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UV: 100<nm<380
VIS: 380<nm<760
Farmaci peptidici
Nella sintesi proteica operata in vivo dai ribosomi la sintesi
avviene dall’ N- terminale al C- terminale, così come nei
bioreattori batterici. Nella sintesi chimica, invece,
l’elongazione del peptide avviene al contrario (è retrogada):
si parte dal C-terminale procedendo verso l’N-terminale.
La sintesi chimica di peptidi risulta particolarmente
vantaggiosa perché permette di introdurre:
- D-aa
- Aa non naturali
- Modifiche post trasduzionali
- Ramificazioni
- Peptidi ciclici
- Marcatori per fluorescenza o isotopi
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Applicazioni dei peptidi
Le applicazioni dei peptidi come farmaci sono molto ampie:
- Peptidi che hanno un ruolo nell’immunoterapia (peptidi antigenici, vaccini, reattivi nella diagnostica, ecc),
- Peptidi con attività ormonale (ossitocina, vasopressina, insulina, ecc),
- Peptidi neuroattivi
- Peptidi come antibiotici
- Inibitori enzimatici
- Peptidi che mimano la funzione di una proteina: producono degli scaffold chiamati “mini proteine” o
foldamers “foldameri”
- Peptidi ciclici: più attivi di quelli lineari solitamente
- Peptidi come carriers (peptidi che contengono sequenze di 7 arginine circa consecutive - sequenza TAT -
vengono internalizzati facilmente nelle cellule)
I metodi di espressione genica, inoltre, non ci consentono di introdurre ramificazioni, di produrre strutture
cicliche, di introdurre marcatori ecc, cose che invece possiamo fare per sintesi chimica.
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Vantaggi dei Peptidi
- Sono molecole di dimensioni intermedie: la loro sintesi può avvenire in un laboratorio chimico
- Spesso hanno attività intrinseca o possono assumere l’attività della proteina da cui derivano Esempio:
abbiamo una proteina con una struttura 3^ e riusciamo a capire qual è la regione responsabile dell’attività
(epitopo funzionale): se questa regione è lineare possiamo produrla e stabilizzare la struttura 2^ che essa ha
nella proteina originaria.
- Possono essere modificati come se fossero delle piccole molecole organiche.
I peptidi possono essere sintetizzati con impianti molto simili a quelli utilizzati per la sintesi organica
tradizionale, ecco perché molte ditte farmaceutiche a fianco ai laboratori di ricerca e sviluppo per piccole
molecole organiche hanno i laboratori per ricerca e sviluppo di peptidi.
Nel 1963 Bruce Merrifield inventò la sintesi in fase solida (Nobel per la chimica nel 1984)
La sintesi su fase solida permette di evitare i lunghi e costosi processi di purificazione degli intermedi di
reazione necessari in fase liquida e dà, quindi, la possibilità di automatizzare il processo.
Merrifield inventò la strategia di protezione Boc/benzile; Carpino negli anni ‘80 la migliorò sostituendoli
con Fmoc/tBu.
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La resina deve ovviamente essere insolubile nel solvente organico utilizzato (spesso diclorometano o N,N-
dimetilformammide; la reazione avviene in recipiente che contiene un setto filtrante, con pori di dimensione
inferiore a quella della resina, e al di sotto è collegato ad una pompa da vuoto: al termine della reazione è
possibile aprire il rubinetto ed effettuare la filtrazione sottovuoto.
L’efficienza del singolo coupling deve essere almeno del 95%, altrimenti già al 20esimo coupling avremmo
una resa teorica del 40%, perché gli aa che non reagiscono lasciano alcune catene polipeptidiche mancanti di
quell’aa ma continueranno a reagire in seguito, dando sottoprodotti. La purificazione finale avviene tramite
RP-HPLC.
Strategia di Merrifield
Il -COOH in catena laterale di Asp e Glu
viene protetto tramite esterificazione con
alcol benzilico Ph-CH2-OH).
L’ -NH2 terminale viene mascherato tramite
la formazione di un carbammato presentando
un gruppo tButilOssiCarbonile. Questo
gruppo viene idrolizzato ad ogni ciclo di
couling con CF3COOH concentrato (90-
95%) sul legame ammidico, con formazione
di carbocatione tbutile ed espulsione di CO2,
lasciando libera l’estremità N-terminale per
reagire con un altro aa.
Anche l’OH fenolico della tirosina si
protegge con un derivato dell’alcol benzilico
(alcol 2,6-diclorobenzilico), formando un etere.
Alla fine della sintesi e liberato l’ultimo BOC, si tratta il campione con HF gassoso per rimuovere i gruppi
benzilici eterei ed esterei (necessario l’utilizzo di vetro ricoperto di teflon in quanto l’acido fluoridrico
idrolizza il vetro). Sono condizioni harsh, estreme, perché l’HF è molto corrosivo e tossico.
Per questo Carpino ha trovato una strategia che prevedesse condizioni più soft, ma i reagenti sono molto più
costosi.
In questo caso l’NH2 terminale viene protetto dal
gruppo Fuorenil-Metil-Ossi-Carbonile e per la
sua rimozione e sufficiente la piperidina (ammina
secondaria ciclica molto basica, con kb=10-2), che
deprotona il CH in posizione 9 del fluorenile
tramite meccanismo di beta-eliminazione
(formalmente è un -H benzilico ma è molto più
acido, ka=10-25 invece che 10-50 o 10-60 degli
alcani), con espulsione anche qui di CO2
(quantitativa) e liberazione dell’azoto amminico.
Il -COOH di Asp e Glu e l’ -OH fenolico della
tirosina vengono protetti con alcol tbutilico, a
dare i corrispondenti esteri ed etere tbutilici. Alla fine della sintesi, rimosso l’ultimo FMOC si tratta con TFA
concentrato, unico passaggio più drastico di tutto il procedimento.
I solventi utilizzanti in questo caso sono N,N-dimetilformammide e N-metil-pirrolidone
entrambi solventi polari aprotici.
La reazione di coupling è una reazione di condensazione (espulsione di una molecola di acqua); operando in
solvente acquoso, c’è massiva presenza di un prodotto di reazione che sposta fortemente l’equilibrio verso
sx; contemporaneamente, è necessario che il solvente sia polare per poter solvatare efficacemente le porzioni
polari del peptide e gli amminoacidi
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Resine
Le resine devono essere:
- Funzionalizzabili
- Avere stabilità chimica alle condizioni di reazione
- Stabilità meccanica all’agitazione
- Rigonfiabili, in modo che i reagenti possano penetrare agilmente all’interno delle maglie e reagire col
peptide in accrescimento
- Stabili nel legame col peptide in accrescimento ma idrolizzabili alla fine della sintesi
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Ancoraggio del primo amminoacido
Nella chimica di Merrifield la resina più utilizzata è la PAM.
L’ancoraggio avviene sul gruppo idrossi-
metilico della PAM: in presenza di una carbo-
di-immide avviene l’attivazione in situ della
funzione carbossilica dell’amminoacido BOC-
protetto, che viene attaccato dall’OH nucleofilo
della resina a dare il legame estereo. Abbiamo
inoltre il 10% di dimetilamminopiridina
Al termina della reazione è necessario rimuovere il BOC con TFA(CONC): il legame PAM-aa risulta stabile al
TFA concentrato.
Avendo acidificato l’ambiente, l’NH2 terminale risulterà protonato e dobbiamo neutralizzare per liberare
l’ammina e renderla disponibile al successivo attacco nucleofilo, per cui basifichiamo con base più forte del
gruppo amminico (diisopropiletilammina)
Gruppi protettori
Gli OH di serina, tirosina e treonina vengono protetti col
benzile a dare etere
Protocollo di sintesi:
4) shrinking=estrudere, strizzare. Nonostante i ripetuti
lavaggi per eliminare l’eccesso di acido, questo rimane
comunque all’interno delle maglie della resina andando
a protonare l’N terminale del peptide in crescita. Per
eliminare tutto l’acido è necessario trattare col 25% di
diossano in DCM in modo che la resina estruda tutto il
suo contenuto; fatto ciò, si neutralizza con
diisopropiletilammina.
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Per fare il coupling, aggiungiamo il nuovo aa BOC-protetto e aggiungiamo il gruppo attivatore della
funzione carbossilica:
DCC=dicicloesil-carbodiimmide sola o in mix con HOBT=idrossibenzotriazolo:
è una specie aromatica, con due atomi di azoto ibridati sp2, i cui lone pair non partecipano all’
aromaticità perché si trovano entrambi su due orbitali sp2, coplanari al piano dell’anello e risultando molto
basici. Questo è necessario perché le O-acil-isouree possono dare racemizzazione durante la sintesi per cui
utilizziamo HOBT che darà un benzotriazolilestere, ingombrante abbastanza da impedire l’attacco da parte
dell’ossigeno (vedi racemizzazione)
Reazioni collaterali
Dato che siamo in ambiente acido per TFA, è possibile che si verifichino reazioni collaterali acido-
catalizzate.
L’azoto ammidico adiacente ad un aspartico protetto
come benzilestere può operare su di esso un attacco
nucleofilo, a dare espulsione di alcol benzilico e la
ciclizzazione a addotto succinimmidico. Questo può
subire l’attacco dell’acqua in due punti: sul C viola
avremo nuovamente la formazione della catena
laterale dell’aspartico libero (α-Asp, 30% dei casi);
sul C rosso invece si forma un legame iso-peptidico,
in cui il gruppo carbossilico non è quello del
backbone ma quello della catena laterale aspartica (β-
Asp, 70% dei casi!)
Strategia di Carpino
(Chimica Fmoc/tBut)
Il terminale amminico è protetto col Fmoc; le catene laterali spesso con tButile. La strategia di sintesi è
sempre la stessa.
In questo caso non si parte dalla resina di Merrifield ma
dalla resina di Wang, una resina
benzil-ossi-benzilica. Il legame tra il primo aa e la
resina è estereo anche in questo caso.
La rimozione del gruppo Fmoc avviene in ambiente
basico questa volta, per aggiunta di piperidina al 25%
in DMF o N-metil-pirrolidone, che deprotona il C9.
Resine
Resina di Wang: struttura da 4-benzilossi-benzil alcol.
Lo sblocco del peptide lascia il C-terminale nella sua forma carbossilica.
Alcune resine permettono invece di avere il C-terminale in forma
ammidica (-CONH2). P è la resina di Merrifiel (polistirene-divinilbenzene PS-DVB)
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Ancoraggio
Sblocco
Avviene con TFA 90-95% in H2O.
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Resine composite
Presenta uno spaziatore tra il nucleo PS-DVB e quello
benzilossibenzilico. Tra l’OH benzilico, che funge da porzione alcolica
nucleofila per l’attacco al COOH a formare l’estere, e la funzione
amminica terminale, c’è un PEG: è molto efficacemente solvatato
anche da solventi organici che da un notevole rigonfiamento, con
maggiore accessibilità dei reagenti alla peptidil-resina in crescita;
queste resine (TGA resins) vengono usate in sintesi delicate, come nei
casi di sintesi molto lunghe (quindi intrinsecamente complicata) o di
coupling difficili tra determinati amminoacidi, oppure nel caso di
peptidi che tendono a dare aggregazione tra loro in fase di sintesi, perché la resina rigonfiandosi molto non
fa aderire i peptidi tra loro.
HBTU
Gruppi protettori
- Gruppo amminico: Fmoc-cloruro, derivato formalmente dall’acido carbonico
(sintesi: COCl2 -dicloruro dell’acido carbonico, fosgene o cloruro di carbonile- e
fluorenil-metan-olo). Questo, fatto reagire con un aa protetto in catena laterale,
viene attaccato sul C carbonilico dall’azoto in α a dare il corrispondente
carbammato. Come prodotto abbiamo anche HCl, quindi la catena laterale deve
essere eventualmente protetta in modo opportuno
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Si formano terzbutil-esteri da terzbutilalcoli
- Triptofano: all’inizio non veniva protetto (il lone pair dell’azoto indolico si
trova in un orbitale 2p e partecipa all’aromaticità). Oggi, come la lisina,
viene protetto col Boc.
Dato che l’indolo è sensibile all’ambiente acido (tende ad aprirsi a dare
chinurenina), è preferibile proteggerlo per limitare ossidazioni e apertura
d’anello.
Tutti i gruppi protettori devono essere stabili in ambiente basico, con cui si rimuove il gruppo Fmoc.
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Il rapporto dei reagenti per l’ancoraggio è aa : attivatore : resina -> 4 : 4 : 1
Se si vuole risparmiare sul costo degli aa si può fare 2:2:1, se invece si vuole risparmiare poi sulla
purificazione finale, quindi essere sicuri che la sintesi del peptid corretto sia massimizzata 10:10:1.
Procedimento: per prima cosa c’è la solvatazione della resina affinché si rigonfi e si va con solventi dal
potere di solvatazione (nei confronti della resina obv) via via crescente: MeOH, poi CH2Cl2 e infine N-Me-
pirrolidone.
Poi si prepara la soluzione concentrata (0.5M) di Fmoc-aa in NMP: si aggiunge DCC, poi DMAP e alla fine
si aggiunge questa soluzione alla resina. E’ importante massimizzare la resa di derivatizzazione della resina!
Altrimenti negli step successivi si aggiungono X equivalenti di Fmoc-aa che vanno persi perché non ci sono
abbastanza peptidi-resina in accrescimento.
grandezza è dovuta al fatto che il carbanione che si genera può riarrangiare ed evolvere tramite una β
eliminazione, con formazione del doppio legame C=C, il legame σ CH2-O che shifta sul legame adiacente,
risalita del doppietto dell’O, ricondivisione, espulsione del gruppo amminico e formazione di CO2. Il
prodotto che si forma è aromatico, il dibenzofulvene, quindi molto stabile.
La reazioe viene condotta col 25% di piperidina per 15’ a Tamb.
