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Appunti di Meccanica Quantistica

del corso del Prof. Nicodemi


Versione preliminare

N.B. Questi appunti servono solo per illustrare alcuni punti del corso e
non vanno assolutamente considerati esaustivi.
1

1. Campo e.m. e sistemi continui


Nel secolo 19o la fisica aveva avuto enormi successi, tanto che nel 1894
Michelson affermava Le pi`
u importanti leggi fondamentali e i principali fatti
della scienza fisica sono stati tutti scoperti e sono adesso cos`i saldamente
accertati che la possibilit`a che essi possano mai essere soppiantati `e straordinariamente remota. Le nostre future scoperte saranno da cercare al livello
della 6a cifra decimale.
Come `e noto questa previsione catastrofica sulla fine della scienza `e risultata ampiamente smentita, e nelliniziare a discutere di questi sviluppi ricordiamo che, molto schematicamente, la situazione concettuale della fisica a
fine 800 era dominata da un dualismo tra
programma di Newton:

modello corpuscolare:
meccanica delle particelle, azione a distanza;

programma di Maxwell:

modello di campo:

sistemi continui, azione a contatto,


particelle come singolarit`a del campo;

In altri termini, vi era un dualismo tra particelle e campi (forze).


Il mondo fisico era concepito come costituito da questi due tipi di componenti, ciascuno con propriet`a ben definite e (in parte) antitetiche tra loro.
Ad es. lenergia di un campo va considerata come una funzione del punto
che si distribuisce con continuit`a nello spazio (come nei fenomeni e.m.), e
che in un dato volume pu`o avere un valore arbitrariamente piccolo, mentre
lenergia di un corpo materiale `e concentrata dove sta la particella.
Secondo quella che potremmo definire la concezione di Newton, la realt`a
fisica `e caratterizzata dai concetti di spazio, di tempo, di punto materiale e
di forza (equivalente allazione reciproca a distanza tra i punti materiali).
In questo schema i fenomeni fisici vanno intesi come movimenti di punti
materiali nello spazio, retti da opportune leggi. I corpi percettibili, che sono
alla base dellastrazione di punto materiale, vanno a loro volta considerati
come sistemi di punti materiali. Lespressione matematica delle leggi del
moto `e ottenuta tramite equazioni differenziali alle derivate totali (nel tempo)
che descrivono il moto di ciascun punto.
2

Uno dei punti meno soddisfacenti del programma di Newton era la


teoria della luce che Newton, coerentemente con se stesso, concepiva altres`i
costituita da corpuscoli materiali. Anche quando fu chiaro (inizi dell800)
che la luce si comportava piuttosto come un fenomeno ondulatorio, rimaneva
del resto la domanda: onde di che mezzo?
La descrizione dei fenomeni ondulatori avviene tramite equazioni alle
derivate parziali, ma queste non sembravano necessarie per descrivere i fenomeni
di base della realt`a fisica, e furono introdotte per formulare la meccanica dei
corpi deformabili, nel limite in cui la composizione corpuscolare di tali corpi
non svolge alcuna funzione. Invece la descrizione di Maxwell del campo e.m.
portava a considerare i campi continui come essenziali e a concepire la realt`a
fisica costituita da campi regolati da equazioni alle derivate parziali e non
meccanicamente spiegabili. Si `e anche tentato di spiegare tramite i campi i
punti materiali e le loro propriet`a quali la massa inerziale. Tali sforzi, per`o,
non sono stati coronati da successo e, agli inizi del Novecento, la situazione
era piuttosto un compromesso tra i due programmi: i sistemi fisici erano visti
come insiemi di particelle materiali interagenti tra di loro tramite campi
di forza.
In queste note vogliamo brevemente richiamare le differenze tra sistemi
di punti materiali e sistemi continui1 , riferendoci al pi`
u noto tra questi, cio`e
al campo e.m.
La forza risentita da una carica q puntiforme (cio`e senza struttura interna)
in movimento con velocit`a ~v pu`o essere descritta in ogni punto P per mezzo
~ eB
~ tramite la relazione
di due vettori E
~ ) + ~v B(P
~ ))
F~ = q(E(P

(1.1)

~ e B,
~
Linteresse di tale relazione, e quindi dellintroduzione dei vettori E
consiste nella indipendenza di tali vettori dalla carica q e dalle sue propriet`a
(massa, velocit`a, accelerazione, ecc. . . . ). Unaltra carica q 0 avente velocit`a
~v 0 , che passi per lo stesso punto P , risentir`a cio`e una forza:
~ ) + ~v 0 B(P
~ ))
F~ 0 = q 0 (E(P
(se q e q 0 non sono troppo grandi).
1

Notiamo che i sistemi continui sono descritti da un numero infinito di gradi di libert`a
per unit`a di volume.

~ e B
~ dipendono quindi unicamente dal punto considerato e
I vettori E
~
dal tempo, e costituiscono dunque due campi vettoriali, E(x,
y, z, t) e
~
B(x,
y, z, t), detti rispettivamente campo elettrico e campo magnetico.
~ e B
~ si preTuttavia, finche si considerano fenomeni statici, i campi E
sentano solo come concetti ausiliari, nel senso che in questi casi si potrebbe
parlare semplicemente delle forze che agiscono tra le cariche, tra le correnti,
ecc. . . . , senza attribuire alcuna realt`a ai campi.
Quando per`o si considerano casi non stazionari, come ad esempio linterazione
tra due cariche in moto relativo, si incontrano fenomeni, quali il tempo finito
di trasmissione della forza e la non-conservazione della quantit`a di moto
per il sistema costituito dalle due sole cariche (soggetto a sole forze interne!),
~ eB
~ come un vero e proprio sistema
che ci spingono a considerare i campi E
fisico (anche se non fatto di materia), capace di avere e trasportare energia
e quantit`a di moto2 . Tale sistema `e caratterizzato dai suoi effetti, cio`e dalla
~ e B
~ sono definiti in tutti i
sua azione su altri sistemi. Siccome i campi E
punti dello spazio, lo studio delle loro propriet`a sar`a analogo a quello di altri
sistemi continui, quali ad esempio i fluidi (idrodinamica) e i corpi estesi
deformabili (elasticit`a), quando naturalmente questi sistemi siano considerati
continui, cio`e si trascuri la loro costituzione atomica.
Cosa `e importante conoscere per descrivere un sistema continuo?
Consideriamo ad esempio un pezzo di materiale elastico sottoposto a sforzi
esterni. Da cosa `e descritta la situazione del materiale?
Evidentemente non dalla posizione di ciascun punto, ma dallo spostamento di ciascun punto dalla sua posizione (di equilibrio) in assenza di sforzi;
cio`e in che punto P 0 `e andato a finire ciascun punto P del corpo considerato,
per effetto degli sforzi applicati. Nellapprossimazione in cui il nostro corpo
`e continuo, ci interessa cio`e il campo vettoriale ~ (P ) P 0 P .
Ora, nello studio dei mezzi continui si fa lipotesi fondamentale che lo
spostamento di un punto ~ (x, y, z) (o meglio di un elemento di volume), `e
determinato unicamente dagli spostamenti dei punti circostanti. Ci`o significa
che ogni elemento di volume risente solo lazione degli elementi di volume ad
esso adiacenti e non vi `e alcuna azione a distanza, cio`e un effetto diretto
sullelemento di volume considerato degli sforzi applicati al contorno. In altre
parole gli sforzi applicati al contorno producono un effetto solo trasmettendosi
2

Siccome la divisione in campo elettrico e in campo magnetico dipende dal sistema


~ eB
~ vanno considerati come componenti di un unico sistema, il campo
di riferimento, E
elettromagnetico.

attraverso il mezzo. Scrivere delle equazioni per il nostro mezzo elastico


significa quindi trovare delle relazioni tra lo spostamento in un punto e lo
spostamento nei punti circostanti.
Tali relazioni
coinvolgeranno quindi non tanto
(x, y, z) ma le sue derivate
! ~

2 ~
2 ~
~
,... , 2,... ,
, . . . , ecc. in quanto `e il confronto tra
parziali
x
x
xy
~ (P ) ed ~ (P + P ) che caratterizza la deformazione del mezzo.
La presenza delle derivate parziali `e chiara, in quanto leffetto pu`o essere
differente nelle tre direzioni. Cos`, se consideriamo una trave bloccata a un
estremo e diretta lungo y che si flette per effetto di un peso allaltro estremo,
~
~ (x, y, z) varier`a al variare di y (cio`e lungo la trave), e quindi
6= 0, mentre
y
~
rester`a lo stesso al variare di x (cio`e per il largo della trave) per cui
=0
x
(naturalmente se la natura del materiale non cambia lungo x!).
Un fenomeno elastico in un sistema continuo sar`a quindi descritto da
equazioni alle derivate parziali. Se si considera un problema di equilibrio,
tali equazioni determineranno lo spostamento di tutti i punti del sistema,
una volta assegnate le condizioni al contorno, cio`e gli sforzi che agiscono al
contorno del sistema, ovvero leffetto del mondo esterno. Se invece si tratta
di un fenomeno non stazionario, le equazioni determineranno landamento di
~ (x, y, z, t) col tempo.
Come `e noto, la dinamica del campo elettromagnetico `e in effetti descritta
da equazioni differenziali alle derivate parziali (eq. di Maxwell):
~ = /0
2a) E

~
~ = B
2c) E
t

~ =0
2b) B

~
~ = 0~j + 1 E
2d) B
c2 t

~ e B
~ erano considerati connessi alle proDel resto, allinizio i campi E
priet`a elastiche di un ipotetico mezzo, detto etere, e Maxwell ottenne le
sue equazioni proprio analizzando le propriet`a elastiche di un particolare
modello di etere.
~ eB
~ verificano eq. del moto del 1o ordine in t. Dunque
Notiamo che E
~ x, t0 ) e B(~
~ x, t0 ) basta (nel caso libero) a specificare non solo la
assegnare E(~
configurazione del sistema ma anche la sua evoluzione dinamica. Pertanto
~ eB
~ non rappresentano i gradi di libert`a del sistema ma corrispondono
E
5

tanto alle coordinate canoniche che ai momenti coniugati. In effetti le eq.


di Maxwell possono ottenersi da una formulazione hamiltoniana del campo
e.m..
~ e B
~ le eq. del 2o ordine che si otConsiderare separatamente per E
tengono dalle eq. di Maxwell `e errato come lo sarebbe per un O.A. (che
verifica q = p/m , p = kq) considerare separatamente le soluzioni di
q = 2 q e p = 2 p.
Una descrizione mediante eq. del 2o ordine, in termini di sole coordinate
canoniche (o gradi di libert`a), si pu`o ottenere introducendo i potenziali
~ x, t). Ci`o sembra portare a 4 g. di l. per punto per
scalare V (~x, t), e vettore A(~
il campo elettromagnetico, cio`e a 4 g. di l. in ogni volume finito. Tuttavia
occorre ricordare che i potenziali sono definiti a meno di una trasformazione di
~ sembra corrispondere
gauge. Ad es. si pu`o scegliere la gauge V = 0, in cui A
3
~ non sono
a gradi di libert`a. Notiamo per`o che le tre componenti di A
indipendenti, in quanto si pu`o ancora imporre (nel caso libero) la condizione
~ = 0. Dunque il campo e.m. ha 2 g. di l. per unit`a
di trasversalit`a A
di volume.
~ = t A,
~ corrisponde alle velocit`a (momenti coniuIn questo schema E
~ x, t0 ) non basta per specificare lo stato dinamico
gati). Assegnare solo A(~
~ che B,
~ come `e chiaro perch`e A
~ verifica
del sistema, cio`e a determinare sia E
o
~ = 0.
uneq. del moto del 2 ordine: 2A
Una delle conseguenze pi`
u rilevanti delle eq. di Maxwell fu la previsione
dellesistenza di onde e.m., rivelate per la prima volta da Hertz alcuni anni

dopo la loro previsione. Inoltre, il fatto che il valore numerico di 1/ 0 0


coincidesse con la velocit`a della luce nel vuoto, spinse ad interpretare anche la luce come fenomeno elettromagnetico. La teoria di Maxwell permise
cos` una descrizione unificata per un vastissimo numero di fenomeni considerati indipendenti fino a pochi anni prima. Questi grandi successi furono
naturalmente considerati come dei successi dellipotesi delletere usata da
Maxwell e della meccanica newtoniana, mediante la quale le propriet`a elastiche delletere venivano descritte.
Del resto in unepoca in cui tutti i fenomeni ondulatori noti erano onde
nei mezzi (cos` come il suono `e unonda nellaria), letere sembrava pi`
u che
mai necessario quale sostegno per le onde e.m.
Tuttavia, come `e noto, proprio i successi della teoria di Maxwell sono
stati alla base dellabbandono dellipotesi delletere e della stessa meccanica
newtoniana.
6

In effetti questo etere doveva avere strane propriet`a, che gli consentivano
di riempire tutto lo spazio, cos` da permettere la propagazione delle onde
e.m., ma di non opporre resistenza al moto dei corpi attraverso lo spazio.
Inoltre, siccome in un sistema di riferimento in cui valgono le equazioni di

Maxwell la velocit`a di propagazione delle onde e.m. `e c = 1/ 0 0 , in un sistema in moto uniforme rispetto al primo, se `e vera la composizione galileiana
delle velocit`a, le equazioni di Maxwell non potranno essere valide. Dunque la
forma delle equazioni dei fenomeni elettromagnetici viene a dipendere dal sistema (inerziale) di riferimento. Il sistema solidale alletere si presenta come
un riferimento privilegiato (assoluto). In particolare la velocit`a della luce
in ciascun sistema dipende dal suo moto rispetto alletere (proprio come la
velocit`a del suono dipende dal moto dellosservatore rispetto allaria).
` per`o risultato sempre impossibile (vedi ad esempio lesperimento di
E
Michelson e Morley) mettere in evidenza il moto della terra rispetto alletere,
misurando la velocit`a della luce rispetto alla terra (che `e risultata sempre
uguale a c), e pi`
u in generale osservare una dipendenza della velocit`a della
luce (nel vuoto) dallo stato di moto (uniforme) dell osservatore.
Senza parlare di tutti i tentativi fatti per salvare lipotesi delletere, cio`e
per non abbandonare uno schema teorico che si era dimostrato cos` fruttuoso,
ricordiamo che si giunse a un radicale cambiamento di punto di vista quando
Einstein propose una nuova teoria basata su due ipotesi fondamentali:
a) il principio di relativit`a (ristretta), cio`e lequivalenza di tutte
le leggi fisiche (quindi sia della meccanica che dellelettromagnetismo)
per tutti gli osservatori inerziali;
b) il principio della indipendenza della velocit`a della luce (nel
vuoto) dallo stato di moto dellosservatore e della sorgente.
Ma non `e di questo sviluppo di cui qui ci occuperemo, bens`i di un altro
cambiamento, anche pi`
u radicale, che pure ha avuto origine dallo studio
del comportamento del campo e.m. e pi`
u precisamente da quello delle sue
propriet`a termodinamiche.
La verit`a nasce piuttosto
dallerrore che dalla confusione.

2. Sviluppo della teoria e.m. e sorgere delle


contraddizioni.

- Applicazione di concetti termodinamici alla radiazione (entropia della rad.)


- Radiazione di corpo nero
- Legge di Rayleigh - Jeans
- Necessit`a di una costante universale
- Ipotesi dei quanti e formula di Planck

Le idee provengono dallesperienza dei sensi


ma non possono mai derivarne logicamente. (Einstein)
` ben noto il fenomeno dellemissione di radiazione termica
E

da parte

dei corpi materiali e in particolare il fatto che al variare della temperatura si


verifica un
cambiamento del colore di un oggetto:
infrarosso

rosso

bianco

Dunque la radiazione termica emessa da un corpo dipende dalla temperatura e si pone il problema di determinare la distribuzione in frequenze di
tale radiazione.
Se si considera un corpo cavo, le sue pareti, oltre che verso lesterno,
emettono anche verso linterno della cavit`a, che si riempie di radiazione e.m.
fino al raggiungimento dellequilibrio termico.
1

Una radiazione si dice puramente termica se lo stato del corpo che emette pu`o
essere reintegrato mediante la sola cessione di calore (per cui la radiazione resta la stessa
mantenendo invariati i parametri termodinamici del corpo, in particolare la temperatura)

Una cavit`a le cui pareti sono a temperatura T `e dunque (anche se vuota


di materia) piena di radiazione elettromagnetica, anchessa a temperatura
T . Cio`e un termometro posto in un punto qualunque della cavit`a indica
T come valore della temperatura, perche scambiando energia col campo e.m.
che riempie la cavit`a si porta allequilibrio termico con esso, esattamente
come farebbe se fosse in contatto termico con un gas o con un solido.
Basandosi sul secondo principio della termodinamica, nel 1860 Kirchhoff
stabil` che:
la distribuzione spettrale della radiazione termica contenuta in
una cavit`
a isoterma (cio`e del campo e.m. a temperatura T) `e
universale,
cio`e la distribuzione dellenergia e.m.2 in funzione della frequenza `e indipendente dalla natura delle pareti della cavit`a (purche queste siano opache,
cio`e tali da assorbire ed emettere radiazione e.m. portandosi allequilibrio
termico con essa).
In effetti, per altri sistemi, quali un pezzo di ferro o un gas racchiuso in
una cavit`a, `e ovvio che, in condizioni di equilibrio termico, la distribuzione
dellenergia molecolare non dipende dai corpi con cui sono a contatto. Ma,
nel 1860 il campo e.m. non era ancora considerato quale sistema fisico autonomo, come un gas o un solido, anche se non fatto di materia.
Cos` come lo stato termico di un gas `e descritto dal numero di molecole
per unit`a di volume e dalla distribuzione delle loro velocit`a, lo stato termico
del campo e.m. `e descritto dalla distribuzione in frequenze della sua densit`a
di energia, cio`e dalla funzione u(, T )d, che rappresenta:
2

Ricordiamo che la densit`a di energia del campo e.m. `e data da


1
1 2
dU/dV = 0 E 2 (~x, t) +
B (~x, t). Dunque la sua media temporale `e diversa da
2
20
zero anche per campi oscillanti.

lenergia e.m. per unit`a di volume e per intervallo d in frequenza


Allequilibrio termico questa grandezza `e proporzionale alla energia e.m.
emessa per unit`a di tempo e per unit`a di superficie da un corpo nero. Con
tale nome si intende un corpo che assorbe tutta la radiazione e.m. incidente
su di esso nel senso che `e nullo il suo fattore di riflessione, cio`e il rapporto
tra lintensit`a della radiazione che incide su di esso e quella della radiazione
riflessa. Pertanto a bassa temperatura tale oggetto appare nero in quanto
non emette nel visibile.
In altre parole, la radiazione irraggiata da un corpo nero consiste interamente in radiazione emessa da esso, per cui (lo spettro del)la radiazione
emessa da una superficie nera isoterma coincide con (lo spettro del)la
radiazione nella cavit`a. Questultima `e perci`o detta radiazione di corpo
nero. Osservare la radiazione in una cavit`a isoterma o quella emessa da un
corpo nero `e, dunque, la stessa cosa.
Del resto, se si vuole misurare la distribuzione della velocit`a delle molecole
di ossigeno in una cavit`a osservando quelle che escono da un foro in essa
praticato, si evita ovviamente di fare le misure in un ambiente contenente
gas, non solo perche le molecole che fuoriescono dalla cavit`a ne sarebbero
frenate, ma anche perche nel rivelatore arriverebbero molecole di gas riflesse
sulle pareti della cavit`a, che non centrano niente con quelle interne, falsando
la forma della distribuzione.
` difficile realizzare un corpo perfettamente nero, per`o si pu`o ritenere di
E
essere vicini al caso ideale tutte le volte che la radiazione termica emessa `e
molto maggiore di quella riflessa.
La radiazione di corpo nero costituisce un sistema a temperatura uniforme, mentre la radiazione non di corpo nero costituisce un sistema le cui
varie componenti (frequenze) sono a temperature diverse, o meglio non sono
allequilibrio termico.
La radiazione delle stelle (a parte lo spettro di righe!) pu`o essere consid10

erata di corpo nero (cio`e puramente termica) perche dovuta allemissione


degli strati esterni della stella che convertono in radiazione termica lenergia
proveniente dallinterno.
Il problema del corpo nero `e dunque il seguente: quale colore avr`a la
luce emessa da un oggetto tenuto a temperatura T ?
Come dice M.Planck3 : La scoperta di Kirchhoff che la natura della radiazione termica presente in uno spazio vuoto delimitato da corpi qualunque
emittenti e assorbenti a temperatura uniforme `e completamente indipendente
dalla natura dei corpi, forn` la prova dellesistenza di una funzione universale
[in quanto caratteristica del campo e.m.! (n.d.t.)] dipendente solo dalla temperatura e dalla lunghezza donda, ma non dalle speciali propriet`a di qualche
sostanza.
Come calcolare questa funzione?
Il calcolo di questa distribuzione spettrale `e stato effettuato pi`
u volte,
verso la fine dellOttocento, seguendo strade pi`
u o meno complicate e pervenendo sempre allo stesso risultato, noto come legge di Rayleigh- Jeans, che
`e in tragico disaccordo con i dati sperimentali. In effetti, nellambito della
fisica classica, tale funzione `e completamente determinata (a meno di una
costante) da considerazioni dimensionali, e ci`o spiega perche tutte le strade
classiche abbiano portato inevitabilmente allo stesso risultato.
Infatti: da cosa pu`o dipendere la energia per unit`a di volume e per
intervallo unitario di frequenze della radiazione e.m. in equilibrio termico coi
` chiaro che
corpi circostanti, se `e indipendente dalle propriet`a delle pareti? E
u(, T ) pu`o dipendere unicamente dalla temperatura e dalle caratteristiche
del campo e.m.
3

M.Planck, La natura del mondo fisico, pag.75

11

Ora, DIMENSIONALMENTE:
[u(, T )d] = energia per unit`a di volume

(2.1)

[u(, T )] = El3 t

(2.2)

cio`e

dove E indica unenergia, l una lunghezza e t un tempo.


Ma, come abbiamo detto, u(, T ) risulta indipendente dalla forma della
cavit`a e la sola grandezza che abbia la dimensione di unenergia indipendente dalla natura delle pareti, cio`e universale, `e kT (con k costante di
Boltzmann). Dunque a disposizione abbiamo:
[kT ] = E ,

[] = t1 ,

[] = l

con = c

per cui si vede subito che lunica possibilit`a `e:


u(, T ) kT 1 3 =

2 kT
c3

RAYLEIGH
JEANS

(2.3)

relazione ricavata per la prima volta da Rayleigh nel 1900 (seguendo un ragionamento del tutto diverso dal nostro), e ripresa da Jeans nel 1905. Essa,
non solo `e in ovvio contrasto con lesperienza, in quanto prevede che a qualsiasi temperatura un corpo nero emetta di pi`
u alle alte frequenze (blu) che alle
basse frequenze (rosso), ma implica per lenergia totale per unit`a di volume4
U (T ) =

kT Z 2
u(, T )d 3
d =
c 0

Catastrofe
ultravioletta

(2.4)

Peraltro notiamo che ci`o `e in accordo col principio di equipartizione dellenergia,


dato che i gradi di libert`a del campo e.m. per unit`a di volume sono infiniti
4

Una situazione quale quella illustrata dalla (4), in cui si ottiene un risultato infinito per
una grandezza fisica a causa del contributo delle alte frequenze, viene detta oggi catastrofe
ultravioletta.

12

Basandosi su considerazioni puramente termodinamiche nel 1894 Wien


stabil` che u(, T ) deve essere della forma:
u(, T ) = 3 f (/T )

1a

legge di Wien

(2.5)

Osserviamo che la legge di R.-J. `e in accordo con questa legge.


Dalla 1a legge di Wien segue che:
1. se u(, T ) ha un massimo (come sperimentalmente si osserva) allora:
2a legge di Wien

max /T `e costante al variare di T ,


max T = costante

o anche:

(2.6)

Notiamo che max 6= c/max in quanto max indica il massimo della


distribuzione in lunghezze donda, legata alla distribuzione in frequenze

da u(, T )d = u(, T )d = u(, T ) c/2 d.


max T ' 0, 3 cm K

I dati sperimentali danno:

Da questo valore segue ad es. che la radiazione di fondo delluniverso,


che ha una distribuzione di corpo nero con max ' 0, 1cm (microonde),

ha una temperatura di T ' 3 K.

2. Lenergia totale per unit`a di volume del campo e.m. `e alla 4a potenza
della temperatura assoluta. Infatti:
U (T ) =

= T4

u(, T )d =

3 f (/T )d =

x3 f (x)dx = aT 4

(2.7)

Questa espressione fornisce anche la legge con cui si raffredda un corpo


nero per irraggiamento. Infatti, indicando con W lenergia emessa per unit`a

13

di tempo e per unit`a di superficie da un corpo nero, si ha W (T ) = cU (T )/4;


dunque:
W (T ) = T 4

(STEFAN - BOLTZMANN)

con = ca/4, relazione formulata empiricamente da Stefan nel 1879 e ripresa


teoricamente da Boltzmann. Sperimentalmente si trova = 5, 67 105 erg s1 cm2 K 4 .
` possibile
Torniamo al problema della determinazione teorica di u(, T ). E
ottenere per questa grandezza un risultato diverso da R.- J. e in accordo con
i dati sperimentali? In che altro modo la si pu`o calcolare?
Essendo il risultato indipendente dalla natura del corpo, Planck (nel 1900)
pens`o di sostituire le pareti reali della cavit`a con un insieme di oscillatori
armonici (di tutte le frequenze) per i quali era nota la legge di emissione e di
assorbimento.
Considerando una data frequenza si ha:
Potenza media emessa da una carica e di massa m, oscillante con frequenza
:

8 2 e2 2
hi
(8)
3mc3
dove hi `e lenergia media (in senso statistico) delloscillatore allequilibrio
Wem =

termico a temperatura T .

Potenza assorbita dalloscillatore su cui incide radiazione con densit`a di


energia u(, T ):
e2
u(, T )
3m
= Wass , da cui

(9)

8 2
u(, T ) = 3 hi
c

(2.10)

Wass =

Allequilibrio: Wem

Il problema di determinare u(, T ) `e dunque ridotto al calcolo di hi.

Il valore classico hi = kT (secondo il principio di equipartizione dellenergia)

porta inesorabilmente alla legge di R.-J.


14

Planck avanz`o invece lipotesi che:


loscillatore scambia energia per quanti multipli interi di un valore minimo
cio`e
E = n0
Da questa ipotesi egli ricav`o che lenergia media di un oscillatore armonico
allequilibrio termico a temperatura T `e data da:
hi =

(2.11)

e0 /kT 1

Ora la 1a legge di Wien implica che 0 sia proporzionale a . Posto 0 = h


si ottiene:
u(, T ) =

h 3
8
c3 eh/kT 1

formula di
Planck

(2.12)

Secondo la fisica classica lenergia `e continua. Ci`o si ottiene per h 0 e

si trova:

hi = kT
che ci riporta alla legge di R.-J.
Invece, la (12) risulta in eccezionale accordo con i dati sperimentali scegliendo
per la costante h (che ha le dimensioni di una azione = energia tempo) il
valore non nullo:
h = 6, 62 1027 erg sec
Dunque Planck ottenne una spiegazione della distribuzione spettrale del
corpo nero, ma per far ci`o dovette introdurre una nuova costante universale
e ammettere che
una carica che oscilla con frequenza scambia energia col campo e.m.
solo per quantit`a multiple intere di h.

15

Notiamo che nelle varie situazioni limite si ha

hi =

h
eh/kT 1

kT

kT

kT

per h 0

(lim. classico)

per 0

(h kT , R.-J.)

per T (h kT , R.-J.)

heh/kT per (h kT )

Dimostriamo la formula di Planck.


Per definizione, il valore statistico medio dellenergia di un insieme di N
oscillatori di frequenza `e dato da:
hi =

X
1 X
1 X
k =
ni i =
P (i )i
N k
N i
i

dove i `e lenergia delli-mo oscillatore, ni `e il numero di O.A. che hanno


energia i e P (i ) `e la probabilit`a che un O.A. abbia energia i quando si
trova allequilibrio termico a temperatura T. Questa probabilit`a `e data dalla
distribuzione di Boltzmann:
ei /kT
P (i ) = P n /kT
ne

Se lO.A. scambia energia per quanti si ha n = n0 .


Posto 1/kT = si trova:
P

d
n0
n en /kT
0
nen0
ne
hi = P n /kT = P n n0 = dP n0 =
e
e
ne
!n

X
d
d
0
= ln
en0 =
ln(1 e0 ) = 0
d
d
e 1
n=0

c.v.d.

essendo la somma nientaltro che una serie geometrica.


Usando la formula di Planck, la densit`a di energia del campo e.m. allequilibrio
16

termico a temperatura T risulta:


U (T ) =

dove si ha:

(kT )4 Z x3
8h Z 3 d
= 8
dx = aT 4
u(, T )d = 3
c
eh/kT 1
(hc)3 0 ex 1
0

5 4

per cui a = 8 k /15(hc)

4
x3 dx
=
ex 1
15

Dimostriamo ora la (8).


Ricordiamo anzitutto che la potenza irraggiata da una carica puntiforme
in moto non relativistico `e data da (in unit`a gaussiane):
Wem =

2 e 2 a2
3 c3

Infatti, dimensionalmente
[Wem ] = Et1 = F lt1
e pu`o dipendere da c (caratteristica del campo e.m.), da e e da a, ma non da
v (se v c).

[e2 ] = F l2 ,

Ora

[a2 ] = l2 t4

per cui, per ottenere una grandezza con le dimensioni di una potenza, lunica
possibilit`a `e:

e 2 a2
c3
Per un O.A., considerando la potenza media irraggiata in un periodo, si ha
Wem

a2 = 4 x2 = 4 x20 sin2 t = 4 x20 /2


dove indica la media temporale. In termini dellenergia delloscillatore
1
1
= kx20 = m 2 x20
2
2
si ha
a2 =

2
m

W em

e2 2
mc3

17

c.v.d.

3. Comportamento corpuscolare del campo e.m.


(Einstein, 1905)
Studiando il comportamento del campo e.m. nel 1905 Einstein giunse
alla conclusione che:
la radiazione e.m.

di frequenza si comporta come un gas

di particelle, ognuna delle quali ha energia


= h
dove, h `e la costante introdotta da Planck. Notiamo che questo risultato
riguarda il comportamento intrinseco della radiazione e non va confuso con
lipotesi di Planck che riguarda linterazione della radiazione con la materia.
Esso predice un comportamento corpuscolare della radiazione e.m., e
Einstein si accorse che ci`o fornisce, tra laltro, una spiegazione delleffetto
fotoelettrico di cui allepoca iniziavano le osservazioni.
Effetto fotoelettrico
Questo effetto consiste nellemissione di elettroni da parte di sostanze (in
particolare metalli) irraggiate con radiazione e.m., e fu studiato in particolare
da Lenard nel 1902.
Le sue principali caratteristiche sono:
i) si verifica solo se > 0

frequenza di soglia
dipendente dal materiale

ii) Tmax `e indipendente dallintensit`a I della radiazione incidente.


iii) il n di fotoelettroni emessi per unit`a di tempo `e proporzionale a I
iv) Tmax dipende dalla frequenza e si ha Tmax = a b
v) i fotoelettroni sono emessi istantaneamente
18

dove Tmax `e lenergia cinetica massima degli elettroni emessi.


Per renderci conto di cosa significhino tali dati consideriamo, ad esempio, una sorgente di luce ultravioletta che abbia lintensit`a di una candela
unitaria. Lenergia e.m. che attraversa 1 cm2 posto a 3 m `e, allora, circa
1 erg/sec, mentre quella dei fotoelettroni emessi risulta 3 1012 erg. Ma
su un atomo (di sezione 1016 cm2 ) incidono solo 1016 erg/sec! Se anche tutta lenergia che passa fosse assorbita dallatomo e concentrata su
un elettrone, ci vorrebbero 10.000 sec per emettere elettroni con lenergia

osservata!

Anche lesistenza di una frequenza di soglia `e sorprendente nellambito


della teoria ondulatoria. Si immagini un molo sotto il quale sono legate
tante barchette. Sarebbe davvero sorprendente se una tempesta con onde
di grande ampiezza, ma molto lunghe, non provocasse alcuno spostamento
apprezzabile delle barche, mentre onde di ampiezza molto inferiore allaltezza
del molo, ma di alta frequenza, ne spingessero un gran numero al di sopra del
molo (cio`e cedessero loro energia cinetica sufficiente a vincere la differenza di
potenziale!)
Dunque leffetto fotoelettrico non `e spiegabile mediante la teoria ondulatoria. Si supponga, invece, con Einstein che:
la luce `e costituita da particelle, dette fotoni,
aventi energia
E = h.
In tal caso, se un fotone cede per urto tale energia a un elettrone (di
conduzione) del metallo, questo viene emesso con energia cinetica T = h
` chiaro
W , dove W `e il lavoro di estrazione (a meno di urti secondari). E
che lemissione `e praticamente istantanea, per cui lipotesi di Einstein porta
a una spiegazione immediata delle caratteristiche delleffetto fotoelettrico, in

19

particolare della propriet`a (iv) per la quale prevede che il coefficiente a sia
dato dalla costante di Planck: a = h.
Peraltro tale relazione fu confermata definitivamente da Millikan solo nel
1916, quando divenne possibile usare frequenze monocromatiche ben distinte.
Si noti peraltro la contraddizione intrinseca nel parlare di particelle che
hanno una propria frequenza. Notare anche lassociazione tra energia e
tempo (frequenza) presente nella relazione di Einstein.
Nella vita quotidiana esistono peraltro molti fenomeni in cui `e presente
una soglia in frequenza e in cui si rivela la natura corpuscolare della luce, ad
es:
a) reazioni foto-chimiche
b) pellicole fotografiche
c) visione
d) abbronzamento.
A differenza delle particelle usuali i fotoni possono essere assorbiti (distrutti) ed emessi (creati). Pertanto, allequilibrio termico, il n o di fotoni per
unit`a di volume Nph =

n()d dipende da T , mentre per le particelle usuali

(di massa m0 6= 0) la densit`a pu`o essere tenuta fissa al variare di T (almeno

per kT << m0 c2 !).

