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Professoressa Giari
CITOLOGIA
LEZIONE INTRODUTTIVA – 3 OTTOBRE 2022
La prima volta che ho pensato a questa prima lezione ero al cinema a vedere un film
dedicato a Ennio Morricone e sono rimasta affascinata dalla varietà dei brani che
Morricone aveva composto con solo poche note. Infatti, se pensassimo che con solo
sette note viene fuori un’immensità e una varietà di possibili musiche, di possibili
brani e di generi, come per esempio La Dolce Vita di Fedez, oppure una sinfonia di
Beethoven o anche metal.
Alla fine, lo stesso stupore lo possiamo avere tranquillamente girandosi intorno:
meduse, un metanogeno, uno scorpione, un fungo, una libellula, una stella marina, dei
lieviti, una sanguisuga, un protozoo, un colibrì … una varietà incredibile di forme di
vita, diverse per forma, colore, dimensione. Tutta questa varietà poggia su solo due
tipi di cellule, la cellula procariote e la cellula eucariote, quest’ultima presenta due
varianti principali che sono la cellula vegetale e quella animale, ma tutti gli organismi
che abbiamo visto son costituiti da un tipo di cellula, o una o l’altra. Non esiste un
organismo che abbia sia una cellula che altra, o si è procarioti o si è eucarioti. Quindi
è davvero intrigante andare a vedere questo mattoncino da dove è partito tutto e di cui
tutto è costituito.
Perciò le cellule sono le note della biologia. Non c’è musica senza note e non c’è
biologia senza cellule. Non c’è uno studio scientifico, biologico senza conoscenza
delle cellule. Proprio per questo il nostro corso è collocato al primo anno del nostro
corso di biologia.
ISTOLOGIA
- Caratteristiche generali e classificazione dei tessuti animali.
Morfologia, composizione e funzioni dei seguenti tessuti:
- tessuti epiteliali: epiteli di rivestimento (semplici e composti) ed epiteli ghiandolari.
Ghiandole endocrine ed esocrine
- tessuti connettivi (cellule residenti e non, sostanza amorfa, componente fibrillare):
connettivi propriamente detti (lasso, denso, reticolare, elastico), tessuto adiposo
(bianco e bruno), cartilagine (ialina, elastica, fibro-cartilagine), tessuto osseo
(compatto e spugnoso) e tipi di ossa, sangue e cenni su emopoiesi, emostasi e risposta
immunitaria
- tessuti muscolari: striato scheletrico, striato cardiaco, liscio; miofibrille e
meccanismo della contrazione; struttura generale del muscolo scheletrico
- tessuto nervoso: neuroni, sinapsi, cellule gliali del sistema nervoso centrale e di
quello periferico; struttura del nervo
L’interazione dei tessuti a dare gli organi. Struttura degli organi cavi (vascolari e
viscerali) e degli organi pieni.
Faremo una scala, anzi un pezzo di scala. Faremo tre gradini di questa scala, ovvero
la scala dei livelli di organizzazione biologica. I tre gradini sono: le molecole, le
cellule e i tessuti. Prima e dopo di questi gradini ci sono altri livelli come per esempio
gli atomi, le cellule subatomiche oppure gli apparati di cui noi non ci occuperemo ma
lo farete in altre materie.
Cosa succede passando da un gradino all’altro?
Aumenta la complessità, ma soprattutto vediamo le proprietà emergenti, ovvero
informazioni che nel livello precedente non c’erano.
Notate anche un’altra cosa in questa scala, noi andiamo in salita in questa scala.
Il gradino delle cellule è IL gradino fondamentale, perché è uno spartiacque tra la
materia vivente e la materia non vivente. Perciò quello che c’è sotto questo gradino,
sono comuni a tutta la materia, sia non vivente che vivente. Invece, dalla cellula in su
sono propri degli organismi viventi. Il fatto di avere un’organizzazione cellulare fa di
un organismo, un organismo vivente. Mentre se non la si ha non si è né un organismo
eucariote, né procariote; per esempio, i virus son solo un pezzetto di acido nucleico, o
RNA o DNA, avvolto in un capside proteico. Su come definirli è un dibattito tra
scienziati, infatti non sono cellule, ma prodotti biologici; senza il legame con le
cellule non possono sopravvivere.
Il fatto che la cellula sia un gradino fondamentale è provato anche dalla teoria
cellulare. La cellula è l’unità morfologia e funzionale della vita. Quini la cellula in sé,
si può notare negli organismi unicellulari, contiene tutte le proprietà e le capacità che
permettono di vivere, di riprodursi, di replicarsi. Come, per esempio, anche tutte le
reazioni chimiche hanno luogo dentro le cellule.
Ogni cellula deriva da un’altra cellula. La cellula ha in sé tutte le informazioni, sotto
forma di DNA, in cui sta scritto com’è fatta, come funziona e che possono essere
trasmesse alle cellule figlie.
La cellula è così importante che è il criterio fondamentale con cui noi distinguiamo i
vari organismi viventi. Pensate ai domini, che sono Eukarya, Bacteria,
Archaeabacteira. Oppure anche la suddivisione in base al numero di cellule,
organismi unicellulari (procarioti ed eucarioti) e organismi pluricellulari (eucarioti),
in particolare in questi ultimi osserviamo la differenziazione delle cellule e avranno
specifiche funzioni.
I tessuti sono solo quattro tipi e con solo questi quattro si formano tutti gli organi,
tutti gli animali che noi conosciamo.
Quindi cellule due e vengono fuori tutta quella varietà, tessuti quattro e vengono fuori
tutta quella varietà, qui si gioca molto bene con questi poco mattoncini.
Nell’immagine molecola colesterolo, cellula mucosa dell’intestino, tessuto
intestinale
❖ Obbiettivo del corso
Osservare l’abilità di chi studia biologia è studiare quello che si vede. Noi
lavoreremo nelle immagini e poi con i microscopi.
La prima immagine di fianco è stata ottenuta con microscopio a fluorescenza e sono
fibrociti, la parte verde è il nucleo, le varie diramazioni sono microtubuli, mentre
quelli più sottili sono i microfilamenti.
Nell’immagine vicina si vedono i globuli rossi ed è ottenuta con microscopio a
scansione.
Infine, l’ultima foto è una sezione istologica visto al microscopio ottico, è una
sezione trasversale del cordone ombelicale. Si notano due arterie ombelicali e una
vena ombelicali.
Descrivere cercare di notare i particolari e descrivere in modo adeguato con il
lessico specifico le varie osservazioni. Importante in questo corso è avere un lessico
preciso.
Conoscere Cosa? vogliamo conoscere la composizione in termine chimici, la
struttura, la collocazione e la funzione degli organuli, cellule e tessuti animali.
Come? studiando le principali tecniche e utilizzando gli strumenti per studiare le
cellule e i tessuti.
Perché? è il nostro modo di conoscere e riconoscere, di associare un oggetto. Per
esempio, nell’immagine possono riconoscere dei fagioli oppure i reni dei mammiferi.
Capire la forma mi aiuta a capire la funzione di quella struttura. Inoltre, è importante
perché mi permette di capire quanto sono vicini tra loro storicamente i vari organismi,
per esempio gli arti superiori dell’uomo sono simili agli arti anteriori dei gatti oppure
le ali dei pipistrelli. Poi mi permette anche cosa non va, perché se io non so come una
cellula debba essere normalmente, io non riesco a capire se c’è qualcosa di
patologico.
Ritornando a binomio forma-funzione.
Il binomio tra la fisiologia e la funzionalità tornerà molto. Se io so una funzione so
anche molto probabilmente la struttura e anche il contrario se io conoscessi una
struttura potrei capire che funzione ha.
Esempio.
Tutto dal punto di vista morfologico negli uccelli è adatto al volo, non solo la forma
del corpo oppure la forma delle ali. Nello specifico le ossa delle ali, robuste e leggere
a struttura a nido d’ape in modo tale da permettere di volare. Volare vuol dire anche
impiegare tanta energia, mi aspetto quindi che nelle cellule muscolari ci sia un
enorme quantità di organuli che permettono di creare energia; infatti, son pieni di
mitocondri con la membrana interna piena di creste che permettono un maggiore
produzione di ATP. Questi muscoli devono essere controllati, quindi anche dei
neuroni che permettono di controllare il volo. Quindi tutto è propenso al volo.
Tutte queste cose, che studieremo, poi vi serviranno come base per altre materie,
come per esempio l’anatomia umana e comparata oppure per la patologia e per la
fisiologia.
Infine, perché tutto questo ha molte applicazioni, sia di ricerca che sia diagnostico.
Alcuni esempi:
- Ambito parassitologico: i parassiti possono andare a collocarsi in vari organi,
tessuti dei loro ospiti. Andando a prendere i campioni degli organi parassitari,
posso vedere sia quali danni ha causato, dove si colloca esattamente e anche
qual è stata la risposta dell’organismo.
In queste immagini posso osservare un parassita con una ventosa orale con cui
si attacca e strappa pezzi di cellule intestinali. Questi invece è una che contiene
tanti piccoli parassiti protozoi, l’ospite in questo caso produce delle cellule
granuli e li manda dove c’è il parassita.
- In ambito ambientale-ecologico studiare le gonadi maschili e femminili degli
organismi può permette di sapere qual è il ciclo riproduttivo in una specie di un
determinato lago/fiume. E quindi conoscere il periodo con maggiore capacità
riproduttiva oppure quante volte si riproducono in un anno, traendo così delle
conclusioni che poi serviranno anche per capire come gestire la fauna ittica. Le
prime immagine sono gonadi femminili, mentre nel secondo gruppo di
immagini sono gonadi maschili.
- Ambito eco tossicologico: studiare gli effetti degli inquinanti in organismi
esposti ad essi.
- Ambito bio-medico: valutazione della tossicità dei farmaci in modelli animali.
In particolare, in questo studio, si osservano gli effetti sull’orecchio di alcuni
farmaci antitumorali per capire se ci sono danni alle cellule sensoriali. Per
studiarli si hanno usato gli zebrafish.
Esami:
3 appelli nella sessione invernali; 2 appelli nella sessione estiva e 1 a settembre.
LEZIONE 2 – 05/10/2022
L’unione inizia con l’unione di 2 unità, formando un dimero, con l’aggiunta di più unità si formerà
invece un polimero. Nella reazione di sintesi di un polimero: un monomero condivide un atomo di
idrogeno e l’altro monomero mette un gruppo ossidrile, provocando la liberazione di una molecola
d’acqua. In sintesi, quando è presente una reazione dove da alcuni monomeri si otterranno dei
polimeri, si produce acqua e viene chiamata reazione di disidratazione o condensazione. Al
contrario, per smantellare il polimero e ottenere dei monomeri, utilizzati per il fabbisogno di
energia, c’è bisogno di acqua per scindere il polimero. In questo caso la reazione prende il nome di:
idrolisi dell’acqua.
LE PROTEINE
Il termine proteina: “proteios”, significa al primo posto. Una proteina è formata da uno o più
polipeptidi, ovvero polimeri di amminoacidi (aa); alcuni amminoacidi si legano tra loro attraverso
dei legami peptidici (legami covalenti) per dare una catena polipeptidica. Le proteine sono le più
rilevanti sia per la loro presenza, sia per la loro estrema varietà di funzioni che supportano
all’interno delle cellule.
Le proteine costituiscono il 50% del peso secco della
cellula. Queste partecipano praticamente a tutte le
funzioni espletate dall’organismo.
Qual è la differenza tra una catena polipeptidica e una
proteina? La proteina viene chiamata in questo modo
solo quando ha raggiunto la sua forma tridimensionale
e quindi può svolgere la sua funzione.
Gli amminoacidi sono formati da:
● Un carbonio (C) centrale alfa, sempre legato a un
idrogeno (H)
● Un gruppo amminico, che conferisce basicità
● Un gruppo carbossilico, che conferisce acidità
● Il gruppo laterale (R), differente per ogni
amminoacido
Gli amminoacidi si legano liberando una molecola
d’acqua: un gruppo carbossilico, del primo
amminoacido, libera un ossidrile (OH), invece il
secondo amminoacido cede un idrogeno (H) del
gruppo amminico. Questa reazione forma un legame
peptidico tra il carbonio e l’azoto. Infine, nel legame
peptidico si riconosce una zona terminale amminica libera (N-terminale), cioè priva di legami, nel
lato posto di può notare un gruppo terminale carbossilico (C-terminale), anche questo privo di
legami. La proteina viene “smantellata” per ottenere energia solo in caso di necessità, cioè quando
sarà terminata la riserva di lipidi e glucidi.
Quali sono le modalità per differenziare gli
amminoacidi?
● Amminoacidi non polari: non
interagiscono con l’acqua e stanno più vicini
tra di loro
● Amminoacidi polari
● Amminoacidi elettricamente carichi in
condizione di Ph cellulare (>7), possono essere
positivi o negativi quindi basici o acidi.
● Dalla catena laterale (R)
● Se sono amminoacidi essenziali oppure non essenziali. Gli amminoacidi essenziali non
vengono prodotti dal nostro organismo perciò è necessario introdurli tramite la dieta
alimentare.
Gli amminoacidi segnati in rosso (vedi tabella in alto) sono presenti solo negli adulti, infatti nei
neonati o negli embrioni ci sono altri amminoacidi che non riescono a sintetizzare.
LA STRUTTURA DELLA PROTEINE:
● Struttura primaria: è la sequenza degli amminoacidi uniti dal legame peptidico. Il legame
peptidico avviene tra il gruppo amminico di un amminoacido e il gruppo carbossilico di un
altro.
● Struttura secondaria: è il ripiegamento e la formazione di legami idrogeno, legami deboli, tra gli
atomi dello scheletro carbonioso delle proteine.
● Struttura terziaria: è la struttura finale delle proteine cioè la struttura tridimensionale. La
conformazione complessiva è stabilizzata dalle interazioni e dai legami delle catene laterali,
possono essere: interazioni idrofobe e idrofile, legami ionici, legami idrogeno, ponti disolfuro e
legami elettricamente positivi e negativi (si attirano tra di loro). I ponti di solfuro sono legami
covalenti (cioè forti e stabili) sono dati dall’interazione di due amminoacidi che contengono
solfidrile, come per esempio la cisteina.
● Struttura quaternaria: è la relazione fra le subunità polipeptidiche. Il collagene è formato da 3
catene polipeptidiche intrecciate per una maggiore resistenza meccanica. La emoglobina
invece, è formata da 4 catene polipeptidiche intrecciate a 2 a 2, composte da alfa e beta.
I LIPIDI
I lipidi non sono delle molecole polimeriche. Hanno forme e funzioni altamente diversificate. I lipidi
sono molto eterogenei e comprendono: trigliceridi o triacilgliceroli, cere, fosfolipidi, steroidi,
vitamine e alcuni pigmenti.
Hanno una caratteristica comune: scarsa o nessuna affinità per l’acqua (IDROFOBIA). Esistono
comunque dei lipidi non polari e polari. In alcuni casi, all’interno della molecola lipidica c’è una
porzione polare, quindi è presente una minima affinità con l’acqua.
GLI STEROIDI
Gli steroidi sono derivati dei lipidi. Hanno uno scheletro carbonioso formato da 4 anelli fusi + 1
steroide, variano tra loro per i gruppi funzionali legati al complesso degli anelli.
Il colesterolo è il costituente, insieme ai fosfolipidi, delle
membrane cellulari. E’ il precursore di molti steroidi, come la
vitamina D, gli ormoni sessuali e gli ormoni della corteccia del
surrene. Gli ormoni sessuali sono importanti perché sono la
causa del differenziamento cellulare e della corretta funzione
degli apparati riproduttivi. Fanno parte degli ormoni sessuali: il
progesterone, il beta-estradiolo, e il testosterone. Invece, fanno parte degli ormoni della corteccia
del surrene: il cortisolo e l’aldosterone.
Riassumendo, i lipidi svolgono numerose funzioni: riserva energetica, funzione strutturale,
precursori, messaggeri chimici, isolanti termici e cuscinetti per i traumi meccanici.
Le molecole coniugate:
- Proteoglicani: è predominante; in termini
di quantità, la porzione glucidica. Si
differenzia dalle
- Glicoproteine: dove è predominante la
parte proteica
- Lipoproteine: sono idrosolubili,
trasportato nei liquidi biologici il materiale
lipidico apolare. In base alla loro densità si
dividono in 4 gruppi: chilomicroni, VLDL, HDL,
LDL. HDL e LDL trasportano i trigliceridi e il colesterolo, con la differenza che LDL rilascia il
colesterolo sulle pareti dell’arterie invece, HDL non permette la deposizione del colesterolo e lo
indirizza a entrare nei tessuti dove verrà utilizzato senza lasciare l’eccesso nel sangue.
Gli acidi nucleici sono dei polimeri di nucleotidi. Un nucleotide è composto da 3 molecole:
Forti delle informazioni della volta scorsa, ci sono altre informazioni fondamentali che ci
occorrono per affrontare con cognizione di causa lo studio della cellula e, oltre a capire le
proprietà dei costituenti, ci interessa capire metodologicamente come avviene lo studio della
cellula attraverso quali strumenti.
Quindi oggi ci occuperemo, prima
di iniziare il percorso di descrizione
della cellula animale, della
microscopia, argomento che trovate
in entrambi i testi sempre al
capitolo 2.
La microscopia è assolutamente
necessaria per studiare e osservare
la cellula. Conoscere questi
strumenti è fondamentale perché sono un requisito senza il quale noi non sapremmo
nemmeno tutte le informazioni di cui attualmente disponiamo riguardo le cellule. Come mai
c’è la necessità di utilizzare questi strumenti? Per un motivo molto semplice: le dimensioni
delle cellule.
In questa immagine che vedete su una scala logaritmica vi vengono proposti i range
dimensionali delle molecole delle cellule e degli interi organismi. Si vede molto
chiaramente che mentre la morfologia di un organismo, soprattutto se non è microscopico,
noi la possiamo apprezzare e quindi descrivere anche con una osservazione ad occhio nudo,
quando andiamo su livelli di organizzazione biologica più bassi, come quelli della cellula e
sotto ancora delle strutture sub-cellulari, per non parlare di molecole ed atomi, abbiamo
bisogno di un aiuto che potenzi le nostre capacità visive perché andiamo su delle unità di
misura che sono di ordini di grandezza inferiori rispetto a quelle con cui abbiamo a che fare
di solito. Noi di solito abbiamo a che fare con metri, centimetri e millimetri quando
parliamo di organismi nel loro complesso, ma parlando delle loro cellule scendiamo a
livello di millimetri, micrometri (10 alla meno 3 millimetri) e i nanometri (10 alla meno 3
micron). Tenete quindi presente questa unità di misura con cui daremo anche le dimensioni
delle cellule e degli organuli che le compongono. La maggior parte delle cellule è compresa
in una dimensione, cioè il loro diametro diciamo così, tra 1-100 micron, quindi siamo già
con questo al di sotto delle capacità visive dell’occhio nudo. Da 1-100 micron specifichiamo
meglio, in media le cellule procariotiche (più antiche, più piccole e meno complesse) hanno
una dimensione variabile fra 1-10 micron. Anche qui ci sono delle eccezioni perché la più
piccola cellula che si conosce è quella dei micobatteri che misura solamente 0.2 micron,
mentre la maggior parte delle cellule eucariotiche (comprese anche quelle animali) di solito
oscilla fra i 10-100 micron. Quindi più grandi delle procariotiche, ma ancora sfuggenti alle
possibilità dell’occhio umano, per cui ci occorre il microscopio ottico.
Quando poi andiamo a livello di organismi più piccoli o vogliamo andare a discriminare
all’interno della cellula le strutture e gli organuli componenti, e quindi scendiamo a livello
dei nanometri, occorre di nuovo un microscopio ma più potente addirittura di quello ottico.
Anche qui, quando vi ho dato i range delle cellule animali 10-100 micron, in realtà
bisognerebbe ammettere delle eccezioni. Ci sono delle cellule animali così grandi che le
vediamo ad occhio nudo addirittura le maneggiamo e le cuciniamo pure. Per esempio le
cellule uovo di tutti gli uccelli (uova) sono una unica cellula ma proprio perché sono
infarcite di tanto vitello, di tanto materiale da deposito, assumono delle dimensioni
particolarmente elevate. La più grande cellula animale che si conosca è quella dell’uovo di
struzzo, però a parte queste particolarità ci sono anche tra le cellule vegetali delle cellule
estremamente grandi come quella di CALLEU PATAXI FOGLI che è un alga tropicale,
invasiva nel nostro mediterraneo che raggiunge delle dimensioni enormi rispetto alla
maggior parte delle cellule vegetali. Quasi tutte le altre cellule rientrano in dimensioni più
piccole per agevolare il rapporto superficie-volume che consente gli scambi efficaci con
l’ambiente esterno.
Quali sono quindi i due principali tipi di microscopio? La grande divisione è fra i
microscopi ottici e i microscopi elettronici. Già i nomi ci dicono da cosa dipende questa
distinzione, questa grande potenza che essi hanno.
Il microscopio ottico che in inglese è
indicato con LM (light microscope)
fa riferimento al fatto che sono
microscopi che utilizzano come
fonte di energia, che viene utilizzata
per attraversare/osservare il
campione, la luce o raggi luminosi.
Nei microscopi elettronici invece
non si utilizza la luce, ma il
campione viene attraversato o
scandagliato da un fascio di elettroni,
ecco perché elettronico. A seconda
che io sia interessata ad osservare la
superficie, quindi ad avere un’immagine tridimensionale del mio campione, oppure per
contro, osservarne una sezione (non vi è più tridimensionalità, non lavoro più sulla
superficie ma posso osservare cosa c’è dentro) io parlerò in ambito di microscopi ottici dello
stereomicroscopio e in ambito di microscopi elettronici, invece, del così detto SEM
(microscopio elettronico a scansione). Ho quindi una visione della superficie e un’immagine
tridimensionale.
Quando invece lavoro su sezioni di campioni o tessuto utilizzo il microscopio ottico
convenzionale, che è il microscopio ottico composto che userete prossimamente nelle
esercitazioni. Se invece voglio vedere sezioni di tessuto al microscopio elettronico utilizzerò
un particolare tipo di microscopio elettronico chiamato TEM (microscopio elettronico a
trasmissione).
Qual è la differenza oltre alla fonte di energia tra questi due tipi di microscopio? C’è
sicuramente una differenza di complessità e quindi anche di prezzo; un microscopio ottico
di base costa sui 400 euro quindi accessibile, invece un microscopio elettronico viene a
costare sui 300-400 mila.
Continuando il confronto tra microscopi ottici ed elettronici notiamo che sono diversi anche
come potenzialità, quindi ciò che ci permettono di vedere e anche come facilità di impiego
ed utilizzo. Il microscopio ottico è uno strumento che chiunque può maneggiare con un
minimo di training anche in autonomia, infatti ne sono dotati praticamente tutti i laboratori,
mentre invece un microscopio elettronico sia a scansione che trasmissione è abbastanza
ingombrante e molto complesso. Entrambi presuppongono personale formato e specializzato
per la preparazione dei campioni che devono essere visti al microscopio e per l’utilizzo del
microscopio stesso.
Un’altra differenza sta nella
possibilità di visione. Per
farvi capire qui vi ho messo
immagini delle stesse strutture
viste con i due diversi tipi di
microscopio. Quindi si tratta
sempre di organi sensoriali, i
neuromasti, che si trovano
sulla superficie del corpo per
esempio anche dei pesci.
Questo è quello che vedete
con il massimo ingrandimento
di un microscopio ottico quindi capite che ha questa serie di cellule che convergono come a
fare una specie di vulcano, individuate chiaramente i nuclei che sono quelli più scuri e
vedete qualche sezione delle ciglia tipiche di queste cellule sensoriali.
Se noi andiamo poi a vedere queste stesse strutture al microscopio elettronico a trasmissione
compaiono una serie di altri particolari: la placca dalla quale emergono le stereociglia e il
chinociglio, si vedono dei mitocondri, si vede dove finisce una cellula e dove comincia
quella a fianco quindi si intravede la membrana plasmatica. Quindi una serie di dettagli e
informazioni in più perché c’è una possibilità di ingrandire maggiore.
Tutto quello che noi vediamo esclusivamente al microscopio elettronico a trasmissione, che
sono la maggior parte delle strutture sub-cellulari viene definita ULTRASTRUTTURA
CELLULARE. Queste stesse strutture posso anche vederle a scansione, immagine
tridimensionale in cui si vede bene che sporgono diciamo un po' la loro forma e si vedono
svettare all’apice le varie stereociglia e chinociglio.
Un’altra differenza importante fra i due microscopi è che però i trattamenti che noi
dobbiamo fare ai campioni per poterli vedere sia al SEM che al TEM presuppongono
necessariamente l’uccisione delle cellule dei tessuti, quindi io lavoro su materiale che è
fissato e non su materiale vivo. Al microscopio ottico invece posso lavorare o su materiale
fissato, ma anche lavorare su materiale vivo.
Come mai è così difficile lavorare per vedere come sono fatte le strutture biologiche delle
cellule?
Un motivo l’abbiamo già detto è legato alle loro dimensioni piccole e l’altro motivo lo
possiamo intuire da quello che abbiamo detto la volta scorsa. Il principale costituente delle
cellule e conseguentemente dei tessuti è l’acqua che è trasparente. Queste strutture sono
quindi fondamentalmente trasparenti e la trasparenza di sicuro non è un aiuto per
l’osservazione.
Tenuto conto di queste due problematiche, la microscopia quindi cerca di dare una
soluzione.
Sono infatti tre i parametri importanti in microscopia e che danno le diverse performance
dei microscopi: ingrandimento, risoluzione e contrasto. L’ingrandimento è sicuramente
quello che voi avete più presente e intuite più facilmente. È il rapporto fra la dimensione
dell’immagine che viene prodotta
attraverso la visione al microscopio e
la dimensione reale di ciò che state
guardando. Quindi se io ho un
ingrandimento del 20, significa che
l’immagine che io sto vedendo è 20
volte più grande rispetto alle dimensioni effettive.
Con i microscopi ottici quando avremo messo a punto, e l’abbiamo già fatto, le lenti
migliori possibili non riusciamo ad andare oltre con le loro capacità. Ci sono dei limiti
intrinseci alle lenti, a come sono fatte, di quale materiale, quindi il salto che si può fare
ancora può essere solo dato dall’unione delle caratteristiche del microscopio con quello di
videocamere ad alta sensibilità che in continuo acquisiscano le immagini provenienti da
questi microscopi e riescano a
ricostruire dei video,
consentendoci anche di
seguire quali sono i
movimenti degli organuli che
avvengono all’interno delle
cellule.
Un salto di qualità c’è stato
sicuramente passando dai
microscopi con un solo
oculare a quelli con due
oculari.
La parte meccanica che viene a volte indicata con il termine STATIVO è composta dalla
base del microscopio che di solito è abbastanza robusta per cercare di minimizzare le
vibrazioni che possono venire dal piano di appoggio su cui è appoggiato il microscopio
nella quale è contenuto anche il sistema di illuminazione, quindi la sorgente della luce.
Si trova poi il tubo che porta le lenti e un tavolino centrale, su cui si appoggia il vetrino, che
permette di spostarlo a destra e sinistra in modo da poter scandagliare tutta la sua superficie.
Il microscopio a contrasto di fase viene utilizzato per vedere cellule vive particolarmente
trasparenti, quindi è usato soprattutto in microbiologia e per lavorare sulle colture cellulari.
La cosa importante è che la luce una volta che attraversa il campione, che ha spessore e
densità diverse, crea dei raggi che
hanno una fase diversa rispetto a
quelli che non attraversano il
campione. Queste piccole
differenze di fase non vengono
percepite dall’occhio ma vengono
rese percepibili grazie alla presenza
di un piano di fase, posto in alto
dopo l’obbiettivo. Si percepiscono
meglio quindi i contorni e ciò che
viene osservato al microscopio.
I microscopi a fluorescenza
possono essere o quelli a
epifluorescenza visti prima, che
però ha un limite: l’immagine
complessiva che ottengo è
sfuocata in quanto quel tipo di
microscopio va ad illuminare tutto
il campione prendendo in
considerazione livelli e piani con
fuochi diversi. L’immagine che
invece ottengo con un altro
microscopio a fluorescenza che è
il CONFOCALE è a fuoco. Qui la
luce è emessa da un laser che passa attraverso il campione, poi attraverso un foro
piccolissimo prima di raggiungere l’elevatore. In questo modo il sistema va a considerare un
piano di fuoco, un livello per volta e quindi lo mette a fuoco perfettamente eliminando tutti
gli altri piani che non sarebbero a fuoco. Se poi si uniscono le immagini ottenute per ciascun
livello, grazie a dei sistemi informatici che acquisiscono tutte le immagini del mio confocale
e che le rimettono insieme ottengo un’immagine integrata in cui tutte le varie parti sono a
fuoco. Faccio quindi una ricostruzione tridimensionale. Nelle due immagini, quella a
sinistra tenuta con la fluorescenza normale, l’epifluorescenza, quella a destra con il
confocale si vede quanto si guadagna in nitidezza.
Il microscopio elettronico a
scansione, invece, che è quello
che scandaglia la superficie dà
delle immagini di tipo
tridimensionale. Usato per vedere
le superfici delle cellule e piccoli
organismi. Anche in questo caso
utilizzo un fascio di elettroni,
quindi avrò bisogno di un
cannone che generi il fascio di
elettroni, di una pompa del vuoto
che permetta di farli viaggiare in
assenza di aria e avrò bisogno di trattare il campione in modo che sia completamente
metallizzato, quindi ricoperto di particelle di metallo, di solito di oro. Avviene quindi una
doratura del campione, così questo fascio di elettroni che raggiunge il campione produce in
superficie degli elettroni secondari che si generano per eccitazione. Questi vengono raccolti
da un sistema di rilevazione che converte la captazione di questi elettroni in fotoni, quindi
qualcosa di visibile, e crea un’immagine visibile ad uno schermo.
Cominciamo a descrivere la
cellula.
Abbiamo detto i componenti,
abbiamo detto che ci servono i
microscopi ora partiamo.
LA CELLULA ANIMALE
La struttura generale di
una cellula eucariotica è
costituita da questa
membrana cellulare che
separa l’ambiente extra
cellulare da quello intra
cellulare e non è solo un
confine così passivo, ma è
una struttura che permette
di regolare tutti gli scambi
tra l’interno e l’esterno.
Scambi di energia, di
materiale, di
informazioni.
Abbiamo anche una serie di altre membrane, che sono quelle che delimitano gli organuli
all’interno della cellula, che vanno ad individuare una serie di ambienti dentro la cellula
diversificati fra loro andando a creare una COMPARTIMENTAZIONE.
Dentro la cellula ho comparti che sono appunto i vari organuli delimitati da membrane che
formano dei microambienti diversi uno dall’altro con condizioni ideali per specifiche
funzioni.
ESEMPIO: i lisosomi sono un microambiente caratterizzato da un PH ben diverso da quello
che troviamo nel citoplasma. Questa è una condizione utile per le reazioni degradative che
avvengono dentro lisosoma.
La compartimentazione permette quindi di avere ambienti specializzati in cui possono
avvenire in contemporanea dei processi che hanno bisogno di ambienti diversi. È una
caratteristica della cellula eucariotica che manca ai procarioti. Alcuni organuli sono
delimitati da una singola membrana altri, lo vedremo, sono delimitati da una doppia
membrana (nucleo e mitocondri). Pochi non hanno rivestimento membranoso (centrosoma e
ribosoma).
In alcuni testi si parla di un SISTEMA ENDOMEMBRANOSO: insieme di organuli che
comprendono la membrana plasmatica, involucro nucleare, RE, apparato di golgi, lisosomi,
perossisomi e varie tipologie di vescicole. Tutti questi componenti o hanno una continuità
delle membrane dell’uno rispetto all’altro (involucro nucleare con RE) o sono collegati
tramite il passaggio di vescicole, sacche delimitate da membrana che si staccano da un
organulo e migrano per raggiungere altri organuli dove vanno a fondersi.
LA MEMBRANA PLASMATICA
Ogni fosfolipide ha una testa idrofila e due code idrofobe, queste sono orientate in
modo che in ciascun strato le teste idrofile siano rivolte verso il comparto acquoso e
quindi l’ambiente extracellulare dove c’è il liquido extracellulare ovvero il citosol, le
code idrofobe di entrambi gli strati si trovano racchiuse in una parte centrale
lontane dall’acqua come vogliono gli acidi grassi che sono idrofobi, a costituire un
core centrale apolare. Quindi nella membrana plasmatica nel mio doppio strato
fosfolipidico io vado a individuare due foglietti diversi:
1. Il foglietto che si affaccia sull’esterno della cellula, detto foglietto fosfolipidico
esterno o esoplasmatico.
2. Il foglietto che si affaccia sull’interno della cellula, quindi che si affaccia sul
citosol, è detto foglietto fosfolipidico interno o citoplasmatico o citosolico.
DIFFERENZA TRA CITOSOLICO E CITOPLASMATICO: citosol e citoplasma vengono spesso
usati in modo equivalente, come se indicassero la stessa cosa, il citosol è il fluido
intracellulare in cui si trovano immersi gli organuli, il citoplasma è ciò che è racchiuso
dentro la membrana plasmatica cioè il citosol più gli organuli.
Questo doppio strato non è una struttura rigida e fissa, i fosfolipidi sono capaci di
movimenti, sono 3 i tipi di movimento che i fosfolipidi possono effettuare con
frequenze diverse:
1. ROTAZIONE CHE IL FOSFOLIPIDE PUÒ FARE SU SE STESSO ATTORNO L’ASSE
LONGITUDINALE DELLA MOLECOLA (in verde), questo è un movimento che
avviene con una frequenza di 10-9 s all’interno del meso-foglietto.
2. DIFFUSIONE LATERALE (in blu) uno
spostamento laterale che un
fosfolipide può fare, uno spostamento
che avviene frequentemente, ogni 10-6
s, ogni microsecondo il fosfolipide si
sposta lateralmente, può fare distanze
notevoli in poco tempo nell’ambito
dello stesso foglietto.
3. SPOSTAMENTO FLIP FLOP (in rosso) in
cui abbiamo uno spostamento
trasversale da un foglietto all’altro, dal
foglietto interno al foglietto esterno o
viceversa dal foglietto esterno al foglietto interno. Questo movimento è meno
frequente (105s) e meno veloce, è sfavorito in quanto la sua testa idrofila
dovrebbe passare nel core apolare, un movimento così avviene ogni 28h. Per
avvenire ha bisogno di enzimi particolari come le scramblasi e le flippasi che
consentono questo spostamento.
Questa è la dinamicità della membrana plasmatica dovuta al dinamismo e
spostamento dei suoi costituenti chiave che sono i fosfolipidi.
Nella membrana plasmatica c’è un’altra importante componente lipidica che è data
dal colesterolo che è una molecola di tipo steroideo.
DOVE SI COLLOCA IL
COLESTEROLO?
Siccome è uno steroide non
ha grande affinità per l’acqua,
è abbastanza idrofobo.
Guardando la molecola del
colesterolo vediamo i quattro
anelli fusi che abbiamo in tutti
gli steroidi e una coda idrocarburica, attaccato a uno degli anelli si vede un gruppo
ossidrile -OH idrofilo, quindi conferisce un minimo di idrofilicità al colesterolo e
questo mi spiega come è sistemato il colesterolo nel doppio strato. Il colesterolo si
interpone fra un fosfolipide e l’altro, notiamo che la parte idrofila dove c’è la piccola
testa polare con -OH si rivolge verso l’esterno della cellula se parliamo del foglietto
esterno, o verso il citosol se parliamo del foglietto interno mentre lascia tutto il
resto della molecola idrofobica nel core formato dagli acidi grassi dei fosfolipidi.
PROTEINE DI MEMBRANA
Nella membrana troviamo diversi tipi di
proteine che suddividiamo in:
• PROTEINE INTRINSECHE, dette
anche INTEGRALI. Le proteine
intrinseche o integrali sono quelle
che penetrano nel doppio strato
fosfolipidico e possono andare dentro parzialmente del doppio strato oppure
possono attraversarla completamente da parte a parte affacciandosi sia nel
lato citosolico che su quello extracellulare. Quando le proteine intrinseche
passano da parte a parte vengono dette PROTEINE TRANSMEMBRANA per
indicare che attraversano completamente la membrana. Queste proteine
sono ancorate in modo saldo al doppio strato e questo è testimoniato dal
fatto che per estrarle dalla membrana occorre fare dei trattamenti drastici
con dei solventi organici sennò non si riesce a toglierle dalla loro posizione.
Siccome penetrano nel doppio strato vuol dire che una loro porzione entra in
contatto con il core centrale idrofobico, allora questa porzione di proteina
dovrà essere anch’essa un dominio idrofobico e quindi presentare
amminoacidi apolari in quel punto, non carichi, tra le proteine intrinseche e
transmembrana distinguiamo tra proteine che passano una volta attraverso
un’unica regione o unico dominio da parte a parte, queste vengono dette
UNIPASSO o MONOPASSO o SINGOLOPASSO, quindi troveremo una sola
regione idrofobica che giace nel core idrofobo del doppio strato. Ci sono
proteine che attraversano più volte da parte a parte la membrana e quindi
presentano diversi domini idrofobici e queste verranno definite MULTIPASSO.
• PROTEINE ESTRINSECHE, dette anche PERIFERICHE. Queste si trovano
associate sulla superficie della membrana, o sulla faccia esterna e quindi si
affacciano sull’ambiente extracellulare o sulla superficie interna e quindi si
affacciano sull’ambiente citosolico e sono di solito attaccate ad altre proteine,
vediamo degli esempi di proteine estrinseche agganciate perifericamente
nella faccia citosolica, le proteine periferiche a differenza di quelle intrinseche
sono legate alla membrana ma in modo abbastanza debole per cui anche con
dei trattamenti blandi tipo con delle soluzioni saline riescono ad essere
estratte dalla membrana.
ATTENZIONE: alcuni pensano che proteine intrinseche sia uguale a dire proteine
transmembrana, no, le proteine transmembrana sono un tipo di proteina intrinseca
cioè quelle che passano da parte a parte e si affacciano su tutti e due i lati.
MODELLO A MOSAICO FLUIDO:
• Nella diffusione semplice la velocità con cui il soluto passa da una parte
all’altra cresce al crescere della concentrazione del soluto, maggiore è la
concentrazione maggiore è la velocità con cui si sposta.
• Nella diffusione facilitata vedo che fino ad un certo punto c’è una
proporzione diretta, quindi più aumenta la concentrazione del soluto
più aumenta la velocità di trasferimento ma arrivo ad un plateau, ad un
punto di massima velocità oltre la quale non posso andare anche se la
concentrazione del mio soluto aumenta ulteriormente, la velocità
massima corrisponde al numero di proteine. Quando io ho impegnato
nei trasporti tutte le proteine di trasporto non posso fare più in fretta di
così, questa è una differenza fra i due tipi di diffusione. La diffusione
semplice può sempre avvenire perché il doppio strato fosfolipidico c’è
sempre nelle membrane mentre invece la diffusione facilitata potrà
avvenire solo se sono presenti le proteine di trasporto e ad una velocità
via via maggiore a seconda di quante proteine di trasporto per quella
specifica molecola io ho.
1. PROTEINE CANALE
2. PROTEINE CARRIER
O TRASPORTATORI
1. Le proteine canale
sono delle proteine che
formano un tunnel e un
poro centrale idrofilo
che mi consente di far
passare attraverso
questa porzione interna
idrofila i soluti che sono idrofili, le proteine canele servono per il
passaggio di ioni carichi idrofili e per il passaggio dell’acqua, le proteine
canale specifiche per l’acqua sono le acquaporine. Nei canali il
movimento avviene sempre e solo secondo gradiente di
concentrazione, trasporti passivi e selezionati, ogni canale discrimina e
fa passare solo certi tipi di ioni con una certa carica e di una certa
grandezza. Per il tunnel non passa qualunque ione o molecola idrofila
ed è un passaggio molto rapido.
Alcuni di questi canali non sono sempre aperti, ma possono essere controllati
a seconda dello stimolo che arriva. Questi canali rispondono a degli stimoli
chimici, quindi arriva un messaggero chimico (ligando) che si lega al recettore
e determina la chiusura o l’apertura del canale. Possono esserci canali che
rispondono a stimoli elettrici e quindi la chiusura e apertura dei canali
dipende dal voltaggio, oppure ci sono canali che rispondono a stimoli
meccanici (pressori o di stiramento) che vanno ad influire sull’apertura o
meno del canale.
Con i trasportatori noi possiamo avere a che fare sia con trasporti passivi
come l’uniporto che è una semplice diffusione facilitata da dove la molecola è
più concentrata a dove lo è meno, con i co-trasportatori ho a che fare con un
trasporto attivo e mi posso muovere anche contro-gradiente.
TRASPORTI ATTIVI
La volta scorsa abbiamo iniziato il percorso descrittivo dalla cellula dalla struttura più esterna che
incontriamo nella cellula animale, cioè la membrana plasmatica. E di seguito e collegato strettamente alla
membrana plasmatica abbiamo parlato di come avvengono gli scambi tra l’interno e l’esterno della cellula,
quindi come le molecole in base alle loro diverse caratteristiche chimiche, alle loro dimensioni, possono, in
modo selettivo, attraversare la membrana.
Quindi abbiamo fatto le varie tipologie di trasporto; distinguendole in primis tra trasporti passivi e trasporti
attivi, rispettivamente che non implicano dispendio di energia (quelli passivi), perché le molecole si
muovono secondo gradiente di concentrazione e invece i trasporti attivi in cui io muovo le molecole contro
gradiente e quindi devo impiegare energia di solito sotto forma di ATP.
Abbiamo parlato delle proteine che permettono molte di queste forme di trasporto, poi abbiamo detto che,
come ultima tipologia di trasporto, rimaneva da commentare il trasporto di quelle molecole,
macromolecole che per le loro dimensioni non possono passare attraverso delle proteine, né canale né di
trasporto che siano e quindi si spostano con la modalità tramite vescicole. Quindi la formazione di questi
mini-comparti racchiusi da membrana al cui interno c’è un contenuto che deve essere o esportato dalla
cellula o importato, e abbiamo in particolare detto che ci sono tre tipologie:
● La ENDOCITOSI
● La ESOCITOSI
● La GEMMAZIONE
Che hanno versi diversi, cioè sia la esocitosi che la gemmazione portano materiale fuori dalla cellula.
Nel caso della esocitosi questo trasporto parte dall’interno della cellula, dove vengono prodotti dei
materiali racchiusi da vescicola, la vescicola arriva alla membrana plasmatica per analogia tra la membrana
della vescicola e la membrana plasmatica, le due membrane si fondono e solamente il contenuto della
vescicola, viene ad essere espulso fuori dalla cellula, a differenza della gemmazione in cui di nuovo io porto
fuori del materiale, ma in questo caso il materiale che è al di sotto della membrana plasmatica viene
alloggiato all’interno di una specie di estroflessione della membrana che poi si stacca a dare una vescicola e
quindi il materiale viene espulso non da solo, ma contenuto all’interno di una vescicola. L’ endocitosi invece
è un processo con una direzione inversa, cioè materiale che è nell’ambiente extracellulare, viene portato
all’interno del citoplasma attraverso la formazione di una vescicola che ha quindi una membrana che
origina della membrana plasmatica.
La Endocitosi
Partiamo proprio a esplicitare come avviene quindi la Endocitosi, “endo” ci aiuta a ricordare la direzione del
trasporto, perché “endo” vuol dire dentro come “eso” vuol dire fuori o “ecto” indicano sempre fuori, quindi
facciamoci sempre aiutare dall’etimologia delle parole.
La endocitosi avviene grazie a dei riarrangiamenti dei movimenti che compie la membrana plasmatica che
può, a seconda dei casi, o introflettersi o emettere dei prolungamenti per, diciamo accogliere, abbracciare il
materiale che dall’esterno deve essere portato dentro alla cellula e quindi essere internalizzato.
Esistono tre diversi tipi di endocitosi che si differenziano per la modalità con cui vengono effettuati, oltre
che in parte, anche per i tipi di materiali che vengono portati all’interno e parliamo di:
● PINOCITOSI,
● FAGOCITOSI
● ENDOCITOSI MEDIATA DA RECETTORI
LA PINOCITOSI
La Pinocitosi, partiamo sempre dall’etimologia, letteralmente significa cellula che beve, perché il verbo
greco “pino” significa appunto bere.
In effetti la cellula che cosa fa attraverso questo processo?
Assume e porta all’interno tramite delle vescicole, delle piccole porzioni, diciamo, dei quantitativi di liquido
extracellulare e ovviamente, insieme a questo liquido, porta dentro i soluti che sono all’interno del liquido.
E quindi qualsiasi molecola sia disciolta e presente nel liquido extracellulare, viene portata all’interno
attraverso questo meccanismo, meccanismo che prevede una introflessione lo si vede bene anche da
questo schema, la membrana plasmatica, vedete si introflette, quindi va verso l’interno, crea come una
specie di piega che si approfondisce sempre di più racchiudendo all’interno questa porzione di liquido
extracellulare.
L’introflessione poi si completa, la vescicola si chiude e si stacca dalla superficie per entrare all’interno del
citosol, dove quindi ci ritroveremo questa porzione di liquido extracellulare contenenti soluti avvolto da
una membrana, che origina dalla membrana plasmatica e questa vescicola prende genericamente il nome
di endosoma.
Capite bene anche dalla descrizione che il materiale, cioè questa modalità di trasporto non è specifica, cioè
io non porto dentro un soluto in particolare ma porto dentro in modo aspecifico quello che è disciolto nel
liquido extracellulare. Aspecifica, in questo caso la A, come in molti casi, nella terminologia scientifica, la A
sta per Alfa privativo, cioè senza specificità, e come dire, non quella “a” davanti.
Oltre che essere importante per il materiale che viene portato all’interno della cellula, la endocitosi di
questo tipo, cioè la pinocitosi, è importante anche perché permette un ricambio, un riciclaggio della
membrana plasmatica. In che senso? Nel senso che quelle porzioni di membrana che si staccano che mi
servono per formare la vescicola verranno poi sostituite da nuovi costituenti della membrana.
E quindi questo meccanismo tiene anche
continuamente rinnovata la membrana
cellulare.
Quando si parla di pinocitosi si distingue
ulteriormente, in base alla grandezza, alle
dimensioni delle vescicole che si creano
durante il processo, quindi si parla di
MICROPINOCITOSI, quando le vescicole
che si formano sono piccole, il prefisso
micro indica sempre qualcosa di piccolo
come il macro indica qualcosa invece di grande.
Quindi micropinocitosi anche senza sapere che cos’è uno capisce che fa riferimento a vescicole piccole...
piccole quanto? Diciamo che fino a 65 nanometri di diametro vengono considerate vescicole micro
pinocitotiche che essendo così piccole noi possiamo individuare e
apprezzare solamente con il microscopio elettronico a trasmissione.
Che è poi l’immagine che vedete di fianco, tutte queste che vedete
sono delle vescicole di micropinocitosi in formazione, qualcuno si deve
ancora completamente staccare, qualcun’altra si è staccata in una
cellula vista appunto al TEM.
Invece la MACROPINOCITOSI fa riferimento a delle vescicole che si
formano e che sono più grandi rispetto a quel diametro di 65
nanometri e quando superano i 100 nanometri possono essere viste
anche al microscopio ottico.
Bene e quindi abbiamo così esaurito il primo dei tre tipi di Endocitosi,
la Pinocitosi e passiamo alla
fagocitosi.
LA FAGOCITOSI
Quando parliamo di endocitosi mediata da recettore dobbiamo fare la conoscenza della clatrina che
permette questo tipo di trasporto.
La CLATRINA
La clatrina è una proteina e in
particolare una proteina esamerica,
cioè formata da sei parti, da sei
catene: tre di queste catene più
grandi e più pesanti e tre invece più
leggere.
Queste catene sono disposte con
una struttura particolare che si
chiama triskelion o triskelio,
praticamente una struttura a tre
bracci che sono fra loro un diciamo
distanziati di 120 °, c’è un
orientamento specifico cioè c’è una
distanza specifica tra un braccio e
l’altro.
Questo che vedete qui che vi sto mostrando è uno schema di un singolo triskelion, quindi di una molecola
di clatrina, e questa che vedete qui è un’immagine al SEM che vi mostra un triskelion appoggiato alla
membrana.
Questi esametri, questa queste molecole di clatrina hanno la
possibilità e lo fanno di assemblarsi assieme per dare delle
strutture o pentagonali, quindi strutture con 5 molecole di
clatrina, o esagonali con 5 molecole di clatrina e queste strutture
pentagonali ed esagonali ulteriormente si possono unire a
formare dei veri e propri reticoli, che possono anche incurvarsi
per dare delle strutture proprio a gabbia tipo vescicole. In basso
vedete gli schemi e in alto le corrispondenti immagini di
microscopia elettronica che mostrano appunto la formazione di
questi particolari strutture che nascono dall’assemblaggio della
clatrina che mi servono per costituire appunto queste vescicole
rivestite.
Adesso che conosciamo meglio la clatrina possiamo andare a
vedere i passaggi tramite cui durante la endocitosi mediata da
recettore si vengono a formare queste vescicole rivestite.
Sulla mia membrana
plasmatica, a livello della
fossetta, quindi di questa
piccola depressione di questa
piccola introflessione , le mie
molecole cargo che sono
fuori dalla cellula prendono
contatto e si legano con il lo
specifico recettore.
Grazie a questo legame si ha
la possibilità del complesso
ligando recettore, di legarsi
alla proteina ADATTINA che a
sua volta si lega alla clatrina.
Generando una modifica conformazionale che permette appunto l’assemblaggio delle varie molecole di
Clatrina quindi si approfondisce, diciamo così, verso l’interno l’intro flessione fino a dare una vescicola, che
alla fine rimane attaccata solo per il tramite di un piccolo pedicello e a livello di questa strozzatura
interviene una un proteina particolare che è la DINAMINA che con il consumo di GTP va a determinare la
contrazione dell’anello, perché lei costituisce un anello attorno a questo pedicello, e fa staccare la vescicola
dalla membrana plasmatica quindi a questo punto io ho la mia vescicola rivestita di clatrina che è nel
citoplasma e a questo punto la clatrina “saluta” , si distacca dalla vescicola e torna verso la membrana
plasmatica pronta per fare di nuovo il suo servizio e invece la vescicola di trasporto rimane cosiddetta libera
o nuda quindi senza il rivestimento di clatrina .
Dopo poi il destino di questa vescicola dipende da qual è il materiale che è stato portato dentro, potrebbe
fondersi con i lisosomi o potrebbe andare all’interno di un altro organulo.
Che cosa viene portato dentro per endocitosi mediata da recettori? sono diversi possibili materiali.
Qui vi offro un paio di esempi per farvi capire quanto può essere importante anche il corretto
funzionamento di questo tipo di trasporto quindi quali patologie si possono generare se le cose non
funzionano dovere.
Per esempio, le LDL vengono portate all’interno delle cellule dei nostri tessuti attraverso proprio un
meccanismo di
endocitosi mediata
da recettore.
