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Citologia => studio della cellula

Etimologicamente cellula significa “celletta” e si tratta di un termine coniato all’inizio del 1600
quando furono messi a punto i primi strumenti ottici che permettevano di superare i limiti fisici
dell’occhio umano. Studiando i tessuti vegetali Robert Hooke utilizzando un microscopio riuscì a
capire che i tessuti di una corteccia d’albero erano costituiti da un insieme di unità elementari
molto piccole racchiuse all’interno di pareti di cellulosa, che lui chiamò cellule dal latino.
La cellula è l’unità fondamentale di tutti i viventi le cui proprietà fondamentali sono:

 metabolismo, ovvero la serie di reazioni chimiche che si svolgono all’interno della


cellula e sono finalizzate a mantenerla in vita. È suddivisibile in anabolismo e
catabolismo;
 irritabilità, ovvero la capacità di percepire gli stimoli dall’ambiente circostante in modo
tale da potersi comportare in modo congruo garantendo la sopravvivenza della cellula
stessa;
 movimento, inteso in senso attivo e quindi si tratta della capacità delle cellule di
spostarsi nell’ambiente in cui vivono tramite proteine motorie;
 riproduzione, attraverso la mitosi ogni cellula è in grado di duplicare il proprio genoma
in due copie identiche e di suddividerlo tra due cellule figlie che si spartiscono anche
metà del citoplasma della cellula originaria.

Cellula procariota

La cellula procariota è la cellula più semplice e da un punto di vista strutturale si tratta di una
cellula estremamente semplice con poche strutture riconoscibili.
All’esterno è demarcata da una parete rigida, che serve anche a mantenerne la forma, dentro
la quale si trova una membrana plasmatica o plasmalemma, che media gli scambi tra
l’ambiente intracellulare e l’ambiente extracellulare. All’interno della membrana plasmatica si
trova il citoplasma, ovvero la composizione primaria di una cellula dove si trovano tutte le
molecole necessarie a espletare le funzioni vitali.
Queste molecole talvolta sono solubili, e quindi non visibili, o si aggregano a formare strutture
visibili (organelli o organuli) che svolgono funzioni più complesse dei singoli enzimi.
Dentro una cellula procariotica gli unici organuli riscontrabili sono i ribosomi, che sono implicati
nella sintesi proteica. All’interno del citoplasma il procariota contiene un filamento di DNA che
costituisce il suo genoma, infatti in esso sono presenti i geni che servono per codificare tutte le
macromolecole di cui il procariota ha bisogno per costruire la sua struttura.

Cellula eucariota
Assai più complessa è la struttura della cellula eucariota, la quale forma la gran parte dei viventi
più evoluti sia animali che vegetali.
La cellula eucariota animale è demarcata dall’ambiente che la circonda grazie alla membrana
plasmatica o plasmalemma, al cui interno il citoplasma è molto più organizzato: presenta una
componente solubile in cui vi sono enzimi in funzione, chiamata matrice fondamentale o
ialoplasma o citosol), e numerosi organelli che compartimentano il citoplasma in vari distretti.
Il genoma non è libero all’interno del citoplasma, ma è racchiuso all’interno di un involucro
nucleare che media gli scambi tra il genoma e il citoplasma.
Le strutture citoplasmatiche possono essere suddivise in organuli, che tutte le cellule in
funzione del loro ruolo posseggono, e in inclusi, i quali sono presenti in alcune cellule che
svolgono per loro tramite specifiche funzioni. Ad esempio gli adipociti si specializzano per
accumulare all’interno del loro citoplasma trigliceridi, che formano un’enorme goccia che
prende circa l’80% del volume del citoplasma e si tratta di un incluso in quanto correlato alla
specifica funzione che l’adipocita compie.
Per comprendere la struttura della cellula sono occorsi dei microscopi, infatti l’occhio umano ha
un limite di risoluzione che si pone attorno agli 0,1 mm (= 100 µm, che più o meno
corrispondono alla punta di uno spillo). Esistono alcune cellule che raggiungono e talvolta
superano questo limite risolutivo, come ad esempio la cellula uovo femminile, ma il grosso delle
cellule che costituiscono i nostri tessuti hanno dimensioni che si aggirano intorno ai 10 e 50 µm
al massimo. È pertanto indispensabile usare per la loro
osservazione i microscopi.
I più comuni microscopi sono i microscopi ottici o microscopi
luce (M.O.), i quali utilizzando la luce e sistemi di lenti possono
consentire di vedere le cellule e i loro dettagli interni fino a una
soglia dimensionale di 0,2 µm. Per scendere al di sotto di questo
limite si deve impiegare il microscopico elettronico dove
l’immagine si forma grazie a un fascio di elettroni che hanno una
lunghezza d’onda così breve che riescono a portare la capacità
dello strumento di discriminare i dettagli fino alla soglia della
materia. In teoria con un M.E. si possono discriminare oggetti
piccoli fino a 0,4 nm.
La forma delle cellule è molto varia e si può affermare che la
forma di una cellula ne rispetta la funzione che essa svolge quando si differenzia, nel contesto
dei diversi organi, per svolgere una ben precisa funzione.

Membrana plasmatica
Il primo organulo è la membrana plasmatica o plasmalemma, che è una struttura
macromolecolare complessa con struttura portante costituita da un doppio strato di lipidi
polari.
Questi lipidi, sostanzialmente fosfolipidi e colesterolo, hanno una piccola testa idrofilica e delle
code idrofobiche. Quando sono immersi in acqua i lipidi tendono a dare una doppia membrana
in cui le teste idrofile sono a contatto con l’acqua e le code idrofobiche sono a contatto tra di
loro nello strato più interno del plasmalemma: questa configurazione prende anche il nome di
bilayer lipidico.
Al bilayer lipidico si aggiungono proteine di membrana le quali possono essere intrinseche (o
integrali), ovvero si inseriscono all’interno della porzione idrofobica del bilayer lipidico, oppure
estrinseche, in quanto si appoggiano sul versante citoplasmatico o extracellulare del bilayer
lipidico.
La membrana non è simmetrica: sia ai lipidi di membrana sia alle proteine di membrana solo sul
versante extracellulare sono legati in modo covalente degli zuccheri, che possono formare
catenelle ramificate di oligosaccaridi o lunghe catene chiamate glicosamminoglicani dove si
ripetono centinaia di monomeri zuccherini a formare una grande macromolecola.
Queste componenti costituiscono il glicocalice e la proprietà di garantire la coesione tra cellule
vicine è attribuita in buona parte a questa componente zuccherina.
Il modello di membrana adesso descritto è chiamato modello a mosaico fluido perché a
temperatura corporea il bilayer lipidico è semifluido: quindi le proteine non sono bloccate in
una posizione fissa ma possono traslare nel contesto del bilayer.

Trasporto trans-membrana
Fondamentalmente si hanno due sistemi di passaggio attraverso la membrana:

 Diffusione semplice e trasporto passivo, che vedono spostarsi sostanze da un versante


all’altro della membrana secondo un gradiente elettrico o chimico di concentrazione senza
consumo di energia.
Per la via passiva della diffusione semplice passano le piccole molecole in grado di
sciogliersi anche nei lipidi, come i gas respiratori.
Per la via del trasporto passivo si hanno i canali trans-membrana, che si creano al
momento del bisogno e sono costituiti da proteine intrinseche che si avvicinano tra loro e
formano per tutto lo spessore della membrana un dispositivo proteico con un canale
centrale idrofilo attraverso cui le sostanze dotate di carica riescono a trovare un pertugio
attraverso il quale scambiare sempre secondo gradiente. La via del trasporto passivo può
prevedere anche l’uso di trasportatori, i quali sono formati da più proteine intrinseche e
sono aperti su uno dei due versanti con conformazione tridimensionale specifica per una
molecola presente nell’ambiente extracellulare, che viene definita ligando per quel
trasportatore. Quando il ligando si lega, il trasportatore si trasforma e si chiude verso il
versante iniziale per aprirsi verso quello opposto rilasciando il proprio ligando. Rispetto ai
canali un trasportatore è molto più selettivo.
 Trasporto attivo, che vede il trasporto contro gradiente di concentrazione di sostanze
grazie al consumo di ATP. In questo caso si parla di pompe di membrana e permeasi,
ovvero l’enzima che attraverso l’idrolisi dell’ATP (scissa in ADP + P + energia) è in grado di
trasportare il ligando da una zona in cui è meno concentrato a una zona in cui è più
concentrato contro il gradiente chimico o elettrico.
Le pompe di membrana sono fondamentali, in quanto grazie alla loro attività continua di
scambio tra ioni sodio e potassio è possibile creare e mantenere sui due versanti del
plasmalemma una precisa differenza di potenziale per cui l’interno della cellula a riposo è a
- 70 mV rispetto all’interno della cellula.
Questo fenomeno elettrico di membrana è alla base per spiegare l’irritabilità della cellula.
I due precedenti sistemi di passaggio trans-membrana ci si è riferiti al passaggio di piccole
molecole o ioni, mentre per il passaggio di macromolecole non sono applicati.
Nel transito di macromolecole ci si affida a
meccanismi che coinvolgono l’intera struttura di
membrana. Se il materiale entra dall’esterno
verso l’interno della cellula si parla di endocitosi,
mentre se il materiale passa dal citoplasma
all’esterno della cellula si parla di esocitosi. Infine
esiste una forma peculiare tramite la quale del
materiale può abbandonare il citoplasma per
essere espulso verso l’esterno e viene detta
gemmazione.
L’endocitosi permette l’entrata di materiale: il
materiale viene accumulato nei pressi del
plasmalemma, il quale forma una fossetta che si
approfondisce sempre di più nel citoplasma. I
margini di questa fossetta si chiudono
permettendo il contatto tra i bilayer con
assembramento di esso in un unico strato. Così si
ha la formazione di un’unica vescicola all’interno
del citoplasma.
Nel caso in cui attraverso l’endocitosi si introduca liquido si parla più propriamente di pinocitosi
(dal greco, letteralmente “bere”). Se invece la cellula endocita particelle anche di notevoli
dimensioni si parla di fagocitosi (sempre dal greco, letteralmente “mangio cellule”).
Il passaggio di segno opposto è chiamato esocitosi e anche in questo caso ci si avvale di
vescicole, che vengono prodotte da degli organuli membranosi interni alla cellula (il più
importante in questo senso è l’apparato di Golgi). L’apparato di Golgi concentra le molecole che
devono essere esocitate all’interno di una vescicola, la quale si sposta verso la membrana
plasmatica entrando in contatto con essa. Le due membrane si fondono permettendo così il
rilascio del contenuto verso l’esterno della cellula.
In una particolare circostanza il materiale che deve essere espulso dalla cellula si accumula nella
parte periferica del citoplasma, quella subito sottostante il plasmalemma e che viene chiamata
cortex. Le sostanze accumulate si localizzano in una sorta di estroflessione che si forma sul
plasmalemma, al cui interno rimane una piccola porzione del citoplasma del cortex piena delle
molecole da espellere. Questa estroflessione si peduncolizza, le membrane del peduncolo si
toccano e si riassestano comportando lo staccamento della gemma. Questo processo viene
chiamato gemmazione e viene usato dalle ghiandole mammarie per inserire nel latte materno i
fosfolipidi per il nutrimento del neonato.

Organuli o organelli
All’interno della matrice cellulare/ialoplasma/citosol si trovano organuli inclusi, i quali possono
essere schematizzati in tre distinte categorie morfologiche: organuli particolati, organuli
membranosi e organuli filamentosi.
 Organuli particolati
Si tratta degli organuli che hanno la struttura di piccole particelle di solito visibili soltanto con il
microscopio elettronico.
Il principale degli organuli particolati è rappresentato dal ribosoma, il quale è una particella
formata da subunità minore e da una subunità maggiore ognuna delle quali è formata da un
filamento portante di rRNA a cui si aggiunge una certa quantità di proteine. Tra le proteine del
ribosoma si trova un enzima (peptidil-sintetasi) che sintetizza il legame peptidico, ovvero il
legame che unisce due aminoacidi permettendo la formazione della catena proteica.
I ribosomi sono gli organuli responsabili della sintesi proteica e quindi sono capaci di tradurre i
codoni dell’mRNA in una corrispondente sequenza di aminoacidi. Ogni ribosoma inizia a leggere
il messaggero dal primo codone, ovvero il codone di avvio, fino al codone stop: una volta
lasciato il codone di avvio un altro ribosoma si attacca al codone iniziando a tradurre la
sequenza di codoni. Di conseguenza all’interno
del citoplasma è raro notare ribosomi solitari:
spesso si notano poliribosomi in unità di 5 o 6
oppure di molti più ribosomi.
I ribosomi producono proteine che rimangono nello ialoplasma o proteine estrinseche
appoggiate sul versante citoplasmatico del plasmalemma. Poiché il citoplasma è in equilibrio
con l’interno del nucleo i poliribosomi del citoplasma produrranno anche tutte le proteine
nucleari o mitocondriali.

 Organuli membranosi
Anche nella costituzione degli organuli, in questo caso, si trova una struttura portante
caratterizzata da un bilayer lipidico. Lo strato di fosfolipidi è più sottile e, siccome questi
organuli svolgono funzioni diverse dal plasmalemma, anche le proteine estrinseche e
intrinseche saranno diverse da quelle del plasmalemma.
Il più ampio tra gli organuli membranosi è il reticolo endoplasmatico, che è costituito da
membrane di varia conformazione tutte intercomunicanti tra loro, in modo tale che si può
considerare nella sua interezza il reticolo come una sorta di labirinto membranoso all’interno
del citoplasma.
Il reticolo endoplasmatico si può suddividere in reticolo ruvido (RER), il quale è fatto da
membrane appiattite che si uniscono tra loro tramite sottili ponti, o in reticolo liscio (REL).
Il reticolo endoplasmatico ruvido (RER) assume questo nome in quanto sul versante della
membrana che guarda verso lo ialoplasma si trovano numerosi poliribosomi, grazie alla cui
presenza è coinvolto nella sintesi proteica di proteine estrinseche di membrana, proteine
estrinseche esterne, proteine dei lisosomi e proteine secretorie.
Tutte queste proteine potranno diventare glicoproteine perché nelle membrane del RER si
trovano degli enzimi capaci di aggiungere zuccheri alle proteine.
Il reticolo endoplasmatico liscio (REL) è definito così perché sulle sue membrane non si trovano
poliribosomi. Questo tipo di reticolo assumono la forma di tubuli o vescicole intersecati tra loro
e danno appoggio ad enzimi che si dispongono in serie in modo tale che possano svolgere
un’intera via metabolica.
Al REL sono attribuite delle specifiche funzioni, quali: sintesi dei lipidi, accumulo e rilascio di
calcio (sfruttato dalle proteine contrattili come segnale per poter avviare la contrazione attiva
della cellula stessa), detossificazione e glicogenolisi.
L’apparato di Golgi è un ulteriore organulo membranoso che deve il suo nome al suo scopritore
Golgi, un istologo italiano vissuto alla fine dell’Ottocento. Tra le altre grandi scoperte di Camillo
Golgi, la maggior parte riguardante la struttura e la funzione del sistema nervoso, ci fu di
scoprire all’interno delle cellule questo organulo. Anch’esso è costituito da membrane
appiattite non possedenti poliribosomi e non intercomunicanti tra loro.
Lo spostamento di materiale tra una cisterna (o sacculi) e l’altra avviene solo per il tramite di
piccole vescicole: alcune si formano dal RER e arrivano al Golgi, mentre altre si formano dai
sacculi del Golgi e vanno agli altri sacculi del Golgi.
 Dalla porzione del Golgi che guarda la membrana plasmatica si formano poi le vescicole di
secrezione, le quali contengono nel loro lume le proteine secretorie.
 Alcune vescicole che vanno dal Golgi al plasmalemma sono vuote: la loro funzione è
soltanto quella di portare nuove toppe di membrana fresca da portare al plasmalemma.
Contemporaneamente piccole porzioni di plasmalemma usurato vengono internalizzate
per un processo simile all’endocitosi e riciclate all’interno del citoplasma.
 Dall’apparato di Golgi alcune proteine enzimatiche vengono riconosciute ed avviate verso il
lisosoma effettuando il catabolismo dei substrati.
Il lisosoma è un ulteriore organulo membranoso il cui significato etimologico è “corpo litico”.
Si tratta di un organulo all’interno del quale avviene il catabolismo dei substrati che la cellula ha
assunto dall’esterno: il substrato viene internalizzato, dall’apparato di Golgi arrivano vescicole
contenenti enzimi litici, queste vescicole si fondono con la vescicola di endocitosi e in seguito
all’abbassamento del pH interno del lisosoma gli enzimi si attivano disgregando i substrati.
Un ultimo tipo di organulo membranoso è rappresentato dai mitocondri, il cui nome dal greco
significa “filamento di grano”. Il microscopio elettronico rivela la presenza di una doppia
membrana: una membrana mitocondriale esterna che lo demarca dal citoplasma e una
membrana mitocondriale interna molto più interna la quale si ripiega su se stessa formando
delle pliche.
Sulla grande superficie della membrana interna sono disposti in ordine gli enzimi della
respirazione cellulare: si tratta dell’organulo metabolico che riesce a sfruttare il glucosio, acidi
grassi e alcuni aminoacidi per smantellarli completamente e liberare l’energia dei loro legami
chimici, che sanno poi accumulare sotto forma di ATP.

 Organuli filamentosi
Questi organuli costituiscono nel loro insieme il citoscheletro e sono formati da proteine che si
organizzano a formare filamenti proteici che costituiscono un’impalcatura importante della
cellula stessa. Essi fanno sì che la cellula assuma e mantenga una ben precisa forma nel corso
del suo differenziamento.
Il citoscheletro è quindi coinvolto in:
 acquisizione e mantenimento della forma cellulare,
 movimento intracellulare,
 movimento cellulare.
Gli organuli filamentosi che formano il citoscheletro sono suddivisibili in tre varianti:
microtubuli, filamenti intermedi e microfilamenti contrattili.
I microtubuli si chiamano così perché si tratta di lunghi
tubicini la cui parete è costituita dalla giusta
apposizione di piccole proteine globulari di forma
sferica, le quali sono chiamate tubuline. Le singole
tubuline possono aggiungersi a un’estremità e
staccarsi dall’altra, per cui il microtubulo non è una
struttura statica ma ampiamente dinamica in quanto
può accorciarsi e allungarsi a seconda delle necessità.
Di solito all’interno della cellula si trovano zone in cui
si avvia la polimerizzazione delle tubuline e verso la
periferia ci sono di solito l porzioni terminali del
microtubulo in cui le tubuline possono staccarsi.
I microtubuli sono utilizzati dalla cellula anche per
costituire il fuso mitotico, ovvero la struttura che
servirà a ripartire tra le due cellule figlie le due copie
del genoma della cellula madre.
Alcuni particolari microtubuli si organizzano
polimerizzandosi tra loro a formare organuli
microtubulari; il più importante è il centriolo, ovvero una sorta di cilindretto cavo costituente
una sorta di punto di simmetria del citoplasma di una cellula (quando la cellula madre deve
suddividersi in due cellule figlie i suoi centrioli si duplicano e vanno ognuno a un polo opposto
della cellula, segnando le due zone del citoplasma che diventeranno le future due cellule figlie).
Ogni centriolo ha una parete fatta da triplette di microtubuli, che formano delle listerelle.
Inoltre i centrioli sono i punti da cui si dipartono i principali microtubuli del citoscheletro.
I filamenti intermedi sono chiamati così perché possiedono un calibro inferiore ai microtubuli
ma maggiore rispetto ai microfilamenti contrattili. Sono costituiti da proteine filamentose le
quali tendono a fascicolare, cioè unirsi l’una accanto all’altra fino a formare questi grossi canapi
particolarmente resistenti dal punto di vista meccanico.
Si trovano in abbondanza a livello delle cellule che hanno necessità di svolgere una funzione
meccanica, come ad esempio nelle cellule che formano il tessuto chiamato epidermide.
È interessante ricordare che i filamenti intermedi sono composti da proteine diverse a seconda
del tipo cellulare: quando i vari tipi di tessuti si differenziano dalle cellule staminali
dell’embrione acquisiscono proprietà diverse e in questa sorta di speciazione cambiano anche
le proteine di questi filamenti.
Le cellule epiteliali presentano cheratine a livello dei filamenti intermedi, a livello delle cellule
mesenchimali è presente vimentina, nelle cellule muscolari sono formati da desmina, nelle
cellule nervose della glia dalla proteina gliofibrillare acida (GFAP), nelle cellule nervose dei
neuroni da proteina dei neurofilamenti (NFP) e, infine, in tutte le altre cellule sono costituiti da
lamine. Queste differenze sono importanti perché quando ci si approccia allo studio dei tumori
applicando queste conoscenze alla diagnosi dei tumori, possono tornare utili: i tumori spesso
quando si formano si dimenticano delle caratteristiche del tessuto d’origine sano e
differenziandosi possono perdere i connotati morfologici del tessuto d’origine ma non i
filamenti intermedi.
Grazie a questo fattore possiamo identificare il tessuto di origine colpito dai tumori: sulla base
dell’origine cambia la terapia che deve essere applicata.
I microfilamenti contrattili possono essere composti da due diverse proteine: actina o miosina.
I microfilamenti actinici sono fatti da molecole globulari di actina (G actina), i quali
polimerizzano a formare lunghi filamenti di actina (F actina). Hanno un diametro di circa 5 nm e
sono i più piccoli filamenti.
La miosina ha una forma comprendente una lunga parte filamentosa e una testa, a livello di
quest’ultima ha due siti di legame: un sito è in grado di legare e scindere ATP (ATP-asi) e l’altro
sito è in grado di legare l’actina.
Quando è necessario i filamenti di miosina, attivati da un segnale mediato dallo ione calcio
liberato dal REL, si montano assieme: più molecole di miosina si montano con polarità opposta.
Le teste della miosina agganciano i filamenti actinici e tramite una serie di movimenti continui li
trascinano in direzione dell’estremità di coda. Questo gioco di scorrimento reciproco consente
qualsiasi movimento interno alla cellula, come lo spostamento di organuli e vescicole da un
punto all’altro del citoplasma, e lo spostamento dell’intera cellula.

