Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Filippo Paggetti
Bucchi Chiara
Anno accademico 2015-2016
Questa raccolta contiene i riassunti del libro di Immunologia ‘’Abbas, Immunologia cellulare e
molecolare’’ integrato con appunti ricavati dalle lezioni e approfondimenti vari.
Essendo stati scritti da studenti possono contenere errori, ma pensiamo si tratti di un materiale
utile e valido per prepararsi all’esame e abbiamo deciso di condividerlo.
Chiabucchi@gmail.com
Filippopaggetti96@gmail.com
1
Immunologia
Paggetti Filippo e Bucchi Chiara
Medicina e Chirurgia, UniFi
2
L’immunità adattativa / specifica / acquisita si sviluppa invece più lentamente e
costituisce una strategia più specifica ed efficace contro le infezioni. È portata avanti
dai linfociti e dai loro prodotti; richiede espansione clonale e differenziazione degli
stessi linfociti, prima che sia efficace. Anche la risposta adattativa può utilizzare le
cellule e le molecole dell’immunità innata, potenziandone enormemente in
meccanismi microbicidi.
L’immunità adattativa è costituita dall’immunità umorale, in cui gli anticorpi
neutralizzano ed eliminano i microbi extracellulari e le tossine; e dall’i mmunità
cellulare, in cui i linfociti T eradicano i microbi intracellulari.
Tra le caratteristiche dell’immunità adattativa ricordiamo:
- Specificità (garantisce una risposta specifica contro ciascun antigene);
- Diversità (permette al sistema immunitario di rispondere a un’ampia varietà di
antigeni);
- Memoria (comporta risposte più intense in presenza di esposizioni ripetute
agli stessi antigeni);
- Espansione clonale (aumenta il numero di linfociti antigene – specifici capaci
di fronteggiare i microbi);
- Specializzazione (genera risposte ottimali e diversificate per combattere al
meglio i diversi tipi di microbi);
- Contrazione e omeostasi (le risposte si autolimitano, permettendo al sistema
immunitario di rispondere a una nuova infezione);
- Mancata reattività al self (impedisce danni all’ospite nel corso delle risposte
ad antigeni estranei);
3
I linfociti B possono riconoscere direttamente gli antigeni microbici (sia
sulla superficie dei microbi o rilasciati), sono inoltre stimolati dagli
antigeni presentati loro dai macrofagi e dalle cellule dendritiche
follicolari.
● Linfociti T → mediatori dell’immunità cellulo mediata; si differenziano
in linfociti T helper (T CD4+), T citotossici (T CD8+), e linfociti T
regolatori. L a maggior parte dei loro recettori riconoscono solo
frammenti peptidici legati al complesso maggiore di istocompatibilità
(MHC), espresso sulle cellule presentanti l’antigene (APC).
● Natural Killer → mediatori dell’immunità innata; sono in grado di
uccidere le cellule infettate, ma non esprimono recettori per l’antigene
clonalmente distribuiti.
4
I tessuti del sistema immunitario comprendono gli organi linfoidi primari, in cui i
linfociti B e T maturano e acquisiscono la capacità di rispondere agli antigeni
(midollo osseo e timo) ; e gli organi linfoidi secondari, in cui ha inizio l’immunità
adattativa.
I linfociti naive (vergini) circolano attraverso gli organi linfoidi secondari alla ricerca
di antigeni estranei. I linfociti T effettori migrano nei siti periferici di infezione, dove
si occupano dell’eliminazione microbica. Le plasmacellule restano negli organi
linfoidi e nel midollo osseo, dove producono gli anticorpi che entrano in circolo e
raggiungono i tessuti periferici per eliminare i microbi.
Gli organi linfoidi secondari comprendono i linfonodi, la milza e il sistema
immunitario associato alle mucose. Essi hanno un’organizzazione anatomica che
permette alle APC di concentrare gli antigeni in questi organi e ai linfociti di venire in
contatto con i microbi per ucciderli.
I linfonodi sono aggregati nodulari incapsulati di tessuti linfoidi localizzati lungo le
vie linfatiche in tutto il corpo. La linfa drena dai tessuti ai linfonodi attraverso i vasi
linfatici per poi immettersi nel torrente ematico.
Quando la linfa passa attraverso i linfonodi, le APC qui presenti sono in grado di
catturare gli antigeni microbici presenti. Le cellule dendritiche, inoltre, catturano gli
antigeni a livello epiteliale e li trasportano fino ai linfonodi (sempre tramite la linfa).
Nei linfonodi, i linfociti B sono concentrati nei follicoli, strutture localizzate nella
zona corticale del linfonodo. Se questi linfociti hanno risposto recentemente a un
antigene, all’interno del follicolo avremo una zona colorata con minor intensità, che
rappresenta il centro germinativo. I linfociti T si localizzano nella zona paracorticale
(area T), all’esterno dei follicoli.
La milza è un organo altamente vascolarizzato che svolge nei confronti degli antigeni
presenti nel sangue lo stesso ruolo svolto dai linfonodi per gli antigeni della linfa.
Essa contiene inoltre un gran numero di fagociti, che ingeriscono e uccidono i
microbi presenti nel sangue. Nella milza, i linfociti T sono concentrati nei manicotti
linfoidi periarteriolari, mentre i linfociti B sono localizzati nei follicoli. Le cellule
dendritiche follicolari presenti nei follicoli producono una particolare chemochina
che lega il recettore CXCR5 dei linfociti naive, in grado di attrarre i linfociti B presenti
nel sangue all’interno dei follicoli degli organi linfoidi.
5
Analogamente i linfociti T sono attratti nelle regioni paracorticali dei linfonodi e nei
manicotti linfoidi periarteriolari della milza, attraverso l’interazione tra chemochine
e il recettore CCR7.
Quando i linfociti vengono attivati dagli antigeni, modificano l’espressione dei
recettori per le chemochine; possono quindi migrare e interagire tra loro lungo il
margine dei follicoli, dove i linfociti T helper aiutano i linfociti B a differenziarsi.
Il sistema linfoide associato alla cute e alle mucose costituisce un insieme di tessuti
linfoidi, APC e molecole effettrici specializzate che è localizzato al di sotto
dell’epitelio che riveste la cute e gli apparati gastrointestinale e respiratorio (es.
tonsille faringee e placche di Peyer).
6
Nel loro insieme, i recettori dell’immunità innata riconoscono probabilmente meno
di mille profili molecolari microbici; mentre la popolazione totale di linfociti si stima
possa riconoscere più di un miliardo di antigeni. I recettori nell’immunità innata
sono distribuiti in modo non clonale, vale a dire tutte le cellule simili, ad esempio i
macrofagi, esprimono recettori identici.
La risposta immunitaria innata può essere considerata come una serie di reazioni
che difendono l’organismo durante le seguenti fasi delle infezioni microbiche: nel
sito di ingresso dei microbi, nei tessuti, nel sangue, durante le infezioni virali.
7
Esso è in grado di avvertire la presenza di prodotti microbici e di sostanze che
indicano danno e morte tissutale (es. ATP, cristalli di acido urico, …), oltre alla
presenza di sostanze endogene depositate nei tessuti in quantità eccessive (es.
cristalli di colesterolo e acidi grassi liberi). In seguito al riconoscimento di questa
varietà di sostanze, l’NLRP-3 oligomerizza con una proteina adattatrice e una
forma inattiva dell’enzima caspasi-1. Questo enzima viene attivato e diviene in
grado di generare IL-1β biologicamente attiva (questa provocherà infiammazione
acuta e febbre). Questo complesso citosolico costituito da NLRP-3, una proteina
adattatrice e la caspasi-1 è noto come inflammosoma. Le mutazioni che
determinano un aumento della funzionalità delle componenti dell’inflammosoma
sono la causa di rare malattie chiamate sindromi autoinfiammatorie, caratterizzate
da processi infiammatori incontrollati e spontanei. L’inflammosoma è coinvolto in
patologie quali la gotta, l’aterosclerosi e il diabete di tipo 2 associato all’obesità.
Il recettore NOD-2 è un NLR specifico per i peptidi batterici che hanno raggiunto il
citosol.
Altri recettori → la famiglia dei recettori RIG-like (RLR) riconosce l’RNA virale.
I recettori lectinici (che riconoscono i carboidrati) possono essere specifici per i
glicani presenti sulle pareti dei funghi (sono chiamati dectine) e per i residui
terminali di mannosio (sono chiamati recettori per il mannosio). Questi recettori
sono coinvolti nella fagocitosi di funghi e batteri e nelle risposte infiammatorie verso
questi patogeni.
8
Fagociti
I due tipi di fagociti circolanti, i neutrofili e i monociti, sono cellule ematiche che
vengono reclutate al sito di infezione, dove riconoscono e ingeriscono i microbi che
verranno poi uccisi a livello intracellulare.
I neutrofili ( o leucociti polimorfonucleati PMN) sono i leucociti più abbondanti nel
sangue, presenti in numero di 4.000-10.000 per µL. La loro produzione, che aumenta
in risposta all’infezione, è stimolata da citochine, conosciute come fattori che
stimolano le colonie (CSF). I neutrofili costituiscono la prima linea di difesa contro le
infezioni, in particolare quelle batteriche e fungine, perciò rappresentano le cellule
principali dell’infiammazione acuta. Essi ingeriscono i microbi presenti nel torrente
ematico e rapidamente invadono i focolai infettivi nei tessuti extravascolari, dove
continuano a ingerire ed eliminare i microrganismi. I neutrofili sono anche reclutati
nei tessuti danneggiati privi di infezioni, dove provvedono all’eliminazione di detriti
cellulari. Il tempo di emivita dei neutrofili nei tessuti è di poche ore, per cui non
contribuiscono a difendere l’organismo per un tempo prolungato.
I monociti sono meno abbondanti dei neutrofili, essendo 500-1.000 per µL e
anch’essi sono in grado di ingerire i microbi presenti nel sangue e nei tessuti. I
monociti sopravvivono per lungo tempo nei tessuti extravascolari, dove si
differenziano in macrofagi. I monociti nel sangue e i macrofagi tissutali
rappresentano due stadi differenziativi dello stesso stipite cellulare, spesso chiamato
sistema dei fagociti mononucleati (è anche chiamato sistema reticoloendoteliale, ma
questa denominazione è impropria). I macrofagi residenti sono presenti nei tessuti
connettivi sani e in ogni organo del corpo. I macrofagi hanno molteplici ruoli
importanti nella difesa dell’ospite: producono citochine che iniziano e regolano il
processo infiammatorio, ingeriscono ed eliminano i microrganismi, rimuovono i
tessuti morti e iniziano il processo di riparo dei tessuti.
Le funzioni fagocitiche dei macrofagi sono mediate da recettori espressi sulla
superficie cellulare (es. recettore per il mannosio, recettori spazzino/scavenger,
recettori per gli anticorpi). I macrofagi svolgono anche funzioni effettrici importanti
nell’immunità adattativa.
9
I macrofagi possono essere attivati attraverso due vie distinte che portano
all’acquisizione di funzioni diverse. La via di attivazione classica dei macrofagi è
indotta da segnali immunitari innati, quali l’attivazione dei TLR e dalla citochina
IFN-γ. I macrofagi attivati secondo la via classica, detti anche M1, hanno il ruolo di
eliminare i microrganismi e di attivare l’infiammazione.
La via di attivazione alternativa dei macrofagi viene indotta dalle citochine IL-4 e
IL-13; questi macrofagi, chiamati M2, sembrano essere più importanti per il riparo
dei tessuti e per controllare il processo infiammatorio.
Cellule dendritiche
Le cellule dendritiche rispondono ai microbi producendo numerose citochine che
svolgono due funzioni principali: danno inizio all’infiammazione e stimolano le
risposte adattative. Esse rappresentano un importante collegamento tra l’immunità
innata e quella adattativa in quanto avvertono la presenza dei microrganismi e
interagiscono con i linfociti.
Mastociti
I mastociti sono cellule derivanti dal midollo osseo e localizzati nella cute e
nell’epitelio mucosale. Questi possono essere attivati da prodotti microbici che
legano i TLR oppure possono anche essere attivati mediante uno speciale
meccanismo dipendente da anticorpi. Essi presentano abbondanti granuli nel
citoplasma che contengono ammine vasoattive, quali l’istamina, che causano
vasodilatazione e aumentano la permeabilità capillare; contengono pure enzimi
proteolitici che possono uccidere batteri o inattivare le tossine.
I mastociti sintetizzano e secernono anche mediatori lipidici (prostaglandine) e
citochine (TNF-α) che stimolano l’infiammazione.
Cellule natural killer
Le cellule natural killer sono una classe di linfociti che riconosce e uccide le cellule
infettate e danneggiate e produce INF-γ, una citochina che attiva i macrofagi.
L’attivazione delle cellule NK innesca il rilascio delle proteine contenute nei loro
granuli citoplasmatici nello spazio extracellulare in modo direzionato verso le cellule
infettate.
10
Queste proteine sono in grado di penetrare nella cellula infettata e di attivare enzimi
che ne provocano la morte per apoptosi. Le cellule NK eliminano i serbatoi cellulari
degli agenti infettanti. Una volta attivate, queste cellule sintetizzano e secernono
anche INF-γ, una citochina che attiva i macrofagi aumentandone la capacità
microbicida verso i microbi fagocitati. Le citochine secrete dai macrofagi e dalle
cellule dendritiche, aumentano la capacità delle cellule NK di proteggere l’ospite
dalle infezioni. Tra le citochine note per attivare le cellule NK ricordiamo IL-15, IFN di
tipo I, e IL-12.
L’attivazione delle cellule NK è determinata da un bilanciamento tra l’attivazione dei
recettori attivatori e quelli inibitori. I recettori attivatori consentono alle NK di
riconoscere ed eliminare cellule infettate da microbi intracellulari, cellule tumorali e
quelle danneggiate irreversibilmente. Il riconoscimento delle cellule opsonizzate
dagli anticorpi determina la loro uccisione mediante un fenomeno chiamato
citotossicità cellulare mediata da anticorpi (ADCC), di cui le cellule NK sono i
principali mediatori. I recettori attivatori contengono nella loro coda citoplasmatica i
motivi ITAM; questi vengono fosforilati in seguito al legame del recettore con il
proprio agonista, dopo di che determinano, attraverso una cascata di trasduzione
del segnale, l’esocitosi dei granuli citotossici e la produzione di INF-γ.
I recettori inibitori delle cellule NK, sono recettori che bloccano il segnale innescato
dai recettori attivatori, sono specifici per le molecole MHC di classe I espresse dalla
maggior parte delle cellule nucleate sane. L’espressione delle molecole MHC di
classe I protegge quindi le cellule sane dall’azione citotossica delle NK. La coda
citoplasmatica di questi recettori presenta dei motivi ITIM che neutralizzano l’azione
degli ITAM e bloccano così l’attivazione delle cellule NK.
Altre classi di linfociti
Molteplici linfociti possono essere considerati parte del sistema dell’immunità
innata (linfociti Tγδ, presenti negli epiteli; linfociti NK-T localizzati negli epiteli e
negli organi linfoidi, linfociti B-1 presenti nella cavità peritoneale e nelle mucose e
responsabili della produzione degli anticorpi naturali IgM, linfociti B della zona
marginale presenti ai margini dei follicoli linfoidi nella milza).
11
Sistema del complemento
Il sistema del complemento è costituito da un insieme di proteine circolanti e
proteine associate alla membrana, importanti nella difesa contro i microbi.
L’attivazione del complemento coinvolge l’attivazione sequenziale di questi enzimi,
processo chiamato cascata enzimatica e che consente una rapida amplificazione del
processo stesso. La cascata del complemento può essere attivata attraverso tre vie:
- La via alternativa: è innescata quando alcune proteine del complemento sono
attivate sulla superficie microbica; una volta avviata, non può essere
controllata. Questa via si colloca quindi nell’ambito dell’immunità innata.
- La via classica: è per lo più innescata dopo il legame degli anticorpi ai microbi
o altri antigeni e fa quindi parte dell’immunità adattativa specifica di tipo
umorale.
- La via della lectina: è attivata quando una proteina plasmatica (la lectina) lega
il mannosio sulle glicoproteine dei microbi. Essa attiva le proteine della via
classica ma, poiché è innescata da un prodotto microbico direttamente in
assenza di anticorpi, essa è un elemento dell’immunità innata.
Il sistema del complemento svolge tre azioni principali nella difesa dell’ospite:
- Il C3b riveste i microbi e promuove il loro riconoscimento da parte dei fagociti;
il processo secondo il quale un microbo viene ricoperto da molecole che sono
riconosciute da specifici recettori espressi dai fagociti è chiamato
opsonizzazione.
- Il C5a e C3a, sono chemiotattici per i fagociti e promuovono il loro
reclutamento al sito di attivazione del complemento.
- L’attivazione del complemento culmina nella formazione di un complesso
polimerico di proteine che si inserisce nella membrana cellulare microbica,
interrompendone l’impermeabilità e causando la morte del microbo sia per
lisi osmotica sia per apoptosi.
