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IMMUNOLOGIA

Filippo Paggetti
Bucchi Chiara
Anno accademico 2015-2016

Questa raccolta contiene i riassunti del libro di Immunologia ‘’Abbas, Immunologia cellulare e
molecolare’’ integrato con appunti ricavati dalle lezioni e approfondimenti vari.
Essendo stati scritti da studenti possono contenere errori, ma pensiamo si tratti di un materiale
utile e valido per prepararsi all’esame e abbiamo deciso di condividerlo.

Chiabucchi@gmail.com
Filippopaggetti96@gmail.com

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Immunologia
Paggetti Filippo e Bucchi Chiara
Medicina e Chirurgia, UniFi

Introduzione al sistema immunitario ​Pag. 1 Abbas


L’​immunità​ viene definita come resistenza alle malattie, in particolare alle malattie
infettive. L’insieme delle cellule, dei tessuti e delle molecole che mediano la
resistenza alle infezioni è chiamato ​sistema immunitario​ e la reazione coordinata di
queste cellule e molecole contro i microrganismi infettivi costituisce la ​risposta
immunitaria​. ​La principale funzione fisiologica del sistema immunitario è di
prevenire le infezioni e di eradicare quelle in atto. Il sistema immunitario è anche in
grado di prevenire la crescita tumorale e viene coinvolto nella rimozione delle cellule
morte e nelle fasi iniziali dei meccanismi di riparo tissutale. Una sua eccessiva
attivazione è però responsabile di molte malattie su base infiammatoria e causa di
morbosità e mortalità.
In ciascun individuo, l’immunità può essere attivata in seguito a infezione o
vaccinazione (​immunità attiva​) oppure può essere trasferita attraverso la
somministrazione di anticorpi o linfociti provenienti da un individuo immunizzato
(​immunità passiva​).
I meccanismi di difesa dell’ospite comprendono l’immunità innata e quella
adattativa.

L’immunità innata / naturale / nativa​ ​è la prima linea di difesa dell’organismo ed è


mediata da cellule e da molecole sempre presenti e pronte a eliminare gli agenti
infettivi. È garantita dalle barriere epiteliali, da cellule specializzate presenti negli
epiteli (fagociti e cellule dendritiche) e da linfociti natural killer e proteine del
sistema complemento. Essa è anche in grado di potenziare la risposta immunitaria
adattativa.

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L’​immunità adattativa / specifica / acquisita​ ​si sviluppa invece più lentamente e
costituisce una strategia più specifica ed efficace contro le infezioni. È portata avanti
dai linfociti e dai loro prodotti; richiede espansione clonale e differenziazione degli
stessi linfociti, prima che sia efficace. Anche la risposta adattativa può utilizzare le
cellule e le molecole dell’immunità innata, potenziandone enormemente in
meccanismi microbicidi.
L’immunità adattativa è costituita dall’​immunità umorale​, in cui gli anticorpi
neutralizzano ed eliminano i microbi extracellulari e le tossine; e dall​’i​ mmunità
cellulare,​ in cui i linfociti T eradicano i microbi intracellulari.
Tra le caratteristiche dell’immunità adattativa ricordiamo:
- Specificità​ (garantisce una risposta specifica contro ciascun antigene);
- Diversità​ (permette al sistema immunitario di rispondere a un’ampia varietà di
antigeni);
- Memoria​ (comporta risposte più intense in presenza di esposizioni ripetute
agli stessi antigeni);
- Espansione clonale​ (aumenta il numero di linfociti antigene – specifici capaci
di fronteggiare i microbi);
- Specializzazione​ (genera risposte ottimali e diversificate per combattere al
meglio i diversi tipi di microbi);
- Contrazione e omeostasi​ (le risposte si autolimitano, permettendo al sistema
immunitario di rispondere a una nuova infezione);
- Mancata reattività al self​ (impedisce danni all’ospite nel corso delle risposte
ad antigeni estranei);

Le principali cellule del sistema immunitario adattativo sono:


- Linfociti:​ sono le uniche cellule dotate di recettori specifici per l’antigene e
rappresentano la componente centrale dell’immunità adattativa. Includono
popolazione che assolvono diverse funzioni e che possono essere distinte sulla
base dell’espressione di particolari molecole di membrana.
● Linfociti B​ ​→​ mediatori dell’immunità umorale; producono ​anticorpi​.
Originano e maturano nel midollo osseo. Gli anticorpi possono
riconoscere antigeni di natura proteica, lipidica e saccaridica.

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I linfociti B possono riconoscere direttamente gli antigeni microbici (sia
sulla superficie dei microbi o rilasciati), sono inoltre stimolati dagli
antigeni presentati loro dai macrofagi e dalle cellule dendritiche
follicolari.
● Linfociti T​ ​→​ mediatori dell’immunità cellulo mediata; si differenziano
in ​linfociti T helper​ (T CD4+), ​T citotossici​ (T CD8+), e ​linfociti T
regolatori. L​ a maggior parte dei loro recettori riconoscono solo
frammenti peptidici legati al complesso maggiore di istocompatibilità
(MHC), espresso sulle cellule presentanti l’antigene (APC).
● Natural Killer​ ​→​ mediatori dell’immunità innata; sono in grado di
uccidere le cellule infettate, ma non esprimono recettori per l’antigene
clonalmente distribuiti.

- Cellule presentanti l’antigene (APC):​ sono cellule specializzate nella cattura


degli antigeni, nel trasporto agli organi linfoidi secondari e nella loro
presentazione ai linfociti.
● Cellule dendritiche​ ​→​ inizio delle risposte T.
● Macrofagi ​→​ fase effettrice dell’immunità cellulo – mediata.
● Cellule dendritiche follicolari ​→​ esposizione degli antigeni ai linfociti B
nelle risposte immunitarie umorali.

- Cellule effettrici: ​si occupano dell’eliminazione dei microbi e degli antigeni.


● Linfociti T
● Macrofagi
● Granulociti
La risposta immunitaria adattativa è costituita da fasi successive:
1. Riconoscimento dell’antigene da parte dei linfociti;
2. Proliferazione e differenziazione dei linfociti in cellule effettrici e della
memoria;
3. Eliminazione dei microbi;
4. Graduale declino della risposta immunitaria;
5. Creazione di una memoria a lungo termine;

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I tessuti del sistema immunitario comprendono gli ​organi linfoidi primari​, in cui i
linfociti B e T maturano e acquisiscono la capacità di rispondere agli antigeni
(​midollo osseo e timo)​ ; e gli organi linfoidi secondari, in cui ha inizio l’immunità
adattativa.
I ​linfociti naive (vergini)​ circolano attraverso gli organi linfoidi secondari alla ricerca
di antigeni estranei. I linfociti T effettori migrano nei siti periferici di infezione, dove
si occupano dell’eliminazione microbica. Le plasmacellule restano negli organi
linfoidi e nel midollo osseo, dove producono gli anticorpi che entrano in circolo e
raggiungono i tessuti periferici per eliminare i microbi.
Gli ​organi linfoidi secondari​ comprendono i linfonodi, la milza e il sistema
immunitario associato alle mucose. Essi hanno un’organizzazione anatomica che
permette alle APC di concentrare gli antigeni in questi organi e ai linfociti di venire in
contatto con i microbi per ucciderli.
I ​linfonodi​ sono aggregati nodulari incapsulati di tessuti linfoidi localizzati lungo le
vie linfatiche in tutto il corpo. La ​linfa​ drena dai tessuti ai linfonodi attraverso i vasi
linfatici per poi immettersi nel torrente ematico.
Quando la linfa passa attraverso i linfonodi, le APC qui presenti sono in grado di
catturare gli antigeni microbici presenti. Le cellule dendritiche, inoltre, catturano gli
antigeni a livello epiteliale e li trasportano fino ai linfonodi (sempre tramite la linfa).
Nei linfonodi, i linfociti B sono concentrati nei ​follicoli,​ strutture localizzate nella
zona corticale del linfonodo. Se questi linfociti hanno risposto recentemente a un
antigene, all’interno del follicolo avremo una zona colorata con minor intensità, che
rappresenta il ​centro germinativo. ​ I linfociti T si localizzano nella zona paracorticale
(area T), all’esterno dei follicoli.
La ​milza è​ un organo altamente vascolarizzato che svolge nei confronti degli antigeni
presenti nel sangue lo stesso ruolo svolto dai linfonodi per gli antigeni della linfa.
Essa contiene inoltre un gran numero di fagociti, che ingeriscono e uccidono i
microbi presenti nel sangue. Nella milza, i linfociti T sono concentrati nei manicotti
linfoidi periarteriolari, mentre i linfociti B sono localizzati nei follicoli. Le cellule
dendritiche follicolari presenti nei follicoli producono una particolare chemochina
che lega il recettore ​CXCR5​ dei linfociti naive, in grado di attrarre i ​linfociti B​ presenti
nel sangue all’interno dei follicoli degli organi linfoidi.

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Analogamente i ​linfociti T​ sono attratti nelle regioni paracorticali dei linfonodi e nei
manicotti linfoidi periarteriolari della milza, attraverso l’interazione tra chemochine
e il recettore ​CCR7.​
Quando i linfociti vengono attivati dagli antigeni, modificano l’espressione dei
recettori per le chemochine; possono quindi migrare e interagire tra loro lungo il
margine dei follicoli, dove i linfociti T helper aiutano i linfociti B a differenziarsi.
Il ​sistema linfoide associato alla cute e alle mucose​ costituisce un insieme di tessuti
linfoidi, APC e molecole effettrici specializzate che è localizzato al di sotto
dell’epitelio che riveste la cute e gli apparati gastrointestinale e respiratorio (es.
tonsille faringee e placche di Peyer).

Immunità innata​ ​Pag. 23 Abbas


I due principali tipi di risposte del sistema immunitario innato sono l’infiammazione e
la difesa contro i virus​. L’immunità innata reagisce ai microrganismi, ma non alle
sostanze che non sono di origine microbica; essa è specifica per le strutture espresse
dalle varie classi di microbi e che non sono condivise dalle cellule dell’ospite.
I meccanismi dell’immunità innata riconoscono un numero limitato di molecole
microbiche rispetto al numero, quasi illimitato, di antigeni riconosciuti dal sistema
immunitario adattativo.
Le molecole microbiche in grado di stimolare l’immunità innata sono dette ​profili
molecolari associati ai patogeni (PAMP).​ I recettori dell’immunità innata che
riconoscono queste strutture condivise sono chiamati ​recettori per i profili
molecolari (PRR).​ Il sistema immunitario innato può riconoscere anche le molecole
rilasciate dalle cellule danneggiate o necrotiche. Queste molecole sono dette ​profili
molecolari associati al danno (DAMP).
L’immunità innata in genere risponde in modo simile a successivi incontri con un
determinato microrganismo: essa infatti non ‘’ricorda’’ gli incontri precedenti e non
si amplifica in seguito a ripetute esposizioni ai microbi. Essa si attiva a opera di
recettori codificati nella linea germinale​, non prodotti mediante ricombinazione
somatica dei geni come avviene invece per i recettori linfocitari.

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Nel loro insieme, i recettori dell’immunità innata riconoscono probabilmente meno
di mille profili molecolari microbici; mentre la popolazione totale di linfociti si stima
possa riconoscere più di un miliardo di antigeni. I recettori nell’immunità innata
sono distribuiti in modo non clonale, vale a dire tutte le cellule simili, ad esempio i
macrofagi, esprimono recettori identici.
La risposta immunitaria innata può essere considerata come una serie di reazioni
che difendono l’organismo durante le seguenti fasi delle infezioni microbiche: nel
sito di ingresso dei microbi, nei tessuti, nel sangue, durante le infezioni virali.

Recettori cellulari per i microrganismi e le cellule danneggiate


I recettori dell’immunità innata che riconoscono microrganismi e cellule danneggiate
sono espressi dai fagociti, dalle cellule dendritiche, da linfociti e da cellule epiteliali
ed endoteliali. Questi sono espressi nei differenti compartimenti cellulari, dove i
microbi possono essere localizzati: superficie, reticolo endoplasmatico, citosol.
Recettori Toll – Like​ ​(TLR)​→ Recettori Toll – Like diversi sono specifici per differenti
componenti microbiche: ​TLR-2​ è essenziale per rispondere a molti lipoglicani
batterici, ​TLR-3 -7 -8​ per gli acidi nucleici virali (RNA a doppia elica), ​TLR-4​ è specifico
per il LPS batterico (endotossina), ​TLR-5​ per la flagellina, mentre il ​TLR-9​ per
oligonucleotidi ricchi di regioni CpG non metilate (isole CpG).
Alcuni di questi TLR sono presenti sulla superficie cellulare, dove riconoscono i
prodotti dei microbi extracellulari, mentre altri si localizzano negli endosomi, dove
risiedono i microbi che sono stati internalizzati. I segnali generati dall’ingaggio del
TLR attivano fattori trascrizionali che stimolano l’espressione di geni codificanti per
citochine, enzimi e altre proteine. Due dei principali fattori trascrizionali attivati dai
segnali generati dai TRL sono il fattore nucleare- kB (NF-kB), che promuove
l’espressione di varie citochine e di molecole di adesione endoteliali; e il fattore di
risposta all’interferone– 3 (IRF-3),che stimola la produzione degli interferoni di tipo I.
Recettori NOD – Like (NLR)​→ rappresentano un’ampia famiglia di recettori citosolici
in grado di legare DAMP o PAMP nel citoplasma. Il primo NLR identificato si chiama
NLRP-3​ (famiglia dei recettori NOD – like contenente il dominio pirina–3).

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Esso è in grado di avvertire la presenza di prodotti microbici e di sostanze che
indicano danno e morte tissutale (es. ATP, cristalli di acido urico, …), oltre alla
presenza di sostanze endogene depositate nei tessuti in quantità eccessive (es.
cristalli di colesterolo e acidi grassi liberi). In seguito al riconoscimento di questa
varietà di sostanze, l’NLRP-3 oligomerizza con una proteina adattatrice e una
forma inattiva dell’enzima caspasi-1. Questo enzima viene attivato e diviene in
grado di generare IL-1β biologicamente attiva (questa provocherà infiammazione
acuta e febbre). Questo complesso citosolico costituito da NLRP-3, una proteina
adattatrice e la caspasi-1 è noto come ​inflammosoma​. Le mutazioni che
determinano un aumento della funzionalità delle componenti dell’inflammosoma
sono la causa di rare malattie chiamate sindromi autoinfiammatorie, caratterizzate
da processi infiammatori incontrollati e spontanei. L’inflammosoma è coinvolto in
patologie quali la gotta, l’aterosclerosi e il diabete di tipo 2 associato all’obesità.
Il recettore ​NOD-2​ è un NLR specifico per i peptidi batterici che hanno raggiunto il
citosol.
Altri recettori​ → la famiglia dei ​recettori RIG-like (RLR)​ riconosce l’RNA virale.
I ​recettori lectinici​ (che riconoscono i carboidrati) possono essere specifici per i
glicani presenti sulle pareti dei funghi (sono chiamati dectine) e per i residui
terminali di mannosio (sono chiamati recettori per il mannosio). Questi recettori
sono coinvolti nella fagocitosi di funghi e batteri e nelle risposte infiammatorie verso
questi patogeni.

Componenti dell’immunità innata​ ​Pag. 31


Barriere epiteliali
Le principali vie di ingresso dei microbi, vale a dire la cute e i tratti gastrointestinale
e respiratorio, sono protette da epiteli continui che costituiscono barriere fisiche e
chimiche contro l’infezione. Le cellule epiteliali, inoltre, producono peptidi chiamati
defensine e​ ​catelicidine​ dotati di attività microbicida; gli epiteli contengono poi
linfociti​ denominati ​intraepiteliali​ che agiscono da sentinelle verso gli agenti
patogeni che tentano di violare l’integrità epiteliale.

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Fagociti
I due tipi di fagociti circolanti, i neutrofili e i monociti, sono cellule ematiche che
vengono reclutate al sito di infezione, dove riconoscono e ingeriscono i microbi che
verranno poi uccisi a livello intracellulare.
I ​neutrofili (​ o ​leucociti polimorfonucleati PMN)​ sono i leucociti più abbondanti nel
sangue, presenti in numero di 4.000-10.000 per µL. La loro produzione, che aumenta
in risposta all’infezione, è stimolata da citochine, conosciute come fattori che
stimolano le colonie (CSF). I neutrofili costituiscono la prima linea di difesa contro le
infezioni, in particolare quelle batteriche e fungine, perciò rappresentano le cellule
principali dell’infiammazione acuta. Essi ingeriscono i microbi presenti nel torrente
ematico e rapidamente invadono i focolai infettivi nei tessuti extravascolari, dove
continuano a ingerire ed eliminare i microrganismi. I neutrofili sono anche reclutati
nei tessuti danneggiati privi di infezioni, dove provvedono all’eliminazione di detriti
cellulari. Il tempo di emivita dei neutrofili nei tessuti è di poche ore, per cui non
contribuiscono a difendere l’organismo per un tempo prolungato.
I ​monociti​ sono meno abbondanti dei neutrofili, essendo 500-1.000 per µL e
anch’essi sono in grado di ingerire i microbi presenti nel sangue e nei tessuti. I
monociti sopravvivono per lungo tempo nei tessuti extravascolari, dove si
differenziano in ​macrofagi​. I monociti nel sangue e i macrofagi tissutali
rappresentano due stadi differenziativi dello stesso stipite cellulare, spesso chiamato
sistema dei fagociti mononucleati ​(è anche chiamato sistema reticoloendoteliale, ma
questa denominazione è impropria). I macrofagi residenti sono presenti nei tessuti
connettivi sani e in ogni organo del corpo. I macrofagi hanno molteplici ruoli
importanti nella difesa dell’ospite: producono citochine che iniziano e regolano il
processo infiammatorio, ingeriscono ed eliminano i microrganismi, rimuovono i
tessuti morti e iniziano il processo di riparo dei tessuti.
Le funzioni fagocitiche dei macrofagi sono mediate da recettori espressi sulla
superficie cellulare (es. recettore per il mannosio, recettori spazzino/scavenger,
recettori per gli anticorpi). I macrofagi svolgono anche funzioni effettrici importanti
nell’immunità adattativa.

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I macrofagi possono essere attivati attraverso due vie distinte che portano
all’acquisizione di funzioni diverse. La ​via di attivazione classica​ dei macrofagi è
indotta da segnali immunitari innati, quali l’attivazione dei TLR e dalla citochina
IFN-γ. I macrofagi attivati secondo la via classica, detti anche ​M1​, hanno il ruolo di
eliminare i microrganismi e di attivare l’infiammazione.
La ​via di attivazione alternativa​ dei macrofagi viene indotta dalle citochine IL-4 e
IL-13; questi macrofagi, chiamati ​M2​, sembrano essere più importanti per il riparo
dei tessuti e per controllare il processo infiammatorio.
Cellule dendritiche
Le cellule dendritiche rispondono ai microbi producendo numerose citochine che
svolgono due funzioni principali: danno inizio all’infiammazione e stimolano le
risposte adattative. Esse rappresentano un importante collegamento tra l’immunità
innata e quella adattativa in quanto avvertono la presenza dei microrganismi e
interagiscono con i linfociti.
Mastociti
I mastociti sono cellule derivanti dal midollo osseo e localizzati nella cute e
nell’epitelio mucosale. Questi possono essere attivati da prodotti microbici che
legano i TLR oppure possono anche essere attivati mediante uno speciale
meccanismo dipendente da anticorpi. Essi presentano abbondanti granuli nel
citoplasma che contengono ammine vasoattive, quali l’istamina, che causano
vasodilatazione e aumentano la permeabilità capillare; contengono pure enzimi
proteolitici che possono uccidere batteri o inattivare le tossine.
I mastociti sintetizzano e secernono anche mediatori lipidici (prostaglandine) e
citochine (TNF-α) che stimolano l’infiammazione.
Cellule natural killer
Le cellule natural killer sono una classe di linfociti che riconosce e uccide le cellule
infettate e danneggiate e produce INF-γ, una citochina che attiva i macrofagi.
L’attivazione delle cellule NK innesca il rilascio delle proteine contenute nei loro
granuli citoplasmatici nello spazio extracellulare in modo direzionato verso le cellule
infettate.

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Queste proteine sono in grado di penetrare nella cellula infettata e di attivare enzimi
che ne provocano la morte per apoptosi. Le cellule NK eliminano i serbatoi cellulari
degli agenti infettanti. Una volta attivate, queste cellule sintetizzano e secernono
anche INF-γ, una citochina che attiva i macrofagi aumentandone la capacità
microbicida verso i microbi fagocitati. Le citochine secrete dai macrofagi e dalle
cellule dendritiche, aumentano la capacità delle cellule NK di proteggere l’ospite
dalle infezioni. Tra le citochine note per attivare le cellule NK ricordiamo IL-15, IFN di
tipo I, e IL-12.
L’attivazione delle cellule NK è determinata da un bilanciamento tra l’attivazione dei
recettori attivatori e quelli inibitori. I recettori attivatori consentono alle NK di
riconoscere ed eliminare cellule infettate da microbi intracellulari, cellule tumorali e
quelle danneggiate irreversibilmente. Il riconoscimento delle cellule opsonizzate
dagli anticorpi determina la loro uccisione mediante un fenomeno chiamato
citotossicità cellulare mediata da anticorpi (ADCC),​ di cui le cellule NK sono i
principali mediatori. I recettori attivatori contengono nella loro coda citoplasmatica i
motivi ITAM; questi vengono fosforilati in seguito al legame del recettore con il
proprio agonista, dopo di che determinano, attraverso una cascata di trasduzione
del segnale, l’esocitosi dei granuli citotossici e la produzione di INF-γ.
I recettori inibitori delle cellule NK, sono recettori che bloccano il segnale innescato
dai recettori attivatori, sono specifici per le molecole MHC di classe I espresse dalla
maggior parte delle cellule nucleate sane. L’espressione delle molecole MHC di
classe I protegge quindi le cellule sane dall’azione citotossica delle NK. La coda
citoplasmatica di questi recettori presenta dei motivi ITIM che neutralizzano l’azione
degli ITAM e bloccano così l’attivazione delle cellule NK.
Altre classi di linfociti
Molteplici linfociti possono essere considerati parte del sistema dell’immunità
innata (linfociti Tγδ, presenti negli epiteli; linfociti NK-T localizzati negli epiteli e
negli organi linfoidi, linfociti B-1 presenti nella cavità peritoneale e nelle mucose e
responsabili della produzione degli anticorpi naturali IgM, linfociti B della zona
marginale presenti ai margini dei follicoli linfoidi nella milza).

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Sistema del complemento
Il sistema del complemento è costituito da un insieme di proteine circolanti e
proteine associate alla membrana, importanti nella difesa contro i microbi.
L’attivazione del complemento coinvolge l’attivazione sequenziale di questi enzimi,
processo chiamato cascata enzimatica e che consente una rapida amplificazione del
processo stesso. La ​cascata del complemento​ può essere attivata attraverso tre vie:
- La ​via alternativa​: è innescata quando alcune proteine del complemento sono
attivate sulla superficie microbica; una volta avviata, non può essere
controllata. Questa via si colloca quindi nell’ambito dell’immunità innata.
- La ​via classica:​ è per lo più innescata dopo il legame degli anticorpi ai microbi
o altri antigeni e fa quindi parte dell’immunità adattativa specifica di tipo
umorale.
- La ​via della lectina:​ è attivata quando una proteina plasmatica (la lectina) lega
il mannosio sulle glicoproteine dei microbi. Essa attiva le proteine della via
classica ma, poiché è innescata da un prodotto microbico direttamente in
assenza di anticorpi, essa è un elemento dell’immunità innata.
Il sistema del complemento svolge tre azioni principali nella difesa dell’ospite:
- Il C3b riveste i microbi e promuove il loro riconoscimento da parte dei fagociti;
il processo secondo il quale un microbo viene ricoperto da molecole che sono
riconosciute da specifici recettori espressi dai fagociti è chiamato
opsonizzazione​.
- Il C5a e C3a, sono​ chemiotattici​ per i fagociti e promuovono il loro
reclutamento al sito di attivazione del complemento.
- L’attivazione del complemento culmina nella formazione di un complesso
polimerico di proteine che si inserisce nella membrana cellulare microbica,
interrompendone l’impermeabilità e causando la morte del microbo sia per
lisi osmotica​ sia per apoptosi.
Altre proteine plasmatiche
Altre proteine circolanti sono coinvolte nella difesa contro le infezioni: la ​lectina​, che
lega il mannosio, è una proteina plasmatica che riconosce i carboidrati presenti sulla
superficie dei batteri.

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Li può quindi rivestire promuovendone la fagocitosi o l’attivazione della cascata del
complemento. La​ proteina C reattiva​ (CRP) lega la fosforilcolina presente sulla
superficie dei microbi, favorendone la fagocitosi. Essa può anche attivare proteine
della via classica del complemento.
I livelli circolanti di molte di queste proteine plasmatiche aumentano rapidamente in
seguito all’infezione. Questa risposta protettiva indotta dall’infezione è chiamata
risposta della fase acuta.

Citochine dell’immunità innata


In risposta ai microbi, le cellule dendritiche, i macrofagi e le altre cellule secernono
citochine che mediano molte reazioni cellulari dell’immunità innata. ​Le citochine
sono proteine solubili coinvolte nelle reazioni immunitarie e infiammatorie e
responsabili delle comunicazioni dei leucociti tra loro e dei leucociti con altri tipi
cellulari.​ La maggior parte delle citochine è per convenzione chiamata ​interleuchina​,
il che implica che queste molecole sono prodotte da leucociti e agiscono su leucociti.
La secrezione di citochine da parte dei macrofagi e delle cellule dendritiche è
fortemente stimolata dal legame delle componenti batteriche o delle molecole virali
ai TLR e altri recettori. In risposta agli stimoli esogeni, le citochine sono secrete in
piccole quantità e legano i recettori ad alta affinità espressi dalle cellule bersaglio; la
loro azione può essere svolta sulle stesse cellule che le hanno prodotte (azione
autocrina) o su cellule adiacenti (azione paracrina). Grandi quantità di citochine
sono in grado di agire anche a distanza dal sito di secrezione (azione endocrina).
Il ​TNF​ (tumor necrosis factor), ​IL-1 ​e le ​chemochine​ sono le principali citochine
coinvolte nel reclutamento verso il sito di infezione dei neutrofili e dei monociti.
TNF e IL -1 possono anche avere effetti sistemici come l’induzione della febbre in
seguito alla loro azione sull’ipotalamo. Inoltre, queste citochine, insieme all’IL-6,
stimolano le cellule del fegato a produrre la proteina C reattiva e il fibrinogeno, che
contribuiscono all’uccisione del microrganismo.
Infezioni gravi e diffuse da parte dei batteri possono causare una sindrome
potenzialmente letale, denominata shock settico e caratterizzata da ipotensione,
coagulazione intravascolare disseminata (CID) e disturbi metabolici.

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Risposte dell’immunità innata
Le principali azioni del sistema immunitario innato che sono efficaci
nell’eliminazione dei microrganismi sono le risposte infiammatorie acute e i
meccanismi di difesa antivirali.
Infiammazione
Il processo infiammatorio consiste di una sequenza di molteplici eventi i quali
includono: il reclutamento di cellule e la fuoriuscita di proteine plasmatiche
attraverso i capillari sanguigni, l’ingestione di microbi e detriti cellulari da parte dei
fagociti e l’eliminazione di queste sostanze potenzialmente pericolose.
Se un agente patogeno viola un epitelio ed entra nel tessuto subepiteliale, i
macrofagi residenti, insieme ad altre cellule, riconoscono il microbo e rispondono
con la produzione di citochine. Tra queste, TNF e IL-1 agiscono localmente sulle
cellule endoteliali delle venule vicino al sito di infezione, stimolando la rapida
espressione di due molecole di adesione della famiglia delle ​selectine​.
I neutrofili e i monociti circolanti esprimono carboidrati di superficie che legano
debolmente le selectine. I neutrofili si legano all’endotelio, il flusso sanguigno scinde
questo legame, che si riforma più a valle, e così via, producendo il rotolamento
(​rolling)​ dei leucociti sulla superficie endoteliale.
I leucociti esprimono, come molecole di adesione, anche le ​integrine. ​Queste si
trovano in uno stato di bassa affinità per quanto riguarda i leucociti non attivati.
Nel sito di infezione, i macrofagi tissutali e le cellule endoteliali producono
chemochine​ che legano delle glicoproteine nella superficie luminale delle cellule
endoteliali venendo quindi esposte ad elevate concentrazioni, ai leucociti. Queste
chemochine inducono un rapido aumento nell’affinità delle integrine espresse dai
leucociti per i loro ligandi presenti sull’endotelio. Nello stesso tempo, TNF e IL-1
agiscono sull’endotelio stimolando l’espressione dei ligandi per le integrine.
L’adesione stabile delle integrine ai loro ligandi arresta il rotolamento dei leucociti.
Le cellule si appiattiscono sulla superficie dell’endotelio ed iniziano a migrare a
livello delle giunzioni tra le cellule endoteliali, seguendo il gradiente di
concentrazione delle chemochine verso la sede dell’infezione.