Vi ricordate cosa
sono le LDL? LDL è l’
acronimo per sta che
sta per low density
lipoprotein quindi
lipoproteine a bassa
densità che servono
per poter trasportare
nei fluidi nel sangue
,in particolare, il
colesterolo che non è
idrofilo e non sarebbe affine, non può viaggiare liberamente nel sangue quindi viaggia complessato con
queste all’interno di queste lipoproteine , allora a livello della membrana delle cellule LDL viaggiano dal
fegato dove vengono prodotte fino alle cellule dell’organismo poi arrivate alle cellule dell’organismo
entrano nelle cellule nella misura in cui avviene appunto l’ endocitosi mediata da recettore , quindi sulle
varie cellule noi abbiamo la presenza sulla membrana delle cellule dei recettori per le LDL avviene quindi il
legame tra LDL e recettore, si forma la vescicola con la clatrina, si perde il rivestimento, poi c’è la fusione
della vescicola libera con un endosoma, la digestione dei lisosomi che permette di liberare il colesterolo,
dopodiché i recettori per le LDL vengono recuperati e riportati sulla membrana plasmatica per essere di
nuovo utilizzati.
Questo è quello che accade in condizioni normali.
Che cosa succede se l’endocitosi non funziona correttamente? È quello che capita nelle persone affette da
ipercolesterolemia familiare, una condizione patologica anche abbastanza diffusa, perché vedete interessa
una persona su 500, questi soggetti hanno una mutazione del gene che codifica per il recettore delle LDL.
Il recettore per LDL non deve solamente legarsi efficacemente alle LDL ma deve anche legarsi con le
adattine, quindi anche un sito di legame per le per le adattine.
Per colpa di questa mutazione i recettori delle LDL di queste persone non si non si legano correttamente
alle adattine, e questo impedisce che la clatrina si assembli e quindi impedisce che si formino le vescicole di
endocitosi.
Quindi cosa succede alla fine di tutto ciò? succede che le LDL non vengono portate all’interno delle cellule
ma rimangono all’esterno cioè rimangono nel torrente circolatorio, per cui i livelli di LDL in questi soggetti
sono molto elevati e le LDL purtroppo poi che cosa fanno? Vanno a depositarsi nella parete dei vasi e vanno
a determinare la formazione di placche arteriosclerotiche con tutto quello che ciò comporta.
Un altro esempio di Endocitosi mediata da recettori è quella che permette l’assunzione all’interno delle
cellule del ferro, che è un elemento fondamentale. Qui abbiamo questo ligando che è la
FERROTRANSFERRINA che si lega al suo recettore, la ferrotrasferrina lega due molecole di ferro e quindi
diventa transferrina diferrica e avviene come al solito la formazione della vescicola rivestita di latrina viene
internalizzata viene rilasciato il ferro, che poi dentro la cellula viene preso in carico e trasportato da un’altra
proteina, e sia il ligando , quindi la iniziale ferro transferrina , che i recettori per la sferro transferrina
vengono poi riciclati nel senso che vengono
riportati a livello della membrana
plasmatica per compiere nuovamente
questo ciclo utile per l’assorbimento del
ferro.
ESOCITOSI
TRANSCITOSI
NUCLEO E RIBOSOMI
Allora parleremo di nucleo e di ribosomi e
perché tra tutti gli organuli parliamo di
questi e parliamo di questi due insieme cioè
uno anzi non insieme uno dopo l’altro,
cos’è che collega il nucleo ai ribosomi?
Nucleo e ribosomi sono due organuli
entrambi in prima linea, cioè coinvolti
direttamente nel cosiddetto flusso della
informazione genetica, qual è questo flusso
dell’informazione genetica? È null’altro
che questo schema abbastanza semplice
che costituisce però il cosiddetto dogma
centrale della biologia, cioè le informazioni
viaggiano dal DNA, che ne è il depositario e
che oltre a possedere le informazioni e
anche in grado attraverso la duplicazione,
di fare copie di sé stesso e di distribuire alle
cellule figlie e quindi perpetuare questa informazione genetica.
Queste informazioni che sono nel DNA vengono ad essere trascritte in RNA, in particolare RNA di tipo
Messaggero; quindi, la sequenza di nucleotidi che io ho su un filamento del DNA, su uno dei due filamenti
del DNA, viene trascritto in un complementare filamento di RNA messaggero tramite l’appaiamento delle
basi e qui è una trascrizione comunque di un messaggio che parla sempre l’alfabeto dei nucleotidi.
Poi dall’RNA Messaggero queste informazioni
vengono portate nella sede dove avviene la sintesi
proteica, che sono appunto i ribosomi, e lì q
uesto messaggio viene letto e tradotto per dare delle
proteine; quindi, qui nella traduzione abbiamo il
passaggio da un alfabeto a nucleotidi che è quello
dell’RNA messaggero in un alfabeto di aminoacidi che
è quello delle proteine.
Per avere questo processo che si chiama traduzione o
sintesi proteica o biosintesi, vedo il coinvolgimento
non solo dell’RNA messaggero e non solo dei
ribosomi, ma anche di un terzo tipo di RNA che è
l’RNA transfer che mi porta a mano a mano i vari
aminoacidi che devo aggiungere a questa catena
polipeptidica che si sta formando.
Quindi in questo flusso dell’informazione genetica
qual è il ruolo del nucleo qual è il ruolo dei ribosomi?
il ruolo del nucleo è quello di contenere il DNA da cui
parte tutta l’informazione e tramite queste
informazioni il DNA controlla tutte le attività cellulari perché è lui che dà le informazioni e detta la ricetta
per fare le proteine che sono coinvolte in tutti i processi cellulari.
Però queste proteine non le fa direttamente il DNA ma possono essere sintetizzate solamente grazie ai
ribosomi che sono appunto la sede della sintesi proteica, dove le proteine vengono fatte, non a caso, ma
seguendo la sequenza in partita dal DNA che è stata trascritta in RNA Messaggero e che viene li tradotta a
livello dei ribosomi.
C’è un altro importante collegamento fra il nucleo e i ribosomi, cioè il fatto che i costituenti dei ribosomi
vengono prodotti a livello del nucleo, quindi dentro il nucleo, in una regione specifica che è il nucleolo, che
andremo a vedere tra poco, vengono costituiti e si assemblano le subunità ribosomiali.
Dove avvengono fisicamente questi eventi? nella cellula eucariotica grazie al fatto che è un sistema
compartimentato e che possiede un nucleo delimitato da membrana, abbiamo una suddivisione delle
location di questi di questi eventi; la duplicazione del DNA come pure la trascrizione da DNA a RNA
messaggero, avvengono all’interno del nucleo.
Oltre che la produzione dell’RNA messaggero, avviene anche la maturazione dell’RNA messaggero, perché
così come è prodotto dalla trascrizione non è la versione definitiva che va a rimaneggiata, eliminando
alcune sequenze, ricucendo quelle altre, aggiungendo un cappuccio e una coda.
Quando l’RNA messaggero è maturo e solo quando è maturo, allora lascerà il nucleo attraverso i pori
nucleari e andrà nel citoplasma, perché è lì nel citoplasma che ci sono i ribosomi, quindi l’ultima fase del
flusso dell’informazione genetica, la traduzione, ha luogo invece altrove cioè nel citoplasma.
Nei procarioti dove non c’è un vero e proprio nucleo non c’è questa suddivisione e trascrizione e traduzione
avvengono tutti nel citosol.
IL NUCLEO
NUCLEO INTERFASICO
Il ciclo cellulare
praticamente sono le
fasi di vita di ogni
cellula.
L’interfase è la fase
che occupa la maggior
parte del tempo e che
viene suddivisa in fase
G, fase S fase G2.
In pratica durante
queste fasi la cellula si
accresce, è impegnata
nella sintesi proteica,
nella fase S in particolare è impegnata nella duplicazione del DNA e nella fase g2 continua ad accrescersi
dimensionalmente a preparare tutti i componenti, tutti gli enzimi tutti, i materiali, che le servono per la
successiva fase M, cioè la fase mitotica, in cui la cellula appunto si divide, anzi, prima divide il suo nucleo, il
suo materiale nucleare nella mitosi e poi divide anche il suo citoplasma dando origine a due cellule distinte
tramite la citodieresi o citocinesi.
Allora io vedo il nucleo solo finché sono durante l’interfase, quando la cellula va ed entra in mitosi,
l’involucro nucleare si dissolve, quindi io non ho più la regione del nucleo delimitata, e il materiale genetico
che è contenuto all’interno del nucleo assume un’altra forma di condensazione, quindi avrò a che fare con
dei cromosomi ed entrò in contatto con il citoplasma, poi finita tutta la il procedimento si ricostituisce,
quindi quando noi descriviamo il nucleo ci riferiamo al nucleo interfasico, in questo senso.
Quindi vedete che qua si capisce bene, questa è una cellula vista microscopio ottico colorata con
ematossilina, questo è il nucleo, si vede bene l’involucro nucleare dentro tutto il contenuto questo è come
lo si vede il nucleo microscopia elettronica, questa invece è la fase m vedete che non vedo più io vedo solo
il materiale il materiale genetico sotto forma di cromosomi che si sta suddividendo grazie al fuso mitotico.
INVOLUCRO NUCLEARE
LAMINA NUCLEARE
Questa lamina è un reticolo di proteine filamentose, in particolare di filamenti intermedi, che sono una
delle classi diciamo una delle tre tipologie di costituenti del citoscheletro. La lamina nucleare costituita
da filamenti intermedi di una particolare classe, le lamine del sesto gruppo, questo lamina nucleare c’è
dappertutto tranne che in corrispondenza dei pori, dove ci sono i pori sotto la lamina, non c’è, è
interrotta.
Che funzione ha questa lamina? qui lo vedete molto bene come è fatta intreccio in questa immagine a
SEM, a questa lamina si deve probabilmente la forma che ha il nucleo e il mantenimento di questa
forma, si deve anche una certa forma di supporto meccanico che viene dato al nucleo e siccome la
cromatina sia ancora in diversi punti alla lamina, probabilmente ha anche un ruolo di regolazione nei
processi che coinvolgono la cromatina, quindi nei processi anche di trascrizione.
Il poro nucleare è una struttura proteica, che prende il nome di CPN complesso del poro nucleare, che
presenta una tipica simmetria ottagonale.
Vedete bene da questo schema che ogni complesso del poro attraversa completamente lo spessore
dell’involucro nucleare e sporge sporge sia sul versante citoplasmatico, sia sul versante nucleare, è
costituito da copie di diversi tipi di proteine, oltre 30 (da 30 a 50 proteine entrano nella costituzione di
questi complessi) e queste proteine vengono dette NUCLEO PORINE appunto perché costituiscono i pori
nucleari.
Ogni complesso del poro, la struttura organizzata in tre anelli:
partiamo dall’anello centrale, che è un po’ l’impalcatura del mio del mio poro, si ancora con delle proteine
di ancoraggio all’involucro nucleare, qui potete apprezzare bene come a livello dei pori vedete la
membrana esterna e la membrana interna dell’involucro si fondano assieme.
Questo anello centrale individua al centro uno spazio che potrà essere attraversato dal materiale che deve
spostarsi dal nucleo verso il citoplasma e dal citoplasma verso il nucleo, il diametro di questo canale può
essere modificato in base all’esigenza di quello che si deve trasportare.
Al di sopra dell’anello centrale verso il citoplasma abbiamo un anello citoplasmatico, che vedete si estende
verso il citoplasma sia con i suoi costituenti sia con dei filamenti proteici che si dipartono appunto dagli
elementi dell’anello citoplasmatico.
Sotto l’anello centrale invece abbiamo l’anello nucleare, questo anche lui sporge ma sporge dall’altra parte
verso il nucleoplasma e al di sotto di questo anello nucleare ci sono delle proteine che si organizzano a dare
una struttura a gabbia che si chiama CANESTRO NUCLEARE, proprio che ha la forma di un canestro.
I pori nucleari sono molto importanti ma prima di dire perché sono importanti vi mostro con delle immagini
al TEM che le due facce del poro, quella verso il citoplasma e quella verso il nucleoplasma appaiono diverse
morfologicamente, questa è la faccia citoplasmatica in cui si si vedono questi filamenti citoplasmatici
questa è la faccia nucleare in cui invece si apprezzano molto bene questi, che sono i canestri, (vedete ogni
poro ha il suo canestro nucleare) quindi dall’immagine io riconosco non solo i pori ma riconosco anche se li
sto guardando da dentro al nucleo o da fuori nel nucleo.
LA CROMATINA
EUCROMATINA E ETEROCROMATINA
La cromatina lo vediamo bene in questa immagine di un nucleo al TEM, può essere più o meno elettron
densa, più o meno scura e infatti noi distinguiamo nella cromatina due stati:
● la EUCROMATINA
● LA ETEROCROMATINA
La eucromatina che di solito più chiara, meno elettron densa, che di solito occupa la maggior parte del
nucleo è più chiara perché è meno condensata e siccome è meno condensata cioè meno impacchettata, ha
una struttura che permette la trascrizione, quindi si dice che è trascrizionalmente attiva, sotto questa
forma I geni possono essere trascritti e poi proseguire verso la traduzione Per contro la eterocromatina è
una cromatina che appare molto più scura, molto più elettron densa perché è molto più condensata
rispetto alla eucromatina, questa essendo così tanto condensata non può essere trascritta quindi si dice
che è trascrizionalmente inattiva, quindi sono geni silenziati dato che non possono essere trascritti.
L’ eterocromatina ci sono delle zone tipicamente nel nucleo con la con la
eterocromatina di solito al di sotto dell’involucro nucleare per esempio
un po’ attorno al nucleolo e della eterocromatina distinguiamo la
eterocromatina costitutiva quindi quella che è sempre perennemente
permanentemente in uno stato condensato, per esempio di questo tipo
sono i tratti di DNA attorno al centromero sono sempre di
eterocromatina costitutivi e invece c’è una parte di eterocromatina che
cosiddetta facoltativa cioè che può trovarsi condensata in alcuni tipi
cellulari e in alcuni organismi ma non lo è in altri quindi dipende dal tipo
cellulare.
Un esempio di eterocromatina facoltativa, quindi questo cambia perché magari in alcune cellule che
esprimono certi geni, quei geni sono sotto forma di cromatina eucromatina, in altri tipi cellulari in cui quei
geni non c’è bisogno che siano espressi, viene invece tenuta sotto forma di eterocromatina quindi questo
varia a seconda delle cellule.
Il corpo di Barr, cosiddetto è un esempio di eterocromatina facoltativa e non è altro che uno dei due
cromosomi X che si trova nelle cellule somatiche di tutte le femmine di
mammifero, per compensare non avere più materiale rispetto ai maschi
di x ne hanno uno solo, precocemente durante lo sviluppo uno dei due
cromosomi X , viene reso silenzioso rendendolo iper condensato e
quindi lo si percepisce come questo corpo più scuro che viene prende il
nome di corpo di Barr, etrocromatina facoltativa.
Lo vedete bene, tutte queste parti così scure quasi nere sono di
eterocromatina, mentre queste parti più chiare sono la eucromatina e
solito più una cellula avanti nella specializzazione nello sviluppo,
maggiore la quantità di eterocromatina rispetto a quando invece in una fase ancora iniziale.
IL NUCLEOLO
I RIBOSOMI
Sono degli organuli che ritroviamo sia nelle cellule procariotiche che nelle cellule eucariotiche, quindi
accompagnano tutte le cellule.
Sono degli organuli piccolini, considerate che un solo complesso del poro è circa 40 volte un ribosoma,
questo per darvi un’idea.
Quindi sono piccolini, li possiamo vedere
chiaramente solo al microscopio elettronico; non
sono contornati da membrana quindi esistono
anche degli organuli non contornati da membrana.
Sono formati da due subunità:
● Una subunità maggiore, più grande
● Una subunità inferiore, più piccola
Badate bene però che le due subunità sono
associate solamente quando è il momento della
sintesi proteica, se non c’è sintesi proteica in atto
le due subunità se ne stanno separate ognuna per i
fatti suoi.
Dei ribosomi già sappiamo qualcosa, sappiamo
dove vengono fatti, all’interno del nucleo, precisamente a livello del nucleolo dove vengono messi insieme i
due ingredienti di cui sono fatti i ribosomi, cioè gli RNA ribosomiali, che vengono prodotti all’interno del
nucleo e delle proteine ribosomiali che vengono invece sintetizzate nel citoplasma e che quindi poi dal
citoplasma migrano dentro al nucleo e si assemblano con gli RNA per dare e appunto le subunità
ribosomiale quindi visto che sono fatti di RNA e di proteine, ribosomi non sono altro che ribo-nucleo-
proteine.
I ribosomi hanno un ruolo chiave che abbiamo già detto, cioè quello di essere la sede della sintesi proteica.
È sui ribosomi che avviene la traduzione, quindi quell’ultimo passaggio che permette il flusso
dell’informazione genetica; è ovvio che siccome servono per la sintesi proteica, in quali cellule io avrò tanti
ribosomi? Nelle cellule che sono attivi nella sintesi proteica, che sono attivi per esempio nei processi di
secrezione, lì mi aspetto di trovare tanti ribosomi, mentre nelle cellule abbastanza passive e pigre, che non
producono o producono poche proteine, avrò pochi ribosomi.
Se ho tanti limoni di solito mi aspetto di avere anche più di un nucleolo poi all’interno del nucleo.
Spesso i ribosomi lavorano non in singolo ma in gruppo, formando i cosiddetti POLIRIBOSOMI o POLISOMI,
una serie di ribosomi che lavorano in sequenza per ottimizzare e rendere più veloce il processo di
produzione delle proteine.
In base a dove sono i ribosomi nella cellula io distinguo i cosiddetti
● Ribosomi liberi
● Ribosomi legati
I liberi sono quelli che sono sospesi, dispersi nel citosol; invece, i ribosomi legati sono quelli che sono
associati a delle membrane, in particolare troviamo i ribosomi associati alla membrana esterna
dell’involucro nucleare e alla membrana del reticolo endoplasmatico; quando sono associati alla
membrana del reticolo danno origine al cosiddetto reticolo endoplasmatico rugoso.
Hanno una diversa localizzazione però sono sempre fatti nello stesso modo e svolgono sempre la stessa
funzione, cioè della sintesi proteica e vi dirò di più, sono anche interscambiabili cioè, dei ribosomi associati
si possono staccare dalle membrane e diventare ribosomi liberi e anche il contrario; quindi, non è una
situazione fissa immodificabile.
Nel dire le differenze fra i ribosomi pro- ed eucariotici abbiamo parlato della loro diversa
dimensione, sono più piccoli quelli procariotici e più grandi quelli eucariotici.
Infatti quelli procariotici sono ribosomi cosiddetti 70s, e quelli eucariotici 80s,
dove la “s” è l’unità di misura Svedberg che indica il coefficiente
di sedimentazione, cioè quanto velocemente i ribosomi sedimentano
dopo che sono stati centrifugati.
Quindi quando c’è il ribosoma completo, con la sua subunità maggiore e minore, nel complesso ho
un valore di coefficiente di sedimentazione 70s che non è la somma del coefficiente di
sedimentazione delle due subunità quando sono staccate l’una dall’altra.
Questo perché quando esse sono staccate c’è una certa forma, una certa superficie; quando invece si
uniscono a formare un unico corpo il coefficiente di sedimentazione varia perché è variata la forma
della molecola complessiva rispetto alle due singole.
È normale quindi che i singoli coefficienti di sedimentazione delle due subunità ribosomiali
sommati siano maggiori di quanto non sia il coefficiente di sedimentazione del ribosoma completo.
Questo vale sia per quelli procariotici che per gli eucariotici:
Abbiamo già detto che per la maggior parte del tempo stanno
separate a parte quando è in corso la sintesi proteica dove le due
subunità prendono contatto e formano il ribosoma completo e
attivo.
Ciascuna delle due subunità dal punto di vita chimico è composta da rRNA, cioè RNA di tipo
ribosomiale che costituisce il 60% del peso dei ribosomi. Abbiamo già visto che gli rRNA vengono
prodotti in un comparto del nucleo che è il nucleolo.
Gli rRNA vengono poi assemblati con l’altro costituente dei ribosomi che sono le proteine
ribosomiali, restante 40% del peso, queste invece vengono prodotte nel citoplasma, quindi poi
migrano dentro il nucleo, vengono assemblate con gli rRNA e costituiscono le due subunità.
Tali subunità lasciano in seguito il nucleo per andare nel citosol passando attraverso i pori nucleari
(unico passaggio possibile, utilizzato in precedenza anche dalle proteine per passare dal citosol al
nucleo).
Le proteine dei ribosomi non hanno una funzione enzimatica, ma hanno una funzione strutturale.
La funzione enzimatica catalitica ce l’ha l’rRNA definito per questa ragione ribozima, quindi un
RNA capace di catalisi (cosa che solitamente fanno gli enzimi).
La subunità cosiddetta maggiore contiene una piccola depressione sulla quale si va ad incastrare la
subunità inferiore (sia nei procarioti che negli eucarioti).
Oltre alla depressione ha anche 3 siti di legame specifici che servono per la progressione della
sintesi proteica.
In particolare, abbiamo il sito P al centro dove si attacca l’RNA transfert (tRNA), che porta
agganciata la catena polipeptidica che si sta formando/allungando.
A fianco abbiamo il sito A che porta il tRNA con l’amminoacido che va attaccato alla catena
polipeptidica che si sta formando.
Dall’altra parte c’è il sito E, sito di uscita, in cui ce il tRNA che ha già rilasciato il suo
amminoacido e quindi si allontana.
Ovviamente tutto viene traslocato fino a quando non si arriva a leggere tutto l’mRNA che si trova
ad essere tra le due subunità.
La subunità minore, quella inferiore, ha di caratteristico il fatto che è essa a possedere il sito di
legame che aggancia l’mRNA.
Quindi prima c’è l’aggancio della subunità inferiore con l’RNA messaggero e poi l’aggancio con la
subunità maggiore per dare il ribosoma completo.
Tutto questo ambaradan del ribosoma completo mi serve per tenere allineati nel modo corretto tutti
i protagonismi della traduzione (mRNA, i diversi tRNA, la catena polipeptidica in via di
formazione).
Questi poliribosomi contengono un numero variabile di ribosomi che può andare da 3 fino a 30.
I poliribosomi possono esseri liberi, quindi costituiti da ribosomi liberi, cioè che si trovano nel
citosol, oppure possono essere poliribosomi legati, cioè costituiti da ribosomi che sono associati alla
membrana del reticolo endoplasmatico o alla membrana esterna della membrana nucleare (le due
sedi in cui si trovano i ribosomi legati).
Nei poliribosimi legati ciò che prende contatto con la membrana è la subunità maggiore.
La differenza, quindi, sta nelle proteine che producono: la destinazione delle proteine cambia a
seconda che siano fatte dai ribosomi, o poliribosomi, liberi o legati.
Andiamo quindi ad elencare quali proteine sono fatte da uno e quali sono fatte dall’altro; questo ci
aiuterà anche a capire quali cellule avranno più ribosomi liberi rispetto a quelli legati e viceversa in
base alla funzione di quella specifica cellula.
• proteine che costituiscono le membrane (sia la membrana cellulare, sia degli organuli interni
tranne quelle già citate dei perossisomi e dei mitocondri).
Tutto il lavoro di smistamento è efficace e può avvenire grazie alla presenza di sequenze segnale.
Queste sono delle serie di amminoacidi che si trovano lungo la proteina, le sequenze vengono
riconosciute da dei recettori di smistamento che sono nella sede in cui deve arrivare la proteina
prodotta (sono localizzate nella membrana degli organuli di destinazione).
La sequenza segnale può essere in vari punti della proteina, non necessariamente alle estremità, ma
anche in un punto centrale.
Ci sono anche delle proteine prodotte prive di sequenza segnale e sono quindi destinate a rimanere
nel citosol, non devono spostarsi.
1- VIA CO-TRADUZIONALE:
Nella sintesi delle proteine si parte sempre da dei ribosomi liberi, dopodiché se la proteina che si sta
formando contiene una determinata sequenza segnale, questa fa avvicinare il ribosoma al reticolo
endoplasmatico e la sintesi proseguirà come ribosoma legato, e le proteine verranno ad essere
formate a livello del reticolo endoplasmatico.
Mano a mano che la proteina si forma verrà poi rilasciata all’interno del RE fino a che non si
completerà la sua sintesi; a questo punto alcune di queste proteine rimarranno all’interno del RE,
altre lo lasceranno sulla base della loro sequenza segnale per andare verso il Golgi a costituire il
lisosoma o le vescicole di secrezione, o per raggiungere la membrana plasmatica.
Si vede però come lo smistamento delle proteine inizi in contemporanea alla sintesi delle proteine.
2- VIA POST-TRADUZIONALE:
La sintesi delle proteine inizia e si conclude sui ribosomi liberi, e una volta completata la sintesi il
polipeptide verrà smistato o nel citosol se non possiede nessuna sequenza segnale, oppure può
essere inserito in un organulo (perossisomi, mitocondri, nucleo o anche cloroplasto per le cellule
vegetali).
IL RETICOLO ENDOPLASMATICO
Anche questo lume ha una continuità con lo spazio che c’è fra le due membrane interna ed esterna
dell’involucro.
Quindi la membrana esterna dell’involucro è in continuità con la membrana del reticolo, e lo spazio
interno del reticolo, cioè il lume, è in continuità con lo spazio fra le due membrane dell’involucro.
Ci sono 2 tipi di reticolo connessi tra di loro, e si differenziano sia dal punto di vista morfologico
strutturale, sia dal punto di vista funzionale.
I 2 tipi di reticolo sono:
- il reticolo endoplasmatico rugoso, RER. È quello più vicino al nucleo.
- il reticolo endoplasmatico liscio, REL
Il RE svolge molti processi metabolici, quindi è una sede fondamentale della biosintesi di molecole
che occorrono alla cellula, e in particolare è il produttore, il fornitore, dei costituenti per le
membrane di tutta la cellula.
Quanto appena detto sono informazioni generali, ora vediamoli nello specifico.
Il reticolo rugoso è quello più vicino spazialmente al nucleo, e infatti è in continuità con l’involucro
nucleare, tant’è che quest’ultimo nella sua faccia esterna trovo dei ribosomi.
Nel RER trovo un’organizzazione in cisterne, quindi di strutture che sono delle sacche appiattite.
C’è inoltre una regione del RER che prende il nome di reticolo di transizione, è da questa parte che
si formano le vescicole che lasciano il reticolo e sono dirette verso l’apparato di Golgi dove il
contenuto delle vesciche verrà rimaneggiato.
Ovviamente il fatto che il reticolo rugoso ha dei ribosomi vuol dire già che sintetizzerà delle
proteine, e in particolare le proteine che hanno determinate destinazioni (fuori dalla cellula, nelle
membrane di altri organuli, ecc).
Altra modifica che avviene sempre all’interno del RER è la realizzazione del corretto ripiegamento
delle proteine, la loro forma definitiva.
Questo avviene perché nel reticolo ci sono delle proteine particolari, i cosiddetti chaperoni
molecolari e in particolare ce né una che prende il nome di BIP (binding protein), che appunto
creano degli ambienti all’interno dei quali è facilitata l’assunzione della conformazione finale.
Sempre all’interno del RER, vengono assemblate le proteine costituite da più polipeptidi, quindi le
proteine multimeriche, come può essere l’emoglobina.
Questa catena inizialmente è agganciata ad un costituente lipidico della membrana del reticolo
rugoso, quindi si aggancia al dolicolo, poi attraverso una reazione catalizzata da un enzima tutta la
catena oligosaccaridica viene ceduta dal dolicolo alla proteina, e si aggancia non in un punto a caso
ma ad un residuo di asparagina.
Ottengo così la glicoproteina, cioè una proteina addizionata con la catena oligosaccaridica.
Tale glicoproteina viene già riarrangiata, vengono staccati alcune molecole di glucosio e di
mannosio, e a questo punto è pronta per lasciare il RER e andare verso il Golgi.
Il RER è famoso soprattutto per la sintesi delle proteine, ma esso è anche capace di sintetizzare
alcuni lipidi; ad esempio, tutti i lipidi che costituiscono la membrana del RER sono sintetizzati da
lui stesso.
Questa attività è in comune con il reticolo liscio.
Il RER si carica quindi non solo di fare le proteine, non solo di modificarle ma si incarica anche di
vedere se è stato fatto un buon lavoro, cioè se le proteine sono correttamente ripiegate.
L’ubiquitina è molto diffusa, è un tipo di proteina che si trova in tutte le cellule, procariotiche ed
eucariotiche, molto conservata. Essa etichetta ciò che deve essere smaltito.
Il REL permette la produzione di nuove membrane per tutta la cellula, questo perché a livello del
REL vengono sintetizzati tutti i lipidi di membrana, a questi lipidi si associano le proteine di
membrana (sintetizzate dal vicino RER), dopodiché i lipidi associati alle proteine gemmano
attraverso delle vescicole che fuoriescono dal reticolo endoplasmatico di transizione e raggiungono
e si fondono con la membrana dell’organo bersaglio.
à Quali sono le cellule che hanno una maggiore ricchezza di reticolo liscio?
Lo capiamo elencando le funzioni del reticolo liscio:
• sintesi lipidica, vengono prodotti la maggior parte dei lipidi di membrana, sia fosfolipidi che
colesterolo, e anche altre molecole lipidiche sempre steroidee che utilizzano come
precursore il colesterolo.
Le cellule interessate sono le cellule endocrine di testicolo e di ovaia, queste producono gli
ormoni sessuali che sono ormoni steroidei; le cellule surrenali in cui sono sempre prodotti
ormoni steroidei.
• coinvolto nella detossificazione di sostanze di rifiuto o nocive per la cellula (veleni, tossine,
farmaci, alcool).
Le cellule coinvolte sono sempre le cellule epatiche.
• Accumulo di Ca2+.
Nelle cellule muscolari.
Vediamo ora queste funzioni in maniera più specifica.
1- SINTESI LIPIDICA:
Soprattutto alla sintesi dei fosfolipidi che
sono i principali costituenti delle nostre
cellule.
Contemporaneamente alla sintesi dell’acido fosfatidico c’è anche il suo incorporamento nella
membrana del REL.
L’acido fosfatidico vien poi trasformato in diacil-glicerolo e a questo vengono legate delle porzioni
polari, delle parti idrofile, (come la colina), e si forma così uno specifico fosfolipide (nel caso
dell’immagine la fosfatidil-colina).
Se al posto della colina ci fosse stata un’altra porzione si sarebbe venuta a creare un altro
fosfolipide.
Gli enzimi necessari per catalizzare la sintesi dei fosfolipidi sono delle proteine integrali che si
trovano proprio nella membrana del REL e che hanno il sito attivo rivolto verso il citosol.
Questo significa che i fosfolipidi neosintetizzati si localizzeranno nel foglietto citosolico della
membrana del REL.
Dopo alcuni dei nuovi fosfolipidi verrà spostato anche nell’altro foglietto, sennò ci sarebbe una
crescita disomogenea.
Intervengono per questo degli enzimi già citati facendo la membrana plasmatica, che sono le
flippasi, esse catalizzano il movimento flip-flop di alcuni fosfolipidi.
2- METABOLISMO GLUCIDICO:
In particolare il catabolismo, quindi la demolizione, del glicogeno che
ha luogo negli epatociti.
Questo è importante perché finché il glucosio si trova sottoforma di glucosio-6-fosfato non può
attraversare le membrane cellulari rimanendo così all’interno dell’epatocita; se invece viene tolto il
gruppo fosfato allora il glucosio è libero di attraversare la membrana degli epatociti e di andare a
livello del sangue alzando la glicemia e portando glucosio dove occorre.
3- DETOSSIFICAZIONE DI VELENI,
CONTAMINANTI, ALCOOL, FARMACI
Il REL si incarica di aggiungere a queste
molecole dei gruppi ossidrile (-OH), quindi di
operare un’idrossilazione delle molecole.
Tra i tanti enzimi detossificanti, molti dei quali sono a livello del REL e soprattutto a livello degli
epatociti, ricordiamo la famiglia delle citocromo P450.
Sono dei grandi enzimi capaci di detossificare tantissime diverse molecole.
Quando il corpo ha quindi a che fare con sostanze estranee tipo i farmaci, i veleni o l’alcool, il REL
è stimolato a svilupparsi, ad accrescersi e a produrre più enzimi per operare la detossificazione,
quindi è molto variabile la quantità di REL e risponde anche in tempi brevi se sottoposto a degli
stimoli che richiedono una sua maggiore attività.
Il fatto che l’utilizzo di farmaci induca un aumento del REL e degli enzimi detossificanti spiega il
fenomeno, che fortunatamente non hanno tutti i farmaci ma alcuni si tipo i barbiturici,
dell’assuefazione.
Siccome c’è più REL e ci sono più enzimi detossificanti se non aumento la dose di farmaco tale
farmaco non ha più effetto perché viene efficacemente smaltito dall’organismo.
Quando aumenta tanto il REL e gli enzimi detossificanti questo porta alla brutta conseguenza che
poi anche altri farmaci non sono più tanto efficaci in quanto l’organismo è diventato tollerante ai
farmaci.
Il REL di queste cellule è talmente specializzato che prende un nome suo, il reticolo
sarcoplasmatico.
All’interno di questo reticolo vengono immagazzinati gli ioni Ca2+, questo è importante per la
realizzazione del meccanismo della contrazione.
La membrana del reticolo possiede tante pompe calcio per trasportare attivamente il calcio dentro al
reticolo, lì rimane immagazzinato fino a quando la cellula muscolare non riceve un segnale
dall’esterno che vuole innescare la contrazione; in seguito a questo segnale si aprono i canali del
calcio che uscirà nel citosol.
Tale innalzamento del calcio nel citosol della cellula muscolare porterà all’innesco della
contrazione.
à Quali sono quindi le cellule top per osservare il RE, sia liscio che rugoso?
Ci sono alcune cellule che hanno tanto di liscio e altre che ne hanno tanto di rugoso, ma c’è un tipo
di cellula che ne ha tanto di tutti e due e sono gli epatociti.
Gli epatociti hanno molto REL per il metabolismo del glicogeno, per la detossificazione oltre che
per la normale sintesi dei lipidi di membrana.
Però ha anche tanto RER perché gli epatociti si incaricano della produzione di proteine plasmatiche
che devono essere secrete, e quindi lasciare il fegato, per andare nel sangue a costituire il plasma.
L’APPARATO DI GOLGI
Quindi posso avere un solo apparato di Golgi, una sola pila, o posso arrivare ad avere oltre un
centinaio nelle cellule che sono impegnatissime alla produzione di sostanze destinate alla
secrezione.
La polarità è inoltre estesa al complesso dell’organulo perché in una pila che costituisce l’apparato
di Golgi io individuo 3 comparti diversi:
- una faccia cis, detta anche prossimale, è la faccia che riceve le vescicole prodotte dal RE.
- una faccia intermedia, detta anche mediale, attraverso cui passano queste vescicole
- una faccia trans, detta anche distale, è quella di rilascio delle vescicole con il loro contenuto che
durante il passaggio attraverso il Golgi è stato rimaneggiato chimicamente.
Il contenuto delle vescicole viene rimaneggiato chimicamente perché dentro ogni cisterna ci sono
degli specifici enzimi, ogni cisterna è diversa dalle altre ed ha quindi una specificità chimica con
determinati enzimi che catalizzano determinate reazioni chimiche.
Il contenuto delle vescicole, nel passaggio attraverso le cisterne del Golgi, subisce una maturazione
sequenziale.
A costituire l’apparato di Golgi c’è anche un insieme di vescicole che stanno intorno all’apparato,
alcune vescicole arrivano altre partono dall’apparato di Golgi.
Si vede qui uno schema e un’immagine al,
TEM.
Queste arrivano dal RE, attraverseranno le cisterne mediali e arriveranno alla faccia trans dove
verranno rilasciate sottoforma di vescicole più grandi, le macrovescicole o vescicole di secrezione.
Il movimento delle vescicole dal RE verso la faccia cis dell’apparato di Golgi, il passaggio verso le
cisterne mediali e l’arrivo e il rilascio dalla faccia trans, prende il nome di trasporto anterogrado.
Il movimento contrario in cui ho il trasferimento di vescicole dal Golgi verso il RE prende il nome
di trasporto retrogrado.
Ci sono 2 diverse ipotesi su come avvenga lo spostamento dei materiali dal comparto cis al
comparto trans:
à Non si è ancora arrivati a capire quali dei due modelli meglio descrive l’apparato, potrebbe
essere anche un insieme delle due cose.
- degli oligosaccaridi, ovviamente sempre legati alla proteina, che hanno un alto contenuto di
mannosio, tipiche delle proteine lisosomiali.
- degli oligosaccaridi complessi, generalmente delle proteine o destinate alla secrezione o destinate
ad essere incorporate nella membrana.
ERITROBLASTO:
Precursore degli eritrociti, nella cellula vediamo:
- 1 nucleo con 3 nucleoli
- nel citoplasma tanti ribosomi liberi rappresentati con dei puntini
- 1 Golgi
- 2 mitocondri
Il fatto che ci siano tanti ribosomi liberi è coerente con il fatto che ci siano più nucleoli perché i
ribosomi vengono prodotti a livello dei nucleoli.
Il fatto che ci siano tanti ribosomi liberi e poco RER ci indica che le proteine non devono essere
secrete.
PLASMACELLULA:
È una produttrice di anticorpi, qui sono molto sviluppati:
- RER
- Golgi
Questo perché la plasmacellula produce tante proteine che devono essere secrete, quindi tanto RER
perché sono prodotte dai ribosomi legati, rimaneggiate poi dal Golgi e in seguito espulse all’esterno.
Perossisomi e mitocondri
Nelle scorse lezioni si è visto come le cellule presentano tra di loro morfologie molto differenti: ci sono
cellule sferiche, cellule con dei prolungamenti, cellule con ciglia, cellule colonnari.
Si parla di deformazioni sopportabili. Infatti, nel limite del possibile, le cellule riescono a contrastare le
deformazioni. Questo è particolarmente rilevante come quesito quando si parla delle cellule animali
proprio perché, a differenza delle cellule vegetali, di quelle funginee e a differenza dei batteri, non hanno
una parete esterna; parete che, nel caso dei vegetali, può essere modificata in modo sostanziale per dare
rigidità e protezione. Tutto ciò non è presente nelle cellule animali, le quali devono arrangiarsi a difendersi
in un qualche modo dalle deformazioni.
Come mai gli organuli non fluttuano nel citosol ma occupano determinate posizioni all’interno delle
cellule?
Gli organuli dentro al citoplasma hanno delle posizioni che possono modificare in modo specifico e voluto.
In questo caso la parola “motilità” è intesa sia come il movimento di vescicole, organuli e materiali che si
spostano da un comparto all’altro all’interno della cellula, sia, per alcuni tipi cellullari specializzati, come la
contrazione della cellula stessa, che porta alla modificazione delle sue dimensioni. Inoltre, alcune cellule,
sono in grado di muovere parti di sé, o, se la cellula è libera di farlo, perché non inserita in un tessuto, di
muoversi nello spazio.
CITOSCHELETRO
Quest’immagine è stata ottenuta
con la tecnica della fluorescenza
e quindi visualizzata con un
microscopio a fluorescenza che
mette in evidenza i nuclei
colorati in azzurro e due dei tre
elementi che costituiscono il
citoscheletro. In giallo sono
evidenziati tutti i vari microtuboli
che si diramano dal nucleo e in
tutta la zona attorno ad esso,
mentre, dispersi un po’ in tutta la
cellula, colorati di viola, si
vedono i filamenti di actina (o microfilamenti).
Il terzo tipo di filamento, che fa parte del citoscheletro, è quello dei filamenti intermedi, i quali non sono
rappresentati nell’immagine perché non sono stati evidenziati con nessun colorante o anticorpo
fluorescente.
Oltre alle due funzioni più evidenti, negli ultimi anni si sono andate
evidenziando anche altre capacità del citoscheletro inaspettate: una di
queste è quella di partecipare alla regolazione di attività cellulari
accogliendo e trasmettendo, all’interno della cellula, dei segnali che
provengono da fuori dalla cellula. Prendendo in considerazione la
membrana plasmatica, è noto che esistono delle proteine
transmembrana che attraversano completamente lo spessore di
quest’ultima e si affacciano su entrambi i versanti. Esse sono collegate
esternamente a degli elementi della matrice extracellulare e
internamente ad elementi del citoscheletro. Quindi un segnale che è extracellulare, può passare attraverso
questa strada fino al citoscheletro, non solo arrivando nel citoplasma, ma, ricordando che il citoscheletro
prende contatto anche con la membrana esterna dell’involucro nucleare, può raggiungere anche il nucleo.
In questo senso il citoscheletro può partecipare e regolare queste attività all’interno della cellula.
Per comporre il quadro del citoscheletro è necessario descrivere tutti e tre gli elementi del citoscheletro.
Microtubuli, filamenti intermedi e microfilamenti sono scritti in ordine di grandezza: dagli elementi che
hanno il diametro maggiore, quello dei microtubuli, fino a quelli che hanno il diametro minore, i
microfilamenti, passando dai filamenti intermedi i quali hanno un diametro variabile ma sempre minore di
quello dei microtubuli e maggiore di quello dei microfilamenti.
I MICROTUBULI
I microtubuli sono composti da una proteina globulare che è la tubulina. Più precisamente, questa proteina
è un eterodimero, cioè un elemento composto da due monomeri diversi tra loro che sono la α-tubulina e la
β-tubulina. La α-tubulina, rappresentata nell’immagine in giallo, e la β-tubulina rappresentata in arancione,
insieme, costituiscono un eterodimero di tubulina che è la subunità di base di cui sono costituiti i
microtubuli.
Gli eterodimeri si polimerizzano per dare la struttura finale del microtubulo.
Dimeri di tubulina si aggregano formando degli oligomeri, delle strutture composte da un piccolo numero di
dimeri. Dopo di che più oligomeri, mettendosi in fila, si aggregano fra loro, legandosi in modo testa-coda
ottenendo così un singolo protofilamento. Più protofilamenti si affiancano uno all’altro creando il foglietto
di protofilamenti. A questo punto il foglietto si chiude su sé stesso dando origine ad una struttura cava che
prende il nome di microtubulo. Non è un caso che questo si chiami micro-tubulo.
Questo è il microtubulo fondamentale da cui si costruiscono tutte le varie strutture basate sui microtubuli.
Da notare che in tutti i filamenti che si affiancano a dare il foglietto, e quindi poi il microtubulo, sono tutti
orientati nello stesso modo, partono tutti con α-tubulina e finiscono tutti con la β-tubulina: c’è sempre la
stessa disposizione degli eterodimeri in tutti i protofilamenti affiancati.
I microtubuli citoplasmatici sono costituiti da un'unica struttura tubica in cui la parete del tubo è costituita
da 13 protofilamenti. Questo tubo ha un diametro complessivo di 25 nm il cui lume ha un diametro di 15
nm. Ciascun microtubulo presenta un’estremità in cui sono allineate tutte le subunità di α-tubulina dei vari
protoifilamenti che viene denominata parte negativa, mentre alla parte opposta dove c’è il cappuccio con
tutte le β-tubuline di tutti i protofilamenti che è indicata come estremità positiva. I microtubuli sono quindi
delle strutture polarizzate che hanno due estremità diverse strutturalmente: una che finisce con α-tubulina
e l’altra che finisce con β-tubulina. A questa differenza strutturale corrisponde una differenza funzionale. Le
due estremità non sono equivalenti fra di loro.
Non sempre tutte le strutture microtubulari sono formate da un singolo tubulo: ci sono anche delle
associazioni a dare dei doppietti o delle triplette di microtubuli. In particolare la disposizione a doppietto è
presente nell’asse delle ciglia e dei flagelli e la disposizione dei tripletti è presente nel corpo dal quale
originano le ciglia e i flagelli, ovvero il corpo basale, e nel centriolo.
Il singoletto è composto dai tredici protofilamenti, i doppietti invece hanno un tubulo formato da 13
protofilamenti, quindi completo, e un altro tubulo costituito solo da 10 o 11, nel caso delle triplette è
presente un tubulo completo (indicato come tubulo A) e altri due incompleti che sono costituiti
generalmente da 10 o 11 protofilamenti (indicati come tubulo B e C).
Nelle cellule epiteliali presentando una polarità, si può riconosce una parte
apicale con delle ciglia. Qui ci sono diversi centri organizzatori microtubulari che
sono i vari corpi basali da cui si originano le ciglia. Da qui parte l’assonema:
l’estremità negativa è rivolta verso il corpo basale, mentre quella positiva si trova
sulla punta delle ciglia.
L’eritrocita maturo, quindi privo di nucleo, è anche privo del centro di
organizzazione tubulare, perciò i microtubuli presenti non sono associati a
nulla. In questo caso i microtubuli, con polarità mista, sono disposti a dare
delle bande concentriche disposte nella periferia della cellula. Questa
disposizione garantisce e mantiene la particolare forma discoidale dei
globuli rossi.
P.S.: Nel caso in cui dovesse capitare una domanda in cui viene presentata un’immagine di una sezione
trasversale al TEM bisognerà saper distinguere se ciò che è rappresentato, è una sezione di corpo basale, di
assonema o di zona di transizione. Per prima cosa bisognerà guardare se sono presenti dei doppietti o dei
tripletti, per poi osservare cosa c’è al centro.
Le strutture dell’assonema e del corpo basale delle ciglia e dei flagelli sono identiche, ma la disposizione e la
funzione di queste presentano delle differenze. Tutte e due sono implicate nel movimento, ma
generalmente le ciglia sono più numerose per ogni cellula: di norma una cellula cigliata possiede molte
ciglia o su tutta la superficie, o in alcuni casi su tutta la parte apicale; mentre, per quanto riguarda i flagelli,
una cellula solitamente ne possiede uno, come nel caso degli spermatozoi di molti mammiferi, o pochi di
più. Quest’ultimo, è il caso di alcuni protisti, che possono essere dei parassiti dell’uomo, come trichomonas
vaginalis il quale ne possiede cinque: quattro liberi e uno incorporato nella membrana ondulante.
Oltre al numero anche la lunghezza di queste due strutture è diversa: tendenzialmente le ciglia sono più
corte dei flagelli: la lunghezza delle prime varia dai 2 ai 20 µm mentre la lunghezza dei secondi varia dai 10
fino ai 200 µm.
Un’altra cosa che le differenzia è il movimento: la modalità con cui lo generano, il tipo, e la direzione. Le
ciglia hanno tipicamente un movimento detto arimo, movimento composto da un colpo efficace che
permette la spinta e da un colpo che permette il ritorno alla posizione iniziale. In questo caso si genera un
movimento che è perpendicolare rispetto all’asse principale del ciglio.
Nel caso del flagello invece, il movimento ricorda quello della coda del serpente: un movimento
ondulatorio che ha una direzione parallela all’asse longitudinale del flagello stesso.
Anche i procarioti possiedono flagelli che, nonostante lo stesso nome di quello degli eucarioti, hanno una
struttura completamente diversa.
Se si parla di una cellula che è singola, di conseguenza libera di muoversi e quindi non inserita in un tessuto,
come per esempio i protisti o spermatozoi, il battito del flagello crea un movimento che le permette di
spostarsi nello spazio. Ma se, prendendo in considerazione le cellule ciliate inserite all’interno di tessuti e
quindi facenti parte di un epitelio, si può notare che queste sono agganciate tra di loro e che, di
conseguenza, sono ferme. In questo caso il battito delle ciglia serve a far muovere ciò che è depositato sulla
superficie di quelle cellule. Ad esempio il battito delle ciglia negli epiteli del sistema respiratorio allontana
eventuali particelle inalate insieme all’aria dopo che queste vengono invischiate dal muco prodotto da altre
cellule del sistema respiratorio; grazie a tutto ciò il muco può essere allontanato dalle vie aeree. Ci sono
delle situazioni che deprimono l’attività di battito delle ciglia, come il freddo che inibisce il movimento delle
cellule dando il cosiddetto “naso che cola” o come il fumo. In questi casi può esserci ristagno di muco.
Un atro caso si ha nell’epitelio ciliato delle tube uterine, le tube di Falloppio: il battito delle ciglia aiuta
l’avanzamento della cellula uovo verso l’utero.
In occasione della divisione cellulare, quindi durante la fase M, si assiste all’organizzazione di una struttura
presente solo in quel determinato momento. Questa struttura prende nome di fuso mitotico ed è costituita
da microtubuli, in particolare da tre diverse tipologie che sono: i microtubuli astrali, i microtubuli polari e i
microtubuli cinetocorici. Tutti questi, dal centrosoma, duplicatosi appena prima della mitosi, si irradiano
con le estremità negative rivolte verso quest’ultimo e le estremità positive, ovvero quelle che si assemblano
più in fretta, verso la periferia. Nell’immagine si riconoscono tutti e tre i tipi di microtubuli: quelli astrali,
che si chiamano così perché si irradiano a stella da ciascun centrosoma, hanno il compito di tenere in
posizione il fuso all’interno della cellula e di permettere che venga individuato facilmente anche il punto in
cui avverrà la suddivisione della cellula stessa, ovvero il piano equatoriale; quelli polari e quelli cinetocorici
che dai centrosomi vanno verso il centro della cellula con la differenza che sui primi non si agganciano i
cromosomi, ma hanno solo il significato, attraverso il loro allungamento, di allungare tutto il fuso mitotico,
mentre i secondi prendono contatto con il cinetocore del cromosoma. In particolare quest’ultimo parte da
un centrosoma e aggancia il cinetocore di un cromatidio fratello mentre quello che parte dal centrosoma
opposto, aggancia l’altro cromatidio fratello. In questo modo quando i due cromatidi si dissociano l’uno
dall’altro vengono tirati ai due poli opposti della cellula.
Il fuso mitotico è una struttura transitoria perché si forma in occasione della mitosi e poi si disassembla.
I MICROFILAMENTI
Nei microfilamenti la subunità costituente è il monomero di proteina globulare actina (actina G). L’actina è
una proteina molto rappresentata nelle cellule, costituisce il 10-15% di tutte le proteine all’interno di esse.
In alcune cellule specializzate nella contrazione, dove la quantità di quest’ultima è maggiore, può
rappresentare anche il 30% di tutte le proteine presenti in questa tipologia di cellule. I monomeri di g-
actina si uniscono fra loro a dare un filamento e due filamenti, chiamati f-actina, si avvolgono a elica e
formano il microfilamento. Il valore del diametro di un microfilamento è di 7 nm. Anche questi, come i
microtubuli, sono dotati di polarità, quindi hanno un’estremità positiva e una negativa. Questo perché
ciascuna molecola di g-actina ha a sua volta una polarità, possiede cioè una testa e una coda con dei siti
diversi. Ciascuna molecola è legata all’altra in modo testa-coda, per cui ogni filamento inizia con una testa e
finisce con una coda. Anche in questo caso, i fenomeni di treadmilling dei microfilamenti, dipendono, come
velocità di formazione dei microfilamenti, dall’estremità presa in considerazione: questo evento è più
rapido all’estremità positiva rispetto che a quella negativa. Dallo schema riportato nell’immagine si può
osservare la formazione dei microfilamenti: la formazione iniziale parte dai monomeri che diventano un
dimero e successivamente un trimero di actina. Dopo di che c’è una fase più complicata in cui le molecole
tendono a disassociarsi. Superata questa fase cruciale il filamento è formato e inizia ad allungarsi: questo
allungamento procede più agevolmente all’estremità positiva.
I microfilamenti, soprattutto in alcune cellule specializzate nelle quali l’actina si organizza con un’altra
proteina, ovvero la miosina, danno origine a fenomeni di contrazione. Nell’immagine al TEM di un
sarcomero, unità contrattile e funzionale delle cellule muscolari striate, i filamenti più sottili non sono altro
che i microfilamenti di actina, mentre quelli più spessi e scuri sono i filamenti di miosina; questi due tipi di
microfilamenti si rapportano per permettere lo scorrimento l’uno sull’altro e quindi per permettere la
contrazione del sarcomero nel suo complesso.
