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L’autonomia moltiplicativa delle cellule tumorali, responsabili della comparsa del tumore
(inteso come tumefazione) e della neoplasia (intesa come nuova formazione) deriva da:
1. RIDUZIONE E PERDITA della proprietà di sottostare ai meccanismi regolatori della
proliferazione cellulare.
2. RIDUZIONE E PERDITA della possibilità di andare incontro ad apoptosi, con la
conseguenza che la sopravvivenza, comporta incremento numerico delle cellule che
possono replicarsi.
Tumori Benigni.
1. Sono formati da cellule molto simili alle cellule normali per molte caratteristiche
morfologiche e funzionali.
2. Hanno uno sviluppo di tipo espansivo comprimendo i tessuti vicini che possono andare
incontro a fenomeni di ipotrofia e atrofia. Il tumore benigno non invade e non infiltra i
tessuti vicini ma si limitano a comprimerli. Questo comunque può essere fonte di
danno, infatti la semplice compressione può indurre comparsa di manifestazioni
patologiche (es. l’aumento di volume di un tumore benigno dell’adenoipofisi può
determinare compressione del chiasma ottico alterando la vista).
3. I tumori benigni di molte ghiandole endocrine (ad es. adenomi, ovvero tumori benigni
Epitelio ghiandolare), sintetizzano e secernono ormoni e danno luogo a una
sintomatologia iperfunzionale della ghiandola in cui sono insorti. Le cellule tumorali
inoltre sono indipendenti dai meccanismi regolatori di feedback per ridotta
espressione dei recettori per l’ormone periferico che fisiologicamente regolano sintesi
e rilascio dell’ormone stesso. Alcuni tumori benigni della stessa ghiandola sono
costituiti da più citotipi e producono più di un ormone, altri non producono ormoni e
restano silenti sotto l’aspetto della patologia pur comprimendo i tessuti vicini.
4. Se i tumori benigni originano dall’epitelio ghiandolare (adenomi) sono di solito
avviluppati da una capsula di tessuto connettivo che li delimita dai tessuti confinanti
avvolgendoli del tutto (tale capsula non previene la crescita tumorale ma fa si che la
massa resti delimitata e facilmente asportata).
5. I tumori benigni producono fattori di crescita per il connettivo e per endotelio
vascolare, per cui formano un proprio stroma e un proprio letto vascolare che
rappresentano sostegno meccanico e nutrizionale.
6. I tumori benigni, una volta asportati non recidivano a condizione che la rimozione sia
totale.
7. I tumori benigni hanno una crescita localizzata ovvero restano confinati al sito di
origine dove possono dar luogo a masse di notevoli dimensioni.
8. Non danno luogo a crescita infiltrante sui tessuti vicini, né a diffusione metastatica,
insorgono e permangono sotto forma di neoformazioni localizzate.
9. Le cellule tumorali benigne hanno bassa velocità di crescita, non danno luogo a
cachessia e sono notevolmente differenziate. I tumori ben differenziati sono costituiti
da cellule che presentano un buon livello di somiglianza con gli elementi maturi
normali del tessuto da cui la neoplasia ha avuto origine, mentre i tumori scarsamente
differenziati o del tutto indifferenziati sono costituiti da cellule immature e non
specializzate.
Tumori Maligni.
1. Sono costituiti da cellule che si presentano diversi dalle corrispondenti cellule normali
sotto tutti gli aspetti, da quello morfologico a quello funzionale e in particolare sotto
quello comportamentale. Nessuna delle alterazioni citologiche presenti nei tumori
maligni è specifica per la condizione di malignità , tuttavia l’insieme di esse consente al
patologo di formulare la diagnosi di un tumore maligno sia all’esame istologico che
quello citologico.
2. Sono definiti ANAPLASTICI (o fortemente indifferenziati) quando il grado di
differenziazione delle cellule è talmente basso da non consentire sotto l’aspetto
morfologico, l’individuazione del citotipo da cui ha preso origine.
3. I tumori maligni si infiltrano e poi distruggono i tessuti limitrofi sani facendo in modo
che il tessuto neoplastico si sostituisce ai tessuti sani. L’invasività neoplastica non si
limita al derma ma può in un secondo momento interessare i tessuti sottostanti senza
rispettare le pareti dei capillari sanguigni e linfociti che oltrepassano grazie alle loro
capacità motorie. Sospese nel sangue o nella linfa, le cellule tumorali costituiscono gli
EMBOLI NEOPLASTICI che poi grazie alla circolazione sanguigna vengono trasportati
in siti diversi da dove è sorto il tumore primario.
4. Cellule dei tumori maligni hanno capacità metastatica che trasforma il tumore da
localizzato a diffuso all’intero organismo.
5. Hanno possibilità di recidiva dopo asportazione chirurgica del tumore primitivo. Ciò si
deve alla capacità delle cellule tumorali di infiltrarsi nei tessuti vicini, che rende spesso
impossibile l’asportazione totale del tumore primario. Le cellule superstiti possono
dare origine ad un nuovo tumore.
6. Provocano cachessia ovvero un progressivo e rapido decadimento dell’organismo che
va incontro a una massiccia perdita di peso, apatia etc. Ipoalbuminemia con
formazione di edemi e anemia possono aggravare stato generale del paziente che inizia
a presentare ridotta resistenza alle infezioni. La cachessia si verifica di solito nella fase
terminale del tumore, ci sono anche casi in cui essa precede la sintomatologia correlata
alla presenza della neoplasia.
7. Le cellule di un tumore maligno sono caratterizzate da crescita molto rapida.
Nomenclatura dei tumori.
Ogni citotipo può andare incontro a trasformazione neoplastica. Sono state proposte
numerose classificazioni dei tumori, ma quella accettata è basata su 2 criteri, basati
sull’osservazione microscopica delle reazioni istologiche della neoplasia:
1. CRITERIO ISTOGENETICO: tiene conto del riconoscimento del tessuto da cui il tumore
ha preso origine.
2. CRITERIO PROGNOSTICO: basato sull’identificazione della malignità o benignità del
tumore.
I tumori possono essere classificati su base eziologica perché:
Le cause di molti tumori non sono sempre individuabili.
Lo stesso agente oncogeno può causare tumori differenti.
Lo stesso tumore può essere indotto da agenti diversi.
Per quanto riguarda la nomenclatura dei tumori:
Si aggiunge il suffisso “oma” al nome del citotipo o del tessuto da cui il tumore (benigno
o maligno) ha preso origine. (FIBROMA= tumore benigno tessuto connettivo fibroso,
ADENOMA= tumore benigno dell’epitelio ghiandolare, EPITELIOMA= tumore maligno
dell’epitelio, SARCOMA= tumore maligno del connettivo.)
Alcuni tumori hanno il nome in base alla funzione del corrispondente citotipo sano
(IMMUNOBLASTOMA).
In alcuni casi al tumore viene assegnato il nome dello studioso che per primo lo
identificò (SARCOMA DI EWING, LINFOMA DI HODGKIN)
In altri casi il tumore viene definito con il suffisso “BLASTOMA” per indicare la
somiglianza della neoplasia con precoci strutture embrionali (RETINOBLASTOMA,
NEUROBLASTOMA, MIOBLASTOMA).
Distinguiamo:
1. TUMORI DEL TESSUTO EPITELIALE.
2. TUMORI DEL TESSUTO CONNETTIVO
3. TUMORI DEI TESSUTI EMOPOIETICI
4. TUMORI DEL SISTEMA MELANOFORO
5. TUMORI DI ORIGINE PLACENTARE E EMBRIONALE
6. TUMORI DEL SISTEMA NERVOSO.
Le leucemie sono processi neoplastici delle cellule emopoietiche con compromissione della
loro maturazione e quindi delle funzioni che gli elementi maturi esercitano fisiologicamente.
Due sono gli errori cellulari del processo leucemico:
1. Abnorme proliferazione cellulare (comune a tutte le neoplasie)
2. Il blocco in una delle tappe del processo di maturazione, con conseguente accumulo o
passaggio nel sangue di cellule immature. Il decorso clinico è più grave nelle forme
scarsamente differenziate, meno grave in quelle più differenziate. Le leucemie vengono
distinte in acute e croniche: le acute conducono molto rapidamente a morte e la cellula
staminale emopoietica subisce blocco maturativo in uno stadio molto precoce, le
croniche hanno decorso più lento che si aggrava progressivamente ed il blocco
maturativo della cellula staminale emopoietica avviene in stadi più avanzati.
Distinguiamo:
LEUCEMIE LINFOIDI: Derivano dalla trasformazione neoplastica di un progenitore dei
linfociti T e B e si distinguono in acute e croniche sia per il loro decorso, sia in
riferimento al grado di differenziamento del progenitore linfoide da cui hanno preso
origine.
LEUCEMIE MIELOIDI: Anch’esse distinte in acute e croniche, vengono classificate sulla
base della linea di differenziazione (monocitica, megacariocitica, granulocitica).
ERITROLEUCEMIE: Neoplasie che originano in seguito alla trasformazione neoplastica
di un progenitore della linea eritroide.
TUMORI PLASMACELLULARI: gruppo eterogeneo di neoplasie costituiti dalla progenie
di una plasmacellula che ha subito la trasformazione neoplastica. Tali cellule
sintetizzano e secernono un eccesso di Ig, prodotta dalla progenitrice.
Tumori del sistema melanoforo.
I tumori benigni del sistema melanoforo sono detti nevi e più che tumori benigni sono
considerati AMARCOMI cioè neoformazioni risultanti dall’accumulo casuale di più tessuti. I
nevi sono di solito presenti alla nascita o si manifestano nei primi anni di vita.
NEVO CELLULARE: detto comunemente neo. Derivano dal melanocita. I nei sono così
diffusi che non rappresentano una condizione patologica.
NEVO GIUNZIONALE: i melanociti si accumulano nella giunzione epidermide-derma.
Col tempo migrano verso il derma, dove formano agglomerati di varia dimensione.
Conseguente a ciò si può formare NEVO INTRADERMICO che di solito resta
quiesciente.
I tumori maligni del sistema melanoforo sono detti MELANOMI e possono formarsi sia nei nei
preesistenti che in zone dell’organismo che ne sono sprovviste. Sono molto maligni e a rapida
diffusione metastatica.
5. ALTERAZIONE DEL NUCLEOLO: Volume dei tumori può aumentare fino a 10 volte
rispetto a quello normale. Inoltre un singolo nucleo può presentare da 2 a 10 nucleoli.
Queste alterazioni sono dovute dal fatto che mentre in una cellula normale la presenza
del nucleolo è sotto controllo di una sequenza di DNA detta “regione organizzativa del
nucleolo”, in una cellula tumorale l’aumentato volume del nucleolo (ipertrofia) può
essere spiegato con il funzionamento contemporaneo di più regioni organizzative del
nucleolo. Inoltre in una cellula normale, tutte le componenti nucleolari (DNA, RNA,
proteine) sono veicolate ordinatamente a formare un gomitolo detto nucleolonema,
mentre nella cellula tumorale le componenti nucleolari o possono separarsi tra loro
(SEGREGAZIONE) o a volte il gomitolo si disorganizza in frammenti appena visibili
sparsi nel nucleoplasma (FRAMMENTAZIONE).
6. ALTERAZIONE DELLA MEMBRANA PLASMATICA: La membrana plasmatica a causa del
citoscheletro ad essa associato, può presentare alterazioni della sua polarità e delle
funzioni che da esse dipendono. Inoltre microvilli, ciglia, canali ionici e recettori di
membrana possono scomparire o cambiare funzionalità .
7. RETICOLO ENDOPLASMATICO: Sia quello liscio che rugoso sono in genere diminuiti,
tranne nel caso di tumori indotti da cancerogeni chimici, in cui il R.E. liscio è talvolta
aumentato.
8. RIBOSOMI: In genere aumentano nelle cellule tumorali.
9. ALTERAZIONI DEL CITOSCHELETRO: Il polimorfismo cellulare, tipico dell’anaplasia
morfologica dei tumori maligni è una delle più importanti conseguenze delle
alterazioni del citoscheletro nelle cellule trasformate . Citoscheletro di una cellula è
formato da monomeri presenti nel citosol che polimerizzano per formare filamenti,
microtubuli, etc. Uno dei principali meccanismi di controllo dell’equilibrio tra forme
monomeriche e polimeriche è rappresentato dalla fosforilazione dei monomeri liberi
nel citosol ad opera di chinasi. In una cellula tumorale l’equilibrio tra le varie chinasi,
può essere alterato dal fatto che vari prodotti di oncogeni sono essi stessi delle chinasi
o collegati ad esse. Per questo motivo molte funzioni dipendenti dal citoscheletro, sono
alterate, perché è alterata la fosforilazione delle proteine coinvolte nella sua
costituzione come l’actina, etc.
10. ALTERAZIONE DEI MITOCONDRI: Dopo il nucleo i mitocondri sono quelli
maggiormente colpiti. Risultano alterati e differenti da quelli del tessuto d’origine
quanto più è alta la malignità del tumore. Nelle cellule tumorali i mitocondri sono
meno numerosi, più piccoli, hanno forma irregolare, variabile. La matrice è
disomogenea , poco densa, a volte vacuolizzata e può contenere gocce lipidiche,
particelle di glicogeno. Hanno creste diminuite, irregolari e cambiate di forma. Inoltre a
causa della presenza di propri acidi nucleici, i mitocondri sono spesso bersaglio di
virus oncogeni e agenti cancerogeni, sono possibili inclusioni virali nei mitocondri
tumorali. In una cellula sana i mitocondri importano macromolecole e particelle
presenti nel citoplasma o in altri comparti mediante meccanismo dipendente da un
recettore. In una cellula normale questo meccanismo può alterarsi per problemi
riguardanti il recettore e il trasportatore o per la presenza impropria della sequenza
d’importazione. La presenza di un tumore induce in un tessuto sano la formazione di
oncociti, ossia cellule con molti mitocondri, ricchi di creste. Ruolo degli oncociti è
probabilmente quello di eliminare i protoni prodotti in eccesso dalla glicolisi delle
cellule tumorali. Questi H+ vengono neutralizzati a livello delle creste con produzione
di H2O e ATP.
