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LE SOLUZIONI
Consideriamo soluzioni di componenti miscibili in tutte le proporzioni. Per caratterizzare lo stato
termodinamico del sistema ora non saranno più necessarie solo p T e n; ora avendo più di un componente
avremo anche il numero di moli di ciascun componente n1, n2, …. nN con N=numero di componenti.
Considerando la scelta delle variabili indipendenti è più conveniente utilizzare una grandezza diversa dal
numero di moli che è la frazione molare xi:
ENERGIA LIBERA:
per una sostanza pura definiamo il potenziale chimico μ come l’energia libera associata ad 1 mole di
sostanza
Posso allora definire l’energia libera del sistema con n moli come il prodotto tra n e μ; posso però
immaginare il potenziale come la derivata di G rispetto al numero di moli: n dipende dal numero di moli, μ
non dipende dal numero di moli e risolvendo ottengo proprio il potenziale chimico. Questa è una definizione
alternativa del potenziale chimico per la sostanza pura, equivalente alla precedente, ma nel caso di una
soluzione è differente.
Per generalizzare il concetto potenziale chimico al componente i-esimo della soluzione è utilizzare questa
relazione:
“Il potenziale chimico del componente i-esimo è scrivibile come
la derivata parziale dell’energia libera totale della soluzione
rispetto al numero di moli del componente i-esimo stesso,
tenendo fissi T, p e il numero di molti di tutti gli altri
componenti.”
Non si può parlare di potenziale della soluzione nella sua interezza perché non ha senso ma solo per ogni
componente.
Nel caso di una soluzione binaria:
Il potenziale così definito rimane una proprietà intensiva
essendo il rapporto tra due variabili estensive.
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Come G dipende da T, p, e ni che scriviamo però in forma di frazione molare (non dipende da n essendo
intensiva):
ci fermiamo a N-1 perché non serve considerare l’ultima
frazione molare, determinabile dalle altre (la loro somma è 1)
Si poteva anche dire che μ1 dipende da (T, p e x2) perché sono reciprocamente determinate, ma non è una
scelta conveniente. Rimane una scelta arbitraria.
Si dimostra che la derivata di G è definita come:
1.
Perché è una funzione omogenea e da qui vediamo come G sia una funzione estensiva
2. a p e T costanti
3. all’equilibrio di un componente i tra due fasi α e β (ad es. soluzione sovrastata da un vapore che
contiene gli stessi componenti) il potenziale chimico di ognuno dei componenti i-esimi è lo stesso
nella fase α(soluzione) e nella fase β(vapore)
μi,α =μi,β
questa uguaglianza è utile per poter scrivere il potenziale μ in funzione della sua frazione molare xi.
Parete mobile p
G (n1,L , n2,L , n1,g , n2,g) funzione in 4 variabili
vapore Contiene n1,g e n2,g
soluzione
Contiene n1,L e n2,L
Termostato T
Per trovare il minimo di una funzione a più variabili dobbiamo trovare il punto in cui tutte le derivate
parziali della funzione rispetto alle variabili indipendenti sono nulle.
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queste variabili non sono davvero tutte indipendenti perché la somma del numero di moli del componente 1
L+g deve essere costante (il sistema è chiuso); se diminuisce n1,L aumenta n1,g della stessa quantità.
Possiamo quindi scrivere la relazione
n1 = n1,L + n1,g da cui dn1 = dn1,L + dn1,g
sapendo che n1 è costante, il suo differenziale è zero, da cui dn1,L + dn1,g = 0 dn1,L = - dn1,g
che è la formalizzazione matematica dell’assunto per cui la variazione positiva un componente in una fase
deve corrispondere la stessa variazione negativa del componente nell’altra fase. Lo stesso ovviamente vale
per il componente 2. Posso allora sostituire questa uguaglianza nel dG ottenendo:
Individuo i punti di minimo andando a cercare dove entrambe le derivate parziali si annullano
“Il minimo della funzione energia libera G si trova quando contemporaneamente i potenziali chimici
dei componenti nelle due fasi si equivalgono”.
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Volendo rappresentare questa relazione in forma matematica, si ottiene
Legge di Raoult
Questa legge è valida per tutte le composizioni di specie chimiche simili tra loro, come benzene e m-
benzene.
In molti casi però troviamo forti deviazioni dalla legge di Raoult, come in
questo esempio. Se fosse valida la legge avremmo delle rette.
Anche per soluzioni che presentano queste deviazioni però esiste un intervallo di frazioni molari in cui la
legge di Raoult risulta rispettata in modo soddisfacente.
Dati sperimentali del solfuro di cesio e del cloroformio, pressione parziale in funzione della loro frazione
molare. Per la maggior parte dei valori di frazione molare la legge di Raoult non è valida, ma arrivando in
prossimità di xi=1 la curva va a coincidere con la retta che descrive la legge di Raoult, per queste due specie
e per tutte.
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In queste condizioni vale la Legge di Henry; anche questa prevede una dipendenza lineare tra xi e pi ma al
posto della tensione di vapore p* abbiamo un coefficiente di proporzionalità chiamato
coefficiente di Henry
Ki coefficiente di Henry
I termini che non dipendono da xi possiamo raggrupparli in un nuovo parametro che dipende solo dalla T ed
è il potenziale chimico del componente i liquido puro:
Sappiamo che la dipendenza dalla pressione delle fasi condensate è molto piccola e quindi trascurabile. La
relazione è valida se vale l’ipotesi che il componente i-esimo segua a legge di Raoult per tutti i valori della
sua frazione molare, quindi in soluzioni ideali.
Soluzione ideale := soluzione che segue la legge di Raoult per ogni sua composizione oppure quando il
potenziale chimico di ogni componente i-esimo è scrivibile in termini di questa relazione, una costante
rispetto alla frazione molare + RTlnxi .
Sappiamo però che la legge di Raoult è valida per un componente la cui frazione molare sia prossima
all’unità; per tenere conto di questa deviazione dalla idealità che si verifica nelle soluzioni reali dobbiamo
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introdurre un fattore correttivo adimensionale nel potenziale, detto coefficiente di attività γi che moltiplica la
frazione molare.
Calcolo il potenziale chimico reale del componente i μi,l che ho ad un certo valore di frazione molare per il
componente i gli sottraggo quello che dovrebbe essere il potenziale chimico se la soluzione fosse ideale ed il
risultato è la quantità effettiva misurata della deviazione dalla idealità.
