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Esposizione divulgativa
Andrea Lascala
4 luglio 2023
Sommario
Il seguente articolo è volto ad offrire uno sguardo d’insieme sugli aspetti
fondanti della meccanica quantistica, le sue interpretazioni e le equazioni che la
descrivono. Verranno trattati alcuni aspetti fisici e matematici della meccanica
quantistica, dalle sue origini alle formulazioni più recenti.
1
2 L’ipotesi del fotone di Einstein
La luce si compone di particelle prive di massa, chiamate ”fotoni”, o anche ”quanti”
di luce.
Essendo i fotoni delle particelle, potrebbe essere complicato descrivere la natura ondu-
latoria della luce.
Possiamo infatti pensare che i fotoni interagiscano tra loro, dando origine a fenomeni
di interferenza costruttiva e distruttiva che generano la figura di interferenza. Tutta-
via, possiamo verificare sperimentalmente che, diminuendo l’intensità luminosa della
sorgente di luce monocromatica in modo tale che statisticamente arrivi alla doppia
fenditura solo un fotone per volta, per annullare la possibilità di interazione con altri
fotoni, il risultato è ancora la figura di interferenza; non è pertanto legata a fenomeni
di interazione tra fotoni ma ad un comportamento intrinseco delle particelle.
⃗ 0 )|
I(x0 ) = |E(x
⃗ 0 )|
P (x0 ) ∝ |E(x (2)
2
2. Le predizioni riguardanti il comportamento di un fotone sono di carattere esclu-
sivamente probabilistico;
Questi principi derivano dalle conseguenze dell’ipotesi del fotone sull’esperimento della
doppia fenditura.
Questo però non significa che questi principi siano applicabili soltanto alle particelle
prive di massa; vedremo infatti che un fenomeno analogo viene osservato anche con
particelle aventi massa, come ad esempio gli elettroni.
Ritornando all’esperimento sulla doppia fenditura, abbiamo detto che dobbiamo ab-
bandonare l’idea di definire una traiettoria in senso classico. A riguardo ci sono due
diverse posizioni:
Ad oggi, la posizione realista risulta essere un po’ problematica per alcuni aspetti, ed è
anche per questo che prevale quella ortodossa, quindi l’interpretazione di Copenaghen.
Un esperimento non spiegabile con la posizione realista è l’interferometro di Mach-
Zehnder.
3
5 Interferometro di Mach-Zehnder
ID1 = f (φ1 , φ2 )
(3)
ID2 = f (φ1 , φ2 )
Possiamo opportunamente agire su φ1 , φ2 in modo tale che la radiazione non arrivi sul
rivelatore D1
ID1 = f (φ1 , φ2 ) = 0
e questo si conserva anche quando diminuiamo l’intensità della sorgente di luce in modo
tale da far percorrere l’interferometro da un solo fotone per volta.
Interpretando ”classicamente” il comportamento di un fotone, ci si potrebbe chiede-
re perché la radiazione non dovrebbe arrivare a D1, seguendo, per esempio, questo
percorso
4
Figura 3: Risultato teorico dell’esperimento: il fotone arriva a D1
Il motivo per il quale non viene rilevato da D1 è che il singolo fotone percorre entrambi
i percorsi contemporaneamente e interferisce con sé stesso a livello dello specchio BS2,
e per questo motivo finirà sempre per essere rilevato da D2.
5
6 Lunghezza d’onda di De Broglie
Stando alla teoria di Einstein e Planck, se un fotone possiede una frequenza ν, allora
questo ha un’energia data da
E = hν (4)
dove h = 6.63 · 10−34 J·s è la costante di Planck.
Quando un atomo assorbe un fotone, l’energia posseduta da quest’ultimo viene ceduta
agli elettroni che fanno un ”salto energetico” da un valore iniziale Ei ad uno finale Ef .
La conservazione dell’energia impone che
Ef − Ei = hν (5)
Bohr ipotizzò che gli elettroni percorressero delle orbite privilegiate tali per cui la dif-
ferenza di energia corrispondesse all’energia di un fotone assorbito o emesso.