Il dibenzofulvene in soluzione reagisce abbastanza velocemente con la piperidina in eccesso, subendo
l’attacco del nucleofilo al doppio legame, scambio protonico col mezzo e formazione dell’addotto
fuorenilmetilenpiperidinico. La peculiarità di questa specie è che è stabile, la sua concentrazione è stabile e
ha uno spettro di assorbimento caratteristico, con una ε calcolata a 301 nm nota e pari a 7800. Sfruttando
questa proprietà, è possibile calcolare
l’efficienza di caricamento del primo Fmoc-amminoacido, quantificando il numero di equivalenti che
effettivamente si solo legati alla resina. Dopo aver effettuato la rimozione dell’Fmoc, si raccoglie la
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soluzione filtrata, si misura l’assorbanza con l’UV a 301 nm e da quella si può ricavare la concentrazione di
Fmoc nel volume raccolto, che corrisponderà agli equivalenti di amminoacido che sono stati sbloccati e la
quantità degli amminoacidi successivi da aggiungere sarà calcolata in base al numero di amminoacidi
effettivamente legati alla resina, evitando inutili sprechi.
Meccanismo di coupling
Il carbossile dell’aa1 è
deprotonato per azione
Aa1 della DIEA,
sufficientemente basica
per deprotonare sia
Aa2 l’ammina del peptide in
crescita che il
carbossile, ma anche
troppo ingombrante per
operare attacco
nucleofilo.
Il carbossilato attacca il
guanidinio e si forma l’addotto tetraedrico neutro; uno dei due atomi di azoto guanidinico condivide un
doppietto e c’è l’espulsione dell’ HOAt deprotonato e formazione di una pseudo O-acil-isourea: questa è
molto reattiva e subisce l’attacco dell’HOAt deprotonato, a dare il benzotriazolil estere ed uscita della
tetrametil-ureide. L’estere è sufficientemente reattivo per essere attaccato dal terminale amminico del
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peptide in crescita, ma molto meno nei confronti della racemizzazione; in più l’ingombro sterico del biciclo
da una parte e dell’Fmoc dall’altra sfvorisce ancora di più l’attacco intramolecolare.
HATU è un attivante molto più efficace per due motivi: l’azoto in C9 drena densità elettronica rendendo
ancora più nucleofilo il carbonio guanidinico; quell’azoto, inoltre, opera una catalisi generale basica sul
terminale amminico, rendendolo ancora più nucleofilo e velocizzando l’attacco al benzotriazolilestere.
Ninhydrin monitoring
L’efficienza di caricamento del primo amminoacido si
valuta attraverso la quantificazione del derivato
dibenzofulvenico; durante la sintesi, soprattutto a
seguito di coupling difficili ed effettuato il doppio
coupling, è necessario verificare la resa di coupling
prima di deproteggere il gruppo amminico (quindi non
si può fare come nel caso del primo aa) e si saggia la
presenza di gruppi amminici liberi (che quindi non
hanno reagito col l’Fmoc-aa entrante) attraverso la
reazione con la ninidrina. Un’ammina primaria reagisce
con la ninidrina a dare un addotto coniugato colorato di
blu, che assorbe nell’arancione-rosso (570nm) e che è possibile apprezzare già ad occhio nudo. Per quanto
riguarda l’ ammina secondaria della prolina, l’addotto non è coniugato ed ha lo stesso colore della ninidrina.
Per bloccare l’allungamento di peptidi che presenterebbero amminoacidi mancanti e che sarebbero difficili
da purificare (la differenza di 1 o 2 aa su un peptide di 20 non è sufficiente per separarli, anche in RP-
HPLC), si effettua un passaggio ci capping con anidride acetica, che va a reagire con i terminali amminici a
dare il prodotto ammidato. In questo modo blocchiamo l’allungamento delle appena possibile e sarà più
facile separare i prodotti collaterali, soprattutto se il capping avviene nelle fasi iniziali di sintesi.
Terminazione sintesi
Rimosso l’ultimo Fmoc, dobbiamo preparare la resina allo sblocco dei peptidi: si lava con solventi a capacità
di solvatazione decrescente (NMP -> DCM -> MeOH) per indurre lo shrinking della resina, che stringe le
maglie espellendo solvente e diminuisce in volume; si pone in essiccatore con P2O5, per essere sicuri che sia
disidratata, e poi si aggiunge la miscela di sblocco, col 90-95% di TFA, 5% di acqua e gli scavenger
necessari a catturare le specie reattive carbocationiche dei gruppi protettori delle catenen laterali.
Scavengers in Fmoc chemistry
Il più usato è il TiPS. Prima si usava la miscela K, ora
non più.
Miscela K
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eccesso (9:1) di dietiletere, in cui il peptide precipita; si centrifuga e si scarta il surnatante. Svantaggio: si
può avere co-precipitazione di scavenger e gruppi protettori.
Se invece si ha a che fare con peptidi molto idrofili e piccoli, questi non precipitano: si può utilizzare il
metil-terbutiletere, che ha una frazione apolare più importante in cui si facilita la precipitazione, oppure si
può fare un’estrazione, per cui si diluisce la miscela con acqua e si estrae con dietiletere. Lo svantaggio è che
si hanno volumi maggiori
Reazioni collaterali
Formazione della dichetopiperazina
Il terminale amminico non protetto del secondo
amminoacido può operare un attacco nucleofilo
sul carbossile estereo del primo amminoacido,
legato alla resina: abbiamo una ciclizzazione con
espulsione dell’ossidrile benzilico. In queste
condizioni si verifica l’aborto della sintesi.
Questa reazione si verifica quando in ultima
posizione o più frequentemente in penultima
posizione c’è la prolina, perché a causa della sua
struttura tridimensionale costringe il backbone a ripiegarsi e di conseguenza il sito di attacco risulta
spazialmente limitrofo al’N nucleofilo.
In fase di sintesi se aa1 o aa2 è prolina bisogna cercare di ridurre al minimo il tempo di rimozione del Fmoc
Formazione dell’aspartimmide
L’azoto del backbone attacca il carbossile
dell’aspartico a dare l’aspartimmide
Questa può:
riaprirsi nella maniera giusta ma con
l’aspartico non protetto;
riaprirsi dalla parte sbagliata a dare il
legame isopeptidico;
subire attacco dell’N terminale deprotetto
a formare dichetopiperazina;
infine, si può avere attacco nucleofilo da
parte della piperidina utilizzata per lo
sblocco del Fmoc a dare una serie di
prodotti collaterali
(formazione aspartimmide è la stessa cosa
della formazione di intermedio
succinimmidico)
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Racemizzazione
Coupling difficili
- Quando la catena supera i 15 aa: più i peptidi sono lunghi, più aumenta la possibilità che questi
interagiscano tra loro diminuendo il livello di solvatazione; c’è il rischio che si formino degli aggregati
che rendono inaccessibili i gruppi amminici terminali, indisponibili al coupling. Se per esempio si
sintetizzano peptidi che si sa essere amiloidogenici (tendono a dare fibrille amiloidi per organizzazione
supramolecolare molto impaccata) la situazione è tragica e all’aumentare della lunghezza aumenta la
probabilità della coalescenza.
In situazioni del genere si provvede effettuando dei doppi coupling: prima di rimuovere l’Fmoc si effettua
un altro coupling, oppure invece dell’HBTU si usa HCTU o ancora meglio HATU (ha una piridina invece
che benzene del HOBt);
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- Caricamento della prolina: date le costrizioni conformazionali, ha il carbossile molto più ingombrato che
sfavorisce l’attacco nucleofilo, quindi conviene effettuare il doppio coupling;
- Caricamento di amminoacidi ramificati sul Cβ, (Val, Ile, Thr): danno ingombro sul carbossile, per la
propensione ad andare in α piuttosto che in β (?). La stessa difficolta si riscontra se questi amminoacidi
sono gli ultimi della catena e devono operare attacco nucleofilo (ingombro anche sul NH2): doppio
coupling.
- Caricamento di e su arginina (sia coupling che attachment): la problematica qui si riscontra nella
solubilità quindi anche in questo caso si effettua il doppio coupling
Accorgimenti:
- si usa NMP perché solvata meglio sia le catene in crescita che gli Fmoc-aa (ma costa di più)
- [Fmoc-aa]>0.5M: la reazione è bimolecolare, quindi aumentando la [c] dei ragenti la velocità
aumenta
- Preferire attivatori più efficaci ma che non permettano la racemizzazione: HATU
- Utilizzare resine composite a base di PEG
(ChemMatrix®)
Ha un grado di derivatizzabilità inferiore ma
subiscono un swelling molto più marcato rispetto alle
resine PS-DVB e garantiscono una maggiore
accessibilità e diffusione dei reagenti all’interno delle
maglie.
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Purificazione del peptide da gruppi protettori in scala analitica con RP-HPLC in colonna c18 e poi si fa la
massa per vedere se il peptide è esatto. Non si effettua il sequenziamento, è inutile.
Gruppi d’interesse:
- attivazione del fosforo all’estremità 3’ per farla
reagire con l’ossigeno all’estremità 5’ di un altro
nucleoside;
- protezione dell’ossigeno all’estremità 5’ fino al
momento di coupling;
- protezione delle ammine esocicliche, che seppur
meno nucleofile in quanto coniugate al gruppo
aromatico, sono comunque blandamente nucleofile
e potrebbero reagire con il fosforo attivato;
- protezione dell’O- legato al fosforo.
Il fosforo viene attivato tramite formazione di una fosforammidite: acido fosforoso con due funzioni
ossidriliche esterificate ed una ammidata. Notiamo come il fosforo sia in uno stato di ossidazione diverso
rispetto a quello in cui è nel DNA, 3+invece che 5+.
Approfondimento:
l’acido fosforoso (OH)3P tautomerizza sempre ad acido
fosfonico (OH)2HP, tanto che non è possibile isolarlo in quella
forma. Sono invece stabili i suoi esteri, i fosfiti, (RO) 3P.
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In queste specie il numero di ossidazione del fosforo è 3+.
Gruppi protettori
1- L’ossigeno in 3’ è protetto col di-metossi-tritile (DMT); il
carbocatione che si genera dopo la deprotezione è reso più stabile
dalla presenza dei due metossili in orto, che sono elettrondonatori per
effetto mesomerico;
Sequenza di sintesi:
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L’ancoraggio alla resina avviene tramite una molecola di acido succinico che funge da spaziatore, in cui una
funzione carbossilica è esterificata dall’OH sul C3’ del nucleotide e l’altro è ancorato alla fase solida; questa
può essere costituita da microsfere di silice a porosità controllata o una resina macroporosa di natura
polistirenica, opportunamente derivatizzata.
L’OH in C5’ libero del primo nucleotide attacca la fosforammidite protonata (non viene riportato in figura)
che espelle di-iPr-ammina e si forma il trifosfito, triestere dell’acido fosforoso. A questo punto è necessario
ossidare il fosfito a fosfato (P da +3 a +5), utilizzando I2 in H2O in presenza di piridina.
Ora bisogna rimuovere il gruppo DMT per attivare l’OH ad un nuovo coupling e si fa utilizzando acido
dicloroacetico al 3% o tricloroacetico al 2% (condizioni blandamente acide).
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Nella sintesi di oligonucleotidi è necessario che la resa di coupling sia superiore al 99.5%, perché
l’efficienza teorica dopo 200 nucleotidi è del 37%. Per evitare che vengano allungate sequenze troncate (con
OH 5’ libero), prima di rimuovere il gruppo DMT si esegue un capping, trattando con anidride acetica in
presenza di metilimidazolo. Il derivato dell’anidride con N-metilimidazolo acetila l’OH libero in 5’ e la
sintesi non prosegue più. Diversamente da quello che si fa nella sintesi dei peptidi, qui ad ogni ciclo si fa il
capping.
La reazione viene condotta in H2O e THF in presenza di piridina. Lo iodio viene attaccato dal fosforo col suo
lone pair (perché ha n.o. 3+) a formare un addotto tetraedrico iodurato carico positivamente ed espulsione di
ioduro; la piridina opera una catalisi generalizzata basica in favore dell’acqua che attacca il fosfonio con
conseguente uscita di ioduro, che forma una coppia ionica col piridinio; deprotonazione dell’ossidrile da
parte di un’altra piridina e formazione del doppio legame con l’ossigeno, a dare l’addotto neutro ossidato, il
fosfato.
Tempi di sintesi: sono estremamente inferiori rispetto alla sintesi di
oligopeptidi (pochi secondi vs diversi minuti). Per un ciclo completo sono sufficienti pochi minuti.
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Tutti gli H in α ad un gruppo carbonilico sono blandamente acidi; nel caso del nitrile l’acidità risulta
leggermente maggiore.
La deprotonazione genera un carbanione, che riarrangia a formare il doppio legame C-C e conseguente
espulsione dell’O, che rimane stabilmente carico negativamente.
La sintesi chimica va in direzione 3’ 5’; al 5’ il filamento non presenta però il gruppo fosfato, mentre la
DNA ligasi genera legame fosfoestereo solo tra OH sul 3’ e il fosfato in 5’. Un oligonucleotide senza fosfato
in 5’, quindi, non può essere utilizzato come substrato dell’enzima. La coniugazione del fosfato al 5’ può
avvenire per via enzimatica attraverso una specifica chinasi,
oppure per via chimica utilizzando le fosforammiditi non
nucleosidiche.
Un ossigeno sul fosforo non è esterificato da desossiribosio
attraverso l’OH in C3’, ma da un diestere derivato dell’acido
malonico. Come ultimo coupling si utilizza questa specie; si
effettua l’ossidazione del fosforo e poi, nelle condizioni di
sblocco e rimozione dei gruppi protettori, si verifica l’idrolisi
degli esteri etilici; aumentando poi la temperatura, l’acido
bicarbossilico decarbossila, con la liberazione del fosfato che
rimane legato al filamento.