Nucleo
Le cellule eucariote sono caratterizzate dal fatto che tutto il loro genoma è racchiuso in un
ristretto specifico definito nucleo. In realtà esso è visibile nelle cellule durante l’interfase o
intercinesi, ovvero quando la cellula non è impegnata nella divisione cellulare. In tal caso il
materiale nucleare risulta facilmente colorabile con i preparati istologici, in quanto il DNA è
acido ed ha affinità con i coloranti basici, ed è noto con il termine di cromatina.
Quando la cellula entra in mitosi il DNA, sotto forma di cromosomi, si compatta in modo da
poter essere suddiviso in due parti identiche in ognuna delle due cellule figlie con conseguente
cambiamento dell’aspetto del materiale nucleare: non si ha più la cromatina intercinetica, ma
l’aspetto dei cromosomi mitotici.
È necessario, quindi, distinguere la morfologia del nucleo durante l’interfase e la mitosi.

Nucleo interfasico
Il nucleo interfasico può avere una forma variabile che, in linea di massima, asseconda la forma
della cellula. Ad esempio nella cellula adiposa si accumula un grande numero di inclusi che
occupano molto volume segregando il citoplasma e il nucleo ai margini della cellula.
Esistono anche cellule che si possono riconoscere per avere dei nuclei molto particolari. Per
esempio a livello del sangue i granulociti o polimorfonucleati hanno un nucleo che si ripartisce
in più lobi uniti da sottili ponticelli di materiale nucleare appena visibile al microscopio ottico: si
tratta del nucleo polilobato.
Esistono anche cellule con materiale nucleare molto maggiore rispetto a quello di una classica
cellula somatica: in alcuni tipi di cellule si hanno genomi poliploidi, ovvero all’interno dello
stesso nucleo non ci sono solo due cromosomi per ognuna delle coppie, ma ve ne sono
molteplici (fino a 64 copie degli stessi cromosomi). Fisiologicamente nel nostro organismo è
presente una sola cellula di questo tipo che è il megacariocita (= “cellula dal grande nucleo”, si
tratta della cellula del midollo osseo che genera gli elementi figurati del sangue).
In linea di massima si può affermare che ogni cellula possiede un nucleo, ma questa regola
ammette delle eccezioni: i globuli rossi sono delle cellule anucleate e ciò causa un’autonomia
vitale limitata non potendo sostituire le parti usurate della cellula.
Esistono anche esempi di cellule polinucleate: ad esempio le cellule a mutuo contatto che
formano il rivestimento interno delle vie urinarie, le quali sono molto grandi e hanno più di un
nucleo. In questo caso la binuclearità è dovuta al meccanismo plasmodiale tipico dei plasmodi:
durante una mitosi il genoma si è spartito in due gruppi, che sarebbero divenuti i due nuclei
delle due cellule figlie, ma il citoplasma non è stato spartito in due cellule.
Esempi di cellule multinucleate sono le cellule della difesa, al cui interno si notano una
quindicina di nuclei, e le fibre della muscolatura volontaria. Gli elementi plurinucleati di solito
sono giustificati dal fatto che le cellule devono conseguire dimensioni gigantesche per poter
svolgere al meglio la loro funzione, avendo quindi bisogno di molti nuclei con altrettanti
genomi. In questo caso la multinuclearità si forma per meccanismo sinciziale: gli elementi
multinucleari di questo tipo si formano a partire da cellule staminali indifferenziate
mononucleate, le quali quando si differenziano si avvicinano, si toccano e fondono i loro
citoplasmi assieme.

Nucleo intercinetico
Il nucleo intercinetico è caratterizzato da quattro distinti componenti visibili al microscopio, a
cui si può aggiungere un quinto componente ovvero la parte invisibile che corrisponde alla
matrice nucleare nella quale si trovano numerosi degli enzimi che regolano le funzioni nucleari
e i precursori che servono per la sintesi delle macromolecole del nucleo. Le parti che sono
studiabili da un punto di vista morfologico, a partire dall’esterno verso l’interno, sono:
l’involucro nucleare, la cromatina, il nucleoscheletro e il nucleolo.

 L’involucro nucleare è una struttura di membrana che demarca il nucleo dal citoplasma che
gli sta intorno. Esso è costituito da una doppia membrana che deriva da una cisterna del RER
che si estende a formare l’intera superficie del nucleo stesso. A rafforzare la similitudine tra
l’involucro nucleare e le cisterne di RER c’è il fatto che sulla membrana esterna del primo sono
adesi i poliribosomi. Nello spazio tra le due membrane vengono sintetizzate le proteine.
A intervalli regolari (più fitti nelle cellule maggiormente attive dal punto di vista metabolico) le
due membrane dell’involucro nucleare si fondono tra loro delimitando delle piccole aperture
chiamate pori nucleari, che in realtà il passaggio è controllato da delle proteine che formano il
complesso del poro. Queste proteine riconosco le molecole che possono passare dal citoplasma
verso il nucleo oppure quelle dal nucleo al citoplasma che riconoscono e fanno passare a
seconda del bisogno. Quindi possiamo dire che l’involucro nucleare ha una permeabilità
selettiva.
 La cromatina è la parte più importante del nucleo, perché al suo livello si localizzano i
cromosomi. A loro volta i cromosomi sono composti da un filamento di DNA di lunghezza
variabile (a seconda del tipo di cromosoma) e da una quantità stechiometricamente
corrispondente di proteine di supporto.
Le proteine della cromatina associate al DNA possono essere suddivise in due categorie: istoni e
le proteine non istoniche.
Gli istoni sono le proteine più abbondanti tra le due categorie e si tratta di proteine fasiche che
formano delle piccole particelle attorno alle quali il DNA si può avvolgere per mantenere la
propria struttura in modo più efficiente.
Le proteine non istoniche sono quelle proteine tra le quali si possono inserire gli agglomerati di
aminoacidi che svolgono una funzione precisa nell’espressione del messaggio contenuto
all’interno dei geni.
Ad esempio di esse fa parte l’enzima DNA polimerasi, che serve alla duplicazione del genoma in
preparazione a una mitosi, e l’enzima RNA polimerasi, che sintetizza su stampo di DNA un
mRNA che servirà per la sintesi proteica.
Questa categoria di proteine fa parte delle proteine di controllo di nome attivatori, quando
portano all’espressione di determinati geni, o inibitori, quando reprimono l’espressione di
alcuni geni. Tutti i geni che sono esprimibili appartengono alla eucromatina, ovvero la
cromatina più dispersa all’interno dello spazio nucleare. I geni che non debbono essere espressi
vengono superavvolti su loro stessi formando le masse più colorabili chiamate zolle di
cromatina. Fa parte di queste zolle anche il tratto della cromatina che non codifica mai,
costituendo l’eterocromatina.
 Il nucleoscheletro è costituito da filamenti proteici, uguali ai filamenti intermedi del
citoscheletro, e si infittiscono a ridosso della faccia interna dell’involucro nucleare. Ha la
funzione di mantenere l’involucro nella giusta posizione.
 Il nucleolo presenta delle piccole particelle, che hanno le stesse dimensioni dei ribosomi.
Infatti esso è la zona del nucleo dove sono presenti i geni su una decina di geni del nostro
corredo cromosomico che codificano per il rRNA. Tutti i diversi geni si situano nello spazio di
pertinenza del nucleolo e tutti vengono espressi: sono presenti in molteplici copie per
ribosoma.

Ciclo cellulare
Il ciclo cellulare è il ciclo vitale di una cellula ed è suddiviso in due fasi: l’intercinesi e la mitosi.

 Intercinesi
A sua volta l’intercinesi è suddivisibile in tre distinte sottofasi: G1, S e G2.
La fase G1 (gap 1) è il primo intervallo dell’intercinesi che sussegue subito dopo una precedente
mitosi e durante essa la cellula attivando la sintesi macromolecolare produce tutte le strutture
che le servono per svolgere la sua funzione nel contesto del tessuto di cui fa parte.

La cellula può permanere per tempi molto lunghi, talvolta anche per sempre, in questa fase: in
questo caso si parla di fase G0, la quale non è una fase di riposo della cellula perché durante
essa la cellula continua a svolgere il suo lavoro.

Una cellula può uscire dalla fase G0 in due modi: o al termine del ciclo vitale la cellula ormai
usurata va in una forma fisiologica di morte (chiamata apoptosi) e si perde, oppure la cellula
rientra nel ciclo cellulare, che la porterà verso una successiva mitosi.
Le cellule giunte alla fine della fase G1 varcano una soglia irreversibile, ovvero il gate. Passata
questa soglia il percorso verso la mitosi successiva è obbligatorio perché immediatamente dopo
G1 inizia la fase S dell’intercinesi.
Durante la fase S (sintesi) si ha la duplicazione semi-conservativa di tutto il genoma all’interno
del nucleo. Prima di poter entrare in mitosi la cellula deve passare la fase G2 durante la quale
sintetizza rapidamente tutte le proteine che le saranno necessarie per svolgere la mitosi
successiva, la quale dura circa un’ora.

Popolazioni cellulari
Sulla base dell’attitudine che hanno diverse cellule a compiere il ciclo oppure no, si distinguono
nei nostri tessuti popolazioni cellulari diverse:
– Popolazioni soggette a rinnovo, che Bizzozzero definì popolazioni cellulari labili ovvero
tessuti costituiti da cellule che ciclano in continuazione e delle cellule figlie una rimane in
ciclo e l’altra entra in G0, si differenzia in maniera irreversibile e al termine del suo ciclo
vitale si perde per morte cellulare fisiologico (apoptosi).
Poiché vi è un fenomeno normale di perdita delle cellule più differenziate che ormai sono
giunte al termine della vita, occorre una popolazione di cellule staminali le quali ciclano
continuamente per tutta la vita in modo che le loro cellule figlie possano prendere il posto
di quelle che si sono perse per apoptosi.
L’esempio classico delle popolazioni labili sono i globuli rossi del sangue.
– Popolazioni in espansione o popolazioni stabili (Bizzozzero) sono tessuti fatti da cellule
che mantengono la capacità di ciclare per tutto il periodo dell’accrescimento,
generalmente fino alla pubertà ovvero il periodo dal quale le cellule smettono di compiere
il ciclo cellulare passando tutte in G0 e rimanendo lì a tempo indeterminato pronte a
riattivare il ciclo in caso di necessità.
L’esempio classico è quello degli epatociti: il fegato cresce finché non ha raggiunto la taglia
adulta, però, se per ragioni chirurgiche un frammento di fegato deve essere tolto, il fegato
rimanente percepisce di essere stato rimpicciolito rispetto alle necessità dell’organismo e
manda i suoi epatociti in ciclo cellulare.
– Popolazioni statiche o popolazioni perenni (Bizzozzero) sono tessuti le cui cellule
proliferano durante la fase di accrescimento, talvolta fermandosi ancora prima di esso, e si
differenziano in modo così avanzato che non potrebbero più dividersi in quanto il loro
citoplasma e la loro struttura diventano troppo complessi.
Di conseguenza le cellule differenziate entrano in G0 per sempre: ogni perdita di una
cellula di una popolazione cellulare perenne è irreversibile e non può essere colmata.
L’esempio classico sono le cellule nervose vere e proprie, ovvero i neuroni.
Nei tessuti composti da cellule sia labili che stabili esistono delle cellule che mantengono le
caratteristiche che avevano durante la vita embrionale e fetale, dal nome di cellule staminali.
Queste cellule sono capaci di:
 autoriprodursi per tutta la vita dell’organismo,
 rigenerare una o più popolazioni cellulari;
 lenta attività riproduttiva.
 Mitosi
Le classiche fasi della mitosi sono quattro: profase, metafase, anafase e telofase.
1. PROFASE
All’inizio della profase i primi eventi riguardano il citoplasma: la coppia di centrioli si duplica
e si vanno a portare ai poli opposti della cellula. Mentre la coppia si sposta induce la
formazione di un fascetto di microtubuli, che è il primo componente del fuso mitotico.
Al termine della profase i cromosomi si spiralizzano completamente, ovvero l’eucromatina
diventa eterocromatina, in modo tale che i singoli cromosomi si rendono indipendenti gli uni
dagli altri. Scompare il nucleolo insieme all’involucro nucleare e i cromosomi sono liberi di
navigare nel citoplasma disponendosi intorno ai microtubuli del fuso mitotico.
2. METAFASE
Dal centromero di ciascuno dei 46 cromosomi si formano rapidamente dei nuovi
microtubuli: alcuni di essi vanno da un cromatidio alla coppia di centrioli del proprio lato e
altri microtubuli vanno dall’altro cromatidio alla copia di centrioli dell’altro lato. Tutti i
cromosomi si dispongono lungo la piastra metafasica che passa lungo l’equatore della cellula
e il fuso mitotico, che a questo punto è completo, è ortogonale rispetto al piano equatoriale
della cellula. Al termine della metafase i due cromatidi si staccano: da ora si parla di
cromosomi figli.
3. ANAFASE
Questa fase è caratterizzata dal fatto che dopo la rottura del centromero i cromosomi figli si
spostano lungo il fuso mitotico dirigendosi indipendentemente verso la coppia di centrioli
del proprio lato. Al termine dell’anafase questa migrazione è completa.
4. TELOFASE
Intorno a ciascuno dei due gruppi di cromosomi si riforma l’involucro nucleare, i cromosomi
si despiralizzano acquistando l’aspetto di due nuclei interfasici.
Le proteine contrattili si dispongono lungo il perimetro del diametro equatoriale, si
agganciano al plasmalemma e cominciano a interagire tra loro contraendosi.
5. CITODIERESI
La zona equatoriale della cellula viene a restringersi sempre di più facendo assumere alla
cellula una forma a clessidra. Al termine del fenomeno il fuso mitotico si dissolve e l’istmo è
così sottile che si chiude su se stesso rendendo divise le due cellule figlie.

Apoptosi
L’apoptosi avviene come fenomeno normale che serve a garantire l’omeostasi numerica delle
cellule di un tessuto.
Le cellule più vecchie possono andare in apoptosi o perché ricevono dei segnali dall’esterno che
dicono loro che il momento di chiudere il loro ciclo vitale (apoptosi estrinseca) oppure perché
subiscono dei danni al loro metabolismo (apoptosi intrinseca). Entrambe le due forme di
apoptosi convergono in un meccanismo molecolare comune che consta nell’attivazione di
specifici enzimi chiamati caspasi. Le caspasi sono delle idrolasi e quindi in grado di scindere i
legami covalenti delle macromolecole.

Idrolisi da caspasi
1. Alcune di loro agiscono nel citoplasma smantellando le proteine del citoscheletro: pian
piano il citoplasma della cellula si suddivide in tante porzioni ancora per il momento
delimitate da un unico plasmalemma.
2. Altre caspasi frammentano le molecole del DNA dei cromosomi agendo all’interno del
nucleo, il quale si scompone in più porzioni.
3. Al termine del processo di idrolisi, la cellula si suddivide in un certo numero di sacchetti che
contengono porzioni di materiale nucleare e porzioni di citoplasma, chiamati corpi
apoptotici.
4. I corpi apoptotici sono fagocitati dalle cellule vicine e li distruggono con i loro lisosomi
senza provocare danni per il tessuto.
La necrosi è la morte cellulare patologica e avviene quando le cellule vengono danneggiate in
modo irreprensibile da processi patologici.
ISTOLOGIA
Istologia significa studio dei tessuti, quindi delle cellule che si organizzano insieme per formare
la matrice che costituisce i vari organi e apparati del nostro corpo. Esiste una definizione molto
attuale di tessuto che fu coniata da Bizzozzero, che dice “insieme di cellule, uguali o diverse,
che concorrono a svolgere una funzione comune”.
Esistono vari tipi di tessuti:

 epiteliale = costituito da cellule adese a mutuo contatto senza sostanza intercellulare


interposta;
 connettivo = caratterizzato da cellule separate da sostanza intercellulare;
 muscolare = costituito da elementi di forma allungata capaci di contrarsi, ovvero le
proteine contrattili (actina e miosina nelle cellule eucarioti, le quali formano dei filamenti e
scorrono l’una sopra l’altra consumando ATP);
 nervoso = costituito da cellule dotate di prolungamenti connesse a formare delle reti e
sono capaci di ricevere e trasmettere stimoli nervosi; queste cellule prendono il nome di
neuroni. Tramite le complesse reti vengono controllate tutte le funzioni dell’organismo.

TESSUTO EPITELIALE
Può essere suddiviso in tre distinte categorie: tessuto epiteliale di rivestimento, tessuto
epiteliale ghiandolare e neuroepitelio/tessuto epiteliale sensoriale.
Si parla di tessuto epiteliale di rivestimento quando è costituito da cellule unite a lamine che
rivestono le superfici corporee (epidermide) o degli organi cavi.
Si parla di tessuto epiteliale ghiandolare quando è costituito da cellule capaci di sintetizzare
e/o secernere molecole bioattive, che prendono il nome di secreto. Ad esempio nello stomaco
esiste un tessuto che produce i succhi gastrici i quali vengono liberati e raggiungono la cavità
interna dello stomaco dove trovano i cibi da digerire.
Il neuroepitelio o tessuto epiteliale sensoriale è costituito da cellule capaci di recepire stimoli
sensoriali, quali gusto, postura corporea e movimento) ed inviarli al sistema nervoso grazie al
loro contatto con un prolungamento di una cellula nervosa. Ad esempio a livello della lingua si
trovano elementi di neuroepitelio responsabili della percezione del gusto.
Un tessuto epiteliale è costituito da cellule adese a mutuo contatto: questo implica che,
durante il differenziamento embrionale, le cellule sviluppano dei dispositivi specifici per
mantenersi a contatto specifico, il cui nome è giunzioni intercellulari.

Giunzioni intercellulari
Dal punto di vista morfologico possono essere suddivise in base alla dimensione della
giunzione, suddividendole in zonula o macula, oppure in base allo spazio che si frappone tra le
due membrane plasmatiche delle due cellule che sono a mutuo contatto, suddividendole in
occludenti, aderenti o gap.
Zonula in greco significa “cinturina” e queste giunzioni sono perimetrali e coinvolgono tutta una
fascia di membrana plasmatica girando tutto attorno a una cellula.
Le giunzioni macule sono giunzioni circoscritte, banalmente dei bottoncini presenti in una
porzione ristretta del plasmalemma.
Le giunzioni occludenti vedono scomparire lo
spazio tra le membrane di due cellule adese, sono
sempre zonule e hanno lo scopo di
impermeabilizzare lo strato di cellule epiteliali. Ad
esempio tra le cellule dell’epitelio che riveste la
parete interna dell’intestino si trova questo tipo di
giunzione per impedire il passaggio del contenuto
fortemente acido all’interno del corpo.
Le giunzioni aderenti presentano uno spazio
abbastanza evidente allo microscopio elettronico
(di circa 25 nm). Queste giunzioni sono chiamate
così perché nello spazio tra una cellula e l’altra
sporgono delle proteine di membrana, specifiche
di queste giunzioni, le quali hanno una forte
adesione specifica. Queste proteine attraversano
il bilayer del plasmalemma e sul versante
citoplasmatico si
vincolano al
citoscheletro.
Le giunzioni comunicanti o gap o nexus esistono soltanto sotto
forma di macule. Si tratta di una zona dove si concentrano dei canali
idrofili che attraversano la membrana plasmatica: a un canale idrofilo
di una cellula corrisponde esattamente il canale idrofilo della cellula
a cui questa si unisce. Lo spazio tra le due membrane è di circa 2 nm.
In sostanza si crea un doppio canale che forma una sorta di tunnel
che mette in comunicazione i citoplasmi delle due cellule vicine.
Questi canali delle giunzioni gap prendono il nome di connessoni.
Ad esempio le giunzioni gap si trovano tra le cellule muscolari del
muscolo cardiaco: le quali sfruttano questi passaggi per far passare
gli ioni responsabili della propagazione dell’impulso muscolare durante la sistole del cuore.

Giunzioni cellula-matrice
Gli epiteli, soprattutto quelli di rivestimento, sono sempre a contatto, dalla parte opposta al
lume, con un tessuto connettivo. Tutte le volte che le cellule di un epitelio devono vincolarsi a
un tessuto connettivo all’interfaccia si formano delle specifiche giunzioni, che prendono il nome
giunzioni cellula-matrice.
Fanno parte di queste giunzioni gli emidesmosomi e le adesioni focali.
Gli emidesmosomi si formano essenzialmente nelle cellule epiteliali che hanno bisogno di
ancorarsi e mantenere stabilmente la loro posizione rispetto al tessuto connettivo. Si tratta di
giunzioni che consentono la fissità della cellula nella posizione che assume.
Esistono delle cellule che sanno muoversi nel tessuto connettivo, come alcune cellule della
difesa che provengono dal torrente circolatorio: per poter raggiungere l’epitelio, queste
particolari cellule hanno bisogno di camminare sul tessuto connettivo tramite delle adesioni
focali.
Le adesioni focali sono delle giunzioni cellula-matrice labili che si formano per creare un punto
di contatto tra il plasmalemma e la matrice extracellulare e, sul versante interno, si vincolano ai
filamenti contrattili di actina (in modo che i filamenti facciano da perno quando si attivano).

