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L’infiammazione (o flogosi) è una reazione complessa che avviene nei tessuti connettivi
vascolarizzati causata da stimoli esogeni o endogeni che causano danno. Il significato
dell’infiammazione è duplica:
Distruggere, diluire, confinare l’agente lesivo.
Produrre guarigione e sostituzione del tessuto danneggiato.
La riparazione inizia già durante le fasi iniziali dell’infiammazione ma raggiunge il suo
completamento quando lo stimolo lesivo è stato neutralizzato. Durante la riparazione il
tessuto danneggiato è sostituito per rigenerazione di cellule parenchimali native o con tessuto
connettivo prodotto da fibroblasti (cicatrizzazione) o da una combinazione di entrambi i
processi. L’infiammazione è fondamentalmente una risposta protettiva il cui obiettivo finale è
eliminare la causa iniziale di danno e le sue conseguenze (cellule e tessuti morti). A volte però
infiammazione e riparazione sono processi potenzialmente dannosi (reazioni di
ipersensibilità a farmaci o punture d’insetti; riparazione per fibrosi può portare a cicatrici
deturpanti o bande di tessuto che provocano ostruzione intestinale o limitare le articolazioni).
La risposta infiammatoria ha luogo nel tessuto connettivo vascolarizzato che comprende
PLASMA, CELLULE CIRCOLANTI, VASI SANGUIGNI e COMPONENTI CELLULARI E
EXTRACELLULARI DEL CONNETTIVO. Distinguiamo 2 tipi di infiammazione:
INFIAMMAZIONE ACUTA: rapido esordio (min), breve durata (ora o pochi giorni);
edema essudativo ricco di liquidi e proteine plasmatiche e migrazione soprattutto di
neutrofili.
INFIAMMAZIONE CRONICA: può avere esordio insidioso o seguire quella cronica. Ha
una maggiore durata ed è caratterizzata dalla presenza di linfociti e macrofagi, dalla
formazione di nuovi vasi sanguigni e da fibrosi e necrosi tissutale.
Infiammazione Acuta.
E’ la risposta immediata e precoce a uno stimolo lesivo che era lo scopo di condurre leucociti e
proteine plasmatiche (anticorpi) nella sede d’infezione e della lesione tissutale.
L’infiammazione acuta ha 3 componenti principali:
1. Alterazioni del calibro vascolare che determinano un aumento del flusso ematico.
2. Modifiche strutturali del microcircolo che permettono alle proteine plasmatiche e ai
leucociti di lasciare il letto vascolare.
3. Migrazione dei leucociti dal microcircolo e accumulo nella sede del danno.
Questi 3 fenomeni agiscono nell’ordine descritto e sono visibili e riconoscibili solo quando
l’entità del danno non è elevata. L’EDEMA è un fenomeno caratteristico della reazione
infiammatoria e consiste nell’accumulo di liquido proveniente dal compartimento vascolare
nei tessuti interstiziali o nelle cavità sierose; può manifestarsi sotto forma di essudato o
trasudato:
ESSUDATO: Liquido infiammatorio extravascolare che ha un’elevata concentrazione
proteica, contenente detriti cellulari e dotato di un peso specifico elevato (maggior di
1,020). La sua presenza implica alterazione della normale permeabilità dei vasi del
microcircolo nell’area di lesione e quindi la presenza di una reazione infiammatoria.
TRASUDATO: Liquido a basso contenuto proteico (soprattutto albumina) con un peso
specifico ridotto (minore di 1,012). Esso deriva non da un’alterazione della
permeabilità vascolare ma da alterazioni pressorie a livello del microcircolo. Non è
caratteristico dell’infiammazione poiché lo ritroviamo anche in altre patologie (cirrosi
epatica, epatite) dove il fegato essendo compromesso non produce molte proteine e
l’acqua non verrà trattenuta. Il trasudato si forma perché o aumenta la pressione
idrostatica (ostruzione del deflusso venoso ad esempio nell’insufficienza cardiaca) o
per una diminuzione della pressione colloidosmotica (ridotta sintesi proteica a livello
del fegato o perdita proteine in una nefropatia).
Modifiche vascolari.
Le alterazioni del flusso ematico e del calibro vascolare iniziano precocemente dopo una
lesione e si sviluppano in modo diverso a seconda dell’intensità dello stimolo. Le modifiche
avvengono in questo ordine:
1. VASOCOSTRIZIONE: Si verifica una vasocostrizione arteriosa transitoria e incostante
della durata di pochi secondi
2. VASODILATAZIONE: Essa interessa prima le arteriole poi si ha l’apertura di nuovi
capillari nella regione. Aumenta il flusso ematico che causa calore e arrossamento (la
vasodilatazione è dovuta a istamina e NO). La durata della vasodilatazione dipende
dallo stimolo e oscilla da diversi secondi a diversi minuti ed è seguita riduzione del
flusso.
3. RIDUZIONE FLUSSO, AUMENTO DI PERMEABILITA’: Il flusso si riduce proprio in virtù
dell’aumento della permeabilità vascolare con conseguente fuoriuscita di liquido ricco
di proteine nei tessuti extravascolari. La perdita di liquido rallenta il flusso ematico con
aumento delle concentrazioni di globuli rossi nei vasi sanguigni con conseguente
aumento della viscosità del sangue.
4. STASI: Con l’aumento della viscosità del sangue, il sangue stesso fluirà con maggiore
difficoltà , i neutrofili si accumulano lungo l’endotelio occupando una posizione sempre
più marginale che permetterà loro poi di raggiungere la sede del danno. Le cellule
endoteliali, attivate dai mediatori prodotti nell’area di infezione intensificano
l’espressione delle molecole di adesione. I leucociti così aderiscono all’endotelio.
Inoltre oltre ai globuli bianchi, possono uscire anche i globuli rossi con conseguente
carenza di O2 nei tessuti già danneggiati dalla reazione infiammatoria.
Permeabilità vascolare.
Caratteristica dell’infiammazione acuta è l’aumento della permeabilità vascolare che porta alla
fuoriuscita di un essudato ricco di proteine causando edema. L’endotelio diventa permeabile
perché danneggiato da vari meccanismi:
1. FORMAZIONE DI APERTURE TRA CELLULE ENDOTELIALI DELLE VENULE: Questo
meccanismo è detto “risposta immediata transitoria” è reversibile, di breve durata (15-
30 min) e si instaura subito dopo l’esposizione al mediatore. Il meccanismo è dovuto
all’azione di mediatori come istamina, bradichina, leucotrieni, sostanza P che agiscono
però solo a livello delle venule (probabilmente per una maggiore densità di istamina o
per la sostanza P a livello dell’endotelio delle venule).
2. RIORGANIZZAZIONE DEL CITOSCHELETRO: Questo meccanismo è reversibile ma la
risposta è ritardata e più prolungata (rispetto al rapido effetto indotto dall’istamina). Si
formano ugualmente aperture endoteliali dopo induzione da parte di citochine (IL-1,
TNF, IFN-gamma) o da ipossia. Le cellule endoteliali vanno incontro a riorganizzazione
del citoscheletro che le fa retrarre le une dalle altre.
3. AUMENTO TRANSCITOSI: Avviene attraverso canali formati da gruppi di vescicole e
vacuoli non rivestiti e comunicanti, molti dei quali localizzati in prossimità delle
giunzioni intercellulari. Il VEGF, sembra aumentare la perdita di liquidi e proteine
perché determina aumento del n° e delle dimensioni di questi canali.
4. DANNO DIRETTO ALL?ENDOTELIO CON NECROSI E DISTACCO DI CELLULE: Questo
fenomeno si verifica in presenza di stimoli lesivi necrotizzanti ed è dovuta al danno
diretto dell’endotelio (ustioni gravi). In molti casi, la perdita di liquidi e proteine inizia
subito dopo l’applicazione dello stimolo e dura per varie ore con una certa intensità
finchè i vasi danneggiati non vengono riparati o trombizzati. La reazione è detta
“RISPOSTA IMMEDIATA PROLUNGATA”. Il microcircolo è interessato a ogni livello
(venule, capillari, arteriole).
