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Crediti: 10, ore totali: 80. APPUNTI PRIMO SEMESTRE
La parola anatomia deriva dal greco ανατομή, anatomè, che vuol dire sezionare in parti, fare a pezzi. L’anatomia è
lo studio delle strutture di un organismo e dei rapporti tra le sue parti; è un campo vastissimo e comprende sia
quella macroscopica, cioè che possiamo osservare con i nostri occhi, sia quella microscopica, che quindi si avvale di
strumenti di osservazione come i microscopi. L’anatomia macroscopica va a studiare la struttura delle diverse parti
del corpo che possiamo osservare ad occhio nudo, come l’intestino, i reni il cuore, ecc.; l’anatomia microscopica
esamina le strutture che non si possono vedere ad occhio nudo, come sezioni di parti del corpo umano, che
possono però essere osservate grazie all’ausilio di microscopi.
Prima di parlare di anatomia però bisogna prima occuparsi di istologia, cioè la disciplina scientifica che studia i
tessuti e che è un’importante branca della medicina. Per studiare anatomia è anche importante la citologia (studio
della cellula) per analizzare gli elementi cellulari caratteristici dei tessuti che formano gli organi.
L’aspetto morfologico dei tessuti e delle cellule che li compongono è correlato alla loro funzione e dell’organo a cui
appartengono, quindi esiste sempre una stretta correlazione tra anatomia e fisiologia, che è la scienza che studia la
funzione delle strutture del corpo.
L’anatomia nel corso dei secoli ha assunto fisionomie diverse rispetto a quella attuale, infatti per lunghissimo
tempo è stata identificata quasi completamente con la scienza medica e per molti secoli prima di Cristo, i principali
centri del mondo scientifico si trovavano nell’antica Gracia e in Egitto, tant’è che lo studio sistematico noto di
anatomia è contenuto in un papiro egizio, che è databile intorno al 1600 a.C.; a quell’epoca gli studiosi
conoscevano la struttura dei visceri, ma non la loro funzione. Nel IV secolo a.C. Aristotele ampliò molto le
conoscenze anatomiche sugli animali. La vera e propria affermazione dell’anatomia come scienza è legata al fiorire
delle scuole filosofiche greche che permisero di arrivare a scoperte importanti, ma che erano però frenate dal fatto
che non potevano avvalersi della pratica dissettoria dei cadaveri, quindi erano costretti a ripiegare sulle analisi di
reperti animali, con grave danno per quanto riguardava la validità dei risultati: ad esempio Galeno riportò le
scoperte fatte sugli animali direttamente al campo umano sena fare correzioni.
Effettivamente l’anatomia fiorisce nel rinascimento (nasce come scienza che si basa sull’osservazione del corpo
umano) grazie all’opera di Leonardo da Vinci e Andrea Vesalio perché prima la dissezione dei cadaveri era
considerata sacrilega. Andrea Vesalio (chiamato il riformatore dell’anatomia) concepì il primo testo anatomico e
l’aula nella scuola di medicina, in modo che gli studenti fossero portati vicino al tavolo anatomico. Prima della
pubblicazione del suo trattato gli anatomici si erano basati su osservazioni di reperti animali.
Nel corpo umano sono presenti quattro tipi di tessuti con caratteristiche molto diverse tra di loro: tessuto
epiteliale, connettivo, muscolare e nervoso, ciascuno con le proprie varianti e sotto classificazioni.
1) Il piano sagittale mediano (antero-posteriore) divide il corpo umano in due metà, una destra e
una sinistra; i termini comunemente utilizzati che si riferiscono a questo piano sono “destra” e
“sinistra”, “laterale”, che identifica una parte più lontana al piano, e “mediale”, più vicina,
“omolaterale” e “controlaterale”, che si riferiscono al fatto che due parti si trovino nella stessa
metà identificata dal piano, piuttosto che dalla parte opposta; ad esempio la mano destra è
controlaterale rispetto alla mano sinistra. Se ci si riferisce a un arto superiore, si indica mediale la
parte più vicina al piano e laterale la parte più lontana, l’ulna è mediale rispetto al radio, che è
laterale.
2) Anche nel caso del piano frontale (coronale) non si può identificare un
unico piano di sezione, ma ne esistono diversi dalla superficie ventrale a
quella dorsale e viceversa; i termini usati sono “anteriore” o “ventrale” e
“posteriore” o “dorsale”.
3) Rispetto al piano trasversale (trasverso o orizzontale) i termini comunemente utilizzati sono
“superiore” o “craniale” e “inferiore” o “caudale”.
N.B. in riferimento agli arti i termini di posizione sono prossimale (quella parte che si trova più
vicina alla parte di giunzione col tronco) e distale.
I movimenti:
Per descrivere un movimento bisogna sempre prendere in considerazione la posizione anatomica, cioè la posizione
in cui il corpo umano si trova in stazione eretta, rivolto verso chi osserva, con le braccia che pendono lateralmente
al tronco e col palmo della mano rivolto verso l’avanti e gli arti inferiori ravvicinati con i piedi leggermente
divaricati. La posizione dell’arto superiore con il palmo rivolto in avanti è una condizione di supinazione. Il copro in
posizione anatomica lo si può anche immaginare rappresentato all’interno di un parallelepipedo in cui le pareti
laterali saranno dei piani sagittali, la parete anteriore e posteriore saranno piani frontali, mentre la parete
superiore e inferiore saranno dei piani trasversali; tra ogni coppia di facce di questo
ideale parallelepipedo si possono idealmente tracciare infiniti piani paralleli.
3 assi
1) asse saggitale: movimenti di inclinazione laterale, abduzione e adduzione (riferito
agli arti)
2) asse verticale/longitudinale: movimenti di torsione (riferito al rachide), rotazione
(riferito agli arti), pronazione e supinazione (riferito alla mano e all’avambraccio,
rotazione della mano)
3) asse trasversale: movimenti di estensione e flessione
Il termine soma sta ad indicare tutte quelle strutture che costituiscono la parte più esterna del corpo umano,
quindi comprende i tegumenti, i muscoli e le ossa. La parte assile del corpo, ovvero il tronco, il torace, l’addome e
la testa, è strutturata secondo un modello costruttivo di tipo cavitario. Queste cavità prendono nomi diversi in
base a determinate caratteristiche, per cui si distinguono in spazi connettivali, sierosi e neurali.
Analizzando il corpo umano partendo dalla
superficie e andando in profondità, si trova come
primo strato la cute, costituita da epidermide e
derma, al di sotto della quale troviamo il
sottocutaneo e ancora più sotto c’è una fascia
superficiale di natura connettivale che va ad
avvolgere il corpo e si fissa a parti ossee sporgenti;
questa fascia prenderà nomi diversi a seconda delle
diverse regioni del corpo. Sotto questa fascia
connettivale si trova il piano osteomuscolare, in
particolare, nella foto, lo strato più profondo si
notano le cellule muscolari colorate di scuro. Una
situazione simile la si trova anche nell’ambito del
sottocutaneo, dove si nota un’altra lamina sottile
connettivale, detta fascia sottocutanea o fascia
superficiale del sottocutaneo, in cui ci sono altri
muscoli; questi sono i muscoli mimici, detti anche pellicciai, presenti soltanto a livello della testa e del collo e
almeno con uno dei loro capi di inserzione si fissano al derma e la muovono determinando le espressioni facciali.
Alcune definizioni:
Le cellule, che sono le unità funzionali dell’organismo, sono le più piccole unità microscopiche dotate di tutte le
caratteristiche della sostanza vivente, sono le parti elementari dell’organismo. Queste si associano tra di loro a
formare tessuti (insieme di cellule simili che svolgono funzioni simili); a loro volta i tessuti si aggregano e si
coordinano a formare delle organizzazioni tridimensionali che sono gli organi (insieme di tessuti che svolgono
funzioni che cooperano alla funzione dell’organo) che si possono definire come una sorta di unità di lavoro con
funzione specializzata. Per realizzare le funzioni fondamentali della vita vegetativa e di relazione, come la
locomozione, la digestione, la riproduzione, la respirazione, ecc., i singoli organi devono lavorare tra di loro,
formando dei gruppi di lavoro a funzione superiore rispetto a quella del singolo organo, più complessa; questi
gruppi di lavoro possiamo definirli come sistemi e apparati (insieme di organi che formano complessi integrati per
lo svolgimento di funzioni specifiche).
I sistemi sono più specificatamente insieme di organi che presentano analogie sia per quanto riguarda la loro
struttura sia per la loro funzione e condividono la stessa derivazione embriologica; alcuni esempi sono il sistema
scheletrico, muscolare, il sistema vascolare e nervoso.
Invece, gli apparati sono sempre associazioni di organi che cooperano alle stesse funzioni, ma possono differire per
quanto riguarda la derivazione embriologica e per la loro struttura; ad esempio l’apparato locomotore è formato
sia da ossa che da muscoli che cooperano per svolgere la stessa funzione, ma sono tra di loro strutturalmente
molto diversi, oppure pensando all’apparato circolatorio, il cuore e i vasi sanguigni che permettono la circolazione
del sangue hanno una struttura diversa fra loro.
Apparati organici:
Tutti gli apparati organici si possono fondamentalmente
suddividere in due grosse categorie:
1) apparati della vita di relazione
sono quelli che mettono in continuo rapporto
l’individuo con il mondo esterno, quindi
comprendono il sistema nervoso e l’apparato
locomotore.
2) apparati della vita vegetativa
consentono di mantenere in vita l’organismo
permettono la sopravvivenza della specie, per cui
comprendono l’apparato digerente, respiratorio,
uropoietico, cardiovascolare e genitale
L’apparato tegumentario e endocrino sono a cavaliere tra questi due grandi gruppi: se si pensa alla pelle, essa da
un lato ci consente di sopravvivere, di mantenere in vita l’organismo prevenendo la disidratazione, dall’altro è ricca
di innervazioni che ci consentono una continua relazione con il mondo esterno; anche l’apparato endocrino,
costituito da ghiandole che producono un secreto che prende il nome di ormone, è implicato sia in processi della
vita vegetativa, sia in processi tipici della vita di relazione.
Tipi di organi:
Un organo è un’unità macroscopica individuale, pluritessutale, definibile spazialmente, che svolge funzioni che
cooperano alla funzione dell’apparato cui appartiene. Strutturalmente, in base alle diverse modalità organizzative,
gli organi possono essere classificati in tre categorie:
• La prima è costituita da organi che presentano una struttura filamentosa o fibrosa, come i muscoli, i
tendini e i nervi; negli organi a struttura filamentosa le unità elementari, rispettivamente fibre muscolari
striate o lisce, fibre collagene e fibre nervose, sono aggregate a formare fascetti primari, secondari e
terziari; questa organizzazione in fascetti è legata alla presenza del tessuto connettivo.
• Gli organi pieni o parenchimatosi non presentano una cavità centrale, ma presentano un tessuto a cui si
ascrive la funzione principale dell’organo, ovvero il parenchima; sono organi dotati di un dispositivo
capsulare e stromale, quindi di uno stroma che permette di organizzare il parenchima e che funge da
struttura di sostegno.
• Gli organi cavi si distinguono tra quelli dei visceri e quelli dell’apparato cardiovascolare.
Organi cavi
Gli organi cavi sono anche definibili a tonache sovrapposte, infatti
presentano una parete delimitata da tonache, che delimita a sua
volta una cavità, il lume, al cui interno si trova un contenuto, lo
strato che guarda verso il lume è quello più caratteristico
dell’organo, perché a contatto con il contenuto presente nella
cavità, contenuto che può essere di diversa natura, come l’urina, il
sangue, il cibo, l’aria, ecc.
Sotto la mucosa c’è uno strato che prende il nome di tonaca sottomucosa (2), presente nella maggior parte dei
visceri, ma è assente a livello dei vasi e del cuore. Questa sottomucosa è costituita da tessuto connettivo lasso, che
le conferisce una sorta di motilità autonoma e può contenere delle ghiandole.
Al di sotto troviamo la tonaca muscolare (4), che nei vasi e a livello cardiaco prende nomi diversi, rispettivamente
tonaca media (17) e miocardio. La tonaca muscolare rappresenta lo strato intermedio della parete e dà all’organo
la motilità complessiva. Nei visceri cavi è costituita da fasce di fibre che possono essere orientate in vario modo a
seconda delle caratteristiche di motilità dell’organo stesso. Per quanto riguarda la tonaca media degli organi
dell’apparato circolatorio, questa può avere una costituzione per lo più muscolare come nel cuore, nelle arterie
muscolari e nelle vene di tipo propulsivo, oppure può avere una costituzione più elastica come nelle grosse arterie
tipo l’aorta. All’attività di questa tonaca sono legati i fenomeni meccanici che rendono possibile la circolazione del
sangue.
La tonaca più esterna prende il nome di avventizia (15), che è presente sia a livello dei visceri che dei vasi, è
formata da tessuto connettivo denso e forma l’avvolgimento più esterno, stabilendo i rapporti degli organi con
l’ambiente circostante. Questa tonaca consente all’organo una certa autonomia rispetto alle formazioni che si
trovano intorno e ne permette l’ancoraggio tramite dei mezzi di fissità, che sono dei legamenti che si legano
all’avventizia. A livello dei visceri questa tonaca può essere sostituita da un’altra tonaca che prende il nome di
sierosa (6), la quale può essere presente nei visceri
che nello svolgimento delle proprie funzioni
necessitano di modificare molto le loro
dimensioni; questa tonaca sierosa è presente nel
cuore e prende il nome di epicardio, mentre quella
dei visceri addominali e pelvici prende il nome di
peritoneo. Come l’avventizia, anche la sierosa
consente di fissare gli organi, a volte si stacca da
questi sotto forma di lamine per fissarsi su un altro
viscere oppure sulle pareti della cavità nella quale
il viscere è contenuto. La tonaca sierosa è
costituita da un altro tipo di epitelio detto
mesotelio e dallo strato sottomesoteliale di natura
connettivale.
Organi parenchimatosi
Quando si descrive un organo la prima cosa che si fa è quella di descriverne le caratteristiche fisiche, ma bisogna
anche saper definire la sua posizione, i suoi mezzi di fissità e il suo rapporto rispetto agli organi vicini. I visceri
occupano degli spazi ben delimitati ad opera di membrane sierose o di lamine connettivali, per cui questi spazi
saranno chiamati rispettivamente cavità sierose o logge connettivali. I visceri che si trovano accolti all’interno di
cavità sierose sono in genere organi molto mobili, mentre quelli che si trovano nelle logge connettivali hanno
invece una mobilità più ridotta o nulla e sono tenuti fissi dall’aderenza alle pareti della loggia stessa e dei
legamenti. Per i visceri completamente rivestiti dal peritoneo, i mezzi di fissità sono dati da doppie lamine
peritoneali che si portano verso altri visceri o verso la parete addominale stessa. Per riassumere, gli spazi corporei
possono essere definiti come intervalli tra gli organi o che circoscrivono uno o più organi.
Questi spazi si possono classificare in diversi modi:
• Spazi connettivali, che comprendono logge (limiti fasciali o piani ossei) e interstizi (limiti non ben definiti);
degli esempi sono le logge muscolari all’interno delle quali si trovano visceri che generalmente svolgono
una funzione agonista e in logge differenti ci sono muscoli che svolgono funzioni antagoniste; esistono
logge che accolgono visceri, come quella parotidea, all’interno della quale si trova la parotide, cioè una
delle ghiandole salivari maggiori. Le logge sono spazi delimitati da lamine di tessuto connettivo che si
fissano a delle protuberanze ossee. Gli interstizi sono spazi i cui limiti non sono ben definiti come uno
spazio vascolare a livello del collo, dove passano i vasi sanguigni.
• Spazi sierosi, che sono delimitati da membrane sierose, cioè lamine che si trovano ad avvolgere quasi tutti
i visceri dell’addome e del torace, come il cuore avvolto dal pericardio, i polmoni avvolti dalla pleura e i
visceri addominali avvolti dal peritoneo.
• Spazi neurali, che rappresentano un tipo particolare di spazio connettivale che però ha un contenuto
nervoso, quindi questi spazi si trovano a circondare organi del sistema nervoso centrale; questi spazi sono
delimitati da lamine connettivali che prendono il nome di meningi, che hanno rapporti con un astuccio
osseo più esterno.
Gli spazi connettivali si trovano un po’ ovunque, mentre quelli sierosi si trovano solo nel torace e nell’addome e
mancano negli arti, nel collo e nella testa; gli spazi neurali si trovano solo nella scatola cranica e nel canale
vertebrale e questi spazi sono tutti in continuità.
I tessuti
Cellule con caratteristiche simili che svolgono funzioni comuni si associano tra di loro a formare dei
raggruppamenti che sono appunto i tessuti, i quali a loro volta si uniscono a formare delle unità fondamentali
superiori che sono gli organi, che formano complessi integrati per svolgere importanti funzioni, che sono gli
apparati e i sistemi. Ogni tessuto si specializza per almeno una funzione, contribuendo quella che è la
sopravvivenza di tutto l’organismo. La disposizione delle cellule che vanno a costituire un tessuto può essere a
lamina sottile o sotto forma di masse formate da milioni di cellule. Un tessuto è costituito essenzialmente da due
componenti, ovvero le cellule e la sostanza intercellulare, cioè la matrice (matrice extracellulare); le cellule di un
tessuto sono tutte incluse all’interno della matrice e i tessuti si differenziano proprio sulla base della quantità e
tipologia di essa; ad esempio la matrice può essere solida (funzione meccanica) come nel caso della cartilagine, è
molto specializzata e conferisce un certo grado di solidità e elasticità, può
anche essere una matrice solida cristallizzata, come nel caso dell’osso,
che da rigidità (funzione di sostegno e riserva di minerali), altri tipi di
matrice contengono fibre che conferiscono grande elasticità e flessibilità
(matrice semisolida), altri sono veri e propri tessuti fluidi, quindi con
matrice fluida come il sangue (funzione di trasporto), o in ultimo la
matrice può anche essere totalmente assente. I diversi tipi di tessuto
sono costituiti da cellule anche molto diverse tra loro. Nell’immagine si
vedono vari tipi di cellule nervose (A, B, P), le cellule connettivali (C, D), i
tre tipi di cellule muscolari (E, F, G)→ striate, cardiache e lisce, le cellule
molto appiattite che formano il mesotelio (H), le cellule che si uniscono
tra loro a formare epiteli di rivestimento prismatico e cubico (I, L), la
cellula adiposa (O), le cellule del sangue (M,N)…
Tessuti epiteliali
Caratteristiche:
Il tessuto epiteliale è costituito da cellule a stretto contatto tra loro, quindi la sostanza intercellulare è
praticamente assente; ciò consegue che in questi tessuti sono presenti numerose giunzioni intercellulari, quindi
sono adatti a fornire resistenza meccanica e a fungere da vere e proprie barriere per il passaggio di materiali in
modo da permettere un trasporto selettivo di informazioni e metaboliti. Gli epiteli poggiano su una membrana
basale, che non soltanto serve ad ancorarli al tessuto connettivo sottostante, ma anche a separarli da questo; il
tessuto connettivo presente al di sotto dell’epitelio è definito come lamina propria. Gli epiteli sono tessuti
avascolari, ed è per questo che devono trovarsi sempre in vicinanza di un tessuto connettivo, che assicura il
trofismo; la nutrizione delle cellule epiteliali avviene per scambio indiretto, cioè attraverso la membrana basale con
i capillari che si trovano nella lamina propria del sottostante connettivo. I tessuti epiteliali sono caratterizzati anche
da un’intensa attività mitotica, cioè che le cellule si dividono molto, per cui gli epiteli saranno sempre provvisti di
cellule giovani di rimpiazzo, che man mano provvedono a sostituire le cellule che continuamente vedono esaurire il
proprio ciclo vitale; quindi gli epiteli sono continuamente rinnovati e in particolare alcuni presentano una
grandissima capacità rigenerativa (si pensi all’epidermide). Gli epiteli possono presentare delle specializzazioni
della loro superficie libera (quella opposta alla superfice che aderisce alla membrana basale), in forma di microvilli
e ciglia.
Funzioni:
In generale gli epiteli sono tessuti ampiamenti distribuiti su tutto il corpo umano e le cui funzioni possono essere
riassunte in questi quattro punti:
• Rivestimento della superficie esterna e delle cavità interne del corpo, andando a formare il rivestimento delle
mucose, delle tonache sierose e dei vasi sanguigni e linfatici
• Scambi metabolici tra organismo e ambiente (secrezione, assorbimento, escrezione); l’epitelio ghiandolare si
specializza per l’attività secretoria con prodotti di secrezione anche molto diversi tra loro (ormoni, muco,
succhi digestivi, ecc.). Gli epiteli che rivestono i tubuli renali hanno il compito di filtrare e concentrare i prodotti
che andranno a costituire l’urina primitiva (escrezione); l’assorbimento è la funzione svolta dall’epitelio di
rivestimento dell’intestino e dell’apparato respiratorio, che favorisce l’assorbimento delle sostanze nutritive e
dei gas atmosferici.
• Funzioni sensoriali: gli epiteli consentono di captare stimoli mediante la presenza di recettori dolorifici, tattili,
termici.
• Protezione dei tessuti sottostanti dalla disidratazione, dai danni meccanici, fisici e chimici e dall’invasione
microbica.
Classificazione in base alla funzione:
Il tessuto epiteliale può avere una prima classificazione sulla base della funzione principale che esso svolge, quindi
si individuano due grossi gruppi:
• Epiteli di rivestimento: formano lamine continue, mono/pluristratificate, rivestono superfici esterne o interne
del corpo e separano due ambienti diversi, tra cui avviene uno scambio di qualcosa (barriere filtranti, es. a
livello dei polmoni e dei reni).
• Epiteli ghiandolari o secernenti: derivano dagli epiteli di rivestimento, non hanno una forma laminare e le
cellule si specializzano per la sintesi (produzione di un secreto) e la secrezione (il secreto viene immesso da
qualche parte dopo essere stato prodotto) di vari prodotti; queste formazioni sono le ghiandole e a seconda
che il secreto sia espulso all’esterno del copro e all’interno di cavità comunicanti con l’esterno, oppure che
venga eliminato nel torrente ematico, si distinguono in esocrine e endocrine.
Epiteli di rivestimento
Costituiscono delle lamine cellulari mono o pluristratificate che rivestono la superficie esterna del corpo e le
superfici interne degli organi cavi; sono costituiti da cellule a contatto tra loro, fittamente stipate e una
caratteristica è quindi quella di possedere numerose giunzioni tra le cellule, che ne permettono l’unione e la
comunicazione. Questi epiteli presentano sempre una superficie libera, che guarda verso l’ambiente esterno, una
cavità o un condotto. Ha una funzione protettiva e in particolar modo, per quanto riguarda epiteli più sottili,
possono andare a costituire delle vere e proprie barriere filtranti (epitelio a livello dei reni costituisce barriera
sangue-urina). Sono tessuti avascolari e poggiano sempre su una membrana basale che li separa del sottostante
connettivo; la membrana basale va a costituire un filtro attivo per i materiali che dal connettivo devono diffondere
verso l’epitelio, o che al contrario devono diffondere in direzione del connettivo (cataboliti).
Classificazione:
Per gli epiteli di rivestimento ci sono ulteriori classificazioni, infatti i diversi tipi di epiteli si distinguono
essenzialmente in base a due criteri:
• In base al numero di strati di cellule che vanno a costituire la lamina epiteliale
❖ Semplici o monostratificati, formati da un solo strato di cellule (incluso l’ep. pseudostratificato)
❖ Composti o pluristratificati, formati da più strati di cellule (incluso il caso dell’ep. di transizione detto
anche polimorfo)
• In base alla morfologia delle cellule; se sono presenti più strati in base a quello più superficiale
❖ Pavimentosi o squamosi
❖ Cubici o isoprismatici
❖ Cilindrici o colonnari o batiprismatici
Epitelio cilindrico
semplice
L’epitelio cilindrico costituisce anche la mucosa che riveste lo stomaco, l’utero e le tube uterine; offre limitata
protezione perché monostratificato, ma è molto adatto a svolgere funzioni legate a secrezione e assorbimento.
Nell’epitelio pavimentoso semplice le cellule assumono una forma piatta, la parte che contiene il nucleo è più
slargata per poi assottigliarsi in lamine citoplasmatiche. Questo epitelio riveste gli alveoli polmonari, le cavità
sierose (mesotelio pleurico, pericardico, peritonale), il lume dei vasi (endotelio) e delle cavità cardiache
(endocardio) e nella capsula di Bowman del rene, dove entra nella costituzione della barriera sangue-urina. Spesso
gli epiteli semplici si trovano a separare delle superfici tra cui avvengono scambi di materiali.
L’epitelio cubico semplice è definito anche isoprismatico, con una base della stessa
misura dell’altezza. Lo si trova in alcune parti del nefrone, in particolare riveste parte
dei tubuli renali, in molti tipi di ghiandole, come nei follicoli tiroidei, nei dotti escretori.
Gli epiteli cubici sono quasi sempre monostratificati.
Riassumendo in generale tutti questi epiteli di rivestimento, si può dire che quelli composti stratificati tendono ad
avere una funzione per lo più meccanica poiché hanno caratteristiche più legate a un ruolo protettivo, di
contenimento, mentre gli epiteli monostratificati semplici hanno caratteristiche più legate alla permeabilità,
secrezione e assorbimento, proprio perché più sottili.
