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Lezione 08/11/2022 – Anatomia umana

1. I tessuti
È necessario introdurre il mondo dell’anatomia umana accennando citologia e
istologia. Noi conosciamo la cellula come entità che sta alla base delle forme viventi,
sebbene abbiano un’organizzazione, conosciamo delle cellule specializzate come ad
esempio le cellule nervose, le fibre muscolari, le cellule del tessuto osseo. La
disciplina che studia la cellula è la citologia. Le cellule combinandosi tra loro formano
i tessuti, studiati dall’istologia. Sebbene esistano vari tipi di tessuti, tutti possono
essere classificati in quattro macrocategorie:
- tessuto epiteliale;
- tessuto muscolare;
- tessuto nervoso;
- tessuto connettivo.
Abbiamo sempre cellule più o meno intensamente ancorato tra loro, negli spazi
troviamo il liquido interstiziale/extracellulare, liquido arricchito di ioni.
Tessuti epiteliali: sono tessuti altamente cellularizzati ossia vi è poco spazio
intercellulare. Nel tessuto epiteliale le cellule si organizzano in maniera più o meno
ordinata, si organizzano in uno o in più strato, in ogni caso si formano vere e proprie
lamine di cellule. I tessuti epiteliali svolgono funzione di:
- rivestimento e protezione: gli epiteli sono preposti a fare ciò, per questo li troviamo
a rivestire la superficie esterne e interne del corpo, sia che queste ultime comunichino
o meno con l’esterno. L’epidermide ad esempio è un tessuto epiteliale composto e
per la sua struttura ha anche funzione di barriera. Si pensi invece alla cavità orale o
al canale digerente, è rivestito da un tessuto epiteliale in particolare la mucosa e
comunica con l’esterno. I vasi sanguigni sono cavità poiché in esse scorre il sangue,
il rivestimento più intimo dei vasi sanguigni prende il nome di endotelio che non altro
se non un epitelio di rivestimento che però non comunica con l’esterno;
- secrezione e assorbimento: si pensi allo stomaco, attraverso la mucosa avviene la
secrezione di una serie di sostanze ma anche il riassorbimento di ciò che ritroviamo
nell’intestino che poi viene riportato in circolo dai vasi sanguigni;
- sensoriale: molto
importante perché i
tessuti epiteliali sono
riccamente innervate
preposte alla sensibilità,
addirittura esistono epiteli
specializzati, un esempio
è l’epitelio che riveste gli
organi del gusto o ancora
le cellule epiteliali che
troviamo nel corti
dell’orecchio interno.
Da un punto di vista morfologico i tessuti epiteliali vengono classificati sulla base di
lamine che sulla forma delle cellule. Si dice monostratificato un epitelio organizzato
su più strati, si dicono pluristratificati/composti se presentano più lamine. Le cellule
epiteliali possono essere:
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- piatte quindi si parlerà di epitelio pavimentoso;
- cilindriche quindi si parlerà di epitelio cilindrico o pachiprismatico;
- cubiche quindi si parlerà di epitelio isoprismatico.
Negli epiteli composti la forma delle varie cellule cambia, in genere nello stato basale
troviamo cellule cubiche tuttavia classifichiamo gli epiteli composti sulla base delle
cellule sullo strato più superficiale, avremo un epitelio composto pavimentoso se le
cellule degli stati più esterni sono piatte.
Esiste poi l’epitelio pseudostratificato, ossia un epitelio che sembra pluristratificato
ma che in realtà ha un solo strato che poggia tutto su uno stesso basamento grazie
al supporto detto membrana basale. Questo tipo di epitelio è tipico delle vie aeree.
Abbiamo due tipi di epitelio
pavimentoso specializzati:
- endotelio: lo troviamo in arterie e
vene;
- mesotelio: lo ritroviamo a formare
quelle che sono le membrane
sierose del corpo (pleura,
pericardio e peritoneo), le
membrane sierose rivestono ma
non contengono gli organi;
- epitelio di transizione: presente
nelle vie urinarie che si estende al
momento del bisogno, le cellule si
riorganizzano e si dispongono su un numero minore di strati e consentono un
aumento del volume.
I tessuti epiteliali non sono vascolarizzati, le cellule dell’epitelio respirano e
sopravvivono grazie al tessuto
connettivale nel quale scorrono i vasi
sanguigni e per diffusione i nutrimenti
che scorrono in quelle cellule
raggiungono i tessuti epiteliali. Un’altra
caratteristica è che gli epiteli vivono se
ancorati a un supporto, infatti poggiano
sempre su una membrana basale.
Un’altra caratteristica è il potenziale
rigenerativo, questo per le cellule
staminali cioè in grado di dividersi e replicarsi, da un lato provvedono a evitare il
depauperamento del pool di cellule staminali e da un altro lato provvedono a fornire
nuove cellule che si differenzieranno in cellule epiteliali per il rinnovo dell’epitelio
stesso. Le cellule epiteliali non sono tutte uguali perché presentano delle
specializzazioni e soprattutto ogni cellula epiteliale si dice polarizzata, la parete che
riveste la cellula si specializzerà per entrare in contatto con le cellule adiacenti. La
membrana apicale di una cellula epiteliale avrà altre specializzazioni mentre la
membrana plasmatica della parete basale ne avrà altre ancora. queste diverse
caratteristiche della membrana sul versante laterale, basale e apicale si
accompagnano a una polarizzazione interna cioè gli organelli non sono disposti in
maniera omogenea ma sono polarizzate, potremmo avere più mitocondri sulla
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membrana basale perché specializzate in quello. Partendo dal versante laterale le
specializzazioni più importanti riguardano le giunzioni cellulari:
- tight junction/giunzioni occludenti: se l’epitelio deve separare un ambiente interno
fortemente acido dagli strati della parete della mucosa gastrica non vi deve essere
passaggio di sostanze perché altrimenti
distruggeremmo la mucosa gastrica quindi
se questo tipo di epitelio deve svolgere la
funzione di barriera è necessario che tra le
cellule vi siano dei tipi di sostanze che
impediscano lo scambio paracellulare,
chiaramente il trasporto di sostanze per via
transcellulare avverrà;
- desmosomi: complessi macromolecolari
che possono distribuirsi a spot o in fasce;
- jap junction/giunzioni comunicanti: in altri
casi va consentito lo scambio paracellulare
così avremo giunzioni di tipo diverso;
una cellula epiteliale si muove sul supporto
quasi come un’ameba, estende un’estroflessione
che prenderà il nome di lamellipodia o filopodia,
queste estroflessioni si ancorano al substrato e
attraverso una riorganizzazione del citoscheletro la
cellula viene trainata in avanti. Anche qui si crea
una giunzione con il supporto ma si tratta di una
giunzione transitoria perché quando la cellula viene
trainata si ha la formazione di una nuova
estroflessione per il proseguo del percorso.
Abbiamo un epitelio con cellule epiteliali normali e
tra le cellule epiteliali troviamo delle cellule
secretorie in grado di rilasciare le mucine,
potremmo anche avere microvilli che insieme alle ciglia sono specializzazioni del
versante apicale di una cellula. Le ciglia sono estroflessioni citoplasmatiche con
un’impalcatura tubulare che hanno una lunghezza di 5-10 micron, con il loro
movimento riescono a mettere in movimento ciò che sta al di sopra. Nell’epitelio delle
vie aeree, il muco ricoprirà questa superficie epiteliale e
riuscirà ad intrappolare tutto ciò che va a formare il
pulviscolo atmosferico, cioè tutte quelle microparticelle che
riescono ad entrare nelle vie aeree nonostante la funzione
delle vie nasali non devono andare nei polmoni, ecco che
si nascondono nel muco che però deve essere deglutito,
ciò è consentito grazie al movimento delle ciglia. Sono fatte
da una porzione di membrana citoplasmatiche, poi
abbiamo 9 coppie di tubuli al centro di una coppia di tubuli.
A differenza delle ciglia, i microvilli non hanno una struttura
tubulare ma uno scheletro costituito da microfilamenti di
actina. I microvilli sono estroflessioni citoplasmatiche molto
più corte rispetto a quelle delle ciglia. I singoli enterociti
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della parete intestinale a loro volta presentano delle
estroflessioni. Non sono mobili e hanno una funzione di
assorbimento quindi aumentare la superficie. Le stereociglia
sono dei microvilli specializzati e più lunghi. Le ritroviamo
nell’epididimo e nell’organo del Corti, permettono la
trasduzione del segnale e ci consentono di sentire. Accanto
a questi epiteli troviamo gli epiteli ghiandolari, andando alla
secrezione abbiamo particolari tipi cellulari preposti a
particolari tipi di secreti. In base alla modalità con cui il
secreto viene rilasciato all’esterno distinguiamo in tre
modalità:
- merocrina: il secreto viene
riversato all’esterno senza perdere
parte del citoplasma;
- apocrina: qui si perde il
citoplasma apicale;
- olocrina: si disintegra e tutto ciò
che è all’interno viene riversato
all’esterno.
Le tre sovracitate fanno parte di
secrezione esocrina che riguarda la
produzione di un secreto che va all’esterno
del corpo o di cavità interne che comunicano
con l’esterno. La secrezione endocrina
prevede invece che il secreto venga riversato
nel torrente circolatorio. In base alla natura
chimica si può parlare di ghiandole sierose
(secreto proteico), ghiandole mucose
(secreto glicoproteico) e ghiandole miste
(secreto siero-mucoso). La classificazione
delle ghiandole viene poi seguita in base alla
morfologia stessa di una ghiandola. Gli epiteli
ghiandolari che diventano esocrino derivano da una lamina epiteliale primitiva,
quando si forma una ghiandola esocrina vuol dire che ha mantenuto la
comunicazione con la ghiandola epiteliale da cui è stata generata, nel caso di una
ghiandola endocrina si assiste a una proliferazione e a un’introflessione di questa
lamina epiteliale a cui segue un distacco di comunicazione. Quando ci troviamo di
fronte a una ghiandola avremo sempre una componente secernente detta
adenomero e poi una componente di trasporto verso l’esterno quindi di dotto
escretore. A proposito delle ghiandole esocrine queste
ghiandole vengono classificate in base alla forma
dell’adenomero, un’altra classificazione va fatta in base
al numero di adenomeri. Le ghiandole vengono anche
classificate in intraepiteliali ed extraepiteliali: se una
ghiandola rimane confinata nell’epitelio è intraepiteliale,
se si allontana dal tessuto epiteliale si chiama
extraepiteliale.
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Tessuti muscolari: tessuto muscolare è fittamente cellularizzato, in questo caso le
cellule del tessuto sono specializzati nella funzione contrattile, distinguiamo tra
striato, liscio e striato cardiaco. Nel muscolo liscio ogni fibra muscolare (cellula) è
una cellula singola, nello striato cardiaco ogni fibra cellulare è una cellula con un solo
nucleo, nello striato ogni fibra è un sincizio cellulare perciò è costituita da tanti nuclei.
Ogni muscolo è formato da tante fibre muscolari disposte parallelamente tra di loro,
la membrana plasmatica qui si chiama sarcolemma. All’interno abbiamo un unico
citoplasma detto anche sarcoplasma, esso è ricco di miofibrille allineate tra di loro.
Ogni miofibrilla è costituita da miofilamenti di due tipi:
- spessi, di miosina;
- sottili, di actina.
Tante miofibrille sono organizzate a occupare il sarcoplasma della fibra muscolare. I
miofilamenti sono organizzati in modo peculiare e questa particolare organizzazione
in unità dette sarcomeri fanno si che le fibre
muscolari presentino delle particolari
striature. Queste striature che vediamo in
microscopia elettronico corrispondono a
delle bande. Ogni sarcomero, compreso da
due linee Z, è costituito da bande che
corrispondono alla sovrapposizione dei
miofilamenti, regioni in cui abbiamo solo
miosina o solo actina. I miofilamenti di
miosina con le porzioni periferiche sono
legati ai filamenti di actina, durante la
contrazione quindi l’accorciamento del
muscolo si assiste allo scivolamento della
miosina sull’actina. Il muscolo striato
cardiaco presenta delle striature ma mente quello scheletrico è fatto da sincizi
muscolari, qui abbiamo solo un sincizio funzionale. Le varie cellule sono legate
strettamente le une alle altre grazie ai dischi intercalare, ciò permette una rapidissima
comunicazione tra le cellule e favoriscono la contrazione. Accanto alle fibre muscolari
di lavoro abbiamo le fibre funzionali cioè le fibre preposte allo stimolo contrattile.
Mentre il muscolo striato scheletrico ha potenzialità rigenerative, nel miocardio il
potenziale cardiaco è scarso nonostante esistano le cellule staminali. Le fibre
muscolari del tessuto striato sono in grado di lavorare a lungo ma non hanno la
capacità di sprigionare forza, al
contrario ci sono fibre che
esercitano in un breve intervallo
una grave forza, si definiscono
così in fibre lente, intermedie e
rapide. Le fibre lente sono quelle
fibre che per compiere la loro
funzione necessitano di un
intervallo di tempo lungo perché
ricavano l’energia dalla
fosforilazione ossidativa quindi
è necessaria la presenza di
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ossigeno. Troviamo un colore rosso scuro quindi c’è un
contenuto di mioglobina molto alto, molti capillari, molti
mitocondri e poco glicogeno. Non riescono a ricavare in breve
tempo molto ATP. Nel polpaccio troveremo fibre muscolari
rapide, la principale sorgente di ATP è la glicolisi che avviene
in assenza di ossigeno, ci saranno molte riserve di glicogeno,
pochi capillari e poca mioglobina, scarsità di mitocondri,
chiaramente il colore sarà pallido. In ogni muscolo le troviamo
entrambe ma con una differente vascolarizzazione. I muscoli
lisci sono quelli involontari, ogni fibra muscolare è costituita
da un’unica cellula con un unico nucleo. Esistono fibre
muscolari lisce come i periciti, sono cellule che ritroviamo
sempre a ridosso dei vasi, soprattutto dei capillari, contribuiscono alla formazione di
nuovi vasi, possono trasformarsi in macrofagi, secernere sostanze proinfiammatorie.
Esiste un altro particolare tipo di fibra muscolare liscia, la cellula mioepiteliale a
ridosso delle cellule secernenti, la loro attività contrattile contribuisce alla spremitura
delle cellule secernenti.
Tessuto nervoso: costituito principalmente da neuroni e cellule della glia, di supporto.
I neuroni sono costituiti da un corpo con un nucleo all’interno e da una serie di
prolungamenti citoplasmatica con funzione dendritica cioè di ricezione e assonica
con funzione di trasmissione. Le cellule della Glia/nevroglia sono di natura diversa,
in generale sono preposte al supporto meccanico e trofico dei neuroni, alcune
possono partecipare però alla trasmissione del segnale.
Tessuto connettivo: si può semplificare lo studio ma parlarne non è semplice, qui
confluiscono tutti i tessuti non presenti nelle altre tre categorie tissutali. Si distinguono
in:
- propriamente detti, li ritroviamo a formare lo stroma degli organi pieni, la capsula
che avvolge gli organi, le membrane basali o le fasce di rivestimento del corpo.
Abbiamo una fascia superficiale disponendosi al di sotto del derma, la fascia
profonda che contribuisce a compartimentalizzare i muscoli negli arti, la fascia
intermedi;
- liquidi come sangue e linfa;
- di sostegno come cartilagine e tessuto osseo.
I connettivi propriamente detti sono tutti quei
tessuti che non possiamo annoverare in
tessuti epiteliali, muscolari, nervosi, liquidi o di
sostegno. I tessuti connettivi sono tessuti in cui
la componente cellulare può essere anche
scarsa ma prevale la matrice extracellulare. La
matrice extracellulare è costituita da una
sostanza fondamentale amorfa ossia il liquido
extracellulare arricchito di molecole e soluto,
qui troviamo anche le fibre proteiche. Nella
sostanza fondamentale troviamo i
proteoglicani, i glicosamminoglicani con
l’importante funzione di regolare la consistenza e la capacità di essere modificato
tipica del tessuto connettivo. I proteoglicani sono costituiti da un cuore proteico dul
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quale si inseriscono i glicosiamminoglicani, la presenza degli zuccheri permette di
regolare l’osmosi. Tanti proteoglicani possono inserirsi su una struttura proteica
quale l’acido ialuronico per formare gli aggregani. Abbiamo poi le glicoproteine che
hanno un contenuto glucidico un po’ più scarso. Le fibre che troviamo nella matrice
sono fortemente responsabili della densità del tessuto connettivo. Distinguiamo tra:
- fibre collagene;
- fibre elastiche: sono costituite in particolare da elastina oltre che da fibrillina. Alcuni
legamenti della colonna vertebrale hanno una componente elastica molto importante;
- fibre reticolari: ricche di collagene di tipo 3 e sono ricche soprattutto nello stroma di
alcuni organi pieni perché riescono a formare bene l’impalcatura su cui si inserisce il
parenchima dell’organo.
Le cellule dei tessuti connettivali sono classificate in cellule fisse e cellule mobili. In
particolare troviamo il fibroblasto, responsabile della secrezione di proteoglicani e
anche delle fibre. Le cellule mobili invadono il tessuto connettivo in caso di necessità
quindi abbiamo le plasmacellule o particolari tipi di linfociti T. Distinguiamo tra due
tipi di tessuto connettivo:
- lasso: poveri in fibre, ad esempio lo trovo nel derma, nella mucosa, nel tessuto
adiposo;
- denso: ricco di fibre, possono disporsi in maniera ordinata quindi si parla di tessuto
connettivo denso a fibre parallele, classico esempio è il tendine. Se invece è disposto
in maniera irregolare, un esempio è la capsula fibrosa di alcuni organi. Abbiamo
anche il tessuto connettivo elastico ad esempio nelle membrane elastiche presente
nelle grosse arterie. Rispetto ai propriamente detti per quanto concerne la matrice
extracellulare nel cartilagineo è diversa che si esaspera nel tessuto osseo dove
addirittura la matrice extracellulare diventa solida. Le cellule preposte alla matrice del
tessuto cartilagineo prendono il nome di condroblasti che rimangono poi intrappolati
in alcune lacune della matrice extracellulare e va a formare i gruppi isogeni.
Distinguiamo in:
- cartilagine ialina: va a formare la cartilagine delle vie aeree, della tiroide, della
laringe, gli anelli cartilaginei della trachea;
- elastica: poco rappresentata, un esempio è rappresentato dall’epiglottide;
- fibrosa: a formare i dischi intervertebrali ed è presente in tutte le sinfisi.
La caratteristica distintiva del tessuto osseo è che la sua matrice extracellulare si
dice calcificata e mineralizzata, è ricca soprattutto di calcio e di fosforo e organizzata
in fosfato di calcio. Gli elementi cellulari caratteristici del tessuto osseo sono le
osteoprogenitrici da qui si originano gli osteoblasti, preposti alla formazione di nuova
matrice ossea, quando terminano la loro funzione diventano osteociti che rimarranno
intrappolati in delle lacune come i
condrociti. Le cellule preposte al
rimodellamento della matrice
ossea sono gli osteoblasti. La
cartilagine non può rigenerarsi
invece il tessuto osseo si
rimodella costantemente. Gli
osteclasti derivano dalla linea
monocito/macrofagica. Un
aspetto importante del tessuto osseo è che esistono due tipi di tessuto osseo:
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- spugnoso;
- compatto;
- lamellare: lo troviamo nell’adulto. Il tessuto osseo si forma grazie alla produzione
degli osteoblasti depositano la matrice ossea che poi calcifica grazie al deposito
dell’idrossiapatite, depositando ordinatamente questa sostanza detta osteoide
rimangono intrappolati e si trasformano in osteociti. Gli osteoblasti formano delle
lamelle concentriche intorno a un canale centrale,
questo porta all’unità strutturale del tessuto
compatto detto osteone. Abbiamo tante lamelle
concentriche che formano l’osteone al centro
abbiamo il canale di Hayers attraverso cui passano
i vasi sanguigni e le fibre nervose. Tanti osteoni si
dispongono per formare gli elementi scheletrici,
affinché ciò avvenga devono inframezzare tra gli
osteoni le lamelle interstiziali, inoltre all’interno e
all’esterno troviamo le lamelle circonferenziale. Tra
i diversi osteoni troviamo i canali di Volkman, si
permette il passaggio dei vasi sanguigni da un osteone a un altro. La disposizione
delle fibre connettivali tra lamelle successive cambia, è importante affinché l’osseo
possa resistere alle forze che gli vengono applicate. Abbiamo anche il tessuto osseo
spugnoso, sempre di carattere lamellare, la differenza è che le lamelle sono disposte
in maniera disordinata a formare una vera e propria spugna.