5. RISPOSTA RITARDATA PROLUNGATA: In questo caso l’aumento della permeabilità
vascolare inizia dopo un tempo di latenza variabile dalle 2 alle 12 ore, dura per giorni o
ore e coinvolge venule e capillari. Questa risposta è causata da stimoli termici di
modesta entità , raggi X o UV (esempio: comparsa tardiva di una scottatura solare).
6. LESIONE ENDOTELIALE MEDIATA DAI LEUCOCITI: I leucociti durante infiammazione
aderiscono all’endotelio e una volta attivi rilasciano metaboliti tossici e enzimi
proteolitici che causano danno endoteliale e distacco delle cellule aumentando la
permeabilità . Inoltre il danno è ulteriormente accentuato per la foga che i leucociti
hanno mentre migrano nella zona di danno, distruggendo ancora di più il vaso.
7. PERDITA DI LIQUIDI DA VASI NEOFORMATI: Durante il processo riparativo, le cellule
endoteliali, proliferano e formano nuovi vasi sanguigni (angiogenesi). Questi nuovi vasi
risultano permeabili finquando non si formano le giunzioni intercellulari.
N.B. Questi meccanismi possono sia intervenire singolarmente sia in combinazione: ad es. in
un’infiammazione associata ad ustioni, la perdita di liquidi dipende da lesioni dirette
all’endotelio, da lesioni mediate dai leucociti e dalla presenza di capillari neoformati. Ciò
spiega perché la cospicua perdita di liquidi può mettere a rischio la vita dei pazienti
gravemente ustionati.
Queste molecole di adesione, importanti per l’adesione dei leucociti all’endotelio sono
modulate da 3 meccanismi importanti:
1. RIDISTRIBUZIONE DELLE MOLECOLE DI ADESIONE E ESPOSIZIONE SULLA
SUPERFICIE CELLULARE: Le P-selectine sono presenti di norma sulla membrana di
granuli citoplasmatici delle cellule endoteliali. In seguito alla stimolazione con
mediatori come l’istamina, le P-selectine vengono esposte sulla superficie delle cellule
endoteliali, dove possono legare i leucociti.
2. INDUZIONE DI MOLECOLE DI ADESIONE ENDOTELIALI: Alcuni mediatori
dell’infiammazione, IL-1 e TNF soprattutto inducono la sintesi e l’espressione di
superficie di molecole di adesione endoteliali; ad esempio la E- Selectina assente nel
normale endotelio viene indotta dalle citochine infiammatorie primarie ed ha il
compito di mediare l’adesione di neutrofili, monociti e linfociti. Le stesse citochine
aumentano espressione di ICAM-1 e VCAM-1 molecole presenti nell’endotelio in
quantità modeste.
3. AUMENTO DELL’AVIDITA’ DI LEGAME: E’ questo il meccanismo più importante per il
legame delle integrine. LFA-1 è presente sui leucociti (neutrofili, monociti, linfociti) ma
non aderisce al suo ligando endoteliale ICAM-1. Affinchè l’asdesione sia solida, i
neutrofili devono essere attivati in modo che LFA-1, attraverso una modificazione
conformazionale, passi da uno stato a bassa affinità a uno ad alta affinità per ICAM-1.
Gli agenti che attivano i leucociti provengono dalla sede di lesione. Le chemochine
prodotte nella sede di lesione entrano nel vaso si legano ai leucociti in fase di
rotolamento attivandoli e aumentando affinità delle integrine LFA-1, le citochine (IL-
1/TNF) aumentano l’espressione delle immunoglobuline (ICAM-1), ne scaturisce una
salda adesione importantissima per permettere la diapedesi leucocitaria.
Quindi nella fase di rotolamento prevalgono le interazioni deboli, mediate dalle selectine e dai
loro ligandi glicidici. Tali interazioni vengono rotte dal flusso sanguigno. Per questo motivo i
leucociti si staccano e legano rotolando sull’endotelio. Nella fase di adesione prevalgono
invece le interazioni più forti e stabili che coinvolgono integrine e immunoglobuline. Le
chemochine aumentano affinità delle integrine, le citochine aumentano espressione delle
immunoglobuline.
Nella fase di diapedesi, ove il passaggio dei leucociti avviene soprattutto attraverso giunzioni
intercellulari sono coinvolte molecole di adesione tra cui ricordiamo PECAM-1 e CD31.
Nella fase di chemotassi, abbiamo detto i leucociti sono richiamati da vari agenti chemotattici
(esogeni e endogeni) nella sede di danno. Se tali agenti sono presenti in elevate
concentrazioni provocano delle risposte leucocitarie che vengono definite nel loro insieme
ATTIVAZIONE DEI LEUCOCITI tra queste consideriamo:
1. La motilità in quanto il legame tra l’agente chemotattico e il recettore presente sulla
membrana leucocitaria (accoppiato a proteine G) determina attivazione delle
fosfolipasi C che scinde PID 2 in IP3 e DAG con conseguente aumento del calcio
citoplasmatico che determina assemblaggio intracellulare dei filamenti di actina e
miosina permettendo il movimento.
2. Un’altra risposta è la produzione di metaboliti dell’AA conseguentemente
all’attivazione della fosfolipasi A2e sempre grazie all’aumento del calcio
citoplasmatico.
3. Altra risposta è aumento del n° e nell’affinità delle molecole di adesione (es. integrine)
sempre dopo aumento del calcio che segue all’interazione tra il recettore e agente
chemiotattico.
4. Infine degranulazione, secrezione di enzimi lisosomiali e esplosione ossidativa
conseguentemente all’attivazione delle protein-chinasi C.
Fagocitosi.
La fagocitosi e il rilascio di enzimi da neutrofili e macrofagi sono 2 effetti positivi dovuti
all’accumulo dei leucociti nella sede d’infiammazione. La fagocitosi rappresenta per molti
organismi unicellulari il meccanismo di nutrizione; negli organismi pluricellulari viene
effettuata da cellule specializzate (macrofagi e leucociti) per la difesa. La fagocitosi può essere
aspecifica, quando il patogeno è internalizzato senza che ci sia riconoscimento da parte del
fagocita, o specifica con l’intervento di proteine di superficie che rendono riconoscibile
l’agente da internalizzare. Le cellule bianche quando vengono attivate fanno attività di
fagocitosi con elevatissima efficienza e specificità . Presenta 3 fasi:
1. RICONOSCIMENTO E ADESIONE: Quasi tutti i microorganismi vengono riconosciuti
quando sono rivestiti da fattori detti OSPONINE che si legano a specifici recettori
leucocitari. L’opsonizzazione aumenta notevolmente l’efficienza della fagocitosi. Le
principali opsonine sono:
Le IgG (precisamente la porzione Fc)
Il C3b del complemento.
Le collectine come MBL legante il mannosio che si legano a costituenti tipici
delle membrane batteriche come appunto il mannosio.
I leucociti hanno specifici recettori per queste opsonine:
FcgammaRI, recettore per le IgG
CR 1 per il C3b.
Recettori lattinici.
2. INGESTIONE: innescata dal legame tra le opsonine e i recettori specifici sulla superficie
dei fagociti (leucociti). Durante l’ingestione si formano estensioni citoplasmatiche
(pseudopodi) che circondano la particella da ingerire, fino a che non viene racchiusa
completamente all’interno di un fagosoma. Il fagosoma si fonde con i lisosomi e si
forma fagolisosoma dove gli enzimi litici digeriscono il materiale fagocitato.
