La teoria della MQ elaborata nello scorso secolo, pur essendo stata ampiamente verificata sperimentalmente,
Schrodinger, che fu il primo ad introdurla, la interpretò come una distribuzione di carica “spalmata” su un
volume. Born, invece, la interpretò come la distribuzione di probabilità della posizione dell’elettrone. In
questo contesto si inserì anche Einstein, che non accettò mai a pieno l’interpretazione probabilistica della
MQ (sua la famosa frase “Dio non gioca a dadi”). Egli, infatti, insieme alla collaborazione Podolsky e Rosen
scrisse un articolo, passato alla storia come paradosso di EPR, in cui venne messa in discussione la descrizione
completa della realtà data dalla funzione d’onda. Nell’articolo viene messo in evidenza come, per decretare
1. La teoria è corretta?
2. La teoria è completa?
Alla prima domanda è possibile rispondere unicamente confrontandola con i risultati sperimentali, mentre
alla seconda è possibile approcciarsi da un punto di vista teorico (ed è proprio su essa che è incentrato
Dal loro punto di vista, un criterio ragionevole per soddisfare tale richiesta è questo:
VALORE DI UNA CERTA GRANDEZZA FISICA, ALLORA ESISTE UN ELEMENTO DELLA REALTA’
Il concetto fondamentale della MQ è quello di stato, supposto completamente caratterizzato dalla funzione
d’onda (funzione delle variabili scelte per descrivere il comportamento del sistema studiato, per es. una
particella). Corrispondente a ogni quantità fisica osservabile, esiste un operatore A tale che, se ψ è una sua
autofunzione e il sistema si trova proprio in tale stato, allora vale Aψ = aψ (1) e il valore assunto da A è a.
Pertanto, in riferimento al criterio di EPR, data una ψ per cui valga (1) ESISTE un elemento della realtà
i
fisica che corrisponde all’operatore A. Se, per esempio ψ = e ℏ p0 x si vede facilmente che esiste un operatore
tale per cui l’eq. (1) è soddisfatta, cioè l’operatore momento p = −iℏ ∂x
∂
, il cui valore in tale stato è p0 .
Tuttavia, se (1) non dovesse valere, non si potrebbe più dire che la quantità fisica A abbia un certo valore.
Questo, per esempio, succede con l’operatore di posizione, cioè l’operatore di moltiplicazione (per la variabile
1
∫b
che una misura della posizione mi dia un risultato che ∈ (a, b): P (a, b) = a
ψψ † dx = b − a cioè il risultato
è indipendente da a, ma dipende solo dalla differenza, pertanto tutti i possibile valori della coordinata sono
equamente probabili. Un particolare valore per la coordinata, quindi, non è predicibile dall’equazione (2) e
può essere ottenuto unicamente per misura diretta. Ciò, tuttavia, altererebbe lo stato della particella che,
dopo la misura, si troverebbe in un nuovo stato ϕ. Ciò, in MQ, è conseguenza del fatto che, dati due operatori
A e B associati a grandezze fisiche differenti, se questi non commutano allora la conoscenza precisa dell’uno
Vediamo, ora, perché EPR sostengono l’opposto, arrivando ad affermare che, quindi, la funzione d’onda
Introduciamo innanzitutto un ulteriore principio messo in evidenza da EPR, ovvero quello di località:
”Se, al momento della misura, due sistemi non interagiscono più, nessun cambiamento reale può avvenire
sul secondo sistema in conseguenza a qualcosa che può essere fatto sul primo”
Supponiamo ora di avere due sistemi (per esempio due particelle) che a un certo punto si separano (per
esempio in seguito al decadimento di una particella di massa maggiore) e non interagiscono più. Lo stato del
sistema è completamente descritto dalla funzione d’onda ψ(x1 , x2 ), dove x1 e x2 sono le variabili usate per
descrivere i due sistemi. Sia A un’osservabile che vogliamo misurare sul sistema 2, con autofunzioni un (x2 )
e autovalori an ; allora l’autofunzione che descrive l’intero sistema si può essere riscritta come ψ(x1 , x2 ) =
∑
∞
ψn (x1 )un (x2 ) (supponendo uno spettro discreto per semplicità). Se dalla misura di A si ottiene, per
n=0
esempio, il valore ak , allora il sistema collasserà nello stato ψk (x1 )uk (x2 ). Ripetendo quanto appena fatto
anche per una seconda osservabile B (sempre sul secondo sistema), con autofunzioni νn (x2 ) e autovalori bn
∑
∞
si avrà un autofunzione dello stato complessivo del tipo ψ(x1 , x2 ) = ϕn (x1 )νn (x2 ) e se in seguito alla
n=0
misura otteniamo il risultato br , allora il sistema collasserà nello stato ϕr (x1 )νr (x2 ) . Dalla misure fatte sulla
seconda particella, quindi, si ha che lo stato della prima collassa in due stati differenti ma che, in base al
principio di località, dovrebbero essere uguali dal suo punto di vista. E’ semplice, a questo punto, vedere che
le due autofunzioni in cui si viene a trovare il sistema 1 possano essere anche quelle di due osservabili non
compatibili quali posizione e momento. Ora: in questo caso le due autofunzioni che devono rappresentare lo
stesso elemento di realtà fisica si troveranno ad essere autofunzioni di osservabili non compatibili (nel senso
della MQ), indicando che tra le assunzioni della MQ ci sia qualcosa di sbagliato che EPR individuano (come
detto precedentemente) nel fatto che la funzione d’onda contenga una descrizione completa della realtà.