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Deficit ereditari dei ligandi delle integrine e delle selectine sono causa di un
reclutamento leucocitario difettivo e di una maggiore suscettibilità alle infezioni;
questi disordini sono chiamati ​Sindrome da Deficit di adesione leucocitaria (LAD).
La ​fagocitosi​ è un processo di ingestione di particelle di diametro superiore a 0,5µm.
Inizia con il legame del microbo ai recettori di membrana. I microbi opsonizzati con
gli anticorpi e con componenti del complemento, aumentano moltissimo l’efficienza
di internalizzazione. Il legame del microbo alla cellula è seguito dall’estensione della
membrana plasmatica attorno al microbo stesso.
La membrana genera quindi una vescicola intracellulare, detta fagosoma, che
contiene il microbo. La fusione dei fagosomi con i lisosomi porta alla formazione dei
fagolisosomi. Il legame del microbo con i recettori fagocitici fa partire dei segnali che
attivano vari enzimi all’interno del fagolisosoma. Tra questi ricordiamo ​l’ossidasi
fagocitica​, che converte l’ossigeno molecolare in anione superossido e radicali liberi,
processo chiamato ‘’burst ossidativo’’; ​sintetasi inducibile del monossido di azoto
(iNOS) che produce NO, altra sostanza microbicida; infine, le ​proteasi lisosomiali
degradano le proteine microbiche.
I deficit ereditari dell’ossidasi fagocitica sono responsabili dell’immunodeficienza
chiamata ​malattia granulomatosa cronica (CGD)​, caratterizzata da granulomi.
Oltre ai meccanismi intracellulari, i neutrofili possono usare anche altri sistemi per
uccidere i microbi. Essi possono infatti rilasciare il contenuto antimicrobico dei
granuli nell’ambiente extracellulare. I PMN inoltre muoiono dopo l’incontro dei
microbi e in risposta ai mediatori dell’infiammazione, estrudendo il loro contenuto
nucleare a formare delle reti di istoni, chiamate trappole extracellulari dei neutrofili
(NET) dove intrappolano batteri e funghi e li uccidono.

Difese antivirali
Gli interferoni di tipo I interferiscono con l’infezione e la replicazione virale,
fenomeno chiamato stato antivirale​. Gli INF di tipo I comprendono molteplici forme
di IFN-α e una forma di INF-β; la fonte principale di queste citochine è
rappresentata da ​cellule dendritiche plasmacitoidi​.

15
Gli INF di tipo I, legano i loro recettori espressi dalle cellule vicine non infettate e
attivano delle vie di trasduzione del segnale che portano all’inibizione della
replicazione dei virus e alla distruzione del loro genoma. Inoltre, gli INF di tipo I
aumentano la capacità delle cellule NK di uccidere le cellule infettate.

Controllo delle risposte immunitarie innate


Le risposte immunitarie innate sono regolate da svariati meccanismi che servono a
prevenire eccessivi danni tissutali. Questi meccanismi includono la ​produzione di
citochine antinfiammatorie​ da parte dei macrofagi e delle cellule dendritiche (es.
IL-10). Inoltre, esistono molti ​meccanismi a feedback​ per cui i segnali che inducono
la produzione di citochine infiammatorie inducono anche l’espressione di inibitori
delle vie di trasduzione di questi mediatori.
Per quanto riguarda l’elusione dell’immunità innata, alcuni batteri intracellulari
resistono all’eliminazione all’interno dei fagociti, altri hanno pareti cellulari resistenti
all’azione delle proteine del complemento.

Ruolo dell’immunità innata nell’attivazione delle risposte immunitarie


adattative
Le risposte immunitarie innate generano molecole che, in aggiunta all’antigene,
forniscono i segnali richiesti per l’attivazione dei linfociti T e B. Ricordiamo infatti
che: la piena attivazione dei linfociti richiede due segnali; ​l’antigene costituisce il
‘’primo segnale’’​, mentre​ ​il microbo, la risposta innata verso di esso e il danno
causato alla cellula ospite producono il ‘’secondo segnale’​ ’​. Il fatto che il secondo
segnale dipenda dalla presenza microbica assicura che i linfociti rispondano
all’agente infettivo e non a sostanze innocue non infettive.
Le cellule dendritiche e i macrofagi esprimono molecole di membrana chiamate
costimolatori​, che promuovono l’attivazione dei linfociti che hanno riconosciuto
l’antigene. Inoltre le stesse cellule secernono citochine, quali IL-12, IL-1 e IL-6 che
stimolano il differenziamento dei linfociti naive in linfociti effettori dell’immunità
adattativa cellulare.

16
Cattura e presentazione dell’antigene ai linfociti ​Pag. 51
Antigeni riconosciuti da linfociti T
La maggior parte dei linfociti T riconosce antigeni peptidici presentati da molecole
del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC) espresse da cellule specializzate
nella presentazione dell’antigene (APC)​. I diversi cloni di linfociti T CD4+ e CD8+
possono riconoscere i peptidi solo se questi sono associati a molecole MHC self,
proprietà definita ​restrizione per MHC.​
Il recettore del linfocita T riconosce simultaneamente sia i residui dell’antigene
peptidico sia i residui della molecola MHC.
Gli antigeni proteici di origine microbica che riescono a entrare nell’organismo
(attraverso cute, tratto gastrointestinale, tratto respiratorio, iniezione sanguigna,
tratto genito-urinario) vengono in massima parte catturati dalle cellule dendritiche e
concentrati negli organi linfoidi secondari, dove ha luogo l’innesco delle risposte
immuni. Tutte le interfacce poste tra l’organismo e l’ambiente esterno sono rivestite
da epiteli continui: gli epiteli e i tessuti sotto-epiteliali contengono una rete di cellule
dendritiche.
Esistono due tipi principali di cellule dendritiche: convenzionali e plasmacitoidi.
La maggior parte delle ​cellule dendritiche​ presenti nei tessuti e negli organi linfoidi è
convenzionale​. Nella cute le cellule dendritiche prendono il nome di ​cellule di
Langerhans.​ Le cellule dendritiche ​plasmacitoidi​ sono presenti nel sangue e nei
tessuti e rappresentano la principale fonte di interferoni di tipo I durante la risposta
innata antivirale.
Per legare i microbi, le cellule dendritiche utilizzano diversi recettori di membrana
(es. recettori lectinici); i microbi entrano poi nelle cellule mediante ​endocitosi
recettore-dipendente,​ alcuni antigeni solubili possono entrare per ​pinocitosi​ .
Contemporaneamente, i prodotti microbici stimolano le risposte immunitarie innate
legandosi ai recettori Toll- like e ad altri sensori microbici espressi da cellule
dendritiche, cellule parenchimali e macrofagi residenti nei tessuti. Ciò induce la
produzione di citochine infiammatorie (TNF, IL-1). L’insieme dei segnali dei TLR e
citochine attiva le cellule dendritiche, determinando cambiamenti sia nel loro
fenotipo sia nella funzione.

17
Queste cellule attivate perdono quindi adesività per gli epiteli e cominciano ad
esprimere il ​recettore di membrana CCR7,​ specifico per chemochine prodotte
dall’endotelio linfatico e da cellule stromali presenti nelle zone T dei linfonodi.
Le cellule dendritiche fuoriescono quindi dall’epitelio e migrano, attraverso i vasi
linfatici, fino ai linfonodi drenanti regionali. Durante il processo di migrazione si
trasformano in APC, aumentando la sintesi e l’emivita delle molecole MHC di
membrana e di molecole costimolatorie, necessarie per la completa attivazione dei
linfociti T.
Gli ​antigeni presenti nella linfa​ in forma solubile sono catturati dalle cellule
dendritiche che risiedono nei ​linfonodi​, mentre quelle ​ematici​ dalle cellule
dendritiche che risiedono nella ​milza.
Le ​cellule dendritiche​ sono le ​APC​ più potenti nell’attivazione dei linfociti T naive.
Altri importanti tipi di cellule APC sono: i ​macrofagi​ (abbondanti in ogni tessuto,
presentano gli antigeni ai linfociti T effettori che rendono, a loro volta, i macrofagi
più efficienti nell’uccisione dei microbi), ​i linfociti B​ (catturano gli antigeni proteici
per presentarli ai linfociti T helper all’interno dei tessuti linfoidi e sviluppare le
risposte umorali).

Struttura e funzione delle molecole del complesso maggiore di


istocompatibilità ​Pag.57
Le molecole MHC sono proteine di membrana,
espresse dalle APC, che hanno il compito di
presentare gli antigeni proteici per
permetterne il riconoscimento da parte dei
linfociti T. L’MHC è stato identificato come
locus genetico fondamentale per la
determinazione dell’​istocompatibilità.​ In altre
parole, individui che possiedono un locus
dell’MHC identico accettano trapianti reciproci,
individui che possiedono loci MHC differenti li
rigettano. Il ruolo fisiologico delle molecole
MHC è quello di presentare peptidi derivati da

18
antigeni proteici microbici a linfociti T specifici per quegli antigeni.
Le proteine MHC umane sono chiamate ​antigeni leucocitari umani​ (Human
Leukocyte Antigen, HLA).
Struttura delle molecole MHC
Le molecole MHC di classe I e II sono proteine di membrana caratterizzate dalla
presenza di una ‘’tasca’’ di legame per il peptide alla loro estremità
ammino-terminale.
Ciascuna molecola ​MHC di classe I​ è composta da una catena α, unita in maniera
non covalente a una proteina chiamata β2-microglobulina. Le porzioni ammino
terminali dei domini α1 e α2 delle molecole MHC di classe I formano una tasca
per ospitare peptidi (i residui polimorfici delle molecole di classe I, cioè gli
amminoacidi variabili, si trovano nei domini α1 e α2 e determinano le proprietà
di legame del peptide).
Il dominio α3 è invariante e contiene i siti di legame per il corecettore CD8, ma non
per il CD4. I linfociti T CD8+ si attivano quindi solo dopo il riconoscimento di peptidi
presentati da molecole MHC di classe I.
Ciascuna molecola ​MHC di classe II​ è composta da due catene, chiamate α e β.
Le regioni ammino terminali di ciascuna catena, chiamate domini α1 e β1,
contengono residui polimorfici e formano una tasca per accogliere i peptidi.
Il dominio non polimorfo β2 contiene il sito di legame per il corecettore CD4. I
linfociti T CD4+ potranno quindi rispondere solamente a peptidi presentati da
molecole MHC di classe II.
Proprietà dei geni e delle proteine dell’MHC
I geni dell’MHC sono​ altamente polimorfici​. I loro principali prodotti sono le
molecole MHC di classe I e II, le quali contengono tasche per il legame del peptide,
dove si concentrano i residui polimorfici, e regioni invarianti che legano
rispettivamente i corecettori CD8 e CD4.
I geni per MHC sono espressi in maniera ​codominante​, ovvero vengono espressi in
uguale misura entrambi gli alleli ereditati dai due genitori. In questo modo avremo la

19
presenza di un maggior numero di differenti molecole di MHC che possono
presentare peptidi ai linfociti T.
Esistono tre geni polimorfici di classe I, nell’uomo sono: HLA-A, HLA-B e HLA-C.
Poichè ciascun individuo ne eredita una serie da ciascun genitore, ogni cellula potrà
esprimere sei differenti molecole di classe I.
Nel locus di classe II, ciascun individuo eredita da ciascun genitore un paio di geni
HLA-DP, un paio di geni HLA-DQ, un gene HLA-DRα e uno o due geni HLA-DRβ. Il
polimorfismo risiede nelle catene β. Perciò, un individuo eterozigote può ereditare
sei o otto alleli MHC di classe II, tre o quattro da ciascun genitore.
L’insieme degli alle MHC presenti su ciascun cromosoma viene detto ​aplotipo MHC.
I geni MHC sono altamente polimorfici, ovvero in una popolazione sono presenti
molti alleli diversi. Ciò garantisce che individui diversi possano presentare e
rispondere a peptidi microbici diversi. Queste differenti varianti polimorfiche sono
ereditate e non generate de novo nell’individuo per ricombinazione somatica (come
avviene invece per i geni dei recettori per gli antigeni).
Le molecole di classe I sono espresse da tutte le cellule nucleate, mentre le molecole
di classe II sono espresse principalmente da cellule dendritiche, macrofagi e linfociti
B (APC).
Legame del peptide alle molecole MHC
La tasca di legame del peptide delle molecole MHC lega peptidi derivati da antigeni
proteici e mostra questi peptidi affinchè vengano riconosciuti dai linfociti T. Sulla
base della tasca sono presenti alcuni amminoacidi, detti ​residui di ancoraggio​, che
ancorano l’antigene alla tasca suddetta.
Ciascuna molecola MHC è capace di presentare molti peptidi diversi (ma non tutti
quelli possibili), ma solo uno alla volta, poichè possiede un’unica tasca di legame.
Le molecole ​MHC legano solo antigeni di natura proteica​, solo le proteine
possiedono infatti le caratteristiche strutturali e di carica che permettono il legame
alle tasche delle molecole MHC. Ne consegue che i linfociti T ristretti per MHC
potranno riconoscere solo antigeni proteici.

20
Le molecole ​MHC per essere stabili devono assemblare sia le loro catene sia il
peptide​; solo molecole MHC associate ad un peptide sono espresse in maniera
stabile sulla superficie cellulare. Questo requisito di presenza del peptide assicura
l’espressione di membrana soltanto di molecole MHC utili e in grado di essere
riconosciute dai linfociti T. La lenta cinetica di dissociazione assicura un’esposizione
sufficientemente lunga del peptide e massimizza la possibilità di riconoscimento e
attivazione del linfocita T specifico.
In ciascun individuo,​ le molecole MHC possono legare peptidi derivati sia da proteine
self sia da proteine estranee.​ Nonostante questo le molecole MHC vengono
sintetizzate continuamente e sono quindi pronte a legare nuovi peptidi (non
vengono quindi saturate solo da quelli self). Inoltre anche pochissime molecole MHC
caricate con un peptide estraneo possono essere sufficienti per iniziare una risposta
immunitaria. Infine il fatto che, nonostante le molecole MHC presentino
continuamente peptidi self, noi non sviluppiamo risposte contro questi antigeni è
dovuto all’inattivazione precoce dei linfociti T specifici per antigeni self.

Processazione e presentazione di antigeni proteici​ ​Pag. 63


Le ​proteine extracellulari internalizzate ​da APC specializzate sono processate
all’interno delle vescicole endocitiche e presentate dalle ​molecole di classe II.
Invece, le ​proteine localizzate nel citoplasma​ di qualsiasi cellula nucleata sono
processate da organelli citoplasmatici e presentate da ​molecole di classe I​.

MHC di classe II
I principali passaggi della presentazione dei peptidi da parte di molecole MHC di
classe II sono:
1. Ingestione dell’antigene;
2. Degradazione proteolitica dell’antigene;
3. Associazione con molecole di classe II;
Le cellule dendritiche e i macrofagi possono internalizzare microbi extracellulari o
proteine microbiche attraverso fagocitosi, endocitosi mediata da recettori e

21
pinocitosi. I microbi possono legarsi direttamente a recettori di superficie specifici,
o indirettamente a recettori che riconoscono anticorpi o prodotti derivati
dall’attivazione del complemento.
Dopo essere state internalizzate dalle APC, le proteine microbiche entrano nelle
vescicole acidiche intracellulari, chiamate endosomi o fagosomi, le quali possono
fondersi con i lisosomi. Qui, le proteine sono tagliate dagli enzimi proteolitici,
generando così molti peptidi di lunghezza e sequenza variabili.
Le APC che esprimono MHC di classe II sintetizzano continuamente queste molecole
nel reticolo endoplasmatico (RE). Ciascuna molecola di classe II neosintetizzata è
associata a una proteina chiamata catena invariante (Ii), la quale è saldamente
associata alla tasca di legame del peptide della molecola stessa. In questo modo la
tasca della molecola neosintetizzata risulta occupata e perciò, nel RE, non può legare
i peptidi destinati alle molecole di classe I.
La molecola di classe II, associata alla sua Ii, viene quindi inviata alle vescicole
tardo-endosomiali/lisosomiali contenenti i peptidi derivati dalla digestione delle
proteine extracellulari precedentemente inglobate. A questo punto, la molecola di
classe II lega saldamente uno dei peptidi e il complesso MHC-peptide diventa stabile
e viene trasportato in membrana. Una molecola MHC che non abbia trovato un
peptide da legare, diventa instabile e come tale viene degradata.
MHC di classe I
I principali passaggi comprendono:
1. ​ Produzione di antigeni nel citoplasma o nel nucleo;
2. Proteolisi degli antigeni da parte di organelli specializzati;
3. Trasporto nel RE;
4. Legame alle molecole di classe I neosintetizzate;
Gli antigeni proteici possono essere prodotti nel citoplasma a partire da: virus che
vivono all’interno delle cellule, microbi fagocitati e fuoriusciti dalle vescicole
citoplasmatiche e geni self mutati codificanti per proteine alterate.

22
Tutte queste proteine sono degradate mediante proteolisi attraverso la via
ubiquitina-proteasoma. Il ​proteasoma​ rappresenta un organello nel quale enzimi
proteolitici degradano le proteine non correttamente ripiegate.
Il trasportatore associato con la processazione dell’antigene (​TAP​) è localizzato nella
membrana del RE. Il TAP lega i peptidi generati dal proteasoma sul versante
citosolico della membrana del RE e li pompa attivamente verso il suo interno. Le
molecole MHC di classe I neosintetizzate sono associate a una proteina ‘’ponte’’
chiamata tapasina che le lega alle molecole TAP presenti nella membrana del RE.
Non appena i peptidi arrivano nel RE possono quindi essere catturati dalle molecole
di classe I ancora vuote.
Se una molecola di classe I trova un peptide adatto, il complesso viene stabilizzato,
rilasciato dalla sua associazione con TAP e trasportato alla superficie cellulare.
Attraverso l’inibizione della via dell’MHC di classe I, i virus inibiscono la
presentazione dei propri antigeni ai linfociti T CD8+ e, in questo modo, eludono la
risposta immunitaria adattativa. Queste strategie sono parzialmente
controbilanciate dalla capacità delle cellule natural killer, appartenenti all’immunità
innata, di riconoscere e uccidere cellule infettate che abbiano perso l’espressione di
molecole MHC di classe I.

Cross - presentazione
Normalmente le proteine internalizzate vengono presentate ai linfociti T CD4+ dalle
molecole MHC di classe II. Tuttavia, le cellule dendritiche possono inglobare cellule
infettate da virus e presentare gli antigeni virali, montati su molecole MHC di classe
I, ai linfociti T CD8+. In questo modo, gli antigeni provenienti dalla cellula infettata
possono essere presentati e riconosciuti dai linfociti T CD8+. Tale processo viene
chiamato ​presentazione crociata​ (o cross presentazione, o cross priming). Le cellule
dendritiche che hanno ingerito cellule infettate possono anche
contemporaneamente presentare gli antigeni microbici ai linfociti T CD4+ helper.

23
Significato fisiologico della presentazione dell’antigene associato a MHC
La restrizione del riconoscimento di peptidi associati a MHC assicura che i linfociti T
riconoscano e rispondano solo ad antigeni associati alle cellule. Grazie alla
segregazione delle vie di processazione dell’antigene, il sistema immunitario è in
grado di rispondere diversamente ai microbi extracellulari e intracellulari, mettendo
in atto le strategie più appropriate per difendere contro ciascun tipo di microbo.
I peptidi associati alla classe II sono riconosciuti dai linfociti T CD4+; questi
funzionano da cellule di supporto stimolando i linfociti B a produrre anticorpi e i
fagociti a uccidere i microbi ingeriti (meccanismi effettori più adatti a eliminare i
microbi dall’ambiente extracellulare).
I peptidi associati alla classe I sono riconosciuti dai linfociti T CD8+, i quali si
differenziano in CTL rappresentando il principale meccanismo di eliminazione dei
microbi citoplasmatici.
I requisiti strutturali del legame peptide-MHC, quali per esempio lunghezza e
presenza di residui di ancoraggio, rendono ragione dell’immunodominanza di alcuni
peptidi derivati da antigeni proteici complessi e dell’incapacità di alcuni individui di
rispondere a determinati antigeni proteici. Quando una proteina viene degradata
proteoliticamente all’interno delle APC ne derivano numerosi peptidi, ma solo alcuni
potranno legarsi alle molecole di MHC ed essere quindi riconosciuti dai linfociti T.
Questi peptidi in grado di legare le molecole MHC sono detti ​peptidi
immunodominanti​ di un determinato antigene.
Allo stesso modo il polimorfismo rende anche ragione del fatto che alcuni individui
potrebbero esprimere molecole incapaci di legare qualunque peptide derivato da un
particolare antigene, risultando così incapaci di rispondere a quell’antigene.
Le cellule presentanti l’antigene non solo presentano i peptidi per il riconoscimento
da parte dei linfociti T ma, in risposta ai microbi, esprimono anche segnali
addizionali necessari per la loro attivazione​.

Antigeni riconosciuti dai linfociti B​ ​Pag.71

24
I linfociti B usano anticorpi di membrana per riconoscere un’ampia varietà di
antigeni, tra cui proteine, polisaccaridi, lipidi e piccole sostanze chimiche. Questi
antigeni possono essere espressi sulle superfici microbiche o possono essere solubili.
Sia il recettore per l’antigene dei linfociti B sia gli anticorpi secreti riconoscono gli
antigeni nella loro conformazione nativa, senza alcun bisogno di processazione, o
presentazione da parte di un sistema specializzato.
Macrofagi e cellule dendritiche possono catturare gli antigeni e presentarli in forma
non processata ai linfociti B nei follicoli. I follicoli linfoidi ricchi di linfociti B dei
linfonodi e della milza contengono una popolazione di cellule chiamate ​cellule
dendritiche follicolari (FDC)​, la cui funzione è presentare antigeni ai linfociti B
attivati. Gli antigeni presentati dalle FDC sono ricoperti da anticorpi (le APC ne
legano l’estremità Fc) o da prodotti del complemento.

Riconoscimento dell’antigene da parte dell’immunità adattativa


Pag 73

I linfociti B e T esprimono tipi diversi di recettori che riconoscono gli antigeni in


maniera specifica:
● Anticorpi di membrana → su membrana linfociti B
● TCR (​T Cell Receptor) ​ → su membrana linfociti T

Nell’immunità adattativa, i recettori per l’antigene sono disposti in maniera clonale:


ciascun clone, specifico per un determinato antigene, esprime un solo recettore
diverso da quello espresso da tutti gli altri cloni. Data la diversa specificità dei cloni,
il repertorio totale di recettori espressi da un individuo è molto alto e il loro insieme
costituisce il ​repertorio immunitario​.
Tuttavia, indipendentemente dalla specificità, tutti i recettori per l’antigene
trasmettono fondamentalmente gli stessi segnali biochimici.

Recettori per l’antigene dei linfociti

25
I recettori per l’antigene dei linfociti B e T riconoscono strutture chimicamente
differenti:
- Gli anticorpi di membrana riconoscono sia intere macromolecole organiche
(carboidrati, a. nucleici, lipidi e proteine) ​sia piccoli gruppi chimici,​ quindi
possono riconoscere microbi e tossine nella loro forma nativa.
- I linfociti T invece riconoscono esclusivamente peptidi ​presentati da proteine di
membrana codificate dal MHC, quindi solo componenti microbiche che sono
associate alle cellule.

I recettori per l’antigene sono costituiti da due porzioni: ​regioni variabili ​che sono
deputate al riconoscimento dell’antigene e sono diverse nei vari cloni linfocitari; e
regioni costanti​ che sono responsabili dell’integrità strutturale e delle funzioni
effettrici e sono maggiormente conservate tra i vari cloni.
All’interno delle regioni variabili esistono brevi sequenze che presentano una
maggiore variabilità; sono chiamate​ regioni ipervariabili​ o ​regioni determinanti la
complementarietà​ e rappresentano le porzioni del recettore che legano l’antigene
(in quanto complementari alla struttura antigenica).
Le catene recettoriali sono associate a ​proteine di membrana invarianti​, la cui
funzione è trasmettere i segnali intracellulare generati dal riconoscimento
dell’antigene. Le due funzioni principali dei recettori per l’antigene, ovvero
riconoscimento specifico e trasduzione del segnale, sono svolte da proteine diverse.
L’insieme costituito da recettore più molecole di trasduzione è definito:
● BCR ​“complesso del recettore per le cellule B” (nei linfociti B)
● TCR “​ complesso del recettore per le cellule T” (nei linfociti T)

Quando più recettori adiacenti si legano agli antigeni, in un processo noto come
cross-linking​ questi si assemblano a formare un aggregato per avvicinare le proteine
deputate alla trasduzione, innescando così quella cascata di segnali che culmina con
l’espressione di numerosi geni coinvolti nelle risposte leucocitarie.

26
Gli anticorpi esistono in una forma di membrana e in una forma secreta, i TCR invece
solo in una forma di membrana.
Gli anticorpi svolgono funzioni diverse nei diversi stadi della risposta umorale:
1. Sulla membrana dei linfociti B danno inizio alla risposta immunitaria tramite il
riconoscimento dell’antigene;
2. Una volta secreti, neutralizzano ed eliminano microbi e tossine;
Al contrario, i TCR possono solo riconoscere l’antigene e attivare il linfocita ma non
partecipano a funzioni effettrici e non possono essere secreti.

Anticorpi
Un anticorpo è una molecola composta da 4 catene polipeptidiche, ciascuna delle
quali contiene una porzione variabile e una costante:
● 2 catene pesanti H (Heavy)​ → composte da 1 dominio V e 3/4 domini C
● 2 catene leggere L (Light)​ → composte da 1 dominio V e 1 dominio C
Ciascuno di questi domini è composto da
ripiegamenti particolari, come delle piccole
anse costituite da due strati di foglietti Beta
tenute insieme da ponti disolfuro. Le quattro
catene sono assemblate a formare una
molecola a forma di ‘’Y’’.
Nelle regioni variabili delle catene pesanti
V(H) e delle catene leggere V(L) sono presenti
3 domini ipervariabili o ​CDR. ​ Di queste, quella
che contribuisce maggiormente al legame
dell’antigene è CDR3, localizzata alla

27
giunzione tra C e V e caratterizzata dalla massima variabilità.
Dal punto di vista funzionale invece, nell’anticorpo si possono distinguere due
porzioni:
● Fab​ x2 (Fragment Antigen Binding) costituito dal dominio V e l’adiacente
dominio C di ogni catena, contiene la porzione necessaria per il
riconoscimento dell’antigene (corrisponde alle intere catene leggere e a
‘’metà ‘’ di quelle pesanti).
● Fc​ (Fragment Costant), costituito dagli altri due domini C delle catene pesanti
e responsabile della maggior parte delle attività biologiche e delle funzioni
effettrici.
Nella maggior parte degli anticorpi tra Fab e Fc c’è una porzione flessibile chiamata
“regione cerniera” che consente alle due Fab di muoversi indipendentemente e
accogliere meglio l’antigene.
La regione C terminale di Fc può terminare ancorata alla membrana nel caso dei
recettori dei linfociti B o può essere una coda libera nel caso delle Ig secrete.