Altre proteine plasmatiche
Altre proteine circolanti sono coinvolte nella difesa contro le infezioni: la lectina, che
lega il mannosio, è una proteina plasmatica che riconosce i carboidrati presenti sulla
superficie dei batteri.
12
Li può quindi rivestire promuovendone la fagocitosi o l’attivazione della cascata del
complemento. La proteina C reattiva (CRP) lega la fosforilcolina presente sulla
superficie dei microbi, favorendone la fagocitosi. Essa può anche attivare proteine
della via classica del complemento.
I livelli circolanti di molte di queste proteine plasmatiche aumentano rapidamente in
seguito all’infezione. Questa risposta protettiva indotta dall’infezione è chiamata
risposta della fase acuta.
13
Risposte dell’immunità innata
Le principali azioni del sistema immunitario innato che sono efficaci
nell’eliminazione dei microrganismi sono le risposte infiammatorie acute e i
meccanismi di difesa antivirali.
Infiammazione
Il processo infiammatorio consiste di una sequenza di molteplici eventi i quali
includono: il reclutamento di cellule e la fuoriuscita di proteine plasmatiche
attraverso i capillari sanguigni, l’ingestione di microbi e detriti cellulari da parte dei
fagociti e l’eliminazione di queste sostanze potenzialmente pericolose.
Se un agente patogeno viola un epitelio ed entra nel tessuto subepiteliale, i
macrofagi residenti, insieme ad altre cellule, riconoscono il microbo e rispondono
con la produzione di citochine. Tra queste, TNF e IL-1 agiscono localmente sulle
cellule endoteliali delle venule vicino al sito di infezione, stimolando la rapida
espressione di due molecole di adesione della famiglia delle selectine.
I neutrofili e i monociti circolanti esprimono carboidrati di superficie che legano
debolmente le selectine. I neutrofili si legano all’endotelio, il flusso sanguigno scinde
questo legame, che si riforma più a valle, e così via, producendo il rotolamento
(rolling) dei leucociti sulla superficie endoteliale.
I leucociti esprimono, come molecole di adesione, anche le integrine. Queste si
trovano in uno stato di bassa affinità per quanto riguarda i leucociti non attivati.
Nel sito di infezione, i macrofagi tissutali e le cellule endoteliali producono
chemochine che legano delle glicoproteine nella superficie luminale delle cellule
endoteliali venendo quindi esposte ad elevate concentrazioni, ai leucociti. Queste
chemochine inducono un rapido aumento nell’affinità delle integrine espresse dai
leucociti per i loro ligandi presenti sull’endotelio. Nello stesso tempo, TNF e IL-1
agiscono sull’endotelio stimolando l’espressione dei ligandi per le integrine.
L’adesione stabile delle integrine ai loro ligandi arresta il rotolamento dei leucociti.
Le cellule si appiattiscono sulla superficie dell’endotelio ed iniziano a migrare a
livello delle giunzioni tra le cellule endoteliali, seguendo il gradiente di
concentrazione delle chemochine verso la sede dell’infezione.
14
Deficit ereditari dei ligandi delle integrine e delle selectine sono causa di un
reclutamento leucocitario difettivo e di una maggiore suscettibilità alle infezioni;
questi disordini sono chiamati Sindrome da Deficit di adesione leucocitaria (LAD).
La fagocitosi è un processo di ingestione di particelle di diametro superiore a 0,5µm.
Inizia con il legame del microbo ai recettori di membrana. I microbi opsonizzati con
gli anticorpi e con componenti del complemento, aumentano moltissimo l’efficienza
di internalizzazione. Il legame del microbo alla cellula è seguito dall’estensione della
membrana plasmatica attorno al microbo stesso.
La membrana genera quindi una vescicola intracellulare, detta fagosoma, che
contiene il microbo. La fusione dei fagosomi con i lisosomi porta alla formazione dei
fagolisosomi. Il legame del microbo con i recettori fagocitici fa partire dei segnali che
attivano vari enzimi all’interno del fagolisosoma. Tra questi ricordiamo l’ossidasi
fagocitica, che converte l’ossigeno molecolare in anione superossido e radicali liberi,
processo chiamato ‘’burst ossidativo’’; sintetasi inducibile del monossido di azoto
(iNOS) che produce NO, altra sostanza microbicida; infine, le proteasi lisosomiali
degradano le proteine microbiche.
I deficit ereditari dell’ossidasi fagocitica sono responsabili dell’immunodeficienza
chiamata malattia granulomatosa cronica (CGD), caratterizzata da granulomi.
Oltre ai meccanismi intracellulari, i neutrofili possono usare anche altri sistemi per
uccidere i microbi. Essi possono infatti rilasciare il contenuto antimicrobico dei
granuli nell’ambiente extracellulare. I PMN inoltre muoiono dopo l’incontro dei
microbi e in risposta ai mediatori dell’infiammazione, estrudendo il loro contenuto
nucleare a formare delle reti di istoni, chiamate trappole extracellulari dei neutrofili
(NET) dove intrappolano batteri e funghi e li uccidono.
Difese antivirali
Gli interferoni di tipo I interferiscono con l’infezione e la replicazione virale,
fenomeno chiamato stato antivirale. Gli INF di tipo I comprendono molteplici forme
di IFN-α e una forma di INF-β; la fonte principale di queste citochine è
rappresentata da cellule dendritiche plasmacitoidi.
15
Gli INF di tipo I, legano i loro recettori espressi dalle cellule vicine non infettate e
attivano delle vie di trasduzione del segnale che portano all’inibizione della
replicazione dei virus e alla distruzione del loro genoma. Inoltre, gli INF di tipo I
aumentano la capacità delle cellule NK di uccidere le cellule infettate.
16
Cattura e presentazione dell’antigene ai linfociti Pag. 51
Antigeni riconosciuti da linfociti T
La maggior parte dei linfociti T riconosce antigeni peptidici presentati da molecole
del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC) espresse da cellule specializzate
nella presentazione dell’antigene (APC). I diversi cloni di linfociti T CD4+ e CD8+
possono riconoscere i peptidi solo se questi sono associati a molecole MHC self,
proprietà definita restrizione per MHC.
Il recettore del linfocita T riconosce simultaneamente sia i residui dell’antigene
peptidico sia i residui della molecola MHC.
Gli antigeni proteici di origine microbica che riescono a entrare nell’organismo
(attraverso cute, tratto gastrointestinale, tratto respiratorio, iniezione sanguigna,
tratto genito-urinario) vengono in massima parte catturati dalle cellule dendritiche e
concentrati negli organi linfoidi secondari, dove ha luogo l’innesco delle risposte
immuni. Tutte le interfacce poste tra l’organismo e l’ambiente esterno sono rivestite
da epiteli continui: gli epiteli e i tessuti sotto-epiteliali contengono una rete di cellule
dendritiche.
Esistono due tipi principali di cellule dendritiche: convenzionali e plasmacitoidi.
La maggior parte delle cellule dendritiche presenti nei tessuti e negli organi linfoidi è
convenzionale. Nella cute le cellule dendritiche prendono il nome di cellule di
Langerhans. Le cellule dendritiche plasmacitoidi sono presenti nel sangue e nei
tessuti e rappresentano la principale fonte di interferoni di tipo I durante la risposta
innata antivirale.
Per legare i microbi, le cellule dendritiche utilizzano diversi recettori di membrana
(es. recettori lectinici); i microbi entrano poi nelle cellule mediante endocitosi
recettore-dipendente, alcuni antigeni solubili possono entrare per pinocitosi .
Contemporaneamente, i prodotti microbici stimolano le risposte immunitarie innate
legandosi ai recettori Toll- like e ad altri sensori microbici espressi da cellule
dendritiche, cellule parenchimali e macrofagi residenti nei tessuti. Ciò induce la
produzione di citochine infiammatorie (TNF, IL-1). L’insieme dei segnali dei TLR e
citochine attiva le cellule dendritiche, determinando cambiamenti sia nel loro
fenotipo sia nella funzione.
17
Queste cellule attivate perdono quindi adesività per gli epiteli e cominciano ad
esprimere il recettore di membrana CCR7, specifico per chemochine prodotte
dall’endotelio linfatico e da cellule stromali presenti nelle zone T dei linfonodi.
Le cellule dendritiche fuoriescono quindi dall’epitelio e migrano, attraverso i vasi
linfatici, fino ai linfonodi drenanti regionali. Durante il processo di migrazione si
trasformano in APC, aumentando la sintesi e l’emivita delle molecole MHC di
membrana e di molecole costimolatorie, necessarie per la completa attivazione dei
linfociti T.
Gli antigeni presenti nella linfa in forma solubile sono catturati dalle cellule
dendritiche che risiedono nei linfonodi, mentre quelle ematici dalle cellule
dendritiche che risiedono nella milza.
Le cellule dendritiche sono le APC più potenti nell’attivazione dei linfociti T naive.
Altri importanti tipi di cellule APC sono: i macrofagi (abbondanti in ogni tessuto,
presentano gli antigeni ai linfociti T effettori che rendono, a loro volta, i macrofagi
più efficienti nell’uccisione dei microbi), i linfociti B (catturano gli antigeni proteici
per presentarli ai linfociti T helper all’interno dei tessuti linfoidi e sviluppare le
risposte umorali).
18
antigeni proteici microbici a linfociti T specifici per quegli antigeni.
Le proteine MHC umane sono chiamate antigeni leucocitari umani (Human
Leukocyte Antigen, HLA).
Struttura delle molecole MHC
Le molecole MHC di classe I e II sono proteine di membrana caratterizzate dalla
presenza di una ‘’tasca’’ di legame per il peptide alla loro estremità
ammino-terminale.
Ciascuna molecola MHC di classe I è composta da una catena α, unita in maniera
non covalente a una proteina chiamata β2-microglobulina. Le porzioni ammino
terminali dei domini α1 e α2 delle molecole MHC di classe I formano una tasca
per ospitare peptidi (i residui polimorfici delle molecole di classe I, cioè gli
amminoacidi variabili, si trovano nei domini α1 e α2 e determinano le proprietà
di legame del peptide).
Il dominio α3 è invariante e contiene i siti di legame per il corecettore CD8, ma non
per il CD4. I linfociti T CD8+ si attivano quindi solo dopo il riconoscimento di peptidi
presentati da molecole MHC di classe I.
Ciascuna molecola MHC di classe II è composta da due catene, chiamate α e β.
Le regioni ammino terminali di ciascuna catena, chiamate domini α1 e β1,
contengono residui polimorfici e formano una tasca per accogliere i peptidi.
Il dominio non polimorfo β2 contiene il sito di legame per il corecettore CD4. I
linfociti T CD4+ potranno quindi rispondere solamente a peptidi presentati da
molecole MHC di classe II.
Proprietà dei geni e delle proteine dell’MHC
I geni dell’MHC sono altamente polimorfici. I loro principali prodotti sono le
molecole MHC di classe I e II, le quali contengono tasche per il legame del peptide,
dove si concentrano i residui polimorfici, e regioni invarianti che legano
rispettivamente i corecettori CD8 e CD4.
I geni per MHC sono espressi in maniera codominante, ovvero vengono espressi in
uguale misura entrambi gli alleli ereditati dai due genitori. In questo modo avremo la
19
presenza di un maggior numero di differenti molecole di MHC che possono
presentare peptidi ai linfociti T.
Esistono tre geni polimorfici di classe I, nell’uomo sono: HLA-A, HLA-B e HLA-C.
Poichè ciascun individuo ne eredita una serie da ciascun genitore, ogni cellula potrà
esprimere sei differenti molecole di classe I.
Nel locus di classe II, ciascun individuo eredita da ciascun genitore un paio di geni
HLA-DP, un paio di geni HLA-DQ, un gene HLA-DRα e uno o due geni HLA-DRβ. Il
polimorfismo risiede nelle catene β. Perciò, un individuo eterozigote può ereditare
sei o otto alleli MHC di classe II, tre o quattro da ciascun genitore.
L’insieme degli alle MHC presenti su ciascun cromosoma viene detto aplotipo MHC.
I geni MHC sono altamente polimorfici, ovvero in una popolazione sono presenti
molti alleli diversi. Ciò garantisce che individui diversi possano presentare e
rispondere a peptidi microbici diversi. Queste differenti varianti polimorfiche sono
ereditate e non generate de novo nell’individuo per ricombinazione somatica (come
avviene invece per i geni dei recettori per gli antigeni).
Le molecole di classe I sono espresse da tutte le cellule nucleate, mentre le molecole
di classe II sono espresse principalmente da cellule dendritiche, macrofagi e linfociti
B (APC).
Legame del peptide alle molecole MHC
La tasca di legame del peptide delle molecole MHC lega peptidi derivati da antigeni
proteici e mostra questi peptidi affinchè vengano riconosciuti dai linfociti T. Sulla
base della tasca sono presenti alcuni amminoacidi, detti residui di ancoraggio, che
ancorano l’antigene alla tasca suddetta.
Ciascuna molecola MHC è capace di presentare molti peptidi diversi (ma non tutti
quelli possibili), ma solo uno alla volta, poichè possiede un’unica tasca di legame.
Le molecole MHC legano solo antigeni di natura proteica, solo le proteine
possiedono infatti le caratteristiche strutturali e di carica che permettono il legame
alle tasche delle molecole MHC. Ne consegue che i linfociti T ristretti per MHC
potranno riconoscere solo antigeni proteici.
20
Le molecole MHC per essere stabili devono assemblare sia le loro catene sia il
peptide; solo molecole MHC associate ad un peptide sono espresse in maniera
stabile sulla superficie cellulare. Questo requisito di presenza del peptide assicura
l’espressione di membrana soltanto di molecole MHC utili e in grado di essere
riconosciute dai linfociti T. La lenta cinetica di dissociazione assicura un’esposizione
sufficientemente lunga del peptide e massimizza la possibilità di riconoscimento e
attivazione del linfocita T specifico.
In ciascun individuo, le molecole MHC possono legare peptidi derivati sia da proteine
self sia da proteine estranee. Nonostante questo le molecole MHC vengono
sintetizzate continuamente e sono quindi pronte a legare nuovi peptidi (non
vengono quindi saturate solo da quelli self). Inoltre anche pochissime molecole MHC
caricate con un peptide estraneo possono essere sufficienti per iniziare una risposta
immunitaria. Infine il fatto che, nonostante le molecole MHC presentino
continuamente peptidi self, noi non sviluppiamo risposte contro questi antigeni è
dovuto all’inattivazione precoce dei linfociti T specifici per antigeni self.
MHC di classe II
I principali passaggi della presentazione dei peptidi da parte di molecole MHC di
classe II sono:
1. Ingestione dell’antigene;
2. Degradazione proteolitica dell’antigene;
3. Associazione con molecole di classe II;
Le cellule dendritiche e i macrofagi possono internalizzare microbi extracellulari o
proteine microbiche attraverso fagocitosi, endocitosi mediata da recettori e
21
pinocitosi. I microbi possono legarsi direttamente a recettori di superficie specifici,
o indirettamente a recettori che riconoscono anticorpi o prodotti derivati
dall’attivazione del complemento.
Dopo essere state internalizzate dalle APC, le proteine microbiche entrano nelle
vescicole acidiche intracellulari, chiamate endosomi o fagosomi, le quali possono
fondersi con i lisosomi. Qui, le proteine sono tagliate dagli enzimi proteolitici,
generando così molti peptidi di lunghezza e sequenza variabili.
Le APC che esprimono MHC di classe II sintetizzano continuamente queste molecole
nel reticolo endoplasmatico (RE). Ciascuna molecola di classe II neosintetizzata è
associata a una proteina chiamata catena invariante (Ii), la quale è saldamente
associata alla tasca di legame del peptide della molecola stessa. In questo modo la
tasca della molecola neosintetizzata risulta occupata e perciò, nel RE, non può legare
i peptidi destinati alle molecole di classe I.
La molecola di classe II, associata alla sua Ii, viene quindi inviata alle vescicole
tardo-endosomiali/lisosomiali contenenti i peptidi derivati dalla digestione delle
proteine extracellulari precedentemente inglobate. A questo punto, la molecola di
classe II lega saldamente uno dei peptidi e il complesso MHC-peptide diventa stabile
e viene trasportato in membrana. Una molecola MHC che non abbia trovato un
peptide da legare, diventa instabile e come tale viene degradata.
MHC di classe I
I principali passaggi comprendono:
1. Produzione di antigeni nel citoplasma o nel nucleo;
2. Proteolisi degli antigeni da parte di organelli specializzati;
3. Trasporto nel RE;
4. Legame alle molecole di classe I neosintetizzate;
Gli antigeni proteici possono essere prodotti nel citoplasma a partire da: virus che
vivono all’interno delle cellule, microbi fagocitati e fuoriusciti dalle vescicole
citoplasmatiche e geni self mutati codificanti per proteine alterate.
22
Tutte queste proteine sono degradate mediante proteolisi attraverso la via
ubiquitina-proteasoma. Il proteasoma rappresenta un organello nel quale enzimi
proteolitici degradano le proteine non correttamente ripiegate.
