaga attraverso la struttura può trovare degli ostacoli, come per esempio
tessuto cicatriziale. In questo caso, l’impulso non può attraversare la cicatrice, quindi eccita le cellule
vicine: è come se ci fosse una condizione circolare dell’impulso per cui una stessa area del miocardio viene
continuamente sollecitata, mentre altre aree non sono sollecitate  il cuore perde la ritmicità.

300
Tossicologia – IR19

Risposte tossiche del cuore


Prolungamento dell’intervallo QT e aritmie
 Le aritmie sopraventricolari possono essere causate da circuiti di rientro del noto AV, da vie di
conduzione alternative o da lesioni del muscolo atriale.
 Le aritmie ventricolari compromettono la sopravvivenza del paziente (per un periodo superiore ai 4-5
secondi a causa della mancanza di flusso ematico portano a perdita di coscienza e dopo pochi minuti i
tessuti vanno in ischemia e sopraggiunge la morte). Possono derivare da un danno al muscolo secondario
provocato da ischemia, infarto e successiva cicatrizzazione (fibrosi).
 Il blocco cardiaco è legato ad alterazione di sistema di conduzione ventricolare.

Cardiopatia ischemica
È causata da un’inadeguata perfusione miocardica rispetto al fabbisogno di ossigeno e nutrienti (es. per
aterosclerosi e conseguente ostruzione arteriosa).
L’ischemia prolungata può portare all’infarto a causa dell’interruzione del flusso ematico e conseguente morte
per necrosi delle cellule miocardiche. Le aree danneggiate in maniera irreversibile durante l’infarto sono sostituite
da tessuto cicatriziale. Il rimodellamento cardiaco consiste nella perdita iniziale di miociti, successiva attivazione
dei fibroblasti che formano la cicatrice, causano ipertrofia dei miociti rimanenti, alterata geometria cardiaca
(ingrossamento) e modifica del microcircolo cardiaco.

Ipertrofia e insufficienza cardiaca o scompenso cardiaco


Può essere risposta compensatoria del cuore ad un carico di lavoro aumentato, quindi quando il cuore ha bisogno
di un’attività maggiore.
Ad es. l’ipertensione prolungata contribuisce all’ ipertrofia ventricolare sinistra;
Come risposta ad una lesione, l’ipertrofia dei miociti superstiti può essere necessaria per sostenere gittata cardiaca
e mantenere le funzioni vitali;
Il miocardio ipertrofico può scompensare per meccanismi sconosciuti e diventare insufficiente ovvero la
contrattilità ventricolare è ridotta e la gittata cardiaca diminuita. Il miocardio ipertrofico, quindi, dà luogo a
scompenso cardiaco o insufficienza. La contrattilità si ridurrà e la gittata è diminuita: l’inspessimento non è
funzionale alla contrazione ma anzi, rappresenta una zavorra per i miociti sani.
o Se interessa la parte destra, il sangue si accumula nelle estremità e si sviluppano edemi (lividi periferici
in gamba, polpaccio e caviglia). La parte destra, infatti, è quella che riceve il sangue venoso: con una
alterazione della parte deputata alla ricezione del sangue venoso, questo permane nel torrente e in
periferia.
o Se interessa la parte sinistra il sangue ristagna nei polmoni e si sviluppa edema polmonare. L’edema
porta al decesso del paziente in pochissimo tempo, fondamentale il soccorso immediato.

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Tossicologia – IR19

Meccanismi generali di cardiotossicità


Le sostanze cardiotossiche possono agire:
1. Direttamente inducendo:
a. Danni strutturali es. Necrosi, degenerazione, infiammazione)
b. Alterazioni funzionali es. Alterazione attività elettrica, contrattilità
2. Indirettamente agendo su altri sistemi es. Sul sistema nervoso centrale o sul sistema endocrino.

Indipendentemente dalla categoria (1 o 2) a cui appartenga, le modalità di alterazione della funzionalità cardiaca
sono:
1. Interferenza con l’omeostasi ionica e potenziale d’azione che risulta in un disturbo del ritmo
cardiaco
Gli equilibrio ionici sono fondamentali per la nascita del potenziale d’azione, la conduzione e la
contrazione del miocita. Ogni singola fase del potenziale d’azione è suscettibile di interferenza5 e di blocco
perch è in ogni fase entrano in gioco dei canali, ovvero delle proteine, ostacolabili. Il blocco di un canale,
per esempio il canale del calcio o del sodio, sicuramente bloccherà varie funzioni anche in altre cellule, ma
uno degli effetti più gravi si avrà nel cuore.
a. inibizione del Na+,K+-ATPasi: questo enzima riduce le [Na+]intracellulari scambiandolo con il
K+ extracellulare. Se viene inibito, aumenta Na+ intracellulare a riposo che causa un aumento di
conc di Ca++ intracellulare e rilascio di Ca dai depositi, contribuiscono all’azione inotropa di
alcuni agenti.
b. blocco dei canali al Ca++: il canale di tipo L contribuisce all’accoppiamento
eccitazione/contrazione, mentre il canale di tipo T al potenziale pacemaker del nodo SA. Quindi
il blocco di questi canali produce effetto inotropo negativo6 a causa del ridotto rilascio dai depositi
c. blocco dei canali al K+: aumento della durata del potenziale d’azione e prolungamento della fase
refrattaria. La fuoriuscita del potassio ripristina il potenziale di membrana originale, quindi la
condizione di eccitabilità. Se il canale è bloccato la cellula non è eccitabile: prolunga il periodo
refrattario in cui non è in grado di rispondere alla stimolazione.
d. blocco dei canali al Na+: è necessaria una depolarizzazione maggiore affinchè i canali al Na+ si
aprano. In questo modo si riduce la velocità di conduzione e si prolunga la durata del QRS
2. Alterazione del flusso sanguigno (es. vasocostrizione o vasodilatazione).
Il grado di contrazione e di resistenza vasale è sotto il controllo delle catecolammine. Va ricordato che nel
cuore ci sono due componenti: recettori beta (prevalenti sono i B1) e alfa.
Le catecolamine
a. Attraverso l’attivazione dei recettori alfa sui vasi coronarici causano vasospasmo coronarico
(così come in tutti i vasi gli alfa danno costrizione) e riduce la pervietà dei vasi che vanno dal
cuore al polmone. La contrazione molto forte causa vasospasmo.
b. Attraverso la stimolazione dei recettori beta aumentano la frequenza cardiaca, la contrattilità e
il consumo di ossigeno del miocardio. Se i recettori beta vengono inibiti in alcuni stati patologici,
le azioni dirette sui vasi coronarici possono essere prevalente e causare alterazione della
circolazione coronarica. La circolazione coronarica è quella attraverso cui il sangue irrora il cuore
stesso, quindi un problema a questo livello implica a sua volta problemi di sofferenza cardiaca: il
cuore non ha ossigeno e nutrienti a sufficienza.
3. Stress ossidativo non compensato da sistemi antiossidanti (es. SOD, CAT, glutatione perossidasi). In
condizioni di ischemia/riperfusione si ha la formazione di ROS che causano perossidazione lipidica,
perdita integrità di membrana, disfunzione mitocondriale, alterazioni omeostasi Ca++, aritmie.
In generale, una sostanza in grado di dare stress ossidativo altera proteine, lipidi, acidi nucleici, ecc.
Normalmente i sistemi di contrasto nel cuore sono scarsi, quindi l’evento ossidativo è scarsamente
compensato: il cuore è più soggetto al danno ossidativo rispetto agli altri tessuti.

5 Nel cuore ci sono due tipi di canali, L e T. Il primo serve per l’accoppiamento eccitazione-contrazione (quando
arriva il potenziale d’azione si apre il canale, fa entrare il calcio). I canali T sono prevalenti nelle cellule pacemaker
quindi nella nascita del potenziale d’azione.
6 Riduzione della forza contrattile del cuore.

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Tossicologia – IR19

4. Disfunzioni mitocondriali e del sarcolemma, possono alterare i livelli intracellulari di Ca++ e la sintesi
di ATP (il 90% di ATP usato dai miociti è prodotto dalla respirazione mitocondriale, dal mtocondrio:
sottrarre il deposito al miocita implica difficoltà di contrazione). Le concentrazioni di Ca extracellulare
sono molto maggiori di quelle del Ca libero intracellulare a riposo. A differenza del tessuto scheletrico, il
cuore ha il 35% di componente mitocondriale: se non c’è adeguato approvvigionamento di energia e ATP
si blocca7.
5. Apoptosi e oncosi (sinonimo di necrosi): nel periodo immediatamente successivo a infarto miocardico,
danno ischemico, a lesioni da I/R (ischemia-riperfusione) la morte dei cardiomiociti avviene per apoptosi,
mentre la necrosi si verifica in momenti successivi all’insulto. Nel danno IR l’area è andata in contro a
ischemia: scarsa vascolarizzazione causa scarsa perfusione. Eliminando la causa dell’ischemia, torna un
flusso normale di sangue, ricco di ossigeno, e si generano ROS che rappresentano già da soli un insulto al
tessuto. Il cardiomiocita muore per apoptosi o per necrosi: la morte immediata per necrosi fa permanere
un insulto tossico in più perché permane anche l’infiammazione.
Peptidi e citochine infiammatorie vengono rilasciati durante la progressione di malattie cardiache, come
angiotensina, TNF-a ligando FAS e sono in grado di causare apoptosi anche in vitro.

