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Anno 2022/2023

Professoressa Giari

CITOLOGIA
LEZIONE INTRODUTTIVA – 3 OTTOBRE 2022

La prima volta che ho pensato a questa prima lezione ero al cinema a vedere un film
dedicato a Ennio Morricone e sono rimasta affascinata dalla varietà dei brani che
Morricone aveva composto con solo poche note. Infatti, se pensassimo che con solo
sette note viene fuori un’immensità e una varietà di possibili musiche, di possibili
brani e di generi, come per esempio La Dolce Vita di Fedez, oppure una sinfonia di
Beethoven o anche metal.
Alla fine, lo stesso stupore lo possiamo avere tranquillamente girandosi intorno:
meduse, un metanogeno, uno scorpione, un fungo, una libellula, una stella marina, dei
lieviti, una sanguisuga, un protozoo, un colibrì … una varietà incredibile di forme di
vita, diverse per forma, colore, dimensione. Tutta questa varietà poggia su solo due
tipi di cellule, la cellula procariote e la cellula eucariote, quest’ultima presenta due
varianti principali che sono la cellula vegetale e quella animale, ma tutti gli organismi
che abbiamo visto son costituiti da un tipo di cellula, o una o l’altra. Non esiste un
organismo che abbia sia una cellula che altra, o si è procarioti o si è eucarioti. Quindi
è davvero intrigante andare a vedere questo mattoncino da dove è partito tutto e di cui
tutto è costituito.
Perciò le cellule sono le note della biologia. Non c’è musica senza note e non c’è
biologia senza cellule. Non c’è uno studio scientifico, biologico senza conoscenza
delle cellule. Proprio per questo il nostro corso è collocato al primo anno del nostro
corso di biologia.

Importante seguire il corso su classroom per tutte le informazioni e per il materiale.


Se si vuole avere informazioni più specifiche del corso, si può guardare nel sito del
corso di scienze biologiche. Il corso avrà 5 cfu di lezione teoriche e si faranno nel
polo fieristico, mentre 1 cfu sarà pratico e si svolgerà al polo biologico Mammuth. Le
esercitazioni, non sono obbligatorie, verranno nella seconda metà di novembre e nella
prima metà di dicembre e ci saranno dei turni che non si potranno cambiare.
I contenuti del corso sono divisi in tre blocchi:
CITOLOGIA
- Livelli di organizzazione biologica e importanza dello studio della cellula.
Composizione chimica delle cellule: acqua, carboidrati, lipidi, proteine ed acidi
nucleici.
Descrizione della cellula animale, compartimentazione e sistema endomembranoso.
Struttura e funzione di:
- nucleo e ribosomi: il flusso dell'informazione dai geni alle proteine
- reticolo endoplasmatico liscio e rugoso, apparato di Golgi, endosomi e lisosomi:
traffico vescicolare
- perossisomi
- mitocondri: origine (teoria dell'endosimbiosi), forma e localizzazione, cenni sulla
respirazione cellulare
- citoscheletro, centrosoma, fuso mitotico
- membrana plasmatica: composizione, asimmetria, trasporti
Diversità morfologica tra cellule. Polarità cellulare. Specializzazioni cellulari:
microvilli, glicocalice, stereociglia, ciglia, flagelli, sistemi giunzionali. Inclusioni e
granuli.

ISTOLOGIA
- Caratteristiche generali e classificazione dei tessuti animali.
Morfologia, composizione e funzioni dei seguenti tessuti:
- tessuti epiteliali: epiteli di rivestimento (semplici e composti) ed epiteli ghiandolari.
Ghiandole endocrine ed esocrine
- tessuti connettivi (cellule residenti e non, sostanza amorfa, componente fibrillare):
connettivi propriamente detti (lasso, denso, reticolare, elastico), tessuto adiposo
(bianco e bruno), cartilagine (ialina, elastica, fibro-cartilagine), tessuto osseo
(compatto e spugnoso) e tipi di ossa, sangue e cenni su emopoiesi, emostasi e risposta
immunitaria
- tessuti muscolari: striato scheletrico, striato cardiaco, liscio; miofibrille e
meccanismo della contrazione; struttura generale del muscolo scheletrico
- tessuto nervoso: neuroni, sinapsi, cellule gliali del sistema nervoso centrale e di
quello periferico; struttura del nervo
L’interazione dei tessuti a dare gli organi. Struttura degli organi cavi (vascolari e
viscerali) e degli organi pieni.

METODOLOGIE PER LO STUDIO DI CELLULE E TESSUTI


- Principali strumenti e tecniche per l’indagine morfologica. Microscopia ottica ed
elettronica con descrizione dei tipi di microscopi e relative potenzialità. Preparazione
dei campioni per l’analisi istologica: dissezione ed espianto dei tessuti, fissazione,
inclusione, microtomia (piani di taglio), colorazioni istologiche ed osservazione delle
sezioni. Tecniche di cito-istochimica, immunoistochimica, immunofluorescenza.
Citofluorimetria.

Le esercitazioni verteranno sull’osservazione al microscopio di preparati e vetrini per


riconoscere i tipi cellulari e i diversi tessuti e come essi si organizzino a dare gli
organi e per individuare le principali colorazioni istologiche. Gli studenti
prenderanno inoltre visione degli strumenti e delle fasi per l’allestimento di campioni
destinati alla microscopia ottica e a quella elettronica.

❖ Cosa faremo in questo corso?

Faremo una scala, anzi un pezzo di scala. Faremo tre gradini di questa scala, ovvero
la scala dei livelli di organizzazione biologica. I tre gradini sono: le molecole, le
cellule e i tessuti. Prima e dopo di questi gradini ci sono altri livelli come per esempio
gli atomi, le cellule subatomiche oppure gli apparati di cui noi non ci occuperemo ma
lo farete in altre materie.
Cosa succede passando da un gradino all’altro?
Aumenta la complessità, ma soprattutto vediamo le proprietà emergenti, ovvero
informazioni che nel livello precedente non c’erano.
Notate anche un’altra cosa in questa scala, noi andiamo in salita in questa scala.
Il gradino delle cellule è IL gradino fondamentale, perché è uno spartiacque tra la
materia vivente e la materia non vivente. Perciò quello che c’è sotto questo gradino,
sono comuni a tutta la materia, sia non vivente che vivente. Invece, dalla cellula in su
sono propri degli organismi viventi. Il fatto di avere un’organizzazione cellulare fa di
un organismo, un organismo vivente. Mentre se non la si ha non si è né un organismo
eucariote, né procariote; per esempio, i virus son solo un pezzetto di acido nucleico, o
RNA o DNA, avvolto in un capside proteico. Su come definirli è un dibattito tra
scienziati, infatti non sono cellule, ma prodotti biologici; senza il legame con le
cellule non possono sopravvivere.
Il fatto che la cellula sia un gradino fondamentale è provato anche dalla teoria
cellulare. La cellula è l’unità morfologia e funzionale della vita. Quini la cellula in sé,
si può notare negli organismi unicellulari, contiene tutte le proprietà e le capacità che
permettono di vivere, di riprodursi, di replicarsi. Come, per esempio, anche tutte le
reazioni chimiche hanno luogo dentro le cellule.
Ogni cellula deriva da un’altra cellula. La cellula ha in sé tutte le informazioni, sotto
forma di DNA, in cui sta scritto com’è fatta, come funziona e che possono essere
trasmesse alle cellule figlie.
La cellula è così importante che è il criterio fondamentale con cui noi distinguiamo i
vari organismi viventi. Pensate ai domini, che sono Eukarya, Bacteria,
Archaeabacteira. Oppure anche la suddivisione in base al numero di cellule,
organismi unicellulari (procarioti ed eucarioti) e organismi pluricellulari (eucarioti),
in particolare in questi ultimi osserviamo la differenziazione delle cellule e avranno
specifiche funzioni.
I tessuti sono solo quattro tipi e con solo questi quattro si formano tutti gli organi,
tutti gli animali che noi conosciamo.
Quindi cellule due e vengono fuori tutta quella varietà, tessuti quattro e vengono fuori
tutta quella varietà, qui si gioca molto bene con questi poco mattoncini.
Nell’immagine ฀ molecola colesterolo, cellula mucosa dell’intestino, tessuto
intestinale
❖ Obbiettivo del corso

Osservare ฀ l’abilità di chi studia biologia è studiare quello che si vede. Noi
lavoreremo nelle immagini e poi con i microscopi.
La prima immagine di fianco è stata ottenuta con microscopio a fluorescenza e sono
fibrociti, la parte verde è il nucleo, le varie diramazioni sono microtubuli, mentre
quelli più sottili sono i microfilamenti.
Nell’immagine vicina si vedono i globuli rossi ed è ottenuta con microscopio a
scansione.
Infine, l’ultima foto è una sezione istologica visto al microscopio ottico, è una
sezione trasversale del cordone ombelicale. Si notano due arterie ombelicali e una
vena ombelicali.
Descrivere ฀ cercare di notare i particolari e descrivere in modo adeguato con il
lessico specifico le varie osservazioni. Importante in questo corso è avere un lessico
preciso.
Conoscere ฀ Cosa? vogliamo conoscere la composizione in termine chimici, la
struttura, la collocazione e la funzione degli organuli, cellule e tessuti animali.
Come? studiando le principali tecniche e utilizzando gli strumenti per studiare le
cellule e i tessuti.
Perché? è il nostro modo di conoscere e riconoscere, di associare un oggetto. Per
esempio, nell’immagine possono riconoscere dei fagioli oppure i reni dei mammiferi.
Capire la forma mi aiuta a capire la funzione di quella struttura. Inoltre, è importante
perché mi permette di capire quanto sono vicini tra loro storicamente i vari organismi,
per esempio gli arti superiori dell’uomo sono simili agli arti anteriori dei gatti oppure
le ali dei pipistrelli. Poi mi permette anche cosa non va, perché se io non so come una
cellula debba essere normalmente, io non riesco a capire se c’è qualcosa di
patologico.
Ritornando a binomio forma-funzione.
Il binomio tra la fisiologia e la funzionalità tornerà molto. Se io so una funzione so
anche molto probabilmente la struttura e anche il contrario se io conoscessi una
struttura potrei capire che funzione ha.
Esempio.
Tutto dal punto di vista morfologico negli uccelli è adatto al volo, non solo la forma
del corpo oppure la forma delle ali. Nello specifico le ossa delle ali, robuste e leggere
a struttura a nido d’ape in modo tale da permettere di volare. Volare vuol dire anche
impiegare tanta energia, mi aspetto quindi che nelle cellule muscolari ci sia un
enorme quantità di organuli che permettono di creare energia; infatti, son pieni di
mitocondri con la membrana interna piena di creste che permettono un maggiore
produzione di ATP. Questi muscoli devono essere controllati, quindi anche dei
neuroni che permettono di controllare il volo. Quindi tutto è propenso al volo.
Tutte queste cose, che studieremo, poi vi serviranno come base per altre materie,
come per esempio l’anatomia umana e comparata oppure per la patologia e per la
fisiologia.
Infine, perché tutto questo ha molte applicazioni, sia di ricerca che sia diagnostico.

Alcuni esempi:
- Ambito parassitologico: i parassiti possono andare a collocarsi in vari organi,
tessuti dei loro ospiti. Andando a prendere i campioni degli organi parassitari,
posso vedere sia quali danni ha causato, dove si colloca esattamente e anche
qual è stata la risposta dell’organismo.
In queste immagini posso osservare un parassita con una ventosa orale con cui
si attacca e strappa pezzi di cellule intestinali. Questi invece è una che contiene
tanti piccoli parassiti protozoi, l’ospite in questo caso produce delle cellule
granuli e li manda dove c’è il parassita.
- In ambito ambientale-ecologico studiare le gonadi maschili e femminili degli
organismi può permette di sapere qual è il ciclo riproduttivo in una specie di un
determinato lago/fiume. E quindi conoscere il periodo con maggiore capacità
riproduttiva oppure quante volte si riproducono in un anno, traendo così delle
conclusioni che poi serviranno anche per capire come gestire la fauna ittica. Le
prime immagine sono gonadi femminili, mentre nel secondo gruppo di
immagini sono gonadi maschili.
- Ambito eco tossicologico: studiare gli effetti degli inquinanti in organismi
esposti ad essi.
- Ambito bio-medico: valutazione della tossicità dei farmaci in modelli animali.
In particolare, in questo studio, si osservano gli effetti sull’orecchio di alcuni
farmaci antitumorali per capire se ci sono danni alle cellule sensoriali. Per
studiarli si hanno usato gli zebrafish.
Esami:
3 appelli nella sessione invernali; 2 appelli nella sessione estiva e 1 a settembre.
LEZIONE 2 – 05/10/2022

LA CHIMICA DELLA VITA

Quali e quanti elementi


costituiscono le cellule in natura?
Solo circa 25 elementi sono
rilevanti come costituenti degli
organismi viventi, di cui solo 14
sono rilevanti, i restanti si trovano
invece in quantità più ristrette.

L’ossigeno, il carbonio, l’idrogeno e l’azoto sono tra gli


elementi più importanti, in quanto formano il 96%
della materia vivente.
Il calcio è un costituente osseo e si trova sotto forma
di idrossiapatite.
Il fosforo si può trovare come: ione, componente
delle molecole organiche oppure nelle ossa dei denti.
Gli elementi in traccia, o oligoelementi, sono
importanti anche se presenti in minor quantità (meno dello 0.01%). Questi elementi possono
essere utilizzati come cofattori enzimatici, per le reazioni chimiche oppure per la composizione
delle vitamine come per esempio lo iodio: è un precursore degli enzimi tiroidei dei vertebrati e la
sua assenza comporta l’insorgere di numerose patologie. Infine gli elementi in traccia possono
essere associati alle molecole per il trasporto dei gas respiratori, come il ferro.
La crosta terrestre e il corpo umano hanno
composizione simile?
La percentuale di ossigeno e di idrogeno è molto simile
in quanto costituiscono l’acqua.
La maggiore differenza sta nell’assenza del carbonio
nella crosta terrestre, ma fondamentale per gli esseri viventi. Questo significa che gli organismi
hanno selezionato delle molecole specifiche e funzionali per la vita stessa.
L’acqua è un composto inorganico di formula molecolare H2O, in cui i 2 atomi di idrogeno sono
legati all’atomo di ossigeno con un legame covalente. E’ una molecola polare (dipolo elettronico):
l’ossigeno è più elettronegativo rispetto l’idrogeno, questo significa che l’ossigeno ha maggiore
capacità di attrarre verso di sé gli elettroni: in sintesi, gli elettroni saranno più vicino all’ossigeno
rispetto all’idrogeno. L’ossigeno ha parziale carica negativa e l’idrogeno ha parziale carica positiva.
La vita inizia nell’acqua ed è indissolubilmente legata a questa, infatti nel campo dell’evoluzione
filogenetica è importante ricordare che i primi organismi nacquero nel brodo primordiale, e
rimasero nell’acqua per miliardi di anni prima di colonizzare la terra ferma. Le cellule contengono
dal 70% al 95% di acqua: per esempio le meduse sono costituite dal 95% di acqua invece l’uomo
dal 60% circa (dipende dal sesso e dall’età). L’acqua ricopre il 71% del nostro pianeta, infatti è la
prima molecola, nonché la più importante, che troviamo negli organismi viventi.
L’acqua si può trovare nelle 3 stati: liquido, solido o gassoso. Le proprietà dell’acqua dipendono dai
legami idrogeno che si instaurano tra le sue molecole. Il legame idrogeno è più debole rispetto al
legame covalente ma essendoci tanti legami che legano tra di loro le molecole d’acqua, questi
conferiscono forza e resistenza.
L’acqua è un solvente, un reagente e anche un prodotto di alcune reazioni. L’acqua non è un
solvente universale in quanto non riesce a interagire con i composti fortemente apolari. Nell’acqua
di sciolgono molte sostanze e composti ionici e polari. In base all’affinità per l’acqua si distinguono
le sostanze:
● Sostanze idrofile: quindi affini all’acqua come i composti ioni e polari
● Sostanze idrofobe: quindi “fuggono” dall’acqua
Proprietà:
1. L’acqua ha una forte coesione e adesione che consente una tensione superficiale
estremamente elevata; consente, per esempio, la risalita di acqua dalle radici alle foglie degli
alberi.
2. Impedisce brusche variazioni di temperatura sia a livello climatico sia negli organismi viventi,
infatti la temperatura dell’acqua è specifica. Per esempio, il calore dell’acqua si innalza molto
più lentamente rispetto a quello del metallo. Un altro esempio è la vicinanza al mare, qui le
escursioni termiche sono nettamente inferiori rispetto in città.
3. Il punto di fusione ed ebollizione è alto (0°-100°), c’è un ampio range che consente un continuo
stato liquido dell’acqua e di conseguenza la vita degli organismi. Il ghiaccio è più leggero,
galleggia sull’acqua, permette che al di sotto la vita continui.
Il solfuro di idrogeno H2S ha un punto di fusione ed ebollizione inferiore allo zero: -60° e -86°.
Un ruolo fondamentale lo gioca il carbonio: contiene 6 elettroni tra cui 4 di questi sono presenti
nello strato esterno (strato di valenza), quindi il carbonio li può condividere fino a formare 4 legami
per il suo riempimento. Questo significa che il carbonio è un tetravalente ed essendo anche di
piccole dimensioni, può legare con molte molecole e formare macromolecole. I legami possono
essere singoli, doppi e addirittura tripli. Il carbonio forma scheletri carboniosi (guarda la figura in
alto) di lunghezza variabile: lineari, ramificati e chiusi ad anello.
I gruppi chimici biologicamente importanti (funzionali):
● OSSIDRILE (OH)
● CARBONILE (CO): il carbonio è legato all’ossigeno tramite un doppio legame
● CARBOSSILE (COOH): conferisce acidità
● AMMINICO (NH2): conferisce basicità
● SULFIDRILE (SH)
● FOSFATO (PO4 3-): presente nel DNA e nel RNA
● METILE (CH3)
Questi gruppi funzionali danno caratteristiche chimico-fisiche alle molecole e prendono parte alle
reazioni chimiche all’interno delle cellule.
Le molecole biologiche si suddividono in 4 classi:
1. PROTEINE (o protidi)
2. CARBOIDRATI (o glucidi, o saccaridi, o zuccheri)
3. LIPIDI
4. ACIDI NUCLEICI
Caratteristiche:
● Composti organici (C, H, O)
● Molti (ma non tutti) sono costituiti da migliaia
di atomi uniti covalentemente: peso oltre 10.000
Dalton (macromolecole)
● Ad eccezione dei lipidi, sono POLIMERI costituiti
da subunità identiche o simili dette MONOMERI. Le
subunità uguali vengono chiamati omopolimeri e
quelle differenti vengono dette eteropolimeri.

L’unione inizia con l’unione di 2 unità, formando un dimero, con l’aggiunta di più unità si formerà
invece un polimero. Nella reazione di sintesi di un polimero: un monomero condivide un atomo di
idrogeno e l’altro monomero mette un gruppo ossidrile, provocando la liberazione di una molecola
d’acqua. In sintesi, quando è presente una reazione dove da alcuni monomeri si otterranno dei
polimeri, si produce acqua e viene chiamata reazione di disidratazione o condensazione. Al
contrario, per smantellare il polimero e ottenere dei monomeri, utilizzati per il fabbisogno di
energia, c’è bisogno di acqua per scindere il polimero. In questo caso la reazione prende il nome di:
idrolisi dell’acqua.
LE PROTEINE
Il termine proteina: “proteios”, significa al primo posto. Una proteina è formata da uno o più
polipeptidi, ovvero polimeri di amminoacidi (aa); alcuni amminoacidi si legano tra loro attraverso
dei legami peptidici (legami covalenti) per dare una catena polipeptidica. Le proteine sono le più
rilevanti sia per la loro presenza, sia per la loro estrema varietà di funzioni che supportano
all’interno delle cellule.
Le proteine costituiscono il 50% del peso secco della
cellula. Queste partecipano praticamente a tutte le
funzioni espletate dall’organismo.
Qual è la differenza tra una catena polipeptidica e una
proteina? La proteina viene chiamata in questo modo
solo quando ha raggiunto la sua forma tridimensionale
e quindi può svolgere la sua funzione.
Gli amminoacidi sono formati da:
● Un carbonio (C) centrale alfa, sempre legato a un
idrogeno (H)
● Un gruppo amminico, che conferisce basicità
● Un gruppo carbossilico, che conferisce acidità
● Il gruppo laterale (R), differente per ogni
amminoacido
Gli amminoacidi si legano liberando una molecola
d’acqua: un gruppo carbossilico, del primo
amminoacido, libera un ossidrile (OH), invece il
secondo amminoacido cede un idrogeno (H) del
gruppo amminico. Questa reazione forma un legame
peptidico tra il carbonio e l’azoto. Infine, nel legame
peptidico si riconosce una zona terminale amminica libera (N-terminale), cioè priva di legami, nel
lato posto di può notare un gruppo terminale carbossilico (C-terminale), anche questo privo di
legami. La proteina viene “smantellata” per ottenere energia solo in caso di necessità, cioè quando
sarà terminata la riserva di lipidi e glucidi.
Quali sono le modalità per differenziare gli
amminoacidi?
● Amminoacidi non polari: non
interagiscono con l’acqua e stanno più vicini
tra di loro
● Amminoacidi polari
● Amminoacidi elettricamente carichi in
condizione di Ph cellulare (>7), possono essere
positivi o negativi quindi basici o acidi.
● Dalla catena laterale (R)
● Se sono amminoacidi essenziali oppure non essenziali. Gli amminoacidi essenziali non
vengono prodotti dal nostro organismo perciò è necessario introdurli tramite la dieta
alimentare.
Gli amminoacidi segnati in rosso (vedi tabella in alto) sono presenti solo negli adulti, infatti nei
neonati o negli embrioni ci sono altri amminoacidi che non riescono a sintetizzare.
LA STRUTTURA DELLA PROTEINE:

Una proteina è biologicamente attiva solo se ha la sua specifica


forma tridimensionale (conformazione). Tutte le proteine
raggiungono la struttura terziaria ma solo le proteine che sono
formate da più di un polipeptide raggiungono la forma
quaternaria.

● Struttura primaria: è la sequenza degli amminoacidi uniti dal legame peptidico. Il legame
peptidico avviene tra il gruppo amminico di un amminoacido e il gruppo carbossilico di un
altro.
● Struttura secondaria: è il ripiegamento e la formazione di legami idrogeno, legami deboli, tra gli
atomi dello scheletro carbonioso delle proteine.
● Struttura terziaria: è la struttura finale delle proteine cioè la struttura tridimensionale. La
conformazione complessiva è stabilizzata dalle interazioni e dai legami delle catene laterali,
possono essere: interazioni idrofobe e idrofile, legami ionici, legami idrogeno, ponti disolfuro e
legami elettricamente positivi e negativi (si attirano tra di loro). I ponti di solfuro sono legami
covalenti (cioè forti e stabili) sono dati dall’interazione di due amminoacidi che contengono
solfidrile, come per esempio la cisteina.
● Struttura quaternaria: è la relazione fra le subunità polipeptidiche. Il collagene è formato da 3
catene polipeptidiche intrecciate per una maggiore resistenza meccanica. La emoglobina
invece, è formata da 4 catene polipeptidiche intrecciate a 2 a 2, composte da alfa e beta.

Le proteine si suddividono in globulari e fibrose:


● Le proteine fibrose sono molto allungate e resistenti, infatti hanno forte resistenza meccanica.
Si trovano soprattutto (ma non sempre) nei tessuti connettivi, un esempio sono le fibre del
collagene.
● Le proteine globulari sono di forma sferica e intrecciate su sé stesse. Si trovano facilmente
nell’ambiente intracellulare
La struttura primaria è molto importante perché incide su tutte le altre strutture. Quindi il
cambiamento della struttura primaria modifica la struttura e la funzione delle proteine.
Se invece la proteina perde la sua struttura tridimensionale, quindi si denatura, non è più in grado
di svolgere la sua funzione.
Per esempio, la malattia dell’anemia falciforme è causata dalla sostituzione, in posizione 6, della
valina a posto dell’acido glutammico. Questi due amminoacidi sono completamente diversi tra di
loro, l’acido glutammico è carico elettricamente, invece la valina è non polare, questo causa una
regione idrofoba nei globuli rossi, che non dovrebbe esserci. I globuli rossi a forma di falce non
trasportato correttamente l’ossigeno come fa invece un globulo rosso sano.
I CARBOIDRATI
I carboidrati sono derivati del carbonio, composti da:
carbonio, ossigeno, idrogeno. Sono composti ternari. La
formula di base è: (CH2O)n
I carboidrati si suddividono per complessità:
monosaccaridi, disaccaridi, polisaccaridi ed oligosaccaridi.
I monosaccaridi: sono le molecole più piccole, nella loro
formula chimica il numero degli idrogeni è sempre
maggiore (X2) rispetto al carbonio o all’ossigeno.
I monosaccaridi vengono classificati in base alla quantità di carbonio presente nella formula
chimica:
● Triosi: presentano 3 atomi di carbonio. Ne fa parte la gliceraldeide, è un intermedio della
glicolisi
● Tetrosi: presentano 4 atomi di carbonio
● Pentosi: presentano 5 atomi di carbonio. Fanno parte il ribosio e il desossiribosio,
rispettivamente del RNA e del DNA, hanno un ruolo strutturale
● Esosi: presentano 6 atomi di carbonio. Sono il punto di inizio per la demolizione di ATP nelle
nostre cellule. Ne fanno parte: il glucosio, il fruttosio e il galattosio.
I carboidrati in soluzione acquosa tendono a chiudersi dando strutture ad anello con due forme
diverse: alfa e beta. Se la posizione dell’ossidrile (OH) del carbonio 1 è sotto al piano dell’anello
allora si parlerà di alfa, se invece l’ossidrile è sopra al piano dell’anello sarà beta.
I monosaccaridi si possono ulteriormente suddividere in aldosi e
chetosi, in base alla posizione del gruppo carbonile nella catena
lineare. Se il gruppo carbonilico si trova all’estremità si parla di aldoso
se invece il gruppo si trova nel mezzo della catena lineare allora si
dice chetoso.
I disaccaridi: sono formati da due monosaccaridi. I più famosi sono i seguenti:
● Il saccarosio: fruttosio + glucosio
● Il lattosio: galattosio + glucosio
● Il maltosio: glucosio + glucosio
Gli oligosaccaridi: il termine “oligo” significa “pochi”, quindi sono formati da 3 a 20 unità di
monosaccaridi, sono spesso legati a proteine e lipidi (formando glicoproteine e glicolipidi),
localizzati sulla superficie delle cellule.
La differenza dei gruppi sanguigni viene data dagli antigeni presenti nei globuli rossi. Gli antigeni
sono formati da molecole oligosaccaridiche.
I polisaccaridi: sono formati da tante molecole polisaccaridiche. Si dividono in polisaccaridi di
riserva e strutturali.
● DI RISERVA: sono omopolimeri, cioè formati da polimeri tutti uguali di alfa-glucosio. Sono
polimeri di riserva l’amido (per i vegetali) e il glicogeno (per gli animali).
I carboidrati nell’uomo sono circa 1% del peso secco, e l’energia prodotta può essere subito
utilizzata. Il glicogeno viene scisso in glucosio, quest’ ultimo è essenziale per la respirazione
cellulare. Il glicogeno si trova nelle fibre muscolari e negli epatociti del fegato (il fegato è
l’organo che bilancia l’energia del nostro organismo). L’uomo e i mammiferi hanno gli enzimi
necessari per scindere il legame alfa-glicosidico.

● STRUTTURALI: un polimero strutturale è la cellulosa ed è un omopolimero di beta-glucosio.


L’uomo e i mammiferi non hanno enzimi per scindere il legame beta-glicosidico che unisce la
cellulosa perciò, se viene ingerita, non verrà assorbita dall’apparato digerente e a sua volta
dall’organismo. I ruminanti riescono a digerire e assorbire la cellulosa grazie a una simbiosi con
gli archeobatteri, presenti nel loro apparato digerente.
Altri esempi di polimeri strutturali: la chitina e la glicosamminoglicani, quest’ultima è
appartenente alla famiglia degli eteropolisaccaridi, in quanto è formata da zuccheri +
amminozuccheri. I GAG sono altamente idrofili, sono costituenti importanti della matrice
extracellulare e responsabili della consistenza dei tessuti connettivi della sostanza amorfa (Es.
acido ialuronico).
La chitina è un polimero di amminozuccheri, più precisamente: N-acetilglucosammina. E’ molto
diffusa in natura in quanto costituisce l’esoscheletro degli artropodi e la parete cellulare di
funghi e batteri. La chitina ha resistenza meccanica e molta flessibilità, ha elevata degradabilità
da parte degli enzimi endogeni, accelera la guarigione ed è anallergica. Per questo viene
utilizzata in campo medico per i fili di sutura, bende e per la cute sintetica.

I LIPIDI

I lipidi non sono delle molecole polimeriche. Hanno forme e funzioni altamente diversificate. I lipidi
sono molto eterogenei e comprendono: trigliceridi o triacilgliceroli, cere, fosfolipidi, steroidi,
vitamine e alcuni pigmenti.
Hanno una caratteristica comune: scarsa o nessuna affinità per l’acqua (IDROFOBIA). Esistono
comunque dei lipidi non polari e polari. In alcuni casi, all’interno della molecola lipidica c’è una
porzione polare, quindi è presente una minima affinità con l’acqua.

- Aciclici: presentano una catena aperta, come i


trigliceridi
- Ciclici: presentano almeno un anello nella loro
conformazione
- Policiclici: presentano diversi anelli, come gli
steroidi
I TRIGLICERIDI: sono la principale forma di riserva presente nel nostro organismo. Le gocce
lipidiche, piene di acidi grassi, costituiscono gli adipociti: cellule del tessuto adiposo. Il trigliceride è
formato da una molecola di glicerolo (3 atomi di carbonio + 1 alcool) + 3 molecole di acidi grassi. Il
legame di tipo estere, avviene tra il carbossile degli acidi grassi e l’ossidrile del glicerolo e viene
liberata una molecola d’acqua. A parità di quantità e di volume, i lipidi sono più energetici (il
doppio) dei carboidrati perché sono più compatti e quindi occupano meno volume rispetto al
glicogeno.
Gli acidi grassi (= acidi carbossilici con una lunga catena carboniosa) variano per la lunghezza
(12-22 atomi di C) e per l’assenza (saturi) o la presenza (insaturi) di doppi legami. Se sono presenti
dei legami singoli (C-C) allora il legame sarà saturo. Se invece sono presenti dei doppi legami tra il
carbonio, questo sarà insaturo. I legami saturi/insaturi influenzano la consistenza solida o liquida
dei trigliceridi:
- Gli acidi grassi saturi danno una conformazione solida: presente come prodotti degli
animali
- Gli acidi grassi insaturi invece, danno una conformazione liquida o fluida: presente come
prodotti dei pesci
La presenza del doppio legame consente di ripiegare la catena, impedendo all’impacchettamento
solido, mantenendo fluido il trigliceride (anche a basse temperature). Gli acidi grassi possono
essere uguali (3 acidi grassi saturi o 3 acidi grassi insaturi) o differenti (1 acido grasso saturo e 2
insaturi o viceversa).
Le cere sono molto simili ai trigliceridi. Sono formate da una molecola di alcool alifatico a catena
lunga (16-30 atomi di C) + 3 acidi grassi a catena più lunga (14-36 atomi di C). Le cere si possono
trovare sia nel regno vegetale sia in quello animale, viene utilizzata come idrorepellente o per
permeabilizzare penne, piume e pellicce.
I FOSFOLIPIDI: sono simili ai trigliceridi ma contengono solo 2 acidi grassi anziché 3 e un gruppo
fosfato cui è legata una piccola molecola carica o polare.
I fosfolipidi (lipidi complessi) sono i costituenti delle membrane cellulare,
esterne ed interne, delle cellule. A differenza dei trigliceridi, i fosfolipidi sono
anfipatici: hanno un comportamento bivalente verso l’acqua; infatti
presentano una testa polare quindi affine all’acqua e delle catene
idrocarburiche apolari.
La fosfatidilcolina è un fosfolipide molto presente, infatti esistono varie forme di fosfolipidi. Per
esempio, nella membrana dei neuroni è presente un particolare fosfolipide: il sfingolipide. Questo
al posto del glicerolo presenta la sfingosina, un amminoalcol.
Come si organizzano i fosfolipidi in un
ambiente acquoso? Questa organizzazione
è molto importante in quanto l’interno
della cellulosa ritroviamo un ambiente
acquoso.
- Monostrato: è presente quando c’è
un’interfaccia aria-acqua. I fosfolipidi si
posizionano in un unico strato
allineato, dove le teste polari saranno a
contatto con l’acqua e le code,
posizionate in alto, saranno lontane
dall’acqua (in quanto sono apolari).
- Micella: nella micella non è presente
l’aria ma solo l’acqua. I fosfolipidi si
racchiudono a sfera lasciando all’esterno le teste polari a contatto con l’acqua, e all’interno le
code apolari. Es. come avviene nell’intestino prima e durante la digestione e l’assorbimento.
- Doppio strato: sono presenti due strati di fosfolipidi, uno sopra all’altro. Sopra e sotto sono
posizionate le teste a contatto con l’acqua, invece all’interno ci sono le code che formano un
core a doppio strato. Il doppio strato fosfolipidico è presente nella tessitura delle membrane
cellulari e nelle membrane degli organuli.

Le molecole dei fosfolipidi si possono organizzare anche a LIPOSOMA,


una struttura sferica cava dotata di una regione interna idrofila. Può
essere usato per veicolare farmaci polari direttamente all’interno delle
cellule.

GLI STEROIDI
Gli steroidi sono derivati dei lipidi. Hanno uno scheletro carbonioso formato da 4 anelli fusi + 1
steroide, variano tra loro per i gruppi funzionali legati al complesso degli anelli.
Il colesterolo è il costituente, insieme ai fosfolipidi, delle
membrane cellulari. E’ il precursore di molti steroidi, come la
vitamina D, gli ormoni sessuali e gli ormoni della corteccia del
surrene. Gli ormoni sessuali sono importanti perché sono la
causa del differenziamento cellulare e della corretta funzione
degli apparati riproduttivi. Fanno parte degli ormoni sessuali: il
progesterone, il beta-estradiolo, e il testosterone. Invece, fanno parte degli ormoni della corteccia
del surrene: il cortisolo e l’aldosterone.
Riassumendo, i lipidi svolgono numerose funzioni: riserva energetica, funzione strutturale,
precursori, messaggeri chimici, isolanti termici e cuscinetti per i traumi meccanici.
Le molecole coniugate:
- Proteoglicani: è predominante; in termini
di quantità, la porzione glucidica. Si
differenzia dalle
- Glicoproteine: dove è predominante la
parte proteica
- Lipoproteine: sono idrosolubili,
trasportato nei liquidi biologici il materiale
lipidico apolare. In base alla loro densità si
dividono in 4 gruppi: chilomicroni, VLDL, HDL,
LDL. HDL e LDL trasportano i trigliceridi e il colesterolo, con la differenza che LDL rilascia il
colesterolo sulle pareti dell’arterie invece, HDL non permette la deposizione del colesterolo e lo
indirizza a entrare nei tessuti dove verrà utilizzato senza lasciare l’eccesso nel sangue.

GLI ACIDI NUCLEICI

Gli acidi nucleici sono dei polimeri di nucleotidi. Un nucleotide è composto da 3 molecole:

1. Una base azotata


2. Uno zucchero pentoso
3. Un gruppo fosfato
Lo zucchero pentoso varia in base se si trova nell’RNA (ribosio) o nel DNA (desossiribosio). Lo
zucchero è attaccato alla base azotata, quest’ultime sono 5 ma solo 4 possono farne parte
dell’acido nucleico: la timina è presente solo nel DNA invece, l’uracile c’è solo nell’RNA. Citosina,
adenina e guanina sono presenti in entrambi i casi.

- Le pirimidine: sono formate da un unico anello e ne fanno parte la timina, l’uracile e la


citosina
- Le purine: sono di più grandi dimensioni infatti sono formate da 2 anelli, ne fanno parte
l’adenina e la guanina.
Nucleoside: è l’unione della base azotata con uno zucchero (quindi senza fosfato). Il legame
covalente avviene tra lo zucchero e il fosfato, invece le basi azotate sporgono lateralmente.
Gli acidi nucleici contengono e trasmettono l’informazione ereditaria.
DNA = ACIDO DESOSSIRIBONUCLEICO:
- E’ il materiale genetico che gli organismi ereditano dai loro genitori e che ogni cellula eredita da
cui deriva
- Impartisce le direttive per la propria replicazione, dirige la sintesi dell’RNA e controlla la sintesi
delle proteine
- Contiene le istruzioni che programmano tutte le attività cellulari
- La molecola di DNA è costituita da 2 filamenti polinucleotidici avvolti a spirale a formare una
doppia elica
RNA = ACIDO RIBONUCLEICO:
- Permette il flusso dell’informazione genetica dal DNA alle proteine
- Ne esistono di 3 tipi:
1. RNA messaggero
2. RNA ribosomiale
3. RNA transfer
- Le molecole di RNA sono formate da un singolo filamento polinucleotidico
LA DOPPIA ELICA DEL DNA:
La doppia elica del DNA ha una
larghezza costante, in quanto
l’appaiamento avviene sempre tra
una purina una pirimidina:
- Adenina/Timina
- Citosina/Guanina

Cambiano però i legami idrogeno,


nel caso dell’adenina e della timina
ci sono 2 legami idrogeno invece,
nel legame tra citosina e guanina
ritroviamo 3 legami idrogeno.
I filamenti sono antiparalleli l’uno
rispetto l’altro.
Lezione 3 - 10/10/2022
LA MICROSCOPIA

Forti delle informazioni della volta scorsa, ci sono altre informazioni fondamentali che ci
occorrono per affrontare con cognizione di causa lo studio della cellula e, oltre a capire le

proprietà dei costituenti, ci interessa capire metodologicamente come avviene lo studio della
cellula attraverso quali strumenti.
Quindi oggi ci occuperemo, prima
di iniziare il percorso di descrizione
della cellula animale, della
microscopia, argomento che trovate
in entrambi i testi sempre al
capitolo 2.

La microscopia è assolutamente
necessaria per studiare e osservare
la cellula. Conoscere questi
strumenti è fondamentale perché sono un requisito senza il quale noi non sapremmo
nemmeno tutte le informazioni di cui attualmente disponiamo riguardo le cellule. Come mai
c’è la necessità di utilizzare questi strumenti? Per un motivo molto semplice: le dimensioni
delle cellule.
In questa immagine che vedete su una scala logaritmica vi vengono proposti i range
dimensionali delle molecole delle cellule e degli interi organismi. Si vede molto
chiaramente che mentre la morfologia di un organismo, soprattutto se non è microscopico,
noi la possiamo apprezzare e quindi descrivere anche con una osservazione ad occhio nudo,
quando andiamo su livelli di organizzazione biologica più bassi, come quelli della cellula e
sotto ancora delle strutture sub-cellulari, per non parlare di molecole ed atomi, abbiamo
bisogno di un aiuto che potenzi le nostre capacità visive perché andiamo su delle unità di
misura che sono di ordini di grandezza inferiori rispetto a quelle con cui abbiamo a che fare
di solito. Noi di solito abbiamo a che fare con metri, centimetri e millimetri quando
parliamo di organismi nel loro complesso, ma parlando delle loro cellule scendiamo a
livello di millimetri, micrometri (10 alla meno 3 millimetri) e i nanometri (10 alla meno 3
micron). Tenete quindi presente questa unità di misura con cui daremo anche le dimensioni
delle cellule e degli organuli che le compongono. La maggior parte delle cellule è compresa
in una dimensione, cioè il loro diametro diciamo così, tra 1-100 micron, quindi siamo già
con questo al di sotto delle capacità visive dell’occhio nudo. Da 1-100 micron specifichiamo
meglio, in media le cellule procariotiche (più antiche, più piccole e meno complesse) hanno
una dimensione variabile fra 1-10 micron. Anche qui ci sono delle eccezioni perché la più
piccola cellula che si conosce è quella dei micobatteri che misura solamente 0.2 micron,
mentre la maggior parte delle cellule eucariotiche (comprese anche quelle animali) di solito
oscilla fra i 10-100 micron. Quindi più grandi delle procariotiche, ma ancora sfuggenti alle
possibilità dell’occhio umano, per cui ci occorre il microscopio ottico.
Quando poi andiamo a livello di organismi più piccoli o vogliamo andare a discriminare
all’interno della cellula le strutture e gli organuli componenti, e quindi scendiamo a livello
dei nanometri, occorre di nuovo un microscopio ma più potente addirittura di quello ottico.
Anche qui, quando vi ho dato i range delle cellule animali 10-100 micron, in realtà
bisognerebbe ammettere delle eccezioni. Ci sono delle cellule animali così grandi che le
vediamo ad occhio nudo addirittura le maneggiamo e le cuciniamo pure. Per esempio le
cellule uovo di tutti gli uccelli (uova) sono una unica cellula ma proprio perché sono
infarcite di tanto vitello, di tanto materiale da deposito, assumono delle dimensioni
particolarmente elevate. La più grande cellula animale che si conosca è quella dell’uovo di
struzzo, però a parte queste particolarità ci sono anche tra le cellule vegetali delle cellule
estremamente grandi come quella di CALLEU PATAXI FOGLI che è un alga tropicale,
invasiva nel nostro mediterraneo che raggiunge delle dimensioni enormi rispetto alla
maggior parte delle cellule vegetali. Quasi tutte le altre cellule rientrano in dimensioni più
piccole per agevolare il rapporto superficie-volume che consente gli scambi efficaci con
l’ambiente esterno.

Non a caso, vi dicevo, i microscopi


sono così importanti e non a caso la
conoscenza che noi abbiamo delle
cellule è andata di pari passo con la
scoperta e l’affinamento di questi
strumenti.
Le cellule sono note fin dal 1665,
l’anno in cui Robert Hooke le
osservò, le descrisse e le identificò
per la prima volta dando loro il
nome di CELL. Lui stava
osservando del sughero e appunto
nel sughero queste varie unità che si ripetevano somigliavano a delle piccole celle e diede
appunto questo nome. Ma a parte averlo individuato non si era capito più di tanto cosa
contenevano o come fossero fatte. Nel 1670 abbiamo Leeuwenhock che era un appassionato
oltre che di scienza anche di ottica, aveva messo a punto anche lui un rudimentale
microscopio. Era riuscito ad osservare cellule vive fino ad ingrandimenti di 300 volte.
Abbiamo quindi potuto osservare i batteri, i protozoi, spermatozoi. Vi risparmio di dirvi
dove aveva trovato questi batteri che osservava, era molto intraprendente e poco schifitoso
questo van Leeuwenhock.
A metà del 1800 abbiamo le osservazioni compiute da Schleiden per quanto riguarda i
tessuti vegetali e da Schwann per quanto riguarda i tessuti animali. I due si conoscevano e si
frequentavano. Si sono confrontati sul fatto che entrambi avevano osservato le stesse cose,
chi in organismi vegetali, chi in organismi animali e quindi hanno partorito quella che è la
base della teoria cellulare: tutti gli organismi sono costituiti da cellule. Ancora però poco si
sapeva su come era fatta la cellula internamente. Lo scatto ulteriore si è avuto solo un secolo
dopo, verso la metà del 1900, quando comincia ad essere utilizzato in maniera più ordinaria
un microscopio messo a punto da poco nel 1931, il microscopio elettronico. Fu solo lì che
venne data una morfologia, un’identità e quindi, poi, anche un nome alla gran parte degli
organuli cellulari che al microscopio ottico non venivano nemmeno identificati.

Quali sono quindi i due principali tipi di microscopio? La grande divisione è fra i
microscopi ottici e i microscopi elettronici. Già i nomi ci dicono da cosa dipende questa
distinzione, questa grande potenza che essi hanno.
Il microscopio ottico che in inglese è
indicato con LM (light microscope)
fa riferimento al fatto che sono
microscopi che utilizzano come
fonte di energia, che viene utilizzata
per attraversare/osservare il
campione, la luce o raggi luminosi.
Nei microscopi elettronici invece
non si utilizza la luce, ma il
campione viene attraversato o
scandagliato da un fascio di elettroni,
ecco perché elettronico. A seconda
che io sia interessata ad osservare la
superficie, quindi ad avere un’immagine tridimensionale del mio campione, oppure per
contro, osservarne una sezione (non vi è più tridimensionalità, non lavoro più sulla
superficie ma posso osservare cosa c’è dentro) io parlerò in ambito di microscopi ottici dello
stereomicroscopio e in ambito di microscopi elettronici, invece, del così detto SEM
(microscopio elettronico a scansione). Ho quindi una visione della superficie e un’immagine
tridimensionale.
Quando invece lavoro su sezioni di campioni o tessuto utilizzo il microscopio ottico
convenzionale, che è il microscopio ottico composto che userete prossimamente nelle
esercitazioni. Se invece voglio vedere sezioni di tessuto al microscopio elettronico utilizzerò
un particolare tipo di microscopio elettronico chiamato TEM (microscopio elettronico a
trasmissione).

Qual è la differenza oltre alla fonte di energia tra questi due tipi di microscopio? C’è
sicuramente una differenza di complessità e quindi anche di prezzo; un microscopio ottico
di base costa sui 400 euro quindi accessibile, invece un microscopio elettronico viene a
costare sui 300-400 mila.
Continuando il confronto tra microscopi ottici ed elettronici notiamo che sono diversi anche
come potenzialità, quindi ciò che ci permettono di vedere e anche come facilità di impiego
ed utilizzo. Il microscopio ottico è uno strumento che chiunque può maneggiare con un
minimo di training anche in autonomia, infatti ne sono dotati praticamente tutti i laboratori,
mentre invece un microscopio elettronico sia a scansione che trasmissione è abbastanza
ingombrante e molto complesso. Entrambi presuppongono personale formato e specializzato
per la preparazione dei campioni che devono essere visti al microscopio e per l’utilizzo del
microscopio stesso.
Un’altra differenza sta nella
possibilità di visione. Per
farvi capire qui vi ho messo
immagini delle stesse strutture
viste con i due diversi tipi di
microscopio. Quindi si tratta
sempre di organi sensoriali, i
neuromasti, che si trovano
sulla superficie del corpo per
esempio anche dei pesci.
Questo è quello che vedete
con il massimo ingrandimento
di un microscopio ottico quindi capite che ha questa serie di cellule che convergono come a
fare una specie di vulcano, individuate chiaramente i nuclei che sono quelli più scuri e
vedete qualche sezione delle ciglia tipiche di queste cellule sensoriali.
Se noi andiamo poi a vedere queste stesse strutture al microscopio elettronico a trasmissione
compaiono una serie di altri particolari: la placca dalla quale emergono le stereociglia e il
chinociglio, si vedono dei mitocondri, si vede dove finisce una cellula e dove comincia
quella a fianco quindi si intravede la membrana plasmatica. Quindi una serie di dettagli e
informazioni in più perché c’è una possibilità di ingrandire maggiore.
Tutto quello che noi vediamo esclusivamente al microscopio elettronico a trasmissione, che
sono la maggior parte delle strutture sub-cellulari viene definita ULTRASTRUTTURA
CELLULARE. Queste stesse strutture posso anche vederle a scansione, immagine
tridimensionale in cui si vede bene che sporgono diciamo un po' la loro forma e si vedono
svettare all’apice le varie stereociglia e chinociglio.
Un’altra differenza importante fra i due microscopi è che però i trattamenti che noi
dobbiamo fare ai campioni per poterli vedere sia al SEM che al TEM presuppongono
necessariamente l’uccisione delle cellule dei tessuti, quindi io lavoro su materiale che è
fissato e non su materiale vivo. Al microscopio ottico invece posso lavorare o su materiale
fissato, ma anche lavorare su materiale vivo.

Come mai è così difficile lavorare per vedere come sono fatte le strutture biologiche delle
cellule?
Un motivo l’abbiamo già detto è legato alle loro dimensioni piccole e l’altro motivo lo
possiamo intuire da quello che abbiamo detto la volta scorsa. Il principale costituente delle
cellule e conseguentemente dei tessuti è l’acqua che è trasparente. Queste strutture sono
quindi fondamentalmente trasparenti e la trasparenza di sicuro non è un aiuto per
l’osservazione.
Tenuto conto di queste due problematiche, la microscopia quindi cerca di dare una
soluzione.
Sono infatti tre i parametri importanti in microscopia e che danno le diverse performance
dei microscopi: ingrandimento, risoluzione e contrasto. L’ingrandimento è sicuramente
quello che voi avete più presente e intuite più facilmente. È il rapporto fra la dimensione
dell’immagine che viene prodotta
attraverso la visione al microscopio e
la dimensione reale di ciò che state
guardando. Quindi se io ho un
ingrandimento del 20, significa che
l’immagine che io sto vedendo è 20
volte più grande rispetto alle dimensioni effettive.

Se io vi mostro questa immagine voi


vedete una sequoia gigante, ma se io
vi mostro questa seconda immagine
voi cosa vedete? C’è una persona che
c’era anche prima, ma visto che
l’ingrandimento era più piccolo non
si era notata. Aumentando ancora si
vede la persona ma non ho
informazioni in più. Tutto questo per
dire che l’ingrandimento non è tutto,
non basta ingrandire per riuscire
effettivamente ad osservarla e capire
come è fatta.

C’è un altro importante parametro che


tende ad assere sottovalutato, la risoluzione.
È dalla risoluzione dei microscopi che
dipende la loro capacità di fornirvi
nitidezza e ricchezza di dettagli
dell’immagine che sto guardando. Ogni
sistema ottico e quindi anche la vista umana
è caratterizzata dall’avere un limite di
risoluzione. Si intende la distanza minima
presente fra due oggetti o fra due punti
perché si possano effettivamente vedere quei due punti come punti distinti, separati l’uno
dall’altro. Se due punti sono al di sotto di 100 micron l’uno dall’altro la mia vista non li
percepisce come due punti ma come un unico punto. Noi infatti siamo fatti di cellule ma
non vediamo le cellule che compongono la superficie del corpo delle persone che abbiamo
di fianco. Vediamo una superficie continua e non distinguiamo una cellula dall’altra ad
occhio nudo, questo perché il nostro potere di risoluzione è di 100 micron.
Quindi i microscopi ci vengono in aiuto perché ampliano la nostra capacità di risoluzione.
Ovviamente un microscopio è più performante mano a mano che il limite di risoluzione
diventa più piccolo. Il microscopio ottico ha per esempio un potere di risoluzione di 0.2
micron che già è un passo avanti notevolissimo rispetto al nostro occhio. I due microscopi
elettronici SEM e TEM vanno oltre su un limite di risoluzione che è dell’ordine dei
nanometri. 10 nm per il SEM e addirittura 0.2 nm per il TEM, quindi 500mila volte meglio
di come vediamo noi.
C’è poi il problema del contrasto, quindi di distinguere parti che sono più o meno scure se
tutto è trasparente. Questo può essere migliorato con alcuni tipi di microscopi, ma anche
intervenendo sul campione. Ecco che la maggior parte delle colorazioni a cui noi
sottoponiamo le cellule ai tessuti nei procedimenti istologici ha proprio questa finalità:
aumentare il contrasto fra le strutture e permettere una più facile individuazione di una
cellula rispetto ad un’altra o delle parti della cellula stessa.

Da cosa dipende il limite di risoluzione?


Ce lo ha detto il tedesco Abbe con la sua equazione che ci dice che il limite di risoluzione r
dipende da una costante che è 0.61 e dal rapporto fra lambda che è la lunghezza d’onda di
ciò che attraversa il campione, quindi
nel caso della luce la lunghezza della
luce e nel caso degli elettroni la
lunghezza d’onda degli elettroni,
fratto n sin alfa, che nel complesso
viene indicato a volte anche come
NA, cioè apertura numerica che dà
un’idea della capacità delle lenti del
microscopio di raccogliere la luce
dopo che è passata attraverso il
campione. In particolare vediamo
questa apertura numerica da cosa è
data. È data da questa n piccola che è
l’indice di rifrazione del mezzo che si trova tra il campione e l’obbiettivo del microscopio.
Di solito nell’osservazione normale ad un microscopio ottico fra l’obbiettivo e il vetrino c’è
l’aria, e l’indice di rifrazione dell’aria è pari a 1.
L’altro elemento è il sin alfa, dove alfa rappresenta l’apertura angolare della lente
dell’obbiettivo. Questo alfa è il semiangolo del cono di luce che dopo aver attraversato il
campione arriva a raggiungere la lente dell’obbiettivo. Se abbiamo una bassa apertura come
in questo esempio, raccoglierà poca luce, se invece il microscopio ha delle lenti con una
grande apertura numerica sarà in grado di raccogliere una maggiore quantità di luce, ed
infatti vedete che il semiangolo è maggiore. In teoria il massimo valore di alfa sarebbe 90
gradi ma nella pratica è di 70 gradi. Per avere quindi un limite di risoluzione basso o devo
avere un numeratore piccolo (lambda) o devo avere al denominatore un valore di apertura
numerica più alto possibile. Qui sta la spiegazione del perché il potere di risoluzione del
microscopio elettronico è così grande: la lambda per i microscopi ottici (luce visibile) va da
400 a 700 nm, un fascio di elettroni ha invece una lambda di 0.004 nm. Quindi con una
lambda così piccola il potere di risoluzione sarà decisamente più piccolo. Nei microscopi
ottici se invece di avere interposta aria fra l’obbiettivo e il vetrino metto una goccia di olio
da immersione, la n passa da 1.4 a 1.5 aumentando le possibilità di risoluzione di un
microscopio ottico. L’alfa però nel caso di un microscopio elettronico è molto bassa quindi
qui non ci aiuta, però è talmente piccola la lambda che questo porta comunque il limite di
risoluzione dei microscopi elettronici ad essere migliore rispetto a quello dei microscopi
ottici. Se voi provate infatti a sostituire questi valori numerici che vi ho dato, la lambda del
microscopio ottico e l’alfa dell’ottico e dell’elettronico trovate proprio quei valori che vi ho
detto nella diapositiva precedente.
Quando parliamo di microscopi
ottici noi pensiamo al classico
microscopio per guardare i
vetrini, ma tenete presente che
esistono invece diverse tipologie
di microscopi. Tutti sono
accomunati, per questo detti
ottici, dal fatto che utilizzano
raggi luminosi che attraversano il
campione e che sono costituiti
nella loro parte principale da lenti che servono per ingrandire e per correggere. Facciamo
intanto una distinzione fra microscopi in campo chiaro e microscopi in campo scuro.
Microscopi in campo chiaro: la luce passa direttamente attraverso il campione; se il
mio campione non è colorato la luce lo attraversa rendendo difficile l’individuazione
dei suoi confini e di ciò che contiene. Se però si colora il campione anche in campo
chiaro si ha la possibilità di individuarlo meglio perché lo sfondo è luminoso/chiaro
quindi è più difficile in campo chiaro vedere qualcosa che non sia colorato.
Microscopi in campo scuro: la luce è diretta sul campione con un determinato
angolo. Ciò che vedo è la luce che dal campione viene riflessa su un fondo che per il
resto è scuro quindi fa spiccare meglio i campioni trasparenti.
Microscopi a contrasto di fase: indicati per osservare le cellule vive che sono
trasparenti. Hanno dei sistemi che permettono di trasformare delle immagini in cui ci
sono delle minime differenze di spessore e densità del campione, in immagini in cui
si apprezzano zone più chiare e zone più scure.
Microscopi a fluorescenza: sfruttano e lavorano sul fenomeno della fluorescenza
che può essere naturale o indotta dei campioni. Questo tipo di microscopio viene
utilizzato in particolare per localizzare alcune molecole all’interno della cellula.
Microscopi a luce polarizzata: dotati di un filtro polarizzatore capace di evidenziare
alcune strutture di tipo cristallino o che sono date dal ripetersi di strutture ordinate
che danno il fenomeno ottico della birifrangenza. Hanno questa caratteristica ad
esempio il collagene, microtubuli, microfilamenti

Con i microscopi ottici quando avremo messo a punto, e l’abbiamo già fatto, le lenti
migliori possibili non riusciamo ad andare oltre con le loro capacità. Ci sono dei limiti
intrinseci alle lenti, a come sono fatte, di quale materiale, quindi il salto che si può fare
ancora può essere solo dato dall’unione delle caratteristiche del microscopio con quello di
videocamere ad alta sensibilità che in continuo acquisiscano le immagini provenienti da
questi microscopi e riescano a
ricostruire dei video,
consentendoci anche di
seguire quali sono i
movimenti degli organuli che
avvengono all’interno delle
cellule.
Un salto di qualità c’è stato
sicuramente passando dai
microscopi con un solo
oculare a quelli con due
oculari.

Così chiamato perché prevede


l’azione di due lenti che
ingrandiscono. L’azione
dell’immagine finale avviene
con due step successivi di
ingrandimento; una prima
immagine viene ingrandita dagli
obbiettivi e proiettata sugli
oculari e questi ultimi operano
un ulteriore ingrandimento
proiettando poi l’immagine
direttamente nella retina, negli
occhi di chi sta guardando.
Quindi ecco perché composto, ci sono questi due step successivi di ingrandimento.
Tutti i microscopi ottici sono costituiti fondamentalmente da due parti, una parte
meccanica che accoglie i vari componenti e il cuore del microscopio che è la parte ottica
quindi i sistemi di lenti.

La parte meccanica che viene a volte indicata con il termine STATIVO è composta dalla
base del microscopio che di solito è abbastanza robusta per cercare di minimizzare le
vibrazioni che possono venire dal piano di appoggio su cui è appoggiato il microscopio
nella quale è contenuto anche il sistema di illuminazione, quindi la sorgente della luce.
Si trova poi il tubo che porta le lenti e un tavolino centrale, su cui si appoggia il vetrino, che
permette di spostarlo a destra e sinistra in modo da poter scandagliare tutta la sua superficie.

La parte ottica è costituita da tre sistemi di lenti:


CONDENSATORE serve per indirizzare la luce, prodotta dalla sorgente luminosa,
sul campione; dotato di una specie di diaframma che regola la quantità di luce che
passerà attraverso il campione. Una volta attraversato il campione, quindi la sezione
di tessuto, la luce verrà raccolta dal primo sistema di lenti che ingrandiscono
OBBIETTIVI organizzati in un revolver con diversi ingrandimenti, di solito si va dal
x4 fino al x100. L’immagina già ingrandita di un tot passa attraverso un prisma e
viene inviata all’altro sistema di lenti
OCULARI offrono ulteriore ingrandimento dell’immagine. Nel complesso
l’ingrandimento totale che si ottiene è dato dalla moltiplicazione dell’ingrandimento
dell’obbiettivo con cui sto guardando e l’ingrandimento di cui è capace il mio
oculare. Se l’oculare ingrandisce x10 e io sto guardando con l’obbiettivo x10 vedo
100 volte più in grande di quanto sarebbe quella struttura.
Ogni obbiettivo è caratterizzato da una lunghezza diversa e da una serie di
informazioni scritte sopra. Gli obbiettivi più corti sono quelli che ingrandiscono di
meno, quindi mano a mano che l’obbiettivo sarà più grande sarà più grande anche il
suo ingrandimento. Gli obbiettivi sono la parte più costosa e più importante di un
microscopio perché da loro dipende la risoluzione dataci nel complesso dal
microscopio.

Qui abbiamo i microscopi a contrasto di fase e a contrasto interferenziale di fase.

Il microscopio a contrasto di fase viene utilizzato per vedere cellule vive particolarmente
trasparenti, quindi è usato soprattutto in microbiologia e per lavorare sulle colture cellulari.
La cosa importante è che la luce una volta che attraversa il campione, che ha spessore e
densità diverse, crea dei raggi che
hanno una fase diversa rispetto a
quelli che non attraversano il
campione. Queste piccole
differenze di fase non vengono
percepite dall’occhio ma vengono
rese percepibili grazie alla presenza
di un piano di fase, posto in alto
dopo l’obbiettivo. Si percepiscono
meglio quindi i contorni e ciò che
viene osservato al microscopio.

Il microscopio a contrasto interferenziale di fase permette una migliore risoluzione


soprattutto dei bordi. Qui c’è un polarizzatore, posto subito dopo la sorgente, e un prisma a
seguire. Si creano dei fasci di luce paralleli con dei percorsi diversi. Quando questi vengono
poi ricongiunti dopo l’obbiettivo danno un’immagine più elaborata e vicina alla realtà.
Questo mi consente di lavorare con materiale vivo.
I microscopi a fluorescenza lavorano
appunto sulla fluorescenza. Questo è un
fenomeno particolare, una proprietà che
hanno alcune molecole di assorbire la luce
ad una particolare lunghezza d’onda e di
riemetterla ad una lunghezza d’onda
diversa maggiore nello specifico. In questi
particolari microscopi abbiamo una fonte
luminosa che genera una luce con in più la
presenza di un primo filtro barriera che va
a selezionare una specifica lunghezza d’onda monocromatica, quella che so essere assorbita
dalla molecola che io voglio osservare. Attraverso questa lamina messa un po' in trasversale
la luce viene indirizzata verso l’obbiettivo e verso il campione, in basso rispetto alla lamina.
Epifluorescenza perché la luce arriva dall’alto al campione (epi=sopra). Dopo averla quindi
assorbita viene emessa dal campione questa luce ad una diversa lunghezza d’onda, passa
attraverso la lamina e viene selezionata da un secondo filtro a barriera. Io quindi imposto il
mio microscopio in modo che ci sia una selezione di una certa lunghezza d’onda della luce
in partenza e in arrivo per poter vedere le molecole che hanno quel specifico spettro di
fluorescenza.

Io posso lavorare sia con la fluorescenza


naturale che alcune molecole che
compongono le cellule hanno, oppure
lavorare con la fluorescenza secondaria
quella che io determino facendo delle
specifiche colorazioni delle mie cellule
con delle sostanze fluorescenti che
prendono il nome di FLUOROCROMI.
La fluorescenza naturale detta anche auto
fluorescenza è per esempio tipica di
alcune inclusioni o di alcuni mitocondri.
Oppure sono i mitocondri capaci di emettere fluorescenza naturalmente, mentre il nucleo di
altri non emette alcun genere di fluorescenza di per sé. Il citoplasma è debolmente
fluorescente. Però si può ovviare, quelle strutture che di per sé non sono fluorescenti le
posso rendere io fluorescenti andando ad utilizzare degli specifici coloranti. Per esempio
l’arancio di acridina rende fluorescente entrambi gli acidi nucleici, sia il DNA che l’RNA;
oppure il DAPI che colora un blu fluorescente specificamente solo il DNA. Quindi giocando
con questi fluorocromi si possono evidenziare specifiche strutture o componenti all’interno
della cellula. Se lavoro con con più di questi fluorocromi, ognuno specifico per una
molecola ottengo delle immagini come questa in cui evidenzio nello stesso campione i
diversi componenti con colori differenti.

La microscopia a fluorescenza ha avuto un grande slancio, contribuito quando si sono


scoperte le green fluorescent protein. Sono proteine fluorescenti che emettono un colore
verde, naturali, espresse da delle meduse dell’Oceano Pacifico. Questi tre signori che per
questa scoperta nel 2008 hanno
vinto il Premio Nobel, hanno
individuato la prima GFP, e dopo
questa l’hanno seguita tante altre
espresse da altri celenterati. Il
vantaggio di queste GFP è che sono
utilizzabili all’interno di cellule
vive, è possibile creare delle
chimere con le proteine
normalmente espresse dalle cellule
e poi andare a vedere dove si
trovano all’interno di cellule vive. Quindi se vengono espresse, dove si trovano e come si
distribuiscono all’interno della cellula, quindi sono state molto importanti e hanno permesso
di raggiungere risultati in biologia cellulare impensati.

I microscopi a fluorescenza
possono essere o quelli a
epifluorescenza visti prima, che
però ha un limite: l’immagine
complessiva che ottengo è
sfuocata in quanto quel tipo di
microscopio va ad illuminare tutto
il campione prendendo in
considerazione livelli e piani con
fuochi diversi. L’immagine che
invece ottengo con un altro
microscopio a fluorescenza che è
il CONFOCALE è a fuoco. Qui la
luce è emessa da un laser che passa attraverso il campione, poi attraverso un foro
piccolissimo prima di raggiungere l’elevatore. In questo modo il sistema va a considerare un
piano di fuoco, un livello per volta e quindi lo mette a fuoco perfettamente eliminando tutti
gli altri piani che non sarebbero a fuoco. Se poi si uniscono le immagini ottenute per ciascun
livello, grazie a dei sistemi informatici che acquisiscono tutte le immagini del mio confocale
e che le rimettono insieme ottengo un’immagine integrata in cui tutte le varie parti sono a
fuoco. Faccio quindi una ricostruzione tridimensionale. Nelle due immagini, quella a
sinistra tenuta con la fluorescenza normale, l’epifluorescenza, quella a destra con il
confocale si vede quanto si guadagna in nitidezza.

Passiamo invece a microscopi elettronici. Nel microscopio elettronico a trasmissione


dobbiamo creare un fascio di elettroni perché è questo che andrà ad attraversare il mio
campione. Quindi la parte più in alto dei microscopi è un cannone elettronico, alloggiato
all’interno di un cilindro che in questa immagine non viene fatto vedere. In alto c’è un
catodo (filamento di tungsteno) attraversato da corrente genera elettroni attratti dall’anodo al
di sotto. Il fascio di elettroni corre poi fino a raggiungere il campione, attraversando diversi
sistemi di lenti. Tutto ciò viene fatto in una particolare condizione che è quella del vuoto.
Non ci deve essere quindi aria all’interno altrimenti il fascio di elettroni verrebbe
intercettato dalle
molecole di aria.
Quindi oltre ad avere
un cannone
elettronico c’è
bisogno di un sistema
di pompe che crei il
vuoto all’interno del
microscopio. Ci sono
dunque una serie di
lenti, sia
condensatrice, sia
obbiettivo, sia lente
intermedia (queste
non sono lenti, non
dovete immaginare delle lenti in vetro come sono nei microscopi ottici, vengono chiamate
lenti per analogia ma sono in realtà elettromagnetiche. Servono quindi per orientare e far
muovere correttamente gli elettroni all’interno). Gli elettroni raggiungono il campione ed
alcuni riescono a passarlo facilmente, mentre altri vengono assorbiti o deflessi da alcune
zone del campione. Gli elettroni arrivano poi ad un rivelatore che crea un immagine che è
possibile vedere in diretta su uno schermo fluorescente verde, oppure vanno a colpire una
pellicola fotografica.
È quindi questo fondamentalmente il sistema del microscopio elettronico a trasmissione; si
vedono delle sezioni che devono essere sottilissime per essere attraversate dagli elettroni,
quindi sezioni ancora più sottili di quelle che osservo al microscopio ottico. Queste non
possono essere messe su un vetrino perché gli elettroni non passerebbero, quindi vengono
adagiate su delle grigliette di metallo, di solito di rame, che vengono inserite nel cannone e
attraversate dagli elettroni.

Quello che ottengo sono delle


immagini in bianco e nero con
gradazioni di grigio. Qui
distinguo delle aree chiare
definite
ELETTRONTRASPARENTI
o poco elettrondense e
indicano zone in cui gli
elettroni sono passati con
facilità, e aree scure dfinite
ELETTRONOPACHE o
elettrondense dove, invece, gli
elettroni hanno trovato
ostacoli e quindi sono stati assorbiti o deflessi. Poi ci sono varie gradazioni di grigio che
indicano una maggiore o minore elettrondensità delle varie strutture. Quindi quando anche
noi andremo a descrivere le strutture o le cellule osservate al TEM utilizzeremo sempre
questi termini: elettrontrasparenti o elettrondense.
Questo che vedete ad esempio è un granulocita basofilo e questi così scuri sono i granuli
pieni di istamina. Nel nucleo vedete delle zone più scure o più chiare a seconda dello stato
di condensazione della cromatina (quella più scura è l’eterocromatina più compatta e più
densa, quella più chiara è l’eucromatina. Anche il nucleolo appare molto scuro,
elettrondenso).

Il microscopio elettronico a
scansione, invece, che è quello
che scandaglia la superficie dà
delle immagini di tipo
tridimensionale. Usato per vedere
le superfici delle cellule e piccoli
organismi. Anche in questo caso
utilizzo un fascio di elettroni,
quindi avrò bisogno di un
cannone che generi il fascio di
elettroni, di una pompa del vuoto
che permetta di farli viaggiare in
assenza di aria e avrò bisogno di trattare il campione in modo che sia completamente
metallizzato, quindi ricoperto di particelle di metallo, di solito di oro. Avviene quindi una
doratura del campione, così questo fascio di elettroni che raggiunge il campione produce in
superficie degli elettroni secondari che si generano per eccitazione. Questi vengono raccolti
da un sistema di rilevazione che converte la captazione di questi elettroni in fotoni, quindi
qualcosa di visibile, e crea un’immagine visibile ad uno schermo.

L’ultimo tipo di microscopio,


sia nella nostra trattazione che
come elaborazione è il
microscopio a forza atomica,
inventato più di recente nel
1886. Viene utilizzato anche per
i campioni biologici, ma non
solo ed ha una capacità di
risoluzione a livello di molecole
e di atomi. È importante perché
non occorre necessariamente
fare dei trattamenti al campione che si osserva, quindi si può lavorare con materiale vivo a
differenza di quanto avviene per il SEM o il TEM.
Questa che vedete è un esempio di immagine prodotta da un microscopio a forza atomica
che mostra i diversi componenti di una membrana cellulare. Di tutta questa carellata ciò che
vi deve rimanere è per cosa vengono utilizzati i diversi microscopi, quindi quali sono le loro
capacità, i loro limiti e quindi le loro possibili applicazioni in modo tale da poter ricondurre
le immagini al tipo di microscopio con le quali sono state ottenute. Non mi interessa troppo
la parte fisica del microscopio ma capire ad esempio le varie parti del microscopio ottico
(importante), da cosa dipende la risoluzione quindi le variabili che contribuiscono a
definirla.

Cominciamo a descrivere la
cellula.
Abbiamo detto i componenti,
abbiamo detto che ci servono i
microscopi ora partiamo.

LA CELLULA ANIMALE

Essendo una cellula


eucariotica per molti aspetti
somiglia anche alla cellula
vegetale.
Qui vedete uno schema dei
principali organuli che la
compongono ed un immagine
di un microscopio elettronico
a trasmissione di come si
presenta una cellula.

Prima cosa: LA MEMBRANA PLASMATICA.


Segna il confine tra l’interno e l’esterno della cellula. È una struttura comune a tutte le
cellule e per la cellula animale questo è lo strato più esterno. La cellula animale non prevede
la presenza di una parete come invece hanno le cellule vegetali, i funghi e i procarioti. La
membrana plasmatica racchiude uno spazio interno, una sostanza abbastanza fluida tipo gel
detta CITOSOL dove troviamo immersi tutta una serie di organuli e strutture. In primis il
CITOSCHELETRO, una serie di componenti proteiche che costituiscono lo scheletro
interno della cellula e che le consentono di avere la sua forma. Il NUCLEO dirige tutte le
attività della cellula in quanto è il detentore della maggior parte del materiale genetico
all’interno degli eucarioti e che è anche uno degli organuli più grandi che può essere
individuato al microscopio ottico. Il nucleo costituisce una differenza importante tra le
cellule procariotiche ed eucariotiche in quanto presente solo in organismi eucarioti. Il
materiale genetico è racchiuso in questa sede delimitato da un INVOLUCRO
NUCLEARE, non è libero nel citoplasma come lo è nei procarioti, organismi evolutamente
venuti prima di un vero nucleo (pro carion).
I RIBOSOMI sono dei piccoli organuli che troviamo sia in organismi procariotici che
eucariotici.
Poi abbiamo una serie di organuli comuni sia alla cellula vegetale che animale come il
RETICOLO ENDOPLASMATICO, L’APPARATO DI GOLGI, I LISOSOMI (solo
nella cellula animale) e i PEROSSISOMI che sono tutti organuli di tipo membranoso
quindi delimitati da membrana e servono per la sintesi delle molecole utili per il
metabolismo cellulare.
I MITOCONDRI sono centrali elettriche fondamentali.
Il CENTROSOMA è costituito da due centrioli.
Questo è l’elenco degli organuli che andremo a descrivere.

La struttura generale di
una cellula eucariotica è
costituita da questa
membrana cellulare che
separa l’ambiente extra
cellulare da quello intra
cellulare e non è solo un
confine così passivo, ma è
una struttura che permette
di regolare tutti gli scambi
tra l’interno e l’esterno.
Scambi di energia, di
materiale, di
informazioni.
Abbiamo anche una serie di altre membrane, che sono quelle che delimitano gli organuli
all’interno della cellula, che vanno ad individuare una serie di ambienti dentro la cellula
diversificati fra loro andando a creare una COMPARTIMENTAZIONE.
Dentro la cellula ho comparti che sono appunto i vari organuli delimitati da membrane che
formano dei microambienti diversi uno dall’altro con condizioni ideali per specifiche
funzioni.
ESEMPIO: i lisosomi sono un microambiente caratterizzato da un PH ben diverso da quello
che troviamo nel citoplasma. Questa è una condizione utile per le reazioni degradative che
avvengono dentro lisosoma.
La compartimentazione permette quindi di avere ambienti specializzati in cui possono
avvenire in contemporanea dei processi che hanno bisogno di ambienti diversi. È una
caratteristica della cellula eucariotica che manca ai procarioti. Alcuni organuli sono
delimitati da una singola membrana altri, lo vedremo, sono delimitati da una doppia
membrana (nucleo e mitocondri). Pochi non hanno rivestimento membranoso (centrosoma e
ribosoma).
In alcuni testi si parla di un SISTEMA ENDOMEMBRANOSO: insieme di organuli che
comprendono la membrana plasmatica, involucro nucleare, RE, apparato di golgi, lisosomi,
perossisomi e varie tipologie di vescicole. Tutti questi componenti o hanno una continuità
delle membrane dell’uno rispetto all’altro (involucro nucleare con RE) o sono collegati
tramite il passaggio di vescicole, sacche delimitate da membrana che si staccano da un
organulo e migrano per raggiungere altri organuli dove vanno a fondersi.

Dobbiamo quindi parlare di membrane


perché sono alla base per creare questi
diversi ambienti interni. Sono alla base
della compartimentazione. Le membrane
biologiche (interne ed esterne) sono
costituite da tre ingredienti di base.
I due principali: DOPPIO STRATO
LIPIDICO (fosfolipidi e colesterolo),
PROTEINE e GLUCIDI presenti in
quantità inferiore rispetto ai precedenti,
sotto forma di glicoproteine e glicolipidi.
Abbiamo la conformazione a doppio strato con le teste polari a contatto con ambienti
acquosi, mentre al centro si interfacciano le code idrofobe.
Ciò che vediamo al microscopio sono due binari elettrondensi costituiti dalle teste polari e al
centro una zona più elettrontrasparente costituita dalle code di acidi grassi idrofobi. Lo
spessore è di circa 5.5 nm.
Le membrane non sono tutte uguali. Tutte presentano questi ingredienti ma in percentuali
diverse.

Le cellule animali sono si organizzate


tutte nello stesso modo ma non sono
uguali. Ci sono alcune proprietà
comuni in tutte le cellule, ma ci sono
anche diverse morfologie e diverse
specifiche funzioni a seconda del tipo
cellulare di cui parlo.
Si sono evolute negli organismi
pluricellulari cellule diverse
l’una dall’altra per morfologia e
struttura e hanno assunto
comportamenti diversi. Nel
corpo umano ad esempio ci sono
più di 200 tipi di cellule diversi.
Ad ogni differenza morfologica
corrisponde una differenza
funzionale.

Dal punto di vista


morfologico le cellule
possono differire tra
loro per la forma:
sferica (nei liquidi e
fluidi), discoidale
(eritrociti), allungata
(fibroblasti e cellule
muscolari), poliedrica
(cellula epatica),
cuboidale (cellule dei tubuli renali e dotti ghiandolari), colonnare (cellule dell’intestino),
stellata (astrociti).
La forma delle cellule sarà molto importante perché usata come criterio per classificare gli
epiteli.
Le dimensioni delle cellule possono essere abbastanza diverse (3-20 micron di diametro).
Numero e forma del nucleo possono variare. La maggior parte delle cellule ha un solo
nucleo, ma ci sono anche cellule che, soprattutto a maturazione, sono prive del nucleo
(anucleate), altre polinucleate. Possono avere più nuclei o perché nascono dall’unione di
diverse cellule (sincizio, ogni cellula porta in dote il proprio nucleo), oppure perché
all’interno della cellula sono avvenuti diversi fenomeni di divisione del nucleo senza che
questo fosse seguito anche da una citodieresi, divisione del citoplasma.
Anche la forma del nucleo può essere diversa: nucleo tondeggiante, allungato, con
particolari fisionomie (granulociti) tanto che la morfologia del nucleo aiuta ad identificare
uno rispetto all’altro. La morfologia del nucleo è anche un metodo diagnostico importante
per alcuni tipi dii leucemie: si può capire il tipo leucemico andando a valutare la forma dei
nuclei sovranumerarie.
La presenza o meno di
polarità detta polarizzazione,
in particolare le cellule degli
epiteli sono polarizzate cioè
si distinguono zone diverse
della cellula (zona apicale,
basale,laterale) non
equivalenti l’una all’altra in
cui tendono a concentrarsi
alcuni organuli o in cui sono
presenti alcune
specializzazioni cellulari che
si trovano solo in una
determinata parte. Possono differire anche per la ricchezza e sviluppo dei vari organuli.
Prima abbiamo citato tutti i vari organuli, ma non è che in ogni cellula tutti questi siano
sviluppati alla pari. Se una cellula, esempio, è particolarmente attiva nella sintesi proteica
mi aspetto una grande abbondanza di ribosomi o di reticolo rugoso; se è una cellula
secernente, ad esempio una cellula ghiandolare, mi aspetto di trovare molte vescicole
contenenti il prodotto della secrezione; se è una cellula che consuma molta energia per le
sue attività quindi ne ha bisogno di un continuo, come le cellule muscolari o del fegato, mi
aspetto che ci siano molti mitocondri.
Quindi la ricchezza diversa in organuli dipende dal tipo di cellula e la va a caratterizzare.
Presenza di organuli citoplasmatici e inclusioni: non ci sono in tutte le cellule. Ci sono a
volte dei depositi di pigmenti tipici di alcune cellule ed assenti in altre (cellule della pelle).
Infine, a seconda delle cellule si possono avere o meno alcune specializzazioni cellulari.
Quelli che vi ho citato prima nell’elenco sono organuli che si trovano praticamente in tutte
le cellule, mentre ci sono altre strutture che troviamo solo in alcune. Esempio: ciglia e
flagelli li troviamo nelle cellule impegnate nella motilità o della cellula in sé o dei materiali
che si appoggiano sulla superficie della cellula; stereociglia citate prima per le cellule
sensoriali sono estroflessioni legate alla capacità di cogliere e trasmettere informazioni di
tipo sensoriale all’interno della cellula; sistemi giunzionali che permettono ad una cellula di
essere collegata ad altre cellule contigue, presenti in particolare nelle cellule epiteliali che
devono formare delle lamine continue e in cellule muscolari; microvilli che servono per
ampliare la superficie di assorbimento.
La membrana plasmatica la tratteremo la prossima volta.
LEZIONE 4 − 12/10/22

LA MEMBRANA PLASMATICA

La membrana plasmatica è detta anche membrana citoplasmatica, detta anche


plasmalemma, sono tutti sinonimi. Non ci può essere una cellula senza membrana
cellulare, è una struttura importante in quanto non segna solo il confine tra
ambiente extracellulare e ambiente intracellulare ma è attivo anche nella
regolazione di scambi di materiali e di energia tra l’interno e l’esterno della cellula,
scambi anche di informazioni dato che la membrana plasmatica riceve anche dei
segnali chimici da fuori la cellula che servono per regolare le sue attività interne e
per integrarsi e coordinarsi con il lavoro delle altre cellule visto che negli animali
abbiamo a che fare con organismi pluricellulari e con tessuti costituiti da diverse
cellule.

DI COSA È COMPOSTA LA MEMBRANA PLASMATICA?


I costituenti principali che determinano la struttura portante di tutte le membrane
biologiche sono i fosfolipidi, delle molecole anfipatiche, per questo hanno un
atteggiamento bivalente con l’acqua, in un ambiente acquoso come quello cellulare
si organizzano in modo specifico dando un doppio strato di fosfolipidi, il cosiddetto
DOPPIO STRATO FOSFOLIPIDICO o BILAYER (2 strati).

Ogni fosfolipide ha una testa idrofila e due code idrofobe, queste sono orientate in
modo che in ciascun strato le teste idrofile siano rivolte verso il comparto acquoso e
quindi l’ambiente extracellulare dove c’è il liquido extracellulare ovvero il citosol, le
code idrofobe di entrambi gli strati si trovano racchiuse in una parte centrale
lontane dall’acqua come vogliono gli acidi grassi che sono idrofobi, a costituire un
core centrale apolare. Quindi nella membrana plasmatica nel mio doppio strato
fosfolipidico io vado a individuare due foglietti diversi:
1. Il foglietto che si affaccia sull’esterno della cellula, detto foglietto fosfolipidico
esterno o esoplasmatico.
2. Il foglietto che si affaccia sull’interno della cellula, quindi che si affaccia sul
citosol, è detto foglietto fosfolipidico interno o citoplasmatico o citosolico.
DIFFERENZA TRA CITOSOLICO E CITOPLASMATICO: citosol e citoplasma vengono spesso
usati in modo equivalente, come se indicassero la stessa cosa, il citosol è il fluido
intracellulare in cui si trovano immersi gli organuli, il citoplasma è ciò che è racchiuso
dentro la membrana plasmatica cioè il citosol più gli organuli.

Questo doppio strato non è una struttura rigida e fissa, i fosfolipidi sono capaci di
movimenti, sono 3 i tipi di movimento che i fosfolipidi possono effettuare con
frequenze diverse:
1. ROTAZIONE CHE IL FOSFOLIPIDE PUÒ FARE SU SE STESSO ATTORNO L’ASSE
LONGITUDINALE DELLA MOLECOLA (in verde), questo è un movimento che
avviene con una frequenza di 10-9 s all’interno del meso-foglietto.
2. DIFFUSIONE LATERALE (in blu) uno
spostamento laterale che un
fosfolipide può fare, uno spostamento
che avviene frequentemente, ogni 10-6
s, ogni microsecondo il fosfolipide si
sposta lateralmente, può fare distanze
notevoli in poco tempo nell’ambito
dello stesso foglietto.
3. SPOSTAMENTO FLIP FLOP (in rosso) in
cui abbiamo uno spostamento
trasversale da un foglietto all’altro, dal
foglietto interno al foglietto esterno o
viceversa dal foglietto esterno al foglietto interno. Questo movimento è meno
frequente (105s) e meno veloce, è sfavorito in quanto la sua testa idrofila
dovrebbe passare nel core apolare, un movimento così avviene ogni 28h. Per
avvenire ha bisogno di enzimi particolari come le scramblasi e le flippasi che
consentono questo spostamento.
Questa è la dinamicità della membrana plasmatica dovuta al dinamismo e
spostamento dei suoi costituenti chiave che sono i fosfolipidi.

Nella membrana plasmatica c’è un’altra importante componente lipidica che è data
dal colesterolo che è una molecola di tipo steroideo.
DOVE SI COLLOCA IL
COLESTEROLO?
Siccome è uno steroide non
ha grande affinità per l’acqua,
è abbastanza idrofobo.
Guardando la molecola del
colesterolo vediamo i quattro
anelli fusi che abbiamo in tutti
gli steroidi e una coda idrocarburica, attaccato a uno degli anelli si vede un gruppo
ossidrile -OH idrofilo, quindi conferisce un minimo di idrofilicità al colesterolo e
questo mi spiega come è sistemato il colesterolo nel doppio strato. Il colesterolo si
interpone fra un fosfolipide e l’altro, notiamo che la parte idrofila dove c’è la piccola
testa polare con -OH si rivolge verso l’esterno della cellula se parliamo del foglietto
esterno, o verso il citosol se parliamo del foglietto interno mentre lascia tutto il
resto della molecola idrofobica nel core formato dagli acidi grassi dei fosfolipidi.

QUAL È LO SPESSORE DELLA MEMBRANA PLASMATICA?


Lo spessore si aggira attorno ai 7 nm, lo spessore non è sempre uguale, dipende
dalla composizione dei fosfolipidi in quanto esistono diversi tipi di fosfolipidi,
fosfogliceridi e sfingolipidi e anche dalla presenza più o meno massiccia di
colesterolo che dà un’altezza diversa del doppio strato fosfolipidico e quindi uno
spessore diverso della membrana. Lo spessore più piccolo lo abbiamo dove la
membrana è composta da fosfogliceridi con code insature, vuol dire che gli acidi
grassi che compongono quei fosfogliceridi hanno almeno un doppio legame c=c e in
corrispondenza di quel doppio legame si ha la ripiegatura della molecola, il fatto che
ci sia una ripiegatura fa si che le code non siano dritte e quindi siano più corte
rispetto ai fosfogliceridi in cui le code sono sature, non ci sono i doppi legami e le
code degli acidi grassi sono allineate e lunghe della loro lunghezza massima possibile
e questo spessore è maggiore, sono più alti i fosfolipidi e quindi lo spessore della
membrana è maggiore.
Un ulteriore aumento di spessore ce l’ho se nella mia membrana ci sono vari
sfingolipidi come la sfingomielina, queste hanno delle code di acidi grassi più lunghe
rispetto ai fosfogliceridi e quindi dove ci sono sfingolipidi abbondanti lo spessore
della membrana è maggiore.
Il triangolo vorrebbe dire che andando dai fosfogliceridi con code insature a
fosfogliceridi con code sature a sfingolipidi ho via via un aumento dello spessore
della membrana, oltre al tipo di fosfolipidi c’è un’influenza dovuta al colesterolo, se
il colesterolo è presente ed è presente in quantità via via maggiori vediamo che si
inserisce fra la coda di un fosfolipide e la coda di un fosfolipide a fianco e fa come
una sorta di stampella che fa stare fra di loro più allineante le code dei fosfolipidi e
quindi determina un aumento dello spessore in quel punto.
Il massimo di spessore che io posso avere è dove la membrana è ricca di sfingolipidi
e di colesterolo, ho quindi un range variabile dei possibili spessori della membrana
legati a questo.

COME SONO DISTRIBUITI I VARI COMPONENTI LIPIDICI NELLA


MEMBRANA?
Fino poco tempo fa si pensava che i lipidi di membrana fossero distribuiti in ciascun
foglietto in modo casuale, si pensava fossero miscugli di lipidi senza un ordine
preciso, invece non è così e alcuni lipidi sono vicini e associati tra di loro, questo
soprattutto quando si hanno presenti
gli sfingolipidi che avendo una
lunghezza delle code diversa dai
fosfogliceridi hanno un comportamento
particolare.
Nell’immagine vediamo la ricostruzione
di 2 membrane lipidiche artificiali, una
in cui abbiamo solo presenti come
costituenti la fosfatidilcolina che è un
fosfogliceride e il colesterolo, qui
vediamo che la distribuzione è
omogenea dei due componenti. Nel
momento in cui io ho la mia membrana
costituita sia da fosfatidilcolina,
colesterolo e sfingomielina (quindi uno
sfingolipide) vedo che non sono
distribuiti in modo né casuale e
uniforme perché gli sfingolipidi tendono
ad associarsi insieme al colesterolo (gli
sfingolipidi sono blu, il colesterolo sono le palline rosse) tendono ad associarsi
insieme e tendono a stare isolati rispetto ai fosfogliceridi nei quali si trovano
immersi. Queste zattere di sfingolipidi e colesterolo vengono definite zattere
lipidiche oppure raft lipidici e si trovano frequentemente nelle membrane delle
cellule animali, non sono molto grandi (70nm) e per
questa ragione non sono facili da osservare, per vederli
servono microscopi con performance elevate.
A destra vediamo un’immagine con dei raft lipidici o
zattere lipidiche osservate con un microscopio a Forza
Atomica.

A LIVELLO DI QUESTE ZATTERE CHE CARATTERISTICHE HA LA


MEMBRANA?
Siccome è fatta di sfingolipidi e di colesterolo tenderà ad essere più spessa e sarà
anche più compatta e meno fluida, sono punti in cui la membrana tenderà ad essere
più spessa e compatta rispetto le zone circostanti dove ho i fosfogliceridi e in queste
zattere lipidiche ci sono delle condizioni, sono degli ambienti, particolarmente
ottimali e adatti ad accogliere e accomodare alcune proteine di transmembrana,
quindi questi raft sono dei punti importanti in cui tendono ad accumularsi, in cui si
concentrano spazialmente anche determinate proteine e il fatto che queste
proteine siano vicine l’una all’altra all’interno dello stesso raft permette a queste
proteine di svolgere delle funzioni coordinate l’una all’altra e di lavorare di concerto
l’una insieme all’altra. Quindi la presenza di questi raft è importante anche dal
punto di vista funzionale e non solo strutturale. Se
c’è una caratteristica strutturale stiamo sicuri che
c’è una conseguenza a livello funzionale.
Il disegno ci fa vedere che dove ci sono i raft lipidici
c’è uno spessore della membrana maggiore e in
corrispondenza dei raft lipidici ci sono delle
proteine.

PROTEINE DI MEMBRANA
Nella membrana troviamo diversi tipi di
proteine che suddividiamo in:
• PROTEINE INTRINSECHE, dette
anche INTEGRALI. Le proteine
intrinseche o integrali sono quelle
che penetrano nel doppio strato
fosfolipidico e possono andare dentro parzialmente del doppio strato oppure
possono attraversarla completamente da parte a parte affacciandosi sia nel
lato citosolico che su quello extracellulare. Quando le proteine intrinseche
passano da parte a parte vengono dette PROTEINE TRANSMEMBRANA per
indicare che attraversano completamente la membrana. Queste proteine
sono ancorate in modo saldo al doppio strato e questo è testimoniato dal
fatto che per estrarle dalla membrana occorre fare dei trattamenti drastici
con dei solventi organici sennò non si riesce a toglierle dalla loro posizione.
Siccome penetrano nel doppio strato vuol dire che una loro porzione entra in
contatto con il core centrale idrofobico, allora questa porzione di proteina
dovrà essere anch’essa un dominio idrofobico e quindi presentare
amminoacidi apolari in quel punto, non carichi, tra le proteine intrinseche e
transmembrana distinguiamo tra proteine che passano una volta attraverso
un’unica regione o unico dominio da parte a parte, queste vengono dette
UNIPASSO o MONOPASSO o SINGOLOPASSO, quindi troveremo una sola
regione idrofobica che giace nel core idrofobo del doppio strato. Ci sono
proteine che attraversano più volte da parte a parte la membrana e quindi
presentano diversi domini idrofobici e queste verranno definite MULTIPASSO.
• PROTEINE ESTRINSECHE, dette anche PERIFERICHE. Queste si trovano
associate sulla superficie della membrana, o sulla faccia esterna e quindi si
affacciano sull’ambiente extracellulare o sulla superficie interna e quindi si
affacciano sull’ambiente citosolico e sono di solito attaccate ad altre proteine,
vediamo degli esempi di proteine estrinseche agganciate perifericamente
nella faccia citosolica, le proteine periferiche a differenza di quelle intrinseche
sono legate alla membrana ma in modo abbastanza debole per cui anche con
dei trattamenti blandi tipo con delle soluzioni saline riescono ad essere
estratte dalla membrana.

A. Proteina intrinseca transmembrana, monopasso in quanto passa una sola


volta attraverso il dominio, in questo dominio c’è un’altra caratteristica
importante, il dominio idrofobico di una proteina di transmembrana ha una
struttura ad alfa elica.
B. Proteina intrinseca transmembrana, multipasso in quando passa la membrana
più volte e ciascun dominio ha sempre una struttura ad alfa elica
C. Proteina intrinseca di transmembrana multipasso, qui non ho la
conformazione ad alfa elica ma ho il beta foglietto, anche questo è
compatibile col trovarsi all’interno del core interno
D. Proteina intrinseca e non è di transmembrana in quanto occupa solo un
foglietto ed emerge solo nel lato citosolico
E. Vediamo due proteine, una proteina verde chiaro che è intrinseca,
transmembrana, monopasso con il dominio ad alfa elica, agganciata alla parte
citosolica di questa proteina transmembrana c’è una proteina di verde più
scuro, che è una proteina di tipo estrinseco che si trova solo su una delle due
facce.
F. Proteina integrale di transmembrana che ha associato sul versante
extracellulare una proteina estrinseca in verde scuro.
In G e H vediamo che le proteine possono agganciarsi non ad altri elementi
proteici ma ad elementi lipidici dando origine a molecole coniugate. Anche in
questo caso possono emergere o da una parte o dall’altra.

A sinistra abbiamo una


proteina intrinseca
transmembrana
monopasso con dominio
ad alfa elica inoltre è una
proteina glicoforina ci
indica che sul versante
esterno c’è la presenza di
una componente di
carboidrati, molto importante perchè circa il 60% della proteina è costituita da
queste catene glucidiche laterali che sono cariche elettricamente in modo negativo,
questo è importante perché la glicoforina noi la troviamo sulla membrana cellulare
degli eritrociti, il fatto che tutte le membrane abbiano questa componente esterna
con carica negativa fa si che un eritrocita rispetto ad un altro tenda ad allontanarsi,
c’è una repulsione dato che la carica è la stessa, quindi questo garantisce che i
globuli rossi non si aggreghino l’uno all’altro ma rimangano separati anche in spazi
molto stretti come quello di un capillare e questo è a tutto vantaggio della
possibilità del globulo rosso di attaccare e agganciare i gas respiratori, perché se si
aggregassero diminuirebbe la superficie a disposizione per questo compito.
Vediamo come la struttura ci dà delle informazioni importanti sulla funzione.
A destra vediamo una batteriorodopsina che si trova nella membrana di alcuni tipi di
batteri, è una proteina intrinseca transmembrana multipasso con 7 domini alfa elica
che troviamo nel doppio strato.

ATTENZIONE: alcuni pensano che proteine intrinseche sia uguale a dire proteine
transmembrana, no, le proteine transmembrana sono un tipo di proteina intrinseca
cioè quelle che passano da parte a parte e si affacciano su tutti e due i lati.
MODELLO A MOSAICO FLUIDO:

È il modello che ci spiega in quali rapporti sono i vari componenti e che


caratteristiche ha in termini di consistenza la membrana.

Il fatto che si chiami a mosaico fluido ci indica infatti la fluidità della


membrana dovuta soprattutto alla componente lipidica, questo doppio strato
fosfolipidico è fluido e in questo fluido si trovano inserite come le tessere di
un mosaico le proteine, proteine che abbiamo visto essere presenti in
maniera varia e possono anch’esse muoversi in questo magma lipidico, i
movimenti delle proteine rispetto ai movimenti fosfolipidici sono più lenti
perché le proteine sono più grandi e ingombranti rispetto una molecola di
fosfolipidi e sono solitamente movimenti laterali che non tutte le proteine
possono fare perché alcune proteine sono agganciate o a componenti del
citoscheletro ovvero strutture interne della cellula e altre possono essere
agganciate a elementi della matrice extracellulare. In questo mosaico
possiamo trovare i carboidrati che sono collocati in maniera specifica sul
foglietto esterno. Non sempre si è saputo che la membrana fosse così.
Si è arrivati a definire il modello a mosaico fluido dopo una serie di studi e di
ipotesi che si sono susseguite nel tempo.
STORIA DEI MODELLI DI MEMBRANA:
 Nel 1895, Overton disse che la membrana è costituita di lipidi, lui arrivò
a questo perché vide che le molecole apolari la attraversavano
liberamente, mentre invece quelle polari vennero respinte.
 Nel 1917 Langmuir dice che la membrana non è formata da lipidi ma da
fosfolipidi, solo che lui pensava che la membrana fosse un monostrato
di fosfolipidi con le teste idrofile rivolte verso l’interno della cellula e
verso l’esterno le code idrofobiche.
 Nel 1925 Gorter e Grendel intuiscono la conformazione a doppio strato
fosfolipidico con le teste polari rivolte verso la faccia extracellulare e
quella intracellulare e in mezzo le code.
 Nel 1935, si arriva a capire che non ci sono solo lipidi ma anche
proteine, Davson e Danielli propongono il modello a sandwich, in cui le
due fette di pane esterne sarebbero due strati continui di proteine e
racchiudono all’interno il doppio strato fosfolipidico. Non spiega molte
proprietà della membrana
 Nel 1972, con Singer e Nicolson che propongono il modello a mosaico
fluido attualmente in uso secondo cui le proteine sono immerse nel
doppio strato fosfolipidico come tessere di un mosaico, un mosaico che
ha una consistenza fluida con possibilità di movimento delle sue
componenti.
 Successivamente c’è stata una conferma con le successive tecniche di
microscopia elettronica che ha confermato le teorie. Una tecnica
particolare del crio-decapaggio, quindi del congelamento e della
frattura che permette di esporre i componenti della membrana ha dato
conferma che i vari componenti lipidi e proteine in particolare siano
disposti come avevano intuito Singer e Nicolson.

La nostra membrana è un mosaico strutturale, un mosaico di proteine e a


questo mosaico strutturale corrisponde un mosaico funzionale perché le
proteine che compongono le membrane mi danno quasi tutte le funzioni
svolte dalla membrana plasmatica, funzioni che posso ricondurre a 6.
1. FUNZIONE DI TRASPORTO, ci sono delle proteine transmembrana che
consentono il passaggio di sostanze e molecole che non potrebbero
passare attraverso il doppio strato fosfolipidico perché non affini ai
lipidi. Le proteine creano ambienti favorevoli al loro passaggio.
2. ATTIVITÀ ENZIMATICA, alcune proteine a livello della membrana
cellulare mi assicurano attività enzimatica, ovvero sono dei catalizzatori
che accellerano delle particolari reazioni chimiche, i reagenti di solito si
trovano sul versante citosolico. Quando queste proteine con attività
enzimatica sono affiancate e vicine nella membrana cellulare spesso
riescono a catalizzare reazioni che si devono susseguire l’una all’altra
nell’ambito di una via metabolica.
3. TRASDUZIONE DEL SEGNALE, ci sono alcune proteine nella membrana
che fungono da recettori di segnali chimici, sono delle proteine in grado
di accogliere e legarsi in modo specifico a delle molecole segnale che
arrivano dall’ambiente extracellulare e in seguito all’interazione specifica
di questa molecola segnale con la proteina recettoriale si genera una
serie di eventi all’interno della cellula che definisco trasduzione del
segnale che mi porta ad una reazione e un cambiamento di attività
all’interno della cellula. Funzionano così molti ormoni che non riescono
ad entrare nella cellula.
4. ADESIONE CELLULARE, vediamo la membrana cellulare di una cellula e
la membrana cellulare di una cellula vicina, ci sono alcune proteine che
sono sulle due membrane che aderiscono l’una l’altra permettendo la
giunzione di cellule diverse.
5. RICONOSCIMENTO FRA CELLULE, la presenza su una cellula di
glicoproteine sulla membrana di una cellula (avevamo già evidenziato la
funzione di questi oligosaccaridi presenti sulla membrana e di essere
dei marker cellulari, come delle impronte digitali) che interagisce con
una proteina di un’altra cellula e permette alla cellula che la lega di
riconoscere quella cellula e da questo possono derivare conseguenze
varie.
6. ADESIONE AL CITOSCHELETRO E ALLA MATRICE EXTRACELLULARE, ci
sono delle proteine che servono per aderire al citoscheletro e quindi
agli elementi proteici che costituiscono lo scheletro interno della cellula
e che possono anche aderire esternamente a elementi costituenti della
matrice extracellulare, dalla matrice possono essere portate fin dentro la
cellula dei segnali, delle indicazioni che passano dall’ambiente
extracellulare all’ambiente intracellulare mediate dalla presenza di
queste proteine.

CARATTERISTICHE DELLA MEMBRANA PLASMATICA, 3:


1. FLUIDITÀ, dipende dalla componente lipidica e dalla mobilità dei lipidi
che compongono la membrana più o meno spiccata
2. ASIMMETRIA, dipende dal fatto che il foglietto interno ed esterno della
membrana non sono uguali, hanno composizione lipidica diversa e c’è
presenza di carboidrati solo sul lato esterno, quindi la composizione
glucidica è limitata solo a uno dei due foglietti, queste due ragioni
determinano l’asimmetria.
3. PERMEABILITÀ SELETTIVA, dipende dal fatto che il doppio strato
fosfolipidico non fa passare qualunque cosa e dal fatto che siano
presenti alcune proteine che permettono il trasporto di alcune
sostanze. La membrana non lascia passare qualunque cosa ma
seleziona che cosa passerà e lo seleziona sia con il suo doppio strato
fosfolipidico e sia con la presenza di quante e quali proteine di
trasporto.
FLUIDITÀ DELLA MEMBRANA PLASMATICA
Nel caso in cui ho preponderanza di fosfolipidi
saturi ho le code dritte e i fosfolipidi possono
stare vicini tra di loro, possono impaccarsi
strettamente, quando prevale questo tipo di
fosfolipidi la membrana ha una consistenza meno
fluida e più compatta.

Se ho la presenza di alcuni fosfolipidi insaturi che


hanno i doppi legami con ripiegatura laterale, si
avrà che le molecole non si possono impaccare
strettamente come la molecola sopra e questo
minor impaccamento determina una consistenza
più fluida della membrana.

