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INTRODUZIONE
L’anatomia studia la morfologia (la struttura macro e microscopica) del corpo umano e delle sue
parti e i rapporti reciproci fra le sue diverse parti.
Il termine “anatomia” deriva dal termine greco “anatomè” che significa dissezione, tecnica
d’indagine utilizzata per studiare il corpo umano.
Ogni precisa funzione è svolta da una precisa struttura, per questo l’anatomia (struttura) sta alla
base della fisiologia (funzione).
Le cellule sono le più piccole unità strutturali e funzionali capaci di vita autonoma.
Durante lo sviluppo embrionale poi le cellule si differenziano specializzandosi per lo svolgimento di
una specifica funzione andando così a formare il tessuto, livello organizzativo superiore della
cellula.
I tessuti (istologia) sono aggregati di cellule simili per struttura e funzione immerse in uno specifico
ambiente extracellulare (sostanza fondamentale).
I tessuti vengono classificati su base funzionale in:
Di un organo si usa dare una definizione strutturale e funzionale e definire posizione spaziale e
rapporti con altri organi vicini, quindi se ne studia l’architettura, la struttura istologica e la funzione.
Un sistema o apparato è un insieme di organi anche diversi per struttura e per specifica funzione
che collaborano tutti insieme per la funzione unica e complessa dell’intero apparato.
È importante conoscere l’anatomia funzionale di tutti i sistemi del corpo umano poiché nessun
sistema funziona isolatamente e i diversi sistemi sono funzionalmente integrati.
Il buon funzionamento della macchina UOMO prevede l’azione coordinata di tutti gli organi che
compongono i diversi sistemi.
POSIZIONE ANATOMICA
La posizione anatomica è di riferimento universale…convenzionale.
Per evitare ambiguità tutte le descrizioni anatomiche sono riferite a questa posizione.
La posizione che si deve visualizzare/immaginare qualunque sia la posizione assunta
dal soggetto cui ci si riferisce è questa a dx del foglio.
L’individuo è posizionato in stazione eretta con gli occhi diretti anteriormente, gli arti
superiori situati ai lati del tronco con il palmo delle mani rivolti in avanti in posizione
supina, gli arti inferiori uniti e con i piedi diretti anteriormente.
TERMINI DI POSIZIONE
I termini di posizione sono utili per definire posizione, orientamento e
apparati:
Tutti gli organismi cellulari derivano dalla divisione cellulare operata da un’unica cellula iniziale,
che è lo zigote, che si forma per fusione del gamete maschile con quello femminile.
Questa fusione avviene a livello delle tube uterine e poi da lì lo zigote migra nell’apparato genitale
femminile e durante questo trasferimento subisce delle modificazione fino a raggiungere l’utero,
dove poi si impianta.
I foglietti poi possono collaborare per dare origine a diversi organi e tessuti.
La combinazione dei tessuti porta alla formazione di organi e sistemi mediante il processo di
morfogenesi.
Per mantenere lo stato di omeostasi attraverso il processo di equilibrio delle cellule che proliferano
e originano i diversi tessuti, possibile perché proliferazione e differenziamento delle cellule sono i
processi che caratterizzano sia le fasi di sviluppo embrionale sia le fasi di completa maturazione
funzionale dell’adulto.
Una popolazione di cellule nell’embrione e nell’adulto è caratterizzata da:
→ Proliferazione cellulare
→ Differenziamento
→ Invecchiamento (senescenza)
→ Morte cellulare
TESSUTI
I componenti principali di un tessuto sono le cellule e la matrice
extracellulare.
Le cellule che troviamo all’interno dei tessuti hanno stessa:
forma, funzione e origine embrionale.
Il tessuto quindi è un’organizzazione morfo-funzionale di cellule
e matrice.
TESSUTO EPITELIALE
Gli epiteli sono caratterizzati da cellule disposte in lamine e sono adibite a: protezione, trasporto,
secrezione e assorbimento.
Le principali funzioni dei tessuti epiteliali sono:
• Protezione fisica
• Produzione di secrezioni specializzate
• Scambio e trasporto di sostanze tra ambiente e tessuti
• Captazione di stimoli di varia natura
La secrezione consiste nella produzione e rilascio di sostanze quali: muco, sudore, enzimi.
L'escrezione consiste nel rilascio di sostanze di scarto.
L’assorbimento consiste nell’assunzione di liquidi o solidi → Prodotti digestione
▪ Cellularità: molte cellule con ECM ridottissima, ad una lamina, che aderiscono strettamente
alla superficie
▪ Polarità
▪ Connessione
▪ Avascolarità: il nutrimento che arriva per via ematica è assicurata agli epiteli grazie al
connettivo sottostante
▪ Innervazione
▪ Elevata capacità rigenerativa
Per poter costituire delle lamine di rivestimento, le cellule devono avere dei sistemi di giunzione
intercellulare che possono essere:
− Epiteli di rivestimento
− Epiteli ghiandolari
− Epiteli sensoriali
− Monostratificati
− Pluristratificati
− Pavimentoso
− Isoprasmatico
− Batiprasmatico
Epiteli di rivestimento
Gli epiteli di rivestimento sono formati da cellule strettamente unite tra loro
organizzate in lamine.
Poggiano su una lamina basale che li separa dal sottostante tessuto connettivo
riccamente vascolarizzato.
Il tessuto connettivo ha fra i suoi compiti quello di nutrire le cellule epiteliali.
Gli epiteli, al contrario dei tessuti connettivi, non sono vascolarizzati.
In base agli strati, gli epiteli di rivestimento possono essere classificati in:
Pavimentoso
Cubico
Cilindrico
Epitelio di transizione
L’epitelio di transizione è un epitelio plastico
stratificato che riveste le pareti delle vie urinarie.
Il nome di “transizione” deriva dalla capacità di
questo tessuto di cambiare il numero di strati
cellulari e la sua forma da cubico a squamoso in
quanto notevolmente deformabile, soprattutto a
livello della vescica, quando sottoposto a distensione.
Svolge funzioni di distensione e protezione oltre che ad
aumentare la capacità contenitiva dell’organo che
riveste.
Epiteli ghiandolari
Gli epiteli ghiandolari sono cellule singole o veri e propri organi specializzati nella produzione e
secrezione di sostanze che svolgono una varietà di funzioni biologiche nell’organismo.
Gli epiteli ghiandolari sono costituiti da cellule secernenti derivate da lamine epiteliali.
La secrezione ghiandolare può essere di tipo continuo o discontinuo (ritmica, espulso in seguito a
stimoli ormonali, nervosi o chimici).
Gli elementi prevalenti negli organi ghiandolari sono le cellule endoteliali.
Ghiandole esocrine
Le ghiandole esocrine possono essere classificate in base a:
Le ghiandole unicellulari sono singole cellule secernenti nell’ambito di un tessuto epiteliale (cellule
caliciformi mucipare).
Le ghiandole pluricellulari sono veri e propri organi costituiti da parenchima (epiteliale) e stroma
(connettivale).
Le cellule secernenti si organizzano in gruppi, attorno ad un lume centrale ed in
continuità con il dotto escretore.
L’adenomero è l’unità secernente e può avere diverse strutture: tubulare, acinoso
e alveolare.
Le ghiandole esocrine possono essere semplici o ramificate, quindi possedere una o più unità
secernenti connesse alla superficie dell’epitelio o direttamente o per mezzo di un unico dotto non
ramificato.
Oppure composte, quando il dotto escretore principale si ramifica in condotti di calibro
progressivamente decrescente che terminano con l’adenomero/i (unità secernente/i).
Ghiandole endocrine
Le ghiandole endocrine non possiedono dotti escretori, non hanno
generalmente una organizzazione cellulare polarizzata e
riversano le loro secrezioni nel circolo sanguigno.
Le ghiandole endocrine possono essere singole cellule o vere e
proprie ghiandole che possono assumere una diversa
conformazione:
✓ Cordoni
✓ Follicoli
✓ Isolotti o nidi
✓ Interstiziali
Esistono anche sistemi ghiandolari diffusi che sono cellule isolate in grado di produrre ormoni e che
si possono trovare nella compagine di diversi organi (anche se sono particolarmente abbondanti
nel sistema digerente).
Tali elementi sono solitamente identificati con il termine di cellule neuroendocrine a rimarcare la
loro origine nervosa (cresta neuronale) e la loro capacità di secernere sostanze ad azione
ormonale identiche ai neurotrasmettitori del SN (sistema neuroendocrino diffuso).
Un messaggero chimico è una molecola che controlla l’attività delle altre cellule in diversi modi:
Epiteli sensoriali
Sono definiti sensoriali alcuni epiteli altamente
specializzati per la ricezione degli stimoli sensoriali.
Alcuni di essi sono costituiti da cellule epiteliali, le cellule
sensoriali secondarie, attorno alle quali si trovano i
prolungamenti delle cellule nervose che provvedono
alla trasmissione degli impulsi (e.g. cellule gustative,
acustiche, vestibolari)
Altri epiteli sensoriali, i neuroepiteli, sono formati da
cellule sensoriali primarie; queste cellule (e.g. i neuroni
olfattivi o i coni e bastoncelli della retina) rappresentano
veri e propri neuroni modificati provvisti di assone.
La composizione e l’organizzazione dei tessuti connettivi può poi assumere forme altamente
specializzate (connettivi specializzati) per svolgere funzioni meccaniche: gli elementi cellulari
elaborano una ECM resistente alla compressione (condroblasti-cartilagine), alla flessione-torsione
(osteoblasti-ossa).
• Sangue
• Linfa
I tessuti connettivi hanno delle cellule autoctone dette anche cellule fisse con il compito di
stazionare permanentemente a livello del connettivo:
Il suffisso -blasto sta ad indicare una cellula metabolicamente attiva, in grado di proliferare.
Il suffisso -cito indica tipi cellulari che non sono più in attiva proliferazione, ma nonostante questo
sono comunque attive, dando un supporto strutturale.
Nel tessuto connettivo sono presenti sia cellule fisse sia cellule
migranti deputate alla difesa del tessuto stesso.
Matrice extracellulare
La matrice extracellulare ha 2 componenti:
1. Sostanza fondamentale: sostanza amorfa, non visibile al microscopio composta da: GAG,
proteoglicani, H2O e sali, glicoproteine
2. Componente fibrosa: costituita da fibre proteiche (collagene, reticolari, elastiche)
Sostanza fondamentale
La sostanza fondamentale si presenta come una sostanza dalla composizione gelatinosa, viscosa,
incolore, piuttosto omogenea e corrisponde alla parte inorganica in cui si trovano immerse le
componenti fibrillari della matrice e le cellule.
L’acido ialuronico è il GAG che compare più precocemente nello sviluppo embrionale ed è anche
quello che viene prodotto per primo in seguito a lesione dei distretti connettivali.
Componente fibrosa
Le principali fibre del tessuto connettivo sono 3: collagene, reticolari ed elastiche.
Collagene e reticolari sono costituiti da collagene, mentre quelle elastiche sono costitute da
elastina.
Le fibre collagene sono lunghe fibre lineari costituite di collagene, molto robuste, flessibili e
resistenti alla trazione, perciò sono poco estensibili.
Esistono 28 tipi diversi di collagene composti da almeno 46 distinte catene polipeptidiche (inoltre
molte altre proteine contengono domini a struttura collagenica).
Le fibre di collagene hanno come unità di base la molecola di
tropocollagene.
3 catene di tropocollagene si legano tra loro ad
intervalli regolari per formare, in modalità sfalsata,
dapprima delle fibrille che unite generano le fibre.
Le molecole di tropocollagene si sovrappongono
parzialmente a quelle che le affiancano (sono
sfalsate di circa ¼ della loro lunghezza)
generando così delle bande visibili.
Anomalie del collagene possono portare anche alla comparsa di una rara
malattia autosomica dominante conosciuta con il nome di sindrome di Ehlers-
Danlos caratterizzata da:
o Bassa statura
o Cute particolarmente estensibile
o Impermeabilità articolare
o Difficoltà di guarigione delle ferite
Le fibre reticolari sono sottili fibre costituite di collagene di tipo III che si
ramificano (non lineari) formando una struttura a rete tridimensionale
con caratteristiche striature con funzione di sostegno (es. stroma di
organi pieni).
Danno sostegno meccanico e trofico al parenchima.
Si intrecciano senza anastomizzarsi.
Mesenchima
Il mesenchima ovvero il tessuto connettivo embrionale si forma per migrazione e
aggregazione delle cellule staminali mesenchimali derivanti dal mesoderma e in
misura minore da ectoderma e endoderma.
Tessuto reticolare
Il tessuto connettivo reticolare si presenta con una struttura tridimensionale costante.
Una rete di maglie in cui si trovano cellule non di origine fibroblastica che forma lo stroma
(componente di sostegno…o vedrete in seguito)
del tessuto linfoide (milza e linfonodi), del midollo
osseo emopoietico e del fegato.
Ha un’organizzazione a rete che favorisce il
rapporto tra le cellule e la rete vascolare che si
sviluppa entro di essa.
Tessuto adiposo
Il tessuto adiposo è costituito da connettivo fibrillare lasso in cui sono disperse cellule adipose
singole o in cluster, se molto numerose si organizzano in lobuli.
Ha un ruolo di riserva energetica con funzioni trofiche:
Tessuto elastico
Il tessuto connettivo elastico è localizzato prevalentemente nella parete dei grossi vasi ha una
organizzazione tridimensionale abbastanza regolare con fasci ondulati di fibre elastiche parallele
tra loro.
Tra le fibre sono distribuite cellule muscolari lisce e
fibroblasti (entrambi in grado di sintetizzare
tropoelastina, fibrillina1 e 2 e MAGP).
Presenta una rete capillare molto ridotta e l’intera
organizzazione è orientata ad essere «elastica»
ovvero a restituire le dimensioni iniziali del tessuto
sottoposto a forze dilatative.
MEMBRANE DEL CORPO
Le membrane del corpo sono tutte costituite da epitelio e connettivo.
Fanno parte di queste membrane le seguenti:
Trattandosi comunque di tessuti connettivi hanno dei componenti in comune ad essi che sono:
Cellule specializzate: fisse, migranti, fibre proteiche (fibre: collage, reticolari, elastiche)
Matrice extracellulare: sostanza fondamentale (GAG, proteoglicani, acido ialuronico…)
Tessuto osseo
Il tessuto osseo è una forma specializzata di connettivo caratterizzata dalla
mineralizzazione della matrice extracellulare che conferisce al tessuto una
notevole rigidità e durezza.
L’osso è al contempo resistente e flessibile.
Non è un tessuto statico, è un tessuto dinamico: soggetto a rimodellamento e
rinnovamento per l’intera durata della vita.
Funzioni dell’osso:
Se si distrugge la componente inorganica della matrice l’osso perde la sua durezza e rigidità,
diventando flessibile, ma conservando la resistenza alla trazione.
Se si distrugge la componente organica della matrice l’osso
conserva forma e dimensioni originali e l’impalcatura minerale,
ma diventa fragile come porcellana, perciò non più flessibile.
Deficit da vitamina D
La patologia che deriva da deficit di vitamina D, causata
dall’alterato metabolismo della vitamina stessa per
mancanza di Ca/P nei siti di mineralizzazione, prende il nome
di osteomalacia/rachitismo (nel bambino).
Clinicamente questi pazienti presentano dolore osseo,
occasionalmente fratture, debolezza muscolare, talora
deformità (nei bambini in crescita).
La somministrazione di vitamina D ha effetto benefico sul rachitismo in assenza di deficit nutrizionali
assoluti o problemi di malassorbimento (e.g. celiachia).
Menopausa
La menopausa è una condizione fisiologica caratterizzata da un forte calo degli ormoni sessuali.
L’osteoporosi è una patologia multifattoriale, causata da una patologica riduzione della massa
ossea (componente minerale Ca + osteoide) e da alterazioni microarchitetturali del tessuto osseo,
che diventa meno resistente, fragile e
maggiormente esposto al rischio di
frattura.
L’osteoporosi è un processo di
rarefazione dell’osso che coinvolge in
particolare le donne (crollo ormoni
sessuali veloce 1 su 3) e gli anziani (scarsa
attività fisica).
I risultati di uno studio condotto in America hanno riportato che l’attività sportiva ha giocato un
ruolo significativo nella densità ossea a 20 anni sia per le donne che per gli uomini.
Per gli uomini, la densità ossea di tutto il corpo era maggiore tra coloro che avevano praticato
sport in modo consistente sin da piccoli, mentre la densità ossea degli arti inferiori era maggiore
anche quando i ragazzi avevano iniziato a fare sport solo negli anni dell’adolescenza.
Per le donne, chi ha praticato regolarmente sport fin dall’infanzia ha ottenuto una densità ossea
migliore a 20 anni.
Si può quindi affermare che l’infanzia sia il periodo della vita in cui lo scheletro sopporta meglio i
carichi e risponde meglio agli stress meccanici, perciò cominciare a fare sport a 5 anni consente
di avere ossa più robuste nell’età adulta.
Struttura ossea
Il tessuto osseo si distingue in:
L’osso lungo presenta 2 estremità che prendono il nome di epifisi separate da una
diafisi lunga, tubulare o asta.
Tra diafisi ed epifisi troviamo una stretta zona che viene definita metafisi.
Organizzazione macroscopica
L’osso spugnoso è costituito da sottili trabecole o
spicole che delimitano cavità intercomunicanti
contenenti il midollo osseo.
Le trabecole dell’osso spugnoso sono disposte secondo
le linee di forza che attraversano l’osso e che cambiano
in base agli stress e alle sollecitazioni meccaniche che
esso subisce → Rimodellamento osseo
La microarchitettura di un osso viene determinata dagli specifici stress,
sollecitazioni meccaniche che subisce ed è proprio la specifica architettura che lo rende resistente
agli specifici stress.
L’osso spugnoso si trova in zone in cui le ossa non subiscono forti sollecitazioni, ma che arrivano da
diverse direzioni, inoltre rende lo scheletro più leggero.
L’osso compatto è più spesso e si trova in regioni molto sollecitate, ma da poche direzioni, inoltre è
resistente alla compressione in senso longitudinale e una pressione laterale provoca facilmente
fratture.
Gli osteoblasti sono molto sensibili agli stimoli elettrici/elettromagnetici perciò durante le
sollecitazioni si è ipotizzato che i cristalli minerali possano generare dei campi elettrici di piccole
dimensioni e che gli osteoblasti ne vengano attratti e attivati.
Non a caso i campi elettrici/elettromagnetici sono molto utilizzati anche nel trattamento di fratture
ossee per favorire la rigenerazione ossea e cartilaginea.
Organizzazione microscopica
L’osso compatto ha, come unità strutturale,
l’osteone, una composizione cilindrica
disposta lungo l’asse longitudinale dell’osso e
presenta un canale centrale di Havers che
contengono i vasi che nutrono l’osteone e
intorno alla quale si dispongono in modo
concentrico lamelle di osso.
Periostio
Il periostio è costituito da capsula connettivale (connettivo denso) e fibre intrecciate che protegge
l’osso e supporta l’azione trofica (vasi sanguigni di cui è ricco).
Esternamente possiede poche cellule e molte fibre collagene (strato fibroso), mentre internamente
sono presenti poche fibre, numerosi capillari sanguigni e cellule osteoprogenitrici con potenziale
osteogenico (strato osteogenico).
Dal periostio si dipartono trasversalmente fibre connettivali, delle fibre di Sharpey o fibre perforanti
che si inseriscono nel sistema di lamelle circonferenziali esterne fornendo un sistema di ancoraggio
all’osso.
Endostio
L’endostio è costituito da cellule pavimentose e fibre connettivali che ricoprono tutte le superfici
interne dell’osso (trabecole dell’osso spugnoso, cavità midollari dell’osso compatto, canali di
Havers e di Wolkmann).
Le cellule che formano l’endostio hanno un alto potenziale osteogenico.
Cartilagine
Il tessuto cartilagineo è un tessuto connettivo di sostegno che ha la consistenza di un gel compatto,
altamente viscoso e flessibile.
È costituito da:
✓ Cellule: condroblasti (cellule che secernono la matrice, attive metabolicamente) e
condrociti (componente cellulare non più attiva, ma coinvolta nel mantenimento della
matrice)
✓ Matrice: fibre, GAG: condroitin e cheraton-solfato e acido ialuronico (azione lubrificante vd
articolazioni)
Il pericondrio è una membrana connettivale ricca di vasi e nervi che circonda le cartilagini (ad
eccezione della cartilagine articolare) è indispensabile per: conservazione, nutrimento e
accrescimento della cartilagine (per diffusione).
Cartilagine ialina
La cartilagine ialina è il tipo più
abbondante nel nostro organismo ed è molto idratata.
In essa prevale il collagene di tipo II che costituisce lo scheletro fetale.
Nell’adulto forma, tra l’altro, lo scheletro delle vie aeree (laringe, trachea,
bronchi) e parte delle coste.
È avascolare e generalmente circondata da pericondrio.
I proteoglicani si trovano nella matrice che circonda i gruppi isogeni (matrice
extracellulare territoriale), mentre la restante parte di matrice extracellulare è
caratterizzata da una minor presenza di proteoglicani (matrice extracellulare
interterritoriale).
La cartilagine articolare è di tipo ialino, ma priva di pericondrio (può andare incontro a processi
degenerativi → Calcificare)
Cartilagine elastica
La cartilagine elastica è caratterizzata, nella matrice extracellulare, da molte fibre elastiche oltre
che da collagene di tipo II che conferiscono flessibilità (presente in: padiglione auricolare,
condotto uditivo interno ed esterno, epiglottide).
È avascolare ed è circondata da pericondrio.
Ha una scarsità di gruppi isogeni e rispetto alla ialina, la matrice è
spesso presente in minor quantità e dunque le cellule (condrociti)
sono più ravvicinate.
Cartilagine fibrosa
La cartilagine fibrosa è molto ricca di fibre collagene di tipo I.
Forma fasci che la rendono apparentemente simile ad un tessuto
connettivo denso regolare.
È presente in: dischi fibro-cartilaginei che si trovano tra le vertebre,
le ossa pubiche e in corrispondenza di alcune articolazioni e
tendini.
Per la sua struttura fornisce resistenza alla compressione,
ammortizza gli urti e previene lesioni da contatto tra ossa.
Manca di un vero e proprio pericondrio.
TESSUTO MUSCOLARE
Esistono tipi di muscoli diversi che si diversificano per la loro organizzazione interna e per il tipo di
stimolo contrattile cui rispondono, inoltre sono specializzati per lo svolgimento di funzioni diverse.
La contrattilità non è una caratteristica unica delle cellule muscolari, è presente anche in altri tipi di
cellule variamente distribuite in altri tipi di tessuti come:
Vengono invece considerati tessuti muscolari i tessuti in cui la componente cellulare dotata di
contrattilità si organizza a formare elementi orientati nello spazio per formare fibre in grado di
coordinare funzioni meccaniche.
Nei tessuti muscolari l’elemento dotato di contrattilità (mioblasto) differenziandosi origina fibre
muscolari con specifiche caratteristiche morfologiche e meccaniche:
a) Movimenti volontari delle diverse parti dello scheletro (le ossa sono organi passivi del
movimento)
b) Mantenimento della postura: posizione del corpo (contrazione tonica → Muscoli
antigravitari)
c) Supporto ai tessuti molli, con tenzione e protezione degli organi interni (la parete
addominale e il pavimento pelvico sono formati da 3 strati sovrapposti di muscolatura
scheletrica che sostiene il peso dei visceri e protegge gli organi interni)
d) Controllo degli orifizi (apertura) → Sfinteri muscolari scheletrici
e) Mantenimento della temperatura corporea: omeostasi (termoregolazione insieme alla cute)
Struttura macroscopica
Il tessuto muscolare striato è organizzato in cellule
(fibra muscolare striata), responsabili della contrazione
e da una serie di involucri connettivali che nutrono il
muscolo e lo ancorano al sistema scheletrico tramite il
tendine (aponeurosi).
Componente cellulare
Le cellule muscolari originano dai mioblasti che fondendosi
originano la fibra muscolare immatura che poi matura e
può possedere anche più di 100 nuclei nel suo
sarcolemma.
Alcuni di questi mioblasti non si fondono, ma restano isolati.
Importante è la presenza di cellule miosatelliti che sono
cellule staminali miogeniche responsabili della
rigenerazione del muscolo scheletrico in seguito a danni
dovuti a: esercizio fisico, immobilità…
Si definiscono così perché si localizzano esternamente
rispetto alla membrana plasmatica muscolare, in nicchie in
contatto diretto con vasi e nervi che rivestono esternamente la fibra muscolare.
La fibra o cellula muscolare scheletrica è definita striata per la presenza di striature caratteristiche,
risultato della particolare organizzazione delle proteine contrattili presenti all’interno della fibra
stessa.
I. Iperplasia muscolare: crescita del volume del muscolo per aumento del numero delle
cellule che lo costituiscono
II. Atrofia muscolare: malnutrizione, mancata innervazione da inattività muscolare,
diminuzione, dimensioni e tono muscolare
La diversa organizzazione del muscolo scheletrico e la diversa composizione dei tessuti connettivi
che avvolgono muscolo, fascicolo e fibra permette la trasmissione dell’impulso contrattile dal
muscolo alle ossa.
Nello specifico: l’epimisio è formato da tessuto connettivo denso irregolare, il perimisio ha una
componente elastica prevalente, mentre l’endomisio presenta sia fibre reticolari sia cellule satelliti.
Gli involucri connettivali si continuano gli uni con gli altri e all’estremità del muscolo con il tendine.
Sono responsabili della trasmissione meccanica della forza generata dalla contrazione di tutte le
fibre muscolari al tendine e all’osso.
Le fibre collagene contenute (inestensibili) permettono tale trasmissione.
Innervazione
Le fibre muscolari scheletriche devono essere singolarmente stimolate/innervate per potersi
contrarre perché non sono presenti giunzioni comunicanti e il rivestimento connettivale
dell’endomisio funziona da isolante.
Nell’innervazione del sistema nervoso somatico (neuroni motori somatici che originano per la
maggior parte dei casi dal midollo spinale) i nervi penetrano all’interno dell’epimisio, si ramificano
nel perimisio ed entrano nell’endomisio ad innervare le single fibre muscolari.
Un neurone è costituito da una porzione che funge da recettore, perciò raccoglie le informazioni o
imput, che decorre in direzione centripeta in entrata ed è caratterizzata dai dendriti.
Poi troviamo un corpo cellulare o pirenoforo o soma, che contiene tutti
gli organelli intracellulari e il nucleo, e da qui si diparte una porzione di
conduzione che prende il nome di assone, il quale genera la regione di
output ovvero la regione di uscita centrifuga del segnale.
Dal corpo cellulare si ha un cono assonale che emerge, si origina un
assone che nella sua porzione terminale origina la porzione effettrice
caratterizzata da contatto sinaptico con un altro neurone, perciò
l’impulso viene trasmesso da un neurone all’altro, oppure con delle
fibrocellule muscolari.
1. La fibra muscolare scheletrica, quando raggiunta dallo stimolo nervoso, o si contrae con
tutta la forza che possiede o non si contrae → Legge del tutto o nulla
2. Ciò che fa la differenza è il numero di unità motorie attivate.
I muscoli, anche a riposo, presentano un certo numero di unità motorie attive, condizione
definita «tono muscolare»: tensione muscolare per mantenere postura e stabilizzare
articolazioni…
3. La «contrazione tonica» è una contrazione continua e parziale che coinvolge poche
(casuali) unità motorie
La dimensione delle unità motorie di un muscolo indica quanto è fine il controllo del movimento
(es. muscoli dell’occhio → 1 motoneurone controlla 2-3 fibre, muscoli della coscia → 1
motoneurone controlla >2000 fibre).
Il grado di tensione dipenderà quindi dalla frequenza di stimolazione e dal numero di unità motorie
reclutate.
Il lieve, ma costante aumento di tensione muscolare prodotto dall’aumento del numero di unità
motorie attivate è detto reclutamento o sommazione di unità motorie.
La tensione massima sarà presente quando tutte le unità motorie sono contratte, ma tale
condizione non può durare a lungo nel tempo a causa dell’esaurimento del reservoir energetico,
perciò per diminuire l’affaticamento le unità motorie sono reclutate a rotazione.
La contrazione della muscolatura liscia può essere controllata dagli ormoni (istamina e leucotrieni,
ADH/vasopressina, angiotensina, NO…).
Nel muscolo liscio unitario le cellule muscolari sono organizzate in lamine, sono cellule ravvicinate,
ma separate da lamina basale e connettivo che vanno ad
avvolgere tipicamente la parete di un organo cavo (tonache
muscolari intestino, utero, ureteri, …).
L’innervazione del SNA non raggiunge ogni cellula e l’impulso si
propaga a tutte le cellule grazie al sistema di giunzioni
comunicanti che si contraggono in sincrono come un sincizio (ma non lo sono).
Come per altri muscoli, la contrazione avviene grazie allo scorrimento dei miofilamenti sottili e
spessi.
Nel tessuto muscolare liscio i miofilamenti di actina prendono contatto con i corpi densi
citoplasmatici e di membrana (ricchi in a-actinina, filamenti intermedi, vimentina, desmina) e
grazie a questo ancoraggio la cellula muscolare liscia contratta perde la sua forma allungata.
Contrazione, eccitabilità e rilassamento del muscolo liscio sono più lenti e sostenuti del muscolo
striato.
Esso infatti può effettuare 5-10 contrazioni/mine mantenere lo stato contrattile (= tono muscolare)
senza incorrere in affaticamento.
Ha un controllo involontario (SNA) ed è sensibile ad ormoni (ossitocina, adrenalina, noradrenalina,
….), sostanze gassose (NO2, O2, CO2…)
La contrazione involontaria può essere spontanea e ritmica (peristalsi intestinale), lenta e sostenuta
(tono vascolare) oppure modulata in senso eccitatorio o inibitorio.
Organi cavi
Un organo cavo possiede una forma a
sacco o tubulare e la parete è costituita
da una serie di tonache sovrapposte
tipicamente comunicanti direttamente o
indirettamente con l’esterno.
Inoltre la parete stratificata delimita una
cavità detta lume.
Ogni strato ha una costituzione diversa in base alla funzione che deve svolgere.
Dalla porzione più luminale a quella più esterna, possiamo riconoscere:
L’importanza dello spessore delle varie tonache varia a seconda del calibro del vaso ed è
differenziale delle arterie rispetto alle vene.
Organi pieni
Gli organi pieni sono organi in cui si distingue tipicamente una parte, più
rappresentata, da cellule che svolgono la funzione dell’organo stesso
definita parenchima.
Ad esso poi si associa uno stroma di sostegno e una capsula più esterna che
tipicamente origina introflessioni all’interno del parenchima dell’organo che
funge da sostegno.
▪ Capsula di rivestimento
▪ Stroma: struttura connettivale che sorregge l’organo e dove decorrono i
vasi sanguigni, linfatici ed i nervi
▪ Parenchima: insieme delle cellule/tessuti che interagiscono a formare la
componente funzionale dell’organo
Le membrane
sierose
delimitano, con i
loro foglietti
viscerale e
parietale, le
cavità chiuse del
corpo dette
cavità sierose.
APPARATO LOCOMOTORE
Lo scheletro è costituito da tanti segmenti ossei tra loro collegati dalle articolazioni, le quali sono
attraversate dai muscoli scheletrici.
I muscoli, tramite i loro tendini si inseriscono sulle ossa per stabilizzarle o per muoverle.
Le ossa sono in particolare una riserva di sali minerali, soprattutto di Ca e P, inoltre sono la sede del
tessuto emopoietico, quindi del midollo osseo, perciò la sede di produzione delle cellule del
sangue.
SCHELETRO
Lo scheletro umano può essere suddiviso,
topograficamente, in:
Scheletro assile
Lo scheletro assile è suddiviso in segmenti, comprende tante
ossa per consentire l’elasticità necessaria al movimento e
nello specifico comprende:
Le ossa associate al cranio comprendono gli ossicini uditivi: incudine, staffa e martello, che si
trovano a livello dell’orecchio, il quale si sviluppa a livello dell’osso temporale.
Scheletro appendicolare
Lo scheletro appendicolare comprende ossa e articolazioni che sostengono le diverse parti degli
arti.
Gli arti superiori sono suddivisi in segmenti, molto mobili e finalizzati alla funzione prensile che si
esplica a livello della mano.
Gli arti inferiori, sempre suddivisi in segmenti, sono finalizzati alla locomozione.
CLASSIFICAZIONE DELLE OSSA
La classificazione delle ossa può essere basata sull’origine embriologica:
Durante la vita embrionale, la prima impalcatura scheletrica che si forma e che risulta già
completa alla fine del secondo mese di sviluppo intrauterino è costituita da una serie di cartilagini
che via via verrà sostituita da tessuto osseo tramite un processo di istogenesi.
Solo poche ossa, quelle piatte del neurocranio, derivano da un abbozzo connettivale che
presenta già la forma, ma non le dimensioni dell’osso definitivo, che poi viene sostituito sempre da
tessuto osseo per istogenesi.
La classificazione delle ossa può, infine, essere di tipo morfologico e quindi basata sulla struttura
delle ossa:
→ Ossa piatte: ossa appiattite che costituiscono le ossa della volta o calotta cranica (osso
frontale, ossa parietali, osso temporale e osso occipitale) con un’origine intramembranosa.
Presentano uno strato centrale di osso spugnoso definito diploe, delimitato da 2 strati di
osso compatto detti tavolati esterno e interno.
→ Ossa brevi o ossa corte: hanno una forma cuboide, sono sollecitate soprattutto dalla forza
di compressione e si ritrovano soprattutto a livello del carpo (polso) o a livello del tarso
(regione del piede che corrisponde al carpo della mano).
Sono ossa quasi completamente costituite da osso spugnoso rivestito da un sottilissimo
strato di osso compatto.
→ Ossa suturali o sovrannumerarie: si
evidenziano a livello della volta o calotta
cranica.
Il processo di ossificazione parte
contemporaneamente da più punti della
membrana connettivale che alla fine del
processo di istogenesi si fondono per
generare un unico osso.
Può accadere che uno di questi centri di
ossificazione, non si fonde nella
costituzione dell’unico osso definitivo e
resta isolato formando il cosiddetto osso sovrannumerario o suturale, così definito perché si
ritrova a livello delle suture, un particolare tipo di articolazione che si attua fra i margini
delle ossa piatte della volta cranica.
→ Ossa sesamoidi: sono ossa che si sviluppano nel contesto di un tendine muscolare.
La patella o rotula corrisponde all’osso sesamoide più grande del corpo e si forma a livello
del tendine del muscolo quadricipite.
→ Ossa pneumatiche: ossa caratterizzate da cavità all’interno delle quali si ritrova dell’aria.
Caratterizzano le ossa del cranio (ossa frontali, ossa mascellari, etmoide e sfenoide).
Queste cavità ripiene di aria comunicano con le cavità nasali costituendo i seni paranasali.
→ Ossa irregolari (es. vertebre)
→ Ossa lunghe: prevale la lunghezza rispetto a larghezza e spessore, caratterizzano lo
scheletro degli arti.
Il disco epifisario o metafisi, caratterizza soltanto le ossa lunghe, si tratta di uno strato di cartilagine
che si sviluppa tra epifisi e diafisi permettendo l’accrescimento in lunghezza delle ossa lunghe.
Durante lo sviluppo dell’individuo si ha una continua proliferazione di cartilagine che via via viene
sostituta da osso e intorno ai 20 anni, con il picco degli ormoni sessuali, si determina la definitiva
ossificazione del disco epifisario.
Acondroplasia
L’acondroplasia è una condizione in cui le ossa lunghe degli arti smettono di
crescere durante l’infanzia, mentre le altre ossa crescono normalmente.
Deriva da un difetto nella crescita della cartilagine soprattutto a livello del disco
epifisario (metafisi).
Diverso dal nanismo o gigantismo ipofisario dove tutte le ossa del corpo sono
proporzionate.
L’ormone della crescita o somatotropina è prodotto dall’ipofisi per quanto
riguarda sviluppo e accrescimento di ossa e muscoli.
Sindrome di Marfan
Nella sindrome di Marfan si verifica un eccessivo sviluppo del disco
epifisario, quindi risultano particolarmente lunghe le ossa degli arti.
Osteomalacia o rachitismo
L’osteomalacia o rachitismo le dimensioni delle ossa sono normali, ma
poco mineralizzate quindi risultano non sufficientemente dure e rigide,
tali per cui sotto carico si deformano.
Si associa a deficit o errore di sintesi da parte della vitamina D.
Osteoporosi
L’osteoporosi è una patologia multifattoriale causata da una
patologica riduzione della massa ossea (componente minerale
Ca + osteoide) e da alterazioni microarchitetturali del tessuto
osseo che diventa meno resistente, fragile e maggiormente
esposto al rischio di frattura.
ARTICOLAZIONI
Le articolazioni sono dispositivi giunzionali che collegano tra di loro 2 o più ossa.
Permettono il movimento vincolando il tipo, in funzione di forma e superfici articolari delle estremità
ossee che si contrappongono, e l’ampiezza del movimento, che dipenderà dalla potenza degli
stabilizzatori articolari rappresentati da: capsula, legamenti e muscoli che attraversano
l’articolazione.
Sono responsabili della trasmissione delle forze e sono coinvolte nell’accrescimento (es. disco
epifisario delle ossa lunghe).
Si individuano 2 tipi di articolazioni: sinartrosi e diartrosi.
Sinartrosi
Le sinartrosi o per continuità sono presenti quando le estremità articolari sono collegate da tessuto
connettivo, sono poco mobili o possono diventare immobili.
Sono distinte in:
Diartrosi
Le diartrosi o articolazioni sinoviali o per contiguità sono vere articolazioni mobili poiché le
estremità articolari sono separate da uno spazio detto cavità articolare contenente un film di
liquido sinoviale.
Le componenti essenziali delle diartrosi sono:
Possiamo riconoscere:
1. Movimenti angolari : modificano, rispetto alla posizione anatomica, l’angolo esistente tra 2
segmenti scheletrici → Flessione-estensione e abduzione-adduzione
2. Movimenti di rotazione o in asse: non comportano modificazioni di angoli tra segmenti
scheletrici → Intrarotazione ed extrarotazione
3. Movimenti lineari o traslazionali → Di scivolamento
Movimenti angolari
I movimenti angolari possono essere:
Movimenti particolari
MUSCOLI
Oltre la capsula fibrosa, sono presenti dei legamenti, quindi lamine connettivali che si portano da
un osso all’altro e dei tendini muscolari che attraversano l’articolazione.
I muscoli sono gli organi attivi del movimento.
Se i tendini sono lassi o deboli geneticamente, non si possono accorciare.
I muscoli scheletrici possono anche collegarsi alle ossa tramite tendini o aponevrosi che secondo
la convenzione funzionale sono distinti in:
DANNI TRAUMATICI
➢ Artrosi: malattia cronica degenerativa associata all’usura della cartilagine articolare che
coinvolge, quindi l’osso con conseguente formazione di osteofiti (speroni ossei)che
comportano limitazione del movimento provocando dolore e difficoltà motorie.
Coinvolge in particolar modo anziani e articolazioni sollecitate da carico ed attività fisica
eccessiva.
→ Anchilosi ossea: caratterizzata dalla fusione delle ossa di un'articolazione per
proliferazione del tessuto osseo (sinostosi) che
provoca immobilità
➢ Artrite: malattia infiammatoria cronica o acuta (reazione
aspecifica innescata dal sistema immunitario ogni volta
che una parte del corpo è sottoposta ad un danno tale
per cui la porzione corporea interessata reagisce
innescando una serie di reazioni che corrispondono all’infiammazione e sono finalizzate a
ripristinare la situazione normale a livello della porzione corporea colpita) a carico delle
articolazioni di varia origine: autoimmune, metabolica, traumatica, infettiva, idiopatica e
che porta a danno articolare
→ Artrite reumatoide: in soggetti predisposti geneticamente, un fattore scatenante
ambientale attiva una risposta autoimmune del nostro sistema immunitario che
colpisce le articolazioni provocando infiammazione cronica (del tessuto connettivo)
e distruzione di: membrana sinoviale, cartilagine articolare e osso → Deformità
→ Artrite gottosa: disordine metabolico con eccesso di acido urico nel sangue che si
accumula nel liquido sinoviale causando infiammazione cronica e danno tissutale
RACHIDE
Porzione scheletrica
La colonna vertebrale è la principale formazione assile di sostegno del tronco.
È situata dorsalmente, non attraversa esattamente in centro del tronco, ma si
colloca a livello del dorso.
Il dorso è la parte del tronco in stretto rapporto con la colonna vertebrale, è
attraversato da quest’ultima.
La colonna vertebrale funge da supporto/sostegno:
La colonna vertebrale associa rigidità del tronco e flessibilità permessa da una successione di
vertebre e non costituita da un unico osso.
Le vertebre, in generale, presentano una struttura di base comune, che poi si differenzia all’interno
delle specifiche regioni vertebrali in base alle specifiche funzioni che dovranno svolgere.
Le curve secondarie rappresentate dalle lordosi, sono così definite perché compaiono dopo la
nascita.
La lordosi cervicale compare entro i primi mesi di vita, quando lo sviluppo della muscolatura della
regione posteriore del collo, permette di sollevare la testa e dirigere gli
assi visivi anteriormente.
La lordosi lombare, invece, compare quando il bambino dall’andatura
quadrupedica passa all’andatura bipede, quando cioè comincia a
camminare, perciò intorno ai 12-18 mesi, posizione nella quale il centro
di gravità passa dal tronco agli arti inferiori.
Si tratta di una curva che inizia a comparire quando il bambino comincia a
camminare e si stabilizza intorno ai 10-12 anni di vita.
VERTEBRA TIPO
In una vertebra tipo è possibile distinguere: una porzione anteriore
detta corpo vertebrale di forma circa circolare e una porzione latero-
posteriore detta arco vertebrale.
Corpo e arco vertebrale delimitano un foro chiamato foro vertebrale.
La successione dei fori vertebrali individua un canale definito con il termine canale vertebrale,
contenente il midollo spinale che è rivestito da formazioni fibrose dette meningi.
Il midollo spinale che occupa il canale vertebrale, è collegato nello specifico ai suoi bersagli,
tramite i nervi spinali che originano nel midollo spinale e poi attraversano dei fori definiti fori
intervertebrali per essere in grado di raggiungere i bersagli.
Vertebre cervicali
Le vertebre cervicali sono costituiti dalla presenza dei fori trasversali e
dei processi spinosi bifidi.
Esse sono 7 e generalmente presentano: un corpo cuboide piccolo, un
foro vertebrale grande e a questo livello il midollo spinale mostra il
massimo sviluppo, dei processi trasversi caratterizzati dalla presenza di
fori detti fori trasversali.
Inoltre la maggior parte di queste presenta un processo spinoso bifido.
I processi spinosi bifidi che caratterizzano la maggior parte delle vertebre cervicali, sono così
definiti perché offrono una maggior superficie per l’inserzione muscolare.
La 7ima vertebra cervicale non ha un processo spinoso bifido, ma molto pronunciato.
Viene definita vertebra prominente, in quanto questo
processo spinoso così pronunciato va a costituire un punto
di repere superficiale molto importante, alla base del collo.
Vertebre toraciche
Le vertebre toraciche sono 12 e si articolano con la parte posteriore
delle 12 paia di coste.
Presentano quindi faccette articolari costali localizzate a livello di:
Le vertebre toraciche presentano processi spinosi particolarmente lunghi e inclinati verso il basso.
Le faccette articolari sui processi articolari nelle vertebre toraciche sono orientate sul piano vertico-
frontale.
Vertebre lombari
Le vertebre lombari possiedono un corpo vertebrale grande,
massimo nella 5° vertebra lombare e oltre ai processi trasversi e
spinosi che fungono da leve ossee, si aggiungono piccoli processi
detti processo mammillare e processo accessorio utili per l’inserzione
dei muscoli nel tratto lombare.
Osso sacro
L’osso sacro partecipa alla costituzione del bacino o pelvi ossea formata
da: osso sacro, 2 ossa dell’anca e coccige.
Deriva dalla fusione di 5 vertebre sacrali e la fusione avviene dopo il 10°
anno di vita.
Presenta una forma circa piramidale con una base diretta in alto e
inclinata anteriormente e un apice situato in basso e inclinato
posteriormente.
Il sacro complessivamente si dice essere inclinato dall’alto in basso in
direzione antero-posteriore.
Si riduce la dimensione delle vertebre sacrali e coccigee poiché non sono
più responsabili del sostenimento del peso corporeo del tronco perché dall’osso dell’anca viene
trasmesso al femore.
La base corrisponde alla faccia superiore della 1° vertebra sacrale, altamente modificata, ed è
caratterizzata da un margine anteriore molto pronunciato detto promontorio del sacro.
Si notano anche i processi articolari superiori rivestiti di cartilagine articolare che si articolano con i
processi articolari inferiori della 5° vertebra lombare.
La faccia anteriore del sacro, detta faccia pelvica, è concava e
abbastanza liscia, mostra linee trasversali che corrispondono alle
linee di fusione delle 5 vertebre sacrali.
Inoltre si notano dei fori sacrali anteriori.
