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BIOLOGIA APPLICATA
La materia vivente – Prima parte
La materia vivente gode di 4 principali proprietà: il metabolismo, ossia tutte le reazioni che avvengono
all’interno della cellula e le permettono di vivere autonomamente, l’accrescimento, ossia la capacità di
nutrirsi e crescere, la moltiplicazione, ossia la capacità di produrre altre cellule identiche aumentandone il
numero, e l’irritabilità, ossia la capacità di reagire a stimoli provenienti dall’esterno.

Per cellula si intende la più piccola parte di protoplasma in grado di svolgere una vita autonoma e
indipendente ed è l’unità morfologica, funzionale e fisiologica di tutti gli organismi viventi (unicellulari e
pluricellulari).

La materia vivente è composta dal 75-85% da acqua, la rimanente parte è costituita da componenti
inorganici ed organici. Vedi slide 3.

I carboidrati o glicidi o zuccheri costituiscono più della metà dell’apporto energetico totale e sono costituti
da C, H e O. Si possono dividere in monosaccaridi, disaccaridi o oligosaccaridi, e polisaccaridi.

I monosaccaridi sono costituiti da un’unica unità saccaridica, la quale può essere costituita da 3, 5 o 6 atomi
di carbonio. Il glucosio è il nutriente fondamentale, il quale ci fornisce energia sottoforma di ATP grazie ai
processi del ciclo di Krebs, della glicolisi e della fosforilazione ossidativa.

Gli oligosaccaridi o disaccaridi derivano dall’associazione di due o più molecole di monosaccaridi. Esempi di
oligosaccaridi sono il saccarosio (glucosio + fruttosio), il maltosio (glucosio + glucosio) e il lattosio (glucosio +
galattosio).

I polisaccaridi sono costituiti da numerose unità monosaccaridiche; quando le unità sono identiche fra loro
si crea un omopolisaccaride, in caso contrario si crea un eteropolisaccaride.

Amido e glicogeno hanno struttura particolare che si differenzia fra di loro per il numero di ramificazioni.
Entrambi sono costituiti da amilosio e amilopectina: l’amilosio è una catena lineare di molecole di glucosio
unite da legame alfa [1-4] monoglicosidico, mentre l’amilopectina è una catena ramificata di molecole di
glucosio con legami alfa [1-6] nei punti di ramificazione. L’amido è il principale polisaccaride di deposito nei
vegetali, mentre il glicogeno è il principale polisaccaride di deposito negli animali.

La cellulosa è un polimero lineare in cui le molecole di glucosio sono unite da un legame di tipo beta [1-4]
che non è digeribile dall’organismo umano. Le catene si dispongono parallelamente mediante legami a
idrogeno formando fibrille. La cellulosa ha funzione strutturale nel regno vegetale costituendo la parete
primaria e secondaria nelle cellule vegetali. Non essendo digeribile dagli enzimi nel corpo umano, se
ingerita viene fermentata dalla flora batterica intestinale.

I lipidi o grassi si distinguono in trigliceridi (costituiscono il 98% dei lipidi nell’organismo, svolgono funzione
di riserva energetica e di deposito, presenti negli adipociti ossia nelle cellule del tessuto adiposo che è il
tessuto che conserva i grassi al suo interno) e fosfolipidi o glicolipidi o colesterolo o vitamine liposolubili
(costituiscono il 2% dei lipidi presenti nell’organismo, svolgono funzione strutturale nella membrana
cellulare, e il colesterolo svolge anche la funzione di sintesi di ali biliari e vitamina D).

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Gli acidi grassi a livello chimico sono catene lineari di atomi di atomi pari di carbonio, il cui gruppo
funzionale è COOH, legato a una catena laterale diversa R. Abbiamo gli acidi grassi saturi, in cui gli atomi di
carbonio sono legati fra loro da legami singoli, e gli acidi grassi insaturi, in cui gli atomi di carbonio sono uniti
da legami doppi.

Gli acidi grassi saturi possono essere a catena corta (solubili in acqua e volatili, formico, acetico, propionico,
butirrico, rispettivamente con 1, 2, 3 e 4 atomi di C), a catena media (da 6 a 12 C), a catena lunga (da 14 a 18
C) e a catena molto lunga (da 20 a 24 C). Man mano che aumenta il numero di C, aumenta anche
l’insolubilità in acqua.

Gli acidi grassi insaturi contengono al loro interno doppi legami che possono essere uno (monoinsaturo: es.
acido oleico) o più (polinsaturo: es. acido linoleico). Maggiore è la presenza di doppi legami e maggiore è la
solubilità in acqua.

I lipidi semplici derivano dall’esterificazione degli acidi grassi con alcoli (gruppo –OH). Es. da glicerolo +
acido grasso si forma monogliceride + H2O. Quando interagiscono tre gruppi –OH di un alcolo con
altrettanti acidi grassi, si formano trigliceridi di natura idrofobica. I trigliceridi sono i grassi presenti nel
tessuto adiposo, con funzione di riserva energetica, di isolamento termico e di sostegno di organi.

I lipidi complessi o fosfolipidi derivano dai trigliceridi in quanto abbiamo un glicerolo esterificato con acido
grasso, ma un gruppo ossidrile è legato da un gruppo fosfato. Queste molecole sono anfipatiche, ossia
hanno la testa (costituita dal gruppo fosfato) idrofilica, mentre le catene di acidi grassi sono insolubili in
acqua ossia idrofobica. Sono le molecole strutturale che compongono le membrane cellulari.

Altri lipidi complessi sono: vedi slide 20.

Abbiamo poi gli steroidi, di cui fanno parte il colesterolo e la vitamina D, costituiti da 4 anelli fusi tra loro e
una catena laterale alifatica. Nel colesterolo è presente anche un gruppo –OH che è idrofilico e che nella
cellula è rivolto verso la parte acquosa.

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La materia vivente – Seconda parte


Gli amminoacidi hanno una struttura chimica costituita da un gruppo amminico NH2 e un gruppo acido
carbossilico COOH. Il C centrale è legato ad un atomo di idrogeno e a un gruppo R. Gli amminoacidi in
natura sono 20 e differiscono fra loro dal gruppo R che conferisce le proprietà alle proteine.

Si distinguono in non polari, polari non carichi, carichi negativamente e carichi positivamente.

Gli amminoacidi si classificano in base alla loro necessità nell’organismo: essenziali, ossia amminoacidi che
l’organismo umano non può sintetizzare; condizionatamente essenziali, ossia amminoacidi per cui la sintesi
endogena non è sufficiente e perciò l’organismo richiede un apporto esogeno; e non essenziali, ossia
amminoacidi che l’organismo umano riesce a sintetizzare a sufficienza.

Gli amminoacidi sono i costituenti delle proteine, uniti fra loro mediante il legame peptidico che si instaura
fra il gruppo carbossilico di un amminoacido e il gruppo amminico di quello successivo con eliminazione di
una molecola d’acqua. Questo legame è planare e conferisce struttura lineare alla catena peptidica che si
forma.

Le proteine sono macromolecole che svolgono svariate funzioni nella cellula e sono caratterizzate da una
struttura che si divide in tre o talvolta quattro livelli: struttura primaria, data dalla sequenza di amminoacidi;
struttura secondaria e terziaria in cui gli amminoacidi interagiscono fra loro a dare formazioni particolari; e
struttura quaternaria data dalla disposizione nello spazio delle catene polipeptidiche che si uniscono per
formare la proteina finale.

La struttura primaria è data dalla sequenza amminoacidica ed è specifica di ogni proteina; tale struttura si
forma mediante trascrizione di un gene e la sintesi della proteina poiché un gene codifica per una proteina.
Ciò avviene mediante un processo di trascrizione in un RNA messaggero (mRNA) che si posiziona sui
ribosomi che sono gli organelli deputati alla sintesi proteica e, grazie all’intervento di un RNA transfer
(tRNA), può essere sintetizzata la catena polipeptidica.

La struttura secondaria può assumere diverse forme. Nella struttura ad alfa-elica gli amminoacidi, che sono
posizionati vicini fra loro nella sequenza primaria, interagiscono mediante legami deboli a formare una
struttura ad elica in cui i gruppi R si proiettano all’esterno dell’elica stessa. Nella struttura a foglietto beta o
foglietto ripiegato gli amminoacidi interagiscono in modo tale che la catena polipeptidica si ripieghi su sé
stessa e si dispongono parallelamente fra loro a formare una lamina con i gruppi R disposti metà nella parte
superiore della struttura e metà nella parte inferiore.

La struttura terziaria dipende dai gruppi laterali degli amminoacidi che sono però posizionati più distanti fra
loro rispetto alla sequenza primaria. I legami sono di diverso tipo: legami deboli o legami ionici o interazioni
idrofobiche, oppure per gli amminoacidi che presentano nella catena laterale un atomo di zolfo si formano
ponti disolfuro. La struttura terziaria dà un avvolgimento tale da formare una struttura 3D alla proteina.
Molte proteine sono formate da un’unica catena peptidica e quindi la struttura terziaria determina la
struttura finale.

La struttura quaternaria è l’unione di più catene peptidiche: ad esempio, l’emoglobina è formata da due
catene alfa e due catene beta e presenta anche un gruppo prostetico o gruppo eme che contiene il ferro
permettendo gli scambi fra ossigeno e anidride carbonica. Il collagene è presente nei tessuti connettivi ed è
formata da tre catene peptidiche a formare una tripla elica.

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Le proteine svolgono diverse funzioni:

 Strutturale che danno sostegno alla cellula e ai tessuti


 Enzimatica ossia proteine che funzionano da catalizzatori facendo in modo che avvengano
determinate reazioni all’interno della cellula
 Di trasporto presenti sulla membrana plasmatica che delimita la cellula e che permettono il
passaggio di molecole
 Motrice che permettono il movimento cellulare e la contrazione muscolare nei muscoli
 Regolatrice che regola l’attività di altre molecole attivando o inibendo determinate reazioni
 Recettoriale ossia proteine che si trovano all’esterno della membrana cellulare che sono in grado di
ricevere segnali dall’esterno
 Ormonale ossia proteine che portano i segnali regolatori alle cellule
 Difesa della cellula data dagli anticorpi che sono proprio proteine
 Accumulo ossia funzione di riserva di molecole

Gli acidi nucleici si distinguono in DNA (acido desossi ribonucleico) ed RNA (acido ribonulleico). Entrambi
sono catene polinucleotidiche dove il nucleotide è costituito da una catena di zucchero (ribosio o desossi
ribosio) a cui è legato un fosfato (monofosfato o bifosfato o trifosfato) e una base azotata (purinica o
pirimidinica). Le basi pirimidiniche sono Uracile (presente solo nell’RNA), Timina e Citosina mentre le basi
puriniche sono Adenina e Guanina. Tali basi si appaiano fra loro seguendo lo schema A-T e C-G.

Differenze fra DNA ed RNA sono: diverso zucchero, il DNA è costituito da due catene antiparallele a formare
una doppia elica mentre RNA è una singola molecola polinucleotidica con la sequenza delle basi.

La struttura del DNA è stata scoperta nel 1953 da Watson e Creek che pubblicarono sulla rivista Natura la
famosa struttura tridimensionale, grazie agli studi di Franklin sulla rifrazione. Il DNA ha carica negativa per la
presenza del gruppo fosfato e possiede una struttura molto regolare con larghezza di 20 A con alternanza di
solchi maggiori e solchi minori.

Le funzioni principali del DNA sono tre: è il depositario dell’informazione genetica, contiene l’informazione
per dirigere la propria duplicazione e contiene l’informazione per dirigere il processo di costruzione di
proteine specifiche. Nelle cellule procarioti che il DNA è libero nel citoplasma mentre nelle cellule procarioti
che è contenuta nel nucleo.

Il DNA è superavvolto poiché è molto lungo: viene superavvolto grazie alla presenza di proteine di carica
positiva chiamate istoni che si raggruppano a 8 fra loro e permettono alla doppia elica di avvolgersi attorno
al nucleosoma (8 istoni). I vari nucleosomi si super avvolgono fra di loro a 8 sempre di più fino ad arrivare
alla classica forma a X del cromosoma.

Il DNA per potersi duplicare si deve innanzitutto svolgere ossia separare le due catene che lo compongono;
a seguito di ciò abbiamo la DNA polimerasi che sintetizzano le basi complementari seguendo l’appaiamento
A-T e C-G. Ciò fa sì che in seguito alla polimerizzazione si creino due catene identiche di DNA, ciascuna con
una catena nucleotidica vecchia e una nuova: si dice, quindi, che la duplicazione del DNA è
semiconservativa.

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L’RNA è molto simile ma ha struttura a singola catena nucleotidica, possiede il ribosio al posto del
desossiribosio, la timina del DNA viene qui sostituita dell’uracile. Ci sono diversi tipi di RNA in base alla loro
funzione: messaggero (mRNA), transfer(tRNA) e ribosomale(rRNA). Essendo una catena a singolo filamento
può assumere diverse consifugrazioni in base ai legami a idrogeno che si creano fra le diverse catene.

Il tRNA ha una struttura a trifoglio ed interviene nella sintesi proteica portando l’amminoacido al ribosoma.
L’mRNA è una copia del gene che codifica la proteina e si posiziona sui ribosomi. L’rRNA ribosomale
costituisce i ribosomi insieme alle proteine ribosomali ed è formato da due subunità che contengono diversi
tipi di RNA.

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Organismi viventi – Biologia


Biologia significa studio della vita. Perché ci sia vita è necessario ci sia l’evoluzione poiché le popolazioni di
organismi si sono evolute e diversificate nel tempo a partire da forme di vita primordiali, ma sono
necessarie anche la trasmissione dell’informazione da una generazione all’altra e il trasferimento
dell’energia, in quanto tutti i processi vitali richiedono un continuo ingresso di energie che viene
immagazzinata nelle cellule sottoforma di ATP la cui idrolisi fornisce energia per i vari processi metabolici.

Le caratteristiche della vita hanno diversi livelli. Tutti gli organismi sono costituiti da atomi, i quali si
uniscono fra loro a formare le molecole, che possono essere molecole semplici come quella dell’acqua
oppure macromolecole. Esempi di macromolecole sono proteine, lipidi, carboidrati e acidi nucleici. Le
macromolecole costituiscono le cellule: abbiamo cellule procarioti che sono molto semplici come i batteri e
sono semplicemente delimitate da una membrana, al cui interno ci sono il DNA e i ribosomi che sintetizzano
le proteine necessarie per il metabolismo della cellula. A un livello più superiore abbiamo gli organelli che
fanno parte delle cellule più complesse ossia le eucarioti, che contengono un nucleo che separa
l’informazione genetica dal resto della cellula e organuli che svolgono le diverse funzioni cellulari. Le cellule
si sono poi specializzate a formare dei tessuti, ossia dei complessi di cellule che svolgono tutte la stessa
funzione (epiteliale, muscolare ecc.) I tessuti si organizzano a formare degli organi che, a loro volta,
costituiscono un apparato, i quali costituiscono un organismo. Gli organismi, vivendo insieme, formano
popolazioni che si uniscono in comunità, andando a formare l’ecosistema, per poi arrivare alla biosfera.

I viventi hanno due livelli di organizzazione: molecolare e cellulare. A livello molecolare abbiamo virus,
viroidi e prioni, i quali non sono in grado replicarsi da soli e, quindi, per poterlo fare, devono infettare delle
cellule. A livello cellulare, invece, abbiamo i procarioti come archea e batteri e gli eucarioti che si
distinguono in protozoi, lieviti, cellule animali e cellule vegetali.

La classificazione degli organismi ha diversi livelli: partendo da quello superiore, abbiamo i domini
(bacteria, archea ed eucaria), i regni (batteri, archea, protisti, piante, animali e funghi), i filum (tutti gli
animali che hanno una caratteristica particolare), le classi, gli ordini, le famiglie, i generi e le specie.

Una specie è un insieme di popolazioni interfertili fra loro e isolate riproduttivamente dalle altre.

Il primo ad immaginare una teoria evoluzionistica fu Linneo, il quale, oltre a fondare la moderna
classificazione dei viventi, verso la fine del 1700 definiva le varie specie come “fisse”, cioè invariabili nel
tempo e incapaci di modificarsi. All’inizio del XIX secolo questa teoria fu messa in discussione dagli studiosi
che osservarono negli strati rocciosi più antichi una mancanza di fossili delle specie a loro contemporanee,
mentre erano presenti fossili di organismi estinti.

Nel 1809 Lamark presentò la prima teoria evoluzionista con cui ipotizzò la modificabilità delle specie sotto
l’influenza delle condizioni ambientali. Secondo Lamark, quindi, un bisogno derivante dall’esterno può
potenziare o atrofizzare un organo o modificarlo, ma tale ipotesi implicava quello che oggi viene chiamato
errore di fondo, ossia l’ereditabilità dei caratteri acquisiti che poi si rivelerà falsa.

Nel 1859 Darwin pubblicò “Sull’origine delle specie per mezzo della selezione naturale o la preservazione
delle razze favorite nella lotta per la vita”, esponendo una nuova teoria basata su tre concetti fondamentali:
la variabilità, la selezione naturale e l’ereditarietà. Ciò significa che all’interno di una popolazione sono
presenti individui diversi fra loro, alcuni che si adattano meglio e altri che si adattano peggio alle condizioni
ambientali; qui interviene la selezione naturale che permette la sopravvivenza solo degli individui con

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caratteristiche favorevoli all’ambiente, le quali venivano trasmesse alla propria prole. Esempio farfalla
bianca o nera slide 12.

Darwin fece tali osservazioni in seguito a un lungo viaggio che lo portò anche alle isole Galapagos, al seguito
del quale ipotizzò un albero della vita con un antenato comune, la cui prole si era diversificata nel tempo,
con organismi estinti o non estinti.

Le osservazioni di Darwin sull’evoluzioni furono: la maggior parte degli organismi produce uno o più figli; le
popolazioni non aumentano indefinitamente di dimensioni; cibo e altre risorse sono limitati per la maggior
parte delle popolazioni; gli individui all’interno delle popolazioni mostrano variabilità in molte
caratteristiche; molte variazioni hanno basi genetiche che sono ereditate dalle generazioni successive.

Tali osservazioni portarono a due principali deduzioni: gli individui all’interno di una popolazione
competono per risorse limitate e che le caratteristiche ereditarie possono permettere ad alcuni individui di
sopravvivere più a lungo e di riprodursi più di altri. Da ciò deriva che le caratteristiche di una popolazione
cambieranno nel corso delle generazioni perché le caratteristiche vantaggiose ereditabili diventeranno più
comuni.

