Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Francesco Ravanini
Corso di Laurea in Astrosica e Cosmologia
Università di Bologna
28 dicembre 2007
2
Introduzione
3
4
Già l'astronomo danese Rømer aveva misurato la velocità della luce in base ai ritardi
delle eclissi dei satelliti di Giove. Misure più precise arrivarono con il ranarsi delle
tecnologie nel XIX secolo.
Dire che la luce viaggia alla velocità della luce non è una banalità. Ci si chiede in
quale sistema di riferimento ciò avvenga. Alla ne dell'800 il ragionamento tipico era il
seguente: esiste un etere luminifero che vibra producendo le onde elettromagnetiche, così
come l'aria vibrando produce le onde sonore. La luce ha velocità c se riferita a un sistema
di riferimento a riposo rispetto all'etere.
Se però ci muoviamo rispetto all'etere con velocità ~v , la luce non dovrebbe più propa-
garsi con velocità ~c, ma con velocità ~c + ~v , cioè la velocità della luce non è più la stessa in
tutte le direzioni. Ciò implica che le leggi di Maxwell sono valide solo per un sistema di
riferimento a riposo rispetto all'etere, che viene detto sistema di riferimento assoluto.
L'elettromagnetismo ci permetterebbe pertanto di vericare lo stato di quiete o di moto
assoluto di un sistema.
Alla ne del XIX secolo Michelson riuscì a misurare la velocità della luce con una
precisione tale da dover decidere se il suo sistema (la Terra) era in quiete o in moto rispetto
all'etere.
Nel giro di 6 mesi la Terra, che gira attorno al Sole a 30 Km/sec, cambia la sua velocità
di 60 Km/sec e quindi se a un certo istante la Terra fosse in quiete rispetto all'etere, dopo
6 mesi essa si muoverebbe rispetto all'etere di 60 Km/sec. Quindi esiste almeno un giorno
dell'anno in cui la Terra è in moto rispetto all'etere.
La discrepanza tra ~c e ~c + ~v è valutabile con uno strumento costruito da Michelson e
Morley detto interferometro. Ciò che l'interferometro misura è la dierenza di velocità
della luce secondo la direzione. Ciò che si osservò fu l'assoluta costanza di c in ogni direzione
e ad ogni epoca dell'anno. Non si poteva cioè misurare alcun vento di etere.
Per dare risposta all'interrogativo aperto dall'esperimento di Michelson e Morley, Lo-
rentz sviluppò una teoria basata sul fatto che se si considera un solido, esso è formato da
atomi, costituiti da cariche elettriche positive e negative. La forza di attrazione tra cariche
positive e negative, cioè la forza di Coulomb, rimane elettrostatica nchè le cariche sono
ferme rispetto all'etere. Quando queste si muovono compaiono fenomeni magnetici che
si espletano macroscopicamente come un accorciamento della lunghezza del solido nella
direzione del moto. Tale accorciamento era tale, secondo Lorentz, da compensare le di-
screpanze non osservate da Michelson e Morley e non era possibile rendersene conto perchè
anche i metri con cui si misurava tale lunghezza si accorciavano.
Einstein assunse invece la non isolabilità del moto assoluto come postulato e di-
mostrò che la non riuscita dell'esperimento di Michelson e Morley era dovuta a proprietà
intrinseche dello spazio.
Riassumendo, nella teoria galileiana c'è un principio di relatività del moto che viene
violato dalle leggi di propagazione della luce. Infatti, usando il teorema di addizione delle
velocità, la velocità della luce non dovrebbe essere uguale per tutti i sistemi di riferimento
e manterrebbe la sua costanza in tutte le direzioni solo per osservatori in quiete rispetto
all'etere. Se si accetta quindi il teorema di addizione delle velocità, la velocità della luce
deve essere diversa a seconda degli osservatori.
5
d2~xn
~ d~x1 d~xN
mn 2 = F ~x1 , ..., ~xN , , ..., ,t
dt dt dt
Abbiamo così un sistema di equazioni dierenziali ordinarie del secondo ordine che dà il
moto dei punti materiali.
7
8 CAPITOLO 1. MECCANICA NEWTONIANA E RELATIVITÀ GALILEIANA
t0 = t + τ
~x0 = ~x + ξ~
t0 = t
~x0 = O~x
in cui O è una matrice 3×3 ortogonale, cioè OOT = 1. Tali trasformazioni, come
ben noto, lasciano invariata la lunghezza di un vettore e sono chiamate rotazioni. Ogni
matrice ortogonale a 3 dimensioni ha 3 parametri indipendenti, che possono essere pensati
per esempio come i 3 angoli di Eulero, e che descrivono completamente la rotazione.
Il tipo di cambiamento di coordiante caratterizzante da un punto di vista sico è però
t0 = t
~x0 = ~x + ~v t
cioè la trasformazione tra due osservatori in moto relativo uniforme con velocità ~v .
Si noti che abbiamo inserito in queste trasformazioni ben 10 parametri:
1.4. TEOREMA DI ADDIZIONE DELLE VELOCITÀ 9
~x0 = ~x + ~vA t
~x00 = ~x0 + ~vB t
~x00 = ~x + ~vC t
che è in un certo senso la legge di composizione del Gruppo di Galileo. Nelle trasformazioni
di Galileo le velocità si sommano, come è accettabile anche dall'esperienza intuitiva.
Sappiamo che la luce ha velocità c nei sistemi di riferimento in cui valgono le equazioni di
Maxwell. Se vale il teorema di addizione delle velocità galileiano, allora le leggi di Maxwell
non sono più invarianti per trasformazioni di Galileo. Se viceversa le equazioni di Maxwell
sono valide in tutti i sistemi di riferimento inerziali, non vale più il teorema di addizione
delle velocità, cioè le trasformazioni tra sistemi inerziali non possono più essere quelle di
Galileo. Einstein scelse questa seconda ipotesi, cioè impose che c è un invariante e che le
equazioni di Maxwell devono valere in tutti i sistemi di riferimento inerziali, restaurando
il prinicipio di relatività ma rinunciando alle trasformazioni galileiane.
10 CAPITOLO 1. MECCANICA NEWTONIANA E RELATIVITÀ GALILEIANA
Nella Fisica di Newton e Galileo, un qualunque corpo in moto con velocità ~ u rispetto
0 0
all'osservatore O avrà velocità ~
u = ~u + ~v rispetto all'osservatore O in moto rettilineo
uniforme con velocità ~v rispetto al primo. Ciò si ottiene dalla denizione di velocità come
derivata della coordinata. Poichè ~v è costante, la derivata seconda, cioè l'accelerazione, è
invariante
~a0 = ~a
e, assumendo che la massa m di un corpo sia una proprietà invariante per sistemi di
riferimento, si ha che il primo membro delle leggi del moto è invariante di Galileo.
Se il secondo membro sia invariante o meno dipende dalla forma delle forze.
Gm1 m2 ~
F~12 = − k12
|~r12 |2
ove ~k12 =~
r12
r12 = ~x1 − ~x2 dipende solo dalla distanza dei due corpi che è un
e ~
|~
r12 |
invariante per traslazioni e rotazioni, e anche per boosts a velocità costante. Perciò
la gravità newtoniana è invariante di Galileo.
In generale ogni forza dipendente solo dalle distanze è invariante per trasformazioni di
Galileo e quindi rende invarianti le equazioni newtoniane del moto. Tuttavia in natura sono
note forze che dipendono non solo dalle posizioni ma anche dalle velocità, come capita nelle
leggi di Maxwell per l'elettromagnetismo. Come abbiamo visto, è proprio sull'invarianza
delle leggi di Maxwell che la relatività galileiana entra in crisi.
Capitolo 2
Cinematica relativistica
Principio di Relatività ristretta Le leggi della sica sono le stesse (cioè hanno la stessa
forma) in tutti i sistemi di riferimento inerziali.
Dalle leggi di Maxwell si deduce che la velocità di propagazione delle onde elettromagnetiche
è c. Poichè le leggi di Maxwell sono leggi universali della natura, ne si conclude che la
velocità della luce c deve essere la stessa in tutti i sistemi di riferimento inerziali. Non
esiste un etere o un sistema di riferimento assoluto.
Poiché la velocità della luce deve essere uguale in tutti i sistemi di riferimento, viene
naturale in relatività porla uguale a 1 e misurare tutte le altre velocità come frazioni della
velocità della luce. Ciò corrisponde a introdurre nuove unità di misura, più convenienti
per il tipo di problemi che andiamo a trattare, in cui i tempi e le lunghezze hanno la stessa
unità di misura. Per esempio possiamo adottare il metro come unità di misura sia dello
spazio che del tempo. Un metro di tempo corrisponde al tempo che impiega la luce a
1
percorrere un metro, cioè a secondi, ovvero circa 1/3 di nanosecondo. Conseguentemente,
c
tutte le velocità sono misurate da numeri puri. Quando diremo che un corpo ha velocità
2/3, intenderemo che si muove a una velocità pari a 2/3 della velocità della luce.
11
12 CAPITOLO 2. CINEMATICA RELATIVISTICA
−1
Le accelerazioni saranno misurate in m , le masse continuano ad essere misurate in Kg,
ma gli impulsi e le energie saranno pure misurati in Kg e le forze in Kg/m. Le formule si
esprimono senza la ridondanza di fattori c, il che le rende più immediatamente signicanti
dal punto di vista sico, ma per calcolare le grandezze nel tradizionale sistema metrico
internazionale m, Kg, sec occorrerà tener conto dei fattori di conversione tra le unità di
misura dei due sistemi.
Alternativamente, si può scegliere il secondo come unità fondamentale. Allora le distan-
ze saranno misurate in secondi-luce, cioè l'unità di misura delle lunghezze sarà la distanza
percorsa dalla luce in un secondo, ovvero 300.000 Km circa. Una versione di questo siste-
ma di misura più adatta alle distanze astronomiche è quella degli anni per i tempi e gli
anni-luce per le distanze.
0
Consideriamo due sistemi di riferimento inerziali O e O , rispettivamente con coordinate
x = (t, x, y, z) e x0 = (t0 , x0 , y 0 , z 0 ).1 La critica alla simultaneità implica che t 6= t0 , cioè che
anche i tempi partecipano alle leggi di trasformazione tra sistemi di riferimento inerziali.
0
Cerchiamo delle trasformazioni x (x) che lascino invariante la velocità della luce.
Le traslazioni e le rotazioni saranno uguali a quelle delle trasformazioni di Galileo,
poichè mantengono invariante la lunghezza dei vettori (e perciò c in particolare).
Una ovvia richiesta è che un corpo in moto rettilineo uniforme in O deve vedersi con
moto rettilineo uniforme anche in O0 , altrimenti sarebbe violato il principio di inerzia,
ovvero
d~x d~x0
~v = = cost. in O ⇔ ~v 0 = = cost. in O0
dt dt0
Per esempio sull'asse x:
∂x0 dx 0 dy ∂x0 dz ∂x0
dx0 dx0 dt ∂x dt
+ ∂x
∂y dt
+ ∂z dt
+ ∂t
vx0 = 0 = = ∂t0 dx 0 dy ∂t0 dz ∂t0
dt dt dt0 ∂x dt
+ ∂t
∂y dt
+ ∂z dt
+ ∂t
dx
Ora, le derivate
dt
= vx ecc... sono costanti per ipotesi. Perciò l'unico modo di garantire
0 ∂x0
che vx sia costante è di richiedere che le derivate parziali ecc... siano anch'esse costanti.
∂x
0
Ma ciò implica che le funzioni x (x) siano funzioni lineari, cioè
x0 = Ax
dove A è una matrice 4×4 a elementi reali. Determiniamo gli elementi Aij ponendoci
in una situazione sica che a prima vista può apparire semplicata, ma che in realtà non
perde di generalità. Usando traslazioni e rotazioni, possiamo infatti sempre metterci nella
situazione in cui il moto rettilineo uniforme relativo tra i due sistemi inerziali sia diretto
0
lungo l'asse x e stabilire l'origine dei tempi in modo tale che al tempo t = t = 0 le origini
0
e tutti gli assi dei due sistemi cartesiani coincidano. In istanti successivi, il sistema O ,
visto da O scorre lungo l'asse x a velocità costante v, mantenendo inalterata la direzione
degli assi y, z .