3. UCCISIONE E DEGRADAZIONE: La fase finale nell’eliminazione di agenti infettivi e
cellule necrotiche è la loro uccisione e degradazione all’interno dei neutrofili e
macrofagi. L’uccisione dei batteri avviene in gran parte con “meccanismi dipendenti
dall’O2” Precisamente sono coinvolte le specie ROS (specie reattive all’O2) e specie
reattive all’azoto. La NADPH ossidasi è un complesso enzimatico multimerico formato
da almeno 7 proteine. Nei neutrofili a riposo i componenti proteici della NADPH
ossidasi sono separati, alcuni nel citoplasma altri sulla membrana plasmatica. Durante
l’assemblaggio e l’attivazione della ossidasi i componenti proteici citosolici traslocano
sulla membrana plasmatica o sulla membrana del fagosoma dove si assemblano per
formare il complesso enzimatico funzionalmente attivo. In questo modo, acqua
ossigenata prodotta nel fagosoma e la segregazione dei componenti dell’ossidasi, in
diverse sedi cellulari consente al fagocita di impedire un’attivazione del sistema
ossidasico. La quantità di acqua ossigenata prodotta nel fagolisosoma è insufficiente
per consentire un’efficiente azione battericida. Dato che a volte la sola acqua
ossigenata non basta, i granuli dei neutrofili contengono enzima mieloperossidasi
(MPO) che in presenza di alogenuri come il cloro, trasforma acqua ossigenata in HOCL
(ipoclorito); quest’ ultimo è un agente antimicrobico in grado di uccidere batteri
mediante reazione di alogenazione. IL sistema alogenuro-MPO-H2O2 è il sistema
battericida più efficiente dei neutrofili.
I batteri possono essere uccisi anche con “meccanismi indipendenti dall’O2” mediante l’azione
di sostanze contenute nei granuli leucocitari. Tra questi consideriamo:
PROTEINA PERMEABILIZZANTE BATTERICIDA (BPI): proteina cationica dei granuli
che attiva le fosfolipasi con conseguente degradazione dei fosfolipidi e aumento della
permeabilità di membrana esterna dei microorganismi.
LISOZIMA: Idrolizza il rivestimento peptidoglicanico dei baterri scindendo il legame
tra acido muramico e N-Acetilglucosammina.
DEFENSINE: Peptidi ricchi di arginina tossici per i microbi.
LATTOFERRINA: Proteina legante il ferro presente in granuli specifici.
PROTEINA BASICA MAGGIORE: proteina cationica degli eosinofili, dotata di una
limitata attività battericida ma citotossica per molti parassiti. Dopo l’uccisione le
idrolasi acide dei granuli, degradano il batterio entro il fagolisosoma. Il ph del
fagolisosoma dopo la fagocitosi è pari a 4/5 ottimale per l’azione di questi enzimi.
E’ importante ricordare che, i leucociti attivati oltre a eliminare microbi e cellule svolgono
anche altri ruoli. I macrofagi ad esempio producono vari fattori di crescita responsabili di
stimolare la proliferazione delle cellule endoteliali e dei fibroblasti, la sintesi di collagene e
enzimi coinvolti nel rimodellamento del tessuto connettivo. Si distinguono in:
MACROFAGI ATTIVATI IN MANIERA CLASSICA: Sono stimolati dalle citochine secrete
dai linfociti T (come INF-gamma) e hanno maggiore attività microbicida. Questi
innescano l’infiammazione.
MACROFAGI ATTIVATI IN MANIERA ALTERNATIVA: Sono stimolati da citochine quali
IL-4 e IL-13 prodotte dai TH2 e sono coinvolti nella riparazione dei tessuti e nella
fibrosi. Questi limitano le risposte infiammatorie.
I leucociti sono in grado non solo di degradare agenti patogeni ma possono causare danno
anche alle cellule normali (esempio rilasciando enzimi lisosomiali e le ROS non solo nei
fagolisosomi ma nello spazio extracellulare vengono danneggiate altre strutture come
l’endotelio o cellule normali, amplificando agente lesivo iniziale. L’infiammazione regredisce
già per il fatto che i mediatori sono prodotti rapidamente, hanno breve emivita e vengono
degradati dopo il rilascio. I neutrofili anche hanno vita breve nei tessuti e muoiono per
apoptosi dopo poche ore che lasciano il circolo ematico. Con il progredire dell’infiammazione,
il processo invia serie di segnali che mirano a interrompere la reazione:
Non vengono prodotti più leucotrieni bensì lipossine (antinfiammatorie).
Vengono prodotte citochine antinfiammatorie come IL-10 e TGF-beta da parte dei
macrofagi.
Mediatori chimici.
I mediatori modulano le varie fasi dell’infiammazione. Distinguiamo:
MEDIATORI DI ORIGINE PLASMATICA: (fattori coagulazione, complemento). Sono
presenti in circolo in forma inattiva (precursori) e devono essere attivati attraverso
una serie di tagli proteolitici per poter acquisire le loro proprietà biologiche.
MEDIATORI CELLULARI: Alcuni sono preformati e sequestrati nei granuli intracellulari
per poi essere secreti (istamina). Altri devono essere sintetizzati ex-novo (citochine,
prostaglandine) in risposta a uno stimolo. Le cellule responsabili della produzione dei
mediatori sono: PIASTRINE, MONOCITI/MACROFAGI, MASTOCITI, CELLULE
MESENCHIMALI (endotelio, muscolo liscio, fibroblasti), CELLULE EPITELIALI.
I mediatori:
Esprimono la propria attività biologica legandosi a specifici recettori sulle cellule
bersaglio.
Possono indurre il rilascio di altri mediatori chimici da parte di cellule bersaglio. Tali
mediatori secondari possono essere simili/identici o antagonisti del mediatore iniziale,
possono amplificare o controbilanciare l’attività del mediatore iniziale (TNF agisce su
cellule endoteliali stimolando la produzione di IL-1 e di chemochine).
Possono agire su uno o pochi tipi di cellule bersaglio, possono avere bersagli differenti
e produrre effetti diversi a secondo del tipo cellulare che costituisce il bersaglio.
La maggior parte, una volta attivati e rilasciati dalla cellula ha vita breve. Si degradano
rapidamente (metaboliti dell’AA), vengono inattivati per via enzimatica, vengono
eliminati in altro modo (antiossidanti eliminano metaboliti tossici dell’O2) o vengono
inibiti (proteine regolatrici del complemento).
Mediatori cellulari.
-Amine vasoattive.
Sono 2 mediatori molto importanti in quanto essendo preformate e immagazzinate nella
cellula sono tra i primi mediatori a essere rilasciati Durante l’infiammazione:
1. ISTAMINA: si trova nei basofili, nelle piastrine e soprattutto nei mastociti,
precisamente nei loro granuli. Viene liberata in risposta a una varietà di stimoli:
Stimoli lesivi di natura fisica come trauma o calore, Reazioni immunitarie mediate da
IgE, Secrezione di anafilotossine (C3a, C5a, C4a), Neuropeptidi che inducono le cellule a
rilasciare istamina, Liberazioni di citochine (IL-1/IL-8). L’istamina determina:
Dilatazione arteriole con aumento della permeabilità vascolare . L’istamina
induce sull’endotelio prima il rilassamento delle giunzioni serrate, poi la
retrazione della membrana plasmatica e riorganizzazione del citoscheletro. Se
lo stimolo è continuo e persistente si può avere anche il distacco delle cellule
endoteliali dalla parte del vaso. Inoltre la sua azione nel microcircolo avviene
attraverso recettori H1.
Vasocostrizione grandi arterie.
Svolge un ruolo importante in quanto induce l’espressione di P-selectina sulle
cellule endoteliali.
2. SEROTONINA: E’ un secondo mediatore vasoattivo preformato con azione simile
all’istamina. Si trova nei granuli delle piastrine e delle cellule enterocromaffini. Il
rilascio di serotonina (e istamina) dalle piastrine è stimolato dall’aggregazione
piastrinica che segue al contatto con collagene, ADP, trombina e complessi antigene
anticorpo. Aggregazione e rilasci piastrinici sono anche stimolati dal fattore attivante le
piastrine (PAF) che deriva dai mastociti durante le reazioni mediate da IgE. C’è cos’
aumento della permeabilità vascolare durante le reazioni immunitarie.