Per una scrittura più compatta definiamo il prodotto γi xi = ai, attività del componente i-esimo
I coefficienti di attività γi sono determinabili sperimentalmente tramite la misura delle pressioni parziali del
vapore che è in equilibrio con la soluzione che sto considerando:
- utilizziamo una relazione che già nota in cui in condizioni di equilibrio per il componente i-esimo il
suo potenziale chimico del in fase vapore e il suo potenziale chimico in fase liquida si eguagliano;
esplicitiamo il potenziale chimico in fase vapore in funzione della sua pressione parziale e il
potenziale chimico in fase liquida in termini della sua espressione generale, valida per le soluzioni
reali;
- riprendo l’espressione esplicita del potenziale chimico nel caso di un liquido puro, con xi=1 e
quando che implica γi =1
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- Ne consegue che γi è calcolabile dalle misure di equilibrio liquido-vapore:
SOLUZIONI DILUITE
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Sottoinsieme delle soluzioni in cui un componente presente in misura maggioritaria ed è definito solvente;
ad esso assegno l’indice i di zero, è quasi puro e la sua frazione molare è prossima all’unità. Gli altri
componenti, che chiamo soluti, hanno tutte una concentrazione bassa, con frazione molare prossima a zero.
Per i soluti si considerano unità di misura diversa dalla frazione molare, che è la concentrazione molare:
In termodinamica però è problematico usare la concentrazione molare perché noi siamo interessati a sistemi
chiusi, a p costante e vogliamo osservare cosa succede al variare della T; ma al variare della T varia il
volume della soluzione perché anche se di poco, i liquidi hanno una variazione del volume molare in
funzione della T, con conseguente variazione della concentrazione molare della soluzione in esame.
Per ovviare a questo problema si introduce una diversa misura della concentrazione, la molalità:
Abbiamo lo zero al pedice per indicare che è il solvente, perché ha i=0. Potenziale chimico del
solvente puro + RT ln della sua frazione molare. Non c’è bisogno di introdurre i coefficienti di
attività perché la situazione reale della concentrazione del solvente è sovrapponibile al range di
frazioni molare per cui una specie segue la legge di Raoult
2- Soluti: per i soluti possiamo derivare il potenziale chimico in funzione della concentrazione
assumendo che questo segua la legge di Henry per ogni composizione mi(molalità) della soluzione
dato che si fa sempre riferimento a soluzione diluite, e quindi una pressione parziale proporzionale
alla frazione molare ma con coefficiente di proporzionalità diverso dalla tensione di vapore (come
succede invece nella legge di Raoult)
Il punto di partenza per esprimere il potenziale chimico di un soluto in termini della sua molalità è lo stesso
utilizzato nel potenziale chimico di una soluzione generica composta da due liquidi perfettamente miscibili.
L’uguaglianza è tra la specie in soluzione, il soluto, e il vapore in equilibrio con la soluzione stessa.
Per un certo soluto i-esimo in soluzione, all’equilibrio il potenziale è uguale al potenziale chimico standard
di quel soluto in fase gas + RT ln pi/pθ .
Moltiplicando per miθ/miθ (molalità standard di i, che andremo a definire tra poco) isolo un termine che
dipende dalla molalità e l’altro è fatto solamente da termini che data una certa soluzione (solvente e soluto)
sono costanti, non dipendono dalla concentrazione
Se ridefinisco tutto il primo termine come il potenziale chimico standard del soluto in soluzione si ottiene:
μθi,sol rappresenta il potenziale chimico del soluto nel suo stato standard: soluzione a pressione standard,
con soluto a molalità standard e che segue la legge di Henry per qualsiasi concentrazione.
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Questa funzione non dipende da p (perché è fissata a p standard) ma solo da T; ogni altra quantità riferita al
soluto si può ottenere dal potenziale chimico del soluto. Vedendo le derivate del potenziale rispetto a T e a p
otteniamo rispettivamente le funzioni entropia e volume molare; inoltre applicando l’equazione di Gibbs-
Helmholtz troviamo l’entalpia standard, scrivibile come
Dal presupposto per cui la soluzione segua la legge di Henry per ogni concentrazione di soluto, definiamo le
soluzioni diluite ideali, cioè quelle soluzioni in cui è valida la relazione
Per soluzioni diluite reali avremo delle deviazioni dalla legge di Henry e si introduce un fattore correttivo γi,
il coefficiente di attività, adimensionale e specifico per ogni soluto. La relazione precedente diventa allora
In questa formulazione del potenziale tramite l’attività, l’espressione risulta formalmente identica a quella
ottenuta parlando di soluzioni ideali sulla base della legge di Raoult ma nel caso di soluzioni generiche di
due liquidi miscibili l’attività era uguale a γi xi (coefficiente per frazione molare).
Queste espressioni descrivono anche soluzioni di specie poco volatili o non volatili, come soluti solidi con
bassa tensione di vapore o ancora ioni in soluzione in cui la probabilità di trovarlo in fase gassosa è
trascurabile. Quindi anche non potendo fare effettivamente una misurazione della pressione parziale del
vapore in equilibrio col soluto solido o ionico, l’equazione che ci da il potenziale chimico di quel soluto in
funzione della molalità è sempre valida.
con soluti ionici invece le interazioni elettrostatiche a lungo raggio diventano importanti anche nel
range di concentrazioni che stiamo considerando, molto basse, perché non serve che le particelle
entrino a contatto tra di loro: le deviazioni dalla idealità in questo caso sono molto più marcate e i
coefficienti di attività sono molto diversi da 1 e sono da tenere in conto. (il potenziale legato alle
interazioni coulombiane è proporzionale ad 1/r, decadimento molto lento in funzione della distanza,
quindi anche se le molecole sono molto lontane tra di loro si sentono).
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Le grandezze fisiche standard delle sostanze in soluzione sono tabulate e sono diversi rispetto aquelle della
stessa sostanza ma pura; esse si riferiscono alla reazione di formazione della specie solvatata in
concentrazione standard 1 molale, alla pressione standard di 1 bar in condizioni di validità della legge di
Henry per tutte le concentrazioni a partire dagli elementi nel loro stato di riferimento.
ESEMPIO:
È possibile definire proprietà termodinamiche standard di formazione non solo per specie neutre ma anche
per soluti ionici; in questo caso si parte sempre dagli elementi nel loro stato di riferimento e si considera la
reazione che porta alla specie ionica solvatata.
ESEMPIO:
In questo caso non compare nulla di esplicito per gli elettroni perché nelle redox complete gli elettroni sono
bilanciati tra la specie che li acquista e quella che li cede ed il loro contributo al netto si annulla. Per
convenzione anche considerando le semireazioni possiamo omettere il potenziale chimico standard degli
elettroni quando calcoliamo grandezze standard di formazione (in questo caso Energia libera ma valido per
ogni grandezza)
PROPRIETÀ COLLIGATIVE
Sono proprietà termodinamiche del solvente e dipendono quindi dal suo potenziale chimico e dalla sua
frazione molare; dipendono dalla quantità totale dei soluti ma non dalla loro natura chimica.