Lezione 11/11/2022 – Anatomia umana

2. La cute
La cute è considerata l’organo più esteso e
occupa una superficie pari a 1,5/2 metri quadri,
è preposto al rivestimento del corpo umano e
riesce a svolgere tantissime funzioni. Essa è
organizzata in epidermide, derma e ipoderma.
L’epidermide: possiamo dire che è un epitelio
composto pavimentoso e cheratinizzato perché
le cellule che troviamo negli strati più superficiali
sono cellule morte ma ricche di cheratina.
L’elemento principale è il cheratinocita
localizzato negli stati più profondi è una cellula staminale che andando incontro a
processi di divisione mitotica asimmetrica quindi portano alla formazione di due
cellule figlie di cui una rimarrà staminale e l’altra andrà incontro a maturazione. La
maturazione che avviene a carico dei cheratinociti prende il nome di citomorfosi
cornea/cheratinizzazione, questo processo consiste in una graduale produzione di
diversi tipi di cheratine che si accumulano all’interno del citoplasma accompagnate
da una graduale distruzione degli organelli citoplasmatici compresi il nucleo, infatti
nello strato più esterno troveremo cellule morte. Lo spessore dell’epidermide cambia
da un distretto anatomico all’altro quindi possiamo parlare di cute spessa (palmo
delle mani, pianta dei piedi e nella nuca) o sottile. La cute profonda è divisa in:
- strato basale;
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- strato spinoso;
- strato granuloso;
- strato lucido;
- strato corneo.
Nella cute sottile manca lo strato lucido.
Nello strato basale troviamo le cellule
staminali che si dividono e le cellule
figlie passano nello strato spinoso (il
nome deriva dal fatto che nei preparati
istologici le cellule si ritirano mentre
rimangono alterati i punti di giunzione
cellulare che assumono un aspetto
quasi di spina), già in questo strato
avvengono delle modifiche, infatti nel
citoplasma delle cellule cominciano a
comparire dei granuli detti corpi
lamellari, la loro funzione, vista la loro
natura lipidica, è quella di creare un film impermeabilizzante negli strati superiori
dell’epidermide, a mano a mano che la produzione dei corpi lamellari va avanti si
passa allo strato granuloso dove troviamo cellule in cui troviamo anche altri tipi di
granuli detti di cheratoialina che contengono al loro interno proteine come
l’involucrina, la locrina, che svolgono un ruolo importante sia nell’organizzazione dei
filamenti di cheratina che vengono sintetizzati all’interno dei granuli sia nella
stabilizzazione del film idrolipidico che funge da repellente per le soluzioni acquose.
Superiormente, vi è lo strato lucido le cui cellule sono simili a quelle delle cellule dello
strato superficiale, in questo però vi è un elevato contenuto di una proteina, l’eleidina,
che svolge un importante ruolo sia nell’impermeabilizzazione ma è anche
responsabile dell’aspetto lucido dell’epidermide, nello strato corneo le cellule sono
completamente morte, al loro interno troviamo cheratine. esse sono costituite da un
rivestimento arricchito di proteine e conservano le giunzioni cellulari. Le cellule dello
strato corneo sono disposte in maniera embricata, quindi parzialmente sovrapposte.
Accanto ai cheratinociti troviamo
anche altri elementi cellulari, in
particolar modo, nello strato basale
troviamo i melanociti, cellule che, a
differenza delle cellule
dell’epidermide, che derivano
dall’ectoderma, derivano dal
neuroectoderma, in particolare dalle
cellule della cresta neurale e
fondamentalmente sono cellule che
danno origine alla midollare del
surrene, al SNA, a componenti dello
splancnocranio e via discorrente. A livello dell’epidermide queste cellule diventano
melanociti e sono responsabili della pigmentazione della cute, sono pari a ¼ dei
cheratinociti dello strato basale, i melanociti contraggono rapporto con questi ultimi.
I melanociti producono melanina, essa si accumula in granuli detti melanosomi,
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questi vengono riversati all’interno dei cheratinociti circostanti alla cellula entra in
contatto con circa 36 cheratinociti, questo rapporto 1:36 forma l’unità epidermico-
melanocitica. È importante perché un’alterata produzione cutanea, un esempio di
patologia è l’albinismo. Il numero dei melanociti è pressoché costante ma varia
l’attività di base dei melanociti. Altre cellule presenti nell’epidermide sono le cellule
di Merkel, sono cellule che o singolarmente o raggruppandosi contraggono rapporto
con le terminazioni nervose libere che provengono dal derma, si tratta di fibre che
presentano un unico strato di mielina intorno a sé stesse. Queste cellule svolgono
una funzione importante nella sensibilità di tipo tattile. Troviamo poi le cellule di
Langerhans non sono di derivazione ectodermica ma appartengono alla linea
monocito-macrofagica, sono preposte alle difese immunitarie, sono specializzate nel
riconoscimento, fagocitosi, processamento e presentazione dell’antigene sulla loro
superficie. Le cellule di Langerhans sono cellule mobili perché nel momento in cui
riconoscono un batterio, lo processano e via discorrendo raggiungono i linfonodi in
modo tale di provocare una risposta cellulo-mediata dai linfociti T.
Il derma: come tutti gli epiteli, l’epidermide, poggia su una membrana basale al di
sotto di questa troviamo il derma. il derma cutaneo è organizzato in due strati:
- derma papillare, definito così perché contribuisce alla formazione della giunzione
dermo-epidermica. L’epidermide non scorre sul derma ma vi è il sistema della
giunzione dermo-epidermica costituito da una serie di estroflessioni e invaginazioni
di derma ed epidermide; il derma papillare presenta una serie di papille, le papille
dermiche, che si intercalano tra le creste epidermiche. Ciò è fondamentale per dare
stabilità alla giunzione, tanto maggiore sarà l’attività, l’attrito meccanico che si crea
in un distretto anatomico tanto più sviluppati saranno i sistemi. Le impronte digitale
non sono altro se non la manifestazione delle creste epidermide in corrispondenza
della giunzione.
- derma reticolare, il termine viene dalla composizione della matrice extracellulare,
mentre nel derma papillare troviamo prevalentemente fibre collagene, in questo
troviamo una maggiore quantità di fibre reticolari che consentono l’elasticità del
derma.
L’ipoderma: è la fascia che riveste tutta la superficie corporea ma che separa la cute
dagli strati profondi. Troviamo al di sotto del derma il tessuto sottocutaneo, di tipo
connettivale e ricco di grasso per cui prende il nome di pannicolo adiposo o più
comunemente ipoderma. Là dove vi è uno strato sottocutaneo molto sviluppato la
fascia superficiale è considerata una piccola componente del tessuto sottocutaneo,
dove invece quest’ultimo è poco sviluppato viene fatto coincidere con la fascia
superficiale.
Vascolarizzazione della cute: a livello
cutaneo vi è una ricca vascolarizzazione,
questo perché la cute svolge un’importante
funzione da un punto di vista
termoregolativo e nel bilancio idrosalino.
La vascolarizzazione della cute da un
punto di visto sistemico è costituita da
arterie diretta alla cute e arterie dirette alle
componenti muscolari più superficiali,
queste arterie creano nella regione
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sottocutanea la rete arteriosa del derma. da quest’ultima partono una serie di vasi
con decorso verticale che prendono il nome di arterie a candelabro, raggiungono la
regione papillare e si organizzano nella rete arteriosa sottopapillare, da questa
partono delle arterie terminali che formano delle vere e proprie anse capillari in
corrispondenza delle papille dermiche, avvengono qui gli sgambi gassosi e ne
consegue il rilascio del sangue venoso nella rete venose. Dalle venule si forma il
plesso venoso sottopapillare da cui partono delle vene che raggiungono il plesso
venoso profondo del derma. è importante notare di anastomosi arterio-venose nel
derma reticoloso perché il sangue arterioso che raggiunge la rete arteriosa
sottopapillare può essere direttamente essere nelle vene e raggiungere il presso
venoso profondo senza passare dall’ansa capillare.
Annessi cutanei: sono considerate strutture che nascono in seno al derma, la cui
posizione può cambiare in base alle dimensioni, la maggior parte
li troviamo nel derma papillare ma arrivano fino al sottocute.
Macroscopicamente distinguiamo tra ghiandole sebacee,
preposte alla produzione di sebo che generalmente viene
riversato all’interno del follicolo pilifero e trasportato sulla
superficie cutanea dove provvede a lubrificare. Anatomicamente
la ghiandola sebacea è posizionata nell’angolo che si viene a
creare tra il follicolo pilifero e il muscolo erettore del pelo, questo
provvede alla spremitura della ghiandola stessa. Sono ghiandole
a secrezione olocrina, cioè sono ghiandole la cui componente
secernente rilascia il secreto attraverso la distruzione di tutta la cellula, la
componente secernente è costituita da cellule basale con carattere staminale, si
formano vescicole lipidiche e attraverso la secrezione olocrina tutto il secreto viene
riversato nel lume pilifero. La secrezione sebacea è continua ma subisce delle
variazioni, aumenta infatti durante la pubertà. Abbiamo poi le
ghiandole sudoripare, preposte alla produzione del sudore,
sono distribuite su tutta la superficie del corpo, si dividono in:
- eccrine, la cui component secernente accoglie cellule che
durante la produzione del sudore non perdono il citoplasma.
Sono distribuite su tutta la superficie corporea sebbene la
densità possa cambiare, la loro attività è discontinua e la
maggiore o minore produzione di sudore è associata a
particolari condizioni fisiologiche: in seguito a un’elevata
temperatura corporea abbiamo un’elevata sudorazione del
dorso delle mani e della fronte. Vi è però un’attività continua
detta perspiratio sensibilis, gioca un ruolo importante nella
termoregolazione;
- le ghiandole apocrine sono così definite perché viene persa
la parte apicale del citoplasma. In termine evolutivi, le ghiandole apocrine sono più
antiche, sono situate nelle aree genitali, nelle ascelle e sono le ghiandole il cui secreti
è continuo e che contengono i ferormoni.
Sia le ghiandole sudoripare eccrine che apocrine sono costituite da cellule la cui
componente secernente è costituita da cellule preposte alla produzione del sudore
rivestite da cellule mioepiteliali, l’attività contrattile di queste favorisce a spremere le

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ghiandole. Le cellule preposte alla spremitura e l’attività delle cellule secernenti sono
sotto un controllo nervoso diverso che può essere adrenergico o polienergico.
La ghiandola mammaria: una particolare ghiandola
sudoripara apocrina del nostro corpo è la ghiandola
mammaria che è topograficamente posizionata nella regione
pettorale della parete toracica anteriore. È posizionata lungo
la linea del latte/cresta lattea e parte dall’apice dell’ascella per
raggiungere il tubercolo pubico. La posizione della ghiandola
mammaria è peculiare perché possiamo riscontrare lungo la
cresta lattea è possibile trovare ghiandole soprannumerarie
a volte dotate di un capezzolo. Si può posizionare tra la
seconda e la terza costa o la terza e la settima. È una
ghiandola sudoripara apocrina modificata e nasce in seno al
derma ma si sviluppa in ambiente sottocutaneo e nasce, per la precisione, in uno
sdoppiamento della fascia superficiale. Posteriormente, la
fascia superficiale poggia sulla fascia profonda del grande
pettorale e del piccolo pettorale. Lo spazio retromammario
può accogliere uno strato mammario e dietro ancora lo
strato profondo. Superiormente i due strati della fascia si
fondono e vanno a formare un legamento, molto spesso
durante l’allattamento, prende il nome di legamento
sospensore del Cooper, nasce dove lo strato superficiale e
quello profondo si uniscono. La ghiandola mammaria non
poggia direttamente sui muscoli come grande pettorale e
piccolo pettorale presentano la fascia profonda questo
perché la fascia profonda compartimentalizza i muscoli del nostro corpo. Da un punto
di vista microscopico la ghiandola mammaria è rivestita da una cute molto sottile e
spesso attraverso questa è possibile vedere il reticolo venoso, non è però visibile sul
capezzolo. Le dimensioni diverse delle mammelle sono dovute alle varie componenti
dello stroma, per essere più precisi il tessuto uomo donna è uguale sino alla pubertà,
da quel momento in poi assistiamo a una leggera proliferazione del tessuto
ghiandolare ma ciò che accade in entrambi, soprattutto nelle donne, è un aumento
del connettivo circostante. La ghiandola mammaria
può rimanere non sviluppata se non si instaura una
gravidanza, se ciò accade assistiamo a una
maturazione che raggiunge il culmine al momento
dell’allattamento, al termine il tessuto può regredire.
Durante il ciclo mestruale a volte si assiste a un
aumento delle dimensioni, ciò è legato agli
estrogeni, sotto la stimolazione estrogenica
abbiamo un fenomeno di edema congestizio ossia
un aumento della circolazione e un maggiore rilascio
di liquidi nel tessuto interstiziali. Aumentano solo i
liquidi non stroma e parenchima. Clinicamente la
ghiandola mammaria in dotti galattofori che si aprono al livello del capezzolo, prima
di raggiungerlo però presentano delle espansioni presentano delle cisterne, serbatoi

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per il latte, detti seni galattofori. I dotti
galattofori a loro volta nascono dalla
confluenza di dotti extralobulari, questi
nascono dai dotti intralobulari, che nascono
dagli alveolari e ogni alveolare nasce da
un’espansione alveolare, laddove avviene la
produzione della secrezione. Andando a
ritroso, la componente secernente è
organizzato in vari alveoli, ogni alveolo ha un
proprio dotto alveolare, tanti dotti alveolari
convergono a formare un dotto intralobulari,
questi formano gli extralobulari che convergendo
formano i dotti lobulari che convergono nel
capezzolo. La componente secernente è
costituita da cellule che poggiano su di una
membrana basale e tra le cellule secernenti
troviamo le cellule mioepiteliali. L’attività delle
cellule mioepiteliali, anche sotto controllo
ormonale, determina la spremitura delle cellule
secernenti, la produzione del secreto la cui
composizione cambia a seconda del periodo pre
o post parto e il secreto viene riversato nei dotti
fino all’apice del capezzolo. Questa
organizzazione in lobuli che poi formano lobi è consentita dal tessuto connettivale
della fascia superficiale che riveste anteriormente e posteriormente il tessuto
ghiandolare forma dei sedimenti che aiuta questa suddivisione. Nel quadrante in alto
a sinistra vediamo la mammella privata del
rivestimento cutaneo quindi vediamo la
vascolarizzazione e il tessuto adiposo che
contribuisce a formare il connettivo,
immersi in questo tessuto connettivale
troviamo fibre che formano una sorta di
reticolo. Nella regione areolare non
troviamo la componente fasciale ma
troviamo una componente muscolare, in
particolare troviamo fibre muscolari sia in
corrispondenza della regione areolare ma
anche a livello del capezzolo, queste fibre contribuiscono alla spremitura dei dotti
galattofori. A livello dell’areola troviamo una serie di ghiandole unificate e troviamo
sia ghiandole sudoripore che tubercoli di Montgomery, vale a dire ghiandole
particolari che producono un secreto oleoso che contribuisce a lubrificare la
superficie dell’areola ma soprattutto del capezzolo durante l’allattamento. Nella
regione vera e propria del capezzolo troviamo delle ghiandole sebacee.

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Lezione 15/11/2022 – Anatomia

3. Lo scheletro assile pt. 1

Posizione anatomica: la posizione anatomica consiste


nell’individuo in posizione eretta, i palmi delle mani in
avanti, la testa rivolta in avanti, le braccia distese lungo il
tronco e i piedi ravvicinati e leggermente divaricati, in
questo modo possiamo definire i piani principali del corpo,
i piani principali sono:
- piano sagittale mediano: passa per l’asse longitudinale
del corpo e ci permette di identificare nel corpo umano due
parti speculari, una parte destra e una parte sinistra;
- piano frontale/coronale: si estrinseca lungo l’asse
longitudinale del corpo, individua una parte
anteriore/ventrale e una posteriore, è perpendicolare al
sagittale/dorsale;
- piano trasversale, è perpendicolare all’asse del corpo e ci permette di determinare
una parte superiore/craniale e una inferiore/caudale.
Nell’individuo è mediale ciò che è più vicino all’asse sagittale e laterale ciò che è
lontano da questo. Si definisce distale una posizione del corpo distante rispetto a
un’altra parte, la mano rispetto al gomito è distale, mentre il gomito è prossimale,
facciamo riferimento alla distanza che intercorre al punto di distanza dal tronco.
Mettendo a confronto il gomito e la spalla, il gomito sarà distale mentre la spalla
prossimale. Per questo si definiscono concetti relativi. Sistemi e apparati indicano
insieme di organi che cooperano insieme allo scopo di svolgere una funzione
comune. Si parla di sistema quando facciamo riferimento a un insieme di strutture
che hanno lo stesso compito specifico, nel sistema endocrino le funzioni specifiche
possono essere paragonate.

Apparato scheletrico e classificazione delle ossa:


l’apparato scheletrico è composto da 206 ossa,
ovviamente si fa riferimento alle più grandi perché
esistono una serie di 20/30 ossa di piccolissime
dimensioni dette ossa sesamoidi, un esempio è la
rotula/patella. Le troviamo soprattutto a livello di
mani e piedi perché sono segmenti scheletrici
costituiti da tanti altri piccoli segmenti. Questa
organizzazione ha una funzione ben specifica,
quella di permettere di compiere movimenti
specifici. Noi organizziamo lo scheletro in due
parti, lo scheletro assile e lo scheletro
appendicolare. L’appendicolare comprende gli
arti superiori, gli arti inferiori e il cingolo scapolare
e il cingolo pelvico. Lo scheletro assile comprende
le ossa del cranio, della colonna vertebrale, le coste e lo sterno.
Il tessuto osseo è di tipo lamellare e si divide in:
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- compatto;
- spugnoso.
Le ossa possono essere classificate anche in base alla morfologia:
- osso lungo (omero): organizzato in diafisi e due epifisi. L’osso compatto è presente
all’esterno mentre lo spugnoso si trova all’interno, soprattutto a livello delle epifisi.
Nello spugnoso è accolto il midollo osseo
rosso con funzione ematopopietica;
- ossa piatte (cranio): troviamo la struttura
tipica detta “a diploe”, abbiamo due strati di
osso compatto e al centro uno strato di osso
spugnoso, come un sandwich. Per
alleggerire il corpo, troviamo, in prossimità
delle ossa piatte del cranio, ossa
pneumatiche ossia ossa che accolgono
cavità al loro interno quasi sempre rivestite
da mucosa, un esempio sono i seni nasali;
- ossa brevi (carpo): ugualmente sviluppate in tutte e tre le dimensioni;
- ossa irregolari (vertebre): forma indefinite.
Sia nelle brevi che nelle irregolari troviamo un nucleo di tessuto osseo spugnoso
rivestito da tessuto osseo compatto.
Ossificazione endocondrale: alla nascita lo scheletro non è costituito completamente
da tessuto osseo ma parzialmente cartilagineo che va incontro ad un’ossificazione
endocrondrale. Questo fenomeno accompagna la crescita ed è responsabile di molte
condizioni patologiche. Il tessuto connettivo embrionale viene definito mesenchima,
durante lo sviluppo embrionale, otteniamo il tessuto osseo attraverso un processo di
ossificazione diretta durante la quale le cellule mesenchimali differenziano
direttamente in osteoblasti (cellule preposte alla deposizione di matrice ossea);
quello che accade in realtà durante lo sviluppo è una transizione del mesenchima
embrionale in tessuto cartilagineo e solo in seguito in tessuto osseo appunto
attraverso il processo di ossificazione indiretta endocondrale. Inizialmente troviamo
l’osso lungo fetale costituito da cartilagine ialina, segue poi in epoca postnatale, nelle
ultime fasi dello sviluppo, il differenziamento delle cellule della diafisi che diventano
osteoblasti che andranno, a loro volta a formare il colletto periostale/periostio che,
com’è noto, riveste tutti gli elementi scheletrici. Durante questo processo, abbiamo
un’invasione dell’elemento scheletrico da parte dei vasi sanguigni che, oltre al
nutrimento, portano le cellule
mesenchimali che si
differenziano. Nella regione
diafisaria si forma un primo
centro di ossificazione in cui gli
osteoblasti di nuova formazione
cominciano a depositare matrice
ossea che poi andrà incontro a
mineralizzazione, la componente
cartilaginea viene invece
rimossa. Accanto a questo centro
di ossificazione, se ne formano
15
altri due a livello epifisario. Rimane così, da entrambe le parti che collegano diafisi
ed epifisi, una componente cartilaginea definita piastra metafisaria/epifisaria sono
costituite da controbasti attivi e durante tutta la fase post natale e quella di crescita
sono in grado di andare sia incontro a un processo di proliferazione che a un
processo di ipertrofia sotto un’adeguata stimolazione ormonale (ormoni della crescita
e ormoni tiroide). La produzione di fattori locali è responsabili della matrice ossea e
dell’ossificazione.
Le articolazioni: le ossa si legano tramite le articolazioni, divise in:
- sinartrosi/fisse/articolazioni per continuità: si definiscono “per continuità” perché
l’elemento scheletrico A è in continuità con l’elemento scheletrico B e ciò è possibile
grazie all’interposizione tra tessuto connettivo/cartilagine fibrosa o ialina o addirittura
di tessuto osseo. Classifichiamo le sinartrosi in suture (ossa del neurocranio), sinfisi
(i movimenti sono limitati, un esempio è tra le ossa delle anche, la cartilagine è più
lassa quindi si parla di semimobili) e infine sincondrosi (quando tra i due elementi
scheletrici si interpone cartilagine ialina). Le prime e le ultime, in particolari
condizioni, possono andare incontro a sinostosi, ossia l’ossificazione del connettivo
e della cartilagine ialina interposta tra i capi articolari;
- diartrosi/mobili/articolazioni per contiguità: prevedono un avvicinamento tra i due
capi articolari, rimane uno spazio che contiene la capsula articolare. Nello spazio
articolare trovo cartilagine che riveste i capi articolari, questi ultimi durante i
movimenti non si toccano ma potrebbero entrare in contatto, queste superfici sono
rivestite da cartilagine articolari. A mantenere uniti i capi articolari trovo la capsula
articolare. Il rivestimento esterno della capsula è costituito tessuto fibroso e un
rivestimento interno detto membrana sinoviale. La
componente fibrosa si inserisce sul periostio,
mentre il rivestimento interno si inserisce sulla
componente ossea più interna ma si arresta a
livello della cartilagine articolare. Le cellule sinoviali
sono preposte alla filtrazione per dialisi che scorre
nei vasi sanguigni e attraverso questo si ha la
produzione e il recupero del liquido sinoviale. La
funzione del liquido sinoviale è quella di nutrire le
cartilagini articolari e consente il funzionamento
dell’articolazione impedendo l’attrito.
Comprimendosi, le articolazioni, rilasciano il liquido
sinoviale, quando si distendono assorbono questo
liquido. Nel liquido sinoviale troviamo l’acido ialuronico. All’interno della capsula
articolare, la membrana sinoviale può andare a delimitare detti borse sinoviali o
guaine sinoviali. La borsa sinoviale impedisce lo strofinio di segmenti scheletrici, di
un tendine rispetto al segmento scheletrico o di un muscolo rispetto al segmento
scheletrico. Lo spazio che si interpone è occupato da grasso di riempimento. Le
guaine sinoviali sono rivestimenti che avvolgono i tendini e isolano il tendine dalle
strutture scheletriche circostanti. Le articolazioni mobili vengono classificate in base
alla forma dei capi articolari:
- enartrosi/a sfera, un esempio è l’articolazione della testa del femore nell’osso
dell’anca. Abbiamo un capo articolare a forma di sfera e un altro che accoglie la sfera;

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- condiloartrosi/a condilo, un esempio è l’articolazione tra l’osso occipitale e la prima
vertebra. Abbiamo un capo articolare a forma condiloidea e un altro capo che lo
accoglie;
- ginglimo laterale/trocoide/a cilindro, un
esempio è l’articolazione tra ulna e radio.
Abbiamo un capo articolare a forma di
cilindro e un altro che accoglie il cilindro.
Questa articolazione consente movimenti di
rotazione laterale;
- ginglimo angolare/a troclea, un esempio è
l’articolazione tra omero e ulna. Qui, i
movimenti consentiti sono di tipo angolare;
- a sella, ad esempio l’articolazione che ci
consente di muovere il pollice in tutte le
direzioni. Abbiamo due capi articolari a
forma di sella che combaciano l’uno con
l’altro.
Cranio: le ossa del cranio sono organizzate in neurocranio (ossa della scatola
cranica) e splancnocranio (ossa della faccia). Il cranio va studiato quando è
posizionato in allineamento con il piano orbitomeatale/di Francoforte, vale a dire che
il punto più basso della cavità orbitaria e il punto più alto della cavità acustica esterna
si trovino allineati su questo piano. Affinché questi punti vengano definiti si usa la
craniometria: i punti craniometrici sono punti di repere, di formazione anatomica che
sottostanno al cranio; in particolare lungo il piano di Francorte devo trovare il punto
orbitale e il porion. Quattro sono essenziali: punto orbitale e porion attraverso cui
passa il piano di Francoforte, gli altri due punti sono il bregma (dove la sutura
coronale si incontra alla sutura sagittale), e il lambda (dove la sagittale incontra la
bragmoidea). Se posizioniamo il cranio in posizione anatomica posso effettuare un
taglio che consente di dividere la volta cranica dalla base cranica parte dalla glabella
e va alla protuberanza occipitale esterna. Sia nel
neurocranio che nello splancnocranio troviamo ossa pari
e impari. Nel neurocranio troviamo ossa impari quindi
frontale, occipitale, etmoide e sfenoide; tra le pari
troviamo le parietali e le temporali (accoglie l’organo
dell’udito). Le ossa dello splancnocranio troviamo la
mandibola, è impari ma nasce dalla fusione di due
complessi scheletrici, abbiamo due mascelle, due
zigomi, due ossa nasali, due ossa lacrimali, due
palatine, due cornetti nasali inferiori (ossa indipendenti),
un vomere e l’osso ioide. Le ossa del cranio, nella loro
conformazione anatomica, accolgono una serie di cavità
che vengono definite esocraniche o endocraniche a seconda della posizione.

