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Produzione e caratterizzazione di proteine terapeutiche

UV: 100<nm<380
VIS: 380<nm<760

Ad oggi risulta più opportuno parlare


di sistema terapeutico piuttosto che di
farmaco.
Peptidi ed oligonucleotidi a livello
industriale vengono prodotti per via
sintetica; le proteine invece tramite
bioreattori.

Farmaci peptidici
Nella sintesi proteica operata in vivo dai ribosomi la sintesi
avviene dall’ N- terminale al C- terminale, così come nei
bioreattori batterici. Nella sintesi chimica, invece,
l’elongazione del peptide avviene al contrario (è retrogada):
si parte dal C-terminale procedendo verso l’N-terminale.
La sintesi chimica di peptidi risulta particolarmente
vantaggiosa perché permette di introdurre:

- D-aa
- Aa non naturali
- Modifiche post trasduzionali
- Ramificazioni
- Peptidi ciclici
- Marcatori per fluorescenza o isotopi

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Applicazioni dei peptidi
Le applicazioni dei peptidi come farmaci sono molto ampie:
- Peptidi che hanno un ruolo nell’immunoterapia (peptidi antigenici, vaccini, reattivi nella diagnostica, ecc),
- Peptidi con attività ormonale (ossitocina, vasopressina, insulina, ecc),
- Peptidi neuroattivi
- Peptidi come antibiotici
- Inibitori enzimatici
- Peptidi che mimano la funzione di una proteina: producono degli scaffold chiamati “mini proteine” o
foldamers “foldameri”
- Peptidi ciclici: più attivi di quelli lineari solitamente
- Peptidi come carriers (peptidi che contengono sequenze di 7 arginine circa consecutive - sequenza TAT -
vengono internalizzati facilmente nelle cellule)

La sintesi chimica è importante ma non va a sostituire le tecniche di biologia molecolare.


Esempio: sono stati fatti conti economici e si è visto che per produrre polipeptidi con più di 40 AA è più
conveniente utilizzare la tecnica del DNA ricombinante. Al di sotto dei 40 AA è più conveniente utilizzare la
sintesi chimica diretta.
La sintesi chimica ha il grosso vantaggio di poter introdurre una grande diversità chimica nel peptide: un
ribosoma utilizza gli amminoacil RNA transfer come donatori di AA, quindi la catena peptidica prodotta
biologicamente contiene solo i 20 AA proteici (L-amminoacidi). Mediante la sintesi chimica possiamo
introdurre D-amminoacidi, AA non presenti in natura, AA presenti in natura ma prodotti da organismi
inferiori (ad esempio acido α-amminoisobutirrico, naftilalanina, bifenilalanina, ecc.). Con i metodi di
espressione genica nei procarioti (come E.Coli), avendo un apparato biosintetico molto semplice, non siamo
in grado di introdurre modifiche
post-traduzionali -PTM- nella proteina (fosforilazione, glicosilazione, lipidazione, ecc). Se stiamo
producendo una proteina terapeutica umana che in natura è glicosilata, e per farlo utilizziamo dei procarioti,
subentrano delle complicazioni: aumentano le chance che l’organismo la riconosca come non-self e produca
anticorpi neutralizzanti (nel caso in cui siamo fortunati), o implichi una risposta sistemica (shock
anafilattico).
Le cellule eucariote per contro introducono PTM ma, per esempio, non sempre la sequenza zuccherina della
glicosilazione è la stessa della proteina naturale; ulteriore problema è legato alla resa: il numero di moli di
proteine ottenute su litro di coltura utilizzata è nettamente maggiore se si utilizzano cellule batteriche rispetto
alle colture di cellule eucariote (10-100 volte maggiore) —> produrre una proteina con cellule eucariote
costa molto di più. Quindi se la proteina di interesse non è glicosilata si utilizzano cellule batteriche, se
invece presenta PTM, come la glicosilazione, il sistema di produzione migliore sono le cellule eucariote
(nonostante gli svantaggi).

I metodi di espressione genica, inoltre, non ci consentono di introdurre ramificazioni, di produrre strutture
cicliche, di introdurre marcatori ecc, cose che invece possiamo fare per sintesi chimica.

Svantaggi dei Peptidi


- Nella maggior parte dei casi sono random e non hanno una struttura secondaria e terziaria molto stabile
(sono disordinati in soluzione);
- Sono facilmente attaccabili dalle proteasi endogene
- Non riescono ad attraversare le membrane plasmatiche
Esistono quindi delle difficoltà di tipo farmacocinetico, che però posso essere migliorate.

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Vantaggi dei Peptidi
- Sono molecole di dimensioni intermedie: la loro sintesi può avvenire in un laboratorio chimico
- Spesso hanno attività intrinseca o possono assumere l’attività della proteina da cui derivano Esempio:
abbiamo una proteina con una struttura 3^ e riusciamo a capire qual è la regione responsabile dell’attività
(epitopo funzionale): se questa regione è lineare possiamo produrla e stabilizzare la struttura 2^ che essa ha
nella proteina originaria.
- Possono essere modificati come se fossero delle piccole molecole organiche.
I peptidi possono essere sintetizzati con impianti molto simili a quelli utilizzati per la sintesi organica
tradizionale, ecco perché molte ditte farmaceutiche a fianco ai laboratori di ricerca e sviluppo per piccole
molecole organiche hanno i laboratori per ricerca e sviluppo di peptidi.

Solid phase peptide synthesis (SPPS)


La sintesi che oggi viene effettuata è quella su fase solida. Fino alla metà deli anni ’60 la sintesi veniva fatta
in soluzione: per sintetizzare un decamero (10 AA) è necessario partire dal dipeptide, purificarlo, aggiungere
un aa ad ottenere il tripeptide, purificarlo e così via. Per sintetizzare in soluzione un peptide di 15 AA
serviva un anno di tempo; con la sintesi in fase solida è sufficiente una notte.
E’ necessario disporre di un supporto solido, di gruppi protettori, di gruppi attivatori, di metodi per seguire il
buon andamento della sintesi e di metodi analitici sofisticati per accorgerci delle modifiche date da reazioni
collaterali.
Gli aa sono composti almeno bifunzionali, e in alcuni casi abbiamo la reattività aggiuntiva dei gruppi in
catena laterale, quindi per ottenere selettivamente il legame desiderato è necessario mascherare tutti i gruppi
funzionali potenzialmente reattivi e lasciare liberi solo i due che formeranno il legame peptidico atteso.
L’ambiente di reazione deve sempre essere anidro.

Nel 1963 Bruce Merrifield inventò la sintesi in fase solida (Nobel per la chimica nel 1984)

In questa pratica, il primo aa viene ancorato ad una resina


tramite il suo C-terminale, con l’N-terminale protetto
(reazione univoca tra resina e C);
l’N terminale viene deprotetto e fatto reagire con un aa
avente N- terminale e catene laterali -dove necessario-
protetti e C-terminale attivato.

Si prosegue il coupling, filtrando sottovuoto ad ogni


passaggio per eliminare prodotti collaterali ed eccesso di
reagenti, recuperando la resina; ottenuto il peptide
desiderato vengono quindi deprotetti tutti i gruppi reattivi
(N-terminale e poi catene laterali) e si idrolizza il legame
resina-peptide.
Requisito fondamentale è che le condizioni sperimentali di
deprotezione dell’N-terminale non vadano né a rompere il
legame con la resina né a deproteggere le catene laterali
durante il coupling!

La sintesi su fase solida permette di evitare i lunghi e costosi processi di purificazione degli intermedi di
reazione necessari in fase liquida e dà, quindi, la possibilità di automatizzare il processo.
Merrifield inventò la strategia di protezione Boc/benzile; Carpino negli anni ‘80 la migliorò sostituendoli
con Fmoc/tBu.

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La resina deve ovviamente essere insolubile nel solvente organico utilizzato (spesso diclorometano o N,N-
dimetilformammide; la reazione avviene in recipiente che contiene un setto filtrante, con pori di dimensione
inferiore a quella della resina, e al di sotto è collegato ad una pompa da vuoto: al termine della reazione è
possibile aprire il rubinetto ed effettuare la filtrazione sottovuoto.
L’efficienza del singolo coupling deve essere almeno del 95%, altrimenti già al 20esimo coupling avremmo
una resa teorica del 40%, perché gli aa che non reagiscono lasciano alcune catene polipeptidiche mancanti di
quell’aa ma continueranno a reagire in seguito, dando sottoprodotti. La purificazione finale avviene tramite
RP-HPLC.

Strategia di Merrifield
Il -COOH in catena laterale di Asp e Glu
viene protetto tramite esterificazione con
alcol benzilico Ph-CH2-OH).
L’ -NH2 terminale viene mascherato tramite
la formazione di un carbammato presentando
un gruppo tButilOssiCarbonile. Questo
gruppo viene idrolizzato ad ogni ciclo di
couling con CF3COOH concentrato (90-
95%) sul legame ammidico, con formazione
di carbocatione tbutile ed espulsione di CO2,
lasciando libera l’estremità N-terminale per
reagire con un altro aa.
Anche l’OH fenolico della tirosina si
protegge con un derivato dell’alcol benzilico
(alcol 2,6-diclorobenzilico), formando un etere.
Alla fine della sintesi e liberato l’ultimo BOC, si tratta il campione con HF gassoso per rimuovere i gruppi
benzilici eterei ed esterei (necessario l’utilizzo di vetro ricoperto di teflon in quanto l’acido fluoridrico
idrolizza il vetro). Sono condizioni harsh, estreme, perché l’HF è molto corrosivo e tossico.
Per questo Carpino ha trovato una strategia che prevedesse condizioni più soft, ma i reagenti sono molto più
costosi.
In questo caso l’NH2 terminale viene protetto dal
gruppo Fuorenil-Metil-Ossi-Carbonile e per la
sua rimozione e sufficiente la piperidina (ammina
secondaria ciclica molto basica, con kb=10-2), che
deprotona il CH in posizione 9 del fluorenile
tramite meccanismo di beta-eliminazione
(formalmente è un -H benzilico ma è molto più
acido, ka=10-25 invece che 10-50 o 10-60 degli
alcani), con espulsione anche qui di CO2
(quantitativa) e liberazione dell’azoto amminico.
Il -COOH di Asp e Glu e l’ -OH fenolico della
tirosina vengono protetti con alcol tbutilico, a
dare i corrispondenti esteri ed etere tbutilici. Alla fine della sintesi, rimosso l’ultimo FMOC si tratta con TFA
concentrato, unico passaggio più drastico di tutto il procedimento.
I solventi utilizzanti in questo caso sono N,N-dimetilformammide e N-metil-pirrolidone
entrambi solventi polari aprotici.
La reazione di coupling è una reazione di condensazione (espulsione di una molecola di acqua); operando in
solvente acquoso, c’è massiva presenza di un prodotto di reazione che sposta fortemente l’equilibrio verso
sx; contemporaneamente, è necessario che il solvente sia polare per poter solvatare efficacemente le porzioni
polari del peptide e gli amminoacidi
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Resine
Le resine devono essere:
- Funzionalizzabili
- Avere stabilità chimica alle condizioni di reazione
- Stabilità meccanica all’agitazione
- Rigonfiabili, in modo che i reagenti possano penetrare agilmente all’interno delle maglie e reagire col
peptide in accrescimento
- Stabili nel legame col peptide in accrescimento ma idrolizzabili alla fine della sintesi

Merrifield partì da una resina di stirene e


divinilbenzene (1-2%, necessario al
crosslinking) ad ottenere una resina molto
idrofobica. Essendo possibile funzionalizzarla
semplicemente attraverso la reazione di
Friedel-Crafts (con formaldeide e HCl),
Merrifield sintetizzò una clorometilresina
(resina di Merrifield)

La resina clorometilica di Merrifield venne


successivamente ulteriormente processata:
1. SN2con NH3 a dare il derivato amminico;
2. con l’acido p-idrossimetil-feinl-acetico e
DIC - diisopropilcarbodiimmide: il C
centrale è ibridato sp, molto elettrofilo). Il
COÖH dell’acido va ad attaccare il C
elettrofilo della DIP, si forma una o-acil-
isourea reattiva (attivazione del COOH), che
verrà attaccata dal gruppo amminico
dell’amminometilresina, formando la resina
PAM.
L’amminometilresina è il punto di partenza per la
sintesi di svariate resine.

La DIC funge da attivatore della funzione carbossilica.

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Ancoraggio del primo amminoacido
Nella chimica di Merrifield la resina più utilizzata è la PAM.
L’ancoraggio avviene sul gruppo idrossi-
metilico della PAM: in presenza di una carbo-
di-immide avviene l’attivazione in situ della
funzione carbossilica dell’amminoacido BOC-
protetto, che viene attaccato dall’OH nucleofilo
della resina a dare il legame estereo. Abbiamo
inoltre il 10% di dimetilamminopiridina

Al termina della reazione è necessario rimuovere il BOC con TFA(CONC): il legame PAM-aa risulta stabile al
TFA concentrato.
Avendo acidificato l’ambiente, l’NH2 terminale risulterà protonato e dobbiamo neutralizzare per liberare
l’ammina e renderla disponibile al successivo attacco nucleofilo, per cui basifichiamo con base più forte del
gruppo amminico (diisopropiletilammina)

Gruppi protettori
Gli OH di serina, tirosina e treonina vengono protetti col
benzile a dare etere

L’OH di tirosina viene protetto anche col derivato 2,6-


diclorobenzilico

L’SH della cisteina viene protetto con parametil-benzile a


dare un solfuro (o tioetere)
Il gruppo guanidinico dell’arginina viene protetto col
tosile (para-toluen-solfonile) a formare una solfonammide

Il gruppo ε-amminico della lisina viene protetto col


benzil-ossi-carbonile, detto gruppo Z

Nel caso di Asp e Glu si può proteggere il COOH come


benzil-estere, ma non essendo molto stabile in TFA si
preferisce proteggerlo col suo analogo saturo a dare il
cicloesil-estere

Protocollo di sintesi:
4) shrinking=estrudere, strizzare. Nonostante i ripetuti
lavaggi per eliminare l’eccesso di acido, questo rimane
comunque all’interno delle maglie della resina andando
a protonare l’N terminale del peptide in crescita. Per
eliminare tutto l’acido è necessario trattare col 25% di
diossano in DCM in modo che la resina estruda tutto il
suo contenuto; fatto ciò, si neutralizza con
diisopropiletilammina.

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Per fare il coupling, aggiungiamo il nuovo aa BOC-protetto e aggiungiamo il gruppo attivatore della
funzione carbossilica:
DCC=dicicloesil-carbodiimmide sola o in mix con HOBT=idrossibenzotriazolo:
è una specie aromatica, con due atomi di azoto ibridati sp2, i cui lone pair non partecipano all’
aromaticità perché si trovano entrambi su due orbitali sp2, coplanari al piano dell’anello e risultando molto
basici. Questo è necessario perché le O-acil-isouree possono dare racemizzazione durante la sintesi per cui
utilizziamo HOBT che darà un benzotriazolilestere, ingombrante abbastanza da impedire l’attacco da parte
dell’ossigeno (vedi racemizzazione)

Reazioni collaterali
Dato che siamo in ambiente acido per TFA, è possibile che si verifichino reazioni collaterali acido-
catalizzate.
L’azoto ammidico adiacente ad un aspartico protetto
come benzilestere può operare su di esso un attacco
nucleofilo, a dare espulsione di alcol benzilico e la
ciclizzazione a addotto succinimmidico. Questo può
subire l’attacco dell’acqua in due punti: sul C viola
avremo nuovamente la formazione della catena
laterale dell’aspartico libero (α-Asp, 30% dei casi);
sul C rosso invece si forma un legame iso-peptidico,
in cui il gruppo carbossilico non è quello del
backbone ma quello della catena laterale aspartica (β-
Asp, 70% dei casi!)

Un residuo di glutammico all’N terminale protetto


come benzil-estere può dare luogo alla ciclizzazione
ad opera dell’azoto del backbone, a dare il gruppo
piroglutammico ed espulsione di alcol benzilico.
Questo succede anche in peptidi e proteine che hanno
la Gln all’N-terminale: si verifica l’idrolisi
dell’ammide con uscita di NH3 e successiva
ciclizzazione ad opera dell’azoto del backbone

È possibile che si verifichi racemizzazione dell’aa:


il legame peptidico prevede una forma di risonanza
ossazolo
con N=C e l’O carico negativamente: questo può
attaccare il C reso ancora più elettrofilo dal gruppo
Act (attivatore) che drena densità elettronica, dando
luogo all’addotto tetraedrico; la successiva
espulsione del gruppo ActO- da luogo alla
ossazolone ossazolo formazione dell’ossazolone (-one per il gruppo
ossazolone deprotonato ossazolo
carbonilico in aggiunta all’ossazolo O-C=N ciclico).
Il C verde risulta in α a due sistemi π, per cui il suo
idrogeno sarà maggiormente acido dell’analogo
saturo: può subire deprotonazione a dare il
corrispondente carbanione che, per tautomeria cheto-enolica si stabilizza a dare il corrispondente ossazolo,
forma enolica dell’ossazolone. Varie forme sono in equilibrio tra loro: ossazolo, ossazolone deprotonato e
ossazolone riprotonato con le stesse probabilità sia al di sotto che al di sopra del piano, dando
racemizzazione del C asimmetrico.
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Se il C carbonilico iniziale viene super attivato, ad esempio trasformando COOH in un alogenuro, la
racemizzazione è molto probabile, quasi certa. Se invece lo attiviamo con un gruppo molto più ingombrato,
la percentuale di racemizzazione è praticamente nulla! NB: anche l’attivazione con la DID superattiva il
COOH e genera racemizzazione. Come evitare: utilizzare il benzotriazolo come attivatore del COOH, meno
forte e più ingombrante, sfavorisce l’attacco intramolecolare.
Il PM di un peptide che contiene tutti gli AA nella configurazione corretta è lo stesso di quello di un peptide
che ha uno o più AA con la configurazione invertita. Anche con RP-HPLC non si riesce a separarli anche se
abbiamo una miscela enantiomerica, perchè al di sopra del tetramero l’incidenza percentuale delle proprietà
chimico fisiche dell’analogo modificato è troppo piccola per permettere una separazione. Riusciamo ad
accorgerci della reazione collaterale solo perchè l’attività biologica del peptide sintetico è minore rispetto a
quella del peptide naturale isolato, ad esempio.
Boc cleavage flow chart
Lo sblocco del peptide dalla resina avviene in presenza di HF gassoso, condizioni in cui avviene anche la
liberazione di tutte le catene laterali; in quasi tutti i casi il meccanismo prevede una SN1. I gruppi protettori
che si liberano specie carbocationiche molto reattive, che possono essere attaccate nuovamente dai gruppi
nucleofili appena liberati. Per evitare che questi tornino sul peptide, nella miscela di sblocco è necessario
aggiungere degli scavenger, specie molto nucleofile che catturano gli
elettrofili appena formati.
Gli scavenger più utilizzati sono il tioanisolo ed il meta-cresolo e il DTT
(ditiotreitolo)

Strategia di Carpino
(Chimica Fmoc/tBut)
Il terminale amminico è protetto col Fmoc; le catene laterali spesso con tButile. La strategia di sintesi è
sempre la stessa.
In questo caso non si parte dalla resina di Merrifield ma
dalla resina di Wang, una resina
benzil-ossi-benzilica. Il legame tra il primo aa e la
resina è estereo anche in questo caso.
La rimozione del gruppo Fmoc avviene in ambiente
basico questa volta, per aggiunta di piperidina al 25%
in DMF o N-metil-pirrolidone, che deprotona il C9.

Resine
Resina di Wang: struttura da 4-benzilossi-benzil alcol.
Lo sblocco del peptide lascia il C-terminale nella sua forma carbossilica.
Alcune resine permettono invece di avere il C-terminale in forma
ammidica (-CONH2). P è la resina di Merrifiel (polistirene-divinilbenzene PS-DVB)

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Ancoraggio

Fmoc-amminoacido che termina in OH, diisopropilcarbodiimmide in presenza di dimetilamminopiridina in


dimetilformammide anidra.

Sblocco
Avviene con TFA 90-95% in H2O.

Resine SASRIN: Super Acid Sensitive ResIN


Sono resine acido labili che permettono lo sblocco del peptide in condizioni acide molto blande.

Come la resina di Wang ma ha un metossile in orto all’idrossimetile


terminale: questo funge da elettrondonatore nel momento della
formazione del carbocatione, stabilizzandolo e ciò rende possibile lo
sblocco a concentrazioni molto più basse di TFA (0,5-1% in acqua).
In queste condizioni il peptide viene liberato dalla resina con i
gruppi protettori in catena laterale intatti.

In questo modo otteniamo un frammento peptidico (P1)


con le catene laterali protette e, se non liberiamo
l’Nterminale dal Fmoc, possiamo unirlo ad un altro in
accrescimento sulla resina; con questa sintesi in parallelo
possiamo sintetizzare anche delle piccole proteine con
drastico aumento della resa e diminuzione delle
tempistiche): trattiamo i segmenti come amminoacidi, per cui non rimuovo il Fmoc dal P1, si aggiungono gli
attivatori della funzione carbossilica (DIC e DMAP) e si ottiene univocamente il polipeptide desiderato. Solo
con la chimica di Carpino è possibile, perché la rimozione del Fmoc avviene in ambiente basico.

Resina clorotritilica (2-Cl-Trt): anche questa è una resina acido labile.


I’OH carbossilico del primo amminoacido opera una specie di SN1 (intermedio
carbocationico) sul C centrale e si forma un estere trifenilmetilico con uscita di
cloruro.

Il cleavage può essere standard, per TFA


90-95% avendo lo sblocco sia dalla resina che
dalle catene laterali, oppure si può operare con
CH3COOH e MeOH o TFE (trifluoroetanolo) 1:1
in diclorometano che lascia le catene laterali
protette. Questa resina, grazie al suo ingombro
sterico, evita che all’estremità C-terminale si formi la dichetopiperazina, quando è presente una prolina
all’ultimo o penultimo aa (verrà spiegato poi), che causerebbe l’aborto della sintesi.