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La frazione molare del solvente si potrà scrivere come 1 meno la somma delle frazioni molari di tutti i soluti
(xi), scrivibile anche come massa molare del solvente per la somma delle molalità dei soluti.
La prima proprietà che dipende solo dal potenziale chimico del solvente e che viene modificata dal fatto
che la frazione molare del solvente in soluzione è minore di 1 è la pressione di vapore del solvente. Siamo
in condizioni in cui vale la legge di Raoult perché la frazione molare è prossima a 1
La pressione di vapore del solvente sarà uguale alla tensione di vapore di liquido puro moltiplicata per la sua
frazione molare, che è leggermente minore di uno. Ne consegue che la pressione del solvente sarà
leggermente minore della sua tensione di vapore liquido puro.
La diminuzione della temperatura di fusione del solvente è scrivibile come una costante per la somma
di tutte le molalità dei soluti in soluzione. La costante è la costante crioscopica del solvente:
La quarta proprietà colligativa non è legata a transizioni di fase del solvente, la PRESSIONE
OSMOTICA: si riferisce ad una pressione aggiuntiva che abbiamo in presenza di membrane
permeabili al solo solvente ed ha una espressione in cui compare ancora una costante di
proporzionalità, RT, per la somma su tutti i soluti di tutte le concentrazioni
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N.B.= nella sommatoria su tutti i soluti vanno considerate tutte le specie realmente in soluzione; per
esempio, nel caso di specie che si dissociano nel solvente andranno considerate tutte le concentrazioni
degli ioni separatamente ed in base alla loro solubilità.
Senza entrare nel dettaglio di come si arriva alla definizione matematica delle costanti sopra citate,
osserviamo il grafico del potenziale del solvente in funzione della temperatura a partire dal suo stato
di solido puro fino al vapore.
1
2
La curva del potenziale del solido e del vapore del solvente in soluzione coincidono con il grafico del
solvente puro, perché abbiamo specificato che non ci sono soluzioni solide (abbiamo solvente solido
puro) e il vapore è formato solo dal solvente (soluti non volatili). Per quanto riguarda la fase liquida
invece il solvente non è puro ma presenta i soluti disciolti ed il profilo del potenziale sarà diverso e lo
potremo scrivere, come indicato sopra come il potenziale del solvente in fase liquida puro (μ0,l*,curva
gialla) più RT ln(x0), scrivibile come (1 - M0 ∑mi)
INTERMEZZO MATEMATICO:
Per valori di z molto piccoli (z0) il valore di ln(1+z) è circa z.
-M0 ∑mi
diventa
Riportando su grafico questa relazione si ottiene il potenziale del solvente in soluzione, legato alle
concentrazioni dei soluti (curva verde).
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L’origine degli effetti sta dunque nella diminuzione del potenziale del solvente se sono presenti soluti.
PRESSIONE OSMOTICA:
Sperimentalmente si osserva che per
mantenere il sistema in equilibrio meccanico
occorre aggiungere una ulteriore pressione
che agisce dal lato della soluzione. Se
mettiamo la stessa pressione da entrambe le
parti osserviamo che il solvente si sposta dalla
camera che contiene solvente puro a quella
che contiene la soluzione; la pressione
osmotica Π è la pressione aggiuntiva da
applicare affinché lo spostamento non
avvenga. A livello microscopico lo
spostamento è legato al fatto che nella
soluzione la frazione molare del solvente è
minore di 1. Man mano che il solvente passa la
colonna del liquido della soluzione aumenta di volume e con essa la pressione idrostatica finché il
sistema non arriva all’equilibrio dato dalla pressione idrostatica aggiuntiva della seconda colonna, che
sarà pari a
Π = ρ g Δh
ρ = densità del solvente
g = accelerazione di gravità
Alla base della condizione di equilibrio c’è l’uguaglianza del potenziale chimico del solvente puro e il
potenziale chimico del solvente nella soluzione
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1. potenziale solvente puro alla pressione p=potenziale solvente puro alla pressione (p+ Π) + contributo
del potenziale dovuto al fatto che è in soluzione RT ln x0.
2. so che la derivata del potenziale chimico rispetto alla pressione è uguale al volume molare del
liquido puro. Dopo vari arrangiamenti matematici ottengo l’equazione
3. riscrivo la frazione molare del solvente in termini delle frazioni molari dei soluti
4. la frazione molare dei soluti è molto piccola per cui ln (1 – somma) è approssimabile a -somma.
5. La frazione molare dei soluti è moli soluti/moli totali; le moli totali sono approssimabili alle moli del
solvente n per cui xi = ni /n
0 0
EQUILIBRI DI REAZIONE
Si considerano sempre reazioni a p e T costanti. Quali sono le condizioni per cui si instauri l’equilibrio
termodinamico in una reazione chimica?
Esempio reazione di interconversione di A in B in una loro soluzione diluita:
Grandezze in gioco:
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Conservazione della massa n0 = nA + nB = costante
Energia libera della soluzione
È una soluzione diluita ideale per cui posso esprimere l’attività delle due specie in termini della
molalità/molalità standard, la molalità in termini della frazione molare, assimilabile a ni /nsolv invece che
ni /ntot. Moltiplico e divido per n0 e raccolgo in a0 i termini costanti in funzione dell’avanzamento della
reazione. Stesso ragionamento si fa per B e poi si sostituiscono nelle espressioni dei rispettivi potenziali
chimici μA e μB.
Per definire lo stato di avanzamento della reazione introduciamo una nuova grandezza , grado di
avanzamento della reazione, corrispondente al numero di moli di A che hanno reagito
è l’unico grado di libertà del sistema, l’unica variabile indipendente, perché p e T sono fissate e moli
A+moli B è costante; questo varia tra 0 e n0 , ed esprime dove si colloca l’equilibrio chimico: per valori
minori di quel grado di avanzamento la reazione procede verso i prodotti, per un valore più grande la
reazione torna indietro ai reagenti.
Però anche i potenziali chimici dipendono dal grado di avanzamento, quindi bisogna esprimere μ in termini
del grado di avanzamento ottenendo
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Termine che non dipende Termine che
dal grado di avanzamento dipende dal
grado di
avanzamento
La derivata dell’energia libera del sistema rispetto al grado di avanzamento a T e p costanti è definita come
Energia libera di reazione:
Non è energia libera standard!
Questa è la derivata i cui valori pari a zero equivalgono all’equilibrio di reazione; il segno della derivata per
valori diversi da zero determina la direzione spontanea della reazione.
