Sei sulla pagina 1di 13

24 marzo 2017

SISTEMI DI MISCELE – Riepilogo

Abbiamo dei componenti che vengono mescolati e vogliamo capire in che modo possiamo osservare il
mescolamento. Abbiamo parlato in termini di termodinamica, di come attraverso la variazione dell’energia libera di
mescolamento si possa stabilire il margine entro il quale possiamo prevedere se una miscela sia completamente
miscibile o meno (nel range di concentrazione che stiamo trattando), quando ∆mixG<0. Abbiamo già visto il caso ideale
in cui è sempre mescolabile con ∆mixG<0 dappertutto (vedi diagramma precedente).

ENTROPIA DI MESCOLAMENTO

Quando parliamo di miscele ideali, non considero le interazioni tra le particelle, quindi chiaramente non considero la
variazione di entalpia (in un gas ideale ∆H=0 a temperatura costante).

Se andassi a considerare l’espressione generale dell’energia libera ∆G =∆H-T∆S, segue che:

∆mixG= -T∆mixS ( essendo ∆H=0)

∆mixS = - ∆mixG/ T

Per una miscela a comportamento ideale:

Se volessi descrivere graficamente l’andamento:

Spontaneamente un processo evolve verso un incremento di entropia. Immagino che una soluzione ideale miscibile
in tutto il range di composizione abbia ∆mixS >0 sempre.

Domanda : Perché il minimo di ∆G (grafico lezione precedente) e il massimo di ∆S si ha a 0.5?


Ho il massimo di entropia all’equilibrio (massima distribuzione energetica). Quando ho il 100% di A e non ho B; o
quando ho 50% di A e 50% di B, quale ha maggiore distribuzione energetica?
Quella che contiene entrambi i componenti, perché massimizzo la distribuzione energetica quando le quantità dei
due componenti sono uguali. Se ho la prevalenza di uno o dell’altro aggiungo “maggiore ordine”. Lo 0.5 è legato al
fatto che le entità sono uguali e quindi viene distribuita al massimo l’energia e quindi il contenuto energetico è
minimo.

1
Questi sono i due parametri che si utilizzano per definire la miscibilità dei componenti (vale nei sistemi ideali; in
quelli reali introduco le interazioni che pongono dei limiti nel rapporto di concentrazione che permette di avere una
miscibilità).

Ricordiamo sempre che parliamo di sistemi ideali e quindi ∆mixH=0 (a T e P costanti).

IL POTENZIALE CHIMICO DEI LIQUIDI

Che succede se invece dei gas considero dei liquidi? La situazione è un po’ più complessa rispetto all’osservazione del
gas.

 LE SOLUZIONI IDEALI

I liquidi: hanno entropia più bassa rispetto alla fase vapore, quindi le particelle di liquido all’interfase tendono a
passare alla fase vapore, massimizzando l’entropia. Ciò è controbilanciato dalla tendenza delle particelle a
condensare e a passare alla fase liquida. Quando le velocità dei due processi si uguagliano, ho l’equilibrio (ovvero il
potenziale chimico del gas è uguale a quello del liquido). Quindi posso scrivere il potenziale chimico del liquido in
termini di quello del gas.

Introduciamo il simbolo * che identifica lo stato puro.

Supponiamo di avere una specie A, per la quale si ha μ A * (potenziale chimico del liquido puro).

Ho a un certo punto l’equilibrio con il gas, dovuto alle particelle che sono passate alla fase superiore.
Il valore di μ A * deve quindi essere uguale al potenziale chimico di A nella fase vapore (non c’è altro che A, per questo
metto l’asterisco). Ho solo A in fase liquida che giunge all’equilibrio con A alla fase vapore.
La pressione di vapore è p A * perché è la pressione di vapore di A allo stato puro (avendo solo A).
Si ha che il potenziale chimico di vapore è μ A ° + RT ln ¿ ¿)

Se prendo un’altra molecola B e l’aggiungo al liquido che contiene A, che succede all’equilibrio?

A non è più allo stato puro.


