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Il corpo umano è costituito da unità funzionali, chiamate cellule, che si connettono fra loro a
formare strutture bidimensionali, i tessuti. Esistono 4 tessuti principali:
1. Il tessuto epiteliale, che ha funzione di rivestimento, di secrezione, di trasporto e di
assorbimento. Riveste sia la superficie corporea che alcune cavità interne del corpo,
tipo le cavità interne dello stomaco. Le cellule epiteliali, inoltre, come già detto,
secernono sostanze, sia all’esterno del corpo, come il sudore, sia all’interno, come gli
enzimi digestivi nello stomaco. Le sostanze digerite vengono poi assorbite e
trasportate nel sangue.
Le cellule epiteliali hanno forma regolare (cubiche o cilindriche) e sono tutte unite le
une alle altre, prive quindi di matrice extracellulare tra cellula e cellula. Gli epiteli
NON sono vascolarizzati. Importante poi ricordare come tutte le cellule che secernono
la stessa sostanza si raggruppino a formare una ghiandola. Essa è costituita quindi da
tessuto epiteliale. Esistono ghiandole unicellulari e ghiandole pluricellulari. Le prime
secernono muco, che serve a lubrificare l’organo. Le ghiandole pluricellulari si
dividono invece in esocrine e endocrine. Le prime secernono il loro secreto sulla
superficie corporea o in una cavità interna attraverso un dotto escretore. La ghiandola
esocrina si trova sempre in vicinanza dell’organo bersaglio, proprio a causa della
ridotta lunghezza del dotto. Le ghiandole endocrine, invece, producono ormoni e li
riversano nel circolo sanguigno: per questo motivo possono raggiungere luoghi del
corpo anche molto lontani dalla loro posizione.
2. Il tessuto connettivo, che a sua volta si divide in tessuto connettivo propriamente detto
e tessuto connettivo specializzato. Il primo connette gli altri tessuti fra loro. Nel
connettivo è possibile trovare moltissimi vasi sanguigni. L’epitelio riceve il sangue e
il sostenimento proprio dal connettivo. Inoltre, esso ha funzione strutturale e
protettiva. E’ costituito da cellule disperse in una matrice extracellulare: le cellule
sono quindi staccate le une dalle altre (differenza col tessuto epiteliale).
Generalmente, il propriamente detto è diviso in forme lasse e forme dense. La prima è
men robusta della seconda poiché possiede meno fibre.
Il tessuto connettivo specializzato, invece, possiede fibre modificate per le funzione
che dovrà svolgere. Per esempio nel tessuto adiposo le fibre vengono a mancare quasi
totalmente e il tutto è costituito da grasso. Il cartilagineo e l’osseo sono invece molto
simili fra loro, poiché rispondono entrambi ad un bisogno prettamente strutturale.
Tuttavia, mentre il cartilagineo possiede ancora un po’ di matrice extracellulare,
l’osseo no. All’interno dell’osso troviamo il midollo osseo, dove scorre il sangue,
anch’esso un tessuto connettivo. E’ costituito da una parte liquida (plasma) e una
parte figurata (eritrociti, leucociti e trombociti). In realtà è bene chiamare gli eritrociti
col nome di globuli rossi o emazie e i trombociti col nome di piastrine.
3. Il tessuto muscolare è diviso in tessuto liscio e involontario e tessuto striato e
volontario. Le cellule di questo tessuto sono chiamate fibre muscolari.
Un’eccezione è il muscolo cardiaco che, nonostante sia striato, è involontario. Per
questo, esso viene chiamato tessuto striato cardiaco e quello normale tessuto strato
scheletrico.
4. Il tessuto nervoso è costituito da neuroni, che lavorano assieme alle cellule della Glia
per ricevere stimoli, elaborarli ed emettere le giuste risposte. Tutto ciò avviene grazie
alla capacità di queste cellule di trasmettere impulsi elettrici.
La parete del corpo umano
La parete del corpo umano è fatta a strati. Partendo dalla superficie, troviamo la cute,
costituita da uno strato esterno, l’epidermide e da uno interno, il derma. Subito sotto troviamo
uno strato di connettivo adiposo, l’ipoderma. Sotto a questo incontriamo la muscolatura,
costituita da più strati sovrapposti. Ciascuno strato è diviso dagli altri da tessuto connettivo,
chiamato fasce: abbiamo una fascia superficiale che ricopre la muscolatura superficiale e che
si è a contatto con l’adiposo, poi una fascia intermedia ed, infine, una fascia profonda.
Anatomia dei vasi sanguigni: Come in qualunque altro organo cavo, la struttura di base resta
anche in questo caso. Tuttavia, le varie tonache possiedono qui uno spessore estremamente
ridotto rispetto, per esempio, allo stomaco. La prima tonaca, quella più interna, viene
chiamata tonaca intima. Questa NON è costituita da epitelio, ma da endotelio, sottilissimo
(l’endotelio normalmente è un connettivo, ma in questo caso funge da epitelio). Anche in
questo caso l’endotelio poggia direttamente su una membrana basale. Poi troviamo la tonaca
media, costituita sia da connettivo lasso che da muscolare liscio. Infine abbiamo la tonaca
avventizia, formata da connettivo denso.
Anatomia di un organo pieno (Esempio: Linfonodo): All’esterno troviamo tessuto connettivo
denso, che riveste interamente l’organo e che prende il nome di capsula. Questa si introflette
nella parte interna dell’organo e va a costruire
una specie di impalcatura dell’organo. Questo
tessuto connettivo, da molto denso quale è in
superficie, diviene pian piano più sottile, fino a
diventare tessuto connettivo lasso.
L’impalcatura di connettivo prende il nome di
stroma. Il tessuto che va a riempire le maglie
dello stroma si chiama parenchima, il quale
muta istologicamente parlando, a seconda
dell’organo considerato (se è un muscolo, sarà
tessuto muscolare, altrimenti epitelio o tessuto
nervoso, ecc…). Importante differenza dagli organi cavi riguarda i vasi sanguigni: mentre in
quest’ultimi essi arrivavano in tutti i punti dell’organo, negli organi pieni esiste un unico
luogo in cui entrano ed escono i vasi, che prende il nome di ilo. Infine, anche alcuni organi
pieni sono costituiti da tonaca sierosa.
Questa è sottilissima e formata da due strati, che non sono però indipendenti l’uno dall’altro.
In altre parole, la tonaca tende a chiudersi e, nel punto di chiusura, si ribalta su sé stessa,
formando lo strato più esterno. Esistono quindi due strati, che tuttavia fanno parte dello stesso
tessuto ribaltato. Lo strato più esterno prende il nome di foglietto parietale, mentre quello più
interno di foglietto viscerale. Tra i 2 strati esiste uno spazio sieroso, ricco di liquido sieroso,
che viene continuamente prodotto dai due foglietti. In realtà, la tonaca sierosa è estremamente
sottile e quasi sempre invisibile ad occhio nudo. Questo significa che tra i due foglietti lo
spazio presente è infinitesimo e il liquido estremamente poco. Per questo motivo, lo spazio
sieroso viene chiamato anche virtuale. In casi patologici può capitare, se c’è un’infezione, che
aumenti il liquido sieroso e lo spazio diviene, a questo punto, visibile.
Le tonache sierose principali del corpo umano sono 3:
1. Il pericardio, che riveste il cuore. Si parlerà quindi di spazio pericardico e di liquido
pericardico;
2. La pleura, che riveste il polmone. Parliamo dunque di spazio pleurico e di liquido
pleurico;
3. Il peritoneo, nella cavità addominale (avvolge solo alcuni organi della cavità
addominale). Si parla quindi di spazio peritoneale e di liquido peritoneale.
La posizione anatomica
Consideriamo un soggetto, in posizione eretta, con
gli arti lunghi i fianchi e i palmi delle mani avanti.
Il piano verticale si chiama piano frontale o
coronale. Il piano orizzontale prende il nome di
piano trasversale. Il piano Z, ossia quello dello
spessore, si chiama piano sagittale.
Il piano frontale divide il corpo in una parte
anteriore o ventrale (perché guarda il ventre) e in
una parte posteriore o dorsale.
Il piano trasversale divide il corpo in una faccia
superiore o craniale e in una faccia inferiore o
caudale. Infine, il piano sagittale può esistere in più
modi. Se suddivide il corpo umano esattamente a
metà, allora prende il nome di piano sagittale
mediano e divide il corpo in una parte destra e in
una parte sinistra. Tuttavia, esistono infiniti piani
paralleli al
sagittale
mediano, che prendono il nome di piani sagittali
paramediani, i quali suddividono il corpo in parti
diseguali. In questo caso, la parte che si trova più
vicina al sagittale mediano si chiama faccia mediale,
mentre quella più lontana prende il nome di faccia
laterale. Nel caso degli arti, la faccia mediale viene
chiamata faccia prossimale, mentre quella laterale
viene chiamata faccia distale.
Secondo questi piani è possibile effettuare alcuni
movimenti:
1. Secondo il piano frontale si effettua la
torsione. Nel caso degli arti si chiama prono-
supinazione.
2. Secondo il piano trasversale si effettuano
movimenti di flesso-estensione.
3. Secondo il piano sagittale si eseguono
movimenti laterali. Per gli arti si parla di abduzione
(allontanamento), adduzione (avvicinamento).
L’abduzione massima è l’opposizione del pollice.
Apparato Locomotore
Il corpo umano è suddiviso in varie regioni:
1. Testa
2. Collo
3. Tronco
4. Arti Superiori
5. Arti Inferiori
Il tronco è diviso da diaframma in due parti non equivalenti, chiamate rispettivamente torace
e addome.
Gli organi che costituiscono l’apparato locomotore sono:
1. Lo scheletro
2. I dispositivi giunzionali: le articolazioni
3. La muscolatura scheletrica
Lo scheletro:
Gli organi dello scheletro sono le ossa. Queste:
1. Hanno funzione statica
2. Consentono la locomozione
3. Proteggono gli organi
4. Fungono da deposito di Sali minerali, che rendono il tessuto molto attivo. Questi,
infatti, soprattutto calcio, vengono continuamente rinnovati, cosicché l’osso si trova
costantemente ricostruito.
5. Contengono il midollo osseo (tessuto connettivo).
Durante la fase embrionale e nelle prime fasi della vita, il midollo osseo ha la funzione di
costituire la parte figurata del sangue: questo processo si chiama emopoiesi. Il midollo, in
queste fasi, ha una colorazione rossastra e, per questo motivo, viene chiamato midollo rosso.
Col passare del tempo, il midollo perde la sua funzione emopoietica e comincia a riempirsi di
adipociti, ingiallendosi: si parlerà, quindi, di midollo giallo.
Solamente alcune zone del corpo umano restano midollo rosso anche in età adulta e sono
quelle zone dalle quali oggi è possibile prelevare midollo per la donazione.
Diartrosi: Si distinguono in base alla forma. In queste articolazioni, fra i 2 capi articolari
esiste uno spazio, chiamato capsula articolare, una sorta di cappuccio che racchiude i 2 capi
articolari. La membrana della capsula si chiama membrana sinoviale. Il tessuto epiteliale
della membrana secerne un liquido, chiamato liquido sinoviale, che la funzione di fungere da
cuscinetto all’interno dell’articolazione. Tutte le diartrosi possiedono questa capsula.
Le diartrosi meno mobili sono:
1. Le artrodìe, dove i capi articolari sono pianeggianti: per questo motivo sono limitate a
soli movimenti di scivolamento.
2. Le articolazioni a sella, biassiali, sono per una parte convesse e per una parte concave.
Effettuano movimenti angolari su un solo piano.
Le diartrosi più mobili sono:
1. Le enartrosi, dove i capi articolari sono emisferici. Un emisfero pieno va ad
incastrarsi in un emisfero cavo. L’emisfero pieno viene chiamato testa, mentre
l’emisfero cavo si chiama glenoidea. Queste articolazioni permettono movimenti su
tutti i piani. (Es.: femore, omero).
2. Le condilartrosi sono uguali all’enartrosi, ma al posto di una sfera si ha un’ellisse
cava e un’ellisse piena. La prima si chiama condilo, mentre la seconda glenoidea.
3. I gìnglimi, dove i 2 capi articolari sono cilindrici. Nel caso che i 2 cilindri siano
disposti con l’asse maggiore parallela, il gìnglimo si chiama trocoide e permette
movimenti rotatori. Se i 2 capi articolari hanno, invece, l’asse maggiore
perpendicolare fra loro, il gìnglimo si chiama troclea e permette movimenti angolari.
La testa
Lo scheletro della testa viene chiamato cranio o scatola cranica.
Suddividiamolo in base agli organi che esso contiene. Esso è costituito da una porzione
superiore e posteriore, contenente
l’encefalo, chiamata neurocranio, e
da una porzione inferiore e
anteriore, contenente i visceri della
faccia (globuli oculari, mucose
olfattive e lingua), chiamata
splancnocranio. Tutte le varie ossa
sono legate fra loro tramite
sinartrosi (suture) e un’unica
articolazione mobile (diartrosi),
ossia quella fra mandibola ed osso
temporale.
E’ l’unico osso pari della base cranica. E’ situato anteriormente all’occipitale, posteriormente
alle grandi ali dello sfenoide e inferiormente all’osso parietale. Osservandolo superiormente,
notiamo una protuberanza sporgente sulla base, chiamata piramide dell’osso temporale o
rocca petrosa. Questa è cava e contiene la coclea, a forma di chiocciola, e il labirinto
(costituito da 3 canali semicircolari, orientati nelle 3 direzioni dello spazio), due componenti
dell’organo dell’udito e dell’equilibrio. Osservato lateralmente, l’osso assume la tipica forma
di squama di pesce. Dalla superficie esocranica della squama si distacca un processo
orizzontale, il processo zigomatico, che con il suo apice dentellato si articola con il processo
temporale dell’osso zigomatico per formare l’arcata zigomatica. Procedendo in direzione
posteriore si osserva sulla faccia esocranica del temporale il processo mastoideo, un rilievo
tozzo di forma conica tronca.
Lo Splancnocranio
Lo scheletro della faccia viene chiamato anche massiccio facciale. Partendo inferiormente,
con visione frontale, troviamo la mandibola, con gli alveoli dentari dell’arcata inferiore. Poi
troviamo l’osso mascellare (un osso pari), con gli alveoli dentari dell’arcata superiore. L’osso
mascellare forma il tetto della cavità orale, il pavimento della cavità nasale, la parte
anterolaterale della cavità nasale, un margine inferomediale della cavità orbitaria e il
pavimento della cavità orbitaria.
Le cavità nasali sono chiuse superiormente dalle laminette nasali. Infine, abbiamo l’ultimo
osso pari, l’osso lacrimale, che forma la parete mediale della cavità orbitaria.
Cavità orbitaria:
Tetto: Osso frontale
Parete laterale:
1. Grande ala dello sfenoide (faccia esocranica orbitaria). Insieme alla piccola ala dello
sfenoide forma la fessura orbitaria superiore (nella piccola ala c’è il foro ottico);
insieme all’osso mascellare forma la fessura orbitaria inferiore (la grande ala sta
dietro e il mascellare davanti).
2. Osso zigomatico, che forma la il margine inferolaterale.
Parete mediale: Osso lacrimale.
Pavimento:
1. Osso mascellare.
La colonna vertebrale
La colonna vertebrale in proiezione frontale si presenta come una serie di segmenti ossei,
articolati l’uno con l’altro (33 o 34).
Se la guardiamo, invece, in proiezione sagittale, notiamo che questa presenta una serie di
curvature: la prima e la terza hanno convessità anteriore, mentre le altre convessità posteriore.
Le curve a convessità anteriore prendono il nome di lordosi, mentre quelle a convessità
posteriore prendono il nome di cifosi. Tutte le altre curvature che troviamo sul piano frontale
sono patologiche e sono dette scoliosi.
La colonna vertebrale viene suddivisa in tratti: avremo il tratto che corrisponde al collo e
prende il nome di tratto cervicale (composto da 7 vertebre, indicate con la “C” di “Cervicale”
e i numeri); poi troviamo il tratto toracico (composto da 12 vertebre, indicate con “T1”,
ecc.); poi abbiamo il tratto lombare (composto da 5 vertebre, indicate con “L1”, ecc.); dopo
abbiamo il tratto sacrococcigeo (9 o 10 vertebre), diviso in tratto sacrale (5 vertebre, indicate
con “S1”, ecc.) e tratto coccigeo (4 o 5 vertebre, indicate con “CO1”, ecc.).
Vertebre C3-C7
Presentano tutte caratteristiche comuni. Hanno, infatti, tutte la presenza del foro trasversario,
che da passaggio ad un’arteria importantissima, chiamata arteria vertebrale. Questa, insieme
alla carotide, vascolarizza l’encefalo. Il processo spinoso, qui, è chiamato processo spinoso
bifido, ossia suddiviso in due parti.
Vertebre toraciche
Le vertebre toraciche sono caratterizzate da alcune particolarità, dovute al fatto che si
articolano con le coste. Ogni costa, in realtà, si articolare tra 2 vertebre contigue. Ciascun
processo trasverso si articola con la costa corrispondente. Riguardo, invece, al corpo
vertebrale, ogni costa si articola con questo grazie all’unione di 2 emifaccette. Ciascuna di
esse, infatti, ha la tipica forma di metà circonferenza. Quando due vertebre si uniscono, le
emifaccette costituiscono un foro circolare, nel quale si articolare la costa.
La prima costa si articola tutta con la prima vertebra toracica. Stessa cosa accade per
l’undicesima e la dodicesima costa, che si articolano solamente con l’undicesima e la
dodicesima vertebra.
Vertebre lombari
Sono le vertebre più grosse, a parte il sacro, perché devono sopportare una notevole quantità
di peso.
Osso sacro
Formato da 5 vertebre, che nell’adulto si fondono completamente fra loro, formando un osso
unico. Anteriormente si vedono i corpi delle vertebre, con i loro originali dischi
intervertebrali. Importante ricordare il punto in cui la L5 si articola con la S1. Qui, infatti, dal
momento che il tratto lombare ha una lordosi e il tratto sacrale una cifosi, l’articolazione
sporge molto in avanti. Questo punto viene chiamato promontorio.
Posteriormente notiamo, invece,
un processo molto pronunciato,
dato dalla fusione dei processi
spinosi. Le parti laterali,
ugualmente, saranno date dalla
fusione dei processi trasversi e
dai peduncoli.
Nell’osso sacro i fori
intervertebrali, dai quali escono i
nervi spinali, che normalmente
sono formati dalla
giustapposizione di due vertebre,
qui diventano veri e propri fori.
Troviamo 4 fori anteriori e, staccati, 4 fori posteriori. Il nervo spinale, quando esce dalla
colonna vertebrale, si biforca in nervo anteriore e nervo posteriore. Nel caso del sacro, però
il nervo si divide all’interno dell’osso e i nervi anteriori fuoriusciranno dai fori anteriori,
mentre quelli posteriori dai fori posteriori.
La porzione supero-laterale dell’osso è slargata e si apre quasi a ventaglio e viene detta ala.
Nella porzione laterale il sacro si va ad articolare con l’osso dell’anca, un osso pari, insieme
al quale va a costituire il bacino. La porzione dell’osso dell’anca, che si articola col sacro, è
l’ileo: l’articolazione prende il nome di articolazione sacro-iliaca. E’ una sincondrosi, che
permette solo un movimento minimo di oscillazione, utile alle donne per il passaggio del feto.
Scheletro del braccio: E’ costituito dall’omero, osso lungo, dotato quindi di due epifisi e una
diafisi. Consideriamo l’epifisi prossimale. Questa possiede una forma a emisfero, la testa
dell’omero, alla quale fa seguito una porzione ristretta, detta collo anatomico. Subito
posteriormente troviamo due protuberanze, che danno attacco a dei muscoli, che prendono il
nome di grande e piccola tuberosità. Al di sotto delle tuberosità troviamo un altro
restringimento, che segna il confine fra l’epifisi e la diafisi, detto collo chirurgico. L’epifisi
prossimale è quella che entra in articolazione con la scapola. Qui troviamo la cavità glenoidea
per la testa dell’omero, che è aumentata di dimensione dal cercine glenoideo, per rendere più
congrua l’articolazione. Si tratta di un’enartrosi ed è molto libera. Viene tenuta insieme, oltre
che dal cercine, anche da legamenti, tendini e da una capsula articolare robusta. Quando la
testa dell’omero esce dalla sede articolare, si parla di lussazione.