Neuropeptidi.
Sono secreti dalle terminazioni nervose sensitive e da vari leucociti e avviano e propagano la
risposta infiammatoria. La sostanza P appartiene a una famiglia di neuro peptidi prodotti nel
sistema nervoso centrale e periferico. Le fibre nervose contenenti sostanza P si trovano in
prevalenza nei segnali dolorosi o regolano la pressione sanguigna ma ha un ruolo importante
anche nell’infiammazione poiché aumenta la permeabilità vascolare. Produce i suoi effetti
interagendo con un recettore con 7 domini transmembrana associato a proteine G.
I radicali di norma vengono rilasciati nei fagolisosomi ma possono essere rilasciati anche
nell’ambiente extracellulare causando danni alle altre componenti. Nel siero, nei lipidi
tissutali e nelle cellule dell’ospite sono presenti meccanismi antiossidanti contro i radicali
come catalasi, SOD, glutatione perossidasi, transferrina.
Ossido di NO.
Mediatore chimico endogeno che interviene durante la risposta infiammatoria. E’ un gas
solubile prodotto da CELLULE ENDOTELIALI, MACROFAGI, NEURONI. Agisce in modo
paracrino sulle cellule bersaglio, inducendo la produzione di GMPc che innesca serie di eventi
intracellulari come il rilassamento della muscolatura liscia dei vasi. Avendo emivita molto
breve, NO agisce solo nelle cellule che si trovano in prossimità della sede in cui è stato
prodotto. No viene sintetizzato a partire dalla L-Arginina, O2, NADPH e altri cofattori per
azione dell’enzima ossido di azoto sintetasi (NOS):
1. e-NOS (NOS ENDOTELIALE)
2. n-NOS (NOS NEURONALE)
3. i-NOS (NOS INDUCIBILE DA CITOCHINE).
e-NOS e n-NOS sono enzimi costitutivamente espressi a bassi livelli; l’entrata di calcio
determina rapida e maggior produzione di NO. I-NOS di contro viene indotto
conseguentemente all’attivazione dei macrofagi da citochine o da prodotti microbici. Questo
enzima è attivato in quelle cellule che normalmente producono basse quantità di NO e non è
necessario l’aumento del calcio citoplasmatico. NO svolge duplice ruolo nell’infiammazione:
1. Rilassa la muscolatura liscia dei vasi e promuove la vasodilatazione contribuendo alla
reazione vascolare.
2. Inibisce la componente cellulare della risposta infiammatoria (i globuli bianchi per
quanto ci si aspetti che lascino il letto vascolare per migrare nella zona di danno in
alcuni casi la loro massiccia fuoriuscita causa danni alla regione. NO protegge proprio
l’endotelio dall’aggressione mediata dai globuli bianchi). Inibisce l’aggregazione e
l’adesione piastrinica e inibisce il reclutamento dei leucociti. Per questi motivi NO è
considerato un meccanismo endogeno di controllo della risposta immunitaria.
NO prodotto dalle i-NOS viene sintetizzato da cellule che fanno fagocitosi (macrofagi,
granulociti) e limita la proliferazione dei microorganismi mediante la produzione di
perossinitriti (OONO-). NO reagisce con O2- per formare OONO-
Questi radicali liberi in cellule che non hanno ne MPO ne HCLIO, aiutano i fagociti a uccidere i
microorganismi che in presenza della sola H2O2 resisterebbero. La riduzione di i-NOS nei
macrofagi può portare alla formazione di un’infiammazione cronica dato che l’organismo non
si libera di microorganismi che persistono e danneggiano il tessuto.
N.B.1= Sia i radicali dell’NO che quelli dell’O2 attaccano lipidi, proteine e DNA dei microvi e
dell’ospite.
N.B.2= La produzione di NO è importante per l’endotelio perché mantiene condizioni
fisiologiche il calibro dei vasi e della pressione sanguigna e infatti proprio l’endotelio che ne
produce costantemente.
Gli eicosanoidi si legano ai recettori accoppiati a proteine G presenti in molti tipi cellulari e
mediano qualsiasi fase di infiammazione.
1) Via Ciclossigenasica.
Prevede reclutamento di 2 ciclossigenasi: COX 1 espressa costitutivamente e COX 2 enzima
inducibile; Ogni prostaglandina deriva dall’azione di uno specifico enzima che ha una precisa
collocazione tissutale. Nelle piastrine, l’enzima trombossano-sintetasi forma il TxA2
(trombossano) vasocostrittore e aggregatore piastrinico. Essendo instabile è convertito nella
sua forma inattiva TxB2. Nelle cellule endoteliali vascolari, l’enzima prostaglandina sintetasi
forma prostaciclina PGI2 e il suo prodotto finale stabile PGF1. La prostaciclina è un
vasodilatatore, inibisce aggregazione piastrinica e aumenta permeabilità vascolare.
L’alterazione dell’equilibrio trombossano-prostaciclina porta alla formazione di trombi nei
vasi vasi cerebrali e coronarici.
PGD2= principale prostaglandina prodotta dai mastociti. E’ chemotattico per i
neutrofili.
PGE2= rende la cute ipersensibile agli stimoli dolorifici ed è coinvolta nel meccanismo
di induzione della febbre.
PGF2= contrae le piccole arteriole e la muscolatura liscia dell’utero e dei bronchi.
PGD2 e PGE2: causano vasodilatazione e aumento della permeabilità vascolare,
potenziando la formazione dell’edema.
2) Via lipossigenasica.
Ci sono 3 tipi di lipossigenasi tra cui la 5-lipossigenasi predomina nei neutrofili. Questo
converte l’AA in HETE, precursore dei leucotrieni chemotattico per i neutrofili. I leucotrieni
sono sintetizzati principalmente nei leucociti e sono dotati di effetti di valore chemiotattico
per queste cellule nonché di effetti vascolari. LTB4 è un potente chemiotattico ed è in grado di
attivare le risposte funzionali dei neutrofili come aggregazione e adesione dei leucociti
all’endotelio, produzione radicali liberi dell’O2, rilascio di enzimi lisosomiali. LTC4, LTD4, LTE
4 (cisteinil leucotrieni) causano vasocostrizione, broncospasmo, e aumento della pressione
vascolare. Le interazioni tra le cellule sono importanti nella biosintesi dei leucotrieni. I
metaboliti dell’AA possono passare da una cellula all’altra e cellule diverse possono cooperare
alla produzione degli eicosanoidi (biosintesi transcellulare). Così le cellule che non sanno
sintetizzarli potranno farlo, partendo da metaboliti intermedi generati in altre cellule,
espandendo la gamma e la quantità di eicosanoidi prodotti in sede di infiammazione.
Le lipossine vengono prodotte mediante biosintesi transcellulare. Lipossine a differenza dei
leucotrieni agiscono come inibitori dell’infiammazione inibendo l’adesione e chemotassi dei
neutrofili. Esiste una relazione inversa tra quantità di lipossine e leucotrieni e ciò fa supporre
che le lipossine sono modulatori negativi dei leucotrieni. Affinchè vengano prodotte le
lipossine è necessario il coinvolgimento di 2 popolazioni cellulari, precisamente neutrofili e
piastrine. I neutrofili producono il leucotriene A4 e B4 mediante la S-LO ma non sintetizzano
quella C4; LE piastrine non sanno produrre il leucotriene C4 da substrati endogeni ma
producono sia questo che le lipossine partendo dal leucotriene A4 inviatogli dal neutrofilo in
questione. Le piastrine con la IL-LO formeranno lipossine e con LTC4 sintetasi il leucotriene
C4. Questo evidenzia come la presenza di metaboliti dell’AA nella sede di infiammazione
dipende dall’assortimento cellulare.
Mediatori plasmatici.