Esistono:
★ 2 tipi di catene leggere: 𝞳 e 𝞴 (differiscono nelle regioni C e ogni
linfocita B ne esprime solo una)
★ 5 tipi di catene pesanti: 𝞵, 𝞭, 𝞬, 𝞮, 𝞪
queste si possono combinare in tutti i modi. In base alla tipologia di catena pesante
gli anticorpi sono divisi in “classi” o “isotipi” : ​IgM,​ I​ gD,​ ​IgG​, I​ gE e​ I​ gA​.
I​ recettori sui linfociti B naive sono solo IgM e IgD​. Dopo il contatto con l’antigene,
con il contributo dei linfociti T helper, una parte dei linfociti B può sercernere IgM,
ma un’altra parte attua uno ​scambio isotipico di classe ​(o della catena pesante): per
cui diventa capace di secernere anticorpi appartenenti anche agli altri isotopi.
Tuttavia, questo scambio coinvolge solo le catene pesanti, le regioni V non cambiano
e l’anticorpo mantiene quindi la sua specificità.
Gli anticorpi legano gli antigeni attraverso interazioni reversibili non covalenti.
Le porzioni dell’antigene riconosciute dalle Ig sono dette ​epitopi​, o ​determinanti​.

28
Questi possono essere riconosciuti per la loro sequenza (​epitopi lineari​) o per la loro
forma (​epitopi conformazionali)​ .
Affinità​ dell’interazione= forza con cui la superficie di legame con l’antigene si lega
all’epitopo (spesso espressa in termini di ​costante di dissociazione,​ Kd). In seguito a
stimolazioni ripetute si ha un aumento nella forza di legame che prende il nome di
maturazione dell’affinità.
Ciascuna molecola IgG, IgD e IgE possiede due siti di legame per l’antigene; le IgA
secrete ne hanno 4 e le IgM secrete ne hanno 10.
Avidità​ dell’interazione= forza totale di legame, molto superiore all’affinità.
La​ cross-reattività​ è il fenomeno per cui è possibile che anticorpi diretti verso un
antigene si riescano a legare anche ad altri antigeni simili.
Nei linfociti B, le molecole Ig di membrana sono associate in maniera non covalente
a due altre proteine, chiamate Igα e Igβ , che completano il complesso del BCR.
Ciascun clone B produce ​anticorpi monoclonali.​ Per produrli è possibile far fondere
il linfocita B di un animale immunizzato contro un antigene con cellule di un
mieloma, ottenendo così degli ibridomi in grado di produrre anticorpi e proliferare
indefinitivamente. Per sopperire ai problemi di rigetto e inattivazione dovuti alla
presenza di anticorpi monoclonali murini si possono produrre adesso degli anticorpi
umanizzati, sostituendo a delle Ig umane qualsiasi solamente le regioni V
dell’anticorpo murino desiderato.

Isotipo Sottotipi Catena Conc. Emivita Forma Funzioni


pesante sierica sierica secreta
(mg/ml) (gg)
IgA 2, IgA1 e 𝞪(1 o 2) 3,5 6 monodimero, immunità mucosale
IgA2 dimero
IgD nessuno 𝞭 tracce nessuna recettore per l’antigene dei
linfociti B naive

IgE nessuno 𝞮 0,05 2 monomero attivazione dei mastociti


(ipersensibilità immediata);
difesa contro i parassiti

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elmintici

IgG 4, IgG1-4 𝞬(1,2,3,o 13,5 23 monomero opsonizzazione, attivazione


4) del complemento,
citotossicità mediata dagli
anticorpi, immunità
neonatale, inibizione a
feedback dei linfociti B

IgM nessuno 𝞵 1,5 5 pentamero recettori per l’antigene dei


lingociti B naive, attivazione
del complemento

Recettori dell’antigene dei linfociti T


Il TCR è un eterodimero formato da una catena 𝞪 e una 𝞫, ciascuna delle quali
contiene una regione variabile (V) e una costante (C). Esso non presenta il fenomeno
dello scambio di classe/ isotipico né di maturazione dell’affinità nel corso della vita
del linfocita T. Entrambe le catene del TCR partecipano al riconoscimento specifico
dell’MHC e del peptide montato.
Il TCR di ogni linfocita riconosce solamente da uno a tre residui amminoacidici
dell’antigene peptidico che riesce a discriminare in maniera assolutamente precisa,
riconoscendo anche pochissime differenze amminoacidiche nell’ambito degli epitopi
immunodominanti.

I​l 5-10% dei linfociti T invece che α e β esprime nella sua struttura altre due
catene: 𝞬 e 𝞭; parleremo di ​linfocitiɣ . Avendo differenti catene hanno anche
diverse specificità e riconoscono antigeni proteici e non proteici generalmente non
associati a MHC classiche.
Meno del 5% sono invece i ​linfociti T Natural Killer​ che pur esprimendo un TRC𝞪𝞫
riconoscono antigeni lipidici montati su molecole non polimorfiche simili a MHC di
classe I.

I​l TCR ha solo funzione di riconoscere l’antigene, la trasduzione è compito di altre


proteine associate ad esso e chiamate ​CD3 ​e catene 𝞯 (zeta).

30
Per l’attivazione dei linfociti T, inoltre, è necessario che i corecettori CD4 e CD8 siano
ingaggiati da porzioni non polimorfiche delle molecole MHC.
Ricapitolando:
● Anticorpi: alta affinità, legano ampia varietà di antigeni;
● TCR: bassa affinità, ristretto spettro di antigeni;
Proprio perchè l’affinità del TCR è bassa, per attivare i linfociti il legame tra linfociti T
e APC deve essere rinforzato dalla presenza di molecole di adesione di membrana.

Sviluppo della specificità immunologica ​Pag.82


Maturazione dei linfociti
Per i linfociti T avviene nel timo e per i B nel midollo osseo, ma in entrambi i casi è
costituita dagli stessi tre processi:
1. Proliferazione delle cellule immature​: promossa soprattutto da IL-7 prodotta
da midollo osseo e timo. Serve a produrre una grande riserva di cellule prima
ancora che queste comincino a esprimere i vari recettori per l’antigene (da
quel momento in poi sarà il recettore stesso che invierà segnali di
proliferazione).
2. Espressione dei geni per il recettore per l’ antigene
3. Selezione dei linfociti che hanno espresso recettori utili​,questa può essere:
● Selezione positiva,​ dovuta al fatto che solo i recettori che riconoscono
bene l’MHC self possono inviare segnali di sopravvivenza e
proliferazione ai propri linfociti;
● Selezione negativa,​ dovuta al fatto che i linfociti B e T con recettori che
riconoscono come antigeni molecole self vengono eliminati;

Diversificazione dei recettori per l’antigene

31
E’ possibile generare un repertorio diversificato di 10^9-10^11 recettori, di gran
lunga superiore al numero di geni codificanti, grazie ad un processo definito
“​ricombinazione somatica dei segmenti genici codificanti per le regioni variabili”.
I loci per le catene leggere e pesanti delle Ig e per le catene α e β del TCR,
contengono:
● numerosi geni per le regioni variabili V
● uno o pochi geni per le regioni costanti C
Questi sono separati da numerose sequenze nucleotidiche di collegamento
● Joining (​J​)
● Diversity (​D​) (presente solo nei loci x catene pesanti di Ig e catene 𝞫 di TCR)
La ricombinazione somatica dei segmenti genici V e J (in catene leggere e 𝞪) o dei
segmenti V, J e D (in catene pesanti e 𝞫) è mediata da un gruppo di enzimi chiamati
collettivamente ​ricombinasi VDJ​ che avvicinano due segmenti di DNA e li tagliano in
siti specifici. Le rotture vengono poi riparate dalle ligasi che produrranno differenti
geni ricombinati V-J o V-D-J, privi dei segmenti di DNA interposti.
Si è prodotta quindi una “​diversità combinatoriale​” dovuta alle diverse combinazioni
di segmenti genici.
Un’ ulteriore differenziazione è dovuta alla “​diversità giunzionale​”, ovvero
all’introduzione di cambiamenti nelle sequenze nucleotidiche a livello di giunzioni
tra segmenti V,D, J. Questo fenomeno deriva da tre diversi processi, ciascuno dei
quali contribuisce ad aumentare la variabilità delle sequenze rispetto alla linea
germinativa:
1. alcuni enzimi esonucleasi sono capaci di rimuovere nucleotidi dai segmenti
genici V,D, J, generando una maggiore variabilità;
2. un enzima linfocita-specifico “TdT” (desossinucleotidil transferasi terminale)
catalizza l’aggiunta casuale di nucleotidi ai siti di ricombinazione V(D)J,
formando le cosiddette regioni “N”;
3. prima che le rotture di DNA siano riparate, si possono generare sequenze di
DNA sporgenti, che vengono riempite da “nucleotidi P” aggiungendo ulteriore
variabilità ai siti di ricombinazione.

32
Poichè queste sequenze giunzionali VDJ codificano per l’ansa CDR3, la più
importante per il riconoscimento dell’antigene, avremo la massima variabilità nelle
regioni CDR3.

Ovviamente vengono prodotti anche numerosi geni non funzionali che verranno
selezionati negativamente e scartati in uno dei tanti punti di controllo di questo
processo.

Maturazione e selezione dei linfociti B


La maturazione dei linfociti B avviene prevalentemente nel midollo osseo ed è
costituita da varie fasi di maturazione:
1. Cellula staminale nel midollo osseo​: possiede il DNA della linea germinativa,
prolifera dando origine ad un grande numero di precursori, i linfociti pro-B;
2. Linfociti pro-B​: possiedono ancora il DNA della linea germinale, maturano
ulteriormente per generare i linfociti pre-B;
3. Linfociti pre-B​: in questo stadio avviene ricombinazione dei geni per Ig nel
locus della catena pesante di uno dei cromosomi e viene prodotta la
proteina 𝞵. Questa per la maggior parte si trova nel citoplasma, ma in parte
viene esposta in superficie in associazione con due catene leggere surrogate.
La proteina 𝞵 e le due catene surrogate si associano alle molecole di
trasduzione Ig𝝰 e Ig𝝱 per formare il complesso del recettore del linfocita pre-B
(pre-BCR).
La comparsa di 𝞵 innesca due processi:
● spegne la ricombinazione dei geni per la catena pesante in modo
da far si che ogni cellula possa esprimere recettori di una singola
specificità (“esclusione allelica”);

33
● stimola la ricombinazione del locus della catena leggera, prima 𝝹
e poi 𝝺.
4. ​Linfocita B immaturo​: viene espressa anche una catena leggera tra 𝞳 o 𝞴, che
viene associata con la catena 𝞵 per formare il recettore per l’antigene completo,
ovvero una IgM di membrana (cioè 𝞵+ catena leggera).
5. ​Linfocita B maturo​: si assiste alla necessaria coespressione di IgM e IgD.
La capacità di rispondere agli antigeni dei linfociti B si sviluppa insieme alla
coespressione di IgM e IgD, ma non si sa perchè entrambe le classi dei recettori
siano necessarie.
Il repertorio dei linfociti viene modellato durante la “selezione negativa”. In questo
processo se un linfocita B maturo lega con alta affinità un antigene presente nel
midollo osseo, l’ulteriore maturazione viene fermata e questo può o andare in
apoptosi o riattivare la ricombinasi per generare una seconda catena leggera e
cambiare così la specificità del recettore (editing recettoriale).

Maturazione dei linfociti T


● Progenitori dei linfociti T migrano dal midollo al timo
● Linfociti Pro-T o linfociti T doppio negativi​: non esprimono CD4 o
CD8 e sotto lo stimolo di IL-7 (prodotta dal timo) proliferano.
● Linfociti Pre-T​: parte della progenie subisce, ad opera delle
ricombinasi V(D)J, la ricombinazione dei geni della catena 𝞫 del TCR
che, una volta espressa si accoppierà con una catena invariante T𝞪
per formare il complesso “pre-TCR”. (Mentre una parte dei
futuri linfociti T 𝞬𝞭 seguirà un altro percorso differenziativo)
● Linfocita T immaturo doppio positivo​ (CD4+ CD8+): in questo stadio
differenziativo i linfociti esprimono entrambi i corecettori, i vari
cloni presentano dei domini TCR𝞪𝞫 differenti e verranno selezionati
positivamente in base alla loro capacità di riconoscere o meno MHC
(di classe I o II):

34
→ quelli che non riconoscono MHC non sopravvivono;
→ chi riconosce MHC di classe I mantiene CD8 e perde CD4;
→ chi riconosce MHC di classe II perde CD8 e mantiene CD4;
● Linfocita T singolo-positivo​: va in contro ad una selezione negativa
che manda in apoptosi i linfociti che legano troppo fortemente i
peptidi self del timo.
● Linfocita T maturo

Risposta immunitaria cellulo-mediata


La risposta cellulo-mediata è la parte dell’immunità adattativa deputata a
fronteggiare le infezioni da parte di microrganismi intracellulari.
Infatti è l’unica in grado di eliminare quei microrganismi che sono penetrati
nell’ambiente intracellulare per due possibili motivi:
● I microrganismi che sono stati fagocitati durante la risposta innata,
possiedono una resistenza alla fagocitosi e riescono quindi a sopravvivere e a
replicarsi all’interno della cellula per poi uscire dal fagolisosoma.
​ icobatteri, Leisteria, Legionella pnumophila​)
esempi: (​batteri intracellulari​= m
( ​funghi​= ​Cryptococcus neoformans​)
(​protozoi​= ​Leishmania, Trypanosoma cruzi​)
● I microrganismi che infettano cellule non fagocitiche.
esempi: (​virus​= TUTTI)
(​rickettsiae​= TUTTE)
(​protozoi​= ​Plasmodium falciparum, Cryptosporidium parvum​)

35
Per poter svolgere la loro funzione i linfociti T devono interagire con altre cellule
dell’ospite, infatti:
“i linfociti T possono reagire solo nei confronti di antigeni associati ad altre cellule”.

Fasi della risposta immunitaria mediata dai linfociti T


Le risposte dei linfociti T agli antigeni microbici associati alle cellule consistono in
una serie di passaggi sequenziali, che porta ad un aumento del numero dei linfociti T
antigene-specifici e alla trasformazione dei linfociti T naive in linfociti T effettori.
I linfociti T naive ricircolano continuamente negli organi linfoidi periferici in cerca di
proteine antigeniche esogene, questi però non sono ancora in grado di esercitare le
funzioni effettrici perché devono prima differenziarsi in cellule effettrici. Questo
differenziamento è innescato dal riconoscimento dell’antigene.
L’antigene gli viene presentato associato a molecole MHC presenti sulla superficie
delle cellule dendritiche che trovano all’interno degli organi periferici.
Quando un linfocita T naive riconosce un antigene, la cellula temporaneamente
smette di ricircolare per iniziare il processo di attivazione.
In seguito all’attivazione da parte dell’antigene e di altri stimoli, i linfociti T
antigene-specifici cominciano a secernere ​citochine​, dotate di innumerevoli funzioni,
tra cui quella di stimolare la proliferazione di linfociti T antigene-specifici
determinando un rapido aumento del loro numero: un processo definito
“espansione clonale”. Una frazione di questi linfociti attivati andrà inoltre incontro al
processo di “differenziazione”, il cui risultato è la trasformazione dei linfociti T naive,
deputati solo al riconoscimento dell’antigene, in linfociti T effettori, la cui funzione è
invece quella di eliminare il microrganismo. Alcuni linfociti T effettori possono
permanere nel linfonodo, eliminando cellule infettate lì presenti o fornendo ai
linfociti B i segnali biochimici necessari alla risposta anticorpale, altri invece
fuoriescono dagli organi linfoidi per entrare in circolo e migrare nei focolai di
infezione. Una parte della progenie si differenzia invece in linfociti T della memoria.
Questa sequenza di eventi è comune sia ai linfociti T CD4+ sia ai CD8+.

36
Riconoscimento e costimolazione dell’antigene
Per poter attivare il linfocita T (qualsiasi tipo esso sia), sono necessari molteplici
segnali:
● Riconoscimento complesso peptide-MHC (su APC)​→ da parte del TCR (su
linfociti T);
● Riconoscimento MHC classe I o II ​ → da corecettori CD8 o CD4 (su linfociti T);
+ molecole accessorie:
❏ molecole di adesione: x stabilizzare legame linfocita T- APC *;
❏ legame tra recettori per i costimolatori (su linf. T) e segnali
biochimici elaborati dalle APC durante la risposta innata.
Il recettore per l’antigene delle cellule T (TCR) e i corecettori CD4 o CD8 riconoscono
insieme il complesso formato dal peptide antigenico e l’MHC espresso dalle APC;
questo riconoscimento costituisce il primo segnale (scatenante) per l’attivazione dei
linfociti T.
Il TCR di un linfocita antigene-specifico riconosce simultaneamente sia il peptide sia i
residui amminoacidici dell’MHC che costituiscono la tasca di legame dell’antigene.
Nel momento in cui il TCR sta riconoscendo il complesso peptide-MHC, CD4 o CD8
riconosce, rispettivamente, le molecole MHC di classe II o I. Ciò avviene in regioni
dell’MHC distinte dalla tasca di legame del peptide. In questo modo peptidi derivati
da parassiti intracellulari vengono presentati a linfociti CD8 da MHC di classe I,

37
mentre antigeni microbici extracellulari, dopo essere stati internalizzati, vengono
presentati ai linfociti CD4 da MHC II.
La specificità di CD4 e CD8 per le due diverse classi di meccanismi di processamento
degli antigeni a livello vescicolare e citoplasmatico assicurano che il linfocita T
“adeguato” risponda ai diversi microrganismi.
Per riuscire ad attivare la risposta immunitaria, due o più TCR e i rispettivi
corecettori devono essere attivati contemporaneamente su un linfocita T. Infatti
solo l’aggregazione di diversi TCR e corecettori riesce a innescare un’appropriata
cascata di segnali biochimici intracellulari. Inoltre un linfocita T deve rimanere legato
almeno per diversi minuti ad un APC, oppure deve legare lo stesso complesso
ripetutamente.
Le strutture recettoriali elencate sopra sono quelle deputate solo al riconoscimento
dell’antigene e sono dotate di variabilità strutturale.
La funzione di trasduzione del segnale invece è delegata ad altre due strutture
accoppiate al TCR, non dotate di variabilità strutturale, capaci di generare segnali
biochimici stereotipati in grado di attivare la cellula:
● CD3 (un complesso di 3 proteine);
● catena 𝛇 .
Queste strutture insieme formano il:
“Complesso del TCR” = TCR + (CD3 + catena 𝛇)
In questo complesso la funzione di riconoscimento dell’antigene è svolta dalle
catene variabili 𝞪 e 𝜷 del TCR, mentre la funzione stereotipata di trasduzione del
segnale è svolta da CD3 e dalla catena 𝛇 associate al TCR.

*​Ruolo delle molecole di adesione nella risposta immunitaria mediata


da linfociti T
Come abbiamo già visto, dopo la selezione positiva avvenuta nel timo, sono stati
conservati soltanto i linfociti il cui TCR legava il complesso peptide-MHC con bassa
affinità.

38
Pertanto per indurre una risposta immunitaria efficiente il legame con l’APC deve
essere stabilizzato sufficientemente a lungo da molecole di adesione espresse dai
linfociti T, così da consentire la trasduzione del segnale.
Le molecole di adesione più importanti presenti sui linfociti T sono le:
integrine​ (come LFA-1) ------> legano ​ICAM-1​ sulle APC
Normalmente le integrine LFA-1 sono espresse in uno stato di bassa affinità, ma le
chemochine prodotte durante le risposte innate portano ad un aumento della loro
affinità e della loro tendenza ad aggregarsi, di conseguenza il linfocita legherà
meglio le APC. Anche dopo aver riconosciuto l’antigene aumenta l’affinità
dell’integrina del linfocita.
Le integrine sono coinvolte anche nel guidare la migrazione dei linfociti T effettori
dal circolo ematico verso il focolaio di infezione.

Ruolo delle molecole costimolatorie nell’attività dei linfociti T


Oltre al primo segnale rappresentato dall’antigene, la completa attivazione dipende
anche da un “secondo segnale” costituito dal riconoscimento di
molecole costimolatorie​ presenti sulla superficie della APC.
(La cui espressione aumenta enormemente dopo il contatto con un microrganismo).
● B7-1
● B7-2
Entrambe vengono riconosciute dal “​recettore CD28​” espresso da TUTTI i linfociti,
che trasduce un segnale che coopera con quelli generati dal TCR.
In assenza dell’interazione CD28/B7, l’attivazione del solo TCR non è sufficiente ad
attivare il linfocita T.
● C​ D40 ​riconosciuta dal “​recettore CD40L​” espresso solo dai linfociti T stimolati
(quest’ultima da sola non è sufficiente, tuttavia contribuisce, aumentando
l’espressione di B7 e di IL-12, a stimolare indirettamente i linfociti T rendendo
le APC più efficienti.)

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E’ per questo motivo che in un vaccino non è sufficiente iniettare solo gli antigeni
proteici, ma servono sostanze definite “adiuvanti” che riescano ad attivare le cellule
APC(così che producano le citochine necessarie ad attivare i linfociti T).
Gli adiuvanti riescono quindi a convertire semplici antigeni inerti in sostanze che
mimano funzionalmente i microrganismi patogeni.

*Per curare alcune malattie infiammatorie come l’artrite reumatoide si usano


sostanze in grado di bloccare l’interazione B7:CD28.
Alcune proteine omologhe a CD28 sono inoltre cruciali per la ​terminazione​ della
risposta immunitaria” (e non solo per la sua attivazione).

Stimoli per l’attivazione dei linfociti T CD8+


L’attivazione dei linfociti T CD8+ è innescata dal riconoscimento dell’antigene
associato a MHC di classe I e richiede molecole costimolatorie e/o linfociti T helper.
Alcune peculiari caratteristiche differenziano la risposta dei linfociti T CD8+ da quella
degli altri linfociti:
● Necessità, per l’attivazione iniziale, che gli antigeni citoplasmatici vengano
presentati ai linfociti CD8+ da una cellula dendritica con MHC di classe II
(presentazione crociata).
● La differenziazione dei linfociti T CD8+ può richiedere la concomitante
attivazione dei linfociti T helper CD4+: dopo che una cellula dendritica ha
presentato al linfocita T helper gli antigeni fagocitati ed esposti su una MHC di
classe I, il linfocita CD4+ produce citochine o recettori che promuovono
l’attivazione di CD8.
*La necessità dell’intervento dei linfociti T helper nell’attivazione dei linfociti T CD8+
è la più probabile spiegazione del deficit di risposta CTL a svariati virus che si osserva
negli individui affetti da HIV, un virus che uccide i linfociti T CD4+, ma non i CD8+.

Vie biochimiche di trasduzione nell’attivazione dei linfociti T


I linfociti T naive, che non hanno ancora riconosciuto l’antigene sono come delle
cellule quiescenti caratterizzate da una ridotta sintesi proteica. Dopo il

40
riconoscimento dell’antigene cominciano invece a esprimere molte proteine
coinvolte nella proliferazione, differenziazione e funzioni effettrici.
Le vie biochimiche della trasduzione sono attivate dal riconoscimento dell’antigene
e portano all’attivazione dei linfociti T dopo aver reclutato enzimi, proteine
adattatrice ed aver attivato fattori di trascrizione.
Queste vie biochimiche della trasduzione iniziano con il fenomeno del Cross-linking a
cui seguono una serie di altri eventi.
1. “​Cross-linking​” : aggregazione centralizzata di più TCR, corecettori CD4/CD8 e
CD28 sulla superficie di contatto tra APC e linfocita. Anche le integrine si
aggregano intorno come a formare un anello periferico. → Questa regione di
contatto è chiamata ​sinapsi immunologica.​ Questa regione oltre ad essere il
punto in cui si originano i segnali necessari per l’attivazione linfocitaria svolge
anche altre funzioni: veicola efficientemente verso la APC le citochine e le
molecole effettrici che qui vengono secrete (evitando che vengano disperse) e
recluta gli enzimi deputati all’inibizione dei segnali di trasduzione per
terminare in modo rapido ed efficiente l’attivazione linfocitaria.
2. Il clustering dei corecettori CD4 o CD8 attiva la tirosina chinasi ​Lck​, legata in
modo non covalente alla coda di questi corecettori. Lck fosforila i residui di
tirosina fosforila le regioni ITAM su CD3 e 𝞯 (sono regioni ricche di tirosina e
cruciali per il processo di trasduzione). Lck fosforila anche una tirosina chinasi
ZAP-70.
3. I domini ITAM fosforilati di 𝞯 possono legare ZAP-70.
4. ZAP-70 fosforila una serie di proteine adattartrici generando una serie di
vie di trasduzione​:
★ via del calcio-NFAT;
★ via delle PKC-NF-𝞳B;
★ via delle MAP chinasi-Ras/Rac;
★ via del PI-3K (fosfatidil inositolo3 chinasi).
Nella 1° e 2° via le proteine adattatrici fosforilano e attivano la ​PLC​𝝲 (fosfolipasi C)
che idrolizza il PIP2 di membrana (fosfatidilinositolo 4,5-bisfosfato) in ​IP3​ e ​DAG
(inositolo 1,4,5-trifosfato e diacilglicerolo).

41
● IP3 → induce il rilascio di Ca2+ dal reticolo sarcoplasmatico che a sua volta
causa l’apertura di canali Ca2+ di membrana. La concentrazione di calcio
intracellulare rimane alta per ore e Ca2+ si lega nel citoplasma a calmodulina
per andare ad attivare la fosfatasi “calcineurina” che può defosforilare e
attivare il fattore di trascrizione ​NFAT​ ​che dal citoplasma si porta nel nucleo
dove promuove crescita dei linfociti ed espressione dei recettori per IL-2,
(​via del calcio-NFAT​).

*Il farmaco “ciclosporina” inibisce la produzione di citochine da parte dei linfociti T


attivati legandosi e inibendo la calcineurina. Usato nelle terapia immunosoppressiva
per la prevenzione del rigetto post-trapianto.
● DAG → attiva l’isoforma 𝞡 della PKC (una serina-treonina chinasi) che,
attraverso altre proteine adattatrici, fosforila e rimuove l’inibitore IkB
liberando e attivando il fattore di trascrizione citoplasmatico NF-𝞳B che migra
nel nucleo, (​via delle PKC-NF-𝞳B​).

Nella 3° via le proteine adattatrici reclutano e attivano le proteine Ras e Rac


mediante lo scambio di GDP con GTP. Ras-GTP e Rac-GTP innescano una cascata
enzimatica che attiva molte chinasi: varie MAP chinasi, e le chinasi ERK e JNK.
Questa cascata culmina con l’attivazione del fattore di trascrizione AP-1,
responsabile della trascrizione di numerosi geni nei linfociti T attivati, (​via delle MAP
chinasi​).

Nella 4° via si attiva l’enzima PI-3K (fosfatidilinositolo 3 chinasi) che fosforila il PIP2
di membrana (anzi che idrolizzarlo come PLC) per generare PIP3 (fosfatidilinositol
3,4,5 trisfosfato). Questo fosfolipide attiva la serina-treonina chinasi ​Akt​ che
promuove l’espressione di proteine antiapoptotiche che generano la sopravvivenza
dei linfociti T stimolati. Questa via può essere innescata dall’attivazione del TCR, da
CD28 o dai recettori di IL-2, (​via della PI-3K chinasi​).

42
Risposte funzionali dei linfociti T agli antigeni e alle molecole
costimolatorie
Il riconoscimento dell’antigene e delle molecole costimolatorie da parte dei linfociti
T innesca un’orchestrata serie di eventi, che culmina nell’espansione del clone
linfocitario antigene-specifico e nella differenziazione in cellule effettrici e di
memoria. Molte delle risposte dei linfociti T sono mediate da citochine che, una
volta secrete, agiscono sui linfociti stessi, così come altre cellule coinvolte nella
difesa immunitaria.