TESSUTO EPITELIALE DI RIVESTIMENTO


La classificazione di questo tessuto si basa sul numero degli strati e sulla forma delle cellule.
Questi due criteri si possono combinare insieme per definire la varietà dell’epitelio di
rivestimento. In base al numero degli strati si suddivide in:
 semplice o monostratificato;
 composto o pluristratificato o pluriseriato, al cui interno non si trovano vasi sanguigni.
In base alla forma delle cellule può essere:
 cubico o isoprismatico, il termine cubico è fuorviante perché le cellule sono conformate
come un prisma esagonale; in questo tipo di epitelio le tre dimensioni fisiche sono uguali;
 pavimentoso o squamoso, in cui la larghezza è molto più ampia dell’altezza e della
profondità;
 cilindrico o batiprismatico, in cui l’altezza predomina sulla larghezza e sulla profondità.
Le cellule non sono propriamente con forma cilindrica, ma in effetti hanno la forma di un
prisma esagonale molto alto.
Unendo i due criteri si possono identificare epiteli pavimentosi sia semplici che composti, un
epitelio cubico semplice e epiteli cilindrici sia semplici che composti. A questa classificazione
che ci consente di inquadrare circa il 90% dell’epitelio di rivestimento, fanno eccezione due
varianti epiteliali: l’epitelio pseudo-stratificato e l’epitelio di transizione.
Con epitelio pseudo-stratificato si intende un epitelio che, se analizzato in sezione, sembra un
epitelio cilindrico costituito da due strati sovrapposti di cellule di cui uno più strato più piccolo
basale e uno strato più voluminoso dal lato apicale. Se si ricostruisce nelle tre dimensioni si
nota che è dovuto al fatto che non tutte le cellule sono differenziate: quelle differenziate
raggiungono la superficie apicale, le altre sono praticamente delle cellule staminali.
L’epitelio di transizione riveste le vie urinarie e per questo è chiamato anche urotelio. Questo
tipo di epitelio si adatta alle situazioni della superficie interna dei luoghi in cui si trova, come ad
esempio nella vescica. Quando la vescica è vuota le cellule si compattano l’una sull’altra
formando anche quattro o cinque strati cilindrici sovrapposti; mentre quando la vescica e piena
aumenta la superficie interna e si distribuiscono in due o tre strati di epitelio pavimentoso.
L’epitelio pavimentoso semplice che tappezza il lume dei vasi sanguigni prende il nome di
endotelio e media gli scambi tra il sangue e il tessuto e, regolando l’apertura e chiusura dei
vasi, può regolare la pressione del flusso sanguigno.
Quando l’epitelio è cilindrico semplice merita di dare un’occhiata alla superficie libera delle
cellule cilindriche perché in alcuni casi non si notando specializzazioni, mentre in molti altri si.
Ogni cellula si calcola che abbia almeno un paio di migliaia di sottili estroflessioni alla superficie
apicale, ovvero i microvilli, la cui funzione è quella di ampliare la superficie e ad aumentare le
capacità di permeabilità (ad esempio forma le porzioni assorbenti dell’intestino tenue).
Le ciglia vibratili sono delle specializzazioni apicali al cui interno è presente un dispositivo di
microtubuli con funzione di motore: con consumo di ATP questo dispositivo flette il ciglio
rispetto alla posizione verticale di riposo.
Tutte le ciglia alla superficie di un epitelio si muovo all’unisono e sincrone nella stessa direzione.
Spesso alla base delle ciglia si trova un tappeto di muco, il quale può spostarsi lungo l’epitelio
stesso.
L’epitelio ciliato è presente anche nelle vie respiratorie e in esso si trova uno strato di muco,
mosso dalle ciglia vibratili, che si muove per tutto l’albero bronchiale e ha la funzione di
intrappolare i microrganismi patogeni e particelle dell’aria introdotte con la respirazione.
Tutto il muco sporco raggiunge la laringe e viene riversato nell’esofago. Esiste una sindrome
clinica, chiamata mucoviscidosi o sindrome dalle ciglia immobili, per cui, a causa di una
mutazione di una delle proteine dei microtubuli che muovono le ciglia, queste non riescono a
muoversi provocando la presenza di broncopolmoniti ricorrenti.
Anche a livello delle tube uterine si trova dell’epitelio ciliato: la motivazione delle ciglia è
dovuto al fatto che esse sono indispensabili per trasportare l’ovocita dall’ovaio fino alla cavità
uterina. In assenza del trasporto, in quanto l’ovocita non possiede dei propri mezzi di
movimento, esso rimane a livello delle estremità delle tube uterine e muore successivamente. I
pazienti affetti da mucoviscidosi soffrono anche di sterilità.

Epitelio pavimentoso composto


Esistono due diversi tipi di questo epitelio: non corneificato e corneificato.

L’epitelio pavimentoso composto non corneificato è un epitelio pavimentoso


composto in cui le cellule si appiattiscono e quando raggiungono lo strato superficiale
raggiungono il loro termine vitale e si desquamano (ovvero si staccano). Il loro posto viene poi
preso dalla proliferazione continua delle cellule staminali dello strato più profondo che pian
piano danno una progenie che si inserisce al posto di quelle perse.
In prevalenza si trova a rivestire le cavità interne degli organi bagnati da un velo di fluido, come
in molte parti della mucosa orale, dell’esofago, dell’epitelio corneale e della vagina.

Nell’epitelio pavimentoso composto corneificato le cellule che si differenziano non solo


si appiattiscono, ma perdono anche il nucleo e tutti gli organuli eccetto che per il citoscheletro
il quale abbonda e trasforma l’intera cellula in un ammasso di proteine citoscheletriche e si
trasformano in squame cornee. La presenza dell’assieme di squame cornee, che forma uno
strato vero e proprio, ovvero lo strato corneo, caratterizza questo epitelio specifico e tra le
squame si viene a depositare una sostanza, prodotta dalle cellule stesse, di natura prettamente
lipidica e quindi idrofobica, che ne determina l’impermeabilità cellulare.
La particolare forma di differenziamento corneificata ha due finalità: la prima è di aumentare la
resistenza meccanica e la seconda è quella di impermeabilizzare lo strato impedendo il
passaggio di acqua. Questa variante si trova alla superficie libera del corpo e quindi a livello
dell’epidermide.
L’epitelio corneificato è suddivisibile in:
 strato basale, costituito da cellule staminali;
 strato spinoso, costituito da cellule con molti desmosomi per cui sembra che la loro
superficie tenda a formare delle spine;
 strato granuloso, costituito da cellule già appiattite contenenti granuli basofili (ovvero
ammassi di proteine di zolfo che servono a conglutinare assieme i filamenti intermedi del
citoscheletro per aumentare la loro resistenza) all’interno del loro citoplasma;
 cheratina molle.
Il processo di differenziamento delle cellule
degli epiteli pavimentosi composti
corneificati, ovvero i cheratinociti, prende il
nome di citomorfosi cornea. Il processo in
condizioni normali richiede un periodo di 20-
30 giorni.
Bizzozzero aveva definito un tessuto come
una serie di cellule uguali e diverse che
concorrono allo svolgimento di una funzione
comune, e gli epiteli pavimentosi composti
corneificati rispondono molto bene a questo
concetto: a formare la lamina epiteliale si
trovano i cheratinociti, i melanociti, le cellule
di Langerhans e le cellule di Merkel.

I melanociti sono responsabili per la sintesi


della melanina, che è un pigmento di colore
marrone che ha una funzione di protezione
nei confronti delle radiazioni ultraviolette.
Essi si localizzano nello strato basale e, in
quanto dotate di prolungamenti, toccano all’incirca una ventina di cheratinociti vicini ai quali
cedono dei granuli (melanosomi) contenenti melanina al loro interno. Il numero dei
melanosomi condiziona il colore della pelle.

Le cellule di Langerhans entrano nell’epidermide e si localizzano subito sotto lo strato


corneo; anch’esse hanno dei lunghi prolungamenti che si estendono intorno ai cheranociti
vicini. Queste cellule sono di natura connettivale e derivano da cellule del sangue,
specificamente con il monocita (globulo bianco che origina i macrofagi in altri tessuti).
Le cellule di Langerhans hanno la proprietà di aderire agli antigeni, di accumularli e di migrare a
ritroso una volta che ne hanno raccolti a sufficienza nel connettivo, dal quale prendono un
capillare linfatico che porta queste cellule a delle strutture anatomiche dette linfonodi, nei
quali trovano le cellule della risposta immunitaria, anch’esse globuli bianchi, ma linfociti. Se il
linfocita possiede i recettori specifici per gli antigeni not-self si attiva, prolifera e tutti i linfociti
che da lui nascono vanno nell’epidermide da cui è penetrato l’antigene e lo distruggono.

Questa risposta al not-self è chiamata risposta immunitaria o immunità e può essere


distinta in una prima fase, quella delle cellule di Langherans che serve a prendere
consapevolezza dell’ingresso degli antigeni nell’organismo (braccio afferente della risposta
immunitaria) e in una seconda fase, quella dei linfociti, che serve invece a far in modo che
l’organismo reagisca (braccio efferente della risposta immunitaria).

Le cellule di Merkel sono situate nello strato basale dell’epidermide e quindi vicino alle
cellule staminali. Questo particolare tipo cellulare sono sempre in contatto con una
terminazione nervosa che proviene dal sottostante tessuto connettivo e sono legate con i
desmosomi ai cheranociti vicini risentendo di tutte le sollecitazioni meccaniche, alle quali si
eccitano scaricando delle sostanze segnale alla terminazione nervosa, eccitandola a sua volta.
Si può quindi dire che le cellule di Merkel fanno parte del sistema del neuroepitelio e sono
coinvolte nella percezione alla sensibilità tattile
TESSUTO EPITELIALE GHIANDOLARE
Gli epiteli ghiandolari si caratterizzano per il fatto che alcune delle loro cellule di differenziano
diventando delle piccole officine
chimiche, capaci di sintetizzare e
riversare all’esterno un secreto.
Durante il differenziamento
embrionale questo epitelio si
differenzia a partire dai primitivi epiteli
di rivestimento dell’embrione, ovvero i
foglietti embrionali costituiti da cellule
staminali.
Da questi foglietti si crea rapidamente
un gettone che si approfonda all’interno del tessuto e può subire due destini diversi: in un
primo caso rimane in connessione con il foglietto di origine evolvendo in una ghiandola
esocrina (la parte profonda del gettone si differenzia in cellule secernenti, che prendono il
nome di adenomeri; mentre la parte di raccordo forma il cosiddetto dotto escretore); invece in
un secondo caso il gettone si forma dal foglietto embrionale, ma il tratto di raccordo va in
apoptosi e rimane solo la parte profonda che prende connessione con i vasi sanguigni, in cui il
secreto viene riversato. Quest’ultimo tipo di epitelio ghiandolare viene definito endocrino.

Nel caso di un epitelio ghiandolare endocrino, il secreto prende il nome di ormone, dal verbo
greco ορμαω che significa “io stimolo”, i quali hanno una funzione regolatrice su altre cellule.

Epitelio ghiandolare esocrino


L’epitelio ghiandolare esocrino è formato da due componenti epiteliali:
1. la parte dove sono presenti le cellule secernenti, chiamata adenomero, cioè la porzione
elementare di una cellula esocrina. È composto da cellule secernenti;
2. il dotto escretore, le cui cellule non secernono, ma al massimo riassorbono acqua.
Da un punto di vista istologico, gli epiteli ghiandolari esocrini si classificano in: cellule esocrine
isolate o cellule caliciformi, superficie secernente (si trova
solamente a livello dello stomaco), e ghiandole esocrine
propriamente dette, nelle quali è più facilmente distinguibile
la zona dell’adenomero e quella del dotto escretore.

Le cellule esocrine isolate o caliciformi sono inserite


in un epitelio di rivestimento, di solito cilindrico, ed hanno
una forma particolare che giustifica il loro nome:
o Una parte superficiale più slargata (la teca) che
contiene i granuli ripieni del secreto, composto da
glicoproteine (in cui predomina la componente
zuccherina) chiamate mucine (una volta riversate
all’esterno fabbricano il muco).
o La parte più superficiale della teca, nella quale le
mucine vengono espulse in quanto si apre verso
l’esterno, è definita stoma.
Appena le mucine vengono liberate nell’acqua che è presente nel lume dell’organo, si
idratano essendo molto ricche di zuccheri e decuplicano il loro volume, divenendo la
componente macromolecolare del muco di superficie.
o Sotto la teca vi è una porzione più ristretta che viene definita stelo, nella quale si trova il
nucleo e gran parte degli organuli.
o Lo stelo termina alla base dell’epitelio con una parte che aderisce al tessuto connettivo
sottostante, dove sono presenti gli emidesmosomi, detta piede.

La superficie secernente gastrica è un compromesso morfologico tra un epitelio di


rivestimento cilindrico semplice e un epitelio ghiandolare, in quanto è composta da cellule di
forma cilindrica, ognuna delle quali ha verso il lume dello stomaco una teca ripiena di granuli di
mucine continuamente riversati all’esterno, dove formano uno spesso strato di muco di
barriera. Il muco di barriera mantiene i succhi gastrici lontani dalla parete dello stomaco,
formando un rivestimento protettivo.

Le ghiandole esocrine propriamente dette sono classificabili secondo vari criteri.

Tenendo conto della forma che assume l’adenomero si hanno:

 Adenomero tubulare: tubicino a fondo cieco con lume centrale sottile. Il tubulo può essere
rettilineo o convoluto. Se è convoluto forma degli avvolgimenti su se stesso e in questo
caso si parla di ghiandola tubulare glomerulare (d).
 Adenomero acinoso: una sferetta piena. Le cellule ghiandolari occupano tutto il volume
dell’acino, quindi ogni cellula ha una parte che riversa nel dotto escretore. Non è presente
lume interno.
 Adenomero ad alveolo: di forma sferica, ma più grande e con grosso lume all’interno di
forma sferica rispetto all’adenomero acinoso. Le cellule secernenti formano la parete
dell’alveolo e il secreto viene riversato nel lume.
 Adenomero ad otricolo: somiglia all’alveolo, ma è più lungo e possiede un volume
irregolare e frastagliato.
Un secondo criterio classificativo tiene conto della struttura dei dotti escretori, suddividendo le
ghiandole esocrine in tre grandi categorie:

 Ghiandola esocrina semplice: un singolo adenomero è fornito di un singolo dotto


escretore che porta direttamente dall’adenomero all’epitelio di rivestimento. Esistono
ghiandole tubulari semplici, sia lineari che glomerulari, e ghiandole acinose semplici
(come le piccole ghiandoline della mucosa delle labbra e delle guance).
 Ghiandola esocrina ramificata: più adenomeri usano uno stesso singolo dotto
escretore. Esistono ghiandole tubulari ramificate (forma come un tridente in cui l’asta è il
dotto); ghiandole acinose ramificate e otricolari ramificate.
 Ghiandola esocrina composta: il dotto escretore si ramifica in più ordini.
Avremo un dotto escretore principale e dei dotti di prima, seconda o anche terza
ramificazione che si assottigliano sempre di più (come dei bronchi).
I dotti escretori più piccoli e numerosi, situati all’estremità dell’albero di ramificazione, si
connettono con i singoli adenomeri. In questo modo queste ghiandole sono quelle di
dimensioni maggiori, si vedono ad occhio nudo e possono assumere rilievo anatomico
(come il pancreas). Esistono ghiandole tubulari composte, acinose composte e alveolari
composte.
Anche le nostre ghiandole salivari hanno i dotti escretori più distali che si differenziano in
senso secretorio, divenendo di fatto tubuli che alla loro estremità si raccordano con acini
(vengono definite perciò come ghiandole tubulo-acinose composte) e che sono fatti da
adenomeri che hanno sia una componente acinosa all’estremità che una tubulare che
prende il posto dei dotti escretori più.

Percorso dell’ormone
Le ghiandole composte di maggiori dimensioni sono avvolte da una capsula connettivale da cui
emanano dei setti interlobari, i quali suddividono la ghiandola in lobi. I lobi sono poi
ulteriormente divisi in da sepimenti connettivali più fini, ovvero i setti interlobulari, in lobuli. Il
dotto escretore principale entra nella capsula e si ramifica in un primo ordine di dotti (i dotti
interlobari) che segue i setti interlobari, i quali a loro volta si ramificano in dotti di secondo
ordine (dotti interlobulari) che seguono i setti interlobulari. Infine i dotti si ramificano in dotti di
terzo ordine (dotti intralobulari) che entrano in ogni lobulo e quest’ultimi si ramificano in un
ultimo ordine (condottini preterminali) che si imboccano nei singoli adenomeri.
Esistono altre modalità di classificazione delle ghiandole, che tengono ad esempio conto della
natura chimica del secreto:

 Ghiandole sierose, le quali sono ghiandole che producono un secreto ricco di proteine,
di aspetto opalescente e molto fluido. Come ad esempio il pancreas esocrino.
 Ghiandole mucose, le quali producono mucine, ovvero glicoproteine, che generano una
secrezione semitrasparente e di natura vischiosa che è il muco.
 Ghiandole miste sono le ghiandole che producono sia un secreto sieroso sia un secreto
mucoso.
 Ghiandole a secrezione lipidica, che producono un secreto di natura lipidica. Ad
esempio le acinose ramificate della cute producono il sebo, il quale è composto quasi
esclusivamente da trigliceridi e si stratifica sopra lo strato corneo favorendo
l’impermeabilizzazione della cute. In più il sebo è un blando antibatterico.
 Ghiandole a secrezione idroelettrolitica, come le ghiandole sudoripare della pelle il cui
secreto è costituito da acqua e ioni. Nel caso delle ghiandole sudoripare si produce
sudore, mentre nel caso delle cellule delle pareti dello stomaco acido cloridrico.

Tessuto ghiandolare endocrino


Si tratta del tessuto ghiandolare che ha rapporti con i vasi e, in linea di massima, il suo secreto
viene riversato nel liquido biologico.
La modalità di secrezione, però, varia da ghiandola a ghiandola e in tutto esistono tre modalità:

 Secrezione endocrina prototipica = l’ormone viene liberato dalla cellula, nella cui
prossimità si trova un vaso sanguigno che lo distribuisce a tutto l’organismo. Anche
lontano dalla sede di produzione si trovano le cellule bersaglio dell’ormone, che sanno
rispondere ad esso perché possiedono uno specifico recettore.
 Secrezione paracrina = può accadere che l’ormone si libera ne fluido interstiziale
trovando le cellule bersaglio nelle immediate vicinanze senza bisogno che entri all’interno
del circolo ematico.
 Secrezione autocrina = si tratta di un meccanismo di controllo della secrezione in
quanto la cellula endocrina che secerne l’ormone è essa stessa la cellula bersaglio. Di
solito i recettori autocrini hanno una funzione inibitoria, ovvero servono ad informare la
cellula endocrina di quando la produzione ormonale è sufficiente.
La classificazione istologica dell’epitelio ghiandolare endocrino è molto più semplice rispetto a
quella dell’esocrino, perché esistono sono due varianti: le cellule endocrine isolate e le
ghiandole endocrine.
Le cellule endocrine isolate sono o singole o in un epitelio di rivestimento o in un epitelio
ghiandolare esocrino o in un altro epitelio ghiandolare endocrino; mentre le ghiandole
endocrine possono essere cordonali (formano lunghi cordoni intercalati ai vasi sanguigni) o
follicolari (disposte a formare la parete di una struttura di forma sferica e cava al centro, di
nome follicolo).

Cellule endocrine isolate


Le cellule endocrine isolate sono largamente diffuse, soprattutto si ritrovano a livello dei
distretti anatomici dell’apparato gastroenterico. Di solito sono un sistema di feedback locali,
ovvero risentono delle condizioni microambientali e agiscono liberando l’ormone.
Ad esempio le cellule G, situate a livello della parete dello stomaco, sono situate nelle
ghiandole esocrine dello stomaco e si affacciano nel lume della ghiandola esocrina per cui sono
in equilibrio con il succo gastrico percependo l’acidità. Quando si inserisce del cibo esso ha un
effetto tampone, portando il pH a risalire verso la neutralità: le cellule G lo sentono ed è questo
lo stimolo necessario affinché liberino l’ormone gastrina. La gastrina è un ormone sia endocrino
che paracrino ed ha come cellule bersaglio le cellule delle ghiandole esocrine dello stomaco
stimolandole nella produzione di succhi gastrici permettendo così la digestione del cibo
ingerito. Quindi il sistema delle cellule endocrine isolate può essere visto come un sistema
senziente che adegua, tramite la produzione di ormoni, le funzioni dei visceri in cui esse stesse
si trovano. Un altro tipo di cellule endocrine isolate, come le cellule C che si ritrovano nella
tiroide.

Ghiandole endocrine propriamente dette


Le ghiandole endocrine sono tutte cordonali, fuorché la tiroide. Possono essere suddivise in
base al tipo di ormone prodotto: gran parte delle ghiandole endocrine cordonali producono
ormoni proteici o glicoproteici. Queste ghiandole sono l’ipofisi, gli isolotti pancreatici e le
ghiandole paratiroidi.

L’ipofisi è una ghiandola che produce ormoni proteici e glicoproteici multipli, che vengono
genericamente definiti con il termine di tropine ipofisarie (nome che si dà agli ormoni che
controllano la funzione, e quindi la secrezione, di un’altra ghiandola endocrina), come l’ACTH, la
TSH, l’FSH, l’LH e il GH.

Altri ormoni proteici sono prodotti dagli isolotti pancreatici, che è un insieme di piccoli
aggregati di cellule cordonali endocrine disperse nel pancreas esocrino. Le cellule endocrine di
questi isolotti sono di quattro tipi:

 Cellule β = le più numerose e le più importanti: da sole sono circa l’80% della popolazione
pancreatica. Esse producono un ormone molto importante per l’azione del metabolismo,
ovvero l’insulina, la quale è indispensabile per il passaggio di glucosio attraverso il sangue
all’interno delle cellule.
Il diabete ha un sintomo primario, ovvero l’iperglicemia che corrisponde ad un eccesso di
glucosio nel sangue; poiché l’insulina o manca o non riesce a stimolare i suoi recettori, il
glucosio non riesce a passare all’interno delle cellule accumulandosi nel sangue.
 Cellule α = producono il glucagone, ovvero l’ormone antagonista dell’insulina, che viene
liberato in caso di ipoglicemia permettendo la demolizione delle riserve di glucosio
(distruzione di glicogeno) agendo sugli organi riserva dei nutrienti.

