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D1

La
configurazione
elettronica
D1 La configurazione elettronica
Protagonisti
Mappa e idee

D1 La configurazione elettronica
De Broglie: i corpuscoli sono onde
Nel 1924 il fisico francese Louis-Victor de Broglie intuì che come le onde
avevano caratteristiche corpuscolari, così le particelle in movimento
dovevano presentare anche un comportamento ondulatorio.
A tutta la materia si poteva insomma attribuire una duplice natura tale che:

Le onde cui De Broglie fa riferimento non sono le onde


elettromagnetiche che conosciamo. Vengono chiamate “onde di
materia”: un corpuscolo, considerato sotto questa forma, è una specie di
vibrazione che si diffonde in maniera regolare.

Onda/corpuscolo D1 La configurazione elettronica


Abbiamo una certa familiarità con le onde progressive come un’onda del
mare o la “ola” delle persone allo stadio. Le onde di De Broglie invece
sono onde stazionarie, cioè presentano oscillazioni che non si propagano
nello spazio. L'oscillazione nel tempo si ha tra punti fissi detti nodi che
comprendono gli estremi dell'onda. Una tipica onda stazionaria è quella
che si può indurre in una corda fissata a un estremo.

onda progressiva onda stazionaria

Onda/corpuscolo D1 La configurazione elettronica


Come tutte le onde, però, le onde di materia si manifestano come tali
solo quando interagiscono con oggetti di dimensioni confrontabili con la
loro lunghezza d’onda λ.
In base alla relazione di De Broglie, quando la massa aumenta, λ
diminuisce fino al punto che i picchi successivi dell’onda si avvicinano
tanto da risultare indistinguibili.

Per questo motivo i corpi in movimento le cui dimensioni sono


rilevabili dai nostri sensi non manifestano la loro natura ondulatoria,
che diviene invece evidente a una scala uguale o inferiore a quella
degli atomi.

Onda/corpuscolo D1 La configurazione elettronica


La formula trovata da De Broglie consentì di dare una base teorica al
primo postulato di Bohr. La relazione:

da lui utilizzata per ricavare i raggi delle possibili orbite elettroniche


permetteva infatti di prevedere i valori delle energie degli spettri in
perfetto accordo con i risultati sperimentali, ma non aveva alcuna
giustificazione teorica.
Per seguire la spiegazione di De Broglie, ricordiamo che le onde
associate agli elettroni devono essere stazionarie.

Onda/corpuscolo D1 La configurazione elettronica


In altre parole l’elettrone, quando
viene considerato sotto forma di onda,
si presenta come un’oscillazione
diffusa con le stesse caratteristiche
della vibrazione di una corda tesa che
venga pizzicata: l’ampiezza della
vibrazione rimane costante nel
tempo e varia solo con lo spazio.
Se dunque l’elettrone va considerato
come un’onda stazionaria, questa deve riproporsi costantemente nella
stessa forma in ogni punto dell’orbita descritta.
Perché ciò accada occorre che tale orbita contenga un numero intero di
onde, ciascuna di lunghezza d’onda λ.
Poiché l’orbita è circolare, la sua lunghezza è dunque 2πr, per cui la
situazione, in termini matematici, diviene:

Onda/corpuscolo D1 La configurazione elettronica


Poiché la lunghezza d’onda dell’elettrone è costante, soltanto
determinate coppie di valori n e r possono soddisfare l’equazione. Le
orbite che ne derivano non possono dunque essere qualsiasi. Infatti i
raggi con valori diversi da quelli indicati dalla formula costringerebbero
l’onda a non essere stazionaria, ovvero ad accavallarsi e a
distruggersi.

Onda/corpuscolo D1 La configurazione elettronica


La relazione appena ricavata può
essere scritta, grazie alla formula di
De Broglie, come:

che, espressa diversamente, è


proprio il primo postulato di Bohr:

Il numero intero n che determina la lunghezza dell’orbita


nell’impostazione di De Broglie viene pertanto a coincidere con il numero
quantico principale di Bohr.
Le prime verifiche sperimentali della teoria di De Broglie giunsero nel
1927, quando alcuni comportamenti degli elettroni poterono essere
spiegati (con Davisson e Germer) solo considerandoli come fenomeni
ondulatori. In seguito, tali comportamenti vennero riscontrati anche per
singoli atomi.