L’epifisi distale dell’omero si articola separatamente sia con l’ulna (articolazione omero-
ulnare) che con il radio (articolazione omero-radiale). Il radio e l’ulna, nelle loro epifisi
prossimali, si pongono in articolazione anche fra loro (articolazione radio-ulnare prossimale):
l’insieme di queste tre articolazioni costituisce l’articolazione del gomito. Al livello
dell’omero, in sede mediale (quindi con l’ulna), l’articolazione è un ginglimo e avviene
attraverso la troclea, mentre in sede laterale (con il radio), l’articolazione è un condilartrosi e
avviene attraverso il condilo. L’epifisi distale dell’omero, sia in sede anteriore che posteriore,
non è liscia, ma presenta delle fossette: la fossa che sovrasta la troclea è detta fossa
coronoidea, mentre quella che sovrasta il condilo è detta fossetta radiale.
In sede posteriore c’è, invece, un’unica fossa, che sovrasta la troclea e basta (il condilo si
vede solo anteriormente), detta fossa olecranica.
L’arto inferiore
E’ costituito da un dispositivo di attacco, il bacino. Questo ha uno scheletro composto dalla
cintura pelvica, formata dall’osso sacro e dall’osso dell’anca (osso pari).
L’arto inferiore, in senso prossimo-distale, è formato dalla coscia, alla quale segue la gamba,
alla quale segue il piede. Lo scheletro della coscia è formata dal femore; lo scheletro della
gamba è formato dalla tibia, in sede mediale, e dalla fibula o peròne, in sede laterale; lo
scheletro del piede è formato da un insieme di ossa, che formano il tarso, il metatarso e le
falangi.
Tutte queste ossa sono articolate da dei dispositivi, rappresentati dall’articolazione dell’anca
(o cocso-femorale), dal ginocchio e dalla caviglia.
La cintura pelvica
Le due ossa dell’anca, posteriormente si pongono in articolazione con l’osso sacro, mentre
anteriormente si pongono in articolazione mediante una sinfisi: fra le due ossa rimane un
disco cartilagineo, formando la sinfisi pubica. La cavità circoscritta dal bacino è detta pelvi.
Prendiamo in considerazione uno delle
due ossa dell’anca. Questa deriva, a livello
embrionale, da 3 differenti ossa. La parte
superiore più aperta, che nella faccia
mediale interna è incavata, è l’ileo; la
parte inferiore è costituita dal pube, che si
articola col pube controlaterale attraverso
la sinfisi pubica, e posteriormente
dall’ischio. Il pube e l’ischio sembrano
due “C” che, unendosi, formano il foro
otturatorio. Questo foro è chiuso da una
membrana connettivale, sulla quale si
vanno ad attaccare diversi muscoli.
Nell’adulto queste ossa non esistono più, però ciascuna struttura che ritroviamo sull’osso
mantiene il nome originale: per esempio, la cavità presente sull’ileo si chiama fossa iliaca
(qui sta l’intestino cieco). La parte superiore dell’ileo, molto sporgente, prende il nome di
cresta iliaca. Su questa cresta ci sono varie sporgenze: la più importante è quella anteriore,
detta spina iliaca antero-superiore: è il punto più sporgente in avanti del bacino.
Sulla faccia laterale dell’osso dell’anca è presente la cavità glenoidea per la testa del femore,
che prende il nome di acetabolo o cavità acetabolare (enartrosi).
Come già detto, il bacino individua una cavità, la pelvi, che viene suddivisa in 2 parti, perché
contiene organi differenti. Questa divisione viene effettuata tracciando una linea curva
partendo, posteriormente, dal promontorio, seguendo delle linee presenti sull’osso e passando
dalla parte superiore della sinfisi pubica: si viene così a creare una linea ideale, che suddivide
il bacino in una parte superiore e una parte inferiore. Questa linea prende il nome di stretto
superiore, che divide la pelvi in una grande pelvi, superiore (comprende la fossa iliaca), e in
una piccola pelvi, inferiore (formata dal pube e dall’ischio). La grande pelvi appartiene alla
cavità addominale. Gli organi che troviamo nella piccola pelvi sono l’intestino retto, gli
organi dell’apparato urinario e dell’apparato genitale. La forma dello stretto superiore ha
forma differente nei due sessi: nel maschio, dove il bacino non ha bisogno di contenere un
feto, ha una forma a cuore; nella femmina ha un aspetto più ovalare. Gli organi della piccola
pelvi, inferiormente, sono tenuti insieme da alcuni muscoli, a livello dello stretto inferiore.
Questi muscoli si originano dal bacino, si dirigono sulla linea mediana e, come nel
diaframma, si incastrano gli uni sugli altri. Le fibre muscolari, come nel diaframma, vanno a
formare una specie di conca. Tutti questi muscoli, nell’insieme, formano il cosiddetto
diaframma pelvico. Al livello di questo complesso muscolare troviamo alcune aperture:
l’orifizio anale (uguale nel maschio e nella femmina), l’orifizio uretrale esterno (che nei
maschi non è visibile, perché coperto dal pene) e l’orifizio vaginale (presente solo nella
femmina), compreso fra gli altri due.
La regione cutanea (quindi esterna), che corrisponde al diaframma pelvico, prende il nome di
perineo. Tra l’orifizio anale e la radice dello scroto è presente una sorta di piega, data dalla
giunzione dei muscoli che costituiscono il diaframma pelvico, detta rafe perineale.
Nella femmina, il perineo viene suddiviso in 2 regione: una regione posteriore, caratterizzata
dall’orifizio anale, e una regione anteriore, chiamata regione uro-genitale, dove si trovano
l’orifizio uretrale esterno e l’orifizio vaginale. Il tutto, nella femmina, è contornato da una
serie di strutture, che prendono il nome di genitali esterni. Questi sono presenti anche nel
maschio, rappresentati dallo scroto e dall’asta.
Arto inferiore
In senso cranio-caudale troviamo il femore. L’epifisi prossimale del femore è detta testa, che
si articola con l’acetabolo, attraverso un’articolazione congrua (a differenza dell’omero con la
cavità glenoidea della cintura scapolare). Tuttavia, nonostante l’articolazione sia congrua,
anche qui è presente un cercine glenoideo, meno spesso, detto
labbro glenoideo, e un legamento, detto legamento della testa
del femore. Se tracciamo l’asse maggiore della testa del
femore e l’asse maggiore della diafisi, queste vanno a formare
un angolo, che deve essere per forza compreso fra 120° e 14°.
Se quest’angolo risulta troppo ampio, si parla di varismo; se
risulta troppo acuto, si parla di valgismo.
L’epifisi distale del femore si articola unicamente con la tibia,
senza toccare il peròne. Nel ginocchio è presente anche la
rotula, la quale si articola, anche questa, solo col femore.
Se osserviamo il femore anteriormente, sull’epifisi è possibile
notare la superficie patellare, che
si va ad articolare con la rotula;
posteriormente, invece, si
possono osservare i 2 condili, che si vanno ad articolare con le
cavità glenoidee dell’epifisi prossima della tibia.
Quest’articolazione non è congrua, ma rivestita da una cercine
glenoidea, che qui è chiamata menisco: esiste un menisco
mediale o interno e un menisco laterale o esterno. Quello
esterno è a forma di “O”, mentre quello interno è a forma di “C”
(per ricordarlo, basta pensare alla parola “OECI”).
I legamenti sono 4 per ogni ginocchio. Abbiamo un legamento
fra il femore e la tibia e uno fra il femore e il peròne. Il primo è chiamato legamento
collaterale tibiale o mediale o interno; il secondo è detto legamento collaterale fibulare o
laterale o esterno. Gli altri 2 legami, il legamento crociato anteriore e il legamento crociato
posteriore, sono interni all’articolazione e si incrociano fra loro. Il primo evita un eccesso di
flessione dell’articolazione, mentre il secondo evita un eccesso di estensione
dell’articolazione.
La rotula (o patella) fa parte di una serie di ossa, dette sesamoidi (ricordano i semi di
sesamo), le quali nascono e si trovano nello spessore dei
legamenti o dei tendini. Nel nostro
organismo ci sono tantissime ossa
sesamoidi. L’unico osso sesamoide
costante in tutti gli individui è la patella,
la quale si articola con la faccia anteriore
dell’epifisi distale del femore, attraverso
un’articolazione a sella.
L’epifisi distale della tibia si
articola col tarso, attraverso la
caviglia. Sia la tibia che la
fibula presentano due
processi, che prendono il
nome di malleoli.
L’articolazione con il tarso si
realizza solo fra un osso del tarso (astragalo) e la tibia, attraverso una
troclea. Le ossa del tarso sono formate da 8 ossa (4 della fila prossimale e 4
di quella distale). La fila prossimale, invece di essere organizzata in 4 ossa
parallele fra loro, è un po’ peculiare: le prime due ossa, infatti, stanno una sopra all’altra;
l’astragalo superiormente e l’altro osso del tarso, che forma il calcagno, inferiormente. Le
ossa della fila distale si vanno ad articolare, tramite condili, alle ossa metacarpali: anche qui
si distinguono un primo, un secondo, un terzo, un quarto e un quinto osso metacarpale.
Ciascuna di queste si pone in articolazione, tramite condilartrosi, con la falange prossimale di
ogni dito del piede.
Le dita del piede vengono o numerate oppure dette Alluce, Melluce, Trillice, Pondulo,
Mellino.
Muscoli dell’anca e della coscia: Partiamo dalla cintura pelvica. I muscoli dell’anca si
dividono in muscoli esterni e muscoli interni. Questi ultimi, in realtà, sono rappresentati solo
dall’ileo-psoas. Il muscolo più esterno è, invece, il grande gluteo. Per fare un intramuscolo
nel gluteo, è necessario dividere il muscolo in 4 quadranti: l’intramuscolo si effettua nel
quadrante supero-laterale.
Poi abbiamo i muscoli della coscia. Mentre nell’arto superiore i muscoli flessori stanno tutti
anteriormente e gli estensori posteriormente, nell’arto inferiore è il contrario. Quindi,
posteriormente, sotto il gluteo, troviamo il muscolo flessore più grande della coscia, detto
bicipite femorale. Anteriormente, invece, come muscolo estensore, troviamo il quadricipite
femorale, costituito da 4 capi, riuniti tutti in un unico tendine, il quale va a racchiudere la
rotula. Sempre nella porzione anteriore della coscia troviamo il sartorio.
Muscoli della gamba: Il muscolo più importante della gamba, che si trova in sede posteriore,
costituisce il polpaccio: è un tricipite, chiamato tricipite della sura. E’ composto da 2 ventri
superficiali e da un ventre profondo. I due ventri superficiali prendono il nome di gemello
mediale e gemello laterale che, nell’insieme, costituiscono il muscolo gastrocnemio. Se
togliamo i due gemelli, possiamo apprezzare il terzo capo, detto sòleo. I 3 capi muscolari si
riuniscono in un unico tendine, che va ad inserirsi sulla faccia posteriore del calcagno
(tendine di Achille).
Apparato Circolatorio
L’apparato circolatorio è costituito da 2 grandi settori: l’apparato circolatorio sanguifero e
l’apparato circolatorio linfatico.
Nel sanguifero, come organi troviamo il cuore e i vasi sanguiferi (arterie, vene e capillari).
Nel linfatico, invece, troviamo i vasi linfatici e gli organi linfoidi.
L’apparato circolatorio sanguifero ha diverse funzioni:
1. Trasporto e apporto di O2 e nutrienti a tutti i tessuti
2. Allontanamento di CO2 e cataboliti (prodotti di scarto) dai
tessuti
3. Termoregolazione
4. Funzione di difesa
5. Regolazione dei fluidi corporei
6. Mantenimento dell’equilibrio acido-base (pH 7,35-7,45)
7. Mantenimento dell’equilibrio idro-salino
Il sangue ha la capacità di svolgere tutte queste funzione, perché
entra in contatto con i tessuti periferici. Ma questo è possibile solo
attraverso quei vasi che presentano una parete molto sottile, non
quindi nelle arterie o nelle vene. Quindi, da vasi grossi, col solo
scopo di veicolare il sangue, si passa a vasi sempre più piccoli,
che presentano caratteristiche tali da permettere al sangue di
interagire con i tessuti periferici.
Parliamo di arterie quando ci riferiamo a vasi di grosso calibro,
che non scambia materiale con l’esterno. Questo ha una
localizzazione ben precisa nel corpo ed è possibile seguirlo fino al suo organo di
destinazione. Una volta raggiunto l’organo, l’arteria si divide in varie arteriole (vasi di minor
calibro), ancora troppo spesse per gli scambi. Queste si diramano ulteriormente, creando i
capillari, che consentono gli scambi. Nel capillare il diametro è tale che i globuli rossi
passano in fila indiana. Questi cedono O2
al tessuto e, contemporaneamente,
prendono la CO2. I capillari, dunque, non
sono né arteriosi né venosi, ma misti.
Questi capillari, una volta ricci di anidride
carbonica, confluiscono gli uni negli altri,
formando le venule, con pareti più spesse
(siamo sempre dentro l’organo), le quali si
uniscono fra loro a costituire le vene.
Ci sono delle grandi differenze strutturali
fra le vene e le arterie, dovute alla loro
funzione e alla direzione nella quale si
trovano a dover veicolare il sangue. Le
arterie sopportano la pressione del cuore: devono, quindi, avere una parete molto elastica.
Inoltre, mentre le arterie, tranne quelle che vanno alla testa, per portare il sangue in tutto il
corpo, lavoro con la forza di gravità, le vene lavorano contro la forza di gravità: sono munite,
infatti, di valvole, formate dalla parete stessa: l’endotelio si ripiega a costituire le varie
valvole, definite “a nido di rondine”, la quale è formata da 3 lembi. Nel momento in cui il
sangue scorre, preme contro i lembi, che si schiacciano alla parete, aprendo la valvola e
permettendo al sangue di passare. Il sangue avanza per inerzia, la quale, ad un certo punto,
finisce; pertanto, in un dato istante, il sangue comincia a rifluire, andando a chiudere la
valvola. La forza di propulsione del sangue venoso è la muscolatura scheletrica: la forza di
contrazione del muscolo comprime la vena e provoca una forza propulsiva del sangue.
L’obiettivo principale del circolo sanguigno è quello di incamerare l’ossigeno, trasportarlo ai
tessuti, prendere l’anidride carbonica, e buttarla fuori. L’organo che incamera ossigeno e
espelle anidride carbonica è il polmone: per questo motivo si viene a creare uno stretto
contatto (una via bidirezionale) fra il cuore e il polmone, la piccola circolazione. Tutto il
resto è detta grande circolazione. Le vene che partono dai tessuti periferici, non si dirigono,
dunque, direttamente al polmone, ma ripassano dal cuore. Tutto questo perché il cuore è
l’unico organo che può dare la forza al sangue di muoversi verso il polmone: senza ripassare
dal cuore, non ci sarebbe la pressione sufficiente per raggiungere il polmone.
Si definiscono, quindi, arterie tutti i vasi in partenza dal cuore e vene tutti i vasi che tornano
al cuore.
Il cuore
Il cuore si trova all’interno della cavità toracica. Tuttavia, questa è molto ampia e contiene
anche altri organi. Definiamo, allora, una zona centrale, detta mediàstino, una specie di
corridoio stretto, delimitato lateralmente dai polmoni, anteriormente dalla faccia posteriore
dello sterno, posteriormente dalla faccia anteriore
del rachide toracico e inferiormente dal diaframma.
Superiormente è aperto e comunica col collo. Il
mediastino viene suddiviso in una porzione
anteriore e in una porzione posteriore, attraverso un
piano passante per la porzione anteriore della
trachea (la trachea, dunque, sta nel mediastino
posteriore). Il cuore occupa il mediastino anteriore.
Tra il cuore e lo sterno c’è uno spazio, detto spazio
pericardico. Il cuore presenta una tipica forma a
cono rovesciato. L’asse maggiore, però, non è diretta perpendicolarmente, ma dall’alto verso
il basso, da destra verso sinistra e da dietro in avanti: la base è più posteriore rispetto
all’apice. Stando appoggiato sul diaframma, segue gli atti respiratori: durante l’espirazione si
abbassa e durante l’inspirazione di alza. A causa di tutti questi movimenti, derivanti dal suo
pompaggio e dalla respirazione, il cuore necessita un forte ancoraggio. E’, infatti, interamente
rivestito da un tessuto connettivo fibroso, molto resistente, che lo avvolge e lo attacca sia al
diaframma che allo sterno, detto pericardio fibroso. Togliendo il pericardio fibroso, troviamo
un altro rivestimento, detto pericardio sieroso, costituito da un foglietto viscerale, che
aderisce al cuore, e da un foglietto parietale. Fra i 2 si trova lo spazio pericardico, nel quale
si trova il liquido pericardico, secreto dai 2 foglietti. Il foglietto sieroso viscerale è detto
epicardio. Il cuore, come costituzione, è molto simile ad un vaso. La tonaca intima del cuore
è costituita dall’endotelio, chiamato endocardio. Poi troviamo una tonaca media, costituita
sia da tessuto connettivo che da muscolare (ovviamente il muscolare è molto più spesso del
connettivo), detto miocardio. Più superficialmente, al posto della tonaca avventizia troviamo
il pericardio, diviso in sieroso e fibroso.
Conformazione esterna del cuore: Alla base del cuore, procedendo da destra verso sinistra, si
vede la vena cava superiore, che entra nel cuore, poi l’aorta, che esce dal cuore, e poi il
tronco polmonare, il quale si biforca subito nelle due arterie polmonari.
La porzione destra del cuore viene
detta auricola destra, mentre quella
piccola a sinistra viene detta auricola
sinistra. Poi si vede una parte più
estesa, il ventricolo destro, e una
meno estesa, ossia il ventricolo
sinistro. In realtà, i due ventricoli sono
perfettamente uguali: la differenza sta
solo nel fatto che stiamo osservando il
cuore nella sua faccia sterno-costale.
Superiormente ai ventricolo troviamo
gli atri: le auricole, infatti, non sono
altro che porzioni di atrio. Le 4 cavità
del cuore sono separate da alcuni setti:
il solco che divide i due ventricoli è
detto solco interventricolare anteriore;
il solco che divide gli atri dai ventricoli
è detto solco atrio-ventricolare o solco
coronario (perché è attraversato dalle
vene e dalle arterie coronarie). La punta
del cuore, interamente di pertinenza del
ventricolo sinistro, è detta apice.
Nella faccia diaframmatica, ossia la
porzione che, in realtà, sta appoggiata al
diaframma, osserviamo il ventricolo
sinistro, che questa volta è molto più
ampio del destro, e il ventricolo destro.
Questi due sono, ovviamente, separati
dal solco interventricolare posteriore,
proseguimento dell’anteriore. Al di sopra troveremo i due atri, molto grandi, separati dal
solco coronario. L’atrio sinistro prende rapporto con le 4 vene polmonari. Mentre l’atrio
destro vede l’ingresso della vena cava inferiore e della vena cava superiore.
Conformazione interna del cuore: Internamente è diviso in 4 cavità. Le due cavità antero-
superiori (atrio destro e atrio sinistro) sono separate da un setto interatriale, completamente
chiuso solamente nell’adulto. Gli atri sono la regione del cuore dove arrivano i vasi (vene):
all’atrio destro arrivano le due vene
cave, che portano il sangue povero di
ossigeno, arrivante dai tessuti
periferici. All’atrio sinistro arrivano le
4 vene polmonari, che portano sangue
ricco di ossigeno proveniente dal
polmone. Al di sotto degli atri
troviamo i 2 ventricoli, separati dal
setto interventricolare. I ventricoli
rappresentano le zone dalle quali
partono i vasi. Dal ventricolo destro
parte il tronco polmonare, che si
divide subito nelle due arterie
polmonari, le quali portano sangue povero di ossigeno ai polmoni; dal ventricolo sinistro
parte l’aorta, che porta sangue ossigenato a tutti i tessuti periferici. Il cuore, quindi, lo
possiamo immaginare come diviso in due compartimenti, da un punto di vista funzionale: il
cuore destro, povero di ossigeno, e il cuore sinistro, ricco di ossigeno. I due atri e i due
ventricoli, infatti, non possono comunicare fra loro, mentre ogni atrio comunica col proprio
ventricolo, tramite un foro atrio-ventricolare (destro e sinistro).