11. ALTERAZIONE DI ALTRI ORGANULI
PEROSSISOMI: Organuli citoplasmatici che contengono enzimi come catalasi,
SOD e hanno il ruolo di inattivare i radicali perossidi responsabili di
cancerogenesi. Nelle celliule tumorali c’è assenza o diminuzione perossisomi e
dei livelli di SOD in essi contenuti.
LISOSOMI : organuli citoplasmatici circondati da membrana che contengono
enzimi digestivi endocellulari. Nelle cellule tumorali appaiono grandi e
contengono materiali non digeriti per eventuali deficit enzimatici.
CENTRIOLI: Strutture contenenti microtubuli e sono implicati nella formazione
del fuso mitotico durante divisione cellulare. In una cellula tumorale sono
abnormi o presenti in molte coppie.
Inoltre a differenza delle cellule dei tessuti sani che non sono in grado di produrre nuovi vasi (
se non in condizioni particolari), le cellule tumorali sono in grado di provvedere alla loro
vascolarizzazione perché producono autonomamente fattori angiogenetici. Tale proprietà è in
gran parte responsabile della capacità di progressivo accrescimento di alcuni tumori maligni.
Lo studio dell’anaplasia morfologica viene fatto a 3 livelli di organizzazione:
1. ESAME MACROSCOPICO: vengono presi in esami la localizzazione, i limiti, la forma, il
colore, la consistenza della massa tumorale.
2. ESAME AL MICROSCOPIO OTTICO: Evidenzia la morfologia delle singole cellule e la
loro organizzazione nei tessuti.
3. ESAME AL MICROSCOPIO ELETTRONICO: permette di esplorare le componenti
subcellulari delle cellule neoplastiche.
Oncogeni.
Gli oncogeni agiscono come un acceleratore producendo quantità anormali di proteine
cellulari di sviluppo/controllo, portando così le cellule a diventare iperattive.
Oncogene: qualsiasi gene che con un guadagno di funzione contribuisce alla cancerogenesi;
letteralmente significa “gene capace di indurre la comparsa di un tumore”.
Protoncongene: famiglia di geni altamente conservati che codificano più proteine coinvolte in
meccanismi fondamentali del ciclo cellulare. Quando sono attivati in modo sregolato
diventano oncogeni. La scoperta degli oncogeni confermò che la trasformazione neoplastica è
riportabile a alterazioni del genoma di una cellula somatica, trasmissibile alla progenie. Gli
oncogeni codificano per proteine alterate e si comportano come dominanti in quanto è
sufficiente la mutazione di un solo allele perché il prodotto alterato esplichi la sua funzione.
Nelle cellule normali, in condizioni fisiologiche sono presenti protoncogeni, i cui prodotti
favoriscono fenomeni di moltiplicazione e differenziazione cellulare. Gli oncogeni prendono
origine dai protoncogeni per amplificazione o per mutazione ed è per questo motivo che i
protoncogeni vengono considerati gli equivalenti normali degli oncogeni. Quindi gli oncogeni
sono geni dotati di potere trasformante derivati da protoncogeni che hanno subito alterazioni
diverse.
ALTERAZIONE DELLE SEQUENZE REGOLARIE (sul protoncogene): oncogene che codifica per
un eccesso di prodotto con normale struttura: “Alterazione quantitativa”.
ALTERAZIONE DELLE SEQUENZE CODIFICANTI (sul protoncogene): oncogene che codifica
per un prodotto con una struttura modificata: “Alterazione qualitativa”.
Il primo oncogene codificato fu v-onc src, del virus del sarcoma di Rous (RSV) e la proteina
da esso codificata era una fosfoproteina (pp60v^src) dotata di attività enzimatica di tipo
proteinchinasica ovvero capace di trasferire gruppi fosfato ai residui amminoacidici di
altre proteine con conseguente regolazione delle loro attività . Precisamente pp60^src è
una tirosin-chinasi, ciè enzima in grado di fosforilare residui tirosinici di proteine
bersaglio. Nelle cellule normali la fosforilazione avviene a livello delle serine e delle
treonine per questo si ritenne che la fosforilazione in tirosina potesse rappresentare un
evento importante durante la cancerogenesi. A conferma di ciò si osservò che nelle cellule
normali la quantità di tirosina fosforilata risulta molto bassa e aumenta nelle cellule dei
tumori prodotti da virus dove l’oncogene codifica per una tirosin-chinasi. Successivamente
vennero identificati altri oncogeni con i loro rispettivi prodotti e attività da essi svolta che
in tutti i casi si dimostrò concessa alla proliferazione e alla differenziazione cellulare. Si
notò inoltre che proteine codificate dagli oncogeni sono sempre strutturalmente alterate
in confronto a quelle codificate dai protoncogeni e la mutazione comporta sempre
incremento della funzione da esse fisiologicamente espletata.
Oncogene INT2/HST1, KFGF codificano per prodotti appartenenti alla famiglia dei fattori
di crescita dei fibroblasti.
Recettori Tirosin-chinasici.
I recettori tirosin-chinasici allo stato inattivo sono inseriti come monomeri nella membrana, si
aggregano in dimeri in seguito all’interazione con il loro LBS (dominio che lega il ligando) e il
ligando. La dimerizzazione induce cambiamento conformazionale a cui segue attivazione
temporanea del sito catalitico con comparsa di attività tirosin-chinasica e le induce la
fosforilazione di residui tirosinici sia nel sito catalitico sia nel citosol. Es. erbA= recettore
ormoni tiroidei, erbB1/2= tirosin-chinasi. Es. iperespressione del recettore: Il prodotto
dell’oncogene verbB del virus dell’eritoblastosi aviaria (AEV), ha struttura simile a quella del
recettore per l’EGF (fattore crescita dell’epidermide). Il prodotto codificato dall’oncogene
virale è la glicoproteina gp6s^erbB ed è solo una porzione del recettore per l’EGF per cui esso
è definito “recettore troncato”. Gp6s^erbB è quasi totalmente privo della porzione
extracellulare, di parte della porzione intramembranacea e mantiene integra porzione
citoplasmatica perennemente attivata ovvero fornita di attività tirosin-chinasica. Il recettore
per l’EGF codificato dal protoncogene erbB, si attiva solo in seguito al legame con il suo
ligando specifico (FGF), invece il recettore troncato esercita una continua attività tirosin-
chinasica indipendentemente dall’interazione con il ligando, con il quale è anche
impossibilitato a interagire. E’ questo il motivo dell’enorme attività proliferativa delle cellule
dell’eritroblastosi aviaria indotta da AEV.
Le mutazioni puntiformi dei geni ras che hanno significato trasformante, interessano i codoni
12,13,59,61 e provocano 2 fenomeni:
1. Riduzione attività GTPasica delle proteine ras con la conseguenza che esse non si
distaccano dal GTP.
2. Facilitazione del distacco del GDP dal complesso ras/GDP.
Per tali motivi le proteine ras mutate fissano più a lungo il GTP, rimanendo attivate con
continua stimolazione dell’attività proliferativa delle cellule neoplastiche.
Trasduzione del segnale da parte delle proteine ras dal recettore attivato al nucleo.
Diviso in 6 tappe:
1. INTERAZIONE RECETTORE PROTEINA RAS: interazione della proteina ras con TRK
attivato dal ligando, cioè autofosforilato, non avviene direttamente ma è mediata dalla
proteina adattatrice GRB-2 fornita di moduli SH2 e SH3. Quando la cellula è quiesciente
domini SH3 formano complesso inattivo con i domini ricchi di prolina con la proteina
che è il fattore di scambio di nucleotidi guanidilici definita SOS. Con la ricezione dello
stimolo indotto da fattore di crescita, la GRB-2 tramite i moduli SHE ricchi di residui
amminoacidici a carica positiva crea un contatto elettrostatico con i gruppi fosfato a
carica negativa della porzione intracellulare del recettore in corrispondenza del suo
sito di autofosforilazione.
2. TRASLOCAZIONE DEL COMPLESSO GRB-2-SOS: complesso GRB-2-Sos viene traslocato
sul lato interno della membrana plasmatica in modo che SOS entri in contatto con la
proteina ras legante il GDP.
3. SCAMBIO DI NUCLEOTIDI GUANIDILICI NELLA PROTEINA RAS: SOS facilita nella
proteina ras legante GDP (inattiva) lo scambio con il GTP per cui risulta attivata.
Questa attivazione è modulata da GAP.
4. INTERAZIONE CON LA SERIN/TREONINCHINASI RAF-1: Proteina ras legante GTP
(attiva) assume conformazione diversa permettendo così di interagire con la proteina
citoplasmatica raf-1 (serin-treoninchinasi) che viene da essa attivata per
fosforilazione.
5. CASCATA DELLE MAPkinasi: La raf-1 attiva fosforila una MAPKK che una volta attivata,
fosforila a sua volta una MAPK.
6. TRASLOCAZIONE nel nucleo della MAPK: MAPK attivata è traslocata dal citoplasma del
nucleo dove per fosforilazione attiva determinati fattori di trascrizione che si legano ad
altre proteine nucleari. I complessi, così formati, regola trascrizione di determinati geni
i cui prodotti favoriscono proliferazione cellulare.
N.B. Oltre a ras, anche altri fattori della cascata di trasduzione del segnale (ras/raf/MAPk).
Serin-proteinchinasi.
Sono state individuate come prodotti oncogenici anche alcune serin-proteasi citosoliche
aberranti ovvero in stato di permanente attivazione tra le quali annoverano quelle della
famiglia raf e mos che in alcuni tumori sono sintetizzate fuori tempo e fuori luogo.
Oncogeni che codificano per fattori di trascrizione.
Molti protoncogeni codificano per fattori di trascrizione ovvero prodotti che direttamente
(positivamente o negativamente) sovrintendono alla regolazione dell’espressione di
determinati geni legandosi a specifiche sequenze del DNA dette regioni di controllo o regioni
di regolazione. Molti fattori di trascrizione vennero inizialmente identificati come prodotti
abnormi codificati da v-onc di retrovirus.
-Fas e Jun.
Un aumento transitorio dell’espressione del gene Fas consegue alla stimolazione di molti
citotipi con fattori di crescita e agenti promoventi e quindi appare verosimile che il prodotto
di questo gene svolge ruolo importante nella replicazione e differenziazione cellulare. La
proteina Fas forma un complesso con una proteina codificata dal protoncogene jun a sua volta
identificata come controparte cellulare di un v-onc di un retrovirus agente in un sarcoma
aviario. Il complesso jun-fas è anch’esso attivo come fattore di trascrizione.
-C-myc.
Identificato come v-onc in alcuni retrovirus aviari trasformanti responsabili
dell’insorgenza di vari tumori )sarcomi, carcinomi, leucemia mieloide).
In seguito si riconobbe l’omologo c-onc coinvolto in molte forme neoplastiche
sostenute sia da retrovirus trasformanti lenti (privi di v-onc) che da DNA virus (come
nel linfoma di Burkitt che la sua attivazione dipende dalla traslocazione del
cromosoma 8 in altri cromosomi).
Come fattore di trascrizione, proteina c-myc esercita effetti contrastanti
comportandosi a volte come repressore a volte come attivatore con conseguenze
diverse che vanno dalla stimolazione della progressione cellulare all’induzione della
morte cellulare programmata. Questo comportamento anomalo è stato chiarito in
seguito alla scoperta che per splicing alternativo prendono origine 2 proteine distinte
c-myc1 e c-myc2 dove la prima appare soppressiva e la seconda facilitante la
proliferazione cellulare.
Per essere attiva c-myc deve complessarsi con un’altra proteina detta max con
formazione di eterodimeri myc-max che sono attivatori della trascrizione genica,
mentre gli omodimeri max-max sono inibitori. Un altro regolatore trascrizionale Mad,
può legarsi a max e formare dimero mac-mad che agisce come inibitore della
trascrizione genica e quindi il livello di attivazione trascrizionale di c-myc è regolato
non solo dai livelli di c-myc stesso ma anche dalla quantità di max e mad. Poiché
l’eterodimero myc-max favorisce proliferazione, e max-mad la inibisce, mad è un
oncosoppressore.
Poiché non ci sono dubbi che myc-mac si leghino al DNA e attivino la trascrizione e
quindi proliferazione cellulare, sono stati individuati anche eventuali geni attivati come
geni che codificano per Cdk, Cdk1, ornitina decarbossilasi.
Myc può indurre anche la cellula ad andare in apoptosi
C-myc e fas-jun fanno parte dei geni della crescita a risposta immediata, infatti questi
geni vengono indotti quando una cellula quiescente riceve il segnale per la divisione.
Poi l’espressione di c-myc torna a livelli di base.
Gli oncogeni virali identificati vennero designati con 3 lettere indicanti il virus in cui
l’oncogene era contenuto o il tumore che causava ( ad es. oncogene virale del virus del
sarcoma di Rous che causava sarcoma nel pollo e in altri volatili venne detto src). Poi si scoprì
che sequenze simili ma non identiche a quelle dei v-onc erano presenti nel genoma non solo
delle cellule normali del pollo, ma anche in cellule distanti filogeneticamente dal pollo (uomo
compre) anche in assenza di infezioni virali. Queste sequenze vennero definite c-onc
(oncogeni cellulari) e si capì che v-onc dovevano aver preso origine da geni presenti nelle
cellule eucariotiche e si giunse alla conclusione che durante l’evoluzione, alcuni retrovirus
privi di v-onc avevano acquisito tali geni dalle loro cellule ospiti per ricombinazione genica
durante la replicazione virale. Gli stessi retrovirus erano capaci di introdurli nelle cellule
ospiti da essi infettate. Si era stabilita l’origine virale di v-onc. Inoltre per spiegare le
differenze strutturali esistenti tra le due tipologie di sequenze oncogeniche si ritenne che nel
processo di retrotrascrizione si potessero verificare vari errori, responsabili della copia errata
di un certo n° di sequenze dell’RNA virale in DNA e che il furto di un gene potesse essere
totale o parziale. Oltre ai protoncogeni “rubati” dai retrovirus durante il processo di
replicazione virale e quindi forniti di sequenze simili a quelle dei corrispondenti v-onc, ci sono
anche protoncogeni mai trasferiti a retrovirus ma pur sempre in grado di dare origine per
amplificazione o mutazione a oncogeni. Vennero pian piano scoperti molti oncogeni privi di
omologhi retrovirali, i cui corrispondenti protoncogenici facevano costantemente parte del
genoma delle cellule normali, avvalorando l’origine degli oncogeni dai protoncogeni.