Se tutto l'asse x deve coincidere, al tempo t = t0 = 0 con l'asse x0 , ciò signica che ogni
0
punto con coordinata y = 0 e z = 0 al tempo t = t = 0 deve avere forzatamente anche
0 0
nell'altro sistema y = 0 e z = 0. Ciò implica
A21 = A31 = 0
Lo stesso ragionamento applicato agli assi y e z comporta anche
t0 = A00 t + A01 x
x0 = A10 t + A11 x
y0 = A22 y
z0 = A33 z
Finora abbiamo solo messo in opera considerazioni geometriche. Ma ora imponiamo che
un fotone di luce che viaggia a velocità c = 1 in O , sia visto viaggiare alla stessa velocità
c anche in O0 . Il fotone viaggerà in linea retta e perciò le sue equazioni del moto saranno
x = n1 t y = n2 t z = n3 t
in cui ni sono le componenti di un versore indicante la direzione del moto: n21 + n22 + n23 =
2
c = 1. Al tempo t + dt il fotone avrà incrementato la sua posizione di
dx = n1 dt dy = n2 dt dz = n3 dt
Questa espressione deve essere proporzionale alla (2.1) poichè entrambe devono annullarsi.
In particoalre i coecienti dei termini in dt dx che sono assenti dalla (2.1) devono annullarsi,
2
mentre gli altri devono essere uguagliati a meno di una quantità per ora arbitraria Q
La quantità arbitraria è indicata con Q2 in quanto, essendo tutti i coecienti Aij reali, è
sicuramente positiva. La scelta della soluzione
A22 = A33 = Q
piuttosto che −Q, garantisce che nella trasformazione non ci sia un'inversione degli assi y
e z (vedremo più avanti come sono trattate queste trasformazioni particolari). L'origine
2.3. TRASFORMAZIONI DI LORENTZ 15
x0 = A10 t (2.5)
A10 = −vA00
−vA11 = A01
Usando la (2.4) si ottiene
A211 1 − v 2 = A200 1 − v 2 = Q2
da cui
Q
A11 = A00 = √
1 − v2
Come già commentato per A22 e A33 anche qui scegliamo la soluzione positiva per Q.
Questa scelta è qui ancora più giusticata dal fatto che se fosse A00 < 0 crescendo t
diminuirebbe t0 , cioè i due sistemi di riferimento avrebbero assi dei tempi rivolti in direzione
opposta, con nefaste conseguenze sulla causalità, ecc...
Le trasformazioni di Lorentz diventano perciò con questa scelta
t − vx √
t0 = Q √ L = −m 1 − v 2
1 − v2
x − vt
x0 = Q √ (2.6)
1 − v2
y 0 = Qy
z 0 = Qz
t0 + vx0
t = Q−1 √
1 − v2
x + vt0
0
x = Q−1 √ (2.7)
1 − v2
y = Q−1 y 0
z = Q−1 z 0
16 CAPITOLO 2. CINEMATICA RELATIVISTICA
t0 + vx0
t = Q√
1 − v2
x0 + vt0
x = Q√ (2.8)
1 − v2
y = Qy 0
z = Qz 0
Dal confronto della (2.7) e della (2.8) risulta evidente che la costante Q > 0 deve soddisfare
Q = Q−1 , da cui Q = 1. Perciò in conclusione le trasformazioni di Lorentz sono
t − vx
t0 = √
1 − v2
x − vt
x0 = √ (2.9)
1 − v2
0
y = y
z0 = z
1
γ=√
1 − v2
che semplica la forma delle trasformazioni di Lorentz
t0 = γ(t − vx)
x0 = γ(x − vt) (2.10)
y0 = y
z0 = z
tale che
γ(v = 0) = 1
γ(v → 1) → ∞
1
γ(v) ≈ 1 + v 2 + ...
2
2.4. TRASFORMAZIONI DELLE VELOCITÀ 17
Supponiamo di avere un oggetto che viaggia con velocità ~ u = (ux , uy , uz ) nel sistema di
0
riferimento O . A quale velocità sarà visto viaggiare in O in moto rispetto a O a velocità
v lungo l'asse x? Ovviamente, come abbiamo visto, non può valere un teorema di pure
addizioni delle velocità, come avveniva con le trasformazioni di Galileo, in quanto sarebbe
in contraddizione con l'invarianza della velocità della luce. Per dedurre la trasformazione
delle velocità scriviamo le trasformazioni di Lorentz in forma innitesima
cioè queste formule confermano l'invarianza della velocità della luce. Se un corpo si muove
1 0 1
a velocità ux = rispetto a O , e O si muove rispetto ad O a velocità v = , esso non sarà
2 2
0
visto da O muoversi a velocità 1, come erroneamente si potrebbe concludere applicando
trasformazioni di Galileo, bensì a velocità
1
+ 12 4
u0x = 2
1 1 =
1+ 2 · 2 5
Per velocità relative tra i sitemi di riferimento piccole rispetto a quella della luce (v 1)
le formule si riducono a quelle galileiane, come si può vedere facilmente espandendo le
formule di trasformazione delle velocità per v → 0. Ciò spiega perché nell'esperienza
comune l'addizione galileiana di velocità è assolutamente accettabile.
2 · 10−7
u0x = −14
= 2 · 10−7 (1 − 4 · 10−14 )
1 + 4 · 10
Se invece si incontrassero due astronavi vaiggianti ciascuna a velocità 0.99, cioè vicinis-
sime alla velocità della luce, avremmo
Un modo utile per visualizzare la geometria dello spazio-tempo come emerge dalle trasfor-
mazioni di Lorentz è quello di ricorrere ai cosiddetti diagrammi spazio-temporali. Iniziamo
con il semplicare il nostro problema pensando allo spazio come a una retta unidimensio-
nale. Allora lo spazio-tempo sarà rappresentato da un piano bidimensionale con coordinate
(x, t).
2.5. DIAGRAMMI SPAZIO-TEMPORALI 19
Perciò l'asse delle x0 , ovvero la retta di equazione t0 = 0, sarà dato sul nostro piano (x, t)
0 0
dalla retta t = vx e l'asse dei tempi t , ovvero la retta di equazione x = 0, sarà dato
1 0
dalla retta t = x. L'osservatore O giudica eventi simultanei quelli che giacciono su rette
v
t0 = cost., cioè t = vx + cost.
γ
. Prendiamo per esempio il luogo geometrico degli eventi che O
giudica simultanei e vericantesi dopo 1 metro (ricordiamo che stiamo misurando il tempo
0
in metri!) dal qui ed ora. Questi saranno sulla retta t = 1. Ma per O gli eventi simultanei
0 1
dopo 1 metro saranno t = 1, cioè t = vx + . Non solo la retta degli eventi simultanei
γ
20 CAPITOLO 2. CINEMATICA RELATIVISTICA
per O0 è inclinata rispetto a quella di O, ma anche l'unità di misura del tempo ne risulta
modicata di una quantità 1/γ , come vedremo meglio più avanti.
~a · ~b = a1 b1 + a2 b2
ma ciò porterebbe alla denizione di distanza s2 che non va bene in Minkowski. Qui
dobbiamo assumere un prodotto scalare denito come
a · b = a0 b0 − a1 b1
ove abbiamo indicato con l'indice 0 la coordinata temporale e con 1 quella spaziale dei
nostri vettori. In questo modo la norma di un vettore e il prodotto scalare stesso risulta
essere invariante di Lorentz.
Tornando al caso 4-dimensionale sico, il prodotto scalare in M4 sarà dato da
a · b = a0 b 0 − a1 b 1 − a2 b 2 − a3 b 3
Pensando al prodotto scalare come moltiplicazione riga per colonna di vettori, mentre nel
3
caso euclideo R si ha immediatamente
b1 X3
(a1 , a2 , a3 ) b2 = ai bi
b3 i=1
Useremo in generale indici latini quando ci riferiremo a spazi euclidei e indici greci per
spazi di tipo Minkowski. Gli spazi minkowskiani talvolta vengono anche detti spazi pseudo-
euclidei.
La matrice η di elementi ηµν viene detta metrica dello spazio M4 . La metrica di RN
sarebbe invece banalmente la matrice identità a N dimesioni 1N . Talvolta la notazione
dei 4-vettori ora introdotta viene abbreviata indicando solo due simboli nel vettore riga o
colonna: la componente temporale a0 e il 3-vettore delle componenti spaziali ~a. In questo
modo la formula per il prodotto scalare diventa
1 ~0
b0
(a0 , ~a) ~0 −13 ~b = a0 b0 − ~a · ~b
In M2 la metrica è semplicemente
1 0
η=
0 −1
Verichiamo che con tale metrica anche il sistema O0 risulta ortogonale, nonostante le
apparenze. In O i vettori della base sono
1 0
e0 = , e1 =
0 1
ed evidentemente il loro prodotto scalare da proprio gli elementi di η:
eµ · eν = ηµν
come facile vericare. Perciò i vettori della base sono ortogonali. Trasformiamo questi vet-
0
tori secondo Lorentz in una nuova base per O che si muove a velocità v . La trasformazione
di Lorentz si può scrivere in forma matriciale come
t0
1 −v t
=γ
x0 −v 1 x
perciò
1−v 0
e00 =γ , e01 =γ
0 1−v
ed è quindi immediato vericare che anche i loro prodotti scalari vericano
I vettori in MN , cioè in qualunque spazio con metrica non denita positiva, si possono
dividere come segue
L'asse dei tempi in gura è orientato verticalmente dal basso verso l'alto. Il vertice dei
due coni è l'evento qui e ora O. La supercie del cono superiore è il luogo geometrico
delle traiettorie di raggi di luce emessi in O. L'interno del cono superiore rappresenta gli
eventi che potrò raggiungere in futuro partendo da O e viaggiando a v < 1. (vedremo tra
breve che è impossibile viaggiare o comunicare a v > 1).
Analogamente la supercie del cono inferiore è il luogo geometrico di eventi passati che
possono aver emanato un raggio di luce che mi raggiunge qui e ora in O. Lo spazio, stelle,
galassie, ecc... che vedo (cioè sto osseervando) ora tramite segnali luminosi (o radio, IR,
4
UV, X...) è dato proprio da questa supercie conica (che in M sarebbe di dimensione 3,
3
quindi uno spazio R ). L'interno del cono inferiore è l'insieme degli eventi di partenza di
un mezzo di trasporto o un segnale viaggiante a v<1 che raggiunge O qui e ora.
24 CAPITOLO 2. CINEMATICA RELATIVISTICA
Risulta perciò evidente che l'evento O può essere inuenzato causalmente solo dagli
eventi appartenenti al cono inferiore, mentre O stesso può inuenzare causalmente solo
eventi appartenenti al cono superiore. Ciò giustica la nomenclatura di passato data al
cono inferiore e quella di futuro data al cono superiore.
La regione esterna ai due coni non presenta alcuna possibile connessione causale con O
e ad essa viene dato, forse con un certo abuso di termini, il nome di presente
. Il piano (in
4 3
M sarebbe un iperpiano R ) perpendicolare all'asse dei tempi e passante per O costituisce
l'insieme di tutti gli eventi simultanei a O nel sistema di riferimento in cui O è a riposo e
prende il nome di adesso. I concetti di presente e adesso, che abitualmente consideriamo
come equivalenti, sono distinti in relatività e tornano a coincidere solo nel limite in cui la
velocità della luce diventa innita. In tale limite i coni si allargherebbero no a coincidere
3
con il piano dell'adesso. Si noti, equivalentemente, che abbiamo identicato due spazi R in
quanto detto sopra, non coincidenti. Uno è lo spazio degli adesso, coiè denito dagli eventi
simultanei. L'altro è lo spazio visibile che comprende eventi che vedo adesso, ma capitati
nel passato. Se vedo oggi esplodere una supernova nella Grande Nube di Magellano, sto
ossevando ora un evento capitato circa 160.000 anni fa. Ciò che si trova al posto di quella
supernova ora, nel senso di simultaneamente a me adesso, mi è sconosciuto. Fa parte
degli eventi del presente, di cui non posso avere informazione. Se decido ora di mandare
una sonda per esplorare quella supernova, a velocità vicinissima a quella della luce, essa
raggiungerà la supernova tra 160.000 anni, quando la sua linea di mondo incontrerà il mio
cono del futuro.
2.8 Rapidità
eθ + e−θ eθ − e−θ
cosh θ = , sinh θ =
2 2
per le quali vale l'identità
cosh2 θ − sinh2 θ = 1
analoga a quella per funzioni trogonometriche ordinarie, ma con il segno meno, proprio ciò
che distingue l'invariante di Lorentz da un comune invariante per rotazioni. Ricordiamo
che
cosh θ = cos iθ , sinh θ = i sin iθ
e che, per denizione
sinh θ
tanh θ =
cosh θ
θ −θ
Poiché e > 0 e e > 0, allora cosh θ > 0, per tutti i θ. Invece sinh θ può essere sia positivo
che negativo (è una funzione dispari di θ , mentre cosh θ è pari). Tuttavia è sempre
s
√ sinh2 θ 1
1 − v2 = 1− 2 = =⇒ γ = cosh θ , γv = sinh θ
cosh θ cosh θ
e quindi
t0 = t cosh θ − x sinh θ
x0 = x cosh θ − t sinh θ
ovvero
t0
cosh θ − sinh θ t
=
x0 − sinh θ cosh θ x
26 CAPITOLO 2. CINEMATICA RELATIVISTICA
Così scritte, le trasformate di Lorentz hanno una fortissima analogia con una rotazione di
angolo θ degli assi in un piano euclideo, dove però qui θ → iθ. Possiamo allora pensare
alle trasformazioni di Lorentz come a una sorta di speciali rotazioni (iperboliche) nello
spazio-tempo.