L’atrio sinistro si riempie di sangue e, una volta pieno, si contrae (sistole); il sangue passa
dall’atrio al ventricolo. Mentre succede questo, l’atrio comincia a rilassarsi (diastole) e,
contemporaneamente, il ventricolo si riempie. Una volta riempito, entra in sistole il
ventricolo, che butta il sangue nell’aorta, la quale raggiunge i tessuti periferici. Da questi si
formano le vene cave, le quali arrivano all’atrio destro, che si riempie di sangue. Questo entra
in sistole e butta il sangue povero di ossigeno nel ventricolo destro. Una volta riempito,
questo va in sistole e butta il sangue povero di ossigeno nel tronco polmonare. Il tronco porta
il sangue al polmone, rilascia l’anidride carbonica, assume l’ossigeno e torna al cuore con le
4 vene polmonari, nell’atrio sinistro.
Come è possibile notare dalla figura a lato, si vede una
differenza morfologica abissale fra le due regioni
dell’atrio: la parte trabecolata è l’auricola, ossia quella
parte dell’atrio destinata alla contrazione; le porzioni
lisce sono quelle dove arrivano i vasi.
I due ventricoli non hanno la parete dello stesso
spessore: la parete del destro è più sottile di quella del
sinistro; questo perché dal destro parte il tronco
polmonare, che non necessita di una grande pressione
per raggiungere i 2 polmoni. Dal sinistro, invece, parte
l’aorta, che deve raggiungere i tessuti periferici. La parete dei 2 ventricoli, poi, non è liscia,
ma tutta trabecolata. Queste trabecole, che dal pavimento del ventricolo, si portano verso
l’atrio (come stalagmiti) sono dette muscoli papillari: nel ventricolo destro ve ne sono 3,
mentre in quello sinistro solo 2. Questi muscoli sono il sistema muscolare delle valvole. Nei
fori atrioventricolari, infatti, ci sono delle valvole, che servono proprio per impedire il
reflusso del sangue dal ventricolo verso l’atrio, durante la sistole ventricolare. Queste valvole
sono fatte a lembi (di tessuto connettivo), triangolari. Quando l’atrio va in sistole, il sangue
tende a spostarsi, aprendo i lembi della valvola, e riempiendo il ventricolo. Tuttavia, il sangue
tende, una volta entrato nel ventricolo, a tornare anche nell’atrio: questo reflusso gli è
impedito dal fatto che la faccia ventricolare della valvola è ancorata, tramite delle corde di
tessuto connettivo, al muscolo papillare. I lembi valvolari vengono anche chiamati cuspidi;
per cui, il foro atrio-ventricolare di destra, che possiede una valvola formata da 3 cuspidi,
viene detto tricuspidi; il foro atrio-ventricolare sinistro, che ha solo 2 cuspidi, è detta
bicuspide o mitrale. Ecco perché il ventricolo destro ha 3 muscoli papillari, mentre quello
sinistro solo due: un muscolo papillare per ogni lembo della valvola.
Il muscolo cardiaco è striato; quindi deve attaccarsi da qualche parte. Ci sono 4 anelli
connettivali, che reggono i lembi connettivali; questi anelli, però, non solo sono attacco per i
lembi, ma anche delle fibre miocardiche.
Il miocardio che serve alla contrazione del cuore, viene detto miocardio comune. Esiste,
però, un altro miocardio, chiamato miocardio specifico, costituito sempre da fibrocellule
muscolari cardiache, ma che sono modificate nella loro funzione, perché fungono da cellule
nervose: sono le responsabili del battito
cardiaco, che è infatti slegato dal nostro sistema
nervoso. Il primo punto, dal quale parte
l’impulso, è localizzato in atrio destro, vicino
all’ingresso della vena cava superiore, e viene
detto nodo seno atriale o pacemaker. Ogni
poco, queste cellule danno una scarica elettrica,
che si distribuisce a tutti e due gli atri,
attraverso i fasci internodali. Questi trasportano
il potenziale d’azione fino al nodo atrio
ventricolare. A questo punto, dal questo nodo
parte un fascio singolo, detto fascio di His, che
entra nel setto interventricolare e si biforca in due branche, una destra e una sinistra: ciascuna
branca andrà a finire nel ventricolo corrispondente e l’impulso raggiungerà, quindi, i
ventricoli, che entreranno in sistole.
Aorta ascendente: I rami collaterali dell’aorta ascendente sono dei rami pari, adibiti a
vascolarizzare il cuore: queste 2 arterie sono le arterie coronarie, che ricevono il sangue
dall’aorta ascendente e lo trasportano a tutto il muscolo cardiaco.
Aorta discendente: Nella cavità toracica, l’aorta emette dei rami destinati alla parete del
torace, che sono tutti in numero pari e richiamano il numero dei muscoli intercostali: sono 10
paia e sono dette arterie intercostali. Queste percorrono gli spazi intercostali in senso
posteroanteriore, fino allo sterno. Accanto ai rami intercostali troviamo gli altri rami
dell’aorta, destinati ai visceri della cavità toracica: questi prendono il nome dalla struttura che
vanno a irrorare (arterie esofagee, arterie tracheali, arterie bronchiali). La piccola
circolazione non è quella utilizzata dal polmone per sostentarsi: è, infatti, una circolazione di
tipo funzionale, ossia non serve al nutrimento dell’organo in questione. La circolazione che
serve al nutrimento prende il nome di nutritizia o efficace. I vasi destinati alla nutrizione del
polmone sono le arterie bronchiali: il polmone in sé, infatti, non esiste, ma è formato da un
complesso di ramificazioni bronchiali.
Passando il diaframma, entriamo nell’addome. Da T12 a L4 abbiamo un tratto di aorta
addominale, che emette varie collaterali, destinate ai visceri dell’addome (anche in questo
caso i rami prenderanno i nomi dagli organi che irrorano), e le pareti dell’addome (rami
parietali). I rami parietali si staccano a varie altezze dall’aorta addominale e, procedendo in
senso posteroanteriore, vascolarizzano tutta la parete (sono 4 per lato). Tra i rami parietali, ci
sono 2 arterie, dette arterie freniche inferiori, che vanno a vascolarizzare il diaframma.
Riguardo i rami viscerali, viene fatta una suddivisione fra rami pari (che si portano
lateralmente) e rami impari (che si portano anteriormente). Il primo ramo che si trova è una
grossa arteria, che si divide in 3, detta arteria o tripode o tronco celiaco. Sotto troviamo
l’arteria mesenterica superiore (destinata alla porzione prossimale dell’intestino, ossia al
tenue). Infine, più sotto, si stacca l’arteria mesenterica inferiore (vascolarizza la porzione
distale dell’intestino, ossia il crasso).
I rami pari sono destinati agli organi pari della cavità addominale: le arterie surrenali, le
arterie renali, le arterie genitali (ovariche nella femmina e testicolari nel maschio). Le
arterie genitali si trovano a quest’altezza perché, in fase embrionale, i genitali si trovano in
sede addominale. Il tripode celiaco dà origine a 3 arterie, che irrorano il fegato (arteria
epatica), lo stomaco (arteria gastrica), la milza (arteria lienale o splenica). Il pancreas
riceve irrorazione dall’anastomosi di queste tre arterie.
All’altezza di L4 l’aorta termina nei suoi due rami terminali: l’arteria iliaca comune sinistra
e l’arteria iliaca comune destra. Ciascuna arteria iliaca comune si biforca, poi, in un’arteria
iliaca esterna e in un’arteria iliaca interna. L’interna si porta sulla parete della piccola pelvi
e si dirama in una serie di vasi, destinati agli organi della piccola pelvi (arteria uterina,
arteria vaginale nella femmina; arteria prostatica nell’uomo). L’esterna è destinata
all’irrorazione dell’arto inferiore e si comporta come la succlavia per l’arto superiore. Entra
all’interno dell’arto inferiore, passando al di sotto del legamento inguinale. In questo punto,
l’arteria è molto superficiale: può essere utilizzata per prendere i battiti. Entrando nell’arto
inferiore, cambia nome e si chiama arteria femorale. Nel decorrere all’interno della coscia,
l’arteria si fa nuovamente profonda, portandosi in prossimità del femore. Arriva in prossimità
del ginocchio, dove passa posteriormente, precisamente nel cavo popliteo (arteria poplitea).
In questa sede, l’arteria poplitea si biforca a formare due arterie, chiamate arteria tibiale
posteriore e arteria tibiale anteriore. Le arterie tibiali decorrono lungo tutta la gamba,
inizialmente profonde e poi sempre più superficiali: anche all’altezza del malleolo, le due
arterie possono essere utilizzate per prende i battiti. Come succede nella mano, anche nel
piede queste arterie si anastomizzano fra loro.
Arto superiore – Strato profondo: Comincia a livello della mano, dove originano le vene
dell’avambraccio: le vene ulnari e le vene radiali. Queste, dal polso, risalgono lungo
l’avambraccio, portandosi alla fossa cubitale, dove si uniscono a formare le vene brachiali.
Queste confluiscono tutte in un unico vaso, ossia la vena ascellare, che passa sotto la
clavicola e diventa vena succlavia. Quest’ultima si unisce alla vena giugulare esterna e alla
vena giugulare interna per formare la vena brachiocefalica.
Arto superiore – Strato superficiale: In generale, ci sono 2 vene del circolo superficiale: una
che origina dal primo dito (vena cefalica) e una dal quinto dito (vena basilica). Queste due
risalgono in superficie e, nella fossa cubitale, si anastomizzano, formando una vena a ponte,
detta vena mediana o cubitale: è da questa che, normalmente, si effettuano i prelievi. La
basilica e la cefalica, poi, proseguono nel braccio e arrivano in corrispondenza del cavo
ascellare: la basilica si butta nell’ascellare e la cefalica si butta nella succlavia.
Vena cava superiore (2cm): Le due vene brachiocefaliche si fondono fra loro e formano la
vena cava superiore, che si getta in atrio destro.
Vene del torace: Troviamo, ovviamente, la controparte venosa di tutte le arterie toraciche.
Abbiamo, quindi, le 10 paia di vene intercostali, che si gettano tutte nella vena azygos
(azygos significa impari); nella vena azygos confluiscono anche tutte le vene viscerali del
torace (vene esofagee, vene brachiali, vene tracheali, ecc.). La vena azygos si getta, poi,
nella vena cava superiore.
Quando una vena si getta in un’altra si dice “tributaria”: la vena azygos è l’unica tributaria
della vena cava superiore.
Arto inferiore – Strato profondo: Nel circolo profondo avremo le vene tibiali anteriori e
posteriori, la vena poplitea, la quale diventerà vena femorale. Questa, passando sotto il
legamento inguinale, esce dall’arto inferiore, entra nella piccola pelvi e cambia nome (vena
iliaca esterna).
Arto inferiore – Strato superficiale: Abbiamo 2 vene, che originano una dall’alluce (vena
grande safena) e una dal mellino (vena piccola safena). La grande safena si muove nella
porzione anterolaterale dell’arto inferiore, risale tutto l’arto e si getta nella vena femorale. La
piccola safena, invece, si muove lungo la faccia
posteriore dell’arto inferiore e si getta nella vena
femorale. Questa passa sotto il legamento
inguinale e diventa vena iliaca esterna.
Nel frattempo, nella parte addominale ci sarà
tutta la circolazione reflua della piccola pelvi
(vena uterina, vena vaginale, ecc.): queste vene
confluiscono tutte a formare la vena iliaca
interna. L’interna e l’esterna confluiscono fra
loro a formare la vena iliaca comune. Le due
vene iliache comuni confluiscono, all’altezza di
L4, nella vena cava inferiore.
Questa risale tutto l’addome, addossata alla colonna vertebrale (quindi parallela all’aorta
addominale), perfora il diaframma ed entra in cavità toracica, gettandosi nell’atrio destro.
Nel tragitto che compie, la vena cava inferiore riceve una serie di vene tributarie: le vene
lombari, le vene genitali, le vene renali, le vene surrenali e le vene epatiche, che sono 3.
Durante la digestione, le varie sostanze vengono demolite a molecole capaci di muoversi nel
circolo sanguigno. Tuttavia, i grassi, le proteine, gli zuccheri vengono prima di tutto
indirizzati al fegato, che li distribuisce nel resto dell’organismo (i grassi agli adipociti, le
proteine ai muscoli, gli zuccheri al sistema nervoso, ecc.). Questo significa che tutto il sangue
refluo dall’apparato gastro-intestinale non deve entrare nella circolazione generale, ma al
fegato. Ecco perché esiste un’unica vena, la vena porta, che raccoglie tutte le vene reflue
dall’apparato gastro-intestinale (vene mesenteriche) e che entra nel fegato. Anche il sangue
refluo dalla milza, che contiene emoglobina, va a finire direttamente nel fegato, tramite la
vena splenica o lienale, che è quindi tributaria della vena porta. Per cui, riassumendo, il
sangue refluo dall’apparato gastro-intestinale e dalla milza, non è tributario diretto della vena
cava inferiore, ma passa dalle vene mesenteriche e dalla vena lienale, che si uniscono fra loro
nella vena porta, la quale entra nel fegato. La vena porta ha, come circolazione reflua, le 3
vene epatiche, che si gettano in cava inferiore.
Il sistema linfatico
E’ un sistema di vasi e organi linfoidi, che viaggia parallelamente ai vasi sanguigni.
All’interno dei vasi linfatici circola un liquido, chiamato linfa. Questa è costituita da acqua,
nella quale sono disciolti elettroliti, proteine, grassi e linfociti.
La linfa ha 2 funzioni fondamentali:
1. Drenare l’acqua dai fluidi interstiziali;
2. Sorveglianza immunitaria.
Anche nel linfatico troviamo dei vasi, i vasi linfatici (di grosso, medio e piccolo calibro) e
alcuni organi, dove la linfa viene fermata ed analizzata, per controllare l’ipotetica presenza di
antigeni. Il sistema linfatico non è presente
nel tessuto nervoso, nella cartilagine e a
livello della cornea.
Il liquido presente negli interstizi è detto
essudato (un eccesso di essudato è detto
èdema), che viene assorbito dai vasi linfatici,
che originano proprio nei tessuti.
I vasi linfatici (che si formano a livello
periferico), come nel sistema sanguigno,
vengono detti capillari, che si riuniscono a
formare i collettori linfatici, i quali si
uniscono a dare i tronchi o dotti. Questi vasi
linfatici vanno, infine, a rigettarsi nel
torrente circolatorio, ossia nelle vene. I vasi
linfatici accompagnano, dunque, nel loro decorso, le arterie e le vene. Esiste una circolazione
sottodiaframmatica e una circolazione sopradiaframmatica. Quella sottodiaframmatica
drena la linfa dagli arti inferiori, dalla pelvi e dall’addome, mentre quella sopradiaframmatica
drena la linfa dalla testa, dall’arto superiore e dal torace.
Cominciamo dalla porzione sottodiaframmatica. Come è possibile vedere dalla figura, ad
accompagnare la vena cava inferiore, troviamo due grossi linfatici, detti tronco lombare
destro e tronco lombare sinistro, che drenano la linfa proveniente sia dall’arto inferiore che
dalla pelvi. Questi risalgono e confluiscono in un tronco, particolarmente ampio, che viene
chiamato cisterna del chilo, alla quale confluiscono tutti i linfatici che provengono
dall’apparato gastrointestinale. Da questa cisterna nasce il dotto linfatico più grande
dell’organismo, chiamato dotto toracico. Questo attraversa il diaframma, utilizzando come
orifizio diaframmatico lo stesso orifizio della cava inferiore, risalendo lungo tutto il torace.
Durante questa risalita, il dotto toracico riceve una serie di affluenti, che sono tutti linfatici
della cavità toracica. Quindi, risale verso l’alto e va a gettarsi nel punto in cui la vena
giugulare interna sinistra confluisce con la vena succlavia sinistra, rigettandosi nel circolo
venoso. I tronchi che, invece, drenano la linfa dalla testa e dall’arto superiore, sono 2: il
tronco giugulare (dalla testa), che troviamo sia a destra che a sinistra, e il tronco succlavio
(dall’arto superiore), anche questo sia a destra che a sinistra. Il tronco giugulare e il tronco
succlavio confluiscono fra loro, andando a gettarsi nello stesso punto in cui si getta il dotto
toracico.
Il sistema linfatico, oltre ai vasi linfatici, è costituito anche da una serie di organi dove la linfa
stazione per un certo periodo di tempo; questo perché lo scopo dell’apparato l’linfatico, oltre
a quello di drenare l’essudato, è anche quello di difendere l’organismo dagli antigeni.
Gli organi adibiti a questa funzione, vengono chiamati organi linfoidi e vengono distinti in 2
grandi categorie:
1. Organi primari, che formano i linfociti (timo e midollo osseo);
2. Organi secondari, ai quali i linfociti arrivano successivamente e proliferano,
differenziandosi (milza, linfonodi, *tessuto linfoide associato alle mucose o MALT).
*Nello spessore degli organi cavi, sulle mucose, si ritrovano tutti questi agglomerati
di tessuto linfoide.
I linfonodi
Sono degli organi linfoidi secondari, delle dimensioni di un chicco di riso, che si trovano
dislocati lungo i vasi linfatici. Esistono delle regioni dell’organismo, in cui i linfonodi sono
estremamente concentrati. Gli addensamenti più importanti sono rappresentati dal:
1. Linfocentro laterocervicale (i linfonodi del collo);
2. Linfocentro ascellare;
3. Linfocentro inguinale.
Il timo
E’ un organo linfoide primario, impari e mediano, che si trova nel mediastino anteriore e
poggia sul cuore. Ha un significato molto importante nei primi anni di vita, nella formazione
dei linfociti T. Quando questi si sono ormai formati, la funzione del timo perde importanza e
questo comincia così a degenerare e, al suo posto, resta una massa adiposa, che prende il
nome di corpo adiposo retrosternale.
La milza
Si trova nella cavità addominale e prende rapporto con molti organi. La cavità addominale è
suddivisa in quadranti: il quadrante dove si trova la milza si chiama ipocondrio sinistro.
Normalmente, la milza non è palpabile dall’esterno, perché coperta dalle coste: diviene
palpabile in casi patologici. La milza contrae rapporti con lo stomaco, con il pancreas e con il
rene sinistro. Oltre alla sorveglianza immunitaria, la milza ha anche il compito di distruggere
i globuli rossi invecchiati, attraverso un processo detto eritrocateresi.
Apparato respiratorio
Lo troviamo nella testa, nel collo e nel torace.
Le funzioni dell’apparato respiratorio sono molteplici:
1. Assunzione dell’ossigeno e eliminazione dell’anidride carbonica
2. Pulizia e protezione degli organi
3. Percezione degli odori (olfatto)
4. Emissione dei suoni (fonazione). Viene svolta dalla laringe.
L’apparato respiratorio è organizzato in una serie di organi cavi, adibiti al passaggio di aria
nei 2 sensi, chiamati vie aeree. Queste si dividono in:
1. Vie aeree superiori (naso, cavità paranasali e rinofaringe)
2. Vie aeree inferiori (laringe, trachea e bronchi)
La funzione delle vie aeree è solo quella di trasportare l’aria. L’organo adibito agli scambi
gassosi, invece, è il polmone, che effettua il cosiddetto processi di ematosi.
Le cavità nasali le ritroviamo sulla porzione anteriore
del massiccio facciale, sotto forma di un’apertura,
chiamata apertura piriforme. Su questa apertura si
vanno ad articolare una serie di cartilagini che formano
una struttura piramidale, detta piramide nasale. Queste
cartilagini sono molte, tra le quali troviamo la
cartilagine del setto (il setto nasale, infatti, era formato
nella porzione posteriore da ossa, ma nella porzione
anteriore da cartilagine), e la cartilagine alare. Sulla
base della piramide nasale troviamo due grandi fori, che
prendono il nome di narici. Nella faccia interna della
narice si trovano dei robusti peli, che fungono da primo filtro per l’aria, e che vengono
chiamati vibrisse.
