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Gli amminoacidi sono composti bifunzionali, formati da una funzione amminica primaria -NH2 e da una
carbossilica -COOH.
Essi sono i monomeri delle catene di peptidi e di proteine, quelli che compongono proteine sono alfa-
amminoacidi, cioè strutture in cui entrambe le funzioni sono legate allo stesso carbonio (la funzione
amminica si trova in posizione alfa rispetto alla funzione carbossilica).
Si tratta quindi di composti otticamente attivi (carbonio asimmetrico) che possono esistere nelle forme
enantiomere D o L (presenti in natura nella forma L), in cui nella rappresentazione di Fisher i sostituenti
mantengono sempre la configurazione S.
Gli amminoacidi possono essere classificati in base al gruppo R in apolari, polari neutri, polari acidi e polari
basici.
Gli amminoacidi sono solidi cristallini bianchi (Sali) con caratteristiche fisiche simili a quelle dei composti
ionici: presentano temperature di fusione elevate e scarsa solubilità nei solventi apolari. Tale
comportamento è dovuto alla possibilità di questi composti di esistere nella forma ionica dipolare, definita
zwitterione.
Nonostante ciò, la solubilità in acqua è scarsa, perché le due estremità ioniche sono inseparabili e l’acqua
può soltanto solvatare (circondare) la molecola.
Gli amminoacidi hanno quindi carattere anfotero e, a seconda del pH della soluzione acquosa, prevarranno
rispettivamente la forma cationica o anionica.
A pH diverso dal punto isoelettrico ogni amminoacido ha carica netta positiva o negativa.
La TLC (cromatografia su strato sottile) è una tecnica cromatografica che permette di separare i componenti
di una miscela di amiminoacidi utilizzando gel di silice supportato su una lastra come fase stazionaria, e un
opportuno eluente come fase mobile. Per rivelare la separazione la tecnica prevede di utilizzare la
ninidrina.
PEPTIDI E PROTEINE
Gli amminoacidi si legano per formare polimeri chiamati peptidi, un peptide si dice proteina quando è
formato da 100 o più amminoacidi.
Il legame che si forma è un legame ammidico, detto legame peptidico, tra il gruppo COOH di un a.a. e il
gruppo NH2 dell’altro. Per convenzione si scrive ponendo a sinistra l’a.a. con la funzione amminica libera
(detto N-terminale) e a destra quello con la funzione carbossilica libera (detto C-terminale).
La formazione di un legame peptidico comporta un fenomeno di delocalizzazione elettronica, per cui l’a.a.
presenta una struttura di risonanza in cui viene impegnato il doppietto libero dell’azoto amminico per il
legame. Pertanto, esso presenta parziale carattere di doppio legame e impedisce la libera rotazione attorno
a esso.
La struttura secondaria si intende la conformazione nello spazio che assume la catena: parliamo di catene
molto grandi che per assumere maggiore stabilità si ripiegano grazie alla formazione di legami
intermolecolari forti, cioè legami a idrogeno che si instaurano tra il protone della funzione ammidica e il
gruppo carbossilico di un altro amminoacido. Le strutture originate possono essere di due tipi:
Alfa elica – tratto di catena che assume struttura secondaria in cui la proteina si avvolge attorno a
un ipotetico asse. Il passo (la distanza tra una spirale e l’altra) corrisponde esattamente alla
lunghezza del legame a idrogeno, la molecola si “impacchetta” perfettamente per permettere la
struttura. Circa ogni 3,6 amminoacidi si trova la posizione in cui può avvenire il legame a idrogeno.
Beta foglietto – la proteina ha un ripiegamento a U per poter avvicinare in parallelo due tratti di
proteina, il legame a idrogeno che si forma è perpendicolare rispetto all’ipotetico asse di
ripiegamento. In presenza di amminoacidi con gruppi R molto pesanti la formazione di questa
struttura è sfavorita per via dell’ingombro sterico del gruppo R.
Ogni proteina presenta una struttura nativa formata da tratti alfa elica, tratti beta foglietto e tratti di catena
che non hanno struttura secondaria, detti random coil.