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Resine composite
Presenta uno spaziatore tra il nucleo PS-DVB e quello
benzilossibenzilico. Tra l’OH benzilico, che funge da porzione alcolica
nucleofila per l’attacco al COOH a formare l’estere, e la funzione
amminica terminale, c’è un PEG: è molto efficacemente solvatato
anche da solventi organici che da un notevole rigonfiamento, con
maggiore accessibilità dei reagenti alla peptidil-resina in crescita;
queste resine (TGA resins) vengono usate in sintesi delicate, come nei
casi di sintesi molto lunghe (quindi intrinsecamente complicata) o di
coupling difficili tra determinati amminoacidi, oppure nel caso di
peptidi che tendono a dare aggregazione tra loro in fase di sintesi, perché la resina rigonfiandosi molto non
fa aderire i peptidi tra loro.

Attivatori della funzione carbossilica (Coupling agents)


Oltre alle varie carbodiimmidi, tra gli attivatori abbiamo i HOBT,
HOAT, soppressori della racemizzazione.
Il più diffuso è l’HBTU: N-1-idrossi-benzo-triazolil-uronio.
(uronio: catione dell’urea), che possiamo avere nella sua forma
uronica o guanidinica combinando HOBt e ureide.

HBTU

Gruppi protettori
- Gruppo amminico: Fmoc-cloruro, derivato formalmente dall’acido carbonico
(sintesi: COCl2 -dicloruro dell’acido carbonico, fosgene o cloruro di carbonile- e
fluorenil-metan-olo). Questo, fatto reagire con un aa protetto in catena laterale,
viene attaccato sul C carbonilico dall’azoto in α a dare il corrispondente
carbammato. Come prodotto abbiamo anche HCl, quindi la catena laterale deve
essere eventualmente protetta in modo opportuno

- Ossidrile di serina treonina e tirosina: tBut


Il gruppo risultante è un etere. Il reagente può essere
L’alcol tbutilico che in ambiente acido passa
attraverso l’intermedio carbocationico terziazrio

- Tiolo della cisteina: tritile (trifenil-metile)


Si forma un tioetere (o solfuro)

- εNH2 della lisina: Boc (tbutilossicarbonile)


Si forma un carbammato
- COOH di Asp e Glu: tButO- (tbutil-ossi)

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Si formano terzbutil-esteri da terzbutilalcoli

- CONH2 di Asn e Gln: tritile L’asparagina soprattutto può subire attacco


dall’azoto del backbone a dare la corrispondente struttura ciclica, quindi uno dei
due H viene sostituito col tritile, a dare la N-tritil-ammide

- L’istidina ha l’azoto sp3 nucleofilo, soprattutto se


deprotonato quando si trova in ambiente basico
(pka=6.5/7.5), quindi viene protetto con tritile.

- L’arginina in Boc veniva protetta col tosile, a dare una solfonammide.


Nella Fmoc si è passati all’Mtr, derivato tosilico, ma questo era
troppo stabile e la sua idrolisi in fase di rimozione richiedeva tempi
molto lunghi (overnight), anche a T un po’ più alta di quella
ambiente. In questa situazione (si consideri il 90-95% di TFA) si
avevano ossidazioni nei siti sensibili, idrolisi della porzione
ammidica di Asn e Gln a dare Asp e Glu, idrolisi di legami peptidici sensibili come Asp-Pro o Asp-Ser. Di
conseguenza i sottopoprodotti aumentavano esponenzialmente.
E’ stato quindi introdotto il PBF:
l’impalcatura rimane quella dell’Mtr, ma l’anello aromatico è
fuso con uno idrofuranico. La presenza di gruppi
elettrondonatori rende l’idrolisi acido-catalizzata molto più
agevole. Il cleavage avviene con le stesse tempistiche della
deprotezione delle altre catene laterali.

- Triptofano: all’inizio non veniva protetto (il lone pair dell’azoto indolico si
trova in un orbitale 2p e partecipa all’aromaticità). Oggi, come la lisina,
viene protetto col Boc.
Dato che l’indolo è sensibile all’ambiente acido (tende ad aprirsi a dare
chinurenina), è preferibile proteggerlo per limitare ossidazioni e apertura
d’anello.

Tutti i gruppi protettori devono essere stabili in ambiente basico, con cui si rimuove il gruppo Fmoc.

Agenti di coupling: ancoraggio primo aa


Sono gruppi che attivano in situ la funzione carbossilica per l’ancoraggio del primo amminoacido alla resina
e per il coupling di amminoacidi successivi. La trasformazione del carbossile nel Fmoc-aa in alogenuro o
anidride non è possibile perché sono troppo reattivi, si ha un attacco nucleofilo dell’azoto del backbone,
ciclizzazione interna e formazione dell’ossazolone, che tautomerizza ad idrossi-ossazolo con risultante
racemizzazione del C asimmetrico. Inversione di configurazione di un aa sul peptide non è discriminata ad
esempio su una RP-HPLC, si potrebbe fare un saggio di proteolisi da parte di diverse proteasi (perché
ognuna ha i suoi siti di taglio) ma diventa lungo e dispendioso. È importante lavorare in modo che siano
minimizzate le racemizzazioni amminoacidiche e usare degli attivatori non troppo attivi. Inoltre, la presenza
di un gruppo stericamente ingombrante si carbossile limita ancora di più la possibilità dell’attacco del
backbone.
L’attivazione del carbossile è catalizzata dalla DMAP
Agenti Meccanismo

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Il rapporto dei reagenti per l’ancoraggio è aa : attivatore : resina -> 4 : 4 : 1
Se si vuole risparmiare sul costo degli aa si può fare 2:2:1, se invece si vuole risparmiare poi sulla
purificazione finale, quindi essere sicuri che la sintesi del peptid corretto sia massimizzata 10:10:1.
Procedimento: per prima cosa c’è la solvatazione della resina affinché si rigonfi e si va con solventi dal
potere di solvatazione (nei confronti della resina obv) via via crescente: MeOH, poi CH2Cl2 e infine N-Me-
pirrolidone.
Poi si prepara la soluzione concentrata (0.5M) di Fmoc-aa in NMP: si aggiunge DCC, poi DMAP e alla fine
si aggiunge questa soluzione alla resina. E’ importante massimizzare la resa di derivatizzazione della resina!
Altrimenti negli step successivi si aggiungono X equivalenti di Fmoc-aa che vanno persi perché non ci sono
abbastanza peptidi-resina in accrescimento.

Rimozione Fmoc dal primo aa

La deprotezione del gruppo


amminico avviene in ambiente
basico per aggiunta di piperidina,
analogo saturo della piridina,
-CO
2
ammina secondaria ciclica, quindi
più basica di ammoniaca e
ammine primarie.
La piperidina è in grado di
deprotonare il gruppo Fmoc sul
C9 e si forma un carbanione
benzilico; l’acidità di quel protone
è dell’ordine di 10-11 , mentre
l’acidità dell’idrogeno benzilico del toluene è intorno a 10 : questa grandissima differenza di 14 ordini di
-25

grandezza è dovuta al fatto che il carbanione che si genera può riarrangiare ed evolvere tramite una β
eliminazione, con formazione del doppio legame C=C, il legame σ CH2-O che shifta sul legame adiacente,
risalita del doppietto dell’O, ricondivisione, espulsione del gruppo amminico e formazione di CO2. Il
prodotto che si forma è aromatico, il dibenzofulvene, quindi molto stabile.
La reazioe viene condotta col 25% di piperidina per 15’ a Tamb.
Il dibenzofulvene in soluzione reagisce abbastanza velocemente con la piperidina in eccesso, subendo
l’attacco del nucleofilo al doppio legame, scambio protonico col mezzo e formazione dell’addotto
fuorenilmetilenpiperidinico. La peculiarità di questa specie è che è stabile, la sua concentrazione è stabile e
ha uno spettro di assorbimento caratteristico, con una ε calcolata a 301 nm nota e pari a 7800. Sfruttando
questa proprietà, è possibile calcolare
l’efficienza di caricamento del primo Fmoc-amminoacido, quantificando il numero di equivalenti che
effettivamente si solo legati alla resina. Dopo aver effettuato la rimozione dell’Fmoc, si raccoglie la

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soluzione filtrata, si misura l’assorbanza con l’UV a 301 nm e da quella si può ricavare la concentrazione di
Fmoc nel volume raccolto, che corrisponderà agli equivalenti di amminoacido che sono stati sbloccati e la
quantità degli amminoacidi successivi da aggiungere sarà calcolata in base al numero di amminoacidi
effettivamente legati alla resina, evitando inutili sprechi.

Coupling del secondo aa


Per l’attivazione del carbossile del secondo aa non si utilizzano più le carbodiimmidi, perché sono attivatori
troppo forti. per il caricamento del primo aa sulla resina siamo obbligati perché l’OH benzilico è un
nucleofilo non molto efficiente, mentre l’NH2 è più forte e permette di utilizzare attivatori meno potenti
evitando la possibilità che avvenga la racemizzazione.
Le specie utilizzate sono derivati dell’N-idrossi-
benzotriazolo combinato con una specie ureidica
a dare il catione uronio. In realtà allNMR si è
visto che questo esiste quasi esclusivamente nella
forma guanidinica, col carbonio “ureidico” non
legato all’ossigeno ma all’azoto.

Questa specie è disponibile


in 3 forme: HBTU, HATU
(7-aza) e HCTU (derivato
clorurato al benzene).
HATU è attivatore più
potente per la presenza
dell’azoto in posizione 7 ma
è molto costoso, viene quindi usato solo per step sensibili e difficili.
Un derivato interessante è invece l’HCTU: presenta un cloro in posizione 6, che drena densità elettronica e
costa addirittura meno dell’HBTU

Meccanismo di coupling

Il carbossile dell’aa1 è
deprotonato per azione
Aa1 della DIEA,
sufficientemente basica
per deprotonare sia
Aa2 l’ammina del peptide in
crescita che il
carbossile, ma anche
troppo ingombrante per
operare attacco
nucleofilo.
Il carbossilato attacca il
guanidinio e si forma l’addotto tetraedrico neutro; uno dei due atomi di azoto guanidinico condivide un
doppietto e c’è l’espulsione dell’ HOAt deprotonato e formazione di una pseudo O-acil-isourea: questa è
molto reattiva e subisce l’attacco dell’HOAt deprotonato, a dare il benzotriazolil estere ed uscita della
tetrametil-ureide. L’estere è sufficientemente reattivo per essere attaccato dal terminale amminico del

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peptide in crescita, ma molto meno nei confronti della racemizzazione; in più l’ingombro sterico del biciclo
da una parte e dell’Fmoc dall’altra sfvorisce ancora di più l’attacco intramolecolare.
HATU è un attivante molto più efficace per due motivi: l’azoto in C9 drena densità elettronica rendendo
ancora più nucleofilo il carbonio guanidinico; quell’azoto, inoltre, opera una catalisi generale basica sul
terminale amminico, rendendolo ancora più nucleofilo e velocizzando l’attacco al benzotriazolilestere.

Ninhydrin monitoring
L’efficienza di caricamento del primo amminoacido si
valuta attraverso la quantificazione del derivato
dibenzofulvenico; durante la sintesi, soprattutto a
seguito di coupling difficili ed effettuato il doppio
coupling, è necessario verificare la resa di coupling
prima di deproteggere il gruppo amminico (quindi non
si può fare come nel caso del primo aa) e si saggia la
presenza di gruppi amminici liberi (che quindi non
hanno reagito col l’Fmoc-aa entrante) attraverso la
reazione con la ninidrina. Un’ammina primaria reagisce
con la ninidrina a dare un addotto coniugato colorato di
blu, che assorbe nell’arancione-rosso (570nm) e che è possibile apprezzare già ad occhio nudo. Per quanto
riguarda l’ ammina secondaria della prolina, l’addotto non è coniugato ed ha lo stesso colore della ninidrina.
Per bloccare l’allungamento di peptidi che presenterebbero amminoacidi mancanti e che sarebbero difficili
da purificare (la differenza di 1 o 2 aa su un peptide di 20 non è sufficiente per separarli, anche in RP-
HPLC), si effettua un passaggio ci capping con anidride acetica, che va a reagire con i terminali amminici a
dare il prodotto ammidato. In questo modo blocchiamo l’allungamento delle appena possibile e sarà più
facile separare i prodotti collaterali, soprattutto se il capping avviene nelle fasi iniziali di sintesi.

Terminazione sintesi
Rimosso l’ultimo Fmoc, dobbiamo preparare la resina allo sblocco dei peptidi: si lava con solventi a capacità
di solvatazione decrescente (NMP -> DCM -> MeOH) per indurre lo shrinking della resina, che stringe le
maglie espellendo solvente e diminuisce in volume; si pone in essiccatore con P2O5, per essere sicuri che sia
disidratata, e poi si aggiunge la miscela di sblocco, col 90-95% di TFA, 5% di acqua e gli scavenger
necessari a catturare le specie reattive carbocationiche dei gruppi protettori delle catenen laterali.
Scavengers in Fmoc chemistry
Il più usato è il TiPS. Prima si usava la miscela K, ora
non più.

Miscela K

Risoluzione della miscela


Alla fine in soluzione avremo la resina R, il peptide P, gli scavenger S, gruppi protettori coniugati.
Si filtra e si elimina R. Per risolvere il resto della miscela si può procedere per estrazione o per
precipitazione frazionata: gruppi protettori e scavenger sono specie idrofobiche, per cui posso aggiungere un

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eccesso (9:1) di dietiletere, in cui il peptide precipita; si centrifuga e si scarta il surnatante. Svantaggio: si
può avere co-precipitazione di scavenger e gruppi protettori.
Se invece si ha a che fare con peptidi molto idrofili e piccoli, questi non precipitano: si può utilizzare il
metil-terbutiletere, che ha una frazione apolare più importante in cui si facilita la precipitazione, oppure si
può fare un’estrazione, per cui si diluisce la miscela con acqua e si estrae con dietiletere. Lo svantaggio è che
si hanno volumi maggiori
Reazioni collaterali
Formazione della dichetopiperazina
Il terminale amminico non protetto del secondo
amminoacido può operare un attacco nucleofilo
sul carbossile estereo del primo amminoacido,
legato alla resina: abbiamo una ciclizzazione con
espulsione dell’ossidrile benzilico. In queste
condizioni si verifica l’aborto della sintesi.
Questa reazione si verifica quando in ultima
posizione o più frequentemente in penultima
posizione c’è la prolina, perché a causa della sua
struttura tridimensionale costringe il backbone a ripiegarsi e di conseguenza il sito di attacco risulta
spazialmente limitrofo al’N nucleofilo.
In fase di sintesi se aa1 o aa2 è prolina bisogna cercare di ridurre al minimo il tempo di rimozione del Fmoc

Formazione dell’aspartimmide
L’azoto del backbone attacca il carbossile
dell’aspartico a dare l’aspartimmide

Questa può:
riaprirsi nella maniera giusta ma con
l’aspartico non protetto;
riaprirsi dalla parte sbagliata a dare il
legame isopeptidico;
subire attacco dell’N terminale deprotetto
a formare dichetopiperazina;
infine, si può avere attacco nucleofilo da
parte della piperidina utilizzata per lo
sblocco del Fmoc a dare una serie di
prodotti collaterali
(formazione aspartimmide è la stessa cosa
della formazione di intermedio
succinimmidico)

Aspartico deprotetto Legame isopeptidico

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Racemizzazione

Per evitare che ci sia racemizzazione, dopo


l’aggiunta della carbodiimmide si aggiunge
HOBt, benzotriazolo: questo attacca
l’acilisoureide (che esce come ureide) e si
forma il benzotriazolil-estere, anch’esso
attivatore del carbossile all’attacco
dell’azoto ma meno forte e più
ingombrante, così da sfavorire l’attacco
intramolecolare

Teoricamente si dovrebbe lavorare in numero pari di equivalenti di Fmoc-aa e Attivatore, in realtà si


preferisce utilizzare un leggero difetto di attivatore (aa:HBTU -> 1:0.9-0.8), altrimenti c’è il rischio che
questo sia attaccato dall’azoto dell’amminoacido invece che
dal carbossile! LOL
Si forma un addotto guanidinico, abbastanza stabile.
L’uronio ha la preferenza all’attacco da parte del carbossile,
ma se è in eccesso subirà attacco anche dall’N terminale.
Queste specie si presentano salificate da esafluorofosfato, non
fosfato o clorofosfato perché sono esplosivi.

Coupling difficili
- Quando la catena supera i 15 aa: più i peptidi sono lunghi, più aumenta la possibilità che questi
interagiscano tra loro diminuendo il livello di solvatazione; c’è il rischio che si formino degli aggregati
che rendono inaccessibili i gruppi amminici terminali, indisponibili al coupling. Se per esempio si
sintetizzano peptidi che si sa essere amiloidogenici (tendono a dare fibrille amiloidi per organizzazione
supramolecolare molto impaccata) la situazione è tragica e all’aumentare della lunghezza aumenta la
probabilità della coalescenza.
In situazioni del genere si provvede effettuando dei doppi coupling: prima di rimuovere l’Fmoc si effettua
un altro coupling, oppure invece dell’HBTU si usa HCTU o ancora meglio HATU (ha una piridina invece
che benzene del HOBt);

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- Caricamento della prolina: date le costrizioni conformazionali, ha il carbossile molto più ingombrato che
sfavorisce l’attacco nucleofilo, quindi conviene effettuare il doppio coupling;
- Caricamento di amminoacidi ramificati sul Cβ, (Val, Ile, Thr): danno ingombro sul carbossile, per la
propensione ad andare in α piuttosto che in β (?). La stessa difficolta si riscontra se questi amminoacidi
sono gli ultimi della catena e devono operare attacco nucleofilo (ingombro anche sul NH2): doppio
coupling.
- Caricamento di e su arginina (sia coupling che attachment): la problematica qui si riscontra nella
solubilità quindi anche in questo caso si effettua il doppio coupling

Accorgimenti:
- si usa NMP perché solvata meglio sia le catene in crescita che gli Fmoc-aa (ma costa di più)
- [Fmoc-aa]>0.5M: la reazione è bimolecolare, quindi aumentando la [c] dei ragenti la velocità
aumenta
- Preferire attivatori più efficaci ma che non permettano la racemizzazione: HATU
- Utilizzare resine composite a base di PEG
(ChemMatrix®)
Ha un grado di derivatizzabilità inferiore ma
subiscono un swelling molto più marcato rispetto alle
resine PS-DVB e garantiscono una maggiore
accessibilità e diffusione dei reagenti all’interno delle
maglie.

- Utilizzo delle microonde: se il reattore viene sottoposto ad irraggiamento si favorisce l’unfolding


della catena.
Anche se siamo in solvente
organico, più la catena cresce e
più aumenta la possibilità che
questa si ripieghi su sé stessa
per l’instaurarsi di interazioni
intramolecolari (che non
saranno ovviamente quelle che
Condizioni normali In microonde si instaurano in acqua a dare il
folding corretto della proteina allo stato nativo, ma comunque ci sono) e basta che l’NH2 sia meno
accessibile per far diminuire drasticamente l’efficienza di sintesi.
Svantaggio: i reattori automatici dotati di
microonde costano di più.

Overview: L’interazione biotina-avidina è


fortissima (Kd=10-15). Proprietà che si può sfruttare
per il riconoscimento tra due strutture: se in un
peptide inseriamo un amminoacido biotinilato,
possiamo facilmente separarlo con una
cromatografia d’affinità legando l’avidina in
colonna.

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Purificazione del peptide da gruppi protettori in scala analitica con RP-HPLC in colonna c18 e poi si fa la
massa per vedere se il peptide è esatto. Non si effettua il sequenziamento, è inutile.

La sintesi peptidica permette di inserire


amminoacidi non naturali, amminoacidi
legati a sonde spettroscopiche, donatori
di fluorescenza, accettori di fluorescenza,
alla biotina, amminoacidi paramagnetici
(TOAC), amminoacidi non naturali per
studiare la correlazione struttura-attività.

Sintesi di polinucleotidi su fase solida


18
Ad oggi è possibile sintetizzare interi geni, che codificano anche per proteine molto lunghe (rapporto
stechiometrico nucleotide:polipeptide = 3:1)
La sintesi di oligonucleotidi presenta delle problematiche ulteriori, ormai risolte (si è iniziato a farlo quando
già la FMOC chemistry era diffusa) perché presenta molti più gruppi potenzialmente reattivi da proteggere.
Applicazioni importanti:
•small interfering RNA: RNA interferenza che si appaiano ad mRNA e ne bloccano la traduzione
•primers for DNA sequencing and amplification: come inneschi durante la fase del sequenziamento e
amplificazione del DNA (le polimerasi hanno bisogno di un tratto di innesco)
•probes for detecting complementary DNA or RNA via molecular hybridization: derivatizzazione con sonde
fluorescenti ad esempio, come fluoresceina, per identificare un gene d’interesse che sia complementare
all’oligonucleotide sintetico marcato con la sonda
•tools for the targeted introduction of mutations and restriction sites: sintesi di sequenze che contengano
mutazioni sitospecifiche, di un nucleotide o anche di tutta la tripletta per codificare un aa differente (site
directed mutagenesis)
•synthesis of artificial genes.

Gruppi d’interesse:
- attivazione del fosforo all’estremità 3’ per farla
reagire con l’ossigeno all’estremità 5’ di un altro
nucleoside;
- protezione dell’ossigeno all’estremità 5’ fino al
momento di coupling;
- protezione delle ammine esocicliche, che seppur
meno nucleofile in quanto coniugate al gruppo
aromatico, sono comunque blandamente nucleofile
e potrebbero reagire con il fosforo attivato;
- protezione dell’O- legato al fosforo.

Nel caso dell’RNA c’è un ulteriore ossidrile in C2’ da


proteggere.