La legge di composizione delle velocità, in termini delle rapidità prende una forma
particolarmente interessante. Essa infatti può essere scritta come
θB = θA − θAB
ovvero, mentre in relatività le velocità non rispettano più una legge di somma, le rapidità
seguono un principio di addizione. Per piccole velocità
v = tanh θ ≈ θ + ...
t ± x = ξ±
ξ 0± = e±θ ξ ±
2 2 2 2 + −
L'invariante di Lorentz τ = t − x è ora dato semplicemente dal prodotto τ = ξ ξ . Le
±
linee ξ = cost. sono le parallele alle bisettrici e segnano la propagazione di raggi di luce.
2.10. IPERBOLI INVARIANTI, STABILITÀ DEL CONO-LUCE 27
Se costruisco un quadrato e poi lo trasformo secondo Lorentz può succedere per esempio
+ −
che la sua ξ sia dimezzata, ma allora la sua ξ sarà contemporaneamente raddoppiata,
4
sicchè l'area rimane costante. Applicando questo ragionamento a tutto lo spazio M e
non solo al diagramma semplicato bidimensionale, possiamo aermare che l'ipervolume
Ω di una gura geometrica 4-dimensionale è un invariante di Lorentz. In particolare il
volumetto innitesimo d4 x = dt dx1 dx2 dx3 è un invariante.
Le rotazioni del piano euclideo mantengono invariate le circonferenze e ciò perché l'equa-
zione della circonferenza si scrive
x2 + y 2 = cost.
Ciò che funge da analogo della circonferenza nello spazio-tempo di Minkowski sono le
iperboli
t2 − x2 = cost.
Esse sono iperboli equilatere aventi come asintoti le bisettrici η = cost. e ξ = cost. La
trasformazione di Lorentz non fa altro che far scorrere i punti del piano su queste iperboli
(come ad esempio per i vertici del quadrato di cui sopra) che vengono perciò dette iperboli
invarianti.
28 CAPITOLO 2. CINEMATICA RELATIVISTICA
trasformazioni di Lorentz abbiamo subito che per un altro osservatore O0 in moto rispetto
ad O a velocità v questi intervalli saranno
∀t, x o = 0 xA = L
e quindi x0o = −vt0o , come è logico che sia, poiché O0 vede questo punto sso nell'origine di
O allontanarsi a velocità −v . Analogamente per il punto A
La misura di lunghezza della sbarra viene eettuata da entrambi gli osservatori misurando
simultaneamente le coordinate dei punti estremi O e A e calcolandone la dierenza, cioè
v v
γto = γ(tA − L) ⇒ tA − to = L
c2 c2
D'altronde la dierenza x0A − x0o si trasforma come
v2
x0A − x0o = γ[L − v(tA − to )] = γL 1 − 2
c
da cui discende che O0 giudica che la lunghezza di una sbarra misurata da O essere di
lunghezza L sia di lunghezza
L
L0 =
γ
Poiché γ > 1, è sempre L0 < L e si ha il fenomeno noto come contrazione relativistica delle
lunghezze.
Associata alla contrazione delle lunghezze si ha sempre anche una dilatazione dei tempi.
Supponiamo di avere un orologio fermo nell'origine degli assi di O che possiamo schematiz-
zare come una serie di eventi equidistanti (il battito dei secondi, per esempio) lungo l'asse
t. Sia la distanza tra i primi due di questi eventi T . Cioè il primo evento O si trova in
to = xo = 0 e il secondo A (l'altro estremo dell'intervallo temporale OA di lunghezza T )
in tA = T e xA = 0.
O0 vede i due eventi a tempi
T 0 = γT
Supponiamo che si voglia fare un viaggio dalla Terra ad α-Centauri (distanza misurata
4
dalla Terra L = 4 anni-luce) a v = c = 240.000 Km/sec. La luce impiega 4 anni per
5
arrivare ad α-Centauri. I terrestri (sistema O ) vedono l'astronave impiegare 5 anni per
raggingere la stella.
Per questo problema conviene adottare come unità di misura aventi c=1 l'anno peer
i tempi e l'anno-luce per le misure spaziali.
Sull'astronave c'è un orologio che scandisce il tempo. Visto dagli astronauti, questo
orologio è del tutto regolare, mentre da Terra lo si vede andare più lentamente e gli stessi
astronauti invecchiano più lentamente dei loro gemelli terrestri. Per quanto visto, un
intervallo di tempo dell'astronave sarà visto da Terra dilatato di un fattore
1 5
γ=√ =
1 − v2 3
Quindi mentre sulla Terra sono passati 5 anni, sull'astronave ne sono passati 3 e quindi
gli astronauti dicono di impiegare 3 anni per fare il viaggio. Ma gli astronauti viaggiano
4
sempre alla velocità v = e dicono che il viaggio è più corto perché è più breve il percorso.
5
0 3
Infatti per la contrazione delle lunghezze per loro sarà L = L, cioè per gli astronauti
5
12
la distanza Terra α-Centauri è di = 2, 4 anni-luce. Dunque l'evento A di arrivo su
5
α-Centauri avrà coordinate
Il paradosso si risolve rendendosi conto che due sistemi di riferimento inerziali viaggiano
necessariamente con moto rettilineo uniforme uno rispetto all'altro e che perciò nchè si
rimane in questa situazione non vi sarà modo per i due gemelli di reincontrarsi e paragonare
eettivamente le loro età. Per fare ciò, l'astronave deve invertire il suo moto e tornare verso
la Terra. Ma questo equivale a dire che deve necessariamente rallentare e passare quindi
per stati di moto accelerato per i quali non valgono più le trasformazioni di Lorentz.
t0 = 3
Questa viene trasformata nel sistema O della Terra nella retta di equazione
5 4
3= x+ t
3 5
ovvero
4 9
t= x+
5 5
9
che intercetta l'asse x=0 su cui rimane la Terra a un tempo t=
5
= 1, 8 anni. Questo è
il tempo che il gemello astronauta giudica sia passato sulla Terra durante il suo viaggio di
andata.
Ora l'astronauta inverte bruscamente la rotta, cioè salta istantaneamente su un altro
00
sistema di riferimento O in cui la retta degli eventi simultanei con A è data dalla equazione
4 41
t=− x+
5 5
che è la retta di inclinazione data dall'inverso della velocità (negativa) di ritorno che passa
0 00
per l'evento A. L'astronauta, durante il salto da O a O vede trascorrere istantaneamente
9
tutti gli eventi terrestri dal tempo
5
= 1, 8 anni al tempo 41 5
= 8, 2 anni. Cioè un intervallo
di 6,4 passa istantaneamente sulla Terra per giudizio dell'astronauta.
Ovviamente questo salto istantaneo non è sicamente possibile. La decelerazione e
successiva accelerazione deve durare un certo tempo e i tempi terrestri vengono visti scor-
rere più velocemente ma non istantanemaente per eetti di trasformazioni tra sistemi di
riferimento accelerati che tratteremo in relatività generale. Per ora basti sapere che al
suo ritorno sulla Terra il gemello astronauta sarà invecchiato in totale di 6 anni, mentre il
suo gemello terrestre sara` invecchiato di 10 anni. Questa asimmetria è dovuta proprio al
fatto che l'astronauta ha dovuto cambiare sistema di riferimento inerziale mentre il gemello
terrestre no.
Si noti che anche in questa analisi del paradosso dei gemelli non si tiene conto della
velocità di propagazione del segnale. Gli eetti di dilatazione dei tempi e contrazione delle
lunghezze sono dati esclusivamente da considerazioni sul concetto di simultaneità come
giudicato dai diversi sistemi di riferimento inerziali in gioco.
Se invece volessimo tener conto della propagazione dei segnali alla velocità c, la descri-
zione dei fenomeni sarebbe diversa. L'astronauta vedrebbe gli eventi terrestri dei primi 1,8
anni raggiungerlo molto lentamente, mentre i successivi lo raggingerebbero rapidamente
durante il viaggio di ritorno, cosicchè al momento del rientro sulla Terra l'astronauta è
aggiornato su tutti gli eventi accaduti sul pianeta nel decennio trascorso. Tuttavia egli è
conscio che ciò che vede a un certo istante sulla Terra è in realtà avvenuto tempo prima
ed è a lui arrivato tramite un segnale luminoso che ci ha messo un certo tempo, così come
quando vediamo esplodere una supernova non diciamo ora è esplosa la supernova ma,
34 CAPITOLO 2. CINEMATICA RELATIVISTICA
se questa si trova per esempio a 1000 anni-luce da noi, diciamo 1000 anni fa è esplosa
una supernova nella costellazione tal dei tali, ecc.... Attribuiamo cioè all'evento esplosione
della supernova una proprietà di simultaneità con gli eventi terrestri di 1000 anni fa, non
con quelli di oggi. È questa simultaneità che viene distorta dalle trasformazioni di Lorentz.
L'eetto non è dovuto solo al trasmettersi a velocità nita dei segnali.
dτ 2 = dt2 − d~x2
d~
x
Ma
dt
= ~v e quindi, indicando con v = |~v |
√
dτ = dt 1 − v 2
cioè si riottiene il tempo dilatato, cioè il tempo proprio dell'astronave è il tempo che la
Terra ha visto passare sui suoi orologi moltiplicato per per il fattore di rallentamento
√
1 − v 2 = γ −1 .
D'ora in poi useremo il tempo proprio come invariante spazio-temporale fondamentale
Vediamo ora di formalizzare in una veste matematica corretta le idee esposte nel capitolo
precedente. Allo scopo iniziamo con alcuni richiami sugli spazi vettoriali e gli spazi metrici,
per poi introdurre il calcolo tensoriale piatto.
Le leggi della Fisica devono essere uguali in qualsiasi sistema di riferimento inerziale,
cioè invarianti per trasformazioni di Lorentz. Per poter asserire ciò bisogna porre le leggi
siche in una forma in cui l'invarianza appaia chiaramente e ciò viene fatto tramite il
calcolo tensoriale.
commutativa
~v + ~u = ~u + ~v ∀~v , ~u ∈ V
associativa
(~v + ~u) + w
~ = ~v + (~u + w)
~ ∀~v , ~u, w
~ ∈V
esistenza del vettore nullo
∃~0 ∈ V : ~v + ~0 = ~v ∀~v ∈ V
1 In questa sezione useremo la convenzione di indicare vettori in uno spazio vettoriale generico di di-
mensione N con il simbolo ~x. Useremo invece la notazione con lettere grassette x quando penseremo a
un vettore come a una matrice colonna. La corrispondente matrice riga sarà indicata dall'operazione di
trasposizione come xT . Le matrici quadrate saranno indicate con lettere grassette, usualmente, ma non
sempre, maiuscole A, B, ecc...
I risultati di questo capitolo si potranno applicare sia allo spazio-tempo 4-dimensionale di Minkowski,
i cui vettori sono indicati con x che allo spazio ordinario R3 i cui vettori sono indicati con ~x negli altri
capitoli.
35
36 CAPITOLO 3. CALCOLO TENSORIALE PIATTO
esistenza dell'opposto
distributiva I
λ(~v + ~u) = λ~v + λ~u ∀λ ∈ K, ∀~v , ~u ∈ V
distributiva II
associativa
(λµ)~v = λ(µ~v ) ∀λ, µ ∈ K, ∀~v ∈ V
invarianza per l'unità di K
1~v = ~v 1 ∈ K, ∀~v ∈ V
Nel seguito ci occuperemo principalmente dei casi in cui K=R nel quale V è detto spazio
vettoriale reale.
Ricordiamo qui, senza ripeterne le dimostrazioni, alcune proprietà utili degli spazi
vettoriali:
0~v = ~0 ∀~v ∈ V
λ~0 = ~0 ∀λ ∈ R
~a = aµ~eµ aµ ∈ R
A~a = d~
cioè
dµ = aν Aµν
in cui Aµν indica la µ-sima componente del vettore A~eν . I numeri Aµν possono essere
organizzati in una matrice
A1 1 . . . A1 N
. .. .
A= . .
. . .
AN1 ... N
AN
Si noti che la posizione degli indici non è indierente. Il primo indice, che sia in alto o
in basso, rappresenta comunque le righe, mentre il secondo rappresenta le colonne. Ecco
µ µ µ
perchè le notazioni A ν e Aν non sono equivalenti e la notazione Aν in realtà avrebbe senso
solo per matrici simmetriche. Si può così dire che la matrice A costituisce una rappresen-
tazione matriciale dell'operatore lineare A. Come conseguenza dell'algebra operatoriale si
può immediatamente costruire l'algebra delle matrici
a1
.
a= .
