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ANATOMIA UMANA

INTRODUZIONE

L’anatomia studia la morfologia (la struttura macro e microscopica) del corpo umano e delle sue
parti e i rapporti reciproci fra le sue diverse parti.
Il termine “anatomia” deriva dal termine greco “anatomè” che significa dissezione, tecnica
d’indagine utilizzata per studiare il corpo umano.
Ogni precisa funzione è svolta da una precisa struttura, per questo l’anatomia (struttura) sta alla
base della fisiologia (funzione).

L’anatomia macroscopica studia la struttura e le relazione di parti estese del corpo


sufficientemente grandi da essere osservabili ad occhio nudo.
L’anatomia microscopica invece, studia le strutture che non sono visibili ad occhio nudo come la
citologia e l’istologia.

L’anatomia topografica o regionale studia la struttura ed i rapporti di tutte le


formazioni di una specifica regione del corpo suddividendo il corpo umano in
regioni e subregioni o zone che sono:

• Porzione assile: testa, (collo), tronco


• Porzione appendicolare: arti

La suddivisone topografica anteriore e posteriore risulta diversa.

L’anatomia sistematica è lo studio dei sistemi e degli apparati, le più


complesse unità organizzative del corpo umano.
I livelli organizzativi del corpo umano sono:

o Livello chimico: atomi e molecole


o Livello cellulare: organuli
o Livello tissutale: cellule ugualmente differenziate
o Livello di organo: insieme di tessuti
o Livello di sistema: insieme di organi che concorrono ad una specifica e complessa funzione
del corpo
o Livello di organismo: correlazione/integrazione funzione di tutti i sistemi del corpo umano

Le cellule sono le più piccole unità strutturali e funzionali capaci di vita autonoma.
Durante lo sviluppo embrionale poi le cellule si differenziano specializzandosi per lo svolgimento di
una specifica funzione andando così a formare il tessuto, livello organizzativo superiore della
cellula.
I tessuti (istologia) sono aggregati di cellule simili per struttura e funzione immerse in uno specifico
ambiente extracellulare (sostanza fondamentale).
I tessuti vengono classificati su base funzionale in:

1. Tessuto epiteliale: epitelio di rivestimento, epitelio ghiandolare, epitelio sensoriale


2. Tessuto connettivo: propriamente detto (lasso se le fibre creano una rete “aperta” o “lassa”,
denso se le fibre sono strettamente impacchettate), liquido (sangue contenuto nel sistema
circolatorio e linfa contenuta nel sistema linfatico), di sostegno (cartilagine solida, matrice,
elastica e osso solido, matrice, cristallino)
3. Tessuto muscolare: scheletrico (striato volontario), cardiaco (striato involontario), liscio
(involontario)
4. Tessuto nervoso

Ciascuno di essi comprende poi dei sottotipi specializzati.


Gli organi sono un insieme di tessuti diversi che globalmente adempiono ad una precisa funzione;
(fegato, stomaco, cuore…)
Distinguiamo in base alla loro organizzazione:

▪ Organi pieni (parenchimatosi): fegato, polmone


▪ Organi cavi: stomaco, intestino, utero, vescica urinaria

Di un organo si usa dare una definizione strutturale e funzionale e definire posizione spaziale e
rapporti con altri organi vicini, quindi se ne studia l’architettura, la struttura istologica e la funzione.

Un sistema o apparato è un insieme di organi anche diversi per struttura e per specifica funzione
che collaborano tutti insieme per la funzione unica e complessa dell’intero apparato.

È importante conoscere l’anatomia funzionale di tutti i sistemi del corpo umano poiché nessun
sistema funziona isolatamente e i diversi sistemi sono funzionalmente integrati.
Il buon funzionamento della macchina UOMO prevede l’azione coordinata di tutti gli organi che
compongono i diversi sistemi.

Nell’anatomia funzionale di ogni organo ed apparato vengono descritte le funzioni principali.


L’anatomia di superfice studia le forme esterne del corpo (punti di riferimento anatomici
superficiali) ed i loro rapporti con le strutture profonde…
L’anatomia (radiologica) per immagini studia le strutture anatomiche interne/profonde (le relazioni
tra le strutture interne) che possono essere visualizzate da specifiche procedure di scansione: raggi
X, TC, RM, ecografia… tutte tecniche di indagine (strumentale) anche dette tecniche di imaging
che preservano l’integrità anatomica utilizzate nel vivente finalizzate a fare diagnosi strumentale.
L’anatomia clinica/patologica si riferisce allo studio delle modificazioni anatomiche durante lo
sviluppo delle patologie.
POSIZIONE, PIANI E TERMINOLOGIA ANATOMICA

POSIZIONE ANATOMICA
La posizione anatomica è di riferimento universale…convenzionale.
Per evitare ambiguità tutte le descrizioni anatomiche sono riferite a questa posizione.
La posizione che si deve visualizzare/immaginare qualunque sia la posizione assunta
dal soggetto cui ci si riferisce è questa a dx del foglio.

L’individuo è posizionato in stazione eretta con gli occhi diretti anteriormente, gli arti
superiori situati ai lati del tronco con il palmo delle mani rivolti in avanti in posizione
supina, gli arti inferiori uniti e con i piedi diretti anteriormente.

In piedi o in ortostatismo per esempio lo sterno risulta anteriore,


ma se l’individuo è in posizione orizzontale sdraiato quindi in
decubito o clinostatismo lo sterno risulta superiormente nella
posizione supina e inferiormente nella posizione prona.

PIANI E ASSI SPAZIALI DI RIFERIMENTO ANATOMICI


Le descrizioni anatomiche si basano su 3 piani fondamentali (indicativi delle 3
coordinate spaziali) che attraversano un corpo situato in posizione anatomica e
questi sono:

→ Piano sagittale suddivide il corpo in destra e sinistra (mediano se il piano


attraversa centralmente il corpo, considerato anche il piano di simmetria)
→ Piano frontale/coronale suddivide il corpo in anteriore o ventrale o frontale
e posteriore o dorsale
→ Piano trasversale o assiale o trans-assiale suddivide il corpo in superiore o
cefalica o craniale e inferiore o caudale (orizzontale nella posizione
anatomica)

Gli assi anatomici principali in posizione anatomica sono:

➢Longitudinale: nella posizione anatomica è


verticale decorre cranio caudalmente ed è
perpendicolare alla base di appoggio
➢Trasversale: diretto da sx/dx o da dx/sx ed è
perpendicolare all'asse longitudinale.
➢Sagittale (o antero-posteriore): è diretto dalla
superficie anteriore alla superfice posteriore del
corpo.
È perpendicolare agli altri 2 assi.
I piani anatomici o di sezione definiscono
le sezioni anatomiche fornendo immagini,
prospettive diverse del corpo in funzione
del piano su cui si effettua la sezione.

Per capire la struttura tridimensionale, la


posizione e i rapporti di organi
interni/profondi si utilizzano sezioni eseguite
sui 3 piani anatomici.
Le immagini fornite appaiono diverse in
funzione del piano di sezione utilizzato.

Le immagini fornite appaiono diverse in funzione del piano di


sezione utilizzato e a parità di piano diverse in funzione del
livello in cui si esegue la sezione, risultano pertanto necessarie
sezioni ravvicinate o seriali (scansioni TC) e solo se sapremo a
quale livello e su quale piano di sezione sono state ottenute le
immagini riusciremo ad orientarci per capire forma, disposizione
e rapporti degli organi interni.

TERMINI DI POSIZIONE
I termini di posizione sono utili per definire posizione, orientamento e
apparati:

❖ Superiore e inferiore: posizione relativa rispetto alle estremità del


corpo → Piano trasversale
❖ Anteriore o ventrale e posteriore o dorsale: più vicino alla
superficie anteriore o al dorso → Piano frontale
❖ Mediale e laterale: più vicino o più lontano rispetto al piano
sagittale mediano → Diverso significato rispetto a esterno/interno
❖ Prossimale e distale: più vicino o più lontano al tronco o al punto
di origine

Tra i termini di lateralità troviamo:

Strutture pari (a destra e sinistra) → BILATERALI


Strutture impari: mediane; o a destra o a sinistra → UNILATERALI

− Omolaterale o ipsilaterale: parti situate dallo stesso lato del corpo


− Controlaterale o eterolaterale: parti situate su lati opposti del corpo
− Supino/prono: posizione del corpo che giace sul dorso/ventre
− Invaginazione/evaginazione: intro/estroflessione della parete di un organo cavo
ISTOLOGIA

L’istologia è una disciplina, fondamentale nell’ambito delle


scienze biomediche, che si occupa dello studio e della struttura
microscopica del materiale biologico e delle modalità con cui i
singoli componenti corporei sono correlati strutturalmente e
funzionalmente tra di loro.

Se definiamo come protoplasma tutto ciò che è dotato di forma


e dimensione, ecco come la materia vivente si organizza.

Le cellule dell’organismo umano sono


varie per forma, dimensioni e capacità
funzionali.

Per morfologia si intende lo studio della


forma e della struttura degli esseri viventi, delle loro componenti.

Tutti gli organismi cellulari derivano dalla divisione cellulare operata da un’unica cellula iniziale,
che è lo zigote, che si forma per fusione del gamete maschile con quello femminile.
Questa fusione avviene a livello delle tube uterine e poi da lì lo zigote migra nell’apparato genitale
femminile e durante questo trasferimento subisce delle modificazione fino a raggiungere l’utero,
dove poi si impianta.

Tutte le cellule dell’embrione derivano dalla stessa cellula staminale


totipotente che è per l’appunto lo zigote.
Dopo la fecondazione, lo zigote inizia una serie di duplicazioni
cellulari fino ad originare una struttura definita blastula in cui si ha una
cavità interna definita blastocisti e una masserella di cellule, suddivise
in 3 foglietti embrionali definiti: ectoderma, mesoderma ed
endoderma, che nei giorni successivi darà origine ad una serie di
strutture; lo strato più esterno o trofoblasto darà origine alla placenta,
mentre la massa cellulare interna formerà l’embrione.
Questi foglietti embrionali poi andranno incontro a diversi processi di
modificazione che li porteranno a generare i vari tessuti:

✓ L’ectoderma darà origine a cute e tessuti cutanei


✓ Il mesoderma genererà tessuto connettivo e muscolare
✓ L’endoderma formerà ghiandole ed epiteli

I foglietti poi possono collaborare per dare origine a diversi organi e tessuti.
La combinazione dei tessuti porta alla formazione di organi e sistemi mediante il processo di
morfogenesi.

Le cellule, che hanno lo stesso patrimonio genetico, vanno incontro a proliferazione e


differenziamento cellulare.
Per istogenesi si intende la formazione dei 4 istotipi: connettivo, epiteliale, nervoso, muscolare, a
partire dai 3 foglietti embrionali primitivi.

Oltre a condividere morfologia e funzione, le cellule appartenenti ad uno stesso tessuto


condividono la stessa derivazione embriologica.
Le cellule in fase di generazione dei tessuti e poi dell’intero organismo vanno incontro ad un
processo di trasformazione morfologica e quindi acquisiscono una specializzazione che le
caratterizza, dovuta alla modulazione dell’attività di alcuni geni che vengono stabilmente repressi
o attivati.
Il differenziamento avviene soprattutto durante lo sviluppo embrionale, ma anche nell’organismo
adulto ovvero cellule staminali e differenziate sono presenti anche nell’organismo adulto.
Una cellula staminale è in grado di dare 2 tipi di divisioni differenti:

1. Dividersi per generare altre cellule staminali, quindi


mantenere il pool di cellule staminali necessario nei processi
di rigenerazione e riparazione di eventuali danni
2. Dividersi per originare cellule progenitrici, ovvero che sono
già indirizzate verso uno specifico fenotipo differenziato

Nell’adulto è presente un pool particolare di cellule staminali


multipotenti definite mesenchimali, che sono responsabili di tutti i
processi di ripristino.

Per mantenere lo stato di omeostasi attraverso il processo di equilibrio delle cellule che proliferano
e originano i diversi tessuti, possibile perché proliferazione e differenziamento delle cellule sono i
processi che caratterizzano sia le fasi di sviluppo embrionale sia le fasi di completa maturazione
funzionale dell’adulto.
Una popolazione di cellule nell’embrione e nell’adulto è caratterizzata da:

→ Proliferazione cellulare
→ Differenziamento
→ Invecchiamento (senescenza)
→ Morte cellulare

L’apoptosi o morte programmata è un processo controllato che determina la morte programmata


di una cellula a un certo punto del suo ciclo vitale.
La necrosi è invece un processo patologico caratterizzato da un complesso di alterazioni strutturali
irreversibili che si innesca in seguito a stress di varia natura (meccanici, …) → Infiammazione

TESSUTI
I componenti principali di un tessuto sono le cellule e la matrice
extracellulare.
Le cellule che troviamo all’interno dei tessuti hanno stessa:
forma, funzione e origine embrionale.
Il tessuto quindi è un’organizzazione morfo-funzionale di cellule
e matrice.

La combinazione di più tessuti definisce organizzazioni morfo-


funzionali più complesse che sono gli organi.

La matrice extracellulare è costituita da:

❖ Aggregati di macromolecole secrete localmente da popolazioni


cellulari specifiche che caratterizzano lo specifico tessuto ed è costituita
da: proteoglicani e fibre (fibronectina, laminina, elastina, collagene).
❖ Organizzazione tridimensionale
❖ Garantisce e supporta i rapporti meccanici e trofici tra le cellule
❖ Composizione e predominanza diversa nei diversi tessuti (es. max
connettivo)

Una particolare forma di ECM (matrice extracellulare) è la membrana basale,


una struttura laminare che aderisce alla superficie cellulare in vari tipi di tessuto.

Nei tessuti epiteliali la componente cellulare è largamente presente, essendo la


ECM costituita dalla membrana basale.
Le cellule, funzionalmente polarizzate, formano dispositivi giunzionali e si
organizzano in lamine mono- o pluristratificate, il cui trofismo è mediato dal
connettivo vascolarizzato.
Nel tessuto connettivo le cellule specializzate non tendono a formare
aggregati stabili tramite dispositivi giunzionali, elaborano grandi
quantità di ECM nella quale la componente fibrillare assicura resistenza
meccanica, mentre la sostanza fondamentale assicura la diffusione di
metaboliti e gas respiratori.

Nei tessuti muscolari, il sistema


citoscheletrico si organizza per
costruire dispositivi contrattili, nei quali
la proteina motrice rappresentata
dalla miosina fa scorrere in una
direzione specifici filamenti di actina.

Il tessuto nervoso è caratterizzato da cellule eccitabili in grado di


trasmettere un impulso.

Tutti questi tessuti, al loro interno, presenteranno cellule specifiche, tipi


cellulari adibiti alla produzione della ECM e con delle caratteristiche
morfologiche e funzionali ben specifiche.

L’organismo, per mantenere l’omeostasi non può permettersi di avere


sistemi e apparati che agiscono individualmente, ma, in condizioni fisiologiche, devono essere
funzionalmente correlati ed integrati.
Inoltre sono regolati dal sistema nervoso e dal sistema endocrino.
Questo processo di integrazione e coordinamento si può poi traslare a tutti i livelli.

TESSUTO EPITELIALE
Gli epiteli sono caratterizzati da cellule disposte in lamine e sono adibite a: protezione, trasporto,
secrezione e assorbimento.
Le principali funzioni dei tessuti epiteliali sono:

• Protezione fisica
• Produzione di secrezioni specializzate
• Scambio e trasporto di sostanze tra ambiente e tessuti
• Captazione di stimoli di varia natura

o Protezione: i tessuti sottostanti da sollecitazioni meccaniche, fisiche o chimiche,


dall’invasione microbica, dalla disidratazione (epidermide della cute; epitelio della cavità
buccale…)
o Regolano la permeabilità: lo scambio di sostanze fra ambiente e tessuti
o Formano ghiandole: specializzate nella secrezione (produzione e rilascio) di specifiche
sostanze = Epiteli Ghiandolari
o Permettono la ricezione di stimoli: epiteli sensoriali
o Sede di processi di: secrezione, escrezione, assorbimento

La secrezione consiste nella produzione e rilascio di sostanze quali: muco, sudore, enzimi.
L'escrezione consiste nel rilascio di sostanze di scarto.
L’assorbimento consiste nell’assunzione di liquidi o solidi → Prodotti digestione

Le principali caratteristiche dei tessuti epiteliali sono:

▪ Cellularità: molte cellule con ECM ridottissima, ad una lamina, che aderiscono strettamente
alla superficie
▪ Polarità
▪ Connessione
▪ Avascolarità: il nutrimento che arriva per via ematica è assicurata agli epiteli grazie al
connettivo sottostante
▪ Innervazione
▪ Elevata capacità rigenerativa

Tutti gli epiteli si originano come epiteli semplici (unica fila di


cellule) che poi possono diventare pluristratificati, assumere
conformazioni particolari a seconda della funzione che devono
svolgere, oppure dare origine a epiteli ghiandolari mediante un
processo di invaginazione dell’epitelio nel connettivo sottostante.
La ghiandola poi può avere 2 differenti destini: se mantiene il
canale, definito dotto, che la mette in comunicazione con
l’epitelio che l’ha originata, abbiamo una ghiandola esocrina in
grado di produrre un secreto secernente che viene liberato
all’esterno tramite il dotto; se invece il dotto viene perso, l’epitelio
ghiandolare si trova immerso nel connettivo e si parla di
ghiandola endocrina che riversa il suo secreto all’interno di un
sistema vascolare che assicura che il secreto ormonale entri nel
torrente circolatorio e raggiunga la sua cellula bersaglio.

Le cellule epiteliali sono cellule funzionalmente polarizzate con la


porzione basale strettamente adesa alla lamina basale e la porzione
apicale libera.
La lamina basale è la ECM che si è ridotta al minimo e funge da
punto di ancoraggio delle cellule, mentre la superfice libera, a
seconda dell’organo e della funzione svolta dall’epitelio, può
presentare specializzazioni: ciglia, stereociglia e microvilli.
La polarizzazione è presente anche della distribuzione a livello degli
organelli intracellulari.

Nel caso degli epiteli la ECM è ridotta al minimo e prende il


nome di membrana basale.
La membrana basale è costituita da una lamina basale
elaborata dalle cellule epiteliali e da una lamina reticolare
elaborata dalle cellule del connettivo sottostante.
Possiamo quindi notare che sia un intreccio di macromolecole
(fibre e glicoproteine) che fornisce supporto alle cellule
epiteliali.

Un’altra importante caratteristica è la presenza di specializzazioni sulla superficie apicale


rappresentate da:

I. Ciglia: strutture mobili che esercitano un movimento a frusta (favoriscono lo spostamento →


Vie genitali femminili, vie aeree…) [diametro: 0,2 mm e lunghezza: 5-10 mm]
II. Microvilli: estroflessioni digitiformi del citoplasma ricoperti da membrana plasmatica del
polo apicale delle cellule (aumentano l’area della superficie di scambio → Intestino, tubuli
renali…) [diametro: 50-100 mm e lunghezza: 1-2 mm]
III. Stereociglia: lunghi microvilli rigidi (epididimo con ruolo di secrezione/assorbimento, organo
di corti con ruolo sensoriale...) [diametro: 50-100 mm e lunghezza: fino a 30 mm]

Per poter costituire delle lamine di rivestimento, le cellule devono avere dei sistemi di giunzione
intercellulare che possono essere:

➢ Giunzioni strette o occludenti: presenti verso la parte apicale e impediscono il passaggio di


sostanze non controllate
➢ Giunzioni comunicanti: presenti nella porzione basale e caratterizzati da canali che
permettono il passaggio da una cellula all’altra
➢ Desmosomi: sono giunzioni ancoranti che svolgono una funzione meccanica attutendo e
gestendo gli eventi meccanici di tensione o stress a carico degli epiteli

In base ai criteri funzionali il tessuto epiteliale è possibile suddividerlo in:

− Epiteli di rivestimento
− Epiteli ghiandolari
− Epiteli sensoriali

In base al numero di strati di cellule:

− Monostratificati
− Pluristratificati

In base alla forma cellulare:

− Pavimentoso
− Isoprasmatico
− Batiprasmatico

Epiteli di rivestimento
Gli epiteli di rivestimento sono formati da cellule strettamente unite tra loro
organizzate in lamine.
Poggiano su una lamina basale che li separa dal sottostante tessuto connettivo
riccamente vascolarizzato.
Il tessuto connettivo ha fra i suoi compiti quello di nutrire le cellule epiteliali.
Gli epiteli, al contrario dei tessuti connettivi, non sono vascolarizzati.

Gli epiteli di rivestimento si organizzano in foglietti o lamine adatte a rivestire:

→ Superficie esterna del corpo: epidermide-cute e membrana


cutanea
→ Cavità interne del corpo comunicanti con l’esterno: epiteli delle
membrane/tonache mucose, degli organi cavi come i polmoni e
lo stomaco
→ Cavità interne del corpo non comunicanti con l’esterno: epitelio
delle membrane sierose come il mesotelio

In base agli strati, gli epiteli di rivestimento possono essere classificati in:

Semplice: sottile e delicato.


Si trova solo in regioni protette, è ideale per il trasporto/diffusione di gas/fluidi e diversi tipi di
sostanze, possono essere levigati per ridurre l’attrito (e per fornire una superficie liscia e
viscida)
Pseudostratificato: caratterizzato da un tipo di epitelio nel
quale le cellule aderiscono tutte alla membrana basale,
ma hanno una disposizione che ricorda vagamente degli
strati
Stratificato: robusto(si trova dove le sollecitazioni
meccaniche sono severe).
Svolge una funzione protettiva (danno allo strato
superficiale non si arriva subito a quelli profondi).
Gli strati superficiali vengono eliminati con
l’accrescimento degli strati profondi.
Inoltre resistono alle abrasioni.
In base alla morfologia delle cellule invece:

Pavimentoso
Cubico
Cilindrico

Epitelio di transizione
L’epitelio di transizione è un epitelio plastico
stratificato che riveste le pareti delle vie urinarie.
Il nome di “transizione” deriva dalla capacità di
questo tessuto di cambiare il numero di strati
cellulari e la sua forma da cubico a squamoso in
quanto notevolmente deformabile, soprattutto a
livello della vescica, quando sottoposto a distensione.
Svolge funzioni di distensione e protezione oltre che ad
aumentare la capacità contenitiva dell’organo che
riveste.

Epiteli ghiandolari
Gli epiteli ghiandolari sono cellule singole o veri e propri organi specializzati nella produzione e
secrezione di sostanze che svolgono una varietà di funzioni biologiche nell’organismo.
Gli epiteli ghiandolari sono costituiti da cellule secernenti derivate da lamine epiteliali.

Le ghiandole si formano in seguito ad una proliferazione di cellule epiteliali che si


approfondano nel tessuto connettivo sottostante a formare strutture cellulari con
funzione secernente.

Se la ghiandola conserva un qualsiasi rapporto


con la superficie libera mediante un dotto
escretore, riversando quindi il prodotto di secrezione sulla
superficie dell’epitelio di origine, abbiamo una ghiandola
esocrina.
Se, invece, il dotto scompare e il secreto viene immesso nel
circolo sanguigno abbiamo una ghiandola endocrina (il
prodotto di queste ghiandole viene detto genericamente
ormone).

La secrezione ghiandolare può essere di tipo continuo o discontinuo (ritmica, espulso in seguito a
stimoli ormonali, nervosi o chimici).
Gli elementi prevalenti negli organi ghiandolari sono le cellule endoteliali.

Ghiandole esocrine
Le ghiandole esocrine possono essere classificate in base a:

o Numero di cellule: monocellulari, pluricellulari


o Sede: intramurali, extramurali
o Forma dell’adenomero
o Modalità di eliminazione del secreto
o Tipo di secreto

Le ghiandole unicellulari sono singole cellule secernenti nell’ambito di un tessuto epiteliale (cellule
caliciformi mucipare).
Le ghiandole pluricellulari sono veri e propri organi costituiti da parenchima (epiteliale) e stroma
(connettivale).
Le cellule secernenti si organizzano in gruppi, attorno ad un lume centrale ed in
continuità con il dotto escretore.
L’adenomero è l’unità secernente e può avere diverse strutture: tubulare, acinoso
e alveolare.

Le ghiandole esocrine possono essere semplici o ramificate, quindi possedere una o più unità
secernenti connesse alla superficie dell’epitelio o direttamente o per mezzo di un unico dotto non
ramificato.
Oppure composte, quando il dotto escretore principale si ramifica in condotti di calibro
progressivamente decrescente che terminano con l’adenomero/i (unità secernente/i).

Le modalità di secrezione possono essere varie:

a) Secrezione merocrina: se il secreto viene riversato nel


dotto senza danneggiare la cellula secernente, che
rimane integra
b) Secrezione apocrina: se viene staccata la porzione
apicale delle cellule e rilasciata nel secreto
c) Secrezione olocrina: quando c’è la disgregazione
totale della cellula che viene poi rimpiazzata

Ghiandole endocrine
Le ghiandole endocrine non possiedono dotti escretori, non hanno
generalmente una organizzazione cellulare polarizzata e
riversano le loro secrezioni nel circolo sanguigno.
Le ghiandole endocrine possono essere singole cellule o vere e
proprie ghiandole che possono assumere una diversa
conformazione:

✓ Cordoni
✓ Follicoli
✓ Isolotti o nidi
✓ Interstiziali

L’epitelio ghiandolare endocrino è un epitelio secernente che da un punto di vista morfologico


non è in contatto con una superficie libera e da un punto di vista funzionale riversa il
secreto/molecola chimica/messaggero (ormone) nel circolo sanguigno regolando l'attività
metabolica di numerosi organi (organi bersaglio) localizzati anche a notevole distanza dalla
ghiandola produttrice.

Esistono anche sistemi ghiandolari diffusi che sono cellule isolate in grado di produrre ormoni e che
si possono trovare nella compagine di diversi organi (anche se sono particolarmente abbondanti
nel sistema digerente).
Tali elementi sono solitamente identificati con il termine di cellule neuroendocrine a rimarcare la
loro origine nervosa (cresta neuronale) e la loro capacità di secernere sostanze ad azione
ormonale identiche ai neurotrasmettitori del SN (sistema neuroendocrino diffuso).
Un messaggero chimico è una molecola che controlla l’attività delle altre cellule in diversi modi:

❖ Secrezione autocrina: il messaggero chimico può essere rilasciato da una cellula e


regolare l’attività della cellula stessa
❖ Secrezione paracrina: il messaggero chimico può
agire su cellule vicine alla cellula produttrice
❖ Secrezione endocrina: il messaggero chimico entra
a livello del torrente circolatorio per raggiungere le
cellule bersaglio situate anche molto distanti rispetto
alla cellula che lo ha generato
❖ Neurosecrezione: il messaggero chimico liberato
dalla cellula nervosa agisce sulla cellula bersaglio

Epiteli sensoriali
Sono definiti sensoriali alcuni epiteli altamente
specializzati per la ricezione degli stimoli sensoriali.
Alcuni di essi sono costituiti da cellule epiteliali, le cellule
sensoriali secondarie, attorno alle quali si trovano i
prolungamenti delle cellule nervose che provvedono
alla trasmissione degli impulsi (e.g. cellule gustative,
acustiche, vestibolari)
Altri epiteli sensoriali, i neuroepiteli, sono formati da
cellule sensoriali primarie; queste cellule (e.g. i neuroni
olfattivi o i coni e bastoncelli della retina) rappresentano
veri e propri neuroni modificati provvisti di assone.

TESSUTO CONNETTIVO PROPRIAMENTE DETTO


Nel tessuto connettivo la componente cellulare non tende a
formare aggregati stabili mediante giunzioni intercellulari.
La ECM è prodotta in gran quantità in cui la parte fibrillare dà
resistenza meccanica al tessuto, mentre la sostanza
fondamentale assicura gli scambi di O2 e di cataboliti/metaboliti.

Una concentrazione più elevata di alcuni componenti cellulari o


della matrice extracellulare può fornire caratteristiche funzionali
accessorie ai tessuti connettivi.
Nelle forme non specializzate l’elemento che elabora la ECM e
presiede alla distribuzione spaziale della componente fibrillare è il
fibroblasto.

La composizione e l’organizzazione dei tessuti connettivi può poi assumere forme altamente
specializzate (connettivi specializzati) per svolgere funzioni meccaniche: gli elementi cellulari
elaborano una ECM resistente alla compressione (condroblasti-cartilagine), alla flessione-torsione
(osteoblasti-ossa).

Il tessuto connettivo è un tessuto diversificato, abbondante e


ampiamente distribuito, mai a contatto con superfici esterne o
interne (epiteli), è ricco di vasi e nervi (eccezioni: cartilagine,
tendini) e possiede una capacità di crescita e rigenerazione, ma
minore rispetto agli epiteli.

Nonostante i compiti più evidenti del tessuto connettivo siano


quelli di supporto, contenimento, resistenza… esso svolge importanti funzioni trofiche e di controllo
nei confronti degli altri 3 tipi di tessuto la cui organizzazione morfo-funzionale dipende strettamente
dal tessuto connettivo.
Di particolare rilevanza è il ruolo della ECM nel definire la “nicchia” delle cellule staminali.
La composizione e la struttura del “microambiente” è in grado di condizionare la biologia delle
cellule staminali residenti mediante il rilascio di specifiche molecole dalla ECM e/o di fattori solubili
(citochine).

I tessuti connettivi propriamente detti si suddividono in:

• Lasso: le fibre creano una rete “aperta” o “lassa”


• Denso: le fibre sono strettamente impacchettate

I tessuti connettivi liquidi hanno un ruolo trofico e sono categorizzati in:

• Sangue
• Linfa

I tessuti connettivi di sostegno possono essere distinti in:

• Cartilagine: solida, matrice elastica


• Osso: solido, matrice cristallina

I tessuti connettivi sono di origine mesenchimale.


Il mesenchima può essere considerato il tessuto connettivo
embrionale, un tipo di tessuto dall’apparenza e consistenza
piuttosto gelatinosa che si infiltra negli spazi primitivi durante le
fasi dello sviluppo embrionale andando ad occupare e
penetrando negli organi stessi per dare loro sostegno.
Si origina per migrazione delle cellule mesenchimali, che
derivano principalmente dal mesoderma e possiedono
un’elevata capacità proliferativa e differenziativa.

Il tessuto connettivo è composto da poche cellule specializzate immerse in una


abbondante sostanza intercellulare detta matrice extracellulare a sua volta
costituita da:

→ una componente nota come sostanza fondamentale o amorfa


→ una componente fibrosa (fibre proteiche)

La funzione principale di questo genere di tessuti è quello di conferire supporto strutturale e


metabolico (trofo-meccanica):

➢ Strutturale di sostegno/protezione (ossa, cartilagini)


➢ Difesa dell’organismo (leucociti)
➢ Nutritizia (supporto metabolico)
➢ Trasporto (sangue O2/CO2, metaboliti/cataboliti, ormoni)
➢ Conserva/accumula riserve energetiche (tessuto adiposo)

I tessuti connettivi hanno delle cellule autoctone dette anche cellule fisse con il compito di
stazionare permanentemente a livello del connettivo:

− Sintetizzano e mantengono la matrice extracellulare


− Fibroblasti (fibrociti); osteoblasti, osteociti; condroblasti, condrociti, adipoblasti, adipociti,
melanociti
− Macrofagi fissi
− Cellule staminali mesenchimali: si fanno carico dei processi rigenerativi

Il suffisso -blasto sta ad indicare una cellula metabolicamente attiva, in grado di proliferare.
Il suffisso -cito indica tipi cellulari che non sono più in attiva proliferazione, ma nonostante questo
sono comunque attive, dando un supporto strutturale.
Nel tessuto connettivo sono presenti sia cellule fisse sia cellule
migranti deputate alla difesa del tessuto stesso.

Cellule migranti → Leucociti

• Migrano dal sangue/linfa verso il connettivo e hanno


funzioni difensive e immunitarie
• Granulociti, linfociti, (tutti i tipi di globuli bianchi), neutrofili
e macrofagi

Le caratteristiche fisiche della ECM regolano il destino


differenziativo delle cellule staminali mesenchimali
condizionando l’assemblaggio e acquisizione di specifiche
organizzazioni citoscheletriche e di specifici citotipi.
A questo differenziamento fenotipico segue poi un
differenziamento funzionale mediato da specifiche molecole
e attivazione di pathways intracellulari.

Matrice extracellulare
La matrice extracellulare ha 2 componenti:

1. Sostanza fondamentale: sostanza amorfa, non visibile al microscopio composta da: GAG,
proteoglicani, H2O e sali, glicoproteine
2. Componente fibrosa: costituita da fibre proteiche (collagene, reticolari, elastiche)

Sostanza fondamentale
La sostanza fondamentale si presenta come una sostanza dalla composizione gelatinosa, viscosa,
incolore, piuttosto omogenea e corrisponde alla parte inorganica in cui si trovano immerse le
componenti fibrillari della matrice e le cellule.

I componenti principali che la costituiscono sono i GAG o


glicosamminoglicani, lunghe catene polisaccaridiche lineari
formate da unità disaccaridiche che si uniscono per formare
molecole più grandi con un core proteico che prendono il
nome di proteoglicani, i quali si possono aggregare tra loro
dando origine a degli aggrecani le cui subunità sono
mantenute unite mediante proteine di collegamento.
I proteoglicani poi interagiscono formando dei veri e propri reticoli
gelatinosi e idrofili nelle cui maglie restano intrappolate delle molecole di
H2O che viene ripartita in tutta la componente amorfa.
Questa struttura amorfa e fortemente idratata favorisce gli scambi.
Troviamo poi delle glicoproteine quali: fibronectina, fibrina, condronectina
e laminina.

L’acido ialuronico è il GAG che compare più precocemente nello sviluppo embrionale ed è anche
quello che viene prodotto per primo in seguito a lesione dei distretti connettivali.

Componente fibrosa
Le principali fibre del tessuto connettivo sono 3: collagene, reticolari ed elastiche.
Collagene e reticolari sono costituiti da collagene, mentre quelle elastiche sono costitute da
elastina.

Le fibre collagene sono lunghe fibre lineari costituite di collagene, molto robuste, flessibili e
resistenti alla trazione, perciò sono poco estensibili.
Esistono 28 tipi diversi di collagene composti da almeno 46 distinte catene polipeptidiche (inoltre
molte altre proteine contengono domini a struttura collagenica).
Le fibre di collagene hanno come unità di base la molecola di
tropocollagene.
3 catene di tropocollagene si legano tra loro ad
intervalli regolari per formare, in modalità sfalsata,
dapprima delle fibrille che unite generano le fibre.
Le molecole di tropocollagene si sovrappongono
parzialmente a quelle che le affiancano (sono
sfalsate di circa ¼ della loro lunghezza)
generando così delle bande visibili.

Anomalie del collagene possono portare anche alla comparsa di una rara
malattia autosomica dominante conosciuta con il nome di sindrome di Ehlers-
Danlos caratterizzata da:

o Bassa statura
o Cute particolarmente estensibile
o Impermeabilità articolare
o Difficoltà di guarigione delle ferite

Le fibre reticolari sono sottili fibre costituite di collagene di tipo III che si
ramificano (non lineari) formando una struttura a rete tridimensionale
con caratteristiche striature con funzione di sostegno (es. stroma di
organi pieni).
Danno sostegno meccanico e trofico al parenchima.
Si intrecciano senza anastomizzarsi.

Le fibre elastiche sono costituite di elastina e sono molto estensibili (nella


cartilagine elastica, polmoni, parete dei vasi e delle arterie).
Al cessare della trazione la fibra riprende le dimensioni originarie con una
deformazione pressoché trascurabile.

Mesenchima
Il mesenchima ovvero il tessuto connettivo embrionale si forma per migrazione e
aggregazione delle cellule staminali mesenchimali derivanti dal mesoderma e in
misura minore da ectoderma e endoderma.

Tessuto denso regolare


Il tessuto denso regolare è presente nei legamenti, tendini, cornea con una organizzazione
tridimensionale molto ordinata.
Nei legamenti e nei tendini in particolare aggregati
di fibroblasti si trovano allineati lungo il decorso dei
fasci di fibre collagene strettamente aggregate e
parallele tra loro.
I fasci sono orientati nella stessa direzione dell’asse
muscolo-inserzione tendinea nell’osso…

Tessuto denso irregolare


Il tessuto denso irregolare ha una densità
peculiare dovuta alla componente fibrosa
rispetto alla componente amorfa dell’ECM,
anche se non si evidenzia un orientamento
chiaro delle fibre collagene ed elastiche, nel
derma e nella tonaca mucosa/sottomucosa
ci sono degli orientamenti dei fasci delle fibre posti in modo da opporsi alle forze prevalenti in
quella zona anatomica.

Tessuto lasso o areolare


Il tessuto lasso o areolare è molto diffuso e associato al tessuto nervoso, muscolare, mesenteri e
grossi vasi.
Nei visceri contribuisce alla formazione delle
pareti costituendo la lamina propria associata alla
tonaca mucosa.
È organizzato in modo da lasciare il massimo
spazio possibile alla formazione della rete di
capillari ed è ricco di matrice amorfa, scarso di
fibroblasti e riccamente vascolarizzato.

Tessuto reticolare
Il tessuto connettivo reticolare si presenta con una struttura tridimensionale costante.
Una rete di maglie in cui si trovano cellule non di origine fibroblastica che forma lo stroma
(componente di sostegno…o vedrete in seguito)
del tessuto linfoide (milza e linfonodi), del midollo
osseo emopoietico e del fegato.
Ha un’organizzazione a rete che favorisce il
rapporto tra le cellule e la rete vascolare che si
sviluppa entro di essa.

Tessuto adiposo
Il tessuto adiposo è costituito da connettivo fibrillare lasso in cui sono disperse cellule adipose
singole o in cluster, se molto numerose si organizzano in lobuli.
Ha un ruolo di riserva energetica con funzioni trofiche:

▪ 50% tessuto adiposo di copertura del


pannicolo sottocutaneo
▪ 45% variamente dislocato nella cavità
addominale dove forma il tessuto adiposo
interno
▪ 5% grasso di infiltrazione del tessuto
muscolare dove agevola le funzioni biomeccaniche del muscolo

Inoltre ha un ruolo di sostegno e deposito.

Il tessuto adiposo nell’uomo è unilocurare cioè esiste un unico vacuolo o


goccia ricca di lipidi, mentre nei mammiferi ibernanti la cellula adiposa è
multiloculare e i vacuoli lipidici sono molteplici e dispersi all’interno della
cellula.

Tessuto elastico
Il tessuto connettivo elastico è localizzato prevalentemente nella parete dei grossi vasi ha una
organizzazione tridimensionale abbastanza regolare con fasci ondulati di fibre elastiche parallele
tra loro.
Tra le fibre sono distribuite cellule muscolari lisce e
fibroblasti (entrambi in grado di sintetizzare
tropoelastina, fibrillina1 e 2 e MAGP).
Presenta una rete capillare molto ridotta e l’intera
organizzazione è orientata ad essere «elastica»
ovvero a restituire le dimensioni iniziali del tessuto
sottoposto a forze dilatative.
MEMBRANE DEL CORPO
Le membrane del corpo sono tutte costituite da epitelio e connettivo.
Fanno parte di queste membrane le seguenti:

a) Mucose: ricoprono (delimitano) le cavità degli organi comunicanti in


modo diretto o indiretto con l’esterno (tonaca mucosa degli organi
cavi).
Sono una barriera contro i patogeni e possiedono una superficie
lubrificata da secrezioni mucose.
b) Sierose: sottili lamine che rivestono (delimitano), con i loro foglietti
viscerale e parietale, le cavità chiuse del corpo (pericardica,
pleurica, peritoneale) ossia le cavità non comunicanti con l’esterno.
I foglietti delimitano una cavità in cui si trova del liquido sieroso ad
azione lubrificante.
L’epitelio è detto mesotelio sostenuto da connettivo areolare lasso
ricco di vasi.
c) Cutanea: riveste la superficie esterna del corpo.
Epitelio stratificato cheratinizzato che a differenza delle altre
membrane è relativamente spesso e impermeabile, asciutto in
superficie.
Ha un ruolo sensoriale.

TESSUTO CONNETTIVO DI SOSTEGNO


Il tessuto connettivo di sostegno è costituito da:

✓ Tessuto osseo: mineralizzato, rigido/duro e vascolarizzato


✓ Cartilagine: leggera e flessibile, avascolare

Trattandosi comunque di tessuti connettivi hanno dei componenti in comune ad essi che sono:

Cellule specializzate: fisse, migranti, fibre proteiche (fibre: collage, reticolari, elastiche)
Matrice extracellulare: sostanza fondamentale (GAG, proteoglicani, acido ialuronico…)

Tessuto osseo
Il tessuto osseo è una forma specializzata di connettivo caratterizzata dalla
mineralizzazione della matrice extracellulare che conferisce al tessuto una
notevole rigidità e durezza.
L’osso è al contempo resistente e flessibile.
Non è un tessuto statico, è un tessuto dinamico: soggetto a rimodellamento e
rinnovamento per l’intera durata della vita.

Funzioni dell’osso:

❖ Sostegno: fornisce sostegno rigido e strutturale a tutto il corpo


❖ Protezione: le strutture scheletriche circondano e proteggono tessuti e organi delicati
❖ Movimento: le ossa lavorano in sintonia con i muscoli per sostenere/mantenere, la posizione
del corpo (postura) e per permettere movimenti precisi e controllati.
Fungono da leve rigide su cui i muscoli scheletrici si inseriscono per muoverle (organi
passivi).
❖ Emopoiesi: formazione di cellule ematiche come il tessuto emopoietico adulto → Midollo
osseo rosso
❖ Deposito e riserva di minerali: la matrice calcificata dell’osso rappresenta una riserva di sali
minerali (99% Ca e P) → Continuo interscambio sangue/ossa, omeostasi della
concentrazione del Ca, (paratormone/calcitonina)
Il Ca è fondamentale in: contrazione muscolare, trasmissione dell’impulso e attivazione
della cascata coagulativa.
Il tessuto osseo è costituito da cellule ed ECM.
La parte organica della ECM è definita osteoide ed è costituita
da una componente fibrosa formata da fibre collagene di tipo I
e una componente amorfa formata da GAG e glicoproteine.
La presenza di fibre collagene inestensibili, rendono il tessuto
osseo resistente alla trazione e alla pressione.
La parte inorganica della ECM è definita minerale ed è
costituita dal deposito di sali minerali (fosfato di Ca e Mg).
I sali di Ca conferiscono rigidità e durezza all’osso.
Nella ECM si inserisce la componente cellulare composta da:

• Cellule osteoprogenitrici: staminali di origine mesenchimale (periostio, endostio) si dividono


per differenziarsi in osteoblasti, attive durante l’accrescimento dell’osso, durante il continuo
rinnovamento osseo (adulti) o riparazione di osso (fratture)
• Osteoblasti: cellule attive, sintetizzano parte organica della
matrice (osteoide) e attivano la mineralizzazione
• Osteociti: cellule mature, quiescenti, rimaste imprigionate nelle
lacune dopo la mineralizzazione dell’osso e conservano la
matrice extracellulare dell’osso
• Osteoclasti: origine ematopoietica sono ampie cellule
multinucleate (derivano dai monociti) responsabili del
riassorbimento massivo della matrice ossea mineralizzata e
dunque coinvolti nei processi di rinnovamento e rimodellamento
dell’osso.
Funzione possibile grazie alla presenza di un orletto a spazzola
attraverso il quale liberano sostanze lisosomiali.

Se si distrugge la componente inorganica della matrice l’osso perde la sua durezza e rigidità,
diventando flessibile, ma conservando la resistenza alla trazione.
Se si distrugge la componente organica della matrice l’osso
conserva forma e dimensioni originali e l’impalcatura minerale,
ma diventa fragile come porcellana, perciò non più flessibile.

Il tessuto osseo non è un tessuto statico.


È soggetto a processi di rimodellamento e
rinnovamento per l’intera durata della vita.
Viene continuamente deposto (ad opera
degli osteoblasti) e riassorbito (ad opera
degli osteoclasti).
Questi processi sono sotto stretto controllo
di fattori ormonali e fisici.

L’osso viene continuamente rimodellato/rinnovato.


È un processo continuo nell’adulto per sostituzione dell’osso vecchio (riassorbimento osteoclastico)
con osso neo-deposto (deposizione osteoblastica) attraverso la funzione di sollecitazioni/stress
meccaniche che cambiano, al fine di mantenere costantemente una struttura/architettura ottimale
per la sua funzionalità.
Inoltre consente di mantenere costanti i livelli di Ca e P nel sangue.
Ogni anno circa 1/5 dello scheletro adulto viene demolito e poi ricostruito o sostituito.
L’osso viene deposto se sollecitato e riassorbito se non sollecitato, quindi è fondamentale l’attività
fisica.
I fattori che controllano sviluppo, accrescimento e rimodellamento dell’osso sono:

I. Alimentazione: Ca, vitamina A e C


II. Esposizione alla luce solare: vitamina D
III. Fattori ormonali: somatotropina, ormoni tiroidei durante lo sviluppo nel bambino, ormoni
sessuali durante pubertà, menopausa → Paratormone, calcitonina…
IV. Attività fisica: prevenire l’osteoporosi

Tra le vitamine, la vitamina D(colecalciferolo) svolge un ruolo cruciale nel


metabolismo del Ca.
È una vitamina liposolubile presente in diversi alimenti e sintetizzata
anche dalle cellule dell’epidermide esposte ai raggi ultravioletti.
A livello intestinale agisce favorendo l’assorbimento di Ca, a livello
renale inibisce l’escrezione del Ca e a livello osseo si ha attivazione degli
osteoblasti con deposizione di Ca nelle ossa.
In questo modo avviene la mineralizzazione dell’osso.

Se si ha una diminuzione del Ca


ematico stimola le paratiroidi
che rilasciano il paratormone, il quale agisce a livello dei
reni aumentando l’assorbimento del Ca e stimolando il
rilascio di Ca dalle ossa andando così ad aumentare il Ca
nel sangue per ripristinare l’omeostasi.
Se invece si ha un eccessivo aumento nel livello di Ca
ematico, questo funge da stimolo per la liberazione della
calcitonina che agisce, a livello di ossa e rene, stimolando
il deposito di Ca nelle ossa e riduce l’assorbimento del Ca
nei reni.

Deficit da vitamina D
La patologia che deriva da deficit di vitamina D, causata
dall’alterato metabolismo della vitamina stessa per
mancanza di Ca/P nei siti di mineralizzazione, prende il nome
di osteomalacia/rachitismo (nel bambino).
Clinicamente questi pazienti presentano dolore osseo,
occasionalmente fratture, debolezza muscolare, talora
deformità (nei bambini in crescita).
La somministrazione di vitamina D ha effetto benefico sul rachitismo in assenza di deficit nutrizionali
assoluti o problemi di malassorbimento (e.g. celiachia).

Disordini scheletrici congeniti sono diversi come:

o Gigantismo: eccessiva produzione dell’ormone della


crescita
o Nanismo ipofisario: deficit dell’ormone della crescita

Il nanismo ipofisario non è da confondere con l’acondroplasia, un


disordine ereditario autosomico dominante che colpisce gli arti che
crescono meno rispetto al resto del corpo.
Mutazione a carico di un gene che è un recettore espresso sulle
cellule dei tessuti connettivi.

Menopausa
La menopausa è una condizione fisiologica caratterizzata da un forte calo degli ormoni sessuali.
L’osteoporosi è una patologia multifattoriale, causata da una patologica riduzione della massa
ossea (componente minerale Ca + osteoide) e da alterazioni microarchitetturali del tessuto osseo,
che diventa meno resistente, fragile e
maggiormente esposto al rischio di
frattura.
L’osteoporosi è un processo di
rarefazione dell’osso che coinvolge in
particolare le donne (crollo ormoni
sessuali veloce 1 su 3) e gli anziani (scarsa
attività fisica).

È quindi fondamentale per la prevenzione, la sana alimentazione e l’attività fisica costante ed


adeguata.

I risultati di uno studio condotto in America hanno riportato che l’attività sportiva ha giocato un
ruolo significativo nella densità ossea a 20 anni sia per le donne che per gli uomini.
Per gli uomini, la densità ossea di tutto il corpo era maggiore tra coloro che avevano praticato
sport in modo consistente sin da piccoli, mentre la densità ossea degli arti inferiori era maggiore
anche quando i ragazzi avevano iniziato a fare sport solo negli anni dell’adolescenza.
Per le donne, chi ha praticato regolarmente sport fin dall’infanzia ha ottenuto una densità ossea
migliore a 20 anni.

Si può quindi affermare che l’infanzia sia il periodo della vita in cui lo scheletro sopporta meglio i
carichi e risponde meglio agli stress meccanici, perciò cominciare a fare sport a 5 anni consente
di avere ossa più robuste nell’età adulta.

Struttura ossea
Il tessuto osseo si distingue in:

▪ Tessuto osseo non lamellare o intrecciato o fetale: caratterizzato da fibre collagene


disposte casualmente a livello dell’osteoide ed è presente essenzialmente a livello delle
ossa fetali, inoltre è il tipo di osso che si presenta nella prima fase delle fratture
▪ Tessuto osseo lamellare organizzato in lamelle ossee: ogni lamella con fibre collagene è
regolarmente allineata ed è l’osso tipico dell’adulto.
Esso è distinto in compatto e spugnoso.

Tessuto osseo lamellare


Il tessuto osseo lamellare può essere suddiviso in 2 tipologie: compatto e spugnoso.
La composizione di base è uguale nei 2 tipi (lamelle ossee), ma è diversa la loro disposizione
tridimensionale.
L’osso compatto ha le lamelle ossee organizzate in osteoni, mentre l’osso spugnoso presenta le
lamelle ossee disposte in trabecole o spicole.

Nella sezione frontale del femore (osso lungo) possiamo


notare che vi è un osso più compatto caratterizzato da
aree dense e delle porzioni, localizzate soprattutto alle
estremità, di osso in cui sono presenti delle cavità molto
diffuse e variamente organizzate e distribuite che
corrispondono all’osso spugnoso.

Tutte le ossa sono costituite da osso compatto e osso spugnoso.

L’osso lungo presenta 2 estremità che prendono il nome di epifisi separate da una
diafisi lunga, tubulare o asta.
Tra diafisi ed epifisi troviamo una stretta zona che viene definita metafisi.
Organizzazione macroscopica
L’osso spugnoso è costituito da sottili trabecole o
spicole che delimitano cavità intercomunicanti
contenenti il midollo osseo.
Le trabecole dell’osso spugnoso sono disposte secondo
le linee di forza che attraversano l’osso e che cambiano
in base agli stress e alle sollecitazioni meccaniche che
esso subisce → Rimodellamento osseo
La microarchitettura di un osso viene determinata dagli specifici stress,
sollecitazioni meccaniche che subisce ed è proprio la specifica architettura che lo rende resistente
agli specifici stress.

L’osso viene continuamente rimodellato/rinnovato con un processo continuo nell’adulto


sostituendo osso vecchio (riassorbimento osteoclastico) con osso neodeposto (deposizione
osteoblastica) e in funzione degli stress e sollecitazioni meccaniche che cambiano al fine di
mantenere costantemente una struttura/architettura → Ottimale per funzionalità (e per mantenere
costanti i livelli di Ca e P nel sangue)

L’osso spugnoso si trova in zone in cui le ossa non subiscono forti sollecitazioni, ma che arrivano da
diverse direzioni, inoltre rende lo scheletro più leggero.
L’osso compatto è più spesso e si trova in regioni molto sollecitate, ma da poche direzioni, inoltre è
resistente alla compressione in senso longitudinale e una pressione laterale provoca facilmente
fratture.

Rimodellamento/rinnovamento dell’osso è soprattutto a carico delle parti spugnose e varia


l’organizzazione trabecolare.
Ogni anno circa 1/5 dello scheletro adulto viene demolito e poi ricostruito.
L’osso spugnoso (trabecolare) della epifisi prossimale del femore (testa/collo) può essere sostituito
2 o 3 volte l’anno, mentre l’osso compatto della diafisi ha un rimodellamento molto più lento.

Gli osteoblasti sono molto sensibili agli stimoli elettrici/elettromagnetici perciò durante le
sollecitazioni si è ipotizzato che i cristalli minerali possano generare dei campi elettrici di piccole
dimensioni e che gli osteoblasti ne vengano attratti e attivati.
Non a caso i campi elettrici/elettromagnetici sono molto utilizzati anche nel trattamento di fratture
ossee per favorire la rigenerazione ossea e cartilaginea.

Organizzazione microscopica
L’osso compatto ha, come unità strutturale,
l’osteone, una composizione cilindrica
disposta lungo l’asse longitudinale dell’osso e
presenta un canale centrale di Havers che
contengono i vasi che nutrono l’osteone e
intorno alla quale si dispongono in modo
concentrico lamelle di osso.

La lamella ossea è una matrice extracellulare calcificata in cui le fibre collagene


sono disposte in modo ordinato ad opera degli osteoblasti.
La successiva deposizione dell’osteoide da parte di un’altra fila di osteoblasti e la
sua mineralizzazione comporta l’inglobamento degli osteoblasti della prima lamella
e la loro trasformazione in osteociti.

È caratterizzata dalla presenza di fibre collagene ordinatamente orientate nella


stessa direzione, l’orientamento delle fibre varia fra lamelle contigue, le proprietà
del collagene e la particolare disposizione delle fibre conferiscono robustezza
all’osso.
Gli osteociti (ex osteoblasti) rimangono
imprigionati nelle lacune ossee.
Sono dotati di prolungamenti
citoplasmatici che percorrono i canalicoli
dell’osso per raggiungere i vasi.
Non diffonde nulla dopo la
mineralizzazione!

Questo sistema di comunicazione è estremamente importante perché


qualunque stimolo è in grado di raggiungere tutte le cellule che
compongono l’osteone, quindi il tessuto osseo compatto.

Nel tessuto osseo compatto le lamelle ossee formano:

o Lamelle circonferenziali esterne ed interne in relazione con periostio


ed endostio
o Lamelle concentriche che danno origine agli osteoni
o Dato che il tessuto osseo è soggetto a rimodellamento, tra gli
osteoni si trovano frammenti di osteoni o sistema interstiziale di
lamelle disposte tra gli osteoni

Le trabecole dell’osso spugnoso sono


sempre costituite da osso lamellare,
hanno poche lamelle ossee
sovrapposte e non sono organizzate in osteoni.

I prolungamenti di osteoblasti e osteociti possono raggiungere direttamente i vasi e la superficie è


soggetta a rimodellamento.

Periostio
Il periostio è costituito da capsula connettivale (connettivo denso) e fibre intrecciate che protegge
l’osso e supporta l’azione trofica (vasi sanguigni di cui è ricco).
Esternamente possiede poche cellule e molte fibre collagene (strato fibroso), mentre internamente
sono presenti poche fibre, numerosi capillari sanguigni e cellule osteoprogenitrici con potenziale
osteogenico (strato osteogenico).
Dal periostio si dipartono trasversalmente fibre connettivali, delle fibre di Sharpey o fibre perforanti
che si inseriscono nel sistema di lamelle circonferenziali esterne fornendo un sistema di ancoraggio
all’osso.

Endostio
L’endostio è costituito da cellule pavimentose e fibre connettivali che ricoprono tutte le superfici
interne dell’osso (trabecole dell’osso spugnoso, cavità midollari dell’osso compatto, canali di
Havers e di Wolkmann).
Le cellule che formano l’endostio hanno un alto potenziale osteogenico.

Classificazione delle ossa


La classificazione delle ossa può essere basata su:

1. Origine embriologica: endocondrale e intramembranosa


2. Origine topografica: ossa assiali e ossa appendicolari
3. Origine morfologica: basata sulla struttura delle ossa

Cartilagine
Il tessuto cartilagineo è un tessuto connettivo di sostegno che ha la consistenza di un gel compatto,
altamente viscoso e flessibile.
È costituito da:
✓ Cellule: condroblasti (cellule che secernono la matrice, attive metabolicamente) e
condrociti (componente cellulare non più attiva, ma coinvolta nel mantenimento della
matrice)
✓ Matrice: fibre, GAG: condroitin e cheraton-solfato e acido ialuronico (azione lubrificante vd
articolazioni)

Le principali funzioni della cartilagine sono:

❖ Sostiene parti del corpo (parti scheletriche cartilaginee)


❖ Forma modelli strutturali per molte ossa in formazione (scheletro embrionale)
❖ Riveste un ruolo importante nella crescita (in lunghezza
delle ossa lunghe → Disco epifisario)
❖ Interviene nei processi di riparazione delle fratture:
cartilagine, osso non lamellare, osso lamellare
❖ Costituisce strutture di collegamento → Collega fra di
loro le ossa → Articolazioni

È l’unico tessuto connettivo avascolare e privo di fibre nervose.

Il pericondrio è una membrana connettivale ricca di vasi e nervi che circonda le cartilagini (ad
eccezione della cartilagine articolare) è indispensabile per: conservazione, nutrimento e
accrescimento della cartilagine (per diffusione).

L’accrescimento della cartilagine può essere:

− Interstiziale o endogeno (disco epifisario; cartilagine articolare)


− Per apposizione o esogeno (dal pericondrio
(condroblasti), durante lo sviluppo della cartilagine)
− Nell’adulto non avviene alcuno di questi processi →
Se danneggiata → Non rigenera

Danni alla cartilagine molto critici e degenerazione della


cartilagine articolare provoca artrosi.

Cartilagine ialina
La cartilagine ialina è il tipo più
abbondante nel nostro organismo ed è molto idratata.
In essa prevale il collagene di tipo II che costituisce lo scheletro fetale.
Nell’adulto forma, tra l’altro, lo scheletro delle vie aeree (laringe, trachea,
bronchi) e parte delle coste.
È avascolare e generalmente circondata da pericondrio.
I proteoglicani si trovano nella matrice che circonda i gruppi isogeni (matrice
extracellulare territoriale), mentre la restante parte di matrice extracellulare è
caratterizzata da una minor presenza di proteoglicani (matrice extracellulare
interterritoriale).

La cartilagine articolare è di tipo ialino, ma priva di pericondrio (può andare incontro a processi
degenerativi → Calcificare)

Cartilagine elastica
La cartilagine elastica è caratterizzata, nella matrice extracellulare, da molte fibre elastiche oltre
che da collagene di tipo II che conferiscono flessibilità (presente in: padiglione auricolare,
condotto uditivo interno ed esterno, epiglottide).
È avascolare ed è circondata da pericondrio.
Ha una scarsità di gruppi isogeni e rispetto alla ialina, la matrice è
spesso presente in minor quantità e dunque le cellule (condrociti)
sono più ravvicinate.
Cartilagine fibrosa
La cartilagine fibrosa è molto ricca di fibre collagene di tipo I.
Forma fasci che la rendono apparentemente simile ad un tessuto
connettivo denso regolare.
È presente in: dischi fibro-cartilaginei che si trovano tra le vertebre,
le ossa pubiche e in corrispondenza di alcune articolazioni e
tendini.
Per la sua struttura fornisce resistenza alla compressione,
ammortizza gli urti e previene lesioni da contatto tra ossa.
Manca di un vero e proprio pericondrio.

TESSUTO MUSCOLARE
Esistono tipi di muscoli diversi che si diversificano per la loro organizzazione interna e per il tipo di
stimolo contrattile cui rispondono, inoltre sono specializzati per lo svolgimento di funzioni diverse.
La contrattilità non è una caratteristica unica delle cellule muscolari, è presente anche in altri tipi di
cellule variamente distribuite in altri tipi di tessuti come:

Cellule mioepiteliali: tipiche degli epiteli ghiandolari, sono in grado di aumentare la


capacità di eliminare il secreto da parte delle ghiandole stesse
Pericita: cellula di origine mesenchimale con funzione
contrattile, circonda capillari e venule che aderiscono
alla membrana basale e si associano funzionalmente
alle cellule endoteliali
Miofibroblasti: tipo cellulare di connettivo intermedio
tra fibroblasto e fibra muscolare liscia con capacità
contrattili simili a quelle della muscolatura liscia

Vengono invece considerati tessuti muscolari i tessuti in cui la componente cellulare dotata di
contrattilità si organizza a formare elementi orientati nello spazio per formare fibre in grado di
coordinare funzioni meccaniche.

Nei tessuti muscolari l’elemento dotato di contrattilità (mioblasto) differenziandosi origina fibre
muscolari con specifiche caratteristiche morfologiche e meccaniche:

- I mioblasti si fondono formando un complesso sinciziale (= tessuto muscolare scheletrico).


Un sincizio è la fusione di 2 o più cellule tra loro con formazione di un’unica cellula
multinucleata.
- Nel tessuto muscolare cardiaco i mioblasti si differenziano
in cardiomiociti che stabiliscono contatti funzionali tra di
loro tramite giunzioni comunicanti e meccaniche (sincizio
funzionale = tessuto muscolare cardiaco).
Nel sincizio funzionale le cellule mantengono la loro
identità, ma sono talmente unite da giunzioni che le
rendono simili ad un sincizio vero e proprio.
- I mioblasti si differenziano in cellule muscolari lisce che
stabiliscono contatti tra di loro mediante giunzioni (= tessuto
muscolare liscio)

Il tessuto muscolare è un tessuto specializzato per la contrazione che si


organizza in diverse tipologie.

Le proprietà comuni delle cellule del tessuto muscolare sono:

→ Eccitabilità e conduttività: capacità di rispondere a stimoli


nervosi o ormonali (m. liscia) modificando il proprio stato fisico
(risposte elettriche e meccaniche) e di trasmettere l’eccitazione
dal punto di insorgenza a tutte le regioni della cellula (dovuta a modifiche del potenziale di
membrana ...)
→ Contrattilità: capacità di accorciarsi notevolmente quando stimolate e di esercitare una
pressione o trazione (dovuta ai livelli e organizzazione di proteine contrattili quali actina,
miosina, …)
→ Estensibilità: capacità di distendersi oltre la lunghezza di riposo
→ Elasticità: capacità di estendersi e di tornare alle dimensioni originali dopo ogni contrazione

Il tessuto muscolare scheletrico (striato volontario) è attivato dal SNC,


da fibre nervose motorie in risposta ad uno stimolo volontario.
Il tessuto muscolare cardiaco pur essendo striato è involontario.
Il tessuto muscolare liscio è attivato dal sistema nervoso autonomo in
risposta a stimoli diversi (involontario).

Tessuto muscolare scheletrico


I muscoli sono organi e come tali sono formati da diversi tessuti, tra
cui il tessuto muscolare.
Il muscolo scheletrico è l’organo attivo del movimento permettendo:

• Movimento e sostegno (postura): muovono e sostengono le


ossa
• Protezione
• Produzione di calore (mantenimento temperatura corporea)
• Tessuto dotato di straordinaria capacità di adattamento

Le funzioni principali di questo tipo di tessuto sono:

a) Movimenti volontari delle diverse parti dello scheletro (le ossa sono organi passivi del
movimento)
b) Mantenimento della postura: posizione del corpo (contrazione tonica → Muscoli
antigravitari)
c) Supporto ai tessuti molli, con tenzione e protezione degli organi interni (la parete
addominale e il pavimento pelvico sono formati da 3 strati sovrapposti di muscolatura
scheletrica che sostiene il peso dei visceri e protegge gli organi interni)
d) Controllo degli orifizi (apertura) → Sfinteri muscolari scheletrici
e) Mantenimento della temperatura corporea: omeostasi (termoregolazione insieme alla cute)

Struttura macroscopica
Il tessuto muscolare striato è organizzato in cellule
(fibra muscolare striata), responsabili della contrazione
e da una serie di involucri connettivali che nutrono il
muscolo e lo ancorano al sistema scheletrico tramite il
tendine (aponeurosi).

I muscoli scheletrici sono organi di varia forma e


volume costituiti da:

➢ Parti carnose: rosse e contrattili di tessuto muscolare scheletrico.


La parte carnosa è costituita da cellule dette fibre muscolari striate disposte secondo un
allineamento ordinato, tenute insieme da connettivo in cui decorrono vasi e nervi
➢ Parti tendinee: bianche, inestensibili, che permettono l’ancoraggio all’osso.
La parte tendinea è costituita da tessuto connettivo denso con fibre collagene,
responsabile della trasmissione della forza di trazione dal muscolo (parte carnosa) all’osso.
Dal punto di vista cellulare, la fibra muscolare multinucleata
(sincizio), è avvolta da un proprio connettivo di rivestimento detto
endomisio e si organizza a formare dei fascicoli muscolari che
prendono il nome di fasci di fibre muscolari avvolte da un
connettivo esterno di rivestimento definito perimisio.
Diversi fascicoli muscolari costituiscono il vero e proprio muscolo
scheletrico circondato da un suo tessuto di rivestimento definito
epimisio.

Componente cellulare
Le cellule muscolari originano dai mioblasti che fondendosi
originano la fibra muscolare immatura che poi matura e
può possedere anche più di 100 nuclei nel suo
sarcolemma.
Alcuni di questi mioblasti non si fondono, ma restano isolati.
Importante è la presenza di cellule miosatelliti che sono
cellule staminali miogeniche responsabili della
rigenerazione del muscolo scheletrico in seguito a danni
dovuti a: esercizio fisico, immobilità…
Si definiscono così perché si localizzano esternamente
rispetto alla membrana plasmatica muscolare, in nicchie in
contatto diretto con vasi e nervi che rivestono esternamente la fibra muscolare.

La fibra o cellula muscolare scheletrica è definita striata per la presenza di striature caratteristiche,
risultato della particolare organizzazione delle proteine contrattili presenti all’interno della fibra
stessa.

La massa muscolare se stimolata aumenta fisiologicamente per un fenomeno di ipertrofia


muscolare (ingrandimento della fibra stimolata = aumento di dimensione delle fibre muscolari =
mitocondri, glicogeno, fibrille… = ingrossamento della massa muscolare).
Da non confondere con:

I. Iperplasia muscolare: crescita del volume del muscolo per aumento del numero delle
cellule che lo costituiscono
II. Atrofia muscolare: malnutrizione, mancata innervazione da inattività muscolare,
diminuzione, dimensioni e tono muscolare

Le cellule satelliti in condizioni normali non partecipano allo sviluppo muscolare.

Il danno muscolare può essere colmato dalla capacità


proliferante delle cellule satelliti, che si attivano, si fondono e
generano nuove fibre muscolari striate tramite l’attivazione
di specifici geni e fattori di trascrizione (fattori miogenici-
regolatori).

L’organizzazione del muscolo scheletrico dal livello macroscopico a


quello molecolare può essere sintetizzata così:

✓ Muscolo: costituito da più fascicoli


✓ Fascicolo: costituito da fasci di fibre/cellule
✓ Fibra/cellula: costituita da migliaia di miofibrille
✓ Miofibrilla: costituita da fasci di miofilamenti
Il muscolo scheletrico e circondato da epimisio ed è formato da fasci
muscolari.
Ogni fascicolo muscolare è circondato da perimisio ed è formato da
fibre/cellule muscolari.
La fibra/cellula muscolare è circondata da endomisio ed è formata da
molte miofibrille.
Ogni miofibrilla è circondata da reticolo sarcoplasmatico costituita dalla
successione di migliaia di sarcomeri che rappresentano la più piccola unità
funzionale del muscolo striato in cui i fasci di miofilamenti di actina e miosina
si dispongono in gruppi regolarmente sovrapposti.

Il sarcomero è la porzione di miofibrilla compresa tra 2 linee Z ed è


costituito da miofilamenti spessi e sottili di proteine contrattili e
numerose altre proteine sarcomeriche.

La disposizione ordinata dei


filamenti determina la peculiare
striatura e bandeggiatura trasversale che si osserva quando si
studia il sarcomero al microscopio elettronico.

Il meccanismo che genera la contrazione del muscolo non è


dovuto ad un accorciamento dei miofilamenti del sarcomero,
bensì ad uno scivolamento reciproco.

I muscoli sono organi composti da tessuto muscolare e connettivo.


Ogni muscolo scheletrico presenta 3 strati concentrici di tessuto connettivo.
L’endomisio avvolge ogni singola fibra ed è costituito da un delicato intreccio di fibre reticolari,
livello in cui troviamo le cellule miosatelliti.
Il perimisio avvolge ogni singolo fascicolo e al cui interno scorrono
vasi e nervi.
L’epimisio, quello più esterno, avvolge e delimita l’intero muscolo.
Le fibre connettivali che costituiscono endomisio e perimisio sono
interconnesse.
Ad ogni estremità del muscolo, le fibre collagene di questi 3 strati
convergono poi nel tendine fibroso che permette l’attacco del
muscolo alle ossa.
Poi le fibre dei tendini, strettamente connessi a periostio e matrice ossea, rendono possibile che ad
ogni contrazione del muscolo si eserciti una trazione sul rispettivo tendine e quindi anche sull’osso
sul quale esso si inserisce.
Il sistema di connettivi che avvolge ogni singolo componente muscolare è fondamentale perché
avvenga la trasmissione della contrazione dal muscolo all’osso.

La diversa organizzazione del muscolo scheletrico e la diversa composizione dei tessuti connettivi
che avvolgono muscolo, fascicolo e fibra permette la trasmissione dell’impulso contrattile dal
muscolo alle ossa.
Nello specifico: l’epimisio è formato da tessuto connettivo denso irregolare, il perimisio ha una
componente elastica prevalente, mentre l’endomisio presenta sia fibre reticolari sia cellule satelliti.
Gli involucri connettivali si continuano gli uni con gli altri e all’estremità del muscolo con il tendine.
Sono responsabili della trasmissione meccanica della forza generata dalla contrazione di tutte le
fibre muscolari al tendine e all’osso.
Le fibre collagene contenute (inestensibili) permettono tale trasmissione.

Innervazione
Le fibre muscolari scheletriche devono essere singolarmente stimolate/innervate per potersi
contrarre perché non sono presenti giunzioni comunicanti e il rivestimento connettivale
dell’endomisio funziona da isolante.
Nell’innervazione del sistema nervoso somatico (neuroni motori somatici che originano per la
maggior parte dei casi dal midollo spinale) i nervi penetrano all’interno dell’epimisio, si ramificano
nel perimisio ed entrano nell’endomisio ad innervare le single fibre muscolari.

La comunicazione tra il terminale sinaptico di un neurone e la


fibra muscolare che innerva avviene in un sito detto giunzione
neuromuscolare.

Un neurone è costituito da una porzione che funge da recettore, perciò raccoglie le informazioni o
imput, che decorre in direzione centripeta in entrata ed è caratterizzata dai dendriti.
Poi troviamo un corpo cellulare o pirenoforo o soma, che contiene tutti
gli organelli intracellulari e il nucleo, e da qui si diparte una porzione di
conduzione che prende il nome di assone, il quale genera la regione di
output ovvero la regione di uscita centrifuga del segnale.
Dal corpo cellulare si ha un cono assonale che emerge, si origina un
assone che nella sua porzione terminale origina la porzione effettrice
caratterizzata da contatto sinaptico con un altro neurone, perciò
l’impulso viene trasmesso da un neurone all’altro, oppure con delle
fibrocellule muscolari.

Le fibre muscolari controllate da un singolo motoneurone costituisce


un’unità motoria, quindi l’unità motoria è un’unità funzionale che
comprende l’insieme del motoneurone e delle fibre muscolari che esso
innerva.
Anche se in alcuni casi un motoneurone può controllare un’unica fibra
muscolare, la maggior parte ne stimola un numero variabile.
Il controllo/regolazione della contrazione segue alcune regole, infatti:

1. La fibra muscolare scheletrica, quando raggiunta dallo stimolo nervoso, o si contrae con
tutta la forza che possiede o non si contrae → Legge del tutto o nulla
2. Ciò che fa la differenza è il numero di unità motorie attivate.
I muscoli, anche a riposo, presentano un certo numero di unità motorie attive, condizione
definita «tono muscolare»: tensione muscolare per mantenere postura e stabilizzare
articolazioni…
3. La «contrazione tonica» è una contrazione continua e parziale che coinvolge poche
(casuali) unità motorie

La dimensione delle unità motorie di un muscolo indica quanto è fine il controllo del movimento
(es. muscoli dell’occhio → 1 motoneurone controlla 2-3 fibre, muscoli della coscia → 1
motoneurone controlla >2000 fibre).
Il grado di tensione dipenderà quindi dalla frequenza di stimolazione e dal numero di unità motorie
reclutate.
Il lieve, ma costante aumento di tensione muscolare prodotto dall’aumento del numero di unità
motorie attivate è detto reclutamento o sommazione di unità motorie.
La tensione massima sarà presente quando tutte le unità motorie sono contratte, ma tale
condizione non può durare a lungo nel tempo a causa dell’esaurimento del reservoir energetico,
perciò per diminuire l’affaticamento le unità motorie sono reclutate a rotazione.

Dal punto di vista del tipo di fibre muscolari


scheletriche si può affermare che la differenza
sostanziale che presentano le diverse tipologie
sono i meccanismi utilizzati per produrre ATP,
necessario per la contrazione.
Le fibre che compongono un’unità motorie sono
tutte dello stesso tipo.
Il muscolo è l’organo attivo del movimento, mentre l’osso rappresenta l’organo passivo.
La trasmissione della forza contrattile dal muscolo alle ossa avviene grazie ai
tendini, i quali possiedono dei punti di connessione con l’osso che sono definiti:

o Origine: l’estremità che rimane fissa durante la contrazione muscolare


o Inserzione: l’estremità che si muove

Tessuto muscolare liscio


Evolutivamente parlando, il tessuto muscolare liscio è il tessuto muscolare più
primitivo e quello che presenta l’organizzazione più semplice.
È costituito da cellule fusiformi, mononucleate
organizzate in fasci o lamine (fibrocellule
muscolari lisce).
Il muscolo liscio è privo di striatura trasversale
poiché i filamenti contrattili di actina e miosina
non organizzati in modo regolare → No striature
È un muscolo involontario (risponde a stimolo
SNA o ormonale) e la sua contrazione è
indipendente dalla volontà (SNA o ormoni),
inoltre coinvolge numerose cellule vicine →
Sincizio funzionale
Possiede una capacità rigenerante (si possono
divedere e rigenerare il tessuto…più cellule
staminali (es. parete vasi)).
I muscoli lisci sono anche detti viscerali perché si trovano nel contesto di:

− Tonaca muscolare: parete organi cavi (visceri) [organi dell’apparato digerente,


respiratorio, urinario…]
− Parete dei vasi sanguigni [tonaca media]

Si comportano a livello funzionale come un sincizio perché le proteine


contrattili non sono organizzate in sarcomeri, però grazie la presenza
di particolari giunzioni cellulari permette la diffusione dello stimolo
contrattile da una cellule all’altra.

La contrazione della muscolatura liscia può essere controllata dagli ormoni (istamina e leucotrieni,
ADH/vasopressina, angiotensina, NO…).

I filamenti contrattili si ancorano a livello della membrana delle


cellule, attraverso strutture chiamate corpi densi.
Le giunzioni comunicanti mettono in comunicazione cellule
adiacenti.

Da una fibrocellula in stato di rilasciamento, i filamenti contrattili si


contraggono ed essendo ancorati alla membrana cellulare,
determinano una contrazione della cellula stessa,

Nel muscolo liscio unitario le cellule muscolari sono organizzate in lamine, sono cellule ravvicinate,
ma separate da lamina basale e connettivo che vanno ad
avvolgere tipicamente la parete di un organo cavo (tonache
muscolari intestino, utero, ureteri, …).
L’innervazione del SNA non raggiunge ogni cellula e l’impulso si
propaga a tutte le cellule grazie al sistema di giunzioni
comunicanti che si contraggono in sincrono come un sincizio (ma non lo sono).

Il muscolo liscio multiunitario è caratterizzato da un’innervazione più


diffusa e ogni singola cellula è innervata da un motoneurone viscerale;
questo consente contrazioni estremamente precise e graduali (muscoli
erettori del pelo, vasi sanguigni, iride dell’occhio, …).

Come per altri muscoli, la contrazione avviene grazie allo scorrimento dei miofilamenti sottili e
spessi.

Nel tessuto muscolare liscio i miofilamenti di actina prendono contatto con i corpi densi
citoplasmatici e di membrana (ricchi in a-actinina, filamenti intermedi, vimentina, desmina) e
grazie a questo ancoraggio la cellula muscolare liscia contratta perde la sua forma allungata.
Contrazione, eccitabilità e rilassamento del muscolo liscio sono più lenti e sostenuti del muscolo
striato.
Esso infatti può effettuare 5-10 contrazioni/mine mantenere lo stato contrattile (= tono muscolare)
senza incorrere in affaticamento.
Ha un controllo involontario (SNA) ed è sensibile ad ormoni (ossitocina, adrenalina, noradrenalina,
….), sostanze gassose (NO2, O2, CO2…)
La contrazione involontaria può essere spontanea e ritmica (peristalsi intestinale), lenta e sostenuta
(tono vascolare) oppure modulata in senso eccitatorio o inibitorio.

Tessuto muscolare cardiaco

ORGANI CAVI E ORGANI PIENI


Gli organi vengono distinti in:

• Pieni o parenchimatosi (es. fegato, milza): mancano del lume interno


• Cavi (es. stomaco, esofago, trachea, vasi): parete che riveste una cavità.
La parete si organizza in tonache che si stratificano dalla luminale alla
superficie esterna.

Di un organo si usa dare una definizione strutturale e funzionale e definire


posizione spaziale e rapporti con altri organi vicini, quindi se ne studia:
architettura, struttura istologica e funzione.

Organi cavi
Un organo cavo possiede una forma a
sacco o tubulare e la parete è costituita
da una serie di tonache sovrapposte
tipicamente comunicanti direttamente o
indirettamente con l’esterno.
Inoltre la parete stratificata delimita una
cavità detta lume.
Ogni strato ha una costituzione diversa in base alla funzione che deve svolgere.
Dalla porzione più luminale a quella più esterna, possiamo riconoscere:

✓ Tonaca mucosa: formata da un epitelio di rivestimento che


poggia su una lamina propria e si associa una muscolaris
mucosae legata alla motilità della mucosa per fenomeni di
assorbimento e secrezione
✓ Tonaca sottomucosa: costituita da tessuto connettivale lasso
✓ Tonaca muscolare: legata alla motilità complessiva dell’organo,
sede di importanti complessi nervosi
✓ Tonaca avventizia: costituita da tessuto connettivo denso
✓ Tonaca sierosa: la più esterna

La parete dei vasi invece e costituita da:

→ Tonaca intima: dove lo strato più interno è definito endotelio


che oltre a fungere da epitelio di rivestimento, permette il
mantenimento dell’omeostasi del sangue impedendone la
coagulazione, inoltre possiamo trovare uno strato sotto-
endoteliale di natura fibro-elastica
→ Tonaca media: a prevalenza muscolare, elastica o fibrosa
→ Tonaca avventizia: a prevalenza per lo più fibrosa o fibro-elastica

L’importanza dello spessore delle varie tonache varia a seconda del calibro del vaso ed è
differenziale delle arterie rispetto alle vene.

Organi pieni
Gli organi pieni sono organi in cui si distingue tipicamente una parte, più
rappresentata, da cellule che svolgono la funzione dell’organo stesso
definita parenchima.
Ad esso poi si associa uno stroma di sostegno e una capsula più esterna che
tipicamente origina introflessioni all’interno del parenchima dell’organo che
funge da sostegno.

Un organo è pieno o parenchimatoso quando in esso non è presente una


cavità delimitata da pareti.
In esso si riconoscono:

▪ Capsula di rivestimento
▪ Stroma: struttura connettivale che sorregge l’organo e dove decorrono i
vasi sanguigni, linfatici ed i nervi
▪ Parenchima: insieme delle cellule/tessuti che interagiscono a formare la
componente funzionale dell’organo

Per ilo s’intende l’ispessimento della capsula, il punto di


passaggio di vasi e nervi (possibile suddivisione in
lobi/lobuli).

CAVITÀ DEL CORPO


Le cavità corporee sono spazi all’interno del corpo che
proteggono, sparano e danno supporto agli organi in essi
contenuti.
Durante lo sviluppo embrionale una cavità detta celoma e
rivestita da una membrana sierosa si forma a livello del tronco
anteriore alla colonna vertebrale con il nome di cavità ventrale
divisa dal diaframma in:

Cavità toracica: comprende cavità pleurica destra e


sinistra, mediastino che contiene la cavità pericardica
Cavità addominopelvica: comprende cavità
addominale e cavità pelvica

Le membrane
sierose
delimitano, con i
loro foglietti
viscerale e
parietale, le
cavità chiuse del
corpo dette
cavità sierose.

APPARATO LOCOMOTORE

L’apparato locomotore è l’insieme di:

• Sistema scheletrico: costituito da ossa, cartilagini e articolazioni


• Sistema muscolare scheletrico: costituito dai muscoli scheletrici

Lo scheletro è costituito da tanti segmenti ossei tra loro collegati dalle articolazioni, le quali sono
attraversate dai muscoli scheletrici.
I muscoli, tramite i loro tendini si inseriscono sulle ossa per stabilizzarle o per muoverle.

Ossa e muscoli scheletrici lavorano insieme per:

o Sostenere l’intero corpo e le sue parti, mantenendo perciò la postura.


La postura è qualsiasi posizione assunta dal nostro corpo e dalle sue parti nello spazio, da
fermi e in movimento, inoltre è un atteggiamento ben bilanciato in armonia con la forza di
gravità.
o Muovere il corpo e le sue parti.
I muscoli sono gli organi attivi del movimento poiché contraendosi muovono o mantengono
in posizione le ossa sulle quali sono inseriti.
Le ossa sono gli organi passivi del movimento, ma
necessari per l’esecuzione di quest’ultimo, perciò
fungono da: leve rigide, base meccanica e punti di
attacco muscolare.
o Proteggere parti del corpo (es. parete toracica protegge
organi vitali quali il cuore, i polmoni...)

Le ossa sono in particolare una riserva di sali minerali, soprattutto di Ca e P, inoltre sono la sede del
tessuto emopoietico, quindi del midollo osseo, perciò la sede di produzione delle cellule del
sangue.

I muscoli producono calore concorrendo a mantenere costante la temperatura corporea.


Essi infatti, insieme alle ghiandole, sono organi metabolicamente molto attivi.
Infatti in condizioni di freddo il nostro corpo reagisce con i brividi che sono contrazioni involontarie
dei muscoli erettori dei peli producendo così calore andando a ripristinare la temperatura
corporea.
In situazioni di eccessivo calore invece, il corpo reagisce vasodilatando i nostri vasi superficiali in
modo tale che il sangue caldo proveniente dalle parti
interne del corpo, fluisce in superficie e viene a contatto
con l’aria atmosferica, per cui si rinfresca; inoltre
aumenta l’attività delle ghiandole sudoripare che
permettono la produzione di maggior sudorazione.

SCHELETRO
Lo scheletro umano può essere suddiviso,
topograficamente, in:

▪ Scheletro assile: cranio, osso ioide, colonna


vertebrale, coste e sterno
▪ Scheletro appendicolare: ossa degli arti superiori,
inferiori e cingoli

Entrambi gli scheletri si presentano in simmetria bilaterale


rispetto al piano sagittale mediano.

Scheletro assile
Lo scheletro assile è suddiviso in segmenti, comprende tante
ossa per consentire l’elasticità necessaria al movimento e
nello specifico comprende:

− Cranio: insieme di ossa che sostengono la regione


della testa
− Colonna vertebrale: costituita dalle vertebre che
sostiene tutto il tronco
− Coste e sterno: insieme alla porzione toracica della
colonna vertebrale formano la gabbia toracica che
delimita la cavità toracica proteggendo i suoi organi
interni

Il cranio può essere suddiviso in 2 porzioni:

1. Neurocranio o scatola cranica: di forma ovoidale e


sostiene circondando e proteggendo l’encefalo
2. Splancnocranio o scheletro della faccia: si sviluppa
antero-inferiormente al neurocranio e sostiene i primi tratti
degli apparati respiratorio e digerente

Le ossa associate al cranio comprendono gli ossicini uditivi: incudine, staffa e martello, che si
trovano a livello dell’orecchio, il quale si sviluppa a livello dell’osso temporale.

Il neurocranio comprende un tetto detta volta o


calotta cranica e una base, visibile dopo aver
tolto la calotta, detta basicranio.
È nella superficie interna del basicranio che
poggia l’encefalo.
L’encefalo rappresenta la parte più importante e nobile del SNC, insieme al
midollo spinale.

Scheletro appendicolare
Lo scheletro appendicolare comprende ossa e articolazioni che sostengono le diverse parti degli
arti.
Gli arti superiori sono suddivisi in segmenti, molto mobili e finalizzati alla funzione prensile che si
esplica a livello della mano.
Gli arti inferiori, sempre suddivisi in segmenti, sono finalizzati alla locomozione.
CLASSIFICAZIONE DELLE OSSA
La classificazione delle ossa può essere basata sull’origine embriologica:

✓ Endocondrale: originano da un modello cartilagineo


✓ Intramembranosa: originano da un modello connettivale

Durante la vita embrionale, la prima impalcatura scheletrica che si forma e che risulta già
completa alla fine del secondo mese di sviluppo intrauterino è costituita da una serie di cartilagini
che via via verrà sostituita da tessuto osseo tramite un processo di istogenesi.
Solo poche ossa, quelle piatte del neurocranio, derivano da un abbozzo connettivale che
presenta già la forma, ma non le dimensioni dell’osso definitivo, che poi viene sostituito sempre da
tessuto osseo per istogenesi.

La classificazione delle ossa può, inoltre, essere anche di tipo topografico:

✓ Ossa assiali: costituiscono lo scheletro assile


✓ Ossa appendicolari: costituiscono lo scheletro appendicolare

La classificazione delle ossa può, infine, essere di tipo morfologico e quindi basata sulla struttura
delle ossa:

→ Ossa piatte: ossa appiattite che costituiscono le ossa della volta o calotta cranica (osso
frontale, ossa parietali, osso temporale e osso occipitale) con un’origine intramembranosa.
Presentano uno strato centrale di osso spugnoso definito diploe, delimitato da 2 strati di
osso compatto detti tavolati esterno e interno.
→ Ossa brevi o ossa corte: hanno una forma cuboide, sono sollecitate soprattutto dalla forza
di compressione e si ritrovano soprattutto a livello del carpo (polso) o a livello del tarso
(regione del piede che corrisponde al carpo della mano).
Sono ossa quasi completamente costituite da osso spugnoso rivestito da un sottilissimo
strato di osso compatto.
→ Ossa suturali o sovrannumerarie: si
evidenziano a livello della volta o calotta
cranica.
Il processo di ossificazione parte
contemporaneamente da più punti della
membrana connettivale che alla fine del
processo di istogenesi si fondono per
generare un unico osso.
Può accadere che uno di questi centri di
ossificazione, non si fonde nella
costituzione dell’unico osso definitivo e
resta isolato formando il cosiddetto osso sovrannumerario o suturale, così definito perché si
ritrova a livello delle suture, un particolare tipo di articolazione che si attua fra i margini
delle ossa piatte della volta cranica.
→ Ossa sesamoidi: sono ossa che si sviluppano nel contesto di un tendine muscolare.
La patella o rotula corrisponde all’osso sesamoide più grande del corpo e si forma a livello
del tendine del muscolo quadricipite.
→ Ossa pneumatiche: ossa caratterizzate da cavità all’interno delle quali si ritrova dell’aria.
Caratterizzano le ossa del cranio (ossa frontali, ossa mascellari, etmoide e sfenoide).
Queste cavità ripiene di aria comunicano con le cavità nasali costituendo i seni paranasali.
→ Ossa irregolari (es. vertebre)
→ Ossa lunghe: prevale la lunghezza rispetto a larghezza e spessore, caratterizzano lo
scheletro degli arti.

Tutte le ossa comprendono parti di osso compatto e parti di osso spugnoso.