Il gruppo protettore dell’OH in C5’ (dimetossitritile), gruppo


nucleofilo del coupling, deve essere idrolizzato in in
condizioni in cui il resto dei gruppi protettori siano stabili.

Il fosforo viene attivato tramite formazione di una fosforammidite: acido fosforoso con due funzioni
ossidriliche esterificate ed una ammidata. Notiamo come il fosforo sia in uno stato di ossidazione diverso
rispetto a quello in cui è nel DNA, 3+invece che 5+.

Approfondimento:
l’acido fosforoso (OH)3P tautomerizza sempre ad acido
fosfonico (OH)2HP, tanto che non è possibile isolarlo in quella
forma. Sono invece stabili i suoi esteri, i fosfiti, (RO) 3P.

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In queste specie il numero di ossidazione del fosforo è 3+.

La fosforammidite ha una funzione ammidica per diisopropilammina; al contrario


delle ammidi prodotte da condensazione con acido carbossilico, che sono blandamente acide e MAI basiche,
dovuto alla parziale delocalizzazione del lone pair dell’azoto sul carbonile adiacente, le ammidi degli acidi
del fosforo sono invece leggermente basiche: il legame N-P non ha forme di risonanza significative in cui
l’azoto condivide il lone pair, perché l’N è del secondo periodo mentre il fosforo è del terzo; la coniugazione
prevederebbe la sovrapposizione di un orbitale 2p dell’azoto con il 3p del fosforo ma non essendo
isoenergetici la sovrapposizione non risulterebbe energeticamente favorevole. Ne consegue che l’azoto è
protonabile e la carica positiva acquisita dall’azoto rende l’atomo di fosforo estremamente più elettrofilo e
reattivo, anche nei confronti dell’OH in 3’ nonostante non sia un nucleofilo molto efficace.
Una fosforamidite (RO)2PNR2 è una monoammide di un fosfito diestere.  La caratteristica fondamentale
delle fosforamiditi è la loro spiccata reattività verso i nucleofili catalizzati da acidi deboli, come
trietilammonio cloruro o 1H-tetrazolo. In queste reazioni, il nucleofilo in entrata sostituisce -NR2.

Gruppi protettori
1- L’ossigeno in 3’ è protetto col di-metossi-tritile (DMT); il
carbocatione che si genera dopo la deprotezione è reso più stabile
dalla presenza dei due metossili in orto, che sono elettrondonatori per
effetto mesomerico;

2- l’O- sul fosforo è protetto con un β-ciano-etile; (l’ossigeno è carico


perché il doppio legame P=O ha meno rilevanza all’ibrido di
risonanza, in quanto prevederebbe la sovrapposizione di un orbitale
3p ed uno 2p

3- la timina e l’uracile non necessitano di protezione perché


non hanno gruppi reattivi

4- la citosina viene protetta all’azoto tramite un gruppo


acetile, tramite anidride acetica

5- l’adenosina viene protetta con benzoile

6- la guanosina viene protetta con isobutirrile

7- l’ossigeno in 2’ dei ribonucleotidi viene protetto tramite


formazioni di silil-eteri (TBDMS) o silossani (TOM)

Sequenza di sintesi:

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L’ancoraggio alla resina avviene tramite una molecola di acido succinico che funge da spaziatore, in cui una
funzione carbossilica è esterificata dall’OH sul C3’ del nucleotide e l’altro è ancorato alla fase solida; questa
può essere costituita da microsfere di silice a porosità controllata o una resina macroporosa di natura
polistirenica, opportunamente derivatizzata.
L’OH in C5’ libero del primo nucleotide attacca la fosforammidite protonata (non viene riportato in figura)
che espelle di-iPr-ammina e si forma il trifosfito, triestere dell’acido fosforoso. A questo punto è necessario
ossidare il fosfito a fosfato (P da +3 a +5), utilizzando I2 in H2O in presenza di piridina.
Ora bisogna rimuovere il gruppo DMT per attivare l’OH ad un nuovo coupling e si fa utilizzando acido
dicloroacetico al 3% o tricloroacetico al 2% (condizioni blandamente acide).

L’ambiente deve essere strettamente


anidro; si lavora in CH3CN o DCM
anidri.
Il dimetossi-tritile carbocatione è molto
stabile e colorato, in quanto coniugato,
assorbe a 495nm ed è quindi possibile
monitorare la rimozione del gruppo
DMT seguendo come varia
l’assorbanza a 495nm, per poter capire
il coupling precedentre con che
efficienza è avvenuto.

Aggiunta della fosforammidite protetta:


avviene in presenza di tetrazolo, specie
aromatica acida che protona l’azoto della
fosforammidite; la base coniugata attacca
la fosforammidite protonata e si forma una
specie estremamente elettrofila, che
reagisce con il nucleotide ancorato alla
resina, a dare il triestere fosfito. Il tetrazolo
quindi funge da donatore di protoni per la
catalisi acida specifica e opera una specie
di catalisi covalente.

21
Nella sintesi di oligonucleotidi è necessario che la resa di coupling sia superiore al 99.5%, perché
l’efficienza teorica dopo 200 nucleotidi è del 37%. Per evitare che vengano allungate sequenze troncate (con
OH 5’ libero), prima di rimuovere il gruppo DMT si esegue un capping, trattando con anidride acetica in
presenza di metilimidazolo. Il derivato dell’anidride con N-metilimidazolo acetila l’OH libero in 5’ e la
sintesi non prosegue più. Diversamente da quello che si fa nella sintesi dei peptidi, qui ad ogni ciclo si fa il
capping.

La reazione viene condotta in H2O e THF in presenza di piridina. Lo iodio viene attaccato dal fosforo col suo
lone pair (perché ha n.o. 3+) a formare un addotto tetraedrico iodurato carico positivamente ed espulsione di
ioduro; la piridina opera una catalisi generalizzata basica in favore dell’acqua che attacca il fosfonio con
conseguente uscita di ioduro, che forma una coppia ionica col piridinio; deprotonazione dell’ossidrile da
parte di un’altra piridina e formazione del doppio legame con l’ossigeno, a dare l’addotto neutro ossidato, il
fosfato.
Tempi di sintesi: sono estremamente inferiori rispetto alla sintesi di

oligopeptidi (pochi secondi vs diversi minuti). Per un ciclo completo sono sufficienti pochi minuti.

Dopo l’ultimo coupling e la rimozione


dell’ultimo DMT, bisogna sbloccare
l’oligonucleotide dalla resina. Si
effettua l’idrolisi dell’estere succinico
in ambiente basico per idrossido
d’ammonio (idrolisi basica è
quantitativa mentre quella acida va
all’equilibrio).

Le condizioni in cui avviene la


deprotezione delle basi azotate e
dell’O- fosforilico sono molto
più harsh rispetto allo sblocco
dalla resina: sono necessarie 5h
a 55°C in NH4OH concentrato.
La rimozione del β-CN-etile
avviene tramite un meccanismo
di β-eliminazione a generare
l’acrilonitrile (nitrile dell’acido
acrilico)

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Tutti gli H in α ad un gruppo carbonilico sono blandamente acidi; nel caso del nitrile l’acidità risulta
leggermente maggiore.
La deprotonazione genera un carbanione, che riarrangia a formare il doppio legame C-C e conseguente
espulsione dell’O, che rimane stabilmente carico negativamente.

La funzionalizzazione avviene con


l’utilizzo di anidride succinica in
presenza di piridina: questa catalizza
l’attacco nucleofilo dell’OH
sull’anidride a formare l’estere
succinico;
l’altro carbossilato viene attivato
con una carbodiimmide a formare il
derivato O-acil-isoureide: questo
può essere attaccato direttamente
dall’ammina della resina oppure si
può utilizzare 4-NO2-fenolo in
quantità catalitiche per passare
attraverso un intermedio di estere
nitrofenilico, che con NO2 in para
drena densità elettronica e rende il
carbonio più elettrofilo.

La sintesi chimica va in direzione 3’ 5’; al 5’ il filamento non presenta però il gruppo fosfato, mentre la
DNA ligasi genera legame fosfoestereo solo tra OH sul 3’ e il fosfato in 5’. Un oligonucleotide senza fosfato
in 5’, quindi, non può essere utilizzato come substrato dell’enzima. La coniugazione del fosfato al 5’ può
avvenire per via enzimatica attraverso una specifica chinasi,
oppure per via chimica utilizzando le fosforammiditi non
nucleosidiche.
Un ossigeno sul fosforo non è esterificato da desossiribosio
attraverso l’OH in C3’, ma da un diestere derivato dell’acido
malonico. Come ultimo coupling si utilizza questa specie; si
effettua l’ossidazione del fosforo e poi, nelle condizioni di
sblocco e rimozione dei gruppi protettori, si verifica l’idrolisi
degli esteri etilici; aumentando poi la temperatura, l’acido
bicarbossilico decarbossila, con la liberazione del fosfato che
rimane legato al filamento.

Un’applicazione importante della sintesi di oligonucleotidi è la


possibilità di creare oligonucleotidi labelled, legati a sonde
spettroscopicamente attive utilizzando fosforammiditi non
nucleosidiche, per poi ibridizzarli con catene di DNA a singolo
filamento e identificare un gene all’interno di una mappa di restrizione
(gene phishing), che contiene la sequenza complementare a quello di
sintesi.

23
Sequenziamento del DNA

Chain termination method: the procedure is performed in four reaction mixtures at the same time. A DNA
polymerase is used to make the complement of a particular sequence within a single-stranded DNA
molecule. The synthesis is primed by a fragment, usually obtained by chemical synthetic methods described,
that is complementary to a part of the sequence known from other studies. In addition to the four
deoxyribonucleoside triphosphates (radioactively labeled), each reaction mixture contains a small amount of
the 2′,3′-dideoxy analog of one of the nucleotides, a different nucleotide for each reaction mixture. The
incorporation of this analog blocks further growth of the new chain because it lacks the 3′-hydroxyl terminus
needed to form the next phosphodiester bond. The concentration of the dideoxy analog is low enough that
chain termination will take place only occasionally. The polymerase will sometimes insert the correct
nucleotide and other times the dideoxy analog, stopping the reaction. For instance, if the dideoxy analog of
dATP is present, fragments of various lengths are produced, but all will be terminated by the dideoxy
analog. Importantly, this dideoxy analog of dATP will be inserted only where a T was located in the DNA
being sequenced. Thus, the fragments of different length will correspond to the positions of T. Four such sets
of chain-terminated fragments (one for each dideoxy analog) then undergo electrophoresis, and the base
sequence of the new DNA is read from the autoradiogram of the four lanes.
È necessario un primer sintetico perché la DNA polimerasi necessita di un nucleofilo su C3’ per legarlo al
fosfato in 5’ del nucleotide successivo. Se sul 3’ non è presente il nucleofilo (perché utilizziamo piccole
concentrazioni di di-desossiribonucleotide) la polimerizzazione si interrompe.

I didesossinucleotidi utilizzati erano marcati con fosforo


32; dopo la corsa elettroforetica su poliacrilammide (non
agarosio, perché aumenta la sensibilità) il gel veniva
esposto ad una lastra fotografica, che veniva
impressionata e si leggevano le varie bande (più sensibile
della colorazione all’etidio).
I gel/lastre utilizzati sono molto lunghi, da 60cm a 1m,
per poter discriminare variazioni percentuali in peso
molto piccole tra un frammento e l’altro.

Dopo qualche anno, la tecnica di Sanger venne


abbandonata perché anche su un oligonucleotide di
piccole dimensioni è alta l’incertezza dell’assegnazione
dell’ordine dei nucleotidi, data dalla tecnica

24
elettroforetica in sé, che ha scarsa risoluzione su lastra in gel di poliacrilammide (disomogeneità del gel,
polimerizzazione disomogenea ecc.).
Fu introdotta allora una modifica: anziché utilizzare la radioattività, si utilizzò la fluorescenza.

Dye primer
Si sintetizzarono 4 primer uguali ma derivatizzati con fluorofori
diversi; 4 miscele di reazione separate ognuna contenente un
desossiribonucleotide diverso; polimerizzazione con DNA
polimerasi; unione delle 4 miscele; corsa elettroforetica su
sistema di elettroforesi capillare: capillare di silice fusa, d=100
μm, riempito di poliacrilammide polimerizzata in modo

appropriato per creare maglie adatte a


discriminare i pesi molecolari in questione;
rivelatore di fluorescenza finale: ogni primer
identificherà una specifica base azotata.
(elettroforesi capillare vs cromatografia gel
filtrazione: nella prima, migrano più velocemente le molecole più piccole, mentre nella seconda quelle più
grandi perché non entrano nei pori ed escono prima).

Caricare un solo campione


invece che quattro, evita tutti
gli errori sperimentali dovuti
alla fase di caricamento in 4
pozzetti diversi o a differenze
di dimensioni di questi.
È stata inoltre migliorata la
tecnica spettroscopica:
all’uscita del capillare i
microvolumi arrivano nella
cella del rivelatore a
fluorescenza a quattro canali,
registra cioè la fluorescenza a
quattro lunghezze d’onda
differenti (quelle a cui le 4
sonde fluorescenti emettono)
generando quattro
elettroferogrammi, uno per
ciascuna sonda fluorescente,
associata ad una base azotata.
Anche qui però c’è il problema
della risoluzione tra i picchi; dopo qualche anno ci fu un’ulteriore innovazione: Terminator dye. Con il
primer dye si potevano sequenziare fino a 500 nucleotidi, mentre col terminator fino a 2000. In questo caso
non è il primer ad essere coniugato ad una sonda fluorescente, ma il didesossiribonucleotide.

25
Terminator dye
Sono molecole molto complesse; per ogni base c’è uno
spaziatore ed una sonda fluorescente con emissione
adeguata.
Con questo metodo si elimina l’ulteriore problema di
riproducibilità dovute al fatto che vengono condotte 4
reazioni teoricamente nelle stesse condizioni, ma non
identiche. Con questi nucleotidi marcati è possibile
condurre un’unica reazione, nella stessa eppendorf.
Alla fine, viene prelevata un’aliquota dalla miscela e si
carica sul sistema di elettroforesi capillare, ottenendo una
specie di cromatogramma

Con questo metodo è stato sequenziato il genoma umano


agli inizi degli anni 2000.

Next generation sequencing methods: pyrosequencing


I metodi visti finora si basano tutti sulla capacità di risoluzione dell’elettroforesi su piastra o
dell’elettroforesi capillare; in entrambi i casi ci si basa sulla possibilità di discriminare un picco dall’altro;
maggiore è la lunghezza del filamento da analizzare e più difficile sarà riuscire a separare i picchi
corrispondenti: su filamenti tronchi lunghi, la variazione percentuale tra uno e l’altro diventa molto piccola e
diventa difficile discriminarli (ad esempio, separare un filamento da 999 nucleotidi da un filamento di 1000
nucleotidi).
Con la tecnica del pyrosequencing ci si slega dal problema della risoluzione strumentale: si basa sul fatto che
la sintesi del DNA consiste nella formazione di un legame fosfodiestereo, con liberazione di pirofosfato;
questo può essere utilizzato per sintetizzare ATP e l’ATP viene utilizzato dalla luciferasi (enzima della
lucciola) per trasformare la luciferina, non fluorescente, in ossiluciferina, fluorescente a 560nm. Se è stato
incorporato in nucleotide corretto, si forma pirofosfato e si genera un composto fluorescente.
La tecnica prevede il sequenziamento di un filamento di DNA attraverso la sintesi del filamento
complementare, aggiungendo una base per volta marcata con sonda; è possibile identificare quale base è
stata incorporata grazie alla formazione dell’ossiluciferina che emette luce.

1. Il DNA single strand viene ibridizzato con un primer ed incubato con gli enzimi:
DNA polimerasi
ATP solforilasi,
luciferasi
apirasi
e ai substrati:
adenosinsolfofosfato (ASP)
luciferina

26
2.  Uno dei quattro dNTP è aggiunto alla reazione. La DNA polimerasi catalizza l'aggiunta di tale base solo
se è complementare con il residuo del template. In tal caso si ha concomitante liberazione di pirofosfato
inorganico PPi;

3.  Il PPi viene coniugato all’ASP dalla solforilasi, generando ATP

4. L'ATP ottenuto viene utilizzato come substrato dalla luciferasi per catalizzare la conversione della
luciferina in ossiluciferina, che si verifica con
produzione di un segnale luminoso, rilevato da
un'apposita camera fotosensibile CCD.
L'incorporazione nel filamento dei nucleotidi genera
una quantità di luce che è proporzionale al numero di
basi incorporate in un'unica aggiunta di nucleotidi (ad
esempio, nel caso di una sequenza omopolimerica tipo
AAA, TTT, GGG o CCC, la quantità di luce liberata è
proporzionale al numero di nucleotidi incorporati, in
questo caso 3);
L’ossiluciferina è un composto chemoluminescente:
circa l’80-90% dell’energia associata alla reazione
viene trasformata in segnale luminoso.

5. L'enzima apirasi (adenosina difosfatasi) degrada i nucleotidi che non sono stati incorporati e l'ATP
prodotto dalla solforilasi in AMP e 2Pi. Solo quando la degradazione è terminata, si ultrafiltra e si aggiunge
il nucleotide successivo, per far progredire la reazione di polimerizzazione (ritornando allo step 1).

Un ciclo completo dura circa 3 secondi, riuscendo a sequenziare circa 400milioni di basi in 10h.
Per l’accuratezza del metodo è necessario che l’intensità della radiazione
emessa sia costante, per riuscire a determinare sequenze
omonucleotidiche (come nel pirogramma di fianco) in base all’altezza
del picco; serve che l’altezza del picco corrispondente, che misura
l’intensità della radiazione emessa, sia linearmente proporzionale al
numero di nucleotidi incorporati.

27
Enzimi di restrizione
Gli enzimi di restrizione sono nucleasi che tagliano entrambi i filamenti di DNA double-strand a livello di
specifiche sequenze nucleotidiche di riconoscimento, conosciute come siti di restrizione.
Gli enzimi di restrizione si trovano in un'ampia varietà di procarioti; il loro ruolo biologico è quello di
scindere molecole di DNA estraneo mentre quello della cellula non viene degradato perché i siti riconosciuti
dai propri enzimi di restrizione sono metilati.
Molti enzimi di restrizione riconoscono sequenze specifiche formate da quattro a otto coppie di basi e
idrolizzano un legame fosfodiestereo in ogni filamento della regione. Una caratteristica sorprendente di
questi siti di scissione è che quasi sempre possiedono una doppia simmetria rotazionale. In altre parole, la
sequenza riconosciuta è palindromica, o una ripetizione invertita, e i siti di taglio sono posizionati
simmetricamente.

Overview: al contrario di quello che succede con le endonucleasi, per quanto riguarda le proteasi ne
esistono pochissime che tagliano a livello di un unico amminoacido. Abbiamo Lys-C, Arg-C, Prolidate,
Asp-N, Glu-C, qualche proteasi di lichene, le proteasi della cascata coagulativa.

Nel caso del DNA, sono stati scoperti più di 3000 enzimi di restrizione, di cui almeno 600 sono disponibili
in commercio! La loro specificità di substrato è assolutamente univoca.
Nella maggior parte dei casi questi sono stati isolati da batteri o da funghi, provvisti di un ampio set di
nucleasi e ribonucleasi per far fronte all’infezione da parte di DNA estraneo, non-self; insieme a questi ci
sono altri enzimi funzionali con cui sono accoppiati ed insieme prendono il nome di sistemi di restrizione e
modificazione.

Tipo II: sono quelli più utili dal punto di vista biotecnologico, perché l’attività nucleasica e metil-
transferasica sono ascritte a due proteine diverse: un enzima di restrizione e una metiltransferasi. Questa è in
grado di metilare sequenze specifiche del DNA self, con un codice di metilazione unico e specifico; una
volta metilato non può essere tagliato dagli enzimi di restrizione propri.

28
Dal taglio si possono ottenere estremità piatte o estremità coesive.
Incubando un tratto di DNA con uno o più enzimi di restrizione di possono creare mappe di restrizione, che
rappresenta l’impronta digitale di quel tratto: dato che gli enzimi di restrizione sono estremamnte specifici
per delle sequenze, se su una mappa di restrizione non è presente un frammento che ci si aspetta, vuol dire
che la sequenza non è quella riconosciuta dalla nucleasi e che c’è una mutazione. Per approfondire, si può
estrarre il frammento incognito dal gel, amplificarlo tramite PCR e sequenziarlo, per individuare che tipo di
mutazione è avvenuto.
Col southern blotting possiamo estrarre il DNA, usare una sonda nucleotidica fluorescente e si fa il gene
phishing

Il taglio avviene in sequenze diverse


ed in modo diverso a seconda
dell’enzima: possiamo avere un
taglio netto (caso Hpa I) oppure
avvenire in corrispondenza di
sequenze palindrome (Eco RI e gli
altri).
In quest’ultimo caso, si generano due
frammenti che hanno uno dei due
filamenti più lunghi, detto estremità
appiccicosa.

Applicazione farmaceutica: un microrganismo patogeno produce una proteina importante per il suo
metabolismo che non è espressa o è sottoespressa nell’uomo, quindi possibile target farmaceutico. Per
poterla caratterizzare, per poterne studiare l’interazione ed il complesso con un eventuale farmaco inibitore
(che sia una piccola molecola organica o farmaco biotecnologico), e tutto l’ambaradan ad esempio tramite
NMR e cristallografia raggi X, devo riuscire ad averne una quantità consistente. Purificare la proteina dal
microrganismo ed averne una quantità sufficiente per gli studi è un processo lungo e costoso, la cosa più
conveniente è utilizzare la tecnica del DNA ricombinante e farla produrre a bioreattori. Per questo scopo è
necessario quindi conoscere il gene, isolarlo, sequenziarlo ed introdurlo in opportuno batterio, eventualmente
facendo esprimere la proteina fusa, per poter poi purificare agilmente.
Abbiamo uno o alcuni frammenti della proteina in esame, bastano anche 12 a.a., da questo oligopeptide si
risale alla sequenza genetica corrispondente (36 nucleotidi), che è possibile sintetizzare chimicamente in
modo efficiente; affiché sia poi rilevabile, viene coniugato all’estremità 5’ con un fluoroforo, oppure un
nucleotide può essere marcato con fosforo 32.
Contemporaneamente estraggo il DNA genomico del microrganismo, lo frammento con diversi enzimi di
restrizione e creo una mappa di restrizione; si fa correre il materiale frammentato su gel di agarosio
(importante, no poliacrilammide) e quello che esce è la mappa di restrizione. Uno o più frammenti sul gel
conterranno il gene d’interesse, che ha (ricorda) l’estremità appiccicosa perché è stato tagliato con enzimi di
restrizione. La mappa di restrizione è come un’impronta digitale del genoma in esame: se un gene è mutato
nella sequenza di riconoscimento degli enzimi di restrizione, inevitabilmente i frammenti generati saranno
diversi dal genotipo wild (elevato valore diagnostico: si isola il frammento incongruente e si sequenzia per
identificare la mutazione).