Non è solo il tipo di fosfolipidi che influenza la


fluidità ma anche il colesterolo. Il colesterolo
influisce in modo diverso sulla fluidità a seconda
della temperatura. Se mi trovo a temperature alte
(37° es. temperatura corporea uomo) il colesterolo
riduce la fluidità perché impedisce il movimento
laterale libero dei fosfolipidi, vediamo che il colesterolo si mette tra un fosfolipide e
l’altro ed è come se fosse un distanziatore, dove c’è il colesterolo i fosfolipidi non
sono liberi di fare il movimento laterale e quindi la presenza del colesterolo va a
ridurre la fluidità. Se la temperatura si abbassa, il colesterolo ha effetto contrario e
aumenta la fluidità perché va a limitare la possibilità di impaccarsi strettamente dei
fosfolipidi e quindi non possono stringersi più di tanto in quanto sono intervallati
da molecole di colesterolo.

Il colesterolo nel complesso va a ridurre e si oppone ai cambiamenti di fluidità della


membrana determinati dalle variazioni della temperatura, ha degli effetti calmieranti
sia sull’aumento che sulla diminuzione della temperatura, fa in modo che ci siano
minime variazioni della fluidità. Non ha un effetto univoco ma dipende dalla
temperatura.
ASIMMETRIA DELLA MEMBRANA

La membrana non è simmetrica e i due foglietti esterni e interni non sono


equivalenti. In questa immagine ci sono già gli elementi per capire.

Sulla faccia esterna troviamo più frequentemente la sfingomielina e la


fosfatidilcolina, quindi troviamo specifici tipi di fosfolipidi. Sulla faccia interna
prevalgono altri tipi di fosfolipidi come la fosfatidilserina, il fosfatidilinositolo,
la fostatidiletanolammina. Parte della simmetria dipende dal fatto che sui 2
foglietti ho fosfolipidi diversi. Vediamo che i glicolipidi come anche le
glicoproteine cioè la componente saccaridica si trova solo sulla faccia esterna.
(rametti viola).

Altri elementi come il colesterolo sono ugualmente rappresentati nei due


foglietti e non andranno a determinare asimmetria, l’asimmetria è legata alla
tipologia di fosfolipidi e alla presenza esclusivamente sul foglietto esterno dei
carboidrati. Quindi i carboidrati si trovano solo sul foglietto esterno e sono
dei marcatori cellulari. I carboidrati sono degli oligosaccaridi spesso legati o ai
lipidi a formare i glicolipidi e ne troviamo di due tipi, i cerebrosidi e
gangliosidi, oppure sono legati alle proteine a dare le glicoproteine, l’insieme
di tutti i carboidrati che trovo sulla superficie
cellulare che siano glicoproteine o glicolipidi
(transmembrana o altre componenti
saccaridiche legate perifericamente) mi danno
la formazione del glicocalice.
GLICOCALICE

Il glicocalice è uno strato che ricopre la superficie cellulare, non è ugualmente


sviluppato e presente in tutte le cellule, ci sono alcuni tipi cellulari in cui il
glicocalice è particolarmente voluminoso e si tratta delle cellule che troviamo
negli epiteli delle mucose, oppure che troviamo sulla superficie luminale che
si affaccia all’interno del vaso negli endoteli che sono gli epiteli che
tappezzano i capillari e i vasi.

Il glicocalice è una forma di specializzazione cellulare e ha diverse funzioni:

 Proprio perché il glicocalice è idrofilo e quindi affine all’acqua, si idrata


e consente una protezione di tipo meccanico e chimico, in quanto
costituisce uno strato che protegge la superficie cellulare sottostante
dal passaggio di materiali. Esempio nell’epitelio intestinale dove
transitano gli alimenti in via di digestione e assorbimento, la presenza
del glicocalice aiuta ad assicurare che non ci siano insulti meccanici a
questo passaggio.
 Permette il riconoscimento tra cellula-cellula, i carboidrati sono
l’impronta digitale, i biomarker. I carboidrati presenti su una superficie
cellulare caratterizzano una specie rispetto ad un’altra, caratterizza un
individuo rispetto ad un altro all’interno della stessa specie e
caratterizza da un tipo cellulare rispetto ad un altro, quindi da una
cellula che appartiene ad un tessuto rispetto a quella che appartiene ad
un altro.
 Interazione tramite glicocalice fra la cellula e l’ambiente esterno, per
esempio il glicocalice riesce ad interagire con i fattori di crescita che si
possono trovare nell’ambiente extracellulare, importante nelle fasi di
sviluppo
 Riescono a mediare la risposta infiammatoria

Quando ho l’insieme del glicocalice e dei microvilli prendono il nome di


orletto a spazzola che troviamo tipicamente nell’epitelio intestinale.

PERMEABILITÀ SELETTIVA DELLA MEMBRANA


La membrana è una barriera
selettiva che regola quali sostanze
possono passare e con che
velocità possono attraversarla,
questa selezione viene fatta
perché il doppio strato
fosfolipidico per le sue
caratteristiche chimico-fisiche
discrimina e non lascia passare
qualsiasi sostanza, quelle che non
passano attraverso il doppio
strato lipidico passano attraverso
delle proteine. Quindi in base a se
la membrana possiede o no le proteine per trasportare certe molecole quelle
molecole potranno attraversare la membrana o meno. In alto c’è uno schema
di una membrana con un doppio strato fosfolipidico e ci fa vedere la
permeabilità:
• Piccole molecole idrofobiche come il benzene passano senza problemi,
essendo idrofobiche apolari come il doppio strato scivolano via e
diffondono liberamente
• Piccole molecole neutre come gas respiratori (O2, CO2) attraversano
liberamente lo strato fosfolipidico senza bisogno di intermediazioni
• L’acqua è una molecola piccola però ha una polarità, è un dipolo
elettrico e in parte riesce ad attraversare da sola il doppio strato
fosfolipidico, siccome è polare non va tanto d’accordo con la parte
interna idrofobica, la maggior parte dell’acqua passerà non liberamente
ma attraverso delle proteine di trasporto che sono le acquaporine
• La maggior parte delle molecole organiche tipo zuccheri e amminoacidi
che sono polari non riescono a passare da sole attraverso il doppio
strato, vengono rimandate indietro.
• Anche gli ioni non riescono a passare, nonostante siano piccoli hanno
una carica e questa positiva o negativa che sia, non permette loro di
attraversare la membrana che al centro è idrofobica.
• Altre proteine e altre molecole organiche grosse non riescono a passare
attraverso il doppio strato per questioni di dimensioni.

Passano velocemente e facilmente attraverso il doppio strato le molecole


piccole e più apolari, le molecole polari, cariche e di grandi dimensioni non
riescono a passare e dovranno escogitare un altro sistema formato dalle
proteine di trasporto.

TRASPORTI ATTRAVERSO LA MEMBRANA


Possono essere suddivisi
in base ad un criterio, se
sono trasporti attivi o se
sono trasporti passivi.

I trasporti passivi sono i


trasporti in cui le
sostanze si muovono
secondo gradiente di
concentrazione, da dove
sono più concentrate a
dove sono meno
concentrate. Quindi in
maniera termodinamicamente favorevole. Tutti i tipi di diffusione che sia una
diffusione semplice o una diffusione facilitata dalla presenza delle proteine
sono esempi di trasporti passivi. I trasporti passivi non necessitano di
consumo di energia, avvengono senza dispendio energetico.
I trasporti attivi sono quei trasporti in cui le molecole e le sostanze si
muovono da dove sono meno concentrate a dove sono più concentrate,
quindi contro gradiente di concentrazione, questo dal punto di vista
termodinamico non è possibile ma la cellula spende energia sottoforma di
ATP per generare questo spostamento innaturale, questo può avvenire solo
attraverso delle proteine di trasporto.

• L’acqua che è il solvente dell’ambiente extra e intracellulare, come si


muove attraverso la membrana?
Secondo il fenomeno dell’osmosi, questo è lo spostamento di acqua tra
due soluzioni che sono separate da una membrana semipermeabile.
Vediamo il tubo a U dove al centro ho una membrana semipermeabile
che si lascia attraversare dal solvente ovvero l’acqua, ma non dal soluto.
La membrana plasmatica è equiparabile a una membrana
semipermeabile. L’immagine in alto a sinistra ci fa vedere un tubo che
all’inizio a sinistra ha una concentrazione di soluto più bassa rispetto
alla parte destra, a sinistra ho quindi la soluzione ipotonica mentre a
destra ho la soluzione ipertonica più elevata. L’acqua si sposta dalla
soluzione ipotonica a quella ipertonica, c’è uno spostamento netto
dell’acqua fino a che lo spostamento dell’acqua verso la soluzione
ipertonica non porta le due soluzioni ad essere della stessa
concentrazione e quindi all’essere isotoniche l’una rispetto l’altra.
Quando si è raggiunto l’equilibrio delle due soluzioni isotoniche non è
che l’acqua non si sposti più, ma tanta acqua si muove lo stesso.

TRASFERIAMO QUESTO RAGIONAMENTO ALLA CELLULA:


La membrana cellulare si comporta come una membrana semipermeabile che
divide due soluzioni, la soluzione che si trova fuori dalla cellula e quindi il
liquido extracellulare rispetto la soluzione dentro la cellula cioè il liquido
intracellulare. Se io immergo la mia cellula all’interno di una soluzione
ipotonica che è meno concentrata rispetto alla soluzione che è dentro alla
cellula, ci sarà un passaggio netto di acqua da fuori la cellula a dentro la
cellula che tenderà a rigonfiarsi, se metto la cellula all’interno di una soluzione
ipertonica e quindi una soluzione più concentrata rispetto a quella che si
trova dentro la cellula, in questo caso per osmosi l’acqua tenderà ad uscire
dalla cellula verso l’ambiente extracellulare, la cellula avrà una perdita d’acqua
e tenderà a raggrinzire. Quando la metto in una soluzione isotonica e quindi
stessa soluzione dentro la cellula e fuori la cellula, siamo in una condizione di
equilibrio per cui l’acqua entra ed esce nello stesso quantitativo e la cellula
rimane delle sue dimensioni. Questi spostamenti dell’acqua per osmosi
attraverso la cellula avvengono non tanto per un passaggio diretto delle
molecole d’acqua attraverso il doppio strato fosfolipidico ma attraverso le
numerose acquaporine che sono delle proteine canale di transmembrana che
si trovano nelle membrane e che permettono un passaggio molto rapido
attraverso la membrana dell’acqua, passaggi che sennò sarebbero molto più
lenti se ci affidassimo solo alla capacità dell’acqua di passare attraverso il
doppio strato fosfolipidico.
TIPI DI DIFFUSIONE: SEMPLICE E FACILITATA

I trasporti passivi avvengono grazie a dei fenomeni di diffusione che può


essere diffusione semplice quando le sostanze si muovono liberamente
attraverso il doppio strato fosfolipidico che sia in un senso o in un altro non
importa, però il senso sarà sempre da dove sono più concentrate a dove sono
meno concentrate in quanto la diffusione funziona solo così. Quindi tutte le
diffusioni non richiedono energie, sono tutti trasporti passivi, però per
diffusione semplice si possono muovere solo alcune sostanze, quelle piccole
apolari come ossigeno, anidride carbonica che hanno determinate
caratteristiche. Le altre possono diffondere ma attraverso delle proteine di
trasporto, è sempre una diffusione perché passano da dove sono più
concentrate a dove lo sono di meno però è detta diffusione facilitata in
quanto la diffusione è facilitata dalle proteine che mediano questo passaggio.
Se noi mettiamo a confronto la diffusione semplice rispetto la diffusione
facilitata possiamo fare delle valutazioni di cinetica dei due processi:

• Nella diffusione semplice la velocità con cui il soluto passa da una parte
all’altra cresce al crescere della concentrazione del soluto, maggiore è la
concentrazione maggiore è la velocità con cui si sposta.
• Nella diffusione facilitata vedo che fino ad un certo punto c’è una
proporzione diretta, quindi più aumenta la concentrazione del soluto
più aumenta la velocità di trasferimento ma arrivo ad un plateau, ad un
punto di massima velocità oltre la quale non posso andare anche se la
concentrazione del mio soluto aumenta ulteriormente, la velocità
massima corrisponde al numero di proteine. Quando io ho impegnato
nei trasporti tutte le proteine di trasporto non posso fare più in fretta di
così, questa è una differenza fra i due tipi di diffusione. La diffusione
semplice può sempre avvenire perché il doppio strato fosfolipidico c’è
sempre nelle membrane mentre invece la diffusione facilitata potrà
avvenire solo se sono presenti le proteine di trasporto e ad una velocità
via via maggiore a seconda di quante proteine di trasporto per quella
specifica molecola io ho.

PROTEINE CHE MEDIANO IL TRASPORTO


Esistono 2 tipi di
proteine che mediano e
consentono il trasporto:

1. PROTEINE CANALE
2. PROTEINE CARRIER
O TRASPORTATORI
1. Le proteine canale
sono delle proteine che
formano un tunnel e un
poro centrale idrofilo
che mi consente di far
passare attraverso
questa porzione interna
idrofila i soluti che sono idrofili, le proteine canele servono per il
passaggio di ioni carichi idrofili e per il passaggio dell’acqua, le proteine
canale specifiche per l’acqua sono le acquaporine. Nei canali il
movimento avviene sempre e solo secondo gradiente di
concentrazione, trasporti passivi e selezionati, ogni canale discrimina e
fa passare solo certi tipi di ioni con una certa carica e di una certa
grandezza. Per il tunnel non passa qualunque ione o molecola idrofila
ed è un passaggio molto rapido.
Alcuni di questi canali non sono sempre aperti, ma possono essere controllati
a seconda dello stimolo che arriva. Questi canali rispondono a degli stimoli
chimici, quindi arriva un messaggero chimico (ligando) che si lega al recettore
e determina la chiusura o l’apertura del canale. Possono esserci canali che
rispondono a stimoli elettrici e quindi la chiusura e apertura dei canali
dipende dal voltaggio, oppure ci sono canali che rispondono a stimoli
meccanici (pressori o di stiramento) che vanno ad influire sull’apertura o
meno del canale.

2. Le proteine carrier o trasportatori sono delle proteine che legano su


uno dei due lati della membrana la molecola da trasportare, in seguito a
questo legame subiscono una modificazione conformazionale che li
porta a rilasciare sull’altro lato della membrana le molecole, sono delle
specie di traghettatori, la velocità con cui i carrier spostano le molecole
è inferiore, sono più lenti nel trasporto rispetto ai canali, anche i carrier
sono molto specifici e non legano qualunque molecola , ma hanno siti
di legame specifici per alcune molecole. Se il mio carrier mi permette il
trasporto di una molecola alla volta si parla di TRASPORTO UNIPORTO
perché trasporto un solo tipo di molecola, se la stessa molecola
trasportatrice mi permette di spostare contemporaneamente due tipi di
molecole diverse parlerò di CO-TRASPORTO, il co-trasporto può
spostarmi le due molecole nello stesso verso, quindi tutte e due fuori o
tutte e due dentro la cellula, si parla di SIMPORTO ovvero viaggiano
insieme con la stessa destinazione, oppure un ANTIPORTO, in questo
caso le due molecole che sposta il trasportatore hanno direzioni e
destinazioni diverse, una la porta dentro e l’altra la porta fuori.

Con i trasportatori noi possiamo avere a che fare sia con trasporti passivi
come l’uniporto che è una semplice diffusione facilitata da dove la molecola è
più concentrata a dove lo è meno, con i co-trasportatori ho a che fare con un
trasporto attivo e mi posso muovere anche contro-gradiente.
TRASPORTI ATTIVI

I trasporti attivi li distinguiamo in trasporti attivi primari e trasporti attivi


secondari.
I trasporti attivi primari sono quelli garantiti dalle pompe ioniche che sono
delle proteine trasportatrici capaci di spostare il soluto contro-gradiente di
concentrazione e che per fare questo hanno bisogno di energia e che quindi
funzionano idrolizzando ATP. C’è sempre un dispendio di energia, se non è
sottoforma di ATP c’è consumo di qualche altra forma di energia in quanto è
un trasporto attivo e necessita di energia. Con questi trasporti primari si
spostano gli ioni in modo che abbiano concentrazioni diverse dentro e fuori
dalla cellula, quindi si creano dei potenziali di membrana, si creano delle
distribuzioni particolari di ioni fuori dalla cellula nel liquido extracellulare e
dentro la cellula nel liquido intracellulare, la realizzazione e il mantenimento
di questi potenziali diversi è fondamentale per tutta una serie di attività tra cui
la contrazione delle cellule muscolari. Tra le pompe più famose la POMPA
SODIO-POTASSIO presente in tutte le cellule che lavora di continuo per
spostare da una parte all’altra gli ioni sodio e gli ioni potassio, 1/3 dell’energia
che si spende è per far funzionare queste pompe. Poi ci sono le POMPE DEL
CALCIO che vedremo soprattutto nelle cellule muscolari per la generazione
dell’impulso alla contrazione e le POMPE PROTONICHE che spostano
idrogenioni H+ e che troveremo quando parleremo della membrana dei
lisosomi. Questi sono i trasporti attivi primari con consumo diretto di ATP.
Poi ci sono i trasporti attivi secondari. Sono tutti una serie di co-trasporti che
possono essere sia di tipo SIMPORTO che ANTIPORTO in cui delle due
molecole spostate, una si sposta secondo gradiente di concentrazione e l’altra
contro gradiente di concentrazione, le molecole carrier che permettono
queste non consumano direttamente ATP, quindi non c’è un consumo di
energia contemporaneo alla realizzazione di questi spostamenti, però questi
spostamenti funzionano grazie al fatto che i trasporti attivi primari mi
generano determinate distribuzioni delle molecole. Se io non ho più ATP e
non funzionano più i trasporti primari dopo poco tempo non possono più
funzionare nemmeno i trasporti attivi secondari.

ESEMPIO DI TRASPORTI ATTIVI:

POMPA IONICA SODIO-POTASSIO ATPASI, è un trasporto attivo primario.


Questa pompa mi aggancia sul lato citoplasmatico 3 molecole di sodio, grazie
all’ATP che si idrolizza mi dà ADP e fosfato e si ha una modificazione
conformazionale della proteina che mi porta sull’altro lato e mi sgancia
nell’ambiente extracellulare i 3 ioni sodio Na+ e allo stesso tempo ha liberi e
pronti dei siti di legame per gli ioni potassio K+ e ne aggancia 2 e si sgancia il
potassio e li porta da fuori alla cellula a dentro la cellula. Ogni giro di lavoro
della pompa ATPasica che significa consumo di una molecola di ATP, la mia
pompa mi porta fuori dalla cellula 3 ioni sodio e dentro la cellula due ioni
potassio che sono entrambi carichi positivamente, ma siccome me ne porta
fuori 3 carichi positivi e dentro solo 2 carichi positivamente vuol dire che c’è
maggior carica all’esterno e minor carica all’interno. Io nel liquido
extracellulare avrò sempre più ioni sodio e in quello intracellulare più ioni
potassio, quindi si crea questo potenziale che mi permette dei trasporti attivi
secondari in cui il sodio si muove secondo il suo gradiente di concentrazione
quindi da dove è più concentrato (in quanto la pompa continua a mantenere
questa concentrazione) a dove lo è meno e questo movimento secondo
gradiente è associato e permette lo spostamento contro-gradiente di un’altra
molecola. Ad esempio abbiamo dei simporti in cui porto dentro la cellula il
sodio insieme allo zucchero, assieme al saccarosio, oppure altri simporti
portano dentro il sodio assieme agli amminoacidi, quindi sono sistemi con cui
la cellula si approvvigiona e porta dentro queste importanti molecole
nutritive, oppure anche casi di ANTIPORTO in cui all’entrata di sodio è
associata l’uscita di idrogenioni H+ o calcio.

TRASPORTI TRAMITE VESCICOLE:

Se ho a che fare con molecole grandi per dimensioni (indipendentemente dal


fatto che siano polari o apolari) e non possono passare attraverso il doppio
strato, non possono passare attraverso le proteine in quanto sono più piccole
della molecola da trasportare, allora tutte queste grandi molecole si muovono
attraverso delle VESCICOLE che si formano grazie a dei movimenti della
membrana, le vescicole sono dei micro-contenitori avvolti da delle porzioni di
membrana che all’interno hanno il contenuto da trasportare, queste vescicole
hanno il compito di tenere separato ciò che trasportano rispetto al resto della
cellula e dell’ambiente extracellulare.
In base alla direzione del trasporto io distinguo:

• L’ENDOCITOSI, in cui il materiale delle vescicole entrano nella cellula,


quindi la destinazione è l’interno della cellula. l’endocitosi viene
utilizzata per trasportare dentro la cellula tutta una serie di macro-
molecole utili come i polisaccaridi, le proteine, i polinucleotidi, molecole
coniugate complesse come glicoproteine, lipoproteine, mi serve anche
per portare all’interno piccole molecole come colesterolo, ferro.. che
sono piccole ma per entrare sono complessate con altre molecole e
vanno a formare complessi più grandi. La uso per portare all’interno
delle porzioni, delle gocce di liquido extracellulare oppure per portare
all’interno agenti patogeni o frammenti cellulari.
Quindi il materiale viene portato dentro la cellula attraverso vescicole.
• NELL’ESOCITOSI o GEMMAZIONE, ho la direzione contraria
all’endocitosi, il materiale attraverso delle vescicole viene portato da
dentro la cellula a fuori la cellula, destinazione extracellulare. L’esocitosi
mi serve per portare fuori sostanze di rifiuto, quindi la cellula può
rilasciare dei cataboliti, è anche un modo per rilasciare materiali utili
non dentro la cellula dove sono stati prodotti, ma al di fuori della
cellula, per esempio quando una cellula rilascia dei prodotti per la
matrice extracellulare (MEC).
DA DOVE SI ORIGINANO LE VESCICOLE DEI TRASPORTI
MEDIATI DA VESCICOLE?

Quando io mi riferisco alla esocitosi e quindi le vescicole da dentro la cellula


portano fuori il materiale, nella esocitosi le vescicole si originano dentro la
cellula a livello del reticolo endoplasmatico e a livello dell’apparato del Golgi, il
materiale racchiuso dentro ad una porzione di membrana genera la vescicola
che viaggia fino a raggiungere la membrana plasmatica, la membrana della
vescicola si fonde con la membrana plasmatica e ciò che era contenuto
all’interno della vescicola si trova fuori nel liquido extracellulare. Nel caso
dell’esocitosi le vescicole vengono a formarsi dentro alla cellula negli organuli.

Nel caso dell’endocitosi e della gemmazione le vescicole si originano dalla


membrana plasmatica, nel caso della endocitosi (in b) il materiale è esterno alla
cellula e si crea una invaginazione della membrana plasmatica che si chiude, si
stacca la vescicola e la vescicola viene portata dentro, questa vescicola si forma
con un contributo della membrana plasmatica, nel caso della gemmazione in
cui il materiale esce dalla cellula, il materiale è sotto in prossimità della
membrana plasmatica, la membrana plasmatica si estroflette e racchiude il
materiale da portare fuori, si stacca come una gemma e si ritrova questa
vescicola all’esterno, non viene portato fuori solo il contenuto(come
nell’esocitosi) ma viene portata fuori la vescicola con il contenuto all’interno. La
gemmazione non è frequentissima però si ha in alcune ghiandole esocrine che
hanno una particolare modalità di secrezione detta apocrina che sarà
importante negli epiteli ghiandolari.
Citologia
Lezione del 17/10/2022

La volta scorsa abbiamo iniziato il percorso descrittivo dalla cellula dalla struttura più esterna che
incontriamo nella cellula animale, cioè la membrana plasmatica. E di seguito e collegato strettamente alla
membrana plasmatica abbiamo parlato di come avvengono gli scambi tra l’interno e l’esterno della cellula,
quindi come le molecole in base alle loro diverse caratteristiche chimiche, alle loro dimensioni, possono, in
modo selettivo, attraversare la membrana.
Quindi abbiamo fatto le varie tipologie di trasporto; distinguendole in primis tra trasporti passivi e trasporti
attivi, rispettivamente che non implicano dispendio di energia (quelli passivi), perché le molecole si
muovono secondo gradiente di concentrazione e invece i trasporti attivi in cui io muovo le molecole contro
gradiente e quindi devo impiegare energia di solito sotto forma di ATP.
Abbiamo parlato delle proteine che permettono molte di queste forme di trasporto, poi abbiamo detto che,
come ultima tipologia di trasporto, rimaneva da commentare il trasporto di quelle molecole,
macromolecole che per le loro dimensioni non possono passare attraverso delle proteine, né canale né di
trasporto che siano e quindi si spostano con la modalità tramite vescicole. Quindi la formazione di questi
mini-comparti racchiusi da membrana al cui interno c’è un contenuto che deve essere o esportato dalla
cellula o importato, e abbiamo in particolare detto che ci sono tre tipologie:

● La ENDOCITOSI
● La ESOCITOSI
● La GEMMAZIONE

Che hanno versi diversi, cioè sia la esocitosi che la gemmazione portano materiale fuori dalla cellula.
Nel caso della esocitosi questo trasporto parte dall’interno della cellula, dove vengono prodotti dei
materiali racchiusi da vescicola, la vescicola arriva alla membrana plasmatica per analogia tra la membrana
della vescicola e la membrana plasmatica, le due membrane si fondono e solamente il contenuto della
vescicola, viene ad essere espulso fuori dalla cellula, a differenza della gemmazione in cui di nuovo io porto
fuori del materiale, ma in questo caso il materiale che è al di sotto della membrana plasmatica viene
alloggiato all’interno di una specie di estroflessione della membrana che poi si stacca a dare una vescicola e
quindi il materiale viene espulso non da solo, ma contenuto all’interno di una vescicola. L’ endocitosi invece
è un processo con una direzione inversa, cioè materiale che è nell’ambiente extracellulare, viene portato
all’interno del citoplasma attraverso la formazione di una vescicola che ha quindi una membrana che
origina della membrana plasmatica.
La Endocitosi

Partiamo proprio a esplicitare come avviene quindi la Endocitosi, “endo” ci aiuta a ricordare la direzione del
trasporto, perché “endo” vuol dire dentro come “eso” vuol dire fuori o “ecto” indicano sempre fuori, quindi
facciamoci sempre aiutare dall’etimologia delle parole.
La endocitosi avviene grazie a dei riarrangiamenti dei movimenti che compie la membrana plasmatica che
può, a seconda dei casi, o introflettersi o emettere dei prolungamenti per, diciamo accogliere, abbracciare il
materiale che dall’esterno deve essere portato dentro alla cellula e quindi essere internalizzato.
Esistono tre diversi tipi di endocitosi che si differenziano per la modalità con cui vengono effettuati, oltre
che in parte, anche per i tipi di materiali che vengono portati all’interno e parliamo di:

● PINOCITOSI,
● FAGOCITOSI
● ENDOCITOSI MEDIATA DA RECETTORI

Ripeto, questi tre sono tutti e tre tipologie di endocitosi.


E ora andiamo a vedere in che cosa si differenziano l’una dall’altra.

LA PINOCITOSI

La Pinocitosi, partiamo sempre dall’etimologia, letteralmente significa cellula che beve, perché il verbo
greco “pino” significa appunto bere.
In effetti la cellula che cosa fa attraverso questo processo?
Assume e porta all’interno tramite delle vescicole, delle piccole porzioni, diciamo, dei quantitativi di liquido
extracellulare e ovviamente, insieme a questo liquido, porta dentro i soluti che sono all’interno del liquido.
E quindi qualsiasi molecola sia disciolta e presente nel liquido extracellulare, viene portata all’interno
attraverso questo meccanismo, meccanismo che prevede una introflessione lo si vede bene anche da
questo schema, la membrana plasmatica, vedete si introflette, quindi va verso l’interno, crea come una
specie di piega che si approfondisce sempre di più racchiudendo all’interno questa porzione di liquido
extracellulare.
L’introflessione poi si completa, la vescicola si chiude e si stacca dalla superficie per entrare all’interno del
citosol, dove quindi ci ritroveremo questa porzione di liquido extracellulare contenenti soluti avvolto da
una membrana, che origina dalla membrana plasmatica e questa vescicola prende genericamente il nome
di endosoma.
Capite bene anche dalla descrizione che il materiale, cioè questa modalità di trasporto non è specifica, cioè
io non porto dentro un soluto in particolare ma porto dentro in modo aspecifico quello che è disciolto nel
liquido extracellulare. Aspecifica, in questo caso la A, come in molti casi, nella terminologia scientifica, la A
sta per Alfa privativo, cioè senza specificità, e come dire, non quella “a” davanti.
Oltre che essere importante per il materiale che viene portato all’interno della cellula, la endocitosi di
questo tipo, cioè la pinocitosi, è importante anche perché permette un ricambio, un riciclaggio della
membrana plasmatica. In che senso? Nel senso che quelle porzioni di membrana che si staccano che mi
servono per formare la vescicola verranno poi sostituite da nuovi costituenti della membrana.
E quindi questo meccanismo tiene anche
continuamente rinnovata la membrana
cellulare.
Quando si parla di pinocitosi si distingue
ulteriormente, in base alla grandezza, alle
dimensioni delle vescicole che si creano
durante il processo, quindi si parla di
MICROPINOCITOSI, quando le vescicole
che si formano sono piccole, il prefisso
micro indica sempre qualcosa di piccolo
come il macro indica qualcosa invece di grande.
Quindi micropinocitosi anche senza sapere che cos’è uno capisce che fa riferimento a vescicole piccole...
piccole quanto? Diciamo che fino a 65 nanometri di diametro vengono considerate vescicole micro
pinocitotiche che essendo così piccole noi possiamo individuare e
apprezzare solamente con il microscopio elettronico a trasmissione.
Che è poi l’immagine che vedete di fianco, tutte queste che vedete
sono delle vescicole di micropinocitosi in formazione, qualcuno si deve
ancora completamente staccare, qualcun’altra si è staccata in una
cellula vista appunto al TEM.
Invece la MACROPINOCITOSI fa riferimento a delle vescicole che si
formano e che sono più grandi rispetto a quel diametro di 65
nanometri e quando superano i 100 nanometri possono essere viste
anche al microscopio ottico.
Bene e quindi abbiamo così esaurito il primo dei tre tipi di Endocitosi,
la Pinocitosi e passiamo alla
fagocitosi.

LA FAGOCITOSI

L’etimologia questa volta indica


una cellula che mangia fago e il
verbo phágos, in greco significa
appunto mangiare.
E infatti questa tipologia di
endocitosi permette alla cellula
di portare all’interno delle
particelle solide anche di grandi
dimensioni, tanto che possono
essere dei microrganismi o
possono essere delle cellule o
dei frammenti cellulari che
vengono, per poter essere portati all’interno, prima riconosciuti in modo specifico quando parlo di
riconoscimento mi riferisco sempre ad un legame tra molecole che sono sul materiale da importare, quindi
delle sequenze, rispetto a dei recettori che si legano con dei recettori presenti sulla membrana.
In questo caso la fagocitosi come avviene materialmente? questo schema non è un granché bello perché
sembra uguale alla pinocitosi, Invece no, qui non si fa una introflessione della membrana, al contrario, la
membrana emette dei prolungamenti che prendono il nome di PSEUDOPODI che sono pratica delle
estroflessioni del citoplasma che si allungano attorno alla particella da inglobare, si allungano, si richiudono
fino a fondersi uno con l’altro, portando poi all’interno la vescicola che si distacca. Chi è che è coinvolto
nella formazione e nei movimenti di questi pseudopodi? Sono degli elementi proteici del citoscheletro, in
particolare quelli costituiti di ACTINA; quindi, quando faremo il citoscheletro riparleremo di questo evento
che vede il coinvolgimento appunto dei filamenti di Actina che vengono detti microfilamenti. La vescicola
che si stacca per fagocitosi dalla membrana plasmatica e viene portata dentro al citoplasma prende il nome
di FAGOSOMA.
È qual è il destino di questo fagosoma? In molti casi, cioè quasi sempre, il fagosoma è destinato a fondersi
con un altro organulo della cellula che è il LISOSOMA, il quale rilascerà i suoi enzimi idrolitici che
permetteranno la digestione sempre all’interno della vescicola, a quel punto la vescicola che si sarà
generata per fusione del fagosoma con i lisosomi, prenderà il nome di FAGOLISOSOMA, semplicemente si
uniscono le due parole.
E quindi all’interno del Fago Lisosoma avverrà questa digestione e smantellamento quindi chimico del
materiale che è stato fagocitato.
Che significato ha la fagocitosi? A che cosa mi serve portare dentro alla cellula queste particelle solide,
magari dei dei microbi o delle altre cellule o frammenti cellulari, oppure macromolecole di altro tipo? sono
fondamentalmente due le occasioni in cui la fagocitosi lavora:
● nel caso degli organismi unicellulari, come molti protisti come le amebe
● oppure di animali inferiori, mi riferisco a invertebrati tipo Celenterati.
Ecco loro, nella loro semplicità, capite bene un’ameba, l’organismo unicellulare, Utilizzano la fagocitosi
come modalità per assumere cibo E quindi “ingoiano” delle macromolecole organiche e in questo modo,
poi digerendo, ne ottengono i costituenti che servono per il metabolismo, per ottenere energia e
quant’altro.
Negli animali invece superiori, quindi anche in tutti i vertebrati e quindi nell’uomo compreso, la fagocitosi
assume soprattutto un significato di difesa, cioè alcune cellule specializzate in questa modalità di trasporto
che vengono definiti fagociti, cioè cellule (citi) che operano la fagocitosi, Cosa fanno? Si sbarazzano di
potenziali pericoli mangiandoseli, tipo pacman una volta mangiati, poi li distruggono. Questo è lo scopo,
quindi la fagocitosi, poi non è presente in tutte le cellule, ma appunto solo in cellule specializzate.
Quali sono i fagociti principali che troviamo nei nostri tessuti, negli animali?
● I GRANULOCITI NEUTROFILI sono dei grandi mangiatori, sono fagociti professionali
● I MACROFAGI, che devono il loro nome proprio a questa attività, sono delle grandi cellule (macro)
che attuano appunto la fagocitosi
● LE CELLULE DENDRITICHE che sono delle specie di sentinelle che pattugliano soprattutto la cute e le
mucose, cioè quelle zone dell’organismo che sono in contatto più o meno diretto con l’ambiente
esterno e che quindi possono venire in contatto più facilmente con agenti patogeni o comunque
con agenti estranei. Cellule dendritiche che si che si chiamano così “dendros”vuol dire albero,
perché hanno una morfologia particolare, con delle ramificazioni, quindi hanno un aspetto
particolare con queste estensioni ramificate. Ci sono diverse cellule dendritiche nell’organismo che
prendono magari nomi diversi a seconda del tessuto in cui si trovano. Per esempio, incontreremo,
parlando dell’epidermide, delle cellule del Langherans. Quelle sono un tipo di cellule dendritiche. Le
cellule dendritiche hanno la caratteristica di essere cellule che, una volta inglobato questi agenti
estranei, espongono poi gli antigeni sulla membrana e questo facilita il riconoscimento e l’azione di
altri elementi del sistema immunitario che quindi intervengono, in particolare, i linfociti; anche i
macrofagi hanno questa capacità di presentazione dell’Antigene, comunque le cellule dendritiche
sono proprio specializzate in questa cosa. Perché le cellule del sistema immunitario hanno spesso
necessità di riconoscere sia gli antigeni della gente estraneo, patogeno sia delle molecole self
quindi dell’organismo, e quelle sono appunto messe a disposizione da queste cellule che
presentano l’antigene.
Qui abbiamo ancora uno schema a sinistra riassuntivo della fagocitosi un po’ più veritiero che mi piace di
più rispetto a quello di prima perché si vede molto bene come dalla membrana plasmatica si alzano questi
pseudopodi questi estroflessioni sempre di più fino ad andare a richiudersi sopra la particella
internalizzandola poi, queste cosette rosse vi ricordano che ci deve essere comunque un riconoscimento
specifico delle molecole da portare all’interno( non entra così qualunque cosa) e qui la formazione del
fagosoma che si continua a chiamare fagosoma fintanto che non si fonde con il lisosoma e prende poi il
nome di fagolisosoma . Tutto quello che viene digerito poi può essere in parte riutilizzato dalla cellula gli
scarti rifiuti potranno invece poi essere espulsi con questo corpo residuo che va a fondersi con la
membrana e a eliminare all’esterno quello che non serve.
Sulla destra passiamo sempre dagli schemi a com’è la realtà a come lo vedremmo noi se osservassimo delle
cellule vere: sopra abbiamo un’immagine al TEM quindi una sezione una un’immagine microscopio
elettronico di quello
che osserva le
sezioni di un
neutrofilo quindi un
granulociti neutrofilo
uno di quei fagociti
che vi citavo prima
che è
particolarmente
attivo nella
fagocitosi, vedete
che ha già
internalizzato diversi
batteri e qualcun
altro sta per essere
internalizzato ora
attraverso l’emissione di questi pseudopodi come abbiamo detto prima. Naturalmente il citoplasma di
questi macrofagi poi conterrà diverse forme di vescicole dei fagosomi dei fagolisosomi dei corpi residui
magari più o meno chiari più o meno elettron densa a seconda di quanto è avanzato il processo di
digestione.
Di sotto sempre un’immagine di microscopia elettronica però questa volta di microscopia elettronica a
scansione quindi non vediamo in tridimensione e questo sempre neutrofilo questo qui sulla destra che sta
inglobando una cellula di lievito, quindi un fungo unicellulare.

L’ENDOCITOSI MEDIATA DA RECETTORI

Passiamo alla endocitosi mediata da recettori, andiamo


sempre più nello specifico perché questo tipo di endocitosi è
un trasporto altamente selettivo molto specifico che mira a
portare dentro un materiale in particolare, che viene definito
CARGO o LIGANDO; quindi, questi soluti vengono portati
dentro in modo specifico perché vengono legati a dei
recettori specifici, per i quali sono affini e complementari,
che si trovano sulla membrana.
La endocitosi mediata da recettori non avviene in punti
qualunque della membrana, ma avviene a livello di piccole
aree che sono leggermente introflesse, che vengono
chiamate FOSSETTE RIVESTITE, rivestite sul versante che dà
verso il citoplasma, di proteine particolari (che qui nello
schema sono in rosso) che faciliteranno permetteranno la
formazione della vescicola.
Che cosa succede? che quando il mio la mia molecola da
portare dentro il mio ligando si lega al suo recettore che è presente sulla membrana a livello delle fossette
rivestite questo legame scatena attraverso la mediazione di proteine adattatrici che si chiamano che si
chiamano ADATTINE, scatena l’assemblaggio della proteina chiave, la CLATRINA, che mi permette di
formare le vescicole rivestite. Vescicole che poi una volta e formatesi si distaccheranno dalla membrana e
andranno dentro al citoplasma.
Inizialmente queste vescicole avranno ancora intorno il rivestimento di clatrina, che è servito per formare le
vescicole, ma in un secondo momento questo rivestimento si distaccherà (così la clatrina torna ad essere
utilizzabile per un altro ciclo di endocitosi) e la vescicola, quindi, rimarrà cosiddetta NUDA quindi senza il
rivestimento.
Ripeto, questo è un trasporto altamente specifico perché avviene solo nella misura in cui al recettore si lega
non una molecola qualunque ma la specifica molecola per la quale è progettato quel recettore.

Quando parliamo di endocitosi mediata da recettore dobbiamo fare la conoscenza della clatrina che
permette questo tipo di trasporto.

La CLATRINA
La clatrina è una proteina e in
particolare una proteina esamerica,
cioè formata da sei parti, da sei
catene: tre di queste catene più
grandi e più pesanti e tre invece più
leggere.
Queste catene sono disposte con
una struttura particolare che si
chiama triskelion o triskelio,
praticamente una struttura a tre
bracci che sono fra loro un diciamo
distanziati di 120 °, c’è un
orientamento specifico cioè c’è una
distanza specifica tra un braccio e
l’altro.
Questo che vedete qui che vi sto mostrando è uno schema di un singolo triskelion, quindi di una molecola
di clatrina, e questa che vedete qui è un’immagine al SEM che vi mostra un triskelion appoggiato alla
membrana.
Questi esametri, questa queste molecole di clatrina hanno la
possibilità e lo fanno di assemblarsi assieme per dare delle
strutture o pentagonali, quindi strutture con 5 molecole di
clatrina, o esagonali con 5 molecole di clatrina e queste strutture
pentagonali ed esagonali ulteriormente si possono unire a
formare dei veri e propri reticoli, che possono anche incurvarsi
per dare delle strutture proprio a gabbia tipo vescicole. In basso
vedete gli schemi e in alto le corrispondenti immagini di
microscopia elettronica che mostrano appunto la formazione di
questi particolari strutture che nascono dall’assemblaggio della
clatrina che mi servono per costituire appunto queste vescicole
rivestite.
Adesso che conosciamo meglio la clatrina possiamo andare a
vedere i passaggi tramite cui durante la endocitosi mediata da
recettore si vengono a formare queste vescicole rivestite.
Sulla mia membrana
plasmatica, a livello della
fossetta, quindi di questa
piccola depressione di questa
piccola introflessione , le mie
molecole cargo che sono
fuori dalla cellula prendono
contatto e si legano con il lo
specifico recettore.
Grazie a questo legame si ha
la possibilità del complesso
ligando recettore, di legarsi
alla proteina ADATTINA che a
sua volta si lega alla clatrina.
Generando una modifica conformazionale che permette appunto l’assemblaggio delle varie molecole di
Clatrina quindi si approfondisce, diciamo così, verso l’interno l’intro flessione fino a dare una vescicola, che
alla fine rimane attaccata solo per il tramite di un piccolo pedicello e a livello di questa strozzatura
interviene una un proteina particolare che è la DINAMINA che con il consumo di GTP va a determinare la
contrazione dell’anello, perché lei costituisce un anello attorno a questo pedicello, e fa staccare la vescicola
dalla membrana plasmatica quindi a questo punto io ho la mia vescicola rivestita di clatrina che è nel
citoplasma e a questo punto la clatrina “saluta” , si distacca dalla vescicola e torna verso la membrana
plasmatica pronta per fare di nuovo il suo servizio e invece la vescicola di trasporto rimane cosiddetta libera
o nuda quindi senza il rivestimento di clatrina .
Dopo poi il destino di questa vescicola dipende da qual è il materiale che è stato portato dentro, potrebbe
fondersi con i lisosomi o potrebbe andare all’interno di un altro organulo.

Qui vediamo la stessa


identica cosa che vi ho
appena descritto con lo
schema con una
sequenza di immagini di
microscopia elettronica
di Tem a trasmissione,
qui vedete bene la
fossetta rivestita,
abbiamo il rivestimento
di clatrina sulla parte
rivolta verso il
citoplasma mentre
dall’altra parte della
fossetta nel versante
extracellulare si
concentrano le proteine, in questo caso proteine del tuorlo, che sono il cargo che si Lega ai recettori che si
trovano concentrati appunto nella fossetta.
In seguito al legame delle proteine con il recettore e si innesca quella dell’assemblaggio della clatrina
mediato dalle ADATTINE qui vedete che il processo prosegue perché l’invaginazione è sempre più profonda
fino a che queste due parti tendono a richiudersi in alto rimane solo questo piccolo punto, questa strettoia,
che viene poi viene staccata grazie alla strozzatura operata dalla DINAMINA e quindi poi alla fine ottengo la
mia vescicola ancora rivestita che ora è libera nel citoplasma.
ESEMPI DI ENDOCITOSI MEDIATA DA RECETTORI

Che cosa viene portato dentro per endocitosi mediata da recettori? sono diversi possibili materiali.
Qui vi offro un paio di esempi per farvi capire quanto può essere importante anche il corretto
funzionamento di questo tipo di trasporto quindi quali patologie si possono generare se le cose non
funzionano dovere.
Per esempio, le LDL vengono portate all’interno delle cellule dei nostri tessuti attraverso proprio un
meccanismo di
endocitosi mediata
da recettore.
Vi ricordate cosa
sono le LDL? LDL è l’
acronimo per sta che
sta per low density
lipoprotein quindi
lipoproteine a bassa
densità che servono
per poter trasportare
nei fluidi nel sangue
,in particolare, il
colesterolo che non è
idrofilo e non sarebbe affine, non può viaggiare liberamente nel sangue quindi viaggia complessato con
queste all’interno di queste lipoproteine , allora a livello della membrana delle cellule LDL viaggiano dal
fegato dove vengono prodotte fino alle cellule dell’organismo poi arrivate alle cellule dell’organismo
entrano nelle cellule nella misura in cui avviene appunto l’ endocitosi mediata da recettore , quindi sulle
varie cellule noi abbiamo la presenza sulla membrana delle cellule dei recettori per le LDL avviene quindi il
legame tra LDL e recettore, si forma la vescicola con la clatrina, si perde il rivestimento, poi c’è la fusione
della vescicola libera con un endosoma, la digestione dei lisosomi che permette di liberare il colesterolo,
dopodiché i recettori per le LDL vengono recuperati e riportati sulla membrana plasmatica per essere di
nuovo utilizzati.
Questo è quello che accade in condizioni normali.
Che cosa succede se l’endocitosi non funziona correttamente? È quello che capita nelle persone affette da
ipercolesterolemia familiare, una condizione patologica anche abbastanza diffusa, perché vedete interessa
una persona su 500, questi soggetti hanno una mutazione del gene che codifica per il recettore delle LDL.
Il recettore per LDL non deve solamente legarsi efficacemente alle LDL ma deve anche legarsi con le
adattine, quindi anche un sito di legame per le per le adattine.
Per colpa di questa mutazione i recettori delle LDL di queste persone non si non si legano correttamente
alle adattine, e questo impedisce che la clatrina si assembli e quindi impedisce che si formino le vescicole di
endocitosi.
Quindi cosa succede alla fine di tutto ciò? succede che le LDL non vengono portate all’interno delle cellule
ma rimangono all’esterno cioè rimangono nel torrente circolatorio, per cui i livelli di LDL in questi soggetti
sono molto elevati e le LDL purtroppo poi che cosa fanno? Vanno a depositarsi nella parete dei vasi e vanno
a determinare la formazione di placche arteriosclerotiche con tutto quello che ciò comporta.

Un altro esempio di Endocitosi mediata da recettori è quella che permette l’assunzione all’interno delle
cellule del ferro, che è un elemento fondamentale. Qui abbiamo questo ligando che è la
FERROTRANSFERRINA che si lega al suo recettore, la ferrotrasferrina lega due molecole di ferro e quindi
diventa transferrina diferrica e avviene come al solito la formazione della vescicola rivestita di latrina viene
internalizzata viene rilasciato il ferro, che poi dentro la cellula viene preso in carico e trasportato da un’altra
proteina, e sia il ligando , quindi la iniziale ferro transferrina , che i recettori per la sferro transferrina
vengono poi riciclati nel senso che vengono
riportati a livello della membrana
plasmatica per compiere nuovamente
questo ciclo utile per l’assorbimento del
ferro.

ESOCITOSI

Passiamo alla esocitosi, abbiamo finito di


portare dentro materiale e adesso lo portiamo
fuori quindi col processo inverso “eso” vuol
dire infatti fuori.
Portiamo fuori dei materiali che vengono
prodotti all’interno della cellula, in particolare
materiali che vengono prodotti dal reticolo
insieme che poi passano di solito all’apparato
di golgi per essere modificati, perfezionati, poi
il materiale all’interno di queste vescicole
migra verso la membrana plasmatica e poi vi è
una fusione delle due membrane, quella della
vescicola e quella plasmatica, e rilasciano
all’esterno.
Esistono due tipologie di esocitosi o di
secrezione:
● La esocitosi o secrezione costitutiva
● E la esocitosi o secrezione regolata
La prima, quella costitutiva, lo dice già un po’
la parola, è una fenomeno che avviene
normalmente e avviene in tutte le cellule, è un
processo che mi permette di fornire
continuamente la membrana plasmatica dei materiali che servono per il suo rinnovamento, quindi materiali
che servono alla membrana plasmatica, oppure materiali che servono al di fuori della cellula quindi
nell’ambiente extracellulare, in particolare tramite questa esocitosi di tipo costitutivo vengono rilasciati
all’esterno i componenti della matrice extracellulare che è particolarmente ricca e abbondante nei tessuti
connettivi.
I costituenti della matrice vengono sempre sintetizzati dalle cellule del tessuto connettivo, le cellule fisse, e
poi appunto secrete tramite questo tipo di esocitosi che è un processo continuo, cioè mano a mano che
questi materiali vengono prodotti dalla cellula, la cellula poi li porta fuori con questo processo che avviene
senza l’intervento di nessun segnale particolare e quindi viene detto che è CALCIO INDIPENDENTE perché
invece la secrezione che richiede segnali di solito sfrutta appunto come segnale i livelli di calcio all’interno
della cellula.
Le vescicole che sono coinvolte in questo tipo di esocitosi sono tipicamente rivestite da particolari tipi di
proteine che si chiamano COP.
La esocitosi invece, o secrezione regolata, funziona diversamente.
Intanto non avviene in tutte le cellule indistintamente, ma avviene solo in cellule specializzate appunto
nella secrezione, e di questo tipo sono per esempio le cellule dei tessuti epiteliali ghiandolari e anche le
cellule regine del tessuto nervoso cioè i neuroni.
I prodotti che vengono rilasciati sono infatti dei prodotti ben specifici, con funzioni particolari come
possono essere gli ormoni, come possono essere gli enzimi, anche gli enzimi digestivi stessi che sono
rilasciati dai tessuti epiteliali esocrini, oppure nel caso parliamo dei neuroni, questi prodotti specifici sono i
NEUROTRASMETTITORI.
Questi, capite da soli la dagli esempi che vi ho fatto, che non possono essere rilasciati in qualunque
momento a caso e tantomeno essere rilasciati di continuo, il loro rilascio avviene solo a richiesta” cioè
quando arriva la cellula un segnale che dice “bene, rilascia questo secreto”.
Quindi, le vescicole che contengono il materiale e che lo concentrano a dare dei corpi di secrezione quindi
le cellule sono piene di queste vescicole di secreto, sono pronte e stanno appostate al di sotto in vicinanza
della membrana plasmatica ma rimangono lì per ore a volte anche per giorni in attesa che arrivi questo
segnale da fuori la cellula; il segnale una volta che ha recepito dalla cellula, determina nella maggior parte
dei casi l’apertura di canali per il calcio, si alza il livello di calcio intracellulare all’interno della cellula e
questo fa scattare la migrazione delle vescicole verso la membrana plasmatica quindi la fusione delle
vescicole con la membrana e il rilascio all’esterno del contenuto, solo quando è arrivato questo segnale.
Questo tipo di vescicole è invece di vestito da clatrina (la stessa che abbiamo visto prima per endocitosi
mediata dal recettore).
Quindi chiara la differenza tra la costitutiva e la regolata, è sempre e comunque una forma di esocitosi.

TRANSCITOSI

Ci sono alcune cellule, in particolare le


cellule dotate di polarità e quindi le cellule
epiteliali, che sono tipicamente quelle che
presentano più spesso questo fenomeno di
polarizzazione, che effettuano un processo
particolare che si chiama di TRANSCITOSI,
praticamente non è altro che una sequenza
di endocitosi ed esocitosi che avvengono
una dopo l’altra, in pratica la cellula che è
polarizzata, quindi in cui riconosco delle
regioni distinte una dell’altra, va a prendere
dall’ambiente extracellulare dei materiali
per endocitosi (di solito la regione in cui
questo avviene la regione apicale della
cellula), porta dentro questo materiale,
quindi dall’ambiente extracellulare, le
vescicole viaggiano nel citoplasma e poi
raggiungono un’altra regione della cellula
che può essere laterale ma più spesso è quella basale, e per esocitosi rilasciano su quest’altro versante il
materiale che era all’interno.
Questo è un modo per spostare da un versante all’altro del materiale.

NUCLEO E RIBOSOMI
Allora parleremo di nucleo e di ribosomi e
perché tra tutti gli organuli parliamo di
questi e parliamo di questi due insieme cioè
uno anzi non insieme uno dopo l’altro,
cos’è che collega il nucleo ai ribosomi?
Nucleo e ribosomi sono due organuli
entrambi in prima linea, cioè coinvolti
direttamente nel cosiddetto flusso della
informazione genetica, qual è questo flusso
dell’informazione genetica? È null’altro
che questo schema abbastanza semplice
che costituisce però il cosiddetto dogma
centrale della biologia, cioè le informazioni
viaggiano dal DNA, che ne è il depositario e
che oltre a possedere le informazioni e
anche in grado attraverso la duplicazione,
di fare copie di sé stesso e di distribuire alle
cellule figlie e quindi perpetuare questa informazione genetica.
Queste informazioni che sono nel DNA vengono ad essere trascritte in RNA, in particolare RNA di tipo
Messaggero; quindi, la sequenza di nucleotidi che io ho su un filamento del DNA, su uno dei due filamenti
del DNA, viene trascritto in un complementare filamento di RNA messaggero tramite l’appaiamento delle
basi e qui è una trascrizione comunque di un messaggio che parla sempre l’alfabeto dei nucleotidi.
Poi dall’RNA Messaggero queste informazioni
vengono portate nella sede dove avviene la sintesi
proteica, che sono appunto i ribosomi, e lì q
uesto messaggio viene letto e tradotto per dare delle
proteine; quindi, qui nella traduzione abbiamo il
passaggio da un alfabeto a nucleotidi che è quello
dell’RNA messaggero in un alfabeto di aminoacidi che
è quello delle proteine.
Per avere questo processo che si chiama traduzione o
sintesi proteica o biosintesi, vedo il coinvolgimento
non solo dell’RNA messaggero e non solo dei
ribosomi, ma anche di un terzo tipo di RNA che è
l’RNA transfer che mi porta a mano a mano i vari
aminoacidi che devo aggiungere a questa catena
polipeptidica che si sta formando.
Quindi in questo flusso dell’informazione genetica
qual è il ruolo del nucleo qual è il ruolo dei ribosomi?
il ruolo del nucleo è quello di contenere il DNA da cui
parte tutta l’informazione e tramite queste
informazioni il DNA controlla tutte le attività cellulari perché è lui che dà le informazioni e detta la ricetta
per fare le proteine che sono coinvolte in tutti i processi cellulari.
Però queste proteine non le fa direttamente il DNA ma possono essere sintetizzate solamente grazie ai
ribosomi che sono appunto la sede della sintesi proteica, dove le proteine vengono fatte, non a caso, ma
seguendo la sequenza in partita dal DNA che è stata trascritta in RNA Messaggero e che viene li tradotta a
livello dei ribosomi.
C’è un altro importante collegamento fra il nucleo e i ribosomi, cioè il fatto che i costituenti dei ribosomi
vengono prodotti a livello del nucleo, quindi dentro il nucleo, in una regione specifica che è il nucleolo, che
andremo a vedere tra poco, vengono costituiti e si assemblano le subunità ribosomiali.
Dove avvengono fisicamente questi eventi? nella cellula eucariotica grazie al fatto che è un sistema
compartimentato e che possiede un nucleo delimitato da membrana, abbiamo una suddivisione delle
location di questi di questi eventi; la duplicazione del DNA come pure la trascrizione da DNA a RNA
messaggero, avvengono all’interno del nucleo.
Oltre che la produzione dell’RNA messaggero, avviene anche la maturazione dell’RNA messaggero, perché
così come è prodotto dalla trascrizione non è la versione definitiva che va a rimaneggiata, eliminando
alcune sequenze, ricucendo quelle altre, aggiungendo un cappuccio e una coda.
Quando l’RNA messaggero è maturo e solo quando è maturo, allora lascerà il nucleo attraverso i pori
nucleari e andrà nel citoplasma, perché è lì nel citoplasma che ci sono i ribosomi, quindi l’ultima fase del
flusso dell’informazione genetica, la traduzione, ha luogo invece altrove cioè nel citoplasma.
Nei procarioti dove non c’è un vero e proprio nucleo non c’è questa suddivisione e trascrizione e traduzione
avvengono tutti nel citosol.

IL NUCLEO

Il nucleo, prima di tutto


ricordiamo che è un organulo
che troviamo solo nelle cellule
eucariotiche e che
contraddistingue ed è esclusivo
di queste cellule, nel senso che le
procariotiche hanno sì il
materiale genetico ma non è
racchiuso non è delimitato da
una membrana, quindi solo gli
eucarioti, come dice il termine,
hanno un vero e proprio nucleo,”
carion” poi vuol dire nocciolo.
Il nucleo è, in linea di massima,
l’organulo che spicca di più per
volume per dimensioni
all’interno della cellula tant’è che
lo si individua facilmente anche a
microscopio elettronico anche ad
ingrandimenti abbastanza bassi.
Generalmente il diametro medio
di un nucleo è sui 5 micron, anche se la forchetta sarebbe da un micron a 10 micron.
Detto questo ci sono anche delle cellule che hanno dei nuclei ben più grandi, una di queste è la cellula
uovo, l’ovocito della rana Xenopus Levix che proprio perché ha questo nucleo così grande è stata molto
utilizzata in passato lo è ancora per delle ricerche di tipo citologico di biologia cellulare oltre che di
embriologia.
Comunque, in linea di massima almeno sui 5 micron il mio nucleo è.
Detto questo quanti nuclei ci sono nella cellula? che forma hanno? che posizione assumono? queste sono
caratteristiche che possono variare da cellula, l’avevamo citato anche una lezione precedente.
Di solito le cellule hanno un nucleo però esistono anche casi di cellule che una volta arrivate a maturazione
perdono il nucleo e quindi sono senza nucleo, cioè a nucleate come i famosi globuli Rossi maturi dei
mammiferi, perché nelle altre classi di vertebrati di eritrociti mantengono il nucleo, oppure possono avere
più di un nucleo perché sono appunto polinucleate poiché sono dei sincizi o altro, però di norma ce n’è uno.
La forma può essere sferica, può essere più allungata, può essere lobata in molti casi è comunque
rotondeggiante, quindi è sferica, e anche la posizione variabile in molti casi è una posizione centrale nella
cellula, ma in alcune cellule polarizzate e specializzate nella secrezione il nucleo tende ad essere più alla
base della cellula e lascia tutto il resto del citoplasma dalla base verso l’apice della cellula libero per stipare
in granuli di secrezione, le vescicole di secretorie.
Oppure un altro caso in cui il il nucleo è tutt’altro che centrale lo vedremo nel tessuto adiposo, gli adipociti
siccome sono pieni di di gocce lipidiche, il povero nucleo è schiacciato completamente alla periferia perché
non c’è posto praticamente quasi per lui, è un po’ quasi esiliato, esiliato no perché comunque dentro la
cellula però proprio lì da una parte in un Cantone come si direbbe.
caratteristica del nucleo e di essere delimitato e non è delimitato da una membrana bensì è delimitato da
due membrane tanto è vero che sarebbe più corretto parlare di involucro nucleare.
Involucro nucleare che è appunto una doppia membrana che sulla superficie presenta delle strutture
particolari che si chiamano PORI NUCLEARI, sono tanti, sono numerosi.
all’interno del delimitato quindi dal nostro involucro nucleare abbiamo dei sotto sottocompartimenti, che
non sono più delimitati da membrana ma sono caratteristici spesso per la loro composizione, magari perché
hanno specifiche proteine e perché svolgono particolari funzioni.
Ne distinguiamo almeno due principali
▪ il NUCLEOPLASMA che in pratica è una massa molto ricca di acqua, di ioni, di proteine e
soprattutto di cromatina
▪ il NUCLEOLO
Ci sono anche altri corpi nucleari, che però sono molto meno famosi molto meno anche compresi nelle loro
funzioni, io ve li cito solamente perché sappiate che oltre al nucleolo che viene considerato il principale
corpo nucleare ce ne sono anche altri tipo i corpi di Cajal, gli speakel, i paraspikel, me basta che voi
sappiate che esistono, nulla di più.
Quand’è che noi vediamo il nucleo della cellula? non sempre per dire la verità, lo vediamo solo in una fase
del ciclo cellulare che è la fase più lunga, peraltro, nella cellula che è la interfase.

NUCLEO INTERFASICO

Il ciclo cellulare
praticamente sono le
fasi di vita di ogni
cellula.
L’interfase è la fase
che occupa la maggior
parte del tempo e che
viene suddivisa in fase
G, fase S fase G2.
In pratica durante
queste fasi la cellula si
accresce, è impegnata
nella sintesi proteica,
nella fase S in particolare è impegnata nella duplicazione del DNA e nella fase g2 continua ad accrescersi
dimensionalmente a preparare tutti i componenti, tutti gli enzimi tutti, i materiali, che le servono per la
successiva fase M, cioè la fase mitotica, in cui la cellula appunto si divide, anzi, prima divide il suo nucleo, il
suo materiale nucleare nella mitosi e poi divide anche il suo citoplasma dando origine a due cellule distinte
tramite la citodieresi o citocinesi.
Allora io vedo il nucleo solo finché sono durante l’interfase, quando la cellula va ed entra in mitosi,
l’involucro nucleare si dissolve, quindi io non ho più la regione del nucleo delimitata, e il materiale genetico
che è contenuto all’interno del nucleo assume un’altra forma di condensazione, quindi avrò a che fare con
dei cromosomi ed entrò in contatto con il citoplasma, poi finita tutta la il procedimento si ricostituisce,
quindi quando noi descriviamo il nucleo ci riferiamo al nucleo interfasico, in questo senso.
Quindi vedete che qua si capisce bene, questa è una cellula vista microscopio ottico colorata con
ematossilina, questo è il nucleo, si vede bene l’involucro nucleare dentro tutto il contenuto questo è come
lo si vede il nucleo microscopia elettronica, questa invece è la fase m vedete che non vedo più io vedo solo
il materiale il materiale genetico sotto forma di cromosomi che si sta suddividendo grazie al fuso mitotico.
INVOLUCRO NUCLEARE

L’involucro nucleare è costituito da tre elementi:


una membrana esterna, che quindi si affaccia sul citosol, è sempre la solita membrana biologica quindi, un
doppio strato fosfolipidico con proteine,
che ha la caratteristica di essere in
continuità con la membrana del reticolo
endoplasmatico rugoso e come sul reticolo
sono presenti in rugoso i ribosomi, anche
sulla membrana esterna sulla faccia che dà
verso il citosol, sono presenti dei ribosomi.
Questa membrana esterna prende anche
contatto con elementi del citoscheletro, sempre presenti nel citoplasma, c’è poi un’altra membrana più
interna che si affaccia quindi sul nucleo plasma e questa membrana interna sempre dello spessore di 7-8
nanometri è sempre una membrana doppio strato fosfolipidico con proteine che prende contatto con una
lamina sottostante, tra la membrana esterna e la membrana interna c’è uno spazio che viene chiamato
spazio o lume, a volte indicato come spazio perinucleare di uno spessore variabile tra i 20 e i 50 nanometri.
Questo spazio è in continuità con il lume del reticolo
endoplasmatico. Quindi vedete c’è una continuità fisica fra le
membrane dell’involucro nucleare e la membrana del
reticolo endoplasmatico; quindi, si capisce molto bene che
fanno parte entrambi del sistema cosiddetto
endomembranoso. L’involucro nucleare non è continuo nel
senso che si interrompe a livello dei vari pori nucleari, in
corrispondenza dei pori, infatti, la membrana interna ed
esterna si fondono una con l’altra e lo si vede lo si vede bene
qua nell’immagine al TEM. Andiamo a vedere questa lamina
nucleare che si trova quindi al di sotto della membrana
interna dell’involucro, che quindi tappezza il versante
nucleare.

LAMINA NUCLEARE
Questa lamina è un reticolo di proteine filamentose, in particolare di filamenti intermedi, che sono una
delle classi diciamo una delle tre tipologie di costituenti del citoscheletro. La lamina nucleare costituita
da filamenti intermedi di una particolare classe, le lamine del sesto gruppo, questo lamina nucleare c’è
dappertutto tranne che in corrispondenza dei pori, dove ci sono i pori sotto la lamina, non c’è, è
interrotta.
Che funzione ha questa lamina? qui lo vedete molto bene come è fatta intreccio in questa immagine a
SEM, a questa lamina si deve probabilmente la forma che ha il nucleo e il mantenimento di questa
forma, si deve anche una certa forma di supporto meccanico che viene dato al nucleo e siccome la
cromatina sia ancora in diversi punti alla lamina, probabilmente ha anche un ruolo di regolazione nei
processi che coinvolgono la cromatina, quindi nei processi anche di trascrizione.

IL COMPLESSO DEL PORO NUCLEARE

Il poro nucleare è una struttura proteica, che prende il nome di CPN complesso del poro nucleare, che
presenta una tipica simmetria ottagonale.
Vedete bene da questo schema che ogni complesso del poro attraversa completamente lo spessore
dell’involucro nucleare e sporge sporge sia sul versante citoplasmatico, sia sul versante nucleare, è
costituito da copie di diversi tipi di proteine, oltre 30 (da 30 a 50 proteine entrano nella costituzione di
questi complessi) e queste proteine vengono dette NUCLEO PORINE appunto perché costituiscono i pori
nucleari.
Ogni complesso del poro, la struttura organizzata in tre anelli:
partiamo dall’anello centrale, che è un po’ l’impalcatura del mio del mio poro, si ancora con delle proteine
di ancoraggio all’involucro nucleare, qui potete apprezzare bene come a livello dei pori vedete la
membrana esterna e la membrana interna dell’involucro si fondano assieme.
Questo anello centrale individua al centro uno spazio che potrà essere attraversato dal materiale che deve
spostarsi dal nucleo verso il citoplasma e dal citoplasma verso il nucleo, il diametro di questo canale può
essere modificato in base all’esigenza di quello che si deve trasportare.

Al di sopra dell’anello centrale verso il citoplasma abbiamo un anello citoplasmatico, che vedete si estende
verso il citoplasma sia con i suoi costituenti sia con dei filamenti proteici che si dipartono appunto dagli
elementi dell’anello citoplasmatico.
Sotto l’anello centrale invece abbiamo l’anello nucleare, questo anche lui sporge ma sporge dall’altra parte
verso il nucleoplasma e al di sotto di questo anello nucleare ci sono delle proteine che si organizzano a dare
una struttura a gabbia che si chiama CANESTRO NUCLEARE, proprio che ha la forma di un canestro.
I pori nucleari sono molto importanti ma prima di dire perché sono importanti vi mostro con delle immagini
al TEM che le due facce del poro, quella verso il citoplasma e quella verso il nucleoplasma appaiono diverse
morfologicamente, questa è la faccia citoplasmatica in cui si si vedono questi filamenti citoplasmatici
questa è la faccia nucleare in cui invece si apprezzano molto bene questi, che sono i canestri, (vedete ogni
poro ha il suo canestro nucleare) quindi dall’immagine io riconosco non solo i pori ma riconosco anche se li
sto guardando da dentro al nucleo o da fuori nel nucleo.

Perché sono importanti i pori?

Perché i complessi del poro nucleare sono gli UNICI


canali che permettono il trasporto di molecole dentro
e fuori dal nucleo, quindi sono dei siti bidirezionali di
passaggio di molecole.
Con quale discriminante? le molecole più piccole fino
a 40 kDa attraversano i pori per semplice diffusione,
quindi diffusione con trasporto di tipo passivo.
Le molecole invece più grandi quindi superiori a
40kDa passano anche loro necessariamente per i pori
ma in questo caso passano per trasporto attivo e
passano, se e solo se, queste molecole, che vogliono
attraversare i pori, hanno una sequenza segnale delle
specifiche sequenze che possono essere riconosciute
da degli specifici recettori quindi passaggio attraverso
i pori nucleari è un passaggio altamente specifico
selezionato e regolato.
quindi queste sequenze di localizzazione nucleare che
danno segnale che quella molecola deve essere
portata dentro al nucleo, queste sequenze vengono riconosciute da dei ricettori che vengono chiamate
IMPORTINE, nel senso che permettono di importare quella molecola dal citoplasma dentro il nucleo.
invece quando devo fare il processo inverso quindi dal nucleo il materiale deve uscire nel citoplasma, passa
attraverso i pori nella misura in cui le molecole sono dotate di una sequenza di esportazione nucleare e
vengono riconosciute da dei recettori che si chiamano ESPORTINE.
Solo quando i recettori si sono legate alle molecole segnale sono in grado di interagire con i costituenti del
complesso del poro e permettere le modifiche conformazionali che fanno passare le molecole attraverso il
canale centrale del poro.
Cos’è che passa di qua e di là dai pori, quindi tra il nucleo e il citoplasma?
allora dal nucleo verso il citoplasma abbiamo l’RNA messaggero, i vari RNA transfer e anche le subunità
ribosomiali che vengono costruite a livello del nucleolo.
Dal nucleo dove tutte queste cose vengono sintetizzate e prodotte, poi vengono esportate nel citoplasma
perché è là che poi servono per la loro funzione, cioè permettere la sintesi proteica.
Ma vengono anche dei passaggi nell’altro senso, quindi ci sono diversi enzimi coinvolti nella duplicazione,
nella trascrizione, che vengono prodotti nel citosol e che poi entrano dentro al nucleo.
Ci sono anche gli istoni che sono proteine particolari che si complessano al DNA per dare la cromatina che
pure vengono prodotti nel citoplasma e poi vengono portati dentro il nucleo tramite i pori, le lamine stesse
che servono per costruire la lamina nucleare che viaggiano dal citoplasma dentro al nucleo ma anche vari
altri molecole utili come nucleotidi e l’ATP che servono poi per la sintesi degli acidi nucleici.
Qual è il contenuto quindi del nucleo?

LA CROMATINA

Dentro al nucleo, nel


nucleoplasma la
protagonista è
CROMATINA.
Che cos’è la cromatina?
È l’insieme di DNA e di
speciali proteine (pistoni)
che sono associati al
DNA.
La cromatina è una
massa fibrillare che è
diffusa nel nucleo
durante tutto il periodo
della interfase, ma quando la cellula va in mitosi accade che la cromatina si condensa quindi si impacchetta,
diventa sempre più avvolta su sé stessa, fino a dare delle singole unità riconoscibili che posso contare che
hanno una forma ben distinguibile che sono i CROMOSOMI.
In pratica cromosomi e cromatina, dal punto di vista chimico, sono la stessa cosa, sono sempre di DNA +
proteine, quello che cambia è lo stato di condensazione, la cromatina è molto meno condensata rispetto ai
cromosomi ed è un bene che finché la cromatina che è quella meno condensata è tale, cioè in forma di
cromatina, ci sia l’involucro nucleare che la protegge da eventuali insulti anche meccanici così, quando
durante la mitosi la cromatina si condensa cromosomi l’involucro nucleare non c’è più, però sotto forma di
cromosomi, il DNA è un po’ meno vulnerabile ed meno probabile che possa subire degli sgarbi.
Noi avevamo lasciato il DNA nella nostra descrizione come DNA a doppia elica però in realtà non è
sistemato così dentro al nucleo perché se il DNA fosse della sua lunghezza normale, per esempio nelle
cellule umane con 46 cromosomi, sarebbe lungo metri e invece noi abbiamo l’esigenza di tenere tutto quel
materiale genetico dentro ad un nucleo che abbiamo visto avere un diametro di 5 micron, quindi occorrono
dei processi di condensazione, una organizzazione strutturale della cromatina, tale per cui possa occupare
uno spazio molto più ristretto, per cui questa immagine dimostra i livelli successivi di condensazione di
impacchettamento della cromatina, dalla forma meno condensata che è il normale DNA a doppia elica, fino
alla forma più condensata che è quella del cromosoma in metafase. In mezzo tra queste cose abbiamo dalla
doppia elica che un diametro di due nanometri, abbiamo la classica struttura a collana di perle con la
formazione dei nucleosomi cioè due giri di DNA attorno ad un ottamero di istoni e tra una perla e l’altra il
filo che le congiunge non è altro che altro DNA che viene chiamato DNA linker, cioè di collegamento, già
con questo sistema accorcia la lunghezza perché il DNA si avvolge come un film attorno un rocchetto
attorno a agli istoni e ho intanto anche un ispessimento quindi passo a 10 metri di diametro, ulteriormente
questa collana questa filo di perle si avvolge e si impacchetta su se stesso per dare la fibra di cromatina
spessa 30 nanometri con delle interazioni fra listoni è fra i DNA linker, che a sua volta si passa ad una livello
di condensazione superiore dando ai cosiddetti domini ad ansa e questi ulteriormente si impacchettano a
dare una cromatina molto condensata che è quella caratteristica del singolo cromatidio, e siamo a 700
nanometri e nel cromosoma già duplicato che è costituito da due cromatidi fratelli, uno spessore di 1400
nanometri quindi abbiamo diversi livelli di impacchettamento.
La cromatina occupa solo alcune specifiche regioni che vengono per questo denominate domini o territori
cromosomici, cromosomici perché in ciascuna di queste regioni si è visto ci sta la cromatina che una volta
condensata dà origine ad un singolo cromosoma che quindi non ho una massa sparpagliata di cromatina,
ma è ordinata in questi territori e questo si è capito facendo delle indagini con le l’imminofluorescenza.
Tra un territorio cromosomico e l’altro, come li vedete in questo schema, ci sono degli spazi dove non c’è
cromatina ma ci sono degli RNA e altre molecole e questi territori vengono chiamati DOMINI INTER
CROMOSOMICI cioè tra un cromosoma e l’altro oppure anche detti spazi intercromatinico.
Questi spazi sono molto importanti perché sono gli spazi a livello dei quali è possibile il passaggio di
molecole e possono avvenire i vari processi, mentre dove c’è la cromatina questi passaggi non possono
avvenire.

EUCROMATINA E ETEROCROMATINA

La cromatina lo vediamo bene in questa immagine di un nucleo al TEM, può essere più o meno elettron
densa, più o meno scura e infatti noi distinguiamo nella cromatina due stati:
● la EUCROMATINA
● LA ETEROCROMATINA
La eucromatina che di solito più chiara, meno elettron densa, che di solito occupa la maggior parte del
nucleo è più chiara perché è meno condensata e siccome è meno condensata cioè meno impacchettata, ha
una struttura che permette la trascrizione, quindi si dice che è trascrizionalmente attiva, sotto questa
forma I geni possono essere trascritti e poi proseguire verso la traduzione Per contro la eterocromatina è
una cromatina che appare molto più scura, molto più elettron densa perché è molto più condensata
rispetto alla eucromatina, questa essendo così tanto condensata non può essere trascritta quindi si dice
che è trascrizionalmente inattiva, quindi sono geni silenziati dato che non possono essere trascritti.
L’ eterocromatina ci sono delle zone tipicamente nel nucleo con la con la
eterocromatina di solito al di sotto dell’involucro nucleare per esempio
un po’ attorno al nucleolo e della eterocromatina distinguiamo la
eterocromatina costitutiva quindi quella che è sempre perennemente
permanentemente in uno stato condensato, per esempio di questo tipo
sono i tratti di DNA attorno al centromero sono sempre di
eterocromatina costitutivi e invece c’è una parte di eterocromatina che
cosiddetta facoltativa cioè che può trovarsi condensata in alcuni tipi
cellulari e in alcuni organismi ma non lo è in altri quindi dipende dal tipo
cellulare.
Un esempio di eterocromatina facoltativa, quindi questo cambia perché magari in alcune cellule che
esprimono certi geni, quei geni sono sotto forma di cromatina eucromatina, in altri tipi cellulari in cui quei
geni non c’è bisogno che siano espressi, viene invece tenuta sotto forma di eterocromatina quindi questo
varia a seconda delle cellule.
Il corpo di Barr, cosiddetto è un esempio di eterocromatina facoltativa e non è altro che uno dei due
cromosomi X che si trova nelle cellule somatiche di tutte le femmine di
mammifero, per compensare non avere più materiale rispetto ai maschi
di x ne hanno uno solo, precocemente durante lo sviluppo uno dei due
cromosomi X , viene reso silenzioso rendendolo iper condensato e
quindi lo si percepisce come questo corpo più scuro che viene prende il
nome di corpo di Barr, etrocromatina facoltativa.
Lo vedete bene, tutte queste parti così scure quasi nere sono di
eterocromatina, mentre queste parti più chiare sono la eucromatina e
solito più una cellula avanti nella specializzazione nello sviluppo,
maggiore la quantità di eterocromatina rispetto a quando invece in una fase ancora iniziale.
IL NUCLEOLO

Dentro al nucleoplasma si individua questo questa


struttura, questo organulo, relativamente grande
rispetto alle dimensioni del nucleo perché arriva a essere
3-8 micron, che non è delimitato da membrana ma
siccome appare abbastanza scura(elettron denso) lo si
vede abbastanza chiaramente che è costituito
fondamentalmente da RNA e proteine ma che anche una
parte di DNA tra i suoi costituenti. Il nucleolo ha una
funzione fondamentale che è quello di generare, di
produrre i ribosomi. Cioè è la sede della biogenesi dei
ribosomi, cioè qui vengono prodotte le due subunità di
cui sono fatti i ribosomi, ma questa anche se è quella più
importante e più nota, non è l’unica questione del
nucleolo che, è anche la sede in cui vengono trascritti e
in cui iniziano la maturazione le molecole dell’RNA
transfer. Quanti nucleoli ci sono dentro ad una cellula è
variabile, ci possono essere uno o più nucleoli, anche
numerosi, questo in base non solo alla specie ma in base
soprattutto al tipo cellulare e all’attività sintetica della cellula. Se una cellula è impegnata nella sintesi
proteica, più nucleoli avrà perché vorrà dire che dovrà fare tanti ribosomi per poter provvedere alla sintesi
proteica, quindi, c’è sempre questa correlazione fra struttura e funzione lo ricordiamo sempre.
Ricordiamo sempre è di solito più una cellula all’inizio quindi si sta si sta accrescendo più sintesi proteica fa
e quindi maggiore numero di nucleoli di solito se io vedo che la cellula anche nucleoli quelle da già
un’indicazione sulla vita della cellula sulle sue caratteristiche funzionali nel nucleo io distinguo tre regioni
per la verità non è facile distinguere tant’è che sia nel il vostro testo, ci sono delle immagini di copia
elettronica da cui uno dovrebbe capire le tre regioni che francamente neanche io le vedo così
distintamente. Quindi ho cercato in un altro testo queste immagini che è un pochettino più chiara in pratica
il nucleo è una massa, in parte granulare e in parte fibrillare. Le tre regioni sono il centro fibrillare indicato
con CF o FC (a seconda che lo dica all’italiana o all’inglese), e un corpo vedete più chiaro quindi poco
elettron denso, visto al TEM, in cui sono presenti i geni che codificano per gli rRNA cioè per gli RNA
ribosomiale e oltre a questo qui è presente anche la rRNA polimerasi, cioè l’enzima fondamentale per il
processo di trascrizione.
Attorno al centro fibrillare quindi proprio gli fa da sciarpetta abbiamo la componente fibrillare densa CFD
questa è un po’ più scura, un po’ più elettron densa e contiene gli rRNA quindi già trascritti sia quelli maturi
sia quelli già maturi e diversi fattori trascrizionali, poi la maggior parte del nucleo è occupato dalla
componente granulare CG o GC, dove appunto vedo questi granuli che non sono altro che le subunità
ribosomiali, a diversi stadi di assemblaggio, quindi più o meno pronti per essere poi esportati fuori dal
nucleo nel citoplasma dove faranno il loro dovere.
Quindi ecco perché nel nucleolo ho sia L’ RNA, sia le proteine, sia il DNA.
Ho l’RNA perché devo trascrivere gli RNA ribosomiali che mi servono per fare i ribosomi, ho le proteine che
deve unire agli RNA ribosomiali per fare i ribosomi, (che sono state prodotte nel citoplasma ma che
vengono importate poi dentro al nucleo) e poi ho anche il DNA perché ho quelle parti di DNA di vari
cromosomi che contengono la ricetta per gli RNA ribosomiali.
Il, nucleo visto che abbiamo finito il percorso di descrizione, lo riguardiamo con diverse tecniche possibili; a
sinistra un’immagine e di un
nucleo visto al TEM, un nucleo
all’interno sicuramente di una
cellula secretoria perché ci sono
tutti questi granuli secretori nel
citoplasma; questo è il nucleo di
un organulo prominente, cioè di
dimensioni importanti,
distinguiamo bene zone più
scure, più elettron dense di
eterocromatina e dove c’è anche
il nucleolo e di zone più chiare di
eurocromatina; le altre due
immagini sono invece immagini
a fluorescenza che mi servono per mettere in evidenza alcune strutture; alcune componenti particolari.
Queste immagini al microscopio confocale, vedete, che è stato usato un anticorpo speciale diretto contro le
lamine, che sono le proteine che costituiscono la lamina nucleare, e infatti la vedete in verde tutto intorno
a tappezzare l’involucro nucleare dall’interno, e poi un colorante fluorescente di cui vi ho già parlato, che è
il dapi, colora in blu solamente il DNA che quindi ci mostra come la maggior parte del nucleo si colori di blu
perché il nucleoplasma è dominato in molte parti dalla presenza della cromatina quindi del DNA.
A destra invece è un’immagine sempre a fluorescenza in cui ho usato un colorante fluorescente che è
l’arancio di acridina che mi va a colorare in verde entrambi gli acidi nucleici quindi sia il DNA che L’RNA, così
metto in evidenza non sono molto bene i nuclei ma anche, all’interno dei nuclei, i nucleoli.
Vedete bene che alcune cellule ne hanno ben più di uno, quindi sono cellule molto attive nella sintesi.
Bene abbiamo concluso con il nucleo, passiamo ai ribosomi.

I RIBOSOMI

Sono degli organuli che ritroviamo sia nelle cellule procariotiche che nelle cellule eucariotiche, quindi
accompagnano tutte le cellule.
Sono degli organuli piccolini, considerate che un solo complesso del poro è circa 40 volte un ribosoma,
questo per darvi un’idea.
Quindi sono piccolini, li possiamo vedere
chiaramente solo al microscopio elettronico; non
sono contornati da membrana quindi esistono
anche degli organuli non contornati da membrana.
Sono formati da due subunità:
● Una subunità maggiore, più grande
● Una subunità inferiore, più piccola
Badate bene però che le due subunità sono
associate solamente quando è il momento della
sintesi proteica, se non c’è sintesi proteica in atto
le due subunità se ne stanno separate ognuna per i
fatti suoi.
Dei ribosomi già sappiamo qualcosa, sappiamo
dove vengono fatti, all’interno del nucleo, precisamente a livello del nucleolo dove vengono messi insieme i
due ingredienti di cui sono fatti i ribosomi, cioè gli RNA ribosomiali, che vengono prodotti all’interno del
nucleo e delle proteine ribosomiali che vengono invece sintetizzate nel citoplasma e che quindi poi dal
citoplasma migrano dentro al nucleo e si assemblano con gli RNA per dare e appunto le subunità
ribosomiale quindi visto che sono fatti di RNA e di proteine, ribosomi non sono altro che ribo-nucleo-
proteine.
I ribosomi hanno un ruolo chiave che abbiamo già detto, cioè quello di essere la sede della sintesi proteica.
È sui ribosomi che avviene la traduzione, quindi quell’ultimo passaggio che permette il flusso
dell’informazione genetica; è ovvio che siccome servono per la sintesi proteica, in quali cellule io avrò tanti
ribosomi? Nelle cellule che sono attivi nella sintesi proteica, che sono attivi per esempio nei processi di
secrezione, lì mi aspetto di trovare tanti ribosomi, mentre nelle cellule abbastanza passive e pigre, che non
producono o producono poche proteine, avrò pochi ribosomi.
Se ho tanti limoni di solito mi aspetto di avere anche più di un nucleolo poi all’interno del nucleo.
Spesso i ribosomi lavorano non in singolo ma in gruppo, formando i cosiddetti POLIRIBOSOMI o POLISOMI,
una serie di ribosomi che lavorano in sequenza per ottimizzare e rendere più veloce il processo di
produzione delle proteine.
In base a dove sono i ribosomi nella cellula io distinguo i cosiddetti
● Ribosomi liberi
● Ribosomi legati
I liberi sono quelli che sono sospesi, dispersi nel citosol; invece, i ribosomi legati sono quelli che sono
associati a delle membrane, in particolare troviamo i ribosomi associati alla membrana esterna
dell’involucro nucleare e alla membrana del reticolo endoplasmatico; quando sono associati alla
membrana del reticolo danno origine al cosiddetto reticolo endoplasmatico rugoso.
Hanno una diversa localizzazione però sono sempre fatti nello stesso modo e svolgono sempre la stessa
funzione, cioè della sintesi proteica e vi dirò di più, sono anche interscambiabili cioè, dei ribosomi associati
si possono staccare dalle membrane e diventare ribosomi liberi e anche il contrario; quindi, non è una
situazione fissa immodificabile.

RIBOSOMI PRO- ed EUCARIOTICI

Abbiamo detto che i


nomi che ci sono sia nelle
cellule eucariotiche che
procariotiche, sono
esattamente identici.
Funzionano allo stesso
modo e hanno lo stesso
ruolo, cioè di di
presiedere alla sintesi
proteica, però hanno
diverse dimensioni e una
diversa composizione
molecolare; diverse
dimensioni nel senso che
i ribosomi procariotici
sono più piccoli rispetto a quelli eucariotci; in particolare un ribosoma procariotica ha un coefficiente di
sedimentazione di 70 Svedberg, questo vuol dire la S, mentre il ribosoma eucariotico di 80 Svedberg.
Ovviamente il coefficiente, velocità di sedimentazione è maggiore, maggiore è la dimensione, quindi
l’ingombro dei ribosomi.
Ciascuno è formato da due subunità, ciascuna caratterizzata da un proprio coefficiente di sedimentazione.
Questi sono gli ingredienti di cui sono fatti i ribosomi di mammifero, una subunità e l’altra una serie di RNA
di lunghezza variabile e varie tipologie di proteine ribosomiali.
Il fatto che i ribosomi procariotici abbiamo una composizione molecolare diversa rispetto a quella dei
ribosomi eucariotici è una cosa importante, sfruttata a livello farmacologico, nel senso che ci sono alcuni
farmaci che in modo selettivo riescono a bloccare l’azione solamente dei ribosomi procariotici e quindi dei
batteri che stanno infettando una persona, senza andare a bloccare anche l’azione dei ribosomi delle
cellule della persona che assume quei farmaci.
Quindi in questo caso ci fa gioco e viene sfruttata questa diversa composizione che si traduce in una diversa
sensibilità in risposta agli eventuali farmaci (così anche la streptomicina).
19 ottobre 2022

RIBOSOMI PRO- ed EUCARIOTICI:

Nel dire le differenze fra i ribosomi pro- ed eucariotici abbiamo parlato della loro diversa
dimensione, sono più piccoli quelli procariotici e più grandi quelli eucariotici.
Infatti quelli procariotici sono ribosomi cosiddetti 70s, e quelli eucariotici 80s,
dove la “s” è l’unità di misura Svedberg che indica il coefficiente
di sedimentazione, cioè quanto velocemente i ribosomi sedimentano
dopo che sono stati centrifugati.

La velocità di sedimentazione dipende da vari fattori, in primis da quanto


sono grandi (dalla massa, dal volume, dal peso), ma anche dalla forma,
dalla superficie disponibile all’attrito durante la sedimentazione.

Quindi quando c’è il ribosoma completo, con la sua subunità maggiore e minore, nel complesso ho
un valore di coefficiente di sedimentazione 70s che non è la somma del coefficiente di
sedimentazione delle due subunità quando sono staccate l’una dall’altra.
Questo perché quando esse sono staccate c’è una certa forma, una certa superficie; quando invece si
uniscono a formare un unico corpo il coefficiente di sedimentazione varia perché è variata la forma
della molecola complessiva rispetto alle due singole.

È normale quindi che i singoli coefficienti di sedimentazione delle due subunità ribosomiali
sommati siano maggiori di quanto non sia il coefficiente di sedimentazione del ribosoma completo.
Questo vale sia per quelli procariotici che per gli eucariotici:

Procariotici à 50s + 30s = 70s (non 80s)


Eucariotici à 60s + 40s = 80s (non 100s)

Abbiamo detto che i ribosomi sono diversi in dimensioni e in


composizione molecolare, e visto che noi parliamo di cellule
animali ci siamo soffermati su questa immagine che fa vedere
esattamente quali sono i componenti in termini di proteine e di
tipologie di rRNA delle due subunità per quanto riguarda le
cellule dei mammiferi.

Andiamo un po’ più nel dettaglio di queste due subunità


ribosomiali.

Abbiamo già detto che per la maggior parte del tempo stanno
separate a parte quando è in corso la sintesi proteica dove le due
subunità prendono contatto e formano il ribosoma completo e
attivo.
Ciascuna delle due subunità dal punto di vita chimico è composta da rRNA, cioè RNA di tipo
ribosomiale che costituisce il 60% del peso dei ribosomi. Abbiamo già visto che gli rRNA vengono
prodotti in un comparto del nucleo che è il nucleolo.

Gli rRNA vengono poi assemblati con l’altro costituente dei ribosomi che sono le proteine
ribosomiali, restante 40% del peso, queste invece vengono prodotte nel citoplasma, quindi poi
migrano dentro il nucleo, vengono assemblate con gli rRNA e costituiscono le due subunità.
Tali subunità lasciano in seguito il nucleo per andare nel citosol passando attraverso i pori nucleari
(unico passaggio possibile, utilizzato in precedenza anche dalle proteine per passare dal citosol al
nucleo).

Le proteine dei ribosomi non hanno una funzione enzimatica, ma hanno una funzione strutturale.
La funzione enzimatica catalitica ce l’ha l’rRNA definito per questa ragione ribozima, quindi un
RNA capace di catalisi (cosa che solitamente fanno gli enzimi).

La subunità cosiddetta maggiore contiene una piccola depressione sulla quale si va ad incastrare la
subunità inferiore (sia nei procarioti che negli eucarioti).
Oltre alla depressione ha anche 3 siti di legame specifici che servono per la progressione della
sintesi proteica.

In particolare, abbiamo il sito P al centro dove si attacca l’RNA transfert (tRNA), che porta
agganciata la catena polipeptidica che si sta formando/allungando.
A fianco abbiamo il sito A che porta il tRNA con l’amminoacido che va attaccato alla catena
polipeptidica che si sta formando.
Dall’altra parte c’è il sito E, sito di uscita, in cui ce il tRNA che ha già rilasciato il suo
amminoacido e quindi si allontana.

Ovviamente tutto viene traslocato fino a quando non si arriva a leggere tutto l’mRNA che si trova
ad essere tra le due subunità.

La subunità minore, quella inferiore, ha di caratteristico il fatto che è essa a possedere il sito di
legame che aggancia l’mRNA.
Quindi prima c’è l’aggancio della subunità inferiore con l’RNA messaggero e poi l’aggancio con la
subunità maggiore per dare il ribosoma completo.

Tutto questo ambaradan del ribosoma completo mi serve per tenere allineati nel modo corretto tutti
i protagonismi della traduzione (mRNA, i diversi tRNA, la catena polipeptidica in via di
formazione).

I ribosomi sono dei singoli organuli


piccoli, molto numerosi nella cellula
che tendono a lavorare in gruppo e
vanno a formare delle associazioni che
prendono il nome di poliribosomi o
polisomi.

Tali ribosomi sono vicini l’uno all’altro e


collegati insieme dalla stessa molecola di
mRNA che mano a mano viene letta da un
ribosoma e poi prosegue per essere letta dal ribosoma successivo.
Quando ce in poliribosoma in azione si ottiene una fila di ribosomi collegati dalla stessa molecola di
mRNA che tutti stanno leggendo e traducendo nello stesso momento, in rapida sequenza.

Questi poliribosomi contengono un numero variabile di ribosomi che può andare da 3 fino a 30.

I poliribosomi possono esseri liberi, quindi costituiti da ribosomi liberi, cioè che si trovano nel
citosol, oppure possono essere poliribosomi legati, cioè costituiti da ribosomi che sono associati alla
membrana del reticolo endoplasmatico o alla membrana esterna della membrana nucleare (le due
sedi in cui si trovano i ribosomi legati).
Nei poliribosimi legati ciò che prende contatto con la membrana è la subunità maggiore.

Qual è il vantaggio di fare questo?


Invece di avere un ribosoma che inizia e finisce la traduzione di un mRNA e solo dopo che l’ha
finita lui il processo comincia in un altro ribosoma, così si rende tutto più efficiente perché la stessa
molecola viene letta da una serie di ribosomi.
C’è un risparmio di tempo dato che vengono prodotte più copie dello stesso polipeptide.

Questa immagine mostra dei poliribosomi in una cellula procariotica,


quindi ovviamente saranno poliribosomi liberi nel citosol dato che i
procarioti non hanno il reticolo endoplasmatico.
L’escamotage dei poliribosomi è quindi anche presente nei procarioti
oltre che negli eucarioti.

Che cosa cambia tra ribosomi liberi


e ribosomi legati?

Dal punto di vista strutturale e di


composizione chimica niente, tant’è
vero che si possono alternare l’uno
all’altro, cioè ribosomi legati posso
staccarsi e diventare liberi e
viceversa.

La differenza, quindi, sta nelle proteine che producono: la destinazione delle proteine cambia a
seconda che siano fatte dai ribosomi, o poliribosomi, liberi o legati.
Andiamo quindi ad elencare quali proteine sono fatte da uno e quali sono fatte dall’altro; questo ci
aiuterà anche a capire quali cellule avranno più ribosomi liberi rispetto a quelli legati e viceversa in
base alla funzione di quella specifica cellula.

à Ribosomi e polisomi liberi:


• proteine che devono rimanere e devono essere utilizzate nel citosol.
Alcuni esempi sono gli enzimi che catalizzano le prime reazioni della via glicolitica (la
glicolisi), le proteine che costituiscono i filamenti del citoscheletro.
• proteine che hanno come localizzazione finale il nucleo.
Ad esempio quelle che andranno ad associarsi agli rRNA per fare le subunità, o le varie
proteine enzimatiche che servono per la duplicazione o la trascrizione del DNA.

• proteine che entreranno nella costituzione dei perossisomi e dei mitocondri.

• proteine periferiche delle membrane, soprattutto quelle della faccia interna.

à Ribosomi e polisomi legati:


• proteine da lasciare fuori dalla cellula, da esportare, quelle che devono essere secrete.

• proteine che costituiscono le membrane (sia la membrana cellulare, sia degli organuli interni
tranne quelle già citate dei perossisomi e dei mitocondri).

• proteine solubili che troviamo dentro i comparti di alcuni organuli.


Ad esempio gli enzimi che ci sono all’interno dei lisosomi, o quelli dentro all’apparato di
Golgi.

Una volta che le proteine vengono sintetizzate, o


dai ribosomi liberi o da quelli legati, come
vengono smistate nella cellula?

Esistono 2 modalità/vie di smistamento delle


proteine:
- via co-traduzionale
- via post-traduzionale

La via co-traduzionale indica che lo smistamento


comincia già mentre si sta verificando la traduzione,
in contemporanea.
La via post-traduzionale indica che lo smistamento ha luogo solo dopo che è finita la traduzione,
quando ho già la proteina.

Tutto il lavoro di smistamento è efficace e può avvenire grazie alla presenza di sequenze segnale.
Queste sono delle serie di amminoacidi che si trovano lungo la proteina, le sequenze vengono
riconosciute da dei recettori di smistamento che sono nella sede in cui deve arrivare la proteina
prodotta (sono localizzate nella membrana degli organuli di destinazione).

La sequenza segnale può essere in vari punti della proteina, non necessariamente alle estremità, ma
anche in un punto centrale.
Ci sono anche delle proteine prodotte prive di sequenza segnale e sono quindi destinate a rimanere
nel citosol, non devono spostarsi.
1- VIA CO-TRADUZIONALE:
Nella sintesi delle proteine si parte sempre da dei ribosomi liberi, dopodiché se la proteina che si sta
formando contiene una determinata sequenza segnale, questa fa avvicinare il ribosoma al reticolo
endoplasmatico e la sintesi proseguirà come ribosoma legato, e le proteine verranno ad essere
formate a livello del reticolo endoplasmatico.

Mano a mano che la proteina si forma verrà poi rilasciata all’interno del RE fino a che non si
completerà la sua sintesi; a questo punto alcune di queste proteine rimarranno all’interno del RE,
altre lo lasceranno sulla base della loro sequenza segnale per andare verso il Golgi a costituire il
lisosoma o le vescicole di secrezione, o per raggiungere la membrana plasmatica.

Si vede però come lo smistamento delle proteine inizi in contemporanea alla sintesi delle proteine.

2- VIA POST-TRADUZIONALE:
La sintesi delle proteine inizia e si conclude sui ribosomi liberi, e una volta completata la sintesi il
polipeptide verrà smistato o nel citosol se non possiede nessuna sequenza segnale, oppure può
essere inserito in un organulo (perossisomi, mitocondri, nucleo o anche cloroplasto per le cellule
vegetali).
IL RETICOLO ENDOPLASMATICO

Significa letteralmente “rete all’interno del citoplasma”.

Anche se il RE può essere più o meno esteso a seconda


del tipo di cellula molto spesso occupa una buona parte
del volume cellulare.
Le membrane molto frastagliate e interconnesse
costituiscono quasi la metà di tutte le membrane
biologiche della cellula animale.

Stiamo quindi parlando di un organulo molto


importante date le molte funzioni che svolge.

Da un punto di vista morfologico lo possiamo descrivere come un labirinto di tubuli e di sacchi


appiattiti definiti “cisterne”, il numero dei tubuli e delle cisterne dipende da quale RE trattiamo.

Il RE è in continuità con l’involucro nucleare, in particolare con la membrana esterna dell’involucro


nucleare.
La presenza della membrana del reticolo mi va a delimitare uno spazio interno separato rispetto
all’ambiente citosolico e lo spazio interno prende il nome di lume.

Anche questo lume ha una continuità con lo spazio che c’è fra le due membrane interna ed esterna
dell’involucro.
Quindi la membrana esterna dell’involucro è in continuità con la membrana del reticolo, e lo spazio
interno del reticolo, cioè il lume, è in continuità con lo spazio fra le due membrane dell’involucro.

Ci sono 2 tipi di reticolo connessi tra di loro, e si differenziano sia dal punto di vista morfologico
strutturale, sia dal punto di vista funzionale.
I 2 tipi di reticolo sono:
- il reticolo endoplasmatico rugoso, RER. È quello più vicino al nucleo.
- il reticolo endoplasmatico liscio, REL

La differenza riguarda la presenza nell’uno e assenza nell’altro di ribosomi; il RER possiede i


ribosomi che si trovano sulla faccia citoplasmatica, mentre nel REL non ci sono ribosomi.

Il RE svolge molti processi metabolici, quindi è una sede fondamentale della biosintesi di molecole
che occorrono alla cellula, e in particolare è il produttore, il fornitore, dei costituenti per le
membrane di tutta la cellula.

Quanto appena detto sono informazioni generali, ora vediamoli nello specifico.

RETICOLO ENDOPLASMATICO RUGOSO

Entrambe le immagini sono di microscopia elettronica sennò sarebbe difficile vedere il RE al


microscopio ottico, lo si può vedere solo nelle cellule dove ce n’è tanto e dove si fanno delle
specifiche colorazioni che lo mettono in evidenza.
Queste specifiche colorazioni vanno fatte con dei
coloranti basici perché si agganciano al RER che avendo
nei ribosomi acido ribonucleico sono affini ai coloranti
basici; solo in questo modo io lo visualizzo al
microscopio ottico.

A sinistra c’è un’immagine di una cellula sezionata


(TEM), mentre a destra c’è un’immagine al SEM che mi
da la tridimensionalità del reticolo.

Il reticolo rugoso è quello più vicino spazialmente al nucleo, e infatti è in continuità con l’involucro
nucleare, tant’è che quest’ultimo nella sua faccia esterna trovo dei ribosomi.

Nel RER trovo un’organizzazione in cisterne, quindi di strutture che sono delle sacche appiattite.

C’è inoltre una regione del RER che prende il nome di reticolo di transizione, è da questa parte che
si formano le vescicole che lasciano il reticolo e sono dirette verso l’apparato di Golgi dove il
contenuto delle vesciche verrà rimaneggiato.

Ovviamente il fatto che il reticolo rugoso ha dei ribosomi vuol dire già che sintetizzerà delle
proteine, e in particolare le proteine che hanno determinate destinazioni (fuori dalla cellula, nelle
membrane di altri organuli, ecc).

à Quindi dove ci aspettiamo di trovare tanto reticolo rugoso?


In cellule, ad esempio, come le cellule del pancreas (sia endocrino perché producono l'insulina,
ormone proteico, sia esocrino, quelle acinose che hanno il compito di secernere gli enzimi
digestivi).
Anche nelle cellule mucipare, quelle che producono muco costituito da proteine, esse si trovano sia
nell’apparato respiratorio che nell’intestino.
Nelle plasmacellule, cioè linfocito B attivati dall’incontro con un antigene, e in seguito a questo
incontro iniziano la produzione degli anticorpi specifici per il determinato antigene.
A livello dei neuroni abbiamo abbondante RER e ribosomi liberi che spesso si individuano delle
zone che si trovano nel corpo cellulare del neurone e che prendono il nome di zolle di Nissl o zona
tigroide.

Quali sono le funzioni del RER?


Chiaramente sono legate al fatto di possedere i ribosomi legati.

Nel reticolo avviene la sintesi di proteine, e


anche una loro maturazione, cioè a queste
proteine nel RER vengono fatte delle
modifiche post-traduzionali.