Supponiamo che A sia il solvente e B il soluto.
Posso identificare due situazioni per spiegare ciò che succede:

1- Ragione fisica. Se ho A da solo, all’interfase tende a passare dalla fase liquida alla fase vapore. Ma se
inserisco altre particelle di un’altra molecola, queste creano una sorta di barriera che ostacola leggermente il
passaggio alla fase vapore (altera la cinetica del processo).
2- Ragione entropica. Dal punto di vista termodinamico: considerando solo il liquido A (entropia inferiore al
vapore A), esso tende a passare alla fase vapore spontaneamente. Se inserisco B, l’entropia sarà maggiore
rispetto ad A allo stato puro. Le particelle quindi hanno meno necessità di passare allo stato vapore (quindi
altero la cinetica del processo).
Ecco perché ho diversi valori sia di pressione di vapore, sia di potenziale chimico.

Cambio l’espressione del potenziale chimico: per una miscela devo utilizzare la frazione molare, che è un termine
minore di 1, quindi il logaritmo è negativo. Se sottraggo il potenziale chimico allo stato puro meno quello meno
negativo, ho un potenziale chimico più basso di quello allo stato puro. Quindi se considero una miscela abbasso il
potenziale chimico rispetto a quello del solvente allo stato puro.

2
pA pA
= pressione nella mia miscela; *= pressione allo stato puro

Ho sempre un equilibrio con il vapore A, ma non considero più μ A * bensì μ A ° (standard).

Combinando le due relazioni:

Il rapporto p A / p∗¿ A ¿ è uguale alla frazione molare x A , per la legge di Raoult.

Ricapitolando:

- Se ho un solo componente considero l’equilibrio tra componente in fase liquida e lo stesso in fase vapore.
Ottengo la classica espressione del potenziale chimico, in cui p A * identifica la tensione di vapore di A allo
stato puro (ho solo A, sia liquido , sia vapore)

- Se aggiungo un altro componente nell’equilibrio non posso più scrivere *. Devo considerare la
composizione della miscela perché non ho più A puro. Impongo quindi un’uguaglianza all’equilibrio che
riflette questa situazione e posso scrivere la relazione in cui metto la pressione parziale di A nella miscela alla
fase vapore, data da p(B)+p(A)= P(tot) (dalla legge di Dalton). Se combino le due espressioni ho una relazione
che identifica come il potenziale chimico di un componente nella miscela sia sempre inferiore del potenziale
chimico di quel componente allo stato puro, perché introduco la frazione molare che è un valore sempre
minore di 1 e quindi il suo logaritmo è sempre negativo.
Infatti se ho più componenti l’entropia viene meglio massimizzata e quindi è giusto che il potenziale chimico
sia più basso rispetto a quello di un sistema che ha il componente allo stato puro (è un concetto
termodinamico).

LEGGE DI RAOULT

p A =x A p A∗¿

Questa legge identifica come la p A ¿pressione parziale di A) sia uguale alla sua frazione molare per la pressione che
esso eserciterebbe se si trovasse allo stato puro ( p A∗¿

Se volessi esprimere la legge graficamente:

3
Ho due rette che identificano A e B.
Se x A=1, ho solo A e quindi la pressione è quella di A allo stato puro; lo stesso vale per B.
La somma delle due pressioni è la pressione totale.
N.B. E’ un comportamento ideale (assenza di interazioni).

Posso anche dire che i valori delle pressioni parziali dipendono dalla composizione della miscela: maggiore è il
componente, maggiore è la pressione che esso esercita. x A è la percentuale di A nella miscela e quindi il peso
percentuale per la pressione totale, mi dà la quantità come pressione che quel componente esercita nella miscela
(stesso ragionamento in una miscela binaria di A e B di un liquido in equilibrio con il vapore: più A allo stato liquido
ho, più ho la possibilità di avere anche lo stato vapore, e viceversa).

Quindi abbiamo scritto che il potenziale chimico di un liquido è correlato alla frazione molare del componente nella
miscela.

Teoricamente ho un fenomeno cinetico condensazione- vaporizzazione che è alterato dalla presenza di altre
particelle che possono ostacolare il passaggio delle particelle di solvente verso lo stato vapore. Rendo di più l’idea
con una miscela reale in cui ho altre interazioni. L’altra spiegazione è data dal fenomeno entropico (come visto in
precedenza).