Ciò che varia riguarda disposizione e rapporti reciproci tra le 2 tipologie di osso.
Ossa lunghe
La struttura delle ossa lunghe presenta 2 estremità allargate dette epifisi, collegate da una
porzione più o meno cilindrica definita diafisi o corpo.
L’epifisi è costituita prevalentemente da osso spugnoso, mentre la diafisi è caratterizzata da uno
strato esterno di osso compatto che delimita una cavità interna definita cavità midollare che
contiene midollo osseo.
Il midollo osseo rosso è presente nelle ossa di bambini e giovani che poi, con
il passare degli anni, verrà sostituito da midollo giallo.
Il periostio caratterizza tutte le tipologie di ossa ed è una lamina connettivale
che riveste la superficie esterna delle ossa e ad esso corrisponderà
l’endostio, come struttura e funzione.
Il periostio si interrompe solo in corrispondenza delle estremità ossee che
partecipano alle articolazioni, dette estremità o superfici articolari e dove
sarà sostituto da cartilagine articolare.
Il periostio comprende uno strato fibroso esterno costituto da connettivo
propriamente detto, ricco di vasi che si portano all’interno dell’osso, e uno
strato interno ricco di cellule osteoprogenitrici.

Le cellule che costituiscono l’osso sono:

➢ Osteoprogenitrici: cellule staminali di origine mesenchimale (periostio,


endostio) che si dividono per differenziarsi in osteoblasti attivi durante
l’accrescimento dell’osso, durante il continuo rinnovamento osseo
(adulti) o riparazione di osso (fratture)
➢ Osteoblasti: cellule attive, sintetizzano parte organica della matrice
(osteoide) e attivano la mineralizzazione
➢ Osteociti: cellule mature, quiescenti rimaste imprigionate nelle lacune
fra gli strati di matrice dopo la mineralizzazione dell’osso conservano la
matrice
➢ Osteoclasti: derivano dai monociti del sangue, macrofagi che
distruggono l’osso e sono coinvolti nei processi di rinnovamento e
rimodellamento dell’osso

Le funzioni principali del periostio sono:

❖ Accrescimento per apposizione di nuove lamelle ossee dall’esterno, ad opera degli


osteoblasti, fino al completo sviluppo osseo dell’individuo, perciò intorno ai 20 anni, periodo
in cui si presenta il picco degli ormoni sessuali
❖ Rimodellamento/rinnovamento osseo che avviene durante tutta la vita adulta e che
riguarda particolarmente l’osso spugnoso e dipende dalle sollecitazioni meccaniche che
gravano sull’’osso e che possono cambiare.
È il periodo nel quale si compensa l’attività degli osteoblasti e degli osteoclasti.
❖ Funzione trofica o nutritizia, intervenendo nella riparazione delle fratture

Il disco epifisario o metafisi, caratterizza soltanto le ossa lunghe, si tratta di uno strato di cartilagine
che si sviluppa tra epifisi e diafisi permettendo l’accrescimento in lunghezza delle ossa lunghe.
Durante lo sviluppo dell’individuo si ha una continua proliferazione di cartilagine che via via viene
sostituta da osso e intorno ai 20 anni, con il picco degli ormoni sessuali, si determina la definitiva
ossificazione del disco epifisario.

Acondroplasia
L’acondroplasia è una condizione in cui le ossa lunghe degli arti smettono di
crescere durante l’infanzia, mentre le altre ossa crescono normalmente.
Deriva da un difetto nella crescita della cartilagine soprattutto a livello del disco
epifisario (metafisi).
Diverso dal nanismo o gigantismo ipofisario dove tutte le ossa del corpo sono
proporzionate.
L’ormone della crescita o somatotropina è prodotto dall’ipofisi per quanto
riguarda sviluppo e accrescimento di ossa e muscoli.

Sindrome di Marfan
Nella sindrome di Marfan si verifica un eccessivo sviluppo del disco
epifisario, quindi risultano particolarmente lunghe le ossa degli arti.

Osteomalacia o rachitismo
L’osteomalacia o rachitismo le dimensioni delle ossa sono normali, ma
poco mineralizzate quindi risultano non sufficientemente dure e rigide,
tali per cui sotto carico si deformano.
Si associa a deficit o errore di sintesi da parte della vitamina D.

Osteoporosi
L’osteoporosi è una patologia multifattoriale causata da una
patologica riduzione della massa ossea (componente minerale
Ca + osteoide) e da alterazioni microarchitetturali del tessuto
osseo che diventa meno resistente, fragile e maggiormente
esposto al rischio di frattura.

ARTICOLAZIONI
Le articolazioni sono dispositivi giunzionali che collegano tra di loro 2 o più ossa.
Permettono il movimento vincolando il tipo, in funzione di forma e superfici articolari delle estremità
ossee che si contrappongono, e l’ampiezza del movimento, che dipenderà dalla potenza degli
stabilizzatori articolari rappresentati da: capsula, legamenti e muscoli che attraversano
l’articolazione.
Sono responsabili della trasmissione delle forze e sono coinvolte nell’accrescimento (es. disco
epifisario delle ossa lunghe).
Si individuano 2 tipi di articolazioni: sinartrosi e diartrosi.

Sinartrosi
Le sinartrosi o per continuità sono presenti quando le estremità articolari sono collegate da tessuto
connettivo, sono poco mobili o possono diventare immobili.
Sono distinte in:

a) Fibrose: se collegate da connettivo propriamente detto.


Nelle sinartrosi fibrose si possono distinguere:
I. Sindesmosi: le ossa sono collegate da membrana connettivale o legamento
connettivale, ricco di fibre collagene (es. membrane e legamenti interossei tra radio
e ulna o fibula e tibia)
II. Sinelastosi: le ossa sono collegate da connettivo
particolarmente ricco di fibre elastiche (es. legamenti
gialli tra le vertebre)
III. Suture: articolazioni fibrose che si instaurano tra i
margini delle ossa piatte della volta del neurocranio
(es. sutura coronale che si instaura tra osso frontale e
le 2 ossa parietali).
Le suture col passare degli anni ossificano e si parla poi di sinostosi.
IV. Gonfosi: articolazioni che si instaurano tra la radice del dente e le cavità alveolari
b) Cartilaginee: se le estremità articolari sono collegate da cartilagine.
Sono distinte in:
I. Sincondrosi: il collegamento è sostenuto da cartilagine di tipo ialino (es.
articolazione che si instaura tra cartilagine della
prima costa e lo sterno, disco epifisario delle
ossa lunghe)
II. Sinfisi: le estremità ossee sono rivestite di
cartilagine articolare e sono collegate, da una
formazione fibro-cartilaginea detta disco (es.
sinfisi pubica)

Sono poco mobili poiché vi è un collegamento tissutale tra le 2 estremità ossee.

Diartrosi
Le diartrosi o articolazioni sinoviali o per contiguità sono vere articolazioni mobili poiché le
estremità articolari sono separate da uno spazio detto cavità articolare contenente un film di
liquido sinoviale.
Le componenti essenziali delle diartrosi sono:

➢ Cartilagine articolare: è cartilagine ialina priva di pericondrio, riveste le estremità articolari,


è una cartilagine deformabile ed elastica capace di assorbire le sollecitazioni meccaniche
che gravano sull’articolazione, perciò ha funzione ammortizzante, inoltre è dotata di scarso
attrito e resiste all’usura
➢ Capsula articolare: si tratta di un manicotto fibroso che tiene unite e collegate le 2 ossa in
corrispondenza dell’articolazione e risulta costituita da una parte fibrosa detta capsula
fibrosa di connettivo propriamente detto e da uno strato sottile
interno specializzato definito membrana sinoviale.
La membrana sinoviale riveste internamente la capsula fibrosa e si
inserisce in corrispondenza dei margini della cartilagine articolare.
➢ Membrana sinoviale: staterello di connettivo ricco di vasi e di cellule
specializzate dette sinoviociti deputate alla produzione del liquido
sinoviale.
I sinoviociti di tipo B producono acido ialuronico a funzione
lubrificante e ammortizzante, proteggendo la cartilagine dalla
penetrazione di cellule infiammatorie e dagli enzimi litici che degradano la cartilagine.
I sinoviociti di tipo A sono dotati di macrofagi che tengono pulito il liquido sinoviale.
➢ Liquido sinoviale: un filtrato del sangue (plasma arricchito di acido ialuronico), contenuto
nella cavità articolare con funzione trofica o nutritizia, lubrificante e ammortizzante.

Le componenti accessorie che possono presentarsi a livello delle diartrosi


sono: dischi o menischi, cercini o labbri fibro-cartilaginei e borse sinoviali.

La classificazione delle diartrosi dipende dai tipi di movimento permessi e tali


movimenti dipendono a loro volta dalla forma e dai capi articolari che si
contrappongono.

I movimenti a livello delle diartrosi si distinguono in funzione


dell’asse anatomico in cui avvengono e del piano anatomico che descrivono.
Gli assi anatomici (longitudinale, trasversale e sagittale) sono linee immaginarie che
vengono utilizzate per tracciare l'asse sul quale si svolgono i movimenti di rotazione
(tra le superfici articolari contrapposte).
Un po' come succede per i cardini di una porta che si muove attorno ad un asse e
descrive un piano.

Possiamo riconoscere:

1. Movimenti angolari : modificano, rispetto alla posizione anatomica, l’angolo esistente tra 2
segmenti scheletrici → Flessione-estensione e abduzione-adduzione
2. Movimenti di rotazione o in asse: non comportano modificazioni di angoli tra segmenti
scheletrici → Intrarotazione ed extrarotazione
3. Movimenti lineari o traslazionali → Di scivolamento

Movimenti angolari e movimenti di rotazione o in asse si attuano tra superfici articolari


contrapposte curve, mentre i movimenti lineari o traslazionali si attuano tra superfici
articolari contrapposte piatte.

Movimenti angolari
I movimenti angolari possono essere:

I. Movimenti di flesso-estensione: avvengono sull’asse trasversale e


descrivono un piano sagittale.
In flessione si riduce l’angolo tra i 2 segmenti scheletrici, mentre in
estensione aumenta l’angolo tra i 2 segmenti scheletrici.
Inoltre, generalmente, i movimenti di flessione avvengono in avanti, mentre
quelli di estensione avvengono all’indietro.
II. Movimenti di abduzione-adduzione: avvengono attorno all’asse sagittale e
descrivono un piano frontale.
In abduzione gli arti si allontanano dal piano sagittale mediano, mentre in
adduzione gli arti si avvicinano al piano sagittale mediano.

Movimenti di rotazione o in asse


I movimenti di rotazione o in asse possono essere di:

a) Intrarotazione o rotazione interna o rotazione mediale


b) Extrarotazione o rotazione esterna o rotazione laterale

Movimenti particolari

Classificazione delle diartrosi


Artrodia: le superfici articolari contrapposte sono piatte e dove il
movimento permesso è uno scivolamento lungo tutti gli assi del piano
(es. articolazioni zigapofisarie)
Ginglimi: le superfici articolari contrapposte sono di forma circa cilindrica e il movimento permesso
avviene lungo l’asse che attraversa i 2 cilindri (pieno e cavo) e sono articolazioni uniassiali.
Distinguiamo:

− Ginglimo angolare o troclea: dove l’asse delle superfici


articolari è perpendicolare all’asse delle 2 ossa e un asse
trasversale permetterà la flesso-estensione sul piano
sagittale
− Ginglimo assiale o trocoide: dove l’asse delle
superfici articolari è parallelo all’asse delle 2 ossa
che si articolano ed è sempre un’articolazione
uniassiale che permette movimenti lungo l’asse
longitudinale detti movimenti di rotazione o in
asse sul piano trasversale

Condilartrosi o elissartrosi: dove le superfici articolari che si


contrappongono, corrispondono ad un ellissoide (pieno e
cavo) e sono articolazioni biassiali che permettono il
movimento si 2 assi e quindi su 2 piani spaziali, in particolare
flesso-estensione e abduzione-adduzione.

Enartrosi o sferartrosi: sono le articolazioni più mobili e permettono


il movimento su tutti e 3 i pani dello spazio e sono costituite da una
sfera (piena e cava), è quindi possibile flesso-estensione,
abduzione-adduzione e rotazione.

A sella: sono una via di


mezzo tra le condilartrosi e le sferartrosi, permettono tutti i
tipi di movimenti, ma quello di rotazione è quello meno
accentuato.

MUSCOLI
Oltre la capsula fibrosa, sono presenti dei legamenti, quindi lamine connettivali che si portano da
un osso all’altro e dei tendini muscolari che attraversano l’articolazione.
I muscoli sono gli organi attivi del movimento.
Se i tendini sono lassi o deboli geneticamente, non si possono accorciare.

I muscoli scheletrici si possono collegare alle


ossa tramite le loro estremità tendinee che
secondo la convenzione anatomica sono
distinte per: origine (inserzione prossimale) e
inserzione o terminazione (inserzione distale).

I muscoli scheletrici possono anche collegarsi alle ossa tramite tendini o aponevrosi che secondo
la convenzione funzionale sono distinti in:

▪ Origine: estremità muscolare che rimane fissa durante la contrazione


▪ Inserzione o terminazione: estremità che si muove

DANNI TRAUMATICI

❖ Distorsione/slogatura: lesione articolare (capsula, legamenti, tendini ) traumatica causata


da un movimento improvviso e violento, senza perdita di contatto tra i capi ossei articolari
❖ Lussazione/dislocazione: perdita dei normali rapporti tra i capi articolari che costituiscono
l’articolazione
❖ Frattura: rottura totale o parziale della continuità della corticale ossea
MALATTIE ARTICOLARI

➢ Artrosi: malattia cronica degenerativa associata all’usura della cartilagine articolare che
coinvolge, quindi l’osso con conseguente formazione di osteofiti (speroni ossei)che
comportano limitazione del movimento provocando dolore e difficoltà motorie.
Coinvolge in particolar modo anziani e articolazioni sollecitate da carico ed attività fisica
eccessiva.
→ Anchilosi ossea: caratterizzata dalla fusione delle ossa di un'articolazione per
proliferazione del tessuto osseo (sinostosi) che
provoca immobilità
➢ Artrite: malattia infiammatoria cronica o acuta (reazione
aspecifica innescata dal sistema immunitario ogni volta
che una parte del corpo è sottoposta ad un danno tale
per cui la porzione corporea interessata reagisce
innescando una serie di reazioni che corrispondono all’infiammazione e sono finalizzate a
ripristinare la situazione normale a livello della porzione corporea colpita) a carico delle
articolazioni di varia origine: autoimmune, metabolica, traumatica, infettiva, idiopatica e
che porta a danno articolare
→ Artrite reumatoide: in soggetti predisposti geneticamente, un fattore scatenante
ambientale attiva una risposta autoimmune del nostro sistema immunitario che
colpisce le articolazioni provocando infiammazione cronica (del tessuto connettivo)
e distruzione di: membrana sinoviale, cartilagine articolare e osso → Deformità
→ Artrite gottosa: disordine metabolico con eccesso di acido urico nel sangue che si
accumula nel liquido sinoviale causando infiammazione cronica e danno tissutale

CLASSIFICAZIONE DELLE FRATTURE


Le fratture possono essere classificate in diversi modi:

Su base eziologica: traumatiche o patologiche


In base all’entità dei danni a carico dei tessuti molli:
− Fratture chiuse o interne: l’osso non protrude attraverso i tessuti
molli
− Fratture aperte o esposte: l’osso lede la cute causando infezioni
In base alla morfologia della frattura:
− Fratture scomposte: determinano nuove ed
anomale disposizioni delle ossa con riduzione della
frattura
− Fratture non scomposte: mantengono il normale
allineamento delle ossa o dei frammenti ossei
− Fratture spirali: causate da sollecitazioni di torsione,
si estendono lungo l’asse longitudinale dell’osso, da
sport
− Fratture trasverse: fratture ad angolo retto,
perpendicolari rispetto all’asse
− Fratture comminute: molti frammenti ossei
− Fratture a legno verde: si rompe solo un lato
dell’osso, l’altro si incurva

RACHIDE

Il rachide è un complesso oste-artro-muscolare costituito da:

• Porzione scheletrica: rappresentata dalla colonna vertebrale, quindi una successione di


segmenti scheletrici dette vertebre, intervallate ai dischi intervertebrali
• Porzione articolare: le vertebre sono collegate a vari livelli da articolazioni intervertebrali,
sede del movimento
• Porzione muscolare: muscoli che si inseriscono sulle vertebre e si sviluppano soprattutto
dorsalmente alla colonna vertebrale, perciò sono i muscoli del dorso

Porzione scheletrica
La colonna vertebrale è la principale formazione assile di sostegno del tronco.
È situata dorsalmente, non attraversa esattamente in centro del tronco, ma si
colloca a livello del dorso.
Il dorso è la parte del tronco in stretto rapporto con la colonna vertebrale, è
attraversato da quest’ultima.
La colonna vertebrale funge da supporto/sostegno:

o Per tutte le parti del tronco


o Per la testa: articolazioni cranio-vertebrale che collegano il tronco alla
testa che, insieme al tronco, forma la parte assile del corpo
o Dà attacco agli arti
o Sostiene e protegge il midollo spinale, contenuto all’interno della colonna vertebrale, e che
insieme all’encefalo forma il SNC

La colonna vertebrale associa rigidità del tronco e flessibilità permessa da una successione di
vertebre e non costituita da un unico osso.

A seconda della regione del tronco occupate, si distinguono 5 regioni vertebrali.


In direzione cranio-caudale riconosciamo:

1. Regione cervicale: tratto di colonna vertebrale che attraversa il collo,


formata da 7 vertebre cervicali
2. Regione toracica: costituita da 12 vertebre toraciche
3. Regione lombare: comprende 5 vertebre lombari
4. Regione sacrale: corrisponde a 5 vertebre sacrali che si fondono, per cui
si parla di osso sacro
5. Regione coccigea: coccige che deriva dalla fusione di 3-4 o 5 vertebre
coccigee

Le vertebre, in generale, presentano una struttura di base comune, che poi si differenzia all’interno
delle specifiche regioni vertebrali in base alle specifiche funzioni che dovranno svolgere.

La colonna vertebrale risulta rettilinea, quando osservata posteriormente o


anteriormente, perciò sul piano frontale, mentre osservandola lateralmente
mostra delle curve.
Inoltre le vertebre aumentano di dimensione dall’alto al basso, in quanto
devono via via sopportare un peso corporeo che aumenta dall’alto al
basso.
La massima dimensione è assunta dalla 1° vertebra sacrale che poi si
fonderà con le sottostanti.

Le curve fisiologiche della colonna vertebrale, si sviluppano sul piano sagittale.


Si definiscono cifosi le curve a concavità anteriore che si sviluppano a livello
toracico e a livello pelvico o sacrale.
Si definiscono, invece, lordosi le curve a concavità posteriore che si evidenziano a
livello cervicale e a livello lombare.
Le cifosi sono curve primarie, mentre le lordosi sono curve secondarie.

La colonna vertebrale, in un neonato, si presenta completamente cifotica, ossia presenta


una curva unica a concavità anteriore e questo è dovuto alla posizione assunta dal feto
durante lo sviluppo nel grembo della madre.
Inoltre questo permette che lo sviluppo dei visceri avvenga anteriormente rispetto alla
colonna vertebrale.
Sono definite curve primarie, le cifosi che rappresentano quanto rimane dell’unica curva cifotica
della colonna vertebrale che si presenta alla nascita.

Le curve secondarie rappresentate dalle lordosi, sono così definite perché compaiono dopo la
nascita.
La lordosi cervicale compare entro i primi mesi di vita, quando lo sviluppo della muscolatura della
regione posteriore del collo, permette di sollevare la testa e dirigere gli
assi visivi anteriormente.
La lordosi lombare, invece, compare quando il bambino dall’andatura
quadrupedica passa all’andatura bipede, quando cioè comincia a
camminare, perciò intorno ai 12-18 mesi, posizione nella quale il centro
di gravità passa dal tronco agli arti inferiori.
Si tratta di una curva che inizia a comparire quando il bambino comincia a
camminare e si stabilizza intorno ai 10-12 anni di vita.

La presenza delle curve fisiologiche della colonna vertebrale aumenta la


resistenza della colonna vertebrale alle sollecitazioni assili e alle forze di
compressione che gravano sulla colonna stessa.
La resistenza della colonna vertebrale alle sollecitazioni meccaniche è espressa
dall’indice di Delmas: R= N2 + 1 dove N rappresenta il numero di curve mobili.

VERTEBRA TIPO
In una vertebra tipo è possibile distinguere: una porzione anteriore
detta corpo vertebrale di forma circa circolare e una porzione latero-
posteriore detta arco vertebrale.
Corpo e arco vertebrale delimitano un foro chiamato foro vertebrale.

Il corpo vertebrale presenta la struttura di un osso breve, quindi


è costituito da osso spugnoso o trabecolare rivestito da un
sottile strato di osso compatto.
Le facce superiore e inferiore delle vertebre sono dette piatti
vertebrali e risultano leggermente concave, o meglio si
presentano leggermene rilevate in corrispondenza dei bordi.
All’interno di questo rilievo osseo poi è presente della
cartilagine articolare.

In posizione antero-posteriore dell’arco vertebrale è possibile riconoscere


una porzione definita peduncolo, segue una porzione costituita da 3
processi o apofisi: 2 diretti verticalmente e distinti in processo articolare
superiore e processo articolare inferiore e 1 processo diretto lateralmente
detto processo trasverso, segue una porzione estesa e spessa detta
lamina dell’arco vertebrale.
Nel punto in cui le 2 lamine si incontrano medialmente, si sviluppa un processo impari diretto
posteriormente sul paino sagittale detto processo spinoso.

I processi trasversi e il processo spinoso funzionano da leve


ossee, fungono da base meccanica per l’inserzione dei
muscoli.
I processi articolari invece sono diretti
verticalmente e sono distinti in:
processo articolare superiore e processo articolare inferiore.
A livello delle loro estremità sono rivestiti di cartilagine articolare, quindi si
parla di faccette articolari dei processi articolari che sono dirette
posteriormente nei processi articolari superiori e dirette anteriormente nei
processi articolari inferiori.
I processi articolari partecipano a delle articolazioni definite articolazioni zigapofisarie.

La successione dei fori vertebrali individua un canale definito con il termine canale vertebrale,
contenente il midollo spinale che è rivestito da formazioni fibrose dette meningi.

Sistema nervoso e fori intervertebrali


Il sistema nervoso (SN), dal punto di vista anatomico è suddiviso in:

→ Sistema nervoso centrale (SNC): formato da encefalo e midollo spinale


→ Sistema nervoso periferico (SNP): comprende tutte le altre parti del sistema nervoso, diverse
da quelle che costituiscono il SNC, in particolare parliamo di nervi e gangli che collegano il
SNC alla periferia

Il midollo spinale che occupa il canale vertebrale, è collegato nello specifico ai suoi bersagli,
tramite i nervi spinali che originano nel midollo spinale e poi attraversano dei fori definiti fori
intervertebrali per essere in grado di raggiungere i bersagli.

I nervi sono un insieme di fibre, di assoni neuronali.

I fori intervertebrali permettono l’emergenza dei nervi spinali.


I peduncoli presentano delle concavità sia superiormente sia inferiormente
definite incisura vertebrale superiore e incisura vertebrale inferiore.
Le incisure superiore e inferiore di 2 vertebre contigue concorrono a
delimitare i fori intervertebrali, presenti su ciascun lato della colonna
vertebrale.

Vertebre cervicali
Le vertebre cervicali sono costituiti dalla presenza dei fori trasversali e
dei processi spinosi bifidi.
Esse sono 7 e generalmente presentano: un corpo cuboide piccolo, un
foro vertebrale grande e a questo livello il midollo spinale mostra il
massimo sviluppo, dei processi trasversi caratterizzati dalla presenza di
fori detti fori trasversali.
Inoltre la maggior parte di queste presenta un processo spinoso bifido.

I fori trasversali sono attraversati e quindi


sostengono l’arteria vertebrale che si sta
portando all’interno del neurocranio per
raggiungere l’encefalo, il quale è irrorato
dalle arterie vertebrali e dalle arterie
carotidi interne, gli unici rami in grado di
irrorarlo.
L’arteria vertebrale origina dall’arteria
succlavia, mentre la carotide interna
origina dall’arteria carotide comune.

I processi spinosi bifidi che caratterizzano la maggior parte delle vertebre cervicali, sono così
definiti perché offrono una maggior superficie per l’inserzione muscolare.
La 7ima vertebra cervicale non ha un processo spinoso bifido, ma molto pronunciato.
Viene definita vertebra prominente, in quanto questo
processo spinoso così pronunciato va a costituire un punto
di repere superficiale molto importante, alla base del collo.

Le faccette articolari sui processi articolari nelle vertebre


cervicali sono orientate di circa 45° sul piano orizzontale.
Atlante ed epistrofeo sono le prime 2 vertebre cervicali altamente
modificate per essere in grado di sorreggere la testa e permetterne i
movimenti.
La 1° vertebra cervicale è definita atlante, manca del corpo vertebrale
ed è costituita da 2 archi anteriore e posteriore dell’atlante e tra questi
2 archi è possibile riconoscere i processi trasversi, quindi anche i
processi articolari superiore e inferiore.
La 2° vertebra cervicale è chiamata epistrofeo e presenta il corpo
vertebrale, ma soprattutto presenta un processo che si solleva dalla
faccia superiore del corpo detto dente, inoltre presenta i processi
trasversi e i processi articolari interiore e superiore rivestiti di cartilagine
articolare.

Vertebre toraciche
Le vertebre toraciche sono 12 e si articolano con la parte posteriore
delle 12 paia di coste.
Presentano quindi faccette articolari costali localizzate a livello di:

✓ Corpi vertebrali: faccette articolari che si articolano con la


parte posteriore delle coste, detta testa costale
✓ Processi trasversi: faccette costali trasversarie che si articolano
con una porzione della costa detta tubercolo costale

Le vertebre toraciche presentano processi spinosi particolarmente lunghi e inclinati verso il basso.

Le faccette articolari sui processi articolari nelle vertebre toraciche sono orientate sul piano vertico-
frontale.

Vertebre lombari
Le vertebre lombari possiedono un corpo vertebrale grande,
massimo nella 5° vertebra lombare e oltre ai processi trasversi e
spinosi che fungono da leve ossee, si aggiungono piccoli processi
detti processo mammillare e processo accessorio utili per l’inserzione
dei muscoli nel tratto lombare.

Le faccette articolari sui processi articolari nelle vertebre lombari


sono orientate sul piano vertico-sagittale.

Osso sacro
L’osso sacro partecipa alla costituzione del bacino o pelvi ossea formata
da: osso sacro, 2 ossa dell’anca e coccige.
Deriva dalla fusione di 5 vertebre sacrali e la fusione avviene dopo il 10°
anno di vita.
Presenta una forma circa piramidale con una base diretta in alto e
inclinata anteriormente e un apice situato in basso e inclinato
posteriormente.
Il sacro complessivamente si dice essere inclinato dall’alto in basso in
direzione antero-posteriore.
Si riduce la dimensione delle vertebre sacrali e coccigee poiché non sono
più responsabili del sostenimento del peso corporeo del tronco perché dall’osso dell’anca viene
trasmesso al femore.

La base corrisponde alla faccia superiore della 1° vertebra sacrale, altamente modificata, ed è
caratterizzata da un margine anteriore molto pronunciato detto promontorio del sacro.
Si notano anche i processi articolari superiori rivestiti di cartilagine articolare che si articolano con i
processi articolari inferiori della 5° vertebra lombare.
La faccia anteriore del sacro, detta faccia pelvica, è concava e
abbastanza liscia, mostra linee trasversali che corrispondono alle
linee di fusione delle 5 vertebre sacrali.
Inoltre si notano dei fori sacrali anteriori.
A questo livello emergono i rami anteriori dei nervi spinali sacrali.
La faccia posteriore dorsale è convessa, ma è alquanto rugosa,
infatti si distinguono dei rilievi definite:

I. Cresta sacrale mediana: deriva dalla fusione dei processi


spinosi
II. Creste sacrali intermedie o mediali: dalla fusione dei processi articolari
III. Creste sacrali laterali: corrispondono alla fusione dei processi trasversi

La parte sacrale del canale vertebrale è definito canale sacrale che non contiene il midollo
spinale, il quale si arresta nella 2° vertebra lombare, ma contiene formazioni nervose.
Il canale sacrale si apre inferiormente in corrispondenza dello iato sacrale che risulta dalla
mancata fusione delle lamine della 5° vertebra sacrale.

L’apice del sacro si articola con il coccige.

I nervi spinali di tutti i nervi spinali pre-sacrali, dopo aver attraversato il foro intervertebrale, si
dividono in un ramo anteriore e in un ramo posteriore.
Nel caso, però, dei nervi spinali sacrali, questa suddivisione in
rami avviene ancora mentre sono ancora all’interno del
canale sacrale, per questo sono presenti i fori sacrali anteriori
e posteriori.
Dai fori sacrali anteriori emergono i rami anteriori, mentre dai
fori sacrali posteriori emergono i rami posteriori.

Le facce laterali del sacro, dall’alto al basso si assottigliano trasformandosi in


margini.
La parte superiore delle facce laterali presenta una superficie articolare detta
faccetta auricolare del sacro che si articola con la corrispondente superficie
articolare della porzione iliaca dell’osso dell’anca, per cui si parla di
articolazione sacro-iliaca.

Sacralizzazione e lombarizzazione (5%)

❖ In alcuni soggetti L5 (5° vertebra lombare) è parzialmente o completamente fusa con l’osso
sacro → Emisacralizzazione o sacralizzazione di L5
❖ In alcuni soggetti S1 (1° vertebra sacrale) è parzialmente o
completamente fusa con L5 ed è staccata dall’osso sacro
→ Lombarizzazione di S1

ARTICOLAZIONI VERTEBRALI
Le articolazioni vertebrali si distinguono in:

• Intrinseche: tra vertebre continue (intervertebrali)


o Zigapofisarie → Tra i processi articolari (arco vertebrale)
o Intersomatiche → Tra i corpi vertebrali
• Estrinseche: tra vertebre e altre formazioni scheletriche
o Cranio-vertebrali
o Costo-vertebrali
o Sacro-iliache
Articolazioni vertebrali intrinseche
Le articolazioni vertebrali intrinseche sono di 2 tipi:

1. Zigapofisarie: tra i processi articolari delle vertebre


contigue e riguardano le articolazioni degli archi
vertebrali
2. Intersomatiche: tra i corpi di 2 vertebre contigue e
riguardano le articolazioni dei corpi

Zigapofisarie

Le articolazioni zigapofisarie si attuano tra le faccette articolari dei


processi articolari superiore ed inferiore di 2 vertebre contigue.
Sono articolazioni sinoviali, diartrosi di tipo artrodia e le superfici
articolari che si contrappongono e riguardano le estremità dei
processi articolari sono piatte.
Permettono i movimenti che però vincolano, ossia a seconda del
piano sul quale giacciono sono favoriti o impediti alcuni movimenti.

Intersomatiche
Le articolazioni instersomatiche sono sinfisi quindi si attuano tra i piatti
vertebrali rivestiti di cartilagine articolare di 2 vertebre contigue e il disco
intervertebrale compreso.
La struttura del disco intervertebrale è costituita da una porzione centrale
detta nucleo polposo circondato da una porzione fibrosa detta anello
fibroso o strato anulare.

L’anello fibroso è costituito da una successione di lamine fibrose concentriche contenenti fasci di
fibre a decorso parallelo, ma incrociato rispetto ai fasci delle lamine vicine.
Questo le rende molto resistenti e capaci di mantenere al meglio il nucleo polposo.
Le lamelle risultano, a livello della parte posteriore dell’anello fibroso, più sottili e meno numerose.
Le parti esterne dell’anello sono particolarmente ricche di recettori dolorifici.

Il nucleo polposo è di natura fibrocartilaginea, molto idrofilo, deformabile.


È privo di vasi propri, quindi costituti o per il 90% di acqua, contiene poche cellule cartilaginee ed
è particolarmente ricco di proteoglicani che richiamano acqua e nutrimento dal plasma dei vasi
vicini, quindi si tratta dei vasi subcondrali che si sviluppano al di sotto della cartilagine dei piatti
vertebrali o proveniente dai vasi presenti nelle lamelle esterne dell’anello fibroso.

Il disco intervertebrale agisce come ammortizzatore


rispetto alle sollecitazioni assiali e come cuscinetto
deformabile, nei movimenti vertebrali.

I dischi intervertebrali concorrono all’altezza della


colonna vertebrale (25%) e alla formazione delle curve fisiologiche della colonna vertebrale,
poiché i dischi hanno una forma a cuneo sono più spessi posteriormente, in corrispondenza delle
cifosi e più sottili anteriormente, a livello delle lordosi.
Aumentano di spessore dall’alto al basso (sono 23) e insieme alle curve hanno una fondamentale
capacità ammortizzante perché fungono da cuscinetto ad acqua.
Sono la sede di tutti i movimenti intervertebrali (deformabili) che vincolano in ampiezza.

Il nucleo polposo paragonato ad uno snodo sferico è il fulcro semifluido del movimento.
Il nucleo polposo (racchiuso in un alloggiamento
inestensibile) assume una forma di sfera e si comporta come
una biglia interposta fra 2 piani.
Questo tipo di articolazione permette: flesso-estensione,
inclinazioni, scivolamento e rotazione.
Il nucleo polposo si sposta in funzione dei movimenti della colonna
vertebrale.

L’ampiezza dei movimenti tra 2


vertebre contigue dipende dall’altezza
dei dischi vertebrali e soprattutto dal
rapporto tra altezza/spessore del disco
intervertebrale e il diametro dei corpi vertebrali.
Questo spiega il motivo per il quale il tratto cervicale della colonna
vertebrale, dove i dischi intervertebrali sono molto piccoli, l’ampiezza
dei movimenti è massima, anche per questo motivo il tratto cervicale
risulta essere il tratto più mobile della colonna vertebrale.

Dal mattino alla sera si può osservare una diminuzione dell’altezza di circa 2-3 cm, soprattutto se
un soggetto giovane sta in piedi molto tempo perché, a causa delle varie sollecitazioni, il nucleo
polposo si disidrata.
Il liquido passa attraverso la cartilagine articolare, si porta ai vasi
subcondrali e per questo diminuisce di altezza.
Aggiungendo la perdita di tonicità dei muscoli del dorso, aumentano
anche le curve della colonna vertebrale, ulteriore contributo nella
diminuzione d’altezza nell’individuo.
Per effetto del carico, anche l’arcata plantare si appiattisce contribuendo
alla diminuzione di altezza dal mattino alla sera.
Di notte poi, quando la colonna vertebrale si scarica, i dischi non sono più sollecitati e si reidratano.

Legamenti
Le sinfisi sono particolarmente stabilizzate dai legamenti
longitudinale anteriore e posteriore, annessi al pilastro anteriore.
Tutti gli altri legamenti sono annessi al pilastro posteriore (arco
vertebrale) e stabilizzano le artrodie.

I legamenti che stabilizzano le sinfisi decorrono a ridosso della


faccia anteriore e posteriore dei corpi vertebrali.

Il legamento longitudinale anteriore è un nastro fibroso molto


ampio e robusto che avvolge anteriormente i corpi e i dischi
intervertebrali compresi tra i corpi.
Si estende in basso, dalla faccia anteriore del sacro e risale
fino al tubercolo anteriore dell’atlante.

Dall’atlante, si continua superiormente, fino all’osso occipitale del cranio prendendo il nome di
membrana atlanto-occipiatale anteriore che poi si inserisce nel grande foro occipitale ed è l’unico
legamento che impedisce l’iperestensione della colonna vertebrale.

Il legamento longitudinale posteriore è molto più sottile e debole rispetto al legamento


longitudinale anteriore, si estende dal sacro inferiormente fino all’epistrofeo.
Decorre a ridosso delle facce posteriori dei corpi e dei
dischi intervertebrali compresi, quindi all’interno del canale
vertebrale e viene in rapporto posteriormente con il midollo
spinale.
Oltre l’epistrofeo si continua con la membrana tectoria fino
all’interno del neurocranio passando anteriormente per il
grande foro occipitale.
Previene l’iperflessione della colonna vertebrale.
I legamenti che stabilizzano le articolazioni zigapofisarie sono:

➢ Legamenti gialli: particolarmente ricchi di fibre elastiche e


collegano le lamine delle vertebre contigue
➢ Legamenti intertrasversali: si collocano tra i processi trasversi
➢ Legamenti interspinosi: tra i processi spinosi che si sviluppano sul
piano sagittale
➢ Legamento sovraspinoso: si sviluppa lungo tutta la colonna
vertebrale e collega gli apici dei processi spinosi delle vertebre

Oltre il processo spinoso di C7, il legamento


sovraspinoso si estende sul piano sagittale andando a costituire il
cosiddetto legamento nucale.
A livello della porzione dorsale del collo detta anche regione nucale,
si sviluppano tantissimi muscoli perché la regione cervicale della
colonna vertebrale, si articola con il cranio.

Articolazioni vertebrali estrinseche


Le articolazioni cranio-vertebrali sono 5 e coinvolgono: atlante, epistrofeo e osso occipitale.

Le articolazioni atlo-occipitali si inseriscono tra l’atlante e l’osso


occipitale del neurocranio.
Sono 2 e si attuano tra i condili dell’occipitale e le faccette
articolari dei processi articolari superiori dell’atlante.
Sono condilartrosi, permettendo i movimenti di flesso-
estensione sul piano sagittale e i movimenti di inclinazione
laterale della testa.

La testa può anche ruotare e questo è permesso dalle articolazioni atlo-epistrofiche che si
inseriscono tra l’atlante e l’epistrofeo.
Sono 3: 2 laterali e 1 mediana detta anche atlo-odontoidea.
Si articolano lateralmente tra loro, tramite le articolazioni zigapofisarie
di tipo artrodia, ma si articolano anche a livello del dente
dell’epistrofeo detto anche processo odontoideo articolandosi con
l’arco anteriore dell’atlante.
Questa articolazione è stabilizzata posteriormente dal legamento
trasverso dell’atlante, andando a costituire un anello osteo-fibroso
che contiene il dente dell’epistrofeo, stiamo perciò parlando di
un’articolazione ginglimo-assiale.
Poiché l’atlante, superiormente, tramite le articolazioni atlo-occipitali è collegato al cranio, cranio
e atlante formano un tutt’uno che ruota sull’epistrofeo.
Il legamento trasverso permette di mantenere in posizione il dente dell’epistrofeo, quindi stabilizza
l’articolazione atlo-odontoidea prevenendo lo scivolamento in avanti dell’atlante o indietro
dell’epistrofeo per impedire che il dente dell’epistrofeo scivoli lesionando il midollo spinale.

MUSCOLI DEL DORSO


I muscoli del dorso sono muscoli che sostengono e muovono la colonna vertebrale.
Poiché la maggior parte del peso del corpo si sviluppa anteriormente alla colonna vertebrale, per il
suo sostegno (postura) e movimento, in opposizione alla gravità, sono necessari molti e potenti
muscoli che si inseriscono sui processi spinosi e trasversi delle vertebre localizzati soprattutto
dorsalmente alla colonna vertebrale.
Per questo motivo si parla di muscoli antigravitari e motori della colonna vertebrale che si
distinguono in:

− Intrinseci/propri: origine ed inserzione sulla colonna vertebrale (vertebre)


− Estrinseci: si estendono dalle vertebre alle coste e dalle vertebre all’arto superiore

Il dorso è l’intera regione posteriore del tronco attraversata dalla colonna vertebrale.

I muscoli del dorso non sono gli unici muscoli motori della colonna vertebrale.
Sono situati posteriormente alla colonna vertebrale e procedendo verso la profondità, a livello
dorsale incontriamo 3 strati:

I. Muscoli spino-appendicolari o assio-appendicolari posteriori (strato più superficiale): si


portano dalla colonna vertebrale a formazioni scheletriche dell’arto superiore, sono
estrinseci
II. Muscoli spino-costali (strato intermedio): dalla colonna vertebrale alle coste e sono
responsabili dei movimenti costali, sono estrinseci
III. Muscoli spino-dorsali (strato profondo): veri muscoli che sostengono e muovono colonna
vertebrale e testa, possono essere intrinseci o propri

Muscoli spino-appendicolari
I muscoli spino-appendicolari sono tutti pari e simmetrici.
Sono distribuiti su 2 strati, lo strato più superficiale è sostenuto
dai muscoli: trapezio e grande dorsale; al di sotto vediamo i
muscoli: elevatore della scapola e romboidei.

La loro maggior azione si sviluppa sulle parti dell’arto superiore


su cui si inseriscono, ma medialmente si inseriscono anche
sulla colonna vertebrale e sul cranio, fissando le loro inserzioni
distali su clavicola e omero.

Il trapezio, il cui nome deriva dalla sua forma, è sostenuto dall’unione dei 2 muscoli poiché di fatto,
ogni muscolo trapezio è triangolare.
Si inserisce lateralmente e distalmente su clavicola e scapola,
medialmente sui processi spinosi di alcune vertebre toraciche e
cervicali, inserendosi sull’osso occipitale.
In contrazione bilaterale, il trapezio estende tronco e testa, mentre in
contrazione unilaterale o monolaterale inclina tronco e testa dallo
stesso lato della contrazione, perciò inclina omolateralmente.
Inoltre il trapezio è in grado di ruotare tronco e testa dal lato opposto
rispetto alla contrazione, si dice infatti che ruota eterolateralmente.

Il grande dorsale dalle vertebre lombari e toraciche e dall’osso dell’anca si porta all’omero.
In contrazione bilaterale il grande dorsale solleva il tronco, mentre in contrazione unilaterale inclina
il tronco omolateralmente, cioè dallo stesso lato della contrazione.

Il muscolo elevatore della scapola, dalla scapola si porta ad alcuni processi trasversi delle vertebre
cervicali e il nome definisce la sua funzione: fissando il collo si eleva la scapola, mentre fissando la
scapola agisce a livello delle vertebre.
In contrazione bilaterale l’estensore della scapola estende, invece in contrazione unilaterale
inclina e ruota omolateralmente.

Muscoli spino-costali
I muscoli spino-costali sono chiamati: dentato posteriore superiore e inferiore.
Si portano dai processi spinosi di alcune vertebre alle coste e fissando la gabbia
toracica, in contrazione unilaterale inclinano omolateralmente il tronco.

Muscoli spino-dorsali
I muscoli spino-dorsali si sviluppano a livello delle docce vertebrali, si estendono
dalla pelvi al cranio (non tutti) e formano 2 voluminose masse (dx e sx) costituite
da numerosi muscoli di varia lunghezza, in parte confusi fra loro che permettono il
sostegno e i movimenti precisi e delicati della colonna vertebrale.
Le docce vertebrali corrispondono a spazi simmetrici compresi tra processo spinoso e processi
trasversi di una vertebra.

Sono muscoli rivestiti da un manicotto connettivale molto robusto con la funzione di mantenerli in
posizione e che si estende dal sacro, dove si inserisce medialmente alla cresta sacrale mediana,
risale per inserirsi medialmente sui processi spinosi delle vertebre lombari, toraciche e cervicali e
lateralmente ai processi trasversi delle vertebre lombari, all’angolo costale a livello toracico e ai
processi trasversi a livello cervicale.
Questo manicotto, nei tratti toracico-lombare è definito fascia toraco-lombare e a livello del collo
prende il nome di fascia nucale o fascia prevertebrale.

In direzione postero-anteriore o dorso-ventrale i muscoli spino-dorsali si


distinguono in:

→ Strato superficiale: muscolo sacro-spinale che rappresenta il muscolo


erettore della colonna vertebrale organizzato in colonne
→ Strato profondo: muscolo trasverso-spinale con un’organizzazione
laminare cui si aggiungono i muscoli interspinosi e intertrasversari

Strato superficiale
Il muscolo sacro-spinale si può suddividere in 3 colonne:

1. Ileo-costale (laterale)
2. Lunghissimo (intermedio): presenta anche la porzione che si porta
alla testa
3. Spinale (mediale)

Il muscolo sacro-spinale origina tramite un tendine comune dell’osso sacro.


Le componenti muscolari del sacro-spinale sono muscoli molto lunghi che
decorrono verticalmente.
Questi muscoli, per riuscire a mantenerci in stazione eretta, sono sempre contratti, per questo sono
detti in contrazioni tonica.
In contrazione bilaterale il sacro-spinale estende colonna vertebrale e testa, mentre in contrazione
monolaterale inclina colonna vertebrale e testa omolateralmente.

A livello del collo si aggiungono i muscoli spleni: splenio della


testa e del collo (spino-trasversari).
Rivestono il sacro-spinale, solo a livello del collo.
In contrazione bilaterale estendono testa e collo, mentre in
contrazione monolaterale permettono rotazione e inclinazione
omolaterale.

Strato profondo
Il muscolo trasverso-spinale si può suddividere in 3 lamine:

a) Semispinale (superficiale): presenta una


porzione dorsale o toracica, una porzione a
livello del collo e una porzione che raggiunge
il cranio
b) Multifido (intermedio): si estende per tutta la
lunghezza della colonna vertebrale
c) Rotatori (profondi): si sviluppano soprattutto a
livello del tratto toracico della colonna
vertebrale e mediano piccoli movimenti tra
una vertebra e l’altra

Sono muscoli di media lunghezza che si sviluppano obliquamente portandosi dai processi trasversi
delle vertebre a quelli spinosi delle vertebre sovrastanti e da qui il nome di trasverso-spinale.
In contrazione bilaterale estendono o stabilizzano colonna vertebrale
e testa, mentre in contrazione unilaterale inclinano omolateralmente e
ruotano eterolateralmente colonna vertebrale e testa.

I muscoli interspinosi collegano i processi spinosi di vertebre contigue,


mentre i muscoli intertrasversari si sviluppano fra i processi trasversi di
vertebre contigue e sono soprattutto rappresentati a livello cervicale e
lombare.

A livello del collo si aggiungono poi i muscoli suboccipitali.


Sono 4 muscoli pari e simmetrici che collegano fra loro le prime 2
vertebre cervicali e con l’occipitale agendo sulle 5 articolazioni
cranio-vertebrali.
In contrazione bilaterale essi permettono l’estensione, mentre in
contrazione unilaterale l’inclinazione omolaterale.

MUSCOLI MOTORI DELLA TESTA E DEL COLLO


Oltre ai muscoli del dorso che si sviluppano posteriormente alla colonna vertebrale che la
sostengono, estendono… abbiamo muscoli che la devono flettere e questi sono i muscoli motori
della testa e del collo e i muscoli motori dei tratti toracico e lombare della colonna vertebrale.

I muscoli motori della testa e del collo (correlati al rachide) sono:

• Muscoli della regione nucale (regione dorsale del collo): il tratto cervicale della colonna
vertebrale è completamente circondato da muscoli (muscoli della regione nucale del
collo)
• Muscoli della parete antero-laterale del collo propriamente detto: sternocleidomastoideo e
sovraioidei e sottoioidei

Collo
A livello del collo si possono distinguere 2 grandi regioni: una
regione posteriore, quindi dorsale del collo, detta regione nucale
e tutta la restante regione che si estende anteriormente
corrisponde al collo propriamente detto.

Muscoli della regione nucale


La regione nucale risulta avvolta da una fascia connettivale detta fascia prevertebrale o nucale.
Questa regione è attraversata, al centro, dalla colonna vertebrale, quindi siamo di fronte al tratto
cervicale della colonna vertebrale che risulta completamente avvolto da muscoli.
I muscoli della regione nucale sono distinti in:

o Posteriori: muscoli intrinseci del dorso del tratto cervicale


I muscoli posteriori sono rappresentati dai muscoli:
− Suboccipitali
− Spino-dorsali del tratto cervicale
− Spleni della testa e del collo
o Anteriori: corrispondono ai muscoli prevertebrali
Si sviluppano anteriormente alla colonna vertebrale e risultano in
stretto rapporto con essa. Comprendono: i muscoli lunghi della testa e
del collo e i muscoli retti anteriori.
In contrazione bilaterale flettono testa e collo, mentre in contrazione
unilaterale inclinano testa e collo omolateralmente.
Il lungo della testa e del collo risultano importantissimi stabilizzatori del
tratto cervicale della colonna vertebrale, sostenendo la lordosi cervicale.
o Laterali: sono rappresentati dai muscoli scaleni
Sono 3 pari e simmetrici distinti in: scaleno anteriore, scaleno medio
e scaleno posteriore.
Dalle vertebre cervicali si portano: anteriore e medio al 1° paio di
coste, mentre il posteriore al 2° paio di coste.
In contrazione bilaterale flettono il tratto cervicale della colonna
vertebrale, mentre in contrazione unilaterale inclinano omolateralmente.
Sono muscoli capaci di innalzare le coste, quindi sono coinvolti nel meccanismo
respiratorio.

Muscoli della parete antero-laterale del collo propriamente detto


Il collo propriamente detto è organizzato in vari compartimenti che si
distinguono:

▪ Strato superficiale muscolare: costituito da muscoli della parete antero-


laterale del collo propriamente detto
▪ Voluminoso spazio viscerale: più anteriormente si trovano tratti delle vie
respiratorie come la laringe cui segue la trachea, e più posteriormente
si trovano i tratti delle vie digestive, quindi la faringe cui segue l’esofago
▪ Fascio vascolo-nervoso del collo

Oltre alla parete antero-laterale del collo propriamente detto, di natura


muscolare, troviamo, in direzione antero-posteriore, i visceri del collo.
Lateralmente al compartimento viscerale del collo propriamente detto
abbiamo i fasci vascolo-nervosi del collo sostenuti da vasi e da un nervo.
Per quanto riguarda i vasi si tratta dell’arteria carotide interna, quindi della
vena giugulare interna.
Per quanto riguarda il nervo invece si parla del nervo vago che corrisponde
al 10° paio di nervi cranici.
Si tratta di formazioni vascolo-nervose delimitate e sostenute da una guaina
connettivale detta guaina carotica.

I muscoli della parete antero-laterale del collo propriamente detto sono muscoli che muovono la
colonna vertebrale e la testa, pur non essendo in stretto rapporto con la colonna vertebrale.
Al di sotto della cute troviamo i muscoli sternocleidomastoidei, quindi i muscoli sovra e sottoioidei.

Il muscolo sternocleidomastoideo è costituito da 2 ventri, uno con origine nello


sterno e l’altro con origine nella clavicola, e si inserisce a livello del cranio nel
processo mastoideo.
Fissato il torace, in contrazione unilaterale inclina la testa omolateralmente e la
ruota eterolateralmente.
In contrazione bilaterale, flette testa e collo se i muscoli prevertebrali sono
contratti, se invece questi sono rilassati allora estende.
Fissata la testa, lo sternocleidomastoideo eleva lo sterno, perciò funge da
muscolo inspiratorio.

I muscoli sovra e sottoioidei sono 4 muscoli pari e simmetrici.


I sovraioidei si portano dall’osso ioide, osso impari che si sviluppa a livello
della parete anteriore del collo, alla mandibola.
I sottoioidei dall’osso ioide si portano allo sterno.
Fissata la mandibola, contraendosi flettono il collo e quindi la testa.

MUSCOLI MOTORI DEI TRATTI TORACICO-LOMBARE


Nei movimenti della porzione toraco-lombare della colonna vertebrale intervengono, oltre ai
muscoli dorsali relativi a questi tratti e primariamente deputati all’estensione, i muscoli della parete
addominale.
I muscoli della parete addominale sono importanti per i movimenti del tronco (flessione,
inclinazione e rotazione), per il mantenimento della postura, per sostenere la lordosi lombare, per la
respirazione…

CLINICA DEL RACHIDE


Curve anomale della colonna vertebrale
Le curve anomale della colonna vertebrale si possono individuare a partire dall’osservazione del
soggetto in posizione ortostatica, ossia in posizione eretta.
Si esamina il suo profilo laterale per verificare se sono presenti eventuali accentuazioni delle
fisiologiche curve che possono causare cifosi o lordosi.
Dopodiché si esamina il soggetto di spalle, dorsalmente, dove la colonna vertebrale, in una
situazione fisiologica si deve mostrare rettilinea, se invece evidenza delle curve che si sviluppano sul
piano frontale si parla di scoliosi.

Possono avere varie origini, si definiscono:

→ Congenite: quando compaiono fin dalla nascita e sono dovute solitamente ad anomalie di
sviluppo alle ossa o ai muscoli del rachide
→ Acquisite/compensatorie: quando compaiono in un
qualsiasi momento della vita come conseguenza di
diverse alterazioni di natura ossea, muscolare o
neurologica, che riguardano parti del corpo diverse
da quelle del rachide che però si ripercuotono sulle
formazioni anatomiche della colonna vertebrale
→ Idiopatiche: di origine sconosciuta

Iper cifosi
Clinicamente si definisce cifosi o gobba un’accentuazione della fisiologica cifosi toracica detta
iper cifosi.
Può essere di tipo:

➢ Giovanile: quando si evidenzia in giovane età ed è solitamente di origine posturale, quindi


conseguente ad una postura sbagliata
➢ Senile: si osserva negli anziani e solitamente è conseguente ad osteoporosi che colpisce
soprattutto i corpi vertebrali oppure conseguente a degenerazione dei dischi intervertebrali

Iper lordosi
Clinicamente si definisce lordosi o schiena concava, un’accentuazione della fisiologica lordosi
lombare detta iper lordosi.
Le sue più frequenti cause sono:

✓ Reversibili: eccessivo aumento di peso perché il grasso si accumula soprattutto a livello


addominale o in gravidanza per effetto del peso del feto che si sta sviluppando
✓ Mancato tono dei muscoli della parete antero-laterale dell’addome
✓ Compensatoria ad una iper cifosi
✓ Difetti che riguardano gli arti inferiori (es. sviluppo maggiore di un arto rispetto all’altro)

Scoliosi
La scoliosi è una deviazione della colonna vertebrale sul piano frontale, perciò si tratta di curve
patologiche.
Dal greco “skolios”, (storto e contorto), indica una deviazione/inclinazione laterale (rispetto alla
verticalità sul piano frontale) permanente della colonna vertebrale.
Dal punto di vista diagnostico è fondamentale distinguere fra:

❖ Scoliosi funzionale: evidenziabile solo quando la colonna vertebrale è in carico


La curva si evidenzia solo se la colonna è in carico (sul piano frontale), non quando si
scarica.
Dal punto di vista anatomo-morfologico, la colonna risulta essere normale.
Le cause della scoliosi funzionale possono essere: atteggiamenti posturali sbagliati,
depressioni/astenia e posizioni antalgiche.
Se le cause dipendono da difetti degli arti inferiori si parla
allora di scoliosi compensatorie e statiche in quanto si
evidenziano soltanto quando il soggetto è in posizione
eretta.
Questo genere di scoliosi è però reversibile se diagnosticata per tempo.
❖ Scoliosi strutturale: evidenziabile anche quando la colonna vertebrale si scarica
Si manifestano su tutti e 3 i piani dello spazio, sono perciò tridimensionali.
Si manifesta con una vera torsione vertebrale:
o Inclinazione laterale sul piano frontale
o Inversione/raddrizzamento delle curve sul piano
sagittale
o Rotazione irreversibile delle vertebre sul piano trasversale → Sviluppo del gibbo: il
dorso, scaricando la colonna vertebrale, protrude dal lato della convessità della
curva
Considerata un dismorfismo (alterazione morfo funzionale della CV) la colonna risulta
deformata in modo permanente sui 3 piani dello spazio e la deformazione non è
volontariamente riducibile.

Le scoliosi si sviluppano soprattutto a livello del tratto toracico della colonna vertebrale, dove le
vertebre si articolano con le coste, tale per cui alla rotazione
anomala delle vertebre, si associa la rotazione posteriore
delle coste responsabile dello sviluppo del gibbo.
Se le vertebre ruotano a destra, si sviluppa una curva
convessa a destra sul piano frontale e in posizione flessa si
evidenzia il gibbo costale a destra.

In funzione della loro origine le scoliosi vengono così classificate:

1. Congenite: emivertebre o sviluppo asimmetrico della muscolatura del dorso


2. Acquisite: compensatorie a difetti di arti inferiori
3. Idiopatiche: ad eziologia poco nota
È la forma più comune (80%) e si manifesta durante il periodo puberale.
È una malattia multifattoriale (squilibrio sviluppo scheletrico e muscolare) che colpisce i
soggetti longilinei e astenici.
Colpisce maggiormente il sesso femminile ed è forte l’ipotesi che possa avere un’origine
genetica.

Le scoliosi sono misurate in gradi cox e se superano i 40 gradi cox si deve intervenire
chirurgicamente.

Ernia al disco
L’erniazione del disco consiste un’estrusione di sostanza nucleare dalla sua
sede.
Il nucleo si fa strada attraverso fissurazioni della porzione posteriore
dell’anulus.
Le cause dell’ernia al disco possono essere:

Stress, sollecitazioni, compressioni continue durante il corso della vita a carico della
colonna vertebrale
Degenerazione del disco intervertebrale
Degenerazione del disco
La degenerazione del disco e così anche quello del corpo vertebrale rientra nella patofisiologia
dell’invecchiamento.
Accade infatti che invecchiando il nucleo polposo perde la sua
capacità idrofilica, quindi anche quando la colonna vertebrale si
scarica, non si reidrata più nella misura ottimale perché col passare degli
anni il nucleo perde i proteoglicani e si arricchisce di fibre collagene.
In questo modo diminuisce la capacità ammortizzante, risponde male
alle sollecitazioni che vengono trasmesse all’anello fibroso che si può
fissurare, soprattutto nella sua parte posteriore più sottile e debole.
Se si fissura la sostanza nucleare si fa strada attraverso quest’apertura ed ecco l’ernia al disco.

Le fissurazioni si verificano preferenzialmente posteriormente, ma non hanno coinvolto tutte le


lamelle dell’anulus, quindi la sostanza nucleare si impegna
attraverso queste fissurazioni, ma resta all’interno dell’anello fibroso.
In questo caso si parla di ernia contenuta.

Quando il disco intervertebrale è leso, la diminuzione del suo


spessore sotto carico è maggiore rispetto a quando il disco è sano.
Il disco leso, inoltre, non recupera completamente il suo spessore
iniziale dopo essere stato scaricato.
Questo può alterare i rapporti articolari tra i processi articolari, e quindi, a lungo andare, portare
ad artrosi/osteoartrosi.

Parliamo di ernia espulsa quando le lamelle dell’anello fibroso sono state completamente fissurate.
Nel caso di ernia postero-mediana la sostanza nucleare può colpire il legamento longitudinale
posteriore senza lesionarlo, causa di grande dolore per
stimolazione dei suoi recettori dolorifici oppure lesionarlo
schiacciando direttamente il midollo spinale a livello di L1
ed L2, se invece l’ernia si sviluppa al di sotto di L1 ed L2
colpisce la cauda equina, radici nervose che percorrono il
tratto di canale vertebrale situato al di sotto di L2.
Nel caso di ernia postero-laterale, la sostanza nucleare colpisce i nervi spinali che attraversano i
fori intervertebrali.

La regione lombare è la più coinvolta per:

a) Aumento del peso corporeo che grava sui corpi e dischi


compresi
b) L’anello fibroso non è ben protetto postero-lateralmente
dal legamento longitudinale posteriore; si assottiglia
dall’alto al basso provocando ernie postero-laterali
c) Sollecitazioni più intense a livello dell’angolo lombo-
sacrale e in soggetti con iper lordosi lombare

La maggior parte delle ernie avviene ai livelli compresi tra L4 ed


L5 o tra L5 ed S1.

Effetti dell’invecchiamento sulle vertebre

→ Riduzione complessiva della densità e della resistenza dell’osso, soprattutto a livello del
corpo a causa della diminuzione di lamelle ossee (osteoporosis).
La superficie superiore e inferiore del corpo vertebrale molto sollecitata si deforma e
diventa concava.
→ I nuclei polposi dei dischi intervertebrali si disidratano (perdita di proteoglicani) e si
arricchiscono di fibre collagene, diventano rigidi e formano un tutt’uno con l’anello fibroso
L’aumento delle forze di compressione alla periferia dei corpi vertebrali comporta la formazione di
osteofiti che causa spondilosi/osteoartrosi.

Spondilosi/osteoartrosi
Con l’avvento dell’osteoporosi dei corpi vertebrali e la conseguente degenerazione del disco
intervertebrale che viene inglobato tra i 2 corpi vertebrali, sparisce lo spazio intervertebrale non
perché sparisce il disco, ma perché diventando rigido e i corpi più deboli, viene inglobato.
Questo causa una diretta riduzione dei fori intervertebrali detta stenosi che non è altro che una
compressione dei nervi spinali in uscita.
Inoltre le superfici dei corpi vertebrali contrapposti,
soprattutto in corrispondenza dei margini rilevati,
entrano in diretto rapporto e ciò comporta lo
sviluppo di osteofiti.
Anche i processi articolari delle articolazioni zigapofisarie risultano in un rapporto non ottimale che
di nuovo permette la formazione di osteofiti e quindi ulteriore riduzione dei fori intervertebrali e del
canale vertebrale.

Spondiloartrosi
Nella spondiloartrosi i processi articolari e i margini dei corpi
vertebrali entrano in rapporto e avviene uno sfregamento osso
contro osso.
Si associa a grande dolore durante i normali movimenti della
colonna vertebrale e può comportare anche la fusione tra vertebre
che causa immobilità delle parti del tronco che vengono coinvolte.
Spondilolistesi
La spondilolistesi lombare (anche causa di iper lordosi lombare) rappresenta una
condizione di instabilità vertebrale, ossia lo scivolamento di una vertebra sull’altra.
Le vertebre comunemente interessate sono L5 ed L4 (95% dei casi).
Presuppone un trauma o una "lassità" articolare con mobilità anomala delle
vertebre, e può peggiorare nel tempo.

PARETE TORACICA

Il torace è la regione del tronco compresa tra collo e addome.


Presenta una forma conica in quanto le spalle, sostenute dalla clavicola e dalla scapola,
appartengono all’arto superiore.
Il torace comprende una parete, la parete toracica, che delimita una cavità, la cavità toracica.
La parete toracica è di natura, prevalentemente, osteo-artro-muscolare.
La cavità toracica, dal punto di vista topografico-regionale, viene suddivisa
in 3 spazi principali: lateralmente sono poste le 2 logge pleuro-polmonari
contenenti i 2 polmoni rivestiti dalle sierose pleuriche, mentre al centro è
presente una regione detta mediastino che contiene tutte le restanti
formazioni della cavità toracica come: cuore, grossi vasi che si portano o
originano dal cuore, trachea che si suddivide nei 2 bronchi primari che
entrano nei polmoni, posteriormente alla trachea è posto l’esofago,
anteriormente è presente anche il timo.

La parete toracica è sostenuta da un insieme di formazioni scheletriche, articolate tra loro, che
nell’insieme costituiscono la gabbia toracica che dà inserzioni a muscoli estrinseci del torace
(muscoli dell’arto superiore, del dorso, della parete addominale) che dalle ossa della gabbia
toracica si portano a formazioni scheletriche diverse e funge da attacco per muscoli intrinseci che
originano e terminano sulle parti scheletriche della gabbia toracica (muscoli intercostali e del
diaframma, muscoli respiratori per eccellenza).
La funzione primaria della parete toracica è connessa alla respirazione.
GABBIA TORACICA
La gabbia toracica, di forma conica (stretta in alto e larga in
basso) è costituta anteriormente dallo sterno e dalla parte
anteriore delle coste di natura cartilaginea, quindi 12 paia di coste,
posteriormente sono visibili le 12 vertebre toraciche e la parte
posteriore delle coste che si articolano con le vertebre toraciche e
lateralmente si nota la porzione laterale delle coste.
Tra le coste si articolano degli spazi definiti spazi intercostali che nel
vivente sono chiusi da formazioni di natura muscolare, in
particolare si parla dei muscoli intercostali, quindi muscoli intrinseci
del torace.

La gabbia toracica presenta un limite superiore detto apice o


apertura toracica superiore delimitata posteriormente dal corpo
della 1° vertebra toracica, quindi dal 1° paio di coste e più
anteriormente dal margine superiore dello sterno.
L’apertura toracica superiore risulta aperta, mettendo in
comunicazione il torace con le regioni del collo e dell’arto
superiore, quindi a questo livello transitano varie informazioni.
Il limite inferiore detto base o apertura toracica inferiore risulta
delimitata posteriormente dal corpo della 12° vertebra toracica,
lateralmente da 11° e 12° paio di coste e più anteriormente dalla
cosiddetta arcata costale, sostenuta dalle cartilagini delle coste comprese tra la 10° e la 7° costa
che a questo livello si uniscono.
Mentre il limite superiore è aperto, il limite inferiore è chiuso dal muscolo diaframma.

Il diaframma origina dalle formazioni scheletriche che delimitano l’apertura


toracica inferiore e si proietta e risale all’'interno della gabbia toracica, si
dispone a cupola, quindi mostra una faccia superiore convessa e una faccia
inferiore concava.
Il diaframma separa la cavità toracica dalla
sottostante cavità addominale e questa
particolare disposizione fa sì che l’estensione
della parete toracica e della cavità toracica
risultino diverse, infatti la cavità toracica è
meno estesa della parete o gabbia toracica.
Ci sono visceri che appartengono alla cavità addominale come:
fegato, stomaco e milza, ma che risultano in rapporto
superficialmente con la parte inferiore della gabbia toracica.

Sterno
Lo sterno è un osso appiattito situato anteriormente in relazione al tratto toracico della colonna
vertebrale, si estende circa dalla 2° alla 9° vertebra toracica.
È costituito da 3 parti, chiamate dall’alto al basso: manubrio, corpo e processo xifoideo.
Queste 3 parti risultano collegate da articolazioni di tipo sinartrosi
cartilaginee:

• Fra manubrio e corpo → Articolazione manubrio-sternale


• Fra corpo e processo xifoideo → Articolazione xifo-sternale

Queste articolazioni, con il passare degli anni tendono ad


ossificare diventando delle sinostosi.

Il manubrio presenta una forma circa quadrangolare, si nota il suo margine superiore caratterizzato
al centro da una leggera depressione, detta incisura sovra-sternale detta anche incisura
giugulare e ai lati si trovano le incisure clavicolari che sono superfici articolari per la clavicola.
A questo livello le estremità mediali delle clavicole si articolano con il manubrio dello sterno, unico
collegamento scheletrico tra arto superiore e scheletro assile.
La clavicola infatti, si dispone trasversalmente superiormente alla 1° costa e si articola
medialmente con il manubrio dello sterno e lateralmente con la scapola.

Lungo i margini laterali dello sterno si riconoscono le cosiddette incisure costali ossia le superfici
articolari per le cartilagini costali delle prime 7 paia di coste che anteriormente si articolano
direttamente con lo sterno.

Coste
Le coste sono segmenti scheletrici, prevalentemente costituiti da osso, a parte la porzione
anteriore di natura cartilaginea.
Sono disposte inclinate, risultano infatti oblique dall’alto al basso in direzione postero-anteriore.
Le prime 7 si articolano direttamente con lo sterno e
sono definite coste vere, dall’8° alla 10° si articolano
indirettamente con lo sterno e per questo sono dette
coste false e si uniscono alla cartilagine della costa
sovrastante nella costituzione dell’arcata costale, infine
l’11° e la 12° sono molto corte e sono dette coste false
fluttuanti in quanto rimangono libere e non si articolano
in alcun modo con lo sterno.

Le cartilagini costali contribuiscono fortemente all’elasticità della gabbia toracica.


La gabbia toracica associa caratteristiche di rigidità ed elasticità per proteggere le formazioni vitali
contenute nella cavità toracica e contemporaneamente risulta essere elastica grazie alle
numerosissime articolazioni che si instaurano tra le sue ossa e alle parti cartilaginee delle coste che
sono fondamentali per la meccanica respiratoria dove la gabbia toracica deve essere in grado di
modificare la sua espansione al fine di permettere l’entrata e l’uscita di aria dai polmoni
(espansione → ingresso dell’aria, riduzione → fuoriuscita dell’aria).

Le coste presentano un’estremità posteriore detta anche estremità vertebrale, un sottile corpo e
un’estremità anteriore detta anche estremità sternale che viene in rapporto con lo sterno.
A livello dell’estremità vertebrale distinguiamo una porzione definita testa della costa che si articola
con il corpo della vertebra toracica, si parla di articolazione costo-corporea.
Segue una piccola parte dell’estremità vertebrale detta collo e
un’ulteriore parte definita tubercolo costale che si articola con il
processo trasverso della vertebra toracica, per cui si parla di
articolazione costo-trasversaria.

Il corpo è sottile e alquanto piatto, disposto in modo tale da poter


mostrare una faccia interna concava e una faccia esterna
convessa, quindi un margine superiore e un margine inferiore.
Il corpo non si mantiene in orizzontale ma si piega in basso e in avanti in corrispondenza di una sua
porzione definita angolo costale.
Inoltre il corpo, a livello della sua faccia interna presenta un solco costale all’interno del quale
decorrono vasi e nervi intercostali.

La maggior parte delle teste costali si articolano con i corpi di 2 vertebre contigue e il disco
compreso.

Coste atipiche
Le coste atipiche che presentano una struttura atipica sono: la 1° e la 2°
costa, l’11° e la 12° costa.

In particolare il 1° paio di coste risulta molto corto, con il maggior raggio di


curvatura, molto spessa e appiattita.
È disposta orizzontalmente con una faccia superiore e una faccia
inferiore, quindi un margine interno o mediale e un margine esterno o laterale.
Inoltre la faccia superiore presenta 2 solchi separati da un tubercolo che corrispondono
rispettivamente alla vena succlavia per quanto riguarda il solco anteriore e dell’arteria succlavia
per quanto riguarda il solco posteriore.
L’arteria succlavia è l’arteria che irrora tutto l’arto superiore, mentre la vena succlavia raccoglie il
sangue venoso di ritorno di tutto l’arto superiore.
Tra i 2 solchi è presente il tubercolo che permette l’inserzione al muscolo scaleno anteriore.
Il muscolo scaleno medio, invece, si inserisce oltre il decorso dell’arteria succlavia.
Tra i 2 muscoli scaleni anteriore e medio, si definisce lo spazio interscalenico, importante dal punto
di vista clinico in quanto decorrono l’arteria succlavia e il plesso brachiale, un’anastomosi di fibre
nervose all’origine di nervi che si distribuiscono a tutte le formazioni dell’arto superiore.
Un restringimento dello spazio interscalenico dovuto ad un’ipertrofia dei muscoli scaleni
comporterà costrizioni di:

o Arteria succlavia: con conseguenza di ischemia,


ovvero mancanza di O a livello dell’arto superiore
o Plesso brachiale: ne consegue una perdita di
sensibilità, dolore e forza muscolare a livello
dell’arto superiore

Il 2° paio di coste è disposto orizzontalmente.

L’11° e il 12° paio di coste sono coste molto corte che si articolano posteriormente con le vertebre
toraciche, ma anteriormente non entrano in contatto con lo sterno.
Sono particolarmente sottili, a volte anche taglienti.

MUSCOLI
I muscoli della parete toracica sono distinti in:

1. Estrinseci: si portano da parti scheletriche della gabbia toracica a formazioni scheletriche


appartenenti ad altre parti del corpo e la loro azione dipende dalle ossa che vanno a
fissare.
Sono rappresentati dai muscoli toraco-appendicolari, quindi dagli spino-costali e dai
muscoli della parete addominale.
Questi ultimi si portano dalle coste alla pelvi ossea.
2. Intrinseci: originano e terminano su porzioni scheletriche della gabbia toracica.

Muscoli estrinseci
Muscoli toraco-appendicolari
I muscoli toraco-appendicolari si sviluppano anteriormente e
sono 4 muscoli pari e simmetrici rappresentati da:

− Grande pettorale: si inserisce medialmente allo sterno e si


attacca alle coste superiori.
Superiormente si inserisce sulla clavicola, mentre
lateralmente si inserisce sull’omero.
− Piccolo pettorale: si inserisce su alcune delle prime coste per
poi inserirsi su un processo della scapola
− Grande dentato o dentato anteriore: origina dalle prime 10
coste, decorre sotto la scapola per inserirsi sul suo margine
mediale
− Succlavio: si porta dalla 1° cartilagine costale alla clavicola

Il loro nome è dovuto ai siti d’inserzione ossea cui fanno parte, quindi originano da formazioni
scheletriche della gabbia toracica e si portano all’arto superiore inserendosi a livello di: scapola,
clavicola e parte prossimale dell’omero, perciò sulle ossa che sostengono la regione della spalla.
La loro azione prevalente è quella di stabilizzare le ossa dell’arto superiore su cui si inseriscono,
agendo sia sulle coste sia sullo sterno.
Sono muscoli in grado di innalzare le coste, per questo sono definiti muscoli inspiratori.

Muscoli spino-costali
I muscoli spino-costali posteriormente e dorsalmente costituiscono lo
strato intermedio dei muscoli del dorso.
Sono poi rivestiti dai muscoli spino-appendicolari, mentre al di sotto dei
muscoli spino-costali fanno parte dei muscoli spino-dorsali.
I muscoli spino-costali sono i muscoli dentati posteriori, distinti in
superiore e inferiore che si portano da alcune vertebre toraciche alle
coste.
In relazione alla direzione delle fibre muscolari che li costituiscono: i
muscoli dentati superiori sono in grado di innalzare le coste per cui
sono muscoli inspiratori, mentre i muscoli dentati inferiori abbassano le
coste, pertanto sono muscoli espiratori.
Muscoli intrinseci
Fanno parte dei muscoli intrinseci:

✓ Muscoli elevatori delle coste


✓ Muscoli sottocostali: situati sulla faccia interna della parete toracica
posteriore.
Si portano da una costa alla costa sovrastante o superiormente e la
direzione delle fibre muscolari li rende capaci di abbassare le coste,
per cui sono muscoli espiratori.
✓ Muscolo trasverso del torace: situato anteriormente sulla faccia
interna della parete toracica anteriore.
Le fibre originano dalla parte inferiore dello sterno e divergono a
ventaglio per inserirsi alle sovrastanti cartilagini costali.
La direzione delle fibre lo rende un muscolo capace di abbassare
le coste, quindi un muscolo espiratore.
✓ Muscoli intercostali: rappresentano i muscoli più importanti in
relazione al meccanismo respiratorio.
Insieme al diaframma permettono l’entrata di aria nei polmoni.
Sono muscoli che riempiono gli spazi intercostali e si distinguono in
3 sottili strati: esterni, interni e intimi.
Si portano tutti dal margine inferiore di una
costa a quello superiore della costa
sottostante.
Le fibre dei muscoli intercostali esterni sono
dirette anteriormente, mentre le fibre dei
muscoli intercostali interni e intimi sono
dirette posteriormente.
Ne consegue che i muscoli intercostali esterni sono più efficaci
nell’innalzare le coste, quindi sono descritti come muscoli
inspiratori; mentre gli interni e gli intimi sono più efficaci
nell’abbassare le coste perciò sono definiti muscoli espiratori.
È possibile notare anche il decorso di vasi e nervi
intercostali in corrispondenza del solco costale.
Si evidenzia anche il rapporto che intercorre tra i diversi
vasi intercostali dall’alto al basso: vene, arterie e nervi.
I nervi intercostali corrispondono ai rami di divisione
anteriore dei nervi spinali toracici.
Il nome corrisponde alla loro azione, si sviluppano posteriormente e si portano dai processi trasversi
delle vertebre toraciche alle coste sottostanti.
Se elevano le coste sono muscoli inspiratori.

Dissezionando uno spazio intercostale, dall’esterno verso


l’interno riconosciamo: cute, tessuto sottocutaneo o fascia
superficiale, seguono i 3 strati dei muscoli intercostali, la fascia
endotoracica e al di sotto troviamo le pleure: pleura parietale o
cavità pleurica e pleura viscerale.
La pleura viscerale aderisce alla superfice esterna del
polmone, mentre la pleura parietale attraverso l'adesione con
la fascia endotoracica, aderisce alla superficie interna della
parete toracica.

La pleura è una membrana sierosa.

Le cavità pleuriche sono cavità delimitate dai foglietti parietale e


viscerale della sierosa pleurica, che risultano tra loro in continuità.
Sono cavità chiuse continenti un film di liquido che avvolgono
esternamente i polmoni e che risultano importantissime in quanto
permettono di collegare la superficie polmonare alla parete
toracica e inferiormente al diaframma.

DIAFRAMMA
Il diaframma presenta una doppia cupola, si parla di emicupola destra ed
emicupola sinistra perché queste risultano separate da una porzione centrale
appiattita, di natura connettivale-tendinea detta centro frenico del diaframma.
È una lamina muscolo-fibrosa che comprende una parte muscolare esterna e
una porzione centrale fibrosa-connettivale detta
centro frenico.

La porzione centrale che si situa tra le 2 emicupola è


detta centro frenico o plateau cardiaco perché
questa porzione viene superiormente in diretto
rapporto con il sacco fibroso che avvolge il cuore.

Il diaframma origina dalle porzioni scheletriche che delimitano la base del torace, quindi
posteriormente origina dalle prime 2-3 vertebre lombari, lateralmente origina dalla faccia interna
delle ultime coste e anteriormente origina dalla faccia posteriore del processo sifoideo dello sterno.
Tutte queste fibre muscolari si portano verso l’alto per confluire nel centro frenico.

Il centro frenico presenta una porzione tendinea centrale a forma di


trifoglio, infatti è possibile distinguere: fogliola anteriore, fogliola destra
e fogliola sinistra.
Inoltre sono presenti delle aperture attraversate da formazioni che
dalla regione toracica si portano alla regione addominale e
viceversa.
Le formazioni principali che attraversano il diaframma sono:

➢ Posteriormente troviamo l’esofago, un tratto delle vie digestive,


che attraversa tutta la regione toracica per raggiungere la
regione addominale e continuarsi con lo stomaco, attraversa il
diaframma in corrispondenza dello iato esofageo, cioè apertura
del diaframma per l’esofago
➢ Latero-posteriormente all’esofago abbiamo una grossa arteria,
l’aorta, originata dal cuore che percorre tutta la regione
toracica e raggiunge la regione addominale attraversando il diaframma in corrispondenza
dello iato aortico
➢ La vena cava inferiore è una grossa vena che raccoglie il sangue refluo da tutte le
formazioni poste al di sotto del diaframma e deve attraversarlo per raggiungere il cuore

Il nervo frenico origina dal plesso cervicale, una formazione nervosa


anastomotica, che deve raggiungere il diaframma.
Rappresenta l’unico nervo motore del diaframma e contiene fibre
motorie derivanti dai nervi spinali cervicali: C3, C4 e C5.
In caso di lesione il diaframma non si contrae e quindi cessa la
respirazione.

I rapporti che caratterizzano il diaframma sono:

❖ Superiormente: pleure che avvolgono i polmoni pericardio che avvolge il cuore


❖ Inferiormente: a destra → lobo epatico di destra, rene e ghiandola surrenale di dx, mentre a
sinistra → lobo epatico di sinistra, stomaco, milza, rene e ghiandola surrenale di sx

MECCANICA RESPIRATORIA

La meccanica respiratoria è il meccanismo che permette l’entrata e l’uscita di aria dai polmoni.
La principale funzione della parete toracica correla con la meccanica respiratoria, la quale
prevede che la gabbia toracica sia elastica, cioè in grado di modificare le sue espansioni e
riduzioni al fine di permettere rispettivamente l’entrata e di aria atmosferica verso i polmoni e
l’uscita di aria dai polmoni.
Aria atmosferica che solo a livello polmonare entra in contatto con il sangue.

APPARATO RESPIRATORIO
Il sistema respiratorio comprende le vie respiratorie e quindi: polmoni, cavità nasali, parte di faringe
e laringe, trachea e bronchi.
Questi organi hanno la funzione di permettere il transito dell’aria atmosferica, ricca di O, verso i
polmoni, quindi il transito di aria che a livello polmonare ha ceduto l’O arricchendosi si CO2 dai
polmoni verso l’ambiente esterno.
La principale funzione dell’apparato respiratorio è quella di permettere all’organismo gli scambi
gassosi con l’ambiente esterno, scambi che avvengono solo a livello dei polmoni, precisamente a
livello degli alveoli polmonari.

Durante l’inspirazione, l’aria atmosferica, ricca di O, raggiunge gli alveoli


polmonari dove entra in contatto con il sangue ricco di CO2.
Il sangue venoso cede la CO2 e si prende l’O dell’aria alveolare appena
inspirata.
A questo punto, l’aria alveolare che si è arricchita di CO2, viene eliminata
dal corpo tramite le vie respiratorie attraverso l’espirazione.

I polmoni non si espandono perché l’aria


atmosferica attraverso le vie respiratorie li raggiunge, bensì prima
si espandono e solo dopo l’aria può entrare nei polmoni.
Per espandere i polmoni è necessario espandere la parete
toracica tramite un meccanismo detto inspirazione.
I poloni seguono le espansioni della parete toracica durante
l’inspirazione e le sue riduzioni durante l’espirazione.
Questo accade perché i polmoni sono collegati alla parete toracica tramite la pleura.
Se i polmoni si espandono, aumenta la loro capacità, quindi il loro volume e di conseguenza
diminuisce la pressione dell’aria al loro interno → Legge di Boyle: PV = nRT
Si crea pertanto un gradiente pressorio fra aria atmosferica e intrapolmonare che permette
l’entrata dell’aria attraverso le vie respiratorie, verso i polmoni.
INSPIRAZIONE ED ESPERIAZIONE
L’inspirazione è la fase in cui si introduce aria nell’apparato respiratorio ed è un processo attivo,
che avviene grazie alla contrazione dei muscoli inspiratori che portano ad una espansione della
gabbia toracica e con essa del polmone.

L’espirazione è la fase in cui l’aria contenuta nei polmoni viene espulsa all’esterno.
Dura circa il doppio della fase inspiratoria e avviene in maniera passiva, con il rilassamento dei
muscoli respiratori.

Queste 2 fasi dipendono dall’alternato aumento e diminuzione del volume toracico, perciò dei 3
diametri della cavità toracica.

L’espansione della gabbia toracica è possibile grazie alla contrazione di


muscoli che si inseriscono su di essa, detti muscoli respiratori.
I principali muscoli inspiratori sono il diaframma e i muscoli intercostali.
Quando è richiesta un’inspirazione profonda, quindi sotto sforzo bisogna far
entrare una maggior quantità di aria, entrano in gioco i muscoli accessori.
L’espansione della parete toracica varia in funzione dei movimenti del
diaframma e delle coste:

Meccanismo diaframmatico
Meccanismo costale

Inspirazione tranquilla e profonda


L’inspirazione tranquilla rappresenta un aumento della capacità toracica/polmonare che avviene
grazie a:

• Contrazione del diaframma (meccanismo diaframmatico): aumento dei 3 diametri della


cavità toracica → Contribuisce per circa il 75%.
Il diaframma contraendosi aumenta le dimensioni: verticale, trasversa e antero-posteriore
del torace, perciò da solo contribuisce ad aumentare tutti e 3 i diametri della cavità
toracica.
Contraendo il diaframma, le sue fibre muscolari si accorciano, per cui si appiattisce o
meglio si abbassa.
In questo modo aumenta il diametro verticale della cavità toracica e riduce la capacità
addominale, per cui i visceri cercano di fasi spazio distendendo la parete addominale
prevalentemente di natura muscolare.
Ad un certo punto però la discesa del diaframma è bloccata dai visceri addominali che
non trovano più spazio, perciò il centro frenico del diaframma
diventa il punto fisso per la contrazione delle fibre
diaframmatiche che contraendosi determinano l’innalzamento
delle coste su cui si inseriscono.
In questo modo aumenta anche il diametro trasverso della
cavità toracica, inoltre le coste, sollevandosi spostano in alto e
in avanti lo sterno aumentando così anche il diametro antero-posteriore.
La respirazione mediata dai movimenti diaframmatici è detta respirazione addominale
perché determina escursioni della parete addominale.
Nel momento dell’inspirazione quindi i visceri distendono la parete addominale, mentre
nell’espirazione i visceri ritrovano il loro spazio e la parete addominale ritorna nel suo stato
normale.
• Contrazione dei muscoli intercostali (meccanismo costale):
innalzamento delle coste e dello sterno, soprattutto sostenuto dai
muscoli intercostali esterni, con conseguente aumento dei diametri
trasverso e antero-posteriore della cavità toracica.
Lo sterno segue i movimenti delle coste, innalzandosi durante
l’inspirazione e abbassandosi durante l’espirazione.
La respirazione mediata dai movimenti di coste e sterno è detta respirazione toracica
perché determina escursioni della parete toracica.
Innalzamento di coste e sterno in ispirazione determina aumento dei diametri trasverso e
antero-posteriore della cavità toracica.
Abbassamento di coste e sterno in espirazione determinano diminuzione dei diametri
trasverso e antero-posteriore della cavità toracica.

Mentre a riposo viene impiegata quasi esclusivamente la respirazione


addominale, in caso di sforzo fisico subentra la respirazione toracica,
garantita dai muscoli intercostali e dalla muscolatura accessoria della
respirazione.

Espirazione tranquilla e forzata


L’espirazione tranquilla è un fenomeno passivo dove si rilassano i
muscoli inspiratori e si verifica un ritorno elastico dei polmoni (fibre
elastiche) e delle cartilagini costali.

L’espirazione forzata invece, è un fenomeno attivo dove si


contraggono i muscoli addominali (e intercostali interni) che riducono
la capacità addominale e toracica permettendo l’espulsione di aria
dai polmoni.

La respirazione si modifica con l’età, infatti dalla nascita, fino ai 4-5 anni di vita la respirazione è
prevalentemente addominale (mediata dal diaframma) perché le coste sono disposte
orizzontalmente e non inclinate verso il basso in direzione postero-anteriore.
Successivamente assumendo la loro lunghezza ottimale e inclinandosi, dai 5-6 anni in poi,
interviene anche la respirazione toracica (mediata dalle coste).

PARETE ADDOMINALE

L’addome o regione addominale è la regione del tronco compresa tra torace e pelvi.
È costituita da parete osteo-artro-muscolare che delimita la cavità addominale, separata
superiormente dal diaframma e inferiormente risulta in continuità con la
cavità pelvica che risulta delimitata e sostenuta dalla pelvi ossea o bacino.
Per questo si parla di cavità addomino-pelvica che è chiusa dal diaframma
pelvico.
Esiste un’ultima regione del tronco situata inferiormente alla regione pelvica,
molto sottile che si estende dal diaframma pelvico alla cute inferiore
esterna che prende il nome di perineo, una regione muscolo-fibrosa
attraversata dagli ultimi tratti dagli apparati uro-genitale e digerente.

DIAFRAMMA PELVICO
Il diaframma pelvico è una lamina muscolare che chiude inferiormente la pelvi ossea, è costituito
da 3 muscoli pari e simmetrici che si portano dalle 3 porzioni dell’osso dell’anca, il quale deriva
dalla fusione di 3 ossa: ileo, ischio e pube, al coccige.
Questi 3 muscoli sono quindi chiamati: ileo-coccigeo, ischio-coccigeo e pubo-coccigeo.
L’insieme dei muscoli pubo-coccigeo ed ileo-coccigeo formano il muscolo elevatore dell’ano.
Risulta attraversato da formazioni, perciò presenta degli iati, che:

• Nella femmina sono presenti 3 iati attraversati in direzione


antero-posteriore dall’uretra, quindi dalla vagina, quindi
dal retto
• Nel maschio, sono presenti soltanto 2 iati attraversati
dall’uretra e posteriormente dal retto

I muscoli piliformi sono muscoli pari e simmetrici che si originano


dalla faccia anteriore del sacro e si portano al femore.
PARETE ADDOMINALE
La parete addominale è molto elastica e deformabile essendo quasi tutta costituita da muscoli
che circoscrivono e delimitano la cavità addominale.
Il sostegno scheletrico che caratterizza la parete addominale è
rappresentata posteriormente dal tratto lombare della colonna vertebrale.
Nonostante questo, risulta sufficientemente robusta, quindi capace di
proteggere i visceri della cavità addominale, rappresentati dalla maggior
parte degli organi dell’apparato digerente, parti dell’apparato urinario,
milza…
La capacità di essere elastica permette ai visceri in essa contenuti di
riempirsi, è perciò in grado di adeguarsi allo stato di riempimento viscerale.
Inoltre permette la respirazione grazie al fatto di essere elastica.