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Sequenziamento del DNA
Chain termination method: the procedure is performed in four reaction mixtures at the same time. A DNA
polymerase is used to make the complement of a particular sequence within a single-stranded DNA
molecule. The synthesis is primed by a fragment, usually obtained by chemical synthetic methods described,
that is complementary to a part of the sequence known from other studies. In addition to the four
deoxyribonucleoside triphosphates (radioactively labeled), each reaction mixture contains a small amount of
the 2′,3′-dideoxy analog of one of the nucleotides, a different nucleotide for each reaction mixture. The
incorporation of this analog blocks further growth of the new chain because it lacks the 3′-hydroxyl terminus
needed to form the next phosphodiester bond. The concentration of the dideoxy analog is low enough that
chain termination will take place only occasionally. The polymerase will sometimes insert the correct
nucleotide and other times the dideoxy analog, stopping the reaction. For instance, if the dideoxy analog of
dATP is present, fragments of various lengths are produced, but all will be terminated by the dideoxy
analog. Importantly, this dideoxy analog of dATP will be inserted only where a T was located in the DNA
being sequenced. Thus, the fragments of different length will correspond to the positions of T. Four such sets
of chain-terminated fragments (one for each dideoxy analog) then undergo electrophoresis, and the base
sequence of the new DNA is read from the autoradiogram of the four lanes.
È necessario un primer sintetico perché la DNA polimerasi necessita di un nucleofilo su C3’ per legarlo al
fosfato in 5’ del nucleotide successivo. Se sul 3’ non è presente il nucleofilo (perché utilizziamo piccole
concentrazioni di di-desossiribonucleotide) la polimerizzazione si interrompe.
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elettroforetica in sé, che ha scarsa risoluzione su lastra in gel di poliacrilammide (disomogeneità del gel,
polimerizzazione disomogenea ecc.).
Fu introdotta allora una modifica: anziché utilizzare la radioattività, si utilizzò la fluorescenza.
Dye primer
Si sintetizzarono 4 primer uguali ma derivatizzati con fluorofori
diversi; 4 miscele di reazione separate ognuna contenente un
desossiribonucleotide diverso; polimerizzazione con DNA
polimerasi; unione delle 4 miscele; corsa elettroforetica su
sistema di elettroforesi capillare: capillare di silice fusa, d=100
μm, riempito di poliacrilammide polimerizzata in modo
25
Terminator dye
Sono molecole molto complesse; per ogni base c’è uno
spaziatore ed una sonda fluorescente con emissione
adeguata.
Con questo metodo si elimina l’ulteriore problema di
riproducibilità dovute al fatto che vengono condotte 4
reazioni teoricamente nelle stesse condizioni, ma non
identiche. Con questi nucleotidi marcati è possibile
condurre un’unica reazione, nella stessa eppendorf.
Alla fine, viene prelevata un’aliquota dalla miscela e si
carica sul sistema di elettroforesi capillare, ottenendo una
specie di cromatogramma
1. Il DNA single strand viene ibridizzato con un primer ed incubato con gli enzimi:
DNA polimerasi
ATP solforilasi,
luciferasi
apirasi
e ai substrati:
adenosinsolfofosfato (ASP)
luciferina
26
2. Uno dei quattro dNTP è aggiunto alla reazione. La DNA polimerasi catalizza l'aggiunta di tale base solo
se è complementare con il residuo del template. In tal caso si ha concomitante liberazione di pirofosfato
inorganico PPi;
4. L'ATP ottenuto viene utilizzato come substrato dalla luciferasi per catalizzare la conversione della
luciferina in ossiluciferina, che si verifica con
produzione di un segnale luminoso, rilevato da
un'apposita camera fotosensibile CCD.
L'incorporazione nel filamento dei nucleotidi genera
una quantità di luce che è proporzionale al numero di
basi incorporate in un'unica aggiunta di nucleotidi (ad
esempio, nel caso di una sequenza omopolimerica tipo
AAA, TTT, GGG o CCC, la quantità di luce liberata è
proporzionale al numero di nucleotidi incorporati, in
questo caso 3);
L’ossiluciferina è un composto chemoluminescente:
circa l’80-90% dell’energia associata alla reazione
viene trasformata in segnale luminoso.
5. L'enzima apirasi (adenosina difosfatasi) degrada i nucleotidi che non sono stati incorporati e l'ATP
prodotto dalla solforilasi in AMP e 2Pi. Solo quando la degradazione è terminata, si ultrafiltra e si aggiunge
il nucleotide successivo, per far progredire la reazione di polimerizzazione (ritornando allo step 1).
Un ciclo completo dura circa 3 secondi, riuscendo a sequenziare circa 400milioni di basi in 10h.
Per l’accuratezza del metodo è necessario che l’intensità della radiazione
emessa sia costante, per riuscire a determinare sequenze
omonucleotidiche (come nel pirogramma di fianco) in base all’altezza
del picco; serve che l’altezza del picco corrispondente, che misura
l’intensità della radiazione emessa, sia linearmente proporzionale al
numero di nucleotidi incorporati.
27
Enzimi di restrizione
Gli enzimi di restrizione sono nucleasi che tagliano entrambi i filamenti di DNA double-strand a livello di
specifiche sequenze nucleotidiche di riconoscimento, conosciute come siti di restrizione.
Gli enzimi di restrizione si trovano in un'ampia varietà di procarioti; il loro ruolo biologico è quello di
scindere molecole di DNA estraneo mentre quello della cellula non viene degradato perché i siti riconosciuti
dai propri enzimi di restrizione sono metilati.
Molti enzimi di restrizione riconoscono sequenze specifiche formate da quattro a otto coppie di basi e
idrolizzano un legame fosfodiestereo in ogni filamento della regione. Una caratteristica sorprendente di
questi siti di scissione è che quasi sempre possiedono una doppia simmetria rotazionale. In altre parole, la
sequenza riconosciuta è palindromica, o una ripetizione invertita, e i siti di taglio sono posizionati
simmetricamente.
Overview: al contrario di quello che succede con le endonucleasi, per quanto riguarda le proteasi ne
esistono pochissime che tagliano a livello di un unico amminoacido. Abbiamo Lys-C, Arg-C, Prolidate,
Asp-N, Glu-C, qualche proteasi di lichene, le proteasi della cascata coagulativa.
Nel caso del DNA, sono stati scoperti più di 3000 enzimi di restrizione, di cui almeno 600 sono disponibili
in commercio! La loro specificità di substrato è assolutamente univoca.
Nella maggior parte dei casi questi sono stati isolati da batteri o da funghi, provvisti di un ampio set di
nucleasi e ribonucleasi per far fronte all’infezione da parte di DNA estraneo, non-self; insieme a questi ci
sono altri enzimi funzionali con cui sono accoppiati ed insieme prendono il nome di sistemi di restrizione e
modificazione.
Tipo II: sono quelli più utili dal punto di vista biotecnologico, perché l’attività nucleasica e metil-
transferasica sono ascritte a due proteine diverse: un enzima di restrizione e una metiltransferasi. Questa è in
grado di metilare sequenze specifiche del DNA self, con un codice di metilazione unico e specifico; una
volta metilato non può essere tagliato dagli enzimi di restrizione propri.
28
Dal taglio si possono ottenere estremità piatte o estremità coesive.
Incubando un tratto di DNA con uno o più enzimi di restrizione di possono creare mappe di restrizione, che
rappresenta l’impronta digitale di quel tratto: dato che gli enzimi di restrizione sono estremamnte specifici
per delle sequenze, se su una mappa di restrizione non è presente un frammento che ci si aspetta, vuol dire
che la sequenza non è quella riconosciuta dalla nucleasi e che c’è una mutazione. Per approfondire, si può
estrarre il frammento incognito dal gel, amplificarlo tramite PCR e sequenziarlo, per individuare che tipo di
mutazione è avvenuto.
Col southern blotting possiamo estrarre il DNA, usare una sonda nucleotidica fluorescente e si fa il gene
phishing
Applicazione farmaceutica: un microrganismo patogeno produce una proteina importante per il suo
metabolismo che non è espressa o è sottoespressa nell’uomo, quindi possibile target farmaceutico. Per
poterla caratterizzare, per poterne studiare l’interazione ed il complesso con un eventuale farmaco inibitore
(che sia una piccola molecola organica o farmaco biotecnologico), e tutto l’ambaradan ad esempio tramite
NMR e cristallografia raggi X, devo riuscire ad averne una quantità consistente. Purificare la proteina dal
microrganismo ed averne una quantità sufficiente per gli studi è un processo lungo e costoso, la cosa più
conveniente è utilizzare la tecnica del DNA ricombinante e farla produrre a bioreattori. Per questo scopo è
necessario quindi conoscere il gene, isolarlo, sequenziarlo ed introdurlo in opportuno batterio, eventualmente
facendo esprimere la proteina fusa, per poter poi purificare agilmente.
Abbiamo uno o alcuni frammenti della proteina in esame, bastano anche 12 a.a., da questo oligopeptide si
risale alla sequenza genetica corrispondente (36 nucleotidi), che è possibile sintetizzare chimicamente in
modo efficiente; affiché sia poi rilevabile, viene coniugato all’estremità 5’ con un fluoroforo, oppure un
nucleotide può essere marcato con fosforo 32.
Contemporaneamente estraggo il DNA genomico del microrganismo, lo frammento con diversi enzimi di
restrizione e creo una mappa di restrizione; si fa correre il materiale frammentato su gel di agarosio
(importante, no poliacrilammide) e quello che esce è la mappa di restrizione. Uno o più frammenti sul gel
conterranno il gene d’interesse, che ha (ricorda) l’estremità appiccicosa perché è stato tagliato con enzimi di
restrizione. La mappa di restrizione è come un’impronta digitale del genoma in esame: se un gene è mutato
nella sequenza di riconoscimento degli enzimi di restrizione, inevitabilmente i frammenti generati saranno
diversi dal genotipo wild (elevato valore diagnostico: si isola il frammento incongruente e si sequenzia per
identificare la mutazione).
29
Parallelamente all’elettrotrasferimento e
al western blotting delle proteine, anche
per il DNA possiamo operare un
trasferimento delle bande
elettroforetiche, molto più semplice in
questo caso perché non è necessario
applicare nessuna differenza di
potenziale: tutte le bande presenti sul gel
di agarosio possono essere trasferite su
un foglietto di Immobilon (membrana di
PVDF, polivinilidenfluoruro) o
nitrocellulosa (cellulosa nitrata, acquista
maggiore carattere idrofobico) per adesione delle due superfici messe una sopra l’altra (sotto gel, sopra
foglietto) in soluzione acquosa alcalina, che denatura il DNA (da duplex diventa single strand) e diffusione
delle bande da una parte all’altra.
Gene phishing Sotto al gel e sopra al foglietto si
mette carta da filtro; la soluzione
risale per capillarità attraverso la carta
da filtro, arriva al gel dove denatura il
DNA e se lo porta appresso fino al
foglio di immobilon/nitrocellulosa.
Questo step dura tutta la notte.
Le bande del gel che abbiamo
trasferito non si vedono perché non
sono state colorate; è utile quindi preparare due gel uguali, uno lo coloro e uno lo trasferisco.
Il foglietto di immobilon viene poi incubato con l’oligonucleotide sintetico marcato: questo andrà ad
appaiarsi alla sequenza complementare presente in una delle bande, ognuna contenente un solo frammento,
tramite la sua estremità appiccicosa (lo va a pescare, da cui gene fishing); esponendo ora il foglietto a lastra
fotografica o andando a registrare la fluorescenza, si identifica l’esatta banda di DNA che contiene il gene
d’interesse. Il frammento viene poi estratto, sequenziato e si identifica il gene all’interno della open reading
frame, cornice di lettura del gene tra il codone di start (AUG) ed uno di stop (UAA-UAG-UGA).
A questo punto è possibile sintetizzare il gene in laboratorio, tagliare la sequenza con un enzima di
restrizione, tagliare un plasmide con lo stesso enzima di restrizione, così le estremità si appaiano, si incuba,
avviene l’ibridizzazione del plasmide e lo si inserisce nei batteri che fanno da bioreattori.
Meccanismo molecolare
Si ha l’idrolisi del legame fosfodiestereo senza inversione di configurazione assoluta del fosforo, come se
fosse una SN1. Gli enzimi contengono Mg2+ nel sito attivo: il suo ruolo è quello di coordinare i due atomi di
O- del fosfato e due molecole d’acqua; una delle due viene attivata dal magnesio carico positivamente, che
drena densità elettronica e favorisce l’attacco nucleofilo sul fosforo, che nel frattempo ha maggiore carattere
elettrofilo per la coordinazione dell’ossigeno col magnesio.
30
Specificità di substrato:
in rosso viene evidenziato il
filamento di DNA, mentre in giallo e
in blu sono rappresentati i due
monomeri dell’enzima (ognuno
riconosce uno dei due filamenti di
DNA); il DNA interagisce in modo
estensivo e specifico con siti specifici
dell’enzima; se il substrato è quello
giusto, l’interazione è tenace ed
esoergonica. L’energia rilasciata dalla
formazione del complesso corretto,
che non è ancora catalitico, viene
utilizzata dal sistema per indurre una
modificazione conformazionale sia
nell’enzima, che acquisisce la
conformazione competente al taglio,
31
DNA metilato DNA nudo
32
Polymerase chain reaction
Tecnica sviluppata nel 1983 da Kary Mullis, surfista fricchettone californiano, per cui ha vinto il premio
Nobel; nel suo libro autobiografico ha detto che probabilmente non gli sarebbe mai venuta in mente questa
reazione se non avesse fatto uso di LSD. LOL!
Appliacazioni della PCR:
- Clonaggio del DNA (produzione di un gran numero di copie) per il sequenziamento;
- Diagnosi di malattie ereditarie;
- Identificazione di impronte digitali genetiche (usato nella pratica forense)
- Identificazione di malattie infettive.
Overview: test molecolari sars-cov-2
Si estrae l’RNA dal campione; dal ssRNA si sintetizza il dsDNA tramite l’utilizzo della trscrittasi inversa e
poi con la PCR si amplifica il DNA; fare un piccolo sequenziamento o una mappa di restrizione per
identificare la presenza del virus.
Questa reazione della polimerasi è a catena perché i cicli si susseguono in
modo legato.
