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ELETTROMAGNETISMO E TEORIA DELLA RELATIVITÀ RISTRETT

- POSTULATI DELLA TEORIA DELLA RELATIVITÀ RISTRETT


La meccanica classica obbedisce al principio di relatività: le stesse leggi si applicano in ogni
sistema di riferimento inerziale*

* con inerziale si intende un sistema in quiete o in movimento con velocità costante.

Immaginiamo, ad esempio, di giocare a biliardo in un treno che si muove su delle rotaie rettilinee
con una velocità costante. Allora il gioco procederà allo stesso modo in cui procederebbe se il treno
fosse fermo alla stazione (non è necessario correggere le traiettorie di tiro) infatti, coprendo ogni
nestra che dà sull’esterno, nessun passeggero riuscirebbe a capire se il treno è fermo o in
movimento. Al contrario, tutti si accorgerebbero se il treno sta accelerando, decelerando o curvando
poiché ne avvertirebbero l’effetto. Dunque, è certo che le leggi della meccanica non possono essere
le stesse in sistemi di riferimento accelerati.

Sorge spontanea una domanda: il principio di relatività si applica alle leggi dell’elettrodinamica
A primo impatto, la risposta potrebbe sembrare no poiché, in effetti, una carica in moto produce un
campo magnetico ma una carica in quiete no

Ritornando all’esempio precedente, supponiamo ora di montare una spira di materiale conduttore
sul treno mentre questo passa tra i poli di un grande magnete. Ciò che si osserva si può interpretare
in maniera diversa a seconda del moto relativo della spira e del magnete
Se si considera il magnete in moto (e quindi la spira in quiete), si viene a creare nelle vicinanze del
magnete un campo elettrico. La forza elettrica risultante genererà, per la legge di Faraday, una fem

nella spira data da ξ = −
dt
Se si considera il magnete in quiete e la spira in movimento, non avremo alcun campo elettrico nelle
vicinanze del magnete ma, nella spira avremo comunque una forza elettromotrice che, per la legge

del usso, è ξ = −
dt

Poiché la legge di Faraday e la legge del usso predicono esattamente la stessa fem, Einstein
suppose che l'analisi di un osservatore sul treno è valida come quella di un osservatore a terra.
Nonostante le due interpretazioni differiscono (per uno il processo è elettrico, per l’altro è
magnetico), le loro predizioni sono in accordo.

Per i predecessori di Einstein l'uguaglianza tra le forze elettromotrici era però dovuta
esclusivamente a una casualità. Questi non avevano alcun dubbio sul fatto che un osservatore fosse
giusto e l'altro in errore. Poiché essi pensavano che il campo elettrico e il campo magnetico si
propagassero in un mezzo, chiamato etere, permeante tutto lo spazio, l’osservatore sul treno doveva
essere quello in errore perché il suo riferimento si muove rispetto all’etere. Ma come facciamo a
sapere che l'osservatore a terra non si sta muovendo anche esso rispetto all'etere? Dopo tutto la terra
ruota sul suo asse una volta al giorno e ruota attorno al sole una volta all'anno e il sistema solare
ruota attorno alla galassia e la galassia stessa potrebbe ruotare a un'elevata velocità attraverso il
cosmo. Se l'osservatore a terra si stesse muovendo anche esso rispetto all'etere allora dovrebbe
veri care un vento d’etere. Diventò quindi fondamentale trovare l’etere sperimentalmente e stabilire
la velocità e la direzione di questo vento.
fi

fl
fi
.

fl

Come fare
Tra i risultati classici dell’elettrodinamica vi è la predizione secondo cui le onde elettromagnetiche
1
viaggiano attraverso il vuoto ad una velocità di = 3.00 × 108 m /s rispetto
ϵ0 μo
(presumibilmente) all'etere.
Quindi, in principio, sarebbe possibile individuare il vento d’etere misurando semplicemente la
velocità della luce in varie direzioni. Tra i diversi esperimenti si distinse quello effettuato da
Michelson e Morley, che usano un interferometro ottico di grande precisione. Quello che il loro
esperimento dimostrò è che la velocità della luce è esattamente la stessa in tutte le direzioni
Michelson e Morley interpretarono questo risultato introducendo il concetto di etere trascinato,
basato sull’ipotesi che la terra, in qualche modo, trascina l’etere che le sta intorno con se. Ciò si
rivelò essere però inconsistente a causa di fenomeni come l’aberrazione delle stelle.

Altre teorie vennero poi ipotizzate a supporto di questo esperimento. Fitzgerald e Lorentz
suggerirono che il vento d’etere comprime sicamente la materia (incluso l’apparato di Michelson e
Morley) in modo da compensare esattamente la variazione di velocità in direzione. Nonostante
questa idea si rivelerà essere non del tutto sbagliata, il concetto di contrazione, cosi introdotto non è
corretto.

Ad ogni modo, ci vollero diciotto anni prima che l’esito dell’esperimento di Michelson e Morley
fosse spiegato da Einstein. Non c’è alcun vento d’etere perché non c’è alcun etere. Ogni sistema di
riferimento inerziale è adatto per essere il riferimento rispetto al quale calcolare le equazioni di
Maxwell.
Ispirato quindi dagli stimoli teorici e dalle evidenze empiriche, Einstein propose i suoi famosi
postulati

1. Il principio di relatività: le leggi della sica sono uguali in ogni sistema di riferimento inerzial
2. L’universalità della velocità della luce: la velocità della luce nel vuoto è la stessa per tutti gli
osservatori inerziali

La teoria della relatività ristretta deriva da questi due postulati. Il primo postulato eleva le
osservazioni di Galileo sulla meccanica classica allo stato di legge generale applicata a tutta la sica
(ci permette di stabilire che non esiste un sistema in quiete assoluta). Il secondo postulato si
potrebbe considerare come una risposta di Einstein all'esperimento di Michelson e Morley.
Stabilisce che non vi è etere.

Al contrario del principio di relatività, le cui radici risalgono ad alcuni secoli precedenti,
l’universalità della velocità della luce era un concetto del tutto nuovo. Se supponiamo di muoverci
lungo il corridoio di un treno che si sta muovendo con una certa velocità e vogliamo misurare la
nostra velocità (A) rispetto al suolo (C) sarà uguale alla velocità relativa di (A) rispetto al treno (B)
più la velocità di (B) relativa a (C)

vAC = vAB + vBC (1.1)

Ora, se (A) fosse un segnale luminoso, Einstein vuole dirci che la sua velocità sarà c relativamente
al treno e c rispetto al suolo

vAC = vAB = c (1.2)


fi
fi

fi
Evidentemente, l’equazione (1.1) che chiamiamo regola di addizione delle velocità di Galileo, è
incompatibile con il secondo postulato della relatività ristretta ed è per questo che sarà sostituita
dalla regola di addizione delle velocità di Einstein
vAB + vBC
vAC = (1.3)
1 + (vAB vBC /c 2 )

NOTA: per velocità ordinarie (vAB < < c, vBC < < c), il denominatore è cosi vicino a 1 che la
discrepanza tra la formula di Galileo e quella di Einstein è trascurabile. D’altra parte, la formula di
Einstein è tale che se vAB = c allora, automaticamente, vAC = c

c + vBC
vAC = =c
1 + (c vBC /c 2 )

Detto ciò, come fa regola di Galileo ad essere sbagliata ? E se è sbagliata, che ripercussione ha nella
sica classica questo errore
La risposta è che la relatività ristretta ci porta ad alterare le nostre nozioni di spazio e di tempo e di
conseguenza le quantità che da essi derivano come velocità, momento ed energia. Perché la
relatività de nisce la struttura di spazio e tempo, rivendica autorità non solo su tutti fenomeni
presenti noti, ma anche su quelli che non sono stati ancora scoperti.

