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Biochimica Generale

Gli Amminoacidi e le Proteine


Gli amminoacidi rappresentano i monomeri
dei peptidi e specificatamente delle
proteine, polimeri in cui è presente il
legame peptidico. Gli amminoacidi sono
composti bifunzionali costituiti dal gruppo
funzionale carbossilico (-COOH) e dal
gruppo funzionale amminico (-NH2). Questi
possono essere legati allo stesso atomo di
carbonio (α-amminoacidi) o ad atomi di
carbonio diversi (β-amminoacidi, γ-amminoacidi). Negli organismi viventi, sia allo stato libero sia come
componenti delle proteine, sono tutti α-amminoacidi. Gli amminoacidi (eccetto per la glicina e la prolina)
sono rappresentati da una formula generale che evidenzia i legami con il carbonio: oltre ai gruppi funzionali
e all’idrogeno, è presente il radicale R o catena laterale, specifico di ogni amminoacido per il quale ne
determina le proprietà specifiche.
Le proteine sono biopolimeri formati da più di cento aa uniti tra loro da legami
peptidici, che vengono suddivise sulla base della loro composizione chimica:

o semplici, formate solo da amminoacidi (albumina, istoni, collagene, ecc.);


o coniugate, costituite da una parte proteica, detta apo-proteina e da un
gruppo prostetico (emoglobina, mioglobina, ecc.);
A seconda della funzione biologica svolta, si possono distinguere le seguenti classi
di proteine:
o strutturali, costituiscono tessuti e organi (collagene e cheratina);
o catalitiche, modificano la velocità delle reazioni chimiche nelle cellule (enzimi);
o contrattili e di movimento, permettono la contrazione muscolare (actina e miosina) e il movimento di
ciglia e flagelli;
o trasporto, favoriscono il trasporto di ioni o molecole (emoglobina);
o riserva, accumulano ioni (ferritina) o molecole (ovalbumina) nei tessuti;
o difesa, proteggono l’organismo dagli agenti patogeni (anticorpi);
o regolazione, regolano diversi processi metabolici negli organismi (ormoni);
o trasduzione del segnale (recettori);
o riconoscimento e adesione (integrine);

In base alla forma che assumono nello spazio, le proteine possono essere suddivise in globulari e fibrose.
Le proteine fibrose, insolubili in acqua, sono formate da due o tre
catene polipeptidiche disposte le une accanto alle altre attraverso
legami disolfuro (cheratina) o legami idrogeno (collagene) a costituire
un unico filamento o un piano.
Le proteine globulari, solubili in acqua, sono formate da catene
polipeptidiche ripiegate su sé stesse in forme compatte più o meno
sferiche, determinate da numerose interazioni intramolecolari e
ioniche.
Esaminando una proteina nella sua configurazione spaziale, è possibile
individuare quattro livelli di organizzazione ai quali si dà il nome di struttura primaria, secondaria, terziaria e
quaternaria.
La struttura primaria è definita dalla sequenza con cui gli
amminoacidi sono legati con legami peptidici e legami
disolfuro nella catena polipeptidica. Ogni proteina ha la
sua sequenza specifica codificata geneticamente dallo
stesso linguaggio di nucleotidi (sull’RNA messaggero è
scritta la disposizione degli amminoacidi, ogni tripletta
di nucleotidi traduce per un amminoacido) e da essa dipende la sua funzione biologica;

La struttura secondaria è definita dalla disposizione spaziale degli atomi della catena polipeptidica,
senza considerare la disposizione delle catene laterali, ed è determinata da legami idrogeno che si
stabiliscono tra l’ossigeno del gruppo carbonile =CO di un amminoacido e l’idrogeno del gruppo
-NH di un altro amminoacido della stessa catena proteica o tra due catene diverse. La struttura
secondaria, tipica delle proteine fibrose, può presentarsi sotto forma di tre configurazioni:
o α-elica, caratterizzata da una catena polipeptidica avvolta a spirale su sé stessa in senso
antiorario ed è determinata da legami a idrogeno intramolecolari con i gruppi R diretti verso
l’esterno. Questa configurazione conferisce alla proteina una elevata flessibilità ed elasticità;
o β-foglietto ripiegato, caratterizzata da più catene polipeptidiche
disposte parallelamente l’una accanto all’altra, è determinata da
legami a idrogeno intermolecolari che si stabiliscano tra il gruppo =CO
e il gruppo -NH di due catene parallele e da gruppi R che si trovano
alternativamente sopra e sotto il piano della molecola;
o Loop, corrispondono alle regioni della catena polipeptidica che non
assumono alcun tipo di struttura secondaria regolare;

La struttura terziaria è definita dalla forma della proteina, determinata da interazioni intramolecolari tra i
gruppi R degli amminoacidi, in particolare sia legami deboli (interazioni elettrostatiche, interazioni
idrofobiche, legami a ponte idrogeno, forze di van der Waals) e legami covalenti tra i gruppi SH di 2 cisteine
(ponti disolfuro). Questa struttura, tipica delle proteine globulari*, può essere considerata come l’insieme di
segmenti polipeptidici a α-elica e β-foglietto, uniti da particolari elementi di connessione e ripiegati in modo
da garantire alla proteina la massima stabilità.
*Vedi Paragrafo proteine fibrose e globulari
La struttura quaternaria è definita dall’associazione di due o più catene polipeptidiche chiamate anche
subunità, come nel caso dell’emoglobina, stabilizzate da legami deboli (legami a ponte idrogeno, legami
ionici, interazioni idrofobiche).
La struttura terziaria (e quaternaria se presente) determinano la suddivisione delle proteine in due gruppi:
fibrose e globulari. Le proteine fibrose (cheratina, collagene), di forma allungata, sono insolubili in acqua ed
hanno un ruolo di sostegno meccanico alle cellule; le proteine globulari (enzimi, albumina), invece, di forma
sferica, sono solubili in acqua, possiedono un “core” idrofobico e una superficie idrofilica.

I legami chimici responsabili della struttura secondaria, terziaria e quaternaria di una proteina sono deboli,
per cui in presenza di temperature elevate, di valori estremi di pH, di solventi organici e di ioni metalli,
tendono a rompersi; in tal caso la proteina perde la sua funzionalità biologia in quel processo che prende il
nome di denaturazione. Questo processo è irreversibile anche se esistono alcune proteine in grado di ridurre
lo stress ossidativo cellulare, le heat shock proteins (hsp) che agiscono nel momento in cui la proteina sta per
formare dei legami intramolecolari non corretti e che quindi rischierebbe di assumere una conformazione non
funzionale. In questo processo le hsp assistono e guidano la proteina nella costruzione dei legami,
permettendole di recuperare la corretta disposizione spaziale, e quindi la normale funzionalità.

