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Oncologia.

I tumori (neoplasie) sono condizioni patologiche in genere caratterizzate dalla comparsa in un


organo o tessuto di una massa di cellule, progenie di una cellula somatica, che ha subito danni
al proprio genoma (questa modifica genetica permette l’eccessiva e sregolata proliferazione
che diviene autonoma, ovvero prima di stimoli fisiologici di crescita anche se i tumori
dipendono dall’ospite per la nutrizione e apporto ematico). Tutti i tumori tranne alcune
eccezioni hanno origine monoclonale. L’eterogeneità delle neoplasie si basa:
 Sul diverso tipo di cellula progenitrice, sulla differente localizzazione della stessa,
sull’aspetto morfologico della sua progenie cellulare.
 Sul comportamento biologico della popolazione cellulare derivata dalla cellula
trasformata. Tale comportamento dipende dalla differenziazione del citotipo
progenitore e dal n° e tipo di geni che hanno subito alterazioni. La varietà dei geni
alterati e la varietà delle alterazioni sono responsabili della comparsa caratteristiche
che fanno differire la cellula tumorale da quella normale da cui ha preso origine ma
imprimono a ogni neoplasia la sua individualità .

Le cellule tumorali quindi sono caratterizzate:


 Dalla perdita o riduzione di alcune proprietà presenti nel citotipo da cui hanno preso
origine.
 Dall’acquisto di nuove caratteristiche. La principale caratteristica delle cellule tumorali
è l’acquisto dell’indipendenza dai meccanismi di controllo della moltiplicazione
cellulare che diventa illimitata: 1) Nel tempo poiché le cellule tumorali non si
moltiplicano solo per un determinato n° di generazioni, ma indefinitivamente. 2) Nello
spazio poiché la popolazione cellulare neoformata, assume un nuovo tipo di rapporto
con i tessuti limitrofi, questo rapporto varia se il tumore è benigno i tessuti limitrofi
subiscono compressione, mentre quelli maligni risultano prima infiltrati e poi sostituiti
dalle cellule neoplastiche.

L’autonomia moltiplicativa delle cellule tumorali, responsabili della comparsa del tumore
(inteso come tumefazione) e della neoplasia (intesa come nuova formazione) deriva da:
1. RIDUZIONE E PERDITA della proprietà di sottostare ai meccanismi regolatori della
proliferazione cellulare.
2. RIDUZIONE E PERDITA della possibilità di andare incontro ad apoptosi, con la
conseguenza che la sopravvivenza, comporta incremento numerico delle cellule che
possono replicarsi.

I danni genomici in grado di determinare acquisizione di fenotipo neoplastico sono di tipo


strutturale (mutazioni) prevalentemente ma anche di tipo funzionale. I primi comportano la
codificazione di prodotti abnormi, i secondi comportano disregolazione in eccesso o in difetto
dell’espressione genica. L’acquisto dell’autonomia moltiplicativa interviene perché i geni
coinvolti nella trasformazione neoplastica sono quelli che codificano per prodotti preposti alla
regolazione della proliferazione cellulare. Accumulo di ulteriori danni genomici a carico delle
cellule della popolazione neoplastica è dovuto al fatto che non vengono risparmiati altri geni
come quelli ad es preposti alla riparazione dei danni al DNA, quindi i danni si accumulano.
Questa è la ragione per cui un tumore, una volta costituito, si comporta come un entità in
continua evoluzione verso una condizione sempre più grave di disfunzione genica. Allo
sviluppo del tumore concorrono anche altri fattori di cui alcuni endogeni come ad es.
riduzione della capacità differenziativa.
Neoplasia: Massa anomala di tessuto la cui crescita eccessiva è scoordinata rispetto a quella
del tessuto normale e persiste nella sua eccessività anche dopo la cessazione degli stimoli che
l’hanno provocata.
La massa tumorale cresce a spese dell’ospite. Le cellule neoplastiche competono con le cellule
dei tessuti normali per l’approvvigionamento energetico e nutritivo. Questa massa, si sviluppa
in un paziente che deperisce progressivamente e sono per un certo grado autonome. Non è
una vera e propria autonomia in quanto le neoplasie dipendono dall’ospite per il nutrimento e
per il rapporto vascolare e molte richiedono anche un supporto ormonale. Tutti i tumori
benigni e maligno (vengono distinti sulla base del rapporto tra la massa tumorale e l’ospite)
hanno 2 componenti principali:
1. Le cellule neoplastiche proliferanti che costituiscono il parenchima.
2. Lo stroma di supporto costituito sia da tessuto connettivo che vasi sanguigni (+
macrofagi + linfociti).

Anche se le cellule parenchimali costituiscono la componente proliferante del tumore, la


crescita e l’evoluzione delle neoplasie dipendono dal loro stroma. Un adeguato apporto di
sangue è un requisito indispensabile per la crescita neoplastica e lo stroma è l’impalcatura che
sostiene le cellule del parenchima. Molti tumori hanno stroma di sostegno scarso e pertanto la
neoplasia risulta soffice e carnosa; a volte le cellule parenchimali stimolano la formazione di
uno stroma ricco di collagene e queste formazioni sono dette DESMOPLASIE, questi tumori
come ad esempio alcuni cancri alla mammella hanno una consistenza densa e vengono detti
scirrosi. I tumori vengono classificati in benigni e maligni sulla base:
 Delle caratteristiche morfologiche
 Della loro attività proliferativa
 Del loro comportamento biologico nei confronti dei tessuti limitrofi e dell’intero
organismo.

Tumori Benigni.
1. Sono formati da cellule molto simili alle cellule normali per molte caratteristiche
morfologiche e funzionali.
2. Hanno uno sviluppo di tipo espansivo comprimendo i tessuti vicini che possono andare
incontro a fenomeni di ipotrofia e atrofia. Il tumore benigno non invade e non infiltra i
tessuti vicini ma si limitano a comprimerli. Questo comunque può essere fonte di
danno, infatti la semplice compressione può indurre comparsa di manifestazioni
patologiche (es. l’aumento di volume di un tumore benigno dell’adenoipofisi può
determinare compressione del chiasma ottico alterando la vista).
3. I tumori benigni di molte ghiandole endocrine (ad es. adenomi, ovvero tumori benigni
Epitelio ghiandolare), sintetizzano e secernono ormoni e danno luogo a una
sintomatologia iperfunzionale della ghiandola in cui sono insorti. Le cellule tumorali
inoltre sono indipendenti dai meccanismi regolatori di feedback per ridotta
espressione dei recettori per l’ormone periferico che fisiologicamente regolano sintesi
e rilascio dell’ormone stesso. Alcuni tumori benigni della stessa ghiandola sono
costituiti da più citotipi e producono più di un ormone, altri non producono ormoni e
restano silenti sotto l’aspetto della patologia pur comprimendo i tessuti vicini.
4. Se i tumori benigni originano dall’epitelio ghiandolare (adenomi) sono di solito
avviluppati da una capsula di tessuto connettivo che li delimita dai tessuti confinanti
avvolgendoli del tutto (tale capsula non previene la crescita tumorale ma fa si che la
massa resti delimitata e facilmente asportata).
5. I tumori benigni producono fattori di crescita per il connettivo e per endotelio
vascolare, per cui formano un proprio stroma e un proprio letto vascolare che
rappresentano sostegno meccanico e nutrizionale.
6. I tumori benigni, una volta asportati non recidivano a condizione che la rimozione sia
totale.
7. I tumori benigni hanno una crescita localizzata ovvero restano confinati al sito di
origine dove possono dar luogo a masse di notevoli dimensioni.
8. Non danno luogo a crescita infiltrante sui tessuti vicini, né a diffusione metastatica,
insorgono e permangono sotto forma di neoformazioni localizzate.
9. Le cellule tumorali benigne hanno bassa velocità di crescita, non danno luogo a
cachessia e sono notevolmente differenziate. I tumori ben differenziati sono costituiti
da cellule che presentano un buon livello di somiglianza con gli elementi maturi
normali del tessuto da cui la neoplasia ha avuto origine, mentre i tumori scarsamente
differenziati o del tutto indifferenziati sono costituiti da cellule immature e non
specializzate.

Tumori Maligni.
1. Sono costituiti da cellule che si presentano diversi dalle corrispondenti cellule normali
sotto tutti gli aspetti, da quello morfologico a quello funzionale e in particolare sotto
quello comportamentale. Nessuna delle alterazioni citologiche presenti nei tumori
maligni è specifica per la condizione di malignità , tuttavia l’insieme di esse consente al
patologo di formulare la diagnosi di un tumore maligno sia all’esame istologico che
quello citologico.
2. Sono definiti ANAPLASTICI (o fortemente indifferenziati) quando il grado di
differenziazione delle cellule è talmente basso da non consentire sotto l’aspetto
morfologico, l’individuazione del citotipo da cui ha preso origine.
3. I tumori maligni si infiltrano e poi distruggono i tessuti limitrofi sani facendo in modo
che il tessuto neoplastico si sostituisce ai tessuti sani. L’invasività neoplastica non si
limita al derma ma può in un secondo momento interessare i tessuti sottostanti senza
rispettare le pareti dei capillari sanguigni e linfociti che oltrepassano grazie alle loro
capacità motorie. Sospese nel sangue o nella linfa, le cellule tumorali costituiscono gli
EMBOLI NEOPLASTICI che poi grazie alla circolazione sanguigna vengono trasportati
in siti diversi da dove è sorto il tumore primario.
4. Cellule dei tumori maligni hanno capacità metastatica che trasforma il tumore da
localizzato a diffuso all’intero organismo.
5. Hanno possibilità di recidiva dopo asportazione chirurgica del tumore primitivo. Ciò si
deve alla capacità delle cellule tumorali di infiltrarsi nei tessuti vicini, che rende spesso
impossibile l’asportazione totale del tumore primario. Le cellule superstiti possono
dare origine ad un nuovo tumore.
6. Provocano cachessia ovvero un progressivo e rapido decadimento dell’organismo che
va incontro a una massiccia perdita di peso, apatia etc. Ipoalbuminemia con
formazione di edemi e anemia possono aggravare stato generale del paziente che inizia
a presentare ridotta resistenza alle infezioni. La cachessia si verifica di solito nella fase
terminale del tumore, ci sono anche casi in cui essa precede la sintomatologia correlata
alla presenza della neoplasia.
7. Le cellule di un tumore maligno sono caratterizzate da crescita molto rapida.
Nomenclatura dei tumori.
Ogni citotipo può andare incontro a trasformazione neoplastica. Sono state proposte
numerose classificazioni dei tumori, ma quella accettata è basata su 2 criteri, basati
sull’osservazione microscopica delle reazioni istologiche della neoplasia:
1. CRITERIO ISTOGENETICO: tiene conto del riconoscimento del tessuto da cui il tumore
ha preso origine.
2. CRITERIO PROGNOSTICO: basato sull’identificazione della malignità o benignità del
tumore.
I tumori possono essere classificati su base eziologica perché:
 Le cause di molti tumori non sono sempre individuabili.
 Lo stesso agente oncogeno può causare tumori differenti.
 Lo stesso tumore può essere indotto da agenti diversi.
Per quanto riguarda la nomenclatura dei tumori:
 Si aggiunge il suffisso “oma” al nome del citotipo o del tessuto da cui il tumore (benigno
o maligno) ha preso origine. (FIBROMA= tumore benigno tessuto connettivo fibroso,
ADENOMA= tumore benigno dell’epitelio ghiandolare, EPITELIOMA= tumore maligno
dell’epitelio, SARCOMA= tumore maligno del connettivo.)
 Alcuni tumori hanno il nome in base alla funzione del corrispondente citotipo sano
(IMMUNOBLASTOMA).
 In alcuni casi al tumore viene assegnato il nome dello studioso che per primo lo
identificò (SARCOMA DI EWING, LINFOMA DI HODGKIN)
 In altri casi il tumore viene definito con il suffisso “BLASTOMA” per indicare la
somiglianza della neoplasia con precoci strutture embrionali (RETINOBLASTOMA,
NEUROBLASTOMA, MIOBLASTOMA).

Distinguiamo:
1. TUMORI DEL TESSUTO EPITELIALE.
2. TUMORI DEL TESSUTO CONNETTIVO
3. TUMORI DEI TESSUTI EMOPOIETICI
4. TUMORI DEL SISTEMA MELANOFORO
5. TUMORI DI ORIGINE PLACENTARE E EMBRIONALE
6. TUMORI DEL SISTEMA NERVOSO.

Tumori del tessuto epiteliale.


Riguardano l’epitelio di rivestimento della cute, delle mucose e epitelio ghiandolare. I tumori
benigni dell’epitelio di rivestimento si presentano come protuberanze che emergono dalla
superficie epiteliale alla quale aderiscono per mezzo di un peduncolo più o meno pronunciato.
Comprendono:
 POLIPI: costituiti da una parte stromale centrale (che forma scheletro connettivale in
cui sono contenuti vasi sanguigni, linfatici e nervi) rivestita da cellule epiteliali che
esibiscono le stesse caratteristiche morfologiche dell’epitelio da cui la neoformazione
ha avuto origine.
 PAPILLOMA: Si distingue dal polipo perché dalla sua base di impianto il peduncolo si
ramifica in varie direzioni con diramazioni periferiche più sottili. Ha aspetto
arborescente (papilloma epitelio della vescica è considerato potenzialmente maligno
perché ha recidiva dopo asportazione)
 VERRUCA: neoformazione benigna dell’epitelio di rivestimento cutaneo.
I tumori maligni dell’epitelio di rivestimento sono detti CARCINOMI o EPITELIOMI e sono
caratterizzati da margini irregolari. Alcuni appaiono come un nodulo, altri come un’ ulcera.
1. EPITELIOMA BASOCELLULARE (BASALIOMA): Area di cute rotondeggiante e
traslucida o di una papula che si ulcera. Il tumore è costituito da nidi di cellule, di
stessa dimensione e a stretto contatto tra loro, fornite di poco citoplasma e con nucleo
ben evidente.
2. EPITELIOMA SPINOCELLULARE (CARCINOMA A CELLULE SQUAMOSE): Può originare
in ogni area del rivestito cutaneo o della superficie delle mucose quali cervice uterina,
labbra, laringe. La lesione inizia con una protuberanza dalla consistenza densa a volte
sanguinante, che accrescendosi va incontro a ulcerazione. Le forme ben differenziate
hanno spine intercellulari e agglomerati concentrici di cheratina noti come perle
cornee.
Differenza tra questi 2 tumori sta nel fatto che il primo pur essendo formato da cellule poco
differenziate non da quasi mai luogo a metastasi, il secondo formato da cellule differenziate,
ha una marcata capacità metastatica.

I tumori benigni dell’epitelio ghiandolare sono detti ADENOMI e riproducono in maniera


piuttosto fedele architettura della ghiandola d’origine anche se ci sono eccezioni.
1. ADENOMI DELLA TIROIDE: possono presentare oltre alla struttura follicolare (simile a
quello della ghiandola normale) anche struttura che ricorda la tiroide nelle fasi di
sviluppo prenatale.
2. CISTOADENOMA: le strutture ghiandolari si dilatano formando strutture cistiche piene
di secreto.
3. ISTOADENOMA PAPILLIFERO: come il precedente con la differenza che nel secreto
delle cisti possono immettersi strutture papillari provenienti dall’epitelio che riveste la
cisti.
4. TUMORI MISTI: Tumori alla cui costituzione partecipano cellule provenienti da 2 o +
tessuti diversi (es. FIBROADENOMA, TUMORE MISTO DELLA PAROTIDE).

I tumori maligni dell’epitelio ghiandolare sono detti ADENOCARCINOMI se sono costituiti da


cellule differenziate. Pur presentando atipie, formano strutture acinose che ricordano la
ghiandola d’origine. Sono detti CARCINOMI se il grado di differenziamento cellulare è scarso.
In questo caso le cellule neoplastiche si aggregano formando cordoni che non presentano
somiglianza con la ghiandola d’origine.

Tumori del tessuto connettivo.


Nei tumori benigni gli aspetti citologici non si discostano da quello del tessuto di origine sia
per quanto riguarda le cellule che la sostanza intercellulare sintetizzata e secreta. Difficile
individuare stroma dei tumori connettivali perchè esso si identifica con il tessuto neoplastico
stesso. I tumori connettivali si definiscono ISTIOIDI (costituiti da un solo tessuto) mentre gli
epiteliali si definiscono ORGANOIDI (perché lo stroma presente è sempre ben distinguibile dal
parenchima formato dalle cellule neoplastiche). I tumori benigni del tessuto connettivo
presentano il suffisso “oma” al tessuto d’origine. I tumori maligni del connettivo vengono
definiti SARCOMI. Si possono tuttavia distinguere ulteriormente in: BLASTICI dove le cellule
tumorali sono ben differenziate da quelle del tessuto di origine e vengono indicati con il nome
del tessuto d’origine più il suffisso “SARCOMA”. ANAPLASTICI in cui le cellule tumorali sono
fortemente indifferenziate. Sono neoformazioni molto maligne. Tra queste ricordiamo 3
varietà : fusocellulare, rotondocellulare, pleomorfo, ultimo è quello a più rapida evoluzione ed
elevato grado di malignità .
TUMORI BENIGNI CONNETTIVALI SARCOMI BLASTICI
FIBROMA (tessuto connetivale fibroso) FIBROSARCOMA
MIXOMA ( tessuto connettivale embrionale) MIXOSARCOMA
CONDROMA (tessuto cartilagineo) CONDROSARCOMA

Tumori dei tessuti emopoietici.


I tumori benigni del tessuto emopoietico sono considerati lesioni precancerose per il rischio
di evoluzione in forma neoplastiche maligne e vengono classificati in 3 tipi principali:
1. POLICITEMIA VERA: caratterizzata da un’espansione di un clone della serie eritroide
che comporta un aumento spesso considerevole degli eritrociti circolanti o piastrine o
granulociti.
2. SINDROMI MIELODISPLASTICHE= caratterizzate da alterazioni dell’evoluzione dei tipi
cellulari del midollo con conseguenze di tipo ematologico a carico di emazie, piastrine,
leucociti e rischio di evoluzione leucemia.
3. GAMMAPATIE MONOCLONALI = dovuta all’espansione di un clone plasmacellulare
anticorpopoietico che comporta eccessivo rilascio della IG da esso sintetizzata.

I tumori maligni del tessuto emopoietico vengono distinti:


1. LEUCEMIE: originano da cellule emopoietiche progenitrici nel midollo osseo.
2. LINFOMI: originano da linfociti maturi.

Le leucemie sono processi neoplastici delle cellule emopoietiche con compromissione della
loro maturazione e quindi delle funzioni che gli elementi maturi esercitano fisiologicamente.
Due sono gli errori cellulari del processo leucemico:
1. Abnorme proliferazione cellulare (comune a tutte le neoplasie)
2. Il blocco in una delle tappe del processo di maturazione, con conseguente accumulo o
passaggio nel sangue di cellule immature. Il decorso clinico è più grave nelle forme
scarsamente differenziate, meno grave in quelle più differenziate. Le leucemie vengono
distinte in acute e croniche: le acute conducono molto rapidamente a morte e la cellula
staminale emopoietica subisce blocco maturativo in uno stadio molto precoce, le
croniche hanno decorso più lento che si aggrava progressivamente ed il blocco
maturativo della cellula staminale emopoietica avviene in stadi più avanzati.

Distinguiamo:
 LEUCEMIE LINFOIDI: Derivano dalla trasformazione neoplastica di un progenitore dei
linfociti T e B e si distinguono in acute e croniche sia per il loro decorso, sia in
riferimento al grado di differenziamento del progenitore linfoide da cui hanno preso
origine.
 LEUCEMIE MIELOIDI: Anch’esse distinte in acute e croniche, vengono classificate sulla
base della linea di differenziazione (monocitica, megacariocitica, granulocitica).
 ERITROLEUCEMIE: Neoplasie che originano in seguito alla trasformazione neoplastica
di un progenitore della linea eritroide.
 TUMORI PLASMACELLULARI: gruppo eterogeneo di neoplasie costituiti dalla progenie
di una plasmacellula che ha subito la trasformazione neoplastica. Tali cellule
sintetizzano e secernono un eccesso di Ig, prodotta dalla progenitrice.
Tumori del sistema melanoforo.
I tumori benigni del sistema melanoforo sono detti nevi e più che tumori benigni sono
considerati AMARCOMI cioè neoformazioni risultanti dall’accumulo casuale di più tessuti. I
nevi sono di solito presenti alla nascita o si manifestano nei primi anni di vita.
 NEVO CELLULARE: detto comunemente neo. Derivano dal melanocita. I nei sono così
diffusi che non rappresentano una condizione patologica.
 NEVO GIUNZIONALE: i melanociti si accumulano nella giunzione epidermide-derma.
Col tempo migrano verso il derma, dove formano agglomerati di varia dimensione.
Conseguente a ciò si può formare NEVO INTRADERMICO che di solito resta
quiesciente.

I tumori maligni del sistema melanoforo sono detti MELANOMI e possono formarsi sia nei nei
preesistenti che in zone dell’organismo che ne sono sprovviste. Sono molto maligni e a rapida
diffusione metastatica.

Tumori di origine placentare o embrionale.


Originano da tipi cellulari che in condizioni fisiologiche non sono costantemente presenti
nell’organismo adulto.
 CORIONEPITELIOMA: che deriva dal trofoblasto.
 TERATOMI: derivano da cellule staminali pluripotenti e sono costituiti da vari tessuti.
Possono essere sia benigni che maligni e insorgono prevalentemente nel testicolo e
nell’ovaio.

Tumori del sistema nervoso.


Anche il S.N è preda di tumori benigni o maligni (questi ultimi non formano metastasi al di
fuori del S.N. stesso). L’encefalo però è frequentemente sede di metastasi, originatesi da
tumori a carico di altri e vari organi. La maggior parte dei tumori che colpiscono il S.N.
(encefalo, midollo spinale, nervi periferici) derivano da cellule che formano tessuti di
sostegno o contenimento delle strutture venose.
 SCHWANNOMI e NEURINOMA: originano dalle cellule di SCHWANN dei nervi cranici e
spinali. A livello spinale cresce all’interno della dura madre ed è uno dei tumori extra-
midollari più frequenti.

Aspetti morfologici della cellula neoplastica.


Il tumore differisce morfologicamente dal suo tessuto d’origine:
 Per le caratteristiche delle singole cellule
 Per come queste cellule sono organizzate e tenute insieme dallo stroma connettivale.
 Per come sono irrorate dai vasi
 Per come il tessuto neoplastico è delimitato rispetto a altri tessuti normali circostanti.
Sia la quantità che la qualità di tali differenze non sono costanti e caratteristiche della
malignità , ma variano di caso in caso e sono più o meno gravi ed evidenti con l’aumentare
della malignità . L’insieme di queste differenze e alterazioni è detto “ANAPLASIA
MORFOLOGICA” e può essere descritta nel singolo tumore con l’accurato esame al
microscopio ottico/elettronico:
1. ALTERAZIONE DEL VOLUME: Volume cellule tumorali rispetto a cellule del tessuto
d’origine è in genere diminuito e ciò è parzialmente dovuto alla continua e non
controllata proliferazione delle cellule tumorali.
2. ALTERAZIONE DELLA FORMA: In una cellula normale la forma è mantenuta regolare e
omogenea. In una cellula tumorale si verifica “POLIMORFISMO CELLULARE”, ritenuto
grave segno di anaplasia e malignità . La forma delle cellule tumorali è profondamente
alterata, variabile e irregolare. Ciò lo si deve a 2 cause principali: irregolare
organizzazione cellulare del tessuto che non contribuisce a mantenere regolarità nella
forma delle cellule, alle alterazioni di componenti citoscheletriche dovute ad es. a
un’iperfosforilazione delle proteine che modifica le proprietà e effetti funzionali. Ci
possono essere anche tumori che, nonostante loro malignità clinica, possono essere
costituiti da cellule di forma omogenea e regolare ma presentano alterazioni a carico di
strutture subcellulari (sarcomi fusocellulari o rotondocellulari.
3. ALTERAZIONE RAPPORTO NUCLEO/CITOPLASMA: Nelle cellule normali è a favore del
citoplasma. Nelle cellule tumorali tende a spostarsi a favore del nucleo fino a
inversione del rapporto. Ciò è dovuto a una diminuzione del citoplasma che all’umento
di dimensioni del nucleo.
4. ALTERAZIONE DEL NUCLEO: Insieme al nucleolo è la struttura soggetta a più
alterazioni in una cellula tumorale.
 NUMERO: Cellule tumorali possono avere 2 o più nuclei a causa di mitosi
abnormi,
 FORMA: possono avere nuclei polimorfi ascrivibili a alterazione
dell’architettura citoscheletrica.
 DIMENSIONI: molto variabile, alcuni possono avere nuclei giganti altri
micronuclei. Le aumentate dimensioni del nucleo corrispondono a un aumento
della quantità di DNA presente.
 COLORABILITA’: Nei preparati istologici colorati con ematossilina/eosina, il
nucleo delle cellule tumorali appare più viola intenso rispetto al tessuto
normale. Questa caratteristica nota come IPERCROMASIA O IPERCROMATISMO
è dovuta all’aumentata quantità di DNA nel nucleo.
 ORGANIZZAZIONE CROMATINA: Nelle cellule tumorali scarsamente
differenziate, la cromatina appare granulare, mentre è addensata nelle cellule
più differenziate.
 MEMBRANA NUCLEARE: Mostra numerose alterazioni nei tumori e contribuisce
al polimorfismo nucleare. Può presentare complesse invaginazioni e protrusioni
da riferire ad alterazioni della lamina densa interna. Distribuzione irregolare
dei pori nucleari, con zone in cui sono totalmente assenti.
 NUCLEOPLASMA: E’ il citoplasma racchiuso dalla membrana nucleare. Nella
cellula normale sembra privo di strutture diverse da nucleolo e cromatina. Nella
cellula tumorale, può presentare inclusioni patologiche come virus oncogeni,
accumuli di glicogeno, gocce lipidiche. La maggior parte delle volte la loro
presenza è legata ad un’alterazione nel sistema di importazione di particelle e
macromolecole dal nucleo attraverso i pori della membrana nucleare.