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Tra le cavità esocraniche dello
splancnocranio riconosco le
cavità orbitarie, la cavità
nasale e la cavità orale.

Le fosse esocraniche nella faccia laterale hanno in


realtà solo alcune pareti scheletriche poi sono chiuse
da componenti muscolari connettivali. Le fosse
esocraniche su questa faccia sono la fossa
pterigopalatina, la fossa infratemporale e poi la fossa
temporale. Nella veduta laterale del cranio, comincio
a vedere meglio alcune componenti scheletriche del
neurocranio tra cui l’osso frontale, le ossa parietali,
parti dell’osso temporale, la squama, il processo
zigomatico, la pars mastoidea, la pars timpanica,
l’osso occipitale e le suture. Distinguo la sutura
coronale che unisce l’osso frontale, la sutura
squamosa che unisce il parietale alla squama
dell’osso frontale, la sutura lambdoidea che articola
l’occipitale con le due parietali, la sutura
sfenoparietale che unisce lo sfenoide e il parietale.

Nella veduta posteriore vedo meglio l’osso


occipitale, la sutura lambdoidea, la sutura
sagittale che unisce le due parietali, la
protuberanza occipitale esterna dalla quale
nasce la cresta occipitale esterna e quindi
perpendicolarmente le linee nucali inferiori e
superiori.

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Se guardiamo il cranio dall’alto vediamo
bene la sutura coronale, sagittale,
lambdoidea, il bregma e il lambda.

Dalla veduta inferiore vedrò l’osso occipitale,


la pars basilare che accoglie il forame
magno, i condili dell’occipitale, una parte
dell’osso temporale, lo sfenoide, il palato
duro, le ossa mascellari, le ossa palatine, il
vomere. Nella veduta inferiore intravedo una
serie di fori, attraverso questi i nervi cranici
(nervi che nascono dall’encefalo) riescono ad
abbandonare la scatola cranica per
raggiungere i loro territori di innervazione.

Seni paranasali: nel neonato lo sviluppo del neurocranio prevale su quello dello
splancnocranio, quest’ultimo si svilupperà maggiormente in fase post-natale grazie
alle ossa pneumatiche, così definite perché hanno cavità all’interno indicate
generalmente con il termine di seni paranasali. Essi entrano in comunicazione con
le cavità nasali e per tale motivo sono rivestiti da una mucosa simile della mucosa
nasale. Durante la crescita abbiamo lo sviluppo dei seni paranasali, ciò giustifica
anche il cambiamento di voce che abbiamo in fase di crescita. Abbiamo inoltre
un’alterazione della morfologia della testa e del collo: nel bambino la laringe è molto
alta e grazie a ciò riesce a respirare durante la suzione, cosa che non possiamo fare
noi adulti quando deglutiamo.

Da una veduta esocranica dell’osso


occipitale vedo la squama, la
protuberanza occipitale esterna, la
cresta occipitale esterna, le linee
nucali inferiori e superiori, la pars
basilare, i condili dell’occipitale.

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Sulla faccia neurocranica vedo la protuberanza occipitale
interna dalla quale nascono la cresta occipitale interna e
dei solchi che ospiteranno dei seni venosi (formazioni della
dura madre attraverso cui scorre il sangue refluo della
circolazione encefalica). I solchi dividono la faccia
endocranica dell’osso occipitale in quattro fossette:
- le facce cerebrali inferiori accolgono i lobi occipitali degli
emisferi cerebrali;
- le facce cerebellari superiori accolgono gli emisferi
cerebellari.
Infine, osservo la porzione della pars basilare che va ad
articolare direttamente con l’osso sfenoide.

L’osso sfenoide ha una forma di pipistrello con


un corpo, un paio di piccole ali e un paio di
grandi ali. Il corpo è scavato dall’alto in una
fossa la sella turcica che accoglie la ghiandola
epifisaria; essa ha la parete anteriore,
posteriore e il pavimento di natura scheletrica
ma anche pareti laterali e un tetto di tessuto
connettivale, formati dalla piega della dura
madre della meninge esterna che va ad
avvolgere l’encefalo. Dal corpo dello sfenoide
partono un paio di piccole ali che con le loro
radici circondano il foro e il canale ottico
attraverso cui parte il nervo ottico. Ho una fessura che si crea tra la piccola e la
grande ala dello sfenoide che si chiama fessura orbitaria superiore che permette la
fuoriuscita del terzo e del quarto nervo cranico, che controllano i movimenti oculari;
inoltre, attraverso questa fessura passa il ramo oftalmico del quinto nervo cranico
(trigemino), preposto all’innervazione sensitiva delle formazioni orbitarie. Gli altri due
rami del trigemino sono la mascellare e la mandibolare, la prima abbandona la
scatola cranica attraverso la fessura orbitaria inferiore, la quale si forma tra grande
ala dello sfenoide e il mascellare, e sboccherà a livello
della regione zigomatica. Nella grande ala dello sfenoide
trovo il foro rotondo che permette il passaggio della branca
mascellare del trigemino, il foro ovale che permette il
passaggio della branca mandibolare del trigemino e il foro
spinoso che permette il passaggio del ramo spinoso del
nervo mandibolare che innerva una parte delle meningi.
Guardando l’osso sfenoide da una veduta anteriore vedo
bene il corpo, le piccole ali, la fessura orbitaria superiore,
il canale ottico, la grande ala e i processi pterigoidei, sono
formati da due lamine, laterale e mediale. Altro canale che
osservo il canale pterigoideo che permette il passaggio di

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alcune componenti nervose dei nervi cranici. Anche lo sfenoide è un osso
pneumatico in quanto posso apprezzare i seni sfenoidei dalla veduta superiore.
L’osso temporale contribuisce a formare il
pavimento della scatola cranica ma anche la
parete laterale. È formato da tre elementi che si
fondono tra di loro tra di loro: la squama, la pars
timpanica e la pars mastoidea. Il processo
zigomatico che articola con l’osso zigomatico.
Abbiamo inoltre la fossa condiloidea che
accoglie il condilo della mandibola,
l’articolazione tra il temporale è la mandibola è
l’unica mobile delle ossa del cranio.

Da una veduta endocranica troverò


sempre la squama (vista dall’interno), la
pars mastoidea e vedo la pars petrosa
scavata al suo interno in dei labirinti che
accolgono l’organo dell’udito e l’organo
dell’equilibrio. Osservo il meato acustico
interno attraverso cui si immettono il
settimo e l’ottavo nervo cranico.

L’osso frontale è unico nell’adulto, è costituito da


una squama che termina anteriormente con le due
arcate sopraciliari e una protuberanza definita
glabella. Le arcate sopraciliari coprono
anteriormente la parte basilare che forma il tetto
delle cavità orbitarie. La parte orizzontale dell’osso
frontale forma il tetto delle cavità orbitarie. La parte
orizzontale è scavata al centro nell’incisura
etmoidale in cui si inserisce parte dell’osso etmoide.

L’osso etmoide è impari costituito da una lamina


orizzontale detta cribrosa che forma il tetto della cavità
nasali ed è bucherellata perché attraverso questi fori
passano gli assoni dei nervi olfattivi. Presenta poi la
lamina perpendicolare detta crista galli che è proprio la
lamina che si inserisce l’incisura etmoidale. La parte
inferiore alla lamina cribrosa fa a formare i tetti superiori
dei setti nasali. Alla lamina cribrosa sono ancorate le
masse laterali che formano la parete mediale della cavità
orbitaria e la parete laterale della cavità nasale e portano
con sé le formazioni dette cornetti nasali.
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Per vedere le fosse endocraniche bisogna aprire la scatola cranica e lo si fa
attraverso un taglio che va dalla gabella alla protuberanza occipitale esterna che
permette di separare la volta cranica dalla base cranica. Le fosse endocraniche si
trovano su tre fosse endocraniche:
- superiori, accolgono i lobi frontali degli emisferi cerebrali;
- medie, accolgono i lobi temporali degli emisferi cerebrali;
- posteriori, accolgono i lobi occipitali degli emisferi cerebrali.
Nella fossa endocranica anteriore trovo il foro
ottico, nelle medie trovo il foro rotondo, il foro
ovale, il foro spinoso e il foro lacero-anteriore (si
crea dalla vicinanza di sfenoide, occipitale e
piramide del temporale); quest’ultimo in realtà è
un foro finto perché c’è una membrana a
chiuderlo ed è attraversato solo da una piccola
componente nervosa. La piramide del temporale
separa la fossa endocranica media dalla fossa
endocranica posteriore. In quella posteriore trovo
il foro lacero-posteriore (nasce dalla
giustapposizione della rocca petrosa temporale e
dell’occipitale) attraverso questo foro
abbandonano la scatola cranica i nervi 9
(faringeo), 10 (vago) e 11 (accessorio). Abbiamo
il canale dell’ipoglosso grazie al quale
abbandona la scatola cranica il 12 nervo. Dalla
rocca petrosa abbandonano la scatola il 7 e l’8.

I nervi: abbiamo nervi spinali e nervi cranici, questi ultimi nascono dall’encefalo e
all’interno della scatola cranica, comprendono strutture localizzate all’interno di
cranio, collo e visceri addominali. Sottolineiamo questo perché questi nervi
abbandoneranno la scatola cranica che avviene attraverso la serie di fori localizzati
al livello della base cranica che abbiamo già incontrato.

Lezione 21/11/2022 – Anatomia umana

3. Lo scheletro assile pt. 2

Struttura della colonna vertebrale: la colonna vertebrale è quella formazione dello


scheletro assile che deve sostenere il corpo È formata da circa 33 vertebre
localizzate in regioni:
- 7 vertebre cervicali;
- 12 vertebre toraciche;
- 5 vertebre lombari;

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- 5 vertebre sacrali, fuse a formare l’osso
sacro;
- 3/4 vertebre coccigee, fuse a formare il
coccige.
Macroscopicamente la colonna vertebrale
non ha un andamento rettilineo perché
presenta delle curvature fisiologiche ma che
se accentuate possono diventare
patologiche. Individuiamo due tipi di
curvature le cosiddette cifosi, che ritroviamo
a livello toracico e a livello sacro coccigeo e
hanno concavità anteriore, e lordosi che
ritroviamo nel tratto cervicale e nel tratto
lombare. La colonna vertebrale nell’embrione
è in cifosi (dette curvature primarie) piano
piano si vengono a formare le lordosi (dette
curvature secondarie).

Struttura delle vertebre: tutte le vertebre hanno una struttura costituita da un corpo
anteriore, un arco posteriore da cui si dipartono il processo
spinoso, i processi trasversi (laterali) e due paia di processi
articolari che consentiranno l’articolazione con la vertebra
sovrastante e sottostante. Abbiamo poi i peduncoli, indicano
le porzioni di arco che vanno ad ancorarsi al corpo. Abbiamo
la lamina da cui si dipartono tutti i processi. Le vertebre
articolano tra di loro attraverso i corpi e i processi articolari.
Tra i corpi delle vertebre, mediante l’interposizione dei dischi
intervertebrali, si creano delle sinfisi, tra i processi articolari
si formano delle artrodie (articolazione mobile che si realizza
tra superfici articolari piane). Dal corpo delle vertebre
cervicali si dipartono degli uncini che si articolano tra di loro, gli uncini di una vertebra
articolano con le faccette articolari che troviamo sul corpo della vertebra sovrastante,
si parla così di articolazione uncovertebrali. Ovviamente, in base alla loro posizione
nella colonna, ciascuna vertebra ha una
specializzazione. Nel tratto cervicale
abbiamo sette vertebre, le
specializzazioni generiche interessano i
processi trasversi che presentano dei fori
trasversali nel tratto cervicale che
permettono il passaggio dell’arteria e della
vena vertebrali (a livello della settima
vertebra, attraverso il forale trasversale,
passa solo la vena) che, insieme all’arteria
carotide interna, contribuiscono alla
vascolarizzazione del SNC. Nelle prime
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sei vertebre abbiamo un processo spinoso bifido, la 7 ha un processo spinoso non
bifido, essa viene definita prominente. Le prime due vertebre cervicali si chiamano
atlante ed epistrofeo. L’atlante non ha il corpo vertebrale, l’epistrofeo lo ha molto
sviluppato, nello sviluppo embrionale il corpo dell’atlante si va a fondere con quello
dell’epistrofeo. L’atlante ha un arco anteriore e un arco posteriore, le faccette
articolari dell’atlante vanno ad articolare con i condili dell’occipitale. L’epistrofeo è
una classica vertebra cervicale ma con un corpo molto sviluppato. Tra il dente
dell’epistrofeo e l’arco anteriore dell’atlante si instaura un’articolazione particolare
detta trocoide/ginglimo laterale/atloassiale, questa permette la rotazione. Il dente
dell’epistrofeo occupa la parte anteriore del foro dell’atlante, mentre la parte
posteriore è occupata dal midollo spinale. È importante che i compartimenti
rimangano separati e ciò è a carico del legamento trasverso del dente. Sull’atlante
troviamo delle faccette articolari superiori che corrispondono ai processi articolari
superiori che andranno ad articolare con i condili dell’occipitale attraverso una
condiloartrosi.
Le vertebre della regione toracica si organizzano per articolarsi con le coste, per le
articolazioni con le coste si vengono a creare delle faccette articolari sia al corpo
delle vertebre sia a carico dei processi trasversi e
servono a creare l’articolazione con le coste abbiamo 12
vertebre toraciche che vanno ad articolare con 12 paia
di coste. Le faccette articolari sul processo trasverso
articolano con la vertebra che sta su, poi sul corpo
abbiamo semifaccette che vengono completate dalle
vertebre adiacenti. Nella costa abbiamo la testa che si
articola con i corpi delle vertebre mentre i tubercoli delle
coste va ad articolare con i processi trasversi. I tubercoli
articolano con la vertebra corrispondente (ad esempio il
tubercolo della prima costa si articola con il tubercolo
della prima costa), con le teste il discorso è diverso: la testa della seconda costa
viene accolta dal corpo della seconda vertebra ma anche dal corpo della prima
vertebra ecco perché esistono le semifacette. La testa della terza costa viene accolta
dal corpo della seconda e della terza vertebra, ciò vuol dire che le vertebre toraciche
sui loro corpi, non hanno delle faccette articolari intere, ma semifaccette una su e
una giù. Questo discorso relativo alla testa delle coste che viene accolta dai corpi di
due vertebre, vale solamente a partire dalla seconda costa fino alla nona, le altre
rappresentano delle eccezioni. La prima vertebra, ad esempio presenta sul corpo
una faccetta e mezza, la decima ha mezza faccetta, l’undicesima e dodicesima
vertebra che sono definite fluttuanti ne hanno una.
Le vertebre lombari sono 5 e non articolano con le coste
perché non ce ne sono, ma si assume che questi
abbozzi cartilaginei che si ossificano a livello lombare,
si vadano a legare alle vertebre lombari così accanto ai
processi trasversi troviamo processi costiformi, hanno
due tubercoli: uno mammillare e uno accessorio.
Le vertebre sacrali si fondono tra di loro e tendono a
ridursi man mano che si scende, l’osso sacro deriva dalla fusione delle cinque
vertebre sacrali. Cresta sacrale mediala, mediana e laterale che vengono fuori dai
24
processi spinosi, articolari e trasversi. Le parti dell’osso
sacro che ci interessano sono i fori sacrali ossia i fori
intervertebrali del tratto sacrale che permettono ai nervi
spinali di abbandonare il canale vertebrale. I fori vertebrali
tra corpo e arco di vertebra, i fori intervertebrali sono quei
fori che si formano tra i peduncoli delle vertebre. Abbiamo
5 fori sacrali, ne vediamo 4 perché il quinto si forma nel
momento in cui formazioni legamentose vanno a
congiungere l’osso sacro con il corno del coccige. Di
conseguenza, mentre i primi 4 fori sacrali saranno solo
ossei, il 5° non è solo osseo, ma è anche membranoso per la sua componente
legamentosa, dovuta ai legamenti sacro-coccigei.
I legamenti: i legamenti che intervengono per stabilizzare la colonna vertebrale
possono essere a lunga distanza, i cosiddetti legamenti longitudinali anteriore e
posteriore rispetto al corpo delle vertebre quindi vanno a stabilizzare le sinfisi, mentre
il longitudinale anteriore è fuori dal canale vertebrale il longitudinale posteriore è
dentro, quindi a diretto contatto con le meningi. I legamenti a breve distanza si
dividono in:
- legamento giallo così chiamato perché ricco di elastina e si posiziona tra le lamine
delle vertebre, anch’esso si affaccia dentro il canale spinale;
- legamento interspinoso che si posiziona tra i processi spinosi;
- legamento sopraspinoso che collega gli apici dei processi spinosi;
- legamento intertrasversale cioè tra i processi trasversi.
Specializzazioni dell’articolazione atro-
assiale: a differenza degli altri tratti della
colonna vertebrale, qui si trova la
trocoide che va a sostituire la sinfisi, si
tratta di un’articolazione mobile che va
stabilizzata da più legamenti che ne
dettino anche i gradi di libertà. I vari strati
di legamenti che stabilizzano questa
articolazione partendo dall’interno sono
tre: due legamenti alari e il legamento
dell’apice del dente, i quali fissano il
dente dell’epistrofeo (cioè viene mantenuto in sede) al forame magno. A tenere ben
fissato il dente all’arco interiore dell’atlante c’è un altro legamento: legamento
trasverso dell’atlante, che è un legamento che nasce e si inserisce sull’arco interiore
dell’atlante, ma si poggerà sulla faccia posteriore del dente dell’epistrofeo. La faccia
anteriore del dente dell’epistrofeo poggia sull’arco anteriore dell’atlante. Il legamento
trasverso dell’atlante è un importante pezzo di fissità del dente dell’epistrofeo perché
mantiene in sede sull’arco anteriore dell’atlante, altrimenti potrebbe spostarsi, esso
viene rafforzato da alcune fibre legamentose longitudinali e si dispongono
perpendicolarmente al legamento trasverso dell’atlante e con esso vanno a formare
il legamento crociato (da non confondere con quello del ginocchio), che è l’unico
legamento con delle fibre disposte a X. Di questo legamento crociato, le fibre
orizzontali sono quelle del legamento trasverso dell’atlante, le fibre verticali si
inseriscono sul corpo dell’atlante e sul contorno del forame magno. Superiormente a
25
questo, a stabilizzare l’articolazione ci sarà il legamento longitudinale posteriore, che
come si è visto prima, in questa regione cervicale, è definito membrana tectoria. Se
tale membrana venisse rimossa, si troverebbe il legamento crociato, il quale è
costituito dal legamento trasverso dell’atlante e dalle fibre perpendicolari che si
inseriscono sia sul corpo dell’atlante e sia sul contorno del forame magno.
Dall’immagine si intravedono anche i due legamenti alari, se si toglie il legamento
crociato, all’interno si vede la faccia posteriore del dente dell’epistrofeo, i due
legamenti alari e il legamento dell’apice del dente, che si inseriscono nel contorno
forame magno.