Epiteli ghiandolari
Sono epiteli che vanno a formare le ghiandole, che sono formazioni specializzate nella sintesi, nell’accumulo e nella
secrezione di materiali utili al nostro organismo. Le cellule diventano veri e propri elementi secernenti, cioè che
sono deputate a prelevare dal sangue materiali grezzi e a sintetizzare sostanze piuttosto complesse, che vengono
poi rilasciate sotto forma di secreti. Le cellule epiteliali ghiandolari derivano sempre da un epitelio di rivestimento:
le cellule di questo epitelio di origine, in una piccola porzione, tendono a proliferare verso il connettivo sottostante
e a dare origine a delle vere e proprie strutture secernenti, che possono mantenere quell’epitelio di origine in
collegamento o perderlo. Se il collegamento viene mantenuto sarà presente un dotto escretore che andrà ad
aprirsi alla superficie dell’epitelio di origine, dove andrà a scaricare i prodotti di secrezione e si parlerà quindi di
ghiandole esocrine (eso = a secrezione esterna); se il collegamento con l’epitelio di rivestimento viene perso e
quindi la formazione ghiandolare rimane isolata a distanza dall’epitelio di origine, questa andrà a riversare i suoi
secreti all’interno dei vasi sanguigni e verrà chiamata ghiandola endocrina (endo = all’interno), con il secreto che
prende il nome di ormone.
Gli organi endocrini sono sempre pieni, quindi si distingue un parenchima a funzione secernente organizzato da
uno stroma connettivale di sostegno. Le cellule si possono organizzare in vario modo, andando a costituire follicoli,
cordoni o gruppi cellulari; quello che è tipico delle ghiandole endocrine è che queste cellule, comunque siano
organizzate, sono sempre in rapporto con una grande quantità di capillari sanguigni (e mancano di dotti escretori).
L’ormone viene liberato nel sangue e attraverso il torrente ematico attraversa un po’ tutto il corpo umano, fino a
incontrare cellule specifiche, dette bersaglio, le
uniche in grado di rispondere al messaggio portato
dall’ormone grazie a dei recettori.
I tessuti connettivi
I tessuti connettivi vengono anche definiti, tessuti a
funzione trofo-meccanica, quindi hanno funzione
trofica e meccanica, di connessione. Sono caratterizzati
dal fatto di presentare vari tipi di cellule, che sono più
rade rispetto agli epiteli ed è presente un’abbondante
sostanza extracellulare; sono presenti i vasi sanguigni.
Quindi le componenti del tessuto connettivo sono le
cellule e la matrice extracellulare, la cui tipologia
identifica i vari tipi di connettivi, infatti può essere
molto variabile: può essere liquida con funzione di
trasporto (sangue), può essere semisolida, oppure
solida con funzioni trofiche e meccaniche (connettivi
propriamente detti), o anche mineralizzata con funzione di sostegno e di riserva (tessuto osseo).
Nella matrice si riconoscono sempre due componenti, ovvero la sostanza fondamentale amorfa e le fibre di natura
proteica, che sono essenzialmente fibre collagene e fibre elastiche. Si distinguono diversi tipi di connettivi in base
all’abbondanza e alla disposizione delle fibre. Alle differenze istologiche corrispondono specifiche proprietà
funzionali e quindi diversi ruoli fisiologici.
Funzioni:
• Congiungere i tessuti fra loro (es. organo a tonache sovrapposte, vari strati, varie tonache). Vanno anche a
formare vere e proprie lamine di appoggio per altri tessuti (derma e tonache di organi cavi)
• Congiungere i muscoli alle ossa (tendini)
• Collegare le ossa fra loro (legamenti)
• Formare un’impalcatura di sostegno per il corpo (scheletro di sostegno)
• Formare un’impalcatura di sostegno per gli organi pieni (stroma)
• Trasportare sostanze (sangue)
Classificazione:
• Tessuti connettivi propriamente detti
o Tessuto connettivo fibroso lasso, è un tessuto
morbido, idratato, molta sostanza fondamentale
o Tessuto connettivo fibroso denso, fibre
densamente impacchettate, poca matrice
o Tessuto adiposo, varietà del lasso
• Tessuti cartilaginei
o Cartilagine ialina
o Cartilagine fibrosa
o Cartilagine elastica
• Tessuti ossei
• Sangue (contenuto nell’apparato circolatorio) e Linfa
(contenuta nel sistema linfatico)
Tessuti connettivi propriamente detti
Presenta una popolazione cellulare piuttosto varia, che assume caratteristiche diverse nei connettivi, a volte anche
nomi diversi, ma generalmente sono fibroblasti, fibrociti, macrofagi e cellule adipose. I fibroblasti sono le cellule
più numerose, presenti in tutti i connettivi anche se con nomi diversi, e sono cellule attive che sintetizzano le
componenti delle fibre collagene, elastiche e della matrice; hanno una forma abbastanza variabile, per lo più
stellata o affusolata, e quando si trovano in una fase di riposo in cui non stanno attivamente sintetizzando, si
riducono di dimensione e diventano fibrociti. I macrofagi (grandi mangiatori), sono cellule del sangue, hanno anche
loro una forma piuttosto variabile, sono dotate di attività ameboidi, quindi si spostano all’interno del tessuto, e
hanno la capacità di fagocitare materiali estranei e dannosi; se nel connettivo entrano materiali estrani
all’organismo, come antigeni o batteri, si va a determinare un focolaio infiammatorio e i macrofagi accorrono,
aumentano le loro dimensioni, si arricchiscono di lisosomi e fagocitano le particele estranee. Le cellule adipose
sono i fibrociti che si sono specializzati nell’accumulare materiale lipidico, quindi lo trattengono come materiale di
riserva; quando le cellule adipose predominano numericamente sugli altri elementi cellulari, allora si parla di vero e
proprio tessuto adiposo.
La matrice è formata dalla sostanza fondamentale (composta da acqua, elettroliti e alcune sostanze organiche) e
da una componente fibrosa costituita da fibre collagene ed elastiche.
• Adiposo
È chiaro che i tessuti connettivi più idonei a svolgere una connessione meccanica presenteranno una maggiore
quantità di fibre, che conferiscono al tessuto stabilità e robustezza, mentre i tessuti che offrono una connessione
più di tipo funzionale, presentano una maggiore quantità di sostanza fondamentale ricca di acqua, che favorisce la
diffusione delle sostanze e la migrazione delle cellule.
Il derma che si trova sotto l’epidermide è un
connettivo denso irregolare o a fasci intrecciati, poiché
i fasci delle fibre collagene tendono ad avere un
decorso irregolare e intrecciato.
Il tessuto connettivo denso regolare è caratterizzato da fibre che sono strettamente impacchettate lungo le linee di
trazione; quindi questo tipo di tessuto offre una grande resistenza ed è particolarmente indicato per andare a
costituire formazioni come i tendini, le aponeurosi (lamine tendinee appartenenti ai muscoli larghi che hanno
ampie zone di inserzione sull’osso, come per i pettorali), le fasce che avvolgono i muscoli e i legamenti che legano
le ossa tra loro.
Il tessuto connettivo denso irregolare è caratterizzato da fibre che tendono a intrecciarsi tra loro senza uno schema
apparentemente preciso, anche se in realtà non è legato al caso, e va a costituire il derma, la capsula fibrosa che
avvolge gli organi, le guaine che rivestono tendini e nervi, il periostio e il pericondrio, ovvero il connettivo che
riveste le ossa e quello che riveste le cartilagini.
La sostanza intercellulare che va a costituire i connettivi è formata da una componente fibrosa e dalla sostanza
fondamentale amorfa; quest’ultima è caratterizzata dalla presenza di macromolecole a base di proteine e
polisaccaridi ed è molto permeabile per permettere la diffusione e distribuzione dei metaboliti e la migrazione
delle cellule del sistema immunitario. La permeabilità è legata al grado di idratazione e questo aumenta
notevolmente in situazioni quali edema o infiammazione. La sostanza fondamentale è composta da acqua,
elettroliti e dalle sostanze organiche, date da glicoproteine strutturali e dai proteoglicani, ovvero macromolecole
proteiche alle quali si legano dei polisaccaridi complessi, chiamati glicosamminoglicani (GAG), che possono essere
solforati o meno; ne consegue che la sostanza intercellulare nel suo insieme presenta più o meno densa e
compatta in base ai diversi tipi di glicosamminoglicani presenti: nel tessuto connettivo lasso la consistenza è
piuttosto bassa, mentre è piuttosto elevata nelle cartilagini. Tra i glicosamminoglicani bisogna ricordare l’acido
ialuronico, presente in tutti i connettivi in grado di regolare la viscosità della sostanza fondamentale, perché le sue
molecole hanno una grande affinità con l’acqua. Nella cartilagine dell’osso è anche presente un
glicosamminoglicano che prende il nome di condroitinsolfato, le cui molecole si legano mediante dei ponti di zolfo,
che conferiscono una maggiore densità. Nel tessuto osseo la sostanza intercellulare si presenta mineralizzata e
questo rende conto la caratteristica di grande compattezza e rigidità delle ossa.
Nella sostanza fondamentale sono immerse sia le cellule che le fibre proteiche e la componente fibrosa dei tessuti
connettivi è rappresentata dalle fibre collagene, reticolari ed elastiche.
Le fibre elastiche invece sono più estensibili, quindi conferiscono al tessuto in cui
sono contenute, la possibilità di sopportare grandi sollecitazioni meccaniche.
Sono costituite anch’esse da fasci di microfibrille, però prive di striature e formate
dall’elastina.
La sostanza intercellulare è molto densa, compatta e consistente, tanto da andare a imprigionare al suo interno la
componente cellulare, che si può paragonare ai fibrociti, ma prendono il nome di condrociti e condroblasti. Questi
ultimi sono condrociti in fase attiva di elaborazione, mentre i condrociti sono in quiescenza, non in attività
sintetica. Vi è assenza di vasi sanguigni, quindi le sostanze nutritive devono arrivare per diffusione a partire dal
tessuto connettivo, infatti il tessuto cartilagineo presenta un rivestimento esterno di connettivo denso che è il
pericondrio.
Funzioni:
• Costituisce lo scheletro di sostegno dell’orecchio, del naso, della laringe, della trachea e dei bronchi
• Consente lo scorrimento e il movimento reciproco delle superfici articolari impegnate in un’articolazione
(cartilagine articolare)
• Nell’embrione e nel feto va a costituire il modello scheletrico, che via via in varie fasi dello sviluppo viene
sostituita da tessuto osseo
• Promuove l’accrescimento definitivo delle ossa lunghe, cioè gli consente di raggiungere la loro lunghezza
definitiva nell’adulto, poiché permane della cartilagine metafisaria tra la diafisi e l’epifisi delle ossa lunghe.
I condroblasti producono anche quello che sono le componenti organiche della sostanza fondamentale, che danno
alla cartilagine il tipico aspetto di gel solido.
Ogni formazione cartilaginea è avvolta dal pericondrio, che altro non è che una lamina di tessuto connettivo denso
a fasci intrecciati molto vascolarizzato. Il pericondrio contiene cellule giovani, ovvero i fibroblasti che sono poi in
grado di trasformarsi in condroblasti, i quali diventano poi condrociti.
Tessuto osseo
È un tessuto molto forte e resistente, infatti è una forma veramente specializzata di connettivo che presenta una
mineralizzazione della propria matrice, che è il substrato che consente a questo tipo di tessuto di avere grandi
qualità legate alla resistenza e alla durezza. L’osso è resistente, ma ha una struttura tale che allo stesso tempo è
anche abbastanza leggero e contrariamente a quanto si è portati a pensare non è un tessuto statico, ma è in
continuo rimodellamento e rinnovamento per tutta l’intera durata della vita.
Invece le cellule presenti nel tessuto osseo sono: osteociti, osteoblasti, osteoclasti. La matrice viene elaborate dagli
osteoblasti che producono gli elementi costitutivi della matrice e vi appongono il calcio (di contro gli osteociti). Gli
osteoclasti invece sono collegati all’attività di immagazzinamento di calcio del tessuto osseo, ovvero smantellano
ed erodono la matrice ossea per liberare ioni calcio nel sangue. Gli osteoclasti di solito sono grosse cellule dotate
anche di più nuclei e che possiedono questi enzimi litici che lisano (distruggono) la matrice ossea.
Quando gli osteoblasti elaborano la matrice (che è mineralizzata), ad un certo punto ne restano intrappolati;
queste cellule una volta intrappolate diventano osteociti, ovvero cellule quiescenti che non elaborano più la
matrice ma ne sono intrappolati, e comunque partecipano al metabolismo dell’osso, in quanto sono in grado di
recepire le sollecitazioni meccaniche che agiscono sull’osso stesso, per comunicarlo agli osteoblasti che depositano
nuova matrice.
Nel feto e nei primissimi anni di vita, il tessuto osseo è definito non lamellare, il che significa che la matrice ossea
non presenta una particolare organizzazione; invece nello scheletro adulto la gran parte del tessuto osseo è
lamellare e in questo caso gli osteoblasti, che producono la matrice guidando la mineralizzazione sotto forma di
lamelle ossee di pochi millimetri di spessore, adiacenti tra loro.
I tessuti ossei non solo hanno funzione meccanica, ma anche trofica in quanto rappresentano una grande riserva di
sali minerali, che possono essere resi disponibili agli altri tessuti quando necessario. Da questo punto di vista gli
osteoclasti, in seguito a segnali trasmessi da degli ormoni, liberano degli enzimi in grado di digerire la matrice
organica e quindi di permettere la liberazione degli ioni calcio nel sangue. Il tessuto osseo, proprio perché ricco di
sali minerali, costituisce un grande magazzino al quale tutte le cellule degli altri tessuti possono attingere se
necessario, affinché possano avvenire le funzioni metaboliche responsabili delle funzioni dei diversi organi. La
concentrazione di ioni calcio nel sangue, ovvero la calcemia, è un parametro che si mantiene sempre in un range
ristretto e rimane sempre più o meno costante, perché accumulo e liberazione sono legate all’attività di ormoni
che la tengono sotto controllo.
L’osso è ampiamente vascolarizzato e presenta una lamina di tessuto connettivo denso all’esterno, chiamato
periostio, ricco di vasi sanguigni e osteoblasti giovani. Sotto il periostio il tessuto osseo si organizza in due tipi
fondamentali, che sono sempre costituiti da tessuto osseo lamellare: tessuto osseo compatto e tessuto osseo
spugnoso. La dentina è una particolare forma di osso compatto, presente nei denti.
Quando si parla di ossa lunghe vanno distinte due estremità chiamate epifisi, unite tra
loro dalla porzione centrale chiamata diafisi. A livello delle epifisi delle ossa lunghe è
presente soprattutto del tessuto osseo spugnoso, coperto in superficie da un sottile
strato di compatta. Le trabecole del tessuto osseo spugnoso delimitano delle cellette
che contengono il midollo osseo rosso, ovvero quello emopoietico. A livello della diafisi
è presente il tessuto osseo compatto, che si organizza in osteoni, completati da sistemi
di lamelle interstiziali e circonferenziali. A livello della diafisi è contenuto un canale
centrale midollare, che contiene altro midollo osseo, ma giallo, costituito per lo più da
tessuto adiposo. L’osso spugnoso quindi si trova in punti in cui le forze sono applicate
in varie direzioni, ovvero nelle parti interessate alle articolazioni, mentre l’osso
compatto ha caratteristiche di grande resistenza alla compressione in senso
longitudinale; nel caso di una pressione laterale, questo può provocare la frattura della
diafisi.
Ci sono lamelle che riempiono gli spazi tra gli osteoni e sono dette
interstiziali.
La matrice inorganica dell’osso è data soprattutto dal fosfato di calcio, che aumenta durante lo sviluppo e
l’accrescimento, fino a raggiungere circa il 65% del peso dell’osso. Oltre al fosfato di calcio, è presente anche il
carbonato di calcio. Il fosfato di calco si organizza in microcristalli di idrossiapatite, i quali vanno ad allinearsi fra le
fibre collagene. Gli osteoblasti producono la matrice inorganica, che all’inizio è semisolida per poi diventare solida
grazie al processo di calcificazione; questa avviene grazie all’allineamento regolare dei microscristalli.
Durante le prime fasi della vita le ossa si accrescono fino a raggiungere un picco che si ha intorno ai vent’anni.
Nell’adulto sano la quantità di massa ossea che viene rimossa è anche sostituita da una di nuova formazione, senza
avere una riduzione complessiva. Durante le fasi di invecchiamento la produzione di nuovo osso non riesce a
colmare del tutto il tessuto osseo che viene perso per attività erosiva da parte degli osteoclasti, per cui lo scheletro
perde massa ossea e si viene a realizzare una condizione che prende il nome di osteopenia; questa riguarda
soprattutto le donne dopo la menopausa. Non tutte le
ossa sono interessate in egual misura a questo
processo, tra quelle che tendono a diventare più fragili
ci sono le vertebre. Quando la perdita di massa ossea è
decisamente molto accentuata e quindi va a
compromettere la funzionalità dello scheletro, allora si
parla di una vera e propria condizione patologica, quale
l’osteoporosi; la struttura dell’osso viene alterata,
diventa poroso, più fragile, perché si ha una perdita
della componente proteica e minerale. Questa
condizione predispone alle fratture.
I fattori nutrizionali sono molto importanti per un normale sviluppo e mantenimento dell’osso. È importante che ci
sia un corretto apporto di calcio con la dieta, ma anche di vitamina D, perché regola l’assorbimento del calcio a
livello intestinale. È importante esporsi alle radiazioni solari perché l’azione dei raggi ultravioletti va a favorire la
trasformazione della provitamina D contenuta nella pelle, in vitamina D. Sono particolarmente importanti anche le
sollecitazioni meccaniche prodotte dall’esercizio fisico, determinanti perché si abbia un normale rimodellamento
osseo; in risposta all’esercizio fisico, l’osso è in grado di aumentare la sua forza, ovve3ro la quantità di sali minerali
che vengono depositati e di fibre collagene che vengono sintetizzate, l’esercizio fisico stimola anche la produzione
della calcitonina, cioè l’ormone che attiva gli osteoblasti e inibisce gli osteoclasti.
Il sangue
Il sangue è un tessuto connettivo fluido e non un liquido corporeo, come sono saliva e urina. È composto da una
matrice extracellulare liquida, il plasma, e da una componente cellulare. È sospinto dall’azione di pompa del cuore
e scorre all’interno di un sistema di vasi arteriosi e venosi che raggiungono i diversi organi.
Caratteristiche:
Il sangue è più denso e viscoso dell’acqua, ha una
temperatura di 38°C e pH pari a 7,35/7,45;
costituisce circa l’8% dell’intera massa corporea
e il volume ematico è di 5-6 litri in un uomo
adulto e di 4-5 litri in una donna.
Il plasma è un liquido viscoso di colore giallo paglierino, costituito da acqua per il 90% e da sostante disciolte per il
restante 10%.
Più precisamente la composizione del plasma è: acqua 92% (trasporto di molecole organiche e inorganiche),
proteine plasmatiche 7%, altri soluti 1%.
Le principali proteine plasmatiche che sono:
• Albunine (60%), ovvero le principali responsabili della pressione osmotica del plasma e sono delegate al
trasporto di lipidi e ormoni steroidei
• Globuline (35%), che trasportano ioni, ormoni e lipidi e hanno funzione immunitaria
• Fibrinogeno (4%), che è la componente essenziale del sistema di coagulazione e che può essere convertito
in fibrina insolubile
• Enzimi, proenzimi e ormoni con funzione regolatrice (<1%)
MONOCITI
Sono il 4-8% dei leucociti ematici e non contengono granuli citoplasmatici. Hanno capacità fagocitaria superiore a
quella di tutti gli altri leucociti e migrano in uno stato ancora immaturo dal midollo al sangue, per poi passare nei
tessuti circostanti dove permangono come macrofagi tessutali.
LINFOCITI
Compongono tra il 25 e il 40% dei leucociti ematici (nel bambino anche di più) e sono i mediatori del sistema
immunitario specifico. Si distinguono in Linfociti T e Linfociti B e questi ultimi sono deputati alla produzione di
anticorpi. I Linfociti B vengono prodotti nel midollo osseo, mentre i Linfociti T vengono prodotti nel timo; entrambi
vengono mandati negli organi linfatici secondari, ovvero nei linfonodi e nella milza.
Piastrine o trombociti
Sono frammenti cellulari che
misurano circa ¼ di un globulo
rosso e sono circa 350.000
per mm3. Si tratta di porzioni
cellulari anucleate, derivanti
dalla frammentazione di grandi cellule del midollo
osseo, dette megacariociti. La loro vita media è di
circa 3-5 giorni e la loro funzione è importante sia
nell’emostasi che nella coagulazione del sangue:
formano il primo "tappo" che tenta di arrestare l'emorragia e secernono sostanze che scatenano il processo di
coagulazione.
Gruppi sanguigni
Fin dall'antichità vennero compiuti molti studi sul sangue. Iniettando sangue di un individuo sano in un individuo
malato, si avevano frequentemente conseguenze mortali. Solo nel 1901 un medico austriaco scoprì che sulla
superficie dei globuli rossi dell'uomo erano presenti delle
sostanze chiamate agglutinogeni e che nel plasma ci sono
degli anticorpi chiamati agglutinine. Sulla base di queste
scoperte furono distinti nella specie umana 3 gruppi
sanguigni che vennero chiamati A, B e 0. Nel 1902 fu scoperto
il quarto gruppo, più raro, che venne chiamato AB. In Italia la
media di distribuzione dei gruppi sanguigni è la seguente: 0
per il 40%, A per il 36%, B per il 17% e AB per il 7%.
La linfa
È anch’essa un tessuto connettivo fluido e si forma quando il liquido interstiziale entra nei vasi linfatici, che alla fine
riportano la linfa alle grandi vene vicino al cuore. Questo ricircolo di liquido è un processo continuo ed essenziale
per mantenere l’equilibrio dei liquidi nell’ambiente interno, ovvero l’omeostasi. La linfa è un liquido di color ambra
chiaro, con composizione simile al plasma, ma con meno proteine e carboidrati e più lipidi. Non sono presenti
globuli rossi ma solo leucociti. Acqua e proteine escono dai vasi sanguigni nell’ambiente interstiziale dei connettivi
e mediante i vasi linfatici sono riportate nel torrente ematico.
Tessuto muscolare
La caratteristica principale è quella di essere costituito da cellule muscolari, allungate, in grado di accorciarsi;
questo è possibile perché nel loro citoplasma sono presenti delle particolari proteine contrattili filamentose, le
quali si organizzano in maniera molto precisa in fasci chiamati miofibrille, che si dispongono parallelamente tra loro
lungo l’asse maggiore delle cellule muscolari. L’accorciamento in realtà non è dovuto a una contrattilità intrinseca
alle fibrille, quanto al fatto che queste fibrille scivolano reciprocamente tra loro. Un’altra caratteristica è che le
cellule muscolari vengono organizzate da tessuto connettivo lasso, molto ricco di vasi sanguigni e fibre nervose; è
importante una ricca vascolarizzazione per la necessità di avere un grande apporto di ossigeno e materiali nutritivi,
dal fatto che devono essere continuamente eliminati i cataboliti prodotti. Siccome i tessuti muscolari vanno
continuamente incontro ad accorciamenti e distensioni, sia i vasi sanguigni, sia le fibre nervose, tendono ad avere
un decorso ondulato. Ci sono tre varietà di tessuto muscolare: muscolare striato scheletrico, muscolare striato
cardiaco e muscolare liscio.
Costituisce essenzialmente tutti i muscoli scheletrici e va a formare un piccolo numero di muscoli appartenente
all’apparato respiratorio, come a livello della faringe e della laringe, e dell’apparato digerente, in particolare a
livello della lingua e nella regione terminale del retto. È inoltre definito volontario, in quanto si contrae sotto il
controllo della volontà ed è innervato da motoneuroni del sistema nervoso centrale.
Le cellule tipiche di questo tessuto hanno forma cilindrica allungata, sono polinucleate e presentano una
caratteristica striatura trasversale per la disposizione delle miofibrille. In realtà le cellule vanno a formare dei
sincizi, ovvero una formazione dotata di più nuclei, un elemento sovracellulare di grandi dimensioni, che si forma
durante lo sviluppo embrionale a partire dalla fusione di un certo numero di cellule precursori, che prendono il
nome di mioblasti. I mioblasti sono quindi cellule mononucleate con una forma affusolata, che si fondono a
formare i sincizi, ovvero le fibre muscolari (cellule muscolari), queste sono dunque molto grandi e polinucleate. Il
citoplasma delle fibre muscolari prende il nome di sarcoplasma (sarcos = carne, tutte le strutture appartenenti al
muscolo) e presenta molti mitocondri. Il reticolo endoplasmatico liscio forma una particolare rete di canali che si
intrecciano tra loro. Le fibre del tessuto muscolare scheletrico sono tutte parallele tra loro e sono tenute insieme
da tessuto connettivo lasso.
N.B. Nella banda H solo filamenti spessi, nella banda A sia quelli
spessi che quelli sottili ingranati tra loro, nella banda I solo
filamenti sottili.
La miosina è una proteina contrattile filamentosa, provvista di una testa globulare; la singola molecola di miosina
presenta una testa globulare che va a sporgere sul filamento e diverse molecole si associano a formare un fascio
che costituisce il filamento spesso. L’actina è una proteina globulare
che va a costituire dei filamenti più sottili insieme ad altre due
proteine; in ogni filamento sottile le singole molecole di actina si
legano tra loro a formare due lunghe file avvolte ad elica. Le molecole
di actina rivolte all’esterno interagiscono con le teste della miosina. I
filamenti sottili sono costituiti anche da tropomiosina che forma altre
due catene a spirale, che si inseriscono in uno spazio che si trova tra
le due catene actiniche; il complesso di troponina è costituito da tre
subunità globulari che si legano, a intervalli piuttosto regolari, alla
tropomiosina, completando il filamento sottile.