Voglio ricavare la Legge di Raoult:

Supponiamo di avere solo A che passa alla fase vapore (dipende dalla quantità di A presente alla fase liquida).

 Se considero dal punto di vista cinetico il processo, la velocità di vaporizzazione (la velocità con la quale le
molecole di A abbandonano la superficie) sarà proporzionale al numero di esse che si trova sulla superficie
(all’interfase liquido-vapore), numero che a sua volta è proporzionale alla frazione molare di A.
Velocità di vaporizzazione= k x A
(K =costante cinetica del processo)

 A nella fase vapore tende a condensare; la velocità di condensazione dipende da quanto A è presente nel
vapore, e lo esprimo con la pressione parziale:

Velocità di condensazione = k' p A

All’equilibrio la velocità di vaporizzazione coincide con la velocità di condensazione:

k x A= k' p A

Segue che:

p A =k/k’ × x A

Per il liquido puro x A =1, per cui:

p A *=k/k’

dalla quale si ricava la legge di Raoult:

p A = x A × p A∗¿

La pressione di vapore che grava dopo il fenomeno di passaggio e di equilibrio che si instaura, è data dalla frazione
molare per la pressione di vapore di A puro che eserciterebbe se A fosse da solo sul liquido.

4
Quindi la dimostrazione della legge si fa solo osservando un fenomeno cinetico di evaporazione e condensazione: un
processo avviene con una velocità che dipende dalla concentrazione delle sostanze reagenti. La velocità di
vaporizzazione è quindi proporzionale alla concentrazione di A nel liquido (frazione molare); la velocità di
condensazione invece è proporzionale alla concentrazione di A nella fase vapore, cioè alla pressione parziale.

Graficamente è rappresentato un
comportamento reale di una miscela, molto
più difficile da prevedere rispetto a un
comportamento ideale. Non ho più linee
rette (come nel grafico della legge di Raoult,
valido per sistemi ideali), ma curve.

Il comportamento ideale è pertanto funzionale a capire cosa accade nella realtà; la semplificazione permette di
arrivare a situazioni più complesse.

 SOLUZIONI DILUITE REALI

Se ho un soluto e lo inerisco nel solvente, ho un sistema reale (A solvente, B soluto)

Adotto una semplificazione: se diluisco il sistema reale, le particelle sono molto distanti e quindi diventano ideali
(non ho interazioni tra le particelle). Quindi parlo di SOLUZIONI DILUITE REALI, che poi sono IDEALI perché diluite.

Ho il passaggio alla fase vapore come nel caso precedente, quindi parlo di pressione che si esercita dal punto di vista
del solvente e del soluto.

Guardando al soluto, utilizzo la LEGGE DI HENRY:

pB =x B k B

È simile alla legge di Raoult, ma applicata a soluzioni diluite.

Ricavo graficamente la LEGGE DI HENRY:

x B è la frazione molare del soluto e k B è una costante (avente le dimensioni della pressione) scelta in maniera che il
grafico della pressione di vapore di B rispetto alla corrispondente frazione molare sia tangente alla curva
sperimentale in x B = 0.

Studio sperimentalmente il comportamento del sistema e in un diagramma traccio la curva che descrive il
comportamento della soluzione diluita.

5
Ora ricavo k Battraverso una retta tangente alla curva che descrive il comportamento della miscela nel punto in cui la
frazione molare di B è uguale a zero. Cioè l’intersezione sull’asse delle ordinate mi dà la pressione che risponde alla
costante di Henry.

Quindi: studio sperimentalmente il comportamento della miscela e ottengo la curva, poi traccio la retta (quando x B
=0) e l’intersezione con l’asse delle ordinate mi dà k B Posso quindi scrivere la legge di Henry.

Riassumendo:
- Legge di Raoult: riferita a soluzioni ideali
- Legge di Henry: riferita a soluzioni diluite reali

LE MISCELE LIQUIDE

Come posso definire le proprietà delle soluzioni?