Oncosoppressori.
Gli oncosoppressori si dividono in:
GATEKEEPERS: regolano negativamente la crescita cellulare, inibiscono proliferazione
cellulare, inducono morte cellulare, la loro inattivazione induce aumento della crescita
cellulare (Rb controllo trascrizione dei geni in fase S)
CARETAKERS: regolano integrità genomica, la loro inattivazione non causa un
aumento della crescita cellulare ma un aumento del tasso di mutazione dovuta ad
instabilità genetica. Tp53 è un fattore di trascrizione e mantiene l’integrità del genoma
inducendo blocco del ciclo e apoptosi, BRCA1/2 integrità del genoma, ATM integrità
del genoma, attiva sistemi di riparazione, attiva p53, rallenta il ciclo mitotico in fase G2.
Nel genoma di tutte le cellule c’è un'altra categoria di geni, i geni oncosoppressori e le
proteine da essi codificate hanno funzione opposta rispetto a quelle codificate dagli oncogeni.
Queste proteine fermano e non favoriscono la moltiplicazione cellulare facendo sì che le
cellule permangono in uno stato di riposo proliferativo e si avviino verso il differenziamento o
se c’è un danno genomico irreparabile che si avviino verso l’apoptosi. I geni oncosoppressori
fisiologicamente:
Controllano negativamente la progressione del ciclo cellulare.
Contrastano la trasformazione e la progressione neoplastica.
In condizioni normali la regolazione del ciclo di replicazione cellulare dipende dall’equilibrio
tra i prodotti dei protoncogeni e i prodotti di questi geni. Funzioni antioncoproteiche:
Innesco dei meccanismi che inducono a pausa tra una fase e l’altra del ciclo cellulare.
Avvio dei processi di riparazione del DNA , differenziazione e morte cellulare
programmata.
Nelle cellule tumorali i geni oncosoppressori risultano:
Perdenti (fenomeno delezione genica)
Alterati da mutazioni inattivanti
Permanentemente repressi in conseguenza di ipermetilazione del loro DNA.
In caso di delezione o ipermetilazione non vengono codificati i rispettivi prodotti, in caso di
mutazione questi prodotti sono strutturalmente abnormi e incapaci a svolgere la loro
funzione fisiologica. Quindi la mancanza della funzione espletata dai geni oncosoppressori
entra in gioco nella trasformazione e nel mantenimento della condizione neoplastica.
Oncosoppressore: gene che attraverso la “perdita di funzione” contribuisce alla
cancerogenesi”.
TP53 mappato nell’uomo ha 10 esoni e codifica per una fosfoproteina nucleare di 53 KDa
(p53) costituita da 393 aa che ha sequenze molto conservate nel corso dell’evoluzione nelle
varie specie di vertebrati. P53 nella forma selvatica nelle cellule normali è contenuta in
pochissime quantità e per poco tempo a causa della sua breve emivita (20 min). Nelle cellule
tumorali di origine non virale , essa (se non è assente in seguito a delezione di TP53)è
codificata in forma mutata che oltre a non avere attività trascrizionale, si presenta stabile con
una emivita più lunga che in alcuni tumori può avere durata di 7 ore. P53 è una fosfoproteina
molto versatile perché innesca reazioni che determinano la comparsa di varie risposte
cellulari a volte contrastanti tra loro. Per capire le molteplici funzioni di p53 è necessario
sapere che è munita di numerosi domini che le consentono di interagire con numerose
proteine e di 4 domini che regolano la sua attività di trascrizione:
I DOMINIO TRANSATTIVANTE: Esegue duplice compito: è in grado di attivare geni che
codificano per prodotti che esercitano azione negativa sulla progressione del ciclo
cellulare; è in grado di esercitare repressione trascrizionale sui geni che codificano per
prodotti che favoriscono avanzamento della cellula nel ciclo replicativo (es. geni che
codificano per le cicline). Affinchè p53 possa espletare queste funzioni deve essere
traslocata nel nucleo, dopo fosforilazione della serina 316 da proteinchinasi. La
funzione transattivante è perduta nei tetrameri in cui una o più molecole di P53 sono
mutate.
II DOMINIO LEGANTE IL DNA: consente interazione con il DNA.
III DOMINIO OLIGOMERIZZANTE: E’ preposto all’interazione con altra molecola di p53
che risulta attiva solo sottoforma di omotetramero.
IV DOMINIO RESPONSABILE DELL?AUTOINIBIZIONE DELLA SUA ATTIVITA’
TRANSATTIVANTE: E’ ricco di aa basici a carica positiva; solo in seguito a
fosforilazione rende la molecola capace di interagire con il DNA tramite il suo dominio
DNA-BINDING.
Oltre a mutazioni somatiche e ereditarie, la funzione del gene p53 può essere inattivata
attraverso altri meccanismi:
1. Antigene T grande SV40 o E1B di adenovirus, reagiscono con p53 inattivandola.
2. Le proteine mdm2 (che normalmente forma un complesso con p53, inattivandola
quando il danno è stato riparato) è iperespresso in alcuni sarcomi dei tessuti molli
conseguentemente a amplificazione del gene che la codifica. Questo determina la
rapida degradazione di p53.
Nelle cellule tumorali in cui p53 non è presente per delezione del gene o è presente in forma
mutata (mutazioni che interessano p53 colpiscono dominio legante il DNA, impedendo
trascrizione dei geni sotto il suo controllo), l’arresto del ciclo in seguito a danno del DNA non
avviene per cui esse, continuando a dividersi, tramandano il danno alla progenie che
presentando lo stesso difetto, finiscono con accumulare mutazioni che sono il movente della
progressione neoplastica. Il ripetersi del fenomeno nelle varie generazioni cellulari comporta
comparsa della cosiddetta instabilità genomica, ovvero accumulo progressivo di danni
genomici. Per questo Tp53 è stato definito il guardiano del genoma.
Per quanto riguarda il bivio apoptosi/arresto ciclo vitale si pensa che l’una o l’altra via
dipenda dalla [p53] nel senso che:
Elevata [p53] porta all’apoptosi.
Basse [p53] porta all’arresto del ciclo cellulare.
Altri Oncosoppressori.
1. WT 1: mappato nel cromosoma 11 è correlato all’insorgenza del tumore renale
infantile, tumore di Wilms. Codifica per una proteina funzionalmente attiva come
fattore di trascrizione la p46-49^wt, fornito di 4 domini a “dita di zinco” e regione ricca
in prolina e acido glutammico. Presente in 2 isoforme che si formano per lo splicing
alternativo. Il gene wt1 è fisiologicamente espresso solo nelle cellule di pochi organi in
particolare durante sviluppo fetale a differenza di altri come RB1 e p53 la cui
espressione è ubiquitaria. Proteina codificata da wt1 ha molte omologie con i domini di
altri fattori di trascrizione codificati da quei geni detti “geni della risposta precoce”
ovvero EGR. Quindi l’interazione con il DNA avviene in corrispondenza delle stesse
sequenze, infatti wt1 sembra agire come EGR 1 bloccando trascrizione di geni diversi
che codificano per fattori di crescita (PDGF) o per recettori di fattori di crescita.
2. ONCOSOPPRESSORI BRCA 1 BRCA 2: mutazioni ereditariamente trasmesse del gene
BRCA1 e/o BRCA2 sono responsabili del carcinoma alla mammella che colpisce le
donne di età inferiore ai 30 anni. Mutazioni a carico di BRCA1 può causare anche
carcinoma ovarico. BRCA 1: mappato nel cromosoma 17 codifica per una fosfoproteina
che è un fattore di trascrizione costitutivamente espresso nelle cellule dell’epitelio
alveolare della ghiandola mammaria. Il 45% dei carcinomi mammari è dovuto a alla
mancata espressione del suo prodotto (BRCA1) o dalla presenza di una forma troncata
nel citoplasma invece che nel nucleo. BRCA2 : mappato nel cromosoma 13 appare
anch’esso coinvolto nel 40% dei carcinomi mammari. Le proteine codificate da
entrambi i geni si localizzano nel nucleo e si pensa siano coinvolte nella regolazione
della trascrizione. Le proteine BRCA 1 e 2 interagiscono con rod 51, proteina implicata
nei processi di ricombinazione e riparazione del DNA; quindi mutazioni a livello dei
geni BRCA concorrono a produrre errori nelle replicazione del DNA a loro volta
responsabili dell’insorgenza di mutazioni di altri geni che controllano direttamente il
ciclo e la crescita cellulare. Questa ipotesi è del tutto in accordo con il gatto che il gene
BRCA1/2 è in grado di esercitare un controllo inibitorio sul ciclo cellulare attivando la
trascrizione di p21 (inibitore di Cdk). Mutazioni a carico dei 2 alleli sono state
riscontrate anche in altri tumori come colon-retto, mammella maschile, quasi sempre
in associazione con la perdita del gene RB1. Si ritiene che attività dei 2 geni sia
associata alla modulazione della replicazione cellulare.
3. ONCOSOPPRESSORI NF1 e NF2: Gene NF1 presente sul cromosoma 17 codifica per una
proteina definita p120^gap o neurofibromina che ha sequenze aa omologhe a quelle
presenti nel sito catalitico della proteina GAP il cui compito è favorire attività GTPasica
della proteina ras, mantenendo la proteina nello stato inattivo. La sua inattivazione
determina il mantenimento dell’attività della proteina ras che continua a legare GTP. Il
gene NF2 presente nel cromosoma 22codifica per una proteina detta merlina o
Schwannomina che collega il citoscheletro e la membrana plasmatica. Il gene NF1
provoca neurofibromatosi di tipo1, il gene 2 provoca neurofibromatosi di tipo II con
comparsa di carcinomi a carico dei 2 nervi acustici.
4. ONCOSOPPRESOORE FAP: Mutazione/delezione di FAP provoca la poliposi-
adenomatosa familiare, una sindrome ereditaria trasmessa con caratteristiche di
dominanza caratterizzata dalla comparsa tra i 20 e 30 anni di molti polipi a carico del
colon retto che vanno incontro a trasformazione maligna.
5. ONSOPPRESSORE DCC: Dall’alterazione degli alleli di questo oncosoppressore
mappato nel cromosoma 18 si formano carcinomi del colon, ma non adenomi.
6. ONCOSOPPRESSORE FHIT: Mappato nel cromosoma 3, contende al TP53 il ruolo di
gene + coinvolto nei tumori umani. Si presenta inattivato da delezioni bialleliche o da
vari tipi di mutazione delle linee cellulari derivate da tumori umani di vari organi
(colon, stomaco, mammella, rene, esofago, polmone, pancreas). La banda dove è situato
il gene FHIT è una regione fragile che facilmente va incontro ad alterazioni in seguito
all’esposizione di cellule normali a agenti genotossici o integrazione di materiale
genetico estraneo. Se le rotture non vengono riparate la cellula muore, se risulta
imperfetta si verificano costanti delezioni a carico di esoni del gene FHIT, responsabili
dell’acquisizione di un vantaggio proliferativo a carico della cellula. Cellule che
presentano delezioni croniche di tale gene hanno o mancata sintesi della proteina
codificata o sintesi di un prodotto abnorme in genere di dimensioni ridotte o sintesi
contemporanea di prodotto normale e aberrante o sintesi di proteina di normali
dimensioni. Questa regione del cromosoma 3 viene definita FRA3B/FHIT, FRA per la
fragilità e FHIT perché codifica per un prodotto omologo a proteine della famiglia della
triade istidinica.
Ciclo Cellulare.
E’ la successione unidirezionale dei fenomeni che culminano nella riproduzione cellulare
comprende 4 fasi:
G1, S, G2: formano l’interfase (ovvero il periodo tra 2 divisioni cellulari successive)
M: Fase in cui si realizza la duplicazione cellulare e comprende la mitosi (divisione
cellulare) e la citodieresi (divisione citoplasma).
Il passaggio da una fase all’altra è detto ed ha luogo solo quando sono stati completati tutti gli
eventi specifici della fase precedente. Per le cellule umane che si duplicano frequentemente,
l’intero ciclo dura 24h in media. L’interfase è la fase in cui una cellula trascorre più del 90%
della sua vita e comprende la fase G1 e G2 (G sta per “gap” che in inglese vuol dire
interruzione, in quanto in queste 2 fasi non si svolgono eventi morfologicamente appariscenti
nonostante ciò il meccanismo biochimico della cellula è sempre attivo) e la fase S in cui si
verifica la sintesi del DNA.