- RELATIVITÀ DELLA SIMULTANEITÀ


Consideriamo una macchina che viaggia con velocità costante lungo un percorso rettilineo.
Nell'esatto centro della macchina supponiamo di avere una lampadina. Quando qualcuno la
accende, la luce si propaga in tutte le direzioni alla velocità c. Poiché la lampada è equidistante
dalle due estremità dell’auto, un osservatore sulla macchina troverà che la luce arriva davanti nello
stesso istante in cui arriva dietro. Quindi, i due eventi, (a) la luce raggiunge il davanti e (b) la luce
raggiunge il dietro, sono simultanei. Eppure, per un osservatore a terra questi due eventi non sono
simultanei poiché mentre la luce si allontana dalla sorgente, la macchina si sposta in avanti e quindi,
per questo osservatore, l’evento (b) accade prima dell’evento (a). Ma per un osservatore che passa
su un’altra macchina, (a) accadrà prima di (b).

In conclusione, due eventi che sono simultanei in un sistema di riferimento inerziale non lo sono, in
generale, in un altro sistema. Dunque la simultaneità è relativa al sistema di riferimento scelto

NOTA: è evidente che la macchina deve viaggiare ad una velocità elevatissima af nché la
discrepanza sia visibile.

È facile però fraintendere il concetto di simultaneità. Si consideri, ad esempio, il tuono che viene
percepito dopo il lampo. Qualcuno potrebbe pensare che la sorgente di luce non è simultanea a
quella del suono. Ma questo è un problema che non ha niente a che fare con la relatività ma riguarda
il tempo che un segnale, come il suono, impiega a raggiungere l’osservatore

- DILATAZIONE DEL TEMPO E CONTRAZIONE DI LORENTZ DELLE LUNGHEZZ


Consideriamo adesso un raggio di luce che si allontana dalla lampadina e sbatte sul pavimento della
macchina. Quanto tempo impiega la luce per fare questo percorso
fi
fi

fi
E

Dal punto di vista di un osservatore sulla macchina, la risposta è facile: se l’altezza all’interno della
macchina è h, il tempo

h
Δt̄ = (1.4)
c
D’altra parte, se osservato al suolo, questo stesso raggio deve percorrere un tragitto più lungo dato
che la macchina si sta muovendo. Questa distanza è data da h 2 + (vΔt)2 , e quindi

h 2 + (vΔt)2
Δt =
c
h 1
Risolvendo per Δt = e quindi
c 1 − v 2 /c 2

Δt̄ = 1 − v 2 /c 2 Δt (1.5)

Evidentemente, il tempo tra i due eventi: (a) luce lascia la lampadina, (b) luce arriva al cento del
pavimento dell’auto, è diverso per i due osservatori. Infatti, l’intervallo di tempo misurato su un
orologio in macchina, Δt̄, è più breve di un fattore

1
γ = (1.6)
1− v 2 /c 2

Dunque, concludiamo che gli orologi in movimento vanno più lentamente.

Questo fenomeno è noto come dilatazione dei tempi e presenta molte veri che sperimentali. Se si
considera la vita media a riposo di un neutrone (15 min), di un muone (2 × 10−6 s) e di un pione
(9 × 10−17 s), questa non coincide con quella che le particelle hanno quando si muovono a velocità
vicine a quelle della luce poiché in questo caso vivono più a lungo.

La dilatazione dei tempi sembra quasi in contrasto con il principio di relatività. Per l’osservatore a
terra, l’orologio sulla macchina è più lento ma, l’osservatore sulla macchina potrebbe dire che è
l’orologio al suolo ad essere lento poiché, dal punto di vista della macchina, è il suolo ad essere in
movimento.
Chi ha ragione ? Entrambi.

Per controllare il ritmo dell'orologio sulla macchina, l'osservatore al suolo usa due dei suoi orologi:
uno per comparare il tempo all'inizio dell'intervallo, quando la macchina passa dal punto A, e l’altro
per comparare il tempo alla ne dell'intervallo, quando la macchina passa il punto B. Ovviamente
deve essere cauto e sincronizzare i suoi orologi prima dell’esperimento
Ciò che osserva in ne è che mentre l'orologio della macchina si è fermato diciamo, a tre minuti,
l’intervallo di tempo misurato dai suoi due orologi è di cinque minuti. Conclude quindi che
l’orologio sulla macchina si muove più lentamente.

Nel frattempo, l'osservatore sulla macchina sta controllando il ritmo dell'orologio a terra con la
stessa procedura: usa due orologi sincronizzati sulla macchina e compara il tempo rispetto un
singolo orologio a terra quando questo passa per i due orologi. Il risultato nale è che mentre
l’orologio a terra segna tre minuti, l'intervallo che si misura con gli orologi sulla macchina è di

fi
è

fi
:

fi
fi

cinque minuti e quindi, l'osservatore conclude che è l'orologio a terra ad essere più lento. C'è una
contraddizione ? No poiché i due osservatori hanno misurato cose diverse. L’osservatore a terra
compara un orologio sulla macchina con due orologi al suolo mentre l'osservatore sulla macchina
compara un orologio a terra con due orologi sulla macchina. Si può dire che ogni osservatore ha
eseguito una procedura corretta comparando un orologio in moto con due in quiete.

A questo punto uno si potrebbe chiedere: essendo i due orologi stazionari sincronizzati in ogni
istante, non ha senso che ne abbiano utilizzati due differenti. Il problema è che orologi ben
sincronizzati in un sistema non saranno sincronizzati quando osservati da un altro sistema. Dunque,
poiché orologi in movimento non sono sincronizzati, è essenziale quando si controlla la dilatazione
dei tempi focalizzarsi su un singolo orologio in moto. Tutti gli orologi in moto sono più lenti di uno
stesso fattore, ma non è possibile iniziare a registrare il tempo con un orologio per poi cambiare e
usarne un altro. Invece, si possono usare quanti orologi stazionari quanti se ne desiderano purché
propriamente sincronizzati

*paradosso dei gemelli


Al suo 21º compleanno un astronauta sale su un razzo e inizia a viaggiare nello spazio con una
12
velocità costante di c. Dopo cinque anni decide di tornare indietro per riunirsi con il suo fratello
13
gemello rimasto sulla terra. La domanda è: quanti anni hanno i due fratelli al loro incontro

Il gemello è invecchiato di 10 anni (cinque anni all'andata e cinque anni al ritorno). Quando arriva a
casa celebrerà dunque il suo 31º compleanno. Ma comunque, se osservato dalla terra, l’orologio che
1 13
si muove sarà più lento di un fattore γ = = .
1 − (12/13)2 5

13
Dunque, il tempo misurato da un orologio a terra sarà di × 10 = 26 E dunque il fratello starà
5
celebrando il suo 47º compleanno.

Il cosiddetto paradosso del compleanno sorge nel momento in cui la storia si considera dal punto di
12
vista del fratello che viaggia. Questi vede la terra allontanarsi ad una velocità di c, si gira dopo
13
cinque anni e torna indietro. Dal suo punto di vista sembrerebbe il fratello sulla terra ad essere in
movimento e di conseguenza, lui dovrebbe essere il più giovane. Molte sono state le interpretazioni
date a questo paradosso ma la soluzione nale è che il paradosso non sussiste. I due fratelli non
sono equivalenti poiché il fratello che viaggia sperimenta un'accelerazione quando deve tornare
indietro verso casa mentre il fratello a terra no. Quindi, il fratello che viaggia non è in un sistema di
riferimento inerziale e dunque non può considerarsi come osservatore stazionario

Immaginiamo ora di avere una lampada posta alla ne di una macchina e uno specchio dal lato
opposto in modo tale che il segnale luminoso possa ritornare indietro. Quanto tempo impiega il
segnale per completare il viaggio? Per un osservatore sulla macchina, la risposta è:

Δ x̄
Δt̄ = 2 (1.7)
c

fi
fi

dove Δ x̄ è la lunghezza della macchina. Per un osservatore al suolo, il processo è molto più
complicato perché la macchina è in movimento. Se Δt1 è il tempo che la luce impiega a raggiungere
il lato opposto alla sorgente e Δt2 è il tempo necessario per il ritorno, allor

Δx + vΔt1 Δx − vΔt2
Δt1 = , Δt2 =
c c
Δx Δx
Da cui Δt1 = , Δt2 =
c−v c +v
Δx 1
Il tempo sarà dunque dato da Δt = Δt1 + Δt2 = 2 (1.8)
c (1 − v 2 /c 2 )

Questi due intervalli di tempo sono legati dalla formula di dilatazione dei tempi:
Δt̄ = 1 − v 2 /c 2 Δt
Applicando dunque questa equazione alle formule (1.7) e (1.8), si conclude ch

1
Δ x̄ = Δx (1.9)
1 − v 2 /c 2

La lunghezza della macchina non è dunque la stessa se misurata da un osservatore a terra


rispetto a quella misurata da un osservatore sulla macchina. Dal punto di vista del suolo, la
lunghezza è in qualche modo minore. Concludiamo che gli oggetti che si muovono sono più corti

Chiamiamo questo fenomeno contrazione di Lorentz.

