Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
L’infiammazione o flogosi è una risposta dei tessuti vascolarizzati che porta i leucociti e le molecole
dei sistemi di difesa dell’ospite dal circolo sanguigno fino ai siti di infezione e danno cellulare per
eliminare gli agenti causali (meccanismo di difesa).
Il processo infiammatorio consiste nel reclutamento e attivazione delle cellule e proteine circolanti
e nell’attivazione a livello tissutale delle cellule residenti e delle molecole solubili con lo scopo di
eliminare le sostanze nocive o indesiderate
Infiammazioni acute
Sindrome da distress respiratorio acuto -> Neutrofili
Asma -> Eosinofili; anticorpi IgE
Glomerulonefriti -> Anticorpi e sistema del complemento; neutrofili, monociti
Shock settico -> Citochine infiammatorie
Infiammazioni croniche
Artriti -> Linfociti, macrofagi; anticorpi
Asma -> Eosinofili; anticorpi IgE
Aterosclerosi -> Macrofagi; linfociti
Fibrosi polmonare -> Macrofagi; fibroblasti
CAUSE DELL’INFIAMMAZIONE
1) Infezioni: agenti patogeni infettivi diversi inducono varie risposte infiammatorie.
Dall’infiammazione acuta lieve, alle reazioni sistemiche gravi, alle reazioni croniche
prolungate, che provocano un esteso danno tissutale;
2) Le cellule possono morire a causa di ischemia, traumi e lesioni fisiche e chimiche. Diverse
molecole rilasciate dalle cellule necrotiche sono in grado di innescare l’infiammazione;
3) Corpi estranei: possono provocare lesioni da soli o trasportare microrganismi; anche
sostanze endogene possono essere dannose come il colesterolo nell’aterosclerosi.
4) Le reazioni immunitarie: chiamate reazioni di ipersensibilità in cui il S.immunitario invece di
essere protettivo danneggia l’organismo.
Il riconoscimento dei componenti microbici o delle sostanze rilasciate dalle cellule danneggiate
costituisce la fase iniziale delle reazioni infiammatorie, tramite:
1) Recettori cellulari per i microrganismi che si trovano sulle membrane plasmatiche e sono i
TLR (9 famiglie conosciute); alcuni di questi recettori agiscono singolarmente come il TLR4
e il TLR5, che riconoscono rispettivamente il lipopolisaccaride e la flagellina, mentre altri si
associano tra loro come, per esempio, il TLR1 associato al TLR2, o il TLR2 associato a TLR6.
2) Sensori del danno cellulare che sono i recettori citosolici NLR. I recettori attivano un
complesso citosolico multiproteico chiamato inflammasoma, che induce la produzione
della citochina interleuchina-1, che recluta i leucociti causando così l’infiammazione.
Mutazioni attivatorie nei geni che codificano per questi recettori sono la causa di malattie rare
raggruppate nelle sindromi autoinfiammatorie, caratterizzate dalla produzione di IL-1 e
infiammazione spontanea; gli antagonisti di IL-1 costituiscono un trattamento efficace per queste
patologie. L’inflammasoma è anche coinvolto nelle reazioni infiammatorie causate dai cristalli di
urato (la causa della gotta), dai lipidi (nella sindrome metabolica e nel diabete di tipo 2 associato a
obesità), dai cristalli di colesterolo (nell’aterosclerosi) e anche contro gli accumuli di amiloide nel
cervello (nell’Alzheimer).
3) Recettori che riconoscono il frammeto Fc degli anticorpi, e quindi i patogeni che sono stati
opsonizzati.
4) Proteine circolanti appartenenti alle proteine del complemento che reagiscono contro i
microrganismi producendo mediatori dell’infiammazione. Altre proteine circolanti sono la
lectina e le collectine.
INFIAMMAZIONE ACUTA
L’infiammazione acuta ha tre componenti principali: (1) la dilatazione dei piccoli vasi che porta
all’aumento del flusso sanguigno; (2) l’aumento della permeabilità̀ del microcircolo che consente
alle proteine plasmatiche e ai leucociti di fuoriuscire dal circolo sanguigno; (3) la migrazione dei
leucociti dal microcircolo al sito della lesione dove si accumulano e si attivano per eliminare
l’agente causale .
Le reazioni vascolari nell’infiammazione acuta consistono nella variazione del flusso sanguigno e
della permeabilità dei vasi, entrambe finalizzate a massimizzare la fuoriuscita delle proteine
plasmatiche e dei leucociti dal circolo verso il sito di infezione o lesione.
Le fasi dell’infiammazione acuta sono: variazione del calibro vasi, iperemia attiva (quindi aumento
del flusso sanguigno momentaneo), aumento permeabilità capillare, rallentamento del flusso
sanguigno (determinato dall’aumento della permeabilità capillare), iperemia passiva ed
eventualmente stasi, con la formazione dell’essudato (parte liquida del nostro sangue che può
passare all’esterno e se accompagnato da varie componenti proteiche e cellulari assumerà
caratteristiche differenti determinando il tipo di infiammazione.
Le forze che regolano il flusso sanguigno sono quelle di Starling, il flusso sanguigno è regolato da
due forze opposte e bilanciate tra di loro:
- pressione oncotica o colloidosmotica, che richiama il liquido dall’esterno verso l’interno del vaso,
ciò dipende dalla concentrazione di proteine soprattutto all’interno del sangue.