La teoria cellulare sostiene che le cellule sono le unità fondamentali della vita, che tutti gli organismi sono
composti da cellule e che tutte le cellule provengono da cellule preesistenti.

Le prime osservazioni sulle cellule furono effettuate nel 1665 da Hooke, il quale tramite un primo
microscopio primoridiale e analizzò una fettina sottile di sughero ed osservò delle cellette che chiamò
cellule, ma in realtà erano solo gli spazi lasciati dalle cellule precedenti in quanto il sughero è corteccia ossia
cellule morte. Nel 1673 van Leeuwenhoek riuscì ad osservare i primi micro organismi viventi al microscopio.

Ordini di grandezza: slide 17 e 18.

Il microscopo ottico è uno strumento in cui un fascio di luce colpisce un campione posto su un vetrino
trasparente e l’immagine viene inoltrata verso un oculare. A seconda del tipo di microscopio potremo
vedere diverse strutture: microscopio con campo luminoso o con campo scuro, microscopio con contrasto di
fase, microscopio con contrasto a interferenza differenziale (strutture subcellulari), microscopio a
fluorescenza (vengono marcate determinate strutture con molecole combinate con specifici coloranti
fluorescenti) e microscopio confocale a scansione laser.

Il microscopio elettronico si differenzia dal microscopio ottico per la presenza di un fascio di elettroni che
colpisce il campione che attraverso vari condensatori riproducono l’immagine su uno schermo. Esiste il
microscopio elettronico a trasmissione che evidenza strutture subcellulari in 2D e il microscopio elettronico
a scansione che invece permette di visualizzare un’immagine in 3D.

Organismi viventi – Biotecnologie

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Il microscopio ottico è quello strumento che permette di aumentare il limite di risoluzione dell’occhio
umano e permette di osservare cellule, sia vive sia sotto fissazione. Tale microscopio usa un fascio di luce
che colpisce il campione sotto un vetrino e viene convogliato attraverso l’obiettivo e l’oculare all’occhio.

Per osservare strutture e organelli più piccole dovremo usare un microscopio elettronico, ossia un
microscopio che utilizza un fascio di elettroni e a seconda di come vengono deviati tali elettroni quando
colpiscono il campione, otterremo un’immagine molto precisa. Microscopio a trasmissione o a scansione.

La preparazione di un campione per il microscopio elettronico è molto difficile in quanto, dovendo essere
attraversato da un fascio di elettroni, la sezione del campione deve essere molto sottile, nell’ordine dei 100
nanometri. Il campione viene trattato e disidratato per evitare che l’acqua disturbi l’immagine. Viene poi
inserito in una resina che va a sostituire l’acqua presente prima della disidratazione e il blocchetto di resina
ottenuto viene inserito nell’ultramicrotomo che seziona il campione in sezioni sottili di 100 nanometri che
vengono deposte su una griglia usata poi dal microscopio elettronico.

Se invece vogliamo isolare i vari organelli cellulari presenti nelle cellule dobbiamo utilizzare un gradiente di
densità, preparando una provetta con soluzione di saccarosio in gradiente, ossia sul fondo abbiamo
saccarosio 2 molare per poi decrescere verso l’alto fino a 1 molare. In cima verrà poi deposto il materiale da
analizzare. Ultracentrifugando il preparato, i vari organelli si disporranno nella provetta in base alla loro
densità.

Il gradiente di densità si usa per separare diversi tipi di acidi nucleici, preparando un gradiente di densità di
cloruro di cesio e verrà ultracentrifugato per poi separare DNA cromosomico da RNA o da DNA plasmidico
nei batteri.

Il risultato del gradiente è una provetta con diverse bande distinte e con una siringa è possibile estrarre una
singola banda.

Gli enzimi di restrizione sono enzimi presenti all’interno dei batteri in grado di tagliare la doppia elica di
DNA in presenza di specifiche sequenza di 4/8 paia di basi; tali sequenze sono palindromiche, ossia sono
uguali sia lette in un senso che nell’altro. Sono enzimi molto utili per gli studi di biologia molecolare perché
è possibile inserire il DNA molecolare di un organismo all’interno di un altro organismo. Ciò perché hanno
la particolarità di poter tagliare il DNA in maniera sfalsata, ottenendo estremità coesive. Utilizzando, quindi,
lo stesso enzima di restrizione su due organismi diversi, posso inserire frammenti di DNA estranee
all’interno della catena di un organismo.

Si usano infatti i vettori plasmidici, ossia piccole molecole di DNA circolare presenti in grande numero nei
batteri. Questi plasmidi sono stati modificati per poterli utilizzare nelle tecniche di biologia molecolare
(inseriti geni per resistenza ad antibiotici, inseriti siti di taglio per enzimi di restrizione ecc.).

È possibile anche inserire all’interno di un plasmide batterico un frammento di cromosoma umano


prelevato tramite enzima di restrizione ed inserirlo all’interno del plasmide utilizzando lo stesso enzima di
taglio.

L’amplificazione del DNA o PCR è un’operazione di polimerizzazione a catena. Il DNA viene denaturato a
temperatura di 96° in una provetta e vengono inseriti due primer o starter che permettono la creazione
della catena complementare di DNA appaiandosi alla sequenza denaturata in precedenza. Per permettere lo
svolgimento del primer, in seguito alla denaturazione della doppia elica a 96° per circa 30 secondi, la
temperatura della provetta viene abbassata a circa 50° per permettere l’appaiamento del primer. Dopo di

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che si porta la temperatura a 72° in modo che la TAC polimerasi possa completare la polimerizzazione
dell’elica complementare. Ripetendo tale processo 25/30 volte, inserendo sempre un primer per ogni
singola elica, si amplifica in modo esponenziale il DNA di interesse.

Per isolare e controllare come il DNA si sia polimerizzato, si usa il gel di agarosio, un gel sul quale viene
deposto il DNA all’interno di pozzetti al quale viene aggiunto una molecola di etildiobromuro che rende
fluorescente il DNA intercalandosi fra le basi azotate. Si applica poi una corrente in modo tale che il DNA si
muova verso il polo positivo (essendo il DNA negativo per la presenza del gruppo fosfato). Si sposteranno
maggiormente i frammenti più piccoli, mentre subiranno uno spostamento minore i frammenti più grandi.
In questo modo si separeranno i frammenti di DNA. Per capire se il processo di DNA polimerasi è avvenuto
correttamente, si posizionano in pozzetti laterali dei marker di peso molecolare noto.

Un’altra tecnica molto importante è quella del sequenziamento del DNA: nei primi tempi venivano usate
molecole di nucleotidi marcate con zolfo radioattivo S35 e in quattro diverse provette venivano inseriti il DNA
da sequenziare, la polimerasi, i deossinucleotidi e dideossinucleotidi. Il risultato è che per ogni provetta,
ossia per ogni nucleotide, venivano evidenziate delle tacchette ogni qual volta che veniva incontrata una
base. Caricati i frammenti sul gel di poliacrilaminide si otteneva una radiografia per poter analizzare la
sequenza di basi azotate.

Lo sviluppo di tale processo ha portato all’utilizzo di quattro fluorescenze diverse in un’unica provetta o
pozzetto e, tramite uno strumento apposito in grado di leggere le diverse fluorescenze, veniva trascritta la
sequenza del DNA.

Nel 1990 è iniziato il progetto genoma umano terminato nel 2002 che permetteva di sequenziare tutto il
genoma umano tramite macchine. Il genoma umano è formato da 3 miliari di paia di basi e, a seguito di tale
progetto, si è capito che solo il 3% del genoma è costituito da DNA codificante, mentre il restante 97% del
genoma umano è detto intergenico o non codificante.

Altri studi delle biotecnologie sono quelli dei topi transgenici, ossia topi nei quali sono inseriti un gene
proveniente da un altro organismo utilizzando le cellule prese ai primi stadi di sviluppo di un embrione.
Queste cellule venivano isolate, inserito il DNA di interesse, inserite in una blastocisti e inserite all’interno di
un topo che potesse partorire. I topi partoriti presentavano DNA modificato anche all’interno di cellule
germinali e, in seguito ad incrocio fra loro, nascevano in continuazione topi con molecole transgeniche ossia
con geni provenienti dall’esterno. I topi che presentavano i geni inseriti dall’uomo erano nettamente di
grandezza superiori rispetto a topi wild type, ossia normali.

Altro passo della genetica è la clonazione della pecora Dolly nel 1997; tale pecora è identica alla madre
poiché è stata preso il nucleo di una cellula indifferenziata di una pecora e sostituito al nucleo di una cellula
uovo che è stata poi fatta sviluppare.

Le cellule staminali sono cellule indifferenziate che possono differenziarsi in qualsiasi tipo di cellula: vi sono
cellule staminali embrionali (CSE) o totipotenti che sono in grado di produrre qualsiasi cellula del nostro
organismo e cellule staminali dell’adulto (CSA) o pluripotenti o multipotenti che possono dare origine ad
un certo numero di tessuti. Prelevando ad esempio dal tessuto emopoietico di un individuo adulto cellule
CSA possiamo ottenere cellule specifiche; viceversa prelevando cellule staminali dell’embrione possiamo
ottenere qualsiasi tipo di cellula finale in base alle condizioni di sviluppo.

Organismi viventi – Citologia

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Le cellule esistenti in natura sono di tre tipi: cellula batterica, cellula vegetale e cellula animale. La cellula
batterica è la più semplice e procariote, le altre due sono più complesse e molto simili, ma la cellula
vegetale ha delle specializzazioni in più che permettono alla pianta di essere organismi autotrofi
(sintetizzano i nutrimenti da sé), al contrario degli animali che sono eterotrofi.

Oltre alle cellule abbiamo i batteriofagi, virus, viroidi e prioni che non sono in grado di vivere
autonomamente.

Virus e batteriofagi sono simili strutturalmente, hanno bisogno di infettare un’altra cellula per potersi
replicare e riprodursi; i virus si riproducono all’interno di una cellula eucariote, mentre i batteriofagi
infettano un batterio per riprodursi. Per fare questo inseriscono il loro acido nucleico DNA o RNA nella
cellula ospite e questa inizierà a replicare e trascrivere il DNA producendo le proteine del virus o del fago
che vanno poi a costituire altre cellule del virus.

I batteriofagi quando infettano una cellula batterica possono andare in contro a due tipi di replicazione:
ciclo litico o ciclo al lisogenico, in base al tipo di batterio: virulento o temperato.

Quando abbiamo fagi di tipo virulento abbiamo il ciclo litico: il batteriofago si attacca alla superficie
cellulare del batterio e inietta il suo DNA all’interno della cellula batterica; il batterio non riconosce il DNA
come estraneo e quindi lo replica e trascrive andando a formare proteine del fago; una volta che la cellula
ha sintetizzato un certo numero di proteine, le componenti del fago vengono assemblate a formare nuovi
virus; a seguito di ciò la cellula batterica si lisa liberando molti fagi batterici che possono andare ad infettare
altre cellule.

Quando invece abbiamo fagi di tipo temperato avremo il ciclo lisogenico che inizia con l’aggancio del
batteriofago alla superficie cellulare del batterio e la penetrazione del DNA all’interno della cellula; il DNA
però in questo caso non va in contro a replicazione ma si integra nel DNA batterico e resta quiescente per
molto tempo; ogni volta che il batterio si dividerà, anche il DNA del virus verrà replicato e rimarrà all’interno
del cromosoma batterico finché un qualche evento di cambiamento ambientale farà si che anche questo
DNA venga esciso dal cromosoma batterico e quindi duplicato e sintetizzate nuove particelle virali.

Esempio del fago lambda che può fare entrambi i cicli: dopo l’infezione e la penetrazione del DNA, può
succedere che si sviluppi il ciclo litico o il ciclo liso genico; al momento dell’escisione nel ciclo liso genico, il
DNA viene liberato nella cellula e si riprende il ciclo litico.

I virus animali contengono DNA o RNA, racchiusi all’interno di un involucro proteico detto capside costituito
da subunità o capsomeri disposti in modo regolare e spesso simmetrico; esso protegge il genoma virale in
ambiente extracellulare e consente la penetrazione del virus all’interno della cellula ospite. Abbiamo poi il
pericapside che è un ulteriore involucro ipoproteico talvolta presente all’esterno del capside.

La classificazione dei virus ha diversi criteri. In base al tipo di cellula infettata si distinguono in batteriofagi,
virus animali o virus vegetali; in base all’acido nucleico si distinguono in desossiribovirus (DNA) e ribovirus o
retrovirus (RNA); in base alla forma si distinguono in allungati, sferici o poliedrici; in base al tipo di
simmetria si distinguono in simmetria cubica, elicoidale o complessa. Vedi slide 10.

Replicazione di virus: 1) adesione tra virus e parete o membrana cellulare; 2) rilascio di enzimi che
consentono l’adesione alla cellula ospite; 3) dissoluzione del capisde; 4) ingresso del genoma virale nella
cellula ospite; 5) duplicazione del genoma virale; 6) sintesi delle proteine del capisde; 7) assemblaggio delle
nuove particelle virali.

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Replicazione batteriofagi: 1) adesione del fago con la parete cellulare batterica; 2) iniezione dell’acido
nucleico nel batterio; 3) duplicazione del genoma; 4) sintesi delle proteine del capisde; 5) assemblaggio dei
nuovi fagi; 6) lisi della cellula ospite; 7) fuoriuscita dei fagi che possono infettare altri batteri.

I viroidi sono piccole molecole di RNA chiuse ad anello capaci di auto replicarsi; hanno un solo acido
nucleico e non sono provvisti di capside. Essi infettano preferenzialmente le cellule vegetali e in sostanza
sono una molecola di RNA con forma ad anello.

I prioni, invece, sono proteine presenti in soggetti sani che hanno una certa struttura terziaria; in alcuni casi
questa struttura può alterarsi che conferisce alla proteina delle proprietà dannose però l’organismo in cui si
trova e vanno poi a modificare le proteine sane vicine ad esse.

La cellula procariote vive di vita autonoma ed è molto semplice perché costituita da una membrana
cellulare, al cui interno è presente il citoplasma che contiene il DNA batterico che è un’unica molecola
circolare che prende il nome di nucleotide, e contiene anche i ribosomi per la sintesi proteica, enzimi e
proteine per svolgere le normali attività. Si possono classificare in base alla forma (slide 14), in base alla
temperatura a cui vivono (criofili o psicocrofili a basse temperature, mesofili a temperature di circa 37°,
termofili a temperature alte), in base alla presenza o assenza di ossigeno (aerobi, anaerobi e
aereobi/anaerobi facoltativi), in base al grado di acidità (acidofili o alcalofili), in base alle concentrazioni
saline (alofili con elevate concentrazioni).

I batteri si differenziano in base alla colorazione che assumo in presenza del colorante di Gram: vi sono i
batteri Gram-positivi che diventano violetti e batteri Gram-negativi che non lo diventano. Tale differenza è
dovuta dalla struttura della parete cellulare: è costituita da un peptidoglicano nei Gram-positivi all’esterno
della membrana plasmatica, al di sotto della quale abbiamo il citoplasma; nei Gram-negativi, lo strato di
peptidoglicano è più sottile e al suo esterno abbiamo un’ulteriore membrana e una capsula che
impediscono al peptidoglicano di assumere la colorazione violetta.

La duplicazione dei procarioti avviene per scissione: si inizia con la duplicazione del DNA batterico
dall’origine di replicazione in entrambe le direzioni e il punto di origine migra verso i due poli opposti;
quando viene duplicato completamente avviene la scissione binaria ossia la divisione della cellula in due
cellule. È un processo molto veloce.

La cellula eucariote ha struttura più complessa, è delimitata da una membrana plasmatica che contiene il
citoplasma mentre il DNA non è più libero ma contenuto all’interno di un involucro nucleare detto appunto
nucleo. All’interno del citoplasma ci sono ribosomi, altri organelli che si dividono i vari compiti della cellula
come mitocondri (sintetizzano ATP), lisosomi e perossisomi per la digestione, reticolo endoplasmatico liscio
o rugoso dove sono sintetizzate proteine e l’apparato del Golgi che ha ruolo di spostamento di alcune parti
della cellula. (+slide 22, 23 e 24).

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Organismi viventi – Ultima parte


Gli organismi viventi sono in grado di riprodursi e quindi di trasmettere i propri carattere, compiere un ciclo
vitale, rinnovare la propria struttura continuamente, reagire agli stimoli, muoversi ed evolversi, adattandosi
ai cambiamenti ambientali.

La riproduzione indica l’insieme dei meccanismi mediante i quali gli esseri viventi provvedono alla
conservazione della propria specie generando nuovi individui simili a sé e che subentreranno al genitore, o
ai genitori, nella popolazione. Essa avviene in due modalità: asessuata che non modifica il patrimonio
ereditario e sessuata dove vi è variabilità ereditaria.

La riproduzione asessuata consiste nella moltiplicazione cellulare, ossia genera individui che mantengono
invariato il patrimonio genetico del genitore e avviene per divisione mitotica di una cellula madre che si
divide in due generando due cellule figlie identiche. È la riproduzione di tutti gli organismi unicellulari e
serve loro ad incrementare una popolazione di organismi geneticamente uguali, mentre negli organismi
pluricellulari è il meccanismo con cui si svolge l’accrescimento del singolo individuo, ossia le cellule
somatiche dell’individuo si duplicano per mitosi. Altro meccanismo di riproduzione asessuata è la scissione
che consiste nella divisione del corpo di un individuo generante che genera due individui figli identici fra
loro e identici al generante. Abbiamo poi la frammentazione nella quale avviene il distacco di una parte
dell’organismo che va a formare un nuovo individuo completo e identico al generante, mediante la
rigenerazione della parte rimanente del corpo. Vi è poi la gemmazione, tipica del lievito, che avviene
mediante la formazione di gemme laterali che si separano da mediante una strozzatura e danno origine a
nuovi individui uguali al generante. Altro metodo di riproduzione asessuata è la poliembrionia, ossia la
suddivisione in due o più parti dello zigote oppure dell’embrione nei primissimi stadi di sviluppo, andando a
formare i gemelli omozigoti. Abbiamo poi la sporulazione che avviene in condizioni ambientali sfavorevoli,
per cui l’organismo non sarebbe in grado di sopravvivere e, quindi, genera spore che sono in grado di
sopravvivere a condizioni avverse e svilupparsi poi in condizioni favorevoli.