Un’importante modifica è la formazione di


ponti di solfuro che viene catalizzata da un
enzima proteina disolfuro isomerasi.
Questo enzima forma ponti di solfuro, quindi
legami S-S, fra aa che possiedono gruppi -SH,
cioè la cisteina.
I ponti di solfuro possono formarsi fra 2 cisteine della stessa catena polipeptidica, ed essere quindi
dei ponti intra-molecolari, oppure fra un residuo amminoacidico di una cisteina di una catena e il
residuo amminoacidico di un’altra catena formando così dei ponti inter-molecolari.

Questa modificazione è così importante perché va a contribuire fortemente all’assunzione della


corretta e definitiva conformazione tridimensionale della proteina.

Altra modifica che avviene sempre all’interno del RER è la realizzazione del corretto ripiegamento
delle proteine, la loro forma definitiva.
Questo avviene perché nel reticolo ci sono delle proteine particolari, i cosiddetti chaperoni
molecolari e in particolare ce né una che prende il nome di BIP (binding protein), che appunto
creano degli ambienti all’interno dei quali è facilitata l’assunzione della conformazione finale.

Sempre all’interno del RER, vengono assemblate le proteine costituite da più polipeptidi, quindi le
proteine multimeriche, come può essere l’emoglobina.

All’interno del RER, inoltre, avviene la glicosilazione.


La proteina che è stata prodotta viene addizionata di una catena oligosaccaridica. Non vengono
aggiunti i singoli zuccheri uno alla volta, ma viene attaccata in blocco una catena oligosaccaridica.

Questa catena inizialmente è agganciata ad un costituente lipidico della membrana del reticolo
rugoso, quindi si aggancia al dolicolo, poi attraverso una reazione catalizzata da un enzima tutta la
catena oligosaccaridica viene ceduta dal dolicolo alla proteina, e si aggancia non in un punto a caso
ma ad un residuo di asparagina.
Ottengo così la glicoproteina, cioè una proteina addizionata con la catena oligosaccaridica.

Tale glicoproteina viene già riarrangiata, vengono staccati alcune molecole di glucosio e di
mannosio, e a questo punto è pronta per lasciare il RER e andare verso il Golgi.

Il RER è famoso soprattutto per la sintesi delle proteine, ma esso è anche capace di sintetizzare
alcuni lipidi; ad esempio, tutti i lipidi che costituiscono la membrana del RER sono sintetizzati da
lui stesso.
Questa attività è in comune con il reticolo liscio.

Il RER sintetizza anche il colesterolo.

Il RER si carica quindi non solo di fare le proteine, non solo di modificarle ma si incarica anche di
vedere se è stato fatto un buon lavoro, cioè se le proteine sono correttamente ripiegate.

Che cosa succede se le proteine non superano il controllo di


qualità del RER?
Viene data la possibilità alle proteine di tornare dentro la
chaperonina, se questa volta il ripiegamento è ok passano, se
invece il ripiegamento ancora non va bene vengono nuovamente
rimandate dalla chaperonina.

Ad un certo punto, quando il ripiegamento corretto non viene


ottenuto, il RER trasloca fuori dal reticolo nel citosol la proteina
difettosa.
Nel citosol la proteina difettosa viene spogliata della sua componente oligosaccaridica
(deglicosilazione), le molecole di ubiquitina si legano a questa proteina.
L’ubiquitina funge da segnale che indica che tale proteina deve essere distrutta e infatti la proteina
viene riconosciuta e degradata da un complesso enzimatico che prende il nome di proteasoma.

L’ubiquitina è molto diffusa, è un tipo di proteina che si trova in tutte le cellule, procariotiche ed
eucariotiche, molto conservata. Essa etichetta ciò che deve essere smaltito.

RETICOLO ENDOPLASMATICO LISCIO

Se il rugoso era costituito prevalentemente di cisterne


appiattite, nel liscio sono preponderanti i tubuli.

Si chiama liscio perché la sua superficie è liscia e sulla


sua membrana non ci sono ribosomi (qui non verrà fatta
sintesi proteica).

Il REL permette la produzione di nuove membrane per tutta la cellula, questo perché a livello del
REL vengono sintetizzati tutti i lipidi di membrana, a questi lipidi si associano le proteine di
membrana (sintetizzate dal vicino RER), dopodiché i lipidi associati alle proteine gemmano
attraverso delle vescicole che fuoriescono dal reticolo endoplasmatico di transizione e raggiungono
e si fondono con la membrana dell’organo bersaglio.

Questo permette alle membrane di accrescersi e di rinnovarsi.

à Quali sono le cellule che hanno una maggiore ricchezza di reticolo liscio?
Lo capiamo elencando le funzioni del reticolo liscio:

• sintesi lipidica, vengono prodotti la maggior parte dei lipidi di membrana, sia fosfolipidi che
colesterolo, e anche altre molecole lipidiche sempre steroidee che utilizzano come
precursore il colesterolo.
Le cellule interessate sono le cellule endocrine di testicolo e di ovaia, queste producono gli
ormoni sessuali che sono ormoni steroidei; le cellule surrenali in cui sono sempre prodotti
ormoni steroidei.

• partecipa al metabolismo glucidico, in particolare nello smantellamento dei polisaccaridi.


Questa attività è evidente nelle cellule epatiche, esse sono riserve di glicogeno e quindi,
quando l’organismo ha bisogno di glucosio, tale glicogeno deve essere smantellato.

• coinvolto nella detossificazione di sostanze di rifiuto o nocive per la cellula (veleni, tossine,
farmaci, alcool).
Le cellule coinvolte sono sempre le cellule epatiche.

• Accumulo di Ca2+.
Nelle cellule muscolari.
Vediamo ora queste funzioni in maniera più specifica.
1- SINTESI LIPIDICA:
Soprattutto alla sintesi dei fosfolipidi che
sono i principali costituenti delle nostre
cellule.

La sintesi dei fosfolipidi avviene a partire


da dei precursori presenti nel nostro citosol;
sono acidi grassi legati al Coenzima-A che
si legano assieme al glicerolo-3-fosfato per
dare l’acido fosfatidico.

Contemporaneamente alla sintesi dell’acido fosfatidico c’è anche il suo incorporamento nella
membrana del REL.
L’acido fosfatidico vien poi trasformato in diacil-glicerolo e a questo vengono legate delle porzioni
polari, delle parti idrofile, (come la colina), e si forma così uno specifico fosfolipide (nel caso
dell’immagine la fosfatidil-colina).
Se al posto della colina ci fosse stata un’altra porzione si sarebbe venuta a creare un altro
fosfolipide.

Gli enzimi necessari per catalizzare la sintesi dei fosfolipidi sono delle proteine integrali che si
trovano proprio nella membrana del REL e che hanno il sito attivo rivolto verso il citosol.
Questo significa che i fosfolipidi neosintetizzati si localizzeranno nel foglietto citosolico della
membrana del REL.
Dopo alcuni dei nuovi fosfolipidi verrà spostato anche nell’altro foglietto, sennò ci sarebbe una
crescita disomogenea.

Intervengono per questo degli enzimi già citati facendo la membrana plasmatica, che sono le
flippasi, esse catalizzano il movimento flip-flop di alcuni fosfolipidi.

2- METABOLISMO GLUCIDICO:
In particolare il catabolismo, quindi la demolizione, del glicogeno che
ha luogo negli epatociti.

L’immagine al TEM è un epatocita di scimmia dove si vedono bene


perché sono scuri (elettron-densi) i granuli di glicogeno, e associati ai
granuli di glicogeno ci sono i tubuli del reticolo endoplasmatico liscio.
L’associazione è funzionale al catabolismo del glicogeno che avviene
proprio grazie a degli enzimi del REL.

Il glicogeno è un polisaccaride, quando io ho bisogno di energia, e


quindi di glucosio da bruciare, succede che a livello del fegato il
glicogeno viene “aggredito” dall’enzima glicogeno fosforilasi che lo
scinde nei monomeri, dando così origine a molecole di glucosio-1-
fosfato.
Il glucosio-1-fosfato viene poi trasformato in glucosio-6-fosfato, e un altro enzima, che è la
glucosio-6-fosfatasi che si trova legata alla membrana del REL con il sito attivo sul versante
citosolico, converte il glucosio-6-fosfato in glucosio.

Questo è importante perché finché il glucosio si trova sottoforma di glucosio-6-fosfato non può
attraversare le membrane cellulari rimanendo così all’interno dell’epatocita; se invece viene tolto il
gruppo fosfato allora il glucosio è libero di attraversare la membrana degli epatociti e di andare a
livello del sangue alzando la glicemia e portando glucosio dove occorre.

3- DETOSSIFICAZIONE DI VELENI,
CONTAMINANTI, ALCOOL, FARMACI
Il REL si incarica di aggiungere a queste
molecole dei gruppi ossidrile (-OH), quindi di
operare un’idrossilazione delle molecole.

Il gruppo -OH è idrofilo e rende la molecola più


polare, quindi la molecola diventa più facilmente
eliminabile dall’organismo attraverso le urine.

Tra i tanti enzimi detossificanti, molti dei quali sono a livello del REL e soprattutto a livello degli
epatociti, ricordiamo la famiglia delle citocromo P450.
Sono dei grandi enzimi capaci di detossificare tantissime diverse molecole.

Quando il corpo ha quindi a che fare con sostanze estranee tipo i farmaci, i veleni o l’alcool, il REL
è stimolato a svilupparsi, ad accrescersi e a produrre più enzimi per operare la detossificazione,
quindi è molto variabile la quantità di REL e risponde anche in tempi brevi se sottoposto a degli
stimoli che richiedono una sua maggiore attività.

Il fatto che l’utilizzo di farmaci induca un aumento del REL e degli enzimi detossificanti spiega il
fenomeno, che fortunatamente non hanno tutti i farmaci ma alcuni si tipo i barbiturici,
dell’assuefazione.
Siccome c’è più REL e ci sono più enzimi detossificanti se non aumento la dose di farmaco tale
farmaco non ha più effetto perché viene efficacemente smaltito dall’organismo.

Quando aumenta tanto il REL e gli enzimi detossificanti questo porta alla brutta conseguenza che
poi anche altri farmaci non sono più tanto efficaci in quanto l’organismo è diventato tollerante ai
farmaci.

4- ACCUMULO DI IONI CA2+


Specifico delle cellule muscolari, in particolare
nelle striate scheletriche.

Il REL di queste cellule è talmente specializzato che prende un nome suo, il reticolo
sarcoplasmatico.
All’interno di questo reticolo vengono immagazzinati gli ioni Ca2+, questo è importante per la
realizzazione del meccanismo della contrazione.
La membrana del reticolo possiede tante pompe calcio per trasportare attivamente il calcio dentro al
reticolo, lì rimane immagazzinato fino a quando la cellula muscolare non riceve un segnale
dall’esterno che vuole innescare la contrazione; in seguito a questo segnale si aprono i canali del
calcio che uscirà nel citosol.
Tale innalzamento del calcio nel citosol della cellula muscolare porterà all’innesco della
contrazione.

Giusto per ricapitolare:


Si vede come si presentano i 2 tipi di RE:
- a sinistra il REL con una serie di tubuli lisci
senza ribosomi
- a destra il RER con tutta una serie di puntini
che sono i ribosomi

A fianco due cellule viste al TEM:


- sopra un’acinosa pancreatica
- sotto una mucipara
Entrambe caratterizzate dalla ricchezza di RER

à Quali sono quindi le cellule top per osservare il RE, sia liscio che rugoso?

Ci sono alcune cellule che hanno tanto di liscio e altre che ne hanno tanto di rugoso, ma c’è un tipo
di cellula che ne ha tanto di tutti e due e sono gli epatociti.

Gli epatociti hanno molto REL per il metabolismo del glicogeno, per la detossificazione oltre che
per la normale sintesi dei lipidi di membrana.
Però ha anche tanto RER perché gli epatociti si incaricano della produzione di proteine plasmatiche
che devono essere secrete, e quindi lasciare il fegato, per andare nel sangue a costituire il plasma.
L’APPARATO DI GOLGI

Trattiamo l’apparato di Golgi subito dopo il RE perché è il


destinatario di quasi tutti i prodotti che vengono fatti dal
reticolo.

Deve il suo nome al suo scopritore, un italiano, Camillo


Golgi, primo italiano a prendere il Premio Nobel in generale
per i suoi studi per il sistema nervoso.
Ha descritto l’apparato a fine dell’Ottocento quando ancora
non c’era il microscopio elettronico.

Com’è fatto l’apparato di Golgi?


Ha una forma molto caratteristica, molto facile da individuare nelle sezioni al TEM.
È formato da una serie di sacchi impilati l’uno sull’altro come se fossero una pila di piatti, e
ciascuna di queste sacche appiattite prende il nome di cisterna del Golgi. Ogni cisterna delimita uno
spazio interno diverso rispetto al citosol.

Quante cisteine ci sono a costituire una pila?


Il numero è variabile, da un minimo di 3 cisterne fino a 20. È inoltre variabile il numero di pile che
io posso trovare all’interno di una cellula, variabile in base al tipo di cellula e anche in base al grado
di attività della cellula stessa.

Quindi posso avere un solo apparato di Golgi, una sola pila, o posso arrivare ad avere oltre un
centinaio nelle cellule che sono impegnatissime alla produzione di sostanze destinate alla
secrezione.

Una parola chiave per descrivere l’apparato di Golgi è polarità.


Tale organulo è caratterizzato da un’estrema polarità che riguarda ogni singola cisterna, perché in
ogni cisterna c’è un lato che è diverso dall’altro sia dal punto di vista funzionale che strutturale.

La polarità è inoltre estesa al complesso dell’organulo perché in una pila che costituisce l’apparato
di Golgi io individuo 3 comparti diversi:
- una faccia cis, detta anche prossimale, è la faccia che riceve le vescicole prodotte dal RE.
- una faccia intermedia, detta anche mediale, attraverso cui passano queste vescicole
- una faccia trans, detta anche distale, è quella di rilascio delle vescicole con il loro contenuto che
durante il passaggio attraverso il Golgi è stato rimaneggiato chimicamente.

Il contenuto delle vescicole viene rimaneggiato chimicamente perché dentro ogni cisterna ci sono
degli specifici enzimi, ogni cisterna è diversa dalle altre ed ha quindi una specificità chimica con
determinati enzimi che catalizzano determinate reazioni chimiche.
Il contenuto delle vescicole, nel passaggio attraverso le cisterne del Golgi, subisce una maturazione
sequenziale.

A costituire l’apparato di Golgi c’è anche un insieme di vescicole che stanno intorno all’apparato,
alcune vescicole arrivano altre partono dall’apparato di Golgi.
Si vede qui uno schema e un’immagine al,
TEM.

Lo schema evidenzia il fatto che alla faccia cis


(quella in basso) accedono vescicole di
dimensioni più piccole, chiamate microvescicole,
che sono le vescicole di trasporto.

Queste arrivano dal RE, attraverseranno le cisterne mediali e arriveranno alla faccia trans dove
verranno rilasciate sottoforma di vescicole più grandi, le macrovescicole o vescicole di secrezione.

Il movimento delle vescicole dal RE verso la faccia cis dell’apparato di Golgi, il passaggio verso le
cisterne mediali e l’arrivo e il rilascio dalla faccia trans, prende il nome di trasporto anterogrado.

Il movimento contrario in cui ho il trasferimento di vescicole dal Golgi verso il RE prende il nome
di trasporto retrogrado.

Ci sono 2 diverse ipotesi su come avvenga lo spostamento dei materiali dal comparto cis al
comparto trans:

1- MODELLO DELLE CISTERNE STAZIONARIE:


Le cisterne del Golgi sono ferme, quello che si muove sono i materiali all’interno delle vescicole.
Quindi il materiale della prima vescicola gemma e passa alla vescicola successiva in cui entra
fondendo la sua membrana con la membrana della cisterna, e così continua il passaggio dall’una
all’altra.

2- MODELLO DI MATURAZIONE DELLE CISTERNE:


Anche le cisterne sono mobili e dinamiche, e mano a mano maturano e si spostano dalla faccia cis
alla faccia trans.

à Non si è ancora arrivati a capire quali dei due modelli meglio descrive l’apparato, potrebbe
essere anche un insieme delle due cose.

A che cosa serve l’apparato di Golgi?

L’apparato di Golgi è una sede in cui vengono


rimaneggiati i prodotti del RE, quindi sia i lipidi, sia le
proteine (o meglio glicoproteine).
Una volta arrivati nel Golgi, passando tra le varie cisterne,
essi vengono modificati chimicamente grazie agli enzimi
presenti in ogni cisterna.

Oltre a fare questo fa anche un lavoro di


immagazzinamento e smistamento di questi materiali.
Lo fa attribuendo un’etichetta molecolare, una sequenza
segnale che si trova sia sul prodotto che sulle vescicole che
lo contengono, e tale segnale indirizza correttamente le
vescicole dal Golgi verso la loro destinazione finale.
L’apparato di Golgi ha una capacità anche di sintesi ex-novo di sfingomielina e glicolipidi.
Inoltre, il Golgi riesce anche a produrre alcuni tipi di macromolecole, quali molti polisaccaridi.

1- MODIFICA DELLE PORZIONI OLIGOSACCARIDICHE:


La modifica tipica che avviene all’apparato di Golgi è una
modifica alle porzioni oligosaccaridiche.
Le proteine che arrivano dal RER sono già glicosilate,
hanno già una porzione oligosaccaridica, ma questa viene
cambiata perché vengono rimossi alcuni monomeri di
zuccheri e vengono sostituiti con altri.

Qui di fianco ci sono tutti i passaggi di modificazione


glucidica andando dalla faccia cis alla faccia trans.

Alla fine di tutto questo riarrangiamento si producono


essenzialmente 2 grandi famiglie di molecole:

- degli oligosaccaridi, ovviamente sempre legati alla proteina, che hanno un alto contenuto di
mannosio, tipiche delle proteine lisosomiali.
- degli oligosaccaridi complessi, generalmente delle proteine o destinate alla secrezione o destinate
ad essere incorporate nella membrana.

2- SINTESI DI SFINGOMIELINA E GLICOLIPIDI:


A partire da una molecola di ceramide,
sintetizzata a partire dal REL, essa viene
addizionata con la fosforil-colina dando origine
alla sfingomielina.
La sfingomielina è un costituente anche
abbastanza importante della membrana.

Oppure la ceramide, complessata con dei gruppi


zuccherini, può dare origine ai glicolipidi.

3- SMISTAMENTO DELLE GLICOPROTEINE:


Una volta che è finito il rimaneggiamento delle
glicoproteine l’apparato di Golgi smista
correttamente con le destinazioni che possono
essere 3:
- verso i lisosomi
- a costituire dei granuli di secrezione, rilasciati
poi all’esterno della cellula
- nella membrana plasmatica

Le glicoproteine hanno una collocazione


specifica nelle membrane perché esse si trovano
solo sulla faccia esterna.
Adesso che abbiamo finito il percorso dei materiali dal RE al Golgi (quindi la loro produzione, la
loro modificazione e il loro smistamento), e abbiamo conosciuto i ribosomi liberi e legati, possiamo
fare delle considerazioni su quanto siano più o meno ricche le cellule di questi organuli in base alla
loro attività di sintesi proteica.

ERITROBLASTO:
Precursore degli eritrociti, nella cellula vediamo:
- 1 nucleo con 3 nucleoli
- nel citoplasma tanti ribosomi liberi rappresentati con dei puntini
- 1 Golgi
- 2 mitocondri
Il fatto che ci siano tanti ribosomi liberi è coerente con il fatto che ci siano più nucleoli perché i
ribosomi vengono prodotti a livello dei nucleoli.
Il fatto che ci siano tanti ribosomi liberi e poco RER ci indica che le proteine non devono essere
secrete.

PLASMACELLULA:
È una produttrice di anticorpi, qui sono molto sviluppati:
- RER
- Golgi
Questo perché la plasmacellula produce tante proteine che devono essere secrete, quindi tanto RER
perché sono prodotte dai ribosomi legati, rimaneggiate poi dal Golgi e in seguito espulse all’esterno.

GRANULOCITA e CELLULA EPITELIALE GHIANDOLARE:


Hanno molto:
- RER
- Golgi
- vescicole
Il RER e il Golgi in questo tipo di cellula producono delle sostanze che devono essere secrete, ma
mentre la plasmacellula mano a mano che fa gli anticorpi li butta fuori subito (non li accumula),
questi due tipi di cellule fanno una secrezione regolata e rilasciano i materiali solo nel momento
opportuno e fino ad allora li tengono all’interno di vescicole di secrezione.
Lisosomi

Nella nostra descrizione stiamo parlando di


organuli cellulari, in particolare di quelli del
sistema endomembranoso. Abbiamo descritto il
REL ed il RER e l’apparato di Golgi e oggi
continuiamo con altri organuli sempre
membranosi che sono i lisosomi. Già il nome ci
indica che all’interno di questi organuli
avvengono dei fenomeni di lisi, quindi di
smantellamento e di degradazione chimica.
Come si presentano i lisosomi dal punto di vista
morfologico? Non sono altro che delle piccole
vescicole, nel senso che la maggior parte sono attorno agli 0,2-0,5 µm, qualcuno più grande può arrivare a 1
µm di diametro ma fondamentalmente sono piccini. E contengono all’interno un’ampia gamma di enzimi che
sono delle idrolasi acide, cioè degli enzimi che funzionano nella loro attività di degradazione delle
macromolecole in un ambiente acido, quindi con un pH basso che deve essere per l’ottimale funzione degli
enzimi stessi intorno a 4,5 massimo 5. È un esempio di organulo delimitato da una singola membrana e la
caratteristica di questa membrana è di possedere molte pompe protoniche, cioè delle pompe che con
consumo di ATP spostano contro gradiente di concentrazione degli idrogenuri H+. Avendo già detto che
l’ambiente nei lisosomi deve essere acido immaginiamo qual è il verso in cui questi H+ vengono spostati:
vengono concentrati dentro al lisosoma per creare l’ambiente acido richiesto a questa digestione tramite le
idrolasi. E questa membrana è altresì ricca proteine glicosilate, quindi con una componente glucidica. Quali
sono questi enzimi che troviamo all’interno dei lisosomi? Qui c’è una lista raggruppata per tipologie in cui si
vede che coprono praticamente tutte le macromolecole che possono essere all’interno della cellula e che
dentro ai lisosomi vengono smantellate nei loro monomeri costituenti. Abbiamo delle nucleasi che si
occupano di catalizzare il legame fosfodiesterico tra i vari nucleotidi e quindi di smantellare gli acidi nucleici;
le proteasi che permettono la digestione delle proteine e quindi il mantenimento degli amminoacidi
costituenti; le glicosidasi che intervengono sul legame glicosidico che tiene insieme i monomeri dei
polisaccaridi e permette la liberazione dei glucidi semplici; poi abbiamo tutta una serie di lipasi, fosfolipasi e
sulfolipasi che si occupano della degradazione delle sostanze lipidiche di vario tipo (per esempio le fosfolipasi
son quelle che degradano i fosfolipidi). Quindi praticamente tutto quello che ci può essere dentro ad una
cellula, all’interno dei lisosomi può essere
efficacemente digerito da questi insieme di
enzimi.

Come si formano i lisosomi? Da dove prendono


origine? Sia i costituenti della membrana del
lisosoma sia tutti gli enzimi che sono contenuti
dentro al lisosoma (gli enzimi litici di cui abbiamo
parlato) vengono prodotti a livello del reticolo
endoplasmatico, dopodiché questi prodotti
passano all’apparato di Golgi dove vengono riarrangiati. Già quando i precursori degli enzimi lisosomiali sono
nella faccia cis della prima faccia dell’apparato di Golgi, a quel punto vengono addizionati di un fosfato e
quindi acquisiscono un marcatore specifico che è il mannosio-6-fosfato. Questi enzimi, che ora sono
etichettati dalla presenza del mannosio-6-fosfato hanno già come destinazione i lisosomi. Quindi quando poi
arrivano a livello del comparto trans dell’apparato di Golgi, questo mannosio-6-fosfato viene riconosciuto dal
recettore specifico e in seguito a questo legame si forma una vescicola rivestita da clatrina e che va a creare
questa vescicola contenente gli enzimi lisosomiali che andranno poi a fondersi con un endosoma per
provvedere alla digestione del contenuto di questo endosoma. Quindi precocemente e in modo molto
specifico tramite il mannosio-6-fosfato vengono etichettati i prodotti che hanno la destinazione lisosomiale.

Qual è la funzione dei lisosomi? Il loro compito è


provvedere alla digestione intracellulare, quindi
digerire materiali all’interno della cellula ma di
fare questo in una condizione di sicurezza; quindi,
il processo viene ad essere circoscritto all’interno
dei lisosomi per evitare che ci possano essere
problematiche nell’ambiente circostante
citoplasmatico. Con che scopo avviene questa
digestione intracellulare? Ci sono due possibili
circostanze principali: una l’abbiamo già presa in esame quando abbiamo parlato dei trasporti tramite
vescicole cioè nel caso della fagocitosi, quando la cellula internalizza delle particelle solide, dei microbi, dei
frammenti cellulari poi questo fagosoma deve essere trattato in qualche modo (non può rimanere lì e basta)
e infatti viene preso in carico dai lisosomi, che fondendosi con il fagosoma, riversano il loro enzimi e
digeriscono il contenuto del fagosoma, che può essere di varia natura (con uno scopo alimentare oppure,
come capita spesso nelle cellule immunitarie degli animali, un contenuto pericoloso che la cellula ha interesse
a distruggere). Però la digestione che avviene all’interno del lisosoma non è solo e sempre di materiale che
viene dall’esterno e quindi che è stato portato dentro tramite fagocitosi. I lisosomi si incaricano anche di
digerire del materiale appartenente alla cellula stessa, tramite un fenomeno detto di autofagia. Con che
scopo? Per permettere un normale turn-over dei componenti della cellula, la cellula non può andare avanti
per sempre con le molecole che ha quindi periodicamente e di continuo la cellula sequestra delle parti del
proprio citoplasma, organuli vecchi e/o danneggiati, li fa digerire dai lisosomi, rimette a disposizione del
citosol i costituenti di questi organuli o porzioni di citosol digerite che possono essere riutilizzate per altre
sintesi. L’autofagia è quindi un sistema fondamentale con cui la cellula rinnova le proprie strutture. Il turn-
over è una pratica che nelle cellule è molto elevata: una cellula epatica umana ogni settimana ricambia il 50%
delle molecole che la compongono. In questo caso si formano delle vescicole che contengono il materiale
cellulare che dev’essere degradato. Si distingue tra microautofagia e macroautofagia. Nella microautofagia
piccole porzioni del citosol vengono avvolte da una membrana che ha origine dal lisosoma stesso che si
introflette per ospitare questa parte di citosol che verrà digerita. Nel caso della macroautofagia, interi
organuli o frammenti di organuli vengono ad essere avvolti da una doppia membrana che ha origine dal RE.
Nell’immagine al TEM c’è proprio un esempio di due organuli da ricambiare: un frammento di un perossisoma
e un frammento di un mitocondrio che sono avvolti da questa doppia membrana e costituiscono una
vescicola autofagica che si andrà a fondere con i lisosomi con cui opererà lo smantellamento di questi vecchi
organuli.

Quelli di cui abbiamo parlato adesso sono lisosomi


maturi, quindi pronti, attivi nella loro capacità di
degradazione perché contengono non solo tutti gli
enzimi lisosomiali che servono a questo ma c’è
anche già un ambiente sufficientemente acido
perché questi enzimi funzionino. Si tratta quindi di
lisosomi maturi. Ma come si arriva ad ottenere un
lisosoma maturo? Ci sono diversi stadi che
vengono attraversati, soprattutto durante la vita
endocitotica. Quindi prima di arrivare al lisosoma maturo e funzionante noi avremo a che fare con prima un
endosoma precoce poi un endosoma tardivo e infine con il lisosoma vero e proprio maturo. Che cosa cambia
fra endosomi precoci, tardivi e lisosomi maturi? Sono vescicole che hanno intanto una posizione diversa
all’interno della cellula e hanno anche un pH interno diverso che va via via calando passando da quelli precoci
fino ad arrivare ai lisosomi maturi; quindi, proprio per questo diverso grado di acidità i diversi endosomi
presentano una capacità degradativa differente, e completa solo nei lisosomi maturi. Quindi quando, per
endocitosi, si porta nella cellula una vescicola o un endosoma questo andrà a fondersi con delle vescicole
contenenti gli enzimi lisosomiali (che gemmano dal Golgi) e questa prima fusione dà origine all’endosoma
precoce, dove quindi ho nello stesso ambiente i materiali da digerire e gli enzimi lisosomiali però siamo in
presenza di un pH ancora un po’ troppo alto e non sufficientemente acido (il pH degli endosomi precoci va
dal 5,5 al 6 per cui non c’è una grande capacità degradativa). La posizione di endosoma precoce è abbastanza
periferica perché nascono quasi subito dalla fusione dell’endosoma appena introdotto tramite
l’invaginazione della membrana plasmatica e quindi sono in periferia. Questo endosoma precoce matura in
endosoma tardivo in cui ci sono i nostri enzimi e un pH più basso (intorno al 5). La posizione degli endosomi
tardivi è perinucleare cioè in vicinanza/attorno al nucleo. Dopodiché per aggiunta/arrivo di ulteriori enzimi
neosintetizzati (sempre provenienti dal Golgi) che si fondono con l’endosoma tardivo, o nel caso della
fagocitosi, con il fagosoma (o nel caso dell’autofagocitosi con l’autofagosoma) e un ulteriore abbassamento
del pH che arriva ad essere quello ottimale per il lavoro degli enzimi (tra 4,5 e 5) a questo punto si ottiene il
lisosoma maturo, all’interno del quale avviene la degradazione e quindi il massimo della capacità degradativa
viene raggiunta a questo punto perché si è abbassato il pH. Come si abbassa il pH nel lisosoma maturo?
Questo processo avviene probabilmente con due modalità: per il lavoro delle pompe protoniche che portano
dentro di H+ abbassando il pH oppure questo abbassamento del pH si ottiene perché la vescicola riversa il
suo contenuto in un lisosoma maturo preesistente. Con una di queste due tecniche si ottiene l’abbassamento
del pH che è necessario per definire il lisosoma maturo e perché i suoi enzimi degradino efficacemente. Il
fatto che la capacità di lisi degli enzimi ci sia solo quando il pH è così acido è anche una garanzia, se per
esempio si dovesse rompere la membrana di un lisosoma e il suo contenuto disperdersi nel citosol non ci
sarebbero gravi danni perché gli enzimi si troverebbero in un ambiente che è quello del citosol dove il pH è
7 o un pochino superiore. Diverso il caso in cui si rompano contemporaneamente e tutti quanti i lisosomi nel
citosol, questo potrebbe portare ad un abbassamento di pH tale per cui si possano generare dei fenomeni di
digestione nel citosol stesso.
Come fanno le proteine di cui sono costituiti i lisosomi a non essere digerite dagli enzimi che essi contengono?
Probabilmente queste proteine si riparano in punti un po’ protetti della loro struttura tridimensionale i
legami più deboli.

Abbiamo detto che la funzione dei lisosomi è quella


di digerire materiali. Questa semplice funzione non
ci deve far pensare ad una monotonia di interventi
dei lisosomi, in realtà loro partecipano a tanti diversi
processi importanti per la cellula: uno l’abbiamo
visto parlando della fagocitosi e cioè il loro
intervento per distruggere virus, batteri che siano
stati portati all’interno di cellule specializzate nella
fagocitosi che sono i fagociti, e in questo senso i
lisosomi partecipano ai meccanismi di difesa del
sistema immunitario; oppure un’altra possibilità
legata soprattutto all’autofagia è che i lisosomi intervengono per andare ad aggredire, rimuovere e riciclare
degli organuli e delle porzioni di citosol, l’autofagia è un processo che avviene normalmente nelle cellule ed
in alcune cellule e situazioni particolari diventa un processo molto rilevante (ad esempio quando si sviluppano
i globuli rossi a partire dai precursori praticamente avviene nel corso della maturazione un processo intenso
di autofagia che rimuove molti degli organuli che sono contenuti negli eritrociti perché si fa posto per poter
ospitare all’interno del citosol la maggiore quantità possibile di emoglobina quindi tutto quello che non è
strettamente necessario viene auto digerito con l’aiuto dei lisosomi per stipare il citoplasma degli eritrociti
solamente di emoglobina) anche in situazioni particolari le cellule sperimentano autofagia, quando sono
sottoposte allo stress da fame cioè nei casi di digiuni molto prolungati per cui le cellule non vengono rifornite
dei nutrienti di cui hanno bisogno, risolvono con una sorta di auto cannibalizzazione sacrificando delle parti
di sé smantellandole per avere i costituenti di base per continuare le sintesi di cui hanno bisogno; un altro
esempio di intervento dei lisosomi è la distruzione programmata di alcune cellule durante lo sviluppo, lo
sviluppo è un processo molto complesso che prevede delle moltiplicazioni e dei differenziamenti, prevede
però anche la scomparsa di alcune cellule, esempi di distruzione programmata li abbiamo nella metamorfosi
da girino a rana quando il girino perde la coda, questo succede grazie ad un massiccio intervento dei lisosomi
delle cellule di quella porzione, succede anche nel corso di sviluppo dei mammiferi e dell’uomo si assiste ad
una digestione per via litica di tessuto che ad un certo punto non occorre più, il tessuto che tiene unite le
varie dita delle mani dell’embrione umano viene rimosso dall’azione dei lisosomi; il caso dell’autolisi cellulare
è appunto la lisi che la cellula fa di sé stessa e questo capita, per esempio, quando una cellula muore o quando
muore un organismo a quel punto non ci sono più i sistemi di controllo e di regolamentazione dei vari
organuli, si rompono le membrane dei lisosomi e si va incontro quindi ad una forma di autodigestione da
parte del tessuto e questo unitamente all’attacco di agenti esterni è responsabile del fenomeno della
putrefazione ed è anche la ragione per cui quando vogliamo studiare dei tessuti o degli organi, gli organi
vanno prelevati immediatamente dopo il sacrificio dell’animale e messi in una sostanza che fissa i tessuti per
impedire tutto ciò; un altro esempio di intervento dei lisosomi c’è nella reazione acrosomiale, l’acrosoma è
una vescicola gigante lisosomiale che si trova nella testa dello spermatozoo e gli serve per creare un varco
nella cellula uovo per permettergli l’ingresso e quindi la fecondazione, questo varco viene creato anche grazie
all’intervento chimico del contenuto di questo acrosoma dello spermatozoo.

Di solito noi capiamo l’importanza di un


organulo e delle sue funzioni quando non
funzionano e quindi il loro compito non viene
svolto correttamente ed è per questo che spesso
citiamo patologie, malattie legate ad un
malfunzionamento di alcuni organuli. Se i
lisosomi non funzionano correttamente (ovvero
quando non producono o mancano
completamente di alcuni enzimi litici oppure li
producono in quantità troppo limitata o non
funzionanti) in tutti questi casi succede che se manca quell’enzima, quell’idrolasi lì vorrà dire che il suo
substrato non verrà digerito e smantellato e quindi succede che si accumula all’interno dei lisosomi e
all’interno del citoplasma andando a rendere la cellula una specie di discarica, stipata di questi materiali che
ovviamente vanno a interferire con i processi vitali di quella cellula, questo insieme di malattie vengono
chiamate malattie del metabolismo lisosomiale e sono malattie genetiche, c’è una problematica nei geni che
codificano per uno o più di questi enzimi litici. E sono malattie piuttosto gravi, tanto che l’aspettativa di vita
per i bambini che nascono con queste patologie non va di solito oltre i 15 anni; quindi, è proprio incompatibile
con la continuazione della vita e per fortuna non sono particolarmente frequenti, ad oggi se ne conoscono
circa una cinquantina di queste malattie e nella slide ci sono le più frequenti e note. La malattia di Tay-Sachs
che è dovuta alla mancanza di un enzima che serve per la demolizione dei gangliosidi che sono
particolarmente frequenti e rappresentati nelle cellule dell’encefalo, quindi questi gangliosidi si accumulano
e riempiono anche fino a deformare i neuroni con dei danni notevoli al sistema nervoso e agli organi
sensoriali. La malattia di Gaucher, invece, è l’assenza di un enzima per la digestione degli sfingolipidi ed in
questo caso quello che si va ad accumulare nelle cellule sono appunto gli sfingolipidi, anche questi molto
rappresentati nelle cellule nervose (la mielina ha molti di questi sfingolipidi). La malattia di Pompe, invece, è
dovuta alla mancanza dell’enzima che idrolizza il glicogeno e quindi c’è un accumulo di glicogeno soprattutto
nelle cellule dove normalmente viene stoccato (cellule del fegato, gli epatociti) e con il termine di
mucopolisaccaridosi vanno riunite una serie di malattie dovute all’assenza di enzimi che servono per
smantellare i vari tipi di GAG (glicosamminoglicani).
Quelli di cui abbiamo parlato fino ad ora sono i
cosiddetti lisosomi convenzionali, cioè che hanno
questa funzione degradativa e digestiva e
praticamente tutti i tipi cellulari possiedono (chi più
chi meno a seconda della loro funzione) questi enzimi
convenzionali ma esiste anche un altro tipo di
lisosomi che si chiamano lisosomi secretori. Ci sono
delle cellule che secernono che hanno i lisosomi
convenzionali per la degradazione e poi hanno i
granuli che raccolgono il secreto (vescicole con il
secreto in forma di granuli). Ci sono invece altri tipi di cellule, tra cui queste che si vedono nella slide che
uniscono le due cose nei lisosomi secretori, cioè sono dei lisosomi che hanno una doppia funzione: fanno sia
la funzione classica di degradazione sia servono come sede in cui accumulare delle sostanze che devono
essere secrete in modo regolato. Chi presenta questo tipo di lisosomi particolari? Ci sono varie cellule di
derivazione emopoietica come ovociti eosinofili, i mastociti, i linfociti citotossici, i linfociti NK (natural-killer),
anche le piastrine possiedono lisosomi secretori ma possono avere delle cellule che non c’entrano nulla con
la linea ematopoietica come, per esempio, i melanociti che troviamo nell’epidermide, gli spermatozoi e gli
osteoclasti che incontreremo nel tessuto osseo. Dal punto di vista morfologico si distingue un lisosoma
convenzionale da un lisosoma che serve solo per la degradazione e un lisosoma secretorio che serve sia per
la degradazione e contemporaneamente per stoccare i secreti? No, perché sono abbastanza simili. Quello
che li differenzia è che i lisosomi secretori possiedono alcune proteine specifiche che sono proprie solo del
tipo cellulare che ha quei lisosomi secretori, per esempio, i linfociti citotossici e i NK possiedono delle
perforine e dei granzimi che servono per attaccare e distruggere la membrana delle cellule infettate o
comunque che devono essere rimosse e neutralizzate. Siccome molte delle cellule che hanno i lisosomi
secretori fanno parte della linea ematopoietica va da sé che quando ci sono delle anomalie a carico di questi
organuli specializzati si possono avere come conseguenze delle immunodeficienze.

Quando abbiamo elencato tutti i vari organuli del


sistema endomembranoso, abbiamo parlato
dell’involucro, della membrana plasmatica, del RE,
dell’apparato di Golgi, dei lisosomi, ebbene tra
questi c’è tutta una serie di vescicole che non hanno
un nome specifico ma che fanno parte di questo
sistema e che sono un mezzo per spostare i materiali
all’interno del citoplasma tra un organulo e l’altro,
materiale che può avere diverse finalità e diverse
destinazioni è compito di queste vescicole che sono
sempre contornate da membrana biologica è quello di tenere distinto il materiale che deve essere
trasportato rispetto al resto della cellula e allo stesso tempo permettere la fusione della membrana nella
vescicola con il comparto di destinazione per riversare i materiali contenuti, che possono essere riversati
all’esterno della cellula oppure in un altro comparto interno. Tutto questo intenso traffico vescicolare è
agevolato da due famiglie di proteine che sono le Rab e le Snare. Di che cosa si preoccupano queste famiglie
di proteine? Le Rab garantiscono la direzionalità quindi il corretto movimento ed il raggiungimento, la visione
delle vescicole verso il comparto bersaglio. Le Snare invece favoriscono i processi di fusione della membrana
della vescicola con la membrana del comparto bersaglio/ricevente. Noi abbiamo già parlato un po’ di questo
traffico di vescicole quando abbiamo definito l’esocitosi, la secrezione regolata e costitutiva, l’endocitosi,
abbiamo distinto tra un trasporto anterogrado e retrogrado quindi tutte queste definizioni e concetti che
abbiamo già incontrato possono essere ripresi descrivendo il sistema endomembranoso.
Di questo sistema di vescicole ci rimane specificare
una cosa importante cioè che queste vescicole
hanno dei rivestimenti specifici all’esterno che
hanno il compito fondamentalmente di agevolare la
formazione/la gemmazione delle vescicole dal
comparto donatore. Ciascuna di queste vescicole
origina da qualche parte e queste proteine che
rivestono le vescicole agevolano appunto questo
processo. Vediamo quali vescicole sono rivestite da
cosa, partendo da quelle che già conosciamo cioè le
vescicole rivestite da clatrina, questa proteina
mesomerica di cui abbiamo già parlato. Quali vescicole sono coperte dalla clatrina? Tutte quelle che
trasportano materiali in modo selettivo quindi di specifici materiali e che sono coinvolte in tre processi:
l’endocitosi mediata da recettore, durante la formazione dei lisosomi e poi intervengono anche nel processo
selettivo della secrezione regolata. Tutte queste vescicole sono ricoperte di clatrina. Esistono però anche altri
rivestimenti, ad opera delle Coat protein (COP). Queste trasportano il materiale in maniera aspecifica, diversa
rispetto alla clatrina, quindi, sono per esempio coinvolte nel fenomeno della secrezione costitutiva. Ci sono
due tipi di COP: le COP I e le COP II. Le COP I nel nostro schema sono rappresentate con i pallini azzurrini e le
COP II con i pallini marroncini. Quindi ci facciamo aiutare dallo schema per capire quali vescicole sono rivestite
da uno o dall’altro. Facciamo presto con la COP II: rivestono le vescicole che si spostano dal RE verso la faccia
cis dell’apparato di Golgi. La COP I, invece, riveste le vescicole che si muovono all’interno del Golgi dalla faccia
cis verso le facce mediane fino alla faccia trans e che poi dal Golgi-trans si staccano per la secrezione
costitutiva e raggiungono poi la membrana plasmatica ma la COP I riveste anche quelle vescicole cosiddette
di recupero che si muovono in senso contrario dal Golgi indietro alle varie cisterne fino a ritornare al RE
(trasporto retrogrado).

Perossisomi e mitocondri

I perossisomi, che sono anche chiamati


microcorpi (il micro- fa riferimento alla loro
dimensione), sono degli organelli abbastanza
anonimi dal punto di vista morfologico
(pressappoco sferici) con un diametro
generalmente attorno a mezzo micron e sono
delimitati da una singola membrana.
Rappresentano dei comparti metabolici
specializzati nel senso che contengono degli
enzimi particolari e in grandi quantità tanto che
alcuni di questi enzimi formano una parte
centrale (un core cristallino). Nell’immagine c’è un perossisoma nel quale si vede molto chiaramente questa
parte centrale cristallina dovuta appunto alla presenza massiccia e ordinata di tutti questi enzimi e che appare
questo core più elettrondenso e più scuro rispetto al resto dell’organulo. In questo comparto, a differenza
dei lisosomi di cui abbiamo parlato prima, il pH è più alto e addirittura a volte può superare di un po’ l’8. Quali
enzimi ci sono dentro ai perossisomi? Si trovano diversi tipi di ossidasi, cioè di enzimi che catalizzano il
trasferimento di idrogeno da una molecola organica e lo legano all’ossigeno portando alla formazione H2O2
cioè perossido di idrogeno. Ecco che capiamo perché si chiamano perossisomi: perché all’interno di questi
comparti si ha, nel corso di queste ossidazioni, la formazione di perossido di idrogeno. Qual è il problema del
perossido di idrogeno, anche noto come acqua ossigenata? È che non può essere tenuta all’interno della
cellula e tanto meno accumulato perché risulta essere citotossico, cioè tossico per la cellula. Per cui, sempre
all’interno dei perossisomi, abbiamo un altro enzima caratteristico di questi organuli che è la catalasi. La
catalasi è un enzima in grado di degradare (quindi eliminare dalla cellula) la presenza del perossido di
idrogeno. In che modo? O lo decompone dando origine ad acqua, che è innocua, e ossigeno oppure (è quello
che ci mostra il riquadro) il perossido di idrogeno viene usato per ossidare una molecola organica con
produzione di nuovo di acqua e un altro tipo di molecola organica più semplice da quella di partenza.
Comunque che sia fatto in un modo o che sia fatto nell’altro la catalasi si incarica di eliminare e di fare in
modo che nella cellula non ci sia perossido di idrogeno; quindi, man mano che questo viene prodotto dentro
ai perossisomi viene anche trasformato (dismutato). Dove sono i perossisomi? Non sono un organulo
esclusivo degli animali, e lo capiamo bene anche da questa immagine, perché se vedete questa immagine
non può essere una cellula animale (è presente il tonoplasto ed i tilacoidi del cloroplasto) a riprova che ci
sono anche nelle cellule vegetali, nei funghi etc. sono molto diffusi. A livelli dei tessuti animali, visto che di
questo noi ci occupiamo, dove troviamo molti perossisomi? In alcune cellule ce n’è poco e niente mentre in
altre ce ne sono tantissimi, soprattutto nelle cellule renali ed epatiche, almeno per quanto riguarda i
mammiferi.

Quali sono le funzioni dei perossisomi? Intanto si


incaricano dell’ossidazione degli acidi grassi, quindi
un catabolismo degli acidi grassi che porta ad
ottenere delle molecole più piccole che possono
essere avviate alla respirazione cellulare e quindi
essere utilizzate per produrre energia per la cellula.
L’ossidazione viene effettuata non solo dai
perossisomi ma anche da altri organuli (anche dai
mitocondri); circa un 25-50% delle ossidazioni degli
acidi grassi avviene a livello dei perossisomi, il resto
avviene appunto nei mitocondri. Però c’è un’ossidazione (quella degli acidi grassi a catena più lunga) che
avviene esclusivamente, cioè è specifica, nei perossisomi. I perossisomi hanno anche un’azione detossificante
nei confronti di composti nocivi e anche dell’alcol, in particolare. Circa il 50% dell’alcol etilico che noi
ingeriamo viene processato dagli enzimi perossisomali e ossidato in acetaldeide. E quindi in questo i
perossisomi supportano il REL, che abbiamo visto ieri avere questa funzione detossificante. In alcune specie
animali, non nell’uomo e non nei primati, i perossisomi operano con un enzima, che si chiama urato-ossidasi,
anche l’ossidazione dell’acido urico che viene a prodursi per il catabolismo delle urine. I perossisomi sono
anche in grado, però, non solo di ossidare e quindi degradare, ma anche di sintetizzare: in particolare
sintetizzano alcuni fosfolipidi come i plasmalogeni, che sono molto importanti come costituenti (sono tra i
principali costituenti della guaina delle cellule nervose). Sono anche utili per rimuovere le ROS (specie reattive
dell’ossigeno) che sono molto pericolose perché possono nuocere alle macromolecole di cui è costituita la
cellula. E per curiosità, anche perché non riguarda l’uomo, in vari insetti (tra cui le lucciole) sono responsabili
del fenomeno della bioluminescenza perché la luciferasi, che è l’enzima che permette la formazione della
luce, è un enzima perossisomale. Nell’immagine c’è una sezione di una cellula epatica (e lo vediamo molto
bene perché ci sono tutte queste rosette elettrondense che sono di glicogeno) in cui ci sono due perossisomi,
questo a riprova che le cellule epatiche sono tra quelle, insieme a quelle renali, ad avere una maggiore
quantità di perossisomi.

Come si formano i perossisomi? Qual è la loro


biogenesi? Hanno probabilmente due possibilità: o si
possono formare per divisione di perossisomi
preesistenti, oppure si formano attraverso la fusione
di vescicole che provengono dal RE. Studi recenti
hanno evidenziato che i perossisomi emergono da
una regione specifica del RE dove si trova una
proteina transmembrana perossina (la Pex3p). Però
solo questa è fatta a livello del RE, perché noi
sappiamo che tutte le proteine (sia quelle della
membrana sia quelle contenute nei perossisomi quindi tutti i vari enzimi) sono prodotte non da ribosomi
legati ma dai ribosomi liberi che si trovano nel citosol. Quindi mettendo insieme tutti questi vari ingredienti,
in parte fatti dai ribosomi liberi e in parte fatti dal RE, si vengono a formare appunto i perossisomi.
Passiamo ai mitocondri. I mitocondri sono
veramente un altro pianeta di organulo (mi
stanno più simpatici). Hanno tante peculiarità
che adesso andremo a evidenziare. I
mitocondri, se ricordate, non sono stati citati
nell’elenco degli organuli appartenenti al
sistema endomembranoso, la loro origine è
probabilmente diversa da quella di tutti gli altri
organuli membranosi che si trovano nella
cellula. Si presentano generalmente come delle
strutture allungate, con un diametro piccolo
(tra 0,5 e 1 µm) ma una lunghezza che in alcuni casi è ragguardevole e può essere di 10 µm o più. Sono le
centrali energetiche della cellula, nel senso che sono la sede della respirazione cellulare: il processo che
rifornisce di ATP (energia sotto forma di ATP) la cellula. Com’è fatto un mitocondrio? È un organulo che ha
una doppia membrana: una membrana esterna, che si presenta dal profilo regolare, e una membrana interna
che invece presenta delle pieghe che si proiettano verso l’interno dell’organulo (che prendono il nome di
creste mitocondriali). Il fatto che ci siano due membrane fa sì che nell’organulo si individuino due diversi
comparti: uno spazio intermembranoso, peraltro molto piccolo e ristretto rispetto al resto, che c’è tra la
membrana esterna e la membrana interna; e un secondo comparto, che è quello delimitato dalla membrana
interna che prende il nome di matrice mitocondriale. Che cos’è la matrice mitocondriale? È una sostanza, un
insieme di costituenti che hanno nel complesso una consistenza gelatinosa, che contiene vari tipi di enzimi
che serviranno per i processi implicati anche nella respirazione cellulare e contiene DNA e ribosomi, una cosa
vista in nessun altro organulo di quelli che abbiamo descritto o descriveremo. Come sono questi DNA e questi
ribosomi? Le molecole di DNA sono delle molecole circolari, ce ne possono essere più di una, e quindi
capiamo a questo punto perché, quando parlavamo del nucleo dicevamo “contiene la maggior parte del
materiale genetico”. Perché non dicevamo “tutto”? Perché una parte, seppur molto più piccola rispetto a
quella che c’è nel nucleo, di materiale genetico (DNA) è presente in questa sede, cioè all’interno dei
mitocondri. E contengono anche dei ribosomi. Questi ribosomi sono più piccoli rispetto a quelli che abbiamo
incontrato nel citosol legati alle membrane. Quindi ora sappiamo che, oltre alle localizzazioni già citate dei
ribosomi nella cellula (citosol, legati all’involucro e regati al RER), abbiamo dei ribosomi anche all’interno dei
mitocondri. A cosa servono questi ribosomi? Permettono al mitocondrio di prodursi da sé una piccola parte
di proteine (la maggior parte delle proteine del mitocondrio sono comunque prodotte a partire da geni
nucleari). Questa piccola parte la cui sequenza è scritta nel DNA mitocondriale viene poi tradotta a livello dei
ribosomi nella matrice mitocondriale. Alla luce della presenza di questo DNA e di ribosomi, questi organuli
vengono definiti semiautonomi, perché sono appunto capaci di dare codice genetico, di moltiplicarsi, dare
copie di sé stessi e di riprodurre da soli parte dei loro costituenti. Quanti mitocondri ci sono in una cellula?
Questo è variabile. È variabile il loro numero e anche la quantità di creste che ci sono nei mitocondri in base
a quanta energia, e quindi i livelli di consumo energetico che quella cellula ha. Dopo vedremo esempi di tipi
cellulari diversi che presentano quantitativi e anche mitocondri di forme diversificate.

Occupiamoci di questo aspetto


particolare dei mitocondri, cioè
del fatto che abbiamo due
membrane. Queste membrane
hanno dei costituenti particolari:
sono membrane che per la loro
composizione sono
assolutamente peculiari e
diverse dalle altre membrane
che abbiamo incontrato nella
cellula e riflettono il fatto che
sono altamente specializzate,
soprattutto la membrana
interna. Partiamo dalla membrana esterna. La membrana esterna del mitocondrio è costituita per un 50% di
lipidi e per un 50% di enzimi e di particolari proteine molto numerose e disseminate che sono le porine (sono
dei canali che permettono il passaggio di diverse molecole). Nel complesso, la membrana esterna del
mitocondrio è una membrana particolarmente permeabile che si lascia attraversare facilmente anche da
piccole proteine; fino ad un certo numero di Dalton (dimensione) che mi pare sia 5000 le molecole possono
passare liberamente. Come conseguenza di questo, la composizione dello spazio intermembranoso è
abbastanza simile a quella del citosol, proprio perché la membrana esterna del mitocondrio è un setaccio
abbastanza permeabile. La membrana interna, che è quella che si solleva nelle pieghe e quindi presenta le
creste, ha solo un 20% di lipidi e tra questi lipidi NON c’è il colesterolo, che quindi non è contemplato in
questa membrana (cosa molto insolita e strana per una membrana). È invece presente un particolare tipo di
fosfolipide che si chiama cardiolipina. La cardiolipina è una specie di doppio fosfolipide che invece di avere
due code di acidi grassi ne ha addirittura quattro e la presenza di questo tipo di lipidi rende la membrana
poco permeabile soprattutto da alcuni tipi di ioni e di molecole cariche. L’altro 80% è costituito da proteine
e in particolare queste proteine sono enzimi coinvolti nel processo di respirazione cellulare, in particolare nel
trasporto degli elettroni nella catena respiratoria, sono proteine che servono per il trasporto dei materiali e
c’è una proteina fondamentale che è quella dalla quale si generano poi le molecole di ATP nel corso del
processo, che è la ATP-sintasi. Questa specie di, cosiddetto, mulino molecolare che si fa attraversare dal
flusso di idrogenioni H+ e questo flusso di idrogenioni H+ secondo gradiente di concentrazione muove il
meccanismo e permette di produrre l’energia necessaria per sintetizzare ATP. Sia sulla membrana esterna
che sulla membrana interna sono poi presenti delle particolari proteine che si chiamano trasloconi, che
permettono il passaggio selettivo di determinate molecole o vescicole che abbiano un segnale. Vengono
chiamate TOM quelle sulla membrana esterna perché la O sta per Outer e la M sta per Membrane; e la TIM
quelle sulla membrana interna perché la I sta per Inner. Qua, a proposito di quello che si diceva prima,
abbiamo uno schema del DNA mitocondriale umano e delle molecole che si possono trovare dentro al
mitocondrio.

Abbiamo detto che i mitocondri sono la sede della


respirazione cellulare ma, esattamente, la
respirazione cellulare è un insieme di tappe e di
stadi che permettono di ottenere dalla
degradazione completa di glucosio e la presenza di
ossigeno molecole di ATP. Questi tre stadi sono
raggruppati nella glicolisi, nel ciclo dell’acido
citrico (o Ciclo di Krebs) e infine la fosforilazione
ossidativa. Vediamo esattamente dove si
realizzano queste tre fasi per capire in che modo è
coinvolto il mitocondrio.
La prima fase, che è la glicolisi, nella quale ottengo (a partire dal glucosio) molecole di piruvato, avviene nel
citosol. Quindi in questo caso il mitocondrio non c’entra. E in questa fase non è nemmeno necessario che ci
sia la presenza di ossigeno. Quello che poi ottengo può essere avviato alla fermentazione se non ho l’ossigeno
oppure alla molto più produttiva ed efficiente respirazione cellulare se sono in condizioni di aerobie (e quindi
di disponibilità di ossigeno). Il piruvato viene convertito in acetile, si unisce al coenzima A ed entra all’interno
dei mitocondri dove partecipa al Ciclo di Krebs. Questa seconda tappa avviene nei mitocondri, più
specificamente nella matrice mitocondriale, che contiene tutti gli enzimi necessari per catalizzare le varie
reazioni dell’acido citrico. Durante i giri dell’acido citrico si vengono a formare delle molecole particolari che
sono il NADH ed il FADH2 che vanno a cedere i loro elettroni alla catena di trasporto degli elettroni e siamo
quindi nella terza ed ultima fase della respirazione cellulare: la fosforilazione ossidativa. Gli elettroni ceduti
dal NADH e dal FADH2 vengono passati da un complesso all’altro di questa catena di trasporto degli elettroni
e durante questi passaggi l’energia che si crea serve per pompare nello spazio intermembranario degli
idrogenioni H+, quindi si crea un gradiente con tanti H+ nello spazio intermembranoso e questo viene studiato
per far passare gli H+ attraverso l’ATP-sintasi (gli H+ vogliono ritornare alla matrice mitocondriale e lo fanno
passando attraverso questo particolare complesso enzimatico producendo molecole di ATP). Dove avviene
questa fase di fosforilazione ossidativa? Il trasporto degli elettroni e la generazione di ATP grazie all’ATP-
sintasi avvengono a livello della membrana interna del mitocondrio. E questa della fosforilazione ossidativa,
delle tre fasi, è quella in cui si ottiene la maggior parte di molecole di ATP. L’accettore finale degli elettroni è
l’ossigeno ed ecco perché la respirazione cellulare ha necessità di ossigeno per avvenire. Nella migliore delle
ipotesi da una molecola di glucosio che si avvia alla respirazione cellulare si ottengono 38 molecole di ATP.
Di queste 38, 34 vengono ottenute grazie alla fase finale della fosforilazione ossidativa. Adesso capiamo il
perché allora delle creste, qual è il significato di avere una membrana interna che non è liscia ma ha tutte
queste creste e introflessioni? Aumentano notevolmente la superficie a disposizione di questo processo di
fosforilazione ossidativa, che è quello più remunerativo in termini di ATP prodotti. Quindi le cellule che
devono produrre tanto ATP non solo avranno tanti mitocondri ma avranno dei mitocondri particolarmente
ricchi di creste, perché questo li rende più efficienti ed efficaci nella produzione di ATP.

Non è solo partendo dal glucosio che accedo alle fasi


della respirazione della fase cellulare, posso avviare
alla respirazione cellulare anche componenti
(amminoacidi, altri carboidrati, glicerolo, acidi
grassi) che entrano in queste tre tappe menzionate
in punti diversi e che generano l’ATP necessario per
tutti i lavori cellulari (trasporto, contrazione, sintesi,
anabolismo, tutto ciò che ha bisogno di energia per
essere fatto).

Quindi la funzione del mitocondrio ormai è chiara:


permettono, tramite la respirazione cellulare, la
produzione di energia sotto forma di molecole di ATP.
Ma se questa è la principale e più nota funzione dei
mitocondri sappiate però che non è l’unica. I
mitocondri svolgono anche altre importanti funzioni.
Per esempio, partecipano al metabolismo lipidico.
Che cosa fanno? La β-ossidazione degli acidi grassi. In
parte la fanno i perossisomi, in parte la fanno i
mitocondri. Partecipano anche, insieme al REL, alla
sintesi di ormoni steroidei; al metabolismo
amminoacidico e anche alla gluconeogenesi, quindi alla formazione di glucosio partendo da precursori non
glucidici (per esempio da amminoacidi). Sono importanti nel regolare il processo di morte cellulare noto come
apoptosi; quindi, sono implicati nell’innesco e nella progressione di questo tipo di processo, che è importante
per l’omeostasi cellulare, perché ovviamente un tessuto è sano nella misura in cui ha un bilanciamento fra
proliferazione di nuove cellule ed eliminazione di altre. E poi partecipano anche all’omeostasi del calcio, nel
senso che possono diventare una sede di accumulo di fosfato di calcio, che vediamo molto chiaramente in
questa immagine. Qui, oltre a vedere le creste mitocondriali, ci sono delle zone molto più scure ed
elettrondense e sono i granuli di fosfato di calcio. E c’è un’altra curiosa capacità che non hanno tutti i
mitocondri ma che hanno i mitocondri di un tessuto molto particolare (il grasso bruno) che è quella di
produrre calore, cioè la funzione della termogenesi.

Andiamo a vedere più nel dettaglio questa


caratteristica, che poi riprenderemo quando
parleremo dei tessuti adiposi. Nella membrana
mitocondriale interna dei mitocondri degli
adipociti bruni, cioè gli adipociti delle cellule
che trovo nel tessuto adiposo di tipo bruno, che
è un tipo specifico di tessuto adiposo, c’è una
proteina di transmembrana che si chiama
UCP1, che è nota con altri due nomi che sono
tutti e due interessanti perché ci svelano cose
di questa proteina: termogenina o proteina disaccoppiante. Termogenina nel senso che è lei la responsabile
della produzione di calore e disaccoppiante ci spiega come fa a far produrre il calore, perché in pratica questa
proteina disaccoppia/scinde la dissipazione del gradiente protonico dalla produzione di ATP. Prima, quando
abbiamo parlato dell’ATP sintasi abbiamo detto che tutti gli idrogenioni H+ che vengono ad accumularsi nello
spazio intermembranoso passano poi attraverso l’ATP sintasi per tornare alla matrice mitocondriale e nel
fare questo si crea energia sufficiente per ottenere molecole di ATP. Nei mitocondri degli adipociti bruni
questo gradiente di H+ non passa per l’ATP sintasi ma per quest’altra proteina (la termogenina) e quindi non
determina la formazione di ATP ma la produzione di calore. A che cosa serve questa produzione di calore? Lo
capiamo se ricordiamo chi è che ha tessuto bruno in particolare: sono gli animali ibernanti, quindi quelli che
vanno in letargo e che abbassano tutte le loro attività durante la stagione fredda e che troviamo anche in
animali non ibernanti tipo i mammiferi come noi o nei neonati in particolare, perché in questo modo il tessuto
dà la possibilità agli animali ibernanti in particolare di riscaldare con questo calore che si genera a livello del
tessuto bruno il sangue che irrora il tessuto e poi questo sangue più riscaldato entra in circolazione ed alza
pian piano la temperatura di questi animali ibernanti. Nei neonati il significato è quello di aiutarli quando si
ritrovano in un ambiente esterno più freddo rispetto a quello dell’utero materno da cui provenivano che
manteneva una temperatura costante e controllata.

I mitocondri sono degli organuli particolarmente


plastici e dinamici, nel senso che non sono
fissi/fermi in un posto all’interno della cellula,
tendono appunto a muoversi all’interno della
cellula e come fanno a muoversi? Lo fanno grazie
al fatto che la membrana esterna dei mitocondri
prende contatto con gli elementi del citoscheletro,
di solito con dei microtubuli, e li utilizza come
binari per i suoi spostamenti. Oltre a muoversi di
posto, sono anche in grado di modificare la loro
forma e sono in grado sia di dividersi attraverso un fenomeno che si chiama fissione o scissione quindi da un
unico mitocondrio ottenerne due più piccoli ma sono anche in grado di fare il contrario, cioè di operare una
fusione, di unirsi fra di loro. Tutto questo movimento e le possibilità di moltiplicazione (divisione) fanno in
modo di adattarsi alle esigenze della cellula.
In questa immagine in basso a destra vediamo una fotografia che cattura il momento in cui questi due
mitocondri si stanno dividendo. Si chiama “scissione” perché assomiglia un po’ alla divisione che subiscono
le cellule procariotiche. A conferma che i mitocondri sono molto dinamici, se li si segue evidenziandoli con
dei coloranti fluorescenti e registrando le immagini con una videocamera collegata ai microscopi si possono
vedere nell’arco di diverse ore tutti i loro spostamenti.

La forma, il numero e la localizzazione dei


mitocondri sono diverse a seconda del tipo
cellulare, ci sono sempre delle differenze. A cosa
sono legate la numerosità e l’abbondanza dei
mitocondri? Questi due fattori sono uno specchio
del fabbisogno energetico di una cellula. Cellule
che hanno un metabolismo con un’elevata
richiesta e consumo di energia ovviamente
avranno tanti mitocondri e con tante creste.
Mentre quelli che hanno delle richieste
energetiche più basse ne avranno un numero
inferiore. E anche la localizzazione dei mitocondri dentro alla cellula riflette il loro ruolo energetico, nel senso
che vanno a collocarsi preferenzialmente proprio dove c’è un maggiore fabbisogno energetico. Per cui, si
vedono molto bene nella sezione di una cellula muscolare striata scheletrica le striature dei miofilamenti:
questi sono i sarcomeri e vediamo questi granuli di mitocondri che sono vicini ai miofilamenti pronti a fornire
l’ATP necessario per il lavoro di contrazione e sono anche disposti tutti in modo regolare allineati con i
sarcomeri. Un’altra cellula che ha bisogno di tanta energia è lo spermatozoo: subito dietro la testa c’è una
parte che si chiama segmento intermedio in cui troviamo la guaina mitocondriale, quindi un insieme di tanti
mitocondri che servono per dare l’energia per il battito del flagello, quindi per la coda dello spermatozoo. La
ricchezza di mitocondri in questo caso riflette la necessità di movimento che è molto dispendiosa degli
spermatozoi. Questo invece è uno schema che mostra una cellula epiteliale renale, in particolare del tubulo
contorto prossimale e quindi della prima parte del tubulo, dove vediamo la presenza di tanti mitocondri che
sono sistemati in modo caratteristico a palizzata; quindi, in modo parallelo rispetto all’asse apice-base della
cellula e sono inframmezzati da delle estroflessioni della membrana dalla parte basale della membrana dei
piegamenti. Perché ci sono così tanti mitocondri? Sono tipici di cellule che, come queste, operano i cosiddetti
trasporti di materiali trans-epiteliali, quindi da un versante all’altro dell’epitelio. Voi sapete che i trasporti
attivi sono un’altra voce di spesa notevole per la quale occorre ATP.

Da dove arrivano i mitocondri? Hanno tante


peculiarità che ci danno indicazioni sul fatto che la
loro origine è diversa da quella degli altri organuli
presenti nelle cellule eucariotiche. Ad avanzare
questa teoria dell’endosimbiosi/teoria
endosimbiotica, con cui si spiega la presenza dei
mitocondri all’interno della cellula eucariotica, la
dobbiamo a questa biologa statunitense Lynn
Margulis negli anni ’80. Symbiosis in cell Evolution
è il titolo del suo libro, in cui spiega la teoria
endosimbiontica secondo la quale in quella che era una cellula primordiale, probabilmente ancora procariota,
sono entrati dei piccoli procarioti eterotrofi aerobi, cioè capaci di vivere e di sfruttare l’ossigeno per il proprio
metabolismo. Perché siano finiti dentro non si sa, magari sono stati inglobati per essere mangiati e poi in
realtà non sono stati digeriti, comunque com’è come non è una volta entrati dentro alla cellula sono poi
rimasti e si sono specializzati nella funzione della respirazione cellulare. La simbiosi è un rapporto in cui c’è
un mutuo vantaggio. Da questa unione endosimbiotica (endo- perché questi batteri sono entrati dentro ad
una cellula) c’è un giovamento reciproco sia dei batteri eterotrofi aerobi che sono entrati e che si sono evoluti
diventando gli attuali mitocondri, essi avevano il vantaggio di essere in un ambiente protetto e rifornito di
nutrienti mentre il vantaggio della cellula che li ha inglobati è di avere dei batteri aerobi capaci di un processo
metabolico importante come la respirazione cellulare. Per cui da lì si è poi andato avanti e questo evento è
stato alla base della nascita e dell’evoluzione della cellula eucariotica. Un’analoga teoria spiega anche come
si sono formati i cloroplasti, però in quel caso lì i batteri inglobati erano dei batteri fotosintetici.

Ci sono varie prove di tipo morfologico da


parte dei mitocondri a supporto di questa
teoria: il fatto che questo rapporto di
endosimbiosi dei batteri che vivono
dentro ad altre cellule ospiti esiste, quindi
non è un elemento così impossibile o non
già visto; le dimensioni dei mitocondri
assomigliano effettivamente alle
dimensioni dei batteri classici e anche la
loro forma allungata è simile a quella di alcuni tipi di batteri che sono denominati bacilli; la presenza di una
doppia membrana non è stata vista in tanti organuli in effetti, come si spiega? La membrana interna che
peraltro è quella più diversa da tutte le altre membrane della cellula sarebbe stata la membrana cellulare del
procariota inglobato mentre la membrana più esterna sarebbe stata una parte della membrana plasmatica
dentro la quale la cellula ospite aveva fagocitato i mitocondri, a conferma di questo la composizione della
membrana interna (che è abbastanza diversa da quella esterna) è più simile a quella della membrana
plasmatica dei procarioti piuttosto che delle membrane che troviamo nelle cellule eucariotiche; i mitocondri
si dividono per scissione, un processo molto simile a quello con cui si dividono effettivamente i batteri; dentro
ai mitocondri nella matrice si trova del DNA di tipo circolare e privo di proteine istoniche, quindi un DNA del
tutto simile a quello che troviamo nei batteri e diverso invece dal DNA organizzato in cromosomi e quindi
filamenti lineari e condensato con gli introni che troviamo nel nucleo; dentro ai mitocondri abbiamo detto
che ci sono dei ribosomi piccoli, più simili ai ribosomi dei procarioti rispetto che a quelli della stessa cellula,
quindi sono più di tipo 70S; da un punto di vista chimico e come capacità di risposta alla sensibilità agli
antibiotici assomigliano di più ai procarioti quindi a volte i ribosomi dei mitocondri rispondono ai farmaci che
sono attivi sui ribosomi dei batteri. Per tutte queste ragioni, quella di Margulis è una teoria più che assodata
e certa.

Un’altra cosa curiosa dei mitocondri è il loro tipo di


eredità. Da dove riceviamo i mitocondri che noi
abbiamo nelle nostre cellule? I mitocondri derivano
solo per via materna. Quando la cellula uovo viene
fecondata dallo spermatozoo, lo spermatozoo porta in
dote i suoi cromosomi e praticamente null’altro. Se
qualche mitocondrio eventualmente riesce a passare
viene distrutto e quindi tutti i mitocondri
dell’embrione sono di origine materna. Quindi c’è
un’eredità uniparentale, cioè proviene da solo uno dei
due genitori e sempre solo dalla madre. Questo
significa che, nel bene e nel male, quello che c’è scritto nei mitocondri della madre è quello che si trova nei
mitocondri di tutti i figli (maschi o femmine che siano). Anche se bisogna dire che il DNA mitocondriale è
soggetto frequentemente a mutazioni e quindi potrebbe non essere esattamente identico a quello della
madre però sicuramente non lo prendono dal padre.

A sinistra una chiara immagine al TEM dove io vedo


il mio organulo: classica forma allungata, presenza di
una membrana esterna, presenza delle creste
mitocondriali e quindi queste pieghe della
membrana interna. Qui tra le creste abbiamo la
presenza della matrice. Le creste mitocondriali si
vedono ancora meglio in quest’altra immagine che
invece è un’immagine a scansione: apprezziamo la
tridimensionalità delle creste e la presenza di
comparti diversi individuati dalla membrana esterna
e dalla membrana interna.

Avrei anche un’ultima diapositiva che è una


carrellata sulla possibile presenza nelle
cellule di inclusioni e granuli particolari.
Questa cosa varia da cellula a cellula e non
tutte le hanno. Queste inclusioni sono
praticamente dei depositi che si trovano
dentro al citoplasma di vari metaboliti che
spesso possono essere presenti nel
citoplasma solo in certi momenti della vita
della cellula. Di solito queste inclusioni sono
abbastanza fisse nella cellula quindi non si
muovono molto e non hanno grande attività metabolica. Quali sono le più importanti e che troviamo più
frequentemente? E dove e quali cellule le presentano? Le gocciole lipidiche che incontreremo soprattutto a
livello degli adipociti, che sono le cellule specializzate del tessuto adiposo, ma le troviamo anche nella
corteccia surrenale, negli epatociti sono fondamentalmente gocciole che contengono trigliceridi e che sono
contornate da una singola membrana a uno strato fosfolipidico. Abbiamo poi il glicogeno, questo non è
contornato da membrana ma forma delle rosette elettrondense che ritroviamo soprattutto negli epatociti e
nelle cellule muscolari. Perché negli epatociti e nelle cellule muscolari si trova tanto glicogeno? È un caso? Il
glicogeno una volta smantellato/idrolizzato dà il glucosio che può essere avviato alla respirazione cellulare
per fornire energia, quindi, è ovvio avere depositi di glicogeno nelle sedi in cui può servire questo apporto di
energia. Poi abbiamo vari tipi di pigmenti che possono essere presenti, ad esempio nei melanociti, nei
cheratinociti e nell’epidermide c’è la melanina che può essere di colore diverso: l’eumelanina è quella più
scura nera/marrone e la feomelanina invece è quella più chiara bionda/rossastra. La melanina viene prodotta
dai melanociti che poi la cedono ai cheratinociti e ha una funzione di protezione dei contenuti del nucleo dai
raggi UV. Abbiamo poi in alcune cellule che hanno una vita lunga come i neuroni ed i cardiomiociti, che sono
le cellule cosiddette perenni, di lipofuscina, che di un colore tra il dorato ed il marrone e che contiene vari
materiali che derivano dalla digestione lisosomiale e che tendono ad accumularsi a mano a mano che la
cellula invecchia e quindi vengono anche definiti “pigmenti della vecchiaia”. C’è anche l’emosiderina che è
scura tipo marrone ed è data dalla presenza di ferro e di ferritina che è la proteina complessata, si trova
soprattutto a livello degli epatociti ma anche nei macrofagi della milza perché essa è la sede dell’emocateresi
e quindi della distruzione dei vecchi globuli rossi.
Ci sono varie cellule adibite alla secrezione che presentano dei granuli di secrezione; quindi, accumulano i
materiali da secernere all’interno di vescicole pronte ad essere poi rilasciate. Per esempio, i
neurotrasmettitori sono degli esempi di granuli di secrezione che troviamo nei neuroni che servono per la
trasmissione dell’impulso nervoso oppure i granuli di zimogeno che troviamo nelle cellule pancreatiche che
contengono dei precursori degli enzimi pancreatici che poi si attiveranno e saranno maturi una volta rilasciati
nell’intestino.
Qui ci sono alcune immagini di queste cose dette. Sopra una sezione istologica e una al TEM che mostra le
goccioline lipidiche. In realtà nei processi che si fanno per ottenere i vetrini di istologia si usano delle sostanze
che sciolgono i lipidi e quindi invece di vedere le gocce lipidiche noi vediamo una cavità vuota che poi era in
realtà occupata dai grassi. Qui vediamo le rosette di glicogeno nel citoplasma dell’epatocita. Qui vediamo
granuli di melanina e qui invece granuli di lipofuscina all’interno dei cardiomiociti quindi cellule del cuore. E
qui sotto invece esempi di granuli di zimogeno nelle cellule pancreatiche.
CITOLOGIA E ISTOLOGIA
Lezione del 24 ottobre 2022
Argomento: citoscheletro, centrosoma, specializzazioni cellulari (ciglia, flagelli, microvilli, stereociglia,
giunzioni)

 Come fanno le cellule ad avere e mantenere la loro specifica forma?

Nelle scorse lezioni si è visto come le cellule presentano tra di loro morfologie molto differenti: ci sono
cellule sferiche, cellule con dei prolungamenti, cellule con ciglia, cellule colonnari.

 Come fanno le cellule a resistere alle deformazioni?

Si parla di deformazioni sopportabili. Infatti, nel limite del possibile, le cellule riescono a contrastare le
deformazioni. Questo è particolarmente rilevante come quesito quando si parla delle cellule animali
proprio perché, a differenza delle cellule vegetali, di quelle funginee e a differenza dei batteri, non hanno
una parete esterna; parete che, nel caso dei vegetali, può essere modificata in modo sostanziale per dare
rigidità e protezione. Tutto ciò non è presente nelle cellule animali, le quali devono arrangiarsi a difendersi
in un qualche modo dalle deformazioni.

 Come mai gli organuli non fluttuano nel citosol ma occupano determinate posizioni all’interno delle
cellule?

Gli organuli dentro al citoplasma hanno delle posizioni che possono modificare in modo specifico e voluto.

 Come sono possibili e realizzabili i processi di motilità cellulare?

In questo caso la parola “motilità” è intesa sia come il movimento di vescicole, organuli e materiali che si
spostano da un comparto all’altro all’interno della cellula, sia, per alcuni tipi cellullari specializzati, come la
contrazione della cellula stessa, che porta alla modificazione delle sue dimensioni. Inoltre, alcune cellule,
sono in grado di muovere parti di sé, o, se la cellula è libera di farlo, perché non inserita in un tessuto, di
muoversi nello spazio.

Tutto ciò è possibile grazie al citoscheletro, oggetto di questa lezione.

CITOSCHELETRO
Quest’immagine è stata ottenuta
con la tecnica della fluorescenza
e quindi visualizzata con un
microscopio a fluorescenza che
mette in evidenza i nuclei
colorati in azzurro e due dei tre
elementi che costituiscono il
citoscheletro. In giallo sono
evidenziati tutti i vari microtuboli
che si diramano dal nucleo e in
tutta la zona attorno ad esso,
mentre, dispersi un po’ in tutta la
cellula, colorati di viola, si
vedono i filamenti di actina (o microfilamenti).

Il terzo tipo di filamento, che fa parte del citoscheletro, è quello dei filamenti intermedi, i quali non sono
rappresentati nell’immagine perché non sono stati evidenziati con nessun colorante o anticorpo
fluorescente.

Questi tre elementi costituiscono il citoscheletro

Cosa vuol dire citoscheletro?

La parola fa rifermento allo scheletro della cellula. Il citoscheletro non è


altro che un intreccio di proteine, perlopiù di tipo fibroso, che
costituisce una specie di scheletro all’interno della cellula e ha tante
diverse funzioni; le due più evidenti e note sono: una funzione di
supporto e di sostegno meccanico, e una funzione di mobilità e motilità.

Il fatto che si chiami scheletro non deve ingannare: il citoscheletro non è


una struttura statica e fissa: soprattutto due di questi componenti, i
microtubuli e i microfilamenti, sono soggetti a dei continui
rimaneggiamenti: si allungano, si accorciano si assemblano da una
parte, si disassemblano dall’altra, si adattano al momento particolare
della vita della cellula e così via. Molti componenti del citoscheletro
perciò sono elementi particolarmente dinamici.

Oltre alle due funzioni più evidenti, negli ultimi anni si sono andate
evidenziando anche altre capacità del citoscheletro inaspettate: una di
queste è quella di partecipare alla regolazione di attività cellulari
accogliendo e trasmettendo, all’interno della cellula, dei segnali che
provengono da fuori dalla cellula. Prendendo in considerazione la
membrana plasmatica, è noto che esistono delle proteine
transmembrana che attraversano completamente lo spessore di
quest’ultima e si affacciano su entrambi i versanti. Esse sono collegate
esternamente a degli elementi della matrice extracellulare e
internamente ad elementi del citoscheletro. Quindi un segnale che è extracellulare, può passare attraverso
questa strada fino al citoscheletro, non solo arrivando nel citoplasma, ma, ricordando che il citoscheletro
prende contatto anche con la membrana esterna dell’involucro nucleare, può raggiungere anche il nucleo.
In questo senso il citoscheletro può partecipare e regolare queste attività all’interno della cellula.

Per comporre il quadro del citoscheletro è necessario descrivere tutti e tre gli elementi del citoscheletro.

Microtubuli, filamenti intermedi e microfilamenti sono scritti in ordine di grandezza: dagli elementi che
hanno il diametro maggiore, quello dei microtubuli, fino a quelli che hanno il diametro minore, i
microfilamenti, passando dai filamenti intermedi i quali hanno un diametro variabile ma sempre minore di
quello dei microtubuli e maggiore di quello dei microfilamenti.
I MICROTUBULI

I microtubuli sono composti da una proteina globulare che è la tubulina. Più precisamente, questa proteina
è un eterodimero, cioè un elemento composto da due monomeri diversi tra loro che sono la α-tubulina e la
β-tubulina. La α-tubulina, rappresentata nell’immagine in giallo, e la β-tubulina rappresentata in arancione,
insieme, costituiscono un eterodimero di tubulina che è la subunità di base di cui sono costituiti i
microtubuli.
Gli eterodimeri si polimerizzano per dare la struttura finale del microtubulo.
Dimeri di tubulina si aggregano formando degli oligomeri, delle strutture composte da un piccolo numero di
dimeri. Dopo di che più oligomeri, mettendosi in fila, si aggregano fra loro, legandosi in modo testa-coda
ottenendo così un singolo protofilamento. Più protofilamenti si affiancano uno all’altro creando il foglietto
di protofilamenti. A questo punto il foglietto si chiude su sé stesso dando origine ad una struttura cava che
prende il nome di microtubulo. Non è un caso che questo si chiami micro-tubulo.

Questo è il microtubulo fondamentale da cui si costruiscono tutte le varie strutture basate sui microtubuli.

Da notare che in tutti i filamenti che si affiancano a dare il foglietto, e quindi poi il microtubulo, sono tutti
orientati nello stesso modo, partono tutti con α-tubulina e finiscono tutti con la β-tubulina: c’è sempre la
stessa disposizione degli eterodimeri in tutti i protofilamenti affiancati.

Citoscheletro: microtubuli-cinetica di assemblaggio


Osservando e studiando questo processo in vitro, si è visto come esso avviene dal punto di vista della
cinetica mettendo a disposizione nel
terreno tutti gli “ingredienti”.

L’assemblaggio dei microtubuli presenta tre


fasi: una prima fase chiamata di latenza,
una seconda fase chiamata di allungamento
e una terza fase chiamata di plateau.

La fase di latenza è la fase in cui si passa dai


singoli dimeri (unità di partenza) agli
oligomeri, questa è chiamata anche fase di
nucleazione perché è questa la fase di
partenza da cui si costituiranno i
protofilamenti. Essa è la più lenta e più
difficile da ingranare delle tre. A questa
segue la formazione dei protofilamenti:
quando il microtubulo viene assemblato, questo si allunga per aggiunta di ulteriori dimeri di tubulina,
questa è una fase veloce la cui velocità dipende però dalla disponibilità di tubulina libera da attaccare al
microtubulo. La velocità aumenta fino a che non si arriva ad una fase di plateau in cui non c’è un ulteriore
accelerazione possibile del processo: diventa limitante la presenza di tubulina perché è stata usata in
questa fase di allungamento e quindi c’è un equilibrio tra quanti dimeri vengono aggiunti e quanti si
distaccano, equilibrio fra l’assemblaggio e il disassemblaggio.

I microtubuli citoplasmatici sono costituiti da un'unica struttura tubica in cui la parete del tubo è costituita
da 13 protofilamenti. Questo tubo ha un diametro complessivo di 25 nm il cui lume ha un diametro di 15
nm. Ciascun microtubulo presenta un’estremità in cui sono allineate tutte le subunità di α-tubulina dei vari
protoifilamenti che viene denominata parte negativa, mentre alla parte opposta dove c’è il cappuccio con
tutte le β-tubuline di tutti i protofilamenti che è indicata come estremità positiva. I microtubuli sono quindi
delle strutture polarizzate che hanno due estremità diverse strutturalmente: una che finisce con α-tubulina
e l’altra che finisce con β-tubulina. A questa differenza strutturale corrisponde una differenza funzionale. Le
due estremità non sono equivalenti fra di loro.
Non sempre tutte le strutture microtubulari sono formate da un singolo tubulo: ci sono anche delle
associazioni a dare dei doppietti o delle triplette di microtubuli. In particolare la disposizione a doppietto è
presente nell’asse delle ciglia e dei flagelli e la disposizione dei tripletti è presente nel corpo dal quale
originano le ciglia e i flagelli, ovvero il corpo basale, e nel centriolo.

Il singoletto è composto dai tredici protofilamenti, i doppietti invece hanno un tubulo formato da 13
protofilamenti, quindi completo, e un altro tubulo costituito solo da 10 o 11, nel caso delle triplette è
presente un tubulo completo (indicato come tubulo A) e altri due incompleti che sono costituiti
generalmente da 10 o 11 protofilamenti (indicati come tubulo B e C).

 Singoletto: tubuli citoplasmatici


 Doppiette: asse delle ciglia e dei flagelli
 Triplette: centrioli e nel corpo basale delle ciglia e dei flagelli.
Importanza della polarità dei microtubuli
Il fatto che i microtubuli siano delle strutture polari ha un’importanza cruciale e molte ripercussioni sulle
attività collegate ai microtubuli. Per esempio, l’aggiunta e la rimozione di dimeri di tubulina avvengono ad
entrambe le estremità, sia quella negativa che quella positiva. L’aggiunta di dimeri per allungare il
microtubulo all’estremità positiva, però, avviene a velocità decisamente maggiore. Per cui c’è una polarità
funzionale diversa: l’estremità positiva è quella più veloce in quest’attività di assemblaggio. Questa attività,
che fa crescere di lunghezza i microtubuli, viene anche indicata con il termine di treadmilling: il processo
che allunga e accorcia a seconda che si aggiungono o tolgono dei dimeri di tubulina. La polarità dei
microtubuli interviene anche nel movimento di vescicole di trasporto e di organuli lungo i microtubuli. Gli
organuli o le vescicole spostandosi nel citoplasma spesso utilizzano il citoscheletro, e in particolare i
microtubuli citoplasmatici, come dei binari sui quali camminare. Ma le vescicole di per sé non possono
camminare sul microtubulo, occorre quindi l’intervento di proteine dette proteine motrici. Queste hanno la
capacità sia di agganciarsi, con dei siti appositi, al microtubulo, sia di agganciare, dalla parte opposta, ciò
che deve essere trasportato, quindi o vescicole o organuli. Le due principali proteine motrici sono la
chinesina e la dineina. Queste due proteine si muovono con una direzione opposta: la chinesina si muove
verso l’estremità positiva del microtubulo e la dineina verso l’estremità negativa. Questo movimento costa
energia alla cellula, perciò le proteine motrici funzionano quando utilizzano ATP che viene idrolizzato da
ADP più fosfato.

Centri Organizzatori Dei Microtubuli (MTOC)


La nucleazione dei
microtubuli, quindi il
punto di partenza del
processo di assemblaggio
dei microtubuli ottenuto
da dimeri di tubulina e di
conseguenza da oligomeri;
se spontanea, avviene di
per sé nel citoplasma ma è
un evento molto lento e
raro. La nucleazione vera e
propria avviene
fondamentalmente in
alcune strutture specializzate della cellula che danno l’avvio a questo processo: i MTOC. Questi ultimi sono i
centri di nucleazione tubulari, centri specializzati a livello dei quali parte la nucleazione. Il centro
specializzato principale presente nella cellula animale, è il centrosoma ed è solitamente collocato in
posizione perinucleare. Il centrosoma è un organulo costituito da due centrioli inseriti in una matrice detta
pericentriolare (attorno ai centrioli): il centrosoma è quindi formato da due centrioli e matrice
pericetriolare. I due centrioli, che non sono avvolti da membrana, sono delle strutture fatte di microtubuli,
microtubuli formati da 9 triplette disposte alla periferia di ciascun centriolo. Tutto cià si vede molto bene
quando il centriolo è tagliato trasversalmente. I due centrioli sono perpendicolari l’uno rispetto all’altro,
quindi quando vengono tagliati uno sarà tagliato trasversalmente e uno longitudinalmente. Le dimensioni
dei centrioli sono di circa 250 nm. Nella matrice pericentriolare, composta da tante diverse proteine, ne è
presente una chiamata γ-tubulina; questa proteina si associa ad altre proteine formando l’anello complesso
γ-tubulinico dal quale parte la nucleazione e quindi la formazione dei microtubuli. In molti casi, agli MTOC,
quindi ai centrosomi, ma anche ai corpi basali delle ciglia e dei flagelli (anch’essi centri organizzatori dei
microtubuli), i microtubuli rimangono associati e questo fa sì che questi centri organizzatori possono
determinare la posizione e l’orientamento dei microtubuli all’interno della cellula.

Orientamento dei microtubuli e forma della cellula


È proprio in base a come sono orientati i microtubuli nella cellula che dipende la forma della cellula e anche
alcune delle sue funzionalità particolari.

Il neurone ha due set di microtubuli: uno per l’assone e


uno per il dendrite. Nell’assone si hanno i microtubuli
che dipartono e rimangono agganciati al centrosoma e
che sono disposti con l’estremità negativa verso il
centrosoma e quella positiva verso la punta, la parte
terminale dell’assone. Il set di microtubuli del dendrite
ha una polarità mista: qualcuno ha l’estremità positiva
verso il nucleo e quella negativa verso la punta mentre
altri il contrario e non sono associati al centrosoma.

Nelle cellule epiteliali presentando una polarità, si può riconosce una parte
apicale con delle ciglia. Qui ci sono diversi centri organizzatori microtubulari che
sono i vari corpi basali da cui si originano le ciglia. Da qui parte l’assonema:
l’estremità negativa è rivolta verso il corpo basale, mentre quella positiva si trova
sulla punta delle ciglia.
L’eritrocita maturo, quindi privo di nucleo, è anche privo del centro di
organizzazione tubulare, perciò i microtubuli presenti non sono associati a
nulla. In questo caso i microtubuli, con polarità mista, sono disposti a dare
delle bande concentriche disposte nella periferia della cellula. Questa
disposizione garantisce e mantiene la particolare forma discoidale dei
globuli rossi.

All’interno del fibroblasto, i microtubuli sono disposti con le estremità


negative in posizione centrale, quindi presso il nucleo, e le estremità
positive rivolte verso la periferia che si irradiano verso le varie direzioni nella cellula.

Organuli microtubulari: ciglia e flagelli


Esistono degli organuli fissi e stabili, che non si assemblano e disassemblano come fanno i tubuli
citoplasmatici, che sono internamente costituiti di microtubuli e presentano una disposizione fissa,
un’ultrastruttura particolare: ovvero le ciglia e i flagelli. Questi, non presenti in tutte le cellule, permettono
in quelle che li possiedono fenomeni di movimento e di motilità. Prendendo in considerazione entrambe le
strutture si distinguono due parti: l’asse centrale che viene detto assonema, ovvero la struttura portante
che sporge al di fuori dalla cellula e che è circondata da membrana plasmatica, e una parte basale che si
trova nel citoplasma che è quella da cui prende origine ed è associato l’assonema. Quest’ultima parte
prende il nome di corpo basale o blefaroplasto.
Tagliando trasversalmente l’assonema si nota che i microtubuli sono disposti in una struttura altamente
conservata dal punto di vista evolutivo e questa è l’ultrastruttura 9 + 2. Altamente conservata dal punto di
vista evolutivo perché, se viene preso in considerazione il ciglio di un’ameba, quindi di un protista, il ciglio
di una cellula ciliata del sistema respiratorio umano, quello di una cellula ciliata di un vertebrato o di un
invertebrato, la struttura è sempre la stessa. Invece, ultrastruttura 9+2 significa che alla periferia della
struttura sono disposte ad anello 9 doppiette di microtubuli (un tubulo completo di 13 protofilamenti e uno
incompleto di 10 protofilamenti), al centro invece sono disposti due microtubuli singoli (singoletti). I
doppietti periferici e i singoletti centrali sono collegati fra loro da raggi proteici i quali collegano sia un
doppietto con quello a fianco sia ogni dopietto con i singoletti.

Tra i vari doppietti c’è anche


una proteina motrice ovvero
la dineina. Questa possiede
due braccia, una interna e
una esterna per ogni
doppietto di microtubuli. La
dienina è molto importante
perché permette, con
consumo di ATP, di far
avvicinare tra di loro i
microtubuli e di far flettere il
ciglio dando quindi
possibilità di movimento.
Spostandosi in altri punti delle ciglia e dei flagelli
questa struttura non è presente. Alla base di
ciascuna ciglia, nel citoplasma, c’è il relativo
corpo basale o bleffaroplasto. Tagliando in modo
trasversale a livello di questo punto si può
osservare la sezione del corpo basale. Qui ci
sono nove triplette di microtubuli disposti alla
periferia, mentre al centro non è presente
nessun microtubulo. Quindi la disposizione è
detta 9+0. Da ciò si conclude che centriolo (9
triplette alla periferia) e corpo basale hanno la
stessa ultrastruttura. Esiste anche una zona di
passaggio fra l’assonema e il corpo basale. Se in
quel punto viene fatto un taglio trasversale, si può notare un’organizzazione ancora diversa: sono presenti
9 doppietti di microtubuli, e, anche in questo caso, al centro non vi è nulla. In questo caso la disposizione è
9+0, ma, in questo caso, il numero 9 fa riferimento a doppietti.

P.S.: Nel caso in cui dovesse capitare una domanda in cui viene presentata un’immagine di una sezione
trasversale al TEM bisognerà saper distinguere se ciò che è rappresentato, è una sezione di corpo basale, di
assonema o di zona di transizione. Per prima cosa bisognerà guardare se sono presenti dei doppietti o dei
tripletti, per poi osservare cosa c’è al centro.

Differenza tra ciglia e flagelli

Le strutture dell’assonema e del corpo basale delle ciglia e dei flagelli sono identiche, ma la disposizione e la
funzione di queste presentano delle differenze. Tutte e due sono implicate nel movimento, ma
generalmente le ciglia sono più numerose per ogni cellula: di norma una cellula cigliata possiede molte
ciglia o su tutta la superficie, o in alcuni casi su tutta la parte apicale; mentre, per quanto riguarda i flagelli,
una cellula solitamente ne possiede uno, come nel caso degli spermatozoi di molti mammiferi, o pochi di
più. Quest’ultimo, è il caso di alcuni protisti, che possono essere dei parassiti dell’uomo, come trichomonas
vaginalis il quale ne possiede cinque: quattro liberi e uno incorporato nella membrana ondulante.
Oltre al numero anche la lunghezza di queste due strutture è diversa: tendenzialmente le ciglia sono più
corte dei flagelli: la lunghezza delle prime varia dai 2 ai 20 µm mentre la lunghezza dei secondi varia dai 10
fino ai 200 µm.

Un’altra cosa che le differenzia è il movimento: la modalità con cui lo generano, il tipo, e la direzione. Le
ciglia hanno tipicamente un movimento detto arimo, movimento composto da un colpo efficace che
permette la spinta e da un colpo che permette il ritorno alla posizione iniziale. In questo caso si genera un
movimento che è perpendicolare rispetto all’asse principale del ciglio.
Nel caso del flagello invece, il movimento ricorda quello della coda del serpente: un movimento
ondulatorio che ha una direzione parallela all’asse longitudinale del flagello stesso.

Anche i procarioti possiedono flagelli che, nonostante lo stesso nome di quello degli eucarioti, hanno una
struttura completamente diversa.

Se si parla di una cellula che è singola, di conseguenza libera di muoversi e quindi non inserita in un tessuto,
come per esempio i protisti o spermatozoi, il battito del flagello crea un movimento che le permette di
spostarsi nello spazio. Ma se, prendendo in considerazione le cellule ciliate inserite all’interno di tessuti e
quindi facenti parte di un epitelio, si può notare che queste sono agganciate tra di loro e che, di
conseguenza, sono ferme. In questo caso il battito delle ciglia serve a far muovere ciò che è depositato sulla
superficie di quelle cellule. Ad esempio il battito delle ciglia negli epiteli del sistema respiratorio allontana
eventuali particelle inalate insieme all’aria dopo che queste vengono invischiate dal muco prodotto da altre
cellule del sistema respiratorio; grazie a tutto ciò il muco può essere allontanato dalle vie aeree. Ci sono
delle situazioni che deprimono l’attività di battito delle ciglia, come il freddo che inibisce il movimento delle
cellule dando il cosiddetto “naso che cola” o come il fumo. In questi casi può esserci ristagno di muco.

Un atro caso si ha nell’epitelio ciliato delle tube uterine, le tube di Falloppio: il battito delle ciglia aiuta
l’avanzamento della cellula uovo verso l’utero.

I microtubuli del fuso mitotico

In occasione della divisione cellulare, quindi durante la fase M, si assiste all’organizzazione di una struttura
presente solo in quel determinato momento. Questa struttura prende nome di fuso mitotico ed è costituita
da microtubuli, in particolare da tre diverse tipologie che sono: i microtubuli astrali, i microtubuli polari e i
microtubuli cinetocorici. Tutti questi, dal centrosoma, duplicatosi appena prima della mitosi, si irradiano
con le estremità negative rivolte verso quest’ultimo e le estremità positive, ovvero quelle che si assemblano
più in fretta, verso la periferia. Nell’immagine si riconoscono tutti e tre i tipi di microtubuli: quelli astrali,
che si chiamano così perché si irradiano a stella da ciascun centrosoma, hanno il compito di tenere in
posizione il fuso all’interno della cellula e di permettere che venga individuato facilmente anche il punto in
cui avverrà la suddivisione della cellula stessa, ovvero il piano equatoriale; quelli polari e quelli cinetocorici
che dai centrosomi vanno verso il centro della cellula con la differenza che sui primi non si agganciano i
cromosomi, ma hanno solo il significato, attraverso il loro allungamento, di allungare tutto il fuso mitotico,
mentre i secondi prendono contatto con il cinetocore del cromosoma. In particolare quest’ultimo parte da
un centrosoma e aggancia il cinetocore di un cromatidio fratello mentre quello che parte dal centrosoma
opposto, aggancia l’altro cromatidio fratello. In questo modo quando i due cromatidi si dissociano l’uno
dall’altro vengono tirati ai due poli opposti della cellula.

Il fuso mitotico è una struttura transitoria perché si forma in occasione della mitosi e poi si disassembla.

Funzione dei microtubuli


Riassumendo l’argomento
dei microtubuli, si può dire
che questi hanno una
funzione legata
all’organizzazione e al
mantenimento della
forma conferendo anche
polarità alla cellula: lo si è
visto con degli esempi pratici di cellule in cui i microtubuli, grazie alle loro diverse disposizioni, permettono
di dare varie forme alle cellule. I microtubuli sono importanti anche perché, dei tre elementi del
citoscheletro, sono gli unici che conferiscono una resistenza alla compressione, ruolo importante da un
punto di vista di supporto meccanico e strutturale. Essi servono anche da strade su cui si muovono le
vescicole, quindi i materiali, e gli organuli all’interno della cellula in modo ordinato e secondo una logica.
Attraverso la formazione di strutture stabili, come ciglia e flagelli, danno anche la possibilità di motilità
cellulare; mentre, parlando di microtubuli del fuso mitotico, permettono il movimento ordinato dei
cromosomi e quindi il loro corretto spostamento e la loro suddivisione in quelle che diventeranno le due
cellule figlie.Queste funzioni sono molto variegate, alcune richiedono la presenza di microtubuli dinamici,
quindi che si smantellano e riassemblano, mentre, per altri scopi, sono necessari dei microtubuli stabili e
fissi. Per poter garantire questa varietà e quindi i vari compiti, i microtubuli si fanno “aiutare” da una serie
di proteine a loro associate che sono definite MAP. Esistono tante tipologie di queste proteine: tra le MAP
ci sono tutte le proteine motrici, come per esempio la dineina e la chinesina, e ci sono anche tante altre
proteine che servono per regolare l’assemblaggio e il disassemblaggio dei microtubuli, per renderli più o
meno stabili, per permettere loro di agganciarsi ad altre strutture, come per esempio, alla membrana
plasmatica.
Tutti questi compiti, sono svolti dalle diverse MAP che si trovano all’interno della cellula. Una di queste
proteine è la Tau che è localizzata lungo tutto il microtubulo e che forma
delle anse sporgenti necessarie per distanziare un microtubulo dall’altro.
Un altro esempio di queste proteine è la CLIP-170 che è un esempio
delle cosiddette +-TIP, ovvero delle proteine che si associano
all’estremità positiva e la stabilizzano. La MCAK, invece è una di
catastrofina; le catastrofine sono delle proteine che si legano
all’estremità positiva, ma, a differenza della CLIP, la destabilizzano.
Questi sono alcuni degli esempi di MAP. Tutte queste proteine
interagiscono con i microtubuli permettendo loro di avere scopi diversi.
Nel caso in cui è presente un problema legato ai microtubuli, questo può
essere causato sia dai microtubuli in sé che dall’espressione e dalla
funzionalità delle
MAP a questi
associate.

I MICROFILAMENTI
Nei microfilamenti la subunità costituente è il monomero di proteina globulare actina (actina G). L’actina è
una proteina molto rappresentata nelle cellule, costituisce il 10-15% di tutte le proteine all’interno di esse.
In alcune cellule specializzate nella contrazione, dove la quantità di quest’ultima è maggiore, può
rappresentare anche il 30% di tutte le proteine presenti in questa tipologia di cellule. I monomeri di g-
actina si uniscono fra loro a dare un filamento e due filamenti, chiamati f-actina, si avvolgono a elica e
formano il microfilamento. Il valore del diametro di un microfilamento è di 7 nm. Anche questi, come i
microtubuli, sono dotati di polarità, quindi hanno un’estremità positiva e una negativa. Questo perché
ciascuna molecola di g-actina ha a sua volta una polarità, possiede cioè una testa e una coda con dei siti
diversi. Ciascuna molecola è legata all’altra in modo testa-coda, per cui ogni filamento inizia con una testa e
finisce con una coda. Anche in questo caso, i fenomeni di treadmilling dei microfilamenti, dipendono, come
velocità di formazione dei microfilamenti, dall’estremità presa in considerazione: questo evento è più
rapido all’estremità positiva rispetto che a quella negativa. Dallo schema riportato nell’immagine si può
osservare la formazione dei microfilamenti: la formazione iniziale parte dai monomeri che diventano un
dimero e successivamente un trimero di actina. Dopo di che c’è una fase più complicata in cui le molecole
tendono a disassociarsi. Superata questa fase cruciale il filamento è formato e inizia ad allungarsi: questo
allungamento procede più agevolmente all’estremità positiva.