La parete addominale è suddivisibile in 2 porzioni:

o Parete addominale posteriore: meno estesa e deformabile essendo


costituita dal tratto lombare della colonna vertebrale, quindi da 2
muscoli pari e simmetrici che si situano ai lati della colonna
vertebrale
o Parete addominale antero-laterale: più ampia e deformabile
sostenuta da muscoli larghi e piatti che originano posteriormente,
decorrono lateralmente e si continuano anche anteriormente

I muscoli della parete addominale si inseriscono: in alto a gabbia toracica e coste, inferiormente
alle ossa della pelvi ossea e posteriormente direttamente o indirettamente alla colonna vertebrale.
Riconosciamo, a livello della parete posteriore: il muscolo psoas più medialmente e il muscolo
quadrato dei lombi più lateralmente.
Si tratta sempre di muscoli pari e simmetrici.
I muscoli della parete antero-laterale si dispongono su 3 strati e si parla
di lamine muscolo-aponevrotiche o aponeurotiche in quanto
comprendono una porzione carnosa contrattile, seguita anteriormente
da una porzione connettivale, piatta come quella contrattile, detta
aponeurosi o aponevrosi.
Tendini e aponevrosi sono di fatto la stessa cosa, ma si parla di tendine
quando ha una forma cilindrica, mentre si parla di aponeurosi quando
ha una forma appiattita.
Dall’esterno all’interno queste lamine sono rappresentate dai muscoli:
obliquo esterno, obliquo interno e trasverso dell’addome.
Solo anteriormente sono presenti i muscoli pari e simmetrici retti
dell’addome.

MUSCOLI DELLA PARETE ANTERO-LATERALE


Fanno parte dei muscoli della parete antero-laterale:

✓ I retti dell’addome sono situati anteriormente e diretti


verticalmente
✓ L’obliquo esterno ha fibre oblique dirette dall’alto al basso in
direzione postero-anteriore o latero-mediale
✓ L’obliquo interno ha fibre oblique dirette dall’alto al basso in
direzione antero-posteriore o medio-laterale.

Le fibre di questi ultimi 2 muscoli hanno un andamento circa ortogonale, presentano perciò lo
stesso andamento delle fibre dei muscoli intercostali.

✓ Il trasverso dell’addome presenta fibre dirette circa orizzontalmente,


Muscolo obliquo esterno o grande obliquo
La parte carnosa del muscolo obliquo esterno si inserisce in alto sulle coste e in
basso sul margine superiore dell’osso dell’anca chiamato cresta iliaca.
Prosegue con la sua porzione connettivale anteriormente andando a costituire
l’aponevrosi del muscolo obliquo esterno che si attacca superiormente alle
coste e inferiormente a ponte dall’estremità anteriore della cresta iliaca al
tubercolo pubico dell’osso dell’anca.
Il margine inferiore libero dell’aponevrosi dell’obliquo esterno corrisponde al
legamento inguinale.
Al di sotto del legamento inguinale decorrono numerose formazioni vascolo-nervose
che si portano all’arto inferiore.
Obliquo esterno di destra e obliquo esterno di sinistra, tramite la porzione aponevrotica,
si uniscono medialmente in corrispondenza di una linea cordoniforme detta linea alba.

In contrazione unilaterale inclina omolateralmente, ma ruota il tronco


eterolateralmente e questo dipende proprio dall’orientamento delle sue fibre.
Mostra la stessa funzione del muscolo sternocleidomastoideo.
In contrazione bilaterale flette il tronco e abbassa le coste su cui è inserito per cui è un muscolo
espiratore.

Muscolo obliquo interno o piccolo obliquo


Il muscolo obliquo interno possiede fibre dirette in modo circa perpendicolare rispetto alle fibre
dell’obliquo esterno.
La parte carnosa si inserisce superiormente alle coste e inferiormente alla cresta iliaca, si continua
poi anteriormente con la porzione connettivale o aponevrotica che si
aggancia superiormente alle cartilagini costali, inferiormente al
legamento inguinale, medialmente si unisce all’aponevrosi
dell’obliquo interno contro-laterale in corrispondenza della linea alba
e posteriormente alla fascia toraco-lombare che li collega
indirettamente ai processi trasversi delle vertebre lombari.

In contrazione unilaterale inclina e ruota omolateralmente, mentre in contrazione bilaterale è un


flessore del tronco abbassando le coste, per cui è un muscolo espiratore che, come tutti i muscoli
espiratori interviene nella respirazione forzata perché l’espirazione tranquilla è un processo passivo.

Muscolo trasverso dell’addome


Il muscolo trasverso dell’addome è più profondo e ha fibre dirette circa orizzontalmente.
Origina posteriormente dalla fascia toraco-lombare insieme all’obliquo
interno, quindi con la sua parte carnosa si inserisce in alto alle ultime
coste e in basso alla cresta iliaca, si continua poi anteriormente con
una porzione connettivale detta aponevrosi del trasverso dell’addome
che si inserisce superiormente sulle ultime coste e inferiormente sul
legamento inguinale, medialmente si unisce all’aponevrosi del trasverso
contro-laterale in corrispondenza della linea alba.

Se le vertebre vengono mantenute fisse consente di far rientrare l’addome, se invece viene
considerata fissa l’aponevrosi anteriore è un lordotizzante lombare.
La contrazione è in grado di ridurre fortemente la capacità addominale, aumentando la pressione
endoaddominale, facilitando lo svuotamento dei visceri.
In contrazione bilaterale è un muscolo flessore del tronco in grado di abbassare le coste, perciò è
sempre un muscolo espiratore.
Muscolo retto dell’addome
I muscoli retti dell’addome si sviluppano soltanto sulla parte anteriore dell’addome, sono diretti
verticalmente e sono pari e simmetrici.
Sono muscoli poligastrici cioè costituiti da più parti carnose contrattili disposte in serie
e collegate tra loro da iscrizioni tendinee.
Essi si inseriscono superiormente alle ultime coste e allo sterno, inferiormente sulle parti
pubiche dell’osso dell’anca.
Questi muscoli sono avvolti dalle aponevrosi dei muscoli appena descritti che si
dispongono formando la cosiddetta guaina dei muscoli retti dell’addome.

È il più diretto flessore del tronco e abbassando le coste rappresentano sempre dei
muscoli espiratori.

Funzioni
Sono denominanti muscoli agonisti, quelli che concorrono alla stessa funzione ricordiamo:

→ Flessione: retti e obliqui


→ Inclinazione: obliqui esterno ed interno dello stesso lato (omolaterali)
→ Rotazione (torsione): obliqui esterno ed interno del lato opposto
(controlaterali)

La direzione delle fibre degli obliqui esterno e interno è orientata nello stesso lato
(omolaterali), perciò sono ortogonali e per questo motivo sono antagonisti nella
rotazione.
La direzione delle fibre degli obliqui esterno ed interno controlaterali è la stessa,
perciò si comportano come un unico muscolo digastrico e per questo sono
definiti agonisti nella rotazione.

In contrazione bilaterale, fissata la pelvi sono tutti muscoli flessori del tronco,
ma fissate le coste ruotano posteriormente la pelvi o bacino tramite
l’articolazione coxo-femorale dell’anca, perciò assistiamo alla retroversione
del bacino.

MUSCOLI DELLA PARETE POSTERIORE


I muscoli della parete posteriore si sviluppano su ciascun lato della colonna vertebrale e sono 2:
quadrato dei lombi più lateralmente e psoas più medialmente.

Lo psoas scende a ridosso del tratto lombare della colonna vertebrale e arrivato a ridosso dell’osso
dell’anca si unisce al muscolo iliaco andando a costituire il muscolo ileo-psoas che tramite un
tendine comune si inserisce poi sul femore.

Muscolo quadrato dei lombi


Il muscolo quadrato dei lombi si inserisce superiormente alle ultime coste,
medialmente ai processi trasversi delle vertebre lombari e inferiormente sulla
parte posteriore della cresta iliaca.

In contrazione unilaterale inclina omolateralmente e abbassa le coste, quindi


rappresenta un muscolo espiratore.
Mantenute fisse le coste solleva l’emibacino dal lato della contrazione e questo
rappresenta un’importante funzione nella deambulazione.
In contrazione bilaterale è un estensore del tratto lombare, agisce quindi come i muscoli del dorso.
Muscolo psoas
Il muscolo psoas si distingue in grande e piccolo psoas.
Il grande psoas origina dai corpi delle vertebre lombari, scende e si unisce al
muscolo iliaco per formare il muscolo ileo-psoas.

Fissato il tratto lombare della colonna vertebrale agisce sul femore rappresentando
il più potente flessore della coscia, importante per la deambulazione.
In contrazione unilaterale inclina omolateralmente e ruota eterolateralmente il
tronco, come il muscolo obliquo esterno e sternocleidomastoideo.
In contrazione bilaterale flette il tratto lombare della colonna vertebrale e antiverte
la pelvi.

TORCHIO ADDOMINALE
Il torchio addominale consiste in una simultanea contrazione del diaframma e dei muscoli della
parete addominale.
Si può verificare in modo volontario o riflesso, per cui la contrazione del diaframma determina
chiaramente un atto inspiratorio, quindi entra aria a livello dei polmoni, si chiude la cavità laringea,
si fissa il diaframma, si contraggono contemporaneamente i muscoli
della parete addominale e i muscoli del diaframma pelvico.
Tutto ciò è finalizzato a ridurre il volume della cavità addominale con
conseguente forte aumento della pressione endoaddominale che
facilita lo svuotamento dei visceri cavi della cavità addomino-pelvica,
perciò di: vescica (minzione), retto (defecazione), stomaco (emesi)…

FUNZIONE DEI MUSCOLI ADDOMINALI


I muscoli addominali forniscono sostegno e protezione ai visceri addominali, quando tonici, senza
la necessità di una struttura scheletrica rigida.
Stabilizzano e scaricano la colonna vertebrale rispetto al peso dei visceri, impedendo lo sviluppo di
iper lordosi.
Inoltre sono responsabili dei movimenti del tronco, infatti in contrazione bilaterale sono flessori del
tronco, oltre ad essere in grado di ruotarlo, inclinarlo ed estenderlo (quadrato dei lombi).
Nei movimenti della porzione toraco-lombare della colonna vertebrale intervengono, oltre ai
muscoli dorsali primariamente deputati all’estensione, i muscoli della parete addominale.
Sono coinvolti nel movimento del bacino agendo tramite retroversione, sono pertanto muscoli
delordotizzanti.
Permettono e si adeguano allo stato di riempimento dei visceri.
Sono coinvolti nello sviluppo del “torchio addominale” finalizzato a facilitare lo svuotamento dei
visceri cavi e coinvolto nel riflesso della tosse.
Infine permettono la respirazione poiché durante l’inspirazione sostengono la contrazione del
diaframma che corrisponde alla discesa del diaframma con conseguente allungamento e
distensione dei muscoli e della parete addominale, mentre durante l’espirazione i muscoli della
parete addominale ritornano al loro stato normale.

ARTI

Gli arti sono anche detti appendici in quanto sono appendici del tronco, più precisamente gli arti
del tronco sono appendici del torace e gli arti inferiori sono appendici del bacino.
Sia lo scheletro dell’arto superiore sia quello dell’arto inferiore sono suddivisi in segmenti, ossia
comprendono varie ossa articolate tra loro per permettere il movimento.
L’arto superiore è finalizzato alla funzione prensile che si esplica a livello della mano, mentre gli arti
inferiori sono finalizzati al sostegno del tronco e alla deambulazione.
Siamo bipedi, ossia sosteniamo il nostro tronco e ci spostiamo utilizzando soltanto 2 arti, gli arti
inferiori.
Riconosciamo il cingolo toracico e il cingolo pelvico, formazioni scheletriche di sostegno e
raccordo che collegano le cosiddette parti libere degli arti allo scheletro assile.
Il cingolo toracico anche detto cingolo scapolare o pettorale, è costituito da 2 ossa: clavicola e
scapola.
Il cingolo pelvico corrisponde all’osso dell’anca che collega le
parti libere dell’anca dell’arto inferiore allo scheletro assile.
Sebbene le formazioni scheletriche che sostengono gli arti
siano simili strutturalmente e collegate da articolazioni
praticamente analoghe, di fatto gli arti superiori risultano molto
più mobili rispetto agli arti inferiori poiché questi ultimi, oltre a
permettere la deambulazione devono sostenere il peso di
tronco e arti superiori nella statica e nella dinamica.

ARTO SUPERIORE
L’arto superiore, che nell’uomo ha perso la funzione locomotoria, è caratterizzato da una grande
mobilità finalizzata alla funzione prensile, manipolatoria e alla sensibilità tattile che si esplica a
livello della mano.
La mano perciò rappresenta l’estremità operatrice dell’arto superiore, è il segmento esecutore o
effettore dell’arto superiore che tramite i suoi segmenti mobili la sostiene e le permette di
posizionarsi nella posizione più favorevole nel compiere la sua funzione, inoltre è ricchissima di
recettori tattili.
L’arto superiore è poi coinvolto anche nel mantenimento dell’equilibrio.

In direzione prossimo-distale riconosciamo la regione della spalla o radice dell’arto superiore


sostenuta da: scapola, clavicola e parte prossimale dell’omero.
La spalla è la regione che collega la parte libera dell’arto superiore al
tronco.
Seguono le regioni della parte libera dell’arto superiore sostenute da:

• Regione del braccio: posta in direzione prossimo-distale sostenuta


dall’omero
• Regione dell’avambraccio: sostenuta da radio e ulna
• Mano suddivisibile in 3 subregioni:
o Regione del polso o carpica: sostenuta da 8 piccole ossa
carpali
o Regione metacarpale: corrisponde al palmo della mano ed
è sostenuta da 5 ossa metacarpali
o Dita: sostenute da ossa dette falangi

Relativamente alle ossa della parte libera dell’arto superiore sono ossa strutturalmente lunghe a
parte le ossa del carpo che sono ossa di tipo breve.
A collegare la regione del braccio con la regione dell’avambraccio abbiamo una regione
articolare detta gomito che corrisponde ad un insieme di articolazioni.

Dal punto di vista clinico per le formazioni vascolo-nervose che le attraversano


è importante ricordare anche le seguenti regioni:

▪ Regione ascellare: situata nella profondità della spalla


▪ Fossa cubitale: regione che si sviluppa anteriormente al gomito
▪ Tunnel carpale

Le ossa che formano lo scheletro delle diverse parti dell’arto sono circondate
da parti molli (muscoli, vasi e nervi), formazioni organizzate all’interno di
specifici compartimenti individuati dalla fascia profonda e chiamate logge
osteofasciali o logge muscolari.
Le fasce, in particolare la fascia profonda, sono involucri connettivali con la funzione di contenere,
sostenere e isolare le strutture del nostro organismo.
In questa sezione trasversale della gamba, dall’esterno verso l’interno incontriamo:

→ Cute: costituita da epidermide e derma


→ Sottocutaneo o fascia superficiale anche detto ipoderma: strato connettivale (connettivo
lasso) più o meno ricco di cellule adipose
→ Fascia profonda: costituita da connettivo denso molto robusto che delimita e avvolge le
strutture profonde, tutte le formazioni che si collocano al di sotto della fascia superficiale.
A livello degli arti si organizza a formare dei compartimenti detti logge osteofasciali o
muscolari.
Dalla faccia interna della fascia profonda si dipartono dei
setti connettivali che si portano verso le sottostanti ossa e che
con esse individuano le logge osteofasciali.
Nel caso degli arti sono dette anche logge muscolari perché
sono compartimenti contenenti gruppi di muscoli agonisti,
vasi e nervi deputati ad irrorare e innervare le formazioni
contenute in ogni compartimento.
La fascia profonda permette di separare le formazioni superficiali dalle formazioni profonde.
→ Guaine neurovascolari: guaine connettivali di pertinenza della fascia profonda che
avvolgono e mantengono in posizione le formazioni vascolari e nervose in esse contenute

Si parla di vasi e nervi superficiali per indicare quelli che decorrono a livello della fascia
superficiale, mentre si parla di vasi e nervi profondi riferendosi a quelli che decorrono al di sotto
della fascia profonda.

In nessuna parte dell’organismo la fascia profonda raggiunge uno sviluppo particolare e sostenuto
quale quello che raggiunge a livello degli arti perché la sua capacità contenitiva nei confronti dei
muscoli facilita l’azione di pompa muscolare scheletrica riuscendo a mantenere in sede i muscoli
durante la loro contrazione in modo da facilitare il ritorno venoso del sangue verso il cuore.
I muscoli scheletrici contraendosi imprimono al sangue una pressione sufficiente per fluire.
Tutto il sangue parte dal cuore e ad esso deve tornare perché il cuore funge da pompa, cioè
contraendosi imprime al sangue una pressione sufficiente per circolare all’interno del corpo, ovvio
è che più il sangue si allontana dal cuore più perde pressione, nonostante
questo deve comunque essere in grado di tornare al cuore.

Inoltre sono presenti delle valvole semilunari che si intercalano lungo il


decorso delle vene, in particolare lungo le vene dove il sangue fluisce
contro gravità per rendere il flusso sanguigno unidirezionale.
Esse sono caratterizzate da lembi fibrosi che si staccano dalla parete del
vaso e insieme ad esso delimitano delle tasche a concavità inferiore
dette anche seni valvolari.
In seguito a contrazione muscolare, il muscolo imprime al sangue una forza sufficiente che
permette l’apertura dei lembi fibrosi, il sangue poi cerca di tornare indietro, ma riempie le tasche e
quindi la valvola sottostante si chiude e il sangue mantiene un flusso unidirezionale.

SPALLA
La spalla è la regione di raccordo fra la parte libera e il tronco.
Le formazioni scheletriche di pertinenza della spalla sono: clavicola e scapola che nell’insieme
sono dette cingolo toracico-scapolare e la parte prossimale dell’omero.

Cingolo toracico-scapolare
Clavicola e scapola sono collegate tramite l’articolazione
acromio-clavicolare.
Queste 2 ossa mediano il collegamento tra la parte libera dell’arto
superiore e il tronco.
La clavicola si articola con la sua estremità mediale direttamente
con lo sterno, quindi si parla di articolazione sterno-clavicolare, poi
utilizza la scapola con la quale si articola lateralmente, per collegarsi all’omero, quindi alla parte
libera della parte superiore.
Il sostegno della parte libera dell’arto superiore al tronco è garantito da formazioni muscolari che si
portano dallo scheletro assile allo scheletro appendicolare.

La clavicola è interamente palpabile lungo il suo decorso a livello della base del collo, quindi è un
osso disposto trasversalmente tra sterno e scopola.
Funziona da montante, sostegno per la scapola, mantenendola in
posizione e disposta latero-posteriormente rispetto al torace, in
questo modo la scapola è in grado di mantenere l’omero e quindi
tutto l’arto superiore ai lati del tronco.
È proprio questa particolare posizione della scapola che permette
la massima libertà di movimento dell’omero tramite l’articolazione
scapolo-omerale.
La clavicola, dal punto di vista strutturale, è un osso allungato che presenta un’estremità mediale
detta anche sternale, rivestita da cartilagine articolare per l’articolazione sterno-clavicolare,
segue una porzione detta corpo e un’estremità laterale detta anche acromiale, alquanto
rotondeggiante, rivestita di cartilagine articolare che si articola con la scapola tramite
l’articolazione acromio-clavicolare.
Presenta una faccia superiore piuttosto liscia che dà inserzione soprattutto a muscoli, e una faccia
inferiore assai rugosa che permette l’attacco in particolar modo di legamenti, in modo da
stabilizzare le articolazioni cui la clavicola partecipa.

La scapola è la base mobile che si collega direttamente all’omero,


mediando il collegamento con la parte libera dell’arto superiore, e si
sviluppa a ridosso della parete toracica posteriore.
È un osso piatto che presenta una forma circa triangolare e si possono
distinguere una faccia posteriore o dorsale attraversata da un rilievo
osseo detto spina della scapola e una faccia anteriore o costale in
rapporto con le coste.
Si individuano perciò 3 margini: superiore, mediale e laterale e 3 angoli:
superiore, inferiore e laterale.

La superficie anteriore o costale presenta una profonda depressione chiamata fossa


sottoscapolare che è all’origine del muscolo sottoscapolare.
La faccia posteriore o dorsale è caratterizzata dalla spina della scapola che si prolunga oltre il
margine laterale della scapola con un processo detto acromion della scapola che essendo
rivestito da cartilagine articolare si articola con l’estremità laterale della clavicola formando
l’articolazione acromio-clavicolare.
La spina della scapola suddivide la faccia dorsale in 2
parti una meno estesa e una più estesa definite fossa
sovra e sottospinata.
Queste fosse danno origine ai muscoli omonimi: muscolo
sovra e sottospinato.
Il margine superiore è caratterizzato da un’incisura soprascapolare attraversata dal nervo
soprascapolare e più lateralmente è caratterizzata da un processo che sovrasta l'angolo laterale
detto processo coracoideo che permette l’attacco di muscoli e legamenti.
Riconosciamo poi il margine mediale o vertebrale in rapporto con le vertebre, il margine laterale o
ascellare in rapporto con la regione ascellare.
L’angolo laterale è caratterizzato dalla cavità glenoidea che partecipa all’articolazione con
l’omero, articolazione scapolo-omerale o plenoomerale.
Al di sopra e al di sotto della cavità glenoidea si sviluppano piccoli processi detti tubercolo
superiore e inferiore che danno attacco rispettivamente ad un ventre muscolare del bicipite e del
tricipite.
Articolazioni sterno-clavicolare e acromio-clavicolare
Scapola e clavicola sono collegate tra loro tramite l’articolazione acromio-clavicolare e
nell’insieme sono collegate allo scheletro assile tramite l’articolazione sterno-clavicolare.

L’articolazione sterno-clavicolare è un’articolazione sinoviale a sella caratterizzata da una


capsula fibrosa e da dei legamenti che la stabilizzano.
Tra le 2 superfici articolari si interpone un disco fibro-
cartilagineo a funzione ammortizzante rispetto alle
intensissime sollecitazioni che agiscono sulla clavicola e
trasmette tutte le sollecitazioni che gravano sull’arto
superiore allo scheletro assile.
È un’articolazione molto mobile, ma al contempo stabile.
I legamenti che la stabilizzano sono: legamenti sterno-clavicolari anteriore e posteriore che
corrispondo agli ispessimenti della capsula fibrosa stessa, legamento costo-clavicolare che si porta
dalla 1° costa alla clavicola e il legamento interclavicolare che decorre in corrispondenza del
margine superiore dello sterno e collega le articolazioni sterno-clavicolari dei 2 lati.
Essendo un’articolazione a sella si comporta come una enartrosi, perciò permette movimenti
(generati dai muscoli che la attraversano) del tipo: elevazione/depressione,
anteposizione/retroposizione e rotazione lungo il suo asse.

L’articolazione acromio-clavicolare è una diartrosi di tipo artrodia quindi permette leggeri


movimenti di scivolamento tra le superfici articolari contrapposte.
Mantiene collegate clavicola e scapola rendendole solidali nei movimenti, si muovono insieme e
precisamente muovendo la clavicola tramite l’articolazione sterno-clavicolare si muove anche la
scapola, poi muovendo la scapola sulla parete toracica si muove anche la clavicola.
Questa articolazione presenta una capsula fibrosa e dei
legamenti: legamenti acromio-clavicolari che
rappresentano gli ispessimenti della capsula fibrosa stessa,
legamento coraco-clavicolare che si porta dal processo
coracoideo della scapola all’estremità infero-laterale della
clavicola e comprende 2 porzioni: il legamento trapezoide
e quello conoide.

In caso di distorsione acromio-clavicolare da trauma indiretto


a carico del gomito o della mano può lesionare la capsula
fibrosa e quindi i legamenti acromio-clavicolari.
In questo caso clavicola e scapola restano però in asse, non
dislocano, grazie al potente legamento coraco-clavicolare
che riesce a sostenere anche la parte libera dell’arto superiore
in posizione.
Nel caso invece di un trauma diretto si può riscontrare una lesione del legamento coraco-
clavicolare e quindi alla distorsione si associa la lussazione.
La scapola, per effetto della forza peso e della gravità disloca al di sotto della clavicola, si parla di
disgiunzione o caduta di spalla, viene persa la funzione della clavicola.
In seguito a questa lesione scapola e omero scivolano infero-medialmente
e accade che l’ampiezza dei movimenti a livello scapolo-omerale si riduce
enormemente.

La frattura della clavicola è più frequente delle lussazioni delle articolazioni


cui partecipa.
Si frattura spesso nei giovani a livello del 3° medio che non è protetto da
muscoli e la sua frattura comporta sempre la disgiunzione o caduta di
spalla.
OMERO
L’omero è un osso lungo caratterizzato da: epifisi prossimale, corpo o diafisi ed epifisi distale.
L’epifisi prossimale presenta una porzione rivestita da cartilagine articolare definita testa
dell’omero, quindi 2 tubercoli definiti grande e piccolo tubercolo o tuberosità dell’omero separati
dal solco intertubercolare a livello del quale decorre il tendine del capo lungo del muscolo bicipite.
Il collo anatomico corrisponde al limite della superficie articolare della testa dell’omero, mentre il
collo chirurgico rappresenta la parte più vulnerabile dell’omero dove, durante lo sviluppo dell’osso
si disponeva il disco ipofisario che poi ossifica intorno ai 20 anni.
La diafisi o corpo, a livello della faccia antero-laterale
riconosciamo un rilievo rappresentato dalla tuberosità deltoidea
che dà inserzione al muscolo deltoide, mentre sulla faccia
posteriore notiamo un solco detto solco radiale in quanto a
questo livello decorre il nervo radiale.
L’epifisi distale si allarga sia
medialmente sia lateralmente andando a costituire i cosiddetti
epicondilo mediale e laterale dell’omero.
L’epicondilo mediale dà attacco a muscoli flessori della regione
dell’avambraccio, mentre l’epicondilo laterale dà inserzione ai
muscoli estensori della regione dell’avambraccio.
Tra i 2 epicondili sono presenti delle superfici articolari rivestite
da cartilagine articolare denominate: troclea più medialmente
e condilo o capitello più lateralmente.
La troclea si articola con la superficie trocleare dell’ulna, mentre il condilo o capitello si articola
con la faccia superiore del radio nella costituzione dell’articolazione omero-radiale.
Posteriormente si nota una profonda depressione detta fossa olecranica che accoglie il processo
dell’ulna in estensione.
Queste 2 articolazioni caratterizzano il processo articolare del gomito.

Articolazione scapolo o gleno-omerale


L’articolazione scapolo o gleno-omerale si attua tra la cavità glenoidea della
scapola e la testa dell’omero.
È l’articolazione più mobile del corpo umano, perciò è un’enartrosi molto
mobile, a scapito della sua stabilità.
La testa dell’omero è molto grande a differenza della cavità glenoidea che è
molto piccola.
In corrispondenza dei margini della cavità glenoidea si sviluppa un cercine fibro-
cartilagineo con la funzione di aumentare la profanità della cavità glenoidea, migliorando la sua
capacità contenitiva, ciononostante la testa dell’omero resta quasi completamente ad di fuori di
tale cavità, motivo per il quale comunque è un’articolazione molto mobile, ma poco stabile.
È perciò facile lussarla.

Oltre la capsula fibrosa che mantiene collegate le 2 estremità ossee notiamo


diversi legamenti: legamenti gleno-omerali anteriore, medio e inferiore che
rappresentano gli ispessimenti della capsula fibrosa stessa, legamento
coraco-omerale che dal processo coracoideo della scapola si porta ai 2
tubercoli dell’omero.
Mentre i legamenti gleno-omerali anteriori impediscono le lussazioni anteriori
della testa dell’omero, il legamento coraco-omerale impedisce una lussazione verso il basso della
testa omerale.
Il legamento coraco-acromiale si porta dal processo coracoideo della scapola
all’acromion della scapola, è un legamento robustissimo che impedisce
lussazioni dell’omero verso l’alto.
Questo legamento, insieme ai processi coracoideo e acromiale sui quali si
inserisce, costituisce una formazione osteo-fibrosa detta arco coraco-acromiale o tetto della
spalla.

I veri stabilizzatori di questa articolazione sono dei muscoli che


attraversano l’articolazione stessa e che sono rappresentati da:
muscolo infraspinato, sovraspinato, sottoscapolare e piccolo
rotondo.
Originano tutti dalla scapola a vari livelli, per poi portarsi all’omero e
più precisamente al grande e al piccolo tubercolo dell’omero, sono
perciò muscoli molto brevi.
Posteriormente i muscoli sovra e sottospinato originati dalle fosse omonime si portano al grande
tubercolo dell’omero e quindi al di sotto anche il muscolo piccolo rotondo.
Questi muscoli, con i loro tendini, attraversano l’articolazione stabilizzandola superiormente e
posteriormente.
Il muscolo sottoscapolare che origina dalla faccia anteriore della scapola, attraversa e stabilizza
l’articolazione gleno-omerale anteriormente inserendosi poi sul piccolo tubercolo dell’omero.
Sono detti muscoli della cuffia in quanto i loro tendini vanno a costituire una sorta di cuffia che
riveste e stabilizza l’articolazione scapolo-omerale.
Sono stabilizzatori attivi dell’articolazione e sono definiti muscoli
della cuffia dei rotatori in quanto, dal punto di vista funzionale,
sono in grado di intra o extraruotare l’omero.
In particolare questi muscoli coattano testa dell’omero e cavità
glenoidea se sono sufficientemente tonici.

COMPLESSO ARTICOLARE DELLA SPALLA


Per complesso articolare della spalla si intende solitamente l’articolazione scapolo o gleno-
omerale, in realtà è un insieme funzionale di più articolazioni.
La spalla comprende nell’insieme 5 articolazioni:

❖ 3 articolazioni vere: si attuano tra estremità articolari ossee e sono


delle diartrosi.
Fanno parte di questa categoria le articolazioni: scapolo o gleno-
omerale, acromio-clavicolare e sterno-clavicolare.
❖ 2 “articolazioni” spurie: non sono vere articolazioni dal punto di
vista strutturale, ma sono piano di scorrimento, quindi sono
articolazioni funzionali.
Sono rappresentate da: spazio sottoacromiale e “articolazione”
scapolo-toracica.

Tutte insieme però sono finalizzate a permettere la massima ampiezza dei movimenti omerali a
livello dell’articolazione scapolo-omerale, con lo scopo di posizionare la mano nella posizione
ottimale per svolgere le sue funzioni.

Muscoli della spalla


I muscoli della spalla sono muscoli che attraversano le articolazioni, stabilizzano e muovono le ossa
dell’arto superiore sulle quali si inseriscono, in particolare omero e cingolo toracico.
In funzione di origine e funzione si distinguono in muscoli:

1. Scapolo-omerali
2. Toraco-appendicolari
3. Spino-appendicolari

Muscoli scapolo-omerali
I muscoli scapolo-omerali sono i muscoli intrinseci della spalla perché originano e terminano su
formazioni scheletriche della spalla, in particolare originano da scapola e clavicola e si inseriscono
a vari livelli sull’omero.
Fanno parte di questa categoria i muscoli:

✓ Deltoide: abduce
✓ Sovraspinato: abduce ed extraruota
✓ Sottospinato: extraruota
✓ Piccolo rotondo: extraruota e adduce
✓ Grande rotondo: intraruota e adduce
✓ Sottoscapolare: intraruota e adduce

Il muscolo grande rotondo dal margine laterale della scapola


si porta all’omero in corrispondenza della cresta mediale del solco bicipitale.

Il deltoide è il muscolo che performa la spalla, è il più superficiale e


a sua volta riveste i muscoli della cuffia dei rotatori.
Le fibre anteriori originano dalla porzione più laterale della
clavicola, le fibre intermedie originano dall’acromion della
scapola e le fibre posteriori originano dalla spina della scapola,
tutte queste fibre poi convergono su un tendine comune che si
inserisce sulla tuberosità deltoidea dell’omero.
Se si attivano solo le fibre anteriori flette l’omero, se si attivano solo
le fibre intermedie abduce l’omero e se si attivano solo le fibre
posteriori estende l’omero.

Muscoli toraco-appendicolari
I muscoli toraco-appendicolari sono muscoli estrinseci della spalla perché originano da coste e
sterno e si portano a cingolo toracico e omero.
Fanno parte di tale categoria i muscoli:

o Grande pettorale: adduce e intraruota l’omero


o Piccolo pettorale: stabilizza e abbassa la scapola
o Succlavio: stabilizza e abbassa la clavicola
o Grande dentato: abduce e extraruota la scapola

Muscoli spino-appendicolari
I muscoli spino-appendicolari corrispondono allo strato superficiale dei muscoli del dorso che si
portano dalla colonna vertebrale a cingolo toracico e omero.
Fanno parte di questa categoria i muscoli:

Grande dorsale: estende, intraruota e adduce l’omero


Elevatore della scapola: solleva e intraruota la scapola
Piccolo e grande romboide: adducono e fissano la
scapola
Trapezio: eleva, abbassa, adduce e extraruota la scapola

Il trapezio è il vero muscolo motore della scapola, origina medialmente dai processi spinosi delle
vertebre toraciche e cervicali, si inserisce in alto sul cranio e le sue fibre sono distinte in:

I. Superiori: dirette inferiormente e si inseriscono sulla clavicola elevandola


II. Intermedie: dirette orizzontalmente si inseriscono sull’acromion e adducono la scapola
III. Inferiori: dirette superiormente si inseriscono sulla spina della scapola e concorrono ad
abbassare la scapola

La contrazione simultanea delle fibre del trapezio adduce la scapola.


L’azione di fibre superiori ed inferiori concorre ad extraruotare lateralmente la scapola.
Spazio sottoacromiale
Lo spazio sottoacromiale è compreso tra l’arco coraco-acromiale o tetto della spalla e la
sottostante articolazione.
Si tratta di una formazione osteo-fibrosa sostenuta dal
processo coracoideo e dal processo acromiale della
scapola, collegati dal legamento coraco-acromiale.
Si costituisce un ponte osteo-fibroso al di sotto del quale si
individua il cosiddetto spazio sottoacromiale.
Al di sotto di esso decorrono numerose formazioni che risultano in rapporto ottimale e funzionale tra
loro fino a quando lo spazio sottoacromiale resta fisiologico, in particolare troviamo:

a) Tendine del muscolo sovraspinato: il muscolo sovraspinato origina dalla fossa sovraspinata
della scapola e si porta al grande tubercolo dell’omero
a) Borsa sottoacromiale-sottodeltoidea: è un sacchetto
ripieno di liquido che decorre prima sotto l’acromion e
poi sotto il deltoide, ha una funzione lubrificante che
facilita lo scorrimento del tendine del muscolo
sovraspinato soprattutto durante i movimenti di
flessione e abduzione dell’omero, quando lo spazio
sottoacromiale si riduce.
b) Capo lungo del muscolo bicipite

La borsa sottoacromiale crea un piano di scorrimento che facilita lo scorrimento del tendine del
sovraspinato impedendone l’usura e così facilitando i movimenti
dell’omero a livello della scapolo-omerale, per questo motivo si parla
di “articolazione” spuria.

Le borse sinoviali si sviluppano a livello delle articolazioni, sono


sacchettini ripieni di liquido sinoviale che si trovano nelle zone di
conflitto (es. dove un tendine viene in contatto con strutture rigide):
Possiede una funzione lubrificante che permette di diminuire l’attrito
tra le formazioni che vengono in contatto e possono essere comunicanti o non con la cavità
sinoviale (articolare).

Movimenti della scapola


I movimenti della scapola sono mediati dall’articolazione
spuria scapolo-toracica che permette alla scapola di
scorrere sulla parete toracica.
La scapola si sviluppa a ridosso della parete toracica
posteriore dove non esiste una vera e propria articolazione,
bensì ci sono diversi muscoli tra queste 2 formazioni
scheletriche.

Tra la scapola, rivestita dal muscolo sottoscapolare, e le coste, rivestite dal muscolo grande
dentato, si sviluppa uno strato di connettivo ricco di grasso che costituisce un piano di scorrimento
che facilita i movimenti della scapola sulla parete toracica.

I movimenti della scapola sono finalizzati a posizionare la cavità glenoidea


della scapola nella posizione ottimale per permettere i massimi movimenti
dell’omero nei 3 piani dello spazio e sono possibili i seguenti movimenti:
elevazione, abbassamento, abduzione o protrazione, adduzione o
retrazione, rotazione esterna o extrarotazione dove l’angolo inferiore della
scapola ruota latero-superiormente e rotazione interna o intrarotazione
dove l’angolo inferiore ruota infero-medialmente.
Tra i movimenti principali della scapola troviamo la rotazione esterna o
extrarotazione, un movimento mediato dalla contrazione delle fibre
superiori e inferiori del trapezio e dalla contrazione del muscolo grande dentato.
Questo movimento è finalizzato ad ampliare i movimenti di elevazione dell’omero, quindi i
movimenti di flessione e abduzione dell’omero.

I 3 tempi dell’abduzione
Nel 1° tempo dell’abduzione è coinvolta l’articolazione scapolo-omerale e grazie ai muscoli
sovraspinato e deltoide è possibile abdurre l’omero fino a 90°.
Nella 2° fase, oltre all’intervento dell’articolazione scapolo-omerale e dei muscoli sovraspinato e
deltoide, intervengono i muscoli in grado di extraruotare la scapola raggiungendo l’abduzione fino
a 150-160°.
La 3° fase permette di raggiugere i 180° di abduzione ed è necessario che intervenga il rachide.
Perciò le articolazioni coinvolte nell’abduzione sono: articolazione gleno-omerale, articolazione
scapolo-toracica e rachide.

Nella 1° fase i muscoli sovraspinato, deltoide e capo lungo del muscolo bicipite, tramite
l’articolazione scapolo-omerale abducono l’omero fino a 90° perché omero e scapola entrano in
conflitto, in particolare entrano in conflitto grande tubercolo dell’omero con acromion della
scapola.
Per liberare questo ingombro sterico è necessario
extraruotare la scapola grazie all’intervento dei muscoli
trapezio (fibre superiori e inferiori) e grande dentato che
riescono a riposizionare la cavità glenoidea nella posizione
ottimale perché l’omero possa proseguire con la sua
abduzione che per il momento ha raggiunto i 150-160°.
Per raggiungere i 180° di abduzione è necessario inclinare
la colonna vertebrale dal lato opposto della contrazione.

REGIONE ASCELLARE
La regione ascellare è situata tra la parete toracica laterale e la parte
prossimale dell’omero, al di sotto dell’articolazione scapolo-omerale.
È una regione molto importante dal punto di vista clinico per le regioni
vascolo-nervose che la attraversano.

È uno spazio di forma circa piramidale dove è possibile distinguere:


apice diretto superiormente, base diretta inferiormente e 4 pareti:
anteriore, laterale, posteriore e mediale.

L’apice è un’apertura detta anche canale cervico-ascellare, quindi una via


di comunicazione tra collo e arto superiore attraversata da formazioni
vascolo-nervose provenienti da testa e collo o vene che dall’arto superiore
si portano verso il collo.

La parete anteriore è costituita e sostenuta dai muscoli grande e piccolo pettorale, mentre la
parete posteriore è costituita dall’alto al basso dai muscoli:
sottoscapolare, grande rotondo e grande dorsale, tutti
muscoli che si stanno portando all’omero.
La parete mediale è costituta dalla parte superiore della
gabbia toracica dove le prime 8-10 coste sono rivestite
dal muscolo grande dentato o dentato anteriore.
Infine la parete laterale corrisponde circa al solco
intertubercolare dell’omero detto anche solco bicipitale,
in quanto questo solco è occupato dal capo lungo del
muscolo bicipite.

La base dell’ascella risulta concava inferiormente ed è sostenuta da: cute, sottocutaneo e fascia
profonda che a questo livello si chiama fascia ascellare.
Inoltre è possibile percepire che la parte dell’ascella è delimitata sia anteriormente sia
posteriormente da pieghe palpabili che prendono il nome di pilastri o pieghe anteriore e
posteriore.
Questi ultimi corrispondono poi al decorso di alcuni muscoli, precisamente il pilastro anteriore al
decorso del muscolo grande pettorale e il pilastro posteriore al decorso del muscolo grande
dorsale.

Le formazioni contenute dalla cavità ascellare sono rappresentate da:

• Arteria ascellare e i suoi rami: corrisponde alla prosecuzione


dell’arteria succlavia che origina direttamente o indirettamente
dall’aorta e superata la prima costa entra in regione ascellare
cambiando nome diventando appunto arteria ascellare.
L’arteria succlavia irrora tutto l’arto superiore.
Siamo a livello dello spazio interscalenico individuato tra i muscoli
scaleno anteriore e medio, importante clinicamente perché
attraversato dall’arteria succlavia e parte del plesso brachiale e una
restrizione di tale spazio costringe queste importanti formazioni
vascolo-nervose.
• Vena ascellare e le sue tributarie: decorre anteriormente all’arteria ascellare e si costituisce
a livello della regione ascellare dall’unione tra vene profonde e vene superficiali
decorrendo sempre a ridosso della prima costa e una volta superata cambia nome e
diventa vena succlavia.
• Parte del plesso brachiale (fascicoli e rami terminali):
formazione che comincia a livello del collo e poi si sviluppa in
cavità ascellare.
È una formazione nervosa molto complessa, si tratta di un
intreccio di fibre nervose alla cui costituzione partecipano i
rami anteriori di alcuni nervi spinali, in particolare: C5, C6, C7,
C8 e T1.
I nervi spinali sono 31 paia e questo plesso brachiale è
all’origine di rami terminali di nervi con nomi specifici che poi
si distribuiscono in aree specifiche dell’arto superiore.
• Linfonodi ascellari e vasi linfatici: i linfonodi sono formazioni del sistema linfatico destinate a
difenderci, si intercalano lungo il decorso dei vasi linfatici filtrando la linfa, funzionano da
sentinelle, quindi filtri biologici in grado di mettere in atto le adeguate risposte immunitarie
per debellare eventuali patogeni.
A livello della cavità ascellare sono presenti circa 30 linfonodi
organizzati in 5 gruppi distinti in: anteriori, posteriori e laterali.
I linfonodi ascellari anteriori complessivamente filtrano la linfa
proveniente dalla parete toracica anteriore, compresa la
mammella, quindi possono essere sede di metastasi da
carcinoma mammario.
I linfonodi ascellari posteriori filtrano la linfa proveniente dalla
parete toracica posteriore.
I linfonodi laterali filtrano la linfa proveniente da tutto l’arto superiore e si collocano circa in
corrispondenza del solco bicipitale.
La linfa da essi filtrata passa attraverso i linfonodi centrali, poi nei linfonodi
centrali e infine convoglia in un grosso vaso linfatico detto tronco
succlavio che si accompagna al decorso dell’arteria e della vena
succlavia.
Il tronco succlavio di destra si riversa in un vaso linfatico detto dotto
linfatico destro, mentre il tronco succlavio di sinistra si riversa nel dotto
toracico.
Dotto linfatico destro e dotto toracico sono i 2 più grandi vasi linfatici del nostro corpo che
permettono alla linfa di essere poi riversata nel circolo venoso.

Lo spazio rimanente verrà poi riempito da tessuto adiposo.

REGIONE DEL BRACCIO


La regione del braccio è attraversata e sostenuta scheletricamente dall’omero.
I muscoli del braccio trovano inserzione a livello delle ossa che costituiscono lo scheletro
dell’avambraccio, quindi ulna e radio.

Scheletro dell’avambraccio
Radio laterale e ulna mediale sono parallele tra loro in posizione anatomica, con il palmo della
mano rivolto in avanti, perciò si parla di posizione supina.
Quando radio e ulna sono in supinazione anche la mano si presenta in posizione supina.
Quando il radio ruota sull’ulna, quindi quando l’avambraccio prona anche la mano si porta in
posizione prona.

Ulna e radio
Ulna e radio sono ossa lunghe perciò è possibile distinguere: epifisi prossimale, diafisi ed epifisi
distale.

L’epifisi prossimale dell’ulna, in posizione anatomica, è caratterizzata da una superficie articolare


detta incisura trocleare che si articola con la corrispondente troclea dell’omero, parliamo quindi di
articolazione omero-ulnare.
Lateralmente è visibile una piccola incisura detta incisura radiale
dell’ulna, una piccola superficie articolare per la testa del radio, quindi
a questo livello si sviluppa l’articolazione radio-ulnare prossimale.
Segue il corpo o diafisi dell’ulna dove subito prossimalmente è possibile
individuare anteriormente un rilievo definito tuberosità ulnare dove si
inserisce il muscolo brachiale.
L’epifisi distale dell’ulna è detta testa dell’ulna che si prolunga
medialmente in un piccolo processo detto processo stiloideo dell’ulna
palpabile medialmente a livello del polso.

L’epifisi prossimale del radio è anche detta testa o capitello del radio,
si tratta di un rigonfiamento cilindrico rivestito di cartilagine sia
superiormente articolandosi con il condilo omerale, quindi siamo di
fronte all’articolazione omero-radicale, sia lungo tutto il suo contorno parlando quindi di
circonferenza articolare del radio che si articola con l’incisura radiale dell’ulna nell’articolazione
radio-ulnare prossimale.
Segue un restringimento detto collo del radio e poi il corpo o diafisi che anteriormente presenta la
cosiddetta tuberosità radiale dove si inserisce il tendine del muscolo bicipite.
L’epifisi distale del radio si allarga lateralmente nel processo stiloideo del radio, palpabile a livello
del polso lateralmente.

Articolazioni del gomito


Il gomito è un complesso articolare costituito da 3 articolazioni:

1. Omero-ulnare: tra la troclea omerale e l’incisura trocleare dell’ulna, è un ginglimo angolare


che permette flesso-estensione
2. Omero radiale: tra condilo radiale e la faccia superiore della testa del radio, è una
condilartrosi, non è però permessa abduzione e adduzione perché a gestire i movimenti è
l’articolazione omero-ulnare per la particolare conformazione
che assumono le superfici articolari che si contrappongono,
pertanto a livello del gomito si evidenziano soltanto movimenti di
flesso-estensione tra braccio e avambraccio
3. Radio-ulnare prossimale: è un ginglimo assiale
Tutte le superfici articolari attingono alla stessa cavità sinoviale, è
riconoscibile la capsula fibrosa che mantiene collegate le 3 ossa così
come li legamenti esterni che stabilizzano l’articolazione.
In particolare è ben visibile il legamento collaterale mediale anche
detto collaterale-ulnare che si porta dall’omero all’ulna, lateralmente si
riconosce il legamento collaterale laterale o collaterale-radiale che
così posizionati impediscono i movimenti laterali e infine è possibile
notare il legamento anulare che si inserisce sia anteriormente sia
posteriormente all’ulna circondando la testa del radio mantenendola in
posizione e stabilizzando l’articolazione radio-ulnare prossimale.

L’articolazione radio-ulnare prossimale è cosi definita perché radio e


ulna si articolano tra loro sia a livello prossimale sia a livello distale, si
parla perciò di articolazione radio-ulnare prossimale e distale.
Sono articolazioni dello stesso tipo che lavorano insieme nei
movimenti di prono-supinazione.

L’articolazione radio-ulnare prossimale è un ginglimo


assiale o trocoide che si attua tra testa del radio e un anello
osteofibroso costituito dall’incisura radiale dell’ulna e dal
legamento anulare che si inserisce in corrispondenza dei
margini dell’incisura radiale dell’ulna costituendo un anello
osteo-fibroso.

L’articolazione radio-ulnare distale si attua tra testa dell’ulna e


corrispondente incisura ulnare del radio.
È un ginglimo assiale dove le superfici articolari sono mantenute unite
dal legamento o disco triangolare a struttura connettivale o fibro-
cartilaginea, teso dal processo stiloideo dell’ulna al radio.
Mantiene unite le 2 ossa durante i
movimenti di prono-supinazione.

Articolazione radio-ulnare prossimale e distale permettono


movimenti di rotazione del radio sull’ulna che si esprimono nei
movimenti di pronazione dell’avambraccio e della mano.

Muscoli rotatori del radio


I muscoli pronatori del radio sono distinti in: muscolo pronatore rotondo e
quadrato, mentre per quanto riguarda i muscoli supinatori del radio
troviamo il muscolo supinatore propriamente detto.
Si tratta di muscoli dell’avambraccio e nella supinazione oltre al muscolo
supinatore propriamente detto interviene anche il muscolo bicipite del
braccio.

Braccio
Il braccio è sostenuto e attraversato dall’omero che poi è circondato da
diverse formazioni molli.
Sotto la cute e il sottocutaneo è presente la fascia profonda che a
livello del braccio si chiama fascia brachiale che invia dei setti
all’omero tale per cui concorre con essi per individuare 2
compartimenti o logge osteo-fasciali o muscolari anteriore e
posteriore.
La loggia anteriore contiene muscoli flessori con i rispettivi vasi e
nervi, mentre la loggia posteriore contiene muscoli estensori con i
rispettivi vasi e nervi.
I muscoli della loggia anteriore sono 3:

1. Muscolo bicipite: muscolo costituito da 2 ventri disposti in parallelo, un ventre origina dal
processo coracoideo della scapola detto capo lungo del bicipite, l’altro origina dal
tubercolo sopraglenoideo della scapola detto capo breve del bicipite.
I 2 ventri poi si uniscono per costituire un unico tendine che si inserisce in parte sulla
tuberosità radiale perciò si parla di tendine bicipitale,
mentre la restante parte è molto appiattita per cui si
parla di aponevrosi bicipitale che superata la fossa
cubitale, si continua con la fascia profonda
dell’avambraccio detta fascia antibrachiale.
Il bicipite è biarticolare, cioè attraversa 2 articolazione:
scapolo-omerale e del gomito.
È un flessore dell’avambraccio sul braccio e del braccio
perché è biarticolare.
Inoltre partecipa alla supinazione dell’avambraccio.
2. Muscolo brachiale: origina dalla diafisi omerale e si inserisce
sulla tuberosità ulnare, è un muscolo monoarticolare perché
attraversa soltanto l’articolazione del gomito, quindi è un
flessore dell’avambraccio
3. Muscolo coracobrachiale: origina dal processo coracoideo e
si porta più mediamente a livello della diafisi omerale, è
monoarticolare perché attraversa l’articolazione scapolo-
omerale quindi è in grado di flettere il braccio, poi inserendosi
più medialmente è anche in grado di intraruotare il braccio

I muscoli della loggia posteriore del braccio sono 2:

a) Muscolo tricipite: costituito da 3 ventri disposti in parallelo, si parla di capo lungo del
tricipite, capo mediale e capo laterale.
Sulla faccia posteriore dell’omero è presente il
solco radiale così denominato in quanto a questo
livello decorre il nervo radiale.
Questo solco permette di suddividere la porzione
posteriore dell’omero in una porzione laterale e in
una porzione mediale rispetto al solco.
Dalla porzione laterale origina il capo laterale del
tricipite, mentre dalla porzione mediale origina il
capo mediale del tricipite.
Il capo lungo invece origina dal tubercolo sottoglenoideo della scapola.
I 3 ventri convergono in un tendine comune che si inserisce
sull’olecrano dell’ulna.
Il tricipite attraversa 2 articolazioni, perciò è un estensore sia
dell’avambraccio sia del braccio.
b) Muscolo anconeo: piccolo muscolo che può essere
considerato come 4° ventre del tricipite

MANO
La mano suddivisibile in 3 subregioni:

o Regione del polso o carpica: sostenuta da 8


piccole ossa carpali di tipo breve, distribuite in 2
file: prossimale e distale.
In direzione latero-mediale la fila prossimale
comprende: osso semilunare, osso piramidale e osso pisiforme, mentre la fila distale
è costituita da: osso trapezoide, osso uncinato e osso capitato.
o Regione metacarpale: corrisponde al palmo della mano ed è sostenuta da 5 ossa
metacarpali di tipo lungo, perciò caratterizzate da: epifisi prossimale, diafisi ed
epifisi distale.
L’epifisi prossimale è detta base, mentre l’epifisi distale è definita testa dei
metacarpali.
Le teste dei metacarpali sono palpabili dorsalmente e corrispondono alle nocche.
o Dita: sostenute da ossa dette falangi, sono ossa lunghe.
Sono presenti 3 falangi per ogni dita: prossimale, intermedia e distale.
Solo il pollice è caratterizzato da 2 sole falangi.

Le articolazioni tra le ossa della mano sono svariate:

− Mediocarpale: tra le ossa di serie prossimale e distale del carpo


− Intercarpali: tra le singole ossa del carpo
− Carpo-metacarpica del pollice: si attua tra trapezio e base del 1°
metacarpale, è un’articolazione a sella che permette i movimenti di
opposizione del pollice (flessione + adduzione).
È l’articolazione chiave per l’efficienza della mano umana e per questo è
attraversata da moltissimi muscoli specifici per il pollice.

Articolazione radio-carpica
L’articolazione radio-carpica si attua tra le epifisi distali delle ossa
dell’avambraccio e le ossa della serie prossimale del carpo, nello
specifico: scafoide, semilunare e piramidale.
È la principale articolazione del polso che collega braccio e mano ed
è così chiamata perché teso tra ulna e piramidale è presente il
legamento o disco triangolare che stabilizza l’articolazione radio-
ulnare distale.

Si attua tra le epifisi distali del radio con 2 faccette articolari per
scafoide e semilunare e l’epifisi distale dell’ulna con il piramidale
tramite l’intermediazione con il legamento triangolare.
Siamo di fronte ad una condilartrosi, perciò permette: flesso-
estensione, abduzione e adduzione.
La sommatoria di tutti questi movimenti porta poi alla circonduzione
della mano.

Muscoli dell’avambraccio
Grazie alla particolare organizzazione della fascia profonda che nell’avambraccio è definita fascia
antibrachiale e della membrana interossea che collega radio e ulna, è possibile individuare 2
logge: loggia muscolare anteriore e posteriore.
La loggia anteriore è caratterizzata soprattutto da muscoli flessori, mentre la loggia posteriore è
caratterizzata in particolar modo da muscoli estensori.
A livello poi di entrambe le logge i muscoli si distribuiscono in più strati.

I muscoli della loggia anteriore che costituiscono lo strato superficiale e originano circa tutti
dall’epicondilo mediale dell’omero e si inseriscono a livello delle porzioni prossimali delle ossa
metacarpali.
Sono in grado di flettere mano e avambraccio.
Sono rappresentati dai muscoli:

→ Pronatore rotondo: permette la rotazione del radio


sull’ulna
→ Flessore radiale del carpo: si inserisce lateralmente
concorrendo a flettere e abdurre la mano
→ Palmare lungo: il suo tendine si inserisce sull’apice dell’aponevrosi palmare
→ Flessore ulnare del carpo: si inserisce sull’osso pisiforme medialmente concorrendo a
flettere e addurre la mano

I muscoli della loggia anteriore che formano lo strato intermedio e


profondo si originano quasi tutti dalle facce anteriori delle ossa
che costituiscono lo scheletro dell’avambraccio e sono:

➢ Flessore superficiale delle dita


➢ Flessore profondo delle dita
➢ Flessore lungo del pollice
➢ Pronatore quadrato: capace di ruotare il radio sull’ulna

Il tendine del flessore superficiale e profondo delle dita, una volta arrivato in corrispondenza del
carpo si suddivide in 4 tendinetti che si portano alle falangi intermedie o distali del 2°, 3°, 4° e 5°
dito.
Il pollice ha muscoli assestanti dedicati.
Oltre ad essere capaci di flettere le dita su cui si inseriscono, questi muscoli concorrono anche
nella flessione della mano perché attraversano anche l’articolazione radio-carpica.
Il flessore superficiale e profondo delle dita e il flessore lungo del pollice sono tutte formazioni che
decorrono sotto il retinacula dei flessori, una formazione fibrosa.

I muscoli della loggia posteriore sono numerosissimi e distinti in strato superficiale e in strato
profondo.
I muscoli dello strato superficiale sono muscoli estensori del carpo e delle dita.
Originano soprattutto dalle epicondilo laterale dell’omero o in sua prossimità e il loro eccessivo uso
si associa ad un’infiammazione detta epicondilite laterale, nota anche come gomito del tennista
causato dal sovraccarico funzionale associato all’attività sportiva che comporta un’infiammazione
a carico dell’inserzione di tali muscoli.
Si inseriscono sulle ossa della mano posteriormente, attraversando le articolazioni posteriormente.
Secondo la loro distribuzione latero-mediale riconosciamo i muscoli:

❖ Brachio-radiale: è un flessore che si sviluppa latero-anteriormente, attraversa quindi


l’articolazione del gomito più anteriormente, origina al di sopra dell’epicondilo laterale
dell’omero e si inserisce sul processo stiloideo del radio.
Viene collocato nella loggia posteriore perché è innervato dallo
stesso nervo che innerva tutti i muscoli estensori, il nervo radiale.
❖ Estensore radiale lungo del carpo
❖ Estensore radiale breve del carpo
❖ Estensore comune delle dita: si porta alle falangi di 2°, 3°, 4° e 5°
dito
❖ Estensore del mignolo
❖ Estensore ulnare del carpo

Il loro nome si associa alla loro funzione.

I muscoli dello strato profondo sono muscoli estensori che attraversano le articolazioni
posteriormente e sono i muscoli:

✓ Supinatore: coinvolto nei movimenti di supinazione


dell’avambraccio con cui la mano è solidale, muscolo
coinvolto nella rotazione del radio sull’ulna
✓ Abduttore lungo del pollice: partecipa anche nell’estensione
✓ Estensore breve del pollice: si inserisce sulla falange prossimale
del pollice
✓ Estensore lungo del pollice: si inserisce sulla falange distale del
pollice
✓ Estensore dell’indice
Legamenti dell’avambraccio
La fascia profonda dell’avambraccio è detta fascia antibrachiale, mentre la fascia profonda a
livello della mano è detta fascia palmare.
Il legamento palmare del carpo è un ispessimento della fascia antibrachiale a livello del polso.
Si inserisce sui processi stiloidei di radio e ulna.

La fascia palmare si ispessisce in particolare nella porzione centrale di forma


circa triangolare definita aponevrosi palmare che possiede un apice diretto
superiormente e una base diretta inferiormente.
L’apice dell’aponevrosi palmare si continua superiormente con il tendine del
muscolo palmare lungo dell’avambraccio che
contribuisce a tenere tesa la fascia antibrachiale.
La base dell’aponevrosi parlare si inserisce sulle teste
delle ossa metacarpali.
L’aponevrosi palmare si attacca saldamente al
sottocutaneo, quindi alla cute sovrastante per facilitare
la funzione prensile della mano e protegge il decorso
dei tendini sottostanti dei muscoli flessori che si portano
alle rispettive falangi.

Retinacula dei flessori


Il retinacula dei flessori detto anche legamento trasverso del
carpo corrisponde ad un ispessimento della fascia profonda
che si situa sotto il legamento palmare del carpo e leggermente
più distalmente.
Si dispone a ponte a livello del carpo e si inserisce con le sue
estremità mediale e laterale sulle ossa più mediali e laterali del
carpo.
Tale legamento, insieme alle sottostanti ossa del carpo
individua un canale del carpo o tunnel carpale, un canele
osteo-fibroso dove il pavimento del canale è di natura ossea
e corrisponde alle ossa del carpo, mentre il tetto corrisponde
al retinacula dei flessori.
Permette di mantenere in sede i tendini dei muscoli flessori
superficiali e profondi delle dita mentre si portano alle
rispettive falangi, contiene però anche un nervo chiamato
nervo mediano che innerva alcune formazioni della mano.
Il tunnel carpale è una formazione, dal punto di vista clinico, molto importante, infatti dal momento
in cui l’ampiezza fisiologica di questo canale si riduce vengono compresse le formazioni in esso
contenute.

Il nervo ulnare, accompagnato dall’arteria ulnare, non decorre


all’interno del tunnel carpale, ma in una posizione più
superficiale e mediale in quello che viene definito canale del
Guyon o canale ulnare.
Anche questo canale si può ridurre con conseguente
compressione delle formazioni in esso inserite.

I tendini dei flessori superficiali delle dita transitano prima al di


sotto del tunnel carpale e poi sotto i canali osteo-fibrosi detti
canali digitali prima di raggiungere le falangi.
Per facilitare il decorso di questi tendini all’interno di tali canali
di natura oste-fibrosa, i tendini vengono avvolti dalle
cosiddette guaine sinoviali che sono degli avvolgimenti
tubulari sinoviali che facilitano il passaggio di queste
formazioni attraverso i vari canali rigidi.
Sono presenti anche dei canali oste-fibrosi a livello della dita finalizzati a mantenere in posizione i
tendini di questi muscoli mentre si portano alle rispettive falangi.
Le guaine sinoviali sono borse tubulari, dei cilindri a doppia parete
contenenti liquido sinoviale e lo strato profondo della parete aderisce al
tendine e poi si continua con un foglietto parietale che aderisce ai
margini dei canali oste-fibrosi.

Retinacula degli estensori


Dorsalmente è presente anche il retinacula degli estensori che è un
ispessimento della fascia brachiale a livello dorsale con la funzione di
mantenere in posizione i tendini dei muscoli della loggia posteriore
dell’avambraccio che si portano alle rispettive dita.
Anche in questo caso i tendini, mentre decorrono al di sotto della
retinacula degli estensori, sono avvolti da guaine sinoviali per facilitarne
il loro scorrimento.

Muscoli intrinseci della mano


I muscoli intrinseci della mano originano e terminano sulle ossa della mano e si sviluppano tutti sulla
faccia palmare.
Inoltre si organizzano in 3 gruppi:

I. Muscoli dell’eminenze tenar: si sviluppano alla base del pollice


II. Muscoli dell’eminenza ipotenar: si sviluppano alla base del mignolo
III. Muscoli intermedi: si collocano tra l’eminenza tenar e ipotenar

Al centro l’aponevrosi palmare che è un ispessimento della fascia palmare che


in corrispondenza delle eminenze tenar e ipotenar risulta molto sottile.
Tali rigonfiamenti a livello di pollice e mignolo sono sostenuti da muscoli.

L’eminenza tenar è sostenuta dai seguenti muscoli: abduttore breve del pollice, flessore breve del
pollice, adduttore del pollice e opponente del pollice.
Tutti muscoli del pollice che attraversano l’articolazione a
sella tra trapezio e base del 1° metacarpale, perciò del
pollice.
L’eminenza ipotenar, invece, è sostenuta dai muscoli:
abduttore del mignolo, flessore breve del mignolo e
opponente del mignolo.

L’articolazione carpo-metacarpale del pollice è attraversata da 8 muscoli specifici dedicati al


pollice, alcuni sono muscoli provenienti dall’avambraccio, altri invece sono muscoli intrinseci della
mano, in particolare dell’eminenza tenar.

I muscoli intermedi sono distinti in:

Muscoli lombricali: flettono le articolazioni metacarpo-falangee ed estendono le


articolazioni interfalangee.
Sono 4 muscoli che si sviluppano in corrispondenza
del palmo della mano e riguardano 2°, 3°, 4° e 5°
dito.
Originano dal tendine del muscolo flessore profondo
delle dita, del dito corrispondente e poi attraversano
l’articolazione metacarpo-falangea del dito
corrispondente per poi inserirsi dorsalmente sul
tendine dell’estensore comune delle dita, del dito
corrispondente.
Muscoli interossei: sono distinti in uno strato più anteriore, quindi i palmari, e in uno strato
subito posteriore, quindi i dorsali, ma sono sempre muscoli che si sviluppano a livello del
palmo della mano.
Originano in vario modo dalle ossa metacarpali,
attraversano l’articolazione metacarpo-falangea per
inserirsi sulle falangi prossimali delle dita.
I muscoli interossei dorsali abducono le dita, mentre i
muscoli interossei palmari adducono le dita.
Abduzione (allontanare le dita dal dito medio) e adduzione
(avvicinare le dita al dito medio) delle dita si riferisce al dito
medio che è il dito della mano più fisso.

CIRCOLO ARTO SUPERIORE

CIRCOLO ARTERIOSO
Il circolo arterioso dipende quasi totalmente dall’arteria succlavia che decorre nello spazio
interscalenico, superata la 1° costa diventa arteria ascellare in
quanto decorre a livello della regione ascellare e i rami dell’arteria
ascellare irrorano in particolare le formazioni della regione della
spalla, poi prosegue a livello del braccio dove cambia nome
diventando arteria brachiale in rapporto mediale con l’omero e a
livello del braccio forma diversi rami.
A livello dell’arteria brachiale termina suddividendosi nei suoi 2 rami
terminali che sono le arterie radiale e ulnare che decorrono in
rapporto con le rispettive ossa.
Tali arterie formano rami per la regione dell’avambraccio e
raggiungono la mano dove contribuiscono, tramite rami che si costituiscono a livello della mano,
ad irrorare anche la mano.

CIRCOLO VENOSO
Il circolo venoso comprende 2 sistemi: il sistema delle vene superficiali e profonde.
Le vene superficiali decorrono esternamente alla fascia profonda, quindi a livello della fascia
superficiale o del sottocutaneo, mentre le vene profonde decorrono al di sotto della fascia
profonda.
Sono solitamente 2 vene per ogni arteria che decorrono parallele alle arterie e prendono il nome
delle arterie che accompagnano, in realtà generalmente sono definite vene
satelliti o comitantes, in quanto decorrono a ridosso delle arterie e sono in stretto
rapporto con esse grazie alle guaine connettivali che avvolgono vasi e nervi
profondi con la funzione di sostenere il decorso di tali formazioni e mantenere in
stretto rapporto le vene con l’arteria.
Si tratta di un ulteriore meccanismo per facilitare il ritorno del sangue venoso verso il cuore
sfruttando la pulsazione del sangue arterioso.

Circolo venoso profondo


Le vene profonde decorrono parallele alle arterie e sono 2 vene per ogni
arteria.
Le 2 vene ulnari e le 2 vene radiali si uniscono per formare 2 vene brachiali
che accompagnano il decorso dell’arteria brachiale.
La vena ascellare si costituisce dall’unione di vene superficiali e profonde, le
vene profonde che costituiscono la vena ascellare sono le vene brachiali.

Circolo venoso superficiale


Le vene che costituiscono il circolo venoso superficiale sono la vena basilica e la vena cefalica.
Non sono le uniche, ma sono le più conservate e per le vene superficiali si osserva una grande
variabilità soggettiva.
Entrambe originano a livello della mano, dalla cosiddetta arcata o rete venosa dorsale della
mano.
In particolare sono all’origine della vena basilica medialmente e della vena cefalica lateralmente.
Queste 2 vene, originate dorsalmente a livello della mano, a livello
dell’avambraccio si portano ventralmente e poi proseguono a livello del
braccio.
La vena basilica, arrivata ad una certa altezza, a livello del braccio,
perfora la fascia brachiale per raggiungere in profondità e quindi unirsi alle
vene profonde del braccio, perciò alle vene brachiali.
L’unione tra le vene brachiali e la vena basilica, a questo livello permette
la formazione della vena ascellare che decorre in cavità ascellare e
prende il nome di vena ascellare.
La vena cefalica mantiene un decorso superficiale fino alla regione della
spella, precisamente in corrispondenza del solco deltoideo pettorale o
triangolo cavi-pettorale, una leggera depressione evidenziabile in
persone molto magre e muscolose che si costituisce fra il margine
superiore del muscolo grande pettorale e il margine mediale del muscolo
deltoideo dove la vena cefalica perfora la fascia ascellare per riversarsi nella vena ascellare.
La vena ascellare, superata la 1° costa, cambia nome diventando vena succlavia.
Le vene superficiali terminano sempre confluendo nelle vene profonde.

Tra la vena cefalica e la vena basilica si notano altre vene definite anti-brachiali.
In corrispondenza della fossa cubitale, nella parte superficiale, in
corrispondenza del sottocutaneo, è possibile riconoscere le vene
superficiali che si anastomizzano tra loro, sede elettiva dei prelievi
venosi perché essendo vene superficiali sono facilmente visibili ed
individuabili; inoltre il prelievo viene effettuato a livello delle vene
perché il sangue, all’interno di esse, scorre a più bassa pressione.

ARCHITETTURA DELLA PELVI OSSEA

La pelvi ossea è anche definita bacino che significa conca, catino, contenitore.
È costituta dall’osso sacro e il coccige.
Il bacino svolge un ruolo strutturale di sostegno del corpo e trasmette il
peso all’arto inferiore tramite l’articolazione coxo-femorale, tra l’osso
dell’anca o coxe e il femore.
Costituisce un raccordo dinamico tra tronco e parte libera dell’arto
inferiore, infatti l’osso dell’anca costituisce il cingolo pelvico, ossia il
collegamento tra lo scheletro assile e la parte libera dell’arto inferiore.
L’osso dell’anca si articola da un lato con il sacro e quindi con lo
scheletro assile, e dall’altro con il femore.
Permette l’ancoraggio per i muscoli della parete addominale, del dorso e
dell’arto inferiore.
Infine il bacino sostiene e protegge, fungendo da contenitore, gli organi degli apparati digerente,
urinario e genitale, perciò della cavità addomino-pelvica.
L’osso dell’anca possiede lo stesso ruolo di clavicola e scapola che costituiscono il cingolo
toracico o pettorale.

La pelvi ossea, internamente rivestita da muscoli, delimita e individua precisamente la cosiddetta


cavità pelvica, inferiormente chiusa dal diaframma pelvico e superirmente in continuità con la
cavità addominale, fino al diaframma, perciò si parla di cavità addomino-pelvica.

OSSO DELL’ANCA
L’osso dell’anca deriva dalla fusione di 3 ossa: ileo, ischio e pube.
La fusione avviene intorno al 10° anno di vita e la fusione si attua in corrispondenza di una profonda
cavità che si sviluppa sulla faccia esterna o laterale dell’osso dell’anca detta cavità acetabolare,
cavità che si articola con la corrispondente testa del femore.
Dal punto di vista anatomico l’osso dell’anca si considera di forma circa quadrangolare, per cui si
descrivono:

• Faccia esterna o laterale: dall’alto al basso si individuano: fossa iliaca che dà origine al
muscolo iliaco, pavimento della cavità acetabolare e foro otturato delimitato da porzioni
dell’ischio e del pube.
Nel vivente il foro otturato è chiuso dalla cosiddetta membrana otturatoria, una membrana
connettivale su cui prendono origine i muscoli otturatori.
• Faccia interna o mediale: dall’alto al basso si individuano: area
glutea che dà inserzione ai muscoli glutei, cavità acetabolare
per la testa del femore e foro otturato.
• Margine superiore: corrisponde al contorno superiore palpabile
della porzione iliaca dell’osso dell’anca e si estende dalla spina
iliaca antero-superiore alla spina iliaca postero-superiore.
• Margine inferiore: si estende indietro dalla tuberosità ischiatica
(palpabile da seduti) fino alla faccetta articolare della porzione
pubica che si articola con la porzione pubica dell’anca
controlaterale nella costituzione della sinfisi pubica.
• Margine posteriore: dall’alto al basso si individuano: spina iliaca
postero-superiore, spina iliaca postero-inferiore, grande incisura
ischiatica, spina ischiatica e piccola incisura ischiatica.
Queste incisure, grazie alla presenza di legamenti, nel vivente sono trasformate in fori.
Grazie a 2 particolari legamenti definiti legamento sacro-tuberoso e sacro-spinoso che dal
sacro si portano rispettivamente alla tuberosità ischiatica e alla spina ischiatica, grande e
piccola incisura ischiatica sono trasformate in fori.
• Margine anteriore: dall’alto al basso si individuano: spina iliaca antero-superiore, spina
iliaca antero-inferiore, eminenza ileo-pettinea rappresentata da un rilievo dove
confluiscono porzione iliaca e pubica, cresta pettinea rappresentata da un rilievo del pube
e tubercolo pubico.

Tra le articolazioni che si attuano tra le ossa che costituiscono la pelvi ossea riconosciamo:

1. Articolazione sacro-iliaca: tra sacro e porzione iliaca dell’osso


dell’anca
2. Articolazione sacro-coccigea: tra apice del sacro e base del
coccige
3. Sinfisi pubica: anteriormente le porzioni pubiche e controlaterali
si articolano con un’articolazione di tipo sinfisi, perciò tra le
faccette articolari è presente un disco fibro-cartilagineo

ARTICOLAZIONE SACRO-ILIACA
L’articolazione sacro-iliaca si attua tra le faccette auricolari del sacro e la porzione iliaca dell’osso
dell’anca.
È una diartrosi di tipo artrodia stabilizzata da molti legamenti, soprattutto anteriormente.
Il bacino, in stazione eretta, non è disposto orizzontalmente, ma giace su un piano vertico-frontale,
è posizionato in modo tale che la spina iliaca antero-superiore e il tubercolo pubico giacciono
sullo stesso piano verticale, quindi anche il sacro risulta, con la sua base, inclinato anteriormente
verso il basso.
Questa particolare inclinazione anteriore della base del sacro,
rispetto alla verticalità della sovrastante parte lombare della
colonna vertebrale, per effetto del peso del tronco che grava
sulla base del sacro, è facilitata la rotazione in avanti della
base del sacro, si parla infatti di movimenti di nutazione.
Per questo motivo è necessario un imponente sistema
legamentoso finalizzato a impedire tali movimenti.
I legamenti che stabilizzano tale articolazione sono i legamenti: sacro-iliaci
anteriori che collegano anteriormente il sacro e la porzione iliaca dell’osso
dell’anca, sacro-iliaci posteriori e sacro-ischiatici che si portano dal sacro alle
porzioni ischiatiche dell’osso dell’anca che sono costituiti da sacro-tuberoso e
sacro-spinoso.
In nutazione sono tesi i legamenti sacro-iliaci anteriori e i legamenti sacro-
ischiatici.

DIAFRAMMA PELVICO
Il diaframma pelvico con i muscoli elevatori dell’ano
e il muscolo coccigeo chiudono la pelvi ossea, ma la pelvi ossea è tutta
internamente rivesta da muscoli, per cui si aggiungono a rivestire la faccia
anteriore del sacro i muscoli piliformi che originano dalla faccia anteriore
del sacro e si portano al femore, mentre lateralmente sono presenti i
muscoli otturatori interni che originano dalla membrana otturatoria che
chiude il foro otturato e si portano al femore attraversando e riempiendo
quasi tutto il grande foro ischiatico.

PLESSO SACRALE
Nella cavità pelvica, a ridosso del muscolo piriforme si sviluppa
un’importantissima formazione nervosa definita plesso sacrale, costituita da
alcuni rami anteriori dei nervi spinali che è all’origine di numerosi nervi che si
portano ad innervare le diverse porzioni dell’arto inferiore, compreso il nervo
ischiatico.

REGIONE GLUTEA
Posteriormente all’osso dell’anca si sviluppa la regione glutea, regione
di transito tra la parte posteriore del tronco, quindi la parte dorsale, e la
parte libera dell’arto inferiore.
È una regione sostenuta da muscoli glutei propriamente detti e non
solo.

ARTO INFERIORE

L’arto inferiore ha la funzione di sostenere e trasmettere a terra il peso del


corpo sia nella statica sia nella dinamica.
Il peso, tramite le 2 articolazioni sacro-iliache viene distribuito alle 2 anche, le
quali tramite le articolazioni coxo-femorali, lo trasferiscono ai 2 femori, poi
tramite le articolazioni del ginocchio il peso viene trasferito alla tibia e infine
tramite le articolazioni della caviglia, al piede che lo trasferisce a terra.
Inoltre gli arti inferiori si sono specializzati nella deambulazione o locomozione,
funzione che nei quadrupedi sono sostenute da 4 arti.
Infine permettono di mantenere l’equilibrio sia in statica sia in dinamica,
condizione nella quale le forze sono uniformemente bilanciate.

Anche l’arto inferiore, in analogia con quello superiore viene suddiviso in 4


regioni che in direzione prossimo-distale sono rappresentate da:

1. Regione dell’anca
2. Regione della coscia: sostenuta dal femore e collegata alla regione della gamba tramite
l’articolazione del ginocchio
3. Regione della gamba: sostenuta da tibia e fibula o perone e collegata al piede tramite
l’articolazione della caviglia
4. Regione del piede: suddivisibile in 3 regioni che sono:
a. Regione prossimale: corrisponde al tarso ed è sostenuta da 7 ossa brevi
b. Regione intermedia: corrisponde al metatarso ed è sostenuta da 5 ossa
c. Regione distale: corrisponde alle dita, suturate come quelle della mano, ed e
sostenuta dalle falangi che sono 3 per tutte le dita a parte l’alluce che ne presenta
2

Anteriormente si definisce un limite netto tra la regione addomino-pelvica e l’arto inferiore, limite
che corrisponde al legamento inguinale teso dalla spina iliaca antero-superiore fino al tubercolo
pubico, che corrisponde al margine inferiore libero dell’aponevrosi del muscolo obliquo esterno.
Posteriormente non si individua un limite netto tra la parte dorsale e l’arto inferiore, bensì si sviluppa
questa regione di transizione caratterizzata dalla regione glutea estesa dalla cresta iliaca al solco
gluteo, una piega cutanea disposta inferiormente alla natica.
Inoltre posteriormente alla regione articolare del ginocchio è riconoscibile la cosiddetta fossa
poplitea, analoga alla fossa cubitale dell’arto superiore.
In analogia con l’arto superiore, anche a livello inferiore è possibile individuare 3 aree molto
importanti dal punto di vista clinico, perché attraversate da formazioni vascolo-nervose, che in
direzione prossimo-distale sono: triangolo femorale, fossa poplitea e tunnel tarsale.

Da un certo momento in poi gli arti hanno subito un decorso differente, infatti l’arto superiore ha
ruotato lateralmente, mentre l’arto inferiore ha ruotato internamente,
quindi il ginocchio, diversamente dal gomito si trova anteriormente e a
livello dell’arto inferiore e i muscoli flessori si trovano posteriormente,
mentre i muscoli estensori anteriormente, situazione opposta a quella che
si verifica per gli arti superiori.
A causa di questa rotazione, gamba e piede si trovano in posizione
prono-definitiva con l’alluce mediale, mentre il pollice si trovava in
posizione laterale.
Inoltre l’asse longitudinale di gamba e piede risultano ortogonali con la
pianta del piede diretta inferiormente e l’alluce situato medialmente,
mentre a livello degli arti superiori gli assi longitudinali di avambraccio e mano coincidono.

FEMORE
Il femore è l’osso più lungo e pesante del corpo e la sua lunghezza corrisponde a circa ¼ della
statura dell’individuo.
L’epifisi prossimale del femore è costituita dalla testa del femore rivestita da cartilagine articolare
che partecipa all’articolazione coxo-femorale, inoltre si aggiungono collo del femore e 2 processi
detti grande e piccolo trocantere del femore.
Il collo del femore sostiene la testa femorale, facilitando il
sostegno del peso del corpo che grava sulla testa del femore
e di trasmetterlo gradatamente alla diafisi femorale.
Ha inoltre la funzione di aumentare l’ampiezza dei movimenti a
livello dell’articolazione coxo-femorale.
Ciò che contraddistingue l’omero dal femore, oltre alla
presenza del collo, è la diafisi femorale che risulta inclinata
infero-medialmente e non verticale come la diafisi omerale.

Il peso del tronco viene trasferito, attraverso l’articolazione sacro-iliaca, dalla colonna vertebrale al
cingolo pelvico (anca) e da questo, attraverso l’articolazione coxo-femorale, al femore.
Per la presenza del collo femorale, al fine di riportare la trasmissione del
carico lungo la linea verticale che corrisponde alla direzione della
forza di gravità, il femore si inclina infero-medialmente.
La disposizione obliqua del femore riconduce la trasmissione del carico
al di sotto del tronco (cioè inferiormente alla massa corporea) per
rendere più efficiente il sostegno del corpo nella posizione eretta e per
permettere la deambulazione dei bipedi, nella quale tutto il peso è
sostenuto alternativamente da ciascun arto.
Si tratta di modificazioni del femore che nel corso della filogenesi hanno caratterizzato il passaggio
dall’andatura quadrupedica, a quella bipede ed è un passaggio che caratterizza i primati superiori
ed è finalizzata a permettere un miglior sostegno del corpo in stazione eretta e la deambulazione.

L’inclinazione infero-mediale della diafisi femorale (verde) riporta la


trasmissione del carico lungo la linea verticale (rossa) che attraversa le 3
articolazioni dell’arto inferiore esattamente al centro detta linea di carico o
asse meccanico dell’arto inferiore che corrisponde alla forza di gravità.

Grazie allo sviluppo del collo e all’inclinazione infero-mediale del femore,


che caratterizza il passaggio dall’andatura quadrupedica a quella bipede, si
nota che fra l’asse che attraversa testa e collo del femore e l’asse che
attraversa la diafisi femorale si costituisce un angolo di inclinazione che in
una situazione fisiologica si aggira intorno ai 125-120°.
Col passare degli anni questo angolo
subisce alcune modificazioni infatti l’angolo
di inclinazione nei bambini misura circa 140-135°, poi diminuisce
per effetto del peso del tronco che grava sulla testa del femore e
si stabilizza intorno ai 125-120°, diminuisce infatti ulteriormente
negli anziani.

Modificazioni patologiche dell’angolo di inclinazione che si riduce al di sotto dei 120° avvicinandosi
ad un angolo di 90° si parla di varismo a livello della coxo-
femorale detto anche varismo dell’anca e questo facilita la
frattura del collo del femore, evento molto frequente negli anziani
quando si associa anche il problema dell’osteoporosi che
colpisce, oltre ai corpi vertebrali, in particolare il collo del femore
essendo una porzione del femore costituita praticamente tutta
da osso spugnoso.
Se l’angolo aumenta oltre i 140° si parla di valgismo della coxo-femorale o dell’anca e questa
situazione facilita la lussazione posteriore della testa femorale rispetto alla cavità acetabolare.

Grande e piccolo trocantere situati rispettivamente latero-superiormente e infero-medialmente


fungono da leve ossee, punti di attacco muscolare.
Sono collegati anteriormente tra loro dalla cosiddetta linea
intertrocanterica, mentre posteriormente sono collegati dalla cresta
trocanterica.
La diafisi posteriormente mostra un rilievo verticale che la percorre,
si tratta di 2 labbri che nell’insieme costituiscono la linea aspra e
superiormente divergono andando a costituire medialmente la
linea pettinea e lateralmente la tuberosità glutea che
corrispondono a punti di inserzione per il muscolo pettineo e
grande gluteo.
L’epifisi distale si allarga andando a costituire 2 formazioni curve
dette condili femorali distinti in: condilo mediale e laterale.
I 2 condili risultano anteriormente uniti e parzialmente rivestiti, circa
al centro, una superficie articolare cartilaginea detta superficie o
faccia patellare, superficie con cui si articola la patella
nell’articolazione femoro-patellare.
Infero-posteriormente i 2 condili sono separati dalla cosiddetta fossa intercondiloidea e risultano
rivestiti di cartilagine che corrisponde alle superfici articolari per la tibia, partecipando
all’articolazione femoro-tibiale.
Appena superiormente ai condili si notano dei rilievi chiamati rispettivamente epicondilo mediale
ed epicondilo laterale.
Il ginocchio è un complesso articolare costituito anteriormente dall’articolazione femoro-patellare
e posteriormente dall’articolazione femoro-tibiale.

ARTICOLAZIONE COXO-FEMORALE
L’articolazione coxo-femorale è volgarmente detta articolazione
dell’anca e si attua tra testa del femore e cavità acetabolare dell’osso
dell’anca.
Siamo perciò di fronte ad un’enartrosi o sferartrosi che permette tutti i
movimenti di ampiezza minore e molto meno mobile rispetto
all’articolazione scapolo-omerale perché deve sostenere il peso del
tronco oltre che permettere la deambulazione.
La testa viene contenuta quasi completamente nella cavità acetabolare.

La testa del femore corrisponde circa a 2/3 di sfera rivestita da cartilagine articolare.
La cavità acetabolare per la testa del femore non è tutta rivestita da cartilagine articolare, ma
soltanto una porzione a forma di semiluna detta faccia semilunare o
superficie lunata che in corrispondenza delle sue estremità, anche dette
corna, è collegata dal legamento trasverso rivestito da cartilagine
articolare, per cui costituisce un anello cartilagineo completo per la testa
del femore.
Inoltre è possibile notare la presenza di un cercine fibro-cartilagineo che
inserendosi sul margine libero della cavità acetabolare aumenta la
profondità, quindi la capacità contenitiva per la testa del femore.
La parte profonda della cavità acetabolare, non rivestita di cartilagine articolare, è detta fossa
acetabolare o dell’acetabolo, riempita da tessuto adiposo.
Si nota inoltre un altro legamento che si diparte a partire dal legamento trasverso, detto legamento
rotondo del femore.

Il legamento rotondo o legamento per la testa del femore è un legamento interno all’articolazione
e si porta alla testa del femore collegando la cavità acetabolare con la testa del femore.
È un legamento che non ha la funzione di mantenere unite le
superfici articolari, bensì ha la funzione di sostenere il decorso di
vasi dell’arteria otturatoria che si stanno portando alla testa del
femore.
Per questo se si lesiona questo legamento la testa del femore va
in necrosi.
L’arteria otturatoria, insieme ad altre arterie originate dall’arteria femorale concorrono ad irrorare
oltre alla testa del femore, tutta l’epifisi prossimale del femore.

Oltre la capsula fibrosa che collega le estremità articolari, esternamente


ad essa si sviluppano dei legamenti: ileo-femorale, pubo-femorale e
ischio-femorale.
Sono 3 legamenti che stabilizzano l’articolazione e originano dalle 3
porzioni dell’osso dell’anca per portarsi al femore.

I legamenti pubo-femorale e ileo-femorale stabilizzano


l’articolazione e tra i 2 si nota una parte articolare della
capsula articolare che non è rivestita da legamenti, a
questo livello però decorre il tendine del muscolo ileo-
psoas per portarsi al piccolo trocantere del femore che la
protegge.

Tra il tendine del muscolo ileo-psoas e la sottostante capsula fibrosa


si sviluppa una borsa sinoviale detta borsa ileo-pettinea con la
funzione di facilitare lo scorrimento dell’ileo-psoas a ridosso della
capsula articolare e spesso si infiamma.
Posteriormente si evidenzia un punto debole tra il legamento ischio-femorale e la parte superiore
dell’ileo-femorale, dove la capsula non è protetta, risulta pertanto la sede dove più facilmente si
verificano lussazioni della testa del femore.

L’anca essendo un’articolazione sollecitata da carico è


soggetta a fenomeni di artrosi, per cui si parla di coxartrosi che
giustifica le numerose protesi d’anca che i chirurghi devono
effettuare.

Le fratture a livello del collo del femore si verificano molto


frequentemente negli anziani.

Movimenti dell’articolazione coxo-femorale


Fissato il bacino, essendo un’enartrosi sono possibili tutti i tipi di
movimenti, quindi: flesso-estensione sul piano sagittale, abduzione e
adduzione sul piano frontale e movimenti di rotazione interna o mediale ed
esterna o laterale o in asse, perciò intra ed extrarotazioni.

Fissato il femore sono possibili movimenti di


rotazione in avanti della pelvi ossea, detti
movimenti di antiversione e movimenti di
rotazione indietro detti movimenti di retroversione
della pelvi, sono possibili anche movimenti di rotazione
interna ed esterna e movimenti di inclinazione laterale.

I muscoli grande, medio e piccolo gluteo che si portano dall’osso dell’anca


al femore attraversando l’articolazione coxo-femorale, fissata la pelvi
possono agire sul femore abducendolo, mentre fissato il femore agiscono
sulla pelvi ossea abducendola e inclinandola esternamente.

REGIONE GLUTEA
La regione glutea è una regione di transito che si sviluppa dorsalmente tra tronco
e coscia.
È una regione fondamentalmente costituita da muscoli abduttori e rotatori della
coscia/femore e nel corso dell’evoluzione della specie si associa alla stazione
eretta e all’andatura bipede.
La sua comparsa è associata ad una serie di modificazioni della struttura del
femore necessarie per il sostegno e la deambulazione.