Secrezione di citochine ed espressione dei recettori delle citochine


In risposta all’antigene ed ai costimolatori si assiste a:
● secrezione di citochine (soprattutto da parte dei CD4+);
● aumento del numero e dell’affinità dei recettori per le citochine (i recettori
della IL-2 a due subunità nei linfociti T naive esprimono la 3° dopo
attivazione).
Caratteristiche generali delle citochine:

Caratteristiche Meccanismo
Prodotte in modo transitorio in risposta Segnali dal TCR e da molecole
all’antigene costimolatorie inducono la trascrizione
dei geni per le citochine
Possono avere sia azione autocrina che L’attivazione dei linfociti T induce
paracrina l’espressione sia delle citochine sia dei
loro recettori ad alta affinità
Pleiotropismo: ogni citochina può Molti differenti tipi di cellule possono
svolgere diverse attività biologiche esprimere recettori per una citochina
specifica

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Ridondanza biochimica: diverse Molte citochine utilizzano le stesse vie
citochine possono svolgere le stesse di trasduzione del segnale stereotipate
attività biologiche

La prima citochina ad essere prodotta è l’interleuchina 2, in seguito altre citochine


partecipano agendo come mediatori delle risposte immunitarie e infiammatorie.

Attività biologica sui linfociti T da parte di alcune citochine:

Citochina Funzioni Cellula produttrice


IL-2 Sopravvivenza, proliferazione e Linfociti T CD4+
differenziazione dei linfociti T effettori e (soprattutto) e CD8+
regolatori
IL-4 Scambio isotipico verso IgE nei linfociti B Linfociti T CD4 e
mastociti
IL-5 Attivazione degli eosinofili Linfociti T CD4 e
mastociti
IFN-𝞬 Attivazione Macrofagi Linfociti T CD4, CD8 e
Natural Killer
TGF-𝞫 Inibizione attivazione linfociti T; Linfociti T CD4
differenziazione dei linfociti T regolatori regolatori e molti altri

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Espansione clonale
Entro i primi 1-2 giorni dall’attivazione, i linfociti T cominciano a proliferare
provocando l’espansione del clone ​antigene-specifico​.
Questa espansione permette all’immunità adattativa di tenere il passo con la rapida
proliferazione dei microrganismi. In particolar modo i linfociti T, che aumentano di
circa 10.000 volte in 6 ore fino a costituire anche il 10-20% dei linfociti presenti negli
organi linfoidi.
L’espansione maggiore dei linfociti T CD8 è necessaria per eliminare le cellule
infettate mentre quella dei linfociti T CD4 è alcuni ordini di grandezza minore perché
questi servono solo a produrre citochine e un minor numero di CD4 riesce ad
attivare contemporaneamente molte cellule effettrici.

Differenziamento dei linfociti T naive in cellule effettrici


La differenziazione inizia parallelamente all’espansione clonale e le cellule effettrici
differenziate compaiono nei primi 3-4 giorni dall’esposizione dell’antigene.
Queste cellule abbandonano gli organi linfoidi secondari e cominciano a dirigersi
verso i focolai di infezione. Qui incontreranno di nuovo gli antigeni che ne hanno
stimolato lo sviluppo, solo che ora i linfociti saranno in grado di rispondervi per
eradicare l’infezione.
Le cellule effettrici CD4+ e CD8+ svolgono funzioni diverse che verranno esaminate
separatamente:

❖ Differenziazione linfociti T CD8+


I linfociti T CD8+ attivati dall’antigene e dalle molecole costimolatorie si
differenziano in CTL, i quali sono in grado di eliminare le cellule che esprimono gli
antigeni dei microbi da cui sono state infettate. Agiscono mediante secrezione di
proteine che creano pori nella membrana o che inducono la frammentazione del
DNA (morte apoptotica).

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❖ Differenziazione linfociti T helper
Dopo l’attivazione da parte dell’antigene e delle molecole costimolatorie, i linfociti T
helper naive si possono differenziare in diverse sottopopolazione di linfociti T CD4 in
risposta alle diverse citochine prodotte nel sito di attivazione.
La produzione di profili citochinici diversi comporta delle funzioni diverse.
Lo sviluppo delle delle sottopopolazioni T-H1, T-H2 e T-H17 non è casuale, bensì
controllato dagli stimoli che i linfociti T CD4+ naive ricevono quando incontrano gli
antigeni microbici:
● T-Helper 1​: differenziazione stimolata dalla combinazione di IL-12 e IFN-𝞬
(prodotti rispettivamente dalle cellule dendritiche+macrofaghi e da cellule NK
in risposta a numerosi batteri e virus).
T-H1 produce a sua volta ​IFN-𝞬​ che agisce tramite:
1) attivazione CLASSICA dei macrofaghi (uccisione microbi);
2) stimolazione produzione di isotipi anticorpali che legano il recettore per il
Fc espresso dai fagociti (potenziandone l’attività);
3)attivazione del complemento: generando frammenti che legano recettori
per il complemento sempre espressi dai fagociti;
4)stimolazione espressione di molecole MHC di classe II e di molecole
costimolatorie B7 da parte di macrofagi e cellule dentritiche (ampliando la
risposta dei linfociti T).
● T-Helper 2​: differenziazione stimolata da IL-4 (prodotta dagli stessi T-H2 o dai
mastociti in risposta agli elminti).
T-H2 stimolano le risposte degli eosinofili, che sono particolarmente efficaci
nei confronti degli elminti, grazie alla secrezione di particolari citochine:
1) secrezione di IL-4:
-​stimola secrezione IgE che attivano i mastociti (degranulazione);
2)secrezione IL-5:
-promuove l’attivazione degli eosinofili;

46
3) secrezione IL-4+IL-13:
-promuove l’attivazione ALTERNATIVA dei macrofagi (inibisce la attività
microbicida dei macrofagi e promuove il riparo tissutale);
-promuove “immunità di barriera”: (secrezione di muco che ostacola i
parassiti).
● T-H17: ​differenziazione stimolata dalle citochine infiammatorie
IL-6, IL-1 e IL-23 (prodotte da macrofagi e cellule dendritiche).
Secernono le citochine IL-17 e IL-22 che:
-reclutano neutrofili (e macrofagi) nel focolaio infiammatorio;
-mantengono la funzione di barriera degli epiteli del tratto intestinale e di altri
tessuti;
-coinvolti in malattie autoimmuni come sclerosi multipla e artrite reumatoide.

Sviluppo dei linfociti T della memoria


Una frazione di linfociti T attivati dall’antigene si differenzia in cellule della memoria
a lunga sopravvivenza. Non si conoscono i fattori che guidano questa
differenziazione. Queste cellule perdono le funzioni effettrici e quindi la capacità di
produrre citochine o di eliminare cellula, ma le riacquisiscono velocemente dopo un
nuovo incontro con l’antigene.
Per la sopravvivenza di questa popolazione linfocitaria è molto importante la
presenza di alcune citochine come IL-7.
Si distinguono due sottopopolazioni di linfociti T della memoria:
● cellule della memoria centrale​: esprimono CCR7 L-selectina e sono localizzati
negli organi linfoidi secondari ed è responsabile della rapida espansione
clonale dopo la riesposizione;
● cellule della memoria effettrice​: non esprimono CCR7 L-selectina e sono
localizzata nelle mucose dove possono tornare a svolgere più rapidamente le
funzioni effettrici.
Risoluzione della risposta immunitaria

47
Una volta terminata la risposta il sistema deve tornare al suo stato basale, chiamato
omeostasi per poter rispondere alla successiva infezione. Durante la risposta i
linfociti proliferano e sopravvivono grazie alla presenza di:
● antigene;
● segnali costimolatori come CD28 e citochine (IL-2).
Una volta che l’infezione è debellata questi segnali vengono meno e la maggior
parte dei linfociti va incontro ad apoptosi.
La risposta si attenua entro 1-2 settimane dal momento in cui l’infezione è debellata
e rimangono soltanto la progenie di linfociti T della memoria.

Meccanismi effettori delle risposte dei linfociti T​ ​Pag. 121


I meccanismi di difesa nei quali i linfociti T svolgono le loro funzioni effettrici
vengono raggruppati sotto il termine di ​risposta immunitaria cellulo-mediata​.
Esistono due tipi di risposte cellulo-mediate atte all’eliminazione di diversi tipi di
microrganismi:
- I linfociti T helper CD4+ riconoscono microrganismi che si localizzano nelle
vescicole fagocitiche, secernono citochine che richiamano e attivano altri
leucociti in grado di fagocitare ed eliminare i microrganismi;
- I linfociti T citotossici CD8+ (CTL) riconoscono microrganismi che si localizzano
nel citoplasma ed eliminano qualsiasi cellula infettata che contenga nel proprio
citoplasma, o nucleo, proteine microbiche, eliminando così il serbatoio di
infezione.
Nell’immunità cellulo-mediata, i linfociti T riconoscono le proteine microbiche in due
distinti momenti:
1. Negli organi linfoidi, i linfociti T naive riconoscono l’antigene e vanno incontro a
proliferazione ed a differenziazione (in cellule effettrici e della memoria);
2. Nei focolai di infezione, i linfociti T effettori attivati potranno riconoscere lo
stesso antigene e procedere alla sua eliminazione.

48
Migrazione dei linfociti T
Risposte immunitarie cellulo-mediate:
1. I linfociti T naive presenti in circolo devono migrare dal sangue ai linfonodi o alla
milza;
2. Qui incontrano le cellule dendritiche che presentano il loro antigene specifico;
3. I linfociti T naive vengono quindi attivati e danno luogo a un clone di cellule
effettrici;
4. Queste migrano al focolaio di infezione dove svolgono la loro azione microbicida;
La migrazione dei linfociti T naive e quella dei linfociti T effettori sono controllate da
tre famiglie di proteine: le selectine, le integrine e le chemochine.

I ​linfociti T naive​ esprimono la ​L-selectina (CD62L​), una molecola di adesione, e il


recettore per le chemochine CCR7​. Entrambe queste molecole sono responsabili
della migrazione ai linfonodi permettendo il passaggio attraverso particolari vasi
sanguigni definiti ​venule a endotelio alto (HEV)​.
Nelle regioni T dei tessuti linfoidi (aree paracorticali) sono presenti le HEV, cioè
venule costituite da peculiari cellule endoteliali che esprimono carboidrati che
agiscono da ligandi per la L-selectina (in questo caso l’endotelio esprime il ligando e
il linfocita la selectina!). Sulla superficie delle HEV sono inoltre presenti delle
chemochine che legano il recettore CCR7.
L’interazione tra il linfocita T naive circolante e le HEV, attraverso le selectine, inizia
il processo di rolling sulla superficie endoteliale. Viene quindi favorito il legame delle
chemochine presenti sull’endotelio al recettore CCR7. Quest’ultimo, una volta
attivato, trasduce dei segnali intracellulari che inducono l’attivazione ​dell’integrina
LFA-1​ sul linfocita T. In questo modo, l’integrina assume la capacità di legare con
elevata affinità il suo ​ligando, ICAM-1​, favorendo l’arresto del linfocita T. Il linfocita T
può attraversare ora le giunzioni interendoteliali, fuoriuscendo dalla venula e
accumulandosi nelle regioni T dello stroma linfonodale.

49
Il ​fosfolipide sfingosina-1 fosfato (S1P)​ svolge un ruolo fondamentale nel processo di
fuoriuscita dei linfociti T dai linfonodi. I livelli di S1P nel circolo linfatico ed ematico
sono maggiori rispetto a quelli dei linfonodi. ​In circolo​, S1P lega il proprio ​recettore e
ne riduce l’espressione s​ ulla superficie dei linfociti T naive.
Quando il linfocita entra nel linfonodo, la minore concentrazione di S1P gli permette
di esprimere nuovamente il recettore di superficie. A questo punto, se il linfocita
non riconosce alcun antigene, risponderà al gradiente di concentrazione di S1P ed
uscirà dal linfonodo; se invece il linfocita T riconosce l’antigene specifico va incontro
ad attivazione cellulare, la quale inibirà l’espressione del recettore per S1P per un
periodo di tempo sufficiente affinchè i linfociti T attivati vadano incontro a
espansione clonale e a differenziamento. Completati tali processi, il recettore verrà
nuovamente espresso mentre verranno persi la L-selectina e il recettore CCR7.
Il risultato di questa modulazione recettoriale porta quindi alla fuoriuscita dei
linfociti T dai linfonodi e il loro ricircolo nel sangue.
Il processo di differenziazione dei linfociti T naive a linfociti T effettori si accompagna
a una serie di modifiche dell’espressione di molecole di adesione e di recettori per
chemochine su queste cellule.

I ​linfociti T attivati ​esprimono alti livelli delle ​integrine LFA-1 e VLA-4​ e di


glicoproteine che agiscono da ​ligandi per le selectine E e P,​ possiedono poi recettori
per le chemochine.
A livello del focolaio di infezione, l’endotelio viene attivato da citochine (TNF, IL-1)
che inducono l’espressione delle ​E e P selectine​ e di ​ligandi per le integrine quali
ICAM-1 e VCAM-1. ​Sulla superficie delle cellule endoteliali vengono inoltre espresse
anche chemochine, prodotte da macrofagi e dalle stesse cellule endoteliali nel
focolaio infiammatorio.
I linfociti T effettori che si trovano a transitare nei vasi sanguigni che irrorano il
focolaio di infezione si legano prima alle selectine endoteliali, iniziando poi il
processo di rolling (in questo caso la selectina E o P è sull’endotelio e il ligando è sul
linfocita!). Rotolando sull’endotelio, i linfociti T riconoscono queste chemochine e
vanno incontro ad un aumento dell’affinità delle integrine, causando una più ferma
adesione del linfocita T all’endotelio. Dopo il completo arresto i linfociti T

50
attraversano le giunzioni interendoteliali e, richiamati dalle chemochine,
raggiungono il tessuto infiammato.
I linfociti T naive non esprimono i ligandi per le E e P selectine e neppure i recettori
per le chemochine prodotte al focolaio infiammatorio, ne consegue che essi non
possono migrare nei tessuti periferici danneggiati. Il processo di ‘’homing’’ dei
linfociti T effettori al focolaio di infezione è indipendente dal riconoscimento
dell’antigene e dipende principalmente da molecole di adesione e chemochine.
Ne consegue che qualunque linfocita T effettore circolante può penetrare in
qualsiasi focolaio di infezione, indipendentemente dalla sua specificità antigenica.
Allo stesso modo, i linfociti T effettori che, extravasati e penetrati nel focolaio di
infezione riconoscono l’antigene presentato dalle APC, subiscono una riattivazione
che li rende in grado di eliminare il microrganismo riconosciuto. In seguito a questa
riattivazione si ha l’aumento dell’espressione di membrana delle ​integrine VLA​;
queste si legano a componenti della matrice extracellulare favorendo l’adesione dei
linfociti alle matrici dei tessuti infiammati in prossimità dell’antigene. Quindi i
linfociti che raggiungono il focolaio di infezione e riconoscono specificatamente
l’antigene, vengono qui trattenuti e ulteriormente attivati.
Il processo di riattivazione dei linfociti T effettori è meno dipendente dalla
costimolazione, ne consegue che la proliferazione e differenziazione dei linfociti T
naive possono avvenire solo negli organi linfoidi; mentre le funzioni effettrici dei
linfociti T possono essere riattivate ovunque, non solo dalle cellule dendritiche ma
anche in seguito al riconoscimento di un antigene presentato su molecole MHC da
qualsiasi tipo cellulare.

Funzioni effettrici dei linfociti T helper CD4+ ​Pag. 126


Nell’immunità cellulo-mediata, i linfociti T CD4+ di tipo TH1 attivano le capacità
microbicide dei macrofagi; i linfociti TH17 promuovono il reclutamento dei leucociti
al focolaio di infezione; mentre i linfociti TH2 attivano gli eosinofili a eliminare
parassiti pluricellulari come gli elminti.
Ruolo dei linfociti TH1
La principale funzione dei linfociti TH1 è l’attivazione dei macrofagi , necessaria per
l’eliminazione dei microrganismi fagocitati. I TH1 attivano il macrofago attraverso

51
l’interazione del ligando di CD40​ (​ ​CD40L​ o CD154), da loro espresso, con CD40,
espresso dal macrofago, e la conseguente secrezione di​ INF-ɣ​.
I macrofagi fagocitano i microrganismi, le proteine microbiche vengono processate e
una piccola frazione dei peptidi così generati viene presentata sulla superficie dei
macrofagi in associazione alle molecole di MHC di classe II. Riconoscendo gli
antigeni, i linfociti effettori T CD4+ aumentano l’espressione della molecola
effettrice CD40L la quale lega il recettore CD40 espresso dai macrofagi.
Parallelamente, i linfociti TH1 secernono INF-ɣ, potente attivatore dei macrofagi. Nel
macrofago si attivano quindi una serie di fattori di trascrizione che portano alla
produzione di proteasi lisosomiali ed enzimi che stimolano la sintesi di monossido di
azoto e di prodotti reattivi dell’ossigeno dotati di azione microbicida.
L’attivazione macrofagica da parte di CD40L e INF-ɣ viene detta ​attivazione classica
e consente un aumento della capacità microbicida del macrofago che permette
l’eliminazione dei microrganismi fagocitati.
I macrofagi che presentano ai linfociti T gli antigeni dei microrganismi fagocitati sono
necessariamente quelli che contengono i microrganismi da eliminare. Ne consegue
che solo questi fagociti sono in grado di riattivare i linfociti T effettori e sono gli unici
a trovarsi nella configurazione adatta a ricevere i segnali attivatori dai linfociti TH1.
L’interazione tra macrofagi e linfociti T rappresenta un eccellente esempio di
interazione bidirezionale tra cellule dell’immunità innata e adattativa. Ricordiamo
infatti che i macrofagi attivati producono la citochina IL-12, che stimola la
differenziazione dei linfociti T CD4+ naive verso la sottopopolazione TH1.

Ruolo dei linfociti TH17


I linfociti TH17 promuovono la produzione di citochine (​IL-17​ e ​IL-22)​ che reclutano i
neutrofili e, in misura minore i monociti. L’infiltrato leucocitario viene quindi
richiamato nel focolaio infiammatorio dai linfociti TH17 per eradicare l’infezione; i
leucociti richiamati e la reazione vascolare rappresentano segni classici
dell’infiammazione.

52
Quando i linfociti T contribuiscono all’infiammazione, questa si manifesta
tipicamente con maggiore intensità e durata rispetto a quando invece è innescata
dalla sola risposta immunitaria innata ai microrganismi.
I linfociti TH17 stimolano anche la produzione di sostanza anti-microbiche definite
defensine​ che agiscono come antibiotici endogeni. Inoltre, alcune citochine prodotte
dai linfociti TH17 aiutano a mantenere l’integrità morfofunzionale delle barriere
epiteliali. Tutti questi effetti sono essenziali per la difesa contro infezioni micotiche e
batteriche.
Ruolo dei linfociti TH2
La sottopopolazione TH2 dei linfociti T CD4+ stimola risposte infiammatorie
caratterizzate da un’imponente presenza di eosinofili, essenziali per la difesa contro
i parassiti elmintici. Quando i linfociti TH2 riconoscono l’antigene, essi producono le
citochine ​IL-4​ e ​IL-5​: la prima stimola la produzione di anticorpi IgE, la seconda attiva
gli eosinofili. Quest’ultimi sono importanti contro le infezioni elmintiche in quanto
sono gli unici a possedere proteine in grado di eliminare questi parassiti. Le citochine
prodotte (tra cui anche ​IL-13)​ stimolano inoltre la secrezione di muco e la peristalsi
intestinale, promuovendo l’espulsione del parassita.
IL-4 e IL-10 inibiscono l’attivazione classica dei macrofagi, ma stimolano la loro
attivazione alternativa. Questa promuove il processo di fibrosi, contribuendo al
processo di riparazione tissutale ma, in alcuni casi, può contribuire anche al danno
tissutale osservabile in pazienti affetti da infezioni parassitiche croniche o da
malattie allergiche.
L’equilibrio tra l’attivazione dei linfociti TH1 e TH2 determina l’andamento delle
infezioni, con i linfociti TH1 che promuovono le difese verso i microrganismi
intracellulari, mentre i linfociti TH2 le sopprimono.
I macrofagi attivati eliminano più efficacemente i microrganismi confinati nelle
vescicole cellulari. I microrganismi che penetrano direttamente nel citoplasma o che
sfuggono dai fagosomi verso il citoplasma invece assumono una relativa resistenza ai
meccanismi microbicidi dei fagociti, la loro eliminazione richiede quindi l’intervento
del meccanismo effettore mediato dai linfociti CD8+, CTL.

Funzioni effettrici dei linfociti T citotossici CD8+ ​Pag. 130

53
I linfociti CD8+ uccidono le cellule infettate dopo aver riconosciuto i peptidi associati
a molecole MHC di classe I, eliminando il serbatoio di infezione. L’origine dei peptidi
che si associano a MHC di classe I è costituita da antigeni proteici virali sintetizzati ex
novo nel citoplasma o da proteine dei microrganismi fagocitati e sfuggiti dalle
vescicole. I linfociti T CD8+ riconoscono i complessi peptide-MHC di classe I sulla
superficie della cellula infettata, anche definita ​cellula bersaglio,​ attraverso il TCR e il
corecettore CD8. Questi si raggruppano sulla superficie del CTL al sito di contatto
con la cellula bersaglio e vengono circondate dall’​integrina LFA-1​. Tutte queste
molecole legheranno quindi i controrecettori espressi sulla cellula bersaglio,
formando la cosiddetta ​sinapsi immunologica​ che: determina una stretta adesione
tra le due cellule e permette il rilascio estremamente mirato verso la cellula
bersaglio di sostanze citotossiche da parte dei CTL.
Poichè i CTL non richiedono costimolazione nè l’intervento dei linfociti T helper per
la loro attivazione, essi sono in grado di eliminare qualsiasi tipo di cellula infettata
presente in qualsiasi tessuto. Due proteine sono essenziali per l’eliminazione della
cellula bersaglio:
- I ​granzimi:​ il ​granzima B​ causa proteolisi controllata, e quindi attivazione,
degli enzimi caspasi presenti nel citosol delle cellule bersaglio e la cui
principale funzione è indurre apoptosi.
- La ​perforina:​ è una molecola necessaria a distruggere l’integrità delle
membrane plasmatiche ed endosomiali delle cellule bersaglio così da
agevolare il passaggio dei granzimi all’interno del loro citoplasma.
Anche una proteina, chiamata ligando di Fas, viene espressa sulla membrana dei CTL
attivati ed è in grado di indurre l’apoptosi delle cellule bersaglio attivando la via
delle caspasi e senza richiedere l’esocitosi dei granuli (lega il suo recettore FAS).
Le cellule apoptotiche vengono rapidamente fagocitate ed eliminate.
Nel caso in cui i microrganismi fagocitati rimangano sequestrati nelle vescicole dei
macrofagi, i linfociti T CD4+ rispondono adeguatamente, eliminando queste infezioni
attraverso la secrezione di INF-ɣ che attiva i meccanismi microbicidi dei macrofagi.
Nel caso invece che i microrganismi siano sfuggiti nel citoplasma dalle vescicole,
diventando insensibili all’azione dei macrofagi, la loro eliminazione verrà effettuata
mediante l’intervento dei CTL CD8+, che uccidono direttamente la cellula infettata.

54
Resistenza dei patogeni all’immunità cellulo-mediata ​Pag.132
Diversi microrganismi hanno escogitato svariati meccanismi di difesa per resistere
all’azione dei linfociti T dell’ospite. Tra i vari meccanismi ricordiamo: l’inibizione
della fusione dei fagolisosomi, la fuoriuscita del microrganismo dalle vescicola
fagocitiche, l’inibizione dell’assemblaggio dei complessi peptide-MHC di classe I e la
produzione di citochine inibitorie o di recettori ‘’esca’’ (decoy).

Risposta immunitaria umorale


E’ quella branca dell’immunità adattativa che, mediante gli anticorpi, ha il compito
di neutralizzare ed eliminare i microrganismi extracellulari e le tossine microbiche.
Dal momento che i linfociti B sono in grado di riconoscere un’ampia varietà di
molecole (a differenza dei linfociti T), l’immunità umorale è il principale meccanismo
di difesa contro microrganismi capsulati e tossine di natura:
· Lipidica
· Polisaccaridica
· Proteica

Tipi e fasi della risposta umorale


Il recettore dei linfociti B è costituito da due anticorpi di membrana IgM e IgD.
L’attivazione di un linfocita B naive porta alla proliferazione SOLO delle cellule
specifiche per l’antigene in un processo che viene detto “​espansione clonale​” e alla
loro differenziazione in cellule effettrici: plasmacellule.
Questo processo porta ad una risposta effettrice molto amplificata:
1 linfocita B attivato à 4000 plasmacellule àà10^12 anticorpi al giorno.
Durante la differenziazione i linfociti possono iniziare a produrre anticorpi di classi
diverse (cioè con diverso isotipo della catena pesante), specializzati nel combattere
diversi tipi di microrganismi. Questo processo è noto come “​scambio isotipico della
catena pesante​” (o scambio di classe).

55
“​Maturazione dell’affinità​”: è il fenomeno in cui, ripetute esposizioni ad antigeni
proteici causano la produzione di anticorpi con una migliore affinità per l’antigene.

Le risposte anticorpali vengono suddivise in T-dipendenti o T-indipendenti, a


seconda della necessità di intervento dei linfociti T-Helper.
· Gli antigeni proteici vengono definiti “T-dipendenti” poiché, una volta
processati e presentati dalle APC, vengono riconosciuti dai T helper che
influenzano l’attivazione dei linfociti B, il loro scambio isotipico e la maturazione
dell’affinità.
· Polisaccaridi, lipidi e antigeni non-proteici sono definiti “T-indipendenti” ma
sono caratterizzati da scambio isotipico e maturazione dell’affinità limitati.
Le popolazioni di linfociti B che rispondono preferenzialmente agli antigeni
proteici o non proteici sono diverse:
- L​ infociti B follicolari​: risiedono negli organi linfoidi secondari, sono i
principali responsabili della risposta immunitaria T-dipendente agli
antigeni proteici.
- L​ infociti B delle zone marginali​: risiedono nella milza, nella zona
marginale della polpa bianca, rispondono agli antigeni polisaccaridici
presenti in circolo, insieme ai ​Linfociti B-1​ presenti su mucose e
peritoneo sono responsabili della maggior parte delle risposte
T-indipendente. Secernono principalmente IgM.

Le risposte anticorpali alla prima esposizione ad un antigene e a quelle successive,


definite rispettivamente risposta primaria e secondaria, si distinguono per quantità
e qualità.

Risposta primaria Risposta secondaria

Tempo di attesa dopo Di norma 5-10 giorni Di norma 1-3 giorni


immunizzazione:

56
Picco di risposta: Più stretto Più largo

Isotipo degli anticorpi: Di norma IgM>IgG Aumento relativo di IgG


e, in particolari
condizioni, di IgA o IgE

Affinità degli anticorpi: Affinità media più Affinità media più alta
bassa e più variabile (maturazione
dell’affinità)

Attivazione dei linfociti B da parte dell’antigene


Le risposte umorali si innescano quando un linfocita B riconosce l’antigene specifico
nella milza, nei linfonodi o negli organi linfoidi associati alle mucose. Nei linfonodi, i
macrofagi che circondano i sinusoidi sub capillari possono catturare gli antigeni ed
esporli sulla loro superficie per il riconoscimento da parte dei linfociti B presenti nei
follicoli adiacenti. I linfociti B usano le IgG di membrana come recettori per
riconoscere l’antigene in conformazione nativa (senza processamento). Come per
l’attivazione dei linfociti T, anche i linfociti B necessitano di segnali accessori quali
quelli che si generano nel corso della risposta innata ai microrganismi.
Trasduzione del segnale durante l’attivazione dei linfociti B
Il raggruppamento (clustering) dei recettori che avviene in seguito al riconoscimento
dell’antigene innesca una serie di segnali intracellulari a opera di apposite proteine
associate al recettore. L’attivazione dei linfociti B è simile a quella dei linfociti T. La
trasduzione del segnale richiede un processo di “cross-linking” cioè l’interazione
reciproca tra due o più recettori. Questo è tanto più favorito quanto più antigeni
presenti su un aggregato si legano ai recettori di membrana dei linfociti B. Infatti
molto spesso polisaccaridi, lipidi e altri antigeni non proteici espongono epitopi
identici e ripetuti che sono quindi in grado di legare simultaneamente molteplici
recettori.