1
NOTA: lo stesso fattore γ = , appare sia nella dilatazione dei tempi che nella formula
1 − v 2 /c 2
di contrazione. Riassumendo gli orologi che si muovono vanno più lenti e gli oggetti che si
muovono sono più corti di una quantità pari a γ

Ora, l'osservatore sulla macchina non pensa che la sua macchina è più corta poiché misurandola con
un metro anche il metro sarà contratto di uno stesso fattore. Infatti, dal suo punto di vista è l'oggetto
che sta al suolo ad accorciarsi. Sembrerebbe quasi un altro paradosso. Se A dice che il metro di B è
più corto e viceversa, chi ha ragione ? Entrambi. Ma per rispondere più approfonditamente è
necessario studiare con attenzione il processo che viene utilizzato per misurare le lunghezze.

Supponiamo di voler calcolare la lunghezza di una lavagna. Se questa è a riposo rispetto a noi, noi
dovremo semplicemente posizionare un righello in basso vicino la lavagna e segnare ciò che si
legge sul righello rispetto a ciascun bordo. Se la lavagna dovesse muoversi, si procederebbe in
maniera analoga ma, questa volta, le due misure si effettuerebbero nello stesso istante di tempo. Ma
a causa della relatività della simultaneità i due osservatori sono in disaccordo su cosa signi chi
"stesso istante”. Quando la persona al suolo misura la lunghezza della lavagna, quello che legge è la
posizione dei due lati nello stesso istante nel suo sistema ma la persona che si muove, guardando
questa scena, noterà che il primo osservatore misura prima un lato e dopo qualche istante l’altro
Dunque i due osservatori effettuano entrambi la misura correttamente ma considerano gli altri
metodi impropri
.


fi

In ne, un ultimo commento sulle contrazioni di Lorentz riguarda gli oggetti in movimento che si
accorciano solo nella direzione del moto e quindi la dimensione di un oggetto che risulta essere
perpendicolare alla velocità con cui l’oggetto si muove, non subisce contrazione.

- TRASFORMAZIONI DI LORENT
Ogni processo sico consiste in uno o più eventi. Un evento è qualcosa che ha luogo in uno
speci co punto (x, y, z) ad un tempo preciso (t). Supponiamo di conoscere le coordinate (x, y, z) di
un particolare evento E in un sistema di riferimento inerziale S. Vogliamo calcolare le coordinate
(x̄, ȳ, z̄, t̄ ) dello stesso evento in un altro sistema di riferimento inerziale S̄

Supponiamo per semplicità che S̄ si sposta lungo la direzione dell’asse x con una velocità v. Se per
t = 0 le origini dei due sistemi coincidono (O = Ō), al tempo t, Ō si troverà a distanza vt da O e
quind

x = d + vt (1.10)

dove d è la distanza tra Ō e Ā al tempo t (Ā è il punto sull’asse x̄ che è pari ad E quando avviene
l’evento). Prima di Einstein, tutti avrebbero detto che

d = x̄ (1.11)

e dunqu

(i ) x̄ = x − vt
(ii ) ȳ = y
(1.12)
(iii ) z̄ = z
(iv) t̄ = t

Le (1.12) sono note come trasformazioni di Galileo. Tra tutte, diamo particolare attenzione alla
quarta poiché si basa sull’assunzione che il tempo scorre allo stesso modo per ogni osservatore.
Dal punto di vista della relatività speciale, ci aspettiamo che (iv) sia rimpiazzata da una legge che
tiene conto della dilatazione del tempo, della relatività della simultaneità e della non
sincronizzazione degli orologi in movimento. In modo analogo, una correzione deve essere
effettuata nella (i ) per via delle contrazioni di Lorentz. Invece, per quel che riguarda (ii ) e (iii ),
queste rimangono inalterate.

Ma quando la (i ) non è più valida ? Ricordiamo che d è la distanza tra Ō e Ā misurata in S, mentre
x̄ è la distanza tra Ō e Ā misurata in S̄. Poiché Ō e Ā sono in quiete in S̄, x̄ è la lunghezza che si
muove e che quindi appare contratta in S

1
d= x̄ (1.13)
γ

Inserendo questa informazione nelle (1.12), otteniamo la versione relativistica di (i )

x̄ = γ (x − vt) (1.14)

Ovviamente, avremmo potuto fare la stessa cosa dal punto di vista di S̄.

fi
fi
i

fi

Consideriamo adesso la scena al tempo t̄. Se supponiamo che anche S̄ fa partire l’orologio quando
le origini dei due sistemi coincidono, al tempo t̄, O sarà distante v t̄ da Ō, e quindi

x̄ = d¯ − v t̄ (1.15)

dove d¯ è la distanza tra O e A al tempo t̄ (con A punto dell’asse x che è pari all’evento E quando
accade). La sica classica ci porterebbe a dire che x = d¯ da cui, usando (iv), si otterrebbe (i ). Ma,
come detto prima, la relatività ci chiede di prestare osservare una piccola distinzione: x è la distanza
tra O e A in S mentre d è la distanza tra O e A in S̄. Poiché O e A sono in quiete in S, x è la
lunghezza che si muove e quind

1
d¯ = x (1.16)
γ

Per cui

x = γ (x̄ + v t̄ ) (1.17)

Quest’ultima equazione è praticamente identica alla formula per x̄ in termini di x e t eccetto per il
segno di v.

Si tratta di un risultato utile poiché, sostituendo x̄ con (1.14) e risolvendo rispetto a t̄, (1.12) si
scrive

(i ) x̄ = γ (x − vt)
(ii ) ȳ = y
(iii ) z̄ = z (1.18)

(iv) t̄ = γ (t − v
x)
c2

Queste sono le famose trasformazioni di Lorentz con cui Einstein rimpiazzò le galileiane. (1.18)
contengono tutte le informazioni geometriche della relatività ristretta

- QUADRI-VETTOR
Le trasformazioni di Lorentz assumono un aspetto più semplice quando sono espresse utilizzando le
quantit
v
x 0 = ct, β= (1.21)
c
Usando x 0 (al posto di t) e β (al posto di v) cambia l’unità di misura del tempo da secondi a metri
(un metro di x 0 corrisponde al tempo necessario alla luce per viaggiare di un metro nel vuoto). Se,
in modo analogo, chiamiamo

x 1 = x, x 2 = y, x3 = z (1.22)

Le trasformazioni di Lorentz diventan


:

fi
I

(i ) x̄ 0 = γ (x 0 − βx 1)
(ii ) x̄1 = γ (x 1 − βx 0)
(1.23)
(iii ) x̄ 2 = x 2
(iv) x̄ 3 = x 3

O, in forma matriciale

x̄ 0 γ −γβ 0 0 x0
1
x̄ −γβ γ 0 0 x1
2
= (1.24)
x̄ 0 0 1 0 x2
x̄ 3 0 0 0 1 x3

Che in forma compatta divent


3
x̄ m = (Anm )x n

(1.25)
n=0

dove A è la matrice di trasformazione di Lorentz.