La riproduzione sessuata è una riproduzione in cui si ha variabilità genetica e deriva dalla fusione dei
gameti detta fecondazione (maschile e femminile); a loro volta i gameti derivano dalla meiosi, ossia il
processo di divisione dei gameti. Una cellula della linea germinale duplica il proprio DNA, va incontro a una
prima divisione durante la quale si ha un processo chiamato crossing over in cui i cromosomi omologhi si
scambiano delle parti di DNA aumentando la variabilità genetica; nella seconda divisione meiotica non si ha
la duplicazione del DNA e quindi i cromosomi vengono separati nelle cellule figlie per ottenere quattro
cellule aploidi che sono i gameti o nel caso delle piante sono le spore.

La riproduzione sessuata più comune è l’anfigonia, ossia la fecondazione di due gameti per formare una
nuova cellula che è lo zigote. La fusione dei due gameti aploidi genera una nuova cellula diploide che è
appunto lo zigote contenente tutto il materiale genetico del nuovo individuo, derivante per metà dal
gamete maschile e per metà dal gamete femminile.

La partenogenesi è un tipo di riproduzione sessuata tramite sviluppo di gameti femminili in assenza di


fecondazione ed avviene quindi generalmente per auto attivazione dell’uovo non fecondato che
ricostituisce un genoma diploide che avrà due assetti aploidi identici, senza variabilità genetica. La
partenogenesi è un evento accidentale ed è difficile che lo zigote si sviluppi, ma in alcune specie è una
forma di riproduzione alternativa a quella anfigonia e genera prole, come nel caso dell’insetto stecco o di
insetti come api e vespe.

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Il ciclo vitale di un organismo vivente è il ciclo che dalla nascita porta alla crescita, sviluppo, riproduzione e
alla morte di un individuo. Tale ciclo ha durata differente a seconda della specie. Per crescita si intende
l’aumento della dimensione cellulare e/o aumento del numero di cellule, mentre per sviluppo si intende la
modificazione strutturale e funzionale fino a un progressivo rallentamento e deterioramento delle
funzionalità che porta alla morte.

Il metabolismo è il complesso delle trasformazioni di natura chimica che avvengono negli organismi viventi;
è quindi la capacità di nutrirsi (organismi autotrofi che si nutrono utilizzando acqua, ioni e molecole
inorganiche come le piante, e organismi eterotrofi che si nutrono di altre molecole organiche già sintetizzate
per poi metabolizzarle in altre molecole utili all’organismo), la capacità di trasformare materia ed energia,
ossia l’insieme delle reazioni chimiche e fisiche che avvengono in un organismo o in una delle sue parti. Il
metabolismo si divide in anabolismo (ossia il processo che produce molecole complesse a partire da
molecole più semplici e con consumo di energia (reazioni endoergoniche), come la sintesi si una proteina) e
catabolismo (ossia il processo che degrada molecole complesse in molecole più semplici liberando energia
(reazioni esoergoniche) come la respirazione cellulare o il ciclo di Krebs).

Il metabolismo significa anche reazione agli stimoli ossia la capacità di percepire e reagire a stimoli esterni
come cambiamenti di temperatura e di pressione, la presenza o assenza di luce e i cambiamenti chimici;
come reazione agli stimoli abbiamo per esempio la formazione di spore, il letargo, il mimetismo, reazioni a
rumori o stimoli olfattivi e il fototropismo. Indica inoltre la capacità di movimento che per gli organismi
unicellulari significa attuare un movimento ameboide (si muovono mediante prolungamenti che
fuoriescono dal corpo chiamati pseudopodi) o un movimento mediante ciglia e flagelli in un mezzo acquoso,
mentre per gli organismi superiori indica l’allungamento o la rotazione del proprio corpo per le piante o il
movimento di organi preposti come gli arti per gli animali.

Le condizioni ambientali sono quelle condizioni fisiche e biologiche indispensabili perché ci sia esistenza:
presenza di acqua, presenza di ossigeno, una determinata concentrazione salina e idrogenionica (pH), una
determinata temperatura e la presenza di luce. Gli ambienti biologici sono di diverso tipo e a secondo
dell’ambiente si sono sviluppate forme di vita diverse che si sono adattati a tali ambienti biologici: ambiente
acqueo che può essere marino o di acqua dolce, e ambiente terrestre che può essere epigeo o ipogeo a
seconda che sia sopra la terra o all’interno della terra.

L’ambiente marino può essere un dominio bentonico o di fondo, dove si sono sviluppati tutti gli organismi
legati più o m eno direttamente ai fondali e si divide in ambiente litoraneo o ambiente profondo. L’ambiente
litoraneo è costituito da acque e fondali che circondano le coste formando la cosiddetta platea continentale
e arriva ad una profondità massima di 200m; è un ambiente estremamente eterogeneo in quanto il livello
più superficiale, dove vi è la maggior parte di vita animale e vegetale, risente dei moti ondosi ed è ben
illuminato, mente i livelli più profondi sono quasi bui e il moto ondoso è pressoché assente. L’ambiente
profondo, invece, si sviluppa oltre la platea continentale e sprofonda meno gradualmente rispetto al
litoraneo.

Vi è poi il dominio pelagico che è formato dalle acque libere, distanti dalle coste e dal fondo, che si
estendono dalla superficie fino agli abissi delle fosse oceaniche e nelle quali vivono tutti gli organismi che
conducono una vita non vincolata in maniera esclusiva al fondale. In tale ambiente la variabilità è maggiore
ed è dovuta dalla salinità e dall’elevata ossigenazione.

Gli organismi viventi presenti nell’ambiente marino si possono distinguere in tre tipologie: plancton,
necton e benthos. Il plancton è costituito da organismi animali e vegetali che galleggiano e quasi tutti

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vengono trasportati passivamente da moti ondosi e dalle correnti e comprende alghe unicellulari, protozoi,
larve, piccoli crostacei, meduse e alghe pluricellulari. Il necton è costituito da organismi che nuotano
attivamente, provvisti di mezzi per nuotare, emergere ed immergersi e comprende pesci, cefalopodi,
tartarughe e cetacei. Il benthos è costituito da organismi che vivono in stretto contatto con il fondo o fissati
ad un substrato solido e comprende alghe pluricellulari, animali che camminano o strisciano (crostacei) e
animali sessili cioè ancorati ad un substrato e incapaci di muoversi (molluschi bivalvi).

L’ambiente di acqua dolce comprende i laghi e i fiumi o torrenti o sorgenti. I laghi sono ambienti in parte
sovrapponibili a quello marino, mentre i laghi di montagna essendo più freddi hanno una quantità di flora e
fauna limitata rispetto a quelli che si trovano in pianura. I fiumi, torrenti e sorgenti, invece, hanno flora e
fauna diversa a seconda che abbiano un corso lento o impetuoso, acque calde o fredde.

L’ambiente terrestre varia in base alla latitudine, longitudine, sottosuolo, vegetazione, clima e stagioni, ma
si può dividere in dominio epigeo (organismi che vivono sulla superficie della terra), dominio ipogeo
(organismi che vivono dentro la terra come grotte, anfratti o gallerie scavate nel sottosuolo) e dominio
entozoico (organismi endoparassiti che vivono all’interno di un altro animale ospite).

Per quanto riguarda i rapporti intraspecifici, ossia i rapporti tra individui della stessa specie, si dividono in
colonie e società di animali. Le colonie sono individui della stessa specie che dopo essersi riprodotta per via
asessuata non si separano e rimangono fisicamente uniti e possono essere colonie omeomorfe nelle quali
tutti gli individui sono uguali (es. spugne) o colonie eteromorfe nelle quali gruppi di individui sono
specializzati nel compiere una determinata funzione fino ad avere una spiccata differenziazione morfo-
funzionale. Le società di animali, invece, consistono in organismi della stessa specie che hanno rapporti fra
loro ma vivono fisicamente separati conducendo vita comune; possono essere temporanee, durature,
individualiste o collettiviste.

I rapporti interspecifici sono invece rapporti di specie diversa che si instaurano nello stesso ambiente e
riguardano la nutrizione e la suddivisione degli spazi. Possiamo avere la simbiosi, ossia la strettissima
relazione fra individui di specie diverse che convivono per trarre beneficio reciproco e si divide in
mutualismo (nessuno degli individui è in grado di vivere isolato), commensalismo (solo una delle due
specie trae vantaggio dalla simbiosi senza danneggiare l’altro) e iniquilismo (i rapporti fra le due specie si
riducono all’occupazione di uno spazio comune).

Esempio di mutualismo specifico è quello fra la pianta di yucca e la femmina di falena che è talmente
specifico che la larva di falena può nutrirsi solo di quella particolare pianta di yucca e la pianta di yucca può
essere impollinata solo da una particolare larva di falena. Fra animali esempio di mutualismo sé quello fra
cernia e labride, in cui l’ultimo pulisce le labbra della cernia.

Esempio di commensalismo è quello dell’airone e del bufalo nel quale l’airone si nutre dei piccoli insetti
volanti che vengono dispersi durante il percorso del bufalo.

Altro tipo di rapporto interspecifico è l’amensalismo ossia una specie impedisce o diminuisce il successo di
un’altra, senza però trarne vantaggio: si ha quando un organismo produce una sostanza chimica come parte
del suo metabolismo che ha un effetto negativo su altri organismi. Esempio del penicillium che secerne
penicillina che è un potente battericida.

Vi è poi il parassitismo, ossia quando una delle due specie conviventi, il parassita, trae vantaggio
dall’associazione a scapito dell’altra, l’ospite, creandole un danno biologico. In tale associazione il parassita,
che ha struttura più semplice dell’ospite, dipende da esso a cui è più o meno legato da una relazione

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anatomica e fisiologica; il ciclo vitale del parassita è più breve di quello dell’ospite e si conclude prima della
morte dell’ospite; il parassita ha rapporti con un solo ospite ma non viceversa.

Il parassitismo può essere facoltativo quando non si hanno modificazioni morfo-funzionali o obbligato
quando la vita del parassita è subordinata a quella dell’ospite. Possiamo distinguere poi gli ectoparassiti, i
quali adottano meccanismi e strategie per attaccare un ospite, e gli endoparassiti che attaccano l’ospite in
modo passivo. Esempi di sanguisuga che utilizza sensori di movimento e temperatura della pelle tramite
indicazioni chimiche e i parassiti dell’intestino umano che infestano l’uomo mediante la digestione di acqua
sporca o cibi infestati e che subiscono grosse modificazioni morfofunzionali.

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Cellula eucariote – La membrana plasmatica: Struttura


La membrana plasmatica è quella struttura che delimita le cellule e ne regola il passaggio delle varie
sostanze e funzioni della cellula permettendo la comunicazione fra cellule adiacenti. Osservandola al
microscopio elettronico a trasmissione si presenta come una struttura trilaminare: è costituita infatti da un
doppio strato di fosfolipidi. I fosfolipidi sono molecole anfipatiche (parte idrofila costituita dal gruppo
fosfato e parte idrofoba costituita dalle code dei due acidi grassi) che se messe in acqua si disporranno con
le code idrofobe verso l’interno. Se prendiamo un detergente costituito da molecole anfipatiche, essendo
diverse dai fosfolipidi delle membrane ed avendo forma più conica, si dispongono formando delle micelle di
forma circolare con le code all’interno, mentre i fosfolipidi della membrana se messe in acqua si dispongono
a formare un doppio strato. Le teste si troveranno a contatto sia con il liquido extracellulare sia con il liquido
citoplasmatico.

In questo doppio strato fosfolipidico sono intercalate anche delle proteine che svolgono funzioni per la
membrana plasmatica.

Nel 1954 era stato proposto il modello di Davson-Danielli secondo cui lo strato fosfolipidico fosse
interamente ricoperto da proteine e che queste stesse proteine formassero dei canali di comunicazione tra
l’interno e l’esterno della cellula; venne abbandonato perche certe funzioni non rispecchiavano tale
struttura.

Nel 1972 venne proposto il modello a mosaico fluido da Singer e Nicolson secondo cui le proteine erano
situate all’interno del doppio strato fosfolipidico che è il modello attualmente accreditato. Tali proteine
possono attraversare tutto lo strato, passando da parte a parte (proteine transmembrana), oppure situarsi
su una delle due facce dello strato di fosfolipidi (proteine estrinseche), o ancora possono posizionarsi
completamente nella parte idrofobica (proteine intrinseche).

Le proteine transmembrana possono essere single pass quando attraversano la membrana una volta sola
oppure multiple pass quando sono ripiegate su sé stesse e attraversano la membrana più di una volta e
solitamente formano dei canali attraverso la membrana.

Oltre alle proteine possiamo trovare delle molecole di colesterolo (quattro anelli idrofobici fusi fra loro e un
gruppo ossidrile OH idrofilico che si disporrà adiacente alle teste) che dà rigidità alla membrana. Possiamo
trovare anche glicolipidi, ossia zuccheri legati al gruppo fosfato; solitamente si trova sulla faccia esterna
della membrana.

La proteina dell’acquaporina permette il passaggio dell’acqua dall’esterno all’interno della cellula formando
un canale.

L’esperimento di Frye-Edidin serve a dimostrare se le proteine fossero ferme o si muovessero all’interno del
doppio strato di fosfolipidi: viene presa una cellula umana e una cellula di topo, nelle quali le proteine
vengono marcate con un colorante diverso (rispettivamente fluorescente rosso e fluorescente verde); le due
cellule sono poi sottoposte a fusione e nell’istante immediatamente successivo le proteine erano separate
fra loro, mentre dopo 40 minuti si è osservato che le due fluorescenze erano mescolate fra loro. La
membrana non è quindi una struttura statica ma fluida con movimenti laterali dei fosfolipidi (raramente
avviene il passaggio di flip flop da un emistrato all’altro).

La tecnica del freeze-fracture serve a osservare la posizione delle proteine: la cellula viene ghiacciata e
tagliata con una lama molto sottile che taglia quindi la cellula dove ci sono dei punti di debolezza. Con il

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taglio i due emistrati si sono separati e le proteine ad esse associate sono rimaste da un lato o dall’altro
lasciando un’impronta dal lato opposto.

Tutto ciò ha prodotto il modello a mosaico fluido di Nicolson e Singer.

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Cellula eucariote – La membrana plasmatica: Funzioni


La particolare struttura della membrana plasmatica le permette di svolgere numerose funzioni tra le quali la
protezione della cellula, il conferimento della forma, lo scambio di sostanze nutritive, il trasporto attivo o
passivo, la reattività agli stimoli esterni, la risposta agli ormoni, l’interazione e comunicazione tra le cellule
e possiede proprietà antigeniche e reazioni immunitarie.

Nella membrana plasmatica apicale (verso l’esterno) vi sono estroflessioni dette microvilli che favoriscono
l’assorbimento delle sostanze nutritive dando maggior superficie; nella membrana plasmatica laterale,
ossia quella a contatto con le cellule adiacenti, abbiamo delle giunzioni detti desmosomi che permettono il
passaggio di materiale da una cellula all’altra; nella membrana plasmatica basale che comunica con il
tessuto connettivo sottostante abbiamo altri tipi di giunzioni che permettono l’aggancio della cellula alla
lamina basale e il passaggio di sostanze digerite nel flusso sanguigno attraverso la membrana basale.

Le proteine presenti hanno differenti funzioni: vi sono proteine di ancoraggio (integrina) che agganciano la
cellula alla matrice extracellulare e la connettono ai microfilamenti intracellulari; abbiamo poi proteine
dedicate al trasporto passivo, ossia proteine che formano canali che permettono il passaggio selettivo di
ioni o molecole secondo gradiente favorevole; proteine di trasporto attivo le quali pompano i soluti contro
gradiente attraverso la membrana, processo per il quale è necessario un apporto diretto di energia
sottoforma di ATP (pompa sodio-potassio); ci sono poi proteine dedicate all’attività enzimatica, i cui enzimi
catalizzano le reazioni che possono avvenire all’interno o sulla superficie della membrana; vi sono poi
proteine che permettono la trasduzione del segnale che ricevono dall’esterno un segnale e trasmettono
questo segnale facendo avvenire un’azione all’interno della cellula in risposta al segnale; proteine dedicate
al riconoscimento cellulare che fungono da marcatori di identificazione; infine ci sono proteine di
giunzione intercellulare fra cellule adiacenti che permettono la comunicazione e il passaggio di sostanze fra
esse.

La diffusione è il processo passivo dovuto al movimento delle molecole all’interno di una soluzione.
L’osmosi è invece il processo che avviene attraverso una membrana semipermeabile come la membrana
plasmatica che permette il passaggio delle molecole di acqua ma non delle molecole di soluto.

Una soluzione è ipotonica rispetto ad un’altra quando ha una concentrazione di soluto minore, si dice
ipertonica quando ha concentrazione maggiore, si dice isotonica quando la concentrazione è uguale.
Processo di osmosi in slide 8, 9 e 10.

Il trasporto attraverso membrana avviene in diverse modalità e può essere passivo o attivo: a) diffusione
semplice quando abbiamo il passaggio di una molecola attraverso lo strato lipidico senza l’aiuto di proteine
b) diffusione semplice attraverso un canale acquoso ossia la formazione di un canale che permette il
passaggio di soluto secondo gradiente in soluzione acquosa c) diffusione facilitata secondo gradiente di
concentrazione: può essere mediante proteine canale, ossia proteine transmembrana multiple pass che
formano un canale, oppure mediante proteine carrier la quale cambia la propria conformazione in base alla
molecola che deve trasportare d) trasporto attivo contro gradiente di concentrazione utilizzando una
molecola di ATP idrolizzata.

La pompa sodio potassio fa sì che tre ioni Na+ vengano trasportati dall’interno all’esterno e che due ioni K+
venga trasportata all’interno, entrambi contro gradiente di concentrazione. Per permettere ciò è necessaria
ATP e una pompa carrier inizialmente rivolta con l’apertura verso l’interno così che i tre ioni Na+ possano
legarsi alla pompa; avviene poi l’interazione dell’ATP con la proteina, l’idrolisi dell’ATP in ADP + P e

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quest’ultimo gruppo fosfato si lega con la proteina, facendole cambiare conformazione (ossia l’apertura sarà
verso l’esterno); ora gli ioni Na+ possono uscire verso l’interno e due ioni K+ si legano all’interno della
proteina; questo legame fa sì che il gruppo fosfato presente si stacchi dalla proteina e ritorni all’interno
della cellula, facendo cambiare conformazione ancora una volta alla proteina, portandola allo stato iniziale
con apertura verso l’interno, permettendo agli ioni K+ di passare all’interno.