Proteine leganti l’Ossigeno: l’Emoglobina e la Mioglobina


L’ossigeno svolge un ruolo indispensabile nel processo metabolico in quanto permette alle cellule di estrarre
energia funzionale per lo svolgimento di attività aerobiche. L’organismo però non è in
grado di produrselo autonomamente per cui lo assorbe dall’atmosfera e lo trasmette a
tutte le cellule attraverso il sistema cardiocircolatorio grazie a specifiche proteine in
grado di legarlo (l’ossigeno non si scioglie nel sangue in quanto apolare). L’ossigeno è
molto importante per il nostro corpo perché consente di operare, sulle sostante
nutritive, una degradazione ossidativa al fine di liberare l’anidride carbonica. Le proteine
in grado di legare l’ossigeno sono la mioglobina (Mb) presente nelle fibre muscolari del
miocardio e del muscolo scheletrico, e l’emoglobina (Hb) contenuta nel citoplasma del
globulo rosso. Entrambe sono proteine coniugate formate da una parte proteica (apo-
proteina), detta globina, e da una parte non proteica (gruppo prostetico), detta eme, un complesso chimico
derivante dalla proto-porfirina IX a cui è legato lo ione ferroso Fe++.
La mioglobina è una proteina globulare formata da una sola catena polipeptidica (struttura terziaria) il cui
ripiegamento crea una cavità, la tasca idrofobica dell’eme, al cui interno viene alloggiato l’unico gruppo eme
presente. Ha il compito di trasferire l’ossigeno presente nel
globulo rosso dell’emoglobina al citocromo ossidasi
mitocondriale della catena respiratoria costruendo una sorta
di deposito all’interno della fibra muscolare. Quando è
presente molto ossigeno, la mioglobina lo lega facilmente,
mentre quando ce n’è poco lo lascia andare, altrettanto
facilmente: ciò significa che è avida e satura quando la
pressione parziale di ossigeno è alta e generosa, e scarica
quando la pressione parziale è bassa; non esistono condizioni
intermedie, avendo un solo gruppo Eme, l’ossigeno può
legarsi oppure no. La mioglobina risulta quindi una molecola
efficiente nel legame ma non nel trasporto; graficamente la
sua cinetica è rappresentata da una curva iperbolica.
L’emoglobina invece è una proteina coniugata tetramerica formata da 4 subunità proteiche (struttura
quaternaria), ciascuna composta da una globina e da un eme, e che quindi può legare fino a 4 atomi di O2.
Ha il compito di trasportare l’ossigeno dai polmoni ai tessuti tamponando il pH del sangue, e l’anidride
carbonica dai tessuti ai polmoni. L’emoglobina,
rispetto alla mioglobina, si lega all’ossigeno in
modo più debole rispetto alla mioglobina e
quindi lo rilascia più facilmente, per questo
motivo non ha un andamento acceso-spento
ma presenta delle condizioni intermedie e la sua
rappresentazione cinetica è una curva
sigmoidale oppure a “esse italica”. Nonostante
l’emoglobina presenti delle situazioni
intermedie è comunque stabile solo nella forma
ossigenata (4 atomi di ossigeno legati ai 4 gruppi Eme), che
viene chiamata forma R, e nella forma deossigenata (4 gruppi Eme liberi), che viene chiamata T, non è stabile
nelle condizioni intermedie.
Alcuni fattori possono modificare l’affinità dell’emoglobina con l’ossigeno, ad esempio:
- Concentrazione di ioni H+, quindi il pH = un aumento degli H+ e quindi un abbassamento del pH
provoca il rilascio di Ossigeno dall’emoglobina, gli ioni infatti prodotti nel corso del metabolismo si
legano all’Hb favorendo il passaggio dalla forma rilassata a quella tesa;

- Pressione di anidride carbonica pCO2 = le cellule producono CO2 dal catabolismo, che diffonde nel
sangue ed entra nel globulo rosso. Sulla sua membrana è presente un enzima (anidrasi carbonica) in
grado di catalizzare la reazione:

L’acido carbonico essendo un acido debole dissocia in:

nel globulo rosso aumentano gli H+ e si ha liberazione di O2 dall’Hb;


- Temperatura = l’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno diminuisce con l’aumento della temperatura.
A livello polmonare la temperatura del sangue è più bassa, questo facilita l’assunzione di ossigeno;
a livello tissutale, invece, la temperatura del sangue è più alta, questo facilita il rilascio di ossigeno
dall’emoglobina;
- 2,3 bisfosfoglicerato BPG = il 2,3 - BPG è un metabolita intermedio della glicolisi presente nel globulo
rosso, che si lega all’emoglobina, in particolare alle catene Beta, avvicinandole tra loro in modo da
favorire il rilascio di ossigeno e stabilizzando quindi la forma tesa della proteina. Ciò è molto
importante soprattutto ad alta quota dove la pressione parziale dell’ossigeno è molto bassa: a bassa
pressione, la porzione di emoglobina saturata con l’ossigeno arriva a malapena al 60%, quindi per far
rimanere costante la quantità di ossigeno ceduto ai tessuti, serve un fattore che riduca l’affinità per
l’ossigeno, inducendo l’emoglobina a liberare più facilmente il gas a livello dei capillari. È molto
importante anche per gli scambi gassosi che avvengono tra il feto e il sangue materno:
nell’emoglobina fetale la subunità Beta viene sostituita con la subunità gamma che ha meno siti di
legame per il 2,3-BPG e quindi una maggiore affinità per l’ossigeno rispetto a quella materna
permettendo così al feto di poter sottrarre al sangue materno l’ossigeno di cui ha bisogno;
Il rilascio ed il conseguente aumento della pressione parziale dell’ossigeno vengono determinati dagli ioni
H+ derivati dal metabolismo cellulare. L’aumento o la diminuzione del valore di pH sanguigno determinano
quindi il rilascio della molecola di O2 in quanto l’affinità per la stessa da parte dell’emoglobina rispettivamente
aumenta e diminuisce, tale effetto prende il nome di effetto Bohr.
Un’altra caratteristica dell’emoglobina è la capacità di partecipare al trasporto diretto e indiretto dell’anidride
carbonica. La CO2 viene infatti trasportata dai tessuti ai polmoni attraverso 3 meccanismi:
- Solubilizzazione nel sangue = c.ca il 5% della CO2 è trasportata disciolta nel sangue;
- Trasporto diretto = c.ca il 10% della CO2 si lega sotto forma di COO- ai gruppi amminici dell’Hb
formando la carbaminoemoglobina;
- Trasporto indiretto = c.ca l’85% della CO2 va ad unirsi all’acqua grazie
all’azione dell’anidrasi carbonica, formando l’anione HCO3- che viene
rilasciato nel sangue in cambio dell’anione cloruro Cl- e dello ione H+, che
invece si lega perifericamente all’emoglobina e se ne scinderà solamente
quando l’ossigeno si legherà al ferro;
La metaemoglobina MetHb è un tipo di metalloproteina in cui, rispetto
all’emoglobina, il ferro nel gruppo dell'eme è allo stato ferrico ( Fe3+) anziché a
quello ferroso (Fe2+). Il cambiamento dello stato di ossidazione priva la molecola
della capacità di legare reversibilmente l'ossigeno. Nel sangue umano una traccia
di metaemoglobina è presente spontaneamente, ma quando è in eccesso il
sangue diventa anormalmente marrone scuro bluastro.
La carbossiemoglobina COHb è un complesso stabile formato da emoglobina, all’interno dei globuli rossi, e
monossido di carbonio CO per il quale presenta un’affinità 210 volte maggiore a quella dell’O2, di
conseguenza tende a legarlo più stabilmente spiazzando l’ossigeno stesso. Le principali fonti di esposizione
esogena al monossido di carbonio sono i processi di combustione e il fumo di sigaretta. In genere, una
frazione percentuale del 10% di carbossiemoglobina provoca torpore, al 40-50% di COHb si manifesta
svenimento e oltre il 60% si va incontro a coma. I soggetti non professionalmente esposti presentano un
livello di fondo del 3,5% di COHb, mentre i fumatori presentano una frazione del 4-6%

Enzimi
In biochimica, si definisce enzima un catalizzatore di processi biologici, differenti da quelli. Il processo di
catalisi indotto da un enzima consiste in un aumento della velocità di reazione e quindi in un più rapido
raggiungimento dello stato di equilibrio termodinamico. Un enzima incrementa unicamente la velocità delle
reazioni chimiche, diretta e inversa, intervenendo sui processi che ne regolano la spontaneità, mediante
riduzione dell’energia di attivazione. In altre parole, agiscono dal punto di vista cinetico senza modificare la
termodinamica del processo, favorendo così reazioni che, a causa di un’elevata energia di attivazione,
avverrebbero troppo lentamente o non avverrebbero affatto.
Gli enzimi in quanto proteine possono essere semplici oppure coniugate (oloenzimi). Nel secondo caso sono
costituite dall’apoenzima proteico e da un cofattore non proteico indispensabile per la catalisi, che può essere
uno ione metallico, come Fe++ / Zn++ / Mg++, oppure coenzima, una molecola organica derivata da vitamine
(quando è legato covalentemente all’enzima si parla di gruppo
prostetico). La regione contenente questi residui catalitici, nota
come sito attivo, si occupa di prendere contatto con il
substrato (sito di legame) e di portare a termine la reazione
(sito catalitico).