1. FASE G1: E’ la più lunga tra le fasi del ciclo cellulare ed è quindi la sua durata
dell’intero ciclo; le altre fasi invece, hanno una durata pressochè costante. A seconda
del citotipo la fase G1 può avere durata diversa: 1)per le cellule emopoietiche che si
riproducono attivamente, la fase G1 dura poche ore; 2) per le cellule stabili del fegato
che si riproducono occasionalmente, la fase G1 può durare anche 10 ore; C’è quindi una
regolazione genetica programmata della durata di questa fase, che origina cicli
riproduttivi di durata caratteristica per ogni citotipo. In situazioni di emergenza inoltre
le cellule sono in grado di modificare la durata della fase G1. L’ingresso delle cellule
nella fase G1 è favorito dalla presenza dei fattori di crescita. La maggior parte dei
fattori di crescita favorisce la progressione del ciclo cellulare mentre le citochine hanno
attività antiproliferativa ovvero innescano segnali di arresto che bloccano la cellula e le
fanno uscire dal ciclo, convogliandole nella fase G0. La fase G0 (extraciclica) ove le
cellule possono permanere per un periodo di tempo + o meno lungo, è la fase in cui le
cellule portano a termine il loro programma differenziativo, senza moltiplicarsi. Il
momento della fase G1 che costituisce il bivio verso la replicazione o la
differenziazione è detto PUNTO DI RESTRIZIONE (o R1 o di non ritorno), in realtà in
tutto il ciclo cellulare ne troviamo 2: 1) R1 nella transizione G1-S; 2) R2 nella
transizione G2-M. Su entrambi agiscono dei meccanismi di controllo detti check points,
meccanismi questi che sorvegliano la normale progressione del ciclo cellulare. Questi
meccanismi sono in grado di fermare il ciclo cellulare in caso di alterazioni durante il
processo. I check points più studiati sono quelli coinvolti nella prevenzione della
trasformazione neoplastica e agiscono:
O bloccano la cellula nel punto R1, se il DNA cellulare è stato alteratoda un
danno. In questo caso o entrano in azione meccanismi di riparo di cui la cellula
dispone o si ha l’apoptosi.
O bloccando la cellula nel punto R2, punto in cui vengono arrestate le cellule che
rischiano di andare incontro ad anomalie nella divisione mitotica. Se la cellula
non è indirizzata in G0, deve prepararsi alla replicazione e raddoppiare
costituenti nucleari; deve infatti sintetizzare proteine enzimatiche e strutturali
che le permetteranno di accrescersi, lipidi e carboidrati. Tutti questi eventi sono
innescati dall’azione dei fattori di crescita che:
Si legano alla porzione extracellulare dei recettori TK specifici per essi.
In seguito a ciò si verifica la fosforilazione della porzione
intracitoplasmatica dei recettori TK.
Questa fosforilazione attiva fattori di trascrizione già presenti nelle
cellule.
Tali fattori di trascrizione promuovono a loro volta la trascrizione di un
gruppo di geni detti IEG (geni dell’immediata risposta precoce) che
codificano per proteine che stimolano la cellula a uscire dalla fase G0 per
rientrare nel ciclo replicativo e avanzare in G1. Trai principali IEG
ricordiamo: c-fas e c-jun che codificano per 2 proteine (p55 e p3l) che
formano eterodimero AP-1 che agisce come fattore trascrizionale per
altri geni che codificano per proteine necessarie all’avanzamento in G1
della cellula; c-myc il cui prodotto può formare eterodimero con il
prodotto del gene max, che attiva trascrizione di geni codificanti
proteine coinvolte nella sintesi del DNA e per geni codificanti per CDK.
L’attivazione degli IEG è seguita dall’attivazione di altri geni chiamati
DEG (risposta precoce ritardata). L’attivazione dei DEG è dovuta a fattori
di trascrizione sintetizzati nella prima ondata di espressione genica. I
prodotti di questi geni sono coinvolti per la sopravvivenza cellulare.
2. FASE S: E’ così detta perché si verifica la sintesi del DNA e dura complessivamente 6/8
ore. Quando la fase S si conclude, la cellula ha un patrimonio cromosomico tetraploide
(46 coppie di cromosomi) e pertanto contiene quantità di DNA doppia, in modo che
ognuna delle cellule figlie avrà poi un patrimonio cromosomico diploide. Vengono
prodotte proteine istoniche e non. L’ingresso della cellula nella fase S è dovuto a
determinati fattori di crescita detti FATTORI DI PROGRESSIONE come inulina e fattori
inulino simili. L’arresto delle cellule in fase S è letale per esse; ed è infatti su questo
comportamento che al fine si basa l’azione di alcuni chemioterapici al fine di bloccare
la replicazione cellulare. Quando la cellula entra in fase S, il continuo del ciclo cellulare
è indipendente dai fattori di crescita esogeni, poiché le cellule diventano refrattarie e
iniziano a svolgere programma autonomo fino al completamento della mitosi.
3. FASE G2: Segue la fase S e dura circa 4 ore. Durante questa fase vengono duplicati
organuli citoplasmatici, sintetizzate proteine e le cellule mantengono tetraploide il n°
di cromosomi disponendoli in assetto metafasico (lungo regione equatoriale). Anche in
G2 è presente un punto di restrizione l’R2 e quindi anche in questa fase le cellule
possono essere convogliate alla fase G0. La differenza tra quelle arrestate in G1 e quelle
in G2 è che le prime sono diploidi, le seconde tetraploidi.
4. Fase M: Segue la fase G2 e ha una durata complessiva inferiore a 1 ora. Durante questa
fase si verificano 2 eventi:
CICLINE:
Sono proteine così chiamate perché la loro concentrazione nel citoplasma oscilla nelle
varie fasi del ciclo cellulare, aumentando nell’interfase e riducendosi nella mitosi.
Ne sono state identificate circa una dozzina distinte con lettere alfabetiche (A-B-D-E);
ciascuna di esse ha vari sottotipi (A1-A2).
Ciascuna ciclina è in grado di complessarsi con una o più CDK.
Hanno emivita breve.
Possono essere inattivate (quando la loro funzione non è più necessaria) da enzimi
proteolitici. Essi nel loro insieme, formano il sistema dell’ubiquitina e agiscono in
corrispondenza di una porzione della molecola, detto BOX DI DISTRUZIONE.
Sono tutte caratterizzate dalla presenza di un centinaio di Aa, detto BOC CICLINICO,
identico in tutte le cicline, che rappresenta il sito in cui avviene la complessazione con
una CDK.
INTERAZIONE CICLINA /CDK: Ogni transizione da una fase all’altra del ciclo, così come
l’avanzamento in ciascuna fase, sono indotte da determinate CDK associate a determinate
cicline. L’interazione ciclina/CDK induce fosforilazione di un residuo treoninico di
quest’ultima, che per posizione varia da CDK a CDK. Questa fosforilazione è necessaria ma non
sufficiente per la piena attivazione del sito catalitico delle CDK e per la comparsa dell’attività
proteinchinasica. Affinchè ciò avvenga è indispensabile anche la fosforilazione di altri residui
treoninici della molecola effettuata da enzimi CAK (costituiti da una subunità catalitica CDK7 e
una subunità regolatoria ciclina). Inoltre, la fosforilazione di altri residui treoninici di una CDK
determina la sua inattivazione; gli enzimi sono CDKI e la fosforilazione avviene a livello della
porzione N-terminale della CDK.
CICLINE E CDK COINVOLTE NEL CICLO CELLULARE: Nella precoce fase G1, fino al
superamento di R1 sono attive le CICLINE D (D1,D2,D3) la cui sintesi è stimolata dai fattori di
crescita esogeni. Queste cicline si complessano con CDK-4, CDK-6. Il complesso cicline
D/CDK(4-6) fosforila le antioncoproteine della famiglia Rb, codificate dai geni Rb.
L’iperfosforilazione di queste antioncoproteine da parte di CDK/Ciclina D, (ricorda
iperfosforilazione p105^rb o p107^rb o p130^rb), scatena una serie di eventi che culminano
con l’attivazione trascrizionale di: 1) geni codificanti per cicline Ae F; 2) geni codificanti per
enzimi che presiedono la sintesi del DNA; 3) geni codificanti per prodotti che favoriscono
accrescimento cellulare. La sintesi delle cicline D cessa immediatamente in assenza dei fattori
di crescita, evento che determina l’ingresso della cellula nella fase G0. Il percorso della cellula
in G1 può essere arrestato anche se interviene l’inibizione specifica del complesso CDK-
ciclina, da parte di appositi enzimi inibitori. Se l’inibizione avviene prima del raggiungimento
di R1, le cellule non entreranno in fase S; se essa avviene superato R1, la cellula prosegue nel
ciclo poiché dopo R1 entrano in gioco altre cicline.
G1-S: Superato R1, quindi nella tardiva fase G1 e nella precoce fase S, le cicline D sono
sostituite dalle cicline E (E1-E2) che si complessano con CDK-2. Il complesso CDK/ciclina E
continua la fosforilazione delle proteine RB. L’attività del complesso persiste a lungo durante
la fase S, anche perché tale complesso inattiva per fosforilazione alcune CDKI.
S: Quando le cellule hanno iniziato la sintesi del DNA e quindi sono in fase S, entrano in azione
le cicline A (A1- e A2), la cui sintesi è stimolata dal precedente complesso CDK 2/ciclina F. Le
cicline A si associano a CDK-2 durante la fase S e invece alla fine di tale fase, rilasciamo CDK-2
per leare CDK-1.
S-G2: In tarda fase S e in G2 entra in azione ciclina H che si complessa a cdk-7. In tarda fase S
vengono inoltre sintetizzate e immesse nel citoplasma le cicline B (B1 e B2). Esse traslocano
nel nucleo prima che avvenga la rottura della membrana nucleare. Queste cicline legano CDK-
1.
MPF.
Un esempio di ciclina-CDK è formato da: Ciclina B codificata dal gene cdc13, CDK! Codificata
dal gene cdc28 (gene 2 del ciclo di divisione cellulare). E’ anche detta p24/cdc2.
Funzioni dell’MPF è quello di indurre cambiamenti nucleari e citoplasmatici all’inizio della
fase M come:
Facilitare condensazione cromatina
Facilitare formazione fuso mitotico
Facilitare la rottura della membrana nucleare
Facilitare la divisione cellulare
Fosforilare istone H1
Frammentare il Golgi e R.E.
Attivare il sistema dell’ubiquitina
Attivare altre protein chinasi.
La sintesi di MPF avviene ad opera di due chinasi mik1 e wea 1 che fosforilano la tirosina 15
del p34 bloccando il pre-mpf. Successivamente la fosfatasi cdc-25 rimuove tale gruppo fosfato
attivando MPF. La sua degradazione invece avviene attraverso il sistema ubiquitina-
proteasoma. L’ubiquitina è una piccola proteina di 76 aa che contiene alcuni enzimi
(E1,E2,E3) che possono legare in singola subunità o in catene alle lisine delle proteine da
degradare:
L’ubiquitina viene attivata col consumo di una molecola di ATP.
Sopo attivata si lega ad E1 mediante legame tioestere tra carbossile della glicina
terminale dell’ubiquitina e residuo di cisteina presente sull’enzima E1.
Ubiquitina viene trasferita su un’altra cisteina presente sull’enzima E2, attraverso
reazione di trans-esterificazione.
Ultimo passaggio richiede un enzima ubiquitina proteina ligasi E3, che è in grado di
interagire sia con E2 che con il substrato da degradare (ciclina B) Nel caso specifico del
ciclo cellulare l’enzima E3 è l’APC (complesso che promuove anafase)
Ciclina B ubiquinata entra nel proteasoma, struttura di grandi dimensioni costituita da
diverse subunità .
Viene degradata e tagliata in corti peptidi di 4-10 aa che poi verranno rilasciati nel
citoplasma, dove verranno degradati a singoli aa, che possono essere utilizzati nella
sintesi proteica.
Grafico
La ciclina B inizia ad essere prodotta in G1, man mano che reagisce con la p34 (CDK1) che già
si trova in [ ] sufficiente. L’attività del complesso inizia ad aumentare nella fase G2fino a prima
della mitosi dove poi decresce. Il tratteggio rappresenta la distruzione delle cicline in fase di
mitosi, che poi saranno riprodotte di nuovo in G1.
- TGF-Beta.
Fattori di trascrizione appartenenti alla famiglia TGF e in particolare della famiglia TGF-beta ,
nelle cellule normali sovrintendono a tutta una serie di funzioni cellulari quali proliferazione,
differenziazione, etc. I TGF-beta sono anche però in grado di inibire la proliferazione cellulare
di epiteliociti, endoteliociti e cellule emopoietiche, bloccando il ciclo cellulare nella fase G1.
L’effetto inibitori è mediato da diversi eventi e tra i più importanti c’è: iporegolazione
dell’espressione del protoncogene c-myc; blocco sintesi cicline D,E,A, e CDK2 e CDK4;
attivazione dei geni CDKI. Per i 3 TGF-beta (esistono tre isoforme ma poiché nell’uomo
espletano funzioni sovrapponibili si farà riferimento solo al TGF-beta 1 noto come TGF-beta)
sono stati identificati 3 tipi di recettori transmembrana e tutti muniti di una porzione N-
terminale extracellulare e un dominio serin-treonin chinasico intracellulare. Per la
trasduzione del segnale dopo interazione con ligando è necessaria la presenza di recettori di
tipo I e II. Funzionamento recettore:
I recettori di tipo II fosforilano porzione intracitoplasmatica del recettore di tipo I
rendendolo capace di trasdurre il segnale fosforilando serine e treonine di proteine
SMAD citosoliche.
La proteina SMAD1 (o SMAD2) fosforilata, fosforila a sua volta la proteina SMAD 4.
Si forma un eterodimero (SMAD 1 + SMAD 4) + una proteina AST; i ltutto migra nel
nucleo dove si lega a specifiche sequenze regolatorie sul DNA, attiva trascrizione di
geni che codificano per costituenti della matrice e CDKI
Inoltre ricordiamo che la proteina myc, associata al fattore miz 1, reprime espressione dei
geni che codificano per i CDKI; il TGF-beta agisce bloccando tale azione repressiva,
iporegolando espressione del gene myc. Nelle cellule tumorali , l’effetto di TGF-beta non si
realizza perché:
I geni che codificano per le proteine SMAD subiscono mutazioni, impedendo a tali
proteine di formare complessi coinvolti nell’attivazione dei geni per le CDKI.