Queste due pressioni, in una situazione fisiologica sono in equilibrio ma durante un processo
infiammatorio acuto invece accade che l’azione di alcuni mediatori chimici come istamina, l’NO
(ossido nitrico), prostaglandine, sulle cellule endoteliali, determinano una modifica della struttura
dell’endotelio; in particolare le cellule endoteliali subiscono un allentamento delle giunzioni
strette accompagnate da modificazione del citoscheletro nelle cellule endoteliali e ciò determina
la fuoriuscita di una grande quantità di liquido nota come essudazione (responsabile del tumor).
ESSUDATO E TRASUDATO
Il termine edema indica un eccesso di liquido nel tessuto interstiziale o nelle cavità sierose; può
essere sia un essudato sia un trasudato. Il pus, è un essudato infiammatorio ricco di leucociti
(soprattutto neutrofili), detriti di cellule morte e in molti casi, di microrganismi.
MODIFICAZIONI VASCOLARI
- Vasodilatazione causata da mediatori che agiscono sulla muscolatura liscia dei vasi, come
l’istamina. È una dele prime fasi dell’infiammazione acuta e coinvolge prima le arteriole che
si dilatano consentendo l’apertura di nuovi letti capillari. Il risultato è un aumento del
flusso sanguigno che è la causa del “calor e del rubor”.
- Segue l’aumento della permeabilità del microcircolo con l’effusione di un fluido ricco di
proteine nei tessuti extravascolari.
- La perdita di liquidi e l’aumento del diametro dei vasi portano al rallentamento del flusso
sanguigno, con conseguente concentrazione dei globuli rossi e aumento della viscosità del
sangue; i globuli rossi che si muovono lentamente, una condizione nota come stasi, che si
manifesta come congestione vascolare e arrossamento localizzato del tessuto coinvolto.
- Quando si sviluppa la stasi, i leucociti del sangue, principalmente neutrofili, si accumulano
lungo l’endotelio vascolare. Contemporaneamente le cellule endoteliali vengono attivate
dai mediatori prodotti nelle sedi dell’infezione e del danno tissutale ed esprimono livelli più
alti di molecole di adesione. I leucociti, quindi, aderiscono all’endotelio e poco dopo
migrano attraverso la parete vascolare nel tessuto interstiziale.
In ognuno di questi due casi sembra che l’aumento di permeabilità sia causato sia da un danno
endoteliale che dalla contrazione endoteliale.
Oltre ai vasi sanguigni, anche i vasi linfatici partecipano all’infiammazione acuta. Il flusso linfatico
aumenta e aiuta a drenare l’edema che si forma a causa della maggiore permeabilità vascolare. I
vasi linfatici possono infiammarsi (linfangite) e lo stesso può accadere ai linfonodi drenanti
(linfoadenite). La presenza di striature rosse vicino a una ferita della pelle è un segno rivelatore di
infezione batterica e sono un segno diagnostico distintivo di linfangite.
Le cellule maggiormente coinvolte sono quelle con attività fagocitica, neutrofili e macrofagi.
I macrofagi, inoltre, producono fattori di crescita che sono coinvolti nel processo di riparazione. La
potenza difensiva dei leucociti è che, quando attivati, questi possono provocare danni ai tessuti e
prolungare la reazione infiammatoria in quanto le molecole prodotte possono danneggiare i
tessuti circostanti sani dell’ospite.
Il passaggio dei leucociti dal lume del vaso fino al tessuto è un processo a più fasi:
1) Selectine: che determinano la prima fase di rotolamento e sono di tre tipi, L-selectina
espressa sui leucociti, la E-selectina e la P-selectina che sono espresse sull’endotelio. I
ligandi per le selectine sono oligosaccaridi sialilati legati a glicoproteine mucina-simili.
L’espressione delle selectine e dei loro ligandi è regolata da citochine prodotte in risposta
alle infezioni e al danno. TNFα e IL-1 (rilasciate da macrofagi tissutali, mastociti e cellule
endoteliali) agiscono sulle cellule endoteliali delle venule postcapillari presenti nel sito di
infezione promuovendo l’espressione coordinata di numerose molecole di adesione. Entro
1-2 ore le cellule endoteliali iniziano a esprimere E- selectina e i ligandi per l’L-selectina. Si
tratta di interazioni a bassa affinità che vengono facilmente distrutte dalla forza del flusso
sanguigno, come risultato i leucociti cominciano a rotolare lungo la superficie endoteliale.
2) Integrine: le interazioni deboli che causano il rotolamento rallentano i leucociti e creano le
condizioni per l’instaurarsi di un legame più saldo all’endotelio a opera di una famiglia di
proteine eterodimeriche espresse sulla superficie leucocitaria, chiamate integrine. TNFα e
IL-1 inducono l’espressione endoteliale dei ligandi delle integrine, principalmente la
molecola di adesione cellulare vascolare di tipo 1 (VCAM-1, ligando per la subunità β1
dell’integrina VLA-4) e la molecola di adesione intercellulare di tipo 1 (ICAM-1, ligando per
la subunità β2 delle integrine LFA-1 e Mac-1). Una delle conseguenze dell’attivazione è il
passaggio a uno stato di alta affinità delle integrine VLA-4 e LFA-1 espresse dai leucociti.