Questa regione comprende 2 strati muscolari: uno strato superficiale


con muscoli glutei propriamente detti e uno strato profondo costituito
da muscoli molto brevi detti muscoli pelvici-trocanterici.

Muscolo grande gluteo


Il muscolo grande gluteo riveste tutti gli altri muscoli ed è responsabile della rotondità della regione
glutea o natica.
Estende la coscia ed extraruota il femore, ma interviene soltanto in
situazioni di sforzo, quindi partendo dalla posizione flessa.
Invertendo il suo punto fisso, fissando il femore, agisce sulla pelvi
ossea, perciò retroverte la pelvi e quindi estende il tronco.

Origina dalla parte superiore dell’ileo, dalle facce posteriori di sacro


e coccige e la maggior parte delle sue fibre si inserisce al tratto ileo-
tibiale, mentre una piccola quota di fibre si inserisce sulla tuberosità
glutea del femore.
Il tratto ileo-tibiale è un ispessimento laterale della fascia profonda.
A livello della coscia, la fascia profonda è detta fascia lata,
mentre a livello della gamba si chiama fascia crurale.
La fascia lata si inserisce anteriormente al legamento
inguinale, lateralmente alla cresta iliaca e posteriormente a
sacro, coccige e tuberosità ischiatica.
Questa fascia robustissima, lateralmente, si inspessisce
formando il tratto ileo-tibiale che inferiormente si inserisce
sulla tibia, per cui questo tratto è uno stabilizzatore laterale
dell’articolazione del ginocchio.

Muscoli medio e piccolo glutei


Lo strato superficiale oltre al muscolo grande gluteo comprende anche i muscoli medio e piccolo
glutei.
Originano dalla superficie glutea dell’ileo e si inseriscono
entrambi sul grande trocantere del femore.
Dal punto di vista funzionale, sono abduttori e intrarotatori del
femore, lavorano poi insieme al muscolo tensore della fascia
lata, muscolo con il quale condividono l’innervazione, tramite il
nervo gluteo superiore.
Il muscolo tensore della fascia lata però appartiene alla loggia
anteriore della coscia, si porta dalla cresta iliaca al tratto ileo-
tibiale e mantiene in tensione il tratto ileo-tibiale.
Invertendo il punto fisso, perciò fissato il femore, questi 3 muscoli inclinano omolateralmente la
pelvi, a tale proposito risultano essere muscoli molto importanti nella deambulazione.

Se attivi, medio e piccolo gluteo, quando tutto il peso del corpo è sostenuto su un solo arto,
permettono di abdurre la pelvi, o mantenerla orizzontale, impedendole di inclinarsi dal lato
dell’arto sollevato.
Quando sono inattivi, l’emibacino controlaterale, per effetto del peso del tronco, si inclina dal lato
dell’arto non sostenuto a terra.

Quando il peso è distribuito su entrambi i piedi, la pelvi è uniformemente sorretta e non si inclina.
Quando il peso è caricato su di un solo piede, i muscoli dello stesso lato
trattengono la pelvi e le impediscono di inclinarsi verso il lato dell’arto
sollevato.
Quando i muscoli medio e piccolo gluteo sono inattivi, per una lesione del
nervo gluteo superiore, il supporto e la stabilizzazione dovuta ad essi viene a
mancare e la pelvi si inclina dal lato dell’arto sollevato (segno di
Trendelenburg positivo).

Muscoli pelvici-trocanterici
I muscoli pelvici-trocanterici si portano tutti da parti ossee della pelvi ossea al grande trocantere
del femore.
Sono 6 muscoli pari e simmetrici.
Alcuni originano dalla faccia interna dell’osso dell’anca o meglio della pelvi ossea, precisamente:

• Il muscolo piriforme origina dalla faccia anteriore del sacro, attraversa


il grande foro ischiatico, per portarsi al grande trocantere del femore
• Il muscolo otturatore interno origina dalla faccia interna della
membrana otturatoria, passa attraverso il piccolo foro ischiatico, per
portarsi al grande trocantere del femore

Il muscolo otturatore esterno, i muscoli gemelli e il muscolo quadrato del


femore originando dalle facce esterne dell’osso dell’anca e si portano al
grande trocantere del femore.
Il muscolo otturatore esterno origina dalla membrana otturatoria della faccia esterna, i muscoli
gemelli originano dalla spina ischiatica e il quadrato del femore origina dalla tuberosità ischiatica.

Questi muscoli sono molto corti infatti, dal sacro si portano al grande trocantere del femore e
coattano l’articolazione coxo-femorale, ciò mantengono unite le superfici articolari dell’anca e del
femore.
Mimano, dal punto di vista funzionale, i muscoli della cuffia dei rotatori.
Inoltre sono complessivamente muscoli extrarotatori del femore quando la coscia è estesa, mentre
quando la coscia è flessa agiscono da abduttori del femore.

Al di sopra e al di sotto del muscolo piriforme restano piccoli spazi detti


canale sovrapiriforme e sottopiriforme che sono attraversati da vasi e nervi
che si portano dalla regione pelvica alla regione glutea.

Se resechiamo i muscoli grande e medio gluteo sono


presenti vasi e nervi, in particolare i nervi sono deputati
ad innervare la regione glutea.
Il nervo ischiatico o nervo sciatico è il nervo più grosso del corpo umano e
innerva territori dell’arto inferiore.
Nervo ischiatico e nervi per la regione glutea originano dal plesso sacrale e
per portarsi alla regione glutea, attraversano il grande foro ischiatico insieme
al muscolo piriforme, transitando attraverso il canale sovrapiriforme e in
particolare tramite il canale sottopiriforme.

SCHELETRO DELLA GAMBA


Tibia e fibula sono disposte in modo parallelo tra loro con la fibula o perone laterale e la tibia
mediale.
Sono entrambe ossa lunghe collegate tra loro dalla membrana interossea.

La tibia presente un’epifisi prossimale e che si allarga in 2 formazioni curve dette condili tibiali
mediale e laterale, che superiormente sono leggermente concavi e rivestiti da cartilagine
articolare, si tratta delle cosiddette cavità glenoidee della tibia che si articolano con i condili
femorali per l’articolazione femoro-tibiale.
Tra i 2 condili si notano un paio di rilievi o tubercoli che nell’insieme costituiscono l’eminenza
intercondiloidea della tibia.
Anteriormente e posteriormente a questa eminenza si evidenziano le aree intercondiloidea
anteriore e posteriore.
A livello della diafisi tibiale, la sua porzione anteriore-prossimale ci
permette di notare la tuberosità tibiale che dà inserzione al tendine
del muscolo quadricipite.
L’epifisi distale della tibia si allunga medialmente nella costituzione del
malleolo mediale, palpabile.

La fibula si articola sia a livello prossimale sia a livello distale con la


tibia, perciò l’epifisi prossimale è detta testa della fibula, mentre l’epifisi distale si prolunga nella
costituzione del cosiddetto malleolo laterale, palpabile a livello della caviglia.

La tibia superiormente si articola con il femore tramite l’articolazione femoro-tibiale, una delle 2
articolazioni del ginocchio insieme all’articolazione femoro-
patellare, tra femore e patella.
La fibula non partecipa al complesso articolare del ginocchio.
Distalmente sia tibia sia fibula partecipano all’articolazione talo-
crurale che si instaura tra le ossa della gamba e il talo o astragalo
che è un osso tarsale del piede.
REGIONE DELLA COSCIA
Le logge osteofasciali/muscolari della coscia sono 3 individuate dalla fascia lata che invia dei setti
fibrosi alla linea aspra del femore individuando le logge: anteriore, mediale e posteriore.

I muscoli della loggia anteriore sono tutti muscoli flessori della coscia e sono:

− Muscolo pettineo: origina dalla cresta pettinea dell’anca e si porta alla linea pettinea del
femore
− Muscolo ileopsoas: non è un muscolo proprio della coscia perché presenta
una porzione che origina dal tratto lombare della colonna vertebrale e
costituisce parte della parete addominale posteriore e comprende la
porzione iliaca che origina dalla fossa iliaca dell’osso dell’anca.
Le 2 porzioni si uniscono per inserirsi sul piccolo trocantere del femore.
Questo muscolo è il più potente flessore della coscia, inoltre adduce ed
extraruota la coscia.
Invertendo il suo punto fisso, quindi fissati gli arti inferiori in contrazione
bilaterale antiverte la pelvi, mentre in contrazione unilaterale inclina il
tronco omolateralmente e lo ruota eterolateralmente.
− Muscolo tensore della fascia lata: origina dalla spina iliaca antero-
superiore e si inserisce sul tratto ileo-tibiale.
Lavora con i muscoli glutei medio e piccolo abducendo la pelvi e risulta
un debole flessore della coscia.
Fissate le sue inserzioni distali, in contrazione bilaterale antiverte la pelvi.
− Muscolo sartorio: origina dalla spina iliaca antero-superiore e si inserisce sul condilo
mediale della tibia.
È il muscolo più lungo del corpo e permette di accavallare le gambe, flettendo e
intraruotando la gamba, inserendosi più medialmente, e flette la coscia.
Questo accade perché è un muscolo biarticolare che attraversa sia l’articolazione coxo-
femorale, sia l’articolazione del ginocchio.
Con la sua inserzione distale va a costituire il tendine della
zampa d’oca.
− Muscolo quadricipite: costituito da 4 ventri disposti in parallelo.
Muscolo vasto mediale, vasto laterale e vasto intermedio
originano dalla diafisi femorale.
Il muscolo retto femorale origina dalla spina iliaca antero-
inferiore.
I 4 ventri, a livello distale, si inseriscono tutti sulla patella, l’osso sesamoide più grosso del
corpo umano, e tramite il legamento patellare si inseriscono sulla tuberosità tibiale.
Il muscolo quadricipite estende la gamba e grazie al retto del femore che attraversa anche
l’articolazione coxo-femorale flette la coscia, diventa perciò un muscolo biarticolare.

Muscolo sartorio e muscolo quadricipite, fissata la loro inserzione distale, in contrazione bilaterale
antivertono la pelvi.

I muscoli della loggia mediale della coscia sono adduttori e se il femore è iperesteso concorrono
nella flessione.
Tutti originano dalla porzione pubica dell’osso dell’anca e sono:

→ Muscolo pettineo
→ Muscolo adduttore lungo e breve: si inseriscono a vari livelli sulla linea
aspra del femore
→ Muscolo gracile: muscolo che attraversa anche l’articolazione del
ginocchio e si inserisce sul condilo mediale della tibia.
Partecipa alla costituzione del tendine della zampa d’oca insieme al
muscolo sartorio.
È un muscolo biarticolare che oltre ad addurre la coscia, flette e intraruota la gamba.
→ Muscolo grande adduttore: presenta 2 porzioni, una delle quali origina dalla porzione
pubica dell’osso dell’anca e si porta alla linea aspra del femore detta vera porzione
adduttoria, l’altra porzione invece origina dalla tuberosità ischiatica e si porta al condilo
mediale del femore detta porzione estensoria.
Queste differenti porzioni giustificano le sue funzioni.
Entrambe le porzioni, se agiscono insieme adducono il femore.
Attivando soltanto la porzione adduttoria, partendo da coscia estesa,
concorre nella flessione del femore, mentre attivando solamente la porzione
estensoria, partendo da cosca flessa, estende la coscia.
Queste 2 porzioni sono poi innervate da nervi differenti.
Inoltre è possibile individuare un’apertura definita iato o apertura degli
adduttori che si costituisce tra le 2 porzioni muscolari del grande adduttore,
mentre si stanno inserendo sulle diverse parti del femore.
Tale iato è attraversato da vasi.

I muscoli della loggia posteriore della coscia o muscoli ischiocrurali originano dalla tuberosità
ischiatica e portano alle ossa della gamba sono:

➢ Muscolo semitendinoso: si inserisce a livello del condilo mediale della


tibia e costituisce, insieme ai muscoli gracile e sartorio il tendine della
zampa d’oca
➢ Muscolo semimembranoso: si inserisce più posteriormente a livello del
condilo mediale della tibia
➢ Muscolo bicipite femorale: costituito da 2 ventri disposti in parallelo, uno
che origina dalla tuberosità ischiatica e l’altro che origina dalla diafisi
femorale.
Insieme i 2 ventri si inseriscono sulla testa della fibula.

Questi muscoli sono tutti biarticolari poiché attraversano sia l’articolazione coxo-femorale sia
l’articolazione del ginocchio, per cui flettono la gamba e attraverso l’articolazione coxo-femorale
sono estensori della coscia.
I muscoli semitendinoso e semimembranoso, inserendosi medialmente sulla tibia, concorrono poi
nell’intrarotazione della gamba, mentre il bicipite femorale, inserendosi lateralmente sulla fibula
concorre ad extraruotare la gamba.
Invertendo il punto fisso, agiscono sulla pelvi retrovertendola e quest’azione è associata ad un
appiattimento della lordosi lombare, inoltre estendono il tronco.

Tendine della zampa d’oca


Il tendine della zampa d’oca si costituisce sul condilo mediale della
tibia dall’unione dei tendini dei muscoli sartorio, gracile e
semitendinoso e assume la forma di una zampa d’oca.
Si sviluppa e stabilizza medialmente l’articolazione del ginocchio.
Tra tendine, capsula fibrosa e legamenti dell’articolazione del
ginocchio assistiamo alla formazione della cosiddetta borsa anserina
che si infiamma facilmente.

Triangolo di scarpa o femorale


Il triangolo di scarpa o femorale è uno spazio che si sviluppa nella porzione antero-superiore della
coscia attraversato da importantissime formazioni vascolo-nervose.
La base del triangolo corrisponde al legamento inguinale, mentre l’apice
corrisponde al punto d’incontro tra i muscoli sartorio e adduttore lungo.
Il pavimento del triangolo è costituito dai muscoli ileopsoas e pettineo, mentre il
tetto è costituito da cute, sottocutaneo e fascia profonda detta fascia lata.
Le strutture che in esso decorrono, non risultano protette da formazioni muscolari,
ma risultano alquanto superficiali perciò lesioni a questo livello possono risultare
alquanto pericolose.
In direzione latero-mediale abbiamo: nervo femorale, arteria femorale, vena femorale e linfonodi
inguinali profondi intercalati tra i vasi linfatici, così denominati perché si collocano comunque al di
sotto della fascia profonda.
Sono presenti anche dei linfonodi inguinali superficiali che decorrono a livello del sottocutaneo e
quando sono attivi sono facilmente palpabili a livello inguinale.

VASCOLARIZZAZIONE DELL’ARTO INFERIORE


L’arteria femorale decorre al di sotto del legamento inguinale per raggiungere il
triangolo femorale e non è altro che la continuazione dell’arteria iliaca esterna che
dopo aver superato il legamento inguinale cambia nome diventando appunto
arteria femorale.

Il nervo femorale si esaurisce a livello del triangolo stesso formando una serie di rami
deputati a diversi muscoli.

L’arteria femorale accompagnata dalla vena femorale invece percorre tutto il


triangolo femorale e arrivata in corrispondenza del suo apice imbocca un canale
di natura muscolare detto canale degli adduttori per raggiungere la fossa
poplitea, posta posteriormente al ginocchio, tra coscia e gamba.
È definito canale degli adduttori in quanto si tratta di un percorso individuato dalla
particolare disposizione che assumono i muscoli adduttori.
A livello della fossa poplitea i vasi cambiano nome, ma per raggiungerla, dopo
aver percorso il triangolo femorale e il canale degli adduttori sono passati
attraverso lo iato degli adduttori.
I vasi poplitei sono accompagnati dal nervo sciatico che decorre posteriormente a livello della
coscia.

Circolo arterioso
L’arteria iliaca esterna è il vaso che irrora praticamente tutto l’arto inferiore e
una volta raggiunto il legamento inguinale cambia nome diventando così
arteria femorale, raggiunge poi la fossa poplitea dove termina suddividendosi
nei suoi 2 rami definiti arteria tibiale posteriore e anteriore.
L’arteria tibiale anteriore si porta nella regione anteriore della gamba, mentre
l’arteria tibiale posteriore continua a decorrere posteriormente nella regione
posteriore della gamba.
L’arteria fibulare è un ramo dell’arteria tibiale posteriore.
Le arterie tibiali e fibulare, tramite i loro rami concorrono ad irrorare tutta la
regione della gamba e del piede.

Circolo venoso
Il circolo venoso profondo è costituito da vene che decorrono
parallele alle arterie e sono solitamente 2 per ogni arteria e prendono
il nome delle arterie che accompagnano.

Il circolo venoso superficiale è caratterizzato da grosse vene


rappresentante dalle vene safene che decorrono a livello del sottocutaneo.
Si distinguono la grande e piccola vena safena, entrambe originano dall’arcata venosa dorsale
del piede.
La grande safena si costituisce medialmente decorrendo
anteriormente al malleolo mediale, medialmente a livello di
gamba e coscia e termina a livello del triangolo di scarpa
perforando la fascia lata per riversandosi nella vena femorale.
La piccola safena si costituisce lateralmente decorrendo
posteriormente al malleolo laterale e termina a livello della fossa
poplitea riversandosi nella vena poplitea.
Le vene superficiali che decorrono a livello del sottocutaneo, tramite vene perforanti comunicano
costantemente con le vene profonde e il sangue può fluire solo dalle vene superficiali alle vene
profonde grazie al fatto che a livello dei vasi perforanti sono presenti delle valvole che rendono il
flusso unidirezionale.

Si parla di vene varicose quando le pareti delle vene si sfiancano, si distendono


troppo e questo accade nel momenti in cui le valvole non lavorano bene,
diventano incontinenti, quindi perdono la loro funzione e il sangue venoso si
accumula sfiancando appunto le pareti delle vene.

SCHELETRO DEL PIEDE


Come quello della mano, lo scheletro del piede comprende 3 subregioni:

1. Regione tarsale: comprende 7 ossa più grandi di quelle del carpo, ma dal punto di vista
strutturale sono sempre ossa di tipo breve, distribuite in una serie prossimale e una serie
distale.
Le ossa della serie prossimale sono: talo o astragalo
e sottostante calcagno.
Le ossa della serie distale sono rappresentate da:
osso navicolare, osso cuboide e 3 piccole ossa
dette cuneiformi distinte in: mediale, intermedia e
laterale.
2. Regione metatarsale: costituita da 5 ossa di tipo
lungo
3. Regione delle dita: sostenuta dalle falangi, 3 per ogni dito eccetto il 1° dito definito alluce
che ne presenta soltanto 2

Le ossa tarsali e metatarsali si organizzano in modo da delineare, lungo l’asse longitudinale del
piede diretto antero-posteriormente, un’arcata a concavità inferiore detta volta o arcata plantare,
tale per cui i piedi poggiano a terra e trasferiscono il peso del corpo a terra utilizzando soltanto
posteriormente la tuberosità del calcagno detta pilastro posteriore e anteriormente le teste dei
metatarsali definite pilastro anteriore.
Si tratta di un’arcata particolarmente accentuata medialmente, piuttosto che lateralmente, e
funge da ammortizzante così come le curve della colonna vertebrale e i dischi intervertebrali.
È sostenuta da legamenti e muscoli che si sviluppano a livello della pianta del piede e con il
passare degli anni e il peso corporeo tende ad appiattirsi.

L’articolazione della caviglia collega lo scheletro della gamba con lo scheletro del piede.

CAVIGLIA
La caviglia è un complesso articolare, perciò un insieme di articolazioni che collegano gamba e
piede, distinte in: articolazione superiore e inferiore della caviglia.

Articolazione superiore della caviglia


L’articolazione superiore della caviglia detta talo-crurale o tibio-tarsica (per analogia con
l’articolazione radio-carpica) si attua tra le superfici articolari distali di tibia e fibula e la
corrispondente superficie articolare del talo o astragalo.
Partecipano a quest’articolazione la fibula con il suo malleolo laterale, la tibia con la sua faccia
inferiore e con il suo malleolo mediale e la faccia superiore del talo o astragalo.
Tibia e fibula costituiscono una sorta di mortaio che aggancia il talo o astragalo; si
tratta di un ginglimo angolare che permette movimenti di flesso-estensione del
piede, in particolare si parla di flessione dorsale (o estensione plantare)(A-B) e
flessione plantare (o estensione dorsale)(A-C).

Articolazione inferiore della caviglia


L’articolazione inferiore della caviglia è molto complessa cui partecipano: talo con la sua faccia
inferiore, calcagno con la sua faccia superiore e osso navicolare.
In realtà a quest’articolazione comprende ben 2 articolazioni.
Complessivamente si comporta come un’enartrosi e assieme a tutte le altre articolazioni che si
costituiscono tra le ossa del piede, permette dei movimenti complicati:

▪ Inversione: porto la pianta del piede verso l’interno e deriva dalla


sommatoria di un movimento di adduzione e un movimento di
rotazione interna (supinazione)
▪ Eversione: porto la pianta del piede esternamente, lateralmente e
deriva dalla sommatoria di un movimento di abduzione e un
movimento di rotazione esterna (pronazione)

Legamento collaterale mediale della caviglia


Il legamento collaterale mediale della caviglia è anche detto legamento deltoideo e comprende
diversi legamenti che si portano dal malleolo mediale della tibia ad alcune ossa del piede,
precisamente al talo o astragalo, all’osso navicolare e al calcagno.
Questi differenti legamenti che costituiscono il legamento collaterale mediale
sono:

a) Legamento tibio-astragaleo anteriore e posteriore


b) Legamento tibio-navicolare
c) Legamento tibio-calcaneale

Sono stabilizzatori attivi, perciò oltre a questi legamenti che stabiliscono medialmente la caviglia
sono presenti anche muscoli della gamba che si inseriscono sulle ossa del piede.
Un forte movimento di eversione del piede può causare la lesione del legamento collaterale
mediale.

Legamento collaterale laterale della caviglia


Il legamento collaterale laterale della caviglia è costituito da più legamenti
che si portano dal malleolo laterale ossia fibulare, al talo e al calcagno.
Una violenta inversione del piede può lesionare e quindi comportare una
distorsione del legamento collaterale laterale.

REGIONE DELLA GAMBA


La fascia crurale, insieme ai suoi setti che si portano alla fibula e insieme alla membrana interossea
che collega le 2 ossa, permette di individuare, a livello della gamba, 3 logge muscolari: anteriore,
laterale e posteriore.

La loggia anteriore della gamba è costituita da muscoli che complessivamente agiscono come
flessori dorsali rappresentati da:

❖ Muscolo tibiale anteriore: per la sua inserzione più mediale


concorre anche nell’inversione del piede
❖ Muscolo estensore lungo delle dita: caratterizzato da tendini
che si portano alle falangi distali delle dita concorrendo anche
ad estendere le dita
❖ Muscolo estensore lungo dell’alluce: si porta alla falange
distale dell’alluce e concorre ad estendere l’alluce

Tutti questi muscoli attraversano l’articolazione della caviglia anteriormente.


A livello della caviglia i tendini che si portano al piede sono mantenuti in posizione da un
ispessimento della fascia crurale che va a costituire la cosiddetta retinacula degli estensori e si
inserisce sui malleoli mediale e laterale.

La loggia laterale della gamba è costituita dai muscoli fibulari o peronei


lungo e breve i quali, per la particolare origine e inserzione, quando
contratti contribuiscono ad evertere il piede, infatti sono i muscoli eversori
più potenti del piede.
Inoltre concorrono nella flessione plantare.
A livello della caviglia anche questi muscoli passano sotto degli ispessimenti della fascia crurale
detti retinacula degli eversori che si portano dal malleolo laterale e fibulare al calcagno.

La loggia posteriore della gamba è caratterizzata da 2 strati muscolari, uno superficiale e uno
profondo.
Lo strato superficiale è costituito da 3 muscoli, o meglio da 2 muscoli:

I. Muscolo gastrocnemio: costituito da 2 ventri muscolari anche


detti gemelli, si origina dalla faccia posteriore dei 2 condili
femorali e i 2 ventri si uniscono in un tendine comune detto
tendine di Achille che si inserisce sulla tuberosità del calcagno
II. Muscolo soleo: origina dalla faccia posteriore delle 2 ossa della
gamba e il suo tendine si unisce al tendine calcaneale

L’insieme dei 2 ventri del gastrocnemio e del soleo costituisce il cosiddetto tricipite della sura.
Inoltre questi 3 ventri muscolari corrispondono alla massa muscolare del polpaccio.
Attraversano tutti l’articolazione della caviglia posteriormente, perciò sono dei flessori plantari.
Inoltre il muscolo gastrocnemio, originando a livello del femore, attraversa anche posteriormente
l’articolazione del ginocchio, per cui contribuisce alla flessione della gamba.

Lo strato profondo è costituito da:

✓ Muscolo tibiale posteriore


✓ Muscolo flessore lungo delle dita: è in grado di flettere 2°, 3°,
4° e 5° dito
✓ Muscolo flessore lungo dell’alluce: è in grado di flettere
l’alluce

Tutti questi muscoli attraversano posteriormente l’articolazione della caviglia, quindi contribuiscono
nella flessione plantare.
Mentre si portano per l’inserzione sulle ossa del piede, transitano medialmente a livello della
caviglia dove sono mantenuti in posizione da un ispessimento della fascia crurale detta retinacula
dei flessori e che si porta dal malleolo mediale della tibia al calcagno.

GINOCCHIO
L’articolazione del ginocchio si colloca tra le articolazioni coxo-
femorale e talo-crurale.
Le 3 articolazioni, in una situazione fisiologica, giacciono su una
stessa retta detta linea di carico o asse meccanico dell’arto
inferiore, che corrisponde alla direzione della forza di gravità in
modo tale che il peso del corpo che viene uniformemente
distribuito sui 2 arti inferiori, venga trasmesso a terra passando
attraverso il centro di queste 3 articolazioni.
Quando la linea di carico non passa attraverso il centro delle 3
articolazioni, queste si usurano.

Il ginocchio è un complesso articolare che comprende 2 articolazioni:

Articolazione femoro-patellare: si sviluppa anteriormente tra femore e patella


Articolazione femoro-tibiale: si sviluppa inferiormente tra femore e tibia

Le superfici articolari del ginocchio coinvolte nelle 2 articolazioni


riguardano: la faccia posteriore della patella o rotula, le cavità
glenoidee della tibia e le cartilagini articolari dei condili femorali.
Articolazione femoro-patellare
L’articolazione femoro-patellare si attua tra la cartilagine posteriore della patella e la cartilagine
anteriore dei condili femorali detta superficie patellare o troclea femorale.
I 2 condili femorali risultano anteriormente uniti e rivestiti di cartilagine.
La superficie patellare è al centro caratterizzata da un leggero solco definito
incisura o gola intercondiloidea che, in una situazione fisiologica, viene in
rapporto preciso con la corrispondente cresta che attraversa circa
centralmente la faccia posteriore articolare della patella.
Grazie poi a particolari legamenti, la patella viene mantenuta in rapporto
ottimale con la superficie patellare.
Dal punto di vista strutturale si tratta di un’artrodia che permette movimenti di
scivolamento/scorrimento della rotula sulla superficie patellare, durante i movimenti di flesso-
estensione dell’articolazione femoro-tibiale.

La faccia anteriore della patella dà attacco ai tendini dei 4 ventri del muscolo quadricipite,
tendine che poi prosegue in modo unidirezionale, con il nome di legamento patellare per inserirsi
sulla tuberosità tibiale, perciò il legamento patellare si può
considerare la prosecuzione del tendine quadricipite.
Per questo la patella risulta il più grosso osso sesamoide del corpo
umano.
La sua faccia anteriore offre attacco ai 4 tendinetti del muscolo
quadricipite, perciò è finalizzata a centralizzare le forze esercitate dai
4 ventri che poi vengono trasmesse alla tuberosità tibiale in modo
unidirezionale e rettilineo.

La rotula, oltre a centralizzare le forze generate dai 4 ventri del quadricipite, agisce da puleggia
aumentando il braccio di leva del quadricipite e sviluppando il 50% della forza sulla gamba, è uno
stabilizzatore perché riduce l’avanzamento dei condili femorali in estensione e del crociato
posteriore, funziona da borsa sinoviale proteggendo l’usura del tendine quadricipite mentre si
porta alla tuberosità tibiale.
Per svolgere al meglio le sue funzioni deve essere mantenuta allineata a livello
della superficie patellare, perciò la cresta che passa attraverso il centro della
faccia posteriore della patella deve essere mantenuta a livello della linea o
troclea intercondiloidea, anche se in realtà tende a lateralizzare perché la
potenza esercitata dal vasto laterale è maggiore della potenza sviluppata dal
vasto mediale e in caso di lateralizzazione si parla di conflitto femoro-rotuleo.

Articolazione femoro-tibiale
L’articolazione femoro-tibiale si attua tra le superfici articolari infero-
posteriori dei condili femorali e le cavità glenoidee della tibia anche
dette piatti tibiali.
I 2 condili femorali infero-posteriormente sono separati dalla cosiddetta
fossa intercondiloidea ed è proprio la superficie articolare che riveste la
parte infero-posteriore dei condili femorali che si articola con le cavità
glenoidee della tibia.

Oltre alle cavità glenoidee, sull’epifisi prossimale della tibia


è possibile riconoscere l’eminenza intercondiloidea e le aree
intercondiloidee anteriore e posteriore che si sviluppano
anteriormente e posteriormente rispetto all’eminenza
intercondiloidea.

Dal punto di vista strutturale, anatomicamente, l’articolazione femoro-tibiale è una condilartrosi


doppia.
Dal punto di vista funzionale invece, si comporta come un ginglimo angolare permettendo
soltanto flesso-estensione e non abduzione e adduzione perché l’articolazione è stabilizzata da un
potente apparato muscolare e legamentoso che impedisce i movimenti di abduzione e
adduzione.
A ginocchio flesso permette anche movimenti di rotazione della gamba o della coscia.

Stabilità del ginocchio


L’articolazione del ginocchio viene stabilizzata da potenza e azione di muscoli e tendini che la
circondano (stabilizzatori attivi) e dai legamenti tra femore e tibia (stabilizzatori passivi).
I muscoli tonici possono proteggere i legamenti articolari o anche vicariare la loro funzione, se
risultano danneggiati.

La stabilità anteriore è garantita dal tendine del quadricipite che


si inserisce sulla patella e poi prosegue tramite il legamento
patellare per inserirsi sulla tuberosità tibiale e dai retinacula
mediale e laterale della patella così definiti perché funzionano
da stabilizzatori della patella stessa mantenendola centralizzata
in posizione ottimale sulla superficie patellare del femore.

Retinacula mediale e laterale sono formazioni connettivali fibrose, ciascuna costituita da una
porzione trasversale che collega la patella ai condili femorali e da una porzione longitudinale che
collega la patella fissandola ai condili tibiali.

Tra gli stabilizzatori laterali del ginocchio troviamo:

o Tratto ileo-tibiale: ispessimento laterale della fascia lata che si


inserisce sul condilo laterale della tibia
o Tendine bicipite
o Retinacula laterale della patella
o Legamento collaterale laterale anche detto legamento
collaterale fibulare

Medialmente, a stabilizzare l’articolazione del ginocchio si


riconoscono:

▪ Tendine della zampa d’oca: sostenuto dai tendini dei muscoli


sartorio, gracile e semitendinoso
▪ Retinacula mediale della patella
▪ Legamento collaterale mediale anche detto legamento collaterale tibiale

Tra gli stabilizzatori posteriori troviamo i 2 ventri del gastrocnemio detti anche
gemelli laterale e mediale e i legamenti poplitei arcuato e obliquo che
insieme alla parte posteriore della capsula fibrosa dell’articolazione,
impediscono l’iperestensione del ginocchio.
Quando è presente l’iperestensione del ginocchio si parla di ginocchio
ricurvo.
Sono tesi in estensione tutti i legamenti del ginocchio.

Tra i legamenti del ginocchio sono presenti anche i legamenti crociati e collaterali che sono i più
frequentemente colpiti da lesioni.

Legamenti collaterali
Il legamento collaterale mediale o tibiale si porta dal condilo mediale
femorale al condilo mediale tibiale ed è diretto postero-anteriormente.
Il legamento collaterale laterale o fibulare si porta dal condilo laterale del
femore alla testa della fibula ed è diretto antero-posteriormente.
Questi legamenti impediscono i movimenti di lateralità esterna o interna della
tibia, quindi i movimenti di abduzione e adduzione della tibia rispetto al
femore.
Quando tali movimenti si verificano implica una loro lesione e si parla di ginocchio vacillante.
La lesione del legamento collaterale mediale si associa a movimenti di lateralità esterna detti
anche di abduzione o in valgo della tibia, mentre la lesione del legamento collaterale laterale si
associa a movimenti di lateralità interna detti anche di adduzione o in varo della tibia.
Il legamento collaterale mediale è molto più spesso e robusto del legamento collaterale laterale
perché deve sostenere il valgismo fisiologico del ginocchio.
Sono legamenti tesi in estensione quando il ginocchio deve sostenere il peso del corpo e sono
esterni alla capsula fibrosa.

Legamenti crociati (AePi)


I legamento crociati sono 2 distinti in: anteriore e posteriore.
Si sviluppano all’interno dell’articolazione e si incrociano ad X in
corrispondenza della fossa intercondiloidea per questo sono definiti
legamenti crociati.
I legamenti crociati si portano dalla tibia ai condili femorali.
Il legamento crociato anteriore si porta dall’area intercondiloidea
anteriore della tibia alla faccia interna del condilo latrale o esterno del
femore.
Il legamento crociato posteriore si porta dall’area intercondiloidea
posteriore della tibia al condilo interno o mediale del femore.
Sono legamenti sempre tesi in estensione e in totale flessione, quindi si detendono solo in parziale
flessione del ginocchio.

Inoltre impediscono movimenti a cassetto.


Il crociato anteriore impedisce lo scivolamento anteriore della tibia o posteriore
del femore, quindi se rotto la tibia può leggermente scivolare anteriormente al
femore, si parla dunque di movimento a cassetto anteriore della tibia.
Il crociato posteriore invece, impedisce movimenti di scivolamento posteriore
della tibia o anteriore del femore, quindi se rotto la tibia può leggermente
scivolare posteriormente al femore, si parla quindi di movimento a cassetto
posteriore della tibia.
Sono perciò legamenti finalizzati a stabilizzare anteriormente e posteriormente il
ginocchio, impedendo dislocazioni anteriori e posteriori della tibia rispetto al
femore o del femore rispetto alla tibia.

Menischi
I menischi sono lamine fibro-cartilaginee a forma di semiluna poggiate sulle facce superiori delle
cavità glenoidee della tibia.
Le superfici articolari contrapposte dei condili femorali e delle cavità
glenoidee della tibia sono fortemente asimmetriche e incongrue, perciò
per migliorare la corrispondenza tra queste superfici articolari si
aggiungono i menischi che svolgono un’importante funzione
ammortizzante permettendo una distribuzione uniforme delle forze che
gravano sull’articolazione.

I menischi non sono adesi alle cavità glenoidee della tibia, ma devono potersi muovere e
presentano una certa libertà di movimento e dei mezzi di fissità che li vincolano alle altre
formazioni dell’articolazione.
Con le loro corna o estremità anteriori e posteriori si attaccano alle aree
intercondiloidee anteriori e posteriori della tibia.
Entrambi esternamente aderiscono alla capsula fibrosa
dell’articolazione e sono collegati tra loro anteriormente dal legamento
trasverso del ginocchio che li rende sincroni quando si muovono.
Inoltre sono collegati alla rotula tramite i legamenti menisco-rotulei e il menisco mediale è fissato
lateralmente, oltre che alla capsula fibrosa, anche al legamento collaterale mediale.
Risultano poi collegati entrambi a vari muscoli.
Sebbene siano vincolati da altre formazioni, i menischi si muovono accompagnando i movimenti
dei condili femorali sulle cavità glenoidee della tibia durante i movimenti di flesso-estensione.

Biomeccanica del ginocchio


I movimenti possibili a livello del ginocchio sono la flesso-
estensione della gamba sulla coscia quando il piede è sollevato
da terra e della coscia sulla gamba quando il piede è fissato a
terra a livello dell’asse trasversale e la rotazione della gamba o
della coscia lungo l’asse verticale, possibili solo a ginocchio
flesso.

Flesso-estensione
I movimenti di flesso-estensione dei condili femorali sulle cavità glenoidee della tibia associano
rotolamento e scivolamento.
Se i condili ruotassero sulle cavità glenoidee, rapidamente il
femore cadrebbe.
Se i condili scivolassero su di un punto della cavità glenoidea,
come una ruota che slitta, la parte posteriore del femore
urterebbe la tibia, ed un’unica zona della cavità glenoidea
sopporterebbe tutto l’attrito con un’usura precoce.

In flessione, il condilo ruota (15-20°) sulla cavità glenoidea poi scivola, mentre in estensione è
l’inverso, quindi prima scivola poi ruota.

Lesione dei menischi


La lesione dei menischi avviene quando i menischi non si muovono con i
condili femorali o si muovono in ritardo rispetto ai condili.
Nel calcio avviene quando si passa dalla completa flessione alla completa e
veloce estensione, per cui i condili avanzano mentre i menischi restano
indietro e non seguono la velocità dei condili, perciò vengono pizzicati tra le
superfici articolari contrapposte.
È molto più frequente la lesione del menisco mediale essendo il meno mobile.

Rotazione
Solo a ginocchio flesso il ginocchio permette movimenti di rotazione.
Le rotazioni non sono permesse a ginocchio esteso perché in estensione tutti i legamenti del
ginocchio sono tesi.
Inoltre in estensione il ginocchio risulta praticamente bloccato e questo
accade perché le superfici articolari contrapposte di tibia e femore, in
particolare l’eminenza intercondiloidea della tibia e l’incisura intercondiloidea
del femore si rapportano in modo tale da comportare un vero blocco sterico,
un incastro articolare.
Solo flettendo e andando a detenere tutti i legamenti dell’articolazione e sbloccando questo
ingombro sterico che si costituisce in estensione tra le superfici articolari contrapposte si possono
effettuare i movimenti di rotazione.

Se il ginocchio è esteso in stazione eretta, in realtà la rotazione può avvenire, però parte
dall’articolazione coxo-femorale, ossia ruotando internamente o esternamente la coscia con essa
ruotano anche la gamba e il piede.

Valgismo fisiologico del ginocchio


Le particolari modificazioni del femore avvenute attraverso il passaggio dall’andatura
quadrupedica a quella bipede, quindi lo sviluppo del collo del femore e l’inclinazione infero-
mediale del femore hanno comportato che l’asse della diafisi femorale e l’asse della diafisi tibiale
non coincidano, bensì tra i 2 assi si costituisce un angolo aperto in fuori di circa 70° che corrisponde
al valgismo fisiologico del ginocchio, sostenuto dal legamento
collaterale mediale molto più spesso rispetto al legamento collaterale
laterale.
Il valgismo fisiologico del ginocchio è più accentuato nelle femmine, in
quanto loro presentano un bacino più largo.
Questo angolo che complessivamente misura 170° però può variare.
Se l’angolo diminuisce si parla di valgismo patologico del ginocchio,
mentre se l’angolo si inverte allora si parla di ginocchio varo.

L’asse meccanico, in una situazione fisiologica, deve attraversare


esattamente il centro delle articolazioni.
Nel caso del ginocchio valgo non passa più al centro
dell’articolazione del ginocchio, ma si sposta lateralmente.
Nel caso del ginocchio varo l’asse meccanico, in corrispondenza
del ginocchio, si sposta più medialmente.
Il peso e le forze che agiscono sull’articolazione del ginocchio non vengono più distribuite
uniformemente e questo comporta un’usura del compartimento laterale nel caso di ginocchio
valgo e del compartimento mediale nel caso di ginocchio varo con conseguenti fenomeni
artrosici.

ANTIVERSIONE E RETROVERSIONE DELLA PELVI OSSEA


I movimenti di antiversione e retroversione della pelvi sono generati dall’articolazione coxo-
femorale che è un’enartrosi, grazie ai muscoli che la attraversano.
Nei movimenti di antiversione o flessione della pelvi, la pelvi ruota anteriormente sulla testa del
femore, mentre nei movimenti di retroversione o estensione della pelvi, la pelvi ruota
posteriormente sulla testa del femore.

Retroversione della pelvi


I movimenti di retroversione della pelvi si associano ad una riduzione della lordosi lombare.
L’anca è collegata al sacro tramite l’articolazione sacro-iliaca e ruotando
posteriormente l’anca ruota anche il sacro che si contronuta, ma la
contronutazione del sacro, essendo esso in continuità con il tratto lombare
della colonna vertebrale, si associa ad appiattimento della lordosi
lombare.
I muscoli che retrovertono la pelvi, perciò coloro che sostengono la pelvi e
sono in grado di ridurre la lordosi lombare sono i muscoli della loggia
posteriore della coscia come i muscoli ischio-crurali e il muscolo grande
gluteo fissato l’arto inferiore, e la contrazione dei muscoli della parete
antero-laterale dell’addome avendo fissato le coste.

Antiversione della pelvi


I movimenti di antiversione della pelvi si associano ad un aumento della
lordosi lombare.
Ruotando anteriormente l’anca ruota anche il sacro che si nuta, ma la
nutazione del sacro comporta un aumento della lordosi lombare.
I muscoli che antivertono la pelvi, perciò coloro che la sostengono, sono il
muscolo ileopsoas e i muscoli della loggia anteriore della coscia.

SISTEMA CARDIOCIRCOLATORIO

Gli organi che costituiscono il sistema cardiocircolatorio sono il cuore e un sistema distinto di vasi
(arterie, vene e capillari) contenenti sangue.
Il cuore è un organo cavo centrale contenente sangue, caratterizzato da una parete di natura
prevalentemente muscolare e quindi ha funzione contrattile, infatti contraendosi funge da pompa,
spingendo il sangue all’interno dei vasi che hanno la funzione di trasportare il sangue e quindi le
sostanze in esso disciolte come: gas, sostanze nutritizie, sostante di rifiuto, ormoni…
in giro per il corpo.
Complessivamente quindi la funzione del sistema cardiocircolatorio è il trasporto di
sangue mediato dai vasi sanguigni attraverso il corpo.
Il sangue viene trasportato dal cuore ai tessuti e poi da tutte le cellule
dell’organismo viene riportato al cuore.

I vasi comprendono:

1. Arterie: trasportano il sangue dal cuore alla periferia, in direzione centrifuga


2. Vene: trasportano il sangue dalla periferia al cuore, in direzione centripeta
3. Capillari: vasi di calibro più piccolo che si interpongono tra arterie e vene e sono la sede
degli scambi gassosi e dei metaboliti tra sangue e tessuti

Il cuore si contrae, spinge il sangue nelle arterie che raggiungono gli organi, dove le
arterie si risolvono in arterie di calibro minore chiamate arteriole, che a loro volta si
risolvono nel letto capillare.
Solo a livello dei capillari avvengono gli scambi tra sangue e tessuti.
Dopodiché i capillari riconfluiscono, andando a costituire le venule, che poi
confluiscono nelle vene che riportano il sangue al cuore.

Il cuore è un organo cavo suddiviso in 2 metà: metà destra e metà sinistra, che risultano tra loro
separate.
Ciascuna metà è poi suddivisa in 2 cavità sovrapposte dette atrio e ventricolo, tra loro
comunicanti.
L’atrio si situa superiormente e il ventricolo interiormente.
Atrio e ventricolo destro sono perciò separati da atrio e
ventricolo sinistro.
Inoltre la metà destra contiene sangue venoso, ossia
deossigenato, mentre la metà sinistra contiene sangue
arterioso, ovvero ossigenato.

La suddivisione in 2 metà permette al sangue di circolare


attraverso 2 sistemi distinti e indipendenti di vasi.
Il sangue circola sia a livello del circolo sistemico, sia a livello del circolo polmonare.
Il cuore per funzionare da pompa, nei confronti delle 2 circolazioni deve essere suddiviso in 2 parti
separate perché ogni metà del cuore funziona da pompa per uno specifico circolo.
Entrambi i circoli originano e terminano a livello del cuore e il sangue percorre in serie i 2 circoli.

Il circolo sistemico, anche chiamato grande circolo, origina dal ventricolo sinistro del cuore con
l’aorta, contente sangue ossigenato e termina a livello dell’atrio destro del cuore con le vene cave
contenenti sangue deossigenato.
Ha la funzione di trasportare il sangue ricco di O2 (assorbito a livello polmonare) e
metaboliti (assorbiti a livello intestinale) a tutte le cellule dell’organismo.
A livello dei capillari poi O2 e metaboliti attraversano le pareti di questi vasi per
raggiungere le cellule, nel contempo però le cellule eliminano i cataboliti che
devono ritornare nei capillari.

Per riossigenare il cuore, il sangue deve essere spedito ai polmoni perché soltanto
a livello degli alveoli polmonari il sangue viene a contatto con l’aria atmosferica
potendosi ossigenare e liberarsi dalla CO2.
Per fare ciò è necessario utilizzare il cosiddetto circolo polmonare o piccolo
circolo che origina dal ventricolo destro del cuore con le arterie polmonari e
termina nell’atrio sinistro con le vene polmonari.
Il sangue venoso, arrivato all’atrio destro del cuore, passa nel ventricolo destro dove originano,
tramite il tronco polmonare, le 2 arterie polmonari che contengono sangue deossigenato.
Queste arterie raggiungono poi i polmoni che poi si risolvono in vasi di calibro minore fino a
costituire i capillari polmonari, dove il sangue viene in rapporto con l’aria atmosferica inspirata.
L’aria contenuta negli alveoli polmonari è ricca di O2, perciò questo verrà trasferito al sangue,
mentre il sangue rilascia, a livello degli alveoli la CO2.
A questo punto, il sangue riossigenato, tramite le vene polmonari ritorna al cuore perché deve
riprendere forza e pressione, perché il sangue arterioso di ritorno dai polmoni che raggiunge l’atrio
sinistro del cuore, passa poi nel ventricolo sinistro e da lì, in seguito alla contrazione del cuore verrà
spinto nell’aorta riprendendo la via del circolo sistemico.

Ciascuna metà del cuore funziona da pompa per i 2 diversi circoli, precisamente il cuore di sinistra
riceve sangue ossigenato dai polmoni e funziona da pompa per il circolo sistemico, mentre il cuore
di destra riceve sangue deossigenato da tutti i distretti corporei e funziona da pompa per il circolo
polmonare.
Si tratta di 2 sistemi disposti in serie e il sangue per transitare attraverso i 2 sistemi distinti di vasi, in
modo seriale, deve passare 2 volte attraverso il cuore per acquistare pressione sufficiente per
circolare.

In relazione al circolo polmonare le arterie contengono sangue venoso, mentre le vene


contengono sangue arterioso.
Il circolo polmonare è un circolo funzionale deputato
all’ossigenazione del sangue e all’eliminazione della CO2 ed
è definito anche piccolo circolo perché il sangue deve
percorrere un breve tratto per raggiungere i polmoni perché
essi si collocano in cavità toracica proprio ai lati del cuore.
Il circolo sistemico è un circolo nutritizio deputato a
trasportare e distribuire il sangue ossigenato e ricco di nutrienti
a tutti i tessuti e a raccogliere da questi CO2 e prodotti
catabolici.

CUORE
Il cuore si colloca a livello del mediastino, che corrisponde alla regione centrale della cavità
toracica compresa tra le 2 logge pleuro-polmonari.
Occupa più o meno il centro della cavità toracica, risulta più
spostato a sinistra rispetto alla linea mediana del torace, infatti
si sviluppa per 1/3 a destra e per 2/3 a sinistra.
È avvolto dal pericardio fibroso, un sacco connettivale, che
inferiormente lo vincola e lo collega alla porzione tendinea
centrale del diaframma, perciò al centro frenico.
Presenta le dimensioni di circa un pugno.
Il cuore mostra una forma a cono, per cui si distinguono una base diretta in alto e un apice diretto
in basso.
Inoltre si nota che il cuore non si sviluppa verticalmente, ma è
inclinato in modo che la base sia diretta in alto, a destra e
posteriormente, mentre l’apice è diretto in basso, a sinistra e più
anteriormente.
L’apice, che di fatto, appartiene al ventricolo sinistro del cuore, in proiezione anteriore corrisponde
al 5° spazio intercostale di sinistra, dove si situa circa 7-8 cm rispetto alla linea mediana del torace
e dove, posizionando un orecchio o utilizzando uno stetoscopio o fonendoscopio, è possibile
auscultare, cioè sentire l’itto o battito cardiaco, ossia il rumore generato
dall’urto dell’apice cardiaco contro la parete toracica durante la contrazione
ventricolare.
Ogni itto o battito cardiaco corrisponde alla fine di un ciclo cardiaco.
In una persona sana a riposo, si avverte circa 60-70 volte al minuto, ciò
significa che il cuore compie circa 60-70 cicli lavorativi al minuto che durano
circa 0.8-0.9 secondi.
Conformazione esterna
Il cuore essendo un organo cavo ha una parete che delimita una cavità contenente sangue.
Egli è esternamente avvolto da un sacco fibroso connettivale detto pericardio fibroso cui segue
internamente un altro sacco di natura sierosa chiamato pericardio sieroso.
Gli strati della parete cardiaca, dall’esterno verso l’interno sono
rappresentatati da:

o Epicardio
o Miocardio
o Endocardio

Il pericardio fibroso è il sacco di natura connettivale più esterno, che avvolge il cuore, e ha la
funzione di sostenere e mantenere il cuore in posizione vincolandolo, cioè collegandolo alle
formazioni circostanti in modo da limitarne i movimenti, collegandolo: anteriormente con lo sterno
tramite i legamenti sterno-pericardici, posteriormente con le vertebre tramite i legamenti vertico-
pericardici e inferiormente con il centro frenico del diaframma con cui poi si fonde.
Inoltre impedisce che il cuore possa sovrariempirsi.

Al di sotto del pericardio fibroso, si sviluppa, più internamente, il pericardio sieroso, un sacco a
doppia parete sostenuto da una membrana sierosa che tramite le porzioni parietale e viscerale
che risultano in continuità tra loro delimitano cavità chiuse del corpo.
In questo caso siamo di fronte alla cavità pericardica.
Il foglietto parietale aderisce alla superficie interna del pericardio
fibroso, mentre il foglietto viscerale aderisce alla superficie esterna
del cuore e i 2 foglietti risultano in continuità tra loro in corrispondenza
delle radici dei grossi vasi che originano o arrivano al cuore.
Tra i 2 foglietti si individua la cavità pericardica contenente un film di
liquido.
Il foglietto viscerale, di fatto, si fa corrispondere allo strato più esterno
della parete cardiaca cui si definisce epicardio.
Tra foglietto viscerale o epicardio e foglietto parietale che risulta adeso al pericardio fibroso,
abbiamo il film di liquido pericardico.
Pericardio fibroso e foglietto parietale del pericardio sieroso, insieme sono considerati il vero
contenitore esterno del cuore, mentre il foglietto viscerale si fa corrispondere allo strato esterno
della parete del cuore, l’epicardio.
Il sacco, quindi il contenitore e la superficie esterna del cuore sono separati dal liquido pericardico,
un film di liquido che impedisce l’attrito della superficie cardiaca tra cuore e contenitore fibroso
durante l’attività cardiaca, che consiste in una sequenza di contrazioni e rilassamenti.

Il miocardio è molto spesso ed è costituto da tessuto muscolare


cardiaco, così spesso perché la funzione del cuore è quella di
contrarsi e pompare il sangue all’interno dei vasi con sufficiente
forza.

L’endocardio è lo strato epiteliale più interno che delimita il lume


cardiaco, contenente sangue.

Il cuore anteriormente viene in rapporto con lo sterno e le cartilagini costali, a destra e a sinistra
con le logge polmonari, inferiormente con il diaframma e posteriormente con l’esofago e l’aorta.
In funzione della sua forma e dei rapporti che contrae, a livello del cuore si distinguono:

− Faccia sterno-costale o anteriore: sostenuta dall’auricola destra, dal ventricolo destro e da


una piccola parte del ventricolo sinistro.
Le auricole destra e sinistra sono espansioni anteriori degli atri che si prolungano a ridosso
dell’origine dei tronchi arteriosi.
L’auricola destra abbraccia l’origine dell’aorta, mentre l’auricola sinistra abbraccia il
tronco polmonare.
I solchi evidenziabili sia sulla superficie anteriore sia su quella
infero-posteriore del cuore sono solchi superficiali
individuabili a livello dell’epicardio che non arrivano in
profondità, ma segnano i limiti tra le cavità interne del cuore
(2 atri e 2 ventricoli).
Il solco atrio-ventricolare o coronario è disposto circa trasversalmente e segna il limite tra i
sovrastanti atri e i sottostanti ventricoli, mentre i solchi interventricolari o longitudinali sono
disposti lungo l’asse longitudinale del cuore e sono distinti in anteriore e posteriore
permettendo di segnare i limiti tra ventricolo destro e ventricolo sinistro.
I solchi interventricolari si portano dal solco atrio-ventricolare all’apice del cuore, sono
ricchi di grasso e percorsi dai vasi del cuore.
− Faccia diaframmatica o infero-posteriore: sostenuta dal ventricolo di
sinistra e da una parte del ventricolo di destra.
Si notano la parte posteriore del solco coronario e il solco
interventricolare posteriore.
− Base: sostenuta per 2/3 dall’atrio sinistro del cuore e per 1/3 dall’atrio
destro.
L’atrio destro è raggiunto dalle vene cave (2 → superiore e inferiore), mentre
l’atrio sinistro è raggiunto dalle vene polmonari (4 → 2 provenienti dal
polmone di destra e 2 provenienti dal polmone di sinistra)
− Apice
− Margini destro e sinistro

Conformazione interna
Il cuore possiede 2 atri e 2 ventricoli.
Gli atri sono cavità di forma cuboide, situati postero-superiormente e vanno a costituire la base del
cuore.
I 2 ventricoli sono di forma conoide situati antero-inferiormente.
Gli atri e i ventricoli dello stesso lato comunicano tra loro tramite orifizi o aperture atrio-ventricolari,
muniti di valvole, le valvole atrio-ventricolari.
Dai ventricoli originano, in corrispondenza di aperture o orifizi ventricolari o arteriosi, i tronchi
arteriosi.
Dall’orifizio ventricolare di destra origina il tronco polmonare, mentre
dall’orifizio ventricolare di sinistra origina l’aorta.
Anche gli orifizi ventricolari sono muniti di valvole, le valvole
semilunari.
La metà destra del cuore contiene sangue venoso ed è
completamente separata dalla metà sinistra contenete sangue
arterioso, tramite un setto separatore detto setto del cuore che per
la maggior parte della sua estensione è di natura muscolare.

La valvola polmonare si colloca in corrispondenza dell’orifizio ventricolare o arterioso destro che è


all’origine del tronco polmonare.
La valvola aortica ha la stessa struttura della valvola polmonare.

L’atrio destro riceve il sangue venoso tramite le vene cave che riportano il
sangue deossigenato costituito a livello dei vari distretti corporei verso il cuore,
tramite l’orifizio atrio-ventricolare destro munito della valvola tricuspide,
passa nel ventricolo destro del cuore e tramite l’orifizio ventricolare destro,
munito di valvola polmonare, passa nel tronco polmonare.
Il sangue poi dal tronco polmonare, arriva ai polmoni.
L’atrio sinistro riceve il sangue arterioso tramite le vene polmonari che,
tramite l’orifizio atrio-ventricolare sinistro, munito di valvola bicuspide,
passa al ventricolo sinistro del cuore e poi il sangue, tramite l’orifizio
ventricolare di sinistra, munito di valvola aortica, passa nell’aorta.

Atrio e rispettivo ventricolo non comunicano sempre, così come


ventricolo e rispettivo tronco arterioso.

Il setto cardiaco separa la metà destra dalla metà sinistra del cuore e
presenta una porzione detta setto interatriale e una porzione inferiore
detta setto interventricolare, porzioni che separano rispettivamente i
2 atri e i 2 ventricoli.
Sono di natura prevalentemente muscolare, a parte la porzione
superiore del setto interventricolare che è di natura connettivale e
prende il nome di porzione membranacea del cuore.

I muscoli papillari sono piccole formazioni che si sollevano dalla faccia interna dei ventricoli che
poi, tramite delle cosiddette corde tendinee si collegano alle valvole atrio-ventricolari,
precisamente si collegano alle cuspidi delle valvole atrio-ventricolari.

Valvole del cuore


Le valvole del cuore sono di 2 tipi, o meglio si localizzano a 2 livelli:

▪ Le valvole atrio-ventricolari si collocano a livello degli orifizi atrio-ventricolari e regolano il


flusso tra atri e ventricoli.
La valvola di destra è chiamata tricuspide, mentre quella di sinistra è definita bicuspide o
mitrale.
▪ Le valvole semilunari si sviluppano in corrispondenza degli orifizi arteriosi o ventricolari che
sono all’origine dei grossi tronchi arteriosi che si dipartono dai ventricoli.
A livello dell’orifizio ventricolare sinistro, origine dell’aorta, abbiamo la valvola semilunare
aortica, mentre a livello dell’orifizio ventricolare destro, origine del tronco polmonare,
abbiamo la valvola semilunare polmonare.
Le valvole semilunari regolano il flusso tra i ventricoli e i tronchi arteriosi.

Le valvole cardiache devono garantire l’unidirezionalità del flusso sanguigno, attraverso il cuore,
durante il ciclo cardiaco.
Il sangue deve fluire dagli atri ai ventricoli e quindi dai ventricoli ai tronchi arteriosi.
Le valvole atrio-ventricolari regolano l’apertura e chiusura degli orifizi atrio-ventricolari e
permettono solo il flusso di sangue da atri a ventricoli, mentre le valvole semilunari regolano
l’apertura e chiusura degli orifizi arteriosi o ventricolari e permettono solo il flusso di sangue da
ventricoli a tronchi arteriosi.
Le valvole cardiache si aprono per far defluire il sangue, si chiudono per impedirne il ritorno.
La loro apertura o chiusura dipende dalle variazioni di pressione che si verificano a livello delle
cavità cardiache (atri e ventricoli) quando si contraggono (sistole) o si rilassano (diastole) durante il
ciclo cardiaco che prevede la contrazione dapprima degli atri e poi dei ventricoli.

Il ciclo cardiaco è il periodo compreso tra un battito cardiaco e l’altro (0.8-0.9 secondi) durante il
quale si alternano sistoli e diastoli delle cavità cardiache che consentono la propulsione del
sangue dagli atri ai ventricoli e dai ventricoli ai tronchi arteriosi.
In una prima fase tutte le cavità cardiache sono rilassate, poi gli atri si riempiono di sangue, il quale
passa nei ventricoli dove le valvole atrio-ventricolari sono aperte, mentre le semilunari sono chiuse.
Inizia poi la seconda fase dove si contraggono gli atri, in modo da
spremere il sangue all’interno dei ventricoli.
Segue la terza fase caratterizzata dalla contrazione dei ventricoli, a
partire dall’apice, per cui la pressione del sangue ventricolare che
spinge da sotto, chiude le valvole atrio-ventricolari, in modo che il
sangue non torni negli atri, ma la pressione del sangue apre le valvole semilunari e il sangue passa
nei tronchi arteriosi.
Nell’ultima fase il cuore ritorna allo stato di rilassamento iniziale e si riempie nuovamente.

Struttura delle valvole atrio-ventricolari


Le valvole atrio-ventricolari sono costituite da lembi fibrosi triangolari, chiamati cuspidi, con base
inserita sull’anello fibroso che delimita l’orifizio atrio-
ventricolare e apice, che guarda verso il ventricolo,
connesso tramite le corde tendinee, ai muscoli papillari del
ventricolo.
Garantiscono il passaggio di sangue tra atrio e ventricolo
impedendone il reflusso durante la sistole ventricolare.

Appena si contraggono i ventricoli, perciò in sistole


ventricolare finalizzata a spingere il sangue dai ventricoli
verso i tronchi arteriosi, il sangue ad alta pressione spinge da
sotto le cuspidi valvolari che non si ribaltano verso gli atri,
grazie al fatto che i muscoli papillari sono contratti e tramite
le loro corde tendinee, le mantengono in tensione.

Le valvole atrio-ventricolari sono aperte in diastole ventricolare, mentre si chiudono in sistole


ventricolare.

Struttura delle valvole semilunari


Le valvole semilunari sono formate da 3 lembi fibrosi a forma
di semiluna (a concavità superiore) che si staccano dalla
parete del vaso e delimitano con essa una tasca semilunare
detta seno.
Garantiscono il passaggio di sangue tra ventricolo e tronco
arterioso impedendone il reflusso durante la diastole
ventricolare.

Le valvole semilunari sono aperte in sistole ventricolare, mentre si chiudono in diastole ventricolare.

Appena si contraggono i ventricoli, quindi in sistole ventricolare, la pressione del sangue


ventricolare aumenta e spinge verso i tronchi arteriosi aprendo le
valvole, ossia i lembi valvolari vengono spinti verso la parete del
vaso, per cui le valvole si aprono.
Alla sistole ventricolare, segue la diastole ventricoli, ossia i
ventricoli si rilassano e in questo modo la pressione del sangue al
loro interno, diventa minore rispetto a quella del sangue che
scorre nei tronchi arteriosi.
Perciò il sangue dei tronchi arteriosi tende a tornare indietro, verso i
ventricoli, ma siccome il sangue tornando indietro riempie le tasche
semilunari chiudendo le valvole.

Le valvole sono aperte e chiuse non da un impulso muscolare proprio, ma


passivamente da modificazioni della pressione del sangue che
avvengono a livello delle cavità cardiache durante la loro attività.

Atri e ventricoli si contraggono in modo regolare e ritmico, ma sequenziale.


Muscolatura cardiaca
Il miocardio è il tessuto muscolare cardiaco che può essere distinto in:

• Miocardio comune: è il più rappresentato e forma più del 90% del tessuto muscolare
cardiaco
• Miocardio specifico: poco rappresentato, ma importantissimo ed è costituito da cellule
muscolari cardiache molto specializzate e responsabili della generazione e della
propagazione dello stimolo contrattile cardiaco, perciò costituiscono una serie di piccole
formazioni che nell’insieme formano il cosiddetto sistema di conduzione del cuore

È un tessuto in grado di contrarsi in modo involontario, la sua attività non dipende dalla nostra
volontà.
Il cuore, dal punto di vista dello stimolo contrattile e della propagazione dello stimolo da atri a
ventricoli, è un organo autonomo e questo grazie alle cellule del miocardio specifico.

Miocardio comune
Il miocardio comune è costituito da fibre muscolari striate dette cardiociti o cardiomiociti, dove la
striatura dipende dalla regolare disposizione dei filamenti contrattili di actina e miosina.
Diversamente dalle cellule muscolari scheletriche che risultano tra loro isolate perché avvolte da
uno staterello di connettivo, quindi per contrarsi necessitano di uno stimolo contrattile
indipendente, mentre i cardiociti sono collegati da giunzioni comunicanti o gap junction tali per
cui basta stimolare una cellula a contrarsi, che lo stimolo contrattile diffonde velocemente
coinvolgendo tutte le cellule muscolari cardiache.
Perciò il cuore, dal punto di vista funzionale, si comporta come un sincizio, infatti vale la regola del
tutto o nulla.

Sia a livello degli atri, sia a livello dei ventricoli, siamo di fronte a 2 sistemi distinti di fibre, tra loro
indipendenti, che originano e terminano a livello dello scheletro fibroso del cuore.
Lo scheletro fibroso del cuore è costituito da una serie di formazioni di natura connettivale che
funziona da punto di attacco per le fibre muscolari degli atri e dei ventricoli, ma soprattutto funge
da isolante elettrico.
Lo stimolo contrattile può poi essere trasferito dagli atri ai ventricoli.

Sono presenti 4 sistemi di fibre a differente decorso dove si vede che le fibre
originano e terminano tutte a livello di parti connettivali del cuore che
costituiscono il cosiddetto scheletro fibroso del cuore.
A livello degli atri sono presenti 2 sistemi di fibre.

Lo scheletro fibroso del cuore comprende formazioni connettivali rappresentate da:

✓ Anelli fibrosi: delimitano gli orifizi atrio-ventricolari e gli


orifizi arteriosi o ventricolari e danno attacco ai lembi
fibrosi delle valvole cardiache
✓ Trigoni fibrosi: collegano tra loro gli anelli fibrosi
✓ Parte membranacea del setto

Fornendo l’ancoraggio, ossia origine e inserzione, al sistema di


fibre muscolari di atri e ventricoli, lo scheletro fibroso impedisce che lo stimolo contrattile possa
coinvolgerli contemporaneamente perché essendo costituito da formazioni connettivali fibrose
non sono conduttori elettrici.
Infatti non permettono che lo stimolo contrattile che corrisponde ad un impulso elettrico che
origina a livello degli atri, possa coinvolgere contemporaneamente anche i ventricoli.

Miocardio specifico
Il miocardio specifico è costituito da fibre muscolari capaci di autoeccitarsi, cellule che senza il
bisogno di stimoli nervosi o ormonali si depolarizzano spontaneamente generando impulsi elettrici,
ossia stimoli contrattili in grado di trasmettere l’eccitazione molto velocemente.
Sono cellule organizzate a formare un insieme di formazioni che costituiscono il sistema di
conduzione del cuore.
Esse sono responsabili della generazione e propagazione dello stimolo contrattile cardiaco.

Le formazioni che costituiscono il sistema di conduzione del cuore sono:

→ Nodo seno-atriale: localizzato a livello dell’atrio destro, in corrispondenza dello sbocco


della vena cava superiore.
Corrisponde al vero pacemaker, ossia il segnapassi cardiaco, caratterizzato da cellule che
spontaneamente si depolarizzano generando impulsi elettrici
con una frequenza di scarica di circa 70-80 volte al minuto.
→ Nodo atrio-ventricolare: si colloca nella porzione inferiore del
setto interatriale.
È caratterizzato da cellule a conduzione più lenta, infatti
rallentano la velocità di conduzione perché prima di
propagare lo stimolo, tramite il fascio di His, ai ventricoli,
devono aspettare che tutte le fibre muscolari degli
atri si siano contratte per separare il momento della
contrazione atriale da quello della contrazione
ventricolare.
→ Fascio atrio-ventricolare o di His: caratterizzato da un
tronco comune che a livello della parte superiore del
setto ventricolare si suddivide in 2 rami definiti
brache destra e sinistra che decorrono verso il basso per portarsi all’apice del cuore dove si
risolvono nella porzione detta fibre del Purkinje che raggiungono per prime i muscoli
papillari inducendoli subito a contrarsi.
Solo successivamente lo stimolo contrattile investe tutti i ventricoli risalendo dal basso.

Queste formazioni sono deputate nel generare lo stimolo contrattile e nel gestirne il ritmo oltre a
permettere la propagazione sequenziale dello stimolo.

Il cuore, grazie alle fibre del miocardio specifico è in grado di


autoeccitarsi, quindi è un organo autonomo, dal punto di vista dello
stimolo contrattile, dotato di attività miogenica intrinseca ed è quindi
capace di propagare lo stimolo.
Il cuore è innervato dal SNA detto SNV (Sistema Nervoso Autonomo/
Sistema Nervoso Viscerale) che controlla l’attività degli organi interni e
lavora indipendentemente dalla nostra volontà.
L’attività contrattile intrinseca deve essere regolata in relazione alle
diverse esigenze funzionali del corpo.

Il SNA comprende 2 porzioni: la porzione simpatica e quella


parasimpatica.
La porzione simpatica aumenta la frequenza cardiaca, mentre la
componente parasimpatica rallenta la frequenza cardiaca.

GENERALITÀ DEI VASI


I vasi sanguigni sono organizzati in diverse vie che portano il sangue ai
diversi distretti corporei.
Il cuore si trova al centro di 2 tipi di circolazione: la circolazione polmonare e
la circolazione sistemica.

Il principale sistema di trasporto dell’organismo è rappresentato dal sistema


vascolare in cui le sostanze sono sciolte o sospese in un liquido e trasportate
da un punto all’altro dell’organismo grazie ad un sistema di tubi/vasi.
Il sistema vascolare ematico (sangue) è il principale mezzo di trasporto di O2 e CO2, dei nutrienti e
prodotti catabolici, delle cellule dei sistemi di difesa, di ormoni e altre sostanze (es. fattori della
coagulazione).
Il sistema vascolare linfatico (linfa) drena il liquido extracellulare dai tessuti, riportandolo al sistema
ematico dopo il passaggio attraverso i linfonodi, trasporta sostanze (>proteine, lipidi) assorbite
dall’apparato digerente e cellule dei sistemi di difesa.
Questi 2 sistemi vascolari agiscono in sinergia.

Il sistema vascolare ematico è un sistema chiuso che comincia e termina nel


cuore, mentre il sistema vascolare linfatico è un sistema aperto in cui i vasi si
originano a fondo cieco nei tessuti dove drenano il liquido
interstiziale, il liquido drenato viene poi convogliato in vasi
e dotti di calibro sempre maggiore, filtrato attraverso le reti
dei linfonodi, per poi fluire nel sistema venoso.
Quindi la linfa viene comunque convogliata all’interno del
sistema circolatorio ematico.

Il sistema linfatico comprende: vasi e dotti linfatici, linfonodi, tessuti linfoidi e veri
e propri organi linfoidi.
Dai capillari sanguigni, il liquido interstiziale, dai capillari sanguigni fuoriesce e
passa ai tessuti dove viene drenato dai capillari linfatici.

I vasi ematici si distinguono in:

− Arterie: trasportano il sangue dal cuore verso la periferia (pressione


relativamente alta)
− Vene: trasportano il sangue dalla periferia verso il cuore (pressione
relativamente bassa)
− Ramificazioni successive fino a miliardi di capillari: rappresentano la sede
di scambio

La parete dei vasi sanguigni è costituita da 3 stati identificabili, dall’interno verso l’esterno:

1. Tonaca intima: rivestita da uno strato di cellule appiattite e specializzate definite cellule
endoteliali, perciò costituiscono l’endotelio che poggia su una lamina basale al di sotto
della quale vi è uno stato sottoendoteliale di sostegno
2. Tonaca media: strato intermedio della parete di un vaso composto principalmente da
tessuto muscolare liscio rinforzato da strati di connettivo elastico a formare delle lamine
elastiche.
Questa tonaca è più o meno evidente a seconda che
si tratti di arterie oppure vene.
3. Tonaca avventizia: strato più esterno composto
preferenzialmente da fibre collagene, nonostante sia
presente anche un po’ di muscolatura liscia.
Nelle arterie la tonaca avventizia è separata dalla tonaca media tramite fibre elastiche che
formano una lamina elastica distinta più esternamente.
Inoltre in essa decorrono piccoli vasi ematici definiti vasa vasorum che emettono
ramificazioni deputate al nutrimento della parete del vaso stesso e nervi del SNA che
innervano la muscolatura liscia della parete.

Il lume della vena è molto più ampio rispetto a quello dell’arteria, mentre la parete è molto più
sviluppata nel caso dell’arteria rispetto a quello della vena.
In sezione, le vene tendono a collassare, quindi
necessitano di un maggior sostegno rispetto alle arterie che
mantengono la loro struttura.
Questo è dato dal maggior sviluppo della parete delle
arterie rispetto a quella delle vene.
Lo strato più spesso nelle arterie è la tonaca media, quella muscolare, mentre nelle vene è
tipicamente la tonaca avventizia.
Le arterie contengono più tessuto connettivo ed elastico rispetto alle vene.

I vasa vasorum sono una rete di piccoli vasi sanguigni che riforniscono di
nutrienti e O2 le pareti dei grandi vasi sanguigni.
Più la parete del vaso è spessa, più richiederà nutrimento e innervazione
diretta alla componente della muscolatura liscia presente nella parete
stessa.

Arterie
Le arterie sono dette anche vasi di resistenza perché possiedono una struttura tissutale resistente
alla pressione alta che vi circola all’interno.
Sono tipicamente vasi che decorrono in profondità e hanno un decorso rettilineo.
Sono classificate in:

o Arterie elastiche o di conduzione: di grosso calibro


o Arterie muscolari o di distribuzione: di medio e piccolo calibro
o Arteriole

Il diametro delle arterie diminuisce sempre di più via via che si passa da un’arteria all’altra
andando dal cuore ai vasi periferici.

Arterie elastiche o di conduzione


Fanno parte delle arterie elastiche: aorta, tronco polmonare, carotide comune e succlavia.
Sono caratterizzate da pareti estremamente resistenti e resilienti, ovvero hanno la capacità di
assorbire l’urto pressorio o esterno senza rompersi.
Sono dette di conduzione perché trasportano il sangue dal cuore alle aree
di calibro minore.
Possiedono una grande quantità di fibre elastiche nelle 3 tonache
(soprattutto nella media che nell’aorta formano più di 50 strati
concentrici).
Si dilatano in seguito all’afflusso di sangue proveniente dai ventricoli
durante la sistole ventricolare (contrazione → 120-160 mmHg) e si ritraggono durante la diastole
ventricolare (rilassamento → 60-80 mmHg) rilasciando l’energia accumulata contribuendo così a
spingere a valle il sangue attraverso le arterie.
La tonaca avventizia presenta i vasa vasorum.
Sono in grado di tollerare l’elevata pressione del sangue che esce dal cuore e impediscono la
caduta di pressione mentre il cuore si sta riempiendo.

Arterie muscolari o di distribuzione


Fanno parte delle arterie muscolari: arteria brachiale, coronarie e arteria mesenterica inferiore.
Sono dette di distribuzione perché distribuiscono il sangue a tessuti e organi.
Hanno una tonaca media più spessa con più fibrocellule muscolari lisce disposte in strati e una
minore componente elastica che formano 2 anelli detti lamina elastica interna (tra tonaca intima
e media) ed esterna (tra tonaca media ed avventizia).
Nelle arterie maggiori possono esserci 30 o più strati di muscolatura liscia,
mentre in quelle più piccole ce ne sono 2-3 solitamente disposte
circolarmente.
Hanno una minore capacità di distensione della parete e una maggiore
capacità di contrarsi e rilassarsi (vasocostrizione e vasodilatazione).
Rispondono al SNA e a sostanze vasoattive secrete dall’endotelio.
Arteriole
Le arteriole sono arterie di calibro minore (30-400 μm) costituite da una tonaca media consiste in 1-
2 lamine di cellule muscolari lisce e una sottile tonaca avventizia (assente in quelle di calibro
minore).
La muscolatura liscia solitamente è leggermente contratta (=
tono vasomotorio) e sono coinvolte nella regolazione della
pressione sistemica e dell’afflusso di sangue alle diverse regioni
del corpo.
Ciò è possibile perché le arteriole sono i vasi che regolano
l’afflusso di sangue a livello dei letti capillari.

Il segmento terminale (diramazione) delle arteriole si chiama


metarteriola, ossia un breve vaso che collega l’arteriola con i
capillari.
La presenza di sfinteri pre-capillari, ovvero degli anelli di fibre
muscolari lisce presenti nel punto in cui le arteriole e le
metarteriole entrano in comunicazione con i capillari, consente
al tono, quindi allo stato di contrazione dello sfintere stesso di
regolare il flusso ematico all’interno dei vasi sanguigni e questo
è regolato da numerosi fattori nervosi e ormonali.

Letto capillare
Il letto capillare è un gruppo variabile di capillari che non funzionano come entità indipendenti, ma
come una struttura cooperante e all’uniscono.
È costituito da vasi di calibro minore (calibro 5-10 μm) che connettono arteriole e venule.
La composizione della loro parete è così sottile e peculiare da permettere il passaggio di sostanze
e di nutrimento disciolti nel sangue ai tessuti interstiziali e dei cataboliti dai tessuti interstiziali al
sangue per essere eliminati.
Esistono varie tipologie di capillari con differente struttura della parete
in funzione dalla distribuzione anatomica in cui si trovano.
In un letto capillare tipo i capillari sono costituiti da endotelio e
membrana basale, condizione ideale per gli scambi con i tessuti
interstiziali.
Il letto capillare è servito da una metarteriola (diramazione di una
arteriola) che presenta sfinteri pre-capillari di muscolatura liscia che
regolano l’afflusso di sangue nei capillari (veri).
Quando lo sfintere è rilassato il sangue fluisce nei capillari veri,
mentre quando lo sfintere è contratto il sangue bypassa il letto
capillare e va direttamente nelle venule post-capillari attraverso il canale preferenziale.
Questo sistema di apertura e chiusura del letto capillare permette la termoregolazione mediata da
una modificazione del flusso ematico che cambia in risposta alle modificazioni locali della
domanda di O2 o di altri fattori da parte dei tessuti.

Quando gli sfinteri pre-capillari sono aperti il sangue fluisce all’interno dei capillari dove
avvengono tutti gli scambi con i tessuti circostanti.
Quando gli sfinteri sono chiusi, il lume dei capillari veri e propri si chiude e il sangue può solo
passare attraverso il canale preferenziale, bypassando il letto capillare.

Questo percorso è il più semplice, ma non è l’unico perché nel nostro organismo sono presenti
numerose varianti di percorsi circolatori che si generano per la presenza di anastomosi e sistemi
portali.
L’anastomosi è la capacità di 2 o più vasi di unirsi tra loro perciò di fondersi generando percorsi
circolatori più complessi.
Tra le varianti dei percorsi circolatori possiamo trovare:
❖ Anastomosi venose: in cui 2 o più vene drenano la stessa regione (es. vene che drenano
l’arto superiore)
❖ Anastomosi arteriose: in cui 2 o più arterie che riforniscono la stessa regione si fondono
fornendo vie alternative o collaterali che assicurano l’apporto di sangue, nutrimento e O2
ad un tessuto (es. arteria epigastrica superiore e inferiore che irrorano la parete
addominale).
Laddove non è presente un sistema di anastomosi arteriose si
parla di arterie terminali, le quali indicano arterie che
apportano sangue ad organi e tessuti senza la presenza di
percorsi alternativi generati dalle anastomosi (es. milza).
Se un’arteria terminale si ostruisce, la mancanza di percorsi
alternativi determina la completa assenza di flusso ematico
all’organo o al tessuto che si trova a valle, quindi la possibilità
che questo tessuto o organo possa andare incontro ad
ischemia.
Si parla di arterie terminali funzionali nei casi in cui le
anastomosi sono presenti, ma sostanzialmente talmente
esigue che le arterie si comportano come se fossero arterie
terminali (es. a livello delle coronarie).
❖ Shunt arterovenosa: anastomosi che mettono in contatto un’arteria con una vena
bypassando il letto capillare (es. dita mani e piedi per termoregolazione)
❖ Sistema portale: il sangue scorre attraverso 2 letti capillari separati da una vena del sistema
portale (es. a livello epatico e a livello ipotalamo-ipofisario)

Capillari
Nei capillari avvengono gli scambi con i tessuti interstiziali grazie
alla struttura della parete dei capillari, costituiti da un singolo strato
di cellule endoteliali che poggiano sulla lamina basale.
Il sangue fluisce molto lentamente permettono gli scambi
attraverso la parete dei capillari stessi grazie al ridotto diametro dei
capillari.
La struttura dei capillari è differente, infatti troviamo:

▪ Capillari continui: presenti nella maggior parte dei tessuti e in cui


la parete è costituita da un endotelio continuo, senza grosse
discontinuità tra le cellule e una membrana basale
▪ Capillari fenestrati: in cui il lume è discontinuo per la presenza di
fenestrazioni che permettono il passaggio di piccole molecole e
peptidi e sono presenti in organi ad alta affinità di filtrazione (es.
reni e intestino)
▪ Capillari sinusoidi: in cui i pori sono molto più grandi rispetto a quelli
presenti nei capillari fenestrati, la lamina basale è sottile o assente
e sono presenti enorme fessurazioni che permettono un ampio
scambio con i tessuti circostanti come il passaggio di cellule (es. a
livello del midollo dove gli elementi figurati devono entrare nel
sangue, fegato e milza per l’emocateresi, ossia la rimozione dal
sangue delle cellule invecchiate che devono essere eliminate)

Vene
Le vene sono definite veri e propri vasi di capacità, serbatoi di
sangue, che si dilatano per ospitare un maggior volume di
sangue.
Il 55% circa del sangue presente nella circolazione sistemica
(18% polmonare, 12% cuore, 70% sistemica) è presente nelle
vene sistemiche.
Le vene possiedono una pressione inferiore a quella delle arterie (20 mmHg), la parete delle vene è
sottile in rapporto al diametro che conferisce un’elevata capacità di estensione e tendenzialmente
sono in numero superiore rispetto alle arterie.

Le vene vengono spesso illustrate per semplicità come vasi singoli, ma tendono ad essere doppie
o multiple.
La maggior parte delle vene del tronco sono vasi singoli con lume ampio, mentre le vene degli arti
si presentano sotto forma di 2 o più vasi di dimensioni più piccole (vene satelliti o venae
comitantes), che accompagnano un’arteria all’interno di una guaina
vascolare comune.
Questa disposizione funziona come scambiatore di calore controcorrente in
cui il sangue arterioso, più caldo, riscalda il sangue venoso, più freddo,
durante il ritorno al cuore dalle estremità caratterizzate da una temperatura
più bassa.
La presenza di una guaina vascolare relativamente poco deformabile che non si espande
all’espandersi dell’arteria che risente della contrazione cardiaca, dà origine ad una sorta di
pompa arterovenosa che facilita il flusso venoso verso il cuore.

Venule
Le venule sono i vasi satelliti delle arteriole, quindi sono le vene più piccole (post-capillari) che
drenano i capillari e confluiscono a formare vene di calibro sempre maggiore.
Man mano che confluiscono in venule di calibro maggiore compaiono
fibre collagene e diminuiscono i periciti che vengono sostituiti da
cellule muscolari lisce.
Aumentando di diametro si originano le venule muscolari in cui si inizia
ad identificare una tonaca avventizia.
Le venule si uniscono a formare plessi venosi e non hanno specifiche
denominazioni.
Inoltre le piccole vene sono la continuazione delle venule muscolari con struttura simile, ma
diametro più grande (1 mm) con uno strato muscolare e fibroso meglio definito.

Vene di medio calibro


Fanno parte delle vene di medio calibro: vene superficiali (cefalica e basilica dell’arto superiore e
vene grande e piccola safena dell’arto inferiore) e vene satelliti delle arterie di cui prendono il
nome.
Sono vene che drenano i plessi venosi, si accompagnano alle arterie di
medio calibro.
Le vene di medio calibro drenano distretti dove il flusso viaggia in senso
antigravitario e presentano valvole venose che consentono al sangue di
progredire in direzione del cuore e non in senso contrario.
Lo strato interno delle cellule endoteliali è poggiato sulla membrana
basale, la tonaca media e quella avventizia variano molto per spessore
e proporzione di fibre elastiche, collagene e muscolatura liscia.

Grandi vene
Le grandi vene, come le vene cave, possiedono un grande diametro e hanno
una tonaca intima simile a quella delle vene di medio calibro, ma con più
fibre elastiche e collagene.
Le grandi vene sono caratterizzate da spessi fasci longitudinali di muscolatura
liscia e una tonaca avventizia ben sviluppata.
La circolazione venosa viene mantenuta da:

➢ Contrazione della muscolatura liscia del vaso


➢ Presenza di valvole semilunari che garantiscono il flusso unidirezionale (contro gravità)
Le valvole semilunari o a nido di rondine sono estroflessioni della
tonaca intima che si proiettano verso il lume del vaso.
Il lato libero delle valvole è posto in direzione del cuore permettendo il
flusso verso il cuore, ma non quello in direzione
opposta (retrogrado).
Quando la pressione al di sotto delle valvole cala, il sangue comincia
a refluire a ritroso, ma riempie le tasche formate dai lembi valvolari
che vengono riavvicinati e bloccano così un ulteriore reflusso
sanguigno.
➢ Contrazione muscolare scheletrica è limitata dalla presenza della
fascia muscolare, dà origine ad una forza che comprime le vene
determinando una spinta del sangue in senso antigravitazionale,
aiutato dalla presenza delle valvole.
Ecco l’importanza dell’attività fisica.
➢ Contrazione della muscolatura respiratoria (pompa toraco-
addominale)
Quando si inspira, il diaframma si contrae, si appiattisce, la
pressione che si crea a livello intraddominale aumenta e va a
comprimere i vasi della cavità addominale,
contemporaneamente il volume della cavità toracica
aumenta e quindi la pressione al suo interno diminuisce,
perciò il sangue viene spinto dai vasi della cavità addomino-
pelvica ai vasi della cavità toracica.
Quando si espira, il diaframma si rilassa, il volume della cavità
toracica diminuisce e la pressione intratoracica aumenta
comprimendo i vasi della cavità toracica, quindi il sangue
viene spinto dai vasi della cavità toracica verso il cuore.

PRINCIPALI ARTERIE DEL CIRCOLO SISTEMICO


Esistono 2 circoli sanguigni, il circolo sistemico e il circolo polmonare e ogni
goccia di sangue deve passare in modo seriale prima attraverso un circolo e poi
attraverso l’altro, passando perciò 2 volte attraverso il cuore che funge da
pompa.
Entrambi i circoli originano e terminano all’interno del cuore e sono dotati di vasi
propri, indipendenti.

Il circolo polmonare è un circolo molto breve con la funzione di ossigenare il


sangue.
L’ossigenazione si attua a livello degli alveoli polmonari e origina dal ventricolo
destro del cuore con il tronco arterioso polmonare, contenente sangue
deossigenato e termina a livello dell’atrio sinistro del cuore con le vene
polmonari che riportano il sangue ossigenato dai polmoni al cuore.

Diversamente dal circolo polmonare, il circolo sistemico è un circolo con funzione


nutritizia, deputato a trasportare e distribuire il sangue ossigenato e ricco di
nutrienti a tutti i tessuti e a raccogliere da questi CO2 e prodotti catabolici/di rifiuto.
Il circolo sistemico origina dal ventricolo sinistro del cuore con l’aorta e termina a
livello dell’atrio destro del cuore tramite le vene cave superiore e inferiore.
Il primo e brevissimo tratto dell’aorta è detto aorta ascendente perché
dal ventricolo sinistro del cuore ascende.
Segue poi il cosiddetto arco dell’aorta dove l’aorta si piega ad arco e
quindi discende, per questo poi si parla di aorta discendente che
decorre a sinistra in stretto rapporto con la colonna vertebrale e transita
prima attraverso il torace, poi attraverso il diaframma per raggiungere
l’addome.
L’aorta discendente risulta perciò distinta in un tratto toracico e in un
tratto addominale ed è il muscolo diaframma che permette di separare i
2 tratti.
L’aorta, nella sua porzione addominale, circa all’altezza della 3°-4°
vertebra lombare termina suddividendosi nelle 2 arterie iliache comuni destra e sinistra.

Aorta ascendente
L’arteria ascendente risulta in parte avvolta dal pericardio fibroso e forma
le arterie coronarie che irrorano il cuore ed essendo i primi rami dell’aorta
contengono il sangue più ossigenato.
Le arterie coronarie sono 2: coronaria di destra e coronaria di sinistra.
Queste arterie formano diversi rami che decorrono in corrispondenza dei
solchi superficiali del cuore.
Le vene del cuore che raccolgono il sangue venoso di ritorno dal cuore,
decorrono circa parallele ai rami arteriosi e poi convogliano nel seno
coronario che si apre direttamente nell’atrio destro del cuore insieme alle
vene cave.
Le arterie coronarie originano precisamente in corrispondenza
della valvola aortica, perciò proprio dalle tasche o seni
coronarici o meglio dai seni aortici di destra e di sinistra.
Questo significa che le arterie coronarie che portano il sangue
ossigenato al cuore si riempiono, non durante la sistole
ventricolare, bensì durante la diastole ventricolare, quando il
sangue dall’aorta tende a tornare indietro verso il ventricolo.

Per infarto cardiaco s’intende la necrosi ossia la morte del tessuto muscolare
cardiaco a causa dell’occlusione delle arterie coronarie.
In questi casi si interviene tramite l’innesto di bypass cardiaci utilizzando altre
arterie o vene del corpo, come le vene safene per creare dei ponti, cioè per
bypassare l’occlusione e garantire comunque agli stretti cardiaci a valle
dell’occlusione l’afflusso di sangue.