Se ho più componenti nella fase liquida, ho delle miscele. Posso identificare una situazione in cui A e B siano separati
e quindi l’energia libera iniziale sarà la somma del componente A liquido e del componente B liquido:

mescolandoli considero la miscela e quindi le frazioni molari:

dalla differenza, ottengo il ∆ mix G:

con n= n A +nB

Qui devo considerare un aspetto: se ho un sistema ideale, posso trascurare il ∆ mix H ; nelle miscele di liquidi non
posso trascurarlo, pertanto è piu complesso prevedere la miscibilità, nel range di concentrazione. Devo vedere
l’incidenza sia del fattore entalpico, sia del fattore entropico nella formula dell’energia libera, perché quando
solubilizzo qualcosa in un liquido, posso avere reazioni endotermiche o esotermiche, quindi cambia il valore di ΔH .
Di conseguenza l’entità di questo valore deve essere comparato con l’entità del valore legato all’entropia e capire poi
se la somma di questo dà origine a un ΔG >0 o a un ΔG <0.
Se ΔG >0 vuol dire che nel range di concentrazioni in cui opero non c’è miscibilità (es. olio-acqua), oppure posso
avere parziale miscibilità o totale miscibilità (in base ai valore del ∆ mix G).  Si valuta la termodinamica del sistema
6
per determinare la miscibilità (contributo entalpico e contributo entropico. Considero l’entalpia perché non sono più
in condizioni ideali, quindi Δ H ha un peso).

Se il contributo entalpico è superiore a quello entropico (processi endotermici), potrei avere un ΔG >0 e quindi il
processo non ha una miscibilità (nelle concentrazioni che sto realizzando).

Può esserci completa immiscibilità ma anche una parziale miscibilità: dipende da come incidono i rapporti di
concentrazione nel valore finale del ∆ mix G (quindi nel contributo entalpico ed entropico).

Quindi:

- Se la variazione di entalpia è grande e positiva (mescolamento endotermico) o la variazione entropica è sfavorita,


l’energia di Gibbs potrebbe avere, ai fini del mescolamento, segno positivo; in tal caso la separazione sarebbe
spontanea e i liquidi potrebbero risultare immiscibili.

- Alternativamente essi potrebbero essere parzialmente immiscibili, cioè capaci di mescolarsi soltanto entro un certo
arco di composizioni.

LE PROPRIETA’ COLLIGATIVE

Sono proprietà che dipendono dal numero di particelle in soluzione e non dalla loro natura.

Occorre considerare due semplificazioni:

1- Il soluto non è volatile non concorre ad alterare la fase vapore (dipende solo dal solvente)
2- Il soluto non si scioglie nel solvente allo stato solido  la fase solida non è influenzata dal soluto

Quindi rimane costante il POTENZIALE CHIMICO.

In soluzione, quando metto un soluto nel solvente, si abbassa il potenziale chimico della soluzione perché entra in
gioco la frazione molare.

Il potenziale chimico delle fase liquida e quello della fase solida non cambia quando metto il soluto, mentre il
potenziale chimico della soluzione è più basso di quello del solvente allo stato puro (perché riduco il valore del
potenziale chimico del fattore legato alla frazione molare).

µ A∗( l ) del solvente puro

µ A∗( l )+ RT ln x A quando è presente il soluto

Il valore del potenziale chimico quando inserisco il soluto, dipenderà da x A (frazione molare di A all’interno della
soluzione creata aggiungendo il soluto). Il valore è diminuito rispetto al potenziale chimico di A allo stato puro,
perché ln x A <0 .

7
Diagramma potenziale chimico- Temperatura, in
funzione della pendenza.

(La pendenza dipende dal contenuto entropico)

Ho 3 rette con diversa pendenza; l’incrocio di tali


rette rappresenta il cambiamento di stato
(fusione ed ebollizione). Osservo l’innalzamento
ebullioscopico e l’abbassamento crioscopico

Abbassamento del punto Innalzamento del


di congelamento punto di ebollizione

o Senza soluto:
linea rossa  solido
linea blu  liquido puro
linea marroncina  vapore

o Aggiungendo il soluto:
non altero il solido ed il vapore (potenziale chimico invariato), ma abbasso il potenziale chimico della
soluzione risultante e questa retta trasla con un valore più basso, incrociando le rette del solido e del vapore
in punti diversi rispetto a quelli di prima. Ho un abbassamento del punto di congelamento e l’innalzamento
del punto di ebollizione.