Valutazione della cardiotossicità


Gli effetti avversi a carico del sistema cardiovascolare possono essere dovuti a deficit di tipo funzionale, senza
alterazioni strutturali, o a danni strutturali a cui si accompagnano deficit funzionali. Per misurare il danno
possiamo utilizzare:
 Elettrocardiogramma
Facilmente disponibile, non invasivo. Si verifica la presenza di disturbi della conduzione e della
ripolarizzazione: durata degli intervalli PQ, QT e del complesso QRS. L’analisi dell’onda viene correlata
alle analisi del sangue (punto dopo).
 Marcatori biochimici
Possono predire una eventuale cardiotossicità. Facilmente disponibile, non invasivo se non nel
momento del prelievo. Si verifica la presenza di disturbi della conduzione e della ripolarizzazione:
durata degli intervalli PQ, QT e del complesso QRS. Studiare i biomarcatori è importante in tutti gli
ambiti, per predire un danno in modo poco invasivo.

Biomarcatori di cardiotossicità:

 Creatina chinasi (CK)


Enzima che catalizza il trasferimento di un
fosfato dalla creatina fosfato all’ADP a formare
ATP.
Ne esistono tre isoenzimi:
 CK-MM, muscolo scheletrico;
 CK-BB, rene e sistema nervoso;
 CK-MB, miocardio.
Un aumento dei livelli plasmatici è considerato
marcatore specifico di danno cardiaco.
 Mioglobina
Emeproteina che serve come deposito
intracellulare di ossigeno, è presente in tutti i
tessuti muscolari. Un suo aumento non è
indicativo in modo specifico di danno miocardico
ma solo di un danno muscolare.
 Proteina C reattiva
Indicatore di infiammazione sistemica e
vascolare, utile come biomarcatore di
cardiotossicità se usata in combinazione con la
troponina. Da sola può avere valore predittivo
nella prognosi della cardiopatia coronarica.

7Esempio molto banale, il muscolo scheletrico è una fiat 500, il cuore è una ferrari: hanno bisogno di quantità
diverse di benzina e hanno prestazioni radicalmente diverse.
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Tossicologia – IR19

 Peptide natriuretico di tipo B (PNB)


E’ un neurormone secreto dai ventricoli in seguito ad un aumento di tensione di parete (tessuto
muscolare ventricolare in seguito a tensione della parete fa liberare il peptide). Induce una riduzione
di riassorbimento di sodio a livello dei reni, contrasta l’ipertrofia cardiaca e quindi la tensione.
 Troponine
Sono componenti dei miociti e contribuiscono alla contrattilità cardiaca poiché modulano le
interazioni tra actina e miosina e quindi sono in grado di controllare la contrazione muscolare. In
condizioni normali non sono misurabili nel sangue mentre in seguito a danno cardiaco, sono rilasciate
in circolo dove rappresentano indicatore specifico di danno miocardico (infarto miocardico).

Sostanze cardiotossiche
 Farmaci usati per varie patologie (CV, psicotropa, ecc).
o Antineoplastici, anestetici, psicotropi, antibiotici.
o La cardiotossicità dei farmaci può essere causata da un’azione aumentata del suo principale
effetto farmacologico sul cuore (es. digitale, procainamide), oppure con meccanismi non correlati
al loro uso terapeutico e ai principali effetti farmacologici
 Sostanze industriali
o Metalli pesanti, solventi, alcoli
 Prodotti naturali
o Peptidi, ormoni
Di seguito varie tabelle con esempi di diverse sostanze e correlata manifestazione cardiotossica e meccanismo alla
base della cardiotossicità. Per alcune sostanze non si conosce il meccanismo tossico.

Etanolo: riduce conduttività nella


tossicità acuta ma in cronico causa una
cardiomiopatia il cui meccanismo non è
noto: si accumula nel tessuto l’acetaldeide.
Il tessuto miocardico oltre ad essere
carente di enzimi antiossidanti, manca di
enzimi che servono per trattare
l’acetaldeide. Questo implica che
l’acetaldeide, nel miocita, viene
accumulata. Nei tessuti diversi dal
miocardio l’acetaldeide causa alterata
omeostasi (soprattutto a carico del Ca,
quindi nel cuore altera la contrattilità) e
stress ossidativ, quindi a maggior ragione
il tessuto cardiaco è vulnerabile. Inoltre,
causa anche danno mitocondriale.

Le sostanze (farmaci) capaci di interferire


con la funzionalità cardiaca causando
cardiotossicità, sono sia farmaci che
hanno un meccanismo che coinvolge il
cuore come target (antiaritmici,
antipertensivi, ecc.) quindi la tossicità è
sovrapponibile all’azione farmacologica.
La tossicità in questi casi si manifesta per
eccesso di attività.

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Tossicologia – IR19

Ci sono anche molte sostanze che non hanno a che vedere con l’impiego terapeutico in ambito CV ma hanno
notevole cardiotossicità. Il problema diventa grave quando si tratta di sostanze utilizzate come antitumorali, per
esempio la doxorubicina.
La doxo causa, nel 7% dei pz., una cardiomiopatia e insufficienza cardiaca. Si ritiene che sia in grado di danneggiare
il mitocondrio, causare stress ossidativo, alterare l’omeostasi del calcio e causare la morte apoptotica delle cellule.
Anche il 5-fluorouracile causa notevoli danni.
Facciamo questi esempi perché si tratta di farmaci anti neoplastici usati ampiamente, quindi un numero sempre
crescente di pazienti è esposto alla tossicità di questi elementi. A maggior ragione, l’organismo dei pazienti è già
danneggiato e vulnerabile per la presenza della patologia neoplastica.

Altri esempi sono i farmaci


antivirali o gli anestetici
locali come la cocaina. In
questo secondo caso,
sappiamo che la sostanza
ha un effetto simpatico-
mimetico e causa ischemia,
morte dei cardiomiociti e
arresto cardiaco. Infatti, si
alterano omeostasi,
apoptosi, mitocondri, ecc.

305
Tossicologia – IR19

Vediamo alcuni esempi di


sostanze di origine naturale.
Ormoni estrogeni: la
cardiotossicità non è del tutto
nota (vedi punti interrogativi)
e sono stati supposti alcuni
meccanismi, ma non ci sono
dati che certificano una
relazione causale tra gli eventi.

Altre sostanze possono essere i


prodotti derivati dalla
lavorazione industriale come il
toluene o i metalli pesanti.

Il toluene è proaritmico
(favorisce insorgenza di
aritmie riducendo attività
parasimpatica, che
normalmente frena l’attività
cardiaca, e aumenta la
sensibilità al sistema
ortosimpatico, che stimola le
catecolammine).

Fino ad ora abbiamo analizzato la tossicità a carico del muscolo cardiaco, ma il sistema CV è costituito anche dai
vasi.

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Tossicologia – IR19

Struttura dei vasi


I vasi presentano una struttura particolare, perché devono distribuire
il sangue nell’organismo. A seconda che siano venosi o arteriosi la
componente muscolare è diversa. Tutti i vasi (ad eccezione dei capillari
che hanno un singolo strato di cellule endoteliali e una componente
muscolare) presentano una serie di rivestimenti cellulari: tonaca
esterna, media e intima.
La tonaca media è quella che definisce maggiormente
la differenza tra V e A. Nell’arteria, come si vede dalla
sezione, la media è estremamente più rappresentata:
c’è maggior componente muscolare perché l’’arteria
deve spingere il sangue nel tratto successivo, quindi
ha una morfologia che garantisce la funzionalità.