Tra queste rientrano proteine plasmatiche appartenenti a 3 sistemi interconnessi: sistema del
complemento, delle chinine e della coagulazione.
1) Via Classica.
Prevede la formazione di immunocomplessi (IgG che rivestono un batterio). Il fattore C1
costituito da 3 catene polipeptidiche (C1p, C1r,C1s) si lega a immunocomplessi formando la
C1 convertasi che scinde il fattore C4 (C4a – C4b) e il fattore C2 (C2a – C2b). C4b e C2a
formano la C3 convertasi che scinde il fattore C3 (C3a – C3b). Il C3a viene rilasciato e il C3b
legandosi alla C3 convertasi forma la C5 convertasi che scinde il fattore C5 (C5a – C5b). Il C5a
viene eliminato e il C5b andrà ad unirsi con C6 – C7- C8 – C9 formando il MAC. MAC causa lisi
della cellula bersaglio legandosi mediante interazioni idrofobiche al doppio strato
fosfolipidico della membrana per poi formare canali transmembrana cilindrici.
C1 (C1q, C1r, C1s) + IC
C3b + C3 convertasi
C5b + C6 + C7 + C8 + C9
MAC
Il sistema del complemento mira alla lisi cellulare mediata da MAC ma determina anche molti
effetti biologici indotti dai frammenti proteolitici dei componenti del complemento. Questi
intervengono in vario modo nell’infiammazione acuta:
C3a, C5a e C4a (in misura minore) fungono da anafilotossine, così chiamate perché
hanno effetti simili ai mediatori dei mastociti coinvolti nelle reazioni anafilattiche.
Derivano dalla scissione dei corrispondenti componenti del complemento.
Determinano aumento della permeabilità vascolare, vasodilatazione perché inducono il
rilascio di istamina da parte dei mastociti.
C5a inoltre è un potente agente chemiotattico per NEUTROFILI, MONOCITI,
EOSINOFILI, BASOFILI. Attiva la via lipossigenasica del metabolismo dell’AA nei
NEUTROFILI determinando un ulteriore rilascio dei metaboliti dell’infiammazione.
Aumenta l’avidità di legame delle integrine per il loro ligando.
C3b e C3bi (inattivo) fungono da opsonine.
2) Via alternativa.
Viene attivata dal legame di C3b a varie superfici come le pareti cellulari dei microorganismi.
Il C3b coinvolto nell’attivazione della via alternativa può essere prodotto in vari modi:
spontaneamente attraverso la via classica o dalla stessa via alternativa. In condizioni normali
avviene continuamente, seppur lentamente la scissione del C3 in C3a e C3b. Se C3b resta in
circolo viene inattivato se invece si lega a superfici batteriche il C3b si associa a una proteina
plasmatica, il fattore B properdinico. C3b + B vengono digeriti dal fattore D properdinico
generando C3bBb (C3 convertasi della via alternativa) stabilizzata dalla properdina. La via
sarà poi analoga.
L’MBL complex lega la superficie del patogeno, MASP 1 e MASP 2 vengono attivati, C4 e C2
vengono tagliati e si forma la solita C3 convertasi. Il processo è poi analogo.
N.B. : Le vie di attivazione non sono esclusive ma coesistono. L’unica che in alcune condizioni
potrebbe non verificarsi è quella classica (se non ci fossero anticorpi per uno specifico
patogeno). La via del mannosio e quella alternativa sono sempre presenti e sono presenti
contemporaneamente alla via classica.
N.B.= La callicreina è coinvolta nel sistema fibrinolitico che a sua volta porta a quello del
complemento.
Infiammazione Cronica.
Si definisce infiammazione cronica un’infiammazione protratta (per settimane o mesi) in cui
coesistono infiammazione, danno tissutale e tentativi di riparazione. Spesso non è preceduta
da un episodio acuto ma da un esordio insidioso. Molte malattie croniche invalidanti
presentano come caratteristica l’insorgenza subdola: artrite reumatoide, aterosclerosi,
tubercolosi. L’infiammazione acuta si sviluppa in questi casi:
INFEZIONI PERSISTENTI: queste infezioni sono sostenute da microorganismi difficili
da eliminare come virus, funghi e micobatteri. Questi mediano una risposta
immunitaria detta IPERSENSIBILITA’ RITARDATA. La reazione infiammatoria assume
il quadro della reazione granulomatosa.
ESPOSIZIONE PROLUNGATA A AGENTI TOSSICI, ESOGENI O ENDOGENI: Gli agenti
esogeni come particelle di silicio, materiale inorganico non degradabile che se inalato
per lunghi periodi causa una malattia infiammatoria dei polmoni detta silicosi. Gli
agenti endogeni come lipidi plasmatici che causano aterosclerosi.
AUTOIMMUNITA’: In particolari condizioni le reazioni immunitarie colpiscono i tessuti
stessi dell’ospite provocando malattie autoimmuni. In queste malattie, gli antigeni self
scatenano una reazione immunitaria dando luogo a una lesione cronica dei tessuti
soggetti a infiammazione (es. lupus erimatoso). Anche le reazioni allergiche contro
antigeni potenzialmente innocui creano malattia.
Infiammazione Granulomatosa.
E’ una forma caratteristica di infiammazione cronica riscontrata in un n° limitato di condizioni
infettive e immunitarie (malattie granulomatose= tubercolosi, lebbra, brucellosi, sifilide). Il
granuloma si può definire come un tentativo cellulare di contenere un agente lesivo difficile
da eliminare. Tale azione è spesso associata a una potente attivazione dei linfociti T con
conseguente attivazione dei macrofagi che possono danneggiare tessuti normali.
GRANULOMA: E’ un focolaio di infiammazione cronica costituito da un aggregato
microscopico di macrofagi morfologicamente trasformati in cellule epitelioidi, circondati da
leucociti mononucleati (linfociti, plasmacellule).
Nei preparati istologici colorati con ematossilina/eosina, le cellule epitelioidi (dette così
perché si trovano a stretto contatto simulando un epitelio) hanno un citoplasma granulare e
rosa pallido con contorni indefiniti che spesso sembrano fondersi tra loro. Il nucleo è meno
denso rispetto a quello di un linfocita, ha forma ovale e allungata e mostra ripiegamenti della
membrana nucleare. I granulomi più vecchi presentano un bordo di fibroblasti e tessuto
connettivo che racchiude l’area granulomatosa. Di frequente, le cellule epitelioidi si fondono
formando cellule giganti che si dispongono in periferia o al centro del granuloma. Queste
cellule giganti (con diametro anche di 40-50 micrometri) presentano ampia massa di
citoplasma contenente 20 o più nuclei di piccole dimensioni, disposti perifericamente (Cellule
di Langherans) o disperse nel citoplasma in maniera disordinata (cellule giganti da corpo
estraneo).
GRANULOMA DA CORPO ESTRANEO: sono causati da corpi estranei relativamente
inerti. In genere questi granulomi si formano intorno a materiali come fili di sutura,
fibre di dimensioni tali da impedire la fagocitosi. Non presentano alcuna reazione
specifica di tipo infiammatorio o immunitario. Cellule epitelioidi e giganti circondano la
superficie del corpo estraneo che in genere si trova al centro del granuloma.
GRANULOMA DI TIPO IMMUNITARIO: e’ causato da vari agenti capaci di individuare
una risposta immunitaria cellulo-mediata. Questo tipo di risposta, induce granulomi
quando l’agente scatenante non è molto degradabile o permane in forma corpuscolata.
In questo caso, i macrofagi inglobano l’antigene proteico estraneo, lo processano e
presentano i peptidi ai linfociti T antigene-specifici, attivandoli. I linfociti T che
rispondono all’antigene producono citochine come IL-2 che attiva altre cellule T
amplificando la risposta e INF-gamma importante per attivare i macrofagi nella
trasformazione in cellule epitelioidi e cellule giganti multinucleate. Il prototipo del
granuloma di tipo immunitario è quello della tubercolosi dove il granuloma spesso
definito tubercolo è caratterizzato da necrosi caseosa centrale.
