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L'anatomia patologica è una branca specialistica della medicina che studia le malattie
umane mediante esame macroscopico degli organi o microscopico dei tessuti e delle
cellule. Lo scopo dell'anatomopatologo è, dal punto di vista istologico, riconoscere e dare
il nome ad una malattia sulla base delle lesioni che questa determina nei tessuti o nelle
cellule che costituiscono i tessuti o negli organi in generale. Il presupposto da cui parte è
il fatto che ogni malattia determina una lesione, un'alterazione, per cui, da uno studio
comparativo, si cerca di riconoscere cosa è cambiato in quel tessuto o in quel gruppo di
cellule o cosa cambia in quell'organo sulla base dell'anatomia e dell'istologia normale.
Quindi si tratta, fondamentalmente, di uno studio di confronto. Pertanto è necessario
conoscere molto bene l'anatomia e l'istologia. Attraverso l'indagine anatomo-patologica
si devono, quindi, saper distinguere i tessuti normali dai tessuti interessati
dall'infiammazione o da tumori (benigni e maligni).
Una cosa molto importante è che un processo infiammatorio in un tessuto non determina
un grosso sconvolgimento architetturale dello stesso, mentre un tumore, una neoplasia,
una iperplasia, e quindi un aumento del numero di un determinato gruppo di cellule,
determina invece un'alterazione importante nell'architettura di quel tessuto. Di
conseguenza, riconoscere la presenza di un tumore in un organo è teoricamente più
semplice che distinguere un processo infiammatorio. Tuttavia, ci sono difficoltà in
entrambi i casi:
1. I processi infiammatori sono identici l'uno all'altro, indipendentemente dalla noxa
patogena che ha determinato la loro insorgenza. A livello tissutale, quindi, non
determinano un grosso cambiamento, dal punto di vista anatomico e istologico, ma si
ripropongono, più o meno, tutti allo stesso modo, indipendentemente dalla causa. Ciò
avviene poiché il processo infiammatorio è un processo stereotipato, ossia inizia sempre
nello stesso modo, si mantiene sempre nello stesso modo, indipendentemente dallo
stimolo. Per cui il nostro sistema immunitario, a prescindere dal fatto che quel processo
sia stato causato da uno spillo, da una puntura d'insetto o altro, innesca la difesa sempre
nello stesso modo:
con una vasodilatazione iniziale;
con una marginazione della fase corpuscolata del sangue, a livello delle pareti dei vasi
capillari;
con una diapedesi, cioè la fuoriuscita degli elementi infiammatori attraverso l'endotelio;
con una chemiotassi, ossia raggiungimento dello stimolo infiammatorio nei tessuti
extravascolari.
Quindi si possono fare diagnosi di processo infiammatorio ma non di causa di processo
infiammatorio (eziologia).
2. I tumori invece, vanno ad alterare totalmente l'architettura dei tessuti e per cui
facilmente li riconosciamo, in quanto vi è un qualcosa di estraneo nel tessuto normale
che ne cambia le caratteristiche. La difficoltà sta nel capire se i tumori sono benigni o
maligni.
Quindi da un punto di vista concettuale la malattia determina una lesione a livello
cellulare, tissutale o di un organo, anche a seconda dell'estensione della malattia stessa.
Sulla base di ciò, dunque, si devono riconoscere le lesioni per poter dare il nome alla
malattia. Su tale procedimento si cerca di raggiungere la diagnosi, ossia la conoscenza di
una malattia attraverso le lesioni che determina nei tessuti.
Nei reparti di anatomia patologica giungono diversi preparati di materiali organici, che
sono frammenti di tessuto prelevati dai diversi organi attraverso le biopsie (cutanee,
esofagee, gastriche, duodenali, epatiche); giungono così anche i pezzi operatori che
vengono rimossi in seguito all'intervento chirurgico. Entrambi devono essere esaminati.
Le biopsie servono a capire, prima dell'intervento, che tipo di tumore abbia il paziente.
Fatta questa diagnosi, il chirurgo, con il referto, può procedere all'intervento chirurgico e
quindi rimuovere parzialmente in base a quello che si è notificato. Quindi si porta via
parte di un determinato pezzo operatorio e si procede a studiare, dal punto di vista
istologico, lo stesso preparato. Poi si confronta questo preparato con il preparato che
abbiamo visto con la biopsia iniziale in modo tale da comparare le stesse lesioni. Da qui si
evince che la biopsia iniziale ha uno scopo diagnostico e pertanto è anche indicata con il
termine di biopsia incisionale, nel senso che si incide e si porta via un pezzetto della
lesione, ma non tutta la lesione, per comprendere il tipo di patologia. Talvolta la lesione è
di dimensioni limitate che può essere portata via anche con una biopsia, che non sarà più
incisionale ma diventerà una biopsia escissionale, cioè si porta via o si tenta di portar via
in toto, con un prelievo bioptico, la lesione da studiare. Ad esempio, l'anatomopatologo
deve procedere a un prelievo bioptico di tipo incisionale in un paziente che ha una piccola
escrescenza sul naso e che ha necessità di sapere se si tratta di una lesione benigna o di
una lesione maligna. Una volta effettuato il prelievo, si procede ad esame istologico. Se la
lesione è benigna, il tutto può finire lì (il paziente può decidere di tenersela poiché non
procurerà danno); se è una lesione maligna, invece, è necessario rimuoverla in toto. Si
effettua, dunque, la biopsia escissionale, e oltre a dare informazioni circa la lesione che
riguarda quella neoformazione, l'anatomopatologo si deve esprimere anche sui margini di
resezione chirurgica. Ad esempio: si è fatta una biopsia escissionale per portare via una
neoformazione della punta del naso del paziente X. Dovrà processare quel preparato per
fare la diagnosi, ma anche per dire se l'ha portata via totalmente. Se invece si procede
per una biopsia di tipo incisionale, nel momento in cui se ne toglie solo un pezzetto, per
capire semplicemente cos'è e per programmare un intervento successivamente, sulla
base della risposta dell'anatomopatologo, va da sé che l'anatomopatologo non si deve
esprimere sui margini di resezione chirurgica o sulla radicalità dell'escissione.
Altro materiale che giunge all'analisi dell'anatomopatologo sono i liquidi organici, presenti
nelle cavità corporee in corso di patologia, come versamenti pleurici, versamenti
addominali, versamenti peritoneali. Anche in questo caso si procederà ad un esame
istologico per valutare l'eventuale presenza di cellule neoplastiche.
Si possono anche effettuare degli aghi aspirati, nel caso, ad esempio, di neoformazioni
cistiche: anziché fare un prelievo bioptico, vengono punte, aspirato il liquido, nel
tentativo di capire se vi sono o meno cellule neoplastiche.
Si eseguono poi i riscontri autoptici che ormai si stanno riducendo fortemente di numero.
L'anatomopatologo fa le autopsie nel contesto di una struttura ospedaliera e la sua
attività autoptica è limitata solo a coloro che muoiono direttamente in ospedale o a
coloro che arrivano cadaveri in pronto soccorso. In quest'ultimo caso la situazione è più
delicata perché è più alta la possibilità che ci siano delle complicazioni medico-legali.
Su tutto il materiale che giunge nel laboratorio, l'anatomopatologo fa prima un esame
macroscopico e poi un esame microscopico. Si parte dalla conoscenza di base
dell'anatomia normale per poter capire cosa va a cambiare.
(SLIDE 6)
(SLIDE 8)
Questa si tratta di una ghiandola mammaria: lobulo, porzione secernente, dotto, lobulo
con dotto, lobulo ghiandolare. Tutto intorno vi è il tessuto connettivo fibroso. È una
struttura normale.
