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(SEDE DI TERNI)

MALATTIE DEL
SISTEMA
IMMUNITARIO
Maddalena Fioravanti ANNO 2019/2020
Maria Marigliano
Martina Negro.

Revisione
Maddalena Fioravanti

Materiale realizzato in base a quanto svolto a lezione dal nuovo docente Antonio Pierini con integrazione
nella prima parte dal materiale del 2015/2016 (a cura di Marco Giuranna, Maria Giulia Lombardini, Federico
Valletta, Roberta Colucci, Emanuele Camagna, Giacomo Carpinelli, Giordano Polisini, Ambrogio Cerri, Alessia
Rocchetti e Giuseppe Di Matteo) [Grazie amici!]
1
Anche se il professore non ha ricapitolato argomenti di immunologia a lezione, noi nel momento in
cui ci siamo trovate a preparare l’esame abbiamo trovato utile rivederli dalle precedenti dispense
utilizzate, per questo ve le riportiamo fedelmente nelle prossime pagine.

ORGANIZZAZIONE DEL SISTEMA IMMUNITARIO

Il numero dei leucociti nel sangue circolante è compreso tra 4.000 e 8.000 per mm3. Sulla base delle
caratteristiche morfo-funzionali e a seconda della presenza di granulazioni citoplasmatiche visibili al
microscopio ottico, i globuli bianchi sono divisibili in due grandi categorie:
- Granulociti, che in base alle affinità tintoriali (dei coloranti basici o acidi) sono a loro volta distinti in
granulociti neutrofili, basofili ed eosinofili
- Agranulociti, rappresentati da monociti e linfociti

I vari tipi di leucociti sono rappresentati in percentuali relativamente costanti che vengono riportate nella
cosiddetta formula leucocitaria:

Neutrofili 50-70%
Linfociti 20-30%
Monociti 3-8%
Eosinofili 2-3%
Basofili 0,1-1%

Le tre popolazioni principali della formula leucocitaria sono rappresentate dai granulociti che costituiscono
il 60-70% delle cellule bianche del sangue (quasi interamente neutrofili). L’aumento percentuale di un
particolare tipo leucocitario può essere conseguenza di un reale aumento numerico di tale tipo cellulare, in
tal caso si parlerà di neutrofilia assoluta, linfocitosi assoluta, ecc., oppure può essere relativo per
contemporanea riduzione di altra categoria di leucociti; in tal caso si parlerà di neutrofilia relativa,
eosinofilia relativa ecc. Es. In un emocromo possiamo trovare un numero di globuli bianchi normale (es.
5.000 per mm3), con 30% di neutrofili e 50% di linfociti. Siamo di fronte ad una neutropenia, cioè riduzione
del numero assoluto dei neutrofili. In questo caso c’è una linfocitosi relativa ma il numero assoluto dei
linfociti è normale, a differenza di quello dei neutrofili che è più basso1. Ancora, un soggetto, in
determinate condizioni, può presentare una formula leucocitaria non alterata ma un numero di globuli
bianchi elevato (es. 40.000 per mm3). [Pz con ipereosinofilia hanno o una reazione allergica o una
parassitosi o una malattia ematologica sottostante (come una neoplasia).]

I linfociti (linfociti B, T e NK) sono la popolazione che studieremo più approfonditamente in quanto è quella
implicata nelle patologie del sistema immunitario. Tipizzazione linfocitaria o sottopopolazione linfocitaria
da sangue periferico si fa uno studio che utilizza anticorpi monoclonali e la lettura al citofluorimetro.

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Il sistema immunitario coinvolge più organi, ovvero gli organi linfoidi primari e secondari, uniti tra loro da
tessuto di connessione liquidi (sangue e linfa).
1. Organi linfoidi primari (chiamati anche centrali o generativi): sono rappresentati dal midollo osseo e dal
timo. Sono quei tessuti in cui avviene lo sviluppo e la maturazione delle cellule del sistema immunitario e,
nel midollo osseo, anche delle cellule del sangue. Negli organi linfoidi primari non circolano gli antigeni
estranei.
2. Organi linfoidi secondari: sono gli organi in cui avvengono le risposte immunitarie specifiche, perché in
essi i linfociti maturi, già immunologicamente competenti, incontrano l’antigene estraneo. Essi sono i
linfonodi, la milza e il tessuto linfoide associato alle mucose. Il tessuto linfoide associato alle mucose più
conosciuto è rappresentato dalle placche del Peyer a livello dell’intestino tenue.

IMMUNITÀ INNATA E IMMUNITÀ SPECIFICA

Immunità innata
L’immunità innata rappresenta la prima linea di difesa verso le infezioni ed è detta naturale o nativa perché
si basa su meccanismi già presenti all’interno dell’ospite. Alcuni di questi sono sempre operativi, altri si
attivano molto velocemente, nel giro di poche ore dall’ingresso del patogeno. Il suo ruolo è quello di
contenere l’infezione. I componenti dell’immunità innata sono:
1. Le barriere fisiche: cute, mucose (integre) degli apparati respiratorio, gastroenterico e urogenitale, e
sangue. Una volta che i patogeni oltrepassano queste barriere epiteliali e penetrano nel tessuto trovano
una serie di componenti dell’immunità innata, sia cellulari sia solubili, che cercano di contenere l’infezione
(la Loredana aggiunge peli, ciglia, muco, pH, che ovviamente sono tutti fattori correlati con le barriere
epiteliali)
2. I componenti cellulari: sono principalmente fagociti e cellule NK. Le cellule fagocitiche sono
rappresentate da fagociti mononucleati, ovvero cellule della linea monocito-macrofagica, e fagociti
polimorfonucleati, ovvero granulociti neutrofili. Le cellule NK (sono il 5-10% dei linfociti), appartenenti alla
popolazione linfocitaria, hanno attività citotossica naturale e la loro funzione è quella di uccidere cellule self
infettate dai virus o danneggiate (sono fondamentali nella protezione antitumorale e antinfettiva)
3. I componenti solubili: rappresentate dal sistema del complemento e dalle citochine. Il sistema del
complemento è costituito da proteine che si trovano sia nel plasma che fluidi interstiziali e ci difende da
quei patogeni che si ritrovano in fase extracellulare. Le citochine sono glicoproteine a basso peso
molecolare prodotte da diverse cellule del sistema immunitario dopo il contatto con l’antigene che
agiscono sia con meccanismo autocrino, che paracrino ed endocrino. Esse mediano tutte le fasi del
processo infiammatorio.

La vera differenza tra i due tipi di immunità consiste nel meccanismo di riconoscimento del patogeno. Le
cellule dell’immunità innata presentano dei recettori capaci di riconoscere costituenti microbici, come ad
esempio il mannosio o il lipopolisaccaride, che sono condivisi da un’intera classe di patogeni. Le cellule
dell’immunità specifica, invece, riconoscono antigeni specifici di un solo agente patogeno. Le cellule
dell’immunità innata che per prime incontrano il patogeno sono solitamente macrofagi che, in risposta, si
attivano fagocitando il microbo e secernendo citochine proinfiammatorie che inducono vasodilatazione,
aumento della permeabilità vascolare e il reclutamento di altre cellule fagocitiche circolanti (granulociti
neutrofili in un primo momento, poi monociti). Questa risposta infiammatoria locale cerca di contenere
l’infezione in attesa della risposta specifica. L’immunità innata non riesce a eradicare un’infezione perché
spesso i patogeni hanno sviluppato delle tecniche per eludere i meccanismi dell’immunità innata.

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Immunità specifica
La risposta specifica si attiva circa 10 – 15 giorni dopo quella innata ma è più efficace, specifica e di solito è
quella che riesce ad eradicare l’infezione. È anche detta adattativa perché si adatta ai diversi tipi di
patogeni. L’immunità acquisita si serve di due classi di linfociti:
1. Linfociti B (B sta per Borsa di Fabrizio) (5-10% dei linfociti) vengono prodotti nel midollo e poi migrano
attraverso il sangue verso gli organi linfoidi secondari. Mediano un’immunità specifica detta umorale
perché il linfocita B, dopo che ha riconosciuto in maniera specifica il patogeno, si differenzia in
plasmacellula secernente anticorpi circolanti che sono diretti verso lo stesso patogeno che ha innescato la
risposta. L’immunità umorale è basata quindi sulla produzione di anticorpi, rappresenta il principale
meccanismo di difesa verso i batteri in fase extracellulare 2. Linfociti T (sono il 60-70% dei linfociti)
mediano un’immunità specifica detta cellulare o cellulo- mediata. I linfociti T combattono i patogeni
localizzati all’interno delle cellule e sono importanti nella risposta ai tumori e nel rigetto dei trapianti

LINFOPOIESI

Tutto il processo dell’emopoiesi ha sede nel midollo osseo. Il midollo osseo si trova all’interno della cavità
delle ossa piatte (bacino [prelievo da spina iliaca posteriore superiore in anestesia totale] e sterno - sedi
preferenziali per la biopsia ossea aspirata – coste, scapole, ossa della volta cranica) e in minor misura nelle
ossa corte (vertebre) e in quelle lunghe. Con l’invecchiamento va in regressione adiposa persistendo per lo
più nelle ossa piatte. Nel feto l’emopoiesi avviene prima nel sacco vitellino, poi nel fegato e poi nel midollo.
In alcune patologie gli organi linfoidi secondari acquistano la capacità linfopoietica. Il midollo osseo è
costituito principalmente da tessuto connettivo (collagene, reticolino) interposto tra le numerose trabecole
dell’osso spugnoso, in cui ci sono i vari precursori emopoietici e cellule stromali, perlopiù fibroblasti, che
contribuiscono a sostenere l’impalcatura del midollo osseo. C’è poi una fitta rete di vasi sinusoidali.
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[Un pz con una neoplasia ematologica la cui cellula tumorale è per lo più nel midollo (es. mieloma o una
leucemia acuta linfoblastica) prova dolore lancinante perché l’osso pulsa e si rompe.]