Le ghiandole paratiroidi sono quattro e sono disposte a coppie in prossimità della ghiandola
tiroide. Esse producono il paratormone (PTH) che è indispensabile nella regolazione della
calcemia, ovvero il livello dello ione calcio presente nel sangue.
Il PTH induce il recupero di ione calcio dall’osso, l’assorbimento dello ione dall’intestino e il
recupero dello ione calcio a livello del tubulo contorto renale. L’importanza di questo ormone è
correlata all’importanza dello ione calcio: questo ione è indispensabile sia come coenzima sia
come regolatore della contrazione muscolare.
Alcune ghiandole endocrine cordonali producono ormoni steroidei e sono la corticale del
surrene, il corpo luteo e la midollare surrenale. Il processo steroide-recettore riesce a indurre
nelle cellule bersaglio l’attivazione o l’inattivazione di specifici geni di risposta.

Le ghiandole surrenali sono situate al polo superiore di entrambi i reni e sono costituite da
uno strato esterno corticale e una porzione interna midollare.
Per quanto riguarda la porzione corticale (cortico surrene) è costituita da cellule che
producono ormoni steroidei, come il cortisolo, l’aldosterone e gli steroidi sessuali, e che
istologicamente presentano numerosi vacuoli che contengono il colesterolo in modo che nel
caso del bisogno il precursore dell’ormone steroideo sia disponibile. Il più importante e
abbondante ormone è il cortisolo, il quale è indispensabile per rendere le cellule resistenti allo
stress e per metterle in grado di sfruttare al meglio i nutrienti per il loro metabolismo. Invece
l’aldosterone ha come bersaglio il rene e induce il recupero di ione sodio con conseguente
riassorbimento d’acqua aumentando il volume del sangue.
La porzione midollare (medullo surrene) produce ormoni amminici, ovvero delle ammine che
vengono prodotti per decarbossilazione di un aminoacido. Questi ormoni sono le catecolamine,
ovvero l’adrenalina e la noradrenalina. Si tratta di ormoni molto importanti, usati anche nel
cervello come neurotrasmettitori e sono gli effettori del sistema nervoso autonomo. La loro
produzione a livello del medullo surrene avviene in risposta a situazioni di stress e di pericolo
mettendo l’organismo in condizione di reagire prontamente alle situazioni di pericolo.

Il corpo luteo è una particolare ghiandola endocrina cordonale che ha la caratteristica di


essere temporanea tipica femminile: si forma per differenziamento di ciò che resta del follicolo
ooforo dopo l’ovulazione. Questa ghiandola produce gli ormoni della fase luteinica o post
ovulatoria: il progesterone, gli estrogeni e la relassina. Il più importante degli ormoni del corpo
luteo è il progesterone, che è uno steroide necessario nel caso in cui l’ovulo sia stato fecondato
in quanto induce una serie di modificazioni dell’organismo femminile indispensabili per
preparare l’organo all’eventuale impianto dell’embrione e accompagnerà la donna per tutta la
gravidanza.

La tiroide è l’unico esempio di ghiandola endocrina follicolare le cui cellule prendono il nome di
tireociti, a cui si possono aggiungere le cellule parafollicolari. I tireociti si occupano della
produzione endocrina specifica dei derivati della tirosina: si forma una tireoglobulina nelle cui
struttura primaria ci sono diversi aminoacidi tirosina e all’interno del tireocita ci sono enzimi
specifici che staccano l’anello benzenico da una delle tue tirosina e lo attaccano in serie
sull’anello dell’altra comportando la formazione di tironina. Agli anelli benzenici, poi, il tireocita
aggiunge degli atomi di iodio fino a un massimo di quattro, permettendo che si formino la T3 o
la T4 che non sono ancora ormoni attivi.
La tireoglobulina viene esocitata nel lume del follicolo e si accumula in esso: quando vi è
bisogno dello ione tiroideo lo stimolo arriva dalla TSH che agisce sui tireociti inducendoli a
fagocitare la tireoglobulina dal lume. Nei lisosomi del tireocita gli aminoacidi della
tireoglobulina vengono liberati gli uni dagli altri: in questo momento si ha la liberazione di T3 e
T4, i quali escono dalla membrana del tireocita e si tuffano nel torrente circolatorio dove si
distribuiscono verso le cellule bersaglio.
Gli ormoni tiroidei, specialmente T3, aumenta il metabolismo delle cellule bersaglio, le quali
sono potenzialmente tutte le cellule.
Le cellule endocrine sono indispensabile per la regolazione delle funzioni dei vari organi degli
apparati. Pertanto la funzione endocrina non è solo propria dei tessuti epiteliali, ma anche di
altri tessuti di varia natura, come:

 cellule di natura connettivale, ovvero le cellule interstiziali delle gonadi (che producono
testosterone nel maschio e gli estrogeni nella femmina), la teca interna del follicolo
ooforo (che produce estrogeni) e gli adipociti (che producono la leptina, le cui cellule
bersaglio sono i neuroni che controllano il senso di fame e di sazietà inducendole a
sviluppare il senso di sazietà; SCOPERTA RECENTE);
 cellule di natura muscolare, ovvero i cardiomiciti atriali destri (producono l’ANP) e le
miocellule dell’arteriola afferente del glomerulo renale (che producono la renina);
 cellule di natura nervosa, ovvero i neuroni ipotalamici (che liberano ossitocina e
vasopressina) e l’epifisi (che produce la melatonina);
 cellule dei tessuti fetali, ovvero il trofoblasto, che produce il progesterone, estrogeni,
gonadotropina corionica, somatomammotropo e relassina.

EPITELIO SENSORIALE O NEUROEPITELIO


Le sue cellule hanno sempre una connessione con terminazione nervosa afferente e hanno la
funzione di trasduttori di un segnale che viene poi tradotto in un segnale elettrico
corrispondente e passato all’elemento nervoso che lo veicola ai centri cerebrali.
Sostanzialmente sono tre i tipi di cellule epiteliali con funzioni di neuroepitelio:
1. cellula di Merkel => percezione di stimoli tattili in quanto sono dei meccanocettori;
2. calici gustativi => situati soprattutto nell’epitelio pavimentoso composto che riveste la
lingua. Costituiscono l’apparato del gusto e danno la percezione dei sapori e quindi degli
stimoli gustativi semplici;
3. cellule capellute dell’orecchio interno => fanno parte dell’apparato stato-acustico e
contribuiscono alla percezione dei suoni (coclea) e di stimoli posturali e di movimento
(archi ristretti).
TESSUTO CONNETTIVO
Il tessuto connettivo è caratterizzato dal fatto di essere composto da cellule di vario tipo,
secondo la denominazione di Bizzozero, che concorrono a una funzione comune.
Queste cellule sono separate le une dalle altre attraverso l’interposizione di una sostanza
intercellulare, la quale è composta in vivo da una quota rilevante dell’acqua dei fluidi
extracellulari, con tutte le sostanze in essa disciolte. Per quanto riguarda l’architettura
istologica del tessuto connettivo in questa sostanza intercellulare sono presenti delle
macromolecole sono prodotte e organizzate nello spazio proprio dalle cellule del tessuto
connettivo, quindi sono una componente specifica del tessuto connettivo stesso. Alla sostanza
intercellulare possono essere attribuite alcune delle funzioni proprie del tessuto connettivo.
Il tessuto connettivo ha:

 Funzione meccanica, ovvero intesa come di supporto, per esempio due tessuti connettivi
sono le ossa e la cartilagine (costituiscono lo scheletro). Inoltre il tessuto connettivo forma
tutte le strutture di raccordo, come per esempio i tendini che raccordano i muscoli con le
ossa, i ligamenti che raccordano i segmenti ossei tra loro, le aponeurosi che sono delle
lamine di tessuto connettivo che servono a svolgere le funzioni di contenimento, oppure le
capsule connettivali che demarcano gli organi.
Il tessuto connettivo forma anche il così detto stroma degli organi che è la componente
connettivale di supporto al tessuto specifico, che invece è definito parenchima.
 Funzione trofica, perché i capillari sanguigni sono presenti all’interno del tessuto connettivo,
che è continuo agli altri tessuti. Si può considerare trofica anche la funzione attribuita al
sangue.
Inoltre esistono delle specifiche cellule del tessuto connettivo, le cellule adipose, che
accumulano metaboliti al loro interno, per cui la funzione trofica può essere intesa come
funzione trofica di accumulo di metaboliti per il momento di bisogno.
 Funzione di difesa, che può essere passiva (come la funzione delle ossa della scatola cranica
per esempio la trama delle macromolecole presenti nella sostanza intercellulare ostacolano
la diffusione dei germi patogeni bloccandoli. Tanto è vero che alcune varianti
particolarmente aggressive di germi patogeni hanno sviluppato degli enzimi capaci di
smantellare la sostanza intercellulare dei tessuti connettivi e in questo modo riescono a
diffondersi negli organi che infettano). Esistono nel tessuto connettivo delle specifiche
cellule di difesa, per esempio un particolare tipo di macrofago che è la cellula di Langerhans,
responsabile del braccio afferente della risposta immunitaria, che costituisce un tipico
esempio di una cellula di natura connettivale che svolge funzione difensive attive.
Da un punto di vista istologico il tessuto connettivo può essere quindi suddiviso e studiato
separatamente per la sua componente cellulare e di sostanza intercellulare.

Componente cellulare
Una classificazione un po’ datata suddivide le cellule del connettivo in due famiglie: le cellule
autoctone (cellule staminali, cellule stromali e adipociti), intese come quelle che si
differenziano e risiedono nel tessuto connettivo, e le cellule immigrate (macrofagi, mastociti,
plasmacellule e melanofori), che invece hanno un precursore diretto nel sangue e quindi il loro
precursore di solito è un globulo bianco del sangue che passa nel connettivo e lì si differenzia in
una cellula connettivale matura.
Secondo ricerche recenti, tutte le cellule che si trovano nei tessuti connettivi maturi
provengono da precursori staminali che prendono origine principalmente nel midollo osseo
ematopoietico come gli elementi maturi del sangue; tutte le cellule del tessuto connettivo
vengono perciò attualmente considerate immigrate o da cellule differenziate (cellule del
sangue, ovvero il globulo bianco, che poi si differenziano in cellule connettivali) o da cellule
staminali mesenchimali.
Il mesenchima è il tessuto connettivo primordiale che si forma nell’embrione, le sue cellule
hanno la capacità di differenziarsi in tutte le varietà di cellule connettivali mature. Persistono
come cellule staminali quiescenti anche nei tessuti connettivi adulti, dove possono
differenziarsi in qualsiasi momento grazie alla formazione della cicatrice: il danno di un tessuto
viene riparato per deposizione rapida di una massa di tessuto connettivo di emergenza
(cicatriziale); le cellule staminali, attivate dai processi infiammatori generati a cascata subito
dopo la lesione, proliferano e si differenziano in nuove cellule del tessuto connettivo, le quali, a
loro volta, sintetizzano sia fibre che sostanza fondamentale del tessuto cicatriziale. Possono
risiedere nel tessuto connettivo maturo o giungervi attraverso il corrente circolatorio.

Cellule autoctone
Esistono due linee differenziative di cellule autoctone: la linea delle cellule stromali e la linea
delle cellule adipose. La linea delle cellule stromali è costituita dalle cellule mesenchimali
stromali (MSC), dai fibroblasti, dai fibrociti e dalle cellule stromali; mentre la linea delle cellule
adipose è costituita dall’adipocita bianco e dall’adipocita bruno.

CELLULE MESENCHIMALI STROMALI (MSC) = si tratta di piccole cellule con poco citoplasma,
con nucleo lasso e formano dei lunghi e sottili prolungamenti che si intersecano tra loro. A un
certo punto della vita intrauterina evolvono in cellule stromali più mature, chiamate fibroblasti.

FIBROBLASTI = si tratta delle cellule più lasse con un citoplasma basofilo. Queste cellule sono
responsabili della sostanza intercellulare, sia della componente fibrosa sia della componente
della matrice amorfa, e per questo il loro citoplasma è ricco di organuli. Dopo che hanno svolto
il loro compito vanno in quiescenza, quindi si limitano a produrre quella efficiente e divengono
fibrociti.

FIBROCITI = cellule quiescenti derivanti dai fibroblasti, rispetto ai quali sono più piccole e
affusolate.

Recentemente si è scoperto un particolare tipo di cellule stromali, chiamate TELOCITI: sono


cellule simili ai fibrociti per certi aspetti che hanno dei lunghi prolungamenti ramificati che si
estendono a distanza. Esse si differenziano dalle cellule staminali mesenchimali e sono tra le
prime che si differenziano negli stromi degli organi.
Quando i telociti si differenziano formano un’impalcatura cellulare tridimensionale, chiamate
schaffold (= impalcatura in inglese), che già ravvisa la forma dell’organo futuro. In seguito
creano dei fattori di crescita che chiamano le cellule staminali del parenchima, le quali entrano
nello schaffold e sotto la loro guida si posizionano in modo corretto differenziandosi nelle
cellule del tessuto specifico dell’organo.

ADIPOCITI= sono suddivisibili in due diverse tipologie:


 ADIPOCITI MONOVACUOLATI O ADIPOCITI BIANCHI = si tratta di enormi cellule (fino a 200
µm) di forma sferica, in cui il 90% del volume citoplasmatico è occupato da un'unica grande
goccia di trigliceridi. Il poco citoplasma, che è schiacciato alla periferia, contiene gli organuli
necessari per la sintesi e la scissione dei trigliceridi. Questo tipo di adipociti funge da riserva
energetica di metaboliti per il momento del bisogno.
 ADIPOCITI BRUNI O ADIPOCITI MULTIVACUOLATI = è chiamato bruno perché appare più
scuro rispetto al precedente tessuto adiposo.
Ha dimensioni cospicue, ma non gigante come l’adipocita monovacuolato. All’interno del suo
citoplasma vi sono più gocce di trigliceridi. I suoi mitocondri contengono una proteina
disaccoppiante che interviene durante il percorso della fosforilazione ossidativa.
Di solito i mitocondri bruciano i substrati per produrre ATP, ma questi particolari mitocondri
avviano la respirazione cellulare senza la produzione di ATP portando la dispersione di
energia sotto forma di calore. Per questo motivo gli adipociti bruni sono dei sistemi di
termogenesi e assumono grande importanza nel neonato, in quanto alla nascita la sua
temperatura rischia di scendere sotto la soglia di ipotermia.
Gli adipociti bruni smantellano trigliceridi senza produrre ATP ⟹gran parte dell’energia del
catabolismo dei trigliceridi viene dissipata come calore ⟹ bruciano i substrati per generare
calore ⟹implicati nei fenomeni di termogenesi, particolarmente importanti a livello del
parto, in quanto il feto nell’utero materno ha una temperatura di circa 38°, più bassa di
quella della sala parto ⟹non avendo muscoli abbastanza sviluppati per generare brividi, per
scaldarsi il feto compensa bruciando trigliceridi grazie agli adipociti bruni. Nei mitocondri
degli adipociti bruni è presente una proteina, la termogenina, che disaccoppia la
fosforilazione ossidativa.
La loro funzione nell’adulto probabilmente è quella di bruciare i trigliceridi in eccesso,
impedendo che si accumulino negli adipociti monovacuolati (altrimenti rischio clinico di
obesità).

MACROFAGI = il loro precursore circolante nel sangue è un globulo bianco, chiamato


monocita. Dire “macrofagi” è una generalizzazione perché esistono nei diversi organi diversi
tipi di macrofagi, tutti però accumunati dal fatto che sanno utilizzare la fagocitosi come
funzione specifica per la pulizia e la difesa dell’organo nel quale sono localizzati.
Presenta un nucleo a cromatina lassa, dimensioni discrete e un citoplasma ricco di organuli,
soprattutto numerosi lisosomi.
 MACROFAGI ALVEOLARI = gli alveoli sono le superfici aeree di scambio e questi macrofagi
specifici si occupano di percorrere la loro superficie e rimuovere le particelle di sporcizia
fagocitandoli.
Il colore nero che questi macrofagi assumono spontaneamente è dovuto al fatto che parte
delle particelle che entrano nel polmone sono particelle di carbonio, le quali non sono
digeribili da parte dei macrofagi e quindi li colorano di nero.
 CELLULE DI KUPFFER = situate a livello del fegato e acquistano una grande importanza, in
quanto tramite la vena porta giunge al fegato il sangue che ha ricevuto il materiale
assorbito a livello intestinale, e quindi all’interno del circolo ematico possono essere
presenti agenti patogeni. Queste cellule si affacciano sul sangue in arrivo e pescano per
fagocitosi lo sporco presente.
 CELLULA DI LANGERHANS = un’importante categoria di macrofagi è data dalle cellule che
costituiscono l’antigene e formano il braccio afferente della risposta immunitaria.
Questa cellula è presente a livello degli epiteli di rivestimento, soprattutto nei pressi della
cute, ed è implicata nella fagocitosi degli antigeni not-self, elaborandoli in modo da renderli
facilmente riconoscibili dai linfociti consentendo l’avvio del braccio efferente della risposta
immunitaria.
 Nella milza i macrofagi hanno la funzione di smantellare le cellule vecchie del sangue,
soprattutto i globuli rossi, i quali, non avendo nucleo, dopo 120 gg diventano vecchi e
disfunzionali.
I macrofagi della milza catabolizzano tutto ciò che può essere sostituito, recuperando nel
frattempo lo ione ferro, che viene poi ceduto alle cellule del midollo che fabbricano i
nuovi globuli rossi.
 Macrofagi particolari costituiscono la microglia del sistema nervoso, dove risiedono
stabilmente e dove si attivano nel caso si verifichi una lesione del tessuto; in questo caso
cercano di rimuovere le particelle potenzialmente dannose, quindi i residui della
distruzione cellulare rappresentati dai corpi apoptotici (derivano dal fenomeno di morte
cellulare fisiologica detto apoptosi).
 CELLULE PRESENTANTI L’ANTIGENE, di cui il prototipo può essere considerato la cellula di
Langerhans e utilizzano la fagocitosi non finalizzandola alla distruzione dei corpi estranei,
ma alla captazione e all’elaborazione di tutte le molecole che riescono a penetrare
nell’organismo e che sono estranee ad esso.
Queste molecole estranee in immunologia vengono definite antigeni not-self: possono
essere parti di un parassita o macromolecole potenzialmente pericolose (come le
tossine). Non sono codificate dal genoma del soggetto e quindi non appartengono a lui,
sono riconoscibili perciò come estranee.

Risposta immunitaria
1. CAPTAZIONE⟹ le cellule presentanti l’antigene, come le cellule di Langherans, sono
situate in posizioni ideali per captare gli antigeni not-self appena questi entrano nel
corpo;
2. ELABORAZIONE⟹ li fagocitano, ma non li distruggono: li spogliano del superfluo
mentre si muovono dal tessuto dove li hanno raccolti;
3. FENOMENO DI PRESENTAZIONE DELL’ANTIGENE⟹ entrano in un vaso linfatico e
nuotano nella linfa fino ad un organo linfoide, come un linfonodo. Qui trovano un altro
tipo di globulo bianco, appartenente però alla categoria dei linfociti, al quale, se esso
possiede il recettore per quel determinato antigene, viene mostrato l’antigene not-self;
4. Si innesca la risposta del linfocita, che prolifera finalizzandosi all’eliminazione del not-
self ⟹braccio efferente della risposta immunitaria.
I macrofagi appartenenti al gruppo delle cellule presentanti l’antigene svolgono la fase
preliminare di questa risposta ⟹braccio afferente della risposta immunitaria.

MASTOCITI = letteralmente il termine significa “cellule grasse” dal tedesco e il nome è stato
dato loro nel 800 dal loro scopritore perché le vide particolarmente voluminose e simili per
certi aspetti agli adipociti. In realtà i mastociti sono cellule voluminose con numerose
granulazioni di secrezione contenti eparina e istamina.
L’eparina è un grande glicosamminoglicano usato come anticoagulante nei farmaci, la cui
funzione è quella di mantenere in condizione inattiva le proteine della coagulazione che vanno
nella sostanza intercellulare del tessuto connettivo quando le cellule endoteliali si staccano.
L’istamina è una piccola ammina biogena molto simile ad un ormone amminico; essa ha una
potente azione sulla permeabilità dei vasi sanguigni: legandosi alle cellule dell’endotelio dei
vasi, le distacca le une dalle altre e aumenta la quantità di sostanza che scambia dal corrente
circolatorio alla sostanza interstiziale dei tessuti.
Questi due mediatori servono a far si che il mastocita possa regolare gli scambi trofici tra i vasi
sanguigni e il tessuto connettivo. Gran parte dei mastociti del tessuto connettivo si allinea i vasi.
Si ritiene che anche i mastociti abbiano un precursore circolante, che è una cellula staminale a
comune con una categoria di globuli bianchi ovvero i granulociti basofili.
Quindi si può dire che i granulociti basofili del sangue circolante e i mastociti dei tessuti
connettivi derivano dalla stessa cellula staminali e sono praticamente identici dal punto di vista
funzionale.