Arco dell’aorta
I rami che costituiscono l’arco dell’aorta, da destra verso sinistra sono 3:

1. Tronco arterioso brachio-cefalico detto anche arteria anonima: si


suddivide subito in 2 rami che sono l’arteria carotide comune di destra e
la succlavia di destra
2. Carotine comune di sinistra
3. Arteria succlavia di sinistra

Le arterie succlavie irrorano gli arti superiori di destra e di sinistra, ma non solo
perché prima di raggiungere l’arto superiore, quindi la regione ascellare,
formano diversi rami, tra cui l’arteria vertebrale che risale per raggiugere
l’interno del neurocranio e contribuire ad irrorare l’encefalo.

Le carotidi comuni sono così chiamate perché a livello del collo, in


corrispondenza della 2°-3° vertebra cervicale, si dividono in 2 rami: carotide
interna e carotide esterna.
La carotide interna si porta all’interno del neurocranio per contribuire all’irrorazione dell’encefalo,
mentre la carotide esterna forma rami per le formazioni anatomiche del collo e della faccia.

L’arteria anonima o tronco arterioso brachio-cefalico si divide nell’arteria succlavia di destra e


nell’arteria carotide comune di destra.
La succlavia piega al di sopra della 1° costa, quindi passa tra la
clavicola e la 1° costa per portarsi all’arto superiore, ma prima emette
l’arteria vertebrale che risale, passando attraverso i fori trasversali
delle vertebre cervicali, raggiunge e attraversa il grande foro dell’osso
occipitale per portarsi all’interno del neurocranio contribuendo ad
irrorare l’encefalo insieme all’arteria carotide interna che per
raggiungere il neurocranio attraversa un foro del basicranio.
La carotide esterna invece, fornisce rami arteriosi che
complessivamente sono deputati ad irrorare le diverse formazioni
anatomiche della faccia e del collo.

Aorta discendente
L’aorta discendente possiede un tratto toracico e un tratto addominale separati
dal diaframma.
Entrambi i tratti formano rami parietali, perciò destinati alle pareti del tronco, e
rami viscerali, ossia destinati agli organi interni.
Il tratto toracico forma rami viscerali per gli organi della cavità toracica e rami
parietali per la parete toracica, mentre il tratto addominale forma rami viscerali
per i visceri della cavità addominale e rami parietali per la parete addominale.

Aorta toracica
L’aorta toracica viene in rapporto con il tratto toracico della colonna
vertebrale, a destra in rapporto con l’esofago, un tratto dell’apparato
digerente che attraversa tutto il torace prima di passare attraverso il
diaframma e raggiungere lo stomaco, inoltre viene in rapporto con il bronco
di sinistra.
I bronchi sono tratti delle vie respiratorie che si stanno portando ai polmoni.

I principali rami viscerali dell’aorta ascendente toracica sono rappresentati dalle arterie bronchiali
e dalle arterie esofagee, mentre i principali rami parietali sono le arterie intercostali posteriori che si
portano a livello degli spazi intercostali e irrorano le formazioni degli spazi intercostali, in
particolare i muscoli intercostali.

Le arterie bronchiali seguono il decorso dei bronchi che entrano a livello


dei polmoni e all’interno di essi si ramificano più volte.
Esse permettono di irrorare, perciò nutrire i bronchi e il tessuto polmonare.
A livello dei polmoni, oltre ai vasi del circolo polmonare, finalizzati ad
ossigenare il sangue, è presente anche un sistema di vasi finalizzato a
nutrire le diverse parti dei polmoni, quindi un circolo nutritizio che spetta
proprio alle arterie bronchiali.

Aorta addominale
Il tratto addominale dell’aorta discendente decorre in regione addominale, al di sotto del
diaframma.
I suoi principali rami viscerali sono distinti in rami impari che sono singoli e rami pari che si
sviluppano a coppie.
I rami pari sono rappresentati dalle arterie renali, surrenali e gonadiche.
I rami impari, dall’alto al basso sono rappresentati da: tronco tripode celiaco, arterie mesenteriche
superiore e inferiore.
I principali rami parietali invece, sono rappresentati dalle arterie lombari che irrorano la parete
addominale posteriore.
Il tronco tripode celiaco è così denominato perché subito si
suddivide in 3 rami rappresentati da: arteria gastrica di sinistra,
arteria splenica anche detta lienale e arteria epatica comune.
Queste arterie, complessivamente, tramite i loro rami irrorano:
stomaco, pancreas e fegato che sono 2 grosse importanti
ghiandole annesse all’apparato digerente, duodeno e milza.
La milza è un organo linfoide dove avviene il differenziamento e il
mantenimento dei linfociti T, inoltre l’arteria che la raggiunge è
l’arteria lienale o splenica.

Le mesenteriche superiore e inferiore, insieme, irrorano i restanti tratti


dell’apparato digerente.
La mesenterica superiore irrora digiuno e lieo che sono le ulteriori
formazioni dell’intestino tenue e irrora anche parti dell’intestino
crasso, in particolare il colon.
La mesenterica inferiore irrora invece, le restanti parti del colon di
sinistra.

Apparato digerente
I tratti dell’apparato digerente sono costituiti dai tratti sopradiaframmatici rappresentati da: bocca,
faringe ed esofago.
Gli organi sottodiaframmatici dell’apparato digerente sono
rappresentati da: stomaco, intestino tenue o piccolo intestino
(duodeno, digiuno e ileo), intestino crasso (cieco, colon
(ascendente, trasverso, discendente e sigmoideo) e retto).
Annesse all’apparato digerente ci sono ghiandole importantissime
rappresentate da: fegato, pancreas e ghiandole salivari.
Questi organi lavorano insieme per permetterci la digestione, ossia
la trasformazione meccanica e chimica delle grosse molecole
contenute negli alimenti ingeriti, in piccole molecole che come tali possono essere assorbite a
livello del sangue e da lì trasportate a tutte le cellule del corpo quali fonti di energia.
L’assorbimento delle molecole nutritizie avviene in particolare a livello dei capillari dei villi
intestinali.

I rami pari sono rappresentati dalle arterie reali per i reni, dalle arterie surrenali
per le ghiandole surrenali e dalle arterie gonadiche per i testicoli o per le ovaie.

L’aorta termina suddivisosi nelle 2 arterie iliache


comuni di destra e di sinistra così chiamate perché
si suddividono subito, ciascuna, in un’arteria iliaca
esterna e in un’arteria iliaca interna anche detta
ipogastrica.
L’arteria iliaca interna o ipogastrica, tramite i suoi rami, irrora
soprattutto le formazioni della regione pelvica.
L’arteria iliaca esterna irrora in particolare l’arto inferiore, passa sotto il
legamento inguinale e diventa arteria femorale.

PRINCIPALI VENE DEL CIRCOLO SISTEMICO


Le arterie, all’interno degli organi, si dissolvono in arteriole che sono all’origine dei
capillari.
I capillari sono i vasi più piccoli del nostro circolo e rappresentano l’unica sede
degli scambi gassosi e metabolici, quindi dopo aver ceduto O2, si caricano di CO2,
riconfluiscono tra loro andando a costituire le venule che confluiscono nelle vene
cave superiore e inferiore che riportano il sangue al cuore e si aprono nell’atrio
destro del cuore dove termina il circolo sistemico.
Il sangue refluo, quindi il sangue venoso di ritorno dal cuore stesso, viene comunque riversato
direttamente all’atrio destro del cuore tramite il seno coronario.
Tutto il sangue deossigenato viene riportato al cuore da 3 vasi:

a) Vena cava superiore: raccoglie il sangue refluo dai distretti


sopradiaframmatici come testa, collo, arti superiori e torace.
La vena cava superiore drena le formazioni toraciche, non
direttamente, ma tramite un sistema di vene che corrisponde
alle vene azygos
b) Vena cava inferiore: drena il sangue refluo dalla maggior
parte dei distretti sottodiaframmatici, perciò per raggiungere il
cuore deve attraversare il diaframma
c) Seno coronario: raccoglie il sangue refluo dal cuore, è un
piccolo vaso che si costituisce a livello della parete posteriore
del cuore e si riversa direttamente nell’atrio destro del cuore

Vena cava superiore


La vena cava superiore si forma dall’unione dei cosiddetti tronchi venosi brachio-cefalici di destra
e di sinistra, così definiti perché ogni tronco si costituisce dall’unione della vena succlavia e della
vena giugulare interna.
La vena succlavia drena l’arto superiore, mentre la vena giugulare drena le regioni della testa.
L’angolo venoso è proprio il punto di confluenza tra vena succlavia e vena giugulare, in cui i 2
maggiori vasi linfatici del corpo, quindi il dotto linfatico destro e il dotto toracico, si riversano per
convogliare la linfa nel circolo venoso.
A livello dell’angolo venoso destro si apre il dotto linfatico destro
che drena la linfa da: arto superiore di destra, emitorace destro e
parte destra di testa e collo.
A livello dell’angolo venoso sinistro si riversa il dotto toracico che
rappresenta il più grande vaso linfatico del corpo che drena la
linfa proveniente da tutte le restanti parti del corpo.
Questi 2 vasi linfatici riversano la linfa in corrispondenza degli
angoli venosi destro e sinistro, perciò la linfa viene poi riversata
nel circolo venoso.

La vena succlavia drena il sangue refluo da tutto


l’arto superiore e decorre parallela all’arteria
succlavia, quindi anteriormente al muscolo
scaleno anteriore, sempre in rapporto con la 1°
costa.
La vena giugulare interna drena il sangue venoso
di ritorno dalle formazioni contenute nel
neurocranio, quindi dall’encefalo, ma anche dalle
formazioni che costituiscono la regione della
faccia, quindi le formazioni anatomiche del collo.

Vena cava inferiore


La vena cava inferiore si forma a livello sottodiaframmatico e attraversa in
diaframma per raggiungere il cuore.
La vena cava inferiore si forma dall’unione delle vene iliache comuni di
destra e di sinistra che, a loro volta, si formano dall’unione delle iliache
interna ed esterna.
Le iliache interne o vene ipogastriche raccolgono il sangue refluo dalle
formazioni della regione pelvica, mentre le iliache esterne raccolgono il
sangue refluo dall’arto inferiore.
La vena cava inferiore decorre parallela, a destra, rispetto all’aorta
addominale, di cui rispecchia il decorso e i rami.
Infatti, le vene iliache comuni e le sue affluenti corrispondono ai rami
arteriosi dell’aorta addominale.
La vena cava inferiore si costituisce circa a livello della 3°-4° vertebra
lombare, livello dove termina circa l’aorta addominale dividendosi nelle
2 arterie iliache comuni.
La vena iliaca esterna corrisponde alla prosecuzione dell’arteria
femorale che, al di sopra del legamento inguinale, cambia nome e
diventa iliaca esterna.

La vena cava inferiore, risalendo verso il diaframma, riceve le vene:


lombari, renali, surrenali, prostatiche, gonadiche ed epatiche.
Il sangue venoso proveniente dai visceri dell’apparato digerente
sottodiaframmatici viene prima convogliato nella vena porta che si
apre a livello del fegato dove il sangue subisce delle trasformazioni
e poi tramite le vene epatiche che escono dal fegato viene
riversato nella vena cava inferiore.
Il sangue non può essere riversato direttamente nella vena cava
inferiore perché il fegato prima deve processare gli alimenti ingeriti
e assorbiti a livello intestinale, potendoli trasformare o accumulare.
La composizione del sangue è fondamentale che resti costante.
Ciò che viene assunto tramite la dieta e digerito dai diversi organi
dell’apparato digerente per poi essere assorbito a livello intestinale, deve
prima passare a livello del fegato che metabolizza e processa sostanza,
nutrienti, eventuali farmaci…
Se al fegato arriva sangue ricco di glucosio, gli epatociti lo trasformano in
glicogeno, una forma di riserva e stoccaggio dello zucchero che viene
conservato a livello delle cellule epatiche fino al momento del bisogno,
ossia eventualmente rilasciato in circolo quando il glucosio a livello del
sangue comincia a diminuire (es. molta attività fisica e poco nutrimento).
La vena porta si forma dall’unione della vena lienale e delle vene
mesenteriche.

Sistema delle vene azygos


Le vene azygos sono i principali vasi deputati al drenaggio venoso della regione toracica.
Tramite la vena cava superiore, il sangue venoso proveniente dalle formazioni di testa, collo e arti
superiori è stato drenato.
La regione toracica è sempre drenata dalla vena cava superiore indirettamente perché utilizza il
sistema delle vene azygos, costituito da 3 vene che decorrono in rapporto parallelamente alla
colonna vertebrale e sono definite vene: azygos propriamente
dette, emiazygos ed emiazygos accessoria.

Vene azygos ed emiazygos originano a livello della regione


addominale, al di sotto del diaframma, in particolare dalle vene
iliache comune rispettivamente di destra e di sinistra.
Nascono però con il nome di vene lombari ascendenti e
proseguono, a livello toracico, quindi dopo aver attraversato il
diaframma, con il nome di vena azygos, quella di destra, e vena
emiazygos, quella di sinistra.
La vena azygos confluisce direttamente nella vena cava superiore, mentre la vena emiazygos, a
livello toracico, confluisce nella vena azygos, insieme alla vena emiazygos accessoria che si
costituisce a livello della parete toracica sinistra dalla confluenza di alcune vene intercostali
posteriori e come la vena emiazygos confluisce poi nella vena azygos.
Mentre decorrono a livello addominale, quindi sottodiaframmatico
drenano parte della parete addominale posteriore, tramite le vene
lombari, poi risalendo a livello toracico raccolgono il sangue venoso
proveniente dalla parete toracica posteriore, tramite le vene
intercostali posteriori e drenano anche i visceri toracici.
Poi il sangue racconto in questo sistema di vene viene riversato
nella vena cava superiore.

Queste vene vanno complessivamente


a costituire un sistema anastomotico,
ossia un mezzo di collegamento, tra la
vena cava inferiore e la vena cava
superiore.
Perciò costituiscono un circolo alternativo per il ritorno del sangue al
cuore, se si occlude la vena cava inferiore o la vena cava superiore.

SISTEMA CIRCOLATORIO LINFATICO

Il sistema circolatorio linfatico è costituito da una rete di vasi linfatici che trasportano la linfa, cui
sono associati degli organi linfoidi che si classificano in:

Organi linfoidi primari: midollo osseo e timo nell’adulto, fegato e milza nella vita fetale
Organi linfoidi secondari: milza, linfonodi, tessuto linfoide associato alle mucose (MALT,
tonsille, placche di Peyer, appendice cecale, raggruppamenti linfocitari nelle mucose)

Il sistema linfatico drena il liquido extracellulare in eccesso dai tessuti, riportandolo nel circolo
venoso ematico dopo il passaggio attraverso i linfonodi.
Trasporta nel sangue sostanze (lipidi) assorbite a livello dell’apparato digerente.
Contribuisce a produzione, mantenimento e distribuzione dei linfociti, ossia cellule implicate nei
meccanismi di difesa.
Permette il mantenimento della volemia (volume sanguigno) e rappresenta una via di trasporto
alternativa di ormoni, sostanze nutritizie e sostanze di scarto.

La rete linfatica presenta:

• Plessi linfatici: rete di capillari linfatici che originano a fondo cieco negli spazi intercellulari
di gran parte dei tessuti.
Sono costituiti da endotelio privo di lamina basale, quindi provvedono oltre al
riassorbimento del liquido tissutale in eccesso anche di batteri, detriti cellulari, proteine
plasmatiche e cellule (linfociti).
• Vasi linfatici: rete di vasi a parete sottile distribuiti in tutto l’organismo e dotati di valvole.
Capillari e vasi linfatici si trovano ovunque vi siano capillari sanguigni con alcune eccezioni
(es. SNC dove l’eccesso di fluido è drenato dal liquido cerebrospinale).
I vasi linfatici sono simili alle vene di piccolo calibro costituiti da 3 tonache (intima, media
esterna) e presentano dispositivi valvolari nel lume.
È un sistema a bassa pressione!
• Linfa: liquido tissutale (tessuto connettivo fluido) che entra nei capillari linfatici ed è
trasportato dai vasi linfatici.
La linfa generalmente è limpida, acquosa, di colore giallo chiaro ed ha una composizione
simile a quella del plasma.
Rispetto al plasma è caratterizzato da una minor concentrazione di proteine e le cellule più
rappresentate sono linfociti e macrofagi.
Il plasma che scorre nei capillari sanguigni filtra negli spazi interstiziali affinché si verifichi lo
scambio di nutrienti, gas e prodotti di rifiuto.
Una parte del plasma che fuoriesce dai capillari sanguigni
ristagna nei tessuti e deve essere riassorbita (20%).
Il riassorbimento del liquido interstiziale eccedente viene
svolto dal sistema linfatico (capillari linfatici > vasi linfatici di
calibro maggiore > riportano il liquido al circolo venoso).
La linfa ha quindi una composizione simile al plasma, anche se presenta una minor percentuale di
proteine e molti linfociti.

LINFONODI
I linfonodi sono piccoli organi linfoidi situati lungo il decorso di vasi
linfatici con un diametro compreso tra 1 mm e 20 mm.
Sono isolati o in stazioni linfonodali attraverso cui passa la linfa
diretta al sistema venoso.
Agiscono come dei filtri rimuovendo circa il 99% degli antigeni,
purificando la linfa prima che questa raggiunga la circolazione
venosa.
Variazioni nelle dimensioni e nell’aspetto possono essere
correlate allo stato di attività.
Inoltre rappresentano una potenziale sede di metastasi tumorali.

DOTTI LINFATICI E DRENAGGIO LINFATICO


Tutti i vasi linfatici confluiscono in 2 tronchi principali rappresentati dal dotto toracico, che drena la
parte sinistra del corpo, e dal dotto linfatico destro, entrambi che
riversano la linfa alla confluenza tra vena succlavia e vena
giugulare interna, rispettivamente a sinistra e a destra (angolo
venoso).
Il dotto toracico si apre, nel sistema venoso, a livello della
giunzione tra vena giugulare interna sinistra e vena succlavia
sinistra, mentre il dotto linfatico destro detto anche dotto linfatico
principale destro, si apre a livello della giunzione tra vena
giugulare interna destra e vena succlavia destra.

APPARATO RESPIRATORIO

Tutte le cellule del nostro organismo, per poter sopravvivere e compiere le loro azioni hanno
bisogno di energia e l’unica forma di energia da esse utilizzabile è l’ATP che ottengono soprattutto
tramite la respirazione cellulare, un processo aerobico, ossia che richiede O2 e permette di
trasformare l’energia contenuta negli alimenti che ingeriamo in ATP, ma questo processo oltre a
produrre ATP produce CO2 che è un prodotto di rifiuto, pertanto il nostro organismo deve possedere
un sistema o apparato finalizzato a prendere l’O2 dall’aria atmosferica, necessaria per compiere la
respirazione cellulare e contemporaneamente eliminare dal corpo la CO2, prodotto di rifiuto che si
costituisce dalla respirazione cellulare.
Questo sistema è rappresentato dall’apparato respiratorio.

L’apparato respiratorio è deputato a permettere gli scambi gassosi tra l’aria


atmosferica, quindi l’ambiente esterno, e il sangue.
Questi scambi avvengono soltanto a livello degli alveoli polmonari, che
rappresentano la parte funzionale dell’apparato respiratorio.
Lavora in concerto, quindi in stretta relazione con il sistema cardiocircolatorio
perché rifornisce il sangue e quindi tutte le cellule dell’organismo, di O2
deprivandolo di CO2.

L’apparato respiratorio è costituito dalla porzione di conduzione o vie respiratorie e dalla porzione
respiratoria sostenuta dagli alveoli polmonari.
La porzione di conduzione corrisponde ad una serie di organi cavi finalizzati a trasportare l’aria
atmosferica ricca di O2 verso gli alveoli polmonari durante la fase inspiratorio, viceversa finalizzati a
trasportare l’aria arricchita di CO2 dagli alveoli polmonari verso l’esterno durante la fase
espiratoria.
La porzione di conduzione comprende: cavità nasali, parti della faringe,
laringe, trachea e bronchi che entrano nei polmoni e si ramificano
formando una successione di ramificazioni fino ad arrivare ai cosiddetti
bronchioli terminali.

La porzione respiratoria detta anche parenchima polmonare è la sede degli


scambi gassosi aria-sangue e corrisponde agli alveoli polmonari, i quali
compaiono a partire dai cosiddetti bronchioli respiratori, ossia ramificazioni
bronchiali successive ai bronchioli terminali caratterizzati dal fatto che le
loro pareti iniziano ad estroflettersi in piccole tasche che si riempiono di aria
e corrispondono ai nostri alveoli polmonari che oltre i bronchioli respiratori
caratterizzano i dotti alveolari.
Solo gli alveoli in superficie vengono in rapporto con i capillari polmonari, sede degli scambi
gassosi.

Le restanti parti dell’apparato respiratorio hanno solo la funzione di trasportare l’aria atmosferica
verso gli alveoli o dagli alveoli di riportarla all’esterno.
L’aria prima di raggiugere gli alveoli polmonari deve passare attraverso diversi organi perché
questa deve essere filtrata, purificata, quindi umidificata e riscaldata.

Inoltre l’apparato respiratorio è la sede dell’organo dell’olfatto che si sviluppa a livello del naso,
sede dei recettori olfattivi poiché costituito da mucosa olfattiva e sede dell’organo della fonazione,
ossia deputato a produrre i suoni e corrisponde alle corde vocali, perciò si sviluppa a livello della
laringe.

VIE RESPIRATORIE
Le vie respiratorie sono finalizzate a trasportare l’aria verso gli alveoli polmonari, aria che deve
arrivare filtrata, depurata, umidificata e riscaldata.
Questo ruolo è svolto dalla tonaca mucosa detta mucosa respiratoria, che caratterizza lo strato più
interno della parete degli organi cavi di pertinenza della porzione di conduzione.

La mucosa respiratoria è caratterizzata da uno strato epiteliale che


poggia su uno strato connettivale detto tonaca o lamina propria.
L’epitelio è pseudostratificato, cilindrico e cigliato, ossia un monostrato di
cellule epiteliali di forma cilindrica dove i nuclei delle cellule si collocano
a diversa altezza.
Inoltre queste cellule, alla loro estremità apicale rivolta verso il lume, presentano delle ciglia con
un’importante funzione.
Inoltre tra le cellule epiteliali si riconoscono le cellule caliciformi mucipare (muco) che sono cellule
epiteliali a funzione ghiandolare, perciò producono, secernono e rilasciano muco sulla superficie
respiratoria.
Questo strato epiteliale poggia su uno strato connettivale che corrisponde alla tonaca propria,
ricca di ghiandole mucose, i cui dotti escretori si aprono a livello della superficie respiratoria e
producono muco.
Sono inoltre presenti degli aggregati linfocitari a funzione difensiva e moltissimi vasi con la funzione
di riscaldare l’aria inspirata.

Il muco umidifica la superficie epiteliale e l’aria inspirata, intrappola particelle e microorganismi


inalati che per azione del battito cigliare vengono indirizzate verso l’orofaringe per poi essere
deglutiti.
Muco e ciglia lavorano insieme al fine di pulire, per questo si parla di clearance muco-ciliare.
La mucosa respiratoria riveste interamente le vie respiratorie di conduzione ad eccezione di
regione olfattoria (mucosa olfattiva), orofaringe e corde vocali (epitelio pavimentoso
pluristratificato).

Inoltre le vie respiratorie e gli organi ad esse connesse devono sempre essere mantenuti pervi, cioè
aperti, per cui sono tutti sostenuti e mantenuti aperti grazie a formazioni scheletriche di natura
ossea o cartilaginea.

Naso/cavità nasali
Le cavità nasali rappresentano il 1° tratto delle vie respiratorie, sono 2 cavità
separate dal setto nasale mediano e sono sostenute da formazioni
scheletriche di natura in parte ossea e in parte cartilaginea.
Le cavità nasali comunicano anteriormente direttamente con l’esterno
tramite le narici e posteriormente con la faringe e precisamente con la
parte superiore della faringe definita rinofaringe, tramite aperture dette
coane.

Le cavità nasali presentano una porzione più anteriore definita vestibolo del naso che viene
proprio delimitata dal naso esterno, segue poi una porzione che si sviluppa più in profondità detta
cavità nasale propriamente detta sostenuta da formazioni scheletriche che
costituiscono lo splancnocranio.
La parte anteriore delle cavità nasali, tramite il vestibolo del naso, comunica
direttamente con l’esterno attraverso le narici, mentre le cavità nasali
propriamente dette comunicano posteriormente con la rinofaringe, tramite le
coane.
Inoltre si nota una parte superiore che corrisponde alla regione olfattiva.

La parte che si definisce naso esterno è rappresentata dalla


parte di naso che protrude dalla faccia.
Si tratta di una parte sostenuta fondamentalmente da
cartilagini che prendono nomi diversi.
Questa parte del naso è poi rivestita da cute e delimita la parte
anteriore delle cavità nasali, ossia il vestibolo del naso che
comunica con l’ambiente esterno tramite le narici.

Le cavità nasali propriamente dette si sviluppano superiormente alla cavità buccale e risultano
separate da quest’ultima tramite il palato.
Il vestibolo del naso è delimitato dal naso esterno ed è
internamente non rivestito da mucosa respiratoria, ma da cute,
a livello della quale si notano lunghi peli chiamati vibrisse,
particolarmente sviluppati nei maschi e che costituiscono il
primo filtro per l’aria inspirata.
Le pareti laterali invece sono rivestite da mucosa respiratoria.
Inoltre le pareti laterali risultano rilevate, non sono lisce, si
notano dei rilievi che proiettano verso il lume e sono sostenuti da formazioni ossee definite conche
o pieghe nasali distinte in: superiore media e inferiore che sono poi rivestite di mucosa respiratoria.
Hanno la funzione di aumentare l’estensione della mucosa respiratoria.

La maggior parte dello scheletro delle cavità nasali è fornito dall’osso


etmoide che con una sua parte va a costituire: tetto e buona parte delle
pareti della cavità nasali e buona parte del setto nasale.

Il pavimento delle cavità nasali, invece corrisponde al tetto della cavità


buccale, perciò è fondamentalmente costituito dal palato, sostenuto
dalle ossa palatine.
La regione olfattiva rappresenta una porzione delle cavità nasali dove la mucosa respiratoria è
sostituita dalla mucosa olfattiva che si sviluppa nella parte alta
delle pareti laterali e nella parte alta del setto nasale, così
chiamata perché sede dei recettori olfattivi.
Il naso contiene anche l’organo dell’olfatto, un organo di senso
speciale, dove si localizzano tutti i recettori olfattivi che ci
permettono di sentire e percepire gli odori.

Le cavità nasali comunicano con i seni paranasali che sono piccole cavità ripiene di aria, rivestite
di mucosa respiratoria, scavate nelle ossa (ossa pneumatiche) che circondano le cavità nasali e
con le quali comunicano tramite fori appositi e nelle quali riversano il
proprio secreto.
Ogni seno prende il nome dell’osso in cui si ritrova per cui troviamo:
seni frontali scavati a livello delle ossa frontali, seni etmoidali a livello
dell’etmoide, seni mascellari a livello della mascella e seno
sfenoidale a livello dell’osso sfenoide.
Può accadere che un’infiammazione della mucosa respiratoria detta
rinite, grazie alla comunicazione con i seni paranasali, può coinvolgere
anche la mucosa dei seni paranasali, definita sinusite.
Queste patologie sono associate a grande produzione di muco e forte
dolore, infatti le persone che soffrono di sinusite, spesso si sentono chiuse
e hanno dolore per compressione dei recettori dolorifici proprio a livello
dei seni paranasali.

Faringe
Le cavità nasali, tramite le coane, si aprono posteriormente nella faringe che risulta essere un tratto
comune sia alle vie respiratorie sia alle vie digestive.
La faringe è un organo cavo, una sorta di imbuto che si sviluppa in parte a livello della testa e in
parte a livello del collo, terminando all’altezza della 6° vertebra cervicale, dove poi prosegue con
l’esofago.
È anatomicamente suddivisa in 3 parti che dall’alto al basso sono chiamate:

1. Rinofaringe: tratto superiore situato posteriormente


alle cavità nasali, con le quali comunica
2. Orofaringe: tratto intermedio situato posteriormente
alla cavità buccale o orale e con la quale comunica
attraverso un’apertura detta istmo delle fauci
3. Laringofaringe detta anche ipofaringe: tratto inferiore
che decorre a livello del collo posteriormente alla
laringe

La faringe collega le cavità nasali con la laringe e la cavità buccale con l’esofago.
L’aria passa dalle cavità nasali, in rinofaringe, in orofaringe e poi in laringe e da lì alle vie
respiratorie, ma l’aria può entrare anche dalla cavità buccale e in questo caso attraversa
orofaringe, laringe e poi vie respiratorie.
Il cibo e i liquidi invece, passano dalla cavità buccale all’orofaringe e poi in laringofaringe per
raggiungere l’esofago.
È chiaro che un po’ di aria durante la deglutizione passi attraverso la via
dell’orofaringe e poi della laringofaringe, ma l’importante è che il cibo e i
liquidi, dopo aver attraversato l’orofaringe non passino in laringe.

La faringe si attacca alla faccia inferiore del basicranio, il pavimento del


neurocranio, quindi dopo aver attraversato tutta la testa collocandosi prima
posteriormente alle cavità nasali (rinofaringe), poi posteriormente alla cavità
buccale (orofaringe), percorre parte del collo posteriormente alla laringe
(laringofaringe) e termina a livello della 6° vertebra cervicale dove poi si prosegue con l’esofago,
mentre la laringe si prosegue inferiormente con la trachea.

La faringe rappresenta un importante crocevia anatomico e funzionale interposto fra le vie


digestive e respiratorie.
Cavità nasali e cavità buccale comunicano tramite la faringe.
Funzionalmente attraverso la rinofaringe passa solo aria, mentre attraverso l’orofaringe passa aria
quando respiriamo e passano cibo e liquidi quando deglutiamo, infine attraverso la laringofaringe
passano cibo e liquidi per prendere poi l’esofago e le sottostanti vie digestive.

Rinofaringe
Attraverso la rinofaringe passa solo aria, quindi si tratta di una porzione puramente respiratoria
rivestita da mucosa respiratoria.
Contiene una tonsilla detta tonsilla faringea che quando si infiamma causa le cosiddette adenoidi.
Solitamente le tonsille sono organi linfoidi a funzione difensiva.
Inoltre comunica con l’orecchio medio tramite un canalino detto tuba uditiva o di Eustachio.

Orecchio
L’orecchio ha una struttura molto complessa costituita da un insieme di formazioni associate
all’organo dell’udito e dell’equilibrio che sono organi di senso speciale all’interno dei quali sono
presenti i recettori dell’udito e dell’equilibrio.
Dal punto di vista anatomico si distinguono:

✓ Orecchio esterno: formato dal padiglione auricolare e dal meato acustico o uditivo
esterno, si tratta di un canalino che arriva in profondità fino alla membrana timpanica o
timpano.
Queste sono parti visibili e palpabili dell’orecchio che si sviluppano lateralmente rispetto
alla faccia, mentre le restanti parti si trovano più in profondità e si sviluppano in rapporto
con l’osso temporale, un osso del cranio.
✓ Orecchio medio: piccola cavità ripiena di aria
separata dall’orecchio esterno dal timpano ed è
una cavità che contiene 3 ossicini chiamati: staffa,
incudine e martello, con la funzione di ampliare le
onde sonore.
È una cavità che comunica, tramite la tuba uditiva
o tuba di Eustachio, anche con la rinofaringe.
✓ Orecchio interno: sede dell’organo dell’udito e
dell’equilibrio.
La membrana timpanica separa l’orecchio esterno dall’orecchio medio, è una cavità
ripiena di aria che arriva tramite la tuba uditiva, perciò dall’interno tramite la rinofaringe.
È fondamentale che la pressione dell’aria che grava sul timpano, proveniente dall’esterno e
dall’interno sia la stessa e questo avviene normalmente in condizioni fisiologiche.
Solo in queste condizioni il timpano non si lesiona e vibra bene.

La tuba uditiva però può essere un veicolo di patogeni che possiamo aver inalato con l’aria
atmosferica e quindi che arrivano da naso e gola verso l’orecchio medio, perciò può essere causa
di otiti medie, ossia infiammazioni dell’orecchio medio.
Una rinite o una faringite, possono trasformarsi in un’otite media.
Le otiti medie sono più comuni nei bambini perché questi hanno le tube uditive più corte e dirette
orizzontalmente quindi eventuali patogeni fanno prima a risalire nell’orecchio medio.

Orofaringe e laringofaringe
Orofaringe e laringofaringe sono funzionalmente associate all’apparato digerente.
Il cibo passa dalla cavità buccale in orofaringe, poi in laringofaringe per raggiugere l’esofago e
passare attraverso le vie digestive.
Poiché questi 2 tratti faringei sono attraversati dal cibo, presentano una differente mucosa rispetto
alla mucosa respiratoria, ossia presentano una mucosa con un epitelio
pavimentoso pluristratificato perché è un epitelio ad azione protettiva,
cioè resiste alla potenziale usura operata dal bolo.
Inoltre sono presenti le tonsille palatine e linguali che si localizzano
precisamente a livello dell’orofaringe.
Le tonsille palatine sono situate in profondità lateralmente, mentre la
tonsilla linguale si sviluppa in corrispondenza della radice della lingua
dorsalmente.

L’insieme di tutte le tonsille che si sviluppano a livello dei tratti della


faringe costituisce quello che anatomicamente è detto anello linfatico
della faringe o del Waldayer.
Si tratta di un insieme di tonsille, aggregati linfoidi che formano un
importante presidio immunologico, quindi difensivo nei confronti di
patogeni o sostanze estranee che possono entrare all’interno
dell’organismo attraverso la cavità buccale e le cavità nasali, cavità che
comunicano con l’ambiente esterno.

La parete anteriore della faringe è interrotta a 3 livelli ed è discontinua.


Presenta un’apertura superiore, le coane che la mettono in comunicazione anteriormente con le
cavità nasali, poi un’apertura intermedia, l’istmo delle fauci che la mette in comunicazione con la
cavità buccale e infine, inferiormente è presente l’adito faringeo, ossia l’apertura superiore della
laringe che la mette in comunicazione con la laringe per il passaggio dell’aria.
La laringe è situata anteriormente alla laringofaringe.

La parete posteriore della faringe invece, è continua e


caratterizzata da muscoli.
Si distinguono:

❖ Muscoli interni: muscoli disposti longitudinalmente e


verticalmente e sono i cosiddetti muscoli elevatori
della faringe, ossia muscoli che contraendosi
permettono di sollevarla e questo avviene durante la
deglutizione.
Il sollevamento impedisce che il cibo passi in laringe durante la
deglutizione.
❖ Muscoli esterni: rappresentanti dai muscoli costrittori della faringe
distinti in costrittore superiore, medio e inferiore.
Costituiscono lo strato circolare e muscolare esterno e contraendosi
in modo ritmico e sequenziale facilitano la discesa del bolo verso
l’esofago.

Il tratto inferiore della laringe, lateralmente viene in rapporto con il fascio


vascolo-nervoso del collo: arteria carotide, vena giugulare e nervo vago.

Laringe
L’aria dopo aver attraversato la faringe, imbocca la laringe, un tratto di pertinenza soltanto delle
vie respiratorie.
La laringe è un organo cavo che si sviluppa a livello del collo, precisamente si estende tra la 3° e la
6° vertebra cervicale, si sviluppa davanti alla laringofaringe, ossia al tratto inferiore della faringe.
La laringe collega la faringe con la trachea.
Presenta un diametro di circa 4 cm.
Ha una forma cilindrica sostenuta da formazioni cartilaginee articolate tra loro e unite da
legamenti e membrane connettivali.
Dalla laringe in poi, tutti i successivi tratti delle vie respiratorie, sono sostenuti da cartilagini.
Possiede comunque un’impalcatura scheletrica perché le vie respiratorie vanno sempre
mantenute pervie, non possono collassare, l’aria deve sempre passare.
È perciò costituita da muscoli striati distinti in:

➢ Muscoli intrinseci: originano e terminano sulle cartilagini della laringe e sono coinvolti nel
meccanismo della fonazione
➢ Muscoli estrinseci: si portano dalle cartilagini della laringe alle formazioni vicine, in
particolare a faringe e osso ioide e sono muscoli che ci permettono di sollevarla e
muoverla durante la deglutizione, in modo tale che il bolo non la raggiunga, ma proceda
attraverso le vie digestive

La laringe superiormente è delimitata dalla radice della lingua,


posteriormente viene in rapporto con la laringofaringe e
inferiormente si continua con la trachea.
È sostenuta da diverse cartilagini, superiormente collegata all’osso
ioide tramite una membrana connettivale.
L’osso ioide è situato a livello della parete anteriore del collo
propriamente detto, quindi inferiormente si continua con la trachea.

Le cartilagini laringee impari sono 3 e sono chiamate cartilagine tiroidea, cricoidea ed epiglottide.
La cartilagine tiroidea è la cartilagine superiore costituita da 2 lamine che si uniscono
medialmente in modo da formare un angolo acuto anteriormente che corrisponde ad una
prominenza anteriore del collo detta pomo d’Adamo, il quale risulta più
sporgente nei maschi.
Al di sotto della cartilagine tiroidea è presente la cartilagine cricoidea a
forma di anello completo che risulta più sottile anteriormente e più larga
posteriormente.
Infine troviamo la cartilagine epiglottide che ha la forma di una foglia
con il picciolo che si attacca interamente in corrispondenza dell’angolo
che si costituisce tra le 2 lamine della cartilagine tiroidea.
L’epiglottide sporge supero-posteriormente rispetto all’osso ioide.
Sono poi presenti una serie di cartilagini pari dette cartilagini aritenoidi,
corniculate e cuneiformi.
Le cartilagini aritenoidee si sviluppano superiormente rispetto alla parte
posteriore della cartilagine cricoidea.
Queste cartilagini sono collegate con l’osso ioide e tra loro da legamenti e membrane, inoltre
danno attacco a muscoli.

La laringe è un tratto di conduzione di pertinenza delle vie respiratorie.


Adotta dei meccanismi finalizzati ad impedire l’entrata del bolo verso le sottostanti vie respiratorie
durante la deglutizione.
È la sede dell’organo della fonazione, ossia della produzione dei suoli e della voce rappresentato
dalle corde vocali.
Infine è caratterizzata da un particolare restringimento, uno sfintere detto rima della glottide.

Durante la respirazione, l’epiglottide è nella posizione verticale, per permettere il


flusso dell’aria verso le sottostanti vie respiratorie.
Durante la deglutizione (cibo, fluidi o saliva) l’epiglottide grazie all’attività dei
muscoli laringei estrinseci che sollevano la laringe, per cui l’epiglottide si pone
orizzontalmente e chiude l’adito laringeo (l’entrata alla laringe) tale per cui il
cibo/bolo passa in laringofaringe e proseguire attraverso le vie digestive.

Si possono notare, a livello della cavità laringea, 2 paia di pieghe, quindi il lume non
risulta lineare, ma mostra un paio di sporgenze che si proiettano internamente.
Tutto ciò dipende dalla particolare disposizione delle cartilagini laringee e delle
membrane o legamenti che le collegano tra loro e sono complessivamente disposti
in modo tale da determinare lo sviluppo di 2 paia di pieghe che sporgono verso la
cavità laringea.
Queste pieghe sono poi rivestite di mucosa.
Il paio di pieghe superiori corrispondono alle cosiddette pieghe vestibolari o
corde vocali false, così definite perché non vibrano al passaggio dell’aria,
mentre il paio di pieghe inferiori sottostanti e che sporgono più
internamente, corrispondono alle pieghe vocali o corde vocali vere, così
chiamate perché vibrano al passaggio dell’aria e sono
loro l’organo della fonazione, responsabili della
produzione dei suoni della voce.
Inoltre lo spazio, quindi la fessura compresa tra le 2
pieghe vocali è detta rima della glottide e rappresenta il
punto più stretto delle vie respiratorie per il passaggio
dell’aria.
Tale apertura, grazie all’azione dei muscoli laringei
intrinseci può variare, si regola cioè la quantità di aria che
passa e la vibrazione delle corde vocali che producono
suoni.
Infatti le corde vocali si possono addurre o abdurre completamente.
La rima è chiusa durante la deglutizione (1, 2 secondi) per evitare che
piccoli corpi estranei che hanno superato l’adito laringeo possano
superare anche la rima della glottide per non permettere il loro
raggiungimento nei polmoni, infatti nel caso in cui accidentalmente
sostanze solide o liquide vengano a contatto con la superficie delle corde
vocali, si scatena una tosse riflessa a funzione protettiva.
Inoltre la rima è chiusa prima di parlare perché le corde vocali vibrano e quindi i suoni sono
prodotti in seguito all’espirazione, prima di tossire, quando si vuole aumentare la pressione
endoaddominale.

Le corde vocali vibrano durante l’espirazione, quindi la produzione dei suoni avviene in seguito
all’espirazione.
Il linguaggio, ossia l’articolazione della parola, è diverso dalla fonazione, esso infatti si forma grazie
all’attività di molti altri muscoli come i muscoli della lingua, della mandibola, delle labbra, delle
guance, dalla presenza o assenza di denti…

Trachea
La trachea si estende dalla cartilagine cricoide, quindi dalla cartilagine inferiore della laringe che si
colloca all’altezza della 6° vertebra cervicale, fino a livello della 4-5° vertebra toracica dove poi la
trachea termina suddividendosi nei 2 bronchi primari di destra e di sinistra che poi entrano verso i
rispettivi polmoni.
È un organo cavo sostenuto da una successione di anelli
cartilaginei, circa 18-20, che permettono di mantenerla pervia e
posteriormente, dove la trachea viene in rapporto con l’esofago,
risultano incompleti.
Questi anelli vengono di fatto completati da una parte
deformabile identificata con il termine di parete membranacea
della trachea, costituita da fibre elastiche e dal muscolo
tracheale, un muscolo liscio.
Questa parte deformabile permette all’esofago, con il quale viene in rapporto posteriormente,
durante il passaggio del cibo di potersi distendere, quindi parte della trachea si distende in funzione
dello stato di riempimento dell’esofago.
Inoltre grazie alla presenza di questo muscolo tracheale, la trachea può diminuire o aumentare il
suo diametro in base alle esigenze respiratorie e allo stato di ossigenazione del sangue.
In caso di ipossia tissutale, ossia bassa concentrazione di O2 nei tessuti, il muscolo si rilassa in modo
da poter aumentare il calibro della trachea e far passare un maggiore quantitativo di aria ai
polmoni, mentre in caso di concentrazione ottimale di O2 a livello tissutale, il
muscolo può anche costringersi e quindi ridurre il calibro della trachea e, di
conseguenza, ridurre la quantità di aria destinata ai polmoni.

La trachea termina in cavità toracica dividendosi nei 2 bronchi principali o


primari che poi, tramite l’ilo polmonare, entrano nei rispettivi polmoni.
I bronchi primari si dividono e via via si ramificano fino a costituire il cosiddetto
albero bronchiale intrapolmonare, una successione di ramificazioni bronchiali
di calibro via via sempre minore che continueranno ad avere la funzione di
trasporto dell’aria.

L’ilo polmonare è un’apertura che si apre a livello della faccia mediale dei
polmoni attraverso la quale transitano le formazioni che si devono portare o che
provengono dai polmoni come i 2 bronchi extrapolmonari che corrispondono ai
rami terminali della trachea, le arterie polmonari e le vene polmonari.

AREE RICONOSCIBILI A LIVELLO POLMONARE


Le aree polmonari sono individuabili sia anatomicamente sia funzionalmente
perché risultano essere aree indipendenti tra loro sia per quanto riguarda la
ventilazione, sia per quanto riguarda l’irrorazione.
Ciò significa che si tratta di aree raggiunte da rami bronchiali propri che trasportano l’aria e da
rami vascolari propri di pertinenza dell’arteria polmonare e dell’arteria bronchiale propri.

Le più grandi aree evidenziabili superficialmente a livello polmonare sono i


cosiddetti lobi polmonari: 3 a destra e 2 a sinistra.
Il polmone di destra è più grande del polmone di sinistra e sono
contrassegnati dallo sviluppo di profondi solchi.
I lobi sono forniti da rami bronchiali propri detti bronchi lobari.
Ogni lobo è poi suddivisibile, ossia costituito da parte più piccole dette zone o
segmenti raggiunte e fornite da bronchi zonali o segmentali propri.
Ogni segmento è poi costituito da circa 100 aree più piccole
dette lobuli, rifornite dai bronchioli lobulari.
Infine ogni lobulo è costituito da unità più piccole dette acini, si
costituiscono circa 10-15 acini per ogni lobulo.
Gli acini che sono le unità costitutive del lobulo e quelle più
piccole del polmone sono raggiunte dai bronchioli terminali che
rappresentano le ultime e più piccole ramificazioni bronchiali a
funzione di conduzione.

I bronchioli terminali, una volta entrati all’interno degli acini, vanno a costituire delle ramificazioni
bronchiali le cui pareti cominciano ad estroflettersi nella costituzione degli alveoli polmonari.
Ogni bronchiolo terminale si suddivide poi in 2 bronchioli respiratori che si suddividono nei dotti
alveolari che poi terminano con i sacchi alveolari.
Si parla quindi di parenchima polmonare o porzione respiratoria perché solo in corrispondenza
degli alveoli polmonari avvengono gli scambi gassosi tra aria e sangue.

La porzione respiratoria, quindi quella funzionale dei polmoni è sostenuta dai bronchioli respiratori
le cui pareti si iniziano ad estroflettere in alveoli e che formano i dotti alveolari
che terminano con delle dilatazioni a fondo cieco dette sacchi alveolari la
cui parete è completamente estroflessa in alveoli che presentano una parete
sottilissima che viene in rapporto con i capillari polmonari e corrispondono
alle ultime ramificazioni dell’arteria polmonare e che contengono sangue
deossigenato in ritorno da tutte le cellule del corpo che viene a contatto con
l’aria ricca di O2 contenuta negli alveoli polmonari.
La CO2 del sangue dei capillari è ceduta all’aria degli alveoli, mentre l’O2
dell’aria alveolare passa nel sangue dei capillari.
A questo punto l’aria ricca di CO2 viene espulsa dai polmoni, mentre il sangue dei capillari
polmonari ricco di O2 confluiscono tra loro andando a costituire le vene polmonari ricche di
sangue ossigenato che ritorna all’atrio sinistro del cuore che poi passa al
ventricolo sinistro e confluisce nell’aorta lungo il circolo sistemico.

Si parla di membrana respiratoria o barriera aria-sangue riferendosi al


sottile spazio che separa l’aria contenuta negli alveoli polmonari dal
sangue contenuto nei capillari polmonari e ha uno spessore che varia da
0.2 a 7 μm.
I capillari si prendono l’O2 e cedono all’aria alveolare la CO2 che viene
espirata attraverso le vie respiratorie.

Progressive modificazioni della struttura della parete dell’albero bronchiale


Man mano che i bronchi diminuiscono di calibro si riduce la componente cartilaginea, quindi il
sostegno rigido.
Si parte da anelli cartilaginei che si dissolvono già a partire dai bronchioli zonali in placche
cartilaginee fino a scomparire nei bronchioli con un diametro di 1 mm.
Contestualmente aumenta la componente muscolare liscia che permette di regolare il calibro dei
bronchi e quindi la quantità d’aria che raggiunge gli alveoli polmonari in relazione alle diverse
esigenze funzionali dell’organismo.
Inoltre aumenta la quantità di fibre elastiche, fondamentali nelle modificazioni di volume del
polmone in generale e in particolare nell’espirazione.
Infatti durante l’inspirazione le fibre elastiche vengono stirate, quando i muscoli inspiratori si
rilassano (espirazione) esse ritornano alle loro dimensioni facilitando la fuoriuscita dell’aria dagli
alveoli.

L’enfisema polmonare solitamente si associa a perdita o rottura delle fibre elastiche.


Il polmone tende a restare completamente espanso e l’espirazione diventa sempre più difficile,
completamente dipendente dai muscoli espiratori.

Inoltre si assiste ad una diminuzione di spessore della mucosa respiratoria, scompaiono le


ghiandole mucose e le cellule caliciformi e l’epitelio respiratorio da cilindrico pseudostratificato
con ciglia diventa piatto e senza ciglia come nella barriera aria-sangue o nella membrana
respiratoria.

A livello dell’ilo polmonare entrano: bronco extrapolmonare, arteria polmonare e arterie bronchiali,
mentre escono: vene polmonari e vene bronchiali.

APPARATO URINARIO

L’apparato urinario è costituito da un insieme di organi il cui compito principale è quello di


controllare la composizione e il volume di sangue mediante la produzione ed escrezione di urina.
Queste funzioni escretorie vengono svolte dai 2 reni che sono gli organi
in cui avviene la produzione dell’urina.
L’urina prodotta dai reni viene poi convogliata all’interno delle vie
urinarie o escretrici che iniziano a livello dei reni con i calici renali e la
pelvi e proseguono poi negli ureteri, nella vescica e nell’uretra.
I reni sono organi pieni, mentre le vie escretrici o urinarie sono organi
cavi che costituiscono una sorta di sistema idraulico di trasporto
dell’urina dai reni all’esterno del corpo.

L’apparato urinario svolge una funzione complessa definita emuntoria, ovvero è adibito ad
allontanare dal circolo sanguigno e a riversare all’esterno prodotti del metabolismo, in modo
particolare i composti azotati che derivano dalla degradazione delle sostanze proteiche come:
urea, acido urico e creatinina.
La funzione emuntoria non è esclusiva dell’apparato urinario, ma è svolta anche da altri sistemi e
apparati come: intestino, cute e polmoni.
L’apparato urinario rappresenta anche la via di eliminazione di H2O e ioni, pertanto è
indispensabile per la conservazione dell'omeostasi dei fluidi corporei.
È importante, in particolare, per il mantenimento dell’equilibrio idrosalinico per il controllo del pH
ematico.
Infine attraverso l’apparato urinario vengono allontanate diverse sostanze introdotte all’interno
dell’organismo come i farmaci.
Il prodotto finale della funzione emuntoria dei reni si concretizza nella produzione di urina che è una
soluzione acquosa contenete anioni e cationi in eccesso, molti prodotti finali dei normali processi
metabolici dell’organismo e sostanze che se trattenute all’interno dell’organismo e lasciate
accumulare, possono avere un effetto tossico.

I reni sono deputati anche alla produzione di ormoni perché il rene ha una funzione endocrina che
si inserisce in vie metaboliche estremamente importanti come il sistema della vitamina D e il
sistema renina-angiotensina.
Inoltre esso stesso è bersaglio di ormoni, infatti la sua funzione e attività è regolata da ormoni come
l’ADH e l’aldosterone.
L’alterazione di una di queste funzioni comporta conseguenze potenzialmente fatali.

RENI
I reni sono dei voluminosi organi pari parenchimatosi situati nella parete
postero-superiore dell’addome, in posizione retroperitoneale.
Sono localizzati da ciascun lato della colonna vertebrale, tra le vertebre T12
ed L3 e la posizione del rene di destra è influenzata dalla presenza del
fegato posto subito sopra, per questo motivo risulta più basso del rene
sinistro.
I reni sono anche in rapporto con il diaframma, superiormente, per
questo presentano una normale escursione di 3 cm in senso verticale,
durante la respirazione.
Il polo superiore di ciascun rene, è ricoperto dalla ghiandola surrenale.
Entrambi i reni sono localizzati tra i muscoli della parete posteriore
dell’addome e il peritoneo parietale, risultando quindi in posizione
retroperitoneale.

La faccia anteriore del rene di destra è


prevalentemente ricoperta da: fegato,
flessura epatico del colon e duodeno.
La faccia anteriore del rene di sinistra invece, è ricoperta da: milza,
stomaco, pancreas, digiuno e flessura splenica del colon.

Posteriormente i reni vengono in rapporto con il diaframma e la parete


addominale postero-laterale.

I reni sono mantenuti in sede dalla presenza di: rivestimento peritoneale


nella faccia anteriore ai reni, rapporto con gli organi vicini e tessuto
connettivo di sostegno.

Ogni rene viene rivestito da 3 strati concentrici di tessuto connettivo definiti:

• Capsula renale anche detta tonaca fibrosa del rene: strato di


collagene che riveste la superficie esterna del rene, si adatta
al contorno dell’organo e fornisce una protezione meccanica
• Capsula adiposa: circonda la capsula renale
• Fascia renale anteriore e posteriore: costituita da fibre
collagene poste esternamente alla capsula adiposa e
delimita la cosiddetta loggia renale che ancora il rene alle
strutture circostanti
Posteriormente, la fascia renale è unita alla guaina profonda dei muscoli
del dorso, anteriormente invece è unita al peritoneo parietale e si
collega alla superficie anteriore della fascia renale controlaterale.
Uno strato di grasso pararenale separa poi le porzioni posteriore e
laterale della fascia renale dalla parete.

La fascia renale origina dal tessuto connettivo sottoperitoneale che in


vicinanza del rene si inspessisce.
In corrispondenza del margine laterale del rene, la fascia renale si sdoppia in 2 foglietti anteriore e
posteriore.
Superiormente i 2 foglietti si uniscono tra loro, al di sopra delle ghiandole
surrenali andandosi a fissare al diaframma, mentre in basso rimangono
distinti e si vanno a disperdere nel connettivo retroperitoneale.
La loggia renale è chiusa lateralmente e superiormente, mentre è
aperta inferiormente e medialmente comunica con la loggia
controlaterale.

La presenza di questo rivestimento adiposo e connettivale che va a sostenere,


ancorare e proteggere i reni è sia un sistema di ancoraggio sia un sistema di
protezione da traumi che possono andare ad alterare le normali funzioni renali.
Un eccessivo dimagrimento può portare ad una riduzione della quantità di grasso a
livello della capsula adiposa con conseguente scivolamento verso il basso definito
ptosi renale che può avvenire per stiramento di vasi e ureteri.

I reni presentano una forma a fagiolo appiattito, in senso antero-posteriore, e hanno l’asse
maggiore diretto in basso e postero-lateralmente.
In una persona adulta un rene pesa intorno ai 150-170 g.
Tipicamente un rene è di circa 10-12 cm, largo 6 cm e spesso circa 3 cm.
Ha un colorito rosso-brunastro, la consistenza piuttosto compatta, la
superficie è generalmente liscia e regolare, fanno eccezione alcuni
solchi soprattutto in prossimità dell’ilo.
In ciascun rene si può distinguere: una faccia anteriore convessa, una faccia posteriore più
pianeggiante, un polo superiore arrotondato e un polo inferiore un po’ più appuntito e tagliente.
Il margine laterale è uniformemente convesso, mentre quello mediale è convesso, ma si presenta
più incavato per la presenza dell’ilo, punto di passaggio di: vasi sanguigni, vasi linfatici, nervi e
pelvi renale.
L’ilo dà accesso ad una cavità scavata all’interno del rene che si definisce seno renale.

I reni sono organi pieni quindi sono costituiti da:

o Capsula fibrosa: riveste l’organo, delimita il parenchima, ha una funzione protettiva e si


addentra a livello dell’ilo a rivestire il seno renale
o Parenchima: porzione funzionale dell’organo che assume una configurazione particolare
dove si possono distinguere:
▪ Porzione midollare: aspetto striato
▪ Porzione corticale: aspetto convoluto e radiato che si insinua anche nella midollare
o Stroma: struttura di sostegno principalmente occupata dalla rete vascolare

Capsula fibrosa
Il rene, in superficie, è rivestito dalla capsula fibrosa costituita da una sottile membrana
connettivale resistente, trasparente e dalla cui superficie interna si
dipartono dei tralci che per un breve tratto si addentrano nel
parenchima renale.
In condizioni normali, la capsula fibrosa si può facilmente
distaccare dall’organo.
A livello dell’ilo la capsula si estende a rivestire anche le pareti del seno renale, fondendosi con la
tonaca avventizia di calici e vasi sanguini senza però penetrare all’interno del parenchima.
Dal punto di vista istologico, la capsula è costituita da strati di tessuto connettivo ricco di fibre
collagene e fibre elastiche.
Tra capsula e parenchima renale si trova un esule strato di miocellule lisce lievemente intrecciate
che vanno a formare la tonaca muscolare.

Parenchima renale
Il parenchima renale presenta 2 aspetti morfologici che permettono di individuare 2 zone distinte:
una zona profonda definita zona midollare disposta attorno al seno renale e al suo contenuto e
una zona più superficiale detta zona corticale che avvolge la zona midollare.

La zona midollare si presenta tipicamente di colore rossastro e risulta nell’insieme organizzata in un


numero variabile di 8-18 formazioni coniche che prendono il nome di piramidi renali, disposte con
la base convessa rivolta verso la periferia e si continuano con la zona corticale, mentre con il loro
apice arrotondato si sporgono a livello del seno renale andando a formare le papille renali.
2 o più piramidi possono fondersi in corrispondenza dell’apice e in tal caso, una singola papilla
renale, rappresenta l’apice comune di più papille renali e si parla di cresta renale.
Per questo il numero delle papille è tipicamente minore rispetto a quello delle piramidi renali.
L’estremità libera delle papille, detta area cribrosa, è caratterizzata da
15-30 forellini che corrispondono allo sbocco dei dotti papillari.
Ciascuna papilla è circondata, alla base, da un calice minore che
raccoglie l’urina e in essa sporge la sua area cribrosa.

La zona corticale appare di aspetto più granuloso, ha un colorito che


tende al giallastro, possiede una consistenza minore rispetto alla zona
midollare ed è situata tra la base delle piramidi e la superficie esterna
dell’organo, ma si spinge anche tramite le piramidi separandole tra loro e
andando a costituire le cosiddette colonne renali che si spingono fino a raggiungere il seno renale
dove determinano le sporgenze interpapillari.
La zona corticale presenta, a sua volta, 2 tipi di conformazioni, infatti è distinta in: porzione radiata
e porzione convoluta.
La porzione radiata è costituita da un complesso di prolungamenti conici e assai sottili detti raggi
midollari che originano dalla base delle piramidi e percorrono radialmente la corticale
assottigliandosi progressivamente e arrestandosi a breve distanza dalla superficie del rene.
La porzione convoluta invece, occupa gli spazi tra i raggi midollari e si spinge in profondità
andando a costituire le colonne renali.
Questa particolare disposizione è determinata dalla peculiare localizzazione dei diversi
componenti del nefrone che si vanno a posizionare in modo estremamente preciso e che a livello
macroscopico determinano la comparsa di queste strutture.

Convenzionalmente il parenchima renale viene distinto in lobi e lobuli renali.


Per lobo s’intende la porzione di parenchima che corrisponde ad
una priamide renale e alla corticale corrispondente.
In questo caso il numero di lobi è uguale al numero di piramidi
renali.
Per lobulo invece, s’intende la porzione di parenchima relativo alla
sola zona corticale ed è costituito da un solo raggio midollare e
dalla parte convoluta che lo circonda, è quindi delimitato in modo incompleto dai vasi sanguigni
che percorrono medialmente la zona corticale.
Per cortex corticis, s’intende la parte più superficiale della zona corticale ed è priva dei corpuscoli
renali.
ANATOMIA MICROSCOPICA DEL RENE
Il rene è un organo composto da circa 1 milione di unità funzionali chiamate nefroni, dove avviene
la produzione di urina.
Un nefrone è costituito da 2 componenti principali che sono:

1. Corpuscolo renale: adibito alla filtrazione del sangue


2. Tubulo renale: adibito alla trasformazione del filtrato in urina definitiva

La peculiare organizzazione del parenchima renale è dovuta proprio


alla disposizione dei diversi componenti del nefrone.
L’urina inizia la sua formazione nel nefrone, mediante i processi di
ultrafiltrazione, assorbimento e secrezione, viene convogliata poi nei
dotti collettori fino a raggiungere il dotto papillare nella piramide
renale, confluisce nei calici minori, poi nei calici maggiori, arriva nella
pelvi renale, viene convogliata nell’uretere e drenata alla vescica.

Nefrone
Il nefrone è formato dalle seguenti strutture:

✓ Corpuscolo renale: costituito da un gomitolo di vasi capillari


definiti glomerulo renale, delimitato da un rivestimento epiteliale
definita capsula di Bowmann, in continuità con la parete del
tubulo renale che comincia nel polo urinifero del corpuscolo
renale
✓ Tubulo renale: costituito da diversi tratti:
→ Tubulo contorto prossimale
→ Ansa di Henle formata da: tratto discendente spesso e
sottile e tratto ascendente sottile e spesso
→ Tubulo contorto distale

Zona corticale e zona midollare sono


caratterizzate dalla presenza di differenti porzioni
del nefrone.
I glomeruli e i tubuli contorti distale e prossimale tendono ad essere nella
corticale, mentre i tratti ascendenti e discendenti dell’ansa di Henle sono
posti nella midollare.

Esistono 2 tipologie di nefroni:

a) Nefroni corticali: circa l’80% dei nefroni e hanno i corpuscoli


renali nella porzione più periferica della corticale, l’ansa di
Henle è più corta e protrude di poco all’interno della
midollare
b) Nefroni iuxtamidollari: circa il 15% dei nefroni e sono
caratterizzati da un’ansa di Henle molto lunga che si
approfonda nella piramide renale nella midollare

I nefroni corticali sono in numero maggiore, quindi svolgono la maggior parte della funzione renale,
tuttavia quelli iuxtamidollari sono estremamente importanti perché creano le condizioni necessarie
affinché si possano verificare i processi di assorbimento e secrezione
che portano alla formazione di un’urina deconcentrata.

Tramite i tratti reunienti i tubuli renali confluiscono nei tubuli collettori


che, a loro volta, a livello dell’apice della piramide confluiscono nei
dotti papillari, i quali si aprono in corrispondenza dell’area cribrosa della
papilla renale immettendo l’urina nei calici minori che corrispondono al
primo tratto delle vie urinarie.
La zona corticale è costituita da una parte convoluta formata dai corpuscoli renali del Malpighi e
dai tubuli contorti distale e prossimale, mentre la parte radiata e i raggi midollari sono costituiti
dall’ansa di Henle e dai dotti collettori, oltre ai vasi sanguigni.
La zona midollare ha un aspetto striato ed è costituita dai rami discendenti e ascendenti delle anse
di Henle, dai dotti collettori e papillari e dai vasi sanguini ad essa annessi.
L’aspetto striato della midollare è dovuto dalla presenza di elementi tubulari ad andamento
rettilineo e parallelo fra loro.

A livello del corpuscolo renale avviene la filtrazione o meglio l’ultrafiltrazione, in cui si ha il


passaggio di liquido dal sangue al nefrone.
Questo liquido porta sia scorie sia sostanze utili per l’organismo che non devono essere perse.
Questo ultrafiltrato poi deve essere nuovamente rielaborato.
Il processo di riassorbimento avviene a livello del tubulo renale e consente il riassorbimento di
sostanze utili come il glucosio che sono riportate al sangue.
Il processo di secrezione permette ad alcune sostanze come ioni H o anche farmaci, di essere
aggiunti al fluido tubulare, quindi alla preurina, per
essere eliminate dall’urina mediante dei processi di
secrezione attiva.
Infine viene messo in atto il processo di conservazione
dell’H2O grazie al riassorbimento di quantità variabili di
H2O dal liquido tubulare, in modo che il corpo elimini le
scorie metaboliche senza perdere una quantità
eccesiva dell’H2O.

Corpuscolo renale
Il corpuscolo renale è costituto da glomerulo arterioso e capsula glomerulare o di Bowmann.
Si identificano un polo vascolare e un polo urinifero.
L’arteriola afferente, quindi il sangue proveniente dalla
circolazione sistemica, penetra a livello del polo vascolare e si
risolve immediatamente in un gomitolo di capillari definito
glomerulo e dopo un decorso ad ansa, si riuniscono in
corrispondenza, sempre del polo vascolare, in un’arteriola
efferente che abbandona il corpuscolo renale.
Nei glomeruli possiamo quindi affermare che si costituisce una
rete mirabile arteriosa, ovvero una rete capillare interposta tra 2 arteriole.
Attraverso questa rete mirabile il sangue circola ad elevata pressione e
questa rappresenta la forza motrice del processo di ultrafiltrazione.
La capsula di Bowmann è formata da 2 foglietti parietale e viscerale, in
continuità.
A livello del polo vascolare, il foglietto parietale della capsula di Bowmann
si riflette e si continua nel foglietto viscerale che si applica a tutte le anse
dei capillari del glomerulo.
In corrispondenza del polo urinifero, situato all’estremità opposta di quello vascolare, si origina il
tubulo renale.
A questo livello, il foglietto parietale della capsula glomerulare continua con la parete del tubulo
renale e di conseguenza, la camera glomerulare che è uno spazio che intercorre tra il foglietto
parietale della capsula e la rete di capillari tappezzata dal foglietto viscerale della capsula, si
accumula l’ultrafiltrato che viene raccolto e convogliato direttamente verso il tubulo renale dove
subisce tutti i processi di modificazione del suo contenuto.

Podociti
Il foglietto viscerale della capsula di Bowmann è costituito da particolari tipi cellulari definiti
podociti, i quali appaiono come degli elementi a forma stellata con un corpo voluminoso e
rigonfio che sporge dallo spazio capsulare, da cui si dipartono delle estroflessioni che si estendono
e abbracciano i capillari sottostanti.
Tali processi primari dei podociti si associano a processi secondari detti pedicelli che si dispongono
anch’essi attorno al glomerulo, andandosi ad intersecare con i pedicelli dei podociti attigui dando
luogo ad un sistema estremamente intricato di fessure intercellulari attraverso le quali il filtrato
plasmatico deve passare per raggiungere lo spazio capsulare.
Le fessure che si formano sono definite fessure di filtrazione e sono
chiuse da dei diaframmi di filtrazione che impediscono la fuoriuscita
dal glomerulo di sostanze importanti come proteine di grosse
dimensioni cui si aggiunge un filtro elettrostatico visto che i pedicelli
possiedono un glicocalice carico negativamente che impedisce la
fuoriuscita di molecole a carica negativa.

Ogni sostanza che lascia il circolo sanguigno deve passare attraverso una barriera detta
membrana di filtrazione composta da 3 strati:

I. Endotelio capillare: fenestrato, grande circa 50-100


nm con il compito di trattenere cellule del sangue e
piastrine
II. Lamina basale: costituita da proteoglicani con
cariche negative, posta al di sotto delle cellule
endoteliali, trattiene proteine plasmatiche
III. Diaframmi di filtrazione: grandi 4-14 nm (alcuni
riportano meno) e rappresentano un ulteriore filtro

La filtrazione è un processo passivo perché è guidato solamente dalla


pressione intraglomerulare presente nel glomerulo arterioso, cui si oppone la
pressione osmotica dovuta alla concentrazione proteica sanguigna nel
glomerulo arterioso.
In questo processo si inserisce la membrana di filtrazione che conferisce
selettività all’ultrafiltrato, quindi l’ultrafiltrato che ne deriva viene accumulato
nello spazio capsulare e convogliato al tubulo dove subirà ulteriori
modificazioni.

Cellule del mesangio


Tra i capillari glomerulari sono inserite le cosiddette cellule del mesangio, ossia un tessuto
connettivo costituite da cellule mesangiali immerse in una matrice priva di componente fibrosa.
Queste cellule fungono da sostegno dei capillari glomerulari, hanno la capacità contrattile che
permette loro di regolare il calibro dei capillari, sono recettori
per sostanze vasocostrittrici (angiotensina II) regolando
l’afflusso di sangue al glomerulo, sono fagociti coinvolti nel
turnover della lamina basale poiché fagocitano cellule e
molecole rimaste «intrappolate» nella lamina basale/densa.

La presenza di sangue o di proteine nelle urine, condizioni chiamate rispettivamente ematuria o


proteinuria (albuminuria) possono essere segni di infezioni renali, di traumatismi e di altre malattie
renali.
Anche lo sforzo fisico eccessivo che altera la circolazione renale può alterare la funzionalità
glomerulare.

Tubulo renale
Nel tubulo renale costituito da: tubulo contorto prossimale, ansa di Henle e
tubulo contorto distale, avviene, in diverse fasi e con diversi meccanismi, la
modificazione della preurina attraverso processi di riassorbimento e
secrezione finalizzati alla trasformazione della preurina in urina definitiva ai fini
di recuperare H2O e sostanze utili ed eliminare sostanze tossiche (grandi) che
non hanno attraversato la membrana di filtrazione vengono convogliate
nell’urina lungo il tubulo come: farmaci (es. aspirina, penicillina, morfina…), ammonio, urea, acido
urico…

Il tubulo contorto prossimale inizia a livello del polo urinifero del corpuscolo, che a sua volta e in
posizione simmetrica e opposta al polo vascolare, ed è la sede del tubulo renale in cui avviene un
massiccio e massivo riassorbimento attivo di ioni (Cl, Na e K) cui segue un
riassorbimento passivo di H2O di circa l’80-85% presente nell’ultrafiltrato
glomerulare.
Inoltre riassorbe quasi tutti gli aa e i peptidi presenti nell’ultrafiltrato.

Al tubulo contorto prossimale segue l’ansa di Henle che presenta un primo


tratto discendente verso la zona midollare nella quale penetra più o meno
profondamente a seconda del tipo di nefrone, cui fa seguito, dopo un
tratto a U, un tratto ascendente.
I 2 tratti ascendente e discendente, hanno differenti caratteristiche in
termini di permeabilità ad H2O, soluti e capacità di pompare o meno in
modo attivo molecole da e verso il loro interno.
Complessivamente queste 2 porzioni dell’ansa operano attraverso un meccanismo noto come
moltiplicazione osmotica controcorrente che è molto efficace nei nefroni iuxtamidollari.
Le anse di Henle assorbono circa il 15% dell’ultrafiltrato.

Il tubulo contorto distale è la sede in cui prosegue il riassorbimento attivo di


ioni Na, seguito dall’H2O e regolato dall’aldosterone prodotto dalla
corticale del surrene sotto lo stimolo del sistema renina-angiotensina.

Il tubulo contorto distale che rappresenta l’ultimo tratto del nefrone si apre
nel sistema dei tubuli collettori che comprende: condotti reunienti, collettori
e papillari.
Oltre a trasportare il fluido tubulare dal nefrone alla pelvi renale, il sistema
collettore provvede anche a regolare definitivamente il volume e la
concentrazione osmotica, in particolare i dotti collettori sono impermeabili
all’H2O, in assenza di ADH.
A livello dei dotti collettori quindi può avvenire un ulteriore riassorbimento di H2O variabile e
indipendente dal Na.
In presenza di ADH, i dotti diventano permeabili all’H2O che esce dai tubuli attratta
dall’iperosmolarità dell’interstizio.

APPARATO IUXTAGLOMERULARE
Un ruolo centrale nel monitorare il liquido che entra nel tubulo contorto
distale e nel modificare le prestazioni e gli effetti dell’attività del nefrone è
svolta dall’apparato iuxtaglomerulare che è costituito da elementi
vascolari e tubulari del nefrone che, interagendo tra loro, sono in grado di
controllare la pressione arteriosa sistemica e il processo di filtrazione
glomerulare.
L’apparato iuxtaglomerulare è costituito, nello specifico, da: cellule della
macula densa, cellule iuxtaglomerulari e cellule del mesangio extraglomerulare.

Le cellule della macula densa sono cellule che costituiscono la parete del tubulo contorto distale
in corrispondenza del polo vascolare del corpuscolo renale di origine.
Si interpongono tra arteriola afferente ed efferente, infatti a questo livello le cellule del tubulo si
modificano diventando più sottili e dense.
Le cellule della macula densa rilevano modificazioni nella composizione del contenuto tubulare e
agiscono come osmocettori sensibili soprattutto alla concentrazione di Na e Cl all’interno del
tubulo che determinano modificazioni strutturali delle cellule stesse che inducono sostanze ad
azione paracrina che determinano il rilascio di renina da parte delle cellule iuxtaglomerulari.
A livello dell’arteriola afferente sono presenti le cellule iuxtaglomerulari che sono cellule della
muscolatura liscia modificate che per la loro localizzazione subiscono delle stimolazioni in funzione
della pressione del sangue che scorre all’interno dell’arteriola afferente, agendo perciò come dei
barocettori e immettendo in circolo la renina in quantità variabile secondo i valori pressori presenti
all’interno dell’arteriola afferente anche in relazione ai rapporti
paracrini stabiliti con la macula densa e il mesangio
extraglomerulare.

L’azione della renina è di tipo ipertensivo, quindi la renina agisce


trasformando l’angiotensinogeno in angiotensina I che poi viene
trasformata dall’enzima convertasi ACE in angiotensina II, la quale
possiede un’azione costrittiva a livello della muscolatura liscia delle
arteriole che diminuiscono il loro calibro e determinano un aumento
della pressione arteriosa.
Inoltre l’angiotensina II determina il rilascio dell’aldosterone da parte
della corticale del surrene inducendo il riassorbimento di Na a livello
del tubulo contorto distale, cui segue un riassorbimento di H2O e
ulteriore aumento della pressione sanguigna.

Le cellule mesangiali extraglomerulari sono in diretta comunicazione con le cellule mesangiali


iuxtaglomerulari e agiscono come dei mediatori tra macula densa e cellule iuxtaglomerulari,
ovvero è noto che esse abbiano capacità contrattile e possiedano i recettori per l’angiotensina II e
per altre sostanze con attività sia vasocostrittrice sia vasodilatatoria.
La contrazione o il rilasciamento delle cellule mesangiali, indotto da tali sostanze vasoattive, è in
grado di modulare il flusso sanguigno all’interno dei capillari glomerulari.

VASCOLARIZZAZIONE DEL RENE


In media l’apporto sanguigno che giunge ai reni è di circa 1,5 L al minuto.
I reni hanno un sistema vascolare di tipo terminale, infatti l’arteria
renale penetra all’interno dell’ilo del rene e si divide in 5 arterie
segmentali che dividono il rene in 5 zone vascolarizzate
indipendentemente.
Dalle arterie segmentali nascono le arterie interlobari che corrono
ai lati delle colonne renali, accanto alle piramidi midollari,
raggiungendo la zona corticale.
In corrispondenza del confine cortico-midollare, queste arterie si
suddividono dicotomicamente dando origine alle arterie arciformi
o arcuate.

Le arterie intralobulari si dirigono verticalmente all’interno della corticale, verso la superficie del
rene.
Le arterie intralobulari danno origine a: arteriole afferenti che
penetrano all’interno del
glomerulo, glomerulo renale
quindi alla ramificazione dei
capillari all’interno del glomerulo,
per poi formare un’unica arteriola
efferente che abbandona il
glomerulo.

Le arteriole efferenti danno origine ad una serie di capillari peritubulari così


denominati perché formano una rete attraverso i tubuli del nefrone e sono
coinvolti negli scambi di H2O e soluti con la preurina presente all’interno dei
tubuli renali.
Nei pressi della giunzione cortico-midollare, alcune arteriole efferenti
originano i vasa recta ossia rami che decorrono verticalmente all’interno
della midollare accompagnando i dotti e i sistemi tubulari.
Alcuni vasa recta dette anche arterie rette vere, originano direttamente
come rami di un’arteria arcuata e drenano direttamente una vena
arcuata.

La rete di capillari peritubulari confluisce nelle tributarie venose che


danno origine a: vene intralobulari, vene arcuate, vene interlobari e
infine confluiscono nella vena renale.

RENE ENDOCRINO
Il rene possiede anche importanti funzioni endocrine.
I fibroblasti peritubulari producono l’eritropoietina che è il principale
regolatore dell’eritropoiesi, prodotta per il 90% a livello renale e per il
10% a livello epatico.
La sua produzione a livello renale risiede nel fatto che le cellule della corticale hanno un elevato
metabolismo aerobico e quindi sono ottimi sensori dei livello di O2.
La produzione di eritropoietina è regolata dall’apporto di O2 ai tessuti e una condizione di ipossia
provoca una produzione di eritropoietina che agisce a livello del midollo osseo e sulle fasi iniziali
dell’eritropoiesi.
Inoltre l’eritropoietina è anche una sostanza dopante, proprio per questa sua attività regolatoria
dell’eritropoiesi.
Le prostaglandine provocano una dilatazione dei vasi ematici della midollare proteggendo la
funzione renale da eccessi di ormoni vasocostrittori e partecipano in modo determinante
all’autoregolazione del circolo renale.
Il rene interviene anche nel metabolismo della vitamina D e del Ca, dato che è la sede di sintesi
del calcitriolo per azione dell’enzima idrossilasi.
La produzione del calcitriolo è stimolata da un calo dei livelli di Ca-fosfato e da un aumento dei
livelli di paratormone e stimola il riassorbimento renale del Ca.

VIE URINARIE
Le modificazioni del filtrato terminano quando questo arriva a livello dei calici minori.
I tratti successivi dell’apparato urinario quindi: calici urinari,
pelvi, ureteri, vescica e uretra, hanno il solo compito di
accumulare, trasportare ed eliminare l’urina che a livello dei
calici ha già raggiunto la sua composizione definitiva.
Ogni papilla renale, che rappresenta l’apice delle piramidi
renali, è avvolta da una struttura ad imbuto che è il calice
minore che confluisce, con gli altri calici minori, in un calice
maggiore e diversi calici maggiori confluiscono nella pelvi
renale a cui giunge l’urina che da qui si sposta.

Le vie urinarie sono costituite da una serie di organi cavi che hanno una struttura a tonache
sovrapposte.
Caratteristica di queste strutture è la presenza di un epitelio di transizione che è in grado di variare
il suo spessore a seconda del grado di distensione o riempimento dell’organo.
Riveste prevalentemente il lume degli ureteri e della vescica e si tratta di un epitelio pluristratificato
costituito da cellule in grado di scivolare le une sulle altre.

Ureteri
L’uretere è un tubo muscolare che si estende dalla regione
lombare, sede della sua origine, alla piccola pelvi.
La misura della sua lunghezza può variare, ma misura
all’incirca 30 cm.
Gli ureteri si portano dalla pelvi renale, di cui rappresentano la
continuazione, fino alla vescica urinaria.
L’uretere presenta una porzione addominale che decorre
dietro al peritoneo parietale posteriore, poi prosegue nel tratto pelvico che scende nella piccola
pelvi decorrendo dapprima in porzione retroperitoneale poi in porzione sottoperitoneale e l’ultimo
tratto dell’uretere pelvico è compreso nello spessore della parete vescicale, che l’uretere
attraversa con un decorso obliquo, infatti si parla di porzione intramurale o vescicale.

Sono tipicamente presenti 3 restringimenti degli ureteri:

1. A livello dell’emergenza della pelvi renale


2. A livello dell’incrocio con i vasi iliaci
3. All’ingresso della parete della vescica urinaria, nella sua
porzione intramurale

Gli ureteri penetrano nella parete posteriore della vescica senza


entrare in cavità peritoneale e il loro sbocco avviene tramite 2 fessure simmetriche orientate
obliquamente detti sbocchi uretrali.
Questa disposizione impedisce il reflusso dell’urina negli ureteri e nei reni quando la vescica si
contrae.

Gli ureteri sono costituiti da una mucosa rappresentata da un tipico epitelio di transizione che si
solleva in pieghe longitudinali formando un lume stellato che scompare quasi completamente
quando l’organo si distende.
Al di sotto della mucosa è presente una lamina propria con
del tessuto connettivo fibro-elastico.
La tonaca muscolare è responsabile della capacità degli
ureteri di far progredire l’urina al loro interno verso la vescica.
Tipicamente, ritmicamente, i recettori di stiramento presenti
sulla parete uretrale danno il via a contrazioni peristaltiche della parete muscolare a partire dal
rene.
Queste contrazioni aspirano l’urina dalla pelvi renale alla vescica, attraverso gli ureteri.
La tonaca muscolare ha un tipico andamento con uno strato longitudinale interno e circolare
esterno responsabile della progressione dell’urina verso la vescica.

Le cellule superficiali della vescica sono a forma di cupola quando la vescia è vuota,
mentre quando l’organo si distende perché è pieno di urina le cellule si appiattiscono
e l’epitelio diventa più sottile riducendosi di numerosi strati.

Vescica
La vescica è un organo cavo muscolo-membranoso impari che rappresenta il serbatoio dell’urina
in cui vi giunge continuamente attraverso gli ureteri e si deposita.
Raggiunta una certa quantità l’urina viene emessa all’esterno attraverso l’uretra con l’atto della
minzione.
Forma, dimensioni e rapporto della vescica variano in funzione di sesso, età
e dello stato di riempimento della vescica stessa.
Nella vescica vuota la cavità è ridotta pressoché ad una fessura, quando
invece l’urina vi si raccoglie, le pareti vescicali si discostano e si distendono, quindi la faccia
superiore si solleva e si fa più convessa e la vescica acquista una forma globosa o ovoidale.

Nella vescica distesa si può distinguere una base o fondo rivolto in basso e all’indietro, un corpo
che si solleva nella cupola e presenta una faccia anteriore,
una faccia posteriore, 2 facce laterali e un apice che dà
attacco al legamento ombelicale.
La superficie interna della vescica vuota presenta tipicamente
numerose pieghe che si riducono quando l’organo si riempie e
si distende.
In corrispondenza della base si ha un’area triangolare con un
apice anteriore e che è liscia anche quando l’organo è vuoto
e viene definito trigono vescicale.
In corrispondenza degli apici del trigono, si individuano gli orifizi: meato uretrale interno, meato
uretrale anteriore e 2 orifizi postero-laterali detti orifizi uretrali e rappresentano lo sbocco degli
ureteri.

I rapporti della vescica cambiano in base al sesso:

❖ Nel maschio la vescica è separata dal retto per


interposizione delle vescichette seminali e dalle
ampolle dei dotti deferenti
❖ Nella femmina la vescica si trova anteriormente e
inferiormente all’utero e anteriormente alla vagina,
quindi la faccia posteriore della vescica è separata
dal retto per interposizione della parte superiore
della vagina e del collo dell’utero

La vescica presenta una tonaca muscolare le cui fibrocellule sono disposte a strati: esterno, interno
ed obliquo.
Nel suo insieme però la vescica viene definita muscolo detrusore.
Nel punto in cui sono presenti gli sbocchi degli ureteri, lo strato muscolare interno si inspessisce
formando una sorta di valvola che previene il reflusso dell’urina negli ureteri, mentre nella zona del
collo della vescica le fibrocellule muscolari si dispongono attorno all’orifizio dell’uretra a formare lo
sfintere interno dell’uretra che è di muscolatura liscia.
Il controllo volontario della minzione è permesso dalla presenza della muscolatura striata a livello
dello sfintere uretrale esterno che si trova lungo il passaggio dell’uretra attraverso il diaframma uro-
genitale della pelvi.
La vescica ha sia un’innervazione parasimpatica sia simpatica.
Il sistema parasimpatico determina la contrazione della parete muscolare liscia rilasciando lo
sfintere interno.

Il riempimento progressivo della vescia stimola il sistema parasimpatico che fa contrarre la vescica
rilasciando lo sfintere interno dell’uretra che permette il deflusso dell’urina lungo l’uretra.
A vescica vuota prevale il sistema simpatico che ha un’azione
contraria, quindi la muscolatura vescicale è rilasciata e quella dello
sfintere interno è contratta.
Nell’adulto, l’emissione dell’urina richiede anche il rilassamento dello
sfintere esterno dell’uretra che essendo costituito da muscolatura
striata è sotto il controllo volontario.
Il controllo di questo sfintere da parte del SNC avviene tipicamente
attorno al 3° anno d’età.

Uretra
L’uretra è un canale muscolo-membranoso impari e mediano che permette lo svuotamento della
vescica durante l’atto della minzione e rappresenta l’ultimo tratto delle vie urinarie.
Origina nella vescica con il meato uretrale interno e termina aprendosi all’esterno con il meato
uretrale esterno.
La muscolatura lisca è disposta in 2 strati: uno longitudinale interno e uno circolare esterno.
La muscolatura circolare esterna si inspessisce formando lo sfintere liscio o interno dell’uretra.
Lo sfintere esterno è costituito da muscolatura scheletrica ed è sotto il controllo della volontà.

L’uretra femminile si caratterizza in quanto è


indipendente dalle vie genitali, mentre quella
maschile riceve lo sbocco delle vie spermatiche,
perciò è un tratto dell’apparato urinario che
convoglia all’esterno sia l’urina durante la
minzione, sia lo sperma durante l’eiaculazione.
SISTEMA ENDOCRINO

Il sistema endocrino è formato da un insieme di ghiandole che pur essendo prive di continuità
topografica e fisica costituiscono un sistema unitario e integrato che a livello funzionale agisce in
modo armonico ed è caratterizzato da una reciproca interdipendenza.

Il sistema endocrino costituisce un complesso finalizzato al coordinamento delle funzioni


dell’organismo e al mantenimento, di fronte a variazioni ambientali, di parametri, caratteristiche e
condizioni costanti al proprio interno, ovvero partecipa al mantenimento dell’omeostasi,
fondamentale affinché l'organismo lavori e si possa mantenere in una condizione di “salute”.
Il sistema endocrino perciò permette di mantenere i livelli ottimali di:

• Temperatura corporea
• pH dei liquidi corporei
• Pressione arteriosa
• Ossigenazione dei tessuti
• Componenti ematiche (glucosio; Ca, Na, K)
• Eliminazione dei prodotti di scarto

I meccanismi omeostatici agiscono non solo a livello macroscopico riferito all’organismo nel suo
complesso, ma anche a livello microscopico di cellule, tessuti e organi.

Per il mantenimento dell’omeostasi è perciò essenziale che tra le varie parti dell’organismo ci siano
sistemi di “comunicazione”.
Tutte le cellule del nostro organismo devono comunicare con le cellule vicine e lontane.
A livello locale comunicano in modo diretto tramite molecole di superficie e giunzioni comunicanti.
La comunicazione a distanza o indiretta si attua tramite la secrezione di messaggeri chimici (es.
sistemi endocrino e nervoso) o elettrici (es. sistema nervoso) che riconoscono specifici recettori
nelle cellule bersaglio.

Il sistema nervoso e il sistema endocrino si


integrano e si coordinano al fine di mantenere
l’omeostasi dell’organismo.
Tra i sistemi che si sinergizzano per l’omeostasi
dell’organismo si inserisce anche il sistema
immunitario.

Il sistema endocrino è caratterizzato da un


insieme di ghiandole endocrine, ossia a
secrezione interna, che pur differendo per origine,
sede e struttura, sono deputate all’elaborazione di
particolari sostanze attive definite ormoni.
Gli ormoni, una volta prodotti, vengono riversati nel liquido interstiziale che circonda le cellule
endocrine per poi entrare nel circolo sanguigno e raggiungere le cellule target su appropriati
organi bersaglio.
Oltre a ghiandole endocrine, sono presenti anche cellule endocrine isolate (es. sistema endocrino-
ghiandolare diffuso dell’apparato digerente).

Le ghiandole endocrine possono essere ghiandole di derivazione strettamente epiteliale, per cui si
parla di epitelio ghiandolare, oppure si possono trovare dei tessuti neurosecernenti.
Le cellule neurosecernenti sono dei neuroni modificati che producono dei messaggeri chimici che
vengono rilasciati nel torrente circolatorio e non nello spazio post-sinaptico delle terminazioni
nervose.
In tal caso il messaggero chimico prende il nome di ormone e non più di neurotrasmettitore.
Gli ormoni sono sostanza estremamente attive, anche in minima quantità e sono sottoposti ad un
rigoroso controllo affinché la quantità sia esatta in ogni istante.
Questo avviene grazie alla presenza di una serie di sistemi di regolazione a feedback negativo.
Ormoni e neurormoni possono agire per via autocrina, quando una cellula può rilasciare un
ormone e stimolare sé stessa perché presenta il recettore per l’ormone stesso, oppure per via
paracrina, quando una cellula attigua alla cellula secernente
presente il recettore per l’ormone e quindi agisce a livello locale,
o ancora per via sistemica, quando l’ormone viene rilasciato ed
entra nel torrente circolatorio per raggiugere la cellula target
posta anche a molta distanza dalla cellula secernente.
Nel caso dei neurormoni la sostanza viene prodotta da neuroni
modificati, ma entra nel torrente circolatorio e raggiunge la
cellula bersaglio attraverso la via ematica.