In termini di fotoni la formula di Planck esprime il n medio di fotoni di


frequenza presenti per unit`a di volume a temperatura T :
n
() =

8 2
1
3
h/kT
c e
1

Interferenza dei fotoni


Allora aveva ragione Newton, la luce `e fatta da corpuscoli?
Ricordiamo per`o i numerosi fenomeni spiegati in termini del comporta20

mento ondulatorio della luce, e in particolare lesperimento di Young:


Sia S una sorgente di luce monocromatica. Si faccia passare questa luce
attraverso due fenditure, F1 ed F2 , praticate in uno schermo e la si raccolga
su unaltro schermo . Si osserva che la distribuzione della luce su quando
entrambe le fenditure sono aperte `e completamente diversa dalla semplice
somma delle distribuzioni ottenute con le fenditure aperte una alla volta.
Ad esempio, supponiamo che quando i fori sono aperti uno alla volta
attraverso ciascuno di essi giunga in un rivelatore posto in un punto P di
la stessa quantit`a di luce, pari all1% di quella emessa dalla sorgente.
Verrebbe spontaneo pensare che aprendo contemporaneamente i due fori la
quantit`a di luce che arriva nel rivelatore debba sempre aumentare ed essere
pari al 2%, ma nella realt`a non avviene cos`. Se i fori sono entrambi aperti la
luce che arriva nel rivelatore varia tra zero e il 4% a seconda della separazione
tra F1 ed F2 . Si ha interferenza:
I(P )

6=

I1 (P ) + I2 (P )

La spiegazione di questo fenomeno `e immediata in termini della descrizione


ondulatoria:
parte dellonda passa per F1 , parte per F2 e quando si ricompongono sullo
schermo lintensi`a (data la modulo quadro dellampiezza totale) dipende
dalla fase relativa, cio`e dai cammini ottici.
Vicecersa, in una descrizione corpuscolare lapertura o meno di F2 non
dovrebbe avere alcun effetto sulle particelle (classiche) che passano attraverso
F1 e viceversa!
Forse le particelle che passano attraverso F1 interagiscono con quelle che
passano attraverso F2 dando luogo alla figura dinterferenza?
Ma persino una sorgente cos` fioca che al pi`
u un fotone alla volta si trova
21

tra S e P d`a luogo a interferenza!1 (inoltre fotoni diversi hanno fasi casuali,
per cui non potrebbero provocare una figura dinterferenza stabile). Dunque
Ogni fotone interferisce con s
e stesso!
Poiche la probabilit`a che un fotone (la luce) vada da S a P dipende
dalla distanza tra i fori, il fotone dovrebbe dividersi furtivamente in due
per poi ricomporsi di nuovo. Secondo questa ipotesi (che corrisponde alla
descrizione ondulatoria), dei rivelatori posti in F1 ed F2 dovrebbero sempre
scattare insieme, magari rivelando ciascuno solo met`a della luce.
Per`o, se mettiamo dei rivelatori in F1 ed F2 , si osserva che la luce passa
sempre o attraverso luno o attraverso laltro, cio`e ciascuno di essi rivela un
fotone intero (di energia pari ad h) oppure nulla.
I rivelatori in F1 ed F2 non scattano mai insieme: o scatta luno, o scatta
laltro. Il fotone non si divide in due: o segue un percorso o segue laltro.
Ma quando sono presenti i rivelatori linterferenza scompare: anche se i
fotoni non vengono assorbiti dai rivelatori, lintensit`a della luce in P diventa
la somma delle intensit`a.
Inoltre `e impossibile prevedere attraverso quale foro passer`a un fotone.
La conclusione a cui siamo costretti a pervenire `e che luce non `e fatta ne da
particelle (classiche) ne da onde (classiche), ma presenta entrambi i comportamenti!
Formulazione di Feynman della meccanica quantistica.
Il bizzarro comportamento della luce pu`o essere descritto considerando
1

Ci`o significa che ogni fotone colpisce lo schermo in un punto ben definito, proprio
come una particella, ma sullo schermo si forma gradualmente una figura di interferenza
se si aspetta un tempo abbastanza lungo perch`e su di esso arrivi un numero abbastanza
elevato di fotoni. I singoli fotoni arrivano nei vari punti dello schermo con probabilit`
a
proporzionale allintensit`a della figura dinterferenza

22

la luce costituita da particelle non classiche. Nel moto tra due punti, I ed
F, a queste particelle non viene pi`
u assegnato, come avviene in meccanica
classica, un unico percorso caratterizzato dal fatto di rendere minima lazione,
e non si pu`o pi`
u dire con certezza Date certe condizioni iniziali, la particella
parte da I e arriva in F. Tutto ci`o che possiamo conoscere `e lampiezza di
probabilit`a, A(I, ti ; F, tf ), che essa giunga nel punto F allistante tf se parte
dalla sorgente I allistante ti . Tale ampiezza `e data da
A(I, ti ; F, tf ) =

ei2

S()/h

dove la somma va fatta su tutti i percorsi nello spazio-tempo che portano


da (I, ti ) a (F, tf ) con tutte le leggi orarie possibili, S() `e lazione classica
relativa al percorso e h `e la costante di Planck.
La probabilit`
a di osservare la particella in F `e data da P (F ) = |A(I, F )| 2

Dato che in A(I, ti ; F, tf ) compare una somma di numeri complessi, che si


elidono tra loro se sono in opposizione di fase, di solito il termine dominante
corrisponde al percorso che rende stazionaria lazione (traiettoria classica),
il cui contributo si somma con la stessa fase a quello dei percorsi vicini.
Infatti, data la piccolezza di h, percorsi che portano a valori di S anche
lievemente differenti danno luogo a contributi che si cancellano. In particolari
situazioni possono per`o diventare confrontabili i contributi di percorsi anche
molto diversi, i cui effetti vanno sommati tenendo conto delle fasi relative e
ci`o produce gli effetti di interferenza.
Per dirla con Feynman: Bisogna concludere che la fisica, scienza profondamente esatta, `e ridotta a poter calcolare solo la probabilit`a di un evento
` un ripinvece di prevedere cosa accade in ciascun caso singolo? Ebbene, si. E
iegamento, ma le cose stanno proprio cos`: la Natura ci permette di calcolare
soltanto delle probabilit`a.
23

4. Sviluppo della meccanica statistica e sorgere delle


contraddizioni
Legge di Dulong e Petit; Modello di un solido (piccole oscillazioni);
Calori specifici alle basse temperature e soluzione del problema
da parte di Einstein.
CALORI SPECIFICI
Legge di Dulong e Petit (1819)
Agli inizi dellOttocento, Dulong e Petit osservarono su base empirica che,
mentre i calori specifici per unit`a di massa variano molto da una sostanza
allaltra, i calori specifici molari dei solidi (semplici) sono quasi uguali tra
loro e valgono:
CV ' 5.96 cal/mole C
alcuni valori sono mostrati nella tabella 1.

Analogamente per i composti (mostrati nella tabella 2):


Molecola di n atomi = CV ' n 5.96 cal/mole C
(Per i solidi CV = Cp )

Questa legge empirica trov`o una giustificazione teorica solo nel 1871, grazie alla interpretazione statistica di Boltzmann. Considerando un solido
costituito da un insieme di atomi che oscillano attorno a posizioni di equilibrio, si ha che:
24

cp
Peso
atomico
Cp

Bi
0.0299
209.0

Pb
0.0310
207.2

Elemento
Au
Pt
Sn
0.0309 0.0318 0.0556
197.0

195.1

118.7

Ag
0.0559

Zn
0.0939

107.9

6.22

6.43

6.10

6.21

6.60

6.03

Cu
0.0930

Fe
0.110

Al
0.218

Si
0.177

B
0.26

C (gr)
0.216

65.4
6.14

C (di)
0.12

cp
Peso
63.6
55.9
29.7
28.1
10.8
12.0
12.0
atomico
Cp
5.92
6.14
5.83
5.00
2.84
2.60
1.44
Cp in cal/mole grado, Sn = latta, C (gr) = grafite, C (di) = diamante
Table 1: Calore specifico di alcuni elementi solidi a temperatura
ambiente

Cp

NaCl
11.93

KBr
12.25

AgCl
12.15

Composto
PbS CuS Ag2 S
12.01 12.33 17.83

PbCl2
18.05

CaF2
16.56

Fe2 O3
27.2

Table 2: Calore specifico molare di alcuni composti in cal/mole


grado

25

Una mole di un solido semplice contiene 3N oscillatori lineari,


dove N `e il n. di Avogadro, per ciascuno dei quali hEi = kT
Lenergia (interna) per mole `e dunque
U = 3N kT = CV =

dU
= 3N k = 3R = 5.96 cal/mole C
dT

dove R `e la costante dei gas.


Questo risultato costituisce sicuramente un grande successo, ma ora che
si aveva una spiegazione teorica della legge di D.-P. occorreva anche dare
conto delle discrepanze fino ad allora trascurate. In particolare
i) Eccezioni: perch`e C, B, Si non si comportano come gli altri elementi?
ii) G. di l. interni degli atomi: gli atomi sono oggetti complessi con molti
gradi di libert`a interni; perch`e questi non intervengono nel determinare
il calore specifico?
iii) Alle basse temperature i calori specifici scendono molto al di sotto del
valore di D.-P., tendendo a zero1 quando T 0
iv) Per i gas monoatomici CV = 3/2 R in accordo con lequipartizione, ma
per quelli biatomici CV = 5/2 R, e a basse temp. CV = 3/2 R, mentre
lequipartizione = CV = 7/2 R.
Dunque, la legge di Dulong e Petit, fondata sulla meccanica statistica
classica non funziona sempre, ma `e come se a bassa temperatura alcuni g. di
l. fossero congelati, o, in altri termini, non valesse il principio di equipartizione dellenergia.
Soluzione di Einstein al problema dei calori specifici
1

In accordo col 3o principio della termodinamica!

26

Nel 1907 Einstein propose che anche gli scambi di energia tra gli
atomi avvengono per quanti.
In un modello semplice in cui tutti gli atomi del solido vibrano con
ununica frequenza, , e scambiano energia per quanti h, si ha:
h
U (T ) = 3N hEi = 3N h/kT
(D5)
e
1
dove per lenergia media di un oscillatore abbiamo usato la formula di
Planck. Pertanto, per una mole

h
dU
= 3N k
CV =
dT
kT

!2

eh/kT
2
(eh/kT 1)

e si trova che:

CV

%
&

3N k = 3R
per h kT

(alte temperature)

h
3N k kT
eh/kT
per h kT (basse temperature)

Dunque la legge di D.e P. vale solo per temperature maggiori di T0 = h/k


(che dipende dal materiale). Viceversa, i g. di l. corrispondenti a frequenze
per cui h kT risultano congelati, cio`e hanno energia media del val-

ore classico (kT ). Non si ha equipartizione.

Perch`e il modello sia significativo occorre che la temperatura T0 = h/k


non risulti ne troppo bassa ne troppo alta. Quali sono le frequenze proprie
tipiche di un solido?
velocit`a del suono: vs ' 103 m/sec

lunghezza donda: 107 cm = 109 m


= = vs / = 1012 hertz = h ' 6 103 eV
= T0 = h/k ' 80 K
27

che `e un valore ragionevole.


Se lenergia degli oscillatori `e quantizzata, cio`e data solo da multipli interi
di h
, per temperature inferiori a T0 essi non acquistano energia e il calore
specifico diminuisce.
Lidea di Einstein permette subito di spiegare il comportamento anomalo
di sostanze come C, B e Si. Basta che ad esse sia associata una frequenza
tipica pi`
u elevata che per gli altri materiali. Del resto, sperimentalmente, a
temperature sufficientemente alte CV 3 R anche per C, B e Si.

Analogamente i g.d.l. interni degli atomi non contribuiscono al calore

specifico (a temperatura ambiente) se ad essi corrispondono frequenze caratteristiche molto elevate.


Il modello di Einstein prevede che C vada a zero in modo esponenziale
con T , in disaccordo coi dati sperimentali che danno un andamento molto
pi`
u dolce: CV T 3 per T 0. Ci`o avviene perche in esso si attribuisce

al sistema ununica frequenza che non viene eccitata (non assorbe energia)
a bassa temperatura, dove h kT . Cio`e nel modello non intervengono le

vibrazioni di bassa frequenza, le sole che possono essere eccitate nella regione

di bassa temperatura. Un modello pi`


u completo, dovuto a Debye, in cui si
tiene conto del fatto che nel solido esistono molte frequenze di oscillazione,
risulta in ottimo accordo con i dati sperimentali.
Perche non ci si era mai accorti che gli scambi di energia avvengono per
quanti? In condizioni ordinarie, cio`e per oscillatori armonici macroscopici,
ci`o `e dovuto al valore estremamente piccolo di h (= 6, 62 1027 erg sec).

Infatti, anche per un pendolo che oscilli 1.000.000 di volte al secondo si ha:
h = 6, 62 1021 erg
molto inferiore a qualunque errore di misura ipotizzabile.

28

La teoria quantistica si presenta quindi come estensione della teoria


classica a un nuovo insieme di fenomeni e non come sua negazione. Nel
limite h 0 si devono ritrovare i risultati classici.

Complementi:
Distribuzione di Boltzmann e principio di equipartizione
Sotto lipotesi di equiprobabilit`a a priori di occupazione degli stati
e se questi sono eventi indipendenti, nel caso classico, in cui le
variabili dinamiche q e p sono continue, si ha che:
la probabilit`a che un sistema in equilibrio termico a temperatura
T con un gran numero di altri sistemi, si trovi nel volume (q, q +
dq; p, p + dp) del suo spazio delle fasi `e data da:
P (q, p)dqdp = N exp{E(q, p)/kT }dqdp
dove E `e lenergia del sistema e il fattore di normalizzazione N
garantisce che Ptot = 1.
In altri termini la probabilit`a che il sistema si trovi in uno stato
s `e
P (s) = N exp{E(s)/kT }
dove E(s) `e lenergia dello stato s.
Di conseguenza la probabilit`a di osservare energia E `e
P (E) = n(E)N exp{E/kT }
dove n(E) `e il numero di stati aventi energia E (o meglio la
densit`a degli stati, dato che E `e una variabile continua).
29

Perche `e valida la distribuzione di Boltzmann? Se lequilibrio `e determinato unicamente dalla temperatura, vuol dire che `e determinato dallenergia,
perche dimensionalmente [kT ] = E.
Per capire come mai si ha una dipendenza esponenziale consideriamo due
sistemi, uno in uno stato A con probabilit`a P [E(A)], laltro nello stato B con
probabilit`a P [E(B)]. Nel sistema composto (se non vi sono modifiche dovute
allinterazione) lenergia totale, se 1 si trova in A e 2 in B, `e E(A) + E(B).
Allora, per la composizione delle probabilit`a
P [E(A)] P [E(B)] = P [E(A) + E(B)]
e ne segue che la dipendenza di P da E deve essere esponenziale.
Introducendo la funzione di partizione:
Z(T ) =

exp{E(q, p)/kT }dqdp

dove lintegrazione va estesa allo spazio delle fasi, lespressione del valor medio
allequilibrio termico di una qualunque grandezza fisica G(q, p) relativa al
sistema `e data da:
1Z
hGi =
G(q, p) exp{E(q, p)/kT }dqdp
Z
In particolare, per lenergia media si ha:
1Z
d
hEi =
E exp{E(q, p)/kT }dqdp = ln Z()
Z
d
dove = 1/kT .
Consideriamo, ad es., un sistema con 1 g.d.l., la cui energia totale abbia la
forma E = ap2n + bq 2m , con (q, p) R (gli esponenti pari assicurano che

E 0 (q, p), e quindi la convergenza degli integrali).


30

Posto: p = 1/2n P e q = 1/2m Q, si ha E/kT = aP 2n + bQ2m


1
1
e dpdq = ( 2n + 2m ) dP dQ, per cui:

1
1
ln Z =
ln + C
+
2n 2m
dove C non dipende da T . Pertanto:
d
ln Z = hEi =
d

1
1
+
kT
2n 2m

In particolare: ogni variabile dinamica che interviene in modo quadratico


nellespressione dellenergia contribuisce kT /2 al suo valor medio (equipartizione).
Cos` per loscillatore armonico (m = n = 1)
H=

p2
1
+ q 2 hEi = kT
2M
2

mentre per loscillatore quartico (m = 2, n = 1)


H=

p2
3
+ q 4 hEi = kT
2M
4

In questi casi la proporzionalit`a di hEi a kT `e necessaria per motivi dimen-

sionali, perche in simili sistemi non vi `e nessuna energia caratteristica (cio`e


un parametro con le dimensioni di una energia), per cui a temperatura T
lunica energia disponibile `e kT .
Invece, per loscillatore anarmonico
H=

1
p2
+ q 2 + q 4
2M
2

esiste lenergia caratteristica E0 = 2 /, per cui:


hEi = kT f (E0 /kT )

31

In questo caso non si ha semplice proporzionalit`a e si possono avere comportamenti qualitativamente differenti nelle due zone
E0 kT

ed

E0 kT

Notiamo che finora abbiamo discusso il caso classico in cui le variabili q


e p sono continue. Nel caso quantistico, in cui si tiene conto di h, i risultati
possono essere diversi, come si `e visto nel caso della formula di Planck.
Distribuzione di Maxwell
Vediamo come considerazioni generali, sviluppate dallo stesso Maxwell nel
suo lavoro del 1860, portino alla distribuzione per le velocit`a delle molecole
di un gas allequilibrio termico a temperatura T .
Sia
il n di molecole con velocit`a
in [ui , ui + dui ] per unit`a di volume

N (x, y, z, ux , uy , uz )dux duy duz

Calcoliamo la probabilit`a P che una molecola si trovi in (x, y, z) con


velocit`a (ux , uy , uz )
Omogeneit`a dello spazio = P non dipende dalla posizione
Se si ammette lindipendenza di ux , uy e uz si ha:
P (ux , uy , uz ) = Px (ux ) Py (uy ) Pz (uz )
Isotropia:

= Px , Py e Pz sono la stessa funzione

Simmetria per riflessione: P (ui ) = P (ui ) P (ui ) = P (u2i )

Scegliendo lasse x lungo la velocit`a, per lisotropia si ha:


P (ux , uy , uz ) = P (u2 ) P (0) P (0) ,
dove

u2 = u2x + u2y + u2z . Pertanto:


P (u2x ) P (u2y ) P (u2z ) = P (u2x + u2y + u2z ) P (0) P (0)
32

Da tale dipendenza funzionale segue che P (u) = A exp{au2 }.

Siccome au2 deve essere un numero puro, `e ragionevole porre

au2 =

Ecin /kT = mu2 /2kT . Allora:


Z

m
P (~u)dux duy duz = 1 = A =
2kT

Dunque
Ntot
N (ux , uy , uz ) =
V

m
2kT

3/2

1/2

exp{mu2 /2kT }

dove Ntot `e il n0 totale di molecole e V `e il volume. Infine il numero di


molecole per unit`a di volume con modulo della velocit`a tra u e u + du `e:
Ntot
N (u ) = 4
V
2

m
2kT

3/2

u2 exp{mu2 /2kT }

Dobbiamo per`o notare che lipotesi di indipendenza di ux , uy e uz non


solo non `e ovvia a priori ma risulta falsa nel caso dei fotoni e pi`
u in generale
se si considerano temperature (peraltro elevatissime!) tali che la velocit`a
delle particelle sia relativistica.

33

5. Sviluppo della teoria atomica e sorgere delle


contraddizioni
Sommerfeld (1911):

Una spiegazione elettromagnetica o meccanica di


h sembra altrettanto inutile e sterile di una spiegazione meccanica delle eq. di Maxwell. Sarebbe
molto pi`
u importante che le numerose conseguenze
di questipotesi fossero investigate, e studiati altri
fenomeni ad essa connessi (M.J., pag.42)
Il problema principale a cui ha risposto la M.Q. `e stato di render conto

della stabilit`a dei sistemi atomici e dunque della materia.


Struttura degli atomi
Dimensioni e propriet`a (ad es. righe spettrali) fisse dei sistemi
atomici.
Modello di Thomson.
Diffusione delle particelle .
Modello di Rutherford.
Modello di Thomson
Latomo `e costituito da una sfera di elettricit`a positiva, avente dimensioni
atomiche e densit`a di carica uniforme, e che costituisce anche la massa
dellatomo. Dentro tale sfera possono muoversi liberamente gli elettroni.
Meriti:
Dimensioni fisse degli atomi: lunghezza naturale (ma da spiegare
in base alle propriet`a della distribuzione della carica positiva)
Strati di elettroni Sistema periodico
Linee spettrali: autofrequenze delle piccole oscillazioni degli elettroni.
Chiariamo questultimo punto:
34

Un oscillatore classico irraggia alla sua frequenza. Allinterno


di una sfera uniformemente carica di raggio R, un elettrone `e
soggetto alla forza elastica
4 e2
r
F = r3 2 = Ze2 3
3 r
R
per cui vibra con frequenza
1
=
2

k
Z 1/2

1016 hertz
me
2

che risulta dellordine delle frequenze ottiche, avendo usato: e2 =


2, 31028 J m (unit`a gaussiane), R = 1010 m, me = 91031 kg.
Questo valore tipico di spiega anche il congelamento dei g.
di l. interni degli atomi, cio`e il fatto che gli elettroni legati non
contribuiscono al calore specifico.
Tuttavia
Deflessione delle particelle
(Esperimento di Rutherford, fatto da Geiger e Mardsen (1909))
Un fascetto di particelle attraversa una sottilissima lamina doro (spessa
4 105 cm per ridurre le diffusioni multiple) e se ne osserva la deflessione.

Consideriamo un proiettile di massa m e carica Z1 e incidente con velocit`a

v0 e parametro durto b su un centro di carica Z2 e. Supponiamo che esso


venga deflesso di un angolo molto piccolo.
Allora, per calcolare possiamo considerare che:
tan '

1 Z +
Z1 Z2 e2 Z +
b dt
p
=
F dt '
2
p0
p0
p
(b + x2 )3/2

dove p ed F sono le componenti della quantit`a di moto e della forza


ortogonali alla direzione iniziale.
35

Usando dt ' dx/v0 e ponendo y = x/b, si ha:


tan '

b dx
Z1 Z2 e2 m Z +
2Z1 Z2 e2 m
Z1 Z2 e2 m Z +
dy
=
=
p0 p0 (b2 + x2 )3/2
p20 b
bp20
(1 + y 2 )3/2

Per particelle di energia E = p20 /2m 1 M eV , con Z = 2, che

incidono su un atomo con Z2 = 50 risulta:


tan '

1013
b

(b in metri)

(5.1)

Dunque anche per b = R = 1010 m, cio`e per particelle che sfiorano


latomo, si ha al massimo:
tan ' 103

(5.2)

Ci`o `e coerente con lipotesi che la deflessione sia piccola, tanto pi`
u che
allesterno dellatomo la carica effettiva che agisce sulle particelle `e minore di Z2 e. Se b diventa ancora pi`
u piccolo, cio`e se le particelle passano
dentro latomo, non ci si deve aspettare un aumento di perche allinterno
il campo elettrico decresce con la distanza e leffetto di deflessione `e ridotto.
Infine dagli urti con gli elettroni non si pu`o avere una grande deflessione,
dato il rapporto tra le masse (si pensi a una palla da baseball che urta una
mosca!)
Indicando con 2 la deflessione quadratica media di una particella in
un singolo urto, con N il numero di atomi incontrati dalla particella e con
2 la sua deflessione quadratica complessiva media, si ha 2 = N 2

Risultati sperimentali: circa 1 particella su 20.000 viene deflessa a oltre


900 , mentre dalla (5.1) ci si aspetterebbe una probabilit`a di deflessione a grandi angoli praticamente
nulla.
Per dirla con Rutherford: Era come sparare palle di cannone da 45 cm contro
un foglio di carta e vedersele tornare indietro.
Esperimenti molto simili a quello di Rutherford sono stati fatti molti

anni dopo (nel 1974) per studiare la distribuzione di carica non pi`
u di un
36

nucleo composto ma di singoli protoni e neutroni, usando come particelle


incidenti elettroni di altissima energia e osservandone la deflessione (deep
inelastic scattering). Essi hanno portato allo stesso tipo di conclusione, cio`e
che la carica di tali particelle appare concentrata in componenti ancora pi`
u
piccoli, noti col nome di quark.
Dimensionalmente da cosa pu`o dipendere ?
Essendo adimensionale, non pu`o che dipendere da grandezze adimensionali.
Siccome

F = Z1 Z2 e2 /r2 = g/r2 , lunico parametro adimensionale a

disposizione `e = g/mv02 b = Z1 Z2 e2 m/bp20 . Dunque = f (), ed essendo


= 0 per = 0 (cio`e per b = ) `e ragionevole che, per piccolo, sia

proporzionale a . Anzi, osservando che per b = 0 ( = ) deve aversi

riflessione allindietro (cio`e = ), `e naturale porre tan(/2) = , che `e la


soluzione esatta del problema.
Modello di Rutherford

Dato che il modello di Thomson `e inadeguato a spiegare la deflessione delle


particelle , Rutherford avanz`o un nuovo modello in cui latomo consiste di
un nucleo con carica positiva, nel quale `e concentrata di fatto anche tutta
la massa, e dagli elettroni, molto pi`
u leggeri, che gli ruotano attorno. Le
dimensioni del nucleo, molto inferiori a quelle atomiche, sono tali da render
conto della deflessione osservata per le particelle e risultano di 1013 cm.

Ma questo modello presenta molti e gravi problemi quali:

1) Assenza di una lunghezza caratteristica (invarianza di scala


in fisica classica): perch`e gli atomi di un dato elemento hanno
tutti le stesse dimensioni?
2)Instabilit`a degli atomi a pi`
u elettroni: linterazione coulombiana tra questi pu`o far s`i che un elettrone acquisti abbastanza
energia da diventare non legato mentre un altro perde energia
37

avvicinandosi al nucleo;
3) Incompatibilit`a con la teoria e.m.: perch`e gli elettroni, essendo
accelerati, non irraggiano finendo col cadere sul nucleo?
4) Inspiegabilit`a delle righe spettrali: cosa determina le righe
spettrali tipiche di ogni elemento?
Regolarit`a delle righe spettrali
Vale sempre la pena - disse miss Marple tra se e se - di notare
ogni coincidenza. La si pu`o scartare in un secondo momento
se `e realmente una coincidenza.
A differenza dello spettro continuo della radiazione termica emessa da
un solido, la radiazione emessa da atomi liberi `e formata da un numero
discreto di lunghezze donda (righe spettrali), e, come `e noto, vi `e una stretta
corrispondenza tra righe spettrali ed elemento chimico.
Nel 1855 Balmer not`o che le righe dello spettro visibile dellidrogeno atomico (non della molecola!) sono descritte dalla relazione:
=K

n2
n2 4

(n > 2)

(serie di Balmer) dove K `e una costante ed n un intero.


In seguito ci si accorse che per tutte le righe dellidrogeno si ha:

1
1
1
2
=R
2

n1 n2

(n2 > n1 )

dove R = 1, 098 105 cm1 `e detta costante di Rydberg.

Una cosa estremamente interessante nella formula di Balmer `e che le fre-

quenze dello spettro di righe sono espresse come differenza di due termini,
ognuno corrispondente ad un intero.
38

Nel 1908 Ritz sottoline`o che, in generale, a ogni elemento si pu`o associare
una tabella di valori, detti termini spettroscopici, tali che ogni frequenza del
suo spettro di righe pu`o essere espressa come differenza tra due di essi:
ij = Fi Fj = F (ni ) F (nj )
Losservazione `e significativa perch`e i termini spettroscopici sono in numero molto minore delle frequenze
e

! osservate. Partendo da N termini, `


N (N 1)
N
infatti possibile costruire
=
combinazioni. Occorre pre2
2
cisare che non tutte le differenze che si possono formare sono presenti come
frequenze dello spettro; esistono regole di selezione (relativamente semplici)
che distinguono le differenze proibite da quelle permesse.

39

6. Modello di Bohr e affermarsi dellipotesi quantistica


N. Bohr:

Il risultato di tutte queste discussioni (calore specifico,


modello di Rutherford, ecc.), sembra essere un generale
riconoscimento dellinadeguatezza dellelettrodinamica
classica a descrivere il comportamento dei sistemi atomici (The const. of atoms & mol., 1913)

Bohr not`o in particolare che, mentre nel modello di Rutherford `e assente


una lunghezza caratteristica, introducendo h si pu`o costruire
l = h2 /me2 = 2, 1 107 cm
che ha lordine di grandezza delle dimensioni atomiche.
Egli propose che (1913):
1. Un sistema atomico non pu`o assumere qualunque valore dellenergia,
ma pu`o esistere solo in un insieme di stati corrispondenti a valori
particolari dellenergia (stati stazionari);
2. Mentre permane in tali stati il sistema non irraggia;
3. Nella transizione tra due stati stazionari viene assorbita o emessa radiazione monocromatica e si ha:
Ei Ef = h

(6.1)

Come decidere i valori permessi dellenergia?


Nel caso semplice di un atomo con un solo elettrone, Bohr assunse che
per gli stati legati possibili valga:
En = n h f /2
40

(6.2)

dove f `e la frequenza classica di rivoluzione ed n `e un intero positivo.


In questo modo egli colleg`o lenergia del sistema alla sua frequenza (potendosi
in questo caso associare una frequenza allelettrone) proprio come nella
relazione di Einstein E = h.
Consideriamo le orbite circolari. Per queste si ha
Ze2
v2
Ze2
2
=
m
=
mv
=
r2
r
r

(6.3)

1 2 Ze2
1 Ze2
=
E = mv
2
r
2 a
dove a `e il raggio dellorbita. Dunque a = Ze2 /2|E|. Usando
|E|
v
=
f=
2a
Ze2

Ze2
2 |E|3/2
=
ma
Ze2 m1/2

dalla condizione di quantizzazione |E| = nhf /2 si ottiene:


2 2 mZ 2 e4
valori possibili
|En | =
2
2
dellenergia
nh
2 2
nh
dimensioni
2a = 2
2
dellorbita
2 mZe
In particolare, per Z = 1 e n = 1 si ha:

(5a)
(5b)

raggio dello stato fondamentale


= dimensioni dellatomo

a0 = h
2 /me2 = 0, 53 108 cm
|E| = 13, 6 eV

(6.4)

energia di legame dellatomo di idrogeno

dove h
= h/2.
Dallespressione (5a) delle energie permesse e dalla (1) si ottiene evidentemente la relazione di Balmer, e si prevede che la costante di Rydberg sia
data da
R=

2 2 me4
h3 c

in eccellente accordo con il valore sperimentale.

41

Osserviamo che i livelli energetici per lidrogeno (Z = 1) e la costante di


Rydberg possono scriversi come:
En =

2 2 me4
1 e2
1
=

= 2 mc2 2
2
2
2
nh
2 n a0
2n
R=

1
4 a0

e2
1/137, detta costante di struttura fine, `e un numero puro
h
c
che caratterizza lintensit`a dellinterazione e.m.. In particolare E n dipende
dove =

da 2 perch`e linterazione e.m. `e mediata dal campo e.m. e, per produrre


il legame, questo deve interagire due volte, con lelettrone e con il nucleo.
Invece R dipende da perch`e nellirraggiamento solo la carica che irraggia
interagisce col campo e.m.. Inoltre, essendo 1, lultima espressione di

En ci dice che, per valori di Z non troppo elevati, il moto degli elettroni `e
non relativistico poiche lenergia di legame `e molto minore di quella a riposo.
Notiamo anche che lo spettro visibile dellidrogeno (serie di Balmer) cor-

risponde a transizioni da livelli con n > 2 a quello (eccitato) con n = 2.


Lidrogeno (atomico) emette nel visibile perche pu`o raggiungere gli stati eccitati (n 3) per urto, oltre che per assorbimento.
Bohr commentava cos` il suo modello:

Cos` come `e condizione necessaria per lemissione di radiazione


la presenza del sistema nello stato A1 , si deve pensare che sia
condizione necessaria per lassorbimento di radiazione la presenza
del sistema nello stato A2 . . . In condizioni ordinarie lidrogeno
gassoso non presenta assorbimento in corrispondenza delle sue
righe spettrali nel visibile; tale assorbimento compare solo quando
lidrogeno gassoso `e reso luminoso. Ci`o `e proprio quanto ci si deve
aspettare, poiche tale radiazione si suppone emessa nel passaggio
42

del sistema tra stati stazionari corrispondenti a n > 2, mentre lo


stato dellidrogeno in condizioni ordinarie dovrebbe corrispondere
a n = 1 ...
Quanto queste considerazioni differiscano dallinterpretazione basata
sulle.m. usuale `e forse messo in risalto nel modo pi`
u chiaro dal
fatto che siamo costretti ad ammettere che un sistema di elettroni `e capace di assorbire ed emettere radiazione con frequenza
diversa da quella propria di oscillazione (The const. of atoms
and molec., par.4)
e ancora
Spero di essermi espresso in modo sufficientemente chiaro per
farvi apprezzare fino a che punto queste considerazioni siano in
conflitto con . . . la teoria classica (M.J., pag.88)
Cosa si pu`o dire per gli atomi pi`
u elettroni?
La relazione E2 E1 = h porta ad interpretare in generale un termine

spettroscopico come energia di uno stato permesso, anche quando non `e


possibile scrivere una formula semplice come per lidrogeno.
Esperimento di Franck e Hertz
La conferma diretta che gli stati interni di energia degli atomi sono quantizzati provenne da un semplice esperimento fatto da Franck e Hertz nel 1914.
Il tipo di apparato da essi usato `e illustrato in fig ( ). Il catodo riscaldato
C emette elettroni di bassa energia che vengono accelerati verso lanodo A
da una d. di p. VA . Tra catodo e anodo `e interposta una griglia G che si
trova a potenziale VG leggermente maggiore di VA . Gli elettroni attraversano
la griglia e proseguono verso il catodo-raccoglitore A, dove arrivano solo se
43

la loro energia cinetica `e sufficiente a vincere un leggero potenziale frenante


V1 = VG VA applicato tra G ed A. Il tubo `e riempito da vapori della

sostanza che si vuole studiare. Lesperimento consiste nel misurare la corrente che arriva in A (misurata dallamperometro I) al variare della d. di p.
VAC .
I risultati del primo esperimento, compiuto con vapori di Hg, sono indicati

in fig.( ). Allinizio I cresce al crescere di VAC , come ci si aspetta, ma


quando questo raggiunge i 4,9 V la corrente decresce bruscamente. Ci`o viene
interpretato come indicazione che quando la loro energia cinetica raggiunge
i 4,9 eV gli elettroni diventano in grado di eccitare gli atomi di Hg perdendo
la loro energia cinetica, mentre prima potevano trasferire solo una frazione
molto piccola di energia attraverso urti elastici. Se VAC `e poco pi`
u grande
di 4,9 V il processo di eccitazione avverr`a molto vicino alla griglia G, per
cui gli elettroni non riusciranno ad acquistare nuovamente energia cinetica
sufficiente per superare il potenziale ritardante V1 . Questa interpretazione
`e coerente con lesistenza di livelli di energia discreti per gli atomi di Hg.
Se il primo livello eccitato del mercurio `e a 4,9 eV al di sopra di quello
fondamentale, un atomo di Hg non pu`o assorbire energia da elettroni incidenti
con energia inferiore a questo valore.
In questo caso dovrebbe esservi una riga dello spettro del mercurio corrispondente a tale energia nella transizione tra il primo livello eccitato e lo
stato fondamentale. Franck e Hertz osservarono che quando lenergia degli
elettroni `e inferiore a 4,9 eV non si osserva irraggiamento da parte del mercurio, mentre appena lenergia `e al di sopra di tale soglia si osserva una sola
riga spettrale di lunghezza donda 2536
A, corrispondenti a 4, 9 eV !
Quantizzazione del momento angolare
La condizione di quantizzazione di Bohr pu`o essere espressa anche in
44

modo differente.
Per unorbita circolare il momento angolare `e:
M = mrv
per cui
M=

f = v/2r

mv 2
|E|
=
f 2
f

usando il fatto che lenergia totale `e in modulo uguale allenergia cinetica.