Il trasportatore associato con la processazione dell’antigene (TAP) è localizzato nella
membrana del RE. Il TAP lega i peptidi generati dal proteasoma sul versante
citosolico della membrana del RE e li pompa attivamente verso il suo interno. Le
molecole MHC di classe I neosintetizzate sono associate a una proteina ‘’ponte’’
chiamata tapasina che le lega alle molecole TAP presenti nella membrana del RE.
Non appena i peptidi arrivano nel RE possono quindi essere catturati dalle molecole
di classe I ancora vuote.
Se una molecola di classe I trova un peptide adatto, il complesso viene stabilizzato,
rilasciato dalla sua associazione con TAP e trasportato alla superficie cellulare.
Attraverso l’inibizione della via dell’MHC di classe I, i virus inibiscono la
presentazione dei propri antigeni ai linfociti T CD8+ e, in questo modo, eludono la
risposta immunitaria adattativa. Queste strategie sono parzialmente
controbilanciate dalla capacità delle cellule natural killer, appartenenti all’immunità
innata, di riconoscere e uccidere cellule infettate che abbiano perso l’espressione di
molecole MHC di classe I.
Cross - presentazione
Normalmente le proteine internalizzate vengono presentate ai linfociti T CD4+ dalle
molecole MHC di classe II. Tuttavia, le cellule dendritiche possono inglobare cellule
infettate da virus e presentare gli antigeni virali, montati su molecole MHC di classe
I, ai linfociti T CD8+. In questo modo, gli antigeni provenienti dalla cellula infettata
possono essere presentati e riconosciuti dai linfociti T CD8+. Tale processo viene
chiamato presentazione crociata (o cross presentazione, o cross priming). Le cellule
dendritiche che hanno ingerito cellule infettate possono anche
contemporaneamente presentare gli antigeni microbici ai linfociti T CD4+ helper.
23
Significato fisiologico della presentazione dell’antigene associato a MHC
La restrizione del riconoscimento di peptidi associati a MHC assicura che i linfociti T
riconoscano e rispondano solo ad antigeni associati alle cellule. Grazie alla
segregazione delle vie di processazione dell’antigene, il sistema immunitario è in
grado di rispondere diversamente ai microbi extracellulari e intracellulari, mettendo
in atto le strategie più appropriate per difendere contro ciascun tipo di microbo.
I peptidi associati alla classe II sono riconosciuti dai linfociti T CD4+; questi
funzionano da cellule di supporto stimolando i linfociti B a produrre anticorpi e i
fagociti a uccidere i microbi ingeriti (meccanismi effettori più adatti a eliminare i
microbi dall’ambiente extracellulare).
I peptidi associati alla classe I sono riconosciuti dai linfociti T CD8+, i quali si
differenziano in CTL rappresentando il principale meccanismo di eliminazione dei
microbi citoplasmatici.
I requisiti strutturali del legame peptide-MHC, quali per esempio lunghezza e
presenza di residui di ancoraggio, rendono ragione dell’immunodominanza di alcuni
peptidi derivati da antigeni proteici complessi e dell’incapacità di alcuni individui di
rispondere a determinati antigeni proteici. Quando una proteina viene degradata
proteoliticamente all’interno delle APC ne derivano numerosi peptidi, ma solo alcuni
potranno legarsi alle molecole di MHC ed essere quindi riconosciuti dai linfociti T.
Questi peptidi in grado di legare le molecole MHC sono detti peptidi
immunodominanti di un determinato antigene.
Allo stesso modo il polimorfismo rende anche ragione del fatto che alcuni individui
potrebbero esprimere molecole incapaci di legare qualunque peptide derivato da un
particolare antigene, risultando così incapaci di rispondere a quell’antigene.
Le cellule presentanti l’antigene non solo presentano i peptidi per il riconoscimento
da parte dei linfociti T ma, in risposta ai microbi, esprimono anche segnali
addizionali necessari per la loro attivazione.
24
I linfociti B usano anticorpi di membrana per riconoscere un’ampia varietà di
antigeni, tra cui proteine, polisaccaridi, lipidi e piccole sostanze chimiche. Questi
antigeni possono essere espressi sulle superfici microbiche o possono essere solubili.
Sia il recettore per l’antigene dei linfociti B sia gli anticorpi secreti riconoscono gli
antigeni nella loro conformazione nativa, senza alcun bisogno di processazione, o
presentazione da parte di un sistema specializzato.
Macrofagi e cellule dendritiche possono catturare gli antigeni e presentarli in forma
non processata ai linfociti B nei follicoli. I follicoli linfoidi ricchi di linfociti B dei
linfonodi e della milza contengono una popolazione di cellule chiamate cellule
dendritiche follicolari (FDC), la cui funzione è presentare antigeni ai linfociti B
attivati. Gli antigeni presentati dalle FDC sono ricoperti da anticorpi (le APC ne
legano l’estremità Fc) o da prodotti del complemento.
25
I recettori per l’antigene dei linfociti B e T riconoscono strutture chimicamente
differenti:
- Gli anticorpi di membrana riconoscono sia intere macromolecole organiche
(carboidrati, a. nucleici, lipidi e proteine) sia piccoli gruppi chimici, quindi
possono riconoscere microbi e tossine nella loro forma nativa.
- I linfociti T invece riconoscono esclusivamente peptidi presentati da proteine di
membrana codificate dal MHC, quindi solo componenti microbiche che sono
associate alle cellule.
I recettori per l’antigene sono costituiti da due porzioni: regioni variabili che sono
deputate al riconoscimento dell’antigene e sono diverse nei vari cloni linfocitari; e
regioni costanti che sono responsabili dell’integrità strutturale e delle funzioni
effettrici e sono maggiormente conservate tra i vari cloni.
All’interno delle regioni variabili esistono brevi sequenze che presentano una
maggiore variabilità; sono chiamate regioni ipervariabili o regioni determinanti la
complementarietà e rappresentano le porzioni del recettore che legano l’antigene
(in quanto complementari alla struttura antigenica).
Le catene recettoriali sono associate a proteine di membrana invarianti, la cui
funzione è trasmettere i segnali intracellulare generati dal riconoscimento
dell’antigene. Le due funzioni principali dei recettori per l’antigene, ovvero
riconoscimento specifico e trasduzione del segnale, sono svolte da proteine diverse.
L’insieme costituito da recettore più molecole di trasduzione è definito:
● BCR “complesso del recettore per le cellule B” (nei linfociti B)
● TCR “ complesso del recettore per le cellule T” (nei linfociti T)
Quando più recettori adiacenti si legano agli antigeni, in un processo noto come
cross-linking questi si assemblano a formare un aggregato per avvicinare le proteine
deputate alla trasduzione, innescando così quella cascata di segnali che culmina con
l’espressione di numerosi geni coinvolti nelle risposte leucocitarie.
26
Gli anticorpi esistono in una forma di membrana e in una forma secreta, i TCR invece
solo in una forma di membrana.
Gli anticorpi svolgono funzioni diverse nei diversi stadi della risposta umorale:
1. Sulla membrana dei linfociti B danno inizio alla risposta immunitaria tramite il
riconoscimento dell’antigene;
2. Una volta secreti, neutralizzano ed eliminano microbi e tossine;
Al contrario, i TCR possono solo riconoscere l’antigene e attivare il linfocita ma non
partecipano a funzioni effettrici e non possono essere secreti.
Anticorpi
Un anticorpo è una molecola composta da 4 catene polipeptidiche, ciascuna delle
quali contiene una porzione variabile e una costante:
● 2 catene pesanti H (Heavy) → composte da 1 dominio V e 3/4 domini C
● 2 catene leggere L (Light) → composte da 1 dominio V e 1 dominio C
Ciascuno di questi domini è composto da
ripiegamenti particolari, come delle piccole
anse costituite da due strati di foglietti Beta
tenute insieme da ponti disolfuro. Le quattro
catene sono assemblate a formare una
molecola a forma di ‘’Y’’.
Nelle regioni variabili delle catene pesanti
V(H) e delle catene leggere V(L) sono presenti
3 domini ipervariabili o CDR. Di queste, quella
che contribuisce maggiormente al legame
dell’antigene è CDR3, localizzata alla
27
giunzione tra C e V e caratterizzata dalla massima variabilità.
Dal punto di vista funzionale invece, nell’anticorpo si possono distinguere due
porzioni:
● Fab x2 (Fragment Antigen Binding) costituito dal dominio V e l’adiacente
dominio C di ogni catena, contiene la porzione necessaria per il
riconoscimento dell’antigene (corrisponde alle intere catene leggere e a
‘’metà ‘’ di quelle pesanti).
● Fc (Fragment Costant), costituito dagli altri due domini C delle catene pesanti
e responsabile della maggior parte delle attività biologiche e delle funzioni
effettrici.
Nella maggior parte degli anticorpi tra Fab e Fc c’è una porzione flessibile chiamata
“regione cerniera” che consente alle due Fab di muoversi indipendentemente e
accogliere meglio l’antigene.
La regione C terminale di Fc può terminare ancorata alla membrana nel caso dei
recettori dei linfociti B o può essere una coda libera nel caso delle Ig secrete.
Esistono:
★ 2 tipi di catene leggere: 𝞳 e 𝞴 (differiscono nelle regioni C e ogni
linfocita B ne esprime solo una)
★ 5 tipi di catene pesanti: 𝞵, 𝞭, 𝞬, 𝞮, 𝞪
queste si possono combinare in tutti i modi. In base alla tipologia di catena pesante
gli anticorpi sono divisi in “classi” o “isotipi” : IgM, I gD, IgG, I gE e I gA.
I recettori sui linfociti B naive sono solo IgM e IgD. Dopo il contatto con l’antigene,
con il contributo dei linfociti T helper, una parte dei linfociti B può sercernere IgM,
ma un’altra parte attua uno scambio isotipico di classe (o della catena pesante): per
cui diventa capace di secernere anticorpi appartenenti anche agli altri isotopi.
Tuttavia, questo scambio coinvolge solo le catene pesanti, le regioni V non cambiano
e l’anticorpo mantiene quindi la sua specificità.
Gli anticorpi legano gli antigeni attraverso interazioni reversibili non covalenti.
Le porzioni dell’antigene riconosciute dalle Ig sono dette epitopi, o determinanti.
28
Questi possono essere riconosciuti per la loro sequenza (epitopi lineari) o per la loro
forma (epitopi conformazionali) .
Affinità dell’interazione= forza con cui la superficie di legame con l’antigene si lega
all’epitopo (spesso espressa in termini di costante di dissociazione, Kd). In seguito a
stimolazioni ripetute si ha un aumento nella forza di legame che prende il nome di
maturazione dell’affinità.
Ciascuna molecola IgG, IgD e IgE possiede due siti di legame per l’antigene; le IgA
secrete ne hanno 4 e le IgM secrete ne hanno 10.
Avidità dell’interazione= forza totale di legame, molto superiore all’affinità.
La cross-reattività è il fenomeno per cui è possibile che anticorpi diretti verso un
antigene si riescano a legare anche ad altri antigeni simili.
Nei linfociti B, le molecole Ig di membrana sono associate in maniera non covalente
a due altre proteine, chiamate Igα e Igβ , che completano il complesso del BCR.
Ciascun clone B produce anticorpi monoclonali. Per produrli è possibile far fondere
il linfocita B di un animale immunizzato contro un antigene con cellule di un
mieloma, ottenendo così degli ibridomi in grado di produrre anticorpi e proliferare
indefinitivamente. Per sopperire ai problemi di rigetto e inattivazione dovuti alla
presenza di anticorpi monoclonali murini si possono produrre adesso degli anticorpi
umanizzati, sostituendo a delle Ig umane qualsiasi solamente le regioni V
dell’anticorpo murino desiderato.
29
elmintici
Il 5-10% dei linfociti T invece che α e β esprime nella sua struttura altre due
catene: 𝞬 e 𝞭; parleremo di linfocitiɣ . Avendo differenti catene hanno anche
diverse specificità e riconoscono antigeni proteici e non proteici generalmente non
associati a MHC classiche.
Meno del 5% sono invece i linfociti T Natural Killer che pur esprimendo un TRC𝞪𝞫
riconoscono antigeni lipidici montati su molecole non polimorfiche simili a MHC di
classe I.
30
Per l’attivazione dei linfociti T, inoltre, è necessario che i corecettori CD4 e CD8 siano
ingaggiati da porzioni non polimorfiche delle molecole MHC.
Ricapitolando:
● Anticorpi: alta affinità, legano ampia varietà di antigeni;
● TCR: bassa affinità, ristretto spettro di antigeni;
Proprio perchè l’affinità del TCR è bassa, per attivare i linfociti il legame tra linfociti T
e APC deve essere rinforzato dalla presenza di molecole di adesione di membrana.
31
E’ possibile generare un repertorio diversificato di 10^9-10^11 recettori, di gran
lunga superiore al numero di geni codificanti, grazie ad un processo definito
“ricombinazione somatica dei segmenti genici codificanti per le regioni variabili”.
I loci per le catene leggere e pesanti delle Ig e per le catene α e β del TCR,
contengono:
● numerosi geni per le regioni variabili V
● uno o pochi geni per le regioni costanti C
Questi sono separati da numerose sequenze nucleotidiche di collegamento
● Joining (J)
● Diversity (D) (presente solo nei loci x catene pesanti di Ig e catene 𝞫 di TCR)
La ricombinazione somatica dei segmenti genici V e J (in catene leggere e 𝞪) o dei
segmenti V, J e D (in catene pesanti e 𝞫) è mediata da un gruppo di enzimi chiamati
collettivamente ricombinasi VDJ che avvicinano due segmenti di DNA e li tagliano in
siti specifici. Le rotture vengono poi riparate dalle ligasi che produrranno differenti
geni ricombinati V-J o V-D-J, privi dei segmenti di DNA interposti.
Si è prodotta quindi una “diversità combinatoriale” dovuta alle diverse combinazioni
di segmenti genici.
Un’ ulteriore differenziazione è dovuta alla “diversità giunzionale”, ovvero
all’introduzione di cambiamenti nelle sequenze nucleotidiche a livello di giunzioni
tra segmenti V,D, J. Questo fenomeno deriva da tre diversi processi, ciascuno dei
quali contribuisce ad aumentare la variabilità delle sequenze rispetto alla linea
germinativa:
1. alcuni enzimi esonucleasi sono capaci di rimuovere nucleotidi dai segmenti
genici V,D, J, generando una maggiore variabilità;
2. un enzima linfocita-specifico “TdT” (desossinucleotidil transferasi terminale)
catalizza l’aggiunta casuale di nucleotidi ai siti di ricombinazione V(D)J,
formando le cosiddette regioni “N”;
3. prima che le rotture di DNA siano riparate, si possono generare sequenze di
DNA sporgenti, che vengono riempite da “nucleotidi P” aggiungendo ulteriore
variabilità ai siti di ricombinazione.
32
Poichè queste sequenze giunzionali VDJ codificano per l’ansa CDR3, la più
importante per il riconoscimento dell’antigene, avremo la massima variabilità nelle
regioni CDR3.
Ovviamente vengono prodotti anche numerosi geni non funzionali che verranno
selezionati negativamente e scartati in uno dei tanti punti di controllo di questo
processo.
33
● stimola la ricombinazione del locus della catena leggera, prima 𝝹
e poi 𝝺.
4. Linfocita B immaturo: viene espressa anche una catena leggera tra 𝞳 o 𝞴, che
viene associata con la catena 𝞵 per formare il recettore per l’antigene completo,
ovvero una IgM di membrana (cioè 𝞵+ catena leggera).
5. Linfocita B maturo: si assiste alla necessaria coespressione di IgM e IgD.
La capacità di rispondere agli antigeni dei linfociti B si sviluppa insieme alla
coespressione di IgM e IgD, ma non si sa perchè entrambe le classi dei recettori
siano necessarie.
Il repertorio dei linfociti viene modellato durante la “selezione negativa”. In questo
processo se un linfocita B maturo lega con alta affinità un antigene presente nel
midollo osseo, l’ulteriore maturazione viene fermata e questo può o andare in
apoptosi o riattivare la ricombinasi per generare una seconda catena leggera e
cambiare così la specificità del recettore (editing recettoriale).
34
→ quelli che non riconoscono MHC non sopravvivono;
→ chi riconosce MHC di classe I mantiene CD8 e perde CD4;
→ chi riconosce MHC di classe II perde CD8 e mantiene CD4;
● Linfocita T singolo-positivo: va in contro ad una selezione negativa
che manda in apoptosi i linfociti che legano troppo fortemente i
peptidi self del timo.
● Linfocita T maturo
35
Per poter svolgere la loro funzione i linfociti T devono interagire con altre cellule
dell’ospite, infatti:
“i linfociti T possono reagire solo nei confronti di antigeni associati ad altre cellule”.