In una sezione trasversale del midollo osseo, è possibile notare che esso è formato da:
- Un compartimento emopoietico: ha tutti i vari precursori che si stanno differenziando e che tendono a
localizzarsi in precise regioni. Nel compartimento emopoietico, oltre ai vari precursori emopoietici, ci sono:
- cellule avventiziali, cellule stromali che producono fattori solubili appartenenti ad una famiglia di citochine
fondamentali per l’indirizzamento dello sviluppo dei precursori verso le varie linee differenziative. Questa
famiglia di citochine comprende i fattori stimolanti la crescita delle colonie (abbreviati con la sigla CSF da
colony stimulating factor).
- macrofagi
- fibroblasti e adipociti: contribuiscono a costruire tutta l’impalcatura del midollo osseo; in più gli adipociti
svolgono probabilmente una funzione energetica

- Un compartimento vascolare: è formato da una fitta rete di vasi che convergono tutti in una vena
centrale che fuoriesce dal midollo e si riversa nel circolo sanguigno.

L’emopoiesi è un processo che serve per rimpiazzare le cellule del sangue che vengono continuamente
perse o perché invecchiano (i neutrofili circolanti hanno un’emivita di poche ore, dopodiché vanno in
apoptosi a meno che non vengano reclutati nei tessuti durante le risposte infiammatorie locali, le piastrine
hanno un’emivita di 10 giorni, i globuli rossi sopravvivono per 4 mesi (120gg), i linfociti T (soprattutto della
memoria) hanno un’emivita più lunga: tendono a sopravvivere più di 30 anni) o perché si consumano ad
esempio durante una reazione immunitaria. Per questo l’emopoiesi è regolata in maniera duplice da fattori
di crescita forniti da cellule stromali avventiziali e da citochine prodotte da linfociti e macrofagi che
segnalano ai precursori presenti nel midollo la necessità di produrre quel determinato tipo di cellula
(emopoiesi inducibile).

Il processo dell’emopoiesi parte dalla cellula staminale emopoietica pluripotente, ossia una cellula che ha
la capacità di differenziarsi in tutti i tipi di cellule presenti nel sangue. Da questa cellula staminale
pluripotente si originano due progenitori: linfoide e mieloide.
Dal progenitore linfoide originano i linfociti B, i linfociti T e le cellule NK. I natural killer sono cellule
fondamentali nella protezione antitumorale e antinfettiva. Nella totalità dei linfociti, i linfociti T sono
presenti in una misura che va dal 60 al 70%, gli NK costituiscono il 5-10% e così come i linfociti B. Lo studio
di queste sottopopolazioni si fa con un esame chiamato tipizzazione linfocitaria o sottopopolazione
linfocitaria da sangue periferico che utilizza anticorpi monoclonali e la lettura al citofluorimetro).
Dal progenitore mieloide derivano:
- Le cellule della linea eritrocitaria (eritrociti);
- Le cellule della linea megacariocitica (piastrine);
- Le cellule della linea monocito-macrofagica (monociti e macrofagi);
- Le cellule della linea granulocitaria (neutrofili, eosinofili e basofili); - I mastociti

Le cellule staminali ematopoietiche sono cellule staminali committed, ossia già indirizzate verso una
determinata via differenziativa (in base al loro programma genetico), così come le cellule staminali presenti
in tutti i tessuti. Le cellule staminali totipotenti sono solamente quelle embrionali, le quali hanno la capacità
di dare origine a tutti i tessuti ma che, una volta migrate, diventano cellule germinative che possono dare
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vita solamente a cellule appartenenti a quel tessuto. In laboratorio è possibile ottenere cellule staminali
totipotenti attraverso un processo di sdifferenziazione ottenuto mediante l’impiego di citochine e altri
fattori.

Il midollo, come tutti i tessuti, contiene cellule staminali committed, linfo-emopoietiche, che danno origine
alla filiera linfoide ed ematica, chiamate emocitoblasti. Esse si differenzieranno nelle cellule della linea
mieloide (=globuli bianchi granulocitari e monociti) e linfoide (=linfociti B, T e NK). Il megacarioblasto dà
origine alle piastrine, mentre l’eritroblasto dà origine agli eritrociti. Le piastrine sono frammenti
citoplasmatici di una cellula che è il megacariocito, polinucleata, molto grande. I globuli rossi sono cellule
biconcave anucleate, fatte da membrana, citoplasma ed emoglobina. I reticolociti sono i precursori dei
globuli rossi, più grandi, nucleati. In uno stato anemico, se c’è reticolocitosi significa che c’è une perdita di
globuli rossi (emolisi, emorragia).

Le cellule del sangue, derivanti dal processo di emopoiesi, occupano il 40-50 % del volume sanguigno. Nel
plasma ci sono proteine che si possono separare attraverso elettroforesi, in base a carica e peso
molecolare. - Albumine (55% delle proteine del sangue)
- Alfa 1
- Alfa 2
- Beta 1
- Beta 2
- Gamma (=anticorpi)
Il 50 % dei pazienti ematologici si presenta con ipo- o ipergammaglobulinemia. Spesso
l’ipergammaglobulinemia è monoclonale (mieloma multiplo). In caso d’immunodeficienze si riscontra
spesso ipogammaglobulinemia. Il primo movesse in caso di deficit immunitario sarà o emocromo con
alterazione della formula leucocitaria o un’alterazione dell’elettroforesi proteica con
ipogammaglobulinemia.

I linfociti B completano la loro maturazione nel midollo osseo (così come i linfociti NK), mentre i linfociti T
completano la loro maturazione nel timo (una cellula T-committed ancora staminale migra dal midollo
osseo al timo e qui finisce la sua maturazione). I B che si producono nel midollo entrano in circolo e
raggiungono gli organi linfoidi secondari. Nel processo di maturazione diventano cellule competenti con un
recettore specifico (switch isotipico/di classe/riarrangiamento del BCR) che si chiama BCR (B cell receptor) il
quale non è altro che un’immunoglobulina di superficie la cui componente variabile riconosce in modo
specifico l’antigene non self presente nel patogeno che entra nell’organismo. Esistono quindi miliardi di
linfociti B ognuno dei quali riconosce uno specifico antigene. [Scambio di classe e riarrangiamento del BCR
da rivedere.] Quelli che entrano in circolo sono linfociti B naïve, che non hanno ancora incontrato
l’antigene. L’incontro avviene a livello degli organi linfoidi secondari che sono linfonodi, milza, placche di
Peyer, MALT (=mucose-associated lymphoid tissue). L’antigene viene presentato da cellule APC (=antigen
presenting cells), per lo più cellule dendritiche, ma anche gli stessi linfociti B possono presentare l’antigene
in quanto coi loro anticorpi di superficie opsonizzano e fagocitano l’antigene, lo processano e lo
riespongono in superficie in associazione con molecole MHC. Le cellule dendritiche sono principalmente
nella cute (cellule del Langerhans): prendono l’antigene, migrano attraverso il circolo linfatico e lo portano
in siti di presentazione antigenica, soprattutto milza e linfonodi.
Marcatori (di superficie) dei linfociti B sono BCR (=IgM di superficie), CD19, CD20, CD22, CD23.
I linfociti concludono la loro maturazione all’interno del midollo osseo. Pro-B: riarrangia le catene μ
intracitoplasmatiche e le esprime in superficie come IgM. Riarrangiamento del BCR nel midollo. La cellula
che esce fuori va incontro allo Switch di classe con espressione di catene invece che sono IgA, IgD, IgE o IgG,
fino a dare origine alle cellule B mature che esprimono o IgA, o le IgG, o le IgM o le IgE. In realtà IgD e IgE