A fianco vi è un'altra struttura anatomica normale in cui riconosciamo un doppio strato
nell'epitelio ghiandolare: uno endoluminale e un altro strato di cellule, un po' più
piccoline, nascoste e allungate, che sono le cellule mioepiteliali, cellule che favoriscono
anche l'espulsione del prodotto di queste ghiandole. Per poter affermare che la ghiandola
mammaria in questione è una ghiandola mammaria normale, dobbiamo riconoscerne
tutte le strutture e possiamo utilizzare una regola (molto utile in questo caso, come nel
caso della prostata) andando subito a valutare se l'epitelio ghiandolare è in doppio strato
o se è monostrato. La presenza del doppio strato viene anche studiata in ulteriori
colorazioni di immunoistochimica. Perché è importante il doppio strato? Il carcinoma della
mammella e il carcinoma della prostata sono degli adenocarcinomi e sono delle
proliferazioni irregolari di queste ghiandole, che si "dimenticano" di fare un doppio strato
e fanno solitamente delle ghiandole neoplastiche con un monostrato. Quindi, riconoscere
queste cose ci porta al riconoscere una patologia piuttosto che un'altra, e a fare, quindi,
una diagnosi esatta per patologie importanti, come queste.
In basso troviamo delle reazioni di immunoistochimica, attraverso le quali, andiamo a
ricercare lo strato che, in ematossilina eosina, risulta più difficile da riconoscere. Alcuni
anticorpi particolari e specifici, volti a riconoscere queste cellule mioepiteliali (non ben
evidenziabili in ematossilina eosina) permettono una buona rappresentazione quando
utilizziamo la determinazione di immunoistochimica. Un esempio di questi anticorpi è
l'actina muscolo liscio, che lega in modo caratteristico questo primo strato e ci fa vedere
come, oltre alle cellule deputate alla produzione del latte, in determinate epoche della
vita, è presente anche quello strato più interno, più difficile da riconoscere con il semplice
esame routinario istologico in ematossilina eosina.
(SLIDE 9)
È una struttura normale e si tratta della cute: riconosciamo una componente epiteliale e
una componente connettivale, quindi epidermide, nella porzione più alta, e derma
sottostante. È una struttura ben organizzata e ben formata. Si riconosce, a livello
epiteliale, una struttura composta di più strati:
lo strato basale, costituito da cheratinociti basali o basaloidi che maturano e si
differenziano in strati di cellule un po' più ampie, con un citoplasma più ampio, che sono i
cheratinociti spinosi, che vanno a costituire lo strato successivo;
lo strato spinoso, costituito di cheratinociti squamocellulari o spinosi, perché dotati di
desmosomi, detti anche spine;
lo strato granuloso;
lo strato lucido;
lo strato corneo.
Al di sotto dello strato basale vi sono il tessuto connettivo e una membrana basale che
separa virtualmente la parte epiteliale dalla parte connettivale. Poi si trova il derma e
vediamo gli aggregati di cellule, che non sono altro che strutture vascolari.
(SLIDE 10)
Ci troviamo di fronte a tre casi lievemente alterati nei quali, però, riconosciamo sempre
l'architettura della cute. Non abbiamo dei grossi sconvolgimenti, poiché, trattandosi di
un'infiammazione, non vengono determinate grosse alterazioni a carico dell'architettura
della cute. La disposizione delle componenti epiteliale e connettivale dermica
sottostante, infatti, persiste. Si caratterizza, invece, per un'aumentata presenza di cellule
infiammatorie attorno ai vasi: linfociti perivasali. Questo avviene perché, come già detto
prima, nei processi infiammatori si verifica:
vasodilatazione;
marginazione;
rotolamento;
adesione all'endotelio;
diapedesi;
chemiotassi.
Quindi, la dermopatologia delle dermatiti diventa molto difficile per il dermopatologo. Per
poter fare una diagnosi di certezza sono necessarie, in questi casi, tutte le informazioni
cliniche da parte del dermatologo. Dobbiamo toglierci, dunque, dalla testa che, portando
via un pezzettino di tessuto, in corso di patologia infiammatoria cutanea, possiamo
raggiungere con certezza una diagnosi istologica definitiva. Il quadro che abbiamo
all'esame istologico, solitamente, è un processo infiammatorio, linfocitario, granulocitario,
o altro (si può diversificare per la quantità di componenti nell'essudato infiammatorio).
Sicuramente, in corso di dermatite allergica da contatto vi è un numero di granulociti
eosinofili in più, ma in una dermatite da contatto di lunga data si ha la perdita degli
eosinofili e si ha sempre una dermatite perivasale superficiale di tipo linfocitaria. Quindi
una dermatite allergica da contatto va studiata con l'esame istologico, ma anche con tutti
gli esami di laboratorio, i test allergologici, in modo da sapere il livello di IgE, la reattività
a determinati antigeni o allergeni. Se tutti gli esami di laboratorio e il decorso clinico della
patologia sono compatibili con la dermatite allergica da contatto, allora anche l'esame
istologico sarà utile. Non si può mai diagnosticare una dermatite allergica da contatto
sulla sola base di un esame istologico.
Tornando alla figura, vi è un po' di materiale amorfo, di un colorito più scuro, che può
destare l'attenzione e che può essere meglio studiato.
Nella figura a sinistra, si notano un aumento dello strato corneo, di cheratina
(ipercheratosi o ortocheratosi), l'epidermide un po' più ispessita (acantosi) e un lieve
infiltrato perivasale superficiale.
L'ultima immagine evidenzia uno strato corneo nella norma, una ortocheratosi,
un'epidermide scarsamente ingranata, e una lieve presenza di elementi infiammatori
disposti, forse, in modo un po' interstiziale.
(SLIDE 11)
Le neoplasie, invece, vanno ad alterare l'architettura di un determinato organo. In questa
sezione di cute, abbiamo tagliato la neoplasia, di cui si vede l'immagine clinica (in alto). Il
derma risulta essere completamente sostituito da questa massa, che ha una colorazione
sul celestino (il derma normale possiede una colorazione di tipo eosinofilo, quindi rosa),
andando ad alterare totalmente quello che è il derma reticolare, che si vede un po' ai lati
della neoformazione. In questo caso, quindi, il dermatologo fa una biopsia di tipo
escissionale e l'anatomopatologo processa questo pezzo. Abbiamo ottenuto una sezione
sottile che evidenzia una piccola massa nel contesto del derma, che va ad alterarne
completamente l'architettura. Si ha una neoplasia costituita da elementi fusati,
rotondeggianti in uno stroma connettivale. Nella figura superiore sinistra vediamo,
macroscopicamente, il dermatofibroma o istiocitoma fibroso, caratterizzato da elementi
fusati ma anche globosi e dallo stroma connettivale: si tratta di una neoplasia benigna,
che si manifesta con una rilevatezza rosea, a volte marroncina, particolarmente
frequente sugli arti inferiori, ma anche su quelli superiori e che può dare prurito, ma
soprattutto fastidio.
Da un punto di vista clinico è invece un po' più brutta l'altra neoformazione (figura
inferiore sinistra), di colorito nerastro, di aspetto ruvido. La controparte istologica si trova
a fianco. Tale neoplasia sta crescendo all'interno dell'epidermide, scompaginandola.
L'epidermide, dunque, è completamente alterata, ispessita, ed è caratterizzata da queste
cisti cornee, colme di materiale cheratinico. Si tratta di una cheratosi seborroica. Entra in
diagnostica differenziale con le lesioni pigmentate, nevi, ma anche melanoma e
carcinoma basocellulare. Il motivo per cui la si porta via è proprio perché, talvolta, può
essere confusa con una neoplasia maligna. È una patologia che interessa gli adulti e che
non preoccupa dal punto di vista prognostico, essendo una neoplasia benigna.