Quindi:

1
|E| = nhf
2

= M = n

h
nh
2

Si ha pertanto la quantizzazione del momento angolare

45

7. La vecchia teoria dei quanti


Le ipotesi centrali dellapproccio di Bohr possono essere considerate le
seguenti:
1. Un sistema atomico non pu`o assumere qualunque valore dellenergia,
ma pu`o esistere solo in un insieme di stati corrispondenti a valori
particolari dellenergia (stati stazionari);
2. Mentre permane in uno di tali stati il sistema non irraggia;
3. La rad. assorbita o emessa durante una transizione tra due stati stazionari
`e monocromatica, e si ha

E 0 E 00 = h

(7.1)

Questi postulati non sono sufficienti a determinare quali siano gli stati stazionari,
e la trattazione di Bohr va bene per lidrogeno ma non permette di dire niente
su atomi (sistemi) pi`
u complessi.
I passi da fare sembravano essere:
a) uso della meccanica classica per determinare i possibili moti del sistema;
b) imposizione di certe condizioni di quantizzazione con cui selezionare i
moti permessi;
c) considerare i processi radiativi come transizioni tra stati permessi, con la
relazione E = h
Mettiamo anzitutto in evidenza la contraddizione interna di questo procedimento: si cercano orbite date dalla meccanica classica ma che sodisfano
a condizioni quantistiche e si comportano in modo del tutto non classico
rispetto ad es. allirraggiamento.
46

Sommerfeld fu il primo a cercare di generalizzare le condizioni di quantizzazione di Bohr partendo dallosservazione che esse equivalgono a imporre
la quantizzazione del momento angolare. Questa pu`o essere scritta come:
2lz =
dove p =

p d = nh

`e il momento coniugato alla variabile azimutale .

Per sistemi con un solo grado di libert`a che compiono classicamente un


moto periodico nel potenziale V (q) (corrispondente a unorbita chiusa nello
spazio delle fasi), egli postul`o che sono possibili solo i valori dellenergia che
verificano:
J

T
0

pqdt
=

pdq = nh

dove T `e il periodo e p il momento coniugato. Lungo un orbita di energia E


si ha naturalmente: p = [2m(E V (q)]1/2 .

Ad es. per un O.A. unidimensionale si ha L =

p=

L
q

1
mq2
2

= mq.

Il moto avviene con E =

p2
2m

+ 21 kq 2 = cost. che rappresenta unellisse

nello spazio delle fasi.


Pertanto

21 kq 2 per cui

pdq = area dellellisse = 2

m
E
k

e la condizione di quantiz-

zazione implica E = nh, come postulato da Planck.


I sistemi a molti gradi di libert`a sono pi`
u elaborati. Accenniamo solo ai
due casi pi`
u semplici.
Consideriamo un sistema a l gradi di libert`a che esegue moti multiperiodici, cio`e tali che ciascuna coordinata canonica `e periodica anche se i vari periodi possono essere diversi. Se con opportuna scelta delle variabili canoniche
la funzione di Hamilton del sistema `e data dalla somma di termini ognuno dei
quali dipende solo da una coordinata canonica e dal suo momento coniugato:
H(q1 , . . . , ql ; p1 . . . pl ) =

l
X

s=1

47

Hs (qs , ps )

allora ciascuna delle Hs `e separatamente conservata:


Hs (qs , ps ) = Es ,

(s = 1, . . . l)

Supposte invertibili queste relazioni si ottiene ps = ps (qs , Es ) e si postula la


quantizzazione degli integrali dazione:
Js =

ps dqs = ns h

Tali condizioni determinano gli stati stazionari del sistema in esame.


Questa situazione si presenta ad es. per un O.A. a pi`
u dimensioni sia
isotropo che anisotropo.
Un altro caso semplice si verifica quando il sistema, supposto sempre multiperiodico, ammette l integrali primi F1 , F2 ,. . . , Fl (uno dei quali `e lenergia)
indipendenti e in involuzione (cio`e tali che la parentesi di Poisson di due
qualunque di essi `e nulla: {Fi , Fj } = 0). Indicati con E, K2 , . . . Kl i valori di
queste costanti del moto supponiamo che risolvendo linsieme delle equazioni
Fi (q1 , . . . pl ) = Ki

(i = 1 . . . l)

ciascun momento coniugato risulti funzione solo della corrispondente coordinata e delle costanti stesse:
pi = pi (qi , E, K2 , . . . Kl )
Anche in questo caso si postula che i moti permessi sono solo quelli per i
quali gli integrali dazione sono quantizzati:
Js =

ps (qs , E, . . . Kl )dqs = ns h

dove, al solito, lintegrale `e esteso a un periodo di qs .

48

Questultimo caso si verifica ad es. per i moti in potenziale centrale, quale


latomo didrogeno. In questi casi conviene descrivere il moto in coordinate
sferiche. Allora si ha:
1
L = m(r 2 + r2 2 + r2 sen2 2 ) V (r)
2
Pertanto:
pr = mr
e
H=

p = mr2

p = mr2 sen2

p2
1
p2
(pr 2 + 2 + 2 2 ) + V (r)
2m
r
r sen

Quali integrali primi possiamo prendere lenergia E, il quadrato del momento


angolare orbitale, l 2 , e la componente lz di questo momento angolare che
coincide con p . Queste quantit`a sono indipendenti e verificano la condizione
{Fi , Fj } = 0. Invece, ad es., lenergia e due componenti del momento angolare

pur essendo tre integrali primi indipendenti non verificano le ipotesi in quanto
{li , lj } 6= 0 se i 6= j. In termini di dette grandezze si ha:

l2
1
pr 2 + 2
H=
2m
r

+ V (r)

Si vede che, fissati energia e momento angolare, pr risulta funzione solo di r.


Se il moto `e periodico, come nel caso coulombiano, imponendo le condizioni di Sommerfeld si trovano i valori permessi di E, di l 2 e di lz . Ad
es. si pu`o dimostrare che la condizione
per lenergia En = me4 /2n2 h
2 . Inoltre
2lz =

p d = mh

pr dr = nh porta ai valori di Bohr

lz = mh

cio`e, per larbitrariet`a dellasse z, si prevede che ogni componente del momento angolare possa assumere solo valori multipli interi di h
.
49

Se si considera un atomo a pi`


u elettroni lo stesso discorso vale per il
modulo del momento angolare orbitale totale e per ogni sua componente.
Tuttavia le regole di quantizzazione di Sommerfeld si applicano solo ai
sistemi completamente integrabili e ai moti multiperiodici. Come osservava
Born nel 1924 Lapplicazione dei princpi della teoria dei quanti . . . fallisce
appena si considera il moto di ambedue gli elettroni dellelio.
Esperimento di Stern e Gerlach
Nel 1922 Stern e Gerlach pensarono di misurare i possibili valori delle
~ degli atomi misurando il loro mocomponenti del momento angolare, L,
~ cio`e
~
mento di dipolo magnetico,
~ , che risulta proporzionale a L,
~ = g L.
Lapparato utilizzato `e schematicamente indicato in fig.
Facendo evaporare dellargento in un forno essi ottennero un fascio di
atomi neutri che, collimati da un opportuno diaframma, venivano inviati attraverso un magnete perpendicolarmente alla direzione dominante del campo
magnetico che, per convenzione, chiameremo z.

Gli atomi venivano in-

fine raccolti su una lastra fotografica (questo `e uno dei motivi per scegliere
largento!). Se lintensit`a del campo varia lungo z, sugli atomi (elettricamenti neutri) agisce una forza netta Fz ' z z Bz . Se il momento magnetico

`e dovuto al moto degli eletroni attorno al nucleo esso `e proporzionale al


~ Essendo Lz una costante del moto, nel pasmomento angolare, cio`e
~ = g L.
saggio attraverso il campo magnetico ogni atomo viene deflesso di un angolo
proporzionale a z .
Poiche gli atomi possono avere qualsiasi orientazione iniziale rispetto al
campo magnetico, classicamente ci si aspetta che il fascio venga slargato

in una banda continua corrispondente al continuo dei valori di Lz , perch`e


z = gLz . Invece, secondo le regole di quantizzazione di Bohr-Sommerfeld il
~ 2 = l2 h
momento angolare totale pu`o assumere solo i valori L
2 con l intero, e

50

la componente Lz pu`o assumere solo i 2l + 1 valori discreti Lz = lh, , lh.

Ci si aspetta dunque di osservare sulla lastra un numero discreto e dispari di


righe.

In effetti Stern e Gerlach osservarono un numero discreto di righe, ma in


numero pari, cio`e due. Pertanto il loro esperimento da una parte confermava
in modo inequivocabile la quantizzazione del momento angolare ma poneva
anche il problema del perch`e (in disaccordo con le regole di Bohr-Sommerfeld)
ci fosse un numero pari di righe.
Si pone inoltre il seguente problema. Il fascetto che ha subito la massima
deflessione dovrebbe avere la massima componente del momento angolare,
cio`e pari al suo modulo: mz = l. Facendo passare tale fascetto attraverso
un secondo apparato di Stern-Gerlach il cui campo magnetico `e parallelo
al primo, esso non dovrebbe ulteriormente dividersi perch`e tutti gli atomi
hanno lo stesso valore di Lz , e in effetti questo `e ci`o che si osserva. Daltra
~ ortogonali a z dovrebbero essere
parte, per tale fascetto le componenti di L
nulle per cui facendogli attraversare un secondo apparato di Stern-Gerlach
il cui campo magnetico `e ortogonale al primo non ci si dovrebbe aspettare
alcuna deflessione. Invece, indicando con x la direzione del secondo campo
magnetico, si osserva che il fascetto (che dovrebbe avere Lx = 0!) si divide
ancora in due fasci di uguale intensit`a, come se il valore di Lx non fosse
definito! Pi`
u in generale, se il secondo campo magnetico forma un angolo
col primo si osserva che un fascio con definito valore di Lz si divide in due
fasci la cui intensit`a relativa dipende da . Le regole di Bohr-Sommerfeld non
permettono peraltro di ottenere alcuna indicazione sul valore di tali intensit`a.
Commenti sullesperimento di Stern e Gerlach
Nella discussione dellesperimento di Stern e Gerlach di solito vengono
trascurate le componenti ortogonali alla direzione principale del campo mag-

51

netico (asse z) della forza che deflette le particelle del fascio. Ci`o va giusti~ = 0 implica che se z Bz `e grande anche x Bx + y By =
ficato, perche B
z Bz lo `e, e pertanto agisce una forza apprezzabile ortogonale a z.

Ma il valor medio di questa forza pu`o essere tenuto molto piccolo, e quindi

il suo effetto complessivo risulta trascurabile.


Chiamando y la direzione di moto del fascio, un campo magnetico che
verifica le eq. di Maxwell, con una grande componente lungo z e non uniforme
lungo x e z `e dato da:
~ = bx
B
ux + (B0 + bz)
uz
con B0 |bx| ' |bz| per x e z nellintraferro del magnete.
~ `e:
Leq. del moto per il momento angolare, L,
~
dL
~ = gL
~ B
~
=
~ B
dt
che nel caso di campo uniforme ha come soluzione:
~
~
~
~
L(t)
= L(0)cost
+ uB L(0)sint
+ uB [
uB L(0)](1
cost)
e = g|B|
~ `e la frequenza di Larmor.
dove uB `e il versore di B
Nel nostro caso di campo non uniforme con ottima approssimazione si
ha:
Lx (t) = Lx (0)cost Ly (0)sint
Ly (t) = Lx (0)sint + Lx (0)cost
Lz (t) = Lz (0)
con = gB0 , soluzione che descrive la precessione del momento magnetico
attorno a z.
Quindi, le componenti della forza risultano:
~ = gbLz (t) = gbLz (0)
Fz = z (~ B)
52

~ = gb[Lx (0)cost Ly (0)sint]


Fx = x (~ B)
Istante per istante |Fx | pu`o anche essere pi`
u grande di |Fz |, ma il suo valor

medio `e nullo su tempi T 1/. Per tipici valori di B0 risulta = gB0 '
1011 sec1 , e leffetto di Fx si annulla durante lattraversamento del magnete.
Negli esperimenti reali il campo magnetico non avr`a la forma idealizzata
qui discussa, ma lo stesso argomento si applica.

53

` diventato sempre pi`


E
u evidente che le leggi fondamentali della
natura non riguardano in modo diretto il mondo come ce lo raffiguriamo,
ma regolano un substrato del quale non possiamo crearci unimmagine
mentale senza introdurvi elementi estranei.
P.A.M. Dirac

8. Onde di materia
Lo schema di quantizzazione avanzato da Sommerfeld `e internamente
incoerente in quanto si basa su restrizioni imposte alle orbite calcolate in
base alla meccanica classica. Inoltre `e insufficiente essendo limitato agli stati
stazionari e ai moti multiperiodici, per cui, ad es., `e incapace di prevedere
lintensit`a relativa dei fasci che escono dal secondo filtro in un esperimento
di Stern-Gerlach a filtri incrociati.
Avendo notato lanalogia tra gli stati stazionari della meccanica di Bohr
e Sommerfeld e gli stati stazionari dei fenomeni ondulatori, nel 1924 de
Broglie propose che, reciprocamente a quanto fatto da Einstein per la luce,
alle particelle di materia fossero in qualche modo associate delle grandezze
di tipo ondulatorio. In tal modo egli generalizz`o il dualismo ondulatoriocorpuscolare che venne cos` a riguardare sia la radiazione e.m. che le particelle.
Pi`
u precisamente de Broglie sugger` che, come alla radiazione e.m. sono
associati fotoni di energia E = h e momento p = h/, cos`
a ogni particella di energia E e quantit`a di moto p `e associata
unonda di frequenza = E/h e lunghezza donda = h/p.
Queste onde di materia non erano mai state osservate prima perch`e,
in condizioni usuali, la lunghezza donda associata ai corpi macroscopici `e
talmente piccola da trovarsi nellapprossimazione dellottica geometrica in
cui le onde si propagano in linea retta, come fanno appunto le particelle.
54

Infatti per un oggetto macroscopico con massa m = 103 gr e velocit`a v =


101 cm/sec risulta ' 6, 6 1023 cm!

Invece per un elettrone accelerato da una differenza di potenziale V

1 2
mv = eV = v ' 6 107 V cm/sec
2

per cui:

= h/p ' 1, 22 107 / V cm

(V in volt)

(V in volt)

che `e facilmente dellordine delle distanze interatomiche tra i piani di un


reticolo cristallino.
...... Esperimento di Davisson e Germer (1925 e 1927)
...... Interferometro a neutroni
Tuttavia non possiamo concludere che anzich`e con particelle abbiamo a
che fare con onde. Infatti i nostri oggetti hanno anche un comportamento
corpuscolare: essi giungono nei rivelatori sempre uno alla volta e interi, non
si rivela mai mezzo elettrone!. Ad es., nellesperimento di Davisson e Germer,
se si riduce lintensit`a del fascio incidente non si riduce contemporaneamente
lintensit`a del fascio diffuso a tutti gli angoli.
Comunque, per poter essere associate alle particelle le onde di de Broglie
devono chiaramente viaggiare alla stessa velocit`a di queste ultime.
Si pensi di associare a una particella di velocit`a v unonda piana monocromatica
~

(~r, t) = 0 ei(k~rt)
dove, seguendo de Broglie, ~k = p~/h e = E/h. La nostra onda ha allora una
velocit`a di fase (definita come la velocit`a con cui viaggiano i punti di ugual
fase)
vf =

E
p
=
=
6= v
k
p
2m

dove si `e usata la relazione non relativistica E = p2 /2m.


55

Come superare questa difficolt`a? Per essere associata a una particella


londa deve presentare propriet`a di localizzazione analoghe a quelle della
particella, che unonda piana non ha. Una perturbazione localizzata in una
zona limitata di spazio pu`o essere ottenuta tramite un pacchetto donde,
cio`e una sovrapposizione di onde di diversa frequenza. Consideriamo ad es. la
sovrapposizione di due sole onde della stessa ampiezza e di frequenza vicina:
1 (x, t) = sin(kx t)

2 (x, t) = sin((k + k)x ( + )t)

Allora:

2k + k

2 +
k
x
t sin
x
t
(x, t) = 1 (x, t)+2 (x, t) = 2 cos
2
2
2
2
cio`e praticamente, essendo k k e ,

k
(x, t) = 2 cos
x
t sin(kx t)
2
2
Pertanto il massimo del pacchetto donde si propaga con velocit`a:
vg = /k
detta velocit`
a di gruppo.
Pi`
u in generale si consideri un pacchetto donde formato dalla sovrapposizione di onde piane che hanno ampiezza apprezzabile solo vicino a un certo
valore ~k0 del numero donda, cio`e
(~r, t) =

~
(~k)ei(k~rt) d3 k =

~
~
A(~k)ei(k~rt+(k)) d3 k

~
dove (~k) = A(~k)e(k) e A(~k) 6= 0 solo in un intervallo ~k attorno a ~k0 .

Allistante t il massimo di |(~r, t)| si trova nel punto ~r tale che le onde del
pacchetto che hanno ampiezza grande (cio`e quelle con ~k vicino a ~k0 ) in quel
punto e in quellistante interferiscono costruttivamente tra loro. Ci`o significa
che la loro fase = ~k ~r t + (~k) non deve variare molto (al variare di ~k)
e quindi deve essere stazionaria per ~k = ~k0 . Cio`e, in una dimensione:
56

d
dk

=0

k=k0

d
xt
dk

k=k0

d
+
dk

=0
k=k0

Vediamo di nuovo che il massimo del pacchetto donde si propaga


con velocit`a vg =

d
.
dk k=k0

Usando le relazioni di de Broglie si vede che:


vg =

dE

=
= vp
k
dp

Dunque la velocit`a della particella risulta uguale alla velocit`a di gruppo


del pacchetto donde ad essa associato.
Per le onde e.m. nel vuoto si ha = ck e vf = vg = c, per cui la velocit`a
non dipende dalla frequenza e ogni pacchetto donde si propaga mantenendo
invariata la forma. Viceversa, quando la relazione tra e k non `e lineare,
cio`e quando si ha dispersione come avviene anche per le onde e.m. nei mezzi
materiali, la velocit`a di gruppo risulta diversa da quella di fase.
Dalle relazioni di de Broglie si vede che nel vuoto le onde di materia verificano la relazione di dispersione = h
k 2 /2m (almeno nellapprossimazione
non relativistica).
Usando la relazione relativistica E =

p2 c2 + m20 c4 e le relazioni di de

Broglie per le onde di materia si ottiene la relazione di dispersione =

k 2 c2 + m20 c4 /h2 . In questo caso si ha una velocit`a di fase:


q

vf = /k = c k 2 + m20 c2 /h2 /k > c

Tuttavia ci`o non `e rilevante perch`e unonda piana `e per definizione estesa da
a + con ampiezza costante, per cui non pu`o propagare alcun segnale.
Viceversa, la velocit`a di gruppo risulta:
q

vg = d/dk = kc/ k 2 + m20 c2 /h2 < c


57

e quindi un segnale con detta relazione di dispersione `e perfettamente compatibile con la relativit`a.

58

Le cose si comportano.
Le leggi sono il nostro commento al loro comportamento.

9. Equazione di Schr
odinger
Per trattare il comportamento delle onde di materia in situazioni non banali (cio`e quando non si propagano liberamente) occorre realizzare un passaggio analogo a quello dallottica geometrica allottica ondulatoria. In altre
parole, ammessa lesistenza delle onde di materia, occorre trovare lequazione
di propagazione che ne descrive la dinamica (da cui il nome di meccanica
ondulatoria).
A una particella libera di massa m sia associato un pacchetto donde
formato dalla sovrapposizione di onde piane con definito numero donde, ~k,
con peso (~k):
(~r, t) =

~
(~k)ei(k~rt) d3 k

(9.1)

Secondo lidea di de Broglie tra pulsazione e numero donde vale la relazione


= h
k 2 /2m che corrisponde a quella classica E = p2 /2m tra energia e
momento. Si trova allora:
Z

~
(~r, t) = (~k)(i)ei(k~rt) d3 k =
t

ih Z ~ 2 i(~k~rt) 3
ih 2
=
(k)k e
dk=
(~r, t)
2m
2m
dove col simbolo 2 si indica loperatore laplaciano che, in coordinate carte-

siane ortogonali `e dato da 2 2 /x2 + 2 /y 2 + 2 /z 2 . Pertanto londa


(~r, t) associata a una particella libera verifica lequazione:
ih

h
2 2

(~r, t) =
(~r, t)
t
2m
59

(9.2)

Questa equazione descrive un comportamento ondulatorio, ed `e pertanto


accettabile, purche sia complessa.
Notiamo che la (9.2) si ottiene formalmente con la regola di corrispondenza
tra grandezze fisiche e operatori lineari sullo spazio delle funzioni:
E ih

p~ ih

(9.3)

dalla relazione classica (non relativistica) E = p2 /2m valida per particelle


libere.
Che equazione si ha nel caso di particelle soggette a forze? Per una
particella in presenza di un potenziale scalare la relazione classica diventa:
E=

p2
+ V (~r)
2m

(9.4)

dove V (~r) indica lenergia potenziale.


Schrodinger (nel 1926) congettur`o che londa associata alla particella verifica
in tal caso lequazione:

h
2 2
ih (~r, t) =
+ V (~r) (~r, t)
t
2m

equazione di
Schr
odinger

(9.5)

che si ottiene formalmente dalla (9.4) con le regole di corrispondenza (9.3).


Tuttavia, non tutte le soluzioni della (9.5) sono accettabili, cio`e associabili a una particella. Infatti, essendo la particella localizzata in un tratto
finito, ci si aspetta che anche il pacchetto donde ad essa associato lo sia.
Pertanto deve aversi:
(~r, t) 0 se r

(9.6)

Notiamo che:
Come vedremo le soluzioni delleq. di Schrodinger hanno la propriet`a di
propagarsi, cio`e, in generale, la (9.5) descrive fenomeni di propagazione;
60

la (9.5) `e lineare e pertanto possiamo considerare la sovrapposizione


delle soluzioni, propriet`a tipica dei fenomeni ondulatori;

a differenza delleq. delle onde la (9.5) `e uneq. del 1o ordine nel tempo,
per cui (~r, t) `e completamente determinata assegnando il valore iniziale (~r, t0 ).
Stati stazionari e spettro di energia.
Unonda `e stazionaria quando sola la sua fase dipende dal tempo.
Significato della funzione donda
Avendo specificato lequazione che regola il comportamento delle onde di
materia occorre chiarire la relazione tra la funzione donda e la particella a
cui `e associata.
In un primo tempo vi fu il tentativo di interpretare il pacchetto donde
come rappresentante la reale natura delle particelle. Ma questa interpretazione si scontra subito con la seguente difficolt`a. Si consideri una particella libera e il pacchetto donde ad essa associato. Le varie componenti
monocromatiche del pacchetto si muovono con velocit`a differenti. Pertanto
il pacchetto, necessariamente, si slarga indefinitamente e non pu`o essere
identificato con la particella che in ogni misura di posizione risulta localizzata.
Siccome nel caso in cui e k non sono proporzionali un pacchetto donde si
disperde, la relazione tra frequenza e numero donde viene detta in generale
relazione di dispersione.
Illustriamo questo punto considerando levoluzione temporale di un pacchetto donde libero. Limitandoci per semplicit`a al caso unidimensionale,
consideriamo un pacchetto donde in cui le ampiezze delle diverse frequenze

61

abbiano una distribuzione gaussiana:


(x, t) =

f (k)ei(kxt) dk

dove f (k) = e(kk0 )

2 /2 2

(9.7)

Trattandosi di una particella libera vale la relazione di dispersione =


h
k 2 /2m. Ponendo k k0 = e = h
t/2m, si trova
(x, t) =
=e

i(ko x0 t)

de

2 /2 2

ei[(+k0 )x(

2 +2k

2
0 k0 ) ]

d exp{2 (i + 1/2 2 ) + i(x 2k0 )} =

ei(ko x0 t)
exp{(x 2k0 )2 /4(i + 1/2 2 )}
= q
2
i + 1/2

dove abbiamo usato la propriet`a degli integrali gaussiani:


Z

dxeax

2 +bx

= eb

2 /4a

/a

valida per a > 0 e b C. Moltiplicando e dividendo lultimo esponente per

i + 1/2 2 , si ottiene:

ei(ko x0 t)

1
(x 2k0 )2
i
(x, t) = q
exp
2
4
4( + 1/4 ) 2 2
i + 1/2 2

Si vede che si tratta di un pacchetto donde centrato attorno a x = h


k0 t/m
(cio`e il massimo si sposta con moto classico) ma la cui larghezza, =

` evidente che
1 1 + 4 2 4 , cresce indefinitamente al passare del tempo. E
non si pu`o identificare la particella col pacchetto donde ad essa associato
in quanto in tutti gli esperimenti la particella risulta sempre localizzata
mentre il pacchetto donde si slarga indefinitamente.
Interpretazione probabilistica
Vista limpossibilit`a di identificare la funzione donda con la particella,
Born, nel 1927, avanz`o la proposta1 che il valore della funzione donda in un
1

Questa proposta, che venne poi sviluppata durante una serie di incontri a Copenhagen,
sta alla base di quella che `e nota come interpretazione di Copenhagen.

62

punto `e legato alla probabilit`a di trovare la particella in quel punto. Pi`


u
precisamente, essendo lo spazio continuo, indicando con P(~r, t)d3 x la probabilit`
a che la particella si trovi nel volume d3 x attorno al punto ~r allistante
t, Born propose che |(~r, t)|2 `e proporzionale alla densit`
a di probabilit`
a,
cio`e:

P(~r, t) |(~r, t)|2

(9.8)

dove la scelta di |(~r, t)|2 `e suggerita dal fatto che la (densit`a di) probabilit`a
deve essere ovunque non negativa.

Perch`e tale interpretazione abbia senso la probabilit`


a totale deve essere
pari a uno, in quanto si ha la certezza che la particella sia in qualche posto.
Pertanto:
Ptot = 1

|(~r, t)|2 d3 x <

dove lintegrale `e esteso a tutto lo spazio. In tal caso:


P(~r, t) =

1
|(~r, t)|2
2
|N |

dove il fattore di normalizzazione, |N |2 =

(9.9)

|(~r, t)|2 d3 x, assicura che Ptot =

1. |N |2 `e detto norma quadrata della funzione ed `e spesso indicato col

simbolo |N |2 = kk2 . Linsieme delle funzioni a norma finita, o come si dice

a quadrato sommabile, costituisce uno spazio lineare (indicato con L2 )

perch`e unarbitraria combinazione lineare di funzioni a quadrato sommabile

`e ancora a quadrato sommabile. In conclusione, secondo linterpretazione


probabilistica:

la funzione donda descrive lampiezza di probabilit`


a
che la particella venga trovata in un certo punto
in seguito a una misura della sua posizione.
63

Notiamo che vi `e una profonda differenza tra linterpretazione probabilistica della meccanica quantistica e il punto di vista statistico classico, anche se
entrambe, per avere senso, richiedono che vadano fatte misure su un gran numero di sistemi identici. Dal punto di vista classico, avere una distibuzione
di probabilit`a nella posizione di un insieme di particelle significa che ogni particella ha una posizione definita anche se lo sperimentatore prima della
misura non la conosce per insufficiente determinazione dello stato dinamico
del sistema, ma in linea di principio sarebbe possibile conoscerla. In questo
caso i vari sistemi del campione sono identici solo come stato termodinamico ma non come stato dinamico microscopico. Invece, secondo il punto
di vista quantistico anche se si conosce esattamente lo stato dinamico del
sistema (descritto dalla funzione donda) non si conosce con certezza dove
si trova la particella in quanto questa non ha una posizione ben definita
prima delloperazione di misura perch`e il pacchetto donde ad essa associato
ha sempre estensione finita. In ci`o sta laspetto ondulatorio del sistema.
Valori Medi
Nellinterpretazione probabilistica della meccanica quantistica quando lo
stato del sistema `e descritto da una certa ampiezza di probabilit`a (~r, t) le
grandezze fisiche non hanno, in generale, un valore definito ma solo delle
probabilit`a di assumere un insieme di possibili valori.
Indicheremo con < A > il valore medio della grandezza A, cio`e il rapporto tra la somma dei valori ottenuti in un insieme di misure e il numero
delle misure, o anche (quando questo numero `e molto grande) la somma dei
valori ottenuti moltiplicati per le rispettive probabilit`a. Pertanto, nello stato
descritto da (~r, t), il valore medio della coordinata xi a un certo istante `e

64

dato da:
1 Z
1 Z
2 3
< xi >=
xi |(~r, t)| d r =
(~r, t) xi (~r, t)d3 r
|N |2
|N |2
essendo, per ipotesi, |(~r, t)|2 d3 r/|N |2 la probabilit`a di trovare la particella

nel volume d3 r attorno al valore ~r.

Cosa si pu`o dire per la quantit`a di moto della particella? Supponiamo


che la (~r, t) sia data dal pacchetto donde:
(~r, t) =

1 Z ~
~
(k, t) eik~r d3 k
(2)3/2

(9.10)

cio`e sia espressa come sovrapposizione di onde piane monocromatiche con


peso (~k, t), e il fattore (2)3/2 `e scelto per motivi che chiariremo tra
breve.
Poich`e secondo lidea di de Broglie p~ = h
~k, a un numero donde definito
corrisponde un momento definito, `e naturale ammettere che la (densit`a di)
probabilit`a di una misura della quantit`a di moto sia determinata dal peso
di ~k nello stato e quindi sia data da:
(~p, t) =
dove, al solito, il fattore |N |2 =

probabilit`a totale sia pari a uno.

1
|(~p, t)|2
|N |2

(9.11)

|(~k, t)|2 d3 k serve ad assicurare che la

Pertanto, il valor medio della componente pi della quantit`a di moto `e dato


da:
1 Z
1 Z
2 3
pi |(~p, t)| d p =
(~p, t) pi (~p, t)d3 p
< pi >=
|N |2
|N |2

(9.12)

Si pu`o dimostrare che la trasformazione (9.10) `e sempre possibile se L2 .


65

Anzi in tal caso vale anche la relazione inversa:


(~k, t) =

1 Z
~
(~r, t) eik~r d3 x
3/2
(2)

(9.13)

La funzione (~k) viene detta trasformata di Fourier della (~x), che a sua
volta `e detta anti-trasformata della (~k).
La trasformata di Fourier (con la normalizzazione scelta!) verifica limportante
propriet`a (teorema di Parseval):
Z

f (x)g(x)dx =

F [f ]F[g]dk

(9.14)

dove F[f ] indica la trasformata di Fourier di f . Da ci`o si vede che tale

operazione conserva la norma di una funzione, cio`e:


Z

|f (x)| dx =

|F[f ]|2 dk

per cui, in particolare, si ha |N | = |N | = |N |. Derivando la (9.10), si

ottiene:

Z
i

~
j ]
(~r, t) =
kj (~k, t) eik~r d3 k = iF[k
3/2
xj
(2)

dove F indica lantitrasformata. Dal teorema di Parseval e dalla (9.12) si


ricava pertanto:

< pj >= ih

1 Z
(~r, t)
(~r, t)d3 r
2
|N |
xj

che esprime < pj > direttamente in termini della (~r, t).


Anzi, pi`
u in generale per una qualunque potenza pnj si ha:
<

pnj

!n
1 Z

1 Z
n
3
(~p, t)pj (~p, t)d p =
(~r, t) ih
(~r, t)d3 r
>=
2
2
|N |
|N |
xj

da cui si vede che nella rappresentazione delle coordinate (cio`e in termini


della (~r)) la grandezza fisica pj (quantit`a di moto) `e descritta dalloperatore
pj = ih
66

xj

(9.15)

nel senso che il valore medio di una qualunque potenza di pj , e quindi la

distribuzione di probabilit`a di pj , `e ottenibile agendo con pj = ih x j

sulla (~r). Nello stesso senso alla grandezza fisica xj (posizione) corrisponde
loperatore xj dato dalla moltiplicazione per xj .
Notiamo che le due distribuzioni di probabilit`a P(~r, t) e (~p, t) non sono

indipendenti, in quanto si possono ricavare entrambe dalla (~r, t). Questa


determina dunque tanto la distribuzione di probabilit`a in posizione che in
quantit`a di moto, cio`e lo stato dinamico della particella, che in meccanica classica `e dato da un punto nello spazio delle fasi. Pertanto, in questo
schema, `e logico che la (~r, t) verifichi uneq. del 1o ordine nel tempo, per
cui assegnando la (~r, t0 ) a un istante t0 la si determina a tutti gli istanti
successivi.
In effetti non vi `e nulla di privilegiato nelluso di (~r, t), e tutto il discorso
si pu`o fare in termini della trasformata di Fourier (~p, t). In questo caso
al momento pj corrisponde loperatore pj dato dalla moltiplicazione per pj ,

mentre alla posizione xj corrisponde loperatore xj = ih p j .


La scelta di quale rappresentazione usare dipende solo da ragioni di comodit`a.
Siamo quindi pervenuti alla conclusione che:
gli stati dinamici di una particella sono descritti da funzioni donda
L2 ,
mentre:
le grandezze fisiche vanno rappresentate mediante operatori lineari su L2 .
che servono per calcolarne le distribuzioni di probabilit`a.
In particolare gli operatori corrispondenti alle coordinate (xi ) e ai loro momenti coniugati (pi ) sono particolarmente importanti perch`e (almeno a livello
67

classico) qualunque grandezza fisica pu`o essere espressa tramite le x e le p e


quindi loperatore corrispondente tramite x e p.
La funzione delta di Dirac
Abbiamo visto che data una funzione L2 di <3 la sua trasformata

di Fourier `e data da:

(~k) =

1 Z
~
(~r) eik~r d3 x
3/2
(2)

(9.16)

e abbiamo asserito che vale anche lespressione inversa:


(~x) =

1 Z ~ i~k~r 3
(k) e d k
(2)3/2

(9.17)

Vogliamo ora dimostrare tale relazione. Poniamoci per semplicit`a nel caso
unidimensionale. Ammesso che la (9.17) sia valida, sostituendo la (9.16) nella
(9.17) si trova:
(x) =

Z +
1 Z +
dyeiky (y)
dkeikx
2

Invertendo i due integrali si ottiene:


(x) =

Z +
1 Z +
ik(xy)
dy
dke
(y) =
dy(x y)(y)
2

(9.18)

dove abbiamo introdotto la funzione delta di Dirac:


1 Z +
dkeik(xy)
(x y) =
2

(9.19)

Dalla (9.18), per larbitrariet`a della (x), si vede che la (x y) deve essere

nulla ovunque tranne per x = y, pur verificando la (9.18). Ovviamente, a


rigor di termini, una funzione siffatta non esiste. Vediamo come si pu`o dare
senso, anche se in modo non rigoroso, alla delta di Dirac.
Consideriamo linsieme di funzioni, definite 6= 0:
f (z, ) =

dke

ikz2 k2

=e

z 2 /42

68

dke

(kiz/2)2

z2 /42
e

Chiaramente risulta:
lim f (z, ) =

Inoltre:

dzf (z, ) =

0 per z 6= 0
per z = 0

dz

z2 /42
= 2
e

(9.20)

mentre, se n `e un intero positivo:


lim

dz z n f (z, ) = lim (2)n


0

dyy n ey = 0

n 6= 0 (9.21)

avendo posto y = z/2.