.
N
a
dµ = Aµν aν cioè d = Aa
38 CAPITOLO 3. CALCOLO TENSORIALE PIATTO
Nello spazio V deniamo un prodotto scalare, inteso come forma bilineare non degenere
con valori in R, cioè · : V × V → R avente le proprietà
~a · ~b = ~b · ~a
Uno spazio vettoriale dotato di prodotto scalare viene perciò detto spazio normato.
Esprimendo i vettori tramite le componenti nella base
~a · ~b = aT gb
Uno spazio normato dotato di metrica invertibile e simmetrica si dice spazio metrico.
Nella presente trattazione assumiamo che gli elementi della matrice metrica siano co-
stanti indipendenti dalle coordinate. Vedremo che in Relatività generale occorrerà genera-
lizzare questo punto a metriche dipendenti dalle coordinate, che introdurranno i cosiddetti
spazi curvi. Nella trattazione della relaitività ristretta, tuttavia, si fa uso solo di metriche
costanti e gli spazi metrici dotati di metriche costanti si dicono spazi piatti.
Possiamo poi denire i vettori della base duale di V
~eµ = g µν ~eν
3.2. PRODOTTO SCALARE, METRICA 39
che sono pure linearmente indipendenti. Pertanto un vettore si può decomporre anche nella
base duale
~a = aµ~eµ
Confrontando questa decomposizione con quella nella base originaria si legano i due diversi
tipi di componenti
aµ g µν = aν
e analogamente
aµ gµν = aν
Inoltre il prodotto scalare di due vettori si esprime come
~a · ~b = gµν aµ bν = aν bν
Da tutto ciò si comprende l'importante ruolo della metrica gµν e della sua inversa g µν
nell'alzare e abbassare gli indici. In qualunque situazione, da una quantità con un indice
in alto si potrà ottenere la sua analoga con indice in basso moltiplicando per la metrica
gµν . Viceversa un indice sarà abbassato dalla metrica inversa g µν .
Due vettori si dicono ortogonali se il loro prodotto scalare è nullo. Una base in cui tutti
i vettori siano ortogonali l'uno all'altro si dice base ortogonale. Ovviamente la metrica g
di una base ortogonale è una matrice diagonale. Poichè ogni matrice con determinante non
nullo si può diagonalizzare, e avrà come elementi diagonali i suoi autovalori, ne concludiamo
che possiamo sempre trovare una base ortogonale per uno spazio piatto.
La norma può essere riscritta in componenti, mostrando la sue relazione con la metrica
|~v |2 = gµν v µ v ν
e perciò possiamo sempre ridenire nuovi vettori della base aventi norma quadrata 1:
−1/2
~eˆµ = gµµ ~eµ . In questa nuova base ortonormale
la metrica risulta necessariamente
diagonale e avente lungo la diagonale elementi gµµ = ±1. Gli spazi vettoriali reali normati
piatti si possono perciò classicare dandone le dimensioni e la quantità di +1 e −1 che
compaiono nella metrica di una loro base ortonormale. Poiché il numero totale degli
elementi diagonali di g è la dimensione, in realtà basterà indicare quanti autovalori +1
(o coordinate temporali ) e quanti −1
(o coordinate spaziali ) compaiono nella metrica.
N
Come spazi vettoriali, tutti questi spazi sono isomor a R . Tuttavia solo se tutti
gli autovalori hanno lo stesso segno, che in questo caso conviene prendere positivo, cioè
se in una base ortonormale g = 1N (dove 1N
indica la matrice identità a N dimensioni)
essi sono isomor a uno spazio euclideo. In questo caso potremo usare la notazione R
N
p,q
per identicarli. In tutti gli altri casi useremo la notazione R dove p è il numero di
40 CAPITOLO 3. CALCOLO TENSORIALE PIATTO
tutti positivi, e perciò anche il determinante della metrica è positivo. La norma quadrata
sarà sempre positiva e potrà annullarsi solo per il vettore nullo. Nel caso, invece, degli
spazi pseudoeuclidei è possibile trovare un luogo geometrico di tutti i vettori che hanno
norma nulla. A questo luogo viene dato il nome di cono-luce. I vettori saranno classicati
a seconda che abbiano norma positiva, nulla o negativa in vettori di tipo tempo, di tipo
luce o di tipo spazio, come già visto.
Un altro importante aspetto della questione è vedere cosa succede alle aµ quando si fa un
cambiamento di base. Supponiamo di trasformare i vettori della base {~ eµ } in un nuovo
0
insieme di vettori {~
eµ } attraverso l'applicazione di una trasformazione lineare L
Queste componenti si trasformano perciò con Λ e vengono quindi dette componenti cova-
rianti di ~a.
3.4 Isometrie
Tutte le possibili trasformazioni lineari invertibili e suriettive sui vettori di uno spazio me-
trico possono essere viste come cambiamenti di base. Tra esse, hanno particolare interesse
quelle che lasciano invariato il prodotto scalare. isometrie.
A queste si da il nome di
v , esso si trasformerà in un v' a causa
Dunque, se opero una trasformazione su un vettore ~
di una isometria L
~v 0 = L~v (3.1)
Pensando ai vettori come matrici colonna, il prodotto scalare si realizza riga per colonna
cioè occorre, tramite la metrica, denire il corrispondente vettore riga. Si noti, per quanto
detto sopra, che il vettora riga ṽ di componenti covarianti vµ è dato da
ṽ = vT g
v0 = Λv u0T = uT ΛT
da cui la condizione fondamentale che denisce l'insieme di matrici che possono rappresen-
tare una isometria
ΛT gΛ = g (3.2)
Nel caso di spazi euclidei in cui g = 1 questa si riduce alla condizione di ortogonalità
di matrici. Le isometrie degli spazi euclidei sono le rotazioni N -dimensionali che sono
realizzate appunto da matrici ortogonali
ΛT = Λ−1
42 CAPITOLO 3. CALCOLO TENSORIALE PIATTO
E' chiaro che due matrici ortogonali con determinante +1 hanno prodotto ancora con
determinante +1. Le matrici con determinante +1 formano perciò un sottogruppo di O(N )
detto sottogruppo delle rotazioni proprie SO(N ). Le matrici con determinante −1 invece
non formano gruppo. Tuttavia esse possono essere tutte ottenute moltiplicando le matrici
di SO(N ) per un singolo elemento con determinante −1, per esempio la matrice −1 se N
è dispari, o la matrice diag(1, −1, ..., −1) se N è pari. Esse quindi costituiscono un laterale
del sottogruppo SO(N ) e, detto Z2 il gruppo ciclico {1, −1} si ha O(N ) = SO(N ) × Z2 .
p,q
Passiamo ora ad esaminare il caso degli spazi pseudoeuclidei R . La relazione deni-
toria del gruppo di matrici è ora la (3.2) con g = diag(1, ..p volte..., 1, −1, ...q volte..., −1).
Questo denisce un gruppo che è la generalizzazione del gruppo delle rotazioni O(N ) a spazi
con metrica più generale. Indicheremo questi gruppi con O(p, q). Il gruppo delle trasforma-
zioni di Lorentz è pertanto il gruppo O(3, 1). A questo gruppo vanno aggiunte le traslazioni
p+q
spaziali e temporali, che formano un gruppo abeliano isomorfo a R (inteso come gruppo
p,q
rispetto al prodotto), per avere tutte le isometrie psssibili di R . Il gruppo di tutte le
p+q
isometrie, sia Lorentz che traslazioni, si dice gruppo di Poincaré P(p, q) = O(p, q) × R .
Il determinante, con ragionamento del tutto analogo a quanto fatto per le matrici orto-
gonali, è sempre±1. Anche qui possiamo quindi identicare un sottogruppo di trasforma-
zioni proprie SO(p, q). Tuttavia la struttura può presentare un ulteriore complessità, che
analizzeremo in dettaglio nel coaso di nostro intertesse, cioè il gruppo O(3, 1).
0
Il gruppo di Poincaré P(3, 1) è il gruppo delle trasformazioni di coordinate x = Λx + a in
R3,1 che lasciano invariato il prodotto scalare e perciò permettono di denire l'invariante
2 2 2
metrico dτ = |dx| = dt − |d~ x|2 . Le trasformazioni di Poincaré sono costituite dalle
4
traslazioni a ∈ R e dalle trasformazioni di Lorentz Λ ∈ O(3, 1). Queste ultime si possono
dividere in proprie, cioè con determinate +1, e improprie con determinate −1. Le prime
formano il sottogruppo SO(3, 1), come già visto. Le seconde invece sono un laterale che
può essere realizzato moltiplicando ogni elemento di SO(3, 1) per la matrice g = η =
diag(1, −1, −1, −1). Quest'ultima lascia invariata la coordinata temporale e manda le
coordinate spaziali da ~x in −~x. Si tratta quindi di una trasformazione di parità. Ogni
trasformazione impropria è il prodotto di una trasformazione propria e una di parità.
+ 0
Inoltre si può denire l'insieme O (3, 1) delle matrici Λ aventi l'elemento Λ 0 > 0.
Queste trasformazioni hanno la proprietà di lasciare invariato l'ordine temporale degli
3.5. GRUPPO DI LORENTZ 43
eventi, perciò sono dette ortocrone. Quelle invece con Λ00 < 0 invertono la direzione
dell'asse dei tempi e vengono dette anticrone. Il loro insieme viene spesso indicato con
O− (3, 1). Chiameremo inoltre SO± (3, 1) = O± (3, 1) ∩ SO(3, 1). Dimostriamo che O+ (3, 1)
è un sottogruppo di O(3, 1). Sapendo che il prodotto è associativo, che l'elemento 1
+
appartiene a O (3, 1), ci basta mostrare che il prodotto di due matrici ortocrone è ancora
una matrice ortocrona e che l'inversa di una trasformazione ortocrona è ortocrona. Per
fare ciò cominciamo col notare che, dalla relazione (3.2) discende
Λ−1 = η −1 ΛT η
Ne segue
(Λ−1 )00 = Λ00 (3.3)
Inoltre, sempre dalla relazione denitoria (3.2), calcolandone esplicitamente il primo ter-
mine, si ha
X
(Λ00 )2 − (Λi0 )2 = 1
i
−1
Riscrivendo quest'ultima per Λ e tenendo conto delle (3.3,3.4) abbamo anche
X
(Λ00 )2 − (Λ0i )2 = 1
i
Da queste ultime due equazioni discende che (Λ00 )2 ≥ 1 e cioè Λ00 ≤ −1 oppureΛ00 ≥ 1.
Chiaramente le metrici ortocrone si hanno nel secondo caso. Supponiamo che Λ, Σ ∈
O+ (3, 1). Vogliamo mostrare che P = ΛΣ ∈ O+ (3, 1). Calcoliamo pertanto il primo
elemento di matrice di P
X
P 00 = Λ00 Σ00 + ~ ·Σ
Λ0i Σi0 = Λ00 Σ00 + Λ ~
i
dove con ~ Σ
Λ, ~ indichiamo i vettori di componenti Λ0i e Σi0 rispettivamente. Il loro prodotto
scalare gode della seguente proprietà
~ ·Σ
Λ ~ = |Λ||
~ Σ|~ cos θ
~ · Σ|
|Λ ~ ≤ |Λ||
~ Σ|~
~ ·Σ
P 00 = Λ00 Σ00 + Λ ~ ≥ Λ00 Σ00 − |Λ||
~ Σ|~ >0
da cui risulta che P ∈ O+ (3, 1). Dunque le matrici ortocrone formano un sottogruppo di
O(3, 1).
La situazione dei sottogruppi del gruppo di Lorentz si può riassumere nella segnete
tabella
44 CAPITOLO 3. CALCOLO TENSORIALE PIATTO
det Λ = +1 det Λ = −1
0
Λ0≥1 proprie ortocrone improprie ortocrone
Λ00 ≤ −1 proprie anticrone improprie anticrone
La prima casella in alto a destra, cioà le proprie ortocrone forma il sottogruppo SO+ (3, 1)
delle trasformazioni di Lorentz ottenibili dall'identità con deformazioni continue dei para-
metri. Normalmente si richiede che una legge sica sia invariante rispetto a queste trasfor-
mazioni. Le trasformazioni della seconda casella, le improprie ortocorone, si ottengono dalle
proprie ortocrone moltiplicandole per una inversione di parità P = diag(1, −1, −1, −1) (che
coincide con la metrica η ). Tutte le leggi siche per le quali si desidera anche invarianza
di parità devono essere invarianti almeno per tutte le ortocrone, siano esse proprie o im-
+
proprie, cioè per il sottogruppo O (3, 1) costituito da entrambe le caselle della prima riga
della tabella.
La prima casella della seconda riga, le trasformazioni proprie anticrone si ottengono dal-
le proprie ortocrone moltiplicandole per una inversione temporale T = diag(−1, −1, 1, 1).