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non si conoscono tanto, come ruolo, se non le IgE come immunoglobuline di degranulazione.
Mediano il rilascio d’istamina contenuta in eosinofili, basofili e mastociti che presentano in superficie l’Fc
receptor per le IgE. Quando poi incontrano l’antigene si differenziano in B plasmacellule che producono una
grande quantità di anticorpi quando serve, cioè in condizioni fisiologiche, o quando non serve, in condizioni
patologiche come proliferazione che dà una gammopatia monoclonale. Es. infezione EBV in un bambino
(l’EBV dà mononucleosi), trasmissione per aerosol. Entra attraverso le mucose. Il primo sito d’incontro è
rappresentato dalle tonsille (anello di Waldeyer: tonsille faringee, palatine, linguali e tubariche della
rinofaringe). Qui l’antigene viene captato, processato e presentato ai linfociti B e T naive che si trovano
all’interno di queste strutture, le tonsille. I linfociti B che riconoscono l’antigene con il loro BCR, che
inizialmente sono in numero bassissimo, si attivano e diventano sempre più specifici per quell’antigene
attraverso mutazioni somatiche della catena variabile delle immunoglobuline. Quindi proliferano e iniziano
a produrre IgM (risposta primaria). Nell’infezione acuta si ricercano IgM anti-EBV. Le IgM in circolo
permangono per circa 120 giorni. Queste IgM opsonizzano il virus che viene fagocitato dai macrofagi e lo
processano e lo riespongono. I linfociti B intanto sono adiuvati dai linfociti T CD4 e CD8, chiaramente quelli
che hanno un TCR specifico per lo stesso antigene. Chiaramente associati al virus ci saranno diversi antigeni
quindi la risposta sarà mediata da tanti cloni che riconoscono diverse porzioni dello stesso virus (risposta
policlonale), che sono gli antigeni del virus presentati dalle cellule APC. I CD4 sono il fulcro della situazione
perché sono cellule che, attivate, proliferano e producono tutta una serie di citochine che serve per
coadiuvare il linfocita B e i linfociti T citotossici, ossia i CD8+ che riconoscono quell’antigene e che su
segnale citochinico si attivano e lisano la cellula infettata dal virus, la quale espone gli antigeni associati al
virus.

I linfociti T helper CD4+ riconoscono solo MHC di classe II, mentre i linfociti CD8+ solo le MHC di classe I e
solo con il legame al complesso peptide-MHC (e non solo peptide) essi possono innescare la risposta
immunitaria. Le due classi di molecole MHC sono espresse in modo differente dalle cellule dell'organismo:
• classe I: su quasi tutte le cellule nucleate, la sua presenza o meno è uno dei metodi per stabilire se una
cellula è self o meno
• classe II: sulle cellule che presentano l'antigene quindi cellule dendritiche, macrofagi e linfociti B (APC).
L'espressione cambia anche durante la risposta immunitaria. Svariate citochine come IFN-α, IFN-β e IFN-γ
inducono l'aumento di MHC di classe I in risposta ad agenti virali. IFN-γ è anche responsabile dell'aumento
di MHC di classe II sui macrofagi. L'aumento di espressione di MHC-II può venire anche da stimoli di
recettori specializzati per legare antigeni (Toll-Like Receptor e anticorpi per i linfociti B).

Quindi i linfociti CD4, che riconoscono le MHC di classe II, sono i primi ad essere reclutati dalle APC e
iniziano a produrre le citochine che vanno ad attivare i linfociti B che hanno già riconosciuto l’antigene e i
CD8 che hanno anch’essi incontrato l’antigene. L’antigene riconosciuto dai CD8 è presentato dalle cellule
infettate le quali l’hanno metabolizzato e ripresentato in superficie insieme alle MHC di classe I presente in
tutte le cellule dell’organismo. Il danno alle cellule dell’ospite infettate dal virus è spesso causato dalla
risposta immunitaria citotossica. (si hanno sintomi come la febbre causata dalla produzione del pirogeno
endogeno, ossia l’IL-1)
I linfociti abbiamo detto che si dividono in T, B ed NK. All’interno dei linfociti T CD3+ (CD, cluster of
differentation) distinguiamo il gruppo dei CD4+ (70%) e il gruppo dei CD8+ (30%).

Le molecole di superficie s’identificano con un esame, la citofluorometria, che utilizza anticorpi monoclonali
e fluoroscopio. Apposite macchine che categorizzano queste cellule dopo una marcatura attraverso
anticorpi monoclonali diretti contro queste molecole di superficie specifiche di ogni tipo cellulare. Come si
ottengono questi anticorpi? Stesso principio dei vaccini in cui s’introduce un antigene non patogeno per
indurre risposta anticorpale. Se inoculo un mio linfocita T umano in un topo questo si immunizzerà verso
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questa cellula, producendo anticorpi contro le sue molecole di superficie (anticorpi anti-CD4 umani mouse
prodotti). Poi estraggo l’anticorpo e lo marco con un fluorocromo.

I linfociti CD4+, una volta incontrato l’antigene, si possono differenziare in linfociti TH1, TH2, TH17 e T
regolatori. Questa è una classificazione funzionale basata sul pattern di citochine prodotte, che in realtà
non rispecchia una differenza così marcata a livello cellulare in quanto un TH1 può fare il TH2, un T
regolatore può diventare Th1 e così via. TH1 sono più linfociti effettori, di riconoscimento e di risposta, in
corso di classiche risposte immunitarie, producono IL1 e IFNγ. TH2 producono IL10 e sono protagoniste
della risposta a parassiti e delle ipersensibilità immediate. TH 17 producono IL17 che promuove il processo
infiammatorio. I T-regolatori regolano le risposte immunitarie quando sono eccessive e rappresentano un
po’ un check-out, un meccanismo di controllo periferico quando linfociti troppo affini che fuoriescono dal
timo potrebbero riconoscere antigeni self e dare malattie autoimmuni. Si utilizzano tantissimo anche in
immunologia, nel trapianto. La tipica interleuchina dei T regolatori è l’IL10.

Marcatori dei linfociti T sono TCR (=T cell receptor espresso in superficie), CD3, CD5, CD4 e CD8 (cellule T
CD3 singole positive o per CD4 o per CD8).

I linfociti T maturano nel timo, cui giunge il precursore linfoide. Il timo si trova nel mediastino superiore,
appoggiato sopra cuore e grossi vasi. Rivestito da una capsula fibrosa, è costituito da due lobi con tessuto
che viene definito corticale e midollare. Nei bambini è molto più grande, occupa gran parte della superficie
cardiaca ed è visibile all’RX toracica (ombra timica). Spesso viene rimosso nei bambini che devono essere
sottoposti ad interventi di cardiochirurgia neonatale, ma questo non crea immunodeficienza. Nell’adulto
regredisce fino a quasi scomparire del tutto, rimane una piccola porzione tissutale che continua a svolgere
le stesse funzioni. Le cellule T che escono dal timo vengono chiamate naive, hanno marcatori di superficie
specifici e vengono riscontrati in periferia. La presenza dei T naive in circolo indica che la timopoiesi è
ancora attiva nell’adulto, anche se non si è in grado di individuare il timo.

Maturazione dei linfociti T


Nel timo avviene il meccanismo di incontro, riconoscimento del self, distinzione tra self e non self tramite
due meccanismi di selezione, una positiva ed una negativa. Il linfocita che entra è all’inizio triplo negativo,
esprimono sia il TCR che il CD3 in sede intracitoplasmatica. Arrivano nella midollare e iniziano ad esprimere
in superficie il CD3 e il TCR αβ [Esistono linfociti CD3+ ma CD4 e CD8 negativi che sono linfociti che hanno
TCRγδ e rappresentano il 3-4% della popolazione linfocitica. Si comportano un po’ come gli NK, ossia non
hanno un riarrangiamento specifico del TCR, ma ha poche catene il TCR, non ha una componente variabile e
quindi appartengono un po’ al sistema innato di risposta all’antigene, come le NK]. Questa cellula diventa
doppio positiva, in quanto esprime sia CD4 che CD8 (non è stato ancora deciso se diventeranno CD4 o CD8).
L’80% dei linfociti T presenti nel timo sono doppio positivi. Gran parte di questi va in apoptosi perché
vengono selezionati solo i linfociti che hanno moderata affinità per le MHC di classe I e classe II presentate
dalle cellule epiteliali timiche e dalle cellule dendritiche timiche. Non devono però essere selezionati i
linfociti T potenzialmente autoreattivi. Il gene AIRE fa esprimere alle cellule epiteliali timiche tutte le nostre
molecole di superficie in modo che i linfociti imparino a riconoscere tutte le molecole di superficie del
nostro corpo già all’interno del timo. Un deficit del gene AIRE si associa a immunodeficienza.
Proprio per questo meccanismo di selezione timica, i linfociti T possono riconoscere l’antigene solo se è
complessato con le molecole MHC. Di queste ne esistono due classi: - MHC di classe I, che vengono
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riconosciute dai linfociti T CD8+ e sono espresse da tutte le cellule del nostro corpo - MHC di classe II che
vengono riconosciute dai linfociti T CD4+ e sono espresse dalle cellule APC