Componenti necessari:
- DNA double strand
- Primer sintetici per l’innesco, lunghi da 20 a 30 nucleotidi
- Substrati (nucleotidi-5’-trifosfato)
- Tampone fisiologico
- Mg2+
- Taq polimerasi (thermus aquaticus, batterio estremofilo, da cui si
ricava la DNA polimerasi termostabile)
L’utilizzo dell’enzima termostabile è stata la svolta nello sviluppo di
questa tecnica, che riguarda l’amplificazione di un frammento di DNA.
33
lavora la Taq polimerasi, che si attiva solo ad alte temperature. La reazione va avanti (velocità molto
elevata di incorporazione) e termina il primo ciclo.
La Taq polimerasi è stata la prima utilizzata, ma la frequenza degli errori era troppo alta ed è stata introdotta
la PFU, polimerasi da Pyrococcus furiosus, uno degli orfanismi più termostabile della Terra; è una
polimerasi più lenta (incorpora 1000 basi in 1 o 2 minuti, vs i 10 secondi della Taq) ma l’errore è 1 su 1M di
basi, avendo attività esonucleasica sia al 5’ che al 3’, a differenza della Taq.
A volte si utilizzano la Taq e la Pfu in combinazione, con la Taq in eccesso.
Vincoli: utilizzo di T elevata per denaturare e di conseguenza utilizzo di una polimerasi stabile durante i cicli
termici. Perché i cambi di T: 95° per poter denaturare il DNA senza aggiunta di agenti chimici, che poi
andrebbero rimossi in qualche modo, quindi per tenere l’ambiente di reazione più pulito possibile, motivo
per cui la reazione deve avvenire senza aprire la provetta, o verrebbe contaminata da materiale genetico ed
enzimatico circolanti anche solo nell’aria, adsorbiti ai granelli di polvere. Col solo cambio di temperatura
abbiamo denaturazione e rinaturazione senza dover aggiungere continuamente reagenti che
contaminerebbero il campione; anche le eppendorf utilizzate sono strettamente pulite (senza tratti di DNA
contaminanti). La temperatura è un filtro di specificità molto importante: quando si abbassa la temperatura,
si possono formare degli ibridi con i DNA contaminanti, ma essendo questi aspecifici, il legame sarà debole
perché non c’è perfetta complementarità tra le basi, di conseguenza la loro stabilità è bassa. A temperature
ordinarie (ambiente o 37°, la frazione molare degli ibridi con i contaminanti è rilevante, perché siamo a
bassa temperatura. Alzando la T, il sistema viene perturbato e gli ibridi aspecifici si dissoceranno, dovuto
alla loro scarsa energia di legame, mentre gli ibridi formati con i primer sono ibridi corretti, per la totale
complementarità tra i filamenti e di conseguenza stabili, anche a 54°C.
La temperatura elevata risulta quindi un filtro fisico alla replicazione di DNA contaminanti che formano
legami aspecifici, casuali col DNA target, nella fase di annealing. La temperatura di annealing si calcola
sulla base della temperatura di melting del tratto di ibrido che si forma tra il tamplate ed il primer,
calcolata in via teorica sulla base del tipo di basi che sono presenti, e tenendosi 3°-5°C sotto di essa:
Tm=[2(A+T) + 4(C+G)]
34
Problematiche legate al processo
1. Contaminazione
2. Formazione di strutture a forcina (strutture alternative con appaiamento intracatena tra le basi); avviene
quando nel filamento ci sono sequenze palindromiche, soprattutto se nel primer ci sono sequenze che
contengono gran numero di G e C, formando strutture secondarie non canoniche
3. Errori di polimerizzazione, frequenti nella Taq-polimerasi. Si lavora quindi con miscele Taq-Pfu
4. Concentrazioni troppo alte di Mg2+ possono andare ad inibire l’azione della Taq polimerasi (le
polimerasi nel sito catalitico hanno due Asp che legano magnesio; attivazione del fosfato viene attivato
rendendolo più elettrofilo e viene reso più nucleofilo l’OH che si trova sul primer)
5. Sequenze lunghe di DNA sono difficili da amplificare (da 10k basi a 40k basi, oltre non si riesce),
perché si formano strutture terziarie, foldando grazie ai riconoscimenti intramolecolari, e l’estremità non
viene riconosciuta per il binding
6. Innesco non specifico, dovuto al fatto che i primer possono appaiarsi non solo alle flanking regions,
regioni adiacenti al tratto di DNA che si vuole amplificare, ma anche in amniera aspecifica all’interno di
un open reading frame, ; l’interazione aspecifica può essere ovviata o sintetizzando un primer diverso
oppure alzando la T di annealing, per sfavorire in modo più marcato l’interazione aspecifica dl primer a
regioni interne del gene che si vuole amplificare. Ovviamente si avrà una diminuzione di concentrazione
del complesso primer-template, ma l’obiettivo principale è che i prodotti siano più puri possibili; nel
caso di amplificazione inefficace si può ripetere la PCR per aumentare il numero di copie di DNA.
7. Elevata concentrazione di desossiribonucleotidi può inibire l’attività della Taq polimerasi
8. Un eccesso smodato di primer può portare all’accoppiamento tra di loro e alla formazione di dimeri non
produttivi, amplificati dalla DNA polimerasi così come sono.
35
Quantificazione del DNA
Using the Lambert-Beer Law it is possible to relate the amount of light absorbed to the concentration of the
absorbing molecule. At a wavelength of 260 nm, the average extinction
coefficient for double-stranded DNA is 0.020 (µg/ml)-1 cm-1, for single-stranded
DNA it is 0.027 (µg/ml)-1 cm-1, for single-stranded RNA it is 0.025 (µg/ml)-1 cm-1
and for short single-stranded oligonucleotides it is dependent on the length and
base composition (estimation 0.030 (µg/ml)-1 cm-1). Thus, an optical density (or
"OD") of 1 corresponds to a concentration of 50 µg/ml for double-stranded DNA.
Le basi azotate hanno un picco di assorbimento più o meno alla stessa lunghezza
d’onda; lo spettro di assorbimento di un tratto di DNA è dato dalla somma
ponderata della lunghezza d’onda e dell’intensità dei segnali di tutti i nucleotidi
che lo compongono; rimane sempre intorno ai 260nm in quanto la media tra A/T
e G/C si attesta su quei valori.
Effetto ipercromico:
36
interazioni elettrostatiche, che sono sfavorevoli perché per ogni legame fosfodiestereo è presente una carica
negativa e questo crea repulsione tra i due filamenti di DNA. aumentando la forza ionica, i cationi possono
entrare nel guscio di solvatazione andando ad alleviare la destabilizzazione dovuta alla repulsione
elettrostatica. Nel caso dei cationi bivalenti, oltre a questo effetto aspecifico, c’è l’effetto specifico per cui il
Mg2+ forma dei complessi stabili con due atomi di O- di due fosfati adiacenti.
Approfondimento
Quando c’è assorbimento di radiazione elettromagnetica ad una certa lunghezza d’onda da parte di una
molecola, avviene la promozione dell’elettrone dall’orbitale molecolare allo stato fondamentale a più alta
energia all’orbitale molecolare vuoto a più bassa energia (transizione HOMO-LUMO). Gli orbitali
molecolari nello stato fondamentale e nello stato eccitato hanno geometrie diverse; quelli allo stato eccitato
hanno più nodi, cioè regioni dove statisticamente non si può trovare la densità elettronica. Se questi hanno
distribuzione della densità elettronica diversa da dello stato fondamentale, in seguito alla transizione si
avrà una redistribuzione della densità elettronica, e di conseguenza si genererà una variazione del dipolo
elettrico. Questo fenomeno è chiamato Variazione del dipolo elettrico di transizione, perché causato dalla
transizione elettronica. Generalmente, maggiore è il modulo del dipolo elettrico di una molecola, maggiore
sarà la variazione che il dipolo elettrico subirà a causa della transizione elettronica.
È noto che l’intensità dell’assorbimento (aka ε di un cromoforo) è direttamente proporzionale al quadrato
del modulo della variazione del dipolo elettrico di transizione, ovviamente a parità di tutte le altre
condizioni
I ∝ |μ1*-μ1|2
In pratica: più è grande il dipolo elettrico di una molecola, più sarà alto l’assorbimento.
Cuvetteless low volume nucleic acid quantitation: nel caso di DNA siamo costretti a lavorare
con volumi molto piccoli (0,5-10μl), di conseguenza per la quantificazione si utilizzano nanofotometri,
NanoPhotometers offer the possibility to determine sample concentrations with submicroliter volumes
37
(starting with 0.3 µl) without the need of cuvettes. In addition, due to the reduction of the optical pathlength
samples are diluted automatically in comparison to standard cuvette measurements.
Contaminazione del campione
It is common for nucleic acid samples to be contaminated with other molecules (i.e. proteins, organic
compounds, etc.) soprattutto quando si utilizzano metodi fisici di purificazione, come la precipitazione o
l’estrazione liquido/liquido. The ratio of the absorbance at 260 and 280nm (A260/280) is used to assess the
purity of nucleic acids. For pure DNA, il rapporto tra l’intensità di assorbimento a 260 e l’intensità a 280
A260/280 is ~1.8 and for pure RNA A260/280 is ~2.
The ratio of absorptions at 260nm vs 280nm is commonly used to assess DNA contamination of protein
solutions, since proteins (in particular, the aromatic amino acids) absorb light at 280nm. The reverse,
however, is not true, because it takes a relatively large amount of proteins to significantly affect the 260:280
ratio in a nucleic acid solution.
vs.
This difference is due to the much higher extinction coefficient (ε) nucleic acids have at 260nm and 280nm,
compared to that of proteins e quindi il contributo di assorbimento delle proteine viene mascherato
dall’assorbimento degli acidi nucleici, dato che i massimi cadono nella stessa regione di λ.
Because of this, even for relatively high concentrations of protein, the protein contributes relatively little to
the 260 and 280 absorbance.
Il fatto che col 30% di contaminazione proteica il rapporto tra l’intensità 260/280 sia solamente di 6 unità su
1.94, quindi solamente del 3%, potrebbe quasi essere assimilabile al solo errore sperimentale.
38
TRASCRITTASI INVERSA
Si utilizza quando non si conosce la sequenza
di un trascritto maturo; quindi, viene
convertito a DNA. Si sfrutta l’enzima naturale
trascrittasi inversa, propria dei retrovirus,
virus a RNA. Questa è capace di ricopiare il
suo genoma, l’RNA messaggero, a formare un
DNA duplex.
39
A livello del passaggio 3-4 c’è il first jump: l’enzima
catalizza la traslocazione dell’ibrido tRNA-DNA
trasferendolo dalla regione 5’ alla regione 3’, in modo
che le due regioni R si appajino, ovviamente con
andamento antiparallelo. L’ibrido ha un’estremità 3’
costituita DNA, che può fungere quindi da primer per la
prosecuzione della trascrizione, e uno stampo di RNA
che decorre in senso antiparallelo: con queste condizioni la trascrittasi riattiva la sua funzione polimerasica,
andando a trascrivere fino alla fine il filamento stampo, anche il PBS.
40
Sintesi delle proteine
• tRNA
• Ribosome
• mRNA
• Aminoacyl-tRNA synthetase
La teoria dell’adattatore: RNAtransfert
media tra le triplette di codon e la sintesi
proteica tramite l’appaiamento codon-
anticodon, che avviene in maniera
antiparallela e rispettando gli appaiamenti
di Watson e Crick A-U e C-G.
41
Nei procarioti i processi di trascrizione e traduzione sono
accoppiati; si produce mrna policistronico, composto da più
geni controllato da un solo operon. I cerchietti verdi sono i
ribosomi. Fondamentale è l’identificazione dell’open
reading frame, per riuscire ad identificare il gene
d’interesse.
Se la lettura dell’ORF non è quella corretta, tutta la
sequenza amminoacidica viene falsata.
Gli
42
Translation of genetic information into amino acid sequences is accomplished through a “code” in which
four bases combine into triplets (codons). 4 elementi che si combinano in gruppi di 3.
The genetic code is made of 43 possible codons: 64.
Of these, 61 encode an aminoacid and 3 are stop signals.
The genetic code is degenerate (ridondante). Several triplets encode for a single amino acid.
The genetic code is not overlapped.
The genetic code has no punctuation marks or pauses.
The genetic code is nearly universal.
Trp:1
Non sembra esserci una relazione stringente tra il numero di codon codificanti per un amminoacido e
l’abbondanza, frequenza con cui ricorre nelle proteine. Ad es., la prolina ha 4 codon, l’aspartato 2 ma questo
è molto più abbondante.
Il motivo è che all’interno di una specie i codon che codificano un amminoacido non sono presenti in egual
misura all’interno del genoma. Alcuni sono più presenti, altri più rari.
43
In questo caso il signal peptide si dissocia perché la proteia va a costituire una proteina trasmembrana del
RER; se fosse invece una proteina di secrezione, non verrebbe rimosso, si formerebbero delle vescicole che
dal RER si arriverebbero al cis-golgi, cisterne del golgi più vicine al nucleo. Lì verrebbe processata e secreta
attraverso vescicole nel medium-golgi, ancora modifiche e arriva al trans-golgi, le cisterne più vicine alla
membrana. Attraverso l’esocitosi vengono poi secrete all’esterno.
44
Controllo dell’espressone genica
Cellule appartenenti a diversi apparati hanno caratteristiche completamente diverse fra loro, nonostante esse
contengano esattamente lo stesso materiale genetico; i procarioti, nonostante siano esseri molto semplici,
sono in grado di modificare la velocità di produzione di determinate proteine anche di 1000volte, in risposta
a stimoli dell’ambiente esterno.
Tutto ciò si verifica perché il genoma può essere espresso in modi differenti, producendo pool di proteine
differenti a seconda del compito di quel distretto e della necessità metabolica dell’organismo.
Sia nei procarioti che negli eucarioti, il controllo dell’espressione genica avviene soprattutto a livello della
trascrizione (DNAmRNA).