Tutte le leggi siche che siano indierenti alla freccia del tempo devono essere invarianti
per tutte le matrici proprie, siano esse ortocrone o anticrone, cioè per le matrici di tutto
il sottogruppo SO(3, 1) costituito dalle due caselle della prima colonna della tabella. Le
matrici della seconda colonna della seconda riga, cioè le improprie anticrone si ottengono
dalle proprie ortocrone moltiplicandole per PT = diag(−1, 1, −1, −1). Esse vanno consi-
derate se si vuole invarianza rispetto a tutto il gruppo di Lorentz, cioè anche per parità e
inversione temporale.
3.6 Tensori
(A0 )µ1 ···µp ν1 ···νq = (Λ−1 )µ1 ρ1 · · · (Λ−1 )µp ρ1 Λσ1 ν1 · · · Λσq νq Aρ1 ···ρp σ1 ···σq
3.7 Invarianti
Si dicono invarianti le quantità che non variano per un cambiamento di base. Il prodotto
scalare di due vettori è un invariante
a a
V (r) = = √
r ∆xi ∆xi
Trasformandolo con l'isometria di R3 , cioè le rotazioni O(3), si ha infatti
a a
V 0 (r0 ) = q =q = V (r0 )
(R−1 )ji ∆x0j Rki ∆x0k ∆x0j ∆x0j
46 CAPITOLO 3. CALCOLO TENSORIALE PIATTO
Quindi V (r)
non solo ha lo stesso valore, ma mantiene anche la stessa forma nel nuovo
x0 che aveva nel vecchio ~x.
sistema di coordinate ~
Introduciamo ora il concetto di derivata di un tensore. Cominicamo col denire le
derivate di una funzione scalare
∂W 0 ∂W ∂xν ∂W
0µ
= ν 0µ
= Λν µ ν
∂x ∂x ∂x ∂x
La derivata di uno scalare rispetto alle componenti controvarianti di un 4-vettore si compor-
ta quindi come un 4-vettore covariante. Analogamente la derivata rispetto alle componenti
covarianti si comporta in modo controvariante
∂W 0 ∂W ∂xν ∂W
0
= 0
= (Λ−1 )µν
∂xµ ∂xν ∂xµ ∂xν
In maniera poco ortodossa, si può dire che indici in alto nel denominatore di una derivata
si comportano come indici in basso e viceversa indici in basso si comportano come indici in
alto. Ciò giustica l'introduzione del simbolo ∂µ per indicare la derivata tensoriale rispetto
µ
alla coordinata x
∂ ∂ ~
∂µ ≡ µ
= ( , ∇)
∂x ∂t
∂µ si comporta quindi come un 4-vettore covariante
∂µ0 = Λν µ ∂µ
∂
µ ∂t
∂ = ~
−∇
∂µ V ν = Tµ ν
che è infatti uno scalare. Nel caso 4-dimensionale di Minkowski si parla di 4-divergenza
∂µ V µ
3
Illustreremo questo a 3 dimensioni in R e a 4 dimensioni nello spazio-tempo di Minkowski
4 3
M . In R talvolta il simbolo di Levi-Civita viene anche chiamato simbolo di Ricci. Le
componeti del rotore di un vettore saranno espresse da
~ × V~ )i = ijk ∂j Vk
(∇
~ × V~ )1 = 123 ∂2 V3 + 132 ∂3 V2 = ∂2 V3 − ∂3 V2
(∇
come deve essere secondo la denizione tradizionale. Il lettore potrà agevolmente vericare
le altre componenti.
Il simbolo di Levi-Civita a 4 dimensioni ha 4 indici: αβγδ = −αβγδ . La contrazione di
un tensore antisimmetrico di rango r≤4 con il simbolo di Levi-Civita produce un altro
tensore di rango 4−r totalmente antisimmetrico nei suoi indici che viene detto duale del
precedente
ed è quindi una densità tensoriale di rango N. Si dice densità scalare ogni oggetto che si
trasformi come
e densità tensoriale ogni oggetto che, oltre alla trasformazione tipica dei tensori abbia anche
un termine di tipo determinante nella trasformazione. Per esempio una densità tensoriale
di rango 2 si trasforma come
Nel caso del simbolo di Levi-Civita, tutti i termini Λβiαi nella contrazione si elidono dando
delle δ di Kroenecker e lasciando quindi sopravvivere solo il termine col determinate. Per le
trasformazioni proprie det Λ = 1 perciò non c'è distinzione da un tensore usuale, e il simbolo
di Levi-Civita è lo stesso in tutti i sistemi di riferimento. Ma se considero trasformazioni
improprie, allora det Λ = −1 e i tensori sono quindi caratterizzati dalle loro trasformazioni
di parità. I vettori che si trasformano con un segno meno sotto trasformazioni di parità
vengono detti pseudovettori. Si possono avere anche pseudoscalari (le densità scalari) e
pseudotensori.
Una proprietà importante di ijk = ijk a 3 dimensioni è la seguente
ijk ilm = δ jl δ km − δ jm δ kl
molto utile per dimostare certe identità tra gradienti, divergenze e rotori di 3-vettori.
Vedremo alcuni esempi di ciò nella trattazione del campo elettromagnetico.
Capitolo 4
Dinamica relativistica
Per sviluppare una dinamica relativistica procederemo qui da un punto di vista formale,
e cioè da un prinicipio di minima azione. Come in meccanica newtoniana una particella
libera percorre un cammino lungo il quale la traiettoria sia minima (linea retta in uno spazio
euclideo) e questo può essere formalizzato chiedendo che la lunghezza della traiettoria Γ
Z
ds
Γ
ove α è una costante per ora arbitraria, che sseremo in seguito. L'azione S può essere
scritta come l'integrale, tra l'istante iniziale tA e quello nale tB del moto, di una funzione
delle coordinate e delle velocità nota come Lagrangiana L(~x, ~v )
Z tB
S= dt L(~x, ~v )
tA
√
Poichè il tempo proprio dτ è legato al tempo coordinata da dτ = 1 − v 2 dt, possiamo
assumere come lagrangiana di una singola particella libera la quantità
√
L = α 1 − v2
49
50 CAPITOLO 4. DINAMICA RELATIVISTICA
Determiniamo ora la costante α richiedendo che per v→0 sia riprodotta la lagrangiana
non relativistica di una particella libera, che notoriamente è pari alla sua energia cientica
L = 12 mv 2 + cost. (a meno di una costante additiva arbitraria). Perciò espandiamo questa
esperessione per v piccoli
1
L = α − αv 2 + ...
2
da cui è immediato identicare α = −m. Perciò la lagrangiana relativistica della particella
libera di massa m è
√
L = −m 1 − v 2
La massa m si intende misurata nel sistema di riferimento a riposo. Da questa lagrangiana
è immediato ricavare, col metodo di Euler-Lagrange, le equazioni del moto
d ∂L ∂L
− =0 (4.1)
dt ∂~v ∂~x
cioè il moto rettilineo uniforme
~v = cost.
Per ricavare una espressione per l'impulso p~ di questa particella, ricordiamo che in
formalismo lagrangiano esso è visto come variabile canonicamente coniugata alla coordinata
~x
∂L m~v
p~ = =√ = mγ~v
∂~v 1 − v2
Si noti come questa espressione dierisca da quella newtoniana p~ = m~v . Il fattore γ fa
crescere vertiginosamente l'impulso di una particella di massa m quando questa viaggi a
velocità relativistiche. Per accelerare una particella alla velocità della luce occorrerebbe
fornirle un impulso innito, cosa chiaramente impossibile e per questo motivo nessun corpo
materiale dotato di massa potrà mai raggiungere la velocità della luce.
L'energia totale del sistema è data dall'hamiltoniana
2
√ mv 2 + m − mv 2
E = H = p~ · ~v − L = mγv + m 1 − v2 = √ = mγ
1 − v2
Si noti che quando la particella è a riposo, cioè γ = 1, l'energia del sistema non è nulla,
bensì
E0 = m
cioè ogni corpo materiale è dotato di una energia a riposo pari alla sua massa. Questa è forse
la relazione più famosa di tutta la relatività, ma quello che interessa qui è capirne il profondo
signicato: ogni massa è una forma di energia e l'energia può essere sempre pensata come
massa (questo sarà particolarmente importante per determinare i campi gravitazionali).
La massa pu essere trasformata in energia e viceversa, come avviene notoriamente nelle
reazioni nucleari. Per esempio nella fusione dell'idrogeno in elio, la massa totale dei corpi
iniziali è più grande del 7 per mille di quella del nucleo di elio nale. La dierenza si è
trasformata in energia termica e cinetica i cui eetti devastanti sono noti a tutti.
4.2. 4-VELOCITÀ 51
L'energia di una particella libera può perciò essere pensata come somma di energia
cinetica e energia a riposo
E = mγ = m + (γ − 1)m
perciò una espressione per l'emergia cinetica di una particella materiale in relatività è
T = (γ − 1)m. È immediato vericare che, espandendo per piccole v si riottiene la formula
1 2
usuale dell'energia cientica non-relativistica T = mv .
2
4.2 4-velocità
Una volta compreso come scrivere l'energia e il momento relativistici, ci chiediamo come
essi si trasformino sotto Lorentz. Allo scopo dobbiamo prima introdurre il concetto di
4-velocità. Essa è denita come
dxµ
uµ =
dτ
µ
Essendo la derivata eettuata rispetto al tempo proprio, che è un invariante, u eredita
µ
le proprietà tensoriali di dx e quindi è un 4-vettore. Le componenti della 4-velocità si
2 2
possono ottenere osservando che dτ = dt − |d~ x|2 = dt2 (1 − v 2 ) da cui dt = γdτ e perciò
dxµ
µ 1
u =γ =γ
dt ~v
µ 2 1
uµ u = γ (1, −~v ) = γ 2 (1 − v 2 ) = 1
~v
duµ
aµ =
dτ
che risulta sempre ortogonale alla 4-velocità. Infatti derivando la uµ uµ = 1 rispetto a τ si
ottiene
aµ uµ = 0
detta 4-impulso è un 4-vettore. Infatti essa può essere scritta come pµ = muµ con uµ
4-velocità, come è immediato vericare
µ mγ 1
p = = mγ = mγuµ
mγ~v ~v
Il 4-vettore p perciò ha componenti che si trasformano come un tensore controvariante di
rango 1
p0µ = (Λ−1 )µν pν
da cui si possono ricavare le trasformazioni di energia e impulso. In particolare, sistemi
di riferimento diversi attribuiranno energia diversa a un corpo; le componenti energia e
impulso si mescolano in una trasformazione di Lorentz, proprio come si mescolano spazio
e tempo.
La quantità |p|2 = pµ pµ è pertanto un invariante di Lorentz. Essa può essere espressa
da un lato tramite la sua espressione generale
|p|2 = E 2 − p2
(in cui si è usata la notazione p = |~p|) e dall'altro può essere calcolata in un sistema di
riferimento particolare, poiché il suo valore non cambia passando da un sistema a un altro.
Calcolandola quindi nel sistema di riferimento a riposo, in cui
µ m
p = ~0
Le soluzioni con il segno meno vengono escluse dal fatto che si assume che una particella
a riposo abbia energia pari alla sua massa positiva m, non −m. Tuttavia queste energie
negative diventano importanti quando si cerca di introdurre una equazione quantisitica
relativistica analoga all'equazione di Schrödinger, la cosiddeta equazione di Dirac, che
prevede appunto accanto alle soluzioni di energia positiva anche quelle di energia negativa,
portando di fatto al concetto di antiparticella. Non ci occupiamo qui per ora di questo
problema, segnalando però che anche le soluzioni di energia negativa della relazione di
mass-shell possono assumere signicato in certi capitoli della Fisica Teorica.
Si noti inoltre che la relazione di mass-shell ci da anche la relazione energia-impulso nel
caso di particelle prive di massa (per esempio il fotone)
E=p
4.4. PARTICELLA IN UN POTENZIALE ESTERNO 53
Pensando a tali particelle prive di massa come caso limite di quelle massive per m → 0, ci
rendiamo conto che la relazione
m
E=√
1 − v2
si annullerebbe a meno che il denominatore pure si annulli, ovvero che v = 1, cioè che la
particella viaggi alla velocità della luce. Viceversa, una particella che viaggia alla velocità
della luce avrebbe energia divergente, a meno che il numeratore si annulli, cioè la particella
sia di massa nulla. Le particelle esistenti in natura perciò si possono dividere in due grandi
classi:
• quelle con massa m>0 che viaggiano sempre a velocità inferiore a quella della luce
• quelle di massa nulla, che sono forzate a viaggiare costantemente alla velocità della
luce senza mai fermarsi o rallentare.