Il trasporto attivo secondario è un trasporto contro gradiente di concentrazione che permette il passaggio
di sodio secondo gradiente mentre il glucosio contro gradiente; il sodio si lega alla proteina carrier aumenta
l’affinità della proteina col glucosio; una volta che il glucosio si lega alla proteina, essa cambia
conformazione e si apre verso l’interno permettendo il rilascio degli ioni nella cellula. Il sodio viene tenuto a
bassa concentrazione all’interno della cellula grazie alla pompa sodio potassio che riporta all’esterno gli ioni
di sodio.

Altro processo di trasporto è l’esocitosi in cui abbiamo una vescicola secretoria all’interno della cellula
contenente sostanze che vanno portate all’esterno che si fonde con la membrana plasmatica e rilascia il suo
contenuto verso l’esterno e la membrana della vescicola andrà a far parte della membrana plasmatica.

Abbiamo poi la fagocitosi che è il processo inverso: la membrana plasmatica forma delle estroflessioni
attorno alla molecola da ingerire e si richiude andando a formare una vescicola all’interno della cellula;
andranno ad intervenire poi i lisosomi che si fonderanno alla vescicola e degraderanno le sostanze
inglobate. Esempio slide 23 e 24.

Abbiamo poi il processo di pinocitosi ossia l’ingresso di piccole molecole all’interno della cellula grazie a
microvilli che si chiudono intorno a queste molecole formando delle vescicole interne che diffonderanno il
contenuto mediante diffusione semplice all’interno della cellula.

Altro processo di trasporto è l’endocitosi mediata da recettore ossia delle molecole bersaglio si legheranno
a dei recettori specifici e una volta che avviene questo legame si avrà la formazione di una vescicola
all’interno della cellula rivestita da clatrina. Esempio assorbimento LDL slide 28.

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Cellula eucariote – Il citoscheletro: Prima parte


Il citoscheletro è un sistema di filamenti proteici e ha diverse funzioni tra cui il mantenimento della
struttura e della forma della cellula, l’ancoraggio per organuli e macromolecole all’interno della cellula, è il
responsabile della formazione delle fibre del fuso mitotico nella divisione cellulare e permette il movimento
cellulare. Esso è una struttura dinamica che viene continuamente scomposta e riassemblata.

Le fibre del citoscheletro possono essere microtubuli (i più spessi con diametro di 20-25 nm), filamenti
intermedi (8-12 nm) e microfilamenti costituiti da actina (5-7 nm). I microtubuli sono costituiti da diverse
subunità di tubulina (alfa o beta tubulina) e sono cavi perché si dispongono circolarmente; i filamenti
intermedi sono costituiti da una unità proteiche unite fra loro in modo regolare; i microfilamenti sono
invece costituiti da due filamenti costituiti da subunità di actina che formano fra loro un’elica.

I microtubuli agiscono come impalcatura per determinare la forma della cellula ma permettono anche il
movimento intracellulare degli organelli e delle vescicole; formano anche le fibre del fuso durante la
mitosi che permettono la separazione dei cromosomi nelle due cellule figlie e si trovano anche all’interno di
ciglia e flagelli, i quali permettono il movimento.

Si formano dall’unione di dimeri di alfa-tubulina e beta-tubulina da una parte del tubulo, mentre dalla
parte opposta vengono rimossi, ciò in base alla polarità del cilindro. Per ogni giro che la spirale compie sono
necessari 13 dimeri. Ai microtubuli sono associati delle proteine dette MAP che permettono lo
spostamento di vescicole all’interno della cellula: esse hanno tre siti di legame con la tubulina e una coda
che interagisce con la vescicola.

La chinesina è una di queste MAP formata da due catene pesanti avvolte fra loro a spirale ed entrambe
formate da una parte globulare e una parte allungata; nella parte terminale sono associate alla spirale due
catene leggere. Le catene pesanti si legano al microtubulo, mentre le catene leggere si legano alle vescicole.
Lo spostamento avviene perché la chinesina è in grado di camminare spostando una catena pesante alla
volta lungo il microtubulo.

Un’altra proteina è la dineina, più complessa ma formata anch’essa da una parte globulare che si associa al
microtubulo e una parte leggera che si associa alla vescicola da trasportare.

I filamenti intermedi provvedono alla resistenza meccanica delle cellule, sono quindi sottoposti a stress
fisici e sono spesso interconnessi ad altri tipi di filamenti del citoscheletro che formano ponti trasversali e li
troviamo in cellule muscolari, epiteliali e neuroni. Dal punto di vista strutturale sono costituiti da due
subunità proteiche avvolte ad elica che formano un protofilamento.

Abbiamo quindi un monomero di una proteina che è costituito da una lunga regione ad alfa-elica alle cui
estremità vi sono due terminali globulari (NH2 e COOH); due monomeri si associano parallelamente con le
loro estremità andando a formare dimeri (possono essere omodimeri o eterodimeri a seconda che le
estremità siano uguali o diverse fra loro); due dimeri si associano in maniera antiparallela e sfalsata a
formare tetrameri (60 nm di lunghezza), i quali si associano fra di loro lateralmente per formare un’unità di
filamento intermedio. I filamenti intermedi sono molto lunghi e hanno numerose unità accostate fra loro.

All’interno della cellula i filamenti sono ancorati alla superficie esterna del nucleo ma anche alla superficie
interna della membrana plasmatica; le connessioni con il nucleo avvengono tramite proteine specializzate,

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mentre le connessioni con la membrana plasmatica avvengono tramite siti come desmosomi e
emidesmosomi.

I microfilamenti sono i più sottili e sono formati da due catene di molecole di actina intrecciate fra loro a
forma di elica flessibile. Ai filamenti di actina sono associate diverse proteine a seconda della loro funzione:
vedi slide 22 – 26.

Troviamo i microfilamenti anche all’interno dei microvilli, nei quali i filamenti sono uniti fra loro da proteine
di fascicolazione.

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Cellula eucariote – Il citoscheletro: Seconda parte


Altre strutture che compongono il citoscheletro sono centrioli, centrosoma, ciglia e flagelli e assonema.

I centrioli sono le strutture da cui si formano i microtubuli che formano il citoscheletro e sono costituiti da
9 fibrille disposte a formare un cilindro, ciascuna delle quali è formata da 3 microtubuli. Questa struttura è
mantenuta dalla presenza di proteine. I centrioli all’interno della cellula sono localizzati vicini al nucleo e
sono presenti in coppia, l’uno perpendicolare rispetto all’altro. Durante la divisione cellulare quando
formano le fibre del fuso, i centrioli si duplicano dando origine a 2 coppie, da ognuna delle quali dipartono i
microtubuli del fuso a cui si associano i cromosomi che si devono separare durante il processo.

Il centrosoma è una struttura complessa che contiene 2 centrioli circondati da materiale pericentriolare
amorfo che è opaco agli elettroni da cui si ha la nucleazione dei microtubuli. Il centrosoma è quindi il sito
d’inizio della duplicazione dei microtubuli: durante tale processo, da ogni centriolo nasce un nuovo
microtubulo perpendicolare a quello di partenza; la coppia poi si separa, ognuno col proprio centriolo e si
dirigono nella propria cellula figlia.

Ciglia e flagelli sono altre strutture del citoscheletro che hanno la funzione di movimento della cellula o di
materiale vicino alla cellula; si tratta di organelli motori simili a peli che si proiettano all’esterno di vari tipi
di cellule. Sono sottili filamenti avvolti da una estroflessione della membrana plasmatica, e sono ancorati
alla base dal centriolo basale per mezzo di una profonda radice del ciglio. Le ciglia sono più corte e
numerose, mentre i flagelli sono in minor numero ma di maggior lunghezza.

Le ciglia sono formate da microtubuli raggruppati in modo da formare 9 coppie disposte alla periferia con
all’interno altri due microtubuli centrali. Il complesso di 9+2 microtubuli si chiama assonema. Le coppie di
periferia sono più strettamente legate sia fra loro che con i due microtubuli centrali rispetto ai due al centro,
legati fra loro più debolmente. Il movimento del ciglio assomiglia molto a un moto ondoso in progressione.

I flagelli, a differenza delle ciglia, sono meno numerosi e più lunghi, si trovano in organismi unicellulari come
i protisti e negli spermatozoi.

Alla base del ciglio, nel corpo basale, è presente un centriolo con la struttura 9*3, da cui si dipartono 9
coppie di microtubuli periferiche del ciglio, a cui si aggiungeranno, proseguendo sulla lunghezza del ciglio, i
due microtubuli centrali, andando a formare la classica struttura dell’assonema 9+2.

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Cellula eucariote - Le giunzioni cellulari


La matrice extracellulare è una rete organizzata di materiale presente nelle immediate vicinanze della
membrana plasmatica cellulare. È costituita da diverse strutture e proteine quali il collagene, fibronectina,
protoglicani, che sono legate alla membrana plasmatica mediante proteine di membrana. La matrice
extracellulare ha funzione di impalcatura fra le cellule, può assumere forme diverse a seconda del tessuto
dove si trova e la maggior parte delle proteine presenti sono di tipo fibroso; può avere anche un ruolo di
regolatore per la forma della cellula e le sue attività.

Alla base della matrice abbiamo la lamina o membrana basale, la quale fornisce un supporto meccanico per
l’adesione cellulare delle cellule epiteliali del derma; genera anche segnali per la sopravvivenza della
cellula, serve da substrato per la migrazione cellulare (nell’epitelio si duplicano solo le cellule presenti nello
strato più profondo, mentre quelle presenti all’esterno vengono sostituite man mano e subiscono poi
processi di cheratinizzazione), separa i tessuti adiacenti all’interno di un organo e funziona da barriera per
il passaggio di macromolecole.

Le giunzioni cellulari permettono l’unione di cellule vicine per formare un tessuto; a seconda del tipo di
tessuto o funzione avremo differenti tipi di giunzioni. Abbiamo le giunzioni gap (permettono il passaggio di
sostanze), giunzioni aderenti, (uniscono le cellule ma non permettono il passaggio per l’assenza di canali)
giunzioni strette (portano le due membrane in intimo contatto fra loro dando una struttura quasi penta
laminare fondendosi) e desmosomi (uniscono le cellule ma non permettono il passaggio).

I desmosomi sono presenti nel tessuto epiteliale e ciascuna delle due cellule compartecipa alla creazione
del desmosoma, sono quindi molto robusti e sono costituiti da proteine fra le due membrane che le
tengono unite, mentre all’interno di ogni cellula sono presenti filamenti intermedi del citoscheletro. Hanno
una struttura densa sul versante citoplasmatico della membrana con proteine come la cheratina, mentre sul
versante intracellulare sono presenti molecole di adesione fino all’altra cellula.

Gli emidesmosomi hanno una struttura analoga ma solo per una metà in quanto si trovano sulla membrana
basale di una cellula epiteliale: dal lato intracellulare la struttura è la stessa con filamenti intermedi, mentre
nell’altro lato vi è l’ancoraggio delle proteine di membrana alla matrice extracellulare in quanto dall’altro
lato non è presente una cellula ma la matrice.

Le giunzioni strette o tight junctions impediscono il passaggio di sostanze nella matrice extracellulare: le
due membrane sono in intimo contatto fra loro annullando lo spazio intracellulare, quasi fondendosi, e
andando a formare un’unica struttura penta laminare.

Le giunzioni comunicanti o gap junctions sono dei veri e propri canali costituiti da proteine di membrana
presenti su entrambe le membrane delle cellule e formano delle connessioni; sono delle strutture regolari e
formano un canale idrofilo che permette lo scambio di ioni e piccole molecole. I canali possono trovarsi
nello stato chiuso o nello stato aperto a seconda di fattori di regolazione. Le proteine sono distribuite a
distanze regolari formando tra le parti sporgenti una rete di spazi che permette il passaggio solo mediante i
canali fra le membrane e non attraverso il liquido intracellulare.

Le giunzioni aderenti hanno una struttura simile ai desmosomi nella parte interstiziale, mentre all’interno
della cellula troviamo delle proteine del citoscheletro come filamenti di actina; hanno funzione strutturale
per tenere insieme le cellule.

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I plasmodesmi mettono in comunicazione il citoplasma di cellule adiacenti, permettendo il passaggio di


acqua, ioni e piccole molecole; sono rivestiti dalla membrana plasmatica stessa, con la fusione delle
membrane delle due cellule a formare un canale. Ciò è stato visto grazie al marcatore fluorescente di un
RNA messaggero di uno stelo della radice e, dopo un’ora, si è vista la presenza di tale RNA nella cellula
dell’endoderma della radice, con migrazione grazie a questo tipo di giunzione.

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Cellula eucariote - Le endomembrane


Le endomembrane sono tutti gli organelli delimitati dalla membrana presenti all’interno della cellula
eucariote come il reticolo endoplasmatico, il complesso di Golgi, i lisosomi, i perossisomi e i vacuoli. Nella
cellula eucariote vegetale è presente un grosso organello centrale che è il vacuolo che serve a dar turgore
alla cellula; abbiamo poi i cloroplasti che sono presenti solo nella cellula eucariote vegetale che sono i
deputati per la fotosintesi clorofilliana e troviamo una parete cellulare esterna alla membrana plasmatica.
Tutti gli altri organuli sono presenti sia nella cellula animale che in quella vegetale e sono il reticolo
endoplasmatico, il complesso di Golgi, i mitocondri, i ribosomi ecc.

Il reticolo endoplasmatico è presente in due modalità: il reticolo liscio che è costituito da membrane
tubulari interconnesse fra loro, e il reticolo rugoso costituito da sacche appiattite che presenta ribosomi
sulla superficie esterna ed è continuo con la membrana esterna dell’involucro nucleare.

Il reticolo endoplasmatico liscio è la sede della biogenesi di membrane, della sintesi del colesterolo e degli
ormoni steroidei e nelle cellule epatiche del fegato ha la funzione di detossificazione di composti organici,
mentre nelle cellule muscolari ha funzione di sequestro di ioni calcio.

Il reticolo endoplasmatico rugoso è la sede della sintesi delle proteine che hanno una collocazione esterna
alla cellula, o proteine integrali di membrana o che dovranno poi andare all’interno di altri organelli della
cellula; è la sede della sintesi delle catene di carboidrati e della sintesi dei fosfolipidi. Un ribosoma si associa
al reticolo endoplasmatico rugoso per la sintesi di proteine di secrezione esterna alla cellula o di un enzima
lisosomale che andrà in un altro organello in un modo particolare: quando inizia la sintesi proteica, la prima
parte del polipeptide della proteina nascente contiene una sequenza segnale riconosciuta da un particolare
particella di riconoscimento del segnale che si associa al ribosoma; una volta avvenuta l’associazione, il
ribosoma si posizione su una particolare struttura sul reticolo endoplasmatico detta traslocone dove è
presente un recettore (SRP) che permette alla proteina nascente di entrare all’interno del traslocone e
spostare il tappo presente al suo interno; la proteina può ora attraversare la membrana del reticolo e
passare all’interno del lume del reticolo endoplasmatico dove il peptide segnale viene tagliato da una
proteina di membrana e la proteina assume la sua conformazione 3D.

Per la sintesi di una proteina integrale di membrana, invece, è leggermente differente: la sequenza di
riconoscimento della proteina nascente è identica, ma il traslocone si apre e la parte di proteina che dovrà
rimanere all’interno della membrana plasmatica rimarrà all’interno della membrana del reticolo, mentre la
parte terminale si troverà all’interno del reticolo endoplasmatico.

Il complesso di Golgi si trova localizzato fra il reticolo endoplasmatico e la membrana plasmatica ed è


costituito da cisterne appiattite a forma di disco, leggermente curve, e disposte in pile ordinate e
interconnesse da tubuli membranosi con bordi dilatati associati a vescicole che gemmano vescicole che
trasportano le varie proteine o altre strutture. Le cisterne prendono il nome di cisterne cis se posizionate
verso il reticolo endoplasmatico, si chiamano cisterne trans se posizionate verso la membrana plasmatica, e
cisterne mediali se sono in mezzo fra le due precedenti. Questa serie di cisterne è il luogo dove avvengono
le modificazioni post strutturali delle proteine durante il passaggio da cis a trans.

Le funzioni del complesso di Golgi sono quelle di modifica chimica delle proteine e di regolazione del
movimento delle proteine (vedi slide 11).

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Il trasporto delle proteine all’interno della cellula avviene all’interno di vescicole che le trasferiscono dal
reticolo plasmatico ruvido alla superficie cis dell’apparato di Golgi; all’interno di esso avvengono ulteriori
modificazioni e si spostano sulla superficie trans dove sono impacchettate da altre vescicole di trasporto che
andranno poi sulla superficie della membrana plasmatica o su altri organuli, dove il contenuto della
vescicola verrà rilasciato.

I lisosomi sono organelli digestivi che contengono circa 50 enzimi idrolitici che hanno attività ottimale a pH
acido ed è per questo che sulla membrana dei lisosomi è presente una pompa protonica per mantenere il
pH acido. Hanno funzione di degradare le sostanze che arrivano dall’ambiente esterno e intervengono nel
turnover degli organelli della membrana: l’organello che deve essere degradato viene circondato da una
membrana che deriva del RE e si fonde con un lisosoma andando a formare un autofagolisosoma;
l’organello viene degradato e al termine del processo diventa un corpo residuo che può andare incontro a
esocitosi o rimanere indefinitamente nella cellula sotto forma di granulo di lipofuscina.

I perossisomi sono chiamati anche micro corpi e sono vescicole circondate da membrana che contengono
enzimi ossidativi, sono il sito di formazione e degradazione di H2O2 (acqua ossigenata o perossido di
idrogeno); si duplicano per scissione da organelli preesistenti. All’interno dei perossisomi di fatto avviene la
riduzione dell’ossigeno molecolare ad acqua attraverso due tappe: nella prima interviene l’ossidasi che
trasforma l’ossigeno in perossido di idrogeno e, grazie alla catalasi viene trasformata in acqua con
liberazione di ossigeno; ciò impedisce la dispersione di radicali liberi all’interno della cellula.

Abbiamo infine i vacuoli, presenti esclusivamente nelle cellule vegetali, delle quali un singolo vacuolo
occupa il 90% della cellula; è delimitato da una singola membrana (tonoplasto) sulla quale è presente una
pompa protonica per tenere alta la concentrazione di ioni, facendo sì che l’acqua entri nella cellula per
osmosi dando il turgore alla stessa. Per la presenza della pompa protonica il pH è acido.