36
Riconoscimento e costimolazione dell’antigene
Per poter attivare il linfocita T (qualsiasi tipo esso sia), sono necessari molteplici
segnali:
● Riconoscimento complesso peptide-MHC (su APC)→ da parte del TCR (su
linfociti T);
● Riconoscimento MHC classe I o II → da corecettori CD8 o CD4 (su linfociti T);
+ molecole accessorie:
❏ molecole di adesione: x stabilizzare legame linfocita T- APC *;
❏ legame tra recettori per i costimolatori (su linf. T) e segnali
biochimici elaborati dalle APC durante la risposta innata.
Il recettore per l’antigene delle cellule T (TCR) e i corecettori CD4 o CD8 riconoscono
insieme il complesso formato dal peptide antigenico e l’MHC espresso dalle APC;
questo riconoscimento costituisce il primo segnale (scatenante) per l’attivazione dei
linfociti T.
Il TCR di un linfocita antigene-specifico riconosce simultaneamente sia il peptide sia i
residui amminoacidici dell’MHC che costituiscono la tasca di legame dell’antigene.
Nel momento in cui il TCR sta riconoscendo il complesso peptide-MHC, CD4 o CD8
riconosce, rispettivamente, le molecole MHC di classe II o I. Ciò avviene in regioni
dell’MHC distinte dalla tasca di legame del peptide. In questo modo peptidi derivati
da parassiti intracellulari vengono presentati a linfociti CD8 da MHC di classe I,
37
mentre antigeni microbici extracellulari, dopo essere stati internalizzati, vengono
presentati ai linfociti CD4 da MHC II.
La specificità di CD4 e CD8 per le due diverse classi di meccanismi di processamento
degli antigeni a livello vescicolare e citoplasmatico assicurano che il linfocita T
“adeguato” risponda ai diversi microrganismi.
Per riuscire ad attivare la risposta immunitaria, due o più TCR e i rispettivi
corecettori devono essere attivati contemporaneamente su un linfocita T. Infatti
solo l’aggregazione di diversi TCR e corecettori riesce a innescare un’appropriata
cascata di segnali biochimici intracellulari. Inoltre un linfocita T deve rimanere legato
almeno per diversi minuti ad un APC, oppure deve legare lo stesso complesso
ripetutamente.
Le strutture recettoriali elencate sopra sono quelle deputate solo al riconoscimento
dell’antigene e sono dotate di variabilità strutturale.
La funzione di trasduzione del segnale invece è delegata ad altre due strutture
accoppiate al TCR, non dotate di variabilità strutturale, capaci di generare segnali
biochimici stereotipati in grado di attivare la cellula:
● CD3 (un complesso di 3 proteine);
● catena 𝛇 .
Queste strutture insieme formano il:
“Complesso del TCR” = TCR + (CD3 + catena 𝛇)
In questo complesso la funzione di riconoscimento dell’antigene è svolta dalle
catene variabili 𝞪 e 𝜷 del TCR, mentre la funzione stereotipata di trasduzione del
segnale è svolta da CD3 e dalla catena 𝛇 associate al TCR.
38
Pertanto per indurre una risposta immunitaria efficiente il legame con l’APC deve
essere stabilizzato sufficientemente a lungo da molecole di adesione espresse dai
linfociti T, così da consentire la trasduzione del segnale.
Le molecole di adesione più importanti presenti sui linfociti T sono le:
integrine (come LFA-1) ------> legano ICAM-1 sulle APC
Normalmente le integrine LFA-1 sono espresse in uno stato di bassa affinità, ma le
chemochine prodotte durante le risposte innate portano ad un aumento della loro
affinità e della loro tendenza ad aggregarsi, di conseguenza il linfocita legherà
meglio le APC. Anche dopo aver riconosciuto l’antigene aumenta l’affinità
dell’integrina del linfocita.
Le integrine sono coinvolte anche nel guidare la migrazione dei linfociti T effettori
dal circolo ematico verso il focolaio di infezione.
39
E’ per questo motivo che in un vaccino non è sufficiente iniettare solo gli antigeni
proteici, ma servono sostanze definite “adiuvanti” che riescano ad attivare le cellule
APC(così che producano le citochine necessarie ad attivare i linfociti T).
Gli adiuvanti riescono quindi a convertire semplici antigeni inerti in sostanze che
mimano funzionalmente i microrganismi patogeni.
40
riconoscimento dell’antigene cominciano invece a esprimere molte proteine
coinvolte nella proliferazione, differenziazione e funzioni effettrici.
Le vie biochimiche della trasduzione sono attivate dal riconoscimento dell’antigene
e portano all’attivazione dei linfociti T dopo aver reclutato enzimi, proteine
adattatrice ed aver attivato fattori di trascrizione.
Queste vie biochimiche della trasduzione iniziano con il fenomeno del Cross-linking a
cui seguono una serie di altri eventi.
1. “Cross-linking” : aggregazione centralizzata di più TCR, corecettori CD4/CD8 e
CD28 sulla superficie di contatto tra APC e linfocita. Anche le integrine si
aggregano intorno come a formare un anello periferico. → Questa regione di
contatto è chiamata sinapsi immunologica. Questa regione oltre ad essere il
punto in cui si originano i segnali necessari per l’attivazione linfocitaria svolge
anche altre funzioni: veicola efficientemente verso la APC le citochine e le
molecole effettrici che qui vengono secrete (evitando che vengano disperse) e
recluta gli enzimi deputati all’inibizione dei segnali di trasduzione per
terminare in modo rapido ed efficiente l’attivazione linfocitaria.
2. Il clustering dei corecettori CD4 o CD8 attiva la tirosina chinasi Lck, legata in
modo non covalente alla coda di questi corecettori. Lck fosforila i residui di
tirosina fosforila le regioni ITAM su CD3 e 𝞯 (sono regioni ricche di tirosina e
cruciali per il processo di trasduzione). Lck fosforila anche una tirosina chinasi
ZAP-70.
3. I domini ITAM fosforilati di 𝞯 possono legare ZAP-70.
4. ZAP-70 fosforila una serie di proteine adattartrici generando una serie di
vie di trasduzione:
★ via del calcio-NFAT;
★ via delle PKC-NF-𝞳B;
★ via delle MAP chinasi-Ras/Rac;
★ via del PI-3K (fosfatidil inositolo3 chinasi).
Nella 1° e 2° via le proteine adattatrici fosforilano e attivano la PLC𝝲 (fosfolipasi C)
che idrolizza il PIP2 di membrana (fosfatidilinositolo 4,5-bisfosfato) in IP3 e DAG
(inositolo 1,4,5-trifosfato e diacilglicerolo).
41
● IP3 → induce il rilascio di Ca2+ dal reticolo sarcoplasmatico che a sua volta
causa l’apertura di canali Ca2+ di membrana. La concentrazione di calcio
intracellulare rimane alta per ore e Ca2+ si lega nel citoplasma a calmodulina
per andare ad attivare la fosfatasi “calcineurina” che può defosforilare e
attivare il fattore di trascrizione NFAT che dal citoplasma si porta nel nucleo
dove promuove crescita dei linfociti ed espressione dei recettori per IL-2,
(via del calcio-NFAT).
Nella 4° via si attiva l’enzima PI-3K (fosfatidilinositolo 3 chinasi) che fosforila il PIP2
di membrana (anzi che idrolizzarlo come PLC) per generare PIP3 (fosfatidilinositol
3,4,5 trisfosfato). Questo fosfolipide attiva la serina-treonina chinasi Akt che
promuove l’espressione di proteine antiapoptotiche che generano la sopravvivenza
dei linfociti T stimolati. Questa via può essere innescata dall’attivazione del TCR, da
CD28 o dai recettori di IL-2, (via della PI-3K chinasi).
42
Risposte funzionali dei linfociti T agli antigeni e alle molecole
costimolatorie
Il riconoscimento dell’antigene e delle molecole costimolatorie da parte dei linfociti
T innesca un’orchestrata serie di eventi, che culmina nell’espansione del clone
linfocitario antigene-specifico e nella differenziazione in cellule effettrici e di
memoria. Molte delle risposte dei linfociti T sono mediate da citochine che, una
volta secrete, agiscono sui linfociti stessi, così come altre cellule coinvolte nella
difesa immunitaria.
Caratteristiche Meccanismo
Prodotte in modo transitorio in risposta Segnali dal TCR e da molecole
all’antigene costimolatorie inducono la trascrizione
dei geni per le citochine
Possono avere sia azione autocrina che L’attivazione dei linfociti T induce
paracrina l’espressione sia delle citochine sia dei
loro recettori ad alta affinità
Pleiotropismo: ogni citochina può Molti differenti tipi di cellule possono
svolgere diverse attività biologiche esprimere recettori per una citochina
specifica
43
Ridondanza biochimica: diverse Molte citochine utilizzano le stesse vie
citochine possono svolgere le stesse di trasduzione del segnale stereotipate
attività biologiche
44
Espansione clonale
Entro i primi 1-2 giorni dall’attivazione, i linfociti T cominciano a proliferare
provocando l’espansione del clone antigene-specifico.
Questa espansione permette all’immunità adattativa di tenere il passo con la rapida
proliferazione dei microrganismi. In particolar modo i linfociti T, che aumentano di
circa 10.000 volte in 6 ore fino a costituire anche il 10-20% dei linfociti presenti negli
organi linfoidi.
L’espansione maggiore dei linfociti T CD8 è necessaria per eliminare le cellule
infettate mentre quella dei linfociti T CD4 è alcuni ordini di grandezza minore perché
questi servono solo a produrre citochine e un minor numero di CD4 riesce ad
attivare contemporaneamente molte cellule effettrici.
45
❖ Differenziazione linfociti T helper
Dopo l’attivazione da parte dell’antigene e delle molecole costimolatorie, i linfociti T
helper naive si possono differenziare in diverse sottopopolazione di linfociti T CD4 in
risposta alle diverse citochine prodotte nel sito di attivazione.
La produzione di profili citochinici diversi comporta delle funzioni diverse.
Lo sviluppo delle delle sottopopolazioni T-H1, T-H2 e T-H17 non è casuale, bensì
controllato dagli stimoli che i linfociti T CD4+ naive ricevono quando incontrano gli
antigeni microbici:
● T-Helper 1: differenziazione stimolata dalla combinazione di IL-12 e IFN-𝞬
(prodotti rispettivamente dalle cellule dendritiche+macrofaghi e da cellule NK
in risposta a numerosi batteri e virus).
T-H1 produce a sua volta IFN-𝞬 che agisce tramite:
1) attivazione CLASSICA dei macrofaghi (uccisione microbi);
2) stimolazione produzione di isotipi anticorpali che legano il recettore per il
Fc espresso dai fagociti (potenziandone l’attività);
3)attivazione del complemento: generando frammenti che legano recettori
per il complemento sempre espressi dai fagociti;
4)stimolazione espressione di molecole MHC di classe II e di molecole
costimolatorie B7 da parte di macrofagi e cellule dentritiche (ampliando la
risposta dei linfociti T).
● T-Helper 2: differenziazione stimolata da IL-4 (prodotta dagli stessi T-H2 o dai
mastociti in risposta agli elminti).
T-H2 stimolano le risposte degli eosinofili, che sono particolarmente efficaci
nei confronti degli elminti, grazie alla secrezione di particolari citochine:
1) secrezione di IL-4:
-stimola secrezione IgE che attivano i mastociti (degranulazione);
2)secrezione IL-5:
-promuove l’attivazione degli eosinofili;
46
3) secrezione IL-4+IL-13:
-promuove l’attivazione ALTERNATIVA dei macrofagi (inibisce la attività
microbicida dei macrofagi e promuove il riparo tissutale);
-promuove “immunità di barriera”: (secrezione di muco che ostacola i
parassiti).
● T-H17: differenziazione stimolata dalle citochine infiammatorie
IL-6, IL-1 e IL-23 (prodotte da macrofagi e cellule dendritiche).
Secernono le citochine IL-17 e IL-22 che:
-reclutano neutrofili (e macrofagi) nel focolaio infiammatorio;
-mantengono la funzione di barriera degli epiteli del tratto intestinale e di altri
tessuti;
-coinvolti in malattie autoimmuni come sclerosi multipla e artrite reumatoide.
47
Una volta terminata la risposta il sistema deve tornare al suo stato basale, chiamato
omeostasi per poter rispondere alla successiva infezione. Durante la risposta i
linfociti proliferano e sopravvivono grazie alla presenza di:
● antigene;
● segnali costimolatori come CD28 e citochine (IL-2).
Una volta che l’infezione è debellata questi segnali vengono meno e la maggior
parte dei linfociti va incontro ad apoptosi.
La risposta si attenua entro 1-2 settimane dal momento in cui l’infezione è debellata
e rimangono soltanto la progenie di linfociti T della memoria.
48
Migrazione dei linfociti T
Risposte immunitarie cellulo-mediate:
1. I linfociti T naive presenti in circolo devono migrare dal sangue ai linfonodi o alla
milza;
2. Qui incontrano le cellule dendritiche che presentano il loro antigene specifico;
3. I linfociti T naive vengono quindi attivati e danno luogo a un clone di cellule
effettrici;
4. Queste migrano al focolaio di infezione dove svolgono la loro azione microbicida;
La migrazione dei linfociti T naive e quella dei linfociti T effettori sono controllate da
tre famiglie di proteine: le selectine, le integrine e le chemochine.
49
Il fosfolipide sfingosina-1 fosfato (S1P) svolge un ruolo fondamentale nel processo di
fuoriuscita dei linfociti T dai linfonodi. I livelli di S1P nel circolo linfatico ed ematico
sono maggiori rispetto a quelli dei linfonodi. In circolo, S1P lega il proprio recettore e
ne riduce l’espressione s ulla superficie dei linfociti T naive.
Quando il linfocita entra nel linfonodo, la minore concentrazione di S1P gli permette
di esprimere nuovamente il recettore di superficie. A questo punto, se il linfocita
non riconosce alcun antigene, risponderà al gradiente di concentrazione di S1P ed
uscirà dal linfonodo; se invece il linfocita T riconosce l’antigene specifico va incontro
ad attivazione cellulare, la quale inibirà l’espressione del recettore per S1P per un
periodo di tempo sufficiente affinchè i linfociti T attivati vadano incontro a
espansione clonale e a differenziamento. Completati tali processi, il recettore verrà
nuovamente espresso mentre verranno persi la L-selectina e il recettore CCR7.
Il risultato di questa modulazione recettoriale porta quindi alla fuoriuscita dei
linfociti T dai linfonodi e il loro ricircolo nel sangue.
Il processo di differenziazione dei linfociti T naive a linfociti T effettori si accompagna
a una serie di modifiche dell’espressione di molecole di adesione e di recettori per
chemochine su queste cellule.
50
attraversano le giunzioni interendoteliali e, richiamati dalle chemochine,
raggiungono il tessuto infiammato.
I linfociti T naive non esprimono i ligandi per le E e P selectine e neppure i recettori
per le chemochine prodotte al focolaio infiammatorio, ne consegue che essi non
possono migrare nei tessuti periferici danneggiati. Il processo di ‘’homing’’ dei
linfociti T effettori al focolaio di infezione è indipendente dal riconoscimento
dell’antigene e dipende principalmente da molecole di adesione e chemochine.
Ne consegue che qualunque linfocita T effettore circolante può penetrare in
qualsiasi focolaio di infezione, indipendentemente dalla sua specificità antigenica.
Allo stesso modo, i linfociti T effettori che, extravasati e penetrati nel focolaio di
infezione riconoscono l’antigene presentato dalle APC, subiscono una riattivazione
che li rende in grado di eliminare il microrganismo riconosciuto. In seguito a questa
riattivazione si ha l’aumento dell’espressione di membrana delle integrine VLA;
queste si legano a componenti della matrice extracellulare favorendo l’adesione dei
linfociti alle matrici dei tessuti infiammati in prossimità dell’antigene. Quindi i
linfociti che raggiungono il focolaio di infezione e riconoscono specificatamente
l’antigene, vengono qui trattenuti e ulteriormente attivati.
Il processo di riattivazione dei linfociti T effettori è meno dipendente dalla
costimolazione, ne consegue che la proliferazione e differenziazione dei linfociti T
naive possono avvenire solo negli organi linfoidi; mentre le funzioni effettrici dei
linfociti T possono essere riattivate ovunque, non solo dalle cellule dendritiche ma
anche in seguito al riconoscimento di un antigene presentato su molecole MHC da
qualsiasi tipo cellulare.
51
l’interazione del ligando di CD40 ( CD40L o CD154), da loro espresso, con CD40,
espresso dal macrofago, e la conseguente secrezione di INF-ɣ.
I macrofagi fagocitano i microrganismi, le proteine microbiche vengono processate e
una piccola frazione dei peptidi così generati viene presentata sulla superficie dei
macrofagi in associazione alle molecole di MHC di classe II. Riconoscendo gli
antigeni, i linfociti effettori T CD4+ aumentano l’espressione della molecola
effettrice CD40L la quale lega il recettore CD40 espresso dai macrofagi.