Esiste una subcategoria di enzimi, gli isoenzimi, che catalizzano la stessa reazione, ma differiscono per
localizzazione tissutale (o subcellulare) o per proprietà cinetiche o di regolazione. Ad esempio, la lattato
deidrogenasi LDH che catalizza una reazione reversibile di ossidoriduzione è formata da 4 subunità di tipo M
o H e può presentare 5 isoenzimi differenti:

Gli enzimi vengono classificati sistematicamente con sigla E.C. (Enzyme Commission) seguita da un numero
a quattro cifre. Esistono 6 classi principali, differite per il tipo di reazione catalizzata:

Affinché una reazione avvenga è necessario che i reagenti A e B


posseggano energia sufficiente a superare la barriera dell’energia di
attivazione, ossia quell’energia che le molecole devono
raggiugere/accumulare per trasformarsi. In altre parole, è la
differenza tra l’energia libera allo stato di transizione e l’energia
libera delle molecole reagenti, e gli enzimi hanno la capacità di
rendere più veloce tale reazione abbassando l’energia di attivazione.
La cinetica enzimatica si occupa in modo particolare degli aspetti
cinetici del legame enzima-substrato e della conseguente
generazione di un prodotto. La velocità enzimatica dipende dalle
condizioni della soluzione e dalla concentrazione del substrato.
Condizioni denaturanti, come le alte temperature, pH lontani dalla neutralità o alte concentrazioni saline
riducono l’attività enzimatica. Alte concentrazioni di substrato, invece, tendono a incrementare l’attività.
La Vmax rappresenta la quantità di substrato che una
quantità fissa di enzima è in grado di trasformare
nell’unità di tempo e dipende solamente dalla
concentrazione dell’enzima stesso.
La Km (costante di Michaelis-Menten) è la quantità di
substrato necessaria per raggiungere la velocità semi-
massimale e quindi l'affinità di un enzima nei confronti
del substrato: minore è il valore di Km maggiore è
l’affinità.
Gli inibitori enzimatici sono molecole in grado di
instaurare un legame chimico con un enzima,
diminuendone così l’attività. L’inibitore può infatti
intralciare l’enzima nella catalisi della sua reazione,
per esempio impedendo al substrato di entrare nel
sito attiva dell’enzima stesso. Il legame tra enzima
ed inibitore può essere reversibile o irreversibili. Gli
inibitori irreversibili solitamente reagiscono con
l’enzima, modificando chimicamente residui
amminoacidi fondamentali per l’attività. Al
contrario, gli inibitori reversibili legano non covalentemente e producono diversi tipi di inibizione a seconda
che si leghino all’enzima, al complesso enzima-substrato, o ad entrambi.
Gli inibitori reversibili si legano agli enzimi con interazioni non covalenti
deboli come il legame idrogeno, l’interazione idrofobica ed il legame
ionico. Al contrario dei substrati e degli inibitori irreversibili, essi
generalmente non danno luogo a reazioni chimiche quando si legano
all’enzima e possono essere facilmente rimossi per diluizione o dialisi.
Esistono 3 tipologie di inibitori enzimatici reversibili, classificati in base
all’effetto causato dalle variazioni in concentrazione del substrato
enzimatico sull’inibitore:
- Inibizione competitiva = l’inibitore compete con il substrato nel
legarsi al sito attivo dell’enzima. L’effetto è quello di diminuire la
concentrazione di enzima libero disponibile a reagire: diminuisce
l’affinità con il substrato ma non varia la velocità massima che può
essere raggiunta;
- Inibizione non competitiva = l’inibitore non si lega al sito catalitico
dell’enzima ma ad un altro sito impedendo la formazione del prodotto;
- Inibizione a-competitiva;
La cellula è in grado di controllare l’attività enzimatica in almeno 4 modalità principali:
- Induzione/repressione genica della biosintesi dell’enzima (produzione degli enzimi) = variazione del
numero di molecole enzimatiche presenti nella cellula. Alcuni di essi sono sempre presenti (costitutivi)
altri invece vengono prodotti solamente quando necessario, ad esempio, in risposta a un determinato
stimolo (induttivi/adattivi);
- Regolazione allosterica = gli enzimi allosterici sono formati da più subunità e presentano oltre al sito
catalitico anche un sito regolatore o allosterico al quale può legarsi un composto, chiamato effettore
allosterico in grado di modulare l’attività enzimatica. Gli effettori allosterici possono essere positivi,
se aumentano la velocità di trasformazione con conseguente aumento dell’interazione enzima-
substrato (maggiore affinità), oppure negativi, se diminuiscono la velocità di trasformazione con
conseguente diminuzione dell’interazione enzima-substrato (diminuzione affinità);
- Modificazione covalente della molecola enzimatica = è possibile modificare l’attività di un enzima
mediante l’attacco o il distacco di un raggruppamento chimico a/da uno o più residui di amminoacidi
presenti nell’enzima;

- Associazione/dissociazione di monomeri = l’enzima è costituito da più monomeri (oligomerico) e può


esistere in forma associata attiva oppure dissociata inattiva;