Funzione dei microfilamenti


I microfilamenti intervengono in tante diverse attività: stabilizzano, come i microtubuli, la forma della
cellula e conferiscono la resistenza alla tensione, a differenza dei microtubuli che conferiscono resistenza
alla compressione. La stabilizzazione della forma cellulare si deve al fatto che, anche se i microfilamenti di
actina si trovano dispersi in tutta la cellula, questi sono concentrati soprattutto nella zona periferica di essa,
appena al di sotto della membrana plasmatica. Quella zona del citosol, proprio perché sono presenti tanti
filamenti di actina, è più consistente rispetto alla parte centrale che invece è più fluida, e prende il nome di
cortex cellulare.

I microfilamenti, soprattutto in alcune cellule specializzate nelle quali l’actina si organizza con un’altra
proteina, ovvero la miosina, danno origine a fenomeni di contrazione. Nell’immagine al TEM di un
sarcomero, unità contrattile e funzionale delle cellule muscolari striate, i filamenti più sottili non sono altro
che i microfilamenti di actina, mentre quelli più spessi e scuri sono i filamenti di miosina; questi due tipi di
microfilamenti si rapportano per permettere lo scorrimento l’uno sull’altro e quindi per permettere la
contrazione del sarcomero nel suo complesso.
I microfilamenti sono coinvolti nell’emissione di processi citoplasmatici necessari o per il movimento, come
per esempio l’emissione di filipodi o lamellipodi da parte delle amebe, o emissioni di pseudopodi, come nel
caso della fagocitosi, propaggini che servono per racchiudere e portare dentro materiale solido che è in
posizione extracellulare. Gli esempi di motilità e di emissioni di processi citoplasmatici sono evidenti
soprattutto nelle cellule che hanno movimenti ameboidi, quindi in organismi unicellulari ma anche in quelle
cellule rare nel corpo umano che hanno questa caratteristica come, per esempio, alcuni globuli bianchi. In
questi casi i filamenti di actina rendono possibili questi movimenti i quali non sono altro che un gioco di
polimerizzazione e depolimerizzazione dell’actina e quindi di cambiamenti di consistenza del citosol in cui
questi elementi sono presenti. Altra importante funzione è quella della citodieresi. La citodieresi è la
suddivisione della cellula che presenta alle due estremità i due nuclei che devono suddividersi
materialmente. La cellula quindi deve dividere il citoplasma per dare origine alle due cellule figlie: questa
fase, che segue la mitosi vera e propria, avviene nelle cellule animali grazie all’intervento di un solco di
divisione, visibile nell’immagine, che funziona come una specie di laccio. Questo laccio, fatto di
microfilamenti associati a proteine, con l’ausilio di proteine, stringendosi “strozza” la cellula animale
dividendola in due, generando così le due cellule figlie.

Le proteine accessorie
Anche in questo caso, come già visto per i microtubuli, si
può osservare che le funzioni che possono svolgere i
microfilamenti sono molto variegate. Nello svolgere
queste diverse funzioni, essi sono supportati da alcune
proteine, chiamate proteine accessorie dei
microfilamenti. Esistono molte proteine accessorie:
alcune permettono ai microfilamenti di essere molto
instabili, quindi di assemblarsi e di disassemblarsi
facilmente; altre permettono loro di essere più stabili nel
caso dovesse essere necessaria questa caratteristica. Le
proteine accessorie rappresentano circa il 10% del
contenuto proteico della cellula.

Ci sono delle proteine accessorie che legano ai singoli


monomeri della G-actina, e che regolano o positivamente
o negativamente, favorendo o sfavorendo il processo di
nucleazione, quindi il processo di formazione che parte dai monomeri dei filamenti di actina. Per esempio,
la timosina si lega alle subunità impendendone l’assemblaggio, mentre, al contrario, la profilina legandosi
alle subunità facilita e accelera la loro unione a
dare i filamenti. La formina e il complesso ARP
fungono, invece, da centri di nucleazione. Le
proteine possono interagire direttamente con i
filamenti dell’actina per esempio tagliandoli in un
certo punto, come gelsolina, oppure rendendoli
più o meno stabili, o, ancora, intervenendo sul
loro allungamento facilitandolo. Altre proteine
influenzano il modo in cui si organizzano tra di
loro i vari filamenti aiutandoli a costituire dei
fasci e ad agganciarsi alle altre strutture della
cellula, come per esempio, la fimbrina, α-actinina
e la spettrina.

I microvilli
I microfilamenti poi si organizzano in modo stabile a dare delle strutture che sono i microvilli. I microvilli
sono delle specializzazioni cellulari presenti solamente in alcune tipologie di cellule, come ad esempio
quelle degli epiteli coinvolti nel fenomeno di assorbimento come l’epitelio intestinale o quello del tubulo
contorto prossimale, e il significato della presenza di queste strutture è quello di aumentare fino a 20/30
volte la superficie a disposizione per i processi di assorbimento di materiale. I microvilli sono fatti di
microfilamenti, sia nella struttura portante che nella struttura che è alla base del microvillo.
Un microvillo non è altro che una specie di formazione a “dito di guanto” avvolta da una estroflessione
della membrana plasmatica che sporge dalla regione apicale della cellula epiteliale. Ogni microvillo è
costituito, nel suo asse centrale, da microfilamenti disposti in fasce le cui estremità negative sono rivolte
verso la base mentre quelle positive verso l’apice. Questi microfilamenti terminano in una placca
elettrondensa visibile al TEM.

I microfilamenti che costituiscono il fascio, sono uniti sia fra di loro sia con la membrana plasmatica da delle
molecole proteiche che rendono la struttura compatta e coesa. Alla base di ciascun microvillo c’è un
reticolo tridimensionale fatto di microfilamenti, quindi da actina, che dà l’innesto e supporto meccanico per
ciascun microvillo e che quindi permette loro di proiettarsi verso l’esterno; questo reticolo prende il nome
di trama terminale ed è un intreccio reticolare di microfilamenti. Il diametro di un microfilamento è di 0-1
µm mentre l’altezza è variabile: sono più corti quelli dell’epitelio intestinale, hanno una lunghezza che varia
dai 1 ai 2 µm, mentre quelli dell’epitelio renale possono essere più lunghi, fino anche a 3 µm. Esistono dei
microvilli specializzati, che si ritrovano nelle cellule capellute degli epiteli sensoriali dell’orecchio interno,
che prendono il nome di stereociglia; anche queste, in quanto microvilli specializzati, sono formate da
microfilamenti.

Le stereociglia degli epiteli sensoriali

Le stereociglia si trovano nell’orecchio interno. L’orecchio interno è costituito da un labirinto osseo


all’interno del quale è ospitato un labirinto membranoso. Quest’ultimo si divide in labirinto vestibolare e
labirinto cocleare; il primo, chiamato anche vestibolo, è adibito all’equilibrio, mentre il secondo, chiamato
anche coclea, si occupa dell’udito. Il labirinto vestibolare è costituito da utricolo e sacculo, questi hanno
degli epiteli sensoriali che si chiamano macule e in queste si trovano le cellule capellute con le sterociglia.
Una macula, visibile nell’immagine, è dotata di una membrana gelatinosa sovrastante in cui sono presenti
degli otoliti, ovvero piccole formazioni rigide, che sono fluttuanti. Sempre nel labirinto vestibolare, oltre al
sacculo e all’otricolo sono presenti anche i tre canali semicircolari. Questi, come i precedenti, possiedono
degli epiteli sensoriali, le ampolle o creste ampollari, composti da cellule capellute; in questo caso la
membrana sovrastante, chiamata cupola, è priva di otoliti. Nel labirinto cocleare invece sono presenti la
coclea e l’organo del Curti e anche quest’ultimo possiede delle cellule capellute in cui ritroviamo le
stereociglia. Entrambi i labirinti sono immersi in un liquido: l’endolinfa. Gli spostamenti della testa fanno
muovere l’endolinfa che a sua volta fa spostare le membrane che sovrastano gli epiteli sensoriale i quali
muovendosi fanno deflettere le steroeciglia delle cellule sensoriali. Questo movimento meccanico si
trasforma in messaggio elettrico che viene raccolto dalle fibre nervose afferenti e portato al cervello.

A livello del vestibolo, ma non a livello della coclea, in ogni cellula capelluta, è presente un chinociglio. Il
chinociglio è la struttura più alta di queste cellule ed è posto alle loro estremità. Questo ha una struttura
microtubulare. Le altre strutture che lo affiancano e che sono poste in ordine decrescente dalla più alta alla
più bassa, sono tutte stereociglia che sono composte da microfilamenti. Questa disposizione è detta “a
canne d’organo”. Tutte le stereociglia e il chinociglio sono collegati fra di loro sia da delle proteine laterali
che da delle connessioni apicali. Grazie a ciò tutte queste strutture si muovono in modo univoco e
coordinato: si flettono contemporaneamente quando la endolinfa si sposta.
Ciascuna stereociglia si inserisce su una cosiddetta placca cuticulare che è molto ricca di actina e che dà
sostegno e, una volta che si sono piegate le stereociglia, dà quell’aggancio che permette alle stereociglia di
tornare in posizione ancorandole in modo saldo a questa placca che è appena al di sotto della superficie
cellulare. La parte terminale di ciascuna stereociglia è più scura ed è ricca di canali ionici che servono per la
trasduzione del segnale da meccanico ad elettrico. Questo segnale viene raccolto dalla fibra nervosa
afferente che avvolge la parte basale delle cellule capellute e portato all’encefalo quindi al sistema nervoso
centrale.
I FILAMENTI INTERMEDI
I filamenti intermedi, rispetto alle altre due strutture del citoscheletro, possono
essere definiti come elementi a sé.

Quantitativamente parlando, questi sono molto rilevanti perché sono i principali


elementi sia del citoscheletro a livello del citoplasma sia all’interno del nucleo,
dove la lamina al di sotto della membrana nucleare è fatta proprio dai filamenti
intermedi.

In questo caso, a differenza dei microtubuli e dei microfilamenti, non è possibile


definire un diametro preciso: il range della sua misura varia tra 8-12nm. Questa
grandezza non è così specifica perché le subunità costituenti dei filamenti
intermedi possono essere varie: la maggior parte appartengono alla famiglia della
cheratina, ma possono anche essere diverse le subunità proteiche; quindi a
seconda di quali sono queste, la struttura cordoniforme che ne emerge può avere
un diametro diverso. Altra caratteristica, sempre diversa rispetto agli altri due, è
che i filamenti intermedi sono molto meno solubili e dinamici e molto più stabili
costituendo quindi delle strutture che tendono a rimanere così come sono.
Un’altra proprietà differente è che non presentano polarità, o se ce la dovessero
avere, questa è sconosciuta. I filamenti intermedi sono diversi a seconda del tipo
cellulare quindi, in questo caso, si parla di elementi del citoscheletro che sono
tessuto-specifici. Le subunità proteiche che li costituiscono vengono raggruppati in sei principali classi.

Struttura e assemblaggio dei filamenti intermedi

Le proteine dei filamenti intermedi sono delle proteine fibrose e ciascuna di loro ha la caratteristica di
avere una parte centrale organizzata a α-elica mentre due estremità globulari che sono l’estremità
amminoterminale e quella carbossiterminale. Il punto d partenza che andrà a costituire i filamenti
intermedi è un dimero in cui due di queste proteine si avvolgono ad elica nella parte centrale.
Successivamente due di questi dimeri si associano formando un tetramero; i due dimeri che lo formano
sono leggermente sfasati l’uno rispetto all’altro: un dimero si affianca in modo leggermente sfasato, con
l’estremità amminoterminale, all’estremità carbossilterminale di un altro. Vari tetrameri costituiscono una
porzione di un protofilamento; otto protofilamenti si avvolgono assieme dando una struttura simile ad un
cordone ed è proprio quest’ultimo che viene chiamato filamento intermedio. Il fatto che abbia una
struttura a fune richiama la capacità di resistenza meccanica di questi filamenti i quali resistono alla
trazione. Essi sono particolarmente abbondanti in tutte quelle cellule che sono sottoposte a particolari
sollecitazioni meccaniche: epiteli, epidermide, annessi cutanei e così via.

Le sei classi di filamenti intermedi


Come già detto i filamenti intermedi si possono dividere in sei classi.
La prima classe è quella delle citocheratine acide e la seconda è quella delle citocheratine basiche, entrambi
i tipi di citocheratine sono molto abbondanti negli epiteli, in particolare nell’epidermide, e in tutte quelle
strutture “dure” che originano dall’epidermide come unghie, peli, zoccoli, scaglie, squame: strutture che
sono molto ricche di questi filamenti i quali danno resistenza sia meccanica sia impermeabilità. Nella terza
classe vi è la vimentina che si trova soprattutto a livello dei fibroblasti, la desmina che è presente
soprattutto a livello delle cellule muscolari e la GFA, proteina gliofibrillare acida, che si può trovare nelle
cellule gliali in particolare negli astrociti. Nel quarto gruppo vi sono le proteine dei neurofilamenti che si
trovano tipicamente nei neuroni, i quali a causa delle loro forme che presentano dei prolungamenti,
necessitano delle strutture che diano sostegno alla loro particolare forma. Per quanto riguarda la quinta
classe, le proteine che ne fanno parte sono le lamine nucleari: la A, la B e la C, che a differenza delle
proteine citate sopra che sono tutte tessutospecifiche, queste le si possono trovare in tutte le cellule
perché sono quelle che costituiscono la struttura che dà supporto meccanico al nucleo e che costituiscono
la lamina nucleare. La sesta e ultima classe è quella della nestina che si trova nelle cellule neuronali
staminali ovvero quelle che, nel corso dello sviluppo, daranno origine al sistema nervoso.
Riepilogo del citoscheletro
Lo schema sottostante riepiloga le caratteristiche delle strutture del citoscheletro in modo comparativo
evidenziando per ciascun componente quale è la subunità costituente, la struttura, le dimensioni del
diametro, la presenza o meno di polarità, le molecole in grado di cedere energia con cui si interfacciano e le
loro funzioni.

Una cosa da ricordare è che le subunità nei microtubuli sono gli eterodimeri di tubulina α e β, quelle dei
microfilamenti sono le molecole di actina-g che si uniscono a dare i filamenti, mentre nei filamenti
intermedi sono i dimeri di proteine fibrose che possono essere varie a seconda delle cellule.

La polarità e l’elevata dinamicità sono presenti nei microtubuli, mentre i filamenti intermedi sono più stabili
e non sono polari.

Citoscheletro e salute
La sindrome delle ciglia immobili colpisce i microtubuli ed è dovuta al fatto che nelle ciglia e nei flagelli non
sono presenti le braccia di dineina: la loro struttura, nonostante sia completa di tutti gli elementi tranne la
dineina, che è la proteina motrice responsabile dello scorrimento dei doppietti e della flessione delle ciglia
e dei flagelli, non sarà in grado di muoversi. La presenza di ciglia e flagelli immobili determina situazioni
come la sterilità maschile dovuta al fatto che il flagello dello spermatozoo non è in grado di muoversi
impedendo quindi a quest’ultimo di raggiungere la cellula uovo per fecondarla, mentre se il problema
colpisce le ciglia di quegli epiteli in cui sono presenti cellule cigliate quindi per esempio quello respiratorio,
l’immobilità delle ciglia determina dei problemi di capacità respiratorie.
Si conoscono circa una cinquantina di mutazioni che determinano delle malattie legate al
malfunzionamento dei filamenti intermedi e alcune di queste sono piuttosto impattanti.

Una di queste è l’epidermolisi bollosa semplice, EBS, che è dovuta a delle mutazioni nei geni delle
cheratine, proteine molto rappresentate nell’epidermide e negli annessi cutanei. In questo caso i filamenti
non si assemblano correttamente e sui soggetti afflitti da questa problematica, la quale può essere di
diverse gravità, si formano delle vescicole anche a fronte di attività banali: il minimo strusciamento può
provocarle. Si ha quindi un’estrema fragilità dei tessuti dovuta al non corretto assemblaggio dei filamenti
intermedi i quali dovrebbero dare resistenza meccanica.

Un’altra è la malattia di Hutchison-Gilford detta anche progeria. I soggetti affetti da questa malattia
invecchiano velocemente dal punto di vista fisico: hanno tutte quelle malattie tipiche degli anziani
nonostante la giovane età anagrafica. Tutto ciò è dovuto ad un problema legato ai filamenti intermedi e
quindi alle lamine che determinano delle anomalie a livello della struttura nucleare.

Ci sono dei farmaci che sfruttano le varie caratteristiche e funzioni del citoscheletro per ottenere i loro
effetti. Vari farmaci, soprattutto antitumorali, essendo capaci di perturbare il citoscheletro e in particolare
la formazione del fuso mitotico, vengono utilizzati per contrastare la proliferazione delle cellule tumorali:
tutto ciò che impedisce il corretto assemblamento dei microtubuli a dare il fuso mitotico impedisce alle
cellule di dividersi e quindi di proliferare, ovvero il problema chiave delle cellule neoplastiche. Per esempio
il taxolo, che è di origine vegetale, è un principio attivo di antimitotici usati per il trattamento di vari tumori
come quello dell’ovaio o della mammella.
LEZIONE 9 - 26/10/2022

GIUNZIONI CELLULARI

Le giunzioni cellulari sono delle specializzazioni cellulari particolari che consentono il


collegamento tra cellule.

Negli animali ne esistono 3 tipi principali, particolarmente comuni negli epiteli:


- giunzioni occludenti: uniscono, in alcuni tratti, membrane plasmatiche di cellule
adiacenti, in modo che non passi nulla fra loro;
- giunzioni aderenti o ancoranti: agganciano stabilmente cellule contigue o una
cellula al substrato sottostante, dando quindi solidità ai tessuti;
- giunzioni comunicanti: formano ponti tra cellule adiacenti che permettono il
passaggio di ioni e piccole molecole tra un citoplasma e l’altro;

A formare tali giunzioni sono proteine, diverse a seconda del tipo. In particolare delle
proteine transmembrana si collegheranno a proteine del citoplasma, che a loro volta
interagiranno con elementi del citoscheletro.

LE GIUNZIONI OCCLUDENTI
Vengono anche definite giunzioni thigt o giunzioni strette o zonulae occludentes.

Sono costituite da una rete di proteine di tipo fibroso, soprattutto filamentoso, che vanno
ad occludere, tramite dei punti di fusione, le membrane di due cellule adiacenti.

Si trovano soprattutto a livello


degli epiteli e degli endoteli, un
tipo particolare di epitelio situato
a livello dei vasi sanguigni.

In particolare, all’interno delle


cellule, sono collocate sulle
superfici laterali, in genere
subito al di sotto della porzione
apicale.

La struttura principale delle


giunzioni occludenti è costituita
da proteine transmembrana, che si trovano sulle membrane di entrambe le cellule e
quindi sporgono su entrambi i versanti. Queste sono di tre tipi:
- Claudine
- Occludine
- JAM (= molecole di adesione giunzionale)
- Tricellulina (presente solo in corrispondenza di una interazione fra tre cellule
adiacenti)
Alle proteine trasmembrana si
agganciano alcune proteine
presenti nel citoplasma definite
ZO (= zonula occludens), le
principali sono ZO1, ZO2, e
ZO3. Le proteine
citoplasmatiche prendono poi
contatto con elementi del
citoscheletro, in particolare con i
microfilamenti, conferendo una
maggiore stabilità alle giunzioni
e permettendo anche un
eventuale dialogo di regolazione
dei processi che avvengono
all'interno della cellula.
Queste proteine ZO vengono definite adattatrici, in quanto permettono di avere un
legame fra gli elementi transmembrana e gli elementi del citoscheletro.
Ci sono altre proteine adattatrici oltre alle ZO come la cingulina che ha la possibilità di
fare da ponte con un altro elemento del citoscheletro, ovvero i microtubuli.

Nei punti in cui avviene la fusione delle membrane viene impedito il passaggio di materiale
da una cellula all’altra (trasporto paracellulare) questo garantisce la presenza di due
compartimenti distinti:
- comparto apicale: sovrasta la giunzione
occludente e si affaccia sul lume di un
organo (es. intestino) o sul lume di una
unità secretoria;
- comparto basale: inizia a livello delle
giunzioni e continua nel tessuto/spazio
sottostante;

Maggiore è il numero di giunzioni occludenti,


minore è la permeabilità del tessuto. Questo
permette di selezionare ciò che deve essere
trasferito da un comparto all'altro, impedendo
quindi il passaggio di materiali che non devono
trasferirsi dal lume verso i tessuti più interni.

Esempio: la vescica urinaria presenta un epitelio


che si affaccia sul lume della vescica nella quale
è contenuta l’urina. Se non ci fossero tante giunzioni occludenti a saldare le membrane
delle cellule dell'epitelio della vescica l'urina potrebbe fluire fra una cellula e l'altra e
imbibire pian piano i tessuti sottostanti.
Un’altra importante conseguenza della presenza delle giunzioni occludenti è quella di
impedire la migrazione di molecole proteiche (o anche lipidiche) verso altri punti della
cellula. In particolare alle proteine recettoriali che troviamo nella membrana plasmatica a
livello della superficie apicale viene impedito il movimento laterale. Lo stesso avviene per i
costituenti della membrana basale, ciò che si trova a livello basale laterale non può
arrivare a livello apicale.
Quindi ancora una volta il comparto apicale e quello basale sono distinti nella loro
composizione e nella loro struttura proprio com’è tipico delle cellule polarizzate, come
quelle epiteliali, e la presenza delle giunzioni occludenti contribuisce al mantenimento di
questa differenza di polarità e di distribuzione di costituenti.

LE GIUNZIONI ADERENTI O ANCORANTI


Se ne distinguono quattro diversi tipi:
- Giunzione aderente a fascia, chiamata anche zonula adherens;
- Desmosoma, chiamato anche macula adherens;
- Emidesmosoma;
- Contatto focale o adesione focale;

I primi due tipi si realizzano tra due cellule coinvolgendo quindi le membrane plasmatiche.
Gli ultimi due tipi si realizzano tra una cellula (in particolare la porzione basale) e la
sottostante matrice extra-cellulare.

A differenza delle giunzioni occludenti, nelle giunzioni aderenti le due membrane sono
agganciate ma non sono completamente adese, lasciando un interstizio fra una
membrana e l'altra di spessore variabile tra i 20 i i 35 nanometri.

Le giunzioni aderenti a fascia si estendono per l’intero perimetro della cellula formando
una sorta di cintura.
Sono costituite da proteine transmembrana, le caderine, delle quali abbiamo diversi tipi a
seconda della cellula in cui si trovano (esempio: caderine-e, presenti a livello epiteliale,
caderine-n presenti nelle cellule nervose).
Le caderine si sporgono
nell'ambiente extracellulare e
prendono contatto una con
l'altra. Sul versante
citoplasmatico di ciascuna
delle due cellule le caderine si
agganciano a delle proteine
citoplasmatiche ovvero le
catenine (es: alfa-catenina e
beta-catenina) che vanno a
formare appena sotto alla
membrana plasmatica nella
zona della giunzione una placca citoplasmatica. A loro volta le catenine si agganciano ai
microfilamenti e possono farlo sia direttamente, sia tramite delle proteine adattatrici che
mediano il collegamento fra le catenine e i microfilamenti come ad esempio l’ alfa-actinina,
la vincolina o vinculina e le proteine VASP.

I desmosomi sono un tipo di giunzione aderente simile alle giunzioni aderenti a fascia ma
più limitata spazialmente, infatti forma un punto localizzato di adesione, una specie di
bottone.

Sono costituiti da caderine, come


proteine transmembrana
(desmogleine e desmocolline
sono le più frequenti a livello
epiteliale), mentre sul versante
citoplasmatico troviamo una serie
di proteine che sono le
desmoplachine, placloglobine e
placofiline che formano una
placca di adesione discoidale
alla quale convergono elementi
del citoscheletro che in questo
caso sono filamenti intermedi
(nella zonula adherens il contatto
avveniva con i microfilamenti) che
variano in base al tipo di cellula in
cui sono presenti poiché sono
tessuto specifici (es: nelle cellule
epiteliali i filamenti intermedi saranno delle cheratine).
I filamenti intermedi, a volte definiti anche tonofilamenti, fanno si che le sollecitazioni
meccaniche cui sono soggetti i desmosomi non rimangono concentrate nel punto stesso in
cui si trovano i desmosomi rischiando di strapparli, ma si distribuiscano sull’intero
citoscheletro di tutte e due le cellule, dando quindi una resistenza maggiore. Non a caso i
desmosomi sono abbondanti nelle cellule soggette a fenomeni di stiramento (es: la
vescica).

L’emidesmosoma è una giunzione presente alla base degli epiteli che lega la membrana
plasmatica della regione basale della cellula alla sottostante lamina o membrana
basale, ovvero uno strato che si colloca tra l’epitelio e il sottostante tessuto connettivo.
Al TEM appare come metà di un desmosoma poiché manca la seconda cellula che formi
l’altra metà.

Presentano, come proteine transmembrana, le integrine (glicoproteine eterodimeriche,


ovvero formate da una subunità alfa e una subunità beta), ad esempio abbiamo la proteina
BP180 e la alfa-6-beta-4 che è tipica ed esclusiva solo degli emidesmosomi. Questi
elementi transmembrana si vanno ad agganciare dentro alla cellula ad una placca densa
di proteine ovvero le plachine tra cui la plectina
e la BP230. La placca prende poi contatto con i
filamenti intermedi sul versante esterno,
mentre gli elementi transmembrana si collegano
alla lamina basale tramite una particolare
proteina che si chiama laminina.

I contatti focali, detti anche adesioni focali,


sono giunzioni in grado di legare i
microfilamenti di actina del citoscheletro a
componenti della matrice extracellulare
attraverso varie proteine di connessione (es:
vinculina o alfa-actinina) e integrine.
A volte ci sono dei dei legami anche con altre
proteine che possono regolare l'attività delle integrine e quindi permettere il trasporto di
segnali da fuori a dentro la cellula e contribuire quindi alla regolazione dei processi come
l'adesione della cellula ai substrati oppure la proliferazione e il differenziamento.

GIUNZIONI COMUNICANTI o GAP


Questo tipo di giunzione è una sorta di canale in grado di consentire il passaggio di ioni o
molecole (di dimensioni non superiori a 1.000 Da) tra i citoplasmi di cellule vicine.

sono formate da delle proteine


transmembrana chiamate
connessine che di solito si
organizzano in strutture
esameriche dando origine ad un
connessone. Quest’ultimo si
unisce al connessone presente
sulla membrana della cellula
adiacente e forma un canale con
un poro acquoso al centro che
permette il passaggio di ioni e
piccole molecole.
Le giunzioni gap sono usate da cellule di diversi tessuti (epiteliale, muscolare, nervoso)
per comunicare, ma il numero di canali presenti è variabile in base al tipo di tessuto e alle
sue necessità.

Il vantaggio estremo delle giunzioni comunicanti è che, potendo trasportare velocemente


da una cellula all'altra gli ioni, c'è un collegamento elettrico molto rapido che fa rispondere
le cellule collegate fra loro in modo quasi simultaneo, danno origine a delle vere e proprie
sinapsi (punti di dialogo fra un neurone e l'altro) che permettono il passaggio diretto di
impulsi. Vi sono sia sinapsi chimico-elettriche che sinapsi esclusivamente elettriche con
passaggio di elettroni senza il coinvolgimento dei neurotrasmettitori. Esempi: nei
cardiomiociti per il passaggio rapido di ioni e sincronizzazione delle contrazioni muscolari;
nei neuroni per formare sinapsi elettriche.

RIEPILOGO DEI SISTEMI GIUNZIONALI


Sulla superficie laterale, partendo dall’apice e andando verso il polo basale, troviamo le
giunzioni in questo ordine:
- Giunzione occludente: sigilla le
due cellule adiacenti per prevenire
la diffusione di molecole attraverso
la spazio intercellulare;
- Giunzione aderente a fascia:
connette i microfilamenti delle due
cellule adiacenti;
- Desmosoma: salda i filamenti
intermedi delle cellule adiacenti;
- Giunzione gap: permette il
transito di ioni e piccole
molecole;

Sulla superficie basale troviamo:


emidesmosoma e contatto focale che saldano
rispettivamente i filamenti intermedi alla lamina basale e
i microfilamenti alla MEC.

I DISCHI INTERCALARI
I dischi intercalari o strie scalariformi sono
strutture peculiari dei miocardiociti che si
ripetono ad intervalli regolari e consentono al
miocardio di agire come un sincizio funzionale.
Essendo specifici del tessuto muscolare cardiaco
sono anche uno strumento utilissimo per
riconoscere se il tessuto muscolare è scheletrico o è cardiaco, i dischi intercalari si
presentano infatti come delle striature.

I dischi intercalari sono zone di giunzione


specializzate in cui troviamo, nelle porzioni
trasversali, giunzioni ancoranti (desmosomi e
aderenti a fascia) e nelle porzioni longitudinali
giunzioni comunicanti.

Le prime hanno il compito di ripartire su tutto il


miocardio le forze di tensione che si generano durante la contrazione; le seconde
permettono il rapido passaggio dell’impulso tra una cellula e l’altra.
PREPARAZIONE DEI CAMPIONI ISTOLOGICI

Blocco tematico: METODOLOGIE


Cap. 2 Zaccheo & Pestarino o Cap. 2 Dalle Donne

Preparazione dei campioni per la microscopia, ovvero per poterli osservare al microscopio
ottico o elettronico:
1) Dissezione o prelievo: procurarsi il frammento di campione dissezionando
l'organismo e prelevando il tessuto;
2) Fissazione: il tessuto prelevato va fissato;
3) Inclusione: il tessuto va incluso in un mezzo che gli dia solidità;
4) Taglio: il blocchetto contenente il campione va tagliato con uno strumento apposito,
il microtomo; per ottenere delle sezioni molto sottili;
5) Colorazione: Aumenta il contrasto ed evidenzia specifiche componenti dei tessuti.

DISSEZIONE/PRELIEVO
Il termine anatomia significa tagliare in pezzi, e dunque la dissezione rappresenta il primo
step fondamentale per la microscopia.

Scopi della dissezione:


- Studiare la morfologia (anatomia interna);
- Preparare organi e tessuti per l’analisi istologica/istochimica;
- Rinvenire parassiti o masse tumorali negli organi;
- Definire la condizione riproduttiva;
- Espiantare materiale vivente per trapianti o colture cellulari;
Procedura e attrezzatura:
- Preparare gli strumenti necessari: bisturi (coltelli), pinze e pinzette, forbici, aghi
manicati, specilli e sonde, eventualmente stereomicroscopio un tipo di
microscopio ottico usato per lavorare su parti molto piccole;
- Orientare correttamente l’animale: generalmente gli invertebrati vengono
dissezionati dalla superficie dorsale (per non incappare nel cordone nervoso che è
in posizione ventrale), i vertebrati da quella ventrale;
- Aprire con cautela le cavità corporee per non danneggiare gli organi e procedere in
base alla finalità della dissezione;

Caratteristiche e vantaggi dello stereo microscopio:


- Immagine dritta (non invertita) e tridimensionale;
- Possibilità di osservare campioni a fresco, non necessariamente su vetrino;
- Notevole distanza tra obiettivo e piano di osservazione: ciò è utile per campioni non
piatti e per utilizzare gli strumenti da dissezione;
- Illuminazione del preparato dall’alto e/o dal basso;

FISSAZIONE
Il più infretta possibile dopo la dissezione si procede con la fissazione.

Scopi della fissazione:


- impedire alterazioni post mortem dei tessuti (autolitiche e ad opera di agenti esterni)
- conservare il materiale nelle condizioni più simili possibili a quelle vitali;
- immobilizzare i costituenti cellulari e tissutali del campione;
- proteggere i tessuti dagli stress delle fasi successive;

Metodi di fissazione:
- FISICI (utilizzo di alte o basse temperature);
- CHIMICI cioè basati sull’uso di sostanze o miscele, chiamate fissativi
(generalmente i campioni vengono immersi in tali fissativi);

Fattori cruciali per una buona fissazione:


- Tempestività della fissazione (non appena si disseziona);
- Scelta del fissativo più adatto;
- Quantità di fissativo: rapporto 10:1 v/v tra fissativo e campione;
- Tempo di fissazione per evitare sotto- o sovra-fissazione, questo è variabile in base
a: capacità di penetrazione del fissativo, dimensioni e tipo di campione (es: tessuti
uniformi o a tessitura complessa), temperatura.

Principali fissativi:
- Aldeidi: Formaldeide/FORMALINA (in soluzione acquosa al 4-10 %) uno dei più
utilizzati in istologia per campioni destinati alla microscopia ottica (tempo di
fissazione: 12-24h); Glutaraldeide (in soluzione acquosa al 2-3 %): fissativo indicato
per piccoli pezzi destinati al TEM;
- Alcoli: etanolo (70-100 %)
- Acidi organici e minerali: acido acetico, a. tricloroacetico, a. picrico, a. cromico
- Sali di metalli pesanti: bicromato di potassio, cloruro di mercurio

Miscele di fissazione:
- LIQUIDO DI BOUIN: miscela di acido picrico, acido acetico e formalina (colore
giallo intenso). Ottimo fissativo, indicato per pezzi voluminosi grazie alla notevole
capacità di permeazione (8-10 h)
- LIQUIDO DI CARNOY: miscela di etanolo, cloroformio ed acido acetico. Usato
soprattutto per fissare cellule isolate, quindi campioni con volumi ridotti.

INCLUSIONE
Consiste nell’ infiltrazione del campione con un mezzo di inclusione allo scopo di conferire
al frammento la durezza e la compattezza necessarie per procedere alla sezione in sottili
fettine. Il mezzo di inclusione più utilizzato è la paraffina, si presenta solida poi la si scalda
alla sua temperatura di fusione (variabile fra i 35 e 70 gradi, la maggior parte fonde a 55/
56 gradi) rendendola fluida. La paraffina è una miscela di idrocarburi saturi quindi
insolubile e immiscibile con acqua e alcool, per questo motivo prima di includere il mezzo
vanno fatti alcuni passaggi.

Fasi dell’inclusione:
- disidratazione in solventi organici (etanolo) a gradazione crescente;
- chiarificazione o diafanizzazione: immersione nel solvente (xilolo) del mezzo di
inclusione;
- infiltrazione: passaggio nel mezzo di inclusione allo stato liquido (paraffina fusa);
- solidificazione del mezzo di inclusione contenente il campione (= blocco incluso)
all’interno di un’apposita formella (di plastica o metallo) che verrà poi rimossa;
- Eventuale aggiunta di un supporto che funga da base di aggancio al microtomo;

Due strumenti utili per includere e normalmente presenti nei laboratori di istologia sono:

Il processatore automatico presenta delle cassettine monouso in cui viene infilato il


pezzo fissato, poi un braccio mecanico lo sposta nelle varie vasche contenenti gli alcool, lo
xilolo e infine la paraffina fusa facendoli sostare il tempo che serve. Al termine del
processo i pezzi che sono nella paraffina fusa vengono posizionati nella centralina di
inclusione per l'orientamento e l'ottenimento del blocchetto, nela centralina ci sono delle
zone calde, dove la paraffina rimane fusa e si vanno a scaldare le formelle, nel vanno
centrale c'è una la vasca con la paraffina fusa, quindi riscaldata e sotto c’è un dispenser
dal quale esce la paraffina fusa che si cola nello stampino in cui si inserisce poi il pezzo.
Successivamente si sposta sulla piastra refrigerata così che la paraffina si solidifichi e il
pezzo non si sposti.

TAGLIO
Quando si procede al taglio di un organismo in toto o di un organo è necessario orientarlo
in base al tipo di sezione che si vuole ottenere.

Tutti gli animali a simmetria bilaterale presentano i seguenti versanti:


- un versante destro e uno sinistro;
- un versante dorsale e uno ventrale;
- un versante cefalico/craniale e uno caudale

I termini «anteriore» e «posteriore» come pure


«superiore» e «inferiore» variano in base alla postura
dell’animale

piani corporei e sezioni di taglio:


- sagittale → sagittale: divide la parte destra ela
parte sinistra
- frontale → longitudinale: divide la zona dorsale
rispetto a quella ventrale
- trasversale → trasversale: divide la parte cefalica
da quella caudale

MICROTOMIA
Il microtomo permette di ottenere sezioni di 4-6 micron
di spessore. Il microtomo manuale o motorizzato può
essere rotativo (tramite una manovella il pezzo viene
fatto avanzare verso la lama di un quantitativo
prefissato) o a slitta ed è dotato di un porta pezzo e
una lama di acciaio. Può tagliare campioni inclusi di
paraffina o resina sintetica,e forma delle fettine sottili
che di solito rimangono attaccate una all'altra come un
nastro. Le sezioni vengono poi messe a bagnomaria
per distenderle, raccolte con un vetrino e fatte
asciugare.
Ci sono alcuni tessuti, come il tessuto osseo, che per la loro durezza sono difficile da
sezionare. Per questi viene fatto un trattamento decalcificante del campione che possono
avvenire:
- pre inclusione: di solito con EDTA;
- post inclusione (in fase di taglio): con appositi decalcificanti a rapida azione;

In alternativa al microtomo rotativo esiste un altro tipo di microtomo chiamato CRIOSTATO


o MICROTOMO CONGELATORE: è contenuto all’interno di una cella frigorifera ed è usato
per tagliare campioni congelati.

Il congelamento è un processo di fissazione fisica alternativo alla fissazione chimica e


successiva inclusione con paraffina ed è utile per campioni che necessitano di diagnosi
rapida o di cui non si voglia alterare la composizione, permettendo anche di studiare quei
componenti delle cellule e dei tessuti che in seguito al trattamento con il calore
degenererebbero, ed esempio gli enzimi, o la presenza di lipidi nelle cellule (il passaggio
in xilolo durante l'inclusione scioglie i lipidi presenti nel tessuto lasciando uno spazio
vuoto).

Le sezioni criostatiche hanno uno spessore 10-30 μm (essendo più spesse, per lavori di
individuazione morfologica è meglio usare il procedimento classico con paraffina al
microtomo), vengono fatte aderire ai vetrini che si conservano a -80°C fino a quando
verranno sottoposte a colorazione.

ULTRAMICROTOMO: serve per tagliare campioni inclusi in resine epossidiche (araldite o


epon) destinati all’osservazione al TEM.
A differenza del microtomo classico è provvisto di un binoculare ed utilizza una lama di
vetro o di diamante. Permette di ottenere sezioni
molto sottili che possono essere:
- Sezioni SEMIFINI 1-1.5 μm che si raccolgono
su vetrini e si colorano per esempio con blu di
toluidina;
- Sezioni ULTRAFINI 50-100 nm che si
raccolgono su una griglietta metallica. Le
ultrafini sono sottoposte a colorazione di
contrasto con sali di metalli pesanti (acetato di
uranile e citrato di piombo);

COLORAZIONE
Consiste nel trattamento delle sezioni con sostanze coloranti allo scopo di aumentare il
contrasto dei componenti della cellula e dei tessuti e facilitarne così l’osservazione e
l’identificazione al microscopio.

I coloranti vengono suddivisi in:


- vitali (possono essere usati su cellule e tessuti ancora vivi, dai quali vengono
assorbiti) e non vitali (utilizzati su cellule e tessuti fissati);
- Naturali (estratti o dal mondo vegetale, es. l’ematossilina origina da un certo tipo di
legno, o dal mondo animale, es. rosso estratto dalle cocciniglie) e artificiali (sono
sintetici e quasi tutti originano dall’anilina per questo vengono anche detti coloranti
di anilina)
- Acidi, basici e neutri: questa classificazione dei coloranti si riferisce alla
caratteristica anionica o cationica del loro gruppo reattivo.
Se questo è costituito da un gruppo amminico (NH2), il colorante sarà definito
“basico”: in soluzione si protonerà (NH3+) agendo come un catione e quindi legherà
cariche negative (es: acidi nucleici). Le componenti cellulari e tissutali che si
colorano con i coloranti basici vengono dette basofile.
Al contrario, se è costituito da un gruppo carbossilico (COOH), il colorante sarà
definito “acido”: in soluzione perderà un protone caricandosi negativamente
(COO-), agendo come un anione, legando cariche positive (es: proteine,
citoplasma). Le sostanze che hanno affinità per i coloranti acidi vengono dette
acidofile.
I coloranti neutri hanno sia gruppi reattivi basici, sia acidi.

(Da ricordare solo tre/quattro di questi, i più importanti sono ematossilina ed eosina).
L'eosina è un colorante di tipo acido e artificiale che proprio grazie alla sua acidità va a
colorare il citoplasma e molte delle componenti della matrice extracellulare, con una
gradazione che va dal rosa al fucsia.
L’ematossilina invece è un colorante basico di origine naturale che va a colorare in viola
o blu, a seconda del tipo di ematossilina, il nucleo perché essendo un colorante basico
avrà affinità con le componenti acide del nucleo ovvero gli acidi nucleici.
Il blu di toluidina è un colorante basico, metacromatico cioè riesce a colorare con colori
diversi strutture diverse, es. colora i nuclei di blu, ma molti polisaccaridi che si trovano
nella matrice vengono colorati di rosso.
L’alcian blu è un colorante basico presente soprattutto a livello degli intestini o dell'epitelio
respiratorio, poiché va a colorare le muco sostanze acide di blu.

Le colorazioni possono essere classificate in diversi modi in base alla modalità con cui
vengono eseguite:
- colorazioni dirette e indirette: le colorazioni dirette sono quelle in cui i vetrini
vengono immersi direttamente nel colorante, quelle indirette sono quelle in cui
prima di mettere i vetrini nel colorante viene fatto loro un trattamento con delle
sostanze chiamate mordenti o mordenzanti.
- colorazioni progressive e regressive: nelle colorazioni progressive le sezioni
vengono immerse nel colorante e lasciate agire finché la sezione non raggiunge la
gradazione di colore interessata. Nelle colorazioni regressive si utilizza più
colorante del necessario e si lascia agire a lungo, dopodiché viene eliminato il
colorante in eccesso.
- colorazioni semplici e combinate: quelle semplici utilizzano un solo colorante che
può essere monocromatico (colorano tutto dello stesso colore) o metacromatico (si
ottengono colori diversi in base all’affinità con le strutture, es. blu di toluidina). Le
colorazioni combinate utilizzano più di un colorante, e possono essere successive
(prima si immerge in un colorante e poi in un altro es. l’ematossilina ed eosina) o
simultanee (si usano più coloranti ma messi tutti assieme in un'unica miscela es.la
gimsa)
- colorazioni istomorfologiche e istochimiche: le istomorfologiche permettono di
capire com’è fatto un tessuto o una cellula, quindi la sua morfologia, le istochimiche
evidenziano i loro componenti (es. glicoproteine, acidi nucleici, lipidi ecc.).

Passaggi tipici di una colorazione istologica:


- Sparaffinatura in xilolo, per eliminare i residui di paraffina
- Idratazione tramite serie decrescente degli alcol fino all’acqua distillata
- Immersione nel/i colorante/i (a volte preceduta da trattamenti preparatori nel caso di
colorazione indiretta)
- Disidratazione tramite serie crescente degli alcol per permetterne la conservazione
- Immersione in xilolo
- Montaggio: sopra le sezioni colorate viene posta una resina trasparente e un
vetrino coprioggetto. La resina usata garantisce la perfetta adesione dei due vetrini
(portaoggetto e coprioggetto) fra loro e, seccando, rende il preparato inalterabile e
duraturo.

Tutti questi passaggi si possono fare manualmente o tramite processatori automatici,


ovvero delle macchine in cui si caricano i vetrini, si impostano i tempi e questi vengono
spostati nelle varie vaschette pre-riempite con alcool, coloranti e xilolo. La fase di
montaggio e di chiusura del vetrino deve essere per forza eseguita manualmente.
Principali colorazioni e loro applicazioni:
- Ematossilina-Eosina: utile per qualsiasi tessuto, è una colorazione istomorfologica
totale che utilizza due coloranti con caratteristiche diverse, uno è un colorante acido
e uno un colorante basico
- Tricromica di Masson: utilizza almeno tre tipi di coloranti e viene usata per il tessuto
connettivo
- Giemsa e varianti: per gli strisci di sangue o per individuare elementi di derivazione
emapoietica
- Impregnazione argentica: per le cellule nervose e le fibre reticolari
- Reazione di PAS: reazione istochimica, serve per i carboidrati
- Reazione di Feulgen: reazione istochimica, serve per il DNA
- Alcian Blu: per alcune mucine e componenti della matrice extracellulare (MEC)

Colorazione citologica di papanicolaou (pap test)


La colorazione citologica Papanicolaou viene utilizzata per il pap test. Consente di valutare
cellule isolate, ottenute per esfoliazione spontanea o per asportazione meccanica,
esaminando le caratteristiche del nucleo e del citoplasma ed individuando eventuali
alterazioni neoplastiche. Generalmente viene usato per lo screening uterino per controllare
che non ci siano formazioni cancerose.

Esempi di colorazioni:
may-grunwald-giemsa e giemsa & wright
Metodi utilizzati per colorare gli strisci di sangue, permettono di individuare gli eritrociti
(colorazione rosa/arancio), i globuli bianchi di cui si evidenziano molto bene i nuclei
permettendo anche di distinguere il tipo di globulo bianco (es. linfocita, granulocita e quale
tipo di granulocita).

Ematossilina-eosina
E’ una metodica di colorazione semplice, veloce, poco costosa e generica. Ampiamente
utilizzata per osservare la struttura generale dei tessuti e degli organi (l’ematossilina colora
in viola/blu scuro i nuclei, il resto della cellula, quindi citoplasma e componenti
extracellulari basiche si colorano con l'eosina in rosa/fucsia).
Esempio: sezione dell'epidermide

Impregnazione argentica
Questo metodo utilizza la precipitazione elettiva di cromato di argento sulle cellule nervose
preventivamente fissate con tetrossido di osmio e bicromato di potassio.
L’impregnazione argentica evidenzia le fibre reticolari.
Esempio 1: cervelletto in cui si vedono bene sia i corpi cellulari sia i prolungamenti,
dendriti e neuroni, colorati di marrone più o meno scuro;
Esempio 2: sezione di un linfonodo in cui si evidenziano le fibre reticolari.

Reazione di pas (periodic acid schiff)


Il trattamento delle sezioni con acido periodico ossida i gruppi alcoolici degli zuccheri in
gruppi aldeidici e il reattivo di Schiff (un tipo di fucsina) reagisce con questi gruppi aldeidici
dando una colorazione fucsia/rossa.
Questa metodica è utile per evidenziare glicogeno, amido, cellulosa e altri polisaccaridi,
glicoproteine.
Esempio 1: colloide di un follicolo tiroideo, è una sostanza gelatinosa che si trova nel lume
dei follicoli della tiroide e che essendo molto ricca di tireoglobulina, una glicoproteina, si
colora fortemente.

Esempi 2 e 3: Tessuto renale e tessuto epatico entrambi colorati con la pas perché a
livello del tessuto renale abbiamo l’orletto a spazzola, quindi il glicocalice con tante
glicoproteine, negli epatociti c'è una colorazione pas positiva perché contengono riserve di
glicogeno, un polisaccaride.
LEZIONE 10 – 02/11/2022

PREPARAZIONE DEI CAMPIONI ISTOLOGICI

RIASSUNTO:
Stiamo vedendo come si prepara un campione per la microscopia: per essere poi osservato.
E’ un procedimento a tappe:
1. Prelievo del tessuto dell’organo di interesse
2. Fissazione per mezzo di mezzi fisici, ma soprattutto chimici
3. Inclusione di questo frammento in un mezzo che gli dia sostegno e una consistenza abbastanza dura da poter passare
alla fase successiva
4. Taglio: ottenimento di sezioni molto sottili (parliamo di circa 5-10 micron per la microscopia ottica, o meno per la
microscopia elettronica) che consentano alla luce o algli elettroni di passare attraverso la sezione del campione
5. Colorazione: per ovviare al problema della scarsità/mancanza di contrasto che hanno normalmente i tessuti, essendo
costituiti per la maggior parte di acqua. Operiamo delle colorazioni ad hoc per mettere in evidenza com’è fatto
morfologcamente il tessuto (le strutture del tessuto) o per evidenziare specifici componenti chimici all’interno del
tessuto (per vedere dove si localizzano, se ci sono e l’abbondanza).

COLORAZIONI

1. colorazioni di tipo istomorfologico come la classica ematossilina-eosina che mi permette di


evidenziare un po’ tutti i tipi di tessuto e quindi va bene un po’ per tutti gli organi.
L’ematossilina colora i nuclei e l’eosina colora i citoplasmi e in molti casi la componente extracellulare.

2. colorazioni di tipo istochimico che non servono per evidenziare delle strutture in particolare, ma la
presenza di specifiche sostanze e molecole verso le quali i coloranti che utilizzo hanno una selettività (= si
legano in modo caratteristico a questi).
• COLORAZIONE DI PAS (acido periodico – reattivo di schiff) che incontreremo anche
descrivendo alcuni tessuti, come per esempio :
1. la tiroide, dove troviamo i follicoli tiroidei, nel cui lume la sostanza colloidale, che è molto pass
positiva (cioè si colora molto con questo tipo di colorazione) perché contiene molte tireoglobuline
(tipo di proteine glicosilate), si colora molto. Questa colorazione ha la caratteristica di colorare, e
quindi di rendere visibili, le zone delle cellule dei tessuti dove trovo polisaccaridi (glicogeno, amido,
cellulosa) e glicoproteine.
2. a livello dei tubuli renali dove c’è l’orletto a spazzola (quindi glicocalici e microvilli) delle cellule
del tubulo che si colorano intensamente di pas, perché il glicocalice è costituito di sostanze legate a
gruppi glucidici
3. il fegato: che è uno degli organi, insieme ai muscoli, dove troviamo degli accumuli di glicogeno
(che è un polissaccaride e che quindisi colora fortemente con la pas). Sezioni di fegato si presentano
con epatociti molto colorati.
• REAZIONE DI FEULGEN:
colorazione che mette in evidenza in modo selettivo il DNA, lasciando quindi nucleolo e citoplasma
incolori.
- Evidenza il DNA sia quando
questo è in stato di cromatina
(interfase – foto in alto), sia
quando il DNA è sotto forma
di cromosomi (divisione
mitotica – foto in basso)
• ALCIAN BLU (AB): colorante basico e per questo motivo ha affinità, e si lega, con componenti
acide; in particolare si lega con i GAG acidi, con i proteoglicani acidi e con le mucine acide.
-- le mucine sono molecole altamente glicosilate che vengono prodotte in particolare dalle cellule
mucipare che troviamo soprattutto a livello dell’apparato digerente, tipo l’area intestinale, e
l’appartato respiratorio. Le mucine, anche a causa della loro elevata glicosilazione, hanno una
consistenza molto viscosa, che permette loro di proteggere, intrappolando le sostanze potenzialmente
pericolose e estranee che si trovano a livello dei due epiteli precedentemente citati, questi epiteli --
Le differenze di colorazioni dipendono anche dal tempo in cui lasci agire il colorante.
- foto sx del libro: cellule mucipare leggermente azzurrine
- foto dx - vetrino della prof dove il colorante è stato lasciato agire più ore: ha cellule mucipare
colorate di un blu intenso. Evidenzia solamente le cellule mucose che producono mucine acide. Le
mucine basiche e neutre si coloreranno, per esempio, con la pas. <<In particolare avevamo applicato
questa colorazione per mostrare come in un intestino parassitato, come è questo, anche se non si
vede il parassita in questa zona, aumenta notevolmente il numero delle cellule mucose, in particolare
quelle che producono mucine acide come forma di reazione di risposta e di difesa alla presenza del
parassita. Quindi poi si possono fare una serie di valutaizoni istomorfometriche, quindi di contare la
densità di queste cellule, per paragonarle ad altre zone lontane dal parassita o ad altri intestini non
interessati dalla parassitosi>>.

3. immunoistochimica e immunofluorescenza: colorazioni molto specifiche che vengono effettuate


sfruttando anticorpi. E’ proprio il prefisso “immuno” che richiama il
fatto che io vado ad identificare e a vedere dove sono alcuni
particolari costituenti cellulari, e dei tessuti, direttamente nelle mie
sezioni; utilizzando, per vedere se ci sono, degli anticorpi diretti
contro le molecole di mio interesse (contro quindi uno specifico
antigene: sfruttando il legame altamente specifico tra antigene e
anticorpo).
– gli anticorpi sono delle molecole proteiche costituite da catene
pesanti e catene leggere disposte a Y. Questi presentano una zona
terminale, variabile, che si adatta ed è specifica, lega quindi in modo
univoco uno specifico antigene. Queste molecole anticorpali, di cui ci
sono diverse categorie (igG, igM, igA, igD, igE..) vengono prodotte in
modo specifico dai lifociti B, che attivati dall’incontro con un certo
antigene, si trasformutano in “fabbriche” attive di anticorpi
(plasmacellule) che producono, in quantità abbondante e specifica,
proprio gli anticorpi diretti contro quello specifico antigene--
es: Se voglio vedere se nella cellula o nel tessuno è presente una
particolare glicoproteina, utilizzerò un aticorpo diretto contro quella specifica gliproteina; e dovrò vedere nel
mio tessuto se è avvenuto questo legame fra l’anticorpo e l’antigene (molecola di interesse: glicoproteina nel
caso dell’esempio).
Le tecniche di immunoistochimica e immunofluorescenza hanno tante diverse applicazioni, non solo di
ricerca, ma anche per indagare l’origine di alcuni tipi cellulari; per diagnosticare alcune malattie (ricerca
di tutti i biomarker oncologici di specifiche molecole che vengono prodotte da delle cellule neoplastiche e
che quindi se vengono individuate danno conferma non solo della presenza di una malattia neoplastica, ma
permettono anche di tipizzare il tumore (capire l’esattto tipo di tumore)); per l’identificazione di recettori
cellulari; per identificare se ci sono particolari messaggeri, tipo le citochine o fattori di crescita.
→ queste sono colorazioni molto specifiche

Una volta che io ho applicato l’anticorpo sulle mie sezioni, se esso trova l’antigene vi si lega.
Ma come si visualizza l’anticorpo applicato alla sezione di campione? Si lega all’anticorpo con un dei
marcatori che lo rendono visibile. Ho tre possibilità, a seconda del tipo di microscopia che andrò a fare:
1) nel caso dell’IMMUNOFLUORESCENZA gli anticorpi sono marcati (=legati chimicamente a dei
marcatori) con dei marcatori fluorescenti, i fluorocromi; i due più utilizzati sono la fluoresceina e la
rodamina. Se l’anticorpo ha trovato l’antigene e vi si è legato, siccome è fluorescente, andando a vedere la
sezione con il microscopio a fluorescenza si può vedere dove è presente l’anticorpo e quindi
l’antigene/molecola che si sta cercando.
2) nel caso dell’IMMUNOISTOCHIMICA gli anticorpi sono marcati con degli enzimi. Di solito si usano
la perossidasi o la fosfatasi alcalina, che in presenza di un substrato apposito aggiunto durante la procedura
di colorazione, creano un precipitato colorato che è visibile tramite un normale microscopio ottico
composto.
3) nel caso dell’IMMUNOGOLD si ha a che fare con sezioni in resina che vanno osservate al microscopio
elettronico: si utilizzano come marcatori delle particelle d’oro elettronopache (con diametro dai 5 ai 30 nm)
legate all’anticorpo. Per capire se e dove l’anticorpo si è legato, si cercano le palline d’oro di diametro noto e
costante che risultano elettrondense quando si guardano con microscopio elettronico.
Nel caso dell’immunogold non si hanno colorazioni diverse, ma si possono usare simultaneamente anticorpi,
diretti verso sostanze diverse, cui sono legati particelle d’oro di dimensioni diverse.

Il metodo per localizzare l’antigene può essere diretto o indiretto.


1) METODO DIRETTO: si chiama così perché si usa un anticorpo
primario che è gia coniugato con il marcatore (fluorescente o
enzimatico)
es: cerco delle molecole che sono sulla superficie della membrana
plasmatica e utilizzo un anticorpo gia marcato contro quella
molecola; l’anticorpo raggiunge la molecola, e laddove c’è una
molecola si lega un anticorpo. Quello che vedo io sarà un segnale
fluorescente (inel caso del’immunofluorescenza)
2) METODO INDIRETTO: si usa un anticorpo primario non
coniugato con il marcatore e un anticorpo secondario, coniugato con
un marcatore, che è diretto contro l’anticorpo primario
es: uso un anticorpo primario non marcato che si lega alla
molecola e poi aggiungo l’anticorpo secondario che si lega
al primario. Più molecole di anticorpo secondario possono
legarsi all’anticorpo primario e questo permette
un’amplificaizone della fluorescenza.
Vantaggi: - segnale più evidente
- non devo comprare tanti diversi anticorpi primari marcati, diretti verso molecole
diverse, ma posso comprarli non marcati e poi utilizzare sempre uno stesso tipo di
anticorpo secondario diretto contro il primario.
NB: gli anticorpi primari e secondari devono essere stati prodotti dallo stesso animale
IMMUNOFLUORESCENZA e IMMUNOISTOCHIMICA

sx( immagine di immunofluorescenza): è stato utilizzato un anticorpo diretto contro la beta-tubulina. Vedo i
microtubuli evidenziati in vedere. Si può notare dove sono, quanto sono abbondanti e come si localizzano
all’interno della cellula.

Dx (immagine di immunoistochimica): è stato utilizzato un anticorpo secondario legato con la perossidasi


diretto contro l’anticorpo primario che a suo volta era diretto contro il glucagone.
Nelle zone più scure (marrone/nero- esterne) il substrato (la diamminobenzidina) ha regito con la perossidasi
(che era legata all’anticorpo secondario) rendendo visibile dove è presente il glucagone. Determinate cellule
del pancreas endocrino sono incaricate della produzione di questo ormone.

Gli anticorpi specifici per un determinato antigene, se presenti in commercio, possono essere acquistati da
ditte apposite. E’ altrimenti anche possibile richiedere di preparare degli anticorpi non presenti in catalogo.
In alternativa ci si può arrangiare in laboratorio, e crearli utilizzando degli animali da laboratorio
(generalmente topi e conigli); vi si ignetta la molecola di interesse e si va poi a prelevare dal plasma gli
anticorpi che loro hanno elaborato nei confronti di questa molecola eterologa.
Quando si parla di molecole antigeniche bisogna tenere presente che essa può presentare diversi tratti che
vengono chiamati determinanti asntigenici (o epitopi) e ogni clone di linfocita b produce anticorpi contro un
solo epitopo. Sulla base di ciò gli anticorpi vengono distinti in:
- ANTICORPI POLICLONALI: miscela di anticorpi prodotti dai diversi cloni di linfociti B in risposta
all’inoculazione in un animale di un antigene proveniente da un altro organismo. Ci sono diversi anticorpi
perché ogni clone di linfocita B produce l’anticorpo verso uno specifico epitopo.
Data la loro eterogeneità, gli anticorpi policlonali, si legano a diversi epitopi dando potenzialmente risultati
aspecifici (perché degli epitopi possono essere prodotti da antigeni diversi).
- ANTICORPI MONOCLONALI: anticorpi specifici per un unico epitopo di un antigene, prodotti da un
sincolo linfocito B. Hanno un’elevata specificità.
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ESERIZIO: ricapitoliamo e confrontiamo le fasi del processo di preparazione di campioni per:

MICROSCOPIA OTTICA MICROSCOPIA ELETTRONICA(TEM)


1. Prelievo

2. Fissazione

3. Inclusione

4. Taglio

5. Colorazione

RISULTATO/OSSERVAZIONE:

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SCHEMA RIASSUNTIVO DEL LIBRO
ISTOLOGIA
argomento: classificaizone e caratteristiche generali dei tessuti, TESSUTI EPITELIALI

L’istologia è una disciplina che studia i tessuti.


L’etimologia di isto- (dal graco histós) significa sia tessuto e sia rete, forse perché quasi tutti i tessuti animali
sono delle reti costituite da due componenti, le fibre cellulari (cellule) e le fibre non cellulari (matrice
extracellulare – MEC o ECM) in continua interazione l’una con l’altra.

Definizione di tessuto: aggregato altamente organizzato di cellule morfologicamente simili che concorrono a
dare una specifica funzione al tessuto.
I tessuti si organizzano poi in modo integrato per dare gli organi.

Gli organi sono formati da una precisa combinazione di diversi tessuti. Sono rari i casi in cui siano formati da
solo un tessuto come succede ad esempio al sistema nervoso che è costituito dal solo tessuto nervoso.
Sono prorpio queste combinazioni di tessuti che conferiscono le caratteristiche morfologiche e funzionali dei
diversi organi.

I tessuti animali sono sempre costituiti da 2 componenti principali: cellule e matrice extracellulare (un insieme
di costituenti prodotti dalle cellule stesse).
Cellule e MEC formano un continuum sia di tipo strutturale che funzionale, reso possibile dalla presenza di
molti componenti della matrice che sono riconosciuti e legati da recettori presenti sulla membrana
plasmatica. Questi recettori che in molti casi sono delle proteine transmembrana, non solo attraversano tutta
la membrana cellulare, ma spesso sono anche collegate a degli elementi del citoscheletro. Questo permette
una risposta a fattori stimolanti o inibenti che arrivano alla matrice extracellulare di trasportare il segnale fino
all’interno delle cellule.

CLASSIFICAZIONE DEI TESSUTI

I tessuti possono essere ricondotti a quattro principali


classi:
- epiteliale
- connettivo
- muscolare
- nervoso

Differenziati da:
- tipi di cellule che li costituiscono che sono diverse per
ogni tipo di tessuto
- presenza e tipologia di MEC (che percentuale di mec
c’è rispetto alla componente cellulare)
- funzioni: ogni tessuno ha una funzione principale e altre meno caratterizzanti.

I tessuti epiteliali (esistono diversi sottotipi) sono caratterizzati da una importante componente cellulare.
Costituito principalmente da cellule aggregate l’una all’altra a formare delle vere e proprie lamine, scarseggia
di MEC.

Caratteristiche tessuto epiteliale: cellule fittemente aggregae a formare lamine


scarsissima matrice extracell.
Funzioni principali: rivestimento e secrezione

I tessuti connettivi contengono diversi tipi di cellule, suddivise in:


- cellule residenti: cellule sempre presenti nei connettivi e responsabili della produzione della mec
- cellule non residenti: migrano nei tessuti connettivi all’occorrenza e la cui origine è diversa da quelle delle
cellule prima citate
Nei connettivi c’è molta matrice, per cui le cellule sono proporzionalemnte di meno e distanziate l’una
dall’altra, perché appunto tra loro si inserisce questa importante matrice extracellulare.
La consistenza della mec è molto variabile, da completamente fluida, come la mec del sangue, fino ad
arrivare a una consistenza rigida che ha la mec mineralizzata del tessuto osseo.
Le funzioni principali sono quella di sostegno e protezione, ma ce ne sono anche molte altre e variano a
seconda del tipo di connettivo a cui si fa riferimento.

Caratteristiche tessuto connettivo: - svariati tipi di cellule residenti e non residenti


- abbondante mec la cui consistenza varia da tessuto a tessuto
funzioni: - protezione
- sostegno

tipi di tessuto connettivo:


1. tessuti connettivi propriamente detti:
- lasso
- denso (es: derma)
- reticolare
-elastico
-adiposo
2. tessuti connettivi cartilaginei (con matrice più consistente rispetto ai precedenti):
- ialino
- fibroso
- elastico
3. tessuto osseo:
- compatto
- spugnoso
4. sangue
5. emopoietico a partire dai quali si formano le varie cellule della linea mieloide e linfoide

I tessuti muscolari sono


Caratterizzati da cellule allungate (tanto da essere indicate come fibre) capaci di contrazione
La mec è presente in quantità modesta.
La funzione è quella di compiere movimento.
Si suddivide in striato scheletrico, striato cardiaco e liscio.

Il tessuto nervoso è molto specializzato ed è localizzato in uno specifico apparato.


Caratterizzato da due tipi di cellule, i neuroni (con prolungamenti → assoni e dendriti) e le cellule gliali
(cellule di supporto e di difesa dei neuroni). La mec è praticamente assente.
La funzione è quella di trasmettere impulsi nervosi (verso il sistema nervoso centrale e dal sistema n.c. verso
la periferia) facendo viaggiare velocemente attraverso le sinapsi queste informazioni che vengono poi
utilizzate per il coordinamento dell’intero organismo.
TESSUTI EPITELIALI o EPITELI

Gli epiteli sono formati da uno o piu strati di cellule, poliedriche, polarizzate, contigue l’una all’altra grazie
alla presenza di giunzioni a dare una lamina continua. Non è permessa la motilità delle singole cellule una
volta che il tessuto è adulto e quindi differenziato; una minima motilità delle cellule c’è durante lo sviluppo
embrionale o in situazioni patologiche come la presenza di cellule neoplastiche.

Le cellule epiteliali presentano specializzazioni regionali a livello della loro membrana.


Le cellule sono polarizzate ed è quindi possibile individuare una regione apicale, una regione basale e una
regione laterale, nelle quali spesso ci sono costituenti e strutture diverse, tale che una regione non è
equivalente all’altra.
Al polo apicale si può trovare: una superficie liscia (epitelio corneale); delle microrigature (epitelio boccale);
ciglia mobili, tre cui ciglio primario (specializzazioni microtubulari che permettono lo spostamento di ciò che è
appogiato sulla superficie apicale mediante la creazione di un movimento ondulatorio) o monociglio
(presente in molte cellule epiteliali e alcune non epiteliali, il quale non è un ciglio vibratile ma ha una funzione
meccanorecettore o chemiorecettore; posseduto in singola copia dalla cellula e caratterizzato da una
struttura particolare 9+0), microvilli (actina) che aumentano la superficie di assorbimento; stereociglia.
A livello laterale possono trovarsi delle giunzioni, così come possono trovarsi anche a livello basale per
l’aggancio della lamina basale sottostante.

Hanno una matrice extracellulare molto scarsa

Sono tessuti avascolari, il che significa che all’interno di questo tessuto non passano vasi di nessun tipo e
quindi è sempre associato al connettivo sottostante da cui passano i capillari e che nutre e ossigena per
difusione l’epitelio. Questo implica che man mano che ci si allontana dal connettivo , le cellule epiteliali sono
sempre meno efficaciemente servite dei materiali che gli arrivano; infatti le cellule più vitali e attive ,in termini
di proliferazione e metabolismo, sono più vicine al connettivo.
Per comprendere tramite l’esperienza che gli epiteli sono avascolari, possiamo prendere come esempio
quando radendoci ci tagliamo con la lama, ma non troppo in profondità e quindi non esce sangue. Il sangue
esce solo quando ci si taglia più in profondità e si arriva al connettivo.

I tessuti epiteliali ricoprono la superficie esterna del corpo o le superfici delle cavità interne.

Tra epitelio e connettivo si trova la lamina basale (o membrana basale), una struttura simil-laminare.
Questa lamina ha uno spessore tra
i 20 e i 100 nm.
La si vede al TEM perché è abbastanza
elettronopaca.
Risulta costituita da due strati:
- lamina lucida o rara (in alto, a contatto
con la parte basale delle cellule epiteliali)
- lamina densa (al di sotto)
entrambi questi strati sono prodotti dalle
cellule epiteliali.
Composizione chimica: collagene (non
organizzato in fibre), proteoglicani e
glicoproteine. → colorazione di pas
La lamina basale soprattutto dov’è più
spessa viene evidenziata con la
coloraizone di pas.
Invece con l’ematossilina eosina, la classica
colorazione “tuttologa”, non permette una
colorazione adeguata, perché colora troppe
porzioni oltre alla lamina (es: citoplasma, matrice extracellulare..).
La membrana basale non è un sinonimo di lamina basale, ma nasce dall’unione della lamina basale e da
una lamina reticolare (così chiamata perché formata da fibre reticolari).

La lamina reticolare viene prodotta dalle cellule del connettivo, generalmente dai fibroblasti.

FUNZIONI della membrana basale individuate (probabilmente ce ne sono anche altre sconosciute):
1. sostegno strutturale perché permette l’aggancio delle cellule epiteliali attraverso le giunzioni
e protezione verso il connettivo sottostante perché fa da confine.
2. Regola gli scambi di molecole tra epitelio e connettivo
3. Influenza diverse attività cellulari, come
- la proliferazione. Si è visto infatti che le cellule sono in grado di proliferare solo quando attaccate alla
lamina basale e mano a mano che vi si allontanano perdono questa capacità.
- il differenziamento
- della migrazione cellulare nel corso dello sviluppo embrionale, costituendo dei “binari” per l’indirizzamento
delle cellule che arrivate al luogo definitivo dove si differenzieranno
((Sembra inoltre che la m. basale contribuisca a regolare il metabolismo cellulare e la polarità delle cellule
epiteliali))

CLASSIFICAZIONE DEI TESSUTI EPITELIALI (morfologica, funzionale, in base al ricambio cellulare)

Esistono diverse classificazioni,


ma la più importante è la
classificazione morfologica,
quindi in base alla struttura
dell’epitelio. Due aspetti in
particolare:
- numero di strati cellulari che
costituisce l’epitelio
- forma delle cellule di questi
strati ma in particolare la forma
dello strato più superficiale.

Si distinguono quindi in particolare:


- Epiteli semplici (o monostratificati): composti da un singolo strato di cellule. In questo caso tutte le cellule
prendono contatto con la lamina basale sottostante e si affacciano sulll’ambiente esterno/cavità interna con il
polo apicale. Ne fanno parte:
• epiteli squamosi (o pavimentosi) se le cellule sono appiattite come delle specie di squame
• cubici se le cellule che le compongono sono cuboidali
• colonnari (o cilindrici) se le cellule hanno una forma cilindrica e sono più alte delle precedenti
• pseudostratificati
Epiteli composti (o pluristratificati): in questo caso solo lo strato più profondo ha le cellule in contatto con la
lamina basale e solo le cellule dello strato più superficiale hanno lo strato apicale libera che si affaccia
all’esterno/cavità interna
• squamosi
• cubici
• colonnari
• di transizione

L’unione di questi termini, semplice o composto, e squamoso, cubico o colonnare, mi dà l’indicazione del tipo
di epitelio. Mettendo insieme i termini, se parlo di un epitelio semplice e pavimentoso, vuol dire che è formato
da un unico strato cellulare e che queste cellule hanno la forma di squame appiattite. Se dico epitelio
composto cubico, vuol dire che è un epitelio formato da più strati e che le cellule dello strato più
superficiale hanno una forma cuboidale.

Ci sono due tipi di epiteli, di cui si vedono le immagini, che sono pseudostratificati (i quali rientrano tra gli
epiteli semplici perché formati da un unico strato di cellule, nonostante diano la sensazione di essere su più
strati in quanto i nuclei si trovano ad altezze diverse e non tutte le cellule raggiungono la superficie; tuttavia,
tutte le cellule sono appoggiate alla lamina basale) e di transizione, (detti anche polimorfi perché la
morfologia delle loro cellule, e in particolare di quelle dello strato più superficiale cambia a seconda della
condizione dell’organo, se è contratto o stirato, quindi transitano da una forma ad un altra; da cellule più alte
e cicciute quando l’organo contratto, a cellule con forma più appiattita e squamoso quando l’organo è si
tende) concepito per permettere una variazione di estensibilità all’organo.

Terminologie sinonime: squamoso=pavimentoso/cubico=isoprismatico/colonnare=cilindrico=batiprismatico

La classificazione funzionale suddvide gli epiteli in:


• Epiteli di rivestimento: possono ricoprire la superficie esterna dell’organismo (es: epidermide); o le
cavità interne del corpo, sia quelle che comunicano con l’esterno (es apparato digerente, app.
respiratorio, canale urogenitale, dotti escretori delle ghiandole esocrine) sia cavità che non
comunicano con l’esterno (es: cavità addominale); o la superficie interna dei vasi sanguigni e lifatici.
- FUNZIONI: protezione, secernente o assorbente, a seconda dei distretti; e spesso vengono svolte
contemporaneamente più funzioni dallo stesso epitelio.
• Epiteli ghiandolari: epiteli specializzati nella secrezione. Costituiscono la parte secernente delle
ghiandole, sia delle gh. esocrine, che della gh. endocrine.
(la divisione ep. di rivestimento/ep. ghiandolare, non è così netta, perché ci sono alcuni epiteli che
fungono da ep di rivestimento e ep. ghiandolari)
• Epiteli sensoriali (o neuroepiteli): vi si trovano cellule specializzate nella ricezione di segnali
sensoriali (stimoli come gusto, olfatto, udito, equilibrio..). Questi epiteli hanno questa capacità grazie
alla presenza di cellule epiteliali vere e proprie specializzate (es: cellule capellute) o possono
ospitare delle cellule nervose (es: cell. Olfattive della mucosa olfattiva)

FOTO: sezione di lingua in cui si vedono cellule sensoriali


implicate nella percezione del gusto nelle papille gustative.
Esempio di epitelio sensoriale le cui cellule epiteliali sono
specializzate nella ricezione degli stimoli.
Ci sono alcune cellule deputate alla raccolta di questi segnali che
vengono poi inviati tramite delle fibre nervose al sistema nervoso
centrale; e delle cellule di sostegno al lavoro delle cell sensoriali.

Alcuni testi inseriscono anche una quarta categoria:


• Epitali altamenti differenziati: sono talmente specializzati e linitati ad alcuni distretti particolari che
si stenta quasi a riconoscerli come epiteli di rivestimento o ghiandolari perché sono molto modificati.
- epitelio germinale (o germinativo): epitelio che sia nel maschio che nella femmina contiene le
cellule sessuali nelle varie fasi di differenziamento.
- epitelio cristallino: epitelio trasparente ultraspecializzato per la visione
- strutture cornee permanenti come corna, zoccoli, etc
(alcuni testi fanno rientrare questi epiteli altamente differenziati nelle tre categorie dette di sopra)

Classificazione in base al ricambio cellulare:


• Epiteli perenni: non hanno capacità di ricambio cellulare. Una lesione a questo tipo di epitelio rimane
per sempre, in quanto non hanno la capacita di sostituire le cellule lesionate con altre.
Es: epitelio del Corti
• Epiteli labili: normalmente hanno un turn-over cellulare (le cellule vecchie vengono sempre
rimpiazzate da cellule giovani prodotte dall’attività proliferativa che si trovano alla base di questi
epiteli). Alla base di questi epiteli si trovano delle cellule staminali unipotenti (capaci di dare origine a
solo una categoria di cellule) che rimpiazzano, attraverso delle mitosi continue, le cellule che man
mano vengono perdute o che si lesionano.
es: epidermide, epitelio dell’intestino
• Epiteli stabili: di norma non hanno un ricambio cellulare, però, se c’è bisogno ed è presente uno
stimolo, questi epiteli sono in grado di produrre nuove cellule e ricambiarle. Questo è reso possibile
dalla presenza di cellule staminali quiescenti che si attivano quando vengono stimolate da, per
esempio, dei fattori di crescita e proliferare.
es: epitelio del parenchima epatico (fegato)
POLARIZZAZIONE DEI TESSUTI EPITELIALI
Caratteristica delle cellule epiteliali di avere un versante diverso e distinguibile dall’altro: sicuramente quello
apicale rispetto, almeno, a quello baso-laterale. Questa peculiarità è evidente soprattutto nelgi epiteli di
rivestimento, dove abbiamo la parte apicale che si affaccia verso l’esterno (o cavità interne), e che spesso
possiede delle specializzazioni di cui abbiamo già parlato. La polarità che ha ogni singola cellula ce l’ha poi
anche l’intero epitelio da cui si riconoscono un versante apicale e un versante laterale.
La polarità è garantita dalla presenza delle giunzioni, che impediscono lo spostamento di molecole
recettoriali, di molecole proteiche o di molecole lipidiche, che quindi sono diversamente rappresentate nel
versante apicale rispetto agli altri versanti; inducendio una polarità strutturale, ma anche di composizione.
La polarità strutturale si riflette in una polarità funzionale.
E’ garantita dal citoscheletro, che è esso stesso polarizzato, e in base a come esso è organizzato
contribuisce alla polarizzazione dell’epitelio.
Il traffico vescicolare, cioè il movimento di materiale cellulare verso altre sedi, come lume o tessuto
connettivo, è polarizzato e reso possibiile dal citoscheletro e dalle proteine motrici.
Anche a secnoda del tipo di epitelio, gh esocrino o gh endocrino, noi vedremo una diversa posizione delle
vescicole: sopra o sotto il nucleo, più verso il versante apicale rispetto al versante basale e viceversa.

A seconda di dove sono localizzati gli epiteli, prendono nomi diversi, più specifici.
DEFINIZIONI:
- Endotelio: epitelio (di tipo pavimentoso semplice) che riveste internamente i vasi sanguigni, i vasi linfatici e
la cavità cardiaca.
- Sierose: rivestimenti che delimitano le grandi cavità del corpo che non comunicano con l’esterno, come per
esempio la cavità toracica o la cavità addominale. Le cavità sierose sono formate da un rivestimento che
comprende due componenti, il mesotelio (un epitelio) e un connettivo.
Il mesotelio è un epitelio pavimentoso semplice che ha la caratteristica di essere lubrificato. E’ sempre
bagnato da un liquido, simile al siero, che facilita i movimenti degli organi che sono ricoperti dalle sierose e
sono alloggiati all’interno delle cavità.
((Ogni sierosa è composta da una componente viscerale che avvolge gli organi e una componente parietale
che fodera dall’interno la cavità in cui quegli organi sono alloggiati.))
Sierose più famose:
• Pleure (una per ogni polmone) che avvolgono i polmoni, e si
suddividono in pleura viscerale che avvolge i polmoni, e pleura
parietale che tappezza la cavità in cui sono alloggiati i polmoni.
Esempio di organi che si muovono all’interno della cavità perché
si espandono e si retraggono con i cicli di inspirazione e
espirazione, che grazie al siero che bagna le pleure impedisce
che ci sia una frizione in questi movimenti. La pleurite non è
altro che l’infiamazione della pelura.

• Pericardio: involucro sieroso che avvolge il cuore


• Peritoneo: che è la sierosa che si trova nella cavità
addominale e che ricopre molti organi che si
trovano all’interno di questa cavità, come per
esempio l’intestino. Come per i polmoni, avremo
una parte che riveste gli organi e una componente
che fodera la cavità.
- Mucose: rivestimenti che ricoprono e delimitano le superfici interne che comunicano con l’esterno
attraverso degli orifizi naturali.
Le mucose sono formate da due strati, uno strato superficiale che è sempre un epitelio e uno strato
sottostante che è un connettivo che in molti casi prende il nome din lamina propria
Es: tubo digerente che è aperto alle due estremità, a livello della bocca e dell ano, l’aparato respiratorio, le
vie urinarie e le vie genitali.

NB: le sierose e le mucose hanno una componente epiteliale, ma non sono costituite esclusivamente da
epitelio perché c’è anche il connettivo sottostante. NON SONO EPITELI; MA SONO COSTITUITE DA UN
EPITELIO E DA UN CONNETTIVO.

EPITELIO DI RIVESTIMENTO SEMPLICI

Unico strato di cellule che poggia sulla lamina basale.


Le cellule che costituiscono questi epiteli possono essere:
- tutte uguali, come nell’endotelio
- di diversi tipi (magari con funzioni diverse e morfologicamente distinguibili) come per esempio nell’epitelio
intestinale.

Presenti in tutte le interfacce in cui sia necessario scambiare sostanze (sia che siano gas respiratori, sia che
siano sostanze nutritizie):
mucosa gastrica e intestinale, glomeruli e tubuli renali, alveoli polmonari, endotelio vascolare.
Rivestono internamente il lume della maggior parte degli organi cavi.
I tipi di forma che possono avere le cellule gli abbiamo già citati: pavimentoso, cubico, colonnare e
pseudostratificato.

PAVIMENTOSI (o squamosi): cellule con altezza, se si guardano si profilo, inferiore al diametro della cellula
e generalmente inferiore allo spessore dei nuclei che sembrano sporgere dalla cellula stessa.

Lo si vede bene dall’immagine a destra dell’endotelio cardiaco che mostra come delle montagnole e delle
estremità più piatte e affusolate.

A sinistra vediamo un altro esempio di epitelio semplice squamoso, ma in questo caso lo spessore è
costante perché siamo al livello dell’endotelio corneale (epitelio della cornea posteriore che si affaccia
sull’umor acqueo) e in questo modo non si distorgono i raggi luminosi che attraversano l’epitelio stesso.
Questa caratteristica morfologica è legata alla localizzazione e alla funzione specifica di questo epitelio.
In entrmabi i casi si tratta di epiteli lisci, sulla cui parte apicale non sono presenti microvilli, perché non è un
compito di queste cellule di assorbire.
In questi tipi di cellule gli organuli non hanno una posizione ben precisa come invece accade in altri tipi di
cellulle

CUBICI (o isoprismatici):
Cellule con un’altezza generalmente uguale al diametro.
Cellule tipicamente specializzate nei trasporti (che in molti
assorbono materiali, trasportano e rilasciano)
In questo tipo di epiteli cubici di cui troviamo esempio a
livello del tubulo renale, sia del tubulo contorto prossimale,
sia del tubulo contorto distale, c’è una stratificazione degli
organi molto evidente che possiamo guardare con lo
schema in alto a destra.

Lo schema in alto a dx rappresenta una cellula epiteliale


del tubulo contorto prossimale, dove abbiamo il nucleo,
come speso negli epiteli cubici, in posizione centrale della
cellula, la presenza di apparato di Golgi in posizione
sopranucleare, la presenza di tanti mitocondri (indice di
necessità di energia per effettuare i trasporti attivi) che si
trovano organizzati a palizzata (longitudinalemente, un po’
in piedi rispetto all’asse apico-basale) accolti da un labirinto
basale (ripiegature) della membrana plasmatica → la
membrana basale prende questa forma perché è proprio in
quel luogo in cui avvene l’assorbimento e questo aumenta
la superficie a disposizione per questi trasportatori ←

L’immagine sotto è di un tubulo contorto distale: cellule con altezza pari al diametro, sprovviste di microvilli
ma con un ciglio primario. Esistono anche patologie nefrologiche legate alla presenza di cigliopatie; se ci
sono dei problemi ai monocigli, siccome i monocigli sono tendenzialmente nel tubulo contorto, ci possono
essere delle malattie a carico dei reni legate a questo dettaglio ultrastrutturale.

Stratificazione degli organuli:


- Golgi sopranucleare
- nucleo centrale
- mitocondri a palizzata
- labirinti basale = ripiegature della mebrana plasmatica basale

COLONNARI (o cilindrici o batiprismatici):


Cellule con altezza maggiore del diametro
Nucleo basale o comunque nel terzo inferiore della cellula

Rivestono:
- Apparato riproduttore, in particolare nelle tube di Falloppio e nell’utero
- Apparato respiratorio, in particolare nei piccoli bronchi
- Apparato digerente; in particolare il tratto che va dallo stomaco fino al retto (dove si presentano come
mosaici di cellule)

Molto spesso presentano a livello apicale delle specializzazioni.


Per esempio quelle che si trovano nelle
tube di Falloppio, di cui si vede una
sezione al TEM (in alto).
Sono degli epiteli cigliati, con le classiche
ciglia vibratili 9+2, che battendo aiutano lo
spostamento della cellula uovo che viene
rilasciata nelle tube ovariche, la quale poi
venga fecondata o meno, viene trasportata
attraverso il battito di queste ciglia e
movimenti peristaltici, viene portata fino
nell’utero (dove se è fecondata si impianta,
ma se non è fecondata viene rilasciata
all’esterno attraverso il ciclo mestruale).

Al di sotto si vede un immagine di epitelio


colonnare intestinale, dove all’apice si
riconosce la presenza di microvilli che
aumentano la capacità di assorbimento, del
tipo principale di cellule da cui è costituito
l’epitelio intestinale, gli enterociti.
I microvilli assieme al glicocalice delle
cellule intestinali, costituisce il cosiddetto
orletto a spazzola.
Da quest’immagine possiamo anche apprezzare la presenza della trama terminale alla base dei microvilli, la
presenza di interdigitazioni della membrana laterale degli enterociti e la presenza, sempre nella parte
laterale, di desmosomi che tiene legate insieme le cellule intestinali.

L’epitelio intestinale è un esempio di mosaico di cellule. Troviamo:


- Cellule assorbenti: enterociti con i microvilli;
- C. secernenti esocrine: cellule mucipare che rilasciano il muco che poi viene spostato e protegge la
superficie dell’epitelio;
- C. secernenti endocrine: che rilasciano degli ormoni che spesso hanno una utilità in dialogo con le cellule
nei dintorni e che regolano processi legati alla digestione, all’assorbimento, alla contrattilità dell’intestino
stesso. Spesso definite come cellule enteroendocrine per evidenziare il fatto che sono localizzate a livello
dell’intestino.

PSEUDOSTRATIFICATI (o plurifilari):
Le cellule che lo compongono hanno una diversa morfologia. Alcune più basse non raggiungono la
superficie apicale dell’epitelio. Hanno una base larga e poi vanno restringendosi. Altre, definite cellule alte,
hanno una base stretta appoggiata alla lamina basale, ma si allargano salendo e raaggiungono la superficie
libera. Hanno nuclei ad altezze diverse e danno quindi la falsa impressione di essere formate da più strati.

Questo tipo di epitelio si trova tipicamente nelle vie aeree, come ad esempio a
livello della trachea.
Dove oltre ad avere le cellule ciliate, trovo anche delle cellule caliciforme mucipare
che producono muco, spostato dal battito delle ciglia presenti sulle cellule cigliate,
che permette di invischiare e allontanare materiali potenzialmente pericolosi che
non possono raggiungere gli alveoli, e che vengono quindi riportati in alto per
essere deglutiti o espettorati.

L’epitelio pseudostratificato si trova anche a livello dell’epididimo (epi=sopra / didimi=testicoli → apparato


riproduttore maschile) dove si raccolgono gli spermatozoi che sono stati prodotti e rilasciati dai testicoli.
Presenta stereociglia, che a differenza dell’orecchio interno dove avenano un compito sensoriale, hanno un
ruolo assorbente o secretivo. Stereociglia così lunghe che fanno chiamare le cellule che le possiedono
cellule a pennacchio.
LEZIONE 11 – 07/11/2022

EPITELI DI RIVESTIMENTO SEMPLICI: PSEUDOSTRATIFICATO


Sembra formato da più strati per l’impressione che danno i nuclei ad altezze diverse ma che
in realtà è un unico strato. Lo troviamo nelle vie aeree a livello di faringe, laringe, trachea
fino ai bronchi, ma anche a livello dell’apparato riproduttore maschile, in particolare
dell’epididimo.
La foto mostra due sezioni, una trasversale e una longitudinale, in due punti diversi
dell’epididimo. Di fianco uno schema della posizione dell’epididimo rispetto ai testicoli e al
dotto deferente che veicola verso l’esterno gli spermatozoi.

Qui si può apprezzare l'aspetto dell’epitelio pseudostratificato cioè il fatto che sia un solo
strato di cellule, ma siccome alcune arrivano fino alla superficie e altre invece no, i loro
nuclei stanno ad altezze diverse dando l’impressione di essere 2 strati diversi di cellule. Si
apprezza un’altra particolarità di questo epitelio pseudostratificato dell’epididimo cioè che
abbiamo nella regione apicale la presenza di stereociglia mentre nello pseudostratificato
delle vie aeree avevamo le ciglia vibratili immobili. Avevamo già conosciuto le stereociglia
nell’orecchio interno dove avevano una funzione sensoriale recettoriale mentre qui hanno
una funzione più simile a quella dei microvilli, quindi con una certa capacità di
riassorbimento e, in una certa misura, pare anche di secrezione.

EPITELI DI RIVESTIMENTO COMPOSTI


Gli epiteli di rivestimento semplici sono associati a fenomeni di scambio di materiali, di
secrezione, di assorbimento e quindi a funzioni più adatte ad un epitelio con uno spessore
piccolo. Invece gli epiteli di rivestimento composti, proprio perché più spessi, sono legati ad
un’altra funzione: quella di protezione meccanica. Un epitelio di rivestimento composto è
formato da più strati e ovviamente solo lo strato più profondo sarà in contatto con la lamina
basale sottostante, mentre invece solamente lo strato più superficiale sarà quello la cui
superficie apicale si interfaccia con l'esterno oppure una cavità interna del corpo.
Dove troviamo epiteli di rivestimento composti?
● A costituire il nostro involucro esterno, quello che si rapporta con il mondo esterno
quindi l'epidermide e i vari annessi cutanei. È ovvio che in questa sede ci sia bisogno
di un epitelio con uno spessore tale da consentire una certa forma di protezione
meccanica visto che noi interagiamo con una serie di possibili accidenti che ci
circondano.
● Sempre di epitelio di rivestimento composto sono fatti gli sbocchi di alcuni apparati
verso l’esterno quindi l’apparato digerente (sia nel suo sbocco a livello oroale che a
livello anale) ma anche dell’apparato urogenitale, pensiamo ad esempio la vagina.
● Esofago
● Globo oculare (occhio), parte anteriore esposta al mondo esterno
Gli epiteli di rivestimento composti sono per la maggior parte una serie di tipo squamoso o
pavimentoso, cioè una serie di strati di cui l’ultimo, quello più superficiale, è composto da
cellule appiattite.
Ci sono due tipi di epiteli composti squamosi: quelli cheratinizzati e quelli non cheratinizzati.
Non cheratinizzati significa che le cellule in particolare degli strati più superficiali non
subiscono cheratinizzazione cioè non contengono (o contengono molta poca) cheratina, la
proteina che difende maggiormente dal contatto con l’aria esterna. Questo tipo di epitelio
non è cheratinizzato perché non è a contatto diretto con l’aria. Lo troviamo ad esempio a
livello dell’epitelio orale o vaginale. In tutte queste sedi le cellule anche più superficiali
rimangono vive e hanno necessità di essere bagnate: abbiamo quindi la presenza di liquidi e
di secreti che mantengono umida la superficie di questi epiteli. Il fatto che le cellule siano
vive negli epiteli squamosi non cheratinizzati significa anche che fino all’ultimissimo strato
superficiale vedrò sempre delle cellule che mantengono il loro nucleo e i loro organuli.
Questo non accade per gli epiteli squamosi cheratinizzati, che proprio perché subiscono la
cheratinizzazione accumulano grandi quantità di cheratina, diventando più resistenti ed
impermeabili. Le cellule dello strato superficiale sono morte, perdono il nucleo e la maggior
parte degli organuli. Possono presentarsi di tipo morbido o molle (epidermide) oppure di
tipo duro (annessi cutanei come l’unghia).
Negli annessi cutanei non si assiste al fenomeno di desquamazione continua che invece è
presente negli epiteli cheratinizzati morbidi come l’epidermide che appunto noi perdiamo
continuamente perché si allontanano le cellule più superficiali ormai morte e senza alcun
aggancio con le cellule sottostanti.
Altri tipi di epiteli di rivestimento composti sono quello cubico, con lo strato più superficiale
di cellule a forma cuboidale, oppure quello colonnare in cui le cellule più superficiali hanno
una forma cilindrica. Entrambi questi tipi di epitelio sono abbastanza rari e poco
rappresentati nel corpo umano, questo a differenza degli epiteli di rivestimento squamosi
composi che invece sono ampiamente presenti.
Dove troviamo epiteli composti cubici e colonnari? A livello dei grandi dotti delle ghiandole
esocrine più grandi, oppure in alcuni tratti della faringe, laringe e anche in una delle facce
delle porzioni dell’epiglottide o in alcune zone di transizione dove si passa da epitelio
semplice ad uno composto come a livello della transizione fra retto e ano (tra canale anale e
ampolla rettale).

A seconda dello stato di stiramento


dell’organo, l’epitelio di transizione può cambiare la forma delle cellule ma anche il numero
di strati che lo compone.

EPITELI DI RIVESTIMENTO COMPOSTI: EPIDERMIDE

L’epitelio è pavimentoso di tipo composto


cheratinizzato ma comunque morbido. L’epidermide si
chiama così perché “epi” vuol dire “sopra” il derma,
infatti l’epidermide che è ciò che c’è di più esterno nel
nostro corpo e poggia su uno strato connettivale che è
appunto il derma. Tra le due c’è la membrana basale
composta da tre strati. L’interfaccia tra l’epidermide e il
derma sottostante non è regolare ma irregolare perché
il derma si alza a dare delle papille dermiche e
contestualmente in altri punti l’epidermide si
approfonda come se straripasse nel connettivo con le
cosiddette creste epidermiche. Quest’interfaccia
irregolare aiuta ad aumentare la resistenza del tessuto
nel complesso: epidermide + derma = cute
Di quali e quanti strati è costituita l’epidermide?
Andando dallo strato più vicino alla lamina basale, e quindi maggiormente rifornito visto la
vicinanza con il tessuto connettivo, abbiamo lo stato basale detto anche germinativo, lo
strato spinoso, lo strato granuloso, lo strato lucido (che però non è sempre presente, anzi è
limitato solo a poche zone dell'epidermide che sono quelle del palmo della mano e della
pianta del piede) e lo strato corneo, quello più superficiale che può essere ulteriormente
suddiviso in strato compatto e strato disgiunto.
L’epidermide in tutti i distretti è costituita da quattro strati tranne a livello della palmo della
mano e del piede, dove ne abbiamo cinque perché si interpone tra lo strato corneo e il
granuloso anche un sottile strato lucido. La presenza di questo strato lucido segnala in quale
porzione di epidermide ci troviamo.
Quali sono le cellule che compongono l’epidermide? Le più abbondanti a costituire quasi il
95% delle cellule presenti sono i cheratinociti che richiamano il fatto che subiscono il
processo di cheratinizzazione e di accumulo di cheratina. Altre cellule sono i melanociti, che
elaborano dei pigmenti in particolare la melanina. Ci sono poi le cellule dendritiche del
Langerhans che hanno il compito di difesa, fanno parte della linea monocitica macrofagica
cioè delle cellule APC, capaci di presentare l’antigene. Non ci stupisce che ci siano cellule
preposte alla sorveglianza immunologica a livello dell’epidermide visto che essa è il tessuto
più esposto all’esterno e quindi a possibili invasioni di microrganismi. C’è un’abbondanza di
cellule di Merkel che hanno un’attività neuroendocrina e che sono coinvolte nella funzione
tattile, quindi trasmettono informazioni di tipo pressorio attraverso le terminazioni nervose
e che sono presenti un po’ ovunque nell’epidermide ma sono particolarmente abbondanti in
alcune zone dove il tatto ha più rilevanza, come a livello delle mani e dei piedi.
L’epidermide ha diverse funzioni:
● in primis quello di essere l’interfaccia con l’ambiente esterno ed in questo senso
come ogni struttura di confine (come con la membrana cellulare per quanto riguarda
le cellule). Questa interfaccia è essenziale per garantire la sopravvivenza ed i corretti
rapporti fra interno ed esterno.
● Serve per proteggerci dai i traumi di diverso tipo: meccanici (ed ecco perché è
cheratinizzata), fisici (cambiamenti termici, effetto dei raggi solari) e di tipo chimico
(grazie al fatto che forma una specie di scudo impermeabile) ma anche di protezione
rispetto la possibile invasione da parte di microrganismi con cui si entra
continuamente in contatto e che senza l’epidermide avrebbero un via libera per
addentrarsi nei tessuti sottostanti e creare infezioni ed infiammazioni.
● Ha anche la possibilità di ricevere stimoli e di inviarli al SNC
● Prende parte alla termoregolazione in particolare attraverso gli annessi cutanei tra
cui le ghiandole, che tramite la sudorazione aiutano a mantenere la temperatura
corporea costante cosa essenziale nei vertebrati omeotermi.
● Partecipa all’equilibrio idrico cercando di evitare la disidratazione, la dispersione di
liquidi.
● Partecipa all’escrezione perché tramite sudorazione non si ha solo evaporazione ed
eliminazione di acqua (che aiuta ad abbassare la temperatura corporea), ma anche
l’eliminazione di una certa quota di cataboliti. Difese immunitarie attraverso le cellule
del Langerhans.
I melanociti sono tra i protagonisti dello strato basale dell’epidermide. Hanno la
caratteristica di avere dei prolungamenti attraverso i quali prendono contatto e si avvicinano
a tanti diversi cheratinociti, tra i quali si insinuano e quindi prendono contatto non solo dello
strato basale ma anche dello strato spinoso soprastante.
Questo a quale scopo? i melanociti producono a partire dalla tirosina la melanina, un
pigmento che poi viene elaborato e maturato. Viene prima prodotto sotto forma di
premelanosomi, delle specie di lisosomi particolari. Noi avevamo anche citato i melanociti
parlando dei lisosomi secretori, quindi hanno questi lisosomi particolari che non solo
digeriscono ma anche accumulano i prodotti che poi dovranno essere secreti. Quindi
parliamo di lisosomi escretori all’interno dei melanociti, allora questi premelanosomi mano
a mano che maturano migrano dal corpo della cellula vero i prolungamenti e visto che i
prolungamenti si avvicinano a tanti diversi cheratinociti in questa sede sono poi pronti per
essere fagocitati dai cheratinociti, i melanosomi maturi contenenti la melanina, che quindi i
questo modo se ne impossessano. Questo processo di rilascio di melanosomi da parte dei
melanociti ai cheratinociti si chiama donazione del pigmento.
Con che scopo donano il loro pigmenti i melanociti? lo fanno perché questi pigmenti di
melanina una volta all’interno dei cheratinociti vanno a distribuirsi un po’ in tutta la cellula,
in tutto il cheratinocita, soprattutto a formare una specie di ombrello sopra il nucleo dei
cheratinociti. Un ombrello che serve a proteggere dai raggi UV (che sono mutageni) il
contenuto, quindi il DNA che c’è nel nucleo dei cheratinociti, quindi hanno una funzione
difensiva.

Qui vediamo un’immagine al


TEM di un melanocita con il suo nucleo basale, con la presenza di grandi prolungamenti che
prendono contatto con diversi cheratinociti e la presenza di melanosomi che appaiono scuri
proprio perché posseggono pigmenti che sono già colorati anche senza particolari procedure
di colorazione.
Partendo dallo strato basale che si chiama basale germinativo: basale perché è quello alla
base dell’epidermide, quello più profondo. Il termine germinativo fa riferimento al fatto che
in questa sede si ha proliferazione continua di nuove cellule. Le cellule dello strato basale
sono staminali unipotenti che provvedono a dare sempre nuovi elementi. Questo è
fondamentale visto che nella faccia nello strato più superficiale le cellule vengono
continuamente perse per desquamazione e quindi vanno rimpiazzate. Troviamo anche
melanociti e le cellule del Merkel.
Lo strato soprastante che è quello spinoso detto anche strato di Malpighi è costituito
generalmente da 8-10 strati. È la sede in cui le cellule prodotte nello strato basale sospinte
più in alto cominciano il loro processo di differenziamento e quindi diventano cheratinociti
che verranno avviati alla cheratinizzazione più completa che si ha allo strato più superficiale.
I cheratinociti in questo strato si presentano con forme poligonali, non sono ancora appiattiti
come sono negli strati successivi e lo strato si chiama spinoso proprio per l'aspetto dei
cheratinociti, che hanno diversi prolungamenti con cui si interfacciano l'uno con l'altro. A
livello di questi prolungamenti abbondano i desmosomi, quindi giunzioni che permettono
alle varie cellule di stare attaccata l'una all'altra e di resistere ai disturbi di trazione cui la
pelle può essere sottoposta. Sempre a livello di questo strato i cheratinociti elaborano una
particolare proteina chiamata involucrina che si trova tutt'intorno nel versante citosolico
della membrana plasmatica che forma un primo involucro utile per la successiva
cornificazione e quindi un involucro che da sostegno a queste cellule (involucrina fa
involucro appena al di sotto del plasmalemma sul versante citosolico).
Nello strato spinoso abbiamo all'interno dei cheratinociti due tipi di granuli, i melanosomi
(quelli ceduti dai melanociti) e anche i cheratinosomi (corpi lamellari o corpi multilamellari)
che possiedono delle sostanze lipidiche che in uno strato successivo verranno liberate e
contribuiranno all'impermeabilizzazione del tessuto. Poi abbiamo le cellule del Langerhans
per la sorveglianza immunologica.
Lo strato granuloso è composto da 3-5 strati. Abbiamo già dei cheratinociti non più
poligonali ma appiattiti e caratterizzati dall'essere molto colorati con i coloranti basici, quindi
hanno un estrema basofilia dovuta al fatto che sono pieni di granuli di cheratoialina. Questi
granuli presentano assemblati filamenti di cheratina attorno alla filaggrina, una proteina
specificamente prodotta ed espressa dalle cellule in questo strato. La filaggrina fa da
supporto attorno al quale si aggregano le fibre di cheratina. I cheratinociti esocitano e quindi
riversano in posizione extracellulare i cheratinosomi che nello strato spinoso erano invece
dei granuli all'interno delle cellule. Questa liberazione crea uno strato impermeabile che
aiuta a difendere la pelle e ad evitare e limitare la sua disidratazione.
Lo stato lucido quando è presente è traslucido, tende a non colorarsi come gli altri ed ha
proprietà di birifrangenza. È formato da cheratinociti che sono già morti, sono
particolarmente ricchi di una lipoproteina chiamata eleidina che contribuisce
all'impermeabilizzazione.
Infine abbiamo lo strato corneo, uno strato rilevante anche per il numero di strati di cui è
composto: da 15 a una 30ina a seconda delle sedi di lamine cellulari di cellule cheratinociti
completamente differenziati e infarciti di cheratina che hanno perso il nucleo e gli organuli e
si presentano come delle squame cornee appiattite. C'è un degenerazione dei desmosomi
per cui mentre nello strato più basso dello strato corneo i desmosomi ancora ci sono anche
se molto degenerati, ma le cellule rimangono comunque contigue l'una all'altra nello strato
disgiunto i desmosomi non ci sono più e quindi le cellule non sono più attaccate uno all'altra
ma libere di desquamarsi e di allontanarsi dalla pelle e quindi è quella quota di cellule morte
che viene perduta e rimpiazzata dal continuo turn over.
Dallo strato basale ad arrivare al momento della desquamazione questo percorso di
differenziamento e di perdita di una parte della pelle è un processo abbastanza lungo e
continuo che dura oltre 40 giorni (anche se questo tempo è variabile a seconda dell'età del
soggetto e anche delle sede della pelle in base a quanto sono diversamente spesse).