Predizioni sulla posizione dell’equilibrio, cioè come calcolare l’energia libera di reazione in funzione della
concentrazi0one di reagenti e prodotti, per ottenere l’espressione della condizione d’equilibrio in termini
delle concentrazioni stesse. Parto dal differenziale dell’energia libera del sistema:
Operando in condizioni per cui le moli di solvente rimangono costanti, dnsolv è uguale a 0.
Esprimiamo dnA e dnB in termini del grado di avanzamento
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Dato che dG=(μB - μA)d dG/d= μB – μA quindi la derivata di G in funzione di risulta essere
esattamente μB – μA ovviamente a T e p costanti.
All’equilibrio
Dato il grado di avanzamento ξ, possiamo scrivere il numero di moli nJ componente J-esimo girando
l’espressione precedente, da cui:
L’attività è una quantità adimensionale; la maniera in cui si esprime per le varie specie presenti nella
reazione dipende dalla natura della specie, cioè dallo stato standard delle specie stesse:
- Se la specie considerata è una fase condensata puro il suo coefficiente di attività è 1, da cui ln(a)=0 e
il potenziale chimico è uguale al potenziale chimico standard, perché variando la pressione il
potenziale rimane circa uguale.
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- Se J è il solvente possiamo scrivere l’attività come la sua frazione molare; essendo in condizioni di
soluzione che si comporta come ideale rispetto al solvente, perché la frazione molare è prossima
all’unità, vale la legge di Raoult ed il coefficiente di attività γ è uguale a 1.
- Per i soluti in soluzioni diluite, l’attività è come precedentemente definita.
- Nel caso di fase gassosa, la sua attività è pressione parziale/pressione standard, assumendo che si
comporti da gas ideale.
Quello che ci interessa è vedere come varia l’energia libera in funzione di variazioni infinitesime del grado
di avanzamento ξ, come fatto per la reazione semplice A B, ma ora applicato una reazione generica.
Calcolo quindi il differenziale:
dnJ0 è costante, è il numero iniziale di moli, quindi
il suo differenziale è 0
All’equilibrio
N.B.= SIA K CHE ΔrGθ DIPENDONO SOLO DA T E NON DALLE CONCENTRAZIONI DELLE
SPECIE.
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Dal punto di vista pratico possiamo calcolare la costante di equilibrio della reazione vedendo nelle tabelle di
proprietà termodinamiche di reagenti e prodotti i valori che servono per l’energia libera standard di reazione
(esprimibile tramite le energie libere standard di formazione delle specie):
Scriviamo la costante di equilibrio in termini delle attività, a loro volta esprimibili come molalità (per i soluti
ionici) e frazione molare (per l’acqua liquida, solvente). Questa ha frazione molare approssimabile a 1
perché la quantità di ioni disciolti è piccolissima. Anche nel caso degli ioni possiamo approssimare il
coefficiente di attività è approssimabile a 1, da cui otteniamo l’equilibrio di autoprotolisi dell’acqua.
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- Per una reazione esotermica (Δ<0) al contrario la derivata è negativa e la costante d’equilibrio
diminuisce all’aumentare della temperatura.
L’equazione di van’t Hoff deriva da due equazioni note, quella in cui lnK è legato al ΔrGθ e l’equazione di
Gibbs-Helmholtz, che consente di ottenere l’entalpia dalla derivata dell’energia libera diviso la temperatura
in funzione di 1/T
Con questa espressione siamo in grado di calcolare la costante di equilibrio K a temperature diverse da
quella utilizzata per tabulare i parametri termodinamici delle specie, 25°C:
- Calcolo ΔrHθ (considerato indipendente dalla temperatura per intervalli di T non molto ampi);
- Calcolo ΔrGθ a 25°C;
- Utilizziamo l’equazione di van’t Hoff per trovare la costante di equilibrio a temperature diverse da
25°C conoscendo il ΔrHθ integrandola per la temperatura interessata.
Riarrangio l’equazione di van’t Hoff:
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- Calcoliamo il ΔrHθ;
- Inseriamo i dati nell’espressione di van’t Hoff per ottenere K a 37°C;
- Sappiamo che K(37°)= (aH+)(aOH-)/(aH2O), che aH2O=1 e che aH+= aOH-=mH+/mθ =mOH-/mθ da cui
K=(mH+/mθ)2
Come determinare i coefficienti di attività γ degli ioni, non potendo utilizzare le loro
pressioni parziali perché infinitamente piccole
Possiamo determinare i coefficienti di attività γ ricorrendo solo ai ΔrGθ e le corrispondenti costanti di
equilibrio, e alla misura di concentrazioni in soluzione, senza dover misurare le pressioni parziali di ioni che
non sono accessibili perché troppo piccole.
Consideriamo la reazione
Posso calcolare il ΔGθ di reazione attraverso i ΔGθ di formazione:
Ora trovo la costante di equilibrio, sapendo che la concentrazione delle due specie ioniche è la stessa
Posso scrivere K in termini di attività e di conseguenza riarrangiare l’espressione per isolare i coefficienti di
attività γ.
Ne consegue che dato K, misurati sperimentalmente pHCl e m± possiamo ottenere solo il prodotto dei
coefficienti d’attività γH+ e γCl- e non quello dei singoli ioni separatamente.
Quello che si può fare è determinare un coefficiente di attività medio che da definizione è la radice quadrata
del prodotto dei due coefficienti di attività
-media geometrica-
Nelle relazioni termodinamiche il coefficiente di attività di uno ione viene sostituito da quello medio
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Nel caso di un elettrolita generico, invece che del coefficiente del catione γ e del coefficiente dell’anione γ-
+
Nelle soluzioni diluite le deviazioni dall’idealità dovute alle interazioni tra i soluti sono
1. Trascurabili, nel caso di soluti neutri (contatto diretto improbabile)
2. Rilevanti, nel caso di elettroliti (anche a basse concentrazioni) a causa delle interazioni
elettrostatiche tra cariche che persistono anche a lunghe distanze.
. Per concentrazioni piccole, come
millimolari (0.001) o decimillimolari
(0.01) nel caso del KCl abbiamo una
deviazione da 1 del 5-10%;
. Nel secondo caso ci sono deviazioni
dell’ordine del 30% già a concentrazioni
millimolari, quindi molto marcate e non
trascurabili.
Come predire i valori dei coefficienti di attività medi di specie ioniche in base alle
caratteristiche della soluzione, cioè alle concentrazioni degli ioni
Teoria di Debye-Huckel: si basa sulla termodinamica statistica, quindi teoria microscopica, che discute le
soluzioni come formate da ioni, trattati esplicitamente, e solvente, mezzo continuo con uguali proprietà in
qualsiasi punto dello spazio e caratterizzato dalla proprietà di risposta ad un campo elettrico, la costante
dielettrica ε.