Metabolismo
Il metabolismo è l’insieme delle trasformazioni chimiche che si dedicano al mantenimento vitale all’interno
delle cellule degli organismi viventi. Queste reazioni catalizzate da enzimi consentono agli organismi di
crescere, riprodursi, mantenere le proprie strutture e rispondere alle sollecitazioni dell’ambiente circostante.
Generalmente è diviso in due categorie: catabolismo, che disgrega la materia organica e produce l’energia
attraverso la respirazione cellulare, e l’anabolismo che utilizza l’energia per sintetizzare i vari componenti delle
cellule come le proteine e gli acidi nucleici.
L’energia viene trasferita grazie ad un coenzima molto importante: l’adenosina trifosfato (ATP), definito come
la “moneta energetica” universale delle cellule. Al loro interno ne è presente soltanto una piccola quantità
ma viene continuamente rigenerato attraverso il processo di fosforilazione, che può avvenire sia a livello del
substrato oppure con l’ossidazione di coenzimi ridotti sulla catena respiratoria. La fosforilazione a livello del
substrato è una reazione chimica che genera una molecola di ATP attraverso un trasferimento diretto su una
molecola di ADP di un
gruppo fosfato proveniente
da una molecola ad alta
energia. Nella cellula tale
tipo di fosforilazione avviene
nel citosol (glicolisi) e nella
matrice mitocondriale (ciclo
di Krebs) .
La fosforilazione ossidativa
invece è un processo biochimico cellulare corrispondente alla fase finale della respirazione cellulare dopo
glicolisi e ciclo di Krebs. Negli eucarioti avviene presso la membrana interna mitocondriale, mentre nei
procarioti presso la membrana cellulare. È composta da due fasi:
- Catena di trasporto degli elettroni ( o catena respiratoria)
- Sintesi di ATP tramite fosforilazione di ADP
La catena di trasporto degli elettroni è un sistema proteico legato alla membrana mitocondriale interna, la
quale separa la matrice mitocondriale dallo spazio intermembrana, rappresenta la prima fase della
fosforilazione ossidativa nella quale gli elettroni dei coenzimi ridotti NADH-H+ e FADH2 vengono ceduti per
creare un gradiente protonico (ioni H+) nello spazio intermembrana del mitocondrio. È formata da 4 complessi
proteici transmembrana e da 2 trasportatori solubili, il suo compito è quello di accettare gli elettroni ad alta
energia provenienti dai coenzimi ridotti NADH-H+ e FADH2 e di trasferirli attraverso la catena tramite reazioni
di ossido-riduzione a potenziale via via crescente. Ad ogni reazione parte dell’energia degli elettroni viene
ceduta al sistema, permettendo di attivare
il pompaggio dei protoni nello spazio
intermembrana contro il loro gradiente.
L’accettore finale degli elettroni è
l’ossigeno, che catturando 2 elettroni e 2
protoni viene ridotto ad acqua (H2O).
Complesso I - NADH-H+ Ubichinone Ossidoreduttasi: questa proteina di membrana catalizza il trasferimento
di 2 elettroni dal coenzima ridotto NADH-H+ al trasportatore solubile Ubichinone (coenzima Q), durante il
processo vengono trasferiti 4 protoni nello spazio transmembrana.
Complesso II - Succinato CoQ Reduttasi: è una via alternativa del Complesso I e catalizza anch’essa il
trasferimento di elettroni al Coenzima Q, ma senza il trasferimento di protoni.
Complesso III - Citocromo C Ossidasi: l’ossidazione dell’Ubichinolo da parte del Complesso III avviene in
modo ciclico in un processo chiamato Ciclo Q. I due elettroni trasportati dal coenzima Q vengono strappati
uno alla volta generando un intermedio semichionico e trasferiti sui centri ferro-zolfo presenti sul Complesso
III, dove vengono pompati 4 protoni nello spazio intermembrana (2 protoni per ogni ciclo di 1 elettrone).
Infine, ogni elettrone viene trasferito su una molecola del trasportatore solubile Citocromo C.
Complesso IV - Citocromo C Ossidasi: qui quattro molecole di Citocromo C vengono ossidate dal Complesso
IV passando per dei centri contenenti atomi di rame (Cu). Gli elettroni vengono infine donati all’ossigeno (O2)
molecolare che funge da accettore finale. I due atomi di ossigeno che compongono la molecola vengono
scissi e ridotti dai 4 elettroni, e combinando con 4 protoni prelevati dalla matrice mitocondriale si trasformano
in 2 molecole di H2O.
Durante il processo
vengono inoltre
pompati altri quattro
protoni nello spazio
intermembrana.
Metabolismo dei Glucidi
I glucidi sono dei composti chimici organici formati da atomi di carbonio, idrogeno e ossigeno; vengono
anche chiamati carboidrati e svolgono numerose funzioni biologiche, tra cui quella di fonte energetica e
trasporto dell’energia, ma anche strutturale e immunitaria. La disponibilità di glucosio è quindi fondamentale
per il corretto funzionamento di alcuni tessuti come il sistema nervoso, della midollare del surrene o degli
eritrociti, che appunto utilizzano il glucosio come principale, se non esclusiva, fonte energetica.
La digestione dei glucidi inizia nella cavità orale grazie alla ptialina o alfa
amilasi salivare, prodotta dalle ghiandole salivari, che ha il compito di
scindere i legami glicosidici alfa 1 a 4 non terminali. È un’azione molto
veloce che produce destrine, maltosio, ecc. Nello stomaco non avviene
alcuna operazione, si giunge quindi all’intestino tenue dove vi è una
basificazione del bolo attraverso il bicarbonato e l’acqua. Si divide in due
fasi: intraluminale e membrana enterociti. Nell’area intraluminale vi è
l’azione di una alfa amilasi pancreatica che scinde i legami glicosidici alfa
1 a 4, producendo maltosio, maltotriosio e destrine limite. Nella
membrana degli enterociti vi sono degli enzimi idroliti ovvero
disaccaridasi e oligosaccaridasi (lattasi, saccarasi, maltasi e isomlatasi)
che permettono la separazione dei saccaridi in monosaccaridi, che a loro
volta devono essere assorbiti.

L’assorbimento del glucosio a livello intestinale richiede l’intervento di diversi trasportatori del glucosio,
ovvero proteine integrali di membrana che mediano il passaggio delle molecole del monosaccaride da una
parte all’altra dell’epitelio. Il modello che descrive questo processo prende in considerazione tre trasportatori
detti SGLT1, Na+/K+ ATPasi (pompa sodio-potassio) e GLUT2.

Il sodio entra nelle cellule dell'epitelio tramite un simporto Sodio-Glucosio, SGLT1, grazie a un gradiente di
concentrazione favorevole trascinando con sé il glucosio. La differenza di concentrazione è mantenuta grazie
alla pompa sodio/potassio che espelle costantemente ioni Na+ fuori dalla cellula. Il glucosio poi può
raggiungere la circolazione sanguigna attraverso GLUT2 senza bisogno di ulteriore energia perché si muove
secondo gradiente.
I trasportatori GLUT sono una famiglia di proteine di membrana che consentono la diffusione facilitata del
glucosio. Sono formati da 12 segmenti a α-elica idrofobici disposti in modo da formare un canale
internamente rivestito di residui amminoacidi idrofili. Esistono diverse isoforme dei trasportatori del glucosio,
ciascuna con specifiche caratteristiche di cinetica, di distribuzione tissutale e di funzione. Nell’uomo esistono
dodici tipi di trasportatori:

Nelle cellule muscolari e negli adipociti il glucosio può


entrare soltanto se è presente in circolo l’insulina.
Quando mangiamo ed inizia la digestione alcuni
gruppi fosfato si attaccano al GLUT4 richiamando
l’insulina alla quale si lega. Le molecole all’interno della
cellula muscolare si spostano verso la membrana per
permettere il passaggio di glucosio all’interno della
cellula e far si che avvenga una dispersione del
glucosio all’interno della cellula muscolare (stesso
procedimento nel tessuto adiposo) ed evitare una alta
% di glucosio nel sangue. Il glucosio entrato nelle
cellule viene fosforilato a glucosio 6-fosfato e
successivamente l’esochinasi porta via un fosfato dall’ATP per permettere la trasformazione del glucosio
(irreversibile). L’aggiunta del fosfato al glucosio ha 2
effetti: impedisce al glucosio di uscire dalla cellula e ne
produce la sua forma metabolica, utilizzata dalle cellule.
Nel fegato la reazione può essere catalizzata anche dalla
glucochinasi.
Glicolisi
La glicolisi è un processo metabolico attraverso il quale, in condizioni di anerobiosi non stretta, una molecola
di glucosio viene scissa in due molecole di piruvato al fine di generare molecole a più alta energia, come 2
molecole di ATP e 2 molecole di NADH-H+ per ogni molecola di glucosio utilizzata. Può essere suddivisa in
due fasi: la prima fase è detta di investimento, la seconda è la fase di rendimento.
Nella fase di investimento, il glucosio viene fosforilato a glucosio-6-fosfato ed infine scisso in due molecole
di gliceraldeide-3-fosfato; ciò avviene attraverso l’utilizzo di due molecole di ATP:

1) Il glucosio viene fosforilato per azione dell’enzima esochinasi e trasformato in glucosio-6-fosfato con
consumo di una molecola di ATP. A questo punto la molecola oltre a non poter più uscire dalla
membrana cellulare, si destabilizza diventando più prona a proseguire la via catabolica;

2) La fosfoglucosio isomerasi catalizza la isomerizzazione del glucosio-6-fosfato (aldoso) a fruttosio-6-


fosfato (chetoso): l’enzima è in grado di aprire la struttura ciclica del glucosio (anello a sei atomi di
carbonio), isomerizzare la molecola e richiuderla nella struttura ciclica del fruttosio (anello a cinque
termini);
3) Il fruttosio-6-fosfato viene sottoposto ad un’altra fosforilazione. L’enzima fosfofruttochinasi catalizza
tale reazione fino alla produzione di fruttosio-1,6-bisfosfato, trasferendo un fosfato dall’ATP alla
posizione 1 della molecola di fruttosio. Anche questa reazione, a causa dell’idrolisi di ATP, non è
reversibile;