29
Parallelamente all’elettrotrasferimento e
al western blotting delle proteine, anche
per il DNA possiamo operare un
trasferimento delle bande
elettroforetiche, molto più semplice in
questo caso perché non è necessario
applicare nessuna differenza di
potenziale: tutte le bande presenti sul gel
di agarosio possono essere trasferite su
un foglietto di Immobilon (membrana di
PVDF, polivinilidenfluoruro) o
nitrocellulosa (cellulosa nitrata, acquista
maggiore carattere idrofobico) per adesione delle due superfici messe una sopra l’altra (sotto gel, sopra
foglietto) in soluzione acquosa alcalina, che denatura il DNA (da duplex diventa single strand) e diffusione
delle bande da una parte all’altra.
Gene phishing Sotto al gel e sopra al foglietto si
mette carta da filtro; la soluzione
risale per capillarità attraverso la carta
da filtro, arriva al gel dove denatura il
DNA e se lo porta appresso fino al
foglio di immobilon/nitrocellulosa.
Questo step dura tutta la notte.
Le bande del gel che abbiamo
trasferito non si vedono perché non
sono state colorate; è utile quindi preparare due gel uguali, uno lo coloro e uno lo trasferisco.
Il foglietto di immobilon viene poi incubato con l’oligonucleotide sintetico marcato: questo andrà ad
appaiarsi alla sequenza complementare presente in una delle bande, ognuna contenente un solo frammento,
tramite la sua estremità appiccicosa (lo va a pescare, da cui gene fishing); esponendo ora il foglietto a lastra
fotografica o andando a registrare la fluorescenza, si identifica l’esatta banda di DNA che contiene il gene
d’interesse. Il frammento viene poi estratto, sequenziato e si identifica il gene all’interno della open reading
frame, cornice di lettura del gene tra il codone di start (AUG) ed uno di stop (UAA-UAG-UGA).
A questo punto è possibile sintetizzare il gene in laboratorio, tagliare la sequenza con un enzima di
restrizione, tagliare un plasmide con lo stesso enzima di restrizione, così le estremità si appaiano, si incuba,
avviene l’ibridizzazione del plasmide e lo si inserisce nei batteri che fanno da bioreattori.

Meccanismo molecolare
Si ha l’idrolisi del legame fosfodiestereo senza inversione di configurazione assoluta del fosforo, come se
fosse una SN1. Gli enzimi contengono Mg2+ nel sito attivo: il suo ruolo è quello di coordinare i due atomi di
O- del fosfato e due molecole d’acqua; una delle due viene attivata dal magnesio carico positivamente, che
drena densità elettronica e favorisce l’attacco nucleofilo sul fosforo, che nel frattempo ha maggiore carattere
elettrofilo per la coordinazione dell’ossigeno col magnesio.

30
Specificità di substrato:
in rosso viene evidenziato il
filamento di DNA, mentre in giallo e
in blu sono rappresentati i due
monomeri dell’enzima (ognuno
riconosce uno dei due filamenti di
DNA); il DNA interagisce in modo
estensivo e specifico con siti specifici
dell’enzima; se il substrato è quello
giusto, l’interazione è tenace ed
esoergonica. L’energia rilasciata dalla
formazione del complesso corretto,
che non è ancora catalitico, viene
utilizzata dal sistema per indurre una
modificazione conformazionale sia
nell’enzima, che acquisisce la
conformazione competente al taglio,

che nel substrato, che acquisisce

conformazione favorevole alla scissione da parte dell’enzima.


È un sistema a doppio controllo: prima c’è il binding; se questo è forte a sufficienza, avviene la modifica
conformazionale in quella competente.
L’energia rilasciata dal binding con un substrato non corretto non è sufficiente per la modifica
conformazionale.
La metilazione del DNA sfavorisce l’idrolisi da parte dell’enzima della stessa specie perché manca una delle
interazioni favorevoli alla formazione del complesso corretto

31
DNA metilato DNA nudo

32
Polymerase chain reaction
Tecnica sviluppata nel 1983 da Kary Mullis, surfista fricchettone californiano, per cui ha vinto il premio
Nobel; nel suo libro autobiografico ha detto che probabilmente non gli sarebbe mai venuta in mente questa
reazione se non avesse fatto uso di LSD. LOL!
Appliacazioni della PCR:
- Clonaggio del DNA (produzione di un gran numero di copie) per il sequenziamento;
- Diagnosi di malattie ereditarie;
- Identificazione di impronte digitali genetiche (usato nella pratica forense)
- Identificazione di malattie infettive.
Overview: test molecolari sars-cov-2
Si estrae l’RNA dal campione; dal ssRNA si sintetizza il dsDNA tramite l’utilizzo della trscrittasi inversa e
poi con la PCR si amplifica il DNA; fare un piccolo sequenziamento o una mappa di restrizione per
identificare la presenza del virus.
Questa reazione della polimerasi è a catena perché i cicli si susseguono in
modo legato.
Componenti necessari:
- DNA double strand
- Primer sintetici per l’innesco, lunghi da 20 a 30 nucleotidi
- Substrati (nucleotidi-5’-trifosfato)
- Tampone fisiologico
- Mg2+
- Taq polimerasi (thermus aquaticus, batterio estremofilo, da cui si
ricava la DNA polimerasi termostabile)
L’utilizzo dell’enzima termostabile è stata la svolta nello sviluppo di
questa tecnica, che riguarda l’amplificazione di un frammento di DNA.

1. Strand separation: separazione dei due filamenti, cioè denaturazione


termica del DNA attraverso l’aumento della temperatura, 95° per 15’
(con l’aumento della temperatura si perdono base pair, base stacking,
interazioni idrofobiche, interazioni elettrostatiche di repulsione dei
fosfati alleviate dalla presenza di metalli alcalini o alcalino terrosi,
cooperatività – più è lungo, più è stabile per la cooperatività degli
appaiamenti A-T 2 legami H, C-G 3 legami H)
2. Ibridizzazione dei primer, presenti in eccesso di 10:1 rispetto alla
concentrazione di DNA: si raffreddamla soluzione a circa 54°
5’ 3’
(temperatura di annealing: in genetics, it means for complementary
5’ 3’
3’ 5’
sequences of single-stranded DNA or RNA to pair by hydrogen bonds to
form a double-stranded polynucleotide). In queste condizioni si ha
3’ 5’
l’appaiamento dei primer coi filamenti di DNA da amplificare. A questa
temperatura si forma l’appaiamento col primer e non si richiude il DNA
perché i primer sono stati aggiunti in largo eccesso, quindi l’azione di
massa. La temperatura di annealing dipende dalla lunghezza e dalla
composizione del primer: occorre che l’ibrido sia stabile, quindi che ci si
ponga ad una temperatura in cui non venga denaturato, perché la resa
della reazione dipende da quello. La stabilità dell’ibrido è da valutare di volta in volta. Se il primer è ricco
di A e T, l’interazione sarà più efficace e la temperatura di annealing dovrà essere più bassa, quindi 50-
52°, mentre se è ricco di C e G si può mettere 56-57°, in maniera tale da aumentare la specificità di
formazione dell’ibrido
3. Elongazione del DNA: si scalda nuovamente la soluzione, fino a 72°C, che è la temperatura ottimale a cui

33
lavora la Taq polimerasi, che si attiva solo ad alte temperature. La reazione va avanti (velocità molto
elevata di incorporazione) e termina il primo ciclo.

These three steps constitute one cycle of the PCR


amplification and can be carried out repetitively just by
changing the temperature of the reaction mixture. The
thermostability of the polymerase makes it feasible to
carry out PCR in a closed container, no reagents are added
after the first cycle. The duplexes are heated to begin the
second cycle, which produces four duplexes, and then the
third cycle is initiated. after n cycles, this sequence is
amplified 2n-fold. The amplification is a millionfold after Primo ciclo
20 cycles and a billionfold after 30 cycles, which can be
carried out in less than an hour, since 1 is carried out in 5 minutes.

Taq's optimum temperature for activity is 75–80°C, with a


half-life of greater than 2 hours at 92.5°C, 40 minutes at 95°C
and 9 minutes at 97.5°C, and can replicate a 1000 base pair
strand of DNA in less than 10 seconds at 72°C. One of Taq's
drawbacks is its relatively low replication fidelity. It retains 5'
exonuclease activiy but lacks a 3' exonuclease proofreading activity, and has
an error rate measured at about 1 in 9,000 nucleotides.
Le polimerasi di eucarioti e mesofili (T ottimale di attività 25°:45°) sono
enzimi molto complessi, mentre questa è a singola catena, molto semplice, per
quello manca dell’attività nucleasica di controllo ed introduca un errore ogni
9000-10000basi.

La Taq polimerasi è stata la prima utilizzata, ma la frequenza degli errori era troppo alta ed è stata introdotta
la PFU, polimerasi da Pyrococcus furiosus, uno degli orfanismi più termostabile della Terra; è una
polimerasi più lenta (incorpora 1000 basi in 1 o 2 minuti, vs i 10 secondi della Taq) ma l’errore è 1 su 1M di
basi, avendo attività esonucleasica sia al 5’ che al 3’, a differenza della Taq.
A volte si utilizzano la Taq e la Pfu in combinazione, con la Taq in eccesso.
Vincoli: utilizzo di T elevata per denaturare e di conseguenza utilizzo di una polimerasi stabile durante i cicli
termici. Perché i cambi di T: 95° per poter denaturare il DNA senza aggiunta di agenti chimici, che poi
andrebbero rimossi in qualche modo, quindi per tenere l’ambiente di reazione più pulito possibile, motivo
per cui la reazione deve avvenire senza aprire la provetta, o verrebbe contaminata da materiale genetico ed
enzimatico circolanti anche solo nell’aria, adsorbiti ai granelli di polvere. Col solo cambio di temperatura
abbiamo denaturazione e rinaturazione senza dover aggiungere continuamente reagenti che
contaminerebbero il campione; anche le eppendorf utilizzate sono strettamente pulite (senza tratti di DNA
contaminanti). La temperatura è un filtro di specificità molto importante: quando si abbassa la temperatura,
si possono formare degli ibridi con i DNA contaminanti, ma essendo questi aspecifici, il legame sarà debole
perché non c’è perfetta complementarità tra le basi, di conseguenza la loro stabilità è bassa. A temperature
ordinarie (ambiente o 37°, la frazione molare degli ibridi con i contaminanti è rilevante, perché siamo a
bassa temperatura. Alzando la T, il sistema viene perturbato e gli ibridi aspecifici si dissoceranno, dovuto
alla loro scarsa energia di legame, mentre gli ibridi formati con i primer sono ibridi corretti, per la totale
complementarità tra i filamenti e di conseguenza stabili, anche a 54°C.
La temperatura elevata risulta quindi un filtro fisico alla replicazione di DNA contaminanti che formano
legami aspecifici, casuali col DNA target, nella fase di annealing. La temperatura di annealing si calcola
sulla base della temperatura di melting del tratto di ibrido che si forma tra il tamplate ed il primer,
calcolata in via teorica sulla base del tipo di basi che sono presenti, e tenendosi 3°-5°C sotto di essa:
Tm=[2(A+T) + 4(C+G)]
34
Problematiche legate al processo
1. Contaminazione
2. Formazione di strutture a forcina (strutture alternative con appaiamento intracatena tra le basi); avviene
quando nel filamento ci sono sequenze palindromiche, soprattutto se nel primer ci sono sequenze che
contengono gran numero di G e C, formando strutture secondarie non canoniche
3. Errori di polimerizzazione, frequenti nella Taq-polimerasi. Si lavora quindi con miscele Taq-Pfu
4. Concentrazioni troppo alte di Mg2+ possono andare ad inibire l’azione della Taq polimerasi (le
polimerasi nel sito catalitico hanno due Asp che legano magnesio; attivazione del fosfato viene attivato
rendendolo più elettrofilo e viene reso più nucleofilo l’OH che si trova sul primer)
5. Sequenze lunghe di DNA sono difficili da amplificare (da 10k basi a 40k basi, oltre non si riesce),
perché si formano strutture terziarie, foldando grazie ai riconoscimenti intramolecolari, e l’estremità non
viene riconosciuta per il binding
6. Innesco non specifico, dovuto al fatto che i primer possono appaiarsi non solo alle flanking regions,
regioni adiacenti al tratto di DNA che si vuole amplificare, ma anche in amniera aspecifica all’interno di
un open reading frame, ; l’interazione aspecifica può essere ovviata o sintetizzando un primer diverso
oppure alzando la T di annealing, per sfavorire in modo più marcato l’interazione aspecifica dl primer a
regioni interne del gene che si vuole amplificare. Ovviamente si avrà una diminuzione di concentrazione
del complesso primer-template, ma l’obiettivo principale è che i prodotti siano più puri possibili; nel
caso di amplificazione inefficace si può ripetere la PCR per aumentare il numero di copie di DNA.
7. Elevata concentrazione di desossiribonucleotidi può inibire l’attività della Taq polimerasi
8. Un eccesso smodato di primer può portare all’accoppiamento tra di loro e alla formazione di dimeri non
produttivi, amplificati dalla DNA polimerasi così come sono.

RT-PCR (Real time-PCR)


Alla PCR viene associata la denaturazione termica del DNA, che è un modo per misurarne la stabilità
seguendo come varia l’assorbanza a 260nm in funzione della temperatura.
Una soluzione di DNA
sottoposto ad un aumento
progressivo della temperatura,
ha un aumento di assorbanza a
260nm che procede con
andamento sigmoidale. Il
flesso della sigmoide è
identificabile come la
temperatura di melting, cioè
temperatura alla quale il DNA
è denaturato al 50%.
Se alla fine del processo di amplificazione otteniamo una curva di assorbanza in funzione della temperatura
che descrive una sigmoide sharp, cioè stretta, con intervallo di temperatura di denaturazione relativamente
ristretto, si può affermare che il prodotto di amplificazione è omogeneo; se invece i parametri della PCR non
sono stati impostati a valori ottimali, si possono ottenere sigmoidi multiple o una sigmoide più slargata, a
significare che nel duplex c’è un grado di cooperatività più basso del previsto e di conseguenza si può
dedurre che nel campione sono presenti svariati prodotti di amplificazione, che il prodotto non è puro.
L’accoppiamento di PCR e denaturazione termica del prodotto, anche durante il processo, magai alla fine di
ogni ciclo permette di monitorare in tempo reale l’andamento della reazione, di bloccarla nel caso in cui il
prodotto risulti non puro e di modificare le condizioni di reazione, come la temperatura di annealing o la
temperatura di elongazione. Nel caso di discostamenti troppo marcati dai valori teorici si può eventualmente
decidere di abortire la reazione e ricominciarla.

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Quantificazione del DNA
Using the Lambert-Beer Law it is possible to relate the amount of light absorbed to the concentration of the
absorbing molecule. At a wavelength of 260 nm, the average extinction
coefficient for double-stranded DNA is 0.020 (µg/ml)-1 cm-1, for single-stranded
DNA it is 0.027 (µg/ml)-1 cm-1, for single-stranded RNA it is 0.025 (µg/ml)-1 cm-1
and for short single-stranded oligonucleotides it is dependent on the length and
base composition (estimation 0.030 (µg/ml)-1 cm-1). Thus, an optical density (or
"OD") of 1 corresponds to a concentration of 50 µg/ml for double-stranded DNA.
Le basi azotate hanno un picco di assorbimento più o meno alla stessa lunghezza
d’onda; lo spettro di assorbimento di un tratto di DNA è dato dalla somma
ponderata della lunghezza d’onda e dell’intensità dei segnali di tutti i nucleotidi
che lo compongono; rimane sempre intorno ai 260nm in quanto la media tra A/T
e G/C si attesta su quei valori.

Le basi puriniche hanno ε maggiori rispetto alle


pirimidine perché sono più grandi ed hanno maggiore
densità elettronica, quindi risultano più polarizzabili e
la variazione di dipolo di transizione sarà maggiore.

Effetto ipercromico:

Variazione dell’assorbanza del


DNA a 260nm in funzione della T
Heat denaturation of DNA, also
Spettro di assorbimento di un
campione di DNA a due T diverse called melting, causes the
double helix structure to unwind
to form single stranded DNA.
When DNA in solution is
heated above its melting
temperature (usually more than
80 C), the double-stranded
DNA unwinds to form single-
stranded DNA. The bases
become unstacked and can thus
absorb more light. When the
bases become unstacked, the
wavelength of maximum
absorbance does not change, but the amount absorbed increases by 30-40%. La forma a sigmoide testimonia
che il processo di denaturazione del DNA è un processo cooperativo, perché avviene in un piccolo intervallo
di T in modo repentino.
Fattori di stabilizzazione del DNA: ponti idrogeno tra le basi; stacking tra i sistemi π delle basi (interazione
elettrostatica quadrupolo quadrupolo); interazioni idrofobiche, perché all’interno del DNA non c’è acqua
(Dato che il ssDNA è altamente idratato, essendo molto idrofilo, quando si appaiano due filamenti c’è
l’espulsione delle molecole d’acqua di solvatazione dal core: questo aumenta l’entropia dell’acqua ed il
processo risulta favorevole. Questo processo prende il nome di interazione idrofobica); poi abbiamo le

36
interazioni elettrostatiche, che sono sfavorevoli perché per ogni legame fosfodiestereo è presente una carica
negativa e questo crea repulsione tra i due filamenti di DNA. aumentando la forza ionica, i cationi possono
entrare nel guscio di solvatazione andando ad alleviare la destabilizzazione dovuta alla repulsione
elettrostatica. Nel caso dei cationi bivalenti, oltre a questo effetto aspecifico, c’è l’effetto specifico per cui il
Mg2+ forma dei complessi stabili con due atomi di O- di due fosfati adiacenti.

Approfondimento
Quando c’è assorbimento di radiazione elettromagnetica ad una certa lunghezza d’onda da parte di una
molecola, avviene la promozione dell’elettrone dall’orbitale molecolare allo stato fondamentale a più alta
energia all’orbitale molecolare vuoto a più bassa energia (transizione HOMO-LUMO). Gli orbitali
molecolari nello stato fondamentale e nello stato eccitato hanno geometrie diverse; quelli allo stato eccitato
hanno più nodi, cioè regioni dove statisticamente non si può trovare la densità elettronica. Se questi hanno
distribuzione della densità elettronica diversa da dello stato fondamentale, in seguito alla transizione si
avrà una redistribuzione della densità elettronica, e di conseguenza si genererà una variazione del dipolo
elettrico. Questo fenomeno è chiamato Variazione del dipolo elettrico di transizione, perché causato dalla
transizione elettronica. Generalmente, maggiore è il modulo del dipolo elettrico di una molecola, maggiore
sarà la variazione che il dipolo elettrico subirà a causa della transizione elettronica.
È noto che l’intensità dell’assorbimento (aka ε di un cromoforo) è direttamente proporzionale al quadrato
del modulo della variazione del dipolo elettrico di transizione, ovviamente a parità di tutte le altre
condizioni
I ∝ |μ1*-μ1|2
In pratica: più è grande il dipolo elettrico di una molecola, più sarà alto l’assorbimento.

Nel DNA a doppio filamento, le basi


accoppiate generano un dipolo elettrico
risultante dato dalla somma vettoriale dei due
dipoli; la direzione del dipolo risultante ruota
intorno all’asse longitudinale, dato che tra
una coppia di basi e l’altra c’è una rotazione
di 36°. Alla fine del giro dell’elica, cioè dopo
10 coppie di basi, si ha un dipolo che è nella
stessa direzione ma in verso opposto
(antiparalleli) rispetto alla coppia presente 10
coppie prima (quindi sono nella stessa
posizione ma in due giri d’elica differenti); di conseguenza il dipolo elettrico risultante di quel tratto sarà
minore rispetto al dipolo risultante dello stesso tratto ma denaturato (The ipochromic effect observed in
dsDNA means that the absorption intensity of two bases in the double helix is less than the sum of their
absorption intensities in the free state when denaturated) perché lì le basi sono libere di muoversi in maniera
casuale e non sono costrette a posizioni specifiche dai legami idrogeno. If the groups, cioè their transition
moments, are randomly oriented with respect to each other, there is no net effect on the spectrum
Dato che il modulo del dipolo elettrico del single strand è maggiore di quello del double strand, sarà
maggiore anche la variazione del dipolo di transizione e di conseguenza maggiore l’intensità
dell’assorbimento di radiazione UV.
C’è un effetto di parziale cancellazione dei dipoli elettrici risultanti delle coppie di basi, dovuto al fatto
che la loro direzione ruota intorno all’asse longitudinale.