De niamo ora i quadri-vettori come un qualunque set di quattro componenti che si trasformano allo
stesso modo di (x 0, x 1, x 2, x 3) quando ad essi è applicata la matrice di trasformazione di Lorentz
3
ām = (Anm )a n

(1.26)
n=0

In particolare, per una trasformazione sull’asse x

ā 0 = γ (a 0 − βa 1)
ā1 = γ (a 1 − βa 0)
(1.27)
2 2
ā = a
ā3 = a 3

C’è un quadri-vettore analogo al prodotto scalare ( A ⃗ ⋅ B ⃗ = Ax Bx + Ay By + Az Bz ), ma non è


semplicemente la somma dei prodotti delle componenti poiché le componenti zero-esime hanno un
segno meno

−a 0 b 0 + a 1b 1 + a 2 b 2 + a 3b 3 (1.28)

Questo è il prodotto scalare quadri-dimensionale ed ha lo stesso valore in tutti i sistemi inerziali

− ā 0 b̄0 + ā1b̄1 + ā2 b̄2 + ā3b̄3 = − a 0 b 0 + a 1b 1 + a 2 b 2 + a 3b 3 (1.29)

Come il prodotto scalare tradizionale è invaiante per rotazioni ed è invaiante per trasformazioni di
Lorentz.

fi

Per tener conto del segno meno, è conveniente introdurre il vettore covariante am, che differisce dal
controvariante a m per il solo segno delle componenti zero-esime

am = (a0, a1, a 2, a3) = (−a 0, a 1, a 2, a 3) (1.30)

NOTA: bisogna dunque fare attenzione alla posizione dell’indice temporale poiché spostarlo
dall’alto al basso o viceversa comporta un cambiamento di segno (a 0 = − a 0 )

Il prodotto scalare può essere scritto utilizzando il simbolo di sommatori


3
am b m

(1.31)
m=0

o, in modo più compatto

am b m (1.32)

utilizzando la convenzione di Einstein sugli indici ripetuti.

Supponiamo ora che l’evento A si veri chi a (xA0, xA1, xA2, xA3) e l’evento B avvenga a (xB0, xB1, xB2, xB3).
La differenza

Δx m = xAm − xBm (1.35)

è il quadri-vettore posizione. Il prodotto scalare di Δx m con se stesso è una quantità molto


importante; prende il nome di intervallo tra due eventi

I = (Δx)m(Δx)m = − (Δx 0 )2 + (Δx 1)2 + (Δx 2 )2 + (Δx 3)2 = − c 2t 2 + d 2 (1.36)

dove t è la differenza di tempo tra i due eventi e d è la loro distanza spaziale.

Quando si trasforma per un sistema in moto, il tempo tra A e B è alterato (t̄ ≠ t) e cosi anche la
distanza spaziale (d¯ ≠ d ), ma l’intervallo I rimane lo stesso.

Rispetto ai due eventi considerati, l’intervallo può essere positivo, negativo o nullo

1. Se I < 0, i due eventi avvengono nello stesso luogo (d = 0) ma sono separati temporalmente
2. Se I > 0, i due eventi avvengono nello stesso tempo (t = 0) e sono separati solo spazialment
3. Se I = 0, i due eventi sono connessi da un segnale che viaggia alla velocità della luce

Se l’intervallo è di tipo 1, esiste un sistema inerziale (accessibile mediante le trasformazioni di


Lorentz) in cui i due eventi hanno luogo nello stesso punto. Se saltiamo su un treno che va da A a B
alla velocità v = d /t, lasciando l’evento A quando si veri ca, dovremmo essere in tempo per
passare da B quando questo avviene. Nel riferimento del treno, A e B hanno luogo nello stesso
punto
Se l’intervallo è di tipo 2 non è cosi poiché v dovrebbe essere maggiore di c (e nessun osservatore
può superare la velocità della luce). Comunque, in questo caso esiste un sistema in cui i due eventi
si veri cano allo stesso tempo.

fi

fi
:

fi

Supponiamo di voler rappresentare il moto di una particella gra camente. Normalmente si


gra cherebbe la posizione in funzione del tempo in modo che la velocità si possa leggere come la
pendenza della curva. In relatività si preferisce però operare al contrario, ponendo la posizione
orizzontalmente e il tempo (o meglio, ct) verticalmente. La velocità sarà quindi il reciproco della
pendenza. Chiamiamo questi gra ci diagrammi di Minkowski.
La traiettoria di una particella in un diagramma di Minkowski si chiama world line. Supponiamo
quindi di porre l’origine al tempo t = 0. Poiché nessun oggetto materiale può viaggiare ad una
velocità superiore della luce, la world line non avrà mai pendenza minore di 1. Il movimento è
quindi ristretto alla regione limitata dalle due linee con pendenza di 45∘. Chiamiamo questa regione
“il futuro” poiché è il luogo di tutti i punti accessibili (ovviamente, col procedere del tempo, le
opzioni diminuiscono sempre più). Il cuneo al contrario rappresenta invece “il passato” dato che è il
luogo di tutti i punti da cui la particella sarebbe potuta passare. In ne, la regione esterna ai due
cunei è “il presente”. Non è possibile andare nel presente o venire dal presente poiché non c’è alcun
modo in cui si possa in uenzare un evento nel presente (poiché il messaggio dovrebbe viaggiare più
veloce della luce). Si tratta dunque di un vastissimo spazio-tempo totalmente inaccessibile.

NOTA: se si considera anche la direzione y, i cunei diventano coni. Se oltre a y si pone anche z
avremo degli iperconi

NOTA: la pendenza di una linea che connette due eventi in un diagramma di questo tipo ci permette
di stabilire se l’intervallo I è di tipo 1 (la pendenza è maggiore di 1), 2 (la pendenza è minore di 1) o
3 (la pendenza è 1).

Minkowski fu il primo a riconoscere il signi cato geometrico della relatività speciale, proponendo
che il tempo come una coordinata seppur diversa da quelle spaziali per un segno meno il quale
comporta che lo spazio-tempo sia a geometria iperbolica che è molto più ricca della geometria
circolare di uno spazio tridimensionale.
Sottoposto ad una rotazione rispetto all’asse z, un punto P nel piano x y descrive un cerchio: il luogo
di tutti i punti la cui distanza dal centro è r = x 2 + y 2 . Se sottoposto alle trasformazioni di
Lorentz, è l’intervallo I = (x 2 − c 2t 2 ) ad essere preservato, e il luogo di tutti i punti che hanno uno
speci co valore di I è un’iperbole (o, includendo l’asse y, un iperboloide di rotazione) quando
l’intervallo è di tipo 1, si tratta di un iperboloide a due falde; se l’intervallo è di tipo 2, avremo un
iperboloide ad una falda.

Quando si effettua una trasformazione di Lorentz, le coordinate (x, t) di un determinato evento


cambiano in (x̄, t̄ ), ma queste nuove coordinate si troveranno sulla stessa iperbole di (x, t). Con
delle opportune combinazioni di combinazioni di Lorentz e rotazioni, un punto si può spostare a
piacimento sulla super cie dell’iperboloide dato ma, nessuna trasformazione sarà in grado di
portarlo dalla parte alta dell’iperboloide a quella bassa o viceversa.