Questo si traduce in un’adesione stabile dei leucociti all’endotelio nella sede
dell’infiammazione. I leucociti smettono quindi di rotolare, il loro citoscheletro si
riorganizza e aderiscono fermamente alla superficie endoteliale, andando incontro a un
processo noto come “distensione”.
(Diversi tipi di molecole sono responsabili delle differenti fasi di questo processo: le selectine nel
rotolamento; le chemochine (generalmente legate ai proteoglicani sulla membrana endoteliale)
nell’attivazione leucocitaria finalizzata all’aumento dell’avidità delle integrine; le integrine
nell’adesione stabile).
Le chemochine agiscono sui leucociti adesi e li stimolano a migrare attraverso gli spazi
interendoteliali in risposta a un gradiente di concentrazione, nella direzione della sede del danno o
dell’infezione dove le chemochine vengono prodotte.
Diverse molecole di adesione presenti nelle giunzioni intercellulari tra le cellule endoteliali sono
coinvolte nella migrazione dei leucociti. Tra queste, svolge un ruolo importante un membro della
superfamiglia delle molecole di tipo immunoglobulinico chiamato PECAM-1 (molecola di adesione
cellulare piastrinica-endoteliale di tipo 1) o CD31. Dopo aver attraversato l’endotelio, i leucociti
perforano la membrana basale, probabilmente secernendo collagenasi, ed entrano nello spazio
extravascolare. Dopo il passaggio dei leucociti, le membrane basali diventano di nuovo continue.
Le cellule che sono fuoriuscite dal vaso migrano lungo il gradiente chemiotattico, creato dalle
chemochine e da altri fattori chemiotattici e si accumulano nel sito extravascolare.
Dopo essere usciti dal circolo, i leucociti si muovono nei tessuti verso la sede di danno mediante
un processo chiamato chemiotassi, che è definito come il movimento lungo un gradiente chimico.
Sostanze sia esogene sia endogene agiscono come fattori chemiotattici. I fattori esogeni più
comuni sono i prodotti batterici, quali i peptidi, come l’amminoacido formilmetionina all’estremità
N-terminale, e alcuni lipidi. I fattori chemiotattici endogeni includono diversi mediatori chimici, (1)
le citochine, in particolare quelle della famiglia delle chemochine (per esempio, IL-8); (2) i
componenti del sistema del complemento, soprattutto il C5a; (3) i metaboliti dell’acido
arachidonico (AA), principalmente il leucotriene B4 (LTB4).
Tutti questi agenti chemiotattici legano degli specifici recettori con una struttura a sette domini
transmembrana che sono accoppiati a proteine G eterotrimeriche e sono espressi sulla superficie
dei leucociti. I segnali che si generano da questi recettori determinano l’attivazione di secondi
messaggeri che promuovono la polimerizzazione dell’actina all’estremità anteriore della cellula e
la localizzazione di filamenti di miosina al polo opposto. Il risultato è che i leucociti migrano nella
direzione dei fattori chemiotattici prodotti localmente nel focolaio infiammatorio.
Nella maggior parte delle forme di infiammazione acuta i neutrofili predominano nell’infiltrato
infiammatorio durante le prime 6-24 ore per essere sostituiti dai monociti nelle successive 24-48
ore. I neutrofili rispondono più rapidamente alle chemochine e si possono legare più saldamente
alle molecole di adesione espresse precocemente dalle cellule endoteliali, come la P-selectina e E-
selectina, hanno una vita breve di pochi giorni, mentre i monociti sopravvivono più a lungo e
possono anche proliferare diventando la popolazione più abbondante nelle reazioni infiammatorie
prolungate.
Vi sono, tuttavia, eccezioni: nelle infezioni virali, i linfociti possono essere le prime cellule ad
arrivare; alcune reazioni di ipersensibilità sono dominate dalla presenza di linfociti attivati,
macrofagi e plasmacellule; nelle infezioni elmintiche e nelle reazioni allergiche, gli eosinofili sono il
tipo cellulare più rappresentato.
Anche se questi tipi cellulari condividono molte proprietà funzionali, presentano significative
specificità.
L’attivazione leucocitaria deriva dalle vie di trasduzione del segnale che si attivano nei leucociti che
consistono nell’aumento di Ca2+ citosolico e nell’attivazione di enzimi come la protein-chinasi C e
la fosfolipasi A2. Le principali risposte che portano all’eliminazione dei microrganismi e di altri
agenti patogeni sono la fagocitosi e la degradazione intracellulare.
FAGOCITOSI
• Riconoscimento e adesione della particella che deve essere ingerita dal leucocita;
I recettori del mannosio, i recettori spazzino e i recettori per varie opsonine consentono ai fagociti
di legare e ingerire i microrganismi. Il recettore del mannosio espresso dai macrofagi è una lectina
che lega i residui terminali di fucosio e mannosio delle glicoproteine e dei glicolipidi. Questi
zuccheri fanno tipicamente parte delle molecole presenti sulla parete cellulare microbica, mentre
le glicoproteine e i glicolipidi dei mammiferi hanno residui terminali di acido sialico o di N-
acetilgalattosamina terminali. Pertanto, il recettore del mannosio riconosce i microrganismi e non
le cellule dell’ospite.