(SLIDE 12)
Altra lesione clinica: neoformazione rilevata, da portar via in parte (biopsia incisionale) o
in toto. Questa lesione, da un punto di vista clinico, è conosciuta con il termine di corno
cutaneo: è un'escrescenza costituita fondamentalmente da cheratina e che nasce su
lesioni particolari dell'epidermide. Al di sotto di questo corno cutaneo può esserci una
cheratosi seborroica, un carcinoma basocellulare, un carcinoma squamocellulare o anche
una cheratosi attinica. L'esame istologico evidenzierà uno strato di cheratina
abbondante, molto alto (anche 1 cm o 2 cm). Ciò che interessa capire è cosa c'è al di
sotto di questo corno cutaneo. In questo caso, l'epidermide sottostante è minimamente
alterata: presenta uno spessore molto assottigliato e lo strato basale non è costituito dai
cheratinociti basali (costituiti prevalentemente da nucleo e da poco citoplasma in
monostrato) ma da cellule un po' più atipiche, globose e con nucleo ipercromico. Quindi,
questa porzione di cheratina va a crescere sopra un'epidermide così alterata. Una lesione
di questo tipo, associata anche a sottostante degenerazione delle fibre elastiche presenti,
configura la cheratosi attinica, la quale è una lesione preneoplastica, dalla quale origina il
carcinoma squamocellulare. Quest'ultimo è una neoplasia maligna capace di
metastatizzare e, quindi dovrà essere portata via per tempo. Dunque, secondo alcuni la
cheratosi attinica è il precursore del carcinoma squamocellulare; secondo altri, invece, è
già un carcinoma squamocellulare in situ, ossia confinato all'interno dell'epidermide, solo
ed esclusivamente, dentro lo strato epiteliale della cute. Nel momento in cui queste
cellule iniziano a proliferare un po' di più, vanno a colonizzare tutto lo spessore
dell'epidermide, e possono anche andare ad infiltrare il derma. Allora, avremo un
carcinoma squamocellulare infiltrante.
Nel derma, oltre alle fibre collagene, vi sono anche le fibre elastiche, capaci di dare
elasticità alla cute (se solleviamo la cute, questa ritorna, brevemente, alla sua posizione
iniziale) e, la loro degenerazione è determinata da un danno solare, quindi si
danneggiano nelle regioni fotoesposte.
Le fibre elastiche non vengono viste in ematossilina eosina solitamente, ma, quando
patologiche, come in questo caso, danneggiate dal sole, si omogeneizzano e assumono
una colorazione celestino-blu. Questa degenerazione delle fibre elastiche sta anche alla
base delle rughe, appunto perché vengono danneggiate.
Questa è un’altra neoplasia. Si tratta di
un'immagine clinica, una rilevanza
rosso salmone abbastanza ben
definita, ricoperta da teleangectasie o
vasi. Nella controparte istologica
abbiamo una neoformazione
organizzata in piccoli o grossi noduli, di
diverse dimensioni costituiti da cellule basaloidi (somigliano alle cellule dello strato
basale), costituite appunto prevalentemente da un nucleo.
E’ un carcinoma basocellulare, una entità neoplastica maligna che insorge a livello
cutaneo, caratteristicamente si organizza in noduli di questo tipo, ma non solo.
Abbiamo una disposizione di questi elementi a costituire una sorta di palizzata alla
periferia dei noduli con una cleft fissurale.
Il termine carcinoma sta a indicare una neoplasia epiteliale maligna, che origina da un
epitelio, in questo caso dall’epidermide; le neoplasie che invece nascono dai tessuti
connettivali vengono chiamati sarcomi. Il sarcoma è una neoplasia mesenchimale
connettivale maligna.
Quindi chiamare la lesione che abbiamo appena visto carcinoma basocellulare
significa parlare di una neoplasia epiteliale maligna, identificata dall’aggettivo
basocellulare, costituita prevalentemente da elementi basaloidi che si organizzano a
fare dei noduli di piccole dimensioni con una caratteristica fissurazione tra la
neoplasia e il connettivo sottostante. È una caratteristica che questo tumore si porta
dietro e che gli anatomo-patologici riconoscono e vanno a ricercare per porre questo
tipo di diagnosi.
Il carcinoma basocellulare è ad aggressività locale, quindi da un punto di vista
prognostico è un carcinoma che consente la vita, in genere non dà metastasi e le
poche metastasi possibili sono pubblicate, perché rare. Quindi sicuramente è meno
grave di un tumore maligno perchè se trattato adeguatamente consente una vita
tranquilla. Non portandolo via totalmente e non facendo delle adeguate biopsie di tipo
escissionali e trattenendo alcuni noduli della neoplasia, è consequenziale la recidiva
delle lesione. Essendo una lesione fatta di piccoli noduli, il chirurgo taglia dove da un
punto di vista clinico sembra terminare la neoplasia, ma spesso può accadere che
qualche nodulo si trovi in un altro punto dell’epidermide, cioè distanziata da quella
che clinicamente è il confine tra neoplasia e cute sana. Si cerca ugualmente di dare
una risposta esaustiva sulla radicalità dell’escissione e spesso ci troviamo a valutare
un margine di resezione chirurgico che è effettivamente “pulito” dove non vediamo la
neoplasia, ma considerate: se il dermatologo avesse tagliato in un punto del processo
infiammatorio di accompagnamento al tumore, diremo che è pulito, con solo un po’ di
flogosi. Quindi spesso non vi è concordanza effettiva tra margini di resezione
chirurgica indenni e radicalità dell’escissione, cioè la neoplasia può infiltrare anche la
parte di cute che è apparentemente normale. ( il taglio di resezione chirurgica può
andare a finire in un punto dove effettivamente non c’è tumore e quindi l’esame
istologico ci consente di dire con certezza che non c’è neoplasia, ma ci potrebbe
essere un nodulo distante in un contesto di epidermide normale.)
RICAPITOLANDO: è un carcinoma basocellulare maligno, senza capacità
metastatizzante ma con aggressività locale alta, con capacità ricorrente, recidivante
molto alta.
Questa capacità recidivante crea particolare disagio sopratutto a seconda della sede
in cui appare il carcinoma basocellulare; ad esempio se apparisse sul volto le ripetute
escissioni potrebbero lasciare segni permanenti.
hcv
nash
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In modo particolare nel caso infiammatorio perché ci sono dei quadri morfologici
completamente sovrapponibili e solo con l’interazione clinica si può infine raggiungere
la diagnosi finale. Abbiamo visto l’orticaria,l’ittiosi,la tinea corporis,la dermatofitosi.La
tinea corporis si dovrebbe riconosce subito, basta uno scotch test nella lesione,
analizzarla al microscopio e si vedono i miceti e le spore evitando un prelievo bioptico,
ma spesso per degli errori diagnostici si esegue ugualmente, per questo motivo è
molto importante la collaborazione.