Quindi, i linfociti T CD4+ sono i primi che vengono reclutati dalle cellule professionali che presentano
l’antigene in associazione alle MHC di classe II. I CD4 producono citochine che vanno ad attivare i linfociti B
che hanno già riconosciuto l’antigene e CD8 che hanno già incontrato l’antigene presentato da tutte le
cellule infettate dal virus, le quali lo metabolizzano e ne espongono gli antigeni in superficie associati a
molecole MHC di classe I, presenti in tutte le cellule dell’organismo. I linfociti T CD8+ si differenziano in
linfociti T citotossici uccidendo le cellule infettate. Questo ovviamente crea un danno durante l’infezione
virale giustificato dal fine di limitare l’infezione. Si ha febbre (rilascio di IL-1, principale pirogeno endogeno
che innalza la temperatura in corso di fenomeni infettivi o infiammatori; primo meccanismo di difesa
perché il patogeno tende a non sopravvivere ad alte temperature). Quindi, prima risposta IgM, poi man
mano che il patogeno viene contrastato queste cellule tendono ad autolimitarsi e restano cellule B mature
della memoria che ovviamente avendo fatto riarrangiamento più specifico restano quiescenti ma sono
molto più pronte a rispondere a quell’antigene quando lo incontrano per una seconda volta con una
risposta non più di tipo IgM ma di tipo IgG. Una piccola quantità di anticorpi diretti contro quell’antigene
spesso continua ad essere prodotta e per questo si dosano le IgG per sapere se si è immuni contro un
determinato patogeno (es. esiti vaccinazione, ossia sapere se il vaccino funziona ancora). Le IgG sono indice
della presenza di cellule della memoria B e T che riconoscono quell’antigene e questo significa che si è
ancora protetti. Lo stesso principio di cellule committed (?) e cellule memory vale anche per i linfociti T,
dopo riconoscimento antigenico.

RISPOSTA ANTICORPALE
• Risposta T (timo)-dipendente: più specifica e tipica. Diretta verso antigeni proteici e necessita della
cooperazione tra linfociti B e T.
• Risposta T-indipendente: verso carboidrati e glicolipidi (sono molecole grossolane). Si attua attraverso la
produzione di anticorpi e complemento, senza la gran necessità di una risposta specifica.

Gli anticorpi sono proteine prodotte dai linfociti B e dalle plasmacellule e svolgono la loro azione lontano
dal loro sito di produzione (linfonodi), quindi a livello sistemico. L’esposizione ad un antigene porta
all’attivazione di plasmacellule a vita lunga che producono anticorpi per molti anni (risposta primaria) e alla
nascita di cellule di memoria che possono essere rapidamente riattivate in caso di seconda esposizione allo
stesso antigene (risposta secondaria). La porzione variabile dell’anticorpo (Fab), composta sia dalla catena
pesante che da quella leggera, media il riconoscimento e il legame con l’antigene. La porzione costante
delle catene pesanti dell’anticorpo (Fc), composta solo da una porzione delle due catene pesanti, media le
funzioni effettrici degli anticorpi, legandosi alla cellula effettrice. Ogni classe ha funzioni diverse. Lo switch
da una classe all’altra durante la maturazione della risposta è stimolato da citochine.

Esistono diverse classi anticorpali:


- IgG: sono anticorpi monomerici che costituiscono la maggior parte degli anticorpi presenti in circolo sono
IgG. Sono fondamentali per l’immunità passiva del feto in quanto possono passare attraverso la placenta e
per quella neonatale in quanto presenti nel latte materno. Sono in grado di opsonizzare l’agente e di
indurne la fagocitosi attraverso il frammento Fc, mentre con il frammento Fab possono indurre l’attivazione
del complemento o la ADCC (citotossicità anticorpo mediata: cellule come l’NK e i linfociti T CD8+ hanno il
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recettore per l’Fc e, una volta legato l’anticorpo opsonizzante, rilasciano enzimi come gramzimi e perforine
che provocano la lisi della cellula opsonizzata; anche i linfociti B hanno i recettore per il frammento Fc ma
credo che serva per internalizzare l’antigene e riesporlo per la presentazione con molecole MHC di classe II)
- IgM: recettore per antonomasia delle cellule B. Viene innescato dal primo riconoscimento ed è capace di
attivare il complemento una volta legato l’antigene. In circolo si trovano in forma pentamerica. Nel morbo
di Waldenstrom i linfociti producono tante IgM che sono responsabili dell’iperviscosità ematica. - IgA:
immunità delle mucose; sono trasmesse al neonato col latte materno. Per lo più dimeriche. - IgE: ADCC
mediata da eosinofili contro gli elminti: l’elminta viene opsonizzato dalle IgE e gli eosinofili che hanno il
recettore Fc per le IgE liberano molecole contro questi parassiti. Ipersensibilità immediata: produzione
d’istamina, prurito, orticaria - IgD: funzione non ben conosciuta

Il Sistema del Complemento


Il Sistema del Complemento è un po’ a metà tra la risposta innata e la risposta specifica. È costituito da una
serie di proteine plasmatiche con attività proteolitica normalmente inattive. In seguito ad attivazione, viene
smascherata l’attività proteolitica di alcune, fenomeno che causa una reazione a cascata che porta alla
produzione componenti finali del complemento si assemblano in un complesso di attacco alla superficie
delle cellule dove costituiscono un canale che ne provoca la morte per lisi osmotica. L’attivazione è
strettamente regolata e segue tre vie: - via classica, mediata da Ab - via alternativa, Ab-indipendente - via
lectinica. Queste tre vie convergono nel complesso della C3 convertasi. Inoltre, le componenti C3b e C4b
sono potenti opsonine. Altri componenti (C3a, C4a e C5a) hanno una funzione chemiotattica per cellule
infiammatorie (neutrofili).

RISPOSTA CELLULO MEDIATA


Il recettore per l’antigene dei linfociti T è costituito da:
• Il recettore propriamente detto (T Cell Receptor, TCR), è composto da una catena alfa e una catena beta,
ognuna con una parte costante e una variabile. I segmenti genici per la parte variabile vanno incontro a
riarrangiamento somatico similmente alla parte variabile degli anticorpi. La giustapposizione delle parti
variabili delle due catene alfa e beta crea il sito di legame per l’antigene. Ogni clone di T linfociti esprime
TCR con una sola specificità antigenica.
• Molecole accessorie per la trasduzione del segnale: CD3 e zeta (due eterodimeri di CD3 epsilon-gamma o
epsilon-delta e un omodimero zeta)
• Esterne al complesso TCR ma funzionalmente legate al riconoscimento dell’antigene sono le molecole
CD4 e CD8, importanti per il legame con le molecole MHC.

Le cellule T possono riconoscere l’antigene solo se presentato da cellule dette “antigen presenting cells”
(APC). Queste APC espongono l’antigene in associazione con molecole MHC: quello che viene riconosciuto
dai linfociti T, attraverso il TCR, è il complesso Antigene-MHC. I linfociti T riconoscono e rispondono verso:
• Complessi MHC self/antigeni non self
• MHC non self
• Non si ha normalmente risposta (tolleranza) verso complessi MHC self/ antigeni self I linfociti T CD4+
riconoscono (sono ristretti per) molecole MHC di classe II, mentre i linfociti T CD8+ riconoscono (sono
ristretti per) molecole MHC di classe I.
I T riconoscono gli antigeni in associazione alle APC tramite TCR di tipo αβ. Questo porta al riarrangiamento
monoclonale sempre più specifico che permette di sviluppare una maggiore affinità con l’antigene.
Miliardi di linfociti T pronti a rispondere a molecole estranee al nostro organismo. Si lega al CD3 che è l’altra
molecola coadiuvante nella specificità del legame con l’antigene e insieme si legano o al CD4 o al CD8, per
riconoscere molecole MHC di classe II o di classe I rispettivamente.

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La cellula dendritica è una cellula che presenta le MHC di classe II e dall’altro tante molecole coadiuvanti
perché non basta il riconoscimento antigene specifico ma serve anche un altro segnale. Quindi, segnale 1)
TCR-CD3 e riconoscimento delle molecole MHC complessate con l’antigene; segnale 2) molecole
costimolatorie attraverso tanti tipi di molecole. Ci sono inoltre dei recettori attivatori che inducono le
cellule APC a produrre citochine a loro volta in grado di attivare i linfociti B e i linfociti T.