Reazioni allergiche
I mastociti producono anche mediatori trofici per il tessuto e possono essere coinvolti nei
fenomeni patologici. Negli individui allergici, per uno sbaglio del loro sistema immunitario:
1. in risposta a particolari antigeni not-self, chiamati allergeni (es. pollini), viene indotta una
iperproduzione di una categoria di anticorpi difensivi appartenenti alle immunoglobuline
(IgE);
2. i mastociti, che posseggono sulla loro membrana i recettori per queste immunoglobuline,
vengono ricoperti da esse ⟹mastociti sensibilizzati;
3. il problema si pone al secondo contatto con l’allergene, quando questo si lega alle IgE ⟹i
mastociti vengono indotti, tramite uno stimolo, a liberare improvvisamente e massivamente
tutti i loro granuli;
4. l’istamina liberata in grande quantità fa saltare il sistema di controllo dell’endotelio sul
passaggio di fluidi dal sangue al tessuto ⟹i tessuti si allagano di acqua e sostanze disciolte
del corrente circolatorio;
5. si realizza una condizione di turgore estremo del tessuto connettivo, che in termini patologici
viene definito edema, dannoso per le cellule in quanto non arrivano i nutrienti (es. asma
bronchiale: non passa bene l’aria).

PLASMACELLULE = sono cellule dalla forma ovale, un nucleo rotondo con la cromatina
disposta a zolle irregolari lungo la periferia e un citoplasma basofilo. L’assetto di organuli (ricca
presenza di RER e grande apparato di Golgi) è quello di una cellula che produce proteine a
esportazione. Le plasmacellule sono le cellule della risposta immunitaria, precisamente del
braccio efferente, e reagiscono agli antigeni not self producendo contro di loro gli anticorpi o
immunoglobuline. Le plasmacellule derivano dal linfocita B.
Le immunoglobuline possono essere suddivise in più classi e tra le varie classi ci sono piccole
differenze funzionali. Le più importanti sono le IgG a cui si deve la responsabilità degli antigeni
not self in quanto sono le più prodotte. In una risposta immunitaria prima vengono prodotte le
IgM, che sono costituite da 5 singole immunoglobuline base e vengono prodotte entro le prime
due settimane dal contatto con l’agente not self.
A queste classi principali se ne aggiungono altre, ovvero le IgE (=responsabili delle reazioni
allergiche), IgD, IgA (=permeano l’epitelio e costituiscono un blocco contro gli antigeni).

MELANOFORI = si tratta di mastociti che rimangono nel tessuto connettivo e non salgono
nell’epitelio di rivestimento. Sono piuttosto rari: nella nostra specie sono presenti soprattutto a
livello del capezzolo e dell’areola mammaria, che infatti hanno un colore più scuro, oppure
nella zona perinatale. Abbondanti nei camaleonti, che li utilizzano per cambiare colore. I
melanofori producono melanina e servono a proteggere il tessuto connettivo dalle radiazioni
ultraviolette.
Sostanza intercellulare (ECM)
Della sostanza intercellulare fanno parte delle strutture proteiche filamentose, chiamate fibre
connettivali (fibre collagene, fibre reticolari, fibre elastiche), visibili al microscopio. Tra le fibre
connettivale si interpone una sostanza che non è strutturata e non si vede al microscopio, la cui
presenza è dimostrabile in quanto si può colorare, e che prende il nome di sostanza
fondamentale anista o matrice amorfa. Di questa sostanza fanno parte i proteoglicani, i
glicosamminoglicani (GAG) e le glicoproteine.

Fibre connettivali
Le fibre connettivali sono visibili al microscopio e hanno una forma allungata.
Esse si suddividono in:

 FIBRE COLLAGENE = sono composte da una proteina,


che è la più abbondante nel nostro corpo, e prende il
nome di tropocollagene.
Il tropocollagene è costituito da tre catene
polipeptidiche, chiamate catene alfa, le quali hanno una
composizione aminoacidica particolare: per gran parte
della zona mediana della molecola (circa 2/3 della
lunghezza della catena alfa) si ripete una tripletta di
aminoacidi con forma tridimensionale tale che favorisce
l’elicatura di tre catene alfa. Grazie a questa struttura
elicata la molecola del tropocollagene (280 nm x 2 nm)
possiede delle particolari caratteristiche di resistenza
alla trazione che conferisce alle fibre collagene che
compone.
Le singole molecole di tropocollagene sanno fascicolare
assieme: le singole molecole tendono spontaneamente
nell’ ambiente extracellulare, non appena sono secrete
dalla cellula stromale, ad allinearsi una dietro l’altra e
una al fianco dell’altra dando origine alle microfibrille
(visibili solo al M.E.). A loro volta le microfibrille, una
volta formatasi, hanno la tendenza ad aggregarsi
spontaneamente una affianco all’altra; in questo modo i fasci divengono spessi a sufficienza
per poterli vedere al M.O. e prendono il nome di fibrille collagene, che a loro volta possono
fascicolare assieme originando le fibre collagene. In alcuni tipi di tessuto connettivo con
proprietà meccaniche particolarmente marcate le fibre si uniscono in fasci di fibra collagene
(fino a 12 µm => RESISTENZA MECCANICA).
In alcuni tipi di collagene la molecola di tropocollagene possiede sia all’estremità carbossi-
terminale sia all’estremità ammino-terminale ulteriori aminoacidi che si dispongono a
formare due particelle globulari, che hanno un considerevole ingombro e impediscono la
fascicolazione in una microfibrilla.
Questo tropocollagene di questo tipo forma il collagene non fibrillare, di cui il più
abbondante nel nostro organismo è il collagene di tipo IV, e forma un feltro tridimensionale
meglio conosciuto come lamina basale, che offre l’aggancio alle giunzioni cellula-matrice.
La membrana basale fa da raccordo tra le cellule di parenchima e le fibre connettivali.
 FIBRE RETICOLARI = da un punto di vista biochimico sono molto simili alle fibre collagene
perché anche esse sono costituite da tropocollagene fibrillare.
Il tropocollagene che le costituisce è una glicoproteina (aminoacidi + oligosaccaridi) e quindi
le microfibrille tendono ad aggregarsi in fibrille, ma non in fibre vere e proprie formando reti
tridimensionali. Le fibre reticolari si ritrovano a livello della membrana basale, subito sotto il
collagene IV, per ancorarlo al tessuto connettivo sottostante.
Inoltre, a livello del tessuto osseo e del parenchima della milza, le fibre reticolari (costituite
in questo caso da collagene glicosiliato o collagene III) offrono appiglio alle cellule che si
devono poter muovere dal sangue al tessuto.
 FIBRE ELASTICHE = sono composte da fibrillina, proteina che forma sottili fibrille che si
dispongono alla periferia delle fibre elastiche, ed elastina, ovvero la proteina più importante.
L’elastina ha una peculiarità: ha proprietà elastiche; quindi grazie alla proprietà elastinica le
fibre elastiche sono anch’esse in grado di allungarsi e accorciarsi a seconda delle forze che
agiscono su di essa.
Le fibre elastiche si trovano in tutti i tessuti connettivi dove è necessaria una funzione
elastica, come nel tessuto connettivo della cute, ovvero il derma, e nelle arterie. Questa
tipologia di fibre è particolarmente sensibile al danno indotto dalle radiazioni solari, per cui
negli individui anziani queste vengono piano piano distrutte dando il tipico aspetto
anaelastico della cute.
Le arterie hanno una parete costituita da strati concentrici: lo strato intermedio si chiama
tunica media e in essa sono particolarmente abbondanti le fibre elastiche, la cui funzione è
quella di permettere la dilatazione e accorciamento delle arterie consentendo al sangue di
essere spinto in fase di diastole.

Sostanza fondamentale anista


La sostanza fondamentali anista caratterizza la parte interposta tra le fibre e alla cui molecole è
legato il grosso dell’acqua contenuto nel sistema connettivo. Questa sostanza è costituita da:
 PROTEOGLICANI (più molecole di GAG+ proteina portante) ⟹stessa funzione dei GAG, ma
più grandi;
 GLICOSAMMINOGLICANI (lunghi polimeri lineari di zuccheri sostituiti, uno zucchero su due
è acido, quindi carbossilico, e l’altro ha sul carbonio2 l’ossidrile sostituito con un gruppo
amminico, si parla perciò di esoso ammina). La caratteristica dei GAG è l’acidità, che gli
consente di fungere da trappola per la molecola dell’acqua, legandone a sé una nuvola
⟹trattiene H2O, dove si svolgono scambi trofici tra sangue e tessuti.
La loro funzione è quella di idratare il tessuto connettivo che è fondamentale per il tessuto
stesso, perché in primo luogo nell’acqua si possono disciogliere le sostanze necessarie alla
nutrizione delle cellule del tessuto e in secondo luogo l’acqua è incomprimibile
permettendo la deformazione (=> cuscinetto idrostatico) e la riduzione degli urti. Ad
esempio, nelle cartilagini articolari vi è una grande quantità d’acqua.
 GLICOPROTEINE (catena oligopeptidica a cui sono legati covalentemente degli
oligosaccaridi ⟹ prevale componente proteica).

CLASSIFICAZIONE
Il tessuto connettivo è suddivisibile in tessuto connettivo propriamente detto, tessuto
connettivo specializzato per le funzioni di sostegno e il sangue.
Tessuto connettivo propriamente detto
Il tessuto connettivo propriamente detto è costituito da cellule e SFA; questo tipo può essere
suddiviso in forme lasse, dove le fibre connettivali sono sottili e in quantità minoritaria rispetto
alle cellule e alla SFA, e in forme dense, dove le fibre sono di grosso e abbondanti rispetto alle
altre due componenti.

Tra le forme lasse, il più presente è il tessuto fibrillare lasso, il quale è ricco di fibrille di circa 1
µm. In esso sono presenti cellule di vari tipi e anista e forma gran parte dello stroma: infatti al
suo interno ritroviamo capillari sanguigni e linfatici che servono per difendere il tessuto stesso.
Un secondo tipo si chiama tessuto mucoso, in esso le fibre sono ancora più sottili e troviamo
solo cellule stromali e capillari sanguigni; si ritrova nella polpa dei denti. Abbiamo poi il
reticolare, formato da fibre reticolari, e lo troviamo a livello delle membrane basali a cucire il
collagene IV al connettivo o da solo a formare l’impalcatura degli organi emopoietici e
emocateretici.
Ultima forma lassa è il tessuto adiposo, sia il tessuto bianco (con adipociti monovapolati) sia
quello bruno (con adipociti plurivapolati), in questa forma la maggior parte della struttura del
tessuto è formato dalle cellule adipose, in pochissima parte lo spazio è lasciato alla sostanza
fondamentale.

Tra le forme dense, il più diffuso è il tessuto fibroso denso a fibre intrecciate, in cui le fibre
non hanno una direzione precisa e sono in grado di sopportare forze meccaniche applicate in
tutte le direzioni. Questo costituisce il derma profondo e la sclera dell’occhio e forma anche le
capsule degli organi: è presente dove vi è bisogno di un tessuto connettivo con caratteristiche
di resistenza.
Il secondo tipo è il fibroso denso a fibre incrociate, qui le fibre si sovrappongono e in ogni
strato sono parallele tra loro. Tra strati vicini le fibre sono invece dirette ortogonalmente. È una
struttura paracristallina e oltre che resistente è anche trasparente alla luce, per questo forma
lo stroma della cornea, dando la possibilità alla luce di entrare.
Abbiamo poi il connettivo a fibre parallele, con cellule molto schiacciate tra un fascio di fibre e
l’altro; questo tessuto è resistente alle forze di trazione applicate alle sue due estremità e per
questo presente nei tendini e nei legamenti.
Infine il tessuto elastico, forma la tonaca media delle arterie, che si occupa di accertarsi di una
buona propulsione del sangue nelle arterie.

Tessuti connettivi specializzati per le funzioni di sostegno


I tessuti connettivi specializzati per le funzioni di sostegno sono il tessuto cartilagineo e il
tessuto osseo.

Sangue e midollo osseo


Il sangue e il midollo osseo sono dei connettivi particolari in quanto non è presente una vera e
propria sostanza intercellulare, ma è bene inserirlo tra i tessuti connettivi perché tutte le cellule
connettive derivano di fatto da dei precursori staminali nati nel midollo osseo e circolanti nel
sangue.
TESSUTO CARTILAGINEO
Tutti i tessuti cartilaginei sono privi di vasi sanguigni e per questo ha bisogno di un connettivo
ricco di vasi sanguigni, detto pericondrio, che ha la funzione di nutrirla avvolgendola
completamente. Generalmente nella cartilagine le fibre sono costituite da collagene di tipo II, la
SFA è formata da abbondante acido ialuronico, proteoglicani e glicoproteine e, infine, le cellule
cartilaginee prendono il nome di condroblasti, i quali una volta terminata la loro attività
metabolica si trasformano in condrociti diventando quiescenti.
Nella cartilagine la densità della sostanza fondamentale è talmente alta che, quando i
condroblasti proliferano, non riescono a separarsi gli uni dagli altri e le cellule figlie della stessa
progenitrice restano racchiuse in una capsula. Si parla in questo caso di gruppi isogeni, ovvero i
condroblasti di una stessa “famiglia” racchiusi da una capsula e in ogni capsula ne è presente
almeno uno.
Esistono tra varianti istologiche di cartilagine:

 Cartilagine ialina, è la più abbondante e forma la cartilagine delle coste, il setto


nasale, a livello delle articolazioni e costituisce la cartilagine di accrescimento nella zona
della metafisi. Questa cartilagine viene definita ialina da ialòs (“come il vetro”), questo
perché se viene vista al microscopio riconosciamo le cellule della cartilagine definiti
condroblasti, molto più grandi e globulari dei normali fibroblasti.
La sostanza intercellulare della cartilagine ialina è blu e molto ricca di collagene fibrillare
di tipo II, oltre a questo però non si vedono le fibre perché al suo interno le fibrille non
tendono a fascicolare restando talmente sottili, che diventano possibili da osservare
solo al microscopio elettronico. Insieme al collagene II ritroviamo una grande quantità di
anista e quindi di acqua, per questo la cartilagine articolare è molto resistente al peso.
 Cartilagine elastica, all’interno della quale ritroviamo fibre elastiche che sono visibili
perché fascicolano ed è differente dalla ialina solo per questo particolare.
Queste cartilagini conferiscono elasticità agli organi. Esse formano l’impalcatura del
padiglione auricolare, l’epiglottide e le cartilagini aritenoidi.
 Cartilagine fibrosa o fibrocartilagine, in cui le fibre sono la parte più evidente.
La fibrocartilagine infatti somiglia molto a un tessuto connettivo fibroso denso, a
differenza di questo però questa ha i condroblasti e l’assenza di vasi sanguigni, le fibre
sono formate da collagene di tipo I. È un tessuto molto robusto, forma infatti i dischi
cartilaginei intervertebrali e le parti cartilaginee delle ossa che servono per rendere
possibile una congruenza tra queste, come ad esempio i menischi; possiamo trovare la
fibrocartilagine anche a livello del tendine.

TESSUTO OSSEO
Si tratta di un tessuto molto particolare perché contiene il 40% in peso di componente organica
e il 60% in peso di componente minerale, ovvero la sua particolarità.
Da un punto di vista macroscopico si distingue un osso spugnoso o osso trabecolare, così detto
perché se lo si guarda in sezione appare formato da delle trame di tessuto osseo che formano
delle cavità midollari dove è presente il midollo ematopoietico, e un osso compatto, il quale è
sottile nelle epifisi e più spesso nel corpo dell’osso e ad occhio nudo non presenta cavità; dal
punto di vista istologico questi due tipologie di tessuti sono fatti nello stesso modo.
La componente organica contiene cellule proprie del tessuto osseo, le fibre connettivali di tipo I
e la sostanza anista (in questo caso la componente minoritaria, troviamo infatti poca acqua).
La componente minerale è invece formata da cristalli di fosfato di calcio che si aggregano nella
forma cristallina dell’apatite. La cellula elementare (apatite) di questa è un esagono schiacciato
dove troviamo 10 ioni calcio e 6 ioni fosfato: ci saranno quindi più cariche positive legate al
calcio e per questo si bilancia il tutto con 2 cariche negative provenienti dagli ioni OH. L’apatite
diventa quindi idrossiapatite. I residui di idrossiapatite vanno ad unirsi formando dei sottili aghi
che si dispongono in grande quantità tra le fibrille e anche all’interno di esse. Mineralizza quindi
sia la sostanza interposta tra le fibrille e queste stesse.
Nel tessuto osseo abbiamo 4 tipi di cellule:

 cellule osteoprogenitrici o pre-osteoblasti;


 osteoblasti: sono le cellule responsabili della sintesi della componente organica e che
presiedono alla sua mineralizzazione;
 osteociti: sono la forma quiescente degli osteoblasti;
 osteoclasti: specializzate per la demolizione della sostanza intercellulare dell’osso.
Morfologicamente sono differenti ma appartengono a due famiglie soltanto: la prima famiglia
comprendente le prime tre categorie che sono semplicemente l’evoluzione di una stessa
cellula; mentre la seconda famiglia, che si riferisce invece agli osteoclasti, che infatti hanno un
loro progenitore, i preosteoclasti, praticamente identici ai monociti che sviluppano poi i
macrofagi.

OSTEOPROGENITRICI = cellule abbondanti alla nascita, mentre durante l’età adulta sono
molto presenti nel tessuto connettivo propriamente detto che forma una lamina protettiva al di
sopra delle ossa, detto periostio. Questo è fatto da uno strato di connettivo denso a fibre
intrecciate e da uno strato più interno detto strato osteogenico, assimilabile ad un connettivo
fibrillare lasso ricco di cellule progenitrici e viene attivato in caso di frattura.
L’altro luogo in cui si ritrovano sono le cavità vascolari dell’osso, dove costituiscono l’endostio.

OSTEOBLASTI = sono cellule voluminose (25 μm di diametro) con citoplasma poliedrico e


basofilo (questo perché troviamo un RER e un apparato di Golgi molto sviluppato), e un nucleo
ovale a cromatina lassa, com’è solito nelle cellule attive.
Quando lavorano si uniscono fra di loro con unioni labili attuate con giunzioni di tipo gap e
anche legate metabolicamente perché lavorano insieme e polarizzate. L’osteoblasto quando
lavora forma osso davanti a sé per prima cosa (prima crea la parte organica, poi la mineralizza),
poi ai lati, allontanandosi dagli osteoblasti vicini allungando i legami tra le cellule che diventano
sempre più lunghi ma si mantengono.
Quando l’osteoblasto si racchiude nella sostanza ossea completamente si mette a riposo
diventando un osteocita.

OSTEOCITI = li ritroviamo all’interno di una capsula, che prende nome di lacuna ossea, e sono
ancora legati alle cellule vicine tramite piccolissimi canali, detti canalicoli ostei. La struttura
istologica dell’osso è quindi formato da lacune interconnesse. Tra la membrana plasmatica
dell’osteocita e la superficie della lacuna ritroviamo un sottile strato di tessuto non
mineralizzato detto tessuto osteoide, che avvolge l’osteocita e anche i prolungamenti
dell’osteocita all’interno dei canalicoli. Questo tessuto è importantissimo perché dà la
possibilità ai nutrienti di arrivare agli osteociti.
OSTEOCLASTI = sono cellule giganti multinucleate (fino a 20 nuclei) ed è dovuto al fatto che
sono cellule sinciziali, ovvero formatesi per fusione dei preosteoclasti. Quando osteoclasto si
attiva si polarizza, ai margini si sigilla alla spicula di osso che deve essere demolita e nella parte
mediana si formano una serie di microvilli ricchi di pompe protoniche che pompano ioni H+: in
questo modo l’acido scioglie il minerale e l’osso, che deve essere smantellato, torna ad essere
fatto solo della sostanza organica, a sua volta demolita tramite delle proteasi che la eliminano
del tutto.
Si forma quindi un buco nell’osso chiamato lacuna di Howship, nella quale l’osteoclasto può
entrare per approfondirla ulteriormente oppure spostarsi per farne un altro.
Nel momento in cui l’osteoclasto smantella un punto dove è presente un osteocita questo o
muore o riacquisisce le caratteristiche di cellula progenitrice, tornano nell’insieme di cellule
staminali.
Da un punto di vista metabolico l’osso va incontro a una serie di meccanismi di
rimaneggiamento osseo continui che si adeguano volta volta alle sollecitazioni meccaniche e
all’evoluzione dell’individuo, soprattutto in base alle linee di forza applicate sull’individuo
stesso. Questo rimaneggiamento ha anche degli aspetti benefici: quando gli osteoclasti
sciolgono la matrice minerale, portano in soluzione ioni calcio e ioni fosfati con utilità di
controllo della calcemia.
È stato dimostrato che i segnali che vengono mandati agli osteoclasti per iniziare lo
smantellamento provengono direttamente dagli osteoblasti, che successivamente cominciano a
produrre nuovamente osso sotto l’effetto del paratormone, che regola le loro attività.

Varietà istologiche dell’osso


Esistono due diversi tipi di tessuto osseo: il tessuto osseo fibroso e il tessuto osseo lamellare.

1. Tessuto osseo fibroso: viene chiamato anche osso primario perché è il primo che si
viene a formare. Questa variante presenta una sostanza intercellulare ricca di fibre di
collagene di tipo I, orientate a fasci di fibre intrecciate un po’ ovunque, con osteociti che si
pongono dove è possibile.
2. Tessuto osseo lamellare: viene chiamato anche osso secondario perché sostituisce la
maggior parte del fibroso nel corso dell’accrescimento dell’organismo. Distinguiamo due
tipi principali:
 Semplice = la sostanza intercellulare si dispone in lamine sovrapposte, con il collagene che
non si aggrega in uno stato maggiore delle miofibrille. Le lamine sono pianeggianti e
costituiscono le lamine ossee più sottili. È caratterizzato dall’assenza di vasi sanguigni, si
nutre quindi dai vasi sanguigni del periostio.
 Osteonico = quando l’osso ha la necessità però di raggiungere uno spessore maggiore, i
vasi sanguigni penetrano dentro l’osso tramite canali vascolari detti di Havers, all’interno
di questi penetra anche l’endostio, che contiene cellule osteoprogenitrici.
Le lamelle di tessuto in questo caso si dispongono tutte intorno al canale formando un
cilindro: questa struttura è l’osteone, unità fondamentale di questo tipo di tessuto.
Le lamelle che circondano il canale formano un sistema trofico.
All’interno del tessuto osseo osteonico abbiamo lamelle più spesse e lamelle più sottili:
nelle prime si trova una maggior quantità di minerale e quindi sono più rigide, mentre
nelle seconde si trovano più fibrille e quindi sono più elastiche.
Questi due tipi di lamelle si ordinano in modo che le caratteristiche di queste vadano a
mescolarsi creando un equilibrio in ogni parte dell’osso.
Per questo motivo possiamo affermare che l’osso lamellare è più evoluto dell’osso
fibroso.
Tutta quanta la massa dell’osso compatto si vede che la massa ossea è costituita da
osteoni giustapposti, in cui l’asse maggiore dell’osteone è diretto verso le linee di forza
tipiche di quell’osso.