Tutte le strutture ossee della cavità nasale sono rivestite da una mucosa, detta mucosa
respiratoria. Questa è costituita da cellule munite di ciglia, che hanno il compito di spostare
il particolato inalato verso l’esterno. La mucosa respiratoria è
anche formata dalle cellule caliciformi mucipare, che
producono muco, il quale serve ad imbrigliare il particolato:
ecco che, così, si forma il muco. Nelle cavità nasali, oltre alla
mucosa respiratoria, troviamo anche la mucosa olfattiva,
ossia adibita alla percezione degli odori.
Quindi, cosa succede all’aria? Questa entra nelle narici,
attraversa le cavità nasali e prosegue posteriormente,
attraversando un confine ideale fra il naso e la rinofaringe.
Ora, se osserviamo il confine da dietro, possiamo notare la
parte posteriore del setto (parte ossea, quindi) e i due cornetti
della cavità nasale. Queste sue aperture posteriori delle
cavità nasali vengono chiamate coane. La rinofaringe è una
parte della faringe. Questa si origina alla base del cranio; lo
spazio poi si restringe, prosegue in basso, passando dietro ad
una cartilagine (l’epiglottide, che fa parte della
laringe), prosegue e, ad un certo punto, si biforca in
tubo largo davanti (laringe) e in un tubo stretto dietro
(esofago). La faringe, quindi, è un organo a comune
fra l’apparato respiratorio e quello digerente. Essa
viene suddivisa in 3 porzioni:
1. La Rinofaringe, che sta dietro alle cavità
nasali;
2. L’Orofaringe, che sta dietro la cavità orale;
3. La Laringofaringe, che sta dietro l’epiglottide.
L’aria, quindi, attraversa la rinofaringe, l’orofaringe, la
laringofaringe e entra in laringe.
La faringe, costituita da muscolatura scheletrica, nella
parte posteriore del collo, prende attacco sulla parte basilare dell’osso occipitale e sul
tubercolo faringeo. Anteriormente, i fasci muscolari della faringe vanno ad attaccarsi
sull’osso ioide. Posteriormente, poi, questi fasci si incastrano gli uni sugli altri, formando un
rafe faringeo.
Nella rinofaringe, poiché è la prima struttura che l’aria incontra appena inspirata, troviamo
struttura adibite alla difesa dell’organismo, come le tonsille. A seconda di dove sono
localizzate, esse prendono nomi diversi: nella rinofaringe troviamo una tonsilla impari, che si
trova sul tetto della faringe, chiamata tonsilla faringea o adenoidi. Troviamo, poi, altre 2
tonsille, in prossimità dello sbocco della tuba di Eustachio (una via di collegamento fra la
rinofaringe e l’orecchio medio), che prendono il nome di tonsille tubariche.
L'apparato digerente è formato da una serie di organi cavi, chiamato canale alimentare, al
quale sono annesse delle ghiandole.
Il canale alimentare è costituito, in senso cranio-caudale, dalla cavità orale, dall'orofaringe,
dall’esofago, dallo stomaco e dall'intestino.
Le ghiandole annesse sono costituite dalle ghiandole salivari, che gettano il secreto a livello
della cavità orale, dal fegato e dal pancreas, i quali riversano il loro secreto nel duodeno.
L'intestino è lungo, in media, circa 8m. Per questa ragione è suddiviso in:
1. Una porzione prossimale, ossia l'intestino tenue (6m). Questo, a sua volta, si suddivide in
duodeno (30cm) e tenue mesenteriale. La porzione mesenteriale è completamente avvolta da
una seriosa, chiamato mesentere. Quest'ultimo si divide poi in digiuno (2,5m) e ileo (2-4m).
L'ileo ha il compito di assorbire ciò che non è stato assorbito nel digiuno e, via via che il
materiale scorre all'interno dell'ileo, questo materiale diviene sempre più simile alle feci.
2. All'ileo segue il crasso (1,8m). Questo è diviso in una porzione prossimale, chiamato cieco
(6-7cm). Al cieco segue il colon (1,5m), in cui si verifica l'assorbimento dell’acqua. Al
termine del colon troviamo già feci compatte e definitive. Il colon viene suddiviso in altre 3
porzioni: colon ascendente, in cui il materiale sale verso l'alto; colon trasverso, in cui il
materiale viaggia orizzontalmente; colon discendente, in cui il materiale scende verso il
basso.
3. Dopo il colon troviamo l'intestino retto. Fra il colon discendente e il retto si trova il sigma.
La cavità orale
Si apre a livello del massiccio facciale e possiede un'apertura delimitata esternamente da due
pieghe mucose, le labbra (superiore e inferiore).
La porzione della cavità orale, chiamata vestibolo della cavità orale, è formata anteriormente
dalle labbra, posteriormente dalle arcate dentarie e, lateralmente, dalle guance.
Dietro ad ogni labbro, è presente una piega mucosa, chiamata frenulo, che serve ad ancorare
il labbro alla gengiva.
Riguardo ai denti, troviamo una prima dentizione, costituita da 20 denti, alla quale segue la
seconda dentizione, quella definitiva, di 32 denti (16 superiori e 16 inferiori). I 20 denti della
prima dentizione sono detti decidui.
Consideriamo un'emi arcata: in senso anteriore-posteriore troviamo l'incisivo, l'incisivo
laterale, il canino, il premolare, il molare e il dente del giudizio.
Le pareti della cavità orale cambiano a seconda che i denti siano serrati o aperti. A denti
serrati, infatti, la parete antero-laterale della cavità orale è costituita dalle arcate dentarie; a
denti aperti, la parete anteriore, invece, manca completamente e la parete laterale è serrata
dalle guance.
Il pavimento della cavità orale è costituito da una serie di muscoli (che si agganciano sulla
mandibola e sull'osso ioide). Su questo pavimento poggia la lingua (organo adibito al gusto e
all'articolazione del linguaggio). Il tetto della cavità orale è composto anteriormente da una
lamina ossea convessa, chiamata palato duro, formata anteriormente dall'osso mascellare e
posteriormente dall'osso palatino. A questa porzione di palato duro, segue una porzione che
non possiede uno scheletro osseo, ma muscolare, chiamato, quindi, palato molle o velo
palatino.
La parete posteriore della cavità orale non esiste, poiché questa prosegue, senza soluzione di
continuità, nell'orofaringe.
La cavità orale ha la funzione di introdurre il cibo, triturarlo (ridurlo in frammenti più
piccoli), impastarlo con la saliva (lo rende scivoloso, facilitandone lo spostamento nel canale
buccale, e lo comincia già a digerire). Questo materiale elaborato dalla cavità orale, prende il
nome di bolo.
A livello delle guance si trova l'orifizio di sbocco della parotide (una delle ghiandole
salivari), all'altezza del secondo molare superiore (sia a destra che a sinistra).
Il palato molle, sull'asse mediano, termina con una struttura che si porta in basso, chiamata
ugola. Questa si trova proprio a livello dell'apertura posteriore della cavità orale.
Sul pavimento della cavità orale poggia la lingua. E' un organo impari, costituito da
muscolatura scheletrica: i muscoli della lingua rendono l'organo estremamente mobile. La
superficie della lingua è ricoperta da una mucosa, a livello della quale troviamo i calici
gustativi.
Nella lingua, si distinguono varie porzioni: una porzione posteriore, non visibile dal cavo
orale, chiamata radice. La superficie della radice è costituita da una serie di aggregati
linfonodali, che nell'insieme costituiscono la tonsilla linguale. Alla radice segue il corpo
della lingua, che termina anteriormente con una parte assottigliata, detta apice linguale. Nel
corpo si distinguono il dorso e il margine laterale. Sia a livello del dorso che al livello del
margine, troviamo i calici gustativi, i quali sono organizzati in maniera tale da sporgere in
superficie in strutture rotondeggianti, chiamate comunemente papille. La "V linguale" segna
il confine fra il corpo della lingua e la radice.
Il gusto amaro viene percepito al livello di papille dislocate nella parte posteriore della
lingua.
Il gusto agro alla stessa altezza dell'amaro.
Il gusto salato più anteriormente.
Il gusto dolce è percepito nella parte più anteriore della lingua.
Le papille vallate (quelle della V) si è scoperto essere adibite alla percezione dell'umami, un
sapore forte, tipico del brodo cinese.
La faccia inferiore della lingua è caratterizzata da una struttura analoga a quella dell'atrio
superiore, che ancora la lingua al pavimento, chiamata frenulo linguale. Alla base del frenulo
troviamo due forellini, che sono gli orifizi di sbocco della ghiandola sottomandibolare.
Lateralmente a questi sbocchi, precisamente nel punto detto caruncola sottolinguale, si
trovano due pieghe orizzontali, dette pliche sottolinguali, al livello delle quali sboccano altre
due ghiandole salivari, che sono le ghiandole sottolinguali.
Esofago (30cm)
Siamo alla base del collo. L'esofago è un organo cavo, impari, che comincia all'altezza di C6
e attraverso tutta la cavità toracica, fino alla decima vertebra toracica, dove incontra il
diaframma, lo perfora (orifizio esofageo) e penetra in cavità addominale. Qui, incontra quasi
subito lo stomaco, all'interno del quale si getta. Nella cavità toracica, l'esofago occupa il
mediastino posteriore: inizialmente poggia sulla colonna vertebrale; successivamente trova
l'aorta discendente toracica (l'aorta gli si pone dietro). La funzione dell'esofago è quella di
trasportare il bolo verso lo stomaco: ha una parete liscia che, attraverso i movimenti
peristaltici, trascina il bolo. La mucosa esofagea è predisposta per un'azione meccanica
protettiva: è infatti caratterizzato da un epitelio pluristratificato pavimentoso.
Il peritoneo
Facciamo una sezione trasversale
dell'addome; il peritoneo aderisce
strettamente sviluppandosi lungo
tutta la parete dell'addome.
Tuttavia, sulla parete della cavità
addominale, sono presenti varie
strutture. Come possiamo vedere
dalla figura, il peritoneo circonda i
vari organi che incontra, in maniera
peculiare. Il peritoneo, come le altre
membrane sierose, consta di una
sottile lamina continua. A seconda
della sua posizione nel cavo
addominale si distingue in:
1. Peritoneo parietale, lo strato più esterno;
2. Peritoneo viscerale, lo strato più interno, che ricopre la maggior parte dei visceri
contenuti all'interno del cavo addominale.
Fra i due è presente uno spazio peritoneale, nel quale è presente il liquido peritoneale, che ha
la funzione di facilitare lo spostamento relativo degli organi fra di loro.
Fra organo e organo, il peritoneo crea delle sorta di legamenti che, a seconda dello spessore,
vengono chiamati: legamenti, se sono sottili; mesi, se sono slargati. Gli organi
intraperitoneali della cavità addominale sono il fegato, lo stomaco e il colon trasverso,
mentre il pancreas e il duodeno sono retroperitoneali. Dietro lo stomaco è presente uno
spazio (virtuale), chiamato borsa omentale, che ha un'importanza enorme dal punto di vista
clinico.
Gli organi della piccola pelvi, poi, sono ricoperti dal peritoneo solo superiormente: sono,
quindi, organi sottoperitoneali (anche la vescica e l'utero).
Lo stomaco
L'esofago, nella cavità addominale, si trova a livello dell'ipocondrio sinistro (quindi è
anteriore nella cavità addominale: questo significa che, durante il suo tragitto, l'esofago si
porta anteriormente), e si getta nello stomaco. Questo è un organo impari cavo, che occupa
quasi tutto l'ipocondrio sinistro e parte dell'epigastrio. Per apprezzare la forma dello stomaco
è necessario fare due cose: sollevare il fegato (poiché lo stomaco ne è coperto) e riempirlo,
poiché la sua struttura varia ampiamente il base allo stato di riempimento.
Lo stomaco, in fase di digiuno, tende a schiacciarsi all'interno dell'addome; quand'è pieno,
assume, invece, la forma di un otre.
Si distingue una parte superiore, che si chiama fondo:
questo è a contatto con la cupola diaframmatica e ha,
per questo, una forma convessa. Il fondo è sempre
occupato da una bolla d'aria. Al di sotto del fondo,
troviamo la parte principale, chiamata corpo. La parte
superiore del corpo riceve l'esofago: qui è presente
una valvola, chiamata cardias, che impedisce il
reflusso del materiale dallo stomaco verso l'esofago.
Il nome deriva dal fatto che, sopra la valvola, per
interposizione del diaframma, lo stomaco è a contatto col cuore. Il corpo dello stomaco è
concavo verso destra: per questo motivo si distinguono una piccola curvatura (quella
mediale) e una grande curvatura (laterale). Al termine del corpo, troviamo una regione, dove
non viene più svolta la digestione, che rappresenta un punto di passaggio fra lo stomaco e il
duodeno: è detta canale pilorico. Al termine di questo troviamo un'altra valvola, chiamata
piloro, che impedisce il reflusso dal duodeno verso lo stomaco. Il piloro è sede preferenziale
di annidamento di un batterio, chiamato Helicobacter pylori, che lascia sempre pervia la
valvola.
Lo stomaco è interamente intraperitoneale, ma dà luogo a legamenti e mesi. Dalla piccola
curvatura dello stomaco nasce un legamento, che si porta al fegato, chiamato legamento
gastroepatico. Questo legamento è praticamente fuso con un altro legamento, che collega il
duodeno al fegato, detto legamento epatoduodenale: si forma, così, un legamento unico,
chiamato piccolo omento. Dalla piccola curvatura, il peritoneo si sdoppia, avvolge lo
stomaco, e si porta in basso a formare il grande omento; alla fine del grande omento, il
peritoneo torna indietro, ossia si riporta in alto; quindi, il grande omento è formato da 4
foglietti.
Sollevando il grande omento, è possibile apprezzare le anse intestinali. Il grande omento è
farcito di tessuto adiposo: è questo che, alla fine, si ingrossa nei pazienti obesi.
La mucosa dello stomaco, essendo un organo soggetto a dilatazione, appare ricca di pieghe,
che si distendono all'ingresso del bolo. Queste pieghe non hanno,
però, tutte lo stesso orientamento; dal cardias al piloro, ossia lungo la
piccola curvatura, le pieghe sono orientate longitudinalmente. Il bolo
quindi, qualora non fosse in eccesso, soggiorna solo in una piccola
parte dello stomaco, viene digerito, diventa chimo e va nel piloro.
Questa via preferenziale, grazie alle pieghe longitudinali, viene detta
via del cibo.
L'altra parte dello stomaco viene occupata dal bolo solo se esso viene
ingerito in eccesso.
Nello stomaco viene secreto acido cloridrico; per questo, nella mucosa dello stomaco si
trovano molte cellule caliciformi mucipare, che secernono un muco protettivo. Dopodiché,
abbiamo cellule adibite alla digestione, le quali secernono enzimi digestivi, come la pepsina,
assieme ad un fattore fondamentale per l'assorbimento della vitamina B12.
Accanto a queste cellule, troviamo anche le cellule che secernono acido cloridrico. L'acido
non serve per la digestione, ma ha la sola funzione di portare il pH a livello in cui la pepsina
possa agire. Infine, abbiamo una serie di cellule neuroendocrine (fondamentali), che fanno
parte di un sistema chiamato APUD: queste secernono ormoni, che vanno ad agire su altri
organi del digerente; servono, quindi, per regolare tutta la funzione dell'apparato gastro-
intestinale.
Duodeno
E' la prima porzione dell'intestino tenue ed è lungo circa 30cm. E' un organo impari mediano
e ha una tipica forma a "C". Nella cavità formata da questa C, si trova la testa del pancreas.
Nella cavità addominale il duodeno occupa una posizione retroperitoneale (rivestito dal
peritoneo solo nella sua parte anteriore). Per questa ragione, al fine di localizzarlo nella cavità
addominale, non si usano i quadranti, ma il numero delle vertebre
(altezza di T12, L1).
E' costituito da varie porzioni: una prima porzione, detta parte
superiore del duodeno; poi abbiamo una porzione discendente del
duodeno; poi la parte orizzontale e, infine, la parte ascendente del
duodeno, che termina nel digiuno.
La prima porzione del duodeno, però, è intraperitoneale. Questa C,
infatti, non è solo su un piano frontale, ma parte anteriormente, si porta posteriormente,
assume la forma a C, rimane posteriore e si rabbocca al digiuno risalendo e portandosi
anteriormente.
La parete del duodeno non è liscia, ma costituita da pieghe, che si distendono quando l'organo
è pieno di chimo (il bolo diviene chimo, nel momento in cui entra nello stomaco e comincia
ad essere digerito).
Il duodeno effettua la digestione dei grassi, grazie ad enzimi prodotti dal pancreas. Da questo
parte un dotto, chiamato dotto pancreatico principale, che riversa gli enzimi (lipasi)
all'interno della parte discendente del duodeno. Inoltre, sempre nella parte discendente,
sbocca un altro dotto, il coledoco, proveniente dalla cistifellea, dove si accumula la bile,
prodotta dal fegato. Il duodeno, quindi, non solo digerisce i grassi, ma comincia
l'assorbimento. Questo assorbimento continuerò nel digiuno e nell'ileo.
Per facilitare l'assorbimento, viene aumentata la superficie assorbente: tutta la parete
intestinale, si flette a formare i villi intestinali (diversi dai microvilli, che invece sono le
introflessioni a livello cellulare).
Questi villi hanno una forma a dito: essi hanno un'asse centrale, che è un vaso linfatico,
chiamato chilifero (portatore del chilo). Infatti, il chimo diventa chilo appena viene elaborato
dal duodeno; il chilo, quindi, è ricco di grassi. Questi grassi vengono, poi, riversati nel vaso
chilifero.
Intestino crasso
In questa regione troviamo le pre-feci. L'intestino cieco è intraperitoneale e rappresenta la
prima porzione dell'intestino crasso.
Il cieco è caratterizzato da una struttura vermiforme, che si trova nella parte inferiore
dell'intestino, detta appendice. Questa è un organo cavo, che comunica con l'apertura del
cieco.
Dalla fossa iliaca destra, dal cieco parte il colon, seconda regione del crasso. Questo è
formato da:
1. Una parte ascendente, che è retroperitoneale. Essa sale tutto il fianco destro per
giungere in prossimità del fegato, nell'ipocondrio destro. A questo livello, il colon
fa una curvatura, che prende il nome di flessura colica destra o flessura epatica
del colon.
2. Una parte trasversa. A livello della milza, il colon trasverso compie una nuova
curvatura detta flessura colica sinistra o splenica del colon. Qui si porta in basso.
3. Una parte discendente, che decorre lungo il fianco sinistro, sempre in posizione
retroperitoneale, per terminare in fossa iliaca sinistra.
Mentre il colon ascendente e quello discendente sono retroperitoneali, il colon trasverso è
intraperitoneale: questo significa che il tratto trasversale è più anteriore.
In corrispondenza dell'osso sacro comincia l'intestino retto, che decorre lungo il sacro e, nel
pavimento pelvico, si apre con l'orifizio anale.
Nel punto in cui l'ileo si butta nel cieco, è
presente una valvola. Il cieco è intraperitoneale
e munito di un’appendice residua dello
sviluppo, detta appendice vermiforme.
L'appendice è totalmente avvolta dal peritoneo;
il tratto di peritoneo che unisce, poi, l'ileo con
l'appendice, è detto ventricolo appendicolare.
All'interno del cieco troviamo un orifizio, che
dà accesso alla cavità appendicolare: può
capitare che il materiale fecale del cieco si
incunei all'interno dell'appendice. Una volta
dentro, il materiale non può riuscire, perché
nell'appendice non ci sono movimenti
peristaltici: si forma, così, l'appendicite. L'infezione, inoltre, può espandersi anche al
peritoneo di tutta la cavità addominale, dando la peritonite.
La superficie esterna del colon è tutta pieghettata; questo perché la tonaca muscolare del
colon, invece di avvolgerlo interamente, si distribuisce a formare 3 nastri, che vengono
chiamate tenie coliche. Queste tenie servono per diminuire la superficie di estensione del
colon. Nel colon, i batteri producono gas (soprattutto metano): per questo, il colon ha una
capacità di espansione notevole, per contenere i gas.