I recettori spazzino sono stati originariamente definiti come molecole che si legano e promuovono
l’endocitosi di lipoproteine a bassa densità (LDL) ossidate o acetilate che non legano il recettore
classico per le LDL. I recettori spazzino espressi dai macrofagi legano svariati tipi di microrganismi,
oltre alle LDL modificate. Anche le integrine, in particolare MAC-1 (CD11b/CD18), possono legare i
microrganismi per permettere la fagocitosi. L’efficienza della fagocitosi viene notevolmente
migliorata quando i microrganismi vengono rivestiti da opsonine per le quali i fagociti esprimono
recettori ad alta affinità.
Dopo che una particella si è legata ai recettori fagocitici, le estensioni del citoplasma la circondano
e la membrana plasmatica si salda per formare una vescicola intracellulare (fagosoma) che la
racchiude. Successivamente il fagosoma si fonde con i lisosomi a formare il fagolisosoma in cui
vengono riversate le sostanze in essi contenuti. Il processo di fagocitosi è complesso e necessita
l’integrazione di molti segnali recettoriali che portano al rimodellamento della membrana e a
modifiche del citoscheletro, dipende anche dalla polimerizzazione dei filamenti di actina.
L’uccisione dei microrganismi è compiuta da ROS E RNOS che insieme agli enzimi lisosomiali,
degradano il materiale fagocitato.
ATTIVAZIONE LEUCOCITARIA
Le ROS sono prodotte dal rapido assemblaggio e dall’attivazione di un’ossidasi composta da
numerose subunità, la NADPH ossidasi (anche chiamata ossidasi fagocitica), che ossida il NADPH e,
nel processo, riduce l’ossigeno ad anione superossido . Nei neutrofili questa reazione ossidativa
che si attiva in parallelo alla fagocitosi, è chiamata esplosione respiratoria. L’ossidasi fagocitica è
un complesso enzimatico costituito da almeno sette proteine. Nei neutrofili inattivi, i diversi
componenti dell’enzima si trovano sulla membrana plasmatica e nel citoplasma. In risposta agli
stimoli attivatori le componenti proteiche citosoliche traslocano verso la membrana del fagosoma,
dove si assemblano e formano il complesso enzimatico funzionale. Così, le ROS vengono prodotte
all’interno del fagolisosoma, dove possono agire sulle particelle ingerite senza danneggiare la
cellula ospite. viene convertito in perossido di idrogeno (H2O2), soprattutto per dismutazione
spontanea. H2O2 non è in grado, di per sé, di uccidere in modo efficiente i microrganismi.
I granuli azzurrofili dei neutrofili contengono l’enzima mieloperossidasi (MPO), che, in presenza di
un alogenuro come Cl–, converte H2O2 in ipoclorito (HOCl ̇), l’ingrediente attivo della candeggina.
Quest’ultimo è un potente agente antimicrobico che degrada i microrganismi per alogenazione
(reazione nella quale l’alogenuro viene legato covalentemente ai componenti cellulari) o per
ossidazione di proteine e lipidi (perossidazione lipidica). Il sistema H2O2-MPO-alogenuro è il
sistema battericida più potente dei neutrofili. Tuttavia, un deficit ereditario di MPO porta di per sé
a un aumento minimo della suscettibilità alle infezioni, evidenziando la ridondanza dei meccanismi
microbicidi nei leucociti.
H2O2 è convertito anche in radicale ossidrile (OH–), un altro potente agente tossico.
Le ROS sono implicate nel danno tissutale che accompagna l’infiammazione quando rilasciati nello
spazio extracellulare. Nel plasma ci sono antiossidanti che proteggono dall’azione nociva dei ROS:
comprendono (1) l’enzima superossido dismutasi, che si trova o può essere attivato in una varietà
di tipi cellulari; (2) l’enzima catalasi, che degrada H2O2; (3) la glutatione perossidasi, altro potente
enzima in grado di degradare H2O2; (4) la ceruloplasmina, una proteina plasmatica contenente
rame; e (5) la frazione priva di ferro della transferrina plasmatica.
I granuli azzurrofili (o primari), più grandi, contengono MPO, alcune proteine battericida (lisozima,
defensine), idrolasi acide e una varietà di proteasi neutre (elastasi, catepsina G, collagenasi
aspecifiche, proteinasi.
TRAPPOLE EXTRACELLULARI DEI NEUTROFILI (NET) sono reti extracellulari che concentrano le
sostanze antimicrobiche nei siti di infezione e intrappolano i microbi contribuendo a evitare la loro
diffusione.
Esse sono prodotte dai neutrofili in risposta agli agenti patogeni infettivi (principalmente batteri e
funghi) e ai mediatori dell’infiammazione (per esempio, chemochine, citochine, soprattutto
interferoni, proteine del complemento e ROS). Le trappole extracellulari sono costituite da un
reticolo viscoso di cromatina nucleare che lega e concentra le proteine dei granuli come i peptidi e
gli enzimi antimicrobici. La formazione delle NET richiede l’attivazione ROS-dipendente di
un’arginina deaminasi che converte le arginine in citrullina, portando alla decondensazione della
cromatina.