Alterazioni della struttura e della funzione vascolare


L’apparato vascolare trasporta ossigeno e nutrienti a tessuti di tutto l’organismo e rimuove i prodotti di scarto del
metabolismo cellulare. Il sangue ossigenato che arriva al cuore dai polmoni passa nell’aorta e quindi attraverso
questo grosso vaso al circolo sistemico che si distribuisce attraverso vasi di calibro diverso a distretti organici
diversi.
Le cellule dell’endotelio vascolare hanno un ruolo cruciale nella regolazione dell’omeostasi, del tono vascolare e
nei processi di angiogenesi che comprendono la neoformazione di vasi sanguigni in conseguenza alla migrazione,
alla proliferazione e al differenziamento delle cellule vascolari;

L’aterosclerosi è la manifestazione di un cambiamento strutturale della parete vascolare che coinvolge un


ispessimento della tonaca intima del vaso a causa della deposizione di una massa semisolida (per esempio lipidi).
Viene a formarsi in seguito alla migrazione di cellule della muscolatura liscia nella tonaca intima e successiva
proliferazione. I componenti della matrice extracellulare come collagene, elastina, lipidi, carboidrati si accumulano
e portano alla formazione di una placca ateromatosa contenente anche cellule infiammatorie (richiama monociti,
leucociti) che partecipano alla progressione del danno vasale. In tal modo si verifica il progressivo restringimento
del lume arterioso che porta alla diminuzione di perfusione sanguigna dei siti irrorati.
Queste alterazioni possono quindi portare a ipertensione renale, ictus, ischemia e infarto. È fondamentale
sapere quale sia il sito interessato, soprattutto perché una parte della placca che si stacca ed entra in circolo. Se,
per esempio, dalla carotide un pezzo di placca entra in circolo può arrivare a livello cerebrale dove i vasi hanno un
calibro minore della placca e questa li ostruisce (ictus o ischemia). Può accadere a tutti i livelli, per esempio trovarsi
a livello delle coronarie e interferire col funzionamento del cuore.
Di fatto, nel momento in cui lo xenobiotico si trova nel sangue, può subito interagire con la parete del vaso (cellule
endoteliali sono quelle più soggette a insulti tossici).

Ipotensione e ipertensione. La marcata riduzione di pressione arteriosa sistemica è un effetto comune nei casi
di intossicazione da sostanze che deprimono il sistema nervoso centrale, gli antiipertensivi e nelle reazioni
anafilattiche. L’ipertensione può risultare dall’incremento di sostanze ad azione vasocostrittrice nel torrente
ematico come angiotensina e catecolamine;
Le cellule della muscolatura liscia possono andare incontro a crescita ipertrofica con conseguente ispessimento
della parete vascolare e aumento delle resistenze periferiche, oppure bersaglio di azione tossica di xenobiotici.
L’ipertensione induce lesioni degenerative vascolari, aumento di permeabilità vascolare con conseguente ingresso
di costituenti ematici all’interno della parte vascolare;

307
Tossicologia – IR19

La trombosi è la formazione di un massa semisolida nella circolazione sanguigna a partire da costituenti del
sangue stesso. Si può verificare sia a livello venoso che arterioso in seguito all’esposizione a sostanze tossiche;
L’insorgenza di trombosi può essere il risultato dell’induzione di aggregazione piastrinica attraverso un aumento
delle loro proprietà adesive o attraverso aumento della coagulazione per attivazione dei fattori della coagulazione;
Parti del trombo possono staccarsi dalla massa iniziale e una volta in circolo possono arrestarsi in un vaso dal
diametro ridotto che quindi risulterà occluso (embolo). Le conseguenze della formazione dell’embolo dipendo dal
sito vascolare in cui si verifica, potenzialmente fatali.

Contraccettivi orali: uno tra i tanti effetti indesiderati è il rischio di trombosi.

308
Tossicologia – IR19

Meccanismi di tossicità vascolare


Dobbiamo considerare che una sostanza può causare necrosi del tessuto vascolare, degenerazione o più
banalmente infiammazione del vaso (vasculite: infiammazione sistemica di tutto il letto vascolare).
La suscettibilità del sistema vascolare alla tossicità di xenobiotici deriva dal fatto che le sostanze assorbite per
via orale, respiratoria, cutanea e somministrate per via endovenosa entrano in contatto con le cellule vascolari
prima di raggiungere altri distretti.
Le sostanze chimiche possono indurre cambiamenti degenerativi o infiammatori nei vasi, come effetto diretto di
un eccessivo effetto farmacologico o come risultato secondario all’azione di sostanze chimiche o dei loro
metaboliti con i componenti dei vasi.
Le sostanze tossiche possono raggiungere lo spazio sub-endoteliale e danneggiare le cellule della muscolatura
liscia. Le sostanze penetrano nella componente al di sotto dell’endotelio, dove c’è componente liscia responsabile
della contrattilità quindi possono alterare contrattilità quindi grado di perfusione dell’organo.
I meccanismi più comuni includono:
 Alterazione della struttura e della funzione di membrana
 Stress ossidoriduttivo con distruzione dei meccanismi di controllo di espressione genica e inattivazione
dei sistemi antiossidanti: lo xenobiotico causa danno e lascia il tessuto privo di contrastare il danno stesso.
 Bioattivazione specifica di sostanze tossiche o mancata inattivazione in prossimità del vaso.
 Accumulo di tossine attive a livello vascolare. Gli idrocarburi aromatici si accumulano nella fase lipidica
della placca aterosclerotica, quando la placca si stacca, si liberano anche gli xenobiotici intrappolati.

Spesso possono concorrere all’azione tossica molteplici meccanismi simultaneamente, la modulazione della
crescita e del differenziamento delle cellule vascolari sono tra gli effetti più comuni.
Lo stesso xenobiotico può avere più meccanismi tossici nei confronti del vaso.

Possiamo capire cosa implica una tossicità cardiaca, ma è complesso comprendere cosa implichi una tossicità
vascolare. Il ruolo dei vasi, del tono vascolare, è fondamentale e un danno alla parete vascolare può manifestarsi
in tre modi:
1. Danno aterosclerotico: deposito di materiale nella parete-lume del vaso. Può ostruire il vaso portando a
ischemia, infarto o trombosi. Non si tratta di un’alterazione solo locale perché la placcapuò staccarsi ed
entrare in circolo.
2. Ipertensione: di per sé causa ispessimento della parete arteriosa e muscolare del cuore. L’ispessimento
implica la partecipazione di cellule che non hanno nulla a che vedere con la funzione dell’endotelio o del
muscolo.
3. Ipotensione: un’ipotensione massiva, come nello shock anafilattico (istamina rilasciata in enormi quantità,
vasodilatatrice), è dovuta alla riduzione delle resistenze periferiche e la caduta di pressione che ne deriva
può dare insufficienza circolatoria e shock. Il sangue torna con grande difficoltà al cuore e compromette
alterata risposta cardiaca.

309
Tossicologia – IR19

Classificazione delle sostanze ad azione tossica sui vasi sanguigni


Varie sostanze gassose possono
causare danni. Il monossido causa
aterosclerosi con danneggiamento
della tonaca intima, edema e
formazione di placche ateromatose
che poi restringono il lume del vaso.

Ci sono anche vari farmaci di largo


impiego (antibiotici e
antineoplastici).
Va tenuto conto che
l’antitumorale viene
somministrato per un tempo
molto lungo quindi può dare
facilmente tossicità. In
particolare la tossicità è
polmonare, trombosi della vena
porta, ecc.

Tossicità del sistema vascolare


implica tossicità in distretti
anche molto diversi tra loro
(cuore, cervello, polmoni, ecc.).

Sostanze come il fruttosio


causano danni ai vasi della retina
e quindi il risultato assomiglia al
danno da patologia diabetica.

Altro esempio è dato dai derivati


cianoacrilati (colle) che danno
necrosi vascolare. Colesterolo
forma placche aterosclerotiche.
Penicilammina: danni alla
matrice connettivale delle pareti
arteriose.

310
Tossicologia – IR19

FARMACOVIGILANZA
È la modalità che permette di rendere note le evidenze di una reazione avversa (segnale), cominacandole.
Definizioni
 Farmacologia: studio degli effetti dei farmaci.
 Farmacologia clinica: studio degli effetti dei farmaci sugli esseri umani.
 Farmacovigilanza: è l’insieme delle attività con lo scopo di individuare, valutare, comprendere e
prevenire le reazioni avverse.
 Farmacoepidemiologia: studio dell’impiego e degli effetti dei farmaci in grandi popolazioni di soggetti.
 Epidemiologia: studio della distribuzione e dei determinati (fattori importanti al fine dello studio) della
malattia nelle popolazioni.

 Evento avverso: è un fenomeno clinico sfavorevole che si manifesta durante il trattamento con un
farmaco ma non è necessariamente collegato al trattamento farmacologico da un nesso di casualità.
 Reazione avversa (Adverse Drug Reaction - ADR): è un fenomeno clinico sfavorevole che si manifesta
durante il trattamento con un farmaco e che può avere un nesso di casualità.

Esempio
Nel caso in cui un soggetto in trattamento farmacologico esca di strada, non necessariamente implica che i due
fattori seguano una relazione di causa-effetto. Occorrono analisi a posteriori per confermare l’ipotesi.

Nella valutazione delle reazioni avverse ha un ruolo fondamentale la segnalazione spontanea. Essa può avvenire
attraverso una specifica scheda, di cui ne esistono due tipologie:
 una scheda può essere compilata dal personale sanitario (farmacista, medico, infermiere, ecc)
 una scheda può essere compilata dal comune cittadino: ovviamente questa richiede informazioni meno
specifiche e meno tecniche.