Ed è su questa base empirica che è stato costruito un modello dell’atomo di idrogeno.
Tuttavia non risultava ancora chiaro il motivo di queste orbite preferenziali.
Fu solo con De Broglie che si capı̀ il motivo profondo che provoca questi effetti.
Stando all’ipotesi di De Broglie, anche i corpi dotati di massa hanno proprietà ondu-
latorie, quindi anch’essi rispettano il dualismo onda-particella.
Questa ipotesi venne poi confermata dall’esperimento della doppia fenditura eseguito
con gli elettroni.
De Broglie associò alle particelle con massa m ed energia E, una quantità di moto
p⃗, un’onda di pulsazione ω = 2πν e un vettore d’onda, definito come
⃗k = 2π ux
λ
6
dove ux è il versore che indica la direzione di propagazione dell’onda.
Dalla relazione E = hν, vale che
ω
E=h
2π
e definendo il vettore quantità di moto come
h⃗
p⃗ = k
2π
possiamo stabilire una relazione tra energia e frequenza valida sia per i fotoni, sia per
le particelle.
Ricordiamo però che
energia di un fotone: E = cp
1 p2
energia di una particella con massa m: E = mv 2 =
2 2m
Dalla definizione di vettore d’onda, possiamo ricavare che
2π
λ=
|⃗k|
|Ψ(⃗r, t)|2
dP (⃗r, t) = R +∞ d3 r (7)
|Ψ(⃗r , t)|2 d3 r
−∞
7
Di conseguenza, essendo P (⃗r, t) una probabilità, abbiamo che deve essere verifi-
cata la condizione di normalizzazione
Z +∞
dP (⃗r, t) d3 r = 1 (8)
−∞
Per far sı̀ che questa condizione sia verificata, bisogna che
Z +∞
|Ψ(⃗r, t)|2 d3 r < ∞ (9)
−∞
In generale, una funzione d’onda Ψ(⃗r, t) può essere scritta come combinazione
lineare di tutte le Ψa (⃗r, t), come segue
X
Ψ(⃗r, t) = ca (t)Ψa (⃗r) (11)
a
Nel caso appena descritto, la funzione d’onda Ψa non contiene più la dipendenza
temporale, ma è inserita nel fattore moltiplicativo ca .
Analogamente a prima, possiamo definire una probabilità ”discreta” di trovare a
come risultato della misura come
|ca (t)|2
Pa (t) = P 2
(12)
a |ca (t)|
|ca (t)|2
Pa (t) = R +∞ (13)
−∞
|ca (t)|2 d3 r
8
Tirando le somme, la funzione Ψ(⃗r, t) può essere descritta come combinazione
lineare di tutti gli autostati associati all’operatore A.
∂ ℏ2 2
iℏ Ψ(⃗r, t) = − ∇ Ψ(⃗r, t) + V (⃗r, t)Ψ(⃗r, t) (14)
∂t 2m
dove
h
ℏ=
2π
e ∇2 è l’operatore di derivata parziale laplaciano, definito come
∂2 ∂2 ∂2
∇2 = + +
∂x2 ∂y 2 ∂z 2
che, associato ad una funzione, restituisce un numero definito come somma delle
derivate seconde rispetto alle variabili spaziali, mentre il termine V (⃗r, t) si riferisce
al contributo di un potenziale esterno di qualsiasi tipo (elettrico, magnetico,
gravitazionale, etc.) che interagisce con la particella.
Qualora considerassimo una particella in moto non influenzata da forze esterne,
dunque con un potenziale V (⃗r, t) nullo, allora l’equazione assumerebbe la forma
∂ ℏ2 2
iℏ Ψ(⃗r, t) = − ∇ Ψ(⃗r, t) (15)
∂t 2m
9
Facciamo un riassunto del senso dell’equazione: il nostro sistema fisico è descritto
probabilisticamente dalla funzione Ψ(⃗r, t) che contiene tutte le informazioni ad
esso correlate (come ad esempio energia o quantità di moto) e le relative proba-
bilità di misurarle.