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Cellula eucariote – Mitocondri e cloroplasti


Mitocondri e cloroplasti sono gli organelli cellulari deputati alla sintesi di energia per la cellula: i cloroplasti
sono presenti solo nelle cellule vegetali ed in alcune alghe e batteri fotosintetici, mentre i mitocondri si
trovano in tutte le cellule eucarioti.

Il ciclo dell’energia ci spiega l’uso dell’ATP all’interno della cellula: l’ATP o adenosintrifosfato è la molecola
che immagazzina energia, dalla sua idrolisi si libera energia utile per svariate funzioni cellulari come la
sintesi proteica, la contrazione muscolare, il trasporto attivo e la liberazione di calore; l’ADP prodotta
dall’idrolisi dell’ATP viene riconvertita ad ATP mediante i processi di fosforilazione ossidativa e glicolisi.
Queste reazioni avvengono nei mitocondri e cloroplasti. Nei mitocondri si ha la sintesi di numerose
molecole di ATP, mentre nei cloroplasti avviene la fotosintesi clorofilliana, ossia il processo che utilizza
l’energia luminosa per sintetizzare glucosio e ossigeno a partire da una molecola di acqua, una molecola di
anidride carbonica e una molecola di ATP.

I mitocondri sono gli organuli respiratori della cellula, deputati alla produzione dell’energia necessaria per
compiere molte funzioni cellulari; hanno una struttura abbastanza complessa, costituiti da due membrane
(una interna e una esterna) e al suo interno troviamo gli enzimi del ciclo di Krebs e della fosforilazione
ossidativa. Hanno una forma a bastoncino e sono costituiti da 65-70% di proteine e dal 25-30% di lipidi,
oltre ad una piccola quantità di RNA e DNA. Sono presenti gli enzimi in grado di sintetizzare l’ATP durante il
ciclo di Krebs e la fosforilazione ossidativa come l’ATP sintasi. Struttura dei mitocondri: slide 6.

Respirazione mitocondriale: a partire dal glucosio presente nel citoplasma esterno, attraverso la glicolisi si
trasforma in acido piruvico, il quale entra nel mitocondrio sottoforma di Acetil-CoA che entra a far parte del
Ciclo di Krebs che avviene nella matrice mitocondriale; dal Ciclo di Krebs si produce NADH che va a far parte
della catena respiratoria all’interno di una cresta mitocondriale che porta poi alla sintesi di ATP. Slide 8,9.

Gli enzimi presenti nei mitocondri appartengono a tre classi che agiscono in sequenza: 1) enzimi ossidativi
del ciclo di Krebs, situati nella matrice mitocondriale, che degradano i prodotti derivanti dall’assorbimento
intestinale trasformandoli in anidride carbonica e liberando elettroni o atomi di idrogeno H+; 2) enzimi della
catena respiratoria o del sistema di trasporto degli elettroni, situati sulla membrana mitocondriale interna,
che trasportano coppie di elettroni o coppie di ioni equivalenti H+ che vengono liberati durante il ciclo di
Krebs; 3) enzimi fosforilativi come l’ATP sintasi che catalizzano la sintesi di ATP a partire da ADP e fosfato
usando l’energia ceduta da una coppia di elettroni.

Altre funzioni dei mitocondri sono l’intervento nel metabolismo di lipidi e fosfolipidi, possiedono la
capacità di ossidare gli acidi grassi, partecipano alla sintesi degli ormoni steroidei, sono in grado di
accumulare e di concentrare varie sostanze al loro interno e nella loro matrice mitocondriale effettuano una
modesta sintesi proteica unita alla presenza di una piccola quantità di DNA, di ribosomi e di varie classi di
RNA.

La presenza di DNA permette di sintetizzare all’interno dei mitocondri alcune proteine che poi riutilizzano,
ma tali molecole di DNA sono troppo piccole e non sono quindi in grado di sintetizzare tutte le proteine
necessarie, si dice quindi che i mitocondri sono semi-autonomi, anche perché riescono a duplicarsi per
divisione cellulare come i batteri. Tutto ciò conferisce una grossa somiglianza ai batteri, si pensa infatti che i
mitocondri possano rappresentare batteri assunti nel corso dell’evoluzione mediante simbiosi con la cellula
ospite. La membrana interna è paragonabile alla membrana plasmatica dei batteri che ha funzione
respiratoria e che forma dei ripiegamenti detti mesosomi, molto simili alle creste mitocondriali.

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I cloroplasti sono invece gli organuli presenti nelle cellule vegetali deputati alla fotosintesi clorofilliana, sono
costituiti da due membrane, una esterna a decorso regolare e una interna impermeabile che si ripiega a
formare delle pile di sacche (tilacoidi) dette grana. I tilacoidi sono disposti in pile ordinate dette appunto
grana, dove lo spazio interno è detto lume, mentre lo spazio esterno è detto stroma, lo stroma contiene gli
enzimi per la sintesi dei carboidrati. Anche all’interno dei tilacoidi sono presenti delle piccole molecole di
DNA, che portano a pensare che anch’essi siano il residuo di un batterio endosimbionte ancestrale.

All’interno dei cloroplasti avviene la fotosintesi clorofilliana, quel processo biosintetico che porta alla
formazione di glucosio con sviluppo di ossigeno a partire da anidride carbonica e acqua; si divide in due fasi:
la fase luminosa che prevede l’assorbimento dell’energia luminosa, conservata sotto forma di ATP e NADH
con sviluppo di ossigeno; e la fase oscura dove ATP e NADH vengono utilizzati per ridurre la CO2 a formare
glucosio e altri prodotti organici. Vedi slide 18.

I complessi deputati alla fotosintesi clorofilliana sono due: il fotosistema I è un dimero P700 che viene
eccitato dalla luce e a cascata una sequenza di elettroni portano alla sintesi di NADPH a partire da NADP+ e
H+; analogamente abbiamo il fotosistema II detto P680. Entrambi sintetizzano il NADPH utilizzato per la
formazione di glucosio e sono legati ad altri enzimi che trasportano gli elettroni da un fotosistema all’altro.

Mitocondri e cloroplasti potrebbero avere origine comune: da una cellula ancestrale si pensa possano
essere entrati batteri aerobi in grado di sintetizzare ATP e che siano rimasti all’interno della cellula formando
i mitocondri nelle cellule eucarioti animali e i cloroplasti nelle cellule eucarioti vegetali.

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Ciclo cellulare – Nucleo e DNA


Il nucleo è delimitato da una doppia membrana detto involucro nucleare che presenta dei pori nucleari che
permettono il passaggio di materiale dall’interno all’esterno e viceversa, contiene fibre di DNA associate a
proteine dette cromatina, contiene 1 o più nucleoli che sono strutture di forma irregolare in cui avviene la
sintesi dell’RNA ribosomale e l’assemblaggio dei ribosomi, il materiale fluido all’interno del nucleo prende il
nome di nucleoplasma in cui sono disciolti i soluti del nucleo, vi è poi una matrice nucleare che è una rete
di fibre contenente proteina.

L’involucro nucleare è costituito da due membrane cellulari distanti 10-50 nm; è una barriera che impedisce
il passaggio di ioni, soluti e macromolecole tra nucleo e citoplasma che può avvenire solo attraverso i pori,
costituiti da proteine in cui le membrane si fondono. La membrana interna è legata a una sottile rete
fibrillare detta lamina nucleare mediante proteina integrali di membrana, mentre la membrana esterna è in
continuità con quella del RER, ed infatti sono presenti ribosomi.

I pori nucleari sono strutture molto complesse, costituiti da un complesso apparato a forma di canestro
detto complesso del poro nucleare che sporge sia verso il citoplasma che verso il nucleoplasma
permettendo il passaggio di RNA e proteine in entrambe le direzioni. Ha una struttura ottagonale
simmetrica, dovuta alla ripetizione per 8 volte di specifiche strutture, ciascuna formata da circa 30 proteine
differenti. Il passaggio delle proteine attraverso un poro nucleare è possibile grazie alla presenza di un
segnale di localizzazione nucleare che fa sì che un’altra proteina detta importina alfa beta si leghi a tale
proteina formando un complesso proteico; esso si lega a un filamento citoplasmatico del poro che porterà il
complesso all’interno della struttura ottagonale e poi nel nucleoplasma. Nel nucleoplasma è presente la
Ran-GTP, un’altra proteina con cui interagisce, legandosi all’importina alfa e beta e fa sì che la proteina si
dissoci dal complesso entrando nel nucleo; la Ran-GTP e la subunità beta dell’importina vengono
trasportate indietro nel citoplasma dove Ran-GTP viene idrolizzata in Ran-GDP e quindi riportato nel nucleo
senza la subunità beta, l’importina-alfa viene invece riportata nel citoplasma dall’esportina.

All’interno del nucleo è presente la cromatina, ossia DNA associato a proteine dette istoni; nelle cellule
non in divisione la cromatina si presenta sotto forma di granuli dispersi, che essi siano in forma condensata
in grossi ammassi irregolari (eterocromatina) oppure in forma dispersa sotto forma di piccoli granuli o
filamenti (eucromatina). Nelle cellule in divisione, la cromatina si condensa in piccoli bastoncini detti
cromosomi capaci di auto replicazione e di mantenere le proprie caratteristiche morfologiche attraverso
successive divisioni cellulari.

I cromosomi sono contenuti all’interno del nucleo cellulare e sono i portatori dell’informazione genetica;
sono costituiti da cromatina, materiale composto da DNA e proteine ad esso associate dette istoni. Il DNA
ha struttura a doppia elica ed è carico negativamente per la presenza dei gruppi fosfato, mentre gli istoni
sono carichi positivamente, il che permette ad essi di legarsi fra loro in una struttura detta nucleosoma. Il
nucleosoma è costituito da 4 coppie di istoni, attorno ai quali si avvolgono 146 paia di basi di DNA (primo
livello di struttura dei cromosomi con diametro di circa 10nm). Tra un nucleosoma e l’altro è presente un
altro istone che si associa al DNA chiamato DNA di giunzione o DNA-linker, in tal modo i nucleosomi
adiacenti possono compattarsi fra di loro per formare una fibra del diametro di circa 30nm. Questa struttura
va incontro ad ulteriori superavvolgimenti che portano alla formazione dei cromosomi visibili durante la
metafase della divisione mitotica.

Ogni cromosoma contiene una molecola di DNA a doppio filamento, singola e continua; ciascuna delle due
estremità contiene un tratto di brevi sequenze ripetute a formare un cappuccio detto telomero. Sono

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formati da due unità parallele identiche detti cromatidi e pressoché a metà è presente una zona ristretta
detta centromero; associate al centromero sono presenti delle proteine specifiche che servono da siti di
attacco per i microtubuli durante la divisione mitotica. Posizioni centromero slide 14.

Nel momento in cui deve duplicare, il DNA deve svolgersi, ossia le due eliche antiparallele si devono
separare; una volta separate, ciascun vecchio filamento viene utilizzato come stampo per l’aggiunta di basi
corrispettive grazie alla DNA polimerasi, seguendo il criterio A-T C-G. In seguito alla duplicazione del DNA,
quindi, si avranno due filamenti uguali, formati da un’elica vecchia e una nuova: per questo si dice che la
duplicazione del DNA è semiconservativa.

In seguito allo svolgimento per mezzo di un enzima che permette la separazione delle due eliche, può
iniziare la sintesi grazie alla DNA polimerasi, sempre in direzione 5’-3’; di conseguenza, i due filamenti
crescono in direzioni opposte: uno in direzione della forcella di replicazione, l’altro nella direzione opposta.
Un filamento viene sintetizzato in modo continui, l’altro in segmenti di Okazaki nel così detto filamento in
ritardo che vengono uniti fra loro successivamente. La sintesi segmentata è possibile grazie ad un primer,
costituito da un piccolo frammento di RNA sintetizzato dalla primasi, che permette l’attacco della DNA
polimerasi. Successivamente alla sintesi dei due filamenti, interviene la DNA ligasi che le unisce.

Durante il processo di duplicazione possono avvenire degli errori, specie nell’appaiamento delle basi A-T e
C-G; intervengono quindi degli enzimi che utilizzano uno dei due filamenti e correggono la base errata, ma
vi è il 50% di probabilità che sia la sequenza corretta, nell’altro 50% potrebbe correggere la base corretta,
usando come stampo l’errore avvenuto inizialmente, ottenendo una mutazione genetica.

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Ciclo cellulare – Ciclo cellulare


Per ciclo cellulare si intende la vita della cellula quando va incontro a divisione, che può essere mitosi per le
cellule somatiche o la meiosi per i gameti. Il ciclo consiste in diverse fasi: vedi slide 2. Abbiamo una interfase
che si divide in altre tre fasi e una fase M dove avviene la mitosi vera e propria.

MITOSI: il processo di mitosi inizia con l’interfase che a sua volta si divide in tre fasi: nella fase G1
dell’interfase abbiamo l’accrescimento della cellula con un normale metabolismo e gli organelli si
duplicano; nella fase S dell’interfase o fase di sintesi il DNA si replica e si duplicano i cromosomi (se una
cellula entra nella fase S, inevitabilmente andrà incontro a mitosi); nella fase G2 dell’interfase la cellula
cresce e si prepara per la mitosi. Può esserci una fase G0 che precede la fase S in cui entrano le cellule che
non si duplicheranno mai più, ossia che una volta differenziate non si duplicheranno mai più come i neuroni.

La mitosi vera e propria è un processo molto veloce e si divide in varie fasi: 1) Profase, inizio della
formazione delle fibre del fuso e la degradazione dell’involucro nucleare; 2) Prometafase, i cromosomi
iniziano a disporsi lungo il fuso mitotico per potersi poi separare; 3) Metafase, i cromosomi sono disposti
sulla piastra equatoriale; 4) Anafase, separazione dei cromosomi ai poli opposti della cellula; 5) Telofase, si
riforma l’involucro nucleare attorno alle due cellule figlie; 6) Citocinesi, le cellule figlie si dividono.

1) Profase: il materiale cromosomico inizia a condensarsi per andare a formare i cromosomi compatti,
che sono costituiti da due cromatidi uniti fra loro a livello del centromero; il citoscheletro scompare
e si assembla il fuso mitotico; il complesso di Golgi ed il reticolo endoplasmatico si frammentano,
mentre l’involucro nucleare si disperde.
2) Prometafase: i mircotubuli del fuso si collegano al centromero attraverso il cinetocore e i
cromosomi si muovono verso la piastra equatoriale.
3) Metafase: i cromosomi con la loro forma tipica a bastoncello si dispongono sul piano equatoriale
della cellula, connessi ad entrambi i poli per mezzo dei microtubuli.
4) Anafase: separazione dei cromatidi fratelli verso i poli opposti della cellula grazie ai microtubuli che
permettono lo spostamento dei filamenti cromosomici in direzione opposta.
5) Telofase: i cromosomi ai poli opposti si disperdono, inizia a riassemblarsi l’involucro nucleare
attorno ai cromosomi raggruppati, si riformano il complesso del Golgi e il RE e le cellule si separano
per mezzo della citocinesi.
6) Citocinesi avviene grazie a un solco equatoriale e man mano la cellula si divide per strozzatura e si
generano due figlie identiche alla cellula madre.

Il fuso mitotico è fondamentale per la divisione cellulare in quanto permette la separazione dei cromosomi
equamente nelle due cellule; questo grazie alla presenza del centromero e al complesso del cinetocore
presente nel centromero a cui si legano i microtubuli. I cromosomi sono legati alle fibre del fuso che inizia a
formarsi nell’interfase, quando si ha la duplicazione della coppia di centrioli che all’inizio della mitosi
inizieranno a sintetizzare nuove coppie di microtubuli e a disporsi ai poli opposti della cellula mentre il
nucleo inizia a disgregarsi.

MEIOSI: è quel processo che porta alla formazione dei gameti e si verifica soltanto nelle cellule animali e
vegetali deputate alla riproduzione sessuata; consiste in due divisioni consecutive accompagnate da una
sola duplicazione del DNA, così che le 4 cellule che andranno a formarsi avranno un corredo cromosomico
dimezzato o aploide rispetto alla cellula madre; ciò avviene poiché durante la fusione fra due gameti di
sesso diverso il DNA tornerà ad essere diploide.

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Nella Profase può avvenire il fenomeno del crossing over, ossia lo scambio di materiale genetico all’interno
dello stesso cromosoma e, quinti, un aumento della variabilità genetica.

1. Interfase: corrisponde all’interfase delle cellule somatiche, con durata di 20-30 ore, nella quale
avviene la duplicazione del DNA e il raddoppiamento di ciascun cromosoma in due cromatidi.
2. Profase I: i cromosomi omologhi si appaiano punto per punto e iniziano condensarsi; risultano
evidenti le coppie di cromosomi omologhi e di ogni omologo in 2 cromatidi fratelli; si verifica il
crossing-over.
3. Metafase I: le tetradi si allineano sul piano equatoriale della cellula e restano unite a livello dei
chiasmi, siti in cui è avvenuto il crossing-over.
4. Anafase I: i cromosomi omologhi si separano e migrano ai poli opposti mentre i cromatidi fratelli
restano uniti a livello dei centromeri.
5. Telofase I: un solo cromosoma di ogni coppia di omologhi raggiunge ciascun polo e avviene la
citocinesi.
6. Profase II: i cromosomi si condensano nuovamente, il DNA non si replica.
7. Metafase II: i cromosomi si allineano lungo il piano equatoriale della cellula.
8. Anafase II: i cromatidi fratelli si separano e migrano ai poli.
9. Telofase II: si formano i nuclei ai poli opposti di ciascuna cellula e avviene la citocinesi.

Vengono così prodotti 4 gameti negli animali o 4 spore nelle piante.

La gametogenesi è l’intero processo per cui, nei maschi, gli spermatogoni vanno incontro a mitosi e nel
momento in cui saranno in grado di produrre spermatozoi, essi andranno incontro a meiosi (due divisioni
meiotiche) che porterà alla formazione di 4 spermatozoi con corredo cromosomico aploide ognuno diverso
dall’altro. Analogamente nella gametogenesi femminile gli oogoni andranno incontro a mitosi e,
successivamente alla loro crescita con formazione della cellula uovo o oocita, avrà luogo la meiosi, ma solo
una cellula uovo sarà quella fecondabile poiché gli altri tre andranno a formare un corpo polare che poi
verranno degradati.

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Sintesi proteica – Sintesi proteica


La sintesi proteica consiste in due passaggi fondamentali: la trascrizione che avviene nel nucleo e che
consiste nella copia di un determinato gene ossia di una sequenza di DNA in una sequenza complementare
di RNA messaggero il quale si sposterà dal nucleo al citoplasma posizionandosi sui ribosomi dove avverrà la
traduzione, ossia la conversione da RNA messaggero ad una sequenza amminoacidica. In questo processo
interviene anche l’RNA di trasporto e l’RNA ribosomale.