Il disastro della TALIDOMIDE (1957-1962)


La Talidomide (antiemetico e anti-nausea) fu sviluppata dalla ditta tedesca Chemie-Grünenthal e ottenne l’AIC
nel 1957, dopo 3 anni di prove su animali. Essa non era mai stata sperimentata su animali in stato di gravidanza
prima che venisse approvato il suo impiego nelle donne incinte.
Nel 1958 Blasiu effettuò uno studio clinico su 370 pazienti, 160 dei quali erano madri in allattamento, e concluse
dicendo che “non sono stati osservati effetti collaterali né nelle madri né nei bambini”.
Nello stesso anno la Grunenthal riprese i risultati dello studio di Blasiu esagerandoli, e mandò una lettera a 40.000
medici dichiarando che Blasiu “ha somministrato la talidomide a molte pazienti del suo dipartimento di ginecologia
e nella sua pratica di ostetricia”. Questa dichiarazione suggeriva che la talidomide doveva essere sicura in
gravidanza.
La verità, però, è stata ben diversa e le conseguenze furono nefaste.
Nel 1961 McBride e Lenz si preoccuparono di rendere pubblici i primi casi di anormalità fetali collegabili alla
talidomide. In tutto vennero segnalati 1500 casi dal 1957 al 1961. Il numero stimato totale di bambini focomelici
(cosiddetti perché la forma assunta da mani e piedi ricordano le pinne delle foche.) attribuibili alla talidomide è
compreso tra 10.000 e 20.000 in tutto il mondo.
Il 2 dicembre 1961 la talidomide viene ritirata.
Si eseguirono, perciò, successive prove su animali, ma tutte le specie impiegate (cani, gatti, topi, ratti e ben 150
specie e sottospecie diverse di conigli) diedero risultati negativi.
Oggi si sa che la talidomide è embriotossica nel coniglio, nel gatto, nella cavia e in molte specie di scimmie.
Oggi è stata reintrodotta con specifiche precauzioni e diverse indicazioni (alcune ancora in studio).

311
Tossicologia – IR19

Questa segnalazione porta a delle considerazioni:


 Gli studi preclinici (test sugli animali) possono non essere sufficientemente predittivi di tossicità
specifiche. La segnalazione di reazioni avverse ai farmaci permette di individuare tossicità specifiche
sull’uomo non osservate nei modelli animali.
 Il medico deve aggiornarsi continuamente sulle potenziali tossicità dei farmaci in maniera il più possibile
indipendente (Pubmed, AIFA, EMA), in modo da ridurre i bias di interessi economici.
 La segnalazione degli eventi avversi è finalizzata alla condivisione delle proprie osservazioni per
migliorare le conoscenze cliniche proprie e dei colleghi, per la tutela della salute di tutti i cittadini e deve
essere tempestiva per permettere interventi regolatori rapidi finalizzati alla limitazione della diffusione
di “epidemie di reazioni avverse”.
 L’individuazione tempestiva di un rischio può consentire l’introduzione di precauzioni che consentono
l’uso in sicurezza di un farmaco. Più le informazioni contenute nella segnalazione sono accurate, più sarà
facile definire tali precauzioni

DIETILSTILBESTROLO (1971)
Il dietilstilbestrolo (DES) è un farmaco ad azione estrogeno-simile usato dagli anni quaranta (1938) agli anni
settanta negli Stati Uniti per prevenire l'aborto. Oggi è riconosciuto come interferente endocrino.
Nell’Aprile 1971, il New England Journal of Medicine pubblicava la segnalazione di tre medici relativa allo sviluppo
di adenocarcinoma a cellule chiare in 7 di 8 figlie (età tra 14 e 22 anni) nate da madri che avevano assunto DES nel
primo trimestre di gravidanza L'incidenza totale di alterazioni benigne della vagina e del collo dell'utero fu stimata
essere del 75%.
Nella progenie maschile esposta durante la gestazione, si è osservata un'elevata incidenza di cisti epididimali,
ipotrofia testicolare, ipospadia e indurimento capsulare associati a riduzione del volume dell'eiaculato e
alterazioni qualitative del liquido seminale.
La tossicità è perciò diversificata in base al sesso, ma è collegata alla somministrazione del farmaco. La reazione
avversa coinvolge la prima generazione.
Conclusione:
 Anche farmaci di uso consolidato possono essere associati a tossicità sconosciute. La valutazione (e
segnalazione) di possibili eventi avversi per questi farmaci non deve essere trascurata.
 Tossicità a lungo termine dei farmaci non possono essere rilevate negli studi clinici. È necessaria una
particolare attenzione per metterle in evidenza. Infatti, in questo caso, l’effetto avverso impiega circa 20
anni per manifestarsi.
 Popolazioni speciali di pazienti normalmente escluse dagli studi clinici (gravidanza, bambini, anziani)
nella pratica clinica quotidiana ricevono terapie farmacologiche off label: la segnalazione di reazioni
avverse è particolarmente importante per queste categorie di pazienti perché sono più a rischio essendo
più fragili.

CERIVASTATINA (2001)
Questo farmaco fu autorizzato alla fine degli anni 90 in diversi paesi, in quanto
gli studi clinici pre-registrativi non evidenziavano un rischio particolare di
tossicità muscolare per questa statina (miotossicità: uno dei primi effetti
avversi delle statine ad essere conosciuto clinicamente).
Nella fase di sorveglianza post-marketing, però, furono segnalate 52 morti per
rabdomiolisi da cerivastatina (da 16 a 80 volte maggiore rispetto alle altre
statine) e 385 casi di rabdomiolisi non fatale (5-10 volte superiore alle altre
statine).
L’effetto fu evidenziato soprattutto in pazienti che assumevano fibrati e
inibitori CYP3A4 (biodisponibilità di cerivastatina: +40-300%).
Agosto 2001: l’azienda farmaceutica ritira dal mercato mondiale cerivastatina
Conclusioni:
 La segnalazione di effetti noti non è inutile. Può evidenziare
differenze di incidenza di rischio per farmaci di una stessa classe:
perché tenere un farmaco in commercio se, a parità di efficacia,
esistono alternative terapeutiche più sicure? In questo caso, ad
esempio, il medico prescriverà un’altra statina.
 Le interazioni con altri farmaci non possono essere rilevate negli
studi preregistrativi. Solo la segnalazione spontanea può mettere in
evidenza quelle clinicamente rilevanti. Non si possono testare tutte le
possibili combinazioni di farmaci che possono interferire.

312
Tossicologia – IR19

CISAPRIDE (2001)
È un pro-cinetico, una molecola in grado di promuovere lo svuotamento gastrico.
È stata autorizzata in Italia nel 1990.
Gli studi pre-registrativi (n=4000) non avevano rilevato aritmie associate al
trattamento con cisapride. Tra il 1993 e il 1999 furono segnalati alla banca dati OMS
numerosi casi di disturbi del ritmo cardiaco, molti ad esito fatale (tabella).
Questi casi originarono 4 studi osservazionali su grandi campioni di pazienti
(18.000) ma quasi tutti non osservarono aumento del rischio di aritmia associato
al trattamento con cisapride.
I casi segnalati nel corso degli anni 90 evidenziarono che molti casi di aritmia erano
associati ad interazioni con farmaci inibitori del CYP3A4 (succo di pompelmo).

La scheda tecnica del farmaco venne ripetutamente aggiornata fino al 1999 per
evitare l’esposizione di pazienti potenzialmente a rischio (es. bambini prematuri),
ma le abitudini prescrittive non cambiarono significativamente.
29 settembre 2001: cisapride ritirata dal commercio

Conclusioni:
 Gli studi clinici pre-registrativi non arruolano un numero di pazienti
sufficiente a rilevare reazioni avverse rare pericolose per la vita del paziente. Ad esempio, anche in questo
caso, nonostante lo studio fu condotto su 4'000 candidati, il numero di pazienti a cui il farmaco fu destinato
era notevolmente superiore.
 Talune reazioni avverse richiedono capacità diagnostiche specifiche. Il medico deve aggiornarsi
continuamente per essere in grado di riconoscerle (diagnosi differenziale). Ecco perché è sempre
fondamentale la segnalazione: non essendo presente in letteratura un effetto avverso correlato ad un
farmaco, è quasi impossibile trovare un nesso di causalità.
 Anche studi osservazionali con popolazioni enormi non rilevano reazioni talmente rare che solo la
segnalazione spontanea può evidenziare.