Quando abbiamo discusso la simultaneità, avevamo detto che l’ordine degli eventi può essere, in
alcuni casi, invertito semplicemente passando in un sistema in moto. Vediamo qui che questo non è
sempre possibile: se l’intervallo invariante è di tipo tempo, l’ordine degli eventi è assoluto; se
l’intervallo è di tipo spazio, l’ordine dipende dal sistema inerziale dal quale si osservano gli eventi.
Da ciò deriva il concetto di casualità. Se fosse sempre possibile invertire l’ordine di due eventi, non
potremmo mai dire ‘l’evento A ha causato l’evento B’ poiché un osservatore in un altro sistema di
riferimento potrebbe rispondere dicendo che ‘B ha preceduto A’. Ciò si evita considerando che i due
eventi sono separabili da un intervallo di tipo tempo. Dunque diremo che gli eventi che sono legati
da relazioni causa-effetto sono separabili da un intervallo di tipo tempo

fi
fi

fi
fl

fi

fi

fi
fi

- QUADRI-VETTORE ENERGIA- QUANTITÀ DI MOT


Procedendo sulla world line, il nostro orologio rallenta. Quindi, mentre un orologio su una parete
segna un tempo dt, il nostro avanza solo di dτ

dτ = 1 − u 2 /c 2 dt (1.37)

(avendo scelto u per rappresentare la nostra velocità). Il tempo τ che il nostro orologio registra è
chiamato tempo proprio
NOTA: in alcuni casi risulta essere più utile del tempo t poiché τ è invariante

4
Ora, immaginiamo di volare verso Los Angeles con una velocità pari a c. Cosa intendiamo
5
esattamente con il termine velocità ? Si tratta sicuramente di

dl ⃗
u ⃗= (1.38)
dt

con d l ⃗ e dt misurati da un osservatore che sta a terra. Sicuramente questa quantità è molto
importante ma potrebbe essere più interessante calcolare la distanza percorsa per unità di tempo
proprio

dl ⃗
η⃗= (1.39)

Questa quantità (ibrida, poiché rapporto tra distanza misurata al suolo e tempo misurato sull’aereo)
è chiamata velocità propria. Velocità propria η ⃗ e velocità ordinaria u ⃗ sono legate dalla relazione

1
η⃗= u⃗ (1.40)
1− u 2 /c 2

Per velocità molto minori di c, la differenza tra velocità ordinaria e velocità propria è trascurabile.

Dal punto di vista teorico, la velocità propria ha un vantaggio enorme rispetto la velocità ordinaria:
si trasforma semplicemente, quando si passa da un sistema inerziale ad un altro. Infatti, η ⃗ è la parte
spaziale di un quadri-vettore

m d xm
η = (1.41)

La cui componente zero-esima è

d x0 dt c
η0 = =c = (1.42)
dτ dτ 1− u 2 /c 2

Per il numeratore, d x m, è uno spostamento del quadri-vettore mentre, il denominatore, dτ, è


invariante.
:

Cosi, per esempio, quando si va dal sistema S al sistema S̄, muovendosi alla velocità v sugli assi
comuni x x̄

η̄0 = γ (η 0 − β η 1)
η̄1 = γ (η 1 − β η 0)
(1.43)
η̄2 = η 2
η̄3 = η 3

o più in general

η̄ m = Anm η n (1.44)

η m è chiamato quadri-velocità

NOTA: al contrario, le regole di trasformazione delle velocità ordinarie sono molto più ingombranti
poiché in questo caso dobbiamo trasformare sia il numeratore che il denominatore.

Estendiamo ora il concetto di momento meccanico classico (che ricordiamo essere dato dal prodotto
tra massa e velocità) al campo della relatività. Per farlo dobbiamo usare la velocità ordinaria o la
velocità propria ? Ovviamente, nel contesto della relatività è essenziale utilizzare la velocità propria
poiché le leggi di conservazione del momento non sarebbero compatibili con il principio di
relatività. Quindi:

mu ⃗
p⃗= mη⃗= (1.46)
1 − u 2 /c 2

Questo è noto come momento relativistico

Il momento relativistico è la parte spaziale di un quadri-vettore

pm = m ηm (1.47)

la cui componente temporale


mc
p0 = m η0 = (1.48)
1 − u 2 /c 2

Einstein chiam
m
mrel = (1.49)
1− u 2 /c 2

massa relativistica. Ma la terminologia più moderna ha abbandonato questo termine a favore


dell’energia relativistica

m c2
E= (1.50)
1− u 2 /c 2
,

Poiché p 0 è (a parte il fattore 1/c) l’energia relativistica, p m è chiamato quadri-vettore energia-


momento.

NOTA: l’energia relativistica non è mai nulla, anche quando l’oggetto è fermo; in questo caso,
l’energia viene chiamata energia a riposo

Erest = m c 2 (1.51)

L’energia che rimane, dunque quella attribuita al moto, la chiameremo energia cinetic

( )
1
Ekin = E − m c 2 = m c 2 −1 (1.52)
1 − u 2 /c 2

In regime non relativistico (u < < c), la radice quadrata si può espandere in serie di potenze di
u 2 /c 2, ottenend

1 3 mu 4
Ekin = mu 2 + + ... (1.53)
2 8 c2
che ci riporta alla formula classica

Notiamo in ne che in ogni sistema chiuso, l’energia totale relativistica e il momento si conservano.

NOTA: anche la massa relativistica si conserva poiché risulta essere equivalente alla conservazione
dell’energia. La massa a riposo, invece, non si conserva

NOTA: sottolineamo la differenza tra quantità invariati (stesso valore in tutti i sistemi di riferimento
inerziali) e quantità che si conservano (stesso valore prima e dopo un processo). La massa è
invariante ma non si conserva; l’energia si conserva ma non è invariante

NOTA: il prodotto scalare di p m per se stesso

p m pm = − ( p 0 )2 + ( p ⃗ ⋅ p ⃗ ) = − m 2 c 2 (1.54)

In termini di energia relativistica,

E 2 − p 2c 2 = m 2c 4 (1.55)

Questo risultato è estremamente utile e ci permette di calcolare E o p senza dover determinare la


velocità.

La prima legge di Newton è ben incorporata nel principio di relatività. La seconda legge di Newton,
nella forma

d p⃗
F ⃗= (1.60)
dt
trova la sua validità nella meccanica relativistica quando usiamo il momento relativistico

fi

Il lavoro, come sempre, è l’integrale di linea della forza

F ⃗ ⋅ dl ⃗

W= (1.61)

Il teorema sul lavoro e l’energia secondo cui il lavoro fatto da una particella uguaglia l’aumento
della sua energia cinetica, continua a valere dal punto di vista relativistico

d p⃗ d p ⃗ dl ⃗ d p⃗

∫ dt ∫ dt dt ∫ dt
W= ⋅ dl ⃗ = ⋅ dt = ⋅ u dt
in cu

d p⃗ mu ⃗ mu ⃗ du⃗
dt ( 1 − u 2 /c 2 ) dt ( 1 − u 2 /c 2 )
d d m c2 dE
⋅ u ⃗= ⋅ u ⃗= ⋅ = =
dt (1 − u /c )
2 2 3/2 dt dt
(1.62)

Da cui

dE
∫ dt
W= dt = Efinale − Einiziale (1.63)

Al contrario delle prime due, la terza legge di Newton non si estende, in generale, alla relatività.
Infatti se due oggetti sono separati nello spazio, la terza legge non è compatibile con la relatività
della simultaneità. Supponiamo ad esempio che la forza di A su B all’istante t sia F (t) ⃗ e che la
⃗ ; allora la terza legge si applica in questo sistema di
forza di B su A allo stesso istante sia − F (t)
riferimento ma un osservatore in moto dirà che queste forze uguali e opposte si veri cano in
momenti diversi dunque, in questo sistema di riferimento la terza legge non sussiste

Poiché F ⃗ è la derivata del momento rispetto al tempo ordinario, quando si passa da un sistema di
riferimento inerziale ad un altro, sia il numeratore che il denominatore devono essere trasformati.
Dunque

d p̄y dpy dpy /dt Fy


F̄y = = = = (1.64)
d t̄ γ (1 − c dt )
γ (1 − βux /c)
γβ β dx
γdt − c
dx

Analogamente, per la componente z

Fz
F̄z = (1.65)
γ (1 − βux /c)

Per quanto riguarda la componente x si ha

( dt )
dpx dp 0 β dE
d p̄x γdpx − γβdp 0 −β Fx − c
F̄x = = = dt dt
=
d t̄ γβ
γdt − c d x 1−
β dx 1 − βuλ /c
c dt

Usando quanto trovato in (1.62), si ha


i

fi
.