5. ALTERAZIONE DEL NUCLEOLO: Volume dei tumori può aumentare fino a 10 volte
rispetto a quello normale. Inoltre un singolo nucleo può presentare da 2 a 10 nucleoli.
Queste alterazioni sono dovute dal fatto che mentre in una cellula normale la presenza
del nucleolo è sotto controllo di una sequenza di DNA detta “regione organizzativa del
nucleolo”, in una cellula tumorale l’aumentato volume del nucleolo (ipertrofia) può
essere spiegato con il funzionamento contemporaneo di più regioni organizzative del
nucleolo. Inoltre in una cellula normale, tutte le componenti nucleolari (DNA, RNA,
proteine) sono veicolate ordinatamente a formare un gomitolo detto nucleolonema,
mentre nella cellula tumorale le componenti nucleolari o possono separarsi tra loro
(SEGREGAZIONE) o a volte il gomitolo si disorganizza in frammenti appena visibili
sparsi nel nucleoplasma (FRAMMENTAZIONE).
6. ALTERAZIONE DELLA MEMBRANA PLASMATICA: La membrana plasmatica a causa del
citoscheletro ad essa associato, può presentare alterazioni della sua polarità e delle
funzioni che da esse dipendono. Inoltre microvilli, ciglia, canali ionici e recettori di
membrana possono scomparire o cambiare funzionalità .
7. RETICOLO ENDOPLASMATICO: Sia quello liscio che rugoso sono in genere diminuiti,
tranne nel caso di tumori indotti da cancerogeni chimici, in cui il R.E. liscio è talvolta
aumentato.
8. RIBOSOMI: In genere aumentano nelle cellule tumorali.
9. ALTERAZIONI DEL CITOSCHELETRO: Il polimorfismo cellulare, tipico dell’anaplasia
morfologica dei tumori maligni è una delle più importanti conseguenze delle
alterazioni del citoscheletro nelle cellule trasformate . Citoscheletro di una cellula è
formato da monomeri presenti nel citosol che polimerizzano per formare filamenti,
microtubuli, etc. Uno dei principali meccanismi di controllo dell’equilibrio tra forme
monomeriche e polimeriche è rappresentato dalla fosforilazione dei monomeri liberi
nel citosol ad opera di chinasi. In una cellula tumorale l’equilibrio tra le varie chinasi,
può essere alterato dal fatto che vari prodotti di oncogeni sono essi stessi delle chinasi
o collegati ad esse. Per questo motivo molte funzioni dipendenti dal citoscheletro, sono
alterate, perché è alterata la fosforilazione delle proteine coinvolte nella sua
costituzione come l’actina, etc.
10. ALTERAZIONE DEI MITOCONDRI: Dopo il nucleo i mitocondri sono quelli
maggiormente colpiti. Risultano alterati e differenti da quelli del tessuto d’origine
quanto più è alta la malignità del tumore. Nelle cellule tumorali i mitocondri sono
meno numerosi, più piccoli, hanno forma irregolare, variabile. La matrice è
disomogenea , poco densa, a volte vacuolizzata e può contenere gocce lipidiche,
particelle di glicogeno. Hanno creste diminuite, irregolari e cambiate di forma. Inoltre a
causa della presenza di propri acidi nucleici, i mitocondri sono spesso bersaglio di
virus oncogeni e agenti cancerogeni, sono possibili inclusioni virali nei mitocondri
tumorali. In una cellula sana i mitocondri importano macromolecole e particelle
presenti nel citoplasma o in altri comparti mediante meccanismo dipendente da un
recettore. In una cellula normale questo meccanismo può alterarsi per problemi
riguardanti il recettore e il trasportatore o per la presenza impropria della sequenza
d’importazione. La presenza di un tumore induce in un tessuto sano la formazione di
oncociti, ossia cellule con molti mitocondri, ricchi di creste. Ruolo degli oncociti è
probabilmente quello di eliminare i protoni prodotti in eccesso dalla glicolisi delle
cellule tumorali. Questi H+ vengono neutralizzati a livello delle creste con produzione
di H2O e ATP.
11. ALTERAZIONE DI ALTRI ORGANULI
 PEROSSISOMI: Organuli citoplasmatici che contengono enzimi come catalasi,
SOD e hanno il ruolo di inattivare i radicali perossidi responsabili di
cancerogenesi. Nelle celliule tumorali c’è assenza o diminuzione perossisomi e
dei livelli di SOD in essi contenuti.
 LISOSOMI : organuli citoplasmatici circondati da membrana che contengono
enzimi digestivi endocellulari. Nelle cellule tumorali appaiono grandi e
contengono materiali non digeriti per eventuali deficit enzimatici.
 CENTRIOLI: Strutture contenenti microtubuli e sono implicati nella formazione
del fuso mitotico durante divisione cellulare. In una cellula tumorale sono
abnormi o presenti in molte coppie.

12. ALTERAZIONE DELL’ORGANIZZAZIONE E DELL’ARCHITETTURA DI UN TESSUTO


TUMORALE: In condizioni fisiologiche le cellule sono capaci di organizzare vari tessuti,
formando strutture ordinate attraverso varie molecole e proteine. Nelle cellule
tumorali maligne, queste molecole possono mancare o essere alterate e per questo
essere responsabili della disordinata organizzazione delle cellule neoplastiche.
L’organizzazione e l’architettura di un tumore sono anche condizionate dallo sviluppo
di uno stroma vascolo-connettivale, che conferisce dimensioni clinicamente rilevanti al
tumore in crescita. Per questo motivo, qualsiasi tumore non raggiungerà mai grandi
dimensioni se non è capace di organizzare un efficiente stroma vascolare
contemporaneamente alla sua crescita.

Due sono le principali organizzazioni delle cellule tumorali riscontrate in vivo:


1. NODULI ( O NIDI): Sono gruppi di cellule circondate da vasi sanguigni. Le cellule più
vicine ai vasi sono le più giovani e in mitosi, quelle più distanti dai vasi invece (al
centro della formazione) sono cellule necrotizzate e disorganizzate (non ricevono O2 e
nutrienti per la lontananza dai vasi). L’accrescimento dei noduli è limitato dalla
distanza tra i vasi e il centro della formazione. N.B. Nei noduli la necrosi è centrale.
2. CORDONI: Formazioni cilindriche accresciutesi attorno a un vaso. Il vaso si trova al
centro della formazione, così anche le cellule più giovani sono in migliore stato di
nutrizione. Verso la periferia invece ci sono cellule necrotiche, disorganizzate a causa
della distanza dal vaso. Questa formazione tende progressivamente ad aumentare man
mano che le cellule vicino al vaso proliferano. N.B. Nei cordoni la necrosi è periferica.

Inoltre a differenza delle cellule dei tessuti sani che non sono in grado di produrre nuovi vasi (
se non in condizioni particolari), le cellule tumorali sono in grado di provvedere alla loro
vascolarizzazione perché producono autonomamente fattori angiogenetici. Tale proprietà è in
gran parte responsabile della capacità di progressivo accrescimento di alcuni tumori maligni.
Lo studio dell’anaplasia morfologica viene fatto a 3 livelli di organizzazione:
1. ESAME MACROSCOPICO: vengono presi in esami la localizzazione, i limiti, la forma, il
colore, la consistenza della massa tumorale.
2. ESAME AL MICROSCOPIO OTTICO: Evidenzia la morfologia delle singole cellule e la
loro organizzazione nei tessuti.
3. ESAME AL MICROSCOPIO ELETTRONICO: permette di esplorare le componenti
subcellulari delle cellule neoplastiche.

Oncogeni.
Gli oncogeni agiscono come un acceleratore producendo quantità anormali di proteine
cellulari di sviluppo/controllo, portando così le cellule a diventare iperattive.
Oncogene: qualsiasi gene che con un guadagno di funzione contribuisce alla cancerogenesi;
letteralmente significa “gene capace di indurre la comparsa di un tumore”.
Protoncongene: famiglia di geni altamente conservati che codificano più proteine coinvolte in
meccanismi fondamentali del ciclo cellulare. Quando sono attivati in modo sregolato
diventano oncogeni. La scoperta degli oncogeni confermò che la trasformazione neoplastica è
riportabile a alterazioni del genoma di una cellula somatica, trasmissibile alla progenie. Gli
oncogeni codificano per proteine alterate e si comportano come dominanti in quanto è
sufficiente la mutazione di un solo allele perché il prodotto alterato esplichi la sua funzione.
Nelle cellule normali, in condizioni fisiologiche sono presenti protoncogeni, i cui prodotti
favoriscono fenomeni di moltiplicazione e differenziazione cellulare. Gli oncogeni prendono
origine dai protoncogeni per amplificazione o per mutazione ed è per questo motivo che i
protoncogeni vengono considerati gli equivalenti normali degli oncogeni. Quindi gli oncogeni
sono geni dotati di potere trasformante derivati da protoncogeni che hanno subito alterazioni
diverse.
ALTERAZIONE DELLE SEQUENZE REGOLARIE (sul protoncogene): oncogene che codifica per
un eccesso di prodotto con normale struttura: “Alterazione quantitativa”.
ALTERAZIONE DELLE SEQUENZE CODIFICANTI (sul protoncogene): oncogene che codifica
per un prodotto con una struttura modificata: “Alterazione qualitativa”.

L’incrementata codificazione di un prodotto genico strutturalmente immodificato dipende:


 Da un aumento del n° delle copie di un protoncogene (amplificazione genica).
 Alterazioni della sua regolazione trascrizionale.
L’amplificazione genica si riscontra spesso nelle cellule dei tumori in stadio di sviluppo
avanzato. L’alterata regolazione è presente in tutte le fasi dello sviluppo neoplastico.
Meccanismi attraverso cui i protoncogeni si trasformano in oncogeni:
1. AMPLIFICAZIONE GENICA (effetto dose=eccesso di prodotto): Nel caso in cui in un
cromosoma siano presenti più copie dello stesso gene, al posto di bande ben definite, si
osservano bande di grosse dimensioni perché ricche di più copie dello stesso gene alle
quali è stato dato il nome di “REGIONI CROMOSOMICHE OMOGENEAMENTE
COLORATE” = MSR. Es. è il gene N-myc (cromosoma 2): il fattore di trascrizione
amplificato del 30-40% dei tumori neuroblastoma, ovviamente ciò porta alla
codificazione di un prodotto non modificato strutturalmente ma in eccesso dal punto di
vista quantitativo. Nel neuroblastoma è stata descritta l’amplificazione di circa 700
volte nel gene N-myc, che codifica proteine espresse nel ciclo cellulare.
2. TRASLOCAZIONI CROMOSOMICHE (effetto dose): tumori linfoidi consistono nel
trasferimento di un frammento di cromosoma dal suo sito originario in un sito diverso
di un altro cromosoma dove viene saldato da enzimi detti recombinasi. Dato che questi
enzimi sono espressi nelle cellule mesenchimali e non epiteliali, si ritiene che questo
sia la ragione per cui questo tipo di riarrangiamento genico si verifica nei tumori
mesenchimali e non in quelli epiteliali. Ricordiamo la traslocazione del protoncogene c-
myc: Nel linfoma di Burkitt, il protoncogene c-myc va incontro a 3 traslocazioni
possibili. Il protoncogene c-myc presente nel braccio lungo del cromosoma 8, si
collocherà in prossimità di sequenze promotrici (promoters) o facilitanti (enhancer)
dei geni che nel cromosoma 14 codificano per le catene pesanti delle Ig, nel cromosoma
2 per le catene leggere alfa e nel cromosoma 22 per le catene leggere lambda. Quindi si
posiziona in siti sotto il controllo trascrizionale di elementi genomici che nei linfociti B
sono attivati perennemente e quindi anche il gene c-myc codifica continuamente per il
suo prodotto che sarà in eccesso. Il virus di Epstein-Barr induce stimolazione dei geni
che amplificano per le Ig nei linfociti B, dato che la proteina c-myc regola il ciclo
cellulare, la sua sintesi, fuori tempo, fuori luogo e in eccesso comporta una
disregolazione dell’attività proliferativa dei linfociti che culmina con la formazione di
un linfoma.
3. INVERSIONI CROMOSOMICHE (effetto dose): In questo caso, il gene viene trasferito da
un sito all’altro dello stesso cromosoma dove viene inserito con una rotazione di 180°.
4. MUTAZIONI PUNTIFORMI (alterazione qualitativa): L’alterazione di un singolo
nucleotide nella molecola di DNA a carico di un protoncogene determina la formazione
di un prodotto qualitativamente alterato (es. protoncogene RAS)
5. ALCUNE TRASCLOCAZIONI CODIFICANO PER UN PRODOTTO ALTERATO (alterazione
qualitativa): Si tratta di traslocazioni in cui l’inversione del gene trasferito avviene in
corrispondenza del sito in cui è collocato un altro gene con conseguente fusione di essi
e formazione di un gene ibrido che codifica per una proteina chimerica ad attività
tirosin-chinasica. Es. tumore emopoietico (leucemia mieloide cronica). Il cromosoma
PHILADELPHIA, caratteristico della leucemia mieloide cronica e di un gruppo di
leucemie acute è un esempio di oncogene che deriva dalla fusione di 2 geni, il
cromosoma 9 subisce una rottura nella regione in cui si trova il protoncogene abl che
viene traslocato nel braccio lungo del cromosoma 22 in un sito detto bcr che ospita
gene che si fonde con abl codificando una proteina ibrida (bcr/abl), la cosiddetta
proteina p210 ad attività tirosin-chinasica (proteina chinasi promuove crescita
cellulare). N.B. il fenomeno più frequente che causa trasformazione neoplastica è dato
dalle mutazioni.

Il primo oncogene codificato fu v-onc src, del virus del sarcoma di Rous (RSV) e la proteina
da esso codificata era una fosfoproteina (pp60v^src) dotata di attività enzimatica di tipo
proteinchinasica ovvero capace di trasferire gruppi fosfato ai residui amminoacidici di
altre proteine con conseguente regolazione delle loro attività . Precisamente pp60^src è
una tirosin-chinasi, ciè enzima in grado di fosforilare residui tirosinici di proteine
bersaglio. Nelle cellule normali la fosforilazione avviene a livello delle serine e delle
treonine per questo si ritenne che la fosforilazione in tirosina potesse rappresentare un
evento importante durante la cancerogenesi. A conferma di ciò si osservò che nelle cellule
normali la quantità di tirosina fosforilata risulta molto bassa e aumenta nelle cellule dei
tumori prodotti da virus dove l’oncogene codifica per una tirosin-chinasi. Successivamente
vennero identificati altri oncogeni con i loro rispettivi prodotti e attività da essi svolta che
in tutti i casi si dimostrò concessa alla proliferazione e alla differenziazione cellulare. Si
notò inoltre che proteine codificate dagli oncogeni sono sempre strutturalmente alterate
in confronto a quelle codificate dai protoncogeni e la mutazione comporta sempre
incremento della funzione da esse fisiologicamente espletata.

Oncogeni che codificano per proteine correlate ai fattori di crescita.


I fattori di crescita sono polipeptidi che stimolano proliferazione e differenziazione, la
sopravvivenza e la motilità delle cellule programmate a interagire con essi, dato che le cellule
esprimono recettori specifici per questi fattori. Ci sono sia fattori di crescita positivi
(stimolano la proliferazione) sia fattori di crescita negativi come TGF-beta e TNF che
generano segnali inibitori della proliferazione bloccandola in fase G0 o G1. Altri fattori
spingono le cellule verso l’apoptosi o differenziazione. I fattori di crescita possono agire
isolatamente o sinergicamente con altri fattori di crescita sulle cellule bersaglio. Nelle cellule
tumorali in seguito a mutazione di alcuni protoncogeni vengono prodotte e secrete proteine
omologhe a fattori di crescita che mimano attività espletata innescando meccanismo
autocrino di stimolazione della proliferazione cellulare. In seguito invece che verrà così
prodotto un fattore di crescita con struttura normale ma in eccesso. Tra questi annoveriamo:
 ONCOGENE SIS: Scoperto nel retrovirus del sarcoma della scimmia. La sua attivazione
induce iperespressione è associato nell’uomo solo all’osteosarcoma. E’ invece attivato
in molti tumori di animali. Codifica per una proteina di 28 Kd, p28 SIS omologa al
fattore di crescita di origine piastrinica PDGF più precisamente con la catena B di
questo fattore. Una volta prodottonelle cellule tumorali si dimerizza con un’altra
catena B formando omodimero che dopo clivaggio proteolitico, acquisirà requisiti
funzionali simili a PDGF risultando un agonista. Fisiologicamente PDGF si trova nelle
piastrine, nei megacariociti (precursori piastrine) e nei macrofagi attivati che lo
sintetizzano in risposta a stimoli provenienti da lesioni tissutali con perdita di
materiale cellulare. Cellule munite di recettori per PDGF sono coinvolte nel processo
riparativo (fibroblasti, endoteliociti etc.) che vengono stimolati alla proliferazione
finquando non si forma la cicatrice. L’omologia strutturale della p28 SIS con la catena B
del PDGF nei sarcomi indotti dal retrovirus della scimmia, fa sì che interagisca dopo la
sua sintesi e secrezione con i recettori PDFG, determinando proliferazione elementi
mesenchimali con meccanismo autocrino e paracrino.
 ONCOGENE INT 2: Attivazione = amplificazione, associato al tumore allo stomaco,
vescica, mammella, melanoma). Appartiene alla famiglia dei fattori di crescita dei
fibroblasti, codifica per una proteina omologa al b-FGF, fattore di crescita
angiogenetico che stimola proliferazione degli endoteliociti. Questo venne scoperto
nell’adenocarcinoma mammario del topo.
 ONCOGENE HST1: attivazione= iperespressione. Risulta espresso nei tumori dello
stomaco e nel sarcoma di Kaposi e viene indicato come FGF-4 o K-FGF.

Oncogene INT2/HST1, KFGF codificano per prodotti appartenenti alla famiglia dei fattori
di crescita dei fibroblasti.

Oncogeni che codificano per proteine correlate ai recettori dei fattori di


crescita.
Fattori di crescita esplicano loro attività dopo interazione con specifico recettore che
provvede con varie modalità alla trasduzione del segnale. Le cellule tumorali vengono
incessantemente stimolate a proliferare non solo dopo amplificazione e mutazione dei geni
codificanti i fattori di crescita ma anche dopo alterazioni (amplificazione o mutazione) a
carico dei geni che codificano per i recettori dei fattori di crescita. Precisamente:
 In caso di amplificazione genica le cellule neoplastiche esprimono n° maggiore di
recettori.
 In caso di mutazione vengono espressi recettori strutturalmente e funzionalmente
aberranti in confronto a quelli fisiologicamente prodotti dai corrispondenti
protoncogeni. In entrambi i casi il recettore sarà responsabile di una espressione
abnorme.
I recettori per i fattori di crescita sono recettori transmembrana e capaci in seguito
all’interazione con il ligando di autofosforilare residui tirosinici, serinici e treoninici presenti
in domini della porzione citoplasmatica. Si dividono in:
 RECETTORI TIROSIN-CHINASICI (RTK)
 RECETTORI SERIN-TREONIN CHINASICI (RS/TK)
Si deve considerare che le modifiche quantitative e qualitative più frequenti nelle neoplasie,
sono quelle a carico dei recettori RTK, poco espressi nelle cellule quiescienti normali. Si scoprì
poi che svolgono ruolo importante nella genesi dei tumori due categorie tirosin-chinasi: le
tirosin-chinasi citoplasmatiche e i recettori con attività tirosin-chinasica. Entrambe le
categorie sono espresse in quantità elevata o con struttura abnorme nelle cellule tumorali.
I recettori vengono in genere indicati con la sigla del ligando con cui interagiscono più la
lettera R; es. recettore per l’EGF è EGF-R. Gli RTK (recettori tirosin-chinasici) comprendono
diverse sottofamiglie distinte in base alla sequenza amminoacidica della porzione
extracellulare. Precisamente:
1. Sottofamiglia i cui recettori hanno la porzione extracellulare con motivi ricchi di
cisteina come i recettori per EGF.
2. Sottofamiglia i cui recettori hanno porzione extracellulare con motivi simili alle
Ig come i recettori per il PDGF e per il FGF.
3. Famiglia i cui recettori hanno porzione extracellulare con sequenze di
fibronectina combinate a Ig tra cui il recettore per l’angiotensina.
4. Sottofamiglia in cui è compreso il recettore ret che ha nella porzione
extracellulare motivi che reagiscono con le caderine in presenza di Ca2+
Descriviamo in generale la struttura dei recettori per i fattori di crescita:
 EXTRACELLULARE: corrisponde alla porzione N-terminale della molecola, è a contatto
con il liquido interstiziale e ha il dominio che lega il ligando.
 INTRAMEMBRANACEA: costituito da aa idrofobici e interagisce con il II strato lipidico
della membrana.
 CITOPLASMATICA: idrofilica, corrisponde alla porzione C-terminale della molecola e
ha domini che presiedono alla trasduzione del segnale.
Le proprietà comuni a tutti i recettori di membrana sono le seguenti:
 Elevata specificità e affinità per il ligando;
 Mobilità nel contesto della membrana;
 Saturabilità da parte del ligando;
 Riciclabilità del recettore;
 Capacità di avviare una specifica risposta cellulare dopo l’interazione con il ligando.
In presenza di ligandi in eccesso si verifica il fenomeno della “down remodulation” ovvero
riduzione n° recettori presenti nella membrana a causa della loro internalizzazione o si
verifica desensibilizzazione che consiste nella riduzione dell’affinità con i ligandi. Questi
fenomeni riducono la possibilità di risposta delle cellule alle successive stimolazioni da parte
dei ligandi.

Recettori Tirosin-chinasici.
I recettori tirosin-chinasici allo stato inattivo sono inseriti come monomeri nella membrana, si
aggregano in dimeri in seguito all’interazione con il loro LBS (dominio che lega il ligando) e il
ligando. La dimerizzazione induce cambiamento conformazionale a cui segue attivazione
temporanea del sito catalitico con comparsa di attività tirosin-chinasica e le induce la
fosforilazione di residui tirosinici sia nel sito catalitico sia nel citosol. Es. erbA= recettore
ormoni tiroidei, erbB1/2= tirosin-chinasi. Es. iperespressione del recettore: Il prodotto
dell’oncogene verbB del virus dell’eritoblastosi aviaria (AEV), ha struttura simile a quella del
recettore per l’EGF (fattore crescita dell’epidermide). Il prodotto codificato dall’oncogene
virale è la glicoproteina gp6s^erbB ed è solo una porzione del recettore per l’EGF per cui esso
è definito “recettore troncato”. Gp6s^erbB è quasi totalmente privo della porzione
extracellulare, di parte della porzione intramembranacea e mantiene integra porzione
citoplasmatica perennemente attivata ovvero fornita di attività tirosin-chinasica. Il recettore
per l’EGF codificato dal protoncogene erbB, si attiva solo in seguito al legame con il suo
ligando specifico (FGF), invece il recettore troncato esercita una continua attività tirosin-
chinasica indipendentemente dall’interazione con il ligando, con il quale è anche
impossibilitato a interagire. E’ questo il motivo dell’enorme attività proliferativa delle cellule
dell’eritroblastosi aviaria indotta da AEV.

Recettori serin-treonin chinasici (RS/TK).


Anche questi recettori sono capaci di autofosforilare il proprio dominio citoplasmatico e tra
questi consideriamo i recettori per il TGF beta1,beta2 e beta3 che sembrano ricoprire ruolo
importante nella genesi dei tumori. Questi recettori allo stato inattivo sono presenti nella
membrana plasmatica sottoforma di 2 tipi (I e II) dei quali solo quelli di tipi II formano un
omodimero che è:
 Fosforilato nella sua porzione intracitoplasmatico.
 Fornito di attività protein-chinasica
 In grado di interagire con 2 molecole di ligando
 Non è in grado più di trasdurre il segnale.
Quando è avvenuta interazione con il ligando, i recettori di tipo I traslocano e vengono a
contatto con la loro porzione extracitoplasmatica con le molecole di ligando. Questo
determina autofosforilazione della porzione intracitoplasmatica con comparsa di attività
chinasica che fosforila ulteriormente la porzione intracitoplasmatica dell’omodimero
costituito da recettori di tipo II, diventando così capaci di trasdurre il segnale.

Oncogeni che codificano per proteine monomeriche leganti GTP.


Una serie di recettori di membrana, dopo interazione con il ligando, trasducono il segnale
mediante proteine G eteromeriche e trimeriche, legate alla porzione intracellulare del
recettore e che trasmettono a loro volta il segnale a proteine bersaglio di vario tipo. In altri
casi, il segnale è trasferito dai recettori tirosin-chinasici ad altre proteine fornite anch’esse di
attività GTPasica, monomeriche. Esse costituiscono nel loro insieme la superfamiglia RAS
suddivisa in varie famiglie (RAS, RHO/RAC, RAB, ARF) ognuna delle quali consta di molte
proteine che in condizioni fisiologiche espletano importanti funzioni. I geni che codificano per
esse sono molto conservati nelle cellule eucariotiche a testimonianza delle importanti
funzioni svolte da queste proteine. I geni che codificano per le proteine RAS, sono ritenuti
sede di mutazioni in un gran numero di tumori. Le piccole proteine GTPasiche aderiscono al
lato interno della membrana cellulare, sono attivate dai RTK con cui vengono a contatto dopo
la formazione del complesso ligando-recettore e anche esse come le proteine G oscillano da
una condizione di inattività quando legano GDP a una di attività quando legano GTP,
diventando solo in questo caso capaci di interagire con le molecole bersaglio. Essendo scarsa
la loro capacità di distaccare il GTP con formazione di GDP, l’espletamento dell’attività
GTPasica viene regolato da altre proteine di cui alcune esercitano una funzione attivante, altre
invece inibente.
N.B: Le ras oltre a trasdurre il segnale prodotto tra fattori di crescita e recettori, sembra siano
coinvolte anche nella regolazione del ciclo cellulare controllando i livelli di CdK con un
meccanismo non del tutto chiarito. Famiglie di piccole proteine GTPasiche della famiglia ras:
 RAS: localizzazione citoplasmatica. Si occupa del trasferimento di segnali che
culminano nella modulazione della trascrizione genica nei fenomeni di proliferazione e
differenziamento. Le proteine mutate sono quasi sempre coinvolte nella cancerogenesi.
 RHO/RHA: localizzazione citoplasmatica. Regolazione, organizzazione ed assemblaggio
dei microfilamenti di actina e di altre proteine citoscheletriche.
 RAB: localizzazione citoplasmatica e nucleare. Controllo del trasporto di vescicole da
un compartimento all’altro. Regolazione della mitosi.
 ARF: localizzazione citoplasmatica. Simili a quelle delle proteine RAB.
Principali proteine che regolano la funzione delle proteine ras:
 GAP: proteine attivanti in quanto aumentano più di mille volte attività GTPasica delle
proteine ras.
 GIP: Inibisce attività GTPasica delle proteine ras.
 GNRF: incrementa attività proteine ras facilitando distacco di GDP favorendo
associazione con GTP.
 GDI: mantengono proteine ras allo stato inattivo impedendo scambio GDP/GTP.
Il nome Ras è l’abbreviazione di Rat Sarcoma e riflette in che modo sono stati scoperti i
membri della famiglia di proteine ras. L’oncogene ras è mutato in moltissimi tumori umani:
 90% Adenocarcinomi pancreatici
 50% carcinomi colon, endometrio, tiroide.
 30% adenocarcinomi polmoni, leucemia mieloide.
I geni ras che codificano per le proteine ras:
 K-ras A, K-ras B, nel sarcoma murino indotto dal virus di Kirsten, il cui omologo è
presente nel cromosoma 12 nell’uomo (v-onc).
 H-ras nel sarcoma murino indotto dal virus di Harvey, il cui omologo è presente
nell’uomo nel cromosoma 11 (v-onc) e nel cromosoma 1 (c-onc).