Parallelamente, i linfociti TH1 secernono INF-ɣ, potente attivatore dei macrofagi. Nel
macrofago si attivano quindi una serie di fattori di trascrizione che portano alla
produzione di proteasi lisosomiali ed enzimi che stimolano la sintesi di monossido di
azoto e di prodotti reattivi dell’ossigeno dotati di azione microbicida.
L’attivazione macrofagica da parte di CD40L e INF-ɣ viene detta attivazione classica
e consente un aumento della capacità microbicida del macrofago che permette
l’eliminazione dei microrganismi fagocitati.
I macrofagi che presentano ai linfociti T gli antigeni dei microrganismi fagocitati sono
necessariamente quelli che contengono i microrganismi da eliminare. Ne consegue
che solo questi fagociti sono in grado di riattivare i linfociti T effettori e sono gli unici
a trovarsi nella configurazione adatta a ricevere i segnali attivatori dai linfociti TH1.
L’interazione tra macrofagi e linfociti T rappresenta un eccellente esempio di
interazione bidirezionale tra cellule dell’immunità innata e adattativa. Ricordiamo
infatti che i macrofagi attivati producono la citochina IL-12, che stimola la
differenziazione dei linfociti T CD4+ naive verso la sottopopolazione TH1.
52
Quando i linfociti T contribuiscono all’infiammazione, questa si manifesta
tipicamente con maggiore intensità e durata rispetto a quando invece è innescata
dalla sola risposta immunitaria innata ai microrganismi.
I linfociti TH17 stimolano anche la produzione di sostanza anti-microbiche definite
defensine che agiscono come antibiotici endogeni. Inoltre, alcune citochine prodotte
dai linfociti TH17 aiutano a mantenere l’integrità morfofunzionale delle barriere
epiteliali. Tutti questi effetti sono essenziali per la difesa contro infezioni micotiche e
batteriche.
Ruolo dei linfociti TH2
La sottopopolazione TH2 dei linfociti T CD4+ stimola risposte infiammatorie
caratterizzate da un’imponente presenza di eosinofili, essenziali per la difesa contro
i parassiti elmintici. Quando i linfociti TH2 riconoscono l’antigene, essi producono le
citochine IL-4 e IL-5: la prima stimola la produzione di anticorpi IgE, la seconda attiva
gli eosinofili. Quest’ultimi sono importanti contro le infezioni elmintiche in quanto
sono gli unici a possedere proteine in grado di eliminare questi parassiti. Le citochine
prodotte (tra cui anche IL-13) stimolano inoltre la secrezione di muco e la peristalsi
intestinale, promuovendo l’espulsione del parassita.
IL-4 e IL-10 inibiscono l’attivazione classica dei macrofagi, ma stimolano la loro
attivazione alternativa. Questa promuove il processo di fibrosi, contribuendo al
processo di riparazione tissutale ma, in alcuni casi, può contribuire anche al danno
tissutale osservabile in pazienti affetti da infezioni parassitiche croniche o da
malattie allergiche.
L’equilibrio tra l’attivazione dei linfociti TH1 e TH2 determina l’andamento delle
infezioni, con i linfociti TH1 che promuovono le difese verso i microrganismi
intracellulari, mentre i linfociti TH2 le sopprimono.
I macrofagi attivati eliminano più efficacemente i microrganismi confinati nelle
vescicole cellulari. I microrganismi che penetrano direttamente nel citoplasma o che
sfuggono dai fagosomi verso il citoplasma invece assumono una relativa resistenza ai
meccanismi microbicidi dei fagociti, la loro eliminazione richiede quindi l’intervento
del meccanismo effettore mediato dai linfociti CD8+, CTL.
53
I linfociti CD8+ uccidono le cellule infettate dopo aver riconosciuto i peptidi associati
a molecole MHC di classe I, eliminando il serbatoio di infezione. L’origine dei peptidi
che si associano a MHC di classe I è costituita da antigeni proteici virali sintetizzati ex
novo nel citoplasma o da proteine dei microrganismi fagocitati e sfuggiti dalle
vescicole. I linfociti T CD8+ riconoscono i complessi peptide-MHC di classe I sulla
superficie della cellula infettata, anche definita cellula bersaglio, attraverso il TCR e il
corecettore CD8. Questi si raggruppano sulla superficie del CTL al sito di contatto
con la cellula bersaglio e vengono circondate dall’integrina LFA-1. Tutte queste
molecole legheranno quindi i controrecettori espressi sulla cellula bersaglio,
formando la cosiddetta sinapsi immunologica che: determina una stretta adesione
tra le due cellule e permette il rilascio estremamente mirato verso la cellula
bersaglio di sostanze citotossiche da parte dei CTL.
Poichè i CTL non richiedono costimolazione nè l’intervento dei linfociti T helper per
la loro attivazione, essi sono in grado di eliminare qualsiasi tipo di cellula infettata
presente in qualsiasi tessuto. Due proteine sono essenziali per l’eliminazione della
cellula bersaglio:
- I granzimi: il granzima B causa proteolisi controllata, e quindi attivazione,
degli enzimi caspasi presenti nel citosol delle cellule bersaglio e la cui
principale funzione è indurre apoptosi.
- La perforina: è una molecola necessaria a distruggere l’integrità delle
membrane plasmatiche ed endosomiali delle cellule bersaglio così da
agevolare il passaggio dei granzimi all’interno del loro citoplasma.
Anche una proteina, chiamata ligando di Fas, viene espressa sulla membrana dei CTL
attivati ed è in grado di indurre l’apoptosi delle cellule bersaglio attivando la via
delle caspasi e senza richiedere l’esocitosi dei granuli (lega il suo recettore FAS).
Le cellule apoptotiche vengono rapidamente fagocitate ed eliminate.
Nel caso in cui i microrganismi fagocitati rimangano sequestrati nelle vescicole dei
macrofagi, i linfociti T CD4+ rispondono adeguatamente, eliminando queste infezioni
attraverso la secrezione di INF-ɣ che attiva i meccanismi microbicidi dei macrofagi.
Nel caso invece che i microrganismi siano sfuggiti nel citoplasma dalle vescicole,
diventando insensibili all’azione dei macrofagi, la loro eliminazione verrà effettuata
mediante l’intervento dei CTL CD8+, che uccidono direttamente la cellula infettata.
54
Resistenza dei patogeni all’immunità cellulo-mediata Pag.132
Diversi microrganismi hanno escogitato svariati meccanismi di difesa per resistere
all’azione dei linfociti T dell’ospite. Tra i vari meccanismi ricordiamo: l’inibizione
della fusione dei fagolisosomi, la fuoriuscita del microrganismo dalle vescicola
fagocitiche, l’inibizione dell’assemblaggio dei complessi peptide-MHC di classe I e la
produzione di citochine inibitorie o di recettori ‘’esca’’ (decoy).
55
“Maturazione dell’affinità”: è il fenomeno in cui, ripetute esposizioni ad antigeni
proteici causano la produzione di anticorpi con una migliore affinità per l’antigene.
56
Picco di risposta: Più stretto Più largo
Affinità degli anticorpi: Affinità media più Affinità media più alta
bassa e più variabile (maturazione
dell’affinità)
57
Il BCR (complesso del recettore dei linfociti B) comprende:
- una componente recettoriale costituita dalle porzioni variabili di IgM e
IgD che sono in grado solo di riconoscere e legare l’antigene;
- proteine Igα e Igβ, che sono coinvolte nella trasduzione del segnale.
Quando uno o più recettori di un linfocita B vanno in contro a cross-link, i residui di
tirosina delle sequenze ITAM delle catene Igα e β vengono fosforilati dalle chinasi
associate al complesso BCR diventando punti di attracco per proteine adattatrici, le
quali vengono a loro volta fosforilate per reclutare ulteriori molecole coinvolte nella
trasduzione del segnale.
58
secondo segnale più importante per i linfociti B, analogamente a quanto descritto
per le molecole costimolatorie espresse per i linfociti T.
59
Risposta del linfocita B all’antigene: Significato biologico:
60
dalle aree T, e aumentano l’espressione di CXCR5 che promuove la loro migrazione
verso i follicoli B.
I linfociti B attivati vanno incontro ad un processo opposto: riduzione espressione
CXCR5 e aumento espressione CCR7.
Ne risulta che i linfociti B e T attivati migrano gli uni verso gli altri incontrandosi ai
margini dei follicoli linfoidi, dove avverranno le fasi successive della loro interazione.
61
si legano ai recettori espressi dai linfociti B e stimolano ulteriormente la
proliferazione cellulare e la produzione anticorpale.
L’interazione CD40-CD40L fa si che i due tipi di linfociti si stimolino vicendevolmente.
Dando origine ad un’interazione produttiva.
I segnali forniti dai linfociti T helper stimolano anche il processo di scambio di classe
e di maturazione dell’affinità, di solito associati alle risposte anticorpali agli antigeni
proteici T-dipendenti.
Ricapitolando:
1. Il linfocita B presenta l’antigene al linfocita T helper;
2. Il linfocita T helper si attiva: aumentata espressione di CD40L e secrezione di
citochine;
3. Il linfocita B viene attivato dal legame di CD40 e dalle citochine;
4. Proliferazione e differenziazione del linfocita B.
62
· Le IgA sono responsabili dell’immunità muco nasale (trasporto delle IgA
attraverso gli epiteli).
Lo scambio isotipico è innescato dall’attivazione coordinata da parte di CD40L e di
alcune citochine.
In assenza di CD40 o di CD40L, i linfociti B secernono solo IgM, non riuscendo ad
effettuare lo scambio di classe.
*Infatti nella “Sindrome da iper-IgM associata al cromosoma X” una mutazione
causata dal gene che codifica per CD40L, che porta alla sintesi di forme non
funzionali, causa uno scambio isotipico deficitario e di conseguenza, la maggior
parte di anticorpi sierici è rappresentata da IgM.
Il tipo di classe anticorpale che deve essere prodotta da un linfocita B e dalla sua
progenie viene definito dalla natura delle citochine prodotte.
63
o VDJ+Cε à viene tradotto nella catena pesante ε di IgE.
*Gli anticorpi prodotti mantengono la stessa specificità antigenica del linfocita B
progenitore (poiché tale specificità è determinata dalla sequenza VDJ).
Le citochine secrete dai linfociti T helper determinano quale isotipo di anticorpo
viene prodotto attraverso la scelta del gene per la regione costante della catena
pesante che deve essere coinvolto nel processo di ricombinazione per scambio:
- IFN-γ, la citochina che identifica i linfociti T-H1, stimola la produzione di
anticorpi opsonizzanti che si legano ai recettori Fc dei fagociti promuovendo la
fagocitosi. Inoltre IFN-γ agisce anche direttamente sui fagociti stimolandone
l’attività microbicida.
- IL-4, la citochina che identifica i linfociti T-H2, stimola lo scambio isotipico verso
la IgE che sono coinvolte nell’eliminazione degli elminti da parte degli eosinofili, i
quali vengono ulteriormente attivati da un'altra citochina prodotta dai linfociti
T-H2, cioè la IL-5.
I linfociti T-H1 sono stimolati da molti virus e batteri mentre i linfociti T-H2 sono
stimolati dagli elminti.
L a risposta dei linfociti T-helper verso un determinato microrganismo indirizza la
risposta anticorpale verso quella più efficace per combattere il microrganismo che
l’ha scatenata.
La scelta dell’isotipo anticorpale dipende anche dal sito anatomico in cui avviene la
risposta. Le IgA per esempio sono il principale isotipo prodotto a livello dei tessuti
linfoidi associati alle mucose. Anche i linfociti B-1 costituiscono un importante fonte
di IgA a livello mucosale, in particolar modo nei confronti di antigeni di natura non
proteica.
Maturazione dell’affinità
La maturazione dell’affinità è il processo che determina il miglioramento dell’affinità
degli anticorpi nel corso di prolungate o ripetute esposizioni ad antigeni proteici.
64
Questo aumento dell’affinità è dovuto a mutazioni puntiformi delle regioni geniche
V degli anticorpi, in particolare delle regioni ipervariabili che interagiscono con
l’antigene.
La maturazione dell’affinità avviene solo in risposta ad antigeni proteici che attivano
la risposta dei linfociti T helper.
La maturazione dell’affinità avviene nei centri germinativi dei follicoli linfoidi ed è il
risultato di ipermutazioni somatiche nei geni che codificano per le Ig nei linfociti B
proliferanti; questo processo è seguito dalla selezione dei linfociti B dotati di
maggior affinità per l’antigene.
Parte della progenie dei linfociti B attivati entra nei follicoli linfoidi per formare
centri germinativi all’interno dei quali proliferano rapidamente con una duplicazione
ogni 6 ore, ( in una settimana da una cellula se ne originano 5000).
Durante questa intensa proliferazione, i geni delle Ig subiscono numerose mutazioni
puntiformi. L’enzima AID gioca un ruolo importante, cambiando nucleotidi e
rendendo i geni delle Ig suscettibili ai meccanismi mutazionali. (Nei geni delle Ig la
frequenza stimata di mutazioni di una ogni 1000 paia di basi, quindi mille volte
superiore a quello della maggior parte degli altri geni).
Per questo motivo, la mutazione delle Ig viene definita “ipermutazione somatica” ed
è responsabile della generazione di molteplici cloni di linfociti B dotati svariata
affinità per l’antigene che ha innescato la risposta.
I linfociti B dei centri germinativi vanno in contro ad apoptosi, a meno che non
riconoscano l’antigene o ricevano segnali di sopravvivenza da parte dei linfociti T.
1) Contemporaneamente al processo di permutazione somatica, gli anticorpi secreti
nella fase precoce della risposta all’antigene possono riconoscerlo, legarlo, e il
complesso antigene-anticorpo può attivare il complemento o legarsi alle cellule
dendritiche follicolari. Le cellule dendritiche follicolari possiedono recettori per la
porzione Fc degli anticorpi e per alcuni frammenti del complemento. Entrambi i
recettori consentono di favorire l’esposizione del complesso antigene-anticorpo
ai linfociti B fornendogli segnali di sopravvivenza.
65
2) Inoltre i linfociti B possono legare l’antigene nella sua forma libera, processarlo e
presentare i peptidi ai linfociti T helper dei centri germinativi che, in ritorno,
forniscono loro un ulteriore segnale per la sopravvivenza.
Questi segnali di sopravvivenza selezionano i linfociti B per sopravvivere, tutti gli
altri andranno in apoptosi.
I linfociti B selezionati devono essere in grado di legare l’antigene a concentrazioni
sempre più basse e le cellule che riescono a fare ciò sono quelle dotate di affinità
sempre maggiore. I linfociti B selezionati lasciano il centro germinativo e cominciano
a secernere anticorpi che saranno dotati di affinità sempre maggiore a mano a
mano che la risposta procede.
Una parte dei linfociti B attivati, che spesso originano dalla progenie delle cellule ad
alta affinità che hanno subito scambio isotipico, non si differenzia in cellule
secernenti, ma si trasforma in cellule della memoria. Queste ultime non secernono
anticorpi, ma circolano nel sangue e presidiano i tessuti. Tali cellule sopravvivono
per mesi o anni anche in assenza di ulteriori esposizioni all’antigene, pronte a
rispondere rapidamente se l’antigene dovesse ripresentarsi.
RICAPITOLANDO:
· Attivazione e migrazione dei linfociti T e B (nel linfonodo);
· Interazione tra linfociti T e B;
· Risposta precoce dei linfociti B:
- differenziazione in plasmacellule (che restano nell’organo linfoide)
- secrezione di Ig nel sangue
- scambio isotipico iniziale (inizia fuori dai follicoli);
· eazione del centro germinativo (nella settimana successiva all’esposizione
R
all’antigene, all’interno del centro germinativo del follicolo):
- Maturazione dell’affinità;
- Scambio isotipico;
66
- Generazione dei linfociti B di memoria.
67
generati dal recettore per l’antigene; tale meccanismo determina la fine della
risposta B.
L’inibizione della produzione anticorpale da parte degli immunocomplessi viene
definita “feedback anticorpale” e costituisce un efficace meccanismo per porre fine
alle risposte umorali quando sono state prodotte quantità sufficienti di IgG.
La somministrazione di preparazioni di Ig (definite immunoglobuline per via
endovenosa “IVIG”) costituisce un’efficace terapia nel trattamento di alcune
malattie infiammatorie.
68
Gli anticorpi riconoscono e neutralizzano gli effetti dannosi dei microbi e delle
tossine attraverso le regioni Fab, mentre attivano i diversi meccanismi effettori
responsabili dell’eliminazione dei microbi e delle loro tossine attraverso le regioni
Fc. Per operare il blocco sterico dei microbi e degli effetti dannosi delle loro tossine,
gli anticorpi usano esclusivamente le regioni Fab.