4) Il fruttosio-1,6-bisfosfato prodotto dal precedente passaggio è la versione attivata vera e propria del
glucosio; quindi, la glicolisi può avviare la degradazione vera e propria, producendo due triosi aventi
un fosfato ciascuno. La quarta reazione della glicolisi, catalizzata dall’enzima aldolasi, consiste dunque
nella scissione del fruttosio-1,6-bisfosfato in diidrossiacetone fosfato e gliceraldeide-3-fosfato;

5) Dato che seguire due vie metaboliche differenti per entrambe le molecole ottenute sarebbe
energeticamente molto dispendioso, l’evoluzione del pathway glicolitico ha selezionato un enzima in
grado di rendere uniforme la successiva degradazione dei due triosi. La trioso fosfato isomerasi è
infatti l’enzima deputato a convertire il diidrossiacetone fosfato in gliceraldeide-3-fosfato, prelevando
un H+ da un atomo di carbonio e spostandolo su un altro vicino. In questo modo il trioso passa dalla
forma chetonica a quella aldeidica;
Queste reazioni hanno quindi portato alla formazione di due molecole di gliceraldeide-3-fosfato, ma non
hanno ricavato alcun tipo di energia dal processo. Al contrario, fino ad ora sono state spese due molecole di
ATP; le reazioni della seconda fase permettono alla cellula di ricavare energia dalla degradazione della
gliceraldeide-3-fosfato:
6) La gliceraldeide viene convertita in 1,3-bisfosfoglicerato dalla gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi.
Tale reazione consiste nella somma dei due processi: l’ossidazione dell’aldeide ad acido carbossilico
mediata dal coenzima NAD+ e la fosforilazione al gruppo carbossilico. Entrambe vengono accoppiate
attraverso l’enzima gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi, che rende dunque la fosforilazione
effettivamente possibile;

7) Attraverso l’enzima fosfoglicerato chinasi, l’1,3-bisfosfoglicerato cede un gruppo fosfato ad un ADP


che così viene ricaricato ad ATP (fosforilazione a livello del substrato*) e passa a 3-fosfoglicerato;

8) La posizione del gruppo fosfato viene cambiata dal carbonio in posizione 3 a quello in posizione 2,
attraverso la catalisi della fosfoglicerato mutasi. L’enzima lavora innanzitutto come una fosfatasi
rimuovendo il fosfato in posizione 3 da una molecola di 2,3-bisfosfoglicerato e generando il prodotto
2-fosfoglicerato. Tale fosfato rimane legato ad un residuo di istidina dell’enzima e viene
successivamente attaccato alla molecola di 3-fosfoglicerato, che rigenera così il 2,3-bisfosfoglicerato.
L’enzima, dunque, necessita di una quantità di 2,3-bisfosfoglicerato perché il residuo di istidina,
indispensabile per la reazione, sia sempre fosforilato;
9) Il 2-fosfoglicerato subisce una reazione di disidratazione a fosfoenolpiruvato, un composto ad alta
energia, ed acqua, catalizzata dall’enzima enolasi;

10) Il fosfoenolpiruvato, per opera della piruvato chinasi, viene anzitutto idrolizzato in enolpiruvato. Il
gruppo fosfato viene ceduto ad un ADP per formare ATP. L’energia necessaria alla produzione di
ATP proviene dalla conversione dell’enolpiruvato in piruvato, reazione fortemente esoergonica. La
forma enolica del piruvato possiede infatti un potenziale energetico alto ma è molto instabile, quindi
tramite una tautomeria cheto-enolica, con la dislocazione degli elettroni dall'atomo di ossigeno
all'atomo di carbonio, viene trasformato in piruvato. La piruvato chinasi è un enzima fortemente
regolato: esso viene infatti inibito da acidi grassi, citrato e ATP, ovvero i suoi prodotti. Un tale
controllo a valle garantisce che l'ATP venga prodotto solo in caso di effettivo bisogno.

Il piruvato è il prodotto finale della glicolisi e, a seconda degli organismi e delle condizioni fisiologiche, può
andare incontro a diversi destini.

In condizioni anaerobiche (in cellule prive di mitocondrio, nelle fibre muscolari durante
attività anaerobiche, in carenza di ossigeno) il piruvato al posto di entrare nei mitocondri
va incontro ad una ossidoriduzione attraverso il lattato deidrogenasi che lo trasforma a
lattato; questa reazione viene svolta per riossidare il NADH-H+ e quindi rifornire di NAD+
la reazione catalizzata dalla gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi, in caso contrario la
glicolisi si bloccherebbe. Il metabolismo anaerobico del glucosio produce 2 ATP e 2
molecole di lattato per molecola di glucosio metabolizzata.
In situazioni aerobiche il piruvato subisce una carbossilazione ossidativa in Acetil-SCoA,
substrato del ciclo di Krebs. Per questo motivo, tale processo è a tutti gli effetti la via di collegamento tra
queste due vie metaboliche e, di conseguenza, una parte fondamentale del catabolismo dei carboidrati. La
reazione ha luogo a livello del mitocondrio, all’interno del quale il piruvato viene trasportato attivamente nella
matrice mitocondriale mediante trasporto attivo secondario sfruttando il gradiente protonico (riossidazione
del NADH-H+ a NAD+) instauratosi a livello della catena respiratoria mitocondriale della membrana. La via
metabolica della decarbossilazione ossidativa del piruvato richiede un complesso enzimatico formato dagli
enzimi piruvato deidrogenasi (E1), diidrolipoil transacetilasi (E2) e diidrolipoil deidrogenasi (E3) assieme a
cinque, differenti, cofattori che sono la tiamina pirofosfato TTP,
il NAD+, il FAD, il CoA e il lipoato. Sintetizzare tali cofattori una
volta “consumati” sarebbe molto dispendioso dal punto di vista
energetico e funzionale per cui una volta compiuta la reazione i
cofattori e gli enzimi sono ripristinati nella loro forma originaria.
Nella prima reazione il piruvato perde il gruppo
carbossilico CO2 e si lega alla TTP presente nel sito
catalitico dell’E1. Successivamente, tramite la
piruvato deidrogenasi, due atomi di idrogeno
vengono veicolati nel residuo del lipoato formando
un acetato che si legherà all’atomo di zolfo. A questo
punto interviene il CoA che strappa dal legame zolfo-
carbonio, del complesso dell’E2, il gruppo acetilico,
formando l’Acetil-SCoA. La formazione del coenzima
però non coincide con la fine metabolica dell’ossidazione in quanto esso permane nella sua forma ridotta e
quindi non funzionale: per ripristinare quindi la forma ossidata del lipoato interviene l’E3 che in virtù della
presenza del FAD accetta i due atomi di idrogeno; il lipoato in seguito torna nello stato ossidato e può iniziare
un nuovo ciclo. Per ripristinare la forma ridotta del FAD interviene l’altro trasportatore di elettroni: il NAD
che, accetta una molecola di idrogeno e la incorpora nel suo anello
niancinico. Il destino dell’acetil-coenzima A, a questo punto, può
seguire due strade diverse: può entrare nel ciclo di Krebs oppure
diventare precursore per la biosintesi dei lipidi.
Il ciclo di Krebs è un processo anfibolico (comprende sia processi
anabolici che catabolici, ma prevale il catabolismo) utilizzato da
tutti gli organismi aerobici per generare energia attraverso
l’ossidazione di molecole di Acetil-CoA ad anidride carbonica. Negli
eucarioti avviene all’interno dei mitocondri mentre nei procarioti si
svolge nel citoplasma e svolge un ruolo centrale nel metabolismo della
cellula poiché in grado di fornire diversi precursori utilizzabili da altri
processi metabolici come la gluconeogenesi, la sintesi di acidi grassi e
colesterolo, la biosintesi di nucleotidi e porfirine.
Le 8 reazioni si svolgono in modo ciclico e possono essere distinte in due
fasi: nella prima si parte da una molecola di Acetil-CoA che reagendo
con l’ossalacetato forma il citrato, il quale dopo una serie di reazioni
perde 2 atomi di carbonio sotto forma di anidride carbonica,
trasformandosi in una forma attivata a 4 atomi di carbonio, il succinil-
CoA; nella seconda parte il succinil-CoA viene riconvertito in
ossalacetato permettendo di ripetere la serie di reazioni chimiche.