4. Sistema nervoso pt. 1


Tessuto nervoso e cellule di questo: scatola
cranica e canale vertebrale accolgono
quella che viene definita cavità dorsale del
corpo umano. Nella cavità dorsale troviamo
il SNC dal quale si dipartono i nervi
periferici. Quando parliamo di SN parliamo
di molte componenti più o meno simili dal
punto di vista morfologico e funzionale e
costituite essenzialmente da tessuto
nervoso. L’unità funzionale del tessuto
nervoso è il neurone, una cellula, che a
differenza delle cellule già incontrate, ha
una morfologia particolare: è costituito da una regione detta soma/corpo cellulare e
una serie di prolungamenti citoplasmatici che prendono il nome di dendriti (anche più
di uno) e di assone (uno solo). L’assone generalmente nasce dal polo apposto in
corrispondenza del quale sono nati i dendriti che ha la funzione di trasmettere
l’informazione nervosa alle cellule che stanno a valle (direzione centrifuga,
allontanandosi dal corpo cellulare), mentre i dendriti sono preposti alla ricezione
dell’informazione (direzione centripeta, verso il corpo). Il meccanismo attraverso cui
avviene il passaggio dell’informazione nervosa da una cellula a un’altra prevede il
rilascio di neurotrasmettitori dei neuroni posti a monte, questi legheranno recettori
specifici posti sulla membrana plasmatica del neurone a valle. Questa
comunicazione avviene in regioni dette sinapsi, costituita dalla terminazione
assonica di un neurone, dallo spazio sinaptico e la membrana postsinaptica del
neurone posto a valle. Quelle appena descritte prendono il nome di sinapsi chimiche
ma esistono anche le sinapsi elettriche per le quali due neuroni sono strettamente
unite tra di loro da giunzioni comunicanti che permettono la trasmissione diretta
dell’impulso nervoso da un neurone all’altro; nel corpo umano abbiamo
prevalentemente sinapsi chimiche. Nel momento in cui il neurone rilascia un
neurotrasmettitore, la risposta del neurone a valle sarà determinata dalla natura del
neurotrasmettitore, posso avere il rilascio di un neurotrasmettitore eccitatorio o
inibitorio. Ogni neurone riceve informazioni da più terminazione assoniche quindi la
risposta messa in atto da un neurone dipende dalla sommatoria degli stimoli inibitori
ed eccitatori che giocano su di esso. Accanto ai neuroni nel tessuto nervoso,
troviamo altre cellule che in generale vanno a formare la classe della
Macroglia/Neuroglia/Nevroglia che sono cellule di supporto meccanico verso i
26
neuroni. Gli astrociti in realtà possono anche esplicare una funzione nella
connessione nervosa. Tra le diverse funzioni delle cellule della Nevroglia troviamo
quella preposta alla formazione della
guaina mielinica, la membrana plasmatica
di queste cellule. Quando attorno
all’assone troviamo un unico strato di
membrana plasmatica parliamo di fibre
nervose amieliniche. Nella maggior parte
dei casi gli assoni sono mielinici, quindi
hanno più strati. La membrana plasmatica
deriva dagli oligodendrociti nel sistema
nervoso centrale, ogni oligodendrocita è in
grado di contribuire alla formazione della
guaina mielinica di più assoni; nel sistema
nervoso periferico, la guaina mielinica è
composta dalle cellule di Scwhann, qui ciascuna cellula può rivestire una sola cellula
nervosa. La guina mielinica non è continua, gli spazi non rivestiti si definiscono nodi
di Ranvier. La funzione della guaina mielinica è quella di velocizzare la propagazione
dell’impulso nervoso che richiede la propagazione di un potenziale d’azione lungo la
membrana plasmatica dell’assone stesso. La microglia comprende i macrofagi del
tessuto nervoso

Lezione 28/11/2022 – Anatomia umana

4. Sistema nervoso pt. 2


Neurulazione: il SNC si forma attraverso questo processo. Al termine della
gastrulazione, l’embrione è organizzato in endoderma, mesoderma ed ectoderma,
da quest’ultimo si forma il tubo neurale primitivo. Abbiamo dorsalmente un
ispessimento dell’ectoderma, segue la formazione della piastra neurale, si formano
le pieghe neurali che si sollevano si spostano lungo la linea
mediana fino a fondersi. A questo punto, il tubo neurale si
chiude e si distacca dall’ectoderma di superficie che darà
origine alla cute. Tra il tubo neurale e l’ectoderma rimane
la cresta neurale, che comprende un insieme di cellule
libere che si vengono a formare grazie a questo distacco;
ritroviamo queste cellule per tutta l’estensione del tubo
primitivo, vanno poi incontro a una serie di migrazioni e
raggiungono distretti anatomici anche molto lontano da
quelli da cui sono originate, ad esempio, danno origine ai
melanociti, le valvole cardiache ecc. Tornando al tubo
primitivo, sarà costituito da una cavità centrale e da una
parete, molto sottile ed è rivestita da cellule ependimali. La
corretta chiusura del tubo neurale è molto importante in quanto, un’alternata chiusura
è responsabile della spina bifida. Il tubo neurale primitivo, mentre posteriormente
mantiene un aspetto tubulare anche nell’adulto, anteriormente si modifica moltissimo
e va incontro a una serie di estroflessioni fino a formare lo stadio a tre vescicole: il

27
prosencefalo, il mesencefalo e il rombencefalo. Si passa poi da questo stadio a quello
a 5 vescicole per cui:
- dal prosencefalo derivano telencefalo
e diencefalo;
- il mesencefalo rimane tale;
- il rombencefalo si divide in
metencefalo e mielencefalo.
Già allo stadio di 5 vescicole ritroviamo
l’organizzazione del cervello adulto.
Le meningi: il SNC (encefalo e midollo
spinale) sono accolti nella cavità dorsale ma non
sono direttamente a contatto con l’endostio o con le
diverse strutture ossee della colonna vertebrale.
Questo perché il SNC è rivestito da membrane
preposte alla sua protezione. Sono rivestimenti
membranosi che si dispongono concentricamente
l’uno verso l’altro. La meninge più esterna è la dura
madre che aderisce all’endostio, l’aracnoide e la pia
madre.

La dura madre è il rivestimento fibroso più


resistente, aderisce in tutti i punti all’endostio
fatta eccezione per alcuni punti dove si sdoppia.
Sdoppiandosi forma una serie di pieghe, ossia si
riflette su sé stessa allontanandosi dall’endostio.
Tra le pieghe troviamo:
- la falce cerebrale;
- il tentorio del cervelletto;
- la falce cerebellare;
- il diaframma della sella, che va a coprire la sella
turcica.
Una caratteristica importante è che dentro sono
accolte i seni venosi della dura madre, ossia il
sistema vascolare preposto alla raccolta e al
trasporto del sangue refluo della circolazione
encefalica. Sono paragonabili funzionalmente alle
vene ma mentre le vene hanno una parete
organizzata in tre tonache, i seni venosi della dura
madre hanno una parete prevalentemente di natura
connettivale. I seni venosi sono organizzati in seni
venosi della volta cranica troviamo il seno sagittale
superiore, il seno sagittale inferiore che si continua
poi con il seno retto che a sua volta accoglie il
sangue dalla vena cerebrale. Tutto congiunge nel
torculare erofilo, da qui il sangue scorre lungo i seni
trasversi poi va nei seni sigmodei, abbandonano poi
la scatola cranica come vena giugulare interna.
28
Aracnoide e ciclo del liquor cefalorachidiano: l’aracnoide è costituita da una
componente cellulare che si organizza a formare lo strato più esterno dell’aracnoide,
quasi a ridosso della dura madre. La parte più interna ha una natura fibrosa ed è
organizzata in trabecole, queste si connettono alla pia madre, rivestimento
strettamente adeso al tessuto cerebrale tanto da seguirne anche i giri. Nel
trabecolato dell’aracnoide troviamo il liquor cefalorachidiano che scorre nello spazio
subaracnoideo sia delle meningi encefaliche sia delle meningi spinali. Questo liquor
è lo stesso che circola anche all’interno
del SNC, cioè nel sistema ventricolare. Nel corso della maturazione dello sviluppo del
sistema nervoso, la cavità del primitivo tubo
neurale formerà due cavità che prenderanno il
nome di ventricoli encefalici. Questi ventricoli
non comunicano tra di loro ma tutti e due
comunicano con un terzo ventricolo, attraverso
i fori di Monro; a mano a mano che la cavità si
restringe prenderà il nome di Acquedotto di
Silvio fino a raggiungere una regione dove
prenderà il nome di quarto ventricolo. Il liquor
cefalorachidiano è in continuo rinnovamento,
infatti, grazie alla presenza di tre fori sul tetto
del quarto ventricolo che si chiamano di
Luschka e uno Magendie, il liquor
cefalorachidiano scorre e passa nello spazio
subaracnoideo.

Il liquor cefalorachidiano è prodotto dentro il sistema


dei ventricoli dai plessi coroidei, attraverso un
processo di filtrazione del sangue. Un plesso
coroideo è l’insieme di una tela coroidea, una
formazione anatomica costituita da pia madre che
poggia strettamente sull’ependima, e di un vaso
sanguigno. I plessi coroidei sono localizzati
principalmente nei ventricoli laterali e sul tetto del
quarto ventricolo. Nel plesso coroideo troviamo
cellule ependimali specializzate che entrano in
contatto con un vaso sanguigno, il processo di
filtrazione è regolato attraverso queste pareti. Una
volta che il liquor viene prodotto passa attraverso i
ventricoli laterali, il terzo, l’acquedotto di Silvio, arriva
al quarto e insieme al liquor prodotto dal presso
coroideo del quarto ventricolo, passa attraverso i fori
di Luschka e Magendie e va nello spazio
subaracnoideo. Da questo viene riassorbito da
strutture dette granulazioni aracnoidee, estroflessioni
dell’aracnoide nei seni venosi della dura madre.

29
Il midollo spinale: a livello del canale vertebrale, le meningi
sono simili infatti anche qui abbiamo pia madre, aracnoide
e dura madre. Trovo i nervi spinali che si formano dalla
sovrapposizione dei peduncoli delle vertebre stesse, i
legamenti denticolati (pieghe di pia madre che
raggiungono lateralmente la dura madre), lo spazio
epidurale (tra dura madre e periostio) ripieno di grasso in
quanto, insieme allo spazio subaracnoideo, sono regioni
anatomiche in cui viene fatta un’iniezione di un anestetico
o il prelievo di liquor cefalorachidiano (si effettuano posteriormente al di sotto del
midollo spinale, quindi al di sotto di L2). Il midollo spinale, alla nascita, ha una
lunghezza paragonabile a quella del canale vertebrale; durante la crescita, la colonna
si estende di molto a differenza del midollo spinale, ciò fa si che avvenga una risalita
di quest’ultimo, infatti il midollo spinale si arresta tra la prima e
la seconda vertebra lombare (L1 – L2). La parte rimanente è
rivestita dalle fibre nervose dei nervi che abbandoneranno la
colonna vertebrale che nel loro insieme vanno a formare la
cauda equina; accanto a questa ho la formazione di uno strato
di tessuto connettivale detto filum terminale che si andrà a
fissare a livello coccigeo. I rivestimenti meningei, invece,
ricoprono tutto il canale vertebrale. Il midollo spinale può essere
suddiviso in una serie di segmenti, detti neuromeri, che
richiamano l’organizzazione della colonna vertebrale. I
neuromeri possono essere organizzati in regioni:
- regione cervicale, qui ho 7 vertebre ma 8 neuromeri;
- regione toracica;
- regione lombare;
- regione sacrale, che chiaramente non coinciderà con la
regione sacrale della colonna vertebrale;
- regione coccigea.
Il midollo spinale ha una conformazione simile a quella del tubo neurale primitiva che
si mantiene abbastanza costante per tutta la sua estensione; nel tratto terminale,
chiaramente, si arresta e va a formare il cono midollare al di sotto del quale troviamo
la cauda equina.
I neuroni del midollo spinale: il SN è costituito da sostanza bianca, comprende gli
assoni dei neuroni ricoperti da guaina mielinica, e da sostanza grigia, comprende i
corpi dei neuroni. Grigio e bianco sono distribuiti in maniera diversa: nel midollo
spinale la sostanza grigia è all’interno mentre la sostanza bianca è all’esterno. 1 La
sostanza grigia viene descritta a forma di farfalla, infatti identifichiamo un paio di
corna anteriori e un paio di corna posteriori. I corni anteriori sono tozzi e larghi mentre
i corni posteriori sono più lunghi e più sottili. Dal corno posteriore e dal corno anteriore

1
A livello dell’encefalo, invece, il grigio è distribuito per tutta l’estensione del tronco encefalico
(mesencefalo, ponte e bulbo).

30
nascono le radici dei nervi spinali. Ogni nervo spinale ha
una radice ventrale e una radice dorsale che nascono
rispettivamente dal corno ventrale e dal corno dorsale.
Lungo la linea mediana la sostanza bianca è solcata dalla
fessura mediana anteriore (qui scorre l’arteria spirale
anteriore), posteriormente abbiamo il solco mediano
posteriore. A livello del grigio troviamo neuroni di tipo
motorio con controllo dei muscoli volontari), detti moto-
neuroni somatici e con controllo dei muscoli involontari, detti
moto-neuroni viscerali; abbiamo poi neuroni di tipo sensitivo
preposti alla ricezione delle informazioni sensitive
dall’ambiente esterno attraverso la sensibilità generale
(cute) o attraverso la sensibilità specifica (5 sensi),
entrambe queste sensibilità formano la sensibilità
esterocettiva per cui avrò neuroni sensitivi somatici
(sensibilità di cui sono cosciente), poi ho un pool di
neuroni preposti alla ricezione delle informazioni
sensitivi che provengono dall’interno, quindi avrò
neuroni sensitivi viscerali. Da queste componenti
partono o arrivano (fibre sensitive) quelle fibre nervose
che formano il nervo misto, che ritroviamo soprattutto
tra T1 ed L2 e fra S2 ed S4. La presenza delle quattro componenti (con le dovute
eccezioni) in tutti i nervi spinali li rende nervi misti. Un nervo spinale nasce con due
radici e ha sia la componente motoria e sia la componente sensitiva. La sensibilità è
del corno posteriore mentre la motricità del corno anteriore tuttavia, mentre i
motoneuroni, le cui fibre formano la radice anteriore, risiedono effettivamente nei
corni anteriori, i neuroni sensitivi, non risiedono nei corni dorsali ma in dei gangli
spinali/annessi alla radice dorsale del midollo spinale. Nei gangli troviamo i neuroni
a T, con un corpo da cui si diparte un prolungamento che poi si divide a T; una parte
del prolungamento prende il nome di dendrite ed è
quella che raggiungendo la periferia sarà in grado di
ricevere le informazioni sensitive dalla periferia
stessa, l’altro prolungamento lo chiamiamo assone.
Il neurone sensitivo che sta nel ganglio spinale riceve
la sensibilità dalla periferia e la trasmette attraverso
l’assone nel corno posteriore del midollo spinale. Il
motoneurone si trova nel corno ventrale, da ess
partirà l’assone che formerà la radice anteriore del
nervo; quando le radici si fondono si forma il nervo
misto. La sensibilità raggiunge i centri encefalici
superiori quindi l’informazione sensitiva viaggerà nella sostanza bianca e
raggiungerà i centri encefalici superiori, raggiungendo addirittura la corteccia
telencefalica, da quest’ultima partirà una risposta che solo alla fine raggiungerà il
motoneurone del corno ventrale del midollo spinale da cui partiranno le informazioni.
Ci sono eccezioni in cui l’informazione passa quasi direttamente dal neurone
sensitivo al neurone motorio, queste costituiscono quei circuiti che vengono detti
riflessi: parlo di riflesso semplice quando ho il coinvolgimento di un’unica sinapsi, un
31
esempio è il riflesso patellare; esistono anche riflessi polisinaptici, cioè circuiti che
rimangono chiaramente confinati a livello del midollo spinale ma che coinvolgono più
neuroni.
Organizzazione somatotopica del midollo spinale e rami: nel corno anteriore del
midollo spinale, i motoneuroni preposti al controllo della mano occuperanno sempre
la parte più laterale, mentre quelli preposti al controllo del corpo occuperanno una
posizione mediale. Questa è una disposizione geneticamente determinata. Nel
momento in cui si forma il nervo abbandona la colonna spinale e immediatamente si
suddivide in quattro rami:
- ramo posteriore;
- ramo anteriore;
- ramo comunicante bianco;
- ramo comunicante grigio.
Quando ogni coppia di nervi abbandona il canale vertebrale, i rami posteriori
provvedono all’innervazione sensitiva e motorie del dorso dell’organismo mentre i
rami anteriori dei nervi spinali si rimescolano tra
di loro formando i plessi nervosi, distinguiamo in:
- plesso cervicale: nasce dal rimescolamento dei
rami anteriori dei nervi spinali C1, C2, C3 e C4;
- plesso brachiale: nasce dal rimescolamento dei
rami anteriori dei nervi C5, C6, C7, C8 e da t1;
- plesso lombare: nasce dal rimescolamento dei
rami anteriori dei nervi L1, L2, L3 e L4;
- plesso lombo-sacrale: nasce dal
rimescolamento dei rami anteriori dei nervi L5,
S1, S2, S3;
- plesso sacro-coccigeo: nasce dal
rimescolamento dei rami anteriori dei nervi S4,
S5 e Co.
Nei nervi intercostali non avviene alcun
rimescolamento, ma quando abbandonano il
canale vertebrale si dividono in ramo anteriore e
in ramo posteriore ed entrambi i rami
mantengono l’organizzazione metamerica.
Macroscopicamente, la sostanza bianca è organizzata da cordoni anteriori, compresi
tra la fessura mediana anteriore e i corni
anteriori, i cordoni laterali, compresi tra i
corni anteriori e i corni posteriori e i cordoni
posteriori, compresi tra i corni posteriori e
il solco mediano posteriore. Nei cordoni
trovo dei sistemi di fibre nervose avvolte da
guaina mielinica classificati in:
- fibre di proiezione, che proiettano dal
midollo spinale all’encefalo. Tra queste
trovo fibre ascendenti (dal midollo spinale
all’encefalo) e fibre discendenti
(dall’encefalo al midollo spinale);
32
- fibre di connessione, mettono in comunicazione neuromeri diversi del midollo
spinale.
Nel cordone posteriore troviamo prevalentemente fibre ascendenti cioè le vie che
trasportano la sensibilità tattile-epicritica, nei cordoni laterali e anteriori troviamo sia
fibre ascendenti che fibre discendenti.
Via tattile-epicritica e protopatica: il neurone sensitivo accolto nel ganglio spinale è
sempre il primo neurone sensitivo, lo stimolo verrà poi trasmesso ad altri due neuroni.
Nella via tattile-epicritica e protopatica abbiamo sempre tre neuroni: uno. Come già
detto, localizzato nel ganglio spinale, un secondo o nel midollo spinale o nel tronco
encefalico e il terzo sempre nel talamo, stazione obbligatoria per tutti i tipi di
sensibilità.
Via piramidale: le vie motorie coinvolgono generalmente due motoneuroni, il primo
risiede nella corteccia telencefalica da qui parte l’assone del primo neurone che,
attraversando una serie di strutture, raggiunge il secondo motoneurone localizzato
sempre nel midollo spinale.

Lezione 05/12/2022 – Anatomia umana

4. Sistema nervoso pt. 3


L’encefalo è costituito da una parte anteriore che è il cervello, che a sua volta
comprende telencefalo e diencefalo, e da una parte posteriore che è il tronco
encefalico (mesencefalo, ponte e bulbo).

Nel midollo spinale in fase di sviluppo,


ovvero ancora nell’embrione, la
componente grigia sta all’interno con la
componente motoria, in posizione
ventrale e la componente sensitiva in
posizione dorsale.

Durante lo sviluppo embrionale, nel tronco


encefalico, assistiamo a una migrazione delle
componenti dorsali, ossia delle lamine alari, dalla
posizione dorsale alla posizione laterale, ovvero si
passa da una disposizione dorso-ventrale a una
disposizione latero-mediale. Nel momento in cui le
lamine alari (componenti sensitive) migrano
lateralmente il tetto della cavità del tubo neurale
primitivo si assottiglia e non abbiamo una
proliferazione del tessuto nervoso dorsalmente a
questa cavità, infatti tra bulbo e ponte il tetto del
quarto ventricolo sarà molto sottile e costituito da
tela coroidea.

33
A livello bulbare, si assiste alla migrazione
delle componenti alari e il tetto del quarto
ventricolo sia molto sottile, anche a livello
pontineo abbiamo una distribuzione simile
quindi ci ritroviamo a una disposizione
latero-mediale delle componenti sensitiva
e motoria e un tetto molto sottile.

Nel mesencefalo, la migrazione delle


componenti sensitive in posizione
laterale avviene ugualmente ma
abbiamo anche componenti sensitive
a livello dorsale che prende il nome
di tetto mesencefalico.

Nervi cranici e disposizione della sostanza bianca e grigia: nel tronco encefalico, a
differenza del midollo spinale, la sostanza grigia si organizza in ammassi di neuroni
che prendono il nome di nuclei e poi in strutture dette formazioni (sostanza
nera/formazione ventricolare), ossia ammassi di neuroni ma organizzati in maniera
più lassa. Nel bulbo, nel ponte e nel mesencefalo trovo nuclei sensitivi e nervi motori
da cui nascono i nervi cranici; questi, a differenza dei nervi spinali, non sempre hanno
sia la componente sensitiva che la componente motoria. Supponiamo ora di
descrivere la nascita di un nervo cranico con componente somatica sensitiva e
somatica motoria, un esempio è il quinto nervo cranico, esso avrà sempre due radici,
la radice motoria nascerà dai nuclei motori (omologhi delle corna ventrali) e la radice
sensitiva dai nuclei sensitivi (omologhi delle corna dorsali). Così come nei nervi
spinali, anche qui, nel nucleo motore del nervo cranico trovo i corpi dei motoneuroni
ma nei nuclei sensitivi non trovo il neurone sensitivo ma arriva l’informazione da
gangli specifici di un determinato nervo cranico. Accanto ai nuclei motori e sensitivi,
esistono altri ammassi neuronali detti nuclei propri del tronco encefalico (nel
mesencefalo ho il nucleo rosso, nel ponte ho i nuclei pontinei e nel bulbo ho il nucleo
olivare inferiori). A causa della migrazione della componente sensitiva da una
posizione dorsale a una posizione
ventrale, la sostanza bianca migra tutta
ventralmente, la sostanza bianca
migra tutta ventralmente a formare il
piede. Dorsalmente al piede trovo il
tegmento che accoglie la sostanza
grigia organizzata in nuclei. A livello
mesencefalico, oltre al piede e al
tegmento, ho anche un tetto, quindi
dorsalmente ho un’ulteriore formazione grigia detta lamina quadrigemina/tetto del
mesencefalo, costituita da quattro piccoli accumuli grigi detti collicoli.

34
Il cervelletto: dorsalmente a livello del ponte e del bulbo si trova il cervelletto. Il
cervelletto è una vescicola encefalica, anatomicamente il cervelletto va a chiudere il
tetto del IV ventricolo attraverso i due veli midollari superiore e inferiore. Il cervelletto
anatomicamente è associato a tutto il tronco encefalico, mesencefalo, ponte e bulbo.
Per associazione si intende che sono collegati da fibre nervose che mettono in
comunicazione gli stessi. Il cervelletto topograficamente si trova dorsalmente al
ponte e al bulbo ed è ancorato dai veli midollari al IV ventricolo formandone il tetto.
Sul tetto del IV ventricolo sono presenti dei vasi, sul velo midollare inferiore si trova
il plesso coroideo preposto alla produzione del liquor cefalorachidiano. Si ricorda che
il piede lungo tutto il tronco encefalico è bianco mentre il tegmento è grigio.