A questo livello emergono i rami anteriori dei nervi spinali sacrali.
La faccia posteriore dorsale è convessa, ma è alquanto rugosa,
infatti si distinguono dei rilievi definite:
La parte sacrale del canale vertebrale è definito canale sacrale che non contiene il midollo
spinale, il quale si arresta nella 2° vertebra lombare, ma contiene formazioni nervose.
Il canale sacrale si apre inferiormente in corrispondenza dello iato sacrale che risulta dalla
mancata fusione delle lamine della 5° vertebra sacrale.
I nervi spinali di tutti i nervi spinali pre-sacrali, dopo aver attraversato il foro intervertebrale, si
dividono in un ramo anteriore e in un ramo posteriore.
Nel caso, però, dei nervi spinali sacrali, questa suddivisione in
rami avviene ancora mentre sono ancora all’interno del
canale sacrale, per questo sono presenti i fori sacrali anteriori
e posteriori.
Dai fori sacrali anteriori emergono i rami anteriori, mentre dai
fori sacrali posteriori emergono i rami posteriori.
❖ In alcuni soggetti L5 (5° vertebra lombare) è parzialmente o completamente fusa con l’osso
sacro → Emisacralizzazione o sacralizzazione di L5
❖ In alcuni soggetti S1 (1° vertebra sacrale) è parzialmente o
completamente fusa con L5 ed è staccata dall’osso sacro
→ Lombarizzazione di S1
ARTICOLAZIONI VERTEBRALI
Le articolazioni vertebrali si distinguono in:
Zigapofisarie
Intersomatiche
Le articolazioni instersomatiche sono sinfisi quindi si attuano tra i piatti
vertebrali rivestiti di cartilagine articolare di 2 vertebre contigue e il disco
intervertebrale compreso.
La struttura del disco intervertebrale è costituita da una porzione centrale
detta nucleo polposo circondato da una porzione fibrosa detta anello
fibroso o strato anulare.
L’anello fibroso è costituito da una successione di lamine fibrose concentriche contenenti fasci di
fibre a decorso parallelo, ma incrociato rispetto ai fasci delle lamine vicine.
Questo le rende molto resistenti e capaci di mantenere al meglio il nucleo polposo.
Le lamelle risultano, a livello della parte posteriore dell’anello fibroso, più sottili e meno numerose.
Le parti esterne dell’anello sono particolarmente ricche di recettori dolorifici.
Il nucleo polposo paragonato ad uno snodo sferico è il fulcro semifluido del movimento.
Il nucleo polposo (racchiuso in un alloggiamento
inestensibile) assume una forma di sfera e si comporta come
una biglia interposta fra 2 piani.
Questo tipo di articolazione permette: flesso-estensione,
inclinazioni, scivolamento e rotazione.
Il nucleo polposo si sposta in funzione dei movimenti della colonna
vertebrale.
Dal mattino alla sera si può osservare una diminuzione dell’altezza di circa 2-3 cm, soprattutto se
un soggetto giovane sta in piedi molto tempo perché, a causa delle varie sollecitazioni, il nucleo
polposo si disidrata.
Il liquido passa attraverso la cartilagine articolare, si porta ai vasi
subcondrali e per questo diminuisce di altezza.
Aggiungendo la perdita di tonicità dei muscoli del dorso, aumentano
anche le curve della colonna vertebrale, ulteriore contributo nella
diminuzione d’altezza nell’individuo.
Per effetto del carico, anche l’arcata plantare si appiattisce contribuendo
alla diminuzione di altezza dal mattino alla sera.
Di notte poi, quando la colonna vertebrale si scarica, i dischi non sono più sollecitati e si reidratano.
Legamenti
Le sinfisi sono particolarmente stabilizzate dai legamenti
longitudinale anteriore e posteriore, annessi al pilastro anteriore.
Tutti gli altri legamenti sono annessi al pilastro posteriore (arco
vertebrale) e stabilizzano le artrodie.
Dall’atlante, si continua superiormente, fino all’osso occipitale del cranio prendendo il nome di
membrana atlanto-occipiatale anteriore che poi si inserisce nel grande foro occipitale ed è l’unico
legamento che impedisce l’iperestensione della colonna vertebrale.
La testa può anche ruotare e questo è permesso dalle articolazioni atlo-epistrofiche che si
inseriscono tra l’atlante e l’epistrofeo.
Sono 3: 2 laterali e 1 mediana detta anche atlo-odontoidea.
Si articolano lateralmente tra loro, tramite le articolazioni zigapofisarie
di tipo artrodia, ma si articolano anche a livello del dente
dell’epistrofeo detto anche processo odontoideo articolandosi con
l’arco anteriore dell’atlante.
Questa articolazione è stabilizzata posteriormente dal legamento
trasverso dell’atlante, andando a costituire un anello osteo-fibroso
che contiene il dente dell’epistrofeo, stiamo perciò parlando di
un’articolazione ginglimo-assiale.
Poiché l’atlante, superiormente, tramite le articolazioni atlo-occipitali è collegato al cranio, cranio
e atlante formano un tutt’uno che ruota sull’epistrofeo.
Il legamento trasverso permette di mantenere in posizione il dente dell’epistrofeo, quindi stabilizza
l’articolazione atlo-odontoidea prevenendo lo scivolamento in avanti dell’atlante o indietro
dell’epistrofeo per impedire che il dente dell’epistrofeo scivoli lesionando il midollo spinale.
Il dorso è l’intera regione posteriore del tronco attraversata dalla colonna vertebrale.
I muscoli del dorso non sono gli unici muscoli motori della colonna vertebrale.
Sono situati posteriormente alla colonna vertebrale e procedendo verso la profondità, a livello
dorsale incontriamo 3 strati:
Muscoli spino-appendicolari
I muscoli spino-appendicolari sono tutti pari e simmetrici.
Sono distribuiti su 2 strati, lo strato più superficiale è sostenuto
dai muscoli: trapezio e grande dorsale; al di sotto vediamo i
muscoli: elevatore della scapola e romboidei.
Il trapezio, il cui nome deriva dalla sua forma, è sostenuto dall’unione dei 2 muscoli poiché di fatto,
ogni muscolo trapezio è triangolare.
Si inserisce lateralmente e distalmente su clavicola e scapola,
medialmente sui processi spinosi di alcune vertebre toraciche e
cervicali, inserendosi sull’osso occipitale.
In contrazione bilaterale, il trapezio estende tronco e testa, mentre in
contrazione unilaterale o monolaterale inclina tronco e testa dallo
stesso lato della contrazione, perciò inclina omolateralmente.
Inoltre il trapezio è in grado di ruotare tronco e testa dal lato opposto
rispetto alla contrazione, si dice infatti che ruota eterolateralmente.
Il grande dorsale dalle vertebre lombari e toraciche e dall’osso dell’anca si porta all’omero.
In contrazione bilaterale il grande dorsale solleva il tronco, mentre in contrazione unilaterale inclina
il tronco omolateralmente, cioè dallo stesso lato della contrazione.
Il muscolo elevatore della scapola, dalla scapola si porta ad alcuni processi trasversi delle vertebre
cervicali e il nome definisce la sua funzione: fissando il collo si eleva la scapola, mentre fissando la
scapola agisce a livello delle vertebre.
In contrazione bilaterale l’estensore della scapola estende, invece in contrazione unilaterale
inclina e ruota omolateralmente.
Muscoli spino-costali
I muscoli spino-costali sono chiamati: dentato posteriore superiore e inferiore.
Si portano dai processi spinosi di alcune vertebre alle coste e fissando la gabbia
toracica, in contrazione unilaterale inclinano omolateralmente il tronco.
Muscoli spino-dorsali
I muscoli spino-dorsali si sviluppano a livello delle docce vertebrali, si estendono
dalla pelvi al cranio (non tutti) e formano 2 voluminose masse (dx e sx) costituite
da numerosi muscoli di varia lunghezza, in parte confusi fra loro che permettono il
sostegno e i movimenti precisi e delicati della colonna vertebrale.
Le docce vertebrali corrispondono a spazi simmetrici compresi tra processo spinoso e processi
trasversi di una vertebra.
Sono muscoli rivestiti da un manicotto connettivale molto robusto con la funzione di mantenerli in
posizione e che si estende dal sacro, dove si inserisce medialmente alla cresta sacrale mediana,
risale per inserirsi medialmente sui processi spinosi delle vertebre lombari, toraciche e cervicali e
lateralmente ai processi trasversi delle vertebre lombari, all’angolo costale a livello toracico e ai
processi trasversi a livello cervicale.
Questo manicotto, nei tratti toracico-lombare è definito fascia toraco-lombare e a livello del collo
prende il nome di fascia nucale o fascia prevertebrale.
Strato superficiale
Il muscolo sacro-spinale si può suddividere in 3 colonne:
1. Ileo-costale (laterale)
2. Lunghissimo (intermedio): presenta anche la porzione che si porta
alla testa
3. Spinale (mediale)
Strato profondo
Il muscolo trasverso-spinale si può suddividere in 3 lamine:
Sono muscoli di media lunghezza che si sviluppano obliquamente portandosi dai processi trasversi
delle vertebre a quelli spinosi delle vertebre sovrastanti e da qui il nome di trasverso-spinale.
In contrazione bilaterale estendono o stabilizzano colonna vertebrale
e testa, mentre in contrazione unilaterale inclinano omolateralmente e
ruotano eterolateralmente colonna vertebrale e testa.
• Muscoli della regione nucale (regione dorsale del collo): il tratto cervicale della colonna
vertebrale è completamente circondato da muscoli (muscoli della regione nucale del
collo)
• Muscoli della parete antero-laterale del collo propriamente detto: sternocleidomastoideo e
sovraioidei e sottoioidei
Collo
A livello del collo si possono distinguere 2 grandi regioni: una
regione posteriore, quindi dorsale del collo, detta regione nucale
e tutta la restante regione che si estende anteriormente
corrisponde al collo propriamente detto.
I muscoli della parete antero-laterale del collo propriamente detto sono muscoli che muovono la
colonna vertebrale e la testa, pur non essendo in stretto rapporto con la colonna vertebrale.
Al di sotto della cute troviamo i muscoli sternocleidomastoidei, quindi i muscoli sovra e sottoioidei.
→ Congenite: quando compaiono fin dalla nascita e sono dovute solitamente ad anomalie di
sviluppo alle ossa o ai muscoli del rachide
→ Acquisite/compensatorie: quando compaiono in un
qualsiasi momento della vita come conseguenza di
diverse alterazioni di natura ossea, muscolare o
neurologica, che riguardano parti del corpo diverse
da quelle del rachide che però si ripercuotono sulle
formazioni anatomiche della colonna vertebrale
→ Idiopatiche: di origine sconosciuta
Iper cifosi
Clinicamente si definisce cifosi o gobba un’accentuazione della fisiologica cifosi toracica detta
iper cifosi.
Può essere di tipo:
Iper lordosi
Clinicamente si definisce lordosi o schiena concava, un’accentuazione della fisiologica lordosi
lombare detta iper lordosi.
Le sue più frequenti cause sono:
Scoliosi
La scoliosi è una deviazione della colonna vertebrale sul piano frontale, perciò si tratta di curve
patologiche.
Dal greco “skolios”, (storto e contorto), indica una deviazione/inclinazione laterale (rispetto alla
verticalità sul piano frontale) permanente della colonna vertebrale.
Dal punto di vista diagnostico è fondamentale distinguere fra:
Le scoliosi si sviluppano soprattutto a livello del tratto toracico della colonna vertebrale, dove le
vertebre si articolano con le coste, tale per cui alla rotazione
anomala delle vertebre, si associa la rotazione posteriore
delle coste responsabile dello sviluppo del gibbo.
Se le vertebre ruotano a destra, si sviluppa una curva
convessa a destra sul piano frontale e in posizione flessa si
evidenzia il gibbo costale a destra.
Le scoliosi sono misurate in gradi cox e se superano i 40 gradi cox si deve intervenire
chirurgicamente.
Ernia al disco
L’erniazione del disco consiste un’estrusione di sostanza nucleare dalla sua
sede.
Il nucleo si fa strada attraverso fissurazioni della porzione posteriore
dell’anulus.
Le cause dell’ernia al disco possono essere:
Stress, sollecitazioni, compressioni continue durante il corso della vita a carico della
colonna vertebrale
Degenerazione del disco intervertebrale
Degenerazione del disco
La degenerazione del disco e così anche quello del corpo vertebrale rientra nella patofisiologia
dell’invecchiamento.
Accade infatti che invecchiando il nucleo polposo perde la sua
capacità idrofilica, quindi anche quando la colonna vertebrale si
scarica, non si reidrata più nella misura ottimale perché col passare degli
anni il nucleo perde i proteoglicani e si arricchisce di fibre collagene.
In questo modo diminuisce la capacità ammortizzante, risponde male
alle sollecitazioni che vengono trasmesse all’anello fibroso che si può
fissurare, soprattutto nella sua parte posteriore più sottile e debole.
Se si fissura la sostanza nucleare si fa strada attraverso quest’apertura ed ecco l’ernia al disco.
Parliamo di ernia espulsa quando le lamelle dell’anello fibroso sono state completamente fissurate.
Nel caso di ernia postero-mediana la sostanza nucleare può colpire il legamento longitudinale
posteriore senza lesionarlo, causa di grande dolore per
stimolazione dei suoi recettori dolorifici oppure lesionarlo
schiacciando direttamente il midollo spinale a livello di L1
ed L2, se invece l’ernia si sviluppa al di sotto di L1 ed L2
colpisce la cauda equina, radici nervose che percorrono il
tratto di canale vertebrale situato al di sotto di L2.
Nel caso di ernia postero-laterale, la sostanza nucleare colpisce i nervi spinali che attraversano i
fori intervertebrali.
→ Riduzione complessiva della densità e della resistenza dell’osso, soprattutto a livello del
corpo a causa della diminuzione di lamelle ossee (osteoporosis).
La superficie superiore e inferiore del corpo vertebrale molto sollecitata si deforma e
diventa concava.
→ I nuclei polposi dei dischi intervertebrali si disidratano (perdita di proteoglicani) e si
arricchiscono di fibre collagene, diventano rigidi e formano un tutt’uno con l’anello fibroso
L’aumento delle forze di compressione alla periferia dei corpi vertebrali comporta la formazione di
osteofiti che causa spondilosi/osteoartrosi.
Spondilosi/osteoartrosi
Con l’avvento dell’osteoporosi dei corpi vertebrali e la conseguente degenerazione del disco
intervertebrale che viene inglobato tra i 2 corpi vertebrali, sparisce lo spazio intervertebrale non
perché sparisce il disco, ma perché diventando rigido e i corpi più deboli, viene inglobato.
Questo causa una diretta riduzione dei fori intervertebrali detta stenosi che non è altro che una
compressione dei nervi spinali in uscita.
Inoltre le superfici dei corpi vertebrali contrapposti,
soprattutto in corrispondenza dei margini rilevati,
entrano in diretto rapporto e ciò comporta lo
sviluppo di osteofiti.
Anche i processi articolari delle articolazioni zigapofisarie risultano in un rapporto non ottimale che
di nuovo permette la formazione di osteofiti e quindi ulteriore riduzione dei fori intervertebrali e del
canale vertebrale.
Spondiloartrosi
Nella spondiloartrosi i processi articolari e i margini dei corpi
vertebrali entrano in rapporto e avviene uno sfregamento osso
contro osso.
Si associa a grande dolore durante i normali movimenti della
colonna vertebrale e può comportare anche la fusione tra vertebre
che causa immobilità delle parti del tronco che vengono coinvolte.
Spondilolistesi
La spondilolistesi lombare (anche causa di iper lordosi lombare) rappresenta una
condizione di instabilità vertebrale, ossia lo scivolamento di una vertebra sull’altra.
Le vertebre comunemente interessate sono L5 ed L4 (95% dei casi).
Presuppone un trauma o una "lassità" articolare con mobilità anomala delle
vertebre, e può peggiorare nel tempo.
PARETE TORACICA
La parete toracica è sostenuta da un insieme di formazioni scheletriche, articolate tra loro, che
nell’insieme costituiscono la gabbia toracica che dà inserzioni a muscoli estrinseci del torace
(muscoli dell’arto superiore, del dorso, della parete addominale) che dalle ossa della gabbia
toracica si portano a formazioni scheletriche diverse e funge da attacco per muscoli intrinseci che
originano e terminano sulle parti scheletriche della gabbia toracica (muscoli intercostali e del
diaframma, muscoli respiratori per eccellenza).
La funzione primaria della parete toracica è connessa alla respirazione.
GABBIA TORACICA
La gabbia toracica, di forma conica (stretta in alto e larga in
basso) è costituta anteriormente dallo sterno e dalla parte
anteriore delle coste di natura cartilaginea, quindi 12 paia di coste,
posteriormente sono visibili le 12 vertebre toraciche e la parte
posteriore delle coste che si articolano con le vertebre toraciche e
lateralmente si nota la porzione laterale delle coste.
Tra le coste si articolano degli spazi definiti spazi intercostali che nel
vivente sono chiusi da formazioni di natura muscolare, in
particolare si parla dei muscoli intercostali, quindi muscoli intrinseci
del torace.
Sterno
Lo sterno è un osso appiattito situato anteriormente in relazione al tratto toracico della colonna
vertebrale, si estende circa dalla 2° alla 9° vertebra toracica.
È costituito da 3 parti, chiamate dall’alto al basso: manubrio, corpo e processo xifoideo.
Queste 3 parti risultano collegate da articolazioni di tipo sinartrosi
cartilaginee:
Il manubrio presenta una forma circa quadrangolare, si nota il suo margine superiore caratterizzato
al centro da una leggera depressione, detta incisura sovra-sternale detta anche incisura
giugulare e ai lati si trovano le incisure clavicolari che sono superfici articolari per la clavicola.
A questo livello le estremità mediali delle clavicole si articolano con il manubrio dello sterno, unico
collegamento scheletrico tra arto superiore e scheletro assile.
La clavicola infatti, si dispone trasversalmente superiormente alla 1° costa e si articola
medialmente con il manubrio dello sterno e lateralmente con la scapola.
Lungo i margini laterali dello sterno si riconoscono le cosiddette incisure costali ossia le superfici
articolari per le cartilagini costali delle prime 7 paia di coste che anteriormente si articolano
direttamente con lo sterno.
Coste
Le coste sono segmenti scheletrici, prevalentemente costituiti da osso, a parte la porzione
anteriore di natura cartilaginea.
Sono disposte inclinate, risultano infatti oblique dall’alto al basso in direzione postero-anteriore.
Le prime 7 si articolano direttamente con lo sterno e
sono definite coste vere, dall’8° alla 10° si articolano
indirettamente con lo sterno e per questo sono dette
coste false e si uniscono alla cartilagine della costa
sovrastante nella costituzione dell’arcata costale, infine
l’11° e la 12° sono molto corte e sono dette coste false
fluttuanti in quanto rimangono libere e non si articolano
in alcun modo con lo sterno.
Le coste presentano un’estremità posteriore detta anche estremità vertebrale, un sottile corpo e
un’estremità anteriore detta anche estremità sternale che viene in rapporto con lo sterno.
A livello dell’estremità vertebrale distinguiamo una porzione definita testa della costa che si articola
con il corpo della vertebra toracica, si parla di articolazione costo-corporea.
Segue una piccola parte dell’estremità vertebrale detta collo e
un’ulteriore parte definita tubercolo costale che si articola con il
processo trasverso della vertebra toracica, per cui si parla di
articolazione costo-trasversaria.
La maggior parte delle teste costali si articolano con i corpi di 2 vertebre contigue e il disco
compreso.
Coste atipiche
Le coste atipiche che presentano una struttura atipica sono: la 1° e la 2°
costa, l’11° e la 12° costa.
L’11° e il 12° paio di coste sono coste molto corte che si articolano posteriormente con le vertebre
toraciche, ma anteriormente non entrano in contatto con lo sterno.
Sono particolarmente sottili, a volte anche taglienti.
MUSCOLI
I muscoli della parete toracica sono distinti in:
Muscoli estrinseci
Muscoli toraco-appendicolari
I muscoli toraco-appendicolari si sviluppano anteriormente e
sono 4 muscoli pari e simmetrici rappresentati da:
Il loro nome è dovuto ai siti d’inserzione ossea cui fanno parte, quindi originano da formazioni
scheletriche della gabbia toracica e si portano all’arto superiore inserendosi a livello di: scapola,
clavicola e parte prossimale dell’omero, perciò sulle ossa che sostengono la regione della spalla.
La loro azione prevalente è quella di stabilizzare le ossa dell’arto superiore su cui si inseriscono,
agendo sia sulle coste sia sullo sterno.
Sono muscoli in grado di innalzare le coste, per questo sono definiti muscoli inspiratori.
Muscoli spino-costali
I muscoli spino-costali posteriormente e dorsalmente costituiscono lo
strato intermedio dei muscoli del dorso.
Sono poi rivestiti dai muscoli spino-appendicolari, mentre al di sotto dei
muscoli spino-costali fanno parte dei muscoli spino-dorsali.
I muscoli spino-costali sono i muscoli dentati posteriori, distinti in
superiore e inferiore che si portano da alcune vertebre toraciche alle
coste.
In relazione alla direzione delle fibre muscolari che li costituiscono: i
muscoli dentati superiori sono in grado di innalzare le coste per cui
sono muscoli inspiratori, mentre i muscoli dentati inferiori abbassano le
coste, pertanto sono muscoli espiratori.
Muscoli intrinseci
Fanno parte dei muscoli intrinseci:
DIAFRAMMA
Il diaframma presenta una doppia cupola, si parla di emicupola destra ed
emicupola sinistra perché queste risultano separate da una porzione centrale
appiattita, di natura connettivale-tendinea detta centro frenico del diaframma.
È una lamina muscolo-fibrosa che comprende una parte muscolare esterna e
una porzione centrale fibrosa-connettivale detta
centro frenico.
Il diaframma origina dalle porzioni scheletriche che delimitano la base del torace, quindi
posteriormente origina dalle prime 2-3 vertebre lombari, lateralmente origina dalla faccia interna
delle ultime coste e anteriormente origina dalla faccia posteriore del processo sifoideo dello sterno.
Tutte queste fibre muscolari si portano verso l’alto per confluire nel centro frenico.
MECCANICA RESPIRATORIA
La meccanica respiratoria è il meccanismo che permette l’entrata e l’uscita di aria dai polmoni.
La principale funzione della parete toracica correla con la meccanica respiratoria, la quale
prevede che la gabbia toracica sia elastica, cioè in grado di modificare le sue espansioni e
riduzioni al fine di permettere rispettivamente l’entrata e di aria atmosferica verso i polmoni e
l’uscita di aria dai polmoni.
Aria atmosferica che solo a livello polmonare entra in contatto con il sangue.
APPARATO RESPIRATORIO
Il sistema respiratorio comprende le vie respiratorie e quindi: polmoni, cavità nasali, parte di faringe
e laringe, trachea e bronchi.
Questi organi hanno la funzione di permettere il transito dell’aria atmosferica, ricca di O, verso i
polmoni, quindi il transito di aria che a livello polmonare ha ceduto l’O arricchendosi si CO2 dai
polmoni verso l’ambiente esterno.
La principale funzione dell’apparato respiratorio è quella di permettere all’organismo gli scambi
gassosi con l’ambiente esterno, scambi che avvengono solo a livello dei polmoni, precisamente a
livello degli alveoli polmonari.
L’espirazione è la fase in cui l’aria contenuta nei polmoni viene espulsa all’esterno.
Dura circa il doppio della fase inspiratoria e avviene in maniera passiva, con il rilassamento dei
muscoli respiratori.
Queste 2 fasi dipendono dall’alternato aumento e diminuzione del volume toracico, perciò dei 3
diametri della cavità toracica.
Meccanismo diaframmatico
Meccanismo costale
La respirazione si modifica con l’età, infatti dalla nascita, fino ai 4-5 anni di vita la respirazione è
prevalentemente addominale (mediata dal diaframma) perché le coste sono disposte
orizzontalmente e non inclinate verso il basso in direzione postero-anteriore.
Successivamente assumendo la loro lunghezza ottimale e inclinandosi, dai 5-6 anni in poi,
interviene anche la respirazione toracica (mediata dalle coste).
PARETE ADDOMINALE
L’addome o regione addominale è la regione del tronco compresa tra torace e pelvi.
È costituita da parete osteo-artro-muscolare che delimita la cavità addominale, separata
superiormente dal diaframma e inferiormente risulta in continuità con la
cavità pelvica che risulta delimitata e sostenuta dalla pelvi ossea o bacino.
Per questo si parla di cavità addomino-pelvica che è chiusa dal diaframma
pelvico.
Esiste un’ultima regione del tronco situata inferiormente alla regione pelvica,
molto sottile che si estende dal diaframma pelvico alla cute inferiore
esterna che prende il nome di perineo, una regione muscolo-fibrosa
attraversata dagli ultimi tratti dagli apparati uro-genitale e digerente.
DIAFRAMMA PELVICO
Il diaframma pelvico è una lamina muscolare che chiude inferiormente la pelvi ossea, è costituito
da 3 muscoli pari e simmetrici che si portano dalle 3 porzioni dell’osso dell’anca, il quale deriva
dalla fusione di 3 ossa: ileo, ischio e pube, al coccige.
Questi 3 muscoli sono quindi chiamati: ileo-coccigeo, ischio-coccigeo e pubo-coccigeo.
L’insieme dei muscoli pubo-coccigeo ed ileo-coccigeo formano il muscolo elevatore dell’ano.
Risulta attraversato da formazioni, perciò presenta degli iati, che:
I muscoli della parete addominale si inseriscono: in alto a gabbia toracica e coste, inferiormente
alle ossa della pelvi ossea e posteriormente direttamente o indirettamente alla colonna vertebrale.
Riconosciamo, a livello della parete posteriore: il muscolo psoas più medialmente e il muscolo
quadrato dei lombi più lateralmente.
Si tratta sempre di muscoli pari e simmetrici.
I muscoli della parete antero-laterale si dispongono su 3 strati e si parla
di lamine muscolo-aponevrotiche o aponeurotiche in quanto
comprendono una porzione carnosa contrattile, seguita anteriormente
da una porzione connettivale, piatta come quella contrattile, detta
aponeurosi o aponevrosi.
Tendini e aponevrosi sono di fatto la stessa cosa, ma si parla di tendine
quando ha una forma cilindrica, mentre si parla di aponeurosi quando
ha una forma appiattita.
Dall’esterno all’interno queste lamine sono rappresentate dai muscoli:
obliquo esterno, obliquo interno e trasverso dell’addome.
Solo anteriormente sono presenti i muscoli pari e simmetrici retti
dell’addome.
Le fibre di questi ultimi 2 muscoli hanno un andamento circa ortogonale, presentano perciò lo
stesso andamento delle fibre dei muscoli intercostali.
Se le vertebre vengono mantenute fisse consente di far rientrare l’addome, se invece viene
considerata fissa l’aponevrosi anteriore è un lordotizzante lombare.
La contrazione è in grado di ridurre fortemente la capacità addominale, aumentando la pressione
endoaddominale, facilitando lo svuotamento dei visceri.
In contrazione bilaterale è un muscolo flessore del tronco in grado di abbassare le coste, perciò è
sempre un muscolo espiratore.
Muscolo retto dell’addome
I muscoli retti dell’addome si sviluppano soltanto sulla parte anteriore dell’addome, sono diretti
verticalmente e sono pari e simmetrici.
Sono muscoli poligastrici cioè costituiti da più parti carnose contrattili disposte in serie
e collegate tra loro da iscrizioni tendinee.
Essi si inseriscono superiormente alle ultime coste e allo sterno, inferiormente sulle parti
pubiche dell’osso dell’anca.
Questi muscoli sono avvolti dalle aponevrosi dei muscoli appena descritti che si
dispongono formando la cosiddetta guaina dei muscoli retti dell’addome.
È il più diretto flessore del tronco e abbassando le coste rappresentano sempre dei
muscoli espiratori.
Funzioni
Sono denominanti muscoli agonisti, quelli che concorrono alla stessa funzione ricordiamo:
La direzione delle fibre degli obliqui esterno e interno è orientata nello stesso lato
(omolaterali), perciò sono ortogonali e per questo motivo sono antagonisti nella
rotazione.
La direzione delle fibre degli obliqui esterno ed interno controlaterali è la stessa,
perciò si comportano come un unico muscolo digastrico e per questo sono
definiti agonisti nella rotazione.
In contrazione bilaterale, fissata la pelvi sono tutti muscoli flessori del tronco,
ma fissate le coste ruotano posteriormente la pelvi o bacino tramite
l’articolazione coxo-femorale dell’anca, perciò assistiamo alla retroversione
del bacino.
Lo psoas scende a ridosso del tratto lombare della colonna vertebrale e arrivato a ridosso dell’osso
dell’anca si unisce al muscolo iliaco andando a costituire il muscolo ileo-psoas che tramite un
tendine comune si inserisce poi sul femore.
Fissato il tratto lombare della colonna vertebrale agisce sul femore rappresentando
il più potente flessore della coscia, importante per la deambulazione.
In contrazione unilaterale inclina omolateralmente e ruota eterolateralmente il
tronco, come il muscolo obliquo esterno e sternocleidomastoideo.
In contrazione bilaterale flette il tratto lombare della colonna vertebrale e antiverte
la pelvi.
TORCHIO ADDOMINALE
Il torchio addominale consiste in una simultanea contrazione del diaframma e dei muscoli della
parete addominale.
Si può verificare in modo volontario o riflesso, per cui la contrazione del diaframma determina
chiaramente un atto inspiratorio, quindi entra aria a livello dei polmoni, si chiude la cavità laringea,
si fissa il diaframma, si contraggono contemporaneamente i muscoli
della parete addominale e i muscoli del diaframma pelvico.
Tutto ciò è finalizzato a ridurre il volume della cavità addominale con
conseguente forte aumento della pressione endoaddominale che
facilita lo svuotamento dei visceri cavi della cavità addomino-pelvica,
perciò di: vescica (minzione), retto (defecazione), stomaco (emesi)…
ARTI
Gli arti sono anche detti appendici in quanto sono appendici del tronco, più precisamente gli arti
del tronco sono appendici del torace e gli arti inferiori sono appendici del bacino.
Sia lo scheletro dell’arto superiore sia quello dell’arto inferiore sono suddivisi in segmenti, ossia
comprendono varie ossa articolate tra loro per permettere il movimento.
L’arto superiore è finalizzato alla funzione prensile che si esplica a livello della mano, mentre gli arti
inferiori sono finalizzati al sostegno del tronco e alla deambulazione.
Siamo bipedi, ossia sosteniamo il nostro tronco e ci spostiamo utilizzando soltanto 2 arti, gli arti
inferiori.
Riconosciamo il cingolo toracico e il cingolo pelvico, formazioni scheletriche di sostegno e
raccordo che collegano le cosiddette parti libere degli arti allo scheletro assile.
Il cingolo toracico anche detto cingolo scapolare o pettorale, è costituito da 2 ossa: clavicola e
scapola.
Il cingolo pelvico corrisponde all’osso dell’anca che collega le
parti libere dell’anca dell’arto inferiore allo scheletro assile.
Sebbene le formazioni scheletriche che sostengono gli arti
siano simili strutturalmente e collegate da articolazioni
praticamente analoghe, di fatto gli arti superiori risultano molto
più mobili rispetto agli arti inferiori poiché questi ultimi, oltre a
permettere la deambulazione devono sostenere il peso di
tronco e arti superiori nella statica e nella dinamica.
ARTO SUPERIORE
L’arto superiore, che nell’uomo ha perso la funzione locomotoria, è caratterizzato da una grande
mobilità finalizzata alla funzione prensile, manipolatoria e alla sensibilità tattile che si esplica a
livello della mano.
La mano perciò rappresenta l’estremità operatrice dell’arto superiore, è il segmento esecutore o
effettore dell’arto superiore che tramite i suoi segmenti mobili la sostiene e le permette di
posizionarsi nella posizione più favorevole nel compiere la sua funzione, inoltre è ricchissima di
recettori tattili.
L’arto superiore è poi coinvolto anche nel mantenimento dell’equilibrio.
Relativamente alle ossa della parte libera dell’arto superiore sono ossa strutturalmente lunghe a
parte le ossa del carpo che sono ossa di tipo breve.
A collegare la regione del braccio con la regione dell’avambraccio abbiamo una regione
articolare detta gomito che corrisponde ad un insieme di articolazioni.
Le ossa che formano lo scheletro delle diverse parti dell’arto sono circondate
da parti molli (muscoli, vasi e nervi), formazioni organizzate all’interno di
specifici compartimenti individuati dalla fascia profonda e chiamate logge
osteofasciali o logge muscolari.
Le fasce, in particolare la fascia profonda, sono involucri connettivali con la funzione di contenere,
sostenere e isolare le strutture del nostro organismo.
In questa sezione trasversale della gamba, dall’esterno verso l’interno incontriamo:
Si parla di vasi e nervi superficiali per indicare quelli che decorrono a livello della fascia
superficiale, mentre si parla di vasi e nervi profondi riferendosi a quelli che decorrono al di sotto
della fascia profonda.
In nessuna parte dell’organismo la fascia profonda raggiunge uno sviluppo particolare e sostenuto
quale quello che raggiunge a livello degli arti perché la sua capacità contenitiva nei confronti dei
muscoli facilita l’azione di pompa muscolare scheletrica riuscendo a mantenere in sede i muscoli
durante la loro contrazione in modo da facilitare il ritorno venoso del sangue verso il cuore.
I muscoli scheletrici contraendosi imprimono al sangue una pressione sufficiente per fluire.
Tutto il sangue parte dal cuore e ad esso deve tornare perché il cuore funge da pompa, cioè
contraendosi imprime al sangue una pressione sufficiente per circolare all’interno del corpo, ovvio
è che più il sangue si allontana dal cuore più perde pressione, nonostante
questo deve comunque essere in grado di tornare al cuore.
SPALLA
La spalla è la regione di raccordo fra la parte libera e il tronco.
Le formazioni scheletriche di pertinenza della spalla sono: clavicola e scapola che nell’insieme
sono dette cingolo toracico-scapolare e la parte prossimale dell’omero.
Cingolo toracico-scapolare
Clavicola e scapola sono collegate tramite l’articolazione
acromio-clavicolare.
Queste 2 ossa mediano il collegamento tra la parte libera dell’arto
superiore e il tronco.
La clavicola si articola con la sua estremità mediale direttamente
con lo sterno, quindi si parla di articolazione sterno-clavicolare, poi
utilizza la scapola con la quale si articola lateralmente, per collegarsi all’omero, quindi alla parte
libera della parte superiore.
Il sostegno della parte libera dell’arto superiore al tronco è garantito da formazioni muscolari che si
portano dallo scheletro assile allo scheletro appendicolare.
La clavicola è interamente palpabile lungo il suo decorso a livello della base del collo, quindi è un
osso disposto trasversalmente tra sterno e scopola.
Funziona da montante, sostegno per la scapola, mantenendola in
posizione e disposta latero-posteriormente rispetto al torace, in
questo modo la scapola è in grado di mantenere l’omero e quindi
tutto l’arto superiore ai lati del tronco.
È proprio questa particolare posizione della scapola che permette
la massima libertà di movimento dell’omero tramite l’articolazione
scapolo-omerale.
La clavicola, dal punto di vista strutturale, è un osso allungato che presenta un’estremità mediale
detta anche sternale, rivestita da cartilagine articolare per l’articolazione sterno-clavicolare,
segue una porzione detta corpo e un’estremità laterale detta anche acromiale, alquanto
rotondeggiante, rivestita di cartilagine articolare che si articola con la scapola tramite
l’articolazione acromio-clavicolare.
Presenta una faccia superiore piuttosto liscia che dà inserzione soprattutto a muscoli, e una faccia
inferiore assai rugosa che permette l’attacco in particolar modo di legamenti, in modo da
stabilizzare le articolazioni cui la clavicola partecipa.
Tutte insieme però sono finalizzate a permettere la massima ampiezza dei movimenti omerali a
livello dell’articolazione scapolo-omerale, con lo scopo di posizionare la mano nella posizione
ottimale per svolgere le sue funzioni.
1. Scapolo-omerali
2. Toraco-appendicolari
3. Spino-appendicolari
Muscoli scapolo-omerali
I muscoli scapolo-omerali sono i muscoli intrinseci della spalla perché originano e terminano su
formazioni scheletriche della spalla, in particolare originano da scapola e clavicola e si inseriscono
a vari livelli sull’omero.
Fanno parte di questa categoria i muscoli:
✓ Deltoide: abduce
✓ Sovraspinato: abduce ed extraruota
✓ Sottospinato: extraruota
✓ Piccolo rotondo: extraruota e adduce
✓ Grande rotondo: intraruota e adduce
✓ Sottoscapolare: intraruota e adduce
Muscoli toraco-appendicolari
I muscoli toraco-appendicolari sono muscoli estrinseci della spalla perché originano da coste e
sterno e si portano a cingolo toracico e omero.
Fanno parte di tale categoria i muscoli:
Muscoli spino-appendicolari
I muscoli spino-appendicolari corrispondono allo strato superficiale dei muscoli del dorso che si
portano dalla colonna vertebrale a cingolo toracico e omero.
Fanno parte di questa categoria i muscoli:
Il trapezio è il vero muscolo motore della scapola, origina medialmente dai processi spinosi delle
vertebre toraciche e cervicali, si inserisce in alto sul cranio e le sue fibre sono distinte in:
a) Tendine del muscolo sovraspinato: il muscolo sovraspinato origina dalla fossa sovraspinata
della scapola e si porta al grande tubercolo dell’omero
a) Borsa sottoacromiale-sottodeltoidea: è un sacchetto
ripieno di liquido che decorre prima sotto l’acromion e
poi sotto il deltoide, ha una funzione lubrificante che
facilita lo scorrimento del tendine del muscolo
sovraspinato soprattutto durante i movimenti di
flessione e abduzione dell’omero, quando lo spazio
sottoacromiale si riduce.
b) Capo lungo del muscolo bicipite
La borsa sottoacromiale crea un piano di scorrimento che facilita lo scorrimento del tendine del
sovraspinato impedendone l’usura e così facilitando i movimenti
dell’omero a livello della scapolo-omerale, per questo motivo si parla
di “articolazione” spuria.
Tra la scapola, rivestita dal muscolo sottoscapolare, e le coste, rivestite dal muscolo grande
dentato, si sviluppa uno strato di connettivo ricco di grasso che costituisce un piano di scorrimento
che facilita i movimenti della scapola sulla parete toracica.
I 3 tempi dell’abduzione
Nel 1° tempo dell’abduzione è coinvolta l’articolazione scapolo-omerale e grazie ai muscoli
sovraspinato e deltoide è possibile abdurre l’omero fino a 90°.
Nella 2° fase, oltre all’intervento dell’articolazione scapolo-omerale e dei muscoli sovraspinato e
deltoide, intervengono i muscoli in grado di extraruotare la scapola raggiungendo l’abduzione fino
a 150-160°.
La 3° fase permette di raggiugere i 180° di abduzione ed è necessario che intervenga il rachide.
Perciò le articolazioni coinvolte nell’abduzione sono: articolazione gleno-omerale, articolazione
scapolo-toracica e rachide.
Nella 1° fase i muscoli sovraspinato, deltoide e capo lungo del muscolo bicipite, tramite
l’articolazione scapolo-omerale abducono l’omero fino a 90° perché omero e scapola entrano in
conflitto, in particolare entrano in conflitto grande tubercolo dell’omero con acromion della
scapola.
Per liberare questo ingombro sterico è necessario
extraruotare la scapola grazie all’intervento dei muscoli
trapezio (fibre superiori e inferiori) e grande dentato che
riescono a riposizionare la cavità glenoidea nella posizione
ottimale perché l’omero possa proseguire con la sua
abduzione che per il momento ha raggiunto i 150-160°.
Per raggiungere i 180° di abduzione è necessario inclinare
la colonna vertebrale dal lato opposto della contrazione.
REGIONE ASCELLARE
La regione ascellare è situata tra la parete toracica laterale e la parte
prossimale dell’omero, al di sotto dell’articolazione scapolo-omerale.
È una regione molto importante dal punto di vista clinico per le regioni
vascolo-nervose che la attraversano.
La parete anteriore è costituita e sostenuta dai muscoli grande e piccolo pettorale, mentre la
parete posteriore è costituita dall’alto al basso dai muscoli:
sottoscapolare, grande rotondo e grande dorsale, tutti
muscoli che si stanno portando all’omero.
La parete mediale è costituta dalla parte superiore della
gabbia toracica dove le prime 8-10 coste sono rivestite
dal muscolo grande dentato o dentato anteriore.
Infine la parete laterale corrisponde circa al solco
intertubercolare dell’omero detto anche solco bicipitale,
in quanto questo solco è occupato dal capo lungo del
muscolo bicipite.
La base dell’ascella risulta concava inferiormente ed è sostenuta da: cute, sottocutaneo e fascia
profonda che a questo livello si chiama fascia ascellare.
Inoltre è possibile percepire che la parte dell’ascella è delimitata sia anteriormente sia
posteriormente da pieghe palpabili che prendono il nome di pilastri o pieghe anteriore e
posteriore.
Questi ultimi corrispondono poi al decorso di alcuni muscoli, precisamente il pilastro anteriore al
decorso del muscolo grande pettorale e il pilastro posteriore al decorso del muscolo grande
dorsale.
Scheletro dell’avambraccio
Radio laterale e ulna mediale sono parallele tra loro in posizione anatomica, con il palmo della
mano rivolto in avanti, perciò si parla di posizione supina.
Quando radio e ulna sono in supinazione anche la mano si presenta in posizione supina.
Quando il radio ruota sull’ulna, quindi quando l’avambraccio prona anche la mano si porta in
posizione prona.
Ulna e radio
Ulna e radio sono ossa lunghe perciò è possibile distinguere: epifisi prossimale, diafisi ed epifisi
distale.
L’epifisi prossimale del radio è anche detta testa o capitello del radio,
si tratta di un rigonfiamento cilindrico rivestito di cartilagine sia
superiormente articolandosi con il condilo omerale, quindi siamo di
fronte all’articolazione omero-radicale, sia lungo tutto il suo contorno parlando quindi di
circonferenza articolare del radio che si articola con l’incisura radiale dell’ulna nell’articolazione
radio-ulnare prossimale.
Segue un restringimento detto collo del radio e poi il corpo o diafisi che anteriormente presenta la
cosiddetta tuberosità radiale dove si inserisce il tendine del muscolo bicipite.
L’epifisi distale del radio si allarga lateralmente nel processo stiloideo del radio, palpabile a livello
del polso lateralmente.
Braccio
Il braccio è sostenuto e attraversato dall’omero che poi è circondato da
diverse formazioni molli.
Sotto la cute e il sottocutaneo è presente la fascia profonda che a
livello del braccio si chiama fascia brachiale che invia dei setti
all’omero tale per cui concorre con essi per individuare 2
compartimenti o logge osteo-fasciali o muscolari anteriore e
posteriore.
La loggia anteriore contiene muscoli flessori con i rispettivi vasi e
nervi, mentre la loggia posteriore contiene muscoli estensori con i
rispettivi vasi e nervi.
I muscoli della loggia anteriore sono 3:
1. Muscolo bicipite: muscolo costituito da 2 ventri disposti in parallelo, un ventre origina dal
processo coracoideo della scapola detto capo lungo del bicipite, l’altro origina dal
tubercolo sopraglenoideo della scapola detto capo breve del bicipite.
I 2 ventri poi si uniscono per costituire un unico tendine che si inserisce in parte sulla
tuberosità radiale perciò si parla di tendine bicipitale,
mentre la restante parte è molto appiattita per cui si
parla di aponevrosi bicipitale che superata la fossa
cubitale, si continua con la fascia profonda
dell’avambraccio detta fascia antibrachiale.
Il bicipite è biarticolare, cioè attraversa 2 articolazione:
scapolo-omerale e del gomito.
È un flessore dell’avambraccio sul braccio e del braccio
perché è biarticolare.
Inoltre partecipa alla supinazione dell’avambraccio.
2. Muscolo brachiale: origina dalla diafisi omerale e si inserisce
sulla tuberosità ulnare, è un muscolo monoarticolare perché
attraversa soltanto l’articolazione del gomito, quindi è un
flessore dell’avambraccio
3. Muscolo coracobrachiale: origina dal processo coracoideo e
si porta più mediamente a livello della diafisi omerale, è
monoarticolare perché attraversa l’articolazione scapolo-
omerale quindi è in grado di flettere il braccio, poi inserendosi
più medialmente è anche in grado di intraruotare il braccio
a) Muscolo tricipite: costituito da 3 ventri disposti in parallelo, si parla di capo lungo del
tricipite, capo mediale e capo laterale.
Sulla faccia posteriore dell’omero è presente il
solco radiale così denominato in quanto a questo
livello decorre il nervo radiale.
Questo solco permette di suddividere la porzione
posteriore dell’omero in una porzione laterale e in
una porzione mediale rispetto al solco.
Dalla porzione laterale origina il capo laterale del
tricipite, mentre dalla porzione mediale origina il
capo mediale del tricipite.