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Heisenberg: entra in scena l’incertezza
Nel 1927, il fisico tedesco Werner Heisenberg osservò che mentre nel
mondo macroscopico si è in grado di misurare con notevole precisione
tutte le grandezze necessarie alla descrizione del moto di un corpo, nel
mondo microscopico esiste un margine di imprecisione dovuto alla
perturbazione che il sistema subisce a causa della misura stessa.
In termini di particelle subatomiche, usiamo l’esempio fornito dallo stesso
Heisenberg e immaginiamo di voler determinare la posizione di un
elettrone mediante irraggiamento
con fotoni.
Affinché l’elettrone possa essere
individuato, deve essere colpito
da un fotone che venga così
deviato verso l’osservatore.
Il fotone però, interagendo con
l’elettrone, trasmette a esso
energia, modificandone velocità
e direzione.

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Se, per evitare questo
problema, scegliamo di
usare un fotone a
bassa energia, la
lunghezza dell’onda a
esso associata è così
grande che non riuscirà
a intercettare l’elettrone
o, nel migliore dei casi,
non ne darà
un’immagine ‘nitida’,
rendendo impossibile
determinarne la
posizione.

Indeterminazione D1 La configurazione elettronica


La situazione viene riassunta da Heisenberg nel principio di
indeterminazione:

Heisenberg dimostrò infatti che le incertezze delle due


grandezze devono soddisfare la relazione:

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Per meglio comprendere il
significato del principio di
indeterminazione, possiamo
fare un paragone con la
fotografia. Quando si fotografa
un oggetto in movimento, è
difficile fare un’istantanea che
renda il senso della velocità e
allo stesso tempo rappresenti
bene l’oggetto. Se infatti
scegliamo tempi d’esposizione
bassi, otterremo un’immagine
ben definita, ma ‘ferma’;
mentre con tempi alti
otterremo immagini mosse,
che rendono bene il senso
della velocità, ma non danno
una rappresentazione fedele
dell’oggetto.

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È bene sottolineare che il principio di indeterminazione non è causato
dalla nostra incapacità di osservare i fenomeni, ma dalla natura
ondulatoria delle particelle. Perciò, esso non ha alcuna rilevanza
quando si ha a che fare con corpi macroscopici, mentre esiste un limite,
legato alla costante di Planck, al di sotto del quale il principio di
indeterminazione non ci consente di osservare la realtà. Qualcosa di
simile succede con lo schermo di un televisore: fino a una certa distanza,
più ci avviciniamo più l’immagine ci appare nitida; oltre un certo limite,
tuttavia, i dettagli diventano sempre più confusi, fino a dissolversi in un
ammasso di pixel privo di significato.

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Il principio di indeterminazione, che sancisce l’impossibilità di dare una
completa descrizione dei sistemi di dimensioni atomiche, si presta anche
a scherzose interpretazioni!

Indeterminazione D1 La configurazione elettronica


Il modello atomico di Bohr,
avvalorato dalla natura ondulatoria
dell’elettrone, viene fatto
naufragare proprio da quest’ultima:
le orbite definite sulle quali
viaggiava l’elettrone e nelle quali in
ogni istante velocità e posizione
potevano essere esattamente
calcolate devono essere
abbandonate.
Da questo momento purtroppo la rappresentazione
dell’atomo non può più essere fatta ricorrendo a
esempi tratti dalla realtà macroscopica. Un
elettrone che, assieme agli altri costituenti della
materia, è a volte onda e a volte corpuscolo non è
più compatibile con il rassicurante modello atomico
planetario, caro alla fisica classica. Heisenberg, cui
fu chiesto come ci si doveva immaginare allora un
atomo, rispose ironicamente: “Lasciamo perdere”.
Indeterminazione D1 La configurazione elettronica
Clicca per vedere la soluzione

Indeterminazione D1 La configurazione elettronica


Indeterminazione D1 La configurazione elettronica
Il nuovo modello atomico: meccanica
ondulatoria e probabilità
L’impossibilità per la meccanica classica di descrivere il comportamento
di sistemi di dimensioni atomiche rese necessaria un’interpretazione
nuova dei fenomeni studiati, seguendo la strada aperta da De Broglie e
da Heisenberg. Come per il fotone, si pensò che anche il comportamento
dell’elettrone si potesse descrivere matematicamente come un’onda.
Nel 1926, in effetti, il fisico austriaco
Erwin Schrödinger elaborò
un’equazione matematica in grado di
rappresentare l’elettrone come un’onda
stazionaria: si affermava definitivamente
la meccanica ondulatoria, introdotta da
De Broglie.