Legge di Debye-Huckel:
La relazione lega il logaritmo decimale dei coefficienti di attività
medi a:
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- I è la forza ionica della soluzione La sommatoria è estesa su tutte le specie
ioniche i con molalità mi (i coefficienti d’attività sono controllati dalle interazioni elettrostatiche
presenti tra tutti gli ioni presenti in soluzione)
- La costante A dipende dalla temperatura e dalla costante dielettrica del mezzo. Per l’acqua a 25°C il
valore di A=0.509 (Kg7mol)1/2
Vengono tracciate le linee tratteggiate in base alla teoria
di Debye-Huckel; i punti e le curve che li congiungono
sono i dati sperimentali.
Vediamo che nel caso di NaCl (formato da due ioni
monovalenti) le due curve sono esattamente
sovrapposte.
Per MgCl2 (formato da uno ione monovalente e uno
bivalente) iniziano a vedersi delle deviazioni dalla
linearità; inoltre osserviamo una pendenza della curva
più ripida, ma ce lo aspettiamo perché nella legge ci
sono i moduli delle cariche e in questo caso il modulo
fa 2.
Per MgSO4, formato da due ioni bivalenti, vediamo
una curva ancora più ripida -ora il valore del modulo
sarà 4- ma qui l’approssimazione teorica di Debye-
Huckel non fitta quasi mai col dato sperimentale,
anche per valori di I in cui la teoria funzionava per
NaCl e MgCl2.
La descrizione teorica di Debye-Huckel fitta meglio per ioni monovalenti rispetto a quelli polivalenti a
parità di concentrazione; le deviazioni dalla idealità nel secondo caso è molto più marcata ed aumenta
con la valenza degli ioni.
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DESCRIZIONE DELLA TERMODINAMICA DI UNA REAZIONE CHIMICA IN
CONDIZIONI LONTANE DALL’EQUILIBRIO, CIOÈ IN UNA CELLA GALVANICA
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Pila Daniel: un semielettrodo ha Zn solido e Zn2+ -anodo, avviene l’ossidazione-, l’altro semielettrodo ha
rame Cu solido e Cu2+ -catodo, avviene la riduzione-. La reazione complessiva è
Quando abbiamo una reazione del genere bisogna considerare anche i coefficienti stechiometrici degli e-
perché le semireazioni avvengono in luoghi diversi; in questo caso per esempio è 2.
La cella galvanica è definita all’equilibrio quando non c’è corrente che passa da un semielettrodo all’altro,
anche se il circuito è chiuso (i=0)
Osservando l’andamento di i in funzione della differenza di potenziale ΔV e vediamo che per un esatto
valore di ΔV=E (prima definito come f.e.m., ora invece come potenziale di cella) i=0, e questa è la
condizione di equilibrio a cui faccio riferimento. (potenziostato=generatore di differenza di potenziale).
Anche se mi trovo in condizioni di equilibrio termodinamico, perché ho applicato la f.e.m., dal punto di vista
della reazione di cella se i reagenti fossero a contatto e non divisi in semicelle, quindi potessero scambiarsi
direttamente gli elettroni e non attraverso un circuito esterno (a cui ho applicato una ‘forza’ che blocca il
trasferimento di elettroni), la reazione continuerebbe ad evolvere consumando reagente per dare prodotto e
si raggiungerebbe un equilibrio che non è quello ottenuto in una cella galvanica; qui le concentrazione di
reagenti e prodotti non sono quelle che avremmo nel caso di un sistema in cui la reazione potesse avvenire
spontaneamente. La cella galvanica realizza di fatto la condizione di equilibrio termodinamico, quindi
possiamo trattarla con gli strumenti che abbiamo a disposizione per le condizioni di equilibrio, ma
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contemporaneamente le concentrazioni delle specie non sono quelle che avremmo all’equilibrio se la
reazione avvenisse con reagenti a contatto fra loro. Possiamo misurare l’energia libera di reazione -non
quella standard, determinabile da K misurando le concentrazioni all’equilibrio- che se è negativa vuol dire
che la reazione vuole procedere spontaneamente verso l’equilibrio consumando reagenti. In particolare è
legata alla f.e.m. secondo questa relazione:
La cella galvanica consente di trasformare l’energia chimica (energia libera di reazione) in una differenza di
potenziale utilizzabile per produrre lavoro elettrico.
Conseguenza della relazione tra ΔG e E è l’equazione di Nernst, equazione che lega il potenziale di cella alla
concentrazione delle specie che intervengono nella reazione di cella.
aJ non è l’attività all’equilibrio, sono le attività che effettivamente ci sono nella cella al momento
considerato.
Eθ è la forza elettromotrice standard, cioè forza elettromotrice E quando tutte le specie sono nel loro stato
standard, quindi a=1
28
sua
29
Cinetica chimica
Il secondo principio della termodinamica ci fornisce una condizione necessaria affinché un processo sia
osservabile, cioè per la spontaneità, ma non ci dice nulla sulla velocità, quindi non è sufficiente per definire
se questo sia osservabile sulla scala di tempi compatibile con quelli di laboratorio.
Le grandezze fondamentali della cinetica chimica sono le concentrazioni, espresse come molarità (mol/l), in
funzione del tempo t. Abbiamo quindi le possibili seguenti notazioni CA (t), [A](t), MA (t). Possiamo definire
anche in fase gassosa le concentrazioni molari come [A]=nA / V ≈ PA /RT sempre in funzione del tempo.
L’obiettivo della cinetica chimica è dunque caratterizzare come evolve nel tempo un sistema in termini delle
concentrazioni delle specie che lo costituiscono, cioè come cambia la concentrazione delle specie nel tempo,
e lo faccio attraverso la definizione della velocità di comparsa del prodotto (o scomparsa del reagente):
AB
vcomparsa B= d[B]/dt mol/(l s)
vscomparsa A= -d[A]/dt mol/(l s)
Grazie al segno meno, entrambe le velocità sono positive.
INTERPRETAZIONE GRAFICA:
La velocità è la pendenza della curva di
formazione di B all’instante (t) e analogamente
l’opposto della pendenza della curva di scomparsa di
A all’istante (t).
Per una reazione generica come può essere H2 + I2 2 HI la velocità di comparsa e scomparsa delle specie
è correlata ma diversa; ogni mole di H2 che scompare nell’unità di tempo se ne formano 2 di HI, quindi la
velocità di formazione di HI sarà il doppio rispetto a quella della scomparsa di H2, da cui:
30
½ d[HI]/dt = -d[H2]/dt = -d[I2]/dt
Per avere una quantità univoca che identifichi la velocità di una data reazione
N.B.= moltiplicando tutti i coefficienti stechiometrici per uno stesso fattore la reazione è chimicamente la
stessa ma la velocità di reazione cambia, che viene quindi definita a coefficienti stechiometrici dati.