Fx − β( u ⃗ ⋅ F )/c
F̄x = (1.66)
1 − βux /c

In un solo caso queste equazioni sono ragionevolmente trattabili ovvero quando la particella è
(istantaneamente) a riposo in S, in modo che u ⃗ = 0, per cui

1
F̄⊥ = F , F̄∥ = F∥ (1.67)
γ ⊥

Risulta evidente che per evitare queste trasformazioni un po’ complesse basta introdurre una forza
propria

μ dp μ
K ≡ (1.68)

detta forza di Minkowski; si tratta di un quadrivettore essendo che p μ è un quadrivettore ed il tempo
proprio è un invariante
Le componenti spaziali di K μ sono legate alla forza ordinaria dalla relazione

dt d p ⃗
( dτ ) dt
K ⃗= F⃗
1
= (1.69)
1− u 2 /c 2

Le componenti zero sono invece

0 dp 0 1 dE
K = = (1.70)
dτ c dτ

- INTERPRETAZIONE RELATIVISTICA DELLA FORZA MAGNETIC


Supponiamo di avere un lo carico positivamente. Le cariche al suo interno si muovono verso
destra alla velocità v. Supponiamo che le cariche siano cosi vicine da formare una linea continua di
carica λ. Sovrapposta a questa, supponiamo di avere un lo di carica −λ che procede verso sinistra
alla stessa velocità v. Avremo quindi una corrente verso destra di magnitudine

I = 2λv (1.75)

Supponiamo inoltre che ci sia, ad una distanza s, una carica puntiforme q che si muove verso destra
ad una velocità u < v. Poiché le cariche dei due li si annullano, non vi è alcuna forza elettrica che
agisce su q in questo sistema (S )

Esaminiamo però questa stessa situazione dal punto di vista di un altro sistema di riferimento, S̄,
che si muove verso destra con una velocità u. In questo sistema q è in quiete. Utilizzando la regola
di addizione di Einstein per le velocità, le velocità delle linee positive e negative sono
v ∓u
v± = (1.76)
1 ∓ vu /c 2
:

fi
:

fi
fi
:

Poiché v− è maggiore di v+, le contrazioni di Lorentz dello spazio tra le cariche negative è più acuta
rispetto a quelle tra le cariche positive; in questo riferimento il lo trasposta carica negativa. Infatti

λ± = ± (γ±)λ0 (1.77)

dov

1
γ± = (1.78)
1− v±2 /c 2

e λ0 è la densità di carica della linea positiva nel sistema in quiete. Non è lo stesso di λ poiché in S
ci stiamo già muovendo alla velocità v, quindi

λ = γλ0 (1.79)

co

1
γ = (1.80)
1− v 2 /c 2

1 c 2 ∓ uv
γ± = =
1 (c 2 ∓ uv)2 − c 2(v ∓ u)2
1− 2
(v ∓ u)2(1 ∓ vu /c 2 )−2
c

c 2 ∓ uv 1 ∓ uv /c 2
= =γ (1.81)
(c 2 − v 2 )(c 2 − u 2 ) 1− u 2 /c 2

Evidentemente, la linea di carica in S̄

−2λuv
λtot = λ+ + λ− = λ0(γ+ − γ−) = (1.82)
c2 1− u 2 /c 2

Come risultato di una disuguale contrazione di Lorentz delle linee positive e negative, un lo
percorso da corrente è elettricamente neutro in un sistema di riferimento inerziale e carico in un
altro.

Ora, una linea di carica λtot genera un campo elettric

λtot
E= (1.83)
2π ϵ0 s

e quindi vi è una forza elettrica su q in S̄

λv qu
F̄ = qE = − (1.83)
π ϵ0 c 2 s 1− u 2 /c 2
n

fi
fi
,

Ma se c’è una forza su q in S̄, vi deve essere una forza in S; infatti, possiamo calcolarla usando le
regole di trasformazione per le forze. Siccome q è in quiete S̄, e F̄ è perpendicolare a u, la forza in S
è data da

λv qu
F= 1 − u 2 /c 2 F̄ = − (1.84)
π ϵ0 c 2 s

La carica è attratta verso il lo da una forza che è puramente elettrica in S̄, ma non elettrica in S
(dove il lo è neutro)
Prese insieme, l’elettrostatica e la relatività implicano l’esistenza di un’altra forza. Questa forza è
quindi magnetica. Possiamo infatti scrivere la (1.84) in forma più familiare usando c 2 = (ϵ0 μ0 )−1
ed esprimendo λv in termini di corrente I (1.75)

( 2πs )
μ0 I
F = − qu (1.85)

Il termine tra parentesi è il campo magnetico di un lo lungo e dritto e la forza è esattamente quella
che si otterrebbe usando la forza di Lorentz nel sistema S.

- TRASFORMAZIONE DEI CAMPI IN SISTEMI DI RIFERIMENTO INERZIALI


DIFFERENTI (+ INVARIANZA RELATIVISTICA DELLA CARICA ELETTRICA

Abbiamo già notato, in vari casi, che un campo elettrico per un osservatore potrebbe essere un
campo magnetico per un altro. Sarebbe dunque opportuno conoscere le regole generali di
trasformazione per i campi elettromagnetici. Dati i campi in S, quali sono i campi in S̄

Prima di rispondere a questa domanda bisogna chiarire che la carica elettrica è un invaiante
relativistico. La carica di una particella è un valore numerico sso, indipendente dalla velocità con
cui si sta muovendo.

Inoltre, bisogna sottolineare che le regole di trasformazione sono le stesse, indipendentemente da


come i campi sono stati generati.

Detto ciò, consideriamo il campo elettrico più elementare ovvero il campo uniforme che vi è tra le
armature di un condensatore a facce piane e parallele. Poniamo che il condensatore sia a riposo in
S0 e che sulle super cie delle armature sia distribuita una carica ± σ0. Allora

E 0⃗ =
σ0
ŷ (1.86)
ϵ0

Ma cosa accadrebbe se osservassimo lo stesso condensatore dal sistema S che si muove verso destra
con velocità v0? In questo sistema, le armature si stanno spostando verso sinistra, ma il campo ha
sempre la stessa forma

E⃗=
σ
ŷ (1.87)
ϵ0

l’unica differenza è il valore della carica super ciale σ.


NOTA: siamo certi che questa sia l’unica differenza? La formula (1.87) deriva dalla legge di Gauss
che, pur essendo perfettamente valida per cariche in movimento, necessita anche di particolari
fi

fi

fi

fi
:

fi

fi
:

condizioni di simmetria per poter essere applicata. Siamo certi che, in questo caso, il campo è
ancora perpendicolare alle armature? Anche se il campo si spostasse nella direzione del moto, il
campo tra le due armature continuerebbe ad essere perpendicolare a queste

Ora, la carica su ogni armatura è invariante e lo è anche lo spessore (w) ma la lunghezza (l ) risulta
essere contratta di un fattore di Lorentz

1
= 1 − v02 /c 2 (1.88)
γ0

e cosi la carica per unità di area risulterà essere maggiore di un fattore γ0:

σ = γ0 σ0 (1.89)

Da cui

E ⊥⃗ = γ0 E ⊥0⃗ (1.90)

NOTA: il simbolo ⊥ è stato usato per rendere evidente che la regola fa riferimento soltanto alle
componenti di E ⃗ che sono perpendicolari alla direzione del moto di S. Per ricavare la regola
relativa alle componenti parallele consideriamo il condensatore allibato con il piano yz. Questa
volta sarà la distanza che separa le due armature (d ) ad essere contratta mentre l e w (e quindi
anche σ) non subiranno variazioni. Essendo che il campo non dipende da d, segue che:

E ∥ = E0∥ (1.91)

Le equazioni (1.90) e (1.91) non sono però le leggi di trasformazione più generali essendo che per
ottenerle abbiamo considerato un sistema S0 in cui le cariche sono in quiete e non vi è alcun campo
magnetico.