Cuvetteless low volume nucleic acid quantitation: nel caso di DNA siamo costretti a lavorare
con volumi molto piccoli (0,5-10μl), di conseguenza per la quantificazione si utilizzano nanofotometri,
NanoPhotometers offer the possibility to determine sample concentrations with submicroliter volumes

37
(starting with 0.3 µl) without the need of cuvettes. In addition, due to the reduction of the optical pathlength
samples are diluted automatically in comparison to standard cuvette measurements.
Contaminazione del campione
It is common for nucleic acid samples to be contaminated with other molecules (i.e. proteins, organic
compounds, etc.) soprattutto quando si utilizzano metodi fisici di purificazione, come la precipitazione o
l’estrazione liquido/liquido. The ratio of the absorbance at 260 and 280nm (A260/280) is used to assess the
purity of nucleic acids. For pure DNA, il rapporto tra l’intensità di assorbimento a 260 e l’intensità a 280
A260/280 is ~1.8 and for pure RNA A260/280 is ~2.
The ratio of absorptions at 260nm vs 280nm is commonly used to assess DNA contamination of protein
solutions, since proteins (in particular, the aromatic amino acids) absorb light at 280nm. The reverse,
however, is not true, because it takes a relatively large amount of proteins to significantly affect the 260:280
ratio in a nucleic acid solution.

vs.
This difference is due to the much higher extinction coefficient (ε) nucleic acids have at 260nm and 280nm,
compared to that of proteins e quindi il contributo di assorbimento delle proteine viene mascherato
dall’assorbimento degli acidi nucleici, dato che i massimi cadono nella stessa regione di λ.
Because of this, even for relatively high concentrations of protein, the protein contributes relatively little to
the 260 and 280 absorbance.
Il fatto che col 30% di contaminazione proteica il rapporto tra l’intensità 260/280 sia solamente di 6 unità su
1.94, quindi solamente del 3%, potrebbe quasi essere assimilabile al solo errore sperimentale.

38
TRASCRITTASI INVERSA
Si utilizza quando non si conosce la sequenza
di un trascritto maturo; quindi, viene
convertito a DNA. Si sfrutta l’enzima naturale
trascrittasi inversa, propria dei retrovirus,
virus a RNA. Questa è capace di ricopiare il
suo genoma, l’RNA messaggero, a formare un
DNA duplex.

Meccanismo della trascrizione inversa


La regione codificante dell’RNA virale alle estremità
presenta due regioni R identiche; inoltre, al 5’ questa è
fiancheggiata dalla regione U5, mentre al 3’ dalla
regione U3. L’enzima sfrutta un tRNA speciale che
funziona da innesco, da primer, per la sintesi di DNA
che si lega all’RNA genomico in una regione
caratteristica, PBS, primer binding site.
La trascrittasi svolge due funzioni: sintetizza DNA a
partire dall’RNA e ha azione ribonucleasica: quindi
copia le regioni U5 ed R in direzione 5’  3,
generando un tronchetto di ibrido DNA-RNA e poi degrada le stesse regioni del template, lasciando un
moncone di DNA.

39
A livello del passaggio 3-4 c’è il first jump: l’enzima
catalizza la traslocazione dell’ibrido tRNA-DNA
trasferendolo dalla regione 5’ alla regione 3’, in modo
che le due regioni R si appajino, ovviamente con
andamento antiparallelo. L’ibrido ha un’estremità 3’
costituita DNA, che può fungere quindi da primer per la
prosecuzione della trascrizione, e uno stampo di RNA
che decorre in senso antiparallelo: con queste condizioni la trascrittasi riattiva la sua funzione polimerasica,
andando a trascrivere fino alla fine il filamento stampo, anche il PBS.

A questo punto interviene l’attività nucleasica della


trascrittasi, che degrada gran parte dell’RNA template,
comprese le sequenze U3 ed R, lasciando un tratto
adiacente che fungerà da primer per la sintesi del
secondo filamento.
Quindi l’enzima inizia a sintetizzare DNA a partire dal
3’ del tratto non degradato, andando a trascrivere in
ordine le regioni U3-R-U5-PBS (che prende da stampo
il tRNA).
Riprende l’attività nucleasica, per cui si ha la
degradazione di tutto l’RNA rimasto e si ha la dissociazione del tRNA.

A questo punto l’enzima catalizza il secondo salto, in


particolare abbiamo la traslocazione del secondo
filamento verso l’estremità 3’, in modo che la sua
sequenza PBS si vada ad appaiare con quella
all’estremità 3’ del primo filamento.
Disponendo ora di due estremità 3’ libere, ciascuna
con filamento stampo antiparallelo, la trascrittasi va ad
allungare il primo filo con le regioni U5-R-U3, e
dall’altra parte trascrivere tutto in filamento, generando
il DNA retrovirale completo. Il fatto che l’attività dell’enzima comprenda quella della traslocazione implica
che debbano essere separati i due filamenti, per cui è possibile dedurre che sia dotato anche di attività
elicasica.

40
Sintesi delle proteine
• tRNA
• Ribosome
• mRNA
• Aminoacyl-tRNA synthetase
La teoria dell’adattatore: RNAtransfert
media tra le triplette di codon e la sintesi
proteica tramite l’appaiamento codon-
anticodon, che avviene in maniera
antiparallela e rispettando gli appaiamenti
di Watson e Crick A-U e C-G.

L’aa è legato tramite legame estereo tra il COOH e OH di un


residuo di adenosina fosfato al 3’, ultimo ribonucleotide. Nel
legame estereo può essere coinvolto sia l’OH sul C3’ del
ribosio che l’OH sul C2’. Lo stelo accettore è per la maggior
parte a singolo filamento, che gli conferisce notevole libertà
conformazionale, e termina sempre con la sequenza CCA.
La sequenza presenta basi azotate non canoniche, derivanti
da modifiche chimiche successive alla sintesi dei tRNA
(La trascrizione prevede anche la sitesi di tRNA e rRNA, e
nei procarioti degli snRNA).
Se il tRNA lega l’amminoacido scorretto alla catena
polipeptidica in crescita, la subunità maggiore del ribosoma
non se ne accorge, perché si occupa solo di sintetizzare il
legame peptidico. A livello evolutivo, quindi, è stato
necessario che i trna di neo-sintesi subissero modifiche
chimiche nelle loro componenti azotate, in modo da
aumentare la loro variabilità, la
diversità chimica, avendo a disposizione
per la loro struttura solo 4 basi azotate.
In questo modo si rende più specifico il
binding dei tRNA ai loro numerosi
D bersagli molecolart: mRNA, subunità
Ψ maggiore e minore del ribosoma,
aminoaciltRNAsintetasi.
Maggioranza di
RNA ribosomiali
rispetto alle
proteine.
I tRNA si
incastrano nella
cavità formata
dall’unione delle
due subunità,
limitatamente
accessibile.

41
Nei procarioti i processi di trascrizione e traduzione sono
accoppiati; si produce mrna policistronico, composto da più
geni controllato da un solo operon. I cerchietti verdi sono i
ribosomi. Fondamentale è l’identificazione dell’open
reading frame, per riuscire ad identificare il gene
d’interesse.
Se la lettura dell’ORF non è quella corretta, tutta la
sequenza amminoacidica viene falsata.

Gli

RNA messaggeri possiedono sequenze


chiamate ribosome binding site, sempre
antecedente lo start codon AUG, che
permettono l’interazione con la subunità 16s
del ribosoma. Questa interazione fa si che
venga posizionato nel sito coretto lo start
codon, AUG. Queste sequenze sono chiamate
di Shines-Dalgarno.

Il legame tra il tRNA e l’amminoacido


corretto è catalizzato da una amminoacil-tRNA-sintetasi (in
viola). La superficie d’interazioni tra questi è molto estesa e non
si limita ovviamente allo stelo accettore, essendo uguale per ogni
molecola di tRNA. L’ampio contatto permette l’assoluta
specificità di legame tra un tRNA e l’amminoacido
corrispondente.

La sintesi avviene dall’N-terminale al C-terminale. Abbiamo


rottura di legame estereo e formazione peptidico: l’energis
necessaria viene ricavata dall’idrolisi di un ATP e due GTP.

Dato che lo start codon è sempre AUG, il primo amminoacido è


sempre una metionina. Negli eucarioti poi questa viene quasi
sempre rimossa dalle esopeptidasi; nei procarioti invece la
metionina viene protetta coniugandola con un gruppo formilico;
questo impedisce che al secondo step si formi la
dichetopiperazina

42
Translation of genetic information into amino acid sequences is accomplished through a “code” in which
four bases combine into triplets (codons). 4 elementi che si combinano in gruppi di 3.
The genetic code is made of 43 possible codons: 64.
Of these, 61 encode an aminoacid and 3 are stop signals.
The genetic code is degenerate (ridondante). Several triplets encode for a single amino acid.
The genetic code is not overlapped.
The genetic code has no punctuation marks or pauses.
The genetic code is nearly universal.

Trp:1

Non sembra esserci una relazione stringente tra il numero di codon codificanti per un amminoacido e
l’abbondanza, frequenza con cui ricorre nelle proteine. Ad es., la prolina ha 4 codon, l’aspartato 2 ma questo
è molto più abbondante.
Il motivo è che all’interno di una specie i codon che codificano un amminoacido non sono presenti in egual
misura all’interno del genoma. Alcuni sono più presenti, altri più rari.

Modifiche post-traduzionali delle proteine – modifica e degradazione


Proteine dei lisosomi: enzimi lisosomiali.
Le proteine nel RER sono sintetizzate come pre-pro-proteine.
La regione pre è costituita da signal peptides, peptidi con
sequenza particolare attraverso cui le proteine vengono
direzionate all’interno della cellula, riconosciuto dai sistemi
che regolano il traffico cellulare.
I signal peptides contengono sequenze ripetute altamente
idrofobiche

43
In questo caso il signal peptide si dissocia perché la proteia va a costituire una proteina trasmembrana del
RER; se fosse invece una proteina di secrezione, non verrebbe rimosso, si formerebbero delle vescicole che
dal RER si arriverebbero al cis-golgi, cisterne del golgi più vicine al nucleo. Lì verrebbe processata e secreta
attraverso vescicole nel medium-golgi, ancora modifiche e arriva al trans-golgi, le cisterne più vicine alla
membrana. Attraverso l’esocitosi vengono poi secrete all’esterno.

44
Controllo dell’espressone genica
Cellule appartenenti a diversi apparati hanno caratteristiche completamente diverse fra loro, nonostante esse
contengano esattamente lo stesso materiale genetico; i procarioti, nonostante siano esseri molto semplici,
sono in grado di modificare la velocità di produzione di determinate proteine anche di 1000volte, in risposta
a stimoli dell’ambiente esterno.
Tutto ciò si verifica perché il genoma può essere espresso in modi differenti, producendo pool di proteine
differenti a seconda del compito di quel distretto e della necessità metabolica dell’organismo.
Sia nei procarioti che negli eucarioti, il controllo dell’espressione genica avviene soprattutto a livello della
trascrizione (DNAmRNA).

Controllo a livello della trascrizione


Lac operon
Escherichia Coli fa solitamente affidamento sul glucosio per far fronte alle sue necessità metaboliche; questo
entra per diffusione facilitata seguendo il gradiente di concentrazione, attraverso il suo trasportatore. Se però
nel terreno di coltura, invece che glucosio, è presente lattosio, disaccaride glucosio-galattosio, il batterio
deve adattarsi per poter utilizzare quest’altra fonte di energia, precursore del glucosio, per cui risulta
sufficiente andare ad idrolizzare il disaccaride e far entrare il glucosio nel metabolismo della glicolisi e poter
effettuare la fosforilazione ossidativa in condizioni aerobiche.

L’enzima necessario all’idrolisi del lattosio è la β-galattosidasi, che in condizioni normali viene espressa in
concentrazioni trascurabili (poche decine per cellula); nel momento in cui la concentrazione esterna di
glucosio è bassa e contemporaneamente è invece presente lattosio, il sistema evolve verso un altro stato
metabolico, andando a produrre ed ottimizzare gli strumenti necessari per l’utilizzo della nuova fonte
d’energia: viene indotta l’espressione, cioè aumenta l’efficienza di trascrizione del gene che nel batterio
codifica per la β-galattosidasi.
La specie chimica che è in grado di indurre l’espressione è un metabolita del lattosio, l’allolattosio.
Sulla parete del batterio ci sono trasportatori per disaccaridi, che in condizioni di scarso lattosio lavorano
molto lentamente; quando la concentrazione di lattosio aumenta, lavorano invece a Vmax. Aumentando la
concentrazione interna di lattosio, le poche molecole di β-galattosidasi presenti iniziano a catalizzare
l’idrolisi del lattosio a Vmax In condizioni di saturazione, la v max è concentrazione

dell’enzima per la costante catalitica k2.


L’attività dell’enzima si compone in due step:
- una isomerizzazione, per cui il lattosio, che ha legame 1,4 glicosidico, viene convertito in allolattosio, che
ha legame 1,6
- l’idrolisi vera e propria del disaccaride.
È l’aumento della concentrazione interna di allolattosio che funge da segnale biochimico che determina la
rimozione dell’inibizione della trascrizione del gene per la β-galattosidasi (in realtà del suo operon).
Insieme all’espressione dell’enzima, aumenta anche l’espressione di un trasportatore di membrana, la
galattoside-permeasi, che favorisce l’entrata di molecole di galattosio o di tutti i disaccaridi che lo
contengono (quindi abbastanza aspecifica), per aumentare la velocità di entrate del lattosio; insieme a questi
viene prodotto un enzima detossificante, la tiogalattoside-transacetilasi, che ha il compito di coniugare una

45
molecola di glutatione a tutte quelle specie che sarebbero tossiche per la cellula ma sono entrate perché
contenenti galattosio o i loro metaboliti tossici.

Struttura dell’operone lac


Il meccanismo viene regolato dal lac operon. L’operon è un’unità coordinata di espressione e consiste in una
serie di elementi regolatori, che si trovano a monte della sequenza di DNA codificante, e dai geni strutturali,
cioè quelli che codificano per le 3 proteine.

LacZ codifica per la galattosidasi


LacY codifica per la permeasi
LacA codifica per la transacetilasi

In condizioni di basso lattosio extracellulare,


l’espressione dell’operone lac è costantemente
inibita dal binding di un repressore
tetramerico; aumentando la concentrazione di
allolattosio, questo si lega al lac operon e con
un meccanismo allosterico promuove il
distacco del repressore dal DNA. In questo
modo la rna-polimerasi può andarsi a legare ai
siti promotori e dare inizio alla trascrizione
dei tre geni andando a formare l’mRNA
policistronico.
I siti regolatori consistono essenzialmente dei
siti promotori, a -10 e -35
- una sequenza che si trova a -10 (rispetto al sito di inizio della trascrizione indicato con +1), formata da
sei paia di basi (TATA box eucariotica e sequenza TATAAT)
- una sequenza a -35 (sempre rispetto al sito di inizio della trascrizione) contenente sei paia di basi con
sequenza TTGACA.
Gli elementi -10 e -35 sono separati da un frammento non specifico formato da 17-19 nucleotidi.
Confrontando diversi promotori, è possibile dedurre una sequenza consenso, la quale rappresenta le regioni
-10 e -35 più comuni, separate dallo spaziatore ottimale ovvero da 17 paia di basi. Pochi promotori
presentano questa sequenza esatta anche se la maggior parte risultano diversi solo per pochi nucleotidi.
I siti promotori rappresentano un sito di attrazione per la polimerasi e possono essere forti o deboli.
Nell’operone è presente anche il sito operatore ed è la sequenza a cui si lega il repressore; questo può
coinvolgere i siti regolatori ed estendersi anche fino alla sequenza codificante: l’inibitore impedisce
fisicamente il legame della polimerasi al DNA.
Un altro elemento regolatorio è il sito di binding per l’attivatore, dove si lega la proteina CAP (catabolyte
activated protein), la cui concentrazione è regolata dallo stato metabolico della cellula, e questa aumenta
l’efficienza di reclutamento dell’RNApolimerasi, aumentando l’efficienza della trascrizione e facilita
l’isomerizzazione della polimerasi, fondamentale affinché possa cominciare la trascrizione;
l’isomerizzazione è importante perché si possa avere il melting locale dei due filamenti
di DNA tra la box che si trova a -10 e l’inizio della sequenza codificante.
Nella biotecnologia per indurre l’operone lac si utilizza l’IPTG, isopropiltiogalattoside,
analogo più stabile e a basso costo dell’allolattosio.
L’utilità sta nella possibilità di indurre la trascrizione di un cDNA introdotto
nell’operone al posto di lacz, lacy e laca e posto all’interno di un palsmide per
trasformare una coltura batterica di E. coli e produrre una proteina d’interesse, anche
eucariotica.
In realtà, esprimendo proteine eucariotiche in batteri vengono prodotte catene polipeptidiche: non è detto che
queste si rinaturino a formare proteine nella loro struttura nativa, stabile e funzionalmente attiva. Quindi
46
andrà poi purificata, caratterizzata a livello chimico, conformazionale (attraverso tecniche spettroscopiche
ottiche come dicroismo circolare e fluorescenza), analisi di stabilità e poi saggi di attività.
Per determinare l’andamento dell’espressione della β-galattosidasi è possibile effettuare un saggio
colorimetrico:
si aggiunge un glicoside, X-gal,
derivato clorogenico del
galattosio; la galattosidasi scinde
il legame generando galattosio e
il derivato idrossi-indolico.
Questo spontaneamente subisce
dimerizzazione dovuta
all’ossidazione spontanea. Il dimero assorbe
nel rosso e riflette nel blu. Dopo opportuna
retta di taratura, con soluzioni di x-gal
costante aggiunto a soluzioni con
concentrazione via via crescenti di
galattosidasi, è possibile andare a ricavare la
concentrazione di galattosidasi misurandone
l’assorbanza.
Per sapere
quanta gal è
stata prodotta in una coltura, viene aggiunto lattosio o IPTG, centrifugo e poi
misuro assorbanza del surnatante. Da quella ricavo concentrazione.
La quantità calcolata di galattosidasi andrà poi normalizzata sulla base del
contenuto totale proteico, cioè sulla base del numero di cellule presenti in
coltura. Più cellule avranno più contenuto proteico e quindi più galattosidasi,
ma quello che interessa non è la quantità totale ma l’aumento relativo, per
capire se c’è stata una iperespressione selettiva
dell’enzima rispetto alle altre proteine, quindi si
misura nel tempo contenuto proteico totale e
contenuto di enzima. Il contenuto proteico totale
aumenta perché nel tempo i batteri hanno modo
di moltiplicarsi, ma l’espressione percentuale di
enzima relativa al contenuto totale aumenta.
Le sequenze del sito operatore sono simmetriche
rispetto ad un punto centrale (doppia simmetria)
e questo, di solito, indica che è presente una

simmetria nella specie chesi lega. Si può dedurre quindi che il


repressore sia composto da almeno due subunità identiche; in realtà
si scopre che è un dimero di dimeri, quindi a 4 subunità che avvolge
il DNA.
Possono verificarsi 3 casi:
+glu +lac  il batterio utilizza entrambe le fonti andando a inibire
la repressione del lac operon e mantenendo un livello basale di
trscrizione
+glu –lac  l’operone lac è legato al repressore -glu +lac 
inibizione della repressione e attivazione tramite proteina CAP

47
Quando la concentrazione di glucosio è bassa, la cellula aumenta la produzione di camp; questo è un
co-induttore, perché si lega alla proteina CAP e il complesso va a legarsi sul sito attivatore.
Allo stesso modo, l’allolattosio è un co-induttore in quanto il legame al repressore lo inattiva
Il repressore ha un dominio apicale responsabile del legame al DNA, dove troviamo il motivo tipico elica-
loop-elica, dominio centrale e dominio basale carbossiterminale. Questo si lega 4milioni di volte più
saldamente al sito operatore rispetto ad altri siti del DNA; le kd sono molto basse, nell’ordine dello 0,1
picomolare (10-13M). In un mezzo liquido, la costante di associazione può essere massimo uguale alla
costante di diffusione all’interno di quel liquido e di solito sono dell’ordine 108-109; per il repressore sono
state misurate costanti di associazione maggiori di oltre 2 ordini di grandezza, per cui si deduce che la
molecola non diffonde nello spazio nelle tre dimensioni ma semplicemente scorre lungo il DNA, in una sola
dimensione.
Quando l’allolattosio/l’IPTG entra nella cellula e arriva nella zona del nucleoide arriva sul DNA e si lega al
lac repressor nel dominio centrale, inducendo una modifica conformazionale che determina un distacco dal
DNA.
Overview:

48
Trp operon
La funzione del trp operon è quella di presiedere
all’espressione dei geni che codificano per gli
enzimi che svolgono la biositesi del triptofano,
molto lunga ed elaborata; ci sono almeno 3
enzimi coinvolti ed ognuno è costituito da diverse
subunità.
Ci sono siti di controllo, il sito operatore e 5 geni
che codificano per le subunità degli enzimi e
l’operone è controllato con un meccanismo di
repressione a controllo negativo. La biosintesi del
triptofano è sempre attiva; quando però la
concentrazione intracellulare dell’amminoacido sale al di sopra di una certa soglia, c’è la repressione
selettiva del trp operon.
Il repressore è presente nella cellula in forma inattiva, non ha cioè competenza per il legame al sito
operatore; quando aumenta la [c] del co-repressore, cioè il triptofano stesso, aumenta la frazione molare del
complesso trp-repressore attivo e questo è capace di legarsi al DNA ed impedire la trscrizione.

Pur operon
Allo stesso modo, la biosintesi delle basi puriniche adenina e guanina viene regolata con un meccanismo di
repressione a controllo negativo.

Met operon
Ugualmente accade per la biosintesi della metionina, in cui il repressore crea un complesso
competente tramite il legame con il co-repressore S-adenosilmetionina, donatore di metile per le
metiltransferasi.

Controllo a livello della traduzione


È un ulteriore meccanismo di regolazione della biosintesi degli amminoacidi, che funziona anche nei
procarioti e prende il nome di “Attenuazione della traduzione”. Le proteine vengono sintetizzate come
pre-pro-proteine, dove la regione pre contiene i signal peptides (o leader peptides), sequenze idrofobiche
precedute da un amminoacido basico.
Se osserviamo le sequenze
amminoacidiche dei signal peptides,
vediamo come questi sono ricchi
dello stesso amminoacido la cui
biosintesi è regolata dall’operon
corrispondente (es. operon His
codifica una
pre-pro-proteina con signal peptide
ricco in istidina).
Sono queste sequenze che servono a
realizzare l’attenuazione della
traduzione.