Per struttura terziaria si intende il ripiegamento finale della proteina, spinto dalla possibilità di formare
ulteriori interazioni, prevalentemente tra i gruppi R. Le zone che più facilmente contribuiscono ad avere un
ulteriore ripiegamento che porti alla struttura terziare sono quelle random coil. Le interazioni possono
essere interazioni intermolecolari (forze di London, dipolo-dipolo, idrofobiche) o legami chimici (legami
covalenti, ponti disolfuro). Ci sono due tipi di struttura terziaria:
Si tratta di una caratteristica che non hanno tutte le proteine, ma solamente quelle che svolgono funzioni
chiave come l’emoglobina. L’emoglobina, ad esempio, è formata dall’unione di 4 molecole proteiche uguale
a due a due tenute insieme da interazioni intermolecolari e hanno legato un gruppo EME che contiene ioni
ferro.
Una proteina in condizioni fisiologiche ha una conformazione influenzata dall’ambiente in cui si trova, es.
37°C, pH 7, presenza di acqua ecc... Questo tipo di struttura si chiama stato nativo, ed è quella che porta la
proteina a svolgere la propria funzione.
Un qualsiasi processo che porta la proteina a una modifica del suo stato nativo tale da farle perdere la
funzione si dice denaturazione. La denaturazione può essere influenzata da fattori fisici quali temperatura
(denaturazione irreversibile in caso di variazioni molto grandi), pH o da fattori chimici come uso di ossidanti
o altre sostanze.
Per determinare la struttura di un peptide non è sufficiente stabilire quanti e quali amminoacidi lo
compongono, ma occorre individuare in quale ordine tali amminoacidi sono disposti; tale operazione viene
definita sequenziamento e può essere realizzare in due modi:
- Confronto sequenziale
1. Individuazione dell’amminoacido N-terminale, secondo il metodo di Sanger
Il peptide viene trattato con 2,4-dinitrofluorobenzene (DNFB) che reagisce solo con la funzione amminica
libera e non protonata dell’a.a. N-terminale.
Il prodotto peptidico che si ottiene viene sottoposto a idrolisi acida, che provoca la rottura di tutti i legami
peptidici. Di conseguenza, l’unico amminoacido identificabile rimane quello N-terminale marcato: esso è di
colore giallo, facilmente separabilee identificabile per confronto cromatografico.
Il peptide viene sottoposto all’azione della carbossipeptidasi, in grado di idrolizzare solo il legame peptidico
dell’a.a. C-terminale. Tale enzima, dopo aver staccato il C-terminale, passa direttamente alla scissione
dell’a.a. successivo. Misurando i tempi di liberazione dei vari amminoacidi, si può stabilire l’ordine in cui
sono disposti.
- Metodo di Edman
Si tratta di un metodo che produce impurezze non eliminabili totalmente, per cui viene utilizzato per
frammenti che non superano le 50 unità. La tecnica permette di staccare gli a.a. uno alla volta, a partire
dall’estremità amminica mediante il reattivo feniltioisocianato. Si formano complessi facilmente
riconoscibili per confronto con composti chimici di riferimento, mediante tecniche cromatografiche.
SINTESI PROTEICA
La sintesi di Merrifield è un metodo di sintesi delle proteine adottato universalmente. La sintesi può
avvenire con la catena di a.a. ancorata a un supporto solido (resina polimerica) che renda insolubile il
peptide o la proteina e che permetta il lavaggio e la filtrazione a ogni passaggio (resa maggiore).
- Fattori energetici
La struttura finale di una proteina è già contenuta nella primaria; fra tutti i legami possibili si attivano solo
quelli che le conferiscono massima stabilità, cioè la minima energia
- Fattori ambientali
La conformazione della proteina dipende anche dal mezzo in cui viene a trovarsi. Per esempio, le proteine
globulari in ambiente acquoso si assestano disponendo i residui polari verso l’esterno e quelli apolari verso
l’interno, per facilitare la propria solubilità in acqua.