Non possono invece esistere particelle che viaggino a velocità superiori a quelle della luce
(tachioni). Esse potrebbero essere infatti veicolo di segnali superluminali che violerebbero
la causalità. Per essere più precisi esse potrebbero esistere ma non avere alcuna interazione
col mondo da noi conosciuto e perciò si possono totalmente ignorare in una teoria scientica
perché non misurabili.
Supponiamo ora che la nostra particella sia immersa in un campo esterno statico descrivibile
da un potenziale V (~x). La lagrangiana sarà ora
√
L = −m 1 − v 2 − V (~x)
d~p ∂V ~
=− = −∇V
dt ∂~x
Introdotto il concetto di forza
F~ = −∇V
~
d~p
F~ =
dt
che ha una forma analoga a quella newtoniana, ma in realtà è molto diversa. Infatti ora il
momento non ha più la forma newtoniana p~ = m~v da cui sarebbe subito possibile inferire
54 CAPITOLO 4. DINAMICA RELATIVISTICA
la seconda legge di Newton F~ = m~a. Essendo ora la forma dell'impulso p~ = mγ~v la sua
derivata sarà più complicata
d dγ
F~ = m (γ~v ) = mγ~a + m ~v
dt dt
dγ d~v
= mγ~a + m · ~v = mγ~a − mγ 3 (~v · ~a)~v
d~v dt
Questa legge mostra che la forza è parallela alla accelerazione solo nel caso in cui que-
st'ultima sia perpendicolare alla velocità o parallela ad essa. In tutti gli altri casi, ci sono
componenti della forza non dirette come l'accelerazione. Inoltre la validità di questa forma
della legge del moto è limitata ai casi in cui la massa rimane costante. Ora abbiamo visto
che processi nucleari possono trasmutare massa in energia e perciò può esserci anche un
termine dm/dt che complica ulteriormente le cose. In conclusione, sebbene la F~ = d~p/dt
sia una corretta legge dinamica in relatività, essa ha un contenuto in generale molto più
ricco che in meccanica newtoniana, prevedendo sia forze non parallele all'accelerazione, sia
la possibilità che, con la transmutazione di massa in energia siano previsti nuovi metodi di
inuire sulle traiettorie dei corpi materiali.
4.5 4-forza
duµ
Fµ = m = maµ
dτ
cioè una specie di analogo 4-dimesionale della legge di Newton. Ricordando che la 4-
µ
accelerazione è ortogonale alla 4-velocità, ne segue Fµ u = 0, da cui, esplicitando le
componenti
dE 1
γ ( , −F~ )
2
=0
dt ~v
ovvero
dE
= F~ · ~v
dt
4.6. AZIONE A CONTATTO E A DISTANZA. CAMPI. 55
F~ · ~v
µ
F =γ
F~
d~p dE
F~ = = E~a + ~v
dt dt
e perciò la generalizzazione relativistica della legge di Newton
che torna a coincidere con quella classica per v 1. Questa equazione ci dice che la
forza, in generale, non è più parallela all'accelerazione, cosa che invece succedeva sempre in
meccanica newtoniana. Il parallelismo tra F~ e ~a sussiste solo se ~v = 0, ciè in caso di moto
incipiente, oppure se F~ · ~v = 0, cioè per forze perpendicolari alla velocità (come nel moto
circolare uniforme) o, inne, per il caso in cui il moto sia rettilineo (non necessariamente
uniforme), cioè con ~a parallela a ~v .
Se si vuole ora considerare la dinamica di un sistema chiuso (cioè non sottoposto a forze
esterne, ma solo alle forze esercitate da uno sull'altro corpo appartenente al sistema), si
incontra un punto fondamentale di dierenza con la meccanica newtoniana.
Un sistema di particelle infatti può prevedere due tipi fondamentali di interazioni:
• l' interazione a contatto in cui i corpi si comportano come liberi nchè non giungono
a contatto l'uno dell'altro e allora avviene un urto durante il quale può esserci scambio
di impulso e energia. Questa è la situazione tipica delle classiche palle da biliardo
• l' interazione a distanza in cui i corpi si sentono l'un l'altro attraverso un poten-
ziale, come avviene per esempio nella gravità newtoniana.
Nessun segnale può propagarsi a velocità superiore a quella della luce. La visione newto-
niana della forza di gravitazione universale presuppone una forza che dipenda solo dalle
posizioni dei corpi che la generano e la subiscono. Poiché tali corpi si muovono, il dire che
la forza dipende solo dalla posizione e non dalla velocità ha una conseguenza crucuale: si
deve richiedere che la forza si propaghi a velocità innita. Se un corpo si muove la sua
inuenza gravitazionale secondo Newton deve riaggiornarsi immediatamente in qualunque
punto dello spazio. Ciò rende la graviatazione di Newton incompatibile con la relatività ri-
stretta. Sarà da questo punto che prenderà le mosse l'altra grande rivoluzione Einsteiniana,
la relatività generale.
56 CAPITOLO 4. DINAMICA RELATIVISTICA
Qui ci basti commentare per ora che una interazione tra corpi distanti in relatività non
può che avvenire a velocità minore o uguale a quella della luce. Il concetto di campo, che
in meccanica newtoniana era nulla più che un espediente matematico, diventa ora invece
centrale. Invece del concetto di azione a distanza tra due corpi, la visione relativistica pre-
ferisce parlare di corpo materiale che produce un campo (gravitazionale, elettromagnetico,
ecc...) che si propaga nello spazio come un'onda a velocità minore o uguale a quella della
luce e quando raggiunge l'altro corpo materiale è da questo percepito e ne inuenza il moto.
Ciò che viene salvato della visione newtoniana è solo il prinicipio di azione e reazione. La
forza prodotta dal campo sul corpo di arrivo è uguale e contraria a quella sul corpo di
partenza. Tuttavia queste due forze non vengono in essere nello stesso istante, ma sono
separate dal tempo di propagazione del segnale di campo da un corpo all'altro.
d
F~AB + F~BA = (~pA + p~B ) = 0
dt
Nel caso di interazione a distanza ovviamente per avere ancora la conservazione del
4-impulso totale dobbiamo ammettere che parte di esso è data dal 4-impulso del campo
che deve essere sommato a quello delle particelle. Dunque in relatività l'unico tipo di
lagrangiama che possiamo immaginare di scrivere per particelle interagenti a distanza è per
forza accoppiata alla lagrangiana di un campo φ(~x, t) (la cui natura tensoriale dipenderà
dal tipo di interazione) che media le forze tra queste particelle
X q
L= −mA 1− vA2 − V (~xA , ~vA , φ(~xA , t), ∂µ φ(~xA , t)) + Lcampo (φ, ∂µ φ)
A
In ultima analisi anche le interazioni a contatto sono in realtà delle interazioni a distanza
(su distanze molto piccole). Due palle da biliardo che urtano sono composte da atomi che,
avvicinandosi gli uni agli altri, si repellono per via di forze elettromagnetiche. Gli urti tra
particelle elementari sono in realtà regolati dalle forze nucleari (deboli e forti), anch'esse
descritte da un campo. Da ciò si vede come il concetto di campo prenda sempre più
importanza man mano che si procede nell'analisi delle forze della natura e la relatività si
dimostra perfettamente compatibile con questo tipo di visione.
4.7. CRITICA AL CONCETTO DI CORPO RIGIDO 57
La visione relativistica si sposa bene invece con una visione atomistica in cui un corpo
materiale è costituito da moltissimi corpuscoli tenuti insieme da campi di interazione.
Il problema si ripresenta però a livello dei corpuscoli: se questi hanno una qualunque
estensione, non potendo essere rigidi, devono essere composti di qualcosa di ancora più
piccolo. Dunque gli oggetti elementari in relatività devono essere puntiformi. In realtà
questa visione viene modicata se si introducono considerazioni quantisitiche. Tuttavia
qui non ci occuperemo di questo interessantissimo aspetto, che esula dalla trattazione
strettamente classica della relatività ristretta e assumeremo come puntiformi gli oggetti
elementari.
Spesso, avendo a che fare con corpi macroscopici, conviene considerare la distribuzione
di materia come approssimativamente continua e perciò introdurre i concetti di densità e
3
corrente di materia. Preso un cubetto innitesimo di lato dx e volume dV = d x di mate-
riale, misuratane la massa-energia dE si denisce densità di materia-energia relativisitica
la quantità
dE
µ(~x, t) =
dV
Questa può variare nel tempo perché ci può essere un usso di materia che esce o entra
dalle pareti immaginarie del cubetto. Dunque una informazione completa non consta
solo della densità ma anche dei movimenti di materia, cioè del movimento che la materia
del cubetto compie in ogni istante, ovvero della corrente di materia
X
µ(~x, t) = EA δ (3) (~x − ~xA ) (4.2)
A
X
~π (~x, t) = p~A δ (3) (~x − ~xA ) (4.3)
A
in cui δ (3) (~x) = δ(x1 )δ(x2 )δ(x3 ) è la distribuzione delta di Dirac tridimensionale e ~xA =
~xA (t) è la traiettoria della particella A.
Naturalmente µ(x) non è un invariante di Lorentz. Per rendersene conto facilmente,
pensiamo a un gas di densità uniforme in una scatola cubica di lato L. Se M è la massa
totale del gas, la sua densità nel sistema di riferimento in cui il cubo è a riposo, sarà
M
µ=
L3
γM
µ0 = = γµ
L3
Ci aspettiamo quindi che la densità si trasformi con un fattore γ e che non sia uno scalare
invariante di Lorentz, ma si trasformi come una struttura più complicata.
Allo stesso modo si possono introdurre altre densità. Per particelle dotate di una
qualche proprietà che chiameremo genericamente carica qA potrò introdurre una densità
di carica e una densità di corrente
X
(~x, t) = qA δ (3) (~x − ~xA )
A
X
~ x, t) =
J(~ qA~vA δ (3) (~x − ~xA )
A
e lo stesso per qualunque altro tipo di carica una particella possa possedere. Nel seguito di
questa sezione pensiamo a qA come a una qualsiasi caratteristica Lorentz-invariante di una
particella: la sua massa mA , la sua carica elettrica eA oppure un'altro tipo di carica (per
esempio di colore per i quarks, ecc...). L'invarianza di queste cariche elementari implica
che possiamo scrivere le densità e le correnti in maniera covariante collezionandole in un
4.8. DENSITÀ E CORRENTI 59
4-oggetto
dxµA (3)
µ ε X 1 X
J = = qA δ (3) (~x − ~xA ) =
δ (~x − ~xA ) qA
J~ ~vA dt
A A
dxµA (3) X dxµ dτ
Z X Z
= dt qA δ(t − tA ) δ (~x − ~xA ) = dt qA A δ (4) (x − xA )
A
dt A
dτ dt
Z X
= dτ qA uµA δ (4) (x − xA (τ ))
A
µ µ
In questa ultima forma è chiaro che J è un 4-vettore. Infatti dτ e qA sono invarianti, uA
(4)
sono 4-vettori e la δ , dovendo soddifare in qualunque sistema di riferimento la relazione
denitoria Z
d4 xδ (4) (x) = 1
deve pure essere un invariante. Per essere più precisi essa si trasforma inversamente a
d4 x. Quest'ultimo si trasforma come det Λ−1 , perciò la delta di Dirac 4-dimensionale si
µ
trasforma come det Λ, cioè come una densità scalare. Perciò J si trasforma come uno
pseudo-4-vettore.
Calcoliamo ora, tornando alla notazione con la delta 3-dimensionale, la divergenza della
densità di corrente
~ · J~ =
X d~xA ∂ (3) X d~xA ∂
∇ qA δ (~x − ~xA ) = − qA δ (3) (~x − ~xA )
A
dt ∂~x A
dt ∂~
x A
X ∂ (3) ∂ε
= − qA δ (~x − ~xA ) = −
A
∂t ∂t
Se le qA sono proprietà delle particelle indipenedenti dal tempo allora vale l' equazione di
continuità
∂ε ~ ~
+∇·J =0
∂t
ovvero ancora più elegantemente in formalismo 4-dimensionale
∂µ J µ = 0
Questa equazione ha un profondo signicato sico, in quanto è alla base delle leggi di
conservazione. Infatti in un sistema chiuso, la carica totale Q sarà la somma di tutte le
cariche qA delle singole particelle, ovvero l'integrale della densità ad essa associata su un
volume V sucientemente grande da includere tutto il sistema
Z XZ X
3
Q(t) = d xε(x) = d3 x qA δ (3) (~x − ~xA ) = qA
V A A
60 CAPITOLO 4. DINAMICA RELATIVISTICA
Questa quantità globale potrebbe in linea di principio dipendere dal tempo t. Tuttavia
l'equazione di continuità ci permette di calcolarne la derivata temporale
Z Z
dQ 3 ∂ε ~ · J~
= dx =− d3 x∇
dt V ∂t V
Ora per il teorema di Stokes l'integrale su un volume della divergenza di un campo vettoriale
è pari all'integrale sulla frontiera ∂V di tale volume del campo vettoriale stesso
Z Z
3 ~ ~
d x∇ · J = d~σ · J~
V ∂V
Tutte queste nozioni possono essere riassunte in un unico oggetto 4-dimensionale con due
indici
µ X pµ pν
µ dxA (3)
X
µν A A (3)
T (x) = pA δ (~x − ~xA ) = δ (~x − ~xA )
A
dt A
EA
4.9. TENSORE ENERGIA-IMPULSO 61
da cui si evince che T µν = T νµ è un oggetto simmetrico. Inoltre esso può essere riscritto
come
XZ
T µν
= dτ pµA uνA δ (4) (x − xA (τ ))
A
in analogia con quanto fatto nel caso di una corrente generica nella sezione precedente.