I microfilamenti sono coinvolti nell’emissione di processi citoplasmatici necessari o per il movimento, come
per esempio l’emissione di filipodi o lamellipodi da parte delle amebe, o emissioni di pseudopodi, come nel
caso della fagocitosi, propaggini che servono per racchiudere e portare dentro materiale solido che è in
posizione extracellulare. Gli esempi di motilità e di emissioni di processi citoplasmatici sono evidenti
soprattutto nelle cellule che hanno movimenti ameboidi, quindi in organismi unicellulari ma anche in quelle
cellule rare nel corpo umano che hanno questa caratteristica come, per esempio, alcuni globuli bianchi. In
questi casi i filamenti di actina rendono possibili questi movimenti i quali non sono altro che un gioco di
polimerizzazione e depolimerizzazione dell’actina e quindi di cambiamenti di consistenza del citosol in cui
questi elementi sono presenti. Altra importante funzione è quella della citodieresi. La citodieresi è la
suddivisione della cellula che presenta alle due estremità i due nuclei che devono suddividersi
materialmente. La cellula quindi deve dividere il citoplasma per dare origine alle due cellule figlie: questa
fase, che segue la mitosi vera e propria, avviene nelle cellule animali grazie all’intervento di un solco di
divisione, visibile nell’immagine, che funziona come una specie di laccio. Questo laccio, fatto di
microfilamenti associati a proteine, con l’ausilio di proteine, stringendosi “strozza” la cellula animale
dividendola in due, generando così le due cellule figlie.
Le proteine accessorie
Anche in questo caso, come già visto per i microtubuli, si
può osservare che le funzioni che possono svolgere i
microfilamenti sono molto variegate. Nello svolgere
queste diverse funzioni, essi sono supportati da alcune
proteine, chiamate proteine accessorie dei
microfilamenti. Esistono molte proteine accessorie:
alcune permettono ai microfilamenti di essere molto
instabili, quindi di assemblarsi e di disassemblarsi
facilmente; altre permettono loro di essere più stabili nel
caso dovesse essere necessaria questa caratteristica. Le
proteine accessorie rappresentano circa il 10% del
contenuto proteico della cellula.
I microvilli
I microfilamenti poi si organizzano in modo stabile a dare delle strutture che sono i microvilli. I microvilli
sono delle specializzazioni cellulari presenti solamente in alcune tipologie di cellule, come ad esempio
quelle degli epiteli coinvolti nel fenomeno di assorbimento come l’epitelio intestinale o quello del tubulo
contorto prossimale, e il significato della presenza di queste strutture è quello di aumentare fino a 20/30
volte la superficie a disposizione per i processi di assorbimento di materiale. I microvilli sono fatti di
microfilamenti, sia nella struttura portante che nella struttura che è alla base del microvillo.
Un microvillo non è altro che una specie di formazione a “dito di guanto” avvolta da una estroflessione
della membrana plasmatica che sporge dalla regione apicale della cellula epiteliale. Ogni microvillo è
costituito, nel suo asse centrale, da microfilamenti disposti in fasce le cui estremità negative sono rivolte
verso la base mentre quelle positive verso l’apice. Questi microfilamenti terminano in una placca
elettrondensa visibile al TEM.
I microfilamenti che costituiscono il fascio, sono uniti sia fra di loro sia con la membrana plasmatica da delle
molecole proteiche che rendono la struttura compatta e coesa. Alla base di ciascun microvillo c’è un
reticolo tridimensionale fatto di microfilamenti, quindi da actina, che dà l’innesto e supporto meccanico per
ciascun microvillo e che quindi permette loro di proiettarsi verso l’esterno; questo reticolo prende il nome
di trama terminale ed è un intreccio reticolare di microfilamenti. Il diametro di un microfilamento è di 0-1
µm mentre l’altezza è variabile: sono più corti quelli dell’epitelio intestinale, hanno una lunghezza che varia
dai 1 ai 2 µm, mentre quelli dell’epitelio renale possono essere più lunghi, fino anche a 3 µm. Esistono dei
microvilli specializzati, che si ritrovano nelle cellule capellute degli epiteli sensoriali dell’orecchio interno,
che prendono il nome di stereociglia; anche queste, in quanto microvilli specializzati, sono formate da
microfilamenti.
A livello del vestibolo, ma non a livello della coclea, in ogni cellula capelluta, è presente un chinociglio. Il
chinociglio è la struttura più alta di queste cellule ed è posto alle loro estremità. Questo ha una struttura
microtubulare. Le altre strutture che lo affiancano e che sono poste in ordine decrescente dalla più alta alla
più bassa, sono tutte stereociglia che sono composte da microfilamenti. Questa disposizione è detta “a
canne d’organo”. Tutte le stereociglia e il chinociglio sono collegati fra di loro sia da delle proteine laterali
che da delle connessioni apicali. Grazie a ciò tutte queste strutture si muovono in modo univoco e
coordinato: si flettono contemporaneamente quando la endolinfa si sposta.
Ciascuna stereociglia si inserisce su una cosiddetta placca cuticulare che è molto ricca di actina e che dà
sostegno e, una volta che si sono piegate le stereociglia, dà quell’aggancio che permette alle stereociglia di
tornare in posizione ancorandole in modo saldo a questa placca che è appena al di sotto della superficie
cellulare. La parte terminale di ciascuna stereociglia è più scura ed è ricca di canali ionici che servono per la
trasduzione del segnale da meccanico ad elettrico. Questo segnale viene raccolto dalla fibra nervosa
afferente che avvolge la parte basale delle cellule capellute e portato all’encefalo quindi al sistema nervoso
centrale.
I FILAMENTI INTERMEDI
I filamenti intermedi, rispetto alle altre due strutture del citoscheletro, possono
essere definiti come elementi a sé.
Le proteine dei filamenti intermedi sono delle proteine fibrose e ciascuna di loro ha la caratteristica di
avere una parte centrale organizzata a α-elica mentre due estremità globulari che sono l’estremità
amminoterminale e quella carbossiterminale. Il punto d partenza che andrà a costituire i filamenti
intermedi è un dimero in cui due di queste proteine si avvolgono ad elica nella parte centrale.
Successivamente due di questi dimeri si associano formando un tetramero; i due dimeri che lo formano
sono leggermente sfasati l’uno rispetto all’altro: un dimero si affianca in modo leggermente sfasato, con
l’estremità amminoterminale, all’estremità carbossilterminale di un altro. Vari tetrameri costituiscono una
porzione di un protofilamento; otto protofilamenti si avvolgono assieme dando una struttura simile ad un
cordone ed è proprio quest’ultimo che viene chiamato filamento intermedio. Il fatto che abbia una
struttura a fune richiama la capacità di resistenza meccanica di questi filamenti i quali resistono alla
trazione. Essi sono particolarmente abbondanti in tutte quelle cellule che sono sottoposte a particolari
sollecitazioni meccaniche: epiteli, epidermide, annessi cutanei e così via.
Una cosa da ricordare è che le subunità nei microtubuli sono gli eterodimeri di tubulina α e β, quelle dei
microfilamenti sono le molecole di actina-g che si uniscono a dare i filamenti, mentre nei filamenti
intermedi sono i dimeri di proteine fibrose che possono essere varie a seconda delle cellule.
La polarità e l’elevata dinamicità sono presenti nei microtubuli, mentre i filamenti intermedi sono più stabili
e non sono polari.
Citoscheletro e salute
La sindrome delle ciglia immobili colpisce i microtubuli ed è dovuta al fatto che nelle ciglia e nei flagelli non
sono presenti le braccia di dineina: la loro struttura, nonostante sia completa di tutti gli elementi tranne la
dineina, che è la proteina motrice responsabile dello scorrimento dei doppietti e della flessione delle ciglia
e dei flagelli, non sarà in grado di muoversi. La presenza di ciglia e flagelli immobili determina situazioni
come la sterilità maschile dovuta al fatto che il flagello dello spermatozoo non è in grado di muoversi
impedendo quindi a quest’ultimo di raggiungere la cellula uovo per fecondarla, mentre se il problema
colpisce le ciglia di quegli epiteli in cui sono presenti cellule cigliate quindi per esempio quello respiratorio,
l’immobilità delle ciglia determina dei problemi di capacità respiratorie.
Si conoscono circa una cinquantina di mutazioni che determinano delle malattie legate al
malfunzionamento dei filamenti intermedi e alcune di queste sono piuttosto impattanti.
Una di queste è l’epidermolisi bollosa semplice, EBS, che è dovuta a delle mutazioni nei geni delle
cheratine, proteine molto rappresentate nell’epidermide e negli annessi cutanei. In questo caso i filamenti
non si assemblano correttamente e sui soggetti afflitti da questa problematica, la quale può essere di
diverse gravità, si formano delle vescicole anche a fronte di attività banali: il minimo strusciamento può
provocarle. Si ha quindi un’estrema fragilità dei tessuti dovuta al non corretto assemblaggio dei filamenti
intermedi i quali dovrebbero dare resistenza meccanica.
Un’altra è la malattia di Hutchison-Gilford detta anche progeria. I soggetti affetti da questa malattia
invecchiano velocemente dal punto di vista fisico: hanno tutte quelle malattie tipiche degli anziani
nonostante la giovane età anagrafica. Tutto ciò è dovuto ad un problema legato ai filamenti intermedi e
quindi alle lamine che determinano delle anomalie a livello della struttura nucleare.
Ci sono dei farmaci che sfruttano le varie caratteristiche e funzioni del citoscheletro per ottenere i loro
effetti. Vari farmaci, soprattutto antitumorali, essendo capaci di perturbare il citoscheletro e in particolare
la formazione del fuso mitotico, vengono utilizzati per contrastare la proliferazione delle cellule tumorali:
tutto ciò che impedisce il corretto assemblamento dei microtubuli a dare il fuso mitotico impedisce alle
cellule di dividersi e quindi di proliferare, ovvero il problema chiave delle cellule neoplastiche. Per esempio
il taxolo, che è di origine vegetale, è un principio attivo di antimitotici usati per il trattamento di vari tumori
come quello dell’ovaio o della mammella.
LEZIONE 9 - 26/10/2022
GIUNZIONI CELLULARI
A formare tali giunzioni sono proteine, diverse a seconda del tipo. In particolare delle
proteine transmembrana si collegheranno a proteine del citoplasma, che a loro volta
interagiranno con elementi del citoscheletro.
LE GIUNZIONI OCCLUDENTI
Vengono anche definite giunzioni thigt o giunzioni strette o zonulae occludentes.
Sono costituite da una rete di proteine di tipo fibroso, soprattutto filamentoso, che vanno
ad occludere, tramite dei punti di fusione, le membrane di due cellule adiacenti.
Nei punti in cui avviene la fusione delle membrane viene impedito il passaggio di materiale
da una cellula all’altra (trasporto paracellulare) questo garantisce la presenza di due
compartimenti distinti:
- comparto apicale: sovrasta la giunzione
occludente e si affaccia sul lume di un
organo (es. intestino) o sul lume di una
unità secretoria;
- comparto basale: inizia a livello delle
giunzioni e continua nel tessuto/spazio
sottostante;
I primi due tipi si realizzano tra due cellule coinvolgendo quindi le membrane plasmatiche.
Gli ultimi due tipi si realizzano tra una cellula (in particolare la porzione basale) e la
sottostante matrice extra-cellulare.
A differenza delle giunzioni occludenti, nelle giunzioni aderenti le due membrane sono
agganciate ma non sono completamente adese, lasciando un interstizio fra una
membrana e l'altra di spessore variabile tra i 20 i i 35 nanometri.
Le giunzioni aderenti a fascia si estendono per l’intero perimetro della cellula formando
una sorta di cintura.
Sono costituite da proteine transmembrana, le caderine, delle quali abbiamo diversi tipi a
seconda della cellula in cui si trovano (esempio: caderine-e, presenti a livello epiteliale,
caderine-n presenti nelle cellule nervose).
Le caderine si sporgono
nell'ambiente extracellulare e
prendono contatto una con
l'altra. Sul versante
citoplasmatico di ciascuna
delle due cellule le caderine si
agganciano a delle proteine
citoplasmatiche ovvero le
catenine (es: alfa-catenina e
beta-catenina) che vanno a
formare appena sotto alla
membrana plasmatica nella
zona della giunzione una placca citoplasmatica. A loro volta le catenine si agganciano ai
microfilamenti e possono farlo sia direttamente, sia tramite delle proteine adattatrici che
mediano il collegamento fra le catenine e i microfilamenti come ad esempio l’ alfa-actinina,
la vincolina o vinculina e le proteine VASP.
I desmosomi sono un tipo di giunzione aderente simile alle giunzioni aderenti a fascia ma
più limitata spazialmente, infatti forma un punto localizzato di adesione, una specie di
bottone.
L’emidesmosoma è una giunzione presente alla base degli epiteli che lega la membrana
plasmatica della regione basale della cellula alla sottostante lamina o membrana
basale, ovvero uno strato che si colloca tra l’epitelio e il sottostante tessuto connettivo.
Al TEM appare come metà di un desmosoma poiché manca la seconda cellula che formi
l’altra metà.
I DISCHI INTERCALARI
I dischi intercalari o strie scalariformi sono
strutture peculiari dei miocardiociti che si
ripetono ad intervalli regolari e consentono al
miocardio di agire come un sincizio funzionale.
Essendo specifici del tessuto muscolare cardiaco
sono anche uno strumento utilissimo per
riconoscere se il tessuto muscolare è scheletrico o è cardiaco, i dischi intercalari si
presentano infatti come delle striature.
Preparazione dei campioni per la microscopia, ovvero per poterli osservare al microscopio
ottico o elettronico:
1) Dissezione o prelievo: procurarsi il frammento di campione dissezionando
l'organismo e prelevando il tessuto;
2) Fissazione: il tessuto prelevato va fissato;
3) Inclusione: il tessuto va incluso in un mezzo che gli dia solidità;
4) Taglio: il blocchetto contenente il campione va tagliato con uno strumento apposito,
il microtomo; per ottenere delle sezioni molto sottili;
5) Colorazione: Aumenta il contrasto ed evidenzia specifiche componenti dei tessuti.
DISSEZIONE/PRELIEVO
Il termine anatomia significa tagliare in pezzi, e dunque la dissezione rappresenta il primo
step fondamentale per la microscopia.
FISSAZIONE
Il più infretta possibile dopo la dissezione si procede con la fissazione.
Metodi di fissazione:
- FISICI (utilizzo di alte o basse temperature);
- CHIMICI cioè basati sull’uso di sostanze o miscele, chiamate fissativi
(generalmente i campioni vengono immersi in tali fissativi);
Principali fissativi:
- Aldeidi: Formaldeide/FORMALINA (in soluzione acquosa al 4-10 %) uno dei più
utilizzati in istologia per campioni destinati alla microscopia ottica (tempo di
fissazione: 12-24h); Glutaraldeide (in soluzione acquosa al 2-3 %): fissativo indicato
per piccoli pezzi destinati al TEM;
- Alcoli: etanolo (70-100 %)
- Acidi organici e minerali: acido acetico, a. tricloroacetico, a. picrico, a. cromico
- Sali di metalli pesanti: bicromato di potassio, cloruro di mercurio
Miscele di fissazione:
- LIQUIDO DI BOUIN: miscela di acido picrico, acido acetico e formalina (colore
giallo intenso). Ottimo fissativo, indicato per pezzi voluminosi grazie alla notevole
capacità di permeazione (8-10 h)
- LIQUIDO DI CARNOY: miscela di etanolo, cloroformio ed acido acetico. Usato
soprattutto per fissare cellule isolate, quindi campioni con volumi ridotti.
INCLUSIONE
Consiste nell’ infiltrazione del campione con un mezzo di inclusione allo scopo di conferire
al frammento la durezza e la compattezza necessarie per procedere alla sezione in sottili
fettine. Il mezzo di inclusione più utilizzato è la paraffina, si presenta solida poi la si scalda
alla sua temperatura di fusione (variabile fra i 35 e 70 gradi, la maggior parte fonde a 55/
56 gradi) rendendola fluida. La paraffina è una miscela di idrocarburi saturi quindi
insolubile e immiscibile con acqua e alcool, per questo motivo prima di includere il mezzo
vanno fatti alcuni passaggi.
Fasi dell’inclusione:
- disidratazione in solventi organici (etanolo) a gradazione crescente;
- chiarificazione o diafanizzazione: immersione nel solvente (xilolo) del mezzo di
inclusione;
- infiltrazione: passaggio nel mezzo di inclusione allo stato liquido (paraffina fusa);
- solidificazione del mezzo di inclusione contenente il campione (= blocco incluso)
all’interno di un’apposita formella (di plastica o metallo) che verrà poi rimossa;
- Eventuale aggiunta di un supporto che funga da base di aggancio al microtomo;
Due strumenti utili per includere e normalmente presenti nei laboratori di istologia sono:
TAGLIO
Quando si procede al taglio di un organismo in toto o di un organo è necessario orientarlo
in base al tipo di sezione che si vuole ottenere.
MICROTOMIA
Il microtomo permette di ottenere sezioni di 4-6 micron
di spessore. Il microtomo manuale o motorizzato può
essere rotativo (tramite una manovella il pezzo viene
fatto avanzare verso la lama di un quantitativo
prefissato) o a slitta ed è dotato di un porta pezzo e
una lama di acciaio. Può tagliare campioni inclusi di
paraffina o resina sintetica,e forma delle fettine sottili
che di solito rimangono attaccate una all'altra come un
nastro. Le sezioni vengono poi messe a bagnomaria
per distenderle, raccolte con un vetrino e fatte
asciugare.
Ci sono alcuni tessuti, come il tessuto osseo, che per la loro durezza sono difficile da
sezionare. Per questi viene fatto un trattamento decalcificante del campione che possono
avvenire:
- pre inclusione: di solito con EDTA;
- post inclusione (in fase di taglio): con appositi decalcificanti a rapida azione;
Le sezioni criostatiche hanno uno spessore 10-30 μm (essendo più spesse, per lavori di
individuazione morfologica è meglio usare il procedimento classico con paraffina al
microtomo), vengono fatte aderire ai vetrini che si conservano a -80°C fino a quando
verranno sottoposte a colorazione.
COLORAZIONE
Consiste nel trattamento delle sezioni con sostanze coloranti allo scopo di aumentare il
contrasto dei componenti della cellula e dei tessuti e facilitarne così l’osservazione e
l’identificazione al microscopio.
(Da ricordare solo tre/quattro di questi, i più importanti sono ematossilina ed eosina).
L'eosina è un colorante di tipo acido e artificiale che proprio grazie alla sua acidità va a
colorare il citoplasma e molte delle componenti della matrice extracellulare, con una
gradazione che va dal rosa al fucsia.
L’ematossilina invece è un colorante basico di origine naturale che va a colorare in viola
o blu, a seconda del tipo di ematossilina, il nucleo perché essendo un colorante basico
avrà affinità con le componenti acide del nucleo ovvero gli acidi nucleici.
Il blu di toluidina è un colorante basico, metacromatico cioè riesce a colorare con colori
diversi strutture diverse, es. colora i nuclei di blu, ma molti polisaccaridi che si trovano
nella matrice vengono colorati di rosso.
L’alcian blu è un colorante basico presente soprattutto a livello degli intestini o dell'epitelio
respiratorio, poiché va a colorare le muco sostanze acide di blu.
Le colorazioni possono essere classificate in diversi modi in base alla modalità con cui
vengono eseguite:
- colorazioni dirette e indirette: le colorazioni dirette sono quelle in cui i vetrini
vengono immersi direttamente nel colorante, quelle indirette sono quelle in cui
prima di mettere i vetrini nel colorante viene fatto loro un trattamento con delle
sostanze chiamate mordenti o mordenzanti.
- colorazioni progressive e regressive: nelle colorazioni progressive le sezioni
vengono immerse nel colorante e lasciate agire finché la sezione non raggiunge la
gradazione di colore interessata. Nelle colorazioni regressive si utilizza più
colorante del necessario e si lascia agire a lungo, dopodiché viene eliminato il
colorante in eccesso.
- colorazioni semplici e combinate: quelle semplici utilizzano un solo colorante che
può essere monocromatico (colorano tutto dello stesso colore) o metacromatico (si
ottengono colori diversi in base all’affinità con le strutture, es. blu di toluidina). Le
colorazioni combinate utilizzano più di un colorante, e possono essere successive
(prima si immerge in un colorante e poi in un altro es. l’ematossilina ed eosina) o
simultanee (si usano più coloranti ma messi tutti assieme in un'unica miscela es.la
gimsa)
- colorazioni istomorfologiche e istochimiche: le istomorfologiche permettono di
capire com’è fatto un tessuto o una cellula, quindi la sua morfologia, le istochimiche
evidenziano i loro componenti (es. glicoproteine, acidi nucleici, lipidi ecc.).
Esempi di colorazioni:
may-grunwald-giemsa e giemsa & wright
Metodi utilizzati per colorare gli strisci di sangue, permettono di individuare gli eritrociti
(colorazione rosa/arancio), i globuli bianchi di cui si evidenziano molto bene i nuclei
permettendo anche di distinguere il tipo di globulo bianco (es. linfocita, granulocita e quale
tipo di granulocita).
Ematossilina-eosina
E’ una metodica di colorazione semplice, veloce, poco costosa e generica. Ampiamente
utilizzata per osservare la struttura generale dei tessuti e degli organi (l’ematossilina colora
in viola/blu scuro i nuclei, il resto della cellula, quindi citoplasma e componenti
extracellulari basiche si colorano con l'eosina in rosa/fucsia).
Esempio: sezione dell'epidermide
Impregnazione argentica
Questo metodo utilizza la precipitazione elettiva di cromato di argento sulle cellule nervose
preventivamente fissate con tetrossido di osmio e bicromato di potassio.
L’impregnazione argentica evidenzia le fibre reticolari.
Esempio 1: cervelletto in cui si vedono bene sia i corpi cellulari sia i prolungamenti,
dendriti e neuroni, colorati di marrone più o meno scuro;
Esempio 2: sezione di un linfonodo in cui si evidenziano le fibre reticolari.
Esempi 2 e 3: Tessuto renale e tessuto epatico entrambi colorati con la pas perché a
livello del tessuto renale abbiamo l’orletto a spazzola, quindi il glicocalice con tante
glicoproteine, negli epatociti c'è una colorazione pas positiva perché contengono riserve di
glicogeno, un polisaccaride.
LEZIONE 10 – 02/11/2022
RIASSUNTO:
Stiamo vedendo come si prepara un campione per la microscopia: per essere poi osservato.
E’ un procedimento a tappe:
1. Prelievo del tessuto dell’organo di interesse
2. Fissazione per mezzo di mezzi fisici, ma soprattutto chimici
3. Inclusione di questo frammento in un mezzo che gli dia sostegno e una consistenza abbastanza dura da poter passare
alla fase successiva
4. Taglio: ottenimento di sezioni molto sottili (parliamo di circa 5-10 micron per la microscopia ottica, o meno per la
microscopia elettronica) che consentano alla luce o algli elettroni di passare attraverso la sezione del campione
5. Colorazione: per ovviare al problema della scarsità/mancanza di contrasto che hanno normalmente i tessuti, essendo
costituiti per la maggior parte di acqua. Operiamo delle colorazioni ad hoc per mettere in evidenza com’è fatto
morfologcamente il tessuto (le strutture del tessuto) o per evidenziare specifici componenti chimici all’interno del
tessuto (per vedere dove si localizzano, se ci sono e l’abbondanza).
COLORAZIONI
2. colorazioni di tipo istochimico che non servono per evidenziare delle strutture in particolare, ma la
presenza di specifiche sostanze e molecole verso le quali i coloranti che utilizzo hanno una selettività (= si
legano in modo caratteristico a questi).
• COLORAZIONE DI PAS (acido periodico – reattivo di schiff) che incontreremo anche
descrivendo alcuni tessuti, come per esempio :
1. la tiroide, dove troviamo i follicoli tiroidei, nel cui lume la sostanza colloidale, che è molto pass
positiva (cioè si colora molto con questo tipo di colorazione) perché contiene molte tireoglobuline
(tipo di proteine glicosilate), si colora molto. Questa colorazione ha la caratteristica di colorare, e
quindi di rendere visibili, le zone delle cellule dei tessuti dove trovo polisaccaridi (glicogeno, amido,
cellulosa) e glicoproteine.
2. a livello dei tubuli renali dove c’è l’orletto a spazzola (quindi glicocalici e microvilli) delle cellule
del tubulo che si colorano intensamente di pas, perché il glicocalice è costituito di sostanze legate a
gruppi glucidici
3. il fegato: che è uno degli organi, insieme ai muscoli, dove troviamo degli accumuli di glicogeno
(che è un polissaccaride e che quindisi colora fortemente con la pas). Sezioni di fegato si presentano
con epatociti molto colorati.
• REAZIONE DI FEULGEN:
colorazione che mette in evidenza in modo selettivo il DNA, lasciando quindi nucleolo e citoplasma
incolori.
- Evidenza il DNA sia quando
questo è in stato di cromatina
(interfase – foto in alto), sia
quando il DNA è sotto forma
di cromosomi (divisione
mitotica – foto in basso)
• ALCIAN BLU (AB): colorante basico e per questo motivo ha affinità, e si lega, con componenti
acide; in particolare si lega con i GAG acidi, con i proteoglicani acidi e con le mucine acide.
-- le mucine sono molecole altamente glicosilate che vengono prodotte in particolare dalle cellule
mucipare che troviamo soprattutto a livello dell’apparato digerente, tipo l’area intestinale, e
l’appartato respiratorio. Le mucine, anche a causa della loro elevata glicosilazione, hanno una
consistenza molto viscosa, che permette loro di proteggere, intrappolando le sostanze potenzialmente
pericolose e estranee che si trovano a livello dei due epiteli precedentemente citati, questi epiteli --
Le differenze di colorazioni dipendono anche dal tempo in cui lasci agire il colorante.
- foto sx del libro: cellule mucipare leggermente azzurrine
- foto dx - vetrino della prof dove il colorante è stato lasciato agire più ore: ha cellule mucipare
colorate di un blu intenso. Evidenzia solamente le cellule mucose che producono mucine acide. Le
mucine basiche e neutre si coloreranno, per esempio, con la pas. <<In particolare avevamo applicato
questa colorazione per mostrare come in un intestino parassitato, come è questo, anche se non si
vede il parassita in questa zona, aumenta notevolmente il numero delle cellule mucose, in particolare
quelle che producono mucine acide come forma di reazione di risposta e di difesa alla presenza del
parassita. Quindi poi si possono fare una serie di valutaizoni istomorfometriche, quindi di contare la
densità di queste cellule, per paragonarle ad altre zone lontane dal parassita o ad altri intestini non
interessati dalla parassitosi>>.
Una volta che io ho applicato l’anticorpo sulle mie sezioni, se esso trova l’antigene vi si lega.
Ma come si visualizza l’anticorpo applicato alla sezione di campione? Si lega all’anticorpo con un dei
marcatori che lo rendono visibile. Ho tre possibilità, a seconda del tipo di microscopia che andrò a fare:
1) nel caso dell’IMMUNOFLUORESCENZA gli anticorpi sono marcati (=legati chimicamente a dei
marcatori) con dei marcatori fluorescenti, i fluorocromi; i due più utilizzati sono la fluoresceina e la
rodamina. Se l’anticorpo ha trovato l’antigene e vi si è legato, siccome è fluorescente, andando a vedere la
sezione con il microscopio a fluorescenza si può vedere dove è presente l’anticorpo e quindi
l’antigene/molecola che si sta cercando.
2) nel caso dell’IMMUNOISTOCHIMICA gli anticorpi sono marcati con degli enzimi. Di solito si usano
la perossidasi o la fosfatasi alcalina, che in presenza di un substrato apposito aggiunto durante la procedura
di colorazione, creano un precipitato colorato che è visibile tramite un normale microscopio ottico
composto.
3) nel caso dell’IMMUNOGOLD si ha a che fare con sezioni in resina che vanno osservate al microscopio
elettronico: si utilizzano come marcatori delle particelle d’oro elettronopache (con diametro dai 5 ai 30 nm)
legate all’anticorpo. Per capire se e dove l’anticorpo si è legato, si cercano le palline d’oro di diametro noto e
costante che risultano elettrondense quando si guardano con microscopio elettronico.
Nel caso dell’immunogold non si hanno colorazioni diverse, ma si possono usare simultaneamente anticorpi,
diretti verso sostanze diverse, cui sono legati particelle d’oro di dimensioni diverse.
sx( immagine di immunofluorescenza): è stato utilizzato un anticorpo diretto contro la beta-tubulina. Vedo i
microtubuli evidenziati in vedere. Si può notare dove sono, quanto sono abbondanti e come si localizzano
all’interno della cellula.
Gli anticorpi specifici per un determinato antigene, se presenti in commercio, possono essere acquistati da
ditte apposite. E’ altrimenti anche possibile richiedere di preparare degli anticorpi non presenti in catalogo.
In alternativa ci si può arrangiare in laboratorio, e crearli utilizzando degli animali da laboratorio
(generalmente topi e conigli); vi si ignetta la molecola di interesse e si va poi a prelevare dal plasma gli
anticorpi che loro hanno elaborato nei confronti di questa molecola eterologa.
Quando si parla di molecole antigeniche bisogna tenere presente che essa può presentare diversi tratti che
vengono chiamati determinanti asntigenici (o epitopi) e ogni clone di linfocita b produce anticorpi contro un
solo epitopo. Sulla base di ciò gli anticorpi vengono distinti in:
- ANTICORPI POLICLONALI: miscela di anticorpi prodotti dai diversi cloni di linfociti B in risposta
all’inoculazione in un animale di un antigene proveniente da un altro organismo. Ci sono diversi anticorpi
perché ogni clone di linfocita B produce l’anticorpo verso uno specifico epitopo.
Data la loro eterogeneità, gli anticorpi policlonali, si legano a diversi epitopi dando potenzialmente risultati
aspecifici (perché degli epitopi possono essere prodotti da antigeni diversi).
- ANTICORPI MONOCLONALI: anticorpi specifici per un unico epitopo di un antigene, prodotti da un
sincolo linfocito B. Hanno un’elevata specificità.
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ESERIZIO: ricapitoliamo e confrontiamo le fasi del processo di preparazione di campioni per:
2. Fissazione
3. Inclusione
4. Taglio
5. Colorazione
RISULTATO/OSSERVAZIONE:
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SCHEMA RIASSUNTIVO DEL LIBRO
ISTOLOGIA
argomento: classificaizone e caratteristiche generali dei tessuti, TESSUTI EPITELIALI
Definizione di tessuto: aggregato altamente organizzato di cellule morfologicamente simili che concorrono a
dare una specifica funzione al tessuto.
I tessuti si organizzano poi in modo integrato per dare gli organi.
Gli organi sono formati da una precisa combinazione di diversi tessuti. Sono rari i casi in cui siano formati da
solo un tessuto come succede ad esempio al sistema nervoso che è costituito dal solo tessuto nervoso.
Sono prorpio queste combinazioni di tessuti che conferiscono le caratteristiche morfologiche e funzionali dei
diversi organi.
I tessuti animali sono sempre costituiti da 2 componenti principali: cellule e matrice extracellulare (un insieme
di costituenti prodotti dalle cellule stesse).
Cellule e MEC formano un continuum sia di tipo strutturale che funzionale, reso possibile dalla presenza di
molti componenti della matrice che sono riconosciuti e legati da recettori presenti sulla membrana
plasmatica. Questi recettori che in molti casi sono delle proteine transmembrana, non solo attraversano tutta
la membrana cellulare, ma spesso sono anche collegate a degli elementi del citoscheletro. Questo permette
una risposta a fattori stimolanti o inibenti che arrivano alla matrice extracellulare di trasportare il segnale fino
all’interno delle cellule.
Differenziati da:
- tipi di cellule che li costituiscono che sono diverse per
ogni tipo di tessuto
- presenza e tipologia di MEC (che percentuale di mec
c’è rispetto alla componente cellulare)
- funzioni: ogni tessuno ha una funzione principale e altre meno caratterizzanti.
I tessuti epiteliali (esistono diversi sottotipi) sono caratterizzati da una importante componente cellulare.
Costituito principalmente da cellule aggregate l’una all’altra a formare delle vere e proprie lamine, scarseggia
di MEC.
Gli epiteli sono formati da uno o piu strati di cellule, poliedriche, polarizzate, contigue l’una all’altra grazie
alla presenza di giunzioni a dare una lamina continua. Non è permessa la motilità delle singole cellule una
volta che il tessuto è adulto e quindi differenziato; una minima motilità delle cellule c’è durante lo sviluppo
embrionale o in situazioni patologiche come la presenza di cellule neoplastiche.
Sono tessuti avascolari, il che significa che all’interno di questo tessuto non passano vasi di nessun tipo e
quindi è sempre associato al connettivo sottostante da cui passano i capillari e che nutre e ossigena per
difusione l’epitelio. Questo implica che man mano che ci si allontana dal connettivo , le cellule epiteliali sono
sempre meno efficaciemente servite dei materiali che gli arrivano; infatti le cellule più vitali e attive ,in termini
di proliferazione e metabolismo, sono più vicine al connettivo.
Per comprendere tramite l’esperienza che gli epiteli sono avascolari, possiamo prendere come esempio
quando radendoci ci tagliamo con la lama, ma non troppo in profondità e quindi non esce sangue. Il sangue
esce solo quando ci si taglia più in profondità e si arriva al connettivo.
I tessuti epiteliali ricoprono la superficie esterna del corpo o le superfici delle cavità interne.
Tra epitelio e connettivo si trova la lamina basale (o membrana basale), una struttura simil-laminare.
Questa lamina ha uno spessore tra
i 20 e i 100 nm.
La si vede al TEM perché è abbastanza
elettronopaca.
Risulta costituita da due strati:
- lamina lucida o rara (in alto, a contatto
con la parte basale delle cellule epiteliali)
- lamina densa (al di sotto)
entrambi questi strati sono prodotti dalle
cellule epiteliali.
Composizione chimica: collagene (non
organizzato in fibre), proteoglicani e
glicoproteine. → colorazione di pas
La lamina basale soprattutto dov’è più
spessa viene evidenziata con la
coloraizone di pas.
Invece con l’ematossilina eosina, la classica
colorazione “tuttologa”, non permette una
colorazione adeguata, perché colora troppe
porzioni oltre alla lamina (es: citoplasma, matrice extracellulare..).
La membrana basale non è un sinonimo di lamina basale, ma nasce dall’unione della lamina basale e da
una lamina reticolare (così chiamata perché formata da fibre reticolari).
La lamina reticolare viene prodotta dalle cellule del connettivo, generalmente dai fibroblasti.
FUNZIONI della membrana basale individuate (probabilmente ce ne sono anche altre sconosciute):
1. sostegno strutturale perché permette l’aggancio delle cellule epiteliali attraverso le giunzioni
e protezione verso il connettivo sottostante perché fa da confine.
2. Regola gli scambi di molecole tra epitelio e connettivo
3. Influenza diverse attività cellulari, come
- la proliferazione. Si è visto infatti che le cellule sono in grado di proliferare solo quando attaccate alla
lamina basale e mano a mano che vi si allontanano perdono questa capacità.
- il differenziamento
- della migrazione cellulare nel corso dello sviluppo embrionale, costituendo dei “binari” per l’indirizzamento
delle cellule che arrivate al luogo definitivo dove si differenzieranno
((Sembra inoltre che la m. basale contribuisca a regolare il metabolismo cellulare e la polarità delle cellule
epiteliali))
L’unione di questi termini, semplice o composto, e squamoso, cubico o colonnare, mi dà l’indicazione del tipo
di epitelio. Mettendo insieme i termini, se parlo di un epitelio semplice e pavimentoso, vuol dire che è formato
da un unico strato cellulare e che queste cellule hanno la forma di squame appiattite. Se dico epitelio
composto cubico, vuol dire che è un epitelio formato da più strati e che le cellule dello strato più
superficiale hanno una forma cuboidale.
Ci sono due tipi di epiteli, di cui si vedono le immagini, che sono pseudostratificati (i quali rientrano tra gli
epiteli semplici perché formati da un unico strato di cellule, nonostante diano la sensazione di essere su più
strati in quanto i nuclei si trovano ad altezze diverse e non tutte le cellule raggiungono la superficie; tuttavia,
tutte le cellule sono appoggiate alla lamina basale) e di transizione, (detti anche polimorfi perché la
morfologia delle loro cellule, e in particolare di quelle dello strato più superficiale cambia a seconda della
condizione dell’organo, se è contratto o stirato, quindi transitano da una forma ad un altra; da cellule più alte
e cicciute quando l’organo contratto, a cellule con forma più appiattita e squamoso quando l’organo è si
tende) concepito per permettere una variazione di estensibilità all’organo.
A seconda di dove sono localizzati gli epiteli, prendono nomi diversi, più specifici.
DEFINIZIONI:
- Endotelio: epitelio (di tipo pavimentoso semplice) che riveste internamente i vasi sanguigni, i vasi linfatici e
la cavità cardiaca.
- Sierose: rivestimenti che delimitano le grandi cavità del corpo che non comunicano con l’esterno, come per
esempio la cavità toracica o la cavità addominale. Le cavità sierose sono formate da un rivestimento che
comprende due componenti, il mesotelio (un epitelio) e un connettivo.
Il mesotelio è un epitelio pavimentoso semplice che ha la caratteristica di essere lubrificato. E’ sempre
bagnato da un liquido, simile al siero, che facilita i movimenti degli organi che sono ricoperti dalle sierose e
sono alloggiati all’interno delle cavità.
((Ogni sierosa è composta da una componente viscerale che avvolge gli organi e una componente parietale
che fodera dall’interno la cavità in cui quegli organi sono alloggiati.))
Sierose più famose:
• Pleure (una per ogni polmone) che avvolgono i polmoni, e si
suddividono in pleura viscerale che avvolge i polmoni, e pleura
parietale che tappezza la cavità in cui sono alloggiati i polmoni.
Esempio di organi che si muovono all’interno della cavità perché
si espandono e si retraggono con i cicli di inspirazione e
espirazione, che grazie al siero che bagna le pleure impedisce
che ci sia una frizione in questi movimenti. La pleurite non è
altro che l’infiamazione della pelura.
NB: le sierose e le mucose hanno una componente epiteliale, ma non sono costituite esclusivamente da
epitelio perché c’è anche il connettivo sottostante. NON SONO EPITELI; MA SONO COSTITUITE DA UN
EPITELIO E DA UN CONNETTIVO.
Presenti in tutte le interfacce in cui sia necessario scambiare sostanze (sia che siano gas respiratori, sia che
siano sostanze nutritizie):
mucosa gastrica e intestinale, glomeruli e tubuli renali, alveoli polmonari, endotelio vascolare.
Rivestono internamente il lume della maggior parte degli organi cavi.
I tipi di forma che possono avere le cellule gli abbiamo già citati: pavimentoso, cubico, colonnare e
pseudostratificato.
PAVIMENTOSI (o squamosi): cellule con altezza, se si guardano si profilo, inferiore al diametro della cellula
e generalmente inferiore allo spessore dei nuclei che sembrano sporgere dalla cellula stessa.
Lo si vede bene dall’immagine a destra dell’endotelio cardiaco che mostra come delle montagnole e delle
estremità più piatte e affusolate.
A sinistra vediamo un altro esempio di epitelio semplice squamoso, ma in questo caso lo spessore è
costante perché siamo al livello dell’endotelio corneale (epitelio della cornea posteriore che si affaccia
sull’umor acqueo) e in questo modo non si distorgono i raggi luminosi che attraversano l’epitelio stesso.
Questa caratteristica morfologica è legata alla localizzazione e alla funzione specifica di questo epitelio.
In entrmabi i casi si tratta di epiteli lisci, sulla cui parte apicale non sono presenti microvilli, perché non è un
compito di queste cellule di assorbire.
In questi tipi di cellule gli organuli non hanno una posizione ben precisa come invece accade in altri tipi di
cellulle
CUBICI (o isoprismatici):
Cellule con un’altezza generalmente uguale al diametro.
Cellule tipicamente specializzate nei trasporti (che in molti
assorbono materiali, trasportano e rilasciano)
In questo tipo di epiteli cubici di cui troviamo esempio a
livello del tubulo renale, sia del tubulo contorto prossimale,
sia del tubulo contorto distale, c’è una stratificazione degli
organi molto evidente che possiamo guardare con lo
schema in alto a destra.
L’immagine sotto è di un tubulo contorto distale: cellule con altezza pari al diametro, sprovviste di microvilli
ma con un ciglio primario. Esistono anche patologie nefrologiche legate alla presenza di cigliopatie; se ci
sono dei problemi ai monocigli, siccome i monocigli sono tendenzialmente nel tubulo contorto, ci possono
essere delle malattie a carico dei reni legate a questo dettaglio ultrastrutturale.
Rivestono:
- Apparato riproduttore, in particolare nelle tube di Falloppio e nell’utero
- Apparato respiratorio, in particolare nei piccoli bronchi
- Apparato digerente; in particolare il tratto che va dallo stomaco fino al retto (dove si presentano come
mosaici di cellule)
PSEUDOSTRATIFICATI (o plurifilari):
Le cellule che lo compongono hanno una diversa morfologia. Alcune più basse non raggiungono la
superficie apicale dell’epitelio. Hanno una base larga e poi vanno restringendosi. Altre, definite cellule alte,
hanno una base stretta appoggiata alla lamina basale, ma si allargano salendo e raaggiungono la superficie
libera. Hanno nuclei ad altezze diverse e danno quindi la falsa impressione di essere formate da più strati.
Questo tipo di epitelio si trova tipicamente nelle vie aeree, come ad esempio a
livello della trachea.
Dove oltre ad avere le cellule ciliate, trovo anche delle cellule caliciforme mucipare
che producono muco, spostato dal battito delle ciglia presenti sulle cellule cigliate,
che permette di invischiare e allontanare materiali potenzialmente pericolosi che
non possono raggiungere gli alveoli, e che vengono quindi riportati in alto per
essere deglutiti o espettorati.
Qui si può apprezzare l'aspetto dell’epitelio pseudostratificato cioè il fatto che sia un solo
strato di cellule, ma siccome alcune arrivano fino alla superficie e altre invece no, i loro
nuclei stanno ad altezze diverse dando l’impressione di essere 2 strati diversi di cellule. Si
apprezza un’altra particolarità di questo epitelio pseudostratificato dell’epididimo cioè che
abbiamo nella regione apicale la presenza di stereociglia mentre nello pseudostratificato
delle vie aeree avevamo le ciglia vibratili immobili. Avevamo già conosciuto le stereociglia
nell’orecchio interno dove avevano una funzione sensoriale recettoriale mentre qui hanno
una funzione più simile a quella dei microvilli, quindi con una certa capacità di
riassorbimento e, in una certa misura, pare anche di secrezione.
EPITELI GHIANDOLARI
Quando l’adenomero (ovvero la parte secernente e in colore arancione negli schemi) ha una
forma sferica, quindi le sue cellule secernenti si dispongono a fare una struttura sferica cava
all'interno con un lume ampio, allora parlo di una ghiandola di tipo alveolare perché la forma
ricorda quella di un alveolo polmonare.
Se è sferica ma con un lume molto sottile allora parlerò di una ghiandola di tipo acinoso.
Quando invece il mio adenomero è un tubo, che può essere rettilineo o formare una specie
di glomerulo ed essere quindi ripiegato su se stesso, allora parleremo di una ghiandola
tubulare o tubulo glomerulare. Nelle ghiandole tubulari si fa fatica a distinguere tra la parte
secernente e quella del dotto perché sono comunque lungo tutto questo tubulo.
L'altro criterio riguarda il numero di adenomeri e di dotti escretori. Ghiandole semplici
perché hanno un solo adenomero e un solo dotto escretore.
Seconda fila di ghiandole ramificate, con almeno 2 o più adenomeri I quali confluiscono tutti
in un unico dotto. Ad essere ramificata è la parte secernente.
Tutte le altre sono invece ghiandole composte, cioè ho 2 o più adenomeri, ognuno dei quali
ha il proprio dotto che confluisce in un unico dotto escretore maggiore
Sia nelle ghiandole ramificate che in quelle composte i miei adenomeri possono essere o
tutti uguali tra loro (per esempio tutti adenomeri di tipo alveolare) oppure diversi tra loro
(sia alveolari che tubulari) e quindi posso avere anche combinazioni.
Mettendo insieme questi due criteri (forma Dell adenomero e numero di adenomeri e di
dotti) ho tutte queste possibilità
Le olocrine (olos= tutto) hanno un secreto costituito dalla disintegrazione dell’intera cellula
secernente che quindi accumula/produce il proprio secreto, di solito gocciole lipidiche, ma
quando è il momento non rilascia solo le gocciole lipidiche ma disintegra e rilascia l’intera
cellula secernente che quindi va a costituire essa stessa parte del secreto. Un tipico esempio
sono le ghiandole sebacee, quindi il sebo è un secreto costituito da sostanze lipidiche
(colesterolo e trigliceridi) e detriti cellulari dovuti allo sfaldamento delle cellule ghiandolari. Il
sebo ha il compito di tenere lubrificata la superficie della pelle e degli annessi cutanei. Le
cellule si sfaldano e lasciano la superficie dell’epitelio. Per questa modalità di secrezione la
ghiandola olocrina avrà un epitelio pluristratificato in cui lo strato più profondo è formato da
cellule staminali (cubiche) che continuamente per proliferazione andranno a formare nuove
cellule che devono sostituire quelle che sono state perse durante il processo di secrezione.
Al di sopra dello strato profondo avremmo poi una serie di cellule che diventano via via più
grandi perché si accumulano al loro interno le gocciole lipidiche e in cui si assiste anche ad
una degenerazione di tutti gli organuli che lasciano posto solo alle gocciole lipidiche, così
quando poi è il momento della secrezione la cellula che si libera è praticamente un
contenitore di queste gocciole lipidiche.
Come ultima e meno meno frequente troviamo la modalità di secrezione apocrina che
caratterizza le cosiddette ghiandole apocrine, dove ciò che si perde è la parte apicale delle
cellule secernenti che quindi accumulano le vescicole contenenti il prodotto di secrezione a
livello della regione apicale del citoplasma, che anche in questo caso è spesso di tipo lipidico
e che poi al momento opportuno vengono rilasciate delle porzioni di citoplasma apicale
insieme alle gocce lipidiche. La cellula non viene liberata in toto come nel caso della
secrezione olocrina, ma non rimane nemmeno integra come nel caso di quella merocrina:
viene perduta la parte apicale per cui dopo il processo di secrezione le cellule secernenti
dovranno andare incontro ad una forma di accrescimento con la riformazione della parte
apicale. Esempi: ghiandola mammaria impegnata nell'allattamento, alcune ghiandole
sudoripare apocrine. Le eccrine hanno un sudore molto acquoso e chiaro mentre le apocrine
hanno uno più denso e giallognolo che contiene anche una componente lipidica. Le
ghiandole sudoripare apocrine sono localizzate solo in alcune regioni particolari come nel
cavo ascellare o nella zona genitale e sono di solito annesse al pelo quindi rilasciano il loro
secreto a livello del bulbo pilifero. Non servono tanto per la sudorazione ma vengono
chiamate in causa nei momenti di emozione, di stress, dolore in cui si attivano e rilasciano il
loro secreto.
GHIANDOLE ESOCRINE: NATURA DEL SECRETO
Le merocrine possono essere ulteriormente suddivise sulla base del tipo di secreto che
producono:
● Sierose: producono un liquido chiaro e acquoso ricco di proteine ad attività
enzimatica. Hanno il nucleo in posizione basale, abbondante RER e Golgi e
presentano dei granuli che si colorano molto facilmente e quindi sono visibili nelle
sezioni di microscopia ottica.
○ Esempi: acini pancreatici quindi parte esocrina del pancreas, parotidi e
ghiandole lacrimali
● Mucose: producono un liquido viscoso, più denso e formato da mucine ovvero
polisaccaridi. Le mucine una volta rilasciate all'esterno ed entrate in contatto con un
ambiente acquoso si trasformano nel vero e proprio muco con funzione difensiva
della superficie dell'epitelio stesso su cui sono rilasciate. I granuli di muco tendono a
non colorarsi e quindi appaiono come cellule abbastanza grosse e chiare di aspetto
vacuolare.
○ Esempi: cellule mucipare e ghiandole della cavità orale.
● Miste o siero-mucose: producono un liquido in parte sieroso e in parte mucoso,
quindi avranno sia adenomeri sierosi sia mucosi oppure possono avere insieme degli
adenomeri misti cioè che hanno delle cellule sierose (nella foto quelle più
intensamente colorate) che avvolgono le cellule mucose e formano strutture a forma
di semiluna, chiamate semilune di Giannuzzi.
○ Esempi: ghiandole salivari minori cioè quelle sottomandibolari e sottolinguali.
ghiandole siero-mucose
La natura degli ormoni può essere varia, possono essere dei derivati degli amminoacidi
(ammine, catecolamine), dei peptidi, delle proteine, glicoproteine o possono essere dei lipidi
(steroidi o acidi grassi modificati)
Cosa cambia la natura degli ormoni? Fa sì che le cellule che li secernono abbiano degli
organelli più o meno sviluppati a seconda del tipo di prodotto e cambia anche una volta che
questi ormoni hanno raggiunto la cellula bersaglio. Gli ormoni lipidici riescono a passare da
soli attraverso la membrana plasmatica delle cellule bersaglio e quindi ad andare ad attivare
dei recettori direttamente a livello nucleare, mentre invece altri tipi di ormoni proteici che
non hanno questa possibilità si legheranno ai recettori sulla membrana plasmatica,
attiveranno una serie di reazioni a cascata, la produzione di un secondo messaggero dentro
la cellula che poi modificherà le attività all’interno della stessa.
CLASSIFICAZIONE GHIANDOLE ENDOCRINE
TESSUTO MUSCOLARE
Il tessuto muscolare non deve essere presentato più di tanto, difatti la capacità di questo tessuto è
nota, è una capacità contrattile, ovvero, è in grado di accorciarsi utilizzando energia, l'ATP, che
vedremo provenire da un processo di respirazione oppure da una glicolisi di tipo anaerobica.
Il muscolo striato è quello controllato dalla nostra volontà, quindi dal sistema nervoso centrale.
- sicuramente grazie alla sua inserzione sull'apparato assile (sullo scheletro assile) genera delle leve
utili al movimento, quindi mette in moto il corpo, e mantiene la postura. Basti pensare per esempio
ai muscoli del dorso che ci permettono di essere eretti in piedi.
- permette di contenere e proteggere quelli che sono gli organi interni, immaginate i muscoli della
parete addominale che contengono i visceri all'interno della cavità addominale, proteggendoli.
- inoltre, grazie alla sua organizzazione, si va a disporre in ispessimenti che controllano l'apertura
degli organi cavi, per esempio l'apparato digerente a livello dell'ano, quindi controlla in modo
volontario le feci, oppure a livello degli sfinteri uretrali esterni permettendoci di contenere in modo
volontario l'urina, seppur abbiamo uno stimolo di minzione.
- grazie alla energia liberata nel corso del processo contrattile, agisce nel mantenere la temperatura
corporea grazie al suo movimento, appunto, che genera energia, calore.
Sono delle cellule generalmente che presentano un diametro di circa 10-100 μm, e possono
raggiungere lunghezze anche cospicue, pensate fino ai 20 cm.
Queste cellule appaiono polinucleate, cioè hanno molti nuclei. Il motivo di ciò lo vedremo tra poco
in quanto durante lo sviluppo embrionale, vediamo la fusione di numerosi progenitori cellulari
neoblasti.