Per derivare le regole generali bisogna considerare un sistema in cui vi è sia un campo elettrico che
uno magnetico. A tal proposito, consideriamo il sistema S poiché, in aggiunta al campo elettrico
σ
Ey = (1.92)
ϵ0

vi è anche un campo magnetico dovuto alle correnti super ciali:

K ±⃗ = ∓ σ v0 x ̂ (1.93)

Per la regola della mano destra, il campo punta nella direzione negativa delle z; il modulo è dato
dalla legge di Ampère:

Bz = − μ0 σ v0 (1.94)

In un terzo sistema, S̄, che si muove verso destra ad una velocità v rispetto a S, i campi saranno

σ̄
Ēy = , B̄z = − μ0 σ̄ v̄ (1.95)
ϵ0
:

fi

con v̄ la velocità di S̄ rispetto a S0

v + v0 1
v̄ = , γ̄ = (1.96)
1 + v v0 /c 2 1 − v̄2 /c 2

σ̄ = γ̄σ0 (1.97)

Resta solo da esprimere Ē e B̄ usando E ⃗ e B .⃗ Si ha

( γ0 ) ϵ0 ( γ0 )
γ̄ σ γ̄
Ēy = , B̄z = − μ0 σ v̄ (1.98)

Con un po’ di passaggi algebrici, si trova

1 − v02 /c 2
( c )
γ̄ 1 + v v0 /c 2 vv
= = = γ 1 + 20 (1.99)
γ0 1 − v̄2 /c 2 1 − v 2 /c 2

con

1
γ = (1.100)
1 − v 2 /c 2

Allora

( c ) ϵ0 ( c ϵ0 μ0 z)
vv σ v
Ēy = γ 1 + 20 = γ Ey − 2 B

( c ) ( 1 + v v0 /c 2 )
vv v + v0
B̄z = − γ 1 + 20 μ0 σ = γ (Bz − μ0 ϵ0 vEy )

O, essendo μ0 ϵ0 = 1/c 2

Ēy = γ (Ey − vBz )


(1.101)
B̄z = γ (Bz − 2 y)
v
E
c

Questo ci dice come Ey e Bz si trasformano. Per trovare Ez e By basta allineare lo stesso


condensatore parallelamente al piano x y piuttosto che al piano x z. I campi in S saranno allora
σ
Ez = , By = μ0 σ v0
ϵ0
e

Per cui

Ēz = γ (Ez − vBy )


(1.102)
B̄y = γ (By − v
2 z)
E
c

Per quanto riguarda le componenti rispetto alla x, quello che si ottiene è

Ēx = Ex (1.103)

Poiché però in questo caso non c’è nessun campo magnetico, non possiamo dedurre la
trasformazione per Bx. Consideriamo quindi una con gurazione differente. Immaginiamo un
solenoide allineato parallelamente all’asse x e a riposo in S. Il campo magnetico generato all’interno
della bobina sarà

Bx = μ0 n I (1.104)

con n il numero di spire ed I la corrente

Nel sistema S̄, le lunghezze si contraggono dunque, n aumenta

n̄ = γ n (1.105)

D’altro canto, in questo sistema, il tempo si dilata dunque, la corrente in S̄ è data da

1
Ī = I (1.106)
γ

I fattori con γ si cancellano e si ottiene

B̄x = Bx (1.107)

Quindi, come E ,⃗ le componenti di B ⃗ parallele al moto rimangono invariate.

Riassumendo

Ēx = Ex, Ēy = γ (Ey − vBz ), Ēz = γ (Ez − vBy )


(1.108)

( c ) ( )
v v
B̄x = Bx, B̄y = γ By − 2 Ez , B̄z = γ Bz − 2 Ey
c

NOTA: facciamo attenzione a due casi particolari


fi
:

1. Se B ⃗ = 0 in S allora B̄ = γ
v c
(Ez y ̂ − Ey z)̂ = (Ēz ŷ − Ēy z)̂ o, essendo v ⃗ = v x ̂
c2 c2
1
B̄ = − ( v ⃗ × Ē ) (1.109)
c2

2. Se E ⃗ = 0 in S allora Ē = − γ v(Bz ŷ − By z)̂ = − v(B̄z ŷ − B̄y z)̂ o

Ē = v ⃗ × B̄ (1.110)

- CAMPO ELETTRICO DI UNA CARICA PUNTIFORME IN MOTO CON VELOCITÀ


COSTANTE

Una carica di prova q è a riposo nell’origine del sistema S0. Qual è il campo elettrico di questa
carica nel sistema S che si muove verso destra alla velocità v0 rispetto a S0

In S0 il campo

E 0⃗ =
1 q

4π ϵ0 r02 0

1 qx 0
Ex 0 = 4πϵ0 (x 2 + y 2 + z 2 )3/2
0 0 0
1 qy0
Ey0 = 4πϵ0 (x 2 + y 2 + z 2 )3/2
0 0 0
1 qz 0
Ez 0 = 4πϵ0 (x 2 + y 2 + z 2 )3/2
0 0 0

Per le regole di trasformazione, si ha

1 qx 0
Ex = Ex 0 = 4πϵ0 (x 2 + y 2 + z 2 )3/2
0 0 0
1 γ0 qy0
Ey = γ0 Ey0 = 4πϵ 2 2 2 3/2
0 (x + y + z )
0 0 0
1 γ0 qz 0
Ez = γ0 Ez 0 = 4πϵ0 (x 2 + y 2 + z 2 )3/2
0 0 0

Notiamo che tutto è ancora espresso in termini delle coordinate (x0, y0, z 0 ) del punto P in S0.
Riscriviamo quindi quanto trovato usando le coordinate di P in S. Usando le trasformazioni di
Lorentz

x0 = γ0(x + v0t) = γ0 Rx
y0 = y = Ry
z 0 = z = Rz

con R ⃗ il vettore che va da q a P.


o

Detto ciò possiamo scrivere

γ0 q R ⃗ q(1 − vo2 /c 2 ) R̂
E⃗=
1 1
= (1.111)
4π ϵ0 (γ02 R 2 cos2 θ + R 2 sin2 θ )3/2 4π ϵ0 ([1 − (v02 /c 2 )sin2 θ ]3/2 R 2

Che risulta essere il campo elettrico di una carica in moto con velocità costante.

- TRASFORMAZIONI DI LORENTZ PER CAMPO ELETTRICO E MAGNETICO IN


NOTAZIONE QUADRI-DIMENSIONALE

Le equazioni viste in precedenza ci permettono di affermare che E ⃗ e B ⃗ non si trasformano come le


parti spaziali dei due quadrivettori infatti, le componenti di E ⃗ e di B ⃗ sono mescolate tra loro
quando si passa da un sistema di riferimento inerziale ad un altro
Ci chiediamo dunque qual è quell’oggetto che ha sei componenti e si trasforma seguendo le regole
mostrate precedentemente. Si tratta si un tensore di secondo grado antisimmetrico.

Ricordiamo che un quadrivettore si trasforma seguendo la regola

āμ = Aνμ a ν (1.112)

Se S̄ si muove nella direzione delle x alla velocità v, A ha la forma

γ −γβ 0 0
−γβ γ 0 0
A= (1.113)
0 0 1 0
0 0 0 1

e Aνμ è il termine di riga μ e colonna ν.


Un tensore di secondo grado è un oggetto con due indici che si trasforma con due fattori di A

t̄ μν = Aλμ Aσν t λσ (1.114)

Un tensore in quattro dimensioni ha 16 componenti che possiamo mostrare in una matrice 4 × 4

t 00 t 01 t 02 t 03
t 10 t 11 t 12 t 13
t μν = 20
t t 21 t 22 t 23
t 30 t 31 t 32 t 33

I 16 elementi non necessitano però di essere tutti diversi. De niamo a tal proposito la proprietà di
un tensore simmetrico

t μν = t νμ (1.115)

In questo caso vi sono 10 componenti distinte e 6 delle 16 si ripetono


(t 01 = t 10, t 02 = t 20, t 03 = t 30, t 12 = t 21, t 13 = t 31, t 23 = t 32 )

Similmente, diremo che un tensore è antisimmetrico se


:

fi
.

t μν = − t νμ (1.116)

Un oggetto di questo tipo ha 6 elementi distinti, 6 sono ripetuti (con un segno meno davanti) e 4
sono zero (t 00, t 11, t 22, t 33). Dunque, si scriverà