Heisenberg/Schrödinger D1 La configurazione elettronica


L’onda stazionaria che rappresenta l’elettrone è il risultato del suo
intrappolamento nell’atomo dovuto all’attrazione del nucleo e la soluzione
dell’equazione matematica di Erwin Schrödinger che ne descrive il
comportamento si chiama funzione d’onda Ψ (psi).

Heisenberg/Schrödinger D1 La configurazione elettronica


Contemporaneamente, da un’idea di
Heisenberg, con i contributi di Born e
Jordan, venne sviluppata una teoria che
descriveva le relazioni esistenti tra le
frequenze e le intensità delle righe
spettrali emesse dai sistemi eccitati.
I risultati ottenuti, in accordo con quelli di
Schrödinger, dettero origine alla
meccanica
quantistica,
termine che
viene oggi usato,
impropriamente,
come sinonimo di meccanica ondulatoria: si
tratta in realtà di teorie diverse anche se
coincidenti nei risultati. Per questi motivi
l’ultimo modello atomico che considereremo, il
modello quanto-meccanico attualmente utilizzato,
è da attribuirsi a entrambi gli scienziati.

Heisenberg/Schrödinger D1 La configurazione elettronica


Le funzioni d’onda, indicate con Ψ(psi),
permettono di calcolare le energie
quantizzate degli stati elettronici, che sono
il punto di partenza per descrivere il
comportamento degli elettroni. Infatti anche
se la funzione d’onda Ψ non rappresenta
nessuna delle orbite viste nel modello di Bohr,
il suo quadrato, Ψ2, calcolato per una
determinata porzione di spazio, è legato alla
probabilità che l’elettrone sia presente in
essa.

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Proprio il concetto di “probabilità di trovare l’elettrone” ci consente di dare
una rappresentazione dell’atomo non rigorosa, ma facilmente
comprensibile.
Mentre il modello atomico “planetario” di Bohr considerava che gli elettroni
si muovessero intorno al nucleo secondo orbite circolari, il modello di
Schrödinger-Heisenberg definisce solo le regioni dello spazio in cui il
quadrato della funzione d’onda, cioè la probabilità che vi si trovi
l’elettrone, raggiunge i valori più alti.
Tali regioni furono chiamate orbitali, nel 1932, dal chimico statunitense
Robert Sanderson Mulliken.

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Un buon modo per rappresentare un orbitale è immaginare di fotografare
molte volte l’elettrone “corpuscolo” attorno al nucleo.
Sovrapponendo tutte le fotografie otterremmo un risultato
rappresentabile con tanti puntini, uno per ogni istantanea dell’elettrone.
La “nuvola elettronica” che viene così a formarsi rappresenta la
distribuzione della probabilità di trovare l’elettrone. L’insieme delle zone
dove i punti sono più fitti è l’orbitale.

superficie
immaginaria
dell’orbitale singole
“istantanee”
nucleo dell’elettrone

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Questo modo nuovo di vedere il comportamento dell’elettrone nell’atomo
conferma, da un altro punto di vista, i risultati che già erano stati raggiunti
da Bohr.
La prima orbita dell’atomo di idrogeno aveva, nel modello di Bohr, raggio
53 pm. Proprio a questa distanza l’equazione di Schrödinger presenta un
massimo di probabilità di trovare l’elettrone!

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I numeri quantici nel modello ondulatorio:
n, l, m, s
L’equazione di Schrödinger, pur partendo da considerazioni teoriche, fa
apparire automaticamente nelle sue soluzioni, che descrivono gli orbitali, i
quattro numeri quantici introdotti nel modello atomico precedente per
risolvere i problemi spettroscopici. Il significato fisico dei numeri quantici è
molto simile in entrambi i modelli, come viene riportato di seguito.

All’aumentare di n aumenta l’energia del livello e la distanza degli orbitali


dal nucleo. Il numero totale di orbitali presenti nel livello n è n2.