Altri enzimi che sono prodotti nei neutrofili attivati, come MPO ed elastasi, entrano nel nucleo e
provocano un’ulteriore decondensazione della cromatina che culmina con la rottura della
membrana nucleare e il rilascio di cromatina. In questo processo, i nuclei dei neutrofili vengono
persi, causando la morte delle cellule. Le NET sono state anche ritrovate nel sangue durante la
sepsi. È stato ipotizzato che la cromatina nucleare presente nelle NET, che include gli istoni e il
DNA associato, sia una fonte di antigeni nucleari nelle malattie autoimmuni sistemiche, in
particolare nel lupus, in cui gli individui reagiscono contro il loro stesso DNA e le loro stesse
nucleoproteine.
In tutte queste situazioni, i meccanismi mediante i quali i leucociti danneggiano i tessuti sani sono
gli stessi meccanismi coinvolti nella difesa antimicrobica, poiché una volta che i leucociti vengono
attivati i loro meccanismi effettori non distinguono tra l’agente causale e l’ospite. Durante
l’attivazione e la fagocitosi, i neutrofili e i macrofagi producono sostanze microbicide (ROS, NO ed
enzimi lisosomiali) all’interno del fagolisosoma. In alcune circostanze, queste sostanze vengono
rilasciate anche nello spazio extracellulare, dove sono in grado di danneggiare le cellule ospiti
come l’endotelio vascolare, amplificando così gli effetti dell’agente nocivo iniziale.
La secrezione controllata del contenuto dei granuli è una risposta normale dei leucociti attivati. Se
i fagociti incontrano materiali che non possono essere facilmente ingeriti, come gli
immunocomplessi depositati su superfici di grandi dimensioni (per esempio, la membrana basale
glomerulare), l’incapacità dei leucociti di circondare e ingerire queste sostanze innesca una forte
attivazione e il rilascio di enzimi lisosomiali nell’ambiente extracellulare (fagocitosi frustrata).
Alcune sostanze fagocitate, come i cristalli di urato, possono danneggiare la membrana del
fagolisosoma portando al rilascio del contenuto dei granuli lisosomiali.
Recentemente è emerso che anche alcuni linfociti T, che sono cellule dell’immunità adattativa,
contribuiscono all’infiammazione acuta. Tra questi, i più importanti sono quelli che producono la
citochina IL-17 (definiti linfociti TH17) . La mancanza di risposta dei linfociti TH17 determina una
maggiore suscettibilità a infezioni fungine e batteriche che porta a sviluppare “ascessi freddi”, in
particolare a livello della pelle, che non presentano le caratteristiche classiche dell’infiammazione
acuta, come il calore e l’arrossamento.
L’infiammazione diminuisce quando gli agenti patogeni vengono rimossi, perché i mediatori
dell’infiammazione vengono prodotti solo fino a quando lo stimolo persiste, oltre ad avere una
breve emivita ed essere degradati dopo il loro rilascio. Inoltre, i neutrofili hanno una breve emivita
una volta raggiunti i tessuti e muoiono per apoptosi alcune ore dopo aver abbandonato il circolo
sanguigno, poi mano a mano che l’infiammazione si sviluppa, il processo stesso innesca una serie
di segnali che tendono a porre fine alla reazione.
Questi meccanismi consistono nel cambiamento dei metaboliti dell’acido arachidonico che
vengono prodotti. Dai leucotrieni proinfiammatori alle lipossine antinfiammatorie e la
liberazione da parte dei macrofagi e di altre cellule di citochine antinfiammatorie, quali il fattore di
crescita trasformante β (TGFβ) e l’IL-10. Sono stati dimostrati sperimentalmente anche altri
meccanismi di controllo, tra cui l’arco riflesso colinergico che inibisce la produzione di TNFα nei
macrofagi.
MEDIATORI DELL’INFIAMMAZIONE
Sono l’istamina e la serotonina si trovano nei granuli di mastociti, di basofili e delle piastrine (la
serotonina si trova prevalentemente nelle piastrine). Anche gli enzimi lisosomiali sono mediatori
dell’infiammazione acuta, perché partecipano attivamente alla fagocitosi, ovvero alla
degradazione dell’agente patogeno.
Le prostaglandine sono sintetizzate da tutti i leucociti, dalle piastrine e dalle cellule endoteliali.
Le specie reattive dell’ossigeno da tutti i leucociti e l’ossido nitrico prevalentemente dai macrofagi,
ma anche dalle cellule dendritiche.
Le citochine proinfiamatorie come IL-1, IL-6 e IL-8 vengono prodotte prevalentemente da
macrofagi e cellule endoteliali.
• Mediatori di fase fluida: comprendono tutti quei sistemi di proteine che, in condizioni di
omeostasi, sono inattive e circolano nel sangue, mentre durante il processo infiammatorio
vengono attivate.
Sono le proteine del sistema della coagulazione (tra cui fibrinogeno e fibrina), il sistema delle
chinine (che comprende bradichinina, chinina, chininogeno) e le proteine del sistema del
complemento. Queste proteine vengono prodotte principalmente dal fegato.