I geni che codificano per i recettori del TGF-beta subiscono mutazioni.
Mutazioni si verificano sul gene myc, rendendolo resistente all’iporegolazione
esercitata da TGF-beta. Tale resistenza inoltre comporta iperproduzione del prodotto
di questo gene e quindi della proteina myc.
- C-myc.
L’importanza del protoncogene c-myc è dimostrata dal fatto che esso risulta conservato in
tutte le cellule di animali di varie specie. La proteina codificata p64^myc è un fattore di
transizione, abbondantemente presente sia in cellule in attiva proliferazione che in quelle ad
elevato grado di differenziazione. E’ una proteina molto versatile perché innesca fenomeni tra
loro diversi come proliferazione, differenziazione o se iperespressa spinge le cellule verso
apoptosi. Tra le sue attività ricordiamo:
Induce la proliferazione cellulare [c-myc insieme a c-juc e c-fas rientra negli IEG che
favoriscono avanzamento della cellula nella fase G1) mediante attivazione dei geni che
codificano per le cicline (D,E,A) e per le CDK (4-2); repressione di geni codificano per le
CDKI; attivazione del gene ODC che codifica per enzima ornitina –decarbossilasi
coinvolto nella biosintesi delle poliammine indispensabili sia per metabolismo acidi
nucleici, sia nella proliferazione cellulare; modulazione dell’espressione
dell’oncosoppressore TP53.
Induce la cellula in apoptosi.
Può spingere la cellula verso la differenziazione quindi ha funzione opposta al primo
punto. Questo perché per splicing alternativo si formano 2 proteine del gene c-myc 1
che ha funzione repressiva del ciclo cellulare e c-myc 2 che ha funzione facilitante.
Ricorda anche (vedi oncogeni) che gli eterodimeri myc-max attivano la trascrizione genica
mentre gli omodimeri max-max la inibiscono.
Invasività Neoplastica.
Capacità di penetrare nei tessuti limitrofi, poi distruggerli e sostituirli ad essi. Non è prodotta
da alcuna mutazione specifica di un oncogene dato che è una proprietà che le nostre cellule
hanno già normalmente; è inoltre un meccanismo non regolato da un solo gene ma c’è un
assetto di alterazioni genetiche su centinaia di geni differenti che possono alterare il
meccanismo di invasività .
In un tumore maligno, le cellule neoplastiche acquisiscono la capacità di penetrare nei tessuti
limitrofi (INNVASIVITA’ NEOPLASTICA) prima infiltrandosi in essi poi distruggendo il tessuto
normale che verrà sostituito da quello neoplastico. Per diventare invasive le cellule tumorali
devono acquisire nuove proprietà e perdere alcune caratteristiche tipiche delle cellule
normali. Le cellule diventano invasive in seguito a:
1. Modificazioni dell’adesività cellulare che permettono alle cellule tumorali di distaccarsi
dal tumore di cui fanno parte e di aderire ad altre cellule.
2. Locomozione cellulare stimolata dalla secrezione di prodotti forniti di attività
chemiotattica.
3. Produzione di molecole lesive per le cellule normali e per la matrice extracellulare.
4. Sintesi di uno stroma e di un letto vascolare nel contesto della neoplasia.
5. Devono perdere l’inibizione da contatto.
I fenomeni essenziali della malignità neoplastica (invasività e metastatizzazione) sono sia il
movimento cellulare sia le modificazioni dell’adesività cellulare ovvero modifiche del tipo di
riconoscimento e interazione tra le cellule dello stesso tipo (ADESIVITA’ OMOTIPICA) e tra
cellule di tipo diverso come cellule, glicoproteine e proteoglicani della ECM (ADESIVITA’
ETEROTIPICA).
Adesività Cellulare.
Il contributo maggiore al fenomeno dell’adesività cellulare è dato dall’espressione sulla
membrana plasmatica di particolari proteine transmembrana dette molecole di adesione che
non solo funzionano da collante ma formano veri e propri canali di connessione tra l’ambiente
intracellulare di cellule vicine, attraverso i quali vengono trasmessi e recepiti segnali
provenienti da entrambi i versanti. N.B.= Nell’adesività cellulare, è la trasformazione
neoplastica attiva le cellule e muta le molecole che normalmente mediano l’adesività con le
altre cellule quindi l’adesività deve essere ridotta.
ADESIVITA’ OMOTIPICA: La capacità con cui le cellule neoplastiche si distaccano dal tessuto
tumorale è dovuta alla riduzione o perdita dell’adesività omotipica che costituisce la prima
tappa dell’invasività : nei carcinomi la riduzione dell’adesività omotipica è dovuta alla ridotta
espressione delle E-caderine. Le E-caderine fanno parte delle molecole di adesione, sono
calcio-dipendenti e coinvolte nell’adesività omotipica. Regolano la funzione del citoscheletro e
la trascrizione genica. Ne sono state identificate diverse tipologie: E,P,C,R ma la E-caderina è la
principale mediatrice dell’adesività omotipica epiteliale. La coesione intracellulare omotipica
prevede interazione tra le porzioni extracellulari di caderine di cellule adiacenti. La
trasduzione del segnale avviene tramite interazione tra parte citosolica delle E-caderine e
molecole regolatorie nel citosol, le beta-catenine tra cui alcune sono libere altre legate ad alfa-
catenine. Le beta catenine legate alle alfa-catenine che sono a loro volta connesse ai filamenti
citoscheletrici, dopo interazione tra le 2E-caderine, trasducono il segnale che determina il
cambiamento di forma della cellula. Le beta catenine libere, si legano a fattori di trascrizione
determinando proliferazione cellulare. La [beta-catenine] è modulata dalla proteina APC che
ne permette la degradazione da parte dell’ubiquitina/proteasoma. Nel carcinome del colon,
mutazione del gene oncosoppressore APC determinerà un a costante attivazione
trascrizionale e quindi continua proliferazione cellulare perché le beta-catenine, non essendo
degradate si legheranno sempre a fattori di trascrizione. In molti tumori gene delle E-caderine
risulta invece che mutato, silenziato da fenomeni di ipermetilazione a carico delle sue regioni
regolatori (carcinomi stomaco e prostata)
ADESIVITA’ ETEROTIPICA: E’ mediata da un’altra classe di molecole di adesione le
INTEGRINE che mediano sia interazione cellule tumorali/molecole ECM sia adesione tra
cellule tumorali/altre cellule, pertanto sono coinvolte nel processo di invasività e
metastatizzazione. Le integrine sono molecole di adesione calcio e magnesio dipendenti che in
seguito a fosforilazione favoriscono assemblaggio dei complessi proteici contenenti elementi
del citoscheletro in seguito all’interazione con altre integrine espresse o da costituenti
dell’ECM o da altre cellule. Nelle cellule tumorali le integrine sono maggiormente espresse;
quella più espressa in molti tumori è la alfavbeta3 scarsamente espressa nelle cellule normali.
Ha un’ampia specificità in quanto è in grado di interagire sia con altre integrine sia con molte
proteine dell’ECM. Dopo questa interazione viene facilitato il processo invasivo sia perché
trasduce segnali motori che stimolano migrazione cellule neoplastiche sia perché trasduce
segnali antiapoptotici che favoriscono sopravvivenza; alfav-beta3 stimola il processo
angiogenetico (quando cellule tumorali contattano cellula endoteliale che esprimono
integrine dello stesso tipo, interagiscono e ciò comporta innesco di segnali proliferativi per
endoteliociti) e presenta i substrati alle metallo proteasi. L’abnorme espressione di integrine
nelle cellule tumorali:
Contribuisce all’interazione con molecole dell’ECM usate come punti di appoggio per il
momento
Contribuisce all’interazione con le cellule di tipo diverso come gli endoteliociti o altre
cellule per la formazione di metastasi
Permettono di trasdurre il segnale che favorisce movimento cellulare.
Locomozione.
Il movimento cellulare, il mantenimento della forma, la polarità delle cellule dipendono dalla
cooperazione di vari fattori intrinseci (molecole di adesione, enzimi, etc.) e di fattori presenti
nell’ambiente in cui esse si trovano (fattori di crescita, molecole dell’ECM etc.). Il movimento
cellulare è un processo attivo che dipende da contrazioni periodiche della membrana
cellulare, che creano contatti intermittenti tra superficie cellulare e di sostegno. La cellula che
si accinge al movimento emette estroflessione della membrana cellulare (LAMELLA
MOTORIA) dal cui margine protrudono i lamellopodi, proiezioni che inducono movimento con
cicli alterni di adesione e rilascio a molecole del substrato. Si osservò poi che il movimento
delle cellule tumorali in coltura è più rapido di quelle corrispondenti alle cellule normali.
INIBIZIONE DA CONTATTO: Le cellule normali, formano in coltura su terreno solido
monostrato dove sono adese le une alle altre come mattonelle. Le cellule tumorali non
manifestano inibizione da contatto, infatti in una coltura in cui ci sono stati seminati due
espianti di cellule neoplastiche, separati da una certa distanza esse si muovono e si
moltiplicano e quando prendono contatto non arrestano né il movimento ne la
moltiplicazione quindi non formeranno un monostrato ma un pluristrato costituito da
ammassi di cellule sovrapposte che emergono dalla superficie formando ciuffi (o pile)
cellulari. Inoltre se una coltura viene allestita con un espiatno di cellule normali e una di
cellule tumorali, distanziati uno dall’altro, quando i 2 tipi si incontrano, le cellule normali
cessano sia di muoversi che di moltiplicarsi, quelle neoplastiche continuano a muoversi e
moltiplicarsi accavallando e sovrapponendo le cellule normali. Inoltre l’entità dell’inibizione
da contatto da parte delle cellule neoplastiche in coltura è tanto più accentuata quanto è più
elevato il grado di invasività esibito in “vivo”. Si scoprì che le cellule normali si moltiplicano
con difficoltà in terreno liquido o semisolido a differenza di quanto avviene nei terreni solidi e
tale proprietà è detta CRESCITA DIPENDENTE DALL’ANCORAGGIO. La maggior parte delle
cellule tumorali invece si moltiplicano in terreni semisolidi senza aderire alla superficie.
STROMA: Il connettivo limitrofo all’area di sviluppo di una neoplasia, non subisce solo la
degradazione idrolitica dei suoi costituenti ma è interessato da fenomeni produttivi che
portano alla formazione di un nuovo stroma (questo fenomeno è detto desmoplasia, cioè
stroma ricco di elastina e collagene). Le cellule neoplastiche producono fattori capaci di
stimolare i fibroblasti (cellule fisiologicamente deputate alla sintesi dei costituenti dell’ECM)
ma anche miofibroblasti che oltre a produrre un eccesso di collagene hanno anche attività
contrattile. Intervento dei miofibroblasti può essere alla base della retrazione della cute che
risulta particolarmente evidente nei carcinomi alla mammella. L’attività proliferativa delle
cellule connettivali consegue alla stimolazione di un fattore di crescita TGF-beta (le cellule
tumorali si sottraggono all’azione inibitrice esercitata per via autocrina e paracrina del TGF-
beta per mancanza di recettori, mentre le cellule del connettivo continuano a essere sensibili
alla sua azione) responsabile di almeno 4 effetti biologici:
1. Inibizione proliferazione di cellule epiteliali, endoteliali, emopoietiche, attraverso
attivazione di p21 che blocca la CDK.
2. Stimolazione della crescita di cellule mesenchimali e della formazione dell’ECM.
3. Chemotassi dei fibroblasti, miociti e endoteliociti.
4. Immunosoppressione.
Il TGF-beta contribuisce all’angiogenesi perché stimola in molti citotipi la produzione di VEGF.
ANAPLASIA = indifferenziazione.
Metastasi.
Autotrapianto spontaneo di cellule neoplastiche che distaccatesi dal tumore primitivo,
raggiungono attraverso varie vie uno o più siti distanti da dove è insorto il tumore da cui esse
derivano e danno origine ad una nuova formazione.
N.B.1: Si parla di metastasi quando le cellule raggiungono siti distanti; quindi il fatto che un
tumore distrugga relazioni con tessuti circostanti non si può dire che formi metastasi se tutto
ciò si verifica nello stesso organo. Invasività da un’idea più di zone circoscritte e vicine
appartenenti allo stesso organo. Metastasticità : in questo caso le cellule si sono ulteriormente
modificate per migrare più lontano procedendo verso organi diversi.
N.B.2: Invasività e metastaticità non coincidono nella stessa cellula ma sono proprietà che
persistono nella stessa massa ( una cellula invasiva non fa metastasi e quella metastatica
spesso non è invasiva). Quindi cellule invasive distruggono i tessuti, quelli metastatici
“sfruttano” questa distribuzione e migrano per colonizzare altri tessuti.
N.B.3: Mentre l’invasività è una caratteristica congenita in quanto tutte le cellule sanno
invadere tessuti circostanti, la competenza metastatica è una prerogativa esclusiva della
cellula tumorale ed è un evento raro (poche cellule di tutte quelle che formano il tumore fanno
metastasi= INEFFICIENZA METASTATICA).
Se prelevo cellule di un tumore primitivo della cute o del muscolo di un topo che è stato
indotto per cancerogenesi chimica e poi lo inoculo in un altro topo si forma il tumore anche
qui. L’inoculazione è fatta in 25 topi ma uno solo ha metastasi polmonare (solo 1 cellula tra
tutte quelle tumorali ha fatto metastasi). Se invece prendo tumore cutaneo però questa volta
inietto le cellule delle metastasi polmonari in tutti i topi avrò metastasi e metastasi multiple.
Nel tumore primario e nelle metastasi le quantità di cellule capaci di formare un tumore in un
altro tessuto sono diverse. Questi esperimenti dimostrano che:
1. Non tutte le cellule hanno competenza metastatica in una massa tumorale.
2. Quando inoculo cellule metastatiche non tutte generano un tumore primario.
Vie Metastatiche.