Mesocolon trasverso
Il mesocolon trasverso è una piega di peritoneo tesa fra il colon trasverso e il pancreas, ossia
l'organo che sta subito dietro, che è retroperitoneale. Questo legamento peritoneale divide
l'addome in due parte, una superiore e una inferiore. Lo stomaco, il fegato, per esempio si
trovano sopra il mesocolon trasverso, mentre il duodeno sotto.
Il colon sigmoideo
A livello del sigma, le feci sono completamente compatte (il riassorbimento dell'acqua è già
avvenuto, infatti).
La lunghezza del sigma è molto varia e muta da individuo a individuo. Questo significa che
la sua posizione cambia da soggetto a soggetto. Il sigma, inoltre, è spesso soggetto a
neoplasie, che potranno andare a influenzare zone diverse, a seconda dell'individuo.
L'intestino retto
E' la parte dell'intestino adibito a contenere le feci e ad espellerle attraverso l'ano.
E' un organo impari, mediano, che si trova nella piccola pelvi, addossato all'osso sacro, dove
si adatta nella cavità. E' lungo circa 15cm. Se andiamo a vedere la conformazione interna, si
nota come, rispetto al sigma, la parete del retto sia completamente liscia: questo perché
facilita l'espulsione delle feci. All'interno di questi 15cm si distinguono diverse porzioni.
Abbiamo l'ampolla rettale, dove si accumulano le feci, che si restringe a formare un canale, il
canale anale. Questo attraversa tutto il pavimento pelvico e si apre all'esterno attraverso
l'orifizio anale o ano.
Il retto, essendo un organo cavo, presenta una tonaca muscolare. Questa, a livello del canale
anale, forma una sorta di sfintere. Quando il retto ha raggiunto una certa quantità di feci, lo
sfintere si apre automaticamente; tuttavia, i muscoli del pavimento pelvico, attorno all'orifizio
anale, formano un altro sfintere, lo sfintere dell'ano, che è controllabile dalla volontà.
A livello del canale anale, la parete non è liscia, ma presenta delle cosiddette colonne rettali.
Sotto queste colonne, infatti, sono presenti delle vene: queste sono tutte anastomizzate fra
loro a formare un plesso, detto plesso emorroidale. In realtà, esiste un plesso interno e uno
esterno. Questi plessi possono andare incontro a varicosità, provocando le emorroidi.
Il fegato
E' un organo impari, che si trova nella cavità addominale, dove occupa tutto l'ipocondrio
destro, parte dell'epigastrio e parte dell'ipocondrio sinistro. E' uno degli organi più voluminosi
dell'organismo e pesa circa 2kg, perché è ricco di sangue. Possiede una posizione
intraperitoneale, anche se parziale. Esiste, infatti, un punto del fegato non ricoperto dal
peritoneo. Il fegato è quasi completamente coperto dalle coste: pertanto, non è palpabile dalla
cute. E' in rapporto, attraverso il diaframma, con i polmoni e con le pleure.
Il fegato ha la forma di un ovoide tagliato secondo un piano obliquo; per poter apprezzare tale
spiegazione, dobbiamo osservare il fegato ruotato sul piano orizzontale.
Posso distinguerne a questo punto due facce:
1. Faccia diaframmatica antero superiore, stondata, adattata alla cupola diaframmatica.
2. Faccia viscerale, postero-inferiore, a contatto con i visceri.
La faccia viscerale presenta delle infossature, che derivano dagli organi posti sotto.
Poi possiamo distinguere un margine anteriore, chiamato
anche margine acuto del fegato, perché assottigliato. Da
questo sporge la cistifellea. Poi troviamo il margine opposto,
chiamato margine posteriore, il quale viene anche detto faccia
posteriore, perché è molto esteso. Questo è completamente a
contatto col diaframma.
Il peritoneo riveste la faccia diaframmatica, batte contro il
diaframma e si ribalta su di esso. Lo stesso accade con la
faccia viscerale: il peritoneo batte al diaframma e non copre la
faccia posteriore. La faccia posteriore, quindi, non risulta
coperta dal peritoneo e, pertanto, è chiamata faccia nuda del
fegato.
Dall'ombelico al fegato è presente un legamento, chiamato
legamento rotondo, che nel feto era una vena che legava
l'ombelico al fegato. Nell'adulto, poi, questa vena diventa un
legamento fibroso.
Il peritoneo che riveste la parete anteriore si accolla alla vena,
raggiungendo il fegato e ricoprendo la faccia diaframmatica
del fegato, gettandosi poi a ricoprire il diaframma. L'insieme
del legamento e del peritoneo prende il nome di legamento falciforme (ha una particolare
forma a falce).
La faccia diaframmatica del fegato è caratterizzata dalla presenza di questo legamento, che
divide la faccia stessa in:
1. Lobo destro, particolarmente ampio
2. Lobo sinistro, più piccolo
Anteriormente troviamo la cistifellea o colecisti, che alloggia nel fegato.
Centralmente, a cavallo tra lobo destro e sinistro, troviamo l'ilo del fegato, dove si possono
apprezzare i vasi che entrano ed escono dal fegato e i dotti biliari, che veicolano la bile dal
parenchima epatico fino alla cistifellea.
La presenza del legamento falciforme, della cava, della colecisti e dell'ilo formano una sorta
di H, grazie alla quale vengono individuati altri 2 lobi: un lobo caudato, posteriore, e un lobo
quadrato, anteriore.
Il pancreas
Il pancreas è una ghiandola sia endocrina che esocrina (anficrina). Ovviamente, legato
all'apparato digerente, è esocrino. Si trova a livello della cavità addominale, in posizione
retroperitoneale. Presenta una forma a martello disposto orizzontalmente. Si distingue una
testa, ossia la porzione più ampia, accolta all'interno della C duodenale; un corpo, disposto
trasversalmente; una coda, che va a toccare la milza. Questo rapporto stretto con la milza fa sì
che, negli interventi sul pancreas, in cui deve essere trasportata la coda, il chirurgo toglie
anche la milza. L'altezza a cui si trova il pancreas è fra L1 e T12. La parte esocrina del
pancreas produce il succo pancreatico, riversandolo in 2 dotti
principali: un dotto più esteso che attraverso tutta la ghiandola
(dotto principale di Wirsung), e che si unisce al coledoco; e un
secondo dotto, che raccoglie il succo pancreatico soltanto dalla
testa (dotto di Santorini). Questo sbocca nel duodeno per conto
proprio, attraverso un piccolo orifizio, detto papilla duodenale
minore.
La maggior parte del parenchima pancreatico è costituito dalla
parte esocrina, che produce il succo pancreatico, costituito da
acqua e da una serie di enzimi digestivi (lipasi, nucleasi, tripsina, amilasi, bicarbonato di
sodio). Gli enzimi pancreatici lavoro a pH neutro, ma nel coledoco arriva il chimo gastrico,
con pH 2; quindi, perché funzionino gli enzimi pancreatici, il pH deve essere riportato a 7, e
questo accade grazie al bicarbonato (soluzione tampone).
Attorno alla parte esocrina, sono presenti delle parte più chiare, chiamate Isole di
Langerhans, che rappresentano la parte endocrina del pancreas. In queste isole si possono
riconoscere vari tipi cellulari; quelli più importanti sono le cellule beta (che producono
insulina) e le cellule alfa (che producono glucagone), che agiscono sulla glicemia. L’insulina
è ipoglicemizzante, mentre il glucagone è iperglicemizzante; l'insulina, quindi, agisce subito
dopo il pasto, mentre il glucagone agisce in fase di digiuno.
Apparato urinario
L'apparato urinario è dislocato sia nella cavità addominale, che nella piccola pelvi. Ci sono
delle differenze di struttura legate al sesso; mentre nella femmina è adibito alla produzione e
al trasporto dell'urina, nel maschio, l’ultima parte veicola non solo l'urina, ma anche lo
sperma (apparato uro-genitale).
E' composto da due organi pieni o parenchimatosi, i reni, la cui funzione è quella di filtrare il
sangue. Da questo filtraggio si ottiene un liquido, chiamato urina. Una volta prodotta l'urina,
viene inviata in una serie di organi cavi, che la trasportano all'esterno: le vie urinarie. Quelle
che ricevono per primi l’urina si trovano all'interno del rene stesso: i calici renali (minori e
maggiori) e la pelvi renale, che si trova per una parte all'interno del rene e per una parte
all'esterno. Dalla pelvi originano le vie urinarie extrarenali, rappresentate dagli ureteri (uno
per ciascun rene), dalla vescica e dall'uretra (che sono invece impari).
Funzioni del rene:
1. Elimina le scorie del metabolismo, per esempio l'urea, dalla degradazione degli
aminoacidi.
2. Regola le concentrazioni ioniche dell'organismo (sodio, potassio, cloro e calcio).
3. Regola il pH del sangue.
4. Regola la pressione sanguigna.
5. Regola l'eliminazione di acqua dell'organismo e, quindi, la tonicità dell'urina. Da questo
deriva anche la regolazione della volemia, ossia il volume del sangue, che è strettamente
correlata alla quantità d'acqua.
6. Produce due ormoni: l'eritropoietina (che stimola la sintesi dei globuli rossi) e la vitamina
D3.
I 2 reni si trovano nella cavità addominale, in posizione retroperitoneale: sono addossati alla
parete addominale posteriore; si trovano adiacenti alla colonna vertebrale. Si estendono dalla
undicesima costa alla seconda-terza vertebra lombare. Si trovano, quindi, subito sotto al
diaframma: sono, dunque, in rapporto, per interposizione del diaframma, con i polmoni e le
due pleure. Il rene sinistro è più alto del rene destro, perché questo risente del rapporto col
fegato. Mentre i rapporti posteriori sono uguali per i due reni, quelli anteriori cambiano
moltissimo (DEVI SAPERLI DESUMERE I RAPPORTI!).
Ma come sta in sede il rene? Questo non possiede nemmeno il peritoneo. A rivestire il rene,
però, è presente una sorta di membrana che, da un punto di vista embrionale, deriva sempre
dal peritoneo. Questa si chiama fascia renale. La fascia renale si origina dalla porzione
laterale dalla parete, senza un punto specificato e si porta fino al rene. In corrispondenza del
rene si sdoppia in due foglietti: un foglietto anteriore (anterorenale) e uno posteriore
(retrorenale). Quello posteriore circoscrivere il rene nella faccia posteriore e va ad attaccarsi
al rachide, mentre quello anteriore prosegue e si fonde con quello anteriore del lato
controlaterale. I due foglietti, infine, si portano in alto, ricoprono la ghiandola surrenale e si
collegano direttamente al diaframma.
Questo significa che la ghiandola surrenale è assicurata al diaframma, mentre il rene,
superiormente, non presenta punti di ancoraggio. La fascia, quindi, non basta a tenere il rene
in sede: questo è, infatti, completamente circondato da tessuto adiposo bruno. Inoltre, il rene
è tenuto in sede anche grazie alla pressione endoaddominale. Lo scivolamento del rene, per
effetto della gravità, è chiamato ptosi renale (ptosi è proprio lo scivolamento).
Oltre alla ptosi renale, troviamo le ectopie renali, che riguardano la formazione del rene in
sede anomala. A volte troviamo anche delle agenesie, nelle quali uno dei due reni non si
forma. Sono tutte patologie asintomatiche, queste ultime due.
Il rene ha una forma a fagiolo. Si distinguono una faccia anteriore e una posteriore, un
margine laterale e un margine mediale, che contiene l'ilo del rene. Nell'ilo entra l'arteria
renale e esce la vena renale. Poi troviamo due poli, uno superiore e uno inferiore. Quello
superiore è sormontato dalla ghiandola surrenale. Il fatto che la fascia renale circoscriva la
ghiandola e la ancori al diaframma, fa sì che, nella ptosi renale, la ghiandola resti in sede,
perché collegata al diaframma. La surrene è, infatti, solamente adagiata al polo superiore del
rene e, quindi, abbiamo un distacco fra ghiandola surrenale e rene, in caso di ptosi. In 24h, il
rene filtra circa 180litri di sangue: per ogni sistole, il 22% di sangue va a finire nel rene.
Questo possiede un peso specifico piuttosto alto, circa 3 etti.
Parliamo un attimo della ghiandola surrenale. E' una
ghiandola endocrina, formata da 2 porzioni, che hanno
significato funzionale completamente diverso. Si distingue
una zona corticale, che produce ormoni (endocrina) e una
zona centrale, chiamata midollare, che produce
neurotrasmettitori (soprattutto adrenalina e noradrenalina):
si può dire che questa appartiene al sistema nervoso.
Nella corticale si distinguono 3 regioni:
1. Una regione più esterna, detta zona glomerulare. Questa
secerna i mineralcorticoidi (il cui capostipite è l'aldosterone).
L'organo bersaglio di questi ormoni è proprio il rene.
L'aldosterone, per esempio, stimola il riassorbimento di acqua.
2. Una regione intermedia, detta zona fascicolata. Questa
secerne i glicocorticoidi (il cui capostipite è il cortisolo). Questo abbassa le risposte
infiammatorie e immunitarie.
3. Una regione a contatto con la midollare, detta zona reticolare, che secerne androgeni (il
cui capostipite è il testosterone). Questi, normalmente, sono sostanze anabolizzanti, ossia
accelerano il metabolismo.
Torniamo al rene.
Il rene ha un aspetto translucido, dato dalla capsula del rene, che è estremamente sottile. Ma
com'è fatto dentro un rene?
All'interno presenta una zona in cui non c'è parenchima, ossia in cui è cavo: questa zona è
detta seno renale. Qui si ritrovano le prime vie urinarie. Il seno renale contiene i calici renali
(maggiori e minori) e la pelvi renale. Il tutto è immerso nel tessuto adiposo, che continua
anche fuori dal rene.
Riguardo al parenchima, troviamo una zona più esterna e più chiara, detta zona corticale del
rene, e una zona più interna e più scura, detta zona midollare del rene. In realtà, queste due
zone non sono disposti a strati, ma la midollare è organizzata a formare delle strutture
piramidali, il cui apice è rivolto verso il seno renale; l'apice, infatti, è proprio abbracciato da
un calice minore. Le piramidi prendono il nome di piramidi renali, mentre l'apice prende il
nome di papilla renale. Il numero delle piramidi è circa tra 18 e 22. I calici minori si
riuniscono fra loro a formare i calici maggiori, che solitamente sono 3. Questi confluiscono
fra loro a formare la pelvi renale. Fra una piramide e l'altra è sempre presente una zona di
corticale che le va a separare, detta colonna renale.
Ma cos'è che compie la filtrazione?
L'unità morfologico-funzionale del rene è il nefrone.
Nella corticale esistono, infatti, alcune strutture sferoidali, che costituiscono una parte del
nefrone, chiamate corpuscoli renali. I corpuscoli si trovano solo nella corticale. A partire dal
corpuscolo comincia una struttura cava, detta tubulo renale. Il tubulo inizia a livello della
corticale, ma una parte va a trovarsi anche all'interno della midollare: questa è, quindi, fatta
da porzioni di tubuli.
Il corpuscolo è costituito da un intreccio di capillari, che formano una specie di gomitolo,
detto glomerulo. Questo è avvolto da una struttura chiamata Capsula di Bowman. Per quanto
riguarda il tubulo, è distinto in due parti: una parte convoluta, che prende il nome di tubulo
contorto, e una parte rettilinea, chiamata ansa di Henle. I tubuli contorti sono 2, uno quello
che parte dal corpuscolo (tubulo contorto prossimale); l'altro viene definito distale. Il tubulo
contorto distale prosegue in un dotto, dove confluiscono altri tubuli contorti distali: i tubuli
contorti distali di più nefroni confluiscono fra loro a formare, così, il dotto collettore. I dotti
collettori, a loro volta, si riuniscono fra loro a formare il dotto papillare, che si apre all'apice
della papilla renale.
Il glomerulo è formato da capillari particolari (contengono sangue arterioso, invece che
misto, derivante dall'arteria renale). Il sangue circolante all'interno del glomerulo viene
filtrato e il prodotto del filtraggio (pre-urina), vene riversato all'interno della capsula di
Bowman. La pre-urina si incanala nel sistema dei tubuli. Nel tubulo contorto prossimale
comincia il riassorbimento, che riguarda molecole solide. Attraversando l'ansa di Henle e il
tubulo contorto distale, vengono riassorbiti ioni e acqua, in base allo stato di idratazione
dell'organismo. Nel dotto collettore avviene l'ultima
fase della produzione di urina, che è il
riassorbimento di sola acqua; a livello del dotto
papillare troviamo urina definitiva. Questi
riassorbimenti sono tutti sotto il controllo ormonale
(ormoni prodotti dalla surrene e dall'ipofisi).
L'arteriola penetra all'interno della capsula di
Bowman ed è chiamata arteriola afferente.
All'interno della capsula, l’arteriola si dirama nei
capillari, i quali si intrecciano fra loro e si uniscono,
dando luogo ad un'altra arteriola, che esce dalla
capsula di Bowman (arteriola efferente): ma
l'arteriola afferente ed efferente sono sempre lo
stesso vaso, di fatto. Nell'arteriola afferente, la
pressione è molto più alta che nella arteriola
efferente: questo dislivello pressorio consente il
filtraggio. Esiste un meccanismo per il controllo
della pressione, che coinvolge tutti i vasi
dell'organismo (ha un'azione sistemica). Ma qual è questo meccanismo? Nella tonaca media
dell’arteriola afferente sono presenti delle cellule recettori per la pressione, chiamate cellule
iuxtaglomerulari. Questi pressocettori, in caso che la pressione diminuisca, producono un
ormone, la renina. Questa ha il compito di far contrarre la tonaca media dei vasi, aumentando
quindi la pressione. Ovviamente, la renina agisce a livello sistemico, non solo in loco. Nei
pressi di queste cellule iuxtaglomerulari, sono presenti altre cellule, che si trovano nel tubulo
contorto distale: queste percepiscono la diminuzione di ioni sodio nell'urina che circola nel
tubulo stesso. Se sono presenti pochi ioni sodio dell'urina, significa che la pressione è bassa,
per cui queste cellule stimolano le iuxtaglomerulari alla produzione di renina. Importante,
poi, ricordare come questo sangue che circola nel glomerulo non serve alla nutrizione del
rene, ma è la sola circolazione funzionale. L'ossigeno al rene arriva dall'arteriola efferente:
una volta uscita, si occupa della circolazione nutritizia del rene.
Nei capillari, che hanno un endotelio fenestrato, sono presenti delle cellule chiamate podociti,
che fungono da filtro a ciò che può entrare e uscire dai vari capillari.
L'urina, dall'apice della papilla, viene riversata nei calici minori, poi in quelli maggiori e poi
nella pelvi renale. Dalla pelvi origina un dotto pari, che ha il compito di veicolare l'urina
all'interno della vescica, dove l'urina viene accumulata: l'uretere. Nasce dalla pelvi renale e
finisce nella parete posteriore della vescica. La pelvi renale è localizzata all'altezza dell'ilo
renale (T12), mentre la vescica si trova nella piccola pelvi, dietro la sinfisi pubica. Ogni
uretere, quindi, è lungo circa 30cm (è una domanda del test: ricorda!!!).
L'uretere ha 2 particolarità:
1. Nella sua discesa verso la vescica viene in avanti
2. Non possiede un calibro costante, ma presenta 3
restringimenti. Il primo, procedendo in senso cranio-caudale,
si trova proprio all'origine dell'uretere (restringimento
pielico). Fra il primo e il secondo restringimento abbiamo un
segmento dell'uretere, detto segmento addominale. Il secondo
restringimento è detto marginale e si crea perché, in questo
punto, l'uretere effettua una vera e propria flessione (flessura
marginale), dovuta al fatto che, scendendo lungo la parete
addominale posteriore, incontra, nel punto di flessione, i vasi
iliaci (sia arterie che vene). Dal restringimento marginale, fino
alla vescica, comincia il segmento pelvico, in cui l'uretere ha
un decorso discendente, ma anche postero-anteriore. Alla fine
del segmento pelvico si ha l'ultimo restringimento, detto
restringimento vescicale, attraverso il quale l'uretere si butta nella vescica, attraverso
l'orifizio vescicale. Il restringimento vescicale è anche detto porzione intramurale
dell'uretere.