57
Il ​BCR ​(complesso del recettore dei linfociti B) comprende:
- una componente recettoriale costituita dalle porzioni variabili di IgM e
IgD che sono in grado solo di riconoscere e legare l’antigene;
- proteine Igα e Igβ, che sono coinvolte nella trasduzione del segnale.
Quando uno o più recettori di un linfocita B vanno in contro a cross-link, i residui di
tirosina delle sequenze ITAM delle catene Igα e β vengono fosforilati dalle chinasi
associate al complesso BCR diventando punti di attracco per proteine adattatrici, le
quali vengono a loro volta fosforilate per reclutare ulteriori molecole coinvolte nella
trasduzione del segnale.

Ruolo delle proteine del complemento nell’attivazione dei linfociti B


I linfociti B possono ricevere anche segnali pro-attivatori da un loro recettore che
lega una proteina del complemento.
L’attivazione del complemento da parte di un microrganismo determina la proteolisi
parziale di C3, uno dei suoi componenti più abbondanti, e la formazione di prodotti
di degradazione che rivestono il microbo stesso. Uno di questi prodotti è C3d, il cui
recettore specifico detto “recettore di tipo 2 per il complemento” (CR2 o CD21) è
espresso proprio dai linfociti B.
Quindi i linfociti B invece che riconoscere solo gli epitopi di un antigene,
riconosceranno tramite CR2 anche C3d legato allo stesso microrganismo,
migliorando considerevolmente la loro attivazione.
Le proteine del complemento forniscono segnali addizionali che, agendo in concerto
con quello principale generato dall’antigene, inducono la proliferazione e la
differenziazione dei linfociti B.
L’attivazione del complemento rappresenta il meccanismo del’immunità innata
maggiormente coinvolto nelle risposte umorali e C3d può essere considerato il

58
secondo segnale più importante per i linfociti B, analogamente a quanto descritto
per le molecole costimolatorie espresse per i linfociti T.

Meccanismi di attivazione dei linfociti B


In seguito al riconoscimento dell’antigene (e dei segnali costimolatori) i linfociti B
vanno incontro a proliferazione e differenziazione che gli conferiranno la capacità di
interagire con i linfociti T helper (nel caso l’antigene sia di natura proteica).
Il linfocita B entrato nel circolo cellulare, cominciando a proliferare attivamente, va
incontro ad espansione clonale.
Le stesse cellule cominciano a sintetizzare grandi quantità di IgM secretorie.
La risposta umorale sviluppata è più intensa se l’antigene è multivalente, cioè in
grado di indurre il cross-linking di un elevato numero di recettori per l’antigene e di
attivare il complemento. (Questo in genere avviene per antigeni polisaccaridici e
altri antigeni T-indipendenti).
Molti antigeni proteici, non contenendo epitopi ripetuti, non sono in grado di
indurre il cross-linking e di stimolare da soli la proliferazione e la differenziazione
cellulare; tuttavia sono in grado di indurre modificazioni fenotipiche nel linfocita B
rendendolo capace di interagire con i linfociti T helper.
L’attivazione dei linfociti B comporta inoltre:
- Aumento di espressione della molecola costimolatoria “B7”, che fornisce
il secondo segnale necessario per l’attivazione dei linfociti T;
- Aumento dell’espressione dei recettori per le citochine secrete dai
T-helper;
- Riduzione dell’espressione dei recettori per le chemochine prodotte dai
follicoli linfoidi per trattenere i linfociti B in questi siti.
Queste ultime due caratteristiche determinano la fuoriuscita dei linfociti B dai
follicoli linfoidi e la loro localizzazione in altre aree caratterizzate dalla presenza dei
linfociti T helper.

59
Risposta del linfocita B all’antigene: Significato biologico:

Entrata nel ciclo cellulare, mitosi Espansione clonale

Aumentata espressione dei recettori Acquisizione dell’abilità a rispondere


per le citochine alle citochine prodotte dai linfociti T
helper

Migrazione all’esterno dei follicoli Interazione con i linfociti T helper


linfoidi

Secrezione di bassi livelli di IgM Fasi precoci della risposta


immunitaria umorale

Ruolo dei linfociti T helper nella risposta umorale


Attivazione e migrazione dei linfociti T helper
I linfociti T helper stimolati si differenziano in cellule effettrici che interagiscono con i
linfociti B stimolati dall’antigene ai margini dei follicoli degli organi linfoidi secondari.
Qui i linfociti T CD4+ naive che riconoscono l’antigene presentato dalle APC,
(soprattutto dalle c. dendritiche),vengono indotti a proliferare e a differenziarsi in
cellule effettrici in grado di produrre citochine.
Gli antigeni che stimolano i linfociti T helper CD4+ derivano da proteine o da
microrganismi extracellulari che sono stati processati e presentati in associazione al
MHC di classe II delle APC negli organi linfoidi secondari. L’attivazione dei linfociti T
CD4+ avviene in modo più efficace in presenza di adiuvanti in grado di stimolare
l’espressione di molecole costimolatorie nelle APC.
Come descritto precedentemente, i linfociti T helper attivati possono differenziarsi
in 3 sottopopolazioni di cellule effettrici (T-H1, T-H2, T-H17), successivamente
riducono l’espressione del recettore CCR7 che riconosceva le chemochine prodotte

60
dalle aree T, e aumentano l’espressione di CXCR5 che promuove la loro migrazione
verso i follicoli B.
I linfociti B attivati vanno incontro ad un processo opposto: riduzione espressione
CXCR5 e aumento espressione CCR7.
Ne risulta che i linfociti B e T attivati migrano gli uni verso gli altri incontrandosi ai
margini dei follicoli linfoidi, dove avverranno le fasi successive della loro interazione.

Presentazione dell’antigene da parte dei linfociti B


I linfociti B internalizzano gli antigeni proteici che hanno riconosciuto mediante il
loro recettore attraverso un processo di endocitosi e, dopo processazione negli
endosomi, li presentano ai linfociti T helper CD4+ sotto forma di peptidi associati a
molecole di MHC di classe II.
Le Ig di membrana sono ad alte affinità e i linfociti B svolgono efficacemente il ruolo
di APC per l’antigene che hanno riconosciuto.
Poiché i linfociti B presentano solo l’antigene riconosciuto in modo specifico e i
linfociti T riconoscono i peptidi generati da quell’antigene, l’interazione tra le due
cellule rimane antigene-specifica.
Inoltre come già menzionato i linfociti B attivati esprimono molecole costimolatorie
come B7, che stimolano i linfociti T helper che riconoscono l’antigene presentato dai
linfociti B.
IMPORTANTE: i linfociti B possono attivare solo i linfociti T effettori, ma non quelli
naive.

Attivazione dei linfociti B da parte dei linfociti T-helper


I linfociti T helper che riconoscono l’antigene presentato dai linfociti B attivano gli
stessi linfociti B attraverso l’espressione del ligando di CD40 (CD40L) e secernendo
citochine.
CD40L espresso dai linfociti T attivati si lega a CD40 espresso dai linfociti B e
trasduce segnali che stimolano la proliferazione, la sintesi e la secrezione degli
anticorpi da parte dei linfociti B. In parallelo, le citochine secrete dai linfociti T helper

61
si legano ai recettori espressi dai linfociti B e stimolano ulteriormente la
proliferazione cellulare e la produzione anticorpale.
L’interazione CD40-CD40L fa si che i due tipi di linfociti si stimolino vicendevolmente.
Dando origine ad un’interazione produttiva.
I segnali forniti dai linfociti T helper stimolano anche il processo di scambio di classe
e di maturazione dell’affinità, di solito associati alle risposte anticorpali agli antigeni
proteici T-dipendenti.

Ricapitolando:
1. Il linfocita B presenta l’antigene al linfocita T helper;
2. Il linfocita T helper si attiva: aumentata espressione di CD40L e secrezione di
citochine;
3. Il linfocita B viene attivato dal legame di CD40 e dalle citochine;
4. Proliferazione e differenziazione del linfocita B.

Scambio isotipico della catena pesante (scambio di classe)


I linfociti T helper stimolano la progenie di IgM+ e IgD+ dei linfociti B a produrre
anticorpi di diverso tipo (classe).
In questo modo rendono più ampio lo spettro di funzioni svolte dalla risposta
umorale :
· Le ​IgG1​ e ​IgG3​ possono opsonizzare molti batteri o virus facilitandone la
fagocitosi da parte di neutrofili e macrofaghi;
· Le ​IgE​, essendo riconosciute dagli eosinofili possono opsonizzare gli
elminti favorendone l’eliminazione. (Infatti gli eosinofili esprimono
recettori per il Fc delle IgE);
· Le ​IgM​ sono responsabili dell’attivazione del complemento;

62
· Le ​IgA ​ sono responsabili dell’immunità muco nasale (trasporto delle IgA
attraverso gli epiteli).
Lo scambio isotipico è innescato dall’attivazione coordinata da parte di CD40L e di
alcune citochine.
In assenza di CD40 o di CD40L, i linfociti B secernono solo IgM, non riuscendo ad
effettuare lo scambio di classe.
*Infatti nella “​Sindrome da iper-IgM associata al cromosoma X​” una mutazione
causata dal gene che codifica per CD40L, che porta alla sintesi di forme non
funzionali, causa uno scambio isotipico deficitario e di conseguenza, la maggior
parte di anticorpi sierici è rappresentata da IgM.
Il tipo di classe anticorpale che deve essere prodotta da un linfocita B e dalla sua
progenie viene definito dalla natura delle citochine prodotte.

Meccanismi di scambio isotipico della catena pesante delle Ig​:


Prima di effettuare lo scambio isotipico i linfociti B contengono nel locus che codifica
per la catena pesante una sequenza VDJ riarrangiata, adiacente alla regione costante
Cμ.
· Se il linfocita B non riceve nessun segnale dai linfociti T-helper si ha la
trascrizione e traduzione della catena pesante μ che combinandosi con la catena
leggera darà origine alla ​IgM​;
· Se il linfocita B riceve segnali dai linfociti T-helper (CD40L, citochine), si ha
l’espressione dell’enzima “AID” (deaminasi indotta dall’attivatore) che elimina
una sequenza nucleotidica contenente la Cμ portando il segmento VDJ
riarrangiato (che stava a monte di Cμ) a contatto con una qualsiasi delle regioni C
che stavano a valle di Cμ. Questo processo prende il nome di “ricombinazione per
scambio”. A seconda della regione C con cui si troverà a contatto dopo lo
scambio si avrà la produzione di una nuova catena pesante e quindi di una nuova
classe isotipica:
o ​VDJ+Cγ à viene tradotto nella catena pesante γ di ​IgG​;

63
o ​VDJ+Cε à viene tradotto nella catena pesante ε di ​IgE.
*Gli anticorpi prodotti mantengono la stessa specificità antigenica del linfocita B
progenitore (poiché tale specificità è determinata dalla sequenza VDJ).
Le citochine secrete dai linfociti T helper determinano quale isotipo di anticorpo
viene prodotto attraverso la scelta del gene per la regione costante della catena
pesante che deve essere coinvolto nel processo di ricombinazione per scambio:
- IFN-γ, la citochina che identifica i linfociti T-H1, stimola la produzione di
anticorpi opsonizzanti che si legano ai recettori Fc dei fagociti promuovendo la
fagocitosi. Inoltre IFN-γ agisce anche direttamente sui fagociti stimolandone
l’attività microbicida.
- IL-4, la citochina che identifica i linfociti T-H2, stimola lo scambio isotipico verso
la IgE che sono coinvolte nell’eliminazione degli elminti da parte degli eosinofili, i
quali vengono ulteriormente attivati da un'altra citochina prodotta dai linfociti
T-H2, cioè la IL-5.
I linfociti T-H1 sono stimolati da molti virus e batteri mentre i linfociti T-H2 sono
stimolati dagli elminti.
L​ a risposta dei linfociti T-helper verso un determinato microrganismo indirizza la
risposta anticorpale verso quella più efficace per combattere il microrganismo che
l’ha scatenata.

La scelta dell’isotipo anticorpale dipende anche dal sito anatomico in cui avviene la
risposta. Le IgA per esempio sono il principale isotipo prodotto a livello dei tessuti
linfoidi associati alle mucose. Anche i linfociti B-1 costituiscono un importante fonte
di IgA a livello mucosale, in particolar modo nei confronti di antigeni di natura non
proteica.

Maturazione dell’affinità
La maturazione dell’affinità è il processo che determina il miglioramento dell’affinità
degli anticorpi nel corso di prolungate o ripetute esposizioni ad antigeni proteici.

64
Questo aumento dell’affinità è dovuto a mutazioni puntiformi delle regioni geniche
V degli anticorpi, in particolare delle regioni ipervariabili che interagiscono con
l’antigene.
La maturazione dell’affinità avviene solo in risposta ad antigeni proteici che attivano
la risposta dei linfociti T helper.
La maturazione dell’affinità avviene nei centri germinativi dei follicoli linfoidi ed è il
risultato di ipermutazioni somatiche nei geni che codificano per le Ig nei linfociti B
proliferanti; questo processo è seguito dalla selezione dei linfociti B dotati di
maggior affinità per l’antigene.
Parte della progenie dei linfociti B attivati entra nei follicoli linfoidi per formare
centri germinativi all’interno dei quali proliferano rapidamente con una duplicazione
ogni 6 ore, ( in una settimana da una cellula se ne originano 5000).
Durante questa intensa proliferazione, i geni delle Ig subiscono numerose mutazioni
puntiformi. L’enzima AID gioca un ruolo importante, cambiando nucleotidi e
rendendo i geni delle Ig suscettibili ai meccanismi mutazionali. (Nei geni delle Ig la
frequenza stimata di mutazioni di una ogni 1000 paia di basi, quindi mille volte
superiore a quello della maggior parte degli altri geni).
Per questo motivo, la mutazione delle Ig viene definita “ipermutazione somatica” ed
è responsabile della generazione di molteplici cloni di linfociti B dotati svariata
affinità per l’antigene che ha innescato la risposta.
I linfociti B dei centri germinativi vanno in contro ad apoptosi, a meno che non
riconoscano l’antigene o ricevano segnali di sopravvivenza da parte dei linfociti T.
1) Contemporaneamente al processo di permutazione somatica, gli anticorpi secreti
nella fase precoce della risposta all’antigene possono riconoscerlo, legarlo, e il
complesso antigene-anticorpo può attivare il complemento o legarsi alle cellule
dendritiche follicolari. Le cellule dendritiche follicolari possiedono recettori per la
porzione Fc degli anticorpi e per alcuni frammenti del complemento. Entrambi i
recettori consentono di favorire l’esposizione del complesso antigene-anticorpo
ai linfociti B fornendogli segnali di sopravvivenza.

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2) Inoltre i linfociti B possono legare l’antigene nella sua forma libera, processarlo e
presentare i peptidi ai linfociti T helper dei centri germinativi che, in ritorno,
forniscono loro un ulteriore segnale per la sopravvivenza.
Questi segnali di sopravvivenza selezionano i linfociti B per sopravvivere, tutti gli
altri andranno in apoptosi.
I linfociti B selezionati devono essere in grado di legare l’antigene a concentrazioni
sempre più basse e le cellule che riescono a fare ciò sono quelle dotate di affinità
sempre maggiore. I linfociti B selezionati lasciano il centro germinativo e cominciano
a secernere anticorpi che saranno dotati di affinità sempre maggiore a mano a
mano che la risposta procede.
Una parte dei linfociti B attivati, che spesso originano dalla progenie delle cellule ad
alta affinità che hanno subito scambio isotipico, non si differenzia in cellule
secernenti, ma si trasforma in ​cellule della memoria​. Queste ultime non secernono
anticorpi, ma circolano nel sangue e presidiano i tessuti. Tali cellule sopravvivono
per mesi o anni anche in assenza di ulteriori esposizioni all’antigene, pronte a
rispondere rapidamente se l’antigene dovesse ripresentarsi.

RICAPITOLANDO:
· ​Attivazione e migrazione dei linfociti T e B​ (nel linfonodo);
· ​Interazione tra linfociti T e B​;
· ​Risposta precoce dei linfociti B​:
- differenziazione in plasmacellule (che restano nell’organo linfoide)
- secrezione di Ig nel sangue
- scambio isotipico iniziale (inizia fuori dai follicoli);
· ​ eazione del centro germinativo​ (nella settimana successiva all’esposizione
R
all’antigene, all’interno del centro germinativo del follicolo):
- Maturazione dell’affinità;
- Scambio isotipico;

66
- Generazione dei linfociti B di memoria.

Risposta agli antigeni T-indipendenti


I polisaccaridi, i lipidi e gli altri antigeni non proteici innescano una risposta umorale
in assenza dell’intervento dei linfociti T helper. Questi antigeni infatti, non potendo
legare le molecole di MHC, non possono essere riconosciuti dai linfociti T. Molti
batteri sono caratterizzati da una capsula ricca di polisaccaridi e la difesa contro
questi microrganismi è svolta principalmente da anticorpi che legano proprio la
capsula polisaccaridica, rendendo il batterio più suscettibile alla fagocitosi.
Nonostante la notevole importanza di questo tipo di risposta, si conosce poco
riguardo ai meccanismi che la inducono. Si ritiene che i polisaccaridi e i lipidi,
presentando spesso copie ripetute dello stesso antigene, riescano a causare il
cross-link dei recettori del linfocita B, provocandone un’attivazione sufficientemente
forte da indurre la sua proliferazione e differenziazione, anche in assenza
dell’intervento dei linfociti T-Helper. Al contrario gli antigeni proteici che non sono
multivalenti e non sono in grado di indurre una completa attivazione dei linfociti B,
dipendono dai linfociti T helper per un’efficiente produzione di anticorpi.
I linfociti B della zona marginale della milza sono i principali responsabili della
risposta anticorpale T-indipendente nei confronti degli antigeni presenti in circolo,
mentre i linfociti B-1 sono deputati alle risposte T-indipendenti ai microrganismi
delle mucose e del peritoneo.

Regolazione della risposta immunitaria umorale: il feedback anticorpale


Oltre al meccanismo dell’apoptosi dei linfociti B, esiste un altro meccanismo più
specifico per terminare la produzione di anticorpi. Gli anticorpi prodotti diffondono
nell’organismo e formano degli immunocomplessi con gli antigeni presenti nel
sangue e nei tessuti. I linfociti B possono legare l’antigene presente
nell’immunocomplesso attraverso il recettore per l’antigene, ma, allo stesso tempo,
possono riconoscere il frammento Fc dell’anticorpo complessato mediante una
particolare tipo di recettore chiamato “​FcγRII​”.
Una volta legato, l’ FcγRII genera segnali inibitori che annullano quelli attivatori

67
generati dal recettore per l’antigene; tale meccanismo determina la fine della
risposta B.
L’inibizione della produzione anticorpale da parte degli immunocomplessi viene
definita “​feedback anticorpale​” e costituisce un efficace meccanismo per porre fine
alle risposte umorali quando sono state prodotte quantità sufficienti di IgG.
La somministrazione di preparazioni di Ig (definite immunoglobuline per via
endovenosa “IVIG”) costituisce un’efficace terapia nel trattamento di alcune
malattie infiammatorie.

Meccanismi effettori dell’immunità umorale​ ​Pag.159


L’immunità umorale è il tipo di difesa dell’ospite che viene mediata dagli anticorpi
secreti e indispensabile per la protezione contro i microbi extracellulari e le loro
tossine. Gli anticorpi sono capaci di espletare le loro funzioni in tutti i tessuti, infatti
agiscono ovunque nel nostro corpo.
In seguito alla stimolazione, molti linfociti B si differenziano in​ plasmacellule
secernenti anticorpi: alcune di queste restano negli organi linfoidi secondari (milza,
linfonodi, tessuti linfoidi mucosali) o nei focolai infiammatori, mentre altre migrano
per localizzarsi nel midollo osseo. Una volta secreti, gli anticorpi entrano in circolo,
da dove potranno raggiungere qualsiasi sito di infezione.
Gli anticorpi con funzioni protettive sono prodotti nel corso della prima risposta al
microbo e in maggiori quantità nel corso delle risposte successive. La produzione
anticorpale inizia entro la p​rima settimana dall’infezione;​ può poi protrarsi ​per mesi
o anni​ fornendo una protezione immediata nel caso in cui il microbo tenti di
infettare nuovamente l’ospite.
Alcuni linfociti B si differenziano in ​cellule della memoria​ che, in seguito al
riconoscimento del microbo, si attivano rapidamente differenziandosi in cellule in
grado di produrre grandi quantità di anticorpi per una difesa efficace dell’ospite.
Scopo della vaccinazione è quello di stimolare lo sviluppo di plasmacellule a lunga
sopravvivenza e di cellule della memoria.

68
Gli anticorpi riconoscono e neutralizzano gli effetti dannosi dei microbi e delle
tossine attraverso le regioni ​Fab,​ mentre attivano i diversi meccanismi effettori
responsabili dell’eliminazione dei microbi e delle loro tossine attraverso le regioni
Fc.​ Per operare il blocco sterico dei microbi e degli effetti dannosi delle loro tossine,
gli anticorpi usano esclusivamente le regioni Fab.
La porzione Fc delle molecole immunoglobuliniche, composta dalle regioni costanti
delle catene pesanti, contiene i siti di legame per i recettori Fc, espressi dai fagociti,
e per le proteine del complemento. Il legame degli anticorpi ai recettori Fc e al
complemento, avviene solo successivamente all’interazione di molteplici molecole Ig
con un microbo. Pertanto, anche le funzioni anticorpali che dipendono dalle regioni
Fc richiedono il riconoscimento dell’antigene da parte delle regioni Fab.

Lo scambio isotipico di classe e la maturazione dell’affinità sono due cambiamenti


che intervengono solo successivamente al riconoscimento dell’antigene, in modo
particolare in risposta ad antigeni proteici. Mediante lo ​scambio isotipico,​ che
determina la ​produzione di anticorpi con regioni Fc diverse,​ l’immunità umorale può
meglio adattarsi alla situazione, innescando meccanismi di difesa ottimali per
combattere determinati tipi di microbi.
La ​maturazione dell’affinità​, ​causata dalla stimolazione ripetuta e prolungata da
parte di antigeni proteici​, determina la produzione di anticorpi dotati di maggior
affinità per l’antigene. Gli anticorpi saranno quindi sempre più efficienti nel
neutralizzare ed eliminare i microbi.
Per quanto riguarda le diverse classi anticorpali avremo che:
● IgG​ → sono caratterizzate da una ​prolungata sopravvivenza nel sangue,​ che
ne ​incrementa l’attività funzionale.​ Il ​recettore Fc neonatale (FcRn)​ è espresso
nella placenta, nell’endotelio e dai fagociti. Nelle cellule endoteliali, in seguito
alla fagocitosi di proteine plasmatiche, le IgG all’interno degli endosomi si
legano a FcRn, che le protegge dalla degradazione lisosomiale e ne permette il
riciclo e la reimmissione in circolo. Questo singolare meccanismo di

69
protezione permette alle IgG di avere un’emivita di circa 3 settimane.
Tra le loro funzioni ricordiamo:
1. Neutralizzazione​ dei microbi e delle tossine;
2. Opsonizzazione​ degli antigeni per la fagocitosi;
3. Attivazione della ​via classica del complemento​;
4. Citotossicità cellulare anticorpo-dipendente​ mediata dalle cellule NK;
5. Immunità neonatale;​
6. Feedback inibitorio dell’attivazione dei linfociti B​;

● IgM​ → mediano l’attivazione della ​via classica del complemento.​


● IgA​ → sono responsabili dell​’immunità mucosale.​
● IgE​ → deputati alla difesa contro gli ​elminti,​ in grado di stimolare la
degranulazione dei mastociti (​ reazione di ipersensibilità immediata).
Tra le funzioni effettrici degli anticorpi possiamo quindi individuare:
- Neutralizzazione di microbi e tossine;
- Opsonizzazione e fagocitosi dei microbi;
- Citotossicità cellulare anticorpo-dipendente;
- Attivazione del sistema complemento: lisi dei microbi, opsonizzazione con
frammenti del complemento e fagocitosi, infiammazione;

Neutralizzazione dei microbi e delle tossine microbiche ​Pag. 162


Legandosi agli antigeni, gli anticorpi bloccano l’infettività dei microbi e le interazioni
delle tossine microbiche con le cellule dell’ospite. Gli anticorpi possono legarsi alla
capsula o alla parete cellulare microbica impedendogli di infettare l’ ospite. Per
limitare la diffusione dell’infezione, gli anticorpi possono poi neutralizzare i microbi
durante il loro passaggio da cellula a cellula. Gli anticorpi diretti contro le tossine
prevengono il loro legame alle cellule dell’ospite e quindi ne bloccano gli effetti
nocivi. Gli anticorpi sono poi in grado di prevenire la penetrazione del microbo
attraverso la barriera epiteliale.

Opsonizzazione e fagocitosi ​Pag.165

70
Il processo di rivestimento di particelle per la successiva fagocitosi è detto
opsonizzazione​ e le molecole che rivestono i microbi sono chiamate ​opsonine​.
Quando gli anticorpi legano la superficie microbica, l’insieme delle loro regioni Fc
protrude dalla superficie del microbo. Se gli anticorpi appartengono ad un
determinato isotipo (IgG1 e IgG3 nell’uomo), le regioni Fc possono essere
riconosciute ad alta affinità dal recettore per la porzione Fc delle catene ɣ, chiamato
FcɣRI​ (CD64), espresso sulla membrana di neutrofili e macrofagi. Il fagocita è quindi
stimolato ad inglobare il microbo opsonizzato, dapprima in un fagosoma, che
successivamente si fonderà con un lisosoma. Il legame della porzione Fc
dell’anticorpo a FcɣRI causa anche l’attivazione dei fagociti, che produrranno grandi
quantità di specie reattive dell’ossigeno, monossido di azoto ed enzimi proteolitici
che determineranno la degradazione del microbo ingerito.
Per quanto riguarda i batteri capsulati, sebbene in assenza di anticorpi la capsula
polisaccaridica li protegga dalla fagocitosi, l’opsonizzazione anticorpale ne promuove
la fagocitosi e la conseguente eliminazione. La milza costituisce una sede importante
per l’eliminazione dei microbi opsonizzati, in quanto ricca di fagociti.
Uno dei recettori Fcɣ, ​FcɣRIIB​, ha un ruolo fondamentale nell’arrestare la
produzione di anticorpi e per ridurre l’infiammazione.

Citotossicità cellulare anticorpo-dipendente​ ​Pag. 165


Le cellule natural killer (NK) e altri leucociti possono riconoscere e uccidere le cellule
ricoperte da anticorpi. Le cellule NK esprimono un recettore Fcɣ, detto ​FcɣRIII
(CD16), che lega una varietà di anticorpi IgG fissati alla superficie di una cellula,
generando segnali che attivano le NK a uccidere le cellule opsonizzate rilasciando le
proteine contenute nei granuli. Questo processo prende il nome di ​citotossicità
cellulare anticorpo-dipendente​ (Antibody-dependent cellular cytotoxicity, ​ADCC​).
Le cellule infettate da virus provvisti di involucro, esprimono sulla loro superficie
glicoproteine virali che possono essere riconosciute da anticorpi specifici, facilitando
il processo di ADCC.