Questi nuclei, fate caso nell’immagine sopra, sono posizionati, rispetto al corpo della cellula, in
periferia, adagiandosi sulla membrana plasmatica che in questo caso, prende il nome di
sarcolemma (da plasmalemma con la desinenza “sarco” = muscolo, quindi membrana plasmatica
delle cellule muscolari).
A livello di questa membrana plasmatica, però, vi è una fitta e ricca lamina basale (da ricordare la
lamina basale del tessuto epiteliale) che è ricca di glicosamminoglicani, proteoglicani, ma
soprattutto di glicoproteine, che permette alle cellule di ancorarsi al tessuto connettivo circostante).
Questa cosa è molto importante perché permette al muscolo di trasferire la forza all’osso.
Le fibre muscolari appena descritte, quindi la cellula muscolare, è immersa all'interno di una
impalcatura di tessuto connettivo che appunto la sostiene, e che la connette alle altre cellule
muscolari.
Tutto l’insieme di questi fascicoli poi sono raccolti da una guaina di tessuto connettivale esterno
l'epimisio, un connettivo denso, irregolare, ricco di fibre collagene, quello in grado di sopportare
forze di trazione.
Il tessuto connettivo più intimo invece, cioè l’endomisio, è un tessuto connettivo di tipo lasso dove
vediamo un'abbondanza di matrice extracellulare non fibrillare.
Questo tessuto connettivo permette quindi per sua natura, la diffusione delle sostanze, dei
nutrimenti, dell'ossigeno, difatti, all'interno di questo tessuto connettivo vi scorrono i nervi, i vasi
(quindi sangue ossigenato che ritorna al cuore e che quindi diffonde l'ossigeno usato come
nutrimento dal tessuto muscolare.
Perché è interessante questo tessuto connettivo, e in che modo questo tessuto connettivo
contribuisce al movimento?
Perché le cellule muscolari grazie alle strutture di glicoproteine (quindi delle proteine di membrana
esterne), si ancorano alla compagine di fibre presenti nel connettivo (endomisio).
Come vediamo in questa immagine, quelle in rosso sono le fibre muscolari, tutte belle parallele,
interposte ad endomisio all'esterno e perimisio e l’epomisio.
Tutti quanti questi connettivi, convergono all'estremità libera del muscolo a fondersi in quella
struttura che corrisponde al tendine, cioè un tessuto connettivo denso regolare, perché le fibre sono
tutte disposte in modo bello regolare, ordinato, parallelo, fibroso ricco di collagene.
Queste fibre accorciandosi, perché poi si accorceranno riducendo la loro dimensione, trascineranno
con sé la struttura connettivale circostante, quindi trasferiranno la forza a qui che ci sarà un osso a
cui sono ancorate.
In questo caso noi parliamo di una parola: sincizio di tipo morfologico, sincizio perché si tratta di
cellule fuse, per morfologia perché è una forma di una cellula fusa con molti nuclei.
Questa è una sezione longitudinale di un muscolo, quindi andiamo a
distinguere chiaramente una fibrocellula muscolare (il primo
rettangolo in alto), questa è un’altra fibrocellula muscolare (il secondo
rettangolo, quello in mezzo).
Qui riusciamo a distinguere, evidenziati dal colore verde, i nuclei che
sono disposti in periferia, adesi alla membrana plasmatica, il
sarcolemma.
Il termine anisotropo significa che è in grado di deviare la luce, quindi la luce attraversa il preparato
istologico e nella regione della banda scura viene deviata, pertanto, il tessuto appare scuro.
Mentre nella zona isotropa la luce riesce ad attraversare il tessuto che quindi appare chiaro,
traslucente.
Questi filamenti, spessi e sottili, si organizzano all'interno della cellula muscolare in corrispondenza
delle bande chiare e delle bande scure, in questo modo vediamo dei filamenti spessi sovrapposti
all'altezza della banda A con interdigitati dei filamenti sottili, sia da un lato che dall'altro.
Inoltre i filamenti sottili nelle loro estremità libere, che chiameremo estremità negative, sono legati
con la proteina filamentosa detta filamento Z.
Questa struttura poi ovviamente è ripetuta anche nella banda scura adiacente, e così via.
La banda H, presente al centro della banda scura, si proietta anche nelle zone nude dei filamenti
spessi, che risultano appunto più sottili; al cui centro di queste zone nude c'è una proteina detta
proteina M.
Ora che è stata spiegata l'organizzazione delle miofibrille possiamo parlare dell'elemento coinvolto
nel processo contrattile, cioè il sarcomero.
Il sarcomero corrisponde a ciò che è compreso tra 2 linee Z, questa è l'unità coinvolta durante il
processo di contrazione.
Il meccanismo della contrazione prevede anche l’intervento dei ponti trasversali (in azzurro chiaro)
posti tra i filamenti spessi e quelli sottili.
Grazie a questi ponti trasversali il sarcomero riesce a contrarsi.
La banda chiara (I) risulta dalla semplice sovrapposizione dei soli filamenti sottili, per questo
motivo la luce quando passa appare brillante, perché non trova ostacoli lungo il suo percorso.
Mentre la banda scura (A) risulta scura in quanto la luce quando deve attraversare questa regione
del tessuto fa fatica per via della presenza dei filamenti spessi e un po’ anche di questi sottili.
Detto questo abbiamo detto praticamente il 70% di quello che dovremmo dire del tessuto
muscolare.
Una cosa da notare è che i filamenti spessi, qui rappresentati in violetto, non si muovono,
rimangono fissi, sono quelli sottili che si muovono. Dall’immagine si vede infatti che diminuisce lo
spazio.
A questo punto le due linee Z sono più vicine rispetto alla struttura del sarcomero rilassata (muscolo
rilassato).
FILAMENTI SPESSI:
La miosina di tipo 2, generalmente rappresentata come una
mazza da golf con 2 teste e u1na proteina esamerica, cioè
composta di 6 proteine.
La regione n-terminale della molecola è quella a destra, mentre la regione c-terminale è quella a
sinistra, così per una catena pesante e allo stesso modo per l'altra catena pesante.
Inoltre sulla testa della miosina è presente un sito di legame per l'actina, quindi la testa è in grado di
legarsi alla actina.
Inoltre, sempre sulla testa, è presente un'importante sito di legame per la energia, per l'ATP,
necessaria per effettuare la contrazione.
È una proteina esamerica, quindi sono presenti altre 4 proteine, cioè 2 paia di catene leggere che
vediamo rappresentate, queste collaborano alla funzionalità della molecola di miosina.
Questa è la struttura della miosina di per sé, però all'interno del filamento pesante non vediamo una
singola molecola di miosina, ma questa si polimerizza a formare appunto il filamento spesso, con
circa 200-300 molecole di miosina di tipo 2.
Questo fa sì che le teste riescano a sporgere verso l'esterno, inoltre le miosine sono tutte ruotate
leggermente, a raggiera di 14 nm, e questo permette loro di prendere contatto con gli innumerevoli
filamenti sottili presenti tutti intorno.
FILAMENTI SOTTILI:
Nell'insieme queste 2 molecole (troponina e tropomiosina) sono necessarie per favorire o meno il
processo contrattile.
Questo perché la molecola di tropomiosina non rende accessibile il sito di legame presente
sull’actina per la miosina.
Un elemento molto importante di questo reticolato trasversale è la distrofina, questa fa da ponte tra
la molecola di actina, la membrana plasmatica e, più esterno, i glicosamminoglicani (i GAG), le
glicoproteine, cioè tutte quelle strutture che si ancorano nella cellula alla matrice fibrillare esterna.
Quindi la distrofina è questo ponte tra actina e glicoproteine di membrana, necessario per scaricare
queste forze contratti e preservare la struttura della cellula.
Perché è necessaria?
In biologia per capire la funzione di una struttura basta solo toglierla, inserire la sua mutazione nel
sistema e vedere cosa accade.
Rompiamo la distrofina, che cosa accade?
Le cellule del muscolo, a seguito della contrazione, si danneggiano in modo irreparabile con
conseguente accumulo di materiali cicatriziale, quindi rendendo il muscolo inabile alla contrazione,
come purtroppo avviene nel corso delle distrofie.
Queste sono delle patologie, ne esistono varie; in particolare la distrofia di Duchenne vede una
mutazione in quella proteina, è una malattia genetica ereditaria associata a cromosoma X.
Purtroppo è invalidante e molto grave.
Però, a seguito della ricezione di uno stimolo, che in questo caso è dovuto alla presenza del calcio,
le teste della miosina perdono parte dell'energia e la utilizzano per fare il legame con l'actina; si crea
quello che prende il nome di complesso rigor: testa della miosina legata all’actina.
A questo punto la testa della miosina subisce un'ulteriore modifica conformazionale, si piega
ulterioriormente, sempre legata alla actina, quindi esercita un colpo di forza, e trascina verso il
centro del sarcomero il filamento sottile.
Poi a seguito dell'introduzione di nuovo ATP, di nuova energia, la testa della miosina si libera e
l’ATP viene leggermente idrolizzato in ADP e fosfato, e quindi comincia un nuovo ciclo e così via,
ottenendo una contrazione apprezzabile.
Quindi gli elementi che sono essenziali nel sistema affinché questo ciclo dei ponti trasversali
avvenga sono:
-l’ATP che fornisce l'energia, e l’ATP arriva dal mitocondrio, o dalla glicolisi
- il calcio che scatena la contrazione, necessario affinché avvenga l'interazione tra i filamenti spessi
e sottili che altrimenti non potrebbe avvenire, e si forma il complesso di rigor
Pensate che ad ogni colpo di forza corrisponde uno spostamento di soli 10 nm, una misura
estremamente piccola; perciò come facciamo a sollevare un bilanciere, a fare una spinta?
Perché questo ciclo avviene tante volte, fintanto che c'è calcio nel sistema, e ovviamente energia.
La contrazione del muscolo avviene secondo una legge che si dice “del tutto o del nulla”, cioè o si
contrae tutta la fibra cellula muscolare, o non si contrae per niente, quindi è necessario raggiungere
uno stimolo in grado di rilasciare una certa quantità di ioni calcio affinché si possa contrarre tutta la
fibra.
Ora però noi siamo in grado di generare una certa forza, o meno forza, perché il nervo crea delle
unità motorie, cioè un gruppo di fibre muscolare innervate da un singolo motoneurone.
Un singolo motoneurone può innervare da pochi a molte fibre muscolari, e a seconda del numero di
fibre muscolari che innerva, potranno essere generati movimenti fini, come per esempio quelli che
riusciamo a fare con i muscoli oculari (piccoli scostamenti), o quelli con il muscolo della mano
dovuti dall'innervazione del motoneurone di sole 5-10 fibre muscolari che
tutte all'unisono, quando raggiungono l'impulso, si contraggono. Oppure di
anche 2000 fibre muscolare come nei movimenti più grossolani, per esempio
quelli in cui sono coinvolti i muscoli della postura oppure degli arti.
Da un punto di vista funzionale, inoltre, le cellule muscolari le possiamo distinguere come di 2 tipi:
- fibre veloci bianche
- fibre rosse
Questa distinzione risiede nella differente qualità cellulare.
Le fibre bianche veloci riescono a compiere delle contrazioni rapide però di breve durata, per fare
ciò quindi non necessitano di una grande quantità di energia, però hanno necessità che questa
energia sia disponibile in tempi rapidi.
Nelle fibre bianche veloci non avviene in ciclo di Krebs, non avviene la classica ossidazione che
utilizza l'ossigeno, ma avvieni una glicolisi di tipo anaerobica che riesce rapidamente, seppur in
piccola quantità a generare energia.
Infatti in queste cellule sono presenti pochi mitocondri, e l'attività di legame actina-miosina è rapida
e veloce e la contrazione avviene subito, però non riesce a sostenersi nel tempo.
Le fibre rosse sono delle fibre che effettuano la contrazione più lenta ma riesce a resistere per un
certo tempo, quindi sono fibre a che hanno a disposizione grandi quantità di ATP prodotto appunto
grazie al processo della respirazione che avviene all'interno del mitocondrio, quindi del famoso
ciclo di Krebs che sfrutta l'ossigeno.
Pertanto l’ossigeno dovrà provenire dal sangue, e può essere ottenuto grazie alla mioglobina, quella
analogo della emoglobina.
La mioglobina si satura immediatamente con l'ossigeno, quindi attrae l'ossigeno dall’emoglobina e
lo tira dentro alla cellula.
Alcuni tessuti mantengono all'interno di loro stessi la potenzialità di autorigenerarsi, tra questi nel
tessuto muscolare scheletrico vi è la presenza di cellule satelliti.
Queste cellule satelliti (rappresentate in verde) si interpongono tra la membrana plasmatica e ciò
che c'è all'esterno, quindi la membrana basale.
Anche esso è striato però non riusciamo a regolare la sua contrazione, semmai c'è una componente
involontaria che ne regola magari il ritmo, ma tessuto muscolare cardiaco sappiamo che è
caratterizzato dalla capacità di contrarsi in modo autonomo.
Queste cellule, dette anche fibre muscolari, al contrario delle precedenti sono
cellule che presentano un singolo nucleo, talvolta 2, particolarmente evidenti, e
sono ben più piccole: 15-80 micron.
Presentano le:
- solite striature trasversali, tant'è che rientrano nel gruppo del muscolo striato
- le stesse miofibrille, filamenti spessi e sottili,
- la stessa organizzazione
- la contrazione avviene per il medesimo processo
È tutto identico.
Nelle terminazioni sono presenti però delle zone più scure, queste sono delle zone di congiunzione
tra una cellula e l'altra, e tale zona prende il nome di dischi intercalari o strie scalariformi.
Già citate quando abbiamo parlato delle specializzazioni laterali della membrana.
Tali dischi sono molto importanti perché determinano quella che è la funzionalità del muscolo
cardiaco, i dischi intercalari appaiono come delle protrusioni della cellula che si interdigitano con la
cellula adiacente.
Quindi a livello di questi dischi intercalari la zona di contatto tra le due cellule è ripiegata, come dei
monti e delle valli che si ripiegano sul loro stesse.
Questo già ci fa capire che c'è necessità di aumentare la superficie di contatto tra le due strutture
cellulari, difatti noi deposti lungo il decorso trasversale di queste strutture, riveniamo numerosi
desmosomi e giunzioni aderenti o ancoranti, entrambi sono specializzazioni di membrana che
assicurano alle cellule che sono in contatto di resistere ad una forza di trazione.
Inoltre sono presenti numerose giunzioni comunicanti, cioè quelle proteine canale vede che
permettono il libero passaggio degli ioni e quindi della corrente, quindi mettono in comunicazione
elettrica le due cellule adiacenti.
Nell'insieme, grazie alla presenza dei desmosomi e delle giunzioni comunicanti, nel tessuto nel
tessuto muscolare parliamo di un sincizio funzionale anziché morfologico, cioè è come se tutto il
tessuto muscolare fosse un'unica grande cellula che si contrae all'unisono.
Nel miocardio specifico esistono delle cellule che ciclicamente depolarizzano la loro membrana,
creano il pacemaker (il nodo senoatriale).
Sono delle cellule contapassi che generano gli impulsi necessari per la contrazione consequenziale e
ciclica del cuore, questo impulso è trasmesso grazie alla ramificazione del tessuto di conduzione
(che non spiegheremo).
È distribuito generalmente:
- nell'apparato digerente
- nelle vie respiratorie
- le vie urinarie e genitali
- nei vasi
- dotti escretori
Una particolarità di questo tessuto, oltre al fatto che riesce a contrarsi, è che la contrazione riesce a
sostenersi nel tempo, può rimanere contratto per tanto tempo.
Una volta che è stata indotta la contrazione la cellula muscolare rimane contratta senza dispendio di
energia, quindi serve solo energia per farla contrarre all'inizio.
Distinguiamo vari tipi di tessuto: nel lume l'epitelio, poi abbiamo una tonaca
sottomucosa di connettivo, le cellule muscolari lisce in questo caso vanno a
formare delle tonache, quindi immaginiamo questo organo cavo come
composto da più guaine e tra queste guaine una è la tonaca muscolare dove le
fibre muscolari si dispongono con decorso longitudinale o trasversale.
Le cellule ovviamente saranno lunghe, per accumulare energia potenziale contrattile, sono cellule
generalmente fusiformi, abbastanza piccole (100 μm), ma che riescono a raggiungere circa il
mezzo centimetro di lunghezza, come per esempio nell'utero gravido nel corso della gravidanza.
Le terminazioni nervose del sistema nervoso autonomo, seppur presenti in piccola quantità
all'interno di questa organizzazione, vanno a regolare solamente la velocità e la forza della
contrazione, ma non inducono contrazione del tessuto.
Difatti l'attività che esercita per esempio nell'apparato digerente, negli ureteri, nell'utero, nella
vescica, sono attività di contrazione ritmica (moti peristaltici, quelli che favoriscono il movimento
dei contenuti dell'apparato digerente).
Nella muscolatura liscia multi-unitaria le fibre nervose provenienti dal sistema nervoso autonomo
contattano ogni singola cellula, quindi regolano in modo molto fine la contrazione del tessuto.
Tant'è che questo tipo di muscolatura si rinviene per esempio nei muscoli dell'iride che determinano
l'apertura o meno dell’occhio, quindi regolano l'accesso di luce all'interno dell'occhio, nei muscoli
ciliari, nei muscoli rettori del pelo, o nell'arteria.
Quindi il calcio è sempre una cosa centrale che è necessaria affinché il ciclo dei ponti trasversali
possa avvenire.
Lezione 13 - 21/11/2022
I TESSUTI CONNETTIVI
I tessuti connettivi sono molto rappresentati negli organismi, nel corpo, sono molto abbondanti, sono
sicuramente i tessuti tra le quattro tipologie (epiteliale, connettivo, muscolare e nervoso) più abbondanti e
anche più ampiamente distribuiti e diffusi nell’organismo e sono anche piuttosto variegati fra di loro.
Vi ricordo che, all’interno dei connettivi abbiamo il sangue, abbiamo il tessuto osseo, abbiamo il derma,
quindi tessuti che apparentemente sono molto diversi fra loro. Quindi sono sì variegati fra loro, ma ci sarà
pure qualche comune denominatore tale per cui sono tutti classificati come tessuti connettivi. Questi due
tratti comuni sono la derivazione embrionale, cioè i tessuti connettivi, non proprio tutti, ma la maggior
parte, derivano dal mesoderma che è il foglietto embrionale intermedio, quello che si colloca fra
l’ectoderma, più esterno e l’endoderma più interno a livello della gastrula. Dal mesoderma si origina un
tessuto che è il mesenchima che è un tessuto connettivo embrionale dalla cui proliferazione si originano
delle cellule che, nel corso dello sviluppo, vanno a collocarsi nelle diverse sedi e qui maturano e si
differenziano nei vari componenti cellulari dei tessuti connettivali; c’è quindi questa origine dalle cellule
mesenchimali.
L’altro tratto comune è la organizzazione strutturale. Cosa prevede l’organizzazione strutturale di tutti i
tessuti connettivi? Prevede che ci siano delle cellule e che queste cellule siano separate, immerse in una
abbondante matrice extracellulare, la così detta MEC o ECM. Queste due cose sono per noi una novità.
Pensiamo agli epiteli che abbiamo già studiato come primi tessuti, negli epiteli, ma come in realtà anche nei
muscolari e nel tessuto nervoso che avremo modo di fare più avanti, le cellule non sono distanziate uno
dall’altro, negli epiteli sono proprio attaccate una all’altra con un fior di giunzioni e danno delle vere e
proprie lamine cellulari continue. Sono vicine e adese anche nei tessuti muscolari, nei tessuti nervosi
formano non proprio delle lamine ma degli aggregati cellulari, quindi questa caratteristica di cellule
distanziate tra loro è una peculiarità che vediamo per la prima volta nei tessuti connettivi e l’altra cosa che
non avevamo ancora visto è la presenza di una MEC abbondante perché negli altro tipi la Mec era scarsa o
quasi assente, invece qui non solo c’è, ma è anche fondamentale con le sue caratteristiche chimico fisiche
nel dare le peculiarità di ogni tipo di tessuto connettivo. Cioè, ciò che contraddistingue ogni tessuto
connettivo rispetto agli altri è proprio la composizione, l’organizzazione morfologica della sua matrice
extracellulare per cui abbiamo una matrice fluida nel sangue, per esempio, una matrice mineralizzata
nell’osso sempre per parlare dei due estremi più diversi. Quindi è importante che noi capiamo bene com’è
fatta la MEC perché è proprio dalle sue caratteristiche che dipendono tutte la maggior parte delle
caratteristiche del tessuto connettivo.
Questa matrice extracellulare così importante da che cosa è formata? È costituita da due componenti
diverse che sono la componente fibrillare, cioè delle fibrille formate da proteine che si associano a dare
queste strutture e una sostanza fondamentale detta anche sostanza amorfa. Quindi tre sono gli ingredienti
e i protagonisti di un tessuto connettivo, le cellule, la componente fibrillare (le fibre) e la sostanza amorfa,
di cui le ultime nell’insieme costituiscono la MEC, ovvero la matrice che sta al di fuori delle cellule. Chi è che
fa questa matrice extracellulare? Si incaricano della sua produzione e secrezione nell’ambiente
extracellulare le cellule dei connettivi che hanno questo compito, non solo di farle in origine ma anche di
tenerla rinnovata con un processo di secrezione abbastanza continuo che va avanti un po’ tutta la vita ma
che, come un po’ tutte le altre cose, rallenta col passare degli anni e anche questo contribuisce al fenomeno
dell’invecchiamento e della senescenza dei tessuti, in particolare dei tessuti connettivi.
Andiamo alla terza spunta dove troviamo un’altra caratteristica peculiare e che non avevamo visto nei
tessuti epiteliali cioè i tessuti connettivi tipicamente ospitano, quindi contengono, fibre nervose, nervi e
vasi, sia sanguigni che linfatici e questa è una novità perché la vascolarizzazione non c’era assolutamente
negli epiteli. Il fatto che i connettivi siano vascolarizzati, questo vale quasi per tutti i connettivi anche se
vedremo c’è qualche eccezione perché la cartilagine non è vascolarizzata, tendini e legamenti poco niente,
comunque in linea generale sono ben vascolarizzati. Questo ci richiama a una delle funzioni importanti dei
tessuti connettivi ovvero di rifornire di ossigeno, di sostanze nutritizie, di metaboliti vari altri tessuti con cui
siano in contatto e associati in primis gli epiteli che, non avendo vascolarizzazione, dipendono da questa
attività dei connettivi, ma anche di allontanare da quei tessuti a cui sono associati le sostanze di rifiuto in
primis l’anidride carbonica, ma non solo.
Veniamo alle funzioni. Come sempre noi ricordiamo il nostro abbinamento morfologia funzione. Se io ho
una grande varietà morfologica di tessuti connettivi, cioè ho tanti diversi tipi di tessuti connettivi, vorrà dire
che avrò anche tante diverse funzioni che saranno svolte in particolare da un tipo di connettivo piuttosto
che da un altro. Quindi questo elenco di funzioni è lungo ed è variegato proprio perché alcune di queste
funzioni sono svolte in particolare solo da uno o da alcuni tipi di tessuto connettivo che si è specializzato in
quella funzione. Quindi qui le elenchiamo un po’ tutte, ma poi dopo andremo a vedere man mano che
scorriamo i vari tessuti connettivi in quali quel tessuto connettivo è forte, cioè per che cosa è progettato.
L’etimologia della parola tessuti connettivi connettono, questo è fondamentale per capire i tessuti
connettivi, la loro funzione base , la loro caratteristica è proprio quella di connettere, di interporsi fra altri
tessuti che costituiscono un organo, ma anche di interporsi, di frapporsi, quindi mettere un po’ in
comunicazione organi diversi fra loro proprio perché hanno questo compito di riempimento non casuale
ovviamente, ma con specifiche funzioni, sono molto diffusi quindi praticamente in tutti gli organi e apparati,
noi troveremo una rappresentanza dei tessuti connettivi che a volte sono preponderanti anche.
Quali sono le possibili funzioni? Questi tessuti connettivi che si associano, circondano, delimitano altri
tessuti, lo fanno con quale scopo? Lo possono fare con uno scopo di sostegno, quindi di sostegno anche
meccanico, molto evidente in alcuni tipi di tessuti connettivi come per esempio quello osseo e cartilagineo,
connessione tra i diversi tipi di tessuto, che non è solo una connessione fine a sé stessa, può essere una
connessione per poterli nutrire, per poterli proteggere e per potere permettere anche che ci sia una forma
di scorrimento di parti anatomiche che devono poter avere un certo grado di libertà l’una rispetto all’altra,
pensiamo soprattutto a livello delle articolazioni. Hanno una funzione importante trofica, tanto è vero che
nel complesso i tessuti connettivi vengono indicati come tessuti trofomeccanici per la funzione meccanica e
la funzione trofica, nel senso che tramite la vascolarizzazione, che è propria dei tessuti connettivi, c’è la
possibilità di diffondere molecole e anche cellule che hanno la possibilità di muoversi all’interno del tessuto
connettivo e raggiungere magari altri tessuti o venire da altri tessuti. Alcuni tessuti connettivi anche poi
anche un ruolo importante di isolamento meccanico o di isolamento termico. Di isolamento meccanico
quindi di proteggere magari degli organi o delle porzioni del corpo che sono delicate e che quindi devono
essere in un certo qual modo tutelate da possibili incidenti anche meccanici. In questo senso pensiamo
anche che molte porzioni ossee racchiudono degli organi fondamentali che vengono in questo modo
protetti; e anche di isolamento termico e questo lo fa in particolare il tessuto adiposo che fa una specie di
guaina di coibentazione che ci aiuta a mantenere la temperatura corporea, a non dispendere il calore, cosa
che per noi mammiferi, ma anche gli uccelli, che siamo omeotermi, necessitiamo perché dobbiamo
mantenere la nostra temperatura entro un determinato range anche se al di fuori la temperatura è molto
diversa. Inoltre nei tessuti connettivi ci sono diverse cellule che hanno scopo di difesa e quindi attraverso i
tessuti connettivi c’è anche un importante contributo ai meccanismi di difesa dell’organismo.
Partiamo dalla sostanza fondamentale quindi da una delle due componenti extraxcellulare che viene
chiamata MEC, ovvero sostanza fondamentale o sostanza amorfa. La sostanza fondamentale è il mezzo in
cui si trovano immerse sia le birbe della Mec, sia la componente cellulare e la consistenza può essere molto
varia, andare dall’essere fluida completamente o semi fluida, fino ad essere anche una colloide piuttosto
viscosa. Quindi più compatta, più gelatinosa. La sostanza fondamentale se la osservo in una sezione
istologica in realtà non vedo nulla. Siccome nei procedimenti per ottenere le sezioni istologiche vengono
estratti, quindi eliminati, tolti, gli elementi che la costituiscono, nella sezione dove ci sarebbe la sostanza
amorfa io non vedo niente, vedo dei buchi, delle zone bianche, quindi non riconosco nessuna struttura,
nessuna forma particolare ecco perché si chiama anche sostanza amorfa, cioè senza una forma perché non
si riconosce nessuna struttura a differenza di quanto vedremo per le fibre che invece hanno una loro
struttura specifica e ben diversa a seconda del tipo di fibra. Da che cosa è costituita questa sostanza
amorfa? È u insieme di complessi molecolari piuttosto grandi quindi macromolecolari che hanno la
caratteristica di essere facilmente idratabili quindi di legare molecole di acqua in quantità più o meno
maggiori e quindi che risultano anche per questo viscosi. È proprio questa idratabilià e viscosità che
conferisce una certa resistenza nel complesso alla matrice e nel complesso al tessuto connettivo e la parte
amorfa della MEC è quella che mi garantisce la resistenza alla compressione quindi ecco in che modo io ho
un aiuto un sostegno un supporto meccanico, contrasto la compressione cui i t4essuti possono essere
sottoposti e questo lo faccio grazie alla sostanza amorfa.
Vediamo bene i componenti principali: abbiamo quindi acqua e vari soluti Sali inorganici o proteine solubili
che possono essere dentro all’acqua e di acqua abbiamo detto ce n’è tanta proprio perché le
macromolecole di cui è costituita la sostanza amorfa tendono a legarsi all’acqua, ad attirare l’acqua. Poi
abbiamo i glicosamminoglicani (GAG), i proteoglicani, le glicoproteine e le proteine.
I proteoglicani sono delle molecole coniugate con due componenti, proteica e glucidica e si capisce qual è la
parte preponderante da come è strutturata la parola. Questi si chiamano proteoglicani, sono dei glicani
fondamentalmente, con attaccate anche delle proteine, quindi la parte preponderante è quella glucidica
che infatti nei proteoglicani rappresenta l’80-90% di tutta la molecola. Com’è fatto un proteoglicano? Lo
vediamo bene qui nella figura A, abbiamo un asse o core per indicare la parte centrale proteica al quale si
uniscono con dei legami lateralmente i glicosamminoglicani (GAG) che sono degli eteropolisaccaridi. Questo
core centrale, che è comunque una minima parte della molecola del proteoglicano, perché la maggior parte
è costituita da queste catene laterali di glicosamminoglicani. I proteoglicani sono delle molecole piuttosto
grosse, voluminose, il cui peso molecolare varia da 50000 Da fino a qualche milione di Dalton. In che
rapporti sono i proteoglicani fra loro? Nella sostanza amorfa ci sono diversi proteoglicani che interagiscono
fra di loro attraverso dei legami soprattutto di tipo elettrostatico per cui, in virtù di questo, si formano delle
trame, dei gel con delle maglie che sono più o meno strette: più strette se ci sono tanti e più forti di questi
legami elettrostatici, più larghe se ce ne sono di meno e in base a quanto sono strette o larghe le maglie, la
mia sostanza amorfa sarà più o meno permeabile e con una diffusibilità maggiore o minore, quindi sarà più
facile o meno attraversarla, muoversi all’interno di essa. C’è un caso nel tessuto cartilagineo, cioè nella
cartilagine, in cui i miei proteoglicani sono legati, uniti, tramite legami forti covalenti ad un asse centrale di
acido ialuronico e quindi in questo caso si forma un colosso molecolare ancora più grande che è costituito
da acido ialuronico a cui sono collegati, sono uniti tante molecole di proteoglicani e questo prende il nome
di aggregano che incontreremo nel tessuto cartilagineo. Quindi per capire le proprietà dei proteoglicani noi
dobbiamo capire quali sono le caratteristiche dei glicosamminoglicani che sono la componente principale
dei proteoglicani.
I GAG sono dei eteropolisaccaridi i cui amminozuccheri possono essere glicosilati acetilati, sterificati o meno
all’acido solforico e questo fatto li distingue in due grandi gruppi: i glicosamminoglicani non solforati quindi
che non sono legati all’acido solforico e invece i glicosamminoglicani solforati che sono legati all’acido
solforico. I glicosamminoglicani sono molto ricchi di cariche negative e sono molto idrofili. Quindi amano
l’acqua e si legano all’acqua molto facilmente, si legano a tante molecole di acqua e proprio perché loro
sono ricchi di cariche negative hanno anche affinità e si legano con cationi, ovvero molecole cariche
positivamente come il sodio. Proprio questa elevata idrofilia dei GAG e il loro amore per i cationi
contribuiscono a dare il turgore tissutale dei tessuti connettivi. Più GAG ci sono più le nostre varie parti sono
più turgide, compatte, sode, quando invece con l’età cala il rinnovo di queste parti c’è la discesa. Molte
creme, infatti, sono alla base dei componenti dei tessuti connettivi. Tra i GAG non solforati ne ricordiamo
due l’acido ialuronico, che è il GAG più diffuso con una distribuzione ubiquitaria ed è molto affine all’acqua
ed è il principale regolatore del livello di idratazione della sostanza amorfa e quindi dei tessuti connettivi.
L’acido ialuronico ha anche un’altra caratteristica che lo differenzia rispetto a tutti gli atri GAG, è l’unico GAG
che si trova libero nella sostanza amorfa, cioè non associato necessariamente a delle parti proteiche, invece,
tutti gli altri GAG sono sempre legati a proteine a dare i proteoglicani, quindi l’acido ialuronico è l’unico che
gioca per conto suo. Altro GAG non solforato è l’acido condroittinico che, a differenza dell’acido ialuronico
che è onnipresente nei tessuti connettivi è invece piuttosto ristretto come distribuzione, lo troviamo in
particolare abbondante a livello della cornea. Poi abbiamo invece i GAG solforati tra i quali ricordiamo
controitin solfati, A B e C che si differenziano per la posizione in cui è legato il gruppo solfato. In
particolare, il condroitin solvato B viene anche chiamato dermatan solfato e questa cosa richiama il fatto
che è molto presente a livello del derma. Poi abbiamo il cheratan solfato, l’eparin solfato e l’eparina, questi
sono i principali glicosamminoglicani che si legano ad un core proteico a dare i vari proteoglicani.
I GAG e i proteoglicani sono i principali responsabili del livello di idratazione dei tessuti connettivi, della
lubrificazione, della consistenza del tessuto connettivo ma non solo sono anche capaci di legare cationi,
regolare diversi processi biologici delle cellule che stanno nei tessuti connettivi quindi ad avere influenza
sulla proliferazione cellulare sulla migrazione delle cellule, sono dei serbatoi perché si legano hanno affinità
per i fattori di cresciuta. Quindi i GAG non hanno solo un ruolo strutturale, ma intervengono in molti
processi che riguardano le cellule.
Le glicoproteine, quantitativamente parlando, sono molto meno e più piccole dei proteoglicani, ma hanno
un ruolo molto importante perché sono in grado di mediare, di legare, sia altri elementi della matrice
extracellulare, sia le cellule che sono nei connettivi quindi hanno questo ruolo di mediatori molto
importanti. Il nome glicoproteine ci ricorda che, a differenza dei proteoglicani, qui è la componente proteica
quella prevalente, variabile tra il 60-90%, mentre la restante parte è costituita da glucidi. La maggior parte
delle glicoproteine che troviamo nella sostanza amorfa è prodotta dalle cellule che risiedono nei connettivi,
ma una piccola parte può anche essere prodotta altrove e provenire dal plasma. Ce ne sono tante di
glicoproteine, poniamo attenzione su almeno tre: la fibronectina, si tratta di una glicoproteina dimerica,
vediamo essere composta da due catene polipeptidiche che sono unite fra di loro attraverso dei ponti
disolfuro che si trovano in prossimità della parte carbossi -terminale. Di entrambi i peptidi solo la
fibronectina è una proteina che è fatta a moduli, presenta tutta una serie di domini e ciascuno di questi è in
grado specificatamente di legare alcuni componenti sia della MEC quindi di interagire con altri elementi
della sostanza amorfa con alcuni specifici glicosamminoglicani o con la componente fibrillare, per esempio
con il collagene ma anche con delle proteine presenti nelle membrane delle cellule connettivale, proteine
che sono le integrine, quindi sono un mediatore tra la matrice extracellulare e le cellule. Poi abbiamo la
laminina che abbiamo già un po’ conosciuto che è tipicamente presente, costituente delle lamine basali che
abbiamo conosciuto quando abbiamo visto la zona di confine tra l’epitelio e il connettivo perché li si colloca
la membrana basale formata da lamina basale e il sottostante strato reticolare. La laminina è costituita da
tre diverse catene che si intrecciano con questa particolare forma a croce e nuovamente abbiamo dei siti di
legame che permettono il contatto sia con il collagene di tipo quattro, che ritroviamo a livello lamine basali,
ma anche siti di legame specifici per componenti delle cellule. Poi la condronectina che, con questo prefisso
condro, ci fa subito capire che è qualcosa che riguarda il tessuto cartilagineo perché condro è il prefisso che
riguarda la cartilagine che infatti troviamo a legare le cellule del tessuto cartilagineo con il collagene
presente nella matrice del tessuto cartilagineo che è il particolare il collagene di tipo 2.
Esaurita la sostanza amorfa passiamo all’altra componente della MEC cioè la componente fibre costituita da
una serie di macromolecole proteiche a volte in parte glicosilate filamentose che si riuniscono a dare delle
fibrille, che a loro volta si aggregano a dare delle fibre, che a volte queste fibre si uniscono ulteriormente a
dare dei fasci di fibre, quindi c’è una gerarchia di aggregazione che mi porta a delle strutture sempre più
consistenti. Queste fibre che io posso trovare nella MEC hanno delle caratteristiche chimico fisiche diverse
che conferiranno diverse caratteristiche ai tessuti connettivi quindi è molto importante capire quali tipi di
fibre prevalgono in un tessuto connettivo per scoprire e apprezzare quali sono le funzionalità di quel tessuto
connettivo. Le fibre mi danno resistenza alla trazione, quindi con i due costituenti della MEC ho garanzia di
resistere a tutte le forze meccaniche a cui possono essere soggetti i tessuti: la compressione per resistere
alla quale ho la sostanza amorfa, la trazione quindi lo stiramento per la quale mi viene in aiuto la
componente fibrillare. Queste componenti fibrillari hanno delle strutture specifiche che posso visualizzare al
microscopio utilizzando delle opportune colorazioni istologiche che mi mettono in evidenza un tipo o l’altro
di fibre e quindi mi permette anche di capire qual è la composizione di quella MEC. Ci sono tre tipi di fibre
che posso trovare: le fibre collagene, le fibre reticolari e le fibre elastiche. Sia le fibre collagene che le fibre
reticolari sono composte da una proteina che è il collagene solo che sono composte da tipi di collagene
diverse che si associano in modi diversi per cui i due tipi di fibre avranno delle caratteristiche distinte,
diverso l’una dall’altra e anche delle caratteristiche di colorabilità nelle sezioni istologiche diverse. Le fibre
elastiche invece sono fatte da tutt’altre proteine che sono la elastina e la fibrillina.
Di ciascun tipo di fibre bisogna sapere di cosa sono composte, com’è la loro organizzazione strutturale, le
caratteristiche e le proprietà che danno al tessuto e dove le trovo maggior mente rappresentate cioè in
quali tessuti e in quali organi, in quali distretti corporei.
Il collagene è una delle proteine più rappresentate, più abbondanti nelle cellule, nei tessuti dei vertebrati
superiori. Solo il collagene rappresenta dal 25 al 30% di tutte le proteine di cui siamo composti. Parliamo di
collagene, ma sarebbe più appropriato parlare di collagene al plurale perché racchiudo una famiglia e tante
diverse proteine che hanno tutte una base comune, un’organizzazione comune, per cui le chiamiamo tutte
collagene, ma che si differenziano allo stesso tempo l’una dall’altra. Sono stati attualmente identificati 28
tipi di collagene ma probabilmente ne stanno emergendo degli altri che vengono numerati con i numeri
romani dal tipo 1 fino al numero 28 e che ritroviamo in tabelle, c’è una tabella in entrambi i libri. Non
bisogna ricordare tutti e 28 i tipi, però ne citeremo alcuni e almeno quelli che citiamo bisogna ricordarli.
Cosa differenzia un tipo dall’altro di collagene? La composizione chimica, quindi quali amminoacidi entrano
a determinare la sequenza delle catene polipeptidiche di cui sono fatti, la presenza più o meno spiccata di
catene oligosaccaridiche che siano attaccate alle catene polipeptidiche, ma anche come queste catene si
associno fra loro in base alla loro organizzazione sovra molecolare, come si associano, se si associano a dare
delle fibrille, degli intrecci, piuttosto che altre forme, ma anche si differenziano in base alla loro
localizzazione quindi in quali tessuti e organi li trovo in particolare, dove sono distribuiti, in base alla loro
funzione specifica e in base alle patologie che possono essere dipendenti alle problematiche legate a quel
tipo particolare di collagene, perché esistono diverse patologie dove c’è una mala sintesi del collagene.
Cos’è che accomuna tutte queste famiglie di collageni? È che hanno almeno un dominio a tripla elica cioè
una parte che è costituita da tre polipeptidi che si uniscono, si avvolgono come un’elica, si intrecciano e in
cui ritrovo la ripetizione di alcuni amminoacidi in particolare la glicina che si trova ogni tre amminoacidi e
sono frequenti la prolina e la idrossiprolina ed è proprio la presenza ogni tre amminoacidi della glicina che
mi garantisce la possibilità di super avvolgimento ad elica delle tre catene, quindi è molto importante che la
glicina ci sia e sia ripetuta con regolarità. I tre tipi di collagene più abbondanti nei tessuti connettivi quindi
nell’organismo sono il tipo 1 il tipo 2 e il 3 che sono tutti dei collageni di tipo fibrillare, che si organizzano in
fibrille e danno dei fasci, ma non tutti i collageni sono fibrillari che si organizzano in fibrille, accanto a questi
più classici e noti, che danno le fibre collagene, abbiamo anche collageni non fibrillari. Per esempio, quelli
con tripla elica interrotta che si associano a collageni fibrillari, quelli come quelli di tipo 4 che formano delle
specie di reti, e tra questi c’è anche il collagene di tipo 4 come componente importante delle lamine basali,
ce ne sono altri che fanno delle strutture esagonali, altri che fanno filamenti a collana di perle, altri che
costituiscono delle fibrille di ancoraggio per l’interazione con altri tipi di fibre, con collagene di tipo
fibrillare. Quello che vediamo a sinistra è il più classico, un collagene fibrillare che si associa a dare delle
fibre, dei fasci di fibre, sono molto lunghi e decorrono a volte dritti a volte più ondulati. Quindi quando
parliamo di fibre collagene nella MEC ci riferiamo a delle strutture fibrillari che sono composte
fondamentalmente di collagene di tipo 1 che sono quelle più diffuse, più rappresentate.
Il collagene di tipo 1 è il solo quasi presente nel tessuto osseo, il più rappresentato nei tendini nel derma,
ma come anche in vari connettivi, quindi è grande protagonista. Che caratteristiche hanno le fibre
collagene? Sono molto resistenti alla trazione per la loro conformazione in fibrille, sopportano la trazione
parallelamente alla loro lunghezza ma a fronte di questa grande resistenza sono anche inestensibili, non
sono granché elastiche, quasi per niente. Vediamo molto bene il loro andamento a volte ondulato a volte
rettilineo, nelle immagini al SEM vediamo che presentano una particolare bandeggiatura dovuta al fatto che
c’è un’alternanza di bande più chiare e bande più scure e questa alternanza hanno una larghezza e si
ripetono con una periodicità fissa di 64 nanometri. Da cosa dipende questa presenza di bande chiare e
scure? Dipende da come sono sistemate fra loro le molecole di collagene nel dare la fibrilla e poi quando le
fibrille si uniscono insieme nel dare le fibre. Ogni molecola di collagene si allinea con un’altra testa coda. Ma
tra l’una e l’latra rimane uno spazio vuoto, sono sfalsate per almeno un quarto della loro lunghezza. In
queste zone chiamate zone GAP dove manca, dove c’è il buco tra una molecola di collagene e quella
successiva, con i trattamenti per l’osservazione al microscopio elettronico con dei metalli, Sali pesanti,
diventano punti in cui i Sali si accumulano e la vediamo come banda più scura rispetto alle zone dove i sono
solo molecole non c’è un punto senza molecole in cui i metalli si depositano molto meno e appaiono come
bande chiare. Questo per dire che c’è una disposizione molto regolare, precisa, ordinata e ripetuta.
Come si formano le fibre collagene? Stanno poi fuori dalle cellule, ma la loro sintesi inizia e alcune delle fasi
che portano alla loro formazione hanno luogo all’interno delle cellule del connettivo, di quasi tutte le cellule
residenti ma in particolare soprattutto fibroblasti, condroblasti, osteoblasti e odontoblasti sono quelli più
forti nella produzione delle fibre collagene. Quindi per capire come vengono a formarsi dobbiamo prendere
in considerazione una serie di tappe di eventi, alcuni dei quali vengono dentro alla cellula, in ambiente
intracellulare (dall’1 al 5) e una parte che avviene al di fuori della cellula in ambiente extracellulare. Quindi
avrò la mia a livello del nucleo la mia trascrizione dei geni che codificano per le catene del collagene, la
maturazione degli mRNA e poi si va a livello del reticolo endoplasmatico rugoso (ovvio che sia lì la sintesi
perché il collagene poi verrà secreto, quindi come tutte le proteine che hanno una destinazione
extracellulare vengono fatte a livello dei ribosomi associati al reticolo). Quindi nel RER abbiamo la sintesi
delle catene alfa che servono per costituire il collagene oltre a questo sempre nel RER abbiamo la
idrossilazione di alcuni residui amminoacidici, in particolare vengono idrossilate la lisina e la prolina e
questo processo è dipendente dalla presenza di vitamina C. Poi sempre nel RER avviene la glicosilazione ,
l’aggiunta di porzioni saccaridiche ad alcuni residui della catena e poi abbiamo l’assemblaggio di pro
collagene a tripla elica, quindi tre catene che possono essere uguali fra di loro o diverse, se sono uguali
avremo un omotrimero, se sono diverse avrò degli eterotrimeri che si avvolgono a dare la tripla elica quindi
otteniamo il pro collagene , il “pro” davanti indica che non è ancora la versione definitiva servono dei
rimaneggiamenti.
Dal reticolo endoplasmatico rugoso la palla passa al Golgi dove le molecole di pro collagene vengo o
impacchettate e racchiuse all’interno di vescicole e poi dal Golgi trans queste vescicole contenente il pro
collagene vengono avviate verso la membrana plasmatica e secrete, esocitate, all’esterno nella matrice
extracellulare dove il pro collagene viene trasformato in tropocollagene attraverso la eliminazione di alcune
parti delle catene ad opera di peptidasi, quindi di enzimi che tagliano i peptidi, una volta ottenuto il
tropocollagene le varie molecole di tropocollagene sono libere di aggregarsi in microfibrille con un diametro
nell’ordine dei nanometri tra i 20 fino ai 200, le microfibrille si aggregano fra loro a dare delle fibrille in cui
c’è un aumento del diametro per poi dare le fibre collagene che hanno un diametro variabile tra 1 e 12
micron, e poi queste fibre si possono associare oppure no a dare dei fasci di fibre. Questi ultimi eventi, la
conversione da pro collagene a tropocollagene e l’aggregazione a dare microfibrille, fibrille e fibre, avviene
tutto fuori dalla cellula ed è ovvio che sia così perché non ci sarebbe lo spazio sufficiente dentro alla cellula
per fare questo. Come mai ci sono così tante varietà di collageni in parte dipende da dei processi che
avvengono lungo queste tappe. Ci sono tanti diversi geni che codificano per i collageni, sono almeno 45, poi
dalla trascrizione di questi geni ottengo degli mRNA che possono subire degli splicing alternativi, quindi
delle maturazioni diverse da ciascuno di questi avere delle varianti diverse di collagene e ancora posso
ottenere collageni diversi perché possono appaiarsi in modo diverso le varie catene alfa del pro collagene,
se le ho tutte uguali o due uguali e una diversa, tutte queste cose mi rendono la spiegazione di questa
grande complessità e varietà della famiglia dei collageni. Il collagene è importassimo non solo perché è
tanto quantitativamente, ma proprio per tutto quello che significa. per la funzionalità dei nostri tessuti
connettivi e come sempre ce ne accorgiamo quando qualcosa non va, quando i collageni non vengono
sintetizzati correttamente, troppo o troppo poco. Quindi quando c’è un’alterata, un’abnorme o una
deficitaria sintesi del collagene vado in contro a situazioni patologiche più o meno gravi: osteogenesi
imperfetta, cheloidi e scorbuto. L’osteogenesi imperfetta è una condizione per cui c’è una mutazione e nelle
catene alfa non c’è quella glicina ogni tre come dovrebbe esserci e questo fa sì che non si formi la tripla elica
in modo corretto quindi questo collagene non funziona correttamente e da questo dipende anche una grave
problematica al tessuto osseo perché la formazione della matrice ossea dipende strettamente dalle fibre
collagene. Quindi chi è affetto da osteogenesi imperfetta come sintomo caratteristico ha un’estrema fragilità
ossea, si rompono con niente, viene chiamata la malattia delle ossa di cristallo. Nei cheloidi abbiamo invece
un’abnorme produzione di fibrille collagene in corrispondenza di lesioni di cicatrici cutanee, quindi si
formano proprio degli agglomerati addensamenti di collagene in corrispondenza di queste cicatrici che
diventa anche un problema estetico. Anche quando c’è troppa produzione quindi non va bene, serve
sempre un equilibrio. Poi c’è il caso dello scorbuto, malattia, patologia dovuta alla deficienza di vitamina C.
Quando si ha carenza di vitamina C nella dieta, nell’assunzione, non ce n’è a sufficienza, uno dei processi che
viene minato è proprio questa idrossilazione della prolina e della lisina durante la formazione del collagene.
Si forma un collagene imperfetto, anomalo che non fa il suo dovere e questo dà origine a fragilità dei
tessuti, emorragie, edemi, sanguinamento delle mucose, perdita dei denti oltre che una notevole
irascibilità, ci sono dei problemi di umore legati allo scorbuto. Infatti, il termine scorbutico detto di una
persona scostante e di brutti modi è proprio legato a questo, allo scorbuto.
Le fibre reticolari sono formate da collagene non di tipo1 , ma di tipo 3 e la caratteristica di queste fibre è di
essere molto più sottili rispetto alle fibre collagene e di essere più glicosilate, quindi sono legate delle
porzioni saccaridiche alle catene del tropocollagene e quindi il fatto di essere glicosilate fa sì che siano PAS
positive e si colorano in rosso, porpora in modo evidente, cosa che invece le fibre collagene non fanno,
quindi è anche un modo per distinguerle se ci sono e sono anche molto affini all’argento, quindi vengono
dette argirofile quindi tutti i metodi di colorazione che prevedono l’impregnazione argentica permettono di
evidenziare queste fibre reticolari che sennò essendo così sottili non si riuscirebbero ad individuare anche
perché con leusina non si colorano, leusina colora quelle collagene, ma non quelle reticolari. Anche le fibre
reticolari presentano quella stessa bandeggiatura nella miofibrilla come hanno le fibre collagene, ma non si
riuniscono in grossi fasci come quelle altre, decorrono singolarmente e poi si ramificano anche, quindi
dando origine a delle impalcature tridimensionali molto flessibili che presentano delle maglie piuttosto
ampie, che individuano degli spazi ampi che sono particolarmente adatti in tutti quei distretti corporei, in
quegli organi che sono soggetti a delle modificazioni di forma e di volume, la milza, il fegato, l’utero, la
parete intestinale, tutti esempi di questo tipo. Quindi dove è utile che ci sia una possibilità di espansione o
di cambiamento di forma. Dove troviamo queste fibre reticolari? Sono soprattutto presenti negli organi
emopoietici sia mieloidi che linfoidi, come midollo osseo, milza, linfonodi, timo, anche nelle ghiandole sia
endocrine che esocrine, anche nel tessuto adiposo in tutte quelle guaine che vanno ad avvolgere le fibre
muscolare e nervose periferiche, le troviamo nel tessuto che riveste l’endotelio dei capillari esternamente,
peri endoteliale e nella lamina reticolare (una delle tre lamine che compongono la lamina basale, è quella
più profonda più vicina ai tessuti connettivi e si chiama lamina reticolare perché abbonda di fibre reticolari).
Nell’immagine in alto vediamo delle fibre reticolari attorno ad un capillare, ad un vaso sanguigno, sono più
sottili delle fibre collagene. Giù invece vediamo una sezione di un linfonodo, colorato con la colorazione
argentica che mi permette di evidenziare in nero scuro le fibre reticolari che sennò non sarebbero visibili.