Il capo lungo invece origina dal tubercolo sottoglenoideo della scapola.
I 3 ventri convergono in un tendine comune che si inserisce
sull’olecrano dell’ulna.
Il tricipite attraversa 2 articolazioni, perciò è un estensore sia
dell’avambraccio sia del braccio.
b) Muscolo anconeo: piccolo muscolo che può essere
considerato come 4° ventre del tricipite
MANO
La mano suddivisibile in 3 subregioni:
Articolazione radio-carpica
L’articolazione radio-carpica si attua tra le epifisi distali delle ossa
dell’avambraccio e le ossa della serie prossimale del carpo, nello
specifico: scafoide, semilunare e piramidale.
È la principale articolazione del polso che collega braccio e mano ed
è così chiamata perché teso tra ulna e piramidale è presente il
legamento o disco triangolare che stabilizza l’articolazione radio-
ulnare distale.
Si attua tra le epifisi distali del radio con 2 faccette articolari per
scafoide e semilunare e l’epifisi distale dell’ulna con il piramidale
tramite l’intermediazione con il legamento triangolare.
Siamo di fronte ad una condilartrosi, perciò permette: flesso-
estensione, abduzione e adduzione.
La sommatoria di tutti questi movimenti porta poi alla circonduzione
della mano.
Muscoli dell’avambraccio
Grazie alla particolare organizzazione della fascia profonda che nell’avambraccio è definita fascia
antibrachiale e della membrana interossea che collega radio e ulna, è possibile individuare 2
logge: loggia muscolare anteriore e posteriore.
La loggia anteriore è caratterizzata soprattutto da muscoli flessori, mentre la loggia posteriore è
caratterizzata in particolar modo da muscoli estensori.
A livello poi di entrambe le logge i muscoli si distribuiscono in più strati.
I muscoli della loggia anteriore che costituiscono lo strato superficiale e originano circa tutti
dall’epicondilo mediale dell’omero e si inseriscono a livello delle porzioni prossimali delle ossa
metacarpali.
Sono in grado di flettere mano e avambraccio.
Sono rappresentati dai muscoli:
Il tendine del flessore superficiale e profondo delle dita, una volta arrivato in corrispondenza del
carpo si suddivide in 4 tendinetti che si portano alle falangi intermedie o distali del 2°, 3°, 4° e 5°
dito.
Il pollice ha muscoli assestanti dedicati.
Oltre ad essere capaci di flettere le dita su cui si inseriscono, questi muscoli concorrono anche
nella flessione della mano perché attraversano anche l’articolazione radio-carpica.
Il flessore superficiale e profondo delle dita e il flessore lungo del pollice sono tutte formazioni che
decorrono sotto il retinacula dei flessori, una formazione fibrosa.
I muscoli della loggia posteriore sono numerosissimi e distinti in strato superficiale e in strato
profondo.
I muscoli dello strato superficiale sono muscoli estensori del carpo e delle dita.
Originano soprattutto dalle epicondilo laterale dell’omero o in sua prossimità e il loro eccessivo uso
si associa ad un’infiammazione detta epicondilite laterale, nota anche come gomito del tennista
causato dal sovraccarico funzionale associato all’attività sportiva che comporta un’infiammazione
a carico dell’inserzione di tali muscoli.
Si inseriscono sulle ossa della mano posteriormente, attraversando le articolazioni posteriormente.
Secondo la loro distribuzione latero-mediale riconosciamo i muscoli:
I muscoli dello strato profondo sono muscoli estensori che attraversano le articolazioni
posteriormente e sono i muscoli:
L’eminenza tenar è sostenuta dai seguenti muscoli: abduttore breve del pollice, flessore breve del
pollice, adduttore del pollice e opponente del pollice.
Tutti muscoli del pollice che attraversano l’articolazione a
sella tra trapezio e base del 1° metacarpale, perciò del
pollice.
L’eminenza ipotenar, invece, è sostenuta dai muscoli:
abduttore del mignolo, flessore breve del mignolo e
opponente del mignolo.
CIRCOLO ARTERIOSO
Il circolo arterioso dipende quasi totalmente dall’arteria succlavia che decorre nello spazio
interscalenico, superata la 1° costa diventa arteria ascellare in
quanto decorre a livello della regione ascellare e i rami dell’arteria
ascellare irrorano in particolare le formazioni della regione della
spalla, poi prosegue a livello del braccio dove cambia nome
diventando arteria brachiale in rapporto mediale con l’omero e a
livello del braccio forma diversi rami.
A livello dell’arteria brachiale termina suddividendosi nei suoi 2 rami
terminali che sono le arterie radiale e ulnare che decorrono in
rapporto con le rispettive ossa.
Tali arterie formano rami per la regione dell’avambraccio e
raggiungono la mano dove contribuiscono, tramite rami che si costituiscono a livello della mano,
ad irrorare anche la mano.
CIRCOLO VENOSO
Il circolo venoso comprende 2 sistemi: il sistema delle vene superficiali e profonde.
Le vene superficiali decorrono esternamente alla fascia profonda, quindi a livello della fascia
superficiale o del sottocutaneo, mentre le vene profonde decorrono al di sotto della fascia
profonda.
Sono solitamente 2 vene per ogni arteria che decorrono parallele alle arterie e prendono il nome
delle arterie che accompagnano, in realtà generalmente sono definite vene
satelliti o comitantes, in quanto decorrono a ridosso delle arterie e sono in stretto
rapporto con esse grazie alle guaine connettivali che avvolgono vasi e nervi
profondi con la funzione di sostenere il decorso di tali formazioni e mantenere in
stretto rapporto le vene con l’arteria.
Si tratta di un ulteriore meccanismo per facilitare il ritorno del sangue venoso verso il cuore
sfruttando la pulsazione del sangue arterioso.
Tra la vena cefalica e la vena basilica si notano altre vene definite anti-brachiali.
In corrispondenza della fossa cubitale, nella parte superficiale, in
corrispondenza del sottocutaneo, è possibile riconoscere le vene
superficiali che si anastomizzano tra loro, sede elettiva dei prelievi
venosi perché essendo vene superficiali sono facilmente visibili ed
individuabili; inoltre il prelievo viene effettuato a livello delle vene
perché il sangue, all’interno di esse, scorre a più bassa pressione.
La pelvi ossea è anche definita bacino che significa conca, catino, contenitore.
È costituta dall’osso sacro e il coccige.
Il bacino svolge un ruolo strutturale di sostegno del corpo e trasmette il
peso all’arto inferiore tramite l’articolazione coxo-femorale, tra l’osso
dell’anca o coxe e il femore.
Costituisce un raccordo dinamico tra tronco e parte libera dell’arto
inferiore, infatti l’osso dell’anca costituisce il cingolo pelvico, ossia il
collegamento tra lo scheletro assile e la parte libera dell’arto inferiore.
L’osso dell’anca si articola da un lato con il sacro e quindi con lo
scheletro assile, e dall’altro con il femore.
Permette l’ancoraggio per i muscoli della parete addominale, del dorso e
dell’arto inferiore.
Infine il bacino sostiene e protegge, fungendo da contenitore, gli organi degli apparati digerente,
urinario e genitale, perciò della cavità addomino-pelvica.
L’osso dell’anca possiede lo stesso ruolo di clavicola e scapola che costituiscono il cingolo
toracico o pettorale.
OSSO DELL’ANCA
L’osso dell’anca deriva dalla fusione di 3 ossa: ileo, ischio e pube.
La fusione avviene intorno al 10° anno di vita e la fusione si attua in corrispondenza di una profonda
cavità che si sviluppa sulla faccia esterna o laterale dell’osso dell’anca detta cavità acetabolare,
cavità che si articola con la corrispondente testa del femore.
Dal punto di vista anatomico l’osso dell’anca si considera di forma circa quadrangolare, per cui si
descrivono:
• Faccia esterna o laterale: dall’alto al basso si individuano: fossa iliaca che dà origine al
muscolo iliaco, pavimento della cavità acetabolare e foro otturato delimitato da porzioni
dell’ischio e del pube.
Nel vivente il foro otturato è chiuso dalla cosiddetta membrana otturatoria, una membrana
connettivale su cui prendono origine i muscoli otturatori.
• Faccia interna o mediale: dall’alto al basso si individuano: area
glutea che dà inserzione ai muscoli glutei, cavità acetabolare
per la testa del femore e foro otturato.
• Margine superiore: corrisponde al contorno superiore palpabile
della porzione iliaca dell’osso dell’anca e si estende dalla spina
iliaca antero-superiore alla spina iliaca postero-superiore.
• Margine inferiore: si estende indietro dalla tuberosità ischiatica
(palpabile da seduti) fino alla faccetta articolare della porzione
pubica che si articola con la porzione pubica dell’anca
controlaterale nella costituzione della sinfisi pubica.
• Margine posteriore: dall’alto al basso si individuano: spina iliaca
postero-superiore, spina iliaca postero-inferiore, grande incisura
ischiatica, spina ischiatica e piccola incisura ischiatica.
Queste incisure, grazie alla presenza di legamenti, nel vivente sono trasformate in fori.
Grazie a 2 particolari legamenti definiti legamento sacro-tuberoso e sacro-spinoso che dal
sacro si portano rispettivamente alla tuberosità ischiatica e alla spina ischiatica, grande e
piccola incisura ischiatica sono trasformate in fori.
• Margine anteriore: dall’alto al basso si individuano: spina iliaca antero-superiore, spina
iliaca antero-inferiore, eminenza ileo-pettinea rappresentata da un rilievo dove
confluiscono porzione iliaca e pubica, cresta pettinea rappresentata da un rilievo del pube
e tubercolo pubico.
Tra le articolazioni che si attuano tra le ossa che costituiscono la pelvi ossea riconosciamo:
ARTICOLAZIONE SACRO-ILIACA
L’articolazione sacro-iliaca si attua tra le faccette auricolari del sacro e la porzione iliaca dell’osso
dell’anca.
È una diartrosi di tipo artrodia stabilizzata da molti legamenti, soprattutto anteriormente.
Il bacino, in stazione eretta, non è disposto orizzontalmente, ma giace su un piano vertico-frontale,
è posizionato in modo tale che la spina iliaca antero-superiore e il tubercolo pubico giacciono
sullo stesso piano verticale, quindi anche il sacro risulta, con la sua base, inclinato anteriormente
verso il basso.
Questa particolare inclinazione anteriore della base del sacro,
rispetto alla verticalità della sovrastante parte lombare della
colonna vertebrale, per effetto del peso del tronco che grava
sulla base del sacro, è facilitata la rotazione in avanti della
base del sacro, si parla infatti di movimenti di nutazione.
Per questo motivo è necessario un imponente sistema
legamentoso finalizzato a impedire tali movimenti.
I legamenti che stabilizzano tale articolazione sono i legamenti: sacro-iliaci
anteriori che collegano anteriormente il sacro e la porzione iliaca dell’osso
dell’anca, sacro-iliaci posteriori e sacro-ischiatici che si portano dal sacro alle
porzioni ischiatiche dell’osso dell’anca che sono costituiti da sacro-tuberoso e
sacro-spinoso.
In nutazione sono tesi i legamenti sacro-iliaci anteriori e i legamenti sacro-
ischiatici.
DIAFRAMMA PELVICO
Il diaframma pelvico con i muscoli elevatori dell’ano
e il muscolo coccigeo chiudono la pelvi ossea, ma la pelvi ossea è tutta
internamente rivesta da muscoli, per cui si aggiungono a rivestire la faccia
anteriore del sacro i muscoli piliformi che originano dalla faccia anteriore
del sacro e si portano al femore, mentre lateralmente sono presenti i
muscoli otturatori interni che originano dalla membrana otturatoria che
chiude il foro otturato e si portano al femore attraversando e riempiendo
quasi tutto il grande foro ischiatico.
PLESSO SACRALE
Nella cavità pelvica, a ridosso del muscolo piriforme si sviluppa
un’importantissima formazione nervosa definita plesso sacrale, costituita da
alcuni rami anteriori dei nervi spinali che è all’origine di numerosi nervi che si
portano ad innervare le diverse porzioni dell’arto inferiore, compreso il nervo
ischiatico.
REGIONE GLUTEA
Posteriormente all’osso dell’anca si sviluppa la regione glutea, regione
di transito tra la parte posteriore del tronco, quindi la parte dorsale, e la
parte libera dell’arto inferiore.
È una regione sostenuta da muscoli glutei propriamente detti e non
solo.
ARTO INFERIORE
1. Regione dell’anca
2. Regione della coscia: sostenuta dal femore e collegata alla regione della gamba tramite
l’articolazione del ginocchio
3. Regione della gamba: sostenuta da tibia e fibula o perone e collegata al piede tramite
l’articolazione della caviglia
4. Regione del piede: suddivisibile in 3 regioni che sono:
a. Regione prossimale: corrisponde al tarso ed è sostenuta da 7 ossa brevi
b. Regione intermedia: corrisponde al metatarso ed è sostenuta da 5 ossa
c. Regione distale: corrisponde alle dita, suturate come quelle della mano, ed e
sostenuta dalle falangi che sono 3 per tutte le dita a parte l’alluce che ne presenta
2
Anteriormente si definisce un limite netto tra la regione addomino-pelvica e l’arto inferiore, limite
che corrisponde al legamento inguinale teso dalla spina iliaca antero-superiore fino al tubercolo
pubico, che corrisponde al margine inferiore libero dell’aponevrosi del muscolo obliquo esterno.
Posteriormente non si individua un limite netto tra la parte dorsale e l’arto inferiore, bensì si sviluppa
questa regione di transizione caratterizzata dalla regione glutea estesa dalla cresta iliaca al solco
gluteo, una piega cutanea disposta inferiormente alla natica.
Inoltre posteriormente alla regione articolare del ginocchio è riconoscibile la cosiddetta fossa
poplitea, analoga alla fossa cubitale dell’arto superiore.
In analogia con l’arto superiore, anche a livello inferiore è possibile individuare 3 aree molto
importanti dal punto di vista clinico, perché attraversate da formazioni vascolo-nervose, che in
direzione prossimo-distale sono: triangolo femorale, fossa poplitea e tunnel tarsale.
Da un certo momento in poi gli arti hanno subito un decorso differente, infatti l’arto superiore ha
ruotato lateralmente, mentre l’arto inferiore ha ruotato internamente,
quindi il ginocchio, diversamente dal gomito si trova anteriormente e a
livello dell’arto inferiore e i muscoli flessori si trovano posteriormente,
mentre i muscoli estensori anteriormente, situazione opposta a quella che
si verifica per gli arti superiori.
A causa di questa rotazione, gamba e piede si trovano in posizione
prono-definitiva con l’alluce mediale, mentre il pollice si trovava in
posizione laterale.
Inoltre l’asse longitudinale di gamba e piede risultano ortogonali con la
pianta del piede diretta inferiormente e l’alluce situato medialmente,
mentre a livello degli arti superiori gli assi longitudinali di avambraccio e mano coincidono.
FEMORE
Il femore è l’osso più lungo e pesante del corpo e la sua lunghezza corrisponde a circa ¼ della
statura dell’individuo.
L’epifisi prossimale del femore è costituita dalla testa del femore rivestita da cartilagine articolare
che partecipa all’articolazione coxo-femorale, inoltre si aggiungono collo del femore e 2 processi
detti grande e piccolo trocantere del femore.
Il collo del femore sostiene la testa femorale, facilitando il
sostegno del peso del corpo che grava sulla testa del femore
e di trasmetterlo gradatamente alla diafisi femorale.
Ha inoltre la funzione di aumentare l’ampiezza dei movimenti a
livello dell’articolazione coxo-femorale.
Ciò che contraddistingue l’omero dal femore, oltre alla
presenza del collo, è la diafisi femorale che risulta inclinata
infero-medialmente e non verticale come la diafisi omerale.
Il peso del tronco viene trasferito, attraverso l’articolazione sacro-iliaca, dalla colonna vertebrale al
cingolo pelvico (anca) e da questo, attraverso l’articolazione coxo-femorale, al femore.
Per la presenza del collo femorale, al fine di riportare la trasmissione del
carico lungo la linea verticale che corrisponde alla direzione della
forza di gravità, il femore si inclina infero-medialmente.
La disposizione obliqua del femore riconduce la trasmissione del carico
al di sotto del tronco (cioè inferiormente alla massa corporea) per
rendere più efficiente il sostegno del corpo nella posizione eretta e per
permettere la deambulazione dei bipedi, nella quale tutto il peso è
sostenuto alternativamente da ciascun arto.
Si tratta di modificazioni del femore che nel corso della filogenesi hanno caratterizzato il passaggio
dall’andatura quadrupedica, a quella bipede ed è un passaggio che caratterizza i primati superiori
ed è finalizzata a permettere un miglior sostegno del corpo in stazione eretta e la deambulazione.
Modificazioni patologiche dell’angolo di inclinazione che si riduce al di sotto dei 120° avvicinandosi
ad un angolo di 90° si parla di varismo a livello della coxo-
femorale detto anche varismo dell’anca e questo facilita la
frattura del collo del femore, evento molto frequente negli anziani
quando si associa anche il problema dell’osteoporosi che
colpisce, oltre ai corpi vertebrali, in particolare il collo del femore
essendo una porzione del femore costituita praticamente tutta
da osso spugnoso.
Se l’angolo aumenta oltre i 140° si parla di valgismo della coxo-femorale o dell’anca e questa
situazione facilita la lussazione posteriore della testa femorale rispetto alla cavità acetabolare.
ARTICOLAZIONE COXO-FEMORALE
L’articolazione coxo-femorale è volgarmente detta articolazione
dell’anca e si attua tra testa del femore e cavità acetabolare dell’osso
dell’anca.
Siamo perciò di fronte ad un’enartrosi o sferartrosi che permette tutti i
movimenti di ampiezza minore e molto meno mobile rispetto
all’articolazione scapolo-omerale perché deve sostenere il peso del
tronco oltre che permettere la deambulazione.
La testa viene contenuta quasi completamente nella cavità acetabolare.
La testa del femore corrisponde circa a 2/3 di sfera rivestita da cartilagine articolare.
La cavità acetabolare per la testa del femore non è tutta rivestita da cartilagine articolare, ma
soltanto una porzione a forma di semiluna detta faccia semilunare o
superficie lunata che in corrispondenza delle sue estremità, anche dette
corna, è collegata dal legamento trasverso rivestito da cartilagine
articolare, per cui costituisce un anello cartilagineo completo per la testa
del femore.
Inoltre è possibile notare la presenza di un cercine fibro-cartilagineo che
inserendosi sul margine libero della cavità acetabolare aumenta la
profondità, quindi la capacità contenitiva per la testa del femore.
La parte profonda della cavità acetabolare, non rivestita di cartilagine articolare, è detta fossa
acetabolare o dell’acetabolo, riempita da tessuto adiposo.
Si nota inoltre un altro legamento che si diparte a partire dal legamento trasverso, detto legamento
rotondo del femore.
Il legamento rotondo o legamento per la testa del femore è un legamento interno all’articolazione
e si porta alla testa del femore collegando la cavità acetabolare con la testa del femore.
È un legamento che non ha la funzione di mantenere unite le
superfici articolari, bensì ha la funzione di sostenere il decorso di
vasi dell’arteria otturatoria che si stanno portando alla testa del
femore.
Per questo se si lesiona questo legamento la testa del femore va
in necrosi.
L’arteria otturatoria, insieme ad altre arterie originate dall’arteria femorale concorrono ad irrorare
oltre alla testa del femore, tutta l’epifisi prossimale del femore.
REGIONE GLUTEA
La regione glutea è una regione di transito che si sviluppa dorsalmente tra tronco
e coscia.
È una regione fondamentalmente costituita da muscoli abduttori e rotatori della
coscia/femore e nel corso dell’evoluzione della specie si associa alla stazione
eretta e all’andatura bipede.
La sua comparsa è associata ad una serie di modificazioni della struttura del
femore necessarie per il sostegno e la deambulazione.
Se attivi, medio e piccolo gluteo, quando tutto il peso del corpo è sostenuto su un solo arto,
permettono di abdurre la pelvi, o mantenerla orizzontale, impedendole di inclinarsi dal lato
dell’arto sollevato.
Quando sono inattivi, l’emibacino controlaterale, per effetto del peso del tronco, si inclina dal lato
dell’arto non sostenuto a terra.
Quando il peso è distribuito su entrambi i piedi, la pelvi è uniformemente sorretta e non si inclina.
Quando il peso è caricato su di un solo piede, i muscoli dello stesso lato
trattengono la pelvi e le impediscono di inclinarsi verso il lato dell’arto
sollevato.
Quando i muscoli medio e piccolo gluteo sono inattivi, per una lesione del
nervo gluteo superiore, il supporto e la stabilizzazione dovuta ad essi viene a
mancare e la pelvi si inclina dal lato dell’arto sollevato (segno di
Trendelenburg positivo).
Muscoli pelvici-trocanterici
I muscoli pelvici-trocanterici si portano tutti da parti ossee della pelvi ossea al grande trocantere
del femore.
Sono 6 muscoli pari e simmetrici.
Alcuni originano dalla faccia interna dell’osso dell’anca o meglio della pelvi ossea, precisamente:
Questi muscoli sono molto corti infatti, dal sacro si portano al grande trocantere del femore e
coattano l’articolazione coxo-femorale, ciò mantengono unite le superfici articolari dell’anca e del
femore.
Mimano, dal punto di vista funzionale, i muscoli della cuffia dei rotatori.
Inoltre sono complessivamente muscoli extrarotatori del femore quando la coscia è estesa, mentre
quando la coscia è flessa agiscono da abduttori del femore.
La tibia presente un’epifisi prossimale e che si allarga in 2 formazioni curve dette condili tibiali
mediale e laterale, che superiormente sono leggermente concavi e rivestiti da cartilagine
articolare, si tratta delle cosiddette cavità glenoidee della tibia che si articolano con i condili
femorali per l’articolazione femoro-tibiale.
Tra i 2 condili si notano un paio di rilievi o tubercoli che nell’insieme costituiscono l’eminenza
intercondiloidea della tibia.
Anteriormente e posteriormente a questa eminenza si evidenziano le aree intercondiloidea
anteriore e posteriore.
A livello della diafisi tibiale, la sua porzione anteriore-prossimale ci
permette di notare la tuberosità tibiale che dà inserzione al tendine
del muscolo quadricipite.
L’epifisi distale della tibia si allunga medialmente nella costituzione del
malleolo mediale, palpabile.
La tibia superiormente si articola con il femore tramite l’articolazione femoro-tibiale, una delle 2
articolazioni del ginocchio insieme all’articolazione femoro-
patellare, tra femore e patella.
La fibula non partecipa al complesso articolare del ginocchio.
Distalmente sia tibia sia fibula partecipano all’articolazione talo-
crurale che si instaura tra le ossa della gamba e il talo o astragalo
che è un osso tarsale del piede.
REGIONE DELLA COSCIA
Le logge osteofasciali/muscolari della coscia sono 3 individuate dalla fascia lata che invia dei setti
fibrosi alla linea aspra del femore individuando le logge: anteriore, mediale e posteriore.
I muscoli della loggia anteriore sono tutti muscoli flessori della coscia e sono:
− Muscolo pettineo: origina dalla cresta pettinea dell’anca e si porta alla linea pettinea del
femore
− Muscolo ileopsoas: non è un muscolo proprio della coscia perché presenta
una porzione che origina dal tratto lombare della colonna vertebrale e
costituisce parte della parete addominale posteriore e comprende la
porzione iliaca che origina dalla fossa iliaca dell’osso dell’anca.
Le 2 porzioni si uniscono per inserirsi sul piccolo trocantere del femore.
Questo muscolo è il più potente flessore della coscia, inoltre adduce ed
extraruota la coscia.
Invertendo il suo punto fisso, quindi fissati gli arti inferiori in contrazione
bilaterale antiverte la pelvi, mentre in contrazione unilaterale inclina il
tronco omolateralmente e lo ruota eterolateralmente.
− Muscolo tensore della fascia lata: origina dalla spina iliaca antero-
superiore e si inserisce sul tratto ileo-tibiale.
Lavora con i muscoli glutei medio e piccolo abducendo la pelvi e risulta
un debole flessore della coscia.
Fissate le sue inserzioni distali, in contrazione bilaterale antiverte la pelvi.
− Muscolo sartorio: origina dalla spina iliaca antero-superiore e si inserisce sul condilo
mediale della tibia.
È il muscolo più lungo del corpo e permette di accavallare le gambe, flettendo e
intraruotando la gamba, inserendosi più medialmente, e flette la coscia.
Questo accade perché è un muscolo biarticolare che attraversa sia l’articolazione coxo-
femorale, sia l’articolazione del ginocchio.
Con la sua inserzione distale va a costituire il tendine della
zampa d’oca.
− Muscolo quadricipite: costituito da 4 ventri disposti in parallelo.
Muscolo vasto mediale, vasto laterale e vasto intermedio
originano dalla diafisi femorale.
Il muscolo retto femorale origina dalla spina iliaca antero-
inferiore.
I 4 ventri, a livello distale, si inseriscono tutti sulla patella, l’osso sesamoide più grosso del
corpo umano, e tramite il legamento patellare si inseriscono sulla tuberosità tibiale.
Il muscolo quadricipite estende la gamba e grazie al retto del femore che attraversa anche
l’articolazione coxo-femorale flette la coscia, diventa perciò un muscolo biarticolare.
Muscolo sartorio e muscolo quadricipite, fissata la loro inserzione distale, in contrazione bilaterale
antivertono la pelvi.
I muscoli della loggia mediale della coscia sono adduttori e se il femore è iperesteso concorrono
nella flessione.
Tutti originano dalla porzione pubica dell’osso dell’anca e sono:
→ Muscolo pettineo
→ Muscolo adduttore lungo e breve: si inseriscono a vari livelli sulla linea
aspra del femore
→ Muscolo gracile: muscolo che attraversa anche l’articolazione del
ginocchio e si inserisce sul condilo mediale della tibia.
Partecipa alla costituzione del tendine della zampa d’oca insieme al
muscolo sartorio.
È un muscolo biarticolare che oltre ad addurre la coscia, flette e intraruota la gamba.
→ Muscolo grande adduttore: presenta 2 porzioni, una delle quali origina dalla porzione
pubica dell’osso dell’anca e si porta alla linea aspra del femore detta vera porzione
adduttoria, l’altra porzione invece origina dalla tuberosità ischiatica e si porta al condilo
mediale del femore detta porzione estensoria.
Queste differenti porzioni giustificano le sue funzioni.
Entrambe le porzioni, se agiscono insieme adducono il femore.
Attivando soltanto la porzione adduttoria, partendo da coscia estesa,
concorre nella flessione del femore, mentre attivando solamente la porzione
estensoria, partendo da cosca flessa, estende la coscia.
Queste 2 porzioni sono poi innervate da nervi differenti.
Inoltre è possibile individuare un’apertura definita iato o apertura degli
adduttori che si costituisce tra le 2 porzioni muscolari del grande adduttore,
mentre si stanno inserendo sulle diverse parti del femore.
Tale iato è attraversato da vasi.
I muscoli della loggia posteriore della coscia o muscoli ischiocrurali originano dalla tuberosità
ischiatica e portano alle ossa della gamba sono:
Questi muscoli sono tutti biarticolari poiché attraversano sia l’articolazione coxo-femorale sia
l’articolazione del ginocchio, per cui flettono la gamba e attraverso l’articolazione coxo-femorale
sono estensori della coscia.
I muscoli semitendinoso e semimembranoso, inserendosi medialmente sulla tibia, concorrono poi
nell’intrarotazione della gamba, mentre il bicipite femorale, inserendosi lateralmente sulla fibula
concorre ad extraruotare la gamba.
Invertendo il punto fisso, agiscono sulla pelvi retrovertendola e quest’azione è associata ad un
appiattimento della lordosi lombare, inoltre estendono il tronco.
Il nervo femorale si esaurisce a livello del triangolo stesso formando una serie di rami
deputati a diversi muscoli.
Circolo arterioso
L’arteria iliaca esterna è il vaso che irrora praticamente tutto l’arto inferiore e
una volta raggiunto il legamento inguinale cambia nome diventando così
arteria femorale, raggiunge poi la fossa poplitea dove termina suddividendosi
nei suoi 2 rami definiti arteria tibiale posteriore e anteriore.
L’arteria tibiale anteriore si porta nella regione anteriore della gamba, mentre
l’arteria tibiale posteriore continua a decorrere posteriormente nella regione
posteriore della gamba.
L’arteria fibulare è un ramo dell’arteria tibiale posteriore.
Le arterie tibiali e fibulare, tramite i loro rami concorrono ad irrorare tutta la
regione della gamba e del piede.
Circolo venoso
Il circolo venoso profondo è costituito da vene che decorrono
parallele alle arterie e sono solitamente 2 per ogni arteria e prendono
il nome delle arterie che accompagnano.
1. Regione tarsale: comprende 7 ossa più grandi di quelle del carpo, ma dal punto di vista
strutturale sono sempre ossa di tipo breve, distribuite in una serie prossimale e una serie
distale.
Le ossa della serie prossimale sono: talo o astragalo
e sottostante calcagno.
Le ossa della serie distale sono rappresentate da:
osso navicolare, osso cuboide e 3 piccole ossa
dette cuneiformi distinte in: mediale, intermedia e
laterale.
2. Regione metatarsale: costituita da 5 ossa di tipo
lungo
3. Regione delle dita: sostenuta dalle falangi, 3 per ogni dito eccetto il 1° dito definito alluce
che ne presenta soltanto 2
Le ossa tarsali e metatarsali si organizzano in modo da delineare, lungo l’asse longitudinale del
piede diretto antero-posteriormente, un’arcata a concavità inferiore detta volta o arcata plantare,
tale per cui i piedi poggiano a terra e trasferiscono il peso del corpo a terra utilizzando soltanto
posteriormente la tuberosità del calcagno detta pilastro posteriore e anteriormente le teste dei
metatarsali definite pilastro anteriore.
Si tratta di un’arcata particolarmente accentuata medialmente, piuttosto che lateralmente, e
funge da ammortizzante così come le curve della colonna vertebrale e i dischi intervertebrali.
È sostenuta da legamenti e muscoli che si sviluppano a livello della pianta del piede e con il
passare degli anni e il peso corporeo tende ad appiattirsi.
L’articolazione della caviglia collega lo scheletro della gamba con lo scheletro del piede.
CAVIGLIA
La caviglia è un complesso articolare, perciò un insieme di articolazioni che collegano gamba e
piede, distinte in: articolazione superiore e inferiore della caviglia.
Sono stabilizzatori attivi, perciò oltre a questi legamenti che stabiliscono medialmente la caviglia
sono presenti anche muscoli della gamba che si inseriscono sulle ossa del piede.
Un forte movimento di eversione del piede può causare la lesione del legamento collaterale
mediale.
La loggia anteriore della gamba è costituita da muscoli che complessivamente agiscono come
flessori dorsali rappresentati da:
La loggia posteriore della gamba è caratterizzata da 2 strati muscolari, uno superficiale e uno
profondo.
Lo strato superficiale è costituito da 3 muscoli, o meglio da 2 muscoli:
L’insieme dei 2 ventri del gastrocnemio e del soleo costituisce il cosiddetto tricipite della sura.
Inoltre questi 3 ventri muscolari corrispondono alla massa muscolare del polpaccio.
Attraversano tutti l’articolazione della caviglia posteriormente, perciò sono dei flessori plantari.
Inoltre il muscolo gastrocnemio, originando a livello del femore, attraversa anche posteriormente
l’articolazione del ginocchio, per cui contribuisce alla flessione della gamba.
Tutti questi muscoli attraversano posteriormente l’articolazione della caviglia, quindi contribuiscono
nella flessione plantare.
Mentre si portano per l’inserzione sulle ossa del piede, transitano medialmente a livello della
caviglia dove sono mantenuti in posizione da un ispessimento della fascia crurale detta retinacula
dei flessori e che si porta dal malleolo mediale della tibia al calcagno.
GINOCCHIO
L’articolazione del ginocchio si colloca tra le articolazioni coxo-
femorale e talo-crurale.
Le 3 articolazioni, in una situazione fisiologica, giacciono su una
stessa retta detta linea di carico o asse meccanico dell’arto
inferiore, che corrisponde alla direzione della forza di gravità in
modo tale che il peso del corpo che viene uniformemente
distribuito sui 2 arti inferiori, venga trasmesso a terra passando
attraverso il centro di queste 3 articolazioni.
Quando la linea di carico non passa attraverso il centro delle 3
articolazioni, queste si usurano.
La faccia anteriore della patella dà attacco ai tendini dei 4 ventri del muscolo quadricipite,
tendine che poi prosegue in modo unidirezionale, con il nome di legamento patellare per inserirsi
sulla tuberosità tibiale, perciò il legamento patellare si può
considerare la prosecuzione del tendine quadricipite.
Per questo la patella risulta il più grosso osso sesamoide del corpo
umano.
La sua faccia anteriore offre attacco ai 4 tendinetti del muscolo
quadricipite, perciò è finalizzata a centralizzare le forze esercitate dai
4 ventri che poi vengono trasmesse alla tuberosità tibiale in modo
unidirezionale e rettilineo.
La rotula, oltre a centralizzare le forze generate dai 4 ventri del quadricipite, agisce da puleggia
aumentando il braccio di leva del quadricipite e sviluppando il 50% della forza sulla gamba, è uno
stabilizzatore perché riduce l’avanzamento dei condili femorali in estensione e del crociato
posteriore, funziona da borsa sinoviale proteggendo l’usura del tendine quadricipite mentre si
porta alla tuberosità tibiale.
Per svolgere al meglio le sue funzioni deve essere mantenuta allineata a livello
della superficie patellare, perciò la cresta che passa attraverso il centro della
faccia posteriore della patella deve essere mantenuta a livello della linea o
troclea intercondiloidea, anche se in realtà tende a lateralizzare perché la
potenza esercitata dal vasto laterale è maggiore della potenza sviluppata dal
vasto mediale e in caso di lateralizzazione si parla di conflitto femoro-rotuleo.
Articolazione femoro-tibiale
L’articolazione femoro-tibiale si attua tra le superfici articolari infero-
posteriori dei condili femorali e le cavità glenoidee della tibia anche
dette piatti tibiali.
I 2 condili femorali infero-posteriormente sono separati dalla cosiddetta
fossa intercondiloidea ed è proprio la superficie articolare che riveste la
parte infero-posteriore dei condili femorali che si articola con le cavità
glenoidee della tibia.
Retinacula mediale e laterale sono formazioni connettivali fibrose, ciascuna costituita da una
porzione trasversale che collega la patella ai condili femorali e da una porzione longitudinale che
collega la patella fissandola ai condili tibiali.
Tra gli stabilizzatori posteriori troviamo i 2 ventri del gastrocnemio detti anche
gemelli laterale e mediale e i legamenti poplitei arcuato e obliquo che
insieme alla parte posteriore della capsula fibrosa dell’articolazione,
impediscono l’iperestensione del ginocchio.
Quando è presente l’iperestensione del ginocchio si parla di ginocchio
ricurvo.
Sono tesi in estensione tutti i legamenti del ginocchio.
Tra i legamenti del ginocchio sono presenti anche i legamenti crociati e collaterali che sono i più
frequentemente colpiti da lesioni.
Legamenti collaterali
Il legamento collaterale mediale o tibiale si porta dal condilo mediale
femorale al condilo mediale tibiale ed è diretto postero-anteriormente.
Il legamento collaterale laterale o fibulare si porta dal condilo laterale del
femore alla testa della fibula ed è diretto antero-posteriormente.
Questi legamenti impediscono i movimenti di lateralità esterna o interna della
tibia, quindi i movimenti di abduzione e adduzione della tibia rispetto al
femore.
Quando tali movimenti si verificano implica una loro lesione e si parla di ginocchio vacillante.
La lesione del legamento collaterale mediale si associa a movimenti di lateralità esterna detti
anche di abduzione o in valgo della tibia, mentre la lesione del legamento collaterale laterale si
associa a movimenti di lateralità interna detti anche di adduzione o in varo della tibia.
Il legamento collaterale mediale è molto più spesso e robusto del legamento collaterale laterale
perché deve sostenere il valgismo fisiologico del ginocchio.
Sono legamenti tesi in estensione quando il ginocchio deve sostenere il peso del corpo e sono
esterni alla capsula fibrosa.
Menischi
I menischi sono lamine fibro-cartilaginee a forma di semiluna poggiate sulle facce superiori delle
cavità glenoidee della tibia.
Le superfici articolari contrapposte dei condili femorali e delle cavità
glenoidee della tibia sono fortemente asimmetriche e incongrue, perciò
per migliorare la corrispondenza tra queste superfici articolari si
aggiungono i menischi che svolgono un’importante funzione
ammortizzante permettendo una distribuzione uniforme delle forze che
gravano sull’articolazione.
I menischi non sono adesi alle cavità glenoidee della tibia, ma devono potersi muovere e
presentano una certa libertà di movimento e dei mezzi di fissità che li vincolano alle altre
formazioni dell’articolazione.
Con le loro corna o estremità anteriori e posteriori si attaccano alle aree
intercondiloidee anteriori e posteriori della tibia.
Entrambi esternamente aderiscono alla capsula fibrosa
dell’articolazione e sono collegati tra loro anteriormente dal legamento
trasverso del ginocchio che li rende sincroni quando si muovono.
Inoltre sono collegati alla rotula tramite i legamenti menisco-rotulei e il menisco mediale è fissato
lateralmente, oltre che alla capsula fibrosa, anche al legamento collaterale mediale.
Risultano poi collegati entrambi a vari muscoli.
Sebbene siano vincolati da altre formazioni, i menischi si muovono accompagnando i movimenti
dei condili femorali sulle cavità glenoidee della tibia durante i movimenti di flesso-estensione.
Flesso-estensione
I movimenti di flesso-estensione dei condili femorali sulle cavità glenoidee della tibia associano
rotolamento e scivolamento.
Se i condili ruotassero sulle cavità glenoidee, rapidamente il
femore cadrebbe.
Se i condili scivolassero su di un punto della cavità glenoidea,
come una ruota che slitta, la parte posteriore del femore
urterebbe la tibia, ed un’unica zona della cavità glenoidea
sopporterebbe tutto l’attrito con un’usura precoce.
In flessione, il condilo ruota (15-20°) sulla cavità glenoidea poi scivola, mentre in estensione è
l’inverso, quindi prima scivola poi ruota.
Rotazione
Solo a ginocchio flesso il ginocchio permette movimenti di rotazione.
Le rotazioni non sono permesse a ginocchio esteso perché in estensione tutti i legamenti del
ginocchio sono tesi.
Inoltre in estensione il ginocchio risulta praticamente bloccato e questo
accade perché le superfici articolari contrapposte di tibia e femore, in
particolare l’eminenza intercondiloidea della tibia e l’incisura intercondiloidea
del femore si rapportano in modo tale da comportare un vero blocco sterico,
un incastro articolare.
Solo flettendo e andando a detenere tutti i legamenti dell’articolazione e sbloccando questo
ingombro sterico che si costituisce in estensione tra le superfici articolari contrapposte si possono
effettuare i movimenti di rotazione.
Se il ginocchio è esteso in stazione eretta, in realtà la rotazione può avvenire, però parte
dall’articolazione coxo-femorale, ossia ruotando internamente o esternamente la coscia con essa
ruotano anche la gamba e il piede.
SISTEMA CARDIOCIRCOLATORIO
Gli organi che costituiscono il sistema cardiocircolatorio sono il cuore e un sistema distinto di vasi
(arterie, vene e capillari) contenenti sangue.
Il cuore è un organo cavo centrale contenente sangue, caratterizzato da una parete di natura
prevalentemente muscolare e quindi ha funzione contrattile, infatti contraendosi funge da pompa,
spingendo il sangue all’interno dei vasi che hanno la funzione di trasportare il sangue e quindi le
sostanze in esso disciolte come: gas, sostanze nutritizie, sostante di rifiuto, ormoni…
in giro per il corpo.
Complessivamente quindi la funzione del sistema cardiocircolatorio è il trasporto di
sangue mediato dai vasi sanguigni attraverso il corpo.
Il sangue viene trasportato dal cuore ai tessuti e poi da tutte le cellule
dell’organismo viene riportato al cuore.
I vasi comprendono:
Il cuore si contrae, spinge il sangue nelle arterie che raggiungono gli organi, dove le
arterie si risolvono in arterie di calibro minore chiamate arteriole, che a loro volta si
risolvono nel letto capillare.
Solo a livello dei capillari avvengono gli scambi tra sangue e tessuti.
Dopodiché i capillari riconfluiscono, andando a costituire le venule, che poi
confluiscono nelle vene che riportano il sangue al cuore.
Il cuore è un organo cavo suddiviso in 2 metà: metà destra e metà sinistra, che risultano tra loro
separate.
Ciascuna metà è poi suddivisa in 2 cavità sovrapposte dette atrio e ventricolo, tra loro
comunicanti.
L’atrio si situa superiormente e il ventricolo interiormente.
Atrio e ventricolo destro sono perciò separati da atrio e
ventricolo sinistro.
Inoltre la metà destra contiene sangue venoso, ossia
deossigenato, mentre la metà sinistra contiene sangue
arterioso, ovvero ossigenato.
Il circolo sistemico, anche chiamato grande circolo, origina dal ventricolo sinistro del cuore con
l’aorta, contente sangue ossigenato e termina a livello dell’atrio destro del cuore con le vene cave
contenenti sangue deossigenato.
Ha la funzione di trasportare il sangue ricco di O2 (assorbito a livello polmonare) e
metaboliti (assorbiti a livello intestinale) a tutte le cellule dell’organismo.
A livello dei capillari poi O2 e metaboliti attraversano le pareti di questi vasi per
raggiungere le cellule, nel contempo però le cellule eliminano i cataboliti che
devono ritornare nei capillari.
Per riossigenare il cuore, il sangue deve essere spedito ai polmoni perché soltanto
a livello degli alveoli polmonari il sangue viene a contatto con l’aria atmosferica
potendosi ossigenare e liberarsi dalla CO2.
Per fare ciò è necessario utilizzare il cosiddetto circolo polmonare o piccolo
circolo che origina dal ventricolo destro del cuore con le arterie polmonari e
termina nell’atrio sinistro con le vene polmonari.
Il sangue venoso, arrivato all’atrio destro del cuore, passa nel ventricolo destro dove originano,
tramite il tronco polmonare, le 2 arterie polmonari che contengono sangue deossigenato.
Queste arterie raggiungono poi i polmoni che poi si risolvono in vasi di calibro minore fino a
costituire i capillari polmonari, dove il sangue viene in rapporto con l’aria atmosferica inspirata.
L’aria contenuta negli alveoli polmonari è ricca di O2, perciò questo verrà trasferito al sangue,
mentre il sangue rilascia, a livello degli alveoli la CO2.
A questo punto, il sangue riossigenato, tramite le vene polmonari ritorna al cuore perché deve
riprendere forza e pressione, perché il sangue arterioso di ritorno dai polmoni che raggiunge l’atrio
sinistro del cuore, passa poi nel ventricolo sinistro e da lì, in seguito alla contrazione del cuore verrà
spinto nell’aorta riprendendo la via del circolo sistemico.
Ciascuna metà del cuore funziona da pompa per i 2 diversi circoli, precisamente il cuore di sinistra
riceve sangue ossigenato dai polmoni e funziona da pompa per il circolo sistemico, mentre il cuore
di destra riceve sangue deossigenato da tutti i distretti corporei e funziona da pompa per il circolo
polmonare.
Si tratta di 2 sistemi disposti in serie e il sangue per transitare attraverso i 2 sistemi distinti di vasi, in
modo seriale, deve passare 2 volte attraverso il cuore per acquistare pressione sufficiente per
circolare.
CUORE
Il cuore si colloca a livello del mediastino, che corrisponde alla regione centrale della cavità
toracica compresa tra le 2 logge pleuro-polmonari.
Occupa più o meno il centro della cavità toracica, risulta più
spostato a sinistra rispetto alla linea mediana del torace, infatti
si sviluppa per 1/3 a destra e per 2/3 a sinistra.
È avvolto dal pericardio fibroso, un sacco connettivale, che
inferiormente lo vincola e lo collega alla porzione tendinea
centrale del diaframma, perciò al centro frenico.
Presenta le dimensioni di circa un pugno.
Il cuore mostra una forma a cono, per cui si distinguono una base diretta in alto e un apice diretto
in basso.
Inoltre si nota che il cuore non si sviluppa verticalmente, ma è
inclinato in modo che la base sia diretta in alto, a destra e
posteriormente, mentre l’apice è diretto in basso, a sinistra e più
anteriormente.
L’apice, che di fatto, appartiene al ventricolo sinistro del cuore, in proiezione anteriore corrisponde
al 5° spazio intercostale di sinistra, dove si situa circa 7-8 cm rispetto alla linea mediana del torace
e dove, posizionando un orecchio o utilizzando uno stetoscopio o fonendoscopio, è possibile
auscultare, cioè sentire l’itto o battito cardiaco, ossia il rumore generato
dall’urto dell’apice cardiaco contro la parete toracica durante la contrazione
ventricolare.