1. CONTIGUITA’: (da un organo all’altro perché sono vicini tra loro . E’ necessario che le
cellule invasive superino la barriera e poi le cellule metastatiche colonizzano il nuovo
organo).
2. CELOMATICA: Es. quando le cellule da un tumore del colon, sfondano il peritoneo e poi
cadendo per gravità arrivano tra utero e retto o tra vescica e retto; o le cellule di un
tumore al polmone superano la pleura e per gravità cadono sul diaframma originando
metastasi diaframmatica.
3. LINFATICA (+frequente): Più distante è il linfonodo interessato più è grave la
stadiazione del tumore.
4. EMATICA: Quando la neoplasia o per necrosi o meccanismi invasivi penetrano nel
tessuto circolatorio e quindi la cellula a seconda di dove attecchisce forma metastasi.
5. CANALICOLARE : Sfrutta i canali interni delle ghiandole. (es. tumore del pancreas che
attraverso dotti pancreatici può determinare la formazione di tumori nel duodeno.
N.B.4: L’attecchimento delle metastasi in un organo dipende ancora dalle capacità della cellula
metastatica di penetrare attraverso i capillari di quel tessuto, di sopravvivere agli effetti
distruttivi del tessuto metastatizzato e dalla successiva capacità di indurre
neovascolarizzazione. Inoltre la maggior parte delle cellule maligne del sangue sono distrutte.
VIRUS ONCOGENI.
Anche se i virus oncogeni differiscono tra loro per i meccanismi d’azione, proprietà biologiche
e strutturali, convergono per quanto concerne alcune caratteristiche generali della
trasformazione cellulare:
La trasformazione cellulare è un processo dove l’interazione di una singola particella
virale con la cellula bersaglio è sufficiente per indurre la trasformazione.
La trasformazione cellulare è costantemente associata alla persistenza di tutto o di
parte del genoma virale, integrato nel DNA cellulare. La trasformazione è quindi
un’alterazione genetica delle cellule ed è in genere una condizione irreversibile. Il virus
può permanere nella cellula anche in forma episomiale.
La trasformazione cellulare è associata alla continua espressione di un numero limitato
di geni virali e frequentemente un singolo gene virale è sufficiente per mantenere la
cellula in uno stato trasformato.
Le cellule trasformate hanno perso capacità di regolare la loro crescita, continuando a
proliferare anche in condizioni dove le cellule normali rispondono cessando la mitosi. Le
condizioni che limitano la crescita delle cellule normali sono:
Elevata densità cellulare
Riduzione o assenza di fattori di crescita
Non disponibilità di una superficie solida su cui crescere.
N.B. In coltura le caratteristiche delle cellule trasformate da virus sono comuni a quelle delle
cellule tumorali ottenute da tumori spontanei o indotti da altri cancerogeni; inoltre
possiedono caratteristiche collegate alla presenza del virus come ad es. la possibilità di
rilasciare il virus prodotto nel mezzo di coltura, o la presenza di antigeni nucleari,
citoplasmatici o di membrana. Inoltre spesso i virus oncogeni sono in grado dopo infezione in
vitro di immortalizzare la cellula suscettibile ma non di trasformarla in neoplasia. Le cellule
immortalizzate sono in grado di crescere indefinitamente in coltura , condividono alcune
caratteristiche morfologiche e colturali delle cellule trasformate, ma non sono in grado di
provocare tumori se inoculate nei topi. I linfociti B sono immortalizzati ma non trasformati
dal virus di Epstein-Barr. I virus oncogeni si dividono in:
Virus oncogeni a DNA .
Virus oncogeni a RNA
Differiscono per l’acido nucleico che costituisce il loro patrimonio genetico.
N.B. : I virus oncogeni a DNA si comportano diversamente a seconda della permissività della
cellula ospite: nelle cellule permissive che permettono replicazione di nuove particelle virali
dopo integrazione del genoma virale in quello cellulare, i virus danno luogo a una infezione di
tipo produttivo, con effetto citopatico litico e assenza di induzione di tumori; nelle cellule non
permissive, non si ha produzione di virioni né morte cellulare mentre si può avere
trasformazione.
I virus oncogeni a RNA non distinguono cellule permissive e non permissive in quanto la
replicazione virale e la trasformazione cellulare avvengono in genere contemporaneamente.
Due tipi di interazioni funzionali tra proteine virali e proteine cellulari sono rilevanti per il
processo di trasformazione di cui: Attivazione del protoncogene, inattivazione di un
oncosoppressore un es. è in SV40 con interazione tra la proteina T media del virus con il
prodotto dell’oncogene cellulare src. Quando antigene T medio si lega alla proteina c-src ne
aumenta di 20 volte l’attività tirosinchinasica. C-src è una proteina di membrana la cui attività
chinasica durante il ciclo cellulare è massima durante la fase mitotica, minima durante
l’interfase. Quindi questa interazione porta alla stimolazione dell’attività di protein-chinasi
della proteina src. Molte evidenze indicano che tale interazione è critica per la trasformazione
della cellula. Altre proteine di virus oncogeni a DNA interagiscono con prodotti di geni
oncosoppressori (p53 e Rb) con i quali formano complessi inattivi:
ANTIGENE T GRANDE SV40 e E1B ADENOVIRUS= p53
ANTIGENE T GRANDE SV40, E1A ADENOVIRUS, E7 PAPILLOMA= Rb.
Popavirus.
Piccoli virus, genoma circolare, capside privo di envelope. Il loro genoma contiene regioni
“precoci” e “tardive”: quelle precoci sono espresse nel periodo iniziale dopo infezione e
contengono geni che codificano per proteine precoci necessarie alla replicazione del DNA
virale nelle cellule permissive; le regioni tardive consistono in geni che codificano per
proteine strutturali (non presenti nelle cellule trasformate) per l’assemblaggio dei virioni. La
famiglia dei popavirus contiene:
POLIOMA VIRUS.
Il virus SV40 e i virus polioma sono virus oncogeni a DNA che hanno informazione genetica
limitata (6-7 geni). Il genoma del virus polioma codifica 3 proteine precoci (antigene T,
grande,medio,piccolo). Antigene T grande si trova nel nucleo delle cellule trasformate, quello
T medio a livello della membrana plasmatica dove si associa alla proteina normale src e ne
attiva l’attività tirosin-chinasica. Nel virus SV40 antigene T grande si trova soprattutto nel
nucleo, ma piccole quantità sono presenti anche sulla membrana (in questo caso
rappresentano bersaglio linfociti T citotossici nelle reazioni contro il tumore). L’antigene T
grande però non interagisce con src ma con i prodotti dei geni oncosoppressori Rb e p53
inattivandoli e contribuendo al processo di trasformazione neoplastica.
PAPILLOMAVIRUS.
Sono piccoli virus a DNA circolare a doppia elica di circa 7900 coppie di basi che contiene
diverse ORF (cornice di lettura aperta) ovvero sequenze continue di nucleotidi non interrotte
da codoni di stop. HPV (papillomavirus umano) hanno 6 ORF nelle regioni precoci (E1, E2, E4,
E5, E6, E7) e 2 ORF nelle regioni tardive (L1, L2). E’ inoltre presente la regione URR
regolatoria che regola tempi di trascrizione dei geni virali, trascrivendo prima i geni EARLY e
poi i geni LATE.
E1: gene necessario per gli interventi replicativi precoci.
E2: gene modulatore trascrizionale di promotori virali.
E4: gene coinvolto nella maturazione virale.
E5: non è nota la sua funzione nell’uomo.
E6/E7: contengono domini a dita di zinco tipici tra le proteine che legano
frequentemente il DNA. A questi 2 geni di attribuiscono le proprietà trasformanti dei
HPV.
L1/L2: codificano per proteine strutturali al virione.
I papillomavirus sono diffusi nel mondo animale ed esistono rappresentanti che infettano
pesci, uccelli, mammiferi. Gli HPV comprendono più di 60 genotipi e sono un gruppo
importante di agenti patogeni per l’uomo infettando cellule epiteliali cutanee e delle mucose.
L’infezione da HPV determina localizzata proliferazione epiteliale con diverse modalità di
crescita a secondo del sito di infezione e del tipo di HPV. Il periodo di incubazione varia da
settimane a mesi. Alcune lesioni possono regredire spontaneamente, altre possono persistere
o progredire verso forme neoplastiche. Di solito gli HPV infettano le cellule epiteliali basali in
zone colpite da precedenti lesioni o in zone con epitelio di transizione come ano e cervice
uterina. Il ciclo di replicazione virale è legato al processo differenziativo dei cheratinociti e
delle cellule epiteliali. I geni precoci virali sono espressi negli strati basali e regolano sintesi
DNA virale, quelli tardivi che codificano per proteine capsidiche sono espressi negli strati
superiori dell’epitelio. Dapprima il papilloma infetta lo strato basale dell’epidermide, poi per il
processo di migrazione cellulare, dallo strato basale passa a quello corneo e andrà ad infettare
le cellule degli strati superiori. Il virus quindi migra attraverso gli strati cutanei insieme alla
migrazione delle cellule verso l’altro. Infezioni da HPV possono essere ad alto o basso rischio a
seconda se l’infezione virale converge o meno in una neoplasia maligna. Infezioni da HPV
(16,18,30,31,33) sono ad alto rischio di conversione maligna e attaccano la mucosa. Infezioni
da HPV (6,11) raramente portano a tumori invasimi e quindi sono a basso rischio: attaccano la
cute. I tipi di HPV ad alto rischio sono eziologicamente coinvolti nella genesi del cancro
anogenitale e del cancro alla cervice uterina. Bisogna però ricordare che:
Nelle infezioni da HPV a basso rischio le proteine E6,E7 legano poco o niente le
proteine p53 o Rb non compromettendone la funzione. La situazione è opposta per
quelli ad alto rischio.
Per i HPV ad alto rischio, gli eventi molecolari endogeni sono sufficienti a causare
progressione maligna; viceversa per i tipi a basso rischio sono necessari fattori esogeni
per la conversione neoplastica (fumo di tabacco per esempio).
HEPADNAVIRUS.
Il virus dell’epatite B (HBV) è un virus a DNA, epatotropico che provoca danni acuti e
cronici alla cellula epatica e induce un processo flogistico a carico del fegato.
Il virus ha DNA circolare, nucleocapside circondato da un involucro glicoproteico.
I virioni sono costituiti da una parte centrale elettrodensa (core) e da involucro
esterno. E’ proprio l’involucro lipidico che presenta l’antigene virale di superficie
(HbsAg= Antigene australia) verso cui è diretta l’attività degli anticorpi.
Le particelle sferiche del core hanno: antigene del core (HbcAg), antigene in forma
criptica (Hb e Ag), DNA virale più un’attività DNA polimerasica e una tirosin-chinasi
che fosforila il polipeptide strutturale maggiore del core.
Replicazione del genoma virale avviene attraverso un pregenoma a RNA prodotto mediante
transcrittasi inversa, che coinvolge la proteina terminale e funge da innesco per la sintesi del
DNA. Il genoma ha 4 ORF nel filamento:
Gene C: codifica per l’Hbc Ag
Gene P: codifica per transcrittasi inversa
Gene S: codifica per Hbs Ag (antigene di superficie)
Gene X: codifica per un polipeptide che attiva la trascrizione del promotore
dell’antigene del core.
Avvenuto il contagio c’è incubazione di circa 4 settimane prima della comparsa nel sangue di
Hbs Ag. Paziente può restare asintomatico per un certo periodo ma dopo 60/180 giorni
compaiono sintomi clinici e alti livelli amminotransferasi. In alcuni casi i sintomi clinici si
risolvono in 4 settimane con normalizzazione della funzione epatica con scomparsa
dell’HbsAg dal circolo. Il rischio di insorgenza di carcinoma epatocellulare è associato a uno
stato di portatore cronico in cui HbsAg persiste nel sangue. Epatociti infettati contengono
DNA di HBV libero, forme integrate o combinazione di entrambe. DNA episomiale si riscontra
nella fase acuta dell’infezione e in alcune fasi dell’infezione cronica; DNA integrato durante
infezione cronica e nel carcinoma epatocellulare. Si ritiene che la presenza di sequenze di DNA
integrato sia un fattore patogenetico per lo sviluppo del tumore. Infatti il 90% e oltre dei
pazienti con alti livelli sierici di HbsAg e carcinoma epatico presenta DNA virale integrato
nelle cellule tumorali. Non è chiaro però se le forme integrate di DNA di HBV svolgano ruolo
diretto nella cancerogenesi. Anche se integrazione virale appare associata al carcinoma
epatocellulare, il meccanismo dell’integrazione o i suoi effetti nell’espressione genica non
sono ancora ben definiti. Altra caratteristica comune nel carcinoma epatocellulare è la
presenza di anomalie cromosomiche nel sito di integrazione ad esempio sequenze di HBV
possono essere inserite nel gene della ciclina A e ciò può modificare controllo della crescita
cellulare o integrazione a livello del cromosoma 17 con perdita di un allele
dell’oncosoppressore p53. L’infezione da HBV provoca: infiammazione e danno epatico.
Il virus riconosce epatociti tramite recettore e viene internalizzato. Il genoma del virus si
integra con quello della cellula. Il virus si replica nel fegato e vengono liberati virioni nel
sangue. Sia gli epatociti che i virioni espongono HbsAg. Virioni in circolo attivano il sistema
immunitario che produce anticorpi che esplicheranno i loro effetti sugli epatociti del fegato
distruggendoli. Il decorso dipende dal grado di infezione e dal sistema immunitario se è più o
meno efficiente. Il progressivo peggioramento della struttura del fegato induce cirrosi ovvero
il fegato si tramuta in un organo fibrotico, l’architettura interna viene sovvertita e il fegato
non sarà più funzionante.
ADENOVIRUS.
Dimensioni medie, privi di envelope, DNA bicatenario lineare.