Pertanto, per ogni funzione g(x) regolare in un intorno di x0 si trova:

Z +
(xx0 )2 /42
dxg(x)
lim
e
= 2g(x0 )
0

come si vede dalle (9.20) e (9.21) sviluppando g(x) in serie di potenze di punto
iniziale x0 . Pertanto, invertendo il limite con lint.(!), possiamo scrivere:
lim f (z, ) = 2(z)

dove leguaglianza `e valida sotto segno di integrale su funzioni regolari.


In questo modo abbiamo dato una rappresentazione della funzione delta e
abbiamo provato la formula di inversione per le trasformate di Fourier.
In generale la funzione (x) `e definita dalle propriet`a:
(

(x) = 0 x 6= 0
> 0
(x)dx = 1

(9.22)

da cui segue che per tutte le funzioni G(x) regolari in x = 0:


Z

(x)G(x)dx = G(0)

(9.23)

Osserviamo che la (x) `e una funzione pari ((x) = (x)) e verifica:


(ax) =

1
(x)
|a|

69

(9.24)

come si ottiene subito sostituendo sotto segno di integrale.


Notiamo che la (9.19) non `e affatto lunica rappresentazione della delta.
Anzi data una qualunque funzione F (x) L2 tale che F (0) 6= 0, normalizzata
in modo che

R +

F (x)dx = 1, risulta:
1
lim F
0

x
= (x)

70

(9.25)

10. Relazioni dindeterminazione

In base alle regole viste precedentemente, calcoliamo il valor medio della


quantit`a qi pj pj qi in un generico stato . Mettendoci ad es. nella rapp-

resentazione delle coordinate, dove qi `e dato dalla moltiplicazione per xi e

pi = ihi , si trova facilmente:

1 Z
< qi pj pj qi > = 2 (
qi pj pj qi )dn q = ihij
N

(10.1)

Questa relazione, essendo vera complessa, significa che loperatore qi pj

pj qi , detto commutatore dei due operatori qi e pj e indicato col simbolo


[
qi , pj ], verifica la relazione:
[
qi , pj ] qi pj pj qi = ihij 1

(10.2)

dove 1 rappresenta loperatore identit`a sullo spazio delle funzioni.


Si giunge quindi alla conclusione che una coordinata canonica e il suo
momento coniugato sono rappresentati da operatori che non commutano.
In maniera analoga si dimostra invece che:
[
qi , qj ] = 0 = [
pi , pj ]
cio`e operatori corrispondenti a coordinate canoniche commutano tra loro,
come anche quelli relativi a momenti coniugati.
Dal punto di vista fisico cosa significa la relazione [
qi , pj ] = ihij 1?

Ricordiamo che la precisione di un insieme di misure di una grandezza

fisica A `e caratterizzata dallo scarto quadratico medio dei valori ottenuti,


definito come
(A)2 = < A2 > < A >2 = < (A < A >)2 >
71

In particolare per la posizione e per il momento si ha:


(x)2 = < x2 > < x >2 = < (x < x >)2 >
(p)2 = < p2 > < p >2 = < (p < p >)2 >
dove per semplicit`a stiamo considerando il sistema unidimensionale. Dato ora
un qualunque stato del sistema rappresentato dalla funzione donda (x)

L2 , si consideri lintegrale:
I() =

1 Z +
|x + hx |2
N 2

con |||| = N . Dunque:


I() =

1 Z +
dx ( x + hx ) (x + hx ) =
N 2

o
1 Z + n 2
dx x + h ( xx + x x) + 2 h
2 x x
= 2
N

Integrando per parti, in base alla definizione di valor medio si ha (essendo


in L2 ):

< x2 > h + 2 < p2 >

Perch`e ci`o avvenga la forma quadratica non deve avere radici reali e quindi
il discriminante deve essere negativo:
h
2 4 < x2 >< p2 >

< x 2 > < p2 >

h
2
4

Si vede facilmente che ci`o implica la relazione dindeterminazione:


x p

Ad esempio ci si pu`o mettere nel sistema di riferimento in cui < x >= 0


e < p >= 0 e quindi (x)2 =< x2 > e (p)2 =< p2 > e considerare che
72

x e p sono indipendenti dal sistema di riferimento. Comunque in seguito


daremo una dimostrazione pi`
u generale delle relazioni dindeterminazione.
Siamo pertanto pervenuti alla conclusione che non esistono stati di una
particella in cui questa ha sia una posizione che un momento definiti entrambe
con precisione arbitraria, risultato noto come principio dindeterminazione
di Heisenberg per il carattere fondamentale che esso riveste nella interpretazione della meccanica ondulatoria.
Le relazioni dindeterminazione x px

h
/2 non vanno intese in

senso statistico, cio`e relative agli scarti quadratici medi di misure eseguite su

sistemi identici, ma come affermazioni su ogni singolo sistema, nel senso che
risulta impossibile attribuire simultaneamente un valore ben definito della
posizione e del momento a ciascuna particella. Un ruolo chiave per evitare
errori banali `e dato dalla contemporaneit`a delle misure. Si pu`o infatti
sempre pensare di misurare x con precisione arbitraria e dopo misurare px
altres`i con precisione arbitraria in modo da ottenere un prodotto x px
arbitrariamente piccolo. Ma la misura di px modifica necessariamente lo
stato del sistema, per cui gli scarti quadratici medi x e px sono in tal
caso relativi a due stati diversi del sistema.
Per quale pacchetto donde si verifica leguaglianza nelle relazioni dindeterminazione e quindi il minimo nel prodotto degli scarti quadratici medi?
Chiaramente deve aversi:
< x2 >< p2 >= h
2 /4

I(0 ) = 0

dove 0 = h
/2 < p2 >. Cio`e:
x = 0 h
x (x) = C exp{

x2
}
2h0

Si tratta quindi di un pacchetto donde gaussiano, e solo in questo caso il


prodotto delle indeterminazioni in x e p risulta minimo.
73

11. Una dimostrazione delle relazioni


dindeterminazione.
Dato uno stato normalizzato e un operatore hermitiano A corrispondente ad un osservabile, introduciamo A A < |A| >= A < A >,
tale che

< A2 >

< A2 > < A >2 = (A)2

Allora, per A e B hermitiani, si ha:


2 >= kAk
2 kBk
2 |(, AB)|
2
(A)2 (B)2 =< A2 >< B
A > /2 si
per la disuguaglianza di Schwartz. Aggiungendo e sottraendo < B
trova:

2
1

(A) (B) < AB + B A > + < AB B A >


2

2
A + AB
`e hermitiano!) mentre il
dove il primo valor medio `e reale (se B
secondo `e immaginario puro.
Definendo il correlatore (A, B) come differenza tra valor medio del prodotto
(simmetrizzato) e prodotto dei valori medi, si trova:
(A, B)

1
1
+B
A >
< AB + BA > < A >< B >= < AB
2
2

B
A > = < [A, B] >.
mentre: < AB
Si ottiene dunque:

1
(A)2 (B)2 2 (A, B) + | < [A, B] > |2
4

(11.1)

Poich`e 2 (A, B) 0, per due osservabili arbitrarie (purch`e siano verificate

le ipotesi della dimostrazione) si trova:


A B

1
| < [A, B] > |
2
74

(11.2)

che fornisce la relazione dindeterminazione tra A e B.


Tali relazioni sono anche note come principio dindeterminazione di
Heisenberg. Questa denominazione vuole sottolineare non solo la loro importanza concettuale, ma anche lidea che, mentre la specifica forma (11.2) `e
derivata nellambito della meccanica quantistica attuale, in condizioni fisiche
profondamente diverse (big-bang, spazio-tempo curvo, ...) la loro forma esplicita potrebbe anche risultare modificata ma resterebbe comunque valido
il principio secondo il quale:
le grandezze osservabili relative a un sistema fisico non possono, in generale,
essere misurate simultaneamente con precisione arbitraria.
che costituisce lenunciato del principio dindeterminazione di Heisenberg.
Vale la pena di osservare che la relazione (11.1) `e analoga a quella che
si ha in meccanica statistica classica: (A)2 (B)2 2 (A, B), ma `e bene

ricordare che nella (11.1) compaiono valori medi nel senso quantistico e non

statistico, per cui ad es. si pu`o avere (A)2 6= 0 anche se il sistema si trova in
uno stato ben definito. La (11.1) contiene inoltre un contributo tipicamente
quantistico (di ordine h
) dovuto al commutatore.
In particolare, nel caso di una coordinata canonica cartesiana, q, e del
suo momento coniugato, p, dalla (1) si trova:
(q)2 (p)2 2 (q, p)

h
2
4

Questa forma delle relazioni dinderminazione `e interessante in quanto il 1o


membro `e invariante sotto trasformazioni canoniche lineari: q q 0 = aq + bp
, p p0 = cq + dp con [q 0 , p0 ] = ih ( ad bc = 1).

75

12. Relazione dindeterminazione tempo-energia


Usando le eq.del moto per i valori medi si pu`o dare un senso preciso alla
relazione dindeterminazione tempo-energia.
Si consideri infatti un osservabile A. La relazione dindeterminazione
applicata ad A e H `e:

1
A E |h[A, H]i|
2

ma per le eq. del moto h[A, H]i = ihdhAi/dt per cui


A E

|dhAi/dt|
2

(12.1)

Definiamo tempo di evoluzione relativo allosservabile A la quantit`a


A

A
|dhAi/dt|

che grosso modo rappresenta il tempo in cui, variando al ritmo |dhAi/dt|, il

valor medio hAi cambia di un ammontare pari alla varianza A. Sostituendo


nella ( ) si trova:

A E

h
A
2 A

cio`e:
A E

Questa relazione `e valida qualunque sia losservabile A, cio`e qualunque A


scegliamo per caratterizzare il ritmo di evoluzione del sistema, ritmo che
dipende dallo stato.
Naturalmente se stiamo considerando uno stato stazionario E = 0 ma
anche |dhAi/dt| = 0 che corrisponde a A =

76

13. DECADIMENTO ALFA


Un importante esempio di fenomeno spiegato dalleffetto tunnel `e dato
dal decadimento . Questo consiste nel fatto che alcune sostanze emettono
radiazione , costituita da nuclei di 4 He, con energia tipica di qualche MeV e
` naturale pensare che le partitempi caratteristici anche di milioni di anni. E
celle provengano dal nucleo degli atomi della sostanza, dove sono trattenute
da un potenziale (del tipo illustrato in figura 1) dovuto a una forza repulsiva
di natura coulombiana e a una forza attrattiva di origine nucleare, prevalente
allinterno del nucleo ma praticamente nulla al suo esterno. Una possibile
spiegazione classica del fenomeno `e la seguente: quando in seguito ai moti
dei nucleoni nel nucleo una particella acquista sufficiente energia essa supera la barriera e prosegue al di fuori del nucleo, e ci`o avviene con una certa
probabilit`a.
Tuttavia, questa spiegazione incontra almeno due difficolt`a. La prima
consiste nel fatto che, come dicevamo, i tempi di decadimento sono anche di
miliardi di anni mentre i tempi tipici dei fenomeni nucleari sono dellordine
di 1022 sec. La seconda sta nel fatto che, classicamente, lenergia E con
cui fuoriescono le particelle , dovrebbe essere almeno pari allaltezza della
barriera coulombiana, cio`e E 2Z1 e2 /RN , dove 2e e Z1 e sono le cariche

della particella e del nucleo residuo e RN il raggio di tale nucleo. E risulta

invece molto inferiore a tale barriera. In altre parole, definiamo Rm in base a


2Z1 e2 /Rm = E , che corrisponde alla distanza di massimo avvicinamento di
una particella di energia E e carica 2e a una carica Z1 e. Ci si aspetterebbe
Rm RN ; invece si trova che Rm risulta molto maggiore delle dimensioni

nucleari, come se la particella fosse uscita dal nucleo a distanza Rm >>

RN .
Gamov riusc`i a superare queste difficolt`a formulando una teoria del decadi77

mento basata sulleffetto tunnel.


Sappiamo che se una particella di energia E incide su una barriera quadrata
di altezza V0 e larghezza a, si pu`o verificare leffetto tunnel, per cui anche
se E < V0 si ha una probabilit`a non nulla di attraversamento della barriera,
data approssimativamente da:

|T (E)| exp 2a 2m(V0 E) /h

(13.1)

Naturalmente, in situazioni realistiche il potenziale avr`a un andamento continuo, come quello illustrato in fig. (2). In tal caso la probabilit`a di tunneling pu`o essere calcolata almeno approssimativamente nel seguente modo.
Sia (a, b) lintervallo classicamente proibito, cio`e tale che E < V (x) per
x (a, b). Suddividiamo lintervallo (a, b) in N parti di larghezza x in cias-

cuna delle quali il potenziale viene preso costante, cio`e approssimiamo V (x)
con N barriere quadrate e la probabilit`a di trasmissione totale col prodotto

delle probabilit`a attraverso ciascuna barriera:


2

|T (E)| =

N
Y

i=1

exp 2 2m(V (xi ) E) x/h =

= exp 2

N q
X
i=1

Quindi, per N , si trova:

2m(V (xi ) E) x/h

2 Z bq
2m(V (x) E) dx
|T (E)| exp
h
a
2

(13.2)

(13.3)

Nel caso del decadimento possiamo porre V (x) 2Z1 e2 /x, mentre gli

estremi dellintervallo classicamente proibito sono a = RN e b = Rm =


2Z1 e2 /E . Allora:
Z

b
a

2m(V (x) E)dx = 2mE

78

Rm
RN

dx

Rm
1=
x

2mE Rm arccos

RN
RN
RN

Rm
Rm
Rm

2 !1/2

Per Rm >> RN ed E << della barriera coulombiana questo si riduce a:

RN
2 2mZ1 e2

2
2
Rm
E
Il fattore di trasmissione risulta infine

!)
(

2
e
8m Z1
4 Z1 R N
2

|T | = exp
h

2e
E

(13.4)

La probabilit`a di decadimento per unit`a di tempo si ottiene moltiplicando


il fattore di trasmissione per la frequenza con cui la particella urta la
parete del nucleo. Questa frequenza `e grosso modo data da vi /2RN , dove
vi `e la velocit`a della particella allinterno del nucleo, grandezza definita
solo come concetto semiclassico.
Partendo da N nuclei di sostanza radioattiva, nellintervallo di tempo dt
essi diminuiscono di:
dN = N probabilit`a di decadimento al secondo dt =

N
dt

Pertanto si ha la legge di decadimento:


N (t) = N (0) et/
dove `e la vita media della sostanza. In base alla (4) si ha:
=

2RN
|T (E)|2
vi

(13.5)

Usando il fatto che nei nuclei pesanti la densit`a `e (quasi) costante, per cui il
numero di nucleoni (peso atomico), A = Z + N , `e proporzionale al volume,
3
A 4RN
/3, mentre il numero di protoni (Z) `e circa uguale a quello (N) di

neutroni, si ottiene esprimendo in anni ed E in MeV:


ln = 1.61

Z1
1/2

2/3
Z1

79

ln(2RN /vi )

(13.6)

Questo tipo di dipendenza di ln dallenergia delle particelle coincide con


quello osservato sperimentalmente da Geiger e Nutall, illustrato in fig. (
3), se (come `e verosimile) lultimo termine `e praticamente costante per ogni
tipo di sostanza.
I grandi valori osservati per sono pertanto dovuti allo smorzamento esponenziale di T (E) causato dalleffetto tunnel, senza il quale peraltro il decadimento non sarebbe possibile. Questo effetto rende anche pi`
u facile il processo
inverso di fusione tra due nuclei, alla base delle reazioni che alimentano le
stelle.

80

14. TEOREMA DEL VIRIALE IN M. Q.

Consideriamo un sistema descritto da una Hamiltoniana H = T + V , dove


T =

Pn

i=1

p2i /2mi `e lenergia cinetica e supponiamo che lenergia potenziale

V (xi ) sia funzione omogenea di grado n delle coordinate, cio`e:


V (xi ) = n V (xi ) xi i V (x) = nV (x)
E allora valida la propriet`a (teorema del viriale):
negli autostati di H si ha

2hT i = nhV i

Infatti, negli autostati di H qualunque sia loperatore G si ha h[G, H]i = 0.


Scegliendo G =

Pn

i=1

pi xi ne segue:

[G, H] = ih

n
X
i=1

n
X
p2i
ih
xi i V = ih(2T nV )
2mi
i=1

h[G, H]i = 0 2hT i = nhV i

q.e.d.

(14.1)
(14.2)

Ci`o sembra portare a una contraddizione nel caso di una particella libera
quando H = T , cio`e n = 0. Tuttavia in questo caso H non ha autostati
normalizzabili e il calcolo di h[G, H]i richiede una regolarizzazione, mostrando
come luso disattento degli autostati impropri porti a risultati assurdi.

Lavoriamo per semplicit`a in una dimensione e consideriamo la successione


di funzioni normalizzate:
(x) =
dove =

k 2 /2

1/4

eixx

2 /2

e k k = 1 (0, 2k 2 ). La scelta di `e tale che,

data H = p2 /2m, si ha:

H =

h
2
( + 2 + 2ix 2 x2 )
2m
81

(14.3)

e
hHi

Z +
h
2k2
h
2
2
2
x2 dx =
+
=
2m
2m

avendo usato:
I() =
e

x2n ex dx = (1)n

Inoltre:

dx =

dn I (2n 1)!! (2n+1)/2


=

dn
2n

H lim
0

x2

h
2k2
=
lim
2m 0

(14.4)

che quindi appare formalmente autofunzione di H.


Daltra parte, essendo H hermitiano > 0, si ha
h[G, H]i =
=

(pxHHpx) dx =

( pxH (H ) px )dx =

i
h
2 Z + h
px(2ix 2 x2 ) + (2ix + 2 x2 )px dx
2m

(14.5)

Prendendo il lim0 sotto segno di integrale si troverebbe h[G, H]i=0 = 0.

Invece, siccome p = h
( + ix) , dalla (5) si trova usando la (4) 6= 0:
h[G, H]i

h
2 2
h
2 Z +
2 2
3 4
2 2
(4 x + 2 x x ) dx = ih k (14.6)
ih
=
2m
m

Tale relazione vale quindi anche nel lim0 e si ha:


h[G, H]i=0 = 2ihhT i=0
in accordo con la (1) per n = 0.

82

15. METODO OPERATORIALE per


lOSCILLATORE ARMONICO
Le autofunzioni dellhamiltoniana di un oscillatore armonico (O.A.) verificano
leq.

D2 y 2 =

(15.1)

dove si sono usate variabili adimensionali e D = d/dy. Ora:


(D y) (D + y) = D 2 y 2 + 1
per cui la (1) si pu`o scrivere come:
(D y) (D + y) = ( 1)

(15.2)

Pertanto si ha:
(D + y) [(D y) (D + y)] = ( 1) (D + y)
e usando
(D + y) (D y) = D 2 y 2 1 = (D y) (D + y) 2
si trova:

D2 y 2 (D + y) = ( 2) (D + y)

Si vede dunque che:


se `e autofunzione dellhamiltoniana dellO.A. appartenente allautovalore

(D + y) , se non `e nulla, `e autofunzione appartenente allautovalore 2.

Analogamente si vede che:

(D + y)n = 2n
83

mentre:
(D y)n = +2n
a meno che i secondi membri non siano nulli.
Gli operatori (D + y) e (D y) vengono chiamati operatori gradino in

quanto fanno rispettivamente scendere e salire di h


lautovalore E = h
/2
di H.
Ora dalla (2) si ha:
< , (D y) (D + y) >= ( 1) < , >

(15.3)

Ma sulle funzioni L2 risulta:


(D y) = (D + y)
per cui:
< , (D y) (D + y) >

< (D y) , (D + y) >

= < (D + y) , (D + y) >

k (D + y) k2 0

che insieme a (3) implica chiaramente:


1 0,

cio`e

1 se

L2

Essendo gli autovalori di H limitati inferiormente ne consegue che, da qualunque


autovalore si parta, loperatore discesa non pu`o continuare indefinitamente
a dare stati non nulli in quanto ci`o porterebbe ad autostati con autovalore
negativo.
Pertanto, se 2n < 2n + 2 (dove n `e intero), si ha:
(D + y)n = 2n 6= 0
84

(15.4)

ma:
(D + y)n+1 = (D + y) 2n = 0

(15.5)

altrimenti sarebbe un autostato appartenente allautovalore 2n 2 < 0.


Ma si ha:

(D y) (D + y) 2n = ( 2n 1)2n
per cui dalla (4) e dalla (5) segue
= 2n + 1

1
h

E = n+
2

Lo stato fondamentale (n = 0, = 1) `e pertanto individuato da uneq.


del primordine:
(D + y) 0 = 0

0 (y) = Aey

2 /2

Le funzioni donda degli stati eccitati sono date da:


n = (D y)n 0 = A (D y)n ey
dove, moltiplicando ambo i membri per ey

2 /2

2 /2

= An hn (y)ey

, hn (y) = (1)n ey

2 /2

(D y)n ey

2 /2

2 /2

`e chiaramente un polinomio di ordine n (polinomio di Hermite) e An una


costante che dipende dalla normalizzazione.
Siccome per ogni funzione f (y) risulta (D y) f (y) = ey

si ha la relazione tra operatori (D y) = ey


(D y)n f (y) = ey

2 /2

2 /2

D ey

Dn ey

2 /2

2 /2

f (y)

2 /2

D ey

e quindi

Si trova dunque per i polinomi di Hermite lespressione:


hn (y) = (1)n ey

2 /2

(D y)n ey

85

2 /2

= (1)n ey Dn ey

2 /2

f (y) ,

16. METODO OPERATORIALE PER LO.A. (2)


Dato un oscillatore armonico (O.A.), consideriamo gli operatori:
a=
che verificano

m
2h

ip
x+
m

a =

m
2h

ip
x
m

[a, a ] = 1, e in termini dei quali lhamiltoniana `e data da:

1
H =h
a a +
2

Faremo lipotesi di lavorare in uno spazio H in cui a , come il simbolo

suggerisce, sia lhermitiano coniugato di a.

Posto N = a a = N si ha H = h
N +
dunque autostati di N e viceversa.

1
2

. Gli autostati di H sono

Ora H si ha:
< , N >=< , a a >=< a, a >= kak2 0

(16.1)

Quindi, in particolare, gli autovalori di N sono non negativi.


Per trovare tali autovalori supponiamo che sia autostato di N relativo
allautovalore , cio`e: N = .
Usando [N, a] = a e [N, a ] = a si trova:
N a = ([N, a] + aN ) = ( 1)a

(16.2)

per cui a (se non `e nullo) `e autostato di N appartenente allautovalore


1.

Analogamente:
N a = ( + 1)a

(16.3)

per cui a (se non `e nullo) `e autostato di N appartenente allautovalore


+ 1.
86

Dato che a sottrae un quanto di energia mentre a lo aggiunge essi sono


detti rispettivamente operatori di creazione e distruzione.
Ora:
ka k2 =< a , a >=< , a a >= k k2

(16.4)

per cui a = 0 sse = 0.


Invece:
ka k2 =< a , a >=< , aa >=
=< , (a a + 1) >= ( + 1)k k2

(16.5)

per cui a non `e mai nullo.


Analogamente si ha:
N an = ( + n)an

(16.6)

cio`e an `e autostato di N appartenente allautovalore + n, e:


N an = ( n)an

(16.7)

cio`e an se non `e nullo `e autostato di N appartenente allautovalore n.

Ma gli autovalori di N sono non negativi, per cui a non pu`o continuare

indefinitamente a darne uno pi`


u piccolo. Per interrompere la discesa deve
m tale che am 6= 0 mentre am+1 = 0. Ma, usando la (7) si trova:
N am = a am+1 = 0 = ( m)am
Dunque deve aversi = m. Dalle (2) e (3) si vede che:
gli autovalori di N sono tutti gli interi non negativi.
Poiche il suo valore d`a il numero di quanti di energia, N `e noto come operatore
numero.
87

Notiamo che nella discussione dello spettro di N non `e mai intervenuta


lespressione di a e a in termini di x e p. Ci`o che conta `e solo la relazione
algebrica [a, a ] = 1.
Oltre che per ottenere lo spettro degli autovalori di H le propriet`a degli
operatori di creazione e distruzione permettono spesso di calcolare in modo
pi`
u semplice grandezze di interesse fisico.
Indicando con {n } un insieme di autostati normalizzati di H (che for-

mano un insieme completo), dalle (2) e (3) si vede che possiamo sceglierne
la fase relativa in modo che risulti:
a n =

n + 1n+1

an =

nn1

Allora per gli elementi di matrice si ha:


< n , am >=

mn,m1

< n , a m >=

2h
(a + a )
m

p=

m + 1n,m+1

Siccome
1
x=
2

i
2mh (a a )
2

si vede subito che i loro valori medi in autostati di H sono:


1
< n , xn >=
2
< n , pn >=
mentre:

2h
< n , (a + a )n >= 0
m

i
2mh < n , (a a )n >= 0
2

< n , (a + a )2 n >=
2m

1
2

2
< n , (a + aa + a a + a )n >=
n+
=
2m
m
2
< n , x2 n >=

< n , p2 n >=

h
m
< n , (a a )2 n >=
2
88

h
m
1
=
< n , (a2 aa a a + a2 )n >= h
m n +
2
2

Da ci`o si vede che in un autostato di H i valori medi dellenergia cinetica


e potenziale sono uguali (come nel caso classico) e inoltre:

(x)n (p)n = h
n+

1
2

Caso classico
Anche nel caso classico lo studio dellO.A. si semplifica se si usano le
quantit`a A =

m
2

x+

ip
m

e A . Infatti si ha H = A A e {A, A } = i.

Ci`o porta a uneq. del moto del 10 ordine per A:

dA
= {A, H} = iA
dt

A(t) = A0 eit ; A (t) = A0 eit da cui si ottengono subito x(t) e

p(t).
Alternativamente, dalle equazioni del moto x = p/m e p = m 2 x si

p
p
p
= i x + i m
che `e uneq. del 10 ordine per x + i m
.
trova x + i m

89

17. STATI COERENTI

Dato un oscillatore armonico (O.A.), consideriamo gli operatori:


a=

che verificano

m
2h

x+

ip
m

a =

m
2h

ip
m

[a, a ] = 1, e in termini dei quali lhamiltoniana `e data da:

H =h
a a +

1
2

Introducendo le variabili adimensionali:


r

y=
si ha:

d
p
P =
= i
;
dy
h
m

m
x;
h

1
a = (y + iP )
2

[y, P ] = i

1
a = (y iP )
2

Autostati di a:
d
1
a = (y + ) =
dy
2

(y) = N e

2yy 2 /2

L2 C

o anche
(y) = N1 ei

2i y

(y 2r )2 /2

90

Gaussianacentrata

attorno a 2r
con fase 2i y

(17.1)

N e N1 sono fattori di normalizzazione e = r + ii .


Tali stati, detti stati coerenti per motivi che saranno chiari tra breve, verificano molte interessanti propriet`a.
Notiamo anzitutto che:
+
a + a
= 2r
hyi = h , i =
2
2

(17.2)

come si vede anche dalla (1). Inoltre, usando


h , a a i = ha , a i =
si trova:
1
1
h , (a2 + aa + a a + a2 ) i = (2 + 2 + 2 + 1) =
2
2
1
1
1
( + )2 + = 22r +
(17.3)
=
2
2
2

hy 2 i =

(y)2 =

1
2

(17.4)

Analogamente:

a a
i = = 2i
i 2
i 2

!
2
1
1

hP 2 i =
+ = 22i +
2
2
i 2

hP i = h ,

e
(P )2 =
Pertanto:

1
2

(17.5)
(17.6)

(17.7)

h

1
h

(x) (p) =
h
m =

(17.8)
2 m
2
Vediamo che, , gli stati coerenti realizzano il minimo prodotto delle

indeterminazioni di x e di p. Si ha una corrispondenza r x, i , p


91

tra i punti dello spazio degli autovalori di a e i punti dello spazio delle fasi
classico.
Del resto, per qualunque gaussiana (x) = ex
(x)2 =
e

1
4r

2 +x

(p)2 = h
2

con = r + ii si ha:

||2
r

h
2
i2
h
2 ||2
=
1
+
(x) (p) =
4 r2
4
r2
2

indipendentemente
da.

1
Ora H = h
a a +
, per cui il valor medio dellenergia nello stato `e:
2

hEi = h , H i = h
||2 +

1
2

mentre:
2

hE i

1
1
= h
h , a aa a + a a +
i = h
2 2 ||4 + 2||2 +
4
4
2 2
2
2
2
2
(E) = hE i hEi = h
|| 6= 0
=
6 0
(17.9)
2

dove si `e usata la relazione aa = a a + 1.


Dunque uno stato coerente non `
e autostato di H, tranne per = 0, ma:
||
E
=
hEi
||2 + 1/2

0
||

(17.10)

Si vede che lincertezza relativa 0 quando || , cio`e per ampiezze di

oscillazione (h/m)1/2 .

Inoltre:

hEi =

+ energia di
un O.A. classico con condizioni
iniziali

2
y0 = hyi = 2r e P0 = hP i = 2i

Distribuzione dellenergia negli stati coerenti


92


Consideriamo lo stato = ea 0 dove a0 = 0:

Allora:

a = aea 0 = [a, ea ]0 = ea 0
poiche in base alla relazione di commutazione [a, a ] = 1 si ha [a, f (a )] =
f /a . Vediamo che:
a =
`e autostato di a con autovalore .

cio`e:

Dunque coincide, a meno della normalizzazione, con introdotto nel


paragrafo precedente.
Per calcolare la norma || ||2 osserviamo che:

k k2 = (ea 0 , ea 0 ) = (0 , e a ea 0 )

Ma ea 0 `e autostato di a con autovalore , per cui, per definizione di

funzione di operatore, si ha e a ea 0 = e ea 0 e si ottiene

k k2 = e (0 , ea 0 ) = e (ea 0 , 0 ) =

= e k0 k2

perche a0 = 0

Dunque k k `e finita

C, come gi`a si sapeva. A meno di un fattore


2
2

di fase lo stato normalizzato `e = e|| /2 = e|| /2 ea 0


Questo modo di caratterizzare gli autostati di a `e particolarmente comodo
per studiare la distribuzione dellenergia. Infatti:

= ea 0 =

X
n an

n=0

dove n =

1 an 0
n!

n!

0 =

X
n

n=0

n!

(17.11)

sono gli autostati normalizzati di H. Dunque gli au-

tostati di a sono una sovrapposizione di autostati di H con una definita


relazione di fase tra loro. A ci`o debbono il nome di stati coerenti.
93

Siccome k k2 = e|| otteniamo subito che la probabilit`a di osservare il


2

valore En = h
(n + 12 ) nello stato `e:

Pn () = e||

||2n
n!

che `e una distribuzione di Poisson in ||2 . In particolare, quando `e grande


Pn () `e massima per n = ||2 , o meglio (dato che n `e intero) per il valore di

n pi`
u vicino a ||2 , cio`e quando hEi ' En .

Osserviamo inoltre che il prodotto scalare tra due stati coerenti normalizzati,

con questa scelta delle fasi, `e dato da:


( , ) = (e||

2 /2

cio`e

ea 0 , e||

2 /2

ea 0 ) = exp{

||2 ||2

+ } (17.12)
2
2

|( , )|2 = e|| 6= 0 , C

Gli autostati di a non sono mai ortogonali, anche se appartenenti ad autovalori diversi. Peraltro, ci`o non deve sorprendere perche a 6= a !.
Evoluzione temporale degli stati coerenti
Sappiamo che qualunque sia lo stato iniziale i si ha:
(t) = eiHt/h i
Applicando tale formula quando i `e uno stato coerente e usando la (11)
abbiamo:
= eiHt/h (0)

(t)
=

X
n

n=0

n!

eiEn t/h n = eit/2

X
(eit )n

n=0

n!

n
(17.13)

Ma lultima serie rappresenta uno stato coerente appartenente allautovalore


eit , per cui, se i `e autostato di a : ai = 0 i , si trova:
a(t) = a eiHt/h i = 0 eit (t)
94

(17.14)

In altre parole, se inizialmente lo stato del sistema `e autostato di a( 0 ), al


passare del tempo resta autostato di a con autovalore
(t) = 0 eit

(17.15)

Dalla (4) e dalla (7) si vede che in uno stato coerente non si ha slargamento del pacchetto donde (ne in x ne in p).
Essendo il potenziale quadratico, dal teorema di Ehrenfest sappiamo che:

pi0 sin t
hyi(t) = hyi0 cos t + h

h
pi(t) = h
pi0 cos t hyi0 sin t

qualunque sia lo stato iniziale. Vediamo che uno stato coerente, descritto
dalla gaussiana (1), segue un andamento quanto pi`
u classico possibile,
in quanto in tali stati non solo il centro del pacchetto donde segue un
andamento classico, ma in essi ad ogni istante si ha il minimo prodotto delle
indeterminazioni e non si ha slargamento.
Assenza di autostati di a
Rappresentando a come operatore differenziale, si vede subito che:
a = (y) = e

2y+y 2 /2

6 L2 C

Dunque: a non ha autostati in L2 .

Notiamo anche che se a =


ha2 i ha i2 = 2 2 = 0

Ci`o, peraltro, non implica che sia autostato di a perche tale operatore
non `e hermitiano.

95

Completezza dellinsieme degli stati coerenti


Vogliamo ora dimostrare la completezza dellinsieme degli stati coerenti.
1
d
Consideriamo le autofunzioni delloperatore a = (y + ), che sappiamo
dy
2
essere:
(y) = N e

2yy 2 /2

L2

Normalizzandole:
2

k k = |N |

dy ey

2 +2y

2r

2
= |N |2 e2r

dove = r + ii . Pertanto:
2

k k = 1 N = 1/4 er

a meno di un fattore di fase. Perch`e il prodotto scalare sia dato dalla (12)
2

occorre scegliere N = 1/4 er eir i .


Allora si ha:

1Z 2
1 Z

2
2
2

d (x) (y) =
dr di e2r e(x +y )/2 e 2( x+y) =


2
2

e(x +y )/2 Z +
2

=
dr di e2r e 2r (x+y) ei 2i (yx) =

(x y) x2 Z +
2

=
dr e2r +2 2r x = (x y)
e

Z +
Z +

2
i x
avendo utilizzato
e d = 2(x) e
d e(+x) = .