Ogni itto o battito cardiaco corrisponde alla fine di un ciclo cardiaco.
In una persona sana a riposo, si avverte circa 60-70 volte al minuto, ciò
significa che il cuore compie circa 60-70 cicli lavorativi al minuto che durano
circa 0.8-0.9 secondi.
Conformazione esterna
Il cuore essendo un organo cavo ha una parete che delimita una cavità contenente sangue.
Egli è esternamente avvolto da un sacco fibroso connettivale detto pericardio fibroso cui segue
internamente un altro sacco di natura sierosa chiamato pericardio sieroso.
Gli strati della parete cardiaca, dall’esterno verso l’interno sono
rappresentatati da:
o Epicardio
o Miocardio
o Endocardio
Il pericardio fibroso è il sacco di natura connettivale più esterno, che avvolge il cuore, e ha la
funzione di sostenere e mantenere il cuore in posizione vincolandolo, cioè collegandolo alle
formazioni circostanti in modo da limitarne i movimenti, collegandolo: anteriormente con lo sterno
tramite i legamenti sterno-pericardici, posteriormente con le vertebre tramite i legamenti vertico-
pericardici e inferiormente con il centro frenico del diaframma con cui poi si fonde.
Inoltre impedisce che il cuore possa sovrariempirsi.
Al di sotto del pericardio fibroso, si sviluppa, più internamente, il pericardio sieroso, un sacco a
doppia parete sostenuto da una membrana sierosa che tramite le porzioni parietale e viscerale
che risultano in continuità tra loro delimitano cavità chiuse del corpo.
In questo caso siamo di fronte alla cavità pericardica.
Il foglietto parietale aderisce alla superficie interna del pericardio
fibroso, mentre il foglietto viscerale aderisce alla superficie esterna
del cuore e i 2 foglietti risultano in continuità tra loro in corrispondenza
delle radici dei grossi vasi che originano o arrivano al cuore.
Tra i 2 foglietti si individua la cavità pericardica contenente un film di
liquido.
Il foglietto viscerale, di fatto, si fa corrispondere allo strato più esterno
della parete cardiaca cui si definisce epicardio.
Tra foglietto viscerale o epicardio e foglietto parietale che risulta adeso al pericardio fibroso,
abbiamo il film di liquido pericardico.
Pericardio fibroso e foglietto parietale del pericardio sieroso, insieme sono considerati il vero
contenitore esterno del cuore, mentre il foglietto viscerale si fa corrispondere allo strato esterno
della parete del cuore, l’epicardio.
Il sacco, quindi il contenitore e la superficie esterna del cuore sono separati dal liquido pericardico,
un film di liquido che impedisce l’attrito della superficie cardiaca tra cuore e contenitore fibroso
durante l’attività cardiaca, che consiste in una sequenza di contrazioni e rilassamenti.
Il cuore anteriormente viene in rapporto con lo sterno e le cartilagini costali, a destra e a sinistra
con le logge polmonari, inferiormente con il diaframma e posteriormente con l’esofago e l’aorta.
In funzione della sua forma e dei rapporti che contrae, a livello del cuore si distinguono:
Conformazione interna
Il cuore possiede 2 atri e 2 ventricoli.
Gli atri sono cavità di forma cuboide, situati postero-superiormente e vanno a costituire la base del
cuore.
I 2 ventricoli sono di forma conoide situati antero-inferiormente.
Gli atri e i ventricoli dello stesso lato comunicano tra loro tramite orifizi o aperture atrio-ventricolari,
muniti di valvole, le valvole atrio-ventricolari.
Dai ventricoli originano, in corrispondenza di aperture o orifizi ventricolari o arteriosi, i tronchi
arteriosi.
Dall’orifizio ventricolare di destra origina il tronco polmonare, mentre
dall’orifizio ventricolare di sinistra origina l’aorta.
Anche gli orifizi ventricolari sono muniti di valvole, le valvole
semilunari.
La metà destra del cuore contiene sangue venoso ed è
completamente separata dalla metà sinistra contenete sangue
arterioso, tramite un setto separatore detto setto del cuore che per
la maggior parte della sua estensione è di natura muscolare.
L’atrio destro riceve il sangue venoso tramite le vene cave che riportano il
sangue deossigenato costituito a livello dei vari distretti corporei verso il cuore,
tramite l’orifizio atrio-ventricolare destro munito della valvola tricuspide,
passa nel ventricolo destro del cuore e tramite l’orifizio ventricolare destro,
munito di valvola polmonare, passa nel tronco polmonare.
Il sangue poi dal tronco polmonare, arriva ai polmoni.
L’atrio sinistro riceve il sangue arterioso tramite le vene polmonari che,
tramite l’orifizio atrio-ventricolare sinistro, munito di valvola bicuspide,
passa al ventricolo sinistro del cuore e poi il sangue, tramite l’orifizio
ventricolare di sinistra, munito di valvola aortica, passa nell’aorta.
Il setto cardiaco separa la metà destra dalla metà sinistra del cuore e
presenta una porzione detta setto interatriale e una porzione inferiore
detta setto interventricolare, porzioni che separano rispettivamente i
2 atri e i 2 ventricoli.
Sono di natura prevalentemente muscolare, a parte la porzione
superiore del setto interventricolare che è di natura connettivale e
prende il nome di porzione membranacea del cuore.
I muscoli papillari sono piccole formazioni che si sollevano dalla faccia interna dei ventricoli che
poi, tramite delle cosiddette corde tendinee si collegano alle valvole atrio-ventricolari,
precisamente si collegano alle cuspidi delle valvole atrio-ventricolari.
Le valvole cardiache devono garantire l’unidirezionalità del flusso sanguigno, attraverso il cuore,
durante il ciclo cardiaco.
Il sangue deve fluire dagli atri ai ventricoli e quindi dai ventricoli ai tronchi arteriosi.
Le valvole atrio-ventricolari regolano l’apertura e chiusura degli orifizi atrio-ventricolari e
permettono solo il flusso di sangue da atri a ventricoli, mentre le valvole semilunari regolano
l’apertura e chiusura degli orifizi arteriosi o ventricolari e permettono solo il flusso di sangue da
ventricoli a tronchi arteriosi.
Le valvole cardiache si aprono per far defluire il sangue, si chiudono per impedirne il ritorno.
La loro apertura o chiusura dipende dalle variazioni di pressione che si verificano a livello delle
cavità cardiache (atri e ventricoli) quando si contraggono (sistole) o si rilassano (diastole) durante il
ciclo cardiaco che prevede la contrazione dapprima degli atri e poi dei ventricoli.
Il ciclo cardiaco è il periodo compreso tra un battito cardiaco e l’altro (0.8-0.9 secondi) durante il
quale si alternano sistoli e diastoli delle cavità cardiache che consentono la propulsione del
sangue dagli atri ai ventricoli e dai ventricoli ai tronchi arteriosi.
In una prima fase tutte le cavità cardiache sono rilassate, poi gli atri si riempiono di sangue, il quale
passa nei ventricoli dove le valvole atrio-ventricolari sono aperte, mentre le semilunari sono chiuse.
Inizia poi la seconda fase dove si contraggono gli atri, in modo da
spremere il sangue all’interno dei ventricoli.
Segue la terza fase caratterizzata dalla contrazione dei ventricoli, a
partire dall’apice, per cui la pressione del sangue ventricolare che
spinge da sotto, chiude le valvole atrio-ventricolari, in modo che il
sangue non torni negli atri, ma la pressione del sangue apre le valvole semilunari e il sangue passa
nei tronchi arteriosi.
Nell’ultima fase il cuore ritorna allo stato di rilassamento iniziale e si riempie nuovamente.
Le valvole semilunari sono aperte in sistole ventricolare, mentre si chiudono in diastole ventricolare.
• Miocardio comune: è il più rappresentato e forma più del 90% del tessuto muscolare
cardiaco
• Miocardio specifico: poco rappresentato, ma importantissimo ed è costituito da cellule
muscolari cardiache molto specializzate e responsabili della generazione e della
propagazione dello stimolo contrattile cardiaco, perciò costituiscono una serie di piccole
formazioni che nell’insieme formano il cosiddetto sistema di conduzione del cuore
È un tessuto in grado di contrarsi in modo involontario, la sua attività non dipende dalla nostra
volontà.
Il cuore, dal punto di vista dello stimolo contrattile e della propagazione dello stimolo da atri a
ventricoli, è un organo autonomo e questo grazie alle cellule del miocardio specifico.
Miocardio comune
Il miocardio comune è costituito da fibre muscolari striate dette cardiociti o cardiomiociti, dove la
striatura dipende dalla regolare disposizione dei filamenti contrattili di actina e miosina.
Diversamente dalle cellule muscolari scheletriche che risultano tra loro isolate perché avvolte da
uno staterello di connettivo, quindi per contrarsi necessitano di uno stimolo contrattile
indipendente, mentre i cardiociti sono collegati da giunzioni comunicanti o gap junction tali per
cui basta stimolare una cellula a contrarsi, che lo stimolo contrattile diffonde velocemente
coinvolgendo tutte le cellule muscolari cardiache.
Perciò il cuore, dal punto di vista funzionale, si comporta come un sincizio, infatti vale la regola del
tutto o nulla.
Sia a livello degli atri, sia a livello dei ventricoli, siamo di fronte a 2 sistemi distinti di fibre, tra loro
indipendenti, che originano e terminano a livello dello scheletro fibroso del cuore.
Lo scheletro fibroso del cuore è costituito da una serie di formazioni di natura connettivale che
funziona da punto di attacco per le fibre muscolari degli atri e dei ventricoli, ma soprattutto funge
da isolante elettrico.
Lo stimolo contrattile può poi essere trasferito dagli atri ai ventricoli.
Sono presenti 4 sistemi di fibre a differente decorso dove si vede che le fibre
originano e terminano tutte a livello di parti connettivali del cuore che
costituiscono il cosiddetto scheletro fibroso del cuore.
A livello degli atri sono presenti 2 sistemi di fibre.
Miocardio specifico
Il miocardio specifico è costituito da fibre muscolari capaci di autoeccitarsi, cellule che senza il
bisogno di stimoli nervosi o ormonali si depolarizzano spontaneamente generando impulsi elettrici,
ossia stimoli contrattili in grado di trasmettere l’eccitazione molto velocemente.
Sono cellule organizzate a formare un insieme di formazioni che costituiscono il sistema di
conduzione del cuore.
Esse sono responsabili della generazione e propagazione dello stimolo contrattile cardiaco.
Queste formazioni sono deputate nel generare lo stimolo contrattile e nel gestirne il ritmo oltre a
permettere la propagazione sequenziale dello stimolo.
Il sistema linfatico comprende: vasi e dotti linfatici, linfonodi, tessuti linfoidi e veri
e propri organi linfoidi.
Dai capillari sanguigni, il liquido interstiziale, dai capillari sanguigni fuoriesce e
passa ai tessuti dove viene drenato dai capillari linfatici.
La parete dei vasi sanguigni è costituita da 3 stati identificabili, dall’interno verso l’esterno:
1. Tonaca intima: rivestita da uno strato di cellule appiattite e specializzate definite cellule
endoteliali, perciò costituiscono l’endotelio che poggia su una lamina basale al di sotto
della quale vi è uno stato sottoendoteliale di sostegno
2. Tonaca media: strato intermedio della parete di un vaso composto principalmente da
tessuto muscolare liscio rinforzato da strati di connettivo elastico a formare delle lamine
elastiche.
Questa tonaca è più o meno evidente a seconda che
si tratti di arterie oppure vene.
3. Tonaca avventizia: strato più esterno composto
preferenzialmente da fibre collagene, nonostante sia
presente anche un po’ di muscolatura liscia.
Nelle arterie la tonaca avventizia è separata dalla tonaca media tramite fibre elastiche che
formano una lamina elastica distinta più esternamente.
Inoltre in essa decorrono piccoli vasi ematici definiti vasa vasorum che emettono
ramificazioni deputate al nutrimento della parete del vaso stesso e nervi del SNA che
innervano la muscolatura liscia della parete.
Il lume della vena è molto più ampio rispetto a quello dell’arteria, mentre la parete è molto più
sviluppata nel caso dell’arteria rispetto a quello della vena.
In sezione, le vene tendono a collassare, quindi
necessitano di un maggior sostegno rispetto alle arterie che
mantengono la loro struttura.
Questo è dato dal maggior sviluppo della parete delle
arterie rispetto a quella delle vene.
Lo strato più spesso nelle arterie è la tonaca media, quella muscolare, mentre nelle vene è
tipicamente la tonaca avventizia.
Le arterie contengono più tessuto connettivo ed elastico rispetto alle vene.
I vasa vasorum sono una rete di piccoli vasi sanguigni che riforniscono di
nutrienti e O2 le pareti dei grandi vasi sanguigni.
Più la parete del vaso è spessa, più richiederà nutrimento e innervazione
diretta alla componente della muscolatura liscia presente nella parete
stessa.
Arterie
Le arterie sono dette anche vasi di resistenza perché possiedono una struttura tissutale resistente
alla pressione alta che vi circola all’interno.
Sono tipicamente vasi che decorrono in profondità e hanno un decorso rettilineo.
Sono classificate in:
Il diametro delle arterie diminuisce sempre di più via via che si passa da un’arteria all’altra
andando dal cuore ai vasi periferici.
Letto capillare
Il letto capillare è un gruppo variabile di capillari che non funzionano come entità indipendenti, ma
come una struttura cooperante e all’uniscono.
È costituito da vasi di calibro minore (calibro 5-10 μm) che connettono arteriole e venule.
La composizione della loro parete è così sottile e peculiare da permettere il passaggio di sostanze
e di nutrimento disciolti nel sangue ai tessuti interstiziali e dei cataboliti dai tessuti interstiziali al
sangue per essere eliminati.
Esistono varie tipologie di capillari con differente struttura della parete
in funzione dalla distribuzione anatomica in cui si trovano.
In un letto capillare tipo i capillari sono costituiti da endotelio e
membrana basale, condizione ideale per gli scambi con i tessuti
interstiziali.
Il letto capillare è servito da una metarteriola (diramazione di una
arteriola) che presenta sfinteri pre-capillari di muscolatura liscia che
regolano l’afflusso di sangue nei capillari (veri).
Quando lo sfintere è rilassato il sangue fluisce nei capillari veri,
mentre quando lo sfintere è contratto il sangue bypassa il letto
capillare e va direttamente nelle venule post-capillari attraverso il canale preferenziale.
Questo sistema di apertura e chiusura del letto capillare permette la termoregolazione mediata da
una modificazione del flusso ematico che cambia in risposta alle modificazioni locali della
domanda di O2 o di altri fattori da parte dei tessuti.
Quando gli sfinteri pre-capillari sono aperti il sangue fluisce all’interno dei capillari dove
avvengono tutti gli scambi con i tessuti circostanti.
Quando gli sfinteri sono chiusi, il lume dei capillari veri e propri si chiude e il sangue può solo
passare attraverso il canale preferenziale, bypassando il letto capillare.
Questo percorso è il più semplice, ma non è l’unico perché nel nostro organismo sono presenti
numerose varianti di percorsi circolatori che si generano per la presenza di anastomosi e sistemi
portali.
L’anastomosi è la capacità di 2 o più vasi di unirsi tra loro perciò di fondersi generando percorsi
circolatori più complessi.
Tra le varianti dei percorsi circolatori possiamo trovare:
❖ Anastomosi venose: in cui 2 o più vene drenano la stessa regione (es. vene che drenano
l’arto superiore)
❖ Anastomosi arteriose: in cui 2 o più arterie che riforniscono la stessa regione si fondono
fornendo vie alternative o collaterali che assicurano l’apporto di sangue, nutrimento e O2
ad un tessuto (es. arteria epigastrica superiore e inferiore che irrorano la parete
addominale).
Laddove non è presente un sistema di anastomosi arteriose si
parla di arterie terminali, le quali indicano arterie che
apportano sangue ad organi e tessuti senza la presenza di
percorsi alternativi generati dalle anastomosi (es. milza).
Se un’arteria terminale si ostruisce, la mancanza di percorsi
alternativi determina la completa assenza di flusso ematico
all’organo o al tessuto che si trova a valle, quindi la possibilità
che questo tessuto o organo possa andare incontro ad
ischemia.
Si parla di arterie terminali funzionali nei casi in cui le
anastomosi sono presenti, ma sostanzialmente talmente
esigue che le arterie si comportano come se fossero arterie
terminali (es. a livello delle coronarie).
❖ Shunt arterovenosa: anastomosi che mettono in contatto un’arteria con una vena
bypassando il letto capillare (es. dita mani e piedi per termoregolazione)
❖ Sistema portale: il sangue scorre attraverso 2 letti capillari separati da una vena del sistema
portale (es. a livello epatico e a livello ipotalamo-ipofisario)
Capillari
Nei capillari avvengono gli scambi con i tessuti interstiziali grazie
alla struttura della parete dei capillari, costituiti da un singolo strato
di cellule endoteliali che poggiano sulla lamina basale.
Il sangue fluisce molto lentamente permettono gli scambi
attraverso la parete dei capillari stessi grazie al ridotto diametro dei
capillari.
La struttura dei capillari è differente, infatti troviamo:
Vene
Le vene sono definite veri e propri vasi di capacità, serbatoi di
sangue, che si dilatano per ospitare un maggior volume di
sangue.
Il 55% circa del sangue presente nella circolazione sistemica
(18% polmonare, 12% cuore, 70% sistemica) è presente nelle
vene sistemiche.
Le vene possiedono una pressione inferiore a quella delle arterie (20 mmHg), la parete delle vene è
sottile in rapporto al diametro che conferisce un’elevata capacità di estensione e tendenzialmente
sono in numero superiore rispetto alle arterie.
Le vene vengono spesso illustrate per semplicità come vasi singoli, ma tendono ad essere doppie
o multiple.
La maggior parte delle vene del tronco sono vasi singoli con lume ampio, mentre le vene degli arti
si presentano sotto forma di 2 o più vasi di dimensioni più piccole (vene satelliti o venae
comitantes), che accompagnano un’arteria all’interno di una guaina
vascolare comune.
Questa disposizione funziona come scambiatore di calore controcorrente in
cui il sangue arterioso, più caldo, riscalda il sangue venoso, più freddo,
durante il ritorno al cuore dalle estremità caratterizzate da una temperatura
più bassa.
La presenza di una guaina vascolare relativamente poco deformabile che non si espande
all’espandersi dell’arteria che risente della contrazione cardiaca, dà origine ad una sorta di
pompa arterovenosa che facilita il flusso venoso verso il cuore.
Venule
Le venule sono i vasi satelliti delle arteriole, quindi sono le vene più piccole (post-capillari) che
drenano i capillari e confluiscono a formare vene di calibro sempre maggiore.
Man mano che confluiscono in venule di calibro maggiore compaiono
fibre collagene e diminuiscono i periciti che vengono sostituiti da
cellule muscolari lisce.
Aumentando di diametro si originano le venule muscolari in cui si inizia
ad identificare una tonaca avventizia.
Le venule si uniscono a formare plessi venosi e non hanno specifiche
denominazioni.
Inoltre le piccole vene sono la continuazione delle venule muscolari con struttura simile, ma
diametro più grande (1 mm) con uno strato muscolare e fibroso meglio definito.
Grandi vene
Le grandi vene, come le vene cave, possiedono un grande diametro e hanno
una tonaca intima simile a quella delle vene di medio calibro, ma con più
fibre elastiche e collagene.
Le grandi vene sono caratterizzate da spessi fasci longitudinali di muscolatura
liscia e una tonaca avventizia ben sviluppata.
La circolazione venosa viene mantenuta da:
Aorta ascendente
L’arteria ascendente risulta in parte avvolta dal pericardio fibroso e forma
le arterie coronarie che irrorano il cuore ed essendo i primi rami dell’aorta
contengono il sangue più ossigenato.
Le arterie coronarie sono 2: coronaria di destra e coronaria di sinistra.
Queste arterie formano diversi rami che decorrono in corrispondenza dei
solchi superficiali del cuore.
Le vene del cuore che raccolgono il sangue venoso di ritorno dal cuore,
decorrono circa parallele ai rami arteriosi e poi convogliano nel seno
coronario che si apre direttamente nell’atrio destro del cuore insieme alle
vene cave.
Le arterie coronarie originano precisamente in corrispondenza
della valvola aortica, perciò proprio dalle tasche o seni
coronarici o meglio dai seni aortici di destra e di sinistra.
Questo significa che le arterie coronarie che portano il sangue
ossigenato al cuore si riempiono, non durante la sistole
ventricolare, bensì durante la diastole ventricolare, quando il
sangue dall’aorta tende a tornare indietro verso il ventricolo.
Per infarto cardiaco s’intende la necrosi ossia la morte del tessuto muscolare
cardiaco a causa dell’occlusione delle arterie coronarie.
In questi casi si interviene tramite l’innesto di bypass cardiaci utilizzando altre
arterie o vene del corpo, come le vene safene per creare dei ponti, cioè per
bypassare l’occlusione e garantire comunque agli stretti cardiaci a valle
dell’occlusione l’afflusso di sangue.
Arco dell’aorta
I rami che costituiscono l’arco dell’aorta, da destra verso sinistra sono 3:
Le arterie succlavie irrorano gli arti superiori di destra e di sinistra, ma non solo
perché prima di raggiungere l’arto superiore, quindi la regione ascellare,
formano diversi rami, tra cui l’arteria vertebrale che risale per raggiugere
l’interno del neurocranio e contribuire ad irrorare l’encefalo.
Aorta discendente
L’aorta discendente possiede un tratto toracico e un tratto addominale separati
dal diaframma.
Entrambi i tratti formano rami parietali, perciò destinati alle pareti del tronco, e
rami viscerali, ossia destinati agli organi interni.
Il tratto toracico forma rami viscerali per gli organi della cavità toracica e rami
parietali per la parete toracica, mentre il tratto addominale forma rami viscerali
per i visceri della cavità addominale e rami parietali per la parete addominale.
Aorta toracica
L’aorta toracica viene in rapporto con il tratto toracico della colonna
vertebrale, a destra in rapporto con l’esofago, un tratto dell’apparato
digerente che attraversa tutto il torace prima di passare attraverso il
diaframma e raggiungere lo stomaco, inoltre viene in rapporto con il bronco
di sinistra.
I bronchi sono tratti delle vie respiratorie che si stanno portando ai polmoni.
I principali rami viscerali dell’aorta ascendente toracica sono rappresentati dalle arterie bronchiali
e dalle arterie esofagee, mentre i principali rami parietali sono le arterie intercostali posteriori che si
portano a livello degli spazi intercostali e irrorano le formazioni degli spazi intercostali, in
particolare i muscoli intercostali.
Aorta addominale
Il tratto addominale dell’aorta discendente decorre in regione addominale, al di sotto del
diaframma.
I suoi principali rami viscerali sono distinti in rami impari che sono singoli e rami pari che si
sviluppano a coppie.
I rami pari sono rappresentati dalle arterie renali, surrenali e gonadiche.
I rami impari, dall’alto al basso sono rappresentati da: tronco tripode celiaco, arterie mesenteriche
superiore e inferiore.
I principali rami parietali invece, sono rappresentati dalle arterie lombari che irrorano la parete
addominale posteriore.
Il tronco tripode celiaco è così denominato perché subito si
suddivide in 3 rami rappresentati da: arteria gastrica di sinistra,
arteria splenica anche detta lienale e arteria epatica comune.
Queste arterie, complessivamente, tramite i loro rami irrorano:
stomaco, pancreas e fegato che sono 2 grosse importanti
ghiandole annesse all’apparato digerente, duodeno e milza.
La milza è un organo linfoide dove avviene il differenziamento e il
mantenimento dei linfociti T, inoltre l’arteria che la raggiunge è
l’arteria lienale o splenica.
Apparato digerente
I tratti dell’apparato digerente sono costituiti dai tratti sopradiaframmatici rappresentati da: bocca,
faringe ed esofago.
Gli organi sottodiaframmatici dell’apparato digerente sono
rappresentati da: stomaco, intestino tenue o piccolo intestino
(duodeno, digiuno e ileo), intestino crasso (cieco, colon
(ascendente, trasverso, discendente e sigmoideo) e retto).
Annesse all’apparato digerente ci sono ghiandole importantissime
rappresentate da: fegato, pancreas e ghiandole salivari.
Questi organi lavorano insieme per permetterci la digestione, ossia
la trasformazione meccanica e chimica delle grosse molecole
contenute negli alimenti ingeriti, in piccole molecole che come tali possono essere assorbite a
livello del sangue e da lì trasportate a tutte le cellule del corpo quali fonti di energia.
L’assorbimento delle molecole nutritizie avviene in particolare a livello dei capillari dei villi
intestinali.
I rami pari sono rappresentati dalle arterie reali per i reni, dalle arterie surrenali
per le ghiandole surrenali e dalle arterie gonadiche per i testicoli o per le ovaie.
Il sistema circolatorio linfatico è costituito da una rete di vasi linfatici che trasportano la linfa, cui
sono associati degli organi linfoidi che si classificano in:
Organi linfoidi primari: midollo osseo e timo nell’adulto, fegato e milza nella vita fetale
Organi linfoidi secondari: milza, linfonodi, tessuto linfoide associato alle mucose (MALT,
tonsille, placche di Peyer, appendice cecale, raggruppamenti linfocitari nelle mucose)
Il sistema linfatico drena il liquido extracellulare in eccesso dai tessuti, riportandolo nel circolo
venoso ematico dopo il passaggio attraverso i linfonodi.
Trasporta nel sangue sostanze (lipidi) assorbite a livello dell’apparato digerente.
Contribuisce a produzione, mantenimento e distribuzione dei linfociti, ossia cellule implicate nei
meccanismi di difesa.
Permette il mantenimento della volemia (volume sanguigno) e rappresenta una via di trasporto
alternativa di ormoni, sostanze nutritizie e sostanze di scarto.
• Plessi linfatici: rete di capillari linfatici che originano a fondo cieco negli spazi intercellulari
di gran parte dei tessuti.
Sono costituiti da endotelio privo di lamina basale, quindi provvedono oltre al
riassorbimento del liquido tissutale in eccesso anche di batteri, detriti cellulari, proteine
plasmatiche e cellule (linfociti).
• Vasi linfatici: rete di vasi a parete sottile distribuiti in tutto l’organismo e dotati di valvole.
Capillari e vasi linfatici si trovano ovunque vi siano capillari sanguigni con alcune eccezioni
(es. SNC dove l’eccesso di fluido è drenato dal liquido cerebrospinale).
I vasi linfatici sono simili alle vene di piccolo calibro costituiti da 3 tonache (intima, media
esterna) e presentano dispositivi valvolari nel lume.
È un sistema a bassa pressione!
• Linfa: liquido tissutale (tessuto connettivo fluido) che entra nei capillari linfatici ed è
trasportato dai vasi linfatici.
La linfa generalmente è limpida, acquosa, di colore giallo chiaro ed ha una composizione
simile a quella del plasma.
Rispetto al plasma è caratterizzato da una minor concentrazione di proteine e le cellule più
rappresentate sono linfociti e macrofagi.
Il plasma che scorre nei capillari sanguigni filtra negli spazi interstiziali affinché si verifichi lo
scambio di nutrienti, gas e prodotti di rifiuto.
Una parte del plasma che fuoriesce dai capillari sanguigni
ristagna nei tessuti e deve essere riassorbita (20%).
Il riassorbimento del liquido interstiziale eccedente viene
svolto dal sistema linfatico (capillari linfatici > vasi linfatici di
calibro maggiore > riportano il liquido al circolo venoso).
La linfa ha quindi una composizione simile al plasma, anche se presenta una minor percentuale di
proteine e molti linfociti.
LINFONODI
I linfonodi sono piccoli organi linfoidi situati lungo il decorso di vasi
linfatici con un diametro compreso tra 1 mm e 20 mm.
Sono isolati o in stazioni linfonodali attraverso cui passa la linfa
diretta al sistema venoso.
Agiscono come dei filtri rimuovendo circa il 99% degli antigeni,
purificando la linfa prima che questa raggiunga la circolazione
venosa.
Variazioni nelle dimensioni e nell’aspetto possono essere
correlate allo stato di attività.
Inoltre rappresentano una potenziale sede di metastasi tumorali.
APPARATO RESPIRATORIO
Tutte le cellule del nostro organismo, per poter sopravvivere e compiere le loro azioni hanno
bisogno di energia e l’unica forma di energia da esse utilizzabile è l’ATP che ottengono soprattutto
tramite la respirazione cellulare, un processo aerobico, ossia che richiede O2 e permette di
trasformare l’energia contenuta negli alimenti che ingeriamo in ATP, ma questo processo oltre a
produrre ATP produce CO2 che è un prodotto di rifiuto, pertanto il nostro organismo deve possedere
un sistema o apparato finalizzato a prendere l’O2 dall’aria atmosferica, necessaria per compiere la
respirazione cellulare e contemporaneamente eliminare dal corpo la CO2, prodotto di rifiuto che si
costituisce dalla respirazione cellulare.
Questo sistema è rappresentato dall’apparato respiratorio.
L’apparato respiratorio è costituito dalla porzione di conduzione o vie respiratorie e dalla porzione
respiratoria sostenuta dagli alveoli polmonari.
La porzione di conduzione corrisponde ad una serie di organi cavi finalizzati a trasportare l’aria
atmosferica ricca di O2 verso gli alveoli polmonari durante la fase inspiratorio, viceversa finalizzati a
trasportare l’aria arricchita di CO2 dagli alveoli polmonari verso l’esterno durante la fase
espiratoria.
La porzione di conduzione comprende: cavità nasali, parti della faringe,
laringe, trachea e bronchi che entrano nei polmoni e si ramificano
formando una successione di ramificazioni fino ad arrivare ai cosiddetti
bronchioli terminali.
Le restanti parti dell’apparato respiratorio hanno solo la funzione di trasportare l’aria atmosferica
verso gli alveoli o dagli alveoli di riportarla all’esterno.
L’aria prima di raggiugere gli alveoli polmonari deve passare attraverso diversi organi perché
questa deve essere filtrata, purificata, quindi umidificata e riscaldata.
Inoltre l’apparato respiratorio è la sede dell’organo dell’olfatto che si sviluppa a livello del naso,
sede dei recettori olfattivi poiché costituito da mucosa olfattiva e sede dell’organo della fonazione,
ossia deputato a produrre i suoni e corrisponde alle corde vocali, perciò si sviluppa a livello della
laringe.
VIE RESPIRATORIE
Le vie respiratorie sono finalizzate a trasportare l’aria verso gli alveoli polmonari, aria che deve
arrivare filtrata, depurata, umidificata e riscaldata.
Questo ruolo è svolto dalla tonaca mucosa detta mucosa respiratoria, che caratterizza lo strato più
interno della parete degli organi cavi di pertinenza della porzione di conduzione.
Inoltre le vie respiratorie e gli organi ad esse connesse devono sempre essere mantenuti pervi, cioè
aperti, per cui sono tutti sostenuti e mantenuti aperti grazie a formazioni scheletriche di natura
ossea o cartilaginea.
Naso/cavità nasali
Le cavità nasali rappresentano il 1° tratto delle vie respiratorie, sono 2 cavità
separate dal setto nasale mediano e sono sostenute da formazioni
scheletriche di natura in parte ossea e in parte cartilaginea.
Le cavità nasali comunicano anteriormente direttamente con l’esterno
tramite le narici e posteriormente con la faringe e precisamente con la
parte superiore della faringe definita rinofaringe, tramite aperture dette
coane.
Le cavità nasali presentano una porzione più anteriore definita vestibolo del naso che viene
proprio delimitata dal naso esterno, segue poi una porzione che si sviluppa più in profondità detta
cavità nasale propriamente detta sostenuta da formazioni scheletriche che
costituiscono lo splancnocranio.
La parte anteriore delle cavità nasali, tramite il vestibolo del naso, comunica
direttamente con l’esterno attraverso le narici, mentre le cavità nasali
propriamente dette comunicano posteriormente con la rinofaringe, tramite le
coane.
Inoltre si nota una parte superiore che corrisponde alla regione olfattiva.
Le cavità nasali propriamente dette si sviluppano superiormente alla cavità buccale e risultano
separate da quest’ultima tramite il palato.
Il vestibolo del naso è delimitato dal naso esterno ed è
internamente non rivestito da mucosa respiratoria, ma da cute,
a livello della quale si notano lunghi peli chiamati vibrisse,
particolarmente sviluppati nei maschi e che costituiscono il
primo filtro per l’aria inspirata.
Le pareti laterali invece sono rivestite da mucosa respiratoria.
Inoltre le pareti laterali risultano rilevate, non sono lisce, si
notano dei rilievi che proiettano verso il lume e sono sostenuti da formazioni ossee definite conche
o pieghe nasali distinte in: superiore media e inferiore che sono poi rivestite di mucosa respiratoria.
Hanno la funzione di aumentare l’estensione della mucosa respiratoria.
Le cavità nasali comunicano con i seni paranasali che sono piccole cavità ripiene di aria, rivestite
di mucosa respiratoria, scavate nelle ossa (ossa pneumatiche) che circondano le cavità nasali e
con le quali comunicano tramite fori appositi e nelle quali riversano il
proprio secreto.
Ogni seno prende il nome dell’osso in cui si ritrova per cui troviamo:
seni frontali scavati a livello delle ossa frontali, seni etmoidali a livello
dell’etmoide, seni mascellari a livello della mascella e seno
sfenoidale a livello dell’osso sfenoide.
Può accadere che un’infiammazione della mucosa respiratoria detta
rinite, grazie alla comunicazione con i seni paranasali, può coinvolgere
anche la mucosa dei seni paranasali, definita sinusite.
Queste patologie sono associate a grande produzione di muco e forte
dolore, infatti le persone che soffrono di sinusite, spesso si sentono chiuse
e hanno dolore per compressione dei recettori dolorifici proprio a livello
dei seni paranasali.
Faringe
Le cavità nasali, tramite le coane, si aprono posteriormente nella faringe che risulta essere un tratto
comune sia alle vie respiratorie sia alle vie digestive.
La faringe è un organo cavo, una sorta di imbuto che si sviluppa in parte a livello della testa e in
parte a livello del collo, terminando all’altezza della 6° vertebra cervicale, dove poi prosegue con
l’esofago.
È anatomicamente suddivisa in 3 parti che dall’alto al basso sono chiamate:
La faringe collega le cavità nasali con la laringe e la cavità buccale con l’esofago.
L’aria passa dalle cavità nasali, in rinofaringe, in orofaringe e poi in laringe e da lì alle vie
respiratorie, ma l’aria può entrare anche dalla cavità buccale e in questo caso attraversa
orofaringe, laringe e poi vie respiratorie.
Il cibo e i liquidi invece, passano dalla cavità buccale all’orofaringe e poi in laringofaringe per
raggiungere l’esofago.
È chiaro che un po’ di aria durante la deglutizione passi attraverso la via
dell’orofaringe e poi della laringofaringe, ma l’importante è che il cibo e i
liquidi, dopo aver attraversato l’orofaringe non passino in laringe.
Rinofaringe
Attraverso la rinofaringe passa solo aria, quindi si tratta di una porzione puramente respiratoria
rivestita da mucosa respiratoria.
Contiene una tonsilla detta tonsilla faringea che quando si infiamma causa le cosiddette adenoidi.
Solitamente le tonsille sono organi linfoidi a funzione difensiva.
Inoltre comunica con l’orecchio medio tramite un canalino detto tuba uditiva o di Eustachio.
Orecchio
L’orecchio ha una struttura molto complessa costituita da un insieme di formazioni associate
all’organo dell’udito e dell’equilibrio che sono organi di senso speciale all’interno dei quali sono
presenti i recettori dell’udito e dell’equilibrio.
Dal punto di vista anatomico si distinguono:
✓ Orecchio esterno: formato dal padiglione auricolare e dal meato acustico o uditivo
esterno, si tratta di un canalino che arriva in profondità fino alla membrana timpanica o
timpano.
Queste sono parti visibili e palpabili dell’orecchio che si sviluppano lateralmente rispetto
alla faccia, mentre le restanti parti si trovano più in profondità e si sviluppano in rapporto
con l’osso temporale, un osso del cranio.
✓ Orecchio medio: piccola cavità ripiena di aria
separata dall’orecchio esterno dal timpano ed è
una cavità che contiene 3 ossicini chiamati: staffa,
incudine e martello, con la funzione di ampliare le
onde sonore.
È una cavità che comunica, tramite la tuba uditiva
o tuba di Eustachio, anche con la rinofaringe.
✓ Orecchio interno: sede dell’organo dell’udito e
dell’equilibrio.
La membrana timpanica separa l’orecchio esterno dall’orecchio medio, è una cavità
ripiena di aria che arriva tramite la tuba uditiva, perciò dall’interno tramite la rinofaringe.
È fondamentale che la pressione dell’aria che grava sul timpano, proveniente dall’esterno e
dall’interno sia la stessa e questo avviene normalmente in condizioni fisiologiche.
Solo in queste condizioni il timpano non si lesiona e vibra bene.
La tuba uditiva però può essere un veicolo di patogeni che possiamo aver inalato con l’aria
atmosferica e quindi che arrivano da naso e gola verso l’orecchio medio, perciò può essere causa
di otiti medie, ossia infiammazioni dell’orecchio medio.
Una rinite o una faringite, possono trasformarsi in un’otite media.
Le otiti medie sono più comuni nei bambini perché questi hanno le tube uditive più corte e dirette
orizzontalmente quindi eventuali patogeni fanno prima a risalire nell’orecchio medio.
Orofaringe e laringofaringe
Orofaringe e laringofaringe sono funzionalmente associate all’apparato digerente.
Il cibo passa dalla cavità buccale in orofaringe, poi in laringofaringe per raggiugere l’esofago e
passare attraverso le vie digestive.
Poiché questi 2 tratti faringei sono attraversati dal cibo, presentano una differente mucosa rispetto
alla mucosa respiratoria, ossia presentano una mucosa con un epitelio
pavimentoso pluristratificato perché è un epitelio ad azione protettiva,
cioè resiste alla potenziale usura operata dal bolo.
Inoltre sono presenti le tonsille palatine e linguali che si localizzano
precisamente a livello dell’orofaringe.
Le tonsille palatine sono situate in profondità lateralmente, mentre la
tonsilla linguale si sviluppa in corrispondenza della radice della lingua
dorsalmente.
Laringe
L’aria dopo aver attraversato la faringe, imbocca la laringe, un tratto di pertinenza soltanto delle
vie respiratorie.
La laringe è un organo cavo che si sviluppa a livello del collo, precisamente si estende tra la 3° e la
6° vertebra cervicale, si sviluppa davanti alla laringofaringe, ossia al tratto inferiore della faringe.
La laringe collega la faringe con la trachea.
Presenta un diametro di circa 4 cm.
Ha una forma cilindrica sostenuta da formazioni cartilaginee articolate tra loro e unite da
legamenti e membrane connettivali.
Dalla laringe in poi, tutti i successivi tratti delle vie respiratorie, sono sostenuti da cartilagini.
Possiede comunque un’impalcatura scheletrica perché le vie respiratorie vanno sempre
mantenute pervie, non possono collassare, l’aria deve sempre passare.
È perciò costituita da muscoli striati distinti in:
➢ Muscoli intrinseci: originano e terminano sulle cartilagini della laringe e sono coinvolti nel
meccanismo della fonazione
➢ Muscoli estrinseci: si portano dalle cartilagini della laringe alle formazioni vicine, in
particolare a faringe e osso ioide e sono muscoli che ci permettono di sollevarla e
muoverla durante la deglutizione, in modo tale che il bolo non la raggiunga, ma proceda
attraverso le vie digestive
Le cartilagini laringee impari sono 3 e sono chiamate cartilagine tiroidea, cricoidea ed epiglottide.
La cartilagine tiroidea è la cartilagine superiore costituita da 2 lamine che si uniscono
medialmente in modo da formare un angolo acuto anteriormente che corrisponde ad una
prominenza anteriore del collo detta pomo d’Adamo, il quale risulta più
sporgente nei maschi.
Al di sotto della cartilagine tiroidea è presente la cartilagine cricoidea a
forma di anello completo che risulta più sottile anteriormente e più larga
posteriormente.
Infine troviamo la cartilagine epiglottide che ha la forma di una foglia
con il picciolo che si attacca interamente in corrispondenza dell’angolo
che si costituisce tra le 2 lamine della cartilagine tiroidea.
L’epiglottide sporge supero-posteriormente rispetto all’osso ioide.
Sono poi presenti una serie di cartilagini pari dette cartilagini aritenoidi,
corniculate e cuneiformi.
Le cartilagini aritenoidee si sviluppano superiormente rispetto alla parte
posteriore della cartilagine cricoidea.
Queste cartilagini sono collegate con l’osso ioide e tra loro da legamenti e membrane, inoltre
danno attacco a muscoli.
Si possono notare, a livello della cavità laringea, 2 paia di pieghe, quindi il lume non
risulta lineare, ma mostra un paio di sporgenze che si proiettano internamente.
Tutto ciò dipende dalla particolare disposizione delle cartilagini laringee e delle
membrane o legamenti che le collegano tra loro e sono complessivamente disposti
in modo tale da determinare lo sviluppo di 2 paia di pieghe che sporgono verso la
cavità laringea.
Queste pieghe sono poi rivestite di mucosa.
Il paio di pieghe superiori corrispondono alle cosiddette pieghe vestibolari o
corde vocali false, così definite perché non vibrano al passaggio dell’aria,
mentre il paio di pieghe inferiori sottostanti e che sporgono più
internamente, corrispondono alle pieghe vocali o corde vocali vere, così
chiamate perché vibrano al passaggio dell’aria e sono
loro l’organo della fonazione, responsabili della
produzione dei suoni della voce.
Inoltre lo spazio, quindi la fessura compresa tra le 2
pieghe vocali è detta rima della glottide e rappresenta il
punto più stretto delle vie respiratorie per il passaggio
dell’aria.
Tale apertura, grazie all’azione dei muscoli laringei
intrinseci può variare, si regola cioè la quantità di aria che
passa e la vibrazione delle corde vocali che producono
suoni.
Infatti le corde vocali si possono addurre o abdurre completamente.
La rima è chiusa durante la deglutizione (1, 2 secondi) per evitare che
piccoli corpi estranei che hanno superato l’adito laringeo possano
superare anche la rima della glottide per non permettere il loro
raggiungimento nei polmoni, infatti nel caso in cui accidentalmente
sostanze solide o liquide vengano a contatto con la superficie delle corde
vocali, si scatena una tosse riflessa a funzione protettiva.
Inoltre la rima è chiusa prima di parlare perché le corde vocali vibrano e quindi i suoni sono
prodotti in seguito all’espirazione, prima di tossire, quando si vuole aumentare la pressione
endoaddominale.
Le corde vocali vibrano durante l’espirazione, quindi la produzione dei suoni avviene in seguito
all’espirazione.
Il linguaggio, ossia l’articolazione della parola, è diverso dalla fonazione, esso infatti si forma grazie
all’attività di molti altri muscoli come i muscoli della lingua, della mandibola, delle labbra, delle
guance, dalla presenza o assenza di denti…
Trachea
La trachea si estende dalla cartilagine cricoide, quindi dalla cartilagine inferiore della laringe che si
colloca all’altezza della 6° vertebra cervicale, fino a livello della 4-5° vertebra toracica dove poi la
trachea termina suddividendosi nei 2 bronchi primari di destra e di sinistra che poi entrano verso i
rispettivi polmoni.
È un organo cavo sostenuto da una successione di anelli
cartilaginei, circa 18-20, che permettono di mantenerla pervia e
posteriormente, dove la trachea viene in rapporto con l’esofago,
risultano incompleti.
Questi anelli vengono di fatto completati da una parte
deformabile identificata con il termine di parete membranacea
della trachea, costituita da fibre elastiche e dal muscolo
tracheale, un muscolo liscio.
Questa parte deformabile permette all’esofago, con il quale viene in rapporto posteriormente,
durante il passaggio del cibo di potersi distendere, quindi parte della trachea si distende in funzione
dello stato di riempimento dell’esofago.
Inoltre grazie alla presenza di questo muscolo tracheale, la trachea può diminuire o aumentare il
suo diametro in base alle esigenze respiratorie e allo stato di ossigenazione del sangue.
In caso di ipossia tissutale, ossia bassa concentrazione di O2 nei tessuti, il muscolo si rilassa in modo
da poter aumentare il calibro della trachea e far passare un maggiore quantitativo di aria ai
polmoni, mentre in caso di concentrazione ottimale di O2 a livello tissutale, il
muscolo può anche costringersi e quindi ridurre il calibro della trachea e, di
conseguenza, ridurre la quantità di aria destinata ai polmoni.
L’ilo polmonare è un’apertura che si apre a livello della faccia mediale dei
polmoni attraverso la quale transitano le formazioni che si devono portare o che
provengono dai polmoni come i 2 bronchi extrapolmonari che corrispondono ai
rami terminali della trachea, le arterie polmonari e le vene polmonari.
I bronchioli terminali, una volta entrati all’interno degli acini, vanno a costituire delle ramificazioni
bronchiali le cui pareti cominciano ad estroflettersi nella costituzione degli alveoli polmonari.