La trascrizione è quindi la copia della sequenza di un gene in RNA messaggero, grazie alla complementarietà
delle basi (A-U, C – H, T – A); ciò avviene grazie all’enzima RNA polimerasi che è in grado di svolgere
parzialmente la doppia elica di DNA e di sintetizzare una copia del DNA in RNA. La trascrizione avviene in
vari passaggi: inizio, allungamento e termine. Viene aperto il DNA (fase di inzio) e viene utilizzato come
filamento stampo quello che va in direzione 3’ – 5’, mentre l’altro sarà il filamento non stampo; l’RNA
messaggero sarà uguale al filamento non stampo con la differenza che al posto della T verrà inserita l’U.
L’RNA polimerasi è in grado di svolgere parzialmente la doppia elica e man mano di sintetizzare la catena di
RNA (fase di allungamento) che si allungherà finché non ci sarà un segnale di stop (fase di terminazione) che
fermerà l’enzima e quindi la trascrizione.

La fase di inizio avviene grazie a delle sequenze che si trovano a monte del sito di inizio della trascrizione
(circa a 35 basi prima dell’inizio, -35) che l’RNA polimerasi è in grado di riconoscere; a -10 troviamo poi una
sequenza ricca in AT poiché tale appaiamento prevede due ponti idrogeno invece che tre dell’appaiamento
CG e in tale punto il DNA è più facile da separare nei due filamenti singoli; la trascrizione avviene poche paia
di basi prima della sequenza codificante del gene.

Una volta avvenuto l’inizio, abbiamo l’allungamento per cui la DNA polimerasi si sposta pian piano lungo la
doppia elica di DNA in direzione 3’-5’ man mano svolgendo e riavvolgendo i due filamenti e sintetizzando il
nuovo RNA fino al termine.

Nella fase di terminazione la DNA polimerasi riconosce delle sequenze particolari, ricche di G e C, le quali
appaiandosi fra di loro formeranno delle forcine che bloccheranno il percorso della DNA polimerasi grazie
alla loro struttura tridimensionale, terminando quindi la trascrizione.

Una volta avvenuta la trascrizione avviene l’aggiunta del cap, ossia di un cappuccio all’estremità 5’ dell’RNA
messaggero, la cui aggiunta inizia già durante la fase di allungamento; tale cappuccio ha la funzione di
impedire la degradazione della catena appena sintetizzata da parte di esonucleasi ed è formato da 7-metil
guanosine.

Al termine della trascrizione avviene poi il taglio dell’RNA messaggero in modo che si dissoci dalla RNA
polimerasi e all’estremità 3’ vengono aggiunte delle basi di Adenina, la così detta coda di poli(A), costituita
da circa 200/300 A, anch’esse con lo scopo di impedire la degradazione di esonucleasi.

L’RNA messaggero partendo da 5’ verso 3’ è costituito da: un cap, ossia sequenze a monte del sito di inizio,
UTR, ossia regioni non tradotte, CDS ossia la sequenza codificante del gene, un’altra regione UTR e Poly(A),
ossia la coda di 200/300A.

Una volta terminata la trascrizione, avviene la traduzione: l’RNA messaggero si sposta nel citoplasma
attraverso i pori nucleari e si posizionerà sui ribosomi dove interviene anche l’RNA di trasporto che porta ai
ribosomi gli amminoacidi codificati dalla sequenza di RNA.

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I ribosomi sono degli organelli presenti in tutte le cellule e sono la sede della sintesi proteica, costituiti da
due subunità. Sono un complesso di rRNA e proteine o complesso ribonucleoproteico con coefficiente di
sedimentazione 80S; tale complesso si può suddividere in due subunità, una con coefficiente 60S e l’altra
con coefficiente 40S, che sono la subunità maggiore (costituita da 50 proteine ribosomali e 3 tipi di rRNA
con coefficiente 28S, 5.8S e 5S) e la subunità minore (costituita da 33 proteine ribosomali e un unico tipo di
rRNA 18S). I ribosomi sono quindi costituiti dall’rRNA che rappresenta l’80% di tutti gli RNA presenti nella
cellula i quali sono sintetizzati nel nucleolo; si ha inizialmente la sintesi di RNA 45S che poi subisce ulteriori
modificazioni chimiche, si associa a proteine specifiche e va a formare un complesso ribonucleoproteico
80S; questo complesso andrà incontro a un’ulteriore maturazione formando un complesso 40S e un
complesso 60S; il complesso 40S sta nel citoplasma e forma la subunità minore del ribosoma, mentre il
complesso 60S subisce ulteriori processa menti andando a formare rRNA 28S e rRNA 28S; questi, insieme al
rRNA 5S di origine extranucleolare e insieme ad altre proteine si trasferiranno nel citoplasma e formeranno
la subunità maggiore del ribosoma.

L’RNA transfer o RNA di trasporto o tRNA è localizzato nel citoplasma ed è formato da una catena
polinucleotidica ripiegata su sé stessa con struttura a trifoglio; l’estremità 3’ supera di tre basi nucleotidiche
(sempre CCA) l’estremità 5’ a cui è associata e tali basi sono il sito accettore dell’amminoacido,
amminoacido che corrisponde ad una tripletta detta anticodone che si trova dalla parte opposta rispetto
all’RNA transfer. Tale RNA deve essere attivato prima di iniziare la traduzione, ossia si deve legare
all’amminoacido corrispondente all’anticodone e questo avviene mediante una reazione che richiede
l’utilizzo di ATP che viene idrolizzata ad AMP + 2 molecole di Fosfato tramite Aminoacil-tRNA sintetasi.

La traduzione ha tre fasi, uguali a quelle della trascrizione: inizio, allungamento e termine. Nella fase di
inizio della traduzione abbiamo l’RNA messaggero che si unisce alla subunità minore del ribosoma grazie a
delle sequenze di riconoscimento (sequenza AUG) e dei fattori di inizio presenti sulla subunità; la sequenza
leader riconosce il ribosoma, si lega il fattore di inizio e fanno in modo che la sequenza di inizio per la
codifica di un amminoacido si trovi in una determinata posizione. La prima sequenza codificante è sempre la
tripletta AUG che codifica per la Metionina e il legame con il tRNA fa sì che uno dei fattori di inizio venga
rilasciato ed in seguito a questo rilascio la subunità maggiore si unirà a quella minore con la conseguenza
che l’RNA messaggero si troverà in mezzo fra le due subunità; può ora avvenire l’allungamento della
proteina nascente.

L’allungamento consiste in un susseguirsi di tRNA che man mano riconoscono le sequenze complementari
dell’RNA messaggero e portano l’amminoacido corrispondente, che si unirà all’amminoacido
precedentemente codificato e nel frattempo viene rilasciato il tRNA vuoto che ha lasciato l’amminoacido
alla catena, lasciando spazio per il tRNA successivo.

La catena polipeptidica è legata covalentemente al tRNA che trasporta l’ultimo amminoacido inserito nella
catena, che occupa il sito P del ribosoma; il tRNA successivo riconosce la sequenza complementare nel sito
A e si legherà a tale sito mediante l’appaiamento tra le basi dell’anticodone e quelle del codone sull’mRNA.
Ora può avvenire il legame peptidico fra l’amminoacido appena portato e la catena già presente e ciò
avviene mediante il distacco della catena dal sito P che andrà ad unirsi all’amminoacido nel sito A legato a
sua volta al tRNA; avviene ora lo spostamento del ribosoma in direzione 3’ lungo l’mRNA e ciò comporta lo
slittamento dei tRNA: la catena polipeptidica in formazione viene trasferita sul sito P, mentre il tRNA vuoto
viene spostato sul sito E da dove lascia il ribosoma.

Tale processo continuerà finché non ci sarà un segnale di stop o di terminazione, il quale determina la fine
della sintesi del polipeptide: tale segnale, formato da triplette specifiche a cui non corrisponde alcun

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amminoacido, indica l’arrivo del fattore di rilascio che si lega nel sito A, permettendo il rilascio della catena
polipeptidica idrolizzando il legame fra la catena e il tRNA nel sito P.

La traduzione consiste nel riconoscimento di tre basi a cui corrisponde un determinato e specifico
amminoacido. Il codice genetico che contiene tali triplette ha diverse proprietà tra cui: è ridondante, ossia
più codoni possono codificare per lo stesso amminoacido; è univoco, ossia ogni codone è specifico per un
solo amminoacido; è universale, ossia tutti gli organismi viventi hanno lo stesso codice genetico eccetto i
mitocondri, i funghi e i protisti.

In pratica le quattro basi si possono combinare in 64 combinazioni diverse a seconda del loro ordine, e per
ogni combinazione viene associato un unico amminoacido; Met (AUG) è la sequenza di inizio; UAA, UAG e
UGA sono i codoni di terminazione.

La regolazione genica avviene in diversi modi e a diversi livelli. A livello trascrizionale possiamo avere una
regolazione negativa che blocca la trascrizione ed avviene mediante un sistema inducibile o reprimibile.
Nella regolazione negativa inducibile avviene quando la trascrizione non è in atto per la presenza di un
repressore legato al DNA che inibisce la trascrizione e, in presenza di un induttore, tale induttore si legherà
al repressore inattivandolo e staccandolo dal DNA in modo che possa iniziare la trascrizione. Es. Operone
LAC. Nella regolazione negativa reprimibile, invece, avviene quando la trascrizione è già in atto e interviene
un aporepressore che viene attivato dal corepressore e, quando è presente una determinata sostanza nella
cellula, si può legare alla cellula andando a bloccare la trascrizione. Es. Operone TRP.

Esempio Operone LAC: l’operone è una sequenza presente nel DNA batterico che sintetizza gli enzimi che
idrolizzano il lattosio; quando il lattosio è presente nella cellula ed è quindi da idrolizzare, esso si andrà a
legare ad un repressore inattivandolo e permettendo quindi la sintesi dell’enzima che si occupa dell’idrolisi
del lattosio.

Esempio Operone TRP: sempre nei batteri è presente una sequenza di DNA che codificano per gli enzimi che
sintetizzano il triptofano e, quindi, quando il triptofano è già presente nella cellula, esso si andrà a legare al
repressore rendendolo attivo e quindi reprimendo la trascrizione.

Abbiamo poi la regolazione dell’espressione genica positiva, ossia lo stato basale della trascrizione è
normalmente spento e viene stimolata da una proteina che si lega alla catena di DNA quando necessario.
Esempio di regolazione positiva lo vediamo negli estrogeni, che entrano nella cellula bersaglio nel nucleo
dove ci sono dei recettori specifici a cui si legano e tale complesso andrà ad attivare la trascrizione di
determinati geni che andranno a codificare per specifiche proteine necessarie a quell’ormone.

I livelli di regolazione dell’espressione genica negli eucarioti sono 4: a livello trascrizionale, post-
trascrizionale, tradizionale e post-traduzionale.

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Genetica - Genetica mendeliana


Mendel era un monaco del 1800 che ha fondato le basi della genetica moderna grazie ai suoi studi dei
caratteri ereditari svolti su piante di Pisum sativum, in seguito ai quali ottenne risultati la cui interpretazione
fornì le basi della genetica moderna.

Gli esperimenti che svolse furono sulla pianta di pisello, utile dal punto di vista genetico in quanto sulla
stessa pianta troviamo sia gli organi genitali maschili che quelli femminili ed è possibile quindi incrociare le
piante con le medesime caratteristiche; il ciclo di vita è inoltre molto breve e ciò permise di ottenere
risultati in breve tempo. Uno dei primi esperimenti fu quello di usare delle piante che presentavano
caratteristiche diverse fra loro: piante alte e piante nane. Entrambe le piante erano delle linee pure, ossia
incrociate fra loro stesse davano origine allo stesso tipo di pianta; queste linee pure le incrociò fra loro e
ottenne una prima generazione F1 di sole piante alte. Prese le piante della F1 e le incrociò fra di loro e
ottenne ¾ piante alte e ¼ piante nane. Il carattere della pianta nana presente nella linea parentale
scompariva nella prima generazione ma riappariva nella F2.

Arrivò a determinare la prima legge di Mendel o Legge della dominanza, secondo cui per ogni carattere
considerato nella F1 compariva soltanto uno dei due e mai l’altro; il carattere che rimaneva nascosto si
ritrovava nella F2 con frequenza di ¼. Mendel definì il carattere della F1 come dominante, ossia che domina
sull’altro che viene definito recessivo che quindi rimane latente nella prima generazione. Ciò avviene perché
nella F1 sono presenti entrambi i caratteri, ma essendo uno dei due dominante rispetto all’altro, si
presentava solo il carattere dominante.

Fece delle ipotesi per arrivare alla seconda legge di Mendel o Legge della segregazione: la prima ipotesi fu
che le piante adulte contengono una coppia di fattori (i geni) che determinano l’eredità di ciascun carattere
(gli alleli); la seconda ipotesi fu che se la coppia di geni presente in un certo individuo è costituita da due
alleli diversi, uno dei due è dominante sull’altro; terza ipotesi fu che gli alleli di una coppia che determinano
un carattere, si segregano cioè si separano al momento della formazione dei gameti: metà dei gameti
contiene un allele e l’altra metà contiene l’altro allele.

Mendel condusse altri esperimenti considerando contemporaneamente due caratteri come la forma e il
colore del pisello: considerò una linea parentale pura con seme giallo liscio e un’altra linea parentale con
seme verde rugoso; dall’incrocio delle linee parentali ottenne una F1 con seme giallo liscio, ossia i caratteri
dominanti sono il colore giallo e la forma liscia, mentre quelli recessivi sono il colore verde e la forma
rugosa. Autofecondando la F1, poi, ottenne tutte le combinazioni possibili, ossia piante con semi gialli e lisci
(9/16), piante con semi verdi e lisci (3/16), piante con semi gialli e rugosi (3/16) e piante con semi verdi e
rugosi (1/16). I rapporti sono quindi 9:3:3:1.

A livello di genotipo: vedi slide 9.

La terza legge di Mendel o Legge dell’indipendenza sostiene che gli alleli che determinano due caratteri
diversi segregano indipendentemente l’uno dall’altro al momento della produzione dei gameti.

Non sempre ciò si è rivelato vero, come nei casi di dominanza incompleta, ad esempio nei colori dei fiori:
fiori rossi dominanti WW incrociati con linee di fiori bianchi recessive ww otteniamo degli ibridi rosa Ww. Il
fenotipo eterozigote è diverso dalle linee parentali omozigoti.

Si parla di codominanza quando entrambi gli alleli si esprimono egualmente, come nel gruppo sanguigno
AB0 nell’uomo: gli individui con gruppo sanguigno A esprimono solo l’allele che determina la presenza

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dell’antigene A sulla membrana del globulo rosso, gli individui con gruppo sanguigno B esprimono solo
l’allele che determina la presenza dell’antigene B sulla membrana del globulo rosso, gli individui con gruppo
sanguigno AB esprimono entrambi gli antigeni sul globulo rosso e gli individui con gruppo sanguigno 0 non
presentano alcun antigene sulla membrana del globulo rosso. Ciascun gruppo sanguigno presenta nel
plasma gli anticorpi del tipo dell’antigene mancante sul globulo rosso. È un caso di codominanza poiché nel
gruppo AB i due antigeni sono presenti contemporaneamente, ma a loro volta sia il gruppo A che il gruppo B
sono dominanti rispetto al gruppo O.

Abbiamo poi l’epistasi, un fenomeno per cui l’espressione di un gene dipende dall’effetto di un altro gene: si
parla di interazione genica o epistasi quando due diversi geni interagiscono fra loro, ossia uno o più alleli
inibiscono o mascherano l’effetto di uno o più alleli di un altro gene. Il gene che maschera l’espressione di
un altro gene è detto epistatico, il gene mascherato è detto ipostatico.

Esempio di epistasi è quello del colore del pelo del cane Labrador, in cui è presente un gene che codifica per
la produzione di melanina: questo gene ha un allele dominante B che dà il colore del pelo nero (BB o Bb) e
un allele recessivo b che dà il colore del pelo marrone (bb). C’è poi un altro gene che controlla la diposizione
del pigmento di melanina nel pelo, gene che presenta un allele dominante E ed un allele recessivo e:
individui che presentano EE o Ee avranno il pelo nero se BB o Bb e pelo marrone se bb; individui invece che
presentano ee avranno pelo giallo indipendentemente dalla presenza di B o b.

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Genetica – Cariotipo
Per cariotipo si intende l’assetto cromosomico tipico di ogni specie; i cromosomi sono visibili durante la
metafase e si possono isolarli, colorarli ed ordinarli a seconda della loro altezza. Nell’uomo abbiamo 23
coppie di cromosomi di cui le prime 22 sono autosomi e l’ultima coppia è quella dei cromosomi sessuali che
sono X e Y: nella femmina avremo due cromosomi X, mentre nel maschio avremo un cromosoma X e un
cromosoma Y.

Possiamo marcare i cromosomi con la fluorescenza ed ottenere un altro cariotipo, che ci indica la presenza
di alterazioni a livello del DNA.

Avremo una eredità autosomica dominante quando avverrà una mutazione negli autosomi ed il carattere si
manifesta sia in omozigosi che in eterozigosi; il rischio di ricorrenza è del 50%; ogni individuo affetto ha
almeno un genitore affetto; individui non affetti non trasmettono il carattere dei figli.

Nel caso di eredità autosomica recessiva abbiamo una mutazione che avviene solo in caso di omozigosi
recessiva, ossia genitori sani ma portatori possono avere il 25% di avere un figlio affetto.

Le patologie possono essere rappresentate negli alberi genealogici, dove le femmine sono indicate con un
cerchio e i maschi con un quadrato.

Abbiamo poi i cromosomi sessuali che sono il cromosoma X e il cromosoma Y. Le femmine presentano nel
loro cariotipo due cromosomi X, i maschi presentano un cromosoma X e un cromosoma Y. Al momento
dell’incrocio, se facciamo la tabella, avremo il 50% di probabilità di avere un figlio maschio e il 50% di avere
una figlia femmina.

Esiste un tipo di eredità legata al sesso, ossia che si manifesta solo in caso l’individuo affetto sia di un
determinato sesso.

Nella femmina, per evitare il sovradosaggio dovuto alla presenza di due cromosomi X, durante lo sviluppo
uno dei due cromosomi X viene disattivato; ciò può portare a caratteristiche particolari come il colore del
pelo del gatto di tre colori, a causa dell’alterazione casuale del cromosoma X.