Le fibre elastiche. Qui cambiamo completamente genere perché cambia la composizione. Non abbiamo più
il collagene, ma sono composte da un core, quindi una parte interna che è quella preponderante
quantitativamente, 90% circa di una proteina che si chiama elastina e attorno a questo core di elastina
abbiamo una serie di microfibrille di fibrillina che è una glicoproteina. Sia la fibrillina che l’elastina sono
importanti nel conferire la caratteristica dell’elasticità che hanno le fibre elastiche e anche se l’elastina
quantitativamente è quella maggiore, la fibrillina è comunque fondamentale perché è proprio a partire dalle
microfibrille di fibrillina che inizia il processo di aggregazione di assembramento delle fibre elastiche, quindi
prima di aggregano le microfibrille di fibrillina e poi le molecola di elastina neosintetizzate attorno ad esse si
organizzano per dare questa tipologia. Le varie molecole di elastina sono collegate fra di loro da vari legami
trasversali che sono quelli che mi assicurano e mi permettono la caratteristica anche della stirabilità di
queste fibre. Le fibre elastiche a differenza di quelle collagene sono molto estensibili e dopo che sono state
stirate cambiano di lunghezza e hanno la possibilità di tornare alle dimensioni originarie pre-stiramento una
volta che è finita la sollecitazione meccanica che le ha stirate. È questa l’importante caratteristica delle fibre
elastiche. Dove troviamo le fibre elastiche? Sono numerose in tutti quei distretti in cui l’elasticità è
importante, per esempio nelle pareti delle arterie dove queste fibre si organizzano a dare dei foglietti
appiattiti come delle lamelle che vediamo molto bene qui che è una sezione di un’aorta, le troviamo anche
nel derma perché anche la cute ha bisogno di una certa elasticità per risponde alle sollecitazioni
meccaniche nel derma sono organizzate a dare dei fasci ramificati, nei polmoni che sono continuamente
sottoposti a degli ampiamenti e riduzione del loro volume legati agli atti espiratori e inspiratori, nel
padiglione auricolare che è un’altra struttura abbastanza elastica e nei legamenti, in particolare sono
tantissimo organizzati in grossi fasci nel legamento nucale degli erbivori da pascolo.
La popolazione cellulare dei tessuti connettivi può essere più o meno eterogenea, questa varietà di cellule si
differenziano per l’origine che può essere dalle cellule mesenchimali, come già detto, oppure alcuni
componenti cellulari derivano direttamene da cellule staminali emopoietiche e anche diverse per le loro
funzioni, alcune di queste cellule sono impegnate nella sintesi, nella secrezione della matrice, altre invece
hanno più un ruolo di difesa e altre ancora hanno compiti specializzati come sono quella della riserva
energetica del metabolismo o della produzione di sostanza di tipo ormonale.
Le cellule del tessuto connettivo vengono divise in due grandi gruppi: cellule residenti o fisse, che sono
quelle che stanno tutta la loro vita nel connettivo, che si differenziano, che maturano e si sviluppano nel
connettivo e li trascorrono la loro vita e svolgono sempre la loro funzione. Quindi originano e rimangono
sempre nel connettivo. Per differenziarle invece dalle cellule non residenti che vengono anche dette mobili,
anche dette libere, migranti, che sono quelle che invece non stanno sempre nel connettivo, ma arrivano nel
connettivo dal torrente circolatorio quando sono richiamate da particolari condizioni di necessità, quindi
sono cellule transitorie nei tessuti connettivi, cioè ci vanno solo all’occorrenza e quando hanno fatto quello
che devono fare poi se ne vanno.
Il prefisso mi indica due profili funzionali diversi della stessa cellula, cioè con blasto intendo una cellula
giovane attiva impegnata nella sintesi e nella secrezione della componente della matrice extracellulare, con
cito mi riferisco a quella stessa cellula in una fase più matura, quiescente in cui ha smesso, non si occupa più
di sintetizzare la matrice extracellulare, però sono di fatto la stessa cellula in due fasi di vita. Spesso i blasti
dopo che hanno sintetizzato, rilasciato i componenti della MEC si trovano completamente avvolti dalla
matrice extracellulare e si trasformano in citi. Ovviamente con qualche modificazione morfologica nel
passaggio da un tipo ad un altro.
Di tutte queste fibroblasti e fibrociti sono quelli che troviamo più frequentemente nei tessuti connettivi
soprattutto nei connettivi propriamente detti, i condroblasti condrociti sono nel tessuto cartilagineo, sono le
principali cellule residenti nel tessuto cartilagineo; osteoblasti, osteociti e osteoclasti sono tre tipi cellulari
che troviamo nel tessuto osseo; odontoblasti e cementociti li trovo a livello del dente; gli odontoblasti sono
quelli che producono nella matrice la dentina e i cementociti sono quelli che si trovano a livello della radice
dei denti dove c’è il cemento; adipoblasti e adipociti sono del tessuto connettivo adiposo; i reticolociti sono
del tessuto connettivo reticolare; i periciti li trovo attorno agli endoteli dei capillari, poi abbiamo macrofagi
fissi e mastociti che sono invece cellule con funzioni difensive, cellule con granuli che stanno normalmente
nei tessuti connettivi che contengono sostanze tra cui eparina e istamina, attraverso il rilascio di sostanze
contenute nei granuli i mastociti sono importanti regolatori delle risposte infiammatorie e anche nei
fenomeni di ipersensibilità immediata.
Poi c’è una quota di macrofagi fissi che se ne stanno a pattugliare i tessuti connettivi
Tra i non residenti abbiamo tutta una serie di cellule che hanno fondamentalmente una funzione difensiva
quindi vari tipi di leucociti, granulociti linfociti, plasmacellule quindi linfociti B già attivati e produttori di
anticorpi e anche una quota di macrofagi che possono accorrere in caso di bisogno, in caso di
infiammazione o di infezioni che quindi arrivano dal torrente circolatorio i monociti, passano dentro al
connettivo, nel connettivo si trasformano in macrofagi, quindi monociti/macrofagi sono due stadi funzionali
della stessa cellula, i monociti nel torrente circolatorio quando arrivano a livello dei tessuti si trasformano in
macrofagi. Un tipo di cellula che si incontra abbastanza frequentemente ma che non avremo più modo di
commentare quindi ne parliamo qui è quella dei miofibroblasti. Già la parola ci fa capire che hanno alcune
caratteristiche simili alle cellule muscolari lisce perché si chiamano “mio” e alcune caratteristiche che le
fanno somigliare ai fibroblasti, ecco perché si chiamano fibro. Hanno una forma irregolare, di solito stellata,
ma sono comunque di forma allungata, sono dei grandi produttori di collagene in particolare di collagene di
tipo 1 e in questo somigliano ai fibroblasti, ma sono anche molto ricchi proteine del citoscheletro in
particolare di actina e di miosina come analogamente alle cellule muscolari e legato a questo fatto c’è
appunto il fatto che loro hanno questa possibilità di in qualche modo contrarre, rimodellare il tessuto
connettivo. Non sono di solito tanti nei tessuti connettivi in condizioni fisiologiche, ma aumentano molto
nei tessuti connettivi patologici cioè quelli interessati per esempio da infiammazioni, o interessati da lesioni,
quindi dove ci siano cicatrici o lesioni da riparare entrano in azione con la loro attività di rimodellamento e
di favorire quindi la sistemazione delle lesioni e anche nello stroma tumorale sono molto presenti e pare
abbiano un ruolo nel favorire le metastasi.
Tra tutte queste cellule c’è bisogno di un approfondimento, almeno per i fibroblasti e per i macrofagi che
sono le due cellule che incontriamo quantitativamente in modo più consistente, i fibroblasti e le loro varie
varianti perché a seconda, praticamente quando parlo di condroblasti, osteoblasti non sono altro che
fibroblasti specializzati che trovo solo in particolari tipi di tessuto connettivo, ma la base di partenza è quella
del fibroblasto. Il loro compito fondamentale è quello di produrre la MEC, sia la componente fibrillare che la
sostanza amorfa, quindi tutte le varie glicoproteine, glicosamminoglicani, proteoglicani, ma non fanno solo
questo perché i fibroblasti interagiscono con vari altri tipi cellulari e quindi partecipano a diversi processi sia
fisiologici, quindi del normale funzionamento del tessuto, sia anche in processi patologici. Come sono fatti?
Come si presentano i fibroblasti? E come sono invece i fibrociti? Qui a sinistra vediamo uno schema di un
fibroblasto e sotto un’immagine, una sezione con fibroblasti, a destra invece i fibrociti. Il fibroblasto proprio
perché attivo nella sintesi avrà alcune caratteristiche come il fatto che avrà un abbondante reticolo
endoplasmatico rugoso, un Golgi piuttosto esteso, il nucleo che è grande e tipicamente di forma ellittica non
si colora molto perché ha molta cromatina dispersa perché sarà molto attiva la trascrizione e c’è un nucleolo
evidente proprio perché c’è tanto lavoro di sintesi quindi bisognerà fare anche molti ribosomi. La forma di
questi fibroblasti è una forma fusata o stellata, qui vediamo molto chiaramente la forma stellata e hanno dei
prolungamenti citoplasmatici che vediamo, come l’abbondanza del reticolo rugoso e di Golgi. I fibrociti che
hanno sospeso, sono andati un po’ in pensione dalla attività di secrezione, come saranno? Saranno più
piccoli, saranno più affusolati, avranno meno prolungamenti, avranno un RER e un Golgi meno sviluppati e
meno abbondanti, un nucleo sempre e comunque ellittico ma diciamo che si colora un po’ di più, quindi con
una maggiore quantità probabilmente di eterocromatina, nucleo comunque sempre molto appiattito e lo si
vede molto bene in questa sezione.
Questa è un’immagine invece al TEM in cui apprezziamo la forma allungata del fibroblasto, non si vede tutto
ma si apprezza la forma ellittica e schiacciata del nucleo e la grande presenza al di fuori e tutto intorno del
collagene, qui che sono tagliate longitudinalmente, qui invece trasversalmente, alla cui sintesi e produzione
ha collaborato il fibroblasto stesso.
Per quanto riguarda invece i macrofagi, anche questi incontrati frequentemente, sono spesso il secondo
tipo cellulare più frequente, tutt’altra funzione rispetto a quella dei fibroblasti, è quella di difendere. I
macrofagi sono dei grandi mangiatori, fagocitano quello che può essere pericoloso e che può essere
danneggiato. Vengono anche detti istiociti, derivano come già detto dai monociti circolanti nel sangue che
una volta migrati maturano e diventano macrofagi. Si trovano praticamente nella maggior parte degli organi
e a seconda della sede in cui svolgono la loro funzione di macrofagi a volte sono così specializzati che
prendono anche nomi diversi, ma sono sempre e comunque dei macrofagi. Per esempio, a livello del fegato
abbiamo le cellule del Kuppfer che sono dei macrofagi, oppure abbiamo le cellule dendritiche del
Langerhans che sono dei macrofagi che avevamo incontrato a livello dell’epidermide, oppure abbiamo i
macrofagi alveolari, i macrofagi a livello dei peritoneale, oppure ancora a livello del tessuto osseo
incontreremo gli osteoclasti che sono delle particolari cellule che demoliscono la matrice ossea e sono un
tipo particolare di macrofagi. In ciascuna di queste sedi loro hanno delle caratteristiche immunofenotipiche
e dei compiti specifici tali per cui si giustifica il chiamarli in un modo con un nome in particolare. La
caratteristica dei macrofagi è che sono cellule mobili che vanno dove c’è bisogno, corrono là dove occorre il
loro intervento che è fondamentalmente di attività fagocitaria, quindi fagocitano e nel fagocitare hanno
anche la possibilità di presentare poi sulla loro superficie gli antigeni per favorire la risposta di difesa da
parte di altre cellule immunitarie, ma sono anche impegnati in una attività secretoria sia di enzimi per
esempio di collagenasi o di enzimi che scindono i glicosamminoglicani e questo facilita il loro passaggio
attraverso la sostanza amorfa della matrice e anche delle molecole che vanno a modulare la risposta
immunitaria, sono dei produttori e rilasciano le citochine per esempio, quindi la loro funzione è
fondamentalmente di difesa. La morfologia è legata appunto alla loro attività, sono di grandi dimensioni
visto che fagocitano, possono arrivare ad un diametro anche di 50 micron, hanno questa superficie
piuttosto irregolare perché si alza a dare dei pseudopodi e delle estroflessioni che servono per fagocitare,
hanno un nucleo abbastanza eccentrico, hanno reticolo e Golgi ben sviluppato e quando sono in attività,
quindi quando sono macrofagi attivati troviamo numerosi lisosomi e vacuoli che sono i fagosomi di ciò che
hanno internalizzato.
Sono tanti i connettivi e ci sono diversi modi per classificarli, quindi questa è una possibile suddivisione che
è quella adottata anche dal testo del Dalle Donne, ma in altri testi potreste trovare una suddivisione
leggermente diversa (alla prof non importa tanto la suddivisione, le importa che sappiamo le caratteristiche
di questi vari tipi di tessuto). Vengono definiti tessuti connettivi propriamente detti il tessuto connettivo
lasso, il tessuto connettivo denso, il tessuto reticolare, il tessuto elastico. Il tessuto connettivo pigmentato, il
tessuto connettivo mucoso e il tessuto adiposo. Ci sono dei tessuti connettivi di sostegno che sono il tessuto
cartilagineo e il tessuto osseo e poi c’è un tessuto del tutto particolare che è il sangue che ha una funzione
fondamentalmente trofica, è il più grande rifornitore di ciò che serve nei vari distretti corporei. I due
principali sottotipi di tessuti connettivi propriamente detti sono il lasso e il denso che ora andiamo a vedere.
Il tessuto lasso è il tipo più diffuso quindi quello che si trova maggiormente a livello del corpo e anche quello
meno specializzato, va a riempire un po’ i vari spazi fra i tessuti di un organo e fra i vari organi, all’interno
degli organi in particolare quegli organi pieni che definiamo parenchimatosi, il tessuto lasso costituisce il
così detto stroma che è l’impalcatura, la guaina esterna e spesso anche i setti che suddividono l’organo. È un
tipo di tessuto molto flessibile con ampi spazi che permettono di scambiare molecole, quindi passaggio e
diffusione di molecole e di cellule. La caratteristica del fibrillare lasso è che i tre ingredienti, cellule, fibre e
sostanza amorfa sono praticamente o presenti in quantità uguale oppure spesso la prevalenza ce l’ha la
sostanza fondamentale che quindi risulta particolarmente abbondante e molto ricca di acido ialuronico che,
essendo molto idrofilo, dà una consistenza di gel viscoso a questo tessuto, in questa sostanza decorrono vari
vasi e si forma una rete di capillari. Come fibre troviamo nel tessuto lasso soprattutto delle fibre collagene
però sono organizzati in fasci piccolini e oltre alle fibre collagene possono essere presenti anche fibre
reticolari e fibre elastiche che sono orientate in modo casuale e in modo piuttosto lasso, quindi intrecciate
lassamente. Come cellule abbiamo in particolare fibroblasti e fibrociti, come secondo per numerosità i
macrofagi e poi una serie di cellule immunitarie. Questa è l’immagine di un classico tessuto fibrillare lasso
che viene anche definito aereolare. Vediamo che ha una trama molto larga e il fatto che vediamo tutto
questo biancume è perché tutte quelle parti bianche erano parti occupate dalla sostanza amorfa. Dove
trovo questo tessuto? Lo trovo tra i muscoli, lo trovo attorno ai nervi, lo trovo associato agli epiteli di
rivestimento. Quello connettivo sotto agli epiteli che abbiamo chiamato nelle mucose lamina propria, ecco
la lamina propria è un tessuto connettivo lasso. Com’è un tessuto connettivo lasso? La tonaca sottomucosa
che trovo negli organi cavi e lo troviamo anche nelle tonache avventizia o media delle vene.
Il tessuto connettivo fibrillare denso anche detto fibroso o compatto, tutti e tre i nomi ci indicano la stessa
cosa cioè che in questo tipo di connettivo la parte del leone la fa la componente fibrillare che è prevalente
sia sulle cellule che quantitativamente, sono meno rispetto a quelle che troviamo nel tessuto lasso e che è
preponderante rispetto alla sostanza fondamentale per cui questo tessuto che ha meno sostanza
fondamentale, meno cellule, ma molte più fibre risulta molto più compatto, molto più denso, ha una
consistenza maggiore molto fibroso e infatti lui serve soprattutto là dove occorre una funzione meccanica,
una funzione di sostegno maggiore rispetto a quella che può fornire il lasso. Quindi questo, proprio perché
ha tante fibre, è meno flessibile del lasso però è molto più resistente. Che cellule troviamo in questo
tessuto? Troviamo soprattutto fibroblasti e fibrociti, ma anche macrofagi e miofibroblasti quelli di cui
abbiamo parlato prima. Come fibre, che sono la parte preponderante, troviamo soprattutto le fibre
collagene che qui si raccolgono in fasci molto grossi e che sono accompagnati in alcune sedi anche dalla
presenza di fibre elastiche quindi la preponderanza è fibre collagene, ma ci possono essere anche fibre
elastiche. A seconda di come sono disposte le fibre distinguo due sottotipi: il denso regolare in cui le fibre
hanno una disposizione ordinata, possono essere in fasci paralleli come nei tendini e nei legamenti, possono
essere a fasci incrociati che si incontrano ortogonalmente come nella cornea oppure possono non avere una
disposizione regolare. Se non hanno una disposizione regolare e ordinata parlo di tessuto denso irregolare
come quello che trovo tipicamente nel derma dove le fibre sono orientate secondo diverse direzioni. Il fatto
di avere questa disposizione irregolare fa sì che il tessuto risponda, sia abile nel contrastare stress meccanici
di diverso tipo secondo varie direzioni, mentre in quello regolare la direzione di resistenza è quella parallela
alle fibre stesse. La sostanza fondamentale in questo caso è molto scarsa. Trovo questo tipo di tessuto
connettivo nei tendini, nei legamenti, nella cornea, nella sclera e nel derma. L’immagine sopra è il tessuto
connettivo di un tendine, si vede molto bene l’andamento regolare di fasci paralleli; quello sotto è derma
con andamento irregolare. I tendini servono a collegare ossa, muscoli alle ossa, i legamenti invece a
collegare, a congiungere porzioni ossee fra loro o un osso all’altro.
Tessuto connettivo reticolare, qua ci aiuta già il nome, si chiama così perché è caratterizzato da
un’abbondanza di fibre reticolari rispetto alle altre, fibre che formano una trama molto fine ed hanno
questo aspetto simil spugnoso al tessuto. Le cellule che ci sono qui sono dei fibroblasti specializzati che si
chiamano reticolociti o cellule reticolari che sono caratterizzati dall’avere dei prolungamenti molto lunghi
che si dipartono a raggera e che si interconnettono e prendono contatto con i prolungamenti di altre cellule.
Si vede molto bene nell’immagine, tutte queste azzurrine sono reticolociti e hanno dei prolungamenti che si
congiungono con i prolungamenti di altre cellule. Quelle nere che vediamo sono le fibre reticolari e tutti
questi grandi spazi che vengono lasciati liberi da questa trama molto lassa. Questo tipo di tessuto lo
troviamo soprattutto a dare lo stroma, partecipa diciamo alla costituzione dello stroma di molti organi sia
ghiandolari che emopoietici come il fegato, la milza, i linfonodi, il midollo osseo. Di nuovo qua per poterlo
vedere, abbiamo una sezione con l’impregnazione argentica. E poi il tessuto elastico, in questo caso si
chiama elastico per le sue caratteristiche ed elasticità che vengono fornite dalla grande abbondanza di fibre
elastiche presenti nella matrice extracellulare. Ci sono anche fibre collagene, ma sono di più quelle elastiche
che sono quelle più scure, quelle rosse sono le collagene e quelle nere più scure ondulatine sono le fibre
elastiche che vediamo in questa sezione di un vaso, di un grosso vaso, di una grossa arteria. Le cellule
presenti sono fibroblasti e fibrociti, nel caso come qui della parete di un’arteria ci saranno presenti anche
intervallate delle cellule muscolari lisce. Ovunque ci sia bisogno di elasticità c’è tessuto elastico e quindi
immaginiamo dove possiamo trovarlo, nelle corde vocali, parete delle arterie, nei legamenti per esempio
legamenti vertebrali, legamento sospensorio del pene, nei polmoni, tutte sedi in cui l’elasticità è
fondamentale e gioca un ruolo chiave.
Citiamo questi altri due tipi che sono pochissimo rappresentati: uno è il tessuto connettivo pigmentato che
è chiamato così perché ci sono delle cellule con pigmenti che troviamo solo nei mammiferi a livello
dell’occhio della coroide dell’iride, il tessuto connettivo mucoso maturo che è fondamentalmente un tessuti
embrionale, nell’adulto non c’è quasi da nessuna parte, mentre nell’embrione ce né abbastanza e lo
ritroviamo anche come costituente del cordone ombelicale dove costituisce la così detta e nota gelatina di
Wharton. È costituito di fibroblasti di forma tipicamente stellata, ci sono poche fibre collagene ed elastiche
e c’è tanta sostanza fondamentale ecco perché ha la consistenza gelatinosa perché c’è tanta sostanza
amorfa ricca di acido ialuronico.
Lezione del 23 Novembre
CITOLOGIA E ISTOLOGIA
TESSUTO ADIPOSO
È un tessuto fondamentalmente come organizzazione di tipo connettivo lasso in cui però c’è
una caratteristica legata alla componente cellulare cioè che buona parte degli elementi
cellulari presenti, non tutti, è rappresentato da cellule specializzate chiamate ADIPOCITI.
Gli adipociti sono specializzati nell’accumulare nel proprio citoplasma delle sostanze
lipidiche, in particolare trigliceridi. Quindi per la ricchezza in adipociti e per il fatto che
quest’ultimi contengono gocce lipidiche, questo tessuto è specializzato come deposito di
energia. Quindi è il tessuto che è il più grande deposito di energia sottoforma di trigliceridi.
I trigliceridi possono essere bruciati sia per produrre energia classicamente sottoforma di
ATP ed è questo il caso particolare del TESSUTO ADIPOSO BIANCO oppure possono essere
utilizzati per produrre calore, questo è il caso del TESSUTO ADIPOSO BRUNO. Gli adipociti
non sono le uniche cellule presenti, ci sono anche dei macrofagi, ma sicuramente gli
adipociti sono il tipo cellulare prevalente e che conferisce le caratteristiche peculiari di
questo tessuto.
Abbiamo 2 sottotipi di tessuto adiposo:
1) BIANCO O UNILOCULARE
2) BRUNO O MULTILOCULARE
Il nome è dipende dal loro aspetto, dal loro colore. Il bianco presenta un colore biancastro
oppure giallo per il fatto che, oltre ai lipidi, possono essere presenti disciolti nei lipidi dei
pigmenti liposolubili come i carotenoidi che vanno a dare una colorazione gialla più o meno
intensa. Invece il tessuto bruno prende questo nome perché presenta una colorazione più
scura dovuta al fatto che gli adipociti di questo tessuto sono molto ricchi di mitocondri e
perché questo tessuto è molto vascolarizzato. La diffusione dei due tipi di tessuto adiposo è
molto diversa, il tessuto adiposo bianco è ampliamente distribuito e diffuso nel corpo
mentre quello bruno ha una distribuzione molto circoscritta. Quello bianco è quello che
costituisce tutta la porzione grassa del nostro corpo, va a costituire il cosiddetto pannicolo
adiposo che si trova in posizione sottocutanea. C’è uno strato al di sotto del derma, che si
chiama ipoderma, il quale presenta molti adipociti e quindi viene indicato come tessuto
adiposo di tipo bianco. Abbiamo il tessuto adiposo bianco, quindi anche grasso a livello
addominale, attorno ai visceri e la distribuzione di questo pannicolo adiposo, ma in generale
del grasso, non è uniforme ma dipende dalle specie, dell’età ed è anche sesso-dipendente. Il
pannicolo adiposo sottocutaneo, ad esempio, è uniformemente distribuito nei due sessi fino
a quando non si raggiunge la pubertà dopo la quale c’è una distribuzione differente. Nelle
femmine tende a concentrarsi a livello delle mammelle e delle cosce, sotto l’influenza degli
ormoni sessuali. Il tessuto adiposo bianco è presente anche attorno ai reni, nella loggia
renale, a livello delle orbite degli occhi, nel palmo delle mani e pianta dei piedi, questo
tessuto adiposo non ha un significato energetico, ha un’altra funzione che è più di tipo
meccanico e protettivo perché sono zone, ad esempio palmo delle mani e pianta dei piedi
che sono molto sollecitate e che possono essere soggette più di altre all’usura. A livello delle
orbite e delle logge renali il tessuto adiposo bianco serve per mantenere nelle posizioni
corrette gli organi. In virtù di questa loro funzione anche nei casi di digiuno prolungato
queste riserve di tessuto adiposo bianco tendono a non essere consumate perché le si
preserva per questa funzione diversa.
• Leptina che ha il compito di inibire il senso della fame e di andare regolare il bilancio
energetico a livello dell’ipotalamo
• Adiponectina che ha tantissime funzioni “anti-”: funzione antinfiammatoria,
antidiabetica, antiaterogena quindi che contrasta la formazione di ateromi ovvero di
corpi lipidici che vanno a depositarsi lungo i vasi, regola la proliferazione cellulare e il
modellamento del tessuto.
La funzione del tessuto adiposo bruno è quella di termogenesi cioè di produzione di calore
poiché solo i mitocondri del tessuto adiposo bruno possiedono una particolare proteina
chiamata termogenina (proteina disaccoppiante, che permette la produzione del calore,
dissipa il gradiente di H+ producendo non ATP ma calore). Alla funzione di termogenesi è
associata una notevole vascolarizzazione in modo poi da permettere la distribuzione del
calore attraverso il torrente circolatorio ed è associata anche una notevole innervazione
simpatica che va a comandare questa produzione di calore, quindi questo tessuto risponde
non a stimoli di necessità energetica dell’organismo ma di necessità di innalzamento della
temperatura.
L’adipocita bianco è una cellula grande (diametro dai 50 ai 150 micron), di forma sferica, il
quale possiede un’unica grande goccia lipidica (da qui il nome UNILOCULARE), così grande
che relega il nucleo in una posizione periferica e anche un po' appiattito. Attorno alla goccia
lipidica rimane una sottile rima di citoplasma che non presenta molti organuli. Come
organuli è abbastanza presente il reticolo endoplasmatico liscio REL, poiché è l’organulo
implicato nel metabolismo lipidico che è proprio la specialità dell’adipocita bianco.
L’adipocita bruno presenta una forma più irregolare, non sferica, è di dimensioni inferiori
rispetto all’adipocita bianco, ha il nucleo in posizione centrale e non è un nucleo appiattito
ma vagamente sferico. I lipidi ci sono ma non sono organizzati in un’unica goccia ma in più
gocce (da qui il nome MULTILOCULARE). E’ ricchissimo di mitocondri che abbondano di
citocromo c.
MORFOLOGIA DEL TESSUTO ADIPOSO BIANCO:
Presenta una divisione in setti molto più delineata, i setti sono di t. connettivo all’interno del
quale troviamo una rete piuttosto ricca sia di vasi che di fibre nervose. Non si vede un unico
spazio bianco ma tanti piccoli spazi bianchi che sono le gocce lipidiche. Le gocce possono
essere poche e un po' più grandi e si parlerà di ADIPOCITI PAUCILOCULARI, oppure possono
essere tante piccole gocce e si parlerà di ADIPOCITI MULTILOCULARI.
TESSUTO CARTILAGINEO O CARTILAGINE (35)
È un tipo di tessuto che ha una matrice con una consistenza abbastanza compatta, semi
rigida è come se fosse un gel abbastanza consistente. Questo è legato al fatto che questo
tessuto è specializzato nel sopportare sollecitazioni meccaniche di diverso tipo. Ha un ruolo
di supporto, di sostegno, questo è particolarmente evidente se pensiamo al fatto che ci sono
alcuni animali vertebrati che hanno uno scheletro interamente di t. cartilagineo (esempio: i
condroiti, i pesci cartilaginei).
È costituito da cartilagine anche lo scheletro dei mammiferi in stato embrionale e fetale.
Nell'adulto ci sono alcune parti che continuano ad essere supportate a livello del naso e
delle orecchie da strutture di tipo cartilagineo. La cartilagine ha una notevole importanza a
livello delle articolazioni fra un osso e l’altro, dove permette sia un’ammortizzazione sia lo
scorrimento delle superfici ossee senza che ci sia un danno.
Cosa caratterizza il tessuto cartilagineo?
Pur essendo un tessuto connettivo non possiede vascolarizzazione e innervazione quindi
dovrà essere alimentato da altro, infatti viene ad essere servito tramite scambi, diffusione
dei tessuti circostanti che sono generalmente t. connettivi propriamente detti che si
occupano di proteggerlo e di nutrirlo.
Abbiamo un unico tipo di cellule che sono i CONDROCITI i quali si trovano o singolarmente o
in piccoli gruppi, sparsi nella matrice ma non liberamente sparsi ma accolti in una piccola
cavità che prende il nome di LACUNA CARTILAGINEA. La componente non è preminente
infatti quello che prevale è la matrice extracellulare che ha caratteristiche diverse non è
omogenea nella sua composizione, questo si nota soprattutto in un tipo di cartilagine che è
quella ialina. Siccome i costituenti della matrice vengono sintetizzati e rilasciati dalle cellule
del tessuto stesso, in questo caso dai condrociti, i materiali che vengono prodotti
diffondono nella matrice con velocità diverse una volta che sono secreti. Questo comporta
che ci sia una composizione diversa vicino ai condrociti rispetto alle zone più distanti. Più
vicino ai condrociti la matrice è molto basofila man mano che si allontana diventa meno
basofila fino ad arrivare ad essere leggermente acidofila. Per questa ragione la matrice
extracellulare dei tessuti cartilaginei in particolare quella ialina, viene suddivisa in 3:
1) MATRICE PERICELLULARE O CAPSULARE: “peri” = vuol dire intorno infatti è quella
che sta più vicina, adesa ai condrociti come se formasse una sorta di capsula.
Presenta un collagene di tipo VI. È molto ricca di glicoproteine (fibronectina,
laminina, condronectina) ed è molto ricca di proteoglicani e di GAG solforati, ovvero
quelli che danno la caratteristica di estrema basofilia
2) MATRICE TERRITORIALE: si trova intorno alla matrice pericellulare. Raccoglie i gruppi
isogeni cioè i condrociti che si sono originati per mitosi da uno stesso condrocita e
che occupano inizialmente la stessa lacuna e che poi tendono ad allontanarsi mano a
mano che secernono la matrice ed a occupare matrici diverse ma rimangono
abbastanza vicini l’uno all’altro, costituiscono un gruppo esogeno attorno alla singola
lacuna o alle lacune dello stesso gruppo esogeno. Nella matrice territoriale troviamo
un altro tipo di collagene: collagene di tipo II (collagene I, II e III sono tutti fibrillari).
Rispetto alla matrice pericellulari contiene in quantità inferiore io GAG solforati.
Questa zona risulta meno basofila e tende ad essere un po' meno colorata.
3) MATRICE INTERTERRITORIALE: rappresenta la maggior parte della matrice. Si
frappone tra i vari gruppi isogeni di condrociti. Contiene abbondante collagene di
tipo II e di aggrecani ovvero grandi complessi molecolari formati da acido ialuronico
a cui sono leganti tanti proteoglicani.
Il nome ialina deriva dall’aspetto della sua matrice cellulare che una un aspetto vitreo,
contiene collagene di tipo II che è organizzato a dare delle fibrille sottili per cui la presenza
del collagene II è abbastanza indistinguibile. La sostanza fondamentale ha una consistenza
compatta ed è molto idratata, il fatto che sia molto idratata consente una resistenza alla
compressione e di dare lubrificazione nelle sedi in cui è presente questa cartilagine. È
costruita da un 70% da acqua la quale è legata alla componente di sostanza amorfa che è
molto idrofila, 25% di macromolecole e 5% di condrociti. Le macromolecole che
costituiscono la cartilagine sono per la maggior parte costituite da collageni, 20% di
proteoglicani e GAG e 5% di glicoproteine. Questa cartilagine costituisce lo scheletro fetale,
nei mammiferi adulti si trova in particolare nelle vie respiratorie dove costituisce delle
strutture di supporto, in particolare la punta del naso, il setto nasale, la laringe, la trachea
(costituisce dei semi anelli che sostengono la trachea), anche la parete dei bronchi presenta
questa cartilagine. La troviamo anche nell’estremità delle coste e nelle piastre ipofisarie
delle ossa (dischi che si trovano nelle ossa lunghe). Si trova anche nelle articolazioni mobili.
Quasi tutta la cartilagine ialina è rivestita da una guaina chiamata PERICONDRIO, non la
troviamo né a livello delle placche epifisarie e né a livello delle cartilagini articolari.
Nelle vie aree ricorre la cartilagine ialina perché ha un'importante funzione di evitare che
questo sistema di tubi attraverso i quali facciamo muovere l’aria eviti che questi tubi
possano collassare. Il collassamento della trachea piuttosto che della laringe o di altro
impedirebbe il passaggio di aria che non arriverebbe ai polmoni.
La cartilagine ialina a livello della trachea va a formare dei semi-anelli cartilaginei, quindi
anelli non completamente chiusi, non c’è in corrispondenza della parte di trachea che
confina all’esofago. In questo modo se l’esofago si allarga durante la deglutizione non
incontra l’ostacolo della struttura cartilaginea della trachea.
A livello delle articolazioni mobili ho di nuovo cartilagine ialina la quale è organizzata in
strati. A livello delle articolazioni mobili quindi come quelle tra le ossa lunghe la cartilagine
non presenta il pericondrio, quindi chi alimenta in questa sede la cartilagine? Ci pensa il
liquido sinoviale che in questa sede bagna la cartilagine ialina. Abbiamo detto che è
organizzata in strati:
1. STRATO TANGENZIALE O SUPERFICIALE: quello che dà verso la superficie libera.
Presenta condrociti abbastanza appiattiti e ovoidali.
2. STRATO INTERMEDIO: abbiamo condrociti più rotondeggianti e lo sono sempre più
man mano che si va verso lo strato più profondo
3. STRATO RADIALE O PROFONDO: i condrociti qui non solo sono rotondeggianti ma
sono anche particolarmente voluminosi, sono organizzati in gruppi e si dispongono a
dare delle colonne parallele. Con la senescenza la parte più profonda di questo
strato tende a calcificare e quindi si può parlare anche di unno strato calcificato.
La capacità di rigenerazione e di riparazione della cartilagine delle articolazioni, sempre con
il progredire dell’età, diventa sempre meno efficiente e sempre meno veloce per cui ci sono
varie problematiche di artrosi legate a questo aspetto. È una caratteristica proprio della
cartilagine ialina che con il passare degli anni possa andare incontro a calcificazione,
processo che non si verifica in altri tipi di cartilagine.
PERICONDRIO
CARTILAGINE ELASTICA
Già dal nome ci immaginiamo che abbia proprietà di elasticità e che sia ricca di fibre
elastiche. Questa cartilagine è abbastanza simile alla cartilagine ialina, ma presenta una
minore quantità di matrice extracellulare, in particolare ha una minore quantità di sostanza
fondamentale. Inoltre rispetto alla MEC della ialina ha fibre elastiche di cui è
particolarmente ricca le quali vanno a costituire una trama abbastanza fitta. La cartilagine
elastica è sempre delimitata dal pericondrio ed è limitata come distribuzione ad alcune sedi
anatomiche in cui è particolarmente importate che ci sia la caratteristica di elasticità, la
troviamo a livello dell’orecchio, in particolare in componenti dell’orecchio esterno: il
padiglione auricolare, il meato acustico esterno e anche nelle tube di Eustachio le quali
collegano l’orecchio con la faringe. Abbiamo cartilagine elastica nell’epiglottide, struttura a
forma di foglia che deve essere elastica perché si muove per poter gestire il traffico di cosa
deve andare verso i polmoni e cosa deve andare verso l’apparato digerente. La troviamo
anche nella laringe. La caratteristica dell’elasticità è mantenuta per tutta la vita grazie al
fatto che la cartilagine elastica non va incontro a calcificazione durate la senescenza.
Come si presentano?
La cartilagine ialina presenta il pericondrio
esterno (indicato in foto con l’asterisco), al di sotto abbiamo la cartilagine vera e propria in
cui riconosciamo la presenza di condrociti spesso organizzati in gruppi che sono accolti nelle
lacune e dispersi in una matrice extracellulare piuttosto abbondante. La matrice presenta
diversi gradi di basofilia e caratteristiche tintoriali diverse a seconda che sia la matrice peri-
cellulate, interterritoriale o territoriale, lo possiamo notare:
Questo tipo di accrescimento avviene dalla periferia, quindi alla periferia del t. cartilagineo e
avviene grazie a quell’attività di proliferazione, di differenziamento delle cellule progenitrici
che si trovano nel pericondrio. Quindi dal pericondrio, per attività di queste cellule, si
vengono a formare nuovi condroblasti i quali produrranno matrice extracellulare e dalla
periferia si avrà un aumento del numero di cellule di matrice e quindi un accrescimento
complessivo del tessuto cartilagineo.
− ACCRESCIMENTO INTERSTIZIALE
TESSUTO OSSEO
Gli osteoclasti originano dalla linea monocita-macrofagica (sono infatti un tipo molto
specializzato di macrofagi). Hanno 2 caratteristiche proprie dei macrofagi: la mobilità per
andare a livello delle ossa dove occorre il riassorbimento e la capacità di fagocitosi. Gli
osteoclasti svolgono due attività:
1) Solubilizzare/ dissolvere i cristalli di idrossiapatatite
2) Digerire la matrice extracellulare
Per fare queste due attività presentano delle caratteristiche morfologiche molto peculiari.
Presenta delle dimensioni maggiori rispetto alle altre cellule, ha un diametro che raggiunge
anche i 100 micron. È una cellula multinucleata (si vede nell’immagine in basso a destra, a
maggior ingrandimento), può contenere da 3 a 20 nuclei. Possiede un sacco di vescicole che
gli danno un aspetto vescicoloso, queste vescicole contengono gli enzimi proteolitici che
servono per digerire la MEC o anche parte dei prodotti della digestione della matrice ossea e
un sacco di lisosomi che sono i produttori di questi enzimi e che si fondono con la parte di
matrice internalizzata per poterla digerire. Ci sono delle regioni della membrana degli
osteoclasti che sono chiamate zone chiare ricche di filamenti di actina e sono le zone in cui
l’oteoclasto aderisce in mod intimo con la matrice ossea grazie anche all’aiuto
dell’osteopontina che fa da ponte. A livello apicale presenta un orletto a spazzola che è
rivolto verso lo spazio della lacuna di riassorbimento dove l’osteoclasto è chiamato ad
effettuare la digestione e riassorbimento del tessuto osseo. A livello di questo orletto a
spazzola vengono lirati protoni H+ i quali vengono espulsi nella zona apicale e vanno ad
abbassare il pH a livello della lacuna di riassorbimento. In questa lacuna vengono liberati
anche gli enzimi proteolitici come le catepsine prodotte dai lisosomi e le metalloproteasi
responsabili della dissoluzione dell’idrossiapatite che quindi viene smantellata nei suoi
costituenti: ioni calcio e ioni fosfato. Questi ioni vengono portati all’interno degli osteoclasti
attraverso delle vescicole, qui possono essere accumulati sia a livello del reticolo
endoplasmatico sia a livello dei mitocondri. Il destino delle vescicole che contengono ioni
calcio e ioni fosfato è di attraversare l’osteoclasto e di essere liberate dal versante baso-
laterale della cellula nella matrice extracellulare per poi finire all’interno dei vasi e andare a
modificare i livelli ematici di calcio e di fosfato. Quindi avviene un processo che viene
chiamato di transcitosi.
Tutti questi processi sono riassunti qui:
Gli idrogenioni H+, che vengono pompati per abbassare il pH nella lacuna di riassorbimento,
provengono dalla reazione dell’anidride carbonica con l’acqua che grazie alla anidrasi
carbonica danno acido carbonico che si scinde in H+ e HCO3.
Immagine al microscopio elettronico di un osteoclasto che ci permette di vedere la parte di
uno dei nuclei, la grande ricchezza di mitocondri e lisosomi, la presenza nel polo apicale
dell’orletto a spazzola che si affaccia sulla lacuna di riassorbimento. Quello indicato con B è
l’osso.
Le ossa lunghe sono tipicamente formate da delle parti slargate all’estremità che prendono
il nome di epifisi e da una parte centrale più stretta chiamata diafisi. Le epifisi sono
costituite da t. osseo sugnoso circondato da un sottile strato di t. osseo compatto. Nelle
cavità dell’osso spugnoso dell’epifisi troviamo midollo osseo rosso emopoietico. Nella diafisi
quasi tutto l’osso è costituito da t. osseo compatto anche se nella parte centrale c’è una
sottilissima parte di t. osseo spugnoso. La cavità centrale della diafisi nell’adulto ospita
midollo osseo giallo.
Le ossa brevi sono per la maggior parte costituite da t. osseo spugnoso ricoperto da una
piccola parte di t. compatto.
Le ossa piatte sono formate dai due strati esterni costituiti da t. osseo compatto e quello
interno da t. osseo spugnoso. Le ossa craniche hanno il tavolato esterno e interno che sono
le due porzioni di t. osseo compatto e in mezzo la diploe di t. osseo spugnoso.
• Esterno: periostio, il quale è formato da due strati uno strato fibroso esterno dove
troviamo collagene e fibroblasti e uno strato interno detto cambiale dove si trovano
le cellule periostali che sono osteogeniche.
• Interno: endostio, è formato da un solo strato contente numerose cellule endostali
sempre osteoprogenitrici.
I rivestimenti servono a nutrire e a generare nuovi osteoblasti quindi servono al rinnovo.
Processo di formazione delle ossa detto ossificazione o osteogenesi, avviene in maggior
parte durante lo sviluppo embrionale ma che continua anche nella vita post natale.
Questo processo può essere di due tipi:
IL SANGUE
Oggi parleremo del sangue. Un ulteriore tessuto connettivo che corrisponde al tessuto connettivo
specializzato, talmente specializzato da farci perdere quasi la direzione nel comprendere che è un
tessuto connettivo. Vedremo come il sangue è composto, comprendendolo. Parleremo della parte
liquida (plasma), degli elementi corpuscolati e le caratteristiche cellulari e funzioni specifiche.
Il sangue appartiene alla grande categoria dei tessuti che sono i connettivi, che come è stato
detto in precedenza ricoprono una grande parte di informazione delle funzioni del nostro organismo.
In quanto tessuto connettivo origina dal mesenchima, come tutti gli altri tessuti connettivi, il sangue
in particolare è un tessuto connettivo specializzato e liquido.
Ora facciamo un accenno al sistema vascolare
Il sistema vascolare o sistema circolatorio ematico è rappresentato da una sorte di rete costituita
da dei vasi emativi dentro cui il sangue scorre, messo in moto da una pompa deputata a muovere
questo fluido che è il cuore. All’interno di questo sistema cardiovascolare, il sangue scorre
attraversando le arterie che originano dal cuore e muovono il sangue verso la periferia. Da queste
arterie il sangue giunge nella periferia e sarà raccolto in un sistema vascolare detto di vene. Le vene
riportano il sangue verso il cuore. Il sangue circola all’interno di questo sistema completamente
chiuso, non si apre mai eccetto in alcune situazioni anatomiche particolari come ad esempio
potrebbe essere la milza. All’interno di questo sistema svolge innumerevoli funzioni necessarie
per mantenere l’omeostasi dell’organismo. Noi per omeostasi si intende una situazione di
equilibrio tra una condizione fisiologica e una condizione patologica.
LE FUNZIONI DEL SANGUE
Per mezzo del sangue è possibile trasportare una grande quantità di sostanze. In primis possiamo
ricordare i gas dentro i quali sono disciolti all’interno del sangue soprattutto l’ossigeno e l’anidride
carbonica. Inoltre grazie al sangue riusciamo a trasportare i nutrienti che saranno alimentati
dall’apparato digerente verso i tessuti. Dove saranno utilizzati dalle cellule , che produrranno delle
sostanze di rifiuto dei prodotti di scarto che saranno raccolte dal sistema sanguigno e trasportati
negli organi escretori. Inoltre ricordiamo che grazie al sangue sono veicolati una grande quantità di
enzimi e ormoni, molecole proteiche che riescono ad agire anche ben lontano dal loro sito di
produzione, per esempio gli ormoni della tiroide che agisce sugli organi di bersaglio ben distinti.
Il sangue, inoltre, svolge un’importante funzione di regolazione, ovvero grazie alle componenti
in esse disciolte il sangue agisce da fattore in grado di regolare il ph del nostro corpo. Il sangue di
per se ha un ph di valore fisiologico intorno a valori compresi tra 7,35-7,4. H a un ph neutro .
Questo effetto di tampone è esercitato da una grande quantità di proteine, che sono trasportati
all’interno di questo sistema. È possibile distribuire la temperatura corporea all’interno di tutti i
distretti. A seguito di una corsa risultiamo accaldati, grazie al sangue e alla vasodilatazione
periferica, cosicché questo calore può essere disperso per mezzo della superficie transcutaneo il
sangue esercita un ruolo nel regolare le pressioni osmotiche e oncotica. Per pressione osmotica e
oncotica si intende la pressione idrostatica che è necessaria esercitare per contrastare il moto di un
solvente che da una soluzione meno concentrata passa a una soluzione più concentrata
attraversando una membrana semipermeabile. La forza necessaria che bisogna applicare è la
pressione osmotica, oncotica. Questo è possibile perchè nel sangue sono disciolti numerosi sali(per
esempio:NaCl) nella concentrazione di 0.95 % in peso di NaCl rappresenta una situazione
fisiologica e le proteine, queste proteine agiscono come mezzo, in grado di richiamare liquidi dai
tessuti oppure ne permettono la cessione. Inoltre il sangue svolte importante funzione di protezione,.
Grazie al sangue sono possibili tutti i processi, della coagulazione del sangue, sistema che evita la
perdita di sangue a seguito di un danno vascolare. all’interno del sangue sonio comprese tutte le
componenti del sistema immunitario innato e adattativo, rappresentato dai globuli bianchi e proteine
ematiche(Anticorpi , interferoni, sistema complemento).
IL
SANGUE
il sangue
è un
tessuto
specializz
ato e
fluido il
cui ph si
aggira
intorno a
7,4.
Risulta
essere per
via della
sua composizione più viscoso , più denso dell’acqua.
Risulta
essere più
denso in
quanto in
esso sono
presenti i
corpuscol
i ma
soprattutt
o le
proteine
plasmatic
he. Tutti
quanti abbiamo effettuato un prelievo del sangue per studiare la composizione del sangue sappiamo
che il sangue è prelevato all’interno della provetta in presenza di opportuni coagulanti in grado di
inattivare il sistema della coagulazione del sangue se posto all’interno di una centrifuga questo si
divide in due frazioni: una parte superiore liquida e una parte inferiore corpuscolata. La parte
superiore liquida prende il nome di plasma. La parte inferiore prende il nome di ematocrito.
ATTENZIONE! Perché questa definizione di ematocrito varia a seconda che si usi in ambito
clinico o meno. Quindi possiamo definire come valore di ematocrito il volume percentuale
della componente corpuscolata, compresa di una frazione biancastra e leucociti e piastrine
detta BUFFYCOAT , ed una frazione più importante in termini di volume degli eritrociti i
glubuli rossi.
Quindi
il
sangue
sarà
costituit
o da
elementi
corpusc
olati i
globuli
rossi,
glubuli
bianchi
e le
piastrine,
e una
frazione
liquida ovvero il plasma. Facendo riferimento ai tessuti connettivi vediamo la natura del sangue in
quanto tessuto connettivo, ovvero che presenta una matrice extracellulare prevalentemente liquida
in cui sono disciolte alle componenti proteine enzimatiche, il plasma e una componente cellulare
appunto di elementi corpuscolati .
Vediamo quindi che il sangue rappresenta circa l’8% del peso corporeo. A seconda della stazza e
del sesso, il sangue sarà corrispondente a 5-6 litri di sangue per persona. La frazione prevalente
all’interno del sangue è dovuta al plasma che rappresenta il 55% del suo volume, il quale è
composto prevalentemente di acqua disciolte in esso proteine dette proteine plasmatiche,altri
sali,sostanze regolatrici, gas, sostanze di rifiuto e la frazione corpuscolata al 45% composta
prevalentemente di globuli rossi, eritrociti al 99% e in minore quantità globuli bianchi e piastrine
1%.
IL PLASMA
rappresenta il 45% del volume del sangue e gran parte di esso è composto da acqua. Al suo
interno sono contenuti elettroliti, di cui è importante NaCl, , nutrienti che sono veicolati grazie al
sangue raccolti al livello dell’apparato digerente e distribuiti all’interno dell’organismo, rifiuti
organici, ma anche proteine plasmatiche al 7%. Il plasma è colui che nell’ambito del sangue svolge
la funzione omeostatica precedentemente detta. Ovvero che grazie al sangue è possibile esercitare la
funzione tampone, di mantenimento al livello costante del ph sanguigno a un valore di circa 7.4 per
via delle proteine in esso disciolte. Regola anche la movimentazione di liquida verso i tessuti per
mezzo della pressione oncotica, cosi come quella osmotica grazie ai sali. Infine è il responsabile
della coagulazione per via della presenza dei fattori della coagulazione in esso disciolti.
Per studiare le proteine del sangue possiamo effettuare un saggio che prende il nome di saggio
elettroforetico. Immagine bicchiere.
In questa immagine è mostrata la cromatografia su strato sottile. In questa vediamo un cartoncino
sul quale è deposto una piccola goccia di colore e per effetto di interazione tra colore e acqua
presenti sulla carta i pigmenti si risolvono nelle varie frazioni. Avviene una separazione in
particolare per studiare la composizione delle proteine del plasma si usa la tecnica elettroforesi,
separazione delle proteine per mezzo di un campo elettrico foto.LA ELETTROFORESI è una
tecnica analitica che permette di separare particelle cariche grazie ad un campo elettrico. Le
proteine del plasma sono cariche di una carica negativa quindi migrano verso l’estremo anodico del
sistema elettroforetico, risolvendosi e separandosi in funzione della loro quantità di carica. Tanto
più sono cariche, più migrano. Si risolvano quindi in tre fazioni: una frazione di albumine, una
frazione di alpha globuline e una frazione beta globuline e infine una frazione di gamma globuline.
La frazione delle albumine è quella abbondante tra tutte le proteine plasmatiche. Le glubuline
rappresentano circa il 35% di tutte le proteine plasmatiche. All’interno di ogni frazione di globuline
sono comprese nelle varie frazioni le diverse componenti proteiche del plasma, tra cui molti enzimi,
per esempio quelli coinvolti nel processo della coagulazione(Antitripsina, protrombina,
eritropoietina, e la molecola di fibrinogeno, la quale una volta convertita sarà in grado di creare il
coagulo, o la transferrina o le apolipoproteine). Le apolipoproteine sono proteine chaperone in
grado di trasportare altre molecole e responsabili del trasporto degli acidi grassi, la trasferrina
invece trasporta il ferro.
GAMMA GLOBULINE dette anche immunoglobuline o anticorpi, abbreviate con il termine
Abantibody. La frazione più abbondante corrisponde all’albumina che rappresenta il 60% di tutte
le proteine plasmatiche.
l’albumina è la
responsabile della gran
parte dei meccanismi
osmotici di regolazione
esercitati dal sangue.