Nella contrazione i filamenti sottili scivolano lungo quelli spessi
perché le teste della miosina si legano all’actina, spostando i filamenti
sottili verso il centro del sarcomero, diminuendo la lunghezza del
sarcomero stesso. Questo avviene in tutti i sarcomeri di tutte le
miofibrille, determinando un accorciamento della fibra muscolare nel
suo complesso. Le molecole di actina possiedono quindi dei siti attivi
che interagiscono con la miosina. Quando il muscolo è a riposo, i siti
attivi sono coperti dalla tropomiosina, che è tenuta in posizione dalla troponina. Quando si ha la contrazione,
gli ioni calcio, accumulati nel reticolo sarcoplasmatico, vengono liberati e scatenano il processo della
contrazione; gli ioni calcio si legano alla troponina che sposta la tropomiosina, determinando l’esposizione dei
siti attivi dell’actina che si legano alla testa della miosina.
Prende il nome di piccolo circolo o circolazione polmonare, quella circolazione che è incentrata sui polmoni; copre
delle distanze minori rispetto al secondo circuito. Il piccolo circolo parte dal lato destro del cuore, fa capo ai
polmoni e torna al lato sinistro del cuore. A livello dei polmoni, l’anidride carbonica che è stata raccolta a livello
periferico viene ceduta e il sangue si arricchisce di ossigeno. In questo caso le vene polmonari portano al cuore
sangue arterioso, perché ricco di ossigeno.
Prende il nome di grande circolo o circolo sistemico, quello che va ad alimentare tutto il resto del copro; parte dal
lato sinistro del cuore, raggiunge tutti i distretti corporei periferici, per poi tornare al cuore destro. Fa parte della
circolazione sistemica anche la circolazione coronarica, che va ad alimentare il cuore, poiché anch’esso necessita di
un costante rifornimento di ossigeno e materiali nutritivi. La vena cava superiore raccoglie il sangue da tutti i
distretti sopradiaframmatici, mentre quella inferiore lo raccoglie dai territori sottodiaframmatici.
Dal cuore dipendono tutte le funzioni dell’apparato cardiovascolare. È un organo muscolare la cui forma e
grandezza ricordano quella di un pugno chiuso, intorno ai 10cm di diametro e peso intorno ai 200g; il volume può
variare in funzione del sesso, dell’età e delle condizioni del soggetto. Il cuore batte circa cento mila volte al giorno
e grazie a queste continue pulsazioni pompa una quantità enorme di sangue all’interno dei vasi sanguigni. Il
volume di sangue pompato può variare molto a seconda delle condizioni, per esempio se si sta facendo attività
fisica o meno; può variare tra i 5 e i 30 litri di sangue pompati al minuto. Il cuore ha la forma all’incirca di un
tronco di cono, che presenta una base rivolta verso l’alto e inclinata all’indietro e leggermente a destra. L’apice è
posto in basso, inclinato in avanti e a sinistra, lo troviamo tipicamente a livello del quinto spazio intercostale.
Il cuore poggia sulle due cupole diaframmatiche, in particolare sulla sua convessità superiore. Grazie
all’interposizione del diaframma, il cuore è separato dai visceri della cavità addominale. A livello della base il cuore
si continua con i grossi vasi che escono ed entrano.
In questa immagine si vede che il cuore, insieme al tratto iniziale dei grossi vasi che si staccano dal cuore, è rivestito
da un sacco di natura fibro-sierosa ed è detto pericardio. Dove il cuore poggia sulla cupola diaframmatica, il sacco
si inserisce sul diaframma attraverso dei legamenti, chiamati legamenti frenopericardici, che fissano il cuore. Il
pericardio è costituito da una componente più esterna fibrosa, ovvero connettivale, e una parte sierosa.
La parte più esterna del pericardio è dato dalla componente fibrosa, ovvero
tessuto connettivo denso (pericardio fibroso), mentre internamente ci
sono due foglietti di pericardio sieroso. Tra i due foglietti è presente una
cavità detta pericardica. La membrana sierosa che riveste il cuore presenta
due foglietti: sotto il pericardio fibroso si trova una membrana più sottile,
liscia e umida, costituita dal foglietto più esterno del pericardio sieroso,
detto parietale; il foglietto più interno è detto viscerale. Questa situazione
si ripete in tutte le membrane sierose, con il foglietto parietale che
aderisce alla componente fibrosa, mentre quello viscerale è a contatto con
l’organo. All’interno della cavità pericardica (quindi tra i due foglietti) sono
contenute piccole
quantità di liquido
pericardico (10-15
ml), prodotto dalle stesse cellule che costituiscono i
foglietti sierosi, formati dal mesotelio, ovvero epitelio
pavimentoso monostratificato. I due foglietti si riflettono
uno nell’altro in corrispondenza della base del cuore.
Immaginiamo di paragonare il nostro cuore con un pugno
che spingiamo contro un palloncino: si crea una struttura a
doppia parete, proprio come succede per il cuore.
Il compito del pericardio è quello di proteggere il cuore dagli attriti e di favorire gli ampi movimenti del cuore.
L’attrito è annullato dal fatto che i due foglietti sierosi scorrono uno sull’altro e sono molto umidi, grazie anche alla
presenza del liquido pericardico, che ha funzione di lubrificazione.
Per riassumere, il cuore presenta una faccia anteriore sternocostale, una faccia posteroinferiore diaframmatica,
che poggia sul centro frenico del diaframma; la base si trova in alto a destra, mentre l’apice è in basso a sinistra,
spostato in avanti e che corrisponde al ventricolo sinistro. Si possono identificare due margini, uno destro acuto e
uno sinistro ottuso.
Guardando la faccia anteriore, si possono riconoscere i grandi vasi che si dipartono: sono la vena cava superiore
(blu), l’aorta (rossa) che forma un arco e il tronco polmonare (viola) che si divide in due rami per i due polmoni. Ai
lati dell’aorta e del tronco polmonare sono presenti due appendici chiamate auricole destra e sinistra. Il solco
longitudinale anteriore divide la faccia anteriore del cuore in due regioni di diversa grandezza: l’area destra copre i
2/3 del totale e corrisponde al ventricolo destro, mentre l’area sinistra corrisponde al ventricolo sinistro; si nota
bene quindi che l’apice del cuore sia di pertinenza solo del ventricolo sinistro. Il ventricolo destro si prolunga verso
l’alto a formare una sporgenza conica, chiamato cono arterioso, a cui fa seguito il tronco arterioso, dietro al quale
origina l’aorta.
L’atrio destro riceve sangue povero di ossigeno dalla circolazione sistemica, attraverso le due vene cave. La parete
mediale dell’atrio destro è piuttosto liscia, ma presenta una piccola depressione che rappresenta il residuo del
forame di Botallo; questo è utile perché nel periodo fetale i polmoni non funzionano ancora, perché l’ossigeno
arriva attraverso la placenta e i vasi del cordone ombelicale, che viene interrotto alla nascita, rendendo
funzionante il piccolo circolo. Le pareti dell’atrio destro sono leggermente irregolari, perché si sollevano in rilievi
carnosi, che prendono il nome di muscoli pettinati.
L’atrio sinistro riceve le quattro vene polmonari, che portano sangue arterioso, e presenta pareti più lisce rispetto
all’atrio destro, non presenta i muscoli pettinati.
Nel ventricolo destro c’è la valvola atrio-ventricolare, che è presente a livello dell’orifizio atrio ventricolare, e
l’orifizio dell’arteria tronco polmonare(?), con la rispettiva valvola a nido di rondine. Le pareti del ventricolo destro
sono più spesse rispetto a quelle degli atri, ma comunque più sottili rispetto a quelle del ventricolo sinistro. Nei
due ventricoli sono presenti dei rilievi muscolari che fanno come dei ponti, chiamati trabecole carnee, ed alcune
vanno anche a sporgere all’interno della cavità ventricolare, dal basso protrudono verso l’interno della cavità; in
questo modo costituiscono delle formazioni che prendono il nome di muscoli papillari, sopra i quali sono presenti
dei piccoli tendini (corde tendinee) che si vanno ad attaccare sui lembi delle valvole atrio ventricolari. La funzione
di queste corde tendinee fa sì che le valvole atrio-ventricolari non si ribaltino verso l’atrio, impedendo il rigurgito di
sangue dal ventricolo all’atrio. I muscoli papillari sono gli ultimi a contrarsi e quando si contraggono stirano le
corde tendinee, che toccano le valvole cardiache impedendone il ribaltamento verso l’alto. Nel ventricolo sinistro
le pareti sono più spesse e le trabecole carnee più prominenti, il ventricolo sinistro, oltre all’orifizio atrio-
ventricolare, presenta anche l’orifizio aortico con le rispettive valvole a nido di rondine.
Riassumendo, nel cuore si distinguono quattro cavità, due superiori chiamate atri e due inferiori chiamati
ventricoli. Ogni metà del cuore presenta una comunicazione tra atrio e ventricolo, mentre i due atri e i due
ventricoli non comunicano tra loro per la presenza dei setti interventricolare e interatriale.
Quindi il cuore, per svolgere la funzione di pompa, alterna fasi di contrazioni e di distensione e questo determina
una sequenza di eventi che viene definita ciclo cardiaco. La fase di contrazione prende il nome di sistole, mentre
quella di distensione prende il nome di diastole. Durante la sistole il muscolo cardiaco pompa il sangue nel piccolo
e grande circolo; in diastole il muscolo cardiaco si distende, i ventricoli si riempiono di nuovo di sangue, per poi
effettuare un nuovo ciclo. L’intero ciclo cardiaco è di circa 0,8 secondi. Durante l’alternarsi di queste due fasi, le
quattro valvole cardiache sono alternativamente aperte o chiuse; in diastole sono aperte le valvole cuspidali per
permettere al sangue di scorrere nei ventricoli, mentre in sistole il sangue apre le valvole semilunari. In ogni ciclo
cardiaco il cuore produce due toni cardiaci, uno un po’ più lungo che corrisponde alla chiusura delle valvole atrio-
ventricolari, quindi in sistole, mentre l’altro suono corrisponde alla chiusura delle valvole semilunari, quindi in fase
di diastole. Quando ci sono anomalie nelle valvole anche i toni possono essere irregolari, quindi è compito del
bravo medico rilevare anomalie che riguardano il corretto flusso sanguigno all’interno delle camere cardiache.
La parete cardiaca è costituita da tre strati, sia nelle camere atriali che ventricolari. Partendo dall’interno verso
l’esterno troviamo, l’endocardio, poi c’è il miocardio, che è lo strato più spesso, e infine lo strato più esterno è
l’epicardio. Questi tre strati corrispondono rispettivamente alla tonaca intima, media e avventizia dei vasi
sanguigni. Questa è la sezione della parete
del cuore; si può notare all’esterno la
componente fibrosa del sacco
pericardico e poi i due foglietti sierosi, con in
mezzo la cavità sierosa riempita del liquido
pericardico. Il foglietto più esterno è detto
parietale ed è addossato al pericardio
fibroso, mentre il foglietto viscerale del
pericardio corrisponde all’epicardio, che
quindi riveste il cuore; i due foglietti sono
formati da tessuto epiteliale pavimentoso
semplice, che prende il nome di mesotelio.
Lo strato intermedio è il miocardio ed è il più
spesso, perché è formato a sua vola di vari strati di tessuto muscolare cardiaco; in questo strato si riconoscono le
cellule muscolari a forma di Y unite tra loro tramite i dischi intercalari. La superficie più interna, ovvero
l’endocardio, è costituita da un epitelio pavimentoso semplice, che va a foderare le camere cardiache; l’endocardio
si continua con l’epitelio che va a rivestire i vasi sanguigni, ovvero l’endotelio (tonaca intima).
Il miocardio corrisponde al tessuto muscolare cardiaco, cioè quello che costituisce la gran massa della parete
cardiaca e che ha la funzione contrattile. Il tessuto muscolare cardiaco è una specie di ibrido tra quello scheletrico
e quello liscio: come il tessuto muscolare striato, il miocardio assicura un’azione potente e rapida che serve a
garantire un corretto apporto di sangue a tutti gli organi e tessuti e presenta una caratteristica striatura
trasversale, ma presenta delle cellule distinte tra loro; come il tessuto muscolare liscio, si contrae
indipendentemente dalla nostra volontà, quindi è involontario. Il miocardio è in grado di contrarsi in maniera
spontanea, con un ritmo costante, e questa caratteristica è definibile con il termine di autoritmicità. Allo stimolo
elettrico, il tessuto muscolare cardiaco si comporta come se si trattasse di un’unica fibra che si contrae, quindi in
questi termini lo si può considerare come un sincizio funzionale; queste singole cellule a forma ramificata (a y)
sono unite elettricamente tra loro, a livello delle strie intercalari (dischi), a formare una sorta di unità funzionale.
Il miocardio si organizza formando due sistemi indipendenti tra loro, uno per gli atri e uno
per i ventricoli. La muscolatura atriale è costituita da una serie di fasci propri per ciascuno
dei due atri, fasci i quali sono circondati da altri fasci muscolari che sono comuni ai due
atri; i fasci propri sono formati da fibrocellule a decorso a spirale, detto decorso
anulospirale, con un andamento tale da circondare gli orifizi di sbocco delle vene di ogni
atrio, mentre i fasci comuni sono più esterni e hanno un decorso più trasversale,
portandosi da un atrio all’altro. Nel complesso la parete atriale è più sottile di quella
ventricolare.
Anche nei ventricoli ci sono fasci muscolari propri per ogni ventricolo
(rosa) e fasci comuni (azzurro). I fasci propri costituiscono lo strato
intermedio della muscolatura ventricolare, mentre quelli comuni
formano altri due strati, uno interno ai fasci propri e uno esterno;
quindi il miocardio ventricolare è formato da tre strati sovrapposti. I
fasci propri si inseriscono intorno all’anello fibroso che circonda
l’orifizio atrioventricolare, si portano obliquamente verso il basso e
senza raggiungere l’apice formano un’ansa, risalgono e si ricongiungono allo stesso anello fibroso da cui si sono
originati. In pratica i fasci propri formano due sacchi vicini tra loro. I fasci comuni si inseriscono sempre sugli anelli
che circoscrivono gli orifizi atrioventricolari, discendono obliquamente in direzione più superficiale rispetto ai
fasci propri e una volta raggiunto l’apice del ventricolo, compiono una specie di vortice per poi risalire in una
posizione più profonda rispetto ai fasci propri. Alcuni di questi fasci comuni profondi vanno a formare i muscoli
papillari. Per riassumere, la parete miocardica ventricolare è formata da uno strato superficiale di fasci comuni
discendenti, da uno strato intermedio di fasci propri e da uno strato profondo di fasci comuni ascendenti.
I vasi sanguigni
I vasi sanguigni costituiscono un circuito chiuso in cui il sangue viene spinto dall’attività del cuore. I vasi formano
un’enorme rete di distribuzione, che coprirebbe all’incirca 96 mila chilometri, e sono una struttura dinamica,
perché si dilatano, si contraggono, pulsano per adattarsi ai bisogni del nostro corpo. Esistono tre principali tipi di
vasi: arterie, vene e capillari. Le arterie per definizione sono i vasi che portano il sangue dal cuore alla periferia; il
sangue scorre in direzione centrifuga. Le arterie via via si riducono di calibro e si ramificano, fino a quando
all’interno degli organi, andranno a risolversi in vasi estremamente sottili, ovvero i capillari. La parete
estremamente sottile dei capillari è ideale per gli scambi nutritizi con le cellule di tutti i tessuti. Dai capillari si
formano le vene che sono, per definizione, i vasi in cui il sangue viaggia in direzione centripeta, ovvero dalla
periferia verso il cuore; quindi le vene sono vasi che si formano per confluenza di vasi più piccoli e che diventano
sempre più grandi fino ad arrivare al cuore. Esistono anche dei vasi intermedi rappresentati dalle arteriole e dalle
venule; le prime sono i vasi che si trovano interposti tra arterie e capillari, mentre le venule richiamano il sangue
dai capillari, poiché sono interposte tra questi e le vene.
Le arterie sono i vasi che portano il sangue dal cuore ai capillari, quindi verso la periferia, a prescindere che il
sangue sia più o meno ricco di ossigeno o anidride carbonica. La loro caratteristica è quella di dover sopportare
pressioni molto alte, determinate dalla grossa spinta sistolica, per cui devono presentare uno strato muscolare
molto sviluppato; la tonaca media può quindi essere costituita da moltissimi strati di muscolatura liscia. Le arterie
presentano anche una membrana elastica posta tra tonaca intima e media, e un’altra lamina elastica tra tonaca
media ed avventizia. Il lume delle arterie è più piccolo rispetto a quello della vena satellite (si usa questo termine
per vene e arterie che scorrono una di fianco all’altra). Le arterie contengono, nelle loro tonache, anche una
maggior quantità di fibre elastiche e collagene e questo fa sì che le pareti arteriose risultino sempre pervie e che
quindi possano anche sopportare elasticamente gli sbalzi di pressione, riprendendo le loro dimensioni originarie
dopo essersi espanse.
Le vene invece raccolgono il sangue refluo, che ha viaggiato per i vari distretti, e lo riportano al cuore, dovendo
sopportare un minore carico pressorio rispetto alle arterie; questo si traduce nel fatto di presentare una tonaca
media più sottile. La tonaca intima nelle arterie è liscia, mentre nelle vene presenta delle valvole a nido di rondine
e questo fa sì che sia mantenuto il flusso sanguigno in una sola direzione. La tonaca avventizia è più spessa nelle
vene. Col diminuire del diametro di questi vasi, anche lo spessore della parete in toto diminuisce, tanto che a livello
dei capillari la parete è sostituita semplicemente da endotelio. Dal punto di vista funzionale questo è molto
importante, perché è proprio nei capillari che si possono realizzare gli scambi di gas e nutrienti tra il plasma
sanguigno e il liquido interstiziale dei tessuti circostanti.
Come abbiamo già visto, i vasi sanguigni danno origine a due circuiti distinti: grade circolazione e piccola
circolazione. La prima si origina dal ventricolo sinistro, da cui parte l’aorta, che è il grosso vaso che si ramifica e che
distribuisce il sangue ossigenato in tutto il corpo; a livello periferico, dal sistema venoso si formano le due vene
cave, che terminano nell’atrio destro. Del grande circolo fa parte anche il seno coronario. La piccola circolazione
comincia dal ventricolo destro con il tronco polmonare, che si divide nelle due arterie polmonari destra e sinistra
che si portano ai due polmoni; qui si risolvono in una rete di capillari, dove avvengono gli scambi gassosi, e che
confluiscono poi in vene via via sempre più grandi finché non si formano le quattro vene polmonari che
confluiscono nell’atrio sinistro del cuore, portando sangue arterioso.
Le arterie sono condotti di colore bianco-roseo, originano sempre dai ventricoli e suddividendosi il loro diametro
decresce verso la periferia. Sono vasi che pulsano in sincronia con il cuore, per cui quando vengono recise tendono
a sanguinare zampillando; sono sottoposte a grandi livelli di pressione, ma questa è più bassa nel piccolo circolo
rispetto al grande circolo. Le arterie viaggiano in sede profonda all’interno delle logge muscolari e sono affiancate
dalle vene satelliti; a volte arterie e vene satelliti, insieme ai nervi, possono trovarsi all’interno di una guaina
connettivale comune e andare a costituire i cosiddetti fasci vascolonervosi. Uno dei più importanti è quello che
passa a livello del collo e che oltre alla carotide e alla giugulare, contiene anche il nervo vago. Solitamente per
portarsi nei diversi organi, le arterie tendono a seguire il percorso più breve, per cui ad avere un andamento
piuttosto rettilineo. Ogni arteria può emettere dei rami detti collaterali, che si staccano dal tronco principale
formando di solito un angolo acuto; invece, all’estremità, un’arteria può continuare o direttamente in un’altra
arteria a pieno canale, cambiando il nome, oppure può risolversi in uno o più rami terminali. Ogni arteria
attraverso i rami collaterali e terminali va a vascolarizzare una ben definita zona del corpo umano, chiamato
territorio di distribuzione.
Esistono importanti sistemi di comunicazione tra arterie diverse, ovvero le anastomosi e sono importanti dal punto
di vista funzionale e clinico. Un esempio è quello del circolo di Willis, che si trova alla base dell’encefalo e che è una
specie di anello formato dalle anastomosi di alcune arterie, in particolare le due carotidi interne e le due arterie
vertebrali; queste anastomosi consentono di costituire un dispositivo anatomico in grado di distribuire il sangue al
cervello ad una pressione costante. I tratti anastomotici che uniscono le diverse arterie formano, in alcuni casi,
delle vere e proprie arcate anastomotiche; ad esempio, nella mano è presente un’arcata anastomotica che si forma
a partire da due arterie presenti nell’avambraccio (arteria radiale e ulnare), per cui se una di queste due arterie
dovesse occludersi, il sangue potrebbe fluire comunque a livello delle dita perché l’altra arteria può fare
rifornimento di sangue. Questi dispositivi anastomotici servono a fornire
delle vie alternative di vascolarizzazione e quindi permettono di irrorare
in maniera costante un certo territorio, anche quando si dovesse
verificare la compressione dell’arteria che vi porta il sangue. Anche
durante la contrazione dei muscoli si possono verificare delle piccole
contrazioni meccaniche, che potrebbero andare a chiudere parzialmente
un vaso e quindi a ridurre il flusso di sangue, ma grazie alla presenza
delle anastomosi si crea un circolo collaterale per cui il sangue può
circolare. Si ha una situazione di supplenza vascolare, cioè un’altra
arteria va a supplire alla mancanza di flusso dovuta alla occlusione
dell’altra. Ci sono diversi tipi di anastomosi, ad esempio con rami
trasversali (a), per convergenza (b), con arcate semplici (c) o multiple (d),
oppure formando delle reti (e).
Arterie
L’aorta si origina dal ventricolo sinistro e ha un percorso prima
ascendente, poi compie un arco con cui si porta indietro e a
sinistra; questo è l’arco aortico, dopo il quale si pone lateralmente
alla colonna vertebrale, verso sinistra, e si porta verso il basso per
continuare con un tratto discendente. L’aorta discendente
incontra il diaframma, lo perfora e si porta nella cavità
addominale; l’aorta addominale poi si separa nei due grossi rami
terminali, cioè le arterie iliache comuni destra e sinistra, che si
portano verso gli arti inferiori.
Quindi i tratti dell’aorta sono l’aorta ascendente, di circa cinque
centimetri, che ha origine a livello dell’orifizio aortico del
ventricolo sinistro, poi a livello della seconda cartilagine costale
compie l’arco aortico con concavità inferiore, che si porta indietro
e a sinistra, continuando con l’aorta discendente che affianca il
lato sinistro della colonna vertebrale. L’aorta discendente è
distinta in due tratti, l’aorta toracica che decorre all’interno del
torace, nel mediastino posteriore, poi si incunea nell’orifizio
aortico del diaframma e diventa aorta addominale.
L’aorta ascendente ha due rami collaterali, ovvero le arterie coronarie, che vascolarizzano la parete cardiaca, ed è
contenuta in parte nel sacco pericardico.
Le arterie vertebrali passano attraverso tutti i forami trasversali delle vertebre cervicali, per entrare all’interno
della cavità cranica. Le due arterie vertebrali si uniscono poi a livello della giunzione tra il volvo e il ponte (due
porzioni del tronco encefalico) e formano l’arteria o tronco basilare; questa si divide poi nelle due arterie cerebrali
posteriori.
Questa interconnessione tra vasi sanguigni protegge il cervello quando parte del rifornimento può essere bloccata.
Purtroppo, soltanto parte della circolazione cerebrale è dotata di anastomosi e di conseguenza gran parte del
cervello rimane vascolarizzata dai rami terminali.
Il circolo di Willis è una delle principali anastomosi arteriose e si basa sull’esistenza di arterie comunicanti. Esiste
un’arteria comunicante anteriore, che mette in comunicazione le arterie cerebrali anteriore, mentre da ciascuna
delle carotidi interne si diparte un’arteria comunicante posteriore, che si anastomizza con l’arteria cerebrale
posteriore dello stesso lato, mettendo così in comunicazione il circolo anteriore con quello posteriore dello stesso
lato.
Le arterie surrenali irrorano i surreni. Le arterie genitali, destinate alle gonadi (testicoli e ovaie), quindi nel maschio
prendono il nome di arterie testicolari e nella femmina di arterie ovariche.
Le vene si distinguono in quelle della piccola circolazione e in quelle della grande circolazione. Le vene del piccolo
circolo sono date dalle quattro vene polmonari, che riportano all’atrio sinistro del cuore un sangue arterioso
proveniente dai polmoni. Le vene del grande circolo sono quelle vene che portano all’atrio destro del cuore il
sangue venoso proveniente da tutti i distretti corporeo. Per cui comprendono effettivamente tre sistemi: quello
che fa capo alla vena cava superiore, costituito da tutte le vene che raccolgono il sangue dai territori posti al di
sopra del diaframma, il sistema che fa capo alla vena cava inferiore, formato dalle vene che raccolgono il sangue
dai territori sottodiaframmatici e dal sistema della vena porta (sangue venoso proveniente dalla parte
sottodiaframmatica del canale alimentare), e il sistema delle vene del cuore, che fa capo al seno coronario.
I seni venosi della duramadre sono dei canali che decorrono nello
spessore della duramadre, cioè la meninge protettiva più esterna che
protegge l’encefalo. Alcuni di questi canali sono impari e mediani, altri
sono pari. Questi seni vanno a scaricare le vene dell’encefalo,
dell’organo dell’udito e della vista e confluiscono nella vena giugulare
interna.
Questa è una sezione coronale (frontale) dell’encefalo, dove si può
osservare in maniera più chiara dove sono localizzati i seni venosi.
Si trovano all’interno della duramadre, che è la meninge più
esterna colorata in grigio, al di sotto della quale c’è la meninge
intermedia colorata in giallo, che prende il nome di aracnoide. La
meninge più interna è la piamadre colorata in rosso. All’esterno
della duramadre si trova il tessuto osseo. I seni venosi della
duramadre, in sezione frontale, sembrano dei laghetti contenuti
all’interno della meninge.