Essendo degli osteoni delle strutture cilindriche nel tessuto osseo compatto tra un
osteone e l’altro si ritrova una parte cementata formata da lamelle che prima erano
osteoni, la quale prende il nome di sistema interstiziale.
Quando osso raggiunge la sua dimensione adulta, gli osteoblasti si organizzano e
costruiscono 5 o 6 lamelle parallele che servono per chiudere la superficie ossea, detto
sistema circonferenziale.
Tra il vaso di Havers di un osteone e quelli vicini esistono delle anastomosi vascolari,
ovvero a intervalli regolari si dipartono dei canali laterali detti di Volkmann, che
consentono al sangue di attraversare lo spazio tra un osteone e l’altro e di mischiarsi
generando un sistema trofico tra le varie porzioni dell’osso.

Ossificazione o osteogenesi
Il modulo osteogenetico è una sequenza di eventi che si ripete in tutti i diversi tipi di
ossificazione. In primo luogo avviene l’angiogenesi, ovvero la formazione di vasi sanguigni che
portano cellule mesenchimali che si differenziano in cellule progenitrici. Queste diventano in
fretta osteoblasti che vanno a formare la sostanza organica dell’osso, ovvero l’osteoide, e poi a
mineralizzarla. Si forma così il tessuto osseo fibroso all’interno del quale gli
osteoblasti presenti chiamano i primi osteoclasti per farli differenziare. Questi ultimi
cominciano lo smantellamento del tessuto fibroso, mentre gli osteoblasti cominciano a formare
quello lamellare, rimaneggiando l’osso fibroso.
I tipi di ossificazione sono tre:

 Ossificazione diretta: esattamente come è stato descritto il modulo osteogenico. Viene


anche definita membranosa perché è tipica delle membrane connettivali che avvolgono il
feto. Come delle membrane connettivali che avvolgono il cervello fetale prima che si
formi l’osso del cranio.
 Ossificazione mantellare: avviene a carico del corpo della mandibola del feto. Avviene
analogamente alla diretta, ma si forma nel tessuto connettivo che si trova attorno ad una
struttura scheletrica di cartilagine che precede l’osso. Questa cartilagine fetale si chiama
cartilagine di Mekkel e precede quella che sarà la struttura mandibolare vera e propria,
da questa cartilagine si emanano i fattori di crescita per rendere possibile questa
trasformazione.
Quando si è alla fine di questo processo, la cartilagine di Mekkel va in apoptosi e si ha un
completo cambiamento arrivando al tessuto osseo finale.
 Ossificazione indiretta o condrale: è la più diffusa. Il nome è dovuto al fatto che l’osso
si forma sostituendo un precedente scheletro provvisorio di cartilagine ialina, con
l’eccezione di alcune zone che rimangono cartilaginee come le cartilagini auricolari e
quelle delle coste.
Questa ossificazione avviene secondo due modalità:
– Pericondrale: avviene attorno all’abbozzo cartilagineo, qui le cellule si differenziano e
comincia il processo che porta alla formazione di uno strato sempre più spesso di
osso. Questa ossificazione è tipica della diafisi delle ossa lunghe.
– Endocondrale: avviene contemporaneamente alla prima ma dentro alla cartilagine.
In questo caso la cartilagine deve regredire per lasciare posto all’osso e questo
avviene prima dell’ossificazione vera e propria.
Quando un abbozzo scheletrico di cartilagine dovrà ossificare, i condroblasti
cominciano infatti a proliferare per poi diventare ipertrofici aumentando di volume:
questo porta la sostanza cellulare a scomparire quasi del tutto.
Successivamente i condroblasti inducono l’ossificazione nella matrice cartilaginea.
A questo punto i condroblasti muoiono per apoptosi arrivando a lasciare grandi
cavità circondate da sostanza cartilaginea ossificata.
All’interno di queste cavità entrano quindi i vasi sanguigni dal periostio e con questi
parte finalmente il modulo osteogenico.
Nel momento in cui gli osteoclasti demoliranno il tessuto osseo fibroso iniziale con
questo andrà via anche la cartilagine calcificata, al cui posto verranno inserite
trabecole di osso lamellare.
Durante lo sviluppo l’ossificazione endocondrale inizia al
centro della diafisi e poi nel periodo prossimo alla nascita
compaiono dei nuovi centri di ossificazione endocondrale
nelle due epifisi.
Tra la diafisi e le epifisi, per tutto il periodo
dell’accrescimento, rimarranno sempre due dischi di
cartilagine di accrescimento.
La cartilagine di accrescimento si caratterizza per il fatto
che il processo finora descritto viene portato avanti fino a
circa 22 anni di età, fino a che non si raggiunge l’età adulta.
La proliferazione dei condroblasti, infatti, consente il
continuo accrescimento della cartilagine e quindi dell’osso
a livello dei due dischi di cartilagine, i quali sono molto
sensibili all’azione trofica dell’ormone della crescita (GH).
L’accrescimento termina quando l’ipofisi anteriore cessa la
produzione dell’ormone della crescita.
SANGUE
Il sangue è un tessuto connettivo molto particolare perché è costituito da cellule peculiari, i
cosiddetti elementi corpuscolati del sangue, che sono immersi in una sostanza intercellulare,
ovvero un fluido chiamato plasma.
Il plasma è una soluzione molto densa, formata soprattutto da acqua e una quantità di soluti
(ioni Na+, Ca+, Fe2+, Cl-) e molecole organiche, le quali sono sfruttate per fini energetici come il
glucosio e proteine plasmatiche importanti per le funzioni del plasma stesso. Vi sono inoltre
numerose proteine di diverse categorie, le quali rendono ragione di alcune funzioni del sangue.

Protidogramma
Le proteine del sangue possono essere studiate
tramite una tecnica di elettroforesi: se si segue il
protidogramma delle proteine del plasma si
ottiene una linea inscrivibile in un diagramma
(ascisse = dimensioni delle proteine plasmatiche
in dalton; ordinate = concentrazione relativa).
Nel plasma vi è una grande quantità di proteine
di piccole dimensioni, ovvero le albumine
prodotte dal fegato e tra le cui funzioni vi è quella
di conferire al sangue un considerevole richiamo osmotico.
RICHIAMO OSMOTICO => quando il sangue confluisce nei tessuti periferici e i fluidi sanguigni
scambiano con i fluidi interstiziali dei tessuti, un po’ d’acqua rimarrà sempre nel plasma
sanguigno permettendo il perfetto funzionamento della dinamica circolatoria perché viene
trattenuta dalle albumine plasmatiche.
Nelle gravi patologie del fegato, quando gli epatociti non riescono a produrre le albumine, uno
dei sintomi tipici sono gli edemi: perché il fluido sanguigno passano all’interno del plasma in
mancanza della pressione osmotica.
In seguito alle albumine vi sono tre picchi di proteine a peso crescente di forma globulare, che
hanno il nome di globuline. Il primo picco è chiamato α-globuline, segue il picco delle β-
globuline e infine vi è il picco delle γ-globuline, le quali sono chiamate anche immunoglobuline
e coincidono con le molecole degli anticorpi. Il picco delle γ-globuline si può vedere basso in un
individuo sano e lontano dalle malattie, mentre in un individuo che sta combattendo
un’infezione o che ne è appena uscito questo picco sarà alto.
Infine vi è una quantità variabile di una proteina ad alto peso molecolare che si chiama
fibrinogeno ed è coinvolta nei fenomeni di emostasi, ovvero arresto delle fuoriuscite del
sangue dall’albero vascolare.

Ematocrito
Essendo il sangue un tessuto fluido per stabilire la percentuale del plasma rispetto alle
componenti corpuscolate si può eseguire un test di laboratorio che prende il nome di
ematocrito. Viene prelevato un campione sanguigno, si utilizzano delle sostanze chimiche per
mantenerlo fluido evitando la coagulazione e lo si centrifuga. La centrifugazione farà si che
tutte le parti corpuscolate sedimentano, mentre il plasma rimanga in sospensione.
In un individuo sano il 55% del volume
sanguigno è di pertinenza del plasma,
mentre il 45% è di pertinenza della
parte corpuscolata. Il 45% delle cellule
è composto da un 44% di globuli rossi e
da 1% di globuli bianchi (sono più
grossi ma più leggeri e sedimentano più
lentamente).
Il rapporto ematocrito può cambiare:
se un paziente ha avuto di recente
un’emorragia, per esempio, nell’arco di
poche ore sarà riuscito a ristabilire la
componente acquosa del plasma ma gli
occorreranno diversi giorni per reintegrare la quantità di cellule sanguigne perdute durante
l’emorragia. Quindi il rapporto ematocrito si sposta in un individuo di questo genere.
In un paziente che abbia avuto una patologia che ha causato diarrea diffusa o vomito oppure
che è stato esposto a condizioni ambientali che hanno portato a un’evaporazione dell’acqua
corporea, si può assistere a una scesa della componente acquosa del sangue.
Non si parla di cellule corpuscolate, al posto di elementi corpuscolati, perché nel plasma si
trovano si le cellule del sangue ma anche altri elementi sospesi, ovvero le piastrine. Le piastrine
sono dei piccoli elementi circolanti che rappresentano dei frammenti citoplasmatici di una
cellula precursore.

Globuli rossi
La gran parte delle cellule sospese nel sangue sono i globuli rossi, chiamati anche eritrociti o
emazie; poiché le cellule del sangue vengono per lo più analizzate da macchine specializzate,
queste macchine dopo l’analisi e la conta dei globuli rossi nel sangue rilasciando uno scontrino
con l’acrostico RCB.
I globuli rossi sono privi di nucleo: durante il loro differenziamento, per svolgere meglio la loro
funzione di scambio, “hanno rinunciato” al nucleo. Ciò comporta che la loro vita sia limitata a
120 gg, perché non hanno un genoma con fenomeni di trascrizione e traduzione e non possono
rinnovare le loro molecole una volta che si danneggiano.
Una volta superati i 120 gg vengono smaltiti grazie ai macrofagi della milza, che fagocitano i
vecchi globuli rossi, li smantellano e recuperano quello che di buono c’è dentro. All’interno di
un globulo rosso il 99% del volume è occupato da emoglobina, ovvero la proteina quaternaria
che contiene i gruppi eme a cui è legato il ferro. È proprio il ferro che verrà recuperato e
riciclato per fornirlo al midollo osseo rosso con cui realizzerà ulteriori globuli rossi.
La forma dei globuli rossi è intuibile al microscopio in quanto possiedono un margine più
colorabile e una zona centrale meno colorata: questo è dovuto al fatto che hanno una forma a
lente biconcava. In linea di massima questa forma consente di sviluppare un’ampia superficie a
parità di volume.
In un microlitro di sangue ci sono da 4,5-5,5 milioni di globuli rossi. I valori più alti sono
nell’uomo, mentre quelli più bassi sono nella donna in età fertile. Inoltre gli eritrociti hanno un
diametro di 7,5 µm.
Globuli bianchi
I globuli bianchi o leucociti o WBC sono presenti in una quantità di 7-10 mila a microlitro di
sangue. Essi sono suddivisibili in granulociti, o polimorfonucleati o PMN, e in agranulociti.
Le differenze tra queste due categorie si basa sul fatto che i granulociti possiedono dei granuli
nel loro citoplasma, mentre gli agranulociti o non li hanno o hanno pochissimi granuli.

I granulociti sono differenziabili in tre distinte categorie in base al tipo di granulo che
contengono al loro interno:

 neutrofili, che hanno piccoli granuli che non si colorano e a stento si vedono;
 eosinofili o acidofili, che possiedono granuli che si colorano con un colorante di nome
eosina, che è affine per le sostanze di natura acida;
 basofili, i cui granuli si colorano con i coloranti basici
I granulociti vengono anche chiamati polimorfonucleati (PMN) perché hanno strozzature nel
nucleo che lo dividono in più lobi.

Gli agranulociti sono composti da due popolazioni cellulari:

 monociti, ovvero i precursori diretti dei macrofagi;


 linfociti, i quali assumono questo nome perché oltre ad essere presenti nel sangue si
trovano anche a livello della linfa e degli organi linfoidi. I linfociti sono le cellule effettrici
dell’immunità.
Esiste un rapporto percentuale molto preciso tra i diversi globuli bianchi chiamato formula
leucocitaria. Di norma nel sangue dobbiamo trovare:
 40-60% neutrofili
 20-40% linfociti
 4-8% monociti
 2-4% eosinofili
 0.5-1% basofili

GRANULOCITI
Questi globuli bianchi si caratterizzano per il nucleo e per i granuli che si trovano nel loro
citoplasma. Vengono chiamati anche polimorfonucleati perché tutti i granulociti dei tre tipi
sono caratterizzati dal fatto che il loro nucleo non è sferico, ma presenta delle lobature con
strozzature. In linea di massima i granulociti neutrofili possiedono il maggior numero di lobi,
che possono arrivare a possederne fino a 5.
In tutti i granulociti esistono due tipi di granuli: i granuli azzurrofili (4-5% di tutti i granuli), che
si tratti di granuli aspecifici che colorano di azzurro e sono dei lisosomi di fatto, e i granuli
specifici, ovvero i granuli che identificano un granulocita.
Neutrofili
I neutrofili sono dei granulociti che, se analizzati al M.O. non possiedono granuli, ma se
analizzati con un M.E. si nota che al loro interno si trovano dei granuli contenti molecole di:

– lisozima, la quale è capace di frammentare la parete esterna dei batteri, permettendo


l’esplosione del batterio. Ha quindi un’azione battericida;
– lattoferrina, ovvero una molecola avida di ferro che una volta liberata all’esterno porta via il
ferro dall’ambiente extracellulare, il quale è necessario per il metabolismo di molti batteri.
Svolge quindi un’azione batteriostatica;
– proteine che mediano la fagocitosi, il che rende il neutrofilo una cellula capace di usare la
fagocitosi come modalità di difesa.
Il neutrofilo è un granulocita della risposta infiammatoria capace di azionare meccanismi
difensivi nell’organismo. Quando avviene un evento patologico, di solito le infezioni o la
necrosi, che richiede un suo intervento i granulociti si arrestano sull’endotelio nei pressi del
focolaio, attivano il movimento anemoide, attraversano l’endotelio e, guidati dalle molecole
pro-infiammatorie raggiungono il focolaio. Qui si attivano e innalzano il loro metabolismo:
consumano molto ossigeno in questa fase e serve per formare l’ATP necessario. In questa fase
di attivazione liberano i loro granuli e fagocitano gli organismi nocivi.
Durante questi fenomeni di respirazione accelerata, una parte dei metaboliti dell’ossigeno
prodotti nei mitocondri (radicali liberi dell’ossigeno), sfuggono dai mitocondri e non vengono
usate per formare l’acqua. Siccome sono sostanze fortemente ossidanti, si comportano da
agenti tossici e avvelenano i batteri uccidendoli (stress ossidativo) costituendo una vera e
propria arma chimica.
Un altro ruolo che svolgono è nei confronti dei tessuti dove è avvenuta la morte cellulare
patologica (necrosi), rimuovendo i detriti cellulari originati dalla necrosi.
Quando i granulociti neutrofili si accumulano in grandi quantità, i loro enzimi distruggono il
tessuto e al suo posto si forma una raccolta semifluida di materiale che contiene tutti i
neutrofili richiamati e i detriti (ascesso).

Eosinofili
Si tratta di granulociti che possiedono molti granuli che si colorano col colorante acido, perché
contengono una proteina basica. I granuli degli eosinofili vengono liberati quando si trovano nei
pressi di focolai infiammatori. La loro proteina basica ha una duplice azione: è in grado di
danneggiare i batteri e, soprattutto, è in grado di danneggiare i parassiti eucarioti perché si lega
alla loro membrana e la lacera.
Gli eosinofili sono quindi implicati per difenderci sia dai parassiti unicellulari, come i funghi
patogeni o l’ameba, sia dai parassiti di grossa stazza, come i vermi. In più è stato visto che gli
eosinofili sanno rimuovere dal torrente circolatorio i complessi antigene-anticorpo, che si
formano durante la risposta immunitaria e che potrebbero a loro volta depositarsi nei tessuti e
generare fenomeni infiammatori (=> pulizia del sangue).

Basofili
Sono dei granulociti ripieni di granuli di grandi dimensioni, che si colorano con lo stesso
colorante basico che colora la cromatina del nucleo. Solo al M.E. è facile riconoscere i due lobi
del nucleo del basofilo, mentre nell’analisi istologica questo non è possibile.
I loro granuli contengono eparina e istamina, ovvero gli stessi mediatori usati nei mastociti del
tessuto connettivo. I granulociti basofili sono quindi da considerarsi la controparte circolante
dei mastociti peri-vascolari. Liberando piccole quantità di mediatori presiedono agli scambi tra
sangue e tessuto, inoltre sono in grado di fissare le IgE e negli individui allergici contribuiscono
al rilascio patologico dell’istamina.

AGRANULOCITI
Monociti
I monociti sono gli unici globuli bianchi ad avere il nucleo con la cromatina lassa e sono i globuli
bianchi più voluminosi con un diametro vicino ai 14 µm. Il citoplasma è leggermente basofilo
con i granuli azzurrofili. Il monocita si differenzierà in un macrofago.

Linfociti
I linfociti sono la seconda popolazione di globuli bianchi.
Il grosso dei linfociti che si riescono a vedere nei preparati istologici di sangue appartiene alla
categoria dei piccoli linfociti, che infatti sono poco più grandi dei globuli rossi. I piccoli linfociti
possiedono un sottilissimo citoplasma e un nucleo rotondo con la cromatina densa, che occupa
circa il totale del volume del piccolo linfocita. Nel citoplasma si riconosce una tenue basofilia
dovuta alla presenza di poliribosomi liberi.
Una ristretta minoranza di linfociti è costituita dai grandi linfociti, i quali sono grandi più o
meno quanto un monocita. Questi grandi linfociti possiedono al loro interno granuli azzurrofili,
per questo vengono chiamati grandi linfociti granulati (LGL).
Gli LGL corrispondono funzionalmente a una sottopopolazione linfocitaria che è quella delle
cellule NK (natural killer).
Tutti gli altri linfociti appartengono ai linfociti B o ai linfociti T, i quali non sono distinguibili tra
loro a livello morfologico. Grazie all’immunoistochimica è possibile distinguerli, ovvero usando
degli anticorpi modificati in laboratorio marcati con delle sostanze segnale, che possono
rendere la molecola, contro cui l’anticorpo è diretta, differenziabile al microscopio. I linfociti B
si identificano perché hanno il CD19 e il CD22, mentre i linfociti T esprimono il CD3 e tramite
questi fattori è possibile riconoscerli.

 LINFOCITI B
Questo particolare tipo di linfociti assumono questo nome perché si differenziano e
maturano in aree specifiche del midollo osseo, dove acquisiscono la capacità di riconoscere
specifici antigeni not-self.
Sulla loro membrana hanno dell’immunoglobuline, le quali sono in grado di incastrarsi
specificamente con un antigene not-self permettendone così il riconoscimento.
Durante i periodi immediatamente precedenti e successivi alla nascita il midollo fabbrica un
gran numero di linfociti B: ogni singolo linfocita B ha una diversa immunoglobulina di
superficie e quindi ciascuno di essi è in grado di riconoscere un diverso antigene not-self. Per
questo motivo si dice che questo tipo di linfociti maturando acquisiscono
l’immunocompetenza. Una volta maturati si distribuiscono negli organi linfoidi
secondari e aspettano che una cellula presentate l’antigene gli porti un antigene che ha
trovato. Quando questo accade, l’antigene not-self presentato induce nel suo linfocita
immunocompetente una rapida proliferazione.
Da una singola cellula che c’era, se ne formano migliaia (cloni) tutte in grado di riconoscere
quell’antigene not-self.
Di questi cloni, metà rimangono cellule quiescenti (cellule B della memoria immunologica),
e si distribuiscono ai vari organi linfoidi, l’altra metà sono plasmacellule che si mettono a
fabbricare grandi quantità di anticorpi solubili, tutti capaci di riconoscere e attivare
l’antigene not-self che è stato la causa di tutto.
Questo processo prende il nome di immunità umorale, perché nella medicina prescientifica i
miasmi erano le sostanze ignote che facevano ammalare mentre gli umori erano le sostanze
altrettanto ignote che però l’organismo produceva per far guarire un paziente dalle malattie.
 LINFOCITI T
I linfociti T assumono questo nome perché maturano e acquisiscono l’immunocompetenza
nel timo acquisendo il recettore per antigeni not-self.
Durante le prime fasi della vita si formano i linfociti T, ognuno immunocompetente per uno
specifico antigene e si distribuiscono in tutto il corpo. Dopo di che i linfociti si distribuiscono
nei vari organi linfatici aspettando l’eventuale contatto con l’antigene not-self che sanno
specificamente riconoscere.
Mentre i linfociti B sono una popolazione cellulare omogenea, i linfociti T sono suddivisibili a
loro volta in due tipologie: i linfociti T helper (esprimenti anche il CD4) e i linfociti T
citotossici (esprimenti anche il CD8).
Quando entra l’antigene not self, da un lato va a stimolare la risposta umorale, dall’altro va
ad incastrarsi nei linfociti T helper e citotossici. Entrambi appena entrano a contatto con
l’antigene per il quale sono immunocompetenti, fanno il clone (mezze cellule della memoria,
mezze cellule effettrici). Il processo dei linfociti di si chiama immunità cellulo-mediata.