Linsieme di tutte le autofunzioni di a (normalizzate) verifica dunque la relazione di completezza.

Dato che gli S.C. non sono mai ortogonali la relazione di completezza implica
che essi sono linearmente dipendenti tra loro. Infatti, si ha:
Z +
1Z 2
d (y)
(x) (x)dx =

(
)
||2 ||2
1Z 2

d (y) exp

+
=

2
2

(y) =

(x)(x y)dx =

96

con la scelta di fase data dalla (12). Un insieme completo di stati non
linearmente indipendenti viene detto sovracompleto.

97

18.

Altra espressione degli Stati Coerenti1

Abbiamo visto che = ea 0 `e autostato di a, ma non `e di norma uno

anche se 0 lo `e. Ci`o `e dovuto al fatto che loperatore ea non conserva la


norma.
Una rappresentazione pi`
u idonea degli stati coerenti si ottiene usando
loperatore D() e(a

a)

Infatti si ha: D () = e(a

a)

= D() = D 1 (). Pertanto:

D()D () = D ()D() = 1
Si vede che D() conserva la norma degli stati su cui agisce, cio`e `e unitario.
Usando la relazione

eA+B = eA eB e 2 [A,B]

(18.1)

valida quando [[A, B], A] = [[A, B], B] = 0, ed essendo [a, a ] = 1, si trova


lespressione equivalente:
D() = e||

2 /2

ea e

dalla quale si vede subito che:


D()0 = e||

2 /2

ea 0 =

dove k k = 1 dato che D `e unitario. Dunque D() agendo sullo stato

fondamentale produce uno stato coerente normalizzato.


Inoltre dallutile formula:

1
1
eB A eB = A + [B, A] + [B, [B, A]] + + [B, [B, [B, [B, A]]] +
2
n!
1

I punti contrassegnati con

sono inseriti come complementi

98

o anche dalla (1), si ottiene che


D () a D() = a +

(18.2)

cio`e D() agisce come operatore traslazione nello spazio degli autovalori di
a.

Dalla relazione (1) segue pure che:


D()D() = e(

)/2

D( + ) = e(

D()D()

da cui si vede che le D formano gruppo a meno di un fattore di fase (detto

cociclo).

Dallultima relazione segue che D() trasforma uno stato coerente in un

altro stato coerente. Infatti:

D() = D()D()0 = e(

)/2

Evoluzione temporale di un O.A. forzato

Consideriamo un O.A. soggetto a una forza esterna f (t) che in opportune


unit`a di misura `e descritto dallhamiltoniana:

(18.3)

1
A
dA
= [A, H] +
dt
ih
t

(18.4)

p2 q 2
1
a + a

H=
+
+ f (t) q = h
a a +
+ f (t)
2
2
2
2
e introduciamo lop. A(t) = eit a + (t).
Lequazione di evoluzione per A(t) `e:

Ora:

d
A
= ieit a +
t
dt
99

e
[A, H] = e

it

1
h
a + f (t)
2

da cui:
dA
eit
d
= ieit a +
f (t) + ieit a +
dt
2ih
dt

(18.5)

dA
eit
d
= i
f (t) +
dt
2h
dt

(18.6)

cio`e:

Pertanto, la scelta
i Z t i
(t) =
e f ( )d
2h 0

dA
=0
dt

avendo posto (0) = 0, cio`e A(0) = a.


Dunque A(t) `e una costante del moto. Dalla relazione sui valori medi
h(t)|A(t)|(t)i = h(0)|A(0)|(0)i
valida (0), si vede che:
A(t) = U (t) a U 1 (t)
dove U (t) `e lop. di evoluzione temporale del sistema. Pertanto:
U (t) a U 1 (t) = eit a + (t)
Ricordando che lop. D() e(a

a)

verifica

D ()aD() = a +
e che:
eiH0 t/h a eiH0 t/h = eit a U0 (t)D()U0 (t) = D(eit )
100

(18.7)

dove H0 `e lhamiltoniana dellO.A. in assenza di forze esterne, dalla (7) si


ottiene:
U (t) = eiH0 t/h D((t)) ei(t)

(18.8)

dove (t) e un fattore di fase dipendente dal tempo che puo essere determinato dalla richiesta che lop. di evoluzione temporale del sistema verifichi la
proprieta:
U (t3 , t2 ) U (t2 , t1 ) = U (t3 , t1 )

(18.9)

Ma D()|0i |i `e uno stato coerente, per cui


U (t)|0i = ei(t) eiH0 t/h |(t)i = ei(t) |eit (t)i

(18.10)

Vediamo che, per effetto di una forza esterna, un O.A. inizialmente nello
stato fondamentale si porta in uno stato coerente con autovalore dipendente
dal tempo.
Notiamo che il potenziale e.m. nella gauge di Lorentz verifica leq.
2A (~x, t) = j (~x, t)
che in trasformata di Fourier diventa
F (~k, t) + 2 F (~k, t) = s (~k, t)
che k `e leq. di un O.A. forzato.

101

19. Particella carica in campo magnetico

Caso classico
Lhamiltoniana di una particella carica (senza spin) in un campo mag~ =A
~ `e:
netico B
2

1
~ 2=
H=
p~ eA
2m
2m

dove pi sono i momenti coniugati e i pi eAi = mvi i momenti cinetici.


Nella descrizione classica la carica `e soggetta alla forza di Lorentz F~ =
~ Se B
~ `e uniforme il moto nel piano ortogonale a B
~ `e circolare uniforme.
e~v B.
Ci`o `e chiaro sia dal fatto che laccelerazione `e puramente centripeta, sia dalle
~
equazioni del moto che (scegliendo B||z)
sono
m
x = eB y

m
y = eB x

la cui soluzione immediata `e


Posto = x + iy, queste danno m = ieB ,
= 0 eit
(t)
dove = eB/m `e nota come frequenza di ciclotrone. Pertanto il quadrato
2 = x 2 + y 2 `e costante mentre:
della velocit`a |(t)|
(t) = o + i

0 it
e

da cui:
|(t) o | =

|0 |

Si vede che o individua il centro dellorbita di raggio =


ralmente lenergia E = m2 /2 `e arbitraria.
0

Caso quantistico: livelli di Landau


102

|0 |

mv
.
eB

Natu-

In meccanica quantistica, i momenti cinetici, i , verificano le relazioni di


commutazione:
[i , j ] = iheijk Bk
~ `e uniforme e parallelo a z il moto lungo z `e libero mentre quello nel
Se B
piano ortogonale `e retto dallhamiltoniana
Hxy =

2
2x
+ y
2m 2m

Ora, [x , y ] = iheB `e (a meno del fattore costante eB) la stessa relazione


di commutazione di una coordinata canonica col proprio momento coniu

gato. Pertanto, ponendo Q = x / eB e P = y / eB si ha [Q, P ] = ih e


Hxy = eBQ2 /2m + eBP 2 /2m ha la stessa struttura dellhamiltoniana di un
oscillatore armonico, quindi i suoi autovalori sono En = h
(n + 1/2), dove
= eB/m `e la frequenza classica di ciclotrone.
~ i valori possibili dellenergia
Dunque (almeno per il moto ortogonale a B)
sono quantizzati e sono noti come livelli di Landau. Questi livelli sono altamente degeneri, e per calcolarne la degenerazione conviene fissare la gauge.
~ = (0, Bx, 0) si ha:
Nella gauge asimmetrica A
Hxy =

p2x
1
+
(py eBx)2
2m 2m

Dato che [Hxy , py ] = 0, possiamo scegliere autofunzioni simultanee di Hxy e


py che sono della forma
(x, y) = (x) eiky y
Imponendo condizioni al contorno periodiche in y su una striscia di larghezza
Ly si trova ky = n 2/Ly e:
Hxy =

p2x
1
+
(hky eBx)2
2m 2m
103

che `e lhamiltoniana di un O.A. centrato in Xk = h


ky /eB. Ritroviamo il
risultato che gli autovalori di Hxy sono En = h
(n + 1/2) e vediamo che non
dipendono da Xk .
Dato che la separazione tra due centri `e x = hLy /eBil no di stati
di data energia contenuti in un tratto di lunghezza Lx `e

Lx
x

= Lx Ly eB/h,

per cui il no di stati per unit`a di area per ogni livello di Landau (cio`e la
degenerazione per unit`a di area) `e:
nB = eB/h = /0
dove `e il flusso magnetico per unit`a di superficie e 0 = h/e `e il flusso
magnetico elementare associato alla carica e.

104

20. Invarianza di Gauge in Meccanica Quantistica

Lhamiltoniana di una particella di carica q (senza spin) in campo magnetico


`e
H=

1
~ 2=
p~ q A
2m
2m

(20.1)

dove pi sono i momenti coniugati che verificano le regole di commutazione


fondamentali [pi , pj ] = 0. Essi sono distinti dai momenti cinetici i

pi qAi = mvi , che verificano:

[i , j ] = ihqijk Bk
~ x) `e definito a meno di una trasformazione di
Ora, il potenziale vettore A(~
gauge:
~ x) A
~ 0 (~x) = A(~
~ x) + (~x)
A(~

(20.2)

dove (~x) `e una funzione arbitraria, e tutte le grandezze osservabili dovrebbero restare invarianti sotto tale trasformazione.
Sia un autostato dellhamiltoniana, che verifica H = E, e che
nella rappresentazione delle coordinate `e espresso dalla funzione donda (~x).
Risulta
H 0 (~x) = E(~x) ?

~0
dove H 0 = p~ q A

/2m. Ricordando che p~(~x) = ih(~x), `e facile

verificare che ci`o non `e vero.

Potrebbe perci`o sembrare che i valori dellenergia (osservabili) dipendono


dalla scelta di gauge.
Per uscire da questa difficolt`a ricordiamo che la funzione donda `e definita
a meno di un fattore di fase, cio`e (~x) e ei (~x) rappresentano lo stesso

105

stato normalizzato se `e una costante reale. Cio`e la teoria `e invariante sotto


la trasformazione di fase globale:
(~x) ei (~x).
Introduciamo ora la trasformazione di fase dipendente dal punto (locale):
(~x) 0 (~x) = ei q (~x)/h (~x)

(20.3)

dove q `e la carica della particella descritta da . Si trova:


~ 0 ) 0 (~x) = ihei q (~x)/h (~x) + q()ei e (~x)/h (~x)
(ih q A

~ x) + (~x) ei q (~x)/h (~x) = ei q (~x)/h (ih q A)(~


~ x)
q A(~

Quindi:
~ 0 )2 0 (~x) = ei q (~x)/h (ih q A)
~ 2 (~x)
(ih q A
che implica:
H 0 0 = E 0

(20.4)

Pertanto i valori dellenergia sono invarianti sotto le trasformazioni simultanee (2) e (3).
Inoltre, la trasformazione di fase (3) non modifica |(~x)|2 , cio`e la dis-

tribuzione di probabilit`a della posizione, mentre modifica quella di p~. Ma


~ la cui disla grandezza osservabile non `e p~ ma il momento cinetico p~ eA

tribuzione di probabilit`a non viene alterata dalla trasformazione di gauge.


Dunque, 0 descrive lo stesso stato fisico nella nuova gauge.

La teoria `
e invariante sotto le trasformazioni di gauge simultanee (2) e
(3).
La grandezza D = i hq A viene detta derivata covariante perch`e se
~ x) A
~ 0 (~x) = A(~
~ x) + (~x)
(~x) 0 (~x) = ei q (~x)/h (~x) e A(~
106

D (~x) D0 0 (~x) = ei q (~x)/h D (~x)


cio`e D (~x) si trasforma nello stesso modo di , da cui il nome. Inoltre:
D0 ei q (~x)/h (~x) = ei q (~x)/h D (~x)

D0 = ei q (~x)/h D ei q (~x)/h

* Linvarianza di gauge come origine dellinterazione


Notiamo che nel caso libero leq. iht = H con H = p2 /2m non `e
invariante sotto trasformazioni di fase locali (di gauge)
(~x, t) 0 (~x, t) = ei(x) (~x, t)
Del resto tale invarianza non `e da attendersi da un punto di vista fisico
in quanto per una particella libera lo spazio `e omogeneo e isotropo e non
si pu`o cambiare la fase in modo arbitrario nei diversi punti dello spazio.
Linvarianza per trasformazioni locali elimina ogni relazione tra i diversi punti
dello spazio-tempo. Per ripristinare tale relazione si pu`o per`o introdurre
un campo che venga anchesso trasformato localmente. Infatti, scrivendo
2
~
H = (~p A(x))
/2m la teoria diventa invariante sotto le trasformazioni

simultanee:

~
~ 0 (x) = A(x)
~
A(x)
A
+h

(~x, t) 0 (~x, t) = ei(x) (~x, t) e

Dunque la richiesta di invarianza sotto trasformazioni di fase locali porta


~ t) e, inoltre, ne determina il modo di
a introdurre un campo vettoriale A(x,
interazione con la materia (accoppiamento minimale). (Non `e detto che
tale campo vada identificato col campo e.m.)
~ = A(x),
~
Notiamo infine che, in presenza di un campo magnetico B
2
~
leq. di evoluzione `e iht = H, dove H = (~p q A(x))
/2m. Definendo

ora

(~x, t) = e

iq/
h

Rx

107

x0

~ x
Ad~

(~x, t)

(20.5)

sembrerebbe che 0 (~x, t) verifichi leq. libera


iht 0 = H0 0
dove H0 = p2 /2m `e lhamiltoniana libera. Tuttavia nella (5) 0 non `e verR
~ d~x} non
amente una funzione in quanto il fattore di fase exp{iq/h xx0 A

dipende solo dal punto ~x ma anche dal percorso tra ~x0 e ~x. Solo quando
H
~ d~x = 0 (quindi non vi `e campo
tale fattore di fase `e integrabile, cio`e A
magnetico) la (5) rappresenta una funzione. Tuttavia tale espressione pu`o

essere utile per ragionamenti intuitivi relativi al comportamento di una carica


in campo magnetico.

108

21. Campo e.m. e Oscillatore Armonico


Consideriamo il campo e.m. in assenza di cariche e di correnti (~j = 0; =
0). Allora per i potenziali si pu`o scegliere la condizione di gauge
=0 ;

~=0
A

Le Ai (~x) costituiscono le coordinate generalizzate del nostro sistema, cio`e ne


rappresentano i gradi di libert`a.
Le eq. del moto per Ai (~x)
1 2
Ai (~x) 2 Ai (~x) = 0
c2 t2

(21.1)

sono eq. accoppiate, nel senso che la dipendenza temporale del grado di
libert`a Ai (~x) dipende (tramite le derivate) anche da Ai (~x + d~x), cio`e dai
gradi di libert`a vicini.
Sia Fi (~k; t) la trasformata di Fourier di Ai (~x):
Fi (~k; t) =

1 Z +
~
Ai (~x; t)eik~x d3 x
3/2
(2)

Allora si ha lantitrasformata:
1 Z + ~
~
Ai (~x; t) =
Fi (k; t)eik~x d3 k
3/2
(2)

(21.2)

e il fatto che Ai (~x; t) sia reale implica che Fi (~k) = Fi (~k).


Dalla (1) si ottengono come eq. del moto per Fi (~k)
1 2
Fi (~k) + k 2 Fi (~k) = 0
2
2
c t
Queste sono del tipo:
d2
qn + n2 qn = 0
dt2

dove n (i, ~k)


109

(21.3)

cio`e sono le eq. del moto di infiniti O.A. disaccoppiati. Dunque considerando
le Fi (~k) come coordinate generalizzate per il sistema, si vede che ciascuna
di esse verifica leq. di un O.A.. Il campo e.m. libero (cio`e in assenza di
cariche e correnti) pu`o essere considerato come un insieme di () O.A.. Ora,
secondo il punto di vista classico, nello stato di vuoto il campo e.m e nullo.
Ma dal punto di vista quantistico, se i gradi di libert`a del campo sono degli
O.A., lo stato di vuoto (cio`e di minima energia) per il campo e.m. non
~ x; t) = 0 ( Fi (~k; t) = 0) ~k, cio`e allassenza di
pu`o corrispondere a A(~

campo, ma unicamente allannullarsi del valor medio del campo:


< Fi (~k) >0 = 0

< F i (~k) >0 = 0

~k

mentre il valor medio del quadrato `e diverso da zero anche nel vuoto.
Ci`o permette di spiegare tra laltro il fenomeno dellemissione spontanea
dei fotoni. Si consideri ad es. un atomo didrogeno in un autostato di H0 =
p2 /2m e2 /r diverso da quello fondamentale. Il sistema, anche se isolato,
irraggia. Perch`e, se si tratta di uno stato stazionario, nel quale quindi non

cambia niente? Il punto `e che si deve tener conto anche del campo e.m., per
cui lhamiltoniana del sistema non `e solo quella di un elettrone nel potenziale
coulombiano ma:

~ 2 e2
(~p eA)
+ Hem =
2m
r
~+A
~ p~ + e2 A2
p~ A
= H0 +
+ Hem
2m
`e lhamiltoniana del campo e.m.. Supponiamo che il sistema stia
H=

dove Hem

a un certo istante nello stato |1 ; 0 >, dove H0 1 = E1 1 e |0 > indica


~ >= 0, cio`e |0 >
lo stato di minima energia del campo e.m. Se fosse A|0

~ appartenente allautovalore zero e quindi A


~ avesse con
fosse autostato di A
certezza il valore zero, si avrebbe anche H|1 ; 0 >= E1 |1 ; 0 >. Lo stato
|1 ; 0 >, essendo autostato dellhamiltoniana totale, sarebbe stazionario e
110

~ >6= 0, |1 ; 0 > non `e


non si avrebbe irraggiamento. Invece, essendo A|0
autostato di H e il sistema pu`o compiere una transizione da |1 ; 0 > a |2 ; f >
con emissione di fotoni.

Per essere pi`


u precisi si deve tener conto della condizione di trasversalit`a
~ = 0 ki Fi (~k) = 0; per cui, in assenza di cariche e correnti, F~ (~k) ha
A
solo due componenti indipendenti ~k, quelle ortogonali a ~k, corrispondenti
ai due stati dipolarizzazione del fotone. Per queste componenti si trova:

< Fi (~k)Fj (k~0 ) >0 =

(~k~k 0 )ij
20

h
~ ~ 0
< F i (~k)F j (k~0 ) >0 =
(kk )ij
20

Pertanto anche nel vuoto il campo e.m. `e presente come fluttuazione


quantistica, cio`e ha probabilit`a non nulla di essere diverso da zero, cos`i come
per un O.A. meccanico anche nello stato di minima energia una misura della
posizione pu`o dare un risultato diverso da quello corrispondente al minimo
del potenziale.
Per non dover specificare da prima che si stanno considerando le componenti trasverse, si pu`o scrivere:
< Fi (~k)Fj (k~0 ) >0 =

ki kj
(~k ~k 0 ) ij 2
20
k

che verifica automaticamente la condizione di trasversalit`a ki Fi (~k) = 0.


~ `e data da:
Lanaloga relazione per A
< Ai (~x, t)Aj (~y , t) >0 =

1 Z 3 3 0 i(~k~x+~k0 ~y)
dkdk e
< Fi (~k)Fj (k~0 ) >0 =
(2)3

!
!
h

ki kj
1 Z d3 k i~k(~x~y)
h

(x y)i (x y)j
ij
=
ij 2 =
e

20 (2)3

k
2c0 (~x ~y )2
|~x ~y |4

che verifica i < Ai Aj >= 0.

** Formalismo hamiltoniano per il campo e.m.


111

Per approfondire la corrispondenza tra campo e.m. e O.A. ricordiamo


che lenergia del campo e.m. `e data da:
1Z
U=
2

~ 2 d3 x
~2 + 1 B
0 E
0

(21.4)

Nella nostra gauge si ha:


~
~ = A = Ei (~x) = Ai (~x) = A i (~x)
E
t
t

(21.5)

cio`e Ei (~x) `e il momento coniugato di Ai (~x).


Per il teorema di Plancherel si ha:
Z

2 3

E d x=

A 2 (~x)d3 x =

|F 2 (~k)|d3 k

(21.6)

Inoltre:
Z

2 3

B d x=

~ 2 d3 x =
( A)

ijl j Al imp m Ap d3 x

dove `e sottintesa la somma sugli indici ripetuti.


Usando ijl imp = jm lp jp lm

si trova

2 3

B d x=

2 3

(j Al ) d x

(j Al l Aj )d3 x

(21.7)

Ora si ha:
j (Al l Aj ) = j Al l Aj + Al l j Aj

(21.8)

~ j Aj = 0, per cui
Lultimo termine della (8) `e zero nella gauge A

lintegrando dellultimo termine nella (7) si riduce a una derivata totale e


lintegrale `e zero (poiche i campi si annullano allinfinito per configurazioni
di energia totale finita).
Daltra parte la trasformata di Fourier di j Al `e ikj Fl , per cui
Z

(j Al )2 d3 x =

|kj Fl (~k)|2 d3 k =
112

k 2 |F |2 d3 k

Pertanto, otteniamo infine:


1Z 3
1
U=
d k{0 F i (~k) F i (~k) + k 2 Fi (~k) Fi (~k)}
2
0

(21.9)

che `e la somma delle energie di tanti () O.A. indipendenti.


Le eq. di Hamilton sono
qn =

H
pn

e identificando U con H, qn con

pn =

H
qn

0 Fi (~k) e pn con 0 F i (~k) si trova ~k:

F i (~k) = F i (k)
Fi (~k) = c2 k 2 Fi (~k)
che coincide con la (3) ed `e leq. del moto di un O.A.

113

22. Autovalori del momento angolare: Formulazione


algebrica

Consideriamo 3 operatori hermitiani che verificano


[La , Lb ] = ihabc Lc

(22.1)

L2 L2x + L2y + L2z

(22.2)

e loperatore

che, in conseguenza delle (1) verifica:


[L2 , La ] = 0

(22.3)

Dunque L2 e una sua componente a scelta possono essere diagonalizzati simultaneamente. Posto:

h2 ,m
L ,m =

Lz ,m = mh,m

(22.4)

(2) = m2

dobbiamo determinare i valori possibili per e m.


Introduciamo: L+ = Lx + iLy e L = Lx iLy = L+ , detti operatori
gradino, che verificano lalgebra equivalente alla (22.1):
[Lz , L+ ] = ihLy + h
Lx = h
L+

(22.5)

[Lz , L ] = ihLy h
Lx = hL

(22.6)

[L+ , L ] = 2hLz

(22.7)

Allora si ha:
[L2 , L+ ] = [L2 , L ] = 0 = L2 L ,m = h2 (L ,m )
114

mentre:
Lz L+ ,m = Lz (Lx + iLy ),m = (Lx Lz + ihLy + iLy Lz + h
Lx ),m =
= (Lx + iLy )(Lz + h
),m = (m + 1)hL+ ,m
cio`e:
Lz L+ ,m = (m + 1)hL+ ,m

(22.8) = L+ ,m

%
=
&

(22.8)

,m+1
(22.9)
0

Analogamente:
(22.6) = L ,m =

%
&

,m1
(22.10)
0

La scelta delle % delle (22.9) e (22.10) = se mh `e autovalore di Lz anche


(m 1)h lo sono, a meno che:
L+ ,m = 0
o
L ,m = 0

Quando possono verificarsi queste condizioni? Consideriamo:


kL+ ,m k2 = hL+ ,m , L+ ,m i = h,m , L L+ ,m i =
Lz ),m = ( m(m + 1))h2 h,m , ,m i
= h,m , (L2 L2z h

= L+ ,m = 0 se e solo se

m(m + 1) =

(22.11)

Analogamente si trova:
L ,m = 0 se e solo se

m(m 1) =

(22.12)

avendo fatto uso delle relazioni:


Lz
L L+ = L2x + L2y + i[Lx , Ly ] = L2x + L2y h
115

(22.13)

e
L+ L = L2x + L2y i[Lx , Ly ] = L2x + L2y + h
Lz

(22.14)

Ora la (22.4) comporta che che il valore di m non pu`o aumentare o


diminuire indefinitamente, per cui a partire da ogni m applicando k volte
L+ si deve arrivare a un valore massimo m+ = m + k tale che:
L+ ,m+ = 0

= m+ (m+ + 1) =

(22.15)

Analogamente, applicando p volte L si deve arrivare a un valore minimo


m = m p tale che:
L ,m = 0

= m (m 1) =

(22.16)

Da queste relazioni si vede che lazione degli operatori gradino non si interrompe mai finche il valore di m non diventa il massimo (minimo) possibile;
dunque agendo con L su m+ non si ottiene mai zero finche non si arriva a
m e viceversa agendo con L+ su m non si ottiene mai zero finche non
si arriva a m+ .
Pertanto:
n intero 0

m+ = m + n

%
Ora (22.13) e (22.14) = m =
&

(22.17)

m+

m+ + 1
(da scartare)
n
Dunque: (??) = 2m+ = n , cio`e m+ = l
2

n n
=
+ 1 = l(l + 1)
2 2
cio`e:
n
n
m
degenerazione : n + 1 = 2l + 1
2
2

116

Gli operatori gradino sono estremamente utili per calcolare molte quantit`a.
Ad es. per il valor medio di Lx in un autostato di Lz si ha:
< Lx >m =

1
< L+ + L >m = 0
2

e lo stesso per Ly . Analogamente


< L2+ >m = 0 =< L2x L2y + i(Lx Ly + Ly Lx ) >m
< L2 >m = 0 =< L2x L2y i(Lx Ly + Ly Lx ) >m
da cui
< L2x L2y >m = 0 < L2x >m =< L2y >m
Pertanto in un autostato di L2 e Lz , in cui < L2 >lm =< L2x + L2y + L2z >lm =
l(l + 1)h2 , si ha:
< L2x >lm = < L2y >lm = h
2 [l(l + 1) m2 ]/2

Armoniche Sferiche
Le autofunzioni normalizzate del momento angolare orbitale nella rappresentazione delle coordinate sono note come armoniche sferiche. Esse verificano:

2 m

h2 Ylm (, )
l Yl (, ) = l(l + 1)

e sono date da:

lz Ylm (, ) = mhYlm (, )

Ylm (, ) = Nlm Plm (cos )eim


117

Il fattore di normalizzazione `e fissato in modo che:


Z

dYlm
(, )Ylm (, ) = ll0 mm0
0

dove d = sendd `e lelemento di angolo solido e Plm (cos ) sono le funzioni


associate di Legendre.
Per m = 0 si hanno i polinomi di Legendre: Pl (cos ). Ponendo x =
cos [1, 1], si usa la normalizzazione convenzionale: Pl (1) = 1.

I Pl (x) costituiscono lortogonalizzazione delle potenze nellintervallo [1, 1]


e i primi di essi sono:
P0 (x) = 1 ;

1
P2 (x) = (3x2 1) ;
2

P1 (x) = x ;

ecc.

Si pu`o dimostrare che (per m > 0):


Plm (x) = (1)m (1 x2 )m/2
In particolare:

dm
Pl (x)
dxm

Pll (cos ) (1)l (sin )l .

Del resto, dalla forma di lx e ly in coordinate sferiche si trova:


l+ = lx + ily = h
e
Posto:

l,l (, ) = ()eil

+ i cot

si ha:

l+ ll = 0 = h
e
cio`e

i(l+1)

d
cos
l

d
sin

d
cos

=l
= ln
= ln(sin )l
d
sin
0
= () = 0 (sin )l

cio`e Yll (, ) = Nl (sin )l eil


118

Analogamente si ha:

l+

l = lx ily =
da cui:

= he

i cot

Yll (, ) = Nl (sin )l eil

Per riflessione (parit`a) si ha:


Ylm ( , + ) = (1)l Ylm (, )

Incompatibilit`a dei valori semiinteri per il momento angolare orbitale


Se l = 1/2 fosse un valore ammissibile si avrebbe
1 , 1 (, ) =

2 2

sin ei/2

da cui:
e
l 1 , 1 = h
2 2

i/2

cos
1 cos

+
2 sin 2 sin

h
i/2
e
cot sin
2

che non `
e proporzionale a 1 , 1 in quanto
2

1 , 1 (, ) =
2

sin ei/2

Inoltre risulta:
3

2
l
1 , 1 ei 2 (sin )3/2
2 2

che non solo non `e nulla, ma non `e neppure di L2 rispetto alla misura d =
sin d d. Pertanto valori semiinteri di l non sono accettabili.
Da un altro punto di vista, perche ~l sia ben definito come operatore differenziale le funzioni su cui agisce devono essere a un sol valore: = l intero.

119

23. Equivalenza di tutte le direzioni

Sapendo che un sistema si trova nellautostato lmz di ~l2 e della componente lz , qual `e il risultato di una misura della componente di ~l lungo un
asse n
che forma con z un angolo ?
Siccome
ln = ~l n
= lx (
xn
) + ly (
yn
) + lz (
zn
)
per il valor medio di ln nello stato lmz si ha:

hln il,mz = hlmz , ln lmz i = mz h


cos

(23.1)

avendo usato hlx imz = hly imz = 0.

Dunque hln i varia con continuit`a con , come la proiezione classica, e non

`e necessariamente un multiplo intero di h


. Ci`o non significa per`o che il valore
di ln vari con continuit`a. Per lequivalenza di tutte le direzioni (isotropia dello

spazio) i valori che ln pu`o assumere sono quantizzati, e ogni misura di ln pu`o
dare solo mn h
come risultato, con mn intero compreso tra l e l.

Se il sistema si trova in un autostato di lz (e quindi `e certo il risultato

di una misura di tale componente) il valore di ln (


n 6= z) non `
e definito

(tranne che per l = 0), e viceversa.

Tutto ci`o che possiamo conoscere `e la probabilit`


a (che dipende da ) di
trovare mn come risultato di una misura e si ha:
P (mn ; ) = |cmz mn ()|2
dove le c sono i coefficienti dello sviluppo:
lmz =

l
X

cmz mn () lmn

mn =l

e sono dati da cmz mn = (lmn , lmz ).


120

(23.1)

Ad esempio, per l = 1 si hanno 3 autostati di lz che, a meno di fattori di


fase, sono:
Y11 (, ) = N11 sin ei = N11
Y10 (, ) = N10 cos = N10

x iy
r

(3a)

z
r

(3b)

Volendo studiare la probabilit`a dei risultati


di una misura di lx quando il sistema si trova
nello stato l = 1 , mz = 1, si deve sviluppare Y11 in autostati di lx . Per trovare i tre
autostati di lx (per l = 1) basta considerare gli assi opportunamente permutati, cos`
da scegliere come asse polare lasse x. Si ha
allora
Ye11 (0 , 0 ) = N11
Ye10 (0 , 0 ) = N10

x0 iy 0
r

z0
r

dove 0 , 0 sono gli angoli polari nel nuovo riferimento. Da cui:


Y11 (, ) = N11

z 0 + ix0
N11 e 0 i e 1 e 1
Y + ( Y1 + Y1 )
=
r
N10 1
2

Pertanto, nello stato caratterizzato da l = 1 e mz = 1, la probabilit`a di


osservare lx = h
`e P (mx = +1) = |c11 |2 = 14 , quella di osservare lx = h `e
1
P (1) = |c11 |2 = 14 e quindi quella di osservare lx = 0 `e P (0) = .
2

121

24. Momenti angolari e rotazioni


Consideriamo la rotazione di un vettore ~r mentre gli assi restano fissi.
Per una rotazione di un angolo attorno a z il vettore trasformato di ~r `e
dato da:
~r 0 = Rz () ~r
dove la matrice Rz () `e:

cos sin 0

Rz () = sin cos 0

0
0
1

(1a)

Analogamente

1
0
0

Rx () = 0 cos sin

0 sin cos

cos 0 sin

0
1
0
Ry () =

sin 0 cos

come si ottiene subito per permutazione ciclica degli indici (x, y, z).
Dato che le rotazioni conservano la lunghezza dei vettori, in D=3 dimen` importante
sioni a ogni rotazione corrisponde una matrice ortogonale 33. E
notare che rotazioni attorno ad assi diversi non commutano tra loro, cio`e
lordine `e importante. Ad esempio per infinitesimo si ha:
Rx ()Ry () Ry ()Rx () = Rz ( 2 ) 1

(24.2)

trascurando i termini di ordine superiore a 2


In generale, per una rotazione infinitesima di attorno allasse n
il trasformato di ~r `e
~r 0 = Rn () ~r ' ~r
n ~r = (1 + In )~r

(24.3)

che definisce la matrice 3 3 In . In particolare, le matrici Ii relative a


rotazioni attorno agli assi coordinati sono date da (Ii )jk = jik .
122

Ora, ogni rotazione finita pu`o essere vista come successione di rotazioni

infinitesime attorno allo stesso asse, per cui:


Rn () = lim

Le grandezze
rotazioni
e

dRi
Ii =

d =0

Ri Ri = 1 = Ii = Ii

1 + In
N

= exp (In )

(24.4)

sono dette generatori infinitesimi delle

Inoltre dalla relazione di commutazione (2) per infinitesimo, sviluppando


Rn () al secondordine segue:
Rn () = 1 + In +

2 2
I = [Ix , Iy ] = Iz
2 n

(24.5)

Vediamo dunque che


1. Rotazioni attorno ad assi diversi non commutano.
2. I commutatori tra i generatori infinitesimi delle rotazioni sono analoghi
a quelli tra le componenti del(l operatore associato al) momento angolare.
Questa analogia non `e casuale, ma corrisponde al fatto che:
una rotazione nello spazio fisico induce una trasformazione nello
spazio di Hilbert degli stati di un sistema, e i generatori infinitesimi di tale trasformazione sono proporzionali agli operatori di
momento angolare.
Infatti, se gli stati del sistema sono descritti da funzioni donda scalari
per rotazioni, il sistema ruotato di un angolo attorno a z sar`a descritto
123

, ) che nel punto P 0 = Rz ()P trasformato


da una funzione donda (r,
di P ha lo stesso valore che la (r, , ), che descrive il sistema prima della
rotazione, ha nel punto P .
Dunque la rotazione Rz () induce una trasformazione tra gli stati del
sistema descritta da un operatore D(Rz ()) tale che:
, ) = D(Rz ())(r, , ) = (r, , )
(r,
Per infinitesimo si ha:

(r, , ) ' (r, , ) = 1 lz (r, , )

(24.6)

Confrontando con la (3) si vede che si ha la corrispondenza:


Iz

i
lz
h

(24.7)

per cui alla relazione di commutazione (5) corrisponde:


[Ix , Iy ] = Iz = [lx , ly ] = ihlz

(24.8)

Pertanto la non commutativit`a delle componenti del momento angolare riflette il fatto che tali operatori generano rotazioni attorno ad assi diversi e
queste non commutano tra loro.
Con lo stesso ragionamento di prima, per una rotazione finita, vista come
successione di rotazioni infinitesime attorno allo stesso asse, si ha:
(r, , ) =
=

lim

lim

i
1
lz
h
N


1
N

!N

(r, , ) =

i
(r, , ) = exp lz (r, , )(24.9)
h

per cui:

D(Rz ()) = exp i lz /h


124

(24.10)

e analogamente per le altre direzioni.