Il macrofago ha in più dei recettori per l’Fc (fagocita l’antigene opsonizzato), per il complemento e recettori
innati che permettono di dare origine a fenomeno di risposta immediata. Le natural killer possiedono dei
granuli che possono essere liberati una volta che le cellule NK sono in prossimità della cellula alla quale si
legano con molecole di adesione e tendono ad ucciderla, a lisarla mediante molecole che si chiamano
perforine, le quali formano appunto dei pori nella membrana responsabili della lisi osmotica. Poi c’è l’Fc
receptor per l’ADCC.
Queste cellule (le NK) presentano recettori attivatori e recettori inibitori (KIR). Questi ultimi garantiscono
che non ci sia una reazione verso il self, ossia la cellula NK ha recettori specifici per gruppi allelici delle
molecole MHC di classe I. Ogni recettore riconosce degli amminoacidi che si conservano in alcuni alleli e
quindi riconoscono gruppi allelici delle molecole MHC di classe I (HLA è l’MHC dell’uomo; l’MHC ce l’ha
l’uomo). Quindi le NK (natural killer) sono potenti effettori di lisi, riconoscono tutto ciò con cui vengono in
contatto perché hanno tantissimi recettori di superficie attivatori, e riconoscono molecole di adesione su
tutte le cellule comprese le nostre. Non uccidono le cellule self in quanto hanno anche recettori KIR, che
sono simili alle immunoglobuline, e riconoscono gruppi di MHC di classe I. Il processo di maturazione si
svolge nel midollo, come per i linfociti B, e acquisiscono recettori grossolani (senza riarrangiamento) che
riconoscono gruppi antigenici dell’MHC. Ciascuna NK riconosce il proprio MHC e viene salvata quando lo
rileva con un meccanismo inibitorio. Quindi la cellula NK non effettuerà mai lisi delle cellule self, grazie alla
presenza di recettori che inibiscono la sua funzione, con il riconoscimento dell’MHC di classe I. Dire quindi
che le NK non sono MHC-resctricted non è corretto. Riconoscono infatti HLA, non in modo specifico e
antigenico, ma in modo grossolano per gruppi di alleli (sono 3 i recettori inibitori).

LOCUS HLA (HLA= Human Leukocyte Antigen)


L’HLA si trova sul cromosoma 6. La classe I è costituita dai loci HLA-A, HLA-B, HLA-C, la classe II da HLA-DP,
HLA-DQ e HLA-DR. Noi ereditiamo un aplotipo materno ed un aplotipo paterno, importante per la
compatibilità dei trapianti. Essere compatibili vuol dire avere lo stesso MHC. Esiste una probabilità su
quattro che il proprio fratello sia compatibile (ereditarietà mendeliana). Un donatore identico per un solo
aplotipo è semicompatibile. Sulle cellule esisteranno due tipi di molecole MHC, uno codificato dai geni
presenti nell’aplotipo materno e uno codificato dai geni presenti nell’aplotipo paterno. Es. ho sul locus C
Cw3 ereditato dalla madre e Cw4 ereditato dal padre ci saranno due recettori, uno per le MHC inibitorie
presenti sulle cellule NK. Il mio recettore riconoscerà la molecola dell’aplotipo materno e la molecola
dell’aplotipo paterno. La cellula NK riconoscerà la molecola dell’aplotipo materno o la molecola
dell’aplotipo paterno. In un trapianto da donatore semicompatibile (es sorella che ha ereditato Cw3 dalla
madre e Cw1 dal padre) ci saranno cellule NK che riconosceranno le molecole MHC codificate dall’aplotipo
in comune e cellule NK che invece non riconoscono le MHC codificate dall’aplotipo non in comune. Queste
ultime si definiscono cellule NK alloreattive e non vengono inibite dal legame del recettore KIR con l’MHC
non in comune ed uccideranno le cellule che ne sono in possesso. In un soggetto sano questo è nocivo ma
in un soggetto che viene trapiantato e che ha una leucemia residua dopo condizionamento queste cellule
vanno ad eliminare le cellule leucemiche residue.

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ESAME DEL SANGUE
Si chiama emocromo citometrico e va a valutare le caratteristiche principali delle cellule del sangue. Globuli
bianchi espressi in 103/μL (mm3), i globuli rossi in milioni per μL, emoglobina g/dl (v.n. 12-16, varia tra
uomo e donna; 12 per un uomo è un po’ basso). L’ematocrito è la percentuale del volume di sangue
occupata dalla componente corpuscolata.
MCV: volume cellulare medio (eritrociti)
MCH: contenuto medio emoglobina MCHCH: concentrazione media emoglobina cellulare Piastrine e
volume piastrinico medio. Formula leucocitaria Accanto ad ogni valore viene indicato il range di normalità
che in realtà varia un po’ da laboratorio a laboratorio in base al settaggio dei macchinari utilizzati. Il range di
normalità si valuta attraverso lo studio su un campione molto folto di popolazione normale e si prende il
valore minimo e il valore massimo. VES, velocità di eritrosedimentazione.

Biochimico:
glicemia (concentrazione di glucosio in mg/dl [sopra 110 iperglicemia e sotto i 60 ipoglicemia]), azotemia
(azoto non proteico quindi urea, amminoacidi, che aumenta in caso di insufficienza renale, dieta proteica,
disidratazione *in quest’ultima aumenta l’azotemia ma non la creatininemia, la quale si basa su peso, età e
sesso]), uricemia (catabolita delle basi puriniche [>5-7 mg/dL iperuricemia, che può dare calcolosi,
manifestazioni simil-gottose ma soprattutto insufficienza renale]), colesterolo, bilirubina (diretta [indice di
alterato funzionamento epatico+ ed indiretta *alterato metabolismo dell’Hb+), albumina, GOT e GPT, infine
gammaGt e fosfatasi alcalina (2 indici di colestasi perché sono prodotte dal fegato); per funzionalità renale
si vedono creatininemia, acido urico; per funzionalità epatica transaminasi, bilirubina, albumina, LDH
(isoenzima salivare, epatico, muscolare che essendo intracellulare può aumentare in corso di danno
epatico, cardiaco, proliferazione cellulare neoplastica).

Elettroliti
Sodio, cloro, magnesio, potassio, calcio. Indici per la funzionalità renale. Il potassio è un marcatore di
funzionalità renale. Può essere alterato in soggetti che fanno terapia diuretica e che hanno bisogno di
reintegrare questo catione. In caso d’insufficienza renale invece si riscontra iperpotassemia (trattamento
con insulina e glucosata). Il potassio è dannoso (sia alto che basso) per il pericolo di aritmie cardiache. Idem
per calcio e magnesio. Magnesio e potassio fondamentali per la conduzione cardiaca. Il calcio è
fondamentale per la contrazione muscolare: ipocalcemia può dare fenomeni tetanici. Elettroforesi.
Diagnostica proteica. Fa vedere quante sono e come sono distribuite le proteine del plasma. Si vede un
picco in zona gamma (indice di quantità aumentata), monoclonale (arco a tutto sesto non a sesto acuto),
indice di patologia probabilmente maligna (gammopatia monoclonale). Il picco infettivo non è mai
monoclonale, ma policlonale tranne nel caso di una mononucleosi infettiva in cui c’è una proliferazione B
quasi oligoclonale. Siamo di fronte ad un’ipergammaglobulinemia dovuta ad un solo clone. Per essere certi
della monoclonalità si fanno due esami: immunofissazione sierica e immunofissazione urinaria.
Nell’immunofissazione sierica si va a determinare che tipo di anticorpo monoclonale c’è nel sangue del
soggetto e in che quantità. È un’elettroforesi specifica con immunofissazione, cioè si usano anticorpi per
determinare quali anticorpi danno il picco gamma. Sono anticorpi diretti contro IgG che ci dicono che tipo è
l’anticorpo monoclonale. Ci dice quale è la catena pesante e quale è la catena leggera di quell’anticorpo in
eccesso. In questo esempio l’immunofissazione è positiva per due componenti monoclonali: IgG k 13 g/l,
l’altro idem ma hanno clonalità diverse. Quando c’è una gammopatia monoclonale è possibile che il
soggetto produca anche in eccesso catene leggere che passano nelle urine. Si chiama immunofissazione
urinaria e si parla di proteinuria di Bence Jones. Immunofissazione delle urine per vedere se c’è un eccesso
di catene leggere delle immunoglobuline che normalmente non vi dovrebbe essere. Non necessariamente
questa proliferazione è dovuta ad una condizione è maligna (si vedano i valori di cut-off, delle
concentrazioni, l’inquadramento del paziente). Quando il picco è molto basso, sotto al 10%, viene segnalata

12
l’elettroforesi patologica per ipogammaglobulinemia, che interessa le forme di deficit umorali. Poi ci sono
altri parametri da considerare che diventano un po’ più specialistici. In generale negli esami di routine si
fanno emocromo, VES, PCR, β2 microglobulinemia, importante per le malattie ematologiche ma molto
aspecifica.