2
2 Bell (1964)
Partendo dall’ipotesi di esistenza di variabili attualmente non osservabili, introdotte col paradosso di EPR,
Bell sviluppa matematicamente i teoremi di completezza e località. Egli dimostrò, attraverso disuguaglianze
All’interno del suo lavoro Bell dimostra che, ammettendo l’esistenza di gradi di libertà non accessibili
agli strumenti ordinari e soggetti alle leggi probabilistiche secondo il modello classico, si può dedurre una
disuguaglianza cui deve sottostare la funzione di correlazione tra misure relative a due microsistemi che
sono stati in interazione. Come vedremo, questa disuguaglianza è violata dalle formule che calcolano la
Partiamo dalla visione di Bohm e Aharonov: essi considerarono il decadimento di un atomo in due
1
particelle di spin 2 , che si muovono nelle due direzioni opposte. Il fatto fondamentale è che le due particelle,
che vengono generate durante il decadimento, si trovano “allacciate” (entangled) in uno stato di singoletto,
il quale permetterebbe di determinare lo stato di una particella in seguito ad una misura sulla prima.
|ψ⟩ = √1 (|+−⟩
2
− |−+⟩)
Consideriamo, quindi, un set di parametri λ, ( è indifferente che lambda rappresenti un set di variabili, una
singola variabile o una funzione) di distribuzione di probabilità ρ(λ), e due misure di spin σ⃗1 · ⃗a (dove ⃗a
rappresenta un vettore unitario) e σ⃗2 · ⃗b. In base alle considerazioni precedenti chiamiamo A il risultato di
una misura di σ⃗1 · ⃗a e B il risultato di una misura σ⃗2 · ⃗b, entrambi pari a ±1. Il valore di aspettazione del
Questo deve coincidere col valore di aspettazione determinato dalla MQ, che per lo stato di singoletto risulta
essere:
Prima di proseguire con la dimostrazione di Bell risultano essere necessarie alcune precisazioni. Supponiamo
come vettore unitario con una distribuzione di probabilità uniforme nell’emisfero ⃗λ · p⃗ > 0.
sign(⃗λ · a⃗′ )
dove a⃗′ è un vettore dipendente da ⃗a e p⃗. Il valore di aspettazione può essere anche definito:
3
′
< ⃗σ · ⃗a >= 1 − 2θ
π
′
dove θ è l’angolo compreso tra a⃗′ e p⃗.
′
Supponiamo che a⃗′ sia ottenuto da ⃗a tramite una rotazione da p⃗ fino a che 1 − 2θ
π = cos θ (θ angolo tra
⃗a e p⃗). Allora:
Ovvero il risultato di ogni misurazione è determinato dal valore di una variabile extra, che in prima istanza
non è conosciuto.
Inoltre possiamo riprodurre nella formula di P (⃗a, ⃗b) le caratteristiche della correlazione in accordo con la
A(⃗a, ⃗λ = sign⃗a · ⃗λ
B(a, b) = −sign⃗b · ⃗λ
=⇒ P (⃗a, ⃗b) = −1 + 2θ
π (10)
detto precedentemente, per un dato valore della variabile nascosta il risultato della misura del secondo spin
dipende dal setting della misura effettuata sul primo, che è quanto vogliamo confutare.