L’enzima necessario all’idrolisi del lattosio è la β-galattosidasi, che in condizioni normali viene espressa in
concentrazioni trascurabili (poche decine per cellula); nel momento in cui la concentrazione esterna di
glucosio è bassa e contemporaneamente è invece presente lattosio, il sistema evolve verso un altro stato
metabolico, andando a produrre ed ottimizzare gli strumenti necessari per l’utilizzo della nuova fonte
d’energia: viene indotta l’espressione, cioè aumenta l’efficienza di trascrizione del gene che nel batterio
codifica per la β-galattosidasi.
La specie chimica che è in grado di indurre l’espressione è un metabolita del lattosio, l’allolattosio.
Sulla parete del batterio ci sono trasportatori per disaccaridi, che in condizioni di scarso lattosio lavorano
molto lentamente; quando la concentrazione di lattosio aumenta, lavorano invece a Vmax. Aumentando la
concentrazione interna di lattosio, le poche molecole di β-galattosidasi presenti iniziano a catalizzare
l’idrolisi del lattosio a Vmax In condizioni di saturazione, la v max è concentrazione
45
molecola di glutatione a tutte quelle specie che sarebbero tossiche per la cellula ma sono entrate perché
contenenti galattosio o i loro metaboliti tossici.
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Quando la concentrazione di glucosio è bassa, la cellula aumenta la produzione di camp; questo è un
co-induttore, perché si lega alla proteina CAP e il complesso va a legarsi sul sito attivatore.
Allo stesso modo, l’allolattosio è un co-induttore in quanto il legame al repressore lo inattiva
Il repressore ha un dominio apicale responsabile del legame al DNA, dove troviamo il motivo tipico elica-
loop-elica, dominio centrale e dominio basale carbossiterminale. Questo si lega 4milioni di volte più
saldamente al sito operatore rispetto ad altri siti del DNA; le kd sono molto basse, nell’ordine dello 0,1
picomolare (10-13M). In un mezzo liquido, la costante di associazione può essere massimo uguale alla
costante di diffusione all’interno di quel liquido e di solito sono dell’ordine 108-109; per il repressore sono
state misurate costanti di associazione maggiori di oltre 2 ordini di grandezza, per cui si deduce che la
molecola non diffonde nello spazio nelle tre dimensioni ma semplicemente scorre lungo il DNA, in una sola
dimensione.
Quando l’allolattosio/l’IPTG entra nella cellula e arriva nella zona del nucleoide arriva sul DNA e si lega al
lac repressor nel dominio centrale, inducendo una modifica conformazionale che determina un distacco dal
DNA.
Overview:
48
Trp operon
La funzione del trp operon è quella di presiedere
all’espressione dei geni che codificano per gli
enzimi che svolgono la biositesi del triptofano,
molto lunga ed elaborata; ci sono almeno 3
enzimi coinvolti ed ognuno è costituito da diverse
subunità.
Ci sono siti di controllo, il sito operatore e 5 geni
che codificano per le subunità degli enzimi e
l’operone è controllato con un meccanismo di
repressione a controllo negativo. La biosintesi del
triptofano è sempre attiva; quando però la
concentrazione intracellulare dell’amminoacido sale al di sopra di una certa soglia, c’è la repressione
selettiva del trp operon.
Il repressore è presente nella cellula in forma inattiva, non ha cioè competenza per il legame al sito
operatore; quando aumenta la [c] del co-repressore, cioè il triptofano stesso, aumenta la frazione molare del
complesso trp-repressore attivo e questo è capace di legarsi al DNA ed impedire la trscrizione.
Pur operon
Allo stesso modo, la biosintesi delle basi puriniche adenina e guanina viene regolata con un meccanismo di
repressione a controllo negativo.
Met operon
Ugualmente accade per la biosintesi della metionina, in cui il repressore crea un complesso
competente tramite il legame con il co-repressore S-adenosilmetionina, donatore di metile per le
metiltransferasi.
49
Il trascritto a singolo filameto può andare a
formare delle strutture secondarie;
l’appaiamento può essere 1-2 e 3-4 a formare
una forcina, che è una struttura di pausa per la
lettura da parte del ribosoma, il processo
rallenta ma non viene abortito. Quando invece il
ribosoma incontra l’appaiamento 3-4 questa
determina la terminazione vera e propria della
traduzione, impedendo meccanicamente al
ribosoma la lettura dell’mRNA, per cui è detta
struttura di terminazione.
La stessa sequenza però può strutturarsi in
modo diverso, andando a formare l’appaiamento 2-3, che non solo non inibisce la traduzione, ma anzi funge
da antiterminatore, cioè favorisce l’avanzamento dell’mRNA sul ribosoma. Se la [trp] è elevata, ci sarà
proporzionalmente un’elevata concentrazione di
triptofanil-t-RNA, triptofano coniugato allo stelo
accettore del t-RNA; quando a livello del sito
amminoacidico della subunità 30s compare il codon
del trp, quello verrà subito saturato con triptofanil-t-
rna corrispondente in modo efficiente e veloce,
perché ce n’è molto, e scorrerà velocemente sulla
regione 1 occupando la regione 2, dando il tempo alle
regioni 3-4 di appaiarsi.
Se invece la [tripfofanil-t-RNA] è bassa, il ribosoma
andrà più lento sulla regione 1, dando modo stavolta
di appaiarsi alle regioni 2-3, struttura antiterminatore.
50
Escherichia Coli
Commensale non patogeno dell’intestino umano; alcuni ceppi possono essere molto virulenti ma
generalmente non è patogeno. Batterio Gram-, con membrana plasmatica, parete cellulare relativamente
sottile di peptidoglicano e seconda membrana, ricca di lipopolisaccaridi. È un bastoncello di 2.0 µm di
lunghezza e 0.5 µm di diametro. I ceppi utilizzati sono altamente selezionati rispetto al contenuto di LPS in
modo che ne abbiamo molto poco; inoltre sono stati rimossi geni che codificano per proteasi endogene, sono
lasciati solo quelli che codificano per proteasi indispensabili alla sopravvivenza del batterio. Il genoma è
costituito da una molecola di DNA circolare, in cui ci sono circa 4300 geni organizzati in 2500 operon.
Replicazione
Il batterio si duplica secondo un andamento esponenziale:
Nt=N0 2n il numero di cellule al tempo t è uguale al numero iniziale di cellule per 2n, dove n è il numero di
cicli duplicativi.
Se definiamo g come il tempo necessario ad una duplicazione (generation time) e T il tempo totale
T T
= n da cui Nt=N0 2 g
g
In questo modo possiamo sapere dopo un tempo T deciso da noi quale sarà il numero di cellule che abbiamo
ottenuto il quel momento.
Fasi della crescita batterica
È possibile suddividere la crescita batterica in tre fasi:
1- Lag phase: fase di latenza in cui la velocità di
duplicazione è molto moderata; la durata di questa
fase dipende dal tipo di batterio, dalla temperatura e
dalla composizione del terreno di coltura;
2- Logaritmic phase: dipendenza logaritmica (qui
lineare dovuta alla scala semilogaritmica usata) tra il
numero di cellule ed il tempo;
3- Fase stazionaria (numero cellule nuove = cellule che
muoiono);
Numero di cellule espresso in scala logaritmica 4- Descrescita (cellule nuove < cellule morte)
in funzione del tempo
Anche fornendo sempre nuovo terreo di coltura fresco, dopo una certa densità di cellule in terreno di coltura
liquido queste iniziano a produrre sostanze citotossiche per evitare la sovrappopolazione” lol.
Dal punto di vista produttivo biotecnologico il momento di crescita migliore per indurre l’espressione genica
all’interno di una coltura trasformata è appena prima della fine della fase logaritmica.
Conta batterica
Per monitorare l’andamento della crescita
è possibile utilizzare diversi metodi:
- gravimetria: si preleva un volume
significativo di soluzione ad intervalli
regolari di tempo; si filtra su nylon con
maglie di 0.1/0.2μm, si essicca il filtro e
si pesa. Ammettendo che 1 batterio pesa
1pg, si ricava il numero di batteri presente
nella soluzione prelevata dividendo il
peso totale per il peso di un batterio. La
sensibilità però è molto bassa;
51
- microscopia ottica: si prelevano 5μl (o meno) ad intervalli di tempo e si conta il numero di batteri presenti
in quel volume e si moltiplica per il volume totale. Lavorando con volumi così piccoli, l’errore relativo è
molto alto, perché basta che una microgocciolina non vada sul vetrino e la conta viene falsata. Rimane
comunque 100 volte più sensibile del metodo gravimetrico;
- saggio della vitalità cellulare: se un batterio è vivo e viene somministrato un agente cromogenico, questo
viene trasformato dagli enzimi in un prodotto colorato ed è possibile misurare l’assorbanza della
sospensione, ricavando la concentrazione di batteri vivi con opportuna retta di taratura. È un metodo molto
sensibile ma richiede più tempo, più reagenti e lo spettrofotometro, con temperatura e condizioni controllate;
- turbidimetrico: è semplice al pari del gravimetrico ma è molto più sensibile, secondo solo al saggio di
vitalità. Si va a misurare la densità ottica, cioè l’assorbanza apparente della sospensione. Si segue l’aumento
del segnale turbidimetrico a 350nm o a 600nm. Questo aumento è dato solo dalla diminuzione della
trasmittanza: l’intensità della radiazione incidente è maggiore di quella della radiazione emergente dalla
cuvetta e lo strumento lo registrerà come assorbanza e la differenza tra queste è proporzionale al numero di
cellule presenti in sospensione.
1
A=log
T
Approfondimento
L’interazione Energia (intesa come radiazione elettromagnetica)-Materia può essere di diversa natura:
- assorbimento: se alla lunghezza d’onda della radiazione incidente è associato un valore di energia dei
fotoni esattamente uguale alla differenza fra l'energia dello stato eccitato e quella di uno stato
fondamentale: in questo caso la radiazione viene assorbita e la particella passa dallo stato fondamentale a
quello eccitato;
- riflessione (light scattering): ampia classe di fenomeni in cui le onde (ovvero cambiano traiettoria) a
causa della collisione con altre particelle. La deflessione avviene in maniera disordinata e in buona misura
casuale e per questo la diffusione si distingue dalla riflessione e dalla rifrazione, che invece cambiano le
traiettorie in maniera regolare e determinata
- rifrazione: cambiamento della direzione di propagazione dell’onda incidente passando da un mezzo
trasparente ad un altro, nel quale la sua velocità di propagazione cambia; poiché la frequenza rimane
costante cambia la λ;
- diffrazione: si riferisce ai fenomeni che avvengono quando un'onda incontra una fenditura, che abbia
dimensioni simili alla sua λ: in accordo con il principio di Huygens-Fresnel, ogni punto della fenditura
diventa, a sua volta, una sorgente di onde che si propagano in tutte le direzioni dello spazio
52
Plasmidi
Un plasmide è una molecola accessoria di DNA, separata dal
DNA genomico e che può replicarsi in maniera indipendente;
sono double stranded e spesso circolari, con dimensioni circa di
1/1000 rispetto al DNA genomico (in E.coli tra 4000 e 5000 bp).
Il trasferimento da un ospite all’altro di plasmidi richiede il
trasferimento diretto e meccanico, mediante coniugazione o
cambiamenti nell'espressione genica dell'ospite, che consentono l’assorbimento attivo dell'elemento genetico
mediante la trasformazione. I plasmidi forniscono al batterio un meccanismo di trasferimento genico
orizzontale all'interno di una popolazione e in genere forniscono un vantaggio selettivo in un determinato
microambiente. Plasmidi diversi posso coesistere nella stessa ma quelli deputati a funzioni correlate sono
spesso incompatibili; solo uno di essi sopravvive nella linea cellulare, dovuto alla regolazione delle funzioni
vitali del plasmide. È per questo molto importante che i le cellule ingegnerizzate utilizzate come bioreattori
contengano plasmidi tutti dello stesso tipo.
Plasmidi non integranti Esistono due tipi di integrazione del plasmide in un batterio ospite:
plasmidi non-integranti replicano autonomamente, mentre i
plasmidi integranti si integrano nel cromosoma ospite.
A livello biotecnologico è utile avere plasmidi non integranti: dato
che alla duplicazione cellulare è associata la replicazione del
Plasmidi integranti DNA, sia genomico che plasmidico, è possibile andare a purificare
selettivamente il DNA plasmidico, caratterizzarlo, modificarlo e
poi introdurlo in altre cellule per trasformarle, molto più semplice
rispetto a doverlo fare con DNA genomico.
Nella pratica di laboratorio si utilizzano ceppi batterici diversi
specializzati in diverse funzioni: alcune cellule si duplicano i
modo molto efficiente, mentre altre vengono ottimizzate per
esprimere proteine in grande quantità; quello che si fa è prendere il primo tipo, facciamo crescere la coltura
batterica, purificare il DNA plasmidico (ottenuto in grande quantità) e lo inseriamo nel secondo ceppo
batterico, in modo da poter massimizzare la produzione batterica, e induciamo l’espressione solo nel
momento in cui la crescita è ottimale (alla fine della fase logaritmica).
I plasmidi utilizzati per ingegnerizzare altre cellule vengono chiamati vettori ed il processo di inserimento è
detto trasformazione.
I plasmidi hanno struttura circolare superavvolto in
maniera negativa (sinistrorsa) ma è più utile avere una
DNA rilassato per poter fare l’inserzione del cDNA.
Because of its tight conformation, supercoiled DNA
migrates faster through a gel than linear or open-circular
DNA.
• "Nicked Open-Circular" DNA has one strand cut.
• "Relaxed Circular" DNA is fully intact with both strands
uncut, but has been enzymatically "relaxed" (supercoils
removed).
• "Linear" DNA has free ends, either because both strands have been cut or because the DNA was linear in
vivo.
• "Supercoiled" (or "Covalently Closed-Circular") DNA is fully intact with both strands uncut, and with a
twist built in, resulting in a compact form.