Marcatori tumorali
Abbastanza sensibili per patologie tumorali ma non sono specifici e da soli non permettono di fare diagnosi.
CA19-9, CEA sono marcatori gastroenterici (gastroscopia, colonscopia ecografia addominale.
Alfafetoproteina marker per il fegato. CA 15-3 marker per tumore alla mammella. CA125 ovaio, utero,
peritoneo. Ferritina indica il ferro di deposito ed è un marcatore importante per definire un’anemia ferro-
carenziale. B12 carente con la dieta vegetariana e in caso di gastrectomia (mancanza del fattore intrinseco
di Castle che serve per l’assorbimento della vitamina a livello dell’ileo). Fattore importante per la
maturazione dei globuli rossi e in generale di tutte le cellule della serie ematica perché interviene nel
metabolismo delle basi. Una carenza di B12 porta ad anemia macrocitica o addirittura megaloblastica in
caso di carenza grave di B12 o di acido folico o entrambe. Nel tempo, oltre all’anemia, compare la
deficienza di tutte le cellule del sangue. Terapia con B12 va fatta intramuscolo. in quanto viene assorbita
nell’ileo solo in presenza del fattore intrinseco di Castle prodotto dallo stomaco e quindi è inutile farla
assumere al paziente gastro resecato per os. Nell’anemia perniciosa ci sono anticorpi contro le cellule
parietali dello stomaco e contro fattore intrinseco, quindi anemia su base autoimmune che provoca gastrite
atrofica, sempre necessaria vitamina B12 intramuscolo.

In presenza di ipergamma o ipogammaglobulinemia, si richiede immunofissazione sierica e urinaria. In un


soggetto adulto con ipogammaglobulinemia potete sospettare un’immunodeficienza congenita (però non
l’ha mai saputo) oppure terapia con chemioterapici, o ancora un mieloma che secerne tante catene leggere
che vanno nelle urine e depauperano gli anticorpi. Quindi in un soggetto adulto, prima di pensare ad una
immunodeficienza (chiaramente andare a dosare le classi anticorpali per vedere che tipo di carenza c’è) si
richiede una immunofissazione sierica e urinaria per escludere una causa acquisita. Si cercano anticorpi
nelle urine e nel sangue, se sono monoclonali si ritrovano le relative catene leggere nelle urine. In caso di
gammopatia monoclonale si fanno gli esami per escludere un mieloma multiplo.

Dove maturano i linfociti B e i linfociti T? C’è un precursore comune, la cellula staminale linfo-emopoietica,
che dà origine a tutte le cellule del sangue. Da questa poi ci sono delle cellule committed che iniziano a
dare origine alle differenti filiere. La cellula B matura definitivamente nel midollo osseo. B sta per “borsa di
Fabrizio”, un organo che si trova negli uccelli. Ma Dale Cooper scoprì questa popolazione cellulare negli
uccelli, che poi fu riscontrata anche nell’uomo. La lettera B, casualmente, fa gioco perché il midollo osseo in
inglese è Bone marrow. I linfociti T maturano nel timo, prima nella corticale e poi nella midollare, dove
subiscono due processi di selezione: selezione positiva e negativa. In questi processi vengono selezionati i
cloni di linfociti T ad affinità intermedia.

Come mai i cloni ad affinità intermedia riconoscono e sono tolleranti ne confronti di tutte le cellule del
nostro corpo? Perché sono esposti ad antigeni self durante la maturazione. Più precisamente complessi
MHC self-peptide self sono presentati dalle cellule epiteliali timiche (sia nella corticale che nella midollare)
e dalle cellule dendritiche (solo nella midollare) grazie al gene AIRE.

Quali classi di anticorpi conosciamo? IgA, IgD, IgG, IgM, IgE.

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ANTICORPI
I linfociti B, differenziandosi in plasmacellule e producendo anticorpi, mediano l’immunità umorale, efficace
nell’eliminazione dei patogeni e transcellulari e dei loro prodotti (tossine).
Esistono due tipi di risposta anticorpale: T-dipendente e T-indipendente. La prima si ha in risposta ad
antigeni di natura proteica e necessita della cooperazione tra linfociti B e T; la seconda si ha in risposta ad
antigeni non proteici (carboidrati e glicolipidi).
Un anticorpo è costituito da due catene pesanti e due catene leggere. Le regioni variabili delle catene
pesanti e delle catene leggere formano i siti di legame per l’antigene, che quindi sono due. Il frammento
cristallizabile (Fc) è costituito dalle regioni costanti delle catene pesanti. Questo frammento si lega ai
recettori per Fc (FcR) che molte cellule possiedono (linfociti B, cellule NK, mastociti, eosinofili, cellule
follicolari dendritiche ecc.). Tramite il frammento Fc vengono mediate le funzioni effettrici degli anticorpi.
Ogni isotipo anticorpale ha funzioni diverse e lo scambio isotipico verso una classe o un’altra è indirizzato
da citochine. I linfociti B presentano IgM di superficie. Le IgM sono gli anticorpi primordiali che vengono
secreti dalla cellula, dapprima in sede intracitoplasmatica e poi in superficie, prima che la cellula acquisisca
una maturazione finale data dallo scambio di classe. Ci sono linfociti B che producono IgG, linfociti B che
producono IgA, e così via. In superficie tutti i linfociti B esprimono IgM. In soluzione l’IgM p pentamerica. Le
IgM, quindi, sono gli anticorpi che pesano di più, che ingombrano di più. Le malattie linfoproliferative che
producono IgM, come il morbo di Waldenstrom, danno iperviscosità. [Questa e una domanda tipica di
ematologia: come sono fatte le IgM e perché danno iperviscosità?]

Quindi tutti gli anticorpi sono costituiti da due catene pesanti, che formano nella parte strutturale di base
l’Fc della immunoglobulina, e da due catene leggere. La catena leggera, insieme a un tratto della catena
pesante, forma la regione variabile. La regione variabile, con l’acquisizione di mutazioni ipersomatiche
durante l’incontro con l’antigene diventa sempre più variabile (si parla d’ipervariabilità) per essere sempre
più affine e sempre più specifica per l’antigene.
Queste mutazioni somatiche avvengono nel corso della proliferazione del linfocita B una volta incontrato
l’antigene.
Queste mutazioni somatiche avvengono nel corso della proliferazione del linfocita B una volta incontrato
l’antigene.
Come avviene il riconoscimento antigenico? I linfociti T riconoscono un peptide derivato dalla
processazione di una proteina antigenica e associato a molecole MHC. Il tutto e presentato da un’APC
(cellula presentante l’antigene) che può essere una cellula dendritica, un macrofago, un linfocita B.

I linfociti B, in seguito alla stimolazione antigenica, si differenziano in plasmacellule e producono anticorpi.


Le cellule che producono gli anticorpi vanno incontro a proliferazione e quindi aumenta la produzione degli
anticorpi. L’anticorpo con la porzione variabile riconosce l’antigene, si lega all’antigene. L’antigene, o
meglio la cellula che presenta tanti antigeni, viene ricoperta dagli anticorpi. Questo processo di legame
all’antigene si chiama opsonizzazione.

Quando entra un batterio, quando entra un virus, in quel sito si ha un meccanismo di chemiotassi: vengono
richiamate cellule del sistema immunitario tra cui i neutrofili, che sono i primi ad arrivare al sito di
infezione. Quel sito diventa un sito infiammatorio, si liberano citochine e vengono richiamate cellule sia
dell’immunità innata che dell’immunità specifica. Cominciano quindi ad agire i granulociti, i macrofagi, che
danno una risposta aspecifica fagocitando. Contemporaneamente si innesca una risposta specifica mediata
dai linfociti B e linfociti T. Si attiva la presentazione antigenica da parte di cellule presentanti l’antigene. A
livello della cute, ad esempio, troviamo le cellule di Langerhans. In altri siti ci sono altrettante cellule
dendritiche che sono preposte alla presentazione dell’antigene. Ci sono dei punti di drenaggio, i linfonodi,
dove viene veicolato l’antigene e viene presentato.

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SISTEMA DEL COMPLEMENTO

Le proteine del sistema del complemento appartengono all’immunità umorale aspecifica. Il complemento è
costituito da proteine plasmatiche che si trovano normalmente in forma inattiva, ma che possono attivarsi
a cascata. Ci sono tre vie di attivazione del complemento: via classica, via alternativa, via lectinica. Le
componenti C3b e C4b del complemento sono frammenti opsonizzanti. Altri frammenti che vanno in
soluzione, come il C5a, sono implicati nell’infiammazione (per questo motivo C5a e chiamata anche
anafilotossina). La funzione del complemento e quella di favorire la formazione di fori nelle cellule. I
componenti finali del complemento si assemblano a formare un complesso di attacco alla membrana
(MAC). Questo complesso si inserisce nella membrana della cellula a formare un canale che permette il
passaggio di acqua e soluti: si ha così la lisi cellulare. Anche altre cellule svolgono il compito di provocare la
lisi delle cellule bersaglio: i linfociti T citotossici lo fanno in modo specifico. I linfociti T citotossici
presentano il TCR. Anche il TCR, come il BCR (che non è altro che un anticorpo sulla superficie dei linfociti
B), è deputato al riconoscimento dell’antigene.

Come fanno i linfociti T CD4+ e CD8+ a riconoscere l’antigene?