Reazioni mediate da Ige e da eosinofili e mastociti

71
Le IgE attivano le risposte dei mastociti e degli eosinofili, che provvedono alla difesa
contro gli ​elminti ​e sono responsabili delle reazioni allergiche. Gli elminti in genere
sono troppo grandi per essere fagocitati e possiedono tegumenti che li rendono
resistenti alla maggior parte delle sostanze microbicide.
Le IgE si legano ai vermi e promuovono l’attacco da parte degli ​eosinofili​ mediante il
recettore ad alta affinità per la porzione Fc delle IgE,​ FcεRI​, espresso dagli eosinofili
e dai mastociti. L’attivazione di questo recettore, in presenza di interleuchina-5 (IL-5)
prodotta dai linfociti T helper TH2 in risposta agli elminti, porta all’attivazione degli
eosinofili che rilasciano le proteine microbicide contenute nei loro granuli.
Le IgE possono inoltre legarsi e attivare i ​mastociti​, che secernono citochine,
promuovendo il reclutamento di altri leucociti e concorrendo all’eliminazione degli
elminti.
Questa reazione mediata dalle IgE mostra come lo scambio isotipico ottimizzi le
strategie di difesa dell’ospite (i linfociti B rispondono alla presenza di elmini con IgE,
mentre rispondono alla maggior parte dei batteri e dei virus con IgG).

Attivazione del sistema complemento​ ​Pag. 166


Il sistema complemento è un insieme di proteine solubili e di membrana che svolge
un ruolo importante nella difesa dell’ospite. Il termine complemento si riferisce
all’abilità di queste proteine si assistere, o complementare, l’attività antimicrobica
degli anticorpi. L’attivazione del complemento comporta il taglio proteolitico
sequenziale delle stesse proteine e la formazione di molecole effettrici che
partecipano all’eliminazione del microbo.
La ​cascata di attivazione del complemento,​ porta ad una straordinaria amplificazione
del processo, cosicchè un piccolo numero di molecole del complemento prodotto
nelle fasi iniziali della cascata può generare un elevato numero di molecole effettrici.
Il complemento può essere attivato attraverso tre vie principali: l​a via alternativa e
la via della lectina​ sono iniziate da microbi in assenza di anticorpo e rappresentano
meccanismi effettori dell’immunità innata; la ​via classica​ è iniziata da determinati
isotipi di anticorpi legati agli antigeni e rappresenta un meccanismo effettore
dell’immunità adattativa umorale. Queste vie differiscono per la modalità di innesco,

72
ma, una volta attivate, le loro fasi tardive sono le stesse. La più abbondante proteina
del complemento presente nel plasma, chiamata C3, svolge un ruolo cruciale in tutte
e tre le vie.
La​ via alternativa​ è innescata quando un prodotto di degradazione dell’idrolisi di C3,
chiamato C3b, si deposita sulla superficie del microbo.
1. C3b​ si deposita sulla superficie microbica, formando legami covalenti con le
proteine o i polisaccaridi microbici;
2. Il fattore B viene tagliato da una proteasi plasmatica per generare il
frammento Bb;​
3. Il frammento Bb si lega al C3b formando il ​complesso C3bBb;​
4. Quest’ultimo taglia enzimaticamente altre proteine C3 (​C3 convertasi)​ ;
5. Vengono quindi prodotte ​numerose molecole C3b e C3bBb​ che si fissano al
microbo;
6. Alcune molecole C3bBb legano un ulteriore C3b, dando luogo al complesso
C3bBb3b c​ he funziona da ​C5 convertasi;​
7. Viene quindi tagliata la proteina C5 per procedere con le ​fasi finali
dell’attivazione del complemento.
La ​via classica​ è innescata quando le IgM, o alcune classi di IgG (IgG1, IgG2 e IgG3)
legano gli antigeni.
1. Le regioni Fc degli anticorpi adiacenti diventano accessibili e legano la
proteina C1;
2. C1q l​ ega la porzione Fc dell’anticorpo; ​C1r e C1s​ sono proteasi che conducono
all’attivazione di C4 e C2;
3. La proteina C1 enzimaticamente attiva lega e taglia due proteine: ​C2 e C4​.
4. Il frammento ​C4b​ si attacca covalentemente all’anticorpo e alla superficie del
microbo e quindi lega​ C2;​
5. Si forma il ​complesso C4b2a,​ che rappresenta la ​C3 convertasi​ che taglia il C3 e
forma il C3b, che a sua volta si fissa al microbo.
6. Alcuni C3b si legano al complesso C4b2a e il complesso risultante ​C4b2a3b
agisce da ​C5 convertasi;​
7. Viene tagliata la proteina del complemento C5 e si procede con le ​fasi finali.​

73
La​ via lectinica ​è avviata dal legame della lectina plasmatica che lega il mannosio
(Mannose binding lectin, MBL) ai microbi. La MBL serve ad attivare C4, i passaggi
successivi sono essenzialmente gli stessi della via classica.
Il risultato finale delle prime fasi dell’attivazione del complemento è che la superficie
dei microbi viene rivestita da C3b attaccato in modo covalente.
Gli eventi terminali iniziano con il legame di C5 alla C5 convertasi e la conseguente
proteolisi di C5, che genera ​C5b​. Le restanti componenti, C
​ 6, C7, C8 e C9​ si legano in
maniera sequenziale e formano un complesso. C9 polimerizza per formare un poro
nella membrana cellulare attraverso il quale possono entrare acqua e ioni,
provocando la morte del microbo. Questo ​poli-C9​ è la componente principale del
complesso di attacco della membrana​ (membrane attack complex, MAC) e la sua
formazione è il risultato finale dell’attivazione del complemento.
Tra le principali funzioni del complemento troviamo quindi:
- Fagocitosi e uccisione del microbo​: i microbi rivestiti da C3b, che funge da
opsonina, sono fagocitati in virtù del riconoscimento di quest’ultimo da parte
del recettore del complemento di tipo 1 (CR1 o CD35) che è espresso dalle
cellule fagocitiche.
- Lisi osmotica del microbo:​ il complesso MAC può indurre la lisi osmotica delle
cellule, efficace però solo nei confronti di batteri che hanno pareti cellulari
sottili e pochi glicocalici (es. Neisseria).
- Stimolazione delle reazioni infiammatorie​: i piccoli frammenti peptidici
derivanti dal taglio proteolitico di C3,C4 e C5 sono fattori chemiotattici per i
neutrofili, stimolano il rilascio di mediatori dell’infiammazione da parte dei
leucociti e agiscono sulle cellule endoteliali per migliorare l’extravasazione dei
leucociti e la fuoriuscita nei tessuti delle proteine plasmatiche. In questo
modo, inducono reazioni infiammatorie.
Oltre alle funzioni effettrici antimicrobiche, il sistema complemento fornisce stimoli
per lo sviluppo di risposte umorali. Un prodotto di degradazione di C3, C3d, viene
infatti riconosciuto dal recettore del complemento di tipo 2 (CR2) espresso dai
linfociti B. I segnali forniti da questo recettore stimolano le risposte antimicrobiche
dei linfociti B.

74
Infine, le proteine del complemento associate ai complessi antigene-anticorpo sono
riconosciute dalle cellule dendritiche follicolari nei centri germinativi e portano
all’ulteriore attivazione dei linfociti B.
Deficit congeniti delle proteine del complemento sono causa di malattia.
- La carenza di C3 conferisce grave suscettibilità alle infezioni e in genere è
fatale nella prima infanzia.
- Le carenze di C2 e C4 possono non avere conseguenze cliniche, oppure
possono essere associate all’aumentata incidenza del lupus eritematoso
sistemico.
- Deficit di C9 e della formazione del complesso MAC sono associati a un
aumento della suscettibilità alle infezioni da Neisseria.
Regolazione dell’attivazione del complemento
Le cellule di mammifero esprimono proteine regolatrici che inibiscono l’attivazione
del complemento, così da prevenire danni alle cellule dell’ospite.
- Il ​fattore accelerante la degradazione (Decay accelerating factor, DAF)​ è una
proteina di membrana che dissolve il legame del fattore Bb a C3b e il legame
tra C4b e C2a, bloccando la formazione della C3 convertasi e terminando
l’attivazione del complemento.
- La proteina cofattoriale di membrana (Membrane cofactor protein, MCP)
funge da cofattore per la proteolisi di C3b in frammenti inattivi.
- Il recettore per il complemento di tipo 1 (CR1) potrebbe spiazzare C3b e
promuoverne la degradazione.
- L’inibitore di C1 (C1 INH), blocca le fasi iniziali dell’attivazione del
complemento allo stadio C1.
Deficit congeniti delle proteine regolatrici causano l’attivazione incontrollata e
patologica del complemento (con comparsa di malattie quali l’edema
angioneurotico ereditario o l’emoglobinuria notturna parossistica).

Funzioni degli anticorpi in particolari sedi anatomiche​ P​ ag. 174

75
Gli anticorpi svolgono funzioni protettive anche in due siti anatomici specializzati: le
mucose e il feto.

Immunità mucosale
Le immunoglobuline A sono prodotte nei tessuti linfoidi associati alle mucose e
trasportate attivamente attraverso l’epitelio, dove legano e neutralizzano i microbi
presenti nel lume mucosale. Questo tipo di immunità, rivolta contro i microbi inalati
o ingeriti, è definita ​immunità mucosale ​(o immunità secretoria).
A causa dell’ampia superficie intestinale le IgA rappresentano il 60-70% dei 3
grammi circa di anticorpi prodotti giornalmente da un individuo adulto sano.
La propensione dei linfociti B nei tessuti linfoidi associati alle mucose a produrre IgA
è dovuta alla produzione in questi tessuti di elevati livelli delle citochine responsabili
della produzione di questo isotipo, e dalla predisposizione dei linfociti B che
secernono IgA a tornare nei tessuti associati alle mucose. Una parte delle IgA è
prodotta da linfociti B-1 anch’essi predisposti a localizzarsi nei siti mucosali.
I linfociti B della mucosa intestinale sono localizzati nella lamina propria, sottostante
la barriera epiteliale, dove sono prodotte le IgA. Queste ultime devono essere
trasportate attraverso la barriera epiteliale e il processo è mediato da un recettore
Fc particolare, chiamato ​recettore poli-Ig​, espresso sulla superficie basale delle
cellule epiteliali. Questo recettore lega le IgA causandone l’internalizzazione in
vescicole e il successivo trasporto alla superficie luminale. Qui il recettore è tagliato
da una proteasi che rilascia l’IgA nel lume secretorio ancora legata ad un frammento
del recettore poli-Ig. Questa rappresenta la componente secretoria e protegge
l’anticorpo dalla successiva degradazione da parte delle proteasi nell’intestino.
L’anticorpo può quindi riconoscere i microbi e bloccare il loro legame agli epiteli,
quindi il loro ingresso nei tessuti.

Immunità neonatale
Gli anticorpi materni sono trasportati attivamente al feto attraverso la placenta e
attraverso l’epitelio intestinale del neonato in modo da proteggerlo dalle infezioni. I
neonati dei mammiferi sono in capace di allestire risposte efficaci contro molti
microrganismi; nel corso delle prime fasi di vita i neonati sono protetti dalle infezioni

76
grazie agli anticorpi acquisiti dalle loro madri. Questo rappresenta l’unico esempio di
immunità passiva p ​ resente in natura.
I neonati acquisiscono gli anticorpi IgG materni attraverso ​due vie​, entrambe basate
sul recettore neonatale per Fc (FcRn). Durante la gravidanza, alcune classi di IgG
legano il recettore ​FcRn​, espresso nella ​placenta,​ e vengono attivamente trasportate
nel circolo fetale.
Dopo la nascita, i neonati ingeriscono gli anticorpi materni presenti nel colostro e nel
latte; questi contengono IgA che forniscono al neonato l’immunità mucosale.
Inoltre, anche le cellule intestinali esprimono FcRn, che lega le IgG e le trasporta
attraverso l’epitelio.
Il neonato è protetto dalle infezioni microbiche cui la madre è stata esposta o
vaccinata.

Elusione dell’immunità umorale da parte dei microbi


I microbi hanno sviluppato strategie per resistere o eludere l’immunità umorale:
sono in grado di variare i loro antigeni, diventare resistenti alla lisi del complemento
o alla fagocitosi.

Vaccinazione
La vaccinazione è il processo con cui viene evocata una risposta immunitaria
adattativa specifica contro un microrganismo mediante l’esposizione a una forma o
a componenti non patogene del microrganismo.
Alcuni dei vaccini più efficaci sono composti da microbi attenuati, che mantengono
la loro antigenicità pur essendo stata soppressa la loro patogenicità. Questo tipo di
immunizzazione stimola la produzione di anticorpi neutralizzanti contro gli antigeni
patogeni, che proteggono gli individui vaccinati dalle infezioni successive.
I vaccini composti da proteine microbiche e polisaccaridi sono detti ​vaccini a
subunità. ​Alcuni antigeni polisaccaridici microbici vengono coniugati chimicamente a
proteine, in modo da stimolare sia l’attivazione dei linfociti T helper sia la
produzione di anticorpi ad alta affinità contro i polisaccaridi; parliamo in questo caso
di ​vaccini coniugati​.

77
Una delle sfide nel campo della vaccinazione è costituita dallo sviluppo di vaccini che
siano in grado di stimolare l’immunità cellulo mediata contro i microbi intracellulari:
l’utilizzo di virus attenuati potrebbe consentire di raggiungere questo obbiettivo.

Tolleranza e autoimmunità​ ​Pag.179


Una delle principali proprietà del sistema immunitario è la ​tolleranza immunologica,​
cioè la capacità di reagire contro un enorme varietà di microbi senza però attivarsi in
presenza di antigeni self. Esistono dei meccanismi specifici che permettono di
prevenire l’instaurarsi di risposte immunitarie contro gli antigeni self; se questi
meccanismi sono inefficaci, il sistema immunitario reagisce attaccando le cellule e i
tessuti dell’individuo. Tali risposte sono indicate con il termine di ​autoimmunità​ e le
patologie da esse causate sono dette ​malattie autoimmuni​.
La tolleranza è la mancata risposta di un linfocita a un antigene in seguito
all’esposizione del linfocita all’antigene stesso. Sono detti ​immunogenici​ quegli
antigeni che spingono il linfocita a proliferare e a differenziarsi in cellula effettrice e
della memoria, meccanismo caratteristico della risposta immunitaria.
Parleremo invece di antigeni​ tollerogenici​ per indicare quegli antigeni che portano
ad un’inattivazione funzionale del linfocita o alla sua morte, eventi tipici della
tolleranza. Infine, in alcune situazioni, i linfociti possono non reagire nei confronti
dell’antigene per cui sono specifici, secondo un fenomeno detto ​ignoranza
immunologica​.
Di norma i microbi sono immunogenici, mentre gli antigeni self sono tollerogenici. È
stato osservato che uno stesso antigene può indurre immunità o tolleranza a
seconda della ​via di somministrazione,​ questa scoperta potrebbe essere utile per il
trattamento di malattie immunitarie e per prevenire il rigetto dei trapianti.
La tolleranza immunologica si può instaurare:
- Quando i linfociti in via di sviluppo incontrano gli antigeni self negli organi
linfoidi primari (o generativi) à ​tolleranza centrale;​
- Quando i linfociti maturi incontrano antigeni self negli organi linfoidi secondari
o nei tessuti periferici à ​tolleranza periferica​;

78
Tolleranza centrale dei linfociti T
I principali meccanismi di tolleranza centrale dei linfociti T sono: la morte cellulare e
la produzione di linfociti T CD4+ regolatori.
Quando un linfocita immaturo riconosce con alta affinità un antigene self presentato
da una molecola del complesso maggiore di istocompatibilità self, MHC, riceve
segnali che portano ​all’apoptosi e alla morte​ prima del completamento del processo
di maturazione. Questo processo è detto ​selezione negativa,​ ed è il meccanismo
fondamentale della tolleranza centrale, che colpisce sia i linfociti T CD4+ sia i CD8+
autoreattivi. Il riconoscimento ad alta affinità di un antigene self nel timo avviene
solo se esso è presente ad alte concentrazioni e se il recettore espresso dal linfocita
T è dotato di alta affinità. La selezione negativa è imperfetta e individui sani
presentano molti linfociti autoreattivi.
Tra gli antigeni che provocano la selezione negativa vanno incluse le proteine
presenti in tutto l’organismo. Alcune cellule timiche sono in grado di esprimere
anche proteine specifiche di tessuti periferici grazie alla presenza dell’enzima AIRE.
Mutazioni nel gene che produce AIRE (AutoImmune REgulator) causano una rara
malattia chiamata ​sindrome autoimmune poliendocrina​ (polighiandolare); in questa
patologia i linfociti T autoreattivi fuoriescono dal timo e attaccano i tessuti periferici
che esprimono questi antigeni, avendo come principali bersagli gli apparati
endocrini.
Alcuni linfociti T CD4+ immaturi che riconoscono con alta affinità antigeni self non
muoiono, ma proseguono il loro sviluppo in ​linfociti T regolatori​ che si
localizzeranno nei tessuti periferici.

Tolleranza periferica dei linfociti T​ ​Pag. 182


La tolleranza periferica si esplica quando i linfociti T maturi riconoscono antigeni self
nei tessuti periferici, portando alla loro inattivazione funzionale o morte, oppure
quando i linfociti autoreattivi sono inibiti dai linfociti T regolatori. La tolleranza
periferica è importante sia per prevenire risposte contro antigeni self che non sono
presenti nel timo, sia per situazioni in cui la tolleranza centrale è incompleta.

79
Il riconoscimento dell’antigene senza adeguata costimolazione determina anergia o
morte del linfocita T, oppure lo predispone a essere inibito dai linfociti T regolatori.
Ricordiamo, infatti, che i linfociti T naive per poter essere attivati e proliferare hanno
bisogno di almeno due segnali: l’antigene e le molecole costimolatorie. In assenza di
agenti infettivi, le cellule dendritiche esprimono bassi livelli di molecole
costimolatorie (es. B7); allo stesso tempo possono però processare e presentare gli
antigeni self espressi dai tessuti. I linfociti T autoreattivi ricevono quindi continui
segnali dal proprio recettore, che riconosce l’antigene self: sarà quindi la presenza o
meno di costimolazione a determinare l’attivazione o la tolleranza da parte di un
linfocita T.
Con ​anergia​ indichiamo l’inattivazione funzionale permanente che si instaura nei
linfociti T quando non riescono a raggiungere la piena attivazione, poiché
riconoscono l’antigene in assenza di livelli adeguati di molecole costimolatorie.
La cellula resa anergica sopravvive, ma è incapace di rispondere all’antigene e
questo può essere dovuto principalmente a due meccanismi:
- Quando i linfociti T riconoscono l’antigene in assenza di costimolazione, il
complesso del ​TCR può perdere la propria capacità di trasmettere segnali
attivatori.
- I linfociti T possono ingaggiare ​recettori quali CTLA-4 (o CD152) o PD-1​ che
hanno il compito di bloccare l’attivazione di queste cellule, portando a una
condizione di prolungata anergia. CTLA-4 ha un’affinità più elevata per B7
rispetto a CD28. Ne consegue che quando i livelli di B7 sono bassi, cioè se le APC
presentano antigeni self, il recettore che viene preferito è quello ad alta affinità,
CTLA-4; se invece i livelli di B7 sono alti viene ingaggiato il recettore attivatorio a
bassa affinità CD28. CTLA-4 blocca e rimuove le molecole di B7 presenti sulla
superficie delle APC, impedendo l’attivazione dei linfociti T. Il blocco delle
molecole CTLA-4 o PD-1 o la loro eliminazione determina lo sviluppo di reazioni
autoimmuni contro tessuti self.
I ​linfociti T regolatori​ si sviluppano nel timo, o nei tessuti periferici, in concomitanza
con il riconoscimento di antigeni self e hanno il ruolo di bloccare l’attivazione dei
linfociti effettori dotati della stessa specificità e quindi potenzialmente pericolosi.
La maggior parte dei linfociti T regolatori è CD4+ ed esprime alti livelli di CD25, la
catena α del recettore per l’interleuchina 2, IL-2. Lo sviluppo e la funzione di queste

80
cellule richiede un fattore trascrizionale chiamato FoxP3; mutazioni del gene che
codificano per FoxP3 causano una malattia autoimmune sistemica chiamata ​IPEX
(Immune disregulation, polyendocrinopathy, enteropathy, X-linked syndrome). La
sopravvivenza e la funzione dei linfociti T regolatori dipendono dalla citochina IL-2,
topi difettivi per questo gene sviluppano una grave malattia autoimmune. Anche il
fattore di crescita trasformante β (TGF-β) è importante nella generazione dei
linfociti T regolatori. Quest’ultimi possono inibire le risposte autoimmuni attraverso
vari meccanismi:
- Alcuni producono citochine, quali ​IL-10 e TGF-β​, in grado di inibire
l’attivazione di linfociti, cellule dendritiche e macrofagi.
- Esprimono il ​CTLA-4​ che può bloccare o rimuovere le molecole B7 dalle APC,
rendendole incapaci di fornire costimolazione e attivare i linfociti.
- In virtù dell’alto livello di espressione del ​recettore per IL-2,​ possono catturare
questo fattore di crescita essenziale anche per i linfociti T, riducendone così la
disponibilità per i linfociti T che stanno rispondendo all’antigene.

Infine la ​delezione​ dei linfociti autoreattivi è dovuta alla stimolazione di vie


apoptotiche in seguito al riconoscimento di antigeni self. Esistono due possibili
meccanismi di morte dei linfociti T maturi:
- Il riconoscimento dell’antigene può portare alla produzione di ​proteine
pro-apoptotiche​, che innescano la morte cellulare attraverso la ​via mitocondriale
o via intrinseca​. Nelle normali risposte immunitarie, la costimolazione e i fattori
di crescita attivano delle ​proteine anti-apoptotiche​ che impediscono il rilascio di
mediatori dell’apoptosi dai mitocondri. Il riconoscimento dell’antigene con
assenza di costimolazione riduce però le proteine anti-apoptotiche inducendo la
morte delle cellule che riconoscono questi antigeni.

- Il riconoscimento di antigeni self può portare, in alternativa, all’espressione dei


recettori di morte e dei loro ligandi con generazione di segnali che culminano
nell’attivazione delle caspasi e nell’apoptosi attraverso la ​via dei recettori di
morte o via estrinseca​. Importanti in questo contesto sono la proteina ​Fas

81
(CD95), espressa da molti tipi cellulari, il ​ligando FAS​ (FasL), espresso
prevalentemente dai linfociti T attivati; il loro legame può indurre la morte dei
linfociti sia T che B esposti ad antigeni self.

Le patologie umane, complessivamente note come ​sindrome autoimmune


linfoproliferativa​, sono rare e rappresentano i soli esempi noti di difetti nell’apoptosi
come causa di un fenotipo immunologico complesso.

Tolleranza centrale dei linfociti B​ ​Pag.188


I polisaccaridi, i lipidi e gli acidi nucleici self sono antigeni T- indipendenti che
possono essere riconosciuti dai linfociti B e provocare la produzione di
autoanticorpi. Gli antigeni self proteici non inducono la produzione di autoanticorpi
grazie ai meccanismi di tolleranza che operano sui linfociti T helper.
Nei linfociti B la tolleranza centrale si realizza quando i linfociti immaturi
riconoscono antigeni self nel midollo osseo. Il riconoscimento ad alta affinità degli
antigeni self midollari determina nei linfociti B immaturi il cambio della specificità
del proprio recettore o la loro eliminazione.
Alcuni linfociti B immaturi che riconoscono nel midollo antigeni self possono
esprimere nuovamente i geni RAG e andare incontro a un’ulteriore ricombinazione
dei geni delle catene leggere delle immunoglobuline (Ig), producendo un recettore
con diversa specificità. Questo processo è detto ​editing recettoriale​ e impedisce
l’entrata in circolo di linfociti B autoreattivi. Si stima che il 25-50% dei linfociti B
maturi prodotti da un individuo sano abbia subito editing recettoriale.
Se l’editing risulta inefficace, i linfociti B immaturi che continuano a riconoscere
antigeni self con alta affinità muoiono per ​apoptosi.​ Se gli antigeni, vengono
riconosciuti nel midollo osseo con bassa affinità, i linfociti B sopravvivono ma la
cellula diventa funzionalmente ​anergica.​

Tolleranza periferica dei linfociti B


I linfociti B maturi che incontrano antigeni self nei tessuti linfoidi secondari
diventano incapaci di rispondere a questi antigeni. Si osserva che il riconoscimento
di un antigene da parte di un linfocita B, in assenza di linfociti T (perché eliminati o

82
tolleranti), conduca alla sua ​anergia​ attraverso il blocco della trasmissione dei
segnali da parte del recettore per l’antigene. Questi linfociti anergici potranno uscire
dai follicoli linfoidi, da cui rimarranno poi esclusi, ma la mancanza di stimoli di
sopravvivenza ne può determinare la morte.
I linfociti B che riconoscono antigeni self nei tessuti periferici possono anche andare
incontro ad ​apoptosi,​ oppure restano inattivi a causa dell’ingaggio di ​recettori
inibitori​ presenti sul linfocita B.

Autoimmunità​ ​Pag.190
L’autoimmunità si definisce come la reazione del sistema immunitario nei confronti
degli antigeni self (autologhi). Essa rappresenta un’importante causa di malattia,
spesso con il termine di malattie autoimmuni si indicano però anche patologie
caratterizzate da risposte immunitarie incontrollate.
I principali fattori coinvolti nello sviluppo delle malattie autoimmuni sono
l’ereditarietà di geni di suscettibilità e alcuni stimoli ambientali, quali le infezioni. Il
danno tissutale nelle risposte autoimmuni può essere causato sia da anticorpi sia da
linfociti T autoreattivi. Nell’uomo le patologie autoimmuni sono di solito eterogenee
e multifattoriali; gli antigeni self che causano o sono i bersagli selle reazioni
autoimmuni spesso sono sconosciuti; inoltre, le malattie possono manifestarsi
clinicamente molto tempo dopo l’inizio della risposta autoimmune.
Fattori genetici
Nella maggior parte delle malattie autoimmuni il rischio ereditario dipende da molti
loci genici, i più importanti dei quali si collocano tra i geni dell’MHC.
I geni di suscettibilità possono interferire con i meccanismi della tolleranza,
determinando la sopravvivenza o la riattivazione di linfociti B e T autoreattivi.
Alcune delle comuni variabilità geniche (polimorfismi) possono contribuire allo
sviluppo di patologie autoimmuni, tuttavia questi polimorfismi sono presenti anche
in individui sani. In alcuni casi, i geni associati ad autoimmunità sono varianti
(mutazioni) rare o assenti negli individui sani. L’incidenza di una particolare malattia
autoimmune è spesso maggiore negli individui che ereditano un particolare alle HLA
rispetto alla popolazione generale. È importante sottolineare che, sebbene la
presenza di un allele HLA possa aumentare il rischio di sviluppare una particolare

83
malattia autoimmune, essa non rappresenta, di per sé, la causa della malattia.
Nonostante la chiara associazione degli alleli MHC con svariate patologie
autoimmuni, il loro ruolo nello sviluppo della patologia rimane sconosciuto.
Polimorfismi di geni diversi da quelli HLA sono associati allo sviluppo di diverse
malattie autoimmuni:
- Polimorfismi nel gene che codifica la tirosina fosfatasi PTPN22 possono
regolare l’attivazione dei linfociti B e T e sono associati a numerose patologie
autoimmuni, tra cui: l’artrite reumatoide, il lupus eritematoso sistemico e il
diabete mellito di tipo I.
- Varianti geniche per il sensore microbico citoplasmatico NOD-2 possono
diminuire la resistenza ai microbi intestinali e sono associate a circa il 25% dei
casi di malattia di Chron.
- Alcune rare patologie autoimmuni si ereditano in maniera mendeliana e sono
causate da mutazioni di singoli geni con alta penetranza, tra cui AIRE, FOXP3 e
FAS.