Tipi di febbre:
FEBBRE CONTINUA (tipo classico): Si ha rialzo termico sopra i 37° che si mantiene
costante senza defervescenza durante tutto il periodo del fastigio. Oscillazioni piccole e
costanti inferiori a 1° giornaliero.
FEBBRE EMATICA DELLA CISTITE: C’è un singolo picco febbrile medio-alto che si
registra nel corso della giornata, a volte con brivido al momento dell’insorgenza e che
scompare apparentemente senza tracce. Recidivano nei casi in cui le cistiti sono
associate a ipertrofia prostatica e o malformazioni uretrali. A volte l’agente
responsabile è E.Coli presente in area perianale in maniera non patogena,
occasionalmente colonizza uretra/vescica e produce queste febbri erratiche.
FEBBRE REMITTENTE: simile alla febbre continua ma con oscillazioni giornaliere
molto ampie senza che ci sia defervescenza (febbre di tipo settico). La febbre settica è
quando la reazione infiammatoria è costante ma ogni qual volta un’ondata di batteri
invade circolo sanguigno si ha un picco febbrile (Es. febbre tifoide).
FEBBRE INTERMITTENTE: Fastigio non è continuo, alterna periodi di rialzo termico a
periodi di apiressia di durata variabile raggiunti dopo defervescenza per crisi
(malaria). L’intermittenza può essere:
1. Quotidiana: apiressia nelle ore serali;
2. Terzana: rialzo termico a gg alterni (ciclo di 3 gg di cui quello centrale senza
febbre)
3. Quartana: con rialzo termico dopo 2 giorni di apiressia.
FEBBRE RICORRENTE: Rialzo termico della durata di alcuni gg seguita da
defervescenza per lisi della durata di alcuni gg. Quando la defervescenza avviene per
crisi e il periodo di apiressia supera i 3-4 gg la febbre è ondulante tipica di alcune
malattie tropicali. Può essere tipica in soggetti affetti da neoplasie.
Processi Riparativi.
La distruzione dei tessuti con danni sia a carico delle cellule parenchimali sia dello stroma è
presente nell’infiammazione necrotizzante e caratterizza l’infiammazione cronica. Di
conseguenza la riparazione non può essere ottenuta solo mediante rigenerazione delle cellule
parenchimali neanche in quegli organi le cui cellule sono capaci di rigenerare (es. il fegato).
L’organismo tenta la riparazione del danno tissutale mediante sostituzione delle cellule
parenchimali con tessuto connettivo. Col tempo ciò produce fibrosi e comparsa di cicatrici. In
questo processo sono identificabili 4 momenti:
1. FORMAZIONE DI NUOVI VAI SANGUIGNI (ANGIOGENESI).
2. MIGRAZIONE E PROLIFERAZIONE DEI FIBROBLASTI;
3. DEPOSIZIONE DELLA MATRICE EXTRACELLULARE (ECM);
4. MATURAZIONE E ORGANIZZAZIONE DEL TESSUTO FIBROSO.
La riparazione inizia precocemente nel corso dell’infiammazione; a volte già 24 ore dopo il
danno, se non c’è stata risoluzione, i fibroblasti e le cellule dell’endotelio vascolare iniziano a
proliferare per formare in 3-5 gg un tessuto specializzato caratteristico della guarigione
chiamato TESSUTO DI GRANULAZIONE. Le caratteristiche istologiche che lo
contraddistinguono sono la formazione di nuovi vasi sanguigni e proliferazione dei fibroblasti.
Questi nuovi vasi consentono il passaggio di proteine e eritrociti nello spazio extravasale.
Angiogenesi.
Le modalità che portano alla formazione dei vasi sanguigni sono 2: vasculogenesi e
angiogenesi (o neovascolarizzazione). Nella vasculogenesi, durante lo sviluppo embrionale si
costituisce rete vascolare primitiva, ad opera di precursori delle cellule endoteliali chiamati
angioblasti. Nell’angiogenesi, i vasi preesistenti producono gemmazioni da cui germogliano i
nuovi vasi. E’ un processo importante nell’infiammazione cronica e nella fibrosi oltre che nella
crescita tumorale e nella formazione del circolo collaterale. Lo sviluppo di un nuovo capillare
durante angiogenesi si articola in diverse fasi:
Vasodilatazione in risposta a NO e aumento della permeabilità dei vasi preesistenti da
VEGF. Degradazione proteolitica della membrana basale del vaso originario per
consentire formazione di una gemmazione capillare e la successiva migrazione
cellulare.
Migrazione delle cellule endoteliali verso lo stimolo angiogenetico.
Proliferazione delle cellule endoteliali appena dietro il fronte delle cellule migranti.
Maturazione delle cellule endoteliali con inibizione della loro crescita e
rimodellamento in tubi capillari.
Reclutamento delle cellule periendoteliali. La funzione di queste cellule è sostenere i
tubi endoteliali, provvedendo alle funzioni di cellule accessorie per i vasi.
Queste fasi sono controllate da interazioni tra fattori di crescita, cellule vascolari e ECM.
Fattori di crescita.
Molti fattori di crescita mostrano attività angiogenetica ma VEGF e le angioproteine hanno un
ruolo importante nella vasculogenesi e nell’angiogenesi. I recettori di questi fattori, dotati di
attività tirosin-chinasica sono in larga misura presenti nell’endotelio. Nella vasculogenesi, il
VEGF si lega a uno dei suoi recettori VEGF-R2 (presente negli angioblasti), inducendo
formazione e proliferazione di cellule endoteliali, dopo il legame del VEGF con un secondo
recettore VEGF-R1 induce la formazione di tubi capillari. La progressione dell’angiogenesi è
controllata dalle angiopoietine (Ang1 e Ang2): Ang1 interagisce con un recettore delle cellule
endoteliali detto TIE-2, allo scopo di reclutare gruppo di cellule periendoteliali che servono a
stabilizzare i vasi neoformati. L’interazione Ang1/TIE-2 media la maturazione dei vasi, da
semplici tubi endoteliali in strutture vascolari complesse. Anche Ang-2 interagisce con TIE-2
ma esercita effetto opposto in quanto induce allentamento delle strutture vascolari, riducendo
i contatti delle cellule endoteliali con la matrice e con le cellule di supporto, ciò consente
l’accesso agli induttori e inibitori dell’angiogenesi. Il bFGF è un potente fattore angiogenetico
ma è il VEGF che emerge come il più importante fattore di crescita nei tessuti adulti.
L’espressione del VEGF è stimolata da alcune citochine e da alcuni fattori di crescita (TGF-
beta: fattore di crescita trasformante beta e PDGF: fattore di crescita derivato dalle piastrine,
TGF-alfa) oltre che dall’ ipossia tissutale. Anche altri fattori di crescita come PDGF e TGF-beta
sono importanti nella maturazione vascolare e nel rimodellamento.
Fibrosi.
Si presenta all’interno della trama del tessuto di granulazione e modifica l’ECM che era
formata inizialmente nella sede di riparazione. Due sono i processi coinvolti nella fibrosi:
1. MIGRAZIONE E PROLIFERAZIONE DEI FIBROBLASTI NELLA SEDE DI DANNO: Il
tessuto di granulazione contiene numerosi vasi neoformati. Il VEGF promuove
l’angiogenesi ma induce anche un aumento della permeabilità vascolare. Ciò determina
aumentata deposizione proteine plasmatiche come fibrinogeno e fibronectina
plasmatica nell’ECM e fornisce uno stroma provvisorio per la crescita dei fibroblasti. La
migrazione dei fibroblasti nella sede del danno e la loro proliferazione sono innescate
da diversi fattori di crescita tra cui TGF-beta, PDGF, IL-1, TNF alfa. Tra le fonti di questi
fattori di crescita ci sono piastrine e macrofagi. Se presenti stimoli chemotattici
appropriati abbiamo anche mastociti, eosinofili e linfociti possono aumentare di n° e
ognuna di queste cellule direttamente o indirettamente alla migrazione e
proliferazione dei fibroblasti. Tra i fattori di crescita coinvolti nella fibrosi
infiammatoria il TGF-beta sembra il + importante per la moltitudine di effetti che può
produrre a favore della deposizione di tessuto fibroso. Il TGF-beta è prodotto dalla
maggior parte delle cellule del tessuto di granulazione, induce migrazione e
proliferazione dei fibroblasti, aumento della sintesi di collagene e fibronectina e
riduzione della degradazione dell’ECM ad opera di metalloproteasi. Ha anche azione
chemotattica per i monociti e induce angiogenesi forse richiamando macrofagi.