• "Supercoiled Denatured" DNA is like supercoiled DNA, but has unpaired regions that make it slightly less
compact; this can result from excessive alkalinity during plasmid preparation
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PBR322
Primo plasmide utilizzato a scopi tecnologici da Bolivar e Rodriguez, nel 1977.
Hanno preso un plasmide naturale ed hanno rimosso tutte le sequenze
che non erano indispensabili all’utilizzo del plasmide stesso come
vettore di clonaggio. Quindi troviamo:
- sito oriC: particolare sequenza di DNA presso cui viene iniziata la
replicazione; questa procede poi da questo punto in senso
bidirezionale o unidirezionale. La struttura specifica dell'origine di
replicazione può variare notevolmente tra le diverse specie, ma
conserva alcune caratteristiche comuni, tra cui quella di essere ricca
in adenina e timina. Il legame della DnaA a questa zona induce
l'avvolgimento del DNA intorno alla proteina stessa a formare
un core proteico e questo avvolgimento favorisce l'accessibilità alla
regione ricca in AT, permettendo così ad enzimi e altri fattori di
legarsi e avviare la replicazione)
- sito amp: contiene i geni che codificano per gli enzimi che
presiedono alla resistenza all’ampicillina, le β-lattamasi.
- sito tet: codifica per proteine che conferiscono resistenza alle tetracicline.
- siti di restrizione in blu: sono i siti di clonaggio, in quanto suscettibili all’idrolisi da parte degli enzimi di
restrizione.
pET-23(+)
Il pet23 è un plasmide artificiale tra i più utilizzati in
laboratorio; è stato creato in modo che contenesse solo la
sequenza di DNA indispensabile
C’è sequenza di origine e siti di resistenza agli antibiotici,
mentre i siti di restrizione sono raggruppati tutti nella stessa
regione.
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Trasformazione batterica
In biologia molecolare, la trasformazione è un’alterazione del patrimonio genetico di una cellula batterica,
risultante da assorbimento, incorporazione ed espressione di DNA esogeno; la trasformazione può verificarsi
in condizioni naturali in alcuni batteri o può essere operata attraverso mezzi artificiali su altre cellule. Le
cellule che sono in grado di essere trasformate, sia un processo naturale o artificiale, sono dette competenti.
- Competenza naturale: circa l’1% dei batteri in natura è dotato
di competenza alla trasformazione, cioè sono naturalmente
disponibili all’incorporazione di materiale genetico plasmidico.
Il plasmide viene trasmesso grazie alla sintesi, a partire da geni
contenuti sullo stesso plasmide, di piccole estroflessioni,
dette pili, che prendono contatto con una cellula ricevente,
avvicinandola e rendendo possibile il passaggio del materiale
genico, che non avviene attraverso il pilo, ma grazie alla
formazione di un ponte di coniugazione. Un filamento del DNA
circolare del plasmide viene tagliato e un filamento parentale
viene trasferito nella cellula ricevente. Si attiva quindi nel
donatore la replicazione del DNA mediante il meccanismo a
cerchio rotante, che porterà al rimpiazzamento del filamento che è stato trasferito. Nello stesso tempo, un
filamento complementare al filamento donato viene sintetizzato nel ricevente a completare la molecola di
acido nucleico nel ricevente.
- Competenza artificiale: La competenza artificiale può essere indotta attraverso procedure di laboratorio
che rendano la cellula permeabile al DNA, esponendolo a condizioni che normalmente non si verificano in
natura
CaCl2 e shock termico
La procedura prevede che le cellule vengano poste in una miscela di tampone fisiologico, glicerolo e cloruro
di calcio ed infine ad uno shock termico (si passa da 0° a 42°).
La superficie di batteri come E. coli è caricata negativamente per la presenza di fosfolipidi e
lipopolisaccaridi sulla superficie cellulare e anche il DNA è carico negativamente. Una funzione del catione
bivalente potrebbe essere quella di schermare le cariche, coordinando i gruppi fosfato e le cariche negative
della superficie batterica, consentendo così ad una molecola di DNA di aderirvi. L’esposizione al freddo
inoltre destabilizza la struttura delle membrane e della parete cellulari, rendendole più permeabile al DNA.
Si pensa che l'impulso di calore crei uno squilibrio termico su entrambi i lati della membrana cellulare, che
costringe il DNA a entrare nelle cellule attraverso i pori o la parete cellulare danneggiata.
Il glicerolo oltre a funzionare come destabilizzante in quanto cosolvente, serve anche come crioprotettore,
abbassando il punto di congelamento della sospensione ed evitando che si formino aghi di ghiaccio
all’interno delle cellule batteriche.
Ci sono aziende che producono cellule competenti standardizzate, per garantire la riproducibilità del metodo.
Queste cellule competenti vengono conservate in freezer in glicerolo e CaCl2; al momento dell’uso
scongeliamo a 37°C, preleviamo un’aliquota, la mettiamo in ghiaccio, aggiungiamo il pasmide e incubiamo
per 1 ora. Si pone poi la epperndorf repentinamente a 42° e avviene l’incorporazione.
Per la crescita della coltura batterica non si può utilizzare un terreno di coltura liquido, perché le cellule sono
estremamente labili e il tasso di sopravvivenza è più basso; è quindi necessario farli crescere su piastra Petri,
su terreno solido (terreno liquido addizionato di un gelificante, di solito agar agar). Qui hanno degli
ancoraggi fisici al terreno e riescono a crescere e duplicarsi in modo soddisfacente. Il limite del terreno
solido è la crescita limitata alla superficie, per cui lo spazio fisico disponibile alla crescita è minore rispetto
al volume che avrebbero in sospensione, per cui si opera l’inoculo: si preleva una colonia dal terreno solido e
si inserisce in terreno liquido per farla crescere. Questa metodologia serve anche a selezionare un solo tipo di
batterio tra tutti quelli trasformati, per avere uniformità nel campione e diminuire la competizione tra batteri
diversi.
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Elettroporazione
L'elettroporazione, o elettropermeabilizzazione, è un aumento significativo della conduttività elettrica e della
e permeabilità della membrana plasmatica, causate dall’applicazione di un campo elettrico esterno, che
genera dei pori sulla superficie; il meccanismo con cui questo avviene non è ancora ben chiaro.
È un metodo 10 volte più efficiente rispetto all’altro, soprattutto se si deve incorporare un plasmide di grandi
dimensioni.
La sospensione batterica viene inserita in una cuvetta dotata di due elettrodi
metallici, attraverso cui si applica la differenza di potenziale e si ha la
generazione del poro idrofilo, cioè con la superficie ricoperta dalle teste polari
dei fosfolipidi.
ΔV
È più complesso come metodo, perché richiede lo strumento ma è necessario
per introdurre plasmidi a PM elevato.
Velocità di elettromigrazione La velocità di corsa di una particella dipende dal campo elettrico (costante
nel sistema) e quantità di carica (costante per incremento di massa), fratto
6π e viscosità (costante nel messo dato) e r raggio idrodinamico (unica
variabile dell’equazione), direttamente proporzionale al peso molecolare,
a sua volta direttamente proporzionale al numero di basi.
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Traccianti
Sono di solito di colore blu e servono per verificare quando è terminata la corsa elettroforetica. I più
utilizzati sono il blu di bromofenolo e lo xilene cianolo.
Sono piccole molecole organiche con Rf che corrisponde ad un tratto di DNA con 5k bp (blu bromofenolo) e
300bp (xilene cianolo)
Coloranti
A rigore si dovrebbe aggiungere un intercalante sia al sample loading buffer che alla soluzione di agarosio,
che funge poi anche da colorante.
Storicamente si utilizzava etidio bromuro, molto tossico; ad oggi si utilizzano suoi derivati molto più idrofili,
come GelRed, GelSafe o CyberGreen, che non passano l’epidermide. Essendo più idrofili, non hanno buone
caratteristiche da intercalanti. Il motivo per cui serve l’intercalante è che i plasmidi hanno superavvolgimenti
negativi, che falsano i risultati della corsa elettroforetica: il ruolo degli intercalanti è quello di introdurre
superavvolgimenti positivi, rilassando il DNA circolare. (diminuisce il numero di twist)
Linking: numero di volte che un filamento passa sopra all’altro nel DNA chiuso. Questo numero è costante
in DNA chiusi, per cui se da una parte li diminuisco (come nell’apertura di una forcella di repicazione) a
valle nell’unità di spazio aumentano.
Twisting: numero di volte che la doppia elica ruota su sé stessa
Writhing: numero di volte che un filamento si sovrappone si sovrappone all’altro all’interno della struttura
terziaria (superavvolgimenti)
Con gli intercalanti si ottiene il topoisomero rilassato, senza superavvolgimenti. C’è una concentrazione
ottimale da utilizzare; se in eccesso si rischia di ottenere un DNA superavvolto positivamente.
In blu c’è lo spettro di assorbimento ed in rosso quello
di fluorescenza. L’etidio assorbe intorno a 520nm e
320nm; essendo il massimo a 320nm più intenso, anche
la fluorescenza che ne deriva sarà più intensa ed
avviene intorno ai 615 nm. Poniamo il gel su un trans-
illuminatore con lampada a luce bianca (che contiene
anche UV) e avviene l’emissione dove c’è il colorante.
Questi si trovano anche in altre parti del gel, ma
l’emissione è circa 100 volte più intensa quando questi
sono coniugati al DNA.
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Estrazione del DNA dal gel di agarosio
È possibile utilizzare l’elettroforesi per andare a micropurificare il DNA di interesse (sono rilevabili fino a
20 picogrammi) per poi amplificarlo con la PCR.
È importante non irraggiare il gel con lunghezze d’onda più basse di 300nm, cioè con UV.
Approfondimento: Dimeri di timina
Sotto l'effetto della radiazione UV, due timine consecutive sullo stesso filamento di DNA (e in misura
minore citosine) possono formare un dimero covalente. Questo dimero risulta da una cicloaddizione tra le
due basi adiacenti che formano due legami inter-nucleotidici, determinando la formazione di un
anello ciclobutano tra le due timine consecutive sullo stesso filamento. Si parla di dimero di ciclobutano
delle pirimidine o CPD (dimero di ciclobutano-pirimidina). Questa ciclizzazione deforma e irrigidisce il
DNA e impedisce alla DNA polimerasi di sintetizzare il filamento complementare uno di fronte all'altro
durante la replicazione del DNA, che blocca la divisione cellulare.
La formazione dei dimeri di timina riducono la quota di DNA analizzabile, perché non sono rilevabili con le
tecniche di sequenziamento conosciute, per cui è preferibile diminuire un po’ la sensibilità del metodo ed
irraggiare a 520 invece che 320nm.
Elettroeluizione in dialisi
In sacchetto da dialisi viene posta la banda ritagliata del gel con tampone TEA, all’esterno altro tampone e si
applica una differenza di potenziale in modo che sul sacchettino ci sia il polo negativo e nella zona esterna
quello positivo: se i pori del sacchetto sono sufficientemente grandi per far passare il DNA, questo migregrà
verso l’esterno mentre l’agarosio nello stato gelificato rimarrà all’interno perché troppo grande per quei pori.
Low-melting agarose gel ed estrazione liquido/liquido
Ci sono alcuni tipi di agarosio che sono basso-fondenti, a catena relativamente corta, che tornano da gel a sol
a temperature abbastanza basse, 27-30°C. Viene ritagliata la banda di gel e si scalda a 30°, temperatura a cui
il DNA è stabile. Se si deve condurre un’analisi chimica, come il sequenziamento, non è un problema che ci
sia l’agente intercalante; se invece voglio il DNA senza intercalante, per esempio per eseguire la PCR o per
trasformare una coltura batterica […]
Dopo il melting dell’agarosio si opera un’estrazione in fenolo/cloroformio: soluzione satura di fenolo in
cloroformio a 30°, si aggiunge tampone e il DNA si troverà nella fase acquosa, su cui si dovrà poi effettuare
un’estrazione con etere per rimuovere le tracce di fenolo.
Low-melting agarose gel e digestione enzimatica dell’agarosio
Un altro metodo per rimuovere il DNA dall’agarosio è quello di utilizzare un enzima che lo degradi
idroliticamente, l’agarasi, ottenendo frammenti di agarosio che sono solubili. È poi possibile purificare il
DNA attraverso la precipitazione in etanolo al 95% o come prima con l’estrazione fenolo/cloroformio.
Purificazione con spin column
Le spin column sono eppendorf dotate di un cestello con una piccola colonna cromatografica di silice fusa.
Si va a dissolvere il gel con un agente caotropico (guanidinio cloruro) a 50° e tampone TEA; il gel di
agarosio non è un reticolo covalente ma è stabilizzato da interazioni deboli, per cui un agente caotropico
destabilizza la struttura e dissolve il gel. La soluzione risultante viene caricata sulla spin column e il DNA, in
presenza di Na+ (che fa da ponte cationico tra i silanoli carichi negativamente ed il DNA anch’esso carico
negativamente) e guanidinio (che altera la struttura tridimensionale dell’acqua) si lega abbastanza
tenacemente ali silanoli della silice mentre il resto viene eluito mediante centrifugazione; è poi possibile
eluire il DNA addizionando H2O e spinnando.
I co-solventi sono definiti cosmotropici (dal greco "che fanno ordine") qualora contribuiscano alla stabilità
e alla struttura delle interazioni acqua-acqua. I cosmotropi favoriscono l'interazione tra molecole d'acqua.
il che stabilizza anche le interazioni intramolecolari in macromolecole come le proteine.[1] Qualora il co-
solvente causasse l'effetto opposto, prenderebbe il nome di agente caotropico ("che fanno disordine), il
quale disturba la struttura dell'acqua favorendo, così, la solubilità di particelle non polari e destabilizzando
gli aggregati di soluto.