ROFECOXIB (2004)
È stato sviluppato con un meccanismo innovativo dopo le scoperte sulla
COX-2, autorizzato dalla FDA nel maggio 1999 nel trattamento dia
artrosi, condizioni dolorose acute e dismenorrea. Sono stati anche
eseguiti degli studi sulla sua attività antitumorale, in quanto essi
presentano un’iperespressione della ciclossigenasi.
Principalmente grazie allo studio VIGOR fu dimostrata clinicamente una
tollerabilità gastrointestinale superiore che determinò l’enorme
diffusione del farmaco. Lo stesso studio osservò un aumento del rischio
di infarto del miocardio a 12 mesi 4 volte superiore a naprossene.
La FDA approvò il farmaco ritenendo plausibile che questa osservazione
fosse imputabile ad un effetto protettivo di naprossene.
Nel 2001 lo studio aPPROVE osservò un aumento significativo del
rischio di eventi cardiovascolari a 18 mesi per rofecoxib rispetto a
placebo.
30 settembre 2004: ritiro di rofecoxib
2009: 10.000 casi e 190 class actions contro l’azienda farmaceutica
produttrice

Conclusioni:
 Farmaci che sfruttano meccanismi farmacologici innovativi
(es. bersagli molecolari mai impiegati precedentemente)
devono essere usati con l’attenzione di uno sperimentatore. Per
questi la segnalazione di reazioni avverse è prioritaria. È
importante perché, come il questo caso, bloccare un bersaglio
può eliminare anche la sua attività basale fisiologica favorevole
all’organismo.

313
Tossicologia – IR19

THN 1412 (2006)


Nel marzo 2006, in uno studio di fase I, 6 volontari sani (età 19-34) che
avevano assunto l’anticorpo monoclonale TGN1412, sviluppato per il
trattamento di specifiche forme leucemiche legate ai linfociti B e per la cura di
artrite reumatoide, hanno manifestato una violenta reazione infiammatoria
(cytokine storm, o tempesta citochinica) in poche ore e immediatamente
ricoverati.
La dose somministrata era pari a 1/500 di quella osservata come sicura
nell’animale (scimmia).
La reazione è progredita fino all’insufficienza multiorgano e in alcuni si è
osservato lo sviluppo gangrena delle dita.
I 6 pazienti sono stati dimessi dopo circa un mese di degenza. Uno di essi ha
poi sviluppato leucemia.

Conclusioni:
 I farmaci biologici costituiscono una superclasse farmacologica
con tossicità specifiche rispetto ai farmaci “chimici” tradizionali.
 Le conoscenze sulla tossicità di questa superclasse sono ancora
scarse. Pertanto la segnalazione delle reazioni avverse è
particolarmente richiesta.

EFALIZUMAB (2009)
Efalizumab viene approvato dalla FDA nell’ottobre 2003 per il trattamento della
psoriasi a placche nell’adulto.
In Italia il farmaco viene inserito nel progetto PSOCARE, registro finalizzato al
monitoraggio intensivo dei trattamenti dei pazienti psoriasici, lo stesso avviene in
altri paesi con registri analoghi.
Nel PML settembre 2008 da uno di questi registri arriva alla FDA una segnalazione di
Leucoencefalopatia Multifocale Progressiva (PML) che determina una modifica della
scheda tecnica di efalizumab.
Nel periodo ottobre 2008 - marzo 2009 vengono segnalati altri due casi di PML.
Nel mese di aprile 2009 la FDA annuncia il ritiro volontario di efalizumab da parte
dell’azienda produttrice dovuto al rischio di

Conclusioni:
 Il monitoraggio intensivo attraverso registri è una forma complessa di segnalazione delle reazioni
avverse che rappresenta il futuro della farmacovigilanza. I medici dovranno adeguare sempre più le loro
attività alla necessità di contribuire all’aggiornamento di questi registri.
 La segnalazione arriva al centro regionale per poi essere indirizzata all’AIFA. Qui avviene l’analisi della
segnalazione (raccolta dati, compilazione di database) in modo da individuare o meno un nesso causale.

314
Tossicologia – IR19

Studi pre-registrativi
Questi studi (pre-clinici e clinici) sono necessari per permettere di ottenere l’AIC di un farmaco.
I limiti maggiori di questi studi sono dovuti al fatto che possono non essere sufficientemente predittivi della
tossicità di un farmaco in quanto:
 i pazienti studiati non possono raggiungere un numero sufficiente a rilevare reazioni rare e
clinicamente rilevanti.
 la durata di uno studio clinico non è sufficiente a identificare reazioni avverse che possono manifestarsi
dopo lunghe esposizioni (anni).
 i pazienti sono selezionati escludendo per ragioni etiche quelli più fragili (popolazioni speciali) che
tuttavia saranno esposti al farmaco una volta che questo raggiungerà il mercato.
 le interazioni con altri farmaci non possono essere rilevate in quanto durante la sperimentazione
raramente sono ammessi altri farmaci oltre a quello sperimentale.

Segnalazione spontanea delle reazioni avverse ai farmaci


La segnalazione spontanea consiste nella trasmissione alle autorità regolatorie competenti di sospette reazioni
avverse osservate dall’operatore sanitario nella pratica clonica quotidiana oppure dal cittadino. “Sospetta” perché
deve essere analizzata prima dall’autorità regolatoria. Solo dopo aver definito il nesso di causa-effetto può
considerarsi una vera e propria reazione avversa.
La trasmissione avviene per via telematica (modulo on-line) oppure per via cartacea.
Una volta verificata l’effettiva reazione, l’autorità può mettere delle limitazioni di uso e di dosaggio oppure, nei
casi più gradi, ritirare la sostanza dal commercio.

Reazione avversa (definizione regolatoria del Regolamento UE 1235/2010; Direttiva 2010/84/UE)


È un effetto nocivo e non voluto conseguente all’uso di un medicinale in uno dei seguenti contesti:
 Indicazioni d’uso contenute nell’AIC
 Errori terapeutici (prescrittore e/o dispensatore)
 Usi non conformi alle indicazioni contenute nell’AIC (paziente)
o sovradosaggio
o uso improprio
o abuso del medicinale
 Esposizione per motivi professionali

315
Tossicologia – IR19

Valutazione del nesso di causalità


Per attribuire il nesso di causalità devono essere presi in considerazione i seguenti parametri:
 Insorgenza dell’evento in relazione
all’esposizione al farmaco (plausibilità
temporale)

 Presenza o assenza di altri fattori che


potrebbero aver causato l’evento (cause
alternative o fattori di rischio) Una reazione
avversa che compromentte la salute
dell’individuo può essere causata da una causa
alternativa, come un’infezione o altre
patologie presenti, oppure da altri agenti
tossici. Un fattore di rischio da tenere in
considerazione è ad esempio il suo profilo
genetico, in quanto può implicare una
maggiore suscettibilità alla sostanza.
Escludere questi due fattori non è così semplice. Ad esempio, se consideriamo la reazione avversa alla
Nimesulide (che provoca ittero colestatico1), non è facilmente individuabile il nesso di causalità se il paziente soffre
di cirrosi epatica o di patologie a carico del fegato. In questo caso la causa alternativa diventa un fattore di rischio.
Non è di facile individuazione nemmeno se la paziente è in stato di gravidanza, perché la sua condizione può
portare ad un’alterazione ormonale che può essa stessa provocare ittero colestatico. Così come nel paziente
anziano, che si trova ad avere una ridotta funzionalità epatica. E così molte altre condizioni.

1 La pelle assume un colore giallastro e si ha un danno colestatico dovuto all’interferenza con il flusso della bile a livello epatico.

316
Tossicologia – IR19

 Risultato della sospensione del farmaco – DECHALLENGE


Il soggetto che assume un farmaco sperimenta una reazione avversa. Il de challenge consiste nel fatto che
se riduco o sospendo la dose del farmaco ottengo una variazione di risposta: se il paziente migliora e la
reazione avversa sparisce, il dechallenge è positivo, se permane è negativo.

 Risultato della re-introduzione del farmaco – RECHALLENGE


Per avere ulteriori informazioni sulla tossicità, somministro nuovamente il farmaco e osservo la risposta:
se non si ha reazione, il rechallenge è negativo, altrimenti è positivo.
Il rechallenge non è però sempre possibile per ragioni etiche: se la reazione avversa è una reazione
allergica, ad esmepio, ogni soministrazione della sostenza metterebbe a rischio la vita del paziente. Ecco
perché bisogna ricorrere ad altri metodi.

 Altri dati che possono confermare una associazione – letteratura medico-scientifica (es. casi simili
descritti in precedenza).

Criteri per l’attribuzione del nesso di causalità


Normalmente, il nesso di causalità si attribuisce attraverso un algoritmo. Dei vari tipi che conosciamo, uno tra i
più utilizzati è l’algoritmo di Naranjo. Questo algoritmo valuta le risposte a delle domande dando un punteggio.
A seconda del punteggio possiamo classificare la relazione di causalità. Le domande permettono di costruire il
quadro d’insieme.