Le mutazioni puntiformi dei geni ras che hanno significato trasformante, interessano i codoni
12,13,59,61 e provocano 2 fenomeni:
1. Riduzione attività GTPasica delle proteine ras con la conseguenza che esse non si
distaccano dal GTP.
2. Facilitazione del distacco del GDP dal complesso ras/GDP.

Per tali motivi le proteine ras mutate fissano più a lungo il GTP, rimanendo attivate con
continua stimolazione dell’attività proliferativa delle cellule neoplastiche.

Trasduzione del segnale da parte delle proteine ras dal recettore attivato al nucleo.
Diviso in 6 tappe:
1. INTERAZIONE RECETTORE PROTEINA RAS: interazione della proteina ras con TRK
attivato dal ligando, cioè autofosforilato, non avviene direttamente ma è mediata dalla
proteina adattatrice GRB-2 fornita di moduli SH2 e SH3. Quando la cellula è quiesciente
domini SH3 formano complesso inattivo con i domini ricchi di prolina con la proteina
che è il fattore di scambio di nucleotidi guanidilici definita SOS. Con la ricezione dello
stimolo indotto da fattore di crescita, la GRB-2 tramite i moduli SHE ricchi di residui
amminoacidici a carica positiva crea un contatto elettrostatico con i gruppi fosfato a
carica negativa della porzione intracellulare del recettore in corrispondenza del suo
sito di autofosforilazione.
2. TRASLOCAZIONE DEL COMPLESSO GRB-2-SOS: complesso GRB-2-Sos viene traslocato
sul lato interno della membrana plasmatica in modo che SOS entri in contatto con la
proteina ras legante il GDP.
3. SCAMBIO DI NUCLEOTIDI GUANIDILICI NELLA PROTEINA RAS: SOS facilita nella
proteina ras legante GDP (inattiva) lo scambio con il GTP per cui risulta attivata.
Questa attivazione è modulata da GAP.
4. INTERAZIONE CON LA SERIN/TREONINCHINASI RAF-1: Proteina ras legante GTP
(attiva) assume conformazione diversa permettendo così di interagire con la proteina
citoplasmatica raf-1 (serin-treoninchinasi) che viene da essa attivata per
fosforilazione.
5. CASCATA DELLE MAPkinasi: La raf-1 attiva fosforila una MAPKK che una volta attivata,
fosforila a sua volta una MAPK.
6. TRASLOCAZIONE nel nucleo della MAPK: MAPK attivata è traslocata dal citoplasma del
nucleo dove per fosforilazione attiva determinati fattori di trascrizione che si legano ad
altre proteine nucleari. I complessi, così formati, regola trascrizione di determinati geni
i cui prodotti favoriscono proliferazione cellulare.
N.B. Oltre a ras, anche altri fattori della cascata di trasduzione del segnale (ras/raf/MAPk).

ONCOGENI CHE CODIFICANO PER PROTEINCHINASI CITOPLASMATICHE.


Oltre ai recettori di membrana che per autofosforilazione assumono direttamente attività
proteinchinasica, le cellule hanno proteine citosoliche dotate della capacità di traferire un
gruppo fosfato ai residui di altre proteine, modulando la loro attività .
Tirosinchinasi.
In condizioni fisiologiche attività tirosinchinasica cellulare è molto bassa, invece è elevata
nelle cellule neoplastiche tanto che l’aumento del contenuto intracellulare in fosfotirosina è
considerato un vero e proprio marcatore dello stato neoplastico. Secondo alcuni questo
incremento risulta maggiore quanto più è elevato il grado di malignità . Bisogna però tener
presente che il livello di fosforilazione della tirosina è modulato anche dall’attività
defosforilante della tirosinfosfatasi per cui anche la deficienza di questi enzimi può
contribuire all’incremento. Mentre le tirosin-chinasi citoplasmatiche codificate dai
protoncogeni, vengono attivate dai recettori tirosin-chinasici a loro volta attivati
dall’interazione con il ligando, quelle prodotte dai corrispondenti oncogeni sono abnormi in
quanto costitutivamente dotate di attività enzimatica. Il primo prodotto oncogenico tirosin-
chinasico fu la proteina pp60^src codificata dal v.onc src (virus sarcoma di Rous). Appariva
molto simile a quello codificato dal corrispettivo protoncogene cellulare che per la sua
capacità di autofosforilazione venne definita pp60^src. E’ localizzata sul lato interno della
membrana citoplasmatica a cui si lega con una coda lipidica e agisce fosforilando numerose
proteine substrato e lipidi. Quindi può essere considerata anche una chinasi fosfolipidica.
Le proteine substrato delle TK citosoliche possono essere enzimi, proteine di trasporto,
proteine citoscheletriche, proteine di adesione, fattori di trascrizione. Tra gli enzimi, molti di
quelli coinvolti nella via glicolitica sono substrati della TK src, fenomeno che spiega
produzione di acido lattico nelle cellule tumorali. Tra le proteine di trasporto si ricordano pPo
e p50 deputate al trasporto della p60^src neosintetizzata che durante il trasporto non è
ancora fosforilata. Tra le proteine citoscheletriche c’è la vimentina.
La pp60^src è formata da 3 domini:
 SH1 corrisponde al sito catalitico
 SH2
 SH3
L’attivazione (ovvero comparsa attività nel dominio SH1 tirosinchinasica) del domini SH1 è
determinato dalla sua interazione tramite il suo dominio SH” con il dominio catalitico
autofosforilato del recettore dopo legame con il ligando. La pp60^src è però anche in grado di
autofosforilarsi direttamente grazie a meccanismo molecolare innescato sempre dal suo
dominio SH”. Infatti la pp60^src è munita di 2 particolari tirosine: la fosforilazione della
tirosina in posizione 527 in corrispondenza del sito SH2 inibisce attività tirosinchinasica,
mentre la fosforilazione della tirosina del sito catalitico in posizione 416 determina
l’attivazione. La fosforilazione con effetto inibitorio è associabile a una specifica tirosinchinasi
detta CSK. Proteine src codificate dal gene mutato sono prive di tirosina in posizione 527 ed
hanno quello in posizione 416 perennemente fosforilato nel sito SH1. Anche pp60^src
codificate da protoncogeni cellulari possono essere perennemente attivate
(indipendentemente dalla mutazione del gene). Proteine di virus oncogeni come antigene T
del polioma virus si complessano con pp60^src rendendo impossibile la fosforilazione della
tirosina in posizione 527. La pp60^src presente come v-onc nel virus del sarcoma di Rous è
privo di tirosina 527 e ciò comporta una permanente attivazione della tirosina 416,
perennemente autofosforilata.

Serin-proteinchinasi.
Sono state individuate come prodotti oncogenici anche alcune serin-proteasi citosoliche
aberranti ovvero in stato di permanente attivazione tra le quali annoverano quelle della
famiglia raf e mos che in alcuni tumori sono sintetizzate fuori tempo e fuori luogo.
Oncogeni che codificano per fattori di trascrizione.
Molti protoncogeni codificano per fattori di trascrizione ovvero prodotti che direttamente
(positivamente o negativamente) sovrintendono alla regolazione dell’espressione di
determinati geni legandosi a specifiche sequenze del DNA dette regioni di controllo o regioni
di regolazione. Molti fattori di trascrizione vennero inizialmente identificati come prodotti
abnormi codificati da v-onc di retrovirus.

-Fas e Jun.
Un aumento transitorio dell’espressione del gene Fas consegue alla stimolazione di molti
citotipi con fattori di crescita e agenti promoventi e quindi appare verosimile che il prodotto
di questo gene svolge ruolo importante nella replicazione e differenziazione cellulare. La
proteina Fas forma un complesso con una proteina codificata dal protoncogene jun a sua volta
identificata come controparte cellulare di un v-onc di un retrovirus agente in un sarcoma
aviario. Il complesso jun-fas è anch’esso attivo come fattore di trascrizione.

-C-myc.
 Identificato come v-onc in alcuni retrovirus aviari trasformanti responsabili
dell’insorgenza di vari tumori )sarcomi, carcinomi, leucemia mieloide).
 In seguito si riconobbe l’omologo c-onc coinvolto in molte forme neoplastiche
sostenute sia da retrovirus trasformanti lenti (privi di v-onc) che da DNA virus (come
nel linfoma di Burkitt che la sua attivazione dipende dalla traslocazione del
cromosoma 8 in altri cromosomi).
 Come fattore di trascrizione, proteina c-myc esercita effetti contrastanti
comportandosi a volte come repressore a volte come attivatore con conseguenze
diverse che vanno dalla stimolazione della progressione cellulare all’induzione della
morte cellulare programmata. Questo comportamento anomalo è stato chiarito in
seguito alla scoperta che per splicing alternativo prendono origine 2 proteine distinte
c-myc1 e c-myc2 dove la prima appare soppressiva e la seconda facilitante la
proliferazione cellulare.
 Per essere attiva c-myc deve complessarsi con un’altra proteina detta max con
formazione di eterodimeri myc-max che sono attivatori della trascrizione genica,
mentre gli omodimeri max-max sono inibitori. Un altro regolatore trascrizionale Mad,
può legarsi a max e formare dimero mac-mad che agisce come inibitore della
trascrizione genica e quindi il livello di attivazione trascrizionale di c-myc è regolato
non solo dai livelli di c-myc stesso ma anche dalla quantità di max e mad. Poiché
l’eterodimero myc-max favorisce proliferazione, e max-mad la inibisce, mad è un
oncosoppressore.
 Poiché non ci sono dubbi che myc-mac si leghino al DNA e attivino la trascrizione e
quindi proliferazione cellulare, sono stati individuati anche eventuali geni attivati come
geni che codificano per Cdk, Cdk1, ornitina decarbossilasi.
 Myc può indurre anche la cellula ad andare in apoptosi
 C-myc e fas-jun fanno parte dei geni della crescita a risposta immediata, infatti questi
geni vengono indotti quando una cellula quiescente riceve il segnale per la divisione.
Poi l’espressione di c-myc torna a livelli di base.

Mentre l’espressione di c-myc è perfettamente regolata durante la normale proliferazione


cellulare, le versioni trasformanti di essa sono associate a una persistente espressione o
iperespressione. Ciò porta a un’aumentata trascrizione di geni e alla possibile trasformazione
neoplastica come iperespressione di c-myc nel linfoma di Burkitt (tumore a cellule B)
conseguente a traslocazione. C-myc è amplificato nel carcinoma alla mammella, al colon, al
polmone. N-myc e L-myc sono amplificati nei neuroblastomi e nel carcinoma al polmone.

Oncogeni Virali (v-onc) e Oncogeni cellulari (c-onc).


Alcuni retrovirus si comportano da trasformanti lenti poiché inducono la comparsa di tumori
in animali sensibili dopo un lungo periodo di latenza. Altri si comportano da trasformanti
acuti in quanto inducono rapidamente la comparsa di tumori negli animali e trasformano in
coltura cellule normali in cellule neoplastiche. Comparando il genoma delle 2 categorie di
retrovirus si notò che:
-TRASFORMANTI LENTI:
 Sequenze terminali lunghe, ripetitive con funzione regolatrice.
 Gene gag che codifica per proteine strutturali del virione.
 Gene pol che codifica per la DNA polimerasi RNA-dipendente (trascrittasi inversa).
 Gene chv che codifica per proteine dell’involucro virale (envelope).
-TRASFORMANTI ACUTI:
 Stesso genoma
 Gene v-onc (oncogene virale) responsabile dell’attività oncogena a volte a discapito di
un gene necessario alla replicazione virale. La conseguenza è che retrovirus portatori
del v-onc ma difettivi nel gene replicativo, perdono la possibilità di replicarsi nelle
cellule ospiti a meno che in queste cellule non ci sia un “virus helper” che mette a
disposizione un gene per la replicazione del retrovirus difettivo trasformante.

Gli oncogeni virali identificati vennero designati con 3 lettere indicanti il virus in cui
l’oncogene era contenuto o il tumore che causava ( ad es. oncogene virale del virus del
sarcoma di Rous che causava sarcoma nel pollo e in altri volatili venne detto src). Poi si scoprì
che sequenze simili ma non identiche a quelle dei v-onc erano presenti nel genoma non solo
delle cellule normali del pollo, ma anche in cellule distanti filogeneticamente dal pollo (uomo
compre) anche in assenza di infezioni virali. Queste sequenze vennero definite c-onc
(oncogeni cellulari) e si capì che v-onc dovevano aver preso origine da geni presenti nelle
cellule eucariotiche e si giunse alla conclusione che durante l’evoluzione, alcuni retrovirus
privi di v-onc avevano acquisito tali geni dalle loro cellule ospiti per ricombinazione genica
durante la replicazione virale. Gli stessi retrovirus erano capaci di introdurli nelle cellule
ospiti da essi infettate. Si era stabilita l’origine virale di v-onc. Inoltre per spiegare le
differenze strutturali esistenti tra le due tipologie di sequenze oncogeniche si ritenne che nel
processo di retrotrascrizione si potessero verificare vari errori, responsabili della copia errata
di un certo n° di sequenze dell’RNA virale in DNA e che il furto di un gene potesse essere
totale o parziale. Oltre ai protoncogeni “rubati” dai retrovirus durante il processo di
replicazione virale e quindi forniti di sequenze simili a quelle dei corrispondenti v-onc, ci sono
anche protoncogeni mai trasferiti a retrovirus ma pur sempre in grado di dare origine per
amplificazione o mutazione a oncogeni. Vennero pian piano scoperti molti oncogeni privi di
omologhi retrovirali, i cui corrispondenti protoncogenici facevano costantemente parte del
genoma delle cellule normali, avvalorando l’origine degli oncogeni dai protoncogeni.

Oncosoppressori.
Gli oncosoppressori si dividono in:
 GATEKEEPERS: regolano negativamente la crescita cellulare, inibiscono proliferazione
cellulare, inducono morte cellulare, la loro inattivazione induce aumento della crescita
cellulare (Rb controllo trascrizione dei geni in fase S)
 CARETAKERS: regolano integrità genomica, la loro inattivazione non causa un
aumento della crescita cellulare ma un aumento del tasso di mutazione dovuta ad
instabilità genetica. Tp53 è un fattore di trascrizione e mantiene l’integrità del genoma
inducendo blocco del ciclo e apoptosi, BRCA1/2 integrità del genoma, ATM integrità
del genoma, attiva sistemi di riparazione, attiva p53, rallenta il ciclo mitotico in fase G2.

Nel genoma di tutte le cellule c’è un'altra categoria di geni, i geni oncosoppressori e le
proteine da essi codificate hanno funzione opposta rispetto a quelle codificate dagli oncogeni.
Queste proteine fermano e non favoriscono la moltiplicazione cellulare facendo sì che le
cellule permangono in uno stato di riposo proliferativo e si avviino verso il differenziamento o
se c’è un danno genomico irreparabile che si avviino verso l’apoptosi. I geni oncosoppressori
fisiologicamente:
 Controllano negativamente la progressione del ciclo cellulare.
 Contrastano la trasformazione e la progressione neoplastica.
In condizioni normali la regolazione del ciclo di replicazione cellulare dipende dall’equilibrio
tra i prodotti dei protoncogeni e i prodotti di questi geni. Funzioni antioncoproteiche:
 Innesco dei meccanismi che inducono a pausa tra una fase e l’altra del ciclo cellulare.
 Avvio dei processi di riparazione del DNA , differenziazione e morte cellulare
programmata.
Nelle cellule tumorali i geni oncosoppressori risultano:
 Perdenti (fenomeno delezione genica)
 Alterati da mutazioni inattivanti
 Permanentemente repressi in conseguenza di ipermetilazione del loro DNA.
In caso di delezione o ipermetilazione non vengono codificati i rispettivi prodotti, in caso di
mutazione questi prodotti sono strutturalmente abnormi e incapaci a svolgere la loro
funzione fisiologica. Quindi la mancanza della funzione espletata dai geni oncosoppressori
entra in gioco nella trasformazione e nel mantenimento della condizione neoplastica.
Oncosoppressore: gene che attraverso la “perdita di funzione” contribuisce alla
cancerogenesi”.

La differenza tra oncogeni e oncosoppressori è che entrambi contribuiscono alla


cancerogenesi ma i primi attraverso guadagno di funzione, i secondi attraverso perdita di
funzione. Inoltre mentre i primi vengono prodotti in eccesso o con strutture abnormi e con
eccesso di funzione, i secondi o non vengono proprio prodotti o vengono prodotti con
struttura abnorme ma incapace a svolgere la loro funzione. Differiscono anche perché i geni
oncosoppressori a differenza degli oncogeni si comportano da GENI RECESSIVI in cui
alterazione funzionale compare solo se tutte e 2 le copie alleliche dello stesso gene sono
mutate o delete. Gli oncogeni invece si comportano come GENI DOMINANTI in quanto basta
attivazione/mutazione di una sola copia del gene per incrementare l’attività .
L’eccezione alla regola della dominanza consiste nel fatto che in alcuni casi, i prodotti dei geni
oncosoppressori non sono attivi in forma monomerica ma in forma omopolimerica
(omotetramero). Basta quindi che nella composizione dell’omotetramero una delle molecole
che lo costituiscono sia aberrante perché esso perda la sua funzione fisiologica.

Gene RB e proteina P105^rb (Gatekeeper).


Il gene RB1 ( da retinoblastoma) è stato il primo oncosoppresore identificato, sequenziato e
collegato alla comparsa del retinoblastoma. Fu chiamato RB1 perché si sospettò la presenza di
altri geni appartenenti alla stessa famiglia, successivamente identificati con il nome di RB2 e
RB2 che codificano rispettivamente p107 (cui funzione oncosoppressiva non è stata ancora
del tutto definita) e p130 (espressa nelle cellule nella fase G0 quando sono quiescenti sotto
l’aspetto replicativo). RB1 è costituito da 200 Kilobasi e contiene 27 esoni ed è
costitutivamente espresso in tutti i citotipi dell’organismo. Il prodotto codificato è una
fosfoproteina nucleare p105^rb espressa ubiquitariamente, la cui attività è modulata dal
livello di fosforilazione dei suoi residui serinici e treoninici. Svolge molte funzioni importanti
al punto che è difficile indicarne la più importante:
 Modula positivamente o negativamente a secondo del grado di fosforilazione, la
transizione da G1 a S del ciclo cellulare ( p105^rb è fornita di 10 siti diversi ognuno
fosforilato da specifica proteinchinasi e gli enzimi fosforilanti sono rappresentati da
complessi (Cicline d-CDK4). Allo stato ipofosforilato la p105^rb si lega al fattore di
trascrizione E2F bloccandolo, mentre allo stato iperfosforilato, rilascia E2F che si lega a
un’altra proteina DP-1, formando un complesso che migra nel nucleo e attiva la
trascrizione di geni che codificano per prodotti indispensabili per la replicazione del
DNA (DNA polimerasi alfa, protoncogeni c-myc, n-myc) determinando avanzamento
della cellula dalla fase G1 alla fase S. Il blocco indotto dalla p105^rb spinge le cellule
nella fase G0 dove si differenziano. Il fattore E2F è sempre disponibile per la
trascrizione genica quando non forma un complesso con la p105^rb. E2F è disponibile
per la trascrizione sia fisiologicamente in seguito a iperfosforilazione della p105^rb o
nella cancerogenesi quando si verificano: 1) delezione o mutazione dei due alleli RB1 o
mutazione di un solo allele che causano mancata sintesi di p105^rb e sintesi della
stessa in forma mutata e non funzionante; 2) Formazione da parte di p105^rb di
complessi con proteine diverse da uno dei fattori di trascrizione della E2F, come
oncoproteine virali o altre proteine cellulari a funzione inibitoria. L’importanza dei
fattori di trascrizione della famiglia E2F nella progressione del ciclo cellulare è
dimostrata dal fatto che la loro iperespressione, riscontrata in alcuni tumori, impedisce
il blocco del ciclo cellulare.
 La p105^rb quando è ipofosforilata e interagisce con un altro fattore di trascrizione
NF-IL-6, aumenta la capacità di attivazione trascrizionale (di NF-IL-6) di geni che
codificano per proteine che spingono la cellula verso la differenziazione.
 Ha ruolo antiapoptotico (vedi ciclo cellulare)
 Allo stato libero, può agire direttamente come fattore di trascrizione attivando o
reprimendo determinati geni modificando la codificazione dei rispettivi prodotti.
 Inoltre introducendo il gene RB1 allo stato selvaggio nelle linee cellulari neoplastiche
(in cui è assente o presente in forma mutata) c’è la ricomparsa del fenotipo normale.

Gene Tp53 e Proteina P53.


Questo gene è presente in forma mutata o deleta in circa il 75% dei tumori umani di varia
origine istogenetica. Molti topi difettivi per il gene tp53 si sviluppano normalmente ma entro
6 mesi di età vanno incontro vari tumori come sarcomi, linfomi, leucemie, carcinomi per
l’incapacità in essi alla riparazione dei danni del DNA. Si scoprì che questo gene si comportava
da gene dominante perché capace di indurre trasformazione neoplastica in seguito a
mutazione di un solo allele e per tale ragione si ritenne fosse un oncogene. In seguito si scoprì
che in realtà era un oncosoppressore che si diversifica dagli altri della stessa categoria che
risultano recessivi. La particolarità della proteina codificata da TP53, ovvero
l’antioncoproteina p53 e che non è attiva come fattore di trascrizione in forma monomerica
ma solo in forma omotetramerica e quindi tale omotetramero risulta non idoneo a espletare
tale funzione quando uno dei suoi costituenti, presente in posizione critica è rappresentato da
una p53 mutata. Nella trasformazione neoplastica il gene TP53 può andare incontro a un
duplice destino:
1. Subire la delezione dei suoi 2 alleli con impossibilità di sintesi del prodotto e che
risulterà mancante nelle cellule tumorali. In questo caso si comporta da gene
oncosoppressore recessivo.
2. Può andare incontro alla mutazione di un solo allele e codificare con la copia indenne
per una p53 selvatica e con la copia mutata per una p53 abnorme che entrando a far
parte del tetramero insieme a molecole di p53 (wild type” induce incapacità funzionale
di queste. In questo caso TP53 si comporta da gene oncosoppressore dominante.

TP53 mappato nell’uomo ha 10 esoni e codifica per una fosfoproteina nucleare di 53 KDa
(p53) costituita da 393 aa che ha sequenze molto conservate nel corso dell’evoluzione nelle
varie specie di vertebrati. P53 nella forma selvatica nelle cellule normali è contenuta in
pochissime quantità e per poco tempo a causa della sua breve emivita (20 min). Nelle cellule
tumorali di origine non virale , essa (se non è assente in seguito a delezione di TP53)è
codificata in forma mutata che oltre a non avere attività trascrizionale, si presenta stabile con
una emivita più lunga che in alcuni tumori può avere durata di 7 ore. P53 è una fosfoproteina
molto versatile perché innesca reazioni che determinano la comparsa di varie risposte
cellulari a volte contrastanti tra loro. Per capire le molteplici funzioni di p53 è necessario
sapere che è munita di numerosi domini che le consentono di interagire con numerose
proteine e di 4 domini che regolano la sua attività di trascrizione:
 I DOMINIO TRANSATTIVANTE: Esegue duplice compito: è in grado di attivare geni che
codificano per prodotti che esercitano azione negativa sulla progressione del ciclo
cellulare; è in grado di esercitare repressione trascrizionale sui geni che codificano per
prodotti che favoriscono avanzamento della cellula nel ciclo replicativo (es. geni che
codificano per le cicline). Affinchè p53 possa espletare queste funzioni deve essere
traslocata nel nucleo, dopo fosforilazione della serina 316 da proteinchinasi. La
funzione transattivante è perduta nei tetrameri in cui una o più molecole di P53 sono
mutate.
 II DOMINIO LEGANTE IL DNA: consente interazione con il DNA.
 III DOMINIO OLIGOMERIZZANTE: E’ preposto all’interazione con altra molecola di p53
che risulta attiva solo sottoforma di omotetramero.
 IV DOMINIO RESPONSABILE DELL?AUTOINIBIZIONE DELLA SUA ATTIVITA’
TRANSATTIVANTE: E’ ricco di aa basici a carica positiva; solo in seguito a
fosforilazione rende la molecola capace di interagire con il DNA tramite il suo dominio
DNA-BINDING.
Oltre a mutazioni somatiche e ereditarie, la funzione del gene p53 può essere inattivata
attraverso altri meccanismi:
1. Antigene T grande SV40 o E1B di adenovirus, reagiscono con p53 inattivandola.
2. Le proteine mdm2 (che normalmente forma un complesso con p53, inattivandola
quando il danno è stato riparato) è iperespresso in alcuni sarcomi dei tessuti molli
conseguentemente a amplificazione del gene che la codifica. Questo determina la
rapida degradazione di p53.