Regola e mantiene il ph
del sangue, in quanto
questa proteina per via
della presenza di
numerose istidine,
diviene un donatore di
cariche positive in caso di
alcalosi o cariche
negative in caso di acidosi. Inoltre la albumina per via della sua quantità all’interno del sangue è la
responsabile della regolazione della pressione oncotica cioè la proteina è in grado di richiamare
acqua all’interno del sangue. Questa proteina è prodotta prevalentemente dal fegato . Difatti nelle
persone soggette a cirrosi epatica si vede una perdita di acqua dal flusso ematico, determinando
l’addome gonfio e grasso( nell’alcolismo cronico), poiché appunto l’albumina non riesce a tirare
acqua all’interno del torrente circolatorio e va a depositarsi all’interno della cavità addominale.
Infine l’albumina agisce come molecola chaperone ( termine utilizzato per definire le proteine
trasportatrici in grado di trasportare molecole che solitamente sono insolubili quali acidi grassi, o i
derivati ormoni steroidei, esempio gli ormoni prodotti dalle ghiandole surrenali o dalla tiroide, o
anche le sostanze non solubili quali i farmaci). La bilirubina che è prodotta dalla degradazione della
emoglobina. La bilirubina non coniugata deve giungere al fegato dove sarà degradata in quanto di
per sé è tossica. Il fegato la degrada sotto forma di bile e la espellerà.
Tutti i corpuscoli hanno un tempo di vita limitato , al termine del quale saranno distrutti all’interno
degli organi emocateretici di degradazione dei componenti ematologici. Questi organi
emocateretici saranno la milza e il fegato. Di pari passo alla distruzione si procedere al
rinnovamento e riproduzione di nuovi elementi corpuscolati che avviene all’interno degli organi
emopoietici.
Tra gli organi emopoietici bisogna ricordare il midollo osseo, che è un tessuto. Il midollo osseo è
accolto nelle cavità midollari delle ossa dello scheletro assile ( ossa lunga, ossa piatte, ossa del cinto
toracico e pelvico) all’interno di queste ossa c’è il midollo osseo. Il midollo osseo ha un stroma di
sostegno, un ‘impalcatura sul quale si organizzano in cordoni emopoietici le cellule staminali
emopoietiche. Le cellule staminali sono responsabili della produzione di tutti gli elementi
corpuscolari. Lo stroma di sostegno è composto di un tessuto connettivo reticolare, e fibre
collagene che sostiene un impalcatura di cellule staminali emopoietiche i macrofagi, le cellule
adipose e le sinusoidi. I sinusoidi sono piccoli capillari venosi permeabili al passaggio delle cellule,
quindi rappresentano la via di accesso per le cellule ematiche neonate all’interno del sangue. Grazie
a questi sinusoidi le cellule ematiche riescono ad entrare all’interno del corrente circolatorio.
Ci sono due tipi di midollo osseo: midollo osseo rosso e midollo osseo giallo. La distinzione
principale sta nel fatto che il midollo osseo rosso corrisponde al midollo osseo funzionalmente
attivo, di intensa attività proliferativa, dove ci sono una grande quantità di emazie( glubuli rossi)
con l’avanzare dell’ età il midollo osseo gradualmente riduce questa attività sintetica e si trasforma
in midollo osseo caratterizzato dall’accummulo di tessuto adiposo. Questi finché non avviene un
emorragia che è in grado di riattivare il midollo osseo giallo e farlo tornare nuovamente attivo sotto
forma di midollo osseo rosso.
EMOPOIESI
pertanto si può parlare di emopoiesi, il processo di produzione di tutti gli elementi corpuscolati del
sangue. Questo processo di emopoiesi è qui rappresentato.
Il processo di emopoiesi procede secondo delle fiere cellulari, le quali hanno come capostipite una
cellula staminale emopoietica pluripotente ovvero in grado di generare ognuna delle cellule del
sangue. La cellula staminale pluripotente emopoietica è leumocitoblasto che procede per divisioni
mitotiche successive che lo portano a differenziare a seguito della recezione di opportuni fattori di
crescita. A seguito della ricezione di questi stimoli,differenzia nelle cellule staminali emopoietiche
della: linea mieloide o limoide. Queste due cellule capostipite origineranno poi tutte le cellule; ad
esempio nella linea mielode l’eritrocita, le piastrine, le cellule bianche che compongono la
componente granulomonocitaria cioè basofili, eusofili, neutrofili e i monociti. Mentre la cellula
staminale emopoietica linfoide genera i linfociti che andremo a classificare come linfociti ,natural
killer B o T.
GLI ERITROCITI
Gli eritrociti sono anche detti globuli rossi o
emazie. Rappresentano la popolazione cellulare
ematica più numerosa. Il 95-99 % della totalità
delle cellule. Gli eritrociti dono piccoli
corpuscoli anucleati in quanto perdono il nucleo
nel processo differenziativo che si chiama
eritropoiesi.
Perdendo il nucleo non sono più in grado di effettuare sintesi proteica e mitosi. Gli eritrociti
accumulano
all’interno del loro citoplasma una grande quantità di emoglobina che va a comporre il 95% di tutte
le proteine citoplasmatiche all’interno del globulo rosso. Grazie all’emoglobina il globulo rosso
riesce ad adempiere alla funzione del trasporto di ossigeno e anidride carbonica. Per via della
perdita del nucleo e dei corpuscoli cellulare,l’eritrocita assume la forma tipica di un disco
biconcavo depresso al centro più sottile.L’eritrocita è molto piccola di 7 micron di diametro.
Nell’insieme questa forma assicura un elevato rapporto di superficie rispetto al volume rendendolo
quindi ideale per recepire e cedere l’ossigeno a cui è deputato per il trasporto. Infine questo profilo
sottile rende il globulo rosso particolarmente
agile ad essere deformato quindi lo rende
plastico in grado di ritornare alla forma iniziale
a seguito di una deformazione.
La membrana
come tutte le
membrana ha l
doppio strato
fosfolipidico che è
rappresentato
nell’immagine
viola. La presenza
nella interfaccia
interna rivolta nel
bersante
citoplasmatico che
prende il nome di:
SCHELETRO DI
MEMRANA. Qui
rappresentato dall’insieme di filamenti giallo e rossi dovuti alle molecole di spectrina che si legano
in vari punti grazie a molecole di actina e anchirina la quale le ancora letteralmente alla membrana
plasmatica dell’eritrocita cosi da creare una sorta di struttura di tiranti corrispondente alla struttura
tendoplastica cioè in grado di rimanere distesa
da se. Assieme all’interno della membrana
plasmatica del eritrocita però sono presenti
anche altre molecole proteiche molto
importanti tra cui le glicoforine (proteine)
transmembrana.
Queste proteine in particolare C è una sialoproteina che vede il gruppo carbossilico C-
TERMINALE, dissociato. Libera idrogenioni H+ e rimane carico negativo. Per via della presenza
di una grande quantità di glicoforine le membrane si caricano di segno negativo. Questo è molto
utile specialmente quando gli eritrociti sono stipati all’interno di un capillare sanguigno dove gli
eritrociti carichi negativamente andranno a depellersi, si allontanano per effetto elettrostatico,
evitando la formazione di possibili trombi.
La funzione principale del globulo rosso è trasportare ossigeno, è esercitata grazie alla molecola di
emoglobina. L’emoglobina conferisce il colore rosso, brillante quando il sangue è ossigenato . È
una proteina tetra medica, una proteina composta di 4 sub unità cioè, due catene globulari associate
a due a due,come in figura. Vediamo le due catene globulari (colore viola) e due catene globulari
associate a due a due. Ognuna di queste globulari a suo centro vede un gruppo non proteico, una
proto porfirina che corrisponde al gruppo EME. Al centro del gruppo eme è presente uno ione di
ferro, che sarà il complesso responsabile del legame dell’ossigeno. Ogni molecola di globina
riuscirà a portare 4 molecole di ossigeno. Il globulo rosso contiene tante molecole di emoglobina
fino a 280 milioni di molecole di emoglobina. La emoglobina rappresenta circa il 95% delle
proteine presenti all’interno del citoplasma del globulo rosso. La emoglobina è una proteina
presente in tutti i vertebrati eccetto alcuni pesci ma nei mammiferi è rappresentata in due forme la
emoglobina fetale e la emoglobina adulta abbreviata in HB fetale ed HB adulta. Ovviamente queste
due emoglobine sono espresse nell’arco della vita diversamente, a seconda se si parli di feto o
adulto, queste due emoglobine vedono nelle emoglobine fetale due globine alpha e due globine
gamma. Nelle emoglobine adulte, in ognuno di noi sono al 96% costituite di HbA1 da due catene al
l’embrione è avido di ossigeno in quanto in corso di sviluppo.
Indipendentemente da queste caratteristiche strutturali il motivo della presenza di queste due
tipologia differenti sta nel fatto
che l’ embrione è avido di
ossigeno in quanto in corso di
sviluppo. Pertanto nel feto sarà
presente l’emoglobina fetale
che presenta una avidità per
l’ossigeno ben maggiore
rispetto alla emoglobina
dell’adulto. Quindi
l’emoglobina fetale sarà in
grado di sottrarre ossigeno dal
sangue della madre attraverso
la circolazione materno fetale a
livello della placenta. Come già
accennato però l’individuo
adulto è presente un altra
globina in grado di legare l’ossigeno. Questa globina è la MIOGLOBINA accolta all’intermo delle
cellule muscolari. La differenza principale della mioglobina rispetto all’emoglobina sta nel fatto
che questa è costituita dalla singola catena POLIPEPTIDICA con un solo gruppo eme.
Da un punto di vista
funzionale la mioglobina è
ben più avida di ossigeno
rispetto la emoglobina.
Pertanto favorisce il
transito, l’entrata
dell’ossigeno trasportata
dall’emoglobina all’interno
del sangue verso la cellula
muscolare la quale poi la
utilizzerà per produrre l’energia necessaria per il processo della contrazione. Questo ossigeno viene
recepito a livello degli alveoli polmonari,dove all’interfaccia della membrana respiratoria vi è una
grande pressione di ossigeno. L’ossigeno quindi si lega entra all’interno del globulo rosso, lega
l’emoglobina cosi verrà trasportato sotto forma di OSSIMIOGLOBINA fino a giungere a livello dei
tessuti dove questo ossigeno verrà ceduto, liberato nello spazio intercellulare nel liquido
interstiziale. L’ ossigeno per diffusione penetra all’interno delle cellule per le attività metaboliche e
restituiranno il gas la CO2. Il legame tra emoglobina e l’ossigeno è un legame debole e che diventa
ancora più debole in presenza di anidride carbonica, a livello dei tessuti. Per il semplice fatto che a
livello dei tessuti c’è tanta anidride carbonica, questo legame tra emoglobina e ossigeno cede
liberando l’ossigeno. A questo punto la C02 nel liquido interstiziale viene captata dall’eritrocita.
L’eritrocita trasporta grazie all’emoglobina solo una piccola quantità di anidride carbonica solo il
25 %. Mentre la prevalenza è convertita in acido carbonico grazie ad un enzima del globulo rosso
che è anidrasi carbonica fino al livello polmonare dove c’è poca anidride carbonica si instaura un
legame.
È bene ricordare che oltre alla emoglobina fetale e adulta, esiste un’altro tipo di emoglobina. Il gene
della emoglobina, può essere soggetto a
mutazioni, e tale mutazioni sono trasmesse per
eredietarietà alle progenie. Un esempio è
l’anemia falciforme.
l’anemia falciforme vede una mutazione nel
gene che codifica la globina BETA una
mutazione puntiforme. A seguito di questa
mutazione nella sequenza polipeptidica del gene
della globina beta si ha la sostituzione di un
acido glutammico con una valina. Per via di
questa mutazione la emoglobina presenta
all’interno dei globuli rossi in condizione di
scarso ossigeno con bassa tensione di ossigeno
come si ha in periferia, precipita all’interno del globulo rosso facendo assumere la tipica forma di
falce. Da qui il nome falciforme a forma di falce. La forma mutata della emoglobina prenderà il
nome di emoglobina S.
Questo evento è sfavorevole agli individui portatori , è letale in quei individui che ereditano
entrambe le forme del gene mutato. In alcune zone quali ad esempio quelle dove è forte la pressione
selettiva esercitata dal plasmodio della malaria saranno selezionati gli individui che presentano una
situazione di eterozigosi, in cui sono espresse entrambe le forme del gene della globina( uno sano e
uno malato) . Quindi avranno metà dei globuli rossi sani e metà malati. Questo perché è utile per
quanto riguarda l’infezione del plasmodio della malaria, poiché non riesce a infettare i globuli rossi
che portano l’emoglobina mutata.
ERITROPOIESI
Il processo che porta alla formazione dei globuli rossi è chiamato ERITROPOIESI. Questo processo
varia nel corso della vita delle persone.
Nella fase vitellina è localizzato a livello delle isole sanguigne, per poi spostarsi durante tutto il
periodo della vita intrauterina, nel feto, all’interno della milza e stabilizzarsi nella vita extra uterina
all’interno del midollo osseo.
Eventi quali il calo della pressione, aumenta il trasporto di ossigeno all’interno del sangue. Anche
altri fattori modulano il processo di formazione del globulo rosso, ad esempio il fumo della sigaretta,
o l’anidride carbonica e tutti gli altri prodotti della combustione, inganno il rene che inducono a
produrre eritropoiesi in grandi quantità. Questo è sconveniente per chi abusa come ad esempio, chi
assume il doping.
Il doping induce un incremento anormale di globuli rossi all’interno del sangue
L’ematocrito varia ed è comparso in un range
che va da 3 – 5 milioni nel sesso maschile a 4 -1
milione di emazie a livello femminile. L’anemia
viene in seguito alla variazione di emazie.
I sistemi ematici più noti sono il gruppo A,B, AB,0 e il gruppo RH. Il sistema AB0 risulta da
enzimi che vanno a aggiungere dei gruppi oligosaccaridici ad una glicoforina di membrana. Quindi
i geni del sistema AB0 non codificano direttamente proteine, codificano invece enzimi i quali
aggiungono dei residui glucidici su una struttura comune . A seconda del residuo oligosaccaridici
raggiunto qualora si parli di N-CETILGALATTOSAMINA allora di parla del gruppo A. Mentre
se si è aggiunto il galattosio si ottiene l’antigene B e quindi il gruppo B. Una cosa interessante è che
a livello mondiale non sono distribuiti i gruppi
LE PIASTRINE
Le piastrine sono dei piccoli frammenti cellulari che derivano dalla rottura delle membrane di un
progenitore detto MEGACARIOCITA. Questi frammenti cellulari sono ovviamente privi di nucleo.
Hanno il nucleo piatto e sono
molto con diametro di 2- 4
micron. Una cosa importante
di questi corpuscoli è che
partecipano al sistema di
coagulazione del sangue.
Poichè sono coinvolti
direttamente nella formazione
del tappo PIASTRINICO
cioè una struttura che si crea
sui bordi della lesione
vascolare sul quale vanno ad
aderire numerose piastrine, il tappo piastrinico. Nel citoplasma di queste particelle c’è organizzato a
livello della membrana dei microtubuli che collaborano al processo della contrazione piastrinica.
Una volta formatasi nel tappo le piastrine si contraggono e si tirano cercando di avvicinare i lembi
danneggiati dal vaso.
Un’ altra caratteristica è che al loro interno sono contenuti dei granuli alpha beta e lambda.
Indipendentemente dal nome bisogna ricordare che sono presente importanti fattori della
coagulazione, all’interno delle piastrine c’è una grande quantità di calcio necessari per dare il via
agli eventi della cascata coagulativa. Pertanto le funzioni delle piastrine sono qui riportate:
le piastrine partecipano nel trasporto delle sostanze chimiche per la formazione del coagulo,
partecipano alla formazione del tappo piastrinico e una volta che questo si è formano si
contraggono attivamente cercando di avvicinare lembi vascolari danneggiati.
Le piastrine dette anche trombociti sono continuamente rinnovate e hanno una vita ben inferiore
rispetto ai globuli rossi, di soli 10-12 giorni.
GLOBULO ROSSO E PIASTRINA CONDIVIDONO LO STESSO PROGENITORE
Una
delle
funzion
i
importa
nti del
PLASMA E SIERO
A questo punto riusciamo a comprendere le differenze tra plasma e siero.
Il plasma risulta essere la parte liquida del sangue priva di corpuscoli ma sono presenti i fattori della
coagulazione e il fibrinogeno. Mentre il siero corrisponde alla parte liquida del sangue che si ottiene
a seguito dell’innesco del processo della coagulazione, priva di fattori della coagulazione priva del
fibrinogeno. Il siero si forma sotto il coagulo.
I LEUCOCITI
Il leucociti sono le cellule bianche del sangue e sono privi di pigmenti. Adempiono alle loro
funzioni nell’ ambito del sistema immunitario a difesa dell’organismo contro gli agenti patogeno, le
tossine, le sostanze di rifiuto e cellule danneggiate. Originano da due progenitori, il progenitore
mieloide e il progenitore linfoide.
CLASSIFICAZIONE DEI LEUCOCITI
I leucociti andranno a comporre quella che è detta FORMULA LEUCOCITARIA che rappresenta le
percentuale con cui sono presenti le diverse sottoclassi di cellule bianche all’interno del sangue.
Valutando la alterazione di tale percentuale risulta essere uno strumento utile, per comprendere
anche quale infezione in corso all’interno dell’organismo in quanto ognuno di queste particelle si
attiva in risposta ad un determinato patogeno.
Una caratteristica che condividono tutti i leucociti è la capacità il torrente ematico. A seguito della
ricezione di opportuni stimoli chimici le cellule endoteliali espongono sulla loro superficie delle
glicoproteine che inducono il leucocita ad aderire alla membrana plasmatica della cellula
endoteliale determinando il suo rotolamento. Quindi rallentano la corsa all’interno del sangue. La
cellula poi aderisce. Grazie ad un movimento ameboide si sposta all’interno del tessuto connettivo
dove poi andrà a svolgere le funzioni immunitarie proprie di distruzione del patogeno.
IL SISTEMA IMMUNITARIO.
Dis
ting
uia
mo
due
gra
ndi
tipi
di
leu
coc
iti:
GR
ANULOCITI E AGRANULOCITI, per via della presenza o meno di granuli all’interno del
citoplasma. Le cellule presentano anche differenze morfologiche del rispettivo nucleo che ora
andremo a vedere nel dettaglio il granulocita neutrofili è il leucocita più rappresentato tra le cellule
bianche del sangue presenta un nucleo denso e con molti loculi, collegato da sottili segmenti. Una
caratteristica che ci permette di classificare il neutrofilo da altre cellule è anche la protrusione di un
piccolo corpicciolo detto CORPO DI BARR che rappresenta nelle femmine il secondo cromosoma
X inattivo. Tali cellule svolgono una importante funzione in risposta a patogeni detti PIOGENICI di
fatti tali cellule hanno una elevata capacità fagocitica sono voraci mangiatori di patogeni e li
mangiano in grande quantità si muovono fino al sito d infiammazione e poi per indigestione
muoiono producendo il PUS pertanto all’interno del loro citoplasma saranno contenuti molti granuli
ed enzimi lisosomiali con funzione digestiva battericida .
Il granulocita eosinofilo rappresenta il 2-4% delle cellule bianche del sangue. Esso ha un nucleo bi
lobato. Il loro nome deriva dall’affinità, dalla colorazione rosa per eosina. Gli eosinofili sono
particolarmente attivi in risposta a parassiti, vermi ,elminti. Per uccidere tali patogeni, producono
delle sostanze generalmente proteine basiche tossiche in grado di degradare le strutture di tali
patogeni. Si attivano per via del riconoscimento d immunoglobuline G e immunoglobuline E.
queste immunoglobuline saranno legate sul patogeno. L’eosinofilo sulla sua membrana avrà una
molecola recettore che riconosce l'immunoglobulina determinando l’attivazione di questo e il
rilascio dei granuli. Pertanto questo eosinofilo mostra scarsa attività fagocitaria.
Il granulocita
basofilo, è una
cellula che
presenta
distinguibile con
colorazione
eosina un nucleo
a forma di U e di
S.
Il citoplasma è ricco di granuli. Il granulocita basofilo coopera nella risposta infiammatoria
rendendo più fluido i il sangue aumentando la micro circolazione locale grazie alla istamina che è
un vasodilatatore favorisce il reclutamento di linfociti T e B. i basofili sono anche cellule coinvolte
in grande quantità nel corso delle risposte di ipersensibilità nelle reazione allergiche.
IL MONOCITA
è la cellula più grande tra tutte le cellule bianche del sangue. Il monocita è il precursore di tutta la
linea del sistema monocito-macrofago i macrofagi gli osteoclasti che hanno un ruolo del
rimodellamento del sangue digeriscono le proteine del collagene dell’osso. Presentano un nucleo a
forma di rene il nucleo reniforme. Contiene pochi lisosomi, sono dotate di abilità fagocitica
( mangiano e digeriscono il patogeno) il patogeno incontrato a livello dei tessuti periferici dove
aggiungono il tessuto grazie alla circolazione
I
LI
NF
OC
ITI
Son
o la
popolaz
ione più abbondante delle cellule del sangue. Quando si attivano sono anche molto grandi il loro
nucleo occupa la totalità della cellula. Questi non hanno attività fagocitaria non presentano granuli
non fagocitano, svolgono una importante funzione. Sono responsabili dell'immunità cellulare e
umorale, quella che porta alla produzione di anticorpi .
Ci sono tre tipi di linfociti. I linfociti T, B e NATURAL KILLER
citometria a flusso: grazie a essa è possibile caratterizzare i linfociti nelle differenti sottoclassi, le
cellule natural killer, i linfociti B che produrrano gli anticorpi i linfociti T. CD8 :tossici. Cd4:helper.
LEZIONE 16 30/11/2022
ISTOLOGIA
INTRODUZIONE
Siamo ormai verso la fine del nostro percorso sulla istologia e oggi affrontiamo il quarto e ultimo tipo
di tessuto, nelle lezioni che mancano poi avrete ancora due approfondimenti con il Professor
Casciano, sempre relativamente diciamo collegati al sangue, in particolare alla risposta immunitaria,
all’immunità e ad un metodo che si applica in particolare, ma non solo, al sangue che è quello della
citofluorimetria e poi con me avremo altri due appuntamenti oltre a questo, uno in cui vedremo come
i vari tipi di tessuto, che a questo punto abbiamo descritto tutti, interagiranno per dare origine agli
organi e quindi come sono strutturati i principali tipi di organi, e un’ultima lezione che, anche se è
molto avanti perché sarà il 20 vi invito a partecipare o in presenza o comunque da remoto, che sarà
l’occasione per fare un ripasso, per rispondere a eventuali vostre domande o anche richieste che mi
potete fare fin da ora di argomenti che sono risultati meno chiari o più difficili quando li avete
riguardati a casa, che possiamo riprendere, sarà l’occasione per ripescare quelle specie di compiti
che vi avevo lasciato da fare, di comparazione fra le giunzioni, di comparazione fra i metodi per la
microscopia ottica ed elettronica, così li ricapitoliamo insieme, e soprattutto in questa ultima lezione
vi darò delle importanti indicazioni sullo svolgimento del esame, sia dei dettagli pratici, di come
avverrà l’esame, sia qualche esempio di possibile domanda in modo che vi rendiate conto.
Il materiale dell’ultima lezione non verrà pubblicato perché non ci saranno argomenti nuovi, però
sono molto utili per voi, per orientare lo studio in vista dell’esame, è ovvio che se poi ci sono dei
dubbi che vi nascono dopo quell’appuntamento io rimango sempre contattabile, sia io che il
Professor Casciano, attraverso classroom o scrivendoci ai nostri indirizzi email per specifiche
richieste, e in quell’occasione vi darò anche il tempo per compilare il questionario, che sapete ogni
insegnamento viene valutato dagli studenti in forma anonima assolutamente e questa cosa può
essere fatta al più tardi quando vi iscrivete all’esame, ma è consigliato farlo prima, quindi senza fretta
e senza angoscia insomma di concluderlo e quindi vi lascerò il tempo in quella occasione di fare
anche questa operazione.
TESSUTO NERVOSO
Oggi invece tessuto nervoso, quarto e ultimo tipo, un tessuto affascinante e allo stesso tempo anche
un po’ misterioso, misterioso nel senso che ci sono ancora tante cose che dobbiamo capire
relativamente al sistema nervoso, e nell’arco degli anni si sono anche approfondite molto le
conoscenze, si sono eliminate alcune convinzioni sbagliate anche su questo tessuto, ma rimane
ancora tanto da fare. Affascinante perché? Perché a questo tessuto, e in generale al sistema
nervoso, noi dobbiamo tutte le nostre più elevate capacità, quindi se io adesso sono in grado di
parlarvi, di elaborare un pensiero, di esprimerlo, voi siete in grado di sentirlo materialmente, di
capirlo, di elaborare una risposta a queste cose che vi dico, tutto questa serie di azioni sono possibili
grazie al funzionamento di questo tessuto e alla sua interazione con gli altri, quindi è ovvio che
funzioni così complesse dipendano da una certa complessità, lo studio del sistema nervoso è
qualche cosa di abbastanza titanico, per fortuna noi non dobbiamo conoscere in questo momento il
sistema nervoso nella sua completezza perché questo attiene all’anatomia, però dobbiamo capire il
suo costituente fondamentale, che è il tessuto nervoso, senza il quale non si capiscono i livelli
superiori, quindi faremo solo dei cenni di anatomia del sistema nervoso ma ci concentreremo sul
tessuto e sulle cellule che compongono il tessuto, soprattutto come sono fatte, dove si trovano e in
parte anche come funzionano, quindi lo zio Sam vi dice:” I want your neuron” perché servono sempre
a tutte le lezioni, oggi forse più che mai.
Allora presentazione del tessuto nervoso, come sempre specifichiamo componente cellulare-MEC,
allora la MEC nel tessuto nervoso non è assolutamente preponderante, è praticamente quasi
assente ce n’è ma veramente in quantità minima, si sono delle lamine basali fondamentalmente e
poco di più. Ciò che è fondante, invece, è la presenza di elementi cellulari che sono raggruppabili in
due grandi tipologie, le cellule nervose o neuroni, che sono la parte funzionale del tessuto nervoso,
cioè sono quelle e le uniche in grado di generare e di trasmettere l’impulso nervoso che consente la
comunicazione; Però loro riescono a fare il loro lavoro grazie alla presenza anche di altre cellule,
che nel complesso chiamo cellule gliali o nevroglia, che sono di diversi tipi e che quindi
distingueremo fra le cellule gliali del sistema nervoso centrale e cellule gliali del sistema nervoso
periferico, ripeto queste cellule sono importanti per l’omeostasi del tessuto nervoso, per il corretto
funzionamento dei neuroni, perché li aiutano in tanti modi, ma non hanno le stesse caratteristiche
dei neuroni, né strutturali, né soprattutto funzionali, quindi non riescono a fare ciò che fanno i neuroni.
Il tessuto nervoso è la componente fondamentale di quello che noi chiamiamo sistema nervoso, nel
quale però oltre al tessuto nervoso che è la parte principale ci sono anche altri tessuti, in particolare
i tessuti connettivali che rivestono, che costituiscono gli involucri del tessuto nervoso e i vasi, la
caratteristica del sistema nervoso, e quindi anche del tessuto nervoso, è di essere non localizzato
in un esatto punto, anche se ci sono alcune zone in cui ci sono delle masse più importanti di tessuto
nervoso, ma di essere dislocato, essere una rete di cellule e di fibre che permette una serie di
comunicazioni integrate, comunicazioni che viaggiano nei vari sensi e che permettono quindi il
coordinamento di tutte le attività dell’organismo, sia quelle diciamo sotto il controllo della volontà, sia
quelle sotto diciamo autonome che non c’entrano con la volontà.
Come è suddiviso il sistema nervoso? Diamo questo accenno diciamo anatomico, perché così ci
orientiamo anche nelle descrizioni che seguiranno, si divide in sistema nervoso centrale, indicato da
qui in avanti con l’acronimo SNC e sistema nervoso periferico, acronimo SNP. Il SNC viene anche
definito nevrasse per evidenziare che è una struttura appunto assile che è costituita anteriormente
da una massa di tessuto nervoso che va a costituire l’encefalo che prosegue lungo diciamo la linea
dorsale con il midollo spinale, e questo è l’asse nervoso che caratterizza tutti i vertebrati collocato in
posizione dorsale, quindi SNC due costituenti encefalo protetto dal cranio, dalle ossa craniche e
midollo spinale protetto dalla colonna vertebrale. All’interno sia dell’encefalo, che del midollo spinale,
quindi nel SNC, da un punto di vista istologico siamo in grado di distinguere abbastanza facilmente
la sostanza grigia rispetto alla sostanza bianca, che sono collocate in specifiche zone, periferiche o
centrali, diverse a seconda che parliamo dell’encefalo o parliamo del midollo spinale. Intanto cosa
intendiamo per sostanza bianca? Intendiamo delle zone detta bianca proprio perché il colore è
bianco per la grande presenza di fibre nervose mieliniche, cioè avvolte, circondate da una guaina di
mielina, e la mielina è una sostanza biancastra, dove invece la
mielina non c’è e trovo i corpi cellulari dei neuroni, trovo le
cellule gliali soprattutto, trovo i dendriti allora li parlo di sostanza
grigia.
Se noi guardiamo questa sezione trasversale del midollo
spinale vediamo che nel midollo la sostanza bianca occupa una
posizione periferica, e la sostanza grigia invece si trova nella
parte midollare, nella parte più interna e la posso apprezzare
anche perché la vedo anche materialmente più scura
soprattutto con le colorazioni dell’impregnazione argentica, che
ha questa tipica forma un po’ a farfalla, leggermente diversa a
seconda che la sezione venga fatta a livello lombare, sacrale,
toracico, comunque grossomodo ha sempre questa forma a
farfalla.
Se la sezione invece la facciamo a livello dell’encefalo, sia a
livello diciamo del cervello vero e proprio, sia del cervelletto,
troviamo una disposizione inversa, cioè abbiamo alla periferia
la sostanza grigia, e nella parte invece più interna la sostanza
bianca, ripeto se l’avessimo perso, la sostanza bianca è costituita fondamentalmente dalle fibre
nervose mieliniche, da cui l’aspetto bianco, nella sostanza grigia invece queste non ci sono o sono
ben poco rappresentate e prevalgono invece i corpi cellulari oppure delle fibre senza mielina.
Che funzione ha questo SNC? È praticamente il centro di comando, di controllo dove arrivano e
partono gli impulsi, dove le informazioni vengono integrate, elaborate per poter generare delle
risposte, ripeto, risposte sia di tipo autonomo, che di tipo invece volontario. Poi abbiamo il SNP che
è l’insieme, diciamo questa rete che emana dal SNC e quindi è in continuità, comunque, con il SNC
e che raggiunge un po’ tutti i distretti fino anche a quelli più periferici dell’organismo.
Il SNP è costituito da due tipi di elementi i nervi e i gangli, che cosa sono i nervi e i gangli? I nervi
sono dei fasci di fibre nervose, quindi delle strutture nelle quali le varie fibre si associano, si
associano insieme a degli involucri anche connettivali e una fibra nervosa che cos’è? Non è altro
che l’assone dei neuroni avvolto da un particolare tipo di cellula gliale che dopo andremo a vedere,
questi sono i nervi, i nervi emergono sia, posso emergere dalla base del cranio, sia dal midollo
spinale e sulla base di questo parlerò di nervi cranici e nervi spinali, nell’uomo sono 12 paia quelli
cranici e 31 quelli spinali. I gangli, invece, sono degli agglomerati di corpi cellulari dei neuroni, i nervi
abbiamo detto sono fasci di assoni dei neuroni, i gangli invece sono agglomerati di corpi cellulari dei
neuroni che si trovano appunto in posizione esterna rispetto al SNC e questi gangli sono in pratica
delle strutture vagamente ovoidali dove oltre ai corpi cellulari ci sono anche un particolare tipo di
cellule gliali a sostegno e protezione e che sono comunque anche sostenuti sempre da tessuto
connettivo, come c’erano i connettivi a sostegno dei nervi, ci sono dei connettivi anche attorno ai
gangli, i gangli sono delle stazioni cosiddette di relay cioè di rinvio, diciamo di rinoltro degli impulsi
nervosi dal SNC verso la periferia e anche in senso contrario, a seconda che questi gangli siano dei
gangli sensitivi o dei gangli invece motori autonomi.
Passiamo alla descrizione dei neuroni che sono le cellule “regine” del tessuto nervoso e che
costituiscono le unità funzionali sia nel SNC che nel SNP. I neuroni hanno due caratteristiche
fondamentali, che possiedono ripeto solo loro all’interno del tessuto nervoso, che sono la eccitabilità
e la conducibilità, la eccitabilità vuol dire che se ricevono uno stimolo adeguato sono capaci di
generare un impulso nervoso, che in pratica è una corrente elettrica, e non solo, sono in grado anche
di trasmettere, di condurre questo impulso nervoso non solo per tutta la lunghezza della cellula
interessata dallo stimolo, ma anche di trasferire questo stato di eccitazione, quindi questo impulso
nervoso ad un’altra cellula vicina, cellula che può essere un altro neurone oppure può essere una
cellula di altro tipo, una cellula effettrice cosiddetta chiamata dallo stimolo dell’impulso nervoso a
dare una risposta, le cellule effettrici possono essere cellule muscolari, sia scheletriche che lisce,
possono essere delle cellule ghiandolari, questo, diciamo così, dialogo e questo passaggio
dell’impulso nervoso dal neurone ad un’altra cellula avviene a livello di una struttura che viene
definita, chiamata, sinapsi e che andremo a descrivere più avanti.
I neuroni sono delle cellule molto caratteristiche, anche dal punto di vista morfologico, sono costituiti
da un corpo cellulare che viene anche chiamato soma, soma è, diciamo, il termine che prende
dall’etimologia greca e che significa corpo; quindi, è un corrispondente di corpo cellulare, viene
anche detto pirenoforo o pericario. Il corpo cellulare è rispetto al volume totale della cellula una parte
molto piccola, rappresenta circa il 5%, tutto il resto 95% del volume di un neurone è rappresentato
invece dai prolungamenti che si dipartono dal corpo cellulare, questi prolungamenti che possono
anche essere anche molto lunghi, sono di due tipologie ben distinte dendrite e assone, assone che
viene anche detto neurite, quindi assone e neurite sono due sinonimi, che sono diversi
morfologicamente e anche funzionalmente, in che senso? Nel senso che il dendrite è la zona del
neurone diciamo ricevente, quella che appunto accoglie e riceve lo stimolo in seguito al quale si
genera l’impulso nervoso, dopodiché questo impulso si muoverà lungo il dendrite verso il corpo
cellulare, poi dal corpo cellulare proseguirà lungo l’assone, assone che invece è la parte diciamo di
trasmissione dell’impulso, quindi a livello dell’assone dove c’è la sinapsi poi questo impulso verrà
passato, trasmesso ad un altro elemento, quindi abbiamo una parte ricevente e una parte che si
incarica invece della trasmissione e c’è una precisa direzione in cui viaggia l’impulso.
I neuroni sono caratterizzati dal fatto che sono delle cellule, confrontandoli diciamo con le altre cellule
non solo del tessuto nervoso ma dell’organismo, notiamo che le cellule nervose, i neuroni, sono
caratterizzati da una notevole attività genica e una notevole attività metabolica, quindi sono molto
vivaci nella produzione di varie molecole e di costituenti, hanno una notevole varietà morfologica, io
vi ho detto che ogni neurone è costituito da un corpo cellulare ed è costituito da prolungamenti,
dendrite e assone, ma detto questo, il numero di questi prolungamenti, la lunghezza, il grado di
ramificazione, la forma del corpo cellulare, possono essere molto diversi, per cui io riconosco tante
diverse tipologie di neuroni proprio da un punto di vista morfologico, non sono tutti uguali uno all’altro;
e l’altra caratteristica che in parte vi ho già commentato è quella del fatto che è una cellula fortemente
polarizzata, noi la polarità cellulare, la polarizzazione l’avevamo messa in campo già dalle prime
lezioni, quando avevamo parlato delle cellule epiteliali, che sono particolarmente votate alla
polarizzazione, qui il fatto che una zona della cellula nervosa non sia equivalente ad un’altra è più
che mai evidente, sia perché sono fatte diversamente, sia perché funzionano hanno compiti diversi;
anche proprio in rapporto a questo discorso del trasferimento dell’impulso nervoso, della
direzionalità.
Il fatto che ci sia una notevole varietà morfologica, per come sono organizzati i prolungamenti e che
ci sia questa forte polarizzazione, è testimoniato ed è legato al grande sviluppo del citoscheletro che
noi vediamo in tutti i neuroni, del resto questi neuroni hanno questi prolungamenti lunghissimi,
possono essere centimetri o possono arrivare anche a un metro, come faccio per sostenere una
struttura così lunga? Come faccio perché i neuroni abbiano e mantengano la loro forma? La risposta
sta come ben sappiamo nel citoscheletro, quindi il citoscheletro è molto sviluppato in tutte le sue
componenti, microfilamenti, ma soprattutto microtubuli e filamenti intermedi, e questo appunto è
importante per supportare e mantenere questa morfologia così peculiare dei neuroni, ma è anche
importante, il citoscheletro, perché mi consente lo svolgimento di un traffico vescicolare piuttosto
sostenuto, lungo questi prolungamenti
viaggiano delle vescicole che sono per altro
implicate proprio anche nel trasferimento
dell’impulso nervoso a livelli della sinapsi,
viaggiano organuli, viaggiano materiali di
vario tipo e quindi noi sappiamo che tutto
questo movimento di vescicole può avvenire
solo se le vescicole si muovono lungo i binari
costituiti appunto dagli elementi del
citoscheletro.
Considerate che la metà delle proteine che io
trovo nell’encefalo sono proteine del
citoscheletro, per dire quanto sono presenti,
quanto sono rappresentate, tenendo conto di
tutte queste caratteristiche andiamo adesso a vedere com’è il corpo cellulare, come sono i dendriti
e com’è l’assone, qui c’è un esempio, uno schema di possibile neurone, con il suo corpo cellulare, i
dendriti e l’assone e questa freccia che ci ricorda qual è la direzione dell’impulso del segnale e quindi
che ci evidenzia ancora una volta la polarità funzionale di queste cellule.
Nel descrivere il neurone noi potremmo parlare di due domini distinti, il dominio somato-dendritico e
il dominio assonale, c’è un dominio che raggruppa il corpo cellulare e il o i dendriti, che condividono
alcune caratteristiche anche morfologiche di organizzazione ultrastrutturale, dominio che invece è
abbastanza diverso da quello assonale, cioè l’assone ha delle caratteristiche sue, diverse, distinte,
dal resto della cellula, dal resto del neurone, ecco perché abbiamo la necessità di descriverli uno
per uno separatamente.
Passiamo adesso al dominio assonale, andiamo a descrivere l’assone o neurite che è un altro tipo
di prolungamento che è la sede di trasmissione degli impulsi. L’assone intanto è uno solo per
neurone, i dendriti possono essere uno o più, l’assone è uno, questo lo sottolineo perché c’è
qualcuno che anche a uno degli ultimi esami davanti a questa domanda è riuscito a sbagliare, quindi
lo sottolineo.
Questo assone che cos’è? È anch’esso un prolungamento, cilindrico, che ha un diametro costante
per tutta la sua lunghezza, tranne magari nella parte terminale dove si può diramare, questa è una
differenza rispetto ai dendriti che abbiamo visto prima, perché invece i dendriti mano a mano che ci
si allontana dal soma e che si arborizzano, che si ramificano vanno incontro a una diminuzione del
loro diametro, del loro calibro, questo non avviene invece per l’assone, questo però non vuol dire
che l’assone di tutti i neuriti sia sempre dello stesso diametro, a seconda del neurone ci può essere
un diametro diverso, però quel diametro, diciamo, è mantenuto lungo la lunghezza dell’assone.
L’assone può eventualmente ramificarsi e magari dare origine a uno o due, o pochi, comunque, rami
collaterali, ma se fa questo, lo fa comunque lontano dal corpo cellulare, quindi lungo il suo decorso
più frequentemente nella zona terminale, non vicino al corpo cellulare come fanno i dendriti; la
lunghezza dei neuroni è variabile è può arrivare ad essere veramente ragguardevole, ci sono i corti
che sono di 0.1µm, ma ci sono dei motoneuroni, quindi, dei neuroni che controllano la muscolatura
scheletrica, quindi sotto la volontà, che partono dal sistema nervoso centrale e raggiungono fino
proprio al muscolo che vogliono comandare che possono essere lunghi anche 1m o più, quindi sono
tendenzialmente gli assoni più lunghi di quanto non siano i dendriti.
Da dove ha origine il neurone? Il neurone origina da una specifica regione del corpo cellulare che
prende il nome di cono di emergenza, di emergenza non nel
senso di ambulanza, di emergenza proprio nel senso che da li
emerge l’assone, o monticolo assonico, questo che vedete in
questo punto qua, e da lì inizia, il fatto che il neurone sia un po’
un microcosmo a se è testimoniato dal fatto che la membrana
plasmatica a livello dell’assone prende un nome specifico e
viene chiamata assolemma, così come il citoplasma che è
presente a livello dell’assone prende il nome di assoplasma.
Cosa c’è dentro questo assoplasma, qui non c’è nulla che mi
serva per sintetizzare le proteine, non c’è RER, non ci sono
ribosomi, non c’è apparato di Golgi, questa è una notevole differenza rispetto al dominio somato
dendritico, quindi, le eventuali proteine che trovo nell’assone sono state prodotte e provengono dal
corpo cellulare non sono state fatte in loco, è presente una quantità comunque non esorbitante di
REL, ci sono tanti mitocondri quello sì, e si trovano dislocati per tutta la lunghezza dell’assone, c’è
un citoscheletro importante dove sono particolarmente rappresentati i famosi neurofilamenti, che
trovo in generale nel neurone, ma che sono soprattutto numerosi ed estesi qui nell’assone, trovo
tante vescicole, che si muovono sfruttando per altro il citoscheletro e volendo diciamo essere proprio
pignoli possiamo anche suddividere le vescicole che ritroviamo nell’assone in base alla diversa
dimensione, quindi al diametro, e a quello che contengono, abbiamo delle vescicole sinaptiche che
sono più piccole, un diametro di 25-50nm, che contengono neurotrasmettitori di tipo non peptidico,
quindi singoli amminoacidi per esempio, oppure ho delle vescicole a contenuto elletrondenso più
grandi che portano altri tipi di neurotrasmettitori, quelli diciamo più classici, dei modulatori, dei fattori
di crescita.
L’assone è teatro di un vivacissimo trasporto di materiali nei due sensi, sia dal soma verso la parte
terminale dell’assone, che viceversa dalla parte terminale dell’assone verso il soma, e quindi vi ho
preparato una diapositiva apposta per
esemplificare questo trasporto
assonale, quindi, parlerò di trasporto
assonale anterogrado, quello che ha
come direzione dal soma, cioè dal
corpo cellulare, verso il terminale del
neurone questo tipo di trasporto viene
ulteriormente distinto sulla base della
velocità con cui avviene, abbiamo un
trasporto assonale anterogrado
rapido, rapido vuol dire che al giorno,
percorre 50-400mm al giorno, e
questo è il trasporto attraverso cui si muovono gli organelli, per esempio i mitocondri, ma anche le
vescicole, che contengono le vescicole secretorie, e anche una serie di substrati e enzimi che sono
coinvolti nel metabolismo dei neurotrasmettitori che vengono rilasciati a livello del terminale
assonico, poi ho un tipo di trasporto sempre in questo stesso senso, ah un ultima cosa il trasporto
rapido anterogrado sfrutta, vede il coinvolgimento della chinesina, che noi già conosciamo una
proteina motrice, e ovviamente prevede il consumo di ATP, quindi un trasporto ATP dipendente; il
trasporto lento, invece, lento perché la velocità al giorno e la strada che si compie è sicuramente di
meno, e questo serve per trasportare fondamentalmente proteine citoscheletriche; nel flusso
anterogrado di tipo a, microtubuli soprattutto, proteine dei microtubuli e neurofilamenti, in quello di
tipo b, invece, actina, miosina ma anche clatrina per esempio, vengono spostate; ho anche un
trasporto nel senso contrario, definito retrogrado, che è anch’esso di tipo rapido, questa volta nel
trasporto retrogrado è coinvolta l’altra proteina motrice che conosciamo la dineina, e anche questo
un trasporto costoso, nel senso che prevede l’idrolisi di ATP.
Che cos’è che si sposta dal terminale assonico verso il soma? Una serie di materiali che devono o
essere eliminati, quindi digeriti metabolizzati e così, oppure che devono essere recuperati riutilizzati,
fondamentalmente trasporto materiale che è stato endocitato all’interno dell’assone dal terminale
assonico, quindi magari per recuperare dei neurotrasmettitori per esempio, o dei componenti
cellulari, magari anche parti di recettori che sono sulla membrana, oppure materiali pericolosi che
devono essere eliminati, come tossine, come microrganismi che poi vengono, appunto, portati al
soma e li trattati diciamo per essere resi innocui ,quindi, c’è molto traffico lungo l’assone.
Come posso classificare i neuroni? La principale classificazione è quella morfologica, che viene fatta
sulla base del numero di prolungamenti e di come sono organizzati diciamo questi prolungamenti.
Questa è una classificazione storica che aveva fatto Cajal, che insieme a Camillo Golgi è uno dei
più importanti anatomisti, ai quali si deve molte delle conoscenze che abbiamo ancora oggi sul
tessuto nervoso e lui aveva individuato queste 4 classi strutturali che sono ancora oggi valide e
riportate in tutti i testi.
1-NEURONI UNIPOLARI
2-NEURONI BIPOLARI
3-NEURONI PSEUDOUNIPOLARI
4-NEURONI MULTIPOLARI
Ho messo per ognuna delle quattro classi il numerino sotto l’immagine corrispondente
Li spieghiamo proprio guardando l’immagine, allora:
-il neurone “unipolare” è un neurone che vedete ha un corpo cellulare e un assone, manca del
dendrite; quindi, la porzione del neurone che riceve è il corpo cellulare, e poi da lì l’impulso si
propaga normalmente lungo l’assone. Questo tipo di neurone nell’adulto è poco rappresentato, lo
troviamo però numeroso durante lo sviluppo sono i classici neuroni embrionali.
-Poi abbiamo il terzo tipo, i cosiddetti neuroni “Pseudounipolari”, detti anche con il prolungamento
a T, perché? Perché vediamo che dall’immagine, che dal corpo cellulare emerge un unico
prolungamento che quasi subito si divide in 2 rami, dando questa tipica forma a T. Questo
prolungamento che si divide in 2 rami è un prolungamento di tipo assonico, c’è, morfologicamente,
strutturalmente è un assone, solo che un ramo si organizza a funzionare come dendrite e l’altro a
funzionare come assone. Però anche se si spartiscono i compiti i 2 rami in realtà entrambi i rami
sono riconducibili alla struttura assonica e sono difatti degli assoni. Questo si trova a livello, per
esempio, dei gangli sensoriali spinali.
-Poi abbiamo il quarto tipo, vedete ci sono più immagini perché è il tipo più diffuso, più abbondante
a livello del sistema nervoso. I multipolari hanno un assone e più dendriti, da 2 a tanti, che poi
possono arborizzare più o meno però, e quindi dare origine a forme abbastanza diverse tali per cui
all’interno dei multipolari si individuano diversi sottotipi, in particolare in base alla lunghezza
dell’assone. Quindi fra i neuroni multipolari abbiamo:
-i neuroni di tipo 1 di Golgi: che sono quelli che hanno un assone molto lungo che dalla sostanza
grigia in cui si trova a nascere l’assone, poi prosegue e decorre nella sostanza bianca, poi esce dal
SNC e va a costituire i nervi, quindi nel SNP. Un esempio di neuroni di questo tipo sono le cellule
del Purkinje che troviamo tipicamente nel cervelletto. Sono dei neuroni molto grandi, di questo tipo
appunto, con un lungo assone che fa tutta questa strada; quindi, che parte dal SNC e prosegue nel
SNP.
-i neuroni di tipo 2 di Golgi: hanno un assone decisamente più corto che si ramifica molto, cioè che
tende un po’ a ramificarsi e che rimane nella sostanza grigia, dove prende contatti sinaptici con
altri neuroni circostanti. Anche di questo tipo di neurone abbiamo un esempio sempre a livello del
cervelletto. Se noi infatti andiamo a vedere queste due
immagini qui abbiamo uno schema e qui abbiamo una sezione
istologica della corteccia” cerebellare”, non è un errore
cerebellare, cerebellare vuol dire relativa al cervelletto, mentre
cerebrale vuol dire relativa al cervello, quindi attenzione che i
due termini sono diversi. Quindi in tutte le regioni del
cervelletto, la corteccia presenta questa organizzazione in
strati, abbiamo uno strato più superficiale molecolare con
pochi elementi cellulari, uno strato invece più interno
granulare con tanti elementi cellulari e sia gli elementi cellulari
dello strato granulare che di quello molecolare sono proprio
dei neuroni di tipo 2, cioè di questi che hanno l’assone corto e che rimangono quindi confinati nella
sostanza grigia. All’interfaccia fra questi due strati troviamo tutte in fila le cellule del Purkinje;
quindi, questi neuroni piuttosto grandi che hanno un corpo cellulare grande e che hanno questa
arborizzazione dendritica che va sconfinare nello strato
molecolare e che hanno questo lungo assone che
attraversa, non solo lo strato granulare, che si trova nella
sostanza grigia, ma proseguono nella sostanza bianca
sottostante rispetto allo strato granulare e poi lasciano il
SNC, lasciano il cervelletto. Si vedono molto chiaramente
questi stessi elementi anche nella sezione istologica, allo
strato granulare fitto di neuroni, che si colora fortemente, qui
allineate le mie cellule del Purkinje e qui invece lo strato
molecolare che si colora meno dove i neuroni sono più radi.
Ci sarebbe un’ulteriore suddivisione morfologica ma la lasciamo stare, mi sembra che così sia già
abbastanza.
C’è anche una classificazione funzionale dei neuroni, cioè sulla base della loro funzione e sulla
base, che poi è collegata alla funzione, della direzione degli impulsi. Per cui abbiamo 3 classi di
neuroni:
1- NEURONI SENSITIVI, detti anche sensoriali, che sono afferenti, cioè sono neuroni che portano
informazioni di tipo sensoriale che provengono sia dall’ambiente esterno che dall’ambiente interno
dell'organismo e le portano al SNC, dove queste informazioni vengono integrate ed elaborate.
2-NEURONI MOTORI detti anche efferenti, in cui invece l’impulso è dal SNC verso la periferia,
verso i vari: cellule, tessuti, organi effettori, che ricevono indicazioni da questi neuroni.
I neuroni efferenti o motori, si dividono ulteriormente in:
- neuroni motori somatici, che sono quelli che innervano e che controllano la muscolatura
scheletrica, quindi sotto il controllo della volontà e che mi permettono tutti i movimenti volontari che
io faccio.
-neuroni motori viscerali, che vanno a controllare e a innervare la muscolatura liscia, la
muscolatura cardiaca, le ghiandole quindi attività, risposte di tipo involontario. Questa rete
informativa fa parte del sistema nervoso autonomo.
I neuroni motori somatici dipartono direttamente dal SNC e arrivano con i loro assoni, con le loro
fibre direttamente fino alle cellule muscolari che devono comandare. Invece i neuroni motori
viscerali hanno uno step intermedio. Quindi i neuroni motori viscerali partono SNC poi prendono
contatto con un secondo neurone motore, il cui corpo cellulare si trova all’interno di un ganglio,
quindi un raggruppamento nel SNP, da cui parte un ulteriore neurone che quest’ultimo raggiungerà
gli effettori, quindi le cellule muscolari lisce, cardiache o le ghiandole; quindi, è una via efferente
che ha 2 step.