In generale, date delle coordinate generalizzate {qi }, a una traslazione

qi qi + a corrisponde nello spazio di Hilbert degli stati del sistema una

trasformazione il cui generatore infinitesimo `e (i/h)


pi , dove pi `e loperatore
associato al momento coniugato di qi .
Dati due sistemi di coordinate {qi } e {qi0 }, se traslazioni relative a

coordinate diverse (qi qi + a e qj0 qj0 + b) commutano (come ad esempio

le traslazioni delle coordinate cartesiane ortogonali) i corrispondenti momenti

coniugati commutano tra loro. Se invece le trasformazioni delle coordinate


non commutano (ad esempio le rotazioni) i corrispondenti momenti coniugati
non commutano tra loro.
Generatori delle trasformazioni in meccanica classica
Anche nella formulazione hamiltoniana della meccanica classica `e utile
introdurre i concetti di trasformazione nello spazio delle fasi (che `e il corrispondente classico dello spazio degli stati in M.Q.) e di generatore di tale
trasformazione. Ricordiamo che una trasformazione q Q = Q(q, p)

; p P = P (q, p) `e detta canonica se conserva le parentesi di Poisson

{qi , qj } = 0, {pi , pj } = 0, {qi , pj } = ij . Si pu`o dimostrare che la pi`


u generale

trasformazione canonica infinitesima pu`o essere scritta nella forma


Qi = qi + {qi , F }

Pi = pi + {pi , F }

dove la funzione F (q, p) viene detta generatore della trasformazione.


Si vede che la Hamiltoniana del sistema genera le traslazioni temporali.
Infatti:
qi (t) Qi (t) = qi + {qi , H} = qi + qi = qi (t + )
pi (t) Pi (t) = pi + {pi , H} = pi + p i = pi (t + )
125

Analogamente il momento lineare genera le traslazioni spaziali. Infatti:


Qi = qi + j {qi , pj } = qi + i
Pi = pi + j {pi , pj } = pi
mentre la componente lungo un asse del momento angolare genera le rotazioni
attorno a quellasse.
Una variabile dinamica A(q,p) `e invariante sotto la trasformazione canonica infinitesima generata da F (q, p) se e solo se {A, F } = 0

126

25. Lo Spin

Non `e per`o detto che per descrivere lo stato di un sistema fisico sia sufficiente una sola funzione donda. Ad esempio, lo stato del campo elettrico `e
~
descritto da un campo vettoriale E(x,
y, z), cio`e da 3 funzioni del punto che si
trasformano tra loro per rotazioni. In altre parole, in seguito a una rotazione
Rz () del sistema le componenti del nuovo campo elettrico non sono date da
Ei (r, , ) = Ei (r, , ) ma da
Ex (r, , ) = cos Ex (r, , ) sin Ey (r, , )
e cos`i via.
Analogamente, risulta che lelettrone, il protone, il neutrone e altre particelle hanno un momento angolare intrinseco, detto spin, la cui componente
lungo una direzione arbitraria pu`o assumere solo i valori

h
2

o h2 . Lo spin

di una particella `e un grado di libert`a addizionale rispetto a quelli spaziali.


Dal punto di vista quantistico ci`o significa che gli operatori relativi ai gradi
di libert`a spaziali (q e p) commutano con quelli, ~s, relativi allo spin:
[~q, ~s] = 0,

[~p, ~s] = 0,

ecc...

Dunque per descrivere completamente lo stato di un elettrone occorre


assegnare in ogni punto dello spazio due ampiezze di probabilit`a, che possiamo indicare con (x, y, z) e + (x, y, z). Cio`e, lelettrone ha probabilit`a
| (x, y, z)|2 di trovarsi nel punto (x, y, z) con componente dello spin h/2

lungo una direzione prescelta e probabilit`a |+ (x, y, z)|2 di trovarsi nello

stesso punto (x, y, z) ma con componente dello spin +h/2.

Le due ampiezze si trasformano tra di loro per rotazioni. Cio`e, in seguito


a una rotazione Rz () non si ha (r, , ) = (r, , ), ma:
127

(r, , ) = a11 (r, , ) + a12 + (r, , )


+ (r, , ) = a21 (r, , ) + a22 + (r, , )

Per la conservazione della probabilit`a la matrice aij deve essere unitaria.


Infatti, usando il formalismo alla Dirac e limitandoci alla parte di spin dello
stato, in seguito a una rotazione Rz () si ha:
|i | 0 i = M (Rz ()) |i
per cui
h 0 | 0 i = h|M M |i

M M = 1

Lo spazio degli stati `e dunque il prodotto diretto H = L2

S, dove S `e uno

spazio vettoriale a due dimensioni. Il prodotto scalare in H e definito come:


h|i =

(1 (~x)1 (~x) + 2 (~x)2 (~x)) d3 x

Per una rotazione Rn () nello spazio fisico, lo stato H si trasforma in


i
= D(Rn ()) = e h Jn

dove Jn `e la componente del momento angolare totale del sistema. Questo


`e la somma del momento angolare orbitale, ~l che opera nello spazio L2 , e
del momento angolare intrinseco (detto spin dal verbo inglese che significa
ruotare su se stessi), ~s, che opera nello spazio S a due dimensioni:
J~ = ~l + ~s
N
N
o meglio J~ = ~l 1 + 1 ~s, perch`e ~l e ~s agiscono su spazi diversi.

Questi operatori verificano le regole di commutazione tipiche dei momenti

angolari:
[Ja , Jb ] = ihabc Jc , [la , lb ] = ihabc lc , [sa , sb ] = ihabc sc
128

e inoltre [la , sb ] = 0. Dunque gli autovalori di l 2 e la sono l(l + 1)h2 e mh con


l ed m interi, mentre quelli di s2 e di sa sono s(s + 1)h2 e h con s = 1/2 e
= 1/2.

Le due ampiezze di probabilit`a che occorre specificare per individuare

lo stato di un elettrone corrispondono ai due possibili valori di una componente (arbitraria) dello spin, sn = h/2. Invece, la grandezza dello spin
dellelettrone e sempre s(s + 1)h2 = 3h2 /4 essendo s = 1/2.

Occorre tener presente che, essendo i valori di sn semiinteri, lo spin non


pu`o essere considerato come il momento angolare orbitale dovuto alla rotazione di una particella estesa su se stessa, anche se spesso `e conveniente
considerarlo tale sul piano intuitivo. Inoltre, in tal caso dovrebbe essere
possibile modificarne la grandezza mentre questa `e fissa ed `e possibile solo
variarne lorientazione. Dunque lo spin va considerato come una grandezza
intrinseca che occorre assegnare per specificare lo stato di un elettrone. Un
sistema che abbia due componenti che si trasformano tra loro per rotazioni
come + e viene detto spinore.

0
1
rappree =
Fissiamo la fase relativa in modo che + =
1
0
sentino i due stati dello spazio S corrispondenti a spin in su e a spin in
giu lungo la direzione z, cioe gli autostati di sz :
sz + =

+ , s z =
2
2

Ogni stato del sistema pu`o scriversi come:


= + (x, y, z)

1
0

+ (x, y, z)

0
1

+ (x, y, z)
(x, y, z)

In questa base loperatore sz e rappresentato dalla matrice


sz =

h
2

1 0
0 1

= h2 z
129

Siccome s+ + = 0 mentre s+ = + , con la scelta della fase fatta si ha


chiaramente:
s+ = h

0 1
0 0

; s =

s+

=h

0 0
1 0

Essendo sx = (s+ + s )/2 e sy = i(s+ s )/2 si ottiene;


sx =

h
2

0 1
1 0

= h2 x

; sy =

h
2

0 i
i 0

= h2 y

Le tre matrici x , y e z , dette matrici di Pauli, verificano:


[a , b ] = 2iabc c
e

i2 = 1 , a b + b a = 0 per a 6= b

Queste ultime due relazioni sono equivalenti alla regola di anticommutazione


a b + b a {a , b } = 2ab
Tutte queste propriet`a si riassumono nellalgebra di Clifford:
a b = ab 1 + iabc c
Le tre matrici di Pauli formano un insieme completo tra le matrici 2 2 a

traccia nulla, e insieme alla matrice identit`a formano un insieme completo


tra tutte le matrici 2 2.

Una importante propriet`a dei sistemi a spin 1/2 segue dal loro compor-

tamento sotto rotazioni di 2. Scegliendo, al solito, lasse z come asse di


rotazione il vettore di stato si trasforma in
i
i
= D(Rz (2)) = e h 2Jz = e h 2(lz +sz )

130

La parte orbitale `e descritta da funzioni a un sol valore che quindi restano


invariate dopo una rotazione di 2. Per la parte di spin si ha invece:
ei2sz /h =
perch`e sz = h2 . Dunque, dopo una rotazione di 2, quando sembra

che non sia cambiato nulla, il vettore di stato di un sistema a spin 1/2 cambia
di segno. Questa importante propriet`a dei sistemi a spin 1/2 `e suscettibile
di verifica sperimentale. Naturalmente, cambiando segno a tutti i vettori di

stato non si ha alcun effetto osservabile. Leffetto del cambiamento di segno


negli stati di spin 1/2 conseguente a rotazioni di 2 `e stato pertanto osservato
facendo interferire uno stato ruotato con uno non ruotato.
Dinamica delle particelle a spin 1/2: equazione di Pauli
Pauli propose che lequazione di evoluzione temporale per gli stati di una
particella a spin 1/2 si ottenga sostituendo (~ ~ ) al posto di ~ nella parte

cinetica dellhamiltoniana, dove ~ `e il momento cinetico della particella. Si


ottiene cos`i lequazione:
iht =

1
(~ ~ )2 + V (r) 1
2m

dove `e uno spinore e 1 `e lidentit`a nello spazio dello spin. In termini delle
due componenti + e si ha:
iht

+ (x, y, z; t)
(x, y, z; t)

1
(~ ~ )2
=
2m

+ (x, y, z; t)
(x, y, z; t)

+V (r)

+ (x, y, z; t)
(x, y, z; t)

Nel caso di interazione solo con un potenziale scalare, il momento cinetico


coincide col momento coniugato e per le propriet`a dellalgebra di Clifford si
ha:
(~p ~ )2 = pi i pj j = pi pj i j = pi pj (ij 1 + iijk k ) = p2 1
131

dato che il prodotto pi pj `e simmetrico negli indici.


Dunque, in questo caso lequazione di Pauli coincide con lequazione di
Schrodinger separatamente per ciascuna componente di e levoluzione `e
indipendente dallo spin; cio`e lo stato di spin non `e modificato per interazione
con un potenziale scalare. Invece, in presenza di un campo magnetico si ha
~ e lequazione di Pauli diventa:
~ = p~ eA
iht =

1
~ ~ )2 + V (r) 1
((~p eA)
2m

Ora:
~ ~ )2 = pi pj i j + e2 Ai Aj i j e(pi Aj + Ai pj )i j =
((~p eA)
~ 2 ieijk (pi Aj Aj pi )k =
= (~p eA)

~ 2 ieijk (ihi Aj )k =
= (~p eA)

~ 2 eh~ B
~
= (~p eA)

Si vede che una particella carica con spin anche da ferma (ossia per ~ =
~ = 0) ha necessariamente un accoppiamento al campo magnetico, cio`e
p~ eA
ha un momento magnetico
~=

e
~s.
m

Una particella classica di carica e e massa m con momento angolare orbitale


e ~
~l ha un momento magnetico
l. Dunque al momento angolare di spin
~ = 2m
`e associato un momento magnetico doppio di quello che sarebbe associato a
un momento angolare orbitale.
Per lelettrone, la quantit`a B =

e
h
2me

= 9, 274 1024 joule/tesla `e nota come

magnetone di Bohr. La teoria prevede quindi che leletrone abbia un

momento magnetico intrinseco = ge B con fattore giromagnetico ge = 2.


Sperimentalmente risulta geexp = 2 1, 0011596522(4)

La discrepanza `e attribuita allinterazione dellelettrone con le fluttuazioni


del vuoto del campo e.m.. Tenendo conto di questi effetti la teoria prevede
132

geteo = 2 1, 0011596524(6). Sembra proprio che non sia del tutto fuori
strada!

133

26. **Lo spin e il gruppo SU (2)


Il fatto che uno stato di spin 1/2 cambi segno in seguito a una rotazione
di 2 pu`o sembrare sorprendente in quanto tale trasformazione equivale
allidentit`a e quindi ci si dovrebbe aspettare che non ci siano cambiamenti
nello stato. Ma, mentre in fisica classica si suppone di poter descrivere lo
stato di un sistema direttamente in termini di grandezze osservabili (o di
grandezze da cui gli osservabili si ottengono con operazioni lineari, come
~ = A),
~ nella descrizione quantistica lo stato fisico del sistema `e rapB

presentato da un vettore di uno spazio di Hilbert che non `e univocamente


definito ma `e individuato a meno di un fattore di fase. Il vettore di stato non

`e, per`o, osservabile, mentre le grandezze osservabili (quali le probabilit`a, che


sono moduli quadri di prodotti scalari) dipendono da bilineari nel vettore di
stato e quindi non risentono degli arbitrari fattori di fase. Dunque, mentre
per una grandezza osservabile si deve richiedere che il suo valore non cambi
in seguito a una rotazione di 2, ci`o non `e necessariamente vero per il vettore
di stato che pu`o variare per un fattore di fase.
Una richiesta naturale `e invece che sotto un gruppo continuo di trasformazioni il vettore di stato vari con continuit`a al variare della trasformazione.
Si consideri pertanto nello spazio dei parametri del gruppo una curva chiusa
( ), cio`e una successione di trasformazioni T ( ), parametrizzate da , che
partono dallidentit`a per = 0 (T (0) = 1) e tornano allidentit`a per = 1
(T (1) = 1). Queste trasformazioni nello spazio fisico inducono delle trasformazioni nello spazio degli stati:
T ( ) |i |( )i = D( )|i
Alla trasformazione identica associamo loperatore identit`a nello spazio degli
stati, dunque D(0) = 1; deve necessariamente aversi anche D(1) = 1?
134

Se la curva ( ) `e contraibile deve essere D(1) = 1 perch`e la trasfor-

mazione iniziale e quella finale possono essere portate a coincidere con continuit`a. Viceversa se ( ) non `
e contraibile si pu`o anche avere D(1) = ei 1,

cio`e |(1)i = ei |i.

Pertanto, se lo spazio dei parametri di un gruppo continuo di trasfor-

mazioni `e semplicemente connesso (cio`e ogni curva chiusa in esso `e contraibile) la rappresentazione unitaria indotta nello spazio degli stati deve
verificare D(1) = 1, mentre ci`o non `e necessario se il gruppo non `e semplicemente connesso.

In altre parole, se il gruppo non `e semplicemente connesso a ogni elemento


del gruppo possono corrispondere pi`
u operatori nello spazio degli stati; si dice
allora che la rappresentazione non `e fedele ma proiettiva.
Per chiarire meglio questo importante punto ricordiamo anzitutto che un
insieme G di elementi {g} forma gruppo se esso ha le seguenti propriet`a:
E definito un prodotto che a ogni coppia di elementi del gruppo ne
associa un terzo: g1 , g2 G

g 1 g2 = g3 G

Tale prodotto `e associativo: g1 (g2 g3 ) = (g1 g2 ) g3 ;


Esiste un elemento identit`a e tale che eg = g = ge g G;
g G esiste linverso g 1 tale che g g 1 = e.
Notiamo che in generale il prodotto non `e commutativo, cio`e g1 g2 6= g2 g1 .

I parametri di un gruppo sono le variabili indipendenti che identificano gli


elementi del gruppo stesso.

Ora, a ogni rotazione `e associata una matrice ortogonale 3 3, cio`e tale

che R RT = 1 = RT R; viceversa si pu`o vedere che a ogni matrice ortogonale


3 3 unimodulare (det R =1) `e associata una rotazione. Linsieme delle
135

rotazioni forma gruppo nel senso che a una successione di due rotazioni `e
associata la matrice prodotto delle rispettive matrici. Alla rotazione nulla
`e associata la matrice identit`a e alla rotazione inversa la matrice inversa. Il
gruppo delle matrici 3 3 ortogonali unimodulari, isomorfo alle rotazioni in
uno spazio a tre dimensioni, `e indicato come SO(3).

Una matrice 3 3 ha 9 elementi. Poich`e la condizione di ortogonalit`a

R RT = 1 = RT R fornisce 6 relazioni indipendenti, si vede che occorrono


3 parametri per individuare R. Pertanto una rotazione `e identificata da 3
parametri. Infatti la si pu`o identificare mediante gli angoli di Eulero oppure
mediante un segmento che ha come direzione quella del versore, n
, dellasse
di rotazione e la cui lunghezza corrisponde allangolo di rotazione. Ora una
rotazione di attorno a n
`e identica a una di 2 attorno a
n. Pertanto

le rotazioni sono in corrispondenza biunivoca con i punti di una sfera piena


di raggio purch`e i punti diametralmente opposti sulla superfice (rotazione
di attorno a n
e attorno a
n) vengano identificati. Questa variet`a `e

dunque lo spazio dei parametri di SO(3), e a causa della identificazione dei


punti diametralmente opposti risulta topologicamente non banale.

Si pu`o vedere che il gruppo delle rotazioni SO(3) non `e semplicemente ma


doppiamente connesso, cio`e le curve chiuse nello spazio dei parametri o sono
contraibili o il loro doppio `e comunque contraibile. Quindi a una rotazione
di 2 non deve necessariamente corrispondere loperatore identit`a, mentre
ci`o deve accadere per una di 4: D(4) = 1. Ma essendo D(4) = (D(2))2

si vede che D(2) = 1. Siccome Dn () = exp{ijn /h} si trova che in


meccanica quantistica sono possibili valori sia interi che semiinteri per le

componenti del momento angolare intrinseco.


Il pi`
u piccolo gruppo semplicemente connesso che contiene un gruppo G
1

Notiamo che RRT = 1 det R = 1. Le matrici con det R =-1 corrispondono a


una rotazione e una riflessione.

136

si chiama gruppo di ricoprimento di G. Si pu`o dimostrare che il gruppo

di ricoprimento di SO(3) `e isomorfo al gruppo delle matrici 2 2 unitarie

unimodulari, noto come SU (2), che si vede facilmente che ha tre parametri
indipendenti (e quindi tre generatori) come SO(3). Infatti ogni matrice M

SU (2) pu`o essere scritta usando quattro parametri reali (a0 e ~a) come M =
a0 1 + ~a ~ e la condizione di determinante unitario impone a20 + ~a2 = 1.

Dunque lo spazio dei parametri `e la sfera S 3 che `e una variet`a semplicemente


connessa. Pertanto gli stati di una particella con spin devono costituire delle
rappresentazioni fedeli di SU (2).
` chiaro che trasformazioni vicine allidentit`a non permettono di disE
tinguere se un gruppo `e o non `e semplicemente connesso. Pertanto lagebra
dei generatori risulta la stessa per un gruppo e per il suo gruppo di ricoprimento. In particolare lalgebra dei generatori delle rotazioni (SO(3)) `e la
stessa di quella dei generatori di SU (2). Per questo motivo dalle sole considerazioni algebriche per gli autovalori di li si trovano valori tanto interi che
semiinteri.

137

27. ADDIZIONE DEI MOMENTI ANGOLARI

Consideriamo un sistema composto da N parti, ognuna con momento angolare ~ji . Il momento angolare totale `e dato da
J~ =

N
X

~ji

i=1

Secondo la descrizione quantistica ai singoli momenti corrispondono degli


operatori che verificano:
[jia , jib ] = ihabc jic

(27.1)

mentre operatori corrispondenti a momenti angolari distinti commutano tra


loro:
[jia , jkb ] = 0

per i 6= k

(27.2)

Ne segue che anche gli operatori associati alle componenti del momento angolare totale verificano lalgebra:
[Ja , Jb ] = ihabc jc
Pertanto gli autovalori di J~2 sono della forma J(J + 1)h2 , con J intero o
semiintero, mentre quelli delle sue componenti sono M h
con J M J.

Consideriamo il caso della somma di due momenti angolari e poniamoci


la seguente domanda: Se ~j12 e ~j22 hanno ben definiti valori, che valori pu`o
assumere J~2 , dove J~ = ~j1 + ~j2 ?.
Notiamo che, siccome ~j1 e ~j2 operano su spazi distinti, sarebbe pi`
u corretto
scrivere J~ = ~j1 12 + 11 ~j2 , ma tutte le volte che non c`e ambiguit`a useremo

la notazione pi`
u leggera J~ = ~j1 + ~j2 .

Secondo i principi della meccanica quantistica occorre stabilire quali grandezze


sono compatibili, cio`e possono essere misurate simultaneamente. In base
138

alle relazioni di commutazione (1) e (2) si trova subito che:


[J~2 , ~ji2 ] = 0
[Jz , j1z ]

[~ji2 , jkz ] = 0

[Jz , j2z ]

ma si ha: [J~2 , jiz ] 6= 0. Ad es. [J~2 , j1z ] = 2ihazb j1b j2a = 2ih(j1x j2y j1y j2x ).
Del resto, usando J~2 = ~j12 + ~j22 + 2~j1 ~j2 = ~j12 + ~j22 + 2j1z j2z + j1+ j2 + j1 j2+ ,

`e chiaro che J~2 ha elementi di matrice non nulli tra stati con valori di miz
diversi.

Pertanto, come insieme massimale di osservabili compatibili si possono


scegliere ~j12 , j1z , ~j22 , j2z oppure ~j12 , ~j22 , J~2 , Jz . Cio`e, o si sceglie la base {|j1 , m1 ; j2 , m2 i}

definita da:

~ji2 |j1 , m1 ; j2 , m2 i = ji (ji + 1)h2 |j1 , m1 ; j2 , m2 i


jiz |j1 , m1 ; j2 , m2 i = mi h
|j1 , m1 ; j2 , m2 i

(i = 1, 2)

oppure la base {|j1 , j2 ; J, M i |JM i} definita da:


~ji2 |j1 , j2 ; J, M i = ji (ji + 1)h2 |j1 , j2 ; J, M ii
J~2 |JM i = J(J + 1)h2 |JM i ;

Jz |JM i = M h
|JM i

Chiaramente, in ogni sottospazio caratterizzato dai valori j1 e j2 , il numero


di stati indipendenti deve essere lo stesso nelle due basi.
Assegnati j1 e j2 , quali valori possono assumere J ed M ?
Per M `e facile, poich`e
Jz = j1z + j2z
dove

Mmin = j1 j2

Mmin M Mmax

Mmax = j1 + j2

cio`e:

j1 j2 M j1 + j2
139

Poich`e M J, fissato M = Mmax si vede che J ha almeno il valore J = j1 +j2 .

Valori maggiori di J non sono possibili in quanto comporterebbero la presenza

di stati con M > Mmax = j1 + j2 . Infatti, se nel sottospazio considerato


esistesse uno stato |J, M = j1 +j2 i con J > j1 +j2 agendo con J+ otterremmo

uno stato non nullo |J, M = j1 + j2 + 1i che non pu`o esistere. Quindi per J
si trova il valore massimo

Jmax = j1 + j2

(27.3)

Dunque ai valori Jmax e Mmax corrisponde un unico stato dellaltra base:


|Jmax , Mmax i = |j1 , j1 ; j2 , j2 i

(27.4)

Del resto, usando il fatto che ji,+ |j1 , j1 ; j2 , j2 i = 0 si vede subito che tale
stato `e anche autostato di J~2 e Jz .
Poniamo ora M = Mmax 1. Nella base {|j1 , m1 ; j2 , m2 i} a questo valore

corrispondono due stati indipendenti:


M = Mmax 1

|j1 , j1 1; j2 , j2 i
|j1 , j1 ; j2 , j2 1i

(27.5)

Nella base |J, M i un modo di avere M = Mmax 1 `e agendo con J su

|Jmax , Mmax i. Per avere un altro stato indipendente deve essere possibile il
valore:

J = Jmax 1 = j1 + j2 1

(27.6)

I due stati ortogonali |J = j1 + j2 ; M = j1 + j2 1i e |J = j1 + j2

1; M = j1 + j2 1i sono combinazioni lineari degli stati |j1 , j1 1; j2 , j2 i

e |j1 , j1 ; j2 , j2 1i Per trovare tali combinazioni lineari ricordiamo che con

opportuna scelta delle fasi si ha:


q

J |J, M i = h
J(J + 1) M (M 1) |J, M 1i
140

Essendo J = j1 + j2 , si trova:

J |j1 + j2 , j1 + j2 i = h
2(j1 + j2 ) |j1 + j2 , j1 + j2 1i =
= (j1 +j2 )|j1 , j1 ; j2 , j2 i = h

Pertanto:
|j1 + j2 , j1 + j2 1i =

2j1 |j1 , j1 1; j2 , j2 i +

j1
|j1 , j1 1; j2 , j2 i +
j1 + j 2

2j2 |j1 , j1 ; j2 , j2 1i

j2
|j1 , j1 ; j2 , j2 1i
j1 + j 2

Ci`o significa che nello stato |j1 + j2 , j1 + j2 1i la probabilit`a di trovare

m1 = j1 1 e m2 = j2 `e P (j1 1, j2 ) = j1 /(j1 + j2 ), mentre quella di trovare

m1 = j1 e m2 = j2 1 `e P (j1 , j2 1) = j2 /(j1 + j2 ).

Uno stato indipendente corrispondente allo stesso valore M = j1 + j2 1

`e dato dalla combinazione ortogonale:


|j1 + j2 1, j1 + j2 1i =

j2
|j1 , j1 1; j2 , j2 i
j1 + j 2

j1
|j1 , j1 ; j2 , j2 1i
j1 + j 2

Sia ora M = Mmax 2 = j1 + j2 2. Nella base {|j1 , m1 ; j2 , m2 i} questo

valore si pu`o ottenere in tre modi indipendenti:


M = Mmax 2

|j1 , j1 2; j2 , j2 i

|j1 , j1 1; j2 , j2 1i
|j1 , j1 ; j2 , j2 2i

(27.7)

Nella base |J, M i due stati indipendenti corrispondenti a tale valore di M

sono dati da J2 |Jmax , Mmax i e da J |Jmax 1, Mmax 1i. Il terzo stato deve

corrispondere a un valore diverso di J e quindi a J = j1 + j2 2. Iterando

questo ragionamento si scende ogni volta di una unit`a nel valore di J.


Qual`e quindi il minimo valore possibile per J?

Il numero complessivo di stati indipendenti nelle due basi deve essere lo


stesso. Nella base {|j1 , m1 ; j2 , m2 i} la molteplicit`a `e chiaramente (2j1 +

1)(2j2 + 1), mentre J si hanno 2J + 1 stati. Pertanto deve aversi:


(2j1 + 1)(2j2 + 1) =

j1X
+j2

J=Jmin

141

(2J + 1)

(27.8)

Nel caso in cui j1 + j2 `e intero, e quindi J assume valori interi, si ha:

+j2
j1X

(2j1 + 1)(2j2 + 1) = 2

J=0

Jmin
X1
J=0

J + j1 + j2 Jmin + 1 =

2
= (j1 +j2 )(j1 +j2 +1)(Jmin 1)Jmin +j1 +j2 Jmin +1 = (j1 +j2 +1)2 Jmin
2
Jmin
= (j1 j2 )2

Jmin = |j1 j2 |

Lo stesso risultato si ottiene nel caso in cui j1 + j2 `e semiintero, e quindi J


assume solo valori semiinteri.
Abbiamo cos`i dimostrato il teorema di addizione dei momenti angolari:
Siano ~j1 e ~j2 due momenti angolari e J~ = ~j1 + ~j2 la loro somma. Allora,
nel sottospazio caratterizzato dai valori j1 e j2 , J pu`o assumere tutti e solo
i valori (interi o semiinteri) che verificano la disuguaglianza triangolare:
|j1 j2 | J

j 1 + j2

(27.9)

Questo risultato `e analogo al risultato classico per cui il modulo di un vettore


somma `e al pi`
u uguale alla somma dei moduli (se i vettori sono paralleli) e
al minimo uguale al modulo della differenza (se sono antiparalleli); ma nel
caso quantistico il triangolo formato da j1 , j2 e J deve avere tutti i lati interi
o due semiinteri e uno intero.
Fissati j1 e j2 , lo sviluppo
|J, M i =

m1 ,m2

|j1 , m1 ; j2 , m2 ihj1 , m1 ; j2 , m2 |J, M i

(27.10)

definisce i coefficienti di Clebsch - Gordan (CG) hj1 , m1 ; j2 , m2 |J, M i,


che sono i prodotti scalari tra i vettori di base delle due basi. Da quanto

discusso si vede che


hj1 , m1 ; j2 , m2 |J, M i 6= 0 solo se

142

M = m1 + m2
|j1 j2 | J j1 + j2

(27.11)

Dal punto di vista della teoria dei gruppi il teorema di addizione fornisce la
scomposizione di un prodotto diretto di rappresentazioni di SU (2) in
termini di rappresentazioni irriducibili. In formule:
D(j1 ) D(j2 )

j1X
+j2

J=|j1 j2 |

D(J)

(27.12)

Esempi
1) Un caso importante di somma di momenti angolari si ha nella composizione, per una singola particella, del momento angolare orbitale, ~l, e
di quello intrinseco (di spin), ~s, per ottenere il momento angolare totale
J~ = ~l + ~s.
Ad es. per l = 1 e s = 1/2, in base al teorema daddizione J pu`o assumere
solo i valori 3/2 e 1/2. I sei stati della base {|l, lz ; s, sz i} nella base {|J, M i}
si dividono come segue:

J = 3/2 4 stati

|3/2, 3/2i = |1,


1/2i

q
q

2
1
|3/2, 1/2i =
|0,
1/2i
+
|1, 1/2i
3
3 q
q

|3/2, 1/2i = 23 |0, 1/2i + 13 | 1, 1/2i

|3/2, 3/2i = | 1, 1/2i

J = 1/2 2 stati

q
q
|1/2, 1/2i = 1 |0, 1/2i 2 |1, 1/2i
3
3 q
q
|1/2, 1/2i = 1 |0, 1/2i 2 | 1, 1/2i
3

dove, per semplicit`a, sono stati omessi i valori fissi di l e s.

Dal punto di vista delle rappresentazioni ci`o corrisponde alla scomposizione:


1

1
3 1
=
2
2 2

~ = ~s1 + ~s2 con s1 = 1/2


2) Consideriamo ora la somma di due spin 1/2: S
e s2 = 1/2. Allora s pu`o assumere solo i valori 0 e 1 e i quattro possibili stati
143

si dividono come segue:

s = 1 3 stati

|1, 1i = |+, +i

|1, 0i =

1
2

(|+, i + |, +i)

tripletto
simmetrico

|1, 1i = |, i

1
s = 0 1 stato : |0, 0i = (|+, i |, +i)
2

singoletto
antisimmetrico

dove con + e - abbiamo indicato gli autovalori di si,z .


Dal punto di vista delle rappresentazioni ci`o corrisponde alla scomposizione:

1 1
=10
2 2

corrispondenti a ~j12 e ~j22 rispettivamente,

144

28. Moto in un potenziale centrale


Consideriamo un sistema di due particelle che interagiscono tramite un
potenziale V (~r1 , ~r2 ). Linvarianza per traslazioni e rotazioni (cio`e lomogeneit`a
e lisotropia dello spazio) richiede che V = V (|~r1 ~r2 |), per cui la dinamica
del sistema `e retta dallhamiltoniana:
H

p21
p2
+ 2 + V (|~r1 ~r2 |)
2m1 2m2

(28.1)

Passando a coordinate del baricentro e relative tramite la trasformazione


canonica:

~ = m1~r1 + m2~r2
R
m1 + m 2

P~ = p~1 + p~2

p~ =

~r = ~r1 ~r2

(28.2)

m2 p~1 m1 p~2
m1 + m 2

(28.3)

lhamiltoniana si scrive:
H

P2
p2
+
+ V (r) HB + Hr
2M
2

(28.4)

dove M = m1 + m2 `e la massa totale e = m1 m2 /(m1 + m2 ) la massa


ridotta. Si vede che il moto del baricentro `e separato da quello della particella
ridotta che si muove nel potenziale centrale V (r).
In meccanica quantistica le regole di commutazione ([ri , pi ] = ih, [Ri , Pi ] =
ih e zero altrimenti) assicurano che detta separazione `e ancora possibile, cio`e
che esiste (almeno) un sistema completo di funzioni della forma:
~ ~r) = (R)
~ (~r)
(R,

(28.5)

~ descrive il moto libero del baricentro e (~r) quello della partidove (R)
cella ridotta, che racchiude gli aspetti pi`
u interessanti. Dora in avanti ci
occuperemo unicamente del moto relativo e quindi delleq. agli autovalori:
#

"

p2
+ V (r) = E
Hr =
2
145

(28.6)

Essendo Hr invariante per rotazioni essa commuta col momento angolare


~l = ~r p~ rispetto al centro del potenziale per cui Hr , ~l2 e lz formano un

insieme di operatori che commutano e ammettono almeno una base {E,l,m }

in comune. Siccome Hr commuta con l e l+ e chiaro che ogni autovalore di


Hr `e almeno 2l + 1 volte degenere.
Leq. agli autovalori `e
"

h
2
2 + V (r) (~r) = E(~r)
2

(28.7)

Conviene passare in coordinate sferiche dove si ha


2
2
1
2 = 2 +
+ 2 (~r )2 =
r
r r r

1
r
r r

!2

1
(~r )2
r2

Essendo ~l = ih~r , leq. Hr = E si scrive:

~l2
h
2 1 2
r(~
r
)
+
(~r) + V (r)(~r) = E(~r)
2 r r2
2r2

(28.8)

Nella base comune a H, ~l2 e lz possiamo porre (r, , ) = R(r) Ylm (, )


ottenendo per la funzione donda radiale R(r) leq.

l(l + 1)h2
h
2 1 d2
(rR(r))
+
R(r) + V (r)R(r) = ER(r)
2 r dr2
2r2

(28.9)

che essendo indipendente da m ci conferma che ogni autovalore E `e (almeno)


2l + 1 volte degenere.
Posto u(r) = r R(r) si ottiene infine:
!

h
2 d2 u
l(l + 1)h2
u(r) = Eu(r)

+ V (r) +
2 dr2
2r2

(28.10)

Si vede che, esattamente come nel caso classico, per il moto radiale si trova
uneq. relativa a un problema unidimensionale per una particella di massa
nel potenziale effettivo Vef f V (r) + l(l + 1)h2 /2r2 , con r [0, ).
146

Tuttavia, perch`e Hr sia ben definito sulle funzioni a quadrato sommabile

in R3 occorre richiedere che loperatore pr = ih 1r r


r che compare in Hr

sia hermitiano sulle funzioni di r a quadrato sommabile rispetto alla misura


d = r2 dr per r [0, ); cio`e:
Z

R (r)pr R(r)r2 dr =

(pr R(r)) R(r)r2 dr

(28.11)

Si vede subito che ci`o comporta:


lim r R(r) = 0

r0

lim u(r) = 0

r0

Sono quindi escluse dal dominio di hermiticit`a di Hr le funzioni R(r) che


divergono nellorigine come 1/r, che pure danno luogo a funzioni a quadrato
sommabile in R3 .