Inoltre la capacità di p53 di indurre apoptosi in risposta a danni al DNA ha importanti


implicazioni terapeutiche. Le radiazioni e la chemioterapia causano danni al DNA e spingono
le cellule verso apoptosi. NE consegue che tumori con p53 normale hanno maggiore
probabilità di rispondere a queste forme di terapia rispetto alle neoplasie con p53 mutato.
Attività regolatoria del ciclo cellulare e di controllo sull’ integrità del genoma.
Molti studi indicano che nelle cellule normali contenenti un gene TP53 integro, si ha un
incremento della [p53] selvatica quando il DNA subisce un danno (es. radiazioni ionizzanti,
UV, sostanze chimiche, mutagene, ipossia). Questa proteina media l’attivazione trascrizionale
dei geni coinvolti nell’arresto del ciclo cellulare in fase G1, permettendo agli enzimi che
riparano il DNA di intervenire. Affinchè il danno al DNA possa essere adeguatamente riparato
è essenziale che nella cellula siano presenti 2 geni integri: ATM e TP53. La serie di eventi che
vengono innescati dal DNA danneggiato può essere così schematizzata:
 Il DNA danneggiato genera segnali che attivano il gene ATM, con conseguente
incrementata espressione del suo prodotto, la proteina ATM una proteinchinasi che
fosforila la p53 attivandola e determinando la sua separazione dalla proteina mdm 2
con cui è complessata.
 La p53attivata assume la sua attività di “DNA BINDING” e transattivante.
I principali geni attivati dalla p53 e coinvolti nell’arresto del ciclo cellulare sono:
1. GADD 45: il cui prodotto impedisce l’ingresso delle cellule nella fase S e si
complessa con una proteina nucleare detta PCNA che attiva una DNA
polimerasi coinvolta nella riparazione e replicazione del DNA in modo che
durante la sosta proliferativa possono intervenire i meccanismi di riparazione
del DNA.
2. P21: il cui prodotto interagendo con i complessi ciclina E-cdk2 e D-cdk2,
preposti all’avanzamento della cellula nel ciclo cellulare, ne blocca l’attività che
consiste nella fosforilazione di diverse proteine che intervengono in questa
progressione del ciclo. Tra queste assume particolare importanza p105^rb che
restando ipofosforilata non libera fattore trascrizione EF2 che poi attraverso
vari passaggi codifica per prodotti necessari alla transizione G1-S. La p21 non
viene codificata in assenza di p53 o in presenza di omotetramero contenente
uno o più copie di p53 mutato con impossibilità di blocco funzionale dei
complessi cdk-cicline attivi in questa transizione.
3. IGF-BP3: il cui prodotto impedisce all’IGF di esercitare la sua attività ;
4. MDM-2 : il cui prodotto blocca attività trascrizionale della p53 in modo che a
riparazione avvenuta del DNA, il ciclo cellulare possa proseguire.

Nelle cellule tumorali in cui p53 non è presente per delezione del gene o è presente in forma
mutata (mutazioni che interessano p53 colpiscono dominio legante il DNA, impedendo
trascrizione dei geni sotto il suo controllo), l’arresto del ciclo in seguito a danno del DNA non
avviene per cui esse, continuando a dividersi, tramandano il danno alla progenie che
presentando lo stesso difetto, finiscono con accumulare mutazioni che sono il movente della
progressione neoplastica. Il ripetersi del fenomeno nelle varie generazioni cellulari comporta
comparsa della cosiddetta instabilità genomica, ovvero accumulo progressivo di danni
genomici. Per questo Tp53 è stato definito il guardiano del genoma.

Attività nel controllo della morte cellulare programmata.


Se la riparazione del DNA non viene effettuata durante l’arresto del ciclo cellulare indotto da
p53, questa proteina può convincere la cellula a suicidarsi. L’innesco dell’apoptosi è un
ulteriore meccanismo di protezione verso la comparsa di tumori. Il processo apoptotico è
innescato dalla p53 con la transattivazione dei geni proapoptotici quali bax, noxa, bak. Nel
dominio transattivante della p53 è presente regione ricca di prolina la cui presenza è
indispensabile perché essa possa espletare funzione proapoptotica, infatti mutazioni che
inducono la delezione di tale resione impediscono alla p53 di esercitare il suo ruolo
proapoptotico senza modificare le altre funzioni. La p53 in sintesi svolge 2 funzioni:
1. Impedisce alle cellule di proseguire nel ciclo replicativo.
2. Può indurre la cellula all’apoptosi.

Per quanto riguarda il bivio apoptosi/arresto ciclo vitale si pensa che l’una o l’altra via
dipenda dalla [p53] nel senso che:
 Elevata [p53] porta all’apoptosi.
 Basse [p53] porta all’arresto del ciclo cellulare.

VHL (ubiquitina- ligasi) Gatekeeper.


Questo è un oncosoppressore che codifica per l’ubiquitina ligasi. Quindi io posso avere dei
vantaggi selettivi in una popolazione cellulare se il turnover di alcune proteine non è regolato
bene. Molti recettori dei fattori di trascrizione sono regolati con mono o poliubiquitinazione e
quindi, difetti della loro regolazione fa si che questi recettori vanno più in membrana o siano
costitutivamente attivati.

Altri Oncosoppressori.
1. WT 1: mappato nel cromosoma 11 è correlato all’insorgenza del tumore renale
infantile, tumore di Wilms. Codifica per una proteina funzionalmente attiva come
fattore di trascrizione la p46-49^wt, fornito di 4 domini a “dita di zinco” e regione ricca
in prolina e acido glutammico. Presente in 2 isoforme che si formano per lo splicing
alternativo. Il gene wt1 è fisiologicamente espresso solo nelle cellule di pochi organi in
particolare durante sviluppo fetale a differenza di altri come RB1 e p53 la cui
espressione è ubiquitaria. Proteina codificata da wt1 ha molte omologie con i domini di
altri fattori di trascrizione codificati da quei geni detti “geni della risposta precoce”
ovvero EGR. Quindi l’interazione con il DNA avviene in corrispondenza delle stesse
sequenze, infatti wt1 sembra agire come EGR 1 bloccando trascrizione di geni diversi
che codificano per fattori di crescita (PDGF) o per recettori di fattori di crescita.
2. ONCOSOPPRESSORI BRCA 1 BRCA 2: mutazioni ereditariamente trasmesse del gene
BRCA1 e/o BRCA2 sono responsabili del carcinoma alla mammella che colpisce le
donne di età inferiore ai 30 anni. Mutazioni a carico di BRCA1 può causare anche
carcinoma ovarico. BRCA 1: mappato nel cromosoma 17 codifica per una fosfoproteina
che è un fattore di trascrizione costitutivamente espresso nelle cellule dell’epitelio
alveolare della ghiandola mammaria. Il 45% dei carcinomi mammari è dovuto a alla
mancata espressione del suo prodotto (BRCA1) o dalla presenza di una forma troncata
nel citoplasma invece che nel nucleo. BRCA2 : mappato nel cromosoma 13 appare
anch’esso coinvolto nel 40% dei carcinomi mammari. Le proteine codificate da
entrambi i geni si localizzano nel nucleo e si pensa siano coinvolte nella regolazione
della trascrizione. Le proteine BRCA 1 e 2 interagiscono con rod 51, proteina implicata
nei processi di ricombinazione e riparazione del DNA; quindi mutazioni a livello dei
geni BRCA concorrono a produrre errori nelle replicazione del DNA a loro volta
responsabili dell’insorgenza di mutazioni di altri geni che controllano direttamente il
ciclo e la crescita cellulare. Questa ipotesi è del tutto in accordo con il gatto che il gene
BRCA1/2 è in grado di esercitare un controllo inibitorio sul ciclo cellulare attivando la
trascrizione di p21 (inibitore di Cdk). Mutazioni a carico dei 2 alleli sono state
riscontrate anche in altri tumori come colon-retto, mammella maschile, quasi sempre
in associazione con la perdita del gene RB1. Si ritiene che attività dei 2 geni sia
associata alla modulazione della replicazione cellulare.
3. ONCOSOPPRESSORI NF1 e NF2: Gene NF1 presente sul cromosoma 17 codifica per una
proteina definita p120^gap o neurofibromina che ha sequenze aa omologhe a quelle
presenti nel sito catalitico della proteina GAP il cui compito è favorire attività GTPasica
della proteina ras, mantenendo la proteina nello stato inattivo. La sua inattivazione
determina il mantenimento dell’attività della proteina ras che continua a legare GTP. Il
gene NF2 presente nel cromosoma 22codifica per una proteina detta merlina o
Schwannomina che collega il citoscheletro e la membrana plasmatica. Il gene NF1
provoca neurofibromatosi di tipo1, il gene 2 provoca neurofibromatosi di tipo II con
comparsa di carcinomi a carico dei 2 nervi acustici.
4. ONCOSOPPRESOORE FAP: Mutazione/delezione di FAP provoca la poliposi-
adenomatosa familiare, una sindrome ereditaria trasmessa con caratteristiche di
dominanza caratterizzata dalla comparsa tra i 20 e 30 anni di molti polipi a carico del
colon retto che vanno incontro a trasformazione maligna.
5. ONSOPPRESSORE DCC: Dall’alterazione degli alleli di questo oncosoppressore
mappato nel cromosoma 18 si formano carcinomi del colon, ma non adenomi.
6. ONCOSOPPRESSORE FHIT: Mappato nel cromosoma 3, contende al TP53 il ruolo di
gene + coinvolto nei tumori umani. Si presenta inattivato da delezioni bialleliche o da
vari tipi di mutazione delle linee cellulari derivate da tumori umani di vari organi
(colon, stomaco, mammella, rene, esofago, polmone, pancreas). La banda dove è situato
il gene FHIT è una regione fragile che facilmente va incontro ad alterazioni in seguito
all’esposizione di cellule normali a agenti genotossici o integrazione di materiale
genetico estraneo. Se le rotture non vengono riparate la cellula muore, se risulta
imperfetta si verificano costanti delezioni a carico di esoni del gene FHIT, responsabili
dell’acquisizione di un vantaggio proliferativo a carico della cellula. Cellule che
presentano delezioni croniche di tale gene hanno o mancata sintesi della proteina
codificata o sintesi di un prodotto abnorme in genere di dimensioni ridotte o sintesi
contemporanea di prodotto normale e aberrante o sintesi di proteina di normali
dimensioni. Questa regione del cromosoma 3 viene definita FRA3B/FHIT, FRA per la
fragilità e FHIT perché codifica per un prodotto omologo a proteine della famiglia della
triade istidinica.
Ciclo Cellulare.
E’ la successione unidirezionale dei fenomeni che culminano nella riproduzione cellulare
comprende 4 fasi:
 G1, S, G2: formano l’interfase (ovvero il periodo tra 2 divisioni cellulari successive)
 M: Fase in cui si realizza la duplicazione cellulare e comprende la mitosi (divisione
cellulare) e la citodieresi (divisione citoplasma).
Il passaggio da una fase all’altra è detto ed ha luogo solo quando sono stati completati tutti gli
eventi specifici della fase precedente. Per le cellule umane che si duplicano frequentemente,
l’intero ciclo dura 24h in media. L’interfase è la fase in cui una cellula trascorre più del 90%
della sua vita e comprende la fase G1 e G2 (G sta per “gap” che in inglese vuol dire
interruzione, in quanto in queste 2 fasi non si svolgono eventi morfologicamente appariscenti
nonostante ciò il meccanismo biochimico della cellula è sempre attivo) e la fase S in cui si
verifica la sintesi del DNA.
1. FASE G1: E’ la più lunga tra le fasi del ciclo cellulare ed è quindi la sua durata
dell’intero ciclo; le altre fasi invece, hanno una durata pressochè costante. A seconda
del citotipo la fase G1 può avere durata diversa: 1)per le cellule emopoietiche che si
riproducono attivamente, la fase G1 dura poche ore; 2) per le cellule stabili del fegato
che si riproducono occasionalmente, la fase G1 può durare anche 10 ore; C’è quindi una
regolazione genetica programmata della durata di questa fase, che origina cicli
riproduttivi di durata caratteristica per ogni citotipo. In situazioni di emergenza inoltre
le cellule sono in grado di modificare la durata della fase G1. L’ingresso delle cellule
nella fase G1 è favorito dalla presenza dei fattori di crescita. La maggior parte dei
fattori di crescita favorisce la progressione del ciclo cellulare mentre le citochine hanno
attività antiproliferativa ovvero innescano segnali di arresto che bloccano la cellula e le
fanno uscire dal ciclo, convogliandole nella fase G0. La fase G0 (extraciclica) ove le
cellule possono permanere per un periodo di tempo + o meno lungo, è la fase in cui le
cellule portano a termine il loro programma differenziativo, senza moltiplicarsi. Il
momento della fase G1 che costituisce il bivio verso la replicazione o la
differenziazione è detto PUNTO DI RESTRIZIONE (o R1 o di non ritorno), in realtà in
tutto il ciclo cellulare ne troviamo 2: 1) R1 nella transizione G1-S; 2) R2 nella
transizione G2-M. Su entrambi agiscono dei meccanismi di controllo detti check points,
meccanismi questi che sorvegliano la normale progressione del ciclo cellulare. Questi
meccanismi sono in grado di fermare il ciclo cellulare in caso di alterazioni durante il
processo. I check points più studiati sono quelli coinvolti nella prevenzione della
trasformazione neoplastica e agiscono:
 O bloccano la cellula nel punto R1, se il DNA cellulare è stato alteratoda un
danno. In questo caso o entrano in azione meccanismi di riparo di cui la cellula
dispone o si ha l’apoptosi.
 O bloccando la cellula nel punto R2, punto in cui vengono arrestate le cellule che
rischiano di andare incontro ad anomalie nella divisione mitotica. Se la cellula
non è indirizzata in G0, deve prepararsi alla replicazione e raddoppiare
costituenti nucleari; deve infatti sintetizzare proteine enzimatiche e strutturali
che le permetteranno di accrescersi, lipidi e carboidrati. Tutti questi eventi sono
innescati dall’azione dei fattori di crescita che:
 Si legano alla porzione extracellulare dei recettori TK specifici per essi.
 In seguito a ciò si verifica la fosforilazione della porzione
intracitoplasmatica dei recettori TK.
 Questa fosforilazione attiva fattori di trascrizione già presenti nelle
cellule.
 Tali fattori di trascrizione promuovono a loro volta la trascrizione di un
gruppo di geni detti IEG (geni dell’immediata risposta precoce) che
codificano per proteine che stimolano la cellula a uscire dalla fase G0 per
rientrare nel ciclo replicativo e avanzare in G1. Trai principali IEG
ricordiamo: c-fas e c-jun che codificano per 2 proteine (p55 e p3l) che
formano eterodimero AP-1 che agisce come fattore trascrizionale per
altri geni che codificano per proteine necessarie all’avanzamento in G1
della cellula; c-myc il cui prodotto può formare eterodimero con il
prodotto del gene max, che attiva trascrizione di geni codificanti
proteine coinvolte nella sintesi del DNA e per geni codificanti per CDK.
L’attivazione degli IEG è seguita dall’attivazione di altri geni chiamati
DEG (risposta precoce ritardata). L’attivazione dei DEG è dovuta a fattori
di trascrizione sintetizzati nella prima ondata di espressione genica. I
prodotti di questi geni sono coinvolti per la sopravvivenza cellulare.

2. FASE S: E’ così detta perché si verifica la sintesi del DNA e dura complessivamente 6/8
ore. Quando la fase S si conclude, la cellula ha un patrimonio cromosomico tetraploide
(46 coppie di cromosomi) e pertanto contiene quantità di DNA doppia, in modo che
ognuna delle cellule figlie avrà poi un patrimonio cromosomico diploide. Vengono
prodotte proteine istoniche e non. L’ingresso della cellula nella fase S è dovuto a
determinati fattori di crescita detti FATTORI DI PROGRESSIONE come inulina e fattori
inulino simili. L’arresto delle cellule in fase S è letale per esse; ed è infatti su questo
comportamento che al fine si basa l’azione di alcuni chemioterapici al fine di bloccare
la replicazione cellulare. Quando la cellula entra in fase S, il continuo del ciclo cellulare
è indipendente dai fattori di crescita esogeni, poiché le cellule diventano refrattarie e
iniziano a svolgere programma autonomo fino al completamento della mitosi.

3. FASE G2: Segue la fase S e dura circa 4 ore. Durante questa fase vengono duplicati
organuli citoplasmatici, sintetizzate proteine e le cellule mantengono tetraploide il n°
di cromosomi disponendoli in assetto metafasico (lungo regione equatoriale). Anche in
G2 è presente un punto di restrizione l’R2 e quindi anche in questa fase le cellule
possono essere convogliate alla fase G0. La differenza tra quelle arrestate in G1 e quelle
in G2 è che le prime sono diploidi, le seconde tetraploidi.

4. Fase M: Segue la fase G2 e ha una durata complessiva inferiore a 1 ora. Durante questa
fase si verificano 2 eventi:

 MITOSI : divisione cellulare


 CITODIERESI: divisione citoplasmatica.

MITOSI: è costituita da + fasi fondamentali:


 PROFASE: i cromosomi si condensano, scompare il nucleolo, centrioli
cominciano ad allontanarsi; citoscheletro si disgrega; Inizia la formazione del
fuso mitotico per aggregazione microtubuli; si riduce la sintesi proteica e la
trascrizione dell’RNA.
 PROMETAFASE: membrana nucleare si dissolve; il fuso assume forma
ovoidale; coppia di centrioli più polo della cellula;
 METAFASE: fuso mitotico formato; microtubuli del cinetocoro fanno allineare
i cromosomi lungo l’equatore della cellula;
 ANAFASE: cromatidi si separano a livello del centromero, diventando
cromosomi indipendenti; microtubuli del cinetocoro si accorciano tirando i
cromatidi di ciascun cromosoma verso ciascun polo della cellula.
 TELOFASE: ciascun gruppo completo di cromosomi raggiunge il proprio polo
cellulare; singoli cromosomi si despiralizzano tornando distesi; fuso
scompare; si riforma la membrana nucleare; ricompare il nucleolo.

CITODIERESI: in genere simultaneamente con la fine della telofase, il citoplasma si


divide a livello dell’equatore della cellula parentale. Ciascuna figlia riceve un nucleo e
circa metà del citoplasma della cellula madre.
Nelle cellule tumorali, la durata delle singole fasi è fondamentalmente uguale a quelle
del citotipo sano da cui derivano. Infatti di rado le cellule tumorali, si riproducono
rapidamente nell’organismo. Per questo motivo è errato ritenere che l’accrescimento
dei tumori sia causato da una più rapida moltiplicazione cellulare. Esso infatti è
provocato dalla contemporanea attività moltiplicativa di un maggior maggior numero
di cellule. La crescita di un tumore è di solito espressa in TEMPO DI RADDOPPIO, ossia
tempo necessario a raddoppiare il n° di cellule della massa. Nelle cellule tumorali
anche i check points sono alterati.

Fattori favorenti la progressione del ciclo cellulare: Cicline e chinasi


ciclina-dipendenti.
Svolgono un ruolo di fondamentale importanza nella regolazione del ciclo cellulare e
nell’avanzamento della cellula nelle varie fasi del ciclo.
CDK:
 Costituiscono un gruppo di enzimi serin-treoninchinasi (ossia fosforilano i loro
substrati proteici in corrispondenza degli Aa serina e treonina, presenti nella catena
della proteina bersaglio).
 Sono presenti nel citoplasma in forma inattiva.
 La loro attività è regolata da altre proteine, le CICLINE.
 Le 8 CDK identificate nell’uomo sono tutte caratterizzate da un certo grado di omologia
strutturale sia tra loro sia con quelle del lievito. Ciò sta ad indicare che si tratta di
proteine ampiamente conservate nell’evoluzione, poiché sovrintendono a
importantissimi processi vitali.

CICLINE:
 Sono proteine così chiamate perché la loro concentrazione nel citoplasma oscilla nelle
varie fasi del ciclo cellulare, aumentando nell’interfase e riducendosi nella mitosi.
 Ne sono state identificate circa una dozzina distinte con lettere alfabetiche (A-B-D-E);
ciascuna di esse ha vari sottotipi (A1-A2).
 Ciascuna ciclina è in grado di complessarsi con una o più CDK.
 Hanno emivita breve.
 Possono essere inattivate (quando la loro funzione non è più necessaria) da enzimi
proteolitici. Essi nel loro insieme, formano il sistema dell’ubiquitina e agiscono in
corrispondenza di una porzione della molecola, detto BOX DI DISTRUZIONE.
 Sono tutte caratterizzate dalla presenza di un centinaio di Aa, detto BOC CICLINICO,
identico in tutte le cicline, che rappresenta il sito in cui avviene la complessazione con
una CDK.

INTERAZIONE CICLINA /CDK: Ogni transizione da una fase all’altra del ciclo, così come
l’avanzamento in ciascuna fase, sono indotte da determinate CDK associate a determinate
cicline. L’interazione ciclina/CDK induce fosforilazione di un residuo treoninico di
quest’ultima, che per posizione varia da CDK a CDK. Questa fosforilazione è necessaria ma non
sufficiente per la piena attivazione del sito catalitico delle CDK e per la comparsa dell’attività
proteinchinasica. Affinchè ciò avvenga è indispensabile anche la fosforilazione di altri residui
treoninici della molecola effettuata da enzimi CAK (costituiti da una subunità catalitica CDK7 e
una subunità regolatoria ciclina). Inoltre, la fosforilazione di altri residui treoninici di una CDK
determina la sua inattivazione; gli enzimi sono CDKI e la fosforilazione avviene a livello della
porzione N-terminale della CDK.

CICLINE E CDK COINVOLTE NEL CICLO CELLULARE: Nella precoce fase G1, fino al
superamento di R1 sono attive le CICLINE D (D1,D2,D3) la cui sintesi è stimolata dai fattori di
crescita esogeni. Queste cicline si complessano con CDK-4, CDK-6. Il complesso cicline
D/CDK(4-6) fosforila le antioncoproteine della famiglia Rb, codificate dai geni Rb.
L’iperfosforilazione di queste antioncoproteine da parte di CDK/Ciclina D, (ricorda
iperfosforilazione p105^rb o p107^rb o p130^rb), scatena una serie di eventi che culminano
con l’attivazione trascrizionale di: 1) geni codificanti per cicline Ae F; 2) geni codificanti per
enzimi che presiedono la sintesi del DNA; 3) geni codificanti per prodotti che favoriscono
accrescimento cellulare. La sintesi delle cicline D cessa immediatamente in assenza dei fattori
di crescita, evento che determina l’ingresso della cellula nella fase G0. Il percorso della cellula
in G1 può essere arrestato anche se interviene l’inibizione specifica del complesso CDK-
ciclina, da parte di appositi enzimi inibitori. Se l’inibizione avviene prima del raggiungimento
di R1, le cellule non entreranno in fase S; se essa avviene superato R1, la cellula prosegue nel
ciclo poiché dopo R1 entrano in gioco altre cicline.
G1-S: Superato R1, quindi nella tardiva fase G1 e nella precoce fase S, le cicline D sono
sostituite dalle cicline E (E1-E2) che si complessano con CDK-2. Il complesso CDK/ciclina E
continua la fosforilazione delle proteine RB. L’attività del complesso persiste a lungo durante
la fase S, anche perché tale complesso inattiva per fosforilazione alcune CDKI.

S: Quando le cellule hanno iniziato la sintesi del DNA e quindi sono in fase S, entrano in azione
le cicline A (A1- e A2), la cui sintesi è stimolata dal precedente complesso CDK 2/ciclina F. Le
cicline A si associano a CDK-2 durante la fase S e invece alla fine di tale fase, rilasciamo CDK-2
per leare CDK-1.

S-G2: In tarda fase S e in G2 entra in azione ciclina H che si complessa a cdk-7. In tarda fase S
vengono inoltre sintetizzate e immesse nel citoplasma le cicline B (B1 e B2). Esse traslocano
nel nucleo prima che avvenga la rottura della membrana nucleare. Queste cicline legano CDK-
1.

G2-M: Il complesso CDK1/Ciclina B induce la transizione G2-M e presiede ai fenomeni della


mitosi (fase m del ciclo cellulare). Dopo aver svolto la propria funzione biologica. Il complesso
ciclina-CDK si scinde:
 Le cicline vengono distrutte (ad opera del sistema dell’ubiquitina) e successivamente
sintetizzati di nuovo.
 Le CDK vengono conservate nel citoplasma e riutilizzate.

Inibitori delle CDK = CDKI.


Sono proteine che inibiscono determinati complessi ciclina-CDK, per cui si considerano sotto
il loro aspetto funzionale come antioncoproteine, codificate da geni con caratteristiche di
oncosoppressori. I geni che codificano per le CDKI, vengono attivati quando la cellula è
costretta a fermarsi nel ciclo (es. in seguito al danno al DNA). Intervento delle CDKI, che
interferiscono negativamente con la progressione del ciclo cellulare, impedirà che il danno al
DNA venga trasferito alla progenie della cellula in divisione. Per questo motivo, l’assenza delle
CDKI (che regolano negativamente ciclo cellulare) causa conseguenze deleterie per la cellula
che va incontro al rischio di accumulo di mutazioni (poiché ciclo non viene arrestato in G1,
evento essenziale affinchè la riparazione del DNA possa avvenire).