317
Tossicologia – IR19

Classificazione della relazione di causalità tra farmaco e ADR secondo l’OMS

La scheda di segnalazione è anonima. Le uniche caratteristiche note sono:


 età e sesso al fine di discriminare la popolazione più fragile;
 data della segnalazione
 origine etnica, per tenere presente che il profilo genetico può essere diverso;
 descrizione della reazione e gravità.
La scheda presenta, poi, una casella riservata all’analisi, compilata solo dal medico competente. In alcuni casi, si
deve aggiungere anche se il farmaco in questione è stato sospeso per un periodo e riassunto, se si è diminuita la
dose, quale è stata la durata del trattamento, eventuale co-somministrazione con altre sostanze.

Una volta arrivata la segnalazione, viene analizzata e confrontata con la letteratura presente nei database.

318
Tossicologia – IR19

CLASSIFICAZIONE DELLE REAZIONI AVVERSE AI FARMACI


 Classificazione tradizionale basata sul meccanismo d’azione (Edwards and Aronson. Lancet – 2000)
 Classificazione DoTS basata sulle caratteristiche cliniche delle reazioni avverse: dose, tempo e
suscettibilità individuale (Aronson and Ferner. BMJ – 2003)
 Classificazione EIDOS basata sul meccanismo che sta alla base delle reazioni avverse (Ferner and
Aronson. Drug Saf – 2010)

Classificazione EIDOS
Valuta due specie:
 Specie estrinseche (E), che sono responsabili dell’effetto. Possono essere:
o farmaco/metabolita
o eccipiente
o contaminante/adulterante (es. fake drugs)
 Specie intrinseche (I), che sono quelle modificate dall’azione di E. Possono essere:
o Specie bersaglio molecolari (DNA, RNA, enzimi, recettori, canali ionici, proteine immunologiche,
proteine tissutali)
o Ambiente extracellulare (acqua, pH, ioni)
o Parametri fisici o chimico-fisici (danno tissutale diretto, alterazioni farmacocinetiche)
In questa classificazione, bisogna valutare e definire:
 Distribution (D): se E e I sono presenti nello stesso sito [E + I] e se instaurano un’interazione molecolare,
extracellulare, chimico-fisica.
 Outcome (O): il risultato dell’interazione, quindi l’effetto fisiologico o patologico dell’interazione
 Sequela (S): conseguenze dell’alterazione patologica, che possono essere classificate con il sistema DoTS

319
Tossicologia – IR19

Classificazione DoTS
Si basa sull’analisi di:
 Dose: si definisce:
o se gli effetti tossici sono reazioni a dosi sovra-terapeutiche
o se gli effetti collaterali sono reazioni a dosi terapeutiche standard
o se le reazioni di ipersensibiltà sono reazioni a dosi sub-terapeutiche legate alla suscettibilità del
paziente

 Tempo: l’effetto tossico può essere:


Tempo indipendente: si definisce se le reazioni avverse:
o sono conseguenti alla variazione di dose e concentrazione nell’organismo (effetto farmaceutico)
o sono conseguenti alla variazione della dose o della concentrazione plasmatica del farmaco
(effetto farmacocinetico)
o si manifestano senza variazione di dose (effetto farmacodinamico)
 Tempo dipendente
o Rapid - Reazioni rapide: sono legate alla velocità di somministrazione (si verificano a breve
distanza dalla somministrazione)
o First dose - Reazioni di prima somministrazione (non è un fattore discriminante la non
ricomparsa alla seconda somministrazione)
o Early - Reazioni che si manifestano nelle fasi precoci del trattamento
o Intermediate - Reazioni che si manifestano nelle fasi successive del trattamento
o Late – reazioni che si manifestano in seguito all’esposizione prolungata al farmaco
o Delayed – reazioni conseguenti all’effetto cancerogeno e teratogeno

 Suscettibilità:
o Variabilità individuale, che è strettamente correlata al profilo genetico: si valuta se le reazioni
sono dipendenti dalla variabilità genetica, età, sesso, variazioni fisiologiche, stato patologico

320
Tossicologia – IR19

REAZIONI DI TIPO A: “AUGMENTED”


ECCESSO DI ATTIVITÀ DEL FARMACO
 Cefalea da nitroderivati, Ipotensione da antiipertensivi
 Ipoglicemia da antidiabetici
 Secchezza delle fauci da antimuscarinici
 Parkinson da neurolettici
ATTIVITÀ FARMACOLOGICHE SECONDARIE
 Diarrea da penicilline
 Tosse da ACE-inibitori
 Costipazione da morfina
 Attività anticolinergica degli antidepressivi triciclici
INTERAZIONI FARMACOCINETICHE
 Cisapride – macrolidi, antifungini azolici
 Cerivastatina – fibrati, macrolidi
GESTIONE: sospensione trattamento, riduzione dose, valutazione interazioni
PLAUSIBILITÀ TEMPORALE
 Generalmente sono reazioni a rapida insorgenza (1-2 settimane dopo l’inizio della terapia)
 Valutare sempre la possibilità di interazioni con altri farmaci
DECHALLENGE
 La reazione generalmente migliora o si risolve con la sospensione del farmaco sospetto
 La risposta al dechallenge ha valore probatorio nell’attribuzione della causalità
RECHALLENGE
 La reazione generalmente si ripresenta con la ri-somministrazione del farmaco sospetto
 La risposta al rechallenge ha un valore nell’attribuzione della causalità
NB: Informazione disponibile solo in situazioni particolari

REAZIONI DI TIPO B: “BIZARRE”


ALLERGIA: Implica il coinvolgimento del sistema immunitario
Esempi: rash cutaneo, shock anafilattico, vasculiti, anemia emolitica, sindrome di Stevens-Johnson
IDIOSINCRASIA: Predisposizione genetica, difetti di enzimi metabolici congeniti o acquisiti, possibilità di
accumulo di metaboliti tossici
Esempio: meccanismo proposto per epatotossicità da nimesulide GESTIONE: sospensione definitiva del trattamento,
spesso necessaria terapia con antistaminici o cortisonici
DECHALLENGE
 La reazione talvolta migliora o si risolve con la sospensione del farmaco sospetto (nelle reazioni allergiche
gravi non sempre la semplice sospensione è sufficiente a risolvere l’evento)
 La risposta al dechallenge può non avere un valore probatorio nell’attribuzione del nesso di causalità
 Quando si applica l’algoritmo di Naranjo può essere opportuno rispondere “NON SO” alla domanda
sull’esito del dechallenge
RECHALLENGE
La reazione di solito si ripresenta con la ri-somministrazione del farmaco sospetto
NB: Questa informazione non è quasi mai disponibile

321
Tossicologia – IR19

REAZIONI DI TIPO C: “CHRONIC”


EFFETTI TOSSICI CONSEGUENTI ALLA SOMMINISTRAZIONE PROLUNGATA DEL FARMACO e sono dovute a:
 Tossicità diretta: azione tossica ripetuta di un farmaco su un bersaglio, un organo o un sistema (fibrosi
polmonare da amiodarone).
 Accumulo di farmaco: il farmaco si accumula nell’organismo fino a raggiungere livelli tossici (tossicità da
digitale in pazienti con insufficienza renale).
GESTIONE: sospensione definitiva del trattamento.
PLAUSIBILITÀ TEMPORALE
 Sono reazioni a lenta insorgenza (settimane/mesi)
 Plausibilità temporale: può dipendere dalle proprietà farmacocinetiche e farmacodinamiche del farmaco
DECHALLENGE
 La reazione può non migliorare con la sospensione del farmaco (nesso di causalità non probatorio nel caso
di reazioni irreversibili)
 La reazione può migliorare molto lentamente (algoritmo di Naranjo: risposta “NON SO” )
RECHALLENGE
La reazione può ripresentarsi con la ri-somministrazione del farmaco, ma in un periodo troppo lungo (algoritmo
di Naranjo: risposta “NON SO” )

REAZIONI DI TIPO D: “DELAYED”


EFFETTI TOSSICI SULLA PROLIFERAZIONE CELLULARE E MUTAGENESI
Esempi:
Insorgenza di tumori (tumori cutanei e linfomi associati a trattamento con farmaci anti TNF-α, tumore ipofisario
associato a trattamento con risperidone, aloperidolo e ziprasidone)
Effetto teratogeno (malformazioni indotte da farmaci antiepilettici, retinoidi, antitumorali, ecc.)
GESTIONE: spesso incurabile
PLAUSIBILITÀ TEMPORALE
Tumori
 Ampio intervallo di tempo tra induzione e manifestazione clinica
 Relazione temporale non facilmente determinabile (algoritmo di Naranjo: risposta “NON SO”) Effetti
teratogeni
 Plausibilità temporale definita dal periodo della gravidanza nella quale si è verificata l’esposizione al
farmaco
DECHALLENGE
 Effetti permanenti: non scompaiono con la sospensione del trattamento
 Risposta al dechallenge non probatoria del nesso di causalità
RECHALLENGE
Non applicabile

REAZIONI DI TIPO E: “END OF USE”