EPIDERMIDE NELLA CUTE SOTTILE E NELLA CUTE SPESSA


L'epidermide si presenta un po' diversa a
seconda che siamo nella cute sottile o
nella cute spessa. L'immagine a sinistra
della cute sottile che troviamo
praticamente in tutto il corpo tranne che
nel palmo della mano e nella pianta del
piede dove abbiamo la cute spessa perché
sono i punti più frequentemente a
contatto quindi c’è necessità di una cute più robusta.
La cute sottile ha uno spessore variabile da 0,06 mm a 0,12 mm variabile a seconda delle
sedi: in quelle poco sollecitate è più sottile come nelle palpebre (0.06) o nella zona del dorso
dove la pelle è un po' più grossa (0.12).
Vediamo lo strato basale, quelli col nucleo più scuro e un po' di citoplasma più chiaro intorno
sono melanociti, si vede bene la presenza della melanina che da un po' di colorazione scura.
Poi abbiamo lo strato spinoso, qui lo strato granuloso con le cellule che sono già appiattite
molto basofile quindi si colorano con l'ematossilina proprio come i nuclei, e al di sopra lo
strato corneo. Lo strato preponderante come spessore è quello spinoso.
A destra invece guardiamo la cute spessa che può arrivare fino a 1.4 mm
Anche le sollecitazioni e l'usura determinano differenze nello spessore quindi si parla
sempre di un range abbastanza variabile in cui abbiamo la presenza dello strato lucido e poi
lo strato con lo spessore più rilevante è quello corneo e non più lo spinoso. Ci sono altre
caratteristiche della cute spessa, ad esempio non troviamo mai peli e ghiandole sebacee
(che invece ci sono nella cute sottile) e invece c'è un'alta concentrazione di cellule
sudoripare.

EPITELI DI RIVESTIMENTO COMPOSTI


Gli epiteli di transizione hanno anche altri due
nomi: polimorfi per ricordare il fatto che la
morfologia delle cellule dello strato più
superficiale cambia in relazione allo stato del
tessuto stesso e dell'organo, e uroteli e questo ci
aiuta a ricordare dove troviamo questo tipo
particolare di epitelio cioè a livello delle vie
urinarie negli ureteri, vescica e nell'uretra in
particolare nella porzione superiore.
Il tessuto è molto specializzato in relazione a
queste sedi particolari a quale scopo?

1. Ridurre al minimo la permeabilità: dove


c'è questo epitelio c'è impermeabilità, non c'è passaggio di liquidi e materiale dal
lume degli organi verso i connettivi sottostanti e le zone più profonde
2. Permette un aumento dell'estensibilità: possibilità di questo tessuto una volta tirato
di coprire una superficie maggiore
3. Protegge la superficie luminale, quella che si affaccia sul lume dell'organo dove è
presente l'urina.
L’urotelio è costituito da diversi strati:
● Più superficiale fatto di cellule a ombrello o cupoliformi. Le cellule hanno
generalmente l'asse maggiore perpendicolare rispetto l'asse maggiore delle cellule
sottostanti e tendono ad avere una superficie convessa, quindi ad essere un po'
sporgenti verso il lume. Sono spesso binucleate (quindi presentano due nuclei) e
sono particolarmente ricche di questo tipo di giunzioni oltre che di interdigitazioni tra
una cellula e l'altra: servono per assicurare che non ci sia passaggio di urina dal lume
della vescica o degli ureteri o dell'uretra verso i tessuti più profondi, quindi
impediscono il passaggio di urina fra una cellula e l'altra perché le cellule sono fra
loro praticamente saldate grazie alla presenza di giunzioni occludenti. Ci sono anche
molte uroplachine, delle proteine particolari che insieme a dei lipidi si trovano a
livello della membrana plasmatica nella regione apicale di queste cellule e che si
trovano anche all'interno di vescicole discoidali nel citoplasma subito al di sotto della
zona apicale. La presenza di queste vescicole discoidali è probabilmente il segreto
che permette all'epitelio di transizione di aumentare la sua estensione quando viene
tirato perché queste vescicole vanno a fondersi con la membrana plasmatica e danno
materiale per poter allungare la superficie del tessuto. Le uroplachine sono il modo
con cui le cellule cupoliformi si difendono dalla tossicità e dall'osmoticità dell'urina in
modo che essa non vada a danneggiare ciò che c'è al di sotto della superficie apicale
delle cellule a ombrello né tantomeno vada ad avere effetti negativi sulle cellule al di
sotto di questo strato. La forma di queste cellule cambia quando la vescica tende a
stirarsi quindi quando la vescica è piena e si stira, le cellule a ombrello che prima
erano a punta con una convessità verso il lume si tendono e diventano più appiattite
e quindi sono polimorfe rispetto la morfologia quando l'organo non è stirato.
● Lo strato intermedio è composto da cellule poligonali con una forma clavata, possono
essere diversi strati che tendono a diminuire di numero per un riarrangiamento di
posizione quando l'organo si stende
● Strato basale di cellule che possono avere forma cuboidale o colonnare e dal quale si
possono generare nuove cellule. L'urotelio è capace di un turnover cellulare anche se
più lento di quello di altri epiteli quindi ci mette diversi giorni o settimane però se c'è
una lesione ci può essere sostituzione delle cellule più superficiali per l'intervento
delle cellule dello strato intermedio che si differenziano in cellule ad ombrello nel
giro di poche ore o pochi giorni.

IMMAGINI DI EPITELI DI RIVESTIMENTO: CORNEA


A livello della cornea, la
membrana trasparente che sta
nella parte anteriore
dell'occhio davanti all'iride e
alla pupilla. La cornea presenta
nella parte centrale, quindi
quella più spessa, uno stroma
non di natura epiteliale che
viene chiamato stroma
corneale e presenta epitelio sia
superiore (rivolto verso l'esterno) sia nella parte più profonda (nella zona posteriore)
L'epitelio anteriore, chiamato epitelio corneale, è quello che si affaccia sull'esterno ed è un
epitelio di tipo composto quindi più strati di cui quello più superficiale è di tipo squamoso
perché serve una protezione meccanica. Tra l'epitelio e il sottostante stroma corneale
abbiamo una membrana basale. Dalla parte opposta abbiamo un altro epitelio, l'endotelio
corneale che si affaccia sull'umore acqueo che si trova sulla camera anteriore dell'occhio ed
ha un aspetto classico da epitelio squamoso semplice. Proprio per questa sede particolare,
l'altezza di queste cellule è costante e non c'è sporgenza della zona in cui c'è il nucleo
rispetto alle altre per minimizzare eventuali distorsioni della luce.

IMMAGINI DI EPITELI DI RIVESTIMENTO: LARINGE


A livello della laringe abbiamo la
possibilità di osservare diversi tipi
di epitelio. Per la maggior parte
della sua lunghezza presenta il
tipico epitelio delle vie aeree
quindi un epitelio
pseudostratificato ciliato, ci sono
però dei tratti della laringe, in
particolare quelli con il calibro più
stretto che possiamo vedere in
questa sezione frontale della laringe. In questi tratti più stretti e anche a livello delle corde
vocali abbiamo invece un epitelio pavimentoso pluristratificato perché in queste zone ci
sono delle sollecitazioni meccaniche più forti dovute al passaggio dell'aria (è la sede delle
corde vocali che funzionano nella misura in cui vengono messe in vibrazione dal passaggio
dell'aria). Nelle zone in cui passo dallo pseudostratificato al pluristratificato posso avere
anche delle regioni con un tessuto abbastanza raro: l'epitelio cilindrico pluristratificato.

IMMAGINI DI EPITELI DI RIVESTIMENTO: CANALE ANALE


Altra zona in cui
possiamo apprezzare
diversi tipi di epitelio
che si trasformano l'uno
nell’altro è a livello del
canale anale. Siamo
nell’intestino crasso alla
fine del retto, la mucosa
del retro similmente a
quella del colon e di
altre parti dell'intestino
del tubo digerente è un classico epitelio cilindrico semplice perché in quelle zone prevale la
funzione dell’assorbimento, ma a livello del canale anale c’è la nuova necessità di proteggere
questa parte dell'apparato digerente dal passaggio delle feci, che può dare lesioni e
abrasioni. Nella zona di passaggio fra il retto e il canale alimentare troviamo epitelio cubico o
colonnare pseudostratificato che ben presto lascia spazio all’epitelio squamoso
pluristratificato non corneificato. Quando il canale anale si congiunge a livello della
giunzione ano-cutanea, quindi sulla parte esterna dell'ano, diventa epitelio squamoso
pluristratificato corneificato come tutte le parti di epidermide esterna.

EPITELI GHIANDOLARI

Sono gli epiteli specializzati nel processo di secrezione e


quindi nel rilascio di sostanze che vengono definite
genericamente secreto. Il secreto a seconda della ghiandola
avrà un nome, una composizione diversa e una specifica
funzione.
Vanno a costituire il parenchima delle ghiandole, ovvero la
parte secernente. Il secreto viene prodotto all'interno delle
cellule secernenti che poi lo rilasciano all’esterno della cellula
dove può andare incontro a due destini diversi che ci
permettono di distinguere tra ghiandole esocrine ed
endocrine.
Le ghiandole esocrine sono a secrezione esterna, cioè il
secreto viene riversato al di fuori, proprio sull'esterno del corpo (per esempio le ghiandole
sudoripare o lacrimali o sebacee) oppure riversato in cavità interne ma comunque
comunicanti con l'esterno (succhi gastrico quindi i prodotti delle ghiandole gastriche o del
pancreas). Le ghiandole esocrine sono composte da due componenti: l’adenomero che è la
componente secernente quindi la porzione in cui ci sono le cellule che producono il secreto,
e il dotto escretore che invece è la porzione che incanala il secreto al suo destino quindi o
all’esterno o nella cavità interna.
Le ghiandole endocrine (a secrezione interna) sono prive di dotti escretori perché il secreto,
che prende il nome di ormone, una volta espulso dalle cellule secernenti passa al circolo
sanguigno e attraverso di esso va a raggiungere i suoi bersagli esercitando un’azione su di
essi, azione che può anche essere lontana dalla sede di produzione dell’ormone. Questo
processo di secrezione può essere un processo continuo (secrezione costitutiva) quindi
questi secreti vengono prodotti senza interruzione, come avviene per il muco a livello
dell’epitelio gastrico. La maggior parte delle ghiandole sia esocrine che endocrine procedono
con una secrezione regolata quindi discontinua che avviene solo e quando la ghiandola
stessa riceve dei segnali di tipo endocrino che la stimolano il rilascio controllato dei secreti.
I secreti possono essere vari anche come natura chimica: ci sono dei secreti soprattutto
proteici, altri glicoproteici o altri di tipo lipidico e questo avrà influenza sullo sviluppo degli
organuli all’interno delle cellule secernenti. In una ghiandola che produce dei secreti di tipo
proteico si trova nelle sue cellule secernenti il RER sviluppato, mentre se il secreto è di
natura glicoproteica, quindi che prevede anche delle rielaborazioni alla porzione glucidica,
sia RER che apparato di Golgi saranno particolarmente sviluppati. Con un secreto di tipo
lipidico sarà particolarmente sviluppato anche il REL.
Le funzioni dei secreti cambiano a seconda del secreto ma possono essere raggruppate in 3
grandi categorie:
● compito di lubrificare (lacrime, sebo, ghiandole a livello delle vie genitali)
● proteggere: in molti casi questi liquidi contengono degli enzimi come il lisozima con
azione battericida
● regolare (ormoni) l’attività di altre cellule, tessuti e organi

ORIGINE DELLE GHIANDOLE


Le ghiandole si sviluppano dagli epiteli di rivestimento. A
livello di questi epiteli durante lo sviluppo embrionale si ha
la proliferazione di un gruppo di cellule chiamate zaffo
epiteliale: proliferando vanno ad invadere il tessuto
connettivo sottostante per poi andare incontro alla
differenziazione con una divisione dei due possibili destini.
Nel caso delle ghiandole esocrine viene mantenuta la
connessione con l'epitelio superficiale che l’ha generata e la
connessione diventa il dotto escretore attraverso il quale
vengono veicolati fuori i secreti.
Nel caso delle ghiandole endocrine il collegamento con
l’epitelio superficiale di origine non viene mantenuto in
quanto non c’è la necessità di raggiungere la superficie dell'epitelio perché gli ormoni
vengono rilasciati a livello del circolo sanguigno, quindi queste ghiandole avranno contatti
stretti con i capillari che li irrorano e ai quali rilasceranno i loro ormoni.
GHIANDOLE ESOCRINE: CRITERI DI CLASSIFICAZIONE

Ci sono tanti modi per classificare le ghiandole esocrine:


● Dal numero di cellule da cui sono composte:
○ unicellulari: per esempio quella delle cellule caliciformi mucipare che
troviamo nell'epitelio intestinale o nelle vie aeree (nell’immagine).
Caliciforme relativamente alla sua morfologia, con la parte basale molto
stretta, parte centrale panciuta in cui si trovano stipati tantissimi granuli di
mucine che poi si stringe verso la superficie, la parte apicale è la zona in cui
avviene l’esocitosi del contenuto. Mucipare fa riferimento alla loro funzione,
quella di produrre e rilasciare muco con funzione protettiva
○ pluricellulari: la maggior parte delle ghiandole è composta da varie cellule che
si organizzano a dare la porzione secernente e la porzione del dotto
escretore, che non sono altro che epiteli di rivestimento, mentre la parte
dell’adenomero è quella dell'epitelio ghiandolare vero e proprio. Nelle
ghiandole più grandi oltre questa componente epiteliale ne abbiamo anche
una connettiva che costituisce la struttura portante che aiuta a mantenere la
struttura delle ghiandole un po' più grosse
● In base alla posizione occupata dalle ghiandole:
○ Intraepiteliali: quelle che rimangono comunque nello spessore dell'epitelio
che le ha originate
○ Extraepiteliali o esoepiteliali: la ghiandola si localizza al di fuori dell'epitelio
che l'ha originata quindi invade un altro tessuto. Si distinguono in
■ Intraparietali: o intramurali, rimangono comunque in un altro tessuto
ma sempre appartenente allo stesso organo a livello del quale
riversano il loro secreto. Di solito in questo caso la ghiandola si
localizza nel connettivo, nella sottomucosa di quell'organo
■ Extraparietali: si sviluppano fuori dall'organo di origine come per
esempio il pancreas, il fegato
● Sulla base della morfologia:
○ In base alla forma degli adenomeri
■ Tubulari
■ Acinose
■ Alveolari
○ In base al numero di adenomeri e dotti
■ Semplici
■ Ramificate
■ Composte
● Classificazione funzionale sulla base di come avviene la secrezione:
○ Merocrine, le più diffuse. Si fa un'ulteriore suddivisione sulla base del tipo di
secreto che rilasciano quindi sulla natura chimica del secreto
■ Sierose
■ Mucose
■ Miste
○ Apocrine
○ Olocrine

GHIANDOLE ESOCRINE: CRITERI MORFOLOGICI

Quando l’adenomero (ovvero la parte secernente e in colore arancione negli schemi) ha una
forma sferica, quindi le sue cellule secernenti si dispongono a fare una struttura sferica cava
all'interno con un lume ampio, allora parlo di una ghiandola di tipo alveolare perché la forma
ricorda quella di un alveolo polmonare.
Se è sferica ma con un lume molto sottile allora parlerò di una ghiandola di tipo acinoso.
Quando invece il mio adenomero è un tubo, che può essere rettilineo o formare una specie
di glomerulo ed essere quindi ripiegato su se stesso, allora parleremo di una ghiandola
tubulare o tubulo glomerulare. Nelle ghiandole tubulari si fa fatica a distinguere tra la parte
secernente e quella del dotto perché sono comunque lungo tutto questo tubulo.
L'altro criterio riguarda il numero di adenomeri e di dotti escretori. Ghiandole semplici
perché hanno un solo adenomero e un solo dotto escretore.
Seconda fila di ghiandole ramificate, con almeno 2 o più adenomeri I quali confluiscono tutti
in un unico dotto. Ad essere ramificata è la parte secernente.
Tutte le altre sono invece ghiandole composte, cioè ho 2 o più adenomeri, ognuno dei quali
ha il proprio dotto che confluisce in un unico dotto escretore maggiore
Sia nelle ghiandole ramificate che in quelle composte i miei adenomeri possono essere o
tutti uguali tra loro (per esempio tutti adenomeri di tipo alveolare) oppure diversi tra loro
(sia alveolari che tubulari) e quindi posso avere anche combinazioni.
Mettendo insieme questi due criteri (forma Dell adenomero e numero di adenomeri e di
dotti) ho tutte queste possibilità

L’alveolare semplice non c’è a livello dei mammiferi ma è


molto frequente a livello della pelle degli anfibi (foto vetrino).
Quella rossa è una grande ghiandola sierosa mentre quelle
contrassegnate da un asterisco sono ghiandole mucose più
piccole e più abbondanti. Gli anfibi hanno tipicamente tante
ghiandole cutanee perché hanno una pelle nuda, senza
squame o scaglie e quindi per proteggersi hanno bisogno dei
secreti di queste ghiandole che devono garantire protezione
ma allo stesso tempo anche respirazione e capacità di scambio.

Sezione istologica degli adenomeri


delle tipologie appena descritte.
Cosa ci fa capire che uno è acinoso e l’altro alveolare? In quello acinoso il lume è ridottissimo
e la forma trasversale è abbastanza regolare e sferica. In quello alveolare la forma è più
irregolare e si vede il lume molto più ampio.

GHIANDOLE ESOCRINE: MODALITÀ DI SECREZIONE

Ci permette di suddividere le ghiandole esocrine in merocrine, apocrine e olocrine. Le


ghiandole merocrine sono le più diffuse, sono quelle ghiandole le cui cellule secernenti
producono il secreto, l’organizzano in vescicole nella parte apicale della cellula che poi
liberano i secreti per esocitosi.
Dopo ogni esocitosi spetta alla cellula ripristinare altre vescicole pronte per una successiva
esocitosi. Un particolare tipo di secrezione merocrina è la eccrina, tipica della maggior parte
delle ghiandole sudoripare. Esse vengono definite di tipo eccrino per indicare un rilascio di
sudore ricco di elettroliti e di piccole molecole,sono quelle diffuse un po’ in tutto il corpo e
sono le principali responsabili della termoregolazione.

Le olocrine (olos= tutto) hanno un secreto costituito dalla disintegrazione dell’intera cellula
secernente che quindi accumula/produce il proprio secreto, di solito gocciole lipidiche, ma
quando è il momento non rilascia solo le gocciole lipidiche ma disintegra e rilascia l’intera
cellula secernente che quindi va a costituire essa stessa parte del secreto. Un tipico esempio
sono le ghiandole sebacee, quindi il sebo è un secreto costituito da sostanze lipidiche
(colesterolo e trigliceridi) e detriti cellulari dovuti allo sfaldamento delle cellule ghiandolari. Il
sebo ha il compito di tenere lubrificata la superficie della pelle e degli annessi cutanei. Le
cellule si sfaldano e lasciano la superficie dell’epitelio. Per questa modalità di secrezione la
ghiandola olocrina avrà un epitelio pluristratificato in cui lo strato più profondo è formato da
cellule staminali (cubiche) che continuamente per proliferazione andranno a formare nuove
cellule che devono sostituire quelle che sono state perse durante il processo di secrezione.
Al di sopra dello strato profondo avremmo poi una serie di cellule che diventano via via più
grandi perché si accumulano al loro interno le gocciole lipidiche e in cui si assiste anche ad
una degenerazione di tutti gli organuli che lasciano posto solo alle gocciole lipidiche, così
quando poi è il momento della secrezione la cellula che si libera è praticamente un
contenitore di queste gocciole lipidiche.

Come ultima e meno meno frequente troviamo la modalità di secrezione apocrina che
caratterizza le cosiddette ghiandole apocrine, dove ciò che si perde è la parte apicale delle
cellule secernenti che quindi accumulano le vescicole contenenti il prodotto di secrezione a
livello della regione apicale del citoplasma, che anche in questo caso è spesso di tipo lipidico
e che poi al momento opportuno vengono rilasciate delle porzioni di citoplasma apicale
insieme alle gocce lipidiche. La cellula non viene liberata in toto come nel caso della
secrezione olocrina, ma non rimane nemmeno integra come nel caso di quella merocrina:
viene perduta la parte apicale per cui dopo il processo di secrezione le cellule secernenti
dovranno andare incontro ad una forma di accrescimento con la riformazione della parte
apicale. Esempi: ghiandola mammaria impegnata nell'allattamento, alcune ghiandole
sudoripare apocrine. Le eccrine hanno un sudore molto acquoso e chiaro mentre le apocrine
hanno uno più denso e giallognolo che contiene anche una componente lipidica. Le
ghiandole sudoripare apocrine sono localizzate solo in alcune regioni particolari come nel
cavo ascellare o nella zona genitale e sono di solito annesse al pelo quindi rilasciano il loro
secreto a livello del bulbo pilifero. Non servono tanto per la sudorazione ma vengono
chiamate in causa nei momenti di emozione, di stress, dolore in cui si attivano e rilasciano il
loro secreto.
GHIANDOLE ESOCRINE: NATURA DEL SECRETO
Le merocrine possono essere ulteriormente suddivise sulla base del tipo di secreto che
producono:
● Sierose: producono un liquido chiaro e acquoso ricco di proteine ad attività
enzimatica. Hanno il nucleo in posizione basale, abbondante RER e Golgi e
presentano dei granuli che si colorano molto facilmente e quindi sono visibili nelle
sezioni di microscopia ottica.
○ Esempi: acini pancreatici quindi parte esocrina del pancreas, parotidi e
ghiandole lacrimali
● Mucose: producono un liquido viscoso, più denso e formato da mucine ovvero
polisaccaridi. Le mucine una volta rilasciate all'esterno ed entrate in contatto con un
ambiente acquoso si trasformano nel vero e proprio muco con funzione difensiva
della superficie dell'epitelio stesso su cui sono rilasciate. I granuli di muco tendono a
non colorarsi e quindi appaiono come cellule abbastanza grosse e chiare di aspetto
vacuolare.
○ Esempi: cellule mucipare e ghiandole della cavità orale.
● Miste o siero-mucose: producono un liquido in parte sieroso e in parte mucoso,
quindi avranno sia adenomeri sierosi sia mucosi oppure possono avere insieme degli
adenomeri misti cioè che hanno delle cellule sierose (nella foto quelle più
intensamente colorate) che avvolgono le cellule mucose e formano strutture a forma
di semiluna, chiamate semilune di Giannuzzi.
○ Esempi: ghiandole salivari minori cioè quelle sottomandibolari e sottolinguali.

ghiandole siero-mucose

GHIANDOLE ESOCRINE: CELLULE MIOEPITELIALI


Si possono trovare in alcune ghiandole interposte tra le cellule secernenti e la lamina basale
oppure associate ai dotti escretori. Si chiamano mioepiteliali perché hanno delle somiglianze
morfologiche con le cellule muscolari e analogamente ad esse sono contrattili, anche se la
loro origine probabilmente è epiteliale. Quelle tra l’adenomero e la lamina basale
contraendosi favoriscono l'espulsione del secreto da parte dell’adenomero. Quando sono
invece associate ai dotti escretori la loro contrazione va ad accorciare un po' il dotto e quindi
a facilitare e accelerare il deflusso e il rilascio da parte del dotto escretore del secreto.
GHIANDOLE ENDOCRINE
Sono delle ghiandole in cui non ho più i dotti escretori,
possono essere distribuite in diverse parti del corpo e
tutte insieme formano il cosiddetto sistema endocrino.
Producono un secreto che prende il nome di ormone, il
quale anche a bassissime concentrazioni è in grado di
andare a stimolare delle attività, accelerarle o farle
partire ex novo nelle cellule bersaglio che riconoscono e
legano gli ormoni.
Il classico segnale endocrino è quello che prevede la
liberazione degli ormoni dalle cellule endocrine che,
raggiunto il circolo sanguigno, attraverso di esso vanno in
zone anche lontane ad agganciarsi ai recettori delle
cellule bersaglio. Ci sono altre 2 possibili modalità di
segnalazione che sono quella paracrina, in cui le cellule
endocrine rilasciano degli ormoni che si legano e hanno
effetto su cellule vicine, e autocrina in cui la cellula
endocrina che rilascia l'ormone è anche il destinatario dello stesso ormone, quindi ha anche
i recettori che legano e riconoscono l'ormone che rispondono quindi all'ormone stesso.

La natura degli ormoni può essere varia, possono essere dei derivati degli amminoacidi
(ammine, catecolamine), dei peptidi, delle proteine, glicoproteine o possono essere dei lipidi
(steroidi o acidi grassi modificati)
Cosa cambia la natura degli ormoni? Fa sì che le cellule che li secernono abbiano degli
organelli più o meno sviluppati a seconda del tipo di prodotto e cambia anche una volta che
questi ormoni hanno raggiunto la cellula bersaglio. Gli ormoni lipidici riescono a passare da
soli attraverso la membrana plasmatica delle cellule bersaglio e quindi ad andare ad attivare
dei recettori direttamente a livello nucleare, mentre invece altri tipi di ormoni proteici che
non hanno questa possibilità si legheranno ai recettori sulla membrana plasmatica,
attiveranno una serie di reazioni a cascata, la produzione di un secondo messaggero dentro
la cellula che poi modificherà le attività all’interno della stessa.
CLASSIFICAZIONE GHIANDOLE ENDOCRINE

Vengono suddivise in base alla loro organizzazione strutturale.


Cordonali: le cellule secernenti si organizzano a formare dei cordoni avvolti da una
componente connettivale. Possono essere rettilinei oppure possono ripiegarsi su se stessi a
dare dei gomitoli o essere anastomizzati e quindi collegati tra loro a dare una rete
tridimensionale. Caratteristica delle cellule delle ghiandole cordonali è di non avere
polarizzazione. Qui gli ormoni possono essere rilasciati da una qualunque zona della cellula
secernente. Esempi: adenoipofisi, epifisi, surrenali, paratiroidi.
Follicolari: ghiandole in cui abbiamo una struttura sferica con un unico strato di cellule
secernenti molto polarizzate, che si organizzano attorno ad una cavità o follicolo contenente
materiale amorfo. Esempio: tiroide
Insulari: ammassi più i meno sferici ma pieni, non c'è nessuna cavità al centro e sono fatti di
cellule secernenti disseminate all'interno del parenchima di ghiandole esocrine. Esempio:
isolotti del langerhans cioè la parte endocrina del pancreas
Interstiziali: cellule secernenti disperse singolarmente o in piccoli gruppi nello stroma di un
organo. Esempi: cellule endocrine delle gonadi, cellule parafollicolari della tiroide
Cellule endocrine diffuse: cellule sparse negli epiteli di rivestimento o nelle ghiandole
esocrine degli apparati digerente, respiratorio, genitale. Costituiscono nell'insieme il SED
=sistema endocrino diffuso
GHIANDOLE ENDOCRINE: IPOFISI
Con i suoi ormoni controlla tutte le
attività endocrine delle altre cellule.
Si trova alla base dell'encefalo nella
sella turcica, una concavità di un osso
cranico (sfenoide). È un'insieme di
due lobi: il lobo anteriore chiamato
adenoipofisi e quello posteriore
chiamato neuroipofisi.
Nel suo complesso è controllata
dall'ipotalamo che, rilasciando dei
fattori sia inibenti che stimolanti, va a
regolare tutta l'attività dell'ipofisi. I
due lobi hanno struttura, funzione e
derivazione embriologica diversa.
L'adenoipofisi è la parte ghiandolare secernente, è costituita da 3 parti distinte, la pars
distalis, con organizzazione cordonale, la pars intermedia, con organizzazione follicolare e la
pars tuberalis, con organizzazione cordonale. Nella pars distalis (la principale produttrice di
ormoni) troviamo diverse popolazioni cellulari, ognuna delle quali è specializzata nella
produzione di uno specifico ormone.
Abbiamo le cellule:
● somatotrope: la parte più abbondante, sono acidofile e producono GH, l'ormone
della crescita
● Mammotrope: acidofile che producono PRL, la prolattina
● Gonadotrope: basofile che producono FSH, l'ormone follicolo-stimolante, e LH,
l'ormone luteinizzante. Entrambi hanno come bersaglio le gonadi
● Tireotrope: basofile che producono TSH, l'ormone tireostimolante
● Corticotrope: basofile che producono il precursore di ACTH, adrenocorticotropo che
regola l'attività della corteccia delle ghiandole surrenali, le endorfine e l'MSH,
ormone stimolante i melanociti (melanotropo)
● Cromofobe piccole: non differenziate o degranulate. Non si colorano con nessun
colorante
GHIANDOLE ENDOCRINE: TIROIDE
La tiroide è localizzata nel collo,
vicino alla cartilagine tiroidea
della laringe. È formata da lobo
destro e lobo sinistro, collegati
insieme da un istmo. È
organizzata a follicolo, quindi è
costituita da una serie di follicoli
che contengono nella cavità
centrale la colloide, una
sostanza amorfa glicoproteica, e
da cellule secernenti che
prendono il nome di tireociti,
collocati tutto intorno a dare un
epitelio semplice. La grandezza
dei follicoli è variabile, possono
avere un diametro tra i 200 e i
900 μm. È variabile anche la
forma dei tireociti: possono essere più alti tipo cubici, cilindrici o appiattiti e anche la
quantità di colloide è variabile in base all'attività funzionale della ghiandola quindi se è
funzionante, iperstimolata o a riposo.
I tireociti hanno una porzione basale con un nucleo con due nucleoli, hanno un esteso
apparato di Golgi e RER perché producono la tireoglobulina (glicoproteina) e presentano una
serie di lisosomi nella zona apicale: c'è una notevole polarità. I tireociti sintetizzano la
tireoglobulina, la organizzano in vescicole e viene rilasciata per esocitosi nel lume del
follicolo a costituire la colloide dove avviene la iodinazione, cioè l'unione dello iodio con la
tireoglobulina. A questo punto la tireoglobulina iodata viene endocitata, quindi recapitata
dai tireociti e una volta che è stata captata gli endosomi con la tireoglobulina iodata si
fondono con i lisosomi. Ad opera di proteasi lisosomiali specifiche si vengono a formare i due
ormoni tiroidei: la triiodotironina (T3) e la tiroxina (T4) quindi la tireoglobulina iodata è il
precursore di questi ormoni tiroide fondamentali perché controllano il metabolismo
cellulare, la termoregolazione.
Ci sono anche cellule parafollicolari che si trovano interposte tra un follicolo e l'altro, sono
molto meno numerose rispetto i tireociti ma molto più grandi. Hanno il compito di produrre
la calcitonina, impegnata nel metabolismo del calcio con un'azione di abbassamento della
calcemia (con azione opposta al paratormone).

sezioni che mostrano i diversi follicoli tiroidei


PANCREAS: GHIANDOLA ESOCRINA ED ENDOCRINA
Ghiandola
indispensabile,
svolge una doppia
funzione perché è sia
endocrina che
esocrina.
Esocrina perché
produce una serie di
enzimi digestivi
rilasciati attraverso il
dotto pancreatico a
livello dell'intestino
tenue. La digestione
è possibile soprattutto grazie alla liberazione del succo pancreatico prodotto a livello della
componente esocrina di questa ghiandola.
La componente endocrina è presente in minor quantità ma è cruciale. Gli isolotti del
Langerhans sono formati da 5 diversi tipi di cellule:
● Cellule α: 20% delle cellule endocrine pancreatiche, producono glucagone che
innalza la glicemia
● Cellule β: 70%, producono l'insulina, l'unico ormone ipoglicemizzante
● Cellule ฀: 5/10 %, presentano 2 sottopopolazioni: cellule D e D1, producono
somatostatina e VIP (peptide intestinale vasoattivo con influenza sulla motilità
intestinale)
● Cellule F: 1-2% non solo negli isolotti ma anche al di fuori, producono il polipeptide
pancreatico (PP) che controlla la secrezione esocrina del pancreas
● Cellule G: 1%, producono gastrina che stimola a livello dello stomaco la produzione di
acido cloridrico da parte delle cell parietali.

Schema di un isolotto del pancreas, la parte interna


è la componente endocrina avvolta da tutti i vari
acini della componente esocrina.
ORIGINE DEL TESSUTO EPITELIALE

Derivano un da tutti e 3 i foglietti embrionali che troviamo nella gastrula.


Dall’ectoderma:
● epidermide e i suoi derivati
● cornea ed epitelio del cristallino
● Mucosa della cavità buccale
● Mucosa del canale anale (parte inferiore)
● Adenoipofisi
Dal mesoderma:
● Rivestimenti endoteliali
● Mesoteli
● Corticale del surrene
Dall'endoderma:
● Epiteli del canale alimentare e ghiandole annesse
● Epiteli della vescica e di gran parte dell'uretra
● Epiteli di tiroide, paratiroidi e timo
Lezione 12- 09/11/2022

TESSUTO MUSCOLARE

Oggi andremo a vedere quali sono le tipologie di tessuto muscolare e


le cellule che lo compongono (le cellule muscolari), valutando quali
sono le loro caratteristiche cellulari, extracellulari, la membrana
plasmatica, ed addentrandoci nella peculiare organizzazione delle
fibrille dette miofibrille di tali cellule.
Studiando queste miofibrille avremo modo di comprendere in che
modo avviene il processo della contrazione muscolare, ed infine
faremo un breve accenno, sicuramente per quanto riguarda la
muscolatura liscia, e di come questa è organizzata a formare quelle
che sono le tonache generalmente dei visceri.

Il tessuto muscolare non deve essere presentato più di tanto, difatti la capacità di questo tessuto è
nota, è una capacità contrattile, ovvero, è in grado di accorciarsi utilizzando energia, l'ATP, che
vedremo provenire da un processo di respirazione oppure da una glicolisi di tipo anaerobica.

Dobbiamo ricordare che i muscoli possono essere distinti


in base alla loro caratteristica di possedere o meno sulla
loro superficie delle strie, e quindi i muscoli si dividono
in: muscoli striati e muscoli di tipo liscio.

La muscolatura striata può essere suddivisa in ulteriore


2 gruppi: muscoli volontari detti anche scheletrici, e il
muscolo cardiaco che seppur striato è involontario.

Quindi il tessuto muscolare si divide in:


1- striato scheletrico, volontario
2- striato cardiaco, involontario
3- liscio, involontario

1- TESSUTO MUSCOLARE STRIATO SCHELETRICO

Il muscolo striato è quello controllato dalla nostra volontà, quindi dal sistema nervoso centrale.

A che cosa serve il tessuto muscolare scheletrico?


Le sue funzioni sono:

- sicuramente grazie alla sua inserzione sull'apparato assile (sullo scheletro assile) genera delle leve
utili al movimento, quindi mette in moto il corpo, e mantiene la postura. Basti pensare per esempio
ai muscoli del dorso che ci permettono di essere eretti in piedi.
- permette di contenere e proteggere quelli che sono gli organi interni, immaginate i muscoli della
parete addominale che contengono i visceri all'interno della cavità addominale, proteggendoli.

- inoltre, grazie alla sua organizzazione, si va a disporre in ispessimenti che controllano l'apertura
degli organi cavi, per esempio l'apparato digerente a livello dell'ano, quindi controlla in modo
volontario le feci, oppure a livello degli sfinteri uretrali esterni permettendoci di contenere in modo
volontario l'urina, seppur abbiamo uno stimolo di minzione.

- grazie alla energia liberata nel corso del processo contrattile, agisce nel mantenere la temperatura
corporea grazie al suo movimento, appunto, che genera energia, calore.

Le cellule del tessuto muscolare


scheletrico sono dette anche fibre
muscolari, con in più la desinenza
di fibre muscolari scheletriche o
volontarie.
Queste fibre muscolari scheletriche
sono delle cellule che hanno una
forma lunga, in quanto nel corso
dell'evoluzione e del
differenziamento tali cellule hanno
assunto una forma idonea per
accumulare energia contrattile,
(quindi da lunghe si accorciano).

Sono delle cellule generalmente che presentano un diametro di circa 10-100 μm, e possono
raggiungere lunghezze anche cospicue, pensate fino ai 20 cm.
Queste cellule appaiono polinucleate, cioè hanno molti nuclei. Il motivo di ciò lo vedremo tra poco
in quanto durante lo sviluppo embrionale, vediamo la fusione di numerosi progenitori cellulari
neoblasti.

Questi nuclei, fate caso nell’immagine sopra, sono posizionati, rispetto al corpo della cellula, in
periferia, adagiandosi sulla membrana plasmatica che in questo caso, prende il nome di
sarcolemma (da plasmalemma con la desinenza “sarco” = muscolo, quindi membrana plasmatica
delle cellule muscolari).

A livello di questa membrana plasmatica, però, vi è una fitta e ricca lamina basale (da ricordare la
lamina basale del tessuto epiteliale) che è ricca di glicosamminoglicani, proteoglicani, ma
soprattutto di glicoproteine, che permette alle cellule di ancorarsi al tessuto connettivo circostante).
Questa cosa è molto importante perché permette al muscolo di trasferire la forza all’osso.

All'interno il citoplasma è ricco di fibrille del muscolo, cioè le miofibrille.


Queste mio-fibrille saranno le fibre deputate alla contrazione.

Inoltre, il citoplasma è ricco di un analogo della emoglobina, la mioglobina.


L’emoglobina generalmente si trova nel globulo rosso, e serve a trasportare l'ossigeno; allo stesso
modo la mioglobina permette di attrarre l'ossigeno all'interno della cellula muscolare, quindi
sottraendolo dalla emoglobina. In altri termini riesce a rifornire di ossigeno la cellula che lo
utilizzerà per produrre l’energia, l’ATP.
Inoltre questo tessuto muscolare scheletrico presenta un peculiare reticolo endoplasmatico che
vedremo in seguito, e anche in questo caso prende il nome di reticolo sarcoplasmatico (sarco- da
muscolo).
Sono inoltre presenti tutti gli altri organuli citoplasmatici quali centrioli, mitocondri in diverso
numero, goccioline lipidiche, e soprattutto granuli di glicogeno.
I granuli di glicogeno corrispondono ad una forma di accumulo, di immagazzinamento del glucosio,
però in una forma osmoticamente inerte, non in grado di attrarre acqua.

Le fibre muscolari appena descritte, quindi la cellula muscolare, è immersa all'interno di una
impalcatura di tessuto connettivo che appunto la sostiene, e che la connette alle altre cellule
muscolari.

Il tessuto connettivo più intimo, e che


circonda ciascuna cellula muscolare, è detto
endomisio. L'endomisio avvolge una
singola fibra muscolare.
Nell’immagine vedete una singola cellula,
questa è avvolta da tessuto connettivo:
l’endomisio che mi permette di farla stare
vicino a tante altre fibrocellule.

In questo modo tante fibrocellule creano dei


fascicoli, questi fascicoli a loro volta sono
avvolti da un'ulteriore guaina di tessuto connettivo, che però in questo caso è leggermente più
densa, quindi un po’ più ricca di fibre, detta perimisio.

Tutto l’insieme di questi fascicoli poi sono raccolti da una guaina di tessuto connettivale esterno
l'epimisio, un connettivo denso, irregolare, ricco di fibre collagene, quello in grado di sopportare
forze di trazione.

Il tessuto connettivo più intimo invece, cioè l’endomisio, è un tessuto connettivo di tipo lasso dove
vediamo un'abbondanza di matrice extracellulare non fibrillare.

Questo tessuto connettivo permette quindi per sua natura, la diffusione delle sostanze, dei
nutrimenti, dell'ossigeno, difatti, all'interno di questo tessuto connettivo vi scorrono i nervi, i vasi
(quindi sangue ossigenato che ritorna al cuore e che quindi diffonde l'ossigeno usato come
nutrimento dal tessuto muscolare.

Quindi le funzioni dell’endomisio saranno di:


- vascolarizzazione di tutto questo connettivo
- funzione meccanica e di sostegno alle cellule muscolari

Sezione istologica trasversale


Tramite questo vediamo il muscolo per intero, il fascicolo con
all'interno numerose fibre muscolari.
Quella fina che sporge in fuori verso sinistra è una cellula, è una
delle tante cellule che va a comporre un fascicolo, e giustamente le
guaine sono 3: quella dell’endomisio, del perimisio e dell'epimisio.

Perché è interessante questo tessuto connettivo, e in che modo questo tessuto connettivo
contribuisce al movimento?

Perché le cellule muscolari grazie alle strutture di glicoproteine (quindi delle proteine di membrana
esterne), si ancorano alla compagine di fibre presenti nel connettivo (endomisio).
Come vediamo in questa immagine, quelle in rosso sono le fibre muscolari, tutte belle parallele,
interposte ad endomisio all'esterno e perimisio e l’epomisio.

Tutti quanti questi connettivi, convergono all'estremità libera del muscolo a fondersi in quella
struttura che corrisponde al tendine, cioè un tessuto connettivo denso regolare, perché le fibre sono
tutte disposte in modo bello regolare, ordinato, parallelo, fibroso ricco di collagene.

Queste fibre accorciandosi, perché poi si accorceranno riducendo la loro dimensione, trascineranno
con sé la struttura connettivale circostante, quindi trasferiranno la forza a qui che ci sarà un osso a
cui sono ancorate.

Le cellule muscolari scheletriche sono cellule


polinucleate, ovvero con tanti nuclei perché nel
corso dello sviluppo embrionale, il tessuto
muscolare ha origine dal foglietto del
mesoderma, dove vediamo dei mioblasti, cellule
che sono mononucleate e prive di fibrille.
Questi mioblasti si fondono gli uni con gli altri
fino a formare una cellula muscolare e matura che
già presenta i suoi bei polinuclei.

In seguito a ciò termina il differenziamento, e la


cellula accumula all'interno le miofibrille ed ottiene
quindi le caratteristiche di polinuclei posizionati in periferia con tante fibre all'interno.

In questo caso noi parliamo di una parola: sincizio di tipo morfologico, sincizio perché si tratta di
cellule fuse, per morfologia perché è una forma di una cellula fusa con molti nuclei.
Questa è una sezione longitudinale di un muscolo, quindi andiamo a
distinguere chiaramente una fibrocellula muscolare (il primo
rettangolo in alto), questa è un’altra fibrocellula muscolare (il secondo
rettangolo, quello in mezzo).
Qui riusciamo a distinguere, evidenziati dal colore verde, i nuclei che
sono disposti in periferia, adesi alla membrana plasmatica, il
sarcolemma.

Analogamente se effettuiamo una sezione trasversale del muscolo e


andiamo a vedere questo preparato, i nuclei appariranno dove?
All'estremità.
Si nota infatti una singola fibra cellula muscolare (quella delimitata da
tratto verde) dove ha i nuclei in periferia.

Ora andiamo a valutare un'altra caratteristica peculiare di


questo tessuto muscolare: la striatura.
Il tessuto muscolare scheletrico è striato, questa striatura
si nota dalla presenza di un'alternanza di bande scure e
bande più chiare.

Si dice che queste sono in serie, e disposte in registro.

Le bande scure sono dette A da anisotrope, mentre le bande chiare I da isotope.

Il termine anisotropo significa che è in grado di deviare la luce, quindi la luce attraversa il preparato
istologico e nella regione della banda scura viene deviata, pertanto, il tessuto appare scuro.
Mentre nella zona isotropa la luce riesce ad attraversare il tessuto che quindi appare chiaro,
traslucente.

Aumentiamo l’ingrandimento, da una più attenta


osservazione al microscopio elettronico riusciamo
a notare delle ulteriori caratteristiche.
All'interno della banda A (in rosso) vediamo delle
piccole regioni, queste più chiare al centro, che
sono definite regioni H (in arancione), con al
centro una piccola linea, detta linea M (in rosa).
Analogamente all'interno della banda I (in azzurro)
distinguiamo una linea scura, densa, questa è la
linea Z (in verde).
Per poter comprendere il motivo di queste bande chiare e scure, e la presenza delle bande H, delle
linee M e linee Z dobbiamo andare a studiare la ultra-struttura, cioè la composizione molecolare e
l’organizzazione delle miofibrille all'interno della cellula muscolare.

Per far questo proverò a spiegarla disegnando.


Rappresentiamo come prima cosa l’alternanza di bande scure e bande chiare. Al centro della banda
scura c’è una regione più chiara che è la banda H con al centro tratteggiata la linea M, mentre al
centro della banda chiara c’è la linea Z come una linea netta.

All’interno della cellula muscolare distinguiamo 2 tipologie di miofibrille:


- filamenti spessi
- filamenti sottili

Questi filamenti, spessi e sottili, si organizzano all'interno della cellula muscolare in corrispondenza
delle bande chiare e delle bande scure, in questo modo vediamo dei filamenti spessi sovrapposti
all'altezza della banda A con interdigitati dei filamenti sottili, sia da un lato che dall'altro.

Inoltre i filamenti sottili nelle loro estremità libere, che chiameremo estremità negative, sono legati
con la proteina filamentosa detta filamento Z.
Questa struttura poi ovviamente è ripetuta anche nella banda scura adiacente, e così via.

La banda H, presente al centro della banda scura, si proietta anche nelle zone nude dei filamenti
spessi, che risultano appunto più sottili; al cui centro di queste zone nude c'è una proteina detta
proteina M.

Ora che è stata spiegata l'organizzazione delle miofibrille possiamo parlare dell'elemento coinvolto
nel processo contrattile, cioè il sarcomero.
Il sarcomero corrisponde a ciò che è compreso tra 2 linee Z, questa è l'unità coinvolta durante il
processo di contrazione.
Il meccanismo della contrazione prevede anche l’intervento dei ponti trasversali (in azzurro chiaro)
posti tra i filamenti spessi e quelli sottili.
Grazie a questi ponti trasversali il sarcomero riesce a contrarsi.

La banda chiara (I) risulta dalla semplice sovrapposizione dei soli filamenti sottili, per questo
motivo la luce quando passa appare brillante, perché non trova ostacoli lungo il suo percorso.
Mentre la banda scura (A) risulta scura in quanto la luce quando deve attraversare questa regione
del tessuto fa fatica per via della presenza dei filamenti spessi e un po’ anche di questi sottili.

Detto questo abbiamo detto praticamente il 70% di quello che dovremmo dire del tessuto
muscolare.

altra rappresentazione didascalica

Del sarcomero notiamo che alle estremità è


presente una mezza banda I da una parte e mezza
banda I dall’altra parte.

Nel corso del processo di contrazione si osserva


lo scorrimento di queste strutture rosse che sono
i filamenti sottili all'interno (tra) i filamenti
spessi, quindi i filamenti sottili scorrono su quelli
spessi dirigendosi verso il centro del sarcomero.

Una cosa da notare è che i filamenti spessi, qui rappresentati in violetto, non si muovono,
rimangono fissi, sono quelli sottili che si muovono. Dall’immagine si vede infatti che diminuisce lo
spazio.

A questo punto le due linee Z sono più vicine rispetto alla struttura del sarcomero rilassata (muscolo
rilassato).

Andiamo a studiare la qualità delle miofibrille perché


finora io vi ho detto solamente “filamenti spessi e
filamenti sottili” tanto per non introdurre caos nel
discorso.
Dal punto di vista molecolare i filamenti spessi sono composti da molecole di miosina, mentre i
filamenti sottili sono composti di molecole di actina, troponina e tropomiosina.

FILAMENTI SPESSI:
La miosina di tipo 2, generalmente rappresentata come una
mazza da golf con 2 teste e u1na proteina esamerica, cioè
composta di 6 proteine.

Nel dettaglio sono presenti 2 catene pesanti; ogni catena pesante


possiede 1 coda ad alfa elica, e 1 testa globulare.

La regione n-terminale della molecola è quella a destra, mentre la regione c-terminale è quella a
sinistra, così per una catena pesante e allo stesso modo per l'altra catena pesante.

Inoltre sulla testa della miosina è presente un sito di legame per l'actina, quindi la testa è in grado di
legarsi alla actina.
Inoltre, sempre sulla testa, è presente un'importante sito di legame per la energia, per l'ATP,
necessaria per effettuare la contrazione.

Quindi la testa possiede questi 2 siti:


- uno per legare l'actina
- uno per utilizzare l'ATP nel corso della contrazione

È una proteina esamerica, quindi sono presenti altre 4 proteine, cioè 2 paia di catene leggere che
vediamo rappresentate, queste collaborano alla funzionalità della molecola di miosina.

Questa è la struttura della miosina di per sé, però all'interno del filamento pesante non vediamo una
singola molecola di miosina, ma questa si polimerizza a formare appunto il filamento spesso, con
circa 200-300 molecole di miosina di tipo 2.

Si organizza legando le code, che saranno dirette verso il


centro del sarcomero, dove c'è la proteina M (la linea M).
Le code si associano tra loro parallelamente, però una cosa
importante da comprendere è che sono antiparallele,
leggermente pure sfalsate.

Questo fa sì che le teste riescano a sporgere verso l'esterno, inoltre le miosine sono tutte ruotate
leggermente, a raggiera di 14 nm, e questo permette loro di prendere contatto con gli innumerevoli
filamenti sottili presenti tutti intorno.
FILAMENTI SOTTILI:

I filamenti sottili sono delle grandi


molecole composte prevalentemente da
un polimero di una proteina globulare che
è la gattina G-actina.

Questa proteina polimerizza a formare 2 catene.


Ogni catena assume l'aspetto di una sorta di collana di perle, queste catene si avvolgono a formare
un'alfa elica, nell'insieme le catene avvolte ad alfa elica sono i microfilamenti di actina detti anche
F-actina.
Inoltre questi microfilamenti non sono soli all'interno del miofilamento sottile, ma sono presenti 2
altri importanti proteine:
- la tropomiosina, che copre 7 molecole di actina contigue
- la troponina, che si associa alla struttura ogni 7 molecole di actina.

Nell'insieme queste 2 molecole (troponina e tropomiosina) sono necessarie per favorire o meno il
processo contrattile.
Questo perché la molecola di tropomiosina non rende accessibile il sito di legame presente
sull’actina per la miosina.

Nel processo contrattile si instaurano, come già


detto, dei ponti trasversali tra le molecole di
miosina e le molecole di actina.

Questi ponti trasversali, questi legami, sono


necessari affinché avvenga l'evento della
contrazione.

Oltre alle molecole di filamenti


sottili e spessi, all'interno del
sarcomero sono presenti tante
altre proteine, per esempio la
neblulina o la titina che, come
si può vedere nell’immagine,
permettono di mantenere
l'allineamento dei filamenti
sottili nel corso della contrazione.

Inoltre sono presenti le proteine


della linea M: la proteina M e la
miomesina che tengono connessi
tra di loro i grandi filamenti
spessi e li mantengono saldi e
fissi in quella zona non facendoli
spostare.
In più è presente anche un sistema che preserva la forma e la struttura della cellula muscolare,
questo sistema è detto reticolato trasversale (in basso).
Il reticolato trasversale ha la funzione di preservare la cellula nel corso della contrazione, e di
scaricare le forze contrattili al tessuto connettivale circostante.

Un elemento molto importante di questo reticolato trasversale è la distrofina, questa fa da ponte tra
la molecola di actina, la membrana plasmatica e, più esterno, i glicosamminoglicani (i GAG), le
glicoproteine, cioè tutte quelle strutture che si ancorano nella cellula alla matrice fibrillare esterna.

Quindi la distrofina è questo ponte tra actina e glicoproteine di membrana, necessario per scaricare
queste forze contratti e preservare la struttura della cellula.

Perché è necessaria?
In biologia per capire la funzione di una struttura basta solo toglierla, inserire la sua mutazione nel
sistema e vedere cosa accade.
Rompiamo la distrofina, che cosa accade?
Le cellule del muscolo, a seguito della contrazione, si danneggiano in modo irreparabile con
conseguente accumulo di materiali cicatriziale, quindi rendendo il muscolo inabile alla contrazione,
come purtroppo avviene nel corso delle distrofie.

Queste sono delle patologie, ne esistono varie; in particolare la distrofia di Duchenne vede una
mutazione in quella proteina, è una malattia genetica ereditaria associata a cromosoma X.
Purtroppo è invalidante e molto grave.

Sono generate per via dell'accorciamento


del sarcomero che avviene grazie a quello
che noi definiamo ciclo dei ponti
trasversali.

Durante il ciclo dei ponti trasversali


vediamo l’interazione dei filamenti spessi
con i filamenti sottili.
Come sono generate queste forze contrattili?

Partiamo dalla condizione di riposo, quindi di un muscolo che è rilassato.


Il muscolo rilassato è carico, ha le teste della miosina cariche di energia a cui sono legate l’ADP e il
fosfato, e queste sono teste libere, che non legano l’actina (c'è spazio).

Però, a seguito della ricezione di uno stimolo, che in questo caso è dovuto alla presenza del calcio,
le teste della miosina perdono parte dell'energia e la utilizzano per fare il legame con l'actina; si crea
quello che prende il nome di complesso rigor: testa della miosina legata all’actina.

A questo punto la testa della miosina subisce un'ulteriore modifica conformazionale, si piega
ulterioriormente, sempre legata alla actina, quindi esercita un colpo di forza, e trascina verso il
centro del sarcomero il filamento sottile.
Poi a seguito dell'introduzione di nuovo ATP, di nuova energia, la testa della miosina si libera e
l’ATP viene leggermente idrolizzato in ADP e fosfato, e quindi comincia un nuovo ciclo e così via,
ottenendo una contrazione apprezzabile.

Quindi gli elementi che sono essenziali nel sistema affinché questo ciclo dei ponti trasversali
avvenga sono:
-l’ATP che fornisce l'energia, e l’ATP arriva dal mitocondrio, o dalla glicolisi
- il calcio che scatena la contrazione, necessario affinché avvenga l'interazione tra i filamenti spessi
e sottili che altrimenti non potrebbe avvenire, e si forma il complesso di rigor

In che modo agisce il calcio?


Qui entrano in gioco le altre 2 molecole:
la troponina e la tropomiosina.
Abbiamo le 2 alfa-eliche di actina

Si vedono i siti di legame, quelli più


chiari, sulle molecole di actina, e sono i
siti per la miosina.

Normalmente questi non sono accessibili


perché qui c'è la molecola di
tropomiosina che va a mascherare i siti di legame, però quando entra il calcio all'interno del sistema
lega la molecola di troponina, la quale si modifica, sposta la molecola di tropomiosina, rendendo
quindi accessibile il sito di legame.
Si forma quindi il complesso del rigor.

Pensate che ad ogni colpo di forza corrisponde uno spostamento di soli 10 nm, una misura
estremamente piccola; perciò come facciamo a sollevare un bilanciere, a fare una spinta?
Perché questo ciclo avviene tante volte, fintanto che c'è calcio nel sistema, e ovviamente energia.

Ma perché viene rilasciato il calcio?


Il calcio è rilasciato a seguito di uno stimolo che sappiamo proviene da un neurone, nel caso
specifico prende il nome di neurone motore (un motoneurone), il quale nella sua estremità
dell'assone prende contatto con la cellula muscolare a formare una regione di contatto detta sinapsi
neuromuscolare.
Quindi dove il neurone prende contatto con il muscolo si ha una reazione di trasduzione del segnale.

Il neurone termina con questo


sfiancamento, questo bottone sinaptico, alla
cui estremità rilascia delle vescicole
contenenti queste palline rosse, che altro
non sono che un neurotrasmettitore.

Il neurotrasmettitore, una molecola chimica,


generalmente acetilcolina, attraversa lo
spazio sinaptico, e giunge nel versante della
cellula muscolare dove ad accoglierlo vi
saranno delle proteine recettoriali.

Queste sono dei canali che


legando il neurotrasmettitore si
aprono permettendo il
passaggio di ioni, e quindi
creano una corrente, un
potenziale d'azione.

Questa corrente si ha lungo


tutto il sarcolemma, la corrente
corre su tutta la superficie della
cellula, e si continua in queste
strutture tubulari, che prendono
il nome di tubulo T.

Il tubulo T è un’invaginazione della


membrana plasmatica che entra all'interno
della cellula per poi aprirsi all'estremità
opposta, quindi questo tubo è come se fosse
un canale.

Non fa altro che trasportare l'onda del


potenziale di depolarizzazione, quindi
trasportata la corrente e la fa giungere ad
altre strutture che prendono il nome di
cisterne terminali ovvero delle strutture
del reticolo sarcoplasmatico.

Quindi la corrente è trasferita dalla membrana plasmatica al reticolo sarcoplasmatico, ed induce il


rilascio degli ioni calcio da parte del reticolo sarcoplasmatico.
Nel complesso, l'insieme di cisterne terminali e tubulo T, che si posizionano esattamente laddove è
presente la linea Z, prende il nome di triade.

In questa immagine è particolarmente


evidente l’intera struttura.

Il reticolo sarcoplasmatico avvolge le


miofibrille, così da rilasciare in modo
intimo il calcio necessario per la
contrazione.

Il tubulo T prende strettamente contatto nella regione


della triade con le cisterne terminali del reticolo che si
continuano con i tubuli longitudinali, che si raccolgono
proprio all'altezza della zona H nelle cisterne trasversali,
per poi continuarsi ancora dall'altra parte in altrettanti i
tubuli longitudinali e quindi in una nuova triade e così
via e così via.

La contrazione del muscolo avviene secondo una legge che si dice “del tutto o del nulla”, cioè o si
contrae tutta la fibra cellula muscolare, o non si contrae per niente, quindi è necessario raggiungere
uno stimolo in grado di rilasciare una certa quantità di ioni calcio affinché si possa contrarre tutta la
fibra.

Il reticolo sarcoplasmatico in tutto questo discorso ha il ruolo di:


- immagazzinare il calcio per mezzo di pompe che raccolgono il calcio dal citoplasma, lo aspirano
tirandolo dentro
- rilasciare il calcio al momento opportuno, ci sono anche qui proteine canale che si aprono
all'occorrenza

Ora però noi siamo in grado di generare una certa forza, o meno forza, perché il nervo crea delle
unità motorie, cioè un gruppo di fibre muscolare innervate da un singolo motoneurone.

Un singolo motoneurone può innervare da pochi a molte fibre muscolari, e a seconda del numero di
fibre muscolari che innerva, potranno essere generati movimenti fini, come per esempio quelli che
riusciamo a fare con i muscoli oculari (piccoli scostamenti), o quelli con il muscolo della mano
dovuti dall'innervazione del motoneurone di sole 5-10 fibre muscolari che
tutte all'unisono, quando raggiungono l'impulso, si contraggono. Oppure di
anche 2000 fibre muscolare come nei movimenti più grossolani, per esempio
quelli in cui sono coinvolti i muscoli della postura oppure degli arti.

Da un punto di vista funzionale, inoltre, le cellule muscolari le possiamo distinguere come di 2 tipi:
- fibre veloci bianche
- fibre rosse
Questa distinzione risiede nella differente qualità cellulare.

Le fibre bianche veloci riescono a compiere delle contrazioni rapide però di breve durata, per fare
ciò quindi non necessitano di una grande quantità di energia, però hanno necessità che questa
energia sia disponibile in tempi rapidi.
Nelle fibre bianche veloci non avviene in ciclo di Krebs, non avviene la classica ossidazione che
utilizza l'ossigeno, ma avvieni una glicolisi di tipo anaerobica che riesce rapidamente, seppur in
piccola quantità a generare energia.

Infatti in queste cellule sono presenti pochi mitocondri, e l'attività di legame actina-miosina è rapida
e veloce e la contrazione avviene subito, però non riesce a sostenersi nel tempo.

Le fibre rosse sono delle fibre che effettuano la contrazione più lenta ma riesce a resistere per un
certo tempo, quindi sono fibre a che hanno a disposizione grandi quantità di ATP prodotto appunto
grazie al processo della respirazione che avviene all'interno del mitocondrio, quindi del famoso
ciclo di Krebs che sfrutta l'ossigeno.

Pertanto l’ossigeno dovrà provenire dal sangue, e può essere ottenuto grazie alla mioglobina, quella
analogo della emoglobina.
La mioglobina si satura immediatamente con l'ossigeno, quindi attrae l'ossigeno dall’emoglobina e
lo tira dentro alla cellula.

In questa immagine in colori più scuri si evidenziano quelle fibre con


maggiore attività ATP-asica, quindi le fibre veloci, con il colore più
chiaro si identificano le fibre con minore attività ATP-asica.

Alcuni tessuti mantengono all'interno di loro stessi la potenzialità di autorigenerarsi, tra questi nel
tessuto muscolare scheletrico vi è la presenza di cellule satelliti.
Queste cellule satelliti (rappresentate in verde) si interpongono tra la membrana plasmatica e ciò
che c'è all'esterno, quindi la membrana basale.

Queste cellule satelliti si attivano all'occorrenza, in seguito di un danno


alla cellula muscolare scheletrica si attivano, replicano, si fondono, creano
dei sincizi, e ricostituiscono la cellula muscolare danneggiata (entro certi
termini).
2- TESSUTO MUSCOLARE STRIATO CARDIACO

Anche esso è striato però non riusciamo a regolare la sua contrazione, semmai c'è una componente
involontaria che ne regola magari il ritmo, ma tessuto muscolare cardiaco sappiamo che è
caratterizzato dalla capacità di contrarsi in modo autonomo.

Se sezioniamo il cuore vediamo che la


sua parete presenta 3 tonache:
- una tonaca più esterna, il pericardio
(tessuto epiteliale)

- una tonaca mediana, il miocardio


(tessuto muscolare del cuore, quello
che fa la contrazione)

- più internamente che si affaccia nelle


cavità, atri e ventricoli, l'endocardio
(tessuto epiteliale)

Quindi il miocardio è il tessuto cardiaco.


Il miocardio è composto di cellule che prendono il nome di miocardiociti (cellule
cardiache muscolari).

Queste cellule, dette anche fibre muscolari, al contrario delle precedenti sono
cellule che presentano un singolo nucleo, talvolta 2, particolarmente evidenti, e
sono ben più piccole: 15-80 micron.

Presentano le:
- solite striature trasversali, tant'è che rientrano nel gruppo del muscolo striato
- le stesse miofibrille, filamenti spessi e sottili,
- la stessa organizzazione
- la contrazione avviene per il medesimo processo
È tutto identico.

I nuclei in queste cellule in sezione trasversale appaiono


essere centrali.

Inoltre visto che questo muscolo è coinvolto in un'intensa


attività contrattile deve produrre molta energia, e quindi avrà
per forza molti mitocondri che andranno a riempire del 40%
il volume totale della cellula.
Da un punto di vista morfologico i
miocardiociti non hanno il solito aspetto
affusolato o cilindrico della muscolatura
striata, ma presentano un aspetto
allungato ma a forma di Y.

Le cellule spesso tendono ad avere una


terminazione che si biforca, terminazione
della cellula che permette a quest’ultima
di prende contatto con altre cellule.

Nelle terminazioni sono presenti però delle zone più scure, queste sono delle zone di congiunzione
tra una cellula e l'altra, e tale zona prende il nome di dischi intercalari o strie scalariformi.
Già citate quando abbiamo parlato delle specializzazioni laterali della membrana.

Tali dischi sono molto importanti perché determinano quella che è la funzionalità del muscolo
cardiaco, i dischi intercalari appaiono come delle protrusioni della cellula che si interdigitano con la
cellula adiacente.
Quindi a livello di questi dischi intercalari la zona di contatto tra le due cellule è ripiegata, come dei
monti e delle valli che si ripiegano sul loro stesse.

Questo già ci fa capire che c'è necessità di aumentare la superficie di contatto tra le due strutture
cellulari, difatti noi deposti lungo il decorso trasversale di queste strutture, riveniamo numerosi
desmosomi e giunzioni aderenti o ancoranti, entrambi sono specializzazioni di membrana che
assicurano alle cellule che sono in contatto di resistere ad una forza di trazione.

Il desmosoma va a legare le strutture della actina (i microfilamenti di actina), le salda, rendendo la


cellula muscolare come un'unica cellula dal punto di vista della forza contrattile.

Inoltre sono presenti numerose giunzioni comunicanti, cioè quelle proteine canale vede che
permettono il libero passaggio degli ioni e quindi della corrente, quindi mettono in comunicazione
elettrica le due cellule adiacenti.

Nell'insieme, grazie alla presenza dei desmosomi e delle giunzioni comunicanti, nel tessuto nel
tessuto muscolare parliamo di un sincizio funzionale anziché morfologico, cioè è come se tutto il
tessuto muscolare fosse un'unica grande cellula che si contrae all'unisono.

Da un punto di vista del reticolo


endoplasmatico questo è leggermente
differente rispetto al precedente, seppur il
meccanismo di trasmissione della corrente
elettrica che viaggia sulla membrana è
identico.
La corrente viaggia sulla membrana o meglio dire, attraverso le giunzioni comunicanti, attraversa il
tubulo T, che risulta essere più spesso e localizzato a livello della linea Z, e non a livello delle
giunzioni tra le bande A e le bande I come avveniva nel muscolo striato, e prende contatto
direttamente con i tubuli longitudinali, qui non sono presenti slargamenti delle cisterne trasversali e
terminali, i tubuli longitudinali si slargano leggermente e toccano direttamente il tubulo T.

Pertanto in questo caso si parla di diade, non di triade.

Da un punto di vista funzionale il muscolo cardiaco lo distinguiamo in:


- miocardio comune, cioè quello che fa il lavoro sporco di contrazione
- miocardio specifico, ovvero il muscolo cardiaco deputato alla produzione dell'impulso e alla
trasmissione di questo. Rappresenta il sistema elettrico del cuore.

Nel miocardio specifico esistono delle cellule che ciclicamente depolarizzano la loro membrana,
creano il pacemaker (il nodo senoatriale).
Sono delle cellule contapassi che generano gli impulsi necessari per la contrazione consequenziale e
ciclica del cuore, questo impulso è trasmesso grazie alla ramificazione del tessuto di conduzione
(che non spiegheremo).

3- TESSUTO MUSCOLARE LISCIO

Il tessuto muscolare liscio rispetto ai precedenti è un tessuto involontario, in realtà anche il


cardiaco lo è, però il liscio non presenta le classiche striature e generalmente è localizzato a livello
dei visceri.

È distribuito generalmente:
- nell'apparato digerente
- nelle vie respiratorie
- le vie urinarie e genitali
- nei vasi
- dotti escretori

Le fibre sono organizzate a formare dei fascicoli, gruppi di cellule


disposte in modo vario: longitudinale o trasversale.

Una particolarità di questo tessuto, oltre al fatto che riesce a contrarsi, è che la contrazione riesce a
sostenersi nel tempo, può rimanere contratto per tanto tempo.
Una volta che è stata indotta la contrazione la cellula muscolare rimane contratta senza dispendio di
energia, quindi serve solo energia per farla contrarre all'inizio.

Questa è la sezione di un organo, un intestino tenue con i villi.

Distinguiamo vari tipi di tessuto: nel lume l'epitelio, poi abbiamo una tonaca
sottomucosa di connettivo, le cellule muscolari lisce in questo caso vanno a
formare delle tonache, quindi immaginiamo questo organo cavo come
composto da più guaine e tra queste guaine una è la tonaca muscolare dove le
fibre muscolari si dispongono con decorso longitudinale o trasversale.
Le cellule ovviamente saranno lunghe, per accumulare energia potenziale contrattile, sono cellule
generalmente fusiformi, abbastanza piccole (100 μm), ma che riescono a raggiungere circa il
mezzo centimetro di lunghezza, come per esempio nell'utero gravido nel corso della gravidanza.

Queste cellule sono sempre uninucleate, si vede nell’immagine, e si


organizzano in piccoli fascicoli di cellule, sfalsate e circondate da
abbondante tessuto connettivo lasso, da cui traggono nutrimento, ed
eventualmente possono essere regolate nella loro contrazione.

Soprattutto dal tessuto connettivo lasso ricevono anche informazioni


tramite gli ormoni, lo vedremo dopo.

Le cellule muscolari lisce vedono un'organizzazione differente a quella descritta finora:


• manca la striatura trasversale, altrimenti non si sarebbero chiamate lisce

• gli elementi contrattili, cioè la qualità dei filamenti, è sempre di actina


e miosina che però sono disposte a formare dei lunghi fasci che si
estendono in diagonale, lungo la periferia della cellula, quindi
congiungendo le varie parti le varie estremità.
Il nucleo è posizionato al centro della struttura, pertanto questi filamenti agiscono come dei
tiranti che nel corso della contrazione accorciano la cellula

• nella cellula muscolare liscia, da un punto di vista ultrastrutturale sono presenti


caratteristiche peculiari:
- le caveole, posizionate a ridosso della membrana plasmatica. Si ritiene che
queste caveole siano delle regioni di accumulo di calcio e di trasmissione
dell’impulso verso il reticolo endoplasmatico, quindi in qualche modo
traducono il segnale e inducono poi il rilascio del calcio che sarà necessario
per la contrazione.

- numerose giunzioni comunicanti, quindi quelle proteine canale che


permettono il passaggio delle sostanze, di ioni e che quindi accoppia
elettricamente i due elementi cellulari.

- i corpi densi di alfa-actina e le placche dense, elementi strutturali che


partecipano al processo contrattile.

- i filamenti intermedi di desmina, agganciano le placche dense e i corpi


densi. Viene a crearsi un sistema di supporto meccanico delle cellule
muscolari utile durante la contrazione, tale sistema permette di trasferire le
forze che sono generate in un punto a tutta la struttura permettendo
l’accorciamento della cellula.
Però sebbene il processo di contrazione è molto simile, la
miosina, cioè i filamenti spessi non sono sempre presenti
all'interno della cellula muscolare liscia, ma i filamenti
spessi non ci sono perché la miosina e sparsa all'interno del
citoplasma, è dispersa in una forma inattivata.

Nell’immagine si vede rappresentata la miosina e si vede la


coda della miosina avvolta sulla testa della miosina, quindi
la coda della miosina è aggomitolata sulla propria testa, in
uno stato inattivo.

Però nel momento in cui arriva lo stimolo accade che


il calcio lega la solita calmodulina, questo complesso
fa attivare la chinasi che aggiunge un fosforo alla
catena leggera, determinando così lo srotolamento
della molecola di miosina, favorendo quindi la
possibilità di assemblamento del filamento spesso.

Il filamento spesso si associa nell'ordine di 15-20


molecole di miosina di tipo 2, mentre nel muscolo
striato ne osservavamo 200-300.

Un'altra caratteristica del filamento spesso


all'interno delle cellule muscolari lisce è che i
filamenti, sebbene si associno lungo l'asse
maggiore longitudinale, assumono una
polarità laterale, infatti mentre nel muscolo
striato le teste sono bipolari (presenti a tutti e
due le estremità), qui le teste sono presenti
solo su uno dei due poli.

Questo fa sì che mentre nel muscolo di tipo


striato vedevamo lo scorrimento delle molecole
di actina verso il centro del sarcomero, in questo caso i filamenti l'actina scorrono in direzioni
opposte, uno in una direzione e l'altro nell’altra direzione.
Divengono delle strutture utili a compiere questo processo contrattile grazie ai corpi e alle placche
dense.

Queste cellule muscolari dove sono distribuite?


Attorno alla muscolatura viscerale, e a seconda che le cellule siano o meno innervate dal sistema
nervoso autonomo andremo a descrivere una muscolatura liscia detta unitaria o viscerale e una
muscolatura liscia multi-unitaria o vascolare.
Nella muscolatura liscia unitaria le cellule sono auto-eccitabili, cioè a seguito per esempio della
ricezione di uno stimolo chimico l'insieme di queste cellule genera una depolarizzazione della
membrana, e si avvia il processo contrattile (il ciclo dei ponti trasversali). Quindi tutte le cellule si
contraggono come una singola unità.

Le terminazioni nervose del sistema nervoso autonomo, seppur presenti in piccola quantità
all'interno di questa organizzazione, vanno a regolare solamente la velocità e la forza della
contrazione, ma non inducono contrazione del tessuto.
Difatti l'attività che esercita per esempio nell'apparato digerente, negli ureteri, nell'utero, nella
vescica, sono attività di contrazione ritmica (moti peristaltici, quelli che favoriscono il movimento
dei contenuti dell'apparato digerente).

Nella muscolatura liscia multi-unitaria le fibre nervose provenienti dal sistema nervoso autonomo
contattano ogni singola cellula, quindi regolano in modo molto fine la contrazione del tessuto.
Tant'è che questo tipo di muscolatura si rinviene per esempio nei muscoli dell'iride che determinano
l'apertura o meno dell’occhio, quindi regolano l'accesso di luce all'interno dell'occhio, nei muscoli
ciliari, nei muscoli rettori del pelo, o nell'arteria.

Gli stimoli possono essere:


• stimoli chimici, per esempio la vasopressina, la serotonina, o la ossitocina.
L'ossitocina è un ormone indotto in abbondanza nel corso del parto, o che può essere anche
somministrato per indurre le doglie. Quindi le cellule recepiscono questo ormone e si
contraggono.
• stimoli meccanici, a seguito della loro distensione, come per esempio si osserva nella
vescica.
La vescica è un organo che raccoglie l'urina, e temporaneamente la stipa e la mantiene;
quando quest’organo aumenta di volume le cellule muscolari si stirano e per riflesso si
contraggono determinando lo stimolo della pipì.

• stimoli nervosi, quindi con messaggeri chimici.

Ovviamente per ogni tipo di stimolo esisterà un recettore specifico.


Quindi recettori in grado di recepire i messaggeri chimici aprono i canali del calcio, recettori
meccano-sensibili che aprono anch’essi i canali per il calcio, o canali voltaggio dipendenti che
aprono sempre i canali per il calcio.

Quindi il calcio è sempre una cosa centrale che è necessaria affinché il ciclo dei ponti trasversali
possa avvenire.
Lezione 13 - 21/11/2022

I TESSUTI CONNETTIVI

I tessuti connettivi sono molto rappresentati negli organismi, nel corpo, sono molto abbondanti, sono
sicuramente i tessuti tra le quattro tipologie (epiteliale, connettivo, muscolare e nervoso) più abbondanti e
anche più ampiamente distribuiti e diffusi nell’organismo e sono anche piuttosto variegati fra di loro.

Vi ricordo che, all’interno dei connettivi abbiamo il sangue, abbiamo il tessuto osseo, abbiamo il derma,
quindi tessuti che apparentemente sono molto diversi fra loro. Quindi sono sì variegati fra loro, ma ci sarà
pure qualche comune denominatore tale per cui sono tutti classificati come tessuti connettivi. Questi due
tratti comuni sono la derivazione embrionale, cioè i tessuti connettivi, non proprio tutti, ma la maggior
parte, derivano dal mesoderma che è il foglietto embrionale intermedio, quello che si colloca fra
l’ectoderma, più esterno e l’endoderma più interno a livello della gastrula. Dal mesoderma si origina un
tessuto che è il mesenchima che è un tessuto connettivo embrionale dalla cui proliferazione si originano
delle cellule che, nel corso dello sviluppo, vanno a collocarsi nelle diverse sedi e qui maturano e si
differenziano nei vari componenti cellulari dei tessuti connettivali; c’è quindi questa origine dalle cellule
mesenchimali.

L’altro tratto comune è la organizzazione strutturale. Cosa prevede l’organizzazione strutturale di tutti i
tessuti connettivi? Prevede che ci siano delle cellule e che queste cellule siano separate, immerse in una
abbondante matrice extracellulare, la così detta MEC o ECM. Queste due cose sono per noi una novità.
Pensiamo agli epiteli che abbiamo già studiato come primi tessuti, negli epiteli, ma come in realtà anche nei
muscolari e nel tessuto nervoso che avremo modo di fare più avanti, le cellule non sono distanziate uno
dall’altro, negli epiteli sono proprio attaccate una all’altra con un fior di giunzioni e danno delle vere e
proprie lamine cellulari continue. Sono vicine e adese anche nei tessuti muscolari, nei tessuti nervosi
formano non proprio delle lamine ma degli aggregati cellulari, quindi questa caratteristica di cellule
distanziate tra loro è una peculiarità che vediamo per la prima volta nei tessuti connettivi e l’altra cosa che
non avevamo ancora visto è la presenza di una MEC abbondante perché negli altro tipi la Mec era scarsa o
quasi assente, invece qui non solo c’è, ma è anche fondamentale con le sue caratteristiche chimico fisiche
nel dare le peculiarità di ogni tipo di tessuto connettivo. Cioè, ciò che contraddistingue ogni tessuto
connettivo rispetto agli altri è proprio la composizione, l’organizzazione morfologica della sua matrice
extracellulare per cui abbiamo una matrice fluida nel sangue, per esempio, una matrice mineralizzata
nell’osso sempre per parlare dei due estremi più diversi. Quindi è importante che noi capiamo bene com’è
fatta la MEC perché è proprio dalle sue caratteristiche che dipendono tutte la maggior parte delle
caratteristiche del tessuto connettivo.

Questa matrice extracellulare così importante da che cosa è formata? È costituita da due componenti
diverse che sono la componente fibrillare, cioè delle fibrille formate da proteine che si associano a dare
queste strutture e una sostanza fondamentale detta anche sostanza amorfa. Quindi tre sono gli ingredienti
e i protagonisti di un tessuto connettivo, le cellule, la componente fibrillare (le fibre) e la sostanza amorfa,
di cui le ultime nell’insieme costituiscono la MEC, ovvero la matrice che sta al di fuori delle cellule. Chi è che
fa questa matrice extracellulare? Si incaricano della sua produzione e secrezione nell’ambiente
extracellulare le cellule dei connettivi che hanno questo compito, non solo di farle in origine ma anche di
tenerla rinnovata con un processo di secrezione abbastanza continuo che va avanti un po’ tutta la vita ma
che, come un po’ tutte le altre cose, rallenta col passare degli anni e anche questo contribuisce al fenomeno
dell’invecchiamento e della senescenza dei tessuti, in particolare dei tessuti connettivi.

Andiamo alla terza spunta dove troviamo un’altra caratteristica peculiare e che non avevamo visto nei
tessuti epiteliali cioè i tessuti connettivi tipicamente ospitano, quindi contengono, fibre nervose, nervi e
vasi, sia sanguigni che linfatici e questa è una novità perché la vascolarizzazione non c’era assolutamente
negli epiteli. Il fatto che i connettivi siano vascolarizzati, questo vale quasi per tutti i connettivi anche se
vedremo c’è qualche eccezione perché la cartilagine non è vascolarizzata, tendini e legamenti poco niente,
comunque in linea generale sono ben vascolarizzati. Questo ci richiama a una delle funzioni importanti dei
tessuti connettivi ovvero di rifornire di ossigeno, di sostanze nutritizie, di metaboliti vari altri tessuti con cui
siano in contatto e associati in primis gli epiteli che, non avendo vascolarizzazione, dipendono da questa
attività dei connettivi, ma anche di allontanare da quei tessuti a cui sono associati le sostanze di rifiuto in
primis l’anidride carbonica, ma non solo.

Veniamo alle funzioni. Come sempre noi ricordiamo il nostro abbinamento morfologia funzione. Se io ho
una grande varietà morfologica di tessuti connettivi, cioè ho tanti diversi tipi di tessuti connettivi, vorrà dire
che avrò anche tante diverse funzioni che saranno svolte in particolare da un tipo di connettivo piuttosto
che da un altro. Quindi questo elenco di funzioni è lungo ed è variegato proprio perché alcune di queste
funzioni sono svolte in particolare solo da uno o da alcuni tipi di tessuto connettivo che si è specializzato in
quella funzione. Quindi qui le elenchiamo un po’ tutte, ma poi dopo andremo a vedere man mano che
scorriamo i vari tessuti connettivi in quali quel tessuto connettivo è forte, cioè per che cosa è progettato.

L’etimologia della parola tessuti connettivi connettono, questo è fondamentale per capire i tessuti
connettivi, la loro funzione base , la loro caratteristica è proprio quella di connettere, di interporsi fra altri
tessuti che costituiscono un organo, ma anche di interporsi, di frapporsi, quindi mettere un po’ in
comunicazione organi diversi fra loro proprio perché hanno questo compito di riempimento non casuale
ovviamente, ma con specifiche funzioni, sono molto diffusi quindi praticamente in tutti gli organi e apparati,
noi troveremo una rappresentanza dei tessuti connettivi che a volte sono preponderanti anche.

Quali sono le possibili funzioni? Questi tessuti connettivi che si associano, circondano, delimitano altri
tessuti, lo fanno con quale scopo? Lo possono fare con uno scopo di sostegno, quindi di sostegno anche
meccanico, molto evidente in alcuni tipi di tessuti connettivi come per esempio quello osseo e cartilagineo,
connessione tra i diversi tipi di tessuto, che non è solo una connessione fine a sé stessa, può essere una
connessione per poterli nutrire, per poterli proteggere e per potere permettere anche che ci sia una forma
di scorrimento di parti anatomiche che devono poter avere un certo grado di libertà l’una rispetto all’altra,
pensiamo soprattutto a livello delle articolazioni. Hanno una funzione importante trofica, tanto è vero che
nel complesso i tessuti connettivi vengono indicati come tessuti trofomeccanici per la funzione meccanica e
la funzione trofica, nel senso che tramite la vascolarizzazione, che è propria dei tessuti connettivi, c’è la
possibilità di diffondere molecole e anche cellule che hanno la possibilità di muoversi all’interno del tessuto
connettivo e raggiungere magari altri tessuti o venire da altri tessuti. Alcuni tessuti connettivi anche poi
anche un ruolo importante di isolamento meccanico o di isolamento termico. Di isolamento meccanico
quindi di proteggere magari degli organi o delle porzioni del corpo che sono delicate e che quindi devono
essere in un certo qual modo tutelate da possibili incidenti anche meccanici. In questo senso pensiamo
anche che molte porzioni ossee racchiudono degli organi fondamentali che vengono in questo modo
protetti; e anche di isolamento termico e questo lo fa in particolare il tessuto adiposo che fa una specie di
guaina di coibentazione che ci aiuta a mantenere la temperatura corporea, a non dispendere il calore, cosa
che per noi mammiferi, ma anche gli uccelli, che siamo omeotermi, necessitiamo perché dobbiamo
mantenere la nostra temperatura entro un determinato range anche se al di fuori la temperatura è molto
diversa. Inoltre nei tessuti connettivi ci sono diverse cellule che hanno scopo di difesa e quindi attraverso i
tessuti connettivi c’è anche un importante contributo ai meccanismi di difesa dell’organismo.

Partiamo dalla sostanza fondamentale quindi da una delle due componenti extraxcellulare che viene
chiamata MEC, ovvero sostanza fondamentale o sostanza amorfa. La sostanza fondamentale è il mezzo in
cui si trovano immerse sia le birbe della Mec, sia la componente cellulare e la consistenza può essere molto
varia, andare dall’essere fluida completamente o semi fluida, fino ad essere anche una colloide piuttosto
viscosa. Quindi più compatta, più gelatinosa. La sostanza fondamentale se la osservo in una sezione
istologica in realtà non vedo nulla. Siccome nei procedimenti per ottenere le sezioni istologiche vengono
estratti, quindi eliminati, tolti, gli elementi che la costituiscono, nella sezione dove ci sarebbe la sostanza
amorfa io non vedo niente, vedo dei buchi, delle zone bianche, quindi non riconosco nessuna struttura,
nessuna forma particolare ecco perché si chiama anche sostanza amorfa, cioè senza una forma perché non
si riconosce nessuna struttura a differenza di quanto vedremo per le fibre che invece hanno una loro
struttura specifica e ben diversa a seconda del tipo di fibra. Da che cosa è costituita questa sostanza
amorfa? È u insieme di complessi molecolari piuttosto grandi quindi macromolecolari che hanno la
caratteristica di essere facilmente idratabili quindi di legare molecole di acqua in quantità più o meno
maggiori e quindi che risultano anche per questo viscosi. È proprio questa idratabilià e viscosità che
conferisce una certa resistenza nel complesso alla matrice e nel complesso al tessuto connettivo e la parte
amorfa della MEC è quella che mi garantisce la resistenza alla compressione quindi ecco in che modo io ho
un aiuto un sostegno un supporto meccanico, contrasto la compressione cui i t4essuti possono essere
sottoposti e questo lo faccio grazie alla sostanza amorfa.

Vediamo bene i componenti principali: abbiamo quindi acqua e vari soluti Sali inorganici o proteine solubili
che possono essere dentro all’acqua e di acqua abbiamo detto ce n’è tanta proprio perché le
macromolecole di cui è costituita la sostanza amorfa tendono a legarsi all’acqua, ad attirare l’acqua. Poi
abbiamo i glicosamminoglicani (GAG), i proteoglicani, le glicoproteine e le proteine.

I proteoglicani sono delle molecole coniugate con due componenti, proteica e glucidica e si capisce qual è la
parte preponderante da come è strutturata la parola. Questi si chiamano proteoglicani, sono dei glicani
fondamentalmente, con attaccate anche delle proteine, quindi la parte preponderante è quella glucidica
che infatti nei proteoglicani rappresenta l’80-90% di tutta la molecola. Com’è fatto un proteoglicano? Lo
vediamo bene qui nella figura A, abbiamo un asse o core per indicare la parte centrale proteica al quale si
uniscono con dei legami lateralmente i glicosamminoglicani (GAG) che sono degli eteropolisaccaridi. Questo
core centrale, che è comunque una minima parte della molecola del proteoglicano, perché la maggior parte
è costituita da queste catene laterali di glicosamminoglicani. I proteoglicani sono delle molecole piuttosto
grosse, voluminose, il cui peso molecolare varia da 50000 Da fino a qualche milione di Dalton. In che
rapporti sono i proteoglicani fra loro? Nella sostanza amorfa ci sono diversi proteoglicani che interagiscono
fra di loro attraverso dei legami soprattutto di tipo elettrostatico per cui, in virtù di questo, si formano delle
trame, dei gel con delle maglie che sono più o meno strette: più strette se ci sono tanti e più forti di questi
legami elettrostatici, più larghe se ce ne sono di meno e in base a quanto sono strette o larghe le maglie, la
mia sostanza amorfa sarà più o meno permeabile e con una diffusibilità maggiore o minore, quindi sarà più
facile o meno attraversarla, muoversi all’interno di essa. C’è un caso nel tessuto cartilagineo, cioè nella
cartilagine, in cui i miei proteoglicani sono legati, uniti, tramite legami forti covalenti ad un asse centrale di
acido ialuronico e quindi in questo caso si forma un colosso molecolare ancora più grande che è costituito
da acido ialuronico a cui sono collegati, sono uniti tante molecole di proteoglicani e questo prende il nome
di aggregano che incontreremo nel tessuto cartilagineo. Quindi per capire le proprietà dei proteoglicani noi
dobbiamo capire quali sono le caratteristiche dei glicosamminoglicani che sono la componente principale
dei proteoglicani.

I GAG sono dei eteropolisaccaridi i cui amminozuccheri possono essere glicosilati acetilati, sterificati o meno
all’acido solforico e questo fatto li distingue in due grandi gruppi: i glicosamminoglicani non solforati quindi
che non sono legati all’acido solforico e invece i glicosamminoglicani solforati che sono legati all’acido
solforico. I glicosamminoglicani sono molto ricchi di cariche negative e sono molto idrofili. Quindi amano
l’acqua e si legano all’acqua molto facilmente, si legano a tante molecole di acqua e proprio perché loro
sono ricchi di cariche negative hanno anche affinità e si legano con cationi, ovvero molecole cariche
positivamente come il sodio. Proprio questa elevata idrofilia dei GAG e il loro amore per i cationi
contribuiscono a dare il turgore tissutale dei tessuti connettivi. Più GAG ci sono più le nostre varie parti sono
più turgide, compatte, sode, quando invece con l’età cala il rinnovo di queste parti c’è la discesa. Molte
creme, infatti, sono alla base dei componenti dei tessuti connettivi. Tra i GAG non solforati ne ricordiamo
due l’acido ialuronico, che è il GAG più diffuso con una distribuzione ubiquitaria ed è molto affine all’acqua
ed è il principale regolatore del livello di idratazione della sostanza amorfa e quindi dei tessuti connettivi.
L’acido ialuronico ha anche un’altra caratteristica che lo differenzia rispetto a tutti gli atri GAG, è l’unico GAG
che si trova libero nella sostanza amorfa, cioè non associato necessariamente a delle parti proteiche, invece,
tutti gli altri GAG sono sempre legati a proteine a dare i proteoglicani, quindi l’acido ialuronico è l’unico che
gioca per conto suo. Altro GAG non solforato è l’acido condroittinico che, a differenza dell’acido ialuronico
che è onnipresente nei tessuti connettivi è invece piuttosto ristretto come distribuzione, lo troviamo in
particolare abbondante a livello della cornea. Poi abbiamo invece i GAG solforati tra i quali ricordiamo
controitin solfati, A B e C che si differenziano per la posizione in cui è legato il gruppo solfato. In
particolare, il condroitin solvato B viene anche chiamato dermatan solfato e questa cosa richiama il fatto
che è molto presente a livello del derma. Poi abbiamo il cheratan solfato, l’eparin solfato e l’eparina, questi
sono i principali glicosamminoglicani che si legano ad un core proteico a dare i vari proteoglicani.

I GAG e i proteoglicani sono i principali responsabili del livello di idratazione dei tessuti connettivi, della
lubrificazione, della consistenza del tessuto connettivo ma non solo sono anche capaci di legare cationi,
regolare diversi processi biologici delle cellule che stanno nei tessuti connettivi quindi ad avere influenza
sulla proliferazione cellulare sulla migrazione delle cellule, sono dei serbatoi perché si legano hanno affinità
per i fattori di cresciuta. Quindi i GAG non hanno solo un ruolo strutturale, ma intervengono in molti
processi che riguardano le cellule.

La sostanza fondamentale è costituita anche di glicoproteine.

Le glicoproteine, quantitativamente parlando, sono molto meno e più piccole dei proteoglicani, ma hanno
un ruolo molto importante perché sono in grado di mediare, di legare, sia altri elementi della matrice
extracellulare, sia le cellule che sono nei connettivi quindi hanno questo ruolo di mediatori molto
importanti. Il nome glicoproteine ci ricorda che, a differenza dei proteoglicani, qui è la componente proteica
quella prevalente, variabile tra il 60-90%, mentre la restante parte è costituita da glucidi. La maggior parte
delle glicoproteine che troviamo nella sostanza amorfa è prodotta dalle cellule che risiedono nei connettivi,
ma una piccola parte può anche essere prodotta altrove e provenire dal plasma. Ce ne sono tante di
glicoproteine, poniamo attenzione su almeno tre: la fibronectina, si tratta di una glicoproteina dimerica,
vediamo essere composta da due catene polipeptidiche che sono unite fra di loro attraverso dei ponti
disolfuro che si trovano in prossimità della parte carbossi -terminale. Di entrambi i peptidi solo la
fibronectina è una proteina che è fatta a moduli, presenta tutta una serie di domini e ciascuno di questi è in
grado specificatamente di legare alcuni componenti sia della MEC quindi di interagire con altri elementi
della sostanza amorfa con alcuni specifici glicosamminoglicani o con la componente fibrillare, per esempio
con il collagene ma anche con delle proteine presenti nelle membrane delle cellule connettivale, proteine
che sono le integrine, quindi sono un mediatore tra la matrice extracellulare e le cellule. Poi abbiamo la
laminina che abbiamo già un po’ conosciuto che è tipicamente presente, costituente delle lamine basali che
abbiamo conosciuto quando abbiamo visto la zona di confine tra l’epitelio e il connettivo perché li si colloca
la membrana basale formata da lamina basale e il sottostante strato reticolare. La laminina è costituita da
tre diverse catene che si intrecciano con questa particolare forma a croce e nuovamente abbiamo dei siti di
legame che permettono il contatto sia con il collagene di tipo quattro, che ritroviamo a livello lamine basali,
ma anche siti di legame specifici per componenti delle cellule. Poi la condronectina che, con questo prefisso
condro, ci fa subito capire che è qualcosa che riguarda il tessuto cartilagineo perché condro è il prefisso che
riguarda la cartilagine che infatti troviamo a legare le cellule del tessuto cartilagineo con il collagene
presente nella matrice del tessuto cartilagineo che è il particolare il collagene di tipo 2.

Esaurita la sostanza amorfa passiamo all’altra componente della MEC cioè la componente fibre costituita da
una serie di macromolecole proteiche a volte in parte glicosilate filamentose che si riuniscono a dare delle
fibrille, che a loro volta si aggregano a dare delle fibre, che a volte queste fibre si uniscono ulteriormente a
dare dei fasci di fibre, quindi c’è una gerarchia di aggregazione che mi porta a delle strutture sempre più
consistenti. Queste fibre che io posso trovare nella MEC hanno delle caratteristiche chimico fisiche diverse
che conferiranno diverse caratteristiche ai tessuti connettivi quindi è molto importante capire quali tipi di
fibre prevalgono in un tessuto connettivo per scoprire e apprezzare quali sono le funzionalità di quel tessuto
connettivo. Le fibre mi danno resistenza alla trazione, quindi con i due costituenti della MEC ho garanzia di
resistere a tutte le forze meccaniche a cui possono essere soggetti i tessuti: la compressione per resistere
alla quale ho la sostanza amorfa, la trazione quindi lo stiramento per la quale mi viene in aiuto la
componente fibrillare. Queste componenti fibrillari hanno delle strutture specifiche che posso visualizzare al
microscopio utilizzando delle opportune colorazioni istologiche che mi mettono in evidenza un tipo o l’altro
di fibre e quindi mi permette anche di capire qual è la composizione di quella MEC. Ci sono tre tipi di fibre
che posso trovare: le fibre collagene, le fibre reticolari e le fibre elastiche. Sia le fibre collagene che le fibre
reticolari sono composte da una proteina che è il collagene solo che sono composte da tipi di collagene
diverse che si associano in modi diversi per cui i due tipi di fibre avranno delle caratteristiche distinte,
diverso l’una dall’altra e anche delle caratteristiche di colorabilità nelle sezioni istologiche diverse. Le fibre
elastiche invece sono fatte da tutt’altre proteine che sono la elastina e la fibrillina.

Di ciascun tipo di fibre bisogna sapere di cosa sono composte, com’è la loro organizzazione strutturale, le
caratteristiche e le proprietà che danno al tessuto e dove le trovo maggior mente rappresentate cioè in
quali tessuti e in quali organi, in quali distretti corporei.
Il collagene è una delle proteine più rappresentate, più abbondanti nelle cellule, nei tessuti dei vertebrati
superiori. Solo il collagene rappresenta dal 25 al 30% di tutte le proteine di cui siamo composti. Parliamo di
collagene, ma sarebbe più appropriato parlare di collagene al plurale perché racchiudo una famiglia e tante
diverse proteine che hanno tutte una base comune, un’organizzazione comune, per cui le chiamiamo tutte
collagene, ma che si differenziano allo stesso tempo l’una dall’altra. Sono stati attualmente identificati 28
tipi di collagene ma probabilmente ne stanno emergendo degli altri che vengono numerati con i numeri
romani dal tipo 1 fino al numero 28 e che ritroviamo in tabelle, c’è una tabella in entrambi i libri. Non
bisogna ricordare tutti e 28 i tipi, però ne citeremo alcuni e almeno quelli che citiamo bisogna ricordarli.
Cosa differenzia un tipo dall’altro di collagene? La composizione chimica, quindi quali amminoacidi entrano
a determinare la sequenza delle catene polipeptidiche di cui sono fatti, la presenza più o meno spiccata di
catene oligosaccaridiche che siano attaccate alle catene polipeptidiche, ma anche come queste catene si
associno fra loro in base alla loro organizzazione sovra molecolare, come si associano, se si associano a dare
delle fibrille, degli intrecci, piuttosto che altre forme, ma anche si differenziano in base alla loro
localizzazione quindi in quali tessuti e organi li trovo in particolare, dove sono distribuiti, in base alla loro
funzione specifica e in base alle patologie che possono essere dipendenti alle problematiche legate a quel
tipo particolare di collagene, perché esistono diverse patologie dove c’è una mala sintesi del collagene.
Cos’è che accomuna tutte queste famiglie di collageni? È che hanno almeno un dominio a tripla elica cioè
una parte che è costituita da tre polipeptidi che si uniscono, si avvolgono come un’elica, si intrecciano e in
cui ritrovo la ripetizione di alcuni amminoacidi in particolare la glicina che si trova ogni tre amminoacidi e
sono frequenti la prolina e la idrossiprolina ed è proprio la presenza ogni tre amminoacidi della glicina che
mi garantisce la possibilità di super avvolgimento ad elica delle tre catene, quindi è molto importante che la
glicina ci sia e sia ripetuta con regolarità. I tre tipi di collagene più abbondanti nei tessuti connettivi quindi
nell’organismo sono il tipo 1 il tipo 2 e il 3 che sono tutti dei collageni di tipo fibrillare, che si organizzano in
fibrille e danno dei fasci, ma non tutti i collageni sono fibrillari che si organizzano in fibrille, accanto a questi
più classici e noti, che danno le fibre collagene, abbiamo anche collageni non fibrillari. Per esempio, quelli
con tripla elica interrotta che si associano a collageni fibrillari, quelli come quelli di tipo 4 che formano delle
specie di reti, e tra questi c’è anche il collagene di tipo 4 come componente importante delle lamine basali,
ce ne sono altri che fanno delle strutture esagonali, altri che fanno filamenti a collana di perle, altri che
costituiscono delle fibrille di ancoraggio per l’interazione con altri tipi di fibre, con collagene di tipo
fibrillare. Quello che vediamo a sinistra è il più classico, un collagene fibrillare che si associa a dare delle
fibre, dei fasci di fibre, sono molto lunghi e decorrono a volte dritti a volte più ondulati. Quindi quando
parliamo di fibre collagene nella MEC ci riferiamo a delle strutture fibrillari che sono composte
fondamentalmente di collagene di tipo 1 che sono quelle più diffuse, più rappresentate.
Il collagene di tipo 1 è il solo quasi presente nel tessuto osseo, il più rappresentato nei tendini nel derma,
ma come anche in vari connettivi, quindi è grande protagonista. Che caratteristiche hanno le fibre
collagene? Sono molto resistenti alla trazione per la loro conformazione in fibrille, sopportano la trazione
parallelamente alla loro lunghezza ma a fronte di questa grande resistenza sono anche inestensibili, non
sono granché elastiche, quasi per niente. Vediamo molto bene il loro andamento a volte ondulato a volte
rettilineo, nelle immagini al SEM vediamo che presentano una particolare bandeggiatura dovuta al fatto che
c’è un’alternanza di bande più chiare e bande più scure e questa alternanza hanno una larghezza e si
ripetono con una periodicità fissa di 64 nanometri. Da cosa dipende questa presenza di bande chiare e
scure? Dipende da come sono sistemate fra loro le molecole di collagene nel dare la fibrilla e poi quando le
fibrille si uniscono insieme nel dare le fibre. Ogni molecola di collagene si allinea con un’altra testa coda. Ma
tra l’una e l’latra rimane uno spazio vuoto, sono sfalsate per almeno un quarto della loro lunghezza. In
queste zone chiamate zone GAP dove manca, dove c’è il buco tra una molecola di collagene e quella
successiva, con i trattamenti per l’osservazione al microscopio elettronico con dei metalli, Sali pesanti,
diventano punti in cui i Sali si accumulano e la vediamo come banda più scura rispetto alle zone dove i sono
solo molecole non c’è un punto senza molecole in cui i metalli si depositano molto meno e appaiono come
bande chiare. Questo per dire che c’è una disposizione molto regolare, precisa, ordinata e ripetuta.
Come si formano le fibre collagene? Stanno poi fuori dalle cellule, ma la loro sintesi inizia e alcune delle fasi
che portano alla loro formazione hanno luogo all’interno delle cellule del connettivo, di quasi tutte le cellule
residenti ma in particolare soprattutto fibroblasti, condroblasti, osteoblasti e odontoblasti sono quelli più
forti nella produzione delle fibre collagene. Quindi per capire come vengono a formarsi dobbiamo prendere
in considerazione una serie di tappe di eventi, alcuni dei quali vengono dentro alla cellula, in ambiente
intracellulare (dall’1 al 5) e una parte che avviene al di fuori della cellula in ambiente extracellulare. Quindi
avrò la mia a livello del nucleo la mia trascrizione dei geni che codificano per le catene del collagene, la
maturazione degli mRNA e poi si va a livello del reticolo endoplasmatico rugoso (ovvio che sia lì la sintesi
perché il collagene poi verrà secreto, quindi come tutte le proteine che hanno una destinazione
extracellulare vengono fatte a livello dei ribosomi associati al reticolo). Quindi nel RER abbiamo la sintesi
delle catene alfa che servono per costituire il collagene oltre a questo sempre nel RER abbiamo la
idrossilazione di alcuni residui amminoacidici, in particolare vengono idrossilate la lisina e la prolina e
questo processo è dipendente dalla presenza di vitamina C. Poi sempre nel RER avviene la glicosilazione ,
l’aggiunta di porzioni saccaridiche ad alcuni residui della catena e poi abbiamo l’assemblaggio di pro
collagene a tripla elica, quindi tre catene che possono essere uguali fra di loro o diverse, se sono uguali
avremo un omotrimero, se sono diverse avrò degli eterotrimeri che si avvolgono a dare la tripla elica quindi
otteniamo il pro collagene , il “pro” davanti indica che non è ancora la versione definitiva servono dei
rimaneggiamenti.