1) Una molecola di Acetil-CoA reagisce con una molecola di ossalacetato tramite il gruppo acetile
formando l’Acetil-CoA-Ossalacetato al quale si legherà una molecola d’acqua provocando il rilascio
del CoA dal complesso e formando una molecola di citrato. Questa reazione è catalizzata dall’enzima
citrato sintasi;
2) Una molecola di H2O viene rimossa dal citrato e rilocata in un’altra posizione. Questo prova una
isomerizzazione del gruppo OH del carbonio3 al carbonio4;

3) L’enzima isocitrato deidrogenasi catalizza l’ossidazione del gruppo -OH sul carbonio4 riducendo una
prima molecola di NAD+ a NADH+H+. Successivamente l’intermedio formatosi viene decarbossilato
generando alfa-chetoglutarato;

4) La molecola di alfa-chetoglutarato perde un’ulteriore molecola di anidride carbonica, e al suo posto


si lega il coenzima A. La decarbossilazione è attuata dall’enzima alfa-chetoglutarato deidrogenasi e
avviene con l’aiuto del coenzima NAD, il quale è convertito in NADH+H+. Il prodotto della reazione è
il succinil-CoA;

5) Un gruppo fosfato si sostituisce al legame ad alta energia (tioestere) con cui è legato il coenzima A.
Successivamente viene ceduto a una molecola di GDP che verrà trasformato in GTP, il prodotto di
questa reazione è il succinato;

6) L’enzima succinato deidrogenasi catalizza la rimozione di 2 atomi di idrogeno dalla molecola di


succinato, i quali riducono una molecola di FAD a FADH2. Il prodotto di questa reazione è il fumarato;

7) Viene utilizzata una molecola d’acqua per aggiungere un gruppo ossidrile sul carbonio2 e un protone
sul carbonio3, trasformando il fumarato in malato;
8) L’enzima malato deidrogenasi catalizza l’ossidazione del malato, riducendo una molecola di NAD a
NADH. Tramite questa reazione il ciclo si conclude e viene ripristinata la molecola di ossalacetato,
che può proseguire con i cicli successivi;

Durante l’ossidazione di ciascuna molecola di Acetil-CoA nel ciclo di Krebs per il glucosio si ha quindi la
produzione di:
- 2 molecole di CO2, che verranno espulse attraverso l’espirazione;
- 3 molecole di NADH+H+ = 9 ATP;
- 1 molecola di FADH2 = 2 ATP;
- 1 molecola di GTP = 1 GTP;

Metabolismo del glicogeno


Il glicogeno è un polimero del glucosio analogo all’amido che funge da riserva energetica glucidica,
principalmente depositato nel fegato (circa 70-120g a disposizione di tutto l’organismo) e nel muscolo
scheletrico (circa 200-350g a disposizione del tessuto muscolare) ma è presente anche in altri tessuti, tra cui
cuore, reni e tessuto adiposo.
La sintesi avviene nel citoplasma, dopo il pasto, per aggiunta di
molecole di glucosio su una molecola di glicogeno primer già
presente nel fegato e nei muscoli. Affinché le molecole di
glucosio possano essere aggiunte al glicogeno devono, però,
essere legati ad un nucleotide che li “trasformi” in uridina
difosfoglucosio (UDP-glucosio). Questo processo inizia con la
conversione del glucosio presente nel fegato in glucosio-6-
fosfato, grazie all’enzima glucochinasi. Stessa cosa accade nel
muscolo. Successivamente il glucosio-6-fosfato viene convertito
dalla fosfoglucomutasi in glucosio-1-fosfato, pronto per essere
convertito in UDP-glucosio: il gruppo fosfato del glucosio-1-
fosfato reagisce con l’UTP (uracile trifosfato) attaccando il gruppo fosforico in a. Questa reazione è catalizzata
dall’enzima UDP-glucosio-pirofosforilasi, che catalizza la liberazione di un gruppo pirofosfato dall’UTP e
formazione dell’UPDG. In seguito, il gruppo pirofosfato formatosi va incontro ad una scissione in due
molecole di fosfato inorganico, favorendo così energeticamente la formazione
dell’UPDG. Il glucosio UDP viene attivato ed attaccato al glicogeno primer grazie
alla glicogeno sintesi; una volta formata una catena di 8-10 unità, la glicogeno
sintasi si blocca ed interviene l’enzima ramificante che separa le porzioni 4-5 di
glucosio e le sposta in una differente posizione permettendo le ramificazioni
tipiche del glicogeno. La quantità di glicogeno che si può formare ha un limite
poiché quando la molecola ha
raggiunto una certa dimensione i due
enzimi non sono più in grado di agire e si staccano dal glicogeno.
La sintesi del glicogeno viene regolata dall’enzima glicogeno sintasi
attraverso l’aggiunta o la rimozione di alcuni gruppi chimici (come il
fosfato) su determinati residui amminoacidi dell’enzima stesso, il
quale successivamente può assumere la forma attiva (de fosforilata)
oppure quella inattiva (fosforilata). Questa regolazione prende il
nome di modificazione covalente ormonale, in quanto l’attivazione/inattivazione dell’enzima dipendono
rispettivamente da insulina e glucagone/adrenalina.
La glicogenolisi è un processo metabolico che degrada le molecole di
glicogeno fino ad ottenere il glucosio; è un processo fondamentale in quanto
l’organismo umano necessità di regolare i suoi equilibri e tra questi c’è anche
la concentrazione ematica di glucosio: la presenza di una concentrazione di
glucosio nel sangue inferiore alla normalità (ipoglicemia) viene avvertita e
segnalata dall’enzima glucagone (ormone iperglicemizzante), il quale avvia una
serie di eventi biochimici che portano alla liberazione del glucosio nel sangue.
Un altro ormone è l’adrenalina, che ha lo stesso compito del glucagone, ma, a
differenza di questo, agisce a livello muscolare. L’insulina, al contrario dei due
precedenti, inattiva l’enzima.
L’enzima principale della
glicogenolisi è la glicogeno
fosforilasi che, nella forma
fosforilata è attivo mentre la sua
inattivazione è dovuta alla
rimozione dei gruppi fosfato dai
residui di serina. Il suo compito è
quello di catalizzare la scissione
del legame alfa 1-4 glicosidico tra
2 residui di glucosio, attraverso l’introduzione di una molecola
di fosfato inorganico, con la seguente formazione di glucosio-1-fosfato. A questo punto l’enzima
deramificante oligo glucantransferasi, il quale sposta tre residui glicosidici dalla ramificazione fino all’estremità
non riconducente vicina con un legame glicosidico. Nella glicogenolisi il 90% del glucosio viene rilasciato
sottoforma di glucosio-1-fosfato, mentre il restante 10% come glucosio libero. Infine, il glucosio-1-fosfato
viene convertito in glucosio-6-fosfato dalla fosfogluco mutasi.
La gluconeogenesi è un processo metabolico mediante il quale, in caso di necessità dovuta ad una carenza
di glucosio nel flusso ematico, un composto non glucidico viene convertito in glucosio, seguendo
sostanzialmente le tappe inverse delle glicolisi (7 su 10, le
altre 3 sono irreversibili e vengono sostituite da reazioni
catalizzate da enzimi differenti). Permette di produrre
glucosio a partire da precursori non saccaridici quali
piruvato, lattato, glicerolo e intermedi del ciclo di Krebs.
Le reazioni, catalizzate principalmente dall’enzima
fruttosio-1,6-bisfosfatasi, avvengono quasi interamente
nel citosol, a livello del fegato e in piccola parte nella zona
corticale del rene.
Le tappe della gluconeogenesi seguono quest’ordine:
- Reazione 1: il piruvato viene convertito in
ossalacetato, aggiungendo CO2, dall’enzima
piruvato carbossilasi, che richiede ATP e ione
carbonato come substrati e la biotina come
coenzima (non è possibile mai utilizzare l’acetil-
CoA poiché la reazione della piruvato
deidrogenasi è irreversibile);
- Reazione 2: l'ossalacetato viene convertito in
fosfoenolpiruvato (PEP) ad opera dell'enzima PEP
carbossichinasi che è dipendente da GTP;
- Reazione 3: il PEP grazie all'enolasi viene
convertito in 2-fosfoglicerato;
- Reazione 4: il 2-fosfoglicerato grazie all'enzima
fosfoglicerato mutasi diventa 3-fosfoglicerato;
- Reazione 5: il 3-fosfoglicerato tramite l'enzima fosfoglicerato chinasi viene trasformato in 1,3-
bisfosfoglicerato;
- Reazione 6: l'1,3-bisfosfoglicerato subisce l'azione dell'enzima gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi
e diviene gliceraldeide-3-fosfato;
- Reazione 7: la gliceraldeide-3-fosfato grazie all'enzima trioso fosfato isomerasi è resa diidrossiacetone
fosfato;
- Reazione 8: una molecola di gliceraldeide-3-fosfato ed una di diidrossiacetone fosfato subiscono una
condensazione aldolica andando a formare fruttosio-1,6-bisfosfato, grazie alla fruttosio-1,6-bisfosfato
aldolasi;
- Reazione 9: il fruttosio-1,6-bisfosfato viene convertito a fruttosio-6-fosfato dall'enzima fruttosio-1,6-
bisfosfatasi enzima controllato allostericamente dal citrato. Il fruttosio-6-fosfato grazie alla fosfo-
glucoisomerasi diventa glucosio-6-fosfato (nella glicolisi l'enzima fosfofruttochinasi 1 agisce
trasformando il fruttosio-6-fosfato in fruttosio-1,6-bisfosfato);
- Reazione 10: il glucosio-6-fosfato diventa glucosio tramite l'azione della glucosio-6-fosfatasi con
formazione di fosfoistidina come intermedio (nella glicolisi il glucosio viene convertito in glucosio-6-
fosfato dalla esochinasi/glucochinasi);
Per produrre una molecola di glucosio sono quindi necessarie due molecole di piruvato e 6ATP, questa
energia proviene dalla demolizione epatica degli acidi grassi.
Solitamente, la carenza di glucosio avviene durante il digiuno e quindi
un costante apporto è necessario affinché il cervello possa svolgere le
proprie attività metaboliche, ma non solo, rifornisce il muscolo
durante l’attività fisica e attraverso il ciclo di Cori attiva un meccanismo
di recupero del lattato prodotto dal muscolo scheletrico. La
gluconeogenesi avviene nel momento in cui il glucagone colpisce i
recettori bersaglio presenti sugli epatociti ed altri presenti sugli
adipociti. Nelle prime cellule avviene la gluconeogenesi mentre nelle
seconde, viene stimolata la lipasi, ormone-sensibile a scindere i
trigliceridi in glicerolo e molecole di acidi grassi; quest’ultimi verranno
convertiti in acetil-CoA e inviati nei processi catabolici per la produzione di energia sotto forma di ATP.