EFFETTI TOSSICITI LEGATI ALLA SOSPENSIONE DEL TRATTAMENTO
Sindrome di astinenza da farmaci beta-bloccanti: nervosismo, tachicardia, ipertensione arteriosa sistolica, rischio di
episodi anginosi e infarto
Sindrome neonatale associata alla sospensione di farmaci farmaci psicotropi: irritabilità, convulsioni, pianto
persistente e tremori
GESTIONE: trattamento aspecifico dei sintomi o ripristino del farmaco con successiva sospensione graduale della
terapia
PLAUSIBILITÀ TEMPORALE
 tempo di induzione: necessaria esposizione prolungata al farmaco
 tempo d’insorgenza: dipende dalle proprietà farmacocinetiche e farmacodinamiche del farmaco (di solito
24-48 ore)
DECHALLENGE
La reazione può ripresentarsi se il farmaco viene sospeso in maniera inappropriata
RECHALLENGE
Generalmente positivo (la reazione di solito si risolve con la re-introduzione del farmaco)

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Tossicologia – IR19

REAZIONI DI TIPO F: “FAILURE”


SI MANIFESTANO PER MANCATA EFFICACIA DEL FARMACO (mancato controllo della malattia)
Esempi:
Mancata efficacia per fenomeni di resistenza (farmaci antitumorali, antibiotici)
Interazioni farmacologiche negative (ridotta attività antiipertensiva di enalapril in seguito a somministrazione di un
FANS)
GESTIONE: Rivalutazione della terapia, valutazione di possibili interazioni tra farmaci, errori terapeutici o usi non
corretti
PLAUSIBILITÀ TEMPORALE
Attenta valutazione delle caratteristiche specifiche del farmaco (farmacocinetiche-farmacodinamiche) (Es.:
l’effetto terapeutico degli antidepressivi diviene apprezzabile dopo almeno due settimane)
DECHALLENGE
 La reazione non si risolve o peggiora con la sospensione del farmaco
 La risposta al dechallenge non ha valore probatorio nella valutazione del nesso di causalità
RECHALLENGE
 La reazione persiste con la ri-somministrazione del farmaco sospetto
 La risposta al dechallenge non ha valore probatorio nella valutazione del nesso di causalità

323
Tossicologia – IR19

Reazione avversa grave

Qualsiasi evento medico sfavorevole correlato all’uso di un farmaco che:


 Richieda o prolunghi il ricovero
 Metta in pericolo la vita del paziente
 Determini disabilità persistente o clinicamente significativa
 Determini anomalie congenite
 Provochi il decesso del paziente

Valutazione della gravità delle ADR può dipendere dal giudizio clinico del segnalatore ed essere soggetta a
variabilità
I medici oncologi tendono a segnalare le ADR valutandole come non gravi anche se possono aver messo in pericolo
la vita del paziente

Esempio: valutazione della gravità delle reazioni avverse da docetaxel riportate nella rete AIFA

In questi casi sarebbe opportuno contattare il segnalatore per ottenere informazioni aggiuntive, che permettano
di attribuire correttamente la gravità

Intensità
Il termine “severo” è usato spesso per definire l’intensità con cui una reazione avversa si manifesta. In genere
l’intensità di una reazione avversa viene classificata come:
 Severa
 Moderata
 Lieve
Per certe reazioni avverse l’intensità viene misurata in “gradi” (da I a IV) Esempio: chemoterapici antitumorali
(diarrea, neutropenia).

324
Tossicologia – IR19

Come valutare se il farmaco ha contribuito all’evento.


Parametri indispensabili: informazioni minime necessarie per la descrizione e l’inquadramento di un evento.
Sono:
 Reazione avversa (descrizione della reazione avversa e diagnosi)
 Data di insorgenza della reazione avversa
 Periodo di esposizione al farmaco
 Farmaco sospetto (specialità medicinale o principio attivo, periodo di assunzione)

In che misura il farmaco può aver contribuito all’evento in questo paziente?


Parametri rilevanti: informazioni necessarie per la valutazione clinica e l’attribuzione della causalità (se
mancano è opportuno contattare il segnalatore):
 Anagrafica del paziente
 Anamnesi (eventuali condizioni predisponenti e/o concomitanti)
 Assunzione di farmaci concomitanti e/o esposizione ad altre sostanze
 Informazioni su dechallenge/rechallenge
 Esito e gravità della reazione
 Azioni intraprese ed esito (terapia farmacologica, interventi medici)
 Posologia, via di somministrazione, indicazione terapeutica dei farmaci sospetti

Quali caratteristiche cliniche ha l’evento?


Parametri secondari: Informazioni aggiuntive per completare il quadro clinico e identificare eventuali fattori di
rischio:
 Origine etnica
 Eventuali parametri rilevati in esami di laboratorio e rispettiva data di esecuzione
 Eventuale uso improprio o abuso dei farmaci sospetti/concomitanti
 Posologia, durata dell’uso, via di somministrazione e indicazione terapeutica dei farmaci concomitanti

Il segnale
La segnalazione spontanea fornisce dati inevitabilmente incompleti ma permette di studiare reazioni avverse
RARE (meno di 1 caso ogni 1.000 pazienti trattati) ma CLINICAMENTE RILEVANTI.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità tre segnalazioni di evento avverso associato all’uso di un farmaco
in una situazione di disproporzione costituiscono un possibile SEGNALE DI RISCHIO che deve essere verificato con
studi da effettuarsi su database di segnalazione spontanea.
Il segnale rappresenta il punto di partenza per la realizzazione di studi clinici osservazionali mirati a verificare
l’esistenza e la portata di fattori di rischio connessi ad una terapia farmacologica.

Validazione del segnale

325
Tossicologia – IR19

AIFA e ANALISI DEL SEGNALE


Monitora i dati di EV per convalidare e confermare (in caso di leader Member State) i segnali. L’analisi del segnale
serve a:
 Rilevare nuovi rischi
 Modificare i rischi noti
 Modificare il rapporto B/R

Per questa attività l’AIFA si avvale della collaborazione dei Centri regionali di FV (periodicità semestrale per dati
italiani, mensile per dati europei).

Aifa, rete nazionale di farmacovigilanza e eudravigilance

1. Registrare tutte le sospette ADR che si verificano nel proprio territorio e che sono comunicate da operatori
sanitari/pazienti
2. Garantire che le segnalazioni di sospette ADR possano essere trasmesse anche tramite il proprio portale
web
3. Trasmettere, per via elettronica, alla banca dati EV:
a. le segnalazioni di ADR gravi registrate nella RNF entro 15 giorni dal ricevimento
b. le segnalazioni di ADR non gravi registrate nella RNF entro 90 giorni dal ricevimento

Questo implica segnalare prontamente un rischio in altre regioni in cui la molecola/farmaco viene usato. Così si
riduce il rischio di altre reazioni avverse.

AIFA E REGIONI
Le regioni, singolarmente o di intesa fra loro, collaborano con l'AIFA nell'attività di farmacovigilanza, fornendo
elementi di conoscenza e valutazione ad integrazione dei dati che pervengono all'AIFA.
Le regioni provvedono, nell'ambito delle proprie competenze, alla diffusione delle informazioni al personale
sanitario ed alla formazione degli operatori nel campo della farmacovigilanza.
Le regioni collaborano inoltre a fornire i dati sui consumi dei medicinali mediante programmi di monitoraggio
sulle prescrizioni dei medicinali a livello regionale.
Le regioni si possono avvalere per la loro attività anche di appositi centri regionali di farmacovigilanza.

SISTEMI DI FARMACOVIGILANZA IN EUROPA: AGENZIA EUROPEA DEI MEDICINALI (EMA)


L’EMA è l’ente europeo che si occupa della valutazione dei medicinali e quindi anche degli aspetti connessi alla
farmacovigilanza (cioè tollerabilità, quindi reazioni tossiche, e sicurezza dei farmaci).
L’EMA riceve segnalazioni e rapporti periodici di sicurezza da tutti i paesi membri dell’Unione Europea. Sulla base
di una valutazione generale può prendere provvedimenti che dovranno essere applicati nelle singole nazioni a
seconda delle esigenze locali.

Tutte le regioni fanno capo all’AIFA, AIFA e tutte le autorità nazionali fanno capo all’EMA che a sua volta prende
decisioni (cambio dosaggio, ritiro, approfondimento, modifica del foglietto illustrativo, modalità di erogazione
RNR o RR ecc.).

326
Tossicologia – IR19

LA RETE EUDRAVIGILANCE
È stata creata una rete che prevede una connessione funzionale per far circolare le informazioni attraverso la rete
europea. Fa capo all’EMA.
Nel veneto esiste una rete chiamata vigifaramco.

VIGIFARMACO
Vigifarmaco è una piattaforma di web-
reporting operativa in Veneto dal febbraio
2014
L’Aifa ha esteso il progetto a livello nazionale
nel Luglio 2015.
I segnalatori possono segnalare con o senza
registrazione. (Se registrati trovano già i
propri dati inseriti a ogni segnalazione)
I Responsabili locali di FV devono registrarsi
alla piattaforma Vigifarmaco.