 INNALZAMENTO EBULLIOSCOPICO

Prendendo un solvente a cui ho aggiunto un soluto, osservo un incremento della temperatura di ebollizione.

Le particelle di liquido del solvente, all’interfase, tendono a passare alla fase vapore perché l’entropia è maggiore.
Quando aggiungo un soluto, la soluzione risultante soluto + solvente ha maggior contenuto entropico, quindi il gap
entropico soluzione liquida- vapore, è più basso  le particelle di liquido, per passare alla fase vapore devono avere
maggiore energia, quindi un aumento di temperatura di ebollizione, perché fornisco maggiore calore al liquido per
passare alla fase vapore e dare origine alla libera vaporizzazione.

Se considerassi il liquido in equilibrio con il vapore, avrei:

Voglio dimostrare la seguente relazione:

T*= temperatura di ebollizione del solvente (in assenza di soluto)


ΔH =∆vap H
x B = frazione molare del soluto

Sappiamo che x A = 1- x B
8
∆ vap G =energia di Gibbs (molare) di vaporizzazione del solvente puro;

∆ vap G=∆ vap H - T ∆vap S

Posso scrivere quindi:

Quando x B = 0, il punto di ebollizione sarà quello del liquido puro, T*, quindi:

Combinando le due espressioni:

T= temperatura che ottengo nell’ebollizione quando aggiungo soluto

Mi interessa sapere di Δ T ( ovvero T-T*)

Supponiamo ora che la quantità del soluto presente sia talmente piccola che x B «1.
Sarà lecito scrivere ln(1 - x B )≈ - x B , da cui:

Posso fare questa semplificazione perché utilizzo una quantità discreta di B.

Dato che T≈T*, segue anche che

dove ∆ T=T-T*

∆ T= k B m B

9
Ricavo le caratteristiche della costante ebullioscopica k B , che dipende dalla temperatura di ebollizione del solvente
allo stato puro (iniziale) e da quanta energia devo disporre per ridare origine all’ebollizione dopo l’aggiunta del soluto
(∆ vap H ).
(Qui ho convertito in molalità quindi utilizzo la massa molare).

Domanda:

abbiamo 4 sostanze:

HCN ( 0.3 M), K2Cr207( 0.15 M), Al2(SO4)3 (0.1M), Glucosio (0.4M )

Aggiungo questi soluti all’acqua. Ordinare le sostanze date in ordine di ΔT ebullioscopico crescente.

Soluzione:

HCN (circa 0.38) ha il ∆ eb T più basso perché è un acido debole, quindi poco dissociato.
Seguono: glucosio (concentrazione reale= 0.4), K2Cr2O7 (concentrazione reale= 0.45), Al2(SO4)3 (5 particelle * 0.1=
0.5).

Poiché le proprietà colligative dipendono solo dal numero di particelle presenti in soluzione, devo calcolare la
concentrazione effettiva, data dal numero di particelle presenti.

 ABBASSAMENTO CRIOSCOPICO

Stesso discorso dell’innalzamento ebullioscopico.

La costante crioscopica tiene conto di due fattori:

- Temperatura di fusione del solvente puro;


- quanto calore devo togliere al liquido per passare alla fase solida, funzione della presenza di soluto. Se
dovessi aggiungere soluto, abbasserei la temperatura di congelamento (ecco perché quando ghiacciano le
strade, si aggiunge sale: proprio per abbassare la temperatura di congelamento).

∆ T= k f mB

k f =costante crioscopica

 OSMOSI

Ho un sistema con una soluzione separata da una membrana semipermeabile al solvente dal solvente allo stato puro.
Il solvente fluisce spontaneamente dalla zona in cui è puro a dove si trova la soluzione.

Questo avviene perché:


10
il potenziale chimico della soluzione è più basso di quello del solvente. Quindi il solvente fluisce spontaneamente
verso la soluzione che ha potenziale chimico più basso (per una ragione termodinamica).