Replicazione specie-specifica
Infettano comunemente l’uomo provocando malattie acute lievi a livello dell’apparato
respiratorio e intestinale.
Le proteine precoci E1A – E1B formano complessi con i prodotti dei geni
oncosoppressori inattivandoli. E1A: Rb, E1B: p53.
POXVIRUS.
Virus Grandi, DNA bicatenario, lineare.
Provocano tumori benigni nella scimmia, nei conigli e piccole neoformazione
nell’uomo.
Un fattore di crescita codificato dai poxvirus è correlato all’EGF p al TGF potrebbe
essere correlato a questi processi.
I trasformanti acuti hanno in più v-onc (oncogene virale) a volte a discapito di un gene
necessario per la replicazione virale; quindi alcuni retrovirus perdono la capacità di replicarsi
nelle cellule ospiti a meno che in queste cellule non ci sia un “virus helper” che mette a
disposizione un oncogene per la replicazione del retrovirus difettivo trasformante. Il genoma
dei retrovirus inoltre è piccolo, costituito da non più di 1000 nucleotidi. La trasformazione
neoplastica dai parte dei retrovirus, avviene con 2 meccanismi diversi a seconda se si tratta di
trasformati lenti o acuti ma implica dei passaggi in comune:
Internalizzazione del virione a cui segue la liberazione del genoma virale.
Attività della transcriptasi inversa che trasforma l’RNA virale in DNA.
Integrazione del DNA sotto forma di provirus in quello della cellula ospite che si
arricchisce di geni virali andando incontro a modifiche stabili e ereditabili della
progenie.
HTLV-1
Identificato nel 1980 come primo oncogeno per l’uomo. Questo è il virus della Leucemia
umana a cellule T. Questo virus ha un tropismo per le cellule T CD4+ ed è per questo motivo
che questo sottotipo di cellule T costituisce bersaglio principale della trasformazione
neoplastica. L’infezione umana avviene per la trasmissione di cellule T infette attraverso
rapporti sessuali, derivati del sangue o durante allattamento. La leucemia si sviluppa solo nel
3-5% degli individui infetti dopo un lungo periodo di latenza di 40-60 anni. HTLV-1 non
contiene un oncogene e non è stata riscontrata alcuna integrazione in prossimità di un
protoncogene. Il genoma di questo virus comprende geni gag, pol, env e LTR ma contiene
anche un’altra regione detta Tax e pare che la causa della sua attività trasformante risiede
proprio in questo gene. La TAX (proteina):
E’ essenziale per la replicazione virale poiché stimola la trascrizione dell’mRNA virale.
Può attivare la trascrizione di geni cellulari dell’ospite coinvolti nella proliferazione e
nella differenziazione cellulare (geni codificanti per IL-2 e per il suo recettore)
Promuove attivazione della ciclina D deregolando il ciclo cellulare.
Attiva NFkb, fattore di trascrizione che regola un gran numero di geni, compresi i geni
di sopravvivenza e antiapoptotici.
Contribuisce alla trasformazione maligna attraverso l’instabilità genomica. Dati recenti
dimostrano che tax interferisce con le funzioni di riparazione del DNA.
L’innesco del gene tax è necessario ma non sufficiente ad indurre la neoplasia.
Nelle cellule neoplastiche e in quelle trasformate in coltura c’è meno possibilità di andare in
apoptosi. Questo lo posso misurare sperimentalmente esponendo le cellule a uno stimolo che
notoriamente induce all’apoptosi e misurare prima e dopo la trasformazione, la percentuale di
cellule morte per apoptosi. Posso esporre a farmaci ad esempio. La minore capacità di andare
in apoptosi è dovuta a:
1. Aumento di segnali di sopravvivenza (IGF I,II, BCL-2).
2. Diminuzione di segnali proapoptotici (p53 aumenta, BAX e diminuisce BCL2).
Il principio su cui si basa l’impiego dei farmaci anti-tumorali è quello di colpire le cellule
tumorali che sono più sensibili rispetto a quelle normali in quanto proliferano continuamente.
Un miocita normale ad esempio, non prolifera è fermo in G0 o in G1, ha tempo di riparare il
danno e quindi occorrerebbero ingenti quantità di farmaci per ucciderlo. Il miosarcoma
invece è costituito da cellula che proliferano continuamente e pertanto cellule più sensibili.
Durante una chemio però , verranno colpite e lese le cellule tumorali ma anche quelle normali
dotate di velocità proliferativa come le cellule dei bulbi piliferi, midollo; se poi le cellule
tumorali hanno sviluppato resistenza al farmaco, sarà necessario aumentare la dose con
conseguente uccisioni di cellule appartenenti anche ad altri tessuti.
Cancerogenesi virale.
N.B. = Anche la cancerogenesi chimica è trasmissibile. Virus del Sarcoma di Rous ha permesso
la prima scoperta di un oncogene. Dulbecco negli anni 60 affermò che il fenotipo tumorale
poteva essere conferito a cellule normali in coltura in seguito a infezione con virus purificato.
Negli anni 70 si scoprì che i virus dopo retrotrascrizione del genoma si integravano nelle celle
e ne fece ipotizzare che il virus entrando nel genoma in qualche modo introducesse info
necessarie e sufficienti a generare il tumore. Cominciò quindi la ricerca dei geni di questi
virus, capaci di conferire il fenotipo trasformato, c’erano comunque problemi e difficoltà
durante la ricerca dato che i virus avevano un genoma molto piccolo e compatto con info
sovrapposte. Nel 75 si isolò il pezzo di DNA che induceva il fenotipo trasformato e si dimostrò
anche che la sequenza presente nel virus da sola responsabile dell’induzione del fenotipo
trasformato era presente anche nelle cellule normali del pollo che non avevano avuto contatto
con il virus. Quindi la sequenza che il virus del Sarcoma di Rous usava per indurre tumore nel
pollo era così importante e così fondamentale per la biologia che non si trovava solo nel pollo
ma in tutti gli organismi superiori. Quindi nel processo di induzione del tumore entrano in
gioco sequenza di DNA alla base dell’evoluzione degli eucarioti; si tratta di sequenze così
importanti e conservate che la loro alterazione qualitativa e quantitativa aveva effetti
drammatici sulla biologia della cellula. La storia degli oncogeni si basa comunque su due
circostanze fortuite:
1. Il primo virus oncogeno scoperto, identificato, caratterizzato per il virus del Sarcoma di
Rous ed è l’unico non difettivo ovvero non manca di un gene per la sua replicazione e
non necessita di virus helper.
2. La sequenza di questo virus era identica alla sequenza normale tranne che per qualche
base. Inoltre la proteina codificata da tale sequenza era una protein-chinasi lunga 525
aa e tutte le cellule infettate dal Sarcoma di Rous avevano questa proteina che di per sé
era trasformante in quanto se si inseriva il gene src nei fibroblasti senza il virus, ciò
favoriva la trasformazione. Ciò permise di definire l’oncogene= tratti di DNA del virus
che codificava per una singola proteina e che in grado di indurre il fenotipo
trasformato. La cosa interessante e importante è che la proteina prodotta dal virus
quindi dal v-onc era la stessa della cellula normale e questo indica che non solo le
sequenze sono conservate ma che è il prodotto a determinare questo fenotipo. La
sequenza era priva di introni quindi il virus non aveva portato via il gene ma il
messaggero (i c-onc hanno esoni ed introni). Di tutti gli oncogeni isolati tutti avranno il
corrispettivo protoncogene. Si rafforzò quindi la convizione che tutti i virus oncogeni
fossero tali perché trasportavano un pezzo di genoma della cellula ospite che è
importante non solo per la cellula ospite ma per tutti gli organismi superiori. Tranne
Rous, tutti i virus oncogeni rapidi sono difettivi perché l’oncogene occupa troppo
spazio e quindi viene tagliato il genoma virale. La maggior parte degli oncogeni
presenti nei retrovirus rapidi difettivi produce un tradotto che è una proteina
chinasica. Le proteina chinasiche sono generate dalla fusione con una proteina virale di
solito il gene gag.
Cancerogenesi.
La cancerogenesi o tumorigenesi è il processo di formazione di un tumore ed è un processo
multifasico articolato in 3 tappe:
1. PROCESSO DI INIZIAZIONE
2. PROCESSO DI PROMOZIONE
3. PROCESSO DI PROGRESSIONE.
1) Processo di iniziazione.
Somministrando un cancerogeno in dose subliminale si ha la trasformazione di una cellula
norma in cellula neoplastica.
Consiste nella comparsa di mutazioni a carico di uno o più geni, provocata da un cancerogeno
in dose subliminale. Il bersaglio dei cancerogeni nella fase di iniziazione sono geni
oncosoppressori e oncogeni, la cui funzione viene rispettivamente inattivata e attivata.
L’iniziazione si verifica in maniera istantanea e irreversibile, a meno che il danno al DNA non
venga eliminato da meccanismi di riparazione del DNA prima che la cellula si replichi. In
questo caso il danno non viene trasmesso alla progenie cellulare. Una cellula si dice “iniziata”
se ha subito alterazioni a carico del DNA ed è quindi predisposta a subire nuove alterazioni
che la cambieranno progressivamente fino a renderla neoplastica. Tutti quegli agenti (chimici,
fisici, biologici) che agiscono su una cellula sana e inducono mutazioni del DNA in modo
diretto e irreversibile sono detti AGENTI INIZIANTI ( O TRASFORMANTI). Le mutazioni a
carico del DNA:
Possono essere trasmesse per via ereditaria da uno o entrambi i genitori (ciò
predispone all’insorgenza dei tumori).
Possono essere dovute al massiccio assorbimento di radiazioni (es. dopo incidenti
nucleari in cui i tumori si manifestano a distanza di anni)
Possono essere dovuti a infezioni con virus oncogeni, in tal caso si può pensare che
l’iniziazione sia dovuta all’inserzione del genoma virale in quello dell’individuo.
2) Processo di promozione.
Gli agenti promuoventi non interagiscono con il DNA e non sono mutageni. I promotori sono
detti COMPLETI se sono in grado di indurre da soli la promozione (es. olio di motori), sono
detti INCOMPLETI se lo fanno in associazione tra loro, di solito con sequenzialità obbligata
(es. trementina). Il processo di promozione è la fase in cui le cellule trasformate proliferano,
formando la massa tumorale. La proliferazione è indotta da AGENTI PROMUOVENTI poichè
promuovono la cancerogenesi solo se somministrati dopo uno stimolo sicuramente
cancerogeno (i promuoventi sono infatti sforniti di potere oncogeno di per sè), dato in
quantità subliminali. Ciò vuol dire che un tumore si può sviluppare solo se una cellula è
iniziata. Come prototipo del meccanismo di azione di agenti promuoventi si ricorda quello del
TPA (12-tetradecanoil forbolacetato), nella cui molecola sono presenti strutture simili a quelle
del DAG (diacilglicerolo). Il TPA è un estere del forbolo.
Il TPA:
Interagisce con il suo recettore proteinchinasico, ciò favorisce la traslocazione della
forma inattiva della PK-C dal citosol alla memmbrana plasmatica
La traslocazione attiva PK-C
La PK-C innesca una cascata enzimatica che culmina con l’attivazione dei fattori di
trascrizione. Essi raggiungono il nucleo e portano segnali di proliferazione cellulare.
3) Progressione.
Oggi con il termine progressione si intendono tutte le varie tappe di trasformazione
sequenziale che hanno luogo nella cellula tumorale dal momento dell’iniziazione e
proseguono fino a quando il tumore è costituito e anche dopo. La progressione costituisce
un’estensione della fase di promozione, da cui è impossibile distinguerla se non ritenendo che
abbia un inizio quando il tumore si è già formato. In questa fase, si ha dunque la persistenza
dell’agente promuovente che determina l’estrinsecarsi di accentuate atipie, come :
Instabilità del cariotipo.
Anomalie cromosomiche
Aneuploidia.
Si ha poi la comparsa del fenotipo invasivo o metastatico.
Cancerogeni chimici.
Sono detti cancerogeni quegli agenti la cui somministrazione induce comparsa di tumori in
animali da esperimento in quali in assenza di tale somministrazione, restano esenti da
neoplasie. Vengono inoltre considerati cancerogeni quegli agenti che inducono incremento
e/o una comparsa precoce di quei tumori che in genere colpiscono la specie animale anche in
assenza di trattamento. Tutti i composti cancerogeni sono attivi quando somministrati in una
determinata quantità . Per questo ogni cancerogeno è fornito di una DOSE SOGLIA che indica la
quantità minima di un composto che deve essere somministrata all’animale affinchè compaia
un tumore. In molti casi la quantità di composto corrispondente alla dose soglia se
somministrata in un’unica sessione può provocare tossicità acuta che può uccidere l’animale
ed è per questo motivo che il prodotto viene somministrato a piccole dosi anche se ciò
aumenta il tempo del trattamento. Il tempo che intercorre tra inizio del trattamento e
comparsa del tumore è detto PERIODO DI LATENZA; Tutti i cancerogeni chimici sono TOSSICI
DA SOMMAZIONE perché la comparsa del tumore avviene quando la somma delle quantità del
composto raggiunge il valore corrispondente alla dose soglia (che varia da composto a
composto):
d*t= K : tempo inversamente proporzionale alla dose giornaliera e la dose soglia resta
costante (d= dose soglia giornaliera, K=dose soglia, t=tempo).
D*t^h= K: La dose soglia si riduce al ridursi della dose giornaliera per alcuni cancerogeni.
Tappe Cancerogenesi.
Penetrazione nell’organismo
Escrezione
Attivazione metabolica
Cellula iniziata
Promozione
Se il danno indotto dai cancerogeni chimici nel DNA viene riparato prima che la cellula
di moltiplichi, essa riassume sua condizione di normalità . In caso contrario tramanda la
mutazione alla progenie; Se il danno è notevole, la cellula va incontro a necrosi o apoptosi
(apoptosi è un meccanismo protettivo nella comparsa della neoplasia).