Da una veduta ventrale del tronco encefalico,


vedo il mesencefalo, il ponte e il bulbo, inoltre,
vedo anche il cervelletto. Vedo parte del lobo
temporale dell’emisfero di sinistra. A livello
mesencefalico trovo i peduncoli cerebrali,
formazioni bianche, chiamati così perché sono i
piedi del telencefalo e sono attraversati dalle
fibre della via corticospinale. Il piede del ponte è
ricco di fibre a decorso trasversale che vanno ai
due emisferi del cervelletto, si tratta di fibre della
via cortico-ponto-cerebellare. Nella regione
bulbare trovo ancora il piede quindi sostanza
bianca che qui è organizzata in piramidi,
giungono qui le fibre della via corticospinale del
mesencefalo. Le piramidi a un certo punto
sembrano fondersi nella decussazione delle
piramidi che segna il confine tra il bulbo e il
midollo spinale. Ai lati delle piramidi trovo delle
formazioni dette oliva che hanno un ruolo
importante perché da esse parte buona parte
delle afferenze al cervelletto.
Dorsalmente, vediamo come il peduncolo
cerebellare superiore connette il cervelletto al
mesencefalo, il peduncolo cerebellare inferiore
connette il cervelletto al bulbo mentre il
peduncolo cerebellare medio connette il
cervelletto al ponte. A livello del mesencefalo
vedo la lamina quadrigemina costituita da 4
collicoli, formazioni grigie, intercalate nelle vie
visive e nelle vie acustiche. Posso apprezzare il
pavimento del quarto ventricolo con una forma a
losanga, per metà appartiene al ponte e per
metà al bulbo. Inferiormente a questo, nel bulbo,
trovo i tubercoli gracile e cuneato, nuclei
intercalati nella via della sensibilità somatica.
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Schematizzazione dei nervi cranici: inoltre, da
entrambe le vedute, vedo l’origine apparente dei
nervi cranici, la loro origine reale fa riferimento
alla sede dei nuclei da cui hanno origine le fibre
che formano il nervo cranico, mentre l’origine
apparente è quella che osservo la superficie del
tronco encefalico. Tutti i nervi cranici nascono
ventralmente, tranne il nervo trocleare che
origina dorsalmente, sul limite inferiore della lamina quadrigemina. Il primo paio di
nervi cranici sono di derivazione telencefalica, il secondo paio invece di derivazione
diencefalica. Il quinto nervo ha anche una componente autonoma, solo il VII, il IX e
il X sono veri e propri nervi misti.
Telencefalo: la componente telencefalica si sviluppa a tal
punto da avvolgere quasi completamente la componente
diencefalica. Durante l’evoluzione, assistiamo a un notevole
sviluppo del telencefalo mentre le altre parti sono più
complesse ma non quanto il telencefalo. La superficie del
telencefalo non è liscia, si parla di girencefalo. I solchi più
profondi sono definiti scissure, la più importante è quella
centrale che ci permette di separare i due emisferi. Abbiamo
poi la scissura centrale di Rolando, la scissura laterale di Silvio
e la scissura pariet-occipitale. Distinguiamo tra:
- lobo frontale;
- lobo parietale;
- lobo occipitale;
- lobo temporale;
- lobo dell’insula, localizzato dentro la scissura temporale di
Silvio e per vederlo bisogna sollevare gli opercoli parietale, frontale e temporale e
quindi non visibile in superficie.
Studio della corteccia e commissure: il sistema commissurali di maggiori dimensioni
è il corpo calloso, costituito da una regione centrale, uno splenio (parte posteriore),
anteriormente osservo un ginocchio che piega ventralmente e si congiunge con un
altro sistema commissurale detto commissura anteriore.
In ogni lobo trovo diversi giri e diverse circonvoluzioni, per
studiare la corteccia bisogna descrivere per ogni lobo
alcune circonvoluzioni; ad esempio, anteriormente e
posteriormente rispetto alla scissura centrale trovo,
rispettivamente, la circonvoluzione precentrale, che
accoglie l’area motoria primaria, e postcentrale, che
accoglie le aree sensitive primarie. Sul lobo temporale
trovo la circonvoluzione temporale superiore, media e
inferiore. Mentre medialmente trovo la circonvoluzione
insulare che poi si continua con quella paraippocampica.
Oltre a questo approccio, vi è l’approccio funzionale: è
possibile individuare sulla corteccia telencefalica 52 aree,
dette di Brodmann, egli descrisse sulla superficie dei due

36
emisferi. Tutte queste aree di Brodmann sono state macroscopicamente classificate
in:
- aree corticali primarie, come ad esempio l’area motoria primaria, esse hanno la
funzione di ricevere o di inviare informazioni;
- aree associative, che collaborano con le prime elaborando informazioni dello stesso
tipo. Distinguiamo in unimodali e polimodali.
Nel telencefalo, la sostanza grigia si deposita sulla corteccia telencefalica mentre la
sostanza bianca che nel complesso prende il nome di centro semioovale. Alla base
degli emisferi ho ammassi di sostanza grigia, detti nuclei della base/gangli della base.
La corteccia telencefalica non è tutta uniforme, trovo uno spessore variabile da 2 a 4
mm, dovuto a un diverso numero di strati in cui sono localizzati i neuroni. Classifico
in:
- isocorteccia nella quale, preferenzialmente, trovo la prevalenza o di cellule
piramidali o di cellule granulari;
- allocorteccia, una corteccia eterogenea in cui ho una diversa organizzazione delle
componenti cellulari che formano la corteccia stessa.
Accanto a questo, introduciamo un altro tipo di classificazione che fa riferimento
all’età evolutiva della corteccia, infatti sugli emisferi cerebrali possiamo individuare:
- archicorteccia, filogeneticamente più antica e costituita da soli tre strati cellulari
(allocorteccia);
- palicorteccia, ha 4 o 5 strati cellulari(allocorteccia);
- neocorteccia, evolutivamente più recente ed organizzata in 6 strati prevalentemente
di isocorteccia, rappresenta il 95% della corteccia.
Una caratteristica molto importante della corteccia cerebrale è che sebbene la
maggior parte delle aree finora descritta è presente sia nell’emisfero destro che
sinistro, esistono delle aree dette di Brodmann che non funzionano allo stesso modo
sui due emisferi, si parla di asimmetrie emisferiche. Ad esempio, è noto che nella
maggior parte dei soggetti destrimani vi sia una dominanza dell’emisfero di sinistra
ma vi è anche una prevalente attivazione dell’emisfero di sinistra per il linguaggio. Le
principali aree preposte al linguaggio sono l’area di Broca (aree 44 e 45, area 6 e 47,
preposta al controllo motorio del linguaggio) e l’area di Wernicke (area 22 posteriore,
maggiormente coinvolta nella comprensione); esse sono collegate dal fascicolo
arcuato. Anche l’emisfero di destra da un contributo importante al linguaggio, ad
esempio da il corretto tono e il corretto contenuto affettivo al linguaggio.
Nuclei della base: trovo nuclei di pertinenza
telencefalica quali il nucleo caudato, il putamen
e il globo pallido. Questi sono i veri nuclei alla
base dell’encefalo ma insieme al nucleo
subtalamico di Luys (pertinenza diencefalica) e
alla sostanza nera (pertinenza mesencefalica)
formano quelli che definiamo i gangli della base.
Questi nuclei vanno anche sotto altri nomi, il putamen e il nucleo caudato vengono
definiti corpo striato. Il putamen e il globo pallido formano il nucleo lenticolare.
Claustro e amigdala: accanto a queste formazioni, nel telencefalo trovo il claustro,
striscia di tessuto tra il putamen e l’insula, la cui funzione è poco nota, e l’amigdala,
nuclei coinvolti nelle attività emotive.

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Lezione 07/12/2022 – Anatomia umana

4. Sistema nervoso pt. 4


Centro semiovale: l’insieme delle formazioni biancastre comprende principalmente
tre tipi di fibre nervose:
- fibre di proiezione, vanno da una regione all’altra e collegano parti diverse del SNC.
Si ritrovano ventralmente nel tronco encefalico a formare il piede del tronco
encefalico. Arrivano ai peduncoli cerebrali andando a costituire all’interno del centro
semiovale la corona radiata. Tutte le fibre che formano la corona radiata quando
giungono a livello della base del telencefalo si organizzano in capsula interna (tra
caudato e putamen e tra il talamo e il globo pallido), esterna (tra il putamen e il
claustro) ed estrema (tra il claustro e la corteccia dell’insula), formazioni di sostanza
bianca in cui si localizzano le fibre di proiezione. Ad oggi non sappiamo dove vadano
le fibre che passano per la capsula esterna ed estrema, mentre quelle che passano
per la capsula interna sono le fibre nervose dei motoneuroni che raggiungeranno i
nuclei motori dei nervi cranici e le fibre nervose dei motoneuroni che raggiungeranno
il corno ventrale del midollo spinale;
- fibre di associazione, mettono in comunicazioni parte diverse all’interno dello stesso
emisfero. Possono essere brevi se mettono in comunicazione aree diverse a livello
dello stesso lobo; lunghe se collegano aree di lobi diversi;
- fibre commissurali, sono quelle fibre che mettono in comunicazione le parti
corrispondente dei due emisferi. Troviamo il corpo calloso e la commissura
posteriore.
Diencefalo: consiste in una serie di formazioni di
nuclei (sostanza grigia) che si dispongono
attorno al terzo ventricolo. Le principali
suddivisioni del diencefalo sono il talamo,
formato da un ammasso di nuclei, ciascuno
intercalato in una o più vie sensitive, da qui
passano tutte le informazioni di tipo sensitivo.
Dorsalmente al talamo troviamo l’epitalamo,
costituito dall’abenula e dell’epifisi/ghiandola
pineale. Al di sotto del talamo, troviamo il
subtalamo e inferiormente l’ipotalamo che forma
sia le pareti laterali che il pavimento del terzo
ventricolo, è collegato alla ghiandola ipofisaria.
La via corticospinale/piramidale/motricità volontaria: è una vita motoria che partendo
dalla corteccia telencefalica raggiungerà i motoneuroni posizionati nel corno ventrale
del midollo spinale. In una classica via motoria troviamo intercalati due motoneuroni:
- uno a livello della corteccia motoria;
- l’altro a livello del corno ventrale del midollo spinale.

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La via piramidale parte dalla
circumvoluzione precentrale dove trovo
l’area motoria primaria (area 4) che
viene coadiuvata dall’area motoria
supplementare (area 6), partono una
serie di fibre inviati come i raggi di una
ruota a formare la corona radiata, questa
corona radiata si concentra tra i nuclei
della base del telencefalo e la capsula
interna, che ha un aspetto a boomerang,
nel braccio posteriore troviamo le fibre
corticospinali quelle fibre che
giungeranno nel midollo spinale mentre
nel ginocchio le fibre corticonucleari cioè
quelle che giungono a livello dei nuclei
motori dei nervi cranici. Una volta
attraversata la capsula, queste fibre nervose si pongono nel piede del tronco
encefalico, formano i peduncoli, si pongono nel ponte ventralmente e poi giungono
nel bulbo dove formano le piramidi bulbari. A un certo punto queste fibre nervose,
ventralmente alla piramide passano a destra e si pongono nella metà destra del
midollo spinale. L’85% delle fibre decussa e si posiziona nel cordone laterale del
midollo spinale, da qui dovrà sinaptare con il motoneurone presente nel corno
ventrale del midollo spinale (via laterale). La percentuale restante che non decussa
entra nel midollo spinale e, mantenendo il loro lato, si posizionano nel cordone
anteriore del midollo spinale, decussano nel midollo e vanno a sinaptare (via
anteriore). Nella via corticospinale ho un controllo eterolaterale cioè l’emisfero di
destra controllerà sempre la parte sinistra del corpo.
L’area motoria primaria porta una
rappresentazione somatotopica detta
homunculus motorio, che è
sproporzionato perché in base alla
precisione con cui vengono realizzati i
movimenti sarà diversa l’area di
corteccia telencefalica preposta al
controllo di quella parte del corpo.
Una regione estesa della
circonvoluzione precentrale è
preposta al controllo della mano.
Via tattile-epicritica/protopatica: quando parliamo di sensibilità distinguiamo in:
- tattile-epicritica, è quella che permette di discernere gli oggetti che stiamo toccando,
anche facendolo ad occhi chiusi;
- tattile-protopatica, è meno precisa, non è discriminante ma è ricca di contenuto
emotivo infatti rientra la sensibilità termica o calorifera.
Esiste poi la sensibilità propriocettiva ossia la sensibilità che proviene dall’interno del
nostro corpo, è una sensibilità di cui noi non siamo coscienti.
Sono intercalati tre neuroni, il primo lo troviamo nel ganglio spinale, l’assone di
questo neurone entra a livello del corno posteriore del midollo spinale ma non
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sinapta, risale e raggiunge il bulbo.
Risalendo forma i fascicoli gracile e cuneato
che rispettivamente veicolano la sensibilità
proveniente dalle parti basse del corpo
(diciamo sotto T6) e dalle parti alte del corpo.
Queste fibre nervose giunte a livello del
bulbo sinaptano con il secondo neurone
sensitivo, localizzato nei nuclei gracili e
cuneato. Parte la seconda fibra sensitiva che
raggiunge il talamo dove trova il terzo
neurone sensitivo e dal terzo parte la fibra
per la corteccia sensitiva.
Sistema nervoso autonomo: con questo sistema si parla dell'insieme delle fibre
preposte al controllo dei visceri, sia per motricità che sensibilità. È organizzato
anatomicamente in due sistemi:
- sistema ortosimpatico (spesso definito solo simpatico);
- sistema parasimpatico.
Alle volte entrambi i sistemi possono essere presenti nel controllo dei visceri, come
accade ad esempio nella vescica, in altri vi sarà il controllo solo di uno dei due, ciò
che si può dire è che laddove si ha il doppio controllo uno darà stimolazione e l’altro
inibizione. In generale l’ortosimpatico è coinvolto nei meccanismi di lotta e fuga che
dà per esempio sudorazione in ansia; il parasimpatico si attiva nei momenti tranquilli,
nella digestione, battito cardiaco, respirazione e motilità intestinale. Il SNA è
organizzato in motoneuroni viscerali (dove risiedono nel corno laterale) e neuroni
sensitivi viscerali (dove sono accolti nei gangli). I motoneuroni viscerali si trovano nel
corno laterale, se si parla di motricità, quindi di controllo di un muscolo viscerale,
ovviamente sarà diverso dal controllo di un muscolo scheletrico, perché il
motoneurone somatico, che accoglie quando entra nella radice, va direttamente al
muscolo scheletrico quindi si ha un controllo diretto sul muscolo. Anche qui i
motoneuroni viscerali sono accolti nel midollo spinale, ma non raggiungono
immediatamente il muscolo di interesse, essendo definiti anche pre-gangliari, questi
hanno bisogno di sinaptare nei gangli dove sono accolti i nervi effettori, da cui
dipartono le fibre post-gangliari. Quindi sarà una innervazione indiretta. I gangli del
simpatico sono vicini al midollo spinale e al sistema nervoso centrale, mentre nel
parasimpatico sono a ridosso dell’organo bersaglio e lontani dal sistema nervoso
centrale. Riassumendo, il muscolo scheletrico ha controllo diretto dal motoneurone
somatico del midollo spinale e il muscolo liscio ha controllo indiretto dal motoneurone
che staziona nei pre-gangli e si origina il post gangliare. C’è da aggiungere che nel
sistema parasimpatico, la fibra pre-gangliare è molto più lunga; nella sezione
simpatica invece sarà più corta perché sarà più lunga la post -gangliare. Per quanto
concerne i neurotrasmettitori, questi vengono utilizzati dalle fibre pre e post gangliari:
mentre le pre-gangliari utilizzano sempre l’Acetilcolina in entrambi i sistemi, nel
parasimpatico le post-gangliari rilasciano ancora acetilcolina mentre
nell’ortosimpatico vengono rilasciate le catecolamine, quindi adrenalina e
noradrenalina. Per descrivere l’organizzazione della componente autonoma, bisogna
ricordarsi le loro posizioni dei nuclei e dove vengono accolte le fibre post-gangliari.
Da T1 a L2 si trovano le fibre dell'ortosimpatico pre-gangliari, i gangli
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dell'ortosimpatico sono organizzati in una sorta di catena detta catena del simpatico
(o catena del rosario), costituita da tanti gangli uniti tra di loro dalle fibre. Tali gangli,
in realtà, essendo posizionati ai lati della colonna vertebrale, da cui si dipartono le
fibre post gangliari, vengono definiti anche gangli paravertebrali. In qualche caso le
fibre post-gangliari, non nascono da questi gangli, ma nascono da altri gangli
periferici, quindi tra il midollo spinale e l’organo bersaglio e sono tre:
- ganglio celiaco;
- ganglio mesenterico superiore;
- ganglio mesenterico inferiore.
Si ha un’ulteriore eccezione: un organo che viene innervato direttamente dalla fibra
pre-gangliare che è la midollare della ghiandola surrenalica, ma la midollare produce
adrenalina e noradrenalina, quindi è essa stessa un ganglio. Tutte queste strutture
arrivano dalla cresta neurale e le fibre pre e post gangliali nel parasimpatico si
trovano nel tratto sacrale.

Lezione 12/12/2022 – Anatomia umana

5. Apparato Respiratorio

La cavità dorsale: la cavità dorsale


del nostro corpo ha pareti
scheletriche, all’interno della gabbia
toracica abbiamo degli organi
scheletrici, non sono presenti organi
di grandi dimensioni, ma abbiamo
degli organi che devono andare
incontro ad escursioni volumetriche
elevate, la cavità addominale ha
pareti costituite da tessuti molli. La
gabbia toracica ha una forma di
cono tronco con la base inferiore che corrisponde all’apertura toracica inferiore e
l’apice che corrisponde all’apertura toracica superiore. Queste pareti scheletriche
sono costituite da un osso impari, lo sterno, 12 paia di corso e le 12 vertebre dorsali.
Sia lo sterno sia le coste sono ossa piatte costituite da osso spugnoso all’interno
rivestito da osso compatto, soprattutto nelle coste prevale la componente spugnosa,
molto vascolarizzato. Le 12 paia di coste non sono tutte uguali ma organizzate in 7
paia di oste vere, 3 paia di osta false e 2 fluttuanti. Lo sterno è diviso in:
- manubrio;
- corpo;
- processo xifoideo.
Le tre componenti si articolano tra loro tramite sinfisi. Tra coste e sterno abbiamo
artrodie doppie, fatta eccezione per la prima costa che articola con il manubrio con
la sincondrosi.
Logge e membrana: la cavità toracica può essere divisa in due logge pleuriche, sono
spazi delimitati da fasce. Nelle logge pleuriche sono accolte le cavità pleuriche e i
polmoni, tra le due troviamo il mediastino che è organizzato in quattro compartimenti.
Vi è un piano immaginario che unisce l’angolo sternale allo spazio intervertebrale tra
41
la quarta e la quinta vertebra lombare, questo piano suddivide il mediastino in
superiore e inferiore (a sua volta suddiviso in tre parti).
Il mediastino inferiore: una regione anteriore molto
sottile in cui è accolto del connettivo che va a fissare il
pericardio alla parete toracica interiore organizzandosi
nei legamenti sternopericardici. La regione centrale
accoglie il sacco e il cuore, il mediastino posteriore è
tutto ciò che è posto tra il pericardio e la parete toracica.
Le membrane seriose sono pleure, poste a rivestire i
polmoni, il pericardio, posto a rivestire il cuore e il
peritoneo. Le membrane sierose sono come dei
sacchetti chiusi al cui interno non c’è nulla se non una piccola quantità di liquido. Le
membrane sierose rivestono i visceri ma non li contengono. All’interno abbiamo il
foglietto parietale che non entra a diretto contatto con il viscere ma va a rivestire le
parti mentre il foglietto viscerale entra in contatto con l’organo.
Pleura: i polmoni sono strettamente rivestiti
dalla pleura, vedo bene il foglietto parietale,
il viscerale è adeso al parenchima, lo
spazio rappresenta la cavità pleurica. Il
parietale riveste le pareti e distinguiamo in:
- pleura costale;
- pleura diaframmale;
- pleura mediastinica.
Abbiamo, inoltre, una piccola regione che
rappresenta la cupola pleurica. I limiti della
cavità pleurica non coincidono con lo spazio occupato dal polmone infatti il foglietto
parietale della pleura e il viscerale non entrano in perfetto contatto l’uno con l’altro, il
loro contatto varia in base all’espirazione (saranno più lontani) e all’inspirazione
(saranno più vicini).
I seni pleurici: tra il margine inferiore del polmone e il
margine inferiore della pleura vi è uno spazio, detto
seno pleurico. I principali seni sono il seno costo-
diaframmatico (si forma quando la parte costale del
foglietto parietale diventa diaframmatica) e il costo-
mediastinico (si forma quando la parte costale del
foglietto parietale diventa mediastinico). Nella cavità
pleurica vige una pressione negativa, ossia che è
minore di quella atmosfera. Ciò è importante perché
fa sì che il foglietto viscerale venga sempre
richiamato sul foglietto parietale, così di
conseguenza gli alveoli polmonari rimangono aperti
e richiamano aria dall’ambiente esterno.
La loggia sopracavicolare: i polmoni debordano dalla
cavità toracica. la cupola pleurica va a rivestire l’apice del polmone non si trova
all’interno della cavità toracica ma nella loggia sopraclavicolare. La loggia è
racchiusa tra il muscolo scaleno anteriore, che ne forma la parete anteriore, e i

42
muscoli scaleni medio e posteriore che ne formano
la parete posteriore. Vedo l’inserzione del muscolo
scaleno nella prima costa e tutte le formazioni
anatomiche accolte nella loggia sopraclavicolare
come la vena succlavia, l’arteria succlavia
separate da questa inserzione. Trovo il ganglio
stellato, una serie di vasi arteriosi e i tronchi
anteriori del plesso brachiale. Tutte queste
strutture, insieme all’apice del polmone, sono
molto vicine da loro ed è molto importante quando
bisogna fare un’incannulazione.
I polmoni: sono un organo pieno quindi costituiti da
uno stroma e un parenchima. Il parenchima è l’insieme di quelle formazioni
anatomiche preposte allo svolgimento
delle funzioni proprie di quell’organo. Lo
stroma è di sostegno, è peculiare perché
ricco di fibre elastica, esso garangisce il
ritorno del polmone… inoltre, come in
ogni organo pieno, abbiamo un ilo, vale a
dire la regione attraverso la quale entrano
ed escono strutture (vasi linfatici, nervi,
vasi sanguigni e in questo caso bronchi).
L’ilo polmonare si trova sulla faccia
mediastinica. A livello dell’ilo polmonare,
possiamo vedere la regione in cui il
foglietto viscerale che riveste il polmone
si ripieghi in quello parietale. Il peduncolo
polmonare è l’insieme delle strutture che
entrano ed escono dall’ilo polmonare
rivestite dalla pleura. Entrambi i polmoni
hanno una morfologia paragonabile:
hanno una forma di cono con una base
che poggia sul diaframma e un apice che
sovrasta l’ingresso toracico superiore. C’è la faccia costale che entra in rapporto con
le coste e le vertebre posteriormente e la faccia mediastinica che si affaccia sul
mediastino. Il polmone di destra è diviso in tre lobi ed è diviso da due scissure, una
orizzontale e una mediana mentre il polmone di sinistra è più piccolo perché il cuore
invade un po’ la loggia pleuro-polmonare e ha solo due lobi, uno superiore e uno
inferiore suddivisi dalla scissura obliqua. Le strutture che contraggono rapporto con
la faccia mediastinica del polmone di destra l’impronta cardiaca, per vena cava
superiore e inferiore, per l’esofago. Per quanto concerne il polmone di sinistra trovo
l’impronta per l’esofago, l’impronta cardiaca e per l’aorta discendente. L’apice del
polmone di destra e sinistra è solcato perché su entrambi troverò le impronte della
vena succlavia e dell’arteria succlavia.
Vie aeree superiori: internamente, il parenchima polmonare ha un’organizzazione
che dipende dalla ramificazione dell’albero bronchiale. L’aria che raggiungerà i