Dal punto di vista del problema unidimensionale equivalente, dovendo

essere r 0 si pu`o pensare che per evitare che la particella penetri nella

zona proibita r < 0 occorre mettere una barriera di potenziale infinita in

r = 0 e, come `e noto dallo studio dei problemi unidimensionali, ci`o comporta


u(0) = 0.
Latomo didrogeno
Affrontiamo ora il caso specifico dellatomo didrogeno, cio`e di una particella di massa ridotta m = me mp /(me + mp ) me in moto nel potenziale
coulombiano V (r) = e2 /r. In tal caso leq. (10) diventa:
)

d2 u
2mE 2me2 l(l + 1)
u(r) = 0
+ 2
+
dr2
r2
h
2
h
r

(28.12)

Da considerazioni dimensionali si vede che nel problema esistono una lunghezza


caratteristica r0 = h
2 /me2 (nota come raggio di Bohr) e unenergia caratteristica E0 = me4 /h2 .
147

Ora, per r la (12) diventa:


d2 u 2mE
+ 2 u=0
dr2
h

(28.13)

2mE
2mE
u A exp i
r + B exp i
r
2
h

h
2

(28.14)

da cui si vede che E > 0 si hanno autostati impropri dello spettro

continuo, mentre occorre vedere se per E < 0 esiste uno spettro discreto.

Consideriamo il caso E < 0 e poniamo 2 = 2mE/h2 ( ha dimensioni

di inverso di una lunghezza). La (12) si scrive:

d2 u
2
l(l + 1)
u(r) = 0
+ 2 +

2
dr
r0 r
r2

(28.15)

Posto: u(r) = er f (r) si ottiene per f (r) leq.

d2 f
df
2
l(l + 1)
2 +

f (r) = 0
2
dr
dr
r0 r
r2

(28.16)

con la condizione f (0) = 0. Poniamo ora


f (r) =

an rn+

(28.17)

n=0

dove la condizione f (0) = 0 implica > 0.


Sostituendo nella (16) si ottiene:
n
X

n=0

(n + )(n + 1)an rn+2 2(n + )an rn+1 +

2
(28.18)
+ an rn+1 l(l + 1)an rn+2 = 0
r0
Al solito, per lindipendenza lineare delle potenze debbono essere nulli i coefficienti di ogni potenza di r. La potenza pi`
u bassa `e r 2 e annullando il
suo coefficiente si trova
( 1) = l(l + 1)
148

=l+1

essendo da escludere la soluzione = l. Riorganizzando il resto della serie


si ha:

n=0

{[(n + + 1)(n + ) l(l + 1)]an+1 2[(n + ) 1/r0 ]an } rn+1 = 0

da cui si ottiene la relazione di ricorrenza tra i coefficienti:


an+1 =

2((n + ) 1/r0 )
an
(n + + 1)(n + ) l(l + 1)

(28.19)

con = l + 1. Da questa si vede che:


lim

an+1
=0
an

per cui il raggio di convergenza della serie `e infinito, e questa definisce una
soluzione della nostra eq. differenziale per tutti i valori di r (laltra soluzione
indipendente si trova scegliendo = l, ma questa non `e accettabile).
Tuttavia per n grande si vede che an+1

2
a
n n

il che implica che, a meno

di potenze di r, il comportamento asintotico di f (r) sia f (r) e2r . Ci`o


porta a u(r) er che non appartiene a L . Quindi, per un generico
valore di la soluzione della eq. differenziale non `e a quadrato sommabile.

Uno stato fisicamente accettabile si ottiene per`o quando la serie si riduce a


un polinomio, cio`e quando k tale che ak 6= 0 ma ak+1 = 0 e ci`o pu`o avvenire

solo quando = 1/(k + l + 1)r0 , cio`e quando:


E=

me4
me4
=

2(k + l + 1)2 h
2
2n2 h
2

Livelli energetici
dellatomo didrogeno

dove abbiamo introdotto lintero positivo n = k + l + 1, noto come numero


quantico principale.
Abbiamo cos`i ottenuto i possibili valori dellenergia degli stati legati
dellatomo didrogeno, che coincidono con quelli postulati da Bohr.
Poich`e il valore dellenergia dipende solo dal numero quantico n si vede
che per ogni valore di E sono possibili tutti i valori del momento angolare
149

con 0 l n 1. Poich`e ogni valore di l `e 2l + 1 volte degenere si trova che


ogni livello energetico dellatomo didrogeno ha degenerazione
dn =

n1
X
l=0

(2l + 1) = n(n 1) + n = n

Degenerazione dei
livelli energetici
dellatomo didrogeno

Tranne che per lo stato fondamentale (non degenere) questa `e maggiore di


quella comune a tutti i potenziali centrali corrispondente allinvarianza per
rotazioni. In effetti questa maggiore degenerazione `e una peculiarit`a del
potenziale coulombiano e si pu`o far vedere che essa corrisponde al fatto che
solo questo potenziale (tra quelli che variano come potenza inversa della
distanza) ammette orbite chiuse.
Autofunzioni dellatomo didrogeno.
Dalle considerazioni svolte si ottiene che la parte radiale delle autofunzioni
dellhamiltoniana per latomo didrogeno sono della forma
Rn,l (r) = er/nr0 rl L2l+1
nl1 (2r/nr0 )

(28.20)

dove Lqp (x) `e un polinomio in x di ordine p, noto come polinomio associato


di Laguerre. Questi polinomi sono dati da:
Lqp (x) = (1)q

dq
Lp+q (x)
dxq

(28.21)

dove i polinomi di Laguerre possono essere definiti come:


Lp (x) = ex

dp p x
xe
dxp

(28.22)

In particolare Lk0 (x) = k!. Si pu`o dimostrare che i polinomi Lqp (x) hanno p zeri
per x [0, ). I polinomi di Laguerre Lp (x) costituiscono lortogonalizzazione
delle potenze in [0, ) rispetto alla misura ex . Una base di autostati (nel
150

sottospazio degli stati a energia negativa) `e quindi caratterizzabile con i tre


numeri quantici n, l ed m:
nlm (~r) = Rnl (r) Ylm (, )
a meno del fattore di normalizzazione.

151

(28.23)

29. PERTURBAZIONI STAZIONARIE, CASO NON


DEGENERE
Leq. di Schrodinger per gli stati stazionari si sa risolvere esattamente
in un numero piccolisimo di casi e in effetti in nessun caso fisico in cui si
tenga conto di tutti gli effetti presenti. Si pone perci`o il problema di come
procedere quando non si sa trovare una soluzione esatta e occorre ricorrere a
soluzioni approssimate.
Metodo di Rayleigh-Schr
odinger
In un insieme molto vasto di situazioni lhamiltoniana del sistema pu`o
essere vista come somma di un termine dominante, H0 , il cui spettro `e supposto noto e di una piccola perturbazione V . Cio`e H = H0 + V e ci si
pone il problema di risolvere leq. agli autovalori
H|E i = E |E i

(29.1)

Quando 0 lautovalore E tender`a verso un autovalore di H0 , che

indichiamo con E 0 , e lautostato relativo verso un autostato |E 0 i di H0 :


lim E = E 0

lim |E i = |E 0 i

dove H0 |E 0 i = E 0 |E 0 i. Consideriamo dapprima il caso in cui lautovalore

E 0 di H0 non `e degenere, per cui lo stato |E 0 i cui tende |E i `e univocamente

definito.

Supponiamo ora che esistano le serie perturbative


E = E0 + 1 + 2 2 +

(29.2)

|E i = |E0 i + |1 i + 2 |2 i +

(29.3)

dove gli stati |i i sono ortogonali a |E0 i, cio`e hi |E0 i = 0. Prenderemo |E0 i

normalizzato, per cui |E i non lo `e. Sostituendo nella (1) e identificando i


152

coefficienti delle varie potenze di si ottiene, almeno in linea di principio, la


soluzione. Infatti dalla (1) si ha
(H0 E0 )|E i = (E E0 )|E i V |E i

(29.4)

da cui, moltiplicando scalarmente a sinistra per hE0 |, si trova:


0 = (E E0 )hE0 |E i hE0 |V |E i
Ricordando che hi |E0 i = 0 per cui hE0 |E i = 1 si ottiene:
E E0 = hE0 |V |E i

(29.5)

1 + 2 2 + = hE0 |V |E0 i + 2 hE0 |V |1 i +

(29.6)

da cui

cio`e
1 = hE0 |V |E0 i

correzione dellenergia
al primordine

(29.7)

La correzione dellenergia al 10 ordine `e data dallelemento diagonale


della perturbazione.
In generale:
k = hE0 |V |k1 i

(29.8)

Per ottenere le correzioni allo stato imperturbato osserviamo che dalla (4)
allordine si ha:
(H0 E0 )|1 i = 1 |E0 i V |E0 i =
= (hE0 |V |E0 i V )|E0 i = (|E0 ihE0 | 1)V |E0 i

(29.9)

Ora |E0 ihE0 | `e il proiettore sullo stato |E0 i per cui (1|E0 ihE0 |) `e il proiettore

sullo spazio complementare a |E0 i, cio`e formato da stati ortogonali a |E0 i:


1 |E0 ihE0 | =

En 6=E0

153

|En ihEn |

dove {|En i} `e un insieme completo di autostati normalizzati di H0 :


H0 |En >= En |En >

|En >< En | = 1

Pertanto nella (9) si possono dividere ambo i membri per H0 E0 (che non
d`a mai zero!) e si ottiene la correzione al primordine dello stato:
X
1 |E0 ihE0 |
1
|En ihEn |V |E0 i =
V |E0 i =
E0 H0
En 6=E0 E0 H0

|1 i =
=

En 6=E0

hEn |V |E0 i
|En i
E0 E n

correzione dello stato


al prim ordine

(29.10)

Pertanto dalla (8) si trova la correzione al secondo ordine per lenergia:


2 =

En 6=E0

|hEn |V |E0 i|2


E0 E n

correzione dellenergia
al second ordine

(29.11)

Notiamo che per lo stato fondamentale (E0 < En ) questa correzione `e sempre
non positiva.
In generale dalla (4) si trova
(H0 E0 )|i i = i |E0 i + (i1 V )|i1 i
che per iterazione fornisce le correzioni ai vari ordini.
Cos`i al 2o ordine si ha:
(H0 E0 )|2 i = 2 |E0 i + (1 V )|1 i
da cui:

1
2 |E0 i + (1 V )|1 i
H0 E 0

che ha senso in quanto hE0 | 2 |E0 i + (1 V )|1 i = 0. Pertanto inserendo

|2 i =

|Ek >< Ek | = 1 si trova:


|2 i =

Ek 6=E0 El 6=E0

X
Vkl Vl0
Vk0 V00
|Ek i
|Ek i
2
(E0 Ek )(E0 El )
Ek 6=E0 (E0 Ek )

dove Vkl = hEk |V |El i.


154

30. PERTURBAZIONI STAZIONARIE PER


LIVELLI DEGENERI
Sia H = H0 +V . Quando 0 lautovalore E tender`a verso un autovalore

di H0 , che indichiamo con E 0 , e lautostato relativo verso un autostato |E 0 i


di H0 :

lim E = E 0

lim |E i = |E 0 i

In presenza di degenerazione lo stato |E 0 i, cui tende |E i non `e per`o definito

a priori. Detto S(E0 ) il sottospazio relativo a E0 sappiamo solo che |E 0 i

S(E 0 ). Inoltre, siccome esistono stati |k 0 i 6= |m0 i ma con la stessa energia

0
, formule come
Ek0 = Em

|m0 i
X hk 0 |V

|1 i =

0
Ek0 Em

k0 6=m0

|k 0 i

non hanno senso a meno che hk 0 |V |m0 i = 0 per |k 0 i S(E0 ) ma distinto da


|m0 i, cio`e a meno che V non sia diagonale nel sottospazio S(E 0 ).

Del resto, si vuole risolvere

0 E 0 )|E i = (E E 0 V )|E i
(H

(30.1)

con E = E 0 + 1 + 2 2 + . Scriviamo lo sviluppo


|E i =

k0 S(E 0 )

ck |k 0 i +

X
n

n |n i

dove {|k 0 i} `e una base in S(E 0 ) mentre |n i non `e in S(E 0 ).

Moltiplicando ambo i membri della (1) per hn0 | si trova al 1o ordine in :


cn 1 =

k0 S(E 0 )

ck hn0 |V |k 0 i

155

Scegliendo in S(E 0 ) una base tale che V sia diagonale:


hn0 |V |k 0 i = nk Vnn
si trova che la correzione dellenergia al 1o ordine:
(

1 (n) = hn |V |n0 i
0

correzione dellenergia
al prim ordine

(30.2)

`e data dagli elementi diagonali della perturbazione e si `e indicato esplicitamente che, anche allinterno di ogni sottospazio, la correzione pu`o dipendere dallo stato di partenza.
Riassumendo, quando lhamiltoniana di partenza H0 `e degenere, per studiare leffetto della perturbazione V :
si sceglie una base {|k0 i} di autostati di H0 ,
livello E 0 di H0 si costruisce la matrice
hn0 |V |k 0 i

|k 0 i , |n0 i S(E 0 )

si diagonalizza tale matrice (che in ogni sottospazio ha dimensione


finita) risolvendo leq. secolare

det (V 1) = 0
le radici di tale eq. forniscono le correzioni al 1o ordine allenergia,
i ket |k0 i che diagonalizzano V forniscono gli stati imperturbati da cui
partire

usando tali stati, le correzioni successive hanno la stessa espressione del


caso non degenere.

156

Ad es. partendo dallo stato imperturbato |m0 i si trova:


(

hk 0 |V |m0 i 0
|k i
|1 i =
0
Ek0 Em
k0 6=S(m0 )
X

|hk 0 |V |m0 i|2


2 (m) =
0
Ek0 Em
k0 6=S(m0 )
X

correzione allo stato


al prim ordine
correzione dellenergia
al secondordine

(30.3)

(30.4)

In particolare notiamo che se |m0 i `e lo stato fondamentale di H0 , 2 (m)

risulta certamente negativo.


0 sia degenere significa che ci sono altri osservabili
Tuttavia, il fatto che H

0 e i cui autovalori (numeri quantici) distinguono i


che commutano con H
0 . Pertanto, anzich`e procedere di forza bruta
vari autostati degeneri di H
0 in S(E0 ) per poi diagonalizzare V , conviene
prendendo a caso una base di H
0 e
(se possibile) scegliere per motivazioni fisiche una base simultanea di H
0 che con V . In tal caso
di altri osservabili A che commutano tanto con H
0 . Infatti, sia
V risulta automaticamente diagonale in ogni sottospazio di H
|E 0 , i tale base:
0 |E 0 , i = E 0 |E 0 , i
H
allora:
hE 0 , 0 |V |E 0 , i =
per 0 6=

0 , i = |E 0 , i
A|E

V ]|E 0 , i
hE 0 , 0 |[A,
=0
0

Il fatto che V sia diagonale in ogni sottospazio S(E 0 ) (in generale a dimensione finita) non significa che esso sia diagonale nellintero spazio di Hilbert,
0 dato
cosa che peraltro sarebbe in contraddizione con luso di una base di H
0 non commutano. Sono infatti (in genere) non nulli gli elementi
che V e H
0 appartenenti ad autovalori diversi:
di matrice di V tra sottospazi di H
0
hE 0 , |V |E 0 , i 6= 0

157

Correzione relativistica per latomo didrogeno


Come primo esempio consideriamo le correzioni relativistiche per latomo
di idrogeno. Questo sistema `e stato studiato considerando lhamiltoniana
H0 =

p2
2m

e2
,
r

ma occorre tener conto di un insieme di correzioni. Anz-

itutto ci sono gli effetti relativistici, per cui lenergia cinetica `e data da

T = m2 c4 + p2 c2 mc2 . Sviluppando in serie la radice si trova:


1
p2

T =
2m 2mc2

p2
2m

!2

Dunque la prima correzione `e data da:


0
Hrel

1
=
2mc2

p2
2m

!2

1
e2
=
H
+
0
2mc2
r

!2

0
Essendo invariante per rotazioni e indipendente dallo spin, Hrel
commuta col

momento angolare orbitale e con lo spin:


0
[Hrel
, ~l] = 0

0
[Hrel
, ~s] = 0

0
Pertanto, in ogni sottospazio di H0 , Hrel
`e diagonale nella base |l, m, si. La

correzione al 1o ordine allenergia `e allora:

0
1 (n, l) = hn, l, m, s|Hrel
|n, l, m, si =

e2
e2 e4
1
2
hn, l| H0 + H0 + H0 + 2 |n, li =
=
2mc2
r
r
r

1
e2
e4
2
=
E
+
2E
hn,
l|
|n,
li
+
hn,
l|
|n, li
0n
0n
2mc2
r
r2
4

dove E0n == 2nme2 h2 = mc


2 sono i livelli (imperturbati) dellatomo
2n2

didrogeno e = e2 /ch 1/137 `e detta costante di struttura fine.

Per il calcolo del termine hn, l|e2 /r|n, li notiamo che lenergia potenziale

e2 /r `e una funzione omogenea di grado 1. In un autostato di H0 risulta


158

< H >=< T > < e2 /r > e, dal teorema del viriale, 2 < T >=< e2 /r >.

Pertanto:

hn, l|

e2
|n, li = 2E0n
r
4

Anche per calcolare il termine hn, l| re2 |n, li si pu`o usare un argomento di

carattere generale (teorema di Feynmann-Hellman) che ne fornisce il valore


n, l e che verr`a sviluppato in seguito. Il risultato che si ottiene `e:
hn, l|

e4
8n
2
|n,
li
=
E0n
2
r
2l + 1

In conclusione, la correzione relativistica al 1o ordine per latomo di idrogeno


risulta data da:
1rel (n, l) =

2
E0n
2mc2

8n
2
3 = E0n 2
2l + 1
4n

8n
3
2l + 1

Si vede che 1 dipende da l per cui separa stati con lo stesso n ma l diversi
che allordine zero risultano degeneri. Essendo 1 si ha che 1 `e molto pi`
u
piccola di |E0n | e costituisce una piccola correzione dando luogo a una struttura fine dei livelli. Per questo motivo viene detta costante di struttura

fine. La possibilit`a di trattare perturbativamente le correzioni relativistiche


`e dunque basata sulla piccolezza della costante di struttura fine. Tuttavia
per atomi con numero atomico Z compare Z e per Z 1 la correzione

1 non `e pi`
u piccola e lattendibilit`a dellapprossimazione perturbativa viene
meno.

159

31. INTERAZIONE SPIN-ORBITA


Nel suo moto attorno al nucleo atomico un elettrone risente di una interazione (detta spin-orbita) la cui origine pu`o essere vista cos`i: nel sistema di
riferimento in cui `e in quiete lelettrone vede il nucleo in movimento con
~ dovuto a tale moto:
velocit`a ~vn e quindi risente del campo magnetico B
~
~ = ~vn E
B
c2

(31.1)

~ `e il campo elettrico prodotto dal nucleo. Nel caso dellatomo di


dove E
idrogeno si ha:

~
~ = e m~v ~r = e l
B
(31.2)
mc2
r3
mc2 r3
dove ~v = ~vn `e la velocit`a dellelettrone nel sistema in cui il nucleo `e in
quiete, e la sua carica, m la sua massa, ~r la sua distanza dal nucleo e ~l il suo

momento angolare orbitale.


Ricordando che una particella carica di spin 1/2 ha un momento magnetico intrinseco
~ = e~s/m, si vede che tra elettrone e nucleo esiste uninterazione
(detta spin-orbita, per evidenti motivi):
2
~
1
~ = e l ~s
HSO =
~ B
2
2m2 c2 r3

(31.3)

dove il fattore 1/2 (detto di Thomas) trova la sua origine in una trattazione
pi`
u rigorosa dellinterazione.
Applicando lo stesso tipo di ragionamento allelettrone pi`
u esterno degli
atomi idrogenoidi (le cui transizioni danno luogo alle linee spettroscopiche
dellelemento) e approssimando il campo elettrico dovuto al nucleo e agli
elettroni interni con un potenziale centrale, si ha:
HSO =

1 1 dV ~
l ~s
2m2 c2 r dr
160

(31.4)

dove V (r) `e lenergia potenziale dellelettrone esterno. Nella base {|nlmsi}


questa perturbazione non `e diagonale in quanto:

[lz , ~l ~s] 6= 0 6= [sz , ~l ~s]

(31.5)

Ci`o si capisce in quanto il prodotto scalare ~l~s non `e invariante separatamente


per rotazioni solo di ~l o solo di ~s. Esso `e invece invariante per rotazioni
simultanee, generate dal momento angolare totale ~j = ~l + ~s. Dunque, in ogni
sottospazio di H0 , individuato dai numeri quantici (n, l), HSO `e diagonale
nella base {|nljjz i}. Ci`o si vede anche dal calcolo degli elementi di matrice.
Infatti, da ~j = ~l + ~s si ha:

~j 2 = ~l2 + ~s2 + 2~l ~s ~l ~s = 1 ~j 2 ~l2 ~s2


2

per cui:
hjjz |~l ~s|jjz i =
h
2
=
2

3
h
2
j(j + 1) l(l + 1)
2
4

l
(l + 1)

(31.6)

se j = l + 1/2
se j = l 1/2

(31.7)

Pertanto:
1SO (n, l)

h
2 1 dV
=
h
inl
4m2 c2 r dr

l
(l + 1)

se j = l + 1/2
se j = l 1/2

(31.8)

Se, ad es., consideriamo lelettrone pi`


u esterno dellatomo di sodio dalla
(8) si vede che lenergia del livello fondamentale 3S non viene modificata
dallinterazione spin-orbita, mentre il primo livello eccitato 3P (che consterebbe di 6 stati degeneri) viene separato in due stati 3P1/2 con j = 1/2 e
quattro stati 3P3/2 con j = 3/2. Stimando, in base a considerazioni dimensionali, che
h

e2
1 dV
inl 3 3
r dr
n a0
161

(31.9)

dove a0 `e il raggio di Bohr, si vede che la differenza di energia tra gli stati
3P3/2 e 3P1/2 del sodio, dovuta allinterazione spin-orbita, `e dellordine di:
2 EN a

(31.10)

dove EN a `e unenergia tipica dei livelli del sodio. Pertanto, a causa dellinterazione
spin-orbita, la riga spettrale corrispondente alla transizione 3P 3S (che
per il sodio si trova nel giallo (riga D)) si divide in due righe, cio`e acquista

una struttura fine. Tale separazione `e proporzionale ad 2 , da cui il nome di


costante di struttura fine per .
Dalla relazione (8) potrebbe sembrare che la correzione spin-orbita `e sempre nulla per gli stati S (l = 0). Tuttavia dalla (3) si vede che per latomo
didrogeno il calcolo di 1SO comporta il calcolo degli elementi di matrice di
1/r3 , che divergono per gli stati S. Ci si trova perci`o di fronte a un prodotto
indeterminato. Ora si pu`o dimostrare che in generale per uno stato (n, l)
dellidrogeno si ha:
h

1
1
1
inl = 3 3
3
r
n a0 l(l + 1)(2l + 1)

(31.11)

da cui risulta:
1SO (n, l)

En0

2
1
n l(l + 1)(2l + 1)

l
(l + 1)

se j = l + 1/2
se j = l 1/2
(31.12)

A causa della singolarit`a del potenziale coulombiano in questo caso si ha


un contributo non nullo (e finito) anche per gli stati S. Inoltre, sommando
questo contributo a quello dovuto alle correzioni relativistiche (pure di ordine
2 ) si trova che per lidrogeno, fissato n, la correzione complessiva dipende
soltanto da j, cio`e:
1rel

1SO

= 1 (n, j) =

En0

162

2
n2

3
n

j + 1/2 4

(31.13)

Pertanto, a questo livello di approssimazione, gli stati 2S1/2 e 2P1/2 , 3S1/2 e


3P1/2 , 3P3/2 e 3D3/2 ecc... risultano degeneri.

163

32. EFFETTO STARK


Si consideri un atomo idrogenoide in un campo elettrico uniforme che ne modifica i livelli energetici (effetto Stark). Per studiare gli effetti sulle righe spettrali dellelemento ammettiamo che lhamiltoniana dellelettrone pi`
u esterno
2

p
possa essere vista come somma di un termine dominante, H0 = 2m
+V0 (r), relativo allatomo isolato, e di una piccola perturbazione V dovuta al campo
~ che assumeremo diretto lungo lasse z. Cio`e H = H0 + V dove
elettrico, E,

~
~ svolge il ruolo
V = e|E|z.
In questo caso lintensit`a del campo elettrico |E|

del parametro della teoria delle perturbazioni.


` per`o evidente che per quanto piccolo sia |E|
~ 6= 0, V diverge per z
E

e quindi non pu`o essere considerato come una piccola perturbazione. La


soluzione di questa difficolt`a formale sta nel fatto che ovviamente non esiste

un campo elettrico uniforme in tutto lo spazio e che tale approssimazione `e


valida solo in una regione limitata. Inoltre, siccome le funzioni donda degli
stati atomici legati vanno a zero esponenzialmente allinfinito con lunghezza
caratteristica data dal raggio di Bohr, a0 ' 108 cm, risulta sensato considerare uniforme il campo elettrico se nel calcolo intervengono prevalentemente

gli elementi di matrice tra stati legati, cio`e se la differenza di potenziale


applicata non `e in grado di ionizzare latomo.
Discutiamo ora lapprossimazione perturbativa per la modifica dei livelli
energetici dellatomo. Per ipotesi lultimo elettrone risente di un potenziale
effettivo radiale e H0 non dipende dallo spin, per cui:
[H0 , ~l] = 0

[H0 , ~s] = 0

Possiamo quindi scegliere una base di H0 caratterizzata dai numeri quantici


|n, l, m, sz i dove lenergia dipende solo da n e da l:
0
|n, l, m, sz i
H0 |n, l, m, sz i = Enl

164

~l2 |n, l, m, sz i = l(l + 1)h2 |n, l, m, sz i

ecc...

0
Ogni livello Enl
risulta degenere 2(2l + 1) volte, ma in ogni sottospazio di H0 ,
individuato dalla coppia (n, l), V `e diagonale nella base |m, sz i. La correzione

al 1o ordine allenergia `e allora:

~
1 (n, l) = e|E|hn,
l, m, sz |z|n, l, m, sz i
Questa risulta per`o nulla, come si vede facilmente usando le propriet`a di
trasformazione degli stati della base sotto parit`a. Infatti, per una riflessione
rispetto al centro del potenziale V0 descritta dalloperatore P , si ha:
P Ylm (, ) = Ylm ( , + ) = (1)l Ylm (, )
cio`e
P |n, l, m, sz i = (1)l |n, l, m, sz i
mentre z cambia segno: P zP 1 =
z , dove z indica loperatore corrispondente a z e P 1 = P dato che P 2 = 1. Pertanto
hn, l, m, sz |
z |n, l, m, sz i = hn, l, m, sz |P 1 P zP 1 P |n, l, m, sz i =
= hn, l, m, sz |
z |n, l, m, sz i = 0
In altre parole, nellelemento di matrice che esprime 1 (n, l) il prodotto delle
funzioni donda `e pari mentre z `e dispari per cui lintegrale si annulla. In
conclusione, per gli atomi idrogenoidi al primordine perturbativo la correzione allenergia per effetto Stark risulta nulla:
1St (n, l) = 0
Al 2o ordine perturbativo la correzione allenergia `e data da:
2St (n, l) =

(kl0 )6=(nl),m0 ,s0z

|hk, l0 , m0 , s0z |V |n, l, m, sz i|2


=
0
0
Enl
Ekl
0
165

(32.1)

= e2 E~ 2

|hk, l0 , m, sz |
z |n, l, m, sz i|2
0
0
Enl
Ekl
0
(kl0 )6=(nl)
X

(32.2)

dato che [V , lz ] = 0 = [V , sz ].
Ora si ha
hk, l0 , m|
z |n, l, mi = 0 se l 0 6= l 1

(32.3)

Per verificare questa propriet`a conviene usare la rappresentazione delle coordinate in cui lo stato |n, l, mi `e descritto dalla funzione donda Rnl (r)Ylm (, ).
Allora z = r cos , mentre Ylm (, ) = Plm (cos )eim per cui
0

hk, l , m|
z |n, l, mi

Rnl0 (r)r Rnl (r)dr

1
1

m
Plm
0 ()Pl ()d

dove = cos . Dalle propriet`a delle funzioni associate di Legendre risulta


Z

1
1

m
Plm
se l0 6= l 1
0 ()Pl ()d = 0

da cui segue la (3).


Pertanto la correzione ai livelli energetici al 2o ordine perturbativo dovuta
al campo elettrico (effetto Stark) `e data da
2St (n, l)

|hk, l0 , m, sz |
z |n, l, m, sz i|2
=e E
0
0
Enl
Ekl
0
l0 =l1,k
2 ~2

e, trattandosi di un effetto al secondo ordine, risulta quadratica nellintensit`a


del campo elettrico applicato.
EFFETTO STARK PER LATOMO DIDROGENO
Nel discutere leffetto Stark per atomi idrogenoidi abbiamo usato il fatto
che, nei sottospazi relativi a ogni livello energetico, il potenziale pertur~ `e diagonale nella base |n, l, m, sz i. Ci`o non `e pi`
bante V = e|E|z
u vero nel

caso particolare dellatomo di idrogeno che quindi richiede una discussione a


parte.
166

Per semplicit`a di notazione ignoreremo lo spin (che comunque commuta con


V ). Per lo stato fondamentale 1S, |1, 0, 0i si ha chiaramente
h1, 0, 0|V |1, 0, 0i = 0 1St (1S) = 0 e 2St (1S) E~ 2
come in precedenza, ma al primo livello eccitato gli stati 2S (|2, 0, 0i) e
2P (|2, 1, m = 0, 1i) sono degeneri e
h2, 1, 0|
z |2, 0, 0i =

2P
z2S d3 x 6= 0

~
per cui occorre diagonalizzare V = e|E|z.
Poich`e [lz , V ] = 0 si vede che
occorre mischiare solo gli stati |2S, m = 0i e |2P, m = 0i. Inoltre, siccome
(h2S, m = 0| + h2P, m = 0|) z (|2S, m = 0i |2P, m = 0i) = 0
si vede che gli stati imperturbati da cui partire sono:
1
|i = (|2S, m = 0i |2P, m = 0i)
2
che non sono autostati della parit`
a.
Pertanto al 1o ordine perturbativo si trovano le correzioni:
~
1St (+) = h+|V |+i = e|E|

~ 0
z2S,m=0 d3 x = 3e|E|a
2P,m=0

dove a0 `e il raggio di Bohr, e


1St () = h|V |i = 1St (+)
~ e quindi molto pi`
Questi contributi sono lineari in |E|
u grandi degli effetti

quadratici trovati per gli altri atomi, almeno per campi elettrici usuali non

eccessivamente intensi (per i quali ha senso una trattazione perturbativa!).


Per rendersi conto della validit`a di questa approssimazione ricordiamo che le
differenze di energia tra i livelli atomici esterni sono dellordine delleV, per
167

~ 0 << 1 eV
cui deve aversi e|E|a

~ << 1010 V /m.


|E|

Per gli altri due stati |2P, m = 1i la correzione `e del 2o ordine.

Discutiamo ora da un punto di vista fisico i risultati ottenuti. In un campo


elettrico uniforme un atomo acquista una energia
E = ~p E~
dove p~ `e il momento di dipolo elettrico dellatomo. Chiaramente in un
autostato della parit`a il momento di dipolo `e nullo perch`e la distribuzione di
cariche `e simmetrica rispetto allorigine. Negli atomi idrogenoidi gli stati imperturbati sono autostati della parit`a, per cui il momento di dipolo elettrico
intriseco `e nullo. Pertanto, il campo elettrico esterno deve (per cos`i dire)
~ col che il sistema acquista un momento
prima modificare lo stato (|1 i |E|),
~ e quindi produrre una variazione di energia:
di dipolo indotto p~ E,
~ E~
E = ~p(E)

quadratica in E~

Invece, latomo di idrogeno nel primo livello eccitato, a causa della degenerazione tra gli stati 2S e 2P , pu`o avere un momento di dipolo elettrico
intriseco non nullo, per cui la variazione di energia risulta:
E = ~p E~

~
lineare in |E|

Un ragionamento analogo si applica naturalmente anche agli altri livelli


dellidrogeno.

168

33. IL METODO VARIAZIONALE

Un importante metodo per valutare un limite superiore per lenergia dello


stato fondamentale di un sistema fa uso della seguente ovvia propriet`a:
lautovalore pi`
u basso di un operatore hermitiano sar`a certamente inferiore (o al pi`
u uguale) al valore medio calcolato in uno stato arbitrario.
Luguaglianza si verifica se e solo se lo stato `e proprio lautostato ad esso
corrispondente.
Tale affermazione `e palesemente vera in quanto (per definizione!) il valore medio non pu`o essere inferiore al valore minimo. Tuttavia la si pu`o
dimostrare nel seguente modo. Sia A loperatore considerato. Esso possiede
un insieme completo di autostati |n i. Dato un generico stato |i normalizzato il valor medio di A `e

hAi = h|A|i
Sviluppando |i in serie di autostati di A, |i =

si trova:

hAi =

X
n

an |cn |2 = a0

X
n

|cn |2 +

n6=0

n cn |n i,

dove

|cn |2 = 1,

(an a0 )|cn |2 a0

poich`e la seconda somma `e fatta di termini non negativi (per ipotesi an > a0 !).
Inoltre tale somma si annulla sse cn = 0
autostato di A relativo allautovalore a0 .

n 6= 0 e dunque sse lo stato `e

Se si considera un insieme di stati | i che dipendono da dei parametri ,

si ottiene una stima di a0 minimizzando il valor medio h |A| i in quanto:


minh |A| i a0

169

In particolare queste propriet`a sono vere per lhamiltoniana e dunque per


il minimo dellenergia. Questo modo per valutare E0 variando dei parametri
`e noto come metodo variazionale.
Usando tali propriet`a si pu`o tra laltro dimostrare uninteressante propriet`a dei potenziali uni-dimensionali. Infatti si ha il seguente
TEOREMA: In una dimensione spaziale ogni potenziale puramente attrattivo, che tende allo stesso valore a , ammette almeno uno stato legato.
Dimostrazione:

Sia H = T + V dove lenergia cinetica `e T = p2 /2m. Supponiamo che il


potenziale V , puramente attrattivo, tenda allo stesso valore a , per cui

possiamo scegliere la costante arbitraria in modo che V si annulli allinfinito.