MPF.
Un esempio di ciclina-CDK è formato da: Ciclina B codificata dal gene cdc13, CDK! Codificata
dal gene cdc28 (gene 2 del ciclo di divisione cellulare). E’ anche detta p24/cdc2.
Funzioni dell’MPF è quello di indurre cambiamenti nucleari e citoplasmatici all’inizio della
fase M come:
 Facilitare condensazione cromatina
 Facilitare formazione fuso mitotico
 Facilitare la rottura della membrana nucleare
 Facilitare la divisione cellulare
 Fosforilare istone H1
 Frammentare il Golgi e R.E.
 Attivare il sistema dell’ubiquitina
 Attivare altre protein chinasi.
La sintesi di MPF avviene ad opera di due chinasi mik1 e wea 1 che fosforilano la tirosina 15
del p34 bloccando il pre-mpf. Successivamente la fosfatasi cdc-25 rimuove tale gruppo fosfato
attivando MPF. La sua degradazione invece avviene attraverso il sistema ubiquitina-
proteasoma. L’ubiquitina è una piccola proteina di 76 aa che contiene alcuni enzimi
(E1,E2,E3) che possono legare in singola subunità o in catene alle lisine delle proteine da
degradare:
 L’ubiquitina viene attivata col consumo di una molecola di ATP.
 Sopo attivata si lega ad E1 mediante legame tioestere tra carbossile della glicina
terminale dell’ubiquitina e residuo di cisteina presente sull’enzima E1.
 Ubiquitina viene trasferita su un’altra cisteina presente sull’enzima E2, attraverso
reazione di trans-esterificazione.
 Ultimo passaggio richiede un enzima ubiquitina proteina ligasi E3, che è in grado di
interagire sia con E2 che con il substrato da degradare (ciclina B) Nel caso specifico del
ciclo cellulare l’enzima E3 è l’APC (complesso che promuove anafase)
 Ciclina B ubiquinata entra nel proteasoma, struttura di grandi dimensioni costituita da
diverse subunità .
 Viene degradata e tagliata in corti peptidi di 4-10 aa che poi verranno rilasciati nel
citoplasma, dove verranno degradati a singoli aa, che possono essere utilizzati nella
sintesi proteica.

Grafico

4) Concentrazione p34, 2) concentrazione di ciclina, 3) attività p34 complesso


ciclinaB+CDK1= MPF.

La ciclina B inizia ad essere prodotta in G1, man mano che reagisce con la p34 (CDK1) che già
si trova in [ ] sufficiente. L’attività del complesso inizia ad aumentare nella fase G2fino a prima
della mitosi dove poi decresce. Il tratteggio rappresenta la distruzione delle cicline in fase di
mitosi, che poi saranno riprodotte di nuovo in G1.

Fattori favorenti l’arresto del ciclo cellulare.


Il ciclo cellulare è bloccato sia da prodotti dei geni oncosoppressori ma anche da alcuni fattori
di crescita, tra questi ricordiamo:
 Fattori di crescita della superfamiglia dei TGF beta
 Fattori di crescita della famiglia myc che in alcuni citotipi possono impedire
avanzamento del ciclo cellulare (ricorda anche cDKI).

- TGF-Beta.
Fattori di trascrizione appartenenti alla famiglia TGF e in particolare della famiglia TGF-beta ,
nelle cellule normali sovrintendono a tutta una serie di funzioni cellulari quali proliferazione,
differenziazione, etc. I TGF-beta sono anche però in grado di inibire la proliferazione cellulare
di epiteliociti, endoteliociti e cellule emopoietiche, bloccando il ciclo cellulare nella fase G1.
L’effetto inibitori è mediato da diversi eventi e tra i più importanti c’è: iporegolazione
dell’espressione del protoncogene c-myc; blocco sintesi cicline D,E,A, e CDK2 e CDK4;
attivazione dei geni CDKI. Per i 3 TGF-beta (esistono tre isoforme ma poiché nell’uomo
espletano funzioni sovrapponibili si farà riferimento solo al TGF-beta 1 noto come TGF-beta)
sono stati identificati 3 tipi di recettori transmembrana e tutti muniti di una porzione N-
terminale extracellulare e un dominio serin-treonin chinasico intracellulare. Per la
trasduzione del segnale dopo interazione con ligando è necessaria la presenza di recettori di
tipo I e II. Funzionamento recettore:
 I recettori di tipo II fosforilano porzione intracitoplasmatica del recettore di tipo I
rendendolo capace di trasdurre il segnale fosforilando serine e treonine di proteine
SMAD citosoliche.
 La proteina SMAD1 (o SMAD2) fosforilata, fosforila a sua volta la proteina SMAD 4.
 Si forma un eterodimero (SMAD 1 + SMAD 4) + una proteina AST; i ltutto migra nel
nucleo dove si lega a specifiche sequenze regolatorie sul DNA, attiva trascrizione di
geni che codificano per costituenti della matrice e CDKI
Inoltre ricordiamo che la proteina myc, associata al fattore miz 1, reprime espressione dei
geni che codificano per i CDKI; il TGF-beta agisce bloccando tale azione repressiva,
iporegolando espressione del gene myc. Nelle cellule tumorali , l’effetto di TGF-beta non si
realizza perché:
 I geni che codificano per le proteine SMAD subiscono mutazioni, impedendo a tali
proteine di formare complessi coinvolti nell’attivazione dei geni per le CDKI.
 I geni che codificano per i recettori del TGF-beta subiscono mutazioni.
 Mutazioni si verificano sul gene myc, rendendolo resistente all’iporegolazione
esercitata da TGF-beta. Tale resistenza inoltre comporta iperproduzione del prodotto
di questo gene e quindi della proteina myc.

- C-myc.
L’importanza del protoncogene c-myc è dimostrata dal fatto che esso risulta conservato in
tutte le cellule di animali di varie specie. La proteina codificata p64^myc è un fattore di
transizione, abbondantemente presente sia in cellule in attiva proliferazione che in quelle ad
elevato grado di differenziazione. E’ una proteina molto versatile perché innesca fenomeni tra
loro diversi come proliferazione, differenziazione o se iperespressa spinge le cellule verso
apoptosi. Tra le sue attività ricordiamo:
 Induce la proliferazione cellulare [c-myc insieme a c-juc e c-fas rientra negli IEG che
favoriscono avanzamento della cellula nella fase G1) mediante attivazione dei geni che
codificano per le cicline (D,E,A) e per le CDK (4-2); repressione di geni codificano per le
CDKI; attivazione del gene ODC che codifica per enzima ornitina –decarbossilasi
coinvolto nella biosintesi delle poliammine indispensabili sia per metabolismo acidi
nucleici, sia nella proliferazione cellulare; modulazione dell’espressione
dell’oncosoppressore TP53.
 Induce la cellula in apoptosi.
 Può spingere la cellula verso la differenziazione quindi ha funzione opposta al primo
punto. Questo perché per splicing alternativo si formano 2 proteine del gene c-myc 1
che ha funzione repressiva del ciclo cellulare e c-myc 2 che ha funzione facilitante.
Ricorda anche (vedi oncogeni) che gli eterodimeri myc-max attivano la trascrizione genica
mentre gli omodimeri max-max la inibiscono.

Invasività Neoplastica.
Capacità di penetrare nei tessuti limitrofi, poi distruggerli e sostituirli ad essi. Non è prodotta
da alcuna mutazione specifica di un oncogene dato che è una proprietà che le nostre cellule
hanno già normalmente; è inoltre un meccanismo non regolato da un solo gene ma c’è un
assetto di alterazioni genetiche su centinaia di geni differenti che possono alterare il
meccanismo di invasività .
In un tumore maligno, le cellule neoplastiche acquisiscono la capacità di penetrare nei tessuti
limitrofi (INNVASIVITA’ NEOPLASTICA) prima infiltrandosi in essi poi distruggendo il tessuto
normale che verrà sostituito da quello neoplastico. Per diventare invasive le cellule tumorali
devono acquisire nuove proprietà e perdere alcune caratteristiche tipiche delle cellule
normali. Le cellule diventano invasive in seguito a:
1. Modificazioni dell’adesività cellulare che permettono alle cellule tumorali di distaccarsi
dal tumore di cui fanno parte e di aderire ad altre cellule.
2. Locomozione cellulare stimolata dalla secrezione di prodotti forniti di attività
chemiotattica.
3. Produzione di molecole lesive per le cellule normali e per la matrice extracellulare.
4. Sintesi di uno stroma e di un letto vascolare nel contesto della neoplasia.
5. Devono perdere l’inibizione da contatto.
I fenomeni essenziali della malignità neoplastica (invasività e metastatizzazione) sono sia il
movimento cellulare sia le modificazioni dell’adesività cellulare ovvero modifiche del tipo di
riconoscimento e interazione tra le cellule dello stesso tipo (ADESIVITA’ OMOTIPICA) e tra
cellule di tipo diverso come cellule, glicoproteine e proteoglicani della ECM (ADESIVITA’
ETEROTIPICA).

Adesività Cellulare.
Il contributo maggiore al fenomeno dell’adesività cellulare è dato dall’espressione sulla
membrana plasmatica di particolari proteine transmembrana dette molecole di adesione che
non solo funzionano da collante ma formano veri e propri canali di connessione tra l’ambiente
intracellulare di cellule vicine, attraverso i quali vengono trasmessi e recepiti segnali
provenienti da entrambi i versanti. N.B.= Nell’adesività cellulare, è la trasformazione
neoplastica attiva le cellule e muta le molecole che normalmente mediano l’adesività con le
altre cellule quindi l’adesività deve essere ridotta.
ADESIVITA’ OMOTIPICA: La capacità con cui le cellule neoplastiche si distaccano dal tessuto
tumorale è dovuta alla riduzione o perdita dell’adesività omotipica che costituisce la prima
tappa dell’invasività : nei carcinomi la riduzione dell’adesività omotipica è dovuta alla ridotta
espressione delle E-caderine. Le E-caderine fanno parte delle molecole di adesione, sono
calcio-dipendenti e coinvolte nell’adesività omotipica. Regolano la funzione del citoscheletro e
la trascrizione genica. Ne sono state identificate diverse tipologie: E,P,C,R ma la E-caderina è la
principale mediatrice dell’adesività omotipica epiteliale. La coesione intracellulare omotipica
prevede interazione tra le porzioni extracellulari di caderine di cellule adiacenti. La
trasduzione del segnale avviene tramite interazione tra parte citosolica delle E-caderine e
molecole regolatorie nel citosol, le beta-catenine tra cui alcune sono libere altre legate ad alfa-
catenine. Le beta catenine legate alle alfa-catenine che sono a loro volta connesse ai filamenti
citoscheletrici, dopo interazione tra le 2E-caderine, trasducono il segnale che determina il
cambiamento di forma della cellula. Le beta catenine libere, si legano a fattori di trascrizione
determinando proliferazione cellulare. La [beta-catenine] è modulata dalla proteina APC che
ne permette la degradazione da parte dell’ubiquitina/proteasoma. Nel carcinome del colon,
mutazione del gene oncosoppressore APC determinerà un a costante attivazione
trascrizionale e quindi continua proliferazione cellulare perché le beta-catenine, non essendo
degradate si legheranno sempre a fattori di trascrizione. In molti tumori gene delle E-caderine
risulta invece che mutato, silenziato da fenomeni di ipermetilazione a carico delle sue regioni
regolatori (carcinomi stomaco e prostata)
ADESIVITA’ ETEROTIPICA: E’ mediata da un’altra classe di molecole di adesione le
INTEGRINE che mediano sia interazione cellule tumorali/molecole ECM sia adesione tra
cellule tumorali/altre cellule, pertanto sono coinvolte nel processo di invasività e
metastatizzazione. Le integrine sono molecole di adesione calcio e magnesio dipendenti che in
seguito a fosforilazione favoriscono assemblaggio dei complessi proteici contenenti elementi
del citoscheletro in seguito all’interazione con altre integrine espresse o da costituenti
dell’ECM o da altre cellule. Nelle cellule tumorali le integrine sono maggiormente espresse;
quella più espressa in molti tumori è la alfavbeta3 scarsamente espressa nelle cellule normali.
Ha un’ampia specificità in quanto è in grado di interagire sia con altre integrine sia con molte
proteine dell’ECM. Dopo questa interazione viene facilitato il processo invasivo sia perché
trasduce segnali motori che stimolano migrazione cellule neoplastiche sia perché trasduce
segnali antiapoptotici che favoriscono sopravvivenza; alfav-beta3 stimola il processo
angiogenetico (quando cellule tumorali contattano cellula endoteliale che esprimono
integrine dello stesso tipo, interagiscono e ciò comporta innesco di segnali proliferativi per
endoteliociti) e presenta i substrati alle metallo proteasi. L’abnorme espressione di integrine
nelle cellule tumorali:
 Contribuisce all’interazione con molecole dell’ECM usate come punti di appoggio per il
momento
 Contribuisce all’interazione con le cellule di tipo diverso come gli endoteliociti o altre
cellule per la formazione di metastasi
 Permettono di trasdurre il segnale che favorisce movimento cellulare.

Approfondimento molecole di adesione.


Le molecole di adesione (CAM) sono glicoproteine transmembrana esposte sulla superficie
cellulare, che permettono l’interazione cellula/cellula, cellula/costituenti ECM, e la
trasmissione dei segnali. Le CAM stabiliscono: 1) legami di tipo omotipico ovvero tra cellule
dello stesso tipo; 2) le CAM hanno 3 porzioni (extracellulare, transmembrana e
citoplasmatica) come recettori. Le CAM comprendono: Integrine, Ig, caderine e selectine.

Locomozione.
Il movimento cellulare, il mantenimento della forma, la polarità delle cellule dipendono dalla
cooperazione di vari fattori intrinseci (molecole di adesione, enzimi, etc.) e di fattori presenti
nell’ambiente in cui esse si trovano (fattori di crescita, molecole dell’ECM etc.). Il movimento
cellulare è un processo attivo che dipende da contrazioni periodiche della membrana
cellulare, che creano contatti intermittenti tra superficie cellulare e di sostegno. La cellula che
si accinge al movimento emette estroflessione della membrana cellulare (LAMELLA
MOTORIA) dal cui margine protrudono i lamellopodi, proiezioni che inducono movimento con
cicli alterni di adesione e rilascio a molecole del substrato. Si osservò poi che il movimento
delle cellule tumorali in coltura è più rapido di quelle corrispondenti alle cellule normali.
INIBIZIONE DA CONTATTO: Le cellule normali, formano in coltura su terreno solido
monostrato dove sono adese le une alle altre come mattonelle. Le cellule tumorali non
manifestano inibizione da contatto, infatti in una coltura in cui ci sono stati seminati due
espianti di cellule neoplastiche, separati da una certa distanza esse si muovono e si
moltiplicano e quando prendono contatto non arrestano né il movimento ne la
moltiplicazione quindi non formeranno un monostrato ma un pluristrato costituito da
ammassi di cellule sovrapposte che emergono dalla superficie formando ciuffi (o pile)
cellulari. Inoltre se una coltura viene allestita con un espiatno di cellule normali e una di
cellule tumorali, distanziati uno dall’altro, quando i 2 tipi si incontrano, le cellule normali
cessano sia di muoversi che di moltiplicarsi, quelle neoplastiche continuano a muoversi e
moltiplicarsi accavallando e sovrapponendo le cellule normali. Inoltre l’entità dell’inibizione
da contatto da parte delle cellule neoplastiche in coltura è tanto più accentuata quanto è più
elevato il grado di invasività esibito in “vivo”. Si scoprì che le cellule normali si moltiplicano
con difficoltà in terreno liquido o semisolido a differenza di quanto avviene nei terreni solidi e
tale proprietà è detta CRESCITA DIPENDENTE DALL’ANCORAGGIO. La maggior parte delle
cellule tumorali invece si moltiplicano in terreni semisolidi senza aderire alla superficie.

FATTORI CHEMOTATTICI PER CELLULE NEOPLASTICHE: Tra i fattori chemiotattici per le


cellule tumorali annoveriamo:
 Peptidi derivanti dalle proteine dell’ECM, in seguito alla loro proteolisi. Questi peptidi
una volta liberi, attraggono con un meccanismo paracrino le cellule tumorali
stimolandone il movimento (quando invece non sono liberi sono punti di sostegno
per la migrazione).
 Fattori di motilità prodotti da cellule normali e tattivi per via paracrina sulle cellule
tumorali.
 Molecole rilasciate dalle stesse cellule tumorali agiscono con meccanismo autocrino o
paracrino e sono gli stimoli + significativi.
 Interazione recettori/fattori di crescita stimola ulteriormente il movimento delle
cellule tumorali. (IGF sono prodotti oncogenici e quindi codificati e secreti in eccesso
dalle cellule neoplastiche. Alcuni come PDGF, EUF, agiscono anche come fattori
angiogenetici favorendo migrazione cellule endoteliali nella massa neoplastica e la
loro attività moltiplicativa).
La migrazione delle cellule tumorali, stimolata da fattori di crescita e fattori di motilità ,
consente ad esse di superare la membrana basale e di raggiungere il connettivo sottostante.
La membrana che divide epitelio e connettivo è una struttura dell’ECM formata da collagene,
glicoproteine, proteoglicani. Il suo superamento dipende dall’attività digestiva e motoria delle
cellule tumorali. Cellule tumorali possono superarla con facilità se la sua composizione risulta
alterata. Infatti l’alterazione della composizione e della struttura della membrana basale è
maggiore quanto più è aggressivo il fenotipo delle cellule epiteliali maligne. Superata la
membrana basale, si muovono nel tessuto connettivo usando come punti di appoggio per la
locomozione le molecole dell’ECM a cui possono legarsi tramite integrine. (riscontrate
nell’adesività eterotipica).

Produzione di sostanze che distruggono componenti dell’ECM.


Cellule tumorali esercitano una vera attività digestiva nei confronti dei costituenti dell’ECM
poiché sono in grado di incrementare la sintesi di enzimi proteolitici. Ci sono 3 categorie di
enzimi nei tessuti tumorali:
 SERINPROTEASI: le cellule tumorali producono e rilasciano in eccesso l’enzima
attivatore del plasminogeno precursore della serinproteasi plasmina che ha attività
proteolitica.
 CISTEINPROTEASI: quella sintetizzata in eccesso dalle cellule neoplastiche è la
catepsina B attiva su numerosi substrati quali miosina, actina, laminina.
 METALLO PROTEASI: Sono così chiamate perché zinco e calcio sono presenti nella loro
struttura e sono indispensabili per espletamento della loro attività . Comprendono
collagenasi, gelatinasi,elastasi. Però le cellule neoplastiche sintetizzato anche alcune
proteine TIMP (inibitori delle metalloproteasi). Ciò significa che l’entità della
degradazione dei costituenti dell’ECM è il risultato del bilancio tra queste 2 attività
enzimatiche opposte che varia da tumore a tumore sia in aree diverse della stessa
neoplasia.

Formazione Stroma e Letto Vascolare.


Accrescimento dei tumori dipende anche dalla capacità di crearsi un ambiente che fornisce
loro O2 e nutrienti. Per accrescersi necessitano di un loro stroma di sostegno e di un loro letto
vascolare. A questo punto avviene transizione verso la FASE VASCOLARE della crescita
neoplastica che è sostenuta dalla comparsa di un FENOTIPO ANGIOGENETICO in assenza del
quale sia il tumore primitivo, sia cellule neoplastiche che costituiscono focolai di
metastatizzazione rimangono in un ostato di latenza proliferativa (metastasi silenti).
Il fenotipo angiogenetico:
 Sintetizza e secerne “ex novo” o in eccesso i fattori angiogenetici, ovvero molecole
proteiche che diffondono nel connettivo, raggiungono i capillari, interagiscono con
recettori esposti sulla superficie delle cellule endoteliali dei capillari più vicini alla
neoplasia.
 Gli endoteliociti sono stimolati a sintetizzare e rilasciare fattori di crescita (VEGF,
PDGF) che stimolano la formazione di nuovi capillari.
 I fattori angiogenetici determinano l’ulteriore replicazione delle cellule tumorali.
Alla formazione del letto vascolare nella neoplasia, concorrono indirettamente anche altri
fattori come:
 Enzimi proteolitici che degradano la membrana basale che delimita le cellule
endoteliali dei capillari con conseguente esposizione dei recettori per i fattori
angiogenetici.
 Fattori chemiotattici che favoriscono la migrazione delle cellule endoteliali e
attraggono macrofagi, mastociti, linfociti anch’essi stimolati a produrre fattori
angiogenetici che amplificano il fenomeno.
 Fattori che stimolano i fibroblasti dello stroma a proliferare e a rilasciare costituenti di
una nuova ECM oltre che a rilasciare fattori angiogenetici da essi stessi sintetizzati.
Conseguentemente a tali eventi, il tumore ottiene disponibilità di O2 e nutrienti adeguata alle
sue esigenze fornite da un letto vascolare neoformato. La formazione di questo nuovo sistema
vascolare intratumorale che si connette a quello dei tessuti limitrofi, inizia con la
proliferazione e l’avanzamento degli endoteliociti della parete dei capillari pnei siti limitrofi la
neoplasia. Si formano pian piano capillari, venule e arteriole. Lo stimolo che nei tumori
determina transizione da fase avascolare a quella vascolare è l’insufficiente apporto di sangue
che porta ad ipossia scatenando una risposta cellulare in cui:
 Vengono espressi geni che codificano proteinchinasi dette SAPK (protein chinasi
attivate da stress). Le SAPK, fosforilando fattori di trascrizione HIF, attivano
promotori di geni che codificano per fattori angiogenetici. Il più potente fattore
angiogenetico VEGF è codificato da un gene, la cui attivazione si prolunga nel tempo
anche per l’intervento dei prodotti di alcuni oncogeni (ras) e fattori di crescita. Questi
eventi sono modulati da alcuni geni oncosoppressori che nella trasformazione
vengono deleti o inattivati da mutazioni.
Il VEGF, si complessa con diverse proteine dell’ECM e quindi in tale stato , costituisce una
riserva dalla quale viene liberato in seguito alla proteolisi da parte di metalloproteasi. Ruolo
preminente del VEGF, come fattore angiogenetico, è correlato non solo al fatto che i suoi
recettori tironsinchinasici trasducono segnali proliferativi e sono espressi soprattutto dalle
cellule endoteliali, ma anche al fatto che questi recettori trasducono segnali che culminano
con la derepressione di geni che codificano per metalloproteasi e per integrine (queste
necessarie per adesione degli endoteliociti neoformati a diversi costituenti dell’ECM).
La sintesi di fattori angiogenetici delle cellule normali e tumorali è modulata anche dalla
capacità di sintesi e rilascio di molecole proteiche dette FATTORI ANTIANGIOGENETICI, che
inibiscono il processo di neovascolarizzazione (ANTIANGIOGENESI) grazie alla loro capacità
di interagire con fattori angiogenetici bloccandone l’attività . Altri inibitori interferiscono con il
processo angiogenetico bloccando le proteasi necessarie per la degradazione della membrana
basale che nei capillari ricopre le cellule endoteliali, mascherando i loro recettori per i fattori
angiogenetici. Mentre nelle cellule normali il rilascio delle molecole inibitrici prevale su quelle
di stimolazione dell’angiogenesi, l’esatto contrario si verifica nelle cellule neoplastiche.

STROMA: Il connettivo limitrofo all’area di sviluppo di una neoplasia, non subisce solo la
degradazione idrolitica dei suoi costituenti ma è interessato da fenomeni produttivi che
portano alla formazione di un nuovo stroma (questo fenomeno è detto desmoplasia, cioè
stroma ricco di elastina e collagene). Le cellule neoplastiche producono fattori capaci di
stimolare i fibroblasti (cellule fisiologicamente deputate alla sintesi dei costituenti dell’ECM)
ma anche miofibroblasti che oltre a produrre un eccesso di collagene hanno anche attività
contrattile. Intervento dei miofibroblasti può essere alla base della retrazione della cute che
risulta particolarmente evidente nei carcinomi alla mammella. L’attività proliferativa delle
cellule connettivali consegue alla stimolazione di un fattore di crescita TGF-beta (le cellule
tumorali si sottraggono all’azione inibitrice esercitata per via autocrina e paracrina del TGF-
beta per mancanza di recettori, mentre le cellule del connettivo continuano a essere sensibili
alla sua azione) responsabile di almeno 4 effetti biologici:
1. Inibizione proliferazione di cellule epiteliali, endoteliali, emopoietiche, attraverso
attivazione di p21 che blocca la CDK.
2. Stimolazione della crescita di cellule mesenchimali e della formazione dell’ECM.
3. Chemotassi dei fibroblasti, miociti e endoteliociti.
4. Immunosoppressione.
Il TGF-beta contribuisce all’angiogenesi perché stimola in molti citotipi la produzione di VEGF.

DISPLASIA: Crescita disordinata. La displasia colpisce in genere gli epiteli ed è caratterizzata


da una serie di cambiamenti che comprendono la perdita di uniformità delle cellule e perdita
dell’orientamento architettonico. Può essere una condizione che predispone al processo
neoplastico. Il tessuto displastico presenta cambiamenti nella velocità di riproduzione dei
suoi elementi cellulari, velocità che sfugge ai sistemi di controllo. Non si tratta di cellule
tumorali ma di cellule che hanno subito un cambiamento in seguito ad esposizione a un
agente chimico, fisico,biologico. Il processo displastico può essere reversibile; la cellula
tumorale non può farlo più . Cellule displastiche sono cellule uguali alle altre normali sotto
l’aspetto differenziativo, pur cambiando qualcosa a livello morfologico. Potremmo quasi
affermare che la cellula neoplastica riassume la peculiarità della cellula displastica
(proliferante) e della cellula anaplastica (indifferenziata)

ANAPLASIA = indifferenziazione.

Metastasi.
Autotrapianto spontaneo di cellule neoplastiche che distaccatesi dal tumore primitivo,
raggiungono attraverso varie vie uno o più siti distanti da dove è insorto il tumore da cui esse
derivano e danno origine ad una nuova formazione.
N.B.1: Si parla di metastasi quando le cellule raggiungono siti distanti; quindi il fatto che un
tumore distrugga relazioni con tessuti circostanti non si può dire che formi metastasi se tutto
ciò si verifica nello stesso organo. Invasività da un’idea più di zone circoscritte e vicine
appartenenti allo stesso organo. Metastasticità : in questo caso le cellule si sono ulteriormente
modificate per migrare più lontano procedendo verso organi diversi.

N.B.2: Invasività e metastaticità non coincidono nella stessa cellula ma sono proprietà che
persistono nella stessa massa ( una cellula invasiva non fa metastasi e quella metastatica
spesso non è invasiva). Quindi cellule invasive distruggono i tessuti, quelli metastatici
“sfruttano” questa distribuzione e migrano per colonizzare altri tessuti.