- Fattori funzionali
Una proteina tende ad assumere la struttura adatta alla funzione biologica specifica che deve svolgere. Per
esempio gli enzimi per esercitare la loro attività catalitica si strutturano in forme globulari dotate di una
cavità capace di ospitare i reagenti.
ENZIMI
In biochimica, si definisce enzima un catalizzatore dei processi biologici. La maggior parte degli enzimi è
costituita da proteine globulari idrosolubili, essi sono altamente specifici e stereoselettivi.
Gli enzimi agiscono dal punto di vista cinetico, e non da quello termodinamico, aumentando la velocità di
una reazione attraverso un intervento sui processi che ne regolano la spontaneità, mediante riduzione
dell’energia di attivazione. In questo modo favoriscono reazioni che, a causa di un’elevata energia di
attivazione, avverrebbero troppo lentamente.
Il ruolo di un enzima consiste nel facilitare le reazioni attraverso l’interazione tra il substrato (la molecola
che partecipa alla reazione) e il proprio sito attivo. Le dimensioni della molecola enzimatica sono
normalmente molto superiori rispetto a quelle della molecola del substrato, ciò lascia intendere che solo
alcune regioni dell’enzima sono preposte all’adesione del substrato. La loro forma è determinata dalla
struttura terziaria della proteina.
E + S = E-S = E + P
La maggior parte degli enzimi presenta un’elevata specificità per la reazione catalizzata e per i substrati
coinvolti. Tale specificità è legata a diversi fattori che caratterizzano l’associazione tra il substrato e il sito
attivo, come la complementarità dal punto di vista strutturale. Infatti, il riconoscimento fra l’enzima e il
substrato può avvenire in due modi:
- Modello chiave-serratura
Secondo questo modello enzima e substrato possiedono una forma esattamente complementare che ne
permette un incastro perfetto. Tale modello esplica bene la specificità dell’enzima, ma è decisamente meno
affidabile nello spiegare la stabilizzazione dello stato di transizione che l’enzima raggiunge durante il legame
con il substrato.
Secondo questo modello l’avvicinamento tra substrato ed enzima modifica la struttura di quest’ultimo. A
catalisi avvenuta, l’enzima riacquista la propria conformazione iniziale.
Molti enzimi, inoltre, a causa della loro asimmetria, riconoscono come substrato solo una fra due strutture
enantiomere (stereoselettività).
NOMENCLATURA
Per ciascun enzima si è formulato un termine che tiene conto non solo della sostanza chimica su cui
l’enzima opera, ma anche del tipo di reazione chimica che l’enzima catalizza.
REAZIONE CATALIZZATA CLASSE
Idrolisi Enzima idrolasi
Rottura di legami in assenza di H2O Enzima liasi
Formazione di legami Enzima ligasi
Ossidoriduzioni Enzima ossidoreduttasi
Isomerizzazione Enzima isomerasi
Trasferimento di gruppi Enzima transferasi
Secondo la classificazione ufficiale ogni enzima è classificato da una sequenza di quattro numeri, preceduti
dalla sigla EC, che ne individuano le categorie sistematiche di appartenenza. I numeri indicano nell’ordine:
classe, sottoclasse, sotto-sottoclasse, numero dell’enzima. Per esempio, l’enzima alfa-amilasi ha come
numero di classificazione EC 3.2.1.1
L’azione catalitica di un’enzima consiste nel selezionare, tra i diversi percorsi possibili, quello che richiede
minore energia di attivazione. In questo modo si ha la trasformazione di un maggior numero di molecole
nell’unità di tempo: ciò si traduce in un aumento della velocità di reazione. I fattori chimico-fisici più
importanti che influenzano tale velocità sono:
L’equazione di Michaelis-Menten è quella di una curva iperbolica che mette in relazione la velocità
iniziale di una reazione (V0) con la velocità massima (Vmax) e con la costante di Michaelis-Menten
(Km) per un particolare enzima e un dato substrato.
Essa rappresenta la concentrazione di substrato necessaria, affinché la reazione abbia velocità pari a
metà della velocità massima. La velocità massima può essere raggiunta solo quando tutto l’enzima
presente in soluzione è legato al substrato e dipende dalla concentrazione dell’enzima.