Ruolo delle infezioni e degli stimoli ambientali


Le infezioni possono attivare i linfociti autoreattivi e, dunque, stimolare lo sviluppo
di malattie autoimmuni. Stimoli ambientali possono causare danno cellulare e
tissutale e infiammazione, con il risultato di permettere l’ingresso e l’attivazione dei
linfociti autoreattivi, i quali danneggiano il tessuto causando la malattia.
Un’infezione in un tessuto può indurre una risposta innata locale che stimola nelle
APC tissutali l’espressione di molecole costimolatorie e citochine; le APC possono
così attivare i linfociti T specifici per antigeni self espressi in quel tessuto. L’infezione
può quindi rompere l’anergia e attivare i linfociti autoreattivi.
Alcuni microbi possono produrre antigeni peptidici simili ad antigeni self e innescare
una reattività crociata che culmina in un attacco del sistema immunitario contro il
self, parleremo di ​mimetismo molecolare​.
Esistono alcune malattie rare in cui gli ​anticorpi prodotti contro una proteina
microbica legano proteine self;​ questo accade, ad esempio, nella febbre reumatica

84
dove gli anticorpi anti-streptococchi cross-reagiscono con antigeni del miocardio.
Le infezioni possono inoltre danneggiare i tessuti ​rilasciando antigeni che di norma
sono esclusi dal contatto con il sistema immunitario​.
Alcune infezioni sembrano addirittura conferire protezione contro le malattie
autoimmuni. Molte patologie autoimmuni sono più ​frequenti nelle donne.​
L’esposizione alla luce solare​ rappresenta un fattore scatenante per lo sviluppo della
patologia autoimmune lupus sistemico eritematoso (LES).

Immunità contro tumori e trapianti


Il comportamento del sistema immunitario nei confronti dei tumori e dei trapianti è
stato oggetto di grande attenzione, in quanto potenziale bersaglio di strategie
terapeutiche. Nel caso dei tumori si punta a stimolare le risposte immunitarie
specifiche, mentre nei trapianti si cerca di spegnere in modo mirato proprio le
risposte specifiche che in questo caso rappresentano un ostacolo.
I linfociti T citotossici rappresentano un importante, se non il principale,
meccanismo di uccisione delle cellule tumorale e di quelle dei trapianti.

Risposte immunitarie contro i tumori


Una delle funzioni del sistema immunitario adattativo è quella di eliminare o
bloccare l’espansione di cellule trasformate, impedendo l’accrescimento di tumori
pericolosi (fenomeno chiamato ​immunosorveglianza​).
Tuttavia il fatto che anche individui immunocompetenti sviluppino tumori maligni
indica che le risposte immunitarie contro i tumori sono spesso deboli e possono
essere facilmente soverchiate da tumori in rapida espansione.

Antigeni tumorali
I tumori esprimono diversi tipi di molecole che il sistema immunitario può
riconoscere come antigeni estranei.

85
· In tumori sperimentali indotti da carcinomi chimici o da radiazioni, gli antigeni
tumorali sono spesso costituiti da ​proteine normali mutate​.
· Talora gli antigeni tumorali sono i ​prodotti di oncogeni o oncosoppressori
mutati o traslocati​, che possono essere direttamente coinvolti nel processo di
trasformazione maligna
· In molti tumori umani, gli antigeni che stimolano le risposte immunitarie sono
proteine normali espresse in maniera eccessiva o aberrante​, cioè proteine la cui
espressione, di norma limitata a particolari tessuti o stadi di sviluppo, viene
sregolata. Questi antigeni, essendo self e “normali”, non dovrebbero stimolare le
risposte immunitarie; ciononostante, il semplice fatto che siano espressi in
maniera aberrante può essere sufficiente per attivare l’immunità.
(Esempio: le proteine self proprie dei tessuti embrionali possono non indurre
tolleranza negli adulti e dunque, una volta riespresse nei tumori, essere riconosciute
come estranee dal sistema immunitario).
- Nei tumori causati da virus oncogeni, gli antigeni tumorali possono essere
proteine virali​.

Rigetto dei tumori


Il principale meccanismo di eradicazione tumorale è l’uccisione delle cellule
trasformate da parte dei CTL specifici per gli antigeni tumorali.
La maggior parte degli antigeni tumorali è costituita da proteine citosoliche
endogene, presentati da molecole MHC di classe I. Questi antigeni vengono
riconosciuti dai CTL CD8+ ristretti per MHC di classe I, la cui funzione è uccidere le
cellule che producono l’antigene.
Nelle risposte antitumorali i CTL sono spesso attivati dal riconoscimento di antigeni
tumorali sulle cellule che presentano l’antigene (APC), le quali hanno ingerito cellule
tumorali o loro antigeni.
Qualsiasi cellula nucleata può essere soggetta a trasformazione tumorale e, dato che
tutte le cellule self esprimono MHC di classe I, qualsiasi cellula self è in grado di
presentare peptidi a essi associati. Tuttavia l’attivazione dei linfociti T necessita

86
anche di un secondo segnale rappresentato dalle molecole costimolatorie espresse
dalle APC dopo a risposta innata o dalla stimolazione da parte dei linfociti T CD4
(attivati in seguito a presentazione dell’antigene sull’MHC di classe II espresso dalle
APC).
Per questo motivo per poter stimolare risposte CTL le cellule tumorali devono essere
prima ingerite dalle cellule dendritiche che ne processano gli antigeni, esponendoli
su MHC di classe I o II. Saranno le APC a stimolare i linfociti T CD8 o CD4 in presenza
di molecole costimolatorie in grado di fornire i “secondi segnali” necessari per la loro
attivazione. Questo processo viene chiamato presentazione crociata o
“​cross-priming​”, poiché un tipo cellulare (la cellula dendritica) presenta antigeni di
un’altra cellula (la cellula tumorale), attivando i linfociti T per quest’ultima.
Una volta che i linfociti T CD8+ naive si sono differenziati in CTL effettori, essi
possono uccidere le cellule tumorali anche in assenza di costimolazione o del
contributo dei linfociti T helper.
Il differenziamento in CTL viene quindi indotto dalle APC mediante cross priming,
ma le CTL agiscono direttamente contro le cellule del tumore​.

Oltre alla citotossicità ci sono anche altri meccanismi che possono giocare un ruolo
nel rigetto dei tumori (risposte di tipo CD4+ o contributo di anticorpi specifici)
tuttavia mancano ancora le prove che queste risposte possano effettivamente
proteggere contro la crescita tumorale.

Elusione della risposta immunitaria da parte dei tumori


Frequentemente il sistema immunitario non riesce a tenere sotto controllo la
crescita tumorale, poiché è incapace di dare luogo a una risposta efficace, oppure a
causa della trasformazione delle cellule tumorali che riescono a sfuggire al suo
attacco.
· Spesso la crescita del tumore supera e surclassa numericamente le risposte
immunitarie.

87
· Spesso le risposte contro i tumori possono essere deboli a causa della scarsa
immunogenicità di molti degli antigeni tumorali (forse molto simili ad antigeni
self).
· I tumori possono sviluppare strategie per eludere le risposte immunitarie:
- Smettendo di esprimere gli antigeni che avevano attivato
l’immunità diventando “varianti con perdita dell’antigene”;
- Smettendo di esprimere MHC di classe I, cessando di
mostrare i propri antigeni per il riconoscimento da parte dei
linfociti T CD8+. (Possono però essere riconosciuti ancora dalle
cellule NK);
- Secernendo citochine che sopprimono la risposta
immunitaria, come TGF-β (Transforming Growth Factor-β);
- Sopprimendo le risposte immunitarie antitumorali
ingaggiando le normali molecole inibitorie dei linfociti, quali
CTLA-4 o PD1.

Immunoterapia dei tumori


Le principali strategie di immunoterapia dei tumori mirano a somministrare
molecole effettrici con azione antitumorale (anticorpi e linfociti T) ai pazienti,
oppure a immunizzarli attivamente contro il tumore, o ancora a stimolarne le
normali risposte antitumorali.
Attualmente il trattamento di tumori disseminati (che non possono essere rimossi
chirurgicamente) si basa su chemioterapia e radioterapia, strategie che causano
entrambe effetti collaterali devastanti sui tessuti normali.
Le risposte immunitarie invece sono altamente specifiche, per questo motivo con
l’immunoterapia ci si auspica di poter impiegare questa specificità della risposta
immunitaria per eradicare i tumori in modo selettivo senza danneggiare i tessuti del
paziente.

88
In passato​ sono state usate prevalentemente forme di ​immunizzazione passiva​,
basate sulla somministrazione di molecole o cellule effettrici del sistema
immunitario.
- Ad esempio per trattare i tumori dei linfociti B venivano
somministrati anticorpi monoclonali contro la molecola CD20,
spesso in combinazione con la chemioterapia. Dal momento che il
CD20 non era espresso dalle cellule staminali ematopoietiche, al
termine del trattamento è ancora possibile la produzione di nuovi
linfociti B normali.

Attualmente​, le nuove strategie di immunoterapia antitumorale puntano a stimolare


le risposte immunitarie proprie dell’ospite attraverso la vaccinazione.
- Vaccinazione con cellule dendritiche caricate con antigeni tumorali;
- Vaccinazione con DNA o con cellule dendritiche trasfettate
(iniettando un plasmide contenente cDNA di un antigene tumorale
che determina l’espressione del cDNA nelle cellule dell’ospite che li
hanno catturati, APC incluse. L’APC che produce l’antigene tumorale
indurrà le risposte T specifiche);
- Vaccinazione con cellule tumorali trasfettate con il gene per una
molecola costimolatoria (per esempio, B7) oppure per IL-2
(La cellula tumorale che esprime B7 stimola un linfocita T
tumore-specifico. IL-2 aumenta la proliferazione e il
differenziamento di linfociti T tumore-specifici.)

Tutte e tre queste strategie di vaccinazione hanno come risultato l’attivazione di


linfociti T tumore-specifici.

Risposte immunitarie contro i trapianti

89
Il rigetto di un trapianto è il risultato di una reazione infiammatoria che danneggia il
tessuto trapiantato e che dipende dall’attivazione dell’immunità adattativa.
Il rigetto di un tessuto dipende dall’espressione di varianti geniche diverse nei vari
individui. L’individuo che fornisce il tessuto è chiamato ​donatore​, mentre quello nel
quale il tessuto viene trapiantato viene detto ​ricevente​ (o ospite). Gli animali
geneticamente identici ( e i trapianti scambiati tra questi) sono detti ​singenici​; gli
animali (e i trapianti) appartenenti alla stessa specie ma geneticamente diversi sono
detti ​allogenici​; infine animali ( e trapianti) appartenenti a specie diverse sono detti
xenogenici​.
I trapianti allogenici e xenogenici, anche chiamati “allotrapianti” e “xenotrapianti”,
vengono sempre rigettati.
Gli antigeni che attivano la risposta immunitaria sono chiamati “alloantigeni” e
“xenoantigeni”, mentre gli anticorpi e i linfociti T che rispondono a essi vengono
detti, rispettivamente, “alloreattivi” e “xenoreattivi”.

Antigeni dei trapianti


Gli antigeni più importanti nel determinare il rigetto degli allotrapianti sono le
proteine codificate dai geni dell’MHC.
Tutti i mammiferi possiedono geni e molecole MHC omologhe e l’MHC umano
corrisponde al complesso leucocitario umano (HLA). Ciascun individuo esprime 6
alleli MHC di classe I (un allele HLA-A, HLA-B, HLA-C per ogni genitore) e almeno 6
alleli MHC di classe II . I geni MHC sono altamente polimorfici.
Dal momento che questi alleli vengono ereditati ed espressi in diverse combinazioni,
è altamente probabile che ciascun individuo esprima alcune proteine MHC che
vengono riconosciute come estranee dal sistema immunitario di un altro individuo
(eccezion fatta per i gemelli identici).
Il riconoscimento di MHC estranei scatena una delle più intense risposte
immunitarie conosciute. Durante la maturazione dei linfociti T CD4+ e CD8+, la
selezione negativa elimina tutti i linfociti che hanno un’alta affinità per le molecole
MHC self, ma questo non accade per le molecole MHC allogeniche che quindi

90
potranno essere riconosciute e legate dai linfociti. Però, mentre in una reazione
immunitaria rivolta contro una cellula infettata solo una piccola frazione di molecole
MHC self sulla superficie monterà un antigene non self, in una risposta rivolta
contro un trapianto allogenico ogni cellula del tessuto trapiantato esprimerà
migliaia di MHC not-self che potranno essere riconosciute come estranee dai linfociti
T del ricevente. Per questo motivo la risposta sarà così intensa.
Oltre all’MHC anche altre proteine polimorfiche possono entrare in gioco nel
determinare il rigetto dei trapianti. Le reazioni di rigetto stimolate dagli antigeni
minori di istocompatibilità sono generalmente meno intense rispetto a quelle
causate da MHC estranei.

Risposte contro i trapianti


I linfociti T del ricevente possono riconoscere gli alloantigeni del donatore in modi
diversi, a seconda di quali sono le cellule che li espongono.
I linfociti T del ricevente possono riconoscere MHC allogenici presenti sulle cellule
dendritiche del donatore, oppure possono riconoscere gli allo antigeni dopo che
questi sono stati processati e presentati dalle cellule dendritiche del ricevente.
Molti tessuti contengono cellule dendritiche e queste APC vengono introdotte nel
ricevente insieme con il trapianto e possono successivamente migrare ai linfonodi
drenanti. Può verificarsi quindi un “​riconoscimento diretto​” dove il linfocita T
riconosce le molecole di MHC allogeniche direttamente (cioè non processate sulle
APC del trapiantato).
In alternativa le molecole di MHC allogeniche possono essere catturate e processate
da parte delle APC del ricevente che le presenterà sulla sua superficie. In questo
modo il linfocita T riconosce peptidi processati di molecole MHC allogenici montati
su molecole MHC self delle APC dell’ospite. Questo processo è definito
“​riconoscimento indiretto​” ed è simile alla cross-presentazione degli antigeni
tumorali.
Le cellule dendritiche che presentano gli alloantigeni attraverso la via diretta o
indiretta sono dotate anche di molecole costimolatorie e possono stimolare sia i
linfociti T helper sia i CTL allo reattivi. Tuttavia, i CTL alloreattivi generati attraverso
la via indiretta, riconoscendo alloantigeni montati su MHC self, non sono in grado di

91
riconoscere e uccidere le cellule del trapianto (che esprimono MHC non self). Per
tale ragione è plausibile che il riconoscimento indiretto porti a un tipo di rigetto
dovuto prevalentemente all’azione dei linfociti CD4+.
Non sappiamo se sia più importante l’alloriconoscimento diretto o indiretto; si
ipotizza, tuttavia, che la via diretta sia più importante per i rigetti acuti a opera dei
CTL, mentre la via indiretta svolga un ruolo maggiore nel rigetto cronico.

Rigetto dei trapianti


Sulla base di caratteristiche cliniche e patologiche, il rigetto dei trapianti viene
classificato in iperacuto, acuto e cronico.
Il ​rigetto iperacuto,​ che avviene nell’arco di minuti dal momento del trapianto, è
caratterizzato dalla trombosi dei vasi del tessuto trapiantato e dalla sua necrosi
ischemica. Esso è mediato da anticorpi circolanti che riconoscono antigeni espressi
dalle cellule endoteliali del trapianto e che sono già presenti nel ricevente prima del
trapianto stesso. Gli anticorpi legano gli antigeni delle cellule endoteliali e attivano il
complemento e la cascata della coagulazione, determinando un danno endoteliale e
la formazione di trombi. Il rigetto iperacuto non rappresenta un problema comune,
in quanto ciascun ricevente viene testato per il gruppo sanguigno e per la presenza
di anticorpi diretti contro le cellule del potenziale donatore (test del “cross-match”).
Il ​rigetto acuto​, che avviene entro giorni o settimane, rappresenta invece la
principale causa di insuccesso precoce dei trapianti. Esso è dovuto
fondamentalmente ai linfociti T che uccidono direttamente le cellule del trapianto,
se gli alloantigeni riconosciuti sono tissutali, oppure che lo danneggiano
indirettamente inducendo danno vascolare, se gli antigeni riconosciuti sono
endoteliali. Anche gli anticorpi contribuiscono al rigetto acuto, e specialmente alla
sua componente vascolare (causando endotelite), ovvero quando il danno ai vasi del
trapianto deriva prevalentemente dall’attivazione del complemento attraverso la via
classica.
Il ​rigetto cronico​, è una forma di danno indolente che avviene nel corso di mesi o
anni e che conduce alla perdita progressiva della funzione dell’organo trapiantato. Il
rigetto cronico si manifesta con la fibrosi del trapianto e con il graduale
restringimento dei suoi vasi (aterosclerosi del trapianto). In entrambi i casi si ritiene
che i responsabili siano linfociti T che reagiscono contro alloantigeni del trapianto,

92
secernendo citochine che stimolano la proliferazione e l’attività di fibroblasti e
cellule muscolari lisce vascolari.
Mentre il rigetto acuto ha perso importanza grazie alle terapie immunosoppressive il
rigetto cronico sta diventando la causa principale dell’insuccesso dei trapianti.

Prevenzione e trattamento del rigetto dei trapianti


La colonna portante della prevenzione e del trattamento del rigetto dei trapianti
d’organo è l’immunosoppressione, designata principalmente a inibire l’attivazione e
le funzioni effettrici dei linfociti T.
Il farmaco immunosoppressivo più utilizzato in clinica è la ​ciclosporina​, che inibisce
la trascrizione di geni per citochine nei linfociti T bloccando la fosfatasi linfocitaria
(detta calcineurina), necessaria per attivare il fattore trascrizionale NFAT (fattore
nucleare delle cellule T attivate). L’avvento della ciclosporina ha aperto una nuova
era nella medicina dei trapianti e ha permesso l’utilizzo su larga scala del trapianto di
cuore, fegato e polmoni. Tutti i farmaci immunosoppressivi però, hanno il problema
di essere scarsamente specifici, potendo inibire anche le risposte immunitarie utili.
Infatti i pazienti tendono a diventare maggiormente suscettibili alle infezioni, in
particolare a quelle da microbi intracellulari, e a mostrare aumentata incidenza di
tumori, soprattutto a eziologia virale.
Oggi l’immunosoppressione è talmente efficace che la concordanza degli HLA non è
più considerata necessaria per molti tipi di trapianto d’organo, anche perché i
riceventi sono spesso in condizioni talmente critiche da non poter attendere un
donatore compatibile.

Ipersensibilità ​Pag.215
In alcuni casi le risposte immunitarie possono causare danno tissutale e malattia, si
parla di ​reazioni da ipersensibilità​ a cui si ​associano malattie da ipersensibilità​.
Queste si verificano sostanzialmente in due situazioni:
1. Quando la risposta ad un antigene esogeno è abnorme o non regolata;

93
2. Quando la risposta è diretta contro antigeni autologhi e genera risposte
autoimmuni per mancata tolleranza al self;
Le reazioni da ipersensibilità sono comunemente classificate in base al principale
meccanismo responsabile del danno tissutale e della malattia. Distinguiamo:
- I​ persensibilità immediata o di tipo I​ à è una reazione patologica causata
dall’abnorme rilascio di mediatori da parte dei mastociti; è generalmente
innescata dalla produzione di ​IgE​ dirette contro antigeni ambientali.

- ​ alattie mediate da anticorpi o ipersensibilità di tipo II à​ gli anticorpi


M
possono legare antigeni cellulari o tissutali dell’ospite, danneggiandoli o
impedendone le funzioni biologiche.
- ​ alattie mediate da immunocomplessi o ipersensibilità di tipo III à​ gli
M
anticorpi possono intercettare antigeni solubili formando immunocomplessi che
si possono depositare nei vasi sanguigni dei diversi tessuti, causando
infiammazione e danno tissutale.
- ​ alattie mediate da linfociti T o ipersensibilità di tipo IV ​à alcune malattie
M
possono essere causate da reazioni abnormi dei linfociti T, spesso dirette contro
antigeni self tissutali.

Ipersensibilità immediata
L’ipersensibilità immediata consiste in una reazione da parte delle IgE e dei mastociti
a particolari antigeni esogeni, che causa una rapida vasopermeabilizzazione e
secrezione di muco cui spesso segue infiammazione. Queste tipologie di reazioni
sono anche dette ​allergie​ o ​atopie​ e gli individui fortemente predisposti a sviluppare
tali reazioni sono detti ​atopici​. Questa predisposizione ha una forte componente
genetica, il maggior rischio di sviluppo di allergie è infatti la familiarità.
L’ipersensibilità immediata può manifestarsi con gravità variabile nei vari tessuti dei
diversi pazienti, le forme più comuni sono: la febbre da fieno, le allergie alimentari,
l’asma bronchiale e l’anafilassi. Le allergie sono le forme più frequenti di malattie
immunologiche e interessano circa il 20% della popolazione mondiale.

94
La sequenza di eventi che porta allo sviluppo dell’ipersensibilità immediata inizia con
l’attivazione dei linfociti TH2 e la relativa produzione di IgE in risposta ad un
antigene. Le IgE prodotte andranno a legarsi ai recettori per Fc presenti sui mastociti
facendo in modo che, alla successiva esposizione allo stesso antigene, questo causi il
cross-link dei complessi IgE-recettori Fc e il conseguente rilascio di mediatori chimici
da parte dei mastociti stessi.
Le reazioni vascolari e muscolari, indotte da questi mediatori, possono avvenire
nell’arco di pochi minuti dalla riesposizione all’antigene, per cui parleremo di
ipersensibilità immediata.​ Altri mediatori rilasciati dai mastociti, quali le citochine,
agiscono nell’arco di ore determinando la componente infiammatoria associata al
danno tissutale e definita ​reazione di fase tardiva.​
Gli antigeni che innescano reazioni allergiche sono definiti ​allergeni.​
Negli individui normali si attivano risposte TH2 non particolarmente intense contro
la maggior parte degli antigeni esogeni, mentre negli individui predisposti all’allergia
l’esposizione ad antigeni proteici (pollini, alimenti, veleni, …) innesca una risposta
più forte da parte dei ​linfociti TH2,​ dovuta ad un abnorme attivazione.
Due delle citochine prodotte dai linfociti TH2, ​IL-4 e IL-13​, agiscono sui linfociti B
specifici per l’antigene, inducendone la
differenziazione in plasmacellule
secernenti IgE.
Le ​IgE​ prodotte in risposta ad un
allergene si legano ai recettori ad alta
affinità, specifici per la catena pesante ε
espressi sulla membrana dei ​mastociti
(FCεRI). Il processo di rivestimento dei
mastociti da parte delle IgE è definito
sensibilizzazione​, dato che la presenza di
IgE specifiche conferisce alle cellule una
maggiore sensibilità in caso di successiva
esposizione. La concentrazione
plasmatica di IgE è di M, per cui i

95
mastociti sono ricoperti sempre da IgE anche in individui normali.
I mastociti sono presenti nei tessuti connettivi di svariati organi, in particolare sotto
gli epiteli e in prossimità dei capillari. Quali organi vedranno l’attivazione dei
mastociti dipende principalmente dalla via di introduzione all’allergene.
Quando i mastociti già sensibilizzati dalle IgE incontrano l’allergene, vengono
stimolati a secernere i loro ​mediatori.​ L’attivazione avviene quando l’allergene riesce
a legare due o più molecole di IgE, in modo da indurre il ​cross-link dei recettori
FCεRI ​e innescando la ​trasduzione del segnale​ che porta a tre tipi di risposte:
1. Degranulazione​ à il rapido rilascio del contenuto dei granuli porta alla liberazione
di mediatori quali: ​amine vasoattive​, tra cui ricordiamo l’​istamina c​ he induce
vasodilatazione dei capillari e contrazione delle cellule muscolari liscie; ​proteasi,​
che causano danni localizzati ai tessuti.
2. Sintesi e secrezione di mediatori lipidici à​ inizia la produzione di metaboliti
dell’acido arachidonico​: le prostaglandine causano vasodilatazione, i ​leucotrieni
stimolano la prolungata contrazione delle cellule muscolari lisce.
3. Sintesi di citochine​ à le citochine prodotte dai mastociti stimolano il
reclutamento di leucociti, evento che caratterizza la reazione di fase tardiva. Il
TNF e IL-4, prodotti dai mastociti, inducono un’infiammazione caratterizzata da
un ricco infiltrato di neutrofili ed eosinofili, questi liberano proteasi causando un
danno tissutale. Anche le chemochine contribuiscono al reclutamento
leucocitario. Gli eosinofili sono la componente più importante di molte reazioni
allergiche e vengono attivati dall’IL-5 prodotta dai linfociti TH2 e dai mastociti.

Manifestazioni cliniche e terapia


Le diverse caratteristiche patologiche e cliniche
delle reazioni da ipersensibilità immediata e la
loro gravità sono riconducibili al tipo e alla
quantità di mediatori chimici rilasciati dai
mastociti nei diversi tessuti.
La forma più grave di ipersensibilità immediata
è l’​anafilassi,​ una reazione sistemica

96
caratterizzata da edema tissutale accompagnata da una caduta pressoria. Tra le più
comuni cause di anafilassi troviamo: punture di insetti, reazioni a farmaci e
antibiotici e il consumo di frutta secca o frutti di mare. L’anafilassi è causata da una
diffusa degranulazione dei mastociti in risposta ad antigeni sistemici e può essere
letale a causa sia dell’improvvisa caduta pressoria sia della costrizione delle vie
aeree superiori.
Le ​terapie​ per le malattie da ipersensibilità immediata sono principalmente rivolte a
inibire la degranulazione dei mastociti​, prevenendo quindi gli effetti dei mediatori
rilasciati e riducendo l’infiammazione. Tra i farmaci più comunemente usati
ricordiamo: gli ​antistaminici​ (per raffreddore da fieno), ​epinefrina (​ per anafilassi),
corticosteroidi​ (per asma). È stato sviluppato un trattamento che prevede ripetute
somministrazioni di piccole dosi di allergene, noto come
​ ​immunoterapia allergene-specifica​.
desensibilizzazione o

Malattie causate dagli anticorpi e dagli immnunocomplessi ​Pag.223


Anche anticorpi diversi dalle IgE possono essere causa di malattia in seguito al
riconoscimento di particolari antigeni cellulari o tissutali, oppure formando
immunocomplessi che si depositano a livello vascolare.
Gli anticorpi diretti contro componenti cellulari o della matrice extracellulare
possono depositarsi in grande quantità nei diversi tessuti che esprimono in modo
rilevante l’antigene bersaglio, cosicché le ​malattie causate da anticorpi​ risultano
solitamente ​organo-specifiche​.
Nel circolo ematico, ​gli i​ mmunocomplessi​ tendono invece a depositarsi in quei siti
dove il sangue viene filtrato a elevata pressione (es. glomeruli renali e sinovie),
correlandosi quindi ​a ​malattie sistemiche.​
Frequentemente, gli anticorpi patologici sono autoanticorpi diretti contro antigeni
self, mentre solo più raramente sono diretti contro antigeni esogeni.
Gli autoanticorpi possono legarsi ad antigeni self presenti nei tessuti o formare
immunocomplessi con antigeni self circolanti. Gli anticorpi diretti contro antigeni
cellulari o tissutali possono depositarsi nei tessuti inducendo ​infiammazione locale e
conseguente danno​. Le IgG delle sottoclassi ​IgG1 e IgG3​ si legano ai recettori per Fc

97
espressi dai neutrofili e dai macrofagi inducendo la loro attivazione e innescando il
processo infiammatorio; IgG e ​IgM​ attivano inoltre la ​via classica del complemento.​
Una volta attivati, nel sito di deposizione i leucociti rilasciano prodotti reattivi
dell’ossigeno ed enzimi lisosomiali che danneggiano il tessuto circostante. IgG e IgM
possono anche opsonizzare le cellule e promuoverne la fagocitosi.
Alternativamente, gli anticorpi contro gli antigeni self possono legarsi alla
membrana cellulare promuovendo la lisi o interferendo con le normali funzioni
cellulari. Alcuni anticorpi possono indurre la malattia anche senza causare danno
tissutale diretto: legando molecole o recettori funzionalmente rilevanti, questi
possono interferire con diverse funzioni cellulari.
Ad esempio, nella ​miastenia grave​ anticorpi diretti contro il ​recettore per
l’acetilcolina​ inibiscono la trasmissione del segnale neuromuscolare, causando
paralisi. ​Nella ​malattia di Graves,​ invece, gli anticorpi attivano direttamente il
recettore per l’ormone stimolante la tiroide, ​TSH,​ mimando l’azione del ligando
fisiologico e provocando ​ipertiroidismo.​
Manifestazioni cliniche e terapia
Nell’uomo molte
forme croniche di
ipersensibilità sono
causate da anticorpi
diretti contro antigeni
tissutali o da
immunocomplessi.
La ​terapia​ per queste
malattie è volta
principalmente a
limitare
l’infiammazione locale
e le sue conseguenze
lesive attraverso
l’utilizzo di farmaci

98
quali i ​corticosteroidi.​ Nei casi più gravi viene impiegata la per ridurre il titolo di
anticorpi o di immunocomplessi circolanti.
{​ ​La ​plasmaferesi è​ una tecnica di
separazione del plasma
sanguigno dagli elementi
corpuscolati del sangue ottenuta
mediante centrifugazione. Il
metodo è utilizzato sia a scopi
emotrasfusionali, sia a scopi
terapeutici.}

Malattie causate dai


linfociti T​ ​Pag.227
Le principali cause delle reazioni
da ipersensibilità mediate dai
linfociti T sono le ​risposte
autoimmuni o le risposte
immunitarie abnormi​ e persistenti verso antigeni ambientali. Le malattie causate
dall’azione dei linfociti T non sono generalmente sistemiche, ma organo-specifiche.
Un tipico esempio di reazione da ipersensibilità mediata dai linfociti T verso antigeni
ambientali è la ​sensibilità da contatto​ verso alcuni composti chimici (es. edera
velenosa); un ​danno
tissutale​ può
accompagnarsi anche a
risposte di linfociti T
contro microrganismi.
Particolari tossine
possono causare
un’eccessiva
attivazione policlonale

99
dei linfociti T e innescare la produzione di enormi quantità di citochine
infiammatorie, che causano una ​sindrome da shock tossico.​ Queste tossine vengono
definite ​superantigeni​ in quanto si legano alla porzione invariante del recettore per
l’antigene espresso su diversi cloni di linfociti T, attivandoli indipendentemente dalla
loro specificità.