Durante la differenziazione il DNA può subire delle mutazioni, che possono avvenire a livello di cromosomi,
di genoma o di singolo gene; possiamo avere una delezione, ossia quando una parte di cromosoma si
perde, possiamo avere una duplicazione, ossia quando viene ripetuta una parte di cromosoma, possiamo
avere una traslocazione reciproca, ossia quando abbiamo lo scambio di parti di cromosoma fra cromosomi
non omologhi, ed infine possiamo avere una inversione, ossia quando una parte di cromosoma ruota di 180
gradi.

Nella delezione abbiamo la perdita di un segmento del cromosoma, che può causare gravi problemi nel caso
in cui il segmento che va perso contenga delle informazioni essenziali per il normale sviluppo e lo
svolgimento delle normali funzioni della cellula.

Nella duplicazione abbiamo un segmento che si stacca da un cromosoma e si inserisce nel suo omologo e,
quindi, gli alleli inseriti si sommano a quelli già presenti; non sempre questa duplicazione può avere effetti
negativi, ma dipende sempre dai geni localizzati in quel segmento cromosomico. Esempio emoglobina che
in seguito a duplicazioni e successive mutazioni ha dato origine a nuove varianti utili.

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Nella traslocazione reciproca avviene l’appaiamento non omologo fra due cromosomi e lo scambio di parti
del cromosoma reciproco, ciò indica che alcuni geni possono trovarsi sotto dei promotori molto attivi.

Nell’inversione un segmento ruota di 180° all’interno di un cromosoma, portando all’inversione dei geni
presenti su quel cromosoma e se la rottura avviene all’interno di alcuni geni si andrà a perdere la specifica
funzione di tali geni.

Abbiamo poi alterazioni che derivano dalla non-disgiunzione meiotica: quando le cellule della linea
germinale entrano in meiosi può accadere che una coppia di cromosomi omologhi, invece che separarsi
nelle due cellule figlie, migrino dalla stessa parte. Se la non-disgiunzione avviene nella prima meiosi avremo
la formazione di gameti dei quali il 50% avranno un cromosoma in più, mentre il rimanente 50% avrà un
cromosoma in meno; se avviene nella seconda divisione meiotica avremo 50% di gameti sani, un 25% avrà
un cromosoma in meno e il restante 25% avrà un cromosoma in più. La conseguenza della formazione di tali
gameti porta alla aneuploidia, ossia un gamete sano che feconda con un gamete con una mutazione di non-
disgiunzione meiotica, porterà ad un cariotipo con la presenza di uno o pochi elementi in più o in meno
rispetto al normale. Esempio della trisomia del cromosoma 21 che deriva da una non-disgiunzione meiotica
che porta un gamete ad avere due cromosomi 21 e una volta fecondato da un gamete sano si avrà la
condizione di trisomia, che porta alla sindrome di Down.

Quando la non-disgiunzione avviene a livello dei cromosomi sessuali abbiamo diverse patologie (slide 18): la
fecondazione di un gamete senza cromosoma X da parte di un gamete Y porta ad uno zigote non vitale; la
fecondazione di un gamete senza cromosoma X da parte di un gamete X porta ad uno zigote X0 con la
sindrome di Turner che dà origine a femmine con ovaie iposviluppate e sterili; la fecondazione di un gamete
con doppio cromosoma X con un gamete Y porta ad uno zigote XXY con la sindrome di Klinefelter, i cui
individui sono maschi con testicoli iposviluppati e sterili; la fecondazione di un gamete con doppio
cromosoma X con un gamete X porta ad uno zigote XXX con al sindrome del triplo X, i cui individui sono
femmine e appaiono normali e solo alle volte leggermente ritardate.

Abbiamo poi la poliploidia ossia la presenza di un assetto cromosomico multiplo e maggiore di 2 che deriva
da un cattivo funzionamento del fuso mitotico e quindi i cromosomi duplicati restano all’interno di un solo
nucleo: i gameti prodotti saranno diploidi anziché aploidi. Nel caso delle piante poliploidi esse sono più forti
e hanno maggior successo nella crescita e nella riproduzione, mentre nel caso degli animali, essi non sono
vitali e nell’uomo solo l’1% arriva alla nascita e muore nel corso del primo mese di vita.

Abbiamo poi le mutazioni puntiformi, ossia che avvengono a livello di una singola base nel DNA e, a
seconda della mutazione, si avranno conseguenze diverse. Ci possono essere mutazioni silenti, ossia il
cambiamento di una base porta comunque alla sintesi dell’amminoacido corretto, ciò perché il codice
genetico ha più triplette che codificano per lo stesso amminoacido (è degenerato); ci possono essere
mutazioni missenso, ossia il cambiamento di una singola base porta al cambiamento di un singolo
amminoacido che può avere conseguenze più o meno importanti; ci può essere poi la mutazione non senso
ossia la mutazione di una base che porta alla formazione di una tripletta che codifica per un codone di stop,
andando a troncare la proteina.

Abbiamo poi la mutazione puntiforme di tipo frameshif, ossia shifta la lettura delle basi in seguito a
eliminazione di una o più bai all’interno del DNA: nella mutazione non senso si perdono ad esempio due
basi e si forma una tripletta che codifica per un codone di stop e la proteina verrà troncata; in altri casi tale
mutazione porta a una lettura alterata dal punto di delezione in poi.

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Esempio dell’anemia falciforme, ossia la sostituzione di una T con una A e, nel momento della formazione
della sequenza amminoacidica, porta ad un cambio conformazionale dell’emoglobina, in cui l’una si
appiccica all’altra dando la tipica forma a falce.

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Istologia – Tessuto epiteliale


L’istologia è lo studio dei tessuti: i tessuti sono l’insieme delle cellule specializzate e di prodotti cellulari che
esegue un numero di funzione relativamente limitato, ma altamente specifico. I tessuti si possono
classificare in 4 gruppi:

 Epiteliale: riveste le superfici esterne ed interne del corpo, le vie interne di transito di fluidi e
costituisce le ghiandole.
 Connettivo: fornisce sostegno strutturale, riempi gli spazi tra gli organi, trasporta materiali ed
immagazzina energia. A questo gruppo appartengono il tessuto connettivo propriamente detto il
tessuto connettivo di sostegno Il tessuto emolinfopoietico.
 Muscolare: permette la contrazione dei muscoli scheletrici e viscerali e cuore.
 Nervoso: trasmette ed integra impulsi elettrici da una parte all’altra del corpo.

Abbiamo diversi livelli di organizzazione dei tessuti: si parte dal livello molecolare costituito da proteine e
altre molecole che costituiscono le cellule; abbiamo poi un livello cellulare formato dalle cellule
specializzate dei diversi tessuti che appunto si organizzano a livello tessutale a formare dei tessuti
specializzati, dai quali si formano i vari organi del livello d’organo che vanno a costituire l’organismo intero.

Il livello chimico o molecolare è il livello in cui gli atomi si uniscono a formare molecole sempre più
complesse (la forma specializzata di una molecola determina la sua funzione) e viene studiato dalla biologia
molecolare o anatomia submicroscopica.

Il livello cellulare si ha quando le molecole si uniscono a formare organuli con specifiche funzioni, che sono
le componenti strutturali e funzionali delle cellule, le più piccole unità viventi del corpo, e viene studiato
dall’anatomia microscopica-citologia.

Il livello tessutale o tissutale è quando un gruppo di cellule specializzate cooperano fra loro strutturalmente
per svolgere una o più funzioni specifiche e viene studiato dall’anatomia microscopica-istologia.

Il livello degli organi è costituito da due o più tessuti strutturalmente connessi per svolgere svariate funzioni
all’interno di un organo, e viene studiato dall’anatomia macroscopica, ma anche da quella microscopica.

I tessuti quindi sono caratterizzati da una differenziazione cellulare elevata, ossia ciascuna cellula riduce e
limita selettivamente alcune proprie capacità operative e ne amplifica delle altre, aumentandone l’efficacia;
la differenziazione produce circa 200 tipi diversi di cellule specializzate, la cui combinazione dà origine ai
tessuti.

Il tessuto epiteliale è il tessuto che riveste tutte le superfici interne ed esterne dell’organismo e costituisce
le ghiandole; si divide in epitelio di rivestimento ed epitelio ghiandolare. Le caratteristiche del tessuto
epiteliale: 1) cellularità, ossia le cellule sono poste estremamente vicine fra loro e quasi manca la sostanza
extracellulare; 2) polarità, ossia c’è un’organizzazione strutturale e funzionale orientata in una precisa
direzione; 3) le cellule sono posizionate su una lamina basale su cui poi sono poste tutte le cellule; 4) non è
vascolarizzato cioè i nutrienti passano alle cellule attraverso i liquidi interstiziali; 5) è totalmente innervato;
6) c’è una totale proliferazione per permettere un totale ricambio cellulare.

Le cellule epiteliali hanno una forma poliedrica e da una parte vi è un lume o una cavità (interna o esterna),
mentre dall’altra abbiamo un tessuto connettivo; sono ancorate sulla lamina che è costituita da materiale
amorfo extracellulare con emidesmosomi a cui aderiscono le cellule.

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Funzioni del tessuto epiteliali:

1. Protezione fisica: rivestimento contro abrasioni, essiccamento, distruzione da agenti lesivi.


2. Permeabilità ed assorbimento: permette il passaggio di acqua, ioni e altre sostanze selezionate.
3. Secrezione: produce sostanze con molteplici funzioni utili all’organismo.

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L’epitelio pavimentoso stratificato può essere cheratinizzato o non cheratinizzato, ossia le cellule esterne
dell’epitelio cheratinizzato sono riempite di cheratina, ossia hanno maggiore resistenza e danno maggiore
protezione.

Le cellule dell’epidermide sono chiamate cheratinociti poiché vanno incontro a cheratinizzazione, ossia il
citoplasma si riempie di filamenti di cheratina; le cellule muoiono trasformandosi in lamelle desquamanti.
Le lamelle che formano lo strato più esterno desquamano continuamente e sono rimpiazzate delle cellule
degli stati più profondi, mentre le cellule che poggiano sulla lamina basale sono in grado di proliferare
perché ricevono stimoli attivatori dalla matrice sottostante che favorisce la proliferazione.

L’epidermide è costituita da diversi strati:

1. Strato basale: primo strato della lamina su cui poggiano cellule cubiche o cilindriche con intensa
attività proliferativa.
2. Strato spinoso: le cellule hanno forma poliedrica con brevi prolungamenti citoplasmatici a formare
delle spine.
3. Strato granuloso: comincia a formarsi la cheratina e quindi inizia a verificarsi la morte cellulare ossia
l’apoptosi
4. Strato lucido: costituito da cellule appiattite e allungate, con la presenza di filamenti di cheratina
paralleli alla cute
5. Strato corneo: costituito da lamelle cornee, formate soltanto da cheratina, assenza di nucleo e
organuli cellulari.

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Oltre a tali cellule sono presenti alcune cellule specializzate come i melanociti, presenti nello strato basale e
spinoso con forma stellata e producono melanina, cellule di Langherans, con forma stellata in grado di
captare gli antigeni che attraversano l’epidermide e migrare nei linfonodi dove inizia la risposta immunitaria,
e le cellule di Merkel, che si trovano nello strato basale dell’epidermide e sono elementi sensoriali.

Negli epiteli la membrana plasmatica può andare incontro a specializzazioni per aumentare la funzionalità
dell’epitelio stesso:

1. Microvilli: sono estroflessioni digitiformi del citoplasma con funzione assorbente che aumentano la
superficie di assorbimento di 25/50 volte per ogni cellula.
2. Ciglia vibratili: presenti nelle vie aeree dove convogliano verso l’esterno particelle solide e presenti
nelle vie genitali femminili dove facilitano la pressione della cellula uovo dalla tuba verso l’utero.
3. Stereociglia: presenti nell’orecchio interno, sono strutture ricche in actina che vibrano in risposta
alle onde sonore e sono anche presenti nel canale dell’epididimo e del dotto deferente dove hanno
un ruolo nei processi di secrezione e riassorbimento del liquido prodotto nei tubuli seminiferi.

La lamina basale consente alle cellule epiteliali di mantenersi meccanicamente adese al tessuto connettivo.

Le giunzioni fra le diverse cellule epiteliali possono essere di diverso tipo: giunzioni occludenti, giunzioni
aderenti, desmosomi, giunzioni comunicanti ed emidesmosomi.

L’epitelio ghiandolare è un epitelio che produce e secerne sostanze che vengono espulse dalle cellule
organizzati in strutture più o meno complesse dette ghiandole. Le ghiandole possono essere esocrine, ossia
riversano i loro segreti sulla superficie degli epiteli attraverso dotti escretori, oppure endocrine, ossia
riversano i loro secreti detti ormoni nel liquido intercellulare Interstiziale o direttamente nel sangue.

In base al tipo di secreto le ghiandole esocrine si dividono in ghiandole sierose, in cui il secreto è una
soluzione acquosa di una o più sostanze (saliva); ghiandole mucose, in cui il secreto è formato da mucine;
ghiandole miste.

In base alla forma dell’adenomero le ghiandole esocrine si pososno dividere in tubulari, acinose o alveolari.

In base alla forma del dotto escretore le ghiandole esocrine si dividono in semplici, ramificate o composte.

In base alla modalità di secrezione distinguiamo le ghiandole esocrine in:

 Merocrine o eccrine quando la secrezione avviene attraverso vescicole senza danni al citoplasma ed
è regolata da un normale meccanismo di esocitosi
 Apocrine quando la secrezione avviene con perdita di parte del citoplasma quando i granuli di
secreto si accumulano nella parte apicale della cellula che al momento della secrezione si disgrega
ed entra a far parte del secreto.
 Olocrine quando la secrezione avviene con distruzione completa della cellula.

Le ghiandole endocrine riversano i loro secreti (ormoni) nel liquido intercellulare interstiziale o direttamente
nel sangue. Hanno diversa organizzazione strutturale che ci consente la classificazione in follicoli, cordoni o
nidi.

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Istologia – Tessuti connettivi: generalità


I tessuti connettivi sono tutti i tessuti che connettono gli organi fra di loro e possono essere di aspetto e
costituzione anche diversi dal loro, sono distribuiti in tutto il corpo e contrariamente al tessuto epiteliale
non vengono mai a contatto con l’ambiente esterno. Essi svolgono, a seconda della loro costituzione, uno
più funzioni correlate più o meno direttamente alla connessione strutturale o funzionale dei distretti
dell’organismo.

Questi tessuti possono essere di tre tipi: tessuto connettivo propriamente detto, a cui appartengono il
tessuto connettivo fibroso lasso, il tessuto connettivo fibroso denso, il tessuto elastico, il tessuto reticolare,
il tessuto adiposo; tessuto connettivo di sostegno a cui appartengono il tessuto cartilagineo e il tessuto
osseo; tessuto emolinfopoietico.

Quasi tessuti si interpongono fra altri tessuti di origine diversa connettendoli tra loro e sono costituiti da
una componente cellulare che comprende vari tipi di cellule e da una matrice extracellulare che comprende
una componente amorfe detta sostanza fondamentale e una componente fibrillare.

Abbiamo detto che la matrice extracellulare è costituita da una sostanza fondamentale, a sua volta
costituita da una fase disperdente acquosa in cui sono risolti elettroliti e una fase dispersa costituita da
enzimi, glicoproteine e proteoglicani. Abbiamo poi la componente fibrillare costituita da tre tipi di fibre che
sono le fibre collagene, le fibre reticolari e le fibre elastiche.

I proteoglicani fanno parte della sostanza fondamentale sono costituiti da un asse proteico principale sul
quale sono inserite una serie di catene polisaccaridiche complesse dette glicosamminoglicani (GAG) e hanno
la funzione di formare una matrice gelatinosa che promuove la coesione cellulare ed è in grado di trattenere
l’acqua a livello degli spazi interstiziali.

Fanno parte della sostanza fondamentale anche le glicoproteine che hanno funzione di raccordo tra le
molecole della matrice extracellulare e le cellule in essa presenti. Sono costituite da una molecola proteica
su cui si inseriscono catene ramificate di glicidi. Esempi di glicoproteine sono la fibronectina, la laminina, il
nidogeno, la condronectina e la osteonectina.

Le fibre del tessuto connettivo sono:

 Fibre collagene: hanno alta resistenza ma poca elasticità, tipiche dei legamenti e dei tendini
muscolari. L’unità proteica è il tropocollagene, ossia sono tre catene di amminoacidi (glicina, prolina
e idrossiprolina) che si avvolgono a spirale a formare una tripla elica. Le molecole di tropocollagene
si associano in modo sfalsato di ¼ fra di loro a formare una microfibrilla. L’associazione di più
microfibrille dà origine alla fibrilla. L’associazione di più fibrille costituisce una fibra collagene.
 Fibre reticolari: hanno impalcatura ramificata resistente ma flessibile, tipiche delle grosse ghiandole.
Sono sottili fibre ramificate a formare una rete tridimensionale detta reticolo, costituite da molecole
di tropocollagene che si aggregano lateralmente fra di loro.
 Fibre elastiche: costituite da elastina, sono ondulate e ramificate e tornano alla loro lunghezza
iniziale dopo uno stiramento, tipiche di alcuni legamenti e del sottocute. Sono costituite da una
regione centrale amorfa che contiene elastina e una guaina fibrillare periferica formata da
microfibrille tubulari.

Le cellule del tessuto connettivo sono molto diverse fra loro ma derivano tutte da una cellula mesenchimale
indifferenziata che si andrà a differenziare nelle diverse cellule a seconda del tessuto: abbiamo i

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condroblasti che poi diventa condrocita (tessuto cartilagineo), osteoblasti che poi diventa osteocita (tessuto
osseo), adipocita (tessuto adiposo), adipocita bruno, fibroblasto e mastocita (tessuto connettivo
propriamente detto).

I fibroblasti sono cellule affusolate dotato di lunghe e sottili espansioni in citoplasmatiche che producono
acido ialuronico e proteine, interagiscono a formare proteoglicani e subunità proteiche che andranno
formare le fibre extracellulari. Hanno anche la funzione di produrre la componente fibrillare del tessuto
connettivo, l’elaborazione dei complessi macromolecolari della sostanza amorfa e virgola dopo verrà svolto
la loro funzione, restano imprigionati nella matrice come fibrociti.

I mastociti, invece, cooperano con i fibroblasti nel mantenimento di alcune caratteristiche chimico fisiche
della matrice extracellulare e partecipano ai meccanismi di difesa.