N.B.3: Mentre l’invasività è una caratteristica congenita in quanto tutte le cellule sanno
invadere tessuti circostanti, la competenza metastatica è una prerogativa esclusiva della
cellula tumorale ed è un evento raro (poche cellule di tutte quelle che formano il tumore fanno
metastasi= INEFFICIENZA METASTATICA).

Se prelevo cellule di un tumore primitivo della cute o del muscolo di un topo che è stato
indotto per cancerogenesi chimica e poi lo inoculo in un altro topo si forma il tumore anche
qui. L’inoculazione è fatta in 25 topi ma uno solo ha metastasi polmonare (solo 1 cellula tra
tutte quelle tumorali ha fatto metastasi). Se invece prendo tumore cutaneo però questa volta
inietto le cellule delle metastasi polmonari in tutti i topi avrò metastasi e metastasi multiple.
Nel tumore primario e nelle metastasi le quantità di cellule capaci di formare un tumore in un
altro tessuto sono diverse. Questi esperimenti dimostrano che:
1. Non tutte le cellule hanno competenza metastatica in una massa tumorale.
2. Quando inoculo cellule metastatiche non tutte generano un tumore primario.

Vie Metastatiche.
1. CONTIGUITA’: (da un organo all’altro perché sono vicini tra loro . E’ necessario che le
cellule invasive superino la barriera e poi le cellule metastatiche colonizzano il nuovo
organo).
2. CELOMATICA: Es. quando le cellule da un tumore del colon, sfondano il peritoneo e poi
cadendo per gravità arrivano tra utero e retto o tra vescica e retto; o le cellule di un
tumore al polmone superano la pleura e per gravità cadono sul diaframma originando
metastasi diaframmatica.
3. LINFATICA (+frequente): Più distante è il linfonodo interessato più è grave la
stadiazione del tumore.
4. EMATICA: Quando la neoplasia o per necrosi o meccanismi invasivi penetrano nel
tessuto circolatorio e quindi la cellula a seconda di dove attecchisce forma metastasi.
5. CANALICOLARE : Sfrutta i canali interni delle ghiandole. (es. tumore del pancreas che
attraverso dotti pancreatici può determinare la formazione di tumori nel duodeno.

N.B.4: L’attecchimento delle metastasi in un organo dipende ancora dalle capacità della cellula
metastatica di penetrare attraverso i capillari di quel tessuto, di sopravvivere agli effetti
distruttivi del tessuto metastatizzato e dalla successiva capacità di indurre
neovascolarizzazione. Inoltre la maggior parte delle cellule maligne del sangue sono distrutte.

VIRUS ONCOGENI.
Anche se i virus oncogeni differiscono tra loro per i meccanismi d’azione, proprietà biologiche
e strutturali, convergono per quanto concerne alcune caratteristiche generali della
trasformazione cellulare:
 La trasformazione cellulare è un processo dove l’interazione di una singola particella
virale con la cellula bersaglio è sufficiente per indurre la trasformazione.
 La trasformazione cellulare è costantemente associata alla persistenza di tutto o di
parte del genoma virale, integrato nel DNA cellulare. La trasformazione è quindi
un’alterazione genetica delle cellule ed è in genere una condizione irreversibile. Il virus
può permanere nella cellula anche in forma episomiale.
 La trasformazione cellulare è associata alla continua espressione di un numero limitato
di geni virali e frequentemente un singolo gene virale è sufficiente per mantenere la
cellula in uno stato trasformato.
Le cellule trasformate hanno perso capacità di regolare la loro crescita, continuando a
proliferare anche in condizioni dove le cellule normali rispondono cessando la mitosi. Le
condizioni che limitano la crescita delle cellule normali sono:
 Elevata densità cellulare
 Riduzione o assenza di fattori di crescita
 Non disponibilità di una superficie solida su cui crescere.
N.B. In coltura le caratteristiche delle cellule trasformate da virus sono comuni a quelle delle
cellule tumorali ottenute da tumori spontanei o indotti da altri cancerogeni; inoltre
possiedono caratteristiche collegate alla presenza del virus come ad es. la possibilità di
rilasciare il virus prodotto nel mezzo di coltura, o la presenza di antigeni nucleari,
citoplasmatici o di membrana. Inoltre spesso i virus oncogeni sono in grado dopo infezione in
vitro di immortalizzare la cellula suscettibile ma non di trasformarla in neoplasia. Le cellule
immortalizzate sono in grado di crescere indefinitamente in coltura , condividono alcune
caratteristiche morfologiche e colturali delle cellule trasformate, ma non sono in grado di
provocare tumori se inoculate nei topi. I linfociti B sono immortalizzati ma non trasformati
dal virus di Epstein-Barr. I virus oncogeni si dividono in:
 Virus oncogeni a DNA .
 Virus oncogeni a RNA
Differiscono per l’acido nucleico che costituisce il loro patrimonio genetico.

N.B. : I virus oncogeni a DNA si comportano diversamente a seconda della permissività della
cellula ospite: nelle cellule permissive che permettono replicazione di nuove particelle virali
dopo integrazione del genoma virale in quello cellulare, i virus danno luogo a una infezione di
tipo produttivo, con effetto citopatico litico e assenza di induzione di tumori; nelle cellule non
permissive, non si ha produzione di virioni né morte cellulare mentre si può avere
trasformazione.
I virus oncogeni a RNA non distinguono cellule permissive e non permissive in quanto la
replicazione virale e la trasformazione cellulare avvengono in genere contemporaneamente.

Virus oncogeni a DNA.


La risposta cellulare all’infezione da virus oncogeni a DNA varia a seconda dei citotipi:
 Le cellule PERMISSIVE, integrano nel loro genoma il genoma virale che viene
interamente espresso; Esse replicano il virus e muoiono a causa dell’effetto citolitico
che si associa alla liberazione dei virioni di nuova sintesi, per cui non diventano
tumorali. La replicazione dei virus oncogeni a DNA (contrariamente a quelli ad RNA) è
incompatibile con la sopravvivenza cellulare. Subito dopo l’infezione, il genoma virale,
stimola la cellula a moltiplicarsi, inducendola a transitare da G0 a G1 e quindi a
proseguire nelle fasi successive del ciclo cellulare. Nella fase S viene replicato anche il
DNA virale che prende il predominio su tutte le attività genomiche della cellula ospite.
Prima vengono sintetizzate particolari proteine dette precoci in quanto codificate da
sequenze del genoma virale che vengono precocemente trascritte dopo integrazione
del DNA virale nel genoma della cellula infettata. Poi vengono sintetizzate proteine
tardive, proteine virali strutturali che determinano assemblaggio delle particelle virali
di nuova sintesi e la loro liberazione porta a morte la cellula per lisi.
 Nelle cellule NON PERMISSIVE, l’integrazione del genoma del virus oncogeno a DNA
nel genoma cellulare è seguita solo dall’espressione di geni virali precoci senza
formazione di nuovi virioni; le cellule non subiscono l’effetto citopatico e non muoiono
ma sono spinte dalle proteine virali a procedere nel ciclo di divisione cellulare. Queste
proteine virali sono dette ONCOPROTEINE; alcune svolgono funzioni simili o quelle
codificate dagli oncogeni, altre interagiscono con le proteine prodotte dagli
oncosoppressori formando con esse complessi inattivi. Quindi i prodotti di geni virali
precocemente espressi inducono la trasformazione neoplastica comportandosi da
proteine trasformanti. Nelle cellule non permissive quindi, il genoma virale si integra
definitivamente nel genoma cellulare determinando la trasformazione neoplastica;
Tuttavia in alcuni casi questa può risultare abortiva, in quanto nel corso delle
successive moltiplicazioni cellulari alcune cellule possono perdere il genoma virale
riacquistando normali proprietà di crescita. I virus oncogeni a DNA si dividono in 5
famiglie:
 POPAVIRUS (Papilloma, polioma, virus sv40)
 HEPADNAVIRUS (HBV? Epatite B)
 ADENOVIRUS
 HERPESVIRUS (EBV= Epstein-Barr virus)
 POXVIRUS
I geni di questi virus codificano per proteine localizzate in diversi compartimenti cellulari e
che svolgono diverse funzioni:
 POLIOMA DEL TOPO: Proteina è antigene T grande, medio e piccolo. Localizzazione:
Nucleare coinvolta direttamente o indirettamente nella trascrizione e/o replicazione
del DNA (Antigene T grande), Membrana coinvolta in alcuni aspetti della trasduzione
del segnale a livello della membrana plasmatica (Antigene T medio), Citoplasmatica e
Nucleare (Antigene T piccolo).
 SV40: Proteina è antigene T grande e piccolo. Localizzazione: nucleare coinvolta
direttamente o indirettamente nella trascrizione e/o replicazione del DNA (Antigene T
grande) , Citoplasmatica e Nucleare (Antigene T piccolo).
 ADENOVIRUS: Proteina è E1A ed E1B. Localizzazione: Nucleare coinvolta direttamente
o indirettamente nella trascrizione e/o replicazione del DNA (E1A), Nucleare (E1B).
 PAPILLOMA VIRUS: Proteina è E5,E6,E7. Localizzazione : Membrana coinvolta in alcuni
aspetti della trasduzione del segnale a livello della membrana plasmatica (E5),
Nucleare coinvolta direttamente o indirettamente nella trascrizione e/o replicazione
del DNA (E6-E7)

Due tipi di interazioni funzionali tra proteine virali e proteine cellulari sono rilevanti per il
processo di trasformazione di cui: Attivazione del protoncogene, inattivazione di un
oncosoppressore un es. è in SV40 con interazione tra la proteina T media del virus con il
prodotto dell’oncogene cellulare src. Quando antigene T medio si lega alla proteina c-src ne
aumenta di 20 volte l’attività tirosinchinasica. C-src è una proteina di membrana la cui attività
chinasica durante il ciclo cellulare è massima durante la fase mitotica, minima durante
l’interfase. Quindi questa interazione porta alla stimolazione dell’attività di protein-chinasi
della proteina src. Molte evidenze indicano che tale interazione è critica per la trasformazione
della cellula. Altre proteine di virus oncogeni a DNA interagiscono con prodotti di geni
oncosoppressori (p53 e Rb) con i quali formano complessi inattivi:
 ANTIGENE T GRANDE SV40 e E1B ADENOVIRUS= p53
 ANTIGENE T GRANDE SV40, E1A ADENOVIRUS, E7 PAPILLOMA= Rb.

Popavirus.
Piccoli virus, genoma circolare, capside privo di envelope. Il loro genoma contiene regioni
“precoci” e “tardive”: quelle precoci sono espresse nel periodo iniziale dopo infezione e
contengono geni che codificano per proteine precoci necessarie alla replicazione del DNA
virale nelle cellule permissive; le regioni tardive consistono in geni che codificano per
proteine strutturali (non presenti nelle cellule trasformate) per l’assemblaggio dei virioni. La
famiglia dei popavirus contiene:

POLIOMA VIRUS.
Il virus SV40 e i virus polioma sono virus oncogeni a DNA che hanno informazione genetica
limitata (6-7 geni). Il genoma del virus polioma codifica 3 proteine precoci (antigene T,
grande,medio,piccolo). Antigene T grande si trova nel nucleo delle cellule trasformate, quello
T medio a livello della membrana plasmatica dove si associa alla proteina normale src e ne
attiva l’attività tirosin-chinasica. Nel virus SV40 antigene T grande si trova soprattutto nel
nucleo, ma piccole quantità sono presenti anche sulla membrana (in questo caso
rappresentano bersaglio linfociti T citotossici nelle reazioni contro il tumore). L’antigene T
grande però non interagisce con src ma con i prodotti dei geni oncosoppressori Rb e p53
inattivandoli e contribuendo al processo di trasformazione neoplastica.

PAPILLOMAVIRUS.
Sono piccoli virus a DNA circolare a doppia elica di circa 7900 coppie di basi che contiene
diverse ORF (cornice di lettura aperta) ovvero sequenze continue di nucleotidi non interrotte
da codoni di stop. HPV (papillomavirus umano) hanno 6 ORF nelle regioni precoci (E1, E2, E4,
E5, E6, E7) e 2 ORF nelle regioni tardive (L1, L2). E’ inoltre presente la regione URR
regolatoria che regola tempi di trascrizione dei geni virali, trascrivendo prima i geni EARLY e
poi i geni LATE.
 E1: gene necessario per gli interventi replicativi precoci.
 E2: gene modulatore trascrizionale di promotori virali.
 E4: gene coinvolto nella maturazione virale.
 E5: non è nota la sua funzione nell’uomo.
 E6/E7: contengono domini a dita di zinco tipici tra le proteine che legano
frequentemente il DNA. A questi 2 geni di attribuiscono le proprietà trasformanti dei
HPV.
 L1/L2: codificano per proteine strutturali al virione.

I papillomavirus sono diffusi nel mondo animale ed esistono rappresentanti che infettano
pesci, uccelli, mammiferi. Gli HPV comprendono più di 60 genotipi e sono un gruppo
importante di agenti patogeni per l’uomo infettando cellule epiteliali cutanee e delle mucose.
L’infezione da HPV determina localizzata proliferazione epiteliale con diverse modalità di
crescita a secondo del sito di infezione e del tipo di HPV. Il periodo di incubazione varia da
settimane a mesi. Alcune lesioni possono regredire spontaneamente, altre possono persistere
o progredire verso forme neoplastiche. Di solito gli HPV infettano le cellule epiteliali basali in
zone colpite da precedenti lesioni o in zone con epitelio di transizione come ano e cervice
uterina. Il ciclo di replicazione virale è legato al processo differenziativo dei cheratinociti e
delle cellule epiteliali. I geni precoci virali sono espressi negli strati basali e regolano sintesi
DNA virale, quelli tardivi che codificano per proteine capsidiche sono espressi negli strati
superiori dell’epitelio. Dapprima il papilloma infetta lo strato basale dell’epidermide, poi per il
processo di migrazione cellulare, dallo strato basale passa a quello corneo e andrà ad infettare
le cellule degli strati superiori. Il virus quindi migra attraverso gli strati cutanei insieme alla
migrazione delle cellule verso l’altro. Infezioni da HPV possono essere ad alto o basso rischio a
seconda se l’infezione virale converge o meno in una neoplasia maligna. Infezioni da HPV
(16,18,30,31,33) sono ad alto rischio di conversione maligna e attaccano la mucosa. Infezioni
da HPV (6,11) raramente portano a tumori invasimi e quindi sono a basso rischio: attaccano la
cute. I tipi di HPV ad alto rischio sono eziologicamente coinvolti nella genesi del cancro
anogenitale e del cancro alla cervice uterina. Bisogna però ricordare che:
 Nelle infezioni da HPV a basso rischio le proteine E6,E7 legano poco o niente le
proteine p53 o Rb non compromettendone la funzione. La situazione è opposta per
quelli ad alto rischio.
 Per i HPV ad alto rischio, gli eventi molecolari endogeni sono sufficienti a causare
progressione maligna; viceversa per i tipi a basso rischio sono necessari fattori esogeni
per la conversione neoplastica (fumo di tabacco per esempio).

HEPADNAVIRUS.
 Il virus dell’epatite B (HBV) è un virus a DNA, epatotropico che provoca danni acuti e
cronici alla cellula epatica e induce un processo flogistico a carico del fegato.
 Il virus ha DNA circolare, nucleocapside circondato da un involucro glicoproteico.
 I virioni sono costituiti da una parte centrale elettrodensa (core) e da involucro
esterno. E’ proprio l’involucro lipidico che presenta l’antigene virale di superficie
(HbsAg= Antigene australia) verso cui è diretta l’attività degli anticorpi.
 Le particelle sferiche del core hanno: antigene del core (HbcAg), antigene in forma
criptica (Hb e Ag), DNA virale più un’attività DNA polimerasica e una tirosin-chinasi
che fosforila il polipeptide strutturale maggiore del core.

Replicazione del genoma virale avviene attraverso un pregenoma a RNA prodotto mediante
transcrittasi inversa, che coinvolge la proteina terminale e funge da innesco per la sintesi del
DNA. Il genoma ha 4 ORF nel filamento:
 Gene C: codifica per l’Hbc Ag
 Gene P: codifica per transcrittasi inversa
 Gene S: codifica per Hbs Ag (antigene di superficie)
 Gene X: codifica per un polipeptide che attiva la trascrizione del promotore
dell’antigene del core.
Avvenuto il contagio c’è incubazione di circa 4 settimane prima della comparsa nel sangue di
Hbs Ag. Paziente può restare asintomatico per un certo periodo ma dopo 60/180 giorni
compaiono sintomi clinici e alti livelli amminotransferasi. In alcuni casi i sintomi clinici si
risolvono in 4 settimane con normalizzazione della funzione epatica con scomparsa
dell’HbsAg dal circolo. Il rischio di insorgenza di carcinoma epatocellulare è associato a uno
stato di portatore cronico in cui HbsAg persiste nel sangue. Epatociti infettati contengono
DNA di HBV libero, forme integrate o combinazione di entrambe. DNA episomiale si riscontra
nella fase acuta dell’infezione e in alcune fasi dell’infezione cronica; DNA integrato durante
infezione cronica e nel carcinoma epatocellulare. Si ritiene che la presenza di sequenze di DNA
integrato sia un fattore patogenetico per lo sviluppo del tumore. Infatti il 90% e oltre dei
pazienti con alti livelli sierici di HbsAg e carcinoma epatico presenta DNA virale integrato
nelle cellule tumorali. Non è chiaro però se le forme integrate di DNA di HBV svolgano ruolo
diretto nella cancerogenesi. Anche se integrazione virale appare associata al carcinoma
epatocellulare, il meccanismo dell’integrazione o i suoi effetti nell’espressione genica non
sono ancora ben definiti. Altra caratteristica comune nel carcinoma epatocellulare è la
presenza di anomalie cromosomiche nel sito di integrazione ad esempio sequenze di HBV
possono essere inserite nel gene della ciclina A e ciò può modificare controllo della crescita
cellulare o integrazione a livello del cromosoma 17 con perdita di un allele
dell’oncosoppressore p53. L’infezione da HBV provoca: infiammazione e danno epatico.
Il virus riconosce epatociti tramite recettore e viene internalizzato. Il genoma del virus si
integra con quello della cellula. Il virus si replica nel fegato e vengono liberati virioni nel
sangue. Sia gli epatociti che i virioni espongono HbsAg. Virioni in circolo attivano il sistema
immunitario che produce anticorpi che esplicheranno i loro effetti sugli epatociti del fegato
distruggendoli. Il decorso dipende dal grado di infezione e dal sistema immunitario se è più o
meno efficiente. Il progressivo peggioramento della struttura del fegato induce cirrosi ovvero
il fegato si tramuta in un organo fibrotico, l’architettura interna viene sovvertita e il fegato
non sarà più funzionante.

ADENOVIRUS.
 Dimensioni medie, privi di envelope, DNA bicatenario lineare.
 Replicazione specie-specifica
 Infettano comunemente l’uomo provocando malattie acute lievi a livello dell’apparato
respiratorio e intestinale.
 Le proteine precoci E1A – E1B formano complessi con i prodotti dei geni
oncosoppressori inattivandoli. E1A: Rb, E1B: p53.

HERPESVIRUS (EBV= Virus Epstein Barr)


 EBV è uno degli 8 herpesvirus umani noti.
 Virus con envelope, capside icoesaedrico con DNA lineare a doppia elica con 80 geni.
 Capside composto da un polipeptide maggiore non glicosilato e una glicoproteina
minore che fanno parte del complesso dell’antigene virocapsidico (VCA)
 Envelope costituito da 3 glicoproteine: 2 maggiori gp350 e gp250, sono quelle che
mediano l’adesione del virus al recettore presente sul linfocita B, mentre la gp 85 è
coinvolta nel processo di fusione del virus legato con la membrana plasmatica
cellulare.
EBV è spesso descritto come virus B linfotropo, poiché i linfociti B sono l’unico tipo cellulare
che viene facilmente infettato dal virus in vitro con legame che avviene tra glicoproteine
maggiori del virus e la molecola CD21 del linfocita B. La trasmissione avviene
prevalentemente attraverso la saliva.
Meccanismo di infezione: dopo essersi fissato al suo recettore, penetra nel linfocita B e il suo
DNA persiste nella cellula in 2 forme: una forma episomiale ove il DNA resta in forma circolare
staccato dal materiale genomico umano e una forma integrata ove il DNA si incorpora nel
genoma dell’ospite senza una sede specifica di integrazione. Dopo l’infezione dei linfociti B,
possono verificarsi 2 situazioni:
1. Inizio ciclo replicativo virale e morte per lisi della cellula infettata a cui segue il rilascio
di nuovi virioni.
2. Tipica di EBV, comporta uno stato di latenza in cui il virus non si moltiplica nella
cellula. Questa latenza può durare anche per molto tempo e questo spiega motivo per
cui un individuo venuto a contatto con EBV, possa ospitare per tutta la vita un certo n°
di cellule infettate.
In ogni caso, dopo aver infettato i linfociti B, il genoma virale governa la sintesi di alcune
proteine, dette antigene EBNA (Epstein Barr nuclear antigen) se ne conoscono 6 diversi da
EBNA1 a EBNA6. Queste proteine interferiscono con il DNA cellulare modificando
l’espressione di geni diversi e attivando permanentemente i linfociti B che vanno incontro a
proliferazione indefinita (immortalizzazione cellulare). Il fenomeno dell’immortalizzazione
cellulare è stato studiato riproducendo in vitro colture di linfociti umani infettati da virus. Le
cellule proliferano indefinitamente sotto il governo di proteine virali EBNA, di 3 proteine di
membrana (LMP 1, 2A, 2B) e due tipi di RNA non poliadenilati (EBER 1 e EBER2). La linea
cellulare così ottenuta è detta LCL ovvero linea cellulare linfoblastoide. In base all’espressione
di proteine virali e di marcatori di superficie cellulari sono stati identificati 3 programmi di
latenza:
1. LATENZA I: caratterizzata dall’espressione di EBNA1, EBER. Questi geni risultano
espressi in biopsie di linfoma di Burkitt.
2. LATENZA II: caratterizzata dall’espressione di EBNA1, EBER, LMP1, 2A, 2B. Questa
latenza è tipica del linfoma di Hodgkin e carcinoma nasofaringeo.
3. LATENZA III: caratterizzata dall’espressione di tutte e 9 le proteine di latenza. Tali
cellule sono le linee linfoblastoidi e alcune linee del linfoma di Burkitt in coltura.

Il comportamento del virus in seguito a infezione primaria varia a seconda delle


caratteristiche genetiche dell’individuo infettato, dell’età in cui avviene primo contatto e da
fattori ambientali. Nei paesi in via di sviluppo infezione avviene durante la prima infanzia se
sintomi apparenti. In paesi + sviluppati l’infezione primaria è in genere ritardata fino
all’adolescenza e determina mononucleosi infettiva (febbre, mal di gola, rigonfiamento
linfonoidale, aumento leucociti circolanti). Una volta avvenuta infezione, il virus persiste in
uno stato quiescente per tutta la vita. La persistenza dell’infezione asintomatica nell’ospite ha
luogo nella zona orofaringea dove il virus viene rilasciato a periodi intermittenti nella saliva o
sangue periferico. I linfociti B, dopo essere stati infettati ospitano il virus in forma latente.
Aspetto caratteristico dell’infezione da EBV è la proliferazione cellulare che si riscontra nel
linfoma di Burkitt (neoplasie linfoide). Sia nelle forme endemiche che sporadiche si verificano
traslocazioni cromosomiche tra il cromosoma 8 e quello 14,2,22. Nel linfoma di Burkitt il
prodotto del protoncogene c-myc è iperespresso ma appare qualitativamente normale. Si
verifica la rottura del cromosoma 8 e 24, locus del gene c-myc che codifica per proteine
nucleari coinvolte nella replicazione e nella trascrizione del DNA. Altro tumore umano
associato all’infezione da EBV è il carcinoma nasofaringeo. Costituisce il 20% di tutti i tumori.
Aspetti genetici e ambientali sembrano essere coinvolti nell’insorgenza del tumore. Fattori
ambientali come uso di pesce essiccato e salato con quanità apprezzabili di nitrosammine
possono essere cofattori nello sviluppo del carcinoma. Un altro cofattore è il virus stesso in
quanto il genoma di questo virus è sempre presente nella cellula tumorale. Altro tumore
associato è il linfoma di Hodgkin.

POXVIRUS.
 Virus Grandi, DNA bicatenario, lineare.
 Provocano tumori benigni nella scimmia, nei conigli e piccole neoformazione
nell’uomo.
 Un fattore di crescita codificato dai poxvirus è correlato all’EGF p al TGF potrebbe
essere correlato a questi processi.

VIRUS ONCOGENI A RNA.


I virus oncogeni a RNA vengono chiamati retrovirus per un particolare aspetto replicativo:
perché possono riprodursi, il loro RNA deve essere trascritto a ritroso in DNA ad opera di
DNA-polimerasi RNA-dipendente di origine virale che prende il nome di trascrittasi inversa. Il
DNA viene quindi integrato nel DNA della cellula ospite (si parla allora di provirus) e da quella
posizione servendosi di enzimi e strutture della cellula dirige la sintesi delle varie proteine
virali e assemblaggio di nuovi virioni. I retrovirus (virus oncogeni a RNA) si distinguono in
TRASFORMANTI LENTI (in quanto inducono la comparsa di tumori in animali sensibili dopo
un lungo periodo di latenza mesi o settimane) e in TRASFORMANTI ACUTI ( in quanto
inducono rapidamente nel giro di gg o settimane, la comparsa di tumori in animali e sono in
grado di trasformare cellule normali in cellule neoplastiche in coltura). Condividono entrambi
un genoma costituito da:
 Sequenze LTR (sequenze terminali lunghe ripetute)
 Gene gap (codifica per proteine strutturali interne al virione)
 Gene pol (codifica per la DNA polimerasi RNA dipendente)
 Gene chv (codifica per proteine dell’involucro virale)
 U3 e U5 sequenze regolatorie non codificanti con promother e enancher.