I linfociti CD4+ che innescano una risposta iniziale vengono definiti Th1. I linfociti T CD4+ riconoscono
peptidi associati a molecole MCH-II. L’MHC-II è espresso dalle APC professionali (cellule professionistiche
presentanti l’antigene). Non è casuale che le MHC di seconda classe siano espresse dalle APC
professionistiche: sono queste le uniche cellule che hanno la possibilità di presentare MCH-II. Tutte le
cellule nucleate, invece, presentano MHC-I.

L’acquisizione di una “professionalità” del sistema immune (ma anche di tutti gli altri apparati) è
importante. Il compito professionista deve essere esplicato solo da alcune cellule. Se tutte le cellule
presentassero MHC-II e fossero tutte dei grandissimi professionisti nel presentare l’antigene sarebbe un
gran disastro. Noi siamo continuamente attaccati da agenti esterni. Questo significherebbe essere in grado,
da parte di tutte le cellule, di attivare i linfociti T citotossici che riconoscono MHC-I.

[Ricorda che tutte le cellule nucleate presentano MHC-I, mentre le APC professionali sono le uniche a
presentare MCH-II (e ovviamente le APC, essendo cellule nucleate, presentano anche MHC-I). In ogni caso,
sia per l’attivazione dei CD4+ (che riconoscono MHC-II) che per l’attivazione dei CD8+ (che riconoscono
MHC-I) è necessaria la presentazione da parte di un’APC professionale perché solo queste cellule possiedono
molecole costimolatorie (B7) e sono quindi in grado di fornire il secondo segnale necessario all’attivazione.
Nel caso di linfociti T CD8+ ci sarà una cross-presentazione da parte dell’APC. Infatti, nonostante tutte le
cellule presentino MHC-I, queste non possono attivare il linfocita T CD8+ perché non presentano molecole
costimolatorie. Tutte le cellule nucleate possono andare incontro a un’infezione virale o a una
trasformazione tumorale: in questo caso presenteranno peptidi derivanti da antigeni endogeni associati a
MHC-I. Il complesso MHC-I-peptide, presentato da una qualsiasi cellula nucleata, verrà riconosciuto dai
linfociti T citotossici in periferia (nel sito d’ infezione), linfociti T citotossici che sono già stati attivati grazie a
un cross presentazione da parte di un’APC professionale a livello degli organi linfoidi secondari.]

LINFOCITI T CD4+
I linfociti T CD4+ sono quelli che in realtà gestiscono tutto il sistema immune. Senza l’attivazione dei CD4+
tutte le altre cellule, alla fine, non sarebbero autonome. L’immunità innata comunque va a cercare di
gestire i CD4+, crea un ambiente infiammatorio e quindi recluta i CD4+.

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I CD4+
- Riconoscono l’antigene presentato in modo professionista e associato a MHC-II
- Cooperano con la cellula dendritica, facendo in modo che essa inizi a rilasciare citochine necessarie a
richiamare tutte le altre cellule.
- Con le loro citochine (IL-2, IL-15, IFN-γ ecc.) svolgono varie funzioni. Ad esempio, con l’IFN-γ fanno in
modo di aumentare l’espressione di MHC-I e MHC-II da parte delle cellule. Aumentare l’espressione di MHC
significa dare un maggiore segnale ai recettori dei linfociti.
Gli stessi linfociti T citotossici, quando vedono un antigene in associazione a MHC-I, sono in grado di
uccidere la cellula infettata da quel determinato antigene. I linfociti T citotossici maturano, riconoscono e
soprattutto sono in grado di lisare le cellule bersaglio perché i CD4+ liberano IL-2 e INF-γ che sono le
citochine che li nutrono (queste stesse citochine nutrono anche i linfociti B).
Quindi i CD4+ innescano tutto un network di citochine che sono di attivazione per tutte le altre cellule.
Senza i CD4+ non ci sarebbe assolutamente una risposta immunitaria perché sono queste cellule a gestire
tutto (vedi AIDS).

I linfociti T CD4 e i linfociti B sono quelli maggiormente coinvolti nelle immunodeficienze. È difficile trovare
delle immunodeficienze associate solo ai CD8+: ci sono ma sono molto meno importanti rispetto alle
immunodeficienze B o T (che comunque coinvolgono sia CD4+ che CD8+). Lo vedremo meglio nella SCID
(severe combined immunodeficiency). Questa immunodeficienza è detta combinata perché ci sono
alterazioni genetiche che colpiscono a monte la filiera dei linfociti T, però questi soggetti presentano un
deficit sia T che B. Questo è un esempio emblematico di come un deficit T CD4+ renda deficitaria (impaired)
tutta la risposta immune di tipo specifico.

IgA
Le IgA sono monomeriche ma soprattutto dimeriche. una volta che sono state prodotte e secrete si
allocano a livello delle mucose. Inoltre si trovano nel latte materno e conferiscono immunità mucosale al
neonato. C’è una sindrome da immunodeficienza con deficit di IgA che è poco nota ma estremamente
diffusa (tanto che la prof scommette che almeno una persona in aula abbia un deficit di IgA). Le IgA
difendono le mucose, sono fondamentali perché si trovano a livello della prima barriera che il
microrganismo incontra. Un deficit di IgA porta a infezioni delle mucose (questo spesso passa inosservato
perché la persona sta bene), si associa a volte a celiachia (non avendo un giusto controllo delle mucose i
deficit immunologici possono sforare, per una stimolazione continua, in patologie autoimmuni). A volte un
deficit di IgA può associarsi a una maggiore insorgenza di patologie neoplastiche (non c’è un controllo
adeguato delle barriere e una continua stimolazione antigenica può portare allo sviluppo di neoplasie
secondarie). È quindi importantissimo inquadrare i soggetti che hanno un deficit di IgA per attuare tutta
una serie di profilassi e prevenzione. Il deficit da IgA può essere isolato o accompagnato da altro. Molte
immunodeficienze sono misconosciute in giovane età perché i pediatri non sanno fare il loro lavoro e
vengono inquadrate solo successivamente.

A che servono le IgD?


Si trovano come anticorpi di membrana dei linfociti B insieme alle IgM. Ovviamente avranno la stessa
regione variabile delle IgM dello stesso clone B (deve essere mantenuta la specificità).

IgE
Per quanto riguarda gli aspetti positivi giocano un ruolo importante nella risposta contro gli elminti. Questa
risposta antiparassitaria agisce tramite opsonizzazione e poi entrano in gioco mastociti ed eosinofili. Come
aspetto negativo abbiamo un ruolo nella ipersensibilità immediata (allergie). Perché le IgE danno
ipersensibilità? Il danno è causato dall’istamina, un agente assolutamente infiammatorio che ha effetti
collaterali importanti: reazioni cutanee, vasodilatazione, riduzione della pressione, infiammazione di alcuni
16
organi fino all’asfissia, broncocostrizione e ipertrofia della glottide.
IgG Le IgG sono anticorpi opsonizzanti, sono in grado di attivare il complemento, mediano la citotossicità
cellulare anticorpo dipendente (ADCC) e conferiscono immunità neonatale (sono l’unico isotipo anticorpale
in grado di attraversare la placenta). Le IgG danno una risposta classica a tutte le infezioni.

Come si articola una classica risposta a un patogeno? Le APC presentano peptidi derivati dalla
processazione di una proteina antigenica associati a molecole MCH-I e MHC-II. Abbiamo una via di
fagocitosi dell’antigene e riprocessamento tramite i lisosomi. una porzione di questo antigene viene
riproposto insieme a MHC-II. n virus si replica all’interno della cellula ospite. Le proteine virali (antigeni
endogeni) vengono sintetizzate da quella cellula ospite che a questo punto le presenta in modo fisiologico
in associazione a MHC-I (via che passa per l’attivazione del proteasoma). Poi abbiamo una risposta Th1,
linfociti CD4+, linfociti CD8+ e cellule B. Le cellule B iniziano a produrre IgM (sono le Ig prodotte
inizialmente) che danno una risposta primaria. Per capire se un’infezione e una neo-infezione si dosano le
IgM del soggetto, questo dura anche una trentina di giorni. Nel frattempo si ha uno shift di classe (scambio
isotipico). I linfociti B sono diventati plasmablasti e plasmacellule. La plasmacellula è la componente più
matura in grado di produrre anticorpi attraverso le varie classi. La risposta più corposa e quella che produce
IgG. Queste sono più specifiche perché hanno acquisito delle mutazioni ipervariabili e sono più precise per
quella risposta. Le IgG rappresentano anche quelle molecole che restano sempre, prodotte in piccola
quantità, una volta che c’è stato l’incontro con l’antigene (quindi sono anche detti anticorpi della memoria).
Le IgG vengono continuamente prodotte da quel “gruppetto” di linfociti B che sono diventati resting (cioè
in condizione pacifica) ma che sono molto più specifici per quell’antigene. Una volta che lo stesso antigene
rientra e si ripresenta, queste cellule della memoria, che lo hanno già incontrato (sono state “vaccinate”),
sono prontissime e quindi non si ha la malattia ma una risposta da vaccinazione. La risposta secondaria,
infatti, impiega molto meno tempo rispetto a una risposta primaria.