Dunque V `e ovunque non positivo e un autovalore negativo di H corrisponde


a uno stato legato. Consideriamo linsieme di funzioni di prova normalizzate:
(x) =

1/4

exp x2 /2

Allora per i valori medi si ha:


p2
h2
hT i = h
i =
2m
4m
mentre:
r

Z +
2
hV i = h|V |i =
|V (x)|ex dx =

(

per 0
C2
=
|V (0)|
per

dove la costante C2 `e positiva. Allora, per 0:

hHi = hT i + hV i ' C1 C2

Ora, la quantit`a nel termine di destra `e negativa per > 0 ma sufficientemente piccolo; pertanto hHi `e negativo per sufficientemente piccolo,
170

e
min
hHi < 0

E0 < 0

che corrisponde a uno stato legato, q.e.d.


Per contrasto, in 3 dimensioni con le corrispondenti funzioni di prova si ha
ancora
hT i =

3h2
4m

ma
hV i =

3/2 Z

|V (~x)|er d3 x ' C2 3/2

e non si pu`o dire che


min
hHi < 0

171

per 0

34. PERTURBAZIONI DIPENDENTI DAL TEMPO


Consideriamo ora una situazione fondamentalmente diversa da quelle considerate fin qu`i, quella di un sistema non isolato, la cui hamiltoniana dipende
esplicitamente dal tempo: H = H(t). In tal caso lenergia del nostro sistema
non si conserva e il problema tipico non sar`a quello di determinare autostati
e autovalori di H, che peraltro variano da un istante allaltro, ma di studiare
la probabilit`a che il sistema inizialmente in uno stato |i si trovi al tempo t

in un altro stato | 0 i, cio`e compia la transizione |i | 0 i.

Una situazione tipica si ha quando H(t) = H0 +V (t), dove H0 non dipende

dal tempo, e ci si pone il problema di determinare la probabilit`a di transizione


da un autostato |Ei0 i di H0 allistante iniziale a un altro autostato |Ef0 i al

tempo t. Se V (t) `e piccolo si pu`o ottenere uno sviluppo perturbativo per


tale probabilit`
a di transizione.
Anzitutto, se H = H(t), partendo dalleq. di Schrodinger:
ih

|(t)i = H|(t)i
t

(34.1)

si ottiene ancora |(t)i = U (t, t0 )|(t0 )i, dato che si tratta di uneq. del 1o
ordine nel tempo, ma

iZt
U (t, t0 ) 6= exp
d H( )
h
t0

Intuitivamente, dividendo lintervallo t t0 in N passi t = (t t0 )/N ,

per t piccolo si ha (ti + t) = (ti ) +


|(t)i =

N
Y

i=1

t
ti

' eiH(ti )t/h (ti ), da cui:

eiH(ti )t/h |(t0 )i

dove il prodotto `e fatto nellordine tiN > tiN 1 > > ti1 . Tuttavia:
N
Y

i=1

eiH(ti )t/h

N
iX
6 exp
=
H(ti )t
h
i=1

172

dato che [H(ti ), H(tj )] 6= 0 se ti 6= tj .


Integrando la (1) si ottiene:

|(t)i = |(t0 )i

iZt
d H( )|( )i
h
t0

(34.2)

Iterando tale relazione si ha:

i Z 1
iZt
d2 H(2 ) (|(t0 )i )
d1 H(1 ) |(t0 )i
|(t)i = |(t0 )i
h
t0
h
t0

da cui:

iZt
i
U (t, t0 ) = 1
d1 H(1 ) +
h
t0
h

2 Z

t
t0

d1 H(1 )

1
t0

d2 H(2 ) +

Z 1
Z 2
i 3Z t
d1 H(1 )
d2 H(2 )
d3 H(3 ) +
(34.3)
h

t0
t0
t0
Sia ora H(t) = H0 + V (t). Uno stato inizialmente autostato di H0 , cio`e

H0 |0 i = En0 |0 i, sotto leffetto della sola H0 evolve in maniera semplice e


nota:

|0 (t)i = U0 (t, t0 )|0 i = eiEn (tt0 )/h |0 i


Tuttavia, sotto leffetto dellhamiltoniana totale levoluzione temporale `e:
|(t)i = U (t, t0 )|0 i
Come tener conto del fatto che levoluzione temporale di |0 i sotto H0 `e
semplice mentre V `e solo una perturbazione? Scriviamo:
ih

|(t)i = (H0 + V (t))|(t)i


t

(34.4)

e definiamo:
|I (t)i = eiH0 (tt0 )/h |(t)i |(t)i = eiH0 (tt0 )/h |I (t)i = U0 (t, t0 )|I (t)i
Allora:
ih

|(t)i = H0 |(t)i + eiH0 (tt0 )/h ih |I (t)i


t
t
173

da cui, confrontando con la (4) si ottiene:


ih

|I (t)i = VI (t)|I (t)i


t

dove abbiamo definito:


VI (t) = eiH0 (tt0 )/h V (t)eiH0 (tt0 )/h = U0 (t, t0 )V (t)U0 (t, t0 )
e ricordiamo che U0 (t, t0 ) indica loperatore di evoluzione temporale libero
(cio`e in assenza della perturbazione V (t)).
Dunque, levoluzione dello stato |I (t)i `e retta dallhamiltoniana VI (t), per

cui:

|I (t)i = UI (t, t0 )|0 i


dove
UI (t, t0 ) = eiH0 (tt0 )/h U (t, t0 ) = U0 (t, t0 )U (t, t0 )
=1

iZt
i
d VI ( ) +
h
t0
h

2 Z

t
t0

d1 VI (1 )

1
t0

d2 VI (2 ) +

(34.5)

Moltiplicando tale espressione a sinistra per U0 (t, t0 ) = eiH0 (tt0 )/h si ottiene:
U (t, t0 ) = U0 (t, t0 )

iZt
d U0 (t, )V ( )U0 (, t0 )+
h
t0

Z 1
i 2Z t
d1
d2 U0 (t, 1 )V (1 )U0 (1 , 2 )V (2 )U0 (2 , t0 ) + (34.6)
h

t0
t0
Si vede che i vari termini di questa serie, nota come serie di Dyson, sono

ordinati secondo le potenze della perturbazione.


Questa espressione `e suscettibile della seguente interpretazione molto interessante:
in presenza della perturbazione V (t), levoluzione temporale di un sistema pu`o avvenire:
i) senza lintervento di V , cio`e guidata solo dellhamiltoniana imperturbata H0 ;
174

ii) oppure il sistema evolve da t0 a solo sotto leffetto di H0 , allistante


agisce V dopo di che il sistema evolve da a t nuovamente solo sotto
leffetto di H0 ;
iii) oppure il sistema evolve liberamente da t0 a 2 , quando agisce V (2 ),
dopo di che il sistema evolve di nuovo liberamente da 2 a 1 , quando
agisce V (1 ), e infine di nuovo solo sotto leffetto di H0 fino a t;
iv) oppure V pu`o intervenire in tre istanti 1 , 2 e 3 , ecc..
Supponiamo ora che allistante t0 il sistema si trovi nellautostato |ii

di H0 :

H0 |ii = Ei0 |ii. Qual`e la probabilit`a di trovarlo allistante t

nellautostato |f i, dove H0 |f i = Ef0 |f i?

Tale probabilit`
a di transizione `e data da:
Wif (t) = |hf |U (t, t0 )|ii|2 = |hf |eiH0 (tt0 )/h UI (t, t0 )|ii|2 =
= |hf |UI (t, t0 )|ii|2

(34.7)

dato che nel modulo quadro i fattori di fase danno uno.


Usando la (5) si ottiene:

hf |UI (t, t0 )|ii = hf |ii

Z 2
iZt
i 2Z t

d hf |VI ( )|ii +
d2
d1 hf |VI (2 )VI (1 )|ii + (34.8)
h
t0
h

t0
t0
Inserendo un sistema completo di autostati di H0 tra i vari fattori VI che

compaiono nella (8), cio`e usando la relazione di completezza

dove H0 |ni = En0 |ni, si ottiene per lampiezza di transizione:

|nihn| = 1

hf |UI (t, t0 )|ii = hf |ii

i
iZt
d VIf i ( ) +

h
t0
h

2 X Z
n

t
t0

d2

175

2
t0

d1 VIf n (2 )VIni (1 ) +

(34.9)

dove VIab ( ) = ha|VI ( )|bi `e lelemento di matrice di VI ( ) (non di V ( )!)


tra lo stato |bi e lo stato |ai.

Riprendendo il commento fatto dopo leq. (6), queste espressioni sono

suscettibili della seguente interpretazione:


Ricordiamo il principio base della Meccanica Quantistica:
quando un evento pu`o avvenire in pi`
u modi senza che vi sia possibilit`a di
determinare il modo specifico in cui esso `e avvenuto, per avere la probabilit`
a
che levento accada occorre prima sommare le ampiezze relative ai vari
modi e poi prendere il modulo quadro di tale somma.
Ora, leq. (9) dice appunto che, in presenza della perturbazione V (t), la
transizione da uno stato iniziale |ii a uno stato finale |f i pu`o avvenire:
i) senza lintervento di V (ordine zero, se hf |ii 6= 0);
ii) oppure V pu`o intervenire una volta sola causando direttamente la transizione |ii |f i (se hf |V |ii 6= 0). Ci`o pu`o avvenire in un qualunque

istante compreso tra t0 e t. Per ogni si ha una ampiezza di transizione e, secondo il principio base della meccanica quantistica, tutte
queste ampiezze vanno sommate prima di fare il modulo quadro della
somma per ottenere la probabilit`a di transizione;
iii) oppure V pu`o intervenire due volte causando prima la transizione |ii

|ni (se hn|V |ii 6= 0) e poi la transizione |ni |f i (se hf |V |ni 6= 0).

Il primo intervento pu`o avvenire in un qualunque istante t0 < 1 < t,


mentre il secondo pu`o avvenire in un qualunque istante 2 successivo
al primo, cio`e 1 < 2 < t. Di nuovo tutte queste ampiezze vanno
sommate tra loro e allampiezza precedentemente ottenuta prima di
fare il modulo quadro per ottenere la probabilit`a di transizione. Gli
stati intermedi, |ni, non osservati, vengono detti stati virtuali;
176

iv) oppure V pu`o intervenire tre volte ecc..


Questa interpretazione `e suscettibile di una formulazione grafica (illustrata
in fig. ( )) che richiama anche visivamente il discorso fatto.
Nel caso in cui lo stato finale, |f i, `e ortogonale allo stato iniziale, |ii, per la

probabilit`a di transizione al 10 ordine si ha:


(1)
Wif (t)

1
= 2
h

t
t0

d e

if i

Vf i ( )

(34.10)

dove f i = (Ef0 Ei0 )/h `e la frequenza di Bohr corrispondente alla transizione

i f.

Perturbazione Costante

Consideriamo come esempio il caso in cui la perturbazione sia:

V (t) =

per t t0 = 0
per t > t0

Se lo stato finale, |f i, `e ortogonale a |ii, per la probabilit`a di transizione al

10 ordine si ha:

(1)
Wif (t)

|Vf i |2
=
h
2

t
0

|Vf i |2
if i
=
d e

eif i t 1 2

if i

0
0
4|Vf i |2
4|hf |V |ii|2
2
2 (Ei Ef )t
sin
(
t/2)
=
sin
fi
(Ei0 Ef0 )2
2h
h
2 f2i

(34.11)

Ora la funzione f (, t) = sin2 (t/2)/ 2 ha landamento illustrato in fig.


( ), molto piccato per = 0, dove cresce come t2 , mentre si annulla per
= 2/t, e:
Z

sin2 x
dx =
x2

sin2 t
= t()
t
2
lim

(34.12)

Dunque una perturbazione costante pu`o, al 10 ordine, causare transizioni


a ogni stato finale tale che hf |V |ii 6= 0, ma le transizioni avvengono di
177

preferenza verso stati con energia (imperturbata) compresa nellintervallo


E0 ' 2h/t
cio`e conservano lenergia (imperturbata) entro 2h/t.
Se consideriamo il caso di una transizione verso un dato stato finale dello
spettro discreto con energia Ef0 = Ei0 , dalla (11) si ottiene:
(1)
Wif (t)

|Vf i |2 2
t
=
h
2

(34.13)

che cresce come t2 . Ma ogni probabilit`a di transizione deve essere minore


di 1; ci`o significa che dopo un certo tempo i contributi di ordine superiore
non possono essere trascurati nella (9) e la relazione (13) perde senso.
Se per`o lo stato finale fa parte di un continuo (o di un insieme molto
(1)

fitto) di stati, indicando con WiF (t) la probabilit`a di transizione a uno


qualunque degli stati del gruppo, si ha:
(1)

WiF (t) =

(1)

Wif (t) =

f F

0
0
4|hf |V |ii|2
2 (Ei Ef )t
sin
(Ef0 )dEf0
(Ei0 Ef0 )2
2h

(34.14)

dove (Ef0 ) = dN (Ef0 )/dEf0 `e la densit`


a degli stati finali. Quando t `e abbastanza grande, la funzione sin2 (t/2)/ 2 `e tutta interna al picco centrale;
pertanto se (Ef0 ) non varia molto rapidamente possiamo portare la densit`a
degli stati fuori dal segno dintegrale. Se anche lelemento di matrice Vf i non
varia sensibilmente in tale intervallo, si ottiene:
(1)
WiF (t)

= 4|hf |V |ii|

(Ef0 )

sin2 (Ei0 Ef0 )t/2h 0


dEf
(Ei0 Ef0 )2

e usando la (12) si ha infine


(1)

WiF (t) = |hf |V |ii|2 (Ef0 )


178

2
t
h

(34.15)

dove |f i `e uno qualsiasi degli stati del gruppo.

Si vede che la probabilit`a di transizione cresce linearmente con t, per cui la


velocit`
a di transizione, , `e costante nel tempo ed `e data da:
(

2
|hf |V |ii|2 (Ef0 )
iF (t) =
h

regola aurea
di Fermi

(34.16)

relazione nota come regola aurea per la sua semplicit`a e importanza.


Peraltro essa non pu`o essere valida per tempi arbitrari. Anzitutto, affinch`e
il gruppo di stati compresi in E cada entro il picco deve aversi t
2h/E. Inoltre, poich`e la probabilit`a deve essere minore di 1, deve aversi
t < 1

t < 1/. Ci`o peraltro non deve stupire trattandosi di

unapprossimazione al 1o ordine.
Perturbazione Armonica
Consideriamo ora il caso in cui la perturbazione sia:

V (t) =

per t t0 = 0

B eit + B eit per t > t0

( > 0)

Sempre se lo stato finale, |f i, `e ortogonale a |ii, la probabilit`a di transizione

al 10 ordine `e:
(1)
Wif (t)

1
= 2
h

1
= 2
h

t
0

d {hf |B|iie

i(f i )

+ hf |B |iie

i(f i +)

2
i(f i +)t

1
ei(f i )t 1

+
B
B f i
=
if

f i
f i +

} =

Si vede che, in generale, una perturbazione armonica non induce transizioni


solo tra stati che differiscono in energia per il fattore di Bohr Ef0 Ei0 =

h
f i = h. Per`o, per t grande, il contributo dominante al primo termine si

ha per = f i ; quindi esso induce transizioni prevalentemente tra stati per

i quali:
f i = h

Ef0 Ei0 = h

(assorbimento risonante)
179

mentre il secondo termine prevalentemente tra stati per i quali


Ef0 Ei0 = h
f i = h

(emissione risonante)

Nel primo caso il sistema assorbe un quanto di energia h


dal campo perturbante mentre nel secondo cede ad esso tale energia.
Contributo al 2o ordine
Nel caso in cui lelemento di matrice Bf i `e nullo il contributo dominante alla transizione `e dato dal termine al 2o ordine nella (9). Prendendo
come perturbazione V (t) = B eit , il contributo dello stato intermedio |ni

allampiezza di transizione al 2o ordine `e:


(n)
Aif

i
=
h

2 Z

t
0

d2

2
0

d1 Bf n ei(f n )2 Bni ei(ni )1 =

Z t
ei(ni )2 1 i(f n )2
1
d
B
B
e
=
2
f n ni
i(ni )
0
h
2

1 Bf n Bni
= 2
h
ni

ei(f i 2)t 1 ei(f n )t 1

f i 2
f n

avendo usato f i = f n + ni .

Si vede che per f i = 2 il primo termine `e dominante anche se f n 6=

6= ni , per cui lassorbimento di una quantit`a di energia Ef Ei = 2h dal


campo perturbante (pari a due quanti), non necessariamente avviene tramite
lassorbimento di un quanto alla volta.
In altre parole, la transizione agli stati intermedi (virtuali) non
conserva (necessariamente) lenergia.

Unespressione compatta per loperatore di evoluzione

Abbiamo visto che nel caso di hamiltoniana dipendente dal tempo si ha:

U (t, t0 ) 6= exp

180

iZt
d H( )
h
t0

Tuttavia anche in questo caso si pu`o dare unespressione compatta per loperatore
di evoluzione.
Definiamo a tal fine il prodotto cronologico (o temporalmente ordinato) di
due operatori come:

A(t1 )B(t2 ) per t1 > t2

T (A(t1 )B(t2 )) =

cio`e per n operatori:

B(t2 )A(t1 ) per t2 > t1

T (A(t1 )A(t2 ) A(tn )) = A(ti1 )A(ti2 ) A(tin )


dove ti1 > ti2 > > tin , o anche
X

T (A(t1 )A(t2 ) A(tn )) =

(tj1 , tj2 , , tjn )A(tj1 )A(tj2 ) A(tjn )

dove la somma `e su tutte le n! permutazioni di tj1 , tj2 , , tjn e la funzione


`e definita da:

(tj1 , tj2 , , tjn ) =

Allora si ha:
T exp

t
t0

d A( ) = T 1 +

t
t0

per tj1 > tj2 > > tjn

0 altrimenti
Z t
1Z t
d1 A(1 ) d2 A(2 ) +
2 t0
t0

d A( ) +

Ma
T

t0

d1

t
t0

d2 A(1 )A(2 ) =
=2

t
t0

t
t0

d1 A(1 )

d1 A(1 )

1
t0

d2 A(2 )+

t
t0

d2 A(2 )

2
t0

d1 A(1 )

d2 A(2 )

t0

per cui:
T exp

t0

d A( ) = 1 +

t
t0

d A( ) +
181

t0

d1 A(1 )

1
t0

d2 A(2 ) +

Pertanto, per loperatore di evoluzione si ottiene lespressione compatta:

iZt
U (t, t0 ) = T exp
d H( )
h
t0

In particolare anche per loperatore UI (t, t0 ) si pu`o scrivere:

iZt
d VI ( )
UI (t, t0 ) = T exp
h
t0

182

(34.17)

35. ** Degenerazione dei livelli di Landau


Per discutere la degenerazione dei livelli di Landau in modo indipendente
dalla scelta della gauge, ricordiamo che il moto nel piano (x, y), ortogonale
~ `e retto dallhamiltoniana
a B,
Hxy
dove le i = pi eAi

2y
2x
=
+
2m 2m

(i = 1, 2) verificano le relazioni di commutazione:


[i , j ] = iheBij

Introduciamo ora le altre due quantit`a


Mi = i eBij xj
che verificano:
[Mi , j ] = 0 [Mi , Hxy ] = 0
Dunque le Mi sono costanti del moto ma non commutano tra loro in quanto
si vede facilmente che:

[Mi , Mj ] = iheBij
Ora lesistenza di costanti del moto che non commutano tra loro implica
che lo spettro dellhamiltoniana `e degenere. Infatti, mentre esistono sistemi
completi di autostati in comune per Mx e Hxy e per My e Hxy , non pu`o
esistere un sistema completo comune a Mx , My e Hxy , dunque lo spettro di
Hxy deve essere degenere in quanto i vettori di una base non possono essere
gli stessi dellaltra.
Ora
[Mx , My ] = iheB [Mx , F (My )] = iheB
183

dF
dMy

per cui, posto Tb = exp(ibMy /h) si trova:


[Mx , Tb ] = ebBTb
cio`e
Mx Tb Tb Mx = ebBTb Tb1 Mx Tb = Mx + ebB
Posto allora Ta = exp(iaMx /h) si trova esponenziando tale relazione:
Tb1 Ta Tb = eieabB/h Ta
cio`e
Ta Tb = ei2/0 Tb Ta
dove = abB `e il flusso magnetico attraverso larea ab e 0 = h/e `e il quanto
di flusso.
Ora, [x , y ] = iheB `e (a meno del fattore costante eB) la relazione di
commutazione di una coordinata canonica col proprio momento coniugato.
Pertanto Hxy ha la stessa struttura dellhamiltoniana di un oscillatore armonico, quindi i suoi autovalori sono En = h
(n + 1/2), dove = eB/m `e
la frequenza classica di ciclotrone.
~ i valori possibili dellenergia
Dunque (almeno per il moto ortogonale a B)
sono quantizzati e sono noti come livelli di Landau. Questi livelli sono altamente degeneri, e per calcolarne la degenerazione conviene fissare la gauge.
~ = (0, Bx, 0) si ha:
Nella gauge asimmetrica A
Hxy =

p2x
1
+
(py eBx)2
2m 2m

Dato che [Hxy , py ] = 0, possiamo scegliere autofunzioni simultanee di Hxy e


py che sono della forma
(x, y) = (x) eiky y
184

Imponendo condizioni al contorno periodiche in y su una striscia di larghezza


Ly si trova ky = n 2/Ly e:
Hxy =

1
p2x
+
(hky eBx)2
2m 2m

che `e lhamiltoniana di un O.A. centrato in Xk = h


ky /eB. Ritroviamo il
risultato che gli autovalori di Hxy sono En = h
(n + 1/2) e vediamo che non
dipendono da Xk .
Dato che la separazione tra due centri `e x = h/eBLy , il no di stati
di data energia contenuti in un tratto di lunghezza Lx `e

Lx
x

= Lx Ly eB/h,

per cui il no di stati per unit`a di area per ogni livello di Landau (cio`e la
degenerazione per unit`a di area) `e:
nB = eB/h = /0
dove `e il flusso magnetico per unit`a di superficie e 0 = h/e `e il flusso
magnetico elementare associato alla carica e.

185

36. Evoluzione temporale di un O.A. forzato

Consideriamo un O.A. soggetto a una forza esterna f (t) che in opportune


unit`a di misura `e descritto dallhamiltoniana:
H=

(36.1)

1
A
dA
= [A, H] +
dt
ih
t

(36.2)

p2 q 2
a + a
1
+ f (t)
+
+ f (t) q = h
a a +
2
2
2
2

e introduciamo lop. A(t) = ei(tt0 ) a + (t).


Lequazione di evoluzione per A(t) `e:

Ora:

A
d
= iei(tt0 ) a +
t
dt

e
[A, H] = e

i(tt0 )

1
h
a + f (t)
2

da cui:
ei(tt0 )
d
dA
= iei(tt0 ) a +
f (t) + iei(tt0 ) a +
dt
2ih
dt
cio`e:

dA
ei(tt0 )
d
= i
f (t) +
dt
2h
dt

(36.4)

Pertanto, la scelta
i Z t i( t0 )
(t) =
e
f ( )d
2h t0

dA
=0
dt

avendo posto (t0 ) = 0, cio`e A(t0 ) = a.


Dunque A(t) `e una costante del moto. Dalla relazione sui valori medi
h(t)|A(t)|(t)i = h(t0 )|A(t0 )|(t0 )i
186

(36.3)

valida (t0 ), si vede che:


A(t2 ) = U (t2 , t1 ) A(t1 ) U 1 (t2 , t1 )
dove U (t) `e lop. di evoluzione temporale del sistema. Pertanto:
U (t2 , t1 ) a U 1 (t2 , t1 ) = ei(t2 t1 ) a + ei(t1 t0 ) ((t2 ) (t1 ))
Ma:
ei(t1 t0 ) ((t2 ) (t1 )) =

i Z t2 i( t1 )
e
f ( )d
2h t1

(36.5)

21

per cui:
U (t2 , t1 ) a U 1 (t2 , t1 ) = ei(t2 t1 ) a + 21
Ricordando che lop. D() e(a

a)

(36.6)

verifica

D ()aD() = a +
e che:
eiH0 t/h a eiH0 t/h = eit a U0 (t)D()U0 (t) = D(eit )
dove H0 `e lhamiltoniana dellO.A. in assenza di forze esterne, dalla (5) si
ottiene:
U (t2 , t1 ) = eiH0 (t2 t1 )/h D(21 ) ei21 = U0 (t2 , t1 )UI (t2 , t1 )

(36.7)

Vediamo che, per effetto di una forza esterna, un O.A. inizialmente nello
stato fondamentale si porta in uno stato coerente con autovalore dipendente
dal tempo.
Il fattore di fase dipendente dal tempo, (t), e tale che lop. di evoluzione
temporale verifichi la legge di composizione:
U (t3 , t2 ) U (t2 , t1 ) = U (t3 , t1 )
187

(36.8)

Ora:
U (t3 , t2 ) U (t2 , t1 ) = eiH0 (t3 t2 )/h D(32 ) eiH0 (t2 t1 )/h D(21 ) ei(32 +21 )

(36.9)

Siccome:
D()U0 (t2 , t1 ) = U0 (t2 , t1 )D(ei(t2 t1 ) ) e D()D() = e(

)/2

D( + )

con = ei(t2 t1 ) 32 e = 21 si trova:


Soluzione diretta
Osserviamo che se [Ai , Aj ] = cij si ha:
N
Y

i=1

Ai

AN

A1

= e

PN

i=1

Ai

1
2

j>i

[Aj ,Ai ]

In generale:
UI (t2 , t1 ) = lim

dove t = (t2 t1 )/N e n = t1 + nt.

NY
1

eiHI (n )t

n=0

Poich`e per lO.A. forzato si ha:

HI (t) = U0 (t, t0 )H1 (t)U0 (t, t0 ) = a ei(tt0 ) f (t) + a ei(tt0 ) f (t)


e quindi
[HI (t0 ), HI (t)] =

ei(t t) ei(t t) f (t0 )f (t)

da cui:
ZZ

t2
t1

[HI (t0 ), HI (t)](t0 t)dt0 dt =

ZZ

Pertanto:
UI (t2 , t1 ) = lim

t2
t1

NY
1
n=0

188

ei(t t) f (t0 )f (t){(t0 t)(tt0 )}dt0 dt


eiHI (n )t =

X
1
[HI (n ), HI (j )] =
HI (n )t exp (t)2
= lim exp i
N
2
n=0
n>j

= exp i

t2

t1

N
1
X

1 Z Z t2
(1 2 )f (1 )ei(1 2 ) f (2 )d1 d2 =
HI ( )dt exp
2 t1
= D(21 ) ei21
Altre espressioni degli Stati Coerenti

Una rappresentazione pi`


u idonea degli stati coerenti si ottiene usando loperatore
D() e(a
Pertanto:

a)

. Infatti si ha: D () = e(a

a)

= D() = D 1 ().

D()D () = D ()D() = 1
Si vede che D() conserva la norma degli stati su cui agisce, cio`e `e unitario.
Usando la relazione

eA+B = eA eB e 2 [A,B]

(36.10)

valida quando [[A, B], A] = [[A, B], B] = 0, ed essendo [a, a ] = 1, si trova


lespressione equivalente:
D() = e||

2 /2

ea e

dalla quale si vede subito che:


D()0 = e||

2 /2

ea 0 =

dove k k = 1 dato che D `e unitario. Dunque D() agendo sullo stato

fondamentale produce uno stato coerente normalizzato.


Inoltre dallutile formula:

1
1
eB A eB = A + [B, A] + [B, [B, A]] + + [B, [B, [B, [B, A]]] +
2
n!
189

o anche dalla (10), si ottiene che


D () a D() = a +

(36.11)

cio`e D() agisce come operatore traslazione nello spazio degli autovalori di
a.

Dalla relazione (10) segue pure che:


D()D() = e(

)/2

D( + ) = e(

D()D()

da cui si vede che le D formano gruppo a meno di un fattore di fase (detto

cociclo).

190

37. (f ) EFFETTI NON PERTURBATIVI

1) Consideriamo lhamiltoniana: H =
U (x) =

p2
2

+ U (x) e sia:

2 2
x (1 gx)2
2

che corrisponde a una doppia buca di potenziale con minimi in x = 0 e


x+ = 1/g e altezza U (1/2g) = 2 /16g 2 . Per g = 0 si ha:
p2 2 2
H0 =
+ x
2
2

En0

1
= h
n +
2

e ogni livello non `e degenere.


Per g 6= 0 si ha H = H0 + V (x) con V (x) =

2
(2gx3
2

+ g 2 x4 )

Supponiamo di poter fare lo sviluppo perturbativo in g:


(n)

(n)

En0 En = En0 + g1 + g 2 2 +
Indicando con |n > la base imperturbata di H0 si ha:
(n)

1 = 2 < n|x3 |n >= 0

mentre:

n non si ha correzione perturbativa di O(g)


(n)

2 =

X | < m|x3 |n > |2


2
< n|x4 |n > 4
0 E0
2
Em
n
m6=n

Per lo stato fondamentale, usando x =


< 0|x4 |0 >=

X
n

< 0|x2 |n >< n|x2 |0 >=


=

h
(a
2

+ a ) si trova:

h
2 X
2
| < 0|(a2 +a a+aa +a )|n > |2 =
4 2 n

h
2
3h2

2
2
2
{<
0|aa
|0
>
+
<
0|a
|2
>
}
=
4 2
4 2
191

(37.1)

X | < m|x3 |0 > |2


m

0 E0
Em
0

1
1
=
< 1|x3 |0 >2 + < 3|x3 |0 >2 =
h

h
2
1
=
< 1|(a + a )3 |0 >2 + < 3|(a + a )3 |0 >2
4
8
3

(37.2)

Usando
2

< 1|(a2 + a a + aa + a )(a + a)|0 >=< 1|(2a a + 1)|1 >= 3


3

< 3|(a + a )3 |0 >=< 3|a |0 >=


si ottiene
(0)

2 =

(37.3)
(37.4)

3h2 11h2

= h2
8
8

(37.5)

e quindi

g2h
2
(37.6)
2
Ci`o fornisce il calcolo della correzione perturbativa pi`
u bassa ai valori dellenergia.
(0)

E0 = E00 + g 2 2 =

Si vede che per g 2 h


<< a livello perturbativo questi restano distanti O(h).
Inoltre, un risultato analogo si ottiene a partire dal minimo in x = 1/g.
Dunque ogni livello sembra essere due volte degenere.
Invece dalle propriet`a generali si sa che H non `
e degenere: a causa
delleffetto tunnel tra i due minimi, il livello fondamentale si divide in due,
aspetto completamente mancato dal conto perturbativo.

esistono correzioni non perturbative, quali quelle dovute

alleffetto tunnel. Per g piccolo la barriera `e alta O(1/g 2 ) e larga O(1/g).


Poich`e dal caso della doppia buca quadrata si ha E O(el

V0

) dove V0

`e laltezza e l la larghezza, ci si aspetta che le correzioni non perturbative


2

legate alleffetto tunnel siano O(e1/g ) che non `e un andamento analitico per
g 0. Per g 0 la barriera tra i due vuoti diventa infinita e i due spazi
si disaccoppiano.

192

2) Si consideri ora
H = (p2 + 2 x2 ) + 2gx 2g 2 x3 + g 2 2 x4
Per g = 0 si ha:
H = H 0 = p 2 + 2 x2

En0 = 2nh

In particolare lo stato fondamentale imperturbato ha energia nulla.


Per g 6= 0 si ha H = H0 + V (x) con V (x) = 2g(x 2 x3 ) + g 2 2 x4
(n)

(n)

Perturbativamente in g: En0 En = En0 + g1 + g 2 2 +

Indicando con |n > la base imperturbata di H0 , per parit`a risulta:


n

(n)

1 = 2 < n|(x 2 x3 )|n >= 0

: non si ha correzione perturbativa di O(g) n

mentre:

(n)

2 = 2 < n|x4 |n > 4 2

X | < m|(x x3 )|n > |2


0 E0
Em
n

m6=n

Per lo stato fondamentale, usando x =

h
(a
2

+ a ) si trova:

3h2
< 0|x |0 >=
4 2
4

X | < m|(x x3 )|0 > |2

m6=0

0 E0
Em
0

2
1
3
2
< 1|(x x )|0 > +
< 3|x3 |0 >2
=
2h
3

Poich`e < 1|(a + a )|0 > = 1, usando la (3) e la (4) si ottiene:


X | < m|(x x3 )|0 > |2
0 E0
Em
0

m6=0

Pertanto:
(0)

2 =

3h2
=
16 2

3h2 3h2

=0
4
4
193

(37.7)

anche allordine g 2 non si hanno correzioni perturbative allenergia


del vuoto.

Si puo dimostrare che ci`o deve restare valido a tutti gli ordini, sia con il
conto ordine per ordine sia dalle seguenti considerazioni.
Sia A = F (x) + ip =

d
dx

+ F (x)

costruiamo lhamiltoniana:

d
A = F ip = dx
+ F (x)

H1 = A A = p 2 + F 2 F 0

(37.8)

` chiaro che lenergia dello stato fondamentale `e E1,0 0 e che


E
E1,0 = 0 1,0 normalizzabile tale che
A 1,0 = 0

1,0 (x) = N exp{W (x)}

dove W 0 = F , e 1,0 L2 sse W (x) + per x .


Posto:

H2 = AA = p2 + F 2 + F 0

(37.9)

notiamo che E 6= 0
H1 = E

AA = AA A = E A H2 = E

dove = A `e normalizzabile: kk2 =< |A A| > = Ekk2 .

H1 e H2 sono isospettrali a parte i modi zero.


` chiaro che E2,0 0 e che E2,0 = 0 2,0 normalizzabile tale che
E
A 2,0 = 0

2,0 (x) = N exp{+W (x)}

Pertanto 2,0 L2 sse W (x) per x .

Scegliendo ora F (x) = x(1 gx) si trova H1 = H

Siccome H1 e H2 sono isospettrali e anche H1,0 e H2,0 lo sono, (a meno dei

194

modi zero) se a livello perturbativo la correzione di ordine n fosse diversa da


zero:
(0)

(1,0)

E1,0 = E1,0 (= 0) + g 2n 2n + 6= 0
(0)

questo valore (di O(g 2n )) dovrebbe essere anche autovalore di H2 . Ma E2,0 =


2, e perturbativamente non si pu`o ottenere un valore O(g 2n ) per E2,0 partendo
da 2.

per il pairing tra i livelli con E 6= 0 non possono aversi


(0)

correzioni perturbative a E1,0 = 0


Quindi, nel caso

F (x) = x(1 gx), tutti i termini della serie pertur-

bativa per E0 sono nulli e ci si potrebbe aspettare che, dato che converge, la
serie perturbativa dia il risultato giusto E0 = 0.
Tuttavia, W (x) = (x2 /2 gx3 /3) diverge con segno opposto a ;

pertanto in questo caso non esistono stati normalizzabili di energia nulla,


contrariamente a quanto previsto dalle considerazioni perturbative.

esistono effetti non perturbativi


2

Infatti in questo caso risulta E1,0 O(e1/g ) che `e un comportamento non


analitico in g = 0 e quindi non ottenibile come serie di potenze in g.

195

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