Dal reticolo endoplasmatico rugoso la palla passa al Golgi dove le molecole di pro collagene vengo o
impacchettate e racchiuse all’interno di vescicole e poi dal Golgi trans queste vescicole contenente il pro
collagene vengono avviate verso la membrana plasmatica e secrete, esocitate, all’esterno nella matrice
extracellulare dove il pro collagene viene trasformato in tropocollagene attraverso la eliminazione di alcune
parti delle catene ad opera di peptidasi, quindi di enzimi che tagliano i peptidi, una volta ottenuto il
tropocollagene le varie molecole di tropocollagene sono libere di aggregarsi in microfibrille con un diametro
nell’ordine dei nanometri tra i 20 fino ai 200, le microfibrille si aggregano fra loro a dare delle fibrille in cui
c’è un aumento del diametro per poi dare le fibre collagene che hanno un diametro variabile tra 1 e 12
micron, e poi queste fibre si possono associare oppure no a dare dei fasci di fibre. Questi ultimi eventi, la
conversione da pro collagene a tropocollagene e l’aggregazione a dare microfibrille, fibrille e fibre, avviene
tutto fuori dalla cellula ed è ovvio che sia così perché non ci sarebbe lo spazio sufficiente dentro alla cellula
per fare questo. Come mai ci sono così tante varietà di collageni in parte dipende da dei processi che
avvengono lungo queste tappe. Ci sono tanti diversi geni che codificano per i collageni, sono almeno 45, poi
dalla trascrizione di questi geni ottengo degli mRNA che possono subire degli splicing alternativi, quindi
delle maturazioni diverse da ciascuno di questi avere delle varianti diverse di collagene e ancora posso
ottenere collageni diversi perché possono appaiarsi in modo diverso le varie catene alfa del pro collagene,
se le ho tutte uguali o due uguali e una diversa, tutte queste cose mi rendono la spiegazione di questa
grande complessità e varietà della famiglia dei collageni. Il collagene è importassimo non solo perché è
tanto quantitativamente, ma proprio per tutto quello che significa. per la funzionalità dei nostri tessuti
connettivi e come sempre ce ne accorgiamo quando qualcosa non va, quando i collageni non vengono
sintetizzati correttamente, troppo o troppo poco. Quindi quando c’è un’alterata, un’abnorme o una
deficitaria sintesi del collagene vado in contro a situazioni patologiche più o meno gravi: osteogenesi
imperfetta, cheloidi e scorbuto. L’osteogenesi imperfetta è una condizione per cui c’è una mutazione e nelle
catene alfa non c’è quella glicina ogni tre come dovrebbe esserci e questo fa sì che non si formi la tripla elica
in modo corretto quindi questo collagene non funziona correttamente e da questo dipende anche una grave
problematica al tessuto osseo perché la formazione della matrice ossea dipende strettamente dalle fibre
collagene. Quindi chi è affetto da osteogenesi imperfetta come sintomo caratteristico ha un’estrema fragilità
ossea, si rompono con niente, viene chiamata la malattia delle ossa di cristallo. Nei cheloidi abbiamo invece
un’abnorme produzione di fibrille collagene in corrispondenza di lesioni di cicatrici cutanee, quindi si
formano proprio degli agglomerati addensamenti di collagene in corrispondenza di queste cicatrici che
diventa anche un problema estetico. Anche quando c’è troppa produzione quindi non va bene, serve
sempre un equilibrio. Poi c’è il caso dello scorbuto, malattia, patologia dovuta alla deficienza di vitamina C.
Quando si ha carenza di vitamina C nella dieta, nell’assunzione, non ce n’è a sufficienza, uno dei processi che
viene minato è proprio questa idrossilazione della prolina e della lisina durante la formazione del collagene.
Si forma un collagene imperfetto, anomalo che non fa il suo dovere e questo dà origine a fragilità dei
tessuti, emorragie, edemi, sanguinamento delle mucose, perdita dei denti oltre che una notevole
irascibilità, ci sono dei problemi di umore legati allo scorbuto. Infatti, il termine scorbutico detto di una
persona scostante e di brutti modi è proprio legato a questo, allo scorbuto.

Le fibre reticolari sono formate da collagene non di tipo1 , ma di tipo 3 e la caratteristica di queste fibre è di
essere molto più sottili rispetto alle fibre collagene e di essere più glicosilate, quindi sono legate delle
porzioni saccaridiche alle catene del tropocollagene e quindi il fatto di essere glicosilate fa sì che siano PAS
positive e si colorano in rosso, porpora in modo evidente, cosa che invece le fibre collagene non fanno,
quindi è anche un modo per distinguerle se ci sono e sono anche molto affini all’argento, quindi vengono
dette argirofile quindi tutti i metodi di colorazione che prevedono l’impregnazione argentica permettono di
evidenziare queste fibre reticolari che sennò essendo così sottili non si riuscirebbero ad individuare anche
perché con leusina non si colorano, leusina colora quelle collagene, ma non quelle reticolari. Anche le fibre
reticolari presentano quella stessa bandeggiatura nella miofibrilla come hanno le fibre collagene, ma non si
riuniscono in grossi fasci come quelle altre, decorrono singolarmente e poi si ramificano anche, quindi
dando origine a delle impalcature tridimensionali molto flessibili che presentano delle maglie piuttosto
ampie, che individuano degli spazi ampi che sono particolarmente adatti in tutti quei distretti corporei, in
quegli organi che sono soggetti a delle modificazioni di forma e di volume, la milza, il fegato, l’utero, la
parete intestinale, tutti esempi di questo tipo. Quindi dove è utile che ci sia una possibilità di espansione o
di cambiamento di forma. Dove troviamo queste fibre reticolari? Sono soprattutto presenti negli organi
emopoietici sia mieloidi che linfoidi, come midollo osseo, milza, linfonodi, timo, anche nelle ghiandole sia
endocrine che esocrine, anche nel tessuto adiposo in tutte quelle guaine che vanno ad avvolgere le fibre
muscolare e nervose periferiche, le troviamo nel tessuto che riveste l’endotelio dei capillari esternamente,
peri endoteliale e nella lamina reticolare (una delle tre lamine che compongono la lamina basale, è quella
più profonda più vicina ai tessuti connettivi e si chiama lamina reticolare perché abbonda di fibre reticolari).
Nell’immagine in alto vediamo delle fibre reticolari attorno ad un capillare, ad un vaso sanguigno, sono più
sottili delle fibre collagene. Giù invece vediamo una sezione di un linfonodo, colorato con la colorazione
argentica che mi permette di evidenziare in nero scuro le fibre reticolari che sennò non sarebbero visibili.

Le fibre elastiche. Qui cambiamo completamente genere perché cambia la composizione. Non abbiamo più
il collagene, ma sono composte da un core, quindi una parte interna che è quella preponderante
quantitativamente, 90% circa di una proteina che si chiama elastina e attorno a questo core di elastina
abbiamo una serie di microfibrille di fibrillina che è una glicoproteina. Sia la fibrillina che l’elastina sono
importanti nel conferire la caratteristica dell’elasticità che hanno le fibre elastiche e anche se l’elastina
quantitativamente è quella maggiore, la fibrillina è comunque fondamentale perché è proprio a partire dalle
microfibrille di fibrillina che inizia il processo di aggregazione di assembramento delle fibre elastiche, quindi
prima di aggregano le microfibrille di fibrillina e poi le molecola di elastina neosintetizzate attorno ad esse si
organizzano per dare questa tipologia. Le varie molecole di elastina sono collegate fra di loro da vari legami
trasversali che sono quelli che mi assicurano e mi permettono la caratteristica anche della stirabilità di
queste fibre. Le fibre elastiche a differenza di quelle collagene sono molto estensibili e dopo che sono state
stirate cambiano di lunghezza e hanno la possibilità di tornare alle dimensioni originarie pre-stiramento una
volta che è finita la sollecitazione meccanica che le ha stirate. È questa l’importante caratteristica delle fibre
elastiche. Dove troviamo le fibre elastiche? Sono numerose in tutti quei distretti in cui l’elasticità è
importante, per esempio nelle pareti delle arterie dove queste fibre si organizzano a dare dei foglietti
appiattiti come delle lamelle che vediamo molto bene qui che è una sezione di un’aorta, le troviamo anche
nel derma perché anche la cute ha bisogno di una certa elasticità per risponde alle sollecitazioni
meccaniche nel derma sono organizzate a dare dei fasci ramificati, nei polmoni che sono continuamente
sottoposti a degli ampiamenti e riduzione del loro volume legati agli atti espiratori e inspiratori, nel
padiglione auricolare che è un’altra struttura abbastanza elastica e nei legamenti, in particolare sono
tantissimo organizzati in grossi fasci nel legamento nucale degli erbivori da pascolo.
La popolazione cellulare dei tessuti connettivi può essere più o meno eterogenea, questa varietà di cellule si
differenziano per l’origine che può essere dalle cellule mesenchimali, come già detto, oppure alcuni
componenti cellulari derivano direttamene da cellule staminali emopoietiche e anche diverse per le loro
funzioni, alcune di queste cellule sono impegnate nella sintesi, nella secrezione della matrice, altre invece
hanno più un ruolo di difesa e altre ancora hanno compiti specializzati come sono quella della riserva
energetica del metabolismo o della produzione di sostanza di tipo ormonale.

Le cellule del tessuto connettivo vengono divise in due grandi gruppi: cellule residenti o fisse, che sono
quelle che stanno tutta la loro vita nel connettivo, che si differenziano, che maturano e si sviluppano nel
connettivo e li trascorrono la loro vita e svolgono sempre la loro funzione. Quindi originano e rimangono
sempre nel connettivo. Per differenziarle invece dalle cellule non residenti che vengono anche dette mobili,
anche dette libere, migranti, che sono quelle che invece non stanno sempre nel connettivo, ma arrivano nel
connettivo dal torrente circolatorio quando sono richiamate da particolari condizioni di necessità, quindi
sono cellule transitorie nei tessuti connettivi, cioè ci vanno solo all’occorrenza e quando hanno fatto quello
che devono fare poi se ne vanno.

Il prefisso mi indica due profili funzionali diversi della stessa cellula, cioè con blasto intendo una cellula
giovane attiva impegnata nella sintesi e nella secrezione della componente della matrice extracellulare, con
cito mi riferisco a quella stessa cellula in una fase più matura, quiescente in cui ha smesso, non si occupa più
di sintetizzare la matrice extracellulare, però sono di fatto la stessa cellula in due fasi di vita. Spesso i blasti
dopo che hanno sintetizzato, rilasciato i componenti della MEC si trovano completamente avvolti dalla
matrice extracellulare e si trasformano in citi. Ovviamente con qualche modificazione morfologica nel
passaggio da un tipo ad un altro.

Di tutte queste fibroblasti e fibrociti sono quelli che troviamo più frequentemente nei tessuti connettivi
soprattutto nei connettivi propriamente detti, i condroblasti condrociti sono nel tessuto cartilagineo, sono le
principali cellule residenti nel tessuto cartilagineo; osteoblasti, osteociti e osteoclasti sono tre tipi cellulari
che troviamo nel tessuto osseo; odontoblasti e cementociti li trovo a livello del dente; gli odontoblasti sono
quelli che producono nella matrice la dentina e i cementociti sono quelli che si trovano a livello della radice
dei denti dove c’è il cemento; adipoblasti e adipociti sono del tessuto connettivo adiposo; i reticolociti sono
del tessuto connettivo reticolare; i periciti li trovo attorno agli endoteli dei capillari, poi abbiamo macrofagi
fissi e mastociti che sono invece cellule con funzioni difensive, cellule con granuli che stanno normalmente
nei tessuti connettivi che contengono sostanze tra cui eparina e istamina, attraverso il rilascio di sostanze
contenute nei granuli i mastociti sono importanti regolatori delle risposte infiammatorie e anche nei
fenomeni di ipersensibilità immediata.

Poi c’è una quota di macrofagi fissi che se ne stanno a pattugliare i tessuti connettivi

Tra i non residenti abbiamo tutta una serie di cellule che hanno fondamentalmente una funzione difensiva
quindi vari tipi di leucociti, granulociti linfociti, plasmacellule quindi linfociti B già attivati e produttori di
anticorpi e anche una quota di macrofagi che possono accorrere in caso di bisogno, in caso di
infiammazione o di infezioni che quindi arrivano dal torrente circolatorio i monociti, passano dentro al
connettivo, nel connettivo si trasformano in macrofagi, quindi monociti/macrofagi sono due stadi funzionali
della stessa cellula, i monociti nel torrente circolatorio quando arrivano a livello dei tessuti si trasformano in
macrofagi. Un tipo di cellula che si incontra abbastanza frequentemente ma che non avremo più modo di
commentare quindi ne parliamo qui è quella dei miofibroblasti. Già la parola ci fa capire che hanno alcune
caratteristiche simili alle cellule muscolari lisce perché si chiamano “mio” e alcune caratteristiche che le
fanno somigliare ai fibroblasti, ecco perché si chiamano fibro. Hanno una forma irregolare, di solito stellata,
ma sono comunque di forma allungata, sono dei grandi produttori di collagene in particolare di collagene di
tipo 1 e in questo somigliano ai fibroblasti, ma sono anche molto ricchi proteine del citoscheletro in
particolare di actina e di miosina come analogamente alle cellule muscolari e legato a questo fatto c’è
appunto il fatto che loro hanno questa possibilità di in qualche modo contrarre, rimodellare il tessuto
connettivo. Non sono di solito tanti nei tessuti connettivi in condizioni fisiologiche, ma aumentano molto
nei tessuti connettivi patologici cioè quelli interessati per esempio da infiammazioni, o interessati da lesioni,
quindi dove ci siano cicatrici o lesioni da riparare entrano in azione con la loro attività di rimodellamento e
di favorire quindi la sistemazione delle lesioni e anche nello stroma tumorale sono molto presenti e pare
abbiano un ruolo nel favorire le metastasi.

Tra tutte queste cellule c’è bisogno di un approfondimento, almeno per i fibroblasti e per i macrofagi che
sono le due cellule che incontriamo quantitativamente in modo più consistente, i fibroblasti e le loro varie
varianti perché a seconda, praticamente quando parlo di condroblasti, osteoblasti non sono altro che
fibroblasti specializzati che trovo solo in particolari tipi di tessuto connettivo, ma la base di partenza è quella
del fibroblasto. Il loro compito fondamentale è quello di produrre la MEC, sia la componente fibrillare che la
sostanza amorfa, quindi tutte le varie glicoproteine, glicosamminoglicani, proteoglicani, ma non fanno solo
questo perché i fibroblasti interagiscono con vari altri tipi cellulari e quindi partecipano a diversi processi sia
fisiologici, quindi del normale funzionamento del tessuto, sia anche in processi patologici. Come sono fatti?
Come si presentano i fibroblasti? E come sono invece i fibrociti? Qui a sinistra vediamo uno schema di un
fibroblasto e sotto un’immagine, una sezione con fibroblasti, a destra invece i fibrociti. Il fibroblasto proprio
perché attivo nella sintesi avrà alcune caratteristiche come il fatto che avrà un abbondante reticolo
endoplasmatico rugoso, un Golgi piuttosto esteso, il nucleo che è grande e tipicamente di forma ellittica non
si colora molto perché ha molta cromatina dispersa perché sarà molto attiva la trascrizione e c’è un nucleolo
evidente proprio perché c’è tanto lavoro di sintesi quindi bisognerà fare anche molti ribosomi. La forma di
questi fibroblasti è una forma fusata o stellata, qui vediamo molto chiaramente la forma stellata e hanno dei
prolungamenti citoplasmatici che vediamo, come l’abbondanza del reticolo rugoso e di Golgi. I fibrociti che
hanno sospeso, sono andati un po’ in pensione dalla attività di secrezione, come saranno? Saranno più
piccoli, saranno più affusolati, avranno meno prolungamenti, avranno un RER e un Golgi meno sviluppati e
meno abbondanti, un nucleo sempre e comunque ellittico ma diciamo che si colora un po’ di più, quindi con
una maggiore quantità probabilmente di eterocromatina, nucleo comunque sempre molto appiattito e lo si
vede molto bene in questa sezione.
Questa è un’immagine invece al TEM in cui apprezziamo la forma allungata del fibroblasto, non si vede tutto
ma si apprezza la forma ellittica e schiacciata del nucleo e la grande presenza al di fuori e tutto intorno del
collagene, qui che sono tagliate longitudinalmente, qui invece trasversalmente, alla cui sintesi e produzione
ha collaborato il fibroblasto stesso.

Per quanto riguarda invece i macrofagi, anche questi incontrati frequentemente, sono spesso il secondo
tipo cellulare più frequente, tutt’altra funzione rispetto a quella dei fibroblasti, è quella di difendere. I
macrofagi sono dei grandi mangiatori, fagocitano quello che può essere pericoloso e che può essere
danneggiato. Vengono anche detti istiociti, derivano come già detto dai monociti circolanti nel sangue che
una volta migrati maturano e diventano macrofagi. Si trovano praticamente nella maggior parte degli organi
e a seconda della sede in cui svolgono la loro funzione di macrofagi a volte sono così specializzati che
prendono anche nomi diversi, ma sono sempre e comunque dei macrofagi. Per esempio, a livello del fegato
abbiamo le cellule del Kuppfer che sono dei macrofagi, oppure abbiamo le cellule dendritiche del
Langerhans che sono dei macrofagi che avevamo incontrato a livello dell’epidermide, oppure abbiamo i
macrofagi alveolari, i macrofagi a livello dei peritoneale, oppure ancora a livello del tessuto osseo
incontreremo gli osteoclasti che sono delle particolari cellule che demoliscono la matrice ossea e sono un
tipo particolare di macrofagi. In ciascuna di queste sedi loro hanno delle caratteristiche immunofenotipiche
e dei compiti specifici tali per cui si giustifica il chiamarli in un modo con un nome in particolare. La
caratteristica dei macrofagi è che sono cellule mobili che vanno dove c’è bisogno, corrono là dove occorre il
loro intervento che è fondamentalmente di attività fagocitaria, quindi fagocitano e nel fagocitare hanno
anche la possibilità di presentare poi sulla loro superficie gli antigeni per favorire la risposta di difesa da
parte di altre cellule immunitarie, ma sono anche impegnati in una attività secretoria sia di enzimi per
esempio di collagenasi o di enzimi che scindono i glicosamminoglicani e questo facilita il loro passaggio
attraverso la sostanza amorfa della matrice e anche delle molecole che vanno a modulare la risposta
immunitaria, sono dei produttori e rilasciano le citochine per esempio, quindi la loro funzione è
fondamentalmente di difesa. La morfologia è legata appunto alla loro attività, sono di grandi dimensioni
visto che fagocitano, possono arrivare ad un diametro anche di 50 micron, hanno questa superficie
piuttosto irregolare perché si alza a dare dei pseudopodi e delle estroflessioni che servono per fagocitare,
hanno un nucleo abbastanza eccentrico, hanno reticolo e Golgi ben sviluppato e quando sono in attività,
quindi quando sono macrofagi attivati troviamo numerosi lisosomi e vacuoli che sono i fagosomi di ciò che
hanno internalizzato.

Sono tanti i connettivi e ci sono diversi modi per classificarli, quindi questa è una possibile suddivisione che
è quella adottata anche dal testo del Dalle Donne, ma in altri testi potreste trovare una suddivisione
leggermente diversa (alla prof non importa tanto la suddivisione, le importa che sappiamo le caratteristiche
di questi vari tipi di tessuto). Vengono definiti tessuti connettivi propriamente detti il tessuto connettivo
lasso, il tessuto connettivo denso, il tessuto reticolare, il tessuto elastico. Il tessuto connettivo pigmentato, il
tessuto connettivo mucoso e il tessuto adiposo. Ci sono dei tessuti connettivi di sostegno che sono il tessuto
cartilagineo e il tessuto osseo e poi c’è un tessuto del tutto particolare che è il sangue che ha una funzione
fondamentalmente trofica, è il più grande rifornitore di ciò che serve nei vari distretti corporei. I due
principali sottotipi di tessuti connettivi propriamente detti sono il lasso e il denso che ora andiamo a vedere.
Il tessuto lasso è il tipo più diffuso quindi quello che si trova maggiormente a livello del corpo e anche quello
meno specializzato, va a riempire un po’ i vari spazi fra i tessuti di un organo e fra i vari organi, all’interno
degli organi in particolare quegli organi pieni che definiamo parenchimatosi, il tessuto lasso costituisce il
così detto stroma che è l’impalcatura, la guaina esterna e spesso anche i setti che suddividono l’organo. È un
tipo di tessuto molto flessibile con ampi spazi che permettono di scambiare molecole, quindi passaggio e
diffusione di molecole e di cellule. La caratteristica del fibrillare lasso è che i tre ingredienti, cellule, fibre e
sostanza amorfa sono praticamente o presenti in quantità uguale oppure spesso la prevalenza ce l’ha la
sostanza fondamentale che quindi risulta particolarmente abbondante e molto ricca di acido ialuronico che,
essendo molto idrofilo, dà una consistenza di gel viscoso a questo tessuto, in questa sostanza decorrono vari
vasi e si forma una rete di capillari. Come fibre troviamo nel tessuto lasso soprattutto delle fibre collagene
però sono organizzati in fasci piccolini e oltre alle fibre collagene possono essere presenti anche fibre
reticolari e fibre elastiche che sono orientate in modo casuale e in modo piuttosto lasso, quindi intrecciate
lassamente. Come cellule abbiamo in particolare fibroblasti e fibrociti, come secondo per numerosità i
macrofagi e poi una serie di cellule immunitarie. Questa è l’immagine di un classico tessuto fibrillare lasso
che viene anche definito aereolare. Vediamo che ha una trama molto larga e il fatto che vediamo tutto
questo biancume è perché tutte quelle parti bianche erano parti occupate dalla sostanza amorfa. Dove
trovo questo tessuto? Lo trovo tra i muscoli, lo trovo attorno ai nervi, lo trovo associato agli epiteli di
rivestimento. Quello connettivo sotto agli epiteli che abbiamo chiamato nelle mucose lamina propria, ecco
la lamina propria è un tessuto connettivo lasso. Com’è un tessuto connettivo lasso? La tonaca sottomucosa
che trovo negli organi cavi e lo troviamo anche nelle tonache avventizia o media delle vene.
Il tessuto connettivo fibrillare denso anche detto fibroso o compatto, tutti e tre i nomi ci indicano la stessa
cosa cioè che in questo tipo di connettivo la parte del leone la fa la componente fibrillare che è prevalente
sia sulle cellule che quantitativamente, sono meno rispetto a quelle che troviamo nel tessuto lasso e che è
preponderante rispetto alla sostanza fondamentale per cui questo tessuto che ha meno sostanza
fondamentale, meno cellule, ma molte più fibre risulta molto più compatto, molto più denso, ha una
consistenza maggiore molto fibroso e infatti lui serve soprattutto là dove occorre una funzione meccanica,
una funzione di sostegno maggiore rispetto a quella che può fornire il lasso. Quindi questo, proprio perché
ha tante fibre, è meno flessibile del lasso però è molto più resistente. Che cellule troviamo in questo
tessuto? Troviamo soprattutto fibroblasti e fibrociti, ma anche macrofagi e miofibroblasti quelli di cui
abbiamo parlato prima. Come fibre, che sono la parte preponderante, troviamo soprattutto le fibre
collagene che qui si raccolgono in fasci molto grossi e che sono accompagnati in alcune sedi anche dalla
presenza di fibre elastiche quindi la preponderanza è fibre collagene, ma ci possono essere anche fibre
elastiche. A seconda di come sono disposte le fibre distinguo due sottotipi: il denso regolare in cui le fibre
hanno una disposizione ordinata, possono essere in fasci paralleli come nei tendini e nei legamenti, possono
essere a fasci incrociati che si incontrano ortogonalmente come nella cornea oppure possono non avere una
disposizione regolare. Se non hanno una disposizione regolare e ordinata parlo di tessuto denso irregolare
come quello che trovo tipicamente nel derma dove le fibre sono orientate secondo diverse direzioni. Il fatto
di avere questa disposizione irregolare fa sì che il tessuto risponda, sia abile nel contrastare stress meccanici
di diverso tipo secondo varie direzioni, mentre in quello regolare la direzione di resistenza è quella parallela
alle fibre stesse. La sostanza fondamentale in questo caso è molto scarsa. Trovo questo tipo di tessuto
connettivo nei tendini, nei legamenti, nella cornea, nella sclera e nel derma. L’immagine sopra è il tessuto
connettivo di un tendine, si vede molto bene l’andamento regolare di fasci paralleli; quello sotto è derma
con andamento irregolare. I tendini servono a collegare ossa, muscoli alle ossa, i legamenti invece a
collegare, a congiungere porzioni ossee fra loro o un osso all’altro.
Tessuto connettivo reticolare, qua ci aiuta già il nome, si chiama così perché è caratterizzato da
un’abbondanza di fibre reticolari rispetto alle altre, fibre che formano una trama molto fine ed hanno
questo aspetto simil spugnoso al tessuto. Le cellule che ci sono qui sono dei fibroblasti specializzati che si
chiamano reticolociti o cellule reticolari che sono caratterizzati dall’avere dei prolungamenti molto lunghi
che si dipartono a raggera e che si interconnettono e prendono contatto con i prolungamenti di altre cellule.
Si vede molto bene nell’immagine, tutte queste azzurrine sono reticolociti e hanno dei prolungamenti che si
congiungono con i prolungamenti di altre cellule. Quelle nere che vediamo sono le fibre reticolari e tutti
questi grandi spazi che vengono lasciati liberi da questa trama molto lassa. Questo tipo di tessuto lo
troviamo soprattutto a dare lo stroma, partecipa diciamo alla costituzione dello stroma di molti organi sia
ghiandolari che emopoietici come il fegato, la milza, i linfonodi, il midollo osseo. Di nuovo qua per poterlo
vedere, abbiamo una sezione con l’impregnazione argentica. E poi il tessuto elastico, in questo caso si
chiama elastico per le sue caratteristiche ed elasticità che vengono fornite dalla grande abbondanza di fibre
elastiche presenti nella matrice extracellulare. Ci sono anche fibre collagene, ma sono di più quelle elastiche
che sono quelle più scure, quelle rosse sono le collagene e quelle nere più scure ondulatine sono le fibre
elastiche che vediamo in questa sezione di un vaso, di un grosso vaso, di una grossa arteria. Le cellule
presenti sono fibroblasti e fibrociti, nel caso come qui della parete di un’arteria ci saranno presenti anche
intervallate delle cellule muscolari lisce. Ovunque ci sia bisogno di elasticità c’è tessuto elastico e quindi
immaginiamo dove possiamo trovarlo, nelle corde vocali, parete delle arterie, nei legamenti per esempio
legamenti vertebrali, legamento sospensorio del pene, nei polmoni, tutte sedi in cui l’elasticità è
fondamentale e gioca un ruolo chiave.
Citiamo questi altri due tipi che sono pochissimo rappresentati: uno è il tessuto connettivo pigmentato che
è chiamato così perché ci sono delle cellule con pigmenti che troviamo solo nei mammiferi a livello
dell’occhio della coroide dell’iride, il tessuto connettivo mucoso maturo che è fondamentalmente un tessuti
embrionale, nell’adulto non c’è quasi da nessuna parte, mentre nell’embrione ce né abbastanza e lo
ritroviamo anche come costituente del cordone ombelicale dove costituisce la così detta e nota gelatina di
Wharton. È costituito di fibroblasti di forma tipicamente stellata, ci sono poche fibre collagene ed elastiche
e c’è tanta sostanza fondamentale ecco perché ha la consistenza gelatinosa perché c’è tanta sostanza
amorfa ricca di acido ialuronico.
Lezione del 23 Novembre

CITOLOGIA E ISTOLOGIA

BLOCCO TEMATICO: Istologia


Argomenti: tessuti connettivi

Di questi tessuti connettivi ci rimangono un tessuto il quale è considerato dalla maggior


parte degli studiosi e dei testi un tessuto propriamente detto, trattasi del tessuto adiposo
Questo tessuto avendo delle caratteristiche molto peculiari ed essendo piuttosto
specializzato alcuni testi lo trattano a sé, con un capitolo dedicato, evidenziando le
differenze rispetto agli altri tessuti connettivi. Si passerà poi ad altri due tessuti di una
consistenza più compatta, rigida ovvero i tessuti connettivi specializzati nel sostegno, quindi
di funzione meccanica: tessuto cartilagineo e tessuto osseo (con i suoi diversi sottotipi).

TESSUTO ADIPOSO
È un tessuto fondamentalmente come organizzazione di tipo connettivo lasso in cui però c’è
una caratteristica legata alla componente cellulare cioè che buona parte degli elementi
cellulari presenti, non tutti, è rappresentato da cellule specializzate chiamate ADIPOCITI.
Gli adipociti sono specializzati nell’accumulare nel proprio citoplasma delle sostanze
lipidiche, in particolare trigliceridi. Quindi per la ricchezza in adipociti e per il fatto che
quest’ultimi contengono gocce lipidiche, questo tessuto è specializzato come deposito di
energia. Quindi è il tessuto che è il più grande deposito di energia sottoforma di trigliceridi.
I trigliceridi possono essere bruciati sia per produrre energia classicamente sottoforma di
ATP ed è questo il caso particolare del TESSUTO ADIPOSO BIANCO oppure possono essere
utilizzati per produrre calore, questo è il caso del TESSUTO ADIPOSO BRUNO. Gli adipociti
non sono le uniche cellule presenti, ci sono anche dei macrofagi, ma sicuramente gli
adipociti sono il tipo cellulare prevalente e che conferisce le caratteristiche peculiari di
questo tessuto.
Abbiamo 2 sottotipi di tessuto adiposo:
1) BIANCO O UNILOCULARE
2) BRUNO O MULTILOCULARE

Il nome è dipende dal loro aspetto, dal loro colore. Il bianco presenta un colore biancastro
oppure giallo per il fatto che, oltre ai lipidi, possono essere presenti disciolti nei lipidi dei
pigmenti liposolubili come i carotenoidi che vanno a dare una colorazione gialla più o meno
intensa. Invece il tessuto bruno prende questo nome perché presenta una colorazione più
scura dovuta al fatto che gli adipociti di questo tessuto sono molto ricchi di mitocondri e
perché questo tessuto è molto vascolarizzato. La diffusione dei due tipi di tessuto adiposo è
molto diversa, il tessuto adiposo bianco è ampliamente distribuito e diffuso nel corpo
mentre quello bruno ha una distribuzione molto circoscritta. Quello bianco è quello che
costituisce tutta la porzione grassa del nostro corpo, va a costituire il cosiddetto pannicolo
adiposo che si trova in posizione sottocutanea. C’è uno strato al di sotto del derma, che si
chiama ipoderma, il quale presenta molti adipociti e quindi viene indicato come tessuto
adiposo di tipo bianco. Abbiamo il tessuto adiposo bianco, quindi anche grasso a livello
addominale, attorno ai visceri e la distribuzione di questo pannicolo adiposo, ma in generale
del grasso, non è uniforme ma dipende dalle specie, dell’età ed è anche sesso-dipendente. Il
pannicolo adiposo sottocutaneo, ad esempio, è uniformemente distribuito nei due sessi fino
a quando non si raggiunge la pubertà dopo la quale c’è una distribuzione differente. Nelle
femmine tende a concentrarsi a livello delle mammelle e delle cosce, sotto l’influenza degli
ormoni sessuali. Il tessuto adiposo bianco è presente anche attorno ai reni, nella loggia
renale, a livello delle orbite degli occhi, nel palmo delle mani e pianta dei piedi, questo
tessuto adiposo non ha un significato energetico, ha un’altra funzione che è più di tipo
meccanico e protettivo perché sono zone, ad esempio palmo delle mani e pianta dei piedi
che sono molto sollecitate e che possono essere soggette più di altre all’usura. A livello delle
orbite e delle logge renali il tessuto adiposo bianco serve per mantenere nelle posizioni
corrette gli organi. In virtù di questa loro funzione anche nei casi di digiuno prolungato
queste riserve di tessuto adiposo bianco tendono a non essere consumate perché le si
preserva per questa funzione diversa.

Il tessuto adiposo bruno è rappresentato soprattutto in alcune specie soprattutto le specie


ibernati ed è presente anche nei mammiferi soprattutto nel feto e nel neonato. Nel neonato
e nel feto lo troviamo nella zona cervicale, lungo i vasi principali, nella zona interscapolare,
ascellare, inguinale ed è anche un po' una forma di adattamento al cambiamento di
temperatura che si ha una volta uscita dall’ambiente interno materno. Nell’adulto
rimangono piccolissime isole di tessuto adiposo bruno ad esempio attorno all’aorta, attorno
alle ghiandole surrenali, nella zona cervicale.
La funzione del tessuto adiposo bianco è di deposito di riserve lipidiche e anche di
metabolismo lipidico perché in questo tessuto avvengono due processi opposti l’uno
all’altro che stanno in equilibrio e che vengono regolati da dei segnali:

• Lipogenesi: produzione di trigliceridi e sostanze grasse


• Lipolisi: scissione di questi trigliceridi per rilasciare i costituenti a livello ematico
(quindi è l’opposto della lipogenesi)
Presenta inoltre funzione meccanica e anche da isolante termico, quest’ultima funzione è
particolarmente evidente proprio per il pannicolo adiposo che si sviluppa nei mammiferi
come anche negli uccelli che hanno necessità di mantenimento della temperatura. La
funzione di isolante termino tende a variare con l’età di fatti con la senescenza l’ipoderma
tende un po' ad assottigliarsi e quindi gli anziani tendono ad avere più freddo rispetto a noi.
Il tessuto adiposo bianco ha anche funzione endocrina, gli adipociti sono in grado di
rilasciare delle sostanze a funzione ormonale che vengono chiamate adipochine ,tra queste
ricordiamo:

• Leptina che ha il compito di inibire il senso della fame e di andare regolare il bilancio
energetico a livello dell’ipotalamo
• Adiponectina che ha tantissime funzioni “anti-”: funzione antinfiammatoria,
antidiabetica, antiaterogena quindi che contrasta la formazione di ateromi ovvero di
corpi lipidici che vanno a depositarsi lungo i vasi, regola la proliferazione cellulare e il
modellamento del tessuto.

La funzione del tessuto adiposo bruno è quella di termogenesi cioè di produzione di calore
poiché solo i mitocondri del tessuto adiposo bruno possiedono una particolare proteina
chiamata termogenina (proteina disaccoppiante, che permette la produzione del calore,
dissipa il gradiente di H+ producendo non ATP ma calore). Alla funzione di termogenesi è
associata una notevole vascolarizzazione in modo poi da permettere la distribuzione del
calore attraverso il torrente circolatorio ed è associata anche una notevole innervazione
simpatica che va a comandare questa produzione di calore, quindi questo tessuto risponde
non a stimoli di necessità energetica dell’organismo ma di necessità di innalzamento della
temperatura.
L’adipocita bianco è una cellula grande (diametro dai 50 ai 150 micron), di forma sferica, il
quale possiede un’unica grande goccia lipidica (da qui il nome UNILOCULARE), così grande
che relega il nucleo in una posizione periferica e anche un po' appiattito. Attorno alla goccia
lipidica rimane una sottile rima di citoplasma che non presenta molti organuli. Come
organuli è abbastanza presente il reticolo endoplasmatico liscio REL, poiché è l’organulo
implicato nel metabolismo lipidico che è proprio la specialità dell’adipocita bianco.

L’adipocita bruno presenta una forma più irregolare, non sferica, è di dimensioni inferiori
rispetto all’adipocita bianco, ha il nucleo in posizione centrale e non è un nucleo appiattito
ma vagamente sferico. I lipidi ci sono ma non sono organizzati in un’unica goccia ma in più
gocce (da qui il nome MULTILOCULARE). E’ ricchissimo di mitocondri che abbondano di
citocromo c.
MORFOLOGIA DEL TESSUTO ADIPOSO BIANCO:

In questa immagine vediamo delle


formazioni sferiche bianche che in effetti sono buchi perché laddove c’era la goccia lipidica
durante il procedimento istologico che mi ha portato alla preparazione della sezione
istologica i lipidi sono stati sciolti e al loro posto rimane questo spazio bianco. Possiamo
notare schiacciati alla periferia i nuclei appiattiti. Il tessuto presenta una non ben completa
suddivisione in lobuli grazie alla presenta di setti di tessuto connettivo lasso che contengono
vasi e qualche fibra nervosa scarsa quantitativamente.
Alla microscopia elettronica si vede molto bene la
presenza della goccia lipidica che si colora perché per la preparazione dei campioni per la
microscopia elettronica, dopo la fissazione glutaraldeide, si fa una post fissazione con il
tetrossido di osmio. L’osmio ha un’affinità e colora (si presenta marroncino) i lipidi e quindi
le gocce si vedono non bianche ma colorate, scure. Si vede il nucleo schiacciato e la
presenza del poco citoplasma. Questa è la classica configurazione ad anello con castone.
Quando parliamo di obesità parliamo proprio di un’eccessiva formazione di questo tipo di
tessuto, l’obesità può essere IPERTROFICA ovvero si ha un ingrandimento degli adipociti,
IPERPLASTICA ovvero si ha un aumento del numero di adipociti. Queste due forme di
obesità sono collegate perché a un certo punto un adipocita non può crescere all’infinito per
cui si passa ad aumento del numero di adipociti.

MORFOLOGIA DEL TESSUTO ADIPOSO BRUNO (minuti 33:45)

Presenta una divisione in setti molto più delineata, i setti sono di t. connettivo all’interno del
quale troviamo una rete piuttosto ricca sia di vasi che di fibre nervose. Non si vede un unico
spazio bianco ma tanti piccoli spazi bianchi che sono le gocce lipidiche. Le gocce possono
essere poche e un po' più grandi e si parlerà di ADIPOCITI PAUCILOCULARI, oppure possono
essere tante piccole gocce e si parlerà di ADIPOCITI MULTILOCULARI.
TESSUTO CARTILAGINEO O CARTILAGINE (35)
È un tipo di tessuto che ha una matrice con una consistenza abbastanza compatta, semi
rigida è come se fosse un gel abbastanza consistente. Questo è legato al fatto che questo
tessuto è specializzato nel sopportare sollecitazioni meccaniche di diverso tipo. Ha un ruolo
di supporto, di sostegno, questo è particolarmente evidente se pensiamo al fatto che ci sono
alcuni animali vertebrati che hanno uno scheletro interamente di t. cartilagineo (esempio: i
condroiti, i pesci cartilaginei).
È costituito da cartilagine anche lo scheletro dei mammiferi in stato embrionale e fetale.
Nell'adulto ci sono alcune parti che continuano ad essere supportate a livello del naso e
delle orecchie da strutture di tipo cartilagineo. La cartilagine ha una notevole importanza a
livello delle articolazioni fra un osso e l’altro, dove permette sia un’ammortizzazione sia lo
scorrimento delle superfici ossee senza che ci sia un danno.
Cosa caratterizza il tessuto cartilagineo?
Pur essendo un tessuto connettivo non possiede vascolarizzazione e innervazione quindi
dovrà essere alimentato da altro, infatti viene ad essere servito tramite scambi, diffusione
dei tessuti circostanti che sono generalmente t. connettivi propriamente detti che si
occupano di proteggerlo e di nutrirlo.
Abbiamo un unico tipo di cellule che sono i CONDROCITI i quali si trovano o singolarmente o
in piccoli gruppi, sparsi nella matrice ma non liberamente sparsi ma accolti in una piccola
cavità che prende il nome di LACUNA CARTILAGINEA. La componente non è preminente
infatti quello che prevale è la matrice extracellulare che ha caratteristiche diverse non è
omogenea nella sua composizione, questo si nota soprattutto in un tipo di cartilagine che è
quella ialina. Siccome i costituenti della matrice vengono sintetizzati e rilasciati dalle cellule
del tessuto stesso, in questo caso dai condrociti, i materiali che vengono prodotti
diffondono nella matrice con velocità diverse una volta che sono secreti. Questo comporta
che ci sia una composizione diversa vicino ai condrociti rispetto alle zone più distanti. Più
vicino ai condrociti la matrice è molto basofila man mano che si allontana diventa meno
basofila fino ad arrivare ad essere leggermente acidofila. Per questa ragione la matrice
extracellulare dei tessuti cartilaginei in particolare quella ialina, viene suddivisa in 3:
1) MATRICE PERICELLULARE O CAPSULARE: “peri” = vuol dire intorno infatti è quella
che sta più vicina, adesa ai condrociti come se formasse una sorta di capsula.
Presenta un collagene di tipo VI. È molto ricca di glicoproteine (fibronectina,
laminina, condronectina) ed è molto ricca di proteoglicani e di GAG solforati, ovvero
quelli che danno la caratteristica di estrema basofilia
2) MATRICE TERRITORIALE: si trova intorno alla matrice pericellulare. Raccoglie i gruppi
isogeni cioè i condrociti che si sono originati per mitosi da uno stesso condrocita e
che occupano inizialmente la stessa lacuna e che poi tendono ad allontanarsi mano a
mano che secernono la matrice ed a occupare matrici diverse ma rimangono
abbastanza vicini l’uno all’altro, costituiscono un gruppo esogeno attorno alla singola
lacuna o alle lacune dello stesso gruppo esogeno. Nella matrice territoriale troviamo
un altro tipo di collagene: collagene di tipo II (collagene I, II e III sono tutti fibrillari).
Rispetto alla matrice pericellulari contiene in quantità inferiore io GAG solforati.
Questa zona risulta meno basofila e tende ad essere un po' meno colorata.
3) MATRICE INTERTERRITORIALE: rappresenta la maggior parte della matrice. Si
frappone tra i vari gruppi isogeni di condrociti. Contiene abbondante collagene di
tipo II e di aggrecani ovvero grandi complessi molecolari formati da acido ialuronico
a cui sono leganti tanti proteoglicani.

Esistono diversi tipi di cartilagine:


1) IALINA
2) ELESTICA
3) FIBROCARTILAGINE
La differenza delle diverse cartilagini dipende dalle caratteristiche della MEC sia della sua
sostanza amorfa e sia delle fibre presenti
CARTILAGINE IALINA

Il nome ialina deriva dall’aspetto della sua matrice cellulare che una un aspetto vitreo,
contiene collagene di tipo II che è organizzato a dare delle fibrille sottili per cui la presenza
del collagene II è abbastanza indistinguibile. La sostanza fondamentale ha una consistenza
compatta ed è molto idratata, il fatto che sia molto idratata consente una resistenza alla
compressione e di dare lubrificazione nelle sedi in cui è presente questa cartilagine. È
costruita da un 70% da acqua la quale è legata alla componente di sostanza amorfa che è
molto idrofila, 25% di macromolecole e 5% di condrociti. Le macromolecole che
costituiscono la cartilagine sono per la maggior parte costituite da collageni, 20% di
proteoglicani e GAG e 5% di glicoproteine. Questa cartilagine costituisce lo scheletro fetale,
nei mammiferi adulti si trova in particolare nelle vie respiratorie dove costituisce delle
strutture di supporto, in particolare la punta del naso, il setto nasale, la laringe, la trachea
(costituisce dei semi anelli che sostengono la trachea), anche la parete dei bronchi presenta
questa cartilagine. La troviamo anche nell’estremità delle coste e nelle piastre ipofisarie
delle ossa (dischi che si trovano nelle ossa lunghe). Si trova anche nelle articolazioni mobili.
Quasi tutta la cartilagine ialina è rivestita da una guaina chiamata PERICONDRIO, non la
troviamo né a livello delle placche epifisarie e né a livello delle cartilagini articolari.

Si riconosce abbastanza facilmente la cartilagine, si nota un'abbondanza di matrice in cui


sono dispersi dento le lacune i condrociti. Per questione di artefatto nella preparazione delle
sezioni i condrociti sembrano raggrinziti e sembrano occupare solo una parte centrale della
lacuna ma in realtà la occupano quasi completamente, ma siccome i fissativi non entrano
bene fino a dentro la lacuna le cellule non si fissano bene e risultano un po' contratte.

Nelle vie aree ricorre la cartilagine ialina perché ha un'importante funzione di evitare che
questo sistema di tubi attraverso i quali facciamo muovere l’aria eviti che questi tubi
possano collassare. Il collassamento della trachea piuttosto che della laringe o di altro
impedirebbe il passaggio di aria che non arriverebbe ai polmoni.
La cartilagine ialina a livello della trachea va a formare dei semi-anelli cartilaginei, quindi
anelli non completamente chiusi, non c’è in corrispondenza della parte di trachea che
confina all’esofago. In questo modo se l’esofago si allarga durante la deglutizione non
incontra l’ostacolo della struttura cartilaginea della trachea.
A livello delle articolazioni mobili ho di nuovo cartilagine ialina la quale è organizzata in
strati. A livello delle articolazioni mobili quindi come quelle tra le ossa lunghe la cartilagine
non presenta il pericondrio, quindi chi alimenta in questa sede la cartilagine? Ci pensa il
liquido sinoviale che in questa sede bagna la cartilagine ialina. Abbiamo detto che è
organizzata in strati:
1. STRATO TANGENZIALE O SUPERFICIALE: quello che dà verso la superficie libera.
Presenta condrociti abbastanza appiattiti e ovoidali.
2. STRATO INTERMEDIO: abbiamo condrociti più rotondeggianti e lo sono sempre più
man mano che si va verso lo strato più profondo
3. STRATO RADIALE O PROFONDO: i condrociti qui non solo sono rotondeggianti ma
sono anche particolarmente voluminosi, sono organizzati in gruppi e si dispongono a
dare delle colonne parallele. Con la senescenza la parte più profonda di questo
strato tende a calcificare e quindi si può parlare anche di unno strato calcificato.
La capacità di rigenerazione e di riparazione della cartilagine delle articolazioni, sempre con
il progredire dell’età, diventa sempre meno efficiente e sempre meno veloce per cui ci sono
varie problematiche di artrosi legate a questo aspetto. È una caratteristica proprio della
cartilagine ialina che con il passare degli anni possa andare incontro a calcificazione,
processo che non si verifica in altri tipi di cartilagine.

PERICONDRIO

La cartilagine ialina è dotata di pericondrio, è inguainata da questo tessuto connettivo di


tipo denso che lo rifornisce e quindi la mantiene in forma. La rifornisce di ossigeno, nutrienti
e cellule nuove perché all'interno del pericondrio troviamo degli elementi cellulari che
possono proliferando dare origine a nuove cellule cartilaginee. Il pericondrio presenta due
diverse lamine, una lamina cellulare interna che è quella che confina con la cartilagine e
viene anche definita CONDROGENICA. Viene definita così perché è qui che ci sono delle
cellule che prendono il nome di CONDROBLASTI che sono i precursori dei condrociti. I
condroblasti sono piuttosto appiattiti e disposti in modo parallelo rispetto al margine della
cartilagine. Sotto la lamina cellulare abbiamo la lamina fibrosa, costituita principalmente di
collagene di tipo I e di elastina.

CARTILAGINE ELASTICA

Già dal nome ci immaginiamo che abbia proprietà di elasticità e che sia ricca di fibre
elastiche. Questa cartilagine è abbastanza simile alla cartilagine ialina, ma presenta una
minore quantità di matrice extracellulare, in particolare ha una minore quantità di sostanza
fondamentale. Inoltre rispetto alla MEC della ialina ha fibre elastiche di cui è
particolarmente ricca le quali vanno a costituire una trama abbastanza fitta. La cartilagine
elastica è sempre delimitata dal pericondrio ed è limitata come distribuzione ad alcune sedi
anatomiche in cui è particolarmente importate che ci sia la caratteristica di elasticità, la
troviamo a livello dell’orecchio, in particolare in componenti dell’orecchio esterno: il
padiglione auricolare, il meato acustico esterno e anche nelle tube di Eustachio le quali
collegano l’orecchio con la faringe. Abbiamo cartilagine elastica nell’epiglottide, struttura a
forma di foglia che deve essere elastica perché si muove per poter gestire il traffico di cosa
deve andare verso i polmoni e cosa deve andare verso l’apparato digerente. La troviamo
anche nella laringe. La caratteristica dell’elasticità è mantenuta per tutta la vita grazie al
fatto che la cartilagine elastica non va incontro a calcificazione durate la senescenza.

CARTILAGINE FIBROSA O FIBROCARTILAGINE


Questa rispetto agli altri due tipi di cartilagine è quella che se ne differenzia maggiormente,
pur avendo alcuni tratti in comune. Le fibre preponderanti sono di collagene di tipo I, è
presente anche quello di tipo II. A differenza della ialina il collagene si organizza a dare dei
fasci piuttosto grossi che possono essere facilmente visibili (come si deve dall’immagine) alla
microscopia ottica. A fronte di questa rilevante quantità di collagene di tipi I abbiamo una
minore quantità di proteoglicani, gli aggrecani sono 6 volte meno abbondanti nella
fibrocartilagine rispetto alla cartilagine ialina. La presenza di una minore quantità di
proteoglicani nella sostanza amorfa fa sì che ci sia una minore quantità di acqua, dato che
sono molecole molto idrofile. Questo dà anche una compattezza, consistenza diversa. I
condrociti si trovano in questa cartilagine o isolati o allineati in fila parallelamente all’asse
principale, longitudinale delle fibre collagene. Oltre ai condrociti è possibile rinvenire anche
qualche fibroblasto. La cartilagine fibrosa non è mai rivestita di pericondrio ma è sempre
associata strettamente a un tessuto connettivo di tipo denso tanto che a volte è difficile
capire dove finisce la c. fibrosa e dove inizia il tessuto connettivo denso a cui è associata e
che la rifornisce e la nutre. La cartilagine fibrosa si trova solo in particolari distretti del
corpo, quelli che sono soggetti a un’intesa sollecitazione in cui è quindi importante che ci sia
questa ricchezza di fibre collagene.
La sede più nota è quella dei dischi intervertebrali i quali sono costituiti da un anello detto
Anulus fibrosus ed è questo che è fatto di fibrocartilagine. Questo anello avvolge una parte
centrale chiamato Nucleo polposo, questo nucleo che è molto idratato dà resistenza alla
compressione. Mentre l’anulus fribrosus dà resistenza alla trazione.
Troviamo la cartilagine fibrosa anche a livello della sinfisi pubica la quale è un’articolazione
fissa che collega due elementi ossei del pacino. La troviamo a livello dei menischi e di
diverse inserzioni sia dei tendini che dei legamenti.

Come si presentano?
La cartilagine ialina presenta il pericondrio
esterno (indicato in foto con l’asterisco), al di sotto abbiamo la cartilagine vera e propria in
cui riconosciamo la presenza di condrociti spesso organizzati in gruppi che sono accolti nelle
lacune e dispersi in una matrice extracellulare piuttosto abbondante. La matrice presenta
diversi gradi di basofilia e caratteristiche tintoriali diverse a seconda che sia la matrice peri-
cellulate, interterritoriale o territoriale, lo possiamo notare:

Si nota una parte più scura attorno al singolo condrocita,


singola lacuna che è la matrice peri-cellulare. La parte intorno (l’alone) che è comunque
scura ma non come quella intorno al condrocita è la matrice territoriale e infine la parte che
appare di un altro colore è la matrice interterritoriale, dove non c’è più basofilia ma tende
ad esserci acidofilia dovuta alla grande presenza di collagene di tipo II.
Si nota subito, rispetto alla cartilagine ialina,
la presenza condrociti che sembrano più numerosi e anche più ravvicinati questo perché c’è
una minore quantità di matrice extracellulare. La caratteristica è che questa MEC presenta,
oltre al collagene II, molte fibre di tipo elastico. La cartilagine elastica è sempre avvolta dal
pericondrio.

Notiamo la presenza di condrociti che


sono allineati in file tra i fasci che decorrono con lo stesso andamento di fibre collagene di
tipo I. Visto che ci sono questi grossi fasci di fibre collagene abbiamo una MEC acidofila. In
questo tipo di cartilagine non c’è il pericondrio.
Come si accresce la cartilagine?

Ha possibilità di accrescimento e lo può attraverso due modalità:

− ACCRESCIMENTO PER APPOSIZIONE

Questo tipo di accrescimento avviene dalla periferia, quindi alla periferia del t. cartilagineo e
avviene grazie a quell’attività di proliferazione, di differenziamento delle cellule progenitrici
che si trovano nel pericondrio. Quindi dal pericondrio, per attività di queste cellule, si
vengono a formare nuovi condroblasti i quali produrranno matrice extracellulare e dalla
periferia si avrà un aumento del numero di cellule di matrice e quindi un accrescimento
complessivo del tessuto cartilagineo.
− ACCRESCIMENTO INTERSTIZIALE

Questo accrescimento avviene dall’interno del t. cartilagineo ad opera dell’attività mitotica


dei condrociti stessi. I condrociti mantengono una certa capacità di proliferare e quindi
all’interno della propria lacuna il condrocita si divide per mitosi e dà origine a due condrociti
che stanno inizialmente nella stessa lacuna. I due condrociti secernono poi nuova matrice
che tenderà a distanziare l’una dall’altra le due cellule neoformate, quindi c’è proprio
un’espansione, un allargamento della matrice dall’interno. Questo tipo di accrescimento è
quello principale che si osserva sia a livello delle cartilagini metafisarie che di quelle
articolari.

TESSUTO OSSEO

La caratteristica di questo tessuto è di essere un tessuto mineralizzato, la sua MEC è


mineralizzata quindi ha una consistenza piuttosto dura, compatta grazie alla quale svolge
delle funzioni meccaniche ma anche di tipo metaboliche. Il tessuto osseo è il più grande
deposito di calcio e di fosfato, impegnati sottoforma di cristalli ma che da lì possono essere
smobilitati, sottoforma di ioni, e immessi nel torrente circolatorio. Quindi dal gioco di
deposizione di matrice ossea e di smantellamento di matrice ossea di riassorbimento, che
sono controllati a livello ormonale, a livello endocrino, ho l’omeostasi del calcio all’interno
dell’organismo. NON è un tessuto statico ma è un tessuto piuttosto dinamico e plastico, nel
senso che è in grado di reagire, di rispondere e di modificarsi in base alle sollecitazioni
meccaniche che gli arrivano. Svolge una serie di funzioni, prima di tutto lo conosciamo come
il tessuto che costituisce le ossa (ossa= non sono altro che delle leve, un sistema di leve, che
di per sé non si muovono. Si muovono grazie al fatto che su di esse si inseriscono i muscoli
che sono in grado di farle muovere, consentendo i movimenti sia di una parte del corpo
rispetto a un’altra sia nel complesso dell’organismo nello spazio).
Il piano strutturale di tutti i vertebrati è quello di avere un endoscheletro quindi uno
scheletro osseo interno sopra al quale si collocano i muscoli (a differenza degli invertebrati
che hanno un esoscheletro ovvero uno scheletro esterno, al di sotto del quale si inseriscono
i muscoli). Il tessuto osseo ha il compito di sostenere le strutture molli e di proteggere gli
organi molli, in particolare gli organo più importanti dell’organismo es. Ossa del cranio che
proteggono l’encefalo, gabbia toracica che protegge il cuore ecc...
Il tessuto osseo è anche il luogo in cui si accumulano importanti fattori di crescita e di
differenziamento. Ospita il midollo osseo sia il midollo osseo rosso che ha funzione
emopoietica quindi di produzione delle cellule del sangue e anche del midollo osseo giallo il
quale è un’altra sede in cui si trova il tessuto adiposo bianco. Svolge attività endocrina
quindi abbiamo questa proteina prodotta esclusivamente dal tessuto osseo che prende il
nome di osteocalcina. L’osteocalcina è vitamina k-dipendente e che fa un sacco di cose
diverse a seconda che sia nella sua forma carbossilata o sia nella sua forma non carbossilata.
Nella forma carbossilata ha effetto proprio a livello delle ossa e del t. osseo dove
contribuisce al sequestro del calcio e va regolare l’attività di un particolare tipo di cellule:
osteoclasti. Quando l’osteocalcina è non carbossilata, tramite il torrente circolatorio, lascia il
t. osseo e va raggiungere delle cellule bersaglio in altre sedi come le cellule beta del
pancreas, gli adipociti del tessuto adiposo, come le cellule di Leyding nel testicolo e va a
stimolare in queste cellule la produzione dei loro ormoni.
Il tessuto osseo è fatto per il 75% di una componente minerale sia in una forma poco
cristallizzata sia in una forma completamente cristallizzata cioè a dare dei nanocristalli di
idrossiapatite, che è fondamentalmente fosfato di calcio. Questi nanocristalli sono attorniati
da un guscio di idratazione quindi una parte in cui gli ioni calcio-fosfato solo legati in modo
labile e possono facilmente allontanarsi dalla matrice, diffondere e raggiungere il torrente
circolatorio. Abbiamo un 5% di acqua e un 20% di fase organica, questo 20% andando nel
dettaglio è costituito per la maggior parte di collageni (il 90% della componente organica è
di collagene, soprattutto di tipo I, ma sono presenti anche quelli di tipo V, III, XI, XIII
importanti soprattutto per stabilizzare anche la conformazione del collagene di tipo I. I
collageni conferiscono all’osso la resistenza alla trazione, gli danno anche resistenza, rigidità
ma allo stesso tempo anche una capacità abbastanza elastica. I nanocristalli di idrossiapatite
vanno a formarsi lungo l’asse principale delle fibre collagene. Abbiamo anche un 10% di
molecole che non sono collagene che sono rappresentate da GAG, proteoglicani e varie
proteine che sono glicosilate e non. Le molecole non collageniche hanno un importante
ruolo di regolazione. I GAG maggiormente presenti sono i condroitin-solfati e i cheratan-
solfati che sono i responsabili dell’idratazione. Per quanto riguarda i proteoglicani abbiamo
la decorina che va a regolare la formazione delle fibrille collagene e il biglicano che è
coinvolto nel processo di mineralizzazione della matrice. Tra le proteine abbiamo
l’osteocalcina, l’osteonectina che favorisce l’adesione dei cristalli di idrossiapatite alle fibre
collagene e che proprio per questo ha un ruolo di favorire la mineralizzazione.
*nell’immagine dove troviamo (+) vuol dire che ha un ruolo pro, dove vediamo (-) vuol dire
che limita il processo di calcificazione e mineralizzazione.
L'osteopontina va a favorire l’adesione alla matrice degli osteclasti ha un ruolo che va a
inibire, limitare la calcificazione. Stessa cosa la fa la proteina Gla della matrice che troviamo
non solo nel t. osseo ma anche in altri tessuti ad esempio quello cartilagineo. Il processo di
mineralizzazione è abbastanza complesso e lungo in cui intervengono diversi fattori come le
fibre collagene, le vitamine (la vitamina D in particolare), intervengono i livelli di fosfato o di
pirofosfato con azioni che possono essere, a seconda di cosa si parla, di favorirla o di inibire
la mineralizzazione.
La componente cellulare prevede una serie di cellule:
• Cellule endostali e periostali: le prime si trovano nell’endostio e le seconde nel
periostio (guaine che avvolgono internamente e esternamente l’osso). Queste sono
cellule osteoprogenitrici ovvero cellule dalla cui attività mitotica si generano nuovi
osteobalsti.
• Osteoblasti: sono cellule attive nella produzione della matrice. Producono
inizialmente una matrice che viene chiamata osteoide che non è mineralizzata, solo
successivamente viene a calcificarsi. Gli osteoblasti hanno il compito non solo di
deposizione della matrice osteoide ma anche di trasformazione di questa matrice da
osteoide in matrice calcificata. Una volta che gli osteoclasti sono rimasti intrappolati
nella matrice calcificata si trasformano in osteociti.
• Osteociti: non sono liberi in mezzo alla matrice calcificata ma sono alloggiati dentro
cavità chiamate lacune ossee. Gli osteociti sono però in contatto tra di loro tramite
lunghi prolungamenti che viaggiano all’interno di canalicoli. Vanno così a creare una
rete, dove si congiungono ci sono delle giunzioni di tipo Gap. Dentro questi canalicoli
non viaggiano solo i prolungamenti ma anche dei vasi e dei nervi. Gli osteociti sono
responsabili del rimodellamento osseo sulla base delle sollecitazioni meccaniche che
ricevono.
Queste cellule hanno tutti nomi diverse e collocazioni particolari ma in realtà sono tutti
riconducibili allo stesso tipo di cellula ma che è in stadi funzionali diverse.
Abbiamo un tipo di cellula completamente diversa dalle altre: Osteoclasti. Questi fanno un
po' un lavoro contrario a quello degli osteoblasti, sono impegnati nel demolire la matrice
ovvero nel cosiddetto rimodellamento osseo.

Gli osteoclasti originano dalla linea monocita-macrofagica (sono infatti un tipo molto
specializzato di macrofagi). Hanno 2 caratteristiche proprie dei macrofagi: la mobilità per
andare a livello delle ossa dove occorre il riassorbimento e la capacità di fagocitosi. Gli
osteoclasti svolgono due attività:
1) Solubilizzare/ dissolvere i cristalli di idrossiapatatite
2) Digerire la matrice extracellulare
Per fare queste due attività presentano delle caratteristiche morfologiche molto peculiari.

Presenta delle dimensioni maggiori rispetto alle altre cellule, ha un diametro che raggiunge
anche i 100 micron. È una cellula multinucleata (si vede nell’immagine in basso a destra, a
maggior ingrandimento), può contenere da 3 a 20 nuclei. Possiede un sacco di vescicole che
gli danno un aspetto vescicoloso, queste vescicole contengono gli enzimi proteolitici che
servono per digerire la MEC o anche parte dei prodotti della digestione della matrice ossea e
un sacco di lisosomi che sono i produttori di questi enzimi e che si fondono con la parte di
matrice internalizzata per poterla digerire. Ci sono delle regioni della membrana degli
osteoclasti che sono chiamate zone chiare ricche di filamenti di actina e sono le zone in cui
l’oteoclasto aderisce in mod intimo con la matrice ossea grazie anche all’aiuto
dell’osteopontina che fa da ponte. A livello apicale presenta un orletto a spazzola che è
rivolto verso lo spazio della lacuna di riassorbimento dove l’osteoclasto è chiamato ad
effettuare la digestione e riassorbimento del tessuto osseo. A livello di questo orletto a
spazzola vengono lirati protoni H+ i quali vengono espulsi nella zona apicale e vanno ad
abbassare il pH a livello della lacuna di riassorbimento. In questa lacuna vengono liberati
anche gli enzimi proteolitici come le catepsine prodotte dai lisosomi e le metalloproteasi
responsabili della dissoluzione dell’idrossiapatite che quindi viene smantellata nei suoi
costituenti: ioni calcio e ioni fosfato. Questi ioni vengono portati all’interno degli osteoclasti
attraverso delle vescicole, qui possono essere accumulati sia a livello del reticolo
endoplasmatico sia a livello dei mitocondri. Il destino delle vescicole che contengono ioni
calcio e ioni fosfato è di attraversare l’osteoclasto e di essere liberate dal versante baso-
laterale della cellula nella matrice extracellulare per poi finire all’interno dei vasi e andare a
modificare i livelli ematici di calcio e di fosfato. Quindi avviene un processo che viene
chiamato di transcitosi.
Tutti questi processi sono riassunti qui:

Gli idrogenioni H+, che vengono pompati per abbassare il pH nella lacuna di riassorbimento,
provengono dalla reazione dell’anidride carbonica con l’acqua che grazie alla anidrasi
carbonica danno acido carbonico che si scinde in H+ e HCO3.
Immagine al microscopio elettronico di un osteoclasto che ci permette di vedere la parte di
uno dei nuclei, la grande ricchezza di mitocondri e lisosomi, la presenza nel polo apicale
dell’orletto a spazzola che si affaccia sulla lacuna di riassorbimento. Quello indicato con B è
l’osso.

TIPI DI TESSUTO OSSEO


Tessuto osseo non lamellare detto anche primario o immaturo, caratterizzato da una scarsa
mineralizzazione e quindi è meno resistente e più elastico. Viene definito primario o
immaturo perché è il primo che si forma durante lo sviluppo dei mammiferi, quindi lo
troviamo a livello embrionale e fetale. Nell'adulto è poco rappresentato perché viene
sostituito da quello lamellare, permane in alcune zone di inserzione sia tendinee che
legamentose e si trova anche dove c’è deposizione di nuovo tessuto osseo (ad esempio dove
c’è stata una frattura dell’osso). Normalmente costituisce lo scheletro anche nell’adulto nei
rettili e anfibi.
Tessuto osseo lamellare detto anche secondario o maturo presenta una MEC molto più
mineralizzata organizzata in sottili strati dette lamelle (da qui il nome lamellare). È quello
che prevale nello scheletro dei mammiferi quando sono adulti e presenta due sotto tipo:
spugnoso e compatto.

Il tessuto osseo compatto è molto omogeneo e privo di cavità. L'elemento prevalente è


l’osteone che è un sistema concentrico attorno ad un canale centrale detto canale di Havers
dove scorrono vasi e nervi.
Non abbiamo solo l’osteone ma anche tutta una serie di sistemi che sono i sistemi
fondamentali, quello esterno subito sotto al periostio e quello interno sotto all’endostio. Fra
i sistemi fondamentali interni e esterni si trovano i vari osteoni e anche delle lamelle
interstiziali che altro non sono ciò che rimane dal rimodellamento degli osteoni. Ogni
osteone ha il suo canale centrale di Havers e i vari canali sono collegati trasversalmente d a
altri canali che prendono il nome di canali di Volkmann.

È interessante per capire la capacità delle ossa di sopportare le varie sollecitazioni


meccaniche come sono disposte le fibre collagene nelle lamelle dell’osteone. In ogni lamella
le fibre decorrono parallelamente con un andamento elicoidale ma quelle di una lamella
hanno un andamento opposto rispetto a quella della lamella successiva.
Il tessuto osseo spugnoso presenta una serie di sbarrette di lamine ossee che individua delle
cavità numero più o meno ampie in cui l’unità morfologica e funzionale è costituita dalla
trabecola, in cui le lamelle ossee formano una struttura tridimensionale (a nido d’ape) con
spazi che accolgono o vasi sanguigni o midollo osseo.

Le ossa vengono suddivise in:

• Ossa lunghe: dove prevale la dimensione della lunghezza


• Ossa brevi: lunghezza e larghezza sono simili (carpo e tarso)
• Ossa piatte (calotta cranica, sterno, coste, scapola)
• Ossa irregolari (ad esempio quelle delle vertebre)

Le ossa lunghe sono tipicamente formate da delle parti slargate all’estremità che prendono
il nome di epifisi e da una parte centrale più stretta chiamata diafisi. Le epifisi sono
costituite da t. osseo sugnoso circondato da un sottile strato di t. osseo compatto. Nelle
cavità dell’osso spugnoso dell’epifisi troviamo midollo osseo rosso emopoietico. Nella diafisi
quasi tutto l’osso è costituito da t. osseo compatto anche se nella parte centrale c’è una
sottilissima parte di t. osseo spugnoso. La cavità centrale della diafisi nell’adulto ospita
midollo osseo giallo.
Le ossa brevi sono per la maggior parte costituite da t. osseo spugnoso ricoperto da una
piccola parte di t. compatto.
Le ossa piatte sono formate dai due strati esterni costituiti da t. osseo compatto e quello
interno da t. osseo spugnoso. Le ossa craniche hanno il tavolato esterno e interno che sono
le due porzioni di t. osseo compatto e in mezzo la diploe di t. osseo spugnoso.

Le ossa hanno dei rivestimenti:

• Esterno: periostio, il quale è formato da due strati uno strato fibroso esterno dove
troviamo collagene e fibroblasti e uno strato interno detto cambiale dove si trovano
le cellule periostali che sono osteogeniche.
• Interno: endostio, è formato da un solo strato contente numerose cellule endostali
sempre osteoprogenitrici.
I rivestimenti servono a nutrire e a generare nuovi osteoblasti quindi servono al rinnovo.
Processo di formazione delle ossa detto ossificazione o osteogenesi, avviene in maggior
parte durante lo sviluppo embrionale ma che continua anche nella vita post natale.
Questo processo può essere di due tipi:

• Endocondrale o indiretta: in cui il t. osseo si forma partendo da un modello


cartilagineo preesistente che viene eliminato e sostituito dal tessuto osseo. Si chiama
indiretta per evidenziare che si parte dal tessuto mesenchimale il quale dà origine al
t. cartilagineo e questo si trasforma in t. osseo. Si formano così tutte le ossa di
sostegno.
• Intramembranosa o diretta: si ha quando il t. osseo si forma direttamente dalle
cellule mesenchimali che proliferano e si differenziano dando origine agli osteoblasti.
Così si formano tutte le ossa non di sostegno.
ISTOLOGIA lezione 28/11/2022

IL SANGUE

Oggi parleremo del sangue. Un ulteriore tessuto connettivo che corrisponde al tessuto connettivo
specializzato, talmente specializzato da farci perdere quasi la direzione nel comprendere che è un
tessuto connettivo. Vedremo come il sangue è composto, comprendendolo. Parleremo della parte
liquida (plasma), degli elementi corpuscolati e le caratteristiche cellulari e funzioni specifiche.
Il sangue appartiene alla grande categoria dei tessuti che sono i connettivi, che come è stato
detto in precedenza ricoprono una grande parte di informazione delle funzioni del nostro organismo.
In quanto tessuto connettivo origina dal mesenchima, come tutti gli altri tessuti connettivi, il sangue
in particolare è un tessuto connettivo specializzato e liquido.
Ora facciamo un accenno al sistema vascolare
Il sistema vascolare o sistema circolatorio ematico è rappresentato da una sorte di rete costituita
da dei vasi emativi dentro cui il sangue scorre, messo in moto da una pompa deputata a muovere
questo fluido che è il cuore. All’interno di questo sistema cardiovascolare, il sangue scorre
attraversando le arterie che originano dal cuore e muovono il sangue verso la periferia. Da queste
arterie il sangue giunge nella periferia e sarà raccolto in un sistema vascolare detto di vene. Le vene
riportano il sangue verso il cuore. Il sangue circola all’interno di questo sistema completamente
chiuso, non si apre mai eccetto in alcune situazioni anatomiche particolari come ad esempio
potrebbe essere la milza. All’interno di questo sistema svolge innumerevoli funzioni necessarie
per mantenere l’omeostasi dell’organismo. Noi per omeostasi si intende una situazione di
equilibrio tra una condizione fisiologica e una condizione patologica.
LE FUNZIONI DEL SANGUE

Per mezzo del sangue è possibile trasportare una grande quantità di sostanze. In primis possiamo
ricordare i gas dentro i quali sono disciolti all’interno del sangue soprattutto l’ossigeno e l’anidride
carbonica. Inoltre grazie al sangue riusciamo a trasportare i nutrienti che saranno alimentati
dall’apparato digerente verso i tessuti. Dove saranno utilizzati dalle cellule , che produrranno delle
sostanze di rifiuto dei prodotti di scarto che saranno raccolte dal sistema sanguigno e trasportati
negli organi escretori. Inoltre ricordiamo che grazie al sangue sono veicolati una grande quantità di
enzimi e ormoni, molecole proteiche che riescono ad agire anche ben lontano dal loro sito di
produzione, per esempio gli ormoni della tiroide che agisce sugli organi di bersaglio ben distinti.
Il sangue, inoltre, svolge un’importante funzione di regolazione, ovvero grazie alle componenti
in esse disciolte il sangue agisce da fattore in grado di regolare il ph del nostro corpo. Il sangue di
per se ha un ph di valore fisiologico intorno a valori compresi tra 7,35-7,4. H a un ph neutro .
Questo effetto di tampone è esercitato da una grande quantità di proteine, che sono trasportati
all’interno di questo sistema. È possibile distribuire la temperatura corporea all’interno di tutti i
distretti. A seguito di una corsa risultiamo accaldati, grazie al sangue e alla vasodilatazione
periferica, cosicché questo calore può essere disperso per mezzo della superficie transcutaneo il
sangue esercita un ruolo nel regolare le pressioni osmotiche e oncotica. Per pressione osmotica e
oncotica si intende la pressione idrostatica che è necessaria esercitare per contrastare il moto di un
solvente che da una soluzione meno concentrata passa a una soluzione più concentrata
attraversando una membrana semipermeabile. La forza necessaria che bisogna applicare è la
pressione osmotica, oncotica. Questo è possibile perchè nel sangue sono disciolti numerosi sali(per
esempio:NaCl) nella concentrazione di 0.95 % in peso di NaCl rappresenta una situazione
fisiologica e le proteine, queste proteine agiscono come mezzo, in grado di richiamare liquidi dai
tessuti oppure ne permettono la cessione. Inoltre il sangue svolte importante funzione di protezione,.
Grazie al sangue sono possibili tutti i processi, della coagulazione del sangue, sistema che evita la
perdita di sangue a seguito di un danno vascolare. all’interno del sangue sonio comprese tutte le
componenti del sistema immunitario innato e adattativo, rappresentato dai globuli bianchi e proteine
ematiche(Anticorpi , interferoni, sistema complemento).

IL
SANGUE
il sangue
è un
tessuto
specializz
ato e
fluido il
cui ph si
aggira
intorno a
7,4.
Risulta
essere per
via della
sua composizione più viscoso , più denso dell’acqua.

Risulta
essere più
denso in
quanto in
esso sono
presenti i
corpuscol
i ma
soprattutt
o le
proteine
plasmatic
he. Tutti
quanti abbiamo effettuato un prelievo del sangue per studiare la composizione del sangue sappiamo
che il sangue è prelevato all’interno della provetta in presenza di opportuni coagulanti in grado di
inattivare il sistema della coagulazione del sangue se posto all’interno di una centrifuga questo si
divide in due frazioni: una parte superiore liquida e una parte inferiore corpuscolata. La parte
superiore liquida prende il nome di plasma. La parte inferiore prende il nome di ematocrito.
ATTENZIONE! Perché questa definizione di ematocrito varia a seconda che si usi in ambito
clinico o meno. Quindi possiamo definire come valore di ematocrito il volume percentuale
della componente corpuscolata, compresa di una frazione biancastra e leucociti e piastrine
detta BUFFYCOAT , ed una frazione più importante in termini di volume degli eritrociti i
glubuli rossi.

Quindi
il
sangue
sarà
costituit
o da
elementi
corpusc
olati i
globuli
rossi,
glubuli
bianchi
e le
piastrine,
e una
frazione
liquida ovvero il plasma. Facendo riferimento ai tessuti connettivi vediamo la natura del sangue in
quanto tessuto connettivo, ovvero che presenta una matrice extracellulare prevalentemente liquida
in cui sono disciolte alle componenti proteine enzimatiche, il plasma e una componente cellulare
appunto di elementi corpuscolati .
Vediamo quindi che il sangue rappresenta circa l’8% del peso corporeo. A seconda della stazza e
del sesso, il sangue sarà corrispondente a 5-6 litri di sangue per persona. La frazione prevalente
all’interno del sangue è dovuta al plasma che rappresenta il 55% del suo volume, il quale è
composto prevalentemente di acqua disciolte in esso proteine dette proteine plasmatiche,altri
sali,sostanze regolatrici, gas, sostanze di rifiuto e la frazione corpuscolata al 45% composta
prevalentemente di globuli rossi, eritrociti al 99% e in minore quantità globuli bianchi e piastrine
1%.

IL PLASMA
rappresenta il 45% del volume del sangue e gran parte di esso è composto da acqua. Al suo
interno sono contenuti elettroliti, di cui è importante NaCl, , nutrienti che sono veicolati grazie al
sangue raccolti al livello dell’apparato digerente e distribuiti all’interno dell’organismo, rifiuti
organici, ma anche proteine plasmatiche al 7%. Il plasma è colui che nell’ambito del sangue svolge
la funzione omeostatica precedentemente detta. Ovvero che grazie al sangue è possibile esercitare la
funzione tampone, di mantenimento al livello costante del ph sanguigno a un valore di circa 7.4 per
via delle proteine in esso disciolte. Regola anche la movimentazione di liquida verso i tessuti per
mezzo della pressione oncotica, cosi come quella osmotica grazie ai sali. Infine è il responsabile
della coagulazione per via della presenza dei fattori della coagulazione in esso disciolti.
Per studiare le proteine del sangue possiamo effettuare un saggio che prende il nome di saggio
elettroforetico. Immagine bicchiere.
In questa immagine è mostrata la cromatografia su strato sottile. In questa vediamo un cartoncino
sul quale è deposto una piccola goccia di colore e per effetto di interazione tra colore e acqua
presenti sulla carta i pigmenti si risolvono nelle varie frazioni. Avviene una separazione in
particolare per studiare la composizione delle proteine del plasma si usa la tecnica elettroforesi,
separazione delle proteine per mezzo di un campo elettrico foto.LA ELETTROFORESI è una
tecnica analitica che permette di separare particelle cariche grazie ad un campo elettrico. Le
proteine del plasma sono cariche di una carica negativa quindi migrano verso l’estremo anodico del
sistema elettroforetico, risolvendosi e separandosi in funzione della loro quantità di carica. Tanto
più sono cariche, più migrano. Si risolvano quindi in tre fazioni: una frazione di albumine, una
frazione di alpha globuline e una frazione beta globuline e infine una frazione di gamma globuline.
La frazione delle albumine è quella abbondante tra tutte le proteine plasmatiche. Le glubuline
rappresentano circa il 35% di tutte le proteine plasmatiche. All’interno di ogni frazione di globuline
sono comprese nelle varie frazioni le diverse componenti proteiche del plasma, tra cui molti enzimi,
per esempio quelli coinvolti nel processo della coagulazione(Antitripsina, protrombina,
eritropoietina, e la molecola di fibrinogeno, la quale una volta convertita sarà in grado di creare il
coagulo, o la transferrina o le apolipoproteine). Le apolipoproteine sono proteine chaperone in
grado di trasportare altre molecole e responsabili del trasporto degli acidi grassi, la trasferrina
invece trasporta il ferro.
GAMMA GLOBULINE dette anche immunoglobuline o anticorpi, abbreviate con il termine
Abantibody. La frazione più abbondante corrisponde all’albumina che rappresenta il 60% di tutte
le proteine plasmatiche.
l’albumina è la
responsabile della gran
parte dei meccanismi
osmotici di regolazione
esercitati dal sangue.
Regola e mantiene il ph
del sangue, in quanto
questa proteina per via
della presenza di
numerose istidine,
diviene un donatore di
cariche positive in caso di
alcalosi o cariche
negative in caso di acidosi. Inoltre la albumina per via della sua quantità all’interno del sangue è la
responsabile della regolazione della pressione oncotica cioè la proteina è in grado di richiamare
acqua all’interno del sangue. Questa proteina è prodotta prevalentemente dal fegato . Difatti nelle
persone soggette a cirrosi epatica si vede una perdita di acqua dal flusso ematico, determinando
l’addome gonfio e grasso( nell’alcolismo cronico), poiché appunto l’albumina non riesce a tirare
acqua all’interno del torrente circolatorio e va a depositarsi all’interno della cavità addominale.
Infine l’albumina agisce come molecola chaperone ( termine utilizzato per definire le proteine
trasportatrici in grado di trasportare molecole che solitamente sono insolubili quali acidi grassi, o i
derivati ormoni steroidei, esempio gli ormoni prodotti dalle ghiandole surrenali o dalla tiroide, o
anche le sostanze non solubili quali i farmaci). La bilirubina che è prodotta dalla degradazione della
emoglobina. La bilirubina non coniugata deve giungere al fegato dove sarà degradata in quanto di
per sé è tossica. Il fegato la degrada sotto forma di bile e la espellerà.

Le globuline, seconda frazione in termine


di percentuale tra le proteine plasmatiche.
Queste possono essere distinte in base al
peso, e in base alla carica in frazione alpha
beta e gamma. all’interno di questa
categorie svolgono le componenti di
proprietà enzimatica, di trasporto, e
svolgono la importante funzione
immunitaria (nella frazione delle gamma
globuline: anticorpi che attaccano proteine,
più in generale, agenti estranei riconosciuti
dal nostro organismo come non-self,
ovvero diversi da noi stessi)

IL fibrinogeno. Questa proteina sebbene poco


rappresentata è la proteina più grande tra tutte con un
peso molecolare di circa 350 Kdalton, e svolge un
importante ruolo nel processo coagulativo, al termine
del quale sarà convertito in fibrina una molecola
appiccicosa insolubile in grado di legare tutti gli
elementi corpuscolari e di formare quindi il coagulo.
Il coagulo interrompe la perdita di sangue.
Inoltre all’interno delle proteine plasmatiche non possiamo non parlare delle proteine del sistema
del complemento. Questo sistema del complemento ,insieme agli anticorpi, corrispondono ad un
essenziale del nostro sistema immunitario in particolare della DIFESA UMORALE, difesa dovuta a
fattori solubili contro agenti infettivi , più in generale patogeni. Questo sistema di difesa umorale,
consta di un gruppo di circa 30 proteine circolanti all’interno del sangue prodotte dagli epatociti del
fegato, questa grossa ghiandola è in grado di produrre le proteine del sistema del complemento che
prenderanno il nome di complementi. E si attivano a seguito del riconoscimento interazione con
l’anticorpo o con il patogeno a seguito della loro attivazione andranno a espletare le attività proprie
del sistema e del complemento secondo differenti modalità:
1. andranno a creare dei pori sulla superficie dei
loro target, cellule per esempio tumorali, batteri
o virus, determinando la loro lisi;
2.collaborerano nel processo di opsonizzazione
(riconoscimento di un particolare patogeno che
viene marcato, e che in seguito grazie ai
macrofagi e ai neutrofili verrà fagocitato ed
inglobato per essere digerito e degradato)
3.Inoltre il sistema del complemento partecipa
alla attivazione e al potenziamento dei processi
infiammotori, processi necessari per il reclutamento di cellule immuno competenti,cioè in grado di
esercitare la funzione immunologica propria quali i macrofagi, linfociti B e linfociti T.
4.infine agiscono controllando, rimuovendo gli immunocomplessi aggregati molecolari di
antigene legato ad un anticorpo, che in quanto marcato dall’anticopro dovrà essere degradato perché
riconosciuto come non- self.

IL SISTEMA DEL COMPLEMENTO.

Il sistema del complemento segue il sistema


detto a cascata, che vede l’ attivazione
sequenziale dei vari componenti che
normalmente circolano all’interno del sangue
in forma inattiva. Evento scatenante
l’attivazione del sistema del complemento sarà
il riconoscimento dell’agente patogeno. A
seconda della modalità con cui il
riconoscimento avviene si distinguono tre vie
di attivazione. La via di attivazione
CLASSICA che vede il riconoscimento
patogeno da parte dell’anticorpo a seguito di
questo evento un fattore di questo evento riconosce il complesso antigene anticorpo e attiverà un
cascata di eventi. La via classica rientra nell’ambito di immunità acquisita. Ovvero che riesce a
difendere in modo specifico l’organismo.
Avremo poi una via di attivazione LECTINICA, che invece vede il riconoscimento del patogeno per
via della presenza della membrana del patogeno dove sono conservati carboidrati il mannosio, che
sarà riconosciuto da una proteina la lectina. Si forma un complesso lectina mannosio che viene
risocnosciuto e attiverà il complemento.
La terza via ALTERNATIVA che si attiva in presenza di lipopolisaccaridi, grassi legati a molti
zuccheri. Pertanto visto il riconoscimento aspecifico del patogeno sfruttato nella via alternativa e
lectinica queste due vie rientrando nell’ambito di risposta immunitaria innata. La prima immunità
acquisita.

STUDIO DEGLI ELEMENTI FIGURATI DEL SANGUE


Per studiare gli elementi figurati del sangue possiamo fare lo STRISCIO DI SANGUE. Preleviamo
una piccola goccia di sangue la poniamo su un vetrino grazie ad un altro vetrino effettuiamo lo
striscio, che poi sarà colorato per mezzo di un colorante quale il MAY-GRUNWALD GLEMSA
cioè una mistura di eosina e glutimetilene.
Grazie a questa colorazione si distingue le caratteristiche morfologiche di forma. Riusciremo a
distinguere gli elementi figurati del sangue quali:

Grazie a questa colorazione si distigue le caratteristiche morfologiche di forma. Riusciremo a


distinguere gli elementi figurati del sangue quali: i globuli rossi o eritrociti, le cellule
bianche(non hanno il pigmento all’interno) distinte in sottotipi differenti ( neutrofili, basofili,
monociti linfociti, eusofili) e infine piccoli frammenti cellulari quali le piastrine. Una cosa che è
importante ricordare è che tutti questi elementi corpuscolati sfruttano il sistema cardiocircolatorio
come una autostrada, ovvero viaggiano all’interno del sistema cardiocircolatorio per tutto il nostro
organismo però, gli eritrociti e le piastrine svolgeranno le loro funzioni e permeranno per tutta la
loro vita sempre all’interno del distretto vascolare senza mai abbandonarlo.
I leucociti al contrario sono in grado di migrare ed extravasare( uscire fuori dal vaso) nei tessuti,
dove andranno a svolgere le funzioni immunitarie proprie di difesa dell’organismo.

Tutti i corpuscoli hanno un tempo di vita limitato , al termine del quale saranno distrutti all’interno
degli organi emocateretici di degradazione dei componenti ematologici. Questi organi
emocateretici saranno la milza e il fegato. Di pari passo alla distruzione si procedere al
rinnovamento e riproduzione di nuovi elementi corpuscolati che avviene all’interno degli organi
emopoietici.
Tra gli organi emopoietici bisogna ricordare il midollo osseo, che è un tessuto. Il midollo osseo è
accolto nelle cavità midollari delle ossa dello scheletro assile ( ossa lunga, ossa piatte, ossa del cinto
toracico e pelvico) all’interno di queste ossa c’è il midollo osseo. Il midollo osseo ha un stroma di
sostegno, un ‘impalcatura sul quale si organizzano in cordoni emopoietici le cellule staminali
emopoietiche. Le cellule staminali sono responsabili della produzione di tutti gli elementi
corpuscolari. Lo stroma di sostegno è composto di un tessuto connettivo reticolare, e fibre
collagene che sostiene un impalcatura di cellule staminali emopoietiche i macrofagi, le cellule
adipose e le sinusoidi. I sinusoidi sono piccoli capillari venosi permeabili al passaggio delle cellule,
quindi rappresentano la via di accesso per le cellule ematiche neonate all’interno del sangue. Grazie
a questi sinusoidi le cellule ematiche riescono ad entrare all’interno del corrente circolatorio.

Ci sono due tipi di midollo osseo: midollo osseo rosso e midollo osseo giallo. La distinzione
principale sta nel fatto che il midollo osseo rosso corrisponde al midollo osseo funzionalmente
attivo, di intensa attività proliferativa, dove ci sono una grande quantità di emazie( glubuli rossi)
con l’avanzare dell’ età il midollo osseo gradualmente riduce questa attività sintetica e si trasforma
in midollo osseo caratterizzato dall’accummulo di tessuto adiposo. Questi finché non avviene un
emorragia che è in grado di riattivare il midollo osseo giallo e farlo tornare nuovamente attivo sotto
forma di midollo osseo rosso.

EMOPOIESI
pertanto si può parlare di emopoiesi, il processo di produzione di tutti gli elementi corpuscolati del
sangue. Questo processo di emopoiesi è qui rappresentato.

Il processo di emopoiesi procede secondo delle fiere cellulari, le quali hanno come capostipite una
cellula staminale emopoietica pluripotente ovvero in grado di generare ognuna delle cellule del
sangue. La cellula staminale pluripotente emopoietica è leumocitoblasto che procede per divisioni
mitotiche successive che lo portano a differenziare a seguito della recezione di opportuni fattori di
crescita. A seguito della ricezione di questi stimoli,differenzia nelle cellule staminali emopoietiche
della: linea mieloide o limoide. Queste due cellule capostipite origineranno poi tutte le cellule; ad
esempio nella linea mielode l’eritrocita, le piastrine, le cellule bianche che compongono la
componente granulomonocitaria cioè basofili, eusofili, neutrofili e i monociti. Mentre la cellula
staminale emopoietica linfoide genera i linfociti che andremo a classificare come linfociti ,natural
killer B o T.
GLI ERITROCITI
Gli eritrociti sono anche detti globuli rossi o
emazie. Rappresentano la popolazione cellulare
ematica più numerosa. Il 95-99 % della totalità
delle cellule. Gli eritrociti dono piccoli
corpuscoli anucleati in quanto perdono il nucleo
nel processo differenziativo che si chiama
eritropoiesi.
Perdendo il nucleo non sono più in grado di effettuare sintesi proteica e mitosi. Gli eritrociti
accumulano
all’interno del loro citoplasma una grande quantità di emoglobina che va a comporre il 95% di tutte
le proteine citoplasmatiche all’interno del globulo rosso. Grazie all’emoglobina il globulo rosso
riesce ad adempiere alla funzione del trasporto di ossigeno e anidride carbonica. Per via della
perdita del nucleo e dei corpuscoli cellulare,l’eritrocita assume la forma tipica di un disco
biconcavo depresso al centro più sottile.L’eritrocita è molto piccola di 7 micron di diametro.
Nell’insieme questa forma assicura un elevato rapporto di superficie rispetto al volume rendendolo
quindi ideale per recepire e cedere l’ossigeno a cui è deputato per il trasporto. Infine questo profilo
sottile rende il globulo rosso particolarmente
agile ad essere deformato quindi lo rende
plastico in grado di ritornare alla forma iniziale
a seguito di una deformazione.

All’interno di uno spazio riesce a passare un


eritrocita. Nell’ attraversare questo spazio si
deforma per poi tornare nella forma iniziale
una volta abbandonato il capillare
questa potenzialità di deformabilità che ha il
globulo rosso è dovuta alla peculiare
organizzazione della membrana plasmatica che qui vediamo rappresentata.

LA MEMBRANA PLASMATICA ERITROCITA

La membrana
come tutte le
membrana ha l
doppio strato
fosfolipidico che è
rappresentato
nell’immagine
viola. La presenza
nella interfaccia
interna rivolta nel
bersante
citoplasmatico che
prende il nome di:
SCHELETRO DI
MEMRANA. Qui
rappresentato dall’insieme di filamenti giallo e rossi dovuti alle molecole di spectrina che si legano
in vari punti grazie a molecole di actina e anchirina la quale le ancora letteralmente alla membrana
plasmatica dell’eritrocita cosi da creare una sorta di struttura di tiranti corrispondente alla struttura
tendoplastica cioè in grado di rimanere distesa
da se. Assieme all’interno della membrana
plasmatica del eritrocita però sono presenti
anche altre molecole proteiche molto
importanti tra cui le glicoforine (proteine)
transmembrana.
Queste proteine in particolare C è una sialoproteina che vede il gruppo carbossilico C-
TERMINALE, dissociato. Libera idrogenioni H+ e rimane carico negativo. Per via della presenza
di una grande quantità di glicoforine le membrane si caricano di segno negativo. Questo è molto
utile specialmente quando gli eritrociti sono stipati all’interno di un capillare sanguigno dove gli
eritrociti carichi negativamente andranno a depellersi, si allontanano per effetto elettrostatico,
evitando la formazione di possibili trombi.
La funzione principale del globulo rosso è trasportare ossigeno, è esercitata grazie alla molecola di
emoglobina. L’emoglobina conferisce il colore rosso, brillante quando il sangue è ossigenato . È
una proteina tetra medica, una proteina composta di 4 sub unità cioè, due catene globulari associate
a due a due,come in figura. Vediamo le due catene globulari (colore viola) e due catene globulari
associate a due a due. Ognuna di queste globulari a suo centro vede un gruppo non proteico, una
proto porfirina che corrisponde al gruppo EME. Al centro del gruppo eme è presente uno ione di
ferro, che sarà il complesso responsabile del legame dell’ossigeno. Ogni molecola di globina
riuscirà a portare 4 molecole di ossigeno. Il globulo rosso contiene tante molecole di emoglobina
fino a 280 milioni di molecole di emoglobina. La emoglobina rappresenta circa il 95% delle
proteine presenti all’interno del citoplasma del globulo rosso. La emoglobina è una proteina
presente in tutti i vertebrati eccetto alcuni pesci ma nei mammiferi è rappresentata in due forme la
emoglobina fetale e la emoglobina adulta abbreviata in HB fetale ed HB adulta. Ovviamente queste
due emoglobine sono espresse nell’arco della vita diversamente, a seconda se si parli di feto o
adulto, queste due emoglobine vedono nelle emoglobine fetale due globine alpha e due globine
gamma. Nelle emoglobine adulte, in ognuno di noi sono al 96% costituite di HbA1 da due catene al
l’embrione è avido di ossigeno in quanto in corso di sviluppo.
Indipendentemente da queste caratteristiche strutturali il motivo della presenza di queste due
tipologia differenti sta nel fatto
che l’ embrione è avido di
ossigeno in quanto in corso di
sviluppo. Pertanto nel feto sarà
presente l’emoglobina fetale
che presenta una avidità per
l’ossigeno ben maggiore
rispetto alla emoglobina
dell’adulto. Quindi
l’emoglobina fetale sarà in
grado di sottrarre ossigeno dal
sangue della madre attraverso
la circolazione materno fetale a
livello della placenta. Come già
accennato però l’individuo
adulto è presente un altra
globina in grado di legare l’ossigeno. Questa globina è la MIOGLOBINA accolta all’intermo delle
cellule muscolari. La differenza principale della mioglobina rispetto all’emoglobina sta nel fatto
che questa è costituita dalla singola catena POLIPEPTIDICA con un solo gruppo eme.
Da un punto di vista
funzionale la mioglobina è
ben più avida di ossigeno
rispetto la emoglobina.
Pertanto favorisce il
transito, l’entrata
dell’ossigeno trasportata
dall’emoglobina all’interno
del sangue verso la cellula
muscolare la quale poi la
utilizzerà per produrre l’energia necessaria per il processo della contrazione. Questo ossigeno viene
recepito a livello degli alveoli polmonari,dove all’interfaccia della membrana respiratoria vi è una
grande pressione di ossigeno. L’ossigeno quindi si lega entra all’interno del globulo rosso, lega
l’emoglobina cosi verrà trasportato sotto forma di OSSIMIOGLOBINA fino a giungere a livello dei
tessuti dove questo ossigeno verrà ceduto, liberato nello spazio intercellulare nel liquido
interstiziale. L’ ossigeno per diffusione penetra all’interno delle cellule per le attività metaboliche e
restituiranno il gas la CO2. Il legame tra emoglobina e l’ossigeno è un legame debole e che diventa
ancora più debole in presenza di anidride carbonica, a livello dei tessuti. Per il semplice fatto che a
livello dei tessuti c’è tanta anidride carbonica, questo legame tra emoglobina e ossigeno cede
liberando l’ossigeno. A questo punto la C02 nel liquido interstiziale viene captata dall’eritrocita.
L’eritrocita trasporta grazie all’emoglobina solo una piccola quantità di anidride carbonica solo il
25 %. Mentre la prevalenza è convertita in acido carbonico grazie ad un enzima del globulo rosso
che è anidrasi carbonica fino al livello polmonare dove c’è poca anidride carbonica si instaura un
legame.

È bene ricordare che oltre alla emoglobina fetale e adulta, esiste un’altro tipo di emoglobina. Il gene
della emoglobina, può essere soggetto a
mutazioni, e tale mutazioni sono trasmesse per
eredietarietà alle progenie. Un esempio è
l’anemia falciforme.
l’anemia falciforme vede una mutazione nel
gene che codifica la globina BETA una
mutazione puntiforme. A seguito di questa
mutazione nella sequenza polipeptidica del gene
della globina beta si ha la sostituzione di un
acido glutammico con una valina. Per via di
questa mutazione la emoglobina presenta
all’interno dei globuli rossi in condizione di
scarso ossigeno con bassa tensione di ossigeno
come si ha in periferia, precipita all’interno del globulo rosso facendo assumere la tipica forma di
falce. Da qui il nome falciforme a forma di falce. La forma mutata della emoglobina prenderà il
nome di emoglobina S.
Questo evento è sfavorevole agli individui portatori , è letale in quei individui che ereditano
entrambe le forme del gene mutato. In alcune zone quali ad esempio quelle dove è forte la pressione
selettiva esercitata dal plasmodio della malaria saranno selezionati gli individui che presentano una
situazione di eterozigosi, in cui sono espresse entrambe le forme del gene della globina( uno sano e
uno malato) . Quindi avranno metà dei globuli rossi sani e metà malati. Questo perché è utile per
quanto riguarda l’infezione del plasmodio della malaria, poiché non riesce a infettare i globuli rossi
che portano l’emoglobina mutata.

ERITROPOIESI
Il processo che porta alla formazione dei globuli rossi è chiamato ERITROPOIESI. Questo processo
varia nel corso della vita delle persone.
Nella fase vitellina è localizzato a livello delle isole sanguigne, per poi spostarsi durante tutto il
periodo della vita intrauterina, nel feto, all’interno della milza e stabilizzarsi nella vita extra uterina
all’interno del midollo osseo.

LE PRINCIPALI TAPPE DELL’ERITROPOIESI( processo cui a partire da un progenitore di


origine comune, sia ha la formazione del eritrocita).
A partire da questo progenitore mieloide comune si ottengono dapprima i progenitori eritroidi nella
forma delle buist forming unit. Da queste si formano poi i precursori della linea eritroide, del
proeritroblastosi, eritroblasto basofilo, eritroblasto policromatofilo e l’eritroblasto ortacromatrotico,
dai quali si forma l’eritrocita. Il processo di eritropoiesi è un processo che avviene in circa 6 8
giorni durante quali le cellule vedono susseguirsi seguendo dei processi di mitosi successive,
affinché questo processo avvnga sono necessari dei fattori di crescita: esempio interlochina 3, il
fattore che stimola le colonie G M, DOVE G STA GRANULO MONOCITARIO appunto perché
derivano da un precursore mieloide. Inoltre c’è un altro fattore di crescita l’eritropoietica, molto
importante. È un fattore di crescita un ormone prodotto dai reni che induce la proliferazione e il
differenziamento dei precursori fino alla formazione dell’eritrocita. In questa diapositiva ci sono gli
stadi del differenziamento eritroide dei precursori della linea litoide. Qui questi stadi sono
rappresentati come una sorta di film in stop. Il primo precursore che prendiamo in esame è il
proeritroblasto . È una cellula molto grande la più grande tra tutte le cellule, è una cellula di 20 25
micrometri di diametro che presenta un ampio nucleo con cromatina dispersa a indicare una intensa
attività biosintetica. La colorazione avviene colorando il
citoplasma di colore violetto, denotandolo come un
citoplasma basofilo per via della presenza di una grande
quantità di ribosomi. Ora da questo punto in poi osserveremo
una serie di mitosi successive che portano alla formazione di
diversi componenti di questa linea. Dal proeritroblasto per
mitosi differenzia l’eritroblasto basofilo. La larghezza è
inferiore rispetto la precedente, il nucleo più piccolo. Il
citoplasma è ancora basofilo poiché c’è ancora intensa
attività biosintetica. Successivamente l’ eritroblasta basofilo
per mitosi differenzia in eritroblasto policromatofilo ha un nucleo ancora più condensato, con
aggregati più regolari. Il citoplasma inizia a perdere la tipica colorazione di tipo viola. Il citoplasma
è di tipo policromatico a indicare una componente con caratteristiche di basofilia piuttosto che
acidofilia. L’ eritroblasto per successiva mitosi diviene eritroblasto ortocromatofilo, è una cellula
molto piccola che orami presenta un nucleo spento piccolissimo non più coinvolto in attività
biosintetica. A questo punto eritroblasto andrà a sperdere il nucleo perdendo l’ abilità di effettuare
sintesi proteica e mitosi. Una volta espulso il nucleo diventa reticolocita, che entra nel torrente
sanguigno dove dopo circa venti quattro ore,sei ore, diviene eritrocita maturo. L’eritrocita ha ormai
un citoplasma acidofilo.

L’eritropoiesi è il fattore che conduce la formazione dei globuli rossi.

Eventi quali il calo della pressione, aumenta il trasporto di ossigeno all’interno del sangue. Anche
altri fattori modulano il processo di formazione del globulo rosso, ad esempio il fumo della sigaretta,
o l’anidride carbonica e tutti gli altri prodotti della combustione, inganno il rene che inducono a
produrre eritropoiesi in grandi quantità. Questo è sconveniente per chi abusa come ad esempio, chi
assume il doping.
Il doping induce un incremento anormale di globuli rossi all’interno del sangue
L’ematocrito varia ed è comparso in un range
che va da 3 – 5 milioni nel sesso maschile a 4 -1
milione di emazie a livello femminile. L’anemia
viene in seguito alla variazione di emazie.