Alla fine dobbiamo costruire la nostra diagnosi sulla base di tutte le informazioni che
riusciamo a raccogliere. Informazioni che devono essere dettagliate sulla
clinica,sull’età del paziente infatti molte malattie sono solo dei bambini e altre sono
solo degli anziani, sul sesso infatti molte malattie sono solo delle donne e altre solo
degli uomini, importanti sono gli esami di laboratorio. Se si porta nel distretto di
anatomia patologica ad esempio un campione di un polmone, bisogna indicare la sede
del prelievo e come si presenta nella rx toracica, alla risonanza magnetica e alla tac. A
questo punto interviene l’anatomo patologo che analizza il campione con le varie
colorazioni istochimiche come l’ematossilina eosina che è la base, la colorazione di
routine. Poi c’è il Pas che serve per evidenziare i funghi,i miceti. Dopo l’esame
istologico si possono mettere insieme i tasselli e formulare una diagnosi.
b)
Identificazion
e del mittente
c)
Identificazion
e del campione
d) Dati
clinici
e) Dati
di ricezione
per sistemare i prelievi bioptici e i pezzi operatori e i dati del paziente devono essere
messi esclusivamente nella parete del contenitore. Questi contenitori possono essere
grandi e piccolo,infatti i pezzi operatori grandi non si devono infilare nei contenitori
piccoli,ma quello di dimensioni adeguate. E’ capitato che le mammelle venissero
sistemate nei barattoli piccoli e questo ha causato una deformazione e inoltre questo
porta a una mal fissazione.
Questo primo pezzo operatorio fissato in formalina,agente che crea delle
modificazioni nel colore, è un utero alterato di dimensioni, morfologia e peso alterati e
dobbiamo analizzare questi cambiamenti associando l’utero alla persona a cui è stato
tolto ( bambina, adulto,anziana). Si può vedere che la forma di pera rovesciata non è
mantenuta, si può vedere la cervice uterina che si affaccia in vagina e in cui origina il
carcinoma della cervice .La cervice è ben studiata attraverso un esame che si chiama
pap test, lo screen shot cervico vaginale nelle donne. Per effettuarlo si prende una
spatola e si prende del materiale a livello della cervice, del canale cervicale e anche a
livello vaginale poi questo materiale si striscia in un vetrino facendo attenzione a
porre la componente vaginale da una parte e la componente uterina dall’altra perché
le cellule sono diverse. Il pap test esiste anche per gli uomini, è un paptest urinario e
cioè un esame citologico delle urine per vedere se c’è un carcinoma papillare nella
Continuando con la descrizione del pezzo operatorio notiamo che ci sono delle
deformità, dei lobuli rotondeggianti e se tagliamo a metà il pezzo vediamo che queste
deformità sono associate a noduli dell’utero,del miometrio e nella parete. Questi che si
vedono solo leiomiomi intrauterini che quindi portano alla deformazione dell’organo. Il
leiomioma è una neoplasia benigna, ma esiste il corrispondente maligno che è
rappresentato dal leiomiosarcoma( neoplasia che coinvolge tessuti mesenchimali). I
leiomiomi nelle giovani donne si possono togliere a seconda delle dimensioni per poter
preservare l’eventualità di una gravidanza.
Spesso ci capiterà di entrare in contatto con l’aldeide formica( HCOH) che, principio
attivo della formalina, ha capacità additiva cioè si associa a diversi componenti delle
proteine e ne impedisce la loro degradazione necro biotica. Agisce sia sulle proteine
del citoscheletro sia sulle proteine enzimatiche il cui compito è favorire la putrefazione
in assenza di formalina. La formaldeide si trova al 40% ma si deve usare diluita al 4%,
si prende una parte di formolo e se ne prendiamo 10 cc poi aggiungiamo 95 cc di
acqua e così si crea la formalina che si usa per fissare i tessuti.
Seconda lezione di Anatomia patologica: 2^ parte (sono partito dal 37° minuto di
registrazione circa)
La formalina, formula chimica HCOH, presente in una concentrazione pari al 4% nel formolo,
presenta capacità di formare legami crociati con le proteine e di conseguenza impedire la
degenerazione. Di fondamentale importanza è conoscere la velocità di penetrazione della formalina,
di 0.8 mm/h per cui un prelievo bioptico assai piccolo, come per esempio duodenale,gastrico di
dimensioni di 2x3 mm, questi vengono fissati totalmente in un'ora e possono essere quindi avviati
direttamente alla fase successiva di lavorazione. Immaginiamo di avere un pezzo operatorio grande
quanto una mammella, a volte di 20x15 di spessore, ore se non giorni sono il tempo necessario
affinchè venga fissata e che la formalina possa agire e quindi impedire processi di degenerazione.
Per ovviare a tale problema si procedere effettuando dei tagli non compromettenti, in modo da
ridurre lo spessore, ad esempio di 2 cm circa di spessore e interponendo della garza in modo che la
formalina possa penetrare da tutte le superfici, e che quindi le varie porzioni possano venir fissate
totalmente. Un'altra importante proprietà tipica della formalina è quella di aumentare la consistenza
dei tessuti rendendoli più duri e allo stesso tempo elastici, fondamentale quando si attuano
microsezioni, utile al momento del taglio.
Come funziona la nostra molecola HCOH?.
La formalina innanzitutto si lega con dei idrogeni reattivi presenti nei gruppi aminici, nitrici
solfidridici e così via, presenti negli aminoacidi che costituiscono le proteine, dando luogo alla
formazione poi di un ponte crociato, tra due idrogeni contigui di due aminoacidi differenti. Si viene
quindi a costituire una sorta di reticolo tra le proteine, in forza di questi ponti crociati di CH2,
immersi dalla formalina in soluzione acquosa all'interno del tessuto, delle proteine che costituiscono
quel determinato tessuto, proteine sia strutturali che funzionali. L'essere precisi nel porre in
formalina entro 24h una determinata sezione è fondamentale, in modo tale da evitare che la stessa
vada in necrosi. E' possibile la richiesta di esami istologici intraoperatori, o estemporanei e spesso ci
verrà richiesto, durante la stessa operazione, di portare sezioni da esaminare nel laboratorio di
anatomia patologica. Quando ci potrebbe venire richiesto? Quando durante un intervento
chirurgico, il nostro chirurgo, animato dai più alti propositi di salvare la vita di un paziente “x”,
inizia il suo intervento e programma il suo intervento di addome acuto. Il paziente stà parecchio
male, arriva in pronto-soccorso con addome acuto e a tavola, con dolori fortissimi, peristalsi
assente. In situazioni del genere è leggittimo operare, li fanno firmare i vari documenti e subito
d'urgenza in sala operatoria. Ipotizziamo sia una appendice perforata, si taglia, si apre e si nota che
l'appendice è regolare, non tumefatta, non infiammata, non presenta pus, il chirurgo quindi fa in
generale un esame macroscopico sull'organo che pensava fosse responsabile della sintomatologia
dolorosa, per cui l'appendice non può essere tolta essendo sana. A quel punto avendo aperto,
ovviamente va a controllare e si rende conto che un ovaio presenta una bella lesione cistica, di 8-10
cm.
Come procede il nostro chirurgo nonostante avesse programmato una durata sicuramente
minore dell'intervento, con anestesia per dieci minuti? Procedo immediatamente con la
rimozione dell'ovaia con lesione cistica dalla giovane paziente di soli 20 anni, rendendola
conseguentemente sterile? Ecco che proprio in queste situazioni, noi infermieri condividiamo tale
esperienza, portando in estemporanea, al laboratorio di anatomia patalogica, tale formazione.