Con ciò si vede che si tratta di un tensore di rango 2, cui viene dato il nome di tensore
energia-impulso. Le sue componenti in forma matriciale sono
µ π1 π2 π3
π 1 σ 11 σ 12 σ 13 µ ~
π
T µν π 2 σ 21 σ 22 σ 23 = ~π σ
=
π 3 σ 31 σ 32 σ 33
dove la matrice 3×3 σ è detta tensore degli sforzi (nome mutuato dalla teoria dell'elasticità
dei solidi) e il suo elemento i, j -simo rappresenta il usso della componente i della densità
di impulso lungo la direzione j .
Questa denizione è stata data per particelle non interagenti o interganeti a contatto.
Nel caso di particelle interagenti a distanza si dovrà considerare anche la densità di ener-
gia e di impulso distribuita nel campo di interazione, come vedremo nel caso del campo
elettromagnetico.
Il tensore energia impulso è una quantità fondamentale in tutta la relatività, ristretta
o generale. Esso infatti codica nella maniera più completa la conservazione di 4 cariche
che sono alla base di tutta la meccanica.
X dxiA ∂ (3)
∂i T µi = pµA δ (~x − ~xA )
A
dt ∂xi
X dxiA ∂ (3)
= − pµA δ (~x − ~xA )
A
dt ∂xiA
X ∂ (3)
= − pµA δ (~x − ~xA )
A
∂t
∂ X µ (3) X dpµ
A (3)
= − pA δ (~x − ~xA ) + δ (~x − ~xA )
∂t A A
dt
µ0 µ
∂T X dpA (3)
= − + δ (~x − ~xA )
∂t A
dt
ovvero
X dpµ X
∂ν T µν
= A (3)
δ (~x − ~xA ) = FAµ γ −1 (vA )δ (3) (~x − ~xA ) = g µ
A
dt A
A dierenza del caso generico della sezione precedente, qui il 4-impulso delle singole par-
ticelle non è necessariamente una quantità ssa nel tempo. Lo è ovviamente nchè una
62 CAPITOLO 4. DINAMICA RELATIVISTICA
particella è libera. Nel momento in cui comincia a interagire essa subisce una forza, che
µ
crea appunto il termine g di cui sopra e a cui si da talvolta il nome di densità di forza. Se
µν
le particelle non interagiscono, ovviamente ∂ν T = 0. Lo stesso si verica se le particelle
interagiscono solo a contatto. Infatti supponiamo che tutte le particelle si stiano muoven-
do liberamente tranne due B e C che si urtano. Per tutte le particelle libere l'impulso e
l'energia si conservano, dunque dpµA /dt = 0. Allora gli unici termini non nulli nella densità
di forza sono
dpµB (3) dpµ
gµ = δ (~x − ~xB ) + C δ (3) (~x − ~xC )
dt dt
L'interazione avviene a contatto, cioè quando ~xB = ~xC e durante l'urto il 4-impulso si
conserva
d µ
(pB + pµC ) = 0 ⇒ gµ = 0
dt
In caso di azione a distanza la gµ non può essere annullata. Tuttavia, come vedremo
esplicitamente nel caso del campo elettromagnetico, è possibile aggiungere un termine di
µν
campo al tensore energia-impulso in modo tale che la somma del T della materia più
quello del campo sia ancora conservato.
La legge di conservazione corrispondente all'equazione di continuità del tensore energia-
impulso ci dice che la quantità
Z
ν
P = d3 xT 0ν
R3
si conserva. Chiaramente questa quantità corrisponde al 4-impulso totale del sistema, cioè
alla somma dei 4-impulsi di tutte le particelle in esso contenute. Come abbiamo detto ciò
è strettamente vero solo per particelle con interazioni a contatto (per esempio in un gas
perfetto relativistico). Per interazioni a distanza, come l'elettromagnetismo, la gravità o le
altre forze fondamentali della natura, per mantenere l'equazione di continuità (e quindi la
conservazione dell'energia-impulso) occorre aggiungere un termine di campo che ci mostra
come una certa quantità dell'energia e dell'impulso totali del sistema chiuso sono distribuite
nel campo di interazione. Il campo in relatività non è più solo un articio matematico, ma
diventa una vera e propria entità sica dotata di energia e impulso come le particelle.
Si denisca la quantità
M γαβ = xα T γβ − xβ T αγ = −M γβα
che è chiaramente un 4-tensore di rango 3, essendo somma di prodotti di tensori di rango
1 e 2 rispettivamente. Si noti l'antisimmetria negli indici α, β . Questa quantità obbedisce
a una legge di continuità rispetto all'indice γ se il sistema è isolato. Infatti
Z Z
J ij = d x(x T − x T ) = d3 x(xi π j − xj π i ) = ijk Lk
3 i j0 j i0
Queste espressioni diventano ancora più chiare se torniamo alle espressioni per un sistema
di particelle. Per le componenti di L avremo
Z XZ X
~ =
L 3
d x~x × ~π = d3 x ~xA × p~A δ (3) (~x − ~xA ) = ~xA × p~A
A A
e perciò stiamo parlando delle componenti del momento angolare totale del sistema, che
perciò è una quantità conservata anche in relatività.
4.12 Spin
Il 4-tensore J αβ
ha una trasformazione alquanto peculiare per traslazioni. Se cambio
0µ µ µ µ
coordinate come x = x + a con a = costante, esso subirà una variazione
J 0αβ = J αβ + aα pβ − aβ pα
Ciò non deve sorprendere più di tanto, poiché sappiamo che il momento angolare subisce
una analoga variazione quando lo si denisca da origini degli assi diversi. Per isolare la
parte intrinseca del momento angolare risulta conveninete denire un 4-vettore detto spin
come segue
1
Sα = αβγδ J βγ U δ
2
U δ = P δ/
P
dove n mn è la 4-velocità del CME. Nel sistema CME le sue componenti sono
δ 1
U = ~0
(poiché γ(0) = 1). Perciò in tale sistema le componenti di Sα si possono facilemnte calcolare
Sα = (0, J 23 , J 31 , J 12 )
cioè
α 0
S = ~
L
Le componenti dello spin sono proprio date dal momento angolare intrinseco, cioè calcolato
nel sistema CME. Che Sα abbia sempre 3 componenti indipendenti, in qualunque sistema
di riferimento si può vedere dalla relazione
U α Sα = 0
~ ·E
∇ ~ =ρ I Eq. di Gauss per l'elettricità
~
∇·B~ =0 II Eq. di Gauss per il magetismo
~ ×E
∇ ~ = − ∂ B~ III Legge di Faraday dell'induzione
∂t
~ ~ ~
∇×B = ∂E
+ ~j
∂t
IV Legge di Ampère
∂ρ ~ ~
+∇·j =0
∂t
Quest'ultima è deducibile dalle equazioni di Maxwell stesse. Si prenda la IV equazione e
se ne faccia la divergenza (cioè vi si applichi l'operatore ~
∇· ad ambo i membri)
~ ·∇
∇ ~ = ∂∇
~ ×B ~ ·E
~ +∇
~ · ~j
∂t
65
66 CAPITOLO 5. IL CAMPO ELETTROMAGNETICO
~ =∇
B ~ ×A
~ (5.1)
~
~ + ∂ A = −∇φ
E ~
∂t
φ è detto potenziale scalare. Quindi
~
E ~ − ∂A
~ = −∇φ (5.2)
∂t
5.4. INVARIANZA DI GAUGE E GAUGE DI LORENTZ 67
I potenziali ~
A e φ non sono in realtà deniti univocamente dalle relazioni (5.1,5.2). Quelli
che contano da un punto di vista sico sono i campi ~ B
E, ~ e qualunque variazione dei po-
~ φ che li lasci invariati è del tutto ininuente per la sica dell'elettromagnetismo.
tenziali A,
Mostriamo ora che una ridenizione dei potenziali come segue
~ → A
A ~0 = A
~ + ∇Λ
~
0 ∂Λ (5.3)
φ → φ = φ − ∂t
con ~ B
Λ funzione arbitraria genera gli stessi campi E, ~. Infatti, tenendo conto della identità
vettoriale
~ × ∇f
∇ ~ =0 , ∀f
si ha
~0 = ∇
B ~ ×A~0 = ∇~ ×A
~+∇~ × ∇Λ
~ =∇ ~ ×A~=B ~
~0 ~
E ~ 0 − ∂ A = −∇φ
~ 0 = −∇φ ~ + ∇∂Λ
~ −
∂A
−∇~ ∂Λ = E
~
∂t ∂t ∂t
Le ridenizioni (5.3) dei potenziali, che lasciano invariata la sica, sono dette trasformazioni
di gauge. Le equazioni di Maxwell sono invarianti per trasformazioni di gauge.
∇ ~ + ∂φ = 0
~ ·A (5.4)
∂t
Qualunque funzione Λ(x) che soddis la condizione
Λ = 0
realizza la condizione (5.4) del gauge di Lorentz. Infatti operando sul primo membro della
(5.4) una trasformazione di gauge si ottiene
0 2
~ 0 + ∂φ = ∇
~ ·A
∇ ~ + ∂φ + ∇2 Λ − ∂ Λ = ∇
~ ·A ~ + ∂φ − Λ
~ ·A
∂t ∂t ∂t 2 ∂t
e perciò essa è realizzata da qualunque trasformazione di gauge che soddis Λ = 0.
~ ×∇
∇ ~ × V~ = ∇(
~ ∇~ · V~ ) − ∇2 V~
si perviene alla
∂2A~
∂φ
~ 2 ~ ~ ~
−∇ A + 2 = −∇ ∇ · A + + ~j
∂t ∂t
equazione che deve essere soddisfatta dai potenziali scalare e vettore anchè i campi ~ B
E, ~
da loro generati soddisno le equazioni di Maxwell.
Nel gauge di Lorentz questa equazione si semplica notevolmente
~ = ~j
A
!
~
~ ·
−∇ ~ + ∂A
∇φ = −∇2 φ −
∂ ~ ~
∇·A=ρ
∂t ∂t
φ = ρ
Aµ = j µ
Fµν = ∂µ Aν − ∂ν Aµ
Si verica subito che tale oggetto è antisimmetrico nello scambio degli indici µ e ν. Le sue
componenti possono essere determinate con un calcolo diretto, per esempio:
∂Ai
F0i = ∂0 Ai − ∂i A0 = − − ∂i φ = E i
∂t
F12 = ∂1 A2 − ∂2 A1 = ∂2 A1 − ∂1 A2 = −B 3
Riassumendo
F0i = E i Fij = −ijk B k
ovvero in forma matriciale
0 E1 E2 E3
−E 1 0 −B 3 B 2
Fµν = 2 3
−E B 0 −B 1
−E 3 −B 2 B 1 0
Analogamente si può denire un tensore controvariante
0 −E 1 −E 2 −E 3
E1 0 −B 3 B 2
F µν = g µρ g νσ Fρσ = 2 3
E B 0 −B 1
E 3 −B 2 B 1 0
La prima considerazione è che Fµν , anche se inizialmente denito attarverso il 4-
potenziale Aµ , dipende solo dai campi elettrico e magnetico, perciò come questi è un
oggetto sico gauge invariante.
Consideriamo ora le due equazioni di Maxwell disomogenee (I e IV) nella forma
~ ·E
∇ ~ =ρ
~ − ∂ E~ = ~j
~ ×B
∇ ∂t
componenti di ~
E o ~.
B Ora, nelle equazioni compaiono le derivate di tali vettori, perciò
dovrebbe esserci anche una ∂µ nel primo membro dell'equazione. Viene spontaneo pensa-
µν
re che la contrazione ∂µ F , che ha appunto un solo indice libero, possa essere il miglior
candidato. Infatti le equazioni disomogenee si scrivono
∂µ F µν = j ν (5.5)
70 CAPITOLO 5. IL CAMPO ELETTROMAGNETICO
~ ·E
∂µ F µ0 = ∂i E i = ∇ ~ = j0 = ρ
∂E i ~ × B)
~ 1
∂µ F µi = ∂0 F 0i + ∂k F ki = ∂0 E i + ∂k = − + (∇
∂t
e analogamente per le altre componenti.