La vescica
La vescica è un organo impari, mediano, localizzato nella piccola pelvi, dietro la sinfisi
pubica. Ha la funzione di raccogliere l'urina ed espellerla all'esterno attraverso l'uretra. Pur
avendo una conformazione simile nell'uomo e nella donna, i rapporti con gli altri organi
cambiano moltissimo nei due sessi. La massima capacità dell'urina è di 2L, ma normalmente,
lo stimolo nervoso parte a 250ml.
La porzione anteriore è l'apice. Attaccato a questo è presente un cordone connettivale, che
arriva all'ombelico, chiamato ùraco: ha funzione nella fase embrionale e poi diventa tessuto
fibroso, che tiene in sede la vescica. L'altra porzione della vescica è quella opposta all'apice,
detta base o fondo vescicale. Quello che aumenta, quando la vescica è piena, è il corpo della
vescica, non l'apice o la base. Quando è vuota, la vescica sta dietro la sinfisi pubica, mentre
quando è piena, la sovrasta enormemente e diventa palpabile dalla cute. Inoltre, la vescica è
sottoperitoneale, ossia è rivestita dal peritoneo soltanto nella sua parte superiore. Il peritoneo
che riveste la vescica viene dalla parete addominale anteriore: fra la parete e la vescica c'è
una sorta di incavo, detto cavo prevescicale. Questo è poco profondo, se la vescica è vuota,
me diventa molto grande se la vescica si riempie.
Ma qual è la conformazione interna della vescica?
Essendo un organo oggetto a dilatazione, possiede delle pieghe, che tendono a distendersi col
riempimento dell'organo. E' presente un punto, però, in cui queste pieghe mancano
completamente; corrisponde al punto in cui l'urina, dalla vescica, viene incanalata nell'uretra:
per evitare ristagni, ovviamente, è presente questa parete liscia, che funga da scivolo per
l'urina. Questa regione liscia ha una forma triangolare, i cui vertici superiori sono i due orifizi
ureterali, e il vertice inferiore è l'orifizio uretrale interno. Questo triangolo si chiama trigono
vescicale.
All'interno della vescica, fra i due orifizi ureterali, la mucosa forma una vera e propria piega
o, meglio, uno scalino o affossamento, chiamato fossa ureterica. Nel maschio, sotto la
vescica è presenta la prostata. Nel caso di ipertrofia prostatica (se la prostata aumenta di
volume), la regione più interessata è proprio quella vicina alla piega: in questo modo, la fossa
ureterica aumenta; in questo caso, l'urina ristagna nella fossa e il soggetto ha un frequente
stimolo alla minzione.
Quali rapporti ha la vescica con gli altri organi? (IMPORTANTI)
Nel maschio, sotto la vescica è presente la prostata. Posteriormente, è in rapporto con le
vescichette seminali, che stanno proprio attaccate. Dietro alle vescichette seminali, troviamo
il retto, ossia quella parte di retto sottoperitoneale. A questo livello, fra la vescica e il retto, il
peritoneo si trova a rivestire un'altra fossa, chiamata cavo retto-vescicolare o cavo di
Douglas. Ha lo stesso significato funzionale del cavo prevescicale.
Nella femmina, la vescica, posteriormente, è a contatto con l'utero e con la vagina (l'utero è
appoggiato sopra la vescica). Uno stato edematoso dell'utero, poggiando sopra la vescica,
provoca una diminuzione di capacità contenitiva da parte della vescica. Ma cosa succede al
peritoneo? Si hanno 3 cavi peritoneali: il cavo prevescicale, il cavo di Douglas e un terzo
cavo, che si viene a creare fra l'utero e la vescica, chiamato cavo vescico-uterino o utero-
vescicale.
I vari muscoli vescicali formano, nell'insieme, il muscolo detrusore della vescica. Nel punto
in cui comincia l'uretra, si organizza circolarmente a formare uno sfintere, lo sfintere interno
dell'uretra (muscolo liscio), involontario. Lo sfintere esterno, invece, è volontario.
L'uretra
Nella femmina, l'uretra (che veicola solo l'urina), è un condotto impari di soli 4cm di
lunghezza, con un calibro costante.
Questa si apre all'esterno nel perineo anteriore, con un orifizio, chiamato orifizio uretrale
esterno. Questo orifizio si trova in una regione, compresa fra le piccole labbra, chiamata
vestibolo della vagina.
Nel maschio, invece, la situazione è molto più complessa. Per un tratto, dalla vescicola al
pavimento pelvico, la lunghezza è la solita che nella femmina (4cm). In questo tragitto, però,
l'uretra passa nel mezzo alla prostata. Ad un certo punto, l'uretra deve entrare nell'asta. L'asta
ha una lunghezza media di 10-15 cm. Quindi, in tutto, l'uretra ha una lunghezza di circa 15-
20cm. L'uretra, nel maschio, non è diritta come nella femmina, ma subisce delle curvature.
Per questo si identificano vari parti: uretra prostatica, uretra membranosa e uretra
cavernosa. In base alla mobilità dell’uretra, invece, si distinguono: un'uretra fissa e una
mobile. L'uretra attraversa tutta l'asta e si apre nella regione del glande. Qui troviamo
l'orifizio uretrale esterno, che ha una forma ovalare, con l'asse maggiore disposto
sagittalmente. Le curvature dell'uretra maschile rendono il cateterismo molto difficile e
doloroso.
Organizzazione
Abbiamo le gonadi, che prendono il nome di testicoli o didimi. Questi sono la sede della
produzione dei gameti. Una volta prodotti, questi vengono riversati all’interno di tutta una
serie di organi cavi, adibiti al trasporto degli spermatozoi verso l'esterno. Questi organi cavi,
nell'insieme, perdono il nome di vie spermatiche. Comincia all'interno del testicolo, con i
tubuli retti e la rete testis. All'esterno del testicolo troviamo, invece, l'epididimo, il dotto
deferente, i dotti eiaculatori e, infine, l'uretra. Gli spermatozoi, però, non vengono eiaculati
come tali, ma insieme ad una sostanza liquida, chiamata liquido spermatico. Questo risulta
dalla mescolanza del liquido seminale e del liquido prostatico. Questi due liquidi sono
prodotti da due ghiandole esocrine: le vescichette seminali (liquido seminale) e dalla prostata
(liquido prostatico). Il dotto escretore di queste ghiandole sbocca all'interno delle vie
spermatiche. Quindi, mentre gli spermatozoi passano nelle vie spermatiche, ricevono i secreti
di queste ghiandole e si viene a formare, alla fine, lo sperma, che risulta, quindi, dalla
mescolanza fra spermatozoi e liquido spermatico.
Oltre alla prostata e alle vescichette seminali ci sono altre 2 ghiandole, che hanno la funzione
di lubrificare l'asta, durante la copula: sono le ghiandole bulbo uretrali o ghiandole di
Cowper. Infine, troviamo delle strutture che costituiscono i genitali esterni, che sono: la borsa
scrotale o scroto e il pene.
Le gonadi
Gli spermatozoi vivono ad una temperatura di circa 36° C. Per questo, visto che all'interno
del corpo ci sono 37°, gli spermatozoi stanno all'esterno del corpo, nei testicoli.
La borsa scrotale è una borsa cutanea, che si trova nel perineo anteriore, alla radice delle
cosce, sotto la sinfisi pubica. Nella borsa scrotale si riconoscono 2 parti: il fondo e la radice.
Quest'ultima si trova localizzata alla radice delle cosce. La cute che riveste la borsa scrotale è
particolare: nell'adulto è più tonica, mentre nell'anziano tende a perdere di tonicità; inoltre è
rivestita di pieghe. Qui, inoltre, troviamo dei peli, chiamati pubes. Se la osserviamo
dall'esterno, si nota un rafe sagittale, ossia una piega sagittale. Le pieghe spariscono
completamente quando il tessuto è completamente calato verso il basso (abdotto). Ma perché
si abduce? Perché deve mantenere una temperatura costante: se, per esempio, il soggetto ha la
febbre, la borsa scortale si abduce e si allontana dal corpo. Al contrario, se fa freddo, si ritrae.
La borsa scrotale è suddivisa in due concamerazioni separate dal setto scrotale, che in
superficie corrisponde al rafe scrotale.
Ma perché la borsa scrotale può fare tutti questi movimenti?
Sezioniamo i vari strati. Dall'esterno all'interno troviamo, prima di tutto, la cute. Sotto la cute
troviamo il derma, chiamato dartos, che ha la caratteristica di essere infarcita di muscolatura
liscia, responsabile di tutti questi movimenti dello scroto. Più sotto troviamo un altro
muscolo, stavolta scheletrico, detto cremastere. Ma perché scheletrico? In realtà questo
muscolo fa parte del muscolo obliquo esterno: da questo, infatti, si staccano dei fasci, che
raggiungono lo scroto. Il fatto che sia scheletrico, non significa che l'uomo possa controllarlo
con la volontà. Tutti i muscoli sono, però, costituiti da fasce: ci sarà, quindi, la fascia esterna,
chiamata fascia spermatica esterna (o cremasterica), e una fascia interna, detta fascia
spermatica interna o tonaca vaginale comune. Più sotto al muscolo cremastere, inoltre,
troviamo una seriosa (il testicolo, infatti, nasce in cavità addominale): il testicolo è, infatti, un
organo intraperitoneale. Qui la seriosa non si chiama peritoneo, ma tonaca vaginale (esiste,
ovviamente, una tonaca vaginale parietale e una viscerale): fra i due foglietti, ovviamente,
troviamo lo spazio vaginale con liquido vaginale. Questa tonaca vaginale ha anche la
funzione di proteggere il testicolo, fungendo da cuscinetto. Anche la tonaca vaginale, come il
peritoneo, si può infiammare e riempirsi di liquido: si ha la cosiddetta idrocele.
L'ultimo strato che troviamo, che non fa più parte dello scroto, ma che è a ridosso del
testicolo, è la capsula che avvolge il testicolo. Questa è particolarmente spessa di connettivo
fibroso molto denso e viene chiamata tonaca albuginea (perché è bianca).
La discesa del testicolo, dalla cavità addominale fino alla borsa scrotale, viene chiamata
descensus scrotalis e deve necessariamente essere terminata all'ottavo mese di gravidanza. E'
frequentissimo che, uno o entrambi i testicoli, non riescano a raggiungere la borsa scrotale. In
questo caso si parla di criptorchidismo. A volte può capitare che il testicolo non solo non
scenda nella borsa, ma scenda in posizioni anomale, come nella coscia o nell'asta: si parla di
ectopia.
Il pene
Nei corpi cavernosi troviamo delle arterie, dette arterie cavernose, fondamentali per
l'erezione. I corpi cavernosi e il corpo spongioso sono totalmente avvolti da tonaca albuginea.
Sotto stimolazione nervosa, durante l'eccitazione, l'arteria manda molto più sangue.
Il glande, normalmente, è ricoperto da cute, chiamata prepuzio. Il prepuzio è vincolato
all'asta da una piega, chiamata frenulo. Infine, fra il glande e il resto dell'asta, è presente un
solco, detto solco balano-prepuziale.
Utero
Ha una tipica caratteristica a pera rovesciata. La parte superiore, che prende rapporto con le
tube, è adagiata in avanti e in contatto con la vescica. Questa parte adagiata sulla vescica
prende il nome di fondo dell’utero (anche se è la parte più alta dell’utero). La parte sotto il
fondo dell’utero, prende il nome di
corpo dell’utero. Proseguendo verso il
basso, troviamo una porzione ristretta
dell’utero, detta collo o cervice
uterina.
Com’è costituita la parete dell’utero?
La tonaca mucosa viene chiamata
endometrio: questa è sottile prima
dell’ovulazione e diviene spessa subito
dopo. Poi troviamo uno strato,
corrispondente alla tonaca muscolare
dell’organo, detto miometrio: è molto
spesso e costituito da fibre muscolari
intrecciate. All’esterno, infine, troviamo il perimetrio, che corrisponde alla tonaca avventizia
più la seriosa, poiché anche l’utero è intraperitoneale.
La cervice uterina è quasi tutta inglobata all’interno della vagina: la parte superiore di questa,
infatti, va proprio ad abbracciare la cervice. Il lume dell’utero e il lume della vagina sono in
continuità fra loro; tuttavia, si può individuare un orifizio, che segna il confine fra il lume
uterino e quello vaginale, detto orifizio vaginale interno. Questo è sempre aperto, tranne nel
caso di gravidanza (potrebbe, altrimenti, consentire la fuoriuscita del feto): si crea un tappo di
muco, che impedisce la continuità. La parte anteriore della cervice prende il nome di tinca ed
è la parte della cervice uterina, che aggetta nel lume vaginale. Tutta la mucosa che si trova
intorno alla tinca, è una delle zone più frequentemente colpita dalle neoplasie.
Se tracciamo l’asse maggiore del corpo dell’utero e andiamo ad incrociarlo con l’asse
maggiore della cervice dell’utero e poi tracciamo l’asse maggiore della vagina, si vengono a
formare due angoli: l’angolo fra l’asse del corpo e l’asse della cervice prende il nome di
angolo di antiflessione ed è quello che determina la posizione normale dell’utero (ossia
adagiato sulla vescica); l’altro angolo, quello fra l’asse maggiore della cervice e l’asse della
vagina, è detto angolo di antiversione e determina l’orientamento in avanti dell’utero rispetto
alla vagina: l’utero, infatti, deve essere antiflesso e antiverso. Ci sono casi in cui l’utero non
possiede la posizione normale: dal punto di vista della gravidanza, questo fatto non ha
conseguenza, ma in condizioni di non gravidanza, l’utero va a premere contro il retto e, di
conseguenza, il soggetto risulta essere stitico.
Ma come sta l’utero, rispetto al peritoneo? E’ un organo sottoperitoneale: è, quindi, avvolto
dal peritoneo solo nella sua parte superiore (la cervice non è avvolta dal peritoneo).
Il legamento largo si accolla alla parete corporea, andando a rivestire tutta la piccola pelvi.
Per questo motivo, esso rappresenta un aggancio dell’utero sulla parete corporea. Esiste, poi,
un legamento connettivale, che si trova alla base dell’utero, detto legamento rotondo, il quale
è il corrispondente del funicolo spermatico del maschio: questo legamento attraverso il canale
inguinale e va a disperdere nelle grandi labbra.
Fondamentalmente, ciò che regge e da tono all’utero, è il pavimento pelvico. Con l’età, questi
muscoli perdono di tonicità e si hanno, di conseguenza, prolassi. Se scende l’utero, questo si
incunea nella vagina e, grazie al fatto che questa è un canale muscolare estremamente
dilatatorio, esce all’esterno.
La vagina
E’ un organo cavo, con una lunghezza di circa 8cm. E’ all’incirca parallela all’uretra. La
vagina non presenta ghiandole: le perdite che si hanno fra i vari flussi mestruali, sono dovute
all’utero. Nel punto in cui la vagina abbraccia il collo dell’utero, si formano due recessi, detti
fornici vaginali. In questi si annida l’eiaculato: qui, gli spermatozoi hanno la possibilità di
adattarsi all’ambiente vaginale, che è acido; questo adattamento è detto capacitazione.
L’insieme dei genitali esterni prende il nome di vulva o pudendo muliebre. I peli, come nel
maschio, prendono il nome di pubes. Al di sotto della cute troviamo un cuscinetto adiposo.
Il monte di Venere, nel perineo anteriore,
si sdoppia a formare due pieghe,
chiamate grandi labbra. All’interno di
queste troviamo 2 pieghe più sottili, che
hanno una cute sottilissima e priva di
peli, dette piccole labbra. Queste due
pieghe si uniscono fra loro anteriormente,
a formare la connessura labiale
anteriore, e posteriormente a formare la
connessura labiale posteriore. Fra le due
pieghe è presente uno spazio, detto
vestibolo della vagina.
Qui, troviamo una struttura analoga all’asta, che è il clitoride. Il rivestimento del clitoride
prende il nome di prepuzio del clitoride.
Nel vestibolo della vagina, troviamo due orifizi: uno anteriore, che è l’orifizio uretrale
esterno, e uno posteriore, che è l’orifizio vaginale esterno.
Lateralmente all’orifizio laterale esterno, troviamo gli orifizi di sbocco delle ghiandole di
Bartolino. L’orifizio esterno è munito di una membrana sierosa, che prende il nome di
imene, il quale può presentare varie forme: l’imene viene rotta al momento della prima
copula.
L’ovulazione
Nella donna esistono: un ciclo ovarico e un ciclo uterino. Il primo viene calcolato con la
durata di circa 14 giorni. AL termine di questo ciclo si ha la cosiddetta ovulazione. Questo
periodo è caratterizzato dalla presenza di un ormone ipofisario (FSH), i quale induce la
maturazione dell’ovocita e del follicolo. I 14 giorni vengono calcolati a partire dal primo
giorno di mestruazione. Una volta che l’oocita è stato eiettato dall’ovaio, rotola nella cavità
peritoneale dove si trova l’ovaio, viene agganciato dalla tuba e portato all’interno del lume
della tuba. Qui, il ruolo dell’FSH è terminato: si ha un brusco calo di questo ormone e
comincia la secrezione, invece, dell’LH. Questo ha il compito di modificare il follicolo rotto
nell’ovaio, e formare una ghiandola endocrina temporanea: il corpo luteo. Questa secerne il
progesterone, che ha il compito di modificare la parete uterina per accogliere lo zigote.
Se c’è stata un’eiaculazione, gli spermatozoi vengono eiaculati al livello dei fornici vaginali,
dove restano qualche ora, per adattarsi all’ambiente vaginale (capacitazione) e il flagello
assume mobilità: gli spermatozoi cominciano a risalire. In questo cammino, sono facilitati dal
fatto che, sia l’epitelio uterino che quello della tuba, sono cigliati. La maggior parte di questi
spermatozoi sbagliano tuba o si piantano nella parete dell’utero, morendo. Solo alcuni
raggiungono l’oocita e cominciano ad attaccarne la membrana, grazie all’utilizzo di specifici
enzimi litici, contenuti nella testa dello spermatozoo. Appena perforata la membrana, entra
nell’oocita e la membrana si richiude su se stessa, impedendo che altri spermatozoi possano
penetrare la membrana e fecondare l’oocita. Si forma, così, lo zigote, che andrà in utero e
cercherà di impiantarsi.
Tramite ecografia è possibile monitorare la crescita del feto nelle varie settimane di
gravidanza (in totale 41).
Apparato tegumentario
E’ una membrana impermeabile, che protegge l’organismo dall’esterno. Questo, tuttavia, non
è impermeabile all’ambiente esterno, ma scambia continuamente materiale con questo.
Attraverso la cute, per esempio, espelle gli oggetti di scarto.
Le funzioni:
1. Protezione dagli insulti meccanici, chimici, termici e dalle radiazioni
2. Regolazione degli scambi termici con l’ambiente
3. Regolazione dell’equilibrio idrosaline per prevenire la disidratazione … SLIDE
Com’è organizzato?
Da una parte troviamo la cute e dall’altra una serie di annessi cutanei. Lo spessore della cute
varia molto a seconda della regione corporea: va da 0,5mm a livello delle palpebre, fino a
4mm nella pianta del piede. Ha un estensione di 2m2 e ha un peso del 17% del peso corporea.
Per quanto riguarda gli annessi cutanei abbiamo i peli, le unghie, le ghiandole sebacee e le
ghiandole sudoripare. La cute non è liscia, ma presenta tutta una serie di solchi (rughe),
dovute al fatto che sotto alla cute sono presenti alcune strutture che creano queste pieghe
(come i muscoli mimici). Le pieghe più grandi sono quelle a livello dei polpastrelli delle
mani: i dermatoglifi, che costituiscono le impronte digitali.