Ogni bronchiolo terminale si suddivide poi in 2 bronchioli respiratori che si suddividono nei dotti
alveolari che poi terminano con i sacchi alveolari.
Si parla quindi di parenchima polmonare o porzione respiratoria perché solo in corrispondenza
degli alveoli polmonari avvengono gli scambi gassosi tra aria e sangue.
La porzione respiratoria, quindi quella funzionale dei polmoni è sostenuta dai bronchioli respiratori
le cui pareti si iniziano ad estroflettere in alveoli e che formano i dotti alveolari
che terminano con delle dilatazioni a fondo cieco dette sacchi alveolari la
cui parete è completamente estroflessa in alveoli che presentano una parete
sottilissima che viene in rapporto con i capillari polmonari e corrispondono
alle ultime ramificazioni dell’arteria polmonare e che contengono sangue
deossigenato in ritorno da tutte le cellule del corpo che viene a contatto con
l’aria ricca di O2 contenuta negli alveoli polmonari.
La CO2 del sangue dei capillari è ceduta all’aria degli alveoli, mentre l’O2
dell’aria alveolare passa nel sangue dei capillari.
A questo punto l’aria ricca di CO2 viene espulsa dai polmoni, mentre il sangue dei capillari
polmonari ricco di O2 confluiscono tra loro andando a costituire le vene polmonari ricche di
sangue ossigenato che ritorna all’atrio sinistro del cuore che poi passa al
ventricolo sinistro e confluisce nell’aorta lungo il circolo sistemico.
A livello dell’ilo polmonare entrano: bronco extrapolmonare, arteria polmonare e arterie bronchiali,
mentre escono: vene polmonari e vene bronchiali.
APPARATO URINARIO
L’apparato urinario svolge una funzione complessa definita emuntoria, ovvero è adibito ad
allontanare dal circolo sanguigno e a riversare all’esterno prodotti del metabolismo, in modo
particolare i composti azotati che derivano dalla degradazione delle sostanze proteiche come:
urea, acido urico e creatinina.
La funzione emuntoria non è esclusiva dell’apparato urinario, ma è svolta anche da altri sistemi e
apparati come: intestino, cute e polmoni.
L’apparato urinario rappresenta anche la via di eliminazione di H2O e ioni, pertanto è
indispensabile per la conservazione dell'omeostasi dei fluidi corporei.
È importante, in particolare, per il mantenimento dell’equilibrio idrosalinico per il controllo del pH
ematico.
Infine attraverso l’apparato urinario vengono allontanate diverse sostanze introdotte all’interno
dell’organismo come i farmaci.
Il prodotto finale della funzione emuntoria dei reni si concretizza nella produzione di urina che è una
soluzione acquosa contenete anioni e cationi in eccesso, molti prodotti finali dei normali processi
metabolici dell’organismo e sostanze che se trattenute all’interno dell’organismo e lasciate
accumulare, possono avere un effetto tossico.
I reni sono deputati anche alla produzione di ormoni perché il rene ha una funzione endocrina che
si inserisce in vie metaboliche estremamente importanti come il sistema della vitamina D e il
sistema renina-angiotensina.
Inoltre esso stesso è bersaglio di ormoni, infatti la sua funzione e attività è regolata da ormoni come
l’ADH e l’aldosterone.
L’alterazione di una di queste funzioni comporta conseguenze potenzialmente fatali.
RENI
I reni sono dei voluminosi organi pari parenchimatosi situati nella parete
postero-superiore dell’addome, in posizione retroperitoneale.
Sono localizzati da ciascun lato della colonna vertebrale, tra le vertebre T12
ed L3 e la posizione del rene di destra è influenzata dalla presenza del
fegato posto subito sopra, per questo motivo risulta più basso del rene
sinistro.
I reni sono anche in rapporto con il diaframma, superiormente, per
questo presentano una normale escursione di 3 cm in senso verticale,
durante la respirazione.
Il polo superiore di ciascun rene, è ricoperto dalla ghiandola surrenale.
Entrambi i reni sono localizzati tra i muscoli della parete posteriore
dell’addome e il peritoneo parietale, risultando quindi in posizione
retroperitoneale.
I reni presentano una forma a fagiolo appiattito, in senso antero-posteriore, e hanno l’asse
maggiore diretto in basso e postero-lateralmente.
In una persona adulta un rene pesa intorno ai 150-170 g.
Tipicamente un rene è di circa 10-12 cm, largo 6 cm e spesso circa 3 cm.
Ha un colorito rosso-brunastro, la consistenza piuttosto compatta, la
superficie è generalmente liscia e regolare, fanno eccezione alcuni
solchi soprattutto in prossimità dell’ilo.
In ciascun rene si può distinguere: una faccia anteriore convessa, una faccia posteriore più
pianeggiante, un polo superiore arrotondato e un polo inferiore un po’ più appuntito e tagliente.
Il margine laterale è uniformemente convesso, mentre quello mediale è convesso, ma si presenta
più incavato per la presenza dell’ilo, punto di passaggio di: vasi sanguigni, vasi linfatici, nervi e
pelvi renale.
L’ilo dà accesso ad una cavità scavata all’interno del rene che si definisce seno renale.
Capsula fibrosa
Il rene, in superficie, è rivestito dalla capsula fibrosa costituita da una sottile membrana
connettivale resistente, trasparente e dalla cui superficie interna si
dipartono dei tralci che per un breve tratto si addentrano nel
parenchima renale.
In condizioni normali, la capsula fibrosa si può facilmente
distaccare dall’organo.
A livello dell’ilo la capsula si estende a rivestire anche le pareti del seno renale, fondendosi con la
tonaca avventizia di calici e vasi sanguini senza però penetrare all’interno del parenchima.
Dal punto di vista istologico, la capsula è costituita da strati di tessuto connettivo ricco di fibre
collagene e fibre elastiche.
Tra capsula e parenchima renale si trova un esule strato di miocellule lisce lievemente intrecciate
che vanno a formare la tonaca muscolare.
Parenchima renale
Il parenchima renale presenta 2 aspetti morfologici che permettono di individuare 2 zone distinte:
una zona profonda definita zona midollare disposta attorno al seno renale e al suo contenuto e
una zona più superficiale detta zona corticale che avvolge la zona midollare.
Nefrone
Il nefrone è formato dalle seguenti strutture:
I nefroni corticali sono in numero maggiore, quindi svolgono la maggior parte della funzione renale,
tuttavia quelli iuxtamidollari sono estremamente importanti perché creano le condizioni necessarie
affinché si possano verificare i processi di assorbimento e secrezione
che portano alla formazione di un’urina deconcentrata.
Corpuscolo renale
Il corpuscolo renale è costituto da glomerulo arterioso e capsula glomerulare o di Bowmann.
Si identificano un polo vascolare e un polo urinifero.
L’arteriola afferente, quindi il sangue proveniente dalla
circolazione sistemica, penetra a livello del polo vascolare e si
risolve immediatamente in un gomitolo di capillari definito
glomerulo e dopo un decorso ad ansa, si riuniscono in
corrispondenza, sempre del polo vascolare, in un’arteriola
efferente che abbandona il corpuscolo renale.
Nei glomeruli possiamo quindi affermare che si costituisce una
rete mirabile arteriosa, ovvero una rete capillare interposta tra 2 arteriole.
Attraverso questa rete mirabile il sangue circola ad elevata pressione e
questa rappresenta la forza motrice del processo di ultrafiltrazione.
La capsula di Bowmann è formata da 2 foglietti parietale e viscerale, in
continuità.
A livello del polo vascolare, il foglietto parietale della capsula di Bowmann
si riflette e si continua nel foglietto viscerale che si applica a tutte le anse
dei capillari del glomerulo.
In corrispondenza del polo urinifero, situato all’estremità opposta di quello vascolare, si origina il
tubulo renale.
A questo livello, il foglietto parietale della capsula glomerulare continua con la parete del tubulo
renale e di conseguenza, la camera glomerulare che è uno spazio che intercorre tra il foglietto
parietale della capsula e la rete di capillari tappezzata dal foglietto viscerale della capsula, si
accumula l’ultrafiltrato che viene raccolto e convogliato direttamente verso il tubulo renale dove
subisce tutti i processi di modificazione del suo contenuto.
Podociti
Il foglietto viscerale della capsula di Bowmann è costituito da particolari tipi cellulari definiti
podociti, i quali appaiono come degli elementi a forma stellata con un corpo voluminoso e
rigonfio che sporge dallo spazio capsulare, da cui si dipartono delle estroflessioni che si estendono
e abbracciano i capillari sottostanti.
Tali processi primari dei podociti si associano a processi secondari detti pedicelli che si dispongono
anch’essi attorno al glomerulo, andandosi ad intersecare con i pedicelli dei podociti attigui dando
luogo ad un sistema estremamente intricato di fessure intercellulari attraverso le quali il filtrato
plasmatico deve passare per raggiungere lo spazio capsulare.
Le fessure che si formano sono definite fessure di filtrazione e sono
chiuse da dei diaframmi di filtrazione che impediscono la fuoriuscita
dal glomerulo di sostanze importanti come proteine di grosse
dimensioni cui si aggiunge un filtro elettrostatico visto che i pedicelli
possiedono un glicocalice carico negativamente che impedisce la
fuoriuscita di molecole a carica negativa.
Ogni sostanza che lascia il circolo sanguigno deve passare attraverso una barriera detta
membrana di filtrazione composta da 3 strati:
Tubulo renale
Nel tubulo renale costituito da: tubulo contorto prossimale, ansa di Henle e
tubulo contorto distale, avviene, in diverse fasi e con diversi meccanismi, la
modificazione della preurina attraverso processi di riassorbimento e
secrezione finalizzati alla trasformazione della preurina in urina definitiva ai fini
di recuperare H2O e sostanze utili ed eliminare sostanze tossiche (grandi) che
non hanno attraversato la membrana di filtrazione vengono convogliate
nell’urina lungo il tubulo come: farmaci (es. aspirina, penicillina, morfina…), ammonio, urea, acido
urico…
Il tubulo contorto prossimale inizia a livello del polo urinifero del corpuscolo, che a sua volta e in
posizione simmetrica e opposta al polo vascolare, ed è la sede del tubulo renale in cui avviene un
massiccio e massivo riassorbimento attivo di ioni (Cl, Na e K) cui segue un
riassorbimento passivo di H2O di circa l’80-85% presente nell’ultrafiltrato
glomerulare.
Inoltre riassorbe quasi tutti gli aa e i peptidi presenti nell’ultrafiltrato.
Il tubulo contorto distale che rappresenta l’ultimo tratto del nefrone si apre
nel sistema dei tubuli collettori che comprende: condotti reunienti, collettori
e papillari.
Oltre a trasportare il fluido tubulare dal nefrone alla pelvi renale, il sistema
collettore provvede anche a regolare definitivamente il volume e la
concentrazione osmotica, in particolare i dotti collettori sono impermeabili
all’H2O, in assenza di ADH.
A livello dei dotti collettori quindi può avvenire un ulteriore riassorbimento di H2O variabile e
indipendente dal Na.
In presenza di ADH, i dotti diventano permeabili all’H2O che esce dai tubuli attratta
dall’iperosmolarità dell’interstizio.
APPARATO IUXTAGLOMERULARE
Un ruolo centrale nel monitorare il liquido che entra nel tubulo contorto
distale e nel modificare le prestazioni e gli effetti dell’attività del nefrone è
svolta dall’apparato iuxtaglomerulare che è costituito da elementi
vascolari e tubulari del nefrone che, interagendo tra loro, sono in grado di
controllare la pressione arteriosa sistemica e il processo di filtrazione
glomerulare.
L’apparato iuxtaglomerulare è costituito, nello specifico, da: cellule della
macula densa, cellule iuxtaglomerulari e cellule del mesangio extraglomerulare.
Le cellule della macula densa sono cellule che costituiscono la parete del tubulo contorto distale
in corrispondenza del polo vascolare del corpuscolo renale di origine.
Si interpongono tra arteriola afferente ed efferente, infatti a questo livello le cellule del tubulo si
modificano diventando più sottili e dense.
Le cellule della macula densa rilevano modificazioni nella composizione del contenuto tubulare e
agiscono come osmocettori sensibili soprattutto alla concentrazione di Na e Cl all’interno del
tubulo che determinano modificazioni strutturali delle cellule stesse che inducono sostanze ad
azione paracrina che determinano il rilascio di renina da parte delle cellule iuxtaglomerulari.
A livello dell’arteriola afferente sono presenti le cellule iuxtaglomerulari che sono cellule della
muscolatura liscia modificate che per la loro localizzazione subiscono delle stimolazioni in funzione
della pressione del sangue che scorre all’interno dell’arteriola afferente, agendo perciò come dei
barocettori e immettendo in circolo la renina in quantità variabile secondo i valori pressori presenti
all’interno dell’arteriola afferente anche in relazione ai rapporti
paracrini stabiliti con la macula densa e il mesangio
extraglomerulare.
Le arterie intralobulari si dirigono verticalmente all’interno della corticale, verso la superficie del
rene.
Le arterie intralobulari danno origine a: arteriole afferenti che
penetrano all’interno del
glomerulo, glomerulo renale
quindi alla ramificazione dei
capillari all’interno del glomerulo,
per poi formare un’unica arteriola
efferente che abbandona il
glomerulo.
RENE ENDOCRINO
Il rene possiede anche importanti funzioni endocrine.
I fibroblasti peritubulari producono l’eritropoietina che è il principale
regolatore dell’eritropoiesi, prodotta per il 90% a livello renale e per il
10% a livello epatico.
La sua produzione a livello renale risiede nel fatto che le cellule della corticale hanno un elevato
metabolismo aerobico e quindi sono ottimi sensori dei livello di O2.
La produzione di eritropoietina è regolata dall’apporto di O2 ai tessuti e una condizione di ipossia
provoca una produzione di eritropoietina che agisce a livello del midollo osseo e sulle fasi iniziali
dell’eritropoiesi.
Inoltre l’eritropoietina è anche una sostanza dopante, proprio per questa sua attività regolatoria
dell’eritropoiesi.
Le prostaglandine provocano una dilatazione dei vasi ematici della midollare proteggendo la
funzione renale da eccessi di ormoni vasocostrittori e partecipano in modo determinante
all’autoregolazione del circolo renale.
Il rene interviene anche nel metabolismo della vitamina D e del Ca, dato che è la sede di sintesi
del calcitriolo per azione dell’enzima idrossilasi.
La produzione del calcitriolo è stimolata da un calo dei livelli di Ca-fosfato e da un aumento dei
livelli di paratormone e stimola il riassorbimento renale del Ca.
VIE URINARIE
Le modificazioni del filtrato terminano quando questo arriva a livello dei calici minori.
I tratti successivi dell’apparato urinario quindi: calici urinari,
pelvi, ureteri, vescica e uretra, hanno il solo compito di
accumulare, trasportare ed eliminare l’urina che a livello dei
calici ha già raggiunto la sua composizione definitiva.
Ogni papilla renale, che rappresenta l’apice delle piramidi
renali, è avvolta da una struttura ad imbuto che è il calice
minore che confluisce, con gli altri calici minori, in un calice
maggiore e diversi calici maggiori confluiscono nella pelvi
renale a cui giunge l’urina che da qui si sposta.
Le vie urinarie sono costituite da una serie di organi cavi che hanno una struttura a tonache
sovrapposte.
Caratteristica di queste strutture è la presenza di un epitelio di transizione che è in grado di variare
il suo spessore a seconda del grado di distensione o riempimento dell’organo.
Riveste prevalentemente il lume degli ureteri e della vescica e si tratta di un epitelio pluristratificato
costituito da cellule in grado di scivolare le une sulle altre.
Ureteri
L’uretere è un tubo muscolare che si estende dalla regione
lombare, sede della sua origine, alla piccola pelvi.
La misura della sua lunghezza può variare, ma misura
all’incirca 30 cm.
Gli ureteri si portano dalla pelvi renale, di cui rappresentano la
continuazione, fino alla vescica urinaria.
L’uretere presenta una porzione addominale che decorre
dietro al peritoneo parietale posteriore, poi prosegue nel tratto pelvico che scende nella piccola
pelvi decorrendo dapprima in porzione retroperitoneale poi in porzione sottoperitoneale e l’ultimo
tratto dell’uretere pelvico è compreso nello spessore della parete vescicale, che l’uretere
attraversa con un decorso obliquo, infatti si parla di porzione intramurale o vescicale.
Gli ureteri sono costituiti da una mucosa rappresentata da un tipico epitelio di transizione che si
solleva in pieghe longitudinali formando un lume stellato che scompare quasi completamente
quando l’organo si distende.
Al di sotto della mucosa è presente una lamina propria con
del tessuto connettivo fibro-elastico.
La tonaca muscolare è responsabile della capacità degli
ureteri di far progredire l’urina al loro interno verso la vescica.
Tipicamente, ritmicamente, i recettori di stiramento presenti
sulla parete uretrale danno il via a contrazioni peristaltiche della parete muscolare a partire dal
rene.
Queste contrazioni aspirano l’urina dalla pelvi renale alla vescica, attraverso gli ureteri.
La tonaca muscolare ha un tipico andamento con uno strato longitudinale interno e circolare
esterno responsabile della progressione dell’urina verso la vescica.
Le cellule superficiali della vescica sono a forma di cupola quando la vescia è vuota,
mentre quando l’organo si distende perché è pieno di urina le cellule si appiattiscono
e l’epitelio diventa più sottile riducendosi di numerosi strati.
Vescica
La vescica è un organo cavo muscolo-membranoso impari che rappresenta il serbatoio dell’urina
in cui vi giunge continuamente attraverso gli ureteri e si deposita.
Raggiunta una certa quantità l’urina viene emessa all’esterno attraverso l’uretra con l’atto della
minzione.
Forma, dimensioni e rapporto della vescica variano in funzione di sesso, età
e dello stato di riempimento della vescica stessa.
Nella vescica vuota la cavità è ridotta pressoché ad una fessura, quando
invece l’urina vi si raccoglie, le pareti vescicali si discostano e si distendono, quindi la faccia
superiore si solleva e si fa più convessa e la vescica acquista una forma globosa o ovoidale.
Nella vescica distesa si può distinguere una base o fondo rivolto in basso e all’indietro, un corpo
che si solleva nella cupola e presenta una faccia anteriore,
una faccia posteriore, 2 facce laterali e un apice che dà
attacco al legamento ombelicale.
La superficie interna della vescica vuota presenta tipicamente
numerose pieghe che si riducono quando l’organo si riempie e
si distende.
In corrispondenza della base si ha un’area triangolare con un
apice anteriore e che è liscia anche quando l’organo è vuoto
e viene definito trigono vescicale.
In corrispondenza degli apici del trigono, si individuano gli orifizi: meato uretrale interno, meato
uretrale anteriore e 2 orifizi postero-laterali detti orifizi uretrali e rappresentano lo sbocco degli
ureteri.
La vescica presenta una tonaca muscolare le cui fibrocellule sono disposte a strati: esterno, interno
ed obliquo.
Nel suo insieme però la vescica viene definita muscolo detrusore.
Nel punto in cui sono presenti gli sbocchi degli ureteri, lo strato muscolare interno si inspessisce
formando una sorta di valvola che previene il reflusso dell’urina negli ureteri, mentre nella zona del
collo della vescica le fibrocellule muscolari si dispongono attorno all’orifizio dell’uretra a formare lo
sfintere interno dell’uretra che è di muscolatura liscia.
Il controllo volontario della minzione è permesso dalla presenza della muscolatura striata a livello
dello sfintere uretrale esterno che si trova lungo il passaggio dell’uretra attraverso il diaframma uro-
genitale della pelvi.
La vescica ha sia un’innervazione parasimpatica sia simpatica.
Il sistema parasimpatico determina la contrazione della parete muscolare liscia rilasciando lo
sfintere interno.
Il riempimento progressivo della vescia stimola il sistema parasimpatico che fa contrarre la vescica
rilasciando lo sfintere interno dell’uretra che permette il deflusso dell’urina lungo l’uretra.
A vescica vuota prevale il sistema simpatico che ha un’azione
contraria, quindi la muscolatura vescicale è rilasciata e quella dello
sfintere interno è contratta.
Nell’adulto, l’emissione dell’urina richiede anche il rilassamento dello
sfintere esterno dell’uretra che essendo costituito da muscolatura
striata è sotto il controllo volontario.
Il controllo di questo sfintere da parte del SNC avviene tipicamente
attorno al 3° anno d’età.
Uretra
L’uretra è un canale muscolo-membranoso impari e mediano che permette lo svuotamento della
vescica durante l’atto della minzione e rappresenta l’ultimo tratto delle vie urinarie.
Origina nella vescica con il meato uretrale interno e termina aprendosi all’esterno con il meato
uretrale esterno.
La muscolatura lisca è disposta in 2 strati: uno longitudinale interno e uno circolare esterno.
La muscolatura circolare esterna si inspessisce formando lo sfintere liscio o interno dell’uretra.
Lo sfintere esterno è costituito da muscolatura scheletrica ed è sotto il controllo della volontà.
Il sistema endocrino è formato da un insieme di ghiandole che pur essendo prive di continuità
topografica e fisica costituiscono un sistema unitario e integrato che a livello funzionale agisce in
modo armonico ed è caratterizzato da una reciproca interdipendenza.
• Temperatura corporea
• pH dei liquidi corporei
• Pressione arteriosa
• Ossigenazione dei tessuti
• Componenti ematiche (glucosio; Ca, Na, K)
• Eliminazione dei prodotti di scarto
I meccanismi omeostatici agiscono non solo a livello macroscopico riferito all’organismo nel suo
complesso, ma anche a livello microscopico di cellule, tessuti e organi.
Per il mantenimento dell’omeostasi è perciò essenziale che tra le varie parti dell’organismo ci siano
sistemi di “comunicazione”.
Tutte le cellule del nostro organismo devono comunicare con le cellule vicine e lontane.
A livello locale comunicano in modo diretto tramite molecole di superficie e giunzioni comunicanti.
La comunicazione a distanza o indiretta si attua tramite la secrezione di messaggeri chimici (es.
sistemi endocrino e nervoso) o elettrici (es. sistema nervoso) che riconoscono specifici recettori
nelle cellule bersaglio.
Le ghiandole endocrine possono essere ghiandole di derivazione strettamente epiteliale, per cui si
parla di epitelio ghiandolare, oppure si possono trovare dei tessuti neurosecernenti.
Le cellule neurosecernenti sono dei neuroni modificati che producono dei messaggeri chimici che
vengono rilasciati nel torrente circolatorio e non nello spazio post-sinaptico delle terminazioni
nervose.
In tal caso il messaggero chimico prende il nome di ormone e non più di neurotrasmettitore.
Gli ormoni sono sostanza estremamente attive, anche in minima quantità e sono sottoposti ad un
rigoroso controllo affinché la quantità sia esatta in ogni istante.
Questo avviene grazie alla presenza di una serie di sistemi di regolazione a feedback negativo.
Ormoni e neurormoni possono agire per via autocrina, quando una cellula può rilasciare un
ormone e stimolare sé stessa perché presenta il recettore per l’ormone stesso, oppure per via
paracrina, quando una cellula attigua alla cellula secernente
presente il recettore per l’ormone e quindi agisce a livello locale,
o ancora per via sistemica, quando l’ormone viene rilasciato ed
entra nel torrente circolatorio per raggiugere la cellula target
posta anche a molta distanza dalla cellula secernente.
Nel caso dei neurormoni la sostanza viene prodotta da neuroni
modificati, ma entra nel torrente circolatorio e raggiunge la
cellula bersaglio attraverso la via ematica.
Nel caso in cui una ghiandola endocrina rilascia un ormone, produce un effetto sulla cellula
bersaglio e qualora il prodotto della stimolazione ormonale agisca come fattore stimolante per il
rilascio dell’ormone stesso, quindi in un processo che si
autoalimenta e si autocatalizza, si parla di feedback positivo.
Nel caso contrario, in cui l’effetto o il prodotto della
stimolazione di uno specifico ormone sulle cellule bersaglio
inibisce la produzione dell’ormone stesso e quindi sia un
processo autoinibente, si parla di feedback negativo.
La classificazione principale degli ormoni è quella tra ormoni stereoidei e ormoni non stereoidei.
Gli ormoni stereoidei sono quelli che derivano dal colesterolo, quindi per definizione e struttura
sono liposolubili, perciò sono in grado di attraversare la membrana plasmatica della cellula target
e raggiungere i loro recettori presenti a livello citoplasmatico.
Gli ormoni non stereoidei possono essere di diversa natura, molti di essi hanno una struttura
proteica, non sono in grado di attraversare la membrana plasmatica perciò hanno dei recettori
presenti a livello di membrana che mediano, dopo il legame con l’ormone, la trasmissione del
segnale a livello intracellulare.
ASSE IPOTALAMO-IPOFISARIO
Il sistema o asse ipotalamo-ipofisario è costituito da:
Ipotalamo
L’ipotalamo è una struttura del SNC posta nella zona centrale interna ai 2 emisferi cerebrali, è la
porzione più caudale del diencefalo e si trova tra il chiasma ottico, posto anteriormente, e i
peduncoli cerebrali, posti posteriormente.
L’ipotalamo presenta numerosi nuclei, ossia dei raggruppamenti di
corpi cellulari di neuroni a livello del SNC con fenotipo e funzioni
specifiche che attivano, controllano e integrano attività connesse
all’omeostasi.
Per asse ipotalamo-ipofisario s’intende il rapporto tra ipotalamo e
ipofisi, i quali sono anatomicamente connessi attraverso un
peduncolo ipofisario che collega il sistema nervoso al sistema
endocrino.
A loro volta i nuclei ipotalamici sono raggiunti da terminali provenienti da: vari territori corticali,
sistema limbico, formazione reticolare, altre afferenze sensitive e sensoriali, perciò rappresenta un
vero punto di raccordo tra attività nervose in senso lato e attività endocrine.
Pertanto l’ipotalamo oltre ad essere un importate centro nervoso di regolazione è una ghiandola
endocrina di fondamentale importanza in quanto gli ormoni secreti dall’ipotalamo e dall’ipofisi
svolgono un importante ruolo nella regolazione di tutti i processi di crescita, sviluppo, metabolismo
e omeostasi corporea.
I diversi nuclei che costituiscono l’ipotalamo agiscono in modo differente rispetto alle 2 porzioni
principali dell'ipofisi.
Neuroni magnocellulari
I neuroni magnocellulari hanno i copri cellulari o pirenofori nei
nuclei sopraottico e paraventricolare dell’ipotalamo, mentre gli
assoni e i terminali assonici di tali neuroni vanno a formare il fascio
ipotalamo-ipofisario e si portano alla neuroipofisi dove, per mezzo
dei loro terminali si mettono in rapporto diretto o indiretto con i
vasi sanguigni, quindi gli ormoni prodotti dai corpi cellulari dei
neuroni migrano dai pirenofori lungo gli assoni in forma di gocce
di neurosecrezione con il nome di corpi di Herring e si portano alla
neuroipofisi.
Una tipica patologia legata alla mancata produzione di ADH è il diabete insipido in cui si ha
un’alterata ritenzione di H2O a livello renale che viene persa tramite un’eccessiva produzione di
urina (poliuria) e di conseguenza i pazienti affetti sono sempre assetati, ma i liquidi introdotti non
sono trattenuti dall’organismo.
L’ipotalamo è caratterizzato dalla presenza di nuclei costituiti da neuroni che hanno la capacità di
secernere ormoni, quindi si parla di neurosecrezione che giunge per via nervosa o vascolare
all’ipofisi.
Neuroni parvicellulari
I neuroni parvicellulari sono situati in varie sedi dell’ipotalamo e in prossimità dell’eminenza
mediana.
Questi neuroni producono sostanze attive di natura
polipeptidica chiamati RH (Releasing Hormones) o IH (Inhibiting
Hormones) che agiscono sulle cellule dell’adenoipofisi
andando a stimolare o inibire la sintesi e secrezione degli
ormoni ipofisari.
I neuroni dell’eminenza mediana dell’ipotalamo secernono
questi fattori in un sistema di capillari definito plesso capillare primario che, attraverso delle vene
portali, raggiungono un plesso capillare secondario, dove gli ormoni ipotalamici vengono in
contatto con le cellule dell’adenoipofisi e ne regolano l’attività endocrina.
Ipofisi
L’ipofisi è una piccola ghiandola accolta nella sella turcica dell’osso
sfenoide connessa all’ipotalamo tramite un peduncolo ipofisario.
L’ipofisi è costituita da 2 porzioni principali con una struttura istologica
differente: l’adenoipofisi anteriore, molto vascolarizzata e la neuroipofisi
posteriore.
L’adenoipofisi secerne:
EPIFISI
L’epifisi o ghiandola pineale è una piccola formazione di cellule con
funzione secretoria che deriva da un’estroflessione sacciforme del
pavimento del diencefalo posteriore posto al centro del 3° ventricolo.
È una ghiandola annessa all’encefalo tramite un peduncolo ed è racchiusa
da un tessuto stromale di origine meningea.
La componente cellulare va sotto il nome di pinealociti.
I pinealociti sono la porzione funzionale dell’epifisi che producono la melatonina, sintetizzata a
partire dal triptofano e agisce a livello di ipotalamo e ipofisi inibendo la secrezione delle
gonadotropine e dell’ormone somatotropo.
La funzione dell’epifisi è peculiare perché è caratterizzata da un ritmo circadiano, quindi da
un’alternanza luce-buio che a sua volta influisce anche sull’ipotalamo.
Nello specifico gli stimoli luminosi inibiscono la sintesi di melatonina che subisce un picco di rilascio
durante le ore buie, in assenza di luce.
Molti studi collegano le alterazioni del suo rilascio a disturbi dell’umore.
Inoltre la produzione di melatonina diminuisce con l'aumentare dell'età e i ridotti livelli dell'ormone
rilasciati durante la notte possono contribuire al problema dell'insonnia e del risveglio precoce,
spesso osservati negli anziani.
TIROIDE
Dal punto vista macroscopico, la tiroide è posta subito sotto la cartilagine tiroidea che forma gran
parte della superficie anteriore della laringe e avvolge la superficie anteriore della trachea.
Proprio per la sua posizione, la trachea può essere facilmente valutata tramite palpazione dato
che delle disfunzioni tiroidee possono farla diventare ipertrofica e quindi sporgente nel collo.
È riccamente vascolarizzata e si presenta come una farfalla in cui le “ali”
corrispondono a 2 lobi uniti sulla linea mediana per mezzo di un istmo.
La porzione superiore di ogni lobo si estende sulla superficie laterale della
trachea verso il margine inferiore della cartilagine tiroidea.
La porzione inferiore della tiroide, invece, termina a livello del 2°-3° anello
tracheale, cui aderisce tramite una capsula dalla quale si dipartono dei
setti di tessuto connettivo che si suddividono, penetrando all’interno del
parenchima ghiandolare, andando a circondare i follicoli tiroidei.
Dal punto di vista microscopico, la tiroide ha una struttura peculiare definita follicolare, ovvero è
costituita da monostrato di cellule definiti tireociti che delimitano una cavità nella quale si
accumula il secreto sotto forma di colloide, una sostanza gelatinosa che contiene la
tireoglobulina, ossia i precursori degli ormoni tiroidei rappresentati da: triiodotironina (T3) e tiroxina
(T4).
I follicoli sono tipicamente sferici, rivestiti da un epitelio cubico
semplice costituito dall’affiancamento dei tireociti detti anche cellule
follicolari, anche se l’epitelio può modificarsi in funzione dello stato di
attività della tiroide.
Ogni follicolo, a sua volta, è circondato da una rete di capillari.
La tiroide inoltre presenta le cellule parafollicolari o cellule C che sono
presenti a livello dell’epitelio che delimita i follicoli, però pur
poggiandosi sulla lamina basale, non raggiungono il lume del follicolo.
Le cellule follicolari producono la tireoglobulina all’interno del follicolo che viene prodotta sotto
forma di colloide che viene riversato a livello della cavità follicolare.
La fase di sintesi degli ormoni tiroidei si basa sulla capacità delle cellule di captare dal sangue lo
ione ioduro, fondamentale per la sintesi del T3 e del T4, e il suo successivo legame ai residui
tirosinici della tireoglobulina.
Quindi lo I2 viene captato, coniugato alla tirosina della tireoglobulina e
forma T4 o tetraiodiotironina e T3 o triiodiotironina.
Questi precursori restano nel colloide fino a quando non arriva lo stimolo
necessario per la loro capitazione dallo spazio follicolare per essere
immessi nel torrente circolatorio.
Lo stimolo è lo stimolo ipofisario, a sua volta, sotto controllo ipotalamico.
Le dimensioni del follicolo e la forma delle cellule follicolari dipendono dallo stato secretorio della
ghiandola.
In condizioni di riposo, la tiroide è ipofunzionante e presenta macrofollicoli distesi con cellule
appiattite e il colloide in una forma molto cromofila e densa.
Nel caso di tiroide iperfunzionante, quindi in una fase secretoria molto attiva, sono presenti
microfollicoli piccoli con poco colloide in forma poco cromofila e fluida.
La fase di ricaptazione della iodiotireoglobulina e la sua successiva lisi lisosomiale porta al rilascio
di T3 e T4 nel sangue.
T3 e T4 sono ormoni liposolubili, quindi circolano legati
a proteine carrier e nel sangue sono trasportati anche
dall’albumina.
Sono caratterizzati da proprietà distinte, in particolare
l’emivita di T4 si aggira introno ad una settimana,
mentre l’emivita di T3 si aggira introno alle 16 ore.
Il T3 rappresenta la forma attiva, nonostante sia sintetizzato in quantità minore e abbia un’emivita
minore, mentre il T4 è una sorta di pro-ormone da cui per deiodinazione si può dar origine a T3,
soprattutto a livello tissutale.
Una volta entrati nelle cellule, questi ormoni liposolubili si legano a recettori che riconoscono
sequenze specifiche e determinano una serie di effetti metabolici.
Il principale effetto degli ormoni tiroidei è l’attivazione del metabolismo basale, ovvero la
produzione e uso di ATP e consumo di O2 con conseguente aumento del metabolismo cellulare e
consumo di O2, aumento della crescita cellulare, a livello cardiaco aumento dell’espressione dei
recettori adrenergici, aumento della frequenza e della forza di contrazione cardiaca, incentivo dei
processi maturativi di diversi tessuti.
Perciò un aumento complessivo del metabolismo di base.
Alterazioni nel funzionamento della tiroide e nella produzione di questi ormoni sono significativi e
possono arrivare fino a severità notevoli:
PARATIROIDI
Le paratiroidi sono 4 ghiandole localizzate 2 per lato, sulla faccia posteriore della
tiroide, in particolare poste tra la capsula e il connettivo circostante e presentano
2 componenti principali definiti cellule principali e cellule ossifile e un terzo
componente cellulare rappresentato dagli adipociti.
Le paratiroidi, nello specifico le cellule principali, producono il paratormone che agisce come
antagonista della calcitonina, ovvero interviene nel
regolare l’equilibrio ematico degli ioni Ca agendo a
livello del tessuto osseo e dei tubuli renali.
A livello osseo, il paratormone stimola il riassorbimento
osseo da parte degli osteoclasti con conseguente
rilascio di Ca in circolo.
A livello renale, il paratormone, induce un
riassorbimento di Ca che non viene più escreto con
l’urina e attiva la produzione del metabolita attivo della
vitamina D che facilita l’assorbimento del Ca a livello
intestinale.
GHIANDOLE SURRENALI
Le ghiandole surrenali sono organi pari e pieni, situati
nella sommità del rene.
Sono retroperitoneali e separati dalla cavità
addomino-pelvica dal peritoneo parietale posteriore e
sono riccamente vascolarizzati.
I. La zona glomerulare è la zona più esterna, rappresenta circa il 15% del volume totale ed è
costituita da cellule organizzate in glomeruli e secerne minerali corticoidi, principalmente
aldosterone che agisce a livello dei tubuli renali regolando la composizione ionica
dell’urina.
II. La zona fascicolata si estende verso la midollare, rappresenta il 78% del volume della
corticale e possiede cellule ricche di lipidi che si organizzano in cordoni adiacenti e
producono glucocorticoidi come cortisolo e corticosterone agendo sulla maggior parte
delle cellule corporee, ma intervengono soprattutto sul metabolismo del glucosio.
III. La zona reticolare rappresenta il 7% della regione corticale, è al limite con la midollare e
produce una piccola quantità di ormoni sessuali androgeni.
Pancreas endocrino
Il pancreas endocrino rappresenta il 2% della ghiandola, nel suo complesso.
Il pancreas è situato nella cavità addomino-pelvica, nell’ansa situata tra lo stomaco e l’intestino
tenue.
Il pancreas endocrino è rappresentato dalle cosiddette isole
pancreatiche o isole di Langerhans, ossia piccoli
raggruppamenti di tessuto endocrino isolati da connettivo e
dispersi nel parenchima esocrino, responsabile della
produzione di grandi quantità di secreto ricco di enzimi digestivi
che entrano a far parte della fisiologia del sistema digerente.
Le cellule endocrine rilasciano gli ormoni direttamente nei capillari che irrorano densamente questi
distretti anatomici.
RENE ENDOCRINO
La forma attiva della vitamina D3 è il calcitriolo che agisce favorendo l’assorbimento di Ca e
fosfato a livello dell’apparato gastrointestinale e dei reni, inibendo contemporaneamente il rilascio
di calcitonina.
La sintesi del calcitriolo inizia a partire dal precursore
presente a livello della cute, che viene attivato grazie
all’azione dei raggi solari.
Quest’attivazione dà origine al colecalciferolo che subisce
una serie di idrossilazioni sia a livello epatico sia a livello
renale fino a dare origine alla forma attiva della vitamina D.
La produzione di calcitriolo è stimolata da una diminuzione
dei livelli circolanti di Ca e fosfato e viene anche
comunemente utilizzato come terapia farmacologica in
caso di ipocalcemia o osteoporosi.
TESSUTO NERVOSO
• Sistema nervoso centrale (SNC): occupa una posizone assiale del corpo e
comprende:
o Encefalo (= cervello, cervelletto e tronco encefalico): racchiuso
nella scatola cranica
o Midollo spinale: porzione extracranica del SNC accolto nel canale
vertebrale
• Sistema nervoso periferico (SNP):
o Tutto il tessuto nervoso al di fuori del SNC (nervi cranici e spinali,
gangli)
o Ha la funzione di collegare il SNC alla periferia e viceversa, la periferia al SNC
Il tessuto nervoso è parte integrante di un sistema altamente organizzato, il sistema nervoso, che
rappresenta uno dei sistemi di regolazione, assieme al sistema endocrino e a quello immunitario,
del nostro organismo.
Quindi è 1 dei 3 sistemi principali deputati al controllo delle funzioni coordinate di tutti gli organi,
sistemi e apparati dell’organismo, finalizzati al mantenimento dell’omeostasi dell’organismo.
Il tessuto nervoso è costituito da un numero elevatissimo di cellule chiamate neuroni insieme a
cellule di supporto rappresentate dalle cellule gliali.
Insieme formano una rete interconnessa ed estremamente complessa
ed elaborata di mutue relazioni che può variare in numero e dimensioni,
perciò una rete di comunicazione che permette la percezione di stimoli
che provengono sia dall’interno sia dall’esterno dell’organismo, la
successiva elaborazione e integrazione ed infine la generazione di una
risposta.
1. Cellule nervose (neuroni): unità funzionali del sistema nervoso, rappresentano le cellule
eccitabili e sono responsabili dell’elaborazione dei potenziali d’azione e della loro
conduzione ad altri neuroni o a cellule effettrici
2. Cellule gliali: cellule di sostegno e di rivestimento, anche coinvolte nel trasferimento
dell’informazione, nell’elaborazione e nell’apprendimento
NEURONI
Le principali caratteristiche dei neuroni sono:
Il neurone che rappresenta la cellula funzionale del tessuto nervoso, è una cellula in grado di
elaborare dei potenziali d’azione, quindi è in grado di indurre dei segnali elettrici.
Tutte le cellule hanno un potenziale di membrana a riposo (le cariche elettriche si ritrovano ai 2 lati
della membrana) dovuto ad una diversa distribuzione delle cariche elettriche attraverso la
membrana plasmatica con l’interno della cellula carico negativamente rispetto all’esterno (tra -90
e -70 mV considerando per convenzione pari a 0 il potenziale all’esterno della cellula).
Questa differenza di potenziale si crea per ineguale distribuzione degli ioni ai 2 lati della membrana
plasmatica.
Ciò avviene perché la membrana plasmatica è disseminata da canali
ionici che permettono il passaggio degli ioni secondo gradiente di
concentrazione e pompe che sfruttano l’ATP per pompare gli ioni anche
contro gradiente.
Queste pompe sinergicamente, in condizioni di riposo, agiscono in modo
tale da creare questa differenza di distribuzione delle cariche elettriche.
Ai lati della membrana plasmatica sono dunque presenti 2 tipi di forze:
Quando la membrana plasmatica di un neurone, nella sua zona di ricezione (dove sono presenti i
dendriti) riceve uno stimolo, questo produce una temporanea variazione della permeabilità di
membrana in una determinata regione.
Questa alterazione può essere un’iperpolarizzazione,
accentuando ancor di più la normale distribuzione delle
cariche ai lati della membrana, oppure una
depolarizzazione, ossia una diminuzione di questa differenza
fino a raggiugere un’inversione del potenziale di membrana
interno che da negativo diventa positivo.
Lo stimolo arriva e provoca una depolarizzazione locale definito potenziale graduato con delle
caratteristiche fisiche particolari, infatti è un’alterazione della distribuzione delle cariche di
membrana che si trasferisce lungo la membrana plasmatica del neurone che tende a ridursi e
attenuarsi con il tempo e con lo spazio perché coinvolge specifici canali di membrana.
Se questi potenziali graduati che sono delle risposte passive, riescono a superare un livello soglia,
sono in grado di innescare, a livello del cono di emergenza dell’assone, un potenziale d’azione
che è una risposta attiva che comporta l’attivazione di diversi tipi di canali e pompe disposti a
livello della membrana.
Il potenziale d’azione è in grado di propagarsi lungo l’assone, senza
attenuarsi nel tempo e nello spazio, quindi è una vera e propria onda
depolarizzante che percorre tutto l’assone, arriva al terminale sinaptico,
dove il neurone prende contatto o con un altro neurone oppure con una
cellula effettrice, e determina la trasmissione sinaptica, differente a seconda
se si tratta di sinapsi chimica o sinapsi elettrica, ad ogni modo determina
l’attivazione della sinapsi e il trasferimento dell’informazione alla cellula
post-sinaptica.
Corpo cellulare
Il corpo cellulare anche detto pirenoforo o soma è solitamente molto voluminoso, di dimensioni
variabili a seconda del tipo di neurone, e da questo si dipartono da un lato i dendriti e dall’altro
l’assone; entrambi costituiti da citoplasma circondato da membrana plasmatica anche detta
neurilemma, sede dei fenomeni bioelettrici.
Sono presenti molti organuli e mitocondri (posti anche lungo l’assone), un
solo nucleo con nucleolo sviluppato ad indicare un’elevata sintesi
proteica e attività metabolica.
Il citoscheletro è molto complesso ed è costituito da: filamenti intermedi
chiamati neurofilamenti, microtubuli detti neurotubuli e microfilamenti o
filamenti di actina.
Quest’impalcatura citoscheletrica è fondamentale per dare sostegno a
tutti i prolungamenti citoplasmatici, soprattutto all’assone, che si dipartono e possono avere
lunghezze considerevoli, quindi necessitano di avere un supporto e sostegno interiore.
Dendriti
I dendriti (dal greco déndron = albero) tendono ad arborizzarsi e si dipartono a partire dal corpo
cellulare e poi si ramificano, proprio come un albero, costituendo delle ramificazioni sempre più
sottili.
Sono prolungamenti citoplasmatici del corpo cellulare, ramificati, che
prendono contatto sinaptico con la cellula pre-sinaptica, quindi sono
la sede di ricezione dello stimolo nervoso.
La caratteristica dei dendriti è la presenza, in superficie, di
estroflessioni citoplasmatiche dette spine, le quali rappresentano il punto in cui, preferenzialmente,
il neurone prende contatto sinaptico con altre cellule nervose.
Studi successivi hanno dimostrato che le spine, grazie alla loro capacità di rimodellarsi e
modificarsi, sono anche alla base del fenomeno di plasticità delle spine dendritiche che è
fondamentale per il rimodellamento delle sinapsi, quindi dei circuiti nervosi.
Il tessuto nervoso non è un tessuto statico, perché tutto il processo delle spine e del loro
rimodellamento che comporta un rimodellamento delle sinapsi stesse, è un processo che sta alla
base dei processi adattativi.
La principale funzione dei dendriti è quella di ricevere il segnale in entrata, quindi rappresenta la
porzione ricettiva del neurone.
Assone
L’assone è il prolungamento che origina dal corpo cellulare, ha una forma
conica, a livello della sua insorgenza, per questo è anche definita zona trigger o
montico assonico o segmento iniziale.
Si continua poi con un prolungamento unico e sottile costituito da assoplasma e
circondato da assolemma.