La vena azigos risale dalla regione lombare sul lato destro della
colonna vertebrale. Entra nella cavità toracica attraverso il
diaframma e riceve le vene emiazigos ed emiazigos accessoria,
che invece decorrono sul lato sinistro.
Il sangue refluo dell’arto superiore viene raccolto da due sistemi di vasi, per cui ci sono vene che costituiscono il
circolo profondo, satelliti delle corrispondenti arterie e che quindi decorrono all’interno delle logge muscolari
ricalcando il percorso delle arterie satelliti; c’è anche un circolo superficiale, con le vene superficiali che decorrono
nel sottocutaneo e che non hanno un corrispettivo arterioso. Nell’arto superiore ci sono due vene superficiali,
ovvero la cefalica e la basilica, le quali si scaricano nel sistema profondo; in particolare la vena cefalica si scarica
nella vena ascellare, mentre quella basilica in
una delle due vene brachiali profonde.
Le vene lombari sono disposte in maniera simile alle vene intercostali, cioè con un decorso trasversale per portarsi
fino alla parete posteriore della vena cava inferiore, dove sboccano. Le vene lombari di ogni lato sono unite tra loro
da tratti anastomotico che costituiscono una specie di piccolo tronco verticale, che in alto da origine alla vena
azigos a destra ed emiazigos a sinistra; in questo modo si viene a formare un’importante via anastomotica tra il
sistema della vena cava inferiore e superiore.
Esistono una serie di vene perforanti che si trovano a livello della caviglia
e al di sopra del polpaccio che permettono la comunicazione tra le due
reti venose superficiale e profonda. Queste comunicazioni formano delle
vie anastomotiche attraverso le quali il sangue si può scaricare dalla rete
superficiale nei vasi profondi e viceversa. Le vene safene sono quelle che
più facilmente formano le varici, poiché tendono a dilatarli a causa del
ristagno di sangue, per esempio quando si ha un’insufficienza delle
valvole. Le vene varicose sono particolarmente gravi se sono superficiali
degli arti inferiori, che già di norma sono esposte ad una pressione legata
al fattore gravitazione, che tende a causare uno sfiancamento della parete; le vene varicose sono particolarmente
frequenti nelle persone anziane, nei soggetti obesi e in gravidanza. In quest’ultimo caso si ha una compressione dei
vasi da parte dell’utero, il che determina un’impossibilità a scaricare; durante il periodo della gravidanza vengono
anche prodotti degli ormoni che tendono a rilassare i vasi sanguigni. Le vene varicose sono particolarmente
evidenti sulla superficie corporea come una sorta di strisce bluastre e caviglie e piedi tendono ad essere molto
gonfi per via del ristagno di sangue. In questi casi una cosa molto utile da
fare è camminare, mentre lo stare fermi o lo stare al sole risulta dannoso,
perché induce un effetto di vasodilatazione. In tutti questi casi è chiaro
che praticare regolare attività fisica, se non prevenire lo sviluppo delle
vene varicose, è un modo per facilitare il ritorno venoso, contrastando
l’accumulo di sangue a livello periferico. In questo caso si consiglia anche
l’uso delle calze elastiche, perché forniscono una sorta di massaggio che
favorisce il fluire del sangue all’interno dei vasi. In alcuni casi si ricorre alla
chirurgia, sfilando la safena; si fa un piccolo taglio a livello del triangolo di Scarpa e del malleolo mediale, sfilando la
vena superficiale. Dopo la rimozione della vena, l’organismo si deve adattare servendosi maggiormente del sistema
venoso profondo.
Apparato respiratorio
È un apparato che fa parte di quel gruppo di apparati della vita vegetativa, perché è necessario per mantenere in
vita l’organismo. Senza accorgercene respiriamo circa una quindicina di volte al minuto e in media inspiriamo circa
13.000/14.000 litri di aria al giorno. Tutto questo è allo scopo di portar via dal corpo l’anidride carbonica, che è una
sostanza di scarto del metabolismo cellulare, quindi tossica e che non deve accumularsi, sostituendola con
l’ossigeno, che fa sì che possano avvenire tutti quei processi cellulari che ci consentono di estrarre l’energia
contenuta negli alimenti.
L’apparato respiratorio è formato da un insieme di organi cavi che cooperano per lo svolgimento di una funzione
generale. Oltre agli organi cavi che costituiscono le vie aeree o respiratorie, l’apparato respiratorio comprende
anche organi che sono parenchimatosi, quindi pieni, ovvero i polmoni; questi rappresentano effettivamente il
luogo dove si realizzano gli scambi di gas tra l’aria e il sangue. Tutti gli organi dell’apparato respiratorio agiscono
insieme per svolgere delle funzioni: per distribuire aria e scambiare gas, per rifornire di ossigeno le cellule del
corpo e rimuovere CO2. Siccome i miliardi di cellule di cui siamo fatti si trovano lontani dall’aria, per poter
scambiare i gas con questa, in primo luogo l’aria deve scambiare gas con il sangue a livello dei polmoni; dopo di che
il sangue circola consentendo lo scambio di gas con le singole cellule. Tutti questi eventi richiedono
necessariamente il funzionamento di due sistemi, ovvero quello respiratorio e quello circolatorio. Tutte le parti che
formano l’apparato respiratorio, ad eccezione degli alveoli polmonari, funzionano come dei semplici distributori di
aria; soltanto gli alveoli e i sottili canalicoli che vi sboccano funzionano come scambiatori di gas. Ci sono anche altre
funzioni, perché oltre a distribuire e scambiare gas, l’apparato respiratorio ha anche una funzione di filtro, di
riscaldamento e di umidificazione dell’aria che respiriamo; in più, alcuni degli organi che fanno parte dell’apparato
respiratorio influenzano la produzione dei suoni che utilizziamo per la comunicazione orale. Infine, a livello delle
vie respiratorie, è anche presente un epitelio specializzato che ci consente di percepire gli odori. Quindi le cellule
hanno continuamente bisogno di essere rifornite di ossigeno, necessario per il processo di conversione energetica
che si svolge nei mitocondri, cioè per la respirazione cellulare, che ha come prodotto di rifiuto l’anidride carbonica.
L’apparato respiratorio comincia con una serie di vie aeree superiori, che comprendono il naso o cavità nasale, cui
sono annesse le cavità paranasali, e il primo tratto della faringe (rinofaringe). Questi organi sono contenuti a livello
della testa, per essere più precisi nello splanco-cranio o cranio
viscerale massiccio facciale, cioè nella parte anteroinferiore
della testa. Le vie aeree superiori, attraverso la faringe,
continuano con le vie aeree inferiori, che sono costituite dalla
laringe, che continua con la trachea e con i bronchi. I due
bronchi, cioè i rami di biforcazione della trachea, assicurano
che l’aria possa arrivare nei polmoni. Le vie aeree inferiori
occupano il collo e il torace. I polmoni hanno un esteso
rapporto con il piano muscolare sottostante, costituito dalla
cupola diaframmatica. Attraverso le vie aeree l’aria passa
subendo una modificazione tale da far sì che venga riscaldata,
umidificata e depurata dagli elementi contaminanti. Noi
abbiamo dei sistemi di protezione, come lo starnuto per le vie
aeree superiori e la tosse per le vie aeree inferiori. Durante
l’inspirazione l’aria è portata dall’ambiente esterno fino a
livello degli alveoli polmonari, dove avviene lo scambio dei gas
atmosferici.
Alle cavità nasali sono annesse delle altre cavità, dette paranasali o semi-paranasali. In particolare, ci sono i seni
frontali (verde), scavati all’interno delle ossa frontali, i seni mascellari (rosso), scavati nelle ossa mascellari, il seno
sfenoidale (arancio) e le cellule etmoidali (blu). Questi ultimi prendono il nome di cellule perché sono formati da
tante piccole cellette scavate nell’osso dell’etmoide. Il seno sfenoidale è scavato all’interno di un osso della base
cranica, ovvero lo sfenoide. Queste cavità sono tutte collegate direttamente alle cavità nasali e più che avere la
funzione di modificare le caratteristiche dell’aria, hanno il compito di alleggerire il massiccio facciale; inoltre, la
presenza di queste cavità, è legata a quelli che sono i fenomeni di risonanza legati all’emissione dei suoni: queste
cavità fanno da cassa di risonanza per la voce. I seni paranasali prendono il nome dalle ossa nelle quali sono
scavati. Anche questi seni possono andare incontro a raffreddore, a causa della comunicazione diretta con le cavità
nasali.
Dalle cavità nasali, attraverso le coane, si accede alla prima parte della
faringe, cioè la rinofaringe. La faringe è un organo che in realtà andrebbe
studiato anche in relazione all’apparato digerente, perché è in comune a
questi due apparati; attraverso la faringe passa l’aria (freccia blu) e il cibo
(freccia rossa), perché comunica anche con la cavità orale e con l’esofago.
La faringe è un organo molto importante perché è coinvolta nella fonazione,
poiché si può parlare anche qui di cassa di risonanza per la voce; è
sufficiente cambiare la forma per la faringe per modificare il timbro della
nostra voce.
Anatomicamente la faringe è un organo difficile da
delineare, perché presenta numerose aperture di
comunicazione con altri organi. Questa è una sezione
sagittale mediana condotta a livello della testa e del collo.
La faringe è inserita nella base cranica, per poi scendere
verso il basso anteriormente alle vertebre cervicali, fino alla
sesta vertebra cervicale, per una lunghezza di circa 14 cm. È
un condotto piuttosto slargato verso l’alto che via via si
restringe verso il basso, preludendo a quello che è il canale
con cui continua direttamente la faringe, ovvero l’esofago.
È un organo appiattito in senso antero-posteriore, cioè da
davanti a dietro. La faringe è anche parte del canale
digerente, perché è posteriore alla cavità orale, facendo
seguito a quella che è l’apertura di comunicazione tra
cavità orale e faringe, cioè all’istmo delle fauci. La faringe
riceve aria dalle cavità nasali attraverso le coane e la immette nella laringe, attraverso un’apertura, chiamata
orifizio laringeo. La laringe è posta anteriormente all’ultimo tratto di faringe e all’esofago. Tutte queste
comunicazioni si ritrovano a livello della parete anteriore della faringe, che quindi è largamente incompleta. Nella
faringe si aprono anche le tube uditive, che mettono in comunicazione la faringe con la cassa del timpano.
La faringe ha una struttura prevalentemente muscolare; si tratta di muscoli striati, quindi la tonaca muscolare della
faringe è formata da muscoli striati. Durante la deglutizione questi muscoli si contraggono e impiegano brevissimo
tempo per portare il bolo alimentare all’interno dell’esofago (meno di 1 sec). Durante la deglutizione, i centri
nervosi del respiro vengono inibiti e quindi viene bloccata la respirazione. I muscoli che compongono la faringe
sono essenzialmente costrittori ed elevatori, i quali si dilatano quando devono accogliere il bolo alimentare, che
passa per la faringe con un’onda peristaltica; questo vuol dire che passa attraverso una serie di contrazioni e di
rilasciamenti di questi muscoli, che fanno sì che il cibo possa progredire. La deglutizione è sotto il controllo del
sistema nervoso e quindi è un atto volontario. Durante la deglutizione, l’ingresso dell’aria verso la laringe viene
impedito, perché una cartilagine della laringe, l’epiglottide, si chiude occludendo l’adito laringeo. I muscoli striati
della tonaca muscolare formano un involucro attorno alla faringe,
pressoché continuo. La faringe si divide in tre parti: una superiore,
che prende il nome di rinofaringe perché comunica con le cavità
nasali (dalle coane fino al palato molle); c’è una porzione intermedia
chiamata orofaringe, perché si trova posteriormente alla cavità orale
con cui comunica (dal palato molle fino all’osso iloide); infine c’è una
porzione inferiore che prende il nome di laringofaringe o ipofaringe,
perché è in rapporto anteriormente con la laringe e che continua con
l’esofago.
La laringe è il primo organo delle vie aeree inferiori. La laringe è un organo estremamente specializzato e molto
difficile da studiare, perché ha una costituzione estremamente particolare. Da una parte va a formare una sorta di
sfintere che protegge il tratto iniziale delle vie aeree, dall’altro è responsabile del processo di fonazione. Anche la
laringe è un organo cavo impari e mediano, che occupa la regione del collo ed è posta piuttosto superficialmente.
La parete della laringe è costituita da delle parti cartilaginee, che sono poi completate da delle formazioni
muscolari e fibrose. In proiezione posteriore ha un’estensione che va dalla quarta alla sesta vertebra cervicale, per
una lunghezza di circa 4 cm; le dimensioni di quest’organo possono variare molto da soggetto a soggetto, così
come in relazione all’età e al sesso. Nell’infanzia la laringe è piuttosto piccola e aumenta le dimensioni durante la
pubertà, quando va incontro a tutte le modificazioni, cui poi si devono quei tipici cambiamenti del tono di voce
(soprattutto nei maschi). La faccia posteriore della laringe è rivolta verso la faringe, alla cui parete è unita tramite
del tessuto connettivo. La laringe superiormente presenta un orifizio ovoidale un po’ inclinato, che la mette in
comunicazione con la faringe, e inferiormente ha un orifizio un po’ più arrotondato, tramite cui quest’organo
comunica con la trachea.
Questa è la faccia anteriore della laringe, privata dei muscoli e delle altre
formazioni che completano la parete, che è costituita principalmente da questi
elementi cartilaginei. Questi elementi nel loro complesso danno alla laringe la
forma di una piramide triangolare, con la base in alto e apice-tronco in basso.
La forma della laringe è anche paragonabile a quella di una clessidra, perché
presenta un restringimento circa a metà.
La cartilagine tiroide è impari ed ha una forma a scudo o a libro semiaperto, mentre la cartilagine cricoide ha la
forma di un anello concastone, che quindi presenta una porzione più slargata posta posteriormente.
La cricoide è un elemento scheletrico molto importante perché sostiene altre cartilagini ed è d’attacco a molti
muscoli. Inferiormente si lega al primo anello tracheale, mentre superiormente presenta delle articolazioni per le
due cartilagini aritenoidi, che somigliano a delle piramidi a sezione triangolare; queste piramidi possono ruotare
intorno al proprio asse verticale, quindi ruotare internamente o esternamente. Sulla punta di queste cartilagini
aritenoidi ci sono anche le cartilagini cornicolate, che hanno l’aspetto di chicchi di riso.
Nei maschi le corde vocali tendono ad avere un calibro maggiore e sono meno tese, mentre nelle femmine le corde
vocali tendono a essere più sottili e più tese; questo riscontro anatomico sta alla base delle differenze nel tipo di
suoni emessi, per cui possono essere più o meno ampi (apertura maggiore o minore della rima della glottide) o più
o meno alti (stato di tensione delle corde vocali). Durante la respirazione tranquilla la rima della glottide ha una
forma tendenzialmente più triangolare, con apice anteriore, mentre durante una respirazione più profonda la rima
della glottide assume una forma più a rombo.
Il timbro di voce dipende dalla presenza delle casse di risonanza, che si trovano al di sopra della laringe, quindi la
lingua, il palato, la cavità nasale, la cavità orale, la faringe, i seni paranasali, ecc. assumono tutti quanti un ruolo
come cassa di risonanza; tutte queste strutture partecipano a definire la qualità del suono emesso. Il suono che è
prodotto dalle corde vocali in realtà somiglia più a un ronzio che a un vero e proprio suono, quindi quello che
ascoltiamo quando parliamo è ciò che è prodotto grazie all’attività delle casse di risonanza.
Dopo la laringe si riconoscono altri organi come la trachea, che decorre
prima nel collo e poi nel torace e che poi si divide nei due bronchi
principali. La trachea ha inizio subito sotto la cartilagine cricoide, per
terminare nel torace, circa a livello della quarta vertebra toracica, dove
si divide nei due bronchi principali destro e sinistro che vanno a
portare aria nei rispettivi polmoni. È un canale impari e mediano e ha
una porzione cervicale e una che prosegue nel mediastino posteriore.
I due bronchi principali che si sono formati per la divisione della trachea vengono definiti anche bronchi
extrapolmonari, proprio perché si trovano al di fuori del polmone. Tutti i bronchi che derivano dalla
ramificazione dei due bronchi principali e che si ramificano
all’interno del polmone prendono il nome di bronchi
intrapolmonari, anche se la ramificazione comincia già prima
dell’ilo. Nell’immagine si vede bene come sia fitta la
ramificazione dei bronchi all’interno dei polmoni (modello
ottenuto iniettando resina liquida all’interno delle vie
respiratorie di un essere umano). Da ogni bronco principale
che si addentra nel rispettivo polmone si formano dei bronchi
secondari, terziari, via via sempre più piccoli, fino ad arrivare
ai bronchioli. Solitamente l’insieme costituito dalla trachea e i
bronchi, con le rispettive ramificazioni, viene definito col
termine di albero bronchiale o albero tracheo-bronchiale
(sembra un albero capovolto).
Il bronco destro è più corto e di calibro maggiore rispetto al sinistro, nonché più
verticale. Il bronco sinistro è più piccolo ma più lungo, perché deve fare più
strada per raggiungere l’ilo del polmone sinistro. Questa situazione anatomica
può spiegare anche perché eventuali oggetti estranei che siano stati aspirati a
livello delle vie respiratorie, di norma tendono a finire nel bronco destro, che
rappresenta una più diretta continuazione della trachea. Questa differenza di
calibro tra i due bronchi si deve al fatto che il polmone destro presenta maggior
volume rispetto al sinistro e quindi ha una maggiore capacità respiratoria. Dal
bronco destro si formano tre bronchi lobari, mentre dal sinistro due, che si
portano ai rispettivi lobi del polmone; i lobi del polmone sono territori di
parenchima che presentano una ventilazione e una vascolarizzazione proprie.
Man mano che i bronchi entrano nel polmone, questi sono sempre in rapporto
con i vasi che entrano o escono dal polmone e con i nervi. I vasi sono i rami delle
arterie polmonari e delle vene polmonari; ci sono anche arterie e vene bronchiali che alimentano i polmoni. Con la
ramificazione bronchiale si ramificano anche i rami
del nervo vago; tutte queste strutture vascolari e
nervose si fanno strada all’interno del parenchima
polmonare, seguendo la ramificazione bronchiale.
A cavallo del bronco sinistro si trova l’arco
dell’aorta, mentre davanti al bronco destro c’è la
vena cava superiore e l’arteria polmonare destra.
Così come abbiamo osservato per la trachea,
anche i bronchi presentano uno scheletro formato
da anelli cartilaginei; anche in questo caso sono
anelli incompleti, contenuti in una tonaca fibrosa,
che posteriormente si arricchiscono di una
componente muscolare. Ci sono circa 4/6 anelli
cartilaginei per il bronco destro e 9/12 per il
bronco sinistro. Man mano che i bronchi si
dividono e ramificano cambiano la loro struttura rispetto a quella dei bronchi principali; non soltanto si riducono di
calibro, ma tendono anche a diventare più cilindrici, perché scompare la porzione membranosa posteriore. Inoltre,
gli anelli cartilaginei si frammentano in placche cartilaginee, sempre accolte all’interno di una tonaca fibrosa; man
mano che diminuisce il calibro delle diramazioni bronchiali, queste placche diventano sempre più piccole, fino a
scomparire a livello dei bronchi interlobulari. Man mano che le placche cartilaginee si riducono, si sviluppa sempre
più la componente muscolare, che forma uno strato dall’andamento circolare e spirale; in questo modo, quando le
fibrocellule si contraggono, i bronchi si possono accorciare
senza che venga occluso il loro lume. Nell’immagine, a e b
rappresentano le sezioni della trachea e del bronco principale;
le lineette nere rappresentano i fasci di muscolatura liscia che
si inseriscono sugli anelli cartilaginei. La tonaca mucosa si
solleva in pieghe longitudinali e che è costituita dall’epitelio
pseudostratificato ciliato; le ciglia creano una corrente di muco
diretta verso l’esterno, ovvero verso la faringe.
Vedendo la struttura delle ramificazioni più distali, si può
vedere come questa si modifichi. In c non ci sono più gli anelli
cartilaginei, ma si sono trasformati in placche cartilaginee (parti
grigie con puntini neri); la componente muscolare aumenta e
va a formare uno strato circolare. L’immagine d si riferisce ai
bronchioli e si nota che le placche cartilaginee sono totalmente
scomparse e il lume ha un aspetto ancora più stellato, a causa
delle pieghe più evidenti della mucosa.
Perché l’aria possa arrivare fino a livello delle superfici respiratorie, ovvero gli alveoli
polmonari, l’albero bronchiale si deve suddividere in maniera continua, con una
costante diminuzione del calibro delle strutture. Da un punto di vista funzionale si
possono distinguere due porzioni di queste vie aeree intrapolmonari. Una porzione
dei bronchi deputata alla sola conduzione dell’aria (azzurro), costituita dai bronchi
principali, lobari, segmentali o zonali e dai bronchioli intralobulari e terminali; questa
è la porzione cosiddetta conduttiva. Poi c’è la porzione respiratoria (rosa), data dai
bronchioli che iniziano a prendere il nome di bronchioli respiratori e da dei sacchi
alveolari che si formano a partire dai bronchioli respiratori e che sono formati da un
insieme di alveoli.
Per riassumere:
Man mano che l’albero bronchiale si divide fino agli alveoli, la parete si assottiglia, finché non sarà costituita da
epitelio pavimentoso semplice. Tutte queste modificazioni preludono alla funzione polmonare, ovvero lo scambio
di gas. Le strutture deputate al semplice passaggio dell’aria verso i polmoni, con una struttura rigida, a livello
distale diventano delle strutture deputate allo scambio di ossigeno e anidride carbonica.
La suddivisione in lobuli è per lo più strutturale. I lobuli sono dei territori più piccoli delle zone, delimitati da tessuto
connettivo; all’interno di ogni lobulo si trovano le unità funzionali o elementari dei polmoni, cioè gli acini
polmonari. Ogni lobulo è costituito circa da 10/15 acini polmonari. Con la suddivisione dei lobi, delle zone e dei
lobuli, anche l’albero bronchiale si divide: i lobi sono forniti da bronchi lobari, le zone dai bronchi zonali e i lobuli
dai bronchi lobulari. All’interno del lobulo, i bronchi lobulari si ramificano in rami più piccoli, che formano i
bronchioli terminali che ventilano gli acini. Le ramificazioni bronchiali all’interno del lobulo sono quelle che
costituiscono il parenchima polmonare. L’insieme dei bronchi che precedono quelli lobulari, vengono definiti come
parte intrapolmonare dell’albero bronchiale. Seguendo i bronchi, anche le arterie polmonari si ramificano e a
livello degli alveoli formano le reti di capillari. Ricalcando l’albero bronchiale si ramificano anche le arterie
bronchiali e i nervi. Dalle reti capillari che circondano gli acini, si formano le radici delle vene polmonari, che vanno
a confluire in vasi di calibro sempre maggiore che decorrono
nel connettivo interstiziale, fino a che non si formano le vene
polmonari, che terminano nel lato sinistro. Quindi il sistema dei
vasi polmonari è un sistema funzionale e costituisce la piccola
circolazione, mentre il sistema dei vasi bronchiali formano un
sistema nutritizio che fa parte della grande circolazione.
L’arteria polmonare origina nel ventricolo destro e le vene
polmonari terminano nell’atrio sinistro; le arterie bronchiali
sono rami dell’aorta toracica (rami viscerali), mentre le vene
bronchiali confluiscono nelle vene azigos ed emiazigos. In ogni
acino il bronchiolo respiratorio (o alveolare) si divide in
maniera dicotomica, cioè si formano due rami. Si stima che nei
due polmoni siano presenti 300 milioni di alveoli, ma se
immaginassimo di aprire questi alveoli e di appiattirli su una
superficie, questi coprirebbero le dimensioni di un campo da
tennis, quindi intorno a circa 85 m2, circa quaranta volte la superficie del corpo umano; tutto questo serve ad
acquisire rapidamente grandi quantità di ossigeno e a liberarsi velocemente dell’anidride carbonica che si è
formata dal metabolismo cellulare.
I macrofagi alveolari (5) sono grosse cellule tondeggianti e possono migrare tra il connettivo intra-alveolare e la
cavità alveolare.
Sotto l’epitelio alveolare si trova una lamina basale, che si fonde con la lamina basale dei capillari alveolari (8). I
capillari alveolari sono vasi molto sottili, con un calibro inferiore agli stessi globuli rossi (5/6 µm), quindi per poter
passare si impilano tra loro formando delle file, attraversando più lentamente i capillari; questo fa sì che il tempo
utile agli scambi gassosi sia maggiore.
Le fibre elastiche formano una rete a maglie larghe intorno all’alveolo, mentre le fibre collagene formano una rete
a maglie un po’ più strette.
In questa immagine si vedono bene i pori di Kohn, cioè delle finestre tra
cavità alveolari vicine, attraverso cui l’aria può fluire.
Apparato endocrino
È un apparato molto antico, già presente nei microorganismi unicellulari ed è
costituito da un insieme di ghiandole e cellule, distribuite in zone molto diverse del
copro umano. L’apparato endocrino con la sua secrezione è implicato sia nei
processi della vita vegetativa, che nei processi della vita di relazione. Insieme al
sistema nervoso, l’apparato endocrino funziona in modo da ottenere e mantenere
una stabilità dell’ambiente interno, in modo da assicurare sempre una situazione
di equilibrio in rapporto alle continue modificazioni che sia hanno nell’ambiente; i
due sistemi possono lavorare in maniera indipendente o in concerto l’uno con
l’altro, a costituire una sorta di grande sistema neuroendocrino, che è in grado di
presiedere a quelle che sono le funzioni generali del copro. Bisogna sempre tenere
presente che quasi ogni processo dell’organismo umano viene mantenuto in
equilibrio da questa interazione complessa ed estremamente precisa, grazie a
sostanze regolatrici che sono sia di natura endocrina che nervosa.