I linfociti T CD4 helper rimangono negli organi linfoidi e producono grandi quantità di
molecole segnale chiamate interleuchine perché sono citochine specifiche che servono a far
interagire i leucociti. Alcune di queste interleuchine stimolano i linfociti B, altre fanno
proliferare bene il linfocita T, altre ancora sono fattori di crescita del midollo osseo e
aumentano l’emopoiesi dei granulociti neutrofili e dei macrofagi (potenziano difese innate)
e, infine, altre sono note come interferoni gamma, ovvero molecole antivirali. Queste ultime
quando agisce su una cellula self infettata bloccano la replicazione della cellula.

I linfociti CD8 citotossici vanno nei tessuti e distruggono mandando in apoptosi le cellule
not-self. Questi linfociti vanno nei tessuti, si attaccano alle cellule bersaglio che possono
esprimere l’antigene not-self (come le cellule di parassiti eucarioti oppure cellule infettate
dal virus oppure possono essere cellule tumorali) e inducono il fenomeno apoptotico.
A seguito di eventi spontanei in ogni individuo si formano almeno una decina di cellule
tumorali che vengono prontamente eleminate da questo sistema immunitario.

Le cellule natural killer (NK) coincidono con le cellule LGL e sono poco presenti nel sangue
perché girano nei tessuti, ma non riconoscono il not-self e viceversa possiedono recettori
che sono capaci di riconoscere benissimo gli antigeni self. Esse vanno a toccare gli antigeni di
istocompatibilità che tutte le cellule del nostro corpo esprimono. Se si attaccano a una
cellula dell’organismo con un recettore self, le cellule NK si staccano e vanno a toccare la
cellula dopo, ma se non lo dovessero trovare le NK mandano in apoptosi la cellula che manca
di questo segnale senza nemmeno fare il clone. Queste cellule sono coinvolte nel rigetto
degli organi trapiantati e coinvolti anche nella sorveglianza innata contro i tumori, perché
una cellula tumorale non esprime gli antigeni self.
Piastrine
Le piastrine sono dei frammenti di una cellula gigante con un enorme nucleo, ovvero il
megacariocita: essa rimane nel midollo osseo e rilascia nel sangue i suoi frammenti di
citoplasma, ovvero le piastrine.
In un microlitro di sangue si trovano circa 400 mila piastrine e quando si scende sotto il livello
critico di 50 mila piastrine si manifestano dei sintomi da insufficienza piastrinica, ovvero piccole
emorragie diffuse negli organi.
Le piastrine sono piccole porzioni in cui nel citoplasma periferico presentano un’impalcatura di
citoscheletro, mentre nel citoplasma profondo presentano un notevole numero di granuli, i
quali soprattutto contengono fibrinogeno, ovvero una proteina implicata nei processi di
coagulazione del sangue, e serotonina, ovvero un’ammina in grado di indurre una potente
vasocostrizione.
Quando le condizioni sono normali e il sangue fluisce in un vaso integro, le piastrine rimangono
quiescenti, ma se l’endotelio vascolare è lesionato le piastrine si attivano. La lesione
dell’endotelio può avvenire per un taglio vero e proprio o per patologie come l’aterosclerosi.
Le piastrine arrivano in una zona in cui il vaso è stato lesionato, si contraggono (in quanto i suoi
recettori per il collagene) lo percepiscono e scaricano tutti i loro granuli poi si incastrano tra
loro aderendo al tessuto connettivo del vaso formando un primo tappo, chiamato come
trombo bianco o trombo piastrinico.
I granuli vengono esocitati e la serotonina determina una
contrazione della muscolatura del vaso sanguigno
diminuendo la quantità di sangue che arriva nella zona da
dove potrebbe fuoriuscire. In più i granuli piastrinici, che
contengono fibrinogeno, aumentano la concentrazione locale
del fibrinogeno e la superficie piastrinica è in grado di
innescare il processo della coagulazione.
Questo processo è attivato dalle piastrine, le quali a loro volta
attivano un enzima che prende il nome di trombina. Il
substrato della trombina non è altro che il fibrinogeno:
l’enzima rimuove al suo substrato i due domini idrofili e
trasforma il fibrinogeno solubile in fibrina insolubile, la quale
forma con altre molecole identiche a sé delle fibre intrecciate
che si depongono sopra il trombo bianco, rafforzandolo e
formando così su di esso il trombo rosso o coagulo.
Il coagulo è molto robusto dal punto di vista meccanico ed è
un eccellente sistema di occlusione della zona lesionata del vaso. Il sistema ripristina la
continuità del vaso, ma non la struttura: in merito a ciò piastrine producono fattori di crescita
dell’endotelio permettendo così il ripristino della parete. In un secondo momento i macrofagi
smantellano il materiale emostatico.

Ematopoiesi
L’ematopoiesi, o emopoiesi, è il processo di formazione degli elementi maturi del sangue e si
svolge nel midollo osseo ematopoietico.
Tutte le cellule mature del sangue derivano da un precursore comune, che è la cellula
staminale ematopoietica di tipo multi-potente perché differenziandosi può dare origine a più
di una linea di cellule mature.
Le cellule staminali ematopoietiche sono riconoscibili perché esprimono un antigene di
superficie (CD34), sono presenti in quantità modeste nel midollo e prolificano lentamente per
non trasmettere mutazioni, basti pensare che dopo ogni fase S si fermano per controllare.
Le cellule figlie di questa cellula staminale, sono anch’esse staminali, ma riducono il potenziale
differenziativo ad una o al massimo due linee differenziative mature (cellule staminali
orientate). Queste cellule staminali orientate proliferano molto più rapidamente di quanto non
faccia la cellula madre e danno via a seconde generazioni di cellule uni-potenti. Queste ultime
proliferano in modo molto veloce, dopo un po’ le cellule figlie smettono di proliferare e si
concentrano sul differenziamento. Quando sono differenziate e mature passano nel circolo
ematico. Il processo è regolato da ormoni che possono aumentare la produzione di un
determinato tipo di cellula sanguigna.
Esiste una gerarchia nell’ematopoiesi, con al vertice la cellula staminale ematopoietica, poi i
suoi due subordinati sono:

 staminale linfoide, dalla quale si differenzia la staminale precursore dei linfociti B e la


staminale precursore dei linfociti T, da cui poi originano tutti i linfociti;
 staminale mieloide, le cui figlie imboccano percorsi differenziativi univoci ovvero
permettono la formazione della DFU (=> globuli rossi) eritrocitaria la quale prolifera
secondo lo stimolo dell’eritropoietina. L’eritropoietina è un ormone prodotto dal
rene in caso di ischemia, ovvero di mancanza di ossigeno, e stimola la produzione di
cellule staminali della linea rossa (globuli rossi).
I prodotti finali da questa linea sono i globuli rossi, i megacariociti, i neutrofili, i
monociti, gli eosinofili, i basofili e i mastociti.
TESSUTO MUSCOLARE
Esistono due grandi varietà istologiche di tessuto muscolare:

 Il tessuto muscolare striato, chiamato così perché le


proteine contrattili in esso si organizzano in modo molto
regolare formando striature visibili al M.O. . Questo
tessuto è suddivisibile in due varietà: il tessuto
muscolare striato scheletrico, che forma la muscolatura
volontaria, e il tessuto muscolare striato cardiaco, il
quale è chiamato anche miocardio che forma la
muscolatura involontaria del cuore.
 Il tessuto muscolare liscio è chiamato così perché
l’actina e la miosina, che sono presenti in quantità
paragonabile allo striato, non si organizzano in modo
rigoroso e non danno luogo alla formazione di strutture
alternate di actina e miosina, ma si mischiano in modo apparentemente casuale le une
con le altre.

Tessuto muscolare striato scheletrico


Gli elementi del tessuto muscolare striato scheletrico prevalgono nella dimensione della
lunghezza e prendono il nome di fibre muscolari, in quanto in istologia si parla di fibre quando
la lunghezza predomina sulla larghezza e la profondità.
Per tutta la lunghezza si nota la presenza di numerosi nuclei, quindi si tratta di elementi
multinucleari sinciziali. Un sincizio è un elemento multinucleato che si è formato per
differenziamento tramite la fusione di cellule precursori mononucleate, che si sono avvicinate
tra loro, allineate e poi hanno fuso le loro membrane plasmatiche in modo da generare
un’unica grande struttura con un unico grande plasmalemma, citoplasma e tanti nuclei
scandagliati lungo la sua lunghezza.
Le fibre muscolari scheletriche si formano durante la vita intrauterina dalla fusione di cellule
mononucleate staminali, ovvero i mioblasti, che si allineano e si fondono mettendo in
compartecipazione un unico plasmalemma (sarcolemma) e i loro citoplasmi (sarcoplasma). I
singoli nuclei si dispongono per tutta la lunghezza della fibra.
Per tutta la lunghezza di ogni fibra muscolare si alternano bande più colorabili, ovvero le bande
A, e bande meno colorabili, ovvero le bande I.
Questa bandeggiatura è dovuta al fatto che all’interno di ogni fibra muscolare striata scheletrica
è presente ad occupare la gran parte del citoplasma un fascio di strutture in cui si organizzano
le proteine contrattili: queste strutture vengono chiamate miofibrille e si tratta di lunghissimi
cilindretti molto sottili ognuno dei quali è caratterizzato dalla sequenza di dischi di actina e di
dischi di miosina. A questa alternanza di dischi si deve la presenza delle bande A e delle bande I.
Tutte le miofibrille che formano la fibra sono disposte a fascio occupando l’interno citoplasma e
in ogni miofibrilla le bande A e I sono esattamente coincidenti con quelle delle altre miofibrille;
mentre gli altri organuli si dispongono tra una miofibrilla e l’altra. La fibra muscolare scheletrica
presenta una membrana plasmatica, ovvero il sarcolemma, e contiene molte miofibrille.
Al M.E. si può notare che la miofibrilla, oltre ad avere una banda A e una banda I, possiede la
linea Z, situata a metà della banda I, e la linea M, la quale è meno evidente e situata nella parte
centrale della banda A. Inoltre nella zona mediana della banda A si trova un’altra banda che
appare meno densa: essa è chiamata banda H.
Per comprendere come funziona una
miofibrilla e come lavorano le proteine
contrattili è necessario considerare
l’unità funzionale della miofibrilla, la
quale va da una linea Z alla linea Z
successiva e prende il nome di
sarcomero.
Il sarcomero è composto da una linea Z,
che è di confine con il sarcomero vicino,
una mezza banda I, un’intera banda A,
un’altra mezza banda I fino alla linea Z
successiva.
Si può dimostrare con studi accurati di
microscopia elettronica che a livello del
sarcomero vi è un’organizzazione
spaziale molto precisa dei filamenti
actinici e dei filamenti miosinici.
I filamenti di actina non sono costituiti
esclusivamente ed infatti è bene
parlare di filamenti sottili: oltre che all’actina vi sono proteine regolatrici come la
tropomiosina, che copre i siti di legame dell’actina per la miosina e a cui è legata la troponina
ovvero una proteina capace di legare lo ione calcio. I filamenti sottili si ancorano alla linea Z e
decorrono fino alla banda H. I filamenti miosinici si associano a formare dei filamenti spessi.
Grazie al fatto che la miosina è sempre distesa può formare dei fasci disponendosi con polarità
opposta. I filamenti spessi si dispongono dalla linea M al confine con la banda A.
Esiste una zona, ovvero le due parti laterali della banda A, in cui i filamenti di miosina si
interdigitano con i filamenti sottili.
All’interno della fibra muscolare scheletrica si trova in abbondanza il REL, che qui viene
chiamato reticolo sarcoplasmatico. Questo reticolo è in rapporto stretto con le miofibrille:
forma tubuli anastomotici, alcuni longitudinali e altri trasversali, che avvolgono ogni singola
miofibrilla. A intervalli regolari questo reticolo forma dei grossi tubuli, ovvero le cisterne
trasversali, che si pongono in rapporto con un sottile tubicino, ovvero il tubulo T, che è
un’introflessione tubulare del sarcolemma. Questo sistema serve a rapportare il sarcolemma, in
cui avvengono i fenomeni elettrici dell’eccitazione, con il reticolo sarcoplasmatico, in cui
avvengono i movimenti dinamici sotto effetto dello ione calcio.
Una triade, ovvero l’unione di due cisterne e un tubulo T, è responsabile dell’accoppiamento
elettro-meccanico, il quale è a sua volta responsabile della contrazione muscolare.

Contrazione muscolare
1. Quando il calcio entra nelle miofibrille, si lega alla troponina, la quale sposta la
tropomiosina dall’actina rendendo l’actina libera per legarsi con la miosina.
2. Le teste della miosina, consumando ATP, si legano ai filamenti actinici e flettendosi li
tirano in modo che questa sorta di “tiro alla fune” causi lo scivolamento dei filamenti
sottili rispetto a quelli spessi e causa anche l’accorciamento del sarcomero.
In contrazione infatti i filamenti sottili scorrono nei filamenti spessi fino a quando la loro
estremità libera non va a battere nella linea M. Dal lato opposto i filamenti spessi si avvicinano
alla linea Z del proprio lato. Quando questo accorciamento è completo è abbastanza rilevante
in lunghezza: normalmente un sarcometro ha la lunghezza di un paio di µm, mentre quando è
accorciato la sua lunghezza diminuisce di circa un terzo.

Tipi di fibre muscolari


All’interno del sarcoplasma si trovano altre strutture e organuli, come i mitocondri, i polimeri di
glicogeno (=riserva di glucosio) e la mioglobina (la quale è in grado di accumulare ossigeno).
La diversa proporzione degli organuli inclusi designa due tipologie di fibre muscolari striate
scheletriche, chiamate rispettivamente: fibre rosse e fibre bianche. Nei nostri muscoli non
esistono solo fibre di un tipo o fibre di un altro, ma esiste una composizione variabile di
entrambe per cui si parla di prevalenze di fibre.
Le fibre rosse sono ricchi di mioglobina e di mitocondri, poiché il gruppo EME contiene ferro,
queste fibre assumono il colore rosso per la presenza di quest’ultimo e i muscoli formati da una
prevalenza di fibre rosse appaiono visivamente più rosse. In quanto a dimensioni, queste fibre
sono leggermente più piccole perché di fatto possiedono meno miofibrille e da cui si può
desumere che la loro forza contrattile è minore rispetto a quella esercitata dalle fibre bianche.
Il metabolismo di queste fibre è prevalentemente affidato alla respirazione cellulare.
La loro contrazione è a lunga durata (=> contrazione tonica).
Le fibre bianche possiedono meno mitocondri rispetto alle fibre rosse e hanno scarse quantità
di mioglobina. Il loro metabolismo può diventare anche glicolitico: non appena esauriscono
ossigeno utilizzano il glicogeno procacciandosi ATP tramite il processo della glicolisi. Se però i
frammenti del glucosio della glicolisi non vengono bruciati nei mitocondri, questi frammenti,
ovvero l’acido piruvico, risalgono ad acido lattico determinando la lattigoacidosi che è
responsabile del fenomeno della fatica muscolare.
Quindi le fibre bianche sono si le più potenti, ma siccome producono grandi quantità di acido
lattico tendono ad affaticarsi rapidamente (=> contrazione fasica)

Componenti stromali del muscolo


Il muscolo è un organo vero e proprio di cui le fibre muscolari striate scheletriche formano il
parenchima. Esiste però anche una componente connettivale di supporto che è ben
organizzata.
Ogni muscolo è avvolto da una capsula di connettivo fibroso denso a fasci di fibre intrecciate,
che prende il nome di epimisio. Dall’epimisio si dipartono dei tralci di connettivo fibroso che
suddividono il muscolo in un certo numero di campi di fibre muscolari: questi setti nel loro
insieme costituiscono il perimisio. Nel perimisio, all’interno del muscolo, entrano i vasi
sanguigni e i nervi. A loro volta dai setti di perimisio si dipartono delle emanazioni di stroma i
quali avvolgono ogni singola miofibrilla muscolare scheletrica: questi setti insieme formano
l’endomisio e al suo interno si trova anche il letto capillare.
L’epimisio e il perimisio all’estremità del muscolo si continuano con le fibre connettivali
parallele che formano il tendine.
Tessuto muscolare striato cardiaco
Gli elementi del tessuto muscolare striato cardiaco non sono dei sincizi, ma delle cellule singole
chiamate cardiomiociti, le quali hanno uno sviluppo longitudinale marcato e anche al loro
interno sono presenti le miofibrille che formano un fascio longitudinale occupante gran parte
del citoplasma del cardiomiocita. La differenza con le precedenti fibre muscolari scheletriche è
che il nucleo è singolo e solitamente situato in una posizione centrale.
Da un punto di vista di architettura interna le miofibrille del cardiomiocita sono identiche a
quelle delle fibre muscolari scheletriche e, per quanto riguarda la costituzione degli organuli, il
cardiomicita la ha molto simile a quelli delle fibre rosse.
I vari cardiomiociti alla loro estremità si unisco tra di loro tramite giunzioni chiamate strie
scalariformi o strie intercalari, le quali presentano tratti trasversali e longitudinali. I tratti
trasversali sono disposti ortogonalmente alla forza e infatti al loro livello si concentrano
giunzioni aderenti che servono a garantire l’adesione meccanica tra i cardiomiociti.
Nei tratti longitudinali le membrane sono vicinissime e a questo livello si trovano le giunzioni
GAP, che lasciano passare gli ioni tramite i loro connessoni.
Anche se il miocardio è fatto da cellule separate, si comporta esattamente come se fosse un
sincizio da un punto di vista funzionale, in quanto grazie alle giunzioni GAP l’impulso che causa
la contrazione fluisce senza ostacoli da un cardiomiocita al successivo.

Tessuto muscolare liscio


Il tessuto muscolare liscio è costituito anch’esso da cellule isolate chiamate cellule muscolari
lisce o miocellule. Esse hanno la tipica forma affusolata con nucleo centrale. Al loro interno i
filamenti di actina e di miosina sono presenti ma non sotto la forma di miofibrille e sono quindi
elementi che si dispongono all’interno del citoplasma.
I due filamenti si dispongono a formare una sorta di spirale che decorre per tutta la lunghezza
della cellula. Quando la cellula muscolare si contrae si assiste ad un accorciamento cospicuo (la
fibra raggiunge un terzo della sua lunghezza) dovuto all’avvitamento su se stesso della spira
stessa.
Dal punto di vista della contrattilità il tessuto muscolare liscio può essere suddiviso in due
tipologie funzionali:

 Multiunitaria: ogni miocellula ha a ridosso una terminazione nervosa del sistema


nervoso autonomo, c’è una risposta molto diretta tra l’arrivo del segnale e la
contrazione;
 Viscerale: il grosso della muscolatura liscia è di questo tipo, dove le cellule muscolari
lisce sono unite tra loro tramite giunzioni GAP.
Inoltre tra le cellule muscolari lisce si trovano delle particolari cellule muscolari lisce
modificate che hanno una forma dendritica, che prendono il nome di cellule interstiziali
di Cajal, ed è su di loro che vanno le terminazioni nervose.
La muscolatura liscia di tipo viscera possiede la capacità di contrarsi in risposta a uno
stimolo nervoso del SNA ma può anche contrarsi a seguito di altri meccanismi, come
meccanismi endocrini o meccanismo intrinseco/miogenico.
TESSUTO NERVOSO
Viene definito come il tessuto in cui alcune delle cellule hanno sviluppato al massimo grado
l’irritabilità, ovvero la capacità di recepire e trasmettere gli stimoli sotto forma di scarica
elettrica che percorre il plasmalemma.
Gli impulsi nervosi non sono altro che potenziali d’azione e per questi la cellula nervosa
presenta una serie di strutture per la recezione, ovvero prolungamenti con giunzioni specifiche
in grado di trasmettere un impulso nervoso da una cellula all’altra che prende il nome di
sinapsi.
I neuroni si organizzano in reti complesse che integrano tutti i segnali che arrivano al sistema
nervoso, percepiscono gli stimoli dall’interno e dall’esterno, regolano le funzioni viscerali,
controllano la motilità volontaria ed espleta le funzioni intellettive superiori (memoria,
apprendimento e ideazione).

Sistema nervoso
Il sistema si suddivide in due branche: quello
centrale o nevrasse (encefalo e midollo
spinale) e quello periferico, che esce dalla
scatola ossea e si diffonde fino all’estrema
periferia del corpo.
Nel SNC i corpi dei neuroni si localizzano
insieme a formare la sostanza grigia: se questa
è strutturata a formare una lamina di
rivestimento si parla di corteccia, se è
localizzata in profondità e forma strutture
sferiche si parla di nuclei, mentre se di forma
allungata si parla di colonne.
I prolungamenti neuronali decorrono nella
sostanza bianca.
Il SNP può essere funzionalmente diviso in due
branche: il sistema cerebro-spinale, coordinato
alla sensibilità consapevole e alla mobilità
volontaria, e il sistema autonomo o simpatico,
coordinato alla motilità involontaria dei visceri.
Il sistema nervoso autonomo si suddivide a sua
volta in ortosimpatico e parasimpatico, che
usa l’acetilcolina come conduttore sinaptico. Talvolta questi due tipi hanno funzione
antagonista, mentre in altri contesti hanno un’azione sinergica.
Nel SNP i corpi dei neuroni si raccolgono a livello dei gangli, ovvero degli organi, mentre i
prolungamenti decorrono a livello dei nervi, che sono anch’essi degli organi veri e propri.
In base a come gli impulsi percorrono il nervo, si possono distinguere in nervi afferenti, con
funzione sensitiva, e nervi efferenti, con funzione motoria o effettrice sui visceri.
Cellule del tessuto
Tutte le cellule derivano da un foglietto embrionale che prende il nome di neuroectoderma, da
cui si suddividono due linee differenziative: neuroblasti (=> neuroni) e spongioblasti, ovvero
cellule staminali pluripotenti (=> cellule di nevroglia).