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In un dato livello energetico, l può assumere tutti i valori interi compresi tra
0 e n – 1. A seconda del valore che assume, la forma dell’orbitale è:

• sferica (orbitali s), per l = 0;

• a due lobi (orbitali p), per l = 1;

• a quattro lobi (orbitali d), per l = 2;

• a otto lobi (orbitali f), per l = 3;

• molto più complessi, ma utilizzati solo da atomi eccitati (orbitali g, h),


per l = 4 e l = 5.
Il gruppo di orbitali che hanno lo stesso valore di l è chiamato sottolivello.
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Anche il valore di l influenza l’energia di un orbitale. I sottolivelli di uno
stesso livello hanno energie che aumentano all’aumentare di l: l’orbitale s è
sempre quello a energia più bassa, seguito nell’ordine dagli orbitali p, d ed
f, se possono esistere per quel livello.

Nel secondo livello, per esempio, esistono solo i sottolivelli 2s e 2p, mentre
nel quarto si trovano nell’ordine 4s, 4p, 4d e 4f.

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Per un dato valore di l, e quindi per un certo sottolivello, il numero
quantico m può assumere tutti i valori interi tra –l e +l, zero
compreso, il che significa che i suoi valori possibili sono in tutto
2 l + 1.

•La forma sferica degli orbitali s consente un’unica orientazione, per cui,
in ogni livello, ve n’è uno solo;

•gli orbitali p sono tre, orientati secondo le direzioni dello spazio;

•gli orbitali d sono 5 e hanno orientazioni più complesse;

•ancora più complessi sono i 7 orbitali f.

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Per chiarezza, manterremo per questo numero quantico il significato già
visto, quello cioè di indicare il senso di rotazione dell’elettrone intorno al
proprio asse (spin). Esso può assumere soltanto i valori +1/2 e –1/2 e
determina il numero di elettroni che possono condividere un orbitale.
Ruotando su sé stessi, gli elettroni generano dei campi magnetici e questi
ultimi consentono di occupare lo stesso orbitale solo a elettroni con spin
opposto: al massimo, quindi, un orbitale può ospitare due elettroni.
Questa considerazione deriva dal principio di esclusione di Pauli, in
base al quale:

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Due elettroni che si trovano nello stesso orbitale hanno già uguali n, l e m
e poiché i possibili valori del numero di spin sono soltanto due (+1/2 e –
1/2), due soli potranno essere gli elettroni in esso contenuti.

Elettroni dello stesso orbitale con spin


opposto si attraggono

Elettroni dello stesso orbitale con spin


uguale si respingono

Grazie a quanto appena visto, il numero massimo di elettroni che


possono stare nel livello n è pari al doppio degli orbitali possibili, cioè 2n2.

Numeri quantici D1 La configurazione elettronica


Numeri quantici D1 La configurazione elettronica
Le caratteristiche
degli orbitali: livelli,
sottolivelli
e orientazione
Abbiamo visto che gli orbitali si
differenziano per energia, forma
e orientazione.
Gli orbitali sono infatti disposti in
livelli energetici all’interno dei
quali, escluso il primo, esistono
dei sottolivelli che si
differenziano leggermente per la
loro energia.
Gli orbitali appartenenti allo stesso sottolivello hanno uguale energia, ma
diversa orientazione. Essi si dicono degeneri.

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Nel primo livello di energia (n = 1), l può assuere
solo il valore 0. Vi è dunque un solo sottolivello
possibile, s, a cui corrisponde un solo orbitale, che è
di tipo sferico e viene indicato con 1s. Il numero
massimo di elettroni che possono essere ospitati
nel primo livello è 2.
Nel secondo livello di energia (n = 2), i valori ammessi
per l sono 0 e 1. Questo significa che i tipi possibili di orbitali sono s e p.
Troviamo l’orbitale 2s e, a energia leggermente più elevata, i tre orbitali
2p, che si differenziano per i diversi valori di m: 2px (m = –1), 2py (m = 0) e
2pz (m = 1). Poiché in ogni orbitale possono trovarsi al massimo 2 elettroni,
nel secondo livello possono stare in totale otto elettroni.

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Il terzo livello (n = 3) consente tre diversi valori di l: 0, 1 e 2. Esso si
differenzia, dunque, nei sottolivelli s, p e d. Oltre all’orbitale 3s e agli
orbitali 3px, 3py e 3pz incontriamo, a energia leggermente più alta, i
cinque orbitali d con diverse orientazioni, contraddistinti dai valori di m: –
2, –1, 0, 1, 2. Globalmente, nel terzo livello di energia si possono avere
fino a 2 + 3 · 2 + 5 · 2 = 18 elettroni.