La detossificazione dei cancerogeni può avvenire sia prima che dopo la penetrazione, nella
cellula mentre quelli dei derivati attivi dei precancerogeni avviene sempre in sede
intracellulare. Questi composti detossificati verranno poi escreti. Anche la detossificazione,
insieme all’apoptosi e riparazione del DNA è un fenomeno protettivo nei confronti della
tumorigenesi. La detossificazione può essere esogena o endogena a seconda che si verifichi
prima o dopo la penetrazione di cancerogeni nella cellula. I cancerogeni vengono così
trasformati in composti lipofilici e idrofilici. Essi possono essere assorbiti con maggiore
facilità dalla cellula ed essere successivamente escreti.
Amine Aromatiche.
Note con la sigla AA, sono composti caratterizzati da una struttura aromatica, in cui almeno un
atomo di H è stato sostituito dal gruppo NH2. L’AA più semplice è l’ANIINA, costituita da un
unico anello benzenico, fornito di un gruppo NH2. E’ discretamente tossica ma non
cancerogena. Si comportano da procancerogeni alcuni prodotti di condensazione dell’anilina,
ciascuno costituito da 2 anelli benzenici, forniti di uno o più gruppi amminici: 4-aminodifenile,
beta- naftilamina, difenildiamina (benzidina).
Questi composti vanno incontro a meccanismi di attivazione simili prendiamo ad esempio
l’attivazione metabolica della beta naftilamina. Da ricerche si osservò che se venica introdotta
per via orale con la dieta induceva comparsa di tumori alla vescica e risultava privo di potere
oncogeno quando impiantata nella vescica di animali sensibili ad essa. Quindi la beta-
naftilamina somministrata con la dieta raggiunge il fegato e penetra negli epatociti, qui per
azione degli enzimi del sistema microsomiale del fegato viene ossidata a 1-IDROSSI-
2AMINONAFTOLO, che è il composto cancerogeno (definitivo e liposolubile). Non appena
sintetizzato, questo composto viene coniugato con l’acido glicuronico, con formazione di un
estere: il 2-AMINO-1NAFTILGLICURONIDE che non è cancerogeno (questo spiega perché il
cancerogene definitivo che si ferma nel fegato non provoca tumore in questo organo ma in
uno a distanza). L’estere è idrosolubile (a differenza del cancerogeno definitivo che è
liposolubile), e passa rapidamente nel sangue giunge al rene e da qui alla vescica. Nella vescica
l’estere viene scisso dalla beta-glicuronidasi e riconvertito in 1-IDROSSI-2AMINONAFTOLO.
Questo si concentra nell’urina, esercitando la sua attività cancerogena a livello del trigono
vescicale (dove urina ristagna più a lungo) provocando quindi il cancro alla vescica.
N.B. 1= La beta naftilamina se impiantata nella vescica non provoca comparsa di tumore
perché deve essere prima attivata a livello epatico (si verifica solo con assunzione in dieta)
N.B. 2= Ci sono animali insensibili all’azione cancerogena dell’ 1-IDROSSI-2AMINONAFTOLO.
Ciò lo si deve al fatto che la beta-glucuronidasi non è espressa. Di conseguenza in vescica non
si potrà avere la conversione dell’estere nel cancerogeno definitivo.
Nitrocomposti.
Si distinguono in 2 categorie:
NITROSAMINE: Composti in cui il gruppo N-NO è direttamente legato a 2 radicali
alchilici. Si possono assumere tramite fumo di tabacco. Provocano tumori al polmone,
alla vescica, alla mucosa orale e nasale degli accaniti fumatori. Sono procancerogeni e
infatti nell’organismo vengono attivati metabolicamente e convertiti in
METILDIAZONO che è il cancerogeno terminale, responsabile dell’alchilazione della
guanina in corrispondenza dell’O in posizione 2. Es. nitrosamine: dimetilnitrosamina,
dietilnitrosamina.
NITROSAMIDI: Composti in cui le 2 valenze residue dell’azoto aminiche sono saturate
da un radicale alchilico e uno non alchilico. Es. METIL NITROSUREA che è anch’essa un
procancerogeno caratterizzato dal fatto che forma spontaneamente METILDIAZONIO
senza intervento di enzimi (a differenza delle nitrosamine)
Composti alchilanti.
L’alchilazione è una reazione chimica nel corso della quale uno o più gruppi alchilici (CH3 e
C2H5) vengono ceduti da un composto chimico a un altro, che diventa alchilato. La reazione
avviene perché i gruppi alchilici, avendo carica positiva sono elettrofili e di conseguenza
reagiscono con facilità con siti nucleofilici ricchi di elettroni (come il DNA)
Composti alchilanti si dividono in:
SPONTANEI: cedono gruppi alchilici spontaneamente a substrati nucleofili.
NON SPONTANEI: la cessione avviene dopo la loro trasformazione metabolica.
Si distinguono in VELOCI e LENTI a seconda se la cessione dei gruppi alchilici si verifica con
facilità o difficoltà . (dal punto di vista cancerogeno alchilanti veloci sono meno efficaci perché
cedono gruppi alchilici prima di raggiungere il nucleo della cellula, in questo modo
alchilazione è subita dalle proteine e non DNA). Le reazioni di alchilazione possono essere di
2 tipi:
MONOFUNZIONALE (SN1)= se la cessione dei gruppi alchilici avviene in direzione di
un solo gruppo nucleofilico.
BIFUNZIONALE (SN2)= quando trasferimento ha come bersaglio 2 siti nucleofilici
opposti.
Se il sito nucleofilico bersaglio dell’alchilazione è il DNA:
Un composto alchilico monofunzionale provoca una sola mutazione puntiforme Es.
cloruro di vinile che induce l’angiosarcoma.
Un composto alchili bifunzionale, provoca alchilazione, di 2 basi, una di un filamento e
una di un altro filamento per cui si origina doppia mutazione detta ALCHILAZIONE A
PONTE. Questi inducono comparsa di carcinomi a carico delle vie respiratorie.
I “siti caldi” del DNA, ovvero con maggiore nucleofilia quindi con maggiore reattività
verso i gruppi alchilici sono: Guanina N7/O6/N3/2NH2/C8, Adenina N1/N3/N7/6-
NH2, Citosina N1/N3/N7, Timina O4/C-6.
Le alterazioni prodotte dall’alchilazione del DNA sono: 1) rottura di 1 o entrambi
filamenti, 2) formazione di legami crociati e intra e extracatenari, 3) delezione di una
base, 4) sostituzione di una base.
Idrocarburi Alogenati.
Comprendono composti di produzione industriale con varie applicazioni: solventi, resine,
insetticidi (DDT), sostanze plastiche.
Sostanze Naturali.
Tra circa 30 sostante chimiche cancerogene prodotte da piante e microorganismi, il composto
più importante è l’aflatossina B1 potente cancerogeno epatico. E’ una potente tossina prodotta
da miceti e contamina le farine alimentari. Nei prodotti cosmetici ricordiamo il safrolo.
Prodotti inorganici.
Molti metalli o composti metallici possono indurre cancro (arsenico, ferro, cromo, nichel,
cobalto) ma il meccanismo d’azione è poco noto. Molti tumori da metalli sono legati alla
professione svolta. Tra i più noti ci sono quelli indotti dall’arsenico negli addetti all’agricoltura
esposti ad insetticidi contenenti questa sostanza. In questi soggetti c’è un aumentata
incidenza di tumori della pelle per contatto diretto o a livello polmonare per inalazione.
Cancerogeni Fisici.
1. Radiazioni ultraviolette.
2. Radiazioni ionizzanti.
3. Asbesto.
4. Corpi estranei.
1) Radiazioni ultraviolette.
Le radiazioni eccitanti (onde radio, microonde, radiazioni , VIS e UV) hanno energia inferiore a
10 eV rispetto alle ionizzanti e non sono adatte a rompere i legami chimici delle molecole da
esse bersagliate ma riescono solo a far saltare un elettrone da un’orbita interna a minore
energia a un’orbita esterna a maggiore energia. Le radiazioni UV di origine solare inducono un
aumento dei carcinomi di cellule squamose, dei carcinomi o a cellule basali e dei melanomi
maligni della cute. La radiazione ultravioletta è una posizione dello spettro elettromagnetico a
corta lunghetta d’onda, adiacente alla zona del violetto della visibile. La porzione ultravioletta
può essere divisa in 3 gruppi sulla base delle diverse lunghezze d’onda:
Radiazioni UV-A (da 320 a 400 nm);
Radiazioni UV-B (da 280 a 320 nm);
Radiazioni UV-c (da 200 a 280 nm);
Tra queste si pensa che le radiazioni UV-B siano responsabili dell’insorgenze dei cancri
cutanei. Le radiazioni UV-C, benchè abbiamo ampia azione mutagena, si ritiene abbiano uno
scarso significato patologico poiché vengono filtrate dallo scudo d’ozono che circonda la terra.
Gli effetti della radiazione UV sulle cellule comprendono l’inibizione della divisione cellulare,
inattivazione di enzimi, mutagenesi, cancro, morte cellulare. Il potere cancerogeno delle
radiazioni UVB è da attribuire soprattutto alle capacità di indurre la formazione di dimeri di
basi pirimidiniche a livello del DNA. I dimeri di pirimidina si possono formare tra due timine,
2 citosine, o tra timina e citosina. Questo danno al DNA viene riparato da un sistema basato
sul taglio di nucleotidi chiamato NER e prevede:
Riconoscimento della lesione sul DNA.
Taglio del filamento danneggiato su entrambi i lati della lesione.
Rimozione degli oligonucleotidi.
Sintesi di un oligonucleotide che sostituisce quello rimosso.
Legame del segmento neosintetizzato al DNA.
L’importanza del sistema NER è evidente nei pazienti portatori di una malattia ereditaria nota
come XERODERMA PIGMENTOSO: è questa una malattia autosomica recessiva in cui c’è un
evidente sensibilità alla luce associata a un’elevata incidenza di tumori cutanei come
melanomi, carcinoma basocellulare e carcinoma a cellule squamose. In questa malattia manca
un endonucleasi, enzima capace di rilevare la irregolarità nella struttura della II elica causata
dal dimero di pirimidina. Sono comunque cancerogeni diretti e in dosi subliminali inducono il
fenomeno dell’iniziazione.
2) Radiazioni ionizzanti.
Comprendono oltre alle radiazioni elettromagnetiche (raggi X e gamma), quelle corpuscolate
(particelle alfa, beta, protoni e neutroni). Sono molto più penetranti di quelli eccitanti poiché
contengono energia superiore a 10 eV (superiore all’energia presente nei legami chimici delle
molecole bersaglio) Varie sono le molecole bersaglio delle radiazioni ionizzanti tra cui: l’H2O,
dalla cui ionizzazione si originano radicali liberi reattivi (anch’essi cancerogeni); in questo
caso le radiazioni ionizzanti fungono da cancerogeni indiretti e il DNA ove le radiazioni
ionizzanti ionizzano gli atomi in esso presenti provocano danni diretti sul DNA. Tra i
principali ricordiamo: formazione di legami crociati tra i filamenti, rottura di essi (distruzione
di basi, rottura legame zucchero-fosfato, ciò determina delezioni, traslocazioni e mutazioni
puntiformi). Le cellule più sensibili alle radiazioni ionizzanti sono :
Cellule emopoietiche e tiroidee (infatti l’irradiazione con radiazioni ionizzanti provoca
leucemie e tumori tiroidei).
Gonadi (infatti le radiazioni ionizzanti possono sopprimere la gametogenesi causando
sterilità ).
Anche la ripetuta irradiazione locale con piccole dosi come avviene negli interventi
radioterapici, può essere seguita dalla comparsa di neoplasie a distanza di tempo.
3)Asbesto.
E’ un materiale usato nell’edilizia e comprende una famiglia di silicati fibrosi molto simili tra
loro, classificati come “serpentina” o “anfiboli”; le prime sono come fibre flessibili, le seconde
sono rigidi bastoncelli. Non è stato ancora stabilito se i tumori causati dall’asbesto siano da
considerarsi da agenti fisici o chimici. La deposizione delle fibre di asbesto nei polmoni
dipende più dal diametro che dalla loro lunghezza. Le fibre più spesse si fermano nelle vie
respiratorie superiori e sono responsabili della fibrosi polmonare; quelle sottili si depositano
negli alveoli. Il tumore associato all’esposizione alle fibre di asbesto è il mesotelioma maligno
della cavità pleurica e peritoneale ed è raro nella normale popolazione e osservato di più nei
lavoratori che contattano queste sostanze. Periodo di latenza (intervallo tra esposizioni o
comparsa del tumore) è di circa 20 anni.
4)Corpi estranei.
Molti sarcomi sono stati indotti in seguito all’impianto in roditori di materiali come fibre
varie, pellicole metalliche o di plastica. La natura chimica di questi materiali non è una
proprietà importante ai fini della cancerogenesi, dal momento che dischi di carbonio possono
dare origine a sarcomi. Sono piuttosto importanti dimensioni, levigatezza sella superficie e
durata della permanenza dell’impianto. Queste forme di tumore sono altamente specie-
specifiche. Es. Tumori da camina:
L’inserzione chirurgica di una lamina d’oro o di materiale plastico nel sottocutaneo del topo è
seguita a distanza di tempo dalla comparsa si un sarcoma. L’incidenza della comparsa del
tumore diminuisce fino a scomparire se vengono impiantate lamine traforate. Il decremento è
proporzionale al n° e al diametro dei fori. Non c’è relazione tra natura chimica della lamina e
insorgenza dei tumori:
Lo stesso materiale, se impiantato sotto cute in eguali quantità ma sotto forma di
police risulta privo di potere cancerogeno.
L’incidenza di comparsa del tumore è tanto maggiore quanto maggiore è la superficie
della lamina ed è correlata alla forma della stessa: l’incidenza è maggiore se la lamina
ha la forma di un bottone.