3-INTERNEURONI detti anche neuroni associativi o neuroni intercalari, che sono quelli che, si
capisce anche dal termine, mettono in contatto i neuroni tra loro, quindi anche i neuroni sensitivi
con i neuroni motori.
Un’altra possibile classificazione dei neuroni, fa riferimento al fatto che essi abbiano o meno una
guaina che li avvolge, che avvolge in particolare il loro assone; quindi, parleremo di neuroni mielinici
quelli in cui l’assone è avvolto, è inguainato dalla mielina, e invece quelli amielinici quando l’assone
non è ricoperto, rivestito da mielina quindi la a sta per α privativo quindi senza mielina. Questa è una
questione importante che abbiano o no la mielina perché vedremo dopo che la mielina mi consente
una propagazione dell’impulso nervoso decisamente più rapida ed efficiente, quindi a parità di
calibro della fibra nervosa; quindi, del mio assone la presenza della guaina mielinica mi comporterà
un aumento della velocità rispetto ad un altro neurone, ad un altro assone in cui non ci sia la guaina
che va da 10 a 100 volte, quindi decisamente di più.
Oppure c’è una classificazione anche di tipo citochimica dei neuroni sulla base di quali sono i
neurotrasmettitori che si producono e rilasciano a livello della fessura sinaptica, per cui parleremo
di neuroni colinergici, quelli che hanno come trasmettitore l’acetilcolina, di neuroni adrenergici, quelli
che hanno come trasmettitore la noradrenalina, questi due qua li ho messi per primi e sopra perché
sono i due principali neurotrasmettitori e quindi la maggior parte dei neuroni sono di un tipo o
dell’altro, però ci sono anche alcuni trasmettitori che non sono né adrenergici ne colinergici,
cosiddetti NANC e che sfruttano altri trasmettitori ad alto o basso peso molecolare tra i quali
possiamo citare la serotonina, la dopamina, la glicina, il glutammato, che sono due singoli
amminoacidi, l’acido gamma-amminobutirrico “GABA”, e tutti questi di questa prima fila sono tutti a
basso peso molecolare oppure anche a più alto peso molecolare come la sostanza P e il
neuropeptide T.
Le cellule cosiddette gliali sono 6 tipi diversi di cellule che hanno il compito di supportare i neuroni,
in che senso supportarli? Supportarli strutturalmente, supportarli troficamente, magari perché li
aiutano, li nutrono, supportarli nel senso che li proteggono, supportarli anche nel loro compito di
trasmettere l’impulso nervoso perché alcune cellule gliali sono specificamente deputate a produrre
quelle guaine di mielina che isolano elettricamente i neuroni, consentendo una più rapida
progressione dell’impulso nervoso; Quindi, sono un po’ le “ancelle” dei neuroni e le servono in tanti
modi, in tutti questi diversi modi.
Nel SNC ho 4 tipi di cellule gliali:
- Gli astrociti, che ho messo per primi perché sono quantitativamente quelli più numerosi a livello del
SNC appunto che si dividono in due sottotipi, gli astrociti protoplasmatici e gli astrociti fibrosi
- gli oligodendrociti
- le cellule ependimali, dette anche ependimociti
- le cellule della microglia
Ripeto questi sono i 4 tipi di cellule gliali, di cellule di supporto, che trovo nel SNC.
Nel SNP ho altri 2 tipi di cellule di supporto che sono:
- le cellule satelliti
- le cellule di Schwann
Schwann era quello che faceva i the scientifici con Schleiden, anche di loro avevamo già parlato,
sono quelli che hanno gettato le basi per la teoria cellulare. Andiamo a vedere cosa fa ciascuna di
queste cellule.
Partiamo da quelle del SNC e partiamo dagli astrociti che, come vi dicevo, sono tra le cellule gliali
quelle più numerose e sono anche quelle di dimensioni maggiori, anche queste hanno una notevole
varietà morfologica tant’è che individuo due sottotipi diversi, che dopo andremo a descrivere, e che
hanno anche una notevole varietà di funzioni, hanno una forma a stella che è molto evidente per gli
astrociti protoplasmatici, un po' meno per quelli fibrosi ed è questa forma a stella che deve loro il
nome, infatti astro-citi, sono caratterizzati dall’avere numerosi prolungamenti ed è proprio grazie alla
presenza di questi prolungamenti che si diramano nelle varie direzioni che hanno questa forma a
diciamo nel complesso a stella e le terminazioni di questi prolungamenti tipicamente possono
rigonfiarsi a dare dei pedicelli che prendono contatto o con i tessuti connettivi o con i vasi e che
consentono, e che conferiscono agli astrociti una loro funzioni importanti cioè di costituire una
barriera tra i neuroni e i vasi o i tessuti connettivi perché si interpongono proprio fra di loro fra questi
due elementi selezionando, facendo da filtro delle molecole che possono raggiungere i neuroni, i
neuroni sono preziosi e vanno tutelati e quindi gli astrociti si inseriscono fra i neuroni e l’ambiente
diciamo circostante come se fossero uno scudo; tipicamente negli astrociti c’è l’espressione di una
proteina, la proteina gliofibrillare acida che è sempre fa parte dei filamenti intermedi, tipicamente ed
esclusiva degli astrociti, quindi è un biomarker per individuare se sono o no astrociti, ho detto fibrociti
un minuto fa? Volevo dire astrociti. Allora gli astrociti fibrosi, partiamo da questi hanno un numero di
processi, di prolungamenti “ridotto”, nel senso che è ridotto se confrontato con quello dei
protoplasmatici che sono però tendenzialmente più lunghi, non hanno una gran quantità di organuli,
ma sono molto abbondanti come gliofilamenti e sono tipicamente localizzati nella sostanza bianca,
gli astrociti protoplasmatici invece hanno un elevato, maggiore rispetto a quello dei fibrosi, numero
di processi che sono molto più ramificati, vedete che bell’albero che costruiscono che bella
arborizzazione, e che sono più brevi hanno più citoplasma, possiedono anche loro gliofilamenti ma,
meno rispetto a quelli fibrosi e sono tipicamente alloggiati nella sostanza grigia, quindi i due tipi di
astrociti si differenziano non solo per caratteristiche morfologiche ma anche per la loro distribuzione,
per la loro localizzazione, che funzione hanno gli astrociti? Tante e diverse prima di tutto un sostegno
strutturale ai neuroni vanno a costituire quella che viene definita membrana gliale limitante, cioè con
i loro pedicelli, con i loro prolungamenti, si interpongono fra i neuroni e la più interna delle meningi
che è una membrana connettivale che è a protezione diciamo del SNC. I vari prolungamenti, pedicelli
sono uniti tra di loro con delle giunzioni e quindi formano uno strato abbastanza continuo che
appunto fa proprio da filtro per impedire che passano passare molecole che non devono raggiungere
i neuroni che sono delicati che sono difficili da rimpiazzare se non impossibili. Cosa analoga per la
barriera ematoencefalica a la cui formazione gli astrociti partecipano perché appunto con i loro
prolungamenti, con i loro pedicelli finali prendono contatto con i vasi sanguigni; quindi, impedendo
che ci sia una libera diffusione c’è una selezione strettissima di ciò che dai vasi può arrivare ai
neuroni, perché di mezzo c’è l’endotelio dei vasi, c’è la lamina basale e c’è la presenza di questo
strato di astrociti di pedicelli di prolungamenti degli astrociti che si interpongono a fare una barriera
fisica, sono implicati in diverse attività metaboliche, per esempio possono rifornire il neurone di
glicogeno, rilasciare glicogeno per i neuroni possono produrre diversi metaboliti, tra cui anche i fattori
di crescita e i fattori neuromodulatori, sono in grado di regolare l’ambiente extracellulare, perché per
esempio possono ricaptare a livello delle fessure sinaptiche i neurotrasmettitori che sono stati
rilasciati, possono andare a regolare l’ambiente ionico del neurone, per esempio, bilanciare la
presenza degli ioni potassio grazie alla presenza di giunzioni gap che li mettono in contatto appunto
con queste cellule, sono importanti perché prendono parte a dei processi riparativi, quando c’è un
insulto dovuto a dei traumi meccanici, dovuto a delle infiammazioni o dovuto a delle malattie
neurodegenerative, tali per cui vengono a degenerare, a morire alcune cellule nervose gli astrociti
si attivano, vanno incontro a quella che viene chiamata gliosi proliferano diventano ipertrofici e vanno
a sostituire il vuoto lasciato dalle cellule nervose, a costituire la cosiddetta cicatrice degli astrociti,
solo che ovviamente questa cicatrice non ha la stessa funzionalità ovviamente delle cellule nervose
perché gli astrociti non sono né eccitabili né capaci di condurre. Partecipano anche attivamente alle
sinapsi, ci sono alcuni tipi di sinapsi chiamate tripartite in cui uno dei tre elementi è proprio l’astrocita
che quindi va a regolare l’attività del neurone coinvolto nella sinapsi e hanno anche un ruolo
importante nello sviluppo del SNC perché fungono, con i loro prolungamenti da piste durante lo
sviluppo embrionale su cui si muovono le cellule nervose che poi andranno a costituire il tessuto
nervoso quindi sono una guida allo spostamento, al movimento di queste cellule.
Poi abbiamo gli oligodendrociti, gli oligodendrociti, ce ne sono alcuni, una minima parte che vengono
detti oligodendrociti satelliti che si collocano attorno ai corpi cellulari, ma la maggior parte degli
oligodendrociti sono quelli interfascicolari che hanno questo compito importantissimo di emettere dei
processi, processi che si avvolgono attorno a delle porzioni di assone formando la guaina mielinica
che va a isolare elettricamente i neuroni del SNC; ogni oligodendrocita è in grado di inguainare
diversi assoni, qui si può anche vedere che c’è questo processo che inguaina questo assone,
quest’altro che ne inguaina un altro, ma ovviamente solo un tratto dell’assone, quindi per avere poi
una guaina completa ci saranno altri oligodendrociti che si incaricheranno di inguainare le porzioni
prima e dopo questa, sono delle cellule gliali molto rappresentate sono quelle predominanti a livello
della sostanza bianca e la cosa non ci stupisce perché la sostanza bianca è proprio dove c’è una
preponderanza di fibre mieliniche e quindi è ovvio che ci siano queste che sono le cellule incaricate
di formarla.
Poi abbiamo le cellule ependimali o ependimociti che hanno una forma variabile tra il cubico il
colonnare e le piramidali, sono cellule che lo vedete bene nella prima immagine a sinistra, rivestono
le cavità interne del SNC, rivestono in particolare i ventricoli cerebrali e il canale centrale del midollo
spinale che viene anche chiamato canale ependimale, sia nei ventricoli che nel canale del midollo
scorre, si trova, è presente il liquido cefalorachidiano o liquido cerebrospinale o liquor
semplicemente. Le cellule ependimali sono tutte, vedete, vicine, attaccate una all’altra formando una
specie di lamina, tipo un epitelio, alcune di queste cellule ependimali possono avere, in alcune zone
del SNC, possono presentare delle ciglia mobili che servono con il loro movimento a muovere il
liquido cerebrospinale, oppure possono presentare dei lunghi microvilli, sempre in zona apicale, che
invece possono avere un significato di riassorbimento. Hanno una serie di complessi giunzionali che
le tengono legate fra loro e nelle estremità basali, lo vedete bene nella prima immagine a sinistra,
presentano, possono presentare dei lunghi prolungamenti con cui prendono contatto con altre cellule
gliali, di solito con gli astrociti, in alcuni casi possono prendere contatto anche con i neuroni, ci sono
alcune cellule ependimali modificate, che hanno di solito la forma
cubica e che partecipano alla formazione dei cosiddetti plessi
corioidei, li vedete nell'immagine al centro, che sono le strutture a
livello delle quali avviene la produzione del liquido cerebrospinale,
vedete che sono un po’ diverse come forma e tendono in molti casi
a prendere contatto, come vi dicevo, con i neuroni, in modo che ci
sia un dialogo tra il liquor e i neuroni stessi. L'immagine al centro
è uno schema, mentre l'immagine a destra è, un'immagine, che vi
mostra, appunto, questo stesso schema ma, a livello istologico e
questi sono i nostri ependimociti cubici.
NEVROGLIA DEL SNC: cellule microglia
Tutta un'altra storia quando parliamo delle cellule della microglia, un'altra storia perché sono cellule
di derivazione completamente diversa, tutte le cellule gliali come tutte le altre cellule del sistema
nervoso i neuroni compresi sono di derivazione ectodermica; invece, le cellule della microglia
derivano dal mesoderma, e infatti derivano, diciamo, la loro origine da una cellula progenitrice di tipo
emopoietico perché infatti appartengono alla famiglia dei monociti-macrofagi. Sono un tipo
specializzato diciamo di macrofagi che migrano a livello del sistema nervoso ancora durante le fasi
di sviluppo quando ancora la barriera ematoencefalica non funziona; quindi, non è a regime e quindi
riescono a passare e quindi svolgono qui un presidio di difesa per il SNC; hanno, vedete, un nucleo
allungato che si colora intensamente, sono ricche di lisosomi e sono ricchi di lipofuscina, della
lipofuscina abbiamo già parlato, e hanno tanti corti processi irregolari quando sono nel loro stato
quiescente, quando la cellula della microglia viene attivata perché c'è un segnale di, diciamo
pericolo, trauma in cui devono intervenire cosa fanno? Ritraggono questi processi irregolari e con
una caratteristica tipica dei macrofagi si spostano, con movimento ameboide, per andare nella zona
interessata dall'insulto, dove svolgono la loro funzione di, tipica di macrofagi quindi con la possibilità
di fagocitare, di presentare l’antigene; quindi, per facilitare la risposta immunitaria da parte dei
linfociti secernono anche delle citochine che vanno appunto a regolare la risposta infiammatoria
immunitaria. Sono anche importanti per un'altra ragione, perché prendono parte alla eliminazione o
al mantenimento delle sinapsi, questo processo avviene soprattutto durante lo sviluppo embrionale
ed è quello che mi permette di eliminare l'eccesso di dendriti e di spine dendritiche, e quindi di
mettere a punto in modo più efficiente possibile il sistema neuronale, ma questo lavoro è svolto in
parte anche, seppure in quantità minore, nell'adulto.
TESSUTO NERVOSO: nevroglia del SNP
Nel SNP abbiamo altri due tipi, invece, le cellule satelliti che troviamo a fare un rivestimento tutto
attorno hai i corpi cellulari dei neuroni a livello dei gangli, sono delle cellule piccole, vedete, e di
forma abbastanza appiattita che si collocano tutti intorno al corpo dei neuroni per i quali svolgono
una funzione trofica e di sostegno, praticamente sono un po’ il corrispettivo degli astrociti, come
funzione; rilasciano anche una serie di fattori neuroprotettivi che possono stimolare appunto i neuroni
stessi e anche dei segnali paracrini, quindi che hanno un'azione nelle immediate vicinanze dove
vengono rilasciati, sempre per i neuroni, quindi non è solamente un ruolo passivo di protezione
strutturale ma anche la modulazione attraverso la produzione di queste sostanze, di queste
molecole; nell'immagine in basso a sinistra vedete una sezione istologica in cui si vede proprio un
corpo cellulare all'interno di un ganglio e attorno le cellule satelliti di cui si apprezzano in particolare
i nuclei, sono molto numerose le cellule satellitari all'interno dei gangli. Poi abbiamo le cellule di
Schwann, che fanno quello che nel SNC fanno gli oligodendrociti, cioè inguainano l'assone dando
dei rivestimenti che possono essere mielinizzati, quindi delle guaine con mielina, oppure possono
essere dei rivestimenti privi di mielina; quindi, non mielinizzati o amielinici; ma oltre a fare questo
sono anche coinvolti nella produzione della matrice extracellulare e anche nella modulazione di un
particolare tipo di sinapsi, quella neuro-muscolare che si stabilisce tra un motoneurone e la fibra
muscolare scheletrica; sono anche in grado di fagocitare, e quindi hanno anche dei compiti di difesa
a livello del SNP, nel centrale ci sono le cellule della microglia che fanno questo, qui dove non ci
sono le cellule della microglia ci si affida alla capacità fagocitica che viene espressa dalle cellule di
Schwann proprio perché hanno anche un ruolo di difesa immunitario, queste cellule sono colpite
quando ci sono dei fenomeni di autoimmunità che riguardano il sistema nervoso.
TESSUTO NERVOSO: neurilemma
Il tessuto nervoso, lei componenti nervose sono protette da connettivi, a livello del SNC; quindi, sia
dell'encefalo che del midollo spinale io trovo tre membrane connettivali che sono le meningi, che
separano l'osso diciamo, che può essere il cranio o può la colonna vertebrale, che si interpongono
quindi fra l'osso e il tessuto nervoso vero e proprio. Le tre meningi sono, la più esterna, quella quindi
in contatto, che aderisce all'osso la dura madre formata da tessuto denso fibroelastico, quindi
abbastanza denso di fibre elastiche, che al di sotto del quale c'è un piccolo spazio chiamato spazio
subdurale; quindi, al di sotto della dura madre; poi abbiamo l’aracnoide, che si chiama così proprio
perché è fatta come una tela di ragno, composta da un tessuto connettivo un po’ meno fibroso più
lasso che individua un sistema di trabecole all’interno del quale si trova, di nuovo, il nostro liquido
cerebrospinale, quindi c’è anche un cuscinetto idrico e al di sotto dell’aracnoide la pia madre che è
la più interna delle meningi che diciamo aderisce poi al tessuto nervoso ma non direttamente con i
neuroni perché si interpongono i nostri soliti astrociti con i loro prolungamenti e con i loro pedicelli.
SINAPSI
Siccome è tardi, invece che farlo tutto in fretta così, quando ci vedremo la prossima volta, prima di
fare la parte sugli organi completiamo il discorso sulle sinapsi e le guardiamo con un po' più di calma.
Il sistema linfatico
Il sistema linfatico consiste in una rete di vasi linfatici. La funzione di questi vasi linfatici è quella di
trasportare al loro interno un liquido di composizione analoga al plasma, detta linfa, all'interno di questa
linfa poi saranno trasportati quelli che andremo a vedere essere i patogeni, ma anche le cellule del
sistema immunitario. Lungo il viaggio che compie la linfa all'interno dei vasi linfatici, si rinvengono
innumerevoli piccoli corpiccioli detti organi linfatici secondari, cioè i linfonodi. A far parte del sistema
linfatico ci sono anche quelli che sono detti organi linfoidi primari, cioè il midollo osseo e il timo, ovvero
le sedi dove i leucociti nascono.
Piccolo accenno sugli organi e tessuti linfatici, questi possono essere distinti in funzione che all'interno
dell'organo avvenga o meno la produzione dei leucociti, quindi si distinguono come primari (centrali): il
midollo osseo ed il timo, che è un organo particolare; e organi linfoidi secondari, dove invece non
avviene la produzione dei leucociti, ma piuttosto avviene la risposta immunitaria all'interno di queste
formazioni.
Quindi, nell'insieme il sistema linfatico svolge una funzione di recupero, rimettendo nel circolo sanguigno
le proteine presenti nel liquido interstiziale lì accumulatesi e soprattutto l'acqua; permette di assorbire e
trasportare sostanze non solubili quali i chilomicroni, cioè formazioni lipidiche assorbite a livello
dell'intestino; ma soprattutto partecipa all’importante funzione immunitaria, cioè a difesa del nostro
organismo, che è svolta all'interno dei linfonodi.
L’immunità
Parliamo dell’immunità, ma, per parlare di come questa cascata di attivazione cellulare riesca a
difendere il nostro organismo, bisogna raccontare una storia, la storia di un patogeno che cerca di
infettare la nostra cute e che poi, grazie al sistema linfatico, è trasportato all'interno del linfonodo dove
poi avverrà l'attivazione della risposta immunitaria che prende il nome di acquisita con la produzione
degli anticorpi.
L'immunità che cos'è? L'immunità è una condizione innata o acquisita, in base alle quale ogni organismo
è in grado di neutralizzare tutto ciò che gli è estraneo. Lo studio dell'immunità rientra all'interno di una
scienza, ovvero l’immunologia, grazie all’immunologia, cioè lo studio dei fenomeni legati alle immunità,
riusciamo a rispondere a tutta una serie di domande come per esempio: come fa il nostro organismo a
difendersi, ad eliminare il patogeno ed a non ammalarsi nuovamente rispetto a quel patogeno? E che
cosa succede se il sistema immunitario non funziona, quindi si generano le immunodeficienze? Più
famosa è quella dell’ AIDS per esempio; oppure talvolta questo sistema immunitario può impazzire e
generare delle risposte autoimmuni aggredendo noi stessi.
Il sistema immunitario esercita un controllo di qualità, discriminando ciò che è diverso da noi rispetto a
ciò che è noi, in base ad un principio di self / non self, dove self si identifica con noi stessi e non self con
ciò che è estraneo a noi. Quindi il sistema immunitario è questo sistema complesso responsabile della
identificazione di cosa è diverso da noi stessi, il suo scopo è difenderci dall’ infezione esercitata dai
patogeni, ma anche, per esempio, dalla presenza di eventuali cellule tumorali che ormai hanno perso la
nostra identità self, la loro identità di cellule simili a noi. Il sistema immunitario, affinché possa esercitare
le proprie funzioni, deve svolgere quattro compiti. Come prima cosa dovrà effettuare un riconoscimento
immunologico, deve essere in grado di identificare in modo selettivo il patogeno; secondo, dopo che
questo è stato riconosciuto, il sistema immunitario deve esercitare una funzione effettrice, cioè deve
essere in grado di contenere e debellare l’ infezione, eliminare il pericolo; però, una volta che il sistema
immunitario si è attivato, deve essere anche in grado di spegnersi e quindi deve esercitare una
regolazione immunitaria, spegnersi dopo che il pericolo è cessato; ed infine, è necessario che il sistema
immunitario abbia una memoria immunologica, grazie a questa memoria immunologica sarà possibile in
un secondo momento, esercitare una risposta immediata ad una successiva esposizione al patogeno, per
mezzo di quella che prende il nome di immunità protettiva, cioè gli anticorpi.
Il sistema immunitario è un sistema, un meccanismo a difesa degli organismi che esiste fin dalla notte dei
tempi. In particolare, da quando le cellule hanno iniziato ad associarsi per poi formare degli organismi
più complessi per esempio, i metazoi, cioè gli animali, queste cellule si sono potute specializzare in
sistemi dedicati alla difesa dell'organismo che andavano a formare, in particolare tra gli animali; uno
degli animali più antichi che ancora oggi esiste sul nostro pianeta, sono le spugne. Le spugne
rappresentano il più vecchio ed ancora esistente phylum di Metazoi. Questi animali posseggono un
sistema di difesa valido contro i microbi e i parassiti, questo sistema di difesa consiste in cellule in grado
di esercitare la fagocitosi dei batteri, ma anche in sistemi di trasduzione del segnale che attivamente
uccidono il batterio. Può tornare in mente il meccanismo della fagocitosi esercitato dai neutrofili
piuttosto che il sistema del complemento. Questi sistemi a difesa dell'organismo, quindi sono dei sistemi
talvolta conservati all'interno degli animali. In particolare, il sistema di difesa delle spugne prende il
nome di immunità innata. Il nome di immunità innata ad oggi lo conosciamo in quanto tale, grazie a
questo studioso russo che ottenne il Nobel poi negli anni dopo il 1908 in cui lui studiava appunto le
spugne e il loro sistema immunitario; questi sistemi, quindi, sono conservati tra le differenti specie,
anche noi abbiamo una immunità di tipo naturale a difesa, che funziona nello stesso modo in cui
funziona nelle spugne.
I patogeni sono di vario tipo: batteri, virus, funghi e parassiti. Giustamente loro vogliono colonizzare
come ambiente e quindi anche il nostro organismo. Fortunatamente però il sistema immunitario
generalmente si rappresenta in questo modo, con questa T capovolta per indicare un blocco di questa
via. Grazie al sistema immunitario non riescono nella colonizzazione perché il sistema immunitario
rappresenta quella che è la seconda e la terza linea di difesa del nostro organismo contro i patogeni
invasori; dove la prima linea di difesa è dovuta alle barriere fisiche, cioè la semplice continuità della cute
per esempio, gli epiteli sono a protezione delle superfici esterne e presentano qui le giunzioni strette che
impediscono il passaggio negli interstizi cellulari di particelle, quindi la cute è un valido strumento a
protezione, però talvolta questa protezione può venir meno e quindi si attivano prima la seconda e poi la
terza linea di difesa contro questi patogeni, che sono dovute al sistema immunitario, dapprima quello
innato che è il primo ad attivarsi, in cui rinveniamo le componenti tipiche, cioè citate per le spugne,
quindi cellule in grado di fagocitare il macrofagi e un sistema di fattori solubili (citochine) che attivano il
processo infiammatorio, necessario poi per attivare altre cellule che degraderanno il patogeno; per poi
attivarsi la terza linea di difesa, cioè quella specifica in grado di generare gli anticorpi.
Qui si vede uno spillo che penetra la nostra
cute, questo porta con sé dei batteri, i quali
proliferando inducono una infezione. L'infezione
genera una infiammazione con rilascio di
numerosi fattori chemiotattici in grado di
attrarre le cellule bianche del sangue, ma anche
di esercitare un effetto vasoattivo, cioè
aumentano localmente il flusso del sangue
facendo produrre degli essudati, quindi che
liberano all'interno del tessuto la proteina C
reattiva, altre citochine infiammatorie in grado
di richiamare il neutrofilo che extra-vasa e grazie al suo movimento ameboide si sposta nel sito di
infiammazione per fagocitare il batterio, questo è ciò che accade nel corso della risposta immunitaria
innata. Quindi il sistema immunitario si attiva in risposta del patogeno.
Il concetto di attivazione del sistema immunitario in risposta al patogeno ci permette di comprendere la
differenza alla base tra una risposta immunitaria innata ed una risposta immunitaria adattativa.
La risposta immunitaria innata è una risposta immunitaria
dovuta a fattori presenti fin dalla nascita nel nostro
organismo; quindi, cellule, fattori solubili che abbiamo fin
da quando emettiamo il primo vagito e questa si attiva
immediatamente nel momento in cui è presente il
patogeno, quindi, passa da uno stato di pericolo (rosso) in
cui è presente il patogeno ad uno stato in cui il patogeno viene eliminato e si passa al via libera, non c'è
più il patogeno. Quindi la risposta immunitaria innata riesce rapidamente ad agire contro quella
particella non self ed eliminarla.
Al contrario, invece, la risposta immunitaria di tipo
adattativo è una risposta immunitaria che procede dal
rosso al verde, secondo un gradiente; quindi, è una risposta
immunitaria che richiede più tempo affinché diventi
efficace, perché nel corso di questo tempo creerà delle
armi specifiche, cioè degli anticorpi in grado però di
uccidere, eliminare il patogeno in modo più efficace, ma
per far questo richiede quindi tempo; contestualmente però sviluppa una memoria immunologica,
quindi è in grado in un secondo momento verso una seconda infezione, di offrire una immunità
protettiva. Quindi questo concetto è quello alla base dei vaccini.
Nel sistema immunitario vediamo all'interno di questi due tipi di immunità diversi attori che
corrispondono ai leucociti, ognuno dei quali esercita la propria modalità di difesa in base a differenti
specificità, caratteristiche, per esempio, possono esercitare la loro modalità di difesa per mezzo di un
meccanismo di fagocitosi i neutrofili e macrofagi, oppure, possono essere presenti delle cellule che
esercitano la loro attività grazie ad un sistema di citotossicità, cioè il rilascio di sostanze tossiche, in grado
di creare dei pori sulle membrane delle cellule bersaglio, delle cellule target; contestualmente, abbiamo
anche delle cellule nell'ambito della immunità di tipo acquisita, cioè quella specifica, però la funzione di
queste è centrata su delle cellule particolari, cellule che presentano l'antigene, cioè sono cellule in grado
di informare le altre cellule del sistema immunitario, ovvero i linfociti, della presenza del patogeno. A
seguito di questo primo passaggio di informazioni avverrà quella che è la produzione degli anticorpi e
quindi sarà innescata la risposta immunitaria acquisita.
Le molecole di membrana
Tutte quante le cellule del nostro corpo sono ricoperte sulla loro
superficie da innumerevoli molecole di membrana. Queste molecole
di membrana esposte sulla superficie vanno ad agire come una sorta
di antenne in grado di trasmettere, ma anche di recepire
informazioni dall'ambiente circostante. Quindi grazie a queste
molecole di membrana, le cellule riescono anche ad interagire, si
potrebbe disegnare un'altra cellula con delle molecole di membrana
specifiche che contattano per esempio questa. Però queste molecole
di membrana vengono sfruttate per poter caratterizzare, cioè
distinguere, diversificare i diversi tipi di cellule; quindi, ogni
sottogruppo cellulare avrà il suo assortimento tipico di molecole di membrana. E due sono le molecole di
membrana di cui parleremo oggi: il primo sono quelle che determinano il sistema detto sistema CD; il
secondo sono le molecole che formano il complesso MHC, presenti esclusivamente all'interno dei
mammiferi.
Il sistema di molecole CD, detto anche sistema di
molecole del cluster di differenziazione, è un gruppo di
molecole di membrana che permettono di identificare e
classificare le cellule, nei differenti sottotipi. Queste
molecole sono conservate all'interno delle specie, quindi presenti, per esempio sia all'interno della
specie umana, ma così come anche all'interno del topo. Queste molecole CD sono generalmente
riportate sotto forma di un prefisso (CD) seguito da un numeretto (CD3; CD8). Grazie all'assortimento di
queste molecole si riesce a distinguere quelle che sono per esempio i linfociti T per via della presenza di
alcuni marcatori caratteristici, dai linfociti Natural killer o da un macrofago, sempre per via di questo
assortimento. E in questo modo, quindi, è possibile classificare le cellule nei differenti sottotipi: le cellule
Natural killer, che presentano il marcatore caratteristico CD56 e CD16; oppure il gruppo dei Linfociti B
che presentano sulla loro superficie il marcatore CD19; come anche i linfociti T con i marcatori CD3,
distinti in cellule citotossiche (CD8) piuttosto che T-helper (CD4); e così via anche per i regolatori.
Riusciamo a classificarli, la classificazione dei linfociti, ovviamente non sarà possibile grazie alla comune
tecnica istologica, ma dovrà avvalersi della citometria a flusso.
I linfociti B subiscono una maturazione diciamo simile, che però avviene all'interno del midollo osseo,
dove i cloni che legano gli antigeni self vanno incontro ad anergia e quindi apoptosi, morte cellulare
programmata. A questo punto, questi linfociti che esprimono sulla loro superficie l’immunoglobulina M,
migrano all'interno del linfonodo dove rimangono lì quiescenti, in attesa che prima o poi giunga un
patogeno in grado di legare la loro immunoglobulina M.
Vediamo cosa avviene all'interno del linfonodo. I linfonodi presentano delle vie d'entrata, vasi linfatici
afferenti, e delle vie di uscita, vasi linfatici efferente. Come si può vedere molto bene dall'immagine, i
vasi linfatici in entrata sono molto di più che in
uscita. Pertanto, si comprende che la linfa, nel
momento in cui incontra un linfonodo, rallenta il suo
percorso perché ci sono più vie di entrata che vie
d'uscita. Quindi la linfa all'interno del linfonodo
ristagna e riesce ad essere filtrata. All'interno del
linfonodo, grazie alla sua particolare struttura con
cui è organizzato, si osserva un rallentamento del
flusso della linfa, la quale trasporta con sé anche il
patogeno che rimane intrappolato nelle fibre
reticolari di collagene che la strutturano, dentro cui si ancorano le cellule macrofagiche e le cellule
dendritiche che, grazie alla fagocitosi, rimuovono le particelle estranee, ma contestualmente, per via
della loro abilità di caricare i peptidi sulla MHC di classe prima, presentano l'antigene ai linfociti e quindi
attivano la risposta immunitaria, la via della risposta immunitaria acquisita per la produzione di anticorpi
che saranno rilasciati nella linfa.
È cruciale l'attivazione del linfocita T e del linfocita B. Questo processo può essere anche dannoso,
pertanto è necessaria quella che prende il nome di co-stimolazione, cioè il linfocita T affinché si attivi,
deve riconoscere il complesso peptide MHC di classe
seconda presentato dalla cellula APC, ed inoltre deve
ricevere anche un secondo stimolo per via del
riconoscimento di molecole opportunamente espresse
sulla superficie della cellula presentante l'antigene. Grazie a
questa co-stimolazione il linfocita T CD4 si attiva, inizia ad
esprimere una grande quantità di proteine di fattori
solubili che collaborano nell’attivazione del linfocita B, il
quale riesce in modo autonomo a riconoscere il patogeno per via dell’espressione sulla sua superficie di
immunoglobuline M, grazie alle quali il patogeno verrà internalizzato, processato e poi esposto sulla
superficie del linfocita B stesso, perché i linfociti B rientrano anch'essi nella categoria di cellule APC.
Quindi il linfocita T precedentemente attivato contatta linfocita B e lo co-stimola, lo informa della
presenza di un antigene non self per indurlo ad attivarsi, il linfocita T si attiva, diviene cellula attivata,
detta plasma cellula, la cui funzione nella vita è esclusivamente produrre anticorpi specifici, cioè
immunoglobuline di tipo C.
Quello che si nota molto bene è che il linfonodo presenta una zona più esterna, detta corticale, densa,
quindi ricca di cellule; ed una zona interna meno densa, detta midollare. Nella corticale avviene quel
processo di co-stimolazione che porta all'attivazione del linfocita B. Se si fa caso nella regione corticale si
distinguono delle regioni differenti, cioè le regioni dette dei follicoli linfatici, questi follicoli linfatici
corrispondono a zone di proliferazione attiva di linfociti B, quindi, in questa zona vi è stato il
riconoscimento dell'antigene che ha causato l'attivazione del linfocita B. In queste zone si crea un'area
più esterna ha detto mantello, questo mantello risulta dalla semplice proliferazione di un linfocita B che
per mitosi si divide e quindi spinge le altre cellule verso l'esterno, facendole accumulare, tutte cellule
attive che proliferano, si sono attivate, tutte cellule identiche a loro stesse, dette cloni.
Quindi, dopo che una cellula ha riconosciuto l'antigene, si attiva e inizia a generare una progenie di
cellule identiche a sé stessa, appunto i cloni, cioè crea una espansione clonale. Questa espansione
clonale, quindi, aumenta il numero di cellule effettrici, cellule che dovranno compiere il lavoro sporco,
eliminare il patogeno, nel caso in cui parliamo dei linfociti T; o di plasmacellule, cioè le cellule che fanno
il lavoro sporco, che producono gli anticorpi, nel caso dei linfociti B. Queste cellule hanno come unico
scopo della loro vita quello di eliminare l'antigene, dopodiché moriranno; però, contestualmente,
quando la cellula iniziale si attiva, genera anche una serie di cellule della memoria, cioè cellule che non
hanno altro compito che rimanere all'interno del linfonodo per aspettare una successiva sopraggiunta di
un nuovo patogeno.
Qui si vede quello che per esempio avviene nel corso di una vaccinazione, quindi quella che può essere
una risposta primaria ed una risposta secondaria. Quindi mettiamo il caso, facciamo un'immunizzazione
primaria, prima dose di vaccino, introduciamo nell'organismo l'antigene, questo verrà opportunamente
riconosciuto da parte della cellula linfocitaria B, quindi si instaurerà un legame specifico al BCR; la cellula
T, opportunamente co-stimolata da un linfocita T, che ha subito l'attivazione da un macrofago; il linfocita
B si attiva, prolifera, crea una progenie di cellule B attivate, ovvero cellule della memoria e plasmacellule,
cioè cellule che producono proteine plasmatiche (tra cui le immunoglobuline di tipo M), in grande
quantità, ovvero immunoglobuline poco specifiche, che cercano in prima battuta di contrastare il
patogeno.
Però quando effettuiamo la dose di richiamo, grazie alle cellule memory B, quelle della memoria, si
osserva una più rapida e potente risposta immunitaria; queste cellule si attivano, tra l'altro in breve
tempo (cinque giorni), producendo sempre una progenie di plasmacellule e di cellule nuove della
memoria. Però, nel corso della stimolazione antigenica successiva, le cellule variano la qualità dell’
immunoglobulina che producono, passando da una immunoglobulina poco specifica IGM alle più
specifiche, isotipi di immunoglobuline di tipo G, oppure IgE, così come anche le IgA; quindi,
immunoglobuline specifiche in grado di offrire una risposta idonea protettiva, contro il patogeno.
Di classi di anticorpi ne distinguiamo di cinque tipi prevalenti. Al di fuori delle immunoglobuline D che
esercitano una funzione regolatoria; conosciamo sicuramente le immunoglobuline di tipo M, espresse
prevalentemente nel corso della risposta primaria; le più specifiche immunoglobuline G, ben sappiamo
prodotte nella risposta secondaria; così come quelle E, generalmente espresse in risposta alla presenza
di allergeni o di parassiti. Piccolo inciso: i basofili, come anche i neutrofili presentavano sulla loro
superficie un recettore in grado di riconoscere un’ immunoglobulina, difatti l’eosinofilo contiene al suo
interno tante sostanze necessarie per contrastare le infezioni dovute a questi organismi.
Grazie alla qualità differente della coda della immunoglobulina, queste si distribuiscono all'interno del
nostro organismo in indifferenti regioni corporee, perché ognuna sarà specifica di una immunità selettiva
per ciascun tessuto; quindi le immunoglobuline A sono prevalentemente immunoglobuline secretorie,
rilasciate sulle superfici delle cavità interne, per esempio quelle dell'apparato digerente; mentre le
immunoglobuline G sono più che altro ubiquitarie e distribuite all'interno di tutto il corpo.
Concludiamo con un piccolo accenno su cosa avviene con le due vaccinazioni che abbiamo fatto, quale
quella del Covid, basata sul DNA o sull’ RNA. Che cosa è avvenuto? Sono stati modulati, a seconda della
tipologia di vaccino, un vettore virale che presenta il suo capside, con all'interno del DNA; oppure delle
nanoparticelle, cioè piccole particelle lipidiche contenenti acido nucleico, l'RNA. Il DNA entra all'interno
della cellula, sfrutta il macchinario replicativo per poter esprimere delle proteine, analogamente anche
l'RNA verrà espresso in questo modo.
La peculiarità è che all'interno delle cellule dell'ospite, per esempio, le cellule muscolari, i peptidi
codificati dai due acidi nucleici sono caricati sulla superficie della cellula muscolare, quindi, la molecola
di MHC di classe prima, o espressi. Da parte, una cellula presentante l'antigene, andrà a riconoscere
questa cellula, la degraderà ed esporrà i relativi peptidi sulla sua superficie, andando quindi attivare
un'altra cellula CD4. Analogamente, però, il vaccino riesce anche ad entrare all'interno di una cellula
presentante l'antigene, che presenterà questi stessi antigeni, oltre che per classe seconda, per classe
prima, quindi fornendo un'attivazione delle cellule per esempio CD8 che sono un sottotipo cellulare di
cellule T citotossiche, le quali riconoscono l’espressione di antigeni aberranti legati alle molecole MHC
direttamente, quindi agiscono un po’ come una sorta di cellula killer, però, riconoscendo il peptide virale
espresso da una cellula del nostro corpo.
Lezione 07/12
Citologia ed istologia
CITOMETRIA A FLUSSO
Si parla di una metodica alternativa complementare, per studiare le caratteristiche
cellulari, cioè la citometria a flusso, detta anche citofluorimetria, è una tecnica
d’indagine delle caratteristiche cellulari.
Oggi parleremo di questa metodica perché spesso non se ne parla, si parlerà di quali
sono i principi del funzionamento della tecnica di citometria a flusso, di come son
raccolti dal campione e vi farò comprendere come i dati possono essere applicati in
vari ambiti.
Per introdurre questo
argomento è bene
soffermarsi a pensare
come la materia vivente
è organizzata, quindi dal
suo stato atomico fino al
livello della biosfera.
Oggi però ci occuperemo
della cellula e ci
chiediamo come è fatta e
che caratteristiche ha,
ma è bene ricordare che
la materia vivente è
complessamente
organizzata e spesso si
commette questo errore: si crede che i livelli di organizzazione della materia vivente
più piccoli, ad esempio lo studio del DNA, siano quelli più importanti in grado di
dare risposta a tutti gli altri livelli.. invece non è così. Perché più si scende di livello
di organizzazione della materia e più si perde di vista come, per esempio una cellula
presa da sola e messa in una soluzione di per sé è inutile; se questa non interagisse
con altre cellule, come ad esempio le spugne, a formare degli organismi quindi delle
popolazioni, specie, comunità che interagiscono con le componenti biologiche per
formare l’ecosistema e la biosfera modificandola e che, a sua volta, induce dei
cambiamenti negli individui, nelle espressioni delle cellule e in qualche modo
seleziona il DNA. Tutti questi livelli sono interconnessi tra loro e a dare una
maggiore visione saranno i livelli di organizzazione della materia vivente maggiori.
STUDIO DELLA CELLULA: ESAME CITOMETRICO MISURA
CARATTERISTICHE CELLULARI
Per studiare le cellule si effettua un esame citometrico, cioè di misura “cito” delle
caratteristiche cellulari. Questo lo si può fare per mezzo della classica “citometria a
statica o per immagine” dove la cellula viene subito visualizzata dall’operatore e poi
analizzata nelle sue caratteristiche.
Mentre nella “citometria a flusso”
dobbiamo avvalerci di uno
strumento particolare, il citometro,
e di citometri oggi giorno ne
esistono molti. I citometri nascono
verso la fine degli anni 60’ poi con
lo sviluppo delle tecnologie, in
particolare delle sorgenti laser, ha
visto il culmine della tecnica
citometrica verso gli anni 80’,
quando era concomitante anche un
epidemia molto importante cioè HIV, e ha ricoperto un ruolo importante la
citometria a flusso nello studio di questa malattia. Nella citometria statica o per
immagine le cellule, per
esempio quelle del sangue,
possono essere catalogate grazie
alle loro caratteristiche
morfologiche ma anche in
seguito alla colorazione nelle
diverse sotto-popolazioni che
siano granulociti piuttosto
agranulociti e così via..
naturalmente le cellule possono
associarsi a formare i differenti
tessuti. Riusciamo a distinguere
questi grazie all’associazione
delle cellule, nell’immagine si ha una associazione di cute sottile dove riusciamo a
distinguere lo strato di epidermide e di derma sottostante.
Invece la citometria a flusso restituisce queste immagini chiari nette ma non del
tutto.. non sono di facile
comprensione o
interpretazione, ovviamente
per chi ci lavora risultano
essere informative e di facile
lettura.
Se mettiamo a confronto le
due tecniche quella statica o
quella a flusso,
comprendiamo che in quella
statica si riesce a
comprendere dove avviene il
segnale, e come son organizzate le cellule: cioè a capire se una caratteristica è
presente nel nucleo o periplasmatica; al contrario, in quello a flusso non riusciamo a
fare questo ma riusciamo ad ottenere molteplici informazioni relative ad ogni
singola cellula in un breve lasso di tempo.
Si parte dal campione che non sempre proviene dal sangue, deve essere
monodisperso. Il campione, quindi le cellule, possono provenire da colture
cellulari o cellule primari ( liquidi o solidi):
- Le colture cellulari: le cellule vengono mantenute in laboratorio dove, a
temperatura costante, sono coltivate in un terreno. Se son in sospensione sono
facili da recuperare e da usare per la preparazione citometrica (come la sabbia)
- Le cellule aderenti: cellule che crescono adese alla piastra devono subire un
processo di distaccamento, e le cellule si attaccano alla piastra di coltura perché
esprimono delle glicoproteine di membrana che servono ad aderire alla matrice
extracellulare. Esistono vari tipi di cellule aderenti:
Oppure può essere usato nella ricerca di nuovi farmici antitumorali; che inibiscano
la crescita di una cellula tumorale. Che in
quanto tale, la cellula tumorale è
caratterizzata da intensa attività di sintesi
del DNA.
Nella medicina traslazionale come puo
essere applicata? I ricercatori si sono
soffermati a valutare il DAN contenuto
all’interno delle cellule tumorali, presenti
nelle vie intrepatiche ti alcuni pazienti.
Come sappiamo le cellule tumorali hanno
alterazione, nel contenuto di DNA, in
particolare per l’espressione dei cromosomi, quindi con più DNA o meno DNA;
quindi ipodiploidi o iperdiploidi. Grazie alla citometria a flusso è possibile valutare
se c’è più o meno DNA, i pazienti a inizio
studio son stati catalogati, distinti in 2
categorie: pazienti con alterazioni di
DNA e pazienti senza alterazioni di DNA.
il farmaco agisce sulle cellule leucemiche
impedendone la replicazione, quindi
nella cellula trattata la percentuale di
cellule in replicazione risulta diminuita.
Oppure la citometria a flusso viene usata
nella medicina di precisione cioè la
valutazione di tumori benigni e maligni;
i tumori hanno una modifica del
contenuto di DNA, i tumori con
contenuto di DNA alterato comportano
maggior rischio di recidive e morte. La citometria a flusso è anche utilizzata in
quella agroalimentari nelle industrie della fermentazione quindi alcoliche e
lattiche.
LEZIONE 19 – 14/12/22
L’altra volta avevamo già parlato del neurilemma, chiariamo meglio il concetto. Il neurilemma (o
neurolemma) è l’involucro di cui sono dotati gli assoni (solo loro) dei neuroni. Questo involucro
viene costruito attorno agli assoni a cura di due diversi tipi di cellule gliari a seconda che stiamo
parlando di fibre che si trovano nel SNC dove il neurilemma viene formato dagli oligodendrociti
oppure nel SNP dove si occupano della formazione del neurilemma le cellule di Schwann. Gli
oligodendrociti formano una guaina attraverso dei loro prolungamenti, questi prolungamenti
dell’oligodendrocita si avvolgono attorno ad un tratto dell’assone e la caratteristica è che ogni
oligodendrocita con i suoi diversi prolungamenti riesce ad avvolgere diversi assoni di diversi
neuroni (in media ne avvolge circa 15). E questo avvolgimento che i prolungamenti fanno attorno
agli assoni è dotato di mielina; quindi, grazie a questo inguainamento ottengo una fibra mielinica. È
importante perché la mielina è questa componente lipoproteica biancastra che dà anche il colore
alla sostanza bianca in cui abbondano le fibre mieliniche, che permette con il suo compito di
isolante termico una decisamente maggiore velocità di propagazione dell’impulso nervoso. La
cellula di Schwann, che troviamo nel SNP, forma la guaina avvolgendosi lei stessa attorno ad un
tratto dell’assone. La guaina che in questo caso può essere mielinizzata e quindi può dare origine
ad una guaina mielinica meno spessa a seconda di quante volte la cellula di Schwann si è arrotolata
attorno all’assone. Nelle fibre mieliniche, a differenza di quanto visto per gli oligodendrociti, una
cellula di Schwann proprio perché lei stessa si avvolge attorno all’assone andrà ad avvolgere e
quindi a costituire parte del neurilemma di un solo assone quindi di un solo neurone. Nel SNP ci
sono anche delle fibre amieliniche che sono comunque avvolte (hanno una guaina costituita dalla
cellula di Schwann) però non sono mielinizzate. Nel caso degli assoni amielinici nel SNP, una sola
cellula di Schwann (come si vede nello schema in basso a destra) accoglie diversi assoni quindi di
diversi neuroni all’interno di specie di introflessioni che si creano sulla sua superficie cellulare.
Quindi se la cellula di Schwann fa l’avvolgimento dotato di mielina, quindi così come la troviamo
nelle fibre mieliniche, una cellula di Schwann avvolge un solo assone; se invece si tratta di fibre
amieliniche, la cellula di Schwann accoglie, senza formare guaine, in queste docce della sua
membrana cellulare diversi assoni e quindi diversi neuroni. Torniamo al confronto tra
oligodendrociti e cellule di Schwann: c’è una cosa che accomuna tutti e due i neurilemmi formati
da queste cellule quando c’è la mielina, cioè che tutto l’assone viene ad essere praticamente
ricoperto di mielina ma ogni cellula oligodendrocita o cellula di Schwann si occupa di una porzione
dell’assone, che è il segmento internodale. Qui, per esempio, abbiamo il prolungamento di un
oligodendrocita che si avvolge e forma la guaina a livello di questo segmento. L’altro pezzo di
assone sarà avvolto da prolungamenti di un altro oligodendrocita e via di seguito finché tutto
l’assone risulta inguainato. Gli spazi fra un segmento internodale e l’altro vengono chiamati “nodi
di Ranvier” e solo in quei punti non c’è la guaina mielinica, si interrompe la mielina perché finisce
quella fatta da un oligodendrocita o da una cellula di Schwann e inizia poco dopo quella di un’altra
cellula. Alla fine, tutta la lunghezza dell’assone possiede il rivestimento mielinico, ogni tratto del
rivestimento mielinico è fatto a cura di un oligodendrocita (se siamo nel SNC) o di una cellula di
Schwann (se siamo nel SNP). E dove finisce il segmento inguainato di una cellula c’è il nodo di
Ranvier, un nodo in cui manca la mielina. Perché ci interessa tanto di questi nodi di Ranvier? Lo
vedremo adesso quando spiegheremo come si propaga l’impulso, perché lungo le fibre mieliniche
l’impulso salta materialmente da un nodo di Ranvier all’altro; quindi, la velocità di conduzione
dell’impulso dipende fortemente dalle caratteristiche del neurilemma, in primis dipende se c’è o
non c’è la guaina mielinica perché le fibre mieliniche hanno una velocità di trasmissione
dell’impulso maggiore di quella mielinica di 10 o 100 volte. Dipende anche da quanto è spessa la
guaina mielinica perché si possono avere più o meno avvolgimenti intorno all’assone della mielina
e più spesso e quindi maggiore è il lavoro di isolamento elettrico maggiore sarà la propagazione
come pure dipende dalla distanza che c’è tra un nodo di Ranvier e l’altro. Maggiore è la distanza fra
un nodo e l’altro maggiore sarà la velocità dell’impulso che salta dei pezzi molto lunghi.
Noi sappiamo che il neurone è una cellula che ha due proprietà particolari: l’eccitabilità e la
conducibilità. Queste dipendono dalle particolari condizioni elettriche di partenza della cellula e
dalla possibilità che attraverso uno stimolo queste condizioni elettriche vengano a modificarsi
creando un cosiddetto potenziale di azione, che in buona sostanza è un’onda elettrica che percorre
il neurone con una direzione ben precisa, come sappiamo il neurone è polarizzato da un punto di
vista strutturale e funzionale. Qual è il senso di marcia di questa onda elettrica? Diciamo dal
dendrita verso il corpo cellulare e dal corpo cellulare lungo l’assone fino al terminale assonico e da
lì poi può essere trasferito ad un’altra cellula in un sito di contatto specifico che si chiama “sinapsi”.