L’apparato endocrino produce delle sostanze chiamate ormoni, che vanno ad agire
su organi e tessuti bersaglio che possiedono dei recettori estremamente specifici.
L’apparato endocrino si può definire come un sistema di comunicazione complesso, che integrato col sistema
nervoso controlla per via umorale (attraverso il sangue) molte funzioni essenziali alla sopravvivenza dell’individuo,
alla sua crescita e al mantenimento della specie.
La regolazione endocrina di diversi processi del copro umano inizia molto precocemente nello sviluppo, già durante
la vita intrauterina. Dopo la nascita diversi ormoni sono già in grado di influenzare l’attività di varie cellule bersaglio
presenti nel copro; è proprio un meccanismo di tipo endocrino, ovvero un segnale ormonale prodotto dal feto, che
raggiunge la madre e che da inizio al travaglio del parto. In un senso molto ampio si può dire che la funzione
dell’apparato endocrino è quella di trasmettere delle informazioni molto sofisticate, andando a completare le
funzioni del sistema nervoso.
A differenza del sistema nervoso, il sistema endocrino agisce più lentamente, in un arco di tempo più lungo che va
dai trenta minuti alle tre ore circa; nel caso di alcuni ormoni, come quello della crescita, i tempi sono decisamente
più lunghi. L’apparato endocrino agisce anche più diffusamente, perché tutte le cellule del copro sono raggiunte
dai messaggi ormonali; inoltre è un sistema afferente, quindi invia prevalentemente dei segnali diretti alla
periferia.
Questa compartecipazione di questi due principali sistemi di regolazione, ci consente di avere un controllo molto
preciso su molti parametri, come ad esempio assorbimento e immagazzinamento di ioni calcio, metabolismo dei
nutrienti e capacità produttive. Il sistema nervoso, con i suoi messaggi continui, controlla direttamente solo i
muscoli e le ghiandole, che sono quindi innervate da fibre afferenti; il sistema endocrino, invece, agisce in maniera
più diffusa, quindi è in grado di regolare molte cellule del corpo umano. Gli effetti dei neurotrasmettitori hanno
durata più breve, mentre gli effetti legati agli ormoni hanno durata più lunga.
Gli ormoni possono essere sostanze di natura chimica anche molto diversa e sono prodotti dalle ghiandole
endocrine. Da un punto di vista morfologico, le ghiandole endocrine differiscono da quelle esocrine perché non
possiedono dei dotti escretori; quindi sono complessi formati da cellule secernenti che derivano da un epitelio di
rivestimento, ma perdono il collegamento con l’epitelio di origine e riversano il loro prodotto di secrezione
direttamente nel sangue. Le ghiandole endocrine hanno generalmente aspetti morfologici comuni, cioè sono tutte
formate da cellule che presentano le caratteristiche di elementi secretori, ma queste cellule possono associarsi a
formare strutture con una morfologia diversa tra loro; possono formare cordoni, follicoli o gruppi. Una
caratteristica distintiva delle ghiandole endocrine è quella di essere a contatto sempre con una grande quantità di
capillari sanguigni.
La maggior parte delle cellule nervose sono formate da un epitelio di tipo ghiandolare, ma ci sono dei casi in cui
possono essere formate da un tessuto neurosecernente, ovvero dei semplici neuroni che però producono dei
messaggi chimici; questi messaggi chimici anziché essere riversati nello spazio sinaptico (come di norma avviene
per quanto riguarda il sistema nervoso) vengono riversati anch’essi nel sangue. In questo caso, anziché prendere il
nome di neurotrasmettitore, prende il nome di ormone. Ad esempio, la noradrenalina è un neurotrasmettitore del
sistema nervoso; quando questa è rilasciata da un neurone e diffonde nella fessura sinaptica andandosi poi a
legare a dei recettori presenti sul neurone post-sinaptico, allora si parla di un neuro trasmettitore, mentre se la
stessa noradrenalina diffonde prima nel sangue e poi si lega a un recettore presente nella cellula bersaglio, allora si
parla di ormone.
Per quanto riguarda la classificazione degli ormoni prodotti dalle ghiandole o cellule endocrine, si possono
classificare in vari modi. Una prima classificazione si basa sulla struttura chimica di queste sostanze:
• Gli ormoni steroidei sono quelli sintetizzati dalle cellule endocrine, a partire dalla molecola del colesterolo,
ovvero un lipide molto importante. Gli steroidi, essendo derivati dal colesterolo, sono sostanze solubili nei
lipidi, quindi sono in grado di attraversare la membrana cellulare delle cellule bersaglio. Alcuni esempi di
ormoni steroidei sono i glicocorticoidi, i mineralcorticoidi, gli androgeni, gli estrogeni e i porgestinici.
• Gli ormoni di natura proteica o glicoproteica sono formati da catene di amminoacidi, come l’insulina e il
glucagone, prodotti dalle isole pancreatiche. Si parla di glicoproteine quando alle catene di amminoacidi si
legano anche i gruppi di carboidrati, come ad esempio l’FSH, l’LH e il TSH; questi sono ormoni ipofisari
rispettivamente follicolostimolante, luteinizzante e tireostimolante.
• Le catecolamine derivano da amminoacidi, come l’adrenalina e la noradrenalina, che derivano
dall’amminoacido triptofano e che sono prodotte dalla midollare del surrene.
• Le sostanze iodinate, che contengono iodio, sono ad esempio gli ormoni tiroidei.
• I peptidi a breve catena sono sempre formati da catene di amminoacidi, ma più brevi, formate quindi da
pochi amminoacidi; sono quindi piccole sostanze ormonali e un tipico esempio sono gli ormoni ipotalamici
stimolanti e inibenti l’ipofisi (ipotalamo fa parte del sistema nervoso, che attua la neurosecrezione).
Gli ormoni possono essere anche classificati in base alla loro funzione generale in ormoni tropici, le cosiddette
tropine, che hanno come organi bersaglio altre ghiandole endocrine; ci sono gli ormoni sessuali, che hanno come
organi bersaglio quelli della riproduzione, ci sono gli ormoni anabolici, che vanno a stimolare l’anabolismo nelle
cellule bersaglio, ovvero la sintesi di sostanze complesse.
Quando più ormoni lavorano per avere lo stesso effetto su una stessa cellula bersaglio, si parla di sinergismo o
effetto sinergico; invece, quando due ormoni agiscono in modo tale che uno abbia un effetto opposto rispetto
all’altra, allora si parla di ormoni antagonisti, quindi di antagonismo. L’antagonismo è un fenomeno molto utilizzato
in natura, perché consente di regolare con estrema precisione l’attività delle cellule bersaglio.
Il legame tra ormone e recettore può determinare meccanismi di azione differenti in base al tipo di ormone.
In questa immagine è rappresentato il meccanismo di azione degli
ormoni proteici, che sono quindi idrosolubili. Essendo idrosolubili non
sono in grado di attraversare la membrana cellulare fosfolipidica e
quindi si legheranno a recettori presenti sulla membrana della cellula
bersaglio. Questo legame tra l’ormone e il recettore specifico innesca
una cascata di reazioni, che ha come effetto finale l’attivazione di una
proteina presente nel citoplasma cellulare; queste proteine attivate
innescano delle reazioni che portano alla risposta finale fisiologica.
Gli ormoni sono sostanze in grado di agire a concentrazioni molto piccole, quindi i meccanismi di regolazione
devono essere molto sofisticati per mantenere queste concentrazioni all’interno di un range ottimale. Di
conseguenza, l’attività delle ghiandole endocrine viene controllata in maniera costante da una serie di sistemi che
hanno il compito continuo di adeguare i livelli ormonali alle esigenze dell’organismo. Il principale tra questi
meccanismi di regolazione è quello a feedback, cioè retroattivo. Questo significa che la secrezione ormonale è
regolata dalla stessa concentrazione dell’ormone o dalle funzioni che sono legate ad esso. In pratica, il controllo
della secrezione ormonale fa parte di un circuito a feedback negativo, cioè che in questo modo si tende ad
eliminare ogni deviazione che riguardi l’ambiente interno, deviazione che allontani rispetto a un punto ottimale di
funzionamento, da un certo valore programmato. In alcuni casi molto più rari, la secrezione ormonale è regolata da
un feedback positivo; in questo caso la deviazione rispetto a un certo valore programmato, anziché essere ridotta
come nel feedback negativo, viene amplificata. In pratica, il circuito a feedback negativo si ha quando il prodotto
finale di una via agisce interrompendo o rallentando la via stessa; al contrario, un circuito a feedback positivo è
coinvolto quando il prodotto finale di una via deve stimolare ulteriormente l’attività di quella via. Ad esempio, il
paratormone secreto dalle paratiroidi, che produce delle risposte da parte delle sue cellule bersaglio che sono gli
osteoclasti del tessuto osseo, ovvero fa rilasciare ioni calcio nel sangue, facendo innalzare la calcemia; quando
questa concentrazione supera il valore ottimale, le cellule delle paratiroidi vengono avvertite e per via riflessa
riducono la secrezione di paratormone. Ci sono feedback più lunghi come quello di alcune ghiandole endocrine che
sono regolate nella loro attività da un ormone prodotto da un’altra ghiandola endocrina, come l’ipofisi; questa
regola altre ghiandole endocrine, compresa la tiroide producendo l’ormone TSH (tireotropina) il quale agisce sulla
tiroide, stimolandola a produrre i suoi ormoni. Ci sono processi di feedback ancora più lunghi, perché anche la
secrezione dell’ipofisi è regolata a sua volta dall’ipotalamo, che svolge attività di neurosecrezione e che fa parte del
sistema nervoso.
Tutti questi sistemi di controllo esercitati da questi circuiti a feedback più o meno lunghi, consentono una
regolazione molto precisa della secrezione ormonale, quindi una più precisa regolazione dell’ambiente interno
dell’organismo.
Esempio:
Le paratiroidi sono sensibili alle variazioni di calcio
nel plasma. Quando una donna allatta e quindi
produce latte per il suo bimbo, si ha un grande
consumo di calcio e di conseguenza la
concentrazione di calcio nel sangue si abbassa. Le
paratiroidi rilevano questa riduzione e rispondono
aumentando la secrezione dell’ormone che esse
producono, cioè il PTH (paratormone); questo ha il
compito di stimolare l’attività di quelle cellule del
corpo che sono gli osteoclasti, i quali erodono la
matrice ossea, rimuovono il calcio in esse
depositato e come conseguenza si ha un aumento
della calcemia, fino a ripristinare la concentrazione
iniziale. In pratica, si può paragonare questo circuito
a feedback negativo al termostato di una casa.
Esempio:
Il processo di rilascio del latte è regolato con
un feedback positivo. Quando il bambino
succhia il latte produce uno stimolo iniziale
che invia degli impulsi nervosi a un organo
nervoso, che è l’ipotalamo, che produce
l’ormone ossitocina. Questa viene rilasciata nel
sangue a livello dell’ipofisi posteriore
(neuroipofisi). L’ossitocina agisce sulla
ghiandola mammaria stimolandola a liberare il
latte. Fino a quando il latte è rilasciato, il
bambino continua a succhiare, continuando a stimolare l’ipotalamo; più il bambino succhia, più il latte viene
prodotto e il processo continuerà finché il bambino non smette di succhiare o finché tutto il latte non viene
secreto. Un feedback positivo è quindi un processo che accelera quello originario, assicurando che questo continui
nel tempo e che ne sa aumentata l’attività.
Sono tantissime le patologie che colpiscono il sistema endocrino, perché le ghiandole endocrine sono molto
numerose; spesso si tratta di patologie anche molto serie. Di solito forme tumorali causano una secrezione in
eccesso o in difetto degli ormoni; si parla di ipersecrezione quando si ha una produzione ormonale in eccesso,
mentre si parla di iposecrezione quando è in difetto. In certi casi alcuni disordini endocrini che in prima analisi
sembrano riferirsi ad un problema di iposecrezione, in realtà potrebbero essere causati da dei difetti a carico delle
cellule bersaglio che rispondono a quel determinato ormone; potrebbero essere danneggiati i recettori,
potrebbero essere scarsi o presentare qualche anomalia e in tutti questi casi le cellule non possono rispondere in
maniera adeguata a quell’ormone. In altre parole, la mancata risposta delle cellule bersaglio può anche non essere
dovuta a un’iposecrezione dell’ormone, bensì ad una certa insensibilità delle cellule bersaglio stesse. È il caso del
diabete di tipo 2 non insulino dipendente, in cui l’aumento della glicemia può essere dovuta ad un effettivo deficit
di secrezione di insulina o da un’insulino-resistenza, tipica del diabete adulto, che consiste proprio nell’incapacità
di certi organi di rispondere all’insulina. L’insulina è un ormone prodotto dal pancreas, il cui compito è quello di far
entrare il glucosio all’interno delle cellule e quando ci sono dei difetti recettoriali nella cellula, il glucosio non riesce
a entrarvi, restando nel circolo sanguigno con conseguente aumento della glicemia. Il pancreas cerca di superare
quest’insulino-resistenza producendo più insulina e questo fa sì che nel tempo, questa iperproduzione provochi
una sorta di esaurimento funzionale, per cui il pancreas tende a produrre sempre meno insulina; infatti, spesso
l’evoluzione del diabete di tipo 2 è caratterizzato da un peggioramento dell’iperglicemia, il che comporta che si
debba rivalutare nel tempo anche il programma terapeutico. Per eliminare l’eccesso di glucosio nel sangue, il
soggetto diabetico presenta un’aumentata perdita di acqua, quindi un’elevata escrezione di urina, con glicosuria.
Ipofisi
L’ipofisi è una ghiandola molto piccola, ma ciò nonostante è
importantissima; pesa meno di un grammo ed è grande
all’incirca come un cece. È in grado d regolare l’intero
organismo, quindi è stata definita come la direttrice del
sistema endocrino. È localizzata all’interno della scatola
cranica, alloggiata all’interno di una cavità della base
cranica, in particolare nella cavità dell’osso sfenoide; questa
cavità prende il nome di sella turcica. La parte superiore
della sella turcica presenta una sorta di tetto, formato dalla
duramadre, cioè la meninge protettiva più esterna; la
duramadre forma una piega a questo livello, che prende il
nome di diaframma della sella, che separa l’ipofisi dalle
formazioni dell’encefalo. Il diaframma della sella presenta
un’apertura attraverso cui passa una formazione, ovvero il peduncolo ipofisario dell’ipofisi, detto anche
infundibolo. Questo peduncolo connette l’ipofisi all’organo del sistema nervoso situato superiormente, cioè
l’ipotalamo, che è quindi la porzione ventrale
anteriore del diencefalo (parte tra due emisferi
cerebrali) e che è delimitato anteriormente dal
chiasma ottico. In questa immagine l’ipofisi è
colorata di due colori diversi, perché può essere
considerata come formata da due ghiandole
distinte. Queste due parti hanno una diversa
derivazione embriologica; la parte anteriore
dell’ipofisi prende il nome di adenoipofisi, mentre
quella posteriore si chiama neuroipofisi. La prima
si sviluppa come evaginazione verso l’alto della
volta della cavità buccale ed è formata da un
tessuto ghiandolare endocrino; invece, la
neuroipofisi si sviluppa da un’evaginazione della
base del cervello ed è costituita da tessuto nervoso a funzione secernente. Ne consegue che anche i numerosi
ormoni prodotti dalle due parti, presiedono a funzioni molto diverse tra loro.
In questa parte del sistema nervoso sono presenti dei neuroni secernenti,
anche detti magni-cellulari (dimensioni maggiori rispetto ad altri neuroni
ipotalamici), e si localizzano nel nucleo sovraottico e paraventricolare. Questi
neuroni sono dotati di assoni che raggiungono la neuroipofisi, dove vanno a
contattare direttamente i capillari presenti in essa e immettono direttamente
nel sangue il loro secreto. Questi assoni formano il fascio ipotalamo-
ipofisario, che termina a ridosso dei capillari della neuroipofisi.
Il GH è sintetizzato dalle cellule somatotrope dell’adenoipofisi e la sua funzione primaria è quella di promuovere
l’accrescimento, perché a livello epatico induce la sintesi di un fattore di crescita, che stimola la sintesi proteica,
particolarmente a livello delle cartilagini di crescita e delle masse muscolari. Inoltre stimola il metabolismo dei
lipidi, mobilitandoli dai loro depositi e stimolandone l’utilizzo da parte delle cellule. Nel caso di ipersecrezione di
GH durante il periodo della crescita, prima che si sia avuta l’ossificazione delle cartilagini di accrescimento delle
ossa lunghe, la conseguenza è una rapida ed esagerata crescita scheletrica; questa condizione è definita col
termine di gigantismo. Se l’ipersecrezione di GH aumenta dopo che si è avuta l’ossificazione delle cartilagini di
accrescimento, allora si ha una condizione nota col termine di acromegalia (dal greco άκρος, akros "estremo" o
"estremità" e μεγάλος, megalos "grande"); in questo caso la cartilagine rimasta a livello dello scheletro costituisce
il nuovo osso e questa crescita anomala può causare delle deformità, come ingrandimento delle mani, dei piedi,
della mascella, della faccia e un ispessimento della pelle. Quando al contrario, durante gli anni di crescita si ha
un’iposecrezione di GH, la crescita corporea è ridotta e questa situazione prende il nome di nanismo ipofisario,
caratterizzato da una ridotta crescita corporea, ma che è armonica; nel nanismo ipofisario lo sviluppo scheletrico
non è adeguato all’età del soggetto, ma avviene in maniera proporzionata. Somministrando GH prima della
pubertà, per un certo numero di anni, si possono avere dei miglioramenti dell’altezza, anche se limitati.
Gli ormoni tropici, anche dette tropine, sono quelli che stimolano altre ghiandole endocrine, stimolano cioè lo
sviluppo delle rispettive ghiandole bersaglio e ne influiscono la secrezione. Tra le tropine il TSH è anche chiamato
tireotropina ed è una glicoproteina che agisce sulla tiroide, promuovendo e mantenendo l’accrescimento e lo
sviluppo della tiroide, stimolandola a secernere gli ormoni tiroidei.
L’ormone adenocorticotropo o ACTH, è chiamato anche corticotropina perché agisce sulla corticale del surrene,
stimolandone la secrezione ormonale.
Le gonadotropine agiscono sulle gonadi, ovvero ovaio e testicoli; in particolare sono l’ormone follicolostimolante o
FSH e l’ormone luteinizzante o LH. Questi due ormoni stimolano la crescita e mantengono le funzioni di ovaio e
testicoli. Durante l’infanzia l’adenoipofisi secerne quantità non significative di gonadotropine; la quantità di queste
aumenta a partire da qualche anno prima della pubertà, per poi raggiungere livelli massimi di secrezione al
momento della pubertà, in cui si ha lo sviluppo delle gonadi e l’inizio delle loro normali funzioni. In particolar modo
l’FSH stimola i follicoli primari contenuti nell’ovaio a crescere e a giungere a maturazione; ogni follicolo ovarico
contiene una cellula uovo in via di sviluppo, che verrà poi rilasciata durante l’ovulazione. Questo stesso ormone,
nei testicoli, ha l’azione di stimolare lo sviluppo dei tubuli seminiferi, mantenendo la spermatogenesi, ovvero la
produzione degli spermatozoi. L’LH stimola nell’ovaio la formazione e l’attività del corpo luteo, che può essere
considerato come una ghiandola endocrina; corpo luteo significa letteralmente “corpo giallo”, cioè ciò che resta del
follicolo ooforo dopo che questo si è rotto e ha rilasciato la cellula uovo che conteneva. Il corpo luteo ha un’intensa
attività di secrezione e sintetizza progesterone ed estrogeni, in risposta all’LH. Nel sesso maschile l’LH stimola
cellule presenti nello stroma dei tubuli seminiferi, dove sono presenti le cellule di Leydig e sono responsabili della
produzione di testosterone.
In linea generale gli ormoni tiroidei regolano lo sviluppo cerebrale del feto e del lattante e sono necessari per lo
sviluppo dello scheletro fetale; durante la vita embrionale e fetale, gli ormoni tiroidei stimolano la maturazione del
sistema nervoso centrale e dello scheletro. Nell’adulto regolano l’attività metabolica, influenzando la funzione di
tutti gli organi e tessuti; hanno anche un’azione termogenetica, cioè di innalzamento della temperatura corporea.
L’azione termogenetica consiste nel fatto che venga aumentato il consumo di ossigeno a riposo, quindi viene
innalzato il metabolismo basale, di conseguenza anche la temperatura corporea e quindi il fabbisogno calorico
quotidiano. Nel cuore aumentano la contrattività del miocardio e quest’azione viene definita col termine effetto
inotropo positivo; innalzano anche la frequenza cardiaca e questo effetto viene identificato col termine cronotropo
positivo.
Questa è una sezione della ghiandola surrenale. L’80% è costituita dalla parte
corticale, chiamata anche corteccia surrenalica, mentre la zono circoscritta da
questa è la midollare, che rappresenta circa il 20% del parenchima.
La corticale è costituita da zone che hanno un aspetto diverso dal punto di vista
morfologico: sono formate da cellule secernenti che si organizzano in maniera
diversa, andando a formare tre zone, una glomerulare, una fascicolata e una
reticolare. Nella zona glomerulare le formazioni cordonali organizzano dei gomitoli,
nella zona fascicolare le cellule formano delle strutture allungate, mentre in quella
reticolare le cellule si anastomizzano formando una specie di reticolo. Tutte queste
cellule sono formate da una grande quantità di vasi sanguigni, che tendono ad
assumere un andamento simile a quello delle tre diverse zone. Queste tre zone
producono ormoni diversi, anche se sono tutti steroidei.
La zona glomerulare produce ormoni mineralcorticoidi, che regolano il metabolismo
minerale, ovvero il contenuto degli elettroliti; tra questi ormoni è importante
l’aldosterone, che mantiene l’equilibrio degli ormoni sodio e potassio. A livello dei tubuli renali, in particolare nel
tubulo distale e del dotto collettore, l’aldosterone aumenta il riassorbimento del sodio, favorendo
contemporaneamente all’eliminazione del potassio; siccome riassorbire ioni sodio vuol dire anche riassorbire
una certa quantità d’acqua, ne consegue che l’aldosterone fa sì che l’acqua sia trattenuta dal corpo.
La fascicolare produce ormoni glucocorticoidi, che agiscono sul metabolismo dei carboidrati; questi ormoni
stimolano la gluconeogenesi, cioè la trasformazione in glucosio degli amminoacidi provenienti dalla degradazione
delle proteine, favorendo l’utilizzo dei lipidi. Il risultato di queste azioni ha un effetto iperglicemizzante. Tra questi
ormoni è presente il cortisolo, quindi hanno anche effetto di diminuire le risposte infiammatorie immunitarie,
consentendo la guarigione in seguito ad eventuali danni provocati da agenti infiammatori. La produzione di
cortisolo, o ormone dello stress, aumenta in situazioni di stress psico-fisico, quindi servono ad aumentare la
disponibilità di glucosio nel sangue, in modo che possa essere utilizzato dai muscoli nei momenti in cui ce n’è
bisogno, quindi in risposte di attacco e fuga; in pratica vengono prodotti quando viene chiesto al corpo di spendere
energia perché bisogna far fronte ad un evento stressante in cui il corpo dev’essere immediatamente attivo. Il
cortisolo inibisce le funzioni che non sono indispensabili nel breve periodo e garantisce un più alto sostegno agli
organi vitali, quindi nel cuore aumenta la gittata cardiaca, aumenta la glicemia, incrementa la gluconeogenesi a
livello epatico, stimola la secrezione del glucagone, riduce le difese immunitarie riducendo le risposte
infiammatorie e favorisce il catabolismo proteico, stimolando la conversione in glucosio delle proteine. La
produzione del cortisolo in particolare, segue un chiarissimo ritmo circadiano, quindi si ha una nettissima
variazione giornaliera per quando riguarda le concentrazioni plasmatiche; si ha il suo picco al mattino, quando è
indispensabile che il nostro organismo sia pronto ad affrontare la giornata. È uno di quegli ormoni che ha uno
spostamento dei valori più alti tra i soggetti mattutini, che presentano un picco di cortisolo molto presto la
mattina, piuttosto che nei serotini, che avviene più tardi.
La zona reticolare produce ormoni gonadocorticoidi, quindi sono ormoni sessuali che mimano l’azione degli ormoni
maschili, quindi sono ormoni steroidei anabolizzanti, che stimolano la sintesi proteica.
La midollare del surrene è formata da elementi neurosecernenti, ovvero dei neuroni un po’ modificati che
riversano il loro prodotto nel sangue. Effettivamente queste cellule endocrine della midollare si possono
considerare come una sorta di neuroni post-gangliari, ovvero neuroni del simpatico che sono innervati da fibre di
neuroni pre-gangliari. Quando viene attivato il simpatico in condizioni di stress, le cellule della midollare secernono
i loro ormoni nel sangue con grande rapidità; questi ormoni sono le catecolamine, ovvero l’adrenalina e la
noradrenalina. L’adrenalina rappresenta l’80% del secreto della midollare. La noradrenalina è anche il
neurotrasmettitore che viene liberato dalle fibre post-gangliare del simpatico, per cui organi come il cuore, la
muscolatura liscia e le ghiandole presentano dei recettori per questo ormone. Le azioni di queste catecolamine
sono legate a situazioni di stress, in quanto vengono messe in circolo con estrema rapidità in seguito ad una
stimolazione nervosa diretta; questo ogni qualvolta serve a preparare l’organismo a sforzi sia psichici che fisici,
perché questi ormoni aumentano la pressione arteriosa, la forza di contrazione del cuore e la frequenza cardiaca.