La velocità di reazione non dipende dalla concentrazione dei prodotti, ma solo dei reagenti ed in modo
relativamente semplice.
- ‘n’ e ‘m’ non necessariamente sono correlati ai coefficienti stechiometrici;
- Si definisce ordine rispetto al reagente A l’esponente n (n=0 ordine zero; n=1 primo ordine, ecc…);
- Si definisce ordine globale la somma degli esponenti che compaiono nella legge cinetica (in questo
caso p=n + m);
- k è la costante di velocità, con unità di misura s-1 (mol/l)1-p.
31
- v= k” [A] [B] legge del secondo ordine complessivo, k” in litri (s-1)(mol-1)
Si definisce tempo di dimezzamento t1/2 il tempo necessario affinché la concentrazione iniziale di un reagente
diminuisca della metà. È particolarmente rilevante se consideriamo reazioni di primo ordine
32
Per una reazione di primo ordine, il tempo di dimezzamento è indipendente dalla concentrazione iniziale,
dipende solo dalla costante di velocità. Quindi conoscere la costante di velocità o il tempo di dimezzamento
comunica la stessa informazione perché si può passare da uno all’altra con la relazione sopra espressa.
Dall’espressione della concentrazione del reagente A in funzione del tempo posso ottenere la concentrazione
del prodotto B in funzione del tempo:
33
REAZIONI DEL SECONDO ORDINE A B
Forma linearizzata dell’equazione cinetica, l’inverso della concentrazione cresce linearmente col tempo.
dalla pendenza della retta ottengo la costante di velocità
34
35
REAZIONE DI SECONDO ORDINE GLOBALE MA DI PRIMO ORDINE RISPETTO AI
REAGENTI
A+BC
- Caso in cui [ A ] 0 = [ B ]0 :dato che i coefficienti stechiometrici sono uguali allora per qualsiasi istante
successivo è valida l’uguaglianza [ A ] = [ B ], quindi la legge cinetica
v = k[ A ] [ B ] si riduce a v = k[ A ] 2
- Caso in cui [A]0 << [B]0: risulta che [B](t) ≈ [B]0 per ogni t (in ogni istante la concentrazione di B è
approssimabile a quella sua iniziale). La legge cinetica è quindi scrivibile come v= k [B]0[A] =
k’ [A], con k’= k[B]0
Reazione di pseudo-primo ordine rispetto ad A:
36
Cinetica chimica: meccanismi di reazione
Fino ad ora abbiamo dato una descrizione macroscopica empirica della cinetica, in termini di concentrazioni
in funzione del tempo basata su rilevazioni di laboratorio. Possiamo però arrivare ad un livello di
comprensione microscopica delle reazioni, basata sull’idea che le reazioni chimiche avvengano come una
successione di processi elementari, che coinvolgono poche molecole alla volta e che non osservabili
direttamente ma solo in termini di comparsa e scomparsa di prodotti e reagenti. Ogni reazione può essere
quindi descritta da un opportuno ‘meccanismo di reazione’, cioè una opportuna successione di processi
elementari. Possiamo distinguere due tipi di processi elementari fondamentali per spiegare una cinetica di
reazione:
- Processi unimolecolari, A prodotto o prodotti. Coinvolge come reagente una sola molecola;
- Processi bimolecolari, A + B prodotto o prodotti. Per avvenire sono necessarie due molecole
diverse di reagente.
Il concetto di molecolarità fa riferimento al meccanismo microscopico con cui una reazione avviene; la
cinetica osservabile macroscopicamente è l’esito di un insieme di processi elementari, descritti dal
meccanismo di reazione costituito in generale da più stadi identificati con processi elementari.
Pressione parziale
dell’O2 nell’atmosfera
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Ipotizzando un meccanismo di reazione si può ricavare la legge cinetica macroscopica ad esso associata,
considerando il contributo alla legge cinetica complessiva apportato da ogni processo elementare (quindi la
legge cinetica corrispondente ad ogni processo elementare).
A prodotti
Consideriamo una reazione il cui meccanismo costituito da un solo stadio, unimolecolare. In questo caso la
cinetica macroscopica e quella dello stadio corrispondono. La velocità di reazione è scrivibile come una
costante della velocità per la concentrazione del reagente.
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Ragionamento analogo si può fare per una reazione sempre costituita da un unico stadio e con due reagenti
(bimolecolare):
A + B prodotti
In questo caso la velocità di reazione è esprimibile in termini della velocità di scomparsa di A o in termini
della velocità di scomparsa di B ed è scrivibile come una cinetica di secondo ordine globale, primo ordine
rispetto ad A e B
Come nel caso precedente possiamo fare un ragionamento probabilistico; riferendosi alla concentrazione di
A, ora la costante di probabilità k è proporzionale alla concentrazione di B, perché una molecola di A per
reagire necessità la presenza di una molecola del reagente B
39
Reazione con meccanismo a più stadi
Consideriamo una reazione irreversibile
Sistema di equazioni
differenziali
Possiamo risolvere il sistema di equazioni differenziali per ricavare le concentrazioni in funzione del tempo
(ipotizzando che a t=0 la concentrazione di B e I siano zero):
Ritroviamo la stessa cinetica di una reazione a singolo stadio di primo ordine A B, con k=k1
La velocità di formazione di B è determinata solo dallo stadio più lento, A I, con costante k1; k2 è
scomparso dall’espressione della concentrazione di B in funzione del tempo.
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Quando un meccanismo di reazione coinvolge più stadi in successione la velocità globale è determinata
dallo stadio più lento, lo stadio limitante, chiamato anche stadio cineticamente determinante.
Lo scopo è ricavare la legge cinetica associata ad un certo meccanismo di reazione; questa deve essere una
legge macroscopica che coinvolga solo le concentrazioni reagenti e prodotti e che queste siano accessibili in
laboratorio. Quindi nelle leggi cinetiche non deve comparire la concentrazione di I, non accessibile a livello
macroscopico. Nel caso precedente ho ricavato direttamente le concentrazioni di reagenti e prodotti perché
era un caso semplice ma in generale non si riesce a farlo. Dobbiamo quindi trovare un modo semplice che ci
consenta di riscrivere le espressioni qui sopra riportate per un generico meccanismo di reazione in modo che
la legge cinetica solo in termini di reagenti e prodotti, quindi riscrivere quello che fa l’intermedio in termini
del comportamento delle concentrazioni di A e B in funzione del tempo.