Il sistema della coagulazione consiste in una cascata di proteasi plasmatiche, che viene innescata
dal fattore di Hageman (fattore XII della coagulazione). Nel momento in cui questo viene attivato,
va ad attivare contemporaneamente il sistema fibrinolitico, il sistema delle chinasi e il sistema del
complemento (intervengono le anafilotossine).
PROPRIETÀ
• La maggior parte dei mediatori chimici agisce legandosi a recettori specifici, che si trovano sulla
membrana plasmatica delle cellule immunocompetenti;
• Hanno tutti un’emivita molto breve perché devono essere utilizzati solo durante l’angioflogosi:
infatti sono tutti potenzialmente dannosi e una loro attivazione continua si configurerebbe come
un pericolo per l’organismo.
L’istamina provoca la dilatazione delle arteriole e aumenta la permeabilità delle venule. L’istamina
è immagazzinata nei granuli dei mastociti da cui è rilasciata in risposta a diversi stimoli, che
includono: (1) stimoli fisici (come un trauma), il freddo e il calore, che agiscono attraverso
meccanismi sconosciuti; (2) il legame di un antigene alle IgE legate sulla superfice dei mastociti, un
meccanismo che è alla base delle reazioni di ipersensibilità immediata (reazioni allergiche); (3) i
prodotti del complemento chiamati anafilotossine (C3a e C5a).
Gli effetti dell’istamina vengono mediati dall’interazione con dei recettori di tipo H1 e di tipo H2.
• Recettori H1 sono localizzati sulla membrana delle cellule endoteliali. Il legame tra questi e
l’istamina determina un aumento della permeabilità vascolare, contrazione della muscolatura
liscia, comparsa di prurito, stimolazione della sintesi di molecole di adesione endoteliale e del
metabolismo dell’acido arachidonico. L’acido arachidonico è la molecola da cui derivano i
leucotrieni e le prostaglandine.
Stimoli meccanici, chimici e fisici o altri mediatori (per esempio, il C5a) liberano AA dai fosfolipidi
di membrana attraverso l’azione delle fosfolipasi cellulari, principalmente la fosfolipasi A 2. I
composti che derivano dall’AA, anche chiamati eicosanoidi (in quanto originano da acidi grassi a 20
atomi di carbonio; dal greco eicosa = 20), sono sintetizzati da due principali classi di enzimi: le
ciclossigenasi (che generano prostaglandine) e le lipossigenasi (che producono leucotrieni e
lipossine).
Gli eicosanoidi legano specifici recettori accoppiati a proteine G eterotrimeriche presenti in molti
tipi cellulari che controllano virtualmente ogni fase dell’infiammazione.
-PGF2 stimola la contrazione della muscolatura dell’utero durante il parto e della muscolatura
liscia bronchiale e delle piccole arteriole.
Le prostaglandine sono coinvolte nella patogenesi del dolore e della febbre nell’infiammazione.
I leucotrieni hanno diverse funzioni che in alcuni casi possono essere contrastanti.
Alcuni di essi stimolano la chemiotassi (richiamano altre cellule che partecipano alla RI),
aumentano la permeabilità vascolare e, nei soggetti affetti da asma, provocano broncospasmo.
• Inibitori delle ciclossigenasi, includono l’acido acetilsalicilico e altri farmaci antinfiammatori non
steroidei (FANS), come l’ibuprofene. Essi inattivano sia COX-1 sia COX-2 e quindi bloccano la sintesi
delle prostaglandine
• Inibitori delle lipossigenasi, la 5-lipossigenasi non è influenzata dai FANS e sono stati sviluppati
nuovi inibitori che agiscono sulla via di attivazione di questo enzima. Gli agenti farmacologici che
inibiscono la produzione dei leucotrieni sono utili nel trattamento dell’asma.
• I corticosteroidi sono agenti antinfiammatori ad ampio spettro che riducono la trascrizione dei
geni codificanti per molte delle proteine coinvolte nell’infiammazione, tra cui COX-2, fosfolipasi
A2, citochine proinfiammatorie (per esempio, IL-1 e TNFα) e iNOS.
• Gli antagonisti dei recettori dei leucotrieni bloccano i recettori dei leucotrieni e prevengono
l’attività dei leucotrieni. Questi farmaci sono utili nel trattamento dell’asma.
• Un altro approccio adottato per manipolare le risposte infiammatorie consiste nel modificare
l’assunzione e il contenuto dei lipidi nella dieta attraverso un aumento nel consumo di olio di
pesce. La spiegazione proposta per l’efficacia di questo approccio è che gli acidi grassi polinsaturi
contenuti nell’olio di pesce non sono efficientemente convertiti dalla ciclossigenasi e dalla
lipossigenasi in metaboliti pro-infiammatori, ma sono più facilmente utilizzati per la sintesi di
lipidici antinfiammatori, tra cui le resolvine.
Fattore attivante le piastrine (PAF), deriva dai fosfolipidi di membrana e stimola l’aggregazione
piastrinica, la produzione di neutrofili e dei monociti/macrofoagi e partecipa all’attivazione delle
cellule endoteliali. Potenzia l’espressione delle molecole di adesione, in particolare delle integrine
che partecipano al processo di diapedesi, ed è un potente vasodilatatore che aumenta la
permeabilità del microcircolo nelle sedi di infezione tissutali.