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Estrazione di acidi nucleici
MiniPrep
L’estrazione del DNA plasmidico può essere effettuata su 3 scale: mini, midi e maxi. La mini prevede
l’utilizzo di 5ml di coltura cellulare in terreno liquido. Questo step serve per andare a purificare tutto il DNA
plasmidico prodotto da una coltura di cellule competenti (DH5α), che abbiamo trasformato con una piccola
quantità di plasmide, facciamo un’elettroforesi per vedere se è puro, e poi aggiungerlo ad un’altra coltura di
cellule (BL21) specializzate nell’espressione di proteine (ad esempio che hanno molti ribosomi).
1- Rottura delle cellule con lisi osmotica. Si aggiunge buffer GTE (glucosio/tris/EDTA): le cellule
importano il glucosio utilizzando i trasportatori di superficie. Questo fa aumentare la pressione
osmotica interna ed inizierà quindi ad entrare anche acqua. Data l’alta concentrazione esterna del
glucosio, l’acqua continua ad entrare insieme al glucosio fino a causare la lisi osmotica del batterio.
Alla miscela è aggiunta anche la ribonucleasi, per degradare gli mRNA, i più accessibili, perché
quelli ribosomiali sono ancorati ai ribosomi e i trna hanno struttura secondaria e terziaria quindi sono
meno disponibili all’attacco.
2- Lisi alcalina: si aggiunge una soluzione di SDS e NaOH 0.2M, condizioni molto denaturanti e la
ribonucleasi è ancora sufficientemente attiva. L’SDS va a sfaldare i relitti di membrana, NaOHconc
causa denaturazione delle proteine e idrolisi dei fosfolipidi, ma soprattutto denaturazione chimica
dell’RNA: a queste condizioni vengono sfaldate le membrane del RER, denaturazione chimica e
idrolisi del tRNA e rRNA, sia da NaOH che da ribonucleasi. La soluzione ottenuta è fortemente
alcalina e denaturate. A queste condizioni si denatura anche il DNA genomico e quello plasmidico,
che sono a single strand; essendo però questi circolari, non c’è separazione fisica ma rimangono
catenati
3- Salting out del DNA genomico: si aggiunge soluzione molto concentrata di AcK, che contribuisce al
pH alcalino e poi si va a neutralizzare con acido acetico glaciale (pH=4.8); in queste condizioni
otteniamo un pH di circa 7. Nella miscela è presente anche una bassa concentrazione di guanidinio
cloruro, che serve sia per ottenere una denaturazione completa delle proteine che per la purificazione
dello step successivo con la spin column. Con la soluzione a così alta forza ionica otteniamo:
precipitazione di SDS-membrane
precipitazione delle micelle di SDS
precipitazione tramite salting out delle proteine
precipitazione del DNA genomico, che essendo più grande non riesce a rinaturarsi nel duplex
idrosolubile, quindi aggrega e precipita.
Il DNA plasmidico, essendo più piccolo, riesce a rinaturarsi e formare il duplex
4- Separazione su spin column: nella soluzione abbiamo solo il DNA plasmidico, tracce di proteine,
tracce di lipidi, tracce di RNA degradato nei suoi monomeri; spinniamo e carichiamo il surnatante
nella spin column: con ioni alcalini e guanidinio che abbiamo già messo, solo il DNA rimarrà legato
alla silice mentre tutto il resto sarà eluito con etanolo al 75% con la centrifugazione. si aggiunge poi
acqua e otteniamo il DNA plasmidico per centrifugazione.
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Southern blotting e gene phishing: gel non viene colorato, viene immerso in soluzione NaOH per
avere la denaturazione del DNA duplex, al di sotto del gel di agarosio c’è una spugna, al di sopra c’è
foglietto di nitrocellulosa (molto più apolare della
cellulosa) o Immobilon. Ancora sopra si mette una
pila di carta assorbente e ancora sopra un peso
distribuito uniformemente su tutta la superficie. Per
capillarità, la soluzione di NaOH sale dalla spugna al
gel al foglietto di nitrocellulosa alla carta assorbente,
ed in questo passaggio il DNA single strand riesce ad
attraversare le maglie dell’agarosio e va ad aderire al
foglietto di nitrocellulosa/Immobilon. Dopo una notte
si può colorare il gel per vedere se ci sono residui di
DNA che non si è trasferito. A quel punto si mette ad
incubare il foglietto in una vaschetta con una
soluzione del nostro oligonucleotide sintetico marcato
con fluoroforo all’estremità 5’ per andare a pescare il
gene d’interesse.
A questo punto, se abbiamo preparato due gel uguali,
sul secondo non facciamo il blotting ma lo coloriamo
con intercalanti, sappiamo quale banda contiene il
gene d’interesse quindi andiamo a tagliarla e possiamo
fare PCR e sequenziamento. Yuppi! Dopo aver
sequenziato, si possono usare enzimi di restrizione per
tagliarlo in modo selettivo e ottenere solo la sequenza
codificante (se il gene non subisce splicing. Se lo subisce bisogna usare la trascrittasi inversa).
60
DNA Ligasi
L’enzima utilizzato nella biotecnologia è di origine virale, dal batteriofago T4.
1- enzima adenilato attraverso attacco della
lisina dell’enzima sul fosfato dell’ATP ed
uscita di PPi;
2- enzima catalizza attacco del 5’ del DNA da
ricucire sull’adenilato, con liberazionde
dell’enzima; si forma legame fosfoanidridico;
3- enzima catalizza attacco dell’OH in 3’ dell’altro tratto
di DNA sul fosfato, che ora è anidridico, quindi molto più
elettrofilo con l’adenilato, con liberazione dell’AMP.
Applicazioni: clonaggio si siti di restrizione (per ricucire le
sticky ends di frammenti di restrizione);
Mutagenesi sito-specifica
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Labelling degli acidi nucleici
Con la sintesi chimica degli acidi è possibile utilizzare fosforammiditi non nucleosidiche per ottenere un
filamento con l’estremità 5’ che sia fosforilata, in modo che possa essere utilizzato come substrato della
ligasi.
In alternativa, è possibile ricorrere ad un labelling enzimatico, cioè una fosforilazione del 5’ operata da una
chinasi, che trasferisce un gruppo fosfato dall’ATP all’estremità 5’ del filamento.
L’enzima utilizzato è la T4-polinucleotide-chinasi, T4 PNK, anche questa da batteriofago T4 ed è in grado
di utilizzare come substrati entrabi gli acidi nucleici e sia single strand che double strand.
Con il labelling chimico è possibile utilizzare fosforammiditi non nucleosidiche che abbiamo il fosforo
variamente funzionalizzato, per introdurre nella molecola gruppi chimici d’interesse.
62
Mutagenesi sito-specifica
È possibile congegnare nuovi geni con proprietà specifiche operando attraverso tre tipi di mutazioni:
delezioni, inserzioni e sostituzioni.
È utile per produrre proteine ma soprattutto enzimi cataliticamente più efficienti, più stabili alle condizioni
sperimentali (T, pH, solventi organici) e magari con specificità di substrato diverse; ancora proteine
terapeutiche con maggiore affinità per il ligando, quindi più attive, o con migliore profilo farmacocinetico, o
meno immunogeniche etc.; l’approccio della SAR/QSAR viene quindi mantenuto anche per quanto riguarda
i farmaci biologici, cercando di migliorare la farmacodinamica e la farmacocinetica. Ovviamente lavorare
con macromolecole invece che con piccole molecole organiche è molto più complesso, perché oltre alla
relazione composizione chimica-attività, c’è quella struttura-attività, per cui una variazione chimica (un aa al
posto di un altro) può dare informazioni dirette sulle proprietà della proteina in quella posizione solo se la
struttura tridimensionale locale e totale rimangono invariate; quando una sostituzione (anche conservativa,
tipo valina-isoleucina) influenza la funzione si deve verificare che la struttura sia rimasta invariata, perché è
possibile che in realtà la mutazione non abbia a che vedere strettamente con la funzione (non fa parte di siti
attivi, allosterici o di legame) ma induce un cambiamento conformazionale che a sua volta influisce sulla
funzione.
Delezione
Una delezione specifica può essere prodotta scindendo un plasmide in due siti con un enzima di restrizione e
farlo richiudere a formare un cerchio più piccolo. Questo semplice approccio di solito rimuove un grande
tratto di DNA. Una delezione più piccola può essere realizzata tagliando un plasmide in un singolo sito. Le
estremità del DNA lineare vengono poi idrolizzate con un'esonucleasi che rimuove i nucleotidi da entrambi
fili ed il tratto di DNA accorciato viene quindi legato per formare un cerchio in cui manca un breve tratto di
DNA intorno al sito di restrizione. È utile per capire la funzione di un dominio o di una zona, producendo un
mutante troncato e facendo poi un saggio di attività, vedendo se funziona ancora o no.
Sostituzione
Le proteine mutanti con sostituzioni di singoli amminoacidi possono essere facilmente prodotte dalla
mutagenesi diretta da oligonucleotidi. Supponiamo di volere sostituire un particolare residuo di serina con
uno di cisteina. Se la serina di interesse è codificata da TCT, dobbiamo cambiare
la C in una G per ottenere la cisteina, che è codificato da TGT. Questo tipo di
mutazione è chiamata mutazione puntiforme
perché solo una base viene sostituita.
La chiave di questa mutazione è sintetizzare
un primer oligonucleotidico che è
complementare a questa regione del gene
tranne per il fatto che contiene TGT al posto
del TCT.
Il DNA viene denaturato e si utilizza una topoisomerasi per ottenere la
decatenazione dei due filamenti; il primer viene poi ibridizzato con filamento
complementare. La mancata corrispondenza di una coppia di basi su 15 è
tollerabile se l’annealing viene effettuato alla temperatura appropriata. Dopo
l’appaiamento al filamento complementare, il primer viene allungato dalla DNA
polimerasi, che sintetizza tutto il filamento mancante e il cerchio a doppio
filamento viene chiuso aggiungendo DNA ligasi, ottenendo un DNA che contiene
un mismatch, un appaiamento sbagliato. Con questo plasmide si opera la
trasformazione di una coltura batterica competente, che viene fatta crescere in
terreno solido e poi in terreno liquido. La successiva replicazione di questo
duplex da parte delle cellule che lo hanno incorporato produce due tipi di
63
progenie, una col plasmide puro con la sequenza TCT originale e una col plasmide puro con la sequenza
TGT mutata, tutte nella stessa provetta. Per selezionare la linea cellulare col plasmide mutato si va a
piastrare su terreno solido, in cui statisticamente avremo il 50% di uno e 50% dell’altro; dal terreno solido si
prelevano 4 colonie e si inoculano separatamente (almeno una sarà quella col plasmide mutato); dopo
duplicazione si effettua miniPrep e si sequenzia (unico modo per rilevare la mutazione puntiforme), per
sapere quale delle 4 provette contiene le colonie con plasmide mutato.
Si estrae il plasmide, viene trasformata una linea cellulare vettori d’espressione BL21star o BL21gold, IPTG
ed ottengo la catena polipeptidica. Fatto ciò, bisogna vedere se la proteina si refolda spontaneamente o
meno.
64
Biospettroscopia
Quando si introduce una mutazione all’interno di una proteina, è sempre necessario andare a valutare
eventuali cambiamenti indotti dalla mutazione nella struttura tridimensionale; analogamente, quando si
produce un polipeptide in coltura batterica, bisognerà verificare che la struttura tridimensionale sia la stessa
della proteina estratta da fonte naturale, perché queste hanno subito processamenti metabolici diversi e
processi di purificazione diversi, che potrebbero aver influito sulla conformazione nello spazio.
Le tecniche spettroscopiche ottiche sono dette a bassa risoluzione ma ci danno informazioni importanti nella
comparazione tra due proteine.
Spettroscopia UV
La spettroscopia UV lavora nel lontano UV (180-250nm) e nel vicino UV (250-350nm).
L’assorbimento della radiazione em da parte di un campione con cromofori soltanto se la differenza di
energia tra lo stato elettronico fondomantale e lo stato elettronico eccitato è
uguale ad hν della radiazione incidente, e l’elettronce viene promosso verso lo
stato eccitato.
Principio di Franck&Condon: nel periodo di tempo in cui avviene la transizione, gli e- si muovono e
determinano una redistribuzione elettronica, ma i nuclei e le molecole di solvente rimangono ferme. Una
conseguenza diretta è che se le particelle negative cambiano la loro distribuzione mentre quelle positive no,
si avrà un cambiamento nel dipolo elettrico. δ- δ+
Regole di selezione:
1- Regola di selezione elettronica: c’è assorbimento se e solo se la variazione del
momento di dipolo elettrico associata alla transizione elettronica è diversa da
zero; l’intensità dell’assorbimento è funzione del quadrato della variazione
stessa.
3- Regola di selezione di simmetria: sono più probabili le transizioni elettroniche che avvengono tra
orbitali con simmetria simile. In altre parole, una transizione è
permessa solamente se la simmetria della distribuzione
elettronica della ² si conserva durante la transizione
Esempio π π* permessa per simmetria; n π* proibita
per simmetria.
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Gli orbitali n e π* sono simmetrici
rispetto a piani diversi, mentre π e π*
sono simmetrici rispetto allo stesso
piano (xz).
Nello spettro di assorbimento UV dell’acetone vediamo un piccolo picco a 274nm, dovuto alla transizione
nπ*, ma l’intensità è molto modesta perché formalmente quella transizione è proibita per simmetria; il
picco a 195nm è invece molto intenso, perché dovuto ad una transizione permessa per simmetria e la
lunghezza d’onda è più bassa perché la differenza di energia tra i due orbitali è maggiore. Il motivo per cui
comunque un picco a 275nm c’è è dovuto ai movimenti di stretching e bending dei legami covalenti, per cui
una molecola non è rigida e si osservano delle eccezioni (in realtà si parla di probabilità che un fenomeno
avvenga: se è sfavorito, la probabilità è minore e meno molecole della popolazione si troveranno nella
situazione favorevole affinché il fenomeno avvenga).