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Nel quarto livello di energia, poiché l può assumere i valori 0, 1, 2 e 3, si
possono trovare l’orbitale 4s, i tre orbitali 4p, i cinque orbitali 4d e sette
orbitali 4f, questi ultimi contraddistinti dai valori di m: –3, –2, –1, 0, 1, 2, 3.
Grazie a questi orbitali il quarto livello può contenere fino a 32 elettroni.

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Nei successivi livelli sono possibili, oltre ai sottolivelli s, p, d ed f, anche
ulteriori tipi di orbitali che però, in condizioni non eccitate, non sono
occupati, per cui non verranno qui considerati.
Le raffigurazioni date degli orbitali sono semplificate. Rappresentazioni
più fedeli si possono trovare per esempio all’indirizzo:
http://winter.group.shef.ac.uk/orbitron

Orbitali D1 La configurazione elettronica


Ecco un
quadro
riassuntivo
delle piccole
differenze di
struttura degli
orbitali più
comuni.
Orbitali
Si noti che
anche orbitali
dello stesso
tipo sono
diversi a
seconda del
livello a cui
appartengono.

Orbitali D1 La configurazione elettronica


Se è vero che nell’ambito di uno
stesso livello i sottolivelli s, p, d ed
f hanno energia crescente, non
sempre è vero invece che un
orbitale di un dato livello
corrisponda a un’energia più
bassa di quella di tutti gli orbitali
del livello immediatamente
superiore. Il numero quantico
secondario l può infatti dare un
contributo significativo all’energia
degli orbitali, che aumenta
secondo l’ordine indicato dalla
regola della diagonale, lo stesso
ordine nel quale si riempiono.

Orbitali D1 La configurazione elettronica


Risulta evidente dallo
schema a fianco che le
complicazioni iniziano
quando entrano in gioco
gli orbitali d ed f.
A puro titolo di esempio, si
può osservare come
l’orbitale 6s abbia
un’energia più bassa sia
dei sottolivelli 5d e 5f, sia
addirittura del 4f.

Orbitali D1 La configurazione elettronica


Se provassimo a rappresentare un atomo alla
luce di quanto detto, dovremmo ricorrere a una
‘nuvola’ dai contorni indistinti corrispondenti a
confini oltre i quali gli elettroni si
spingono molto di rado.
Con un po’ di fantasia,
lo potremmo immaginare
come una palla da tennis
molto lanuginosa, più che
come la sfera compatta
concepita dai primi
filosofi atomisti. In realtà, sappiamo bene che
nessuna di queste, o di altre
forme immaginabili è
perfettamente adeguata per
descrivere la realtà della
meccanica quantistica:
quest’ultimo è un mondo troppo
diverso da quello di cui abbiamo
esperienza ogni giorno.
Orbitali D1 La configurazione elettronica
La configurazione elettronica
La schematica rappresentazione degli orbitali secondo il loro contenuto di
energia suggerisce un modo sintetico per rappresentare quali orbitali di un
atomo sono occupati e da quanti elettroni.

La configurazione elettronica di un atomo viene


rappresentata graficamente indicando gli
elettroni con delle freccette.
Se invece la si vuole esprimere simbolicamente,
si indica il numero del livello di energia seguito
dal simbolo del sottolivello e si pone a esponente
di quest’ultimo il numero totale di elettroni che
contiene (per esempio, la notazione 1s2 significa
due elettroni nell’orbitale 1s
e si legge “uno esse due”).

Configurazione D1 La configurazione elettronica


L’atomo di un dato elemento possiede tanti elettroni quanti sono i suoi
protoni. Noto quindi il numero atomico Z, sappiamo quanti elettroni
dobbiamo collocare negli orbitali.
Il riempimento degli orbitali avviene seguendo alcune regole:
1. principio dell’aufbau: gli orbitali vengono riempiti in ordine di energia
crescente (ossia seguendo l’ordine dato dalla regola della diagonale);
2. principio di esclusione di Pauli: in ogni orbitale possono stare al
massimo due elettroni; se ve ne sono due, hanno spin opposti
(antiparalleli);
3. regola di Hund, o “della massima molteplicità”: quando gli elettroni
hanno a disposizione più orbitali con la stessa energia (degeneri)
tendono sempre a occuparne quanti più è possibile, dando luogo a orbitali
semioccupati in cui si dispongono con spin paralleli. Ciò consente agli
elettroni di trovarsi alla massima distanza possibile, minimizzando la
repulsione reciproca.