Questo è il preparato che noi osserviamo a seguito di un preparato a fresco, quindi immediatamente
durante l'intervento dobbiamo dare una risposta entro i 15 minuti. In casi come questi in cui i tempi
devono essere assai brevi, non si ricorre all'utilizzo della formalina, dato che non ci fornisce
fissazione per neo-formazioni di 10 cm, allora facciamo esame istologico su tessuto fresco in un
materiale che diventa solido a -35°. Questo caso precedentemente descritto non è l'unico, bensì il
chirurgo coinvolge il laboratorio di anatomia patologica anche nel frattempo stia operando e
prelevando una neoplasia, infatti l'infermiere, avra' lo scopo di portare in estemporanea, la porzione
di tessuto che potrebbe essere o meno neoplastica. Esaminando un tessuto in estemporanea è più
difficile valutare il preparato, dato l'utilizzo non di formalina ma di paraffina, che dona compattezza
e facilità di taglio del campione. Nel caso in cui non si riesca ad essere particolarmente precisi con
l'esame in estemporanea, si rimanda ad esaminare il campione con il metodo diciamo “classico”, in
formalina. Altro pezzo operatorio osservabile dalla slide è una sezione di padiglione auricolare che
presenta una neoformazione. Lo misuriamo, lo valutiamo, descriviamo la presenza di questa
neoformazione, possiamo colorare e facciamo un prelieva che prenda la neoformazione, centrale e
sui lati a “t” in modo tale da valutare la neoformazione.
Il nevo poi da giunzionale può diventare anche solo dermico, significa che in questo caso ci
troviamo di fronte a una proliferazione melanocitaria benigna intradermica, cioè avviene solo ed
esclusivamente dentro il derma.
Col nevo displastico, invece, o nevo di Clark intendiamo una
proliferazione sempre di melanociti che iniziano a presentare però
dei caratteri di atipia citologica, quindi a carico dei melanociti
così rappresentati, con un nucleo più grande, più scuro, più
regolare, che costituiscono la percentuale più alta di melanociti nel
melanoma.
Fi
g ur
a 3 -
C
Vedete la presenza di queste cellule melanocitarie dentro l'epidermide, in tutti gli estratti
dell'epidermide, assenti praticamente nella sezione A di cute normale, nella B di nevo giunzionale,
nella C di nevo composto, iniziano a fare la loro comparsa nel nevo displastico e sono molto
rappresentate nel melanoma. La presenza di queste cellule dentro l'epidermide in tutti gli strati,
specie in quelli superficiali, viene indicata con il termine di diffusione pagettoide: è una modalità
di infiltrazione, secondo alcuni, delle cellule un po' più aggressive e sulla loro presenza, su questo
criterio istologico, spesso molti di noi basano anche la diagnosi di melanoma, perché è un carattere
molto ben rappresentato e presente anche in percentuale molto alta nei melanomi.
Pertanto, risulta sempre vero che molti nevi benigni ben caratterizzati possano avere la presenza di
queste cellule. Per cui vedete ritorniamo a quanto abbiamo detto altre volte: la diagnosi la facciamo
non con un solo criterio, anche per quanto riguarda solo l'istopatologia; ne dobbiamo trovare più di
uno, che ci portino verso il melanoma contro uno o due che possono essere per il nevo o viceversa.
Così come la diagnosi clinica si basa su più sintomi presi contestualmente (ad esempio il mal di
pancia i cui sintomi sono presenti anche nella sindrome influenzale ma non è detto che ogni volta
che accusi le coliche addominali abbia l'influenza). I criteri istologici e i sintomi devono essere
presi con cautela, con razionalità per poter raggiungere quella che è una diagnosi istologica.
Per cui la diffusione pagettoide non è sempre presente nel melanoma ma ci aiuta a fare la diagnosi;
per esempio molti nevi congeniti possono avere la diffusione pagettoide così come i nevi acrali e i
nevi in sede speciale (ovvero i nevi che insorgono in corrispondenza della regione mammaria)
hanno una morfologia molto inquietante dal punto di vista istologico e può essere scambiato per
melanoma. Ecco perché è importante introdurre il concetto di sede del prelievo del nevo.
I nevi acrali hanno una morfologia critica: sono considerati dei simulatori di melanoma. Sapere che
è nel piede o nella mano, acrale significa delle estremità, ci può aiutare a fare una diagnosi più
corretta. I nevi della regione genitale, lo stesso, i nevi dell'ombelico, dell'ascella hanno tutti criteri
istologici che se non supportati dal dato clinico di sede del prelievo ci possono trarre in inganno e
farci fare una diagnosi errata di melanoma. Da un punto di vista fisiopatologico, la diffusione
pagettoide (la risalita, la presenza di queste cellule nel displastico e presenti anche nell'acrale e nel
congenito, molto presente a livello del melanoma) qualcuno ritiene che ci aiuti a fare la diagnosi di
melanoma: è da mettere in relazione ad una sorta di eliminazione trans-epidermica di queste cellule
neoplastiche benigne o maligne. Poiché il melanoma è una proliferazione maligna, esuberante, con
una spinta maggiore alla proliferazione rispetto al nevo, anche la diffusione pagettoide (cioè la
presenza di cellule dentro l'epidermide) è molto più rappresentata.
Questa immagine invece ci rappresenta da un punto di vista schematico, clinico e istologico il nevo
displastico o nevo al quale Clark attribuisce un ruolo importante nell'unire, nel legare una
proliferazione melanocitaria benigna a quella maligna.
Alcuni criteri sono la presenza di teche alla base dell'epidermide, così come abbiamo visto nel nevo
giunzionale, ma che creano dei ponti tra le creste epidermiche: quindi una proliferazione più
importante con la presenza di atipie citologiche.
La volta scorsa abbiamo parlato anche di alcune reazioni istochimiche per poter riconoscere i
cheratinociti e i melanociti e per poter identificare il pigmento di melanina. Abbiamo detto anche
che Fontana-Masson, l'istochimica per la melanina, ci aiuta a fare diagnosi differenziale di tipo
cellulare, di melanocita o cheratinocita, ma ci riconosce molto bene la melanina, ci dice che dentro
quelle cellule c'è melanina. Poiché la melanina è prodotta solo dai melanociti ma da questi viene
distribuita a tutti i cheratinociti non ci permetterà di distinguere con specificità tra melanocita e
cheratinocita. Mentre abbiamo detto che la reazione DOPA è una reazione che si fa a fresco e
utilizza nella sua reazione la presenza degli enzimi, tipo la tirosinasi, deputati alla conversione e alla
produzione di melanina, presenti solo ed esclusivamente nei melanociti, ci permette di distinguere i
cheratinociti basali dai melanociti basali. Diversamente in quest'epoca in cui l'istochimica sta
facendo passi da gigante, l'industria farmaceutica sta facendo passi da gigante nel produrre degli
anticorpi specifici contro antigeni specifici di un determinato istotipo cellulare possiamo con
un'indagine di tipo immuno-istochimico, che utilizza la reazione antigene-anticorpo, riconoscere un
cheratinocita da un melanocita.
Quali sono quindi i marcatori che ci permettono di distinguere i melanociti dai cheratinociti?
L'HMB45, il melana, la tirosinasi e il fattore di crescita, il MTF.
In questo modo con una reazione antigene-anticorpo noi riconosciamo i nostri melanociti, sia quelli
di una proliferazione benigna, cioè di un nevo, sia di una maligna, ossia melanoma. Quindi questi
marcatori, per quanto l'HMB-45 è stato detto anticorpo specifico associato al melanoma, non ci
consente di distinguere le proliferazioni melanocitarie benigne o maligne. Evidenzia i melanociti,
non ha capacità di discriminare tra nevo e melanoma, ma ci consente solo di dire che quella
particolare proliferazione è di tipo melanocitario. Pertanto poi i modelli di espressione di questi
anticorpi (HMB-45 e melanà) possono essere differenti nel nevo e nel melanoma: per cui non esiste
un marcatore immuno-istochimico che ci fa diagnosi di melanoma.
Questa è una losanga di cute con una
lesione pigmentata: misuriamo la
losanga, misuriamo la lesione, la
descriviamo dal punto di vista dei colori,
misuriamo la distanza dai margini
laterali, coloro il fondo della losanga di
nero con inchiostro di china e poi si
procede quindi al campionamento. Da
quella lesione noi dobbiamo ottenere
delle sezioni sottili, colorabili e
osservabili al microscopio ottico.