Qual è la condizione normale di riposo della membrana cellulare di un neurone? C’è una differenza
di distribuzione di cariche elettriche tali per cui l’interno della membrana (che si affaccia sul lato
citosolico) risulta carica negativamente rispetto al lato esterno, che risulta invece carico
positivamente. Questa differenza di cariche genera un potenziale di riposo, che nei neuroni dei
mammiferi è pari a -70 mV. Come mai c’è questo potenziale? C’è perché le cariche sono distribuite
in modo diverso, ci sono per esempio alcune proteine con cariche negative, amminoacidi con
cariche negative che sono sul versante citoplasmatico e soprattutto è una distribuzione degli ioni
tra dentro e fuori dalla cellula fondamentalmente diverso ed è così perché sono le pompe ioniche
in particolare la pompa sodio potassio che garantisce questa diversa distribuzione. Abbiamo una
prevalenza e una maggioranza di ioni sodio all’esterno e di ioni potassio all’interno: questa è la
situazione di riposo, di partenza. Quando il neurone è raggiunto da uno stimolo eccitatorio (perché
possono esserci anche degli stimoli inibitori) questo stimolo fa aprire i canali ionici. Quando si
aprono i canali ionici, attraverso i canali gli ioni fluiscono secondo il loro gradiente elettrochimico,
quindi, succederà che gli ioni sodio tenderanno ad entrare nella cellula e gli ioni potassio ad uscire.
Quindi questa entrata di ioni sodio porta ad una depolarizzazione cioè il potenziale che all’interno
era negativo tende a salire e a neutralizzarsi e se si raggiunge un livello tale di depolarizzazione
sufficiente da determinare l’apertura dei canali del sodio voltaggio-dipendenti che si trovano sul
cono di emergenza dell’assone, questa apertura dei canali di sodio voltaggio-dipendenti porta ad
un ulteriore ingresso di ioni sodio e quindi un’ulteriore depolarizzazione che porta ad un’inversione
delle condizioni elettriche rispetto alle condizioni di riposo, cioè abbiamo un potenziale positivo
all’interno e negativo all’esterno, cioè l’esatto contrario. Questo potenziale d’azione viene
quantificato sui valori di +30/+40 mV, ed è questo potenziale di azione che si propaga lungo tutto
l’assone e arriva poi al terminale assonico dove andrà a determinare il rilascio di neurotrasmettitori
se parliamo di una sinapsi chimica. Si propaga lungo l’assone con due modalità diverse a seconda
che l’assone sia mielinico oppure amielinico. Se l’assone è mielinico ci sono i canali
voltaggio-dipendenti che sono distribuiti in modo discontinuo lungo l’assone perché si accumulano
esattamente nei nodi di Ranvier e quindi ecco perché l’impulso salta da un nodo all’altro, mentre
nel caso degli amielinici è un impulso che viaggia con una conduzione continua ma più lenta
perché deve farsi tutta la lunghezza dell’assone come una specie di hola. Ovviamente questa
situazione di eccitazione non permane, ad un certo punto i canali ionici si chiudono dopo pochi
millisecondi e si va a ristabilire la normale condizione elettrica della membrana del neurone in
modo che sia pronto nuovamente ad essere stimolato; quindi, inizialmente si aprono i canali del
potassio così si ristabilisce la condizione e poi le normali concentrazioni di sodio più alto fuori e di
potassio più alto dentro alla cellula vengono ripristinate dall’azione incessante delle pompe ioniche
sodio-potassio. Il potenziale di azione è questa onda elettrica che si genera perché il neurone
stimolato passa dalle condizioni di potenziale di riposo di -70 mV ad una condizione di azione di
+30/+40 mV, con un gioco di questa corrente elettrica è determinata dallo spostamento di ioni
attraverso la membrana.
Il potenziale di azione raggiunge il terminale assonico quindi la parte finale dell’assone e poi che
cosa succede? Ecco l’altra capacità: quella di condurre e di trasferire questo stato di eccitazione ad
un altro elemento, a livello di siti di contatto funzionali che vengono chiamate sinapsi. Le sinapsi
possono essere tra un neurone e un altro neurone oppure possono essere tra un neurone e una
cellula effettrice, cioè una cellula che può essere muscolare o ghiandolare, per esempio, che
ricevendo questo impulso da un neurone, risponde ad esempio contraendosi o liberando secreti. È
a livello delle sinapsi che avviene la trasmissione dell’impulso nervoso da una cellula (un neurone)
ad un’altra cellula. Si distinguono due tipologie di sinapsi in base a come avviene questa
trasmissione e sotto che forma viene trasferito questo impulso nervoso: la sinapsi elettrica e la
sinapsi chimica. Nella sinapsi elettrica abbiamo il terminale assonico che è in diretto contatto con
l’elemento che può essere un’altra cellula nervosa attraverso delle giunzioni gap (comunicanti).
Quindi i citoplasmi delle due cellule che sono coinvolte nella sinapsi elettrica sono collegati
materialmente ed il flusso degli ioni che determina il potenziale d’azione e l’impulso nervoso si
muovono liberamente e velocemente fluiscono dall’uno all’altro; quindi, si trasferisce in modo così
diretto e sotto forma unicamente elettrica l’impulso nervoso. Le sinapsi elettriche sono piuttosto
frequenti negli animali invertebrati e nei vertebrati inferiori mentre invece nei mammiferi sono
abbastanza rare. Sono più rappresentate durante il periodo dello sviluppo ma poi nell’organismo
adulto sono limitate veramente a poche zone e sono poche anche numericamente: ci sono alcuni
esempi nel talamo e nella corteccia cerebrale, mentre nella stra-maggioranza dei casi nei
mammiferi adulti la sinapsi che va per la maggiore è la sinapsi di tipo chimico. Cosa vuol dire la
sinapsi di tipo chimico? Vuol dire che l’impulso nervoso che arriva a livello del terminale assonico
viene trasferito alla cellula contigua per l’intervento di neurotrasmettitori. L’impulso che arriva al
terminale assonico determina il rilascio dei neurotrasmettitori in quel piccolo spazio che c’è fra il
terminale assonico e la cellula con cui è in sinapsi terminale. Il neurotrasmettitore diffonde nella
fessura sinaptica, si lega ai recettori che sono sulla membrana della cellula e questo legame
determina nuovamente la generazione di un potenziale elettrico; quindi, in pratica a livello della
fessura sinaptica l’impulso nervoso che è arrivato sotto forma elettrica viene trasformato in un
messaggio chimico (il neurotrasmettitore) che poi, agganciandosi all’elemento post-sinaptico alla
cellula contigua, nuovamente genera un segnale elettrico. Quindi abbiamo messaggio elettrico –
messaggio chimico – messaggio elettrico, a livello della sinapsi chimica. Quindi qui abbiamo il
coinvolgimento delle vescicole che contengono i neurotrasmettitori che troviamo abbondanti più
nella zona del terminale assonico.
Quindi quando parliamo delle sinapsi chimiche noi abbiamo tre elementi che la costituiscono:
l’elemento presinaptico, che è il neurone ed è in particolare il terminale assonico del neurone; un
elemento postsinaptico, che è la cellula che può essere un neurone o un’altra cellula che si chiama
cellula effettrice che riceve questo impulso nervoso, se si tratta di un neurone in particolare questa
parte del neurone che riceverà l’impulso nervoso sarà un dendrite, se invece è una cellula
effettrice sarà una porzione della membrana di questa cellula effettrice; in mezzo fra le due c’è uno
spazio che si chiama fessura sinaptica, uno spazio extracellulare nel quale viene rilasciato il
neurotrasmettitore prodotto e accumulato dall’elemento presinaptico che una volta attraversata la
fessura sinaptica raggiunge e si lega ai recettori presenti nell’elemento postsinaptico. In che modo
il potenziale d’azione fa determinare il rilascio dei neurotrasmettitori? Arriva questa onda che è il
potenziale d’azione che sta correndo lungo l’assone, arrivato al terminale assonico (elemento
presinaptico del neurone) questo va a determinare l’apertura dei canali del calcio; quindi, il livello
del calcio aumenta all’interno del terminale assonico e questo va a terminare l’esocitosi delle
vescicole contenenti neurotrasmettitori che sono situate nel terminale assonico, cioè le vescicole si
muovono verso la membrana (l’assolemma), si fondono con l’assolemma e rilasciano il loro
contenuto nella fessura sinaptica. C’è una diffusione dei neurotrasmettitori che vanno a legarsi sui
recettori che sono presenti sulla membrana dell’elemento postsinaptico e, in seguito a questo
legame, si aprono i canali ionici da cui dipenderà la generazione nuovamente di un impulso
elettrico che stimola questa seconda cellula. perché le sinapsi chimiche funzionino e continuino a
funzionare ci sono due processi fondamentali che sono il fatto che si formino le vescicole
sinaptiche cioè ad ogni stimolazione le vescicole si fondono e rilasciano neurotrasmettitori ma
perché poi questo neurone sia pronto nuovamente a trasferire l’impulso nervoso e a rilasciare
ulteriori neurotrasmettitori occorre che si riformino queste vescicole e per fare questo c’è un
sistema di rapido riciclo soprattutto delle membrane e delle vescicole tramite fenomeni di
micropinocitosi per cui c’è un recupero delle vescicole che poi dopo possono essere ricaricate in
loco quindi nel terminale assonico oppure essere mandate al corpo cellulare per essere
rimpinguate con neurotrasmettitori perché senza neurotrasmettitori nelle vescicole ovviamente
tutto il giochino di passaggio dell’informazione a livello delle sinapsi non funziona. L’altra cosa
fondamentale è che i neurotrasmettitori rilasciati nella fessura sinaptica vengano poi rimossi
perché se rimangono lì continuano a stimolare l’elemento postsinaptico e questo non deve
avvenire, una volta che l’ha stimolato basta, non deve continuare a sottoporlo ad uno stimolo,
quindi, occorrono dei meccanismi anche per rimuovere i neurotrasmettitori dalla fessura sinaptica
e questi meccanismi possono prevedere, per esempio, una diffusione dalla fessura sinaptica verso
l’ambiente extracellulare costante dove poi astrociti possono incaricarsi di rimuovere i
neurotrasmettitori oppure ci può essere una ricaptazione dei neurotrasmettitori da parte
dell’elemento presinaptico attraverso dei trasporti specifici oppure, questo capita soprattutto a
livello di quando il neurotrasmettitore è coinvolto e l’acetilcolina ci possono essere degli enzimi che
idrolizzano il neurotrasmettitore presente nella fessura. Quindi agisce questo enzima che è
l’acetilcolinesterasi che va a demolire l’acetilcolina rimasta nella fessura sinaptica. Questi due
fenomeni garantiscono che il processo di passaggio dell’impulso nervoso nelle sinapsi chimiche
possa continuare e possa essere efficiente cioè agire quando serve e poi interrompere la
stimolazione.
Nel caso in cui la sinapsi sia tra un neurone e un altro, l’elemento sinaptico sarà sempre
ovviamente il terminale assonico di un neurone e l’elemento postsinaptico quale porzione
dell’altro neurone sarà? Possiamo distinguere diversi tipi di sinapsi tra neuroni in base a con chi si
interfaccia il terminale assonico sinaptico: se si interfaccia con il dendrite dell’elemento
postsinaptico si parla di sinapsi assodendritica, che peraltro è uno dei tipi più diffusi, le sinapsi
assodendritiche spesso coinvolgono le famose spine dendritiche (di cui avevamo parlato) che sono
queste piccole protuberanze che possono essere anche molto numerose nei dendriti, sono corte e
sostenute da microfilamenti, in questa immagine si apprezza molto bene la presenza di tante spine
sui dendriti di questo neurone multipolare, sembrano proprio i rametti delle rose con tutte le spine
e l’abbondanza di spine è molto importante proprio per ampliare la capacità ricettiva. La presenza
di spine è relazionata anche a delle attività particolari come la capacità di memorizzazione, di
elaborazione.
Se invece l’assone dell’elemento presinaptico prende contatto, fa sinapsi, con il corpo cellulare
dell’elemento postsinaptico parliamo di sinapsi assosomatica.
Se invece prende contatto con l’assone addirittura dell’altro neurone allora parliamo di una sinapsi
assoassonica.
Di solito le sinapsi assoassoniche e le assosomatiche sono delle sinapsi che servono per regolare gli
impulsi nervosi con scopo inibitorio mentre quelle assodendritiche, soprattutto quelle che
prendono contatto con le spine, sono classicamente sinapsi di tipo eccitatorio.
Le fibre nervose hanno sinapsi con diverse cellule 00:37:29
Lezione 20 – 20/12/22
LEZIONE CONCLUSIVA
Questa è la parte alta del foglio OMR, quella dove dovete indicare la vostra anagrafica, la dovete indicare sia
scrivendola, sia annerendo i pallini corrispondenti alle lettere del vostro cognome spazio nome, in cui
dovrete indicare la matricola e questo è molto importante quindi il giorno dell’esame venite sempre con il
vostro numero di matricola, se non lo sapete a memoria, con il vostro tesserino perché questa va indicata
necessariamente e poi dovrete anche indicare il compito e la variante che troverete scritto sul compito
stesso che vi diamo. La parte sotto di questo foglio è così:
Domanda 1, ci sono 5 possibili risposte, voi dovete annerire la risposta che intendete scegliere. Qui la
persona ha scelto la risposta B per la domanda 1, la risposta C per la domanda 2, la risposta A per la
domanda 3 e via di seguito. Si può fare un annerimento perché se voi annerite due pallini viene considerato
errore quindi prima di annerire prendete la vostra decisione e state attenti ad annerirla correttamente.
Comunque vi arriveranno quando saranno chiuse le iscrizioni, a chi è iscritto all’esame, arriveranno per
email delle istruzioni che vi ricapitolano come si compila e come si annerisce il modulo OMR. Il giorno
dell’esame ve lo rispieghiamo nuovamente.
1. La prima nel
box grigio è un
esempio di domanda
del modulo di
metodologie.
bisogna ricordarsi
cosa si intende per
inclusione che è una
delle fasi del procedimento istologico. Le possibilità sono formalina, xilolo, azoto liquido, etanolo,
paraffina. Qui ho messo tutte cose che in un qualche modo possono c’entrare con il processo
istologico, ma solo una c’entra con l’inclusione. La risposta corretta è PARAFFINA. Chiedetevi perché
le altre si o no, questo diventa un modo per usare gli esercizi come sistema di ripasso. La formalina
cosa c’entra e per cosa può essere utilizzata? La formalina l’abbiamo citata come più classico e più
utilizzato dei fissativi, quindi è una sostanza liquida, ha una soluzione liquida che serve per fissare i
tessuti quindi uno step precedente rispetto a quello della inclusione. Lo xilolo lo usiamo in parte
anche per la colorazione perché all’inizio delle colorazioni noi sparafiniamo i vetrini per allontanare
la paraffina e lo facciamo usando lo xilolo perché lo xilolo è un solvente della paraffina, ma lo xilolo
lo usiamo anche durante il processo di inclusione perché dopo che ho disidratato i pezzi li immergo
in xilolo e poi li passo nella paraffina fluida, liquida. Quindi lo xilolo c’entra comunque con altri step
del procedimento. L’azoto liquido per cosa si può usare? Per la congelazione, come metodo per
rapido congelamento. L’etanolo serve per la disidratazione del mio pezzo quando lo sto includendo
e gli etanoli li utilizzo anche nei procedimenti di colorazione quando invece voglio reidratare le mie
sezioni, colorarle, una volta colorate di nuovo disidratarle e montarle in modo definitivo nel mio
vetrino permanente.
3. Sotto un esempio di domanda con immagine al TEM, quindi sezione vista al microscopio elettronico
a trasmissione, che sarebbe a prescindere in bianco e nero. È una sezione trasversale di che cosa?
Centriolo, assonema di ciglio/flagello, microvillo, corpo basale di un ciglio/flagello, stereociglio. La
prima cosa da notare è che io vedo in sezione delle organizzazioni microtubulari quindi questa è
sicuramente una struttura cellulare costituita di microtubuli ragion per cui posso già escludere due
di queste cinque risposte: il microvillo perché non è fatto di microtubuli, i microvilli sono fatti di
microfilamenti quindi non vedrei queste strutture e apiccoli tubi e anche lo stereociglio che è un
microvillo specializzato. Rimangono in ltìista la A la B e la D. per distinguere tra la A la B e la D su
cosa mi devo concentrare? Sull’organizzazione, sul numero sia di coppie di microtubuli alla periferia,
sia se ho al centro dei microtubuli. Ci sono? Si ci sono allora il fatto che ho due microtubuli centrali e
il fatto che ho dei doppietti mi fa escludere che si possa trattare di un corpo basale che avrebbe 9
triplette e niente al centro. Il corpo basale che è sempre una parte del ciglio e flagello è la parte che
è infissa nel citoplasma mentre l’assonema è l’asse, è la parte che svetta fuori sulla superficie. Il
corpo basale da un punto di vista ultrastrutturale, perché questa che noi stiamo guardando è l’ultra
struttura, è esattamente uguale ad un centriolo, quindi nel momento in cui noi escludiamo il corpo
basale o escludiamo il centriolo, escludiamo anche l’altro per forza. Sul fatto che ci sia scritto
ciglio/flagello, perché? Ciglio e flagello non sono la stessa cosa però condividono la stessa
organizzazione che è nell’assonema 9+2.
Le immagini che metterà possono essere sia immagini viste a lezione che no, idem per i vetrini.
4.
Qui bisogna ricordarsi come vengono suddivise le ghiandole e la grande divisione fra ghiandole
endocrine e ghiandole esocrine e che cosa implica questo. Le ghiandole endocrine sono quelle che
producono ormoni e questi ormoni vengono rilasciati nel torrente circolatorio tramite i quali
raggiungono le cellule e gli organi bersaglio, quindi visto che la modalità è questa, cioè sgancio il
mio prodotto nel torrente circolatorio io non ho necessità e infatti le ghiandole endocrine non
hanno dotti e quindi non mantengono questo collegamento quindi con il lume o la superficie degli
organi cose che invece fanno le ghiandole esocrine che riversano i loro secreti tramite dotti
escretori. Quindi la risposta A produce ormoni sarebbe la definizione data per una ghiandola
endocrina, stessa cosa per la risposta B rilascia il secreto direttamente nel sangue, è sempre ciò che
fa una ghiandola endocrina, la risposta C è priva di dotto, sempre la definizione di una ghiandola
endocrina, invece quando noi parliamo di ghiandola merocrina ci riferiamo ad una modalità del
rilascio del secreto che si riferisce a delle ghiandole esocrine quindi ci rimangono la D e la E. vi
ricordate se non è merocrina la modalità possibile? Ne avevamo individuate tre: olocrina e
apocrina, avevamo anche detto che quella merocrina è quella più diffusa più frequente. Qui vi può
aiutare, se non vi ricordate l’informazione in sé, l’etimologia della parola: meros vuol dire parte,
olos vuol dire tutto. Quindi la modalità in cui le cellule secernenti in toto si sfaldano e costituiscono
il secreto con le ghiandole sebacee questa è una modalità olocrina, quindi anche la D è da eliminare
e la risposta corretta è la E ovvero Emette il secreto per esocitosi dalle porzioni apicali delle cellule
secernenti; è una banale secrezione tramite esocitosi, quindi vengono liberate le vescicole dalla
parte apicale della cellula. nelle apocrine è un po’ una cosa mista, si perde la parte apicale della
cellula che contiene dei globuli di soluto lipidici, è molto rara quella olocrina, la abbiamo vista con la
ghiandola mammaria per esempio.
Quando parliamo di ghiandole di che tessuti ci occupiamo? Che tipo di tessuto è quello secernente
ghiandolare? Epiteliale.
5.
Questa domanda ve l’ho messa perché a volte l’insidia non è tanto nella difficoltà in sé nel
contenuto della domanda ma come può essere formulata. Qui abbiamo cinque informazioni, non
dobbiamo indicare quella giusta, ma quella errata, quindi la risposta che dovete selezionare è quella
che vi dà un’informazione non corretta relativamente ai mitocondri. Se uno legge in fretta la
domanda rischia di sbagliare quindi state attenti sempre a quello che c’è scritto e rileggete le
domande, state attenti se c’è scritto NON.
Risposta A, sono organuli semi autonomi questo è vero o no? Si è vero, quindi la AS la scartiamo
perché cerchiamo un’affermazione errata. È vera anche la risposta B, i mitocondri una membrana
esterna, liscia e una membrana esterna che si solleva in creste e la presenza di queste due
membrane è quella che mi permette di individuare due diversi compartimenti, lo spazio tra le due
membrane e lo spazio interno alla membrana interna che è la matrice mitocondriale. Ci sono altri
esempi di organuli che hanno una doppia membrana? Il nucleo anche ha una doppia membrana poi
se ci allontaniamo dalle cellula animale ce n’è un altro che ha una doppia membrana, i cloroplasti.
Cosa vuol dire poi che sono organuli semi autonomi? Che sono in grado da sé di produrre alcune
proteine perché sono dotati di propri ribosomi sui quali operare la sintesi proteica e soprattutto
sono dotati di un proprio materiale genetico, di un DNA anche se questo DNA ha un’organizzazione
diversa rispetto a quella che trovo nel nucleo, nel nucleo ho un DNA a forma di cromosomi lineari e
invece qui ho un cromosoma circolare simile a quello dei batteri. Quindi possiedono propri ribosomi
è vero. E questi ribosomi sono uguali a quelli che trovo nella cellula? i ribosomi che sono dentro ai
mitocondri sono più piccoli, sono una tipologia simile come dimensioni a quelli dei procarioti, a
quelli dei batteri, mentre tutto il resto dei ribosomi che trovo nella cellula e li trovo o liberi nel
citosol o associati al reticolo che così diventa rugoso o associati alla membrana esterna
dell’involucro nucleare quindi sono tutti 80s. quindi possiedono propri ribosomi è corretto, non è
quindi quella che cerchiamo. La risposta D, in essi avviene la digestione intracellulare, non è vera
perché questa è la funzione di quale altro organulo? È propria dei lisosomi , qual è la funzione
principale invece dei mitocondri? La respirazione cellulare, anche se abbiamo visto che non è
l’unica. Quindi la risposta E, si sono probabilmente originati per endosimbiosi è quella corretta,
teoria più che accettata e che risiede proprio nelle caratteristiche che abbiamo detto dei
mitocondri, una doppia membrana, quella esterna è quella tramite la quale sono stati fagocitati
dentro un’altra cellula, il fatto che abbiano un proprio DNA e ribosomi simili a quelli dei procarioti, il
fatto che siano comunque semi autonomi, le caratteristiche della loro membrana interna che come
costituzione somiglia alle membrane dei batteri ecce cc.
6.
Esempio di domanda in cui non basta avere imparato la definizione, quindi sapere qualcosa ma
bisogna fare uno step in più e attivare il ragionamento sulla base di quello che si sa.
Se parlo di osteoclasti e osteoblasti in che tessuto mi sto muovendo? Osseo. Questi sono due tipi
cellulari che noi troviamo nel tessuto osseo, la prima cosa da fare è ricordarsi che cos’è e cosa fa un
osteoclasto e che cos’è e cosa fa un osteoblasto. Se ci ricordiamo questo riusciamo a rispondere a
questa domanda. Qual è l’attività di un osteoclasto? Fa o demolisce? Demolisce invece l’osteoblasto
fa, ci riferiamo alla matrice ossea. Quindi gli osteoclasti hanno un’attività maggiore degli osteoblasti.
Noi a lezione non abbiamo detto questo caso in particolare, però vi ho detto cosa serve uno e l’altro
e quindi voi siete in grado di rispondere lo stesso a questa domanda. Risposta A formazione del
callo osseo, no perché abbiamo detto che c’è una prevalenza di demolizione e poi questo callo
osseo che cos’è? È quello che si forma a seguito di una frattura ossea, prima si va a formare questo
tessuto del callo osseo che poi viene sostituito da osseo definitivo al termine della guarigione.
Risposta B, indurimento dell’osso, nemmeno perché se sta demolendo come fa a indurirsi l’osso,
demolisce la matrice ossea, questa è una matrice minerale. Risposta C, riassorbimento della
cartilagine articolare, non c’entra niente con la matrice ossea, nemmeno con la sua demolizione.
Risposta D, una maggiore resistenza meccanica del tessuto osseo, quand’è che il tessuto osseo è
meccanicamente più resistente? Quando è più mineralizzato quindi quando ha un maggiore grado
di calcificazione, quindi se io ho gli osteoclasti che mi demoliscono non avrò una maggiore
resistenza meccanica ma al contrario avrò una minore resistenza meccanica del tessuto osseo,
quindi la risposta giusta è la E.
Abbiamo finito le lezioni quindi avete tutti gli elementi per esprimere un vostro parere un vostro giudizio
anche delle critiche se occorre sugli insegnamenti, quando vi iscrivete agli esami siete costretti a compilare
questo questionario secondo me è più utile che voi lo facciate prima a casa con calma, quindi se qualcuno
ancora non l’ha fatto vi invito per citologia e istologia a compilare il questionario tenendo presente che non
è tempo perso perché tutti i questionari vengono poi raccolti ed elaborati e presi in considerazione dal corso
di laurea, dal coordinatore, da un organo apposta che si chiama CPDS. Oltre a rispondere alle varie
domande relativamente al corso, ai docenti ecce cc avete anche la possibilità di lasciare dei commenti liberi
che possono essere sia in positivo che in negativo, possono essere delle critiche costruttive quindi se
qualcuno si sente di segnalare qualcosa tenete conto che potete dare anche delle indicazioni non solo
rispondere, ma anche esprimervi liberamente. Per fare questo dovete andare sempre nella vostra area
riservata, c’è la voce questionari e poi andate nel questionario di valutazione dei corsi che dovete ancora
valutare. Vi rassicuro che tutti questi questionari sono assolutamente anonimi quindi il docente che poi li
vedrà non sa che ha dato un parere piuttosto che un altro quindi vi potete esprimere senza timori e non
influirà in nessun modo sugli esami ma influirà piuttosto su come strutturiamo l’anno prossimo il corso sulla
base anche delle vostre indicazioni.
Passiamo ora a controllare quegli esercizi che vi avevo lasciato, vi ricordate questo quando abbiamo
concluso la parte sulle giunzioni cellulari, vi avevo proposto questo schema che era rimasto in bianco, in cui
per ogni tipo di giunzione, sia le giunzioni tra cellule che fra cellule e MEC, bisognava ricapitolare e
individuare i tre diciamo elementi fondamentali che sono quali proteine transmembrana contribuiscono alla
formazione della giunzione, quali proteine a livello citoplasmatico che sono ovviamente collegate alle
proteine transmembrana e come queste proteine citoplasmatiche siano collegate a loro volta collegate ad
elementi dei citoscheletro, quali in particolare. Facendo questo per ciascuna poi avete la possibilità sia di
leggere le informazioni in questo modo quindi tutto ciò che riguarda un tipo di giunzione, sia di leggerla per
colonne quindi confrontando quali sono le proteine transmembrana che trovo nei vari tipi di giunzione?
Quindi diventa uno strumento facile per il ripasso.
● Giunzione occludente: un tipo di giunzione che è tra due cellule e che come dice la parola serve ad
occludere a chiudere gli spazi tra una cellula e l’altra, impedendo quindi il passaggio di materiali
dalla zona radicale della lamina cellulare alla zona basale. Le proteine transmembrana coinvolte?
Cosa vuol dire transmembrana? Vuol dire che attraversano lo spessore della membrana sia di una
cellula, sia della cellula affrontata, di quella cellula contigua con cui si sta realizzando la giunzione.
Le proteine di transmembrana qui sono le Claudine, le Occludine e le JAM. Le proteine
citoplasmatiche sono le ZO, che sta per zona occludens perché vi ricordate che tutte queste
giunzioni hanno un sacco di sinonimi, le funzioni occludenti vengono anche chiamate appunto zona
occludentes, queste che poi sono collegate a quali elementi del citoscheletro? Possono essere
collegate a microfilamenti o ai microtubuli. Questi elementi prendono contatto, si vincolano in un
certo modo sempre a degli elementi del citoscheletro, però il citoscheletro sappiamo che è
costituito da microtubuli, microfilamenti e microfilamenti intermedi. A seconda delle diverse
giunzioni, ogni tipo di giunzione prende contatto esclusivamente con un tipo di elemento del
citoscheletro e vi chiedevo quale o in alcuni casi a più di uno. E anche questo costituisce una
differenza tra una giunzione e l’altra quindi va messo in evidenza.
● Aderenza a fascia: tra le così dette giunzioni ancoranti dove le proteine di transmembrana sono le
Caderine, le proteine citoplasmatiche sono le Catenine e gli elementi del citoscheletro cui ci si
aggancia sono i microfilamenti.
● Desmosoma: come proteine transmembrana abbiamo di nuovo le Caderine, citiamo in particolare
le desmocolline e desmogleine, abbiamo varie proteine citoplasmatiche tra cui le Placoglobine, le
Placofiline e le Desmoplachine e poi abbiamo l’aggancio ai filamenti intermedi, questa è già una
differenza tra l’aderente a fascia che si attacca ai microfilamenti.
● Emidesmosoma: questa non è una giunzione fra due cellule, è una giunzione fra la parte basale di
una cellula epiteliale e la sottostante lamina basale e poi MEC. Qui le proteine transmembrana
cambiano rispetto alle due di ancoraggio, sono delle Integrine, poi ha una serie di proteine
citoplasmatiche, dette nel complesso proteine della placca tra cui la plectina e l’emidesmosoma si
ancora ai filamenti intermedi proprio come fa il desmosoma.
● Contatto o adesione focale: è un’altra giunzione cellula matrice, quindi non fra due cellule e
nuovamente come proteina transmembrana troviamo le Integrine, come proteine citoplasmatiche
troviamo una serie di proteine di connessione, abbiamo citato la alfa actinina, la talina e la
vinculina. In questo caso l’aggancio è con i microfilamenti. Quindi vedete l’aderente a fascia e il
contatto focale entrambi microfilamenti, desmosoma ed emidesmosoma invece ai filamenti
intermedi.
● Comunicante: le proteine transmembrana sono delle Connessine che sui organizzano a dare delle
strutture a sei molecole che è il connessone che individua un poro centrale quindi si formano dei
veri e propri canali che si affrontano tra una cellula e l’altra e mettono in comunicazione citoplasmi
di cellule interessate da questo tipo di giunzione. Le proteine citoplasmatiche sono delle proteine
ponte e gli elementi del citoscheletro sono microfilamenti o microtubuli. L’aggancio agli elementi
del citoscheletro è sempre importante perché è quello che mi dà forza alla giunzione soprattutto
quelle sulle quali si scaricano delle forze di trazione e di stiramento sennò si rischierebbe di
strappare la giunzione in quel punto magari limitato in cui sono affrontate le due cellule.
Queste che vi mostro sono tutte immagini al TEM, rappresentano quali giunzioni? Le abbiamo appena
ripassate nei loro costituenti.
La prima immagine da sinistra è una giunzione occludente e si vedono dei punti in cui le membrane delle
due cellule sono completamente saldati e invece altri punti in cui c’è un poì di spazio fra una membrana e
l’altra. Poi la seconda immagine è un desmosoma, vediamo che prende contatto e si aggancia ai filamenti di
cheratina che sono dei filamenti intermedi, se fosse stata un’aderente a fascia, non avrebbe preso contatto
con i filamenti intermedi. Quindi i filamenti di cheratina sono un indizio che porta a pensare che questo è un
desmosoma. L’ultima immagine a destra, queste tre sono degli emidesmosomi che agganciano questa
cellula che è di sopra, con di sotto la membrana basale e anche qui vediamo belli lunghi i filamenti
intermedi, di cheratina se parliamo di cellule dell’epidermide, in molte cellule epiteliali sono di cheratina i
filamenti intermedi che agganciano e si innestano in tutto l’intreccio del citoscheletro.
● Nel prelievo cosa cambia? Io posso sempre avviare all’ottica o all’elettronica qualsiasi organo o
tessuto, ma in microscopia elettronica la dimensione dei campioni possono essere e sono più grandi
rispetto a quelli della microscopia ottica dove di solito ci aggiriamo a non più di mezzo centimetro
per mezzo centimetro di lunghezza e larghezza di un frammento, quindi una cosa molto piccola. Chi
era alle esercitazioni ha visto un piccolo pezzetto incluso per la microscopia elettronica ed era
decisamente più piccolo del pezzo per la ottica.
● La fissazione: per la microscopia ottica faccio una fissazione sia di tipo chimico, di solito con la
formalina, è quella più utilizzata, un altro molto utilizzato è la così detta miscela o liquido di Bouin
quella gialla che è fatta di diversi componenti, c’è l’acido picrico che dà il colore giallo, c’è la
formaldeide per un tempo che è variabile a seconda del fissativo che uso e della grandezza del
pezzo. Se invece sono per la microscopia elettronica uso un altro fissativo che è la glutaraldeide.
● L’inclusione la farò per la maggior parte dei casi con la paraffina per la microscopia ottica, invece
con delle resine epossidiche per la microscopia elettronica.
● Taglio: con uno strumento che si chiama microtomo per la microscopia ottica e taglio delle sezioni
in paraffina che di solito vanno dai 4 ai 10 micron di spessore, per la microscopia elettronica uso un
ultramicrotomo visto che tratto dei pezzi più piccoli e faccio delle sezioni molto più sottili devo
lavorare con un microscopio che mi permetta di vedere ingrandito e quindi che possieda degli
oculari. Nell’ultramicrotomo posso fare due tipi di sezioni: le così dette semifine che sono 1-1.5
micron e le ultrafine che sono quelle che poi andrò a depositare sulle grigliette metalliche che andrò
poi a inserire nel microscopio elettronico a trasmissione che sono addirittura dell’ordine dei
nanometri.
● Le colorazioni: il mio vetrino per la microscopia ottica, lo posso colorare con vari, ci sono tanti tipi di
colorazioni, le abbiamo anche elencati alcune dipende da che cosa voglio vedere io nel mio tessuto,
che tessuto è, che organo è, allora sarà privilegiata una rispetto ad un’altra e per fare gli esempi di
quelle più famose l’ematossilina eosina, andate a vedere che cosa colora una e l’altra, la PAS come
esempio di colorazione istochimica, la PAS mi mette in evidenza dei componenti chimici particolari
all’interno delle cellule dei tessuti. Quindi qui uso dei coloranti delle vere e proprie sostanze
coloranti. Per la microscopia elettronica io non ho dei colori ma faccio una colorazione con dei Sali
di metalli pesanti che vanno ad aumentare, ad esacerbare il cont5rasto agli elettroni in modo che
possa vedere in modo più distinto quelle strutture che sono più elettrondense e quelle che risultano
meno elett5rondense, quelle più elettrondense risulteranno scure, nere e invece mano a mano che
sono meno elettrondense vedrò dei grigi fino al bianco. Alla fine di tutto questo ottengo per la
microscopia ottica un bel vetrino colorato montato con il copri oggetto che osservo al microscopio
ottico, nel caso della microscopia elettronica ottengo una griglietta metallica su cui ho depositato la
mia ultrafine colorata con i Sali di metalli pesanti, quindi che andrò a vedere al TEM.
Quindi che cosa cambia tra l’uno e l’altro? Cambia che nel caso della microscopia ottica io riesco ad avere in
un vetrino, in una sezione una visione di insieme, di solito osservo dall’ingrandimento più piccolo a quello
maggiore di qual è la struttura di un organo di quali sono i tessuti che magari si trovano in quella sezione,
quindi mi permette di identificare che tessuti sono presenti, quali cellule, come sono disposte, alla
microscopia elettronica io vado ad un livello di ingrandimento e risoluzione tali da apprezzare i dettagli che
al microscopio ottico non riesco a vedere, vado a vedere tutto quello che ho definito ultrastruttura quindi
quanti e quali organuli trovo dentro alle cellule lo vedo con la microscopia elettronica, difficilmente con
l’ottica, a meno che non siano degli organuli che si colorano in un modo particolare o che sono
particolarmente grandi, io vedo il nucleo di solito, vedo alcuni granuli e inclusioni, ma la maggior parte degli
altri organuli non si mettono in evidenza con l’ottico. Sempre per la microscopia ottica ho un’alternativa alla
fissazione fisica, cioè di fissare per congelamento il mio pezzo, lo congelo velocemente, questo mi fa saltare
la fase di inclusione perché il pezzo congelato è già di per sé sufficientemente duro per poter essere
sezionato, non ha bisogno di essere incluso con un mezzo che lo renda bello solido e lo vado
immediatamente appena congelato a tagliare con uno strumento che è il criostato o microtomo
congelatore, ottengo però delle sezioni generalmente un po’ più spesse rispetto a quelle che ottengo al
microtomo tagliando i pezzi in paraffina.
Poi l’altra volta ci eravamo lascianti dando la definizione di organi pari e organi impari, avevamo distinto da
un punto di vista strutturale gli organi cavi, che possono essere viscerali o vascolari rispetto agli organi pieni
a loro volta suddivisibili in parenchimatosi e filamentosi e vi avevo lasciato il compito di individuare quali
fossero questi organi specializzati e di ciascuno dirmi se sono pari o impari, se sono cavi o pieni e di che tipo.
(Domanda: a me dei microscopi mi interessa che sappiate un minimo le caratteristiche e a che cosa servono,
ovvero perché mi conviene utilizzare un microscopio piuttosto che un altro, questa è la cosa fondamentale,
non chiedo le raffinatezze di tipo fisico. Mi interessa che sappiate cos’è la risoluzione, cos’è l’ingrandimento,
quello che io vi ho detto a lezione, ma non vi chiedo dei dettagli troppo tecnici perché sono cose più
attinenti alla fisica che alla biologia.)
Quindi qui che organi sono e di che tipo?
● 3) Polmoni: organi pari laterali. Non lo definiamo un organo cavo. C’è un buco centrale, un lume nei
polmoni? Dire che un organo è cavo o meglio pieno non vuol dire che non ci sia nessunissimo spazio
vuol dire che non c’è una cavità centrale principale. Se voi tagliate in due, aprite in due un polmone,
non è che c’è un buco centrale, c’è un albero tutto ramificato con dei piccoli spazi a livello degli
alveoli ma non è un organo cavo. È un organo pieno di tipo parenchimatoso dove il parenchima
respiratorio è costituito dall’albero respiratorio e i vari alveoli e bronchioli.
● 2) Trachea: organo impari, la trachea è solo una in posizione centrale, che poi si divide nei due
bronchi che entrano nei due polmoni ed è un organo cavo, qui si che c’è una bella cavità centrale ed
eccome se ci deve essere perché nella cavità della trachea transita , che è il suo scopo, l’aria in
entrata verso i polmoni, ma anche in uscita a seconda se stiamo espirando e inspirando ed è la
ragione per cui la trachea deve essere pervia, aperta cioè quindi non istruita e non deve collassare,
cioè la parete della trachea non deve collassare su sé stessa in modo da poter essere sempre
attraversata dall’aria, sennò non arriva il rifornimento ai polmoni ed è questa la ragione per cui
abbiamo visto che la trachea è sostenuta nella sua struttura da dei semi anelli cartilaginei,
cartilagine ialina che assicurano proprio questo.
● 4) Cuore e arco aortico: sia che parliamo del cuore sia che parliamo dell’aorta si tratta sempre e
comunque di organo imparo e struttura cava però in questo caso sono organi cavi di tipo vascolare
quindi con una parete che è costituita da quante tonache? Nel cuore e in un vaso grosso come
l’aorta, tre che sono andando dall’interno verso l’esterno del cuore: endocardio, miocardio ed
epicardio. Le tonache nei vasi come si chiamano? Sempre dal dentro, quella a contatto col sangue
verso l’esterno, intimo, medio e avventizio. Perché ho specificato in un vaso grande come l’aorta?
Perché se io considero un altro vaso, per esempio un capillare, trovo ancora tre tonache? Solo una
che è quella più interna, la tonaca intima, ed è giusto che sia così perché siccome a livello dei
capillari e solo a livello dei capillari avvengono gli scambi gassosi tra il sangue e i tessuti circostanti,
se io ho troppo spessore, se io avessi ben tre tonache da superare, ora che mi arriva l’ossigeno, son
bella che fritta.
● 5) reni di mammiferi: organi pari e laterali, retroperitoneali, quindi dietro il peritoneo e questi come
sono? Sono organi pieni parenchimatosi, la parte funzionante in questo caso sono tutte le varie
cellule che vanno a costituire i tubuli, omeruli ecc, però non c’è una cavità centrale, ci sono delle
papille, dei calici renali ecc, ma l’organo anche se ha degli spazi non ha una cavità, un lume centrale
principale e quindi non vediamo fra i parenchimatosi.
● 6) pancreas: organo impari. Il pancreas fa un sacco di servizi infatti è un ottimo esempio quando si
studiano le ghiandole perché è sia una ghiandola esocrina con i vari acini pancreatici con il loro
secreto, ci sono vari enzimi che occorrono per la digestione che vengono riversati a livello del
duodeno ma è anche con la componente degli isolotti del Langerhans un esempio di ghiandola
endocrina. Quindi due al prezzo di uno e al livello del pancreas endocrino viene prodotto l’unico
enzima in grado di abbassare la glicemia, l’insulina e quindi per questo il pancreas è così
fondamentale.
● 7) intestino crasso e colon: organo impari, cavo e viscerale. Allora intanto che ci siamo ripassiamo
quali solo le tonache degli organi cavi viscerali, quante e quali del digerente quindi dall’esofago fino
alla fine dell’intestino io ho mucosa, sottomucosa, muscolare e sierosa che può essere sierosa o
avventizia a seconda dell’organo, vi invito a ripassare ciascuna di queste tonache da quali tessuti è
costituita.
● 8) cervello: organo impari pieno, il cui parenchima è costituito dal suo tessuto stesso. Vi ricordate
com’è riorganizzata la sostanza bianca/grigia nell’encefalo rispetto al midollo spinale? Nell’encefalo
è al centro e c’è la sostanza bianca e fuori la sostanza grigia, nel midollo spinale è al contrario, la
parte di sostanza grigia è al centro e intorno c’è la sostanza bianca.
● 9) fegato: ghiandola esocrina annessa al tubo digerente ed è un esempio di ghiandola extra
parietale perché riversa i suoi secreti a livello dell’intestino ma non è nella parete intestinale, è al di
fuori, si collega tramite un dotto. Organo pieno parenchimatoso in cui il parenchima è dato
dall’insieme degli epatociti che sono suddivisi in diverse aree dalla presenza di setti che altro non
sono nel complesso lo stroma dell’organo, tutti gli organi parenchimatosi hanno infatti una guaina
esterna che è la capsula da cui si dipartono dei setti connettivali che individuano queste sottounità
dell’organo e oltre che fare questo, fare da supporto da trama sono anche i punti in cui viaggiano, i
vasi i nervi ed eventuali dotti. Sempre questo è compito dei connettivi. Altro esempio di organo
parenchimatoso come il fegato che abbiamo appena commentato è l’1.
● 10) stomaco: organo impari cavo viscerale, fa parte sempre dell’apparato digerente questo è lo
avevamo evidenziato, lo stomaco, perché la sua tonaca muscolare rispetto a quella di altri tratti
dell’intestino cos’ha di diverso? Non ha i soluti due strati circolare interno e longitudinale esterno
ma ha anche un terzo strato intermedio perché lo stomaco è chiamato a contrarsi in modo energico
per favorire anche meccanicamente la digestione. È uno degli organi viscerali in cui abbiamo tre
strati di muscolatura liscia nella tonaca muscolare.
● 1) milza: organo pieno parenchimatoso.
● Cute: da un punto di vista della struttura istologica lo definiamo pieno perché non presenta nessuna
cavità, infatti non è un organo cavo però ha una struttu5ra istologica simile a quella degli organi cavi
perché come la parete degli organi cavi, anche la cute è organizzata in tonache una dentro l’altra
che sono l’epidermide, l’epitelio, il derma, il connettivo sottostante, l’ipoderma che diventa spesso e
volentieri tessuto adiposo. Quindi pur non essendo un organo cavo, la cute si riporta alla casistica
degli organi cavi perché è organizzato in tonache proprio come la parete degli organi cavi.
L’altra volta una ragazza aveva chiesto se potevo rispiegare i tipi di sinapsi che sono due, elettriche e
chimiche. Ma lei si riferiva alle possibili interazioni sinaptiche fra due neuroni, quindi parlando di sinapsi di
tipo chimico che si instaurano fra due neuroni, quindi sia l’elemento presinaptico che l’elemento
postsinaptico sono sempre e comunque due neuroni. Ci sono tre diversi casi. Quando la sinapsi si ha fra
l’assone di un neurone e il dendrite dell’altro neurone, questo tipo di sinapsi prende il nome di sinapsi
assodendritica. Dove asso sta per assone che è ciò che ci mette il neurone presinaptico e il dendrite che è la
parte ricevente del neurone postsinaptico. Questo è un esempio di sinapsi assodendritica, in particolare,
questo è tra un assone e una spina dendritica. Vi ricordate che i dendriti possono a vere questi corti
prolungamenti sostenuti da microfilamenti che sono le spine dendritiche. Altra possibilità la sinapsi avviene
tra l’assone di un neurone e il corpo cellulare di un altro neurone, allora questo tipo di sinapsi si chiamerà
assosomatica, quindi fra un assone e un soma, ovvero un corpo cellulare di un’altra cellula. qui si vede un
pezzo di assone e questo è il soma o corpo cellulare o pirenoforo. Altra possibilità ancora, anche se
abbastanza rara, ma c’è, è che l’assone del primo neurone prenda contatto sinaptico con l’assone dell’altro
neurone, allora la sinapsi si chiamerà assoassonica. Se voi vi ricordate il nome assosomatica, assoassonica,
assodendritica e smontate la parola capite quali sono i due protagonisti: sempre l’assone e poi l’altro può
variare, può essere il dendrite, può essere il soma, può essere l’assone.
L’altro dubbio che c’era stato erano dei chiarimenti sulla costimolazione, quando avete parlato del sistema
immunitario, della risposta immunitaria. Perché i linfociti si attivino non è sufficiente che ci sia il
riconoscimento con l’antigene, riconoscimento che può essere mediato da una cellula presentante
l’antigene quando parliamo di un linfocita T o può essere un riconoscimento effettuato direttamente
quando parliamo di un linfocita D, ma occorre anche che ci sia una costimolazione cioè una interazione fra
molecole espresse dalla cellula che presenta l’antigene e il linfocita T. qui nell’immagine vi indicava anche
quali sono queste molecole che sono presenti sulla superficie delle cellule quindi questa che è per esempio
una cellula dendritica che è tipica cellula presentante l’antigene ha sulla sua superficie queste molecole
CD80 oppure CD86 che interagiscono con un recettore presente sul linfocita T helper il CD28 e da questa
interazione unicamente al riconoscimento e al legame, fa sì che il linfocita si attivi cioè se il linfocita
semplicemente riconosce l’antigene presentato dalla cellula dendritica questo non è sufficiente perché il
linfocita si attivi, l’attivazione si ha se oltre ha questo c’è anche il legame fra la molecola superficiale CD80 o
CD86 presente sulla superficie della cellula dendritica e il recettore presente, il CD28, sul linfocita T, quando
ho entrambe queste cose allora sì che procede la mia attivazione. La stessa cosa accade di qua quando ho
questo linfocita T helper attivato lui interagisce con il linfocita B, ma il linfocita B viene ad attivarsi non solo
dopo che c’è stato il legame antigene recettore, ma anche quando il linfocita T con la sua molecola CD40L
interagisce con il ligando CD40 presente sul linfocita B. questa interazione costituisce la costimolazione che
permette al linfocita B di attivarsi. Cosa fa un linfocita B attivato? Che ha incontrato un determinato
antigene e che è stato costimolasto dall’help? Diventa una plasmacellula.
della citologia oltre a ripassare tutte le quattro classi di sostanze organiche quindi sapere proteine, lipidi,
carboidrati, acidi nucleici caratteristiche chimiche, dove li trovo, quali sono i costituenti, i monomeri
costituenti di queste molecole poi ovviamente tutta la descrizione della cellula animale, quindi passati in
rassegna questo primo elenco che sono gli organuli che troviamo, chi più chi meno, sviluppati in tutte le
cellule. Questa la potremmo chiamare la notazione di base. Quelli dell’elenco a destra sono delle
specializzazioni cellulari che possono o possono non esserci, ci sono in alcune specializzazioni cellulari e non
in altri. Cosa dovete sapere di ciascuno di questi? Dove si trovano, di cosa sono composti, come sono
strutturati, che funzione hanno. Questo di ciascuno degli organuli a livello di struttura e in certi casi anche di
ultrastruttura. Del citoscheletro, per esempio, avevamo fatto anche uno schema comparativo; quindi, dopo
che avete studiato nel dettaglio ciascuno dei tre elementi, microtubuli, microfilamenti e filamenti intermedi
andate a comparare uno con l’altro che è sempre una cosa utile per schiarirsi le idee. Ricordiamoci una cosa
fondamentale che è evidente dal fatto che ho tutti questi diversi organuli cioè che la cellula animale è una
cellula caratterizzata da compartimentazione, cioè ci sono diversi comparti che vengono il più delle volte,
perché quasi tutti gli organuli sono membranosi, individuati dalla presenza da una membrana che li delimita
che può essere una membrana singola o doppia come nel caso del nucleo e del mitocondrio e che mi crea
quindi dei comparti che hanno caratteristiche diverse all’interno dei quali possono e avvengono funzioni
attività processi diversi in contemporanea, processi che richiedono caratteristiche e ambienti diversi. Se
l’ambiente cellulare fosse uno unico, avrei un unico ambiente con le stesse caratteristiche e quindi
l’impossibilità di differenziare queste attività come invece avviene all’interno della cellula eucariotica.
In particolare, della membrana plasmatica su cui siamo stati abbastanza tempo, ricordiamoci la
composizione, è fatta fondamentalmente di fosfolipidi che quantitativamente costituiscono l’asse portante,
la trama principale. Fosfolipidi che sono organizzati a bilayer, quindi a doppio strato con le teste idrofile
rivolte verso il versante citosolico, verso il versante extracellulare dal centro invece le code idrofobiche. Ci
sono le proteine fondamentali perché praticamente quasi tutte le funzioni svolte dalla cellula animale che vi
ho riportato qua sotto sono svolte grazie alle proteine che troviamo nella membrana, proteine che io
distinguo in intrinseche ed estrinseche a seconda che siano affacciate quelle estrinseche solo su una delle
facce della membrana oppure quelle intrinseche che invece si approfondano nella membrana e se la
attraversano completamente affacciandosi su entrambi i lati le definisco transmembrana. Poi glucidi che
nelle membrane plasmatiche sono sempre presenti, nelle membrane di altri organuli non necessariamente
ma sono presenti in una faccia particolare che è quella verso l’esterno della cellula.
Dovete ripassare le caratteristiche che abbiamo raccolto nella fluidità da che cosa dipende la più o meno
spiccata fluidità di una membrana la sua asimmetria e la sua selettività nel senso che non si fa passare da
qualunque sostanza con la stessa facilità e quindi si apre tutto il capitolo dei trasporti ricordando che i
trasporti vengono divisi in passivi e attivi in base che occorra o meno energia sotto forma di ATP perché
avvengano e quindi se sono termodinamicamente favoriti o no e in base se avvengono per un passaggio
libero di diffusione attraverso il doppio strato oppure se avvengono grazie alla presenza di proteine,
possono essere proteine canale o proteine carrier o se avvengono perché le dimensioni anche dei contenuti
trasportati sono elevate tramite vescicole e quindi la esocitosi, se queste vescicole hanno come destinazione
finale fuori la cellula o endocitosi dei tre tipi (quindi fagocitosi, pinocitosi o endocitosi mediata da recettore)
se il destino finale è l’interno della cellula.
Riconoscimento degli epiteli:
(Fate caso a questa convessità di queste cellule, al fatto che ce ne sia una binucleata, alla forma di queste
altre qua sotto).
EPITELIO CUBICO SEMPLICE (TIROIDE)