49
Il trascritto a singolo filameto può andare a
formare delle strutture secondarie;
l’appaiamento può essere 1-2 e 3-4 a formare
una forcina, che è una struttura di pausa per la
lettura da parte del ribosoma, il processo
rallenta ma non viene abortito. Quando invece il
ribosoma incontra l’appaiamento 3-4 questa
determina la terminazione vera e propria della
traduzione, impedendo meccanicamente al
ribosoma la lettura dell’mRNA, per cui è detta
struttura di terminazione.
La stessa sequenza però può strutturarsi in
modo diverso, andando a formare l’appaiamento 2-3, che non solo non inibisce la traduzione, ma anzi funge
da antiterminatore, cioè favorisce l’avanzamento dell’mRNA sul ribosoma. Se la [trp] è elevata, ci sarà
proporzionalmente un’elevata concentrazione di
triptofanil-t-RNA, triptofano coniugato allo stelo
accettore del t-RNA; quando a livello del sito
amminoacidico della subunità 30s compare il codon
del trp, quello verrà subito saturato con triptofanil-t-
rna corrispondente in modo efficiente e veloce,
perché ce n’è molto, e scorrerà velocemente sulla
regione 1 occupando la regione 2, dando il tempo alle
regioni 3-4 di appaiarsi.
Se invece la [tripfofanil-t-RNA] è bassa, il ribosoma
andrà più lento sulla regione 1, dando modo stavolta
di appaiarsi alle regioni 2-3, struttura antiterminatore.

50
Escherichia Coli
Commensale non patogeno dell’intestino umano; alcuni ceppi possono essere molto virulenti ma
generalmente non è patogeno. Batterio Gram-, con membrana plasmatica, parete cellulare relativamente
sottile di peptidoglicano e seconda membrana, ricca di lipopolisaccaridi. È un bastoncello di 2.0 µm di
lunghezza e 0.5 µm di diametro. I ceppi utilizzati sono altamente selezionati rispetto al contenuto di LPS in
modo che ne abbiamo molto poco; inoltre sono stati rimossi geni che codificano per proteasi endogene, sono
lasciati solo quelli che codificano per proteasi indispensabili alla sopravvivenza del batterio. Il genoma è
costituito da una molecola di DNA circolare, in cui ci sono circa 4300 geni organizzati in 2500 operon.

Replicazione
Il batterio si duplica secondo un andamento esponenziale:
Nt=N0 2n il numero di cellule al tempo t è uguale al numero iniziale di cellule per 2n, dove n è il numero di
cicli duplicativi.
Se definiamo g come il tempo necessario ad una duplicazione (generation time) e T il tempo totale
T T
= n da cui  Nt=N0 2 g
g
In questo modo possiamo sapere dopo un tempo T deciso da noi quale sarà il numero di cellule che abbiamo
ottenuto il quel momento.
Fasi della crescita batterica
È possibile suddividere la crescita batterica in tre fasi:
1- Lag phase: fase di latenza in cui la velocità di
duplicazione è molto moderata; la durata di questa
fase dipende dal tipo di batterio, dalla temperatura e
dalla composizione del terreno di coltura;
2- Logaritmic phase: dipendenza logaritmica (qui
lineare dovuta alla scala semilogaritmica usata) tra il
numero di cellule ed il tempo;
3- Fase stazionaria (numero cellule nuove = cellule che
muoiono);
Numero di cellule espresso in scala logaritmica 4- Descrescita (cellule nuove < cellule morte)
in funzione del tempo

Anche fornendo sempre nuovo terreo di coltura fresco, dopo una certa densità di cellule in terreno di coltura
liquido queste iniziano a produrre sostanze citotossiche per evitare la sovrappopolazione” lol.
Dal punto di vista produttivo biotecnologico il momento di crescita migliore per indurre l’espressione genica
all’interno di una coltura trasformata è appena prima della fine della fase logaritmica.
Conta batterica
Per monitorare l’andamento della crescita
è possibile utilizzare diversi metodi:
- gravimetria: si preleva un volume
significativo di soluzione ad intervalli
regolari di tempo; si filtra su nylon con
maglie di 0.1/0.2μm, si essicca il filtro e
si pesa. Ammettendo che 1 batterio pesa
1pg, si ricava il numero di batteri presente
nella soluzione prelevata dividendo il
peso totale per il peso di un batterio. La
sensibilità però è molto bassa;

51
- microscopia ottica: si prelevano 5μl (o meno) ad intervalli di tempo e si conta il numero di batteri presenti
in quel volume e si moltiplica per il volume totale. Lavorando con volumi così piccoli, l’errore relativo è
molto alto, perché basta che una microgocciolina non vada sul vetrino e la conta viene falsata. Rimane
comunque 100 volte più sensibile del metodo gravimetrico;
- saggio della vitalità cellulare: se un batterio è vivo e viene somministrato un agente cromogenico, questo
viene trasformato dagli enzimi in un prodotto colorato ed è possibile misurare l’assorbanza della
sospensione, ricavando la concentrazione di batteri vivi con opportuna retta di taratura. È un metodo molto
sensibile ma richiede più tempo, più reagenti e lo spettrofotometro, con temperatura e condizioni controllate;
- turbidimetrico: è semplice al pari del gravimetrico ma è molto più sensibile, secondo solo al saggio di
vitalità. Si va a misurare la densità ottica, cioè l’assorbanza apparente della sospensione. Si segue l’aumento
del segnale turbidimetrico a 350nm o a 600nm. Questo aumento è dato solo dalla diminuzione della
trasmittanza: l’intensità della radiazione incidente è maggiore di quella della radiazione emergente dalla
cuvetta e lo strumento lo registrerà come assorbanza e la differenza tra queste è proporzionale al numero di
cellule presenti in sospensione.
1
A=log ⁡
T
Approfondimento
L’interazione Energia (intesa come radiazione elettromagnetica)-Materia può essere di diversa natura:
- assorbimento: se alla lunghezza d’onda della radiazione incidente è associato un valore di energia dei
fotoni esattamente uguale alla differenza fra l'energia dello stato eccitato e quella di uno stato
fondamentale: in questo caso la radiazione viene assorbita e la particella passa dallo stato fondamentale a
quello eccitato;
- riflessione (light scattering): ampia classe di fenomeni in cui le onde (ovvero cambiano traiettoria) a
causa della collisione con altre particelle. La deflessione avviene in maniera disordinata e in buona misura
casuale e per questo la diffusione si distingue dalla riflessione e dalla rifrazione, che invece cambiano le
traiettorie in maniera regolare e determinata
- rifrazione: cambiamento della direzione di propagazione dell’onda incidente passando da un mezzo
trasparente ad un altro, nel quale la sua velocità di propagazione cambia; poiché la frequenza rimane
costante cambia la λ;
- diffrazione: si riferisce ai fenomeni che avvengono quando un'onda incontra una fenditura, che abbia
dimensioni simili alla sua λ: in accordo con il principio di Huygens-Fresnel, ogni punto della fenditura
diventa, a sua volta, una sorgente di onde che si propagano in tutte le direzioni dello spazio

Quando la λ della radiazione incidente è molto più


piccola del diametro medio delle particelle che incontra,
si ha un fenomeno di diffusione (scattering); di
conseguenza una parte dell’energia incidente verrà
trasmessa al detector e una parte diffusa in tutte le altre
direzioni nello spazio, per cui l’intensità della radiazione
emergente sarà significativamente minore dell’intensità
incidente. Quello che si rileva è solo la diminuzione di
trasmittanza, che l’apparecchio rileva come aumento di
assorbanza apparente.
Questo metodo non discrimina tra batteri vivi e batteri morti, per cui è necessario indurre l’espressione non
appena si raggiunge il massimo di assorbanza apparente; per E. coli, a 37° e in terreni standard, 0.6 unità di
assorbanza è un buon momento.

52
Plasmidi
Un plasmide è una molecola accessoria di DNA, separata dal
DNA genomico e che può replicarsi in maniera indipendente;
sono double stranded e spesso circolari, con dimensioni circa di
1/1000 rispetto al DNA genomico (in E.coli tra 4000 e 5000 bp).
Il trasferimento da un ospite all’altro di plasmidi richiede il
trasferimento diretto e meccanico, mediante coniugazione o
cambiamenti nell'espressione genica dell'ospite, che consentono l’assorbimento attivo dell'elemento genetico
mediante la trasformazione. I plasmidi forniscono al batterio un meccanismo di trasferimento genico
orizzontale all'interno di una popolazione e in genere forniscono un vantaggio selettivo in un determinato
microambiente. Plasmidi diversi posso coesistere nella stessa ma quelli deputati a funzioni correlate sono
spesso incompatibili; solo uno di essi sopravvive nella linea cellulare, dovuto alla regolazione delle funzioni
vitali del plasmide. È per questo molto importante che i le cellule ingegnerizzate utilizzate come bioreattori
contengano plasmidi tutti dello stesso tipo.
Plasmidi non integranti Esistono due tipi di integrazione del plasmide in un batterio ospite:
plasmidi non-integranti replicano autonomamente, mentre i
plasmidi integranti si integrano nel cromosoma ospite.
A livello biotecnologico è utile avere plasmidi non integranti: dato
che alla duplicazione cellulare è associata la replicazione del
Plasmidi integranti DNA, sia genomico che plasmidico, è possibile andare a purificare
selettivamente il DNA plasmidico, caratterizzarlo, modificarlo e
poi introdurlo in altre cellule per trasformarle, molto più semplice
rispetto a doverlo fare con DNA genomico.
Nella pratica di laboratorio si utilizzano ceppi batterici diversi
specializzati in diverse funzioni: alcune cellule si duplicano i
modo molto efficiente, mentre altre vengono ottimizzate per
esprimere proteine in grande quantità; quello che si fa è prendere il primo tipo, facciamo crescere la coltura
batterica, purificare il DNA plasmidico (ottenuto in grande quantità) e lo inseriamo nel secondo ceppo
batterico, in modo da poter massimizzare la produzione batterica, e induciamo l’espressione solo nel
momento in cui la crescita è ottimale (alla fine della fase logaritmica).
I plasmidi utilizzati per ingegnerizzare altre cellule vengono chiamati vettori ed il processo di inserimento è
detto trasformazione.
I plasmidi hanno struttura circolare superavvolto in
maniera negativa (sinistrorsa) ma è più utile avere una
DNA rilassato per poter fare l’inserzione del cDNA.
Because of its tight conformation, supercoiled DNA
migrates faster through a gel than linear or open-circular
DNA.
• "Nicked Open-Circular" DNA has one strand cut.
• "Relaxed Circular" DNA is fully intact with both strands
uncut, but has been enzymatically "relaxed" (supercoils
removed).
• "Linear" DNA has free ends, either because both strands have been cut or because the DNA was linear in
vivo.
• "Supercoiled" (or "Covalently Closed-Circular") DNA is fully intact with both strands uncut, and with a
twist built in, resulting in a compact form.
• "Supercoiled Denatured" DNA is like supercoiled DNA, but has unpaired regions that make it slightly less
compact; this can result from excessive alkalinity during plasmid preparation

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PBR322
Primo plasmide utilizzato a scopi tecnologici da Bolivar e Rodriguez, nel 1977.
Hanno preso un plasmide naturale ed hanno rimosso tutte le sequenze
che non erano indispensabili all’utilizzo del plasmide stesso come
vettore di clonaggio. Quindi troviamo:
- sito oriC: particolare sequenza di DNA presso cui viene iniziata la
replicazione; questa procede poi da questo punto in senso
bidirezionale o unidirezionale. La struttura specifica dell'origine di
replicazione può variare notevolmente tra le diverse specie, ma
conserva alcune caratteristiche comuni, tra cui quella di essere ricca
in adenina e timina. Il legame della DnaA a questa zona induce
l'avvolgimento del DNA intorno alla proteina stessa a formare
un core proteico e questo avvolgimento favorisce l'accessibilità alla
regione ricca in AT, permettendo così ad enzimi e altri fattori di
legarsi e avviare la replicazione)
- sito amp: contiene i geni che codificano per gli enzimi che
presiedono alla resistenza all’ampicillina, le β-lattamasi.
- sito tet: codifica per proteine che conferiscono resistenza alle tetracicline.
- siti di restrizione in blu: sono i siti di clonaggio, in quanto suscettibili all’idrolisi da parte degli enzimi di
restrizione.
pET-23(+)
Il pet23 è un plasmide artificiale tra i più utilizzati in
laboratorio; è stato creato in modo che contenesse solo la
sequenza di DNA indispensabile
C’è sequenza di origine e siti di resistenza agli antibiotici,
mentre i siti di restrizione sono raggruppati tutti nella stessa
regione.

Nel plasmide pBR322 ci sono


due geni che inducono
resistenza agli antibiotici ed in
ognuno abbiamo un sito di
restrizione.
Inseriamo il cDNA in quello
dell’ampicillina (PstI): il plasmide può essere vuoto, con i geni per resistenza
agli antibiotici intatti, avere il frammento incompleto o avere il frammento
corretto, perdendo la funzinalità del gene per la resistenza all’ampicillina.
Trasformiamo i batteri, questi potranno non incorporare il plasmide, e saranno
sensibili sia a tetraciclina che ampicillina, aver incorporato uno dei 3 plasmidi
possibili. Mettiamo in terreno con tetraciclina: quelli che non hanno proprio
incorporato il plasmide muoiono perché non hanno acquisito la resistenza; noculiamo i sopravvissuti in una
piastra di controllo con solo tetraciclina e una con tetraciclina e ampicillina, disponendo le stesse colonie
negli stessi punti delle due piastre: quelli che hanno incorporato il plasmide senza cDNA sopravviveranno; a
noi interessano invece quelli sensibili, quindi vediamo quali colonie sono morte nell’ampicillina e andiamo a
prenderle nella piastra della sola tetraciclina. Inoculiamo separatamente le colonie, facciamo duplicare,
estraiamo il plasmide da ognuna e lo analizziamo (facendo un’elettroforesi su agarosio e vedendo se il PM è
quello atteso o sequenziando), teniamo solo quelle col plasmide completo; a quel punto in quelle colonie
possiamo indurre l’espressione della proteina.

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Trasformazione batterica
In biologia molecolare, la trasformazione è un’alterazione del patrimonio genetico di una cellula batterica,
risultante da assorbimento, incorporazione ed espressione di DNA esogeno; la trasformazione può verificarsi
in condizioni naturali in alcuni batteri o può essere operata attraverso mezzi artificiali su altre cellule. Le
cellule che sono in grado di essere trasformate, sia un processo naturale o artificiale, sono dette competenti.
- Competenza naturale: circa l’1% dei batteri in natura è dotato
di competenza alla trasformazione, cioè sono naturalmente
disponibili all’incorporazione di materiale genetico plasmidico.
Il plasmide viene trasmesso grazie alla sintesi, a partire da geni
contenuti sullo stesso plasmide, di piccole estroflessioni,
dette pili, che prendono contatto con una cellula ricevente,
avvicinandola e rendendo possibile il passaggio del materiale
genico, che non avviene attraverso il pilo, ma grazie alla
formazione di un ponte di coniugazione. Un filamento del DNA
circolare del plasmide viene tagliato e un filamento parentale
viene trasferito nella cellula ricevente. Si attiva quindi nel
donatore la replicazione del DNA mediante il meccanismo a
cerchio rotante, che porterà al rimpiazzamento del filamento che è stato trasferito. Nello stesso tempo, un
filamento complementare al filamento donato viene sintetizzato nel ricevente a completare la molecola di
acido nucleico nel ricevente.
- Competenza artificiale: La competenza artificiale può essere indotta attraverso procedure di laboratorio
che rendano la cellula permeabile al DNA, esponendolo a condizioni che normalmente non si verificano in
natura
CaCl2 e shock termico
La procedura prevede che le cellule vengano poste in una miscela di tampone fisiologico, glicerolo e cloruro
di calcio ed infine ad uno shock termico (si passa da 0° a 42°).
La superficie di batteri come E. coli è caricata negativamente per la presenza di fosfolipidi e
lipopolisaccaridi sulla superficie cellulare e anche il DNA è carico negativamente. Una funzione del catione
bivalente potrebbe essere quella di schermare le cariche, coordinando i gruppi fosfato e le cariche negative
della superficie batterica, consentendo così ad una molecola di DNA di aderirvi. L’esposizione al freddo
inoltre destabilizza la struttura delle membrane e della parete cellulari, rendendole più permeabile al DNA.
Si pensa che l'impulso di calore crei uno squilibrio termico su entrambi i lati della membrana cellulare, che
costringe il DNA a entrare nelle cellule attraverso i pori o la parete cellulare danneggiata.
Il glicerolo oltre a funzionare come destabilizzante in quanto cosolvente, serve anche come crioprotettore,
abbassando il punto di congelamento della sospensione ed evitando che si formino aghi di ghiaccio
all’interno delle cellule batteriche.
Ci sono aziende che producono cellule competenti standardizzate, per garantire la riproducibilità del metodo.
Queste cellule competenti vengono conservate in freezer in glicerolo e CaCl2; al momento dell’uso
scongeliamo a 37°C, preleviamo un’aliquota, la mettiamo in ghiaccio, aggiungiamo il pasmide e incubiamo
per 1 ora. Si pone poi la epperndorf repentinamente a 42° e avviene l’incorporazione.
Per la crescita della coltura batterica non si può utilizzare un terreno di coltura liquido, perché le cellule sono
estremamente labili e il tasso di sopravvivenza è più basso; è quindi necessario farli crescere su piastra Petri,
su terreno solido (terreno liquido addizionato di un gelificante, di solito agar agar). Qui hanno degli
ancoraggi fisici al terreno e riescono a crescere e duplicarsi in modo soddisfacente. Il limite del terreno
solido è la crescita limitata alla superficie, per cui lo spazio fisico disponibile alla crescita è minore rispetto
al volume che avrebbero in sospensione, per cui si opera l’inoculo: si preleva una colonia dal terreno solido e
si inserisce in terreno liquido per farla crescere. Questa metodologia serve anche a selezionare un solo tipo di
batterio tra tutti quelli trasformati, per avere uniformità nel campione e diminuire la competizione tra batteri
diversi.

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Elettroporazione
L'elettroporazione, o elettropermeabilizzazione, è un aumento significativo della conduttività elettrica e della
e permeabilità della membrana plasmatica, causate dall’applicazione di un campo elettrico esterno, che
genera dei pori sulla superficie; il meccanismo con cui questo avviene non è ancora ben chiaro.
È un metodo 10 volte più efficiente rispetto all’altro, soprattutto se si deve incorporare un plasmide di grandi
dimensioni.
La sospensione batterica viene inserita in una cuvetta dotata di due elettrodi
metallici, attraverso cui si applica la differenza di potenziale e si ha la
generazione del poro idrofilo, cioè con la superficie ricoperta dalle teste polari
dei fosfolipidi.
ΔV
È più complesso come metodo, perché richiede lo strumento ma è necessario
per introdurre plasmidi a PM elevato.

Elettroforesi su gel di agarosio


L'agarosio è un polimero lineare, relativamente poco solubile a basse temperature e che tende a costituire
reticoli tridimensionali in soluzione.
È costituito dall'unità monomerica ripetitiva dell'agarobiosio, un
disaccaride costituito da D-galattosio e 3,6-anidro-L-galattopiranosio.
L'agarosio si solubilizza a 80 °C e la soluzione solidifica abbassando la
temperatura, passando da sol a gel.
Il reticolo tridimensionale del gel definisce delle maglie, che fungono
da setaccio molecolare per gli acidi nucleici. Il tampone in cui si effettua la corsa è Tris-Acetato-EDTA
(serve a sequestrare il Mg2+ cofattore delle nucleasi) ed è lo stesso in cui viene fatto gelificare l’agarosio.
Sample loading buffer (tampone per caricamento del campione): Tris/Acetato-pH8/SDS (per liberare il DNA
da eventuali proteine che vi sono legate e che non sono state purificate; non viene aggiunto nel tampone in
cui solidifica l’agarosio e nemmeno nel tampone di corsa), glicerolo (serve ad aumentare la densità del
buffer, diminuendo la velocità di diffusione del campione, per evitare che il primo pozzetto caricato inizi a
diffondere nel tampone che ricopre il gel).
Per la corsa elettroforetica degli acidi nucleici non serve l’SDS nei tamponi di polimerizzazione e di corsa
perché la mobilità elettroforetica è costante per la loro composizione chimica: ad un incremento Δx di massa
molecolare corrisponde sempre lo stesso incremento di carica, per cui il rapporto tra la carica ed il raggio
idrodinamico è funzione solamente delle dimensioni.

Velocità di elettromigrazione La velocità di corsa di una particella dipende dal campo elettrico (costante
nel sistema) e quantità di carica (costante per incremento di massa), fratto
6π e viscosità (costante nel messo dato) e r raggio idrodinamico (unica
variabile dell’equazione), direttamente proporzionale al peso molecolare,
a sua volta direttamente proporzionale al numero di basi.