Nel caso in cui una ghiandola endocrina rilascia un ormone, produce un effetto sulla cellula
bersaglio e qualora il prodotto della stimolazione ormonale agisca come fattore stimolante per il
rilascio dell’ormone stesso, quindi in un processo che si
autoalimenta e si autocatalizza, si parla di feedback positivo.
Nel caso contrario, in cui l’effetto o il prodotto della
stimolazione di uno specifico ormone sulle cellule bersaglio
inibisce la produzione dell’ormone stesso e quindi sia un
processo autoinibente, si parla di feedback negativo.

La classificazione principale degli ormoni è quella tra ormoni stereoidei e ormoni non stereoidei.
Gli ormoni stereoidei sono quelli che derivano dal colesterolo, quindi per definizione e struttura
sono liposolubili, perciò sono in grado di attraversare la membrana plasmatica della cellula target
e raggiungere i loro recettori presenti a livello citoplasmatico.
Gli ormoni non stereoidei possono essere di diversa natura, molti di essi hanno una struttura
proteica, non sono in grado di attraversare la membrana plasmatica perciò hanno dei recettori
presenti a livello di membrana che mediano, dopo il legame con l’ormone, la trasmissione del
segnale a livello intracellulare.

Lo sviluppo, l’attivazione funzionale e la regolazione mediante


meccanismi a feedback di ciascun componente del sistema
endocrino dipendono da interazioni con il sistema
neuroendocrino ipotalamo-ipofisario.

ASSE IPOTALAMO-IPOFISARIO
Il sistema o asse ipotalamo-ipofisario è costituito da:

✓ Ipotalamo: porzione più caudale del diencefalo (4 gr)


che fornisce il più alto livello di controllo endocrino e costituisce la più importante struttura di
connessione tra il sistema nervoso ed endocrino
✓ Ipofisi: ghiandola endocrina impari e mediana di forma sferoidale situata nella sella turcica
dell’osso sfenoide e composta da adenoipofisi e neuroipofisi

Ipotalamo
L’ipotalamo è una struttura del SNC posta nella zona centrale interna ai 2 emisferi cerebrali, è la
porzione più caudale del diencefalo e si trova tra il chiasma ottico, posto anteriormente, e i
peduncoli cerebrali, posti posteriormente.
L’ipotalamo presenta numerosi nuclei, ossia dei raggruppamenti di
corpi cellulari di neuroni a livello del SNC con fenotipo e funzioni
specifiche che attivano, controllano e integrano attività connesse
all’omeostasi.
Per asse ipotalamo-ipofisario s’intende il rapporto tra ipotalamo e
ipofisi, i quali sono anatomicamente connessi attraverso un
peduncolo ipofisario che collega il sistema nervoso al sistema
endocrino.
A loro volta i nuclei ipotalamici sono raggiunti da terminali provenienti da: vari territori corticali,
sistema limbico, formazione reticolare, altre afferenze sensitive e sensoriali, perciò rappresenta un
vero punto di raccordo tra attività nervose in senso lato e attività endocrine.

Pertanto l’ipotalamo oltre ad essere un importate centro nervoso di regolazione è una ghiandola
endocrina di fondamentale importanza in quanto gli ormoni secreti dall’ipotalamo e dall’ipofisi
svolgono un importante ruolo nella regolazione di tutti i processi di crescita, sviluppo, metabolismo
e omeostasi corporea.

L’ipotalamo è costituito da diversi nuclei, tra questi troviamo:

o Nucleo sopraottico e paraventricolare: costituiti dai neuroni magnocellulari che secernono


ormoni peptidici strettamente correlati con la parte nervosa dell’ipofisi, ovvero vengono
prodotti dai nuclei che contengono i corpi cellulari di
questi neuroni e gli ormoni prodotti vengono trasportati
lungo i corpi assonici nella porzione posteriore
dell’ipofisi definita neuroipofisi.
o Nuclei dell’eminenza mediana: costituiti da neuroni
parvicellulari che secernono ormoni peptidici con
valenza di rilascio o inibizione nei confronti della
secrezione dell’adenoipofisi o ipofisi anteriore.

I diversi nuclei che costituiscono l’ipotalamo agiscono in modo differente rispetto alle 2 porzioni
principali dell'ipofisi.

Neuroni magnocellulari
I neuroni magnocellulari hanno i copri cellulari o pirenofori nei
nuclei sopraottico e paraventricolare dell’ipotalamo, mentre gli
assoni e i terminali assonici di tali neuroni vanno a formare il fascio
ipotalamo-ipofisario e si portano alla neuroipofisi dove, per mezzo
dei loro terminali si mettono in rapporto diretto o indiretto con i
vasi sanguigni, quindi gli ormoni prodotti dai corpi cellulari dei
neuroni migrano dai pirenofori lungo gli assoni in forma di gocce
di neurosecrezione con il nome di corpi di Herring e si portano alla
neuroipofisi.

Gli ormoni sintetizzati dai neuroni magnocellulari sono rappresentati da:

→ Ossitocina: agisce stimolando la contrazione della muscolatura liscia dell’utero, a livello


delle cellule mioepiteliali induce la secrezione del latte ed è un tipico ormone regolato
mediante un sistema a feedback positivo
→ Vasopressina (ADH o ormone antidiuretico): ormone secreto in seguito all’aumento della
concentrazione degli elettroliti nel sangue o un calo della pressione o della volemia
sistemica.
Interviene nel mantenimento del bilancio idrico dell’organismo agendo a livello del tubulo
contorto distale e collettore del rene aumentando la permeabilità e quindi il riassorbimento
dell’H2O, perciò riduce la produzione di urine ad agisce anche come vasocostrittore con
un aumento della pressione.

Una tipica patologia legata alla mancata produzione di ADH è il diabete insipido in cui si ha
un’alterata ritenzione di H2O a livello renale che viene persa tramite un’eccessiva produzione di
urina (poliuria) e di conseguenza i pazienti affetti sono sempre assetati, ma i liquidi introdotti non
sono trattenuti dall’organismo.

L’ipotalamo è caratterizzato dalla presenza di nuclei costituiti da neuroni che hanno la capacità di
secernere ormoni, quindi si parla di neurosecrezione che giunge per via nervosa o vascolare
all’ipofisi.
Neuroni parvicellulari
I neuroni parvicellulari sono situati in varie sedi dell’ipotalamo e in prossimità dell’eminenza
mediana.
Questi neuroni producono sostanze attive di natura
polipeptidica chiamati RH (Releasing Hormones) o IH (Inhibiting
Hormones) che agiscono sulle cellule dell’adenoipofisi
andando a stimolare o inibire la sintesi e secrezione degli
ormoni ipofisari.
I neuroni dell’eminenza mediana dell’ipotalamo secernono
questi fattori in un sistema di capillari definito plesso capillare primario che, attraverso delle vene
portali, raggiungono un plesso capillare secondario, dove gli ormoni ipotalamici vengono in
contatto con le cellule dell’adenoipofisi e ne regolano l’attività endocrina.

Ipofisi
L’ipofisi è una piccola ghiandola accolta nella sella turcica dell’osso
sfenoide connessa all’ipotalamo tramite un peduncolo ipofisario.
L’ipofisi è costituita da 2 porzioni principali con una struttura istologica
differente: l’adenoipofisi anteriore, molto vascolarizzata e la neuroipofisi
posteriore.

L’adenoipofisi è costituita da tessuto ghiandola endocrino vero e proprio.


La neuroipofisi invece è costituita da tessuto neurosecretorio, ovvero
contiene i terminali assonici dei neuroni ipotalamici i cui nuclei sono nei nuclei sopraottico e
paraventricolare dell’ipotalamo, quindi sinterizzano e trasportano ADH e ossitocina lungo i loro
assoni e a livello della neuroipofisi, questi ormoni vengono rilasciati.

L’adenoipofisi secerne:

▪ TSH o ormone tireo-stimolante: stimola e regola il rilascio degli ormoni tiroidei


▪ Prolattina: stimola lo sviluppo delle ghiandole mammarie e la produzione di latte in
gravidanza
▪ GH o somatotropina o ormone della crescita: determina
l’accrescimento corporeo mediante un meccanismo
indiretto perché stimola la produzione del fattore IGF1
▪ FSH o ormone follicolo stimolante: promuove lo sviluppo
dell’ovocita nel follicolo ovarico e stimola la produzione
di estrogeni
▪ LH o ormone luteinizzante: induce l’ovulazione e
promuove la secrezione ovarica di progestinici
▪ CTH o ormone adrenocorticotropo: stimola la zona
fascicolata delle ghiandole surrenali inducendo il
rilascio di glucocorticoidi
▪ Ormone melanotropo: secreto dalla fascia intermedia, porzione dell’ipofisi interposta tra
adenoipofisi e neuroipofisi, è un ormone che stimola la produzione e la distribuzione di
melanina da parte dei melanociti cutanei

La neuroipofisi invece, rilascia l’ADH e l’ossitocina.

EPIFISI
L’epifisi o ghiandola pineale è una piccola formazione di cellule con
funzione secretoria che deriva da un’estroflessione sacciforme del
pavimento del diencefalo posteriore posto al centro del 3° ventricolo.
È una ghiandola annessa all’encefalo tramite un peduncolo ed è racchiusa
da un tessuto stromale di origine meningea.
La componente cellulare va sotto il nome di pinealociti.
I pinealociti sono la porzione funzionale dell’epifisi che producono la melatonina, sintetizzata a
partire dal triptofano e agisce a livello di ipotalamo e ipofisi inibendo la secrezione delle
gonadotropine e dell’ormone somatotropo.
La funzione dell’epifisi è peculiare perché è caratterizzata da un ritmo circadiano, quindi da
un’alternanza luce-buio che a sua volta influisce anche sull’ipotalamo.
Nello specifico gli stimoli luminosi inibiscono la sintesi di melatonina che subisce un picco di rilascio
durante le ore buie, in assenza di luce.
Molti studi collegano le alterazioni del suo rilascio a disturbi dell’umore.
Inoltre la produzione di melatonina diminuisce con l'aumentare dell'età e i ridotti livelli dell'ormone
rilasciati durante la notte possono contribuire al problema dell'insonnia e del risveglio precoce,
spesso osservati negli anziani.

TIROIDE
Dal punto vista macroscopico, la tiroide è posta subito sotto la cartilagine tiroidea che forma gran
parte della superficie anteriore della laringe e avvolge la superficie anteriore della trachea.
Proprio per la sua posizione, la trachea può essere facilmente valutata tramite palpazione dato
che delle disfunzioni tiroidee possono farla diventare ipertrofica e quindi sporgente nel collo.
È riccamente vascolarizzata e si presenta come una farfalla in cui le “ali”
corrispondono a 2 lobi uniti sulla linea mediana per mezzo di un istmo.
La porzione superiore di ogni lobo si estende sulla superficie laterale della
trachea verso il margine inferiore della cartilagine tiroidea.
La porzione inferiore della tiroide, invece, termina a livello del 2°-3° anello
tracheale, cui aderisce tramite una capsula dalla quale si dipartono dei
setti di tessuto connettivo che si suddividono, penetrando all’interno del
parenchima ghiandolare, andando a circondare i follicoli tiroidei.

Dal punto di vista microscopico, la tiroide ha una struttura peculiare definita follicolare, ovvero è
costituita da monostrato di cellule definiti tireociti che delimitano una cavità nella quale si
accumula il secreto sotto forma di colloide, una sostanza gelatinosa che contiene la
tireoglobulina, ossia i precursori degli ormoni tiroidei rappresentati da: triiodotironina (T3) e tiroxina
(T4).
I follicoli sono tipicamente sferici, rivestiti da un epitelio cubico
semplice costituito dall’affiancamento dei tireociti detti anche cellule
follicolari, anche se l’epitelio può modificarsi in funzione dello stato di
attività della tiroide.
Ogni follicolo, a sua volta, è circondato da una rete di capillari.
La tiroide inoltre presenta le cellule parafollicolari o cellule C che sono
presenti a livello dell’epitelio che delimita i follicoli, però pur
poggiandosi sulla lamina basale, non raggiungono il lume del follicolo.

Le cellule follicolari producono la tireoglobulina all’interno del follicolo che viene prodotta sotto
forma di colloide che viene riversato a livello della cavità follicolare.
La fase di sintesi degli ormoni tiroidei si basa sulla capacità delle cellule di captare dal sangue lo
ione ioduro, fondamentale per la sintesi del T3 e del T4, e il suo successivo legame ai residui
tirosinici della tireoglobulina.
Quindi lo I2 viene captato, coniugato alla tirosina della tireoglobulina e
forma T4 o tetraiodiotironina e T3 o triiodiotironina.
Questi precursori restano nel colloide fino a quando non arriva lo stimolo
necessario per la loro capitazione dallo spazio follicolare per essere
immessi nel torrente circolatorio.
Lo stimolo è lo stimolo ipofisario, a sua volta, sotto controllo ipotalamico.

Le dimensioni del follicolo e la forma delle cellule follicolari dipendono dallo stato secretorio della
ghiandola.
In condizioni di riposo, la tiroide è ipofunzionante e presenta macrofollicoli distesi con cellule
appiattite e il colloide in una forma molto cromofila e densa.
Nel caso di tiroide iperfunzionante, quindi in una fase secretoria molto attiva, sono presenti
microfollicoli piccoli con poco colloide in forma poco cromofila e fluida.
La fase di ricaptazione della iodiotireoglobulina e la sua successiva lisi lisosomiale porta al rilascio
di T3 e T4 nel sangue.
T3 e T4 sono ormoni liposolubili, quindi circolano legati
a proteine carrier e nel sangue sono trasportati anche
dall’albumina.
Sono caratterizzati da proprietà distinte, in particolare
l’emivita di T4 si aggira introno ad una settimana,
mentre l’emivita di T3 si aggira introno alle 16 ore.
Il T3 rappresenta la forma attiva, nonostante sia sintetizzato in quantità minore e abbia un’emivita
minore, mentre il T4 è una sorta di pro-ormone da cui per deiodinazione si può dar origine a T3,
soprattutto a livello tissutale.
Una volta entrati nelle cellule, questi ormoni liposolubili si legano a recettori che riconoscono
sequenze specifiche e determinano una serie di effetti metabolici.

Il principale effetto degli ormoni tiroidei è l’attivazione del metabolismo basale, ovvero la
produzione e uso di ATP e consumo di O2 con conseguente aumento del metabolismo cellulare e
consumo di O2, aumento della crescita cellulare, a livello cardiaco aumento dell’espressione dei
recettori adrenergici, aumento della frequenza e della forza di contrazione cardiaca, incentivo dei
processi maturativi di diversi tessuti.
Perciò un aumento complessivo del metabolismo di base.
Alterazioni nel funzionamento della tiroide e nella produzione di questi ormoni sono significativi e
possono arrivare fino a severità notevoli:

− L’ipotiroidismo, quindi un’insufficiente funzionalità tiroidea, può essere congenita e si tratta


di un deficit dell’ormone tiroideo che si ha fin dalla nascita e senza terapia porta a ritardo
mentale, bassa statura…
− Il gozzo semplice è determinato da un volume della tiroide in cui l’epitelio ghiandolare è
sostituito da tessuto cicatriziale fibroso.
Il gozzo semplice è dovuto alla carenza o mancanza di I2.
L’assenza di questo ione porta l’ipofisi a rilasciare continuamente TSH per cercare di
compensare questa mancanza.
Il TSH in condizioni normali stimola la produzione di T3 e T4, ma in condizioni patologiche,
cioè in assenza di I2, la tiroide viene continuamente stimolata inutilmente e questo
comporta una crescita smodata della ghiandola per compensazione.
L’introduzione dello I2 nella dieta comune è fondamentale per evitare l’insorgere di tale
patologia.
− Il gozzo esoftalmico è una patologia autoimmune che determina l’attivazione continua dei
recettori e dell’attività tiroidea ed è caratterizzata da un fenotipo clinico di iperattività,
nervosismo e protrusione dei bulbi oculari.
Il morbo di Basedow è la più comune causa di ipertiroidismo mondiale e colpisce in
particolar modo le donne.

Il controllo della funzionalità tiroidea è fondamentale.


L’ipotalamo, rilasciando il TRH, stimola il lobo anteriore dell’ipofisi,
ossia l’adenoipofisi, a rilasciare TSH che agisce a livello dei tireociti T
che rispondono ricaptando la tireoglobulina dal lume follicolare e
rilasciando T3 e T4 che entrano nel torrente circolatorio.
I livelli ematici di T3 e T4, agiscono mediante un meccanismo a
feedback negativo, andando a regolare l’attività sitmolante o
inibente dell’adenoipofisi sulla tiroide.
Un aumento dei livelli di T3 e T4, agisce come stimolo inibente a
livello dell’asse ipotalamo-ipofisario con un calo o diminuzione del rilascio di TSH.
Le cellule parafollicolari o cellule C sono poco numerose rispetto ai tireociti, rappresentano circa lo
0,1% della tiroide e possono essere singoli o in piccoli gruppi.
Producono un secreto che viene direttamente rilasciato nel plasma che contiene prevalentemente
calcitonina che assieme al suo antagonista rappresentato dal paratormone, secreto dalle
paratiroidi, interviene nel regolare i livelli plasmatici del Ca.
Il Ca è fondamentale per l’organismo, in particolare per: contrazione muscolare, attività neuronale
e controllo della cascata coagulativa.
Mantenere quindi un’adeguata omeostasi dei livelli ematici di Ca è centrale.
La calcitonina agisce come un ormone ipocalcemizzante, quindi blocca l’osteolisi a livello del
tessuto osseo.
Un aumento di Ca induce i tireociti C o cellule parafollicolari a liberare calcitonina che blocca
l’attività degli osteoclasti e quindi il Ca non viene più liberato mediante la degradazione della
matrice ossea e contemporaneamente va a stimolare l’eliminazione del Ca da parte del rene.

PARATIROIDI
Le paratiroidi sono 4 ghiandole localizzate 2 per lato, sulla faccia posteriore della
tiroide, in particolare poste tra la capsula e il connettivo circostante e presentano
2 componenti principali definiti cellule principali e cellule ossifile e un terzo
componente cellulare rappresentato dagli adipociti.
Le paratiroidi, nello specifico le cellule principali, producono il paratormone che agisce come
antagonista della calcitonina, ovvero interviene nel
regolare l’equilibrio ematico degli ioni Ca agendo a
livello del tessuto osseo e dei tubuli renali.
A livello osseo, il paratormone stimola il riassorbimento
osseo da parte degli osteoclasti con conseguente
rilascio di Ca in circolo.
A livello renale, il paratormone, induce un
riassorbimento di Ca che non viene più escreto con
l’urina e attiva la produzione del metabolita attivo della
vitamina D che facilita l’assorbimento del Ca a livello
intestinale.

Le cellule principali sono le più abbondanti e quelle funzionalmente attive


nella produzione del paratormone.
Le cellule ossifile sono più grandi, isolate o in piccoli gruppi e compaiono
dopo il 5°-6° anno di età e si considerano uno stadio precoce delle cellule
principali.
Gli adipociti costituiscono lo stroma di sostegno per le cellule principali ed
ossifile e tendono ad aumentare con l’età, soprattutto dopo i 40 anni.

GHIANDOLE SURRENALI
Le ghiandole surrenali sono organi pari e pieni, situati
nella sommità del rene.
Sono retroperitoneali e separati dalla cavità
addomino-pelvica dal peritoneo parietale posteriore e
sono riccamente vascolarizzati.

Le ghiandole surrenali, dal punto di vista microscopico, sono circondate da


una capsula di rivestimento di tipo fibroso denso con fibre elastiche e con delle
trabecole che si dipartono verso il parenchima a formare una rete di sostegno.
Le ghiandole surrenali sono poi costituite da 2 strutture di origine embrionale
distinte:

a) Corticale del surrene: di origine mesodermica che costituisce l’80% del


parenchima delle ghiandole surrenali
b) Midollare del surrene: di origine neuroectodermica che ha un aspetto più rossastro e risulta
inclusa nella corticale che, a sua volta, risulta organizzata in 3 zone concentriche definite
rispettivamente: glomerulare, fascicolata e reticolare

Corticale del surrene


La corticale del surrene si presenta giallastra per la presenza e l’accumulo di lipidi al suo interno,
soprattutto colesterolo.
Le 3 zone che si individuano nella corticale del surrene sono adibite alla sintesi di diversi ormoni
steroidei:

I. La zona glomerulare è la zona più esterna, rappresenta circa il 15% del volume totale ed è
costituita da cellule organizzate in glomeruli e secerne minerali corticoidi, principalmente
aldosterone che agisce a livello dei tubuli renali regolando la composizione ionica
dell’urina.
II. La zona fascicolata si estende verso la midollare, rappresenta il 78% del volume della
corticale e possiede cellule ricche di lipidi che si organizzano in cordoni adiacenti e
producono glucocorticoidi come cortisolo e corticosterone agendo sulla maggior parte
delle cellule corporee, ma intervengono soprattutto sul metabolismo del glucosio.
III. La zona reticolare rappresenta il 7% della regione corticale, è al limite con la midollare e
produce una piccola quantità di ormoni sessuali androgeni.

I minerali corticoidi, in primis l’aldosterone, contribuiscono a regolare la distribuzione e


concentrazione degli elettroliti e degli ioni nei fluidi corporei.

I glucocorticoidi, in primis il cortisolo, complessivamente agiscono a diversi livelli, ma favorendo la


resistenza allo stress, infatti agiscono su diversi organi e tessuti e l’obiettivo finale è teso soprattutto
ad ottenere glucosio pronto per l’uso in condizioni di stress e questo si verifica e si ottiene
ricavando energia attraverso il metabolismo di proteine e lipidi.
Sono ormoni iperglicemizzanti perché comportano un aumento della glicemia.
Inoltre possiedono un’azione antinfiammatoria anche se in alte dosi possono bloccare la risposta
immunitaria.
In seguito ad uno stimolo stressogeno i glucocorticoidi:

❖ Stimolano la gluconeogenesi epatica: conversione degli aa in carboidrati


❖ Inibiscono la captazione e l’utilizzo del glucosio di molti tessuti, ma non dell’encefalo
❖ Stimolano la degradazione delle proteine
❖ Facilitano la lipolisi
❖ Finalizzati all’adattamento allo stress

I gonadocorticoidi sono androgeni deboli, ormoni sessuali mascolinizzanti prodotti in entrambi i


sessi ad azione anabolizzante, stimolando la sintesi proteica.
Sono prodotti in quantità moderato e hanno un limitato effetto fisiologico.

Midollare del surrene


La midollare del surrene si presenta in continuità con la corticale del surrene con la quale
condivide i vasi e il connettivo di sostegno.
Si caratterizza per un colore rosso-bruno dovuto alla ricca innervazione e vascolarizzazione.
Nella midollare del surrene sono presenti delle cellule derivate da neuroni post-gangliari modificati
definiti cellule cromaffini.
L’80% delle cellule endocrine della midollare produce adrenalina, mentre il 20% produce
noradrenalina, che nel complesso vengono definite catecolammine.

Le catecolammine agiscono sull’organismo favorendo risposte nei


confronti di situazioni di emergenza e di stress che richiedono elevate
prestazioni del sistema circolatorio e muscolare.
Agiscono legandosi a 2 tipi di recettori: α-adrenergici e β-adrenergici
presenti nelle cellule bersaglio, che possono indurre delle reazioni diverse
a seconda del target cellulare tissutale.
Nel complesso le catecolammine determinano vasocostrizione con conseguente aumento di:
pressione, gittata sistolica, sudorazione, glicogenolisi epatica, glicemia e rilascio di lipidi da parte
del tessuto adiposo.

Le ghiandole surrenali mantenendo costante il microambiente interno dell’organismo e


predisponendo le appropriate risposte fisiologiche dell’organismo allo stress, sono organi
indispensabili per la sopravvivenza.

Pancreas endocrino
Il pancreas endocrino rappresenta il 2% della ghiandola, nel suo complesso.
Il pancreas è situato nella cavità addomino-pelvica, nell’ansa situata tra lo stomaco e l’intestino
tenue.
Il pancreas endocrino è rappresentato dalle cosiddette isole
pancreatiche o isole di Langerhans, ossia piccoli
raggruppamenti di tessuto endocrino isolati da connettivo e
dispersi nel parenchima esocrino, responsabile della
produzione di grandi quantità di secreto ricco di enzimi digestivi
che entrano a far parte della fisiologia del sistema digerente.

Le isole di Langerhans sono caratterizzate da 4 tipi di cellule fondamentali, ciascuna secernente


specifici ormoni:

Cellule β: producono e rilasciano insulina, la quale agisce diminuendo l’accumulo di


glucosio agendo in particolare nelle cellule della muscolatura scheletrica, negli epatociti e
negli adipociti
Cellule α: producono e rilasciano glucagone, il quale stimola la glicogenolisi agendo
soprattutto su fegato e tessuto adiposo
Cellule δ: producono e rilasciano somatostatina, la quale inibisce le secrezioni esocrine ed
endocrine del pancreas, perciò ha un effetto paracrino, inoltre riduce la motilità
gastroenterica ed è rilasciata in risposta ad elevati livelli di glucosio ematico e aa,
tipicamente dopo il pasto
Cellule F o PP: producano e rilasciano il polipeptide pancreatico, il quale inibisce la
concentrazione della colecisti e regola la produzione di alcuni enzimi pancreatici

Le cellule endocrine rilasciano gli ormoni direttamente nei capillari che irrorano densamente questi
distretti anatomici.

RENE ENDOCRINO
La forma attiva della vitamina D3 è il calcitriolo che agisce favorendo l’assorbimento di Ca e
fosfato a livello dell’apparato gastrointestinale e dei reni, inibendo contemporaneamente il rilascio
di calcitonina.
La sintesi del calcitriolo inizia a partire dal precursore
presente a livello della cute, che viene attivato grazie
all’azione dei raggi solari.
Quest’attivazione dà origine al colecalciferolo che subisce
una serie di idrossilazioni sia a livello epatico sia a livello
renale fino a dare origine alla forma attiva della vitamina D.
La produzione di calcitriolo è stimolata da una diminuzione
dei livelli circolanti di Ca e fosfato e viene anche
comunemente utilizzato come terapia farmacologica in
caso di ipocalcemia o osteoporosi.
TESSUTO NERVOSO

Il sistema nervoso anatomicamente si distingue in:

• Sistema nervoso centrale (SNC): occupa una posizone assiale del corpo e
comprende:
o Encefalo (= cervello, cervelletto e tronco encefalico): racchiuso
nella scatola cranica
o Midollo spinale: porzione extracranica del SNC accolto nel canale
vertebrale
• Sistema nervoso periferico (SNP):
o Tutto il tessuto nervoso al di fuori del SNC (nervi cranici e spinali,
gangli)
o Ha la funzione di collegare il SNC alla periferia e viceversa, la periferia al SNC

Il tessuto nervoso è parte integrante di un sistema altamente organizzato, il sistema nervoso, che
rappresenta uno dei sistemi di regolazione, assieme al sistema endocrino e a quello immunitario,
del nostro organismo.
Quindi è 1 dei 3 sistemi principali deputati al controllo delle funzioni coordinate di tutti gli organi,
sistemi e apparati dell’organismo, finalizzati al mantenimento dell’omeostasi dell’organismo.
Il tessuto nervoso è costituito da un numero elevatissimo di cellule chiamate neuroni insieme a
cellule di supporto rappresentate dalle cellule gliali.
Insieme formano una rete interconnessa ed estremamente complessa
ed elaborata di mutue relazioni che può variare in numero e dimensioni,
perciò una rete di comunicazione che permette la percezione di stimoli
che provengono sia dall’interno sia dall’esterno dell’organismo, la
successiva elaborazione e integrazione ed infine la generazione di una
risposta.

Le complesse funzioni del sistema nervoso si possono così riassumere:

− Fornire sensazioni dall’ambiente interno ed esterno


− Integrare ed interpretare le informazioni sensoriali
− Rispondere agli stimoli attivando organi effettori (in grado di mettere in atto una risposta
motoria, metabolica…)
− Coordinare attività volontarie e involontarie
− Sede di funzioni cognitive, emozioni, memoria…

Il tessuto nervoso origina da una particolare porzione dell’ectoderma


che prende il nome di neuroectoderma e si caratterizza da una
conformazione costituita per l’80% da cellule, inoltre si trova
concentrato per il 98% nel SNC.

Il tessuto nervoso è prevalentemente costituito da cellule che appartengono a 2 specifiche


categorie:

1. Cellule nervose (neuroni): unità funzionali del sistema nervoso, rappresentano le cellule
eccitabili e sono responsabili dell’elaborazione dei potenziali d’azione e della loro
conduzione ad altri neuroni o a cellule effettrici
2. Cellule gliali: cellule di sostegno e di rivestimento, anche coinvolte nel trasferimento
dell’informazione, nell’elaborazione e nell’apprendimento

NEURONI
Le principali caratteristiche dei neuroni sono:

▪ Eccitabilità: capacità di rispondere agli stimoli e convertirli in impulsi nervosi (potenziale


d’azione)
▪ Conduttività: capacità di trasmettere l’eccitazione ad altre cellule
Se eccitabilità e conduttività sono le caratteristiche chiave del tessuto nervoso, la struttura
citologica ed istologica del tessuto nervoso sono finalizzate a queste 2 funzioni.
Fondamentale è il ruolo trofico e metabolico del sistema vascolare nel mantenimento del tessuto
nervoso che si realizza nella sua massima espressione nel microcircolo cerebrale.

I neuroni sono caratterizzati dalla presenza di numerosi prolungamenti citoplasmatici, strutture


specializzate nella comunicazione, quindi nella percezione degli stimoli e nella loro trasmissione.
I neuroni sono costituiti da:

✓ Dendriti: prolungamenti citoplasmatici ricoperti di membrana cellulare che rappresentano


la porzione ricettiva, perciò sono deputati a raccogliere i segnali provenienti dall’ambiente
o da altre cellule
✓ Corpo cellulare o pirenoforo o soma: contiene tutti
gli organuli citoplasmatici necessari al
mantenimento della cellula stessa
✓ Assone: si diparte a partire da un monticolo definito
cono assonale che conduce l’impulso nervoso,
ovvero il potenziale d’azione, verso la sua estremità dove si arborizza e si ha il contatto
sinaptico con la cellula post-sinaptica

Il neurone che rappresenta la cellula funzionale del tessuto nervoso, è una cellula in grado di
elaborare dei potenziali d’azione, quindi è in grado di indurre dei segnali elettrici.

Tutte le cellule hanno un potenziale di membrana a riposo (le cariche elettriche si ritrovano ai 2 lati
della membrana) dovuto ad una diversa distribuzione delle cariche elettriche attraverso la
membrana plasmatica con l’interno della cellula carico negativamente rispetto all’esterno (tra -90
e -70 mV considerando per convenzione pari a 0 il potenziale all’esterno della cellula).
Questa differenza di potenziale si crea per ineguale distribuzione degli ioni ai 2 lati della membrana
plasmatica.
Ciò avviene perché la membrana plasmatica è disseminata da canali
ionici che permettono il passaggio degli ioni secondo gradiente di
concentrazione e pompe che sfruttano l’ATP per pompare gli ioni anche
contro gradiente.
Queste pompe sinergicamente, in condizioni di riposo, agiscono in modo
tale da creare questa differenza di distribuzione delle cariche elettriche.
Ai lati della membrana plasmatica sono dunque presenti 2 tipi di forze:

a) Forza chimica: data dal gradiente di concentrazione


b) Forza elettrica: dovuta al gradiente elettrico

Quando la membrana plasmatica di un neurone, nella sua zona di ricezione (dove sono presenti i
dendriti) riceve uno stimolo, questo produce una temporanea variazione della permeabilità di
membrana in una determinata regione.
Questa alterazione può essere un’iperpolarizzazione,
accentuando ancor di più la normale distribuzione delle
cariche ai lati della membrana, oppure una
depolarizzazione, ossia una diminuzione di questa differenza
fino a raggiugere un’inversione del potenziale di membrana
interno che da negativo diventa positivo.
Lo stimolo arriva e provoca una depolarizzazione locale definito potenziale graduato con delle
caratteristiche fisiche particolari, infatti è un’alterazione della distribuzione delle cariche di
membrana che si trasferisce lungo la membrana plasmatica del neurone che tende a ridursi e
attenuarsi con il tempo e con lo spazio perché coinvolge specifici canali di membrana.
Se questi potenziali graduati che sono delle risposte passive, riescono a superare un livello soglia,
sono in grado di innescare, a livello del cono di emergenza dell’assone, un potenziale d’azione
che è una risposta attiva che comporta l’attivazione di diversi tipi di canali e pompe disposti a
livello della membrana.
Il potenziale d’azione è in grado di propagarsi lungo l’assone, senza
attenuarsi nel tempo e nello spazio, quindi è una vera e propria onda
depolarizzante che percorre tutto l’assone, arriva al terminale sinaptico,
dove il neurone prende contatto o con un altro neurone oppure con una
cellula effettrice, e determina la trasmissione sinaptica, differente a seconda
se si tratta di sinapsi chimica o sinapsi elettrica, ad ogni modo determina
l’attivazione della sinapsi e il trasferimento dell’informazione alla cellula
post-sinaptica.

Corpo cellulare
Il corpo cellulare anche detto pirenoforo o soma è solitamente molto voluminoso, di dimensioni
variabili a seconda del tipo di neurone, e da questo si dipartono da un lato i dendriti e dall’altro
l’assone; entrambi costituiti da citoplasma circondato da membrana plasmatica anche detta
neurilemma, sede dei fenomeni bioelettrici.
Sono presenti molti organuli e mitocondri (posti anche lungo l’assone), un
solo nucleo con nucleolo sviluppato ad indicare un’elevata sintesi
proteica e attività metabolica.
Il citoscheletro è molto complesso ed è costituito da: filamenti intermedi
chiamati neurofilamenti, microtubuli detti neurotubuli e microfilamenti o
filamenti di actina.
Quest’impalcatura citoscheletrica è fondamentale per dare sostegno a
tutti i prolungamenti citoplasmatici, soprattutto all’assone, che si dipartono e possono avere
lunghezze considerevoli, quindi necessitano di avere un supporto e sostegno interiore.

Dendriti
I dendriti (dal greco déndron = albero) tendono ad arborizzarsi e si dipartono a partire dal corpo
cellulare e poi si ramificano, proprio come un albero, costituendo delle ramificazioni sempre più
sottili.
Sono prolungamenti citoplasmatici del corpo cellulare, ramificati, che
prendono contatto sinaptico con la cellula pre-sinaptica, quindi sono
la sede di ricezione dello stimolo nervoso.
La caratteristica dei dendriti è la presenza, in superficie, di
estroflessioni citoplasmatiche dette spine, le quali rappresentano il punto in cui, preferenzialmente,
il neurone prende contatto sinaptico con altre cellule nervose.
Studi successivi hanno dimostrato che le spine, grazie alla loro capacità di rimodellarsi e
modificarsi, sono anche alla base del fenomeno di plasticità delle spine dendritiche che è
fondamentale per il rimodellamento delle sinapsi, quindi dei circuiti nervosi.
Il tessuto nervoso non è un tessuto statico, perché tutto il processo delle spine e del loro
rimodellamento che comporta un rimodellamento delle sinapsi stesse, è un processo che sta alla
base dei processi adattativi.
La principale funzione dei dendriti è quella di ricevere il segnale in entrata, quindi rappresenta la
porzione ricettiva del neurone.

Assone
L’assone è il prolungamento che origina dal corpo cellulare, ha una forma
conica, a livello della sua insorgenza, per questo è anche definita zona trigger o
montico assonico o segmento iniziale.
Si continua poi con un prolungamento unico e sottile costituito da assoplasma e
circondato da assolemma.
Può dare ramificazioni, tipicamente ad angolo retto, dette collaterali assonici.
È molto ricco in strutture del citoscheletro per dare sostegno strutturale e
solitamente, dopo la sua emergenza, presenta un rivestimento di mielina che si
presenta come dei manicotti intervallati da porzioni amieliniche definiti nodi di
Ranvier.
Questa distribuzione della mielina ha un ruolo fondamentale a livello fisiologico.
Il tratto tra il corpo e il punto in cui inizia il rivestimento di mielina è detto segmento iniziale o cono
di emergenza e rappresenta la zona di innesco in cui il potenziale graduato viene trasformato in
potenziale d’azione, se oltrepassa la soglia di depolarizzazione.
Nella sua parte finale l’assone tede a ramificarsi dando origine ad un’arborizzazione terminale in
cui prende contatti con altri neuroni e anche qui perde il rivestimento mielinico.
A questo livello avviene la sinapsi con il neurone o cellula post-sinaptica.
L’assone conduce gli impulsi in uscita fino al bersaglio.

Flusso assonico
I neuroni presentano un intenso flusso assonico, ovvero un intenso sistema di trasporto di vescicole
e molecole all’interno del neurone finalizzato alla sua attività elettrica.
Oltre alla conduzione dell’impulso, l’assone possiede anche un intenso sistema di trasporto di
vescicole interno da e verso il corpo cellulare.
In particolare si ha un flusso retrogrado che va dalla sinapsi verso
il corpo cellulare, quando avviene un riciclo delle vescicole che
hanno liberato il neurotrasmettitore; mentre si ha un flusso
anterogrado, quindi diretto verso la sinapsi, in cui vengono
trasportate: vescicole sinaptiche e granuli di neurosecrezione,
componenti dei neurofilamenti e neurotubuli, enzimi…
Si individuano anche flussi assonici a seconda della velocità:

➢ Flusso veloce: mitocondri in entrambe le direzioni (50 mm/giorno), vescicole sinaptiche e


granuli di secrezione in direzione anterograda (50-400 mm/giorno)
➢ Flusso lento: componenti dei neurofilamenti e neurotubuli in senso anterogrado (0,2-1
mm/giorno)

Polarizzazione funzionale
Dal punto di vista funzionale i dendriti conducono lo stimolo e l’informazione che poi si traduce in
una depolarizzazione della membrana o potenziale d’azione, con
modalità centripeta (dall’esterno verso il corpo cellulare), mentre
l’assone è deputato a trasmettere lo stimolo, l’impulso elettrico, il
potenziale d’azione, in direzione centrifuga (dal corpo cellulare
verso l’esterno).
Quindi il segnale elettrico viaggia sempre dai dendriti, che
percepiscono il segnale in entrata, all’assone, che trasmette il segnale in uscita.
Si parla di polarizzazione funzionale perché sarà sempre presente una cellula pre-sinaptica e una
cellula post-sinaptica.

Classificazione dei neuroni


La caratteristica che differenzia le cellule nervose da tutte le altre cellule
dell’organismo, è la capacità di stabilire rapidamente mutue comunicazioni
che si effettuano anche a distanza, con grande precisione e rapidità.
Quando i neuroni entrano in contatto con altri neuroni si parla di sinapsi
interneuroniche, mentre quando entrano in contatto con dei componenti
cellulari si parla di sinapsi citoneurali (es. giunzione neuromuscolare).

La classificazione dei neuroni può avvenire su base:

→ Strutturale: in base al numero e alle modalità di ramificazione dei prolungamenti


→ Funzionale: in base alla loro funzione, ossia in base alla direzione dell’impulso nervoso

I neuroni unipolari presentano un unico prolungamento di tipo assonico, quindi si tratta di neuroni in
cui il corpo cellulare o soma è la parte ricettiva del neurone.
Questi neuroni sono presenti durante lo sviluppo embrionale, mentre nell’adulto sono presenti nella
mucosa olfattiva come recettori olfattivi e nella retina come coni e bastoncelli.
I neuroni bipolari presentano un assone e un solo dendrite; questi si dipartono ai lati opposti del
corpo cellulare, per questo spesso si parla di neuroni oppositopolari e sono presenti in: SNC, organi
di senso, retina, gangli vestibolari e cocleari.

I neuroni pseudounipolari presentano un solo tipo di prolungamento, ma in realtà derivano da un


neurone bipolare in cui i 2 prolungamenti (assone e dendrite) si fondono a formare un unico
prolungamento che dopo un breve tratto si biforca a T, un ramo diretto verso la periferia dove
riceve gli stimoli sensitivi e funziona da dendrite, e un
ramo diretto verso il SNC che funziona da vero e
proprio assone.
Questi neuroni sono tipicamente presenti nei gangli dei
nervi spinali e nei gangli dei nervi cranici.

I neuroni multipolari sono tipicamente costituiti da un


assone e da molteplici dendriti che sono spesso molto
arborizzati.
L’assone si può originare dal soma oppure dal punto di origine di un dendrite e sono i più
rappresentati e numerosi in tutto il SNC perché possiedono il vantaggio di un’enorme capacità
d’integrazione del segnale per la loro complessa struttura e arborizzazione.
Questi neuroni possono essere classificati anche come neuroni di tipo I e di tipo II di Golgi, a
seconda della lunghezza dell’assone: assone lungo → tipo I di Golgi, assone corto → tipo II di
Golgi.

I neuroni del Purkinje sono tra i più grandi neuroni del cervello umano e sono caratterizzate da
un’arborizzazione estremamente sviluppata e intricata delle terminazioni dendritiche con un
elevatissimo numero di spine dendritiche.
Sono presenti a livello del cervelletto dove, proprio per la loro struttura, formano strati quasi
bidimensionali.

Trasmissione sinaptica
La comunicazione neuronale così precisa e rapida è permessa dalla sinapsi.
Si definisce sinapsi un tipo di struttura altamente specializzata che permette la trasmissione
dell’informazione elettrica consentendo la comunicazione dei neuroni tra di loro o con altre cellule
che fungono da effettori periferici (cellule muscolari, ghiandolari, sensoriali)
La trasmissione sinaptica è alla base dei processi di: percezione, apprendimento, memoria e
attività motoria.

I 2 tipi principali di trasmissione sinaptica che hanno luogo nel sistema nervoso sono:

I. Trasmissione chimica: si caratterizza per l’utilizzo di neurotrasmettitori


(molecole) per il trasferimento dell’informazione tra un neurone e la cellula
bersaglio.
C’è una netta distinzione tra zona pre-sinaptica e zona post-sinaptica.
II. Trasmissione elettrica: la trasmissione dell’impulso è mediata da flussi ionici
tra 2 cellule, in cui lo spazio sinaptico è virtualmente nullo, che comportano
una sua trasmissione bidirezionale.
Non consentono di amplificare o trasformare i segnali, ma hanno una
elevatissima velocità di trasmissione.

Sinapsi chimica
Nella sinapsi chimica è presente un neurone pre-sinaptico che riceve
l’onda depolarizzante a livello del terminale sinaptico, dove si
innesca, per effetto del Ca, il rilascio delle vescicole contenenti il
neurotrasmettitore.
Il neurotrasmettitore attraversa la fessura sinaptica, che separa la
cellula pre-sinaptica da quella post-sinaptica, si lega a recettori
specifici che possono essere canali ionici o proteine accoppiate a canali ionici e può, in caso di
sinapsi eccitatoria, trasmettere l’onda depolarizzante alla cellula
bersaglio oppure la può inibire.
Il neurotrasmettitore infatti, eccita o inibisce le cellule bersaglio a
seconda del tipo di neurotrasmettitore e del tipo di recettore presente
nella cellula bersaglio stessa.

Un neurone viene contemporaneamente investito da numerosissime


sinapsi (migliaia) eccitatorie o inibitorie (dipende dal particolare
neurotrasmettitore rilasciato e dal recettore).
L’informazione risultante sul neurone post-sinaptico sarà dato dalla
sommatoria dei segnali ricevuti.

Classificazione delle sinapsi


Esistono varie tipologie di sinapsi, quali:

❖ Sinapsi asso-dendritica: un assone prende contatto con un


dendrite della cellula post-sinaptica
❖ Sinapsi asso-somatica: l’assone prende contatto con il soma
della cellula post-sinaptica
❖ Sinapsi asso-assonica

Questa classificazione si basa sull’origine della terminazione pre-sinaptica, sempre costituita da un


assone seguita dalla componente post-sinaptica, ma ci sono anche sinapsi dendro-dendritiche e
sinapsi somato-somatiche.

Si conoscono più di 100 sostanze che agiscono come neurotrasmettitori e tipicamente si


individuano neurotrasmettitori a basso peso molecolare (rapida azione) e neuropeptidi di grandi
dimensioni (azione lenta).
I neurotrasmettitori a basso peso molecolare appartengono a diverse categorie di molecole, tra
questi ricordiamo l’acetilcolina che rappresenta il primo neurotrasmettitore a essere individuato.
L’acetilcolina è responsabile della trasmissione nervosa sia a livello del SNC sia del SNP, viene
liberata dai terminali dei motoneuroni, dai neuroni pre-gangliari, dai neuroni post-gangliari del
parasimpatico e in varie zone del SNC, dove svolge un ruolo essenziale nei processi cognitivi
(Alzheimer).

Sinapsi elettriche
Le sinapsi elettriche sono giunzioni comunicanti che si interpongono tra 2 cellule.
Questo tipo di giunzione presenta le membrane adiacenti delle 2 cellule sono separate da un
minuscolo spazio che è attraversato da canali ionici detti connessoni costituiti da unità proteiche
definite connessine.
Questi canali permettono la propagazione diretta delle variazioni di
potenziale da una cellula all’altra, senza l’intervento di mediatori
chimici.
Questo genere di trasmissione è priva di ritardo sinaptico, molto rapida
e bidirezionale.
Sono poche le sinapsi elettriche nel SNC, interneuronali anche fra
astrociti e fra cellule muscolari lisce e cardiache.
Inoltre sono particolarmente rappresentate in alcune aree del sistema nervoso implicate nelle
reazioni di fuga perché non essendoci alcun tipo di ritardo sinaptico sono ideali per questo genere
di funzione.

Il sistema nervoso (sia SNC che SNP) presenta notevole plasticità è in grado di rimodellarsi
strutturalmente e funzionalmente in base all’esperienza.
I neuroni possiedono la capacità di modificare le proprie risposte in base agli stimoli ricevuti
(ripetuti).
Queste modificazioni possono avvenire a breve termine, in questo caso ci si riferisce a flussi ionici
per modifiche del Ca, oppure a lungo termine, in questo caso ci si riferisce a modifiche strutturali
dei componenti delle sinapsi e delle cellule gliali.
La trasmissione sinaptica è alla base di fenomeni come: apprendimento, memoria, emozioni…
Il recupero funzionale osservato dopo gravi traumi a carico del SNC è una forma di
apprendimento, che sembra essere dovuto a:

Formazione di collaterali (sprouting): da parte di assoni non coinvolti nella lesione con
formazione di nuove sinapsi a livello delle zone denervate
Smascheramento: attivazione funzionale di collegamenti preesistenti, ma inattivi
funzionalmente prima della lesione
Probabile differenziazione di cellule staminali neuronali

I neurotrasmettitori trovano anche un uso a scopo terapeutico come modulatori della trasmissione
sinaptica:

• Precursori dei neurotrasmettitori (es. levodopa): utilizzati per il trattamento della malattia di
Parkinson perché aumentano la concentrazione del neurotrasmettitore rilasciato
potenziando l’azione delle sinapsi dopaminergiche
• Anticolinesterasici (es. fisostigmina, edrofonio, galantamina): inibiscono l’idrolisi
dell’acetilcolina potenziando l’azione eccitatoria del recettore nAChR e sono utilizzati per il
trattamento di miastenia grave e per la malattia di Alzheimer

CELLULE DELLA GLIA O GLIALI


Le cellule gliali sono presenti sia nel SNC (oligodendrociti,
astrociti, microglia e cellule ependimali) sia nel SNP (cellule
satelliti e cellule di Schwann).
Sono cellule piccole e numerose che non generano potenziali
d’azione, ma mantengono la capacità di dividersi e svolgono
una funzione metabolica e di supporto.

Nell’ambito del SNC e SNP i corpi e i prolungamenti cellulari dei


neuroni hanno una diversa ripartizione territoriale andando a costituire
la sostanza grigia e bianca nel SNC e gangli e nervi nel SNP.
La sostanza grigia è costituita dai corpi cellulari dei neuroni, da
espansioni dendritiche e porzioni prossimali e terminali degli assoni scarsamente mielinizzati.
La sostanza bianca è costituita dai prolungamenti assonici con i loro rivestimenti mielinici.

Astrociti
Gli astrociti sono circa il 40% delle cellule contenute nell’encefalo.
Presentano un piccolo corpo cellulare «stellato» da cui si dipartono molti prolungamenti che si
pongono fra i corpi e i prolungamenti neuronali e i vasi sanguigni (= processi vascolari).
Gli astrociti protoplasmatici sono tipicamente localizzati nella
sostanza grigia, presentano un corpo voluminoso e brevi processi
citoplasmatici.
Gli astrociti fibrosi sono invece localizzati nella sostanza bianca,
possiedono un corpo poco voluminoso, ma lunghi processi
citoplasmatici.

Le principali funzioni degli astrociti sono:

o Sostegno: creano una rete di supporto tridimensionale per i neuroni nel SNC
o Trofismo: mediano e controllano il passaggio di sostanze dal sangue ai neuroni e dai
neuroni al sangue (astrociti pericapillari)
o Regolano la composizione chimica del fluido interstiziale
o Producono fattori di crescita neuronali (fattori neurotrofici) che promuovono la crescita
(durante lo sviluppo embrionale), il mantenimento dei neuroni e la formazione di sinapsi
o Formano tessuto cicatriziale dove i neuroni vengono danneggiati andando ad occupare lo
spazio che essi occupavano (astrocitosi)

In particolare concorrono a costituire e mantenere la barriera ematoencefalica, quindi


costituiscono una struttura complessa finalizzata a regolare selettivamente le molecole che
entrano nel tessuto nervoso dal sangue per evitare che alterazioni della composizione del sangue
causata da sostanze dannose in circolo, possano passare nel tessuto nervoso alterando le funzioni
cerebrali.

Il tipico capillare possiede le cellule endoteliali che circondano il lume attraverso cui circola il
sangue e sono caratterizzati dall’avere delle fessurazioni, dei pori, e quindi ad avere certe
caratteristiche di flussi di soluti dal lume del vaso al liquido interstiziale e viceversa.
Questo però non è possibile a livello del SNC, soprattutto per
mantenere la sua integrità, quindi i capillari cerebrali sono
caratterizzati nell’avere cellule endoteliali estremamente adese,
quindi non sono presenti pori perché tra le diverse cellule sono
presenti delle giunzioni strette e sono presenti anche gli astrociti
che con i loro terminali citoplasmatici prendono letteralmente
contatto con le cellule endoteliali andando a formare una vera
e propria struttura di contenimento e di protezione.
Solamente alcuni tipi di sostanze possono passare dai capillari
cerebrali al tessuto neuronale.

Microglia
Le cellule della microglia sono cellule gliali di piccole dimensioni con sottili prolungamenti simili a
spine.
Originano dalle cellule staminali del midollo osseo, perciò
hanno un’origine comune a monociti e macrofagi (precursori
emopoietici).
Il loro ruolo principale è quello deputato all’attività di
fagocitosi (detriti, rifiuti, agenti patogeni), quindi possiedono
un ruolo difensivo.
Se attivate acquisiscono caratteri propri dei macrofagi, quindi aumentano di dimensioni, sono in
grado di effettuare movimenti ameboidi e durante un’infezione il loro numero aumenta.
Si è visto che sono cellule coinvolte anche in processi di patologie in cui sono presenti:
neuroinfiammazione, neurodegenerazione e dipendenze da sostanze chimiche.

Cellule ependimali
Le cellule ependimali rivestono i ventricoli cerebrali e il canale centrale del
midollo spinale contribuendo all’elaborazione del liquido cerebrospinale e alla
costituzione della barriera ematoencefalica.
Sono simili a cellule epiteliali (cubiche o colonnari) con sottili prolungamenti
che prendono contatto con le cellule gliali circostanti.
Inoltre sono provviste di ciglia sul lato apicale che facilitano il movimento e la
progressione del liquor.
Oltre ad avere un ruolo di secrezione, svolgono anche un ruolo di monitoraggio
della composizione e della circolazione del liquido cerebrospinale.

Oligodendrociti
Gli oligodendrociti sono cellule che rappresentano circa il 75% della composizione gliale e sono
cellule piccole caratterizzate dalla presenza di sottili estensioni citoplasmatiche.
Funzionalmente, come le cellule di Schwann, sono implicati
nell’elaborazione e formazione della guaina mielinica delle fibre nervose
del SNC con un meccanismo che prevede il ripetuto avvolgimento di un
prolungamento dell’oligodendrocita attorno all’assone.
L’estremità di ogni espansione si espande a formare un “tappeto membranoso” che si avvolge
ripetutamente attorno all’assone e che viene definita mielina.

A differenza di quanto accade nel SNP, nel SNC un oligodendrocita “abbraccia e forma la mielina
contemporaneamente su assoni diversi”.
La melina è specialmente costituita da fosfolipidi, perciò assume proprietà isolanti.

Le cellule di Schwann sono presenti solo nel SNP, dove rivestono gli
assoni, formando la guaina mielinica.
Ogni cellula di Schwann riveste un internodo di un assone,
avvolgendosi attorno ad un tratto di assone numerose volte.
L’avvolgimento di mielina si caratterizza per la presenza di
manicotti, ossia strati concentrici di membrana plasmatica,
intervallati da tratti in cui il neurone non è rivestito che prendono il
nome di nodi di Ranvier.

Gli oligodendrociti nel SNC e le cellule di Schwann nel SNP rivestono gli assoni in tutto il loro decorso
dando origine alla guaina mielinica, tranne che nel segmento più prossimale al corpo cellulare e
distale in prossimità delle sinapsi.
L’insieme degli assoni rivestiti da cellule gliali va a costituire le fibre nervose che, a seconda della
modalità di rivestimento, possono essere classificate in:

− Nude: assoni che non presentano guaine (es. terminazioni assonali)


− Amieliniche: avvolte solo dalla lamina basale delle cellule gliali, 1 cellula di Schwann che
presenta invaginazioni che accolgono più assoni (es. nervo olfattivo)
− Mieliniche: caratterizzate dall’avvolgimento ripetuto di cellule gliali (mieliniche del SNC e
del SNP)

Una cellula di Schwann (membrana plasmatica) si


avvolge a spirale ripetutamente, circa 100 volte, su un
segmento di un unico assone formando un manicotto di
mielina.
L’elevato contenuto lipidico dà la caratteristica
colorazione biancastra dell’assone e delle aree o zone
bianche del SNC.

La mielina funge da isolante elettrico, essendo costituita da lipidi e fosfolipidi.


Inoltre, da un punto di vista funzionale, aumenta la velocità di conduzione
dell’impulso di circa 5-7 volte secondo la teoria della conduzione saltatoria.

Se si prendesse in considerazione una conduzione in assenza


di rivestimento di mielina, la depolarizzazione, quindi
l’inversione di carica che si verifica nel momento della
depolarizzazione, questa si dovrebbe trasferire da un punto
all’altro lungo tutta la membrana plasmatica del neurone, ma
questo richiederebbe un certo tempo perché ogni punto
deve depolarizzarsi e poi trasferire la depolarizzazione al
punto seguente e questo fenomeno prende il nome di
conduzione elettrotonica.
La conduzione saltatoria invece, tipica delle fibre avvolte da mielina, fa si che la depolarizzazione
venga percepita solamente a livello dei nodi di Ranvier, dove il rivestimento mielinico è assente,
perciò la depolarizzazione salta da un nodo all’altro, il manicotto avvolto di mielina è isolate,
perciò si origina una conduzione saltatoria che, rispetto alla conduzione elettrotonica è molto più
veloce.
La conduzione saltatoria è possibile per gli avvolgimenti di mielina nei vari tratti e perché a livello
dei nodi di Ranvier, si concentrano canali per il Na e il K che possono facilmente dare origine al
potenziale d’azione che poi si trasferisce saltando al nodo di Ranvier successivo.

Il processo di mielinizzazione è fondamentale per la corretta trasmissione dell’impulso nervoso, nei


neonati è incompleta (risposte lente e non coordinate).
Processi di demielinizzazione, ossia perdita o distruzione della guaina mielinica, sono molto gravi e
avvengono, per esempio, in casi di sclerosi multipla, una malattia autoimmune, caratterizzata da
placche o cicatrici indurite che rallentano o cortocircuitano la propagazione degli impulsi nervosi.

DEGENERAZIONE E RIGENERAZIONE
La maggior parte dei neuroni perde rapidamente e
definitivamente la capacità di replicarsi, sono popolazioni
cellulari statiche o perenni.
Il tessuto nervoso pertanto non è in grado di rigenerare neuroni
in seguito a lesioni gravi del corpo cellulare.
In seguito alla lesione di un assone, invece, il soma è in grado di
rigenerare il moncone periferico grazie al flusso assoplasmatico-
cellula di Schwann.
Le cellule gliali infatti mantengono la capacità di dividersi.

SISTEMA NERVOSO

Il sistema nervoso rappresenta uno dei sistemi più piccoli del nostro corpo, ma è il più complesso.
Il sistema nervoso comprende un insieme di formazioni che risultano in continuità anatomica e
funzionale tra loro, il cui compito è quello di mettere in relazione le diverse parti dell’organismo tra
di loro, assistito dal sistema endocrino, e con l’ambiente esterno, cioè permette di sentire i continui
cambiamenti che avvengono oltre che all’interno anche nell’ambiente che ci circonda, grazie ai
recettori.
Tutto questo ci permette di reagire, di rispondere in modo opportuno a questi cambiamenti.

Il sistema nervoso rappresenta, insieme al sistema endocrino, il principale sistema di


comunicazione, quindi di controllo dell’organismo, perciò: comunica, controlla, regola e coordina
l’attività cellulare.
Il nostro organismo per mantenere l’omeostasi, ossia la stabilità del suo ambiente interno, dalla
quale dipende la nostra sopravvivenza, e per mantenere l’efficienza delle sue diverse funzioni
deve essere in grado di coordinare l’attività dei suoi miliardi di cellule.
La coordinazione dipende da 2 principali sistemi di controllo: sistema nervoso e sistema endocrino
perché mettono in comunicazione tra di loro le nostre cellule.
Le cellule nervose e le cellule ghiandolari endocrine comunicano con i loro bersagli tramite il
rilascio di molecole chimiche dette neurotrasmettitori, rilasciati a livello delle sinapsi chimiche, e
ormoni.

Sistema nervoso e sistema endocrino, grazie alle caratteristiche peculiari delle cellule che li
costituiscono, sono in grado di mettere in comunicazione, in relazione le diverse parti
dell’organismo tra loro, rappresentano quindi i massimi sistemi di controllo, regolazione,
integrazione e coordinazione funzionale del nostro organismo, dalla quale dipende la nostra
sopravvivenza.
Se tutte le cellule dell’organismo lavorassero in modo indipendente tra loro, ne conseguirebbe il
caos fisiologico, quindi la morte.
Le cellule del sistema nervoso comunicano tramite messaggi elettrochimici, mentre le cellule
endocrine tramite messaggi chimici rappresentati da ormoni.
Il controllo effettuato dal sistema nervoso, quindi dai neuroni, sui bersagli è un controllo velocissimo,
che utilizza impulsi elettrici, perciò controlla soprattutto attività che devono realizzarsi in tempi
rapidi.
Il controllo effettuato dal sistema endocrino risulta più lento perché prevede la secrezione, quindi la
produzione e il rilascio in circolo di ormoni che devono raggiungere gli specifici bersagli via
sangue, è un controllo più lento, ma più duraturo.

Il termine “omeostasi” esprime la capacità dell’organismo di mantenere in condizioni


relativamente stabili, costanti il proprio interno, affinché le cellule del nostro organismo lavorino in
buone condizioni “di salute”.
L’omeostasi viene mantenuta grazie alla capacità del nostro organismo di monitorare i continui
cambiamenti dell’ambiente esterno ed interno e quindi di rispondere in modo adeguato a tali
cambiamenti coordinando l’attività dei suoi organi.
Per il mantenimento dell’omeostasi è perciò essenziale che tra le varie parti dell’organismo ci siano
meccanismi o sistemi di “comunicazione” nervoso e endocrino.
Entrambi i sistemi si basano sul rilascio di molecole (messaggeri chimici) che riconoscono specifici
recettori di cellule bersaglio, condividono alcuni messaggeri chimici come adrenalina e
noradrenalina (ormoni/neurotrasmettitori), sono regolati da meccanismi di feedback negativo e
concorrono per mantenere l’omeostasi.

Dal punto di vista anatomico-strutturale, a livello del sistema nervoso si distinguono:

• Sistema nervoso centrale (SNC): costituito da encefalo collocato nella cavità cranica e
midollo spinale collocato nel canale vertebrale e che risultano in continuità tra loro
attraverso il grande foro dell’osso occipitale
• Sistema nervoso periferico (SNP): costituito da tutte le formazioni
nervose al di fuori del SNC come nervi e agglomerati di corpi
neuronali associati ai nervi detti gangli.
I nervi sono fasci di assoni che complessivamente hanno la
funzione di collegare il SNC alla periferia e viceversa, la periferia al
SNC.
Per periferia s’intende ambiente esterno, per cui periferia corporea
o/e ambiente interno ossia relativo agli organi interni.
In particolare troviamo:
o Nervi cranici: sono 12 paia e collegano l’encefalo a formazioni localizzate a livello
della testa ad eccezione del 10° paio di nervi cranici detto anche nervo vago che si
distribuisce anche a formazioni situate a livello di: collo, torace e cavità addomino-
pelvica
o Nervi spinali: collegano il midollo spinale ai suoi bersagli rappresentati dalle
formazioni che si trovano a livello delle pareti di tronco e arti.
Fibre che trasportano le informazioni dalla periferia al SNC, per cui si parla di fibre
afferenti, e fibre che dal SNC trasportano le informazioni agli effettori periferici, quindi
si parla di fibre efferenti

Dal punto di vista funzionale del sistema nervoso si distinguono:

− Sistema nervoso somatico: è anche detto volontario o della vita di relazione in quanto è
deputato alle funzioni coscienti, di cui siamo consapevoli.
Infatti controlla l’attività dei muscoli scheletrici, gli organi contrattili dell’apparato
locomotore anche detti volontari.
Anche se i muscoli scheletrici possono partecipare ai riflessi, ossia risposte veloci che non
dipendono dalla nostra volontà.
Il sistema nervoso somatico è deputato anche alle attività intellettive superiori quali:
apprendimento, intelligenza, memoria ed emozioni.
Complessivamente il sistema nervoso somatico ci permette di relazionarci con noi stessi,
con gli altri e con l’ambiente esterno.
− Sistema nervoso viscerale o autonomo: è suddiviso in 2 porzioni: parasimpatico e simpatico.
Controlla l’attività degli organi interini anche detti visceri, ossia situati al di sotto del soma.
Il sistema nervoso viscerale o autonomo è detto involontario in quanto lavora
indipendentemente dalla nostra volontà, in modo subcosciente, e della vita vegetativa
perché controlla funzioni vitali che ci accomunano ai vegetali.

Questa suddivisione riguarda sia il SNC sia il SNP, ciò significa che in entrambi sono presenti parti
somatiche deputate al controllo del soma e parti viscerali deputate al controllo dei visceri.
I neuroni, perciò le unità strutturali e funzionali del sistema nervoso, controllano l’attività delle
cellule muscolari, quindi di: muscoli scheletrici, muscoli lisci, muscolo cardiaco e ghiandole, perciò
controllano tutti i nostri organi.
Il soma (contenitore) riguarda tutte le formazioni del corpo diverse dagli organi interni che
corrispondono ai visceri.
Il soma è rappresentato da: pareti del collo, parete toracica, parete addominale, parete pelvica e
arti, quindi tutte le formazioni di natura prevalentemente osteo-muscolare rivestiti da cute.
I muscoli del soma sono muscoli scheletrici striati volontari.
I visceri rappresentano tutti gli organi del corpo che presentano una
porzione, uno stato di muscolatura liscia, quindi tratti di apparato:
digerente, respiratorio e urinario, il cuore e le ghiandole.
I visceri interni sono organi dalla cui funzione dipende la nostra
sopravvivenza.

La classificazione istologica dei muscoli si basa sulla loro struttura,


organizzazione interna e tipo di stimolo contrattile.
I muscoli scheletrici sono detti volontari perché sotto il controllo del
sistema nervoso somatico, mentre muscoli lisci e muscolo cardiaco
sono detti involontari poiché controllati dal sistema nervoso autonomo.

Le funzioni basali del sistema nervoso sono:

▪ Fornire informazioni (sensazioni) sull’ambiente interno ed esterno: grazie alle formazioni che
costituiscono il cosiddetto dispositivo o compartimento di ricezione o afferente o sensitivo
▪ Elaborare/integrare le informazioni: SNC
▪ Coordinare le attività volontarie e involontarie: risposte e informazioni trasportate ai bersagli
o effettori dal cosiddetto dispositivo di trasmissione o efferente o motore
▪ È inoltre sede delle più elevate funzioni intellettive: coscienza, emozioni, memoria,
apprendimento, intelligenza, ragionamento…

Il SNC è collegato alla periferia dalle formazioni del SNP, ma SNC e periferia sono collegate in
entrambe le direzioni, quindi il SNP costituito dai nervi, fasci di fibre, e dai gangli annessi, in funzione
del senso di trasporto delle informazioni viene distinto in:

→ Compartimento afferente: trasporta le informazioni dalla periferia al SNC.


Permette il trasferimento di informazioni che provengono dalla periferia, raccolte dai
recettori o sensori, per cui è
anche detto compartimento
sensitivo al SNC, dove le
informazioni vengono elaborate.
→ Compartimento efferente:
trasporta le informazioni dal SNC
ai bersagli o effettori.
L’elaborazione semplice o
complessa delle informazioni, a
livello del SNC porta alla
generazione di una risposta
efferente che deve essere trasportata dal SNC agli effettori, ai bersagli.
È anche detto compartimento motore essendo i muscoli gli effettori, gli organi la cui attività
è controllata dalle cellule nervose, ma la risposta non riguarda sempre un’attività motoria,
un movimento, ma può essere anche la modulazione di una secrezione ghiandolare.
In funzione dei bersagli si può distinguere, sia a livello del compartimento afferente, sia a livello di
quello efferente, la componente somatica (in azzurro) e la componente viscerale (in verde).
La componente somatica afferente raccoglie informazioni dai recettori o sensori somatici, quindi
localizzati a livello del soma e sono rappresentati dai recettori: cutanei, tattili, termici, dolorifici,
visivi, uditivi, olfattivi… tutti i recettori che ci mettono in relazione con l’ambiente esterno e ci
permettono di capire, percepire, renderci conto delle modificazioni che avvengono nell’ambiente
esterno.
Inoltre comprendono i recettori dei muscoli scheletrici detti propriocettori, sono recettori che
monitorano lo stato dei muscoli e che permettono di capire come siamo posizionati da fermi o in
movimento, in relazione allo spazio, perciò ci permettono di percepire la nostra postura.
La componente somatica efferente controlla l’attività dei muscoli scheletrici.
La componente viscerale afferente raccoglie informazioni dai recettori viscerali, quindi
informazioni relative allo stato dei visceri, informazioni di cui in generale non ci rendiamo conto
perché sono informazioni che non vengono elaborante a livello della corteccia cerebrale, ma
sono elaborate a livelli sottocorticali.
La componente viscerale efferente controlla la muscolatura liscia, cardiaca e le ghiandole, quindi
l’attività vitale dei visceri di tipo involontario, automatico o riflesso.

Le principali funzioni del sistema nervoso consistono nella sua capacità di permettere al corpo di
riconoscere stimoli, quindi modificazioni provenienti dall’ambiente esterno e interno e di rispondere
a tali stimoli coordinando le risposte volontarie e involontarie o coscienti e incoscienti gestite
rispettivamente dal sistema nervoso somatico e dal sistema nervoso viscerale.

La funzione principale del SNA è quella di controllare le funzioni degli organi effettori/VISCERI al fine
di regolare l’omeostasi.
Il SNA comprende 2 porzioni:

✓ Sistema simpatico o ortosimpatico: è attivo e prevale nelle condizioni di stress (fisico/intensa


attività fisica e mentale) e coordina le risposte note come reazione di “attacco o fuga”.
Queste reazioni sono caratterizzate da: aumento della frequenza e della forza di
contrazione del cuore, aumento del flusso ematico ai muscoli scheletrici e al cuore e
diminuzione agli organi digestivi, mobilizzazione dei depositi
energetici.
L’organismo può affrontare intense attività fisiche, come la
risposta a situazioni di pericolo.
✓ Sistema parasimpatico: è attivo e prevale durante le
condizioni di riposo, e durante i pasti, quando stimola i
processi digestivi e l’assorbimento dei nutrienti, e inibisce l’attività cardiaca, per questo è
anche noto come sistema del “riposa e digerisci”.

La maggior parte dei visceri riceve duplice innervazione, i cui effetti sono tra loro antagonisti, salvo
qualche eccezione.
L’omeostasi è mantenuta grazie ad uno stato di equilibrio dinamico tra le branche del SNA e
dall’attività del sistema endocrino.

ENCEFALO
Superficialmente nell’encefalo si notano bene soltanto il telencefalo e il cervelletto perché il
telencefalo, in particolare nei primati superiori, si sviluppa moltissimo, andando ad inglobare
alcune parti dell’encefalo.

Il cervelletto costituisce la parte più inferiore e posteriore


dell’encefalo, anteriormente al cervelletto è presente il tronco
encefalico che si sviluppa lungo un asse longitudinale verticale e
risulta costituito da 3 parti rappresentate, dal basso verso l’alto
da: bulbo o midollo allungato, ponte e mesencefalo.
Il piccolo diencefalo è totalmente avvolto al grande telencefalo.
Placca neurale
Il tessuto nervoso costituito dai neuroni e dalle cellule della Glia che
formano le parti del SNC e del SNP, deriva dalla placca neurale.
La placca neurale rappresenta il primo abbozzo del sistema nervoso e
corrisponde ad una porzione di ectoderma che risulta già
differenziata, specializzata introno al 18°-19° giorno di sviluppo
embrionale, porzione di ectoderma che si estende lungo tutta la linea
mediana dorsale dell’embrione in formazione.
La porzione dorsale mediana dell’ectoderma si è inspessita e
differenziata a dare la placca neurale.

La placca neurale è detta anche neuroectoderma.


Oltre il 18° giorno lo sviluppo prosegue, quindi di lì a pochi giorni dalla placca neurale
originano il tubo neurale e la cresta neurale.
Il tubo neurale dà origine alle diverse parti del SNC, mentre la cresta neurale è
all’origine delle diverse parti del SNP.

Al 18° giorno di sviluppo si forma la placca neurale, passano i giorni quindi lo sviluppo embrionale e
il differenziamento cellulare proseguono per cui la placca neurale si introflette nel sottostante
mesoderma andando a costituire la doccia neurale, i cui margini laterali si sollevano a dare le
pieghe neurali.
Le cellule dei margini laterali della doccia proliferano
medialmente andando a chiudere dorsalmente la doccia, così si
è formato il tubo neurale.
La cresta neurale rappresenta una parte di cellule proliferate a
partire dalle pieghe neurali che si sono staccate andando a
costituire una lamina cellulare detta cresta neurale che si
dispone tra il sottostante tubo neurale e il sovrastante ectoderma,
quindi dorsalmente al tubo neurale e ventralmente all’ectoderma.
Le porzioni laterali dell’ectoderma che non hanno partecipato alla costituzione della placca
neurale si sono medialmente ricongiunte.
Già al 27° giorno di sviluppo embrionale siamo di fronte a 2 formazioni: tubo neurale e cresta
neurale.

Tubo neurale
Il tubo neurale genera il SNC quindi encefalo e midollo spinale.
Tali formazioni originano dalla proliferazione e differenziamento delle cellule delle pareti del tubo
neurale.
Già prima della fine del 1° mese di sviluppo embrionale, grazie ad un processo di istogenesi a
livello della parete del tubo neurale si evidenziano i 3 strati della parete del tubo neurale:

1. Zona ependimale: strato più profondo con cellule ependimali che


delimita la cavità detta canale neurale del tubo neurale
2. Zona mantellare: strato intermedio costituito da cellule che originano
i corpi dei neuroni, ossia la sostanza grigia del SNC
3. Zona marginale: strato più esterno da cui originano gli assoni dei
neuroni, ossia la sostanza bianca del SNC

Il tubo neurale, grazie alla proliferazione delle cellule delle sue pareti forma
encefalo e midollo spinale.
La porzione più cefalica del tubo neurale che si espande e si modifica molto costituisce le diverse
porzioni dell’encefalo, mentre la porzione più caudale del tubo neurale forma il midollo spinale,
porzione di SNC che mantiene una conformazione molto simile a quella dell’originale tubo neurale.
Le cellule della porzione cefalica del tubo proliferano molto e si organizzano in modo da costituire,
già alla fine della 3° settimana di sviluppo, 3 distinte dilatazioni chiamate vescicole encefaliche
primarie.
Lo sviluppo poi prosegue e da 3 vescicole si arriva, introno alla 6° settimana di sviluppo a 5
vescicole encefaliche secondarie.
Le 3 vescicole encefaliche primarie sono distinte in: proencefalo, mesencefalo e rombencefalo,
anche dette encefalo anteriore, medio e posteriore.
Lo sviluppo prosegue, la vescicola proencefalica e
rombencefalica si dividono, a loro volta, per cui arriviamo a 5
vescicole secondarie.
La vescicola proencefalica si divide andando a costituire
telencefalo e diencefalo, la vescicola mesencefalica resta
tale, la vescicola rombencefalica si divide a formare
metencefalo e mielencefalo.
Dalla vescicola telencefalica originano i 2 emisferi telencefalici, dalla
vescicola diencefalica origina il diencefalo, dalla vescicola
mesencefalica origina il mesencefalo, dalla vescicola metencefalica
origina ventralmente il ponte e dorsalmente il cervelletto, infine dalla
vescicola mielencefalica origina il midollo allungato o ponte.
Il cervello corrisponde all’insieme degli emisferi telencefalici e del diencefalo, quindi il cervello
corrisponde solo ad una parte dell’encefalo.

Le diverse parti dell’encefalo originano dalla proliferazione delle cellule che costituiscono le pareti
del tubo neurale, quindi le pareti delle vescicole encefaliche, ma ciò che rimane dell’originale
cavità di queste vescicole costituisce i ventricoli encefalici, si tratta di cavità scavate all’interno
delle diverse parti dell’encefalo e che corrispondono a ciò che resta dell’originale cavità del tubo
neurale.
Dalla vescicola telencefalica si sviluppano i 2 emisferi telencefalici e ciò che resta dell’originale
cavità va a costituire i 2 ventricoli laterali, dalle pareti della vescicola diencefalica origina il
diencefalo e la cavità residua costituisce il 3° ventricolo, la vescicola mesencefalica forma il
mesencefalo e la cavità residua costituisce il cosiddetto
acquedotto cerebrale o canale mesencefalico o canale di
Silvio, dalla parete della vescicola metencefalica originano
ventralmente il ponte e dorsalmente il cervelletto e la cavità
residua corrisponde alla parte superiore del 4° ventricolo,
infine dalla vescicola mielencefalica origina il midollo
allungato e la cavità residua costituisce la parte inferiore del 4° ventricolo.

La porzione cefalica del tubo neurale origina, passando attraverso gli stadi a 3 e 5
vescicole, le parti dell’encefalo con le rispettive cavità o ventricoli encefalici,
mentre la porzione caudale del tubo neurale va a costituire il midollo spinale e il
residuo dell’originale tubo neurale costituisce il canale centrale del midollo spinale.

I ventricoli a sviluppo ultimato hanno una conformazione molto particolare, non


hanno mantenuto una conformazione tubulare come quella della cavità centrale
del midollo spinale e questo perché la loro conformazione, la loro forma si è modificata in parallelo
alle particolari modificazioni strutturali che hanno caratterizzato, durante le successive fasi di
sviluppo embrionale, le formazioni encefaliche in cui alla fine queste
cavità ventricolari risultano contenute.
I 2 ventricoli laterali sono scavati a livello dei 2 emisferi telencefalici e
mostrano circa una forma di C e questi 2 ventricoli comunicano con il 3°
ventricolo che si trova all’interno del diencefalo, attraversa il centro in
direzione sagittale il diencefalo, e tramite l’acquedotto cerebrale o canale
mesencefalico è collegato al 4° ventricolo che si sviluppa tra cervelletto,
bulbo e ponte.
Le cavità ventricolari, quindi il sistema ventricolare e il canale centrale del midollo spinale
contengono il liquido cerebrospinale o liquor o liquido cefalorachidiano, grazie al quale dipende
la sopravvivenza dei neuroni.

Il liquido cerebrospinale viene prodotto a livello dei plessi corioidei delle


pareti dei ventricoli encefalici e corrispondono a particolari ciuffi di capillari
che sono la sede di produzione del liquido cerebrospinale, un filtrato del
plasma che contiene sostanze opportunamente filtrate derivanti dal sangue.
Il liquor viene continuamente prodotto da questi plessi corioidei.

Il liquor viene prodotto a livello dei plessi corioidei dei ventricoli laterali,
passa attraverso i fori di comunicazione nel 3° ventricolo, si aggiunge al
liquor prodotto dai plessi corioidei del 3° ventricolo e poi tramite
l’acquedotto cerebrale il liquor raggiunge il 4° ventricolo che grazie ai
suoi plessi corioidei produce e si aggiunge altro liquor.
Il 4° ventricolo è caratterizzato da fori che mettono in comunicazione il 4°
ventricolo con lo spazio subaracnoideo.

Lo spazio subaracnoideo è uno spazio individuato compreso tra 2


meningi, tra 2 membrane connettivali denominate pia madre e
aracnoide.
Le meningi sono 3 e sono membrane fibrose che rivestono il SNC.
Questo spazio si sviluppa a ridosso della superficie esterna del SNC.

Cresta neurale
Dalla placca neurale, oltre al tubo neurale origina anche la cresta neurale che è all’origine dei
neuroni e delle cellule della Glia che vanno a costituire il SNP.
La cresta neurale si colloca dorsalmente al tubo neurale.
Dal sito originario delle cellule della cresta neurale, le cellule iniziano a
migrare rispetto alla loro sede originale andando a costituire i gangli del
SNP, ossia raggruppamenti di corpi neuronali localizzati a vari livelli del
corpo e distinti in funzione del tipo dei neuroni in essi contenuti in gangli:
sensoriali o sensitivi, motori, viscerali, simpatici, parasimpatici…

I neuroni e le cellule della Glia che vanno a costituire le diverse


parti del SNC quindi: encefalo, midollo spinale, nervo ottico (nervo
cranico) e retina (recettori della retina), parte neurale dell’ipofisi
originano dal tubo neurale.
I neuroni e le cellule della Glia che vanno a costituire le diverse
parti del SNP originano dalla cresta neurale che dà origine anche
alle 2 meningi che costituiscono lo spazio subaracnoideo: pia
madre e aracnoide.
Dalla cresta neurale originano anche altre parti del corpo diverse dal tessuto nervoso.

Aracnoide e pia madre originano dalla cresta neurale, mentre la dura madre origina dal
mesoderma.

Man mano che le parti encefaliche, durante lo sviluppo embrionale, si


sviluppano, per effetto del peso che aumenta, si ripiegano e questo
comporta, a sviluppo ultimato, una disposizione spaziale differente delle
varie parti del SNC, quindi si distinguono: una porzione assile e una
porzione sovrassiale.
La porzione assile comprende il midollo spinale e le 3 parti del tronco
encefalico, porzioni del SNC che si sviluppano lungo un asse longitudinale circa verticale.
La porzione sovrassiale comprende telencefalo, diencefalo e cervelletto, si sviluppa lungo l’asse
longitudinale disposto antero-posteriormente su un piano orizzontale.
CLASSIFICAZIONE FUNZIONALE DEI NEURONI
Il 98% dei neuroni che costituiscono il sistema nervoso sono neuroni multipolari.
Il neurone presenta un corpo o soma dove confinano tutti i suoi organuli e tantissimi prolungamenti
citoplasmatici, l’assone è uno solo, mentre il numero dei dendriti può variare.
Dendriti e assone sono prolungamenti citoplasmatici che permettono al neurone di comunicare,
caratteristica peculiare dei neuroni.
I neuroni, tramite l’assone che trasporta le informazioni che
corrispondono agli impulsi elettrici in direzione centrifuga,
mediante sinapsi chimiche, comunicano tra loro e con i
bersagli o effettori, quindi muscoli e ghiandole.
Tramite i dendriti che corrispondono alle porzioni ricettive del
neurone, quindi la porzione che raccoglie i segnali, i neuroni comunicano con altri neuroni o con
l’ambiente, perciò raccolgono segnali/informazioni provenienti direttamente dall’ambiente.
Infatti la maggior parte dei sensori o recettori sono rappresentati proprio dai neuroni sensitivi che
sono neuroni pseudounipolare.

Le funzioni basali del sistema nervoso sono svolte da specifici neuroni.

Il sistema nervoso deve fornire informazioni sull’ambiente esterno e sullo stato degli organi interni,
tramite le formazioni del compartimento afferente o sensitivo del SNP che trasporta le informazioni
afferenti dai recettori o sensori al SNC, il quale elabora ed integra le informazioni afferenti e
coordina le risposte per i bersagli.
Poi bisogna trasportare i comandi motori e secretori agli effettori o bersagli, rappresentati da
muscoli e ghiandole, tramite le formazioni del compartimento efferente o motorio del SNP.

Il SNC è costituito da encefalo e midollo spinale, mentre il SNP che collega il SNC alla periferia è
costituito da nervi e gangli.
I nervi sono fasci di fibre/assoni distinte in afferenti o sensitive ed efferenti o motorie, mentre i gangli
sono raggruppamenti neuronali situati a livello periferico e sono distinti, in relazione alla loro
funzione, in sensitivi e motori viscerali.

La classificazione funzionale dei neuroni si basa sulla funzione e


direzione di propagazione dell’impulso nervoso.
Sono distinti in:

a) Neuroni afferenti o sensitivi o sensoriali: trasportano


informazioni dalla periferia al SNC
b) Interneuroni: mettono in relazione i neuroni afferenti con i
neuroni efferenti e sono tutti localizzati nel SNC
c) Neuroni efferenti o motori: trasportano informazioni dal SNC ai
bersagli

Secondo la classificazione morfologica o strutturale i neuroni afferenti o


sensitivi sono pseudounipolari, mentre gli interneuroni e i neuroni motori
efferenti sono di tipo multipolare, cioè stabiliscono molte connessioni e
ricevono altrettante informazioni.

Neuroni afferenti
I neuroni afferenti sensitivi trasportano le informazioni dalla periferia al SNC e formano il
compartimento afferente del SNP.
I loro corpi e i loro assoni sono parte del SNP.
Sono neuroni pseudounipolari, infatti dal corpo cellulare si stacca un breve assone che subito si
suddivide in un ramo periferico e in un ramo centrale.
Il ramo periferico si sfiocca in una serie di ramificazioni a funzione
dendritica, quindi con funzione recettiva, ed è proprio questa
porzione degli assoni afferenti sensitivi che funziona da recettore.
La maggior parte dei recettori somatici e viscerali sono neuroni e corrispondono ai neuroni afferenti
sensitivi, i quali raccolgono le informazioni tramite la loro porzione dendritica e poi le trasportano,
tramite tutto l’assone, al SNC.
Collegano direttamente la periferia al SNC e sono detti sensitivi perché trasportano informazioni
sensitive raccolte dalla loro porzione dendritica terminale a funzione recettoriale.
Sono proprio i neuroni afferenti sensitivi che costituiscono il compartimento afferente o sensitivo del
SNP.
In particolare i corpi dei neuroni sensitivi formano i gangli sensitivi, mentre gli assoni costituiscono le
fibre afferenti dei nervi.

Neuroni efferenti
I neuroni efferenti o motori trasportano le informazioni dal SNC ai bersagli o effettori, quindi ai
muscoli e alle ghiandole.
Sono detti motori perché si portano soprattutto ai muscoli.
Sono neuroni multipolari, il loro corpo è collocato nel SNC e i loro assoni vanno a costituire parte
del SNP, infatti corrispondono alle fibre efferenti o motorie dei nervi.

I neuroni efferenti o motori sono distinti, in funzione dei bersagli, in:

− Neuroni motori somatici: sono destinati ai muscoli


scheletrici, trovano il loro corpo a livello del SNC
e tramite il loro assone si portano direttamente ai
bersagli.
− Neuroni motori viscerali: lavorano in 2 per
arrivare ai bersagli, infatti si parla di neuroni pre-
gangliari e neuroni post-gangliari.
Il neurone pre-gangliare trova il suo corpo a
livello del SNC, ma il suo assone si porta a sinapsare
con un secondo neurone localizzato a livello del SNP,
quindi in un ganglio motore viscerale, perciò è
l’assone del secondo neurone, quello post-gangliare,
che raggiunge i bersagli viscerali, quindi: muscolatura
liscia, cardiaca e ghiandole.

I gangli viscerali o autonomi motori sono gangli del SNP che contengono i neuroni post-gangliari.

Il compartimento efferente del SNP è costituito dagli assoni dei neuroni efferenti motori somatici, il
cui corpo è situato a livello del SNC, dagli assoni dei neuroni efferenti motori viscerali pre-gangliari
e dal corpo e dagli assoni dei neuroni efferenti motori viscerali post-gangliari.
I corpi dei neuroni efferenti viscerali post-gangliari sono localizzati a livello del SNP, vanno a
costituire i gangli motori autonomi o viscerali che sono situati a diversi livelli del corpo, associati a
nervi diversi e in modo diverso a seconda che si parli di gangli simpatici o gangli parasimpatici.
Gli assoni di questi neuroni vanno a costituire le fibre efferenti motorie dei nervi distinte in somatiche
e viscerali, mentre i corpi dei neuroni post-gangliari vanno a costituire i gangli motori autonomi o
viscerali del SNP, annessi poi ai nervi.
I corpi dei neuroni pre-gangliari e i corpi dei neuroni motori somatici sono invece localizzati a
livello del SNC,

Interneuroni
Gli interneuroni sono tutti i neuroni del SNC e formano il 90% dei nostri neuroni.
Non sono connessi direttamente alla periferia, quindi si interpongono tra gli
afferenti e gli efferenti.
Sono neuroni multipolari per eccellenza, stabiliscono tantissime connessioni
con gli afferenti, gli efferenti e altri interneuroni del SNC.
Rappresentano la sede di elaborazioni e integrazioni che caratterizzano il
SNC.
Si interpongono nei circuiti che iniziano con il neurone sensitivo afferente e terminano con il
neurone motore efferente costituendo delle reti dei circuiti atti alla elaborazione/integrazione delle
informazioni sensitive in entrata al SNC e alla coordinazione delle risposte motorie in uscita.
Tanto maggiore è il numero di interneuroni coinvolti nel circuito tanto più complessa risulta la
risposta ad uno stimolo.

Se un neurone afferente sensitivo, stimolato, sinapsa direttamente


con un neurone motore efferente, la risposta a quello stimolo
sensitivo è sempre la stessa.

SOSTANZA BIANCA E GRIGIA


La struttura interna delle formazioni che costruiscono il sistema nervoso risulta disomogenea.
I neuroni non sono uniformemente distribuiti a livello del tessuto nervoso che va a costituire le
diverse formazioni del sistema nervoso, ma si distribuiscono in modo organizzato.
I loro corpi appaiono più scuri, soprattutto per la grande ricchezza di ribosomi, mentre i loro assoni,
rivestiti di mielina (rivestimento fosfolipidico che conferisce il colore bianco), appaiono chiari.
Quindi le aree scure corrispondono soprattutto a raggruppamenti di corpi
neuronali, mentre le aree chiare corrispondono a raggruppamenti di assoni
mielinizzati.
Le zone chiare corrispondono alla sostanza bianca, mentre le zone scure alla
cosiddetta sostanza grigia.