Legame peptidico
nodi Nel legame peptidico abbiamo tre centri: un
ossigeno carbonilico, un carbonio carbonilico e
l’azoto; sono presenti due e-π tra il carbonio e
l’ossigeno e due e- dell’azoto che sono
parzialmente delocalizzati sull’insaturazione
adiacente, per cui il legame C-N ha parziale
carattere di doppio legame per un totale di 4e-π
Gli orbitali risultanti sono il π1 di legame con i 3
orbitali atomici 2p tutti in fase, l’orbitale π2 di
non legame, che ha un nodo sul carbonio, cioè
assenza di densità elettronica, e l’orbitale π3*, che
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è di antilegame, con gli orbitali 2p tutti fuori fase e in cui ci sono due nodi, uno tra il carbonio e l’azoto e uno
tra il carbonio e l’ossigeno.
I due orbitali atomici n1 e n2 sono quasi isoenergetici e sono i due orbitali sp2 dell’ossigeno.
I primi due orbitali molecolari sono occupati ciascuno da due elettroni con spin opposti, secondo il principio
dell’Aufbau; le transizioni che si vanno ad indagare sono la π π3* che avviene intorno a 190nm e le
2
Amminoacidi aromatici
Il cromoforo più abbondante nelle proteine è sicuramente il legame peptidico (su 100aa abbiamo 99 legami
peptidici), ma ci sono anche altri cromofori che hanno intensità di assorbimento rilevante e sono gli
amminoacidi aromatici. Questi assorbono sia nel lontano UV per le transizioni etileniche, permesse per
simmetria, che danno infatti bande molto intense, che nel vicino UV, per transizioni benzenoidi,
formalmente proibite per simmetria e sono:
il triptofano, con un massimo di assorbimento a
280nm e una spalla a 290nm
la tirosina, massimo a 275nm e spalla intorno a
280
e la fenilalanina, con massimo a 257nm
Poi abbiamo i picchi di assorbimento nel lontano
UV, tra 210 e 230nm.
In questo modo è possibile stimare con buona approssimazione il coefficiente di assorbività molare di una
proteina (le cisteine libere non assorbono, solo i ponti disolfuri)
67
Queste bande sono dette
bande benzenoidi,
perché le transizioni che
le determinano sono
simili a quelle che si
hanno nel benzene.
Queste sono
formalmente proibite
per simmetria.
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S0 identifica lo stato fondamentale della
molecola (l’HOMO, da dove partono gli
elettroni) mentre gli stati elettronici eccitati
sono identificati con Sx con x che è un
qualsiasi stato eccitato che soddisfi la
condizione di quantizzazione dell’energia
(E=hν) e il principio di Franck-Condon (la
posizione dei nuclei non cambia).
All’interno di uno stesso stato è poi possibile
identificare diversi livelli vibrazionali, v; non
consideriamo i livelli rotazionali.
Un cromoforo parte da v0S0 e arriva a vxSx qualsiasi; avviene poi una interconversione interna: se il
cromoforo non è fluorescente, tornerà direttamente allo stato fondamentale S0 (con v che dipende dalla
temperatura) convertendo l’energia elettromagnerica assorbita in energia cinetica di bending e stretching dei
legami; il tempo di interconversione è 100 volte maggiore rispetto a quello dell’assorbimento. Come ultimo
fenomeno c’è il fenomeno del rilassamento del solvente, cioè il tempo che ci mette a riorientare il proprio
dipolo in funzione della nuova distribuzione ed è 10000 volte più lento; dato che il solvente polare
destabilizza lo stato eccitato, perché tra i suoi dipoli e quelli della molecola c’è repulsione elettrostatica, lo
stato eccitato sarà ad un’energia ancora maggiore, cioè aumenta il ΔE e di conseguenza la λmax subirà un blue
shift. (maggiore è la forza d’interazione solvente-soluto allo stato fondamentale, maggiore sarà la
destabilizzazione dello stato eccitato).
Applicazione: in una proteina nello stato nativo, i cromofori aromatici essendo prevalentemente apolari si
trovano nel core idrofobico; in una proteina denaturata, invece, questi cromofori passano da un intorno
chimico apolare ad un intorno chimico polare e di conseguenza si ha un blue shift della λ max; si può quindi
monitorare l’unfolding di una proteina solo con assorbimento UV.
Analogamente, se una proteina ha un sito di binding ed il ligando interagisce con esso (normalmente i siti di
binding hanno una percentuale molto alta di aa aromatici rispetto a tutto il resto della proteina) si avrà
espulsione di acqua a seguito del legame e quindi si registrerà un red shift della λmax (studio di binding: da
recettore libero con cromofori esposti al solvente a recettore legato con cromofori in intorno apolare. Si
osserva lo spettro UV di recettore da solo e recettore+eventuale ligando, se c’è red shift c’è legame).
(La costante di equilibrio di dissociazione di un complesso è data dal rapporto tra la costante cinetica di
dissociazione fratto la costante cinetica di associazione. Per migliorare la KD si può lavorare su una delle due
costanti cinetiche mantenendo costante l’altra, oppure nei casi migliori entrambe. Indispensabile per uno
studio QSAR fare misure cinetiche. Inoltre dalla KD si può ricavare il ΔG = -RT lnKA, dove KA=1/KD=KD-1
da cui ΔG = +RT lnKD. Il ΔG dipende inoltre da una componente entalpica ed una entropica, che vanno
correlate alla KD).
Spettro in derivata: in linea di massima lo spettro non risulta abbastanza selettivo per caratterizzare una
molecola. Quando si tratta di distinguere fra
sostanze molto simili, è possibile utilizzare
proficuamente lo spettro UV-Vis mediante la
registrazione dello spettro in derivata.
Quando le bande di assorbimento, che in UV-Vis
sono solitamente larghe, non hanno una struttura
sufficientemente risolta, gli spettri di sostanze
simili appaiono praticamente uguali. In questi casi,
se il rumore di fondo è sufficientemente basso, è
possibile tracciare anche la derivata
della funzione f =A/λ
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Si produce una proteina ricombinante wild-type ed un
mutante, con dovute mutazioni che ne migliorino le
proprietà farmacocinetiche e farmacodinamiche, e si
vuole verificare che il fold complessivo non sia alterato
(cioè il microintorno chimico in cui si trovano i
cromofori aromatici); si registrano gli spettri in derivata
seconda della wild-type e della mutante (o anche della
wild-type ricombinante e quella naturale estratta, per
vedere se effettivamente quella ricombinante si folda in
modo corretto) e si osserva se siano o meno
sovrapponibili. Se non lo sono, si va ad indagare con
altre tecniche più specifiche. Questa tecnica è molto utile perché ci fornisce l’impronta digitale della
topologia dei cromofori aromatici all’interno di una struttura proteica con una tecnica economica e che
richiede piccole quantità di campione.
Limiti: nel caso in cui i cromofori siano poco presenti o presenti solo in una regione della proteina, lontano
dalla mutazione introdotta è necessario incrociare più dati, come il dicroismo circolare e HDX-MS, sia a
livello globale che locale, per arrivare ad un’interpretazione convergente.
Fluorescenza
Sorgente di solito di raggi nel vicino UV (la proteina viene eccitata a
280nm o 295nm), cuvetta col campione in soluzione, questo assorbe e
riemette la radiazione in tutte le direzioni. Si registra la radiazione emessa
come fluorescenza a 90° rispetto alla direzione della radiazione incidente
(la diffusione della luce -light scattering- potrebbe complicare lo spettro
di emissione col suo contributo perché viene rilevata dal detector. Si
registra a 90° perché l’intensità dello scattering dipende dal coseno
dell’angolo tra radiazione incidente/emessa e quindi essendo zero viene
minimizzata).
Tempi: assorbimento 10-15s, conversione interna 10-13s, tempo di vita dell’e- nello stato eccitato di solito è 10-
8
10-9 s, mentre il tempo di rilassamento del solvente 10-11s.
Un fluoroforo si distingue da un cromoforo
perché l’elettrone a seguito
dell’assorbimento e della conversione
interna non decade direttamente a vxS0
dissipando l’energia radiante assorbita
sotto forma di energia cinetica, ma rimane
per più tempo a v0S1 e poi decade
emettendo radiazione elettromagnetica ad
una lunghezza d’onda ovviamente diversa
rispetto a quella d’assorbimento, perché
una parte dell’energia viene dissipata come
energia cinetica per la conversione interna
vxSx v0S1. Dato che il ΔE è direttamente
proporzionale a 1/λ, minore ΔE
maggiore λmax. L’emissione segue tutte le
regole descritte per l’assorbimento e
avviene in 10-15s.
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La differenza tra la λmax di assorbimento e la λmax di
emissione è definita shift di Stokes e dipenderà
dallo stato vibrazionale vx di S0 a cui decade
l’elettrone (più è alto x, maggiore è la differenza tra
i 2 ΔE e maggiore è lo shift)
Differenza cromoforo-fluoroforo
Basi strutturali che differenziano un cromoforo da un
fluoroforo: difenilmetano e fluorene differiscono
solo per un ponte che unisce le due strutture
benzeniche a formare un triciclo, e rende molto più
rigido e planare il fluorene. In termini energetici e
curve di Morse (che vediamo semplificate come se
fosse una molecola biatomica), nel difenilmetano
v0S1 è molto vicino ai livelli vibrazionali più alti di S0
per cui l’elettrone continua la sua conversione
interna fino a vxS0; nel fluorene invece non c’è
continuità tra i livelli vibrazionali di S0 e S1 e
l’elettrone, arrivato a v0S1, decade emettendo energia
radiante. La motivazione risiede nelle costrizioni
strutturali presenti nel fluorene rispetto al difenilmetano: i livelli vibrazionali più alti di S0 nel difenilmetano
arrivano a valori più alti, perché essendo flessibile riesce a sopportare stati energetici più alti, come le varie
conformazioni eclissate ad alta energia; nel fluorene invece, oltre una soglia energetica, non avendo libertà
conformazionale, avviene proprio un cambiamento dell’identità chimica, si rompono i legami. Il
difenilmetano, infatti, ha un’intensità di fluorescenza bassissima, al contrario del fluorene.
Questi sono alcuni dei fluorofori più utilizzati nella
biologia: c’è ampia delocalizzazione degli elettroni π in
quanto planari.
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L’istidina assorbe pochissimo e non fluoresce.
Con ϕ si indica la resa quantica, cioè il rapporto tra l’intensità della radiazione emessa e di quella assorbita;
il parametro varia tra 0 e 1. La fenilalanina, eccitando alla sua λmax, emette a 282nm con una resa quantica
del 4%, molto poco; la tirosina del 14%, il triptofano del 20%, più o meno comparabili. Ma gli spettri di
fluorescenza di una proteina sono dominati dall’emissione del triptofano, perché l’indolo è molto
fluorescente. Il triptofano è il fluoroforo naturale nelle proteine (che a livello di abbondanza percentuale
ricorre con una frequenza solo dell’1.3%) ed essendo raro dalle sue proprietà di fluorescenza si possono
ricavare informazioni sito specifiche, perché in una proteina ce ne sono di solito uno o due.
L’altro parametro è la sensitivity, dato dal prodotto εmaxϕf, in cui ε è calcolato alla λmax di assorbimento, e ci
riporta in modo più fedele il contributo del fluoroforo allo spettro di fluorescenza della proteina. È
importante perché la fluorescenza, essendo una tecnica di decadimento, presuppone un assorbimento; a
parità di probabilità di decadimento da v0S1 a vxS0 (resa quantica), l’intensità di emissione dipende da quanto
è popolato lo stato eccitato (e ce lo indica ε, perché a ritroso: se ε è alta vuol dire che c’è stato un alto
assorbimento, quindi molte molecole hanno assorbito la radiazione stato eccitato molto popolato); a parità
di altre condizioni, più popolato è lo stato eccitato, più molecole ci saranno ad emettere e l’intensità
dell’emissione sarà maggiore.
Approfondimento:
La presenza di diversi picchi distinti negli spettri di assorbimento è la
struttura fine dello spettro e sono dovute alle diverse transizioni
vibroniche: le transizioni in assorbimento di solito partono da v0S0,
perché a temperatura standard lo stato vibrazionale a energia più
bassa è quello più popolato e si ottiene una transizione ad una
determinata lunghezza d’onda; ma in accordo con la curva di
distribuzione di Maxwell-Boltzmann, sappiamo che un numero di
particelle occuperà anche stati vibrazionali più alti, sebbene con
probabilità minore: quando è popolato solo v0 e la differenza di energia tra i livelli vibrazionali è piccola si
vede una sola banda; quando invece anche v1, v2, v3 sono popolati, dovuto a proprietà intrinseche
strutturali della molecola e la differenza di energia tra questi è significativa, allora non si ottiene un
continuum ma a lunghezze d’onda sufficientemente distinte si vedono le transizioni che partono da v1, v2,
ecc, da cui quelle bande sono chiamate Bande Vibroniche.
Dagli spettri di tirosina e triptofano si nota una certa sovrapposizione dei rispettivi assorbimenti: a 280nm
vengono eccitati sia i residui di tirosina che quelli di triptofano; a 295 nm invece vengono eccitati
selettivamente i residui di triptofani, perché a quella lunghezza d’onda l’assorbimento della tirosina è circa
1/27 rispetto a quella del triptofano; tra i due è il triptofano quello che risente di più dell’intorno chimico e
per questo è il fluoroforo d’elezione utilizzato come sonda spettroscopica per ottenere informazioni
strutturali. Il motivo per cui succede è che gli orbitali molecolari dello stato eccitato del triptofano sono più
diffusi e quindi polarizzabili rispetto a quelli della tirosina (nuvola elettronica molto più deformabile).
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Effetto solvente e dell’intorno chimico
Grande differenza c’è se il triptofano si trova in un interno rigido e
apolare, come il core, o flessibile e polare, come la superficie; risulta
quindi molto utile per carpire il folding della proteina, o il binding di un
ligando fluorescente ad una proteina non fluorescente e viceversa.
λ max da330 a 350 nm e diminuzione dell’intensità di fluorescenza, quindi
di resa quantica.
Questo spettro è stato ottenuto irraggiando a 295nm, dove il triptofano
ancora assorbe mentre la tirosina non più.
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