È comoda perché il cittadino/personale


doveva inviare fisicamente la scheda di
segnalazione. Oggi c’è una piattaforma in cui si
segnala direttamente l’effetto avverso,
ACCORCIANDO I TEMPI.

Si accede dal sito dell’AIFA e si accede a schede specifiche per operatore e cittadino. La scheda è immediatamente
spedita al centro regionale di farmacovigilanza.
Questo centro ha il compito di inviare al centro nazionale (AIFA) la segnalazione. All’AIFA non arrivano le
informazioni solo dal referente regionale che le ha raccolte dall’utente (OS o cittadino) ma anche dalle aziende
titolari dell’AIC, le produttrici del farmaco.
Attraverso la rete europea, il centro nazionale provvede a inviare entro 15 gg la segnalazione delle reazioni gravi
e non attraverso eudravigilance. A livello europeo ci sono più informazioni e poi si arriva all’OMS che è l’autorità
regolatoria ultima.

327
Tossicologia – IR19

RISCHIO: NORMATIVE

Esistono due regolamenti europei: REACH e CLP. Tutte le nazioni europee hanno regolamento comune per
garantire sicurezza e benessere della popolazione attraverso segnalazione e regolamentazione delle sostanze
chimiche.
Introdotti obblighi per l’industria e per gli organi di vigilanza nella gestione delle sostanze chimiche e delle loro
miscele.

REACH
REACH è l'abbreviazione di Registration, Evaluation, Authorisation and Restriction of Chemicals, ossia
registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche; il regolamento è entrato in vigore
il 1° giugno 2007.

Il regolamento REACH si applica a tutte le sostanze chimiche: non solo a quelle utilizzate nei processi industriali,
quindi, ma anche a quelle che vengono adoperate quotidianamente, ad esempio nei detergenti o nelle vernici, e
quelle presenti in articoli come gli abiti, i mobili e gli elettrodomestici. Il regolamento, quindi, interessa la maggior
parte delle aziende di tutta Europa.
Il regolamento REACH attribuisce alle aziende l'onere della prova, per cui le aziende, a norma del regolamento,
devono identificare e gestire i rischi collegati alle sostanze che producono e vendono nell'Unione europea,
dimostrare all'ECHA come utilizzare tali sostanze senza correre rischi e informare gli utenti delle misure di
gestione dei rischi.
Se tali rischi non sono gestibili, le autorità hanno la facoltà di imporre varie limitazioni all'uso delle sostanze e nel
lungo termine le sostanze più pericolose devono essere sostituite con sostanze meno pericolose.

Se un’impresa importa da paesi extra-europei o fabbrica in Europa sostanze in quantitativi pari o superiori a una
tonnellata l'anno, è tenuta ad effettuare l’attività di registrazione ai sensi del Reg.to 1907/2006 (REACH).

La registrazione comprende un dossier da presentare all’Agenzia Europea della Chimica (ECHA) contenente le
informazioni sulla sostanza fabbricata o importata, comprendenti tra l’altro dati sugli usi lungo la catena di
approvvigionamento, la classificazione ed etichettatura della sostanza relativamente ai pericoli (Reg.to
1272/2008 - CLP), i dati chimico-fisici, tossicologici, eco-tossicologici sulla sostanza e, ove previsto, la valutazione
della sicurezza chimica (CSR – Chemical Safety Report) che si concretizzerà negli scenari di esposizione
comprendenti le informazioni di uso sicuro della sostanza per una corretta gestione dei rischi.
L'obbligo di registrazione si applica a
 sostanze in quanto tali;
 alle sostanze contenute in miscele;
 alle sostanze contenute in articoli destinate ad essere rilasciate in condizioni d’uso normali o
ragionevolmente prevedibili.

Sostanze chimiche già regolamentate da altre normative (ad esempio ad uso alimentare/medicinale) sono
parzialmente o totalmente esentate dagli obblighi del regolamento REACH. La registrazione si basa sul principio
"una sostanza, una registrazione", e prevede il versamento di una tariffa all’Agenzia Chimica Europea (ECHA).
Sono tenuti a eseguire la registrazione:
 fabbricanti o importatori dell'UE di sostanze in quanto tali o contenute in miscele;
 produttori o importatori dell'UE di articoli “a rilascio intenzionale”;

La registrazione deve avvenire deve avvenire prima di aver fabbricato o importato le sostanze in quantitativi pari
o superiori alla tonnellata/anno.
La registrazione si può effettuare fino al 31 maggio 2018 (termine del “regime transitorio” previsto dal
Regolamento REACH per il quale fabbricanti o importatori che avevano correttamente preregistrato alcune
tipologie di sostanze potevano fabbricarle o importarle fino a 100 tonnellate/anno).
Non registrare una sostanza fabbricata o importata comporta per l’azienda il suo mancato utilizzo o
commercializzazione (definito da Regolamento REACH come “no data, no market”).

328
Tossicologia – IR19

REACH è un regolamento definito secondo un sistema europeo integrato (GHS) finalizzato a:


 Proteggere la salute umana e ambientale
 Ridurre test sui vertebrati
 Promuovere metodi alternativi e condivisione dei dati
 Migliorare le informazioni di pericolosità, manipolazione, smaltimento di agenti chimici potenzialmente
pericolosi.

329
Tossicologia – IR19

CLP
Il regolamento sulla classificazione, l’etichettatura e l’imballaggio (CLP) ((CE) n. 1272/2008) si basa sul sistema
mondiale armonizzato di classificazione ed etichettatura delle sostanze chimiche (GHS) delle Nazioni Unite e ha lo
scopo di garantire un elevato livello di protezione della salute e dell’ambiente, nonché la libera circolazione di
sostanze, miscele e articoli.

Il regolamento CLP ha modificato la direttiva sulle sostanze pericolose (67/548/CEE (DSD)), la direttiva sui
preparati pericolosi (1999/45/CE (DPD)) e il regolamento (CE) n. 1907/2006 (REACH) e, a partire dal 1° giugno
2015, è l’unica norma in vigore nell’UE per la classificazione ed etichettatura delle sostanze e delle miscele.

Il regolamento CPL è giuridicamente vincolante in tutti gli Stati membri e direttamente applicabile a tutti i settori
industriali. Esso impone ai fabbricanti, agli importatori o agli utilizzatori a valle di sostanze o di miscele di
classificare, etichettare e imballare le sostanze chimiche pericolose in modo adeguato prima dell’immissione sul
mercato.
Uno dei principali obiettivi del regolamento CLP è determinare se una sostanza o miscela presenta proprietà che
permettono di classificarla come pericolosa. In questo contesto, la classificazione è il punto di partenza per la
comunicazione di pericolo.

Quando le informazioni pertinenti (ad es. dati tossicologici) su una sostanza o una miscela soddisfano i criteri di
classificazione del regolamento CLP, i pericoli di una sostanza o di una miscela vengono identificati assegnando
una determinata classe e categoria di pericolo. Le classi di pericolo nel regolamento CLP riguardano pericoli fisici,
per la salute, per l’ambiente e ulteriori pericoli.

Una volta classificata una sostanza o una miscela, i pericoli identificati devono essere comunicati ad altri attori
della catena d’approvvigionamento, inclusi i consumatori.

L’etichettatura dei pericoli consente di comunicare la classificazione di pericolo agli utilizzatori di una sostanza o
di una miscela, tramite etichette e schede di dati di sicurezza, per avvertirli della presenza di un pericolo e della
necessità di gestire i rischi associati.

Il regolamento CLP stabilisce criteri dettagliati per gli elementi dell’etichetta: pittogrammi, avvertenze e
dichiarazioni standard concernenti il pericolo, la prevenzione, la reazione, lo stoccaggio e lo smaltimento, per
ciascuna classe e categoria di pericolo. Esso stabilisce anche le norme generali relative all’imballaggio, che
garantiscono la sicurezza delle forniture delle sostanze e delle miscele pericolose.

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Tossicologia – IR19

SIMBOLI DI PERICOLO

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Tossicologia – IR19

ESEMPIO DI SCHEDA DI SICUREZZA DI UNA SOSTANZA

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Tossicologia – IR19

Mutageni e cancerogeni: criteri EU


Mutagene: tutte le sostanze e i preparati che per inalazione, ingestione o assorbimento cutaneo, possono provocare
alterazioni genetiche ereditarie.
Cancerogene: tutte le sostanze e i preparati che per inalazione, ingestione o assorbimento cutaneo, possono
provocare il cancro o aumentarne la frequenza.

I criteri ufficiali EU, recepiti dall’ordinamento legislativo italiano classificano tali sostanze in tre categorie con
obbligo di diversa etichettatura sulla base degli studi tossicologici.

333
Tossicologia – IR19

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