Si noti che derivando il primo membro rispetto a ∂µ si ottiene 0, poichè si sta contraendo
µν
un oggetto totalmente simmetrico (∂µ ∂ν ) con uno totalmente antisimmetrico (F ). Perciò
il secondo membro di tale uguaglianza dovrà pure essere 0. Abbiamo così ridedotto in un
modo molto semplice, che illustra la potenza del caclolo covariante, l'equazione di continuità
∂µ j µ = 0.
Esaminiamo ora le equazioni omogenee
~ ·B
∇ ~ =0
~ + ∂ B~ = 0
~ ×E
∇ ∂t
Di nuovo queste sono 4 equazioni in tutto, ma la dierenza ora è che non possono più essere
uguagliate a un 4-vettore: a secondo membro infatti c'è semplicemente 0. Dovendo usare
Fµν e non potendo contrarlo in modo tale da ottenere comunque 4 equazioni, si può solo
pensare a una combinazione di antisimmetrizzazione degli indici che possa eventualmente
dare 4 equazioni indipendenti. Avendo a disposizione 2 indici ciò non è possibile: poichè
ogni indice prende 4 valori le possibilità sarebbero le possibili liste di 4 oggetti presi a due
a due, cioe`
4!
=6
2!2!
In eetti stiamo contando le compomenti di Fµν che sono appunto 6. Tuttavia notiamo
che anche in queste equazioni come nelle precedenti entrano le derivate, perciò dovremo
mettere una ∂µ da qualche parte. Vediamo allora cosa si riesce a fare con oggetti con 3
indici, tipo ∂µ Fνρ . Se antisimmetrizziamo completamente questo oggetto otteniamo tutti i
modi di disporre 4 oggetti presi a 3 a 3 cioè
4!
=4
3!1!
abbiamo il giusto numero di equazioni. Per le equazioni omogenee di Maxwell si propone
quindi la forma
∂µ Fνρ + ∂ρ Fµν + ∂ν Fρµ = 0
Una verica componente per componente conferma che la scelta è giusta e che questa
equazione veramente è equivalente alle equazioni di Maxwell omogenee.
Usando il simbolo di Levi-Civita è utile a questo punto introdurre il tensore elettroma-
gnetico duale
F̃µν = µνρσ F ρσ
5.7. FORZA DI LORENTZ 71
∂µ F̃ µν = 0 (5.6)
Le equazioni di Maxwell possono quindi essere scritte in maniera covariante tramite le (5.5)
e le (5.6).
Per studiare le trasformazioni di Lorentz dei potenziali scalare e vettore basta osservare
che essi formano un 4-vettore e perciò si trasformano come
A0µ = Λµν Aν
Nel caso di due sistemi di riferimento in moto relativo a velocità v lungo l'asse x1 si avrà
φ0 = γ(φ − vA1 )
A01 = γ(A1 − vφ)
A02 = A2
A03 = A3
Analogamente per i campi elettrico e magnetico basta scrivere le trasformazioni del tensore
elettromagnetico
(F 0 )µν = Λρ µ Λσν Fρσ
ed esplicitare le componenti. Un semplice prodotto di matrici fornisce, :
E10 = E1
E20 = γ(E2 − vB3 )
E30 = γ(E3 − vB2 )
B10 = B1
B20 = γ(B2 + vE3 )
B30 = γ(B3 + vE2 )
In formalismo 4-dimensionale essa si può tradurre in una espressione che lega la derivata
del 4-impulso rispetto al tempo proprio con il tensore elettromagnetico e la 4-velocità
dpµ 1
= F µν uν
dτ c
Come già commentato nel capitolo sulla meccanica relativisitca l'interazione a distanza
in relatività si deve pensare sempre come mediata da un campo avente una sua densità
di energia-impulso e quindi assimilabile a un ente sico che partecipa alla dinamica del
sistema assieme alle particelle che ne sono sorgenti. Una trattazione completa di un sistema
comprendente le sue forze deve perciò passare attraverso la formulazione di un principio
di minima azione, o equivalentemente di un formalismo lagrangiano, che comprenda sia
le particelle materiali che i campi che ne trasmettono le interazioni. In questa sezione
esporremo la formulazione lagrangiana di un sistema di particelle accoppiato al campo
elettromagnetico.
Scriviamo l'azione di particelle nel campo elettromagnetico come composta di tre parti
N
X Z t1 q
Smat = − mA 1 − vA2 dt
A=1 t0
Fµν F µν e Fµν F̃ µν
Abbiamo però visto che di questi due invarianti il primo è anche invariante di parità,
mentre il secondo non lo è. Poichè i fenomeni elettromagnetici, per quanto ne sappiamo
ove d4 x = dx0 dx1 dx2 dx3 . La costante λ davanti all'integrale sarà determinata dalla ri-
chiesta che eettivamente le equazioni del moto forniscano le equazioni di Maxwell, con le
giuste costanti. Ricordando la denizione di Fµν in termini del 4-potenziale Aµ possiamo
usare le equazioni di Eulero-Lagrange
∂L ∂L
∂ρ − =0
∂∂ρ Aµ ∂Aµ
per ricavare le equazioni del moto. Queste risultano avere la forma
∂ρ F ρµ = 0
complementate dall'identità di Bianchi
∂ρ F̃ ρµ = 0
Sappiamo che l'identità di Bianchi da origine alle equazioni omogenee di Maxwell, mentre
l'altra equazione da origine a quelle disomogenee che sono accoppiate alla materia. Il
fatto che qui esse a secondo membro siano nulle rispecchia l'assunto iniziale che stiamo
µ
trattando un campo in assenza di materia. Il termine proporzionale a j che abbiamo
visto a secondo membro dare le equazioni di Maxwell disomogenee complete verrà dunque
dal termine di interazione materia-campo Sint . Questo dovrà essere un Lorentz-invariante
µ
contenente appunto j accoppiata in qualche modo al campo Aµ . La maniera più semplice
di accoppiare questi due campi in grado di fornire, attraverso Eulero-Lagrange, le equazioni
di Maxwell disomogenee è quella di assumere
Z
Sint = ω d4 x j µ Aµ
Anche qui la costante ω davanti all'integrale sarà determinata richiedendo che vengano
riprodotte le corrette costanti nelle equazioni di Maxwell. Applicando Eulero-Lagrange a
tutto il sistema Sint + Scampo , a dierenza di prima, ove comparivano solo derivate della L
rispetto a ∂ρ Aµ , ora compare anche una derivata della densità di lagrangiana rispetto ad
Aµ , portando alle equazioni
∂ρ F ρµ = j µ
a patto che si scelga λ = −ω/4. La scelta di porre ω = 1 porta, come vedremo tra breve, al
corretto accoppiamento materia-campo, cioè alla giusta espressione per la forza di Lorentz.
L'azione totale del sistema materia-campo elettromagnetico sarà perciò
N Z Z Z
1
X q
4 µ
S=− mA 2
dt 1 − vA + d xj Aµ − d4 xFµν F µν
A=1
4
74 CAPITOLO 5. IL CAMPO ELETTROMAGNETICO
X q X X
L=− mA 1 − vA2 + eA φ(xA ) − ~ A ) + Lcampo
eA~vA · A(x
A A A
Prima di calcolare le equazioni del moto, ricaviamo il momento coniugato P~A delle coordi-
nate ~xA
∂L
P~A ≡ ~ A)
= p~A + eA A(x
∂~vA
ove p~A = mA γ(vA )~vA è il consueto impulso della particella materiale. Per applicare Eulero-
Lagrange per le variabili ~x, ~v
d ∂L ∂L
=
dt ∂~vA ∂~xA
calcoliamo innanzitutto il termine ∂L/∂~xA
∂L ~ = eA ∇(
~ A~ · ~vA ) − eA ∇φ
~
= ∇L
∂~xA ~vA =cost.
~ A
∇( ~ · ~v ) = (~v · ∇)
~ A~ + ~v × (∇
~ × A)
~ (5.7)
~ · ~v ) = ∂j Ak v k = δjl δkm ∂l Am v k
∂j (A
che equivale a moltiplicare il primo membro della (5.8) per ∂l Am v k . La (5.8) ci fornisce
allora
~ × A)
δjl δkm ∂l Am v k = (δjm δkl + ijk ilm )∂l Am v k = v k ∂k Aj + jki v k (∇ ~ i
5.9. TENSORE ENERGIA-IMPULSO DEL CAMPO ELETTROMAGNETICO 75
∂L ~ A ) + eA~vA × B(x
~ A(x ~ A ) − eA ∇φ(x
~
= eA (~vA · ∇) A)
∂~xA
Da ciò, usando le equazioni di Eulero-Lagrange per le coordinate ~xA e le velocità ~vA
delle particelle si ottiene l'espressione per la forza di Lorentz vista prima
dpµ
= F µν uν
dτ
Questa che abbiamo esposto è la lagrangiana generale dell'elettrodinamica classica di un
sistema di particelle e sta alla base della generalizzazione quantistica nota come QED
(quantoelettrodinamica), uno dei massimi successi della Teoria Quantistica dei Campi.
Si noti che il calcolo del momento coniugato alle coordinate ~xA delle particelle, nel caso
di accoppiamento con il campo elettromagnetico dato dalla Sint proposta sopra, porta a
∂L
P~A = ~ A)
= p~A + eA A(x
∂~xA
con p~A impulso della particella libera, cioè la cosiddetta regola minimale di accoppiamento
tra materia carica e un campo elettromagnetico esterno.
Inne calcoliamo l'hamiltoniana che ci darà l'energia totale del sistema. Cominciamo
da Smat + Sint (indichiamo per brevità ~ A = A(x
A ~ A) e φA = φ(xA )
X
H = ~vA · P~A − L
A
X q
= mA γA vA2 ~ A · ~vA + mA
+ eA A 1− vA2 ~ A · ~vA + eA φA
− eA A
A
X
= (mA γA + eA φA )
A
Si noti che il contributo all'energia dovuto alla presenza di campo elettromagnetico proviene
tutto dal solo potenziale scalare.
co
1
L = − Fµν F µν
4
calcoliamo il tensore energia impulso
∂L
T µν = ∂µ Aσ − δνµ L
∂∂µ Aσ
76 CAPITOLO 5. IL CAMPO ELETTROMAGNETICO
Essendo
∂L 1 ∂Fαβ 1 ∂(∂α Aβ − ∂β Aα )
= − F αβ = − F αβ
∂∂µ Aσ 2 ∂∂µ Aσ 2 ∂∂µ Aσ
∂∂α Aβ
= −F αβ = −F αβ δαµ δβσ = −F µσ
∂∂µ Aσ
si ha
1
T µν = −F µσ ∂ν Aσ + δνµ Fρτ F ρτ
4
Alzando l'indice ν
1
T µν = −F µσ ∂ ν Aσ + g µν Fρτ F ρτ
4
Questo tensore non è simmetrico. Costruiamoci allora un tensore
T 0µν = T µν + ∂σ ψ µνσ
che sia simmetrico. Allo scopo prendiamo
ψ µνσ = Aµ F νσ
cosicchè
∂σ ψ µνσ = (∂σ Aµ )F νσ + Aµ ∂σ F νσ
In assenza di cariche il secondo termine scompare e quindi
∂σ ψ µνσ = F νσ ∂σ Aµ
Perciò il nuovo tensore energia impulso sarà ora simmetrico e varrà
µν µσ 1
Tcampo =− F F σν − g µν Fρτ F ρτ
4
Si vede subito che la traccia
T µµ = 0
è nulla (il campo elettromagnetico classico è conformemente invariante) ed esplicitando le
componenti
E2 + B2
T 00 = H =
2
T 0i = S i
1 2
T 11 = (E + E32 − E12 + B22 + B32 − B12 )
2 2
1 2
T 22 = (E + E12 − E22 + B32 + B22 − B12 )
2 3
1 2
T 33 = (E + E22 − E32 + B12 + B22 − B32 )
2 1
T ij = −E i E j + B i B j i 6= j
ij
Le componenti T = σ ij si dicono tensore degli sforzi di Maxwell, mentre le componenti
0i
T che devono fornire la densità di impulso del sistema, sono date dalle componenti del
vettore di Poynting ~=E
S ~ ×B
~, del quale si può così comprendere il signicato sico.
5.10. TENSORE ENERGIA-IMPULSO DI MATERIA ACCOPPIATA AL CAMPO ELETTROMAGNET
campo elettromagnetico
n
X
~π (x) = p~n δ (3) (~x − ~xn (t)) = Tmat
i0
µ0
possiamo vedere le componenti Tmat del tensore energia-impulso di un sistema di particelle
libere come le densità di 4-impulso. Queste, assieme alle densità di correnti di 4-impulso
formano come visto a suo tempo 4 equazioni di continuità
µν
∂ν Tmat =0