Facenti parte del tessuto connettivo sono anche i macrofagi, dotati di capacità fagociti che per eliminare
patogeni o sostanze strane o residui cellulari. Hanno una superficie cellulare sollevata in numerose pieghe
ed estroflessioni e derivano dai monociti virgola che vanno incontro a maturazione progressive che
determinano un aumento del volume del citoplasma e la membrana emette prolungamenti in grado di
fissare la cellula al substrato.

Gli adipociti in sono invece cellule voluminose con il citoplasma occupato da un’unica enorme gocciola
lipidica e hanno funzione di riserva energetica. Costituiscono il tessuto adiposo.

Caratteristiche generali del tessuto connettivo sono:

1. Cellularità 50-100% per la presenza di matrice costituita da fibre extracellulari e da sostanza


fondamentale
2. Polarità 0% in quanto abbiamo un’organizzazione strutturale e funzionale orientata ma non
polarizzata.
3. Le cellule connettive non si trovano sulla membrana basale su cui sono poste tutte le cellule.
4. Vascolarizzazione 0-100% in base alla loro posizione possono essere presenti o assenti vasi
sanguigni che nutrono le cellule.
5. Innervazione 100%
6. Proliferazione 50%

Funzioni principali del tessuto connettivo:

1. Costituire l’impalcatura strutturale del corpo.


2. Trasportare i fluidi e sostanze in essi disciolti.
3. Proteggere organi ed apparati.
4. Sostenere e collegare tessuti, organi ed apparati.
5. Immagazzinare riserve energetiche.
6. Difendere l’organismo da sostanze ed agenti estranei.

Istologia – Tessuto connettivo propriamente detto

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I tessuti connettivi propriamente detti differiscono fra loro in base alla presenza variabile in proporzione di
cellule, fibre e sostanza fondamentale. Fanno parte di questi tessuti: tessuto fibroso lasso, tessuto fibroso
denso, tessuto elastico, tessuto reticolare e tessuto adiposo.

Il tessuto connettivo fibroso lasso costituisce il tessuto d’imballaggio del corpo nel quale prevale la sostanza
fondamentale ma con scarsa presenza di cellule (le cellule presenti sono fibroblasti, macrofagi e adipociti).
Via una scarsa presenza di fibre collagene ma frequenti sono le fibre elastiche. La vascolarizzazione
all’interno del tessuto è marcata e l’innervazione è presente. Funzioni:

 Fornisce protezione e ammortizza traumi per organi ed apparati.


 Supporto per l’epitelio del tratto gastroenterico, respiratorio e urinario.
 Garantire ancoraggio e vascolarizzazione per il tessuto epiteliale.
 Funzione di sostegno protezione attorno ad alcuni organi ad esempio il rene.
 Funzione trofica, ossia di nutrizione virgola in quanto costituisce l’ambiente in cui decorrono i vasi
sanguigni.
 Interviene nei processi di riparazione dei danni tissutali producendo fibre che portano alla
formazione di un tessuto cicatriziale.

Il tessuto connettivo fibroso denso, detto anche tessuto collageno, presenta fibre collagene che possono
essere orientate parallele una alle altre, andando a firmare il tessuto denso regolare, o ad intreccio,
formando il tessuto denso irregolare. Le cellule presenti sono i fibrociti, via scarsissima sostanza
fondamentale, scarsa vascolarizzazione e l’innervazione è presente. Tale tipo di tessuto è altamente
resistente alle sollecitazioni meccaniche ed è, infatti, presente nei tendini e nelle fasce muscolari. Funzioni:

 Fornitura di solido ancoraggio


 Trasmissione della contrazione muscolare
 Stabilizzazione delle relative posizioni delle ossa
 Riduzione dell’attrito fra i muscoli
 Capacità di resistenza a forze applicate da molte direzioni

Il tessuto elastico è un tessuto connettivo denso regolare in cui le fibre sono quasi esclusivamente fibre
elastiche, ossia sono fortemente estensibili, fino al 150% della lunghezza iniziale. Al cessare della forza che
indotto l’estensione di tali fibre, esse sono in grado di riprendere dimensioni originarie. Funzioni:

 Garantisce la stabilizzazione della posizione.


 Consente l’ammortizzamento dei traumi.
 Rende possibile l’espansione e la contrazione di organi.

Il tessuto reticolare è costituito in prevalenza di fibre reticolari, con scarsa presenza di cellule tra cui
fibroblasti e macrofagi. La vascolarizzazione e l’innovazione sono scarse e tale tessuto ha funzione di
sostegno organizzativo di organi ghiandolari e non.

Il tessuto adiposo è costituito in prevalenza da cellule adipociti cariche di lipidi, la sostanza fondamentale è
scarsa, le fibre presenti sono quelle reticolari ma sono anch’esse scarse. La vascolarizzazione e
l’innervazione sono moderate e il metabolismo cellulare è marcato con continua scissione e sintesi dei lipidi.
Funzioni:

 Riserva di materiali energetici, ossia funzione trofica.


 Sistema di rivestimento coibente, ossia evitare la dispersione del calore interno.

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 Protezione meccanica e di sostegno.


 50% = tessuto adiposo di copertura con funzione coibente e meccanica
 45% = tessuto adiposo interno, dislocato nella cavità addominale
 5% = grasso di infiltrazione, localizzato nel tessuto muscolare dove agevola la funzione
biomeccanica dei muscoli.

Il tessuto adiposo possiamo trovarlo come tessuto di deposito virgola che varia in relazione al lo stato di
nutrizione dell’organismo, oppure come tessuto di sostegno, ossia non è soggetto a variazioni quantitative si
trova nella pianta del piede e della mano.

Si può dividere in:

 Tessuto adiposo uniloculare o tessuto adiposo bianco o giallo è costituito da cellule (adipociti) a
stretto contatto fra di loro, con quindi scarsa matrice extracellulare, con una grossa gocciola lipidica
all’interno della cellula stessa; il nucleo è alla periferia della cellula, la quale è avvolta da un
involucro di glicoproteine e fibre reticolari disperse in una scarsa componente amorfa. Lo troviamo
negli adulti e nella maggior parte dei mammiferi.
 Tessuto adiposo multiloculare o tessuto adiposo bruno è costituito da cellule di più piccole
dimensioni, abbiamo lipidi presenti in numerose microgocce disperse nel citoplasma e sulla
membrana mitocondriale interna dei numerosi mitocondri è presente la termogenia, ossia una
particolare proteina che funge da canale per i protoni che muovendosi generano calore che viene
ceduto ai vasi sanguigni altamente presenti nel tessuto. Tipico nei bambini, alcuni piccoli
mammiferi e negli animali ibernanti.

Il metabolismo del tessuto adiposo è molto attivo, con continuo cambio e scambio tra tessuti di riserva; è
anche coinvolto nei processi metabolici come appetito, fertilità e difesa immunitaria. Mantiene, inoltre,
costante il numero di cellule, ma può variare il contenuto di lipidi in ogni singola cellula.

Istologia – Tessuto cartilagine

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I tessuti connettivi di sostegno forniscono un’impalcatura resistente per l’inserzione delle formazioni
muscolari, per rassicurarla pervietà ossia il collasso di alcuni organi cavi (trachea e laringe), per proteggere
le visceri e per il sostegno tutto l’organismo. I tessuti connettivi di sostegno sono il tessuto cartilagineo il
tessuto osseo.

Il tessuto cartilagineo e il primo scheletro primitivo che si forma l’embrione e che verrà sostituito alla
lasciata dal tessuto osseo. Vi è la cartilagine metafisiaria che è presente nelle ossa lunghe per tutto il
periodo di accrescimento, mentre nell’adulto rimangono: le cartilagini articolari, cartilagine intercostali,
cartilagine nasale in via della cartilagine laringei, anelli tracheali, cartilaginei bronchiali, padiglione
auricolare e anello fibroso che forma i dischi intervertebrali.

Le cellule del tessuto cartilagineo sono dette condrociti, sono scarsi e posti in gruppi di 2-4 cellule detti
gruppi esogeni e si localizzano in piccoli spazi all’interno della sostanza fondamentale. I condrociti si
generano a partire da una cellula mesenchimale che andrà a formare una cellula condroprogenitrice che
sviluppandosi formerà il condroblasto, che in seguito a differenziazione formerà il condrocita.

Il tessuto cartilagineo è costituito quindi in prevalenza della sostanza fondamentale che è formata dai
condroblasti ossia un gel compatto che contiene derivati polisaccaridici detti condroitinsolfati complessati
con proteine a formare proteoglicani. Funzioni:

 Fornisce sostegno rigido, ma più flessibile dell’osso.


 Riduci l’attrito tra le superfici ossee articolari.
 Resiste alla compressione.
 Limitare gli spostamenti reciproci di ossa vicine.

Il tessuto cartilagineo resiste alle compressioni mediante un meccanismo di repulsione delle cariche
negative dei proteoglicani; in seguito a uno sforzo applicato sulla zona cartilaginea, infatti, viene espulsa
l’acqua dai proteoglicani ed essi si avvicinano sempre più fra loro a causa della pressione esterna, che però
viene contrastata dalla repulsione delle cariche negative degli stessi proteoglicani.

In base al tipo di cartilagine abbiamo diversi tipi di fibre:

 Cartilagine ialina: sono presenti fibre collagene immerse in sostanza fondamentale, è una cartilagine
liscia presente nelle articolazioni e come sostegno delle vie respiratorie. Di aspetto è traslucida,
trasparente, di colore bianco-azzurrognolo e possiede una componente amorfa ricca di
glicoproteine e proteoglicani mentre la componente fibrillare è costituita da collagene; i condrociti
sono disposti in gruppi di 2-4 cellule (gruppi isogeni); non è una cartilagine vascolarizzata ed è
delimitata dal pericondrio, ossia da tessuto connettivo fibroso con funzione trofica (di nutrimento) e
condrogenica (produce condroblasti e condrociti).
Dal pericondrio le cellule mesenchimatiche si arrotondano e formano i centri di condrificazione che
permetterà la differenziazione dei condroblasti (che producono matrice cartilaginea) che si trovano
all’interno di lacune, differenziandosi ulteriormente in condrociti (cellule quiescenti) che
formeranno i gruppi isogeni.

 Cartilagine articolare: è un tipo di cartilagine ialina, priva di pericondrio e, quindi, la funzione trofica
è svolta dal liquido sinoviale; svolge la funzione di assorbimento delle pressioni meccaniche nelle
varie direzioni che un’articolazione subisce. Le cellule cartilaginee sono disposte parallelamente allo
strato basale e i gruppi isogeni sono formati da cellule poste in fila l’una all’altra.

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 Cartilagine metafisiaria: è la cartilagine che si trova fra l’epifisi e la diafisi delle ossa lunghe e viene
sostituita dal tessuto osseo durante l’accrescimento, secondo il processo di calcificazione con
elevato processo di mineralizzazione.

 Cartilagine elastica: composta da fibre elastiche associate a fibre di collagene, è una cartilagine
leggera e flessibile presente nel padiglione auricolare e nell’epiglottide laringea. Le cellule
cartilaginee presentano un grosso vacuolo centrale che spinge il nucleo e il citoplasma alla periferia
della cellula, assumendo la forma di un anello; i gruppi isogeni sono meno numerosi con meno
condrociti. Le fibre elastiche formano una rete tridimensionale con dimensioni e numero maggiori
nella parte centrale, più sottili nella regione periferica.

 Cartilagine fibrosa: formata da numerose fibre di collagene con scarsa sostanza fondamentale, è
una cartilagine dura e resistente che caratterizza i dischi intervertebrali. È caratterizzata da un colore
biancastro, le cellule sono rotondeggianti e contenute in lacune (sono cellule isolate e raramente
raggruppate in gruppi isogeni disposti in file parallele).

Istologia – Tessuto osseo

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Il tessuto osseo ha le seguenti funzioni:

 Dà sostegno e supporto strutturale all’intero organismo.


 Possiede la possibilità di traslazione di parte dell’organismo attraverso un sistema di leve.
 Svolge il metabolismo di calcio ed altri ioni.
 Protegge organi ed apparati.
 Dà sostegno e protezione al tessuto emopoietico.

La matrice cellulare è costituita per il 33% da una componente organica (fibre di collagene), da una
componente amorfa e da una componente inorganica, che comprende Calcio (39%), Potassio, Sodio,
Magnesio, Carbonato (10%) e Fosfato (17%).

La componente cellulare è formata da quattro tipi di cellule diverse:

 Cellule progenitrici: danno origine agli osteoblasti


 Osteoblasti: producono la parte proteica della matrice, stimolano l’osteogenesi e danno origine agli
osteociti. Hanno aspetto globoso, sono molto voluminosi e man mano che si dispongono nelle
lacune si trasformano in osteociti.
 Osteociti: si trovano nelle lacune ossee fra le lamelle e hanno funzione di mantenimento e controllo
di proteine e minerali e partecipano alla riparazione del tessuto osseo danneggiato. Hanno forma
appiattita e allungata, possiedono prolungamenti più o meno lunghi e comunicano fra loro
mediante giunzioni gap presenti sulla parte terminale dei prolungamenti.
 Osteoclasti: sono cellule giganti plurinucleate con attività fagocitica e derivano da progenitori della
linea monocita-macrofagica. Degradano la matrice ossea, hanno forma indefinita e nel momento in
cui si aderiscono alla matrice ossea da riassorbire effettuano il processo di demineralizzazione e di
eliminazione della sostanza organica proteica (per mezzo dei lisosomi).

Periostio ed endostio sono tessuti che delimitano l’osso rispettivamente all’estero e all’interno. Il periostio è
un connettivo fibrillare denso affasci intrecciati con uno strato esterno fibroso ed uno strato interno
cellulare e vascolarizzato. Alcune cellule hanno capacità osteoformativa, ossia di crescita ossea per
apposizione. Dallo strato profondo del periostio si dipartono dei robusti fasci di fibre dette fibre perforanti
di Sharpey che garantiscono l’ancoraggio all’osso. L’endostio, invece, riveste il canale midollare, è molto
vascolarizzato e presente cellule osteogeniche ed ematopoietiche.

In base all’organizzazione della matrice ossea abbiamo:

 Tessuto osseo non lamellare: ha la matrice disposta a formare una massa compatta e costituisce
l’osso primario dei mammiferi; a sua volta si divide in:
 Tessuto osseo non lamellare a fasci intrecciati o osso fibroso è presente nelle suture e nelle
inserzioni di tendini e legamenti, possiede lacune ossee distribuite irregolarmente e le fibre
collagene sono disposte a fasci intrecciati.
 Tessuto osseo non lamellare a fasci paralleli o pseudolamellare è presente
temporaneamente nella prima formazione delle ossa lunghe e possiede fibre di collagene
disposte in fasci parallele.
 Tessuto osseo lamellare: ha la matrice suddivisa in strutture lamellari con fibre di collagene disposte
parallelamente fra loro e si divide in:
 Tessuto osseo compatto: le lamelle sono strettamente sovrapposte l’una all’altra in anelli
concentrici (osteoni) o lamine parallele

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 Tessuto osseo spugnoso: le lamelle sono disposte in modo da formare trabecole o


impalcature con numerose cavità che creano lo spazio per il midollo osseo. Possiamo
trovare questo tipo di tessuto nella parte interna delle ossa brevi.

Nell’osteone abbiamo lamelle ossee concentriche disposte attorno a un canale centrale (canale di Havers)
che contiene i vasi di nutrizione. Le lamelle concentriche hanno periodi di osteogenesi diversa, ossia le
lamelle più interni sono più recenti di quelle esterne; sono inclinate di 90° rispetto alle fibre della lamella
adiacente e sono strettamente aderenti fra di loro, unite da una matrice molto mineralizzata.

Le lacune dove troviamo gli osteociti sono collegati fra loro da canalicoli, dove troviamo i prolungamenti
degli osteociti stessi per permettere gli scambi metabolici con giunzioni gap.

L’ossificazione può essere:

 Ossificazione diretta, detta anche ossificazione intramembranosa o mesenchimale, si forma


direttamente da un tessuto connettivo primario da cellule mesenchimali che si differenziano in
osteoblasti. Tale ossificazione parte da centri di ossificazione che sono costituiti da cellule stellate
sparse in matrice extracellulare e danno origine a cellule mesenchimali che si differenziano poi in
osteoblasti, che secernono una matrice preossea. Gli osteoblasti si ordinano intorno all’osteoide in
file di singole cellule. L’osteoide successivamente acquisisce i sali minerali diventando matrice
mineralizzata o calcificata, andando a formare la prima trabecola ossea. La crescita della prima
trabecola avviene per apposizione di ulteriore tessuto osteoide da parte degli osteoblasti, i quali
restano inclusi nelle lacune scavate nella matrice ossea. Gli osteoblasti, poi, emettono
prolungamenti all’interno dei canalicoli e si differenziano in osteociti. Altre trabecole che derivano
dal centro di ossificazione vicini confluiscono fra loro andando a firmare il nuovo osso di tipo
spugnoso.

 Ossificazione indiretta, detta anche ossificazione per sostituzione, si forma da una preesistente
cartilagine chi viene gradualmente sostituita da tessuto osseo mediante decalcificazione. Si
distingue in pericondrale (l’osso si forma alla periferia dell’abbozzo cartilagineo e da cui dipartono
vasi in profondità) e in endocondrale (l’osso si forma all’interno dell’abbozzo cartilagineo).

Ossificazione endocondriale:
1. La cartilagine si espande e i condrociti vicino al centro della diafisi aumentano di dimensioni,
andando a ridurre la matrice che inizia a calcificare; i condrociti che sono diventati ipertrofici
muoiono (apoptosi) e si disintegrano lasciando delle cavità all’interno della cartilagine calcificata.
2. Si formano vasi sanguigni intorno ai margini della cartilagine e le cellule pericondriali si trasformano
in osteoblasti.
3. I vasi sanguigni penetrano all’interno della cartilagine e le cellule mesenchimali migrano attraverso
questi vasi e si differenziano in osteoblasti che iniziano a produrre osso spugnoso nel centro di
ossificazione primario (diafisi). La formazione dell’osso prosegue in entrambe le direzioni a partire
dalla diafisi.
4. Man mano che l’osso accresce avviene il rimodellamento da parte degli osteoclasti che formano la
cavità midollare; la cartilagine vicina a ciascuna epifisi è sostituita dall’osso.
5. Capillari e osteoblasti migrano nell’epifisi formando un centro di ossificazione secondario facendo
aumentare lunghezza e diametro all’osso

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