La concentrazione di I
è sempre molto
piccola; inoltre
l’andamento, dopo una
A fase iniziale in cui
cresce con grande
rapidità, rimane
costante rispetto agli
andamenti di B ed A.
41
Possiamo allora approssimare a zero la derivata di I in funzione del tempo.
Si dice che I si trova in uno stato stazionario, stato in cui la concentrazione non varia nel tempo. È diverso
dal definire uno stato di equilibrio, perché lì tutte le concentrazioni non variano nel tempo, il sistema nel suo
complesso rimane lo stesso.
Riprendiamo il set di equazioni differenziali trovate prima e assumiamo che siamo in un caso di stato
stazionario, possibile quando I è una specie molto labile:
Queste sono esattamente le equazioni che potremmo scrivere per una cinetica macroscopica del primo
ordine con A B. A decade esponenzialmente con e-k1t e B segue la legge sopra espressa.
Essendo una reazione reversibile nella legge cinetica compaiono sia la concentrazione del reagente che
quella del prodotto.
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Analisi della legge cinetica: all’equilibrio sappiamo che le proprietà del sistema non cambiano nel tempo,
comprese le concentrazioni, quindi la derivata della concentrazione rispetto al tempo è nulla.
Quindi ne deriva che, nelle cinetiche reversibili, cioè in cui i prodotti possono ritrasformarsi in reagenti e le
cui velocità sono comparabili, esiste una relazione tra costante di equilibrio e costanti cinetiche dei processi
elementari. Il rapporto tra le costanti di velocità per una reazione di questo tipo con meccanismo ipotizzato
non è qualsiasi ma deve essere uguale alla costante d’equilibrio. Dal punto di vista cinetico quindi
l’equilibrio si instaura quando la velocità del passaggio da A a B eguaglia la velocità del passaggio da B ad
A. questo ci consente di legare costante di equilibrio e costanti di velocità (rimane un grado di libertà nella
scelta delle costanti di velocità ma il loro rapporto è fissato)
Queste quantità sono le deviazioni delle concentrazioni rispetto alle concentrazioni di equilibrio e sono
comode perché diventano zero quando il sistema raggiunge l’equilibrio; ci dicono esattamente quanto siamo
lontani dall’equilibrio in termini di concentrazioni. Queste quantità sono legate fra loro da questa relazione
che implica la conservazione della massa:
= -
Per vedere come evolve il Δ[ A ] verso l’equilibrio prendo la sua derivata rispetto al tempo:
Velocità
all’equilibrio = 0
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È uguale all’equazione cinetica di una reazione di primo ordine! Una reazione fuori dall’equilibrio tende
all’equilibrio con decadimento esponenziale della differenza tra la concentrazione iniziale del reagente e la
concentrazione all’equilibrio.
44
Le costanti cinetiche k dipendono da:
1. Ambiente di reazione (gas o soluzione, se soluzione dal solvente)
2. Temperatura
Empiricamente si osserva che k dipende dalla temperatura secondo questa equazione, detta
Equazione di Arrhenius
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Catalisi enzimatica
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Un catalizzatore è una sostanza in grado di accelerare una reazione e che rimane inalterata alla fine della
reazione. Rende possibile un meccanismo di reazione alternativo che prevede energia di attivazione minore;
a parità di temperatura la reazione procede più velocemente.
Un enzima (E) è una sostanza biologica (normalmente una proteina) che agisce come catalizzatore molto
specifico per una singola reazione o gruppo di reazioni.
La molecola su cui agisce il catalizzatore (il reagente) viene detto substrato (S)
Il meccanismo che descrive l’azione degli enzimi è quello di Michaelis-Menten. Assunzioni:
- Velocità di reazione trascurabile per la conversione diretta da substrato (S) a prodotto (P), cioè in
assenza di enzima;
SEPE
Il meccanismo di Michaelis-Menten si compone di 3 stadi:
1. Formazione del complesso ES
Ora calcoliamo la velocità di reazione in funzione della velocità di formazione del prodotto:
È comodo prendere il prodotto come riferimento perché interviene solo in un
passaggio del meccanismo di reazione ed è semplicemente scrivibile come
k2ES
(Però ES è un intermedio di reazione e non è comodo averlo nella legge cinetica; quello che devo fare è
trovare il modo di esprimerlo in funzione di quantità note rilevabili sperimentalmente, come E).
Nelle condizioni tipiche in cui si opera una reazione enzima-catalizzata la concentrazione totale di E, sia
esso libero o legato a formare il complesso ES, è molto piccola rispetto alla concentrazione di S. per questo
ci aspettiamo che queste specie possano raggiungere una situazione di stato stazionario; in questo modo
posso applicare le approssimazioni dello stato stazionario (mentre nel caso precedente giustificavamo lo
stato stazionario con l’elevata reattività dell’intermedio, qui non ha importanza perché comunque di enzima
totale ce n’è poco. [E][ES] [E]0 è molto piccola, e ancora di più lo sarà ES.
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Applico l’approssimazione dello stato stazionario (v=0) scrivendo la velocità di formazione netta di ES
tenendo conto di tutti i contributi:
Ora potrei facilmente riscrivere l’equazione in termini della concentrazione di E libero, ma non è
conveniente operativamente parlando perché in laboratorio io conosco la quantità totale di enzima che metto
a reagire, E0, quindi mi interessa trovare una relazione in funzione di questa quantità facendo scomparire
anche la concentrazione dell’enzima libero E.
Sostituendo [E] = [E]0 - [ES] nella precedente ottengo un’equazione in funzione solo di E0, ES e S.
Riarrangiandola ottengo:
KM è tanto più grande quanto più grandi sono k-1 e k2, costanti che dissociano ES, e più piccola k1. Quindi è
tanto più grande quanto meno stabile è l’intermedio ES. l’inverso della costante è tanto più grande quanto
più è stabile ES, cioè tendenza a formare il complesso. La quantità di S che è impegnata a formare il
complesso è trascurabile rispetto alla quantità totale di S.
Riportando su grafico come varia la velocità di reazione
in funzione della concentrazione del substrato,
mantenendo costante la concentrazione totale
dell’enzima, notiamo che la costante di Michaelis
corrisponde anche alla concentrazione di substrato a cui
la velocità è ½ della velocità massima.
Per concentrazioni di substrato molto grandi la curva
tende ad un valore di velocità massima di k2E0.
Il valore di KM separa due regioni a regimi molto diversi. Osserviamo le situazioni limite:
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Tutto l’enzima è complessato col substrato. La legge cinetica diventa di ordine zero rispetto al
substrato. L’enzima opera al meglio della sua capacità essendo sempre impegnato da un substrato, e
la velocità dipende solo dalla capacità intrinseca dell’enzima di trasformare il substrato in prodotto,
lo stadio limitante è il secondo; k2 è infatti definito anche come kcat.