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Traccianti
Sono di solito di colore blu e servono per verificare quando è terminata la corsa elettroforetica. I più
utilizzati sono il blu di bromofenolo e lo xilene cianolo.
Sono piccole molecole organiche con Rf che corrisponde ad un tratto di DNA con 5k bp (blu bromofenolo) e
300bp (xilene cianolo)

Coloranti
A rigore si dovrebbe aggiungere un intercalante sia al sample loading buffer che alla soluzione di agarosio,
che funge poi anche da colorante.
Storicamente si utilizzava etidio bromuro, molto tossico; ad oggi si utilizzano suoi derivati molto più idrofili,
come GelRed, GelSafe o CyberGreen, che non passano l’epidermide. Essendo più idrofili, non hanno buone
caratteristiche da intercalanti. Il motivo per cui serve l’intercalante è che i plasmidi hanno superavvolgimenti
negativi, che falsano i risultati della corsa elettroforetica: il ruolo degli intercalanti è quello di introdurre
superavvolgimenti positivi, rilassando il DNA circolare. (diminuisce il numero di twist)
Linking: numero di volte che un filamento passa sopra all’altro nel DNA chiuso. Questo numero è costante
in DNA chiusi, per cui se da una parte li diminuisco (come nell’apertura di una forcella di repicazione) a
valle nell’unità di spazio aumentano.
Twisting: numero di volte che la doppia elica ruota su sé stessa
Writhing: numero di volte che un filamento si sovrappone si sovrappone all’altro all’interno della struttura
terziaria (superavvolgimenti)
Con gli intercalanti si ottiene il topoisomero rilassato, senza superavvolgimenti. C’è una concentrazione
ottimale da utilizzare; se in eccesso si rischia di ottenere un DNA superavvolto positivamente.
In blu c’è lo spettro di assorbimento ed in rosso quello
di fluorescenza. L’etidio assorbe intorno a 520nm e
320nm; essendo il massimo a 320nm più intenso, anche
la fluorescenza che ne deriva sarà più intensa ed
avviene intorno ai 615 nm. Poniamo il gel su un trans-
illuminatore con lampada a luce bianca (che contiene
anche UV) e avviene l’emissione dove c’è il colorante.
Questi si trovano anche in altre parti del gel, ma
l’emissione è circa 100 volte più intensa quando questi
sono coniugati al DNA.

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Estrazione del DNA dal gel di agarosio
È possibile utilizzare l’elettroforesi per andare a micropurificare il DNA di interesse (sono rilevabili fino a
20 picogrammi) per poi amplificarlo con la PCR.
È importante non irraggiare il gel con lunghezze d’onda più basse di 300nm, cioè con UV.
Approfondimento: Dimeri di timina
Sotto l'effetto della radiazione UV, due timine consecutive sullo stesso filamento di DNA (e in misura
minore citosine) possono formare un dimero covalente. Questo dimero risulta da una cicloaddizione tra le
due basi adiacenti che formano due legami inter-nucleotidici, determinando la formazione di un
anello ciclobutano tra le due timine consecutive sullo stesso filamento. Si parla di dimero di ciclobutano
delle pirimidine o CPD (dimero di ciclobutano-pirimidina). Questa ciclizzazione deforma e irrigidisce il
DNA e impedisce alla DNA polimerasi di sintetizzare il filamento complementare uno di fronte all'altro
durante la replicazione del DNA, che blocca la divisione cellulare.
La formazione dei dimeri di timina riducono la quota di DNA analizzabile, perché non sono rilevabili con le
tecniche di sequenziamento conosciute, per cui è preferibile diminuire un po’ la sensibilità del metodo ed
irraggiare a 520 invece che 320nm.
Elettroeluizione in dialisi
In sacchetto da dialisi viene posta la banda ritagliata del gel con tampone TEA, all’esterno altro tampone e si
applica una differenza di potenziale in modo che sul sacchettino ci sia il polo negativo e nella zona esterna
quello positivo: se i pori del sacchetto sono sufficientemente grandi per far passare il DNA, questo migregrà
verso l’esterno mentre l’agarosio nello stato gelificato rimarrà all’interno perché troppo grande per quei pori.
Low-melting agarose gel ed estrazione liquido/liquido
Ci sono alcuni tipi di agarosio che sono basso-fondenti, a catena relativamente corta, che tornano da gel a sol
a temperature abbastanza basse, 27-30°C. Viene ritagliata la banda di gel e si scalda a 30°, temperatura a cui
il DNA è stabile. Se si deve condurre un’analisi chimica, come il sequenziamento, non è un problema che ci
sia l’agente intercalante; se invece voglio il DNA senza intercalante, per esempio per eseguire la PCR o per
trasformare una coltura batterica […]
Dopo il melting dell’agarosio si opera un’estrazione in fenolo/cloroformio: soluzione satura di fenolo in
cloroformio a 30°, si aggiunge tampone e il DNA si troverà nella fase acquosa, su cui si dovrà poi effettuare
un’estrazione con etere per rimuovere le tracce di fenolo.
Low-melting agarose gel e digestione enzimatica dell’agarosio
Un altro metodo per rimuovere il DNA dall’agarosio è quello di utilizzare un enzima che lo degradi
idroliticamente, l’agarasi, ottenendo frammenti di agarosio che sono solubili. È poi possibile purificare il
DNA attraverso la precipitazione in etanolo al 95% o come prima con l’estrazione fenolo/cloroformio.
Purificazione con spin column
Le spin column sono eppendorf dotate di un cestello con una piccola colonna cromatografica di silice fusa.
Si va a dissolvere il gel con un agente caotropico (guanidinio cloruro) a 50° e tampone TEA; il gel di
agarosio non è un reticolo covalente ma è stabilizzato da interazioni deboli, per cui un agente caotropico
destabilizza la struttura e dissolve il gel. La soluzione risultante viene caricata sulla spin column e il DNA, in
presenza di Na+ (che fa da ponte cationico tra i silanoli carichi negativamente ed il DNA anch’esso carico
negativamente) e guanidinio (che altera la struttura tridimensionale dell’acqua) si lega abbastanza
tenacemente ali silanoli della silice mentre il resto viene eluito mediante centrifugazione; è poi possibile
eluire il DNA addizionando H2O e spinnando.
I co-solventi sono definiti cosmotropici (dal greco "che fanno ordine") qualora contribuiscano alla stabilità
e alla struttura delle interazioni acqua-acqua. I cosmotropi favoriscono l'interazione tra molecole d'acqua.
il che stabilizza anche le interazioni intramolecolari in macromolecole come le  proteine.[1]  Qualora il co-
solvente causasse l'effetto opposto, prenderebbe il nome di agente caotropico ("che fanno disordine), il
quale disturba la struttura dell'acqua favorendo, così, la solubilità di particelle non polari e destabilizzando
gli aggregati di soluto.
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Estrazione di acidi nucleici
MiniPrep
L’estrazione del DNA plasmidico può essere effettuata su 3 scale: mini, midi e maxi. La mini prevede
l’utilizzo di 5ml di coltura cellulare in terreno liquido. Questo step serve per andare a purificare tutto il DNA
plasmidico prodotto da una coltura di cellule competenti (DH5α), che abbiamo trasformato con una piccola
quantità di plasmide, facciamo un’elettroforesi per vedere se è puro, e poi aggiungerlo ad un’altra coltura di
cellule (BL21) specializzate nell’espressione di proteine (ad esempio che hanno molti ribosomi).
1- Rottura delle cellule con lisi osmotica. Si aggiunge buffer GTE (glucosio/tris/EDTA): le cellule
importano il glucosio utilizzando i trasportatori di superficie. Questo fa aumentare la pressione
osmotica interna ed inizierà quindi ad entrare anche acqua. Data l’alta concentrazione esterna del
glucosio, l’acqua continua ad entrare insieme al glucosio fino a causare la lisi osmotica del batterio.
Alla miscela è aggiunta anche la ribonucleasi, per degradare gli mRNA, i più accessibili, perché
quelli ribosomiali sono ancorati ai ribosomi e i trna hanno struttura secondaria e terziaria quindi sono
meno disponibili all’attacco.
2- Lisi alcalina: si aggiunge una soluzione di SDS e NaOH 0.2M, condizioni molto denaturanti e la
ribonucleasi è ancora sufficientemente attiva. L’SDS va a sfaldare i relitti di membrana, NaOHconc
causa denaturazione delle proteine e idrolisi dei fosfolipidi, ma soprattutto denaturazione chimica
dell’RNA: a queste condizioni vengono sfaldate le membrane del RER, denaturazione chimica e
idrolisi del tRNA e rRNA, sia da NaOH che da ribonucleasi. La soluzione ottenuta è fortemente
alcalina e denaturate. A queste condizioni si denatura anche il DNA genomico e quello plasmidico,
che sono a single strand; essendo però questi circolari, non c’è separazione fisica ma rimangono
catenati
3- Salting out del DNA genomico: si aggiunge soluzione molto concentrata di AcK, che contribuisce al
pH alcalino e poi si va a neutralizzare con acido acetico glaciale (pH=4.8); in queste condizioni
otteniamo un pH di circa 7. Nella miscela è presente anche una bassa concentrazione di guanidinio
cloruro, che serve sia per ottenere una denaturazione completa delle proteine che per la purificazione
dello step successivo con la spin column. Con la soluzione a così alta forza ionica otteniamo:
precipitazione di SDS-membrane
precipitazione delle micelle di SDS
precipitazione tramite salting out delle proteine
precipitazione del DNA genomico, che essendo più grande non riesce a rinaturarsi nel duplex
idrosolubile, quindi aggrega e precipita.
Il DNA plasmidico, essendo più piccolo, riesce a rinaturarsi e formare il duplex
4- Separazione su spin column: nella soluzione abbiamo solo il DNA plasmidico, tracce di proteine,
tracce di lipidi, tracce di RNA degradato nei suoi monomeri; spinniamo e carichiamo il surnatante
nella spin column: con ioni alcalini e guanidinio che abbiamo già messo, solo il DNA rimarrà legato
alla silice mentre tutto il resto sarà eluito con etanolo al 75% con la centrifugazione. si aggiunge poi
acqua e otteniamo il DNA plasmidico per centrifugazione.

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Southern blotting e gene phishing: gel non viene colorato, viene immerso in soluzione NaOH per
avere la denaturazione del DNA duplex, al di sotto del gel di agarosio c’è una spugna, al di sopra c’è
foglietto di nitrocellulosa (molto più apolare della
cellulosa) o Immobilon. Ancora sopra si mette una
pila di carta assorbente e ancora sopra un peso
distribuito uniformemente su tutta la superficie. Per
capillarità, la soluzione di NaOH sale dalla spugna al
gel al foglietto di nitrocellulosa alla carta assorbente,
ed in questo passaggio il DNA single strand riesce ad
attraversare le maglie dell’agarosio e va ad aderire al
foglietto di nitrocellulosa/Immobilon. Dopo una notte
si può colorare il gel per vedere se ci sono residui di
DNA che non si è trasferito. A quel punto si mette ad
incubare il foglietto in una vaschetta con una
soluzione del nostro oligonucleotide sintetico marcato
con fluoroforo all’estremità 5’ per andare a pescare il
gene d’interesse.
A questo punto, se abbiamo preparato due gel uguali,
sul secondo non facciamo il blotting ma lo coloriamo
con intercalanti, sappiamo quale banda contiene il
gene d’interesse quindi andiamo a tagliarla e possiamo
fare PCR e sequenziamento. Yuppi! Dopo aver
sequenziato, si possono usare enzimi di restrizione per
tagliarlo in modo selettivo e ottenere solo la sequenza
codificante (se il gene non subisce splicing. Se lo subisce bisogna usare la trascrittasi inversa).

60
DNA Ligasi
L’enzima utilizzato nella biotecnologia è di origine virale, dal batteriofago T4.
1- enzima adenilato attraverso attacco della
lisina dell’enzima sul fosfato dell’ATP ed
uscita di PPi;
2- enzima catalizza attacco del 5’ del DNA da
ricucire sull’adenilato, con liberazionde
dell’enzima; si forma legame fosfoanidridico;
3- enzima catalizza attacco dell’OH in 3’ dell’altro tratto
di DNA sul fosfato, che ora è anidridico, quindi molto più
elettrofilo con l’adenilato, con liberazione dell’AMP.
Applicazioni: clonaggio si siti di restrizione (per ricucire le
sticky ends di frammenti di restrizione);
Mutagenesi sito-specifica

Un parametro molto importante per la riuscita della


legazione è la T. La ligasi da T4 è maggiormente attiva
intorno ai 25°C, ma per un’efficienza ottimale della
reazione va bilanciata con la T di melting e di annealing
delle sticky ends da unire, perché l’enzima lavora molto
meglio quando i filamenti sono già accoppiati tra loro.
Maggiore è la sovrapposizione, più alta sarà la Tm di quel
tratto; per un accoppiamento di 4 paia di basi la Tm è circa
12°-16°C.

Altro aspetto da valutare è la concentrazione del


frammento da inserire e del plasmide che lo incorporerà: in
eccesso del primo c’è il rischio che si abbia
polimerizzazione dei frammenti; in eccesso del secondo
c’è il rischio di ottenere plasmidi che non hanno
incorporato l’inserto. Di conseguenza la situazione
ottimale è di lavorare più o meno a pari concentrazioni dei
due.

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Labelling degli acidi nucleici
Con la sintesi chimica degli acidi è possibile utilizzare fosforammiditi non nucleosidiche per ottenere un
filamento con l’estremità 5’ che sia fosforilata, in modo che possa essere utilizzato come substrato della
ligasi.
In alternativa, è possibile ricorrere ad un labelling enzimatico, cioè una fosforilazione del 5’ operata da una
chinasi, che trasferisce un gruppo fosfato dall’ATP all’estremità 5’ del filamento.
L’enzima utilizzato è la T4-polinucleotide-chinasi, T4 PNK, anche questa da batteriofago T4 ed è in grado
di utilizzare come substrati entrabi gli acidi nucleici e sia single strand che double strand.

Con il labelling chimico è possibile utilizzare fosforammiditi non nucleosidiche che abbiamo il fosforo
variamente funzionalizzato, per introdurre nella molecola gruppi chimici d’interesse.

Qui il fosfato che rimane è funzionalizzato con un succinimidil-estere, col


carbonio molto elettrofilo preceduto da uno spaziatore. In questo modo è
possibile andare ad immobilizzare l’oligonucleotide sintetizzato per esempio su
una fase solida per una cromatografia di affinità

Qui la fosforammidite è funzionalizzata con uno steroide, per


esempio che vada a riconoscere il proprio recettore nucleare e quindi
veicolare l’acido nucleico verso il nucleo

Un’applicazione molto interessante è quella della


funzionalizzazione con la biotina e dovuto spaziatore, per
poter sfruttare l’interazione molto forte che c’è tra biotina e
avidina (proteina dell’albume). Costante di affinità: 10-15
Esempio: si sintetizza un oligonucleotide marcato con
biotina, la cui sequenza è complementare ad un mRNA maturo che si vuole isolare (perché non si conosce la
sequenza completa della proteina che si vuole studiare e non è possibile utilizzare il database del genoma
perché il gene subisce splicing) e si funzionalizza una colonna con avidina; si fa la separazione per
cromatografia di affinity ed ottengo il mio frammento; lo trasformo in DNA duplex con la trascrittasi inversa
e lo amplifico con PCR per sequenziarlo.

62
Mutagenesi sito-specifica
È possibile congegnare nuovi geni con proprietà specifiche operando attraverso tre tipi di mutazioni:
delezioni, inserzioni e sostituzioni.
È utile per produrre proteine ma soprattutto enzimi cataliticamente più efficienti, più stabili alle condizioni
sperimentali (T, pH, solventi organici) e magari con specificità di substrato diverse; ancora proteine
terapeutiche con maggiore affinità per il ligando, quindi più attive, o con migliore profilo farmacocinetico, o
meno immunogeniche etc.; l’approccio della SAR/QSAR viene quindi mantenuto anche per quanto riguarda
i farmaci biologici, cercando di migliorare la farmacodinamica e la farmacocinetica. Ovviamente lavorare
con macromolecole invece che con piccole molecole organiche è molto più complesso, perché oltre alla
relazione composizione chimica-attività, c’è quella struttura-attività, per cui una variazione chimica (un aa al
posto di un altro) può dare informazioni dirette sulle proprietà della proteina in quella posizione solo se la
struttura tridimensionale locale e totale rimangono invariate; quando una sostituzione (anche conservativa,
tipo valina-isoleucina) influenza la funzione si deve verificare che la struttura sia rimasta invariata, perché è
possibile che in realtà la mutazione non abbia a che vedere strettamente con la funzione (non fa parte di siti
attivi, allosterici o di legame) ma induce un cambiamento conformazionale che a sua volta influisce sulla
funzione.

Delezione
Una delezione specifica può essere prodotta scindendo un plasmide in due siti con un enzima di restrizione e
farlo richiudere a formare un cerchio più piccolo. Questo semplice approccio di solito rimuove un grande
tratto di DNA. Una delezione più piccola può essere realizzata tagliando un plasmide in un singolo sito. Le
estremità del DNA lineare vengono poi idrolizzate con un'esonucleasi che rimuove i nucleotidi da entrambi
fili ed il tratto di DNA accorciato viene quindi legato per formare un cerchio in cui manca un breve tratto di
DNA intorno al sito di restrizione. È utile per capire la funzione di un dominio o di una zona, producendo un
mutante troncato e facendo poi un saggio di attività, vedendo se funziona ancora o no.
Sostituzione
Le proteine mutanti con sostituzioni di singoli amminoacidi possono essere facilmente prodotte dalla
mutagenesi diretta da oligonucleotidi. Supponiamo di volere sostituire un particolare residuo di serina con
uno di cisteina. Se la serina di interesse è codificata da TCT, dobbiamo cambiare
la C in una G per ottenere la cisteina, che è codificato da TGT. Questo tipo di
mutazione è chiamata mutazione puntiforme
perché solo una base viene sostituita.
La chiave di questa mutazione è sintetizzare
un primer oligonucleotidico che è
complementare a questa regione del gene
tranne per il fatto che contiene TGT al posto
del TCT.
Il DNA viene denaturato e si utilizza una topoisomerasi per ottenere la
decatenazione dei due filamenti; il primer viene poi ibridizzato con filamento
complementare. La mancata corrispondenza di una coppia di basi su 15 è
tollerabile se l’annealing viene effettuato alla temperatura appropriata. Dopo
l’appaiamento al filamento complementare, il primer viene allungato dalla DNA
polimerasi, che sintetizza tutto il filamento mancante e il cerchio a doppio
filamento viene chiuso aggiungendo DNA ligasi, ottenendo un DNA che contiene
un mismatch, un appaiamento sbagliato. Con questo plasmide si opera la
trasformazione di una coltura batterica competente, che viene fatta crescere in
terreno solido e poi in terreno liquido. La successiva replicazione di questo
duplex da parte delle cellule che lo hanno incorporato produce due tipi di

63
progenie, una col plasmide puro con la sequenza TCT originale e una col plasmide puro con la sequenza
TGT mutata, tutte nella stessa provetta. Per selezionare la linea cellulare col plasmide mutato si va a
piastrare su terreno solido, in cui statisticamente avremo il 50% di uno e 50% dell’altro; dal terreno solido si
prelevano 4 colonie e si inoculano separatamente (almeno una sarà quella col plasmide mutato); dopo
duplicazione si effettua miniPrep e si sequenzia (unico modo per rilevare la mutazione puntiforme), per
sapere quale delle 4 provette contiene le colonie con plasmide mutato.
Si estrae il plasmide, viene trasformata una linea cellulare vettori d’espressione BL21star o BL21gold, IPTG
ed ottengo la catena polipeptidica. Fatto ciò, bisogna vedere se la proteina si refolda spontaneamente o
meno.

Inserzione: metodo di mutagenesi a cassetta


Con la mutagenesi guidata dall’oligonucleotide non è possibile inserire
mutazioni multiple, perché altrimenti il primer sintetico sarebbe troppo poco
affine al filamento stampo e non si avrebbe annealing. La mutazione multipla
è possibile realizzarla invece con la tecnica a cassetta.
Nella mutagenesi a cassetta, il DNA plasmidico viene tagliato con enzimi di
restrizione in due punti, per rimuovere un breve segmento, e poi si purifica
tramite gel filtrazione in scala analitica, per liberarci del frammento escisso.
Viene sintetizzato un oligonucleotide duplex (la cassetta), già con sticky ends
complementari alle estremità del plasmide tagliato e con la sequenza che si
desidera introdurre nel plasmide; questo viene aggiunto al plasmide aperto e
tramite l’attività della DNA ligasi otteniamo il plasmide chiuso che contiene
la mutazione desiderata.

64
Biospettroscopia
Quando si introduce una mutazione all’interno di una proteina, è sempre necessario andare a valutare
eventuali cambiamenti indotti dalla mutazione nella struttura tridimensionale; analogamente, quando si
produce un polipeptide in coltura batterica, bisognerà verificare che la struttura tridimensionale sia la stessa
della proteina estratta da fonte naturale, perché queste hanno subito processamenti metabolici diversi e
processi di purificazione diversi, che potrebbero aver influito sulla conformazione nello spazio.
Le tecniche spettroscopiche ottiche sono dette a bassa risoluzione ma ci danno informazioni importanti nella
comparazione tra due proteine.

Spettroscopia UV
La spettroscopia UV lavora nel lontano UV (180-250nm) e nel vicino UV (250-350nm).
L’assorbimento della radiazione em da parte di un campione con cromofori soltanto se la differenza di
energia tra lo stato elettronico fondomantale e lo stato elettronico eccitato è
uguale ad hν della radiazione incidente, e l’elettronce viene promosso verso lo
stato eccitato.
Principio di Franck&Condon: nel periodo di tempo in cui avviene la transizione, gli e- si muovono e
determinano una redistribuzione elettronica, ma i nuclei e le molecole di solvente rimangono ferme. Una
conseguenza diretta è che se le particelle negative cambiano la loro distribuzione mentre quelle positive no,
si avrà un cambiamento nel dipolo elettrico. δ- δ+
Regole di selezione:
1- Regola di selezione elettronica: c’è assorbimento se e solo se la variazione del
momento di dipolo elettrico associata alla transizione elettronica è diversa da
zero; l’intensità dell’assorbimento è funzione del quadrato della variazione
stessa.

Il solvente non ha abbastanza tempo per riorientare i propri momenti dipolari in


base alla nuova distribuzione elettronica perché la transizione dura 10-15s, per cui l’interazione tra lo
stato eccitato ed il solvente è energeticamente svantaggiosa.
2- Regola di selezione magnetica: a seguito della transizione elettronica il numero quantico di spin non
varia, l’elettrone mantiene il proprio spin. Se allo stato fondamentale è singoletto, rimane singoletto
anche nello stato eccitato.