I trasformanti acuti hanno in più v-onc (oncogene virale) a volte a discapito di un gene
necessario per la replicazione virale; quindi alcuni retrovirus perdono la capacità di replicarsi
nelle cellule ospiti a meno che in queste cellule non ci sia un “virus helper” che mette a
disposizione un oncogene per la replicazione del retrovirus difettivo trasformante. Il genoma
dei retrovirus inoltre è piccolo, costituito da non più di 1000 nucleotidi. La trasformazione
neoplastica dai parte dei retrovirus, avviene con 2 meccanismi diversi a seconda se si tratta di
trasformati lenti o acuti ma implica dei passaggi in comune:
 Internalizzazione del virione a cui segue la liberazione del genoma virale.
 Attività della transcriptasi inversa che trasforma l’RNA virale in DNA.
 Integrazione del DNA sotto forma di provirus in quello della cellula ospite che si
arricchisce di geni virali andando incontro a modifiche stabili e ereditabili della
progenie.

RETROVIRUS TRASFORMANTI ACUTI.


Il genoma di questi retrovirus, munito di v-onc (privo di introni a differnza di c-onc che ha
esoni e introni), viene incorporato in qualsiasi punto del genoma cellulare. La trasformazione
della cellula ospite avviene rapidamente in qualche giorno o settimana perché l’oncogene
virale, essendo sotto il controllo delle LTR virali (più forti di quelle cellulari) codifica
immediatamente per il suo prodotto che interferisce con i meccanismi di replicazione
cellulare. Si può anche verificare la possibilità che il protoncogene cellulare, omologo del v-
onc, venga amplificato e quindi la cellula sarà stimolata sia dal prodotto anomalo del v-onc sia
dal prodotto normale codificato dal protoncogene cellulare. I retrovirus acuti provocano
forme acute di tumori (sarcomi) nell’arco di pochi giorni (virus del Sarcoma di Rous). I
sarcomi sono multifocali e multiclonali: ogni animale forma masse indipendenti generate da
cellule fondatrici dipendenti (non si tratta di massa principale con metastasi). Il virus del
Sarcoma di Rous è il più rapido tra i retrovirus acuti.

RETROVIRUS TRASFORMANTI LENTI.


Genoma di questi retrovirus, privo di v-onc, si inserisce (delimitato sempre dalle sequenze
LTR) nel genoma cellulare e quindi anche di protoncogeni, la cui attività passa sotto il
controllo di sequenze regolatorie virali che sono molto più forti di quelli cellulari, con la
conseguenza che esse incrementano la trascrizione dei geni cellulari ad essi adiacenti. I
tumori causati da questo virus compaiono dopo molto tempo e sono monoclonali e
monofocali e se ci sono masse multiple sono metastasi della neoplasia principale (latenza
mesi o settimane). Il meccanismo adottato dai trasformanti lenti è detto “attivazione in cis”
perché solo i geni vicino al provirus integrato sono attivati. Se l’espressione di questi geni
attiva il ciclo cellulare, l’evento di integrazione può essere oncogeno se i geni cellulari
coinvolti sono detti oncogeni. Spesso questi geni sono incorporati nel genoma virale a spese di
geni virali. Quindi il virus porta con sé l’oncogene che viene espresso ogni qual volta il
prossimo provirus si integra. Così furono scoperti gli oncogeni virali. Retrovirus lento può
dare origine a tumori diversi a seconda del tipo di tessuto interessato e dell’oncogene
interessato. Nei virus lenti, il genoma virale:
 O si integra in prossimità di un protoncogene già conosciuto e isolato nella variante v-
onc.
 O si integra in prossimità di un gene noto ma non come oncogene.
 O si integra di fianco ad un gene nuovo.
 O si integra in una regione cromosomica che apparentemente non contiene geni nelle
vicinanze.
 O si integra all’interno di un gene determinando la formazione di una proteina
chinasica.
La lentezza dei retrovirus lenti deriva proprio dal fatto che l’integrazione in prossimità di un
protoncogene è un evento del tutto normale.

Retrovirus Transattivanti o ultralenti.

Alcuni retrovirus hanno un’attività transattivante, attraverso l’espressione di proteine virali


che attivano la trascrizione di altri geni. I virus della leucemia T umana furono i primi
retrovirus per cui è stato dimostrato questo tipo di attivazione di geni dell’ospite.
N.B.= La replicazione dei retrovirus non è un fenomeno letale per la cellula; infatti la
principale caratteristica dell’infezione da parte di retrovirus oncogeni è la compatibilità della
trasformazione neoplastica con la biosintesi e il rilascio di virioni. I virus oncogeni a RNA sono
in grado di trasformare sia cellule permissive che non permissive (non accade nei virus
oncogeni a DNA), la trasformazione e la replicazione virale avvengono in genere
contemporaneamente e quindi tali virus non sono letali per la cellula in cui si replicano.
I retrovirus provocano principalmente:
 Tumori dei sistemi reticoloendoteliale ed emopoietico (leucemie e linfomi)
 Tumori del tessuto connettivo (sarcomi).

HTLV-1
Identificato nel 1980 come primo oncogeno per l’uomo. Questo è il virus della Leucemia
umana a cellule T. Questo virus ha un tropismo per le cellule T CD4+ ed è per questo motivo
che questo sottotipo di cellule T costituisce bersaglio principale della trasformazione
neoplastica. L’infezione umana avviene per la trasmissione di cellule T infette attraverso
rapporti sessuali, derivati del sangue o durante allattamento. La leucemia si sviluppa solo nel
3-5% degli individui infetti dopo un lungo periodo di latenza di 40-60 anni. HTLV-1 non
contiene un oncogene e non è stata riscontrata alcuna integrazione in prossimità di un
protoncogene. Il genoma di questo virus comprende geni gag, pol, env e LTR ma contiene
anche un’altra regione detta Tax e pare che la causa della sua attività trasformante risiede
proprio in questo gene. La TAX (proteina):
 E’ essenziale per la replicazione virale poiché stimola la trascrizione dell’mRNA virale.
 Può attivare la trascrizione di geni cellulari dell’ospite coinvolti nella proliferazione e
nella differenziazione cellulare (geni codificanti per IL-2 e per il suo recettore)
 Promuove attivazione della ciclina D deregolando il ciclo cellulare.
 Attiva NFkb, fattore di trascrizione che regola un gran numero di geni, compresi i geni
di sopravvivenza e antiapoptotici.
 Contribuisce alla trasformazione maligna attraverso l’instabilità genomica. Dati recenti
dimostrano che tax interferisce con le funzioni di riparazione del DNA.
 L’innesco del gene tax è necessario ma non sufficiente ad indurre la neoplasia.

Tappe che conducono allo sviluppo di una leucemia/linfomi a cellule T:


1. L’infezione da HTLV-1 causa iperespressione di una popolazione cellulare non maligna
attraverso gli effetti stimolanti di tax nella proliferazione cellulare.
2. Le cellule T proliferanti hanno una maggiore rischio di mutazione e instabilità
genomica indotta da tax. Tale instabilità consente l’accumulo di mutazioni e anomalie
cromosomiche, determinando l’emergere di cellule T neoplastiche.
Infine HTLV-1 immortalizza linfociti T in coltura.

HIV (retrovirus del genere lentivirus).


L’infezione dal virus della immunodeficienza umana è caratterizzata da alcune fasi
temporalmente distinte:
 PRIMA FASE (FASE ACUTA): Dura da alcune settimane a pochi mesi. Sintomi simili a
quelli dell’influenza e risposta anticorpale anti HIV-1. Lieve diminuzione dei linfociti
CD4. Alti livelli di antigeni nel sangue.
 SECONDA FASE (FASE ASINTOMATICA): Dura da alcuni mesi a più di 10 anni. Livelli
antigenici nel sangue più bassi rispetto a quelli presenti nella fase acuta della malattia.
Ulteriore diminuzione di linfociti CD4.
 TERZA FASE: Sviluppo dell’AIDS conclamato con infezioni opportunistiche o tumori.
Aumento di antigeni e numero di CD4 ulteriormente ridotto.
Il virus oltre ad avere i soliti geni gag, pol, env presenta numerosi geni regolatori:
 GENE TAT che codifica per un forte attivatore trascrizionale;
 GENE NEF codifica per un debole modulatore negativo;
 GENE REV codifica per una proteina che regola il processing dell’RNA virale;
 GENE VIF codifica per un fattore di infettività virale;
 GENE VPU codifica per una proteina che partecipa all’assemblaggio della particella
virale.
Esistono 2 ceppi principali del virus umano: HIV-1 e HIV-2. Il primo è diffuso in tutto il mondo,
il secondo è ancora confinato nell’Africa occidentale. Associati all’AIDS ci sono molti tumori:
Sarcomaa di Kaposis, Linfoma di Burkitt, Linfoma di Hodgkin (questi linfomi sono in genere
ma non sempre positivi al virus EBV).
Il virus ha forma sferica con capside ed envelope. L’envelope presenta 2 glicoproteine virali
gp120 e gp41, la prima riconosce e aggancia il recettore corrispondente sulle cellule bersaglio;
gp 41 interviene quando i virus sono già agganciati, fondendo le membrane virali con la
parete permettendo la penetrazione del virus nelle cellule, per questo è denominato proteina
di fusione. Quindi le principali cellule bersaglio del virus sono i linfociti CD4+, ma HIV è in
grado di infettare anche altre cellule che possiedono anche se in quantità minore il recettore
CD4: monofagi, cellule dendritiche, cellule cromaffini. Quando il virus è entrato nella cellula
ospite, la transcrittasi inversa trascrive l’RNA come DNA grazie a integrasi, si integra nel
genoma della cellula ospite. La cellula infettata può attivare subito la replicazione virale o può
rimanere inattiva per un periodo di tempo compreso tra mesi e anni comportandosi come una
cellula non infetta. Le cellule infettate che non producono virus sono dette “latentemente
infette” e costituiscono un serbatoio di HIV ineliminabile che garantisce sopravvivenza al
virus nell’organismo a tempo indeterminato per intera vita del soggetto. L’elemento che
distrugge le cellule CD4+ non è tanto la presenza del virus, ma il suo processo di replicazione,
in particolare l’ultima fase quando i nuovi virus lasciano la cellula perforando la membrana e
uccidendola. Un numero inadeguato di linfociti CD4+ paralizza il sistema immunitario
esponendo l’organismo a qualsiasi infezione e tumore.

CELLULA TRASFORMATA IN LABORATORIO.


E’ molto importante definire quali sono i parametri di una cellula trasformata in laboratorio.
E’ importante anche chiarire che questi parametri non sono necessariamente uguali a queli di
una cellula tumorale prelevata dal tumore di un paziente “in vivo”. Il tumore è di origine
monoclonale, ma la massa tumorale è formata da molte cellule diverse tra loro in quanto
l’accumulo di alterazioni successive porta a una varietà di fenotipi e genotipi che in realtà
sono il “vantaggio del tumore”; infatti un qualsiasi approccio terapeutico può selezionare
alcune cellule, non tutte. Il concetto di FENOTIPO TRASFORMATO deve rispettare canoni ben
precisi (misurabili e riproducibili):
1. PERDITA INIBIZIONE DA CONTATTO: Questo parametro è riscontrato tra fibroblasti e
cellule epiteliali coltivate in laboratorio che crescono su substrati solidi (questo
parametro non è applicabile a cellule emopoietiche poiché crescono in sospensione).
Le cellule suddette crescono in monostrato e quando esso ha ben saturato la superficie
disponibile, la velocità di crescita diminuisce fino ad arrestarsi ovvero non aumenta il
n° di cellule totali nella piastra. Ciò non significa che le cellule non replicano ma che il
turn-over (morte-crescita) è bilanciato. Quando una cellula vede perturbato questo
meccanismo ha acquisito una delle caratteristiche della cellula trasformata.
2. PERDITA DELLA DIPENDENZA DELL’ANCORAGGIO: Queste cellule per poter vivere e
duplicarsi devono ancorarsi a un substrato solido e hanno bisogno di cosegnali
prodotti dall’interazione tra integrine e substrato solido e se tali segnali sono assenti, i
fattori di crescita non sono in grado di far proliferare le cellule. Quando questa
caratteristica si perde (cioè le cellule sono in grado di crescere anche su terreno
semisolido come l’agar) le cellule avranno acquisito un’altra caratteristica della cellula
trasformata.
3. INDIPENDENZA DA FATTORI DI CRESCITA: Cellule coltivate in laboratorio per
proliferare non si accontentano di fonti di energia quali C, N, O2, glucosio ma
necessitano di sostanze più complesse come vitamine,peptidi o lipidi o derivati di
ormoni estrogeni per poter crescere. Hanno bisogno di una serie di stimoli accessori
che interagiscono con recettori specifici facendo in modo che la cellula entri in un ciclo.
Non è sufficiente quindi che la cellula si trovi in un ambiente comodo ma necessita di
sitmoli specifici. Molti tumori in vivo perdono questa caratteristica e soprattutto in
laboratorio la riduzione della dipendenza da fattori di crescita è un’altra caratteristica
di cellula trasformata. In alcuni casi anche la richiesta di una quantità inferiore di
fattori di crescita rispetto alla normalità è da considerarsi caratteristica di cellula
trasformata.
4. CRESCITA ILLIMITATA DELLA COLTURA: Questa caratteristica spesso è acquisita
senza avere le altre caratteristiche e senza la quale non si può avere la trasformazione.
Esempio: se metto ras mutato in una cellula non immortalizzata le cellule non
diventano tumorali ma bensì muore (perché la cellula ha memoria del n° di cicli e li
farà più rapidamente e poi muore); Se invece inserisco ras mutato in una cellula
immortalizzata, essa diventerà completamente trasformante.
5. CANCEROGENICITA’ IN UN ORGANISMO IMMUNOTOLLERANTE: La linea deve
generare cellule che inducono tumore in un organismo immunotollerante.
6. INSTABILITA’ GENOMICA : Parametro non accettato da tutti sia perché non
dimostrato sia perché non tutti sono d’accordo. I geni che agiscono a livello dei check-
points sono coinvolti nella cancerogenesi e ciò fa presupporre che non essendoci
meccanismi di controllo, il genoma sia più soggetto a mutazioni o alterazioni.
L’instabilità genomica non è di per sé una caratteristica ma dato che i sistemi di
checkpoints sono alterati e le cellule crescono comunque e non vanno in apoptosi, le
alterazioni che si presentano (con una frequenza simile alle cellule normali) invece di
essere eliminate si accumulano. Quindi in una popolazione tumorale avrò una
maggiore varietà di alterazioni cromosomiche ma non perché sono manifestate con
una maggiore frequenza ma solo perché sono sopportate in maniera migliore dalle
cellule tumorali. Quindi ci sono 2 ipotesi in conflitto (forse vere tutte e due): 1) in
alcune condizioni c’è un aumentata sopportazione, 2) in alcune condizioni c’è
un’aumentata mutazione. Nella maggior parte dei tumori non c’è una propensione a
fare mutazioni ma c’è propensione a tenere queste mutazioni e non eliminare i
discendenti del clone mutato. Quindi la definizione dell’instabilità genomica è meglio
accettarla se riferita alla qualità della popolazione cellulare e meno se riferita alla
singola cellula che ha un’elevata propensione ad alterare il proprio genoma.
7. CAPACITA’ ANGIOGENETICA: Non è una caratteristica universalmente accettata per la
cellula trasformata in laboratorio e non la misuriamo in vitro ma in vivo. In vitro non
posso generare i vasi.
8. INVASIONE E METASTASI: L’invasività in laboratorio la posso misurar. Prendo
membrane di nylon o cellulosa perforate, posiziono sopra un gel di collagene e sopra le
cellule tumorali. Sotto la membrana metto stimoli proliferativi (siero,ormoni). Se le
cellule per andare a prendere ormoni dall’altra parte digeriscono la matrice e migrano
dall’altro lato, allora avrò un fenotipo invasivo. La metastasi invece non si può
misurare in vitro ma in vivo.
9. PRESENZA DI ANTIGENI – TUMORI ASSOCIATI: E’ un altro sistema di marcatura che
posso usare per studiare le cellule: se dopo trasformazione di formano neoproteine
(prodotte da mutazioni, traslocazioni etc.) riconosciute da Ig e che sono diverse da
proteine normali avrò dei marcatori.
10. SEGNALI DI CRESCITA AUTOSUFFICIENTI (omologo punto 5): Le cellule possono
prodursi i loro fattori di crescita e i loro ormoni specifici e in questo caso si parla di
AUTOCRINIA ( un tumore autocrino è quando produce di per sé un fattore di crescita
per cui possiede il recettore e che autostimola la massa tumorale a crescere). Un
tumore può essere autosufficiente non solo perché si auto produce fattori di crescita
ma anche perché iperesprime recettori o esprime recettori normali dal punto di vista
numerico ma alterati nella struttura: in questo caso la cellula riceverà segnali alterati.
Un tumore può essere autonomo anche per la presenza di vie di segnalazione
costantemente attivate (ras attivato anche se non c’è legame tra ligando e recettore) o
può avere alterata quantità , qualità o struttura di proteine di adesione quali caderine e
integrine e ricevere stimoli che ne amplificano la crescita (es. la cellula che
normalmente non risente di un fattore di crescita prodotto dalle cellule vicine
potrebbe risentirne se esprime il recettore e diventa autonoma per la crescita). Tutti
questi meccanismi possono indurre autosufficienza nelle cellule tumorali. Quindi
mentre le cellule normali necessitano di molti fattori di crescita e nutrienti, le cellule
tumorali se li sanno produrre e quindi sono in grado di crescere anche se diminuiscono
i fattori di crescita.

Nelle cellule neoplastiche e in quelle trasformate in coltura c’è meno possibilità di andare in
apoptosi. Questo lo posso misurare sperimentalmente esponendo le cellule a uno stimolo che
notoriamente induce all’apoptosi e misurare prima e dopo la trasformazione, la percentuale di
cellule morte per apoptosi. Posso esporre a farmaci ad esempio. La minore capacità di andare
in apoptosi è dovuta a:
1. Aumento di segnali di sopravvivenza (IGF I,II, BCL-2).
2. Diminuzione di segnali proapoptotici (p53 aumenta, BAX e diminuisce BCL2).

Il principio su cui si basa l’impiego dei farmaci anti-tumorali è quello di colpire le cellule
tumorali che sono più sensibili rispetto a quelle normali in quanto proliferano continuamente.
Un miocita normale ad esempio, non prolifera è fermo in G0 o in G1, ha tempo di riparare il
danno e quindi occorrerebbero ingenti quantità di farmaci per ucciderlo. Il miosarcoma
invece è costituito da cellula che proliferano continuamente e pertanto cellule più sensibili.
Durante una chemio però , verranno colpite e lese le cellule tumorali ma anche quelle normali
dotate di velocità proliferativa come le cellule dei bulbi piliferi, midollo; se poi le cellule
tumorali hanno sviluppato resistenza al farmaco, sarà necessario aumentare la dose con
conseguente uccisioni di cellule appartenenti anche ad altri tessuti.

Cancerogenesi virale.
N.B. = Anche la cancerogenesi chimica è trasmissibile. Virus del Sarcoma di Rous ha permesso
la prima scoperta di un oncogene. Dulbecco negli anni 60 affermò che il fenotipo tumorale
poteva essere conferito a cellule normali in coltura in seguito a infezione con virus purificato.
Negli anni 70 si scoprì che i virus dopo retrotrascrizione del genoma si integravano nelle celle
e ne fece ipotizzare che il virus entrando nel genoma in qualche modo introducesse info
necessarie e sufficienti a generare il tumore. Cominciò quindi la ricerca dei geni di questi
virus, capaci di conferire il fenotipo trasformato, c’erano comunque problemi e difficoltà
durante la ricerca dato che i virus avevano un genoma molto piccolo e compatto con info
sovrapposte. Nel 75 si isolò il pezzo di DNA che induceva il fenotipo trasformato e si dimostrò
anche che la sequenza presente nel virus da sola responsabile dell’induzione del fenotipo
trasformato era presente anche nelle cellule normali del pollo che non avevano avuto contatto
con il virus. Quindi la sequenza che il virus del Sarcoma di Rous usava per indurre tumore nel
pollo era così importante e così fondamentale per la biologia che non si trovava solo nel pollo
ma in tutti gli organismi superiori. Quindi nel processo di induzione del tumore entrano in
gioco sequenza di DNA alla base dell’evoluzione degli eucarioti; si tratta di sequenze così
importanti e conservate che la loro alterazione qualitativa e quantitativa aveva effetti
drammatici sulla biologia della cellula. La storia degli oncogeni si basa comunque su due
circostanze fortuite:
1. Il primo virus oncogeno scoperto, identificato, caratterizzato per il virus del Sarcoma di
Rous ed è l’unico non difettivo ovvero non manca di un gene per la sua replicazione e
non necessita di virus helper.
2. La sequenza di questo virus era identica alla sequenza normale tranne che per qualche
base. Inoltre la proteina codificata da tale sequenza era una protein-chinasi lunga 525
aa e tutte le cellule infettate dal Sarcoma di Rous avevano questa proteina che di per sé
era trasformante in quanto se si inseriva il gene src nei fibroblasti senza il virus, ciò
favoriva la trasformazione. Ciò permise di definire l’oncogene= tratti di DNA del virus
che codificava per una singola proteina e che in grado di indurre il fenotipo
trasformato. La cosa interessante e importante è che la proteina prodotta dal virus
quindi dal v-onc era la stessa della cellula normale e questo indica che non solo le
sequenze sono conservate ma che è il prodotto a determinare questo fenotipo. La
sequenza era priva di introni quindi il virus non aveva portato via il gene ma il
messaggero (i c-onc hanno esoni ed introni). Di tutti gli oncogeni isolati tutti avranno il
corrispettivo protoncogene. Si rafforzò quindi la convizione che tutti i virus oncogeni
fossero tali perché trasportavano un pezzo di genoma della cellula ospite che è
importante non solo per la cellula ospite ma per tutti gli organismi superiori. Tranne
Rous, tutti i virus oncogeni rapidi sono difettivi perché l’oncogene occupa troppo
spazio e quindi viene tagliato il genoma virale. La maggior parte degli oncogeni
presenti nei retrovirus rapidi difettivi produce un tradotto che è una proteina
chinasica. Le proteina chinasiche sono generate dalla fusione con una proteina virale di
solito il gene gag.

Cancerogenesi.
La cancerogenesi o tumorigenesi è il processo di formazione di un tumore ed è un processo
multifasico articolato in 3 tappe:
1. PROCESSO DI INIZIAZIONE
2. PROCESSO DI PROMOZIONE
3. PROCESSO DI PROGRESSIONE.

1) Processo di iniziazione.
Somministrando un cancerogeno in dose subliminale si ha la trasformazione di una cellula
norma in cellula neoplastica.
Consiste nella comparsa di mutazioni a carico di uno o più geni, provocata da un cancerogeno
in dose subliminale. Il bersaglio dei cancerogeni nella fase di iniziazione sono geni
oncosoppressori e oncogeni, la cui funzione viene rispettivamente inattivata e attivata.
L’iniziazione si verifica in maniera istantanea e irreversibile, a meno che il danno al DNA non
venga eliminato da meccanismi di riparazione del DNA prima che la cellula si replichi. In
questo caso il danno non viene trasmesso alla progenie cellulare. Una cellula si dice “iniziata”
se ha subito alterazioni a carico del DNA ed è quindi predisposta a subire nuove alterazioni
che la cambieranno progressivamente fino a renderla neoplastica. Tutti quegli agenti (chimici,
fisici, biologici) che agiscono su una cellula sana e inducono mutazioni del DNA in modo
diretto e irreversibile sono detti AGENTI INIZIANTI ( O TRASFORMANTI). Le mutazioni a
carico del DNA:
 Possono essere trasmesse per via ereditaria da uno o entrambi i genitori (ciò
predispone all’insorgenza dei tumori).
 Possono essere dovute al massiccio assorbimento di radiazioni (es. dopo incidenti
nucleari in cui i tumori si manifestano a distanza di anni)
 Possono essere dovuti a infezioni con virus oncogeni, in tal caso si può pensare che
l’iniziazione sia dovuta all’inserzione del genoma virale in quello dell’individuo.

2) Processo di promozione.
Gli agenti promuoventi non interagiscono con il DNA e non sono mutageni. I promotori sono
detti COMPLETI se sono in grado di indurre da soli la promozione (es. olio di motori), sono
detti INCOMPLETI se lo fanno in associazione tra loro, di solito con sequenzialità obbligata
(es. trementina). Il processo di promozione è la fase in cui le cellule trasformate proliferano,
formando la massa tumorale. La proliferazione è indotta da AGENTI PROMUOVENTI poichè
promuovono la cancerogenesi solo se somministrati dopo uno stimolo sicuramente
cancerogeno (i promuoventi sono infatti sforniti di potere oncogeno di per sè), dato in
quantità subliminali. Ciò vuol dire che un tumore si può sviluppare solo se una cellula è
iniziata. Come prototipo del meccanismo di azione di agenti promuoventi si ricorda quello del
TPA (12-tetradecanoil forbolacetato), nella cui molecola sono presenti strutture simili a quelle
del DAG (diacilglicerolo). Il TPA è un estere del forbolo.
Il TPA:
 Interagisce con il suo recettore proteinchinasico, ciò favorisce la traslocazione della
forma inattiva della PK-C dal citosol alla memmbrana plasmatica
 La traslocazione attiva PK-C
 La PK-C innesca una cascata enzimatica che culmina con l’attivazione dei fattori di
trascrizione. Essi raggiungono il nucleo e portano segnali di proliferazione cellulare.

Rapporti tra iniziazione e promozione.