In diverse patologie a base immunitaria mediata dai linfociti T, il danno tissutale è


conseguente all’infiammazione innescata dalle citochine prodotte principalmente
dai linfociti T CD4+, oppure all’eliminazione delle cellule dell’ospite da parte dei
linfociti T CD8+.
I ​linfociti T CD4+​ possono reagire ad antigeni cellulari o tissutali secernendo
citochine che inducono infiammazione locale e attivazione macrofagica.
I ​linfociti TH1​ sono la principale fonte di INF-γ, la citochina più efficace nell’attivare
i ​macrofagi​. ​I linfociti TH17​ sono principalmente responsabili del reclutamento
leucocitario, inclusi i ​neutrofili​. In queste malattie il danno tissutale è quindi causato
principalmente da macrofagi e neutrofili.
La tipica reazione innescata dalle citochine prodotte dai linfociti T è l’ipersensibilità
ritardata (DTH), che si manifesta 24-28 ore dopo che un individuo viene riesposto a
un antigene proteico verso il quale era già stato sensibilizzato. Le reazioni DTH si
caratterizzano per un significativo infiltrato tissutale di linfociti T e monociti, edema
e deposizione di fibrina causati dall’aumento della permeabilità vascolare indotta
dalle citochine prodotte dai linfociti T CD4+. Molecole di origine macrofagica
provocano poi il danno tissutale.
I ​linfociti T CD8+​ possono invece eliminare direttamente le cellule dell’ospite,
riconoscendo gli antigeni espressi sulla loro superficie e produrre citochine
infiammatorie.

Manifestazioni cliniche e terapia

100
Le malattie causate da linfociti T in genere sono ​croniche e progressive​, in parte
perché l’interazione tra linfociti T e macrofagi tende ad amplificarsi e prolungarsi nel
tempo e in parte perché frequentemente gli antigeni scatenanti non riescono ad
essere eliminati completamente. Il danno tissutale può causare il rilascio e/o
l’alterazione di proteine self, causando l’estensione della risposta immunitaria anche
a questi nuovi antigeni, un fenomeno detto ​epitope spreading​ (estensione
dell’epitopo).
L’infiammazione cronica innescata da una reazione immunitaria è definita ​malattia
infiammatoria immuno-mediata.
La ​terapia ​delle ipersensibilità causate dai linfociti T mira a ridurre l’infiammazione e
inibire le risposte dei linfociti T. Il trattamento di elezione per queste patologie è la
somministrazione di ​antiinfiammatori steroidei​, nonostante gli effetti collaterali.

101
Immunodeficienze congenite e acquisite
Malattie causate da risposte immunitarie deficitarie
I difetti dello sviluppo e delle funzioni del sistema immunitario danno luogo
all’aumento della suscettibilità alle infezioni, alla riattivazione di infezioni latenti
(come quelle da citomegalovirus, da virus di Epstein-Barr e da tubercolosi), che di
norma sono tenute sotto controllo, ma non eradicate, dal sistema immunitario, e
all’aumentata incidenza di alcune neoplasie maligne.
I disordini causati da deficit delle risposte immunitarie sono chiamati ​malattie da
immunodeficienza​. Alcune di queste malattie possono derivare da anomalie
genetiche a carico di uno o più componenti del sistema immunitari; esse sono
denominate “​immunodeficienze congenite​” (o primarie). Altri difetti del sistema
immunitario possono derivare da infezioni, anomalie nutrizionali o trattamenti
farmacologici che provocano la perdita o il funzionamento inadeguato di varie
componenti del sistema immunitario; queste condizioni sono denominate
“​immunodeficienze acquisite​” (o secondarie).

Immunodeficienze congenite (primarie)


Le immunodeficienze congenite sono causate da difetti genetici che determinano il
blocco della maturazione o delle funzioni di diverse componenti del sistema
immunitario.
Le immunodeficienze congenite condividono molti aspetti e la loro caratteristica
comune è costituita dalle complicanze infettive. Tuttavia esse possono differire
notevolmente per le manifestazioni patologiche e cliniche. Alcune di queste malattie
sono caratterizzate dal considerevole aumento della suscettibilità alle infezioni che
possono manifestarsi precocemente dopo la nascita ed essere fatali, a meno che i
difetti immunologici non vengano corretti. Altre sono caratterizzate da infezioni di
minor gravità e possono essere diagnosticate in età adulta

102
.
Nella seguente tabella sono riassunte le principali caratteristiche e manifestazioni
cliniche delle malattie da immunodeficienza che coinvolgono diverse componenti
del sistema immunitario.

Tipo di immunodeficienza Anomalie istopatologiche e Infezioni frequenti


di laboratorio

Deficit a carico dei linfociti Follicoli e centri germinativi negli Infezioni da batteri piogeni.
B organi linfoidi ridotti o assenti.
Livelli ridotti delle Ig sieriche.

Deficit a carico dei linfociti Possibile riduzione delle aree T Infezioni virali e da altri microbi
T degli organi linfoidi. intracellulari (es. ​Pneumocystis
Risposte DTH ridotte agli antigeni jiroveci,​ micobatteri atipici, miceti).
comuni. Neoplasie associate a virus (es.
linfoma associato a EBV).

Deficit dell’immunità Variabili, a seconda della Variabili; infezioni da batteri


innata componente dell’immunità innata piogeni.
interessata.

Difetti della maturazione dei linfociti


Molte immunodeficienze congenite sono il risultato di anomalie genetiche che
provocano il blocco della maturazione dei linfociti B, T, o di entrambi. I disordini che
si manifestano come difetti di entrambe le linee linfocitarie sono classificati come
“​immunodeficienze gravi combinate​” (SCID, Severe Combined ImmunoDeficiency).

​SCID X-linked
Numerose anomalie genetiche possono essere causa delle SCID. Circa la metà di
queste alterazioni è legata al cromosoma X e colpisce solo i maschi.
Approssimativamente il 50% dei casi di SCID X-linked è causato da mutazioni della

103
catena di trasduzione del segnale di un recettore per le citochine. Questa subunità è
denominata “catena γ comune” (​ ​), in quanto componente comune dei recettori
per numerose citochine, quali i recettori per IL-2, IL-4, IL-7, IL-9 e IL-15.
Quando la catena non è funzionale, i linfociti immaturi, agli stadi di cellule pro-T,
non possono proliferare in risposta a IL-7, il principale fattore di crescita per queste
cellule. Il deficit di risposta all’IL-7 causa la ridotta sopravvivenza e maturazione dei
precursori linfocitari. Nella specie umana il difetto colpisce principalmente la
maturazione dei linfociti T. Ciò determina una profonda riduzione del numero di
cellule T mature e un deficit della risposta immunitaria cellulo-mediata; si osserva
inoltre un deficit delle risposte umorali a causa della mancata cooperazione da parte
dei linfociti T helper (sebbene la maturazione dei linfociti B sia pressoché normale).
Anche le cellule Natural Killer sono deficitarie poiché anche il recettore di IL-15, la
principale citochina coinvolta nella proliferazione e maturazione di queste cellule,
usa la catena .

​SCID autosomica ​(recessiva)


1. Circa la metà dei casi di SCID autosomica è causata da mutazioni di un enzima
chiamato “​adenosina deaminasi”​ (ADA), implicato nel catabolismo delle
purine. Il deficit di ADA provoca l’accumulo di metaboliti purinici tossici nelle
cellule proliferanti che sintetizzano attivamente il DNA. I linfociti, che
proliferano attivamente durante la loro maturazione, sono danneggiati da
questo accumulo ci metaboliti tossici. Il deficit di ADA provoca un blocco della
maturazione dei linfociti T più marcato che nei linfociti B; il deficit
dell’immunità umorale osservabile in questi pazienti è in gran parte
riconducibile alla mancata funzione dei linfociti T helper.
2. Un’ altra causa di SCID autosomica è rappresentata da mutazioni in una
chinasi coinvolta nella trasduzione del segnale della catena dei recettori per
le citochine. Tali mutazioni determinano le stesse anomalie osservate nella
SCID X-linked dovute a mutazioni della catena .
3. Casi rari di SCID autosomica sono causati da mutazioni a carico dei geni RAG1
e RAG2 che codificano per componenti della ricombinasi VDJ necessarie per le

104
ricombinazioni somatiche dei geni delle Ig e del recettore dei linfociti T e per
la maturazione linfocitaria.
La causa del restante 50% dei casi sia delle SCID X-linked sia delle SCID autosomiche
non è invece conosciuta.

I disordini che si manifestano prevalentemente sulla sola linea linfocitaria B sono


chiamate “​immunodeficienze a carico dei linfociti B​”.
La sindrome clinica più comune causata dal blocco della maturazione dei linfociti B è
rappresentata dalla “​Agammaglobulinemia X-linked”. ​In questa patologia, le cellule
B midollari non riescono a maturare oltre lo stadio di cellule pre-B, determinando un
marcato calo o un’assenza dei linfociti B maturi e delle immunoglobuline sieriche. La
malattia è causata da mutazioni del gene che codifica per una chinasi denominata
“tirosina chinasi dei linfociti B” o “tirosina chinasi di Bruton” (Btk), le quali
determinano un deficit quantitativo o funzionale dell’enzima. Questo enzima
trasduce un segnale di maturazione da parte del recettore espresso dalle cellule allo
stato pre-B; il gene per questo enzima è localizzato sul cromosoma X. Quindi le
donne in possesso dell’allele di Btk mutato su uno dei due cromosomi X sono
portatrici sane mentre la discendenza maschile che eredita il cromosoma anomalo
ne è affetta. Paradossalmente, circa un quarto dei pazienti sviluppa malattie
autoimmuni, in particolare l’artrite. Non sono note le cause per cui un deficit
immunologico a carico dei linfociti B causi una reazione tipica di risposte
immunitarie incontrollate o eccessive.

I disordini che si manifestano prevalentemente sulla sola linea linfocitaria T sono


chiamati “​immunodeficienze a carico dei linfociti T​”.
Il più frequente di questi è la “​Sindrome di DiGeorge​”, causata dallo sviluppo
incompleto del timo (o delle ghiandole paratiroidee) e dalla mancata maturazione
dei linfociti T. i pazienti con questa malattia tendono a migliorare con l’età,
probabilmente perché la piccola quantità di tessuto timico che comunque si sviluppa
è comunque in grado di sostenere la maturazione T.

105
Il trattamento delle immunodeficienze primarie che colpiscono la maturazione
linfocitaria varia a seconda del tipo di malattia.
La SCID è fatale in età giovanile, a meno che il sistema immunitario del paziente non
sia ricostituito. La terapia maggiormente utilizzata è il trapianto di midollo osseo,
con un’attenta valutazione della compatibilità tra donatore e ricevente per evitare la
grave reazione di del trapianto verso l’ospite. Nel caso dei difetti selettivi dei linfociti
B, è possibile somministrare ai pazienti immunoglobuline isolate da donatori sani,
fornendo immunità passiva. La terapia sostitutiva con immunoglobuline è di enorme
beneficio nei pazienti con agammaglobulinemia X-linked. Il trattamento ideale per
tutte le immunodeficienze congenite rimane comunque la terapia sostitutiva genica,
che tuttavia, al momento, non è ancora praticabile nella maggior parte dei casi.

Difetti dell’attivazione e della funzione dei linfociti


Verranno descritte alcune delle malattie in cui, nonostante il normale processo
maturativo, si osserva un’alterazione della maturazione e della funzione linfocitaria.
La “​sindrome da iper-IgM X-linked​” è caratterizzata dal deficit di scambio isotipico
della catena pesante dei linfociti B, con conseguente prevalenza di IgM, che
risultano essere i principali anticorpi circolanti, e gravi deficit dell’immunità
cellulo-mediata contro i microbi intracellulari. La mutazione è causata da mutazioni
del gene che codifica per il ligando di CD40 (CD40L). Quest’ultimo, espresso dai
linfociti T helper, lega CD40 sui linfociti B e sui macrofagi e ne media l’attivazione.
L’incapacità di esprimere un CD40L funzionale causa un deficit delle risposte umorali
T-dipendenti quali lo scambio isotipico e una ridotta attivazione macrofagica.
L’ “​immunodeficienza variabile comune​” è un gruppo eterogeneo di malattie che
costituisce la forma più comune di immunodeficienza primaria. Questi disordini sono
caratterizzati da una scarsa risposta anticorpale alle infezioni e da ridotti livelli sierici
di IgG, IgA e, spesso, IgM. Le cause di tale malattia sono poco conosciute, ma
includono difetti nella maturazione e nella attivazione dei linfociti B. I pazienti
soffrono di infezioni ricorrenti, malattia autoimmune e linfomi.

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La “​sindrome del linfocita nudo​” è una malattia causata dall’incapacità di esprimere
molecole di MHC di classe II come conseguenza di mutazioni a carico dei fattori
trascrizionali che regolano l’espressione di questi geni. Le molecole di MHC di classe
II presentano i peptidi antigenici ai linfociti T CD4+ promuovendo la loro
maturazione e attivazione. Per questo motivo la malattia si manifesta con una
notevole diminuzione nei linfociti T CD4, a causa della loro difettosa maturazione
timica e della carente attivazione negli organi linfoidi.

Difetti dell’immunità innata


Le anomalie delle due componenti dell’immunità innata, i fagociti e il sistema del
complemento, sono cause importanti di immunodeficienza.
La “​malattie granulomatosa cronica​” è causata da mutazioni nell’enzima “​ossidasi
fagocitica”​ che catalizza la produzione nei lisosomi di specie reattive dell’ossigeno
(ROS) dotati di azione microbicida. Di conseguenza, i neutrofili e i macrofagi sono
incapaci di uccidere i microbi fagocitati. Il sistema immunitario tenta di compensare
questo difetto richiamando sempre più macrofagi e attivando i linfociti T, che a loro
volta stimolano un ulteriore reclutamento di cellule fagociti che. Ne consegue che
aggregati di fagociti, incapaci di eliminare il patogeno, si accumulino attorno ai
focolai di infezione. Questi aggregati ricordano i “​granulomi​”, da cui il nome della
malattia.
Il “​deficit di adesione leucocitaria​” è causato da mutazioni a carico dei geni che
codificano per le integrine o per enzimi necessari per l’espressione dei ligandi delle
selectine. Come risultato di queste mutazioni, i leucociti circolanti non riescono ad
aderire saldamente all’endotelio vascolare e non vengono reclutati nei siti di
infezione.
La “​sindrome di Chèdiak-Higashi​” è una malattia da immunodeficienza
caratterizzata da funzionamento anomalo dei granuli lisosomiali dei leucociti. Si
ritiene che questo difetto, che si manifesta con una maggior suscettibilità alle
infezioni batteriche, riguardi principalmente i fagociti e le cellule NK.

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Tra i difetti a carico di varie proteine del complemento e di proteine regolatrici del
complemento è importante ricordare che:
- Il deficit di C3 causa gravi infezioni e in genere è fatale;
- Il deficit di C2 e C4, componenti della via classica, non danno origine a
immunodeficienza (la via alternativa è sufficiente a garantire comunque la
difesa), ma danno origine a malattie mediate da immunocomplessi che
assomigliano al lupus. Probabilmente è dovuto al fatto che la via classica del
complemento è coinvolta nell’eliminazione degli immunocomplessi che si
formano costantemente durante la risposta umorale;

- ​Il deficit a carico delle proteine regolatrici del complemento determina


un’eccessiva attivazione del complemento e non un’immunodeficienza.

Immunodeficienze acquisite (secondarie)


I deficit del sistema immunitario spesso si sviluppano a causa delle anomalie che non
sono genetiche bensì acquisite durante la vita. Le cause più frequenti delle
immunodeficienze secondarie nei Paesi sviluppati sono i tumori che coinvolgono i
precursori midollari e alcune terapie. Il trattamento dei tumori con farmaci
chemioterapici o radioterapia danneggia le cellule proliferanti inclusi i precursori
midollari e i linfociti maturi dando luogo a immunodeficienze. Gli interventi
terapeutici per prevenire il rigetto di organi trapiantati e controllare malattie
infiammatorie mirano specificamente a sopprimere la risposta immunitaria, con
conseguenti complicanze legate all’immunodeficienza. La malnutrizione
proteico-calorica porta al deficit di quasi tutte le componenti del sistema
immunitario ed è causa diffusa di immunodeficienza nei paesi in via di sviluppo.

Sindrome da immunodeficienza acquisita


L’AIDS è causata da infezione da HIV. Riconosciuta negli anni Ottanta del secolo
scorso, è rapidamente diventata una della malattie più devastanti della storia
dell’umanità. Ha prodotto 42 milioni di morti, 3 milioni ogni anno. Diffusa per il 70%
in Africa e per il 20% in Asia. La maggior parte dei casi di AIDS è causata da HIV-1 ma
anche HIV-2, un virus correlato, può essere responsabile dell’infezione.

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Virus dell’immunodeficienza umana
L’HIV è un retrovirus che infetta le cellule del sistema immunitario, soprattutto i
linfociti T CD4+, e causa la progressiva distruzione di queste cellule.
Il virione di HIV consiste in due eliche di RNA all’interno di un nucleo proteico
(core), circondato da un involucro lipidico (envelope) derivato dalla cellula ospite e
contente proteine virali.
Il ciclo vitale di HIV consiste nelle seguenti fasi sequenziali:
- infezione della cellula bersaglio;
- produzione del DNA virale e sua integrazione nel genoma dell’ospite;
- espressione dei geni virali e produzione delle particelle virali.
L’infezione da HIV è mediata dalla principale glicoproteina dell’envelope,
denominata “​gp120​”, che si lega al CD4 e ai recettori per chemochine (CXCR4 e
CCR5 espressi, rispettivamente, dai linfociti T e dai macrofaci). Pertanto il virus può
infettare efficientemente solo le cellule che esprimono questi recettori.
Le principali cellule bersaglio di HIV sono i linfociti T CD4+, i macrofagi e le cellule
dendritiche.
Dopo il legame ai recettori cellulari, la membrana virale si fonde con quella della
cellula ospite e il virus penetra nel citoplasma della cellula. Qui il virus è denudato da
una proteasi virale e il suo RNA viene rilasciato. La trascrittasi inversa virale
sintetizza una copia di DNA usando l’RNA virale come stampo e il DNA virale si
integra nel DNA della cellula ospite mediante l’azione dell’enzima ​integrasi.​ Il DNA
virale così integrato è chiamato “​provirus​”. Quando i linfociti T, i macrofagi o le
cellule dendritiche infettati da HIV vengono attivati da stimoli esterni, quali altri
microbi infettivi, la cellula risponde attivando la trascrizione di numerosi geni, inclusi
quelli di alcune citochine. Questa normale risposta protettiva può però riattivare il
provirus, stimolando la produzione di RNA e proteine virali. Questo consente
l’assemblaggio del core virale in corrispondenza della membrana cellulare,
l’acquisizione di un envelope lipidico dall’ospite e la gemmazione del virione pronto
a infettare un’altra cellula. È possibile che il pro virus dell’HIV integrato resti latente

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all’interno delle cellule infette per mesi o anni, celato al sistema immunitario e alle
terapie antivirali.

Patogenesi dell’AIDS
L’HIV causa una’infezione latente nelle cellule del sistema immunitario che può
essere riattivata per produrre nuovi virioni infettivi. La produzione del virus conduce
alla morte delle cellule infette, nonché dei linfociti non infetti, con conseguente
immunodeficienza e sviluppo di AIDS conclamato.
Dopo l’infezione (trasmissibile con rapporti sessuali, aghi, trasfusioni, via
transplacentare ecc..) ci può essere un’acuta viremia transitoria, durante la quale il
virus è individuabile nel sangue, che può determinare nell’ospite una risposta simile
a quella evocata da una qualsiasi lieve infezione virale. Il virus infetta i linfociti T
CD4+, le cellule dendritiche, e i macrofagi localizzati nei siti d’ingresso agli epiteli,
negli organi linfoidi, e in circolo. L’ingresso del virus nei siti mucosali è associato a
una massiva morte dei linfociti T infettati. Poiché in questi tessuti risiede una gran
quantità di linfociti, in particolar modo linfociti T della memoria, questa infezione
iniziale può causare localmente un significativo deficit funzionale, che però non si
riflette a livello sistemico in termini di alterazioni del numero di linfociti T circolanti.
Le cellule dendritiche possono catturare HIV quando penetra attraverso gli epiteli e
trasportarlo agli organi linfoidi secondari, dove può infettare i linfociti T. Nel corso
dell’infezione da HIV, la principale fonte di particelle virali infettive è rappresentata
dai linfociti T CD4+ attivati, mentre le cellule dendritiche e i macrofagi
rappresentano i serbatoi di infezione.
La deplezione dei linfociti T CD4+ a seguito dell’infezione da HIV è dovuta a un
effetto citopatico del virus, dovuto alla produzione delle particelle virali e alla morte
delle cellule infette.
La perdita dei linfociti T durante la progressione della malattia verso l’AIDS è
comunque molto superiore al numero di cellule infette. Il meccanismo con cui si
attua questa perdita delle cellule T resta poco definito. Una possibilità è che
l’attivazione cronica dei linfociti T, anche a causa delle infezioni comuni di questi
pazienti, vadano incontro ad apoptosi attraverso il processo denominato “morte
cellulare indotta dall’attivazione”.

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Oltre ai linfociti T possono morire anche altre cellule infette, come cellule
dendritiche e i macrofagi, ciò determina la distruzione dell’architettura degli organi
linfoidi.

Caratteristiche cliniche dell’infezione da HIV e dell’AIDS


Il decorso clinico dell’infezione da HIV è caratterizzato da diverse fasi, che culminano
nell’immunodeficienza.
Subito dopo l’infezione da HIV, i pazienti possono provare una sindrome
parainfluenzale acuta con febbre e malessere, correlata alla viremia iniziale. Questo
disturbo scompare nell’arco di pochi giorni e la malattia entra in un periodo di
latenza clinica, durante la quale si assiste alla perdita progressiva dei linfociti T CD4+
nei tessuti linfoidi, con distruzione della loro architettura. Infine il numero di cellule
T CD4+ nel sangue inizia a diminuire e quando il loro numero scende al di sotto di
200/​ ​(i valori normali sono di circa 1500/​ ​) i pazienti diventano suscettibili a infezioni
e vengono diagnosticati come affetti da “AIDS conclamato”.
Le manifestazioni cliniche e patologiche dell’AIDS conclamato sono principalmente il
risultato dell’aumentata suscettibilità alle infezioni e ad alcuni tipi di tumore, come
conseguenza del deficit immunitario. I pazienti spesso sono spesso soggetti a
infezioni opportunistiche da parte di patogeni fungini (come ​Pneumocystis jiroveci​),
virali o batterici. I pazienti affetti da AIDS mostrano risposte antivirali deficitarie
nella componente dei linfociti T citotossici (CTL) anche se HIV non infetta i linfociti T
CD8. Si ritiene che le risposte dei CTL siano deficitarie perché i linfociti T CD4
(principale bersaglio di HIV) sono necessari per organizzare un’efficace risposta dei
CD8+ contro antigeni virali. I pazienti affetti da HIV divengono inoltre suscettibili ai
tumori causati dai virus oncogeni come i linfomi a cellule B (indotti dal virus di
Epstein-Barr) e il sarcoma di Kaposi (un tumore vascolare causato da un herpes
virus). I pazienti in fasi avanzate di AIDS spesso soffrono di una sindrome da
deperimento con una significativa perdita di massa corporea dovuta all’alterazione
del metabolismo. Alcuni pazienti sviluppano demenza, probabilmente causata
dall’infezione della microglia (i macrofagi del cervello). Il decorso clinico della
malattia è stato cambiato radicalmente dall’avvento della terapia antiretrovirale.
Con un trattamento appropriato, i pazienti mostrano una ridotta progressione della
malattia, un minor numero di infezioni opportunistiche e una ridotta incidenza di
tumori e di demenza.

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La risposta immunitaria al virus HIV è inefficace nel controllo della diffusione del
virus e dei suoi effetti patologici. Gli individui infetti da HIV producono anticorpi e
CTL contro gli antigeni virali. Anche se queste risposte contribuiscono a limitare la
sindrome precoce acuta da HIV, di solito non sono in grado di prevenire la
progressione cronica della malattia. Gli anticorpi diretti contro le glicoproteine
dell’envelope, come la gp120, spesso risultano inefficaci per via delle frequenti
mutazioni a cui vanno incontro questi antigeni per sfuggire alla risposta immunitaria.
I CTL sono spesso inefficaci nell’uccidere le cellule infette, poiché il virus inibisce
l’espressione delle molecole MHC di classe I. Paradossalmente la risposta
immunitaria può promuovere la diffusione dell’infezione: gli anticorpi che rivestono
le particelle virali possono legarsi ai recettori per Fc sulla superficie di macrofagi e
cellule dendritiche favorendo l’infezione virale anche di questi, mentre la lisi delle
cellule infette operata dai CTL può provocare la diffusione dell’infezione da parte dei
macrofagi coinvolti nella rimozione di cellule morte. Inoltre il virus è in grado di
ostacolare la propria eradicazione infettando e interferendo con la risposta
immunitaria.

Terapie e strategie vaccinali


Le attuali terapie per l’AIDS sono volte al controllo della replicazione dell’HIV e delle
complicanze infettive della malattia. Cocktail di farmaci che bloccano l’attività della
trascrittasi inversa, della proteasi e dell’integrasi virali sono somministrati con
successo nelle fasi precoci dell’infezione. Questo approccio terapeutico chiamato
“terapia antiretrovirale altamente attiva” (​HAART​) oppure “terapia antiretrovirale
combinata” (cART) è comunque molto costoso e la sua efficacia a lungo termine non
è nota. Il virus è soggetto a mutazioni che lo possono rendere resistente ai farmaci,
che comunque non riescono ad eradicare il virus dai serbatoi di infezione latente. Il
controllo della diffusione dell’HIV su scala globale richiederà lo sviluppo di vaccini
efficaci. Alcuni tentativi sono stati condotti utilizzando come immunogeno gp120
ma, data l’elevata frequenza di mutazioni di questo antigene, sono risultati
infruttuosi.

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