Partendo dalla proprietà (1) , sapendo che A (a, λ) = ±1 e B (b, λ) = ±1 e che ρ (λ) risulta essere
∫
normalizzata, per cui vale dλρ (λ) = 1 , possiamo affermare che il valore minimo raggiunto da P (a, b)
risulta essere −1. In particolare questo valore viene raggiunto in corrispondenza di a = b se si ha A (a, λ) =
−B (a, λ). Sfruttando la relazione precedente è possibile riscrivere la relazione (2) nel seguente modo:
∫
P (a, b) = dλρ (λ) A (a, λ) A (b, λ) (10)
Introducendo ora un altro vettore unitario c oltre ad a e b e sfruttando la relazione (10) possiamo scrivere
la differenza tra il valore di aspettazione dovuto al prodotto delle due componenti σ⃗1 · ⃗a e σ⃗2 · ⃗b e il valore di
4
∫
P (a, b) − P (a, c) = dλρ (λ) A (a, λ) A (b, λ) [A(b, λ)A(c, λ) − 1]
∫
|P (a, b) − P (a, c)| ≤ dλρ(λ) [1 − A(b, λ)A(c, λ)] .
A meno che P sia costante è possibile approssimare il termine di sinistra come |b − c|. In questo modo il
valore di P (b, c) non risulta stazionario in corrispondenza del suo minimo, pari a −1 nel caso in cui b = c ,
ed inoltre non eguaglia il valore atteso dalla meccanica quantistica, pari a: < σ⃗1 · ⃗bσ⃗2 · ⃗c >= −⃗b · ⃗c.
supposto che per ogni valore di a e b la loro differenza sia nell’ordine di un ϵ . Il fine della dimostrazione
è provare che ϵ non può essere considerato infinitesimo. Partendo dalla formula (11) tenendo conto della
Analogamente con quanto fatto in precedenza, considerando semprec come un altro vettore unitario oltre
ad a e b è possibile valutare la differenza tra il valore di aspettazione dovuto al prodotto delle due componenti
σ⃗1 · ⃗a e σ⃗2 · ⃗b e il valore di aspettazione dovuto al prodotto delle componenti σ⃗1 · ⃗a e σ⃗2 · ⃗c . A differenza di
quanto fatto in precedenza in questo caso le funzioni considerate sono mediate. Pertanto:
∫
P (a, b) − P (a, c) = dλρ(λ)[A(a, λ) · B(b, λ) − A(a, λ) · B(c, λ)](14)
Considerando adesso il valore assoluto di P (a, b) − P (a, c) e sapendo che |A(a, λ)| ≤ 1 e |B(b, λ)| ≤ 1
abbiamo:
∫ ∫
|P (a, b) − P (a, c)| ≤ dλρ(λ)[1 + A(b, λ) · B(c, λ)] + dλρ(λ)[1 + A(b, λ) · B(b, λ)]
5
|P (a, b) − P (a, c)| ≤ 1 + P (b, c) + ϵ + δ.
ovvero:
√
4(ϵ + δ) ≥ 2−1
da cui otteniamo che dato un δ molto piccolo ma finito allora ϵ non può assumere valori arbitrariamente
Negli anni ’80 Aspect e i suoi collaboratori elaborarono un esperimento in grado di mettere alla prova
la disuguaglianza di Bell. Essi utilizzarono due fotoni generati da una cascata dell’atomo di calcio causata
Il sistema risulta essere costituito da due rivelatori che si trovano in due direzioni opposte, preceduti da dei
polarizzatori, che lasciano passare i fotoni con polarizzazione parallela e riflettono quelli con polarizzazione
perpendicolare.
Definendo
N12 (⃗a, ⃗b) il numero dei conteggi simultanei dei due rivelatori.
S = R(⃗a, ⃗b) − R(⃗a, b⃗′ ) + R(a⃗′ , ⃗b) + R(a⃗′ , b⃗′ ) − R(a⃗′ , ∞) − R(∞, ⃗b) ≤ 0
Contando il numero di coincidenze lungo le direzioni ⃗a, ⃗b, a⃗′ , b⃗′ separate da angoli rispettivamente di 22.5◦
6
2.1 Conclusioni
Tali prove, teoriche e sperimentali, dimostrano dunque che è impossibile formulare una teoria a “variabili
nascoste” che, oltre a soddisfare l’ipotesi di località, assegni un possibile valore (esito della misura) prima
dell’atto stesso di misurazione. In particolare, uno stato ”entangled”, finché mantiene la sua coerenza,