La sostanza grigia è costituita dai corpi dei neuroni detti anche


pirenofori o soma, dai dendriti e dalle ramificazioni terminali
assoniche pre-sinaptiche che perdono la mielina.
La sostanza bianca è costituita da fasci di fibre, ossia
corrispondono ai prolungamenti assonici, quindi agli assoni dei
neuroni che vengono avvolti da espansioni citoplasmatiche
fornite dalle cellule di Schwann (SNP) o dagli oligodendrociti
(SNC).

SNP
Il SNP risulta particolarmente costituito da gangli e nervi.
Poiché i gangli sono ammassi di corpi neuronali del SNP, essi corrispondono alla sostanza grigia,
mentre i nervi, ossia fasci di fibre di assoni mielinizzati, corrispondono alla sostanza bianca del SNP.
Relativamente alla sostanza grigia, quindi ai gangli, essi si distinguono in:

→ Gangli sensitivi: contengono i corpi di neuroni afferenti sensitivi, ossia i corpi dei neuroni
pseudounipolari a funzione recettoriale e sono associati a tutti i nervi spinali e ad alcuni
nervi cranici
→ Gangli motori viscerali o autonomi: sono costituiti dai corpi dei neuroni efferenti motori post-
gangliari che con i loro assoni arrivano ai bersagli viscerali

Relativamente alla sostanza bianca, quindi ai nervi, essi si distringono in:

➢ Nervi misti: comprendono fibre afferenti sensitive e fibre efferenti motorie


➢ Nervi sensitivi: sono costituiti solo da fibre afferenti sensitive che raccolgono le informazioni
dalla periferia e le inviano al SNC
➢ Nervi motori: sono formati solo da fibre efferenti o motorie che raccolgono le informazioni
dal SNC e le inviano alla periferia e agli effettori

Tutti i nervi spinali sono nervi misti, mentre relativamente ai nervi cranici, alcuni sono misti, altri sono
solo sensitivi e altri sono solo motori.

Il nervo è un fascio di fibre cui si aggiungono dei rivestimenti connettivali.


La singola fibra nervosa, costituita dal singolo assone e dal suo rivestimento mielinico, risulta
rivestita da una formazione connettivale detta endonervio.
A rivestire l’endonervio è presente un fascio di fibre che corrisponde ad
un involucro connettivale detto perinervio e infine, a rivestire
esternamente l’intero nervo, quindi tutto il suo insieme di fibre, abbiamo il
cosiddetto epinervio.
Si tratta di involucri connettivali con la funzione di sostenere e nutrire il
nervo, infatti a livello di queste formazioni sono presenti i vasi sanguigni.

SNC
Il SNC risulta particolarmente costituito da encefalo e midollo spinale.
L’encefalo è costituito da: telencefalo e diencefalo che nell’insieme formano il cervello, tronco
encefalico che comprende: mesencefalo, ponte e midollo allungato o bulbo e cervelletto.

Il SNC presenta un’organizzazione della sostanza bianca e grigia a livello delle diverse formazioni
del SNC alquanto varia.
A livello del midollo spinale la sostanza grigia è situata in profondità e mostra una forma circa di
farfalla, circondata da sostanza bianca.
Il midollo spinale è la porzione del SNC che mostra una disposizione un po’ più regolare, cioè dove
la sua sostanza grigia e bianca mantengono circa la stessa distribuzione a tutti i livelli del midollo
spinale, quindi lungo tutto il suo asse longitudinale.
Salendo dal midollo spinale, attraverso le diverse parti del tronco
invece ci si accorge che la sostanza grigia non mostra più una
distribuzione così regolare, ma si disgrega, scoppia soprattutto in
bulbo e mesencefalo dove si evidenziano parti di sostanza grigia
immerse situate più in profondità rispetto alla sostanza bianca
che vengono definiti con il termine di “nuclei o centri di sostanza
grigia”.
Salendo, ai livelli superiori dell’encefalo, a livello di cervelletto
ed emisferi telencefalici, la sostanza grigia si dispone soprattutto
in superficie, andando a costituire la corteccia, quindi si parla
rispettivamente di corteccia cerebellare e di corteccia cerebrale.
Le cortecce sono strati di sostanza grigia che si ripiegano, quindi di corpi neuronali disposti in
superficie.
Tutto ciò accade per permettere alla sostanza grigia di estendersi maggiormente a parità di
volume occupato.
Il volume disponibile è rappresentato dall’encefalo contenuto all’interno nel neurocranio, quindi
all’interno di un contenitore di natura ossea, per cui rigido e non estensibile.

Tutti i vertebrati sono caratterizzati da SNC e SNP che si sono diversamente evoluti, in particolare
per quanto riguarda soprattutto il telencefalo e parte del cervelletto.
In relazione ai corpi neuronali che sono aumentati di numero, questi si
distribuiscono più superficialmente dove vanno a costituire le
cortecce.
Il massimo sviluppo di telencefalo e cervelletto si è raggiunto nei
primati superiori, quindi nell’uomo dotato da funzioni intellettive
superiori che lo contraddistinguono dagli animali.
Sia a livello del cervelletto sia a livello degli emisferi telencefalici, più
in profondità immersi nella sostanza bianca sono presenti piccole
formazioni di sostanza grigia definite nuclei del cervelletto e nuclei
del telencefalo o nuclei o gangli della base con funzioni motorie molto importanti.
La sostanza bianca invece si sviluppa al di sotto della corteccia e tra i nuclei profondi.

La corteccia è uno strato di sostanza grigia che si sviluppa sulla superficie degli emisferi
telencefalici (corteccia cerebrale) o sulla superficie del cervelletto (corteccia cerebellare).
I nuclei sono raggruppamenti di corpi neuronali individuabili dal punto di vista anatomico perché
risultano delimitati, quindi circondati da sostanza bianca.
I centri sono raggruppamenti di corpi neuronali, quindi di neuroni deputati ad una specifica
funzione i cui assoni condividono lo stesso bersaglio.
La differenza tra nucleo e centro consta nel fatto che la definizione di centro sia più fisiologica, più
funzionale piuttosto che anatomica.
I centri non sono ben individuabili anatomicamente poiché sono piccoli e frammisti o risultano in
continuità con altri raggruppamenti neuronali.
I nuclei invece sono raggruppamenti di corpi neuronali ben individuabili anatomicamente.
I gangli del SNP corrispondono ai nuclei del SNC.
A livello del tronco sono presenti importanti centri deputati al controllo di funzioni viscerali,
vegetative, vitali come centri respiratori e cardiocircolatori, mentre a livello dell’ipotalamo, una
parte del diencefalo, sono presenti centri della termoregolazione, della fame e della sete.
A livello della corteccia cerebrale si parla di aree piuttosto che di centri, sempre riferendosi a
raggruppamenti di corpi neuronali deputati a specifiche funzioni come aree: motorie deputate a
funzioni motorie caratterizzate da neuroni responsabili del controllo dell’attività dei muscoli
scheletrici, sensitive deputate a funzioni sensitive e all’elaborazione delle informazioni sensitive
originate dai recettori, associative o di integrazione che sono aree corticali di origine ancora
superiore che sono deputate a funzioni superiori (es, comprensione e produzione del linguaggio,
aree deputate all’apprendimento…).
Le aree corticali così come i centri sono stati
individuati tramite studi di risonanza magnetica
funzionale.

I fasci o tratti sono raggruppamenti di assoni che


condividono origine e terminazione, quindi
trasportano lo stesso tipo d’informazione.
Le colonne corrispondono ad un insieme di più fasci
che costituiscono una porzione di sostanza bianca
detta colonna o cordoni evidenziabile
anatomicamente.

Le vie sono una sequenza di neuroni che individuano un percorso lungo il


quale viaggia una specifica informazione e si possono distinguere:

✓ Vie sensitive: trasportano specifiche informazioni sensitive raccolte da


specifici recettori verso i centri o aree di processamento encefalico
superiori.
Sono anche dette ascendenti in relazione al flusso dell’informazione.
✓ Vie motorie: originano dai centri motori encefalici superiori e portano
le informazioni ai bersagli, agli effettori, quindi ai muscoli e alle
ghiandole.
Sono anche dette discendenti in relazione al flusso d’informazione.

MIDOLLO SPINALE
Il midollo spinale rappresenta la parte strutturalmente e funzionalmente più semplice del SNC ed è
collegato ai suoi bersagli tramite le 31 paia di nervi spinali che sono nervi misti per cui costituiti sia
da fasci di fibre afferenti sia da fasci di fibre efferenti e che insieme
ai gangli annessi costituiscono la parte di SNP che collega
direttamente il midollo spinale ai suoi bersagli.
I diretti bersagli del midollo spinale sono le pareti del tronco e gli
arti, quindi la maggior parte del soma.
La porzione somatica della testa è invece innervata da alcuni nervi
cranici che, diversamente dai nervi spinali, originano dal tronco
encefalico.
Il midollo spinale si continua superiormente con l’encefalo a livello del grande foro presente a
livello dell’osso occipitale.
Il midollo spinale rappresenta assolutamente una via di transito delle vie sensitive ascendenti e
delle vie motorie discendenti, quindi rappresenta un mezzo di trasporto di informazioni sensitive
ascendenti raccolte soprattutto a livello dei recettori somatici delle pareti del tronco e degli arti,
quindi raccolte dai recettori cutanei e dai muscoli scheletrici verso i centri di elaborazione
encefalici superiori; risulta anche un mezzo di trasporto di informazioni motorie discendenti
originate dai centri encefalici superiori verso i bersagli.
Il midollo spinale però non è soltanto questo, ma è capace di processare informazioni proprie.
Il midollo spinale mantiene una sua individualità funzionale, ossia è un importante centro di
elaborazione/integrazione di stimoli, quindi processa informazioni sensitive proprie che sono
all’origine di risposte rapide, inconsce definite riflessi spinali.

Il riflesso è una risposta veloce, involontaria/inconscia, ad


uno stimolo sensitivo.

Le informazioni sensitive generate dalla stimolazione di un


recettore che vengono elaborate a livello del midollo
spinale stesso sono all’origine di risposte motorie rapide e
inconsce di un suo effettore dette riflessi spinali.

Il riflesso dolorifico è finalizzato a proteggerci.


La stimolazione di un recettore dolorifico anche detto
nocicettore, localizzato a livello della piante del piede, tramite
una puntina, è all’origine di un’informazione sensitiva che
raggiunge, tramite il neurone afferente sensitivo il midollo
spinale dove l’informazione sensitiva viene direttamente
elaborata ed innesca una serie di risposte, di comandi motori
che tramite i neuroni efferenti motori del midollo spinale
vengono trasportate ai bersagli, quindi a diversi specifici
muscoli degli arti inferiori.
Si parla quindi di comandi motori deputati a proteggerci dallo stimolo dolorifico.

Il midollo spinale non occupa tutto il canale vertebrale, infatti termina a livello di L1-L2
assottigliandosi in una porzione definita cono midollare, ma la restante parte del canale vertebrale
è occupata dalla cauda equina.

Inoltre presenta 2 rigonfiamenti, ossia porzioni dove il midollo spinale si


allarga.
Si tratta di un rigonfiamento cervicale in corrispondenza del tratto
cervicale del midollo spinale e di un rigonfiamento lombare in
corrispondenza del suo tratto lombare.
Queste porzioni di midollo spinale sono deputate all’innervazione degli
arti, ossia dalle quali emergono i nervi spinali deputati all’innervazione
degli arti.

Il SNC, quindi l’encefalo e il midollo spinale, sono rivestiti da 3


membrane fibrose rappresentate, dalla profondità alla
superficie da:

• Pia madre: foglietto più interno che aderisce


internamente alla superficie esterna del SNC
• Aracnoide
• Dura madre

Tra pia madre e aracnoide si sviluppa uno spazio detto spazio subaracnoideo contenente liquido
cerebrospinale o cefalorachidiano o liquor.
Tra aracnoide e dura madre, in condizioni fisiologiche non è presente un vero e proprio spazio
infatti si parla di spazio virtuale detto spazio subdurale.
Il liquor oltre ad occupare lo spazio subaracnoideo, occupa anche le cavità interne del SNC
(ventricoli encefalici) e la cavità centrale del midollo spinale.

Tra la dura madre e il canale vertebrale, individuato dalla


successione dei fori vertebrali che caratterizzano le vertebre, esiste
uno spazio detto spazio epidurale contenente tessuto adiposo con
vasi e nervi che si portano al midollo spinale e alle porzioni
scheletriche delle vertebre.
Questo spazio non è presente a livello dell’encefalo perché tra
neurocranio che contiene l’encefalo e la dura madre encefalica, la
dura madre aderisce alla superficie interna del neurocranio.

Nervi spinali
Il midollo spinale è collegato alla periferia/bersagli da 31 paia di nervi spinali che
emergono dal canale vertebrale attraverso i fori intervertebrali corrispondenti.
Ogni nervo spinale, subito dopo essere fuoriuscito dal foro intervertebrale
corrispondente si divide in un ramo anteriore più cospicuo e un ramo anteriore più
sottile.

I nervi spinali si formano dall’unione di 2 radici che, in funzione della posizione sono distinte in
radice posteriore o dorsale e radice anteriore o ventrale.
Queste radici emergono separate dal midollo spinale per poi unirsi in corrispondenza del foro
intervertebrale attraverso il quale il nervo deve uscire.
Queste radici sono parti del nervo.
Il nervo spinale è un nervo misto, quindi costituito da un fascio di fibre/assoni
distinte in: afferenti o sensitive ed efferenti o motorie.
Queste fibre, in prossimità del midollo spinale si separano, risultano
separate: le afferenti, provenienti dai recettori, vanno a costituire la radice
posteriore o dorsale; mentre le efferenti, originate dal midollo spinale e
destinate ai bersagli, formano la radice anteriore del nervo spinale.

I nervi spinali originano dai neuromeri detti anche mielomeri.


I neuromeri o mielomeri sono le unità costitutive del midollo spinale che si
sommano dall’alto al basso e che corrispondono all’origine dei nervi spinali,
tramite le rispettive radici posteriore e anteriore.
I neuromeri non sono visibili superficialmente, ma vengono identificati
dall’emergenza delle radici dei nervi spinali.

Si definisce neuromero midollare ogni segmento del midollo spinale dal quale emerge, su ciascun
lato, un paio di radici (posteriore e anteriore) dalla cui unione si forma un nervo spinale misto.
La suddivisione metamerica del midollo spinale non è evidente morfologicamente, ma è
contrassegnata dall'emergenza delle radici/nervi spinali.
La disposizione e la numerosità di queste radici identificano i cosiddetti neuromeri midollari, ossia i
settori nervosi che in successione formano la compagine del midollo spinale.

Sono presenti:

− 31 paia di radici anteriori


− 31 paia di radici posteriori
− 31 paia di nervi spinali: 8 cervicali, 12 toracici, 5 lombari, 5 sacrali e 1 coccigeo
− 31 neuromeri

Le vertebre cervicali sono 7, mentre i neuromeri cervicali e quindi anche i nervi spinali sono 8 paia.
Il primo nervo spinale viene fuori al di sopra della prima vertebra cervicale, quindi tra l’osso
occipitale del cranio e l’atlante.
Inoltre a seguito dell’ascensione midollare i neuromeri midollari si trovano posizionati più
superiormente rispetto alle corrispondenti vertebre.

Nei primi 3 mesi il midollo spinale cresce alla stessa velocità della colonna vertebrale, quindi
occupa l’intera lunghezza del canale vertebrale.
Dal 4° mese in poi, lo sviluppo della colonna vertebrale, soprattutto nei
livelli lombari e sacrali, non è proporzionale allo sviluppo della
corrispondente porzione dei midollo spinale, ma risulta una crescita
maggiore per cui, apparentemente, sembra che il midollo spinale risalga
lungo il canale vertebrale, per questo si parla di ascesa midollare.
Infatti il midollo spinale, a sviluppo ultimato si arresta in corrispondenza di
L1-L2 (L3-L4 nel neonato), ma mantiene la suddivisione in neuromeri.
La disposizione dei mielomeri non corrisponde totalmente alla disposizione delle corrispondenti
vertebre.

Mentre ai livelli cervicali e toracici si ha circa una corrispondenza tra lo spessore


dei neuromeri e delle rispettive vertebre, per cui le radici dei nervi spinali fanno
un percorso quasi rettilineo per unirsi ed emergere dai rispettivi fori intervertebrali,
via via che si scende lungo il midollo spinale, si nota come i neuromeri si
allontanano sempre di più rispetto alle corrispondenti vertebre, ritrovandosi
sempre più in alto rispetto alle rispettive vertebre, quindi le radici spinali
emergenti, soprattutto dei neuromeri lombari e sacrali, devono affrontare
percorsi più lunghi per raggiugere i rispettivi fori intervertebrali di emergenza,
luogo in cui le radici ventrali e dorsali e gli specifici nervi si uniscono per
emergere come nervi spinali misti.
Queste ultime radici spinali formano la cosiddetta cauda equina, una formazione che assomiglia
alla coda di un cavallo e che occupa la parte inferire del canale vertebrale.

Lo spazio sottostante del canale vertebrale è occupato dalla cauda equina avvolta dal sacco
durale (aracnoide e dura madre) o cisterna lombare.
La pia madre che aderisce intimamente al midollo spinale, termina
con esso in corrispondenza di L1-L2, però le successive meningi,
quindi aracnoide e dura madre, proseguono fino a livello di S2,
quindi il sacco durale è sostenuto dall’aracnoide e dalla dura madre
che proseguono fino ad S2 avvolgendo e contenendo le radici
nervose della cauda equina che non sono contenute in un ambiente
secco, ma liquido, infatti sono immerse nel liquido cerebrospinale.
Il sacco durale delimita la cisterna lombare piena di liquido contenente la cauda equina.

Le ernie postero-mediane possono colpire il midollo spinale, se si


sviluppano al di sopra di L1-L2, mentre le ernie postero-mediane
possono colpire la cauda equina, se si sviluppano al di sotto di
L1-L2.
La sintomatologia clinica del paziente varia in base a livello e
posizione in cui si sviluppa un’ernia.

Se il disco erniato è il disco intervertebrale compreso tra L4 ed L5 di un’ernia


postero-laterale, il nervo spinale colpito è L5 perché il foro intervertebrale si
sviluppa al di sopra del disco intervertebrale.
Tra L4 ed L5 emergono i nervi spinali, attraverso i fori intervertebrali, L4;
mentre tra L5 ed S1 emergono i nervi spinali L5.
Tra L2 ed L3 emergono i nervi spinali L2, mentre tra L3 ed L4 emergono i nervi
spinali L3.

Configurazione interna
Nel midollo spinale, la sostanza bianca e la sostanza grigia mostrano una distribuzione costante e
regolare che si mantiene per tutta la sua lunghezza, dove la sostanza grigia a forma di farfalla si
dispone in profondità e risulta completamente circondata da sostanza bianca.

La sostanza grigia è sostenuta, in particolare, dai corpi neuronali che risultano organizzati in nuclei.
La sostanza bianca è sostenuta da fasci di fibre nervose, ossia da fasci
di assoni rivestiti di mielina che trasportano le informazioni verso l’alto
(fasci ascendenti) o verso il basso (fasci discendenti).
Al centro è presente un canale detto canale centrale o canale
ependimale del midollo spinale contenente liquido cerebrospinale che
superiormente si continua con le cavità interne dell’encefalo.

Sulla superficie esterna si notano una fessura mediana anteriore


più profonda e un solco mediano posteriore che percorrono
longitudinalmente tutto il midollo spinale permettendoci di
suddividerlo in 2 metà uguali e simmetriche dette antimeri destro e
sinistro.
A livello di ogni antimero si notano, lateralmente dei solchi, laterale
anteriore e laterale posteriore che corrispondono all’emergenza
delle radici anteriore e posteriore dei nervi spinali.

I solchi laterali ci permettono di suddividere la sostanza bianca di ogni antimero in 3 cordoni o


funicoli di sostanza bianca, distinti in: anteriore, laterale e posteriore.
Questi cordoni corrispondono ad un insieme di fasci o tratti, ossia un raggruppamento di
fibre/assoni che trasportano lo stesso tipo di informazione: sensitiva o motoria e condividono
origine e destinazione.
In funzione del senso di trasporto dell’informazione si distinguono:

✓ Fasci ascendenti o sensitivi: trasportano informazioni sensitive


✓ Fasci discendenti o motori: trasportano informazioni motorie

Tali fasci collegano fra di loro i vari segmenti midollari per coordinare la loro attività e fasci che
collegano i segmenti midollari con le parti encefaliche superiori (fasci ascendenti) o viceversa, per
cui collegano le parti encefaliche superiori con il midollo spinale (fasci discendenti).

In ogni antimero si distringono un corno anteriore e un corno posteriore.


Solo in alcuni segmenti del midollo spinale si evidenzia un terzo corno detto corno laterale o
intermedio-laterale.
La colonna o corno anteriore presenta una funzione motoria somatica,
quindi è costituita da corpi di neuroni motori somatici; la colonna
posteriore presenta una funzione sensitiva, per cui contiene corpi di
neuroni sensitivi.
Solo ad alcuni livelli spinali, come tra T1 ed L1-L2, è presente una
colonna viscero-motoria con corpi di neuroni motori viscerali di tipo simpatico; oppure tra S2 ed
S4, è presente una colonna viscero-motoria con corpi di neuroni motori viscerali di tipo
parasimpatico.
Questi territori di sostanza grigia sono organizzati in nuclei funzionali, quindi anteriormente avremo
nuclei motori e posteriormente nuclei sensitivi.

I nuclei presentano posizioni ed estensioni diverse, quando osservati


lungo l’asse longitudinale.
Le corna di sostanza grigia sono sostenute da una sommatoria di nuclei
funzionali che si addizionano sia sul piano trasversale, sia lungo l’asse
longitudinale e dal punto di vista anatomico sono difficilmente
identificabili.

Nel tentativo di individuare una precisa organizzazione morfologica, a livello della sostanza grigia
del midollo spinale, il neuroanatomico svedese Rexed, intorno al 1950, intraprese uno studio di tipo
citoarchitettonico e biochimico della sostanza grigia del midollo spinale.
Secondo la classificazione arcaica tali nuclei della sostanza grigia, difficilmente
identificabili/individuabili anatomicamente sono stati diversamente denominati in relazione agli
studiosi che li hanno identificati (es. zona marginale di Lissauer, sostanza gelatinosa di Rolando,
nucleo dorsale di Clarke…).
Per ovviare al problema circa la loro precisa identificazione topografica e terminologica, Rexed
disseziona trasversalmente tutto il midollo spinale per studiare le caratteristiche citoarchitettoniche,
morfologiche e biochimiche di tutti i neuroni.
Questo studio gli permise di evidenziare una particolare/regolare organizzazione della sostanza
grigia, ossia un’organizzazione laminare, per cui si parla di lamine di Rexed.
In sezione trasversale e in direzione dorso-ventrale o postero-anteriore, Rexed riuscì ad individuare
10 lamine, ossia strati appiattiti di corpi neuronali con le stessa caratteristiche morfologiche e
biochimiche, strati a decorso longitudinale che andò a numerare in successione con numeri
romani, dalla testa del corno posteriore alla testa del corno anteriore.

La sostanza grigia del midollo spinale è composta da lamine (strati appiattiti)


successive di neuroni.
Le lamine sono 10, di cui 6, più regolari e ordinatamente stratificate, localizzate
nel corno posteriore.
Le lamine del corno anteriore mostravano invece uno sviluppo meno regolare,
ma piuttosto colonnare.

La lamina IX contiene i corpi dei neuroni efferenti motori somatici, neuroni di tipo α e γ, destinati
all’innervazione della muscolatura scheletrica (muscoli assili e appendicolari).
A livello della lamina VII si individua una colonna che si estende da T1 a L1-L2 e ai livelli S2-S4, con i
corpi dei neuroni efferenti motori viscerali pre-gangliari del comparto simpatico e parasimpatico.

La lamina IX risulta a sviluppo colonnare, ossia si nota che è costituita da 2 colonne e precisamente
una colonna mediale che risulta continua, cioè si sviluppa lungo tutto il midollo spinale e una
colonna laterale discontinua che si sviluppa soltanto a livello di alcuni neuromeri midollari.
La colonna mediale continua contiene i corpi dei neuroni motori destinati alla muscolatura assile e
ai muscoli della radice degli arti, mentre la colonna discontinua laterale
contiene i neuroni motori destinati ai muscoli delle parti libere degli arti, dove
il midollo spinale si allarga.
La porzione superiore della colonna laterale si sviluppa in corrispondenza dei
neuromeri del midollo spinale destinati all’innervazione dell’arto superiore,
mentre la porzione inferiore della colonna laterale si ritrova solo a livello dei
neuromeri del midollo spinale destinati all’innervazione dei muscoli dell’arto
inferiore.

I motoneuroni α e γ non sono disposti casualmente, ma possiedono un’organizzazione


somatotopica, cioè presentano una distribuzione regolare in direzione medio-laterale o prossimo-
distale che rispecchia la posizione dei loro bersagli, ossia la posizione dei
segmenti corporei cui sono destinati.
A livello della lamina IX, più medialmente sono presenti i motoneuroni
destinati ai muscoli assiali, ossia ai muscoli del tronco.
Inoltre nei neuromeri corrispondenti sono presenti i motoneuroni che si
portano ai muscoli delle radici degli arti.
A livello della lamina IX, più lateralmente sono regolarmente distribuiti in direzione medio-laterale i
motoneuroni α e γ destinati ai muscoli di: braccio, avambraccio e mano.
Lo stesso discorso vale anche per i motoneuroni α e γ della colonna laterale inferiore, destinati in
direzione medio-laterale ai muscoli di: coscia, gamba e piede.

I motoneuroni della lamina IX sono innervati, ossia controllati da sistemi motori, ossia da fasci delle
vie motorie discendenti.
I motoneuroni della colonna laterale destinati ai muscoli delle parti libere degli arti sono controllati
dai sistemi motori laterali, quindi si tratta di fasci delle vie motorie discendenti che decorrono a
livello del cordone laterale della sostanza bianca del midollo spinale e dove, la più importante via
di questo sistema di moto laterale è rappresentata dalla via cortico-spinale o piramidale che
origina dalla corteccia cerebrale.
I motoneuroni della colonna mediale destinati ai muscoli assili, sono invece controllati dai sistemi
motori mediani e si tratta di fasci delle vie motorie discendenti che vanno ad occupare il cordone
anteriore di sostanza bianca del midollo spinale, fasci delle vie che originano soprattutto dai nuclei
motori del tronco encefalico e sono in particolare le vie che corrispondono alle vie cosiddette
extrapiramidali.

La lamina IX delle corna anteriori del midollo spinale è suddivisa in 2 colonne:

1. Laterale discontinua: motoneuroni efferenti per i muscoli delle


parti libere degli arti, controllati dal sistema di moto laterale del
midollo spinale
2. Lamina mediale continua: motoneuroni efferenti per i muscoli
assili e delle radici degli arti, controllati dal sistema di moto
mediale del midollo spinale

NERVI SPINALI
I nervi spinali sono 31 paia e collegano il midollo spinale, quindi il SNC alla periferia, ai suoi bersagli,
ossia alle pareti del tronco e agli arti, compartimento somatico del corpo.
Rappresentano la parte del SNP che collega il midollo spinale ai suoi bersagli.
Sono costituiti da fasci di fibre, quindi di assoni e dai gangli annessi.

Un nervo spinale si costituisce dall’unione di 2 radici: una radice posteriore sensitiva o afferente e
una radice anteriore motoria o efferente.
È perciò un nervo misto con un fascio di fibre afferenti che trasporta l’informazione al midollo
spinale e un fascio di fibre efferenti che dal midollo spinale trasportano le informazioni ai bersagli.
La maggior componente dei nervi spinali è somatica, perciò costituita prevalentemente da fibre
afferenti ed efferenti somatiche.
Le fibre afferenti sono originate dai recettori somatici delle pareti
del tronco e arti, quindi distinti in: recettori cutanei o esterocettori e
recettori muscolari o propriocettori.
Le fibre efferenti sono destinate soprattutto ai muscoli scheletrici.
A livello delle pareti di tronco e arti è presente anche una piccola
parte viscerale costituita da muscolatura liscia dei vasi e ghiandole
sudoripare della cute.
A livello dei nervi spinali è presente anche una piccola componente di fibre viscerali simpatiche
destinate ai vasi delle pareti del tronco e degli arti e alle ghiandole sudoripare della cute.

La radice posteriore sensitiva o afferente è costituita dagli assoni dei neuroni afferenti sensitivi che
raccolgono le informazioni dalle pareti del tronco e degli arti.
Inoltre è formata dal ganglio sensitivo dove sono presenti i corpi dei neuroni afferenti sensitivi
associato a tutti i nervi spinali e precisamente a tutte le radici posteriori dei nervi spinali e si situa
circa all’altezza del foro intervertebrale dove le 2 radici, afferente ed efferente si uniscono per
formare il nervo spinale misto.

I neuroni di tipo pseudounipolare hanno il corpo situato al di fuori del


SNC, quindi in un ganglio sensitivo associato alla radice posteriore
del nervo spinale e l’assone del neurone, tramite il ramo periferico, si
porta a raccogliere gli stimoli dalla periferia, parte terminale
dendritica che funziona da recettore; mentre tramite il ramo
centrale forma la radice posteriore del nervo spinale.
Complessivamente le fibre afferenti sensitive dei nervi spinali sono gli
assoni dei neuroni afferenti sensitivi dei gangli sensitivi associati ai nervi spinali.
Il midollo spinale riceve informazioni sensitive dalla periferia tramite gli assoni
dei neuroni sensitivi afferenti dei gangli sensitivi annessi alla radice dorsale o
posteriore del nervo spinale.
Questa informazione, una volta raggiunto il midollo spinale può essere
elaborata a livello del midollo spinale stesso, per cui è all’origine di un riflesso
spinale e poi trasportata ai centri di processamento encefalici superiori.

I neuroni afferenti sensitivi sinaptano con un secondo neurone localizzato a


livello del SNC, ossia il secondo neurone può essere localizzato a livello del
midollo spinale stesso o a livelli superiori e questo dipende dallo specifico
recettore stimolato e quindi dalla specifica via sensitiva reclutata.
Indipendentemente dalle vie reclutate, queste devono comunque raggiugere
la corteccia cerebrale, quindi specifiche aree sensitive della corteccia
cerebrale per permetterci di percepire, ossia di renderci conto dello stimolo.

La radice anteriore motoria o efferente è sostenuta dalle fibre/assoni dei


neuroni motori efferenti anche detti neuroni radicolari perché i loro assoni
formano la radice anteriore del nervo spinale.
Questi neuroni sono distinti in somatici e viscerali pre-gangliari.
Si tratta di neuroni motori efferenti o motoneuroni perché trasportano
informazioni dal SNC, dal midollo spinale alla periferia.
I neuroni somatici sono localizzati nel corno anteriore del midollo
spinale, mentre i neuroni viscerali sono neuroni pre-gangliari
localizzati nel corno intermedio-laterale o laterale di alcuni neuromeri
midollari.
I neuroni efferenti somatici, con i loro assoni, si portano direttamente al bersaglio, mentre i neuroni
viscerali pre-gangliari raggiungono un secondo neurone localizzato a livello di un ganglio viscerale
e poi i neuroni post-gangliari si portano al bersaglio.

I corpi dei motoneuroni efferenti somatici (motoneuroni α e γ)


appartengono alla lamina IX della sostanza grigia del midollo spinale
destinati soprattutto ai muscoli scheletrici.
I motoneuroni α si portano alle fibre extrafusali, ossia alle normali fibre
muscolari del muscolo scheletrico; mentre i motoneuroni γ si portano alle
fibre intrafusali, ossia al fuso neuromuscolare, recettori muscolari
complicatissimi che monitorano la lunghezza dei muscoli.

Ogni motoneurone α, tramite ramificazioni del suo assone, innerva più


fibre muscolari scheletriche o extrafusali.
Si definisce unità motoria l’insieme delle fibre muscolari innervate dallo
stesso motoneurone.
Il rapporto d’innervazione corrisponde al numero delle fibre muscolari
innervate da un singolo motoneurone.
Minore è il numero di fibre muscolari controllate da un singolo
motoneurone, quindi più piccola è l’unità motoria, più preciso è il controllo dell’attività del muscolo
scheletrico, quindi del movimento.
Un muscolo è caratterizzato da più unità motorie, quindi è raggiunto da più neuroni motori efferenti
somatici.

Oltre ai neuroni motori efferenti somatici abbiamo anche i neuroni motori viscerali pre-gangliari,
sono i neuroni contenenti i corpi dei neuroni motori viscerali pre-gangliari del SNA e distinti nella
porzione simpatica (presente solo tra T1 ed L1) e nella porzione parasimpatica (presente solo tra S2
ed S4).

La radice anteriore dei nervi spinali è sostenuta dagli assoni dei neuroni motori efferenti somatici
che direttamente, tramite il nervo spinale, si portano ai muscoli scheletrici, quindi fibre efferenti
somatiche dei nervi spinali e dagli assoni dei neuroni motori
efferenti viscerali pre-gangliari che si portano ad un ganglio
motore viscerale simpatico o parasimpatico localizzato a vari
livelli del corpo.
Da questi gangli le fibre post-gangliari arrivano poi ai visceri
propriamente detti tramite nervi viscerali, non tramite i nervi
spinali, oppure utilizzando il decorso dei vasi che si portano ai
diversi visceri.

Una piccola parte di fibre post-gangliari simpatiche o ortosimpatiche


devono raggiugere anche il nervo spinale per portarsi alla parte
viscerale che caratterizza il compartimento somatico, quindi alle
formazioni viscerali che si trovano a livello delle pareti del tronco e degli
arti, per cui a: vasi, ghiandole sudoripare, muscoli erettori del pelo…
Le fibre pre-gangliari simpatiche originano dal corno intermedio-laterale
presente tra T1 ed L1-L2, utilizzano la radice anteriore del nervo spinale
per portarsi ad un ganglio del simpatico o ortosimpatico e poi le fibre
post-gangliari si portano al nervo spinale per raggiungere i bersagli.
A livello dei nervi spinali prevale la componente somatica, rispetto alla componente viscerale.

I nervi spinali grazie alle loro fibre afferenti mediano il trasferimento di informazioni sensitive raccolte
dalla periferia, dai recettori somatici verso il SNC e grazie alle loro fibre efferenti motorie mediano il
trasferimento di informazioni motorie dal SNC ai muscoli scheletrici delle parteti del tronco e degli
arti.
I nervi spinali perciò concorrono ad innervare le pareti del tronco e gli arti.

Innervazione arti e parteti del tronco


I nervi spinali misti si suddividono in:

Rami posteriori misti: più sottile che si distribuisce in modo


segmentale o metamerico a livello dorsale, quindi a livello della
parte posteriore del tronco e innervano un territorio cutaneo, uno
strato di cute e i sottostanti e corrispondenti muscoli profondi o
intrinseci del dorso.
Rami anteriori misti: più grosso perché deve innervare un territorio
più esteso e la maggior parte di questi partecipa alla formazione
di plessi spinali, ossia complessi dispositivi nervosi.
I rami terminali anche detti nervi periferici che si costituiscono dai
plessi, si portano ad innervare gli arti in particolare e le porzioni
antero-laterali della parete del tronco.

La suddivisione in rami anteriori e posteriori riguarda tutti i nervi spinali e avviene subito oltre il foro
di emergenza del nervo spinale dal canale vertebrale, quindi a livello del foro intervertebrale detto
clinicamente anche foro di coniugazione.
Sussiste una piccola differenza per quanto riguarda i nervi spinali sacrali i quali si suddividono
ancora quando sono all’interno del tratto sacrale del canale vertebrale in rami anteriori e
posteriori, tale per cui i rami anteriori dei nervi spinali sacrali emergono direttamente dai fori sacrali
anteriori, mentre i rami posteriori dei nervi spinali sacrali emergono attraverso i fori sacrali posteriori
dell’osso sacro.
Sia i rami posteriori sia i rami anteriori sono misti, diversamente dalle radici dei nervi spinali.
Le fibre afferenti sensitive originano dai recettori cutanei, articolari e muscolari.
Le fibre efferenti motorie si portano ai muscoli scheletrici, quindi sono le fibre dei motoneuroni α che
si portano alle fibre extrafusali e le fibre dei motoneuroni γ che si portano alle fibre intrafusali, ossia
quelle fibre specializzate che caratterizzano il fuso neuromuscolare, recettori molto strani perché
sono innervati anche da fibre motorie.
I rami posteriori di tutti i nervi spinali restano tra di loro separati, quindi mantengono una
distribuzione precisa e segmentale nel senso che questi rami posteriori dei nervi spinali si portano
posteriormente andando ad innervare precise aree cutanee e sottostanti e corrispondenti porzioni
di muscoli del dorso.
Diversamente i rami anteriori dei nervi spinali partecipano alla formazione di
plessi spinali, ma i rami anteriori dei nervi spinali toracici non formano plessi
spinali, ossia mantengono un andamento individuale, segmentale e
metamerico, restano tra loro separati e corrispondono ai nervi intercostali
che sono destinati ai muscoli intercostali e in parte anche destinati ad
innervare parte della parete antero-laterale dell’addome.

I rami anteriori dei nervi spinali da C1 a C4 costituiscono il plesso cervicale


che si colloca circa a livello del collo.
I rami anteriori dei nervi spinali da C5 a T1 costituiscono il plesso brachiale
che si costituisce in parte a livello del collo e poi prosegue a livello
ascellare.
I rami anteriori dei nervi spinali da L1 a L4 costituiscono il plesso lombare che
si costituisce nello spessore del muscolo psoas, quindi in corrispondenza
della parete addominale posteriore.
I rami anteriori dei nervi spinali da L4 a C01 costituiscono il plesso sacro-
coccigeo che si sviluppa in regione pelvica, quindi davanti al muscolo piriforme.

Il plesso è un complicato dispositivo nervoso che si costituisce grazie ad uno scambio, un intreccio
di fibre che si attua fra i rami anteriori di nervi spinali vicini e queste anastomosi fanno si che i rami
terminali, quindi i nervi periferici che si costituiscono a partire dai plessi e destinati a specifici
bersagli, possono contenere fibre derivanti da più nervi spinali, quindi derivanti da più segmenti o
neuromeri midollari.

Ogni nervo spinale provvede all’innervazione sensitiva di una regione cutanea detta
dermatomero.
Ogni nervo spinale provvede all’innervazione motoria di uno specifico territorio muscolare detto
miomero.

Il miomero è il territorio muscolare di competenza


della radice anteriore del nervo spinale, mentre il
dermatomero è il territorio sensitivo o cutaneo di
competenza della radice posteriore del nervo
spinale.

I dermatomeri sono aree cutanee pari e simmetriche innervate da


un singolo nervo spinale tramite la sua radice sensitiva.
In stazione eretta i dermatomeri sono disposti orizzontalmente a
livello del tronco, mentre sono disposti verticalmente a livello degli
arti.
Essi sono così precisamente distribuiti che una perdita specifica di
sensazioni in una certa parte del corpo indica facilmente quale
nervo spinale è stato danneggiato.

NERVI CRANICI
Oltre alle 31 paia di nervi spinali esistono 12 paia di nervi cranici.
Si tratta di nervi che originano precisamente dalle porzioni del tronco encefalico, quindi possono
originare da mesencefalo, ponte o bulbo.
Questi nervi cranici si distribuiscono soprattutto a formazioni della testa, a parte il 10° paio di nervi
cranici detti nervi vaghi che si distribuiscono anche a visceri della regione toracica e della regione
addomino-pelvica.
Questi nervi cranici, per raggiungere i loro bersagli devono abbandonare il neurocranio ed
emergono, attraverso fori specifici del basicranio.
Sono indicati con numeri romani dal 1° al 12° in funzione della loro precisa emergenza in direzione
antero-posteriore a livello del tronco encefalico.
Sono nervi che possono essere misti, quindi contenere sia fibre afferenti sensitive sia fibre efferenti
motorie, ma possono anche essere solo nervi sensitivi (es. 1°
paio → Nervi olfattivi che trasportano informazioni dai recettori
olfattivi contenuti a livello delle cavità nasali, 2° paio → Nervi
ottici che trasportano informazioni visive raccolte dai recettori
presenti a livello della retina, 8° paio → Nervo acustico-
vestibolare che raccoglie informazioni dai recettori
dell’organo dell’equilibrio e dell’udito presenti a livello
dell’orecchio interno) oppure solo nervi motori (es. 11° paio →
Nervi accessori che si portano a 2 muscoli: muscolo
sternocleidomastoideo, un muscolo della parete anteriore del
collo propriamente detto e muscolo trapezio, un muscolo
spino-appendicolare).

PLESSO CERVICALE (C1-C4)


Il plesso cervicale si costituisce tramite uno scambio di fibre che
avviene tra i rami anteriori C1, C2, C3 e C4.
Dal punto di vista strutturale è un plesso molto complesso che si
costituisce dietro il muscolo sternocleidomastoideo e davanti ai
muscoli scaleno medio ed elevatore della scapola.
Il territorio di innervazione riguarda: muscoli del collo, diaframma e
cute, testa, collo e parte superiore del torace.
Si sviluppa più o meno lateralmente rispetto al fascio vascolo-nervoso
del collo.

Nel plesso cervicale si distinguono dei rami terminali o nervi periferici


detti:

a) Superficiali/cutanei/sensitivi: rami che si portano a territori


cutanei precisi e contengono solo fibre afferenti sensitive che
trasportano le informazioni raccolte dai recettori cutanei.
I rami superficiali si portano a territori cutanei che riguardano
la regione posteriore della testa (cuoio capelluto della
regione occipitale) e la cute anteriore del collo.
La parte anteriore della testa, quindi la regione cutanea della faccia
non è innervata da rami terminali originati dal plesso cervicale, bensì
è innervata dal nervo trigemino che corrisponde al 5° paio di nervi
cranici ed è così definito perché è costituito da 3 branche principali
distinte in: nervo oftalmico, nervo mascellare e nervo mandibolare.
Queste 3 branche raccolgono le informazioni sensitive generate dai
recettori cutanei della faccia.
b) Muscolari: rami che si portano a distinti muscoli.
I rami muscolari innervano i muscoli del collo e il muscolo
diaframma che è il principale muscolo respiratorio.
I muscoli del collo innervati dai rami muscolari sono: sovra (dall’osso
ioide alla mandibola andando a costituire il pavimento della cavità
buccale) e sottoioidei (dall’osso ioide allo sterno).
I muscoli sternocleidomastoidei, insieme ai muscoli trapezi non sono
innervati dal plesso cervicale, bensì dall’11° paio di nervi cranici.
I rami muscolari innervano poi anche i muscoli della regione nucale,
ossia i muscoli prevertebrali (muscoli anteriori della regione nucale)
e i muscoli scaleni (muscoli laterali della regione nucale).
I muscoli posteriori della regione nucale, quindi i muscoli profondi o intrinseci del tratto
cervicale dorsale della colonna vertebrale sono innervati dai
rami posteriori dei nervi spinali da C1 a C4.
Infine i nervi frenici contengono fibre provenienti dai rami
anteriori di C3, C4 e C5, attraversano la regione del collo e tutta
la regione toracica per raggiungere il diaframma.
Essi sono gli unici nervi contenenti fibre motorie destinate al
diaframma.
Oltre a contenere fibre efferenti motorie contengono anche
fibre afferenti sensitive provenienti dalle 3 sierose con cui il
nervo frenico viene in rapporto(sierosa peritoneale, sierosa
pericardica e sierosa pleurica), ossia fibre originate dai recettori
del muscolo diaframma stesso.

PLESSO BRACHIALE (C5-T1)


Il plesso brachiale innerva tutte le parti dell’arto superiore.
Le funzioni principali dei nervi originati dal plesso brachiale sono quasi tutti nervi misti: le fibre
sensitive provenienti dagli esterocettori (recettori cutanei) o dai propriocettori (recettori muscolari),
mentre le fibre motorie prevalentemente di origine somatica provenienti dai muscoli striati dell’arto
superiore e le fibre motorie viscerali destinale alle pareti dei vasi e alle ghiandole sudoripare.

Il plesso brachiale è una struttura molto complessa alla quale partecipano i rami anteriori di C5, C6,
C7, C8 e T1.
I rami anteriori di C5 e C6 si uniscono andando a costituire il tronco superiore, C7 prosegue
andando a costituire il cosiddetto tronco medio del plesso brachiale, poi C8 e T1 si uniscono
andando a costituire il tronco inferiore.
Questi tronchi poi si suddividono ciascuno in un ramo anteriore e un
ramo posteriore.
I rami posteriori proseguono andandosi ad unire nella costituzione del
cosiddetto fascicolo posteriore del plesso, mentre i rami anteriori del
tronco superiore e medio si uniscono formando il fascicolo laterale del
plesso, infine il ramo anteriore del tronco inferiore prosegue andando a
costituire il fascicolo mediale del plesso.
Si tratta di una rete anastomotica particolare che avviene tra fibre di rami anteriori di nervi vicini.
I rami anteriori che partecipano si uniscono, si scambiano fibre tra loro, si ridistribuiscono, tale per
cui i rami terminali che dal plesso emergono sono plurisegmentali, contengono fibre derivanti da
più neuromeri midollari.
Questa è un’importante garanzia per i muscoli che innervano perché se si lesiona un nervo i
muscoli da esso innervati risulteranno più deboli e meno forti perché hanno perso parte
dell’innervazione, ma non resteranno paralizzati perché sono innervati da fibre provenienti anche
da altri nervi spinali.

Il plesso brachiale si sviluppa in parte nel collo, porzione del plesso all’origine
dei cosiddetti rami sovraclavicolari, poi il plesso prosegue passando tra la
clavicola e la 1° costa, in cavità ascellare e questo rappresenta la porzione
del plesso all’origine dei rami sottoclavicolari.

La parte sopraclavicolare del plesso si sviluppa precisamente a livello dello spazio interscalenico,
quindi tra i muscoli scaleni anteriore e medio, tale per cui un’ipertrofia di questi muscoli può
comportare una riduzione dello spazio interscalenico, perciò una compressione di questa parte
del plesso cui consegue dolore, parestesia, formicolii a livello dell’arto superiore, cioè a livello
delle parti innervate dai rami terminali del plesso brachiale arrivando anche a determinare
l’occlusione dell’arteria succlavia cui conseguono sintomi da ischemia, ossia da mancata
irrorazione dell’arto superiore.
La parte sottoclavicolare del plesso si sviluppa nella cavità ascellare.

I rami sovraclavicolari del plesso brachiale nel collo sono:

• Nervo dorsale della scapola: decorre in corrispondenza del


margine mediale della scapola, dove viene in rapporto con i
muscoli che va ad innervare, perciò muscoli elevatore della
scapola, piccolo e grande romboide
• Nervo soprascapolare: decorre sulla faccia posteriore della
scapola venendo in rapporto, quindi innervando i muscoli
sovra e sottospinato
• Nervo per il succlavio
• Nervo toracico lungo: si porta al muscolo grande dentato o dentato anteriore.
La sua lesione si associa a paralisi del muscolo dentato anteriore e quindi paralisi del
muscolo che comporta lo sviluppo di scapole alate.

I rami sottoclavicolari del plesso brachiale nella cavità ascellare sono:

o Nervi pettorali o collaterali mediale e laterale: sono i più brevi e si portano ai muscoli
piccolo e grande pettorale
o Nervo toraco-dorsale o sottoscapolare medio: si porta al
muscolo grande dorsale
o Nervi sottoscapolari: si portano al muscolo omonimo
o Nervi solo cutanei: rami terminali del plesso che
contengono solo fibre sensitive.
Sono 2 e si chiamano nervo cutaneo mediale del braccio
e nervo cutaneo mediale dell’avambraccio; il nome rispecchia il territorio di distribuzione,
quindi per la cute della faccia mediale del braccio o per la cute della faccia mediale
dell’avambraccio.
o Nervo muscolocutaneo: origina dal fascicolo laterale e dopo aver perforato e attraversato
il muscolo coracobrachiale forma dei rami che si distribuiscono ai 3
muscoli della loggia anteriore del braccio, gruppo di muscoli flessori
che comprendono: muscolo bicipite brachiale e muscolo brachiale
propriamente detto.
Questo nervo prosegue oltre la regione del braccio con una
componente solo sensitiva detta nervo cutaneo laterale
dell’avambraccio, quindi parte del nervo contenente soltanto fibre
afferenti sensitive proveniente dai recettori della cute laterale
dell’avambraccio.
Il suo nome esprime il suo territorio di distribuzione, presenta una
componente muscolare destinata ai muscoli della loggia anteriore del braccio e una
componente solo sensitiva destinata alla cute laterale dell’avambraccio.
o Nervo mediano: transita a livello del braccio senza fornire rami, arrivato a livello
dell’avambraccio concorre ad innervare tutti i muscoli della loggia anteriore del braccio,
quindi tutti i flessori e i pronatori rotondo e quadrato; non
innerva soltanto il muscolo flessore ulnare del carpo e la parte
mediale del muscolo flessore profondo delle dita che sono di
competenza del nervo ulnare.
Inoltre si porta anche a livello della mano, passa all’interno del
tunnel carpale, quindi al di sotto della retinacula dei flessori e
raggiunta la mano innerva i muscoli dell’eminenza tenar (a
parte il muscolo adduttore del pollice), innerva il 1° e il 2°
muscolo lombricale e ha un territorio di distribuzione sensitiva a
livello della mano che riguarda i 2/3 laterali del palmo della
mano, quindi la faccia palmare del 1°, 2°, 3° e metà del 4° dito
e, per quanto riguarda la superficie dorsale, innerva la cute dorsale corrispondente alla
falange distale delle stesse dita.
Si parla di costrizione alta del nervo mediano quando
viene costretto mentre decorre tra i 2 ventri, con origine
da omero e ulna, del muscolo pronatore rotondo e
un’ipertrofia del pronatore rotondo può costringere il
decorso del nervo mediano.
Nel momento in cui viene costretto, a questo livello, viene
compromesso tutto il territorio di distribuzione del nervo
mediano oltre alla perdita di sensibilità a livello della mano nelle parti da esso innervate.
Il passaggio più frequentemente costretto è quello che riguarda il tunnel carpale, si sente
spesso parlare della cosiddetta sindrome del tunnel carpale, quindi una sintomatologia che
corrisponde alla costrizione del nervo mediano mentre decorre all’interno di questo canale
osteo-fibroso o tunnel carpale.
Il nervo mediano, a livello della mano innerva i muscoli:
abduttore breve, flessore breve, opponente del pollice, 1° e
2° lombricale.
La sindrome del tunnel carpale è molto frequente nei
lavoratori che utilizzano molto le dita, conseguente
all’infiammazione dei muscoli e dei tendini superficiali e
profondi destinati alle dita, perciò infiammazione delle borse
sinoviali che decorrono all’interno del tunnel carpale per cui
si parla di tenosinoviti e ne consegue una sintomatologia
molto chiara costituita da atrofia dell’eminenza tenar con
compromissione dei movimenti del pollice, flessione
compromessa delle falangi prossimali del 2° e 3° dito,
perdita di sensibilità in corrispondenza delle aree cutanee della mano (parestesie) e artrosi
a carico delle ossa del carpo perché sono ossa brevi piene di osso spugnoso, più colpito
da osteoporosi, e sono ossa molto sollecitate, soprattutto da forze di compressione.
o Nervo ulnare: è il flessore ulnare del carpo e la parte mediale del flessore profondo delle
dita, cioè quella parte i cui tendini si portano alle falangi distali di 4° e 5° dito.
A livello della mano innerva molti muscoli intrinseci della mano, quindi i muscoli interossei
che abducono e adducono le dita, il 3° e il 4° lombricale, i
muscoli dell’eminenza ipotenar e il muscolo adduttore del
pollice dell’eminenza tenar.
La distribuzione sensitiva a livello della mano riguarda il 3°
mediale della mano, quindi la faccia palmare e dorsale del 5°
dito e di metà del 4° dito.
Innerva sempre, dal punto di vista sensitivo, tutto il 5° dito e può
innervare metà o tutto i 4° dito e in quel caso il nervo mediano
innerva le parti rimaste.
Per raggiungere la regione della mano non attraversa il tunnel
carpale, ma passa attraverso un piccolo canale di natura
osteo-fibrosa che si colloca più medialmente e
superficialmente rispetto al retinacula dei flessori detto
canale ulnare o canale del Guyon.
Il nervo ulnare può essere lesionato a livello prossimale
mentre decorre posteriormente all’epicondilo mediale
dell’omero e questo comporta la perdita d’innervazione di
tutto il suo territorio di distribuzione.
Il punto più critico in cui può essere costretto è quando
decorre distalmente in corrispondenza del canale del Guyon
e una costrizione a questo livello comporta la cosiddetta sindrome del canale ulnare che
causa la perdita d’innervazione dei muscoli intrinseci della mano e quindi perdita di
sensibilità con parestesie e formicolii a livello delle parti cutanee della mano.
o Nervo radiale: le fibre contenute nei rami anteriori di nervi spinali vicini si anastomizzano tra
di loro in modo tale che i rami terminali del plesso contengono fibre provenienti da più
nervi spinali e neuromeri midollari.
Il nervo radiale, come il nervo mediano, contiene
fibre provenienti da tutti i rami anteriori dei nervi
spinali che partecipano alla costituzione del plesso
brachiale.
Complessivamente in nervo radiale si distribuisce ai
muscoli della loggia posteriore del braccio e
dell’avambraccio, quindi a tutti i muscoli estensori
dell’arto superiore e si porta al muscolo supinatore propriamente detto.
Il nervo radiale emerge dalla faccia posteriore della regione della spalla, dove prosegue
posteriormente a livello del braccio, si colloca in stretto rapporto con la faccia posteriore
dell’omero dove è presente il solco radiale dell’omero così definito perché è un solco
occupato dal nervo radiale che mentre decorre a questo livello forma dei rami motori
destinati al tricipite e forma anche rami cutanei che prendono nomi particolari e si portano
ad innervare la cute della faccia posteriore del braccio e
dell’avambraccio.
Dalla regione posteriore del braccio emerge in
corrispondenza della parte laterale della fossa cubitale, tra il
muscolo brachiale e il muscolo brachio-radiale ed è a
questo livello che termina suddividendosi in 2 rami terminali
detti ramo profondo e ramo superficiale.
Il ramo profondo concorre ad innervare tutti i muscoli della
loggia posteriore dell’avambraccio e il muscolo supinatore,
mentre il ramo superficiale arriva di innervare un territorio cutaneo
della mano.
Il ramo terminale superficiale del nervo radiale si distribuisce alla
parte di cute della mano che non è stata innervata né dal nervo
ulnare né dal nervo mediano.
Le fratture dell’omero sono alquanto pericolose proprio per il
particolare rapporto che l’omero contrae con il nervo radiale,
infatti possono comportare una lesione alta del nervo radiale e in
seguito a questa lesione viene a mancare l’innervazione a tutti i
muscoli estensori del braccio, dell’avambraccio e delle dita.
Quando il nervo radiale viene lesionato in corrispondenza del
suo decorso a livello dell’omero, gomito, polso e dita restano
parzialmente flessi e per questo motivo si parla di mano
cadente o del mendicante.
Non viene però completamente persa la capacità di supinare
l’avambraccio e quindi la mano perché nella
supinazione concorre il muscolo bicipite brachiale.
o Nervo ascellare: innerva il muscolo deltoide, quindi
l’abduttore del braccio, e contribuisce
all’innervazione del muscolo piccolo rotondo.
Ha un territorio di innervazione cutaneo che
corrisponde circa al decorso del muscolo deltoide.
PLESSO LOMBARE
Il plesso lombare innerva parti dell’arto inferiore e fornisce rami
che concorrono ad innervare quasi tutta la parete addominale.
Si sviluppa subito oltre l’emergenza dei nervi spinali lombari, dai
rispettivi fori di coniugazione, quindi nello spessore del muscolo
grande psoas, il muscolo più mediale della parete addominale
posteriore.
Alla sua costituzione partecipano i rami anteriori di L1, L2, L3 e
buona parte di L4; non tutto il ramo anteriore di L4 in quanto una parte
di quest’ultimo si unisce al ramo anteriore di L5 per andare a costituire il
cosiddetto tronco lombo-sacrale che scende a ridosso
dell’articolazione sacro-iliaca per unirsi ai rami anteriori dei nervi
spinali sacrali e contribuire con essi alla costituzione del plesso sacro-
coccigeo.

I nervi terminali del plesso lombare che concorrono ad innervare la parete addominale sono:

▪ Nervo ileoipogastrico: innerva i muscoli della parete antero-


laterale dell’addome, perciò i muscoli trasverso dell’addome,
obliquo interno, obliquo esterno e contribuisce all’innervazione
dei retti dell’addome.
Inoltre innerva la cute che corrisponde a quei muscoli e parte
dell’area cutanea della regione glutea.
▪ Nervo ileoinguinale: innerva i muscoli obliqui e trasverso
dell’addome, non arriva al retto dell’addome, ed entra
attraverso il canale inguinale contribuendo ad innervare anche
la cute dei genitali esterni

Emergono lateralmente allo psoas quindi decorrono a ridosso del muscolo quadrato dei rombi per
portarsi lateralmente dove perforano i muscoli della parete anterolaterale dell’addome portandosi
poi anteriormente.

Anche gli ultimi nervi intercostali concorrono ad innervare la parete antero-laterale dell’addome
perché questi corrispondono ai rami di divisione anteriore dei nervi spinali toracici che sono gli
unici rami anteriori dei nervi spinali che non formano plessi, ma mantengono un andamento
segmentario, sono 12 paia e decorrono a livello del solco costale dove gli ultimi nervi intercostali,
arrivati anteriormente a livello della parete toracica anteriore poi si approfondano per contribuire
ad innervare anche la parete antero-laterale dell’addome insieme ai nervi ileoipogastrico e
ileoinguinale del plesso lombare.

I nervi originati dal plesso lombare che si distribuiscono all’arto inferiore sono:

− Nervo cutaneo laterale della coscia: con un territorio di distribuzione solo cutaneo, infatti è
l’unico ramo terminale solo sensitivo del plesso lombare.
Innerva la cute della faccia laterale della regione glutea.
− Nervo femorale: passa sotto il legamento inguinale, quindi
all’interno del triangolo femorale dove si esaurisce andando a
costituire tutti i rami motori che si portano ad innervare i muscoli
della loggia anteriore della coscia.
Forma anche rami cutanei che vanno ad innervare la cute
corrispondente, quindi della faccia anteriore della coscia.
Solo un ramo cutaneo del nervo femorale prosegue oltre la coscia
prendendo il nome di nervo safeno che va ad innervare la cute
della gamba e del piede.
È così definito perché decorre parallelo alla vena grande safena.
− Nervo otturatore: passa attraverso il foro otturato dell’osso
dell’anca e attraversa il muscolo otturatore esterno che innerva,
poi prosegue nella loggia mediale della coscia andando ad
innervare tutti i muscoli della loggia mediale, quindi i muscoli
adduttori.
Innerva il muscolo otturatore esterno mentre lo attraversa, ma il
muscolo otturatore esterno è un muscolo extrarotatore che
presenta una porzione flessoria che si inserisce sulla linea aspra del
femore, questa porzione è innervata dal nervo otturatore che
innerva tutti i muscoli adduttori che concorrono anche nella
flessione a partire da un arto iperesteso; mentre la sua porzione
estensoria che si inserisce sul condilo mediale del femore è innervata dal nervo tibiale.

Dal plesso lombare originano anche nervi che si distribuiscono al muscolo ileopsoas, mentre il
muscolo quadrato dei rombi non è innervato da rami del plesso lombare, diversamente da tutti gli
altri muscoli della parete addominale, ma è innervato da rami posteriori dei nervi spinali lombari.

PLESSO SACRALE O SACRO-COCCIGEO


Il plesso sacrale si localizza a livello della cavità pelvica, subito a
ridosso del muscolo piriforme che origina e riveste la faccia
anteriore dell’osso sacro per portarsi al grande trocantere del
femore.
Alla sua costituzione partecipano il tronco lombo-sacrale, quindi
la parte di L4 che non partecipa al plesso lombare e il ramo
anteriore di L5 e tutti i rami anteriori dei nervi spinali sacrali, con
un piccolo contributo del nervo coccigeo.
È all’origine di nervi destinati ai muscoli della regione glutea, tutti
innervati dal plesso sacrale a parte il muscolo otturatore esterno
ed è all’origine del nervo ischiatico o nervo sciatico, il più grosso
nervo del corpo umano che innerva tutte le parti dell’arto
inferiore che non sono state innervate dal nervo otturatore o dal
nervo femorale.
Il nervo ischiatico, fin dalla sua origine, è l’insieme di 2 nervi chiamati nervo tibiale e nervo peroneo
comune.

Il plesso sacrale o sacro-coccigeo fornisce nervi per la regione glutea e per la maggior parte
dell’arto inferiore (parte non innervata da rami del plesso lombare).
I rami terminali del plesso sacrale arrivano in regione glutea attraverso
grande e piccolo foro ischiatico che sono le vie di comunicazione, i
passaggi che mettono in comunicazione la cavità pelvica con la regione
glutea, perciò la maggior parte delle formazioni che si portano dalla regione
pelvica a quella glutea attraversano maggiormente il grande foro ischiatico.
Il grande foro ischiatico è occupato dal muscolo piriforme, però rimane un
piccolo spazio al di sopra e al di sotto del piriforme definito canale sovra e sottopiriforme dove
transitano vasi e nervi destinati alla regione glutea.
Quasi tutte le formazioni che si portano verso la regione glutea transitano a livello del canale
sottopiriforme, soltanto il nervo gluteo superiore, accompagnato dai suoi vasi, transita a livello del
canale sovrapiriforme.

I rami destinati alla regione glutea, nella maggior parte dei casi, prendono il nome dei muscoli che
innervano.
Il nervo gluteo inferiore che passa attraverso il canale sottopiriforme si porta al muscolo grande
gluteo, mentre il nervo gluteo superiore che attraversa il canale sovrapiriforme si porta ai muscoli
abduttori della coscia.
Il nervo gluteo superiore innerva i muscoli abduttori e intrarotatori della coscia, fissata la pelvi, ma
invertendo il loro punto fisso, diventano importantissimi durante
la deambulazione, secondo la quale i 2 arti inferiori, essendo
bipedi, devono essere in grado, in modo alternato, di sostenere
l’intero peso del tronco, mentre l’altro arto si solleva per
portarsi in avanti.
Durante la deambulazione infatti mantengono la pelvi in asse
quando l’arto controlaterale è sollevato impedendo la caduta.

La mancata innervazione dei muscoli glutei di destra, per esempio, che


corrisponde alla lesione del nervo gluteo superiore di destra, fa si che in posizione
monopodalica destra, quindi quando solo l’arto di destra deve sostenere il peso
del tronco, si assiste all’inclinazione della porzione controlaterale della pelvi che
corrisponde alla parte della pelvi non sostenuta a terra, quindi per effetto del peso
del tronco si inclina verso il basso, come se l’arto fosse più lungo.

I nervi che originano dal plesso sacrale e che si distribuiscono all’arto


inferiore passano nel canale sottopiriforme per raggiungere la regione glutea
e, in particolare, sono:

→ Nervo cutaneo posteriore della coscia: nervo che contiene solo fibre
sensitive provenienti dai recettori cutanei della faccia posteriore
della coscia.
È l’unico ramo terminale solo sensitivo del plesso sacrale.
→ Nervo ischiatico: fin dalla sua origine è costituito da 2 nervi detti
nervo peroneo comune e nervo tibiale.
Questi nervi inizialmente sono tenuti insieme da un avvolgimento
connettivale che fa costituire il nervo ischiatico.
I rami anteriori del plesso sacrale partecipano tutti alla formazione
del nervo ischiatico, ma poiché si suddividono fin da subito in una
porzione o divisione anteriore e in una porzione o divisione
posteriore, le originali divisioni di tutti i rami anteriori del plesso
sacrale, più distalmente si riuniscono.
In particolare si riuniscono tutte le divisioni anteriori che vanno a
costituire il nervo peroneo comune e tutte le divisioni posteriori che
vanno a costituire il nervo tibiale.
Questi 2 nervi hanno un preciso territorio di distribuzione differente l’uno
dall’altro.
Il nervo sciatico non innerva alcuna formazione della regione glutea,
quindi scende posteriormente a livello della coscia, decorre all’interno
della loggia posteriore della coscia per cui innerva tutti i muscoli della
loggia posteriore della coscia, ossia i muscoli ischiocrurali: bicipite
femorale, semitendinoso, semimembranoso e la porzione ischiatica del
muscolo grande adduttore.
Arrivato a livello della fossa poplitea, le 2 componenti tibiale e peroneo
comune si separano.
Il nervo tibiale prosegue posteriormente nella
regione posteriore della gamba, mentre il nervo
peroneo comune si sposta lateralmente, perciò si
porta anteriormente.
Il nervo tibiale scende nella regione posteriore della
gamba, decorre tra lo strato superficiale e lo strato
profondo dei muscoli della loggia posteriore, perciò
al di sotto del tricipite della sura, quindi innerva tutti i
muscoli della loggia posteriore della gamba, quindi
i flessori plantari e aree cutanee.
Arrivato a livello della caviglia si porta medialmente, passando sotto il retinacula dei flessori
per raggiungere il piede dove innerva tutti i muscoli della pianta del piede.
A livello della gamba innerva anche la cute latero-posteriore della gamba e del piede e
poi concorre, con diversi rami, ad innervare tutta la cute della pianta del piede.
Il nervo peroneo comune si separa dal nervo tibiale in
corrispondenza della fossa poplitea, quindi posteriormente, poi
si porta lateralmente e infine anteriormente.
Viene in rapporto stretto con l’epifisi prossimale e quindi con la
testa della fibula.
Raggiunge la regione anteriore della gamba dove si divide in 2
rami, il nervo peroneo profondo e il nervo peroneo superficiale.
Il nervo peroneo profondo si porta ad innervare la loggia
muscolare anteriore della gamba, perciò innerva i muscoli
flessori dorsali ed estensori delle dita.
Il nervo peroneo superficiale si porta nella loggia laterale della
gamba, per cui innerva i muscoli eversori, i peronei lungo e
breve.
Inoltre questi 2 rami del nervo peroneo comune formano dei rami anche cutanei che
concorrono complessivamente ad innervare il dorso del piede e la parte latero-anteriore
della gamba.

RECETTORI O SENSORI
I recettori o sensori informano costantemente il SNC sulle condizioni, ossia sullo stato, quindi sulle
modificazioni che avvengono all’esterno di esso, perciò alla periferia.
I recettori sono di vario genere, più o meno specializzati e complessi e sono soprattutto dislocati in
maniera strategica a livello del corpo.
Abbiamo infatti recettori presenti a livello della superficie corporea che ci mettono in relazione con
l’ambiente esterno, informandoci sulle condizioni e le modificazione che avvengono nell’ambiente
esterno e sono detti recettori somatici.
Inoltre abbiamo recettori situati più in profondità all’interno del nostro corpo che ci informano sulle
condizioni dei nostri organi interni, quindi dei visceri perciò sono detti recettori viscerali.

I recettori sono cellule specializzate nella ricezione, cioè capaci di sentire/riconoscere uno stimolo
di specifica natura, dove per stimolo s’intende una forma di energia che corrisponde ad una
modificazione dell’ambiente in cui si ritrovano, e di rispondere allo stimolo modificando il proprio
stato chimico-fisico.
Poiché la maggior parte dei nostri recettori sono neuroni, in particolare neuroni sensitivi anche detti
cellule sensoriali primarie, rispondono allo stimolo trasformandolo o meglio trasducendolo in un
segnale/impulso elettrico (neuroni) che corrisponde ad un’informazione sensitiva.
Ci sono anche recettori non di natura nervosa, sono molto pochi e corrispondono ai recettori
gustativi, uditivi, di pertinenza dell’organo dell’equilibrio… cellule di natura epiteliale che per
essere distinte dai neuroni sensitivi sono chiamate cellule sensoriali secondarie, ovvero cellule che
riconoscono uno stimolo che poi viene immediatamente trasmesso al neurone sensitivo con cui
vengono in rapporto tramite una giunzione detta citoneurale.

La maggior parte nostri recettori corrispondono ai neuroni sensitivi


afferenti dei gangli sensitivi del SNP e che funzionano da recettori
tramite le ramificazioni terminali dendritiche, perciò a funzione
recettiva, del ramo periferico dell’assone e tramite il ramo
centrale trasportano l’’informazione sensitiva al SNC,

La ramificazione terminale a funzione recettiva è detta terminazione sensitiva che può essere:

• Libera: si tratta di ramificazioni dendritiche scoperte, libere


• Capsulata: la ramificazione terminale dendritica è avvolta da
formazioni di natura connettivale o gliale.
In tale caso si parla di terminazioni corpuscolate o corpuscoli
sensitivi diversamente specializzati capaci di riconoscere, quindi di
rispondere solo ad una specifica forma di energia.

La classificazione dei recettori è basata sulla loro distribuzione ed è rappresentata da:

o Recettori della sensibilità generale: recettori ubiquitari, diffusi a vari livelli del corpo e distinti
in somatici e viscerali
o Recettori della sensibilità speciale: si tratta di un insieme di recettori tutti ugualmente
specializzati a rispondere ad uno specifico stimolo e che si colocalizzano in una specifica
parte del corpo, vengono inglobati nella costituzione di un organo, per cui detti organi di
senso (l’organo della vista è l’occhio dove si localizzano tutti i fotorecettori, recettori sensibili
all’energia luminosa e l’occhio si trova nella cavità orbitaria scavata a livello della faccia,
nello splancnocranio; l’organo dell’udito e dell’equilibrio possiedono rispettivamente i
recettori uditivi e dell’equilibrio che si collocano a livello dell’orecchio interno, quindi a
livello del neurocranio, dell’osso temporale; l’organo del gusto contiene tutti i recettori
gustativi in cavità buccale; l’organo dell’olfatto presente a livello della mucosa olfattiva
con i recettori olfattivi a livello della cavità nasale) e si trovano tutti a livello della regione
della testa.
I recettori della sensibilità speciale ci mettono in relazione con l’ambiente esterno, infatti si
localizzano a livello superficiale, a livello del soma, quindi sono comunque considerabili
recettori somatici.

La possibilità di recepire/percepire sensazioni dal mondo esterno e


interno è dovuta alla presenza di un dispositivo raffinato costituito
da specifici recettori sensoriali, i quali opportunamente stimolati
perché rispondono a specifiche forme di energia, informano
tramite le fibre afferenti sensitive dei nervi spinali e cranici il SNC dei
continui cambiamenti che avvengono all’interno del nostro corpo
(recettori viscerali) e nell’ambiente che ci circonda (recettori della
sensibilità somatica generale e recettori della sensibilità speciale).

Recettori della sensibilità generale


I recettori della sensibilità generale si distinguono in: somatici e viscerali.
I recettori somatici, quindi localizzati a livello del soma, si distinguono in:

− Esterocettori o recettori somatici superficiali: sono


recettori cutanei che monitorano l’ambiente esterno
− Propriocettori o recettori somatici profondi: sono i
recettori dell’apparato locomotore e informano il SNC
sullo stato di muscoli, tendini e articolazioni

I recettori viscerali anche detti enterocettori sono localizzati


nell’ambiente interno, a livello dei visceri.

Se le informazioni sensitive raccolte dai recettori raggiungono, tramite una sequenza di neuroni,
perciò tramite una specifica via sensitiva, specifiche aree della corteccia cerebrale diventano
percezioni, ossia prendiamo consapevolezza e coscienza dell’informazione sensitiva, ci rendiamo
conto dello stimolo e riconosciamo la sensazione.
Se invece, le informazioni sensitive vengono elaborate a livelli sottocorticali, sono informazioni
sensitive di cui non ci rendiamo conto, sono pertanto all’origine di risposte involontarie, subconsce
(riflessi) e automatiche (deambulazione, masticazione…).

Le informazioni sensitive raccolte dai recettori, ossia dai neuroni efferenti sensitivi pseudounipolari
che corrispondono al 1° neurone di una via sensitiva, tramite una sequenza di neuroni, devono
arrivare a specifiche aree sensitive della corteccia cerebrale per diventare sensazioni coscienti o
percezioni.

In funzione del tipo di stimolo (forma di energia) cui sono sensibili si distinguono in:

▪ Termocettori: sensibili a stimoli termici, ci permettono di sentire le variazioni di temperatura


(caldo e freddo).
Si tratta di terminazioni sensitive libere e sono fasici, ossia recettori che si adattano molto
velocemente e al perdurare dello stimolo diventano insensibili.
Opposti ai recettori fasici ci sono i recettori tonici, ossia recettori ad adattamento lento,
perciò continuano a scaricare, cioè a generare impulsi elettrici, cioè informazioni sensitive,
al perdurare dello stimolo.
▪ Meccanocettori: sensibili a stimoli meccanici.
→ Recettori tattili: sensibili a contatto, pressione, vibrazione… diversi per la loro struttura
e per la maggior parte fasici
→ Barocettori o recettori pressori anche detti recettori da stiramento: sono recettori
sensibili a stiramento e sono posti sulla parete dei vasi (seni) e dei visceri (organi di
apparato digerente, urinario…), in generale si trovano sulla parete degli organi cavi
dove rilevano lo stato di distensione della parete, perciò rilevano lo stato di
riempimento di un organo
→ Propriocettori: recettori dell’apparato osteoartromuscolare, dell’apparato
locomotore.
I più difficili e specifici sono rappresentati dai fusi neuromuscolari che sono recettori
da stiramento presenti a livello dei muscoli scheletrici e gli organi muscolo-tendinei
di Golgi localizzati a livello dei tendini muscolari.
Questi recettori, complessivamente, monitorano e informano costantemente il SNC
sullo stato di muscoli e tendini.
▪ Chemocettori: rilevano la composizione chimica dell’ambiente in cui si collocano (visceri,
vasi dove sono chiamati glomi e rilevano: composizione del sangue… CO2, O2, H2…).
Inoltre tra essi fanno parte gli osmocettori, ossia recettori che rilevano l’osmolarità del
sangue, perciò la concentrazione di Na, K, glucosio, urea…, in particolare la
concentrazione del Na che deve essere mantenuta costante a livello del sangue.
▪ Nocicettori o recettori dolorifici: recettori che quando stimolati evocano dolore, sono
sensibili a vari stimoli estremi, forme di energia estrema che comportano poi danno tissutale
(es. da temperature estreme, trauma meccanico…) e sono terminazioni sensitive libere.

In funzione della localizzazione si distinguono:

❖ Esterocettori: presenti sulla superficie corporea, ci mettono in relazione direttamente con


l’ambiente esterno e sono recettori somatici distinti in:
➢ Recettori cutanei o ubiquitari: distribuiti a livello della cute e rappresentati in
particolare da: nocicettori, termocettori e meccanocettori
➢ Recettori della sensibilità speciale: recettori degli organi di senso specializzati e
concentrati in una precisa parte corporea, tutti localizzati a livello della testa
Molti esterocettori si ritrovano anche a livello dei visceri e dell’apparato locomotore, per cui
rientrano anche nel gruppo degli enterocettori e dei propriocettori.
Alcuni sono di tipo terminazioni sensitive libere, mentre altri sono
di tipo terminazioni sensitive capsulate, per cui corpuscoli sensitivi.
Le terminazioni libere, localizzate un po’ dappertutto possono
essere recettori meccanici, soprattutto recettori tattili e pressori,
oppure termorecettori e nocicettori.
Tra le terminazioni libere, a livello cutaneo, ricordiamo il
cosiddetto plesso della radice del pelo, si tratta di terminazioni
sensitive che si dispongono introno alla radice del pelo e che
vengono stimolate, quindi scaricano, generano informazioni in
seguito al movimento del pelo.
Sono recettori fasici, perciò a rapido adattamento.
Le terminazioni capsulate o corpuscoli sono diversamente
denominati e strutturati, ma sono tutti meccanocettori, in
particolare recettori tattili diversamente specializzati.
I corpuscoli di Pacini sono i più grandi (circa 4 mm),
alquanto ubiquitari e dove il terminale sensitivo unico è
avvolto da lamine connettivali.
È sensibile a vibrazioni, dove per vibrazione s’intende uno
stimolo pressorio ad alta frequenza (> 70 Hz).
I corpuscoli di Meissner hanno un diametro di circa 100 μm
e li troviamo a livello della cute glabra, ossia a livello delle
aree cutanee prive di peli (es. palmo della mano, pianta
del piede, labbra, palpebre, genitali esterni).
Si tratta di terminazioni sensitive che si ramificano e
vengono avvolte da cellule gliali.
Sono recettori tattili di fatto sensibili a leggera pressione,
cioè pressione a bassa frequenza (< 70 Hz).
I corpuscoli di Ruffini sono meccanocettori sensibili a
sfregamento e tensione.
Sono recettori tonici, perciò ad adattamento lento, a
differenza degli altri che sono prettamente fasici.
Oltre che a livello della cute si trovano anche a livello delle capsule articolari.
Altri meccanocettori rappresentati a livello cutaneo sono: corpuscoli di Golgi-Mazzoni,
corpuscoli di Krause, dischi di Merkel…
❖ Propriocettori: presenti a livello di muscoli, tendini e articolazioni.
❖ Enterocettori: presenti a livello degli organi interni o visceri.
Le terminazioni sensitive che raccolgono le informazioni viscerali si trovano nella parete
degli organi cavi o dei vasi o nel parenchima di organi pieni e possono essere:
➢ Terminazioni sensitive libere: corrispondono a recettori dolorifici o
barocettori/recettori pressori
➢ Terminazioni sensitive corpuscolate: come i corpuscoli del Pacini (meccanocettori),
i glomi che sono dei recettori specializzati a livello dei vasi e funzionano da
chemocettori, ossia rilevano la concentrazione di O2/CO2 (carotideo, aortico) e
osmocettori che sono sempre dei chemocettori che rilevano l’osmolarità del
sangue/liquidi intercellulari e sono localizzati specialmente nel rene e
nell’ipotalamo.
Il mantenimento del Na costante è importantissimo per la nostra sopravvivenza
perché Na, K e Ca sono ioni dai quali dipende l’attività dei neuroni, delle cellule
muscolari…

Propriocettori
I propriocettori sono recettori all’origine della sensibilità propriocettiva.
Sono tutti recettori somatici distinti in: propriocettori generali, quindi ubiquitari a livello dell’apparato
locomotore e propriocettori speciali che corrispondono ai recettori per l’organo dell’equilibrio
localizzati a livello dell’orecchio interno.

I propriocettori, quindi i recettori o sensori dell’apparato locomotore e dell’organo dell’equilibrio


assumono un’importanza fondamentale nel complesso meccanismo di controllo del movimento di
cui poco ci rendiamo conto perché la maggior parte delle attività motorie quotidiane che
eseguiamo, sono subconscie, inconsapevoli.
Sono recettori che monitorano e informano costantemente il SNC sullo stato dei muscoli e dei
tendini (propriocettori generali) e informano sui movimenti della testa (propriocettori speciali
dell’organo dell’equilibrio), quindi complessivamente generano informazioni che vengono
utilizzate dal SNC per:

1. Permettere la percezione del proprio corpo e dalle sue parti nello spazio sia da fermi sia in
movimento, anche senza l’ausilio della vista.
La percezione permette l’elaborazione corticale delle informazioni da essi generati, perciò
in questo caso si parla di propriocezione cosciente.
2. Regolare inconsciamente/automaticamente l’attività motoria.
Si parla di propriocezione incosciente perché dipende da informazioni da essi generate,
che vengono elaborate a livello sottocorticale, perciò sono all’origine di risposte
involontarie che non dipendono dalla nostra volontà, ma importantissime perché finalizzate
a mantenere il tono muscolare, quindi la postura e finalizzate a coordinare i gruppi
muscolari, perciò rendere fluidi i movimenti.

Generano complessivamente informazioni sensitive propriocettive finalizzate a permettere una


corretta esecuzione dei movimenti.

Organo dell’equilibrio
A livello dell’organo dell’equilibrio sono localizzati i propriocettori speciali, ossia recettori
concentrati a livello dell’orecchio interno e precisamente a livello della porzione vestibolare
dell’orecchio interno, per cui anche detti recettori vestibolari.

L’orecchio è suddiviso in 3 parti: orecchio esterno, orecchio


medio e orecchio interno.
L’orecchio interno comprende 2 porzioni: la porzione
cocleare che rappresenta la sede dei recettori dell’organo
dell’udito e la porzione dell’organo vestibolare che
rappresenta la sede dei recettori vestibolari.

I propriocettori speciali anche detti recettori vestibolari, rilevano e quindi informano il SNC sulla
posizione della testa in relazione al tronco e vengono attivati dai movimenti della testa.
Risultano in diretto rapporto con la porzione del cervelletto definita vestibolo cerebello e, insieme
al cervelletto sono finalizzati a mantenere l’equilibrio corporeo da fermi e durante il movimento.
La labirintite o otite interna è un’infiammazione che riguarda e coinvolge questi recettori e si
associa a vertigini, perciò perdita dell’equilibrio.
I recettori vestibolari ci permettono di mantenere l’equilibrio e lavorano in concerto con il
cervelletto.
Il cervelletto è un organo particolarmente sensibile all’alcool perciò quando si bene troppo e il
cervelletto è intossicato dall’alcool ciò che accade è la perdita di equilibrio, inoltre si scoordinano i
movimenti.
Ciò accade perché il cervelletto è anche coinvolto nella coordinazione dei movimenti, rendendoli
fluidi.

Propriocettori generali
I propriocettori generali sono rappresentati dai fusi neuromuscolari, i più specifici, e dagli organi
muscolo-tendinei di Golgi che sono rispettivamente i sensori dello stato dei muscoli scheletrici e i
sensori dello stato dei tendini.
A loro si aggiungono anche terminazioni sensitive libere che si trovano in particolare a livello di
capsule articolari, legamenti e muscoli che funzionano da nocicettori, ossia evocano dolore in
seguito a danno, lesioni che coinvolgono le formazioni in cui si collocano.
Inoltre a livello delle capsule e dei legamenti articolari sono presenti anche i corpuscoli di Pacini e
corpuscoli di Ruffini stimolati rispettivamente da vibrazioni, perciò da tensione e sfregamento.
Questi recettori ci permettono di percepire la postura corporea nella statica e nella dinamica
grazie alla sensibilità propriocettiva cosciente, ossia grazie alle informazioni da essi generate che
arrivano alla corteccia cerebrale e che grazie alla sensibilità incosciente, ossia grazie alle
informazioni generate ed elaborate ai livelli sottocorticali (midollo spinale, nuclei del tronco,
cervelletto) sono all’origine di risposte riflesse o automatiche finalizzate a mantenere il tono
muscolare e quindi una qualsiasi postura in equilibrio e a permetterci di deambulare, masticare e
scrivere… movimenti automatici che una volta appresi eseguiamo senza concentrarci, senza il
coinvolgimento diretto della corteccia cerebrale.

Fusi neuromuscolari
I fusi neuromuscolari sono recettori specifici dei muscoli scheletrici e informano costantemente il
SNC sulle variazioni di lunghezza e sulla velocità con cui varia la lunghezza dei muscoli in cui si
ritrovano.
Le informazioni che arrivano a livello della corteccia cerebrale sono responsabili della percezione
propriocettiva, ossia della percezione del corpo e delle sue parti nello spazio.
Le variazioni della lunghezza dei muscoli si accompagnano a modificazioni degli angoli delle
articolazioni sulle quali essi agiscono.

I fusi neuromuscolari sono piccoli e sono formazioni di circa 1 cm contenute all’interno del muscolo
scheletrico.
Sono costituite da una dozzina di fibre muscolari specializzate dette fibre
intrafusali avvolte da una capsula fibrosa che alle sue estremità si continua
con le formazioni connettivali del muscolo (epimisio, endomisio e perimisio).
Si tratta di fibre specializzate che si dispongono in parallelo alle normali
fibre extrafusali.
Le fibre intrafusali specializzate sono di 2 tipi:

1. Fibre a sacco di nuclei: più panciute nella loro parte centrale,


contenenti tanti nuclei e tutti nella parte più centrale della fibra
2. Fibre a catena di nuclei: più affusolate, con nuclei disposti lungo
una catena più longitudinale

Si tratta di fibre specializzate perché contengono sarcomeri, perciò unità contrattili, solo alle loro
estremità, ai loro poli e con le loro estremità queste fibre si inseriscono sulla capsula fibrosa che si
continua formando un tutt’uno con i sistemi connettivali del muscolo scheletrico.
Sono meccanocettori e precisamente recettori da stiramento, cioè sono stimolati dallo stiramento.

I fusi neuromuscolari sono recettori o sensori molto complicati che presentano un’innervazione
sensitiva e un’innovazione motoria.
Le fibre intrafusali, a livello della loro porzione centrale o anche detta equatoriale sono avvolte da
terminazioni sensitive che solitamente corrispondono a ramificazioni terminali dette dendritiche a
funzione recettiva, di fibre, quindi di assoni di neuroni afferenti sensitivi il cui corpo si localizza a
livello dei gangli sensitivi.
Le terminazioni sensitive che raggiungono e avvolgono la porzione centrale del fuso sono di 2 tipi:

a) Terminazioni sensitive di fibre Ia dette anche fibre anulospirali (grosse fibre)


b) Terminazioni sensitive di fibre II, di minor calibro, dette per la particolare struttura fibre a
fiorami

Sia le terminazioni sensitive delle fibre anulospirali sia le terminazioni


sensitive delle fibre a fiorami sono stimolate e quindi iniziano a scaricare,
cioè a generare segnali elettrici che corrispondono a informazioni
sensitive, quando vengono distorte, ossia in seguito allo stiramento delle
fibre intrafusali.
Le fibre intrafusali possono essere stirate passivamente quando si allunga il
muscolo scheletrico, quindi si stira anche il fuso e le terminazioni sensitive
del fuso scaricano.
Quando le normali fibre muscolari, cioè le fibre extrafusali sono stimolate
dai neuroni motori efferenti di tipo α a contrarsi, cioè ad accorciarsi, il fuso
si accorcia e le terminazioni sensitive non scaricano più e questo significa
silenziare il fuso, ossia renderlo insensibile e il SNC non viene informato sull’accorciamento del
muscolo scheletrico, ma questo non può accadere.
Per questo motivo i fusi neuromuscolari devono essere innervati anche da fibre motorie γ anche
dette fusimotrici, cioè fibre motorie per il fuso che non sono altro che assoni di neuroni motori
efferenti di tipo γ, i cui assoni raggiungono la parte terminale, cioè la parte polare delle fibre
intrafusali, unica parte delle fibre ricca di sarcomeri.
Quando il muscolo viene volontariamente stimolato a contrarsi, si verifica
la cosiddetta coattivazione α-γ, ossia vengono attivati i motoneuroni α
che inducono accorciamento delle fibre extrafusali e
contemporaneamente si ha attivazione dei motoneuroni γ che inducono
la contrazione, quindi l’accorciamento della parte polare delle fibre
intrafusali e quindi inducono contrazione della porzione polare delle fibre
intrafusali cui consegue stiramento della sua parte centrale che è la sede
delle terminazioni sensitive che perciò resta attiva.
In questo caso si parla di stiramento attivo del fuso perché mediato dai motoneuroni γ.
Caratteristica peculiare del fuso, oltre alla sua complessità è la doppia innervazione.

La sensibilità del fuso dipende solo dallo stato di tensione della sua porzione centrale.