La porzione Fc delle molecole immunoglobuliniche, composta dalle regioni costanti
delle catene pesanti, contiene i siti di legame per i recettori Fc, espressi dai fagociti,
e per le proteine del complemento. Il legame degli anticorpi ai recettori Fc e al
complemento, avviene solo successivamente all’interazione di molteplici molecole Ig
con un microbo. Pertanto, anche le funzioni anticorpali che dipendono dalle regioni
Fc richiedono il riconoscimento dell’antigene da parte delle regioni Fab.
69
protezione permette alle IgG di avere un’emivita di circa 3 settimane.
Tra le loro funzioni ricordiamo:
1. Neutralizzazione dei microbi e delle tossine;
2. Opsonizzazione degli antigeni per la fagocitosi;
3. Attivazione della via classica del complemento;
4. Citotossicità cellulare anticorpo-dipendente mediata dalle cellule NK;
5. Immunità neonatale;
6. Feedback inibitorio dell’attivazione dei linfociti B;
70
Il processo di rivestimento di particelle per la successiva fagocitosi è detto
opsonizzazione e le molecole che rivestono i microbi sono chiamate opsonine.
Quando gli anticorpi legano la superficie microbica, l’insieme delle loro regioni Fc
protrude dalla superficie del microbo. Se gli anticorpi appartengono ad un
determinato isotipo (IgG1 e IgG3 nell’uomo), le regioni Fc possono essere
riconosciute ad alta affinità dal recettore per la porzione Fc delle catene ɣ, chiamato
FcɣRI (CD64), espresso sulla membrana di neutrofili e macrofagi. Il fagocita è quindi
stimolato ad inglobare il microbo opsonizzato, dapprima in un fagosoma, che
successivamente si fonderà con un lisosoma. Il legame della porzione Fc
dell’anticorpo a FcɣRI causa anche l’attivazione dei fagociti, che produrranno grandi
quantità di specie reattive dell’ossigeno, monossido di azoto ed enzimi proteolitici
che determineranno la degradazione del microbo ingerito.
Per quanto riguarda i batteri capsulati, sebbene in assenza di anticorpi la capsula
polisaccaridica li protegga dalla fagocitosi, l’opsonizzazione anticorpale ne promuove
la fagocitosi e la conseguente eliminazione. La milza costituisce una sede importante
per l’eliminazione dei microbi opsonizzati, in quanto ricca di fagociti.
Uno dei recettori Fcɣ, FcɣRIIB, ha un ruolo fondamentale nell’arrestare la
produzione di anticorpi e per ridurre l’infiammazione.
71
Le IgE attivano le risposte dei mastociti e degli eosinofili, che provvedono alla difesa
contro gli elminti e sono responsabili delle reazioni allergiche. Gli elminti in genere
sono troppo grandi per essere fagocitati e possiedono tegumenti che li rendono
resistenti alla maggior parte delle sostanze microbicide.
Le IgE si legano ai vermi e promuovono l’attacco da parte degli eosinofili mediante il
recettore ad alta affinità per la porzione Fc delle IgE, FcεRI, espresso dagli eosinofili
e dai mastociti. L’attivazione di questo recettore, in presenza di interleuchina-5 (IL-5)
prodotta dai linfociti T helper TH2 in risposta agli elminti, porta all’attivazione degli
eosinofili che rilasciano le proteine microbicide contenute nei loro granuli.
Le IgE possono inoltre legarsi e attivare i mastociti, che secernono citochine,
promuovendo il reclutamento di altri leucociti e concorrendo all’eliminazione degli
elminti.
Questa reazione mediata dalle IgE mostra come lo scambio isotipico ottimizzi le
strategie di difesa dell’ospite (i linfociti B rispondono alla presenza di elmini con IgE,
mentre rispondono alla maggior parte dei batteri e dei virus con IgG).
72
ma, una volta attivate, le loro fasi tardive sono le stesse. La più abbondante proteina
del complemento presente nel plasma, chiamata C3, svolge un ruolo cruciale in tutte
e tre le vie.
La via alternativa è innescata quando un prodotto di degradazione dell’idrolisi di C3,
chiamato C3b, si deposita sulla superficie del microbo.
1. C3b si deposita sulla superficie microbica, formando legami covalenti con le
proteine o i polisaccaridi microbici;
2. Il fattore B viene tagliato da una proteasi plasmatica per generare il
frammento Bb;
3. Il frammento Bb si lega al C3b formando il complesso C3bBb;
4. Quest’ultimo taglia enzimaticamente altre proteine C3 (C3 convertasi) ;
5. Vengono quindi prodotte numerose molecole C3b e C3bBb che si fissano al
microbo;
6. Alcune molecole C3bBb legano un ulteriore C3b, dando luogo al complesso
C3bBb3b c he funziona da C5 convertasi;
7. Viene quindi tagliata la proteina C5 per procedere con le fasi finali
dell’attivazione del complemento.
La via classica è innescata quando le IgM, o alcune classi di IgG (IgG1, IgG2 e IgG3)
legano gli antigeni.
1. Le regioni Fc degli anticorpi adiacenti diventano accessibili e legano la
proteina C1;
2. C1q l ega la porzione Fc dell’anticorpo; C1r e C1s sono proteasi che conducono
all’attivazione di C4 e C2;
3. La proteina C1 enzimaticamente attiva lega e taglia due proteine: C2 e C4.
4. Il frammento C4b si attacca covalentemente all’anticorpo e alla superficie del
microbo e quindi lega C2;
5. Si forma il complesso C4b2a, che rappresenta la C3 convertasi che taglia il C3 e
forma il C3b, che a sua volta si fissa al microbo.
6. Alcuni C3b si legano al complesso C4b2a e il complesso risultante C4b2a3b
agisce da C5 convertasi;
7. Viene tagliata la proteina del complemento C5 e si procede con le fasi finali.
73
La via lectinica è avviata dal legame della lectina plasmatica che lega il mannosio
(Mannose binding lectin, MBL) ai microbi. La MBL serve ad attivare C4, i passaggi
successivi sono essenzialmente gli stessi della via classica.
Il risultato finale delle prime fasi dell’attivazione del complemento è che la superficie
dei microbi viene rivestita da C3b attaccato in modo covalente.
Gli eventi terminali iniziano con il legame di C5 alla C5 convertasi e la conseguente
proteolisi di C5, che genera C5b. Le restanti componenti, C
6, C7, C8 e C9 si legano in
maniera sequenziale e formano un complesso. C9 polimerizza per formare un poro
nella membrana cellulare attraverso il quale possono entrare acqua e ioni,
provocando la morte del microbo. Questo poli-C9 è la componente principale del
complesso di attacco della membrana (membrane attack complex, MAC) e la sua
formazione è il risultato finale dell’attivazione del complemento.
Tra le principali funzioni del complemento troviamo quindi:
- Fagocitosi e uccisione del microbo: i microbi rivestiti da C3b, che funge da
opsonina, sono fagocitati in virtù del riconoscimento di quest’ultimo da parte
del recettore del complemento di tipo 1 (CR1 o CD35) che è espresso dalle
cellule fagocitiche.
- Lisi osmotica del microbo: il complesso MAC può indurre la lisi osmotica delle
cellule, efficace però solo nei confronti di batteri che hanno pareti cellulari
sottili e pochi glicocalici (es. Neisseria).
- Stimolazione delle reazioni infiammatorie: i piccoli frammenti peptidici
derivanti dal taglio proteolitico di C3,C4 e C5 sono fattori chemiotattici per i
neutrofili, stimolano il rilascio di mediatori dell’infiammazione da parte dei
leucociti e agiscono sulle cellule endoteliali per migliorare l’extravasazione dei
leucociti e la fuoriuscita nei tessuti delle proteine plasmatiche. In questo
modo, inducono reazioni infiammatorie.
Oltre alle funzioni effettrici antimicrobiche, il sistema complemento fornisce stimoli
per lo sviluppo di risposte umorali. Un prodotto di degradazione di C3, C3d, viene
infatti riconosciuto dal recettore del complemento di tipo 2 (CR2) espresso dai
linfociti B. I segnali forniti da questo recettore stimolano le risposte antimicrobiche
dei linfociti B.
74
Infine, le proteine del complemento associate ai complessi antigene-anticorpo sono
riconosciute dalle cellule dendritiche follicolari nei centri germinativi e portano
all’ulteriore attivazione dei linfociti B.
Deficit congeniti delle proteine del complemento sono causa di malattia.
- La carenza di C3 conferisce grave suscettibilità alle infezioni e in genere è
fatale nella prima infanzia.
- Le carenze di C2 e C4 possono non avere conseguenze cliniche, oppure
possono essere associate all’aumentata incidenza del lupus eritematoso
sistemico.
- Deficit di C9 e della formazione del complesso MAC sono associati a un
aumento della suscettibilità alle infezioni da Neisseria.
Regolazione dell’attivazione del complemento
Le cellule di mammifero esprimono proteine regolatrici che inibiscono l’attivazione
del complemento, così da prevenire danni alle cellule dell’ospite.
- Il fattore accelerante la degradazione (Decay accelerating factor, DAF) è una
proteina di membrana che dissolve il legame del fattore Bb a C3b e il legame
tra C4b e C2a, bloccando la formazione della C3 convertasi e terminando
l’attivazione del complemento.
- La proteina cofattoriale di membrana (Membrane cofactor protein, MCP)
funge da cofattore per la proteolisi di C3b in frammenti inattivi.
- Il recettore per il complemento di tipo 1 (CR1) potrebbe spiazzare C3b e
promuoverne la degradazione.
- L’inibitore di C1 (C1 INH), blocca le fasi iniziali dell’attivazione del
complemento allo stadio C1.
Deficit congeniti delle proteine regolatrici causano l’attivazione incontrollata e
patologica del complemento (con comparsa di malattie quali l’edema
angioneurotico ereditario o l’emoglobinuria notturna parossistica).
75
Gli anticorpi svolgono funzioni protettive anche in due siti anatomici specializzati: le
mucose e il feto.
Immunità mucosale
Le immunoglobuline A sono prodotte nei tessuti linfoidi associati alle mucose e
trasportate attivamente attraverso l’epitelio, dove legano e neutralizzano i microbi
presenti nel lume mucosale. Questo tipo di immunità, rivolta contro i microbi inalati
o ingeriti, è definita immunità mucosale (o immunità secretoria).
A causa dell’ampia superficie intestinale le IgA rappresentano il 60-70% dei 3
grammi circa di anticorpi prodotti giornalmente da un individuo adulto sano.
La propensione dei linfociti B nei tessuti linfoidi associati alle mucose a produrre IgA
è dovuta alla produzione in questi tessuti di elevati livelli delle citochine responsabili
della produzione di questo isotipo, e dalla predisposizione dei linfociti B che
secernono IgA a tornare nei tessuti associati alle mucose. Una parte delle IgA è
prodotta da linfociti B-1 anch’essi predisposti a localizzarsi nei siti mucosali.
I linfociti B della mucosa intestinale sono localizzati nella lamina propria, sottostante
la barriera epiteliale, dove sono prodotte le IgA. Queste ultime devono essere
trasportate attraverso la barriera epiteliale e il processo è mediato da un recettore
Fc particolare, chiamato recettore poli-Ig, espresso sulla superficie basale delle
cellule epiteliali. Questo recettore lega le IgA causandone l’internalizzazione in
vescicole e il successivo trasporto alla superficie luminale. Qui il recettore è tagliato
da una proteasi che rilascia l’IgA nel lume secretorio ancora legata ad un frammento
del recettore poli-Ig. Questa rappresenta la componente secretoria e protegge
l’anticorpo dalla successiva degradazione da parte delle proteasi nell’intestino.
L’anticorpo può quindi riconoscere i microbi e bloccare il loro legame agli epiteli,
quindi il loro ingresso nei tessuti.
Immunità neonatale
Gli anticorpi materni sono trasportati attivamente al feto attraverso la placenta e
attraverso l’epitelio intestinale del neonato in modo da proteggerlo dalle infezioni. I
neonati dei mammiferi sono in capace di allestire risposte efficaci contro molti
microrganismi; nel corso delle prime fasi di vita i neonati sono protetti dalle infezioni
76
grazie agli anticorpi acquisiti dalle loro madri. Questo rappresenta l’unico esempio di
immunità passiva p resente in natura.
I neonati acquisiscono gli anticorpi IgG materni attraverso due vie, entrambe basate
sul recettore neonatale per Fc (FcRn). Durante la gravidanza, alcune classi di IgG
legano il recettore FcRn, espresso nella placenta, e vengono attivamente trasportate
nel circolo fetale.
Dopo la nascita, i neonati ingeriscono gli anticorpi materni presenti nel colostro e nel
latte; questi contengono IgA che forniscono al neonato l’immunità mucosale.
Inoltre, anche le cellule intestinali esprimono FcRn, che lega le IgG e le trasporta
attraverso l’epitelio.
Il neonato è protetto dalle infezioni microbiche cui la madre è stata esposta o
vaccinata.
Vaccinazione
La vaccinazione è il processo con cui viene evocata una risposta immunitaria
adattativa specifica contro un microrganismo mediante l’esposizione a una forma o
a componenti non patogene del microrganismo.
Alcuni dei vaccini più efficaci sono composti da microbi attenuati, che mantengono
la loro antigenicità pur essendo stata soppressa la loro patogenicità. Questo tipo di
immunizzazione stimola la produzione di anticorpi neutralizzanti contro gli antigeni
patogeni, che proteggono gli individui vaccinati dalle infezioni successive.
I vaccini composti da proteine microbiche e polisaccaridi sono detti vaccini a
subunità. Alcuni antigeni polisaccaridici microbici vengono coniugati chimicamente a
proteine, in modo da stimolare sia l’attivazione dei linfociti T helper sia la
produzione di anticorpi ad alta affinità contro i polisaccaridi; parliamo in questo caso
di vaccini coniugati.
77
Una delle sfide nel campo della vaccinazione è costituita dallo sviluppo di vaccini che
siano in grado di stimolare l’immunità cellulo mediata contro i microbi intracellulari:
l’utilizzo di virus attenuati potrebbe consentire di raggiungere questo obbiettivo.
78
Tolleranza centrale dei linfociti T
I principali meccanismi di tolleranza centrale dei linfociti T sono: la morte cellulare e
la produzione di linfociti T CD4+ regolatori.
Quando un linfocita immaturo riconosce con alta affinità un antigene self presentato
da una molecola del complesso maggiore di istocompatibilità self, MHC, riceve
segnali che portano all’apoptosi e alla morte prima del completamento del processo
di maturazione. Questo processo è detto selezione negativa, ed è il meccanismo
fondamentale della tolleranza centrale, che colpisce sia i linfociti T CD4+ sia i CD8+
autoreattivi. Il riconoscimento ad alta affinità di un antigene self nel timo avviene
solo se esso è presente ad alte concentrazioni e se il recettore espresso dal linfocita
T è dotato di alta affinità. La selezione negativa è imperfetta e individui sani
presentano molti linfociti autoreattivi.
Tra gli antigeni che provocano la selezione negativa vanno incluse le proteine
presenti in tutto l’organismo. Alcune cellule timiche sono in grado di esprimere
anche proteine specifiche di tessuti periferici grazie alla presenza dell’enzima AIRE.
Mutazioni nel gene che produce AIRE (AutoImmune REgulator) causano una rara
malattia chiamata sindrome autoimmune poliendocrina (polighiandolare); in questa
patologia i linfociti T autoreattivi fuoriescono dal timo e attaccano i tessuti periferici
che esprimono questi antigeni, avendo come principali bersagli gli apparati
endocrini.
Alcuni linfociti T CD4+ immaturi che riconoscono con alta affinità antigeni self non
muoiono, ma proseguono il loro sviluppo in linfociti T regolatori che si
localizzeranno nei tessuti periferici.
79
Il riconoscimento dell’antigene senza adeguata costimolazione determina anergia o
morte del linfocita T, oppure lo predispone a essere inibito dai linfociti T regolatori.
Ricordiamo, infatti, che i linfociti T naive per poter essere attivati e proliferare hanno
bisogno di almeno due segnali: l’antigene e le molecole costimolatorie. In assenza di
agenti infettivi, le cellule dendritiche esprimono bassi livelli di molecole
costimolatorie (es. B7); allo stesso tempo possono però processare e presentare gli
antigeni self espressi dai tessuti. I linfociti T autoreattivi ricevono quindi continui
segnali dal proprio recettore, che riconosce l’antigene self: sarà quindi la presenza o
meno di costimolazione a determinare l’attivazione o la tolleranza da parte di un
linfocita T.
Con anergia indichiamo l’inattivazione funzionale permanente che si instaura nei
linfociti T quando non riescono a raggiungere la piena attivazione, poiché
riconoscono l’antigene in assenza di livelli adeguati di molecole costimolatorie.
La cellula resa anergica sopravvive, ma è incapace di rispondere all’antigene e
questo può essere dovuto principalmente a due meccanismi:
- Quando i linfociti T riconoscono l’antigene in assenza di costimolazione, il
complesso del TCR può perdere la propria capacità di trasmettere segnali
attivatori.