Il concetto è che: con questi due coloranti andiamo a colorare il nucleo e il citoplasma
e sulla base delle caratteristiche che eventualmente possono essere cambiate a livello
nucleare e citoplasmatico ci dobbiamo esprimere verso un tipo di lesione che può
essere di tipo infiammatorio o neoplastiche.
giganti con tanti nuclei all’interno,non sono altro che dei macrofagi,degli istiociti che
stanno reagendo e interagendo contro questa massa morta che non è altro che calcio,
nel tentativo di rimuoverla. Nel corso di diverse patologie croniche possiamo avere la
deposizione dei Sali di calcio e ogni qualvolta si verifica questo, si ha una relazione di
tipo istiocitario attorno, come in questo caso.
PROCESSO INFIAMMATORIO
Il messaggio che ci deve arrivare è che non possiamo dire chi ha innescato il
processo,quindi non possiamo dare risposte di tipo eziologico; l’unica cosa che
possiamo dire è che siamo di fronte ad un processo infiammatorio che può essere data
da batteri,da virus,da funghi ,da sporcizia o da necrosi tissutale.
Nel contesto di questa patologia infiammatoria esiste anche una patologia cutanea
che è il pemfigo volgare.
PEMFIDO VOLGARE.
Aspetto microscopico con bolle molto vaste, sembrano quasi delle ustioni che possono
occupare superfici estese del corpo vediamo anche la controparte istologica dentro
l’epidermide qui ancora normale in seguito all’azione contro le desmogleina La parte di
questi autoanticorpi si viene a creare una essudazione, in questo caso soprabasale e
siamo di fronte ad un pemfido Volgare.
Da un punto di vista istologico quindi in seguito al prelievo biotico fatto in prossimità degli
elementi bollosi , andiamo quindi a fare il nostro esame istologico
e vediamo l'epidermide in questo caso lievemente separata dal derma sottostante e qui
abbiamo una fissurazione, quindi siamo in una fase possiamo dire iniziale dove ancora la
bolla non si è realizzata totalmente ma da un punto di vista morfologico questo è già
sufficiente per parlare di fissurazione o iniziale formazione di bolla o vescicola al di sotto
della bolla abbiamo una essudato o un infiltrato infiammatorio ricco di granulociti eosinofili
(sette),quindi si caratterizza in modo particolare per la presenza di un infiltrato essudato
infiammatorio di tipo eosinofilo e quindi questo arricchisce il reperto istologico e si
aggiunge un criterio in più che si aggiunge all'elemento bolloso sotto epidermico.
ancora un'altra immagine clinica, un’altra immagine istologica vedete che qui la bolla e
questo spazio quasi vuoto colmo di elementi infiammatori si localizza per i motivi
eziopatogenetici che abbiamo visto prima sotto l'epidermide e quindi abbiamo una
dermatite bollosa sotto epidermica in questo caso abbiamo una bolla molto più evidente e
una ricchezza in granulociti e eosinofili molto più evidente rispetto al preparato precedente
e ciò magari ci aiuta a farci un'idea sulla gravità e sulla durata della patologia stessa.
Anche in questo caso oltre alla clinica che sicuramente ci mette in evidenza una malattia
bollosa supportata dall'esame istologico come abbiamo visto in questo caso le
immunoistochimiche in modo particolare immunofluorescenza diretta ,variante della
immunoistochimica ,ci permette un tracciato di questo tipo lineare alla giunzione
dermoepidermica in questo caso quindi si sta evidenziando una reazione antigene
anticorpo di tipo autoimmunitario localizzata a livello di membrana basale o al confine
dermoepidermico .
perché si identifica li ?perché la reazione antigene anticorpo tra autoanticorpi contro
l'antigene A1 del pemfigoide bolloso è lì ubicato fisiologicamente anatomicamente e
quindi questi anticorpi e la reazione si verifica la ,noi abbiamo degli anticorpi contro le
immunoglobuline G contro il complemento frazione del complemento e da un punto di
vista immunochimico, abbiamo questo modello di espressione molto caratteristico che ci
supporta l'esame istologico e l'esame clinico quindi noi possiamo chiudere il caso con
sicurezza in questo caso possiamo fare diagnosi di certezza indipendentemente da tutte
le informazioni cliniche che possono averci dato i clinici .quindi ci sono dei casi che dal
punto di vista istologico immunoistochimico noi possiamo chiudere quindi qui abbiamo un
modello di espressione di immunofluorescenza completamente diverso.
Poiché nel pemfigo l’immunofluorescenza era attorno ai cheratinotici, nel pemfigoide
bolloso sono solo nella giunzione dermoepidermica o in corrispondenza della membrana
basale .
ovviamente in corrispondenza di queste patologie che noi possiamo da un punto di vista
anatomopatologico risolvere con successo anche solo con l'esame istologico e
immunoistochimico ovviamente qui c'è tutta una controparte laboratoristica cioè gli
autoanticorpi anti desmogleina 1 e 2 e gli autoanticorpi anti antigene 1del pemfigoide e
antiantigene 2 del pemfigoide bolloso possono essere recuperati anche a livello
laboratoristico per cui se vogliamo avere ulteriore certezza dovremo anche avere queste
informazioni che solitamente vengono rinracciate e il nostro reperto istologico e
immunoistochimico viene inquadrato clinicamente anche sulla base degli elementi
laboratoristici dal clinico o dal medico internista o dal dermatologo .
Un altro esempio di immunofluorescenza lineare di questo tipo
Da sola l'immunofluorescenza non ci dice più di tanto perché l’immunofluorescenza
lineare di questo tipo può essere relativa anche a un lupus quindi questa ha potere
diagnostico se associata alla presenza di un elemento bolloso sottoepidermico se invece
sono in un altro tipo di patologia come lupus eritematoso sistemico ,non possiamo
utilizzare solo un reperto in questo caso l'immunofluorescenza in modo dissociato
singolarmente ma si deve associare sempre come in questo caso al reperto istologico.
Sicuramente quindi una dermatite bollosa con un modello di espressione di
immunofluorescenza di questo tipo è indicativo di pemfigoide bollosa se non avessimo
una bolla ma ci trovassimo in un'altra entità clinica che viene riconosciuta clinicamente per
cui tutte le richieste fatte dal dermatologo e dal medico internista sono diverse ,questo
potrebbe essere teoricamente relativo anche ad un lupus eritematoso.
Un'altra patologia bollosa della cute è la dermatite erpetiforme detta anche dermatite di
Duhring
Il termine erpetiforme sta ad indicare che assomiglia quasi all’ herpes che tutti noi
conosciamo facilmente perché facciamo esperienza annuale ,ed è la più frequente a
livello labiale , invece la dermatite erpetiforme non ha niente a che fare con l'herpes non è
una malattia virale causata dal virus herpes simplex di tipo 1labiale ,di tipo 2genitale.