I mediatori chimici partecipano in parte alle stesse funzioni, tuttavia vengono svolte in momenti
diversi del processo infiammatorio acuto. Il primo mediatore che interviene è l’istamina, la quale è
seguita da NO, poi viene attivato il sistema complementare ed infine le prostaglandine, i
leucotrieni e il PAF. Servono tutti a mantenere vasodilatazione e permeabilità vascolare in modo
che le cellule possano facilmente lasciare il circolo e raggiungere i tessuti in cui sta avvenendo la
reazione flogistica.
Citochine proinfiammatorie:
Chinine: sono peptidi vasoattivi che originano da proteine plasmatiche, chiamate chininogeni, per
azione di proteasi specifiche chiamate callicreine. L’enzima callicreina taglia un precursore
glicoproteico plasmatico, il chininogeno ad alto peso molecolare, per produrre bradichinina. La
bradichinina aumenta la permeabilità vascolare e provoca contrazione della muscolatura liscia,
vasodilatazione e dolore quando iniettata nella cute. L’azione della bradichinina è di breve durata,
perché è rapidamente inattivata da un enzima chiamato chininasi.
Neuropeptidi: i neuropeptidi, secreti a livello dei nervi sensoriali e da vari tipi di leucociti, possono
regolare l’insorgenza e il protrarsi delle risposte infiammatorie. Questi piccoli peptidi, come la
sostanza P e la neurochinina A, sono prodotti nel sistema nervoso centrale e periferico. Le fibre
nervose contenenti sostanza P sono prevalenti nei polmoni e nel tratto gastrointestinale. La
sostanza P ha molte attività che possono essere importanti nell’infiammazione, tra cui la
trasmissione dei segnali del dolore e l’aumento della permeabilità vascolare.
I leucociti esprimono recettori per molti neuropeptidi, è quindi possibile che costituiscano un
meccanismo per il ”cross-talk” tra il sistema nervoso e le reazioni immunitarie e infiammatorie.
Per esempio, l’attivazione del nervo vago efferente inibisce la produzione di citochine
proinfiammatorie come il TNF, costituendo un meccanismo per la soppressione
dell’infiammazione. Questa osservazione ha condotto a trial clinici sulla stimolazione del nervo
vago in pazienti con artrite reumatoide.
INFIAMMAZIONE CRONICA
L’infiammazione cronica è una risposta di durata prolungata (settimane o mesi), in cui
l’infiammazione, il danno tissutale e i tentativi di riparazione coesistono, in varie combinazioni.
L’infiammazione cronica può seguire l’infiammazione acuta, o può iniziare insidiosamente, come
una risposta cronica che si mantiene a livelli bassi, senza alcuna manifestazione della reazione
acuta precedente.
Quando si presenta?
1) Infezioni persistenti: da microrganismi che sono resistenti alla loro eliminazione. Questi
organismi spesso causano una ipersensibilità di tipo ritardato. Le risposte infiammatorie
croniche possono dar luogo a manifestazioni che prendono il nome di reazioni
granulomatose. In altri casi, un’infiammazione acuta irrisolta può evolvere in
infiammazione cronica, come può accadere nell’infezione batterica acuta dei polmoni che
progredisce in un ascesso polmonare cronico. Le infiammazioni acuta e cronica possono
coesistere, come nell’ulcera peptica.
2) Malattie da ipersensibilità: l’infiammazione cronica è alla base di un gruppo di malattie
causate da un’eccessiva e inappropriata attivazione del sistema immunitario. In alcune
condizioni le reazioni immunitarie si sviluppano contro i tessuti self, dando luogo alle
malattie autoimmuni. In queste malattie, gli autoantigeni evocano una potente reazione
immunitaria che si traduce in danno tissutale e infiammazione cronica; esempi di tali
malattie comprendono l’artrite reumatoide e la sclerosi multipla. In altri casi,
l’infiammazione cronica è il risultato di risposte immunitarie deregolate come le malattie
allergiche come l’asma bronchiale. Queste reazioni si sviluppano quindi contro antigeni che
sono normalmente innocui, quindi queste reazioni sono inutili e solo causa di malattia.
Queste malattie sono caratterizzate da ripetuti attacchi infiammatori e possono quindi
presentare caratteristiche proprie sia dell’infiammazione acuta sia di quella cronica. La
fibrosi può prevalere nelle fasi avanzate.
3) Esposizione prolungata da agenti potenzialmente tossici, esogeni ed endogeni:
l’aterosclerosi è un’infiammazione cronica della parete arteriosa, caratterizzata da
un’eccessiva produzione e deposito di colesterolo e di altri lipidi a livello delle pareti
vascolari.
• Danno tissutale: causato dalla persistenza dell’agente scatenante o dalle stesse cellule
infiammatorie.
Ruolo dei macrofagi: le cellule che predominano nella maggior parte delle reazioni infiammatorie
croniche sono i macrofagi, che partecipano al processo infiammatorio eliminando i microbi
(danneggiando i tessuti) e producendo citochine che agiscono su svariate cellule, tra cui i linfociti
T. I macrofagi sono cellule tissutali che nell’organismo adulto originano da cellule staminali
emopoietiche presenti nel midollo osseo, mentre durante lo sviluppo embrionale si sviluppano da
progenitori presenti nel sacco vitellino e nel fegato.