Le unghie sono delle lamine cheratinizzate, che rivestono la superficie dorsale delle falangi
distali di dita delle mani e piedi. L’unghia poggia su una superficie, detta letto ungueale, al
quale l’unghia è ben adesa. Alla base del letto ungueale, è presente un epitelio in attiva
divisione, che costituisce la matrice dell’unghia: l’unghia si accresce a partire da questa. La
porzione di unghia circoscritta dalla matrice, viene detta matrice dell’unghia. Questa è meno
pigmentata rispetto al resto dell’unghia (ha un colore biancastro), è in parte coperta da cute
(vallo ungueale) e in parte visibile dalla superficie ungueale (lunula). Fra la lunula e il vallo
ungueale è presente una porzione più sottile, chiamata cuticola, la quale è estremamente
importante, poiché senza questa, i germi penetrerebbero molto bene nella matrice ed infettare
l’unghia. Lateralmente, infine, possiamo notare due solchi, detti solchi ungueali. Infine, la
parte più anteriore dell’unghia, quella biancastra, è detta estremità libera.
Le unghie sono uno dei primi sintomi di malessere: la forma e il colore dell’unghia va
osservato.
I peli
I peli sono molto variabili, soprattutto per quanto riguarda la lunghezza e lo spessore. Sono
all’incirca 5milioni, di cui 1 milione sulla testa. Non si presentano sempre in modo uguale,
durante lo sviluppo: alla nascita, la peluria che presentano i neonati non sono veri e propri
peli, ma sono detti lanugine. A questa fa seguito un pelo (non definitivo), chiamato pelo
folletto, che è molto esile, destinato a cadere, per essere sostituito dal pelo terminale
(definitivo), le cui caratteristiche cambiano a seconda del sesso.
I peli presentano una parte infissa nella cute, detta bulbo pilifero, dove è presente un epitelio
germinativo, responsabile della ricrescita. La parte che si distacca dal bulbo, viene chiamata
prima radice, che si assottiglia sempre di più, divenendo fusto del pelo. Fuori dalla cute,
invece, troviamo la parte di fusto esposto. Molto importanti sono due strutture, che
accompagnano tutti i peli: le ghiandole sebacee, il cui dotto escretore va a gettarsi al livello
del fusto e raggiunge tutta la superficie cutanea; il muscolo erettore del pelo, il quale è
responsabile della pelle d’oca: questo tende il pelo, per proteggere meglio la cute. Il sebo del
pelo ha un pH abbastanza acido, e impermeabile, fungicida e battericida.
I peli del naso prendono il nome di fibrisse; quelli del canale uditivo esterno sono chiamati
tragi; quelli ascellari sono detti hirci.
Le ghiandole sudoripare
Sono responsabili della perspiratio sensibilis: durante l’arco della giornata, emettiamo una
grande quantità di sudore, attraverso il quale manteniamo la temperatura corporea intorno ai
37°. E’ costituito da acqua, ioni (Na, K e Cl), urea, acidi grassi e colesterolo e, nel caso di
attività sportiva, anche acido lattico. Le ghiandole sudoripare si trovano a livello del derma e
presentano un lungo dotto escretore, che sbocca sulla superficie cutanea.
Esistono 2 tipi di ghiandole sudoripare, che si distinguono in base al tipo di secrezione: la
maggior parte sono di tipo eccrino, con sudore inodore. Poi troviamo una serie di ghiandole
limitate ad alcune regioni del corpo (regione ascellare, intorno all’areola mammaria, nella
regione genitale, nella regione anale e a livello delle palpebre), con secrezione di tipo
apocrino: questo sudore emette un odore caratteristico.
Alcune ghiandole sudoripare particolari sono le ghiandole ceruminose: si trovano nello
spessore della mucosa, che riveste il canale uditivo esterno e producono il cerume,
giallognolo e colloso; ha la funzione di proteggere l’apparato uditivo da agenti esterni. Il
cerume è tipico delle “razze”.
Un’altra ghiandola sudoripara modificata, è la ghiandola mammaria: è il parenchima della
mammella, un organo pieno. Questa è un rilievo cutaneo, che si trova sulla parete anteriore
del torace, all’incirca fra la quarta e la settima costa. All’interno della mammella troviamo la
ghiandola, costituita da uno stroma particolarmente ricco di tessuto adiposo. Caratteristiche
della mammella sono delle formazioni superficiali, note per l’iperpigmentazione: si nota un
areola mammaria, dove la cute forma diverse pieghe ed è pigmentata; qui sono presenti dei
rilievi puntiformi, che sono lo sbocco delle ghiandole sudoripare apocrine. Al centro di
questa areola c’è un rilievo, che prende il nome di capezzolo.
All’interno della mammella, la ghiandola mammaria è costituita da una serie di alveoli,
raggruppati a formare dei lobi. Gli alveoli presentano un dotto che, confluendo con gli altri
dotti alveolari, formano dei dotti di maggior calibro, detti dotti lobulari. Questi si uniscono a
formare un unico dotto, chiamato seno galattoforo, il quale si apre subito all’apice del
capezzolo. La funzione di questa ghiandola è quella di produrre il latte, sotto il controllo della
prolattina (PRL), di tipo ipofisario. Quest’ormone viene prodotto durante la gravidanza;
tuttavia, a volte capita che una modesta produzione di lattina si abbia anche durante il ciclo
mestruale. Nel momento del parto, si ha un’increzione abnorme di prolattina, per cui la
ghiandola mammaria produce moltissimo latte (montata lattea).
Le mammelle non sono mai uguali di dimensioni; tuttavia, esistono delle patologie, in cui si
ha l’accrescimento selettivo di una mammella rispetto all’altra (anisomastie). Esistono casi,
poi, in cui le mammelle si formano anche nel maschio (per esempio, dei soggetti che fanno
terapie ormonali per neoplasie).
Le gemme mammarie, ossia i punti in cui potenzialmente possono nascere le mammelle, sono
in realtà dislocate in varie parti del corpo, lungo le cosiddette linee mammarie.
Sistema Nervoso
Nel sistema nervoso esistono 2 tipi cellulari: i neuroni, che trasportano le cariche elettriche, e
le cellule di supporto ai neuroni, dette Glia. Le cellule della glia sono gli astrociti, la
microglia, gli oligodendrociti, le cellule ependimali, le cellule di Schwann e le cellule
satelliti. Questi tipi cellulari si differenziano per la loro localizzazione: le cellule di Schwann
e le satelliti si trovano solo nel SNP. Tutte le altre si trovano nel SNC. Le cellule ependimali
hanno le funzioni di una cellule epiteliale, quindi rivestono le cavità interne al tessuto
nervoso: il sistema nervoso è, dunque, un organo cavo.
Queste cavità rivestite da ependima, contengono un liquido, detto liquido cefalorachidiano
liquor. Poi troviamo gli oligodendrociti, che servono per formare la guaina mielinica: sono
l’analogo delle cellule di Schwann, che troviamo a livello del SNP. Poi abbiamo la microglia
e gli astrociti, che rappresentano le cellule immunitarie del sistema nervoso. L’analogo degli
astrociti e della microglia, nel SNP, sono le cellule satelliti, le quali si trovano localizzate in
strutture particolari del SNP, dette gangli.
SNC
Il SN è suddiviso in SNC e SNP. In realtà, esiste una terza componente, detto SNA, o
vegetativo o simpatico. In realtà, questo non è slegato dagli altri due.
Il SNC sta nella teca cranica e nello speco vertebrale o canale vertebrale. La porzione della
teca cranica è detta encefalo, mentre quella dello speco vertebrale è il midollo spinale.
Nonostante la differenza di localizzazione e di struttura, i due sono un continuum l’una
dell’altra: il confine convenzionale che li separa si pone a livello del grande foro occipitale.
Il SNP, invece, è dislocato in tutto il resto dell’organismo. Le strutture che costituiscono il
SNP vengono detto nervi. Siccome alcuni prendono contatto con il midollo spinale (quindi
escono dal midollo spinale), prendono il nome di nervi spinali; altri escono dall’encefalo e
vengono, dunque, detti nervi encefalici. Questi vanno a dislocarsi nelle regioni della testa e
del collo, mentre quelli spinali in tutto il resto dell’organismo.
Se osserviamo lo sviluppo del midollo spinale nel suo insieme, possiamo vedere come questo
sembra accorciarsi: in realtà il midollo non si è retratto, ma sono le vertebre che sono
aumentate di numero, rispetto al midollo; sotto L1, quindi, non si trova più midollo spinale.
Il midollo spinale si trova dentro la colonna vertebrale: i nervi che originano all’interno della
colonna, quindi, escono attraverso i fori intervertebrali. Per ciascun tratto di nervo, prima
della retrazione, i nervi escono dai fori intervertebrali: sotto L1, i nervi tendono a stirarsi e
formano una struttura detta coda equina.
Osserviamo la modalità con la quale il nervo contatta i midollo spinale. Il nervo si biforca in
prossimità del midollo spinale, in due strutture dette radici, di cui una si trova anteriormente
(in corrispondenza del corpo vertebrale) e l’altra posteriormente. Funzionalmente, queste due
radici sono estremamente diverse fra loro e questa diversità è presente anche a livello del
midollo spinale corrispondente: per questo, si dice che il midollo spinale ha un assetto
postero-anteriore. Il nervo, quindi, possiede tutte le funzioni, sia quelle della radice anteriore
che quella posteriore, poiché questo si divide nelle due radici.
Lungo la radice posteriore è presente un rigonfiamento, detto ganglio. Quando si parla di
radici e ganglio, ci si riferisce già al SNP: il SNC
si limita al midollo spinale.
Il midollo spinale, così come le radici e il
ganglio, sono rivestiti da delle tonache
connettivali: le meningi. Queste sono organizzate
in 3 strati:
1. Lo strato interno, che sta a ridosso del
midollo spinale, detto pia madre,
esilissimo;
2. Lo strato intermedio, detto aracnoide, che
ha un aspetto trabecolato, che ricorda la
tela di un ragno
3. La meninge esterna, molto robusta, detta
dura madre, la quale sta a contatto con l’osso.
Le meningi, rivestendo tutto il midollo spinale, rivestono anche le radici e il ganglio. Quando
le radici si fondono a formare il nervo spinale, la duramadre diventa epinevrio, l’aracnoide
diventa il perinevrio e, infine, la piamadre diviene endonevrio.
Dal midollo spinale, l’encefalo viene suddiviso in: bulbo o midollo allungato, ponte e
mesencefalo. Questi, nel loro insieme, formano il tronco encefalico.
Posteriormente al bulbo e al ponte, troviamo il cervelletto. Procedendo verso l’alto, troviamo
il diencefalo (sopra al mesencefalo) e, superiormente, il telencefalo, che rappresenta la parte
più sviluppata. Diencefalo e telencefalo formano, nel loro insieme, il cervello.
A livello del telencefalo troviamo 2 cavità, dette ventricoli laterali o primo e secondo
ventricolo, i quali fanno parte del
telencefalo. Anche nel diencefalo
troviamo un’altra cavità, questa volta
impari, detto ventricolo diencefalico,
anche detto terzo ventricolo. I due
ventricoli telencefalici sono collegati
a quello diencefalico tramite i
cosiddetti fori di Monro.
A questo punto, dal diencefalo si
entra nel mesencefalo. Qui non
troviamo un ventricolo (ossia un
lume slargato), ma un lume tubulare, che attraversa il mesencefalo a tutto spessore: prende,
per questo, il nome di acquedotto mesencefalico. Scendendo ulteriormente, l’acquedotto
mesencefalico prosegue in basso e resta racchiusa fra il ponte e il bulbo (anteriormente) e il
cervelletto (posteriormente): viene, in questo punto, chiamato quarto ventricolo. Da qui,
senza soluzione di continuità, passiamo al cosiddetto canale mesenchimale. In
corrispondenza di tutti i ventricoli troviamo il liquor.
Il liquor non è altro che un ultrafiltrato del sangue, che porta nutrimento, ma non contiene
tossine o batteri. Ma quali sono i vasi che vengono ultrafiltrati per produrre il liquor?
L’arteria carotide interna, quando entra all’interno del cranio, emette un collaterale, detto
arteria corioidea. Questa emette una serie di diramazioni, diventando un gruppo di capillari
anastomizzati, detti plessi corioidei. Questi ultimi vanno a posizionarsi sulla parete dei
ventricoli. Questi plessi, però, non li troviamo su tutti i ventricoli, ma ne troviamo uno su
ogni ventricolo laterale, un terzo sul terzo ventricolo e un quarto sul quarto ventricolo:
l’acquedotto mesencefalico e il canale mesenchimale non hanno plessi corioidei.
Il capillare viene completamente
accolto dai prolungamenti degli
astrociti; a questi, infatti,
dobbiamo l’ultrafiltrazione e
impediscono il passaggio di
materiale indesiderato,
formando la barriera
ematoencefalica. Il liquor è
presente in quantità modeste:
circa 150ml totali. Ha una
funzione di nutrimento, ma
anche di protezione meccanica
dagli urti. Inoltre, ha una
funzione di tenere le strutture
nervose distese e in sede. La
produzione del liquido, nei plessi corioidei, è continua, ma anche il suo assorbimento deve
essere continuo.
Dal primo ventricolo il liquor viene prodotto e, attraverso i fori di Monro, va nel terzo
ventricolo. Poi attraversa l’acquedotto mesencefalico e raggiunge il quarto ventricolo. Qui, si
unisce al liquor prodotto dal plesso corioideo del quarto ventricolo. Una quantità esigua entra,
poi, nel canale ependimale; in questa sede, provvedono al riassorbimento del liquor le cellule
ependimali, dotate di microvilli. La maggior parte del liquor, in realtà, nel quarto ventricolo
fa un’altra cosa. Qui, infatti, ci sono 3 fori, di cui uno impari (foro di majendie) e uno pari
(fori di luschka), dai quali il liquor fuoriesce. All’esterno della massa nervosa, ovviamente,
incontra le meningi; il liquor, quindi, va a circolare fra le meningi, in uno spazio adibito,
detto spazio subaracnoideo.
Ma come sono fatte le meningi? All’esterno troviamo la duramadre, spessa e di connettivo
fibroso denso. Tra la duramadre e l’osso resta uno spazio, chiamato spazio epidurale.
Attaccata alla meninge più esterna, troviamo la meninge intermedia, detta aracnoide. Fra la
duramadre e l’aracnoide c’è uno spazio, detto spazio subdurale. La presenza di questo spazio
fa sì che le due meningi siano scollabili fra di loro. Dall’aracnoide partono dei tralci di
connettivo, che vanno ad agganciarsi alla meninge più interna (piamadre); fra l’aracnoide e la
piamadre è presente, quindi, uno spazio, detto spazio subaracnoideo, in cui circola il liquor.
Questa circolazione è fondamentale, poiché l’aracnoide è la responsabile del riassorbimento
del liquor: non tutta ‘aracnoide (cerebrale e spinale), ma soltanto l’aracnoide che si trova in
corrispondenza delle ossa parietali del cranio. Qui, infatti, l’aracnoide emette delle strutture
rotondeggianti, dette granulazioni aracnoidee, le quali creano nell’osso delle fossette, le
fossette granulari. Queste riassorbono il liquor e lo gettano nel sangue venoso, che circola
all’interno dei seni venosi.
Il fatto che il liquido circoli anche fuori dal sistema nervoso, è utilizzato in alcune pratiche
cliniche, per esempio nella rachicentesi o puntura lombare, che consiste nel prelievo del
liquor a scopo diagnostico. Si preleva dallo spazio subaracnoideo, al di sotto di L1, ossia
dove il midollo spinale finisce. Altro caso in cui si può sfruttare il fatto che il liquor si trova
al di fuori del sistema nervoso, è per l’anestesia.
Sostanza grigia e sostanza bianca
Sezioniamo il sistema nervoso. Per il midollo spinale eseguiamo una sezione trasversale,
mentre per l’encefalo una sezione frontale. Possiamo notare subito la presenza di una
sostanza grigia e una sostanza bianca. Però, mentre nel midollo spinale la sostanza grigia si
trova centralmente (intorno al canale ependimale) e la sostanza bianca all’esterno,
nell’encefalo non si ha un ordine ben preciso fra le due sostanze; tuttavia, però, la sostanza
grigia si dispone sempre all’esterno dell’encefalo: per questo motivo, viene chiamata
corteccia. La sostanza grigia non è rivestita da mielina: qui troveremo, quindi, i corpi dei
neuroni, i dendriti e gli assoni non mielinizzati. La sostanza bianca, invece, è costituita da
assoni mielinizzati. Ma perché ci sono assoni non mielinizzati e alcuni mielinizzati? C’è
bisogno di mielina quando l’assone è molto lungo e il messaggio deve raggiungere punti
molto distanti. Nella sostanza grigia, le connessioni sono molto vicine; nella sostanza bianca,
invece, le connessioni saranno fra strutture nervose molto distanti.
La sostanza grigia, nel midollo spinale, ha una forma ad “H”. Nella parte trasversale è
presente il canale ependimale. Se sezioniamo verticalmente il midollo spinale, ci accorgiamo
come esso sia costituito da due parti esattamente simmetriche: queste due parti sono dette
antimeri. Distinguiamo una gambina della H, che si porta posteriormente (che va verso il
processo spinoso della vertebra), detto corno posteriore; l’altra gambina, invece, è chiamata
corno anteriore. La sostanza grigia, quindi, è formata da due corna, uno anteriore e uno
posteriore. In certi tratti del midollo spinale, troviamo un terzo corno, meno evidente, detto
corno laterale. I due antimeri sono connessi da una massa grigia (massa intermedia), la
quale risulta divisa dal canale ependimale, in una commessura grigia anteriore e in una
commessura grigia posteriore. Dai corni, inoltre, si vedono partire le radici nervose,
anteriore e posteriore che, uscite dal canale vertebrale, formeranno il nervo spinale.
Attorno alla sostanza grigia troviamo la sostanza bianca. Anche questa è suddivisa in 2
antimeri, da alcuni solchi; troviamo un solco mediano posteriore e uno anteriore, detto
scissura mediana anteriore. La presenza di questi solchi, suddivide ciascun antimero in 3
zone, dette cordoni: avremo un cordone posteriore, un cordone laterale e un cordone
anteriore.
Osserviamo, adesso, l’encefalo. Qui, lo spazio disponibile è molto di più, quindi la massa
nervosa appena vista non fa altro che aprirsi: le strutture anteriori divengono mediali, le
strutture posteriori diventano laterali; l’assetto antero-posteriore del midollo spinale diviene
medio-laterale. A causa di questo fatto, è ovvio che la sostanza bianca risulti sparsa un po’
dappertutto e alcune zolle in cui è immersa la sostanza grigia: queste zolle vengono chiamate
nuclei. La sostanza grigia, quindi, è organizzata in nuclei, a livello dell’encefalo. Inoltre,
però, la sostanza grigia va a dislocarsi anche all’esterno della sostanza bianca, formando la
corteccia cerebrale. Questa, però, non è l’unica corteccia esistente; un’altra corteccia, per
esempio, è presente a livello del cervelletto, detta corteccia cereberrale. Ma anche il
mesencefalo ha una corteccia, chiamata corteccia mesencefalica o tetto del mesencefalo.
Organizzazione somatotopica
Prendiamo i neuroni somato-motori, quindi destinati ai muscoli scheletrici. Prendiamo, per
esempio, l’arto superiore. Qui, abbiamo muscoli estensori e muscoli flessori. Tutti i neuroni
che controllano i muscoli estensori si dispongono
tutti insieme, in una porzione del midollo spinale,
mentre quelli che controllano i muscoli flessori si
dispongono tutti insieme, ma in un’altra porzione del
midollo spinale. Questo è importantissimo, poiché se
abbiamo una particolare lesione in un punto, non si
ha un blocco completo di più tipi di muscoli, ma di
un solo tipo. Inoltre, i neuroni si organizzano anche
per distretti corporei: in una porzione troviamo i
neuroni della mano, in un’altra quelli
dell’avambraccio, in una terza quelli del braccio, ecc.
Questa organizzazione ha un nome (come se nel midollo spinale ci fosse una sorta di mappa
del nostro corpo): è detta organizzazione somatotopica.