L’erpetiforme ha la forma di un herpes assomiglia clinicamente ad un herpes ma è
un'altra patologia.
perché assomiglia all'herpes? perché ha delle piccole vescicole raggruppate ,esperienza
che noi abbiamo dell’ herpes labiale sono delle viscicolette più o meno raggruppate che
vanno incontro ad erosione ed ulcerazione . Quindi questa è una dermatite che si verifica
un po’ su tutto l’ambito cutaneo potrebbe teoricamente in prima battuta entrare in
diagnostica differenziale con le altre bollose ,da un punto di vista istologico è una
dermatite bollosa sottoepidermica quindi totalmente sovrapponibile dal punto di vista
istologico al pemfigoide bolloso e non al pemfigo e quindi si pone una diagnostica
differenziale con il perfido bolloso, da un punto di vista clinico è sovrapponibile con tutte
perché sono tutte bollose. intanto si associa l'intolleranza al glutine quindi sono tanti i
pazienti intolleranti al glutine celiaci , (Porzioni frammenti di glutine assorbiti a livello
intestinale vengono riconosciuti da degli anticorpi e si formano degli immunocomplessi ,gli
immunocomplessi raggiungono il microcircolo la microcircolazione cutanea e vengono
intercettati e bloccati a livello di membrana basale da antigeni o da recettori non bene
conosciuti ed ecco che in questo caso la reazione antigene anticorpo da
immunocomplessi si verifica in questa sede sotto la membrana basale )necessariamente
quindi la formazione bollosa si verifica in questo punto ,cioè sotto l'epidermide .
In questo caso il processo infiammatorio innescato dalla presenza di questi complessi
contro delle porzioni di glutine innescano e richiamano un processo infiammatorio ricco di
granulociti neutrofili e questo è un altro criterio che da un punto di vista istologico ci aiuta a
fare la diagnosi differenziale quindi abbiamo una bolla sottoepidermica come il pemfigoide
bolloso ,il pemfigoide bolloso e’ ricco di eosinofili( dermatite granulocitaria), la dermatite di
Duhring e invece sì bollosa sotto epidermica ma ricca di granulociti neutrofili quindi
apparentemente dal punto di vista clinico tutte molto simili (poiché presentano la bolla) dal
punto di vista istologico il pemfigoide bolloso e la dermatite di Duhring ) sono sotto
epidermiche ,mentre il pemfigo volgare è intradermico .
Punto di vista ancora istologico il pemfigoide bolloso è ricco di eosinofili e la dermatite
erpetiforme è ricca di neutrofili quindi abbiamo criteri istologici che ci permettono di fare
già una diagnostica differenziale sulla base morfologica e sulla base prettamente
istologica e vedete da un punto di vista istologico in questo caso la fissurazione ,l'iniziale
formazione bollosa sempre nel comparto sotto epidermico che si arricchisce di molti
granulociti neutrofili proprio in corrispondenza della papilla dermica, noi abbiamo delle
piccole raccolte quasi ascessuali
L’’ ascesso che cos'è ?è una raccolta di granulociti neutrofili stipati tra di loro in vari aspetti
degenerativi , la dermatite bollosa sottoepidermica inizia a fare la bolla in corrispondenza
del piatto sopra papillare e si arricchisce per la presenza di queste raccolte granulocitarie
neutrofile in questa sede,già questo è molto caratteristico da un punto di vista istologico e
ci aiuta ad andare verso la dermatite di Duhring piuttosto che verso il Pemfigoide bolloso.
Ci aiuta ancora di più l'immunoistochimica e immunofluorescenza che evidenzia un
accumulo di IGa a livello di papilla dermica.
dal punto di vista clinico piccole bolle anche ravvicinate punto di vista istologico bolla
sottoepidermica con fissurazione tra il piatto sopra papillare poi vi la papilla dermica
L’immagine sopra illustrata è una gamba che ha delle lesioni eritematose che
sembrerebbero piatte con dei bordini periferici un po' più scuri ,facciamo la biopsia nel
fronte di avanzamento di questa lesione eritematosa e a questo ingrandimento vediamo
quasi niente .
Ancora vediamo uno strato colmo ,epidermide ,derma e forse un po' di infiltrato , andiamo
a vedere a maggior ingrandimento e vediamo ancora meglio come intorno ai vasi abbiamo
dei granulociti neutrofili più frequenti quindi un processo infiammatorio ,abbiamo capito
perché l'infiltrato infiammatorio è inizialmente peri basale ,vi è qualche eosinofilo e questo
è un esempio di orticaria , della quale avevo parlato per esteso la volta precedente .
E invece questi sono i cambiamenti a carico della mortalità, la mortalità aumenta ma non
di tanto ,dovremmo avere dei picchi nel grafico completamente sovrapponibili .
qualcuno polemicamente inizia a dire” ma allora i melanomi sono tutti così Cattivi ?”
probabilmente non sono tutti cattivi oppure questa non corrispondenza tra mortalità e
incidenza di patologie di melanoma è da mettere in relazione al fatto che noi
anatomopatologici o il clinico dermatologo sta lavorando al meglio cioè sta facendo delle
diagnosi precoci e quindi sta facendo una buona prevenzione ,sta” portando via” quelle
lesioni di melanoma nella sua fase iniziale .
Potrebbe essere successo questo oppure potrebbe essere successo che molte lesioni
melanocitarie benigne vengano scambiate per melanoma ,per cui noi diamo l'etichetta di
melanoma ad una lesione di per sé benigna morfologicamente, perché la diagnosi oggi è
solo morfologica ,(qualcuno inizia a fare una diagnosi di tipo molecolare ma in Sardegna
in Africa funziona ancora solo l'istologia ),per cui potremmo incorrere in questo tipo di
errore, per quanto rimane sempre vero che stratificando questi dati si vede effettivamente
che aumentano i melanomi negli anziani e aumenta anche la mortalità in questi ultimi,
per cui questo tipo di considerazione deve essere fatta con questo tipo di ragionamento.
Abbiamo già parlato del modello di progressione a tappe “ modello tradizionale di Clark”,
che porta da una situazione di benignità o di normalità (cute normale) ad una iperplasia
proliferazione benigna come nel nevo benigno , nevo giunzionale, nevo composto , nevo
dermico e poi abbiamo un passaggio graduale con una morfologia un po' atipica con un
aumento delle “ATP”citologiche da un punto di vista morfologico verso il nevo displastico
detto anche il nevo di Clark attore di questa progressione tumorale e quindi da questo
punto di unione tra benignità e malignità passiamo al melanoma in fase di crescita radiale
preso per tempo, verticale e poi alla formazione di metastasi.
Quindi gradualmente per tappe si va dalla normalità alla proliferazione benigna verso
quella maligna .
attualmente molti sostenitori di questo modello vanno a studiare quello che succede dal
punto di vista genetico e molecolare di queste lesioni e vedono che si ha anche un
accumulo graduale di mutazioni genetiche o alterazioni del gene dal punto di vista
epigenetico cioè ambientale.
ci siamo soffermati a dire ancora che questa situazione si verifica solo nel 26% dei casi
,se Clark avesse azzeccato questa patologia ,il nostro melanoma dovrebbe associarsi
quasi costantemente alla presenza del nevo displasico se è vero che gradualmente
passiamo da un nevo benigno displastico questa situazione non si verifica o sì verifica la
percentuale molto bassa del 25 30% pertanto quindi potrebbe essere una semplificazione
causale accidentale cioè vicino ad un nevo benigno può sorgere un melanoma ma non
che dal nevo nasca il melanoma .