Più basso è il valore di Km più bassa sarà la concentrazione di substrato necessaria a saturare metà
delle molecole di enzima presenti in soluzione. Viceversa, un alto valore di Km indica che sarà
necessario più substrato per legare la metà delle molecole di enzima presenti in soluzione.
Pertanto, un aumento di concentrazione del substrato, può accrescere la velocità di reazione Vmax,
indicativa dell’efficienza catalitica; essa è proporzionale al numero di turnover, cioè il numero di
molecole di reattivo convertito in prodotto, in un secondo, quando l’enzima opera nelle sue condizioni
ottimali. Si tratta di un numero specifico per ciascun enzima.
2. Concentrazione dell’enzima
3. pH dell’ambiente di reazione
Gli enzimi, essendo proteine, sono fortemente influenzati dalle variazioni di pH. Queste modificano sia
la dissociazione dei residui del sito attivo, sia quella dei gruppi funzionali presenti nel substrato,
alterando il riconoscimento con il sito attivo. Come ogni proteina, l’enzima è stabile in un intervallo di
pH caratteristico, al di fuori del quale si denatura.
4. Temperatura
Un aumento della temperatura influisce sulla cinetica di reazione facendo crescere esponenzialmente
la sua velocità. Tuttavia, oltre a un determinato valore di temperatura, viene compromessa l’attività
enzimatica in seguito alla denaturazione, con una rapida discesa della velocità fino a zero.
INIBITORI ENZIMATICI
Esistono composti chimici, detti inibitori, capaci di rallentare la velocità di una reazione enzimatica o di
impedire la reazione stessa; essi possono agire in maniera irreversibile o reversibile
- Inibizione irreversibile
In questo caso, le molecole dell’inibitore si legano irreversibilmente ai residui del sito attivo formando
un composto stabile enzima-inibitore (E-I) che impedisce l’entrata del substrato nel sito attivo; questo
complesso non può dare alcun prodotto.
Un esempio importante di inibitori di questo tipo sono i metalli pesanti (mercurio, argento, piombo...)
che possono reagire con i residui cisteinici, trasformandoli in solfuri insolubili
- Inibizione reversibile
Nell’inibizione reversibile non competitiva le molecole dell’inibitore si possono legare sia all’enzima
libero, sia al complesso E-S già formato, in quanto accedono a un sito diverso da quello catalitico, detto
sito allosterico. Tale intervento deforma l’enzima e con esso il sito attivo, ostacolando la formazione del
complesso E-S.
Alcuni processi metabolici delle cellule sono catalizzati da particolari enzimi a struttura quaternaria, la
cui attività può essere modificata reversibilmente da più modulatori (inibitori e attivatori), in senso
positivo o negativo, e la cui capacità di risposta agli stimoli è molto elevata. Questi enzimi, detti enzimi
allosterici, creano uno o più siti attivi diversi, in cui si inseriscono modulatori positivi o negativi del vero
e proprio sito attivo catalitico. Si evidenzia come l’entrata di una prima molecola di substrato faciliti
l’entrata delle successive molecole amplificando l’effetto iniziale, si verifica così un vero e proprio
effetto cooperativo tra le diverse subunità degli enzimi allosterici.
Un importante caso di regolazione allosterica è l’inibizione retroativa (feed-back), nella quale lo stesso
prodotto finale (P) di una sequenza metabolica inibisce l’azione del primo enzima (E1) nella sequenza
stessa. In questo caso, le cellule interrompono la produzione del composto finale P quando esso è già
presente in concentrazione sufficiente e la riprendono quando la sua concentrazione è troppo bassa.
Un altro tipo di regolazione è quella operata da enzimi inizialmente inattivi, detti zimogeni, che per
idrolisi di uno o più legami peptidici cambiano la propria struttura primaria, diventando biologicamente
attivi; questo si verifica quando sono stati rilasciati dalle cellule che li hanno prodotti. La trasformazione
da zimogeno a enzima attivo è irreversibile perché non si può ricostituire la proteina riformando i
legami peptidici, che si formano solo nella sintesi proteica.