Può dare ramificazioni, tipicamente ad angolo retto, dette collaterali assonici.
È molto ricco in strutture del citoscheletro per dare sostegno strutturale e
solitamente, dopo la sua emergenza, presenta un rivestimento di mielina che si
presenta come dei manicotti intervallati da porzioni amieliniche definiti nodi di
Ranvier.
Questa distribuzione della mielina ha un ruolo fondamentale a livello fisiologico.
Il tratto tra il corpo e il punto in cui inizia il rivestimento di mielina è detto segmento iniziale o cono
di emergenza e rappresenta la zona di innesco in cui il potenziale graduato viene trasformato in
potenziale d’azione, se oltrepassa la soglia di depolarizzazione.
Nella sua parte finale l’assone tede a ramificarsi dando origine ad un’arborizzazione terminale in
cui prende contatti con altri neuroni e anche qui perde il rivestimento mielinico.
A questo livello avviene la sinapsi con il neurone o cellula post-sinaptica.
L’assone conduce gli impulsi in uscita fino al bersaglio.
Flusso assonico
I neuroni presentano un intenso flusso assonico, ovvero un intenso sistema di trasporto di vescicole
e molecole all’interno del neurone finalizzato alla sua attività elettrica.
Oltre alla conduzione dell’impulso, l’assone possiede anche un intenso sistema di trasporto di
vescicole interno da e verso il corpo cellulare.
In particolare si ha un flusso retrogrado che va dalla sinapsi verso
il corpo cellulare, quando avviene un riciclo delle vescicole che
hanno liberato il neurotrasmettitore; mentre si ha un flusso
anterogrado, quindi diretto verso la sinapsi, in cui vengono
trasportate: vescicole sinaptiche e granuli di neurosecrezione,
componenti dei neurofilamenti e neurotubuli, enzimi…
Si individuano anche flussi assonici a seconda della velocità:
Polarizzazione funzionale
Dal punto di vista funzionale i dendriti conducono lo stimolo e l’informazione che poi si traduce in
una depolarizzazione della membrana o potenziale d’azione, con
modalità centripeta (dall’esterno verso il corpo cellulare), mentre
l’assone è deputato a trasmettere lo stimolo, l’impulso elettrico, il
potenziale d’azione, in direzione centrifuga (dal corpo cellulare
verso l’esterno).
Quindi il segnale elettrico viaggia sempre dai dendriti, che
percepiscono il segnale in entrata, all’assone, che trasmette il segnale in uscita.
Si parla di polarizzazione funzionale perché sarà sempre presente una cellula pre-sinaptica e una
cellula post-sinaptica.
I neuroni unipolari presentano un unico prolungamento di tipo assonico, quindi si tratta di neuroni in
cui il corpo cellulare o soma è la parte ricettiva del neurone.
Questi neuroni sono presenti durante lo sviluppo embrionale, mentre nell’adulto sono presenti nella
mucosa olfattiva come recettori olfattivi e nella retina come coni e bastoncelli.
I neuroni bipolari presentano un assone e un solo dendrite; questi si dipartono ai lati opposti del
corpo cellulare, per questo spesso si parla di neuroni oppositopolari e sono presenti in: SNC, organi
di senso, retina, gangli vestibolari e cocleari.
I neuroni del Purkinje sono tra i più grandi neuroni del cervello umano e sono caratterizzate da
un’arborizzazione estremamente sviluppata e intricata delle terminazioni dendritiche con un
elevatissimo numero di spine dendritiche.
Sono presenti a livello del cervelletto dove, proprio per la loro struttura, formano strati quasi
bidimensionali.
Trasmissione sinaptica
La comunicazione neuronale così precisa e rapida è permessa dalla sinapsi.
Si definisce sinapsi un tipo di struttura altamente specializzata che permette la trasmissione
dell’informazione elettrica consentendo la comunicazione dei neuroni tra di loro o con altre cellule
che fungono da effettori periferici (cellule muscolari, ghiandolari, sensoriali)
La trasmissione sinaptica è alla base dei processi di: percezione, apprendimento, memoria e
attività motoria.
I 2 tipi principali di trasmissione sinaptica che hanno luogo nel sistema nervoso sono:
Sinapsi chimica
Nella sinapsi chimica è presente un neurone pre-sinaptico che riceve
l’onda depolarizzante a livello del terminale sinaptico, dove si
innesca, per effetto del Ca, il rilascio delle vescicole contenenti il
neurotrasmettitore.
Il neurotrasmettitore attraversa la fessura sinaptica, che separa la
cellula pre-sinaptica da quella post-sinaptica, si lega a recettori
specifici che possono essere canali ionici o proteine accoppiate a canali ionici e può, in caso di
sinapsi eccitatoria, trasmettere l’onda depolarizzante alla cellula
bersaglio oppure la può inibire.
Il neurotrasmettitore infatti, eccita o inibisce le cellule bersaglio a
seconda del tipo di neurotrasmettitore e del tipo di recettore presente
nella cellula bersaglio stessa.
Sinapsi elettriche
Le sinapsi elettriche sono giunzioni comunicanti che si interpongono tra 2 cellule.
Questo tipo di giunzione presenta le membrane adiacenti delle 2 cellule sono separate da un
minuscolo spazio che è attraversato da canali ionici detti connessoni costituiti da unità proteiche
definite connessine.
Questi canali permettono la propagazione diretta delle variazioni di
potenziale da una cellula all’altra, senza l’intervento di mediatori
chimici.
Questo genere di trasmissione è priva di ritardo sinaptico, molto rapida
e bidirezionale.
Sono poche le sinapsi elettriche nel SNC, interneuronali anche fra
astrociti e fra cellule muscolari lisce e cardiache.
Inoltre sono particolarmente rappresentate in alcune aree del sistema nervoso implicate nelle
reazioni di fuga perché non essendoci alcun tipo di ritardo sinaptico sono ideali per questo genere
di funzione.
Il sistema nervoso (sia SNC che SNP) presenta notevole plasticità è in grado di rimodellarsi
strutturalmente e funzionalmente in base all’esperienza.
I neuroni possiedono la capacità di modificare le proprie risposte in base agli stimoli ricevuti
(ripetuti).
Queste modificazioni possono avvenire a breve termine, in questo caso ci si riferisce a flussi ionici
per modifiche del Ca, oppure a lungo termine, in questo caso ci si riferisce a modifiche strutturali
dei componenti delle sinapsi e delle cellule gliali.
La trasmissione sinaptica è alla base di fenomeni come: apprendimento, memoria, emozioni…
Il recupero funzionale osservato dopo gravi traumi a carico del SNC è una forma di
apprendimento, che sembra essere dovuto a:
Formazione di collaterali (sprouting): da parte di assoni non coinvolti nella lesione con
formazione di nuove sinapsi a livello delle zone denervate
Smascheramento: attivazione funzionale di collegamenti preesistenti, ma inattivi
funzionalmente prima della lesione
Probabile differenziazione di cellule staminali neuronali
I neurotrasmettitori trovano anche un uso a scopo terapeutico come modulatori della trasmissione
sinaptica:
• Precursori dei neurotrasmettitori (es. levodopa): utilizzati per il trattamento della malattia di
Parkinson perché aumentano la concentrazione del neurotrasmettitore rilasciato
potenziando l’azione delle sinapsi dopaminergiche
• Anticolinesterasici (es. fisostigmina, edrofonio, galantamina): inibiscono l’idrolisi
dell’acetilcolina potenziando l’azione eccitatoria del recettore nAChR e sono utilizzati per il
trattamento di miastenia grave e per la malattia di Alzheimer
Astrociti
Gli astrociti sono circa il 40% delle cellule contenute nell’encefalo.
Presentano un piccolo corpo cellulare «stellato» da cui si dipartono molti prolungamenti che si
pongono fra i corpi e i prolungamenti neuronali e i vasi sanguigni (= processi vascolari).
Gli astrociti protoplasmatici sono tipicamente localizzati nella
sostanza grigia, presentano un corpo voluminoso e brevi processi
citoplasmatici.
Gli astrociti fibrosi sono invece localizzati nella sostanza bianca,
possiedono un corpo poco voluminoso, ma lunghi processi
citoplasmatici.
o Sostegno: creano una rete di supporto tridimensionale per i neuroni nel SNC
o Trofismo: mediano e controllano il passaggio di sostanze dal sangue ai neuroni e dai
neuroni al sangue (astrociti pericapillari)
o Regolano la composizione chimica del fluido interstiziale
o Producono fattori di crescita neuronali (fattori neurotrofici) che promuovono la crescita
(durante lo sviluppo embrionale), il mantenimento dei neuroni e la formazione di sinapsi
o Formano tessuto cicatriziale dove i neuroni vengono danneggiati andando ad occupare lo
spazio che essi occupavano (astrocitosi)
Il tipico capillare possiede le cellule endoteliali che circondano il lume attraverso cui circola il
sangue e sono caratterizzati dall’avere delle fessurazioni, dei pori, e quindi ad avere certe
caratteristiche di flussi di soluti dal lume del vaso al liquido interstiziale e viceversa.
Questo però non è possibile a livello del SNC, soprattutto per
mantenere la sua integrità, quindi i capillari cerebrali sono
caratterizzati nell’avere cellule endoteliali estremamente adese,
quindi non sono presenti pori perché tra le diverse cellule sono
presenti delle giunzioni strette e sono presenti anche gli astrociti
che con i loro terminali citoplasmatici prendono letteralmente
contatto con le cellule endoteliali andando a formare una vera
e propria struttura di contenimento e di protezione.
Solamente alcuni tipi di sostanze possono passare dai capillari
cerebrali al tessuto neuronale.
Microglia
Le cellule della microglia sono cellule gliali di piccole dimensioni con sottili prolungamenti simili a
spine.
Originano dalle cellule staminali del midollo osseo, perciò
hanno un’origine comune a monociti e macrofagi (precursori
emopoietici).
Il loro ruolo principale è quello deputato all’attività di
fagocitosi (detriti, rifiuti, agenti patogeni), quindi possiedono
un ruolo difensivo.
Se attivate acquisiscono caratteri propri dei macrofagi, quindi aumentano di dimensioni, sono in
grado di effettuare movimenti ameboidi e durante un’infezione il loro numero aumenta.
Si è visto che sono cellule coinvolte anche in processi di patologie in cui sono presenti:
neuroinfiammazione, neurodegenerazione e dipendenze da sostanze chimiche.
Cellule ependimali
Le cellule ependimali rivestono i ventricoli cerebrali e il canale centrale del
midollo spinale contribuendo all’elaborazione del liquido cerebrospinale e alla
costituzione della barriera ematoencefalica.
Sono simili a cellule epiteliali (cubiche o colonnari) con sottili prolungamenti
che prendono contatto con le cellule gliali circostanti.
Inoltre sono provviste di ciglia sul lato apicale che facilitano il movimento e la
progressione del liquor.
Oltre ad avere un ruolo di secrezione, svolgono anche un ruolo di monitoraggio
della composizione e della circolazione del liquido cerebrospinale.
Oligodendrociti
Gli oligodendrociti sono cellule che rappresentano circa il 75% della composizione gliale e sono
cellule piccole caratterizzate dalla presenza di sottili estensioni citoplasmatiche.
Funzionalmente, come le cellule di Schwann, sono implicati
nell’elaborazione e formazione della guaina mielinica delle fibre nervose
del SNC con un meccanismo che prevede il ripetuto avvolgimento di un
prolungamento dell’oligodendrocita attorno all’assone.
L’estremità di ogni espansione si espande a formare un “tappeto membranoso” che si avvolge
ripetutamente attorno all’assone e che viene definita mielina.
A differenza di quanto accade nel SNP, nel SNC un oligodendrocita “abbraccia e forma la mielina
contemporaneamente su assoni diversi”.
La melina è specialmente costituita da fosfolipidi, perciò assume proprietà isolanti.
Le cellule di Schwann sono presenti solo nel SNP, dove rivestono gli
assoni, formando la guaina mielinica.
Ogni cellula di Schwann riveste un internodo di un assone,
avvolgendosi attorno ad un tratto di assone numerose volte.
L’avvolgimento di mielina si caratterizza per la presenza di
manicotti, ossia strati concentrici di membrana plasmatica,
intervallati da tratti in cui il neurone non è rivestito che prendono il
nome di nodi di Ranvier.
Gli oligodendrociti nel SNC e le cellule di Schwann nel SNP rivestono gli assoni in tutto il loro decorso
dando origine alla guaina mielinica, tranne che nel segmento più prossimale al corpo cellulare e
distale in prossimità delle sinapsi.
L’insieme degli assoni rivestiti da cellule gliali va a costituire le fibre nervose che, a seconda della
modalità di rivestimento, possono essere classificate in:
DEGENERAZIONE E RIGENERAZIONE
La maggior parte dei neuroni perde rapidamente e
definitivamente la capacità di replicarsi, sono popolazioni
cellulari statiche o perenni.
Il tessuto nervoso pertanto non è in grado di rigenerare neuroni
in seguito a lesioni gravi del corpo cellulare.
In seguito alla lesione di un assone, invece, il soma è in grado di
rigenerare il moncone periferico grazie al flusso assoplasmatico-
cellula di Schwann.
Le cellule gliali infatti mantengono la capacità di dividersi.
SISTEMA NERVOSO
Il sistema nervoso rappresenta uno dei sistemi più piccoli del nostro corpo, ma è il più complesso.
Il sistema nervoso comprende un insieme di formazioni che risultano in continuità anatomica e
funzionale tra loro, il cui compito è quello di mettere in relazione le diverse parti dell’organismo tra
di loro, assistito dal sistema endocrino, e con l’ambiente esterno, cioè permette di sentire i continui
cambiamenti che avvengono oltre che all’interno anche nell’ambiente che ci circonda, grazie ai
recettori.
Tutto questo ci permette di reagire, di rispondere in modo opportuno a questi cambiamenti.
Sistema nervoso e sistema endocrino, grazie alle caratteristiche peculiari delle cellule che li
costituiscono, sono in grado di mettere in comunicazione, in relazione le diverse parti
dell’organismo tra loro, rappresentano quindi i massimi sistemi di controllo, regolazione,
integrazione e coordinazione funzionale del nostro organismo, dalla quale dipende la nostra
sopravvivenza.
Se tutte le cellule dell’organismo lavorassero in modo indipendente tra loro, ne conseguirebbe il
caos fisiologico, quindi la morte.
Le cellule del sistema nervoso comunicano tramite messaggi elettrochimici, mentre le cellule
endocrine tramite messaggi chimici rappresentati da ormoni.
Il controllo effettuato dal sistema nervoso, quindi dai neuroni, sui bersagli è un controllo velocissimo,
che utilizza impulsi elettrici, perciò controlla soprattutto attività che devono realizzarsi in tempi
rapidi.
Il controllo effettuato dal sistema endocrino risulta più lento perché prevede la secrezione, quindi la
produzione e il rilascio in circolo di ormoni che devono raggiungere gli specifici bersagli via
sangue, è un controllo più lento, ma più duraturo.
• Sistema nervoso centrale (SNC): costituito da encefalo collocato nella cavità cranica e
midollo spinale collocato nel canale vertebrale e che risultano in continuità tra loro
attraverso il grande foro dell’osso occipitale
• Sistema nervoso periferico (SNP): costituito da tutte le formazioni
nervose al di fuori del SNC come nervi e agglomerati di corpi
neuronali associati ai nervi detti gangli.
I nervi sono fasci di assoni che complessivamente hanno la
funzione di collegare il SNC alla periferia e viceversa, la periferia al
SNC.
Per periferia s’intende ambiente esterno, per cui periferia corporea
o/e ambiente interno ossia relativo agli organi interni.
In particolare troviamo:
o Nervi cranici: sono 12 paia e collegano l’encefalo a formazioni localizzate a livello
della testa ad eccezione del 10° paio di nervi cranici detto anche nervo vago che si
distribuisce anche a formazioni situate a livello di: collo, torace e cavità addomino-
pelvica
o Nervi spinali: collegano il midollo spinale ai suoi bersagli rappresentati dalle
formazioni che si trovano a livello delle pareti di tronco e arti.
Fibre che trasportano le informazioni dalla periferia al SNC, per cui si parla di fibre
afferenti, e fibre che dal SNC trasportano le informazioni agli effettori periferici, quindi
si parla di fibre efferenti
− Sistema nervoso somatico: è anche detto volontario o della vita di relazione in quanto è
deputato alle funzioni coscienti, di cui siamo consapevoli.
Infatti controlla l’attività dei muscoli scheletrici, gli organi contrattili dell’apparato
locomotore anche detti volontari.
Anche se i muscoli scheletrici possono partecipare ai riflessi, ossia risposte veloci che non
dipendono dalla nostra volontà.
Il sistema nervoso somatico è deputato anche alle attività intellettive superiori quali:
apprendimento, intelligenza, memoria ed emozioni.
Complessivamente il sistema nervoso somatico ci permette di relazionarci con noi stessi,
con gli altri e con l’ambiente esterno.
− Sistema nervoso viscerale o autonomo: è suddiviso in 2 porzioni: parasimpatico e simpatico.
Controlla l’attività degli organi interini anche detti visceri, ossia situati al di sotto del soma.
Il sistema nervoso viscerale o autonomo è detto involontario in quanto lavora
indipendentemente dalla nostra volontà, in modo subcosciente, e della vita vegetativa
perché controlla funzioni vitali che ci accomunano ai vegetali.
Questa suddivisione riguarda sia il SNC sia il SNP, ciò significa che in entrambi sono presenti parti
somatiche deputate al controllo del soma e parti viscerali deputate al controllo dei visceri.
I neuroni, perciò le unità strutturali e funzionali del sistema nervoso, controllano l’attività delle
cellule muscolari, quindi di: muscoli scheletrici, muscoli lisci, muscolo cardiaco e ghiandole, perciò
controllano tutti i nostri organi.
Il soma (contenitore) riguarda tutte le formazioni del corpo diverse dagli organi interni che
corrispondono ai visceri.
Il soma è rappresentato da: pareti del collo, parete toracica, parete addominale, parete pelvica e
arti, quindi tutte le formazioni di natura prevalentemente osteo-muscolare rivestiti da cute.
I muscoli del soma sono muscoli scheletrici striati volontari.
I visceri rappresentano tutti gli organi del corpo che presentano una
porzione, uno stato di muscolatura liscia, quindi tratti di apparato:
digerente, respiratorio e urinario, il cuore e le ghiandole.
I visceri interni sono organi dalla cui funzione dipende la nostra
sopravvivenza.
▪ Fornire informazioni (sensazioni) sull’ambiente interno ed esterno: grazie alle formazioni che
costituiscono il cosiddetto dispositivo o compartimento di ricezione o afferente o sensitivo
▪ Elaborare/integrare le informazioni: SNC
▪ Coordinare le attività volontarie e involontarie: risposte e informazioni trasportate ai bersagli
o effettori dal cosiddetto dispositivo di trasmissione o efferente o motore
▪ È inoltre sede delle più elevate funzioni intellettive: coscienza, emozioni, memoria,
apprendimento, intelligenza, ragionamento…
Il SNC è collegato alla periferia dalle formazioni del SNP, ma SNC e periferia sono collegate in
entrambe le direzioni, quindi il SNP costituito dai nervi, fasci di fibre, e dai gangli annessi, in funzione
del senso di trasporto delle informazioni viene distinto in:
Le principali funzioni del sistema nervoso consistono nella sua capacità di permettere al corpo di
riconoscere stimoli, quindi modificazioni provenienti dall’ambiente esterno e interno e di rispondere
a tali stimoli coordinando le risposte volontarie e involontarie o coscienti e incoscienti gestite
rispettivamente dal sistema nervoso somatico e dal sistema nervoso viscerale.
La funzione principale del SNA è quella di controllare le funzioni degli organi effettori/VISCERI al fine
di regolare l’omeostasi.
Il SNA comprende 2 porzioni:
La maggior parte dei visceri riceve duplice innervazione, i cui effetti sono tra loro antagonisti, salvo
qualche eccezione.
L’omeostasi è mantenuta grazie ad uno stato di equilibrio dinamico tra le branche del SNA e
dall’attività del sistema endocrino.
ENCEFALO
Superficialmente nell’encefalo si notano bene soltanto il telencefalo e il cervelletto perché il
telencefalo, in particolare nei primati superiori, si sviluppa moltissimo, andando ad inglobare
alcune parti dell’encefalo.
Al 18° giorno di sviluppo si forma la placca neurale, passano i giorni quindi lo sviluppo embrionale e
il differenziamento cellulare proseguono per cui la placca neurale si introflette nel sottostante
mesoderma andando a costituire la doccia neurale, i cui margini laterali si sollevano a dare le
pieghe neurali.
Le cellule dei margini laterali della doccia proliferano
medialmente andando a chiudere dorsalmente la doccia, così si
è formato il tubo neurale.
La cresta neurale rappresenta una parte di cellule proliferate a
partire dalle pieghe neurali che si sono staccate andando a
costituire una lamina cellulare detta cresta neurale che si
dispone tra il sottostante tubo neurale e il sovrastante ectoderma,
quindi dorsalmente al tubo neurale e ventralmente all’ectoderma.
Le porzioni laterali dell’ectoderma che non hanno partecipato alla costituzione della placca
neurale si sono medialmente ricongiunte.
Già al 27° giorno di sviluppo embrionale siamo di fronte a 2 formazioni: tubo neurale e cresta
neurale.
Tubo neurale
Il tubo neurale genera il SNC quindi encefalo e midollo spinale.
Tali formazioni originano dalla proliferazione e differenziamento delle cellule delle pareti del tubo
neurale.
Già prima della fine del 1° mese di sviluppo embrionale, grazie ad un processo di istogenesi a
livello della parete del tubo neurale si evidenziano i 3 strati della parete del tubo neurale:
Il tubo neurale, grazie alla proliferazione delle cellule delle sue pareti forma
encefalo e midollo spinale.
La porzione più cefalica del tubo neurale che si espande e si modifica molto costituisce le diverse
porzioni dell’encefalo, mentre la porzione più caudale del tubo neurale forma il midollo spinale,
porzione di SNC che mantiene una conformazione molto simile a quella dell’originale tubo neurale.
Le cellule della porzione cefalica del tubo proliferano molto e si organizzano in modo da costituire,
già alla fine della 3° settimana di sviluppo, 3 distinte dilatazioni chiamate vescicole encefaliche
primarie.
Lo sviluppo poi prosegue e da 3 vescicole si arriva, introno alla 6° settimana di sviluppo a 5
vescicole encefaliche secondarie.
Le 3 vescicole encefaliche primarie sono distinte in: proencefalo, mesencefalo e rombencefalo,
anche dette encefalo anteriore, medio e posteriore.
Lo sviluppo prosegue, la vescicola proencefalica e
rombencefalica si dividono, a loro volta, per cui arriviamo a 5
vescicole secondarie.
La vescicola proencefalica si divide andando a costituire
telencefalo e diencefalo, la vescicola mesencefalica resta
tale, la vescicola rombencefalica si divide a formare
metencefalo e mielencefalo.
Dalla vescicola telencefalica originano i 2 emisferi telencefalici, dalla
vescicola diencefalica origina il diencefalo, dalla vescicola
mesencefalica origina il mesencefalo, dalla vescicola metencefalica
origina ventralmente il ponte e dorsalmente il cervelletto, infine dalla
vescicola mielencefalica origina il midollo allungato o ponte.
Il cervello corrisponde all’insieme degli emisferi telencefalici e del diencefalo, quindi il cervello
corrisponde solo ad una parte dell’encefalo.
Le diverse parti dell’encefalo originano dalla proliferazione delle cellule che costituiscono le pareti
del tubo neurale, quindi le pareti delle vescicole encefaliche, ma ciò che rimane dell’originale
cavità di queste vescicole costituisce i ventricoli encefalici, si tratta di cavità scavate all’interno
delle diverse parti dell’encefalo e che corrispondono a ciò che resta dell’originale cavità del tubo
neurale.
Dalla vescicola telencefalica si sviluppano i 2 emisferi telencefalici e ciò che resta dell’originale
cavità va a costituire i 2 ventricoli laterali, dalle pareti della vescicola diencefalica origina il
diencefalo e la cavità residua costituisce il 3° ventricolo, la vescicola mesencefalica forma il
mesencefalo e la cavità residua costituisce il cosiddetto
acquedotto cerebrale o canale mesencefalico o canale di
Silvio, dalla parete della vescicola metencefalica originano
ventralmente il ponte e dorsalmente il cervelletto e la cavità
residua corrisponde alla parte superiore del 4° ventricolo,
infine dalla vescicola mielencefalica origina il midollo
allungato e la cavità residua costituisce la parte inferiore del 4° ventricolo.
La porzione cefalica del tubo neurale origina, passando attraverso gli stadi a 3 e 5
vescicole, le parti dell’encefalo con le rispettive cavità o ventricoli encefalici,
mentre la porzione caudale del tubo neurale va a costituire il midollo spinale e il
residuo dell’originale tubo neurale costituisce il canale centrale del midollo spinale.
Il liquor viene prodotto a livello dei plessi corioidei dei ventricoli laterali,
passa attraverso i fori di comunicazione nel 3° ventricolo, si aggiunge al
liquor prodotto dai plessi corioidei del 3° ventricolo e poi tramite
l’acquedotto cerebrale il liquor raggiunge il 4° ventricolo che grazie ai
suoi plessi corioidei produce e si aggiunge altro liquor.
Il 4° ventricolo è caratterizzato da fori che mettono in comunicazione il 4°
ventricolo con lo spazio subaracnoideo.
Cresta neurale
Dalla placca neurale, oltre al tubo neurale origina anche la cresta neurale che è all’origine dei
neuroni e delle cellule della Glia che vanno a costituire il SNP.
La cresta neurale si colloca dorsalmente al tubo neurale.
Dal sito originario delle cellule della cresta neurale, le cellule iniziano a
migrare rispetto alla loro sede originale andando a costituire i gangli del
SNP, ossia raggruppamenti di corpi neuronali localizzati a vari livelli del
corpo e distinti in funzione del tipo dei neuroni in essi contenuti in gangli:
sensoriali o sensitivi, motori, viscerali, simpatici, parasimpatici…
Aracnoide e pia madre originano dalla cresta neurale, mentre la dura madre origina dal
mesoderma.
Il sistema nervoso deve fornire informazioni sull’ambiente esterno e sullo stato degli organi interni,
tramite le formazioni del compartimento afferente o sensitivo del SNP che trasporta le informazioni
afferenti dai recettori o sensori al SNC, il quale elabora ed integra le informazioni afferenti e
coordina le risposte per i bersagli.
Poi bisogna trasportare i comandi motori e secretori agli effettori o bersagli, rappresentati da
muscoli e ghiandole, tramite le formazioni del compartimento efferente o motorio del SNP.
Il SNC è costituito da encefalo e midollo spinale, mentre il SNP che collega il SNC alla periferia è
costituito da nervi e gangli.
I nervi sono fasci di fibre/assoni distinte in afferenti o sensitive ed efferenti o motorie, mentre i gangli
sono raggruppamenti neuronali situati a livello periferico e sono distinti, in relazione alla loro
funzione, in sensitivi e motori viscerali.
Neuroni afferenti
I neuroni afferenti sensitivi trasportano le informazioni dalla periferia al SNC e formano il
compartimento afferente del SNP.
I loro corpi e i loro assoni sono parte del SNP.
Sono neuroni pseudounipolari, infatti dal corpo cellulare si stacca un breve assone che subito si
suddivide in un ramo periferico e in un ramo centrale.
Il ramo periferico si sfiocca in una serie di ramificazioni a funzione
dendritica, quindi con funzione recettiva, ed è proprio questa
porzione degli assoni afferenti sensitivi che funziona da recettore.
La maggior parte dei recettori somatici e viscerali sono neuroni e corrispondono ai neuroni afferenti
sensitivi, i quali raccolgono le informazioni tramite la loro porzione dendritica e poi le trasportano,
tramite tutto l’assone, al SNC.
Collegano direttamente la periferia al SNC e sono detti sensitivi perché trasportano informazioni
sensitive raccolte dalla loro porzione dendritica terminale a funzione recettoriale.
Sono proprio i neuroni afferenti sensitivi che costituiscono il compartimento afferente o sensitivo del
SNP.
In particolare i corpi dei neuroni sensitivi formano i gangli sensitivi, mentre gli assoni costituiscono le
fibre afferenti dei nervi.
Neuroni efferenti
I neuroni efferenti o motori trasportano le informazioni dal SNC ai bersagli o effettori, quindi ai
muscoli e alle ghiandole.
Sono detti motori perché si portano soprattutto ai muscoli.
Sono neuroni multipolari, il loro corpo è collocato nel SNC e i loro assoni vanno a costituire parte
del SNP, infatti corrispondono alle fibre efferenti o motorie dei nervi.
I gangli viscerali o autonomi motori sono gangli del SNP che contengono i neuroni post-gangliari.
Il compartimento efferente del SNP è costituito dagli assoni dei neuroni efferenti motori somatici, il
cui corpo è situato a livello del SNC, dagli assoni dei neuroni efferenti motori viscerali pre-gangliari
e dal corpo e dagli assoni dei neuroni efferenti motori viscerali post-gangliari.
I corpi dei neuroni efferenti viscerali post-gangliari sono localizzati a livello del SNP, vanno a
costituire i gangli motori autonomi o viscerali che sono situati a diversi livelli del corpo, associati a
nervi diversi e in modo diverso a seconda che si parli di gangli simpatici o gangli parasimpatici.
Gli assoni di questi neuroni vanno a costituire le fibre efferenti motorie dei nervi distinte in somatiche
e viscerali, mentre i corpi dei neuroni post-gangliari vanno a costituire i gangli motori autonomi o
viscerali del SNP, annessi poi ai nervi.
I corpi dei neuroni pre-gangliari e i corpi dei neuroni motori somatici sono invece localizzati a
livello del SNC,
Interneuroni
Gli interneuroni sono tutti i neuroni del SNC e formano il 90% dei nostri neuroni.
Non sono connessi direttamente alla periferia, quindi si interpongono tra gli
afferenti e gli efferenti.
Sono neuroni multipolari per eccellenza, stabiliscono tantissime connessioni
con gli afferenti, gli efferenti e altri interneuroni del SNC.
Rappresentano la sede di elaborazioni e integrazioni che caratterizzano il
SNC.
Si interpongono nei circuiti che iniziano con il neurone sensitivo afferente e terminano con il
neurone motore efferente costituendo delle reti dei circuiti atti alla elaborazione/integrazione delle
informazioni sensitive in entrata al SNC e alla coordinazione delle risposte motorie in uscita.
Tanto maggiore è il numero di interneuroni coinvolti nel circuito tanto più complessa risulta la
risposta ad uno stimolo.
SNP
Il SNP risulta particolarmente costituito da gangli e nervi.
Poiché i gangli sono ammassi di corpi neuronali del SNP, essi corrispondono alla sostanza grigia,
mentre i nervi, ossia fasci di fibre di assoni mielinizzati, corrispondono alla sostanza bianca del SNP.
Relativamente alla sostanza grigia, quindi ai gangli, essi si distinguono in:
→ Gangli sensitivi: contengono i corpi di neuroni afferenti sensitivi, ossia i corpi dei neuroni
pseudounipolari a funzione recettoriale e sono associati a tutti i nervi spinali e ad alcuni
nervi cranici
→ Gangli motori viscerali o autonomi: sono costituiti dai corpi dei neuroni efferenti motori post-
gangliari che con i loro assoni arrivano ai bersagli viscerali
Tutti i nervi spinali sono nervi misti, mentre relativamente ai nervi cranici, alcuni sono misti, altri sono
solo sensitivi e altri sono solo motori.
SNC
Il SNC risulta particolarmente costituito da encefalo e midollo spinale.
L’encefalo è costituito da: telencefalo e diencefalo che nell’insieme formano il cervello, tronco
encefalico che comprende: mesencefalo, ponte e midollo allungato o bulbo e cervelletto.
Il SNC presenta un’organizzazione della sostanza bianca e grigia a livello delle diverse formazioni
del SNC alquanto varia.
A livello del midollo spinale la sostanza grigia è situata in profondità e mostra una forma circa di
farfalla, circondata da sostanza bianca.
Il midollo spinale è la porzione del SNC che mostra una disposizione un po’ più regolare, cioè dove
la sua sostanza grigia e bianca mantengono circa la stessa distribuzione a tutti i livelli del midollo
spinale, quindi lungo tutto il suo asse longitudinale.
Salendo dal midollo spinale, attraverso le diverse parti del tronco
invece ci si accorge che la sostanza grigia non mostra più una
distribuzione così regolare, ma si disgrega, scoppia soprattutto in
bulbo e mesencefalo dove si evidenziano parti di sostanza grigia
immerse situate più in profondità rispetto alla sostanza bianca
che vengono definiti con il termine di “nuclei o centri di sostanza
grigia”.
Salendo, ai livelli superiori dell’encefalo, a livello di cervelletto
ed emisferi telencefalici, la sostanza grigia si dispone soprattutto
in superficie, andando a costituire la corteccia, quindi si parla
rispettivamente di corteccia cerebellare e di corteccia cerebrale.
Le cortecce sono strati di sostanza grigia che si ripiegano, quindi di corpi neuronali disposti in
superficie.
Tutto ciò accade per permettere alla sostanza grigia di estendersi maggiormente a parità di
volume occupato.
Il volume disponibile è rappresentato dall’encefalo contenuto all’interno nel neurocranio, quindi
all’interno di un contenitore di natura ossea, per cui rigido e non estensibile.
Tutti i vertebrati sono caratterizzati da SNC e SNP che si sono diversamente evoluti, in particolare
per quanto riguarda soprattutto il telencefalo e parte del cervelletto.
In relazione ai corpi neuronali che sono aumentati di numero, questi si
distribuiscono più superficialmente dove vanno a costituire le
cortecce.
Il massimo sviluppo di telencefalo e cervelletto si è raggiunto nei
primati superiori, quindi nell’uomo dotato da funzioni intellettive
superiori che lo contraddistinguono dagli animali.
Sia a livello del cervelletto sia a livello degli emisferi telencefalici, più
in profondità immersi nella sostanza bianca sono presenti piccole
formazioni di sostanza grigia definite nuclei del cervelletto e nuclei
del telencefalo o nuclei o gangli della base con funzioni motorie molto importanti.
La sostanza bianca invece si sviluppa al di sotto della corteccia e tra i nuclei profondi.
La corteccia è uno strato di sostanza grigia che si sviluppa sulla superficie degli emisferi
telencefalici (corteccia cerebrale) o sulla superficie del cervelletto (corteccia cerebellare).
I nuclei sono raggruppamenti di corpi neuronali individuabili dal punto di vista anatomico perché
risultano delimitati, quindi circondati da sostanza bianca.
I centri sono raggruppamenti di corpi neuronali, quindi di neuroni deputati ad una specifica
funzione i cui assoni condividono lo stesso bersaglio.
La differenza tra nucleo e centro consta nel fatto che la definizione di centro sia più fisiologica, più
funzionale piuttosto che anatomica.
I centri non sono ben individuabili anatomicamente poiché sono piccoli e frammisti o risultano in
continuità con altri raggruppamenti neuronali.
I nuclei invece sono raggruppamenti di corpi neuronali ben individuabili anatomicamente.
I gangli del SNP corrispondono ai nuclei del SNC.
A livello del tronco sono presenti importanti centri deputati al controllo di funzioni viscerali,
vegetative, vitali come centri respiratori e cardiocircolatori, mentre a livello dell’ipotalamo, una
parte del diencefalo, sono presenti centri della termoregolazione, della fame e della sete.
A livello della corteccia cerebrale si parla di aree piuttosto che di centri, sempre riferendosi a
raggruppamenti di corpi neuronali deputati a specifiche funzioni come aree: motorie deputate a
funzioni motorie caratterizzate da neuroni responsabili del controllo dell’attività dei muscoli
scheletrici, sensitive deputate a funzioni sensitive e all’elaborazione delle informazioni sensitive
originate dai recettori, associative o di integrazione che sono aree corticali di origine ancora
superiore che sono deputate a funzioni superiori (es, comprensione e produzione del linguaggio,
aree deputate all’apprendimento…).
Le aree corticali così come i centri sono stati
individuati tramite studi di risonanza magnetica
funzionale.
MIDOLLO SPINALE
Il midollo spinale rappresenta la parte strutturalmente e funzionalmente più semplice del SNC ed è
collegato ai suoi bersagli tramite le 31 paia di nervi spinali che sono nervi misti per cui costituiti sia
da fasci di fibre afferenti sia da fasci di fibre efferenti e che insieme
ai gangli annessi costituiscono la parte di SNP che collega
direttamente il midollo spinale ai suoi bersagli.
I diretti bersagli del midollo spinale sono le pareti del tronco e gli
arti, quindi la maggior parte del soma.
La porzione somatica della testa è invece innervata da alcuni nervi
cranici che, diversamente dai nervi spinali, originano dal tronco
encefalico.
Il midollo spinale si continua superiormente con l’encefalo a livello del grande foro presente a
livello dell’osso occipitale.
Il midollo spinale rappresenta assolutamente una via di transito delle vie sensitive ascendenti e
delle vie motorie discendenti, quindi rappresenta un mezzo di trasporto di informazioni sensitive
ascendenti raccolte soprattutto a livello dei recettori somatici delle pareti del tronco e degli arti,
quindi raccolte dai recettori cutanei e dai muscoli scheletrici verso i centri di elaborazione
encefalici superiori; risulta anche un mezzo di trasporto di informazioni motorie discendenti
originate dai centri encefalici superiori verso i bersagli.
Il midollo spinale però non è soltanto questo, ma è capace di processare informazioni proprie.
Il midollo spinale mantiene una sua individualità funzionale, ossia è un importante centro di
elaborazione/integrazione di stimoli, quindi processa informazioni sensitive proprie che sono
all’origine di risposte rapide, inconsce definite riflessi spinali.
Il midollo spinale non occupa tutto il canale vertebrale, infatti termina a livello di L1-L2
assottigliandosi in una porzione definita cono midollare, ma la restante parte del canale vertebrale
è occupata dalla cauda equina.
Tra pia madre e aracnoide si sviluppa uno spazio detto spazio subaracnoideo contenente liquido
cerebrospinale o cefalorachidiano o liquor.
Tra aracnoide e dura madre, in condizioni fisiologiche non è presente un vero e proprio spazio
infatti si parla di spazio virtuale detto spazio subdurale.
Il liquor oltre ad occupare lo spazio subaracnoideo, occupa anche le cavità interne del SNC
(ventricoli encefalici) e la cavità centrale del midollo spinale.
Nervi spinali
Il midollo spinale è collegato alla periferia/bersagli da 31 paia di nervi spinali che
emergono dal canale vertebrale attraverso i fori intervertebrali corrispondenti.
Ogni nervo spinale, subito dopo essere fuoriuscito dal foro intervertebrale
corrispondente si divide in un ramo anteriore più cospicuo e un ramo anteriore più
sottile.
I nervi spinali si formano dall’unione di 2 radici che, in funzione della posizione sono distinte in
radice posteriore o dorsale e radice anteriore o ventrale.
Queste radici emergono separate dal midollo spinale per poi unirsi in corrispondenza del foro
intervertebrale attraverso il quale il nervo deve uscire.
Queste radici sono parti del nervo.
Il nervo spinale è un nervo misto, quindi costituito da un fascio di fibre/assoni
distinte in: afferenti o sensitive ed efferenti o motorie.
Queste fibre, in prossimità del midollo spinale si separano, risultano
separate: le afferenti, provenienti dai recettori, vanno a costituire la radice
posteriore o dorsale; mentre le efferenti, originate dal midollo spinale e
destinate ai bersagli, formano la radice anteriore del nervo spinale.
Si definisce neuromero midollare ogni segmento del midollo spinale dal quale emerge, su ciascun
lato, un paio di radici (posteriore e anteriore) dalla cui unione si forma un nervo spinale misto.
La suddivisione metamerica del midollo spinale non è evidente morfologicamente, ma è
contrassegnata dall'emergenza delle radici/nervi spinali.
La disposizione e la numerosità di queste radici identificano i cosiddetti neuromeri midollari, ossia i
settori nervosi che in successione formano la compagine del midollo spinale.
Sono presenti:
Le vertebre cervicali sono 7, mentre i neuromeri cervicali e quindi anche i nervi spinali sono 8 paia.
Il primo nervo spinale viene fuori al di sopra della prima vertebra cervicale, quindi tra l’osso
occipitale del cranio e l’atlante.
Inoltre a seguito dell’ascensione midollare i neuromeri midollari si trovano posizionati più
superiormente rispetto alle corrispondenti vertebre.
Nei primi 3 mesi il midollo spinale cresce alla stessa velocità della colonna vertebrale, quindi
occupa l’intera lunghezza del canale vertebrale.
Dal 4° mese in poi, lo sviluppo della colonna vertebrale, soprattutto nei
livelli lombari e sacrali, non è proporzionale allo sviluppo della
corrispondente porzione dei midollo spinale, ma risulta una crescita
maggiore per cui, apparentemente, sembra che il midollo spinale risalga
lungo il canale vertebrale, per questo si parla di ascesa midollare.
Infatti il midollo spinale, a sviluppo ultimato si arresta in corrispondenza di
L1-L2 (L3-L4 nel neonato), ma mantiene la suddivisione in neuromeri.
La disposizione dei mielomeri non corrisponde totalmente alla disposizione delle corrispondenti
vertebre.
Lo spazio sottostante del canale vertebrale è occupato dalla cauda equina avvolta dal sacco
durale (aracnoide e dura madre) o cisterna lombare.
La pia madre che aderisce intimamente al midollo spinale, termina
con esso in corrispondenza di L1-L2, però le successive meningi,
quindi aracnoide e dura madre, proseguono fino a livello di S2,
quindi il sacco durale è sostenuto dall’aracnoide e dalla dura madre
che proseguono fino ad S2 avvolgendo e contenendo le radici
nervose della cauda equina che non sono contenute in un ambiente
secco, ma liquido, infatti sono immerse nel liquido cerebrospinale.
Il sacco durale delimita la cisterna lombare piena di liquido contenente la cauda equina.
Configurazione interna
Nel midollo spinale, la sostanza bianca e la sostanza grigia mostrano una distribuzione costante e
regolare che si mantiene per tutta la sua lunghezza, dove la sostanza grigia a forma di farfalla si
dispone in profondità e risulta completamente circondata da sostanza bianca.
La sostanza grigia è sostenuta, in particolare, dai corpi neuronali che risultano organizzati in nuclei.
La sostanza bianca è sostenuta da fasci di fibre nervose, ossia da fasci
di assoni rivestiti di mielina che trasportano le informazioni verso l’alto
(fasci ascendenti) o verso il basso (fasci discendenti).
Al centro è presente un canale detto canale centrale o canale
ependimale del midollo spinale contenente liquido cerebrospinale che
superiormente si continua con le cavità interne dell’encefalo.
Tali fasci collegano fra di loro i vari segmenti midollari per coordinare la loro attività e fasci che
collegano i segmenti midollari con le parti encefaliche superiori (fasci ascendenti) o viceversa, per
cui collegano le parti encefaliche superiori con il midollo spinale (fasci discendenti).
Nel tentativo di individuare una precisa organizzazione morfologica, a livello della sostanza grigia
del midollo spinale, il neuroanatomico svedese Rexed, intorno al 1950, intraprese uno studio di tipo
citoarchitettonico e biochimico della sostanza grigia del midollo spinale.
Secondo la classificazione arcaica tali nuclei della sostanza grigia, difficilmente
identificabili/individuabili anatomicamente sono stati diversamente denominati in relazione agli
studiosi che li hanno identificati (es. zona marginale di Lissauer, sostanza gelatinosa di Rolando,
nucleo dorsale di Clarke…).
Per ovviare al problema circa la loro precisa identificazione topografica e terminologica, Rexed
disseziona trasversalmente tutto il midollo spinale per studiare le caratteristiche citoarchitettoniche,
morfologiche e biochimiche di tutti i neuroni.
Questo studio gli permise di evidenziare una particolare/regolare organizzazione della sostanza
grigia, ossia un’organizzazione laminare, per cui si parla di lamine di Rexed.
In sezione trasversale e in direzione dorso-ventrale o postero-anteriore, Rexed riuscì ad individuare
10 lamine, ossia strati appiattiti di corpi neuronali con le stessa caratteristiche morfologiche e
biochimiche, strati a decorso longitudinale che andò a numerare in successione con numeri
romani, dalla testa del corno posteriore alla testa del corno anteriore.
La lamina IX contiene i corpi dei neuroni efferenti motori somatici, neuroni di tipo α e γ, destinati
all’innervazione della muscolatura scheletrica (muscoli assili e appendicolari).
A livello della lamina VII si individua una colonna che si estende da T1 a L1-L2 e ai livelli S2-S4, con i
corpi dei neuroni efferenti motori viscerali pre-gangliari del comparto simpatico e parasimpatico.
La lamina IX risulta a sviluppo colonnare, ossia si nota che è costituita da 2 colonne e precisamente
una colonna mediale che risulta continua, cioè si sviluppa lungo tutto il midollo spinale e una
colonna laterale discontinua che si sviluppa soltanto a livello di alcuni neuromeri midollari.