L’emoglobina viene degradata tramite il processo di


degradazione delle emazie.
I GRUPPI SANGUIGNI
i gruppi sanguigni risultano dalla peculiare composizione chimica di glicolipidi sulla memnrana
dell’eritrocita, che determinano i vari gruppi sanguigni

I sistemi ematici più noti sono il gruppo A,B, AB,0 e il gruppo RH. Il sistema AB0 risulta da
enzimi che vanno a aggiungere dei gruppi oligosaccaridici ad una glicoforina di membrana. Quindi
i geni del sistema AB0 non codificano direttamente proteine, codificano invece enzimi i quali
aggiungono dei residui glucidici su una struttura comune . A seconda del residuo oligosaccaridici
raggiunto qualora si parli di N-CETILGALATTOSAMINA allora di parla del gruppo A. Mentre
se si è aggiunto il galattosio si ottiene l’antigene B e quindi il gruppo B. Una cosa interessante è che
a livello mondiale non sono distribuiti i gruppi
LE PIASTRINE
Le piastrine sono dei piccoli frammenti cellulari che derivano dalla rottura delle membrane di un
progenitore detto MEGACARIOCITA. Questi frammenti cellulari sono ovviamente privi di nucleo.
Hanno il nucleo piatto e sono
molto con diametro di 2- 4
micron. Una cosa importante
di questi corpuscoli è che
partecipano al sistema di
coagulazione del sangue.
Poichè sono coinvolti
direttamente nella formazione
del tappo PIASTRINICO
cioè una struttura che si crea
sui bordi della lesione
vascolare sul quale vanno ad
aderire numerose piastrine, il tappo piastrinico. Nel citoplasma di queste particelle c’è organizzato a
livello della membrana dei microtubuli che collaborano al processo della contrazione piastrinica.
Una volta formatasi nel tappo le piastrine si contraggono e si tirano cercando di avvicinare i lembi
danneggiati dal vaso.
Un’ altra caratteristica è che al loro interno sono contenuti dei granuli alpha beta e lambda.
Indipendentemente dal nome bisogna ricordare che sono presente importanti fattori della
coagulazione, all’interno delle piastrine c’è una grande quantità di calcio necessari per dare il via
agli eventi della cascata coagulativa. Pertanto le funzioni delle piastrine sono qui riportate:
le piastrine partecipano nel trasporto delle sostanze chimiche per la formazione del coagulo,
partecipano alla formazione del tappo piastrinico e una volta che questo si è formano si
contraggono attivamente cercando di avvicinare lembi vascolari danneggiati.
Le piastrine dette anche trombociti sono continuamente rinnovate e hanno una vita ben inferiore
rispetto ai globuli rossi, di soli 10-12 giorni.
GLOBULO ROSSO E PIASTRINA CONDIVIDONO LO STESSO PROGENITORE

Il megacariocita nell’emocitopoiesi è indotto nella sua proliferazione dall’ormone tromboproietina.


È un fattore di crescita trofico che agisce positivamente sul megacariocito. Il sinusoide è il vaso
capillare presente all’interno del midollo osseo. Il megacariocita insidia all’interno del capillare
sanguigno. Questa membrana plasmatica per effetto del flusso sanguigno si strapperà cedendo
piccoli frammenti di membrana che sono appunto le piastrine, cosi come una bandiera è strappata in
sottili frammenti per effetto del vento.
IL
PROC
ESSO
DI
EMO
STASI

Una
delle
funzion
i
importa
nti del

sangue è la funzione di omeostasi ,in


particolare il sangue permette di
mantenere di evitare la sua perdita in
seguito ad un danno vascolare. Questo
processo di emostasi, è un sistema che
vede una serie di reazioni biochimiche e
cellulari sequenziali e sinergiche che si
rinforzano le una con le altre finalizzate a
impedire la perdita di sangue dai
vasi.Questo processo può essere descritto
in 4 fasi prevalenti.
1. La fase vascolare,
2.quella piastrinica,
3.quella coagulativa
4. e infine quella di retrazione del coagulo
Vediamo qui rappresentato. A seguito di un danno vascolare come ad esempio un taglio che avviene
sul dito, come primo evento si ha la vasocostrizione. Il vaso per effetto della muscolatura che
circonda le cellule endoteliali si contrae , si strozza cercando di limitare la perdita di sangue. Le
cellule endoteliali si esprimono sulla superficie delle glicoproteine in grado di intrappolare le
piastrine. A questo punto le piastrine legandosi alle cellule endoteliali formano degli aggregati
appunto il tappo piastrinico che in prima battuta cerca di arrestare la perdita di sangue.
Contestualmente le piastrine attivano la contrazione piastrinica, iniziano a contrarsi e cercano di
avvicinare i lembi vascolari danneggiati. Allo stesso tempo da parte delle cellule endoteliali e da
parte di alcuni fattori presenti all’interno del sangue si attiva la cascata coagulativa.

VIA INTRINSECA E VIA ESTRINSECA


Ci sono due vie distinte: la via estrinseca e la via intrinseca
La via intrinseca vede la attivazione di un fattore generalmente il fattore 12 presente all'interno del
sangue che si attiva e grazie al fattore rilasciato dalla piastrina attivano altri fattori della cascata fino
a giungere al fattore 10. Nella via estrinseca il rilascio del fattore tissutale 3 in presenza dello ione
calcio attivano una serie di altri fattori che convergono tutti quanti al fattore 10. fate caso che il
fattore 10 attiva la protombinasi, la globulina ( enzima inattivo). La protombinasi è in grado di
attivare la protombina in trombina, la quale è un’ enzima essenziale per convertire il fibrinogeno in
fibrina. È una proteina insolubile che intrappola nelle sue maglie tutti i corpuscoli che passano ,
formano il coagulo che interrompe la perdita di sangue e quindi si forma il coagulo.

PLASMA E SIERO
A questo punto riusciamo a comprendere le differenze tra plasma e siero.
Il plasma risulta essere la parte liquida del sangue priva di corpuscoli ma sono presenti i fattori della
coagulazione e il fibrinogeno. Mentre il siero corrisponde alla parte liquida del sangue che si ottiene
a seguito dell’innesco del processo della coagulazione, priva di fattori della coagulazione priva del
fibrinogeno. Il siero si forma sotto il coagulo.
I LEUCOCITI
Il leucociti sono le cellule bianche del sangue e sono privi di pigmenti. Adempiono alle loro
funzioni nell’ ambito del sistema immunitario a difesa dell’organismo contro gli agenti patogeno, le
tossine, le sostanze di rifiuto e cellule danneggiate. Originano da due progenitori, il progenitore
mieloide e il progenitore linfoide.
CLASSIFICAZIONE DEI LEUCOCITI

I leucociti andranno a comporre quella che è detta FORMULA LEUCOCITARIA che rappresenta le
percentuale con cui sono presenti le diverse sottoclassi di cellule bianche all’interno del sangue.
Valutando la alterazione di tale percentuale risulta essere uno strumento utile, per comprendere
anche quale infezione in corso all’interno dell’organismo in quanto ognuno di queste particelle si
attiva in risposta ad un determinato patogeno.

Una caratteristica che condividono tutti i leucociti è la capacità il torrente ematico. A seguito della
ricezione di opportuni stimoli chimici le cellule endoteliali espongono sulla loro superficie delle
glicoproteine che inducono il leucocita ad aderire alla membrana plasmatica della cellula
endoteliale determinando il suo rotolamento. Quindi rallentano la corsa all’interno del sangue. La
cellula poi aderisce. Grazie ad un movimento ameboide si sposta all’interno del tessuto connettivo
dove poi andrà a svolgere le funzioni immunitarie proprie di distruzione del patogeno.
IL SISTEMA IMMUNITARIO.

Dis
ting
uia
mo
due
gra
ndi
tipi
di
leu
coc
iti:
GR

ANULOCITI E AGRANULOCITI, per via della presenza o meno di granuli all’interno del
citoplasma. Le cellule presentano anche differenze morfologiche del rispettivo nucleo che ora
andremo a vedere nel dettaglio il granulocita neutrofili è il leucocita più rappresentato tra le cellule
bianche del sangue presenta un nucleo denso e con molti loculi, collegato da sottili segmenti. Una
caratteristica che ci permette di classificare il neutrofilo da altre cellule è anche la protrusione di un
piccolo corpicciolo detto CORPO DI BARR che rappresenta nelle femmine il secondo cromosoma
X inattivo. Tali cellule svolgono una importante funzione in risposta a patogeni detti PIOGENICI di
fatti tali cellule hanno una elevata capacità fagocitica sono voraci mangiatori di patogeni e li
mangiano in grande quantità si muovono fino al sito d infiammazione e poi per indigestione
muoiono producendo il PUS pertanto all’interno del loro citoplasma saranno contenuti molti granuli
ed enzimi lisosomiali con funzione digestiva battericida .
Il granulocita eosinofilo rappresenta il 2-4% delle cellule bianche del sangue. Esso ha un nucleo bi
lobato. Il loro nome deriva dall’affinità, dalla colorazione rosa per eosina. Gli eosinofili sono
particolarmente attivi in risposta a parassiti, vermi ,elminti. Per uccidere tali patogeni, producono
delle sostanze generalmente proteine basiche tossiche in grado di degradare le strutture di tali
patogeni. Si attivano per via del riconoscimento d immunoglobuline G e immunoglobuline E.
queste immunoglobuline saranno legate sul patogeno. L’eosinofilo sulla sua membrana avrà una
molecola recettore che riconosce l'immunoglobulina determinando l’attivazione di questo e il
rilascio dei granuli. Pertanto questo eosinofilo mostra scarsa attività fagocitaria.
Il granulocita
basofilo, è una
cellula che
presenta
distinguibile con
colorazione
eosina un nucleo
a forma di U e di
S.
Il citoplasma è ricco di granuli. Il granulocita basofilo coopera nella risposta infiammatoria
rendendo più fluido i il sangue aumentando la micro circolazione locale grazie alla istamina che è
un vasodilatatore favorisce il reclutamento di linfociti T e B. i basofili sono anche cellule coinvolte
in grande quantità nel corso delle risposte di ipersensibilità nelle reazione allergiche.
IL MONOCITA
è la cellula più grande tra tutte le cellule bianche del sangue. Il monocita è il precursore di tutta la
linea del sistema monocito-macrofago i macrofagi gli osteoclasti che hanno un ruolo del
rimodellamento del sangue digeriscono le proteine del collagene dell’osso. Presentano un nucleo a
forma di rene il nucleo reniforme. Contiene pochi lisosomi, sono dotate di abilità fagocitica
( mangiano e digeriscono il patogeno) il patogeno incontrato a livello dei tessuti periferici dove
aggiungono il tessuto grazie alla circolazione

I
LI
NF
OC
ITI
Son

o la
popolaz

ione più abbondante delle cellule del sangue. Quando si attivano sono anche molto grandi il loro
nucleo occupa la totalità della cellula. Questi non hanno attività fagocitaria non presentano granuli
non fagocitano, svolgono una importante funzione. Sono responsabili dell'immunità cellulare e
umorale, quella che porta alla produzione di anticorpi .
Ci sono tre tipi di linfociti. I linfociti T, B e NATURAL KILLER

CLASSIFICAZIONE DEI LINFOCITI

citometria a flusso: grazie a essa è possibile caratterizzare i linfociti nelle differenti sottoclassi, le
cellule natural killer, i linfociti B che produrrano gli anticorpi i linfociti T. CD8 :tossici. Cd4:helper.
LEZIONE 16 30/11/2022

ISTOLOGIA
INTRODUZIONE
Siamo ormai verso la fine del nostro percorso sulla istologia e oggi affrontiamo il quarto e ultimo tipo
di tessuto, nelle lezioni che mancano poi avrete ancora due approfondimenti con il Professor
Casciano, sempre relativamente diciamo collegati al sangue, in particolare alla risposta immunitaria,
all’immunità e ad un metodo che si applica in particolare, ma non solo, al sangue che è quello della
citofluorimetria e poi con me avremo altri due appuntamenti oltre a questo, uno in cui vedremo come
i vari tipi di tessuto, che a questo punto abbiamo descritto tutti, interagiranno per dare origine agli
organi e quindi come sono strutturati i principali tipi di organi, e un’ultima lezione che, anche se è
molto avanti perché sarà il 20 vi invito a partecipare o in presenza o comunque da remoto, che sarà
l’occasione per fare un ripasso, per rispondere a eventuali vostre domande o anche richieste che mi
potete fare fin da ora di argomenti che sono risultati meno chiari o più difficili quando li avete
riguardati a casa, che possiamo riprendere, sarà l’occasione per ripescare quelle specie di compiti
che vi avevo lasciato da fare, di comparazione fra le giunzioni, di comparazione fra i metodi per la
microscopia ottica ed elettronica, così li ricapitoliamo insieme, e soprattutto in questa ultima lezione
vi darò delle importanti indicazioni sullo svolgimento del esame, sia dei dettagli pratici, di come
avverrà l’esame, sia qualche esempio di possibile domanda in modo che vi rendiate conto.
Il materiale dell’ultima lezione non verrà pubblicato perché non ci saranno argomenti nuovi, però
sono molto utili per voi, per orientare lo studio in vista dell’esame, è ovvio che se poi ci sono dei
dubbi che vi nascono dopo quell’appuntamento io rimango sempre contattabile, sia io che il
Professor Casciano, attraverso classroom o scrivendoci ai nostri indirizzi email per specifiche
richieste, e in quell’occasione vi darò anche il tempo per compilare il questionario, che sapete ogni
insegnamento viene valutato dagli studenti in forma anonima assolutamente e questa cosa può
essere fatta al più tardi quando vi iscrivete all’esame, ma è consigliato farlo prima, quindi senza fretta
e senza angoscia insomma di concluderlo e quindi vi lascerò il tempo in quella occasione di fare
anche questa operazione.

TESSUTO NERVOSO

Oggi invece tessuto nervoso, quarto e ultimo tipo, un tessuto affascinante e allo stesso tempo anche
un po’ misterioso, misterioso nel senso che ci sono ancora tante cose che dobbiamo capire
relativamente al sistema nervoso, e nell’arco degli anni si sono anche approfondite molto le
conoscenze, si sono eliminate alcune convinzioni sbagliate anche su questo tessuto, ma rimane
ancora tanto da fare. Affascinante perché? Perché a questo tessuto, e in generale al sistema
nervoso, noi dobbiamo tutte le nostre più elevate capacità, quindi se io adesso sono in grado di
parlarvi, di elaborare un pensiero, di esprimerlo, voi siete in grado di sentirlo materialmente, di
capirlo, di elaborare una risposta a queste cose che vi dico, tutto questa serie di azioni sono possibili
grazie al funzionamento di questo tessuto e alla sua interazione con gli altri, quindi è ovvio che
funzioni così complesse dipendano da una certa complessità, lo studio del sistema nervoso è
qualche cosa di abbastanza titanico, per fortuna noi non dobbiamo conoscere in questo momento il
sistema nervoso nella sua completezza perché questo attiene all’anatomia, però dobbiamo capire il
suo costituente fondamentale, che è il tessuto nervoso, senza il quale non si capiscono i livelli
superiori, quindi faremo solo dei cenni di anatomia del sistema nervoso ma ci concentreremo sul
tessuto e sulle cellule che compongono il tessuto, soprattutto come sono fatte, dove si trovano e in
parte anche come funzionano, quindi lo zio Sam vi dice:” I want your neuron” perché servono sempre
a tutte le lezioni, oggi forse più che mai.

Allora presentazione del tessuto nervoso, come sempre specifichiamo componente cellulare-MEC,
allora la MEC nel tessuto nervoso non è assolutamente preponderante, è praticamente quasi
assente ce n’è ma veramente in quantità minima, si sono delle lamine basali fondamentalmente e
poco di più. Ciò che è fondante, invece, è la presenza di elementi cellulari che sono raggruppabili in
due grandi tipologie, le cellule nervose o neuroni, che sono la parte funzionale del tessuto nervoso,
cioè sono quelle e le uniche in grado di generare e di trasmettere l’impulso nervoso che consente la
comunicazione; Però loro riescono a fare il loro lavoro grazie alla presenza anche di altre cellule,
che nel complesso chiamo cellule gliali o nevroglia, che sono di diversi tipi e che quindi
distingueremo fra le cellule gliali del sistema nervoso centrale e cellule gliali del sistema nervoso
periferico, ripeto queste cellule sono importanti per l’omeostasi del tessuto nervoso, per il corretto
funzionamento dei neuroni, perché li aiutano in tanti modi, ma non hanno le stesse caratteristiche
dei neuroni, né strutturali, né soprattutto funzionali, quindi non riescono a fare ciò che fanno i neuroni.
Il tessuto nervoso è la componente fondamentale di quello che noi chiamiamo sistema nervoso, nel
quale però oltre al tessuto nervoso che è la parte principale ci sono anche altri tessuti, in particolare
i tessuti connettivali che rivestono, che costituiscono gli involucri del tessuto nervoso e i vasi, la
caratteristica del sistema nervoso, e quindi anche del tessuto nervoso, è di essere non localizzato
in un esatto punto, anche se ci sono alcune zone in cui ci sono delle masse più importanti di tessuto
nervoso, ma di essere dislocato, essere una rete di cellule e di fibre che permette una serie di
comunicazioni integrate, comunicazioni che viaggiano nei vari sensi e che permettono quindi il
coordinamento di tutte le attività dell’organismo, sia quelle diciamo sotto il controllo della volontà, sia
quelle sotto diciamo autonome che non c’entrano con la volontà.
Come è suddiviso il sistema nervoso? Diamo questo accenno diciamo anatomico, perché così ci
orientiamo anche nelle descrizioni che seguiranno, si divide in sistema nervoso centrale, indicato da
qui in avanti con l’acronimo SNC e sistema nervoso periferico, acronimo SNP. Il SNC viene anche
definito nevrasse per evidenziare che è una struttura appunto assile che è costituita anteriormente
da una massa di tessuto nervoso che va a costituire l’encefalo che prosegue lungo diciamo la linea
dorsale con il midollo spinale, e questo è l’asse nervoso che caratterizza tutti i vertebrati collocato in
posizione dorsale, quindi SNC due costituenti encefalo protetto dal cranio, dalle ossa craniche e
midollo spinale protetto dalla colonna vertebrale. All’interno sia dell’encefalo, che del midollo spinale,
quindi nel SNC, da un punto di vista istologico siamo in grado di distinguere abbastanza facilmente
la sostanza grigia rispetto alla sostanza bianca, che sono collocate in specifiche zone, periferiche o
centrali, diverse a seconda che parliamo dell’encefalo o parliamo del midollo spinale. Intanto cosa
intendiamo per sostanza bianca? Intendiamo delle zone detta bianca proprio perché il colore è
bianco per la grande presenza di fibre nervose mieliniche, cioè avvolte, circondate da una guaina di
mielina, e la mielina è una sostanza biancastra, dove invece la
mielina non c’è e trovo i corpi cellulari dei neuroni, trovo le
cellule gliali soprattutto, trovo i dendriti allora li parlo di sostanza
grigia.
Se noi guardiamo questa sezione trasversale del midollo
spinale vediamo che nel midollo la sostanza bianca occupa una
posizione periferica, e la sostanza grigia invece si trova nella
parte midollare, nella parte più interna e la posso apprezzare
anche perché la vedo anche materialmente più scura
soprattutto con le colorazioni dell’impregnazione argentica, che
ha questa tipica forma un po’ a farfalla, leggermente diversa a
seconda che la sezione venga fatta a livello lombare, sacrale,
toracico, comunque grossomodo ha sempre questa forma a
farfalla.
Se la sezione invece la facciamo a livello dell’encefalo, sia a
livello diciamo del cervello vero e proprio, sia del cervelletto,
troviamo una disposizione inversa, cioè abbiamo alla periferia
la sostanza grigia, e nella parte invece più interna la sostanza
bianca, ripeto se l’avessimo perso, la sostanza bianca è costituita fondamentalmente dalle fibre
nervose mieliniche, da cui l’aspetto bianco, nella sostanza grigia invece queste non ci sono o sono
ben poco rappresentate e prevalgono invece i corpi cellulari oppure delle fibre senza mielina.
Che funzione ha questo SNC? È praticamente il centro di comando, di controllo dove arrivano e
partono gli impulsi, dove le informazioni vengono integrate, elaborate per poter generare delle
risposte, ripeto, risposte sia di tipo autonomo, che di tipo invece volontario. Poi abbiamo il SNP che
è l’insieme, diciamo questa rete che emana dal SNC e quindi è in continuità, comunque, con il SNC
e che raggiunge un po’ tutti i distretti fino anche a quelli più periferici dell’organismo.
Il SNP è costituito da due tipi di elementi i nervi e i gangli, che cosa sono i nervi e i gangli? I nervi
sono dei fasci di fibre nervose, quindi delle strutture nelle quali le varie fibre si associano, si
associano insieme a degli involucri anche connettivali e una fibra nervosa che cos’è? Non è altro
che l’assone dei neuroni avvolto da un particolare tipo di cellula gliale che dopo andremo a vedere,
questi sono i nervi, i nervi emergono sia, posso emergere dalla base del cranio, sia dal midollo
spinale e sulla base di questo parlerò di nervi cranici e nervi spinali, nell’uomo sono 12 paia quelli
cranici e 31 quelli spinali. I gangli, invece, sono degli agglomerati di corpi cellulari dei neuroni, i nervi
abbiamo detto sono fasci di assoni dei neuroni, i gangli invece sono agglomerati di corpi cellulari dei
neuroni che si trovano appunto in posizione esterna rispetto al SNC e questi gangli sono in pratica
delle strutture vagamente ovoidali dove oltre ai corpi cellulari ci sono anche un particolare tipo di
cellule gliali a sostegno e protezione e che sono comunque anche sostenuti sempre da tessuto
connettivo, come c’erano i connettivi a sostegno dei nervi, ci sono dei connettivi anche attorno ai
gangli, i gangli sono delle stazioni cosiddette di relay cioè di rinvio, diciamo di rinoltro degli impulsi
nervosi dal SNC verso la periferia e anche in senso contrario, a seconda che questi gangli siano dei
gangli sensitivi o dei gangli invece motori autonomi.

TESSUTO NERVOSO: i neuroni

Passiamo alla descrizione dei neuroni che sono le cellule “regine” del tessuto nervoso e che
costituiscono le unità funzionali sia nel SNC che nel SNP. I neuroni hanno due caratteristiche
fondamentali, che possiedono ripeto solo loro all’interno del tessuto nervoso, che sono la eccitabilità
e la conducibilità, la eccitabilità vuol dire che se ricevono uno stimolo adeguato sono capaci di
generare un impulso nervoso, che in pratica è una corrente elettrica, e non solo, sono in grado anche
di trasmettere, di condurre questo impulso nervoso non solo per tutta la lunghezza della cellula
interessata dallo stimolo, ma anche di trasferire questo stato di eccitazione, quindi questo impulso
nervoso ad un’altra cellula vicina, cellula che può essere un altro neurone oppure può essere una
cellula di altro tipo, una cellula effettrice cosiddetta chiamata dallo stimolo dell’impulso nervoso a
dare una risposta, le cellule effettrici possono essere cellule muscolari, sia scheletriche che lisce,
possono essere delle cellule ghiandolari, questo, diciamo così, dialogo e questo passaggio
dell’impulso nervoso dal neurone ad un’altra cellula avviene a livello di una struttura che viene
definita, chiamata, sinapsi e che andremo a descrivere più avanti.
I neuroni sono delle cellule molto caratteristiche, anche dal punto di vista morfologico, sono costituiti
da un corpo cellulare che viene anche chiamato soma, soma è, diciamo, il termine che prende
dall’etimologia greca e che significa corpo; quindi, è un corrispondente di corpo cellulare, viene
anche detto pirenoforo o pericario. Il corpo cellulare è rispetto al volume totale della cellula una parte
molto piccola, rappresenta circa il 5%, tutto il resto 95% del volume di un neurone è rappresentato
invece dai prolungamenti che si dipartono dal corpo cellulare, questi prolungamenti che possono
anche essere anche molto lunghi, sono di due tipologie ben distinte dendrite e assone, assone che
viene anche detto neurite, quindi assone e neurite sono due sinonimi, che sono diversi
morfologicamente e anche funzionalmente, in che senso? Nel senso che il dendrite è la zona del
neurone diciamo ricevente, quella che appunto accoglie e riceve lo stimolo in seguito al quale si
genera l’impulso nervoso, dopodiché questo impulso si muoverà lungo il dendrite verso il corpo
cellulare, poi dal corpo cellulare proseguirà lungo l’assone, assone che invece è la parte diciamo di
trasmissione dell’impulso, quindi a livello dell’assone dove c’è la sinapsi poi questo impulso verrà
passato, trasmesso ad un altro elemento, quindi abbiamo una parte ricevente e una parte che si
incarica invece della trasmissione e c’è una precisa direzione in cui viaggia l’impulso.
I neuroni sono caratterizzati dal fatto che sono delle cellule, confrontandoli diciamo con le altre cellule
non solo del tessuto nervoso ma dell’organismo, notiamo che le cellule nervose, i neuroni, sono
caratterizzati da una notevole attività genica e una notevole attività metabolica, quindi sono molto
vivaci nella produzione di varie molecole e di costituenti, hanno una notevole varietà morfologica, io
vi ho detto che ogni neurone è costituito da un corpo cellulare ed è costituito da prolungamenti,
dendrite e assone, ma detto questo, il numero di questi prolungamenti, la lunghezza, il grado di
ramificazione, la forma del corpo cellulare, possono essere molto diversi, per cui io riconosco tante
diverse tipologie di neuroni proprio da un punto di vista morfologico, non sono tutti uguali uno all’altro;
e l’altra caratteristica che in parte vi ho già commentato è quella del fatto che è una cellula fortemente
polarizzata, noi la polarità cellulare, la polarizzazione l’avevamo messa in campo già dalle prime
lezioni, quando avevamo parlato delle cellule epiteliali, che sono particolarmente votate alla
polarizzazione, qui il fatto che una zona della cellula nervosa non sia equivalente ad un’altra è più
che mai evidente, sia perché sono fatte diversamente, sia perché funzionano hanno compiti diversi;
anche proprio in rapporto a questo discorso del trasferimento dell’impulso nervoso, della
direzionalità.
Il fatto che ci sia una notevole varietà morfologica, per come sono organizzati i prolungamenti e che
ci sia questa forte polarizzazione, è testimoniato ed è legato al grande sviluppo del citoscheletro che
noi vediamo in tutti i neuroni, del resto questi neuroni hanno questi prolungamenti lunghissimi,
possono essere centimetri o possono arrivare anche a un metro, come faccio per sostenere una
struttura così lunga? Come faccio perché i neuroni abbiano e mantengano la loro forma? La risposta
sta come ben sappiamo nel citoscheletro, quindi il citoscheletro è molto sviluppato in tutte le sue
componenti, microfilamenti, ma soprattutto microtubuli e filamenti intermedi, e questo appunto è
importante per supportare e mantenere questa morfologia così peculiare dei neuroni, ma è anche
importante, il citoscheletro, perché mi consente lo svolgimento di un traffico vescicolare piuttosto
sostenuto, lungo questi prolungamenti
viaggiano delle vescicole che sono per altro
implicate proprio anche nel trasferimento
dell’impulso nervoso a livelli della sinapsi,
viaggiano organuli, viaggiano materiali di
vario tipo e quindi noi sappiamo che tutto
questo movimento di vescicole può avvenire
solo se le vescicole si muovono lungo i binari
costituiti appunto dagli elementi del
citoscheletro.
Considerate che la metà delle proteine che io
trovo nell’encefalo sono proteine del
citoscheletro, per dire quanto sono presenti,
quanto sono rappresentate, tenendo conto di
tutte queste caratteristiche andiamo adesso a vedere com’è il corpo cellulare, come sono i dendriti
e com’è l’assone, qui c’è un esempio, uno schema di possibile neurone, con il suo corpo cellulare, i
dendriti e l’assone e questa freccia che ci ricorda qual è la direzione dell’impulso del segnale e quindi
che ci evidenzia ancora una volta la polarità funzionale di queste cellule.
Nel descrivere il neurone noi potremmo parlare di due domini distinti, il dominio somato-dendritico e
il dominio assonale, c’è un dominio che raggruppa il corpo cellulare e il o i dendriti, che condividono
alcune caratteristiche anche morfologiche di organizzazione ultrastrutturale, dominio che invece è
abbastanza diverso da quello assonale, cioè l’assone ha delle caratteristiche sue, diverse, distinte,
dal resto della cellula, dal resto del neurone, ecco perché abbiamo la necessità di descriverli uno
per uno separatamente.

TESSUTO NERVOSO: dominio somato-dendritico


Allora partiamo dal corpo cellulare vi ho già detto che non è particolarmente preponderante rispetto
ai prolungamenti è la parte del neurone in cui viene accolto il nucleo e una quantità di citoplasma
attorno al nucleo che non è particolarmente abbondante. Quali sono la forma e le dimensioni di
questo corpo cellulare? Sono abbastanza variabili, sempre per richiamare quella variabilità
morfologica dei neuroni di cui vi dicevo prima, quindi può essere una forma sferica, banalmente, può
essere una forma ovale, può essere una forma fusata, può essere una forma triangolare, può essere
una forma poliedrica, per esempio anche di tipo stellato; e anche la dimensione è piuttosto variabile,
ci sono piccoli neuroni con corpi cellulari che hanno un diametro di soli 5 µm, fino ad arrivare invece
a dei neuroni più grandi in cui il corpo cellulare ha un diametro intorno ai 150 µm, in media il copro
cellulare si aggira comunque tra i 20 e i 30 µm.
Che cosa c’è all’interno del citoplasma, quindi attorno al nucleo? Diciamo anche qualche
caratteristica del nucleo, il nucleo è di solito sferico in posizione abbastanza centrale all’interno del
corpo cellulare ed è un nucleo molto ricco di eucromatina, questo ce lo aspettavamo, abbiamo detto
che c’è una notevole attività genica e metabolica quindi avrò la maggior parte del mio materiale
genetico, del mio DNA in questa forma di eucromatina che è quella meno compattata, più chiara e
trascrizionalmente attiva, il fatto che ci sia soprattutto eucromatina
che si colora di meno rispetto all’eterocromatina, da un aspetto di
solito abbastanza chiaro, lo vedete bene qua, al nucleo che appare
quindi chiaro e cosiddetto vescicoloso, quello che invece si nota
molto bene dentro al nucleo è il nucleolo, di solito uno che è molto
evidente perché si colora intensamente essendo un nucleolo
particolarmente attivo, vi ricordo che nel nucleolo avviene la sintesi
dei ribosomi e quindi una cellula che è attiva metabolicamente quindi
che produce tante proteine, tanti secreti, mi aspetto che ci sia un nucleolo grande e attivo.
Attorno al nucleo dicevo nel citoplasma del corpo cellulare notiamo una notevole abbondanza di
organuli implicati nella sintesi proteica, sia di proteine che sono destinate a rimanere nella cellula,
come per esempio le proteine che costituiscono il citoscheletro o le varie proteine enzimatiche
coinvolte nelle vie metaboliche, sia di proteine destinate, proteine e peptidi destinati ad essere
secreti, quindi, avrò sia una buona presenza, un’abbondanza, di ribosomi e poliribosomi liberi, sia
un notevole sviluppo di reticolo endoplasmatico rugoso e di concerto con il reticolo endoplasmatico
rugoso sapete lavora l’apparato di Golgi che va a rifinire i prodotti del RER e quindi abbiamo anche
un esteso apparato di Golgi, che troviamo solo nel corpo cellulare e non in altre zone, dico l’apparato
di Golgi non altre zone della cellula, ce n’è talmente tanto di poliribosomi liberi che spesso si
organizzano anche in rosette e di cisterne del RER che, tipicamente, nel corpo cellulare del neurone
io evidenzio con dei coloranti basici queste masse che vengono chiamate sostanza tigroide o zolle
di Nissl o sostanza cromofila, proprio per evidenziare che si colorano facilmente con questi coloranti
basici.
Perché si colorano con questi coloranti basici? Perché sono ricche di acidi nucleici in particolare di
Rna che costituisce i ribosomi e la sostanza tigroide, quindi, da
proprio questo colore intenso quando uso dei coloranti basici al corpo
cellulare, lo vedete bene qua, in questa immagine, tutta questa è
sostanza tigroide, ripeto la sostanza tigroide o la sostanza di Nissl
non è altro che l’insieme di RER e ribosomi liberi che sono
particolarmente abbondanti rappresentati ed estesi nel corpo
cellulare.
Abbiamo un citoscheletro piuttosto esteso e sviluppato già nel corpo cellulare, ma lo è anche nei
prolungamenti, e questo citoscheletro è costituito soprattutto di microtubuli e in particolare di
neurofilamenti, noi abbiamo già citato i neurofilamenti come una delle classi di filamenti intermedi,
uno dei tipi di filamenti intermedi, che si chiamano neurofilamenti, proprio perché sono caratteristici
e presenti nei neuroni, quando abbiamo fatto la lezione sul citoscheletro li avevamo citati.
Ci sono anche tantissimi mitocondri come organuli, mitocondri, che si trovano diffusi in tutta la cellula
sia a livello del soma sia a livello dei prolungamenti sia dendriti che assone, è ovvio che sia così
perché c’è bisogno di energia per le attività metaboliche, per le attività di trasporto dei materiali, per
il funzionamento delle pompe che sono più che mai fondamentali per permettere anche la
generazione dell’impulso nervoso, per creare i presupposti perché si possa generare e propagare
l’impulso nervoso. Tra l’altro i mitocondri che troviamo nei neuroni hanno la caratteristica di avere le
creste orientate secondo l’asse longitudinale del mitocondrio stesso al contrario di quasi tutti gli altri
mitocondri in altre sedi dove invece sono trasversali rispetto, perpendicolari insomma rispetto,
all’asse principale del mitocondrio stesso.
Bene passiamo ai dendriti, i dendriti sono dei prolungamenti in numero variabile a seconda del tipo
di neurone da uno fino anche ad arrivare a 20, sono dei prolungamenti che di solito sono abbastanza
brevi e che hanno la caratteristica anche a poca distanza dal corpo cellulare da cui emergono di
biforcarsi più volte dando origine a delle diramazioni, quindi creano proprio una serie di rami di calibro
via via minore, dendro in greco significa albero, e richiama proprio com’è strutturato un albero che
ha il tronco grosso poi via via i rami che si formano sono sempre più piccoli come calibro come
diametro, questo accade anche appunto per i dendriti, il diametro è maggiore nella parte di dendrite
più vicino al soma e può essere da 1 a 8 µm poi mano a mano che ci si allontana da quella zona e
si va verso le parti finali, distali del dendrite il diametro cala e può essere variabile tra 0.2 e 0.7 µm.
Nei dendriti abbiamo comunque reticolo endoplasmatico e ribosomi, quindi l’apparato per la
produzione di proteine, abbiamo i mitocondri, come già detto, abbiamo anche una serie di vescicole
secretorie che contengono dei peptidi neuromodulatori o anche fattori di crescita e i dendriti spesso
possiedono delle protrusioni corte, lunghe da 1 a 5µm massimo, che prendono il nome di spine
dendritiche, queste spine sono delle protuberanze sorrette soprattutto da microfilamenti, quindi da
filamenti di actina e la presenza di tante di queste spine sui dendriti unitamente al fatto che i dendriti
si biforcano dando tanti rami, quindi un arborizzazione piuttosto ampia, fa si che aumenti
notevolmente l’area ricettiva a disposizione, quindi che sia tanta l’area a disposizione, per ricevere
l’impulso per ricevere lo stimolo; perché vi ricordo che il dendrite è la sede di recezione e di
elaborazione dei segnali che poi verranno passati al resto della cellula.
All’interno del dominio somato-dendritico in particolare nel corpo cellulare possono essere presenti
anche dei pigmenti la lipofuscina, granuli di lipofuscina, e la neuromelanina, la lipofuscina l’avevamo
già citata se vi ricordate, è tipica di cellule che hanno una vita lunga e questo tipo di pigmento tende
ad accumularsi man mano che si va avanti con gli anni e con il tempo, perché rappresentano dei
materiali praticamente lipidici indigeriti e indigeribili che non possono essere, quindi, eliminati
metabolicamente, non possono neanche essere esocitati, e che rimangono accumulandosi
all’interno della cellula, sono quindi un prodotto terminale dell’attività lisosomiale, oltre ai granuli di
lipofuscina in alcuni neuroni di alcune zone specifiche del sistema nervoso, non di tutti, in particolare
in neuroni che hanno come neurotrasmettitori delle catecolammine, come la serotonina per esempio,
può essere presente la neuromelanina che è un pigmento particolare che conferisce una forma di
protezione nei confronti della tossicità dei metalli, anche nei confronti di alcune tossine e anche
dall’azione potenzialmente pericolosa dell’accumulo di catecolamine a livello del citosol, quindi se
vedete qualche cosa di colorato dentro al corpo cellulare questi sono di solito colori abbastanza
scuri, marrone-nerastro, sono probabilmente questo tipo di pigmenti che possono trovarsi.

TESSUTO NERVOSO: dominio assonale

Passiamo adesso al dominio assonale, andiamo a descrivere l’assone o neurite che è un altro tipo
di prolungamento che è la sede di trasmissione degli impulsi. L’assone intanto è uno solo per
neurone, i dendriti possono essere uno o più, l’assone è uno, questo lo sottolineo perché c’è
qualcuno che anche a uno degli ultimi esami davanti a questa domanda è riuscito a sbagliare, quindi
lo sottolineo.
Questo assone che cos’è? È anch’esso un prolungamento, cilindrico, che ha un diametro costante
per tutta la sua lunghezza, tranne magari nella parte terminale dove si può diramare, questa è una
differenza rispetto ai dendriti che abbiamo visto prima, perché invece i dendriti mano a mano che ci
si allontana dal soma e che si arborizzano, che si ramificano vanno incontro a una diminuzione del
loro diametro, del loro calibro, questo non avviene invece per l’assone, questo però non vuol dire
che l’assone di tutti i neuriti sia sempre dello stesso diametro, a seconda del neurone ci può essere
un diametro diverso, però quel diametro, diciamo, è mantenuto lungo la lunghezza dell’assone.
L’assone può eventualmente ramificarsi e magari dare origine a uno o due, o pochi, comunque, rami
collaterali, ma se fa questo, lo fa comunque lontano dal corpo cellulare, quindi lungo il suo decorso
più frequentemente nella zona terminale, non vicino al corpo cellulare come fanno i dendriti; la
lunghezza dei neuroni è variabile è può arrivare ad essere veramente ragguardevole, ci sono i corti
che sono di 0.1µm, ma ci sono dei motoneuroni, quindi, dei neuroni che controllano la muscolatura
scheletrica, quindi sotto la volontà, che partono dal sistema nervoso centrale e raggiungono fino
proprio al muscolo che vogliono comandare che possono essere lunghi anche 1m o più, quindi sono
tendenzialmente gli assoni più lunghi di quanto non siano i dendriti.
Da dove ha origine il neurone? Il neurone origina da una specifica regione del corpo cellulare che
prende il nome di cono di emergenza, di emergenza non nel
senso di ambulanza, di emergenza proprio nel senso che da li
emerge l’assone, o monticolo assonico, questo che vedete in
questo punto qua, e da lì inizia, il fatto che il neurone sia un po’
un microcosmo a se è testimoniato dal fatto che la membrana
plasmatica a livello dell’assone prende un nome specifico e
viene chiamata assolemma, così come il citoplasma che è
presente a livello dell’assone prende il nome di assoplasma.
Cosa c’è dentro questo assoplasma, qui non c’è nulla che mi
serva per sintetizzare le proteine, non c’è RER, non ci sono
ribosomi, non c’è apparato di Golgi, questa è una notevole differenza rispetto al dominio somato
dendritico, quindi, le eventuali proteine che trovo nell’assone sono state prodotte e provengono dal
corpo cellulare non sono state fatte in loco, è presente una quantità comunque non esorbitante di
REL, ci sono tanti mitocondri quello sì, e si trovano dislocati per tutta la lunghezza dell’assone, c’è
un citoscheletro importante dove sono particolarmente rappresentati i famosi neurofilamenti, che
trovo in generale nel neurone, ma che sono soprattutto numerosi ed estesi qui nell’assone, trovo
tante vescicole, che si muovono sfruttando per altro il citoscheletro e volendo diciamo essere proprio
pignoli possiamo anche suddividere le vescicole che ritroviamo nell’assone in base alla diversa
dimensione, quindi al diametro, e a quello che contengono, abbiamo delle vescicole sinaptiche che
sono più piccole, un diametro di 25-50nm, che contengono neurotrasmettitori di tipo non peptidico,
quindi singoli amminoacidi per esempio, oppure ho delle vescicole a contenuto elletrondenso più
grandi che portano altri tipi di neurotrasmettitori, quelli diciamo più classici, dei modulatori, dei fattori
di crescita.
L’assone è teatro di un vivacissimo trasporto di materiali nei due sensi, sia dal soma verso la parte
terminale dell’assone, che viceversa dalla parte terminale dell’assone verso il soma, e quindi vi ho
preparato una diapositiva apposta per
esemplificare questo trasporto
assonale, quindi, parlerò di trasporto
assonale anterogrado, quello che ha
come direzione dal soma, cioè dal
corpo cellulare, verso il terminale del
neurone questo tipo di trasporto viene
ulteriormente distinto sulla base della
velocità con cui avviene, abbiamo un
trasporto assonale anterogrado
rapido, rapido vuol dire che al giorno,
percorre 50-400mm al giorno, e
questo è il trasporto attraverso cui si muovono gli organelli, per esempio i mitocondri, ma anche le
vescicole, che contengono le vescicole secretorie, e anche una serie di substrati e enzimi che sono
coinvolti nel metabolismo dei neurotrasmettitori che vengono rilasciati a livello del terminale
assonico, poi ho un tipo di trasporto sempre in questo stesso senso, ah un ultima cosa il trasporto
rapido anterogrado sfrutta, vede il coinvolgimento della chinesina, che noi già conosciamo una
proteina motrice, e ovviamente prevede il consumo di ATP, quindi un trasporto ATP dipendente; il
trasporto lento, invece, lento perché la velocità al giorno e la strada che si compie è sicuramente di
meno, e questo serve per trasportare fondamentalmente proteine citoscheletriche; nel flusso
anterogrado di tipo a, microtubuli soprattutto, proteine dei microtubuli e neurofilamenti, in quello di
tipo b, invece, actina, miosina ma anche clatrina per esempio, vengono spostate; ho anche un
trasporto nel senso contrario, definito retrogrado, che è anch’esso di tipo rapido, questa volta nel
trasporto retrogrado è coinvolta l’altra proteina motrice che conosciamo la dineina, e anche questo
un trasporto costoso, nel senso che prevede l’idrolisi di ATP.
Che cos’è che si sposta dal terminale assonico verso il soma? Una serie di materiali che devono o
essere eliminati, quindi digeriti metabolizzati e così, oppure che devono essere recuperati riutilizzati,
fondamentalmente trasporto materiale che è stato endocitato all’interno dell’assone dal terminale
assonico, quindi magari per recuperare dei neurotrasmettitori per esempio, o dei componenti
cellulari, magari anche parti di recettori che sono sulla membrana, oppure materiali pericolosi che
devono essere eliminati, come tossine, come microrganismi che poi vengono, appunto, portati al
soma e li trattati diciamo per essere resi innocui ,quindi, c’è molto traffico lungo l’assone.

TESSUTO NERVOSO: classificazione dei neuroni

Come posso classificare i neuroni? La principale classificazione è quella morfologica, che viene fatta
sulla base del numero di prolungamenti e di come sono organizzati diciamo questi prolungamenti.
Questa è una classificazione storica che aveva fatto Cajal, che insieme a Camillo Golgi è uno dei
più importanti anatomisti, ai quali si deve molte delle conoscenze che abbiamo ancora oggi sul
tessuto nervoso e lui aveva individuato queste 4 classi strutturali che sono ancora oggi valide e
riportate in tutti i testi.
1-NEURONI UNIPOLARI
2-NEURONI BIPOLARI
3-NEURONI PSEUDOUNIPOLARI
4-NEURONI MULTIPOLARI
Ho messo per ognuna delle quattro classi il numerino sotto l’immagine corrispondente
Li spieghiamo proprio guardando l’immagine, allora:
-il neurone “unipolare” è un neurone che vedete ha un corpo cellulare e un assone, manca del
dendrite; quindi, la porzione del neurone che riceve è il corpo cellulare, e poi da lì l’impulso si
propaga normalmente lungo l’assone. Questo tipo di neurone nell’adulto è poco rappresentato, lo
troviamo però numeroso durante lo sviluppo sono i classici neuroni embrionali.

-Poi abbiamo il tipo “bipolare”, già la parola ci dà un’indicazione. È un neurone che ha 2


prolungamenti: un dendrite e un assone, che emergono, che si dipartono da lati opposti del corpo
cellulare. I neuroni bipolari li troviamo a livello della corteccia cerebrale ma soprattutto li trovo nella
coclea, nel vestibolo, li trovo abbondanti soprattutto nella retina; quindi legati un po’ alla questione
sensoriale, insomma sensitiva.

-Poi abbiamo il terzo tipo, i cosiddetti neuroni “Pseudounipolari”, detti anche con il prolungamento
a T, perché? Perché vediamo che dall’immagine, che dal corpo cellulare emerge un unico
prolungamento che quasi subito si divide in 2 rami, dando questa tipica forma a T. Questo
prolungamento che si divide in 2 rami è un prolungamento di tipo assonico, c’è, morfologicamente,
strutturalmente è un assone, solo che un ramo si organizza a funzionare come dendrite e l’altro a
funzionare come assone. Però anche se si spartiscono i compiti i 2 rami in realtà entrambi i rami
sono riconducibili alla struttura assonica e sono difatti degli assoni. Questo si trova a livello, per
esempio, dei gangli sensoriali spinali.

-Poi abbiamo il quarto tipo, vedete ci sono più immagini perché è il tipo più diffuso, più abbondante
a livello del sistema nervoso. I multipolari hanno un assone e più dendriti, da 2 a tanti, che poi
possono arborizzare più o meno però, e quindi dare origine a forme abbastanza diverse tali per cui
all’interno dei multipolari si individuano diversi sottotipi, in particolare in base alla lunghezza
dell’assone. Quindi fra i neuroni multipolari abbiamo:
-i neuroni di tipo 1 di Golgi: che sono quelli che hanno un assone molto lungo che dalla sostanza
grigia in cui si trova a nascere l’assone, poi prosegue e decorre nella sostanza bianca, poi esce dal
SNC e va a costituire i nervi, quindi nel SNP. Un esempio di neuroni di questo tipo sono le cellule
del Purkinje che troviamo tipicamente nel cervelletto. Sono dei neuroni molto grandi, di questo tipo
appunto, con un lungo assone che fa tutta questa strada; quindi, che parte dal SNC e prosegue nel
SNP.
-i neuroni di tipo 2 di Golgi: hanno un assone decisamente più corto che si ramifica molto, cioè che
tende un po’ a ramificarsi e che rimane nella sostanza grigia, dove prende contatti sinaptici con
altri neuroni circostanti. Anche di questo tipo di neurone abbiamo un esempio sempre a livello del
cervelletto. Se noi infatti andiamo a vedere queste due
immagini qui abbiamo uno schema e qui abbiamo una sezione
istologica della corteccia” cerebellare”, non è un errore
cerebellare, cerebellare vuol dire relativa al cervelletto, mentre
cerebrale vuol dire relativa al cervello, quindi attenzione che i
due termini sono diversi. Quindi in tutte le regioni del
cervelletto, la corteccia presenta questa organizzazione in
strati, abbiamo uno strato più superficiale molecolare con
pochi elementi cellulari, uno strato invece più interno
granulare con tanti elementi cellulari e sia gli elementi cellulari
dello strato granulare che di quello molecolare sono proprio
dei neuroni di tipo 2, cioè di questi che hanno l’assone corto e che rimangono quindi confinati nella
sostanza grigia. All’interfaccia fra questi due strati troviamo tutte in fila le cellule del Purkinje;
quindi, questi neuroni piuttosto grandi che hanno un corpo cellulare grande e che hanno questa
arborizzazione dendritica che va sconfinare nello strato
molecolare e che hanno questo lungo assone che
attraversa, non solo lo strato granulare, che si trova nella
sostanza grigia, ma proseguono nella sostanza bianca
sottostante rispetto allo strato granulare e poi lasciano il
SNC, lasciano il cervelletto. Si vedono molto chiaramente
questi stessi elementi anche nella sezione istologica, allo
strato granulare fitto di neuroni, che si colora fortemente, qui
allineate le mie cellule del Purkinje e qui invece lo strato
molecolare che si colora meno dove i neuroni sono più radi.

Ci sarebbe un’ulteriore suddivisione morfologica ma la lasciamo stare, mi sembra che così sia già
abbastanza.

C’è anche una classificazione funzionale dei neuroni, cioè sulla base della loro funzione e sulla
base, che poi è collegata alla funzione, della direzione degli impulsi. Per cui abbiamo 3 classi di
neuroni:
1- NEURONI SENSITIVI, detti anche sensoriali, che sono afferenti, cioè sono neuroni che portano
informazioni di tipo sensoriale che provengono sia dall’ambiente esterno che dall’ambiente interno
dell'organismo e le portano al SNC, dove queste informazioni vengono integrate ed elaborate.

2-NEURONI MOTORI detti anche efferenti, in cui invece l’impulso è dal SNC verso la periferia,
verso i vari: cellule, tessuti, organi effettori, che ricevono indicazioni da questi neuroni.
I neuroni efferenti o motori, si dividono ulteriormente in:
- neuroni motori somatici, che sono quelli che innervano e che controllano la muscolatura
scheletrica, quindi sotto il controllo della volontà e che mi permettono tutti i movimenti volontari che
io faccio.
-neuroni motori viscerali, che vanno a controllare e a innervare la muscolatura liscia, la
muscolatura cardiaca, le ghiandole quindi attività, risposte di tipo involontario. Questa rete
informativa fa parte del sistema nervoso autonomo.

I neuroni motori somatici dipartono direttamente dal SNC e arrivano con i loro assoni, con le loro
fibre direttamente fino alle cellule muscolari che devono comandare. Invece i neuroni motori
viscerali hanno uno step intermedio. Quindi i neuroni motori viscerali partono SNC poi prendono
contatto con un secondo neurone motore, il cui corpo cellulare si trova all’interno di un ganglio,
quindi un raggruppamento nel SNP, da cui parte un ulteriore neurone che quest’ultimo raggiungerà
gli effettori, quindi le cellule muscolari lisce, cardiache o le ghiandole; quindi, è una via efferente
che ha 2 step.

3-INTERNEURONI detti anche neuroni associativi o neuroni intercalari, che sono quelli che, si
capisce anche dal termine, mettono in contatto i neuroni tra loro, quindi anche i neuroni sensitivi
con i neuroni motori.

Un’altra possibile classificazione dei neuroni, fa riferimento al fatto che essi abbiano o meno una
guaina che li avvolge, che avvolge in particolare il loro assone; quindi, parleremo di neuroni mielinici
quelli in cui l’assone è avvolto, è inguainato dalla mielina, e invece quelli amielinici quando l’assone
non è ricoperto, rivestito da mielina quindi la a sta per α privativo quindi senza mielina. Questa è una
questione importante che abbiano o no la mielina perché vedremo dopo che la mielina mi consente
una propagazione dell’impulso nervoso decisamente più rapida ed efficiente, quindi a parità di
calibro della fibra nervosa; quindi, del mio assone la presenza della guaina mielinica mi comporterà
un aumento della velocità rispetto ad un altro neurone, ad un altro assone in cui non ci sia la guaina
che va da 10 a 100 volte, quindi decisamente di più.
Oppure c’è una classificazione anche di tipo citochimica dei neuroni sulla base di quali sono i
neurotrasmettitori che si producono e rilasciano a livello della fessura sinaptica, per cui parleremo
di neuroni colinergici, quelli che hanno come trasmettitore l’acetilcolina, di neuroni adrenergici, quelli
che hanno come trasmettitore la noradrenalina, questi due qua li ho messi per primi e sopra perché
sono i due principali neurotrasmettitori e quindi la maggior parte dei neuroni sono di un tipo o
dell’altro, però ci sono anche alcuni trasmettitori che non sono né adrenergici ne colinergici,
cosiddetti NANC e che sfruttano altri trasmettitori ad alto o basso peso molecolare tra i quali
possiamo citare la serotonina, la dopamina, la glicina, il glutammato, che sono due singoli
amminoacidi, l’acido gamma-amminobutirrico “GABA”, e tutti questi di questa prima fila sono tutti a
basso peso molecolare oppure anche a più alto peso molecolare come la sostanza P e il
neuropeptide T.

TESSUTO NERVOSO: nevroglia


Esaurita la descrizione morfologica dei neuroni passiamo alle cellule che costituiscono la glia, o
nevroglia, anche scritto neuroglia, è sempre quella.

Le cellule cosiddette gliali sono 6 tipi diversi di cellule che hanno il compito di supportare i neuroni,
in che senso supportarli? Supportarli strutturalmente, supportarli troficamente, magari perché li
aiutano, li nutrono, supportarli nel senso che li proteggono, supportarli anche nel loro compito di
trasmettere l’impulso nervoso perché alcune cellule gliali sono specificamente deputate a produrre
quelle guaine di mielina che isolano elettricamente i neuroni, consentendo una più rapida
progressione dell’impulso nervoso; Quindi, sono un po’ le “ancelle” dei neuroni e le servono in tanti
modi, in tutti questi diversi modi.
Nel SNC ho 4 tipi di cellule gliali:
- Gli astrociti, che ho messo per primi perché sono quantitativamente quelli più numerosi a livello del
SNC appunto che si dividono in due sottotipi, gli astrociti protoplasmatici e gli astrociti fibrosi
- gli oligodendrociti
- le cellule ependimali, dette anche ependimociti
- le cellule della microglia
Ripeto questi sono i 4 tipi di cellule gliali, di cellule di supporto, che trovo nel SNC.
Nel SNP ho altri 2 tipi di cellule di supporto che sono:
- le cellule satelliti
- le cellule di Schwann
Schwann era quello che faceva i the scientifici con Schleiden, anche di loro avevamo già parlato,
sono quelli che hanno gettato le basi per la teoria cellulare. Andiamo a vedere cosa fa ciascuna di
queste cellule.

Partiamo da quelle del SNC e partiamo dagli astrociti che, come vi dicevo, sono tra le cellule gliali
quelle più numerose e sono anche quelle di dimensioni maggiori, anche queste hanno una notevole
varietà morfologica tant’è che individuo due sottotipi diversi, che dopo andremo a descrivere, e che
hanno anche una notevole varietà di funzioni, hanno una forma a stella che è molto evidente per gli
astrociti protoplasmatici, un po' meno per quelli fibrosi ed è questa forma a stella che deve loro il
nome, infatti astro-citi, sono caratterizzati dall’avere numerosi prolungamenti ed è proprio grazie alla
presenza di questi prolungamenti che si diramano nelle varie direzioni che hanno questa forma a
diciamo nel complesso a stella e le terminazioni di questi prolungamenti tipicamente possono
rigonfiarsi a dare dei pedicelli che prendono contatto o con i tessuti connettivi o con i vasi e che
consentono, e che conferiscono agli astrociti una loro funzioni importanti cioè di costituire una
barriera tra i neuroni e i vasi o i tessuti connettivi perché si interpongono proprio fra di loro fra questi
due elementi selezionando, facendo da filtro delle molecole che possono raggiungere i neuroni, i
neuroni sono preziosi e vanno tutelati e quindi gli astrociti si inseriscono fra i neuroni e l’ambiente
diciamo circostante come se fossero uno scudo; tipicamente negli astrociti c’è l’espressione di una
proteina, la proteina gliofibrillare acida che è sempre fa parte dei filamenti intermedi, tipicamente ed
esclusiva degli astrociti, quindi è un biomarker per individuare se sono o no astrociti, ho detto fibrociti
un minuto fa? Volevo dire astrociti. Allora gli astrociti fibrosi, partiamo da questi hanno un numero di
processi, di prolungamenti “ridotto”, nel senso che è ridotto se confrontato con quello dei
protoplasmatici che sono però tendenzialmente più lunghi, non hanno una gran quantità di organuli,
ma sono molto abbondanti come gliofilamenti e sono tipicamente localizzati nella sostanza bianca,
gli astrociti protoplasmatici invece hanno un elevato, maggiore rispetto a quello dei fibrosi, numero
di processi che sono molto più ramificati, vedete che bell’albero che costruiscono che bella
arborizzazione, e che sono più brevi hanno più citoplasma, possiedono anche loro gliofilamenti ma,
meno rispetto a quelli fibrosi e sono tipicamente alloggiati nella sostanza grigia, quindi i due tipi di
astrociti si differenziano non solo per caratteristiche morfologiche ma anche per la loro distribuzione,
per la loro localizzazione, che funzione hanno gli astrociti? Tante e diverse prima di tutto un sostegno
strutturale ai neuroni vanno a costituire quella che viene definita membrana gliale limitante, cioè con
i loro pedicelli, con i loro prolungamenti, si interpongono fra i neuroni e la più interna delle meningi
che è una membrana connettivale che è a protezione diciamo del SNC. I vari prolungamenti, pedicelli
sono uniti tra di loro con delle giunzioni e quindi formano uno strato abbastanza continuo che
appunto fa proprio da filtro per impedire che passano passare molecole che non devono raggiungere
i neuroni che sono delicati che sono difficili da rimpiazzare se non impossibili. Cosa analoga per la
barriera ematoencefalica a la cui formazione gli astrociti partecipano perché appunto con i loro
prolungamenti, con i loro pedicelli finali prendono contatto con i vasi sanguigni; quindi, impedendo
che ci sia una libera diffusione c’è una selezione strettissima di ciò che dai vasi può arrivare ai
neuroni, perché di mezzo c’è l’endotelio dei vasi, c’è la lamina basale e c’è la presenza di questo
strato di astrociti di pedicelli di prolungamenti degli astrociti che si interpongono a fare una barriera
fisica, sono implicati in diverse attività metaboliche, per esempio possono rifornire il neurone di
glicogeno, rilasciare glicogeno per i neuroni possono produrre diversi metaboliti, tra cui anche i fattori
di crescita e i fattori neuromodulatori, sono in grado di regolare l’ambiente extracellulare, perché per
esempio possono ricaptare a livello delle fessure sinaptiche i neurotrasmettitori che sono stati
rilasciati, possono andare a regolare l’ambiente ionico del neurone, per esempio, bilanciare la
presenza degli ioni potassio grazie alla presenza di giunzioni gap che li mettono in contatto appunto
con queste cellule, sono importanti perché prendono parte a dei processi riparativi, quando c’è un
insulto dovuto a dei traumi meccanici, dovuto a delle infiammazioni o dovuto a delle malattie
neurodegenerative, tali per cui vengono a degenerare, a morire alcune cellule nervose gli astrociti
si attivano, vanno incontro a quella che viene chiamata gliosi proliferano diventano ipertrofici e vanno
a sostituire il vuoto lasciato dalle cellule nervose, a costituire la cosiddetta cicatrice degli astrociti,
solo che ovviamente questa cicatrice non ha la stessa funzionalità ovviamente delle cellule nervose
perché gli astrociti non sono né eccitabili né capaci di condurre. Partecipano anche attivamente alle
sinapsi, ci sono alcuni tipi di sinapsi chiamate tripartite in cui uno dei tre elementi è proprio l’astrocita
che quindi va a regolare l’attività del neurone coinvolto nella sinapsi e hanno anche un ruolo
importante nello sviluppo del SNC perché fungono, con i loro prolungamenti da piste durante lo
sviluppo embrionale su cui si muovono le cellule nervose che poi andranno a costituire il tessuto
nervoso quindi sono una guida allo spostamento, al movimento di queste cellule.

NEVROGLIA DEL SNC: oligodendrociti

Poi abbiamo gli oligodendrociti, gli oligodendrociti, ce ne sono alcuni, una minima parte che vengono
detti oligodendrociti satelliti che si collocano attorno ai corpi cellulari, ma la maggior parte degli
oligodendrociti sono quelli interfascicolari che hanno questo compito importantissimo di emettere dei
processi, processi che si avvolgono attorno a delle porzioni di assone formando la guaina mielinica
che va a isolare elettricamente i neuroni del SNC; ogni oligodendrocita è in grado di inguainare
diversi assoni, qui si può anche vedere che c’è questo processo che inguaina questo assone,
quest’altro che ne inguaina un altro, ma ovviamente solo un tratto dell’assone, quindi per avere poi
una guaina completa ci saranno altri oligodendrociti che si incaricheranno di inguainare le porzioni
prima e dopo questa, sono delle cellule gliali molto rappresentate sono quelle predominanti a livello
della sostanza bianca e la cosa non ci stupisce perché la sostanza bianca è proprio dove c’è una
preponderanza di fibre mieliniche e quindi è ovvio che ci siano queste che sono le cellule incaricate
di formarla.

NEVROGLIA DEL SNC: cellule ependimali

Poi abbiamo le cellule ependimali o ependimociti che hanno una forma variabile tra il cubico il
colonnare e le piramidali, sono cellule che lo vedete bene nella prima immagine a sinistra, rivestono
le cavità interne del SNC, rivestono in particolare i ventricoli cerebrali e il canale centrale del midollo
spinale che viene anche chiamato canale ependimale, sia nei ventricoli che nel canale del midollo
scorre, si trova, è presente il liquido cefalorachidiano o liquido cerebrospinale o liquor
semplicemente. Le cellule ependimali sono tutte, vedete, vicine, attaccate una all’altra formando una
specie di lamina, tipo un epitelio, alcune di queste cellule ependimali possono avere, in alcune zone
del SNC, possono presentare delle ciglia mobili che servono con il loro movimento a muovere il
liquido cerebrospinale, oppure possono presentare dei lunghi microvilli, sempre in zona apicale, che
invece possono avere un significato di riassorbimento. Hanno una serie di complessi giunzionali che
le tengono legate fra loro e nelle estremità basali, lo vedete bene nella prima immagine a sinistra,
presentano, possono presentare dei lunghi prolungamenti con cui prendono contatto con altre cellule
gliali, di solito con gli astrociti, in alcuni casi possono prendere contatto anche con i neuroni, ci sono
alcune cellule ependimali modificate, che hanno di solito la forma
cubica e che partecipano alla formazione dei cosiddetti plessi
corioidei, li vedete nell'immagine al centro, che sono le strutture a
livello delle quali avviene la produzione del liquido cerebrospinale,
vedete che sono un po’ diverse come forma e tendono in molti casi
a prendere contatto, come vi dicevo, con i neuroni, in modo che ci
sia un dialogo tra il liquor e i neuroni stessi. L'immagine al centro
è uno schema, mentre l'immagine a destra è, un'immagine, che vi
mostra, appunto, questo stesso schema ma, a livello istologico e
questi sono i nostri ependimociti cubici.
NEVROGLIA DEL SNC: cellule microglia

Tutta un'altra storia quando parliamo delle cellule della microglia, un'altra storia perché sono cellule
di derivazione completamente diversa, tutte le cellule gliali come tutte le altre cellule del sistema
nervoso i neuroni compresi sono di derivazione ectodermica; invece, le cellule della microglia
derivano dal mesoderma, e infatti derivano, diciamo, la loro origine da una cellula progenitrice di tipo
emopoietico perché infatti appartengono alla famiglia dei monociti-macrofagi. Sono un tipo
specializzato diciamo di macrofagi che migrano a livello del sistema nervoso ancora durante le fasi
di sviluppo quando ancora la barriera ematoencefalica non funziona; quindi, non è a regime e quindi
riescono a passare e quindi svolgono qui un presidio di difesa per il SNC; hanno, vedete, un nucleo
allungato che si colora intensamente, sono ricche di lisosomi e sono ricchi di lipofuscina, della
lipofuscina abbiamo già parlato, e hanno tanti corti processi irregolari quando sono nel loro stato
quiescente, quando la cellula della microglia viene attivata perché c'è un segnale di, diciamo
pericolo, trauma in cui devono intervenire cosa fanno? Ritraggono questi processi irregolari e con
una caratteristica tipica dei macrofagi si spostano, con movimento ameboide, per andare nella zona
interessata dall'insulto, dove svolgono la loro funzione di, tipica di macrofagi quindi con la possibilità
di fagocitare, di presentare l’antigene; quindi, per facilitare la risposta immunitaria da parte dei
linfociti secernono anche delle citochine che vanno appunto a regolare la risposta infiammatoria
immunitaria. Sono anche importanti per un'altra ragione, perché prendono parte alla eliminazione o
al mantenimento delle sinapsi, questo processo avviene soprattutto durante lo sviluppo embrionale
ed è quello che mi permette di eliminare l'eccesso di dendriti e di spine dendritiche, e quindi di
mettere a punto in modo più efficiente possibile il sistema neuronale, ma questo lavoro è svolto in
parte anche, seppure in quantità minore, nell'adulto.
TESSUTO NERVOSO: nevroglia del SNP

Nel SNP abbiamo altri due tipi, invece, le cellule satelliti che troviamo a fare un rivestimento tutto
attorno hai i corpi cellulari dei neuroni a livello dei gangli, sono delle cellule piccole, vedete, e di
forma abbastanza appiattita che si collocano tutti intorno al corpo dei neuroni per i quali svolgono
una funzione trofica e di sostegno, praticamente sono un po’ il corrispettivo degli astrociti, come
funzione; rilasciano anche una serie di fattori neuroprotettivi che possono stimolare appunto i neuroni
stessi e anche dei segnali paracrini, quindi che hanno un'azione nelle immediate vicinanze dove
vengono rilasciati, sempre per i neuroni, quindi non è solamente un ruolo passivo di protezione
strutturale ma anche la modulazione attraverso la produzione di queste sostanze, di queste
molecole; nell'immagine in basso a sinistra vedete una sezione istologica in cui si vede proprio un
corpo cellulare all'interno di un ganglio e attorno le cellule satelliti di cui si apprezzano in particolare
i nuclei, sono molto numerose le cellule satellitari all'interno dei gangli. Poi abbiamo le cellule di
Schwann, che fanno quello che nel SNC fanno gli oligodendrociti, cioè inguainano l'assone dando
dei rivestimenti che possono essere mielinizzati, quindi delle guaine con mielina, oppure possono
essere dei rivestimenti privi di mielina; quindi, non mielinizzati o amielinici; ma oltre a fare questo
sono anche coinvolti nella produzione della matrice extracellulare e anche nella modulazione di un
particolare tipo di sinapsi, quella neuro-muscolare che si stabilisce tra un motoneurone e la fibra
muscolare scheletrica; sono anche in grado di fagocitare, e quindi hanno anche dei compiti di difesa
a livello del SNP, nel centrale ci sono le cellule della microglia che fanno questo, qui dove non ci
sono le cellule della microglia ci si affida alla capacità fagocitica che viene espressa dalle cellule di
Schwann proprio perché hanno anche un ruolo di difesa immunitario, queste cellule sono colpite
quando ci sono dei fenomeni di autoimmunità che riguardano il sistema nervoso.
TESSUTO NERVOSO: neurilemma

Freschi di oligodendrociti e di cellule di Schwann, dettagliamo questo discorso importante del


neurilemma, neurilemma o neurolemma che altro non è che un termine per indicare la guaina,
l'involucro, che viene formato attorno all‘assone dalle cellule di Schwann, se siamo nel SNP, dagli
oligodendrociti se siamo invece nel SNC; quindi, loro sono i responsabili della produzione, del fatto
che le fibre sono mieliniche perché producono appunto questa sostanza che si chiama mielina. La
mielina che cos'è? È una molecola di tipo lipoproteico in cui è preponderante la parte lipidica, circa
80%, rispetto a quella proteica che fa proprio da isolante elettrico e permette che corra veloce, lungo
l'assone l'impulso nervoso. Ci sono alcune differenze su come si comportano le cellule di Schwann
e gli oligodendrociti nel determinare questo neurilemma, qui vedete cosa avviene nella
mielinizzazione, nel processo di
produzione della mielina per le
cellule di Schwann, si crea una
specie di invaginazione della
cellula di Schwann che accoglie
l'assone, dopodiché questi lembi della cellula di Schwann si avvolgono, si richiudono non
completamente su sé stessi andando ad avvolgerla, c'è poi proliferazione per cui si creano a spirale
ulteriori strati attorno all’assone che alla fine si troverà posto centralmente e avvolto da avvolgimenti
multipli, da strati multipli in cui si trova intercalata appunto la mielina. Una cellula di Schwann si
avvolge attorno ad un unico assone, a dare un tratto della fibra mielinica, gli oligodendrociti invece,
con le loro espansioni, vanno ad avvolgersi attorno a più assoni, quindi ad assoni di più neuroni,
sempre ovviamente occupando solo un tratto della lunghezza dell'assone, quindi per avere tutto il
mio assone completamente rivestito avrò in successione dei segmenti, ogni segmento viene
chiamato segmento internodale è la parte di assone che viene inguainata da una cellula di Schwann
o da un oligodendrocita, dopodiché c'è un piccolo spazio, un punto, tra un segmento e il segmento
successivo, che invece prodotto da un'altra cellula, quello spazio in cui è momentaneamente
interrotta la guaina si chiama nodo di Ranvier, quindi lungo la fibra dell'assone si susseguono i vari
segmenti internodali e tra uno e l'altro c'è sempre un nodo di Ranvier. Ovviamente nelle fibre
amieliniche, dove la mielina non c'è, non ci sono i nodi di Ranvier. Perché è così più veloce la
trasmissione nelle fibre mieliniche? Perché l'impulso salta da un nodo di Ranvier a un altro, mentre
nelle fibre amieliniche l'impulso viaggia in modo continuo per tutta la lunghezza, non in modo
saltatorio.
TESSUTI CONNETTIVI A PROTEZIONE DEL NERVOSO: le meningi

Il tessuto nervoso, lei componenti nervose sono protette da connettivi, a livello del SNC; quindi, sia
dell'encefalo che del midollo spinale io trovo tre membrane connettivali che sono le meningi, che
separano l'osso diciamo, che può essere il cranio o può la colonna vertebrale, che si interpongono
quindi fra l'osso e il tessuto nervoso vero e proprio. Le tre meningi sono, la più esterna, quella quindi
in contatto, che aderisce all'osso la dura madre formata da tessuto denso fibroelastico, quindi
abbastanza denso di fibre elastiche, che al di sotto del quale c'è un piccolo spazio chiamato spazio
subdurale; quindi, al di sotto della dura madre; poi abbiamo l’aracnoide, che si chiama così proprio
perché è fatta come una tela di ragno, composta da un tessuto connettivo un po’ meno fibroso più
lasso che individua un sistema di trabecole all’interno del quale si trova, di nuovo, il nostro liquido
cerebrospinale, quindi c’è anche un cuscinetto idrico e al di sotto dell’aracnoide la pia madre che è
la più interna delle meningi che diciamo aderisce poi al tessuto nervoso ma non direttamente con i
neuroni perché si interpongono i nostri soliti astrociti con i loro prolungamenti e con i loro pedicelli.

TESSUTI CONNETTIVI A PROTEZIONE DEL NERVOSO: organizzazione


del nervo
Anche a livello dei nervi ho una componente connettivale importante perché mi dà una struttura,
sostegno connettivale, e anche un supporto trofico perché poi scorrono i vasi all'interno di questi
tessuti connettivi, ogni nervo è organizzato con un rivestimento più esterno che si chiama epinevrio
o epinervio, potete trovare con entrambe le diciture, che è un tessuto connettivo denso, anche
questo abbastanza ricco di fibre elastiche, che poi si continua in profondità e va a colmare gli spazi
fra i vari fascicoli di fibre e dove si generano i nervi cranici e i nervi spinali, l’epinevrio è in continuità
con la più esterna delle meningi, quindi con la dura madre è una naturale prosecuzione; questa è la
guaina più esterna del nervo, quella che dà anche la caratteristica biancastra e lucida che danno i
nervi; più internamente il nervo presenta una serie di fascicoli, quindi di gruppi di fibre, ogni fascicolo
di solito è accomunato dall'andare a innervare uno stesso organo, una stessa struttura, e più è
grosso il fascicolo, diciamo proporzionalmente più grande è l'organo innervato, ogni fascicolo è
attorniato dal perinevrio, di nuovo un tessuto connettivo
denso che è delimitato da delle cellule piuttosto
appiattite che formano una specie di lamina continua e
che va a delimitare, a regolare l'ambiente del fascicolo
rispetto all'ambiente circostante; poi abbiamo l'ultimo
che è l'endonevrio, che è la guaina connettivale di tipo
lasso ricca di fibre reticolari che va ad avvolgere ogni
singola fibra nervosa, quindi ogni assone ricoperto dalla
sua cellula di Schwann e poi avvolto dall’ endonevrio;
endo vuol dire dentro e infatti questo è il più interno dei
tessuti connettivi che trovo nell’organizzazione del
nervo. I nervi possono essere composti tutti da fibre di
tipo sensitivo e allora saranno nervi sensitivi oppure solo
da fibre motorie allora saranno nervi motori, ma la
maggior parte dei nervi sono in realtà nervi misti; quindi,
al loro interno decorrono sia fibre sensitive sia fibre
motorie in cui quindi gli impulsi viaggiano in direzioni
diverse da e verso il SNC. Questa è semplicemente
un’altra immagine in sezione, sopra uno schema e sotto
una sezione trasversale che mostra un nervo, al centro
vediamo le singole fibre nervose e intorno, si vede molto
bene anche perché è abbastanza cospicua come
spessore, l’epinevrio, quindi il connettivo più esterno.

CONDUZIONE DELL’IMPULSO NERVOSO


Visto com’è fatto il tessuto nervoso ci rimane da capire un minimo qual è, come funziona, il processo
dell’impulso nervoso, come si genera e come si conduce. Dobbiamo fare una premessa cioè qual è
la condizione elettrica, normalmente in un neurone, condizione che normalmente è condivisa con
molte altre cellule, nel neurone, diciamo così, a riposo c’è una diversa distribuzione di carica sui due
lati della membrana, nel senso che la membrana sul lato interno, citosolico, è negativa, rispetto
all’esterno che invece è positivo, e questa diversa distribuzione di cariche è ottenuta dal lavoro
incessante delle pompe, dai trasporti attivi, che fanno in modo che ci siano molti più ioni sodio
all’esterno della cellula e più ioni potassio all’interno della cellula con uno squilibrio di cariche che
da origine a quello che viene chiamato potenziale di riposo che è di -70 mV, quando il neurone riceve
uno stimolo, viene stimolato, viene eccitato, da uno stimolo che può essere proveniente da un altro
neurone o magari uno stimolo sensoriale o altro che cosa succede? Succede che questa
stimolazione determina l’apertura dei canali ionici, quando i canali ionici si aprono in virtù di questa
differenza di distribuzione delle cariche che cosa succederà? Che gli ioni sodio tenderanno ad
entrare e gli ioni potassio ad uscire e quindi si avrà una depolarizzazione, un cambio diciamo di
distribuzione delle cariche elettriche tra il versante interno ed esterno della membrana, e se questa
depolarizzazione prosegue e si supera una certa soglia si vanno ad aprire i canali voltaggio
dipendenti del sodio, questo provoca l’ingresso di ulteriore sodio e quindi un’inversione completa del
potenziale di riposo che da -70 è cresciuto ed arriva ad essere non più negativo, ma addirittura
positivo, il potenziale d’azione pari a +30-40 mV, questo potenziale d’azione che si genera in un
punto del neurone poi si trasferisce lungo il neurone verso il corpo cellulare e poi verso l’assone;
dopo che è passato il potenziale d’azione si ripristinano, finisce l’eccitazione e si ripristina la normale
distribuzione delle cariche e quindi dopo un certo tempo il neurone sarebbe pronto per un’ulteriore
stimolazione e per un'altra generazione dell’impulso. Ora capiamo un po' meglio la differenza tra
fibre amieliniche e mieliniche, nelle amieliniche questi canali voltaggio dipendenti che mi permettono
la conduzione, il passaggio, dell’impulso nervoso perché mi creano la depolarizzazione, si trovano
lungo tutto l’assone e un po' ad ola diciamo così sono interessati da una conduzione continua
dell’impulso, mentre invece nelle fibre mieliniche i canali voltaggio dipendenti si trovano accumulati
e presenti in modo discontinuo solo a livello dei nodi di Ranvier; quindi la depolarizzazione e il
passaggio dell’impulso, del trasferimento dell’impulso nervoso è saltatorio, cioè salta da un nodo di
Ranvier a un altro risultando quindi molto più rapido ed efficiente rispetto a quello delle fibre
amieliniche.

SINAPSI
Siccome è tardi, invece che farlo tutto in fretta così, quando ci vedremo la prossima volta, prima di
fare la parte sugli organi completiamo il discorso sulle sinapsi e le guardiamo con un po' più di calma.
Il sistema linfatico
Il sistema linfatico consiste in una rete di vasi linfatici. La funzione di questi vasi linfatici è quella di
trasportare al loro interno un liquido di composizione analoga al plasma, detta linfa, all'interno di questa
linfa poi saranno trasportati quelli che andremo a vedere essere i patogeni, ma anche le cellule del
sistema immunitario. Lungo il viaggio che compie la linfa all'interno dei vasi linfatici, si rinvengono
innumerevoli piccoli corpiccioli detti organi linfatici secondari, cioè i linfonodi. A far parte del sistema
linfatico ci sono anche quelli che sono detti organi linfoidi primari, cioè il midollo osseo e il timo, ovvero
le sedi dove i leucociti nascono.

Strutturazione del sistema linfatico


La linfa si origina in periferia a livello dei tessuti dove il sistema cardiovascolare, qui rappresentato in
rosso, si ramifica a formare i capillari arteriosi. Da questi capillari arteriosi, per effetto idrostatico dovuto
alla pressione del liquido che scorre all'interno dei capillari, il liquido, ovvero il plasma, fuoriesce dal
capillare sanguigno e va a formare il liquido interstiziale, cioè quel liquido che bagna gli interstizi tra le
cellule del tessuto. Questo liquido interstiziale, pertanto, è ricco di nutrienti, di proteine e senza dubbio
anche di gas. Però questo liquido non riesce a rientrare all'interno della circolazione post capillaride,
quindi a livello delle venule. Quindi questo liquido in altre parole ristagna all'interno del tessuto, si perde
dalla circolazione sanguigna. Questa volemia perduta ogni giorno è pari a circa tre litri per giorno, ogni
giorno si perdono all'interno dei tessuti circa tre litri di acqua che li rimarrebbero se non vi fosse la
presenza dei capillari linfatici indicati in verde. Questi capillari linfatici sono laddove originano i vasi
linfatici, quindi la parte più periferica del vaso linfatico. Il capillare linfatico ha una forma tipicamente
descritta come un cul-de-sac, cioè un fondo di un sacco, come il dito di un guanto, cioè sono vasi a fondo
cieco, lo si vede chiaramente. Però presentano una caratteristica particolare: sono dei vasi
estremamente permeabili; quindi, il liquido perdutosi sotto forma di liquido interstiziale che ristagna
all'interno del tessuto, riesce facilmente ad essere raccolto, drenato dal capillare linfatico, così
eliminando quella volemia presente nel tessuto. Nel momento in cui il liquido entra all'interno del vaso,
cambia nome e prende il nome di linfa. Quindi il capillare linfatico raccoglie il liquido interstiziale sotto
forma di linfa.
Da un punto di vista qualitativo la linfa ha ovviamente una composizione simile a quella del plasma,
però, per ovvi motivi, ha una minore concentrazione di proteine, ad esempio i linfociti, e rispetto al
liquido interstiziale è molto simile perché ovviamente vi deriva direttamente; scorre nei vasi linfatici e ha
la funzione di riportare quei fluidi tissutali, quindi quel grande volume di tre litri per giorno, al circolo
sanguigno. Quindi da questi capillari linfatici la linfa è drenata in un sistema vascolare di calibro via via
maggiore: i vasi, i tronchi ed infine i dotti linfatici.
All'interno dei vasi linfatici scorre la linfa che, come si può
vedere in questa rappresentazione, è convogliata in vasi
via via più grandi, detti tronchi e dotti, i quali vanno a
versare il loro contenuto liquido di linfa all'interno di due
grandi vene, la vena succlavia e la vena giugulare,
riportando così il liquido alla circolazione sanguigna. Una
cosa però interessante da notare è che lungo il decorso dei
vasi si rinvengono innumerevoli corpiccioli detti linfonodi.
Questi linfonodi corrispondono a degli ammassi di tessuto
linfoide, cioè di leucociti.

I linfonodi sono delle piccole formazioni anatomiche che


equivalgono a dei filtri biologici disposti lungo il decorso dei vasi
sanguigni. Questi organelli sono piccoli, hanno una grandezza
esigua quando non attivi, anche di 1 mm, ma possono diventare
ben più grandi quando all'interno è innescata una risposta
immunitaria, possono quindi raggiungere i 2 cm o qualcosina di
più. Basti vedere le tonsille quanto si ingrossano quando si ha mal
di gola, o la formazione sulla loro superficie anche delle placche.
Questi sono posizionati in zone strategiche del nostro corpo,
appunto perché devono ricevere la linfa che proviene da varie aree
anatomiche.

In questa immagine si può vedere quanto descritto finora, a chiusura


del sistema linfatico in termini di vasi e linfonodi. Si vede quindi che
dal cuore si origina la circolazione arteriosa che in periferia va a
formare quello che prende il nome di letto capillare, cioè questa rete
di capillari da cui fuoriesce il liquido interstiziale che bagna i tessuti,
liquido che si perderebbe se non vi fosse la presenza dei capillari
linfatici a fondo cieco che raccolgono e drenano la linfa, e la
trasportano, grazie ai vasi linfatici, nuovamente verso la circolazione
sanguigna venosa. Però, lungo questo percorso sono presenti
innumerevoli linfonodi ad agire da filtro biologico per intrappolare
tutto ciò che è trasportato grazie al sistema linfatico, grazie alla linfa.

Piccolo accenno sugli organi e tessuti linfatici, questi possono essere distinti in funzione che all'interno
dell'organo avvenga o meno la produzione dei leucociti, quindi si distinguono come primari (centrali): il
midollo osseo ed il timo, che è un organo particolare; e organi linfoidi secondari, dove invece non
avviene la produzione dei leucociti, ma piuttosto avviene la risposta immunitaria all'interno di queste
formazioni.
Quindi, nell'insieme il sistema linfatico svolge una funzione di recupero, rimettendo nel circolo sanguigno
le proteine presenti nel liquido interstiziale lì accumulatesi e soprattutto l'acqua; permette di assorbire e
trasportare sostanze non solubili quali i chilomicroni, cioè formazioni lipidiche assorbite a livello
dell'intestino; ma soprattutto partecipa all’importante funzione immunitaria, cioè a difesa del nostro
organismo, che è svolta all'interno dei linfonodi.

L’immunità
Parliamo dell’immunità, ma, per parlare di come questa cascata di attivazione cellulare riesca a
difendere il nostro organismo, bisogna raccontare una storia, la storia di un patogeno che cerca di
infettare la nostra cute e che poi, grazie al sistema linfatico, è trasportato all'interno del linfonodo dove
poi avverrà l'attivazione della risposta immunitaria che prende il nome di acquisita con la produzione
degli anticorpi.
L'immunità che cos'è? L'immunità è una condizione innata o acquisita, in base alle quale ogni organismo
è in grado di neutralizzare tutto ciò che gli è estraneo. Lo studio dell'immunità rientra all'interno di una
scienza, ovvero l’immunologia, grazie all’immunologia, cioè lo studio dei fenomeni legati alle immunità,
riusciamo a rispondere a tutta una serie di domande come per esempio: come fa il nostro organismo a
difendersi, ad eliminare il patogeno ed a non ammalarsi nuovamente rispetto a quel patogeno? E che
cosa succede se il sistema immunitario non funziona, quindi si generano le immunodeficienze? Più
famosa è quella dell’ AIDS per esempio; oppure talvolta questo sistema immunitario può impazzire e
generare delle risposte autoimmuni aggredendo noi stessi.
Il sistema immunitario esercita un controllo di qualità, discriminando ciò che è diverso da noi rispetto a
ciò che è noi, in base ad un principio di self / non self, dove self si identifica con noi stessi e non self con
ciò che è estraneo a noi. Quindi il sistema immunitario è questo sistema complesso responsabile della
identificazione di cosa è diverso da noi stessi, il suo scopo è difenderci dall’ infezione esercitata dai
patogeni, ma anche, per esempio, dalla presenza di eventuali cellule tumorali che ormai hanno perso la
nostra identità self, la loro identità di cellule simili a noi. Il sistema immunitario, affinché possa esercitare
le proprie funzioni, deve svolgere quattro compiti. Come prima cosa dovrà effettuare un riconoscimento
immunologico, deve essere in grado di identificare in modo selettivo il patogeno; secondo, dopo che
questo è stato riconosciuto, il sistema immunitario deve esercitare una funzione effettrice, cioè deve
essere in grado di contenere e debellare l’ infezione, eliminare il pericolo; però, una volta che il sistema
immunitario si è attivato, deve essere anche in grado di spegnersi e quindi deve esercitare una
regolazione immunitaria, spegnersi dopo che il pericolo è cessato; ed infine, è necessario che il sistema
immunitario abbia una memoria immunologica, grazie a questa memoria immunologica sarà possibile in
un secondo momento, esercitare una risposta immediata ad una successiva esposizione al patogeno, per
mezzo di quella che prende il nome di immunità protettiva, cioè gli anticorpi.
Il sistema immunitario è un sistema, un meccanismo a difesa degli organismi che esiste fin dalla notte dei
tempi. In particolare, da quando le cellule hanno iniziato ad associarsi per poi formare degli organismi
più complessi per esempio, i metazoi, cioè gli animali, queste cellule si sono potute specializzare in
sistemi dedicati alla difesa dell'organismo che andavano a formare, in particolare tra gli animali; uno
degli animali più antichi che ancora oggi esiste sul nostro pianeta, sono le spugne. Le spugne
rappresentano il più vecchio ed ancora esistente phylum di Metazoi. Questi animali posseggono un
sistema di difesa valido contro i microbi e i parassiti, questo sistema di difesa consiste in cellule in grado
di esercitare la fagocitosi dei batteri, ma anche in sistemi di trasduzione del segnale che attivamente
uccidono il batterio. Può tornare in mente il meccanismo della fagocitosi esercitato dai neutrofili
piuttosto che il sistema del complemento. Questi sistemi a difesa dell'organismo, quindi sono dei sistemi
talvolta conservati all'interno degli animali. In particolare, il sistema di difesa delle spugne prende il
nome di immunità innata. Il nome di immunità innata ad oggi lo conosciamo in quanto tale, grazie a
questo studioso russo che ottenne il Nobel poi negli anni dopo il 1908 in cui lui studiava appunto le
spugne e il loro sistema immunitario; questi sistemi, quindi, sono conservati tra le differenti specie,
anche noi abbiamo una immunità di tipo naturale a difesa, che funziona nello stesso modo in cui
funziona nelle spugne.
I patogeni sono di vario tipo: batteri, virus, funghi e parassiti. Giustamente loro vogliono colonizzare
come ambiente e quindi anche il nostro organismo. Fortunatamente però il sistema immunitario
generalmente si rappresenta in questo modo, con questa T capovolta per indicare un blocco di questa
via. Grazie al sistema immunitario non riescono nella colonizzazione perché il sistema immunitario
rappresenta quella che è la seconda e la terza linea di difesa del nostro organismo contro i patogeni
invasori; dove la prima linea di difesa è dovuta alle barriere fisiche, cioè la semplice continuità della cute
per esempio, gli epiteli sono a protezione delle superfici esterne e presentano qui le giunzioni strette che
impediscono il passaggio negli interstizi cellulari di particelle, quindi la cute è un valido strumento a
protezione, però talvolta questa protezione può venir meno e quindi si attivano prima la seconda e poi la
terza linea di difesa contro questi patogeni, che sono dovute al sistema immunitario, dapprima quello
innato che è il primo ad attivarsi, in cui rinveniamo le componenti tipiche, cioè citate per le spugne,
quindi cellule in grado di fagocitare il macrofagi e un sistema di fattori solubili (citochine) che attivano il
processo infiammatorio, necessario poi per attivare altre cellule che degraderanno il patogeno; per poi
attivarsi la terza linea di difesa, cioè quella specifica in grado di generare gli anticorpi.
Qui si vede uno spillo che penetra la nostra
cute, questo porta con sé dei batteri, i quali
proliferando inducono una infezione. L'infezione
genera una infiammazione con rilascio di
numerosi fattori chemiotattici in grado di
attrarre le cellule bianche del sangue, ma anche
di esercitare un effetto vasoattivo, cioè
aumentano localmente il flusso del sangue
facendo produrre degli essudati, quindi che
liberano all'interno del tessuto la proteina C
reattiva, altre citochine infiammatorie in grado
di richiamare il neutrofilo che extra-vasa e grazie al suo movimento ameboide si sposta nel sito di
infiammazione per fagocitare il batterio, questo è ciò che accade nel corso della risposta immunitaria
innata. Quindi il sistema immunitario si attiva in risposta del patogeno.
Il concetto di attivazione del sistema immunitario in risposta al patogeno ci permette di comprendere la
differenza alla base tra una risposta immunitaria innata ed una risposta immunitaria adattativa.
La risposta immunitaria innata è una risposta immunitaria
dovuta a fattori presenti fin dalla nascita nel nostro
organismo; quindi, cellule, fattori solubili che abbiamo fin
da quando emettiamo il primo vagito e questa si attiva
immediatamente nel momento in cui è presente il
patogeno, quindi, passa da uno stato di pericolo (rosso) in
cui è presente il patogeno ad uno stato in cui il patogeno viene eliminato e si passa al via libera, non c'è
più il patogeno. Quindi la risposta immunitaria innata riesce rapidamente ad agire contro quella
particella non self ed eliminarla.
Al contrario, invece, la risposta immunitaria di tipo
adattativo è una risposta immunitaria che procede dal
rosso al verde, secondo un gradiente; quindi, è una risposta
immunitaria che richiede più tempo affinché diventi
efficace, perché nel corso di questo tempo creerà delle
armi specifiche, cioè degli anticorpi in grado però di
uccidere, eliminare il patogeno in modo più efficace, ma
per far questo richiede quindi tempo; contestualmente però sviluppa una memoria immunologica,
quindi è in grado in un secondo momento verso una seconda infezione, di offrire una immunità
protettiva. Quindi questo concetto è quello alla base dei vaccini.
Nel sistema immunitario vediamo all'interno di questi due tipi di immunità diversi attori che
corrispondono ai leucociti, ognuno dei quali esercita la propria modalità di difesa in base a differenti
specificità, caratteristiche, per esempio, possono esercitare la loro modalità di difesa per mezzo di un
meccanismo di fagocitosi i neutrofili e macrofagi, oppure, possono essere presenti delle cellule che
esercitano la loro attività grazie ad un sistema di citotossicità, cioè il rilascio di sostanze tossiche, in grado
di creare dei pori sulle membrane delle cellule bersaglio, delle cellule target; contestualmente, abbiamo
anche delle cellule nell'ambito della immunità di tipo acquisita, cioè quella specifica, però la funzione di
queste è centrata su delle cellule particolari, cellule che presentano l'antigene, cioè sono cellule in grado
di informare le altre cellule del sistema immunitario, ovvero i linfociti, della presenza del patogeno. A
seguito di questo primo passaggio di informazioni avverrà quella che è la produzione degli anticorpi e
quindi sarà innescata la risposta immunitaria acquisita.
Le molecole di membrana
Tutte quante le cellule del nostro corpo sono ricoperte sulla loro
superficie da innumerevoli molecole di membrana. Queste molecole
di membrana esposte sulla superficie vanno ad agire come una sorta
di antenne in grado di trasmettere, ma anche di recepire
informazioni dall'ambiente circostante. Quindi grazie a queste
molecole di membrana, le cellule riescono anche ad interagire, si
potrebbe disegnare un'altra cellula con delle molecole di membrana
specifiche che contattano per esempio questa. Però queste molecole
di membrana vengono sfruttate per poter caratterizzare, cioè
distinguere, diversificare i diversi tipi di cellule; quindi, ogni
sottogruppo cellulare avrà il suo assortimento tipico di molecole di membrana. E due sono le molecole di
membrana di cui parleremo oggi: il primo sono quelle che determinano il sistema detto sistema CD; il
secondo sono le molecole che formano il complesso MHC, presenti esclusivamente all'interno dei
mammiferi.
Il sistema di molecole CD, detto anche sistema di
molecole del cluster di differenziazione, è un gruppo di
molecole di membrana che permettono di identificare e
classificare le cellule, nei differenti sottotipi. Queste
molecole sono conservate all'interno delle specie, quindi presenti, per esempio sia all'interno della
specie umana, ma così come anche all'interno del topo. Queste molecole CD sono generalmente
riportate sotto forma di un prefisso (CD) seguito da un numeretto (CD3; CD8). Grazie all'assortimento di
queste molecole si riesce a distinguere quelle che sono per esempio i linfociti T per via della presenza di
alcuni marcatori caratteristici, dai linfociti Natural killer o da un macrofago, sempre per via di questo
assortimento. E in questo modo, quindi, è possibile classificare le cellule nei differenti sottotipi: le cellule
Natural killer, che presentano il marcatore caratteristico CD56 e CD16; oppure il gruppo dei Linfociti B
che presentano sulla loro superficie il marcatore CD19; come anche i linfociti T con i marcatori CD3,
distinti in cellule citotossiche (CD8) piuttosto che T-helper (CD4); e così via anche per i regolatori.
Riusciamo a classificarli, la classificazione dei linfociti, ovviamente non sarà possibile grazie alla comune
tecnica istologica, ma dovrà avvalersi della citometria a flusso.

Il sistema MHC, anche detto complesso maggiore di


istocompatibilità, è un sistema ad oggi conosciuto grazie agli studi
attuati sui topi dal dottor George Davis Snell. Questo scienziato
effettuava dei trapianti e ha studiato l'effetto del rigetto. Studiando
quindi i rigetti dei tessuti all'interno dei topi è riuscito a identificare
l'espressione di queste molecole sulla superficie delle cellule.
Queste molecole sono molecole di superficie in grado di mostrare
al sistema immunitario la presenza di un patogeno intracellulare.
Come si vede nel cartoon, sulla destra, indipendentemente dalla
organizzazione strutturale di queste molecole che sono molecole di
membrana, quindi, esposte nella parte esterna della cellula,
caricano all'interno di una tasca sul versante extra citoplasmatico, un peptide; questo peptide è di
derivazione del patogeno, cioè di una molecola proteica contenuta all'interno della cellula. Distinguiamo
nei mammiferi due tipi di molecole MHC dette classi, molecole MHC di classe prima e molecole MHC di
classe seconda. Queste molecole sono importantissime affinché il sistema immunitario si attivi.
Il meccanismo di caricamento del peptide sulla molecola MHC
Le molecole MHC di classe prima che sono presenti su tutte le
cellule del nostro corpo che hanno un nucleo, caricano sulla loro
superficie degli antigeni intra-citoplasmatici, come per esempio
potrebbero essere gli antigeni virali, proteine virali; questi
saranno opportunamente processati dal macchinario del
proteasoma che li decompone in tanti piccoli frammenti i quali,
grazie al reticolo endoplasmatico, verranno caricati sulla
superficie della tasca della molecola di MHC, che grazie al
sistema di Golgi è traslocata sulla superficie della membrana
plasmatica, sulla superficie cellulare e quindi verrà esposta e
presentata al sistema immunitario, il quale avrà il compito di
vagliare e identificare se il complesso di MHC peptide è o meno corrispondente al nostro organismo.
La molecola invece MHC di classe seconda, è una molecola
che è esclusiva di alcune cellule immunitarie, cioè quelle
cellule che prendono il nome di cellule presentanti
l'antigene. Queste cellule riescono a caricare sulla molecola di MHC di classe seconda degli antigeni
extracellulari, per esempio batterio che, fagocitato, degradato dal fago lisosoma, è incorporato, caricato
sulla molecola MHC e poi esposto sulla superficie della cellula presentante l'antigene di questo fagocita;
in questo modo il fagocita riuscirà ad avvisare della presenza del patogeno altre cellule immunitarie, i
linfociti T-helper che, attivandosi, attiveranno a cascata poi i linfociti B per la produzione degli anticorpi.
Quindi andiamo a seguire che cosa avviene. Raccontiamo la storia di un batterio che riesce a penetrare,
a passare la prima linea di difesa dovuta alla continuità della cute per via di una ferita, penetra nel derma
sottostante, prolifera e induce infezione, che recluta dei globuli bianchi, per esempio, i neutrofili, quindi
andiamo a vedere come si innesca una risposta immunitaria innata, parlando dei macrofagi e delle
cellule Natural killer, le quali sono le prime tipologie di cellule che si attivano nel corso di una risposta
immunitaria.
I macrofagi appartengono al più ampio sistema detto sistema
monocito-macrofagico. Le cellule di questo sistema sono degli effettori
critici e regolatori dell'infiammazione, perché? Perché producono
sostanze solubili in grado di richiamare altre cellule del sangue bianche.
Quindi, i macrofagi mediano grazie alla loro attività di fagocitosi quella
che è la risposta immunitaria innata in risposta al patogeno. Di
macrofagi nel nostro organismo ne esistono di tanti tipi, il cui nome
varia in base all'organo, o meglio, il tessuto in cui risiedono. Ad
esempio, nell'ambito del tessuto nervoso, le cellule gliali, cellule della
micro glia, così come i macrofagi polmonari, piuttosto che le cellule di
Kuppfer nel fegato, oppure più semplicemente i monociti nel sangue.
Ebbene, queste sono tutte cellule monocito-macrofagiche diffuse
all'interno del nostro organismo.
Come fanno questi monociti a riconoscere il patogeno? I monociti e i
macrofagi presentano sulla loro superficie dei recettori in grado di
riconoscere delle sequenze conservate nei patogeni, cioè i patogeni hanno
nella loro struttura sempre quel particolare assortimento di molecole,
questo particolare assortimento di molecole è detto Pathogens Associated
Molecular Patterns (PAMP); quindi sono pattern molecolari conservati fra i
diversi patogeni, sono sempre quelli, i patogeni hanno sempre quei
pattern, per esempio, sono ricchi di mannosio, oppure sono ricchi di
lipopolisaccaridi (LPS). Quindi i macrofagi riconoscono dei pattern grazie a
dei recettori di riconoscimento di pattern (PRR), i più famosi sono i tool like
receptor TLR. Questi tool like receptor sono identificati con numeri fino a nove e ognuno di questi
riconosce questi pattern, questi PAMP, in modo pertanto aspecifico perché non riescono a distinguere un
tipo di batterio da un altro tipo di batterio di un'altra famiglia.
Quindi riconoscono il patogeno e lo fagocitano, creano delle protrusioni citoplasmatiche grazie ad uno
scheletro di clatrina che agisce qui sotto questo
scheletro, come una sorta di guanto che avvolge il
batterio grazie ad un processo di macro pinocitosi, lo
trasporta all'interno di vescicole nello spazio
intra-citoplasmatico, dove poi viene fuso nel fagosoma;
il fagosoma si unisce con dei granuli lisosomiali che
contengono innumerevoli enzimi litici, i quali si attivano in presenza dell'acqua ossigenata che acidifica il
lisosoma, permettendo quindi la digestione del patogeno e la sua degradazione ed eliminazione.
Questi macrofagi sono talmente professionisti nel fagocitare che fagocitano di tutto, anche particelle di
polistirolo minuscole, micrometriche, ma soprattutto, all'interno degli alveoli polmonari sono in grado di
fagocitare catrame, lipidi, altre sostanze contenute all'interno delle sigarette.
Qui viene messo a confronto quello che prende il nome
di lavaggio bronco alveolare di un individuo non
fumatore e di un individuo fumatore. In queste
macchie nere si identificano i macrofagi che hanno
fagocitato i residui di catrame e le altre sostanze
inspirate dalla sigaretta. I macrofagi in un certo termine
cercano di eliminare queste sostanze, però purtroppo
sono tossiche, li ingolfano e accumulano quello che si
dice difetto autofagico; l'autofagia è un processo
naturale nelle cellule, permette di rinnovare gli
organuli, ma a causa di queste inclusioni, i macrofagi
non sono più in grado di rinnovarsi, invecchiano, muoiono ed è per questo motivo che le persone
fumatrici sono soggette spesso a bronchiti croniche. Facendo venir meno una componente immunitaria
innata, il batterio può far festa all'interno dell'alveolo, per esempio.
Guardiamo un po’ come lavora un macrofago. Il macrofago, grazie al suo movimento ameboide,
raggiunge quelle che sono delle particelle batteriche, crea delle protrusioni nella membrana plasmatica,
ingloba all'interno del fagosoma questi batteri che poi col tempo, grazie agli enzimi lisosomiali,
scompariranno, saranno quindi degradati e rimossi.
Le seconde cellule che si possono attivare nell'ambito della risposta immunitaria innata sono le cellule
Natural killer. Le cellule Natural killer, come ci fa comprendere il loro nome, sono delle cellule killer
professioniste ed esercitano la loro attività grazie alla secrezione di sostanze tossiche quale il granzima o
la perforina, che sono in grado di creare dei pori, perforare la membrana plasmatica della cellula
bersaglio e quindi causarne la morte per lisi. Queste cellule sono identificate dai marcatori CD16, per
esempio e CD56. Sono professioniste nell'uccidere tutte quelle cellule che hanno perso la loro identità
self, cioè sono diventate non self, sono missing self, non sono più riconosciute come cellule del nostro
organismo, quali per esempio le cellule tumorali o le cellule infettate dal virus. Per far questo loro
esprimono sulla loro superficie dei particolari recettori, detti KIR, Killer Immunoglobulin-like Receptor,
cioè ricettori simili alle immunoglobuline.
Vediamo una condizione di tolleranza, quindi una cellula sana
incontrata da una Cellula Natural killer. Identifichiamo in rosso il
recettore inibitorio e in verde il recettore attivatore. In una cellula
sana sono esposte sulla sua superficie tutto il corollario di
molecole di membrana, tra cui soprattutto le molecole MHC di
classe prima in modo corretto. La molecola MHC di classe prima è
riconosciuta dal recettore inibitorio, che induce nella cellula una
anergia, uno spegnimento; quindi la Cellula Natural killer quando,
grazie al recettore inibitorio, riconosce una cellula sana per via
della presenza su di essa della molecola di MHC, la Cellula Natural killer si spegne. Però, nel caso di
infezioni, per esempio quelle virali come quelle esercitate dal virus herpetico, in cui il virus vuole evadere
il controllo del sistema immunitario, le molecole di MHC vengono meno. Quindi il recettore inibitorio
non può essere innescato, ma verranno innescati esclusivamente i recettori attivatori, che indurranno
nella Cellula Natural killer un'attivazione, quindi la granulazione, rilascio di sostanze tossiche che
porteranno alla morte della cellula che ha perso il self.