Configurazione D1 La configurazione elettronica


Come esempio di applicazione delle regole esposte costruiamo la
configurazione elettronica dei primi 10 elementi.
L’idrogeno ha un solo elettrone, che si trova nell’orbitale a più bassa
energia e cioè nell’1s.
La sua configurazione elettronica
è pertanto 1s1.
L’elio ha due elettroni, che si collocano
nello stesso orbitale (1s), ma con spin
opposto. Con l’elio, il primo livello
energetico è completamente occupato;
la configurazione elettronica è 1s2.
Il litio ha tre elettroni, che non possono
occupare lo stesso orbitale: due si
sistemano nell’1s e uno nell’orbitale del
secondo livello a più bassa energia, il 2s.
La configurazione è quindi 1s22s1.
Il berillio ha quattro elettroni, due nell’orbitale 1s e due nel 2s: la sua
configurazione è 1s22s2.

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Il boro ha cinque elettroni. I primi quattro sono disposti come nel berillio,
mentre il quinto è posto nel sottolivello 2px; la configurazione elettronica è
1s22s22p1.
Il carbonio ha sei elettroni: due nell’orbitale 1s, due nel 2s, uno nel 2px e
uno nel 2py. Per la regola di Hund, infatti, gli ultimi due elettroni non si
concentrano in un solo orbitale, ma occupano ciascuno un orbitale diverso
con uguale energia. La sua configurazione elettronica è dunque 1s22s22p2.
Si ricordi che gli spin dei due elettroni del sottolivello 2p sono paralleli.

Configurazione D1 La configurazione elettronica


L’azoto ha sette elettroni, due
nell’orbitale 1s, due nel 2s e uno in
ciascuno dei tre 2p, con configurazione
elettronica 1s22s22p3. Per lo stesso
motivo ricordato a proposito del carbonio,
gli ultimi tre elettroni hanno spin paralleli.
L’ossigeno ha otto elettroni e quindi ha un elettrone in più rispetto alla
configurazione dell’azoto. Il nuovo elettrone andrà a saturare l’orbitale 2px,
per cui la configurazione risulta 1s22s22p4.

Il fluoro ha nove elettroni: l’elettrone in più


rispetto all’ossigeno va ad appaiarsi all’altro
già presente nel 2py, completandolo.
La sua configurazione elettronica è pertanto:
1s22s22p5.
Nel neon gli elettroni presenti sono tutti appaiati: due nell’1s, due nel 2s e
due ciascuno nei tre orbitali 2p. Il secondo livello di energia è completo e
la configurazione elettronica dell’elemento è 1s22s22p6.

Configurazione D1 La configurazione elettronica


L’ordine di riempimento degli orbitali procede poi regolarmente seguendo
le priorità indicate dalla regola della diagonale.
Quando si devono utilizzare gli orbitali d ed f, la situazione viene
complicata dal fatto che alcuni sottolivelli di differenti livelli hanno un
contenuto energetico simile. Questo genera il passaggio di un elettrone
verso la situazione energeticamente più favorita.
Nel cromo, per esempio, gli elettroni dei livelli più esterni sono nella
configurazione 3d54s1, invece che 3d44s2 come potremmo attenderci
dalla regola della diagonale.
Ciò si spiega con il fatto che un sottolivello occupato completamente o
occupato esattamente a metà (semioccupato) rappresenta una
situazione energeticamente più favorevole rispetto a quella in cui nel
sottolivello è presente un numero di elettroni che non permette nessuna di
tali configurazioni.

Configurazione D1 La configurazione elettronica


Analogamente, l’argento ha configurazione esterna 4d105s1, con il
sottolivello s riempito a metà e il d completamente occupato, invece
della configurazione prevista 4d95s2, nella quale il sottolivello s sarebbe
completamente occupato, ma i 9 elettroni del d non sarebbero in una
configurazione energeticamente favorevole.

4d 4d
5s 5s

Configurazione D1 La configurazione elettronica


Protagonisti e idee D1 La configurazione elettronica
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