Si definisce come numero di turnover o costante catalitica il valore della velocità massima vmax
diviso per la concentrazione dell’enzima, e dipende solo dalle proprietà catalitiche dell’enzima:
È il massimo numero di molecole di substrato che nell’unità di tempo possono essere convertite in
prodotti da una molecola di enzima.
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cinetica di pseudo-primo ordine rispetto a S
Essendoci poco substrato lo stadio limitante è la formazione del complesso, che dipende dalla
concentrazione di entrambe le specie. In queste condizioni la costante di velocità è k2/KM.
k2k 1
Se sostituiamo a KM la sua forma esplicita otteniamo che la costante di velocità è . Nel caso in cui
k (−1 ) +k 2
k-1 sia trascurabile rispetto a k2 rimane solo k1
Per convenienza è utile trovare una forma linearizzata della legge cinetica:
Y = q + m
x
50
Dato che la concentrazione ‘c’ è diversa in ogni punto, avremo potenziali chimici diversi in ogni punto.
Diffusione: spostamento delle molecole, in assenza di moto macroscopico della soluzione, dalle zone a
concentrazione più alta verso le zone a più bassa concentrazione, cioè a potenziale chimico più basso, con
conseguente diminuzione dell’energia libera e quindi risulta un processo spontaneo. Questo termina quando
la concentrazione è omogenea ed il soluto cessa di migrare.
Per descrivere matematicamente il fenomeno introduciamo la grandezza vettoriale Flusso
Il flusso anche dipende da posizione e tempo ma è anch’esso un vettore; la sua direzione è esattamente
quella del moto del soluto, mentre il suo modulo è il numero di moli di soluto che attraversano una
superficie unitaria ortogonale alla direzione nell’unità di tempo.
il flusso maggiore di zero significa che c’è uno spostamento netto di moli di soluto verso le x
crescenti
Le variazioni del flusso e della concentrazione sono esprimibili tramite le loro derivate parziali, essendo
dipendenti da più di una variabile
51
Si genera un flusso quando la concentrazione dipende dalla posizione nello spazio, e siamo quindi in una
condizione di non-equilibrio.
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Membrane
53
54
55
56
ù
57
58
59
La funzione d’onda nel sistema elettrone dipende dalla posizione dell’elettrone, specificata o dal vettore posizione o
in termini delle 3 associate componenti cartesiane.
L’hamiltoniano descrive l’energia e la soluzione del problema quanto-meccanico precisato in termini di stati
stazionari, ovvero le autofunzioni dell’hamiltoniano.
Simbolo Psi e Fi sono la stessa cosa ed è la funzione d’onda; esistono tante funzioni d’onda e sono catalgate secondo
i numeri quantici, n,l e m.
IMPORTANTE: L’energia dipende da un solo numero quantico, n. Questo significa che se cambio la funzione d’onda
solo cambiando i numeri quantici l e m, con n costante, ottengo delle funzioni d’onda di stati stazionari diversi ma
che HANNO LA STESSA ENERGIA e si dicono stati DEGENERI.
60
COSTANTE DI RYDBERG:
IMPORTANTE: gli orbitali con l=0 hanno distribuzione SFERICA, dipendono solo
dall’istanza dell’elettrone nel nucleo e non dall’orientazione nello spazio.
l=1,2,.. sono distribuiti in diversi modi e hanno diverse possibili orientazioni.
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ORDINE CRESCENTE DI
ENERGIA E STATO
FONDAMENTALE Orbitali a
bassa
DA n=1 A n=3 energia
I chimici usano una nomenclatura particolare per gli orbitali, distinti in base alla forma
determinata da valori diversi di l.
ns : orbitali sferici
np: l=1 orbitale non sferico. Non esiste orbitale np=1
nd
nf
IMPORTANTE: Si parla di sottoguscio quando il guscio si divide in 2 parti corrispondenti a
orbitali di forma diversa come nel caso di n=2 e quindi quando si parla di guscio di tipo L
Quando ho n=4, avrò il guscio N che comprenderà gli orbitali 4s,4p,4d e 4f.
Si crea così l’elenco o catalogo dei vari possibili orbitali e ciascuno di questi orbitali
rappresenta uno stato quantistico dell’elettrone.
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ENTRANDO NEL DETTAGLIO: ORBITALE ns
Funzione che dipende solo dalla distanza.
- COSTANTE DI PLANCK –
funzioni 1s,2s,3 hanno una costante all’interno, a0, detta costante o raggio di Bohr.
ATTENZIONE: la costante di Bohr non è 0.529 nm ma l’unità di misura è Armstrong,
0,53 A. Senno sarebbe 0,053 nm.
Orbitale 1s è una funzione esponenziale a livello grafico sugli assi cartesiani con e
elevato a -r/a0;
Orbitale 2s è sempre esponenziale ma e è elevato a -r/2a0; questa funzione tende ad
annullarsi quindi a 0 più LENTAMENTE rispetto alla funzione dell’orbitale 1s
(bisogna percorrere una distanza più ampia per avere lo stesso fattore esponenziale)
IMPORTANTE: non confondere mai i due esponenti
La funzione 1s si riduce al fattore 1/e quando l’esponente è uguale a -1, ovvero r=0
63
La funzione 2s si riduce al fattore 1/e quando r=2a0; in questa funzione, il fattore
dell’esponenziale è un polinomio lineare quindi tende ad andare a 0 però
per distanze piccole e quindi valori piccoli di r, il polinomio sarà sempre positivo,
ovvero 1 – r/2a0 > 0. La funzione è positiva
Quando r cresce fino ad arrivare al valore di 2a0 allora il polinomio =0 e quindi la
funzione d’onda s’annulla.
Per valori più grandi di r, r/2a0 > 1 e quindi tutta la funzione diventa negativa.
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ALTRA GRANDEZZA CHE SI USA
Siccome l’orbitale dipende solo dalla DISTANZA, è conveniente però ragionare in termini
non di probabilità di VOLUME come nell’espressione sopra ma di probabilità di DISTANZA.
Si calcola quindi la probabilità di trovare l’elettrone tra la distanza r e la variazione infinitesi
di r, dr.
Questo si calcola facilmente perché si immagina di avere due sfere, una con raggio r e l’altra
con raggio r+dr con la formula sottolineata in giallo.
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Si impone che la derivata è nulla quindi =0 e risulta che la distanza di massima probabilità è
quando r è uguale a a0, ovvero il raggio di Bohr.
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Faraday
68
69
70