La colonna mediale continua contiene i corpi dei neuroni motori destinati alla muscolatura assile e
ai muscoli della radice degli arti, mentre la colonna discontinua laterale
contiene i neuroni motori destinati ai muscoli delle parti libere degli arti, dove
il midollo spinale si allarga.
La porzione superiore della colonna laterale si sviluppa in corrispondenza dei
neuromeri del midollo spinale destinati all’innervazione dell’arto superiore,
mentre la porzione inferiore della colonna laterale si ritrova solo a livello dei
neuromeri del midollo spinale destinati all’innervazione dei muscoli dell’arto
inferiore.
I motoneuroni della lamina IX sono innervati, ossia controllati da sistemi motori, ossia da fasci delle
vie motorie discendenti.
I motoneuroni della colonna laterale destinati ai muscoli delle parti libere degli arti sono controllati
dai sistemi motori laterali, quindi si tratta di fasci delle vie motorie discendenti che decorrono a
livello del cordone laterale della sostanza bianca del midollo spinale e dove, la più importante via
di questo sistema di moto laterale è rappresentata dalla via cortico-spinale o piramidale che
origina dalla corteccia cerebrale.
I motoneuroni della colonna mediale destinati ai muscoli assili, sono invece controllati dai sistemi
motori mediani e si tratta di fasci delle vie motorie discendenti che vanno ad occupare il cordone
anteriore di sostanza bianca del midollo spinale, fasci delle vie che originano soprattutto dai nuclei
motori del tronco encefalico e sono in particolare le vie che corrispondono alle vie cosiddette
extrapiramidali.
NERVI SPINALI
I nervi spinali sono 31 paia e collegano il midollo spinale, quindi il SNC alla periferia, ai suoi bersagli,
ossia alle pareti del tronco e agli arti, compartimento somatico del corpo.
Rappresentano la parte del SNP che collega il midollo spinale ai suoi bersagli.
Sono costituiti da fasci di fibre, quindi di assoni e dai gangli annessi.
Un nervo spinale si costituisce dall’unione di 2 radici: una radice posteriore sensitiva o afferente e
una radice anteriore motoria o efferente.
È perciò un nervo misto con un fascio di fibre afferenti che trasporta l’informazione al midollo
spinale e un fascio di fibre efferenti che dal midollo spinale trasportano le informazioni ai bersagli.
La maggior componente dei nervi spinali è somatica, perciò costituita prevalentemente da fibre
afferenti ed efferenti somatiche.
Le fibre afferenti sono originate dai recettori somatici delle pareti
del tronco e arti, quindi distinti in: recettori cutanei o esterocettori e
recettori muscolari o propriocettori.
Le fibre efferenti sono destinate soprattutto ai muscoli scheletrici.
A livello delle pareti di tronco e arti è presente anche una piccola
parte viscerale costituita da muscolatura liscia dei vasi e ghiandole
sudoripare della cute.
A livello dei nervi spinali è presente anche una piccola componente di fibre viscerali simpatiche
destinate ai vasi delle pareti del tronco e degli arti e alle ghiandole sudoripare della cute.
La radice posteriore sensitiva o afferente è costituita dagli assoni dei neuroni afferenti sensitivi che
raccolgono le informazioni dalle pareti del tronco e degli arti.
Inoltre è formata dal ganglio sensitivo dove sono presenti i corpi dei neuroni afferenti sensitivi
associato a tutti i nervi spinali e precisamente a tutte le radici posteriori dei nervi spinali e si situa
circa all’altezza del foro intervertebrale dove le 2 radici, afferente ed efferente si uniscono per
formare il nervo spinale misto.
Oltre ai neuroni motori efferenti somatici abbiamo anche i neuroni motori viscerali pre-gangliari,
sono i neuroni contenenti i corpi dei neuroni motori viscerali pre-gangliari del SNA e distinti nella
porzione simpatica (presente solo tra T1 ed L1) e nella porzione parasimpatica (presente solo tra S2
ed S4).
La radice anteriore dei nervi spinali è sostenuta dagli assoni dei neuroni motori efferenti somatici
che direttamente, tramite il nervo spinale, si portano ai muscoli scheletrici, quindi fibre efferenti
somatiche dei nervi spinali e dagli assoni dei neuroni motori
efferenti viscerali pre-gangliari che si portano ad un ganglio
motore viscerale simpatico o parasimpatico localizzato a vari
livelli del corpo.
Da questi gangli le fibre post-gangliari arrivano poi ai visceri
propriamente detti tramite nervi viscerali, non tramite i nervi
spinali, oppure utilizzando il decorso dei vasi che si portano ai
diversi visceri.
I nervi spinali grazie alle loro fibre afferenti mediano il trasferimento di informazioni sensitive raccolte
dalla periferia, dai recettori somatici verso il SNC e grazie alle loro fibre efferenti motorie mediano il
trasferimento di informazioni motorie dal SNC ai muscoli scheletrici delle parteti del tronco e degli
arti.
I nervi spinali perciò concorrono ad innervare le pareti del tronco e gli arti.
La suddivisione in rami anteriori e posteriori riguarda tutti i nervi spinali e avviene subito oltre il foro
di emergenza del nervo spinale dal canale vertebrale, quindi a livello del foro intervertebrale detto
clinicamente anche foro di coniugazione.
Sussiste una piccola differenza per quanto riguarda i nervi spinali sacrali i quali si suddividono
ancora quando sono all’interno del tratto sacrale del canale vertebrale in rami anteriori e
posteriori, tale per cui i rami anteriori dei nervi spinali sacrali emergono direttamente dai fori sacrali
anteriori, mentre i rami posteriori dei nervi spinali sacrali emergono attraverso i fori sacrali posteriori
dell’osso sacro.
Sia i rami posteriori sia i rami anteriori sono misti, diversamente dalle radici dei nervi spinali.
Le fibre afferenti sensitive originano dai recettori cutanei, articolari e muscolari.
Le fibre efferenti motorie si portano ai muscoli scheletrici, quindi sono le fibre dei motoneuroni α che
si portano alle fibre extrafusali e le fibre dei motoneuroni γ che si portano alle fibre intrafusali, ossia
quelle fibre specializzate che caratterizzano il fuso neuromuscolare, recettori molto strani perché
sono innervati anche da fibre motorie.
I rami posteriori di tutti i nervi spinali restano tra di loro separati, quindi mantengono una
distribuzione precisa e segmentale nel senso che questi rami posteriori dei nervi spinali si portano
posteriormente andando ad innervare precise aree cutanee e sottostanti e corrispondenti porzioni
di muscoli del dorso.
Diversamente i rami anteriori dei nervi spinali partecipano alla formazione di
plessi spinali, ma i rami anteriori dei nervi spinali toracici non formano plessi
spinali, ossia mantengono un andamento individuale, segmentale e
metamerico, restano tra loro separati e corrispondono ai nervi intercostali
che sono destinati ai muscoli intercostali e in parte anche destinati ad
innervare parte della parete antero-laterale dell’addome.
Il plesso è un complicato dispositivo nervoso che si costituisce grazie ad uno scambio, un intreccio
di fibre che si attua fra i rami anteriori di nervi spinali vicini e queste anastomosi fanno si che i rami
terminali, quindi i nervi periferici che si costituiscono a partire dai plessi e destinati a specifici
bersagli, possono contenere fibre derivanti da più nervi spinali, quindi derivanti da più segmenti o
neuromeri midollari.
Ogni nervo spinale provvede all’innervazione sensitiva di una regione cutanea detta
dermatomero.
Ogni nervo spinale provvede all’innervazione motoria di uno specifico territorio muscolare detto
miomero.
NERVI CRANICI
Oltre alle 31 paia di nervi spinali esistono 12 paia di nervi cranici.
Si tratta di nervi che originano precisamente dalle porzioni del tronco encefalico, quindi possono
originare da mesencefalo, ponte o bulbo.
Questi nervi cranici si distribuiscono soprattutto a formazioni della testa, a parte il 10° paio di nervi
cranici detti nervi vaghi che si distribuiscono anche a visceri della regione toracica e della regione
addomino-pelvica.
Questi nervi cranici, per raggiungere i loro bersagli devono abbandonare il neurocranio ed
emergono, attraverso fori specifici del basicranio.
Sono indicati con numeri romani dal 1° al 12° in funzione della loro precisa emergenza in direzione
antero-posteriore a livello del tronco encefalico.
Sono nervi che possono essere misti, quindi contenere sia fibre afferenti sensitive sia fibre efferenti
motorie, ma possono anche essere solo nervi sensitivi (es. 1°
paio → Nervi olfattivi che trasportano informazioni dai recettori
olfattivi contenuti a livello delle cavità nasali, 2° paio → Nervi
ottici che trasportano informazioni visive raccolte dai recettori
presenti a livello della retina, 8° paio → Nervo acustico-
vestibolare che raccoglie informazioni dai recettori
dell’organo dell’equilibrio e dell’udito presenti a livello
dell’orecchio interno) oppure solo nervi motori (es. 11° paio →
Nervi accessori che si portano a 2 muscoli: muscolo
sternocleidomastoideo, un muscolo della parete anteriore del
collo propriamente detto e muscolo trapezio, un muscolo
spino-appendicolare).
Il plesso brachiale è una struttura molto complessa alla quale partecipano i rami anteriori di C5, C6,
C7, C8 e T1.
I rami anteriori di C5 e C6 si uniscono andando a costituire il tronco superiore, C7 prosegue
andando a costituire il cosiddetto tronco medio del plesso brachiale, poi C8 e T1 si uniscono
andando a costituire il tronco inferiore.
Questi tronchi poi si suddividono ciascuno in un ramo anteriore e un
ramo posteriore.
I rami posteriori proseguono andandosi ad unire nella costituzione del
cosiddetto fascicolo posteriore del plesso, mentre i rami anteriori del
tronco superiore e medio si uniscono formando il fascicolo laterale del
plesso, infine il ramo anteriore del tronco inferiore prosegue andando a
costituire il fascicolo mediale del plesso.
Si tratta di una rete anastomotica particolare che avviene tra fibre di rami anteriori di nervi vicini.
I rami anteriori che partecipano si uniscono, si scambiano fibre tra loro, si ridistribuiscono, tale per
cui i rami terminali che dal plesso emergono sono plurisegmentali, contengono fibre derivanti da
più neuromeri midollari.
Questa è un’importante garanzia per i muscoli che innervano perché se si lesiona un nervo i
muscoli da esso innervati risulteranno più deboli e meno forti perché hanno perso parte
dell’innervazione, ma non resteranno paralizzati perché sono innervati da fibre provenienti anche
da altri nervi spinali.
Il plesso brachiale si sviluppa in parte nel collo, porzione del plesso all’origine
dei cosiddetti rami sovraclavicolari, poi il plesso prosegue passando tra la
clavicola e la 1° costa, in cavità ascellare e questo rappresenta la porzione
del plesso all’origine dei rami sottoclavicolari.
La parte sopraclavicolare del plesso si sviluppa precisamente a livello dello spazio interscalenico,
quindi tra i muscoli scaleni anteriore e medio, tale per cui un’ipertrofia di questi muscoli può
comportare una riduzione dello spazio interscalenico, perciò una compressione di questa parte
del plesso cui consegue dolore, parestesia, formicolii a livello dell’arto superiore, cioè a livello
delle parti innervate dai rami terminali del plesso brachiale arrivando anche a determinare
l’occlusione dell’arteria succlavia cui conseguono sintomi da ischemia, ossia da mancata
irrorazione dell’arto superiore.
La parte sottoclavicolare del plesso si sviluppa nella cavità ascellare.
o Nervi pettorali o collaterali mediale e laterale: sono i più brevi e si portano ai muscoli
piccolo e grande pettorale
o Nervo toraco-dorsale o sottoscapolare medio: si porta al
muscolo grande dorsale
o Nervi sottoscapolari: si portano al muscolo omonimo
o Nervi solo cutanei: rami terminali del plesso che
contengono solo fibre sensitive.
Sono 2 e si chiamano nervo cutaneo mediale del braccio
e nervo cutaneo mediale dell’avambraccio; il nome rispecchia il territorio di distribuzione,
quindi per la cute della faccia mediale del braccio o per la cute della faccia mediale
dell’avambraccio.
o Nervo muscolocutaneo: origina dal fascicolo laterale e dopo aver perforato e attraversato
il muscolo coracobrachiale forma dei rami che si distribuiscono ai 3
muscoli della loggia anteriore del braccio, gruppo di muscoli flessori
che comprendono: muscolo bicipite brachiale e muscolo brachiale
propriamente detto.
Questo nervo prosegue oltre la regione del braccio con una
componente solo sensitiva detta nervo cutaneo laterale
dell’avambraccio, quindi parte del nervo contenente soltanto fibre
afferenti sensitive proveniente dai recettori della cute laterale
dell’avambraccio.
Il suo nome esprime il suo territorio di distribuzione, presenta una
componente muscolare destinata ai muscoli della loggia anteriore del braccio e una
componente solo sensitiva destinata alla cute laterale dell’avambraccio.
o Nervo mediano: transita a livello del braccio senza fornire rami, arrivato a livello
dell’avambraccio concorre ad innervare tutti i muscoli della loggia anteriore del braccio,
quindi tutti i flessori e i pronatori rotondo e quadrato; non
innerva soltanto il muscolo flessore ulnare del carpo e la parte
mediale del muscolo flessore profondo delle dita che sono di
competenza del nervo ulnare.
Inoltre si porta anche a livello della mano, passa all’interno del
tunnel carpale, quindi al di sotto della retinacula dei flessori e
raggiunta la mano innerva i muscoli dell’eminenza tenar (a
parte il muscolo adduttore del pollice), innerva il 1° e il 2°
muscolo lombricale e ha un territorio di distribuzione sensitiva a
livello della mano che riguarda i 2/3 laterali del palmo della
mano, quindi la faccia palmare del 1°, 2°, 3° e metà del 4° dito
e, per quanto riguarda la superficie dorsale, innerva la cute dorsale corrispondente alla
falange distale delle stesse dita.
Si parla di costrizione alta del nervo mediano quando
viene costretto mentre decorre tra i 2 ventri, con origine
da omero e ulna, del muscolo pronatore rotondo e
un’ipertrofia del pronatore rotondo può costringere il
decorso del nervo mediano.
Nel momento in cui viene costretto, a questo livello, viene
compromesso tutto il territorio di distribuzione del nervo
mediano oltre alla perdita di sensibilità a livello della mano nelle parti da esso innervate.
Il passaggio più frequentemente costretto è quello che riguarda il tunnel carpale, si sente
spesso parlare della cosiddetta sindrome del tunnel carpale, quindi una sintomatologia che
corrisponde alla costrizione del nervo mediano mentre decorre all’interno di questo canale
osteo-fibroso o tunnel carpale.
Il nervo mediano, a livello della mano innerva i muscoli:
abduttore breve, flessore breve, opponente del pollice, 1° e
2° lombricale.
La sindrome del tunnel carpale è molto frequente nei
lavoratori che utilizzano molto le dita, conseguente
all’infiammazione dei muscoli e dei tendini superficiali e
profondi destinati alle dita, perciò infiammazione delle borse
sinoviali che decorrono all’interno del tunnel carpale per cui
si parla di tenosinoviti e ne consegue una sintomatologia
molto chiara costituita da atrofia dell’eminenza tenar con
compromissione dei movimenti del pollice, flessione
compromessa delle falangi prossimali del 2° e 3° dito,
perdita di sensibilità in corrispondenza delle aree cutanee della mano (parestesie) e artrosi
a carico delle ossa del carpo perché sono ossa brevi piene di osso spugnoso, più colpito
da osteoporosi, e sono ossa molto sollecitate, soprattutto da forze di compressione.
o Nervo ulnare: è il flessore ulnare del carpo e la parte mediale del flessore profondo delle
dita, cioè quella parte i cui tendini si portano alle falangi distali di 4° e 5° dito.
A livello della mano innerva molti muscoli intrinseci della mano, quindi i muscoli interossei
che abducono e adducono le dita, il 3° e il 4° lombricale, i
muscoli dell’eminenza ipotenar e il muscolo adduttore del
pollice dell’eminenza tenar.
La distribuzione sensitiva a livello della mano riguarda il 3°
mediale della mano, quindi la faccia palmare e dorsale del 5°
dito e di metà del 4° dito.
Innerva sempre, dal punto di vista sensitivo, tutto il 5° dito e può
innervare metà o tutto i 4° dito e in quel caso il nervo mediano
innerva le parti rimaste.
Per raggiungere la regione della mano non attraversa il tunnel
carpale, ma passa attraverso un piccolo canale di natura
osteo-fibrosa che si colloca più medialmente e
superficialmente rispetto al retinacula dei flessori detto
canale ulnare o canale del Guyon.
Il nervo ulnare può essere lesionato a livello prossimale
mentre decorre posteriormente all’epicondilo mediale
dell’omero e questo comporta la perdita d’innervazione di
tutto il suo territorio di distribuzione.
Il punto più critico in cui può essere costretto è quando
decorre distalmente in corrispondenza del canale del Guyon
e una costrizione a questo livello comporta la cosiddetta sindrome del canale ulnare che
causa la perdita d’innervazione dei muscoli intrinseci della mano e quindi perdita di
sensibilità con parestesie e formicolii a livello delle parti cutanee della mano.
o Nervo radiale: le fibre contenute nei rami anteriori di nervi spinali vicini si anastomizzano tra
di loro in modo tale che i rami terminali del plesso contengono fibre provenienti da più
nervi spinali e neuromeri midollari.
Il nervo radiale, come il nervo mediano, contiene
fibre provenienti da tutti i rami anteriori dei nervi
spinali che partecipano alla costituzione del plesso
brachiale.
Complessivamente in nervo radiale si distribuisce ai
muscoli della loggia posteriore del braccio e
dell’avambraccio, quindi a tutti i muscoli estensori
dell’arto superiore e si porta al muscolo supinatore propriamente detto.
Il nervo radiale emerge dalla faccia posteriore della regione della spalla, dove prosegue
posteriormente a livello del braccio, si colloca in stretto rapporto con la faccia posteriore
dell’omero dove è presente il solco radiale dell’omero così definito perché è un solco
occupato dal nervo radiale che mentre decorre a questo livello forma dei rami motori
destinati al tricipite e forma anche rami cutanei che prendono nomi particolari e si portano
ad innervare la cute della faccia posteriore del braccio e
dell’avambraccio.
Dalla regione posteriore del braccio emerge in
corrispondenza della parte laterale della fossa cubitale, tra il
muscolo brachiale e il muscolo brachio-radiale ed è a
questo livello che termina suddividendosi in 2 rami terminali
detti ramo profondo e ramo superficiale.
Il ramo profondo concorre ad innervare tutti i muscoli della
loggia posteriore dell’avambraccio e il muscolo supinatore,
mentre il ramo superficiale arriva di innervare un territorio cutaneo
della mano.
Il ramo terminale superficiale del nervo radiale si distribuisce alla
parte di cute della mano che non è stata innervata né dal nervo
ulnare né dal nervo mediano.
Le fratture dell’omero sono alquanto pericolose proprio per il
particolare rapporto che l’omero contrae con il nervo radiale,
infatti possono comportare una lesione alta del nervo radiale e in
seguito a questa lesione viene a mancare l’innervazione a tutti i
muscoli estensori del braccio, dell’avambraccio e delle dita.
Quando il nervo radiale viene lesionato in corrispondenza del
suo decorso a livello dell’omero, gomito, polso e dita restano
parzialmente flessi e per questo motivo si parla di mano
cadente o del mendicante.
Non viene però completamente persa la capacità di supinare
l’avambraccio e quindi la mano perché nella
supinazione concorre il muscolo bicipite brachiale.
o Nervo ascellare: innerva il muscolo deltoide, quindi
l’abduttore del braccio, e contribuisce
all’innervazione del muscolo piccolo rotondo.
Ha un territorio di innervazione cutaneo che
corrisponde circa al decorso del muscolo deltoide.
PLESSO LOMBARE
Il plesso lombare innerva parti dell’arto inferiore e fornisce rami
che concorrono ad innervare quasi tutta la parete addominale.
Si sviluppa subito oltre l’emergenza dei nervi spinali lombari, dai
rispettivi fori di coniugazione, quindi nello spessore del muscolo
grande psoas, il muscolo più mediale della parete addominale
posteriore.
Alla sua costituzione partecipano i rami anteriori di L1, L2, L3 e
buona parte di L4; non tutto il ramo anteriore di L4 in quanto una parte
di quest’ultimo si unisce al ramo anteriore di L5 per andare a costituire il
cosiddetto tronco lombo-sacrale che scende a ridosso
dell’articolazione sacro-iliaca per unirsi ai rami anteriori dei nervi
spinali sacrali e contribuire con essi alla costituzione del plesso sacro-
coccigeo.
I nervi terminali del plesso lombare che concorrono ad innervare la parete addominale sono:
Emergono lateralmente allo psoas quindi decorrono a ridosso del muscolo quadrato dei rombi per
portarsi lateralmente dove perforano i muscoli della parete anterolaterale dell’addome portandosi
poi anteriormente.
Anche gli ultimi nervi intercostali concorrono ad innervare la parete antero-laterale dell’addome
perché questi corrispondono ai rami di divisione anteriore dei nervi spinali toracici che sono gli
unici rami anteriori dei nervi spinali che non formano plessi, ma mantengono un andamento
segmentario, sono 12 paia e decorrono a livello del solco costale dove gli ultimi nervi intercostali,
arrivati anteriormente a livello della parete toracica anteriore poi si approfondano per contribuire
ad innervare anche la parete antero-laterale dell’addome insieme ai nervi ileoipogastrico e
ileoinguinale del plesso lombare.
I nervi originati dal plesso lombare che si distribuiscono all’arto inferiore sono:
− Nervo cutaneo laterale della coscia: con un territorio di distribuzione solo cutaneo, infatti è
l’unico ramo terminale solo sensitivo del plesso lombare.
Innerva la cute della faccia laterale della regione glutea.
− Nervo femorale: passa sotto il legamento inguinale, quindi
all’interno del triangolo femorale dove si esaurisce andando a
costituire tutti i rami motori che si portano ad innervare i muscoli
della loggia anteriore della coscia.
Forma anche rami cutanei che vanno ad innervare la cute
corrispondente, quindi della faccia anteriore della coscia.
Solo un ramo cutaneo del nervo femorale prosegue oltre la coscia
prendendo il nome di nervo safeno che va ad innervare la cute
della gamba e del piede.
È così definito perché decorre parallelo alla vena grande safena.
− Nervo otturatore: passa attraverso il foro otturato dell’osso
dell’anca e attraversa il muscolo otturatore esterno che innerva,
poi prosegue nella loggia mediale della coscia andando ad
innervare tutti i muscoli della loggia mediale, quindi i muscoli
adduttori.
Innerva il muscolo otturatore esterno mentre lo attraversa, ma il
muscolo otturatore esterno è un muscolo extrarotatore che
presenta una porzione flessoria che si inserisce sulla linea aspra del
femore, questa porzione è innervata dal nervo otturatore che
innerva tutti i muscoli adduttori che concorrono anche nella
flessione a partire da un arto iperesteso; mentre la sua porzione
estensoria che si inserisce sul condilo mediale del femore è innervata dal nervo tibiale.
Dal plesso lombare originano anche nervi che si distribuiscono al muscolo ileopsoas, mentre il
muscolo quadrato dei rombi non è innervato da rami del plesso lombare, diversamente da tutti gli
altri muscoli della parete addominale, ma è innervato da rami posteriori dei nervi spinali lombari.
Il plesso sacrale o sacro-coccigeo fornisce nervi per la regione glutea e per la maggior parte
dell’arto inferiore (parte non innervata da rami del plesso lombare).
I rami terminali del plesso sacrale arrivano in regione glutea attraverso
grande e piccolo foro ischiatico che sono le vie di comunicazione, i
passaggi che mettono in comunicazione la cavità pelvica con la regione
glutea, perciò la maggior parte delle formazioni che si portano dalla regione
pelvica a quella glutea attraversano maggiormente il grande foro ischiatico.
Il grande foro ischiatico è occupato dal muscolo piriforme, però rimane un
piccolo spazio al di sopra e al di sotto del piriforme definito canale sovra e sottopiriforme dove
transitano vasi e nervi destinati alla regione glutea.
Quasi tutte le formazioni che si portano verso la regione glutea transitano a livello del canale
sottopiriforme, soltanto il nervo gluteo superiore, accompagnato dai suoi vasi, transita a livello del
canale sovrapiriforme.
I rami destinati alla regione glutea, nella maggior parte dei casi, prendono il nome dei muscoli che
innervano.
Il nervo gluteo inferiore che passa attraverso il canale sottopiriforme si porta al muscolo grande
gluteo, mentre il nervo gluteo superiore che attraversa il canale sovrapiriforme si porta ai muscoli
abduttori della coscia.
Il nervo gluteo superiore innerva i muscoli abduttori e intrarotatori della coscia, fissata la pelvi, ma
invertendo il loro punto fisso, diventano importantissimi durante
la deambulazione, secondo la quale i 2 arti inferiori, essendo
bipedi, devono essere in grado, in modo alternato, di sostenere
l’intero peso del tronco, mentre l’altro arto si solleva per
portarsi in avanti.
Durante la deambulazione infatti mantengono la pelvi in asse
quando l’arto controlaterale è sollevato impedendo la caduta.
→ Nervo cutaneo posteriore della coscia: nervo che contiene solo fibre
sensitive provenienti dai recettori cutanei della faccia posteriore
della coscia.
È l’unico ramo terminale solo sensitivo del plesso sacrale.
→ Nervo ischiatico: fin dalla sua origine è costituito da 2 nervi detti
nervo peroneo comune e nervo tibiale.
Questi nervi inizialmente sono tenuti insieme da un avvolgimento
connettivale che fa costituire il nervo ischiatico.
I rami anteriori del plesso sacrale partecipano tutti alla formazione
del nervo ischiatico, ma poiché si suddividono fin da subito in una
porzione o divisione anteriore e in una porzione o divisione
posteriore, le originali divisioni di tutti i rami anteriori del plesso
sacrale, più distalmente si riuniscono.
In particolare si riuniscono tutte le divisioni anteriori che vanno a
costituire il nervo peroneo comune e tutte le divisioni posteriori che
vanno a costituire il nervo tibiale.
Questi 2 nervi hanno un preciso territorio di distribuzione differente l’uno
dall’altro.
Il nervo sciatico non innerva alcuna formazione della regione glutea,
quindi scende posteriormente a livello della coscia, decorre all’interno
della loggia posteriore della coscia per cui innerva tutti i muscoli della
loggia posteriore della coscia, ossia i muscoli ischiocrurali: bicipite
femorale, semitendinoso, semimembranoso e la porzione ischiatica del
muscolo grande adduttore.
Arrivato a livello della fossa poplitea, le 2 componenti tibiale e peroneo
comune si separano.
Il nervo tibiale prosegue posteriormente nella
regione posteriore della gamba, mentre il nervo
peroneo comune si sposta lateralmente, perciò si
porta anteriormente.
Il nervo tibiale scende nella regione posteriore della
gamba, decorre tra lo strato superficiale e lo strato
profondo dei muscoli della loggia posteriore, perciò
al di sotto del tricipite della sura, quindi innerva tutti i
muscoli della loggia posteriore della gamba, quindi
i flessori plantari e aree cutanee.
Arrivato a livello della caviglia si porta medialmente, passando sotto il retinacula dei flessori
per raggiungere il piede dove innerva tutti i muscoli della pianta del piede.
A livello della gamba innerva anche la cute latero-posteriore della gamba e del piede e
poi concorre, con diversi rami, ad innervare tutta la cute della pianta del piede.
Il nervo peroneo comune si separa dal nervo tibiale in
corrispondenza della fossa poplitea, quindi posteriormente, poi
si porta lateralmente e infine anteriormente.
Viene in rapporto stretto con l’epifisi prossimale e quindi con la
testa della fibula.
Raggiunge la regione anteriore della gamba dove si divide in 2
rami, il nervo peroneo profondo e il nervo peroneo superficiale.
Il nervo peroneo profondo si porta ad innervare la loggia
muscolare anteriore della gamba, perciò innerva i muscoli
flessori dorsali ed estensori delle dita.
Il nervo peroneo superficiale si porta nella loggia laterale della
gamba, per cui innerva i muscoli eversori, i peronei lungo e
breve.
Inoltre questi 2 rami del nervo peroneo comune formano dei rami anche cutanei che
concorrono complessivamente ad innervare il dorso del piede e la parte latero-anteriore
della gamba.
RECETTORI O SENSORI
I recettori o sensori informano costantemente il SNC sulle condizioni, ossia sullo stato, quindi sulle
modificazioni che avvengono all’esterno di esso, perciò alla periferia.
I recettori sono di vario genere, più o meno specializzati e complessi e sono soprattutto dislocati in
maniera strategica a livello del corpo.
Abbiamo infatti recettori presenti a livello della superficie corporea che ci mettono in relazione con
l’ambiente esterno, informandoci sulle condizioni e le modificazione che avvengono nell’ambiente
esterno e sono detti recettori somatici.
Inoltre abbiamo recettori situati più in profondità all’interno del nostro corpo che ci informano sulle
condizioni dei nostri organi interni, quindi dei visceri perciò sono detti recettori viscerali.
I recettori sono cellule specializzate nella ricezione, cioè capaci di sentire/riconoscere uno stimolo
di specifica natura, dove per stimolo s’intende una forma di energia che corrisponde ad una
modificazione dell’ambiente in cui si ritrovano, e di rispondere allo stimolo modificando il proprio
stato chimico-fisico.
Poiché la maggior parte dei nostri recettori sono neuroni, in particolare neuroni sensitivi anche detti
cellule sensoriali primarie, rispondono allo stimolo trasformandolo o meglio trasducendolo in un
segnale/impulso elettrico (neuroni) che corrisponde ad un’informazione sensitiva.
Ci sono anche recettori non di natura nervosa, sono molto pochi e corrispondono ai recettori
gustativi, uditivi, di pertinenza dell’organo dell’equilibrio… cellule di natura epiteliale che per
essere distinte dai neuroni sensitivi sono chiamate cellule sensoriali secondarie, ovvero cellule che
riconoscono uno stimolo che poi viene immediatamente trasmesso al neurone sensitivo con cui
vengono in rapporto tramite una giunzione detta citoneurale.
La ramificazione terminale a funzione recettiva è detta terminazione sensitiva che può essere:
o Recettori della sensibilità generale: recettori ubiquitari, diffusi a vari livelli del corpo e distinti
in somatici e viscerali
o Recettori della sensibilità speciale: si tratta di un insieme di recettori tutti ugualmente
specializzati a rispondere ad uno specifico stimolo e che si colocalizzano in una specifica
parte del corpo, vengono inglobati nella costituzione di un organo, per cui detti organi di
senso (l’organo della vista è l’occhio dove si localizzano tutti i fotorecettori, recettori sensibili
all’energia luminosa e l’occhio si trova nella cavità orbitaria scavata a livello della faccia,
nello splancnocranio; l’organo dell’udito e dell’equilibrio possiedono rispettivamente i
recettori uditivi e dell’equilibrio che si collocano a livello dell’orecchio interno, quindi a
livello del neurocranio, dell’osso temporale; l’organo del gusto contiene tutti i recettori
gustativi in cavità buccale; l’organo dell’olfatto presente a livello della mucosa olfattiva
con i recettori olfattivi a livello della cavità nasale) e si trovano tutti a livello della regione
della testa.
I recettori della sensibilità speciale ci mettono in relazione con l’ambiente esterno, infatti si
localizzano a livello superficiale, a livello del soma, quindi sono comunque considerabili
recettori somatici.
Se le informazioni sensitive raccolte dai recettori raggiungono, tramite una sequenza di neuroni,
perciò tramite una specifica via sensitiva, specifiche aree della corteccia cerebrale diventano
percezioni, ossia prendiamo consapevolezza e coscienza dell’informazione sensitiva, ci rendiamo
conto dello stimolo e riconosciamo la sensazione.
Se invece, le informazioni sensitive vengono elaborate a livelli sottocorticali, sono informazioni
sensitive di cui non ci rendiamo conto, sono pertanto all’origine di risposte involontarie, subconsce
(riflessi) e automatiche (deambulazione, masticazione…).
Le informazioni sensitive raccolte dai recettori, ossia dai neuroni efferenti sensitivi pseudounipolari
che corrispondono al 1° neurone di una via sensitiva, tramite una sequenza di neuroni, devono
arrivare a specifiche aree sensitive della corteccia cerebrale per diventare sensazioni coscienti o
percezioni.
In funzione del tipo di stimolo (forma di energia) cui sono sensibili si distinguono in:
Propriocettori
I propriocettori sono recettori all’origine della sensibilità propriocettiva.
Sono tutti recettori somatici distinti in: propriocettori generali, quindi ubiquitari a livello dell’apparato
locomotore e propriocettori speciali che corrispondono ai recettori per l’organo dell’equilibrio
localizzati a livello dell’orecchio interno.
1. Permettere la percezione del proprio corpo e dalle sue parti nello spazio sia da fermi sia in
movimento, anche senza l’ausilio della vista.
La percezione permette l’elaborazione corticale delle informazioni da essi generati, perciò
in questo caso si parla di propriocezione cosciente.
2. Regolare inconsciamente/automaticamente l’attività motoria.
Si parla di propriocezione incosciente perché dipende da informazioni da essi generate,
che vengono elaborate a livello sottocorticale, perciò sono all’origine di risposte
involontarie che non dipendono dalla nostra volontà, ma importantissime perché finalizzate
a mantenere il tono muscolare, quindi la postura e finalizzate a coordinare i gruppi
muscolari, perciò rendere fluidi i movimenti.
Organo dell’equilibrio
A livello dell’organo dell’equilibrio sono localizzati i propriocettori speciali, ossia recettori
concentrati a livello dell’orecchio interno e precisamente a livello della porzione vestibolare
dell’orecchio interno, per cui anche detti recettori vestibolari.
I propriocettori speciali anche detti recettori vestibolari, rilevano e quindi informano il SNC sulla
posizione della testa in relazione al tronco e vengono attivati dai movimenti della testa.
Risultano in diretto rapporto con la porzione del cervelletto definita vestibolo cerebello e, insieme
al cervelletto sono finalizzati a mantenere l’equilibrio corporeo da fermi e durante il movimento.
La labirintite o otite interna è un’infiammazione che riguarda e coinvolge questi recettori e si
associa a vertigini, perciò perdita dell’equilibrio.
I recettori vestibolari ci permettono di mantenere l’equilibrio e lavorano in concerto con il
cervelletto.
Il cervelletto è un organo particolarmente sensibile all’alcool perciò quando si bene troppo e il
cervelletto è intossicato dall’alcool ciò che accade è la perdita di equilibrio, inoltre si scoordinano i
movimenti.
Ciò accade perché il cervelletto è anche coinvolto nella coordinazione dei movimenti, rendendoli
fluidi.
Propriocettori generali
I propriocettori generali sono rappresentati dai fusi neuromuscolari, i più specifici, e dagli organi
muscolo-tendinei di Golgi che sono rispettivamente i sensori dello stato dei muscoli scheletrici e i
sensori dello stato dei tendini.
A loro si aggiungono anche terminazioni sensitive libere che si trovano in particolare a livello di
capsule articolari, legamenti e muscoli che funzionano da nocicettori, ossia evocano dolore in
seguito a danno, lesioni che coinvolgono le formazioni in cui si collocano.
Inoltre a livello delle capsule e dei legamenti articolari sono presenti anche i corpuscoli di Pacini e
corpuscoli di Ruffini stimolati rispettivamente da vibrazioni, perciò da tensione e sfregamento.
Questi recettori ci permettono di percepire la postura corporea nella statica e nella dinamica
grazie alla sensibilità propriocettiva cosciente, ossia grazie alle informazioni da essi generate che
arrivano alla corteccia cerebrale e che grazie alla sensibilità incosciente, ossia grazie alle
informazioni generate ed elaborate ai livelli sottocorticali (midollo spinale, nuclei del tronco,
cervelletto) sono all’origine di risposte riflesse o automatiche finalizzate a mantenere il tono
muscolare e quindi una qualsiasi postura in equilibrio e a permetterci di deambulare, masticare e
scrivere… movimenti automatici che una volta appresi eseguiamo senza concentrarci, senza il
coinvolgimento diretto della corteccia cerebrale.
Fusi neuromuscolari
I fusi neuromuscolari sono recettori specifici dei muscoli scheletrici e informano costantemente il
SNC sulle variazioni di lunghezza e sulla velocità con cui varia la lunghezza dei muscoli in cui si
ritrovano.
Le informazioni che arrivano a livello della corteccia cerebrale sono responsabili della percezione
propriocettiva, ossia della percezione del corpo e delle sue parti nello spazio.
Le variazioni della lunghezza dei muscoli si accompagnano a modificazioni degli angoli delle
articolazioni sulle quali essi agiscono.
I fusi neuromuscolari sono piccoli e sono formazioni di circa 1 cm contenute all’interno del muscolo
scheletrico.
Sono costituite da una dozzina di fibre muscolari specializzate dette fibre
intrafusali avvolte da una capsula fibrosa che alle sue estremità si continua
con le formazioni connettivali del muscolo (epimisio, endomisio e perimisio).
Si tratta di fibre specializzate che si dispongono in parallelo alle normali
fibre extrafusali.
Le fibre intrafusali specializzate sono di 2 tipi:
Si tratta di fibre specializzate perché contengono sarcomeri, perciò unità contrattili, solo alle loro
estremità, ai loro poli e con le loro estremità queste fibre si inseriscono sulla capsula fibrosa che si
continua formando un tutt’uno con i sistemi connettivali del muscolo scheletrico.
Sono meccanocettori e precisamente recettori da stiramento, cioè sono stimolati dallo stiramento.
I fusi neuromuscolari sono recettori o sensori molto complicati che presentano un’innervazione
sensitiva e un’innovazione motoria.
Le fibre intrafusali, a livello della loro porzione centrale o anche detta equatoriale sono avvolte da
terminazioni sensitive che solitamente corrispondono a ramificazioni terminali dette dendritiche a
funzione recettiva, di fibre, quindi di assoni di neuroni afferenti sensitivi il cui corpo si localizza a
livello dei gangli sensitivi.
Le terminazioni sensitive che raggiungono e avvolgono la porzione centrale del fuso sono di 2 tipi:
La sensibilità del fuso dipende solo dallo stato di tensione della sua porzione centrale.
I fusi neuromuscolari sempre attivi forniscono informazioni: sulla lunghezza del muscolo sia quando
il muscolo è a riposo, che durante l’attività/movimento, sulle variazioni di lunghezza attraverso le
fibre a fiorami e sulla velocità di variazione della lunghezza del muscolo nel tempo tramite le fibre
anulospirali.
Variano di numero a livello dei diversi muscoli (10-100) e sono più numerosi nei muscoli posturali o
antigravitari (muscoli intrinseci del dorso) e nei muscoli dotati di fini capacità di movimento (muscoli
intrinseci della mano e muscoli dell’occhio).
Sono sempre attivi, cioè scaricano anche a riposo per mantenere il tono muscolare, ossia lo stato
del muscolo a riposo, quando non produce movimento, ma presenta comunque un certo numero
di unità motorie attive.
Il tono muscolare dipende da un importante riflesso detto riflesso miotatico o da stiramento
muscolare.
Lo stiramento del tendine avviene in seguito alla contrazione muscolare, per cui
si parla di stiramento attivo del tendine, ma anche quando si allunga il muscolo
(es. stretching) per cui si parla di stiramento passivo del tendine.
Le terminazioni sensitive si attivano e si scaricano in seguito allo stiramento attivo
o passivo del tendine.
Scaricano tanto di più quanto più il tendine è stirato, perciò quanto più forte è la
tensione/contrazione muscolare.
Gli organi muscolo-tendinei di Golgi si attivano, scaricano sia quando il muscolo si contrae
(stiramento attivo del tendine) sia in seguito all’allungamento muscolare (stiramento passivo del
tendine).
Sono insensibili al rilassamento muscolare, perciò non scaricano se il muscolo è a riposo.
La loro funzione primaria è quella di segnalare ai centri encefalici superiori, tramite specifiche vie
sensitive, la tensione/forza media generata dalla contrazione muscolare, la tensione/forza
sviluppata dall’attivazione di un certo numero di unità motorie, perciò dall’insieme del
motoneurone α e delle fibre muscolari che esso innerva, ciò equivale a dire che corrisponde al
numero di fibre muscolari scheletriche innervate da un singolo
neurone motore α.
Più le unità motorie dei muscoli sono piccole tanto maggiore è il
controllo del muscolo, ossia dell’attività del muscolo (controllo fine
e preciso del movimento).
La forza generata da un muscolo può essere regolata tramite
l’attivazione di un numero maggiore o minore di unità motorie del
muscolo stesso.
Gli organi muscolo-tendinei di Golgi sono dei misuratori di tensione muscolare, informano i centri
motori superiori sulla forza generata dalla contrazione muscolare, o meglio dall’attivazione di un
certo numero di unità motorie del muscolo.
Se la forza non risulta sufficiente per sollevare un peso o per produrre un certo movimento, il SNC,
tramite le vie motorie discendenti, aggiustano la risposta, attivando un maggior numero di unità
motorie del muscolo e quindi un maggior numero di neuroni motori efferenti.
L’attivazione massiva, eccessiva di questi recettori può arrestare la contrazione muscolare, tramite
il riflesso miotatico inverso per preservare il muscolo.
I fusi neuromuscolari e gli organi muscolo-tendinei di Golgi sono recettori o sensori propri solo dei
muscoli scheletrici.
I fusi neuromuscolari che risultano disposti in parallelo rispetto
alle fibre extrafusali, informano il SNC sullo stato di
stiramento/allungamento del muscolo.
Gli organi muscolo-tendinei di Golgi che sono disposti in serie
rispetto alle fibre extrafusali, segnalano al SNC lo stato di
tensione/contrazione dei muscoli.
La specifica funzione dei fusi muscolari e degli organi muscolo-tendinei oltre alla loro particolare
distribuzione induce a pensare che essi lavorino insieme al fine di regolare, per via riflessa, il tono
muscolare, la postura e per permettere una corretta esecuzione dei movimenti.
Per tono muscolare s’intende lo stato di un muscolo a riposo, quando non produce movimento, ma
presenta comunque un certo numero di unità motorie attive che lo mantengono parzialmente
contratto, quindi tonico, non lasso.
RIFLESSI NERVOSI
I riflessi sono risposte rapide, involontarie e inconsce ad un determinato
stimolo sensitivo.
I riflessi sono risposte involontarie rapide di un effettore (muscolo o
ghiandola) alla stimolazione di un recettore.
Le informazioni sensitive, generate dai recettori, che vengono elaborate,
processate a livelli sottocorticali sono alla base dei riflessi.
La sequenza di neuroni coinvolta in un riflesso è detta arco riflesso.
L’arco riflesso comincia sempre con un recettore stimolato e termina con
un effettore periferico che mette in atto la risposta e prevede
l’interposizione o meno di 1 o più interneuroni.
La classificazione dei riflessi si basa su diversi criteri:
• In funzione dello sviluppo, ossia di quando si sviluppa il riflesso, per cui distinguiamo:
o Riflessi innati: geneticamente determinati (es. riflesso della suzione)
o Riflessi acquisiti o appresi: condizionati dall’esperienza, che si intensificano in
funzione della ripetizione
• In funzione del luogo di elaborazione dell’informazione sensitiva da essi generati a livello del
SNC, per cui distinguiamo:
o Riflessi spinali: elaborati e integrati a livello del midollo spinale
o Riflessi cranici: elaborati a livello di nuclei o centri encefalici
• In funzione del tipo di risposta che producono, perciò in funzione del bersaglio, perciò
troviamo:
o Riflessi somatici: vanno a controllare in modo inconscio l’attività dei muscoli
scheletrici
o Riflessi viscerali o autonomi: controllano in modo inconscio l’attività della
muscolatura liscia, della muscolatura cardiaca e delle ghiandole, perciò
controllano l’attività dei visceri.
Inoltre essi sono fondamentali per mantenere l’omeostasi, quindi per la
sopravvivenza.
I riflessi viscerali sono risposte evocate dalla stimolazione dei recettori viscerali, gli
enterocettori, i quali generano informazioni sensitive che, nella maggior parte dei
casi, vengono elaborate a livello dei centri sottocorticali, non della corteccia
cerebrale, e sono pertanto all’origine di risposte riflesse che modulano l’attività dei
visceri in modo rapido e automatico.
• In funzione della complessità del circuito neuronale, cioè sulla complessità dell’arco riflesso,
per cui si distinguono:
o Riflessi monosinaptici: dove il neurone afferente sensitivo sinapta direttamente con il
neurone efferente motore, perciò è un riflesso
caratterizzato solo da una sinapsi ed è il riflesso
più semplice.
Riguarda solo il riflesso generato dalla
stimolazione dei fusi neuromuscolari.
o Riflessi polisinaptici: coinvolgono 1 o più
interneuroni del SNC che si collocano tra il
neurone afferente sensitivo e il neurone efferente
motore, perciò riflessi caratterizzati da più sinapsi.