3- Regola di selezione di simmetria: sono più probabili le transizioni elettroniche che avvengono tra
orbitali con simmetria simile. In altre parole, una transizione è
permessa solamente se la simmetria della distribuzione
elettronica della ² si conserva durante la transizione
Esempio π  π* permessa per simmetria; n  π* proibita
per simmetria.

65
Gli orbitali n e π* sono simmetrici
rispetto a piani diversi, mentre π e π*
sono simmetrici rispetto allo stesso
piano (xz).

Transizioni e spetto di assorbimento dell’acetone

Nello spettro di assorbimento UV dell’acetone vediamo un piccolo picco a 274nm, dovuto alla transizione
nπ*, ma l’intensità è molto modesta perché formalmente quella transizione è proibita per simmetria; il
picco a 195nm è invece molto intenso, perché dovuto ad una transizione permessa per simmetria e la
lunghezza d’onda è più bassa perché la differenza di energia tra i due orbitali è maggiore. Il motivo per cui
comunque un picco a 275nm c’è è dovuto ai movimenti di stretching e bending dei legami covalenti, per cui
una molecola non è rigida e si osservano delle eccezioni (in realtà si parla di probabilità che un fenomeno
avvenga: se è sfavorito, la probabilità è minore e meno molecole della popolazione si troveranno nella
situazione favorevole affinché il fenomeno avvenga).

Legame peptidico
nodi Nel legame peptidico abbiamo tre centri: un
ossigeno carbonilico, un carbonio carbonilico e
l’azoto; sono presenti due e-π tra il carbonio e
l’ossigeno e due e- dell’azoto che sono
parzialmente delocalizzati sull’insaturazione
adiacente, per cui il legame C-N ha parziale
carattere di doppio legame per un totale di 4e-π
Gli orbitali risultanti sono il π1 di legame con i 3
orbitali atomici 2p tutti in fase, l’orbitale π2 di
non legame, che ha un nodo sul carbonio, cioè
assenza di densità elettronica, e l’orbitale π3*, che

66
è di antilegame, con gli orbitali 2p tutti fuori fase e in cui ci sono due nodi, uno tra il carbonio e l’azoto e uno
tra il carbonio e l’ossigeno.
I due orbitali atomici n1 e n2 sono quasi isoenergetici e sono i due orbitali sp2 dell’ossigeno.
I primi due orbitali molecolari sono occupati ciascuno da due elettroni con spin opposti, secondo il principio
dell’Aufbau; le transizioni che si vanno ad indagare sono la π  π3* che avviene intorno a 190nm e le
2

transizioni n  π3* a circa 220nm, che compare come una spalla.

Amminoacidi aromatici
Il cromoforo più abbondante nelle proteine è sicuramente il legame peptidico (su 100aa abbiamo 99 legami
peptidici), ma ci sono anche altri cromofori che hanno intensità di assorbimento rilevante e sono gli
amminoacidi aromatici. Questi assorbono sia nel lontano UV per le transizioni etileniche, permesse per
simmetria, che danno infatti bande molto intense, che nel vicino UV, per transizioni benzenoidi,
formalmente proibite per simmetria e sono:
il triptofano, con un massimo di assorbimento a
280nm e una spalla a 290nm
la tirosina, massimo a 275nm e spalla intorno a
280
e la fenilalanina, con massimo a 257nm
Poi abbiamo i picchi di assorbimento nel lontano
UV, tra 210 e 230nm.

In questo dettaglio del vicino UV vediamo il contributo


di assorbimento che hanno le strutture, in particolare a
280nm: la cistina, cioè dimero della cisteina che si forma
tramite ponte disolfuro tra i due atomi di zolfo in γ, ha un
piccolo contributo, trp e tyr grande contributo, mentre
phe e his assorbono davvero poco nel vicino UV.
Indagare l’assorbimento nel vicino UV è interessante
perché da delle bande caratteristiche, grazie alle quali
riusciamo a distinguere e identificare la presenza di un
amminoacido dallo spettro della proteina.
Se ho una proteina di cui non conosco il coefficiente di estinzione molare, lo si può ricavare da una retta di
taratura: si allestiscono una serie ci soluzioni a concentrazione ponderale crescente (non moli/litro, ma
grammi/litro) e se ne misura l’assorbanza. Graficando in xy, la retta che ne deriva ha la pendenza che sarà
esattamente ε (espresso in peso però, non in moli); se si conosce il peso molecolare, si divide ε su PM e si
ottiene il coefficiente in molarità.
Spesso però le quantità disponibili delle proteine sono μg e non è possibile calcolare ε con la retta di taratura;
si può allora valutare il contributo di ogni amminoacido aromatico alla ε della proteina conoscendone la
composizione amminoacidica:

In questo modo è possibile stimare con buona approssimazione il coefficiente di assorbività molare di una
proteina (le cisteine libere non assorbono, solo i ponti disolfuri)

67
Queste bande sono dette
bande benzenoidi,
perché le transizioni che
le determinano sono
simili a quelle che si
hanno nel benzene.
Queste sono
formalmente proibite
per simmetria.

La fenilalanina nel vicino UV ha un picco a 257


nm, quindi a 280nm non contribuisce
all’assorbimento di una proteina, ma comunque
anche a λ=257, la sua ε fa schifo (200). La
differenza tra tyr e phe sta solo nell’OH fenolico
eppure lo spettro cambia drasticamente nella λmax e nell’intensità: l’aumento di intensità è dovuto al maggior
momento dipolare della tirosina per la presenza dell’OH, che in più è coniugato all’anello benzenico ed
aumenta anche la densità elettronica, da cui un Δμ maggiore (regola selezione elettrica); per quanto riguarda
lo shift da 257 a 275 come λmax, è che il solvente può instaurare legami idrogeno con l’OH che funge sia da
donatore che accettore e così riesce a stabilizzare lo stato eccitato, facendo diminuire il ΔE tra i due stati.
Il triptofano invece, col suo gruppo metil-indolico (formalmente benzene condensato con pirrolo), essendo
biciclico ha un’ampia delocalizzazione della densità elettronica, facendo aumentare il Δμ di transizione;
inoltre, avendo una struttura intrinsecamente molto meno simmetrica di tirosina e fenilalanina, ha più
deroghe alla regola di selezione di simmetria e la sua ε è circa 4 volte della tirosina.

Effetto del solvente


Le analisi spettroscopiche vengono effettuate quasi sempre in
soluzione acquosa, ma lo stesso cromoforo aromatico nella proteina
può trovarsi sia nel core idrofobico della proteina sia superficialmente
a contatto col solvente acquoso, per cui sono stati fatti studi di
assorbimento differenziale in cui si registrano gli spettri dei cromofori
in diversi solventi a polarità differente, che hanno il ruolo di mimare il
diverso intorno chimico in cui il cromoforo si può trovare (la costante
dielettrica del core idrofobico è circa 2, mentre sulla superficie è 78-
80). Come mimic del solvente che simula l’interno della proteina si
dovrebbe utilizzare il cicloesano, ma purtroppo gli amminoacidi nella
loro forma zwitterionica non sono solubili in cicloesano. È stato
utilizzato il 20% di DMSO: passando da acqua a 20% V/V di DMSO, che è polare ma meno dell’acqua, c’è
uno shift verso il rosso; quindi potendo immaginare lo spettro dell’amminoacido in cicloesano, che è molto
più apolare del DMSO, ci si aspetta una variazione ancora maggiore della λmax verso il rosso (red shift);
ovviamente è vero anche il contrario: passado da un intorno chimico apolare ad uno apolare, si ha un blue
shift.

68
S0 identifica lo stato fondamentale della
molecola (l’HOMO, da dove partono gli
elettroni) mentre gli stati elettronici eccitati
sono identificati con Sx con x che è un
qualsiasi stato eccitato che soddisfi la
condizione di quantizzazione dell’energia
(E=hν) e il principio di Franck-Condon (la
posizione dei nuclei non cambia).
All’interno di uno stesso stato è poi possibile
identificare diversi livelli vibrazionali, v; non
consideriamo i livelli rotazionali.
Un cromoforo parte da v0S0 e arriva a vxSx qualsiasi; avviene poi una interconversione interna: se il
cromoforo non è fluorescente, tornerà direttamente allo stato fondamentale S0 (con v che dipende dalla
temperatura) convertendo l’energia elettromagnerica assorbita in energia cinetica di bending e stretching dei
legami; il tempo di interconversione è 100 volte maggiore rispetto a quello dell’assorbimento. Come ultimo
fenomeno c’è il fenomeno del rilassamento del solvente, cioè il tempo che ci mette a riorientare il proprio
dipolo in funzione della nuova distribuzione ed è 10000 volte più lento; dato che il solvente polare
destabilizza lo stato eccitato, perché tra i suoi dipoli e quelli della molecola c’è repulsione elettrostatica, lo
stato eccitato sarà ad un’energia ancora maggiore, cioè aumenta il ΔE e di conseguenza la λmax subirà un blue
shift. (maggiore è la forza d’interazione solvente-soluto allo stato fondamentale, maggiore sarà la
destabilizzazione dello stato eccitato).
Applicazione: in una proteina nello stato nativo, i cromofori aromatici essendo prevalentemente apolari si
trovano nel core idrofobico; in una proteina denaturata, invece, questi cromofori passano da un intorno
chimico apolare ad un intorno chimico polare e di conseguenza si ha un blue shift della λ max; si può quindi
monitorare l’unfolding di una proteina solo con assorbimento UV.
Analogamente, se una proteina ha un sito di binding ed il ligando interagisce con esso (normalmente i siti di
binding hanno una percentuale molto alta di aa aromatici rispetto a tutto il resto della proteina) si avrà
espulsione di acqua a seguito del legame e quindi si registrerà un red shift della λmax (studio di binding: da
recettore libero con cromofori esposti al solvente a recettore legato con cromofori in intorno apolare. Si
osserva lo spettro UV di recettore da solo e recettore+eventuale ligando, se c’è red shift c’è legame).
(La costante di equilibrio di dissociazione di un complesso è data dal rapporto tra la costante cinetica di
dissociazione fratto la costante cinetica di associazione. Per migliorare la KD si può lavorare su una delle due
costanti cinetiche mantenendo costante l’altra, oppure nei casi migliori entrambe. Indispensabile per uno
studio QSAR fare misure cinetiche. Inoltre dalla KD si può ricavare il ΔG = -RT lnKA, dove KA=1/KD=KD-1
da cui ΔG = +RT lnKD. Il ΔG dipende inoltre da una componente entalpica ed una entropica, che vanno
correlate alla KD).
Spettro in derivata: in linea di massima lo spettro non risulta abbastanza selettivo per caratterizzare una
molecola. Quando si tratta di distinguere fra
sostanze molto simili, è possibile utilizzare
proficuamente lo spettro UV-Vis mediante la
registrazione dello spettro in derivata.
Quando le bande di assorbimento, che in UV-Vis
sono solitamente larghe, non hanno una struttura
sufficientemente risolta, gli spettri di sostanze
simili appaiono praticamente uguali. In questi casi,
se il rumore di fondo è sufficientemente basso, è
possibile tracciare anche la derivata
della funzione f =A/λ

69
Si produce una proteina ricombinante wild-type ed un
mutante, con dovute mutazioni che ne migliorino le
proprietà farmacocinetiche e farmacodinamiche, e si
vuole verificare che il fold complessivo non sia alterato
(cioè il microintorno chimico in cui si trovano i
cromofori aromatici); si registrano gli spettri in derivata
seconda della wild-type e della mutante (o anche della
wild-type ricombinante e quella naturale estratta, per
vedere se effettivamente quella ricombinante si folda in
modo corretto) e si osserva se siano o meno
sovrapponibili. Se non lo sono, si va ad indagare con
altre tecniche più specifiche. Questa tecnica è molto utile perché ci fornisce l’impronta digitale della
topologia dei cromofori aromatici all’interno di una struttura proteica con una tecnica economica e che
richiede piccole quantità di campione.
Limiti: nel caso in cui i cromofori siano poco presenti o presenti solo in una regione della proteina, lontano
dalla mutazione introdotta è necessario incrociare più dati, come il dicroismo circolare e HDX-MS, sia a
livello globale che locale, per arrivare ad un’interpretazione convergente.

Fluorescenza
Sorgente di solito di raggi nel vicino UV (la proteina viene eccitata a
280nm o 295nm), cuvetta col campione in soluzione, questo assorbe e
riemette la radiazione in tutte le direzioni. Si registra la radiazione emessa
come fluorescenza a 90° rispetto alla direzione della radiazione incidente
(la diffusione della luce -light scattering- potrebbe complicare lo spettro
di emissione col suo contributo perché viene rilevata dal detector. Si
registra a 90° perché l’intensità dello scattering dipende dal coseno
dell’angolo tra radiazione incidente/emessa e quindi essendo zero viene
minimizzata).
Tempi: assorbimento 10-15s, conversione interna 10-13s, tempo di vita dell’e- nello stato eccitato di solito è 10-
8
10-9 s, mentre il tempo di rilassamento del solvente 10-11s.
Un fluoroforo si distingue da un cromoforo
perché l’elettrone a seguito
dell’assorbimento e della conversione
interna non decade direttamente a vxS0
dissipando l’energia radiante assorbita
sotto forma di energia cinetica, ma rimane
per più tempo a v0S1 e poi decade
emettendo radiazione elettromagnetica ad
una lunghezza d’onda ovviamente diversa
rispetto a quella d’assorbimento, perché
una parte dell’energia viene dissipata come
energia cinetica per la conversione interna
vxSx  v0S1. Dato che il ΔE è direttamente
proporzionale a 1/λ, minore ΔE 
maggiore λmax. L’emissione segue tutte le
regole descritte per l’assorbimento e
avviene in 10-15s.

70
La differenza tra la λmax di assorbimento e la λmax di
emissione è definita shift di Stokes e dipenderà
dallo stato vibrazionale vx di S0 a cui decade
l’elettrone (più è alto x, maggiore è la differenza tra
i 2 ΔE e maggiore è lo shift)

Le applicazioni della fluorescenza sono molto importanti nella biologia


cellulare, sia per studiare molecole isolate sia per studiare sistemi complessi. La
GFP (green fluorescence protein), isolata da una medusa, è una proteina con
una fluorescenza importante, fluoresce nel rosso, nel giallo, nel verde, nel blu, e
la produzione di proteine ricombinanti fuse alla GFP è stata importantissima
per seguire il traffico cellulare. Si forma da una modifica post traduzionale.

Differenza cromoforo-fluoroforo
Basi strutturali che differenziano un cromoforo da un
fluoroforo: difenilmetano e fluorene differiscono
solo per un ponte che unisce le due strutture
benzeniche a formare un triciclo, e rende molto più
rigido e planare il fluorene. In termini energetici e
curve di Morse (che vediamo semplificate come se
fosse una molecola biatomica), nel difenilmetano
v0S1 è molto vicino ai livelli vibrazionali più alti di S0
per cui l’elettrone continua la sua conversione
interna fino a vxS0; nel fluorene invece non c’è
continuità tra i livelli vibrazionali di S0 e S1 e
l’elettrone, arrivato a v0S1, decade emettendo energia
radiante. La motivazione risiede nelle costrizioni
strutturali presenti nel fluorene rispetto al difenilmetano: i livelli vibrazionali più alti di S0 nel difenilmetano
arrivano a valori più alti, perché essendo flessibile riesce a sopportare stati energetici più alti, come le varie
conformazioni eclissate ad alta energia; nel fluorene invece, oltre una soglia energetica, non avendo libertà
conformazionale, avviene proprio un cambiamento dell’identità chimica, si rompono i legami. Il
difenilmetano, infatti, ha un’intensità di fluorescenza bassissima, al contrario del fluorene.
Questi sono alcuni dei fluorofori più utilizzati nella
biologia: c’è ampia delocalizzazione degli elettroni π in
quanto planari.

Spettro di fluorescenza degli amminoacidi fluorofori:

71
L’istidina assorbe pochissimo e non fluoresce.
Con ϕ si indica la resa quantica, cioè il rapporto tra l’intensità della radiazione emessa e di quella assorbita;
il parametro varia tra 0 e 1. La fenilalanina, eccitando alla sua λmax, emette a 282nm con una resa quantica
del 4%, molto poco; la tirosina del 14%, il triptofano del 20%, più o meno comparabili. Ma gli spettri di
fluorescenza di una proteina sono dominati dall’emissione del triptofano, perché l’indolo è molto
fluorescente. Il triptofano è il fluoroforo naturale nelle proteine (che a livello di abbondanza percentuale
ricorre con una frequenza solo dell’1.3%) ed essendo raro dalle sue proprietà di fluorescenza si possono
ricavare informazioni sito specifiche, perché in una proteina ce ne sono di solito uno o due.
L’altro parametro è la sensitivity, dato dal prodotto εmaxϕf, in cui ε è calcolato alla λmax di assorbimento, e ci
riporta in modo più fedele il contributo del fluoroforo allo spettro di fluorescenza della proteina. È
importante perché la fluorescenza, essendo una tecnica di decadimento, presuppone un assorbimento; a
parità di probabilità di decadimento da v0S1 a vxS0 (resa quantica), l’intensità di emissione dipende da quanto
è popolato lo stato eccitato (e ce lo indica ε, perché a ritroso: se ε è alta vuol dire che c’è stato un alto
assorbimento, quindi molte molecole hanno assorbito la radiazione  stato eccitato molto popolato); a parità
di altre condizioni, più popolato è lo stato eccitato, più molecole ci saranno ad emettere e l’intensità
dell’emissione sarà maggiore.
Approfondimento:
La presenza di diversi picchi distinti negli spettri di assorbimento è la
struttura fine dello spettro e sono dovute alle diverse transizioni
vibroniche: le transizioni in assorbimento di solito partono da v0S0,
perché a temperatura standard lo stato vibrazionale a energia più
bassa è quello più popolato e si ottiene una transizione ad una
determinata lunghezza d’onda; ma in accordo con la curva di
distribuzione di Maxwell-Boltzmann, sappiamo che un numero di
particelle occuperà anche stati vibrazionali più alti, sebbene con
probabilità minore: quando è popolato solo v0 e la differenza di energia tra i livelli vibrazionali è piccola si
vede una sola banda; quando invece anche v1, v2, v3 sono popolati, dovuto a proprietà intrinseche
strutturali della molecola e la differenza di energia tra questi è significativa, allora non si ottiene un
continuum ma a lunghezze d’onda sufficientemente distinte si vedono le transizioni che partono da v1, v2,
ecc, da cui quelle bande sono chiamate Bande Vibroniche.

Dagli spettri di tirosina e triptofano si nota una certa sovrapposizione dei rispettivi assorbimenti: a 280nm
vengono eccitati sia i residui di tirosina che quelli di triptofano; a 295 nm invece vengono eccitati
selettivamente i residui di triptofani, perché a quella lunghezza d’onda l’assorbimento della tirosina è circa
1/27 rispetto a quella del triptofano; tra i due è il triptofano quello che risente di più dell’intorno chimico e
per questo è il fluoroforo d’elezione utilizzato come sonda spettroscopica per ottenere informazioni
strutturali. Il motivo per cui succede è che gli orbitali molecolari dello stato eccitato del triptofano sono più
diffusi e quindi polarizzabili rispetto a quelli della tirosina (nuvola elettronica molto più deformabile).

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Effetto solvente e dell’intorno chimico
Grande differenza c’è se il triptofano si trova in un interno rigido e
apolare, come il core, o flessibile e polare, come la superficie; risulta
quindi molto utile per carpire il folding della proteina, o il binding di un
ligando fluorescente ad una proteina non fluorescente e viceversa.
λ max da330 a 350 nm e diminuzione dell’intensità di fluorescenza, quindi
di resa quantica.
Questo spettro è stato ottenuto irraggiando a 295nm, dove il triptofano
ancora assorbe mentre la tirosina non più.

Spettro di fluorescenza della trombina ottenuto a 280nm in diverse


condizioni sperimentali: presenza di ione sodio, ione potassio, ione litio,
colina e guanidinio. Ciò che interessa è vedere come passando dalla
struttura nativa (prendiamo in considerazione la curva con Na+) a quella
denaturata con guanidinio si ha un effetto batocromico (red shift) e
ipocromico (diminuzione intensità) e compare una spalla a 303nm,
esattamente la λmax di fluorescenza della tirosina libera: nella proteina
denaturata compare il contributo della tirosina, perché essa non risente
molto del cambiamento dell’intorno chimico e la sua fluorescenza rimane
a 303; il triptofano invece subisce un red shift, per cui spostandosi il suo
picco emerge anche quello della tirosina. È utile per comparare spettri di
fluorescenza di proteine naturali o ricombinanti wild-type con quelli di
proteine ricombinanti modificate (per migliorare farmacocinetica e
farmacodinamica) e vedere se l’intorno chimico è cambiato.
Interleuchina 6
Spettri di fluorescenza
dell’Interleuchina 6 e della
transtiretina, eccitate a 295nm e 280nm
in condizioni native (curve continue) e
in condizioni denaturanti con
guanidinio cloruro 5M (curve
tratteggiate).
In entrambi i casi, eccitando a 280nm
in condizioni denaturanti compare la
spalla delle tirosine a 303nm.
Notiamo come irraggiando a λ diverse
la stessa proteina, la λ max di
emissione sia esattamente la stessa.
Andando a misurare la fluorescenza di una proteina alla sua λ max in
funzione della concentrazione crescente di agente denaturante
(temperatura, guanidinio, urea, detergenti, ecc.), possiamo ottenere
un grafico che indica quale sia la stabilità della proteina.
Si evince che concentrazioni fisiologiche di sodio vanno a
stabilizzare la trombina, mentre la colina essendo troppo
ingombrante non entra nei siti di binding per il sodio e non piò
esplicare la funzione stabilizzante. Come dato per quantificare la
stabilità di una proteina si utilizza la concentrazione di denaturante
necessario ad ottenere il 50% della denaturazione, che corrisponde al
punto di flesso della sigmoide.
Nella curva della chimotripsina si segue invece l’aumento di λmax

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