Le cellule progenitrici midollari generano i monociti che entrano nel sangue, migrano in vari tessuti
dove si potranno differenziare in macrofagi. Questo processo è tipico dei macrofagi che infiltrano i
siti di infiammazione e alcuni tessuti come la cute e il tratto intestinale. L’emivita dei monociti del
sangue è di circa un giorno, mentre la sopravvivenza dei macrofagi tissutali può arrivare a mesi o
anni. I macrofagi specializzati, come la microglia, le cellule di Kupffer e i macrofagi alveolari
derivano da progenitori presenti nel sacco vitellino e nel fegato fetale durante le fasi precoci
dell’embriogenesi e durante lo sviluppo, migrano al cervello, al fegato e al polmone dove
rimangono per tutta la vita come popolazione stabile residente.
I macrofagi contribuiscono in diversi modi allo sviluppo e alla persistenza del danno tissutale che
accompagna l’infiammazione cronica:
• I macrofagi, come tutte le cellule fagocitiche, quali i neutrofili, ingeriscono ed eliminano i microbi
e i tessuti morti.
• I macrofagi avviano il processo di riparazione tissutale e sono coinvolti nella formazione della
cicatrice e nella fibrosi. Questi processi sono analizzati più avanti in questo capitolo.
• I macrofagi presentano gli antigeni ai linfociti T e rispondono ai segnali prodotti dalle cellule T,
realizzando così un dialogo che è fondamentale per attivare le risposte cellulari dell’immunità
protettiva antimicrobica.
Ci sono due principali vie di attivazione dei macrofagi, quella classica e quella alternativa, ognuna
di esse conferisce diverse attività̀ funzionali.
• L’attivazione macrofagica classica è quella che si osserva in risposta a prodotti microbici come le
endotossine, che attivano i TLR e altri sensori cellulari; a segnali prodotti dai linfociti T H1,
soprattutto la citochina IFN- γ, o a sostanze quali i cristalli e materiale particolato. I macrofagi
attivati in modo classico (chiamati anche M1) producono NO e gli enzimi lisosomiali (che
aumentano la loro capacità di uccidere i microrganismi ingeriti) e secernono citochine che
stimolano l’infiammazione. Il ruolo principale dei macrofagi attivati secondo questa via è la difesa
dell’ospite, attraverso l’eliminazione dei microbi, e la promozione della risposta infiammatoria.
L’impressionante arsenale di mediatori posseduto, rende i macrofagi potenti alleati nella difesa
dell’organismo contro gli agenti patogeni, ma può anche portare a grave danno dei tessuti nel caso
in cui i macrofagi siano impropriamente o eccessivamente attivati. È a causa di queste regioni, che
il danno tissutale costituisce una delle principali caratteristiche dell’infiammazione cronica.
Nel caso in cui l’agente causale venga eliminato, i macrofagi scompaiono dal tessuto (o muoiono o
migrano nei vasi linfatici e nei linfonodi). In caso contrario, l’accumulo di macrofagi persiste a
seguito del loro continuo reclutamento dal circolo ematico e della loro proliferazione locale.
In virtù della loro capacità di secernere citochine, i linfociti T CD4+ promuovono l’infiammazione e
influenzano il tipo di reazione infiammatoria. Ci sono tre sottopopolazioni di linfociti T CD4+,
ognuna delle quali secerne diverse citochine e provoca diversi tipi di infiammazione:
• I linfociti TH1 producono la citochina IFN-γ, che attiva i macrofagi attraverso la via classica.
• I linfociti TH2 secernono IL-4, IL-5 e IL-13, che reclutano e attivano gli eosinofili e sono
responsabili della via alternativa di attivazione dei macrofagi.
• I linfociti TH17 secernono diverse citochine, tra cui IL-17, che promuovono la secrezione delle
chemochine responsabili del reclutamento dei neutrofili (e dei monociti).
Anche i linfociti B attivati e le plasmacellule produttrici di anticorpi sono spesso presenti nei siti
dell’infiammazione cronica. Gli anticorpi prodotti possono essere diretti verso antigeni esogeni o
self che persistono nel sito infiammatorio, o contro componenti tissutali. Tuttavia, il contributo
degli anticorpi nella maggior parte delle patologie infiammatorie croniche è ancora poco chiaro.
In alcune reazioni infiammatorie croniche, i linfociti si accumulano insieme alle cellule che
presentano l’antigene e le plasmacellule per formare follicoli linfoidi organizzati che assomigliano
a quelli presenti nei linfonodi. Questi tessuti sono chiamati organi linfoidi terziari; questo tipo di
organogenesi linfoide si realizza spesso nella membrana sinoviale di pazienti affetti da prolungata
artrite reumatoide e nella tiroide in caso di tiroidite di Hashimoto. Il significato di queste strutture
non è ancora ben definito, anche se è stato ipotizzato che la formazione locale di follicoli linfoidi
contribuisca a perpetuare la reazione immunitaria.
INFIAMMAZIONE GRANULOMATOSA
Gli agenti eziologici che tipicamente possono indurre un granuloma di tipo immunologico sono il
- TUBERCOLOSI
- LEBBRA
- SIFILIDE
- MALATTIA DA GRAFFIO DI GATTO
- SARCOIDOSI
- MALATTIA DI CROHN