Maggiore è il numero di interneuroni che si intercalano tra l’afferente e gli efferenti
motori, più complessa risulta la risposta ad un determinato stimolo sensitivo.
Riflessi propriocettivi
I riflessi propriocettivi sono i riflessi evocati dalla stimolazione dei fusi neuromuscolari e degli organi
muscolo-tendinei di Golgi.
L’opportuna stimolazione dei fusi e degli organi tendinei di Golgi è all’origine di riflessi somatici,
ossia di risposte veloci, inconsce e involontarie che riguarda l’attività dei muscoli scheletrici in cui
sono collocati tali recettori.
Parliamo in particolare del riflesso miotatico da stiramento evocato dalla stimolazione del fuso
neuromuscolare e che induce contrazione del muscolo e analizziamo anche il riflesso miotatico
inverso evocato dall’eccessiva stimolazione dell’organo muscolo-tendineo di Golgi che induce il
rilassamento del muscolo.
In verità tutti i riflessi sono modulabili, infatti possono essere inibiti o facilitati a seconda del contesto
e dell’utilità funzionale dei riflessi stessi.
Il riflesso miotatico inverso è anche detto riflesso tendineo ed è un riflesso mediato dagli organi
muscolo-tendinei di Golgi e parte soltanto quando il tendine viene stirato troppo, quindi in seguito
ad eccessiva contrazione muscolare.
È quindi un riflesso protettivo finalizzato a preservare il muscolo, quindi la parte
carnosa del muscolo e il suo tendine da potenziali lesioni.
Si innesca solo quando la tensione tendinea è molto forte, ossia questo riflesso
ha una soglia molto elevata.
La stimolazione degli organi muscolo-tendinei di Golgi genera un’informazione
sensitiva che viene trasportata al midollo spinale, poi l’informazione diverge e
viene distribuita ad un interneurone inibitore che va ad inibire il neurone motore
α che si porta al muscolo, per cui il muscolo si rilassa.
Contemporaneamente, una collaterale di questo neurone afferente sensitivo, va ad attivare i
muscoli antagonisti per facilitare il riflesso.
Il riflesso di Golgi diventa dominate su un riflesso innescato dal fuso solo quando la tensione del
tendine diventa eccessiva.
ENCEFALO
L’encefalo è contenuto e protetto all’interno del neurocranio o scatola cranica.
È composto da diverse parti: 2 emisferi telencefalici, diencefalo non visibile superficialmente
perché resta inglobato e nascosto dagli emisferi telencefalici, cervelletto e tronco encefalico.
I 2 emisferi telencefalici risultano separati da una fessura detta
fessura longitudinale o fessura interemisferica.
Questa fessura non arriva inferiormente, non sono
completamente separati, infatti infero-medialmente risultano
collegati tra loro.
La diversa distribuzione delle parti assili e delle parti sovrassiali, implicano l’utilizzo
di una terminologia di riferimento diversa.
Per tronco encefalico e midollo spinale si parla di:
faccia ventrale o anteriore e faccia dorsale o posteriore, estremità
superiore o cefalica ed estremità inferiore o caudale.
Per telencefalo, diencefalo e cervelletto invece, la faccia ventrale
corrisponde alla faccia inferiore e la faccia dorsale alla faccia
superiore, si parla poi di estremità anteriore o rostrale ed estremità
posteriore o caudale.
Tronco encefalico
Il tronco encefalico comprende 3 parti: midollo allungato o bulbo, ponte e mesencefalo.
Tramite il midollo allungato, fa seguito inferiormente il midollo spinale, mentre superiormente,
tramite il mesencefalo si continua con il diencefalo.
Rappresenta la parte più antica dell’encefalo, diciamo la porzione più primitiva, rispetto alla
filogenesi, cioè in relazione all’evoluzione dei vertebrati, quindi la parte che compare per prima e
che risulta molto simile in tutte le classi di vertebrati, perciò a partire dai pesci fino ad arrivare
all’uomo.
Questo accade perché il tronco encefalico di fatto presiede, ossia è deputato alle funzioni
fisiologiche essenziali, cioè ha funzioni di natura viscerale che risultano vitali, infatti controlla
funzioni dalle quali dipende la nostra sopravvivenza, non è
deputato a funzioni intellettive superiori che invece riguardano
soprattutto la corteccia cerebrale, quindi la sostanza grigia
degli emisferi telencefalici.
Posteriormente bulbo e ponte vengono in rapporto con il
cervelletto, dal quale risultano separati tramite il 4° ventricolo.
Nella faccia anteriore del tronco encefalico è possibile notare l’emergenza dei nervi cranici che
originano da nuclei del tronco encefalico per portarsi ai rispettivi bersagli.
Inoltre le 3 porzioni del tronco sono ventralmente separate da evidenti solchi, parliamo di solco
bulbo-pontino che separa il bulbo dal ponte e il solco ponto-mesencefalico che separa il ponte
dal sovrastante mesencefalo.
Di particolare rilievo a livello del bulbo, si notano le
cosiddette piramidi bulbari, 2 rilievi a forma di piramide
con base diretta superiormente e apice inferiormente,
questi rilievi sono sostenuti dal decorso dei fasci delle vie
motorie discendenti del sistema piramidale che originano
dalla corteccia cerebrale.
Lateralmente alle piramidi sono presenti le cosiddette olive
bulbari, si tratta di 2 rilievi a forma circa di oliva, sostenuti
da nuclei che risultano in connessione con il cervelletto e
che sono coinvolti nell’apprendimento motorio.
Il ponte risulta molto evidente proprio per la sporgenza ventrale che lo caratterizza, mostra una
sorta di pancia.
Poi abbiamo la faccia ventrale del mesencefalo caratterizzata da 2 formazioni dette peduncoli
cerebrali, transitati dalle vie motorie discendenti.
Nella faccia posteriore del tronco encefalico è possibile riconoscere, a livello del mesencefalo, 4
rilievi detti collicoli e distinti in 2 collicoli superiori e 2 collicoli inferiori.
Questi collicoli nell’insieme formano la cosiddetta lamina quadrigemina del mesencefalo, anche
detta tetto del mesencefalo.
Sono rilievi sostenuti da nuclei che risultano intercalati lungo
la via visiva (nuclei dei collicoli superiori) e lungo la via
uditiva (nuclei dei collicoli inferiori).
La faccia dorsale del ponte e della parte superiore del bulbo,
per la particolare forma è detta fossa romboidale ed è resa
visibile perché è stato asportato il cervelletto e questa faccia
romboidale corrisponde proprio al pavimento del 4°
ventricolo.
Scendendo lungo il bulbo si notano 2 rilievi pari e simmetrici detti tubercolo gracile e tubercolo
cuneato.
Questi tubercoli sono sostenuti da nuclei omonimi, perciò nucleo gracile e nucleo cuneato.
Si tratta di nuclei che sono intercalati lungo una via sensitiva ascendente importante detta via del
sistema posteriore.
La disposizione della sostanza bianca e della sostanza grigia non è più regolare e uniforme come
lo era a livello del midollo spinale.
La sostanza grigia risulta frammentata, è come se fosse esplosa
risolvendosi in formazioni nucleari dette nuclei o centri.
Questo deriva dal fatto che il tronco encefalico si colloca fra il
sottostante midollo spinale e le parti sovrassiali del SNC, quindi
i fasci delle vie sensitive ascendenti che collegano il midollo
spinale ai centri encefalici superiori e i fasci delle vie
discendenti motorie che collegano i centri encefalici motori
superiori al midollo spinale, frammentano la sostanza grigia del
tronco risolvendola in nuclei o centri.
Nuclei propri: intercalati lungo il decorso dei fasci delle vie ascendenti e discendenti
Nuclei all’origine dei nervi cranici distinti in sensitivi e motori
Nuclei o centri della formazione reticolare
La formazione reticolare è una parte molto importante che si sviluppa lungo tutto il tronco
encefalico ed è caratterizzata da molti piccoli nuclei o centri collegati da fibre ascendenti o
discendenti che nell’insieme, quando osservati in sezione, mostrano un aspetto a rete, da cui il
nome di formazione reticolare.
Si tratta di una serie di nuclei che controllano e regolano soprattutto le funzioni involontarie, molte
delle quali risultano vitali e sono coinvolti in diverse funzioni.
I centri/nuclei autonomi si sviluppano in parte a livello del bulbo e in parte a livello del ponte,
regolano le funzioni cardiovascolari e respiratorie, perciò funzioni viscerali che risultano vitali.
I nuclei motori sono all’origine di una via motoria discendente detta via reticolo-spinale, coinvolta
nel controllo di movimenti automatici e regolano il tono muscolare finalizzato al mantenimento
della postura, quindi alla deambulazione.
Sono poi presenti i nuclei che regolano il sonno-veglia.
Altri nuclei sono coinvolti nella regolazione del dolore inibendo le afferenze dolorifiche e fanno
parte di una via discendente.
Infine troviamo i nuclei del sistema reticolare ascendente attivante (SRAA) indispensabili per il
mantenimento della coscienza cerebrale, dell’attenzione, dello stato di vigilanza e la loro lesione si
associa al coma.
A livello delle diverse parti del tronco encefalico sono presenti i nuclei motori di origine delle
cosiddette vie motorie discendenti extrapiramidali.
Le vie piramidali originano dalla corteccia cerebrale, mentre le vie extrapiramidali originano da
nuclei motori del tronco encefalico.
Il mesencefalo è la parte superiore del tronco encefalico, è attraversato dal canale o acquedotto
mesencefalico o di Silvio che mette in comunicazione il sovrastante 3° ventricolo con il sottostante
4° ventricolo.
Il mesencefalo contiene nuclei intercalati lungo le vie visive e uditive, quindi nuclei che
corrispondono ai collicoli superiori ed inferiori e che vanno a costituire la lamina quadrigemina o
tetto mesencefalico.
Sono nuclei all’origine di una via extrapiramidale detta via motoria tetto-spinale che arriva al
midollo spinale.
Troviamo poi il nucleo rosso e il nucleo della sostanza nera, nuclei coinvolti nella regolazione dei
movimenti volontari, in particolare il nucleo rosso è all’origine di una via motoria extrapiramidale
detta via rubro-spinale.
Nucleo rosso e sostanza nera sono importanti in quanto intercalati in
circuiti coinvolti nel controllo dei movimenti volontari.
Questi 2 nuclei lavorano con i nuclei della base che sono nuclei
profondi del telencefalo e con il cervelletto per formare 2 importanti
sistemi deputati al controllo dei muscoli scheletrici.
In particolare, il nucleo rosso lavora in collaborazione con il cervelletto,
mentre la sostanza nera lavora funzionalmente con i nuclei della base.
Le loro lesioni, come le lesioni dei nuclei della base e del cervelletto si
associano a discinesie, ossia a disturbi del movimento.
La degenerazione dei neuroni della sostanza nera del mesencefalo,
che poi sono neuroni dopaminergici, si associa in particolare al morbo di Parkinson.
Il ponte è così chiamato in quanto funziona da collegamento, cioè connette tra loro le diverse parti
dell’encefalo tramite diversi fasci di fibre.
Contiene gli importantissimi nuclei pontini che mediano il collegamento tra la corteccia cerebrale
e il cervelletto, perciò le fibre cortico-pontine originate dai neuroni della corteccia cerebrale si
portano ai nuclei pontini, i quali danno origine alle fibre ponto-cerebellari destinate al cervelletto,
alla corteccia cerebellare.
Si tratta di importanti circuiti coinvolti nella pianificazione del movimento e nella corretta
esecuzione dei movimenti volontari.
Relativamente al bulbo sono presenti dei centri di controllo per le funzioni viscerali vitali: cardiaco,
vasomotore (regola pressione sanguigna), respiratorio.
Inoltre troviamo dei centri coinvolti nei riflessi di: tosse, deglutizione, vomito.
I nuclei vestibolari sono all’origine di una via motoria discendente extrapiramidale detta via
vestibolo-spinale.
Infine notiamo i nuclei gracile e cuneato intercalati lungo la via sensitiva del sistema posteriore.
A livello delle 3 parti del tronco encefalico sono poi presenti i nuclei dei nervi cranici.
Le funzioni del tronco encefalico perciò possono essere suddivise in 3 grandi categorie:
DIENCEFALO
Il diencefalo è una parte piccolissima inglobata all’interno degli
emisferi telencefalici che sono cresciuti enormemente soprattutto nei
primati, nell’uomo.
Il diencefalo comprende diverse parti, quelle più rappresentate sono
talamo e ipotalamo.
✓ Chiasma ottico: porzione più anteriore che corrisponde al punto in cui parte delle fibre dei
nervi ottici, originati dai recettori della retina, decussano, ossia si incrociano
✓ Ipofisi: parte importantissima costituita dal
cosiddetto peduncolo o infundibolo ipofisario, una
sorta di peduncolo che collega sia
anatomicamente sia funzionalmente l’ipotalamo
con la ghiandola ipofisi, la ghiandola endocrina più
importante del corpo
✓ Corpi mammillari: formazioni rotondeggianti, poste
più posteriormente, sostenute da alcuni nuclei che funzionalmente appartengono al
sistema limbico, una parte del sistema nervoso complicatissima connessa a funzioni
emozionali, consolidamento della memoria a lungo termine, apprendimento…
▪ Talamo: sono 2
▪ Ipotalamo: situato sotto il talamo
▪ Epitalamo: situato posteriormente al talamo
▪ Metatalamo
▪ Subtalamo
Epitalamo
L’epitalamo comprende diverse formazioni, soprattutto l’epifisi
o ghiandola pineale che rappresenta la porzione ghiandolare
dell’epitalamo, infatti si tratta di una ghiandola di natura
nervosa costituita da neuroni specializzati ad attività
neurosecernente, ossia che producono e rilasciano in circolo il
loro secreto.
In particolare producono la melatonina, un neurormone
coinvolto nella regolazione del ciclo sonno-veglia e dello sviluppo sessuale.
Talamo
I 2 talami insieme costituiscono i 4/5 del diencefalo, perciò vanno a
costituire la maggior parte del diencefalo.
I 2 talami sono spesso collegati tra loro tramite la cosiddetta adesione
intertalamica che attraversa il 3° ventricolo e sono costituiti soprattutto
da sostanza grigia organizzata in tanti nuclei diversamente denominati in
relazione alla loro posizione.
Il talamo rappresenta la porta d’ingresso per la corteccia cerebrale, ossia contiene nuclei
intercalati lungo tutte le vie sensitive (e lungo le vie motorie) che proiettano alla corteccia
cerebrale, ossia tutte le vie sensitive che raggiungono specifiche aree della corteccia cerebrale
per permetterci la percezione delle sensazioni fanno tappa su uno specifico nucleo talamico.
Ha anche funzioni motorie poiché contiene nuclei intercalati nelle vie motorie, in particolare lungo
le vie motorie che originano dai nuclei della base del telencefalo e dal cervelletto che poi
proiettano ad aree motorie della corteccia cerebrale.
Il talamo, tramite i suoi nuclei, smista informazioni sensitive e motorie alla corteccia cerebrale.
SISTEMA IPOTALAMO-IPOFISARIO
L’ipotalamo rappresenta la seconda formazione per
grandezza dopo il talamo, del diencefalo.
Corrisponde alla parte infero-mediale del diencefalo, infatti
si sviluppa infero-medialmente al talamo andando a
costituire, oltre alla parte inferiore delle pareti laterali del 3°
ventricolo, anche il pavimento del 3° ventricolo.
Contiene molti nuclei e l’ipotalamo, tramite l’infundibolo o
peduncolo ipofisario è funzionalmente connesso all’ipofisi o
ghiandola pituitaria.
L’ipotalamo è detto anche cervello viscerale perché controlla l’attività dei visceri, cioè degli
organi interni e questo perché controlla e integra l’attività del SNA o viscerale e del sistema
endocrino.
L’attività dei visceri, dalla quale dipende l’omeostasi interna, quindi la sopravvivenza è regolata
dal SNA e dall’attività del sistema endocrino, perciò dall’attività delle ghiandole endocrine che
producono e rilasciano in circolo ormoni che via sangue arrivano ai rispettivi bersagli
modulandone l’attività.
L’ipotalamo rappresenta il vero trait d’union, cioè il mezzo di collegamento tra il sistema nervoso e
il sistema endocrino.
I 2 sistemi, endocrino e nervoso, non sono indipendenti, ma si integrano a livello dell’ipotalamo e
dell’ ”ipofisi”.
➢ Via nervosa: origina da centri superiori dell’ipotalamo e si porta al SNA, ossia ai neuroni
motori viscerali pre-gangliari orto e parasimpatici delle colonne intermedio-laterali del
midollo spinale che poi, tramite i neuroni post-gangliari dei gangli motori viscerali si portano
a regolare l’attività dei visceri
➢ Via umorale: gestita dalla sua porzione endocrina.
L’ipotalamo presenta una porzione endocrina, si tratta di nuclei con neuroni modificati
neurosecernenti, ossia che tramite i loro assoni rilasciano in circolo nel sangue il loro secreto
detto neurosecreto o neurormone.
Questi neuroni modificati comunicano con i loro bersagli, non tramite le normali sinapsi, ma
tramite il sangue.
Ipofisi
L’ipofisi è una ghiandola collegata all’ipotalamo tramite il
peduncolo ipofisario ed è presente all’interno del
neurocranio, collocata precisamente a livello della faccia
superiore dell’osso sfenoide detta sella turcica.
Presenta 2 parti: adenoipofisi di natura epiteliale e
neuroipofisi di natura nervosa, la quale si può considerare
un’evaginazione dell’ipotalamo.
L’ipofisi è il comandante delle ghiandole endocrine perché a
sua volta controlla l’attività di buona parte delle ghiandole
endocrine, ma a sua volta, l’ipofisi ha un controllore, infatti è
controllata dalla parte endocrina dell’ipotalamo.
Ipotalamo endocrino
L’ipotalamo endocrino è costituito da nuclei, quindi raggruppamenti di corpi di neuroni modificati
ad azione neurosecernente che rilasciano il loro secreto chiamato neurosecreto o neurormone, in
circolo.
Distinguiamo:
L’ipotalamo controlla l’attività dei visceri tramite 2 vie che originano da centri o nuclei detti
ipotalamici superiori, perciò una via nervosa che si porta a controllare i neuroni pre-gangliari del
SNA o viscerale e una via umorale caratterizzata da neurormoni che controllano l’ipofisi.
Inoltre contiene il centro termoregolatore, anche detto termostato corporeo, che rileva la
temperatura corporea e, in funzione di essa, genera delle risposte finalizzate a ripristinare la
temperatura fisiologica.
Contiene inoltre i centri della fame e della sete che in funzione degli stimoli ricevuti dai recettori,
sono all’origine delle sensazioni di fame, sete e sazietà.
Queste sensazioni sono all’origine di risposte comportamentali opportune finalizzate all’assunzione
di cibo, acqua…
Contiene nuclei associati al sistema limbico e controlla le attività associate al sesso, quindi
finalizzate alla sopravvivenza della specie.
TELENCEFALO
L’encefalo raggiunge il massimo sviluppo nell’uomo e l’aumento di
dimensione cui si assiste passando dai pesci fino ai primati superiori è
soprattutto sostenuto dallo sviluppo della corteccia cerebrale, sede dei
processi coscienti e delle funzioni intellettive superiori.
L’indice di encefalizzazione risulta massimo nell’uomo e corrisponde al
rapporto tra il peso del cervello e il peso corporeo.
Analizzando la superficie esterna degli emisferi telencefalici possiamo individuare: una faccia
dorso-laterale in rapporto con la faccia interna della volta o
calotta del neurocranio, una faccia mediale in rapporto con la
falce cerebrale, una faccia inferiore che poggia direttamente
sul basicranio nelle sue porzioni anteriore e laterale che viene
in rapporto con il diencefalo, nella sua porzione centrale, e
posteriormente con il cervelletto.
La parte posteriore degli emisferi telencefalici è separata dal sottostante cervelletto tramite
l’interposizione di un’altra piega della dura madre detta tentorio del cervelletto, costituisce il tetto
del cervelletto e lo separa dalla parte posteriore del telencefalo.
Le funzioni del telencefalo sono fondamentalmente svolte dalla corteccia cerebrale, infatti è
all’origine di tutti i processi coscienti (consapevoli).
Le percezioni hanno infatti origine a livello della corteccia cerebrale e tutte le informazioni
sensitive generate dai recettori, affinché diventino percezioni devono raggiugere la corteccia
cerebrale.
Inoltre è all’origine delle risposte motorie volontarie, quindi contiene i centri deputati al controllo dei
muscoli scheletrici.
Perciò è complessivamente deputato al controllo di funzioni somatiche.
È inoltre la sede delle funzioni intellettive superiori o complesse come: coscienza, percezione,
pensiero, memoria, apprendimento, emozione, immaginazione, linguaggio…
La maggior parte delle funzioni viscerali, invece, dipendono da centri encefalici che lavorano al di
fuori dello stato di coscienza, cioè dipendono da centri sottocorticali.
La maggior parte delle informazioni generate dai recettori viscerali, quindi dagli enterocettori, sono
elaborate a livello sottocorticale, quindi sono all’origine di risposte riflesse, automatiche.
Il controllo dei visceri è per la maggior parte involontario.
Analizzando la superficie esterna di ogni emisfero, tramite scissure o solchi più profondi, si possono
indentificare 4 lobi denominati in relazione alle ossa del neurocranio con
cui vengono in rapporto, perciò abbiamo: lobo frontale, lobo parietale,
lobo temporale e lobo occipitale.
I principali solchi che ne permettono l’individuazione sono detti: solco
centrale o di Rolando che ci permette di separare il lobo frontale dal lobo
parietale, e il solco laterale o di Silvio che ci permette di separare i
sovrastanti lobo frontale e parietale dal sottostante lobo temporale.
Posteriormente sono presenti 2 solchi, non visibili sulla faccia esterna, che
permettono l’individuazione del lobo occipitale.
Grazie agli studi condotti dall’anatomico tedesco Brodmann, sono state identificate le cosiddette
aree corticali di Brodmann, si tratta di aree di corteccia caratterizzate da
neuroni che presentano le stesse caratteristiche citoarchitettoniche e
biochimiche.
Grazie a questo studio, Brodmann è riuscito ad identificare 50 aree per ogni
emisfero.
A queste aree si è cercato di associare funzioni specifiche, ma questo risulta
alquanto pretenzioso perché dal punto di vista funzionale ci sono delle
sovrapposizione, cioè è molto difficile assegnare una specifica funzione ad
una specifica area o regione corticale perché nella maggior parte dei casi,
una specifica funzione e soprattutto le funzioni superiori, coinvolgono diverse
aree corticali e inoltre una stessa area corticale può contribuire a più di una
funzione.
Tutte queste aree permettono la percezione elementare di uno stimolo, di una sensazione, ma
tramite queste aree non riconosco ciò che vedo e cosa sento, per questo ci permettono una
percezione elementare dello stimolo.
Tutte le aree sensitive primarie sono circondate da aree dette associative, si tratta di aree di ordine
superiore, dette associative secondarie o associative unimodali (es. corteccia visiva primaria
circondata dalla corteccia associativa visiva).
Sono dette unimodali in quanto integrano i diversi aspetti di
una modalità sensoriale.
Relativamente ad un oggetto che vedo, integrano informazioni
relative a forma, colore e dimensione dell’oggetto.
Soprattutto queste aree associative conservano memoria delle
informazioni, per cui sono queste aree che permettono di
interpretare bene le informazioni sensitive, le sensazioni.
Un danno all’area visiva primaria comporta cecità di un campo visivo, ma un danno all’area
associativa visiva permette di vedere chiaramente un volto o un oggetto, ma non si è in grado di
riconoscerlo.
Ancora più importanti risultano le aree associative terziarie o plurimodali che integrano diverse
sensazioni come: informazioni originate dai recettori della vista o dai recettori della sensibilità
somatica generale, informazioni uditive… e ci permettono di interpretare completamente una
situazione ambientale e sensoriale complessa.
Per quanto riguarda l’area sensitiva associativa plurimodale, corrisponde alla cosiddetta area
associativa posteriore o area parieto-temporo-occipitale perché riguarda parti di questi lobi.
Il lobo frontale comprende aree motorie distinte in primarie e associative secondarie, corteccia
pre-frontale che è una corteccia associativa terziaria importantissima e piccole aree deputate alla
produzione del linguaggio:
→ L’area motoria primaria corrisponde alla circonvoluzione pre-centrale, ossia ad una piega
che si sviluppa subito anteriormente al solco centrale di Rolando.
Quest’area è esecutoria del movimento volontario, ossia è l’area che fa partire il
movimento, il comando motorio, perciò è caratterizzata da motoneuroni che sono
all’origine delle vie motorie discendenti deputate al controllo del movimento volontario,
ossia finalizzate a regolare l’attività dei muscoli scheletrici.
→ L’area pre-motoria o associativa motoria è deputata alla programmazione e pianificazione
del movimento, finalizzata a decidere, pianificare, lo schema
motorio ed è coadiuvata dai nuclei della base e dal
cervelletto.
→ L’area pre-frontale è un’area molto estesa, associativa di
superordine, corteccia che sviluppa il suo massimo sviluppo
nell’uomo perché è dedicata alle funzioni intellettive
superiori che ci contraddistinguono dagli animali.
Rappresenta il nostro cervello razionale, area dove si decide
consapevolmente, per uno scopo preciso, come comportarsi.
→ La piccola area di Broca è deputata all’articolazione del linguaggio ed è lateralizzata a
sinistra.
Il linguaggio rappresenta una funzione cerebrale superiore molto complessa che si esprime
in abilità quali: leggere, scrivere, parlare, comprende le parole… e coinvolge sia l’area di
Broca del lobo frontale, ma anche aree del lobo temporale dette aree di Wernicke.
L’area di Broca è l’area effettrice del linguaggio perché è l’area dove vengono pianificati i
movimenti finalizzati a produrre le parole, ossia ad articolare il linguaggio.
Una lesione a quest’area corrisponde alla cosiddetta afasia
motoria o afasia di Broca che si esprime in una difficoltà di
parlare, in un linguaggio lento e faticoso, ma di fronte all’afasia
di Broca il soggetto comprende il linguaggio scritto e quello
parlato, perciò ha soltanto difficoltà ad esprimere il proprio
pensiero.
L’area di Wernicke è l’area recettrice del linguaggio, cioè
l’area deputata alla comprensione del linguaggio scritto e parlato.
Un danno a quest’area rappresentata dalla cosiddetta afasia sensitiva o afasia di
Wernicke, corrisponde ad un linguaggio fluente, ma privo di senso, perciò il soggetto parla
benissimo dicendo però cose senza senso, inoltre si può associare a ridotta capacità di
comprendere il linguaggio scritto e parlato.
Queste aree funzionali del linguaggio, nella maggior parte dei soggetti, sono lateralizzate a
sinistra.
Nel fenomeno della decussazione delle vie ogni emisfero cerebrale controlla, dal punto di vista
sensitivo e motorio, la parte controlaterale del corpo.
L’emisfero destro riceve, tramite le specifiche vie sensitive, informazioni sensitive dai recettori della
parte sinistra del corpo e l’emisfero destro controlla, tramite le vie motorie discendenti, l’attività dei
muscoli scheletrici della parte sinistra del corpo.
Nell’emisfero di sinistra accade esattamente l’opposto e questo accade perché le vie ascendenti
sensitive e le vie motorie discendenti, lungo il loro decorso, ad un certo punto decussano,
s’incrociano.
Le aree corticali più importanti sono le aree associative di massimo ordine, di terz’ordine anche
dette plurimodali.
La corteccia associativa parieto-temporo-
occipitale è anche detta associativa posteriore ed
è associativa plurimodale dove si integrano le
informazioni sensitive provenienti dalle diverse
modalità sensoriali, ossia si integrano informazioni
originate dai recettori visivi, uditivi, somatici
generali, quindi informazioni che vengono integrate
e ci permettono di interpretare una situazione ambientale e sensoriale complessa.
La corteccia associativa pre-frontale è di pertinenza del lobo frontale anche definita cervello
razionale perché è l’area dove si decide consapevolmente il comportamento sempre determinato
da uno scopo, perciò che dipende da diverse motivazioni.
Quest’area riceve infatti informazioni da cortecce associative sensitive, perciò dalla corteccia
parieto-temporo-occipitale, dal sistema limbico quindi dal cervello emozionale e motivazionale,
dai nuclei talamici, dall’ipotalamo quindi dal cervello viscerale, dal cervelletto… e integra le
informazioni, quindi elabora un’uscita, prende una decisione comportamentale consapevole che
dipende dall’ elaborazione di infinite informazioni, uscita che può essere anche motoria (es. vedo
un cane e decido di avvicinarmi o di scappare, ma non solo … posso decidere di pensare, di
cantare…).
Persone che hanno subito danni a tali aree perdono o modificano la propria personalità, diventano
rudi, emotivamente insensibili, incapaci di prevedere le conseguenze di parole o azioni
avventate…
La sostanza bianca, a livello del telencefalo, si dispone tra lo strato di corteccia, quindi sostanza
grigia, che si sviluppa in superficie, i ventricoli laterali e i sottostanti nuclei profondi o nuclei della
base.
La sostanza bianca corrisponde a fasci di fibre/assoni mielinizzati che si portano da una regione
corticale all’altra o ad altre regioni dell’encefalo, dove si riconoscono 3 tipi di fibre:
• Nucleo caudato: presenta una forma circa di virgola dove si possono distinguere 3 porzioni
definite testa, corpo e coda del nucleo caudato.
L’amigdala, non è un nucleo della base, ma corrisponde
ad un raggruppamento di nuclei che appartengono al
lobo temporale ed è la parte del sistema limbico che
colora emotivamente le nostre sensazioni.
• Nucleo lenticolare: comprende 2 porzioni dette
putamen e globo pallido
• Altri piccoli nuclei della base
Non sono solo coinvolti nelle funzioni motorie, ma anche in funzioni cognitive ed emozionali, quindi
le loro lesioni si associano anche a disturbi cognitivi ed emozionali.
I nuclei della base rappresentano una delle 4 componenti fondamentali del SNC per il controllo dei
muscoli scheletrici degli arti e del tronco.
A costituire i 4 componenti che lavorano insieme abbiamo:
a) Cortecce motorie del lobo frontale e nuclei motori del tronco encefalico: caratterizzati da
motoneuroni superiori che rappresentano l’origine delle vie
discendenti motorie somatiche destinate ai muscoli scheletrici
distinte in piramidali ed extrapiramidali.
Le vie piramidali originano dalle cortecce motorie, mentre le vie
extrapiramidali originano da nuclei motori del tronco encefalico.
b) Motoneuroni efferenti somatici del midollo spinale:
rappresentano i motoneuroni inferiori delle vie motorie piramidali
ed extrapiramidali che con i loro assoni si portano direttamente
ai bersagli
c) Nuclei della base
d) Cervelletto
I nuclei della base sono coinvolti in diversi circuiti: motorio, cognitivo-esecutivo, limbico-
emozionale… tutti i circuiti che coinvolgono diversi nuclei della base che probabilmente si
sviluppano tutti sulla base dello stesso schema e sono circuiti a feedback con la corteccia
cerebrale.
Perciò ricevono informazioni da vastissime aree della
corteccia cerebrale, elaborano queste informazioni e
dirigono via talamo le loro efferenze indietro, nuovamente
verso la corteccia cerebrale.
Sono circuiti che partano dalla corteccia e che via talamo
ritornano alla corteccia, soprattutto ritornano alle cortecce
del lobo frontale.
Relativamente al circuito motorio cui partecipano, le efferenze provenienti dai nuclei della base,
via talamo, raggiungono soprattutto le cortecce motorie del lobo frontale.
Si tratta di efferenze che vanno a modulare le attività delle cortecce motorie.
Sono soprattutto coinvolti in:
Tra le patologie più frequenti e che si associano in particolare alla degenerazione della sostanza
nera del mesencefalo, neuroni che rilasciano come neurotrasmettitore la dopamina, troviamo il
morbo di Parkinson.
Si tratta di un disturbo ipocinetico, quindi corrisponde a rallentamento
dei movimenti volontari e sintomi come:
CERVELLETTO
Il cervelletto si colloca inferiormente alla parte posteriore degli emisferi
telencefalici e precisamente al di sotto dei lobi occipitali.
Risulta separato dai lobi occipitali tramite una piega della dura madre
chiamata tentorio del cervelletto.
È situato posteriormente a bulbo e ponte rispetto ai quali risulta
separato dal 4° ventricolo.
Origina dalla vescicola metencefalica, in particolare origina ventralmente il ponte e dorsalmente il
cervelletto.
Anche se costituisce solo 1/10 del volume complessivo dell’encefalo, pesa circa 130-140 gr, più
della metà dei neuroni encefalici si ritrovano a livello del cervelletto, quindi vanno a costituire la
corteccia cerebellare che risulta molto estesa.
Il cervelletto è coinvolto in tutte le attività nervose, perciò è coinvolto in funzioni: sensitive, motorie e
cognitive superiori, ma non è essenziale per alcuna di queste funzioni, le migliora solamente.
Risulta ampiamente e soprattutto coinvolto nelle funzioni motorie e questo è stato dedotto dai
sintomi clinici associati alle sue lesioni o
intossicazioni (es. effetti dell’alcool) che
comportano anche difficoltà
nell’espressione, nell’esecuzione e nella
comprensione del linguaggio; in questo
caso si parla di disartria.
È ampiamente coinvolto nel controllo del movimento e il suo sviluppo filogenetico è correlato allo
sviluppo delle capacità motorie che contraddistingue l’evoluzione dei vertebrati.
Tutte le afferenze, quindi le fibre afferenti dirette al cervelletto e provenienti da diverse parti del
SNC, si portano direttamente alla corteccia cerebellare, mentre tutte le efferenze, perciò tutte le
fibre in uscita dal cervelletto, originano dai nuclei profondi del cervelletto.
Si tratta di afferenze provenienti da tutti i nostri recettori e soprattutto dai recettori propriocettivi
speciali e generali, quindi corrispondenti ad informazioni sensitive, oltre ad informazioni corticali,
provenienti da vaste aree della corteccia cerebrale, ma soprattutto dalle aree motorie del lobo
frontale.
Tutte le informazioni, il cervelletto le elabora in modo incosciente e sono finalizzate a produrre delle
uscite motorie.
Interviene nella pianificazione (programmazione e coordinazione) e nei processi che portano alla
realizzazione/esecuzione del movimento.
Compara in tempo reale tutte le informazioni sensitive e corticali che gli arrivano, per generare
delle informazioni motorie, che tramite le sue fibre efferenti che originano dai nuclei profondi
intrinseci del cervelletto, si portano all’origine delle vie motorie discendenti per permettere una
corretta esecuzione del movimento e alle aree motorie della corteccia cerebrale, soprattutto alle
aree pre-motorie della corteccia, contribuendo alla pianificazione del movimento.
Le efferenze provenienti dal vestibolocerebello si portano ai nuclei vestibolari che sono nuclei
localizzati a livello del bulbo e sono all’origine delle vie vestibolo-spinali che si portano al midollo
spinale e sono finalizzate a permettertici di mantenere l’equilibrio.
Le efferenze provenienti dallo spinocerebello si portano via nucleo del
fastigio e via nucleo internosito rispettivamente all’origine dei fasci del
sistema di moto mediale del midollo spinale e all’origine dei fasci del
sistema di moto laterale del midollo spinale.
Queste efferenze sono finalizzate a permettere l’esecuzione automatica e
corretta dei movimenti.
Le efferenze provenienti dal cerebrocerebello si portano via nucleo
dentato soprattutto alle cortecce motorie del lobo frontale e sono
finalizzate a regolare il piano del movimento.
Complessivamente, queste efferenze permettono al cervelletto di
regolare, controllare in modo automatico e inconscio l’esecuzione del movimento affinché sia
coordinato, fluido e corretto.
Il cervelletto controlla il movimento agendo sull’origine dei fasci motori discendenti, ossia
sull’origine delle vie motorie discendenti, vie che a livello del midollo spinale, si organizzano
andando a costituire i sistemi di moto laterale e laterale.
Le vie del sistema di moto laterale del midollo spinale vanno a controllare
l’attività dei neuroni motori efferenti delle colonne laterali della lamina IX,
mentre le vie del sistema di moto mediale del midollo spinale va a
controllare l’attività dei motoneuroni della colonna mediale continua della
lamina IX del midollo spinale, quindi l’attività dei muscoli assili.
Sono vie somatiche che utilizzano i nervi spinali per mediare il trasferimento di informazioni sensitive
raccolte dai recettori somatici generali delle pareti di tronco e arti, verso il SNC (fibre afferenti dei
nervi spinali) per mediare poi il trasferimento di informazioni motorie somatiche dal SNC alla
periferia (fibre efferenti dei nervi spinali destinate ai muscoli scheletrici delle pareti di tronco e arti).
Le principali vie ascendenti della sensibilità somatica generale sono originate dai recettori somatici
delle pareti di tronco e arti, sono perciò vie che attraversano il midollo spinale e per questo sono
dette vie spinali.
Le principali vie discendenti del controllo motorio somatico sono deputate a controllare la
muscolatura scheletrica delle pareti di tronco e arti, per cui sono definite vie dei sistemi di moto
mediale e laterale del midollo spinale.
1. Neurone di 1° ordine: neurone afferente sensitivo dei gangli sensitivi che funziona da
specifico recettore
2. Neurone di 2° ordine: il suo corpo può essere presente a livello del midollo spinale o del
tronco encefalico e questo dipende dalla specifica
via sensitiva
3. Neurone di 3° ordine: trova il suo corpo sempre a
livello di un nucleo del talamo, il quale rappresenta la
porta d’ingresso alla corteccia cerebrale, perciò
tutte le vie sensitive che arrivano a specificare la
corteccia cerebrale, coinvolgono neuroni di nuclei
specifici del talamo
Nella maggior parte dei casi gli assoni di 2° ordine decussano, ossia si incrociano, a giustificazione
del fatto che le informazione sensitive raccolte da una parte del corpo, vengono poi elaborate
dalla corteccia cerebrale controlaterale.
Le vie della sensibilità somatica generale arrivano alla corteccia somatosensitiva primaria, una
circonvoluzione di corteccia del lobo parietale detta circonvoluzione post-centrale perché situata
subito posteriormente rispetto al solco centrale di Rolando che separa il lobo frontale dal lobo
parietale.
Questa parte di corteccia è organizzata in parti funzionali che
corrispondono alle regioni del corpo, per questo si parla di
omuncolo sensitivo, una sorta di caricatura.
Le diverse parti del corpo sono rappresentate in forma distorta, è
disposto a testa in giù, ma soprattutto le proporzioni delle parti
corporee dell’omuncolo sono diverse.
Le distorsioni sono dovute al fatto che l’estensione della corteccia correla con il numero dei
recettori presenti sull’area corporea corrispondente e non con la superficie reale di quell’area
corporea.
È ovvio che la parte di corteccia dedicata a ricevere le informazioni provenienti dai recettori della
mano è enorme perché la mano è piena di recettori tattili, è una parte molto sensibile del corpo,
così come faccia e labbra.
Le parti funzionali corticali dedicate a ricevere informazioni dalle specifiche parti del corpo sono
tanto più estese quanto maggiore è il numero di recettori presenti a livello della parte corporea
che gli corrisponde.
a) Fascicolo gracile: origina più inferiormente a livello del midollo spinale e raccoglie
informazioni tattili epicritiche e informazioni propriocettive dai recettori dell’arto inferiore e
della parte interiore del tronco
b) Fascicolo cuneato: origina ad un livello superiore del midollo spinale perché raccoglie le
stesse informazioni, ma dai recettori della parte superiore del tronco, quindi anche dal collo
e dall’arto superiore
Le vie discendenti del controllo somatico sono vie che controllano i movimenti volontari o
automatici dei muscoli scheletrici e sono vie che originano dalla corteccia cerebrale, o dal tronco
encefalico che terminano direttamente o indirettamente sui neuroni efferenti motori del midollo
spinale.
Il controllo dei muscoli scheletrici è mediato da vie motorie distinte in: piramidali ed
extrapiramidali.
Sono vie caratterizzate da 2 motoneuroni, quindi si parla di: motoneurone superiore e motoneurone
inferiore.
Nelle vie piramidali il motoneurone superiore, quindi l’origine della via, si localizza a livello della
corteccia cerebrale, soprattutto motoria.
Nelle vie extrapiramidali invece, il motoneurone superiore si colloca a livello di nuclei o centri
motori del tronco encefalico.
I motoneuroni inferiori di queste vie, quindi l’ultimo neurone della via, corrisponde ai neuroni motori
efferenti che tramite il loro assone raggiungono direttamente i muscoli scheletrici.
Fascio cortico-spinale laterale: si porta ai motoneuroni efferenti della lamina IX del midollo
spinale
Fascio cortico-spinale anteriore: si porta ai motoneuroni efferenti della lamina IX del midollo
spinale
Fascio cortico-bulbare: si arresta a livello dei motoneuroni efferenti del tronco che si
collocano a livello dei nuclei dei nervi cranici, la componente motoria, e si tratta di neuroni
che controllano i muscoli scheletrici della testa
Le vie extrapiramidali originano da nuclei o centri motori del centro encefalico e comprendono:
Questi fasci motori discendenti delle vie piramidali ed extrapiramidali si organizzano a costituire i
sistemi motori laterale e mediale del midollo spinale.
Il sistema di moto laterale è costituito da fasci motori discendenti che
si portano ai motoneuroni efferenti della colonna laterale della
lamina IX, perciò controllano l’attività dei muscoli delle parti libere
degli arti.
Il sistema di moto mediale è costituito da fasci discendenti motori
che si portano ai motoneuroni efferenti della colonna mediale
continua della lamina IX, quindi controllano l’attività dei muscoli assili
e dei muscoli della radice degli arti.
I fasci delle vie piramidali ed extrapiramidali che costituiscono il sistema di moto laterale del
midollo spinale sono: fascio cortico-spinale laterale e fascio rubro-spinale.
I fasci delle vie piramidali ed extrapiramidali che costituiscono il sistema di moto mediale del
midollo spinale sono: fascio cortico-spinale anteriore, fasci reticolo-spinali, fascio tetto-spinale e
fasci vestibolo-spinali.
La via piramidale comprende i fasci cortico-spinale laterale e anteriore e il fascio cortico-bulbare
o cortico-nucleare.
Si tratta, nel complesso, di fibre che originano soprattutto dalla corteccia motoria primaria del lobo
frontale, sede dei motoneuroni superiori della via, ma originano anche da altre cortecce cerebrali.
Le fibre del fascio cortico-bulbare o cortico-nucleare si portano ai neuroni motori efferenti dei nervi
dei nuclei motori dei nervi cranici.
I nervi cranici originano da nuclei del tronco encefalico.
Perciò le fibre del fascio cortico-bulbare terminano a livello del tronco.
Proseguono invece, le fibre cortico-spinali che devono raggiungere i
motoneuroni efferenti del midollo spinale, che sono i motoneuroni
inferiori della via, che poi tramite i loro assoni raggiugono direttamente
i muscoli scheletrici.
La maggior parte di queste fibre cortico-spinali, a livello del
mesencefalo decorrono in corrispondenza dei peduncoli cerebrali e a
livello del bulbo invece, vanno a costituire le piramidi bulbari.
Nella parte inferiore delle piramidi bulbari, la maggior parte delle fibre
cortico-spinali decussano, si parla di decussazione delle piramidi, cioè
le fibre si portano dal lato opposto andando a costituire il fascio
cortico-spinale laterale.
Le restanti fibre (circa il 10%) non decussano e vanno a costituire il fascio cortico-spinale anteriore.
Anche le fibre del fascio cortico-spinale anteriore, in dirittura d’arrivo decussano, andando a
controllare il motoneurone efferente controlaterale.
Non solo le vie sensitive, ma anche quelle motorie, a vario livello decussano, in modo tale che la
corteccia motoria dell’emisfero sinistro vada a controllare l’attività dei muscoli scheletrici della
parte destra del corpo e viceversa.
L’omuncolo motorio è rappresentato a livello della corteccia motoria primaria, quindi della
circonvoluzione pre-centrale del lobo frontale.
L’omuncolo rappresenta una mappa funzionale della corteccia
motoria primaria, quindi si tratta di parti di corteccia deputate a
controllare i muscoli scheletrici di parti specifiche del corpo.
Le proporzioni delle parti del corpo dell’omuncolo sono diverse
da quelle reali.
Le distorsioni sono dovute al fatto che l’estensione della
corteccia motoria che controlla una parte del corpo correla con il numero di muscoli e il numero di
unità motorie dei muscoli innervati e non con l’estensione effettiva della regione innervata (non
dipende dall’estensione dei muscoli di quella regione).
Infatti la corteccia motoria dell’omuncolo motorio deputata al controllo della mano è molto più
estesa rispetto a quella dedicata al controllo dei muscoli dell’arto inferiore e questo perché
l’estensione della corteccia motoria che controlla una parte del corpo correla con il numero di
muscoli e soprattutto con il numero di unità motorie dei muscoli che controlla, quindi non con
l’estensione effettiva della regione controllata.