0 t 01 t 02 t 03
−t 01 0 t 12 t 13
t μν =
−t 02 −t 12 0 t 23
−t 03 −t 13 −t 23 0

Vediamo ora come funziona la regola di trasformazione (1.114) per le sei componenti di un tensore
antisimmetrico. Iniziamo con t̄ 01, si ha

t̄ 01 = Aλ0 Aσ1t λσ

Ma, in accordo con (1.113), Aλ0 = 0 a meno che λ = 0 o 1, e Aσ1 = 0 a meno che σ = 0 o 1.
Dunque vi sono 4 termini nella sommatoria

t̄ 01 = A00 A01t 00 + A00 A11t 01 + A10 A01t 10 + A10 A11t 11

Ricordando che t 00 = t 11 = 0 e che t 01 = − t 10

t̄ 01 = (A00 A11 − A10 A01)t 01 = (γ 2 − (γβ )2 )t 01 = t 01

Procedendo cosi per le altre componenti, si ha

t̄ 01 = t 01, t̄ 02 = γ (t 02 − βt 12 ), t̄ 03 = γ (t 03 + βt 31)
(1.117)
t̄ 23 = t 23, t̄ 31 = γ (t 31 + βt 03), t̄ 12 = γ (t 12 − βt 02 )

Queste sono le stesse regole che abbiamo derivato sperimentalmente per il campo elettromagnetico
infatti, possiamo costruire in tensore di campo F μν

Ex Ey Ez
F 01 ≡ , F 02 ≡ , F 03 ≡ , F 12 ≡ Bz, F 31 ≡ By, F 23 ≡ Bx
c c c
Che si può anche scrivere come

Ex Ey Ez
0 c c c
Ex
− c
0 Bz −By
μν
F = Ey
(1.118)
− c
−Bz 0 Bx
Ez
− c
By −Bx 0
:

Vi è anche un modo diverso per combinare E ⃗ e B ⃗ in un tensore antisimmetrico: piuttosto che


comparare la prima riga di (1.108) con la prima riga di (1.117) e la seconda con la seconda,
potremmo mettere in relazione la prima riga di (1.108) con la seconda riga di (1.117) e viceversa.
Questo ci porta a de nire il tensore duale, G μν

0 Bx By Bz
Ez Ey
−Bx 0 − c c
G μν = Ez Ex (1.119)
−By c
0 − c
Ey Ex
−Bz − c c
0

⃗ → B ,⃗ B ⃗ → − E /c
G μν può essere ottenuta direttamente da F μν sostituendo E /c ⃗ .
NOTA: questa operazione non altera l’equazione (1.108) ecco perché entrambi i tensori generano le
corrette trasformazioni per E ⃗ e B ⃗

Adesso che sappiamo rappresentare i campi in ambito relativistico, possiamo riformulare le leggi
dell’elettrodinamica. Per cominciare, dobbiamo determinare come le sorgenti dei campi, ρ e J ,⃗ si
trasformano.

Immaginiamo dunque una nube di carica che si sta spostando. Concentriamoci sul volume
in nitesimo V che contiene la carica Q che si muove con velocità u .⃗ La densità di carica è

Q
ρ=
V
e la densità di corrente è

J ⃗= ρ u ⃗

Esprimiamo queste quantità in termini di densità di carica propria ρ0, ovvero la densità di carica nel
sistema in quiete

Q
ρ0 =
V0

con V0 il volume a riposo. Poiché la dimensione lungo la direzione del moto si contrae

V= 1 − u 2 /c 2 V0 (1.120)

e quindi

u⃗
, J ⃗ = ρ0
1
ρ = ρ0 (1.121)
1 − u 2 /c 2 1 − u 2 /c 2

Evidentemente, la densità di carica e la densità di corrente insieme formano un quadrivettore

J μ = ρ0 η μ (1.122)
fi

fi

Le cui componenti sono

J μ = (cρ, Jx, Jy, Jz ) (1.123)

che chiameremo quadrivettore densità di corrente.

L’equazione di continuità ∇ ⋅ J ⃗ = −
∂ρ
che esprime la conservazione locale della carica, diventa,
∂t
in termini di J μ

∂Jy ∂Jz 3
∇ ⋅ J ⃗= x +
∂J ∂J i
∑ ∂x i
+ =
∂x ∂y ∂z i=1

∂ρ 1 ∂J 0 ∂J 0
= = 0 (1.124)
∂t c ∂t ∂x
Portando ∂ρ /∂t a sinistra, si ha

∂J μ
=0 (1.125)
∂x μ
con somma su μ. Troviamo quindi che ∂J μ /∂x μ è la divergenza quadri-dimensionale di J μ e
l’equazione di continuità ci permette di stabilire che il quadrivettore densità di corrente ha
divergenza nulla.

Per quel che riguarda le equazioni di Maxwell, queste si possono scrivere come

∂F μν μ ∂G
μν
= μ 0 J , =0 (1.126)
∂x ν ∂x ν
con somma su ν.
Ognuna di queste rappresenta quattro equazioni (una per ogni valore di μ).

Se μ = 0, la prima equazione si legge

1 ∂Ex ∂Ey ∂Ez


( ∇ ⋅ E )⃗ = μ0 J 0 = μ0 cρ
c ( ∂x ∂z ) c
∂F 0ν ∂F 00 ∂F 01 ∂F 02 ∂F 03 1
= + + + = + + =
∂x ν ∂x 0 ∂x 1 ∂x 2 ∂x 3 ∂y

∇⋅ E⃗=
1
ρ
ϵ0

che è la legge di Gauss.

Se μ = 1, si ha
e

1 ∂Ex ∂Bz ∂By 1 ∂E ⃗


+ ∇ ⋅ B )⃗
( c 2 ∂t )
∂F 1ν ∂F 10 ∂F 11 ∂F 12 ∂F 13
= + + + = − + − = − = μ0 J 1 = μ0 Jx
∂x ν ∂x 0 ∂x 1 ∂x 2 ∂x 3 c ∂t ∂y ∂z
x

Cambiando questo risultato con quelli che si ottengono per μ = 2 e μ = 3, si ha


∇ × B ⃗ = μ0 J ⃗ + μ0 ϵ0
∂E
∂t
che è la legge di Ampère con la correzione di Maxwell

Invece, la seconda equazione in (1.126) con μ = 0 diventa

∂Bx ∂By ∂Bz


= ∇⋅ B⃗= 0
∂G 0ν ∂G 00 ∂G 01 ∂G 02 ∂G 03
= + + + = + +
∂x ν ∂x 0 ∂x 1 ∂x 2 ∂x 3 ∂x ∂y ∂z

che sarebbe la terza equazione di Maxwell

Se μ = 1, si ha

1 ∂Bx 1 ∂Ez 1 ∂Ey 1 ∂B ⃗


+∇× E⃗ =0
c ( ∂t )
∂G 1ν ∂G 10 ∂G 11 ∂G 12 ∂G 13
= + + + = − − + = −
∂x ν ∂x 0 ∂x 1 ∂x 2 ∂x 3 c ∂t c ∂y c ∂z
x

Da cui, combinando questo risultato con quelli che si ottengono da μ = 2 e μ = 3

∂B ⃗
∇× E⃗= −
∂t
che è la legge di Faraday.

In termini di F μν e di velocità propria η μ, la forza di Minkowski di una carica q è data da

K μ = q ην F μν (1.127)

Se μ = 1 si ha

K 1 = q ην F 1ν = q(−η 0 F 10 + η 1F 11 + η 2 F 12 + η 3F 13) =

1 − u 2 /c 2 ( c )
uy uz
[ ]
−c −Ex
=q + (Bz ) + (−By ) =
1 − u 2 /c 2 1 − u 2 /c 2

[ E ⃗ + ( u ⃗ × B )]

q
= x
1− u 2 /c 2

Con una formula simile per μ = 2 e μ = 3, si ha


:

K ⃗= [ E ⃗ + ( u ⃗ × B )]

q
(1.128)
1− u 2 /c 2

che, confrontandola con la formula F ⃗ = q[ E ⃗ + ( u ⃗ × B )]


⃗ è la forza di Lorentz.

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