Neuroni
Un neurone per poter ricevere, elaborare e trasmettere gli impulsi è dotato di prolungamenti
ed è suddiviso in tre parti:

 CORPO CELLULARE O SOMA O PIRENOFORO O PERIKARION = il tipico soma neuronale è


una zona piuttosto grande in cui vi è un abbondante citoplasma con nucleo di forma
sferica e dalla cromatina lassa. Possiede un grosso nucleolo, che permette al nucleo una
grande attività proteosintetica.
Le zolle di Nissl sono dovute al fatto che, oltre che agli organuli proteosintetici, tra le
zone di citoplasma decorrono dei poliribosomi, che sono responsabili dell’intensa
basofilia di alcune porzioni del citoplasma: la presenza di zone basofile (zolle di Nissl) e
zone scarsamente o non basofile, lo trasformano in zollette.
Il soma può avere varia forma: di solito si parla di neuroni stellati (dendriti a raggiera)
però esistono anche
neuroni piriformi, i neuroni
a “T”, etc…
La struttura istologica del
soma prevede anche la
presenza dell’apparato di
Golgi, e fu proprio qui che
lo studioso ritrovò
l’apparato. L’apparato di
Golgi nei neuroni è intorno
al nucleo e presenta più
plichi di sacculi rivolte
ognuna verso un
prolungamento.
I neuroni sono cellule perenni ed hanno una vita che coincide con quella dell’individuo:
ne concerne che compiono il processo di autofagia, che consiste nell’eliminazione degli
organuli vecchi attraverso il sistema dei lisosomi. I lisosomi non sono in grado di
smantellare tutto: i lipidi rimangono in parte digeriti che rimangono accumulati al loro
interno e, una volta terminata l’attività dei lisosomi, diventando bruni (pigmento di
lipofuscine) costituendo i corpi residui.
Per assumere e mantenere una forma così complessa necessita di un grande
citoscheletro: in tutto il neurone si trova una serie di neurotubuli, neurofibrille e
filamenti contrattili di isoforme neuronali di actina e miosina.
 DENDRITI = al loro interno si trovano gli stessi organuli del soma e per questo possiamo
dire che i dendriti non sono altro che prolungamenti del soma. La loro direzione è
centripeta in quanto l’impulso viaggia verso il soma.
I dendriti possono essere numerosi e si ramificano a breve distanza dal nucleo. La loro
membrana plasmatica presenta delle spinule o gemmule dendritiche, ognuna delle
quali funge da punto di contatto per creare una sinapsi con un neurite di un altro
neurone.
 ASSONE O NEURITE = alla sua estremità più lontana dal soma termina a livello della
sinapsi. In esso sono contenute solo le strutture citoplasmatiche del soma. Presenta una
superficie liscia e di solito non si ramifica nei pressi del soma.
Al suo livello in linea di massima non si formano sinapsi e all’interno del suo citoplasma
si svolge il flusso assonico affidato alle componenti del citoscheletro.
Il flusso assonico anterogrado procede verso le sinapsi dall’assone e permette il
rifornimento delle vescicole contenenti il neurotrasmettitore e delle vescicole nuove
(con funzione di turn over).
Con il flusso assonico retrogrado affluiscono verso il soma delle vescicole di membrana
vecchia che si conglutinano a formare i corpi multivescicolati.

Sinapsi
Si tratta di una giunzione. In inglese il termine indica sia le giunzioni tra due neuroni sia quelle
tra un neurone e una cellula non nervosa; mentre in italiano il termine è riservato all’unione tra
neuroni perché nel secondo caso si parla di giunzione citoneurale.
Le sinapsi vere e proprie sono classificabili tenendo conto del meccanismo usato per la
propagazione dell’impulso e in base a questo criterio si hanno due diversi tipi di sinapsi:

 Sinapsi elettriche = sono le più antiche da un punto di vista evolutivo.


Il neurone trasmittente e quello ricevente si uniscono tramite una giunzione GAP
permettendo la comunicazione citoplasmatica tramite connessoni. Non si tratta di
sinapsi unidirezionali e non modulabili, perché non c’è un controllo sinaptico della
propagazione dell’impulso.
 Sinapsi chimiche = in esse la trasmissione dell’impulso avviene per il tramite della
liberazione di un neurosmettitore, ovvero una molecola chimica segnale rilasciata dal
neurone trasmittente che interagisce con determinati recettori del neurone del
ricevente e che induce fenomeni elettrici di risposta.
Poiché una sinapsi è una giunzione è possibile distinguere in essa tre componenti: un’estremità
del neurone trasmittente, che viene chiamata
elemento pre-sinaptico, la porzione del
neurone ricevente, ovvero l’elemento post-
sinaptico, e uno spazio intersinaptico o fessura
sinaptica, che è occupato anche da proteine di
raccordo, che fanno parte della famiglia delle
caderine (si trovano nelle giunzioni aderenti).
A seconda del punto in cui si instaura una
sinapsi se ne distinguono più categorie:

 sinapsi asso-dendritiche = l’elemento


presinaptico è l’assone del neurone
trasmittente e l’elemento post-sinaptico è
la gemmula dendritica del neurone
ricevente. Da solo sono più dell’80% delle
sinapsi di un neurone;
 sinapsi asso-somatiche = si tratta del 15% -
20% delle sinapsi di un neurone;
 sinapsi asso-assonica;
 sinapsi intersomatica;
 sinapsi dendro-dendritica = può essere solo di tipo elettrico.

Sinapsi chimiche
L’elemento presinaptico, che viene chiamato anche bulbo, e il carico dell’assone aumenta
costituendo un bottone sinaptico. All’interno del bottone si trovano mitocondri, cisterna di
reticolo endoplasmatico e vescicole sinaptiche o vescicole di neurotrasmettitore.
Tutti gli elementi del citoscheletro si fermano a livello del bulbo, mentre l’actina e la miosina si
ispessiscono a livello della membrana plasmatico del bulbo pre-sinaptico ed entrano formando
la griglia sinaptica, che presenta delle fessure. La fessura sinaptica è dello stesso spessore per
tutta la sua estensione e l’elemento post-sinaptico si caratterizza per il fatto che sotto la
membrana plasmatica non ci sono mai vescicole di neurotrasmettitori, attestando il fatto che
una sinapsi chimica è unidirezionale.
Anche la membrana plasmatica del post-sinaptico appare ispessita da un feltro di filamenti
sottili, la cui funzione è quella di tenere localizzate sulla membrana del post-sinaptico delle
specifiche proteine funzionali.
Inoltre ci sono molte molecole di recettore, che riconosce specificamente il neurotrasmettitore
liberato dal pre-sinaptico, e accanto al quale vi sono degli enzimi, la cui funzione è inattivare il
neurotrasmettitore dopo che questo ha indotto la risposta nel neurone ricevente. I recettori
vengono prontamente puliti in modo da rendere disponibile la sinapsi per un secondo
intervento. In più nella porzione della fessura sinaptica si trovano le caderine, la cui funzione è
quella di mantenere il pre e il post sinaptico a contatto.
Le sinapsi chimiche, da un punto di vista funzionale, sono molto importanti:
1. Quando l’impulso nervoso arriva al bulbo sinaptico, dalla membrana di questo si aprono
dei canali che fanno penetrare lo ione calcio.
2. Questo ione attiva le proteine contrattili, che ancorano le vescicole di
neurotrasmettitore che fino a quel punto erano immobili e le tirano verso la griglia
sinaptica.
3. Le vescicole esocitano il neurotrasmettitore a livello della fessura sinaptica.
Esiste un rapporto stechiometrico tra l’entità e l’entità dell’impulso nervoso e la
quantità di vescicole di neurotrasmettitore che viene esocitata. Ogni vescicola contiene
una quantità costante di neurotrasmettitore.
4. il neurotrasmettitore viaggia lungo la fessura sinaptica ed arriva nei pressi della
membrana dell’elemento post-sinaptico e si incastra nel suo specifico recettore post-
sinaptico inducendo una risposta.
5. Nelle sinapsi eccitatorie il recettore è accoppiato a un canale, che quando percepisce il
fatto che il recettore è attivato si apre e lascia entrare ione sodio. Lo ione sodio piano
piano annulla e inverte il potenziale di membrana a riposo, generando un potenziale di
azione che parte e si propaga per tutta la membrana del neurone ricevente.
Nelle sinapsi inibitorie il neurotrasmettitore si incastra in un recettore accoppiato ad un
canale, che permette il passaggio dello ione cloro. L’entrata dello ione porta
all’iperpolarizzazione causando il blocco del segnale.
Il sistema delle sinapsi chimiche consente ai neuroni di lavorare in un codice binario
permettendo la modulazione di tutti gli eventi elettrici: il neurone che riceve in un istante gli
stimoli fa una sommatoria di essi e se prevalgono le sinapsi eccitatorie fa partire la risposta,
mentre se prevalgono le inibitorie annulla la risposta e il segnale stesso.
Le sinapsi chimiche contengono vescicole di neurotrasmettitore e una seconda molecole,
chiamata neuromodulatore. Ad esempio nei neuroni del SNA accanto all’acetilcolina si trova un
VIP, ovvero un polipeptide, mentre nell’ortostimpatico si trova una sostanza P. i
neuromodulatori vengono esocitati insieme ai neurotrasmettitori elaborandone la quantità o la
risposta dei recettori post-sinaptici.

Cellule di nevroglia
Sono suddivisibili a seconda della localizzazione: nel SNC sono presenti le cellule ependimali, gli
astrociti, gli oligodendrociti e la microglia, che è l’unico esempio che non deriva dagli
spongioblasti e appartiene al sistema dei macrofagi derivando da monociti del sangue
periferico. La microglia viene considerato come macrofago quiescente.
Nel SNP si trovano le cellule satelliti gangliari, le cellule di Schwann e le cellule di teloglia.

EPENDIMA = il neuroectoderma possiede una


struttura canalare in cui il tessuto nervoso si forma
dalle cellule d rivestimento e all’interno è presente
una cavità centrale, che evolverà assumendo
forma diversa nell’encefalo e nel midollo spinale.
Questa cavità centrale dell’ex tubo neurale può
assumere l’aspetto di cavità appiattita, ovvero i
ventricoli, oppure mantenere un aspetto a
canalino sottile, ovvero gli acquedotti o il canale
centrale del midollo. Le aree cave sono tappezzate
da un epitelio di rivestimento cubico semplice, che
è l’ependima. In molti casi è situato in profondità,
però esistono dei punti in cui le meningi riescono a
portarsi in profondità giungendo in contatto con
l’ependima formando così i plessi coroidei (in essi
i vasi sanguigni si giustappongono all’ependima
rendendolo come filtro). Nulla passa dal sangue al
tessuto nervoso senza sottostare a un attento discrimino.

ASTROCITI = così chiamati perché hanno un corpo cellulare e numerosi prolungamenti (forma
stellata). Alcuni di questi si dirigono verso i neuroni e contribuiscono alla loro posizione, mentre
altri si dirigono verso i vasi sanguigni formando un’impalcature circostante.
Possiedono un notevole citoscheletro con filamenti di actina e di miosina:
per questo il mantenimento della struttura è dovuta al prolungamento
degli astrociti. Inoltre
sono in grado, grazie alle molecole di membrana, di agire sulla
composizione del microambiente: usano le pompe e i canali per
riequilibrare la composizione ioni microambientale.

OLIGODENDROCITI: il cui termine significa “pochi prolungamenti”, in


quanto possiedono un corpo cellulare con una ventina di prolungamenti.
Ogni prolungamento si avvicina a un prolungamento neuronale e si espande a formare una
lamina, che si avvolge attorno al prolungamento neuronale e gli forma un segmento di guaina
mielinica. Viene chiamata anche cellula mielinopoietica e di conseguenza si trovano a
preferenza nella sostanza bianca, che diventa bianca grazie al fatto che fabbricano la guaina.

MICROGLIA = questa cellule è l’unica a non derivare dagli spongioblasti, infatti appartiene al
sistema dei macrofagi derivando da monociti del sangue periferico.
Si tratta di una cellula quiescente che si provvede di prolungamenti sottili e ramificati.
In caso di attivazione ritira i prolungamenti, il suo corpo cellulare si ingrossa e diventa come un
macrofago.

CELLULE SATELLITI GANGLIARI = un ganglio è una zona dove i neuroni sono immersi nel
tessuto connettivo e quindi non hanno un sistema di protezione e di barriera. Per questo
motivo ogni singolo neurone è avvolto da una guaina di cellule satelliti che avvolge
completamente in corpo cellulare del neurone. Tra queste cellule si instaurano giunzioni
occludenti permettendo il perfetto selezionamento delle molecole di passaggio.

CELLULE DI SCHWANN = proteggono i prolungamenti dei neuroni gangliari e dei neuroni del
nevrasse che entrano nei tessuti periferici. Il complesso tra il prolungamento e le cellule è una
simbiosi cellulare formando la fibra nervosa (prolungamento neuronale + rivestimento di
cellule di Schwann). Il cilindrasse viene usato ogni volta che osservando una fibra nervosa non è
possibile stabilire se il filamento è un assone o un dendrite.
Una fibra nervosa può essere afferente, se il prolungamento è un dendrite, o efferente, se il
prolungamento è un assone; queste costituiscono il parenchima specifico dei nervi del SNP.
Queste cellule sono le cellule mielinopoietiche del SNP e possono dar luogo di una guaina
mielinica, identica a quella formata dai prolungamenti degli oligodendrociti del SNC.

Guaina mielinica
La guina mielinica si forma dall’avvicinamento della cellula di Schwann al cilindrasse con
formazione di una doppia membrana plasmatica, ovvero il mesoassone. In seguito le due
membrane plasmatiche cominciano ad aumentare la loro estensione, grazie a vescicole
provenienti dall’apparato di Golgi, avvolgendosi in spire. Una volta terminate le spire il
citoplasma viene spremuto via e le membrane si compattano formando così la guaina.

In realtà la formazione della guaina mielinica nel SNC e nel SNP si intuisce che essa non è
continua: ogni cellula mielinopoietica forma un segmento isolante lungo la fibra nervosa
contiguo con altri segmenti analoghi, che prendono il nome di internodi mielinici.
Tra i vari internodi sono presenti sottili zone in cui possono avvenire i fenomeni elettrici di
membrana, che prendono il nome di nodi di Ranvier. Al livello del nodo i fenomeni elettrici di
membrana possono svolgersi.
La funzione della guaina è rendere più efficiente la propagazione degli impulsi nervosi lungo il
cilindrasse: in caso di presenza della guaina i canali si aprono lungo i nodi successivi e il tempo
necessario perché il potenziale di azione passi da un nodo all’altro è lo stesso usato in caso di
mancanza della guaina tra due sezioni una accanto all’altra (conduzione saltatoria).

Fibre nervose
Le fibre nervose sono simbiosi tra un prolungamento neuronale, o cilindrasse, e tutta la
sequenza di cellule che si associano al cilindrasse. In base alla natura del prolungamento
neuronale le fibre possono essere:

 Afferenti => se il cilindrasse è un dendrite: l’impulso nasce in periferia e viene condotto


al corpo cellulare che si trova o nel ganglio o nel midollo spinale. Funzione sensitiva.
 Efferenti => se il cilindrasse è l’assone e l’impulso nasce dal centro e si propaga verso la
periferia, dove si trova una giunzione con effettore periferico (giunzione citoneurale).
Funzione motoria o effettrice.
Da un punto di vista strutturale le fibre possono essere:

 Mieliniche = presentano la guaina mielinica e sono quindi capaci di conduzione


saltatoria. La loro velocità di conduzione è intorno ai 10-100 m/s. Ad esempio le fibre
dei motoneuroni sono mieliniche.
 Amieliniche = si tratta di fibre nervose in cui la cellula di Schwann forma delle docce alla
sua superficie al cui interno si collocano i cilindrassi. Poiché non forma il rivestimento di
guaina mielinica intorno ai cilindrassi, può occuparsi di più cilindrasse.
Il vantaggio è che in una fibra nervosa possono trovarsi più cilindrassi, mentre lo
svantaggio è che all’interno dei cilindrassi la conduzione avviene passo. La velocità di
conduzione è di al massimo 10 cm al secondo. Un esempio di fibre amieliniche sono le
fibre vegetative post-gangliari, le quali comandano le funzioni automatiche dei visceri e
si tratta delle fibre situate tra il ganglio e il recettore finale.
Le fibre nervose sono prevalentemente quelle del sistema nervoso periferico, di conseguenza
sono il parenchima specifico dei nervi del SNP, che possiamo considerare dei veri e propri
organi perché oltre al parenchima si trova anche uno stroma di supporto.
A livello istologico ogni nervo, soprattutto quelli di grandi dimensioni, è rivestito da una guaina
di tessuto connettivo fibroso con funzione di protezione, che è chiamata epinevrio. Da questa
guaina si dipartono dei setti di connettivo che portano con sé anche i vasi sanguigni, che
vengono chiamati perinevrio nel loro insieme e demarcano dei campi dove decorrono
affiancate le fibre nervose. All’interno di ogni campo di fibre nervose dal perinevrio si diparte
una sottile trama di connettivo lasso che avvolge ogni singola fibra nervosa e si continua con la
membrana basale che avvolge ogni fibra. In questo connettivo lasso penetrano le porzioni più
distali dell’albero vascolare, ovvero i capillari sanguigni che hanno un tipico endotelio con
barriera: quindi anche a livello dei campi di fibre nervose esiste una barriera emato-nervosa
che impedisce che le sostanze contenute nel sangue bagnino in modo indiscriminato le fibre
nervose.
Per rafforzare il meccanismo di barriera sul versante del perinevrio, che guarda l’interno di ogni
campo di fibra nervosa, si trovano le cellule perinevrali ovvero cellule appiattite unite tutti i loro
margini da zonule occludenti. Le cellule perinevrali chiudono gli spazi tra il connettivo esterno e
quello del campo delle fibre nervose filtrando le sostanze che non interferiscono con la
funzione delle fibre nervose interne.
Via via che i nervi si distribuiscono verso la periferia si ramificano e i loro calibri si assottigliano:
quindi nei nervi di medie o piccole dimensioni il perinevrio e l’epinevrio corrispondono. Inoltre
quando si arriva verso la periferia le cellule perinevrali si distaccano un po’ in modo da dare la
possibilità alle fibre nervose di andare a dare le terminazioni nervose.

Terminazioni nervose periferiche


Le terminazioni nervose periferiche sono la parte finale delle fibre del SNP e sono suddivisibili
in:

 Efferenti = estremità di assoni che formano alla loro porzioni più distale una giunzione
citoneurale con un effettore non nervoso. In base all’effettore si suddividono a loro volta
in:
– Terminazioni nervose efferenti motrici somatiche, le quali per la loro forma sono
chiamate anche placche motrici e in cui l’effettore non è altro che un muscolo.
Ogni ramo terminale dell’assone della fibra nervosa termina nella parte centrale di una
fibra muscolare scheletrica di cui comanda i fenomeni.
Si chiama unità motoria l’insieme costituito da un motoneurone e dal numero di fibre
muscolari striati scheletriche che è direttamente sotto il suo controllo. Le unità
motorie più piccole sono tipiche dei muscoli con movimenti molto fini, mentre le unità
motorie grandi sono tipiche dei muscoli con la capacità di sviluppare una forza
considerevole ma non hanno bisogno di compiere movimenti molto fini.
– Terminazioni nervose efferenti visceroeffettrici = si tratta delle terminazioni degli
assoni dei neuroni del SNA che entrano nella muscolatura liscia e ne comandano la
comunicazione o in via diretta, come nel caso della muscolatura liscia di tipo
multiunitario, o a ridosso delle cellule di Cajal, nella muscolatura liscia di tipo viscerale.
– Terminazioni nervose efferenti eccitosecretrici, le quali formano giunzioni cito-neurali
con cellule ghiandolari. La fibra nervosa appartiene al SNA e la sua attività neurale
comanda la funzione di secrezione della cellula ghiandolare.
 Afferenti = estremità dei dendriti che si portano dall’estrema periferia nei tessuti che si
possono suddividere in:
– Terminazioni nervose afferenti libere = la fibra nervosa arriva a ridosso del tessuto,
si spoglia delle cellule di Schwann e solo la componente neurale entra nel tessuto e
si ramifica nel labirinto intercellulare terminando con un bottoncino che è
l’estremità di un dendrite. Le parti nude del dendrite sono molto sensibili a stimoli
meccanici, stimolazioni termiche o stimoli chimici.
– Terminazioni nervose afferenti corpuscolate, in cui la componente neurale rimane
accompagnata dalle cellule di supporto che aveva nel nervo. Queste cellule di
supporto si modificano strutturalmente formando i corpuscoli sensitivi, il cui
concetto unificante è che tutte le componenti non nervose modulano la percezione
del dendrite. Uno dei corpuscoli più voluminosi è il corpuscolo di Pacini, che si trova
nei tessuti connettivi ed è un meccanocettore e quindi in grado di percepire stimoli
meccanici. Poiché è grande è possibile micromanipolarlo sotto il microscopio: il
corpuscolo di Pacini senza la sua componente non nervosa non è in grado di
percepire le vibrazioni mentre se integro riesce a percepirle.

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