43
polmoni entra nel nostro corpo attraverso la
cavità nasale e orale, passando quindi a
livello del canale faringeo. La faringe è un
organo cavo costituito da tre porzione:
- la rinofaringe comunica anteriormente con le
cavità nasali;
- l’orofaringe comunica con la cavità orale;
- la laringofaringe comunica con la laringe.
L’aria che passa attraverso il naso subisce
fenomeni di riscaldamento, umidificazione e
purificazione; inoltre, la presenza dei cornetti
nasali è fondamentale perché, rivestiti da
mucosa, creano un labirinto attraverso cui
l’aria deve passare e dovendo cambiare continuamente direzione, per attrito ciò che
c’è di corpuscolato nell’aria si deposita nella mucosa, ricca di cellule mucipare e
cellule ciliate, queste ultime mettono in movimento il muco. Inferiormente la
laringofaringe continua con l’esofago, si tratta infatti di un organo condiviso tra il
sistema respiratorio e l’apparato digerente, ma mentre il bolo alimentare dalla cavità
orale, passando lungo l’orofaringe, si immette nella laringofaringe e nell’esofago,
l’aria dalla laringofaringe passa anteriormente nella laringe e quindi interiormente
nella trachea. La laringe nasce dalla parete anteriore della faringe, possiamo
immaginarlo come un tubo attaccato alla parete anteriore della laringofaringe.
Trachea: queste componenti
anatomiche, topograficamente, sono
accolte in quel compartimento del
collo detto viscerale. Nell’attraversare
il collo, giungono a livello della cavità
toraciche dove ritroviamo la trachea
che si biforcherà nei due bronchi
principali. Queste formazioni hanno
una peculiarità, ossia presentano
della cartilagine al loro interno:
troviamo cartilagine più complessa a
livello della laringe, anelli tracheali
incompleti (perché posteriormente
abbiamo l’esofago) a livello della
trachea, troviamo anche la
componente cartilaginea dei bronchi;
tutta la cartilagine impedisce il
collasso delle vie aeree.
Inferiormente, l’ultimo degli anelli
tracheali, il diciottesimo, è modificato
che contiene uno sperone con cavità
detta carena, da qui nascono i due bronchi per ciascun polmone.
I bronchi: i bronchi sono definiti extra polmonari perché raggiungono i polmoni a
livello dell’ilo polmonare, qui si ramificano e danno origine all’albero bronchiale che
va a formare la base del parenchima polmonare. I bronchi di destra e di sinistra
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hanno qualche differenza, il primo è un po’ più corto
e più ampio perché il polmone di destra è più
grande. Il bronco di destra forma un angolo minore
rispetto all’asse longitudinale della trachea, il
sinistro ha un angolo maggiore, ciò implica che se
dovesse entrare nelle vie aeree è più facile che
vada a destra perché ha un andamento più
rettilineo. Il bronco primario di destra si ramifica in
tre bronchi lobari in prossimità dell’ilo, da questi
nascono dieci bronchi terziari. Il bronco primario di
sinistra va incontro a due ramificazioni formando due bronchi lobari che poi vanno
incontro a ulteriori ramificazioni, abbiamo sempre 10 ramificazioni ma in molti casi
sono fuse tra di loro e quindi ne troveremo 8/9, a volte 7. Dopo queste prime
ramificazioni abbiamo tante altre ramificazioni quindi si passa dai terziari agli
extralobulari, intralobulari fino ad arrivare ai bronchioli terminali. A livello dei
bronchioli terminali non avvengono gli scambi gassosi ma da questi partono i
bronchioli respiratori, da questi partono i dotti alveolari che si espandono nei sacchi
alveolari. Le espansioni alveolari sono la sede in cui avvengono gli scambi gassosi,
motivo per cui ogni alveolo è strettamente rivestito da una fitta rete capillare per
favorire gli scambi gassosi.
Alveoli polmonari e scambi gassosi: è necessario che la parete dell’albero bronchiale
si ramifichi ulteriormente: verso le ultime ramificazioni troviamo un’importante
componente muscolare, infatti è alla base del
broncospasmo, cioè della contrazione dei
bronchioli. Anche la componente muscolare
viene persa, ci concentriamo sulla
componente epiteliale della mucosa.
L’epitelio diventa da pseudo a batiprismatico
(con cellule cilindriche) poi isoprismatico
(cubico) fino ad arrivare a un epitelio
pavimentoso. La parete degli alveoli
polmonari è costituita da pneumociti di I tipo,
che formano effettivamente la parete, e quelli
di II tipo, preposti alla produzione del surfactante che va a rivestire la superficie degli
alveoli e impedisce loro di collassare. Dentro troviamo i macrofagi alveolari, con
funzione di fagocitare ciò che di corpuscolato è comunque arrivato ai polmoni. I vari
alveoli comunicano tra di loro grazie ai pori di Kon. Le strutture attraversate dai gas
e che formano la membrana aria-sangue sono la parete dell’alveolo e la parete del
vaso sanguigno. Riescono a produrre una sostanza simile al surfactante anche le
cellule di Clara, che troviamo a livello dei bronchioli terminali respiratori. Essi
cooperano anche nella funzione di mantenere correttamente idratato il muco che
riveste le vie aeree. Lungo le vie aeree il collasso polmonare è impedito dalla
componente cartilaginea. Vi sono inoltre tre fattori che lo impediscono e che tengono
in equilibrio gli alveoli polmonari:
- la pleura viscerale che viene continuamente richiamata su quella parietale;
- il surfactante;
- la ricca componente elastica.
45
6. Apparato cardiovascolare
La regione mediastinica: nella regione mediastinica è
accolto il cuore, in particolare nella regione
mediastinica media (o anteriore, a seconda dei libri di
testa). Accanto a questo, troviamo il mediastino
superiore, nel quale sono presenti la trachea,
l’esofago, l’arco dell’aorta con i tre tronchi principali, le
due vene brachiocefaliche (che nascono dall’unione
della succlavia con la giugulare interna), i nervi frenici,
i nervi vaghi, il dotto toracico; nel mediastino
posteriore troviamo l’esofago, l’aorta toracica, la catena del simpatico, le vene
azygos (costituiscono il sistema di comunicazione cava). La posizione del cuore è
decentrata in quanto il cuore, da quella che consideriamo la base, è ruotato in avanti
e verso sinistra.
Il cuore; il cuore è un organo cavo e distinguo in quattro cavità:
- due ventricolari;
- due atriali.
Studiando l’anatomia di superficie del cuore individuo una
faccia sterno-costale dove osservo preferenzialmente la
parte destra del cuore, il ventricolo di destra, una piccola
parte dell’atrio di destra detta auricola di destra e una
piccola porzione del ventricolo di sinistra. Avendo
asportato i grossi vasi vedo anche l’atrio di sinistra che
riceve le quattro vene polmonari di cui qui ne osservo due.

Sulla faccia diaframmatica del cuore, che poggia sul


diaframma con la sua conformazione a cupola, qui vedo
preferenzialmente la parte sinistra del cuore. Osservo il
ventricolo sinistro che accoglie l’apice del cuore, l’atrio di
sinistra che riceve le quattro vene polmonari, parte del
ventricolo di destra e l’atrio di destra su cui si aprono le due
vene cave, inferiore e superiore.

Inoltre, su entrambe le facce, osservo il solco interventricolare, interatriale,


atrioventricolare che corrispondono ai rispettivi setti per la suddivisione dei due
ventricoli (setto interventricolare), dei due atri (setto interatriale) e degli atri e dei
ventricoli (setti atrioventricolari). In questi solchi si vanno a posizionare i rami delle
arterie coronarie.
La parete del cuore: la parete del cuore è
costituita da un rivestimento interno,
l’endocardio, uno intermedio di natura
muscolare, il miocardio, e uno esterno di natura
sierosa, l’epicardio, che non è altro che il
foglietto viscerale del pericardio sieroso, il

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foglietto parietale di quest’ultimo è più esterno.
Notiamo come il foglietto viscerale debba ripiegarsi
sul parietale, questo avviene in corrispondenza della
base del cuore, laddove è localizzato il peduncolo
vascolare del cuore, formato dai grossi vasi che
abbandonano le camere cardiache. Questi vasi sono
parzialmente rivestiti dal pericardio. All’esterno del
pericardio sieroso, quindi del foglietto parietale,
troviamo il pericardio fibroso, si tratta di connettivo
fibroso che fissa il sacco pericardico sieroso alle pareti circostanti tra cui il diaframma
(ma non ha nulla a che vedere con il pericardio sieroso).
Guardando il cuore internamento, vedo bene ancora la
struttura della parete del cuore. Notiamo il diverso
spessore del miocardio che avrà uno spessore
maggiore nella metà sinistra del cuore, soprattutto
nella regione ventricolare, questo perché il ventricolo
di sinistra contraendosi, durante la sistole ventricolare,
dovrà imprimere al sangue una forza così elevata da
consentire al sangue di raggiungere tutti i distretti
periferici; invece, il ventricolo di destra dovrà imprimere
con la propria forza una pressione tale da consentire al
sangue che scorre nell’arteria polmonare di
raggiungere i polmoni che sono nelle immediate
vicinanze.

A parte queste caratteristiche della parete, è bene sottolineare i due principali sistemi
del cuore adulto, il cuore fetale è diverso in quanto troviamo componenti valvolari in
più o comunque che nell’adulto sono inattive. I due principali sistemi sono costituiti
dalle valvole atrioventricolari, che sono localizzate tra atri e ventricoli, e le valvole
semilunari, localizzate alla base dell’arteria polmonare e alla base dell’aorta, le
ritroviamo abbastanza simili, nelle vene, soprattutto in quelle degli arti inferiori, in
quanto hanno un ruolo importante nell’assicurare l’unidirezionalità del flusso
sanguigno.
Le valvole atrioventricolari: hanno un’organizzazione cuspidale. Nella parte destra
del cuore, detta cuore venoso, troviamo una valvola
tricuspide. Le valvole cuspidali sono ancorate alla parete
dell’ostio atrioventricolare su un versante mentre l’altro
versante è libero, su di esso prendono formazione delle
formazioni tendinee, che non sono altro se non le
terminazioni tendinee dei muscoli papillari della muscolatura
ventricolari, che non è liscia ma sollevata nelle colonne
carnose/trabecole carnee. La funzione di questi tendini è
quello di evitare il ribaltamento delle cuspidi. Infatti, se
durante la sistole atriale l’elevata pressione all’interno
dell’atrio fa sì che le valvole si aprano e che il sangue scorra
nel ventricolo, al momento della sistole ventricolare quando
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il sangue raggiunge una pressione così elevata da consentire
l’apertura delle valvole semilunari e l’ingresso nell’arteria
polmonari, le valvole non si ribaltano perché esse stesse
sollevandosi combaciano con i rispettivi contorni liberi e le corde
tendinee hanno raggiunto il massimo della loro estensione. Lo
stesso principio è alla base della valvola bicuspide/mitrale che
troviamo nella parte sinistra del cuore, definita cuore arterioso.
Le valvole semilunari: meccanismo simile vale per le valvole
semilunari. Le valvole semilunari sono organizzate in tre semilune
con un margine sempre ancorato alla parete della
radice del grosso vaso arterioso, arteria
polmonare, mentre abbiamo un margine libero,
detto lunula, con una sporgenza centrale che
prende il nome di nodulo dell’Aranzio o di Morgagni
a seconda che stiamo parlando o dell’arteria
polmonare o dell’aorta. La concavità delle valvole
semilunari è rivolta verso l’interno del vaso, quando
durante la sistole ventricolare la pressione interna
del ventricolo supera determinati livelli, in ogni caso supera la pressione dell’arteria,
tali valvole vengono schiacciate contro la parete dell’arteria. Durante lo svuotamento
del ventricolo, quando la pressione interna del ventricolo va al di sotto di quella
dell’arteria polmonare, il sangue tenderebbe a tornare indietro ma le semilune si
riempiono e la giustapposizione del margine libero delle
valvole consente di occludere completamente il
passaggio al sangue. Per la particolare disposizione di
atri e ventricoli e di quelle che vengono definite regioni di
afflusso e di efflusso del cuore, le quattro valvole si
ritrovano sullo stesso livello e sono mantenute in sede
da un vero e proprio scheletro fibroso del cuore che
consente di mantenere fermo il cuore in sede durante la
sistole atriale e ventricolare.
Macroscopia della circolazione sanguigna: il quadro complessivo ci permette di
descrivere, da un punto di vista anatomico, la piccola e la grande circolazione. La
circolazione nell’uomo è doppia, perché abbiamo camere e sistemi vasali preposti
alla circolazione del sangue non ossigenata e quindi agli scambi e gassosi e altre
camere cardiache e sistemi vasali per garantire l’ossigenazione di distretti periferici;
è anche completa perché non abbiamo mai la commixtio sanguinis, cioè non avviene
mai la mescolanza del sangue venoso e di quello arterioso. Questo non è vero
durante la circolazione fetale e inoltre, in alcuni distretti anatomici esistono piccoli
mescolamenti. L’arteria polmonare è unica, sebbene chiaramente poi si dirami per
raggiungere entrambi i polmoni mentre da ogni polmone partono due vene polmonari
che raggiungono l’atrio di sinistra.
Il miocardio specifico: accanto al miocardio di lavoro, abbiamo il miocardio specifico
costituito da fibre muscolari che pur non costituendo un sincizio strutturale, ne
costituiscono uno funzionale perché le comunicazioni tra queste fibre muscolari sono
così veloci da garantire una comunicazione assolutamente immediata. Le fibre

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muscolari del sistema di conduzione del cuore/miocardio specifico sono organizzate
in due sistemi:
- un sistema nodale;
- un sistema di conduzione.
Le fibre nodali sono organizzate nel nodo senoatriale che troviamo allo sbocco della
vena cava superiore, a livello dell’atrio di destra, e in un nodo atrioventricolare, a
livello dell’orifizio atrioventricolare di destra. Entrambi sono peacemaker, ma il vero
peacemaker è il nodo senoatriale perché vale
la legge del ritmo più frequente per cui è il
nodo che si depolarizza più frequentemente a
dettare il ritmo cardiaco. Se il nodo senoatriale
non dovesse funzionale entrerebbe in gioco il
nodo atrioventricolare. Quindi, l’impulso parte
dal nodo senoatriale, attraverso delle vie
preferenziali, raggiunge il nodo
atrioventricolare e da qui parte il fascio di His
che, attraversando lo scheletro fibroso del
cuore, dove il potenziale d’azione subisce un
rallentamento necessario per far completare la
sistole atriale, e si pone nel setto interventricolare, prima nella parte membranosa e
poi nella parte muscolare e quando si immette in quest’ultima si divide in due
branche, branca di sinistra e branca di destra, che raggiungono l’apice polmonare e
si sfioccano nelle fibre del Purkinjie. Queste fibre di conduzione, invadendo la parete
muscolare, consentano la contrazione di tutta la muscolatura. Con l’EGC, non è
l’attività del miocardio di conduzione ma l’onda che invade il miocardio di lavoro.
Le arterie coronarie: le arterie coronarie sono due e
partono dalla radice dell’aorta, che nasce in
corrispondenza delle valvole semilunari che troviamo
alla sua base e la presenza di queste fa sì che la prima
porzione dell’aorta prenda il nome di bulbo aortico,
questa parte slargata porta due orifizi che altro non
sono se non l’origine delle due arterie coronarie, destra
e sinistra. I territori di vascolarizzazione sono ripartiti ma una delle due coronarie
viene definita dominante, spesso di dominanza destra, perché fornisce un vaso, cioè
è l’arteria che si pone nel solco interventricolare
posteriore, la UVP. Sebbene, venga quasi immediato
pensare che la circolazione coronarica si estrinsechi
durante la fase sistolica del cuore, quando il sangue
viene spinto nei grossi vasi, in realtà non è così perché
durante la sistole, anche le coronarie vengono
schiacciate quindi concludiamo che la circolazione
coronarica si estrinsechi durante la fase diastolica. È
fondamentale per la comprensione del funzionamento
del ciclo cardiaco.
Arterie e vene; le arterie sono quei vasi che trasportano il sangue in direzione
centrifuga (dal cuore alla periferia) e le vene sono quei vasi che trasportano il sangue
in direzione centripeta (dalla periferia al cuore). Un’altra differenza riguarda la
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topografia: mentre le arterie sono organizzate in un sistema profondo, ciò significa
che occupano una posizione sotto fasciale, distribuendosi tra le logge muscolari in
prossimità della superficie ossea; le vene, invece, hanno due sistemi:
- un sistema superficiale, possiamo vedere queste vene anche attraverso la
superficie cutanea;
- un sistema profondo, che comprende quelle vene che occupano una posizione
sotto fasciale.
I due sistemi non sono indipendenti ma in diversi punti abbiamo una comunicazione
attraverso cui il sangue che scorre attraverso il sistema venoso superficiale viene
riversato nel sistema venoso profondo. Spesso in posizione profonda, un’arteria è
accompagnata dal almeno un’arteria satellite. In alcuni casi, arteria e vene satelliti,
insieme a nervi e a vasi linfatici, vengono avvolti da una guaina connettivale a
formare dei fasci nervosi, un
esempio è il fascio nervoso del
collo. Sia le arterie sia le vene
sono organizzate in vasi di
grosso calibro (arteria aorta),
medio calibro e piccolo carico,
dette arteriole, dalle quale
originano le metarteriole e
quindi i capillari. Queste tre
categorie si diversificano per il
mese, in generale possiamo dire che le vene hanno un diametro maggiore. Arterie e
vene hanno una parete tripartita, abbiamo:
- una tonaca intima con l’endotelio;
- una tonaca media di natura muscolare;
- una tonaca avventizia di tessuto connettivo.
Le arterie sono ricche di componente elastica addirittura
formano la membrana elastica interna (tra la tonaca
intima e la tonaca media) e la membrana elastica esterna
(tra la tonaca media e la tonaca avventizia). Ritroviamo
queste modificazioni nelle arterie di grosso calibro come
l’aorta, le succlavie, le carotidi comuni, le iliache. È
necessaria questa forte componente elastica perché le
arterie di grosso calibro accolgono sangue ad altra
pressione. Durante la sistole ventricolare, quando il
sangue viene spinto nelle arterie di grosso calibro, ci sarà
una forte pressione all’interno dell’albero arterioso; durante la diastole, quando si
rilassano le pareti ventricolari, avremo una riduzione della pressione. Questo ritmo
intermittente lo ritroviamo lungo l’albero arterioso per cui se un’arteria viene
sezionata il sangue viene fuori con uno zampillio. L’alta pressione con cui il sangue
viene spinto nelle grosse arterie determina una distensione della parete del vaso che
durante la fase diastolica va incontro al ritorno elastico. Ad esempio, quando l’aorta
riceve il sangue ad altissima pressione dal ventricolo di sinistra si estende ma deve
poi ritornare alla sua posizione iniziale, ecco spiegato il ruolo della componente
elastica nelle arterie. Nelle vene, invece, non ho le membrane elastiche perché
nell’albero venoso troverò sangue a bassa pressione. Qui è la componente
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muscolare a predominare. La componente muscolare delle vene
è importante per assicurare il ritorno del sangue venoso al cuore,
infatti le contrazioni della muscolatura liscia del vaso sono
responsabili del movimento del sangue all’interno del vaso;
questo sistema non è sufficiente, entrano in gioco così un altro
meccanismo per favorire il ritorno del sangue al cuore: la
contrazione dei muscoli in cui sono immerse le vene. Quando i
muscoli scheletrici si contraggono schiacciano la parete della
vena, inoltre, il sangue procede verso l’alto grazie alla presenza
delle valvole a nido di rondine.
I capillari: la complessità della parete dei vasi di
grosso calibro è tale per cui il sangue non è comunque
sufficiente a garantire il nutrimento della parete del
vaso, è necessario che giungano i vasa vasorum,
rami che raggiungono la tonaca avventizia, si ramificano in questa e raggiungono gli
strati più esterni della tonaca media. Al contrario, gli strati più interni sono riempiti dal
sangue che scorre all’interno del vaso. Lungo l’albero arterioso e lungo quello venoso
si realizzano delle modifiche per cui la parete si semplifica ma, anche a livello delle
arteriole e delle venule, gli scambi non sono possibili. Entrano in gioco così i capillari.

Essi hanno una parete molto semplice


con un rivestimento endoteliale
continuo e le cellule endoteliali
poggiano su una lamina basale.
Questa tipologia di capillari è detta
capillare continuo.

Esistono, accanto a questi i capillari ad


endotelio finestrato, tra le cellule
endoteliali sono presenti dei pori che, in
alcuni casi, sono chiusi da una sorta di
diaframma che crea una sorta di setaccio
a livello del foro.

Inoltre, abbiamo i capillari discontinui/sinusoidi,


qui la lamina basale è scarsa e cellule endoteliali
assolutamente discontinue, con fenestrature
molto più ampie, ritroviamo questo tipo di capillari
quando c’è necessità di fare scambi molto intensi
tra l’ambiente interno del vaso e l’ambiente
interstiziale.