- I linfociti T possono ingaggiare recettori quali CTLA-4 (o CD152) o PD-1 che
hanno il compito di bloccare l’attivazione di queste cellule, portando a una
condizione di prolungata anergia. CTLA-4 ha un’affinità più elevata per B7
rispetto a CD28. Ne consegue che quando i livelli di B7 sono bassi, cioè se le APC
presentano antigeni self, il recettore che viene preferito è quello ad alta affinità,
CTLA-4; se invece i livelli di B7 sono alti viene ingaggiato il recettore attivatorio a
bassa affinità CD28. CTLA-4 blocca e rimuove le molecole di B7 presenti sulla
superficie delle APC, impedendo l’attivazione dei linfociti T. Il blocco delle
molecole CTLA-4 o PD-1 o la loro eliminazione determina lo sviluppo di reazioni
autoimmuni contro tessuti self.
I linfociti T regolatori si sviluppano nel timo, o nei tessuti periferici, in concomitanza
con il riconoscimento di antigeni self e hanno il ruolo di bloccare l’attivazione dei
linfociti effettori dotati della stessa specificità e quindi potenzialmente pericolosi.
La maggior parte dei linfociti T regolatori è CD4+ ed esprime alti livelli di CD25, la
catena α del recettore per l’interleuchina 2, IL-2. Lo sviluppo e la funzione di queste
80
cellule richiede un fattore trascrizionale chiamato FoxP3; mutazioni del gene che
codificano per FoxP3 causano una malattia autoimmune sistemica chiamata IPEX
(Immune disregulation, polyendocrinopathy, enteropathy, X-linked syndrome). La
sopravvivenza e la funzione dei linfociti T regolatori dipendono dalla citochina IL-2,
topi difettivi per questo gene sviluppano una grave malattia autoimmune. Anche il
fattore di crescita trasformante β (TGF-β) è importante nella generazione dei
linfociti T regolatori. Quest’ultimi possono inibire le risposte autoimmuni attraverso
vari meccanismi:
- Alcuni producono citochine, quali IL-10 e TGF-β, in grado di inibire
l’attivazione di linfociti, cellule dendritiche e macrofagi.
- Esprimono il CTLA-4 che può bloccare o rimuovere le molecole B7 dalle APC,
rendendole incapaci di fornire costimolazione e attivare i linfociti.
- In virtù dell’alto livello di espressione del recettore per IL-2, possono catturare
questo fattore di crescita essenziale anche per i linfociti T, riducendone così la
disponibilità per i linfociti T che stanno rispondendo all’antigene.
81
(CD95), espressa da molti tipi cellulari, il ligando FAS (FasL), espresso
prevalentemente dai linfociti T attivati; il loro legame può indurre la morte dei
linfociti sia T che B esposti ad antigeni self.
82
tolleranti), conduca alla sua anergia attraverso il blocco della trasmissione dei
segnali da parte del recettore per l’antigene. Questi linfociti anergici potranno uscire
dai follicoli linfoidi, da cui rimarranno poi esclusi, ma la mancanza di stimoli di
sopravvivenza ne può determinare la morte.
I linfociti B che riconoscono antigeni self nei tessuti periferici possono anche andare
incontro ad apoptosi, oppure restano inattivi a causa dell’ingaggio di recettori
inibitori presenti sul linfocita B.
Autoimmunità Pag.190
L’autoimmunità si definisce come la reazione del sistema immunitario nei confronti
degli antigeni self (autologhi). Essa rappresenta un’importante causa di malattia,
spesso con il termine di malattie autoimmuni si indicano però anche patologie
caratterizzate da risposte immunitarie incontrollate.
I principali fattori coinvolti nello sviluppo delle malattie autoimmuni sono
l’ereditarietà di geni di suscettibilità e alcuni stimoli ambientali, quali le infezioni. Il
danno tissutale nelle risposte autoimmuni può essere causato sia da anticorpi sia da
linfociti T autoreattivi. Nell’uomo le patologie autoimmuni sono di solito eterogenee
e multifattoriali; gli antigeni self che causano o sono i bersagli selle reazioni
autoimmuni spesso sono sconosciuti; inoltre, le malattie possono manifestarsi
clinicamente molto tempo dopo l’inizio della risposta autoimmune.
Fattori genetici
Nella maggior parte delle malattie autoimmuni il rischio ereditario dipende da molti
loci genici, i più importanti dei quali si collocano tra i geni dell’MHC.
I geni di suscettibilità possono interferire con i meccanismi della tolleranza,
determinando la sopravvivenza o la riattivazione di linfociti B e T autoreattivi.
Alcune delle comuni variabilità geniche (polimorfismi) possono contribuire allo
sviluppo di patologie autoimmuni, tuttavia questi polimorfismi sono presenti anche
in individui sani. In alcuni casi, i geni associati ad autoimmunità sono varianti
(mutazioni) rare o assenti negli individui sani. L’incidenza di una particolare malattia
autoimmune è spesso maggiore negli individui che ereditano un particolare alle HLA
rispetto alla popolazione generale. È importante sottolineare che, sebbene la
presenza di un allele HLA possa aumentare il rischio di sviluppare una particolare
83
malattia autoimmune, essa non rappresenta, di per sé, la causa della malattia.
Nonostante la chiara associazione degli alleli MHC con svariate patologie
autoimmuni, il loro ruolo nello sviluppo della patologia rimane sconosciuto.
Polimorfismi di geni diversi da quelli HLA sono associati allo sviluppo di diverse
malattie autoimmuni:
- Polimorfismi nel gene che codifica la tirosina fosfatasi PTPN22 possono
regolare l’attivazione dei linfociti B e T e sono associati a numerose patologie
autoimmuni, tra cui: l’artrite reumatoide, il lupus eritematoso sistemico e il
diabete mellito di tipo I.
- Varianti geniche per il sensore microbico citoplasmatico NOD-2 possono
diminuire la resistenza ai microbi intestinali e sono associate a circa il 25% dei
casi di malattia di Chron.
- Alcune rare patologie autoimmuni si ereditano in maniera mendeliana e sono
causate da mutazioni di singoli geni con alta penetranza, tra cui AIRE, FOXP3 e
FAS.
84
dove gli anticorpi anti-streptococchi cross-reagiscono con antigeni del miocardio.
Le infezioni possono inoltre danneggiare i tessuti rilasciando antigeni che di norma
sono esclusi dal contatto con il sistema immunitario.
Alcune infezioni sembrano addirittura conferire protezione contro le malattie
autoimmuni. Molte patologie autoimmuni sono più frequenti nelle donne.
L’esposizione alla luce solare rappresenta un fattore scatenante per lo sviluppo della
patologia autoimmune lupus sistemico eritematoso (LES).
Antigeni tumorali
I tumori esprimono diversi tipi di molecole che il sistema immunitario può
riconoscere come antigeni estranei.
85
· In tumori sperimentali indotti da carcinomi chimici o da radiazioni, gli antigeni
tumorali sono spesso costituiti da proteine normali mutate.
· Talora gli antigeni tumorali sono i prodotti di oncogeni o oncosoppressori
mutati o traslocati, che possono essere direttamente coinvolti nel processo di
trasformazione maligna
· In molti tumori umani, gli antigeni che stimolano le risposte immunitarie sono
proteine normali espresse in maniera eccessiva o aberrante, cioè proteine la cui
espressione, di norma limitata a particolari tessuti o stadi di sviluppo, viene
sregolata. Questi antigeni, essendo self e “normali”, non dovrebbero stimolare le
risposte immunitarie; ciononostante, il semplice fatto che siano espressi in
maniera aberrante può essere sufficiente per attivare l’immunità.
(Esempio: le proteine self proprie dei tessuti embrionali possono non indurre
tolleranza negli adulti e dunque, una volta riespresse nei tumori, essere riconosciute
come estranee dal sistema immunitario).
- Nei tumori causati da virus oncogeni, gli antigeni tumorali possono essere
proteine virali.
86
anche di un secondo segnale rappresentato dalle molecole costimolatorie espresse
dalle APC dopo a risposta innata o dalla stimolazione da parte dei linfociti T CD4
(attivati in seguito a presentazione dell’antigene sull’MHC di classe II espresso dalle
APC).
Per questo motivo per poter stimolare risposte CTL le cellule tumorali devono essere
prima ingerite dalle cellule dendritiche che ne processano gli antigeni, esponendoli
su MHC di classe I o II. Saranno le APC a stimolare i linfociti T CD8 o CD4 in presenza
di molecole costimolatorie in grado di fornire i “secondi segnali” necessari per la loro
attivazione. Questo processo viene chiamato presentazione crociata o
“cross-priming”, poiché un tipo cellulare (la cellula dendritica) presenta antigeni di
un’altra cellula (la cellula tumorale), attivando i linfociti T per quest’ultima.
Una volta che i linfociti T CD8+ naive si sono differenziati in CTL effettori, essi
possono uccidere le cellule tumorali anche in assenza di costimolazione o del
contributo dei linfociti T helper.
Il differenziamento in CTL viene quindi indotto dalle APC mediante cross priming,
ma le CTL agiscono direttamente contro le cellule del tumore.
Oltre alla citotossicità ci sono anche altri meccanismi che possono giocare un ruolo
nel rigetto dei tumori (risposte di tipo CD4+ o contributo di anticorpi specifici)
tuttavia mancano ancora le prove che queste risposte possano effettivamente
proteggere contro la crescita tumorale.
87
· Spesso le risposte contro i tumori possono essere deboli a causa della scarsa
immunogenicità di molti degli antigeni tumorali (forse molto simili ad antigeni
self).
· I tumori possono sviluppare strategie per eludere le risposte immunitarie:
- Smettendo di esprimere gli antigeni che avevano attivato
l’immunità diventando “varianti con perdita dell’antigene”;
- Smettendo di esprimere MHC di classe I, cessando di
mostrare i propri antigeni per il riconoscimento da parte dei
linfociti T CD8+. (Possono però essere riconosciuti ancora dalle
cellule NK);
- Secernendo citochine che sopprimono la risposta
immunitaria, come TGF-β (Transforming Growth Factor-β);
- Sopprimendo le risposte immunitarie antitumorali
ingaggiando le normali molecole inibitorie dei linfociti, quali
CTLA-4 o PD1.
88
In passato sono state usate prevalentemente forme di immunizzazione passiva,
basate sulla somministrazione di molecole o cellule effettrici del sistema
immunitario.
- Ad esempio per trattare i tumori dei linfociti B venivano
somministrati anticorpi monoclonali contro la molecola CD20,
spesso in combinazione con la chemioterapia. Dal momento che il
CD20 non era espresso dalle cellule staminali ematopoietiche, al
termine del trattamento è ancora possibile la produzione di nuovi
linfociti B normali.
89
Il rigetto di un trapianto è il risultato di una reazione infiammatoria che danneggia il
tessuto trapiantato e che dipende dall’attivazione dell’immunità adattativa.
Il rigetto di un tessuto dipende dall’espressione di varianti geniche diverse nei vari
individui. L’individuo che fornisce il tessuto è chiamato donatore, mentre quello nel
quale il tessuto viene trapiantato viene detto ricevente (o ospite). Gli animali
geneticamente identici ( e i trapianti scambiati tra questi) sono detti singenici; gli
animali (e i trapianti) appartenenti alla stessa specie ma geneticamente diversi sono
detti allogenici; infine animali ( e trapianti) appartenenti a specie diverse sono detti
xenogenici.
I trapianti allogenici e xenogenici, anche chiamati “allotrapianti” e “xenotrapianti”,
vengono sempre rigettati.
Gli antigeni che attivano la risposta immunitaria sono chiamati “alloantigeni” e
“xenoantigeni”, mentre gli anticorpi e i linfociti T che rispondono a essi vengono
detti, rispettivamente, “alloreattivi” e “xenoreattivi”.
90
potranno essere riconosciute e legate dai linfociti. Però, mentre in una reazione
immunitaria rivolta contro una cellula infettata solo una piccola frazione di molecole
MHC self sulla superficie monterà un antigene non self, in una risposta rivolta
contro un trapianto allogenico ogni cellula del tessuto trapiantato esprimerà
migliaia di MHC not-self che potranno essere riconosciute come estranee dai linfociti
T del ricevente. Per questo motivo la risposta sarà così intensa.
Oltre all’MHC anche altre proteine polimorfiche possono entrare in gioco nel
determinare il rigetto dei trapianti. Le reazioni di rigetto stimolate dagli antigeni
minori di istocompatibilità sono generalmente meno intense rispetto a quelle
causate da MHC estranei.
91
riconoscere e uccidere le cellule del trapianto (che esprimono MHC non self). Per
tale ragione è plausibile che il riconoscimento indiretto porti a un tipo di rigetto
dovuto prevalentemente all’azione dei linfociti CD4+.
Non sappiamo se sia più importante l’alloriconoscimento diretto o indiretto; si
ipotizza, tuttavia, che la via diretta sia più importante per i rigetti acuti a opera dei
CTL, mentre la via indiretta svolga un ruolo maggiore nel rigetto cronico.
92
secernendo citochine che stimolano la proliferazione e l’attività di fibroblasti e
cellule muscolari lisce vascolari.
Mentre il rigetto acuto ha perso importanza grazie alle terapie immunosoppressive il
rigetto cronico sta diventando la causa principale dell’insuccesso dei trapianti.
Ipersensibilità Pag.215
In alcuni casi le risposte immunitarie possono causare danno tissutale e malattia, si
parla di reazioni da ipersensibilità a cui si associano malattie da ipersensibilità.
Queste si verificano sostanzialmente in due situazioni:
1. Quando la risposta ad un antigene esogeno è abnorme o non regolata;
93
2. Quando la risposta è diretta contro antigeni autologhi e genera risposte
autoimmuni per mancata tolleranza al self;
Le reazioni da ipersensibilità sono comunemente classificate in base al principale
meccanismo responsabile del danno tissutale e della malattia. Distinguiamo:
- I persensibilità immediata o di tipo I à è una reazione patologica causata
dall’abnorme rilascio di mediatori da parte dei mastociti; è generalmente
innescata dalla produzione di IgE dirette contro antigeni ambientali.
Ipersensibilità immediata
L’ipersensibilità immediata consiste in una reazione da parte delle IgE e dei mastociti
a particolari antigeni esogeni, che causa una rapida vasopermeabilizzazione e
secrezione di muco cui spesso segue infiammazione. Queste tipologie di reazioni
sono anche dette allergie o atopie e gli individui fortemente predisposti a sviluppare
tali reazioni sono detti atopici. Questa predisposizione ha una forte componente
genetica, il maggior rischio di sviluppo di allergie è infatti la familiarità.
L’ipersensibilità immediata può manifestarsi con gravità variabile nei vari tessuti dei
diversi pazienti, le forme più comuni sono: la febbre da fieno, le allergie alimentari,
l’asma bronchiale e l’anafilassi. Le allergie sono le forme più frequenti di malattie
immunologiche e interessano circa il 20% della popolazione mondiale.
94
La sequenza di eventi che porta allo sviluppo dell’ipersensibilità immediata inizia con
l’attivazione dei linfociti TH2 e la relativa produzione di IgE in risposta ad un
antigene. Le IgE prodotte andranno a legarsi ai recettori per Fc presenti sui mastociti
facendo in modo che, alla successiva esposizione allo stesso antigene, questo causi il
cross-link dei complessi IgE-recettori Fc e il conseguente rilascio di mediatori chimici
da parte dei mastociti stessi.
Le reazioni vascolari e muscolari, indotte da questi mediatori, possono avvenire
nell’arco di pochi minuti dalla riesposizione all’antigene, per cui parleremo di
ipersensibilità immediata. Altri mediatori rilasciati dai mastociti, quali le citochine,
agiscono nell’arco di ore determinando la componente infiammatoria associata al
danno tissutale e definita reazione di fase tardiva.
Gli antigeni che innescano reazioni allergiche sono definiti allergeni.
Negli individui normali si attivano risposte TH2 non particolarmente intense contro
la maggior parte degli antigeni esogeni, mentre negli individui predisposti all’allergia
l’esposizione ad antigeni proteici (pollini, alimenti, veleni, …) innesca una risposta
più forte da parte dei linfociti TH2, dovuta ad un abnorme attivazione.
Due delle citochine prodotte dai linfociti TH2, IL-4 e IL-13, agiscono sui linfociti B
specifici per l’antigene, inducendone la
differenziazione in plasmacellule
secernenti IgE.
Le IgE prodotte in risposta ad un
allergene si legano ai recettori ad alta
affinità, specifici per la catena pesante ε
espressi sulla membrana dei mastociti
(FCεRI). Il processo di rivestimento dei
mastociti da parte delle IgE è definito
sensibilizzazione, dato che la presenza di
IgE specifiche conferisce alle cellule una
maggiore sensibilità in caso di successiva
esposizione. La concentrazione
plasmatica di IgE è di M, per cui i
95
mastociti sono ricoperti sempre da IgE anche in individui normali.
I mastociti sono presenti nei tessuti connettivi di svariati organi, in particolare sotto
gli epiteli e in prossimità dei capillari. Quali organi vedranno l’attivazione dei
mastociti dipende principalmente dalla via di introduzione all’allergene.