Abbiamo pertanto che se un sistema è descritto da una funzione d’onda, appli-
cando l’equazione d’onda possiamo determinare l’evoluzione spazio-temporale del
sistema, insieme alle probabilità di misurare determinate grandezze fisiche.
Poiché alla norma quadrata di Ψ(x, t) corrisponde una probabilità, potrebbe essere
problematico essere in una situazione in cui la probabilità varia al variare del tempo.
In altre parole, se la probabilità totale di trovare una particella nello spazio ad un
tempo t0 è 1, come da condizione di normalizzazione, allora vogliamo che sia 1 anche
per tutti gli altri istanti di tempo, ovvero che
Z +∞
|Ψ(x, t)|2
R +∞ dx = 1 (16)
|Ψ(x, t)| 2 dx
−∞ −∞
Dobbiamo a questo punto verificare come si comporta la norma quadrata della funzione
nel tempo.
Scriviamo innanzitutto che
d +∞
Z Z +∞
2 ∂
|Ψ(x, t)| dx = |Ψ(x, t)|2 dx (17)
dt −∞ −∞ ∂t
e poiché Ψ(x, t) è una funzione complessa, possiamo scrivere il suo modulo quadro come
il prodotto di se stessa con il suo complesso coniugato
10
Applichiamo ora l’equazione di Schroedinger alla Ψ, moltiplicando ambo i membri per
un termine −i/ℏ, ottenendo che
ℏ2
2
∂ i ∂ Ψ(x, t) i
Ψ(x, t) = − − 2
− V (x, t)Ψ(x, t)
∂t ℏ 2m ∂x ℏ
2
(18)
iℏ ∂ Ψ(x, t) i
= 2
− V (x, t)Ψ(x, t)
2m ∂x ℏ
Poiché, per proprietà, l’uguaglianza si conserva anche prendendo Ψ∗ , scriviamo che
∂ ∗ iℏ ∂ 2 Ψ∗ (x, t) i
Ψ (x, t) = − + V (x, t)Ψ∗ (x, t) (19)
∂t 2m ∂x2 ℏ
Pertanto, ricordando come abbiamo definito |Ψ(x, t)|2 , scriviamo che
∂ Ψ∗ (x, t)
∂ 2 ∂ iℏ ∗ ∂ Ψ(x, t)
|Ψ(x, t)| = Ψ (x, t) − Ψ(x, t) (20)
∂t ∂x 2m ∂x ∂x
A questo punto possiamo ritornare all’equazione (17): abbiamo tutti gli ingredienti per
scrivere che
Z +∞ +∞
∂ Ψ∗ (x, t)
∂ 2 iℏ ∗ ∂ Ψ(x, t)
|Ψ(x, t)| dx = Ψ (x, t) − Ψ(x, t) =0
−∞ ∂t 2m ∂x ∂x −∞
Il perché del fatto che questa quantità debba essere uguale a zero è perché le due
funzioni Ψ e Ψ∗ devono tendere a zero agli estremi di integrazione, altrimenti non
sarebbe verificata la condizione di normalizzazione.
Osservando l’uguaglianza (17), possiamo concludere che
Z +∞
d
|Ψ(x, t)|2 dx = 0 (21)
dt −∞
9 Onde piane
Ritorniamo ora al caso generale di una funzione d’onda Ψ(⃗r, t), con V (⃗r, t) = 0, dunque
l’equazione libera (15).
L’equazione libera ammette una classe importante di soluzioni dette ”onde piane”,
della forma
⃗
Ψ(⃗r, t) = C ei(k·⃗r−ωt) (22)
11
mentre
ℏ2 2 h i(⃗k·⃗r−ωt) i ℏ2 ⃗ 2
− ∇ Ce = |k| Ψ(⃗r, t) (24)
2m 2m
e poiché deve valere l’equazione, si ha che
ℏ2 ⃗ 2
ωℏ = |k|
2m
ottenendo la condizione sulla pulsazione ω dell’onda piana
ℏ ⃗2
ω= |k| (25)
2m
che rende Ψ(⃗r, t) soluzione dell’equazione di Schroedinger.