Analogamente, una cellula stressata che esprime sulla sua superficie


una aberranza, una grande quantità di ligandi aberranti attivatori,
indurrà, nonostante la presenza della molecola di MHC sulla sua
superficie, un'attivazione della Cellula Natural killer, che degranulerà e
ucciderà lo stesso la cellula stressata, per esempio tumorale.

La risposta immunitaria acquisita


Il patogeno è riuscito a valicare la seconda linea di difesa offerta da cellule natural killer o da un
macrofago. Quindi batterio, infezione locale, induzione della infiammazione, quindi, tutti gli effetti del
calore, del rossore, del gonfiore sono effetti fisiologici ed importanti per rimuovere il patogeno. Però,
dopo che il batterio induce la proliferazione, quindi l'infezione e il richiamo di cellule leucocitarie, i
macrofagi, dal sangue, per via del sistema linfatico che è particolarmente permeabile l'insieme di:
batteri, queste particelle rosse e il macrofago che ha fagocitato il batterio, sono raccolti dal sistema
linfatico, dalla linfa e trasportati al più vicino linfonodo dove avverrà la attivazione della componente
cellulare responsabile della immunità acquisita, quindi della produzione degli anticorpi.

L'attivazione della risposta immunitaria risulta


essere un complesso macchinario cellulare che si
attiva a cascata. Qui è riportato l'antigene
fagocitato dalla cellula che presenta l'antigene
detta APC, cioè il macrofago esempio, la quale processa questo antigene, lo carica sulla molecola di MHC
di classe seconda e lo presenta alla prima cellula linfocitaria di questo macchinario, la cellula T-helper,
che, come il nome ci fa intendere, è una cellula che aiuta l'attivazione della risposta immunitaria,
andando a rilasciare fattori solubili; per esempio, qui rilascia l'interleuchina 4, necessari per attivare altre
cellule, come i linfociti B, i macrofagi o cellule citotossiche T, quali le cellule CD8.
L'Antigene Extracellulare è processato, caricato sulle MHC ed esposto e presentato al linfocita T Helper.
Quindi queste cellule che presentano l'antigene risiedono all'interno dei tessuti in forma inattiva, quali
per esempio le cellule dendritiche immature o i monociti, queste fagocitano il patogeno, processano
l'antigene, lo espongono sulla loro superficie grazie alle molecole di MHC di classe seconda e insieme ai
batteri, grazie alla linfa, giungono ai linfonodi dove avverrà l'attivazione dei linfociti T e B, che porterà la
produzione degli anticorpi.
Qui si vede bene come varia la morfologia di
una cellula dendritica in seguito ad attivazione,
fagocitosi. A sinistra abbiamo una cellula
dendritica immatura, appare bella tonda, liscia;
mentre la cellula dendritica matura presenta
una grande quantità di protrusioni del
citoplasma, di filamenti sulla sua superficie,
questa cellula si dice anche cellula capelluta; lo
scopo di questi filamenti è quello di aumentare
la superficie utile per poter contattare il più
grande numero di cellule CD4 T-helper. Il ruolo di queste cellule che presentano l'antigene è centrale
all'interno della risposta immunitaria acquisita, tant'è che senza di esse la cellula CD4 non si attiverebbe
mai e quindi non si potrebbero produrre gli anticorpi.
Andiamo quindi a vedere il ruolo dei linfociti T e dei linfociti B. I linfociti T e B sono ulteriormente
classificati grazie alla presenza sulla loro superficie di un recettore specifico, nel caso dei linfociti T
questo recettore è detto TCR, cioè recettore delle cellule T. La struttura di
questo recettore è analoga a quella di una immunoglobulina, tant'è che
anche durante la sua espressione genica vediamo un riarrangiamento dei
geni in modo molto simile a quanto avviene nel corso della produzione delle
immunoglobuline. Questi linfociti T, affinché possano attivarsi, però
necessitano sempre della presentazione dell'antigene da parte di una cellula
APC, quindi, deve essere correttamente presentato nel complesso peptide
MHC di classe seconda.

I linfociti B invece esprimono sulla loro superficie un recettore detto BCR,


appunto senza troppa fantasia, recettore delle cellule B; queste cellule
furono dapprima identificate all'interno degli uccelli, all'interno di ghiandole,
dette borse di Fabrizio. Questo recettore BCR corrisponde esattamente ad
una immunoglobulina, che presenta le classiche catene leggere e due catene
pesanti tenute assieme da ponti disolfuro. Al contrario però del linfocita T, il
linfocita B è in grado di riconoscere direttamente l'antigene libero senza la
necessità di una cellula presentante l'antigene.
Come si è visto, esistono differenti tipi di linfociti: linfociti B, linfociti T e Natural killer. Tutti quanti
originano all'interno dell'organo linfoide primario che è il midollo osseo da un precursore leucopoietico
comune, che deve poi differenziarsi in differenti linee germinative. Però, linfociti B e cellule Natural killer
maturano nel midollo osseo e da questo emigrano direttamente all'interno degli organi linfoidi
secondari, cioè il linfonodo per esempio.
Al contrario, invece, i linfociti T seguono un percorso differente, devono continuare la loro maturazione
all'interno del timo, dove vi emigrano. All'interno del timo saranno selezionati per l'abilità di distinguere
ciò che self da ciò che è non self, questo passaggio è cruciale; perché una cellula che presenta l'antigene
è una cellula che fagocita ogni cosa, anche un'eventuale cellula del nostro corpo che è andata incontro a
morte e quindi potrebbe esporre sulla sua superficie peptidi self. I linfociti T dovendo quindi attivare i
linfociti B, dovranno essere selezionati per l'abilità di distinguere le proteine self dalle proteine non self
presentate per esempio da una cellula presentante l'antigene, da una cellula APC, dove avviene questo
addestramento all'interno del timo.
All'interno del timo, quindi, si completa la maturazione dei
linfociti T, secondo una selezione positivo/negativa. In alto
si può osservare un linfoblasto, una cellula quindi linfoide,
immatura, del midollo osseo. Questa produce una progenie
innumerevole di 109 linfociti T differenti, nell’immagine
riportati con differenti colori, i quali hanno dei recettori di
forma differente, ad indicarci la loro abilità a riconoscere antigeni differenti. Quindi dal midollo osseo si
genera un plotone di linfociti in grado di riconoscere anche l'antigene che mai incontreranno nella loro
vita, però tra queste cellule sono presenti sicuramente anche cellule in grado di aggredirci.
Quindi queste cellule dal midollo osseo migrano all'interno del timo, dove sono selezionate dapprima
per la loro abilità nel riconoscere le nostre molecole MHC di classe prima nel corso della selezione
positiva; quindi, come prima cosa sono selezionate e rimangono vitali solo le cellule in grado di
identificare il nostro organismo come self.
Secondo passaggio; bisogna escludere tra queste cellule
tutte quelle cellule che potenzialmente saranno in grado di
aggredirci e che quindi legheranno con avidità le proteine
del nostro corpo. Rimarranno vitali solamente le cellule
correttamente addestrate, che riconoscono il nostro
organismo come self e tutto il resto come non self, appunto
l'antigene straniero.

I linfociti B subiscono una maturazione diciamo simile, che però avviene all'interno del midollo osseo,
dove i cloni che legano gli antigeni self vanno incontro ad anergia e quindi apoptosi, morte cellulare
programmata. A questo punto, questi linfociti che esprimono sulla loro superficie l’immunoglobulina M,
migrano all'interno del linfonodo dove rimangono lì quiescenti, in attesa che prima o poi giunga un
patogeno in grado di legare la loro immunoglobulina M.
Vediamo cosa avviene all'interno del linfonodo. I linfonodi presentano delle vie d'entrata, vasi linfatici
afferenti, e delle vie di uscita, vasi linfatici efferente. Come si può vedere molto bene dall'immagine, i
vasi linfatici in entrata sono molto di più che in
uscita. Pertanto, si comprende che la linfa, nel
momento in cui incontra un linfonodo, rallenta il suo
percorso perché ci sono più vie di entrata che vie
d'uscita. Quindi la linfa all'interno del linfonodo
ristagna e riesce ad essere filtrata. All'interno del
linfonodo, grazie alla sua particolare struttura con
cui è organizzato, si osserva un rallentamento del
flusso della linfa, la quale trasporta con sé anche il
patogeno che rimane intrappolato nelle fibre
reticolari di collagene che la strutturano, dentro cui si ancorano le cellule macrofagiche e le cellule
dendritiche che, grazie alla fagocitosi, rimuovono le particelle estranee, ma contestualmente, per via
della loro abilità di caricare i peptidi sulla MHC di classe prima, presentano l'antigene ai linfociti e quindi
attivano la risposta immunitaria, la via della risposta immunitaria acquisita per la produzione di anticorpi
che saranno rilasciati nella linfa.
È cruciale l'attivazione del linfocita T e del linfocita B. Questo processo può essere anche dannoso,
pertanto è necessaria quella che prende il nome di co-stimolazione, cioè il linfocita T affinché si attivi,
deve riconoscere il complesso peptide MHC di classe
seconda presentato dalla cellula APC, ed inoltre deve
ricevere anche un secondo stimolo per via del
riconoscimento di molecole opportunamente espresse
sulla superficie della cellula presentante l'antigene. Grazie a
questa co-stimolazione il linfocita T CD4 si attiva, inizia ad
esprimere una grande quantità di proteine di fattori
solubili che collaborano nell’attivazione del linfocita B, il
quale riesce in modo autonomo a riconoscere il patogeno per via dell’espressione sulla sua superficie di
immunoglobuline M, grazie alle quali il patogeno verrà internalizzato, processato e poi esposto sulla
superficie del linfocita B stesso, perché i linfociti B rientrano anch'essi nella categoria di cellule APC.
Quindi il linfocita T precedentemente attivato contatta linfocita B e lo co-stimola, lo informa della
presenza di un antigene non self per indurlo ad attivarsi, il linfocita T si attiva, diviene cellula attivata,
detta plasma cellula, la cui funzione nella vita è esclusivamente produrre anticorpi specifici, cioè
immunoglobuline di tipo C.

L’organizzazione del linfonodo

Quello che si nota molto bene è che il linfonodo presenta una zona più esterna, detta corticale, densa,
quindi ricca di cellule; ed una zona interna meno densa, detta midollare. Nella corticale avviene quel
processo di co-stimolazione che porta all'attivazione del linfocita B. Se si fa caso nella regione corticale si
distinguono delle regioni differenti, cioè le regioni dette dei follicoli linfatici, questi follicoli linfatici
corrispondono a zone di proliferazione attiva di linfociti B, quindi, in questa zona vi è stato il
riconoscimento dell'antigene che ha causato l'attivazione del linfocita B. In queste zone si crea un'area
più esterna ha detto mantello, questo mantello risulta dalla semplice proliferazione di un linfocita B che
per mitosi si divide e quindi spinge le altre cellule verso l'esterno, facendole accumulare, tutte cellule
attive che proliferano, si sono attivate, tutte cellule identiche a loro stesse, dette cloni.
Quindi, dopo che una cellula ha riconosciuto l'antigene, si attiva e inizia a generare una progenie di
cellule identiche a sé stessa, appunto i cloni, cioè crea una espansione clonale. Questa espansione
clonale, quindi, aumenta il numero di cellule effettrici, cellule che dovranno compiere il lavoro sporco,
eliminare il patogeno, nel caso in cui parliamo dei linfociti T; o di plasmacellule, cioè le cellule che fanno
il lavoro sporco, che producono gli anticorpi, nel caso dei linfociti B. Queste cellule hanno come unico
scopo della loro vita quello di eliminare l'antigene, dopodiché moriranno; però, contestualmente,
quando la cellula iniziale si attiva, genera anche una serie di cellule della memoria, cioè cellule che non
hanno altro compito che rimanere all'interno del linfonodo per aspettare una successiva sopraggiunta di
un nuovo patogeno.
Qui si vede quello che per esempio avviene nel corso di una vaccinazione, quindi quella che può essere
una risposta primaria ed una risposta secondaria. Quindi mettiamo il caso, facciamo un'immunizzazione
primaria, prima dose di vaccino, introduciamo nell'organismo l'antigene, questo verrà opportunamente
riconosciuto da parte della cellula linfocitaria B, quindi si instaurerà un legame specifico al BCR; la cellula
T, opportunamente co-stimolata da un linfocita T, che ha subito l'attivazione da un macrofago; il linfocita
B si attiva, prolifera, crea una progenie di cellule B attivate, ovvero cellule della memoria e plasmacellule,
cioè cellule che producono proteine plasmatiche (tra cui le immunoglobuline di tipo M), in grande
quantità, ovvero immunoglobuline poco specifiche, che cercano in prima battuta di contrastare il
patogeno.
Però quando effettuiamo la dose di richiamo, grazie alle cellule memory B, quelle della memoria, si
osserva una più rapida e potente risposta immunitaria; queste cellule si attivano, tra l'altro in breve
tempo (cinque giorni), producendo sempre una progenie di plasmacellule e di cellule nuove della
memoria. Però, nel corso della stimolazione antigenica successiva, le cellule variano la qualità dell’
immunoglobulina che producono, passando da una immunoglobulina poco specifica IGM alle più
specifiche, isotipi di immunoglobuline di tipo G, oppure IgE, così come anche le IgA; quindi,
immunoglobuline specifiche in grado di offrire una risposta idonea protettiva, contro il patogeno.
Di classi di anticorpi ne distinguiamo di cinque tipi prevalenti. Al di fuori delle immunoglobuline D che
esercitano una funzione regolatoria; conosciamo sicuramente le immunoglobuline di tipo M, espresse
prevalentemente nel corso della risposta primaria; le più specifiche immunoglobuline G, ben sappiamo
prodotte nella risposta secondaria; così come quelle E, generalmente espresse in risposta alla presenza
di allergeni o di parassiti. Piccolo inciso: i basofili, come anche i neutrofili presentavano sulla loro
superficie un recettore in grado di riconoscere un’ immunoglobulina, difatti l’eosinofilo contiene al suo
interno tante sostanze necessarie per contrastare le infezioni dovute a questi organismi.
Grazie alla qualità differente della coda della immunoglobulina, queste si distribuiscono all'interno del
nostro organismo in indifferenti regioni corporee, perché ognuna sarà specifica di una immunità selettiva
per ciascun tessuto; quindi le immunoglobuline A sono prevalentemente immunoglobuline secretorie,
rilasciate sulle superfici delle cavità interne, per esempio quelle dell'apparato digerente; mentre le
immunoglobuline G sono più che altro ubiquitarie e distribuite all'interno di tutto il corpo.
Concludiamo con un piccolo accenno su cosa avviene con le due vaccinazioni che abbiamo fatto, quale
quella del Covid, basata sul DNA o sull’ RNA. Che cosa è avvenuto? Sono stati modulati, a seconda della
tipologia di vaccino, un vettore virale che presenta il suo capside, con all'interno del DNA; oppure delle
nanoparticelle, cioè piccole particelle lipidiche contenenti acido nucleico, l'RNA. Il DNA entra all'interno
della cellula, sfrutta il macchinario replicativo per poter esprimere delle proteine, analogamente anche
l'RNA verrà espresso in questo modo.
La peculiarità è che all'interno delle cellule dell'ospite, per esempio, le cellule muscolari, i peptidi
codificati dai due acidi nucleici sono caricati sulla superficie della cellula muscolare, quindi, la molecola
di MHC di classe prima, o espressi. Da parte, una cellula presentante l'antigene, andrà a riconoscere
questa cellula, la degraderà ed esporrà i relativi peptidi sulla sua superficie, andando quindi attivare
un'altra cellula CD4. Analogamente, però, il vaccino riesce anche ad entrare all'interno di una cellula
presentante l'antigene, che presenterà questi stessi antigeni, oltre che per classe seconda, per classe
prima, quindi fornendo un'attivazione delle cellule per esempio CD8 che sono un sottotipo cellulare di
cellule T citotossiche, le quali riconoscono l’espressione di antigeni aberranti legati alle molecole MHC
direttamente, quindi agiscono un po’ come una sorta di cellula killer, però, riconoscendo il peptide virale
espresso da una cellula del nostro corpo.
Lezione 07/12
Citologia ed istologia

CITOMETRIA A FLUSSO
Si parla di una metodica alternativa complementare, per studiare le caratteristiche
cellulari, cioè la citometria a flusso, detta anche citofluorimetria, è una tecnica
d’indagine delle caratteristiche cellulari.
Oggi parleremo di questa metodica perché spesso non se ne parla, si parlerà di quali
sono i principi del funzionamento della tecnica di citometria a flusso, di come son
raccolti dal campione e vi farò comprendere come i dati possono essere applicati in
vari ambiti.
Per introdurre questo
argomento è bene
soffermarsi a pensare
come la materia vivente
è organizzata, quindi dal
suo stato atomico fino al
livello della biosfera.
Oggi però ci occuperemo
della cellula e ci
chiediamo come è fatta e
che caratteristiche ha,
ma è bene ricordare che
la materia vivente è
complessamente
organizzata e spesso si
commette questo errore: si crede che i livelli di organizzazione della materia vivente
più piccoli, ad esempio lo studio del DNA, siano quelli più importanti in grado di
dare risposta a tutti gli altri livelli.. invece non è così. Perché più si scende di livello
di organizzazione della materia e più si perde di vista come, per esempio una cellula
presa da sola e messa in una soluzione di per sé è inutile; se questa non interagisse
con altre cellule, come ad esempio le spugne, a formare degli organismi quindi delle
popolazioni, specie, comunità che interagiscono con le componenti biologiche per
formare l’ecosistema e la biosfera modificandola e che, a sua volta, induce dei
cambiamenti negli individui, nelle espressioni delle cellule e in qualche modo
seleziona il DNA. Tutti questi livelli sono interconnessi tra loro e a dare una
maggiore visione saranno i livelli di organizzazione della materia vivente maggiori.
STUDIO DELLA CELLULA: ESAME CITOMETRICO MISURA
CARATTERISTICHE CELLULARI

Per studiare le cellule si effettua un esame citometrico, cioè di misura “cito” delle
caratteristiche cellulari. Questo lo si può fare per mezzo della classica “citometria a
statica o per immagine” dove la cellula viene subito visualizzata dall’operatore e poi
analizzata nelle sue caratteristiche.
Mentre nella “citometria a flusso”
dobbiamo avvalerci di uno
strumento particolare, il citometro,
e di citometri oggi giorno ne
esistono molti. I citometri nascono
verso la fine degli anni 60’ poi con
lo sviluppo delle tecnologie, in
particolare delle sorgenti laser, ha
visto il culmine della tecnica
citometrica verso gli anni 80’,
quando era concomitante anche un
epidemia molto importante cioè HIV, e ha ricoperto un ruolo importante la
citometria a flusso nello studio di questa malattia. Nella citometria statica o per
immagine le cellule, per
esempio quelle del sangue,
possono essere catalogate grazie
alle loro caratteristiche
morfologiche ma anche in
seguito alla colorazione nelle
diverse sotto-popolazioni che
siano granulociti piuttosto
agranulociti e così via..
naturalmente le cellule possono
associarsi a formare i differenti
tessuti. Riusciamo a distinguere
questi grazie all’associazione
delle cellule, nell’immagine si ha una associazione di cute sottile dove riusciamo a
distinguere lo strato di epidermide e di derma sottostante.

Invece la citometria a flusso restituisce queste immagini chiari nette ma non del
tutto.. non sono di facile
comprensione o
interpretazione, ovviamente
per chi ci lavora risultano
essere informative e di facile
lettura.
Se mettiamo a confronto le
due tecniche quella statica o
quella a flusso,
comprendiamo che in quella
statica si riesce a
comprendere dove avviene il
segnale, e come son organizzate le cellule: cioè a capire se una caratteristica è
presente nel nucleo o periplasmatica; al contrario, in quello a flusso non riusciamo a
fare questo ma riusciamo ad ottenere molteplici informazioni relative ad ogni
singola cellula in un breve lasso di tempo.

COSA E’ LA CITOMETRIA A FLUSSO?


Immaginate di dovere
studiare la
composizione di una
popolazione di animali
contenuti all’interno di
un parco zoologico.
Osservando solo la foto
presa dall’alto,
distinguendo la classe,
il sesso, il peso,
l’altezza e via dicendo..
immaginate di fare
questo per mezzo di
una fotografia o
guardando un
semplice vetrino
istologico, tutto questo richiederebbe una quantità di tempo enorme..
Ma se avessimo una tecnologia in grado di contare e riconoscere tutte le
caratteristiche di ogni
singolo individuo, nel
caso specifico la cellula,
misurando le loro
caratteristiche fisiche e
chimiche ad alta
velocità? Ed è ciò che fa
la citometria a flusso, e
lo fa in breve tempo cioè
5 milioni di cellule in
soli 6 minuti.. e quindi
riuscire a creare dei
gruppi, a catalogare gli
animali costituiti dal
95% di mammiferi di
cui l’4% sono orsi bianchi di un certo peso, di una certa età, canguri, scimpanzé
maschi e femmine.
Per far questo, nella citometria a flusso è importante partire da un campione che sia
monodisperso, ovvero che contenga singole particelle libere separate in
sospensione, sono cellule di vario origine quindi ad esempio sangue intero, colture
cellulari, tessuti dissociati ( e questa è una pecca della citometria, perché perderemo
la qualità del tessuto) ottenendo informazioni significative.
L’analisi ci darà informazioni della caratteristica del campione, possiamo ancora
studiare nuclei, ma anche batteri, parassiti, alghe e via dicendo.. sta all’operatore
interpretare il segnale prodotto dalle cellule dopo che queste sono state intercettate
da un laser. Il segnale
sarà raccolto da un
opportuno rilevatore,
convertito in un
segnale elettrico che
sarà registrato sotto
forma di un file
analizzato al
computer, che
restituirà questi
grafici sotto forma di
istogrammi e dotplot.

I parametri che sono


presi in considerazione nella citofluorimetria, in quanto tecnica multiparametrica,
sono i parametri relativi alle caratteristiche fisiche della cellula, cioè la dimensione
relativa di ogni particella, quanto è complessa ogni particella che uno alla volta è
colpita dal laser?
Inoltre si studia caratteristiche biologiche/biochimiche grazie all’utilizzo di sonde
fluorescenti, le quali identificano in modo univoco la caratteristica
biochimica/biologica. Queste sonde fluorescenti, una volta colpite dal laser,
emettono fluorescenza, ovvero assorbono energia e la ricedono sotto forma di
energia luminosa, in particolare un colore, e di molecole fluorescenti ne esistono
molte..

CAMPI DI INDAGINE DELLA CITOFLUORIMETRIA


Grazie alla possibilità di effettuare, quindi misure accurate rapide ed oggettive, ma
sopratutto statisticamente significative, possiamo effettuare studi molteplici:
- immunofenotipico ( recettori, adesioni)
- Espressioni citochine ( permettono di attrarre globuli bianchi)
- In che fase del ciclo è la cellula ( per esempio studi in ambito oncologico)
- Proliferazione
- Apoptosi
- Cell sorting
Ed è possibile grazie a questa tecnica, studiare le cellule in real-time e recuperare
una sotto-popolazione d’interesse.
CITOMETRI PIU’ O
MENO COMUNI

Di citometri più o meno


comuni, ne esistono di vari
tipi, la differenza sta nella
abilità di ogni citometro nel
distinguere, analizzare,
vedere più o meno
parametri. Noi in particolare
ne abbiamo 2:
-BD FACS calibur
- BD FACS Ariallu

Come funziona l’analisi del citometro?

L’immagine qui sopra è un articolo scientifico che tratta di citometria.


Si parte dal campione biologico, come ad esempio il prelievo di sangue venoso,
qualora volessimo studiare i fenotipi, cioè il fenotipo immunologico dei leucociti. Si
parte dal sangue, le cellule sono separate quindi una parte è conservata e una parte
dovrà essere colorata affinché le caratteristiche sia resa identificabile. Le cellule son
acquisite all’interno dello strumento, sono aspirate, e in un punto particolare dello
strumento le cellule son disposte in fila e intercettate una alla volta dalla sorgente
luminosa laser monocromatica. Questo fa si che ogni cellula emetta dei segnali,
raccolti dai sensori, che produrranno una corrente e trasformeranno quella corrente
in un file che varrà analizzato successivamente dall’operatore, che poi restituiranno
quello che sono la percentuale di cellule iniziale.
APPLICAZIONI TRASVERSALI CITOMETRIA A FLUSSO

L’applicazione della citometria a flusso sono trasversali, cioè ha innumerevoli


ambiti di applicazione. Senza dubbio la citometria a flusso ha visto la sua nascita
nello studio delle malattie oncologiche, ed è stata d’aiuto perché come ben
sappiamo i tumori presentano delle alterazioni nel loro contenuto di DNA e grazie
alla citometria si riesce a studiare in contenuto di DNA delle cellule. Poi ha avuto i
suoi massimi sviluppi negli studi immunologici, come sappiamo il sistema
immunitario è ampio e vasto e va ben oltre quelle popolazioni di cellule descritte
finora. Quindi la citometria ricopre un ruolo nell’ambito della ricerca di base, per
aumentare le conoscenze però ricopre un ruolo anche nella medicina traslazionale,
cioè quella branca scientifica che dalla ricerca di base ottiene nuove conoscenze,
applicate direttamente al paziente malato, in ambito clinico.
Ma andiamo per gradi..

FASI DELLO STUDIO DELL’IMMUNOFENOTIPO: CAMPIONE

Si parte dal campione che non sempre proviene dal sangue, deve essere
monodisperso. Il campione, quindi le cellule, possono provenire da colture
cellulari o cellule primari ( liquidi o solidi):
- Le colture cellulari: le cellule vengono mantenute in laboratorio dove, a
temperatura costante, sono coltivate in un terreno. Se son in sospensione sono
facili da recuperare e da usare per la preparazione citometrica (come la sabbia)
- Le cellule aderenti: cellule che crescono adese alla piastra devono subire un
processo di distaccamento, e le cellule si attaccano alla piastra di coltura perché
esprimono delle glicoproteine di membrana che servono ad aderire alla matrice
extracellulare. Esistono vari tipi di cellule aderenti:

Cellule tumorali, la foto è priva di


colorazione, il colore rosè deriva dal
terreno di coltura. Per prendere
questa immagine si usa il microscopio
a contrasto di fase. L’ottica permette
di rendere in risalto le caratteristiche
delle cellule, i bordi , deviando la luce.
Quando aderiscono si spalmano sulla
plastica e assumono forme irregolari.

Cellule del cordone ombelicale ——>

Queste sono cellule trasformate, le


linee cellulari sono cellule trasformate,
immortalizzate, tumorali in altre parole.
Come vedete hanno tanti filamenti.
Queste classiche cellule leucemiche,
sono in sospensione. È una linea
leucemica, “mieloide”, quindi i
progenitori appartengono a quelle
cellule simili ai monociti (linea
HL60). In questo caso, essendo
cellule di sangue, assumono una
forma piuttosto sferica.

- Cellule primarie: il sangue è facile da studiare, perché possiamo prenderlo e


grazie ad una soluzione concentrata di zuccheri ( detta ficoll) le cellule
mononucleate del sangue periferico, quali sono le cellule mononucleate del
sangue periferico? Distinguiamo granulociti e agranulociti; tutti i granulociti
sono cellule con molti nuclei e hanno più lobi. Quindi noi riusciamo grazie a
questa tecnica di separazione su gradiente di densità, a separare le cellule
mononucleate. Quindi riempiamo il tubo con la soluzione di ficoll, dopo di che
andiamo a decantare sopra il
sangue; e a seguito di
centrifugazione le cellule
mononucleate del sangue
periferico (detto PBMC) si
organizzano a formare un anello
( colorazione grigia) e sotto le
cellule degli eritrociti. Il sangue
viene mosso, viene trasferito e
diluito con una soluzione
isotonica. Il campione viene
agitato, poi il sangue viene
decantato da creare una
stratificazione del sangue, il
tubo viene posto a centrifuga
per 20 min, trascorso il tempo, viene perfettamente separato. Poi possiamo
raccogliere le cellule bianche che saranno poi utilizzate per la colorazione.
Se ci troviamo ad un tessuto solido, bisogna disgregare le cellule, cioè una
dissociazione meccanica, come ad esempio la milza, si deve effettuare un
trattamento aggressivo come una digestione enzimatica o una combinazione di
processi enzimatici.
Come può essere mescolata una milza?
La milza viene triturata, si raccoglie, si passa attraverso il passino viene messo in
centrifuga e le cellule precipitano sul fondo.
Nel caso dei tessuti soldi, come la cute, dovremmo scegliere gli enzimi idonei per
effettuare la digestione e dissociazione delle cellule, ci sono dei kit necessari che
andranno a degradare la cellula o alterare le molecole espresse sulla loro superficie.

FASI DELLO STUDIO DELL’IMMUNOFENOTIPO: COLORAZIONE

Abbiamo ottenuto le cellule disperse, le dobbiamo colorare affinché si riesca a


quantificare le loro
caratteristiche. Le cellule son
ricoperte da una grande
quantità di molecole di
membrana, tra cui ci sono le
molecole CD che permettono
di classificare le cellule
bianche nei diversi sottotipi.
Per studiare questo
assortimento di molecole CD
effettueremo una colorazione
di immunofluorescenza.

TECNICHE DI IMMUNOFLUORESCENZA IN CITOMETRIA A


FLUSSO
Il principio della immunofluorescenza è identico alla tecnica microscopica, cioè ci si
avvale di anticorpi, coniugato ad una molecola fluorescente. Per via della specificità
che ha l’anticorpo si riesce ad identificare in modo specifico questa molecola
(freccia blu) piuttosto di un’altra
molecola (freccia rossa). Quindi la
cellula viene marcata e identificata
per la presenza di colorazione
rosso. Perché usarle?
- specificità dell’anticorpo
- Possibilità di creare un segnale
rilevabile identificato sotto forma
di colore.
La cellula una volta marcata e
coniugata, passa attraverso lo
strumento e viene colpita dal laser
generando i diversi segnali.
Se dobbiamo studiare più
caratteristiche basta mettere più anticorpi, perché gli anticorpi sono specifici per
una proteina particolare. Quindi vedete che riusciamo a distinguere un linfocite B e
un linfocite T, perché si utilizzo l’anticorpo colorato in blu riesce a riconoscere la
striscia colorata in arancione ma non altre molecole. Allo stesso modo l’anticorpo di
colore verde, riconosce la
striscia nera corrispondente
al marcatore CD3 delle
cellule esclusivamente T, e
già questo ci permette di
catalogare le cellule. Però,
attenzione, le cellule
possono anche condividere
marcatori come ad esempio
i marcatori CD27 che ha sia
la cellula B ma anche la
cellula T; però ne ha anche
una differente quantità.
Quindi non le discrimino
solo per la presenza binaria
del marcatore ma anche per quanto è presente questo marcatore. Grazie a questo
riuscirò ad effettuare lo studio immunofenotipo e la classificazione delle cellule.
Per poi passare all’acquisizione all’interno dello strumento.

Le cellule una volta


raccolte, quindi
visualizzate, possono
essere crio-conservate.
Se invece si ha un tessuto
solido, deve essere
dissociato utilizzando una
dissociazione meccanica e
una dissociazione
enzimatica. Cosi è come
appare, lui sta leggendo
400 eventi al secondo, si

riesce ad ottenere in breve


tempo informazioni, sono
astrate nei grafici cartesiani.
Dove ogni singolo puntino
sul grafico rappresenta una
cellula, le cellule si
dispongono a formare dei
gruppi a forma di nuvolette,
noi andiamo semplicemente
ad identificare queste
nuvolette.
Si passa poi
all’analisi, quindi gli
esempi di
applicazione.
Un’analisi
importante e utile
può essere utile per
la diagnosi dei
pazienti con
infezione HIV.
Ricordiamo che la
citometria ha un
ruolo importante nel
corso degli anni 80’
quando la
conoscenza
dell’immunologia era
ancora scarsa e si iniziarono a capire che le
cellule CD4 erano le cellule infettate dal virus
HIV, che ricordiamo al giorno d’oggi è molto
diffuso, sfrutta come chiave di accesso
all’interno della cellula la molecola CD4,
grazie alla proteina CP120 espressa sulla sua
superficie. Una volta entrato il virus uccide le
cellule CD4, che il sangue delle persone con
infezione in corso vengono meno e quindi
cade tutto quel complesso macchinario di
risposte immunitarie adattativa. Con la
citometria riusciamo in tempi molto rapidi a
valutare quante cellule CD4 ci sono.

La citometria sa se un individuo soffre di infezioni ricorrenti di batteri, quindi non


riesce a togliere queste infezioni. Ha un difetto immunologico nella maturazione di
cellule che andranno a produrre gli anticorpi, cioè i linfociti B, il processo di
maturazione delle cellule è un processo lungo che vede, durante il suo corso, la
modifica delle molecole espresse sulla superficie delle cellule.

Oppure può essere usato nella ricerca di nuovi farmici antitumorali; che inibiscano
la crescita di una cellula tumorale. Che in
quanto tale, la cellula tumorale è
caratterizzata da intensa attività di sintesi
del DNA.
Nella medicina traslazionale come puo
essere applicata? I ricercatori si sono
soffermati a valutare il DAN contenuto
all’interno delle cellule tumorali, presenti
nelle vie intrepatiche ti alcuni pazienti.
Come sappiamo le cellule tumorali hanno
alterazione, nel contenuto di DNA, in
particolare per l’espressione dei cromosomi, quindi con più DNA o meno DNA;
quindi ipodiploidi o iperdiploidi. Grazie alla citometria a flusso è possibile valutare
se c’è più o meno DNA, i pazienti a inizio
studio son stati catalogati, distinti in 2
categorie: pazienti con alterazioni di
DNA e pazienti senza alterazioni di DNA.
il farmaco agisce sulle cellule leucemiche
impedendone la replicazione, quindi
nella cellula trattata la percentuale di
cellule in replicazione risulta diminuita.
Oppure la citometria a flusso viene usata
nella medicina di precisione cioè la
valutazione di tumori benigni e maligni;
i tumori hanno una modifica del
contenuto di DNA, i tumori con
contenuto di DNA alterato comportano
maggior rischio di recidive e morte. La citometria a flusso è anche utilizzata in
quella agroalimentari nelle industrie della fermentazione quindi alcoliche e
lattiche.
LEZIONE 19 – 14/12/22

TESSUTO NERVOSO: NEURILEMMA

Ci rimaneva da capire molto sommariamente come funziona. Lo facciamo sommariamente perché


c’è tutta una materia specifica che verrà fatta negli anni futuri (fisiologia) che si occupa del
funzionamento delle cellule, dei tessuti e degli organi e quindi noi diamo solo qualche indicazione
che verrà poi dettagliata più avanti nel percorso di studi. Ci rimane da ricapitolare come i vari tipi di
tessuti interagiscono fra loro per dare un livello di organizzazione superiore, che è quello
dell’organo. Avremo tutti gli elementi e le conoscenze che servono per capire come sono
strutturati gli organi. Con ciò non descriveremo affatto tutti gli organi perché quello compete ad
un’altra materia ancora che è l’anatomia però gettiamo le basi istologiche per capire come sono
fatti e come sono strutturati gli organi. Quindi la lezione della settimana prossima non avrà
argomenti nuovi ma sarà un ripasso, chiarimenti, vedere insieme gli esercizi, una bella carrellata di
immagini per ricapitolare sia visivamente sia a parole tutto quello che abbiamo fatto e la prossima
lezione dedicheremo la parte iniziale a spiegare bene come avverrà l’esame.

L’altra volta avevamo già parlato del neurilemma, chiariamo meglio il concetto. Il neurilemma (o
neurolemma) è l’involucro di cui sono dotati gli assoni (solo loro) dei neuroni. Questo involucro
viene costruito attorno agli assoni a cura di due diversi tipi di cellule gliari a seconda che stiamo
parlando di fibre che si trovano nel SNC dove il neurilemma viene formato dagli oligodendrociti
oppure nel SNP dove si occupano della formazione del neurilemma le cellule di Schwann. Gli
oligodendrociti formano una guaina attraverso dei loro prolungamenti, questi prolungamenti
dell’oligodendrocita si avvolgono attorno ad un tratto dell’assone e la caratteristica è che ogni
oligodendrocita con i suoi diversi prolungamenti riesce ad avvolgere diversi assoni di diversi
neuroni (in media ne avvolge circa 15). E questo avvolgimento che i prolungamenti fanno attorno
agli assoni è dotato di mielina; quindi, grazie a questo inguainamento ottengo una fibra mielinica. È
importante perché la mielina è questa componente lipoproteica biancastra che dà anche il colore
alla sostanza bianca in cui abbondano le fibre mieliniche, che permette con il suo compito di
isolante termico una decisamente maggiore velocità di propagazione dell’impulso nervoso. La
cellula di Schwann, che troviamo nel SNP, forma la guaina avvolgendosi lei stessa attorno ad un
tratto dell’assone. La guaina che in questo caso può essere mielinizzata e quindi può dare origine
ad una guaina mielinica meno spessa a seconda di quante volte la cellula di Schwann si è arrotolata
attorno all’assone. Nelle fibre mieliniche, a differenza di quanto visto per gli oligodendrociti, una
cellula di Schwann proprio perché lei stessa si avvolge attorno all’assone andrà ad avvolgere e
quindi a costituire parte del neurilemma di un solo assone quindi di un solo neurone. Nel SNP ci
sono anche delle fibre amieliniche che sono comunque avvolte (hanno una guaina costituita dalla
cellula di Schwann) però non sono mielinizzate. Nel caso degli assoni amielinici nel SNP, una sola
cellula di Schwann (come si vede nello schema in basso a destra) accoglie diversi assoni quindi di
diversi neuroni all’interno di specie di introflessioni che si creano sulla sua superficie cellulare.
Quindi se la cellula di Schwann fa l’avvolgimento dotato di mielina, quindi così come la troviamo
nelle fibre mieliniche, una cellula di Schwann avvolge un solo assone; se invece si tratta di fibre
amieliniche, la cellula di Schwann accoglie, senza formare guaine, in queste docce della sua
membrana cellulare diversi assoni e quindi diversi neuroni. Torniamo al confronto tra
oligodendrociti e cellule di Schwann: c’è una cosa che accomuna tutti e due i neurilemmi formati
da queste cellule quando c’è la mielina, cioè che tutto l’assone viene ad essere praticamente
ricoperto di mielina ma ogni cellula oligodendrocita o cellula di Schwann si occupa di una porzione
dell’assone, che è il segmento internodale. Qui, per esempio, abbiamo il prolungamento di un
oligodendrocita che si avvolge e forma la guaina a livello di questo segmento. L’altro pezzo di
assone sarà avvolto da prolungamenti di un altro oligodendrocita e via di seguito finché tutto
l’assone risulta inguainato. Gli spazi fra un segmento internodale e l’altro vengono chiamati “nodi
di Ranvier” e solo in quei punti non c’è la guaina mielinica, si interrompe la mielina perché finisce
quella fatta da un oligodendrocita o da una cellula di Schwann e inizia poco dopo quella di un’altra
cellula. Alla fine, tutta la lunghezza dell’assone possiede il rivestimento mielinico, ogni tratto del
rivestimento mielinico è fatto a cura di un oligodendrocita (se siamo nel SNC) o di una cellula di
Schwann (se siamo nel SNP). E dove finisce il segmento inguainato di una cellula c’è il nodo di
Ranvier, un nodo in cui manca la mielina. Perché ci interessa tanto di questi nodi di Ranvier? Lo
vedremo adesso quando spiegheremo come si propaga l’impulso, perché lungo le fibre mieliniche
l’impulso salta materialmente da un nodo di Ranvier all’altro; quindi, la velocità di conduzione
dell’impulso dipende fortemente dalle caratteristiche del neurilemma, in primis dipende se c’è o
non c’è la guaina mielinica perché le fibre mieliniche hanno una velocità di trasmissione
dell’impulso maggiore di quella mielinica di 10 o 100 volte. Dipende anche da quanto è spessa la
guaina mielinica perché si possono avere più o meno avvolgimenti intorno all’assone della mielina
e più spesso e quindi maggiore è il lavoro di isolamento elettrico maggiore sarà la propagazione
come pure dipende dalla distanza che c’è tra un nodo di Ranvier e l’altro. Maggiore è la distanza fra
un nodo e l’altro maggiore sarà la velocità dell’impulso che salta dei pezzi molto lunghi.
Noi sappiamo che il neurone è una cellula che ha due proprietà particolari: l’eccitabilità e la
conducibilità. Queste dipendono dalle particolari condizioni elettriche di partenza della cellula e
dalla possibilità che attraverso uno stimolo queste condizioni elettriche vengano a modificarsi
creando un cosiddetto potenziale di azione, che in buona sostanza è un’onda elettrica che percorre
il neurone con una direzione ben precisa, come sappiamo il neurone è polarizzato da un punto di
vista strutturale e funzionale. Qual è il senso di marcia di questa onda elettrica? Diciamo dal
dendrita verso il corpo cellulare e dal corpo cellulare lungo l’assone fino al terminale assonico e da
lì poi può essere trasferito ad un’altra cellula in un sito di contatto specifico che si chiama “sinapsi”.
Qual è la condizione normale di riposo della membrana cellulare di un neurone? C’è una differenza
di distribuzione di cariche elettriche tali per cui l’interno della membrana (che si affaccia sul lato
citosolico) risulta carica negativamente rispetto al lato esterno, che risulta invece carico
positivamente. Questa differenza di cariche genera un potenziale di riposo, che nei neuroni dei
mammiferi è pari a -70 mV. Come mai c’è questo potenziale? C’è perché le cariche sono distribuite
in modo diverso, ci sono per esempio alcune proteine con cariche negative, amminoacidi con
cariche negative che sono sul versante citoplasmatico e soprattutto è una distribuzione degli ioni
tra dentro e fuori dalla cellula fondamentalmente diverso ed è così perché sono le pompe ioniche
in particolare la pompa sodio potassio che garantisce questa diversa distribuzione. Abbiamo una
prevalenza e una maggioranza di ioni sodio all’esterno e di ioni potassio all’interno: questa è la
situazione di riposo, di partenza. Quando il neurone è raggiunto da uno stimolo eccitatorio (perché
possono esserci anche degli stimoli inibitori) questo stimolo fa aprire i canali ionici. Quando si
aprono i canali ionici, attraverso i canali gli ioni fluiscono secondo il loro gradiente elettrochimico,
quindi, succederà che gli ioni sodio tenderanno ad entrare nella cellula e gli ioni potassio ad uscire.
Quindi questa entrata di ioni sodio porta ad una depolarizzazione cioè il potenziale che all’interno
era negativo tende a salire e a neutralizzarsi e se si raggiunge un livello tale di depolarizzazione
sufficiente da determinare l’apertura dei canali del sodio voltaggio-dipendenti che si trovano sul
cono di emergenza dell’assone, questa apertura dei canali di sodio voltaggio-dipendenti porta ad
un ulteriore ingresso di ioni sodio e quindi un’ulteriore depolarizzazione che porta ad un’inversione
delle condizioni elettriche rispetto alle condizioni di riposo, cioè abbiamo un potenziale positivo
all’interno e negativo all’esterno, cioè l’esatto contrario. Questo potenziale d’azione viene
quantificato sui valori di +30/+40 mV, ed è questo potenziale di azione che si propaga lungo tutto
l’assone e arriva poi al terminale assonico dove andrà a determinare il rilascio di neurotrasmettitori
se parliamo di una sinapsi chimica. Si propaga lungo l’assone con due modalità diverse a seconda
che l’assone sia mielinico oppure amielinico. Se l’assone è mielinico ci sono i canali
voltaggio-dipendenti che sono distribuiti in modo discontinuo lungo l’assone perché si accumulano
esattamente nei nodi di Ranvier e quindi ecco perché l’impulso salta da un nodo all’altro, mentre
nel caso degli amielinici è un impulso che viaggia con una conduzione continua ma più lenta
perché deve farsi tutta la lunghezza dell’assone come una specie di hola. Ovviamente questa
situazione di eccitazione non permane, ad un certo punto i canali ionici si chiudono dopo pochi
millisecondi e si va a ristabilire la normale condizione elettrica della membrana del neurone in
modo che sia pronto nuovamente ad essere stimolato; quindi, inizialmente si aprono i canali del
potassio così si ristabilisce la condizione e poi le normali concentrazioni di sodio più alto fuori e di
potassio più alto dentro alla cellula vengono ripristinate dall’azione incessante delle pompe ioniche
sodio-potassio. Il potenziale di azione è questa onda elettrica che si genera perché il neurone
stimolato passa dalle condizioni di potenziale di riposo di -70 mV ad una condizione di azione di
+30/+40 mV, con un gioco di questa corrente elettrica è determinata dallo spostamento di ioni
attraverso la membrana.

Il potenziale di azione raggiunge il terminale assonico quindi la parte finale dell’assone e poi che
cosa succede? Ecco l’altra capacità: quella di condurre e di trasferire questo stato di eccitazione ad
un altro elemento, a livello di siti di contatto funzionali che vengono chiamate sinapsi. Le sinapsi
possono essere tra un neurone e un altro neurone oppure possono essere tra un neurone e una
cellula effettrice, cioè una cellula che può essere muscolare o ghiandolare, per esempio, che
ricevendo questo impulso da un neurone, risponde ad esempio contraendosi o liberando secreti. È
a livello delle sinapsi che avviene la trasmissione dell’impulso nervoso da una cellula (un neurone)
ad un’altra cellula. Si distinguono due tipologie di sinapsi in base a come avviene questa
trasmissione e sotto che forma viene trasferito questo impulso nervoso: la sinapsi elettrica e la
sinapsi chimica. Nella sinapsi elettrica abbiamo il terminale assonico che è in diretto contatto con
l’elemento che può essere un’altra cellula nervosa attraverso delle giunzioni gap (comunicanti).
Quindi i citoplasmi delle due cellule che sono coinvolte nella sinapsi elettrica sono collegati
materialmente ed il flusso degli ioni che determina il potenziale d’azione e l’impulso nervoso si
muovono liberamente e velocemente fluiscono dall’uno all’altro; quindi, si trasferisce in modo così
diretto e sotto forma unicamente elettrica l’impulso nervoso. Le sinapsi elettriche sono piuttosto
frequenti negli animali invertebrati e nei vertebrati inferiori mentre invece nei mammiferi sono
abbastanza rare. Sono più rappresentate durante il periodo dello sviluppo ma poi nell’organismo
adulto sono limitate veramente a poche zone e sono poche anche numericamente: ci sono alcuni
esempi nel talamo e nella corteccia cerebrale, mentre nella stra-maggioranza dei casi nei
mammiferi adulti la sinapsi che va per la maggiore è la sinapsi di tipo chimico. Cosa vuol dire la
sinapsi di tipo chimico? Vuol dire che l’impulso nervoso che arriva a livello del terminale assonico
viene trasferito alla cellula contigua per l’intervento di neurotrasmettitori. L’impulso che arriva al
terminale assonico determina il rilascio dei neurotrasmettitori in quel piccolo spazio che c’è fra il
terminale assonico e la cellula con cui è in sinapsi terminale. Il neurotrasmettitore diffonde nella
fessura sinaptica, si lega ai recettori che sono sulla membrana della cellula e questo legame
determina nuovamente la generazione di un potenziale elettrico; quindi, in pratica a livello della
fessura sinaptica l’impulso nervoso che è arrivato sotto forma elettrica viene trasformato in un
messaggio chimico (il neurotrasmettitore) che poi, agganciandosi all’elemento post-sinaptico alla
cellula contigua, nuovamente genera un segnale elettrico. Quindi abbiamo messaggio elettrico –
messaggio chimico – messaggio elettrico, a livello della sinapsi chimica. Quindi qui abbiamo il
coinvolgimento delle vescicole che contengono i neurotrasmettitori che troviamo abbondanti più
nella zona del terminale assonico.

Quindi quando parliamo delle sinapsi chimiche noi abbiamo tre elementi che la costituiscono:
l’elemento presinaptico, che è il neurone ed è in particolare il terminale assonico del neurone; un
elemento postsinaptico, che è la cellula che può essere un neurone o un’altra cellula che si chiama
cellula effettrice che riceve questo impulso nervoso, se si tratta di un neurone in particolare questa
parte del neurone che riceverà l’impulso nervoso sarà un dendrite, se invece è una cellula
effettrice sarà una porzione della membrana di questa cellula effettrice; in mezzo fra le due c’è uno
spazio che si chiama fessura sinaptica, uno spazio extracellulare nel quale viene rilasciato il
neurotrasmettitore prodotto e accumulato dall’elemento presinaptico che una volta attraversata la
fessura sinaptica raggiunge e si lega ai recettori presenti nell’elemento postsinaptico. In che modo
il potenziale d’azione fa determinare il rilascio dei neurotrasmettitori? Arriva questa onda che è il
potenziale d’azione che sta correndo lungo l’assone, arrivato al terminale assonico (elemento
presinaptico del neurone) questo va a determinare l’apertura dei canali del calcio; quindi, il livello
del calcio aumenta all’interno del terminale assonico e questo va a terminare l’esocitosi delle
vescicole contenenti neurotrasmettitori che sono situate nel terminale assonico, cioè le vescicole si
muovono verso la membrana (l’assolemma), si fondono con l’assolemma e rilasciano il loro
contenuto nella fessura sinaptica. C’è una diffusione dei neurotrasmettitori che vanno a legarsi sui
recettori che sono presenti sulla membrana dell’elemento postsinaptico e, in seguito a questo
legame, si aprono i canali ionici da cui dipenderà la generazione nuovamente di un impulso
elettrico che stimola questa seconda cellula. perché le sinapsi chimiche funzionino e continuino a
funzionare ci sono due processi fondamentali che sono il fatto che si formino le vescicole
sinaptiche cioè ad ogni stimolazione le vescicole si fondono e rilasciano neurotrasmettitori ma
perché poi questo neurone sia pronto nuovamente a trasferire l’impulso nervoso e a rilasciare
ulteriori neurotrasmettitori occorre che si riformino queste vescicole e per fare questo c’è un
sistema di rapido riciclo soprattutto delle membrane e delle vescicole tramite fenomeni di
micropinocitosi per cui c’è un recupero delle vescicole che poi dopo possono essere ricaricate in
loco quindi nel terminale assonico oppure essere mandate al corpo cellulare per essere
rimpinguate con neurotrasmettitori perché senza neurotrasmettitori nelle vescicole ovviamente
tutto il giochino di passaggio dell’informazione a livello delle sinapsi non funziona. L’altra cosa
fondamentale è che i neurotrasmettitori rilasciati nella fessura sinaptica vengano poi rimossi
perché se rimangono lì continuano a stimolare l’elemento postsinaptico e questo non deve
avvenire, una volta che l’ha stimolato basta, non deve continuare a sottoporlo ad uno stimolo,
quindi, occorrono dei meccanismi anche per rimuovere i neurotrasmettitori dalla fessura sinaptica
e questi meccanismi possono prevedere, per esempio, una diffusione dalla fessura sinaptica verso
l’ambiente extracellulare costante dove poi astrociti possono incaricarsi di rimuovere i
neurotrasmettitori oppure ci può essere una ricaptazione dei neurotrasmettitori da parte
dell’elemento presinaptico attraverso dei trasporti specifici oppure, questo capita soprattutto a
livello di quando il neurotrasmettitore è coinvolto e l’acetilcolina ci possono essere degli enzimi che
idrolizzano il neurotrasmettitore presente nella fessura. Quindi agisce questo enzima che è
l’acetilcolinesterasi che va a demolire l’acetilcolina rimasta nella fessura sinaptica. Questi due
fenomeni garantiscono che il processo di passaggio dell’impulso nervoso nelle sinapsi chimiche
possa continuare e possa essere efficiente cioè agire quando serve e poi interrompere la
stimolazione.
Nel caso in cui la sinapsi sia tra un neurone e un altro, l’elemento sinaptico sarà sempre
ovviamente il terminale assonico di un neurone e l’elemento postsinaptico quale porzione
dell’altro neurone sarà? Possiamo distinguere diversi tipi di sinapsi tra neuroni in base a con chi si
interfaccia il terminale assonico sinaptico: se si interfaccia con il dendrite dell’elemento
postsinaptico si parla di sinapsi assodendritica, che peraltro è uno dei tipi più diffusi, le sinapsi
assodendritiche spesso coinvolgono le famose spine dendritiche (di cui avevamo parlato) che sono
queste piccole protuberanze che possono essere anche molto numerose nei dendriti, sono corte e
sostenute da microfilamenti, in questa immagine si apprezza molto bene la presenza di tante spine
sui dendriti di questo neurone multipolare, sembrano proprio i rametti delle rose con tutte le spine
e l’abbondanza di spine è molto importante proprio per ampliare la capacità ricettiva. La presenza
di spine è relazionata anche a delle attività particolari come la capacità di memorizzazione, di
elaborazione.
Se invece l’assone dell’elemento presinaptico prende contatto, fa sinapsi, con il corpo cellulare
dell’elemento postsinaptico parliamo di sinapsi assosomatica.
Se invece prende contatto con l’assone addirittura dell’altro neurone allora parliamo di una sinapsi
assoassonica.
Di solito le sinapsi assoassoniche e le assosomatiche sono delle sinapsi che servono per regolare gli
impulsi nervosi con scopo inibitorio mentre quelle assodendritiche, soprattutto quelle che
prendono contatto con le spine, sono classicamente sinapsi di tipo eccitatorio.
Le fibre nervose hanno sinapsi con diverse cellule 00:37:29
Lezione 20 – 20/12/22

LEZIONE CONCLUSIVA

Come preparare l’esame? All’esame


non verrà chiesto nulla di più e nulla
di meno di quello che è stato fatto a
lezione. Questo vuol dire che teniamo
come riferimento il programma del
corso che è pubblicato nella scheda di
insegnamenti alla voce contenuti del
corso. Il programma ovviamente è un
po’ per macrocategorie, è un po’
sintetico, quindi la nostra bussola più
precisa è il pdf che hanno pubblicato
in classroom dove ci sono tutti gli
argomenti che sono stati trattati. Se qualcosa non è stato trattato e nei testi c’è, ma noi non lo abbiamo
affrontato a lezione, non è necessario che lo studiamo. Questo però non significa studiare solo sui pdf,
perché i pdf contengono una sintesi di quello che è stato detto, ci sono state date più informazioni di quelle
riportate nei pdf e soprattutto i pdf non hanno le figure e gli schemi che sono invece fondamentali per la
preparazione dell’esame quindi utilizzare a fianco dei pdf anche il testo in cui andremo a cercare solo gli
argomenti trattati a lezione. Vale sia per chi ha seguito quest’anno, ma anche per i ragazzi degli anni scorsi
perché probabilmente il programma di quest’anno è più ristretto rispetto a chi ha fatto l’esame negli anni
scorsi. Non sono state lasciate dispense e materiali alle copisterie, se c’è del materiale di citologia e istologia
è materiale probabilmente degli anni scorsi e con tutta probabilità materiale non autorizzato dal docente,
quindi non andate a spendere dei soldi per delle fotocopie che non vanno bene perchè tutto il materiale
che ci serve è nella classroom di quest’anno. I testi, io ve ne ho consigliati due in particolare perché sono
quelli da cui sono state tratte la maggior parte delle immagini, se però qualcuno ha un altro testo può
usarne anche un altro tenendo presente che possono esserci delle leggere differenze, magari la
corrispondenza delle immagini non è esattamente quell,a ma i tessuti e le cellule sono comunque quelli e
quindi potete usarne sicuramente anche un altro e se non lo volete acquistare potete anche prenderli in
prestito in biblioteca.

Come sarà l’esame? Il test


è scritto che si comporrà di
31 domande a risposta
chiusa multipla, per la
precisione per ogni domanda ci saranno 5 possibili risposte e una sola è quella giusta e ci darà un punto.
Quindi è facile capire in base al punteggio che totalizzate quante domande avete azzeccato. Se le
selezionate correttamente tutte e 31 prendete 30 e lode. Il minimo di domande che dobbiamo azzeccare è
18 per poter passare l’esame. Quando non diamo la risposta o date la risposta errata sono sempre 0 punti,
cioè non vi penalizza il fatto di sbagliare la risposta, questo vuol dire che comunque anche se non siete sicuri
della risposta vi conviene in ogni caso segnarne una. Su cosa sono le 31 domande? Possono spaziare su
tutto il programma, quindi il nostro programma era diviso in tre blocchi: metodologie, citologia e istologia.
Per le metodologie che hanno avuto uno spazio molto più limitato rispetto alle altre due, le domande
saranno al massimo 1 o 2, tutte le altre domande saranno equamente ripartite metà sugli argomenti di
citologia quindi sulle cellule e metà invece sugli argomenti di istologia e quindi sui tessuti e tra queste
domande ce ne potranno essere 2 o 3 che sono non semplicemente un testo ma un’immagine nella quale vi
sarà chiesto o di identificare una struttura o di capire che cos’è la sezione che può riguardare i tessuti o
cellule. Quindi con quelle domande si testerà la vostra capacità non solo di conoscenza teorica ma anche di
riconoscimento delle strutture, quello che avete fatto anche nelle esercitazioni guardando i vetrini, in
questo caso non potrete vedere un vetrino perché sarete in aula, ma vedrete una immagine, una
riproduzione al microscopio ottico o al microscopio elettronico, un’immagine fotografica. Materialmente
come verrà svolto l’esame? Quando verrete a fare l’esame riceverete i fogli con le 31 domande e quello è il
compito e riceverete un altro foglio diverso che è un modulo OMR in cui andrete ad indicare quale risposta
scegliete per ogni domanda, per ognuna delle 31 domande e la selezione si fa annerendo il pallino della
risposta che considerate giusta e quindi solo questo modulo, che poi verrà corretto, verrà corretto con la
modalità ottica, verrà letto automaticamente da una stampante. (Domanda che non si sente, ma
tecnicamente riferita al colore delle immagini fotografiche che verranno messe nell’esame: qualunque sia
l’immagine, se è in bianco e nero significa che si poteva capire anche senza la colorazione). Una volta chiuse
le iscrizioni, riceverete delle istruzioni, prima dell’esame su come si compilano gli OMR in modo che anche il
giorno dell’esame, che comunque poi vi verrà rispiegato, saprete già comunque come maneggiare questi
fogli. Quanto dura il test? Per 31 domande basterebbero 30 minuti però ve ne diamo 40 in modo che
abbiate laggio temporale per compilare il modulo senza fretta e senza infilarci degli errori di annerimento
visto che poi se fate un errore bisogna cambiare foglio e ricominciare la compilazione. Quindi 40 minuti del
vostro tempo complessivi per decidere le risposte e il tempo per annerire sul modulo OMR la risposta che
ritenete corretta.

Questa è la parte alta del foglio OMR, quella dove dovete indicare la vostra anagrafica, la dovete indicare sia
scrivendola, sia annerendo i pallini corrispondenti alle lettere del vostro cognome spazio nome, in cui
dovrete indicare la matricola e questo è molto importante quindi il giorno dell’esame venite sempre con il
vostro numero di matricola, se non lo sapete a memoria, con il vostro tesserino perché questa va indicata
necessariamente e poi dovrete anche indicare il compito e la variante che troverete scritto sul compito
stesso che vi diamo. La parte sotto di questo foglio è così:

Domanda 1, ci sono 5 possibili risposte, voi dovete annerire la risposta che intendete scegliere. Qui la
persona ha scelto la risposta B per la domanda 1, la risposta C per la domanda 2, la risposta A per la
domanda 3 e via di seguito. Si può fare un annerimento perché se voi annerite due pallini viene considerato
errore quindi prima di annerire prendete la vostra decisione e state attenti ad annerirla correttamente.
Comunque vi arriveranno quando saranno chiuse le iscrizioni, a chi è iscritto all’esame, arriveranno per
email delle istruzioni che vi ricapitolano come si compila e come si annerisce il modulo OMR. Il giorno
dell’esame ve lo rispieghiamo nuovamente.

le date degli esami sono


già online da un po’: sono
l’11 gennaio. Il 31
gennaio e il 14 febbraio.
Vi invito a fare attenzione
al periodo di iscrizione,
non ci si può iscrivere
sempre, da un certo
giorno fino a circa una
settimana prima che
termini l’appello. Io vi
avviso già, se qualcuno
perde la possibilità di
iscriversi, si iscrive
all’appello dopo. L’iscrizione all’appello successivo si apre sempre almeno 1 o 3 giorni dopo che c’è stato il
primo appello, questo è stato fatto apposta in modo che all’appello successivo si iscrivano solo le persone
che non hanno passato l’esame o che lo hanno passato ma hanno preso un voto che non gli piace e lo
rifiutano, ma non voglio che uno si iscriva a casaccio a tutti gli appelli. Quando chiude la lista delle iscrizioni
non potete più ad aggiungervi alla lista e neanche più togliervi. Se si decide di non fare più l’esame o
qualcuno non può per motivi di salute o altro tipo, toglietevi dalla lista online. Se la lista è ancora aperta
togliere proprio dalla lista online, se è chiusa avvisateci con una mail. Dopo l’esame un tempo variabile fra 1
e 3 giorni vengono pubblicati gli esisti dell’appello e vi arriva una mail all’indirizzo edu.unife che i voti sono
stati pubblicati e avete un tot di giorni per accettare e rifiutare il voto, si fa sempre dalla vostra rea
personale. Se sbaglio l’esame dell’11 possiamo fare l’appello subito dopo, si possono fare tutti e tre, ma
meglio non venire solo per tentarlo, anche perché ogni esame avrà domande diverse, le domande vengono
cambiate sempre tutte quante.

1. La prima nel
box grigio è un
esempio di domanda
del modulo di
metodologie.
bisogna ricordarsi
cosa si intende per
inclusione che è una
delle fasi del procedimento istologico. Le possibilità sono formalina, xilolo, azoto liquido, etanolo,
paraffina. Qui ho messo tutte cose che in un qualche modo possono c’entrare con il processo
istologico, ma solo una c’entra con l’inclusione. La risposta corretta è PARAFFINA. Chiedetevi perché
le altre si o no, questo diventa un modo per usare gli esercizi come sistema di ripasso. La formalina
cosa c’entra e per cosa può essere utilizzata? La formalina l’abbiamo citata come più classico e più
utilizzato dei fissativi, quindi è una sostanza liquida, ha una soluzione liquida che serve per fissare i
tessuti quindi uno step precedente rispetto a quello della inclusione. Lo xilolo lo usiamo in parte
anche per la colorazione perché all’inizio delle colorazioni noi sparafiniamo i vetrini per allontanare
la paraffina e lo facciamo usando lo xilolo perché lo xilolo è un solvente della paraffina, ma lo xilolo
lo usiamo anche durante il processo di inclusione perché dopo che ho disidratato i pezzi li immergo
in xilolo e poi li passo nella paraffina fluida, liquida. Quindi lo xilolo c’entra comunque con altri step
del procedimento. L’azoto liquido per cosa si può usare? Per la congelazione, come metodo per
rapido congelamento. L’etanolo serve per la disidratazione del mio pezzo quando lo sto includendo
e gli etanoli li utilizzo anche nei procedimenti di colorazione quando invece voglio reidratare le mie
sezioni, colorarle, una volta colorate di nuovo disidratarle e montarle in modo definitivo nel mio
vetrino permanente.

2. questo per ricordarvi che nel


modulo della citologia è compreso
anche tutta la parte introduttiva su
quali sono i componenti, le molecole
importanti come costituenti delle
cellule e dei tessuti e che quindi
bisogna conoscere nelle loro
caratteristiche chimico fisiche, dove
le trovo nelle cellule e nei tessuti e che ruolo svolgono. Le opzioni sono: proteica, lipidica, glucidica,
glicoproteica, proteoglucidica. La risposta corretta è lipidica, gli steroidi sono una tipologia di lipidi.
Voi sapete che la classe dei lipidi è piuttosto eterogenea al suo interno perché troviamo fosfolipidi,
trigliceridi, cere, styeroidi che fra loro non si somigliano tantissimo se non per la idrofobicità o
scarsa affinità per l’acqua a meno di alcune parti della molacole che presentano un gruppo
idrofobico che possono dare una certa anfipaticità alla molecola.

3. Sotto un esempio di domanda con immagine al TEM, quindi sezione vista al microscopio elettronico
a trasmissione, che sarebbe a prescindere in bianco e nero. È una sezione trasversale di che cosa?
Centriolo, assonema di ciglio/flagello, microvillo, corpo basale di un ciglio/flagello, stereociglio. La
prima cosa da notare è che io vedo in sezione delle organizzazioni microtubulari quindi questa è
sicuramente una struttura cellulare costituita di microtubuli ragion per cui posso già escludere due
di queste cinque risposte: il microvillo perché non è fatto di microtubuli, i microvilli sono fatti di
microfilamenti quindi non vedrei queste strutture e apiccoli tubi e anche lo stereociglio che è un
microvillo specializzato. Rimangono in ltìista la A la B e la D. per distinguere tra la A la B e la D su
cosa mi devo concentrare? Sull’organizzazione, sul numero sia di coppie di microtubuli alla periferia,
sia se ho al centro dei microtubuli. Ci sono? Si ci sono allora il fatto che ho due microtubuli centrali e
il fatto che ho dei doppietti mi fa escludere che si possa trattare di un corpo basale che avrebbe 9
triplette e niente al centro. Il corpo basale che è sempre una parte del ciglio e flagello è la parte che
è infissa nel citoplasma mentre l’assonema è l’asse, è la parte che svetta fuori sulla superficie. Il
corpo basale da un punto di vista ultrastrutturale, perché questa che noi stiamo guardando è l’ultra
struttura, è esattamente uguale ad un centriolo, quindi nel momento in cui noi escludiamo il corpo
basale o escludiamo il centriolo, escludiamo anche l’altro per forza. Sul fatto che ci sia scritto
ciglio/flagello, perché? Ciglio e flagello non sono la stessa cosa però condividono la stessa
organizzazione che è nell’assonema 9+2.
Le immagini che metterà possono essere sia immagini viste a lezione che no, idem per i vetrini.

4.
Qui bisogna ricordarsi come vengono suddivise le ghiandole e la grande divisione fra ghiandole
endocrine e ghiandole esocrine e che cosa implica questo. Le ghiandole endocrine sono quelle che
producono ormoni e questi ormoni vengono rilasciati nel torrente circolatorio tramite i quali
raggiungono le cellule e gli organi bersaglio, quindi visto che la modalità è questa, cioè sgancio il
mio prodotto nel torrente circolatorio io non ho necessità e infatti le ghiandole endocrine non
hanno dotti e quindi non mantengono questo collegamento quindi con il lume o la superficie degli
organi cose che invece fanno le ghiandole esocrine che riversano i loro secreti tramite dotti
escretori. Quindi la risposta A produce ormoni sarebbe la definizione data per una ghiandola
endocrina, stessa cosa per la risposta B rilascia il secreto direttamente nel sangue, è sempre ciò che
fa una ghiandola endocrina, la risposta C è priva di dotto, sempre la definizione di una ghiandola
endocrina, invece quando noi parliamo di ghiandola merocrina ci riferiamo ad una modalità del
rilascio del secreto che si riferisce a delle ghiandole esocrine quindi ci rimangono la D e la E. vi
ricordate se non è merocrina la modalità possibile? Ne avevamo individuate tre: olocrina e
apocrina, avevamo anche detto che quella merocrina è quella più diffusa più frequente. Qui vi può
aiutare, se non vi ricordate l’informazione in sé, l’etimologia della parola: meros vuol dire parte,
olos vuol dire tutto. Quindi la modalità in cui le cellule secernenti in toto si sfaldano e costituiscono
il secreto con le ghiandole sebacee questa è una modalità olocrina, quindi anche la D è da eliminare
e la risposta corretta è la E ovvero Emette il secreto per esocitosi dalle porzioni apicali delle cellule
secernenti; è una banale secrezione tramite esocitosi, quindi vengono liberate le vescicole dalla
parte apicale della cellula. nelle apocrine è un po’ una cosa mista, si perde la parte apicale della
cellula che contiene dei globuli di soluto lipidici, è molto rara quella olocrina, la abbiamo vista con la
ghiandola mammaria per esempio.
Quando parliamo di ghiandole di che tessuti ci occupiamo? Che tipo di tessuto è quello secernente
ghiandolare? Epiteliale.

5.
Questa domanda ve l’ho messa perché a volte l’insidia non è tanto nella difficoltà in sé nel
contenuto della domanda ma come può essere formulata. Qui abbiamo cinque informazioni, non
dobbiamo indicare quella giusta, ma quella errata, quindi la risposta che dovete selezionare è quella
che vi dà un’informazione non corretta relativamente ai mitocondri. Se uno legge in fretta la
domanda rischia di sbagliare quindi state attenti sempre a quello che c’è scritto e rileggete le
domande, state attenti se c’è scritto NON.
Risposta A, sono organuli semi autonomi questo è vero o no? Si è vero, quindi la AS la scartiamo
perché cerchiamo un’affermazione errata. È vera anche la risposta B, i mitocondri una membrana
esterna, liscia e una membrana esterna che si solleva in creste e la presenza di queste due
membrane è quella che mi permette di individuare due diversi compartimenti, lo spazio tra le due
membrane e lo spazio interno alla membrana interna che è la matrice mitocondriale. Ci sono altri
esempi di organuli che hanno una doppia membrana? Il nucleo anche ha una doppia membrana poi
se ci allontaniamo dalle cellula animale ce n’è un altro che ha una doppia membrana, i cloroplasti.
Cosa vuol dire poi che sono organuli semi autonomi? Che sono in grado da sé di produrre alcune
proteine perché sono dotati di propri ribosomi sui quali operare la sintesi proteica e soprattutto
sono dotati di un proprio materiale genetico, di un DNA anche se questo DNA ha un’organizzazione
diversa rispetto a quella che trovo nel nucleo, nel nucleo ho un DNA a forma di cromosomi lineari e
invece qui ho un cromosoma circolare simile a quello dei batteri. Quindi possiedono propri ribosomi
è vero. E questi ribosomi sono uguali a quelli che trovo nella cellula? i ribosomi che sono dentro ai
mitocondri sono più piccoli, sono una tipologia simile come dimensioni a quelli dei procarioti, a
quelli dei batteri, mentre tutto il resto dei ribosomi che trovo nella cellula e li trovo o liberi nel
citosol o associati al reticolo che così diventa rugoso o associati alla membrana esterna
dell’involucro nucleare quindi sono tutti 80s. quindi possiedono propri ribosomi è corretto, non è
quindi quella che cerchiamo. La risposta D, in essi avviene la digestione intracellulare, non è vera
perché questa è la funzione di quale altro organulo? È propria dei lisosomi , qual è la funzione
principale invece dei mitocondri? La respirazione cellulare, anche se abbiamo visto che non è
l’unica. Quindi la risposta E, si sono probabilmente originati per endosimbiosi è quella corretta,
teoria più che accettata e che risiede proprio nelle caratteristiche che abbiamo detto dei
mitocondri, una doppia membrana, quella esterna è quella tramite la quale sono stati fagocitati
dentro un’altra cellula, il fatto che abbiano un proprio DNA e ribosomi simili a quelli dei procarioti, il
fatto che siano comunque semi autonomi, le caratteristiche della loro membrana interna che come
costituzione somiglia alle membrane dei batteri ecce cc.

6.
Esempio di domanda in cui non basta avere imparato la definizione, quindi sapere qualcosa ma
bisogna fare uno step in più e attivare il ragionamento sulla base di quello che si sa.
Se parlo di osteoclasti e osteoblasti in che tessuto mi sto muovendo? Osseo. Questi sono due tipi
cellulari che noi troviamo nel tessuto osseo, la prima cosa da fare è ricordarsi che cos’è e cosa fa un
osteoclasto e che cos’è e cosa fa un osteoblasto. Se ci ricordiamo questo riusciamo a rispondere a
questa domanda. Qual è l’attività di un osteoclasto? Fa o demolisce? Demolisce invece l’osteoblasto
fa, ci riferiamo alla matrice ossea. Quindi gli osteoclasti hanno un’attività maggiore degli osteoblasti.
Noi a lezione non abbiamo detto questo caso in particolare, però vi ho detto cosa serve uno e l’altro
e quindi voi siete in grado di rispondere lo stesso a questa domanda. Risposta A formazione del
callo osseo, no perché abbiamo detto che c’è una prevalenza di demolizione e poi questo callo
osseo che cos’è? È quello che si forma a seguito di una frattura ossea, prima si va a formare questo
tessuto del callo osseo che poi viene sostituito da osseo definitivo al termine della guarigione.
Risposta B, indurimento dell’osso, nemmeno perché se sta demolendo come fa a indurirsi l’osso,
demolisce la matrice ossea, questa è una matrice minerale. Risposta C, riassorbimento della
cartilagine articolare, non c’entra niente con la matrice ossea, nemmeno con la sua demolizione.
Risposta D, una maggiore resistenza meccanica del tessuto osseo, quand’è che il tessuto osseo è
meccanicamente più resistente? Quando è più mineralizzato quindi quando ha un maggiore grado
di calcificazione, quindi se io ho gli osteoclasti che mi demoliscono non avrò una maggiore
resistenza meccanica ma al contrario avrò una minore resistenza meccanica del tessuto osseo,
quindi la risposta giusta è la E.
Abbiamo finito le lezioni quindi avete tutti gli elementi per esprimere un vostro parere un vostro giudizio
anche delle critiche se occorre sugli insegnamenti, quando vi iscrivete agli esami siete costretti a compilare
questo questionario secondo me è più utile che voi lo facciate prima a casa con calma, quindi se qualcuno
ancora non l’ha fatto vi invito per citologia e istologia a compilare il questionario tenendo presente che non
è tempo perso perché tutti i questionari vengono poi raccolti ed elaborati e presi in considerazione dal corso
di laurea, dal coordinatore, da un organo apposta che si chiama CPDS. Oltre a rispondere alle varie
domande relativamente al corso, ai docenti ecce cc avete anche la possibilità di lasciare dei commenti liberi
che possono essere sia in positivo che in negativo, possono essere delle critiche costruttive quindi se
qualcuno si sente di segnalare qualcosa tenete conto che potete dare anche delle indicazioni non solo
rispondere, ma anche esprimervi liberamente. Per fare questo dovete andare sempre nella vostra area
riservata, c’è la voce questionari e poi andate nel questionario di valutazione dei corsi che dovete ancora
valutare. Vi rassicuro che tutti questi questionari sono assolutamente anonimi quindi il docente che poi li
vedrà non sa che ha dato un parere piuttosto che un altro quindi vi potete esprimere senza timori e non
influirà in nessun modo sugli esami ma influirà piuttosto su come strutturiamo l’anno prossimo il corso sulla
base anche delle vostre indicazioni.

Passiamo ora a controllare quegli esercizi che vi avevo lasciato, vi ricordate questo quando abbiamo
concluso la parte sulle giunzioni cellulari, vi avevo proposto questo schema che era rimasto in bianco, in cui
per ogni tipo di giunzione, sia le giunzioni tra cellule che fra cellule e MEC, bisognava ricapitolare e
individuare i tre diciamo elementi fondamentali che sono quali proteine transmembrana contribuiscono alla
formazione della giunzione, quali proteine a livello citoplasmatico che sono ovviamente collegate alle
proteine transmembrana e come queste proteine citoplasmatiche siano collegate a loro volta collegate ad
elementi dei citoscheletro, quali in particolare. Facendo questo per ciascuna poi avete la possibilità sia di
leggere le informazioni in questo modo quindi tutto ciò che riguarda un tipo di giunzione, sia di leggerla per
colonne quindi confrontando quali sono le proteine transmembrana che trovo nei vari tipi di giunzione?
Quindi diventa uno strumento facile per il ripasso.
● Giunzione occludente: un tipo di giunzione che è tra due cellule e che come dice la parola serve ad
occludere a chiudere gli spazi tra una cellula e l’altra, impedendo quindi il passaggio di materiali
dalla zona radicale della lamina cellulare alla zona basale. Le proteine transmembrana coinvolte?
Cosa vuol dire transmembrana? Vuol dire che attraversano lo spessore della membrana sia di una
cellula, sia della cellula affrontata, di quella cellula contigua con cui si sta realizzando la giunzione.
Le proteine di transmembrana qui sono le Claudine, le Occludine e le JAM. Le proteine
citoplasmatiche sono le ZO, che sta per zona occludens perché vi ricordate che tutte queste
giunzioni hanno un sacco di sinonimi, le funzioni occludenti vengono anche chiamate appunto zona
occludentes, queste che poi sono collegate a quali elementi del citoscheletro? Possono essere
collegate a microfilamenti o ai microtubuli. Questi elementi prendono contatto, si vincolano in un
certo modo sempre a degli elementi del citoscheletro, però il citoscheletro sappiamo che è
costituito da microtubuli, microfilamenti e microfilamenti intermedi. A seconda delle diverse
giunzioni, ogni tipo di giunzione prende contatto esclusivamente con un tipo di elemento del
citoscheletro e vi chiedevo quale o in alcuni casi a più di uno. E anche questo costituisce una
differenza tra una giunzione e l’altra quindi va messo in evidenza.
● Aderenza a fascia: tra le così dette giunzioni ancoranti dove le proteine di transmembrana sono le
Caderine, le proteine citoplasmatiche sono le Catenine e gli elementi del citoscheletro cui ci si
aggancia sono i microfilamenti.
● Desmosoma: come proteine transmembrana abbiamo di nuovo le Caderine, citiamo in particolare
le desmocolline e desmogleine, abbiamo varie proteine citoplasmatiche tra cui le Placoglobine, le
Placofiline e le Desmoplachine e poi abbiamo l’aggancio ai filamenti intermedi, questa è già una
differenza tra l’aderente a fascia che si attacca ai microfilamenti.
● Emidesmosoma: questa non è una giunzione fra due cellule, è una giunzione fra la parte basale di
una cellula epiteliale e la sottostante lamina basale e poi MEC. Qui le proteine transmembrana
cambiano rispetto alle due di ancoraggio, sono delle Integrine, poi ha una serie di proteine
citoplasmatiche, dette nel complesso proteine della placca tra cui la plectina e l’emidesmosoma si
ancora ai filamenti intermedi proprio come fa il desmosoma.
● Contatto o adesione focale: è un’altra giunzione cellula matrice, quindi non fra due cellule e
nuovamente come proteina transmembrana troviamo le Integrine, come proteine citoplasmatiche
troviamo una serie di proteine di connessione, abbiamo citato la alfa actinina, la talina e la
vinculina. In questo caso l’aggancio è con i microfilamenti. Quindi vedete l’aderente a fascia e il
contatto focale entrambi microfilamenti, desmosoma ed emidesmosoma invece ai filamenti
intermedi.
● Comunicante: le proteine transmembrana sono delle Connessine che sui organizzano a dare delle
strutture a sei molecole che è il connessone che individua un poro centrale quindi si formano dei
veri e propri canali che si affrontano tra una cellula e l’altra e mettono in comunicazione citoplasmi
di cellule interessate da questo tipo di giunzione. Le proteine citoplasmatiche sono delle proteine
ponte e gli elementi del citoscheletro sono microfilamenti o microtubuli. L’aggancio agli elementi
del citoscheletro è sempre importante perché è quello che mi dà forza alla giunzione soprattutto
quelle sulle quali si scaricano delle forze di trazione e di stiramento sennò si rischierebbe di
strappare la giunzione in quel punto magari limitato in cui sono affrontate le due cellule.
Queste che vi mostro sono tutte immagini al TEM, rappresentano quali giunzioni? Le abbiamo appena
ripassate nei loro costituenti.

La prima immagine da sinistra è una giunzione occludente e si vedono dei punti in cui le membrane delle
due cellule sono completamente saldati e invece altri punti in cui c’è un poì di spazio fra una membrana e
l’altra. Poi la seconda immagine è un desmosoma, vediamo che prende contatto e si aggancia ai filamenti di
cheratina che sono dei filamenti intermedi, se fosse stata un’aderente a fascia, non avrebbe preso contatto
con i filamenti intermedi. Quindi i filamenti di cheratina sono un indizio che porta a pensare che questo è un
desmosoma. L’ultima immagine a destra, queste tre sono degli emidesmosomi che agganciano questa
cellula che è di sopra, con di sotto la membrana basale e anche qui vediamo belli lunghi i filamenti
intermedi, di cheratina se parliamo di cellule dell’epidermide, in molte cellule epiteliali sono di cheratina i
filamenti intermedi che agganciano e si innestano in tutto l’intreccio del citoscheletro.

● Nel prelievo cosa cambia? Io posso sempre avviare all’ottica o all’elettronica qualsiasi organo o
tessuto, ma in microscopia elettronica la dimensione dei campioni possono essere e sono più grandi
rispetto a quelli della microscopia ottica dove di solito ci aggiriamo a non più di mezzo centimetro
per mezzo centimetro di lunghezza e larghezza di un frammento, quindi una cosa molto piccola. Chi
era alle esercitazioni ha visto un piccolo pezzetto incluso per la microscopia elettronica ed era
decisamente più piccolo del pezzo per la ottica.
● La fissazione: per la microscopia ottica faccio una fissazione sia di tipo chimico, di solito con la
formalina, è quella più utilizzata, un altro molto utilizzato è la così detta miscela o liquido di Bouin
quella gialla che è fatta di diversi componenti, c’è l’acido picrico che dà il colore giallo, c’è la
formaldeide per un tempo che è variabile a seconda del fissativo che uso e della grandezza del
pezzo. Se invece sono per la microscopia elettronica uso un altro fissativo che è la glutaraldeide.
● L’inclusione la farò per la maggior parte dei casi con la paraffina per la microscopia ottica, invece
con delle resine epossidiche per la microscopia elettronica.
● Taglio: con uno strumento che si chiama microtomo per la microscopia ottica e taglio delle sezioni
in paraffina che di solito vanno dai 4 ai 10 micron di spessore, per la microscopia elettronica uso un
ultramicrotomo visto che tratto dei pezzi più piccoli e faccio delle sezioni molto più sottili devo
lavorare con un microscopio che mi permetta di vedere ingrandito e quindi che possieda degli
oculari. Nell’ultramicrotomo posso fare due tipi di sezioni: le così dette semifine che sono 1-1.5
micron e le ultrafine che sono quelle che poi andrò a depositare sulle grigliette metalliche che andrò
poi a inserire nel microscopio elettronico a trasmissione che sono addirittura dell’ordine dei
nanometri.
● Le colorazioni: il mio vetrino per la microscopia ottica, lo posso colorare con vari, ci sono tanti tipi di
colorazioni, le abbiamo anche elencati alcune dipende da che cosa voglio vedere io nel mio tessuto,
che tessuto è, che organo è, allora sarà privilegiata una rispetto ad un’altra e per fare gli esempi di
quelle più famose l’ematossilina eosina, andate a vedere che cosa colora una e l’altra, la PAS come
esempio di colorazione istochimica, la PAS mi mette in evidenza dei componenti chimici particolari
all’interno delle cellule dei tessuti. Quindi qui uso dei coloranti delle vere e proprie sostanze
coloranti. Per la microscopia elettronica io non ho dei colori ma faccio una colorazione con dei Sali
di metalli pesanti che vanno ad aumentare, ad esacerbare il cont5rasto agli elettroni in modo che
possa vedere in modo più distinto quelle strutture che sono più elettrondense e quelle che risultano
meno elett5rondense, quelle più elettrondense risulteranno scure, nere e invece mano a mano che
sono meno elettrondense vedrò dei grigi fino al bianco. Alla fine di tutto questo ottengo per la
microscopia ottica un bel vetrino colorato montato con il copri oggetto che osservo al microscopio
ottico, nel caso della microscopia elettronica ottengo una griglietta metallica su cui ho depositato la
mia ultrafine colorata con i Sali di metalli pesanti, quindi che andrò a vedere al TEM.

Quindi che cosa cambia tra l’uno e l’altro? Cambia che nel caso della microscopia ottica io riesco ad avere in
un vetrino, in una sezione una visione di insieme, di solito osservo dall’ingrandimento più piccolo a quello
maggiore di qual è la struttura di un organo di quali sono i tessuti che magari si trovano in quella sezione,
quindi mi permette di identificare che tessuti sono presenti, quali cellule, come sono disposte, alla
microscopia elettronica io vado ad un livello di ingrandimento e risoluzione tali da apprezzare i dettagli che
al microscopio ottico non riesco a vedere, vado a vedere tutto quello che ho definito ultrastruttura quindi
quanti e quali organuli trovo dentro alle cellule lo vedo con la microscopia elettronica, difficilmente con
l’ottica, a meno che non siano degli organuli che si colorano in un modo particolare o che sono
particolarmente grandi, io vedo il nucleo di solito, vedo alcuni granuli e inclusioni, ma la maggior parte degli
altri organuli non si mettono in evidenza con l’ottico. Sempre per la microscopia ottica ho un’alternativa alla
fissazione fisica, cioè di fissare per congelamento il mio pezzo, lo congelo velocemente, questo mi fa saltare
la fase di inclusione perché il pezzo congelato è già di per sé sufficientemente duro per poter essere
sezionato, non ha bisogno di essere incluso con un mezzo che lo renda bello solido e lo vado
immediatamente appena congelato a tagliare con uno strumento che è il criostato o microtomo
congelatore, ottengo però delle sezioni generalmente un po’ più spesse rispetto a quelle che ottengo al
microtomo tagliando i pezzi in paraffina.

Poi l’altra volta ci eravamo lascianti dando la definizione di organi pari e organi impari, avevamo distinto da
un punto di vista strutturale gli organi cavi, che possono essere viscerali o vascolari rispetto agli organi pieni
a loro volta suddivisibili in parenchimatosi e filamentosi e vi avevo lasciato il compito di individuare quali
fossero questi organi specializzati e di ciascuno dirmi se sono pari o impari, se sono cavi o pieni e di che tipo.

(Domanda: a me dei microscopi mi interessa che sappiate un minimo le caratteristiche e a che cosa servono,
ovvero perché mi conviene utilizzare un microscopio piuttosto che un altro, questa è la cosa fondamentale,
non chiedo le raffinatezze di tipo fisico. Mi interessa che sappiate cos’è la risoluzione, cos’è l’ingrandimento,
quello che io vi ho detto a lezione, ma non vi chiedo dei dettagli troppo tecnici perché sono cose più
attinenti alla fisica che alla biologia.)
Quindi qui che organi sono e di che tipo?

● 3) Polmoni: organi pari laterali. Non lo definiamo un organo cavo. C’è un buco centrale, un lume nei
polmoni? Dire che un organo è cavo o meglio pieno non vuol dire che non ci sia nessunissimo spazio
vuol dire che non c’è una cavità centrale principale. Se voi tagliate in due, aprite in due un polmone,
non è che c’è un buco centrale, c’è un albero tutto ramificato con dei piccoli spazi a livello degli
alveoli ma non è un organo cavo. È un organo pieno di tipo parenchimatoso dove il parenchima
respiratorio è costituito dall’albero respiratorio e i vari alveoli e bronchioli.
● 2) Trachea: organo impari, la trachea è solo una in posizione centrale, che poi si divide nei due
bronchi che entrano nei due polmoni ed è un organo cavo, qui si che c’è una bella cavità centrale ed
eccome se ci deve essere perché nella cavità della trachea transita , che è il suo scopo, l’aria in
entrata verso i polmoni, ma anche in uscita a seconda se stiamo espirando e inspirando ed è la
ragione per cui la trachea deve essere pervia, aperta cioè quindi non istruita e non deve collassare,
cioè la parete della trachea non deve collassare su sé stessa in modo da poter essere sempre
attraversata dall’aria, sennò non arriva il rifornimento ai polmoni ed è questa la ragione per cui
abbiamo visto che la trachea è sostenuta nella sua struttura da dei semi anelli cartilaginei,
cartilagine ialina che assicurano proprio questo.
● 4) Cuore e arco aortico: sia che parliamo del cuore sia che parliamo dell’aorta si tratta sempre e
comunque di organo imparo e struttura cava però in questo caso sono organi cavi di tipo vascolare
quindi con una parete che è costituita da quante tonache? Nel cuore e in un vaso grosso come
l’aorta, tre che sono andando dall’interno verso l’esterno del cuore: endocardio, miocardio ed
epicardio. Le tonache nei vasi come si chiamano? Sempre dal dentro, quella a contatto col sangue
verso l’esterno, intimo, medio e avventizio. Perché ho specificato in un vaso grande come l’aorta?
Perché se io considero un altro vaso, per esempio un capillare, trovo ancora tre tonache? Solo una
che è quella più interna, la tonaca intima, ed è giusto che sia così perché siccome a livello dei
capillari e solo a livello dei capillari avvengono gli scambi gassosi tra il sangue e i tessuti circostanti,
se io ho troppo spessore, se io avessi ben tre tonache da superare, ora che mi arriva l’ossigeno, son
bella che fritta.
● 5) reni di mammiferi: organi pari e laterali, retroperitoneali, quindi dietro il peritoneo e questi come
sono? Sono organi pieni parenchimatosi, la parte funzionante in questo caso sono tutte le varie
cellule che vanno a costituire i tubuli, omeruli ecc, però non c’è una cavità centrale, ci sono delle
papille, dei calici renali ecc, ma l’organo anche se ha degli spazi non ha una cavità, un lume centrale
principale e quindi non vediamo fra i parenchimatosi.
● 6) pancreas: organo impari. Il pancreas fa un sacco di servizi infatti è un ottimo esempio quando si
studiano le ghiandole perché è sia una ghiandola esocrina con i vari acini pancreatici con il loro
secreto, ci sono vari enzimi che occorrono per la digestione che vengono riversati a livello del
duodeno ma è anche con la componente degli isolotti del Langerhans un esempio di ghiandola
endocrina. Quindi due al prezzo di uno e al livello del pancreas endocrino viene prodotto l’unico
enzima in grado di abbassare la glicemia, l’insulina e quindi per questo il pancreas è così
fondamentale.
● 7) intestino crasso e colon: organo impari, cavo e viscerale. Allora intanto che ci siamo ripassiamo
quali solo le tonache degli organi cavi viscerali, quante e quali del digerente quindi dall’esofago fino
alla fine dell’intestino io ho mucosa, sottomucosa, muscolare e sierosa che può essere sierosa o
avventizia a seconda dell’organo, vi invito a ripassare ciascuna di queste tonache da quali tessuti è
costituita.
● 8) cervello: organo impari pieno, il cui parenchima è costituito dal suo tessuto stesso. Vi ricordate
com’è riorganizzata la sostanza bianca/grigia nell’encefalo rispetto al midollo spinale? Nell’encefalo
è al centro e c’è la sostanza bianca e fuori la sostanza grigia, nel midollo spinale è al contrario, la
parte di sostanza grigia è al centro e intorno c’è la sostanza bianca.
● 9) fegato: ghiandola esocrina annessa al tubo digerente ed è un esempio di ghiandola extra
parietale perché riversa i suoi secreti a livello dell’intestino ma non è nella parete intestinale, è al di
fuori, si collega tramite un dotto. Organo pieno parenchimatoso in cui il parenchima è dato
dall’insieme degli epatociti che sono suddivisi in diverse aree dalla presenza di setti che altro non
sono nel complesso lo stroma dell’organo, tutti gli organi parenchimatosi hanno infatti una guaina
esterna che è la capsula da cui si dipartono dei setti connettivali che individuano queste sottounità
dell’organo e oltre che fare questo, fare da supporto da trama sono anche i punti in cui viaggiano, i
vasi i nervi ed eventuali dotti. Sempre questo è compito dei connettivi. Altro esempio di organo
parenchimatoso come il fegato che abbiamo appena commentato è l’1.
● 10) stomaco: organo impari cavo viscerale, fa parte sempre dell’apparato digerente questo è lo
avevamo evidenziato, lo stomaco, perché la sua tonaca muscolare rispetto a quella di altri tratti
dell’intestino cos’ha di diverso? Non ha i soluti due strati circolare interno e longitudinale esterno
ma ha anche un terzo strato intermedio perché lo stomaco è chiamato a contrarsi in modo energico
per favorire anche meccanicamente la digestione. È uno degli organi viscerali in cui abbiamo tre
strati di muscolatura liscia nella tonaca muscolare.
● 1) milza: organo pieno parenchimatoso.
● Cute: da un punto di vista della struttura istologica lo definiamo pieno perché non presenta nessuna
cavità, infatti non è un organo cavo però ha una struttu5ra istologica simile a quella degli organi cavi
perché come la parete degli organi cavi, anche la cute è organizzata in tonache una dentro l’altra
che sono l’epidermide, l’epitelio, il derma, il connettivo sottostante, l’ipoderma che diventa spesso e
volentieri tessuto adiposo. Quindi pur non essendo un organo cavo, la cute si riporta alla casistica
degli organi cavi perché è organizzato in tonache proprio come la parete degli organi cavi.
L’altra volta una ragazza aveva chiesto se potevo rispiegare i tipi di sinapsi che sono due, elettriche e
chimiche. Ma lei si riferiva alle possibili interazioni sinaptiche fra due neuroni, quindi parlando di sinapsi di
tipo chimico che si instaurano fra due neuroni, quindi sia l’elemento presinaptico che l’elemento
postsinaptico sono sempre e comunque due neuroni. Ci sono tre diversi casi. Quando la sinapsi si ha fra
l’assone di un neurone e il dendrite dell’altro neurone, questo tipo di sinapsi prende il nome di sinapsi
assodendritica. Dove asso sta per assone che è ciò che ci mette il neurone presinaptico e il dendrite che è la
parte ricevente del neurone postsinaptico. Questo è un esempio di sinapsi assodendritica, in particolare,
questo è tra un assone e una spina dendritica. Vi ricordate che i dendriti possono a vere questi corti
prolungamenti sostenuti da microfilamenti che sono le spine dendritiche. Altra possibilità la sinapsi avviene
tra l’assone di un neurone e il corpo cellulare di un altro neurone, allora questo tipo di sinapsi si chiamerà
assosomatica, quindi fra un assone e un soma, ovvero un corpo cellulare di un’altra cellula. qui si vede un
pezzo di assone e questo è il soma o corpo cellulare o pirenoforo. Altra possibilità ancora, anche se
abbastanza rara, ma c’è, è che l’assone del primo neurone prenda contatto sinaptico con l’assone dell’altro
neurone, allora la sinapsi si chiamerà assoassonica. Se voi vi ricordate il nome assosomatica, assoassonica,
assodendritica e smontate la parola capite quali sono i due protagonisti: sempre l’assone e poi l’altro può
variare, può essere il dendrite, può essere il soma, può essere l’assone.
L’altro dubbio che c’era stato erano dei chiarimenti sulla costimolazione, quando avete parlato del sistema
immunitario, della risposta immunitaria. Perché i linfociti si attivino non è sufficiente che ci sia il
riconoscimento con l’antigene, riconoscimento che può essere mediato da una cellula presentante
l’antigene quando parliamo di un linfocita T o può essere un riconoscimento effettuato direttamente
quando parliamo di un linfocita D, ma occorre anche che ci sia una costimolazione cioè una interazione fra
molecole espresse dalla cellula che presenta l’antigene e il linfocita T. qui nell’immagine vi indicava anche
quali sono queste molecole che sono presenti sulla superficie delle cellule quindi questa che è per esempio
una cellula dendritica che è tipica cellula presentante l’antigene ha sulla sua superficie queste molecole
CD80 oppure CD86 che interagiscono con un recettore presente sul linfocita T helper il CD28 e da questa
interazione unicamente al riconoscimento e al legame, fa sì che il linfocita si attivi cioè se il linfocita
semplicemente riconosce l’antigene presentato dalla cellula dendritica questo non è sufficiente perché il
linfocita si attivi, l’attivazione si ha se oltre ha questo c’è anche il legame fra la molecola superficiale CD80 o
CD86 presente sulla superficie della cellula dendritica e il recettore presente, il CD28, sul linfocita T, quando
ho entrambe queste cose allora sì che procede la mia attivazione. La stessa cosa accade di qua quando ho
questo linfocita T helper attivato lui interagisce con il linfocita B, ma il linfocita B viene ad attivarsi non solo
dopo che c’è stato il legame antigene recettore, ma anche quando il linfocita T con la sua molecola CD40L
interagisce con il ligando CD40 presente sul linfocita B. questa interazione costituisce la costimolazione che
permette al linfocita B di attivarsi. Cosa fa un linfocita B attivato? Che ha incontrato un determinato
antigene e che è stato costimolasto dall’help? Diventa una plasmacellula.
della citologia oltre a ripassare tutte le quattro classi di sostanze organiche quindi sapere proteine, lipidi,
carboidrati, acidi nucleici caratteristiche chimiche, dove li trovo, quali sono i costituenti, i monomeri
costituenti di queste molecole poi ovviamente tutta la descrizione della cellula animale, quindi passati in
rassegna questo primo elenco che sono gli organuli che troviamo, chi più chi meno, sviluppati in tutte le
cellule. Questa la potremmo chiamare la notazione di base. Quelli dell’elenco a destra sono delle
specializzazioni cellulari che possono o possono non esserci, ci sono in alcune specializzazioni cellulari e non
in altri. Cosa dovete sapere di ciascuno di questi? Dove si trovano, di cosa sono composti, come sono
strutturati, che funzione hanno. Questo di ciascuno degli organuli a livello di struttura e in certi casi anche di
ultrastruttura. Del citoscheletro, per esempio, avevamo fatto anche uno schema comparativo; quindi, dopo
che avete studiato nel dettaglio ciascuno dei tre elementi, microtubuli, microfilamenti e filamenti intermedi
andate a comparare uno con l’altro che è sempre una cosa utile per schiarirsi le idee. Ricordiamoci una cosa
fondamentale che è evidente dal fatto che ho tutti questi diversi organuli cioè che la cellula animale è una
cellula caratterizzata da compartimentazione, cioè ci sono diversi comparti che vengono il più delle volte,
perché quasi tutti gli organuli sono membranosi, individuati dalla presenza da una membrana che li delimita
che può essere una membrana singola o doppia come nel caso del nucleo e del mitocondrio e che mi crea
quindi dei comparti che hanno caratteristiche diverse all’interno dei quali possono e avvengono funzioni
attività processi diversi in contemporanea, processi che richiedono caratteristiche e ambienti diversi. Se
l’ambiente cellulare fosse uno unico, avrei un unico ambiente con le stesse caratteristiche e quindi
l’impossibilità di differenziare queste attività come invece avviene all’interno della cellula eucariotica.
In particolare, della membrana plasmatica su cui siamo stati abbastanza tempo, ricordiamoci la
composizione, è fatta fondamentalmente di fosfolipidi che quantitativamente costituiscono l’asse portante,
la trama principale. Fosfolipidi che sono organizzati a bilayer, quindi a doppio strato con le teste idrofile
rivolte verso il versante citosolico, verso il versante extracellulare dal centro invece le code idrofobiche. Ci
sono le proteine fondamentali perché praticamente quasi tutte le funzioni svolte dalla cellula animale che vi
ho riportato qua sotto sono svolte grazie alle proteine che troviamo nella membrana, proteine che io
distinguo in intrinseche ed estrinseche a seconda che siano affacciate quelle estrinseche solo su una delle
facce della membrana oppure quelle intrinseche che invece si approfondano nella membrana e se la
attraversano completamente affacciandosi su entrambi i lati le definisco transmembrana. Poi glucidi che
nelle membrane plasmatiche sono sempre presenti, nelle membrane di altri organuli non necessariamente
ma sono presenti in una faccia particolare che è quella verso l’esterno della cellula.

Dovete ripassare le caratteristiche che abbiamo raccolto nella fluidità da che cosa dipende la più o meno
spiccata fluidità di una membrana la sua asimmetria e la sua selettività nel senso che non si fa passare da
qualunque sostanza con la stessa facilità e quindi si apre tutto il capitolo dei trasporti ricordando che i
trasporti vengono divisi in passivi e attivi in base che occorra o meno energia sotto forma di ATP perché
avvengano e quindi se sono termodinamicamente favoriti o no e in base se avvengono per un passaggio
libero di diffusione attraverso il doppio strato oppure se avvengono grazie alla presenza di proteine,
possono essere proteine canale o proteine carrier o se avvengono perché le dimensioni anche dei contenuti
trasportati sono elevate tramite vescicole e quindi la esocitosi, se queste vescicole hanno come destinazione
finale fuori la cellula o endocitosi dei tre tipi (quindi fagocitosi, pinocitosi o endocitosi mediata da recettore)
se il destino finale è l’interno della cellula.
Riconoscimento degli epiteli:

EPITELIO DI TRANSIZIONE (VESCICA URINARIA)

(Fate caso a questa convessità di queste cellule, al fatto che ce ne sia una binucleata, alla forma di queste
altre qua sotto).
EPITELIO CUBICO SEMPLICE (TIROIDE)

EPITELIO PSEUDO-STRATIFICATO CILIATO (TRACHEA)


EPITELIO PAVIMENTOSO PLURISTRATIFICATO NON CHERATINIZZATO (ESOFAGO)

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