Nell’ipotalamo ci sono altri nuclei che contengono neuroni che inviano delle fibre, che vanno ad agire sulla
midollare, stimolandola a produrre le catecolamine. Sono composti che contengono un anello benzenico e due
gruppi ossidrilici, oltre che ad una catena amminica. La noradrenalina viene convertita in adrenalina che
effettivamente è la sostanza che viene liberata definitivamente dalla midollare del surrene. l’immissione di questo
ormone non è continua ma è legata a situazioni di stress, cioè quando l’organismo si sente minacciato sia
fisicamente che psicologicamente.
La regione midollare del surrene ha la funzione controllata dal sistema nervoso centrale in maniera diretta
attraverso degli impulsi nervosi. Questo meccanismo di controllo consente di liberare rapidamente le
catecolamine, che aumentano la pressione arteriosa, dilatano i bronchi, aumentano la frequenza cardiaca, fanno sì
che il glicogeno venga degradato in glicogeno aumentando la glicemia ed accelerano gli atti respiratori; inibiscono
la peristalsi intestinale. Questi ormoni intervengono in un’azione generalizzata legata al sistema simpatico,
chiamata reazione fight and flight.
Pancreas
Se confrontato alla colonna vertebrale, il pancreas si
trova a livello delle prime due vertebre lombari L1
L2. Il pancreas è un organo a forma allungata in
direzione orizzontale; presenta una testa, un corpo
e una coda che lambisce la milza. La testa del
pancreas è in stretto rapporto con il duodeno, in
particolare con la C duodenale, quindi è alloggiata
nella concavità del duodeno. Sulla faccia anteriore
del pancreas è poggiata la radice del mesocolon
trasverso, ovvero una piega peritoneale del colon
trasverso. La radice del mesocolon divide l’addome in una porzione sovramesocolica e una sottomesocolica. Il
pancreas si trova in una porzione molto profonda nella cavità addominale, pertanto l’approccio chirurgico a
quest’organo è piuttosto complicato. Il pancreas appartiene anche all’apparato digerente e la parte endocrina è
quantitativamente inferiore e si trova sparsa nella parte esocrina; la parte endocrina del pancreas prende quindi il
nome di isole pancreatiche o isole di Langerhans, che sono circondate dagli acini ghiandolari esocrini.
L’ormone FSH favorisce la spermatogenesi, agendo sulle cellule dei tubuli seminiferi, mentre l’ormone LH agisce
sulle cellule di Leydig facendo produrre testosterone e prendendo quindi il nome di ICSH.
Alla nascita i follicoli presenti nella corticale dell’ovaio sono circa un milione; ogni follicolo è formato da un ovocita
primario che ha già subito la prima divisione meiotica durante la vita fetale e viene circondato da uno strato di
cellule follicolari. Fino alla pubertà i follicoli rimangono in uno stato di quiescenza e in parte alcuni degenerano; alla
pubertà inizia la secrezione dell’ormone FSH follicolostimolante dell’ipofisi, per cui sotto la stimolazione di questo
ormone, alcuni follicoli in maniera ciclica iniziano il processo di maturazione che dura 14 giorni. Siccome alla
nascita gli ovai contengono solo ovociti, è chiaro che la formazione degli ovociti maturi, cioè la gametogenesi
femminile, è destinata ad interrompersi quando non ci saranno più ovociti in grado di maturare, cosa che si ha
intorno ai cinquant’anni con la menopausa.
Il primo giorno del ciclo ovarico corrisponde all’inizio della maturazione del follicolo, sotto lo stimolo dell’ormone
FSH; l’ovocita primario diventa man mano ovocita secondario e il follicolo comincia a produrre gli ormoni
estrogeni. Dopo circa 14 giorni finisce la fase di maturazione, quindi il follicolo maturo scoppia e espelle l’ovocita,
quindi si ha l’ovulazione. Una volta avvenuta l’ovulazione, il follicolo si trasforma e diventa un corpo luteo, che
letteralmente significa corpo giallastro; questo, sotto l’azione dell’ormone LH lutenizzante, continua a produrre
estrogeni, ma produce anche il progesterone. Il corpo luteo può essere considerata come una vera e propria
ghiandola endocrina, seppur temporanea. Al 28esimo giorno il corpo luteo cessa la sua attività, a meno che non si
sia presentata una gravidanza, e degenera trasformandosi in una sorta di cicatrice, chiamata corpo albicante. Al
28esimo giorno la produzione di LH si riduce e riprende quella dell’FSH, quindi il ciclo ricomincia. Tutta questa
sequenza è quella che viene definita ciclo ovarico, che a partire dalla pubertà si ripete più o meno ogni 28 giorni,
fino a quando non interviene una gravidanza. Il ciclo ovarico è strettamente legato al ciclo uterino, costituendo il
cosiddetto ciclo mestruale. Il progesterone mantiene la mucosa dell’utero nelle condizioni ottimali perché possa
avvenire l’impianto dell’uovo e quindi che possa esserci una gravidanza.
Epifisi
Detta anche ghiandola pineale ed è più piccola
dell’ipofisi. È situata nell’encefalo, sopra ai tubercoli
quadrigemini superiori. La ghiandola pineale è una
formazione che appartiene al diencefalo, in
particolare è annessa all’epitalamo e quindi
appartiene al sistema nervoso, perché riceve stimoli
dalla retina, ma anche del sistema endocrino perché
in risposta a questi stimoli produce l’ormone
melatonina. Questo ormone regola le funzioni del
nostro orologio biologico, insito nel corpo umano e
che regola i ritmi circadiani; questo orologio
biologico induce una serie di variazioni cicliche di
molte variabili ormonali e altre funzioni. Influisce
anche sul comportamento durante il giorno. L’epifisi
ha quindi una funzione di sensore delle variazioni di luce provenienti dall’ambiente e registra le variazioni luce-
buio; la melatonina è un induttore del sonno e la sua secrezione viene quindi inibita dalla luce solare. Di
conseguenza è un ormone che presenta un evidente ritmo circadiano, quindi si ha una produzione massima
alla sera e minima durante il giorno.
Apparato digerente
È un apparato della vita vegetativa e per svolgere le sue funzioni necessita del contributo del sistema nervoso,
endocrino, circolatorio e respiratorio. Il compito principale dell’apparato digerente è quello di mantenere la
concentrazione costante dei nutrienti nell’ambiente interno; questo compito è possibile riducendo i materiali
alimentari introdotti, in nutrienti più semplici, che poi possono essere assorbiti. È chiaro che l’apparato digerente
deve disporre di mezzi di assorbimento, presenti nelle cellule assorbenti della mucosa intestinale. Le sostanze
assorbite sono immesse nel sangue e distribuite a tutte le cellule. Non tutto ciò che introduciamo con gli alimenti
può essere ridotto a molecole assorbibili, quindi una parte viene eliminata con le feci; l’apparato digerente elimina
anche sostanze tossiche prodotte dal nostro stesso catabolismo.
Quindi il cibo viene immesso nella cavità orale dove avviene la masticazione ad opera dei denti (digestione
meccanica), viene poi impastato con la saliva che è una soluzione acquosa prodotta dall’attività delle ghiandole
salivari e la lingua rimescola il cibo partecipando alla deglutizione. Nello stomaco e poi nell’intestino avviene in
vero e proprio processo di digestione chimica, a cui partecipano due grosse ghiandole extramurali, che sono il
pancreas e il fegato che producono sostanze fondamentali per il processo digestivo. Nell’intestino tenue si realizza
il processo di assorbimento delle molecole semplici, mentre nell’intestino crasso si ha il riassorbimento dell’acqua.
Nell’intestino crasso la flora intestinale utilizza i residui non digeriti e produce vitamine utili all’organismo. Infine le
feci sono evacuate all’esterno attraverso l’ano.
Nella cavità orale il cibo è unito alla saliva che è una soluzione acquosa prodotta dalle ghiandole salivari; in
particolare è formata da una miscela di acqua per il 97%, da muco e da ptialina, ovvero un’amilasi salivare (enzima)
che è in grado di trasformare l’amido in maltosio. Quindi comincia già a livello della bocca la trasformazione degli
amidi. Nella saliva è anche contenuto un altro enzima a funzione antibatterica, ovvero il lisozima. Quindi la saliva
ha sia il compito di umidificare le mucose e di preparare gli alimenti per la digestione, ma ha anche un compito
antisettico e di proteggere l’esofago dopo che il bolo è stato deglutito.
La cavità boccale propriamente detta si trova tra il vestibolo della
bocca e l’istmo delle fauci, cioè l’apertura di comunicazione tra cavità
orale e faringe. La cavità orale ha una forma più o meno ovoidale con
un asse maggiore antero-posteriore e quando le arcate dentali sono
chiuse (occlusione) è occupata interamente dalla lingua. Nel vestibolo
della bocca si trova l’orifizio di sbocco della parotide, mentre a livello
della cavità orale sboccano le altre due ghiandole salivari maggiori,
cioè la sottomandibolare e la sottolinguale. La cavità orale ha uno
scheletro osseo con un tetto formato dal palato duro e in parte dal
palato molle, mentre la parte inferiore è formata dalla lingua; la parete
posteriore è incompleta ed è data dal palato molle che col suo margine
delimita l’istmo delle fauci. Il pavimento della bocca è formato dai
muscoli sopraioidei e dai muscoli linguali. La lingua è un organo
muscolo-mucoso e molto mobile, perché presenta una grande
componente muscolare che in superficie è rivestita da
una mucosa. Nella lingua si distingue un corpo, che è la
parte libera, una base che prosegue nella radice, ovvero
la parte della lingua che non è visibile e attraverso cui si
connette agli attacchi ossei. Al limite tra il corpo e la
base è visibile il solco terminale a forma di V aperta in
avanti, nel corpo della lingua si distingue l’apice che è
più sottile, un dorso convesso e un po’ depresso al
centro, una faccia inferiore, anch’essa con un solco
mediano che giunge fino al frenulo della lingua. La base
della lingua volge verso la faringe, l’epiglottide e l’istmo
delle fauci. La superficie della lingua presenta dei rilievi,
ovvero le papille, che possono essere filiformi,
fungiformi e vallate; le papille vallate o circumvallate si
trovano davanti al solco terminale, si possono vedere
anche ad occhio nudo e si chiamano così perché intorno alla papilla c’è una specie di
solco circolare chiamato vallo. I diversi tipi di papilla sono tutti in grado di percepire le
sensazioni di base, quindi il dolce, l’acido, l’amaro e il salato, ma le diverse papille sono
distribuite in maniera piuttosto diversa sulla lingua e rispondono con diversa intensità
ai diversi stimoli; ci sono quindi delle zone della lingua particolarmente sensibili ad un
determinato gusto, piuttosto che ad un altro. In questa sezione frontale della lingua si
nota bene come quest’organo abbia una grossissima componente muscolare,
supportata internamente da uno scheletro fibroso; si può notare all’interno anche la
presenza di ghiandole linguali.
Va considerato quindi che tutta la parete della cavità orale è rivestita da una mucosa
ricca di ghiandole salivari intramurali, che secernono saliva. Lubrificando la cavità
orale, la saliva ha anche un compito nel favorire la fonazione. Oltre alle ghiandole
intramurali ci sono tre grosse ghiandole salivari maggiori annesse alla bocca, ovvero
le parotidi, le sottomandibolari e le sottolinguali.
La parotide (1) è accolta nella loggia parotidea nella regione
laterale del collo al di sotto del padiglione auricolare, dietro il ramo
della mandibola e davanti al muscolo sternocleidomastoideo (un
po’ più spostata rispetto all’immagine). Le ghiandole
sottomandibolari (2) sono accolte da logge sottomandibolari a
livello della mandibola e le ghiandole sottolinguali (3) accolte nel
pavimento nella cavità orale. Queste ghiandole sottolinguali sono
in realtà formate da un agglomerato di piccoli lobuli, piuttosto che
da un’unica ghiandola, queste tre ghiandole sono pari, mentre
quelle intramurali sono sparse nel palato, nella lingua, ecc. Queste
tre coppie di ghiandole sono in genere tubulo acinose, con una
secrezione un po’ più sierosa (fluida) per la parotide ed un po’ più
mucosa (viscosa) per le altre due. Il dotto parotideo perfora il
muscolo buccinatore e il suo sbocco si viene a trovare a livello del secondo molare superiore.
La deglutizione si articola in tre fasi, una orale che scatena il processo, in cui il bolo viene spinto nella parte
posteriore della bocca in maniera volontaria; alla fase orale segue la fase faringea fino all’esofago. Questa fase
dura circa due secondi, perché in questo tempo la respirazione viene interrotta per la chiusura dell’epiglottide.
L’ultima fase è quella esofagea in cui il bolo viene spinto grazie alla contrazione della muscolatura esofagea in
direzione dello stomaco.
Faringe
La faringe l’abbiamo già osservata nell’apparato respiratorio. Per quanto
riguarda l’apparato digerente, fa seguito all’istmo delle fauci per continuare
con l’esofago. È principalmente un organo muscolare, con muscoli costrittori
ed elevatori, quindi si dilatano quando devono accogliere il bolo alimentare,
mentre in condizioni di riposo ha un lume più ristretto. Il bolo alimentare
passa attraverso un’onda peristaltica, quindi attraverso una serie di
contrazioni e rilasciamenti dei muscoli. La tonaca muscolare è costituita da
una serie di muscoli striati che formano intorno a questo condotto un
involucro continuo. Per quanto riguarda la mucosa, presenta caratteristiche
diverse a seconda che si tratti della rinofaringe, piuttosto che dell’orofaringe
o della laringofaringe. A livello della parte nasale, la mucosa ha tutti i
caratteri osservati nelle vie respiratorie, quindi c’è un epitelio ciliato con
cellule caliciforme mucipare; nell’orofaringe e nella laringofaringe c’è un
epitelio pavimentoso stratificato che da protezione a questo organo.
Nel tetto della faringe è presente la tonsilla faringea. Nell’immagine è ingrossata e quando
questo accade ostruisce le vie respiratorie, motivo per cui nel caso delle adenoidi il
bambino respira male o con la bocca.
Le tonsille palatine vengono anche chiamate amigdale per la somiglianza con delle
mandorle e si trovano tra i due archi palatini. Quando sono ingrossate possono dare
ostruzione e quindi causare disturbi della deglutizione.
Esofago
L’esofago è un viscere cavo che si trova tra
faringe e stomaco, attraversa il collo, il
mediastino, il diaframma e si spinge nell’addome,
per un’estensione da C6 a T10. Il suo passaggio
attraverso l’orifizio del diaframma avviene sotto il
processo xifoideo dello sterno. Il decorso è
verticale, è lungo più o meno 25 cm. Presenta tre
piccoli restringimenti, uno superiore, uno medio
e uno inferiore (indicati dalle freccine in
immagine). Siccome l’esofago attraversa varie
regioni, si possono distinguere parti differenti: c’è
una parte cervicale, una parte toracica, una
diaframmatica e una piccola parte addominale.
Nel suo decorso l’esofago non è perfettamente verticale, ma descrive
delle leggere curvature. All’inizio scende molto addossato alla colonna
vertebrale seguendone la convessità anteriore, poi se ne discosta
spostandosi più avanti. La parte cervicale dell’esofago è in rapporto
con la trachea, la parte toracica decorre nel mediastino posteriore,
quindi dietro al cuore, ed è sempre in rapporto con la trachea. A livello
di T4 c’è il punto di biforcazione della trachea, quindi l’esofago tende a
portarsi un po’ più anteriormente; l’aorta si trova sempre dietro
l’esofago e spostata a sinistra. La porzione diaframmatica si incunea
all’interno dello iato esofageo del diaframma, mentre il tratto
addominale è in rapporto con il fegato. L’esofago è un segmento di
transito piuttosto veloce, quindi il bolo alimentare passa rapidamente
dopo la deglutizione, giungendo allo stomaco. Quindi a questo livello il
cibo non presenta modificazioni di rilievo.
L’esofago termina con una valvola chiamata cardias, la quale permette al cibo di passare nello stomaco; questa
valvola in condizioni normali si apre e si chiude per consentire il passaggio del bolo alimentare in un’unica
direzione. Il diaframma con la sua pressione favorisce questo meccanismo, comprimendo lo sfintere.
L’ernia iatale è una condizione causata del passaggio
anomalo di una porzione di stomaco dall’addome verso
il torace, attraverso l’orifizio esofageo del diaframma.
Questo orifizio in condizioni normali consente il
passaggio dell’esofago verso la cavità addominale, ma
in caso di ernia iatale una parte più o meno consistente
dello stomaco può risalire attraverso lo iato. È una
patologia piuttosto diffusa e legata all’età, infatti negli
over 80 la percentuale di soggetti con questa patologia
è veramente alta. Il deterioramento organico legato all’invecchiamento, associato alla ripetizione continua dei
movimenti della deglutizione, finisce con l’alterare l’elasticità della giunzione gastroesofagea e dello iato
esofageo, favorendo il fenomeno di erniazione.
Stomaco
Lo stomaco rappresenta il tratto più dilatato del canale
digerente ed è interposto tra esofago e intestino. Qui gli
alimenti si accumulano e sostano per un certo tempo per
essere sottoposti all’azione digestiva del succo gastrico.
Nello stomaco i cibi vengono impastati con i succhi gastrici
e con enzimi litici tipo la pepsina, che danno l’avvio alla
digestione delle proteine. Poiché nello stomaco si ha una
grande acidità, questo è protetto da uno strato di muco; se
non ci fosse muco, i succhi gastrici potrebbe provocare una
gastrite o un’ulcera. Nello stomaco inizia anche la
digestione dei grassi, in quanto sono presenti degli enzimi,
ovvero le lipasi gastriche. Lo stomaco e il fegato sono legati
mediante un legamento, detto epatogastrico. Lo stomaco si trova nella parte alta sinistra della cavità addominale,
subito sotto il diaframma, ed è quasi appoggiato sull’intestino; è a contatto con il fegato che si trova sul lato destro
dell’addome e con il pancreas che si trova al di sotto dello stomaco. Da un punto di vista topografico, si può dire
che lo stomaco occupa la regione addominale che corrisponde all’ipocondrio sinistro e dell’epigastrio. Le
dimensioni dello stomaco possono variare in relazione all’età, al sesso (nei maschi tende ad essere più grosso), alle
attitudini alimentari (più grande nei vegetariani e nei grossi mangiatori). Anche la forma può variare, in relazione
alla costituzione dell’individuo: tende ad avere un allungamento verticale dell’asse longitudinale nei soggetti
longitipi, che presentano quindi uno stomaco a sifone, si orienta più orizzontalmente nei brachitipi dove lo
stomaco assume una forma a corno di torello. Il cibo parzialmente digerito nello stomaco viene trasformato in
chimo.
lo stomaco ha una forma a sacco allungato, con un’estremità
prossimale, che si espande a cupola in alto verso sinistra, e
una distale un po’ più conica, che si trova in basso verso
destra. Lo stomaco presenta una concavità volta a destra e
occupa uno spazio delimitato in alto dal muscolo diaframma,
in basso dal colon trasverso, lateralmente dal diaframma e
dalla parete toracica e davanti dalla parete toracica e
addominale. Lo stomaco è un organo mobile rivestito quasi
completamente da una membrana sierosa chiamata
peritoneo. La faccia anteriore dello stomaco è in rapporto con
la gabbia toracica e con il fegato, mentre la faccia posteriore
entra in rapporto con il pancreas, rene e surrene sinistro e con
il colon trasverso.
Il peritoneo avvolge lo stomaco e lo fa mediante due lamine, una anteriore e una posteriore, che formano pieghe
che uniscono lo stomaco agli organi vicini. Queste due lamine si accollano l’una all’altra a livello delle due
curvature, formando dei legamenti che collegano lo stomaco agli organi vicini. Nella grande curvatura, le due
lamine peritoneali si accollano e vanno a formare il legamento gastrocolico, ovvero un’ampia lamina che raggiunge
la flessura sinistra del colon, al colon trasverso e alla flessura colica destra, formando con il legamento
duodenocolico la radice anteriore del grande omento. Questo somiglia ad una specie di grande grembiule che
parte dalla grande curvatura dello stomaco per ricoprire gran parte delle anse intestinali; il grande omento è molto
ricco di tessuto adiposo, che rappresenta una riserva energetica e garantisce una protezione e un isolamento
termico agli organi che copre. Nei soggetti in sovrappeso, gran parte dell’adipe addominale, oltre ad occupare lo
strato sottocutaneo, va ad accumularsi a livello del grande omento, contribuendo a formare la pancia. Nella piccola
curvatura le due lamine peritoneali si accollano formando il legamento epatogastrico, che verso destra continua
con il legamento epatoduodenale, andando a formare il piccolo omento, che fissa stomaco, fegato e duodeno.
Configurazione interna:
La mucosa gastrica non è liscia, ma presenta delle pieghe, ovvero le
pliche gastriche; queste tendono a ridursi e scomparire quando lo
stomaco è disteso e sono dovute alla tonaca sottomucosa che si
solleva verso la mucosa. Queste pieghe sono meno sviluppate nella
parte a ridosso della piccola curvatura, parte che viene definita come
canale gastrico e che rappresenta la via preferenziale seguita dalle
sostanze liquide. Quando le pliche gastriche sono distese, è possibile
osservare sulla sua mucosa delle piccole aree che rappresentano lo
sbocco delle ghiandole gastriche (fossette gastriche).
Le ghiandole gastriche abbondano nella lamina propria e possono essere diverse nelle tre zone dello stomaco, per
cui si chiamano ghiandole del cardias, costituite per lo più da cellule a secrezione mucosa (producono muco e
bicarbonato), ghiandole gastriche propriamente dette, che si trovano nel corpo e nel fondo dello stomaco e sono
costituite da molti tipi cellulari diverse, in particolare da cellule parietali, e ghiandole piloriche, che hanno una
secrezione mucosa e presentano in particolare cellule G, che producono l’ormone della gastrina, che stimola la
secrezione dell’acido cloridrico da parte delle cellule parietali. Le ghiandole sono responsabili della produzione di
enzimi e muco.
Il peritoneo rappresenta la tonaca sierosa dello stomaco. Tra le sierose è quella più cospicua dell’organismo, ma
come tutte le sierose è costituito da due foglietti: uno parietale, che riveste le pareti della cavità addominale, e uno
viscerale che aderisce alla superficie della maggior parte dei visceri addominali e pelvici. Tra i due foglietti c’è una
cavità con un liquido sieroso lubrificante.
La disposizione dei tre strati della tonaca muscolare è molto importante perché consente alle fibre muscolari di
incrociarsi tra loro e ciò permette all’organo una contrazione in ogni sua parte, per rendere efficiente il
rimescolamento del contenuto gastrico. I tre strati muscolari fanno sì che lo stomaco possa contrarsi con grande
forza, riducendo il calibro del lume e facendo avanzare il contenuto in direzione del duodeno. A livello del piloro la
tonaca muscolare costituisce lo sfintere pilorico, che periodicamente si apre per far defluire il chimo (alimenti
parzialmente digeriti dal succo gastrico) verso il duodeno.
La digestione del cibo nello stomaco prevede un’attività secretiva e una motoria. L’attività secretiva è data
dall’attività delle ghiandole gastriche che nell’insieme producono il succo gastrico, ovvero un liquido acido e
incolore, la cui secrezione aumenta in corrispondenza della suzione del cibo. Il succo gastrico contiene l’acido
cloridrico, enzimi come la pepsina, lipasi e mucina. Il pH molto basso del succo gastrico viene neutralizzato dal
muco prodotto dalle cellule mucipare e dal contenuto salivare che arriva col bolo alimentare. Quando il cibo arriva
nello stomaco vengono stimolati i recettori di stiramento che si trovano nella parete gastrica e i chemiocettori
posti nella mucosa; questo determina la contrazione riflessa della tonaca muscolare e la secrezione della gastrina
da parte delle cellule endocrine. A sua volta la gastrina stimola la secrezione gastrica e la motilità dello stomaco,
creando onde di mescolamento. Il tempo richiesto perché avvenga la digestione nello stomaco può variare sulla
base della natura del bolo alimentare; generalmente sono necessarie alcune ore perché lo stomaco si svuoti
completamente dopo un pasto bilanciato, mentre ci mette di più se il pasto è ricco di grassi. In seguito alla
digestione gastrica si forma il chimo (fluido), che viene trasferito nel duodeno poco per volta. Quindi lo stomaco
trattiene il cibo finché non è stato parzialmente digerito e quindi serve da organo di accumulo temporaneo; solo
dopo la trasformazione in chimo il cibo viene inoltrato in piccoli volumi nell’intestino tenue.
L’attività delle ghiandole gastriche è coordinata da un insieme di segnali nervosi ed ormonali. In generale già
l’odore del cibo è in grado di generare uno stimolo nervoso, che stimola le ghiandole a produrre i succhi gastrici;
quando le sostanze alimentari raggiungono effettivamente lo stomaco, stimola il rilascio di gastrina che stimola
ulteriormente la produzione dei succhi gastrici. Quando il contenuto dello stomaco è troppo acido, un meccanismo
a feedback inibisce l’ulteriore secrezione dei succhi gastrici.
Normalmente il chimo non può risalire dallo stomaco all’esofago, ma quando accade si parla di reflusso gastrico,
che determina la cosiddetta acidità di stomaco.