Quando i mastociti già sensibilizzati dalle IgE incontrano l’allergene, vengono
stimolati a secernere i loro mediatori. L’attivazione avviene quando l’allergene riesce
a legare due o più molecole di IgE, in modo da indurre il cross-link dei recettori
FCεRI e innescando la trasduzione del segnale che porta a tre tipi di risposte:
1. Degranulazione à il rapido rilascio del contenuto dei granuli porta alla liberazione
di mediatori quali: amine vasoattive, tra cui ricordiamo l’istamina c he induce
vasodilatazione dei capillari e contrazione delle cellule muscolari liscie; proteasi,
che causano danni localizzati ai tessuti.
2. Sintesi e secrezione di mediatori lipidici à inizia la produzione di metaboliti
dell’acido arachidonico: le prostaglandine causano vasodilatazione, i leucotrieni
stimolano la prolungata contrazione delle cellule muscolari lisce.
3. Sintesi di citochine à le citochine prodotte dai mastociti stimolano il
reclutamento di leucociti, evento che caratterizza la reazione di fase tardiva. Il
TNF e IL-4, prodotti dai mastociti, inducono un’infiammazione caratterizzata da
un ricco infiltrato di neutrofili ed eosinofili, questi liberano proteasi causando un
danno tissutale. Anche le chemochine contribuiscono al reclutamento
leucocitario. Gli eosinofili sono la componente più importante di molte reazioni
allergiche e vengono attivati dall’IL-5 prodotta dai linfociti TH2 e dai mastociti.
96
caratterizzata da edema tissutale accompagnata da una caduta pressoria. Tra le più
comuni cause di anafilassi troviamo: punture di insetti, reazioni a farmaci e
antibiotici e il consumo di frutta secca o frutti di mare. L’anafilassi è causata da una
diffusa degranulazione dei mastociti in risposta ad antigeni sistemici e può essere
letale a causa sia dell’improvvisa caduta pressoria sia della costrizione delle vie
aeree superiori.
Le terapie per le malattie da ipersensibilità immediata sono principalmente rivolte a
inibire la degranulazione dei mastociti, prevenendo quindi gli effetti dei mediatori
rilasciati e riducendo l’infiammazione. Tra i farmaci più comunemente usati
ricordiamo: gli antistaminici (per raffreddore da fieno), epinefrina ( per anafilassi),
corticosteroidi (per asma). È stato sviluppato un trattamento che prevede ripetute
somministrazioni di piccole dosi di allergene, noto come
immunoterapia allergene-specifica.
desensibilizzazione o
97
espressi dai neutrofili e dai macrofagi inducendo la loro attivazione e innescando il
processo infiammatorio; IgG e IgM attivano inoltre la via classica del complemento.
Una volta attivati, nel sito di deposizione i leucociti rilasciano prodotti reattivi
dell’ossigeno ed enzimi lisosomiali che danneggiano il tessuto circostante. IgG e IgM
possono anche opsonizzare le cellule e promuoverne la fagocitosi.
Alternativamente, gli anticorpi contro gli antigeni self possono legarsi alla
membrana cellulare promuovendo la lisi o interferendo con le normali funzioni
cellulari. Alcuni anticorpi possono indurre la malattia anche senza causare danno
tissutale diretto: legando molecole o recettori funzionalmente rilevanti, questi
possono interferire con diverse funzioni cellulari.
Ad esempio, nella miastenia grave anticorpi diretti contro il recettore per
l’acetilcolina inibiscono la trasmissione del segnale neuromuscolare, causando
paralisi. Nella malattia di Graves, invece, gli anticorpi attivano direttamente il
recettore per l’ormone stimolante la tiroide, TSH, mimando l’azione del ligando
fisiologico e provocando ipertiroidismo.
Manifestazioni cliniche e terapia
Nell’uomo molte
forme croniche di
ipersensibilità sono
causate da anticorpi
diretti contro antigeni
tissutali o da
immunocomplessi.
La terapia per queste
malattie è volta
principalmente a
limitare
l’infiammazione locale
e le sue conseguenze
lesive attraverso
l’utilizzo di farmaci
98
quali i corticosteroidi. Nei casi più gravi viene impiegata la per ridurre il titolo di
anticorpi o di immunocomplessi circolanti.
{ La plasmaferesi è una tecnica di
separazione del plasma
sanguigno dagli elementi
corpuscolati del sangue ottenuta
mediante centrifugazione. Il
metodo è utilizzato sia a scopi
emotrasfusionali, sia a scopi
terapeutici.}
99
dei linfociti T e innescare la produzione di enormi quantità di citochine
infiammatorie, che causano una sindrome da shock tossico. Queste tossine vengono
definite superantigeni in quanto si legano alla porzione invariante del recettore per
l’antigene espresso su diversi cloni di linfociti T, attivandoli indipendentemente dalla
loro specificità.
100
Le malattie causate da linfociti T in genere sono croniche e progressive, in parte
perché l’interazione tra linfociti T e macrofagi tende ad amplificarsi e prolungarsi nel
tempo e in parte perché frequentemente gli antigeni scatenanti non riescono ad
essere eliminati completamente. Il danno tissutale può causare il rilascio e/o
l’alterazione di proteine self, causando l’estensione della risposta immunitaria anche
a questi nuovi antigeni, un fenomeno detto epitope spreading (estensione
dell’epitopo).
L’infiammazione cronica innescata da una reazione immunitaria è definita malattia
infiammatoria immuno-mediata.
La terapia delle ipersensibilità causate dai linfociti T mira a ridurre l’infiammazione e
inibire le risposte dei linfociti T. Il trattamento di elezione per queste patologie è la
somministrazione di antiinfiammatori steroidei, nonostante gli effetti collaterali.
101
Immunodeficienze congenite e acquisite
Malattie causate da risposte immunitarie deficitarie
I difetti dello sviluppo e delle funzioni del sistema immunitario danno luogo
all’aumento della suscettibilità alle infezioni, alla riattivazione di infezioni latenti
(come quelle da citomegalovirus, da virus di Epstein-Barr e da tubercolosi), che di
norma sono tenute sotto controllo, ma non eradicate, dal sistema immunitario, e
all’aumentata incidenza di alcune neoplasie maligne.
I disordini causati da deficit delle risposte immunitarie sono chiamati malattie da
immunodeficienza. Alcune di queste malattie possono derivare da anomalie
genetiche a carico di uno o più componenti del sistema immunitari; esse sono
denominate “immunodeficienze congenite” (o primarie). Altri difetti del sistema
immunitario possono derivare da infezioni, anomalie nutrizionali o trattamenti
farmacologici che provocano la perdita o il funzionamento inadeguato di varie
componenti del sistema immunitario; queste condizioni sono denominate
“immunodeficienze acquisite” (o secondarie).
102
.
Nella seguente tabella sono riassunte le principali caratteristiche e manifestazioni
cliniche delle malattie da immunodeficienza che coinvolgono diverse componenti
del sistema immunitario.
Deficit a carico dei linfociti Follicoli e centri germinativi negli Infezioni da batteri piogeni.
B organi linfoidi ridotti o assenti.
Livelli ridotti delle Ig sieriche.
Deficit a carico dei linfociti Possibile riduzione delle aree T Infezioni virali e da altri microbi
T degli organi linfoidi. intracellulari (es. Pneumocystis
Risposte DTH ridotte agli antigeni jiroveci, micobatteri atipici, miceti).
comuni. Neoplasie associate a virus (es.
linfoma associato a EBV).
SCID X-linked
Numerose anomalie genetiche possono essere causa delle SCID. Circa la metà di
queste alterazioni è legata al cromosoma X e colpisce solo i maschi.
Approssimativamente il 50% dei casi di SCID X-linked è causato da mutazioni della
103
catena di trasduzione del segnale di un recettore per le citochine. Questa subunità è
denominata “catena γ comune” ( ), in quanto componente comune dei recettori
per numerose citochine, quali i recettori per IL-2, IL-4, IL-7, IL-9 e IL-15.
Quando la catena non è funzionale, i linfociti immaturi, agli stadi di cellule pro-T,
non possono proliferare in risposta a IL-7, il principale fattore di crescita per queste
cellule. Il deficit di risposta all’IL-7 causa la ridotta sopravvivenza e maturazione dei
precursori linfocitari. Nella specie umana il difetto colpisce principalmente la
maturazione dei linfociti T. Ciò determina una profonda riduzione del numero di
cellule T mature e un deficit della risposta immunitaria cellulo-mediata; si osserva
inoltre un deficit delle risposte umorali a causa della mancata cooperazione da parte
dei linfociti T helper (sebbene la maturazione dei linfociti B sia pressoché normale).
Anche le cellule Natural Killer sono deficitarie poiché anche il recettore di IL-15, la
principale citochina coinvolta nella proliferazione e maturazione di queste cellule,
usa la catena .
104
ricombinazioni somatiche dei geni delle Ig e del recettore dei linfociti T e per
la maturazione linfocitaria.
La causa del restante 50% dei casi sia delle SCID X-linked sia delle SCID autosomiche
non è invece conosciuta.
105
Il trattamento delle immunodeficienze primarie che colpiscono la maturazione
linfocitaria varia a seconda del tipo di malattia.
La SCID è fatale in età giovanile, a meno che il sistema immunitario del paziente non
sia ricostituito. La terapia maggiormente utilizzata è il trapianto di midollo osseo,
con un’attenta valutazione della compatibilità tra donatore e ricevente per evitare la
grave reazione di del trapianto verso l’ospite. Nel caso dei difetti selettivi dei linfociti
B, è possibile somministrare ai pazienti immunoglobuline isolate da donatori sani,
fornendo immunità passiva. La terapia sostitutiva con immunoglobuline è di enorme
beneficio nei pazienti con agammaglobulinemia X-linked. Il trattamento ideale per
tutte le immunodeficienze congenite rimane comunque la terapia sostitutiva genica,
che tuttavia, al momento, non è ancora praticabile nella maggior parte dei casi.
106
La “sindrome del linfocita nudo” è una malattia causata dall’incapacità di esprimere
molecole di MHC di classe II come conseguenza di mutazioni a carico dei fattori
trascrizionali che regolano l’espressione di questi geni. Le molecole di MHC di classe
II presentano i peptidi antigenici ai linfociti T CD4+ promuovendo la loro
maturazione e attivazione. Per questo motivo la malattia si manifesta con una
notevole diminuzione nei linfociti T CD4, a causa della loro difettosa maturazione
timica e della carente attivazione negli organi linfoidi.
107
Tra i difetti a carico di varie proteine del complemento e di proteine regolatrici del
complemento è importante ricordare che:
- Il deficit di C3 causa gravi infezioni e in genere è fatale;
- Il deficit di C2 e C4, componenti della via classica, non danno origine a
immunodeficienza (la via alternativa è sufficiente a garantire comunque la
difesa), ma danno origine a malattie mediate da immunocomplessi che
assomigliano al lupus. Probabilmente è dovuto al fatto che la via classica del
complemento è coinvolta nell’eliminazione degli immunocomplessi che si
formano costantemente durante la risposta umorale;
108
Virus dell’immunodeficienza umana
L’HIV è un retrovirus che infetta le cellule del sistema immunitario, soprattutto i
linfociti T CD4+, e causa la progressiva distruzione di queste cellule.
Il virione di HIV consiste in due eliche di RNA all’interno di un nucleo proteico
(core), circondato da un involucro lipidico (envelope) derivato dalla cellula ospite e
contente proteine virali.
Il ciclo vitale di HIV consiste nelle seguenti fasi sequenziali:
- infezione della cellula bersaglio;
- produzione del DNA virale e sua integrazione nel genoma dell’ospite;
- espressione dei geni virali e produzione delle particelle virali.
L’infezione da HIV è mediata dalla principale glicoproteina dell’envelope,
denominata “gp120”, che si lega al CD4 e ai recettori per chemochine (CXCR4 e
CCR5 espressi, rispettivamente, dai linfociti T e dai macrofaci). Pertanto il virus può
infettare efficientemente solo le cellule che esprimono questi recettori.
Le principali cellule bersaglio di HIV sono i linfociti T CD4+, i macrofagi e le cellule
dendritiche.
Dopo il legame ai recettori cellulari, la membrana virale si fonde con quella della
cellula ospite e il virus penetra nel citoplasma della cellula. Qui il virus è denudato da
una proteasi virale e il suo RNA viene rilasciato. La trascrittasi inversa virale
sintetizza una copia di DNA usando l’RNA virale come stampo e il DNA virale si
integra nel DNA della cellula ospite mediante l’azione dell’enzima integrasi. Il DNA
virale così integrato è chiamato “provirus”. Quando i linfociti T, i macrofagi o le
cellule dendritiche infettati da HIV vengono attivati da stimoli esterni, quali altri
microbi infettivi, la cellula risponde attivando la trascrizione di numerosi geni, inclusi
quelli di alcune citochine. Questa normale risposta protettiva può però riattivare il
provirus, stimolando la produzione di RNA e proteine virali. Questo consente
l’assemblaggio del core virale in corrispondenza della membrana cellulare,
l’acquisizione di un envelope lipidico dall’ospite e la gemmazione del virione pronto
a infettare un’altra cellula. È possibile che il pro virus dell’HIV integrato resti latente
109
all’interno delle cellule infette per mesi o anni, celato al sistema immunitario e alle
terapie antivirali.
Patogenesi dell’AIDS
L’HIV causa una’infezione latente nelle cellule del sistema immunitario che può
essere riattivata per produrre nuovi virioni infettivi. La produzione del virus conduce
alla morte delle cellule infette, nonché dei linfociti non infetti, con conseguente
immunodeficienza e sviluppo di AIDS conclamato.
Dopo l’infezione (trasmissibile con rapporti sessuali, aghi, trasfusioni, via
transplacentare ecc..) ci può essere un’acuta viremia transitoria, durante la quale il
virus è individuabile nel sangue, che può determinare nell’ospite una risposta simile
a quella evocata da una qualsiasi lieve infezione virale. Il virus infetta i linfociti T
CD4+, le cellule dendritiche, e i macrofagi localizzati nei siti d’ingresso agli epiteli,
negli organi linfoidi, e in circolo. L’ingresso del virus nei siti mucosali è associato a
una massiva morte dei linfociti T infettati. Poiché in questi tessuti risiede una gran
quantità di linfociti, in particolar modo linfociti T della memoria, questa infezione
iniziale può causare localmente un significativo deficit funzionale, che però non si
riflette a livello sistemico in termini di alterazioni del numero di linfociti T circolanti.
Le cellule dendritiche possono catturare HIV quando penetra attraverso gli epiteli e
trasportarlo agli organi linfoidi secondari, dove può infettare i linfociti T. Nel corso
dell’infezione da HIV, la principale fonte di particelle virali infettive è rappresentata
dai linfociti T CD4+ attivati, mentre le cellule dendritiche e i macrofagi
rappresentano i serbatoi di infezione.
La deplezione dei linfociti T CD4+ a seguito dell’infezione da HIV è dovuta a un
effetto citopatico del virus, dovuto alla produzione delle particelle virali e alla morte
delle cellule infette.
La perdita dei linfociti T durante la progressione della malattia verso l’AIDS è
comunque molto superiore al numero di cellule infette. Il meccanismo con cui si
attua questa perdita delle cellule T resta poco definito. Una possibilità è che
l’attivazione cronica dei linfociti T, anche a causa delle infezioni comuni di questi
pazienti, vadano incontro ad apoptosi attraverso il processo denominato “morte
cellulare indotta dall’attivazione”.
110
Oltre ai linfociti T possono morire anche altre cellule infette, come cellule
dendritiche e i macrofagi, ciò determina la distruzione dell’architettura degli organi
linfoidi.
111
La risposta immunitaria al virus HIV è inefficace nel controllo della diffusione del
virus e dei suoi effetti patologici. Gli individui infetti da HIV producono anticorpi e
CTL contro gli antigeni virali. Anche se queste risposte contribuiscono a limitare la
sindrome precoce acuta da HIV, di solito non sono in grado di prevenire la
progressione cronica della malattia. Gli anticorpi diretti contro le glicoproteine
dell’envelope, come la gp120, spesso risultano inefficaci per via delle frequenti
mutazioni a cui vanno incontro questi antigeni per sfuggire alla risposta immunitaria.
I CTL sono spesso inefficaci nell’uccidere le cellule infette, poiché il virus inibisce
l’espressione delle molecole MHC di classe I. Paradossalmente la risposta
immunitaria può promuovere la diffusione dell’infezione: gli anticorpi che rivestono
le particelle virali possono legarsi ai recettori per Fc sulla superficie di macrofagi e
cellule dendritiche favorendo l’infezione virale anche di questi, mentre la lisi delle
cellule infette operata dai CTL può provocare la diffusione dell’infezione da parte dei
macrofagi coinvolti nella rimozione di cellule morte. Inoltre il virus è in grado di
ostacolare la propria eradicazione infettando e interferendo con la risposta
immunitaria.
112