2. DEPOSIZIONE DI ECM: Con l’avanzare del processo riparativo, il n° di cellule
endoteliali e fibroblasti proliferanti diminuisce. I fibroblasti aumentano
progressivamente la loro attività di sintesi e depositano maggiore quantità di ECM. I
collageni fibrillari formano la parte principale del tessuto connettivo nelle sedi di
riparazione e sono importanti nel conferire resistenza al tessuto nelle ferite in via di
guarigione. La sintesi del collagene da parte dei fibroblasti inizia relativamente presto
(3-5 gg) e continua per parecchie settimane a seconda della dimensione della ferita.
Molti fattori di crescita che regolano la proliferazione dei fibroblasti, stimolano anche
la sintesi dell’ECM. La sintesi di collagene ad es. è stimolata da parecchi fattori tra cui
fattori di crescita (PDGF, FGF, TGF-beta) e citochine (IL-2, IL-4) che vengono secrete
dai leucociti e da fibroblasti nelle ferite in via di guarigione. L’aumento netto della
quantità di collagene, comunque non è controllato solo a livello della sua sintesi, ma
anche dalla sua degradazione. Infine la trama del tessuto di granulazione viene
trasformata in una cicatrice costituita da fibroblasti, collagene denso, frammenti di
tessuto elastico e componenti dell’ECM. Con la maturazione della cicatrice , la
regressione dei vasi continua trasformando il tessuto di granulazione ricco di vasi in
una pallida cicatrice non vascolarizzata. La sostituzione del tessuto di granulazione con
tessuto cicatriziale comporta una variazione della composizione dell’ECM. Alcuni
fattori di crescita che stimolano la sintesi di collagene e altre molecole del tessuto
connettivo modulano anche la sintesi e attivazione delle metallo-proteasi, enzimi che
degradano queste componenti dell’ECM. Il bilancio tra sintesi e degradazione definisce
il rimodellamento del tessuto connettivo. Questa è una caratteristica importante dei
processi di infiammazione cronica e di riparazione delle ferite. La degradazione del
collagene delle altre proteine dell’ECM avviene grazie a metallo-proteasi, la cui attività
dipende da ioni zinco. Le metallo-proteasi comprendono:
Collagenasi interstiziali;
Gelatinasi che degradano sia collagene amorfo sia fibronectina.
Stromelisine che agiscono su proteoglicani, laminina etc.
Metalloproteasi della matrice legate alla membrana che sono proteasi associate
alla superficie cellulare.
Questi enzimi vengono prodotti da molti tipi di cellule (macrofagi, fibroblasti, neutrofili) e la
loro secrezione è indotta da stimoli come fattori di crescita (PDGF, FGF), citochine (IL-1, TNF-
alfa), stress fisici, mentre è inibita dal TGF- beta e dagli steroidi. Le collagenasi tagliano il
collagene rendendolo poi suscettibile alla digestione operata da altre proteasi. L’enzima è
prodotto sotto forma di precursore (pro-collagenasi) e per essere attivata richiede l’azione di
sostanze chimiche come HOCL e proteasi. Una volta formate e attivate, le metallo-proteasi
della matrice vengono inibite da specifici inibitori tissutali delle metallo-proteasi; ciò previene
azione incontrollata di queste proteasi.
Guarigione per seconda intenzione (ferite con lembi separati), il processo riparativo è più
complicato quando la perdita di cellule e di tessuti è più cospicua cosa che accade
nell’ulcerazione infiammatoria, nella formazione di ascessi. Queste situazioni sono
accomunate da una grossa perdita di tessuto che deve essere compensata. La rigenerazione
delle cellule parenchimali non può ricostituire completamente l’architettura originale. Dai
margini della ferita cresce un abbondante tessuto di granulazione per completare la
riparazione. Questa forma di guarigione è definita guarigione per seconda intenzione e
differisce da quella di prima intenzione per diversi aspetti:
In presenza di una grossa perdita di tessuto si ha inevitabilmente una maggiore
quantità di fibrina, di detriti necrotici e di essudato che devono essere rimossi. La
reazione infiammatoria è più intensa.
Si formano maggiori quantità di tessuto di granulazione. Quando la grossa perdita
riguarda tessuti profondi, come quelli degli organi interni, il drenaggio verso la
superficie non può avvenire e quindi il tessuto di granulazione, usando i leucociti
spazzino dovrà provvedere alla propria risoluzione. La caratteristica più importante è
il fenomeno della contrazione della ferita che si manifesta nelle grandi ferite
superficiali. Questo fenomeno è stato associato alla presenza dei miofibroblasti, ovvero
fibroblasti modificati che hanno caratteristiche di cellule muscolari lisce. Si verifica di
norma nelle ferite cutanee estese. Il fatto che una ferita guarisca per prima o seconda
intenzione è determinato dalla natura della ferita piuttosto che dal processo di
guarigione stesso. Inoltre quando le suture vengono rimosse di solito al termine della
prima settimana, la resistenza della ferita è circa il 10% ma aumenta rapidamente nelle
4 settimane successive. Intorno al terzo mese dell’incisione la resistenza raggiunge il
70-80% e questo può essere mantenuto per tutta la vita. Nei primi 2 mesi il ripristino
della resistenza alla tensione è dovuto a un aumento della sintesi del collagene che
prevale sulla degradazione. Dopo, quando la sintesi di collagene cessa, la resistenza
aumenta grazie a modifiche strutturali delle fibre collagene (legami crociati, aumento
dimensioni delle fibre). La ferita in via di guarigione è un processo dinamico e
variabile; la fase iniziale consiste in un processo infiammatorio a cui segue la fase di
fibroplasia, seguita da rimodellamento tissutale e dalla comparsa della cicatrice.
Diversi meccanismi che intervengono in tempi diversi inducono il rilascio di segnali
chimici che modulano in maniera ordinata la migrazione, proliferazione e
differenziamento delle cellule, oltre che la sintesi e la degradazione delle proteine
dell’ECM.
Dobbiamo inoltre ricordare una serie di fattori sistemici e locali che possono ridurre
l’efficienza sia della reazione infiammatoria che della riparazione.
Fattori sistemici:
NUTRIZIONE carenza proteica e di vitamina C inibiscono la sintesi di collagene
ritardando la guarigione.
STATUS METABOLICO: il diabete può ritardare la guarigione.
STATUS CIRCOLATORIO: inadeguato rapporto ematico a causa di aterosclerosi e di
anomalie venose può ridurre la guarigione.
ORMONI: i glucocorticoidi hanno effetti antinfiammatori e inibiscono sintesi collagene.
Fattori locali:
INFEZIONE: la più importante causa di ritardo della guarigione
CORPI ESTRANEI: sutura non necessaria, frammenti di vetro, acciaio, ritardano la
guarigione
DIMENSIONE, LOCALIZZAZIONE E TIPO DI FERITA: ferite in aree molto vascolarizzate
guariscono prima di altre ad es. sul piede.