Se avessi all’inizio: due liquidi allo stesso livello, separati da un setto semipermeabile. All’equilibrio (inizio) ho gli
stessi potenziali chimici. A un certo punto faccio partire la diffusione: il solvente passa attraverso la membrana. Si
innalzerà lo stantuffo della soluzione mentre quello del solvente si abbasserà. Per ripristinare l’equilibrio devo
esercitare una pressione aggiuntiva sulla soluzione, per abbassare la colonna di liquido. Questa pressione aggiuntiva
è la pressione osmotica.

Possiamo anche considerare i due lati del disegno: da una parte ho la pressione p che grava sul solvente, dall’altra
parte ho p+π sulla soluzione , per riportare la colonna di liquido allo stesso livello di quella del solvente.

All’equilibrio:

Incremento il valore di p con la pressione aggiuntiva π.

Ho due situazioni:

- All’inizio: equilibrio (medesima pressione sui due stantuffi)


- Quando permetto il passaggio, il solvente passa verso la soluzione, quindi per ripristinare gli equilibri devo
esercitare una pressione aggiuntiva π. Quest’ultimo è un processo non spontaneo, forzato da noi.

Il valore del potenziale chimico della soluzione è figlio della pressione p e della pressione aggiuntiva che devo vincere
per portare giù il livello. Quindi posso scrivere in funzione del volume molare (è molare perché sono a T costante) per
dp, integrando tra la situazione inziale p e la situazione finale p+π.

Esplicito il potenziale chimico della soluzione unendo le due espressioni:

11
Per le soluzioni diluite ln x A si può sostituire con ln(1 - x B )≈ - x B :

Ho ottenuto la formula della pressione osmotica π.

Per concentrazioni di diversi soluti, si considera il numero effettivo di particelle presenti in soluzione (quindi la
concentrazione effettiva) oppure considero il binomio di Van’t Hoff per sistemi di acidi deboli e basi deboli.

L’osmometria ha applicazioni industriali di separazione; nella chimica serve a misurare pesi molecolari di
macromolecole. Quindi è una tecnica sperimentale molto utilizzata.
In questo caso l’equazione di Van’t Hoff cambia leggermente: per tenere conto della macromolecola, si fa uno
sviluppo in serie. Ovviamente le macromolecole hanno comportamento diverso di quelle piccole, quindi è chiaro che
ci sia una modificazione nell’espressione.
Sperimentalmente metto in relazione π alla concentrazione del soluto e calcolo il peso molecolare.

Si potrebbero calcolare anche con la centrifuga con la velocità di sedimentazione perché ovviamente molecole più
grandi pesano di più.

L’ATTIVITA’ DEL SOLVENTE

L’attività evidenzia una deviazione dal comportamento ideale e rappresenta la concentrazione reale (come la
fugacità per i gas). È una sorta di “nomenclatura”.

Ho una miscela in cui ho A non allo stato puro perché ho altri componenti. Utilizzo quindi la pressione parziale di A
p A , riferita a quella allo stato puro p A *.

Il sistema è riconducibile alla frazione molare, applicando la legge di Raoult (considerando il sistema ideale).
Idealmente la concentrazione del solvente in soluzione è data dalla frazione molare.

Se ho uno stato standard, il liquido puro è osservato alla pressione di 1 bar e x A è uguale a 1.

Se la soluzione non obbedisce alla legge di Raoult, non posso scrivere una relazione come quella vista in precedenza,
ma devo introdurre l’attività, che tiene conto del reale comportamento del mio sistema.
12
Posso quindi scrivere:

- Soluzioni ideali: Legge di Raoult  la frazione molare coincide con il rapporto tra la pressione parziale e
pressione allo stato puro
- Soluzioni reali  introduco l’attività del solvente, che tiene conto della concentrazione reale del sistema

Graficamente non ho più una linea retta, ma un andamento più arzigogolato.

Dato che i solventi seguono tutti la legge di Raoult in misura crescente via via che la concentrazione del soluto tende
ad annullarsi, l’attività del solvente tende alla frazione molare per x A →1:

a A → 1 quando x A →1

Esprimere tale convergenza consiste nell'introdurre il coefficiente di attività ϒ mediante la definizione:

a A=ϒ A x A ϒ A → 1 quando a A → 1

Quando il sistema tende all’idealità ϒ A → 1 e a A coincide con x A .

13

Potrebbero piacerti anche