∂
iℏ = ωℏ − ∇2 = |⃗k|2
∂t
con qualche passaggio algebrico, possiamo ottenere la seguente corrispondenza:
∂
Energia: E = iℏ
∂t (26)
Quantità di moto: P = −iℏ∇
12
Ci ricordiamo poi che vale la relazione
p2
E=
2m
e a partire da P = −iℏ∇, ricaviamo che
P2 = −ℏ2 ∇2
1 2
EΨ(⃗r, t) = P Ψ(⃗r, t) (28)
2m
Quello che abbiamo fatto per ottenere questa soluzione è applicare la teoria delle tra-
sformate di Fourier (sulla quale non ci dilungheremo); nel nostro caso, la funzione g(⃗k),
che è una funzione nello spazio dei vettori d’onda, è la trasformata di Fourier della fun-
zione d’onda Ψ(⃗r, t).
Tramite quel calcolo possiamo dunque passare da una soluzione priva di valore fisico
ad una che lo ha.
13
conseguenza non ha più un valore ben preciso di energia o quantità di moto.
Limitandoci al caso unidimensionale, cerchiamo di dare un’interpretazione almeno qua-
litativa del rapporto tra g(⃗k) e Ψ(x, t).
ℏ
∆x∆kℏ =
2
ma poiché ∆kℏ = ∆p, concludo che
ℏ
∆x∆p = (31)
2
Questa è la versione ”incompleta” del principio di indeterminazione di Heisenberg.
Il principio nella formulazione corretta
ℏ
∆x∆p ≥ (32)
2
14
deriva dalla disuguaglianza di Cauchy-Schwarz applicata a due osservabili fisiche (che
non dimostreremo qui).
∂ ℏ2 2
iℏ Ψ(⃗r, t) = − ∇ Ψ(⃗r, t) + V (⃗r, t)Ψ(⃗r, t)
∂t 2m
Abbiamo detto che questa equazione descrive l’evoluzione temporale della funzione
d’onda associata ad una particella, eventualmente influenzata da potenziali esterni.
Infatti l’equazione nasce nel tentativo di localizzare un’onda o una particella (per il
dualismo onda-corpuscolo), ovvero di fornire la probabilità che una particella non visi-
bile si trovi in una determinata regione finita dello spazio.
Il modo per farlo è calcolare l’energia cinetica della particella (il secondo termine del-
l’equazione) ed uguagliarlo all’energia del sistema (il primo termine dell’equazione).
Cosa implica questa considerazione? Il fatto che l’energia cinetica del sistema è inte-
ramente dovuta al moto della particella/onda, ovvero che il sistema di riferimento è
fermo.
Ovviamente, in un sistema di riferimento relativistico, questa equazione smette di fun-
zionare.
15
13 L’equazione di Klein-Gordon
Un primo tentativo di rendere relativistica l’equazione di Schroedinger fu l’equazione
di Klein-Gordon, formulata nel 1926.
E 2 = p 2 c2 + m 2 c4 (33)
E2 Ψ = (cP2 + m2 c4 )Ψ (34)
dove in questo caso E e P sono degli operatori, dunque hanno bisogno di una funzione
Ψ per ”funzionare”.
E’ sufficiente a questo punto esplicitare i due operatori nel seguente modo e portare
tutto a primo membro
2
2 ∂ 2 2 2 2 4
−ℏ +c ℏ ∇ −m c Ψ=0
∂t2
1 ∂2 m2 c2
2
− ∇ + Ψ=0 (35)
c2 ∂t2 ℏ2
A questo punto possiamo notare che nell’equazione non compare più il termine del-
la massa a denominatore, dunque questa equazione è sia relativistica, sia valida per i
fotoni.