Nella riparazione delle ferite possono esserci delle complicanze tra le quali annoveriamo:
INSUFFICIENTE FORMAZIONE DELLA CICATRICE: Inadeguata formazione di tessuto di
granulazione o formazione di cicatrice porta a 2 tipi di complicazioni. 1) La deiescenza
o apertura di una ferita è molto comune dopo interventi di chirurgia addominale
dovuta ad aumento della pressione addominale. 2) L’ulcerazione delle ferite è invece
provocata da un’inadeguata vascolarizzazione nel corso della guarigione. Ad esempio,
le ferite agli arti inferiori in individui con aterosclerosi periferica sono soggetti ad
ulcerazione.
ECCESSIVA FORMAZIONE DI COMPONENTI DEL PROCESSO RIPARATIVO: Accumulo di
quantità eccessive di collagene può dar luogo a cicatrici esuberanti conosciute come
cheloidi o cicatrici ipertrofiche. I meccanismi di formazione sono ancora sconosciuti e
non si sa perché siano più comuni tra individui di razza nera. A volte si possono
produrre quantità eccessive di tessuto di granulazione che viene definito tessuto di
granulazione esuberante che può essere rimosso chirurgicamente. Infine di rado le
cicatrici da incisione o le ferite da trauma possono essere seguite da proliferazione
eccessiva di fibroblasti ed altri elementi di tessuto connettivo. Queste formazioni che
possono recidivare dopo escissione chirurgica vengono chiamate desmoidi o
fibromatosi aggressive e cadono al confine tra proliferazione benigna e tumori maligni.
FORMAZIONE DI CONTRATTURE: una esagerazione di questo processo è detta
contrattura e provoca deformità della ferita e dei tessuti circostanti. Le contratture che
si sviluppano particolarmente nei palmi delle mani, dei piedi, parte anteriore del
torace, si osservano di frequente dopo gravi ustioni e possono compromettere il
movimento delle articolazioni.
N.B.= I meccanismi che stanno alla base della fibroplasia nella guarigione delle ferite
(proliferazione cellulare, interazione cellula-cellula o cellula-matrice, deposizione ECM) sono
simili a quelli operanti nelle fibrosi infiammatorie croniche in malattie come artrite
reumatoide, cirrosi epatica, fibrosi polmonare. Queste malattie sono associate alla persistenza
dello stimolo iniziale scatenante la fibroplasia o con lo sviluppo di reazioni immunitarie o
autoimmunitarie. In queste reazioni, la sintesi di fattori di crescita, di citochine, di enzimi
proteolitici e di altre molecole biologicamente attive è sostenuta da interazioni linfociti-
monociti. La degradazione del collagene ad opera di collagenasi è così importante nella fase di
rimodellamento delle ferite in via di guarigione ma è al tempo stesso causa principale della
distruzione delle articolazioni nell’artrite reumatoide.
Citochine Infiammatorie.
Le citochine sono mediatori polipeptidici non antigenici che fungono da segnali di
comunicazione tra cellule del sistema immunitario e tra queste e diversi organi e tessuti.
Citochine, fattori di crescita e ormoni polipeptidici sono un gruppo di proteine regolatorie
coinvolte nella comunicazione extracellulare.
FATTORI DI CRESCITA (non emopoietici): Vengono prodotti in modo costitutivo e i
loro principali bersagli sono cellule non emopoietiche.
ORMONI DI CRESCITA: Sono prodotti da cellule specializzate, rilasciati in circolo,
agiscono a distanza e hanno un ristretto n° di bersagli cellulari.
CITOCHINE: Sono prodotte da una gran varietà di tipi cellulari (linfociti e macrofagi
attivati, cellule endoteliali, epiteliali e del tessuto connettivo). La loro produzione è
transitoria, strettamente regolata, agiscono a breve distanza e non si trovano in
importanti quantità in circolo in condizioni normali. Possono influenzare la sintesi o
l’azione di altre citochine. Sono pleiotropiche ovvero agiscono su una gran varietà di
cellule e tessuti. Sono multifunzionali dato che una singola citochina può avere azioni
modulatorie positive e negative. Esplicano i loro effetti legandosi a specifici recettori
presenti sulle cellule bersaglio e l’espressione dei recettori può essere regolata da
segnali endogeni ed esogeni (IL-2 attiva cellule T legandosi a recettori per IL-2 ad alta
affinità IL-2R)
N.B.= IL-1, TNF per quanto siano strutturalmente diversi hanno funzioni sovrapponibili e si
consideri che nessuna delle caratteristiche enunciate è assoluta: TGF-beta e M-CSF sono
presenti in quantità cospicue in circolo in condizioni normali, IL-6 è prodotta in risposta a
segnali infiammatori locali ma agisce a distanza sul fegato contribuendo alla risposta di fase
acuta. Le citochine vengono distinte in:
MONOCHINE: prodotte da fagociti mononucleati.
LINFOCHINE: prodotte da linfociti attivati.
INTERLEUCHINE: prodotte da cellule emopoietiche, agiscono soprattutto sui leucociti.
CHEMOCHINE: stimolano la chemotassi dei leucociti.
Le citochine vengono inoltre distinte in 5 classi sulla base della funzione e del tipo di cellula
bersaglio:
1. CITOCHINE CHE REGOLANO LA FUNZIONE DEI LINFOCITI: Regolano proliferazione,
attivazione e differenziamento dei linfociti. IL-2 e IL-4 stimolano la proliferazione dei
linfociti, IL-10 e TGF-beta inibiscono le risposte immunitarie (citochine
antinfiammatorie).
2. CITOCHINE CHE MEDIANO L’IMMUNITA’ NATURALE: TNF-alfa, IL-1 beta, IL-6 e
interferone di tipo I (IFN-alfa, IFN-beta). Alcune proteggono da infezioni virali, altre
danno inizio a risposte infiammatore non specifiche.
3. CITOCHINE CHE ATTIVANO CELLULE DELL’INFIAMMAZIONE: IFN-gamma, TNF-alfa e
beta, IL-5, IL-10, IL-12. Queste attivano i macrofagi durante la risposta cellulo mediata.
4. CITOCHINE CHE STIMOLANO L’EMOPOIESI: Stimolano la proliferazione e il
differenziamento dei leucociti immaturi. IL-3, IL-7 e fattori stimolanti colonie (CSF) tra
cui: GM-CSF, M-CSF, G-MSF.
5. CHEMOCHINE: hanno azione chemotattica sui leucociti.
Chemochine.
Sono una famiglia di piccole proteine (basso peso molecolare 8-10 KD) che agiscono come
fattori chemotattici per i leucociti. Sono state identificate 40 diverse chemochine e 20 diversi
recettori. Vengono divise in 4 gruppi in relazione alla disposizione dei residui di cisteina nelle
chemochine mature:
Chemochine C-X-C (dette anche alfa-chemochine) hanno un residuo Aa che separa i
due residui conservati di cisteina e agiscono principalmente sui NEUTROFILI. L’IL-8
appartiene a questo gruppo è secreta dai macrofagi e causa attivazione e chemiotassi
dei neutrofili. La produzione di IL-8 è indotta soprattutto dalle citochine infiammatorie
primarie.
Chemochine C-C (dette anche beta chemochine) hanno 2 residui di cisteina adiacente.
Tra questi annoveriamo la eotassina che recluta selettivamente gli eosinofili, RANTES
chemiotattica per i monociti (MCP-1) e proteina infiammatoria dei macrofagi 1-alfa
(MIP-1 alfa) esercitano effetti chemiotattici per monociti, eosinofili, basofili e linfociti
ma non per i neutrofili.
Chemochine C (dette anche gamma chemochine) mancano di cisteina dei 4 residui
conserveti di cisteina (precisamente non hanno il primo e il terzo). Sono relativamente
specifiche per i linfociti.
Chemochine CX3C contengono 3 aa tra le 2 cisteine. Il solo membre di questa classe è
la fractalchina. Questa chemochina esiste in 2 forme: una legata alla superficie cellulare
promuove adesione di monociti e linfociti T ed è indotta da citochine infiammatorie,
una forma solubile derivata dalla proteolisi della proteina di membrana e dotata di
potere chemiotattico per le stesse cellule.