Intestino tenue
Allo stomaco segue l’intestino tenue, che rappresenta il tratto
più lungo e tortuoso del canale alimentare, raggiungendo la
lunghezza di circa sette/otto metri. L’intestino tenue è diviso in
due porzioni, il duodeno, piuttosto corto, e l’intestino tenue
mesenteriale, che forma numerose anse intestinali, occupa
gran parte della cavità addominale. L’intestino tenue
mesenteriale è a sua volta distinto in due parti, il digiuno e
l’ileo. L’intestino tenue mesenteriale è definito così perché a
differenza del duodeno viene avvolto dal mesentere; questo da
una parte lo fissa alla parete posteriore, dall’altra gli lascia
ampia possibilità di movimento. Data la sua notevole
lunghezza, l’intestino mesenteriale si ripiega su sé stesso costituendo le anse mesenteriali che formano la massa
mesenteriale. L’intestino tenue riceve il chimo dallo stomaco e
lo espone all’azione della bile, del succo pancreatico e del succo
enterico; questi completano la digestione dei materiali nutritizi.
L’intestino tenue assorbe i prodotti della digestione e infatti
può contare su una superficie assorbente molto ampia, di circa
100 m2. L’intestino tenue mesenteriale è avvolto dal peritoneo
e una piega peritoneale, ovvero il mesentere, ha una tipica
forma a ventaglio, lo unisce alla parete posteriore dell’addome.
Il mesentere è la piega peritoneale di maggiori dimensioni,
include tessuto adiposo che aumenta nei soggetti obesi e si
estende dalla parete addominale posteriore all’intestino tenue,
per poi tornare alla sua origine, formando una struttura a
doppio strato, tra cui decorrono i vasi e i nervi diretti
all’intestino.
Si definiscono intraperitoneali tutti gli organi che sono completamente avvolti nel peritoneo e sono lo stomaco, il
fegato e l’intestino. Il duodeno non è completamente circondato dal peritoneo, si trova dietro e quindi si può
definire come un organo retroperitoneale, così come il pancreas. La vescica è in rapporto con il peritoneo soltanto
superiormente, per cui si definisce come organo sottoperitoneale.
Duodeno:
Duodeno significa “della lunghezza di 12 dita”. È un
viscere cavo a forma di C ed è coperto solo
anteriormente dal peritoneo, pertanto è un organo
retroperitoneale; per questo è un organo piuttosto fisso
dotato di scarsa mobilità. Si trova a destra rispetto alla
colonna vertebrale, stendendosi più o meno a L2 e L3.
La testa del pancreas, che si trova all’altezza di L2, è
alloggiata all’interno della concavità del duodeno. La
concavità è rivolta verso sinistra e verso l’alto. Il
duodeno presenta quattro porzioni, ovvero il bulbo (giallo) o ampolla duodenale, che è la parte un po’ più mobile
perché è parzialmente rivestita dal peritoneo; al bulbo segue la parte discendente (rosa), la parte orizzontale
(viola) e poi la parte ascendente (verde) che risale fino al lato sinistro di L2, piegandosi a formare la flessura
duodeno-digiunale, ovvero il punto in cui il duodeno continua con la prima parte dell’intestino tenue mesenteriale.
Anteriormente il duodeno è in rapporto con il lobo destro del fegato, con la cistifellea, con la flessura destra del
colon e con le anse intestinali. Posteriormente ha rapporti con il rene, con l’uretere destro, con la vena cava
inferiore, con l’aorta e con i vasi renali.
Il duodeno presenta una parete la cui struttura è uguale a quella indicata nel canale digerente, dove sono presenti
le quattro tonache. La tonaca mucosa presenta dei villi che si estendono per tutto l’intestino tenue, ma nel
duodeno sono più grandi e piatti. La tonaca sottomucosa presenta delle ghiandole duodenali di Brunner, che
secernono una sostanza alcalina, per bloccare l’acidità gastrica. La tonaca muscolare ripresenta due strati, uno
circolare interno e uno longitudinale esterno. La sierosa è costituita dal peritoneo, che però lo riveste soltanto
anteriormente.
Nell’intestino tenue mesenteriale si ha l’assorbimento delle sostanze nutritive; si estende dalla fine del duodeno
fino alla valvola ileocecale. È costituito da digiuno, che è lungo circa 2,5 m, e dall’ileo, lungo oltre 3,5 m. L’intestino
tenue mesenteriale, a differenza del duodeno, presenta un
mesentere a forma di ventaglio che lo fissa alla parete
addominale posteriore, dandogli una grande possibilità di
movimento. Tra digiuno e ileo non esiste un confine anatomico
netto, l’unica differenza è che il diametro tende a diminuire
spostandosi in direzione dell’ileo. Il passaggio dal duodeno al
digiuno è a livello della flessura duodeno-digiunale, dove
l’intestino tenue entra nella cavità addominale, diventando
organo intraperitoneale. Nel digiuno si ha la maggior parte della
digestione chimica e dell’assorbimento dei nutrienti. Anche l’ileo
è intraperitoneale e termina con uno sfintere, cioè la valvola
ileocecale, che protrude nel ceco, controllando il flusso di materiale dall’ileo alla prima parte dell’intestino crasso.
Data la sua grande estensione, l’intestino tenue mesenteriale entra in rapporto con tutti i visceri alloggiati nella
cavità addominale. Superiormente è in rapporto con fegato, stomaco e milza, con la vescica e con l’utero.
L’intestino tenue mesenteriale è circondato dal colon e posteriormente poggia sul peritoneo. Le anse intestinali
sono contenute all’interno del colon e quindi occupano lo spazio al di sotto del mesocolon, detto spazio sotto-
mesocolico.
L’epitelio di rivestimento dell’intestino tenue è cilindrico semplice, formato da tre tipi di cellule. Gli enterociti sono
le cellule più numerose e sono dotate di microvilli; in mezzo a queste ci sono le cellule caliciformi mucipare e
cellule che fanno parte del sistema gastroenteropancreatico, responsabili della produzione di molti ormoni. La
lamina propria della tonaca mucosa costituisce l’asse dei villi, in cui sono presenti i rami terminali delle vene, delle
arterie e dei vasi chiliferi, che trasportano i lipidi che sono stati assorbiti a livello dell’epitelio intestinale. In seguito
alla demolizione degli alimenti, gli amminoacidi e gli zuccheri passano all’interno dei capillari sanguigni, mentre gli
acidi grassi e il glicerolo entrano nei capillari linfatici.
La parete intestinale è formata dalle solite quattro tonache, quella mucosa, quella sottomucosa, la tonaca
muscolare organizzata in due strati e infine la tonaca sierosa.
La lamina propria presenta molte ghiandole tubulari semplici, le quali presentano anche cellule di rimpiazzo per
rinnovare continuamente l’epitelio di rivestimento (ogni 3-5 giorni).
I due strati muscolari permettono i movimenti peristaltici intestinali grazie al loro orientamento circolare e
longitudinale.
A seguito dell’attività delle ghiandole intestinali, viene prodotto il succo enterico, che oltre a trasportare enzimi
contiene anche muco. I principali enzimi sono quelli che agiscono sugli amminoacidi, come le amminopeptidasi, le
carbossipeptidasi, enzimi che agiscono sugli amidi, come le maltasi e le lattasi, enzimi che scindono gli acidi
nucleici, come le nucleasi, enzimi che digeriscono i grassi, come la lipasi. I movimenti peristaltici dell’intestino
tenue fanno sì che le particelle alimentari vengano tenute a contatto con la parete intestinale, stimolando la
secrezione e la circolazione sanguigna locale. La digestione completa del chimo avviene grazie al succo enterico, al
succo pancreatico e alla bile. Lungo tutto l’intestino tenue si ha anche l’assorbimento dell’acqua e dei prodotti
terminali della digestione; attraverso gli enterociti i nutrienti raggiungono l’asse del villo, dove vengono raccolti dai
vasi sanguigni per poi raggiungere la vena porta. I lipidi vengono raccolti dai vasi chiliferi per poi essere riversati nel
circolo sanguigno. L’enzima dell’amilasi pancreatica continua l’azione della saliva sull’amido, mentre la tripsina
termina la digestione delle proteine trasformandole in amminoacidi.
Alla fine della digestione gli zuccheri sono ridotti in molecole di glucosio, le proteine in amminoacidi e i lipidi in
acidi grassi e glicerolo.
Intestino crasso
Le parti di cibo che non possono essere digerite
passano nell’ultima parte di intestino, ovvero l’intestino
crasso, dove saranno eliminate come feci. Il termine
intestino crasso significa letteralmente “intestino
grosso”, poiché il calibro di questa parte dell’intestino è
maggiore rispetto all’intestino tenue. Il grasso ha anche
un’azione di riassorbimento di acqua e sali minerali e la
produzione di vitamine a partire da pro-vitamine
presenti nei cibi. L’intestino crasso inizia con una tasca
a fondo cieco, che prende appunto il nome di cieco, per
terminare poi con l’ano per una lunghezza di circa 1,5
m. L’intestino crasso è diviso in diverse parti: la prima
parte prende il nome di cieco a cui è annessa l’appendice, al cieco segue il colon diviso in una porzione
ascendente e una porzione trasversa (quindi colon ascendente e colon trasverso); il colon trasverso ripiega e si fa
discendente, che continua con il colon sigmoideo (chiamato così per la sua forma a S) e con l’intestino retto, dove
vengono raccolte le feci prima della loro evacuazione. A livello dell’ano sono presenti due sfinteri che ne regolano
l’apertura.
Nell’intestino è presente la cosiddetta flora batterica intestinale, costituita da diversi microrganismi, come i
lattobacilli (fermenti lattici), l’Escherichia coli; la flora batterica intestinale si definisce già poco dopo la nascita nel
lattante, come conseguenza del fatto di essere esposti all’ambiente e ai primi alimenti e nel corso degli anni si
modifica a seconda delle abitudini alimentari di ciascuno. Sulla flora batterica intervengono fattori ambientali e
salutari, l’ingestione di antibiotici (distruggono flora batterica, quindi in terapia antibiotica è consigliato prendere
anche fermenti lattici).
Attraverso la valvola ileocecale passa cogni giorno circa 1,5 L di materiale, ma la maggior parte dell’acqua e degli
elettroliti vengono riassorbiti, quindi con le feci viene eliminata solo una piccola quantità di acqua. Le feci sono
formate da una parte che contiene materiale solido, come batteri morti, materiale indigerito, componenti secchi
dei succhi digestivi, come i sali biliari, materiale inorganico e proteine.
L’intestino crasso ha un diametro che è circa tre volte maggiore rispetto all’intestino tenue. Presenta una superficie
piuttosto irregolare, sono presenti dei rigonfiamenti, delle gibbosità, che prendono il nome di haustra coli e che
sono separati l’uno dall’altro da delle flessure trasversali. In superficie si nota la presenza di nastri di muscolatura
liscia che prendono il nome di tenie del colon.
Nel suo percorso l’intestino crasso entra in rapporto con vari organi: con le anse dell’intestino tenue, con il fegato,
con il duodeno, con il pancreas, con lo stomaco, con la milza e nella piccola pelvi con la vescica, la prostata e le
vescichette addominali (se maschio) o con l’utero e con la vagina (nella femmina).
L’intestino crasso ha origine nella fossa iliaca sinistra a livello della valvola ileocecale. il casso si divide in sei regioni
successive viste prima. Per quanto riguarda il colon è diviso in quattro regioni: il cieco prosegue verso l’alto con il
colon ascendente, che si porta verticalmente in direzione del fegato rimanendo applicato alla parete addominale
posteriore (il peritoneo gli passa davanti); al livello della regione addominale indentificata come ipocondrio destro,
il colon ripiega medialmente e la piega prende il nome di flessura colica destra o flessura epatica, per poi dirigersi
trasversalmente verso sinistra come colon trasverso, che attraversa la cavità addominale, dove rimane inferiore e
posteriore rispetto allo stomaco. Il colon trasverso si stacca dalla parete addominale, ma resta legato a questa
attraverso una lamina peritoneale, ovvero il mesocolon trasverso. La presenza del mesocolon trasverso
contribuisce a suddividere la cavità addominale in due spazi, uno superiore detto sovramesocolico, che contiene
fegato, stomaco e milza, e uno spazio sottomesocolico, che contiene le anse intestinali del tenue, il colon
discendente e il colon ascendente. Una volta raggiunta la mila, il colon ripiega verso il basso e la piega prende il
nome di flessura colica sinistra o flessura splenica, si porta in posizione retroperitoneale e prosegue verso la
regione della fossa iliaca sinistra, diventando colon discendente. Giunto nella fossa iliaca sinistra, il colon assume
un aspetto a forma di Σ (sigma, S), per cui prende il nome di colon sigmoideo o sigma; questo si porta verso l’osso
sacro nel piccolo bacino, dove diventa nuovamente discendente e prende il nome di intestino retto, che attraversa
il pavimento pelvico e si apre all’esterno con l’apertura anale.
Il fegato secerne la bile, ovvero un liquido di colore giallastro molto amaro, utilizzato durante la digestione perché
emulsiona i grassi. Tra un pasto e l’altro la bile prodotta dal fegato viene raccolta nella cistifellea o colecisti, che si
trova sotto il fegato; da qui, attraverso il dotto cistico, la bile viene riversata nel duodeno. Il dotto cistico si lega al
dotto epatico, si forma il dotto coledoco e sfocia nel duodeno.
Il fegato riceve il 20% del sangue arterioso dall’arteria epatica (ramo del tronco celiaco), che mantiene il trofismo
portando del sangue ossigenato; il restante 80% gli giunge attraverso la vena porta, che si forma per confluenza
delle due vene mesenteriche inferiore e superiore e della vena lienale e trasporta il sangue refluo che ha viaggiato
nel canale alimentare nella milza. Mediamente la pressione del sangue nella vena porta è di circa 8 mm di
mercurio, mentre la pressione nella vena epatica è di 0 mm di mercurio, il che fa sì che il sangue circoli
agevolmente per differenza di pressione attraverso il lobulo epatico.
Gli epatociti hanno una faccia in rapporto con un sinusoide
(capillare); questa faccia viene definita polo vascolare e
presenta dei piccoli microvilli. Le facce a contatto tra due
epatociti, vengono indicate come poli biliari; queste facce
presentano una doccia, che una in seguito all’altra tra i
vari epatociti costituisce il capillare biliare. Questa è
l’origine a fondo cieco delle vie biliari, che vanno a
formare i dotti epatici destro e sinistro, i quali
confluiscono tra loro a formare il dotto epatico comune. I
capillari sinusoidi sono tappezzati da cellule endoteliali,
cellule macrofage per allontanare la maggior parte dei
batteri che arrivano con il sangue della vena porta (batteri
della flora del colon).
La bile è composta per l’80% di acqua e per il resto da sali biliari; questi vengono sintetizzati dalle cellule epatiche a
partire dal colesterolo endogeno. Nell’intestino i sali biliari hanno il compito di emulsionare le particelle di grasso
alimentare in modo da frammentarli in particelle più piccole, rendendole idorsolubili e quindi assorbibili.
Mancando i sali biliari, viene perduto dall’intestino una grossa percentuali di lipidi, che si portano dietro anche le
vitamine liposolubili. La secrezione giornaliera di bile è di circa 500/600 mL al giorno. Il fegato producono in modo
costante la bile, la quale fluisce nella cistifellea dove viene concentrata. Di norma lo sfintere di Oddi, che regola il
passaggio della bile nell’intestino, è chiuso, quindi la bile non viene riversata nel duodeno; quando arriva il chimo
nel duodeno e soprattutto quando è ricco di grassi, vengono stimolate le cellule endocrine a secernere l’enzima
della pancreozimina o colecitochimina, la quale ha tre effetti: da una parte induce la contrazione della muscolatura
della cistifellea, espellendo la bile, dall’altro viene rilasciato lo sfintere di Oddi; inoltre stimola il pancreas a
secernere gli enzimi digestivi, che vengono immessi nel duodeno.
Oltre che produrre la bile, il fegato può anche essere considerato come una sorta di filtro posto tra il tubo
digerente e il sistema circolatorio. Le sostanze che sono state assorbite a livello intestinale, attraverso il sangue che
giunge al fegato con la vena porta, dove vengono filtrate e trasformate. Le sostanze tossiche come l’alcool vengono
neutralizzate, mentre altre sostanze vengono accumulate a livello del fegato per poi essere rilasciate quando
saranno necessarie. Il glucosio viene immagazzinato nel fegato e trasformato in glicogeno; quando l’organismo ha
bisogno degli zuccheri, allora il glicogeno viene nuovamente trasformato in glucosio e immesso nel sangue.
Il fegato regola anche la coagulazione del sangue, poiché produce eparina, ovvero una sostanza anticoagulante che
permette al sangue di scorrere agevolmente.
IL fegato produce anche fibrinogeno, che si trasforma poi in fibrina e permette la coagulazione in presenza di
un’emorragia; durante la fase di coagulazione vera e propria si ha la formazione di un reticolo insolubile di fibrina,
che fa da tappo e blocca il fenomeno emorragico. La conversione del fibrinogeno, che è una proteina solubile, in
fibrina (insolubile) avviene per l’azione di un altro enzima, chiamato trombina, il cui precursore attivo è la
protrombina sintetizzata nel fegato.
Il fegato interviene nel metabolismo glucidico, dei lipidi, delle proteine, della bilirubina, dei farmaci e delle sostanze
tossiche; funge anche da deposito per le vitamine e il ferro. Il metabolismo glucidico consente di mantenere la
glicemia nel periodo interpranziale, mantenendo l’omeostasi glucidica attraverso l’immagazzinamento dei
carboidrati (gluconeogenesi e glicogenosintesi) e attraverso la mobilizzazione dai depositi (glicogenolisi).
Il fegato sintetizza le proteine plasmatiche come l’albumina, il fibrinogeno, la protrombina e altri fattori di
coagulazione. Le albumine hanno un importante compito osmotico, perché mantengono la pressione osmotica del
sangue e costituiscono circa il 60% di tutte le proteine plasmatiche. Si dice che le albumine siano un espansore del
volume plasmatico; le albumine trasportano ormoni e altre sostanze.
La bilirubina è prodotta dalla lisi dei globuli rossi e giunge al fegato legata all’albumina; le cellule epatiche la
catturano e la rendono solubile legandola a sostanze particolari, per poi venire secreta nei canalicoli biliari,
giungendo poi nel duodeno per essere espulsa con le feci.
Pancreas
È un’altra ghiandola extramurale e si trova in posizione retroperitoneale, all’altezza di L1 e L2. E disposto
trasversalmente, si trova quasi completamente nello spazio sovramesocolico ed è formato da una testa accolta
nella C duodenale, da un corpo che si estende trasversalmente dietro lo stomaco, e una coda che raggiunge la
milza verso sinistra. Il pancreas è in rapporto con l’arteria lienale, che decorre sul suo margine superiore.
Apparato urinario
Il compito generale è quello di filtrare il sangue dai cataboliti che si sono accumulati e di eliminarli all’esterno; per
cui è costituito da organi principali, ovvero i reni con funzione emuntoria (capacità che i reni hanno di eliminare
dall’interno dell’organismo i prodotti di scarto derivanti dal catabolismo). Quindi i reni liberano il sangue dalle
scorie che man mano vi si sono accumulate, formando l’urina che viene eliminata dal corpo. L’urina deve quindi
essere trasportata all’esterno del corpo e a questo sono deputati altri organi che nel loro insieme costituiscono le
vie urinarie, ovvero i calici minori e maggiori, le pelvi, gli ureteri, la vescica e l’uretra. Gli organi che fanno parte
dell’apparato uropoietico (=urinario) sono tutti retroperitoneali.
Funzioni:
L’apparato uropoietico elabora ed elimina l’urina, ma facendo questo
mantiene anche l’omeostasi del sangue e dei fluidi interstiziali, quindi ne
controlla l’equilibrio idrosalino. I reni sono anche responsabili della
produzione di ormoni, ovvero renina ed eritropoietina.
Reni
I reni hanno una caratteristica forma a fagiolo
con una consistenza piuttosto dura; sono
situati di lato alla colonna vertebrale e
occupano le fosse lombari in posizione
profonda. Posteriormente hanno rapporti con il
piano muscolari, con cui sono direttamente a
contatto; nella loro parte superiore sono
adagiati sul muscolo diaframma. A livello
dell’ilo poggiano sul muscolo grande psoas, sul
muscolo quadrato dei lombi e sull’aponeurosi
(lamina tendinea) del muscolo trasverso
dell’addome. Questa è la situazione normali,
ma può essere che abbiano forma diversa o che
siano spostati più in basso; ad esempio a causa
di anomalie morfologiche si può avere il rene pelvico, quindi spostato più in basso a causa di un difetto di
migrazione di quest’organo. Durante lo sviluppo i reni migrano dalla cavità pelvica alla cavità addominale, quindi si
parla di rene pelvico quando appunto non ha completato la migrazione. Un’altra anomalia morfologica può essere
data dal rene a ferro di cavallo, ovvero quando i due poli inferiori del rene sono fusi tra di loro, fusione che avviene
durante la migrazione.
I reni sono accolti nella loggia renale, che è uno spazio connettivale pari e simmetrico extraperitoneale. Intorno al
rene ci sono vari strati di tessuto; dal più interno al più esterno sono:
• la capsula fibrosa e di natura connettivale, in particolare è costituita da connettivo denso, e ricopre la
superficie esterna del rene proteggendolo da eventuali traumi
• un guscio adiposo, ovvero il grasso perirenale o perinefritico, che è costituito da tessuto connettivo
adiposo
• la fascia renale è formata da connettivo denso e ha il compito di ancorare il rene alla parete addominale
posteriore
• un altro guscio adiposo detto pararenale o paranefritico
Il rene si trova quindi all’interno di una loggia renale che è delimitata da una fascia connettivale renale. Oltre alla
fascia connettivale, i reni sono tenuti nella loro sede naturale grazie alla presenza del peduncolo vascolare e dalla
pressione addominale positiva. In alcune situazioni patologiche i reni possono scendere verso il basso in maniera
permanente e questa condizione è definita come ptosi renale; è una condizione che si realizza nei soggetti
anoressici, per cui il tessuto adiposo che sostiene il rene viene utilizzato con funzione energetica.
Le due estremità sono arrotondate e sono chiamate poli, uno superiore e uno
inferiore. Presenta due facce, una anteriore più convessa e una posteriore più
appiattita. Ha due margini, uno mediale concavo e uno laterale convesso.
Medialmente è lungo 12 cm, largo 6 cm e profondo 3 cm. Ha un aspetto
solitamente liscio e piuttosto regolare, anche se a volte possono presenti dei
solchi, che corrispondono ai territori in cui si può suddividere il parenchima,
ovvero i lobi; quando sono presenti questi solchi si parla di rene lobato. Al
centro del margine mediale c’è l’ilo renale, attraverso cui passano l’uretere,
l’arteria e vena renale, i vasi linfatici e i nervi. Attraverso l’ilo renale si accede ad
una cavità presente nel rene, ovvero il seno renale.
La faccia anteriore del rene destro è in rapporto con il lobo destro del fegato, con la flessura destra del colon e con
il tratto discendente del duodeno. La faccia anteriore del rene sinistro è in rapporto con la milza, con la coda del
pancreas e con i vasi lienali che decorrono sul margine superiore del pancreas, con la flessura duodenodigiunale,
con quella colica sinistra e con la parete posteriore del corpo dello stomaco. Il margine laterale nel rene destro è in
rapporto con il fegato per quasi tutta la sua estensione; quello sinistro con la milza e con il colon discendente. Il
margine mediale è in rapporto a destra con la vena cava inferiore e a sinistra con l’aorta addominale. Lungo l’ilio
del rene destro decorre il tratto discendente del duodeno.
I reni attraverso la produzione di urina sono in gradi di eliminare sia sostanze attive fisiologicamente, come farmaci
e ormoni, sia di eliminare sostanze tossiche di vario tipo, che siano state introdotte nel nostro organismo o che si
formano a partire dai processi vitali che si realizzano. I reni quindi ci preservano da un’autointossicazione organica,
tant’è che una condizione di insufficienza renale è una condizione molto grave che può portare a problemi seri nel
giro di alcune ore e ad un esito fatale nel giro di pochi giorni.
I reni eliminano i cataboliti non più utilizzabili, in particolare prodotti che derivano dal metabolismo azotato,
ovvero derivanti dal metabolismo delle proteine (urea, acido urico, cheratinina), prodotti finali che derivano dalla
degradazione dell’emoglobina (urobilina), metaboliti e vari ormoni. Vengono eliminate anche sostanze estranee e
dannose (farmaci, additivi alimentari, pesticidi). I reni inoltre regolano il volume e la pressione del sangue,
regolando il volume di acqua eliminandola con le urine; regolano l’equilibrio idrico ed elettrolitico, quindi si ha una
eliminazione controllata degli ioni inorganici (cloro, sodio, potassio, ecc.), regolando le concentrazioni plasmatiche
degli ioni stessi. Contribuiscono alla regolazione del pH ematico attraverso la perdita io ioni idrogeno e bicarbonato
secretono ormoni come la renina e l’eritropoietina.
Questa è una sezione frontale del rene. Attraverso l’ilo si
accede a una cavità scavata nel rene, ovvero il seno renale,
dove si trovano le prime porzioni delle vie urinarie, ovvero i
calici minori e maggiori e parte della pelvi. Nel seno renale si
trovano anche tutte le diramazioni dell’arteria e della vena
renale. Le pareti del seno renale presentano delle
sporgenze, formate dalle papille renali, che corrispondono
all’apice delle piramidi renali. Tra le papille ci sono altre
sporgenze interpapillari, formate dalle colonne renali di
Bertin, che si trovano appunto tra le papille renali.