Funzionalità del midollo spinale e centro soprasegmentario
Abbiamo uno stimolo, per esempio un dolore provocato da uno spillo. Questo dolore viene
recepito da un recettore periferico che, attraverso la fibra periferica del neurone a T,
raggiunge il ganglio sensitivo. Tramite il ganglio, con la fibra centrale, lo stimolo arriva sul
secondo neurone sensitivo. Questo passa l’informazione al motoneurone (neurone effettore,
che si trova nel corno anteriore). Il motoneurone, attraverso il suo assone, va a scaricare sui
muscoli del braccio e il risultato è
l’allontanamento della mano dallo
spillo. Questa organizzazione è
detta arcoriflesso orizzontale.
Nasce la necessità di creare un
centro che organizzi tutti i
neuromeri, poiché gli stimoli in
ingresso sono svariati; nasce
questa struttura nervosa, chiamata
centro soprasegmentario (ossia,
che sta, come importanza, al di
sopra dei segmenti). Questo centro
deve ricevere tutte le informazioni
in ingresso: da ciascun neuromero devono partire informazioni dirette a questo centro, il
quale le analizza e decide cosa fare, inviando i comandi ai neuroni effettori dei neuromeri.
L’interneurone sensitivo o secondo neurone sensitivo, oltre a mandare il segnale al neurone
effettore, lo manda al centro soprasegmentario, il quale elabora la risposta e la invia al
neurone effettore. Questo, quindi, riceve due input contemporaneamente; tuttavia, il neurone
effettore si comporta solo in seguito a ciò che ordina il centro soprasegmentario. Tuttavia,
mentre l’arcoriflesso orizzontale descrive una risposta attivante, immediata, perché deriva
direttamente dallo stimolo dell’interneurone sull’effettore, quando si mette in mezzo anche il
centro soprasegmentario, si hanno risposte elaborate, ragionate e, soprattutto, inibitorie (per
esempio, quando si decide di non togliere la mano dallo spillo).
In realtà, fra l’interneurone e il centro soprasegmentario è presente un neurone, il neurone
associativo soprasegmentario, che elabora le informazioni dell’interneurone, prima di
portarle al centro soprasegmentario. Gli assoni dei neuroni associativi soprasegmentari
vengono detti vie proiettive ascendenti (ovviamente sono di tipo sensitivo, poiché parliamo
di informazioni in ingresso); al contrario, tutti gli assoni che, dal centro, vanno verso l’ultimo
neurone effettore, costituiscono le vie proiettive discendenti (con funzione motrice,
effettrice).
Non sempre gli assoni ce la fanno ad arrivare alla corteccia, dal midollo spinale, o viceversa,
a causa della grande distanza; per questo, gli assoni si fermano ogni tanto a fare delle tappe,
dette nuclei propri, intercalati sulle vie proiettive. I nuclei propri hanno una valenza di centro
soprasegmentario, poiché se questo viene eliminato, vengono eliminati anche tutti i segmenti
a lui collegati.
Nel midollo spinale si trovano solo neuroni a significato segmentario, mentre nell’encefalo
troviamo sia neuroni a significato segmentario (nel tronco encefalico, che infatti rappresenta
la proiezione del midollo spinale) sia nuclei propri, ossia a significato soprasegmentario. Nel
cervelletto e nel cervello troviamo solo nuclei propri, che contengono dunque solo strutture
soprasegmentarie.
Di solito, i neuroni segmentari occupano una porzione più posteriore: questa parte viene
chiamata callotta (avremo, quindi, una callotta del bulbo, una del ponte e una del
mesencefalo). I neuroni dei nuclei propri vanno, invece, ad occupare la porzione ventrale del
tronco encefalico, che prende il nome di piede.
L’elaborazione degli stimoli da parte dei centri soprasegmentari, uniti ai neuroni segmentari,
viene detta arcoriflesso verticale, soprattutto di tipo inibitorio.
Il plesso cervicale
E’ formato dai rami ventrali dei nervi spinali C1-C5. Innerva i muscoli e la cute del COLLO
e della PORZIONE SUPERIORE DEL TORACE. Il nervo più grosso è il NERVO
FRENICO destinato al DIAFRAMMA.
Il plesso brachiale
Formato dai rami ventrali dei nervi spinali C5-T1. Innerva i muscoli e la cute del CINGOLO
SCAPOLARE e dell’ARTO SUPERIORE. I nervi più importanti sono il NERVO RADIALE
e il NERVO ULNARE.
I nervi intercostali
Formato dai rami ventrali dei nervi spinali T1-T11. Innerva i muscoli e la cute del TORACE
con distribuzione metamerica. I rami ventrali costituiscono i NERVI INTERCOSTALI.
Il plesso lombare
Formato dai rami ventrali dei nervi spinali T12-L4. Innerva i muscoli e la cute del CINGOLO
PELVICO e dell’ARTO INFERIORE anteriormente. Il ramo più importante è il NERVO
FEMORALE.
Il plesso sacro-coccigeo
Formato dai rami ventrali dei nervi spinali L4-S4. Innerva i muscoli e la cute del CINGOLO
PELVICO e dell’ARTO INFERIORE posteriormente. Il ramo più importante è il NERVO
SCIATICO (ISCHIATICO).
I nervi cranici
Sono 12 paia. Si classificano in base alla posizione che hanno nell’encefalo.
Il numero 1 è quello più craniale, ossia quello telencefalico.
Ma quali differenze hanno? I gangli sensitivi, nel midollo spinale, posseggono sia neuroni
somatosensitivi, che viscerosensitivi. Nei nervi cranici, questi gangli si separano: ciascuna
componente ha il suo ganglio. Inoltre, nei nervi cranici manca la componente ortosimpatica,
poiché i neurone effettori del sistema ortosimpatico stanno solo nei midollo spinale. Quindi,
quei nervi cranici che necessitano della componente orto, la prendono dalla parte cervicale
del midollo spinale.
Infine, mentre i nervi spinali sono tutti misti, i nervi cranici non è detto che lo siano: esistono
nervi cranici che hanno più componenti, ma anche nervi cranici che hanno una sola
componente.
Le dodici paia di nervi cranici sono:
O-Olfattivo (1), (SS), che raccoglie la sensibilità specifica dell’OLFATTO dalla mucosa
nasale;
O-Ottico (2), (SS), che raccoglie la sensibilità specifica della VISTA dalla retina;
O-Oculomotore (3), (SM), destinato ai MUSCOLI ESTRINSECI del globo oculare. Ma
anche (VE), destinato al MUSCOLO CILIARE per i riflessi di accomodazione del cristallino
e al MUSCOLO SFINTERE DELLA PUPILLA per i riflessi pupillari (MIOSI);
T-Trocleare (4), (SM), destinato al MUSCOLO OBLIQUO SUPERIORE del globo oculare.
T-Trigemino (5), (SM), destinato ai MUSCOLI MASTICATORI (NERVO
MANDIBOLARE). Ma anche SS (e VS), raccoglie la sensibilità proveniente dalla regione
oculare e dalle arcate dentarie superiori e inferiori (NERVI OFTALMICO, MANDIBOLARE
e MASCELLARE);
A-Abducente (6), (SM), destinato al MUSCOLO RETTO LATERALE del globo oculare.
F-Faciale (7), (SM), destinato ai MUSCOLI MIMICI. Ma anche (VE), destinato alla
GHIANDOLA LACRIMALE. Ma anche (VE), destinato alle GHIANDOLE
SOTTOMANDIBOLARE e SOTTOLINGUALE. Ma anche (SS), che raccoglie la sensibilità
specifica del GUSTO dai 2/3 anteriori della lingua;
A-Acustico (8), (SS), che raccoglie la sensibilità specifica dell’UDITO dall’organo del Corti
e dell’EQUILIBRIO dai canali semicircolari;
G-Glossofaringeo (9), (SM), destinato ai MUSCOLI FARINGEI (DEGLUTIZIONE). Ma
anche (VE), destinato alla GHIANDOLA PAROTIDE. Ma anche (SS), che raccoglie la
SENSIBILITA’ SPECIFICA del gusto dal terzo posteriore della lingua
V-Vago (10), (VE), destinato a tutti i visceri di torace e addome dei quali costituisce la
componente parasimpatica. Ma anche (SM), destinato ai muscoli faringei, laringei ed
esofagei. Ma anche (SS), che veicola la sensibilità proveniente dal padiglione auricolare. Ma
anche (VS), che veicola la sensibilità proveniente dai visceri.
A-Accessorio (11), (SM), destinato ai MUSCOLI STERNO-CLEIDOMASTOIDEO e
TRAPEZIO (riflessi cefalo-oculo-giri);
I-Ipoglosso (12), (SM), destinato ai MUSCOLI LINGUALI e IOIDEI.
Il tronco encefalico
E’ sede:
1. Di alcuni nuclei dei nervi encefalici
2. Delle vie proiettive ascendenti e discendenti
3. Di alcuni nuclei propri devoluti al controllo delle seguenti funzioni: riflessi viscerali,
automatismi respiratori, regolazione della temperatura corporea, regolazione della
circolazione sanguigna, regolazione dei meccanismi sonno/veglia.
Il tronco encefalico è connesso al cervelletto mediante 3 paia di peduncoli di sostanza bianca
(i peduncoli cerebellari superiori, medi e inferiori).
Le cavità che vi sono localizzate sono il IV ventricolo,
posto tra bulbo e ponte anteriormente e cervelletto
posteriormente, e l’acquedotto di Silvio o
mesencefalico posto nel mesencefalo.
Il bulbo
La porzione inferiore somiglia molto al midollo
spinale con un canale centrale che proseguendo
cranialmente si slarga nel 4° ventricolo. È’ collegato al cervelletto tramite i peduncoli
cerebellari inferiori.
Vi sono localizzati i seguenti nuclei:
1. Nuclei di origine di alcuni nervi encefalici (dall’8° al 12°)
2. Nuclei propri (NUCLEO GRACILE e CUNEATO) intercalati sulle vie proiettive
ascendenti della sensibilità esterocettiva e propriocettiva cosciente
3. Nuclei propri intercalati sulle vie extrapiramidali (NUCLEO OLIVARE)
4. Nuclei di controllo del battito cardiaco (CENTRO CARDIOVASCOLARE) e della
frequenza respiratoria (CENTRO FRENICO)
5. Nuclei di controllo delle attività viscerali riflesse (SOSTANZA RETICOLARE)
E’ percorso longitudinalmente dalle vie piramidali
che sporgono sulla superficie ventrale a formare le
piramidi sulla cui porzione mediana è visibile la
loro decussazione.
Il ponte
E’ la struttura che collega il bulbo e il midollo
spinale al resto dell’encefalo. Insieme al bulbo
forma il pavimento del 4° ventricolo. E’ collegato al cervelletto tramite i peduncoli cerebellari
medi.
Vi sono localizzati i seguenti nuclei:
1. Nuclei di origine di alcuni nervi encefalici (dal 5° al 8°)
2. Nuclei propri intercalati sulle vie proiettive propriocettive ascendenti destinate al
cervelletto
3. Nuclei propri che regolano i centri del ritmo respiratorio bulbare (CENTRO
APNEUSTICO e CENTRO PNEUMOTASSICO)
4. Nuclei di controllo delle attività viscerali riflesse (FORMAZIONE RETICOLARE).
E’ percorso longitudinalmente dalla VIA PIRAMIDALE e dalla VIA della SENSIBILITÀ
ESTEROCETTIVA E PROPRIOCETTIVA COSCIENTE.
Il cervelletto
E’ un centro di elaborazione dei movimenti automatici e svolge 2 funzioni fondamentali:
CONTROLLO DELLA POSTURA: coordina i movimenti rapidi e automatici effettuati dalla
muscolatura allo scopo di mantenere l’equilibrio. Le modificazioni del tono muscolare e della
posizione si attuano su nuclei SM del tronco encefalico.
PROGRAMMAZIONE E PERFEZIONAMENTO DEI MOVIMENTI: il cervelletto mette in
atto ogni aggiustamento necessario per rendere i movimenti fluidi confrontando impulsi
motori provenienti dalla corteccia cerebrale, dai nuclei propri del telencefalo (nuclei della
base) e dal tronco encefalico con le informazioni propriocettive.
Le formazioni grigie deputate a tali funzioni sono costituite dalla CORTECCIA
CEREBELLARE e dai NUCLEI CEREBELLARI.
La corteccia è fortemente convoluta e suddivisa in 3 lobi: ANTERIORE, POSTERIORE e
FLOCCULONODULARE.
Tale corteccia si presenta uniformemente costituita da 3 strati di cellule, dei quali quello
intermedio è costituito dalle cellule di Purkinje, che rappresentano la via efferente dal
cervelletto. Funzionalmente essa viene suddivisa in tre porzioni: l’archicerebellum, collegato
all’orecchio interno e adibito al controllo dell’equilibrio, il paleocerebellum, collegato alle
vie propriocettive che arrivano dal midollo spinale, e il neocerebellum, collegato alla
corteccia cerebrale per gli schemi motori acquisiti.
I NUCLEI CEREBELLARI sono immersi nella sostanza bianca cerebellare che si presenta
molto ramificata. In sezione essa ha l’aspetto di un albero e viene chiamata ALBERO
DELLA VITA.
Il mesencefalo
E’ la struttura che collega il tronco encefalico al cervello mediante i PEDUNCOLI
CEREBRALI ed è collegato al cervelletto tramite i PEDUNCOLI CEREBELLARI
SUPERIORI. E’ percorso dall’ACQUEDOTTO DI SILVIO.
La sostanza bianca è rappresentata dai PEDUNCOLI CEREBRALI costituiti da vie
proiettive motrici e sensitive.
La sostanza grigia, invece, è abbondante ed è rappresentata da:
1. Nuclei di origine di alcuni nervi encefalici (3° e 4°) localizzati intorno all’acquedotto
di Silvio.
2. TUBERCOLI SUPERIORI, nuclei propri intercalati sulle VIE OTTICHE.
3. TUBERCOLI INFERIORI, nuclei propri intercalati sulle VIE ACUSTICHE.
4. NUCLEI ROSSI, nuclei propri intercalati sulle vie extrapiramidali per il controllo
inconscio della posizione degli arti superiori e del tono muscolare. Influenza la posizione e il
tono muscolare degli arti superiori.
5. SOSTANZA NERA, ossia
nuclei propri che regolano
l’attività dei nuclei propri del
telencefalo (nuclei della base).
6. FORMAZIONE
RETICOLARE, cioè l’insieme
di nuclei propri che elabora
automaticamente informazioni
sensitive in ingresso e stimoli
motori in uscita; innesca alcune
risposte involontarie a
determinati stimoli; aiuta a mantenere lo stato di coscienza.
Il diencefalo
Gioca un ruolo importante nell’integrazione delle sensazioni consce ed inconsce con le
risposte motorie. E’ caratterizzato dal 3° ventricolo che comunica con i ventricoli laterali
mediante due fori (fori di Monro).
La sostanza grigia del diencefalo ha valenza soprasegmentaria ed è costituita da tre nuclei
propri: l’epitalamo, il talamo e l’ipotalamo.
L’epitalamo costituisce il tetto del 3° ventricolo; la sua porzione anteriore è munita di un
plesso corioideo, mentre quella posteriore contiene l’epifisi (melatonina).
Il talamo è una struttura pari, che forma le pareti laterali del 3° ventricolo. All’interno di
quest’ultimo è presente uno strato di materia grigia che connette i due talami, detta aderenza
intertalamica. Il talamo costituisce la via finale comune per tutti gli impulsi sensitivi destinati
alla corteccia sensitiva primaria. La sua funzione è quella di agire da filtro, lasciando passare
solo una piccola parte delle informazioni che gli giungono. Ciascun talamo consta di svariati
nuclei, ciascuno dei quali risulta connesso con aree cerebrali specifiche.
Infine, l’ipotalamo costituisce il pavimento del 3° ventricolo ed è connesso all’ipofisi
mediante uno stretto canale che prende il nome di infundibolo.
La sostanza grigia ipotalamica costituisce importanti centri di controllo e di integrazione
svolgendo le seguenti funzioni:
1. Controllo incosciente della contrazione muscolare scheletrica in relazione ad alcuni
stati d’animo (collera, piacere, dolore)
2. Controllo del battito cardiaco e della frequenza respiratoria agendo sui centri bulbari e
pontini
3. Coordinazione dell’attività del sistema nervoso e di quello endocrino mediante
rilascio di ormoni regolatori
4. Secrezione ormonale (ADH e ossitocina)
5. Produzione di emozioni e impulsi comportamentali (CENTRI DELLA FAME e
DELLA SETE)
6. Coordinazione tra funzioni volontarie e automatiche (per esempio le reazioni che si
estrinsecano in conseguenza di una situazione di stress)
7. Regolazione della temperatura corporea mediante vasocostrizione/vasodilatazione
8. Regolazione dei ritmi circadiani e quindi delle attività legate al ciclo giorno/notte
Ipofisi - Diencefalo
L’ipofisi è suddivisa in neuroipofisi e adenoipofisi.
La neuroipofisi secerne:
1. ORMONE ANTIDIURETICO (ADH) o VASOPRESSINA, che agisce sui dotti
collettori renali, dove stimola il riassorbimento di acqua;
2. OSSITOCINA, che stimola la contrazione uterina al momento del parto, interviene
nel piacere sessuale, aumentando il volume dello eiaculato
Il telencefalo
E’ la porzione più ampia dell’encefalo e gestisce la maggior parte delle informazioni sensitive
e dei comandi motori. Inoltre i pensieri coscienti e tutte le funzioni intellettive si originano
dagli emisferi cerebrali. E’ munito di due cavità, che prendono il nome di ventricoli laterali o
primo e secondo ventricolo.
La sostanza grigia è costituita da nuclei propri, che sono formati dalla corteccia cerebrale e
dai nuclei della base.
La corteccia cerebrale ricopre completamente gli emisferi cerebrali ed è fortemente
pieghettata, allo scopo di aumentarne la superficie. I due emisferi sono quasi completamente
separati dalla scissura interemisferica e rimangono uniti soltanto mediante una spessa
striscia di sostanza bianca, chiamata corpo calloso.
Ogni emisfero può essere suddiviso in lobi, che prendono il nome dall’osso sovrastante.
Ogni lobo contiene regioni funzionali connesse alle vie di senso o a quelle di moto. E’
importante ricordare 3 punti:
1) Ogni emisfero riceve vie sensitive dalla porzione del corpo controlaterale e invia comandi
motori alla porzione del corpo controlaterale.
2) I due emisferi hanno funzioni diverse.
3) Le aree corticali si sovrappongono e quindi non è possibile assegnare una funzione
specifica ad ogni area. Ogni individuo utilizza tutte le regioni corticali.
Le fibre che compongono la sostanza bianca, invece, vengono classificate in:
1. Fibre associative, connettono aree diverse della corteccia nell’ambito dello stesso
emisfero.
2. Fibre commissurali, consentono la comunicazione tra i due emisferi (per esempio il corpo
calloso).
3. Fibre proiettive, che collegano il telencefalo a tutte le altre porzioni encefaliche.
Infine, i nuclei della base alloggiano profondamente a ciascun emisfero e si trovano immersi
nella sostanza bianca del telencefalo. Sono coinvolti nel controllo inconscio del tono
muscolare e di schemi motori acquisiti. In condizioni normali non innescano vie motorie, ma
controllano il ritmo e lo schema generale di movimenti in atto. Le informazioni in ingresso
arrivano ai nuclei della base provenendo da aree sensitive, motorie e associative. Tali nuclei
elaborano le informazioni e le inviano al talamo che, a sua volta, le rimanda alla corteccia.
I nuclei alla base, per esempio, controllano i movimenti alterni di braccia e gambe, che si
innescano nel momento stesso in cui si decide di iniziare a camminare fino a che non
decidiamo di fermarci. Inoltre, al momento di attuare un movimento, i nuclei della base
controllano il tono muscolare allo scopo di aggiustare la posizione del corpo.
Per esempio: volendo agguantare una penna posta su un tavolo, avambraccio, polso e mano
vengono mossi volontariamente, mentre i nuclei della base, inconsciamente, muovono le
spalle e stabilizzano il braccio per lo stesso fine.
Questi nuclei vengono normalmente inibiti dalla sostanza nera. Se quest’ultima viene
danneggiata, infatti, i nuclei della base diventano molto più attivi e si ha un graduale e
generalizzato aumento dell’attività muscolare (morbo di Parkinson).