Tipo di trattamento e risultato e interpretazione:
 I: Trattamento condotto con il solo agente iniziante (cancerogeno in dose subliminale)
non induce comparsa di tumore. Ciò lo si deve al fatto che un agente iniziante è in
grado solo di trasformare una cellula sana in una neoplastica, ma non è in grado di
indurre proliferazione e quindi comparsa del tumore.
 P+P+P+P+P: Trattamento con il solo agente promuovente, anche se a lungo ripetuto
non induce comparsa di tumore, poiché esso si sviluppa solo se una cellula è iniziata.
 I+P+P+P+P: Il trattamento con agente iniziante a seguito con quello promuovente
determina comparsa del tumore.
 I +P+P+P+P: Se tra il trattamento con agente iniziante e quello con
promuovente intercorre molto tempo, si ha la comparsa del tumore. Ciò va a conferma
dell’irreversibilità dell’iniziazione.
 PPPPPPP + I: Se il trattamento con agente promuovente precede quello con
agente iniziante non si ha comparsa di tumore. Ciò perché l’agente promuovente deve
essere sempre somministrato dopo quello iniziante.
 I + P + P: Se dopo trattamento con agente iniziante, si fa trascorrere molto tempo l’una
e l’altra applicazione dell’agente promuovente, non si ha comparsa di tumore, indice
della reversibilità del danno indotto da agenti promuoventi (ossia la cellula riesce a
riparare i danni causati da agenti promuoventi).

3) Progressione.
Oggi con il termine progressione si intendono tutte le varie tappe di trasformazione
sequenziale che hanno luogo nella cellula tumorale dal momento dell’iniziazione e
proseguono fino a quando il tumore è costituito e anche dopo. La progressione costituisce
un’estensione della fase di promozione, da cui è impossibile distinguerla se non ritenendo che
abbia un inizio quando il tumore si è già formato. In questa fase, si ha dunque la persistenza
dell’agente promuovente che determina l’estrinsecarsi di accentuate atipie, come :
 Instabilità del cariotipo.
 Anomalie cromosomiche
 Aneuploidia.
Si ha poi la comparsa del fenotipo invasivo o metastatico.

I cancerogeni vengono suddivisi in CHIMICI E FISICI.

Cancerogeni chimici.
Sono detti cancerogeni quegli agenti la cui somministrazione induce comparsa di tumori in
animali da esperimento in quali in assenza di tale somministrazione, restano esenti da
neoplasie. Vengono inoltre considerati cancerogeni quegli agenti che inducono incremento
e/o una comparsa precoce di quei tumori che in genere colpiscono la specie animale anche in
assenza di trattamento. Tutti i composti cancerogeni sono attivi quando somministrati in una
determinata quantità . Per questo ogni cancerogeno è fornito di una DOSE SOGLIA che indica la
quantità minima di un composto che deve essere somministrata all’animale affinchè compaia
un tumore. In molti casi la quantità di composto corrispondente alla dose soglia se
somministrata in un’unica sessione può provocare tossicità acuta che può uccidere l’animale
ed è per questo motivo che il prodotto viene somministrato a piccole dosi anche se ciò
aumenta il tempo del trattamento. Il tempo che intercorre tra inizio del trattamento e
comparsa del tumore è detto PERIODO DI LATENZA; Tutti i cancerogeni chimici sono TOSSICI
DA SOMMAZIONE perché la comparsa del tumore avviene quando la somma delle quantità del
composto raggiunge il valore corrispondente alla dose soglia (che varia da composto a
composto):

d*t= K : tempo inversamente proporzionale alla dose giornaliera e la dose soglia resta
costante (d= dose soglia giornaliera, K=dose soglia, t=tempo).

D*t^h= K: La dose soglia si riduce al ridursi della dose giornaliera per alcuni cancerogeni.

I cancerogeni chimici vengono a loro volta suddivisi in DIRETTI E INDIRETTI:


 CANCEROGENI DIRETTI: Così definiti perché sono in grado di interagire direttamente
con il DNA della cellula ospite e formare complessi che determinano danno al DNA e
una conseguente replicazione errata dello stesso. Se il danno non viene corretto prima
della replicazione del DNA, la cellula ospite diventa cellula iniziata. Più specificamente
sono reagenti elettrofili (poveri di elettroni) che hanno elevata affinità per siti
nucleofili (ricchi di elettroni). Questi siti possono essere presenti: 1) in DNA, RNA o
proteine dove i cancerogeni formano legami covalenti e prodotti di addizione che
provocano danno al DNA, se il danno non viene corretto prima della replicazione, si
tramanda alla progenie e la cellula diventa iniziata; 2) in sede extracellulare (sangue,
liquido interstiziale), i cancerogeni si legano ai siti nucleofili bloccandone la funzione.
 CANCEROGENI INDIRETTI O PROCANCEROGENI: Così definiti perché essendo poveri
di gruppi elettrofilici, saranno privi d’interazione con il DNA. Tale capacità viene
acquisita dai loro derivati che si fermano nell’organismo, in seguito a reazioni
catalizzate da sistemi enzimatici in esso presenti (in alcuni casi la trasformazione
”protoncogeno a cancerogeno intermedio a cancerogeno terminale” è catalizzata da
enzimi , ma è una reazione esclusivamente chimica dove il composto si modifica in
seguito a reazione spontanea con l’acqua o costituenti dei vari tessuti. Non tutti i
derivati metabolici dei cancerogeni indiretti sono dotati della stessa potenza
cancerogena; alcuni infatti sono discretamente cancerogeni e detti CANCEROGENI
INTERMEDI, altri invece CANCEROGENI TERMINALI o DEFINITI (derivati dai
precedenti per ulteriore trasformazione metabolica), sono dotati di attività
cancerogena molto + potente di quella dei loro precursori. Oltre che nelle cellule
bersaglio queste reazioni di trasformazione metabolica possono avvenire nel fegato e
in questo caso, il derivato che si forma viene liberato dagli epatociti, passa in circolo
con azione su altri tessuti. I precancerogeni dunque, sono così chiamati poiché
necessitano di attivazione metabolica, prima di poter acquisire il loro potere oncogeno.

Attivazione metabolica dei procancerogeni.


L’attivazione metabolica dei procancerogeni avviene ad opera dei sistemi enzimatici presenti
nella membrana del R.E. liscio. I principali sistemi enzimatici sono di 2 tipi:
 DMES: responsabile amche della trasformazione metabolica dei farmaci
 MFO: per mettere in evidenza il fatto che la funzione ossidativa necessita della
presenza del citocromo P-450. P450 è una ferroproteina che nella sua forma ridotta,
esibisce il max dell’assorbimento a 450 nm. Il sistema MFO è costituito da una famiglia
di enzimi associati al citocromo P-450. Questi enzimi sono codificati da geni
polimorfici, di cui ne esistono molte varianti, sia tra individui di specie diverse che tra
individui della stessa specie. Inoltre, l’espressione di questi geni varia da individuo a
individuo e questo è uno dei motivi per cui si hanno sensibilità diverse nei confronti
dello stesso composto, in individui diversi.
L’attivazione metabolica di un procancerogeno avviene in 4 tappe:
 OSSIDAZIONE : quando un procancerogeno chimico viene inalato ed entra
nell’organismo, reagisce con un composto in cui è stato attivato il p-450 che in genere è
legato al Fe3+. Quando il procancerogeno viene a contatto con questo complesso si lega
ad esso.
 RIDUZIONE
 IDROLISI
 CONIUGAZIONE AL DNA.

N.B.= Durante l’attivazione metabolica un procancerogeno acquista progressivamente


maggiore reattività elettrofila.

Tappe Cancerogenesi.

Procancerogeno ambientale Detossificazione

Penetrazione nell’organismo

Escrezione
Attivazione metabolica

Cancerogeno intermedio Detossificazione


e terminale (definitivo)

Interazione con il DNA

Formazione addotti col DNA Riparazione del DNA


(ritorno a normalità)

Cellula iniziata

Ulteriori danni al DNA e/o Apoptosi


stimoli proliferanti (Se i danni sono troppi)

Promozione

Cellula neoplastica in mitosi.

Nelle cellule, il momento di maggiore sensibilità all’azione dei cancerogeni chimici


corrisponde alla fase S del ciclo cellulare. Infatti durante la sintesi del nuovo DNA, le due
eliche si separano esponendo un n° maggiore di gruppi nucleofilici. Nelle cellule in riposo, la
presenza della seconda elica, limita accessibilità di questi siti che fungono da punti di
ancoraggio per le molecole di cancerogeno.

Se il danno indotto dai cancerogeni chimici nel DNA viene riparato prima che la cellula
di moltiplichi, essa riassume sua condizione di normalità . In caso contrario tramanda la
mutazione alla progenie; Se il danno è notevole, la cellula va incontro a necrosi o apoptosi
(apoptosi è un meccanismo protettivo nella comparsa della neoplasia).

La detossificazione dei cancerogeni può avvenire sia prima che dopo la penetrazione, nella
cellula mentre quelli dei derivati attivi dei precancerogeni avviene sempre in sede
intracellulare. Questi composti detossificati verranno poi escreti. Anche la detossificazione,
insieme all’apoptosi e riparazione del DNA è un fenomeno protettivo nei confronti della
tumorigenesi. La detossificazione può essere esogena o endogena a seconda che si verifichi
prima o dopo la penetrazione di cancerogeni nella cellula. I cancerogeni vengono così
trasformati in composti lipofilici e idrofilici. Essi possono essere assorbiti con maggiore
facilità dalla cellula ed essere successivamente escreti.

Gli agenti chimici possono essere ulteriormente suddivisi in:


 AGENTI GENOTOSSICI: possono provocare un danno al DNA, che può essere o una
mutazione puntiforme o un riarrangiamento cromosomico. Es. (IPA- AA- composti
alchilanti)
 AGENTI AD AZIONE RECETTORE/MEDIATA: Sono sostanze che vanno ad alterare i
ritmi proliferativi, provocando o un aumento della frequenza di replicazione o una
riduzione dell’apoptosi.

Il fumo di sigaretta accoppia i 2 meccanismi d’azione.

Classi di cancerogeni chimici.


1. Idrocarburi policiclici aromatici
2. Ammine aromatiche
3. Composti azoici
4. Nitrocomposti
5. Composti alchilanti
6. Idrocarburi alogenati
7. Sostanze naturali
8. Prodotti inorganici (metalli).

Idrocarburi policiclici aromatici.


Sono cancerogeni costituiti da almeno 3 anelli benzenici condensati e hanno struttura di base
riportabile a quelle dell’antracene e/o fenatrene. Nel primo caso gli anelli benzenici sono
condensati in posizione lineare, nei secondi in posizione angolare. Nell’ambiente la maggior
parte di essi si forma per combustione del carbonfossile, del gasolio, tabacco, ma anche
durante produzione del whisky o cottura della carne alla brace. Sono cancerogeni indiretti la
cui attivazione si verifica per mezzo del sistema microsomiale del citocromo P-450. I processi
ossidativi che si svolgono in questo sistema enzimatico (per mezzo di enzimi come
IDROCARBOMONOSSIGENASI e la IDROCARBOSSILASI) inducono formazione della maggior
parte dai idrocarburi policiclici aromatici come dioli, diolo-epossidi- epossidi.
 Dioli, diol-epossidi e epossidi (benzoantracene, crisene,benzopirene,pirene) sono
composti con “grado di elettrofilia” progressivamente più elevato. L’attività
cancerogena dei PHA è quindi una prerogativa dei loro derivati metabolici.
 Al crescere della loro elettrofilia, aumenta la loro capacità d’interagire col DNA e
formare addotti.
 Negli PHA a maggior potere cancerogeno, i processi ossidativi interessano le regioni
angolari che delimitano la REGIONE BAIA ossia insenatura che si forma dalla
condensazione di 2 anelli diversi ad un terzo anello.
 Oltre alla regione Baia si possono distinguere la REGIONE L inattiva o scarsamente
attiva, per bassa densità elettronica, REGIONE K altamente reattiva con elevata [ ] di
elettroni, REGIONE ANGOLARE, regione a monte della regione baia.
 Nella cellula oltre ad essere presenti enzimi capaci di convertire gli PHA in composti
dotati di maggior potere cancerogeno, esistono anche altri enzimi che operano in
maniera opposta. Essi cioè convertono gli epossidi in dioli con conseguente riduzione
della loro elettrofilia. Questi enzimi sono le epossido idrasi. Gli epossidi possono
inoltre essere inattivati o per riduzione non enzimatica a fenoli, o inattivati per
coniugazione col complesso GHS + GLUTATION TRASFERASI. Gli epossidi agiscono
come cancerogeni potentissimi sulla cute dei roditori, anche se somministrati in
piccole dosi, poiché questi animali presentano scarsissime quantità di EPOSSIDO
IDRASI e GLUTATION TRASFERASI nella loro pelle. I primati hanno maggiore
resistenza all’attività oncogena dei PHA poiché dotati di sistemi detossificanti molto
potenti.
 Gli PHA oltre da policiclici possono essere anche OMOCICLICI quando contengono solo
anelli benzenici, ETEROCICLICI contengono anche anelli non benzenici.

Amine Aromatiche.
Note con la sigla AA, sono composti caratterizzati da una struttura aromatica, in cui almeno un
atomo di H è stato sostituito dal gruppo NH2. L’AA più semplice è l’ANIINA, costituita da un
unico anello benzenico, fornito di un gruppo NH2. E’ discretamente tossica ma non
cancerogena. Si comportano da procancerogeni alcuni prodotti di condensazione dell’anilina,
ciascuno costituito da 2 anelli benzenici, forniti di uno o più gruppi amminici: 4-aminodifenile,
beta- naftilamina, difenildiamina (benzidina).
Questi composti vanno incontro a meccanismi di attivazione simili prendiamo ad esempio
l’attivazione metabolica della beta naftilamina. Da ricerche si osservò che se venica introdotta
per via orale con la dieta induceva comparsa di tumori alla vescica e risultava privo di potere
oncogeno quando impiantata nella vescica di animali sensibili ad essa. Quindi la beta-
naftilamina somministrata con la dieta raggiunge il fegato e penetra negli epatociti, qui per
azione degli enzimi del sistema microsomiale del fegato viene ossidata a 1-IDROSSI-
2AMINONAFTOLO, che è il composto cancerogeno (definitivo e liposolubile). Non appena
sintetizzato, questo composto viene coniugato con l’acido glicuronico, con formazione di un
estere: il 2-AMINO-1NAFTILGLICURONIDE che non è cancerogeno (questo spiega perché il
cancerogene definitivo che si ferma nel fegato non provoca tumore in questo organo ma in
uno a distanza). L’estere è idrosolubile (a differenza del cancerogeno definitivo che è
liposolubile), e passa rapidamente nel sangue giunge al rene e da qui alla vescica. Nella vescica
l’estere viene scisso dalla beta-glicuronidasi e riconvertito in 1-IDROSSI-2AMINONAFTOLO.
Questo si concentra nell’urina, esercitando la sua attività cancerogena a livello del trigono
vescicale (dove urina ristagna più a lungo) provocando quindi il cancro alla vescica.

N.B. 1= La beta naftilamina se impiantata nella vescica non provoca comparsa di tumore
perché deve essere prima attivata a livello epatico (si verifica solo con assunzione in dieta)
N.B. 2= Ci sono animali insensibili all’azione cancerogena dell’ 1-IDROSSI-2AMINONAFTOLO.
Ciò lo si deve al fatto che la beta-glucuronidasi non è espressa. Di conseguenza in vescica non
si potrà avere la conversione dell’estere nel cancerogeno definitivo.

Composti azoici (azotocomposti).


Sono caratterizzati dalla presenza di anelli benzenici, contenenti almeno un gruppo amminico,
riuniti da 2 atomi di N, tra i quali vi è un doppio legame. La presenza di un doppio legame tra i
2 atomi di N centrali è una condizione indispensabile per l’espletamento dell’attività oncogena
di questi composti. Infatti se il legame –N=N- viene ridotto a –HN-NH- l’attività oncogena
scompare. Un esempio di azoto composto è il DAB (4-dimetilaminoazobenzene), un colorante
giallo, usato per anni come colorante per alimenti. La scoperta che il DAB induce la comparsa
di tumori epatici nei roditori è bastata a farlo ritirare dal commercio.

Nitrocomposti.
Si distinguono in 2 categorie:
 NITROSAMINE: Composti in cui il gruppo N-NO è direttamente legato a 2 radicali
alchilici. Si possono assumere tramite fumo di tabacco. Provocano tumori al polmone,
alla vescica, alla mucosa orale e nasale degli accaniti fumatori. Sono procancerogeni e
infatti nell’organismo vengono attivati metabolicamente e convertiti in
METILDIAZONO che è il cancerogeno terminale, responsabile dell’alchilazione della
guanina in corrispondenza dell’O in posizione 2. Es. nitrosamine: dimetilnitrosamina,
dietilnitrosamina.
 NITROSAMIDI: Composti in cui le 2 valenze residue dell’azoto aminiche sono saturate
da un radicale alchilico e uno non alchilico. Es. METIL NITROSUREA che è anch’essa un
procancerogeno caratterizzato dal fatto che forma spontaneamente METILDIAZONIO
senza intervento di enzimi (a differenza delle nitrosamine)

Composti alchilanti.
L’alchilazione è una reazione chimica nel corso della quale uno o più gruppi alchilici (CH3 e
C2H5) vengono ceduti da un composto chimico a un altro, che diventa alchilato. La reazione
avviene perché i gruppi alchilici, avendo carica positiva sono elettrofili e di conseguenza
reagiscono con facilità con siti nucleofilici ricchi di elettroni (come il DNA)
Composti alchilanti si dividono in:
 SPONTANEI: cedono gruppi alchilici spontaneamente a substrati nucleofili.
 NON SPONTANEI: la cessione avviene dopo la loro trasformazione metabolica.
Si distinguono in VELOCI e LENTI a seconda se la cessione dei gruppi alchilici si verifica con
facilità o difficoltà . (dal punto di vista cancerogeno alchilanti veloci sono meno efficaci perché
cedono gruppi alchilici prima di raggiungere il nucleo della cellula, in questo modo
alchilazione è subita dalle proteine e non DNA). Le reazioni di alchilazione possono essere di
2 tipi:
 MONOFUNZIONALE (SN1)= se la cessione dei gruppi alchilici avviene in direzione di
un solo gruppo nucleofilico.
 BIFUNZIONALE (SN2)= quando trasferimento ha come bersaglio 2 siti nucleofilici
opposti.
Se il sito nucleofilico bersaglio dell’alchilazione è il DNA:
 Un composto alchilico monofunzionale provoca una sola mutazione puntiforme Es.
cloruro di vinile che induce l’angiosarcoma.
 Un composto alchili bifunzionale, provoca alchilazione, di 2 basi, una di un filamento e
una di un altro filamento per cui si origina doppia mutazione detta ALCHILAZIONE A
PONTE. Questi inducono comparsa di carcinomi a carico delle vie respiratorie.
 I “siti caldi” del DNA, ovvero con maggiore nucleofilia quindi con maggiore reattività
verso i gruppi alchilici sono: Guanina N7/O6/N3/2NH2/C8, Adenina N1/N3/N7/6-
NH2, Citosina N1/N3/N7, Timina O4/C-6.
 Le alterazioni prodotte dall’alchilazione del DNA sono: 1) rottura di 1 o entrambi
filamenti, 2) formazione di legami crociati e intra e extracatenari, 3) delezione di una
base, 4) sostituzione di una base.

Idrocarburi Alogenati.
Comprendono composti di produzione industriale con varie applicazioni: solventi, resine,
insetticidi (DDT), sostanze plastiche.

Sostanze Naturali.
Tra circa 30 sostante chimiche cancerogene prodotte da piante e microorganismi, il composto
più importante è l’aflatossina B1 potente cancerogeno epatico. E’ una potente tossina prodotta
da miceti e contamina le farine alimentari. Nei prodotti cosmetici ricordiamo il safrolo.

Prodotti inorganici.
Molti metalli o composti metallici possono indurre cancro (arsenico, ferro, cromo, nichel,
cobalto) ma il meccanismo d’azione è poco noto. Molti tumori da metalli sono legati alla
professione svolta. Tra i più noti ci sono quelli indotti dall’arsenico negli addetti all’agricoltura
esposti ad insetticidi contenenti questa sostanza. In questi soggetti c’è un aumentata
incidenza di tumori della pelle per contatto diretto o a livello polmonare per inalazione.

Cancerogeni Fisici.
1. Radiazioni ultraviolette.
2. Radiazioni ionizzanti.
3. Asbesto.
4. Corpi estranei.

1) Radiazioni ultraviolette.
Le radiazioni eccitanti (onde radio, microonde, radiazioni , VIS e UV) hanno energia inferiore a
10 eV rispetto alle ionizzanti e non sono adatte a rompere i legami chimici delle molecole da
esse bersagliate ma riescono solo a far saltare un elettrone da un’orbita interna a minore
energia a un’orbita esterna a maggiore energia. Le radiazioni UV di origine solare inducono un
aumento dei carcinomi di cellule squamose, dei carcinomi o a cellule basali e dei melanomi
maligni della cute. La radiazione ultravioletta è una posizione dello spettro elettromagnetico a
corta lunghetta d’onda, adiacente alla zona del violetto della visibile. La porzione ultravioletta
può essere divisa in 3 gruppi sulla base delle diverse lunghezze d’onda:
 Radiazioni UV-A (da 320 a 400 nm);
 Radiazioni UV-B (da 280 a 320 nm);
 Radiazioni UV-c (da 200 a 280 nm);
Tra queste si pensa che le radiazioni UV-B siano responsabili dell’insorgenze dei cancri
cutanei. Le radiazioni UV-C, benchè abbiamo ampia azione mutagena, si ritiene abbiano uno
scarso significato patologico poiché vengono filtrate dallo scudo d’ozono che circonda la terra.
Gli effetti della radiazione UV sulle cellule comprendono l’inibizione della divisione cellulare,
inattivazione di enzimi, mutagenesi, cancro, morte cellulare. Il potere cancerogeno delle
radiazioni UVB è da attribuire soprattutto alle capacità di indurre la formazione di dimeri di
basi pirimidiniche a livello del DNA. I dimeri di pirimidina si possono formare tra due timine,
2 citosine, o tra timina e citosina. Questo danno al DNA viene riparato da un sistema basato
sul taglio di nucleotidi chiamato NER e prevede:
 Riconoscimento della lesione sul DNA.
 Taglio del filamento danneggiato su entrambi i lati della lesione.
 Rimozione degli oligonucleotidi.
 Sintesi di un oligonucleotide che sostituisce quello rimosso.
 Legame del segmento neosintetizzato al DNA.
L’importanza del sistema NER è evidente nei pazienti portatori di una malattia ereditaria nota
come XERODERMA PIGMENTOSO: è questa una malattia autosomica recessiva in cui c’è un
evidente sensibilità alla luce associata a un’elevata incidenza di tumori cutanei come
melanomi, carcinoma basocellulare e carcinoma a cellule squamose. In questa malattia manca
un endonucleasi, enzima capace di rilevare la irregolarità nella struttura della II elica causata
dal dimero di pirimidina. Sono comunque cancerogeni diretti e in dosi subliminali inducono il
fenomeno dell’iniziazione.

2) Radiazioni ionizzanti.
Comprendono oltre alle radiazioni elettromagnetiche (raggi X e gamma), quelle corpuscolate
(particelle alfa, beta, protoni e neutroni). Sono molto più penetranti di quelli eccitanti poiché
contengono energia superiore a 10 eV (superiore all’energia presente nei legami chimici delle
molecole bersaglio) Varie sono le molecole bersaglio delle radiazioni ionizzanti tra cui: l’H2O,
dalla cui ionizzazione si originano radicali liberi reattivi (anch’essi cancerogeni); in questo
caso le radiazioni ionizzanti fungono da cancerogeni indiretti e il DNA ove le radiazioni
ionizzanti ionizzano gli atomi in esso presenti provocano danni diretti sul DNA. Tra i
principali ricordiamo: formazione di legami crociati tra i filamenti, rottura di essi (distruzione
di basi, rottura legame zucchero-fosfato, ciò determina delezioni, traslocazioni e mutazioni
puntiformi). Le cellule più sensibili alle radiazioni ionizzanti sono :
 Cellule emopoietiche e tiroidee (infatti l’irradiazione con radiazioni ionizzanti provoca
leucemie e tumori tiroidei).
 Gonadi (infatti le radiazioni ionizzanti possono sopprimere la gametogenesi causando
sterilità ).
Anche la ripetuta irradiazione locale con piccole dosi come avviene negli interventi
radioterapici, può essere seguita dalla comparsa di neoplasie a distanza di tempo.

3)Asbesto.
E’ un materiale usato nell’edilizia e comprende una famiglia di silicati fibrosi molto simili tra
loro, classificati come “serpentina” o “anfiboli”; le prime sono come fibre flessibili, le seconde
sono rigidi bastoncelli. Non è stato ancora stabilito se i tumori causati dall’asbesto siano da
considerarsi da agenti fisici o chimici. La deposizione delle fibre di asbesto nei polmoni
dipende più dal diametro che dalla loro lunghezza. Le fibre più spesse si fermano nelle vie
respiratorie superiori e sono responsabili della fibrosi polmonare; quelle sottili si depositano
negli alveoli. Il tumore associato all’esposizione alle fibre di asbesto è il mesotelioma maligno
della cavità pleurica e peritoneale ed è raro nella normale popolazione e osservato di più nei
lavoratori che contattano queste sostanze. Periodo di latenza (intervallo tra esposizioni o
comparsa del tumore) è di circa 20 anni.

4)Corpi estranei.
Molti sarcomi sono stati indotti in seguito all’impianto in roditori di materiali come fibre
varie, pellicole metalliche o di plastica. La natura chimica di questi materiali non è una
proprietà importante ai fini della cancerogenesi, dal momento che dischi di carbonio possono
dare origine a sarcomi. Sono piuttosto importanti dimensioni, levigatezza sella superficie e
durata della permanenza dell’impianto. Queste forme di tumore sono altamente specie-
specifiche. Es. Tumori da camina:
L’inserzione chirurgica di una lamina d’oro o di materiale plastico nel sottocutaneo del topo è
seguita a distanza di tempo dalla comparsa si un sarcoma. L’incidenza della comparsa del
tumore diminuisce fino a scomparire se vengono impiantate lamine traforate. Il decremento è
proporzionale al n° e al diametro dei fori. Non c’è relazione tra natura chimica della lamina e
insorgenza dei tumori:
 Lo stesso materiale, se impiantato sotto cute in eguali quantità ma sotto forma di
police risulta privo di potere cancerogeno.
 L’incidenza di comparsa del tumore è tanto maggiore quanto maggiore è la superficie
della lamina ed è correlata alla forma della stessa: l’incidenza è maggiore se la lamina
ha la forma di un bottone.

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