Tra la capsula fibrosa e il parenchima renale c’è un sottile
strato di fibrocellule muscolari lisce che costituiscono una
sorta di tonaca muscolare del rene. Il parenchima renale è
distinto in una zona più interna, chiamata zona midollare, e
una più esterna che prende il nome di zona corticale. La
zona midollare ha un colore più rossastro e ha un tipico
aspetto striato; si organizza in strutture coniche (in sezione
sono triangoli), che sono appunto le piramidi renali di Malpighi e che hanno un apice arrotondato puntato verso il
seno renale a formare le papille renali. Le papille renali presentano dei piccoli forellini, ovvero i forami papillari,
che rappresentano lo sbocco dei dotti papillari che portano l’urina a gocciolare nelle prime vie urinarie. La presenza
di questi dotti dà alle piramidi renali il tipico aspetto striato. Ogni papilla è in contatto stretto con la prima parte
delle vie urinarie, ovvero il calice minore, che sporge nel lume del calice minore.
La zona corticale è un po’ più giallastra e si trova compresa tra la base delle piramidi renali e la superficie del rene;
è corticale anche la parte di parenchima che si spinge tra le piramidi renali, dove la corticale va a formare le
colonne renali. Anche la corticale presenta una parte radiata, dovuta ai raggi midollari, che dalla base delle
piramidi renali si portano verso la superficie del rene; tra questi raggi si trova la parte convoluta, che riempie gli
spazi tra i raggi midollari. Le colonne renali non hanno però un aspetto striato, perché sono costituite da una pare
convoluta, così come una parte vicina alla capsula renale, prendendo il nome di Cortex corticis. La parte convoluta
è formata da una parte dei nefroni (unità elementare dei reni), in particolare dai corpuscoli renali, e da una parte ei
tubuli renali dall’aspetto contorto. La parte radiata è formata dai tubuli renali con andamento più rettilineo.
Il parenchima renale è costituita da nefroni e da dotti escretori. L’unità funzionale elementare del rene è appunto
il nefrone. Un’unità funzionale è la più piccola parte dell’organo in grado di svolgere la funzione dell’organo stesso;
quindi i nefroni hanno funzione urinopoietica, a cui si aggiungono i dotti escretori che trasportano l’urina verso
l’apice delle papille renali. I nefroni si trovano nella zona corticale del rene, mentre i dotti escretori si trovano nei
raggi midollari della corticale e nelle piramidi renali.
Questi capillari presentano un endotelio fenestrato, perché sono presenti dei pori.
Prima che l’arteriola afferente entri nel corpuscolo, presenta una differenziazione
nella tonaca media, per cui sono presenti delle cellule iuxtaglomerulari. All’interno
del glomerulo sono sparse delle cellule del mesangio intraglomerulare intercapillari;
si trovano quindi tra i capillari, soprattutto nei punti in cui le anse si ramificano. Le
cellule del mesangio hanno forma stellata e con i loro prolungamenti si
approfondano nella lamina basale dei capillari e sono particolarmente numerose
vicino al polo vascolare, dove hanno rapporti con cellule del mesangio
extraglomerulare. Queste cellule del mesangio hanno un’attività fagocitaria e
servono a mantenere pulito il filtro renale.
La capsula glomerulare è costituita da un foglietto parietale esterno e da un foglietto interno aderente ai capillari
del glomerulo, chiamato viscerale. Tra foglietto parietale e viscerale si viene a trovare uno spazio capsulare. Il
foglietto parietale è formato da un epitelio pavimentoso semplice, che poggia su una membrana basale e che in
prossimità del polo urinario si fanno leggermente più alte per andare ad assumere i caratteri tipici delle cellule
cilindriche. Il foglietto viscerale continua direttamente col foglietto parietale a livello del polo vascolare; è
costituito da cellule simili a neuroni, perché sono dotate di prolungamenti che prendono il nome di podociti; i
prolungamenti dei podociti vengono chiamati pedicelli.
Il corpuscolo renale rappresenta dunque un ultrafiltro per il sangue che circola all’interno dei capillari glomerulari.
La barriera di filtrazione o barriera sangue urina è costituita dell’endotelio che costituisce i capillari e dai podociti.
Nel glomerulo sono quindi presenti tre tipi di cellule: le cellule endoteliali che costituiscono l’endotelio dei capillari,
le cellule epiteliali parietali e i podociti. Lo spazio capsulare si continua direttamente col tubulo renale, quindi
quello che si forma dall’ultrafiltro passa nella capsula di Bowman e poi direttamente nel tubulo renale. La lamina
basale è lo strato più spesso della barriera sangue urina e si trova tra i podociti e l’endotelio.
La barriera normalmente consente il passaggio di acqua e ioni ed è impermeabile agli elementi corpuscolari del
sangue e alle sostanze ad alto peso molecolare, come le proteine plasmatiche. L’albumina può passare per la
barriera sangue urina e trovarsi nel filtrato glomerulare, ma poi viene riassorbita nel tubulo prossimale. La lamina
basale è molto spessa è presenta una zona centrale chiamata lamina densa.
La filtrazione glomerulare avviene perché nei capillari glomerulari il sangue presenta una pressione idrostatica
intorno ai 55/60 mmHg, a cui si oppone la pressione presente nello spazio capsulare (15 mmHg) e la pressione
oncotica dovuta alla presenza nel plasma delle proteine plasmatiche (30 mmHg); la risultante è una pressione utile
alla filtrazione, per cui si forma la pre-urina. Si formano circa 180 L di urina primitiva (=pre-urina) in 24h, quindi nei
nefroni ogni giorno sono filtrati circa 1800 L di sangue. L’urina primitiva è successivamente modificata e
trasformata per diventare urina definitiva, di cui ne sono prodotti circa 1,5 L al giorno.
Passando attraverso il filtro renale, l’acqua, gli ioni, molecole piccole come gli amminoacidi, il glucosio e le vitamine
raggiungono la capsula di Bowman; il passaggio di molecole con un determinato ingombro, forma o con un peso
maggiore a 40 mila Dalton è impedito, quindi le proteine plasmatiche non riescono a superare il filtro. Le molecole
che riescono a passare lo fanno anche in relazione alla loro carica elettrica.
Intorno ai tubuli ci sono delle reti capillari che raccolgono le sostanze riassorbite dal tubulo, quindi questi capillari
sono detti peritubulari.
Oltre ai nefroni, il parenchima renale è costituito anche da dei dotti escretori,
dati dai dotti collettori e dai dotti papillari di Bellini, i quali fanno gocciolare
l’urina dai forami papillari, presenti sull’apice delle papille renali. I dotti collettori
decorrono rettilinei nei raggi midollari della corticale, per poi portarsi nelle
piramidi renali, dove convergono a formare i dotti papillari. La parete dei dotti
collettori è composta da epitelio cubico semplice, che si fa più cilindrico nei dotti
papillari. Nei dotti collettori si ha un riassorbimento di acqua facoltativo, sotto
l’azione dell’ormone antidiuretico ADH. In assenza di questo ormone i dotti
collettori sono impermeabili all’acqua.
La formazione dell’urina deriva dunque da tre processi che si attuano in porzioni diverse del nefrone. Questo
processi sono:
1. l’ultrafiltrazione glomerulare, che porta alla formazione di un ultrafiltrato raccolto all’interno dello spazio
capsulare
2. riassorbimento tubulare, ovvero un passaggio di sostanze dal liquido tubulare al sangue
3. secrezione tubulare, dal sangue al liquido tubulare
Nel tubulo prossimale viene riassorbito circa l’80% del filtrato glomerulare, quindi tutto ciò che è stato prodotto
come preurina a livello del corpuscolo renale. Oltre all’acqua e agli elettroliti sono riassorbiti anche il glucosio, gli
amminoacidi, l’albumina. Il riassorbimento degli ioni sodio avviene mediante il trasporto attivo (pompa sodica) da
parte delle cellule che formano il tubulo prossimale; l’assorbimento degli ioni cloro e dell’acqua avviene in maniera
passiva, quindi con un riassorbimento obbligato. Il riassorbimento del glucosio e degli amminoacidi avviene a livello
dei microvilli.
Nel tubulo distale, nella parte rettilinea, avviene un ulteriore riassorbimento di ioni sodio, per cui si crea un
aumento della pressione osmotica che richiama ancora acqua. Nel segmento convoluto del tubulo distale può
venire riassorbita altra acqua, ma è un riassorbimento facoltativo influenzato dall’ormone antidiuretico ADH, per
cui si ha un ulteriore concentrazione delle urine. A questo livello c’è anche l’azione dell’ormone aldosterone, che
determina un riassorbimento attivo di ioni sodio che vengono sostituiti da altri cationi.
Il rene è anche responsabile di alcune funzioni endocrine, perché nel rene viene anche prodotta l’eritropoietina (=
fare le cellule del sangue), che stimola l’eritropoiesi. Secondo alcuni studiosi, la regolazione dell’ematocrito, ovvero
la percentuale di elementi corpuscolati del sangue, richiede una coordinazione tra il volume del plasma e la massa
degli eritrociti; quindi il rene, controllando la produzione degli eritrociti attraverso l’eritropoietina e il volume
plasmatico attraverso l’escrezione di sale e acqua, è in grado di regolare l’ematocrito.
La corticale del rene ha un elevato metabolismo aerobico, quindi è molto sensibile all’apporto di ossigeno con il
sangue che arriva al rene; una condizione di ipossia fa sì che le cellule del rene immettano nel sangue
l’eritropoietina (EPO), prodotta dai fibroblasti peritubulari della corticale del rene. L’eritropoietina arriva la midollo
osseo e lo stimola ad aumentare la produzione di globuli rossi; più eritrociti in circolo vuol dire maggiore possibilità
di trasportare ossigeno.
Il paratormone stimola il rene a produrre un’idrossilasi (enzima), che attiva la vitamina D prodotta dalla pelle e la
trasforma nel suo metabolita attivo, ovvero il calcitriolo, il quale stimola il riassorbimento di calcio a livello del
tubulo contorto distale. Riassorbire calcio vuol dire innalzare la calcemia, ovvero il tasso di ioni calcio nel sangue.
i calcoli renali sono minerali cristallizzati, per lo più calcio e acido urico, che formano dei sassolini, che si trovano
nei calici renali e nella pelvi renale. La formazione dei calcoli renali prende il nome di nefrolitiasi. Di norma l’urina
contiene sostanze che impediscono la formazione di questi
agglomerati cristallizzati, ma a volte può capitare che si aggreghino
ugualmente e questo può avvenire se si supera il grado di solubilità
di certe sostanze nell’urina. Può capitare che i calcoli si blocchino e
succede soprattutto a livello dell’uretere, causando un’ostruzione
urinaria che causa forte dolore e che riduce la filtrazione a livello
renale. Di solito i calcoli si vedono ai raggi X. Quando sono piccoli
possono scendere lungo gli ureteri e lungo l’uretra, venendo
eliminati con l’urina; quando sono più grandi possono andare ad
ostruire la pelvi renale, causando la colica renale, che è
caratterizzata da dolori molto forti lungo il decorso degli ureteri.
Questo dolore è causato dal fatto che l’uretere si contrae molto
per cercare di eliminare il calcolo; se anche questi movimenti
peristaltici non sono in grado di eliminare i calcoli, questi vanno
rimossi chirurgicamente. I crampi si estendono lungo la regione
lombare e inguinale. L’uretere, nel tentativo di spingere fuori il
calcolo, può infiammarsi, creando anche un problema di ematuria.
L’uretere ha una lunghezza di circa 30 cm che giunge fino alla vescica, che funge da
serbatoio di accumulo dell’urina. Gli ureteri si inseriscono nella vescica e l’ultimo
tratto delle vie urinarie è costituito dall’uretra.
Queste formazioni deputate al trasporto dell’urina hanno la tonaca mucosa rivestita dell’epitelio di transizione, che
consente notevoli modificazioni di volume della parete, oltre a proteggere l’organi dall’azione aggressiva dell’urina.
Quest’epitelio è quindi impermeabile all’urina ed è composto da più strati di cellule, dove le cellule che lo
costituiscono possono presentare diverso spessore per adattarsi al grado di distensione dell’organo. La tonaca
mucosa forma delle pieghe, che scompaiono al passaggio dell’urina.
La tonaca muscolare è piuttosto spessa ed è composta da due strati di muscolatura liscia e nella vescica si
arricchisce di uno strato in più. Nella vescica le fibrocellule muscolari si dispongono a formare uno strato circolare
interno, uno longitudinale esterno e in più c’è uno strato intermedio di fibre oblique. Nella vescica questi tre strati
vengono denominati come muscolo detrusore della vescica.
La vescica è un organo prevalentemente muscolare, cavo e impari, posto in posizione mediana; può contenere fino
a 600/700 mL di urina, un po’ di più nel sesso femminile. Lo stimolo della minzione si ha già con un riempimento
vescicale intorno ai 200 mL e nelle donne in gravidanza, proprio per la pressione esercitata dall’utero che si trova
posteriormente alla vescica, lo stimolo sia ha con un riempimento ancora più scarso. La vescica è una specie di
sacco muscolare, con una parete piuttosto spessa; si trova nel piccolo bacino, ma quando è piena viene a sporgere
anche nella grande pelvi. La parte superiore della vescica è coperta dal peritoneo addominale parietale, per cui la
vescica è un organo sottoperitoneale. La presenza del peritoneo consente alla vescica di spostarsi verso l’alto,
consentendole di sporgere dietro la sinfisi pubica. La forma della vescica si modifica molto a seconda del grado di
riempimento: se vuota ha la forma di una specie di coppa con la parte superiore che si affloscia, mentre se è piena
è totalmente distesa. La vescica presenta all’interno molte pieghe, tranne che alla base, dove c’è una specie di
triangolo, dove si trova il trigono vescicale; i vertici superiori di questi triangolo corrispondono superiormente allo
sbocco dei due ureteri, mentre il
vertice inferiore corrisponde
all’orifizio interno dell’uretra. La
parete della vescica è
tappezzata dall’epitelio di
transizione, ma gran parte della
parete è muscolare. Nel punto
in cui gli ureteri entrano nella
vescica, si formano dei lembi
valvolari muscolari che servono
a impedire il reflusso dell’urina
in direzione degli ureteri.
A livello dell’orifizio uretrale interno si ha una muscolatura a decorso circolare, dove si forma quindi uno sfintere
che prende il nome di sfintere interno dell’uretra; questo essendo formato da muscolatura liscia involontaria è
sotto il controllo del sistema nervoso simpatico e quindi è involontario. La sua apertura si ha in rapporto al grado di
riempimento dell’organo. L’uretra, a livello del diaframma urogenitale, possiede un altro sfintere, detto esterno,
che è formato da muscolatura striata, quindi con un controllo volontario; questo controllo viene raggiunto intorno
a 2/3 anni di vita ed è il motivo per cui i bambini piccoli non riescono a trattenere l’urina, semplicemente perché il
suo sistema nervoso non è ancora abbastanza maturo per controllare lo sfintere esterno dell’uretra.
Nel maschio la vescica poggia sulla prostata ed è separata dall’intestino retto soltanto attraverso le vescichette
seminali e le ampolle dei dotti deferenti, formando il cavo vescico-rettale.
Quando l’urina si raccoglie nella vescica in notevole quantità, la parete dell’organo si distende, determinando il
riflesso della minzione; questo riflesso è causato dal fatto che vengono stimolati dei particolari recettori di tensione
posti nella parete vescicale, che provocano la contrazione della muscolatura e il rilasciamento degli sfinteri
vescicali.
Ovaie
Le ovaie sono situate lateralmente all’utero e
mantenute in posizione dal legamento largo
dell’utero, dal legamento ovarico e dal legamento
sospensore.
I follicoli ovarici sono situati nella corticale dell’ovaio e sono strutture formate da ovociti in varie fasi di
maturazione, circondati da cellule follicolari, che nutrono l’ovocita e secernono estrogeni.
L’ovogenesi è il processo di formazione degli
ovociti nelle ovaie e comincia prima della nascita.
Nel periodo fetale le cellule germinative
contenute nelle ovaie si differenziano in ovogoni
(cellule staminali diploidi, 2n); questi si dividono
per mitosi producendo milioni di cellule
germinative. Gli ovogoni si trasformano in ovociti
primari, che iniziano la meiosi I ma non la
completano fino dopo la pubertà; in questa fase
l’ovocita primario è circondato da un solo strato
di cellule follicolari, questa struttura prende il
nome di follicolo primordiale. Alla nascita in ogni ovaio sono presenti da 200.000 a 2.000.000 di follicoli
primordiali contenenti ovociti primari; di questi circa 40.000 saranno ancora presenti alla pubertà e circa 400
matureranno e verranno espulsi con l’ovulazione.
Tube uterine
Fanno parte delle vie genitali
femminili, ovvero un sistema di
canali percorso in salita dagli
spermatozoi e in discesa dall'ovocita
dopo l'ovulazione. Ne fanno parte
anche utero e vagina. Le tube
uterine, o salpingi o tube di
Falloppio, sono laterali all’utero e
hanno una lunghezza di circa 10 cm.
Sono percorse dagli spermatozoi e
trasportano gli ovociti secondari o la
cellula uovo fecondata dall’ovaio
all’utero. La parete delle tube è
formata da 3 stati: la tonaca mucosa è formata da epitelio composto da cellule cilindriche ciliate e da cellule a clava
con microvilli, che secernono fluido che dà nutrimento alla cellula uovo; la tonaca muscolare ha uno strato interno
di muscolatura liscia circolare e uno esterno di muscolatura liscia longitudinale, mentre la tonaca sierosa è strato
più esterno.
Utero
È la sede dell’impianto dell’uovo
fecondato, dello sviluppo del feto
durante la gravidanza e del parto.
Durante il periodo di vita fertile,
quando non c’è fecondazione, l’utero
determina il flusso mestruale. È
suddiviso in fondo, corpo e collo o
cervice uterine. Internamente
presenta la cavità uterina e il canale
cervicale. La parete dell’utero è
formata da tre tonache, ovvero
perimetrio, che corrisponde alla
tonaca sierosa, miometrio che è la
tonaca muscolare, e endometrio, ovvero la tonaca mucosa. L’angolo di antiflessione è l’angolo fra lasse del copro
dell’utero e del suo collo; nei soggetti normali è aperto anteriormente.
Il perimetrio è la tonaca sierosa esterna ed è parte del peritoneo viscerale.
Il miometrio è la tonaca muscolare intermedia, costituita da diversi strati di cellule muscolari lisce la cui
disposizione permette a quest'organo di aumentare notevolmente dimensioni e volume. Durante il parto diventa
sensibile all’ossitocina, che favorisce la contrazione della muscolatura del fondo e del corpo. L’endometrio è la
tonaca mucosa interna dell'utero, molto vascolarizzata e ricca di ghiandole. Comprende tre componenti:
• Strato interno: epitelio cilindrico semplice
• Stroma endometriale: tessuto connettivo lasso
• Ghiandole endometriali: si sviluppano come invaginazioni dell’epitelio di rivestimento e si estendono fino
quasi al miometrio.
Inoltre l’endometrio è formato da due strati, uno funzionale che si stacca durante la mestruazione e uno basale,
che genera un nuovo strato funzionale dopo ogni mestruazione.
Le ovaie e l’utero sono caratterizzati da modificazioni cicliche che si ripetono ogni mese, regolate da ormoni secreti
dall’ipotalamo e dall’ipofisi. Il ciclo ovarico si svolge nelle ovaie e comprende una serie di eventi che avvengono
durante e dopo la maturazione di un ovocita.
Il ciclo uterino o mestruale è un insieme di
modificazioni dell’endometrio dell’utero per
renderlo idoneo ad accogliere un uovo
fecondato. Se non c’è fecondazione, la
secrezione di ormoni ovarici (progesterone)
si riduce determinando il distacco dello
strato funzionale dell’endometrio.
Vagina
È il canale fibromuscolare, lungo 10 cm, in cui avviene il passaggio del flusso mestruale e del feto durante il parto.
Si apre all’esterno tramite l’orifizio vaginale.
Apparato genitale maschile
Può essere diviso in quattro principali componenti funzionali:
❖ le gonadi (testicoli o didimi) sono organi pari posti nella borsa scrotale,
responsabili della produzione dei gameti maschili, gli spermatozoi, e
della secrezione degli ormoni maschili
❖ le vie spermatiche (tubuli retti e rete testis, epididimi, canali deferenti,
condotti eiaculatori, uretra comune) raccolgono, immagazzinano e
veicolano gli spermatozoi da ogni testicolo.
❖ I dotti eiaculatori convergono verso l’uretra, da cui gli spermatozoi
vengono espulsi
❖ le ghiandole annesse (vescichette seminali, prostata) secernono un
liquido, nutritivo e lubrificante, ovvero il liquido seminale, mediante il
quale gli spermatozoi sono convogliati verso l’apparato genitale
femminile. Liquido seminale e spermatozoi formano il liquido
spermatico
❖ i genitali esterni (pene, borsa scrotale)
Testicolo
Durante lo sviluppo, i testicoli si formano nella cavità addominale,
accanto ai reni. Successivamente, si spostano verso il basso
trascinandosi dotti, vasi e nervi, che formeranno il funicolo spermatico
e, poco prima della nascita o subito dopo, vanno a collocarsi nei sacchi
scrotali. Il testicolo è un organo parenchimatoso di forma ovoidale e
con superficie liscia. Presenta un polo superiore appiattito, un margine
mediale e un margine laterale. È strettamente associato ad una
struttura che lo sovrasta, l’epididimo. Ciascun testicolo è avvolto dalla
tonaca di connettivo fibroso denso che penetra in esso formando setti
fibrosi che lo suddividono in lobuli di forma piramidale, i lobuli
testicolari. I lobuli testicolari convergono verso la parte posteriore del
testicolo in una zona chiamata rete testis, occupata da vasi e dai dotti
che sono l’inizio delle vie spermatiche.
In ogni lobulo sono presenti da uno a quattro tubuli seminiferi molto convoluti, in cui sono prodotti gli
spermatozoi. I tubuli seminiferi contengono due tipi di cellule, ovvero le cellule del Sertoli e le cellule della serie
spermatogenica (che producono spermatozoi).
La rete Testis è la rete di tubuli originata dalla convergenza dei tubuli seminiferi, mentre i dotti efferenti sono circa
15-20 piccoli dotti che convogliano gli spermatozoi dalla rete testis all’epididimo.
Fra i tubuli seminiferi è presente il tessuto interstiziale, in cui sono localizzate le cellule di Leydig, responsabili della
produzione di ormoni sessuali maschili, principalmente testosterone; questo stimola la spermatogenesi e provvede
alla maturazione degli spermatozoi, controlla l’attività delle vie spermatiche e delle ghiandole annesse, determina i
caratteri sessuali secondari, ha un effetto anabolizzante sul metabolismo proteico e determina il comportamento
sessuale influendo sul SNC.
La spermatogenesi avviene nei tubuli seminiferi. Le cellule germinali
primitive del maschio, gli spermatogoni, sono presenti solo in piccolo
numero nelle gonadi maschili prima della maturità sessuale, mentre dopo
la maturità sessuale si moltiplicano continuamente per mitosi e
forniscono una riserva di cellule che, andando incontro a meiosi, formano
i gameti maschili. Il successivo sviluppo del gamete maschile in uno
spermatozoo mobile è definito spermiogenesi. Spermatogenesi e
spermiogenesi sono sincronizzati e avvengono sequenzialmente lungo il
tubulo. La maturazione finale degli spermatozoi avviene nell’epididimo.
Epididimo
È un tubulo contorto lungo 4-6 cm, si estende dalla parte posteriore del testicolo al
polo inferiore, dove si continua nel dotto deferente. Accoglie, accumula e fa
maturare gli spermatozoi che acquisiscono la mobilità. Presenta una testa, un corpo
e una coda, che si continua nel dotto deferente. L’epididimo è la sede della
capacitazione degli spermatozoi ovvero il processo (circa 14 giorni) con cui gli
spermatozoi acquisiscono la motilità e la capacità di fecondare un ovocita.
Dotto deferente
Conduce gli spermatozoi dall’epididimo all’uretra. È un tubo muscolare dalla parete spessa, formato da uno strato
interno e uno esterno di muscolatura longitudinale e da uno spesso strato intermedio di muscolatura circolare.
Durante l’eiaculazione si contrae fortemente, producendo onde peristaltiche che espellono il suo contenuto
nell’uretra.
Quindi gli spermatozoi durante il loro percorso attraversano rete testis, dotti efferenti, epididimo, dotti deferenti,
dotti eiaculatori e uretra. Le vie spermatiche raccolgono, contengono ed elaborano il liquido spermatico; hanno
inoltre un’attività motoria di spinta nell’uretra del liquido spermatico durante l’eiaculazione.
La produzione di spermatozoi a carico dei testicoli viene accompagnata dalla produzione di secreti da parte delle
ghiandole annesse all’apparato genitale maschile, ovvero le vescichette seminali, la ghiandola prostatica o prostata
e le ghiandole bulbouretrali. I loro secreti insieme agli spermatozoi formano lo sperma o liquido seminale.
Vescichette seminali
Sono organi pari, simmetrici, annessi all’ultima
parte del deferente e poggiate sul pavimento
pelvico sopra la prostata e sotto la vescica.
Producono un materiale denso a base di
fruttosio, prostaglandine e fibrinogeno con
funzione nutritiva per gli spermatozoi e si
mescola con essi al momento dell’eiaculazione.
Contribuisce per circa il 60% del volume totale
del liquido seminale.
Prostata
Circonda il collo della vescica e la prima parte dell’uretra. Ha la forma di una castagna appiattita e ha una struttura
ghiandolare, formata da circa 30 ghiandole separate che sboccano separatamente nell’uretra, immerse in un
connettivo ricco di muscolatura liscia. Il suo secreto viene emesso verso la fine della eiaculazione nell’uretra e
favorisce il movimento e l’attività degli spermatozoi; essendo alcalino serve a neutralizzare l’acidità vaginale.
Uretra
Inizia dalla vescica e continua nel pene. Si distingue in tratto prostatico o pelvico (3 cm), tratto membranoso o del
trigono, che passa attraverso il diaframma pelvico, e tratto o uretra cavernosa (18 cm) all’interno del pene.