I fusi neuromuscolari sempre attivi forniscono informazioni: sulla lunghezza del muscolo sia quando
il muscolo è a riposo, che durante l’attività/movimento, sulle variazioni di lunghezza attraverso le
fibre a fiorami e sulla velocità di variazione della lunghezza del muscolo nel tempo tramite le fibre
anulospirali.
Variano di numero a livello dei diversi muscoli (10-100) e sono più numerosi nei muscoli posturali o
antigravitari (muscoli intrinseci del dorso) e nei muscoli dotati di fini capacità di movimento (muscoli
intrinseci della mano e muscoli dell’occhio).
Sono sempre attivi, cioè scaricano anche a riposo per mantenere il tono muscolare, ossia lo stato
del muscolo a riposo, quando non produce movimento, ma presenta comunque un certo numero
di unità motorie attive.
Il tono muscolare dipende da un importante riflesso detto riflesso miotatico o da stiramento
muscolare.

Organi muscolo-tendinei di Golgi


Gli organi muscolo-tendinei di Golgi, come i fusi neuromuscolari sono meccanocettori, ossia
recettori da stiramento, cioè attivati dallo stiramento, attivati però dallo stiramento del tendine.
Si tratta di piccoli corpuscoli sensoriali delimitati, individuati da una capsula
fibrosa che avvolge un certo numero di fibre muscolari scheletriche, le
normali fibre del muscolo, perciò parliamo delle cosiddette fibre extrafusali, e
la porzione di tendine su cui queste fibre si inseriscono.
perciò i fusi si sviluppano in corrispondenza della giunzione miotendinea,
punto di congiunzione tra la parte carnosa contrattile e la parte tendinea
connettivale ricca di fibre collagene del muscolo.
Diversamente dai fusi sono posti in serie rispetto alle fibre muscolari
scheletriche.
Sono innervati da terminazioni sensitive dendritiche di assoni di neuroni
pseudounipolari, il cui corpo è localizzato a livello di un ganglio sensitivo, perciò terminazioni
dendritiche recettive di fibre di assoni Ib che si insinuano e si dispongono tra le fibre collagene del
tendine e vengono attivate, cioè iniziano a scaricare e generare impulsi elettrici quando vengono
distorte, stirate, costrette; iniziano perciò a scaricare quando stiriamo il tendine.

Lo stiramento del tendine avviene in seguito alla contrazione muscolare, per cui
si parla di stiramento attivo del tendine, ma anche quando si allunga il muscolo
(es. stretching) per cui si parla di stiramento passivo del tendine.
Le terminazioni sensitive si attivano e si scaricano in seguito allo stiramento attivo
o passivo del tendine.
Scaricano tanto di più quanto più il tendine è stirato, perciò quanto più forte è la
tensione/contrazione muscolare.

Gli organi muscolo-tendinei di Golgi si attivano, scaricano sia quando il muscolo si contrae
(stiramento attivo del tendine) sia in seguito all’allungamento muscolare (stiramento passivo del
tendine).
Sono insensibili al rilassamento muscolare, perciò non scaricano se il muscolo è a riposo.
La loro funzione primaria è quella di segnalare ai centri encefalici superiori, tramite specifiche vie
sensitive, la tensione/forza media generata dalla contrazione muscolare, la tensione/forza
sviluppata dall’attivazione di un certo numero di unità motorie, perciò dall’insieme del
motoneurone α e delle fibre muscolari che esso innerva, ciò equivale a dire che corrisponde al
numero di fibre muscolari scheletriche innervate da un singolo
neurone motore α.
Più le unità motorie dei muscoli sono piccole tanto maggiore è il
controllo del muscolo, ossia dell’attività del muscolo (controllo fine
e preciso del movimento).
La forza generata da un muscolo può essere regolata tramite
l’attivazione di un numero maggiore o minore di unità motorie del
muscolo stesso.
Gli organi muscolo-tendinei di Golgi sono dei misuratori di tensione muscolare, informano i centri
motori superiori sulla forza generata dalla contrazione muscolare, o meglio dall’attivazione di un
certo numero di unità motorie del muscolo.
Se la forza non risulta sufficiente per sollevare un peso o per produrre un certo movimento, il SNC,
tramite le vie motorie discendenti, aggiustano la risposta, attivando un maggior numero di unità
motorie del muscolo e quindi un maggior numero di neuroni motori efferenti.
L’attivazione massiva, eccessiva di questi recettori può arrestare la contrazione muscolare, tramite
il riflesso miotatico inverso per preservare il muscolo.

I fusi neuromuscolari e gli organi muscolo-tendinei di Golgi sono recettori o sensori propri solo dei
muscoli scheletrici.
I fusi neuromuscolari che risultano disposti in parallelo rispetto
alle fibre extrafusali, informano il SNC sullo stato di
stiramento/allungamento del muscolo.
Gli organi muscolo-tendinei di Golgi che sono disposti in serie
rispetto alle fibre extrafusali, segnalano al SNC lo stato di
tensione/contrazione dei muscoli.

La specifica funzione dei fusi muscolari e degli organi muscolo-tendinei oltre alla loro particolare
distribuzione induce a pensare che essi lavorino insieme al fine di regolare, per via riflessa, il tono
muscolare, la postura e per permettere una corretta esecuzione dei movimenti.
Per tono muscolare s’intende lo stato di un muscolo a riposo, quando non produce movimento, ma
presenta comunque un certo numero di unità motorie attive che lo mantengono parzialmente
contratto, quindi tonico, non lasso.

RIFLESSI NERVOSI
I riflessi sono risposte rapide, involontarie e inconsce ad un determinato
stimolo sensitivo.
I riflessi sono risposte involontarie rapide di un effettore (muscolo o
ghiandola) alla stimolazione di un recettore.
Le informazioni sensitive, generate dai recettori, che vengono elaborate,
processate a livelli sottocorticali sono alla base dei riflessi.
La sequenza di neuroni coinvolta in un riflesso è detta arco riflesso.
L’arco riflesso comincia sempre con un recettore stimolato e termina con
un effettore periferico che mette in atto la risposta e prevede
l’interposizione o meno di 1 o più interneuroni.
La classificazione dei riflessi si basa su diversi criteri:

• In funzione dello sviluppo, ossia di quando si sviluppa il riflesso, per cui distinguiamo:
o Riflessi innati: geneticamente determinati (es. riflesso della suzione)
o Riflessi acquisiti o appresi: condizionati dall’esperienza, che si intensificano in
funzione della ripetizione
• In funzione del luogo di elaborazione dell’informazione sensitiva da essi generati a livello del
SNC, per cui distinguiamo:
o Riflessi spinali: elaborati e integrati a livello del midollo spinale
o Riflessi cranici: elaborati a livello di nuclei o centri encefalici
• In funzione del tipo di risposta che producono, perciò in funzione del bersaglio, perciò
troviamo:
o Riflessi somatici: vanno a controllare in modo inconscio l’attività dei muscoli
scheletrici
o Riflessi viscerali o autonomi: controllano in modo inconscio l’attività della
muscolatura liscia, della muscolatura cardiaca e delle ghiandole, perciò
controllano l’attività dei visceri.
Inoltre essi sono fondamentali per mantenere l’omeostasi, quindi per la
sopravvivenza.
I riflessi viscerali sono risposte evocate dalla stimolazione dei recettori viscerali, gli
enterocettori, i quali generano informazioni sensitive che, nella maggior parte dei
casi, vengono elaborate a livello dei centri sottocorticali, non della corteccia
cerebrale, e sono pertanto all’origine di risposte riflesse che modulano l’attività dei
visceri in modo rapido e automatico.
• In funzione della complessità del circuito neuronale, cioè sulla complessità dell’arco riflesso,
per cui si distinguono:
o Riflessi monosinaptici: dove il neurone afferente sensitivo sinapta direttamente con il
neurone efferente motore, perciò è un riflesso
caratterizzato solo da una sinapsi ed è il riflesso
più semplice.
Riguarda solo il riflesso generato dalla
stimolazione dei fusi neuromuscolari.
o Riflessi polisinaptici: coinvolgono 1 o più
interneuroni del SNC che si collocano tra il
neurone afferente sensitivo e il neurone efferente
motore, perciò riflessi caratterizzati da più sinapsi.
Maggiore è il numero di interneuroni che si intercalano tra l’afferente e gli efferenti
motori, più complessa risulta la risposta ad un determinato stimolo sensitivo.

Il riflesso nocicettivo da allontanamento o flessorio (protettivo) è un riflesso polisinaptico.


È detto nocicettivo perché viene evocato da un recettore dolorifico cutaneo, perciò un
esterocettore, che mette in atto una serie di risposte che riguardano i muscoli scheletrici e
soprattutto i muscoli degli arti interiori, perciò è un riflesso somatico.
Inoltre è un riflesso spinale perché l’elaborazione dello stimolo sensitivo si attua a livello del midollo
spinale.
Il neurone afferente sensitivo, raggiunto il midollo spinale, si
ramifica, diverge, per distribuire l’informazione a tanti
interneuroni del midollo spinale.
Vengono reclutati interneuroni attivatori o inibitori, che
stimolano o inibiscono i motoneuroni efferenti destinati a
specifici muscoli scheletrici.
Il risultato è il rapido allontanamento del piede dallo stimolo
dolorifico mediato dalla flessione della coscia e della gamba.
È rapido poiché la risposta avviene prima che l’informazione
sensitiva tramite la specifica via sensitiva ascendente, arrivi alla corteccia cerebrale e quindi la
risposta avviene prima che noi ce ne rendiamo conto.
È un riflesso protettivo perché è finalizzato ad allontanare il piede dallo stimolo dolorifico e buona
parte dei riflessi sono finalizzati a proteggerci, perciò a salvaguardare l’organismo da situazioni e
stimoli pericolosi e nocivi.

Riflessi propriocettivi
I riflessi propriocettivi sono i riflessi evocati dalla stimolazione dei fusi neuromuscolari e degli organi
muscolo-tendinei di Golgi.

L’opportuna stimolazione dei fusi e degli organi tendinei di Golgi è all’origine di riflessi somatici,
ossia di risposte veloci, inconsce e involontarie che riguarda l’attività dei muscoli scheletrici in cui
sono collocati tali recettori.
Parliamo in particolare del riflesso miotatico da stiramento evocato dalla stimolazione del fuso
neuromuscolare e che induce contrazione del muscolo e analizziamo anche il riflesso miotatico
inverso evocato dall’eccessiva stimolazione dell’organo muscolo-tendineo di Golgi che induce il
rilassamento del muscolo.

Riflesso miotatico da stiramento


Il rapido e improvviso allungamento muscolare innesca il riflesso miotatico da stiramento (es.
riflesso patellare) tramite la via del fuso neuromuscolare che induce contrazione del muscolo
stesso.

Il riflesso patellare è evocato dall’allungamento veloce e improvviso del muscolo quadricipite,


prodotto da un colpo manuale o da un martelletto sul tendine del quadricipite.
Questo riflesso miotatico si può evocare su tutti i muscoli scheletrici.
L’allungamento del muscolo quadricipite, provocato dal colpo di un martelletto a livello del
tendine del quadricipite, comporta allungamento anche delle fibre del fuso, quindi stimolazione
del neurone afferente sensitivo che sinapta direttamente, perciò attiva immediatamente, il
motoneurone α che si porta al muscolo stesso inducendone la contrazione.
Il riflesso miotatico da stiramento si oppone all’allungamento del muscolo ed è monosinaptico
perché il neurone afferente sensitivo sinapta direttamente con il motoneurone α che induce la
contrazione del muscolo, in questo caso del quadricipite, quindi l’estensione della gamba.
È l’unico riflesso monosinaptico dell’organismo, il più semplice in assoluto.
La stimolazione del recettore, per innescare l’arco riflesso deve essere rapida e improvvisa,
inaspettata dal soggetto.
In quanto concentrandosi sul riflesso è possibile
volontariamente inibirlo grazie alle vie motorie
discendenti che originano da centri motori encefalici
superiori e che si portano a controllare l’attività dei
neuroni motori efferenti.
Possiamo quindi dire che questo riflesso sia modulabile.

In verità tutti i riflessi sono modulabili, infatti possono essere inibiti o facilitati a seconda del contesto
e dell’utilità funzionale dei riflessi stessi.

L’allungamento o stiramento del muscolo scheletrico porta ad una


contrazione riflessa del muscolo stesso mediata dalla stimolazione del fuso e
finalizzata a riportare il muscolo alle dimensioni originali.
Il neurone afferente sensitivo, proveniente dal fuso neuromuscolare, raggiunto
il midollo spinale, tramite una collaterale sinapta direttamente con il
motoneurone efferente α che si porta al muscolo quadricipite per indurne la
contrazione, perciò provoca l’estensione della gamba, ma tramite un’altra
collaterale attiva neuroni inibitori che inibiscono l’attività dei muscoli
antagonisti, perciò i flessori della gamba, per facilitare il riflesso.
Si parla di inibizione reciproca.
I riflessi mediati dalla stimolazione dei fusi, sono finalizzati a mantenere il tono muscolare, quindi la
postura.
I fusi sono sempre attivi, scaricano anche quando il muscolo è a riposo, alla sua lunghezza
normale, e grazie al riflesso che innescano funzionano per mantenere il normale tono muscolare,
ossia lo stato del muscolo a riposo, quando le fibre extrafusali mantengono un certo livello di
tensione.
Il muscolo è parzialmente contratto, ci sono poche unità motorie attive e il tono muscolare di base
è finalizzato a stabilizzare le articolazioni, perciò a permetterci di
mantenere una qualsiasi postura.
Inoltre scaricano in funzione dell’allungamento, più il muscolo e le
fibre intrafusali si allungano, più le terminazioni sensitive scaricano.
Questo aumento di scariche che si verifica, induce, in modo
proporzionale, una maggiore contrazione del muscolo, perciò
aumentano ancor di più il tono muscolare.

Riflesso miotatico inverso


L’eccessiva contrazione o tensione muscolare innesca il riflesso miotatico inverso tramite la via
dell’organo muscolo-tendineo di Golgi che induce il rilassamento del muscolo stesso.
È il riflesso opposto rispetto a quello innescato dal fuso, per questo è definito riflesso miotatico
inverso.

Il riflesso miotatico inverso è anche detto riflesso tendineo ed è un riflesso mediato dagli organi
muscolo-tendinei di Golgi e parte soltanto quando il tendine viene stirato troppo, quindi in seguito
ad eccessiva contrazione muscolare.
È quindi un riflesso protettivo finalizzato a preservare il muscolo, quindi la parte
carnosa del muscolo e il suo tendine da potenziali lesioni.
Si innesca solo quando la tensione tendinea è molto forte, ossia questo riflesso
ha una soglia molto elevata.
La stimolazione degli organi muscolo-tendinei di Golgi genera un’informazione
sensitiva che viene trasportata al midollo spinale, poi l’informazione diverge e
viene distribuita ad un interneurone inibitore che va ad inibire il neurone motore
α che si porta al muscolo, per cui il muscolo si rilassa.
Contemporaneamente, una collaterale di questo neurone afferente sensitivo, va ad attivare i
muscoli antagonisti per facilitare il riflesso.

Il riflesso di Golgi diventa dominate su un riflesso innescato dal fuso solo quando la tensione del
tendine diventa eccessiva.

Il riflesso miotatico innescato dall’aggiunta di pesi


sulla mano provoca l’allungamento del muscolo
bicipite, quindi si stimolano i sui fusi, i quali
rispondono inducendo una contrazione riflessa del
bicipite che riporta l’arto alla posizione iniziale.
Continuando ad aggiungere peso, la contrazione
del bicipite, per cercare di sostenerlo diventa
eccessiva, stira troppo il tendine del bicipite per cui
gli organi tendinei di Golgi del tendine del bicipite
troppo sollecitati, innescano il riflesso miotatico
inverso, ossia inibiscono la contrazione del bicipite e
inducono il rilassamento del bicipite, quindi i pesi cadono.

ENCEFALO
L’encefalo è contenuto e protetto all’interno del neurocranio o scatola cranica.
È composto da diverse parti: 2 emisferi telencefalici, diencefalo non visibile superficialmente
perché resta inglobato e nascosto dagli emisferi telencefalici, cervelletto e tronco encefalico.
I 2 emisferi telencefalici risultano separati da una fessura detta
fessura longitudinale o fessura interemisferica.
Questa fessura non arriva inferiormente, non sono
completamente separati, infatti infero-medialmente risultano
collegati tra loro.

In questa sezione è possibile


riconoscere il telencefalo, il diencefalo inglobato dagli emisferi, il
cervelletto e il tronco encefalico con le sue 3 porzioni.
Il cervelletto risulta separato dal ponte e dal bulbo, dal 4° ventricolo.
Il bulbo o midollo allungato inferiormente si continua con il midollo
spinale attraverso il grande foro occipitale.

Il SNC comprende le porzioni assili e le porzioni sovrassiali.


Le porzioni assili solo le parti del SNC che si sviluppano lungo un asse longitudinale
circa verticale, perciò le porzioni assili sono rappresentate da: midollo spinale e
tronco encefalico.
Le porzioni sovrassiali del SNC si sviluppano lungo un asse longitudinale
orizzontale, quindi diretto antero-posteriormente, perciò le porzioni sovrassiali
corrispondono a: telencefalo, diencefalo e cervelletto.

La diversa distribuzione delle parti assili e delle parti sovrassiali, implicano l’utilizzo
di una terminologia di riferimento diversa.
Per tronco encefalico e midollo spinale si parla di:
faccia ventrale o anteriore e faccia dorsale o posteriore, estremità
superiore o cefalica ed estremità inferiore o caudale.
Per telencefalo, diencefalo e cervelletto invece, la faccia ventrale
corrisponde alla faccia inferiore e la faccia dorsale alla faccia
superiore, si parla poi di estremità anteriore o rostrale ed estremità
posteriore o caudale.

Telencefalo e diencefalo insieme formano il cervello, sono le parti


che originano dalla vescicola proencefalica.
Il mesencefalo origina dalla vescicola mesencefalica.
Il cervelletto e il ponte originano dalla vescicola metencefalica,
precisamente il cervelletto dalla parte dorsale della vescicola
metencefalica, mentre il ponte dalla parte ventrale.
Il midollo allungato o bulbo origina dalla vescicola mielencefalica.

Tronco encefalico
Il tronco encefalico comprende 3 parti: midollo allungato o bulbo, ponte e mesencefalo.
Tramite il midollo allungato, fa seguito inferiormente il midollo spinale, mentre superiormente,
tramite il mesencefalo si continua con il diencefalo.
Rappresenta la parte più antica dell’encefalo, diciamo la porzione più primitiva, rispetto alla
filogenesi, cioè in relazione all’evoluzione dei vertebrati, quindi la parte che compare per prima e
che risulta molto simile in tutte le classi di vertebrati, perciò a partire dai pesci fino ad arrivare
all’uomo.
Questo accade perché il tronco encefalico di fatto presiede, ossia è deputato alle funzioni
fisiologiche essenziali, cioè ha funzioni di natura viscerale che risultano vitali, infatti controlla
funzioni dalle quali dipende la nostra sopravvivenza, non è
deputato a funzioni intellettive superiori che invece riguardano
soprattutto la corteccia cerebrale, quindi la sostanza grigia
degli emisferi telencefalici.
Posteriormente bulbo e ponte vengono in rapporto con il
cervelletto, dal quale risultano separati tramite il 4° ventricolo.
Nella faccia anteriore del tronco encefalico è possibile notare l’emergenza dei nervi cranici che
originano da nuclei del tronco encefalico per portarsi ai rispettivi bersagli.
Inoltre le 3 porzioni del tronco sono ventralmente separate da evidenti solchi, parliamo di solco
bulbo-pontino che separa il bulbo dal ponte e il solco ponto-mesencefalico che separa il ponte
dal sovrastante mesencefalo.
Di particolare rilievo a livello del bulbo, si notano le
cosiddette piramidi bulbari, 2 rilievi a forma di piramide
con base diretta superiormente e apice inferiormente,
questi rilievi sono sostenuti dal decorso dei fasci delle vie
motorie discendenti del sistema piramidale che originano
dalla corteccia cerebrale.
Lateralmente alle piramidi sono presenti le cosiddette olive
bulbari, si tratta di 2 rilievi a forma circa di oliva, sostenuti
da nuclei che risultano in connessione con il cervelletto e
che sono coinvolti nell’apprendimento motorio.
Il ponte risulta molto evidente proprio per la sporgenza ventrale che lo caratterizza, mostra una
sorta di pancia.
Poi abbiamo la faccia ventrale del mesencefalo caratterizzata da 2 formazioni dette peduncoli
cerebrali, transitati dalle vie motorie discendenti.

Nella faccia posteriore del tronco encefalico è possibile riconoscere, a livello del mesencefalo, 4
rilievi detti collicoli e distinti in 2 collicoli superiori e 2 collicoli inferiori.
Questi collicoli nell’insieme formano la cosiddetta lamina quadrigemina del mesencefalo, anche
detta tetto del mesencefalo.
Sono rilievi sostenuti da nuclei che risultano intercalati lungo
la via visiva (nuclei dei collicoli superiori) e lungo la via
uditiva (nuclei dei collicoli inferiori).
La faccia dorsale del ponte e della parte superiore del bulbo,
per la particolare forma è detta fossa romboidale ed è resa
visibile perché è stato asportato il cervelletto e questa faccia
romboidale corrisponde proprio al pavimento del 4°
ventricolo.
Scendendo lungo il bulbo si notano 2 rilievi pari e simmetrici detti tubercolo gracile e tubercolo
cuneato.
Questi tubercoli sono sostenuti da nuclei omonimi, perciò nucleo gracile e nucleo cuneato.
Si tratta di nuclei che sono intercalati lungo una via sensitiva ascendente importante detta via del
sistema posteriore.

La disposizione della sostanza bianca e della sostanza grigia non è più regolare e uniforme come
lo era a livello del midollo spinale.
La sostanza grigia risulta frammentata, è come se fosse esplosa
risolvendosi in formazioni nucleari dette nuclei o centri.
Questo deriva dal fatto che il tronco encefalico si colloca fra il
sottostante midollo spinale e le parti sovrassiali del SNC, quindi
i fasci delle vie sensitive ascendenti che collegano il midollo
spinale ai centri encefalici superiori e i fasci delle vie
discendenti motorie che collegano i centri encefalici motori
superiori al midollo spinale, frammentano la sostanza grigia del
tronco risolvendola in nuclei o centri.

I nuclei o centri del tronco encefalico possono essere:

Nuclei propri: intercalati lungo il decorso dei fasci delle vie ascendenti e discendenti
Nuclei all’origine dei nervi cranici distinti in sensitivi e motori
Nuclei o centri della formazione reticolare
La formazione reticolare è una parte molto importante che si sviluppa lungo tutto il tronco
encefalico ed è caratterizzata da molti piccoli nuclei o centri collegati da fibre ascendenti o
discendenti che nell’insieme, quando osservati in sezione, mostrano un aspetto a rete, da cui il
nome di formazione reticolare.
Si tratta di una serie di nuclei che controllano e regolano soprattutto le funzioni involontarie, molte
delle quali risultano vitali e sono coinvolti in diverse funzioni.
I centri/nuclei autonomi si sviluppano in parte a livello del bulbo e in parte a livello del ponte,
regolano le funzioni cardiovascolari e respiratorie, perciò funzioni viscerali che risultano vitali.
I nuclei motori sono all’origine di una via motoria discendente detta via reticolo-spinale, coinvolta
nel controllo di movimenti automatici e regolano il tono muscolare finalizzato al mantenimento
della postura, quindi alla deambulazione.
Sono poi presenti i nuclei che regolano il sonno-veglia.
Altri nuclei sono coinvolti nella regolazione del dolore inibendo le afferenze dolorifiche e fanno
parte di una via discendente.
Infine troviamo i nuclei del sistema reticolare ascendente attivante (SRAA) indispensabili per il
mantenimento della coscienza cerebrale, dell’attenzione, dello stato di vigilanza e la loro lesione si
associa al coma.

A livello delle diverse parti del tronco encefalico sono presenti i nuclei motori di origine delle
cosiddette vie motorie discendenti extrapiramidali.
Le vie piramidali originano dalla corteccia cerebrale, mentre le vie extrapiramidali originano da
nuclei motori del tronco encefalico.

Il mesencefalo è la parte superiore del tronco encefalico, è attraversato dal canale o acquedotto
mesencefalico o di Silvio che mette in comunicazione il sovrastante 3° ventricolo con il sottostante
4° ventricolo.
Il mesencefalo contiene nuclei intercalati lungo le vie visive e uditive, quindi nuclei che
corrispondono ai collicoli superiori ed inferiori e che vanno a costituire la lamina quadrigemina o
tetto mesencefalico.
Sono nuclei all’origine di una via extrapiramidale detta via motoria tetto-spinale che arriva al
midollo spinale.
Troviamo poi il nucleo rosso e il nucleo della sostanza nera, nuclei coinvolti nella regolazione dei
movimenti volontari, in particolare il nucleo rosso è all’origine di una via motoria extrapiramidale
detta via rubro-spinale.
Nucleo rosso e sostanza nera sono importanti in quanto intercalati in
circuiti coinvolti nel controllo dei movimenti volontari.
Questi 2 nuclei lavorano con i nuclei della base che sono nuclei
profondi del telencefalo e con il cervelletto per formare 2 importanti
sistemi deputati al controllo dei muscoli scheletrici.
In particolare, il nucleo rosso lavora in collaborazione con il cervelletto,
mentre la sostanza nera lavora funzionalmente con i nuclei della base.
Le loro lesioni, come le lesioni dei nuclei della base e del cervelletto si
associano a discinesie, ossia a disturbi del movimento.
La degenerazione dei neuroni della sostanza nera del mesencefalo,
che poi sono neuroni dopaminergici, si associa in particolare al morbo di Parkinson.

Il ponte è così chiamato in quanto funziona da collegamento, cioè connette tra loro le diverse parti
dell’encefalo tramite diversi fasci di fibre.
Contiene gli importantissimi nuclei pontini che mediano il collegamento tra la corteccia cerebrale
e il cervelletto, perciò le fibre cortico-pontine originate dai neuroni della corteccia cerebrale si
portano ai nuclei pontini, i quali danno origine alle fibre ponto-cerebellari destinate al cervelletto,
alla corteccia cerebellare.
Si tratta di importanti circuiti coinvolti nella pianificazione del movimento e nella corretta
esecuzione dei movimenti volontari.
Relativamente al bulbo sono presenti dei centri di controllo per le funzioni viscerali vitali: cardiaco,
vasomotore (regola pressione sanguigna), respiratorio.
Inoltre troviamo dei centri coinvolti nei riflessi di: tosse, deglutizione, vomito.
I nuclei vestibolari sono all’origine di una via motoria discendente extrapiramidale detta via
vestibolo-spinale.
Infine notiamo i nuclei gracile e cuneato intercalati lungo la via sensitiva del sistema posteriore.

A livello delle 3 parti del tronco encefalico sono poi presenti i nuclei dei nervi cranici.

Le funzioni del tronco encefalico perciò possono essere suddivise in 3 grandi categorie:

1. Consentire il passaggio ed eventualmente l'elaborazione degli impulsi convogliati dalle vie


ascendenti e discendenti, rispettivamente dirette a/o provenienti da encefalo, cervelletto e
midollo spinale
2. Prendere parte ad una serie di attività, tra cui: il mantenimento dello stato di coscienza
(SRAA), la regolazione del ciclo sonno-veglia, il controllo respiratorio e cardiovascolare
(funzioni vitali), la generazione di schemi motori e il controllo degli ingressi sensitivi
(modulazione del dolore → via antidolorifica)
3. In relazione ai nervi cranici formati da fibre sensitive che terminano nei nuclei del tronco
encefalico e/o da fibre motorie che originano da nuclei motori del tronco encefalico

DIENCEFALO
Il diencefalo è una parte piccolissima inglobata all’interno degli
emisferi telencefalici che sono cresciuti enormemente soprattutto nei
primati, nell’uomo.
Il diencefalo comprende diverse parti, quelle più rappresentate sono
talamo e ipotalamo.

L’unica porzione del diencefalo evidenziabile osservando l’intero


encefalo superficialmente è localizzata in corrispondenza nella
faccia inferiore dell’encefalo e di fatto questa parte appartiene
all’ipotalamo.
In direzione antero-posteriore è costituita dalle seguenti parti:

✓ Chiasma ottico: porzione più anteriore che corrisponde al punto in cui parte delle fibre dei
nervi ottici, originati dai recettori della retina, decussano, ossia si incrociano
✓ Ipofisi: parte importantissima costituita dal
cosiddetto peduncolo o infundibolo ipofisario, una
sorta di peduncolo che collega sia
anatomicamente sia funzionalmente l’ipotalamo
con la ghiandola ipofisi, la ghiandola endocrina più
importante del corpo
✓ Corpi mammillari: formazioni rotondeggianti, poste
più posteriormente, sostenute da alcuni nuclei che funzionalmente appartengono al
sistema limbico, una parte del sistema nervoso complicatissima connessa a funzioni
emozionali, consolidamento della memoria a lungo termine, apprendimento…

Le principali parti del diencefalo sono in rapporto con il 3°


ventricolo, il quale attraversa sagittalmente al centro il diencefalo,
perciò le pareti laterali e il pavimento del 3° ventricolo sono
sostenuti da formazioni nervose appartenenti al diencefalo; in
particolare i 2 talami vanno a costituire la parte superiore delle
pareti laterali del 3° ventricolo e l’ipotalamo che complessivamente
forma la parte inferiore delle pareti laterali, perciò il pavimento del
3° ventricolo.
Il 3° ventricolo percorre sagittalmente al centro il diencefalo e
comunica superiormente con i ventricoli laterali ed inferiormente,
tramite l’acquedotto mesencefalico o di Silvio, comunica con il 4°
ventricolo.

Le porzioni diencefaliche sono:

▪ Talamo: sono 2
▪ Ipotalamo: situato sotto il talamo
▪ Epitalamo: situato posteriormente al talamo
▪ Metatalamo
▪ Subtalamo

Epitalamo
L’epitalamo comprende diverse formazioni, soprattutto l’epifisi
o ghiandola pineale che rappresenta la porzione ghiandolare
dell’epitalamo, infatti si tratta di una ghiandola di natura
nervosa costituita da neuroni specializzati ad attività
neurosecernente, ossia che producono e rilasciano in circolo il
loro secreto.
In particolare producono la melatonina, un neurormone
coinvolto nella regolazione del ciclo sonno-veglia e dello sviluppo sessuale.

Talamo
I 2 talami insieme costituiscono i 4/5 del diencefalo, perciò vanno a
costituire la maggior parte del diencefalo.
I 2 talami sono spesso collegati tra loro tramite la cosiddetta adesione
intertalamica che attraversa il 3° ventricolo e sono costituiti soprattutto
da sostanza grigia organizzata in tanti nuclei diversamente denominati in
relazione alla loro posizione.

Il talamo rappresenta la porta d’ingresso per la corteccia cerebrale, ossia contiene nuclei
intercalati lungo tutte le vie sensitive (e lungo le vie motorie) che proiettano alla corteccia
cerebrale, ossia tutte le vie sensitive che raggiungono specifiche aree della corteccia cerebrale
per permetterci la percezione delle sensazioni fanno tappa su uno specifico nucleo talamico.
Ha anche funzioni motorie poiché contiene nuclei intercalati nelle vie motorie, in particolare lungo
le vie motorie che originano dai nuclei della base del telencefalo e dal cervelletto che poi
proiettano ad aree motorie della corteccia cerebrale.
Il talamo, tramite i suoi nuclei, smista informazioni sensitive e motorie alla corteccia cerebrale.

SISTEMA IPOTALAMO-IPOFISARIO
L’ipotalamo rappresenta la seconda formazione per
grandezza dopo il talamo, del diencefalo.
Corrisponde alla parte infero-mediale del diencefalo, infatti
si sviluppa infero-medialmente al talamo andando a
costituire, oltre alla parte inferiore delle pareti laterali del 3°
ventricolo, anche il pavimento del 3° ventricolo.
Contiene molti nuclei e l’ipotalamo, tramite l’infundibolo o
peduncolo ipofisario è funzionalmente connesso all’ipofisi o
ghiandola pituitaria.

L’ipotalamo è detto anche cervello viscerale perché controlla l’attività dei visceri, cioè degli
organi interni e questo perché controlla e integra l’attività del SNA o viscerale e del sistema
endocrino.
L’attività dei visceri, dalla quale dipende l’omeostasi interna, quindi la sopravvivenza è regolata
dal SNA e dall’attività del sistema endocrino, perciò dall’attività delle ghiandole endocrine che
producono e rilasciano in circolo ormoni che via sangue arrivano ai rispettivi bersagli
modulandone l’attività.
L’ipotalamo rappresenta il vero trait d’union, cioè il mezzo di collegamento tra il sistema nervoso e
il sistema endocrino.
I 2 sistemi, endocrino e nervoso, non sono indipendenti, ma si integrano a livello dell’ipotalamo e
dell’ ”ipofisi”.

Le principali modalità di azione dell’ipotalamo sul controllo viscerale si attuano tramite:

➢ Via nervosa: origina da centri superiori dell’ipotalamo e si porta al SNA, ossia ai neuroni
motori viscerali pre-gangliari orto e parasimpatici delle colonne intermedio-laterali del
midollo spinale che poi, tramite i neuroni post-gangliari dei gangli motori viscerali si portano
a regolare l’attività dei visceri
➢ Via umorale: gestita dalla sua porzione endocrina.
L’ipotalamo presenta una porzione endocrina, si tratta di nuclei con neuroni modificati
neurosecernenti, ossia che tramite i loro assoni rilasciano in circolo nel sangue il loro secreto
detto neurosecreto o neurormone.
Questi neuroni modificati comunicano con i loro bersagli, non tramite le normali sinapsi, ma
tramite il sangue.

Ipofisi
L’ipofisi è una ghiandola collegata all’ipotalamo tramite il
peduncolo ipofisario ed è presente all’interno del
neurocranio, collocata precisamente a livello della faccia
superiore dell’osso sfenoide detta sella turcica.
Presenta 2 parti: adenoipofisi di natura epiteliale e
neuroipofisi di natura nervosa, la quale si può considerare
un’evaginazione dell’ipotalamo.
L’ipofisi è il comandante delle ghiandole endocrine perché a
sua volta controlla l’attività di buona parte delle ghiandole
endocrine, ma a sua volta, l’ipofisi ha un controllore, infatti è
controllata dalla parte endocrina dell’ipotalamo.

Ipotalamo endocrino
L’ipotalamo endocrino è costituito da nuclei, quindi raggruppamenti di corpi di neuroni modificati
ad azione neurosecernente che rilasciano il loro secreto chiamato neurosecreto o neurormone, in
circolo.
Distinguiamo:

❖ Nucleo sopraottico e paraventricolare: sono costituiti da


neuroni magnocellulari perché sono caratterizzati da
lunghi assoni che arrivano ai vasi della neuroipofisi, dove
rilasciano il loro neurosecreto.
L'ormone ADH o vasopressina è un ormone che
raggiunge opportuni bersagli ed è finalizzato a
mantenere costante la pressione, il volume del sangue,
la sua composizione elettrolitica.
L’ossitocina regola la secrezione del latte durante la
gravidanza, l’attività della muscolatura liscia durante il parto…
❖ Nuclei con neuroni parvicellulari: sono sempre neuroni
neurosecernenti, si tratta di neuroni localizzati a livello di alcuni
nuclei dell’ipotalamo, in particolare a livello dell’eminenza
mediana, perciò con assoni più brevi che secernono fattori
attivanti o inibenti che via sangue raggiungono le diverse parti
endocrine dell’adenoipofisi regolandone la secrezione
ormonale.
L’adenoipofisi produce numerosi ormoni adibiti ad importanti funzioni inerenti a:
regolazione del metabolismo, crescita, riproduzione e ormoni in grado di regolare l’attività
delle altre ghiandole endocrine.

L’ipotalamo controlla l’attività dei visceri tramite 2 vie che originano da centri o nuclei detti
ipotalamici superiori, perciò una via nervosa che si porta a controllare i neuroni pre-gangliari del
SNA o viscerale e una via umorale caratterizzata da neurormoni che controllano l’ipofisi.
Inoltre contiene il centro termoregolatore, anche detto termostato corporeo, che rileva la
temperatura corporea e, in funzione di essa, genera delle risposte finalizzate a ripristinare la
temperatura fisiologica.
Contiene inoltre i centri della fame e della sete che in funzione degli stimoli ricevuti dai recettori,
sono all’origine delle sensazioni di fame, sete e sazietà.
Queste sensazioni sono all’origine di risposte comportamentali opportune finalizzate all’assunzione
di cibo, acqua…
Contiene nuclei associati al sistema limbico e controlla le attività associate al sesso, quindi
finalizzate alla sopravvivenza della specie.

TELENCEFALO
L’encefalo raggiunge il massimo sviluppo nell’uomo e l’aumento di
dimensione cui si assiste passando dai pesci fino ai primati superiori è
soprattutto sostenuto dallo sviluppo della corteccia cerebrale, sede dei
processi coscienti e delle funzioni intellettive superiori.
L’indice di encefalizzazione risulta massimo nell’uomo e corrisponde al
rapporto tra il peso del cervello e il peso corporeo.

Il telencefalo origina dalla vescicola proencefalica e va a costituire, insieme al diencefalo, il vero


cervello anatomico.
Il telencefalo è costituito da 2 emisferi, destro e sinistro,
separati dalla fessura o scissura interemisferica detta
anche fessura cerebrale longitudinale.
Questa fessura risulta occupata da una piega della dura
madre, quindi della meninge più esterna detta grande
falce cerebrale.
I 2 emisferi risultano separati, ma non completamente, infatti essi rimangono tra loro collegati
medialmente, nella parte profonda dal cosiddetto corpo calloso.
Si tratta di sostanza bianca, quindi di fasci di fibre o assoni che collegano aree coricali dei 2
emisferi controlaterali e al di sotto del corpo calloso è presente il diencefalo, una formazione
impari e mediana.

Analizzando la superficie esterna degli emisferi telencefalici possiamo individuare: una faccia
dorso-laterale in rapporto con la faccia interna della volta o
calotta del neurocranio, una faccia mediale in rapporto con la
falce cerebrale, una faccia inferiore che poggia direttamente
sul basicranio nelle sue porzioni anteriore e laterale che viene
in rapporto con il diencefalo, nella sua porzione centrale, e
posteriormente con il cervelletto.
La parte posteriore degli emisferi telencefalici è separata dal sottostante cervelletto tramite
l’interposizione di un’altra piega della dura madre detta tentorio del cervelletto, costituisce il tetto
del cervelletto e lo separa dalla parte posteriore del telencefalo.

Le funzioni del telencefalo sono fondamentalmente svolte dalla corteccia cerebrale, infatti è
all’origine di tutti i processi coscienti (consapevoli).
Le percezioni hanno infatti origine a livello della corteccia cerebrale e tutte le informazioni
sensitive generate dai recettori, affinché diventino percezioni devono raggiugere la corteccia
cerebrale.
Inoltre è all’origine delle risposte motorie volontarie, quindi contiene i centri deputati al controllo dei
muscoli scheletrici.
Perciò è complessivamente deputato al controllo di funzioni somatiche.
È inoltre la sede delle funzioni intellettive superiori o complesse come: coscienza, percezione,
pensiero, memoria, apprendimento, emozione, immaginazione, linguaggio…

La maggior parte delle funzioni viscerali, invece, dipendono da centri encefalici che lavorano al di
fuori dello stato di coscienza, cioè dipendono da centri sottocorticali.
La maggior parte delle informazioni generate dai recettori viscerali, quindi dagli enterocettori, sono
elaborate a livello sottocorticale, quindi sono all’origine di risposte riflesse, automatiche.
Il controllo dei visceri è per la maggior parte involontario.

La sostanza grigia forma la corteccia cerebrale, disposta in superficie, e


inoltre comprende alcuni nuclei situati in profondità immersi nella
sostanza bianca detti nuclei o gangli della base.
La corteccia cerebrale umana è un grande mantello grigio con estesa
superficie, cioè la corteccia cerebrale si dispone in superficie e si ripiega
fortemente, in modo da potersi estendere enormemente a parità di
volume disponibile, quindi malgrado la capacità contenitiva limitata del
neurocranio, la corteccia ripiegandosi, si può sviluppare molto
aumentando di parecchio la sua estensione.
Le pieghe di corteccia sono definite circonvoluzioni e consentono alla corteccia cerebrale di
raggiugere un’estensione di circa 25000 cm2, se non si ripiegasse la sua estensione sarebbe
almeno di 1/3 inferire e questo corrisponderebbe ad un numero infinitamente minore di corpi
neuronali e quindi ad una capacità minore di elaborare le informazioni.
La ricchezza di circonvoluzioni, quindi di pieghe di corteccia, rappresenta una delle maggiori
differenze tra l’encefalo umano e gli encefali della maggior parte dei mammiferi, che di fatto
risultano essere lisci.
Le pieghe di corteccia sono dette circonvoluzioni o giri e sono identificate da fessure dette
scissure o solchi.
Ci sono scissure più profonde e scissure o solchi meno profondi.
Le scissure più profonde o primarie ci permettono di dividere ogni emisfero telencefalico in lobi.

Analizzando la superficie esterna di ogni emisfero, tramite scissure o solchi più profondi, si possono
indentificare 4 lobi denominati in relazione alle ossa del neurocranio con
cui vengono in rapporto, perciò abbiamo: lobo frontale, lobo parietale,
lobo temporale e lobo occipitale.
I principali solchi che ne permettono l’individuazione sono detti: solco
centrale o di Rolando che ci permette di separare il lobo frontale dal lobo
parietale, e il solco laterale o di Silvio che ci permette di separare i
sovrastanti lobo frontale e parietale dal sottostante lobo temporale.
Posteriormente sono presenti 2 solchi, non visibili sulla faccia esterna, che
permettono l’individuazione del lobo occipitale.

Analizzando la faccia mediale degli emisferi, si può


evidenziare, a livello di ogni emisfero, un anello di corteccia
cerebrale, parte di corteccia che circonda il corpo calloso e
che si fa corrispondere al lobo limbico che comprende parti
di corteccia dei diversi lobi.
Il lobo limbico risulta parte di un complesso sistema detto sistema limbico.
Complessivamente il sistema limbico comprende, oltre al lobo limbico, anche parti sottocorticali,
nuclei del diencefalo, nuclei del tronco encefalico… un insieme di parti funzionalmente collegate
tra loro e che lavorano insieme.
Il sistema limbico è anche detto cervello emozionale e motivazionale perché controlla, regola e
coordina, gli aspetti emozionali e motivazionali del comportamento.
Inoltre è la sede della memoria, grazie soprattutto alla presenza dell’ippocampo.
Scavando è possibile arrivare ad identificare 6 lobi telencefalici.
Infatti divaricando la scissura laterale di Silvio è possibile osservare in profondità un altro lobo
definito lobo dell’insula.
Si tratta di aree corticali responsabili della percezione degli stimoli gustativi, ma
anche nella percezione di stimoli viscerali particolari.
Solitamente gli stimoli viscerali noi non riusciamo a percepirli, in realtà alcuni
stimoli viscerali, in particolare generati da recettori dolorifici, li percepiamo
perché raggiungono questa parte di corteccia cerebrale che va a costituire
parte del lobo dell’insula.

Ogni lobo presenta solchi minori che permettono l’individuazione


di circonvoluzioni o giri corticali di regioni o aree corticali definite
anatomicamente e presentano aree definite secondo la
classificazione di Brodmann, circa 50 aree cui si fanno
corrispondere specifiche funzioni.

Grazie agli studi condotti dall’anatomico tedesco Brodmann, sono state identificate le cosiddette
aree corticali di Brodmann, si tratta di aree di corteccia caratterizzate da
neuroni che presentano le stesse caratteristiche citoarchitettoniche e
biochimiche.
Grazie a questo studio, Brodmann è riuscito ad identificare 50 aree per ogni
emisfero.
A queste aree si è cercato di associare funzioni specifiche, ma questo risulta
alquanto pretenzioso perché dal punto di vista funzionale ci sono delle
sovrapposizione, cioè è molto difficile assegnare una specifica funzione ad
una specifica area o regione corticale perché nella maggior parte dei casi,
una specifica funzione e soprattutto le funzioni superiori, coinvolgono diverse
aree corticali e inoltre una stessa area corticale può contribuire a più di una
funzione.

La corteccia cerebrale presenta un’organizzazione gerarchica, ossia a livello della corteccia


cerebrale si distinguono aree con funzioni via via crescenti.
Riconosciamo:

• Aree di ordine minore anche dette primarie distinte in:


o Aree sensitive primarie: ricevono informazioni direttamente dai recettori
o Aree motorie primarie: inviano comandi motori per i muscoli scheletrici
• Tutte le altre aree corticali sono dette associative e riguardano il 75% della corteccia
cerebrale, cioè sono aree coinvolte in funzioni integrative e sono distinte in:
o Associative secondarie
o Associative terziarie: le più importanti

Le aree sensitive della corteccia cerebrale, complessivamente riguardano soprattutto i lobi


occipitale, temporale e parietale.
Le aree primarie ci permettono la percezione degli stimoli, ossia la consapevolezza di una
sensazione.
L’area somatosensitiva primaria corrisponde ad una circonvoluzione di corteccia del lobo
parietale detta circonvoluzione o giro post-centrale in quanto si sviluppa subito
posteriormente al solco centrale di Rolando.
Tramite le specifiche vie sensitive arrivano tutte le informazioni generate dai recettori
somatici generali, perciò aree dove arrivano le informazioni generate dagli esterocettori
cutanei distinti in: tattili, termici e dolorifici, e le informazioni generate dai propriocettori.
Le sedi delle aree sensitive primarie relative alla sensibilità speciale, ossia in cui arrivano e
permettono di percepire le sensazioni originate dai recettori degli organi di senso speciale
sono:
− Area visiva primaria: a livello del lobo occipitale
− Aree uditiva e olfattiva primarie: localizzate a
livello del lobo temporale
− Area gustativa primaria: a livello del lobo
dell’insula
− Area vestibolare primaria: localizzata nella
corteccia parieto-insulare

Tutte queste aree permettono la percezione elementare di uno stimolo, di una sensazione, ma
tramite queste aree non riconosco ciò che vedo e cosa sento, per questo ci permettono una
percezione elementare dello stimolo.

Tutte le aree sensitive primarie sono circondate da aree dette associative, si tratta di aree di ordine
superiore, dette associative secondarie o associative unimodali (es. corteccia visiva primaria
circondata dalla corteccia associativa visiva).
Sono dette unimodali in quanto integrano i diversi aspetti di
una modalità sensoriale.
Relativamente ad un oggetto che vedo, integrano informazioni
relative a forma, colore e dimensione dell’oggetto.
Soprattutto queste aree associative conservano memoria delle
informazioni, per cui sono queste aree che permettono di
interpretare bene le informazioni sensitive, le sensazioni.
Un danno all’area visiva primaria comporta cecità di un campo visivo, ma un danno all’area
associativa visiva permette di vedere chiaramente un volto o un oggetto, ma non si è in grado di
riconoscerlo.

Ancora più importanti risultano le aree associative terziarie o plurimodali che integrano diverse
sensazioni come: informazioni originate dai recettori della vista o dai recettori della sensibilità
somatica generale, informazioni uditive… e ci permettono di interpretare completamente una
situazione ambientale e sensoriale complessa.
Per quanto riguarda l’area sensitiva associativa plurimodale, corrisponde alla cosiddetta area
associativa posteriore o area parieto-temporo-occipitale perché riguarda parti di questi lobi.

Il lobo frontale comprende aree motorie distinte in primarie e associative secondarie, corteccia
pre-frontale che è una corteccia associativa terziaria importantissima e piccole aree deputate alla
produzione del linguaggio:

→ L’area motoria primaria corrisponde alla circonvoluzione pre-centrale, ossia ad una piega
che si sviluppa subito anteriormente al solco centrale di Rolando.
Quest’area è esecutoria del movimento volontario, ossia è l’area che fa partire il
movimento, il comando motorio, perciò è caratterizzata da motoneuroni che sono
all’origine delle vie motorie discendenti deputate al controllo del movimento volontario,
ossia finalizzate a regolare l’attività dei muscoli scheletrici.
→ L’area pre-motoria o associativa motoria è deputata alla programmazione e pianificazione
del movimento, finalizzata a decidere, pianificare, lo schema
motorio ed è coadiuvata dai nuclei della base e dal
cervelletto.
→ L’area pre-frontale è un’area molto estesa, associativa di
superordine, corteccia che sviluppa il suo massimo sviluppo
nell’uomo perché è dedicata alle funzioni intellettive
superiori che ci contraddistinguono dagli animali.
Rappresenta il nostro cervello razionale, area dove si decide
consapevolmente, per uno scopo preciso, come comportarsi.
→ La piccola area di Broca è deputata all’articolazione del linguaggio ed è lateralizzata a
sinistra.
Il linguaggio rappresenta una funzione cerebrale superiore molto complessa che si esprime
in abilità quali: leggere, scrivere, parlare, comprende le parole… e coinvolge sia l’area di
Broca del lobo frontale, ma anche aree del lobo temporale dette aree di Wernicke.
L’area di Broca è l’area effettrice del linguaggio perché è l’area dove vengono pianificati i
movimenti finalizzati a produrre le parole, ossia ad articolare il linguaggio.
Una lesione a quest’area corrisponde alla cosiddetta afasia
motoria o afasia di Broca che si esprime in una difficoltà di
parlare, in un linguaggio lento e faticoso, ma di fronte all’afasia
di Broca il soggetto comprende il linguaggio scritto e quello
parlato, perciò ha soltanto difficoltà ad esprimere il proprio
pensiero.
L’area di Wernicke è l’area recettrice del linguaggio, cioè
l’area deputata alla comprensione del linguaggio scritto e parlato.
Un danno a quest’area rappresentata dalla cosiddetta afasia sensitiva o afasia di
Wernicke, corrisponde ad un linguaggio fluente, ma privo di senso, perciò il soggetto parla
benissimo dicendo però cose senza senso, inoltre si può associare a ridotta capacità di
comprendere il linguaggio scritto e parlato.
Queste aree funzionali del linguaggio, nella maggior parte dei soggetti, sono lateralizzate a
sinistra.

I 2 emisferi appaiono anatomicamente e morfologicamente identici, ma presentano delle


differenze, ossia delle asimmetrie funzionali, si parla dunque di lateralizzazione emisferica.
Le aree deputate al linguaggio sono normalmente lateralizzate a sinistra, ma questa
lateralizzazione riguarda anche altre funzioni.
La preferenza manuale indica l'emisfero
dominante per il controllo motorio, ossia nella
maggior parte degli individui, i destrimani, è
dominante e più sviluppato l’emisfero sinistro e
viceversa.

Nel fenomeno della decussazione delle vie ogni emisfero cerebrale controlla, dal punto di vista
sensitivo e motorio, la parte controlaterale del corpo.
L’emisfero destro riceve, tramite le specifiche vie sensitive, informazioni sensitive dai recettori della
parte sinistra del corpo e l’emisfero destro controlla, tramite le vie motorie discendenti, l’attività dei
muscoli scheletrici della parte sinistra del corpo.
Nell’emisfero di sinistra accade esattamente l’opposto e questo accade perché le vie ascendenti
sensitive e le vie motorie discendenti, lungo il loro decorso, ad un certo punto decussano,
s’incrociano.

Le aree corticali più importanti sono le aree associative di massimo ordine, di terz’ordine anche
dette plurimodali.
La corteccia associativa parieto-temporo-
occipitale è anche detta associativa posteriore ed
è associativa plurimodale dove si integrano le
informazioni sensitive provenienti dalle diverse
modalità sensoriali, ossia si integrano informazioni
originate dai recettori visivi, uditivi, somatici
generali, quindi informazioni che vengono integrate
e ci permettono di interpretare una situazione ambientale e sensoriale complessa.
La corteccia associativa pre-frontale è di pertinenza del lobo frontale anche definita cervello
razionale perché è l’area dove si decide consapevolmente il comportamento sempre determinato
da uno scopo, perciò che dipende da diverse motivazioni.
Quest’area riceve infatti informazioni da cortecce associative sensitive, perciò dalla corteccia
parieto-temporo-occipitale, dal sistema limbico quindi dal cervello emozionale e motivazionale,
dai nuclei talamici, dall’ipotalamo quindi dal cervello viscerale, dal cervelletto… e integra le
informazioni, quindi elabora un’uscita, prende una decisione comportamentale consapevole che
dipende dall’ elaborazione di infinite informazioni, uscita che può essere anche motoria (es. vedo
un cane e decido di avvicinarmi o di scappare, ma non solo … posso decidere di pensare, di
cantare…).
Persone che hanno subito danni a tali aree perdono o modificano la propria personalità, diventano
rudi, emotivamente insensibili, incapaci di prevedere le conseguenze di parole o azioni
avventate…

La sostanza bianca, a livello del telencefalo, si dispone tra lo strato di corteccia, quindi sostanza
grigia, che si sviluppa in superficie, i ventricoli laterali e i sottostanti nuclei profondi o nuclei della
base.
La sostanza bianca corrisponde a fasci di fibre/assoni mielinizzati che si portano da una regione
corticale all’altra o ad altre regioni dell’encefalo, dove si riconoscono 3 tipi di fibre:

1. Fibre associative: collegano aree corticali dello stesso emisfero.


Si tratta di fibre brevi quando collegano aree corticali vicine, mentre si parla di fibre
lunghe quando collegano aree corticali situate più lontano.
2. Fibre commessurali: connettono aree corticali appartenenti ai 2 emisferi controlaterali.
Il più grosso fascio di fibre commessurali è
rappresentato dal corpo calloso che mantiene
medialmente uniti i 2 emisferi controlaterali.
3. Fibre di proiezione: collegano le aree corticali con
aree sottocorticali (discendenti) e viceversa
(ascendenti).
Le fibre proiettive discendenti possono collegare la
corteccia con i nuclei della base, il diencefalo, parti del tronco encefalico o sottostanti
parti del midollo spinale.
Le fibre proiettive ascendenti invece, provengono da aree sottocorticali e si portano alla
corteccia cerebrale.

Nuclei della base


I nuclei della base sono nuclei di sostanza grigia che si sviluppano in profondità, a livello del
telencefalo e sono immersi nella sostanza bianca.
Sono addensamenti di sostanza grigia che si trovano nella profondità degli emisferi cerebrali, al di
sotto dei ventricoli laterali e lateralmente al talamo.
Comprendono:

• Nucleo caudato: presenta una forma circa di virgola dove si possono distinguere 3 porzioni
definite testa, corpo e coda del nucleo caudato.
L’amigdala, non è un nucleo della base, ma corrisponde
ad un raggruppamento di nuclei che appartengono al
lobo temporale ed è la parte del sistema limbico che
colora emotivamente le nostre sensazioni.
• Nucleo lenticolare: comprende 2 porzioni dette
putamen e globo pallido
• Altri piccoli nuclei della base

Nucleo caudato e nucleo lenticolare, insieme, vanno a costituire il corpo striato.


Funzionalmente lavora con i nuclei della base anche la sostanza nera del mesencefalo.

Il nucleo caudato viene in rapporto con il sovrastante ventricolo


laterale e inferiormente con il nucleo lenticolare.
Nucleo lenticolare e nucleo caudato rimangono tra loro collegati da
delle strie costituite da sostanza grigia, per cui l’insieme di questi 2
nuclei va a costituire il cosiddetto nucleo o corpo striato.
I nuclei della base sono soprattutto coinvolti, insieme al cervelletto e a piccoli nuclei del tronco
encefalico, nella pianificazione e coordinazione, armonizzazione, correzione e automatizzazione
dei movimenti.
La loro funzione correlata al movimento è stata dedotta analizzando i sintomi, i disturbi conseguenti
alle loro lesioni.
Infatti lesioni o danni ai nuclei della base si associano soprattutto a discinesie, ossia disturbi del
movimento scheletrico:

o Ipocinesie: rallentamento o riduzione dei movimenti spontanei cioè abituali, automatici,


frequenti, del corpo
o Ipercinesie: eccesso di movimento, movimenti involontari, rapidi

Non sono solo coinvolti nelle funzioni motorie, ma anche in funzioni cognitive ed emozionali, quindi
le loro lesioni si associano anche a disturbi cognitivi ed emozionali.

I nuclei della base rappresentano una delle 4 componenti fondamentali del SNC per il controllo dei
muscoli scheletrici degli arti e del tronco.
A costituire i 4 componenti che lavorano insieme abbiamo:

a) Cortecce motorie del lobo frontale e nuclei motori del tronco encefalico: caratterizzati da
motoneuroni superiori che rappresentano l’origine delle vie
discendenti motorie somatiche destinate ai muscoli scheletrici
distinte in piramidali ed extrapiramidali.
Le vie piramidali originano dalle cortecce motorie, mentre le vie
extrapiramidali originano da nuclei motori del tronco encefalico.
b) Motoneuroni efferenti somatici del midollo spinale:
rappresentano i motoneuroni inferiori delle vie motorie piramidali
ed extrapiramidali che con i loro assoni si portano direttamente
ai bersagli
c) Nuclei della base
d) Cervelletto

I nuclei della base sono coinvolti in diversi circuiti: motorio, cognitivo-esecutivo, limbico-
emozionale… tutti i circuiti che coinvolgono diversi nuclei della base che probabilmente si
sviluppano tutti sulla base dello stesso schema e sono circuiti a feedback con la corteccia
cerebrale.
Perciò ricevono informazioni da vastissime aree della
corteccia cerebrale, elaborano queste informazioni e
dirigono via talamo le loro efferenze indietro, nuovamente
verso la corteccia cerebrale.
Sono circuiti che partano dalla corteccia e che via talamo
ritornano alla corteccia, soprattutto ritornano alle cortecce
del lobo frontale.

Relativamente al circuito motorio cui partecipano, le efferenze provenienti dai nuclei della base,
via talamo, raggiungono soprattutto le cortecce motorie del lobo frontale.
Si tratta di efferenze che vanno a modulare le attività delle cortecce motorie.
Sono soprattutto coinvolti in:

▪ Controllo/aggiustamenti inconscio del tono muscolare


▪ Controllo dei movimenti appresi/automatici (schemi motori appresi)
▪ Inibizione di movimenti non intenzionali a riposo

Facilitano l’inizio e lo svolgimento di un movimento, non sono essenziali per il movimento, ma se si


lesionano causano la comparsa di problemi motori.
Lesioni dei nuclei della base
I nuclei della base, relativamente al circuito motorio, sono soprattutto coinvolti nella regolazione
del tono muscolare e nel controllo dei movimenti automatici.
Le loro lesioni si associano a disturbi del movimento come: Corea di Huntington, emiballismo e
morbo di Parkinson.
Poiché partecipano anche ad altri circuiti, le loro lesioni possono comportare anche disturbi
neurologici e psichiatrici, alterazioni delle facoltà intellettive e degli stati emotivi.

Tra le patologie più frequenti e che si associano in particolare alla degenerazione della sostanza
nera del mesencefalo, neuroni che rilasciano come neurotrasmettitore la dopamina, troviamo il
morbo di Parkinson.
Si tratta di un disturbo ipocinetico, quindi corrisponde a rallentamento
dei movimenti volontari e sintomi come:

− Acinesia: difficoltà a iniziare i movimenti volontari


− Bradicinesia: lentezza nei movimenti… controllo continuo
volontario
− Rigidità articolare da aumento del tono muscolare (agonisti,
antagonisti)
− Tremore delle mani e della mandibola (a riposo)

Tra i disturbi ipercinetici più frequenti troviamo la malattia


o Corea di Huntington conseguente a lesioni o atrofia del
nucleo caudato e del putamen.
Si manifesta solo nell’adulto (30-40 anni) ed è una patologia ereditaria che si può
trasmettere inconsapevolmente ai figli.
Può provocare anche grave demenza, disturbi psichici o schizofrenia e invalidità
totale.

Le funzioni principali del telencefalo sono:

I. Processazione di informazioni sensitive somatiche che sono trasportate ad aree specifiche


della corteccia tramite specifiche vie sensitive finalizzate alla percezione cosciente delle
sensazioni (vie che coinvolgono nuclei specifici del talamo)
II. Controllo del movimento volontario: riguarda in particolare le aree motorie del lobo frontale
all’origine delle vie motorie somatiche.
Ogni emisfero cerebrale riceve informazioni sensoriali e genera comandi motori per il lato
opposto del corpo.
III. Funzioni superiori: pensiero, memoria, emozioni, apprendimento, linguaggio, disegno,
pianificazione del futuro… (non sono equamente distribuite su entrambi gli emisferi)

CERVELLETTO
Il cervelletto si colloca inferiormente alla parte posteriore degli emisferi
telencefalici e precisamente al di sotto dei lobi occipitali.
Risulta separato dai lobi occipitali tramite una piega della dura madre
chiamata tentorio del cervelletto.
È situato posteriormente a bulbo e ponte rispetto ai quali risulta
separato dal 4° ventricolo.
Origina dalla vescicola metencefalica, in particolare origina ventralmente il ponte e dorsalmente il
cervelletto.
Anche se costituisce solo 1/10 del volume complessivo dell’encefalo, pesa circa 130-140 gr, più
della metà dei neuroni encefalici si ritrovano a livello del cervelletto, quindi vanno a costituire la
corteccia cerebellare che risulta molto estesa.
Il cervelletto è coinvolto in tutte le attività nervose, perciò è coinvolto in funzioni: sensitive, motorie e
cognitive superiori, ma non è essenziale per alcuna di queste funzioni, le migliora solamente.
Risulta ampiamente e soprattutto coinvolto nelle funzioni motorie e questo è stato dedotto dai
sintomi clinici associati alle sue lesioni o
intossicazioni (es. effetti dell’alcool) che
comportano anche difficoltà
nell’espressione, nell’esecuzione e nella
comprensione del linguaggio; in questo
caso si parla di disartria.

Cervelletto e nuclei della base sono i 2


grandi sistemi deputati al controllo del
movimento, organizzazione,
pianificazione, coordinazione,
armonizzazione, correzione dei
movimenti volontari e automatizzazione
dei movimenti.

Sia il cervello sia i nuclei della base controllano il


movimento non agendo direttamente sui neuroni motori
efferenti che si portano ai muscoli scheletrici, ma
agiscono sul controllo del movimento indirettamente, a
monte, cioè le efferenze o uscite motorie provenienti dai
nuclei della base e del cervelletto si portano alle aree
motorie della corteccia cerebrale e ai centri motori del
tronco encefalico, perciò controllano il movimento
agendo soprattutto sull’origine delle vie motorie
discendenti.

È ampiamente coinvolto nel controllo del movimento e il suo sviluppo filogenetico è correlato allo
sviluppo delle capacità motorie che contraddistingue l’evoluzione dei vertebrati.

Lo sviluppo filogenetico del cervelletto correla con le sue connessioni funzionali.


L’archicerebello che è la parte di cervelletto che compare per prima ed è presente anche nei
pesci ed è la parte filogeneticamente più antica, non a caso così detta.
L’archicerebello è la parte che risulta funzionalmente collegata all’organo dell’equilibrio,
all’organo vestibolare, per questo viene anche detto vestibolocerebello, coinvolto nel
mantenimento dell’equilibrio.
In seguito allo sviluppo della locomozione, si sviluppa il paleocerebello che compare già in rettili e
uccelli.
Il paleocerebello è la parte che risulta funzionalmente correlata con il midollo spinale, per cui si
parla, dal punto di vista funzionale di spinocerebello, finalizzato nel permettere di mantenere il
tono, quindi la postura e il movimento di tronco e arti.
La parte più recente del cervelletto è detta neocerebello e compare con l’assunzione delle
capacità manuali fini che caratterizza proprio i primati, perciò i vertebrati più evoluti e soprattutto
l’uomo.
Il neocerebello è la parte detta anche cerebrocerebello viste le sue connessioni con la corteccia
cerebrale (cortecce motorie e pre-motorie) ed è la parte finalizzata alla pianificazione e
coordinazione del movimento.

Il cervelletto ha la forma di un ovoide appiattito, presenta una


porzione centrale impari e mediana che per la particolare forma
viene definita verme, ai lati della quale si sviluppano 2 porzioni pari e
simmetriche dette emisferi cerebellari.
Presenta quindi una faccia superiore e una faccia inferiore che
risultano separate da una fessura orizzontale, presenta poi una faccia
anteriore che guarda verso il 4° ventricolo.
La faccia anteriore che guarda verso il ponte e il bulbo, mostra i peduncoli distinti in: superiore,
medio e inferiore.
Sono formazioni pari di sostanza bianca che collegano il cervelletto
alle 3 parti del tronco, perciò: i peduncoli cerebellari superiori
collegano il cervelletto al mesencefalo, quelli medi lo collegano al
ponte e quelli inferiori lo collegano al bulbo.
Questi peduncoli sono sostenuti da fasci di fibre afferenti, provenienti
dalle diverse parti del SNC, che si portano al cervelletto e da fasci di
fibre efferenti che dal cervelletto si portano a diverse parti del SNC.

La sostanza grigia si dispone in superficie, va a costituire la corteccia cerebellare, poi immersi


all’interno della sostanza bianca sono presenti alcuni nuclei detti nuclei intrinseci del cervelletto.
La corteccia cerebellare, come la corteccia cerebrale, si ripiega e le fessure sono separate da
fessure o solchi dette folia o circonvoluzioni cerebellari, risultano disposte circa orizzontalmente.
È un metodo adottato per permettere alla corteccia
cerebellare di estendersi enormemente a parità di volume
occupato.
Più in profondità è presente la sostanza bianca che per la
particolare struttura che assume è detta arbor vitae e
ancora più in profondità sono presenti i nuclei profondi del
cervelletto.

I nuclei profondi del cervelletto sono tutti pari e simmetrici


e distinti in direzione medio-laterale nei nuclei del fastigio,
nuclei globoso ed emboliforme e più lateralmente è
presente il nucleo dentato.
Questi nuclei sono associati alle diverse parti funzionali del
cervelletto.

Tutte le afferenze, quindi le fibre afferenti dirette al cervelletto e provenienti da diverse parti del
SNC, si portano direttamente alla corteccia cerebellare, mentre tutte le efferenze, perciò tutte le
fibre in uscita dal cervelletto, originano dai nuclei profondi del cervelletto.

Il cervelletto può essere classificato su base filogenetica, su base


funzionale e su base morfologica.

Grazie alla presenza di solchi più profondi, dal punto di vista


morfologico, a livello del cervelletto, si possono individuare 3 lobi: lobo
anteriore (rosso), lobo posteriore (verde) e lobo flocculo-nodulare
(azzurro).
Tutti questi lobi comprendono porzioni di verme e porzioni degli emisferi
cerebellari.

Il lobo anteriore è separato dal lobo posteriore tramite la fessura primaria


e il lobo posteriore è separato dal lobo flocculo-nodulare dalla fessura
postero-laterale.
Il lobo anteriore riguarda solo la faccia superiore, il lobo posteriore
riguarda parte della faccia superiore e della faccia inferiore, mentre il
lobo flocculo-nodulare si sviluppa antero-inferiormente.

Il vestibolo cerebello, corrispondente dal punto di vista anatomico, al lobo


flocculo-nodulare, connesso con l’organo dell’equilibrio riceve
soprattutto informazioni, afferenze dai recettori vestibolari, quindi dai
recettori dell’organo dell’equilibrio.
Lo spinocerebello comprende il verme e le regioni degli emisferi
cerebellari subito adiacenti dette regioni paravermiane, è connesso con il
midollo spinale e riceve soprattutto informazioni propriocettive, quindi relative allo stato dei
muscoli scheletrici e dei muscoli assili.
Il cerebrocerebello riguarda la maggior parte degli emisferi cerebellari, è connesso con la
corteccia cerebrale e riceve informazioni da vaste aree della corteccia cerebrale.

Si tratta di afferenze provenienti da tutti i nostri recettori e soprattutto dai recettori propriocettivi
speciali e generali, quindi corrispondenti ad informazioni sensitive, oltre ad informazioni corticali,
provenienti da vaste aree della corteccia cerebrale, ma soprattutto dalle aree motorie del lobo
frontale.
Tutte le informazioni, il cervelletto le elabora in modo incosciente e sono finalizzate a produrre delle
uscite motorie.
Interviene nella pianificazione (programmazione e coordinazione) e nei processi che portano alla
realizzazione/esecuzione del movimento.
Compara in tempo reale tutte le informazioni sensitive e corticali che gli arrivano, per generare
delle informazioni motorie, che tramite le sue fibre efferenti che originano dai nuclei profondi
intrinseci del cervelletto, si portano all’origine delle vie motorie discendenti per permettere una
corretta esecuzione del movimento e alle aree motorie della corteccia cerebrale, soprattutto alle
aree pre-motorie della corteccia, contribuendo alla pianificazione del movimento.

Sebbene riceva moltissime informazioni sensitive, è principalmente una parte motoria


dell’encefalo.
Riceve informazioni sensitive da tutte le modalità sensoriali, quindi da:
organi di senso speciali, recettori somatici generali e soprattutto dai
propriocettori.
Inoltre riceve informazioni da vaste aree della corteccia cerebrale
tramite i nuclei pontini, intercalati longo la via cortico-cerebellare, per
cui ricevano informazioni tramite le fibre cortico-pontine e inviano
informazioni al cervelletto tramite le fibre ponto-cerebellari.
Tutte informazioni sensoriali e corticali inconsapevoli che poi vengono
utilizzate dal cervelletto per migliorare automaticamente il movimento
per permettere l’esecuzione automatica corretta del movimento.
Queste informazioni comportano lo sviluppo di risposte, efferenze motorie destinate alle cortecce
motoria e pre-motoria del lobo frontale che contribuiscono a migliorare la pianificazione del
movimento, ed efferenze che si portano all’origine delle vie motorie discendenti che
contribuiscono all’esecuzione del movimento.

Le efferenze provenienti dal vestibolocerebello si portano ai nuclei vestibolari che sono nuclei
localizzati a livello del bulbo e sono all’origine delle vie vestibolo-spinali che si portano al midollo
spinale e sono finalizzate a permettertici di mantenere l’equilibrio.
Le efferenze provenienti dallo spinocerebello si portano via nucleo del
fastigio e via nucleo internosito rispettivamente all’origine dei fasci del
sistema di moto mediale del midollo spinale e all’origine dei fasci del
sistema di moto laterale del midollo spinale.
Queste efferenze sono finalizzate a permettere l’esecuzione automatica e
corretta dei movimenti.
Le efferenze provenienti dal cerebrocerebello si portano via nucleo
dentato soprattutto alle cortecce motorie del lobo frontale e sono
finalizzate a regolare il piano del movimento.
Complessivamente, queste efferenze permettono al cervelletto di
regolare, controllare in modo automatico e inconscio l’esecuzione del movimento affinché sia
coordinato, fluido e corretto.

Il cervelletto controlla il movimento agendo sull’origine dei fasci motori discendenti, ossia
sull’origine delle vie motorie discendenti, vie che a livello del midollo spinale, si organizzano
andando a costituire i sistemi di moto laterale e laterale.
Le vie del sistema di moto laterale del midollo spinale vanno a controllare
l’attività dei neuroni motori efferenti delle colonne laterali della lamina IX,
mentre le vie del sistema di moto mediale del midollo spinale va a
controllare l’attività dei motoneuroni della colonna mediale continua della
lamina IX del midollo spinale, quindi l’attività dei muscoli assili.

Il cervelletto è anche coinvolto in funzioni cognitive superiori.

VIE ASCENDENTI E DISCENDENTI


La comunicazione tra SNC e la periferia (ambiente esterno ed interno) mediata
dal SNP (nervi cranici e spinali) avviene attraverso vie capaci di trasmettere
informazioni sensitive dalla periferia (recettori sensitivi) ai centri di elaborazione
encefalici e informazioni motorie dai centri motori superiori dell’encefalo ai
bersagli.
Ogni via è composta da una sequenza di neuroni i cui corpi vanno a costituire i
nuclei di sostanza grigia e i cui assoni vanno a costituire i fasci o tratti di
sostanza bianca distinte in funzione del senso del trasporto dell’informazione in:
ascendenti sensitive e discendenti motorie.
Il numero delle sinapsi cambia a seconda della via coinvolta nella trasmissione dell’informazione.

Sono vie somatiche che utilizzano i nervi spinali per mediare il trasferimento di informazioni sensitive
raccolte dai recettori somatici generali delle pareti di tronco e arti, verso il SNC (fibre afferenti dei
nervi spinali) per mediare poi il trasferimento di informazioni motorie somatiche dal SNC alla
periferia (fibre efferenti dei nervi spinali destinate ai muscoli scheletrici delle pareti di tronco e arti).

Le principali vie ascendenti della sensibilità somatica generale sono originate dai recettori somatici
delle pareti di tronco e arti, sono perciò vie che attraversano il midollo spinale e per questo sono
dette vie spinali.
Le principali vie discendenti del controllo motorio somatico sono deputate a controllare la
muscolatura scheletrica delle pareti di tronco e arti, per cui sono definite vie dei sistemi di moto
mediale e laterale del midollo spinale.

Vie della sensibilità somatica generale


Le vie della sensibilità somatica generale originano da esterocettori, ossia recettori cutanei, e
propriocettori, ossia recettori muscolari, delle pareti di tronco e arti.
Sono vie spinali che attraversano il midollo spinale per raggiungere i centri encefalici superiori.
Si distinguono le vie coscienti dalle vie incoscienti, cioè le vie coscienti arrivano alla corteccia
cerebrale e ci permettono di percepire le sensazioni, gli stimoli, mentre le vie incoscienti arrivano al
cervelletto e vengono utilizzate da quest’ultimo per generare delle uscite motorie finalizzate a
permettere la corretta esecuzione del movimento.

Le vie somatosensitive coscienti raggiungono la corteccia cerebrale e, precisamente, devono


arrivare alla corteccia somatosensitiva primaria del lobo parietale,
Sono vie che prevedono una sequenza di 3 neuroni:

1. Neurone di 1° ordine: neurone afferente sensitivo dei gangli sensitivi che funziona da
specifico recettore
2. Neurone di 2° ordine: il suo corpo può essere presente a livello del midollo spinale o del
tronco encefalico e questo dipende dalla specifica
via sensitiva
3. Neurone di 3° ordine: trova il suo corpo sempre a
livello di un nucleo del talamo, il quale rappresenta la
porta d’ingresso alla corteccia cerebrale, perciò
tutte le vie sensitive che arrivano a specificare la
corteccia cerebrale, coinvolgono neuroni di nuclei
specifici del talamo
Nella maggior parte dei casi gli assoni di 2° ordine decussano, ossia si incrociano, a giustificazione
del fatto che le informazione sensitive raccolte da una parte del corpo, vengono poi elaborate
dalla corteccia cerebrale controlaterale.

Le vie della sensibilità somatica generale arrivano alla corteccia somatosensitiva primaria, una
circonvoluzione di corteccia del lobo parietale detta circonvoluzione post-centrale perché situata
subito posteriormente rispetto al solco centrale di Rolando che separa il lobo frontale dal lobo
parietale.
Questa parte di corteccia è organizzata in parti funzionali che
corrispondono alle regioni del corpo, per questo si parla di
omuncolo sensitivo, una sorta di caricatura.
Le diverse parti del corpo sono rappresentate in forma distorta, è
disposto a testa in giù, ma soprattutto le proporzioni delle parti
corporee dell’omuncolo sono diverse.
Le distorsioni sono dovute al fatto che l’estensione della corteccia correla con il numero dei
recettori presenti sull’area corporea corrispondente e non con la superficie reale di quell’area
corporea.
È ovvio che la parte di corteccia dedicata a ricevere le informazioni provenienti dai recettori della
mano è enorme perché la mano è piena di recettori tattili, è una parte molto sensibile del corpo,
così come faccia e labbra.
Le parti funzionali corticali dedicate a ricevere informazioni dalle specifiche parti del corpo sono
tanto più estese quanto maggiore è il numero di recettori presenti a livello della parte corporea
che gli corrisponde.

Via spino-bulbo-talamica o via del cordone posteriore


La via spino-bulbo-talamica è anche detta via del cordone
posteriore in quanto i fasci di questa via vanno ad occupare la
maggior parte della sostanza bianca del cordone posteriore del
midollo spinale.
Raccoglie e trasporta informazioni tattili molto precise, si parla di sensibilità tattile epicritica, quindi
informazioni tattili raccolte dai recettori tattili più prestanti.
Inoltre trasporta informazioni propriocettive raccolte dai recettori dei muscoli scheletrici, quindi dai
fusi e dagli organi muscolo-tendinei di Golgi.
Tali informazioni, tramite una specifica sequenza di neuroni, arrivano alle specifiche aree della
corteccia somatosensitiva per permetterci di percepire la posizione del nostro corpo e delle sue
parti nello spazio.
A costituire questa via si distinguono 2 fasci:

a) Fascicolo gracile: origina più inferiormente a livello del midollo spinale e raccoglie
informazioni tattili epicritiche e informazioni propriocettive dai recettori dell’arto inferiore e
della parte interiore del tronco
b) Fascicolo cuneato: origina ad un livello superiore del midollo spinale perché raccoglie le
stesse informazioni, ma dai recettori della parte superiore del tronco, quindi anche dal collo
e dall’arto superiore

I 2 fasci di fibre, nell’insieme, mentre risalgono a livello del midollo


spinale, vanno a costituire il cordone posteriore di sostanza bianca del
midollo spinale.
È una via a 3 neuroni: il corpo del neurone di 1° ordine si trova a livello
del ganglio sensitivo annesso alla radice posteriore del nervo spinale, il
neurone di 2° ordine si trova nei nuclei gracile e cuneato del bulbo, ne
consegue che gli assoni del neurone di 1° ordine risalgono lungo il
midollo spinale andando a costituire la sostanza bianca del cordone
posteriore del midollo spinale per arrivare ai nuclei del bulbo, dove gli
assoni sinaptano con il neurone di 2° ordine e da tali nuclei si dipartono e
decussano portandosi nella parte controlaterale del tronco, quindi arrivano allo specifico nucleo
del talamo, dove sinaptano con il neurone di 3° ordine e l’assone di questo neurone talamico si
porta alla specifica area della corteccia somatosensitiva, quindi all’area corticale che corrisponde
alla porzione del corpo da cui è partito lo stimolo.

Via spino-talamica o via del sistema antero-laterale


La via spino-talamica comprende 2 fasci di fibre ascendenti.
Il fascio spino-talamico anteriore media le informazioni tattili
protopatiche, cioè informazioni tattili poco precise originate da
recettori tattili meno prestanti che solitamente corrispondono a
terminazioni sensitive libere.
Il fascio spino-talamico laterale media soprattutto informazioni
originate dai recettori dolorifici e dai recettori termici.
Sono comunque tutti fasci pari e simmetrici.
Si tratta di una via sempre a 3 neuroni: il neurone di 1° ordine è nel
ganglio sensitivo, il neurone di 2° ordine si trova nel corno posteriore
del midollo spinale e il neurone di 3° ordine è localizzato in uno
specifico nucleo talamico.
L’assone del neurone di 2° ordine decussa, per cui le informazioni
raccolte dai recettori somatici di destra arrivano alla corteccia
somatosensitiva di sinistra e viceversa.

Vie spino-cerebellari o sistema spino-cerebellare


Le vie spino-cerebellari trasportano informazioni provenienti soprattutto dai
recettori propriocettivi dei muscoli scheletrici, quindi muscoli provenienti
dalle pareti di tronco e arti e che informano il cervelletto sullo stato e
sull’attività di questi muscoli scheletrici.
Si aggiungono anche fasci che trasportano informazioni relative all’attività
delle vie discendenti motorie, ossia che informano il cervelletto su come è
stata comandata l’esecuzione del movimento.
Sono tutte informazioni che permettono al cervelletto di comparare in tempo
reale l’intenzione del movimento con l’effettiva esecuzione del movimento,
perciò informazioni utilizzate dal cervelletto per generare delle risposte, delle
uscite motorie, finalizzate a permettere la coordinazione motoria e a
correggere il movimento.

Sistemi motori e vie discendenti


Le vie del controllo somatico controllano l’attività dei muscoli scheletrici e precisamente
controllano l’attività dei muscoli scheletrici della parete di tronco e arti.
Sono vie che utilizzano i nervi spinali, cioè le loro fibre efferenti, per raggiungere il bersaglio.
Fanno parte delle vie discendenti anche le vie del controllo motorio viscerale che controllano
l’attività della muscolatura liscia e cardiaca e la secrezione ghiandolare, ma sono anche presenti
vie discenti del sistema somatosensitivo che controllano soprattutto le afferenze sensitive
dolorifiche.

Le vie discendenti del controllo somatico sono vie che controllano i movimenti volontari o
automatici dei muscoli scheletrici e sono vie che originano dalla corteccia cerebrale, o dal tronco
encefalico che terminano direttamente o indirettamente sui neuroni efferenti motori del midollo
spinale.

L’attività di ogni muscolo scheletrico può essere: volontaria,


automatica o riflessa (es. diaframma → attività riflessa: colpo di
tosse, attività automatica: regolata grazie a centri respiratori
localizzati a livello di bulbo e ponte, attività volontaria: trattenere
volontariamente il respiro che dipende dalla corteccia cerebrale
volontaria).
Le vie piramidali ed extrapiramidali, a livello del midollo spinale, si organizzano andando a
costituire i sistemi di moto mediale e laterale del midollo spinale.
Le vie piramidali originano direttamente dalla corteccia cerebrale e soprattutto dalle cortecce
motorie del lobo frontale.
Le vie extrapiramidali, anche dette indirette, originano da nuclei o centri motori del tronco
encefalico, ma queste sono a loro volta controllate dalla corteccia cerebrale.

Il controllo dei muscoli scheletrici è mediato da vie motorie distinte in: piramidali ed
extrapiramidali.
Sono vie caratterizzate da 2 motoneuroni, quindi si parla di: motoneurone superiore e motoneurone
inferiore.
Nelle vie piramidali il motoneurone superiore, quindi l’origine della via, si localizza a livello della
corteccia cerebrale, soprattutto motoria.
Nelle vie extrapiramidali invece, il motoneurone superiore si colloca a livello di nuclei o centri
motori del tronco encefalico.
I motoneuroni inferiori di queste vie, quindi l’ultimo neurone della via, corrisponde ai neuroni motori
efferenti che tramite il loro assone raggiungono direttamente i muscoli scheletrici.

Vie piramidali ed extrapiramidali


Le vie piramidali originano direttamente dalla corteccia cerebrale, quindi i motoneuroni superiori
della via sono motoneuroni della corteccia e comprende:

Fascio cortico-spinale laterale: si porta ai motoneuroni efferenti della lamina IX del midollo
spinale
Fascio cortico-spinale anteriore: si porta ai motoneuroni efferenti della lamina IX del midollo
spinale
Fascio cortico-bulbare: si arresta a livello dei motoneuroni efferenti del tronco che si
collocano a livello dei nuclei dei nervi cranici, la componente motoria, e si tratta di neuroni
che controllano i muscoli scheletrici della testa

Le vie extrapiramidali originano da nuclei o centri motori del centro encefalico e comprendono:

❖ Fascio rubro-spinale: origina dal nucleo rosso del mesencefalo


❖ Fasci reticolo-spinali: originano dai nuclei motori della formazione reticolare
❖ Fascio tetto-spinale: origina dai nuclei della lamina quadrigemina del mesencefalo, anche
detta tetto del mesencefalo
❖ Fasci vestibolo-spinali: originano dai nuclei vestibolari del bulbo

Questi fasci motori discendenti delle vie piramidali ed extrapiramidali si organizzano a costituire i
sistemi motori laterale e mediale del midollo spinale.
Il sistema di moto laterale è costituito da fasci motori discendenti che
si portano ai motoneuroni efferenti della colonna laterale della
lamina IX, perciò controllano l’attività dei muscoli delle parti libere
degli arti.
Il sistema di moto mediale è costituito da fasci discendenti motori
che si portano ai motoneuroni efferenti della colonna mediale
continua della lamina IX, quindi controllano l’attività dei muscoli assili
e dei muscoli della radice degli arti.

I fasci delle vie piramidali ed extrapiramidali che costituiscono il sistema di moto laterale del
midollo spinale sono: fascio cortico-spinale laterale e fascio rubro-spinale.
I fasci delle vie piramidali ed extrapiramidali che costituiscono il sistema di moto mediale del
midollo spinale sono: fascio cortico-spinale anteriore, fasci reticolo-spinali, fascio tetto-spinale e
fasci vestibolo-spinali.
La via piramidale comprende i fasci cortico-spinale laterale e anteriore e il fascio cortico-bulbare
o cortico-nucleare.
Si tratta, nel complesso, di fibre che originano soprattutto dalla corteccia motoria primaria del lobo
frontale, sede dei motoneuroni superiori della via, ma originano anche da altre cortecce cerebrali.
Le fibre del fascio cortico-bulbare o cortico-nucleare si portano ai neuroni motori efferenti dei nervi
dei nuclei motori dei nervi cranici.
I nervi cranici originano da nuclei del tronco encefalico.
Perciò le fibre del fascio cortico-bulbare terminano a livello del tronco.
Proseguono invece, le fibre cortico-spinali che devono raggiungere i
motoneuroni efferenti del midollo spinale, che sono i motoneuroni
inferiori della via, che poi tramite i loro assoni raggiugono direttamente
i muscoli scheletrici.
La maggior parte di queste fibre cortico-spinali, a livello del
mesencefalo decorrono in corrispondenza dei peduncoli cerebrali e a
livello del bulbo invece, vanno a costituire le piramidi bulbari.
Nella parte inferiore delle piramidi bulbari, la maggior parte delle fibre
cortico-spinali decussano, si parla di decussazione delle piramidi, cioè
le fibre si portano dal lato opposto andando a costituire il fascio
cortico-spinale laterale.
Le restanti fibre (circa il 10%) non decussano e vanno a costituire il fascio cortico-spinale anteriore.
Anche le fibre del fascio cortico-spinale anteriore, in dirittura d’arrivo decussano, andando a
controllare il motoneurone efferente controlaterale.
Non solo le vie sensitive, ma anche quelle motorie, a vario livello decussano, in modo tale che la
corteccia motoria dell’emisfero sinistro vada a controllare l’attività dei muscoli scheletrici della
parte destra del corpo e viceversa.

L’omuncolo motorio è rappresentato a livello della corteccia motoria primaria, quindi della
circonvoluzione pre-centrale del lobo frontale.
L’omuncolo rappresenta una mappa funzionale della corteccia
motoria primaria, quindi si tratta di parti di corteccia deputate a
controllare i muscoli scheletrici di parti specifiche del corpo.
Le proporzioni delle parti del corpo dell’omuncolo sono diverse
da quelle reali.
Le distorsioni sono dovute al fatto che l’estensione della
corteccia motoria che controlla una parte del corpo correla con il numero di muscoli e il numero di
unità motorie dei muscoli innervati e non con l’estensione effettiva della regione innervata (non
dipende dall’estensione dei muscoli di quella regione).

L’unità motoria è l’insieme delle fibre muscolari innervate da un singolo


motoneurone α tramite le sue ramificazioni assoniche.
Il rapporto di innervazione corrisponde al numero di fibre muscolari
innervate da un solo motoneurone.

Nel muscolo quadricipite, il rapporto di innervazione è 2000, ossia ogni


neurone motore efferente del midollo spinale, si distribuisce circa a 2000 fibre muscolari, viceversa
nei muscoli intrinseci della mano o nei muscoli oculari il rapporto di innervazione è 10-12, ossia ogni
motoneurone controlla pochissime fibre muscolari scheletriche.
Tanto minore è il numero di fibre muscolari scheletriche controllate da un singolo motoneurone,
quindi tanto più piccola è l’unità motoria, tanto più preciso è il controllo del movimento.

Infatti la corteccia motoria dell’omuncolo motorio deputata al controllo della mano è molto più
estesa rispetto a quella dedicata al controllo dei muscoli dell’arto inferiore e questo perché
l’estensione della corteccia motoria che controlla una parte del corpo correla con il numero di
muscoli e soprattutto con il numero di unità motorie dei muscoli che controlla, quindi non con
l’estensione effettiva della regione controllata.

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