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Le anastomosi: la piccola circolazione inizia dall’unica arteria polmonare che
abbandona il ventricolo di destra, si divide, raggiunge i due polmoni, si formano due
vene polmonari per ciascun polmone che raggiungono l’atrio di sinistra. A livello degli
alveoli polmonari c’è una fitta ramificazione, tuttavia, a volte, possiamo avere una
comunicazione diretta tra un’arteria e l’altra, senza l’interposizione di capillari. Le
anastomosi sono frequenti tra le arterie di medio e basso calibro, nell’albero venoso
sono più frequenti. La loro funzione è quella di garantire una costante circolazione
sanguigna. Uno dei circoli anastomotici più importanti è il poligono di Willis. Prima di
parlare di ciò, bisogna partire dalle formazioni arteriose che costituiscono questo
circolo anastomotico. Si parte dall’aorta, costituita dal bulbo aortico che accoglie le
tre semilune della valvola semilunare, segue l’aorta ascendente, si forma l’arco
aortico da cui si genera l’aorta discendente/aorta toracica, viaggia nel mediastino
posteriore, diventa addominale dove termina con due rami, le arterie iliache comuni.
Dall’arco dell’aorta originano tre grossi vasi, preposti alla vascolarizzazione della
testa, del collo e dell’arto superiore. Questi vasi sono le arterie succlavie e le arterie
carotidi comuni. A sinistra nascono in maniera autonoma, l’arteria succlavia di
sinistra e l’arteria carotide comune di sinistra; a destra nasce il tronco
brachiocefalico/omonimo di destra che subito si divide in arteria succlavia di destra
e arteria carotide comune di destra. L’arteria carotide comune, risalendo lungo il
collo, quando raggiunge il livello del margine superiore della cartilagine tiroidea della
laringe, si divide in una carotide esterna, che provvede a vascolarizzare la faccia, e
in una carotide interna che provvede alla vascolarizzazione della scatola cranica e
dell’encefalo. I rami che contribuiscono a formare il
poligono di Willis nascono dalla carotide interna e
dall’arteria succlavia, in particolare, dall’arteria vertebrale
che viaggia nei fori intertrasversali accolti nei processi
trasversi delle vertebre cervicali. Queste due arterie
giungono in alto e penetrano nella scatola cranica
attraverso il forame manico e, per inosculazione a pieno
canale, si uniscono e formano l’arteria basilare; essa
prosegue fino a dividersi nelle due arterie cerebrali
posteriori. Gli altri rami nascono dalla carotide interna che
entra nella scatola cranica attraverso il canale carotico e
sbocca ai lati della sella turcica. L’arteria carotide interna
forma il sifone carotideo, si ritrova nel seno cavernoso e
da origine a dei rami, le arterie comunicanti posteriori ma
anche alle arterie cerebrali anteriori.

Lezione 19/12/2022 – Anatomia Umana

7. Addome
Il bacino: cavità addominale e cavità pelvica sono accorte nella parte inferiore del
tronco. Le ultime porzioni della colonna vertebrali sono fuse a formare l’osso sacro e
il coccige. L’osso sacro va ad articolare nell’individuo con le due ossa dell’anca, ossa

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uniche che nell’adulto ritroviamo come un osso unico
ma durante lo sviluppo embrionale nasce da tre
componenti diversi: pars iliaca, pars pubica e pars
ischiatica. Quest’osso accoglie la fossa acetabolare che
andrà ad accogliere la testa del femore. Le due ossa
dell’anca, oltre ad articolare con le ali del sacro,
articolano tra di loro, lungo la linea mediana nella sinfisi
pubica. Questo insieme di componenti scheletrici
formano il bacino/pelvi, lo spazio anatomico accolto
nella pelvi prende il nome di cavità pelvica. Dividiamo la
cavità pelvi in grande pelvi e piccola pelvi grazie al piano immaginario detto stretto
superiore. Questo piano immaginario poggia sul promontorio (articolazione tra
l’ultima vertebra lombare e l’osso sacro), passa attraverso le ali del sacro,
l’articolazione sacrilega, la linea arcuata dell’ileo, la linea pettinea, la cresta pubica e
la sinfisi pubica. La piccola pelvi è chiusa da un piano immaginario che passa per
l’apice del coccige, il margine inferiore della sinfisi pubica e le tuberosità ischiatiche.
Questo piano prende il nome di stretto inferiore. La cavità addominopelvica è la cavità
costituita dall’addome propriamente detto e dalla grande pelvi.
La pelvimetria: la pelvimetria è la conoscenza
delle dimensioni e delle capacità della pelvi
soprattutto nell’individuo adulto di sesso
femminile. All’interno della piccola pelvi avviene
il passaggio del feto lungo l’asse pelvico.
All’interno della piccola pelvi distinguiamo alcuni
parametri importanti, tra cui le tre coniugate che
partono dal promontorio: una coniugata
anatomica va dal promontorio al margine
superiore della sinfisi pubica, una coniugata
ostetrica che va dal promontorio al margine
interno della sinfisi pubica e una coniugata diagonale che va dal promontorio al
margine inferiore della sinfisi pubica. Ricordiamo la coniugata retta che unisce l’apice
del coccige al margine inferiore della sinfisi pubica e la coniugata mediana unisce
l’apice dell’osso sacro al margine inferiore della sinfisi pubica, questa coniugata è più
attendibile rispetto alla coniugata retta perché l’osso sacro è fisso mentre la posizione
del coccige è variabile.
Muscoli della parete addominale: i muscoli che formano la parete anterolaterale
dell’addome sono rivestiti da cute, epidermide
e sottocute. I muscoli dalla parete anteriore
sono costituiti dai retti dell’addome, esso
origina dal processo xifoideo e dalle cartilagini
costali e si inserisce sulla cresta pubica,
inferiormente al retto troviamo il muscolo
piramidale. La peculiarità del retto è che è
poligastrico perché lungo il decorso le fibre
muscolari presentano varie inserzioni
tendinee. I muscoli della parete laterale sono
tre muscoli larghi sovrapposti, abbiamo il
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muscolo obliquo esterno, al di sotto c’è il muscolo
obliquo interno e ancora più in profondità il muscolo
trasverso dell’addome. Posteriormente, troviamo
due muscoli: il grande psoas e il muscolo quadrato
di lombi. Al di sopra del grande psoas, possiamo
trovare il piccolo psoas. Abbiamo l’ileopsoas perché
le sue fibre si uniscono a quelle dell’ileo.
Comportamento dei muscoli dell’addome: i muscoli
della parete laterale, essendo dei muscoli larghi
hanno formazioni tendinee slargate dette
aponeurosi. Le aponeurosi vanno a rivestire i muscoli retti dell’addome formando la
guaina dei retti dell’addome. Questo avviene fino all’altezza dell’ombelico. Al di sotto
di questo, le aponeurosi vanno a
rivestire i retti dell’addome solo
anteriormente. La fusione delle
aponeurosi e dei muscoli
anterolaterali determina la linea
alba. La faccia posteriore dei retti
dell’addome sarà rivestita
semplicemente dalla fascia trasversale. La fascia profonda va a rivestire ogni singolo
muscolo, la componente più cospicua la troviamo posteriormente e prende il nome
di fascia trasversale. Al di sotto di questo abbiamo il tessuto adiposo preperitoneale
perché funge da fascia sottosierosa al di sotto della quale troviamo, appunto, il
peritoneo.
Il canale inguinale: i muscoli anterolaterali dell’addome, soprattutto i due obliqui e il
trasverso vanno a formare il canale
inguinale, un tragitto diretto
obliquamente che inizia in
corrispondenza dell’anello inguinale
profondo e termina a livello dell’anello
inguinale superficiale attraversato dal
funicolo spermatico nell’uomo e dal
legamento rotondo dell’utero nella
donna. Il canale inguinale ha una
parete laterale, una parete mediale, un
tetto e un pavimento. Il tetto è costituito
dal margine inferiore dei muscoli
obliquo interno e trasverso
dell’addome. La parete mediale del
canale inguinale, dove troviamo
l’anello inguinale profondo, è costituita
dalla fascia trasversale. Esternamente,
la parete laterale è formata
dall’aponeurosi del muscolo obliquo
esterno mentre il pavimento è formato
dal foglietto libero dell’aponeurosi del
muscolo obliquo esterno.
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Il pavimento pelvico e il perineo: a chiudere la
piccola pelvi troviamo il pavimento pelvico, questa
regione anatomica è particolare e non va confusa
con il perineo. Le formazioni muscolari che
costituiscono il pavimento pelvico sono il muscolo
elevatore dell’ano e il muscolo ischiococcigeo. Al
di sopra di questi muscoli troviamo il perineo,
un’area anatomica che ha come confini lo stretto
inferiore, cioè il margine inferiore della sinfisi
pubica, l’apice del coccige e lateralmente le
tuberosità ischiatiche. Il perineo accoglie i genitali
esterni. Le formazioni muscolari che chiudono la
piccola pelvi sono il muscolo trasverso profondo,
che sarà attraversato nella donna dall’orifizio vaginale e dall’orifizio uretrale, mentre
nell’uomo avremo soltanto l’orifizio uretrale. In superficie, troviamo i muscoli del
diaframma urogenitale quindi troviamo il muscolo bulbo cavernoso, il muscolo ischio
cavernoso e il trasverso superficiale.

8. Apparato urinario
I reni e il peritoneo: i reni si trovano in una posizione alta a livello della cavità
addominale, in particolare li troviamo ai lati della colonna vertebrale. A livello della
cavità addominale, i visceri
sono rivestiti, quasi tutti, da
un’altra membrana sierosa,
detta peritoneo. Il peritoneo ha
un foglietto viscerale e un
foglietto parietale così come
pleura e peritoneo. Il peritoneo
va a rivestire la faccia interna
della parete anteriore, la faccia
interna delle pareti laterali e la
faccia interna della parete
posteriore. Quando a seguito
dello sviluppo degli organi,
questi migrano, accade che il
peritoneo riveste questi
visceri, nelle aree in cui la
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parete addominale è liscia il peritoneo lo ritroviamo come uno strato disteso in
maniera uniforme. Posteriormente abbiamo lo sviluppo dei visceri che migrano
anteriormente, quando un organo invade parzialmente la cavità addominale
determina uno spostamento del peritoneo. Se l’organo che prendiamo in
considerazione, si discosta dalla parete addominale e si spinge nella cavità il
peritoneo per coprirlo abbandona la parete e poi ritorna alla parete. Accade che due
strati di peritoneo si trovano giustapposti quindi si forma una piega, che va ad unire
l’organo in considerazione alla parete addominale e formano i cosiddetti meso. Tra
questi due fogli di peritonei passano anche strutture dotti, fibre nervose, vasi
sanguigni. Il piccolo omento, che va dallo stomaco al fegato, accoglie vasi linfatici, la
vena porta. A seguito di questo comportamento del peritoneo ne consegue che i
visceri che si sviluppano e rimangono adesi alla parete posteriore dell’addome sono
retroperitoneali. I visceri che occupano la cavità del tronco, nella la piccola pelvi, non
sono completamente rivestiti da peritoneo e sono detti organi sottoperitoneali. I reni
occupano una posizione retroperitoneale.
Hanno una forma classica a fagiolo e sul
polo superiore troviamo il surrene. È un
organo pieno, costituito da uno stroma di
sostegno e un parenchima che svolge la
funzione propria del rene, ossia quella di
filtrare e ripulire il sangue. L’ilo è presente
sulla faccia mediale dell’organo e a livello
dell’ilo renale troverò l’arteria renale che
nasce direttamente dall’aorta
addominale, troverò la vena renale e la
pelvi renale, la struttura che nasce dalla
confluenza dei calici maggiori che da inizio all’uretere. Il rene al suo interno è
costituito dalla corticale (più esterna) e dalla midollare (più interna), parte della
corticale si approfonda nella midollare, quest’ultima è costituita dalle piramidi del
Malpighi. La
posizione del
rene è
abbastanza
stabile perché è
rivestito da vari
strati: la capsula
renale poi
troviamo la
capsula adiposa
perirenale,
proseguendo
verso l’esterno trovo la fascia renale e posteriormente trovo un ulteriore strato di
grasso che forma il grasso pararenale.
La ramificazione dell’arteria renale: entra a livello dell’ilo e si divide nelle arterie
segmentali, che si dividono, a loro volta, nelle arterie interlobari dalla quale nascono

56
le arterie arcuate, da queste nascono le interlobulari e da
qui nascono le arteriole afferenti, fondamentale per il
funzionamento del rene stesso. Si definisce lobo una
piramide renale con la porzione di corticale sovrastante e
due emicolonne del Bertin. In termini di deflusso venoso,
abbiamo un’organizzazione simile a quella arteriosa
quindi troveremo le vene interlobulari, le vene arcuate, le
vene interlobari, non abbiamo le vene segmentali ma
abbiamo poi la vena renale. A livello della corticale
troviamo l’unità funzionale del rene: il nefrone. È costituito
da un glomerulo, costituito a sua volta da un ciuffo di capillari accolto nella capsula
di Bowman, e poi abbiamo un sistema di tubuli. Dalla capsula di Bowman nasce il
tubulo contorto prossimale che prosegue nell’ansa di Henle da cui nasce il tubo
contorto distale. A livello del glomerulo renale individuiamo un polo vascolare, la
regione in corrispondenza della quale entra l’arteriola afferente e fuoriesce l’arteriola
efferente; accanto a questo troviamo il polo urinifero, il versante della capsula da cui
ha origine il tubulo contorto prossimale. L’insieme di tubi sono molto diversi tra loro:
la maggior parte delle porzioni dell’ansa di Henle è costituita da segmenti sottili e una
restante parte costituita da un filamento spesso.
La disposizione a forcina dell’ansa discendente
di Henle è fondamentale per la fisiologia renale.
Le anse di Henle sono circondante da un
sistema di tubuli. I nefroni si dividono in
prettamente corticali, quasi completamente
confinati nella corticale, e i nefroni iuxtamidollari,
che sono quei nefroni prossimi alla midollare ma
il cui corpuscolo è accolto sempre nella
corticale. L’ansa di Henle è molto più lunga nei
nefroni iuxtamidollari perché questi, per lo più, rivestono un ruolo importante per il
recupero dell’acqua. L’ansa di Henle che riveste gli iuxtamidollari è circondata da
vasa recta che hanno un decorso parallelo a quello della forcina dell’ansa di Henle;
invece, nei nefroni corticali, i capillari che circondano i tubuli hanno un andamento
contorto e sono detti capillari peritubulari. La disposizione dei vasa recta è
responsabile del recupero dell’acqua, questo meccanismo sfrutta il meccanismo di
scambio controcorrente e di moltiplicazione controcorrente.
Il corpuscolo renale: la capsula di Bowman può essere
considerata come un’espansione terminale del tubo
contorto prossimale, essa va ad abbracciare il glomerulo
di capillari. Questa capsula è costituita da un foglietto
viscerale e un foglietto parietale, che ha una struttura
epiteliale simile a quella della parete dei tubuli mentre il
foglietto viscerale è fatto da cellule dette podociti. I
podociti sono dotati di estroflessioni citoplasmatiche che
entrano in contatto gli uni con gli altri. Tra i pedicelli dei
podociti rimangono degli spazi e attraverso questi vi è la
possibilità di far passare acqua e soluti. La barriera di
ultrafiltrazione prevede il passaggio di sostanze dall’ambiente vascolare verso lo
57
spazio di Bowman. L’ultrafiltrato passa attraverso il
tubo contorto prossimale, l’ansa di Henle, il tubulo
contorto distale, dove avviene una rielaborazione
della preurina che consiste nel recupero di acqua
passivo e attivo, cioè sotto controllo di aldosterone e
vasopressina. A livello del polo vascolare e del
glomerulo, si viene a creare l’apparato
iuxtaglomerulare che si forma quando il tubolo
contorto distale passa attraverso l’arteriola afferente
e l’arteriola efferente. Si ha una specializzazione delle cellule e il contatto fa sì che
le cellule muscolari lisce della parete dell’arteriola afferente si trasformino nelle
iuxtaglomerulari che assumono il ruolo di barocettori, cellule in grado di rilevare le
variazioni della pressione sanguigna. D’altra parte le cellule epiteliali del tubo
contorto distale nel punto di contatto si specializzano in cellule della macula densa
diventando chemocettori, cioè cellule in grado di rilevare le variazioni della
concentrazione ionica. Tra le due
tipologie troviamo inoltre le cellule del
mesangio extraglomerulare, cellule
dotate di attività contrattile, esse si
interpongono tra le cellule
iuxtagromerulari e le cellule della
macula densa. Una variazione o della
concentrazione sanguigna o degli ioni
sodio scatenano la produzione di
renina che viene immessa in circolo e
va a trasformare l’angiotensinogeno
in angiotensina I che a livello del letto
capillare ad opera dell’enzima ACE
viene trasformata in angiotensina II, quest’ultima giunge a livello della corticale del
surrene e determina la produzione di mineralcorticoidi, in particolare di aldosterone.
L’aldosterone agisce, a livello del tubulo contorto distale, determinando il
riassorbimento di ioni sodio cui segue il riassorbimento di acqua. Al contrario, la
vasopressina che viene prodotta a livello neuroipofisario agisce prevalentemente sul
dotto collettore e qui determina l’attivazione di una cascata il cui risultato è
l’inserzione delle acquaporine sulla membrana plasmatica delle cellule che formano
la parete del dotto collettore. Esiste anche un mesangio intraglomerulare, costituito
da cellule dotate di attività contrattile che vanno ad abbracciare i capillari sanguigne.
L’uretere e la vescica: l’urina che viene raccolta a livello dei
dotti collettori viene riversata attraverso i fori dell’apice delle
piramidi ed entra nei calici minori, più calici minori formano
i calici maggiori e 2/3 calici maggiore formano la pelvi renale
da cui nasce l’uretere. L’uretere rimane sempre in posizione
retroperitoneale scende nella cavità pelvica e si apre a
livello della vescica, accolta nella piccola pelvi e svolge una
funzione di serbatoio. Gli ureteri si aprono attraverso la
parete della vescica in maniera trasversa e il particolare
rapporto che creano fa sì che si crei una sorta di plica che
58
è importante perché impedisce il reflusso
dell’urina dalla vescica all’uretere. La vescica
è un organo cavo, ha una forma di mandorla,
con una parete tristratificata quindi avremo
una mucosa interna con un epitelio di
transizione, una muscolatura intermedia detta
muscolo detrusore della vescica e un
rivestimento connettivale esterno. Il trigono
vescicale su cui poggia la vescica è liscio, nell’uomo è al di sopra della prostata
mentre nella donna poggia direttamente sul pavimento pelvico. Accanto al muscolo
detrusore della vescica, troviamo delle fibre muscolari che vanno a fermare lo sfintere
uretrale interno. L’uretra che nasce dalla vescica attraversa nell’uomo la ghiandola
prostatica, il pavimento pelvico e il pene; nella donna, l’uretra è più breve, attraversa
il pavimento pelvico e si apre nel vestibolo della vagina.

9. Apparato genitale maschile e femminile

Il peritoneo: negli individui di sesso maschile,


il peritoneo scende lungo la faccia interna
della parete anteriore dell’addome e va a
rivestire l’apice dalla vescica per poi ripiegare
e risalire lungo la parete anteriore
dell’intestino retto rivestendola e andando a
formare il cavo retto vescicale.

Il peritoneo: negli individui di sesso femminile, il peritoneo,


abbandonando la parete anterolaterale dell’addome vada
a rivestire l’apice e la parete posteriore della vescica,
ripieghi e rivesta la parete anteriore del corpo dell’utero, il
fondo dell’utero, la parete posteriore dell’utero, la parete
posteriore della vagina per poi ripiegare e risalire
nuovamente lungo la parete anteriore dell’intestino retto.
La posizione dell’utero dorsalmente alla vescica fa sì che
si vengano a creare due cavi:
- il cavo vascico-uterino;
- il cavo retto-uterino.
Il cavo retto-uterino è più declive rispetto all’altro, esso è
anche detto cavo del douglas. L’utero assume una
posizione descritta bene da due angoli: l’angolo di flessione
tra l’asse che passa per il corpo dell’utero e l’asse che
passa per il collo dell’utero ed è un asse aperto
anteriormente, e l’angolo di versione, tra l’asse che passa
per il collo dell’utero e l’asse che passa per la vagina.

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I testicoli: l’apparato genitale maschile è costituito dalle gonadi, qui si parla di
testicoli/didimi accolti nella sacca scrotale, una sacca extracorporea che sta al di fuori
della cavità addominale. Ciò accade perché la maturazione degli spermatozoi
avviene a una temperatura di 1/2 gradi più bassi rispetto a quella corporea. I testicoli
si formano all’interno della cavità addominale nella regione lombare, durante lo
sviluppo embrionale cominciano il loro percorso di
discesa che termina a livello della sacca scrotale
prima della nascita. Il fatto che il testicolo debba
abbandonare la cavità addominale e posizionarsi
nella sacca scrotale comporta che il didimo
attraversi il canale inguinale. In questo percorso si
riveste di tutte quelle formazioni che vanno a
formare la parete anteriore dell’addome. Il testicolo
è rivestito dalla sua tonaca propria detta tonaca
albuginea e dalla tonaca vaginale, tutti gli altri strati
derivano dal peritoneo. All’esterno troviamo la
faccia spermatica interna che è un prolungamento
della fascia trasversale, la fascia cremasterica che
è un prolungamento del muscolo obliquo interno dell’addome, la fascia spermatica
esterna che è un prolungamento dell’aponeurosi del muscolo obliquo esterno
dell’addome. All’esterno abbiamo il rivestimento cutaneo che accoglie il dartos,
preposto alla termoregolazione.
L’epididimo: all’interno dello scroto troviamo anche l’epididimo. Lo scroto è un organo
pieno, presenta un polo superiore e un polo inferiore. Sul polo superiore troviamo
adagiato l’epididimo costituito da una testa, un corpo e una coda e dalla coda
dell’epididimo si trova il dotto deferente. Il dotto deferente segue il percorso seguito
dal didimo durante la discesa nella sacca scrotale, in particolare, il dotto deferente
insieme a formazioni nervose, a formazioni linfatica, all’arteria vascolare, all’arteria
testicolare e alle vene testicolari è rivestito dalle stesse membrane che abbiamo
ritrovato nella sacca scrotale e formano il funicolo spermatico. Il dotto deferente
rientra in cavità addominale come parte integrante del funicolo spermatico attraverso
l’anello inguinale superficiale, prosegue sul canale inguinale e sbocca nell’anello
inguinale profondo. Il didimo deve essere vascolarizzato grazie all’arteria testicolare,
il sangue che proviene dall’ambiente interno avrà la stessa temperatura del corpo
quindi bisogna che venga portato a una temperatura più bassa. L’arteria testicolare
è abbracciata anatomicamente da un plesso venoso, detto plesso pampiniforme, qui
il sangue viaggia a una temperatura più bassa perché proviene dalla sacca scrotale,
si manifesta così uno scambio di calore controcorrente perché il sangue che viaggia
lungo l’arteria testicolare scende verso il didimo, il sangue che viaggia nel plesso
pampiniforme risale dal didimo.