In particolare, per i fotoni abbiamo che
2 1 ∂2
∇ Ψ= 2 2Ψ
c ∂t
1 ∂2 ∂2 ∂2 ∂2 1 ∂2
□= − − − = − ∇2
c2 ∂t2 ∂x2 ∂y 2 ∂z 2 c2 ∂t2
m2 c2
□+ 2 Ψ=0 (36)
ℏ
16
Usando le unità naturali1 l’equazione assume una forma ancora più compatta:
(□ + m2 )Ψ = 0 (37)
∂Ψ∗ (⃗r, t)
iℏ ∗ ∂Ψ(⃗r, t)
ρKG (⃗r, t) = Ψ (⃗r, t) − Ψ(⃗r, t) (38)
2mc2 ∂t ∂t
Tuttavia questa funzione ρKG (⃗r, t) non è sempre definita positiva, ma può anche avere
valori negativi o nulli.
Pertanto questa non può essere considerata una funzione densità di probabilità, ma
piuttosto una funzione densità di carica associata alla particella.
Un altro limite è quello di non prendere in considerazione lo spin delle particelle, una
caratteristica fondamentale di queste.
15 L’equazione di Dirac
L’equazione di Dirac rappresenta il primo vero passo per la formulazione di una teoria
quantistica relativistica.
Si tratta anch’essa di un’equazione che descrive in modo relativisticamente invariante
il moto di una particella, tenendo però in considerazione anche il suo spin.
La formulazione di Dirac permette inoltre di risolvere il problema che aveva lasciato
aperto l’equazione di Klein-Gordon, che dava difficoltà di interpretazione della funzione
d’onda.
17
della relatività.
Questo sarà l’aspetto leggermente più complicato, che richiederà una conoscenza più
approfondita della matematica.
In primo luogo, definiremo le coordinate spazio-temporali in questo modo
(t, x, y, z) = (x0 , x1 , x2 , x3 ) = xµ
∂
= ∂µ
∂xµ
dove η νµ è la matrice tensore metrico dello spazio tempo di Minkowski, definita come
−1 0 0 0
0 1 0 0
η νµ =
0 0 1
0
0 0 0 1
(∂ µ ∂µ + m2 )Ψ = 0 (39)
0 0 0 −1 −1 0 0 0
18
0 0 0 −i 0 0 1 0
0 0 i 0 0 0 0 −1
γ2 =
0
γ3 =
−1
i 0 0 0 0 0
−i 0 0 0 0 1 0 0
Ora, le matrici gamma di Dirac possono essere scritte in un formato decisamente più
compatto, forse anche più utile per dove vogliamo arrivare.
Chiamata I la matrice identità 2 × 2, possiamo scrivere queste matrici come
0 I 0 1 0 σx 2 0 σy 3 0 σz
γ = γ = γ = γ =
0 −I −σx 0 −σy 0 −σz 0
Perché scrivere le matrici in questo modo ci aiuta? Perché notiamo che le matrici di
Dirac possono essere scritte in termini delle matrici σ e della matrice identità; in par-
ticolare, le matrici σ sono dette ”matrici di Pauli”, che rappresentano gli operatori di
spin di una particella.
Ecco dunque perché l’equazione di Dirac ci permette di includere anche le informazioni
sullo spin.
Quindi, se volessimo scrivere l’equazione di Dirac nel modo più completo possibile
allora ciò che dovremmo fare è separare tutte le quattro matrici:
I 0 ∂
i −m Ψ=0
0 −I ∂t
0 σx ∂
i −m Ψ=0
−σx 0 ∂x
(41)
0 σy ∂
i −m Ψ=0
−σy 0 ∂y
0 σz ∂
i −m Ψ=0
−σz 0 ∂z
arrivando quindi alla conclusione che l’equazione di Dirac risulta essere un sistema di
quattro equazioni.
Il merito dell’equazione di Dirac è quello di aver risolto il problema del segno della
densità di probabilità: infatti
4
X
ρ(⃗r, t) = |Ψi (⃗r, t)| ≥ 0 (42)
i=1
19