Metabolismo dei lipidi


I lipidi sono biomolecole chimicamente eterogenee con marcata lipofilia (idrofobia) che li distingue in
idrolizzabili (trigliceridi, cere, steroli, fosfolipidi e glicolipidi) oppure non idrolizzabili (alcoli alifatici, steroli
ciclici, steroidi, acidi grassi, caroteni e terpeni). I lipidi hanno varie funzioni nell’organismo umano come
elementi strutturali, funzionali e come riserve energetiche.
Una volta introdotti con gli alimenti, iniziano ad essere digeriti nella bocca ad opera di lipasi linguali, poi la
loro digestione prosegue nello stomaco sottoposti a lipasi gastrica ed infine si completa nell’intestino ad
opera delle lipasi pancreatiche. L’assorbimento degli acidi grassi avviene quasi esclusivamente nel tratto
dell’intestino tenue:
1. Formazione emulsione e stabilizzazione, ad opera dei sali biliari;
2. Azione degli enzimi digestivi pancreatici: gli ormoni gastro-enterici stimolano il rilascio del succo
pancreatico che contiene lipasi pancreatica, colipasi, colesterolo esterasi e fosfolipasi A2;
3. Assorbimento e sintesi dei trigliceridi negli enterociti: il passaggio dei prodotti della digestione dalle
micelle alla mucosa intestinale è un processo passivo che avviene per semplice diffusione. All’interno
della cellula enterica, i monogliceridi e gli acidi grassi assorbiti vengono utilizzati per sintetizzare nuovi
trigliceridi;
4. Formazione dei chilomicroni e rilascio nel circolo linfatico: i trigliceridi sintetizzati si associano con i
fosfolipidi, il colesterolo (anche loro di origine alimentare) e le “apolipoproteine” per dare origine ai
chilocromi, che vengono riversati nella linfa e poi immessi nel circolo sanguigno a livello della vena
succlavia;
Una volta nel plasma, i lipidi vengono trasportati attraverso il sangue grazie alle lipoproteine plasmatiche,
degli aggregati micellari costituiti da apolipoproteine (funzione strutturale, cofattore enzimatico oppure
riconoscimento) e combinazioni di diversi lipidi. Si possono suddividere in 4 classi principali che differiscono
tra loro per densità, composizione e funzione:

La lipolisi è un processo metabolico che prevede la scissione dei trigliceridi permettendo la liberazione di
acidi grassi liberi e glicerolo. È mediata da un gruppo di enzimi chiamati lipasi ed è indotta da numerosi
ormoni, principalmente glucagone, somatotropina, cortisolo, adrenalina, noradrenalina e testosterone. Il
catabolismo degli acidi grassi si realizza principalmente attraverso una via ossidativa detta ß-ossidazione, una
reazione intramitocondriale consistente nella successione ciclica di reazione indipendenti i cui intermedi sono
permanentemente legati al CoA. Affinché gli acidi grassi possano entrare nella loro via catabolica, dopo
essere stati assorbiti dalle cellule devono essere
attivati ad acil-CoA in una reazione a due tappe
che richiede il consumo di una molecola di ATP.
Come tutte le molecole contenenti nucleotidi
adenilici, il CoA e i suoi derivati non possono attraversare la membrana mitocondriale interna. L’acido grasso
viene perciò trasferito dal CoA su una molecola trasportatrice, la carnitina, in una reazione reversibile
catalizzata dall’enzima carnitina aciltransferasi. L’acilcarnitina così formata passa attraverso la membrana
mitocondriale interna, dove esiste uno specifico
trasportatore per questa molecola, che la scambia con la
carnitina. Dentro i mitocondri, l’acido grasso è trasferito
nuovamente su una molecola di CoA intramitocondriale
rigenerando acil CoA e carnitina in una reazione catalizzata
dall’enzima carnitina aciltrasferasi.
All’interno dei mitocondri
l’acil-CoA subisce una serie
ciclica di quattro reazioni
catalizzate che portano al
distacco di tanti frammenti bicarboniosi sotto forma di molecole di acetil CoA
(la forma dell’acido acetico attivata con il CoA) in numero pari alla metà degli
atomi di carbonio dell’acido grasso (figura 2 a pagina seguente).
Le quattro reazioni catalizzate della ß-ossidazione sono:
1. Deidrogenazione FAD-dipendente;
2. Idratazione dell’intermedio insaturo così prodotto;
3. Deidrogenazione NAD+-dipendente dall’idrossiacil-CoA prodotto;
4. Scissione della molecola del ß-chetoacido formato con l’intervento di
una molecola di CoA
I prodotti finali di ogni ciclo di reazioni sono una molecola di acetil-CoA, una
di NADH+H+, una di FADH2 e una molecola di acido grasso con due atomi di
carbonio in meno della molecola di partenza. Questa subisce un secondo ciclo
di reazioni con il distacco di un’altra molecola di acetil-CoA, di coenzimi ridotti
e la produzione di un acido grasso accorciato di altri 2 atomi di carbonio. Il ciclo di reazioni si ripete ancora
più volte fino alla completa demolizione dell’acido grasso di partenza.
Normalmente la decarbossilazione ossidativa dell’acido
piruvico e la beta-ossidazione sono regolate in modo che non
venga prodotto acetil-CoA in eccesso rispetto alle possibilità
di utilizzo da parte della cellula. Queste prevedono
soprattutto la completa ossidazione dell’acetil-CoA nei
mitocondri a CO2 e H2O oppure, nei tessuti ove si verificano,
l’utilizzazione citosolica dell’acetil-CoA per la biosintesi degli
acidi grassi e del colesterolo. In condizioni di particolare
stress o di patologie dismetaboliche, l’utilizzazione cellulare
dei carboidrati risulta compromessa e il loro apporto
energetico viene sostituito da quello fornito da un aumentato
catabolismo dei grassi. Si determina pertanto uno
sbilanciamento tra produzione di piruvato e ossalacetato
(utilizzato nella gluconeogenesi) e quella di acetil-CoA
(utilizzato nel metabolismo degli acidi grassi). Nelle cellule
extraepatiche, l’eccesso di acetil-CoA nei mitocondri viene in
parte trasformato in corpi chetonici: acetoacetato, beta-
idrossibutirrato e acetone che si accumulano nel sangue e
vengono utilizzati da altri tessuti o eliminati con le urine.
Dopo i pasti, gli amminoacidi e gli zuccheri vengono degradati attraverso la via glicolitica e la
decarbossilazione ossidativa del piruvato, a produrre acetil-CoA. Tale molecola è il principale substrato in
ingresso del ciclo di Krebs, con il fine ultimo di produrre ATP, molecole ad alta energia, utili alle attività della
cellula stessa.
Quando la cellula ha sufficiente quantità di ATP, l’acetil-CoA viene utilizzato per produrre acidi grassi,
trigliceridi, fosfolipidi e colesterolo, da intendere come vere e proprie macromolecole di riserva. Il processo
di sintesi avviene nel citoplasma delle cellule del fegato e del tessuto adiposo, ma anche nell’intestino e nella
ghiandola mammaria funzionante. La lipogenesi viene catalizzata dal complesso enzimatico della acido grasso
sintasi e consiste nella condensazione sequenziale di molecole di acetil-CoA fino ad una molecola di acido
grasso a 16 atomi di carbonio, l’acido palmitico. Sono
necessario 8 molecole di acetil-CoA, ma solo una interviene
come tale, le altre 7 intervengono sotto forma di malonil-CoA
in modo da rendere il processo termo dinamicamente
favorevole. La reazione complessiva è:

Gli acidi grassi a catena lunga si ottengono a livello del reticolo


endoplasmatico per azione di un sistema di allungamento degli acidi
grassi a partire da acido palmitico. La formazione di grassi insaturi
avviene per azione di desnaturasi presenti nel reticolo endoplasmatico
liscio.
La regolazione avviene sull’enzima acetil-CoA carbossilasi, il quale dipende da glucagone e adrenalina per la
sua forma inattiva e da insulina per quella attiva. Inoltre viene anche regolato con il meccanismo di
associazione-dissociazione di monomeri:
La sintesi dei trigliceridi e dei fosfolipidi utilizza acidi grassi attivati sotto forma di acil-CoA e
diidrossiacetonefosfato (solo nel fegato si può partire da glicerolo).
L’uomo produce per biosintesi autonoma la maggior parte del colesterolo necessario (pool endogeno), solo
una piccola parte viene assunta giornalmente con l’alimentazione (pool esogeno). Entrambi i meccanismi
sono però soggetti a regolatori, in modo tale che, in condizioni di equilibrio, la
quantità di colesterolo sintetizzata più quella assorbita dagli alimenti corrisponda al
colesterolo eliminato con la bile come colesterolo libero e come acidi biliari. Tutte
le cellule dell’organismo sono capaci di sintetizzare colesterolo a partire dall’acetil-
CoA citoplasmatico, ma l’organo centrale del suo metabolismo è il fegato (avviene
anche nell’intestino e nelle ghiandole surrenali), in particolare nel citoplasma a livello
del reticolo endoplasmatico liscio. Il processo di sintesi richiede ATP e viene
regolato dalla HMG-CoA reduttasi (inattivata da glucagone e alti livelli di
colesterolo, attivata da insulina).

Metabolismo proteico
La digestione delle proteine inizia nello stomaco per azione della pepsina (e dell’HCl che denatura le proteine
fibrose), ma si completa solo nell’intestino tenue per azione degli enzimi del succo pancreatico (tripsina e
chimotripsina) ed enterico (peptidasi). Gli amminoacidi vengono poi assorbiti dalle cellule intestinali mediante
un meccanismo di trasporto attivo secondario, basato sul
simporto (cotrasporto) amminoacido/Na+, per finire poi nel
sangue (vena porta) e quindi distribuiti ai tessuti.
Nell’organismo non esiste una forma di deposito per gli
amminoacidi, vengono infatti utilizzati prevalentemente per la
sintesi di nuove proteine strutturali (nei processi di riparazione,
di crescita e di rinnovamento cellulare) o proteine da esportare
(ad esemmpio con le secrezione ghiandolari).
Il primo processo catabolico a carico degli amminoacidi
prevede il distacco del gruppo NH2; la cellula ha a disposizione due meccanismi: la transaminazione e la
deaminazione ossidativa.
La transaminazione consiste nel
processo in cui il gruppo amminico di
un amminoacido (aa) viene trasferito
sul carbonio alfa di un alfa-chetoacido
(quelli più utilizzati sono alfa-
chetoglutarato, piruvato e
ossalacetato): l’amminoacido si
trasforma nell’alfa-chetoacido corrispondente, mentre l’alfa-chetoacido nell’aa corrispondente. La reazione,
catalizzata dalle transaminasi o aminotransferasi (coenzima PLP piridossalfosfato), ha due scopi principali:
quello di promuovere l’interconversione degli amminoacidi e quello di indirizzare l’eccesso di amminoacidi
verso il loro utilizzo a scopo energetico.
La deaminazione ossidativa è il processo che avviene nel fegato, per
mezzo dell’enzima glutammato deidrogenasi, mediante il quale si ha
la produzione di un alfa-chetoglutarato e uno ione ammonio. Lo ione
ammonio verrà poi eliminato per mezzo del ciclo dell’urea, mentre
l’alfa chetoglutarato è fondamentale per le reazioni di
transaminazione.
Lo scheletro carbonioso degli amminoacidi può’ essere riconvertito a piruvato, a intermedi del ciclo di Krebs,
ad acetil-CoA o ad acetoacetil-CoA.

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