60
Il testicolo è un organo pieno e troviamo il suo ilo in
corrispondenza del margine posteriore. È rivestito da una
tonaca albuginea che si inspessisce in prossimità dell’ilo
e prende il nome di mediastino, inoltre invia dei sedimenti
che suddividono il didimo in lobuli. Dentro ogni lobulo
troviamo due o tre tubuli seminiferi che nascono a fondo
cieco nel senso che iniziano e terminano in prossimità del
mediastino dove i tubuli si anastomizzano tra loro e
formano la rete testis. Dalla rete testis nascono i
condottini efferenti che raggiungono la testa
dell’epididimo. Quest’ultimo è organizzato in testa, corpo
e coda, in realtà è un tubulo unico ma è così contorto da
apparire costituito da più tubuli. Dalla coda dell’epididimo
lascerà poi il dotto deferente che entrerà nella cavità
addominale.
I tubuli seminiferi e la gametogensi: all’interno dei tubuli seminiferi avviene la
gametogenesi. Ogni tubulo seminifero è
costituito da una parete detta epitelio
germinativo che poggia su una lamina
propria; a ridosso troviamo anche delle
cellule mioidi, cioè dotate di attività
contrattile, l’epitelio germinativo è costituito
da vari strati di cellule che
fondamentalmente sono i gameti a diversi
strati di maturazione. Si parte dagli
spermatogoni, ha luogo meccanismo di
proliferazione, subito dopo le cellule vanno incontro alle due divisioni meiotiche, al
termine delle quali si ha la formazione degli spermatidi, cellule ancora immature, che
vanno incontro al processo della spermiogenesi che ha come risultato gli
spermatozoi. Nei tubuli seminiferi, troviamo anche
le cellule del Sertoli che vanno ad abbracciare con
i loro prolungamenti citoplasmatici i gameti in via di
maturazione. Forniscono supporto meccanico e
trofico ai gameti. Ma attraverso la ABP (androgen-
binding protein) riescono a legare il testosterone,
fondamentale per la produzione degli spermatozoi,
e a concentrarlo all’interno del tubulo seminifero.
Le cellule del Sertoli formano la barriera
ematotesticolare che separa il compartimento
basale dove troviamo gli spermatogoni, cioè le cellule ancora diploidi e un
compartimento interno dove troviamo le cellule aploidi. La barriera ematotesticolare
impedisce il contatto diretto tra le cellule già andate incontro alla meiosi e la
circolazione sanguigna, ad esempio per evitare una risposta autoimmunitaria.
All’esterno dei tubuli seminiferi troviamo le cellule interstiziali di Leydig, sono cellule
che rispondono agli stimoli ormonali attraverso la produzione di testosterone.
61
Il dotto deferente entra, scende a livello della
piccola pelvi, incrocia gli ureteri e raggiunge la
parete posteriore della vescica per inserirsi,
attraversare la prostata e aprirsi a livello dell’uretra
prostatica. Prima di fare ciò il dotto deferente si
slarga sulla faccia posteriore della vescica a
formare l’ampolla deferenziale, inoltre dalla parete
del dotto deferente si forma un’evaginazione che
slargandosi prenderà il nome di vescichetta
seminale. Dall’unione della vescichetta seminale
con il dotto deferente si arriva al dotto eiaculatore.

I dotti eiaculatori penetrano nella ghiandola


prostatica per aprirsi sulla faccia posteriore
dell’uretra prostatica nel collicolo seminale.
Nel momento in cui l’uretra prostatica
attraversa il pavimento pelvico diventa uretra
membranosa e poi uretra spongiosa. A livello
dell’uretra spongiosa si apre il dotto delle
ghiandole bulbouretrali di Cowper,
responsabili del liquido pre-eiaculatorio, la
sua funzione è quella di neutralizzare
l’ambiente acido dell’uretra. All’interno del
pene, l’uretra assume una posizione
inferiore, infatti, esso è costituito da tre
strutture cavernose, abbiamo i corpi
cavernosi del pene che hanno una funzione
rettile e i corpi spongiosi dell’uretra. L’uretra
occupa una posizione ventrale.

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L’utero: l’utero è un organo cavo, il
peritoneo va a rivestire sia la faccia
anteriore, sia la faccia posteriore che le
ovaie e le tube uterine, in parte rivestirà
anche la vagina. Ai lati dell’utero si avrà una
piega di peritoneo, più che meso questa
formazione prende il nome di legamento
largo. Macroscopicamente l’utero è
organizzato in una regione centrale detta
corpo, un restringimento detto istmo e un
collo, accolto all’interno della vagina. La
vagina abbraccia il collo dell’utero, e non
viceversa, ciò forma una sorta di piega
detta fornici. I fornici posteriori sono più alti
rispetto a quelli anteriori. Il collo è detto
anche cervice uterina. In corrispondenza
della porzione più alta dell’utero,
lateralmente, in corrispondenza degli angoli
superolaterali nascono le tube uterine; la
porzione di utero che sta al di sopra dei due
orifizi da cui hanno origine le tube uterine
prende il nome di fondo uterino.

Le tube uterine sono degli organi cavi costituiti da tre


regioni: una regione laterale slargata detta
infundibolo che termina con delle fimbrie di cui
quella maggiore prende contatto con l’ovaio,
all’infundibolo fa seguito l’ampolla e poi l’istmo. Il
fenomeno della fecondazione avviene a livello delle
tube uterine. Quando avviene la fecondazione, in
condizioni fisiologiche, lo sviluppo dell’embrione
deve avvenire all’interno dell’utero, infatti lo zigote è
rivestito da una membrana pellucida che impedisce
allo zigote di attaccarsi alla parete della tuba uterina.

Il peritoneo inferiormente forma il legamento largo, costituito


da due foglietti, uno anteriore e uno posteriore. La parte più
alta del peritoneo che va a rivestire anche le tube uterine
prende il nome di mesosalpinge. Inoltre, dal foglietto
anteriore e posteriore del legamento largo vengono fuori
delle formazioni dette increspature, la prima è una piega del
peritoneo che prende il nome di mesovario, questa piega si
dirige verso l’ovaio ma non lo riveste. Un’altra increspatura
che trovo, questa volta sul foglietto anteriore, è il legamento
rotondo dell’utero, nasce dall’utero, si inserisce lungo il
canale inguinale e attraverso questo sfiocca sulle grandi
labbra della vulva.
63
La parte dell’esocervice prende il nome di muso di
Tinca. L’utero è mantenuto in posizione anche da altri
legamenti, come i legamenti retto-uterini, utero-
vescicali e inoltre, attorno al collo dell’utero si ha una
quantità abbastanza elevata di connettivo di
riempimento che prende il nome di parametrio. Il
connettivo che circonda la vagina è definito
paracolpo. A livello del parametrio, si viene a creare
un ispessimento particolare definito legamento
cardinale di Mackenrodt, questo fissa il collo dell’utero
alle pareti laterali della piccola pelvi. Anche i due
foglietti del legamento largo raggiungono la faccia
interna delle pareti laterali della piccola pelvi e si
fissano su di esse, chiaramente poi si ripiegano per
andare a rivestire le porzioni diverse della parete
laterale della piccola pelvi.
L’utero è un organo cavo con una parete strutturata
in tre tonache:
- una tonaca interna, la mucosa, detta endometrio;
- una tonaca media definita miometrio;
- una tonaca esterna, sierosa, definita perimetrio.

L’ovaio entra in continuità con l’infundibolo della


tuba uterina, in particolare, tra le fimbie che la
costituiscono ve ne è una più lunga che contrae
rapporto con l’ovaio. Nel momento in cui si ha
l’ovulazione la cellula uova espulsa dall’ovaio
viaggia attraverso la fimbia e arriva
all’infundibolo. L’ovaio è un organo pieno,
paragonabile al testicolo maschile, è costituito
da una parte midollare dove troviamo
connettivo, fibre nervose, vasi; e da una parte
corticale dove troviamo i gameti a diversi strati
di maturazione.

Il ciclo ovarico: durante la prima fase del ciclo ovarico si ha la maturazione del follicolo
primordiale fino ad arrivare allo scoppio del follicolo, quindi l’ovulazione con il rilascio
della cellula uovo lungo la fimbria ovarica e quindi verso la tuba uterina, mentre il
follicolo ovarico che accoglieva la cellula uovo si trasforma in corpo luteo e va
incontro a regressione nel momento in cui non c’è una gravidanza oppure se c’è
diventa corpo luteo gravidico e continua a produrre progesterone. Il ciclo ovarico è
sotto lo stretto controllo dell’asse ipotalamo-ipofisario. L’ipotalamo attraverso il
rilascio del gene RH regola l’attività delle cellule gonadotrope dell’ipofisi per la
64
produzione di LH ed FSH. Ciclo ovarico e ciclo
mestruale chiaramente vanno di pari passo, il
ciclo ovarico dura 28 giorni, al 14esimo si ha
l’ovulazione quindi abbiamo una fase
preovulatoria sotto il controllo dell’ormone FSH e
una fase postovulatoria, indotta dall’ormone LH.
Durante la prima fase del ciclo ovarico abbiamo la
maturazione del follicolo, a livello ipofisario
questa maturazione è proprio regolata dall’FSH
(ormone follicolostimolante). Quindi questo
ormone guida la maturazione del follicolo,
quest’ultimo produce estrogeni. Al 14esimo
giorno avviene l’ovulazione indotta da un picco di
LH (ormone luteinizzante). Il follicolo si trasforma
in corpo luteo in grado di produrre il progesterone.
FSH ed LH vengono prodotti entrambi durante
tutte le fasi del ciclo ma durante la prima fase abbiamo la prevalenza dell’ormone
FSH mentre nella seconda di LH. Il ciclo ovarico, a sua volta, si traduce in alterazioni
dell’endometrio, in particolare, durante la prima fase del ciclo ovarico che parte dal
primo giorno della mestruazione quindi dallo sfaldamento dell’endometrio, terminati i
primi giorni dello sfaldamento abbiamo FSH ed estrogeni che guidano la fase
proliferativa a livello dell’endometrio. Verso il 27-28 giorno la mancata gravidanza fa
sì che si abbia una caduta nella produzione di progesterone, cui segue, nuovamente
lo sfaldamento dell’endometrio.
Lo sfaldamento dell’endometrio: l’endometrio è organizzato in
due compartimenti:
- un compartimento basale;
- un compartimento funzionale.
Durante la mestruazione si ha l’eliminazione dello strato
funzionale dell’endometrio, mentre lo stato basale, dove
troviamo le arterie in grado di ringenerare la radice delle
ghiandole dell’endometrio, rimane intatto.
Feedback positivo: il meccanismo di controllo endocrino della maturazione del ciclo
ovarico è peculiare perché, mentre nel testicolo il testosterone stesso va a regolare
la produzione degli ormoni, tramite feedback negativo, nella donna entrano in gioco
meccanismi di feedback positivi. Infatti durante la prima fase del ciclo ovarico, la
produzione di FSH stimola gli estrogeni che agiscono a feedback positivo per
stimolare l’ulteriore produzione di ormone. Questo meccanismo è indispensabile per
il picco di LH.

Lezione BONUS – Anatomia umana

10. Sistema endocrino


Ghiandole esocrine e ghiandole endocrine: il sistema endocrino è l’insieme di
ghiandole endocrine dislocate nell’organismo. Includiamo in questo sistema anche
organi che appartengono ad altri sistemi, ad esempio il rene fa parte dell’apparato
urinario ma ha anche una funzione ghiandolare che rientra nel sistema endocrino. Si
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definisce ghiandola esocrina quella ghiandola il cui secreto viene riversato
nell’ambiente esterno o con parti del corpo che comunicano con l’ambiente esterno
(es. succo pancreatico). Si parla, invece, di ghiandola endocrina quando il secreto
viene riversato all’interno del corpo, in particolare nel canale circolatorio.
Sistema nervoso e sistema endocrino a confronto: nel sistema nervoso i mediatori
chimici, detti neurotrasmettitori, vengono rilasciati a livello delle terminazioni
sinaptiche in prossimità di uno spazio limitato, detto sinaptico, da lì il
neurotrasmettitore legherà recettori specifici espressi sulla membrana postsinaptica.
Per quanto concerne, i mediatori del sistema endocrino questi vengono definiti
ormoni, essi vengono immersi nel corrente circolatorio attraverso cui raggiungono
organi bersaglio localizzati anche a elevata distanza rispetto alla sede effettiva
dell’ormone. Ci sono casi in cui i neuroni possono riversare i loro mediatori nel
corrente circolatorio e in questo caso si parla di neurormoni.
Ipotalamo e ipofisi: quando parliamo di sistema endocrino, bisogna considerare tutte
le ghiandole dell’organismo ma la maggior parte delle ghiandole dell’organismo sono
sotto il controllo della ghiandola ipofisaria. L’ipotalamo e l’ipofisi rappresentano due
formazioni strettamente collegate dal punto di vista anatomico e funzionale e
rientrano nella formazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-ghiandola endocrina.
L’ipotalamo è una formazione nervosa che fa parte del diencefalo, esso va a formare
le pareti laterali, inferiori e il pavimento del terzo ventricolo, è costituito da sostanza
grigia. L’ipofisi si divide in neuroipofisi posteriore e adenoipofisi anteriore. È accolta
in una cavità ossea scavata sulla faccia dorsale del corpo dello sfenoide. È rivestita
da una piega di dura madre.
A livello ipotalamico esistono due sistemi neuroendocrino:
- il sistema neuroendrocrino magnocellulare, comprende principalmente il nucleo
sopraottico e paraventricolare. Questi nuclei accolgono al loro interno i neuroni
magnocellulari i cui prolungamenti assonici abbandonano l’ipotalamo e raggiungono,
attraverso il peduncolo ipofisario la ghiandola ipofisaria. I neuroni magnocellulari
sintetizzano due neurormoni, l’ossitocina e la vasopressina, questi vanno ad
accumularsi a livello delle terminazioni nervose e sotto adeguato stimolo vengono
rilasciati nel corrente circolatorio;
- il sistema neuroendrocino parvocellulare: il controllo che l’ipotalamo esercita
sull’adenoipofisi è un controllo umorale. Altri nuclei dell’ipotalamo, tra cui il nucleo
arcuato, sintetizzano particolari fattori di rilascio o di inibizioni detti libertine e statine;
questi vengono rilasciati dai neuroni della via parvocellulare a livello del peduncolo
ipofisario e immessi nel circolo sanguigno attraverso il quale raggiungono
l’adenoipofisi e qui vengono nuovamente rilasciati, cioè abbandonano il corrente
circolatorio ed entrano a livello dell’adenoipofisi.

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Sistema portale: esiste, dunque, quello che viene
detto sistema portale, costituito da una doppia
capillarizzazione. L’arteria ipofisaria superiore
capillarizza una prima volta a livello del
peduncolo ipofisario, qui avviene il rilascio di
libertine e statine, si formano delle vene portali
che attraversano il peduncolo, raggiungono
l’adenoipofisi e ricapillarizzano.

L’adenoipofisi e la neuroipofisi: l’adenoipofisi è costituita da:


- una parte distale, dove ritroviamo la maggior parte dei tipi cellulari descritti prima;
- una parte intermedia,
rudimentale nell’uomo;
- una parte tuberale.
La neuroipofisi è costituita:
- dal lobo nervoso che è
quello dove terminano i
prolungamenti assonici dei
neuroni magnocellulari;
- dall’infundibolo;
- dall’eminenza mediana.
I peduncoli polmonari sono
costituiti dalla parte
tuberale dell’adenoipofisi e dall’infundibolo e dall’eminenza mediana della
neuroipofisi, infatti, la parte tuberale abbraccia le altre due strutture. A livello
ipotalamico esistono altri nuclei per il controllo di altri fattori, ad esempio il nucleo
soprachiasmatico dell’ipotalamo regola il ritmo circadiano, il nucleo arcuato accoglie
neuroni responsivi alla leptina e dunque regola la fame.
L’ossitocina: l’ossitocina agisce sulle cellule muscolari lisce, ad esempio sulla parete
uterina inducendo le contrazioni, sia sulle cellulemioepiteliali della ghiandola
mammaria.
L’ormone antidiuretico (ADH)/arginina vasopressina (AVP): l’ormone antidiuretico
(ADH)/arginina vasopressina (AVP) ha un meccanismo di azione diverso perché è in
grado di stimolare il riassorbimento di acqua sui dotti collettori del rene. Esso si lega
a specifici recettori del nefrone e attivano una cascata a valle il cui esito è l’inserzione
sulla membrana plasmatica di particolari trasportatori di acqua, le acquaporine, in
particolare delle acquaporine di tipo III e IV.
L’epifisi/ghiandola pituitaria: questa ghiandola è preposta alla produzione di
melatonina, i cui livelli circolanti sono a loro volta stabiliti dalla quantità di luce

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circolante e da altri fattori. Di giorno prevalgono picchi di serotonina, mentre di notte
picchi di melatonina.
La tiroide: la ghiandola tiroide topograficamente è localizzata nel compartimento
viscerale del collo al di sotto della cartilagine tiroidea ed è accolta nello spazio
compreso tra le due arterie carotidi comuni. Ha una conformazione a farfalla, è
costituita da due lobi uniti centralmente da un istmo. La tiroide è l’unica ghiandola
endocrina del nostro organismo avente un’organizzazione follicolare. A volte
troviamo anche il lobo piramidale. Tra gli ormoni rilasciati a livello ipofisario abbiamo
il TSH, responsabile dell’attività della ghiandola tiroidea per la produzione degli
ormoni T3 e T4. È rivestita da una capsula ed è suddivisa in lobuli, all’interno del
quale troviamo i follicoli tiroidei. Essi sono costituiti da tireociti, le cellule che la
costituiscono, sono disposti attorno a delle cavità dette follicoli, riempiti di una
sostanza detta colloide, all’interno della quale viene accumulata la tiroglobulina, la
proteina da cui ha inizio la sintesi degli ormoni tiroidei T3 e T4. Distinguiamo nella
tiroide in macrofollicoli inattivi, ricchi di colloide, nel momento in cui vi è la
stimolazione del TSH abbiamo la trasformazione dei macrofollicoli in microfollicoli. I
tereociti provvedono alla biosintesi degli ormoni tiroidei e per questo sono cellule
fortemente polarizzate. Per la biosintesi degli ormoni tiroidei sono necessari gli ioni
iuduro che recuperiamo con la dieta e con l’aria che respiriamo. Gli ioni vengono
captati dai tereociti e pompati
tramite trasporto attivo. Una volta
introdotto a livello della cellula, i
tereociti operano un processo di
organificazione e lo ione ioduro
viene riconvertito in molecola,
quest’ultima, al contempo, viene
immediatamente trasferita
all’interno di vescicole di
tireoglobulina, la molecola di
partenza per la biosintesi degli
ormoni tiroidei, viene sintetizzata
dai tireociti, accumulata
all’interno di vescicole e riversata
nel lume del follicolo, dove si
accumula formando la colloide.
Quando la vescicola viene riversata sottoforma di colloide presenta al suo interno le
molecole di iodio, queste appena sintetizzate vengono trasferite all’interno delle
vescicole di tireoglobulina e legate ai residui di tireosina della tireoglobulina.
Possiamo avere il legame di un’unica molecola di iodio e allora si formerà la
monoiodiotireosina o il legame di due molecole di iodio e si formerà la
diiodiotireosina. Tornando a noi, le vescicole così fatte vengono riversate nella
colloide e sotto la stimolazione del TSH si ha l’attivazione dei tireociti che provvedono
a recuperare le vescicole di tireoglobuline attraverso un meccanismo di
macropinocitosi: le vescicole captate vengono indirizzate verso i lisosomi, si ha la
fusione e quindi la formazione dei fagolisosomi. All’interno dei fagolisosomi si ha
immediatamente la lisi della tireoglobulina con il rilascio di MIT e DIT, che si
associano fra di loro formando gli ormoni tiroidei T3 e T4. La fusione di una molecola
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di MIT e una di DIT forma il T3, quando invece si legano due molecole di DIT si forma
l’ormone T4. Gli ormoni T3 e T4, essendo liposolubili, abbandonano facilmente il
fagolisosoma ma nel citoplasma si legano a proteine di trasporto attraverso le quali
giungono verso la membrana basale dei tireociti e rilasciati nel corrente circolatorio.
Nel corrente circolatorio, la maggior parte degli ormoni tiroidei circola legata a
particolari molecole di trasporto, solitamente la TBG (thyroxine binding globulin).
Sebbene, T4 rappresenti la maggior parte dell’ormone prodotto dalla tiroide, l’ormone
T3 è funzionalmente più attivo e per questo motivo l’ormone T4 spesso viene
convertito in T3. La funzione principale degli ormoni tiroidei è quella di attivare il
metabolismo, del consumo basale di ossigeno e della produzione di calore.
Le paratiroidi: abbiamo, generalmente, 4
ghiandole paratiroidi localizzate sulla
faccia posteriore dei lobi della ghiandola
tiroide. Nella tiroide, accanto ai tireociti,
troviamo le cellule C parafollicolari che
producono la calcitonina che controlla la
calcimia e agisce in contrapposizione al
paratormone prodotto dalle paratiroidi. La
calcitonina riduce la calcimia quindi
stimola il deposito di ioni calcio a livello
delle ossa mentre il paratormone
immobilita le riserve di ioni calcio, aumenta
il riassorbimento a livello intestinale e
renale. Indirettamente, il paratormone
agisce anche a livello intestinale, infatti,
converte la vitamina D3 nella sua forma
più attiva che va a promuovere il riassorbimento di ioni calcio a livello intestinale.
Il surrene: il surrene è una formazione
pari localizzata sui poli superiori dai rene
ed è separata da questo mediante
tessuto connettivale ma è rivestita dalla
stessa fascia renale che riveste il rene. Il
surrene è costituito da una parte
periferica detta corticale, di derivazione
mesodermica, e una centrale detta
midollare, che deriva dalle cellule della
cresta neurale. La corticale è una ghiandola secernente organizzata in cordoni che
ci consentono di individuare tre zone:
- gromerulare, preposta alla produzione dei mineralcorticoidi, primo tra tutti
l’aldosterone. La produzione dei mineralcorticoidi è sotto il controllo del sistema
renina-angiotensina che si attiva a livello renale;
- fascicolata, avviene la biosintesi dei glucocorticoidi, primo tra tutti il cortisolo ma
anche del corticosterone. La funzione principale è quella di regolare il metabolismo
dei carboidrati e la produzione di glucocorticoidi è sotto il controllo dell’ormone CTH;
- reticolare, qui avviene la produzione degli androgeni, quindi degli steroidi sessuali
principali, la sintesi avviene a partire dal colesterolo.

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La midollare del surrene è costituita da cellule dette cromaffini perché ricche di
granuli che rilasciano le catecolamine, adrenalina e noradrenalina.
Mappa concettuale con principali ormoni del sistema endocrino:

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