Ma siccome noi non sappiamo se le lesioni melanocitarie che abbiamo in tutto il corpo
siano nevi benigni o maligni ecco che studiamo le lesioni melanocitarie e andiamo a
vedere il cambiamento morfologico clinico nella forma e nel colore nei bordi della
simmetria , nello spessore di queste lesioni e andiamo a vedere la sintomatologia( prurito
e sanguinamento). come vi stavo dicendo questo schema ipotetico di progressione portato
avanti da Clark su base solo morfologica è validato da alcuni ricercatori ,più
recentemente dall’accumulo di diverse mutazioni a carico di geni particolari e vedete che
in una forma benigna abbiamo solo mutazioni di braf ,nella forma displastica il
collegamento tra benignità e malignità oltre al braf abbiamo la perdita anche di questo
genere CDKN2A, ancora andando verso il melanoma in situ ,abbiamo l’aumento di
ciclina D1 e così pure progredendo verso una fase di proliferazione o di infiltrazione e
nella capacità metastatizzante ,inoltre si accumulano anche altre mutazioni e quindi
questo avvalora quanto detto da Clark e quindi i sostenitori si avvalgono anche di queste
nuove ricerche .abbiamo detto che solo il26% insorge sul nevo ,di questi solo il 43% sono
displastici cioè quel famoso nevo di Clark è presente solo nella 43 %di questo 26% quindi
una cosa irrisoria e comunque è una patologia multifattoriale dove abbiamo detto che il
sole ha un ruolo molto importante
ma il sole fa anche molto bene mentre fa male soprattutto quando Ci esponiamo sino a
procurarci degli eritemi solari ,dellle scottature fastidiose quindi evitando questo tipo di
esposizione e non accedendo nella durata , possiamo fare prevenzione.
SECONDA PARTE 4° LEZIONE ANATOMIA PATOLOGICA
Esistono delle predisposizioni genetiche che portano alla formazione del melanoma, e il dato
anamnestico di predisposizione familiare deve essere indicato nello studio istologico del caso. Negli
individui che non hanno alcun tipo di predisposizione genetica, il melanoma ''sporadico'' insorge in
seguito ad un'azione prolungata e predominante del sole, che rappresenta il fattore microambientale.
In questi casi il melanoma si forma più facilmente nelle regioni fotoesposte.
Abbiamo gia detto che i melanociti nascono dalla cresta neurale,o meglio, la cresta neruale (che è
presente nell'embrione fino alla ottava/decima settimana di gestazione) è un precursore delle cellule
del melanoma, poiche da questa struttura, che è solo un abbozzo embrionale, si generano delle
strutture meglio definite da cui si formeranno vari tipi di cellule,come appunto quelle del
melanoma.
Queste cellule una volta formate, migrano per andare a raggiungere quella che é la loro sede
normale: la cute. La funzione dei melanociti è quella di produrre melanina e distriburila a un
centinaio di cheratinociti contigui al melanocita basale stesso. Si dispongono, come abbiamo gia
visto, 1 a 10 a fare degli scudi per proteggere la cute dall'azione dei raggi ultravioletti. É difficle
distinguere un cheratinocita da un melanocita in una cute normale,ma ci sono comunque delle
reazioni DOPA che permettono questa distizione, e inoltre attualmente grazie all'industria
farmaceutica esistono degli anticorpi prodotti contro antigeni specifici presenti solo esclusivamente
nei melanociti che ci permettono di distinguerli in modo ancora piu efficace.
Il melanoma può originare non solo nelle zone fotoesposte (testa,collo,spalle,arti inferiori) di
soggetti di cute bianca, ma anche nella popolazione nera e in zone non fotoesposte come ad
esempio le mucose (occhio,cavo orale). In questo caso il fattore 'sole' ha un ruolo ovviamente
limitato dato che sono zone non fotoesposte, quindi in questi casi avremo altri fattori
eziopatogenetici.
2) persone a rischio fortemente aumentato, piu di 10 volte rispetto alla popolazione generale:
- pazienti con un nevo gigante pigmentato, più di 20 cm di diametro, che occupano piu del 5% della
superficie corporea
- pazienti che hanno una storia familiari con 3 o più casi di melanoma
- pazienti con nevo congenito, perchè in questa massa benigna abbastanza elevata, la possibilità che
qualche cellula al suo interno possa andare in contro a trasformazione è molto più alta.
ESAME CLINICO
valutare le dimesioni della lesione, la forma, l'altezza, la colorazione,la durata e l'eventuale presenza
di prurito. Esiste la regola dell'alfabeto ABCDE(A= assimetria, B= bordi, C= colore,
D=dimensione E=evoluzione), che ci permette di capire se ci troviamo di fronte a un nevo o a un
melanoma. I bordi irrelogari si hanno quando la lesione non è piu tonda e ovale, ma abbiamo delle
frange di chiazza che rendono appunto irregolari i limiti della lesione, e questo è un fattore da tenere
sotto controllo, come anche la presenza di due o tre colori nella stessa lesione melanocitaria (nero,
rosso ecc). Se la lesione è sotto i 6 mm è più verosimile che si tratti di un nevo, sopra invece è più
probabile sia un melanoma, sopratutto se cresce in fretta ( anche se non è sempre vero, ricordiamoci
infatti i nevi congeniti che sono molto estesi, quindi il solo criterio della dimensione non soddisfa la
possibilità di raggiungere la diagnosi di melanoma). Il melanoma può crescere non solo in altezza,
in estensione, ma anche in spessore, per cui anche questo è un criterio da valutare. Il melanoma è
raro nei bambini, più frequente negli adulti. Quindi ricapitalondo, dobbiamo tenere sotto stretto
controllo tutte le lesioni che presentano uno o più criteri della regola ABCDE.
Secondo le linee guida del Regno Unito le lesioni che devono essere considerate sono:
- un nuovo nevo che compare dopo la pubertà e che cambiano di forma,colore dimensione;
- una lesione persistente in crescita pigmentata vascolare clinicamente non chiara, prevalentemente
rossa,chiamato tumore/nevo di Spitz,che di solito venie scambiato per emangioma.Questo nevo ha
un comportamneto biologico un pò equivoco, non identificabile solo su base morfologica.
- ogni linea longitudinale dell'unghia deve essere portata all'attenzione del dermatologo, a meno che
non sia dovuta traumatismi di vario genere.
ESAMI STRUMENTALI
MELANOMA NODULARE
Per definizione non interessa l'epidermide, nasce in fase di crescita verticale, quindi è più
aggressivo di quello a diffusione superficiale.Un nodulo, ubicato nel derma che cresce
indipendentemente. Si deve asportare in ogni caso. Tutti i melanomi
LA LENTIGOMALIGNA
Si forma nelle zone fotoesposte degli anziani, si presenta con delle chiazze giallastre marroncine
che crescono molto lentamente. Può essere confuso con una cheratosi seborroica o con una
lentigosolare. Si caratterizza con una crescita alla giunzione dermo epidermica, è un melanoma a
prognosi ''buona'' poichè cresce molto lentamente. Solitamente non si muore per questo melanoma,
ma deve essere tenuto sotto controllo, dato che potrebbe insorgere un nodulo più scuro che indica
che la lentigo si sta approfondendo, se quindi che si sta comportando come un melanoma normale.
LINFONODO SENTINELLA
se il melanoma ha uno spessore superiore al millimetro, o se è inferiore al millimetro ma ha delle
mitosi dermiche, si fa il linfonodo sentinella.
Possibile domanda d'esame: quando è che si fa il linfonodo sentinella nel corso del melanoma?
Si fa se il melanoma è superiore al millimetro di spessore di Breslow, oppure con spessore inferiore
ma con molte mitosi dermiche, ne basta una. Si mette il tracciante colorante nella cicatrice dermica
lasciata dal melanoma dopo l'escissione totale del melanoma, e vediamo qual'è il primo linfonodo a
colorarsi. Il rpimo linfonodo che si colora, vicino alla sede di insrogenza del melanoma è il
LINFONODO SENTINTELLA. Questo si asporta, si campiona e si esamina scrupolosamente per
controllare se le cellule del melanoma hanno raggiunto questo linfonodo. Quindi non ha funzione
terapeutica ma ha funzione di stadiazione. Dopo che si è data la positività del linfodo sentinella, si
effetua lo svuotamento di tutti i linfonodi latero-cervicali.