Una volta incontrato il virus della rosolia, o dopo un vaccino (perché il vaccino rappresenta un incontro
primario con quell’antigene) ovviamente si ha una risposta attenuata (non c’è la malattia).
Supponiamo invece di avere la malattia, che si ha perché l’organismo non è pronto. Il virus invade
l’organismo e il tempo necessario per avere una risposta specifica è il tempo in cui si ha la malattia perché
l’organismo non dà immediatamente una risposta specifica. A questo punto si ha la malattia che non è altro
che un’infiammazione. Il nostro malessere, con la liberazione di citochine endogene (IL-1, che e un
pirogeno endogeno), la febbre, l’infiammazione sarà malattia. Tutto questo in realtà serve a proteggerci;
tutte queste risposte sono quelle che ci fanno star male ma che portano all’uccisione del microrganismo.
Successivamente si formano dei linfociti T e B della memoria che sono pochi ma altamente specifici.
Appena riconoscono di nuovo questo microorganismo si organizzano in modo molto veloce e lo debellano
senza che si abbia la malattia.

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CELLULA DENDRITICA

In alto c’è una cellula dendritica presentante l’antigene. Come fa la DC a presentare l’antigene? Ci sono più
meccanismi, uno di questi è quello della presentazione endocitica dell’MHC associato all’antigene. La
cellula dendritica ha dei recettori che sono recettori dell’immunità innata, come i toll-like receptors. Questi
sono dei recettori di nuova scoperta e ce ne sono di vari tipi. I toll-like sono importanti perché legano i
patogeni (in particolare riconoscono i PAMPs, profili molecolari associati al patogeno). Legando i patogeni
innescano una risposta con produzione di citochine da parte della cellula dendritica stessa. La cellula
dendritica, inoltre, presenta dei recettori per rispondere alle citochine (TNF-α, IFN-α ecc.). Queste citochine
sono importanti per la presentazione dell’antigene. Quando le cellule T producono IFN, questo aumenta la
risposta aumentando l’espressione delle molecole MHC sulla cellula dendritica. I recettori toll-like da un
lato innescano una risposta da parte della cellula dendritica e dall’altro sono presenti anche su altre cellule
del sistema immunitario e quindi si potenzia questo fittissimo network. Il sistema immune è altamente
connesso, interdigitato. C’è una fittissima rete che coinvolge tutto il corpo umano.

MACROFAGO
Il macrofago è simile alla cellula dendritica ma ha un’origine diversa e un comportamento diverso. È simile
alla cellula dendritica perché ha recettori citochinici simili e presenta recettori toll-like (alcuni simili a quelli
delle cellule dendritiche). Il macrofago può essere una cellula presentante l’antigene, appartiene però
maggiormente al sistema di tipo innato (infatti risponde immediatamente). Ha dei recettori per il
complemento e quindi è capace di legare frammenti del complemento e può essere ucciso quando ha
fagocitato l’antigene. Poi presenta i recettori per Fc (FcR) che legano la cellula che è stata opsonizzata dagli
anticorpi. Questi recettori legano il frammento Fc, la porzione costante dell’anticorpo. Gli anticorpi hanno
circondato l’antigene (interagendo con esso tramite la loro porzione variabile). Il macrofago fagocita la
cellula dopo essersi legato con FcR al frammento Fc degli anticorpi che hanno opsonizzato la cellula da
fagocitare. Quando il macrofago ha fagocitato l’antigene ha la capacità di riesprimerlo in superficie
associato a MHC, ma contemporaneamente può essere anche ucciso perché lega il complemento. Il
complemento forma dei pori (formazione del complesso di attacco alla membrana), che permettono
l’entrata di acqua, provocando la lisi cellulare.

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CELLULE NK
Le cellule NK presentano il recettore per Fc (FcR), che dà la capacità da un lato di opsonizzare la cellula e
fagocitarla (per quanto riguarda i macrofagi), dall’altro innesca all’interno della cellula NK una trasduzione
del segnale per cui questa libera delle sostanze (perforine, granzimi) che forano a sua volta la cellula che
deve essere uccisa (o il virus in sé o la cellula che ha fagocitato un batterio). La cellula NK esprime delle
molecole di superficie che possono attivarla direttamente, oppure l’anticorpo che si lega a FcR può
innescare la citotossicità cellulare mediata da anticorpo (ADCC, antibody directed citotossicity). Una cellula
opsonizzata da anticorpi si lega con l’Fc alla cellula NK. La cellula NK riceve un segnale e libera perforina e
granzimi che perforano la cellula bersaglio. Le cellule NK si legano alle cellule bersaglio tramite molecole di
adesione o tramite anticorpi.

Se questa cellula e continuamente stimolata ad uccidere cos’è che impedisce l’autouccisione? Noi abbiamo
miliardi di cellule NK che non uccidono le nostre stesse cellule, anche se apparentemente sarebbero
continuamente stimolate a uccidere. Le cellule NK sono ricchissime di recettori attivatori (ricevono una
continua stimolazione) ma non uccidono le nostre stesse cellule perché ci sono anche dei recettori inibitori.
I recettori inibitori riconoscono dei gruppi allelici delle MHC-I.

Questi recettori non riarrangiano in modo antigene specifico, quindi non hanno un meccanismo di
riarrangiamento così variabile come i recettori B e T. Sono dei recettori clonali che nascono direttamente
quando la cellula matura e sono “grossolani”, cioè non riconoscono un antigene associato a MHC, ma
riconoscono tre grandi gruppi di determinanti amminoacidici sulle molecole MHC. Questi tre grandi
recettori inibitori (in realtà ne esistono di più ma sono questi che ci interessano) riconoscono gruppi allelici
delle MHC-I, in base a certe posizioni fisse che ci sono sull’MHC. Ci sono tre grandi famiglie di recettori
inibitori, che riconoscono: 1) un grosso gruppo delle MHC del locus C 2) l’altro grande gruppo delle MHC in
cui può essere suddiviso l’altro locus C, in base a due posizioni amminoacidiche (in posizione 80) 3) un
grossolano gruppo in cui può essere identificato il gruppo allelico del locus D Ciascuno di noi deve
esprimere almeno uno di questi gruppi allelici. Le nostre cellule NK sono selezionate in modo tale da avere
un recettore inibitorio che “veda” questo gruppo allelico. Quel recettore inibitorio innesca un segnale
inibitorio all’interno della cellula NK (L’MHC-I e espresso su tutte le cellule) e questa viene bloccata. Se un
soggetto estraneo non ha quel gruppo allelico di classe I, la cellula NK non e bloccata e può lisare le sue
cellule linfo-emopoietiche perché non riceve un segnale inibitorio. Chiariremo meglio questo concetto
quando parleremo di trapianto.

ATTIVAZIONE DEI LINFOCITI


Abbiamo detto che il grosso della presentazione antigenica avviene nei linfonodi (e in generale negli organi
linfoidi secondari), che sono una specie di filtro attivo. L’antigene arriva al linfonodo e inizia la
presentazione antigenica più fine e più sottile. Fondamentalmente agli organi linfoidi secondari arrivano gli
antigeni e le APC iniziano a esprimerli in superficie, presentando un complesso MHC-peptide. Queste cellule
sono interdigitanti perché connettono tanti linfociti intorno, tutti circondanti la cellula dendritica.

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Il linfocita per essere attivato deve
ricevere due segnali: - Segnale 1: è dato
dall’antigene in associazione all’MHC. Il
complesso MHC-peptide viene legato dal
TCR (il complesso TCR del linfocita CD4+ o
CD8+ è formato dal TCR vero e proprio e
dal complesso CD3, costituito da catene
preposte alla trasduzione del segnale). -
Segnale 2: un unico segnale,
paradossalmente, rende la cellula T
anergica. Per l’attivazione è necessario in
associazione un secondo segnale dato
dalle molecole costimolatorie, presenti
sulla cellula dendritica. Il secondo segnale
può essere dato da CD28, espresso dal
linfocita, che lega le molecole CD80 e
CD86 (molecole B7), espresse dalla cellula
dendritica. Quella che si lega nella prima risposta viene definita cellula T naive, cioè una cellula vergine che
non ha mai incontrato l’antigene e che riconosce quest’ultimo per la prima volta presentato dalla cellula
dendritica. Da cellula naive a cellula memory centrale nella prima parte del riconoscimento per poi
diventare cellula effettrice finale.

PROCESSAZIONE E PRESENTAZIONE DELL’ANTIGENE


1) L’antigene viene fagocitato dalla cellula
presentante l’antigene e si trova a livello
dell’endosoma, che non è altro che un vacuolo
pieno di enzimi litici. Intanto nel reticolo
endoplasmatico vengono sintetizzate le
molecole MHC-II (che, così come le MCH-I, sono
sintetizzate tramite un banale meccanismo di
sintesi proteica). L’MHC-II si associa con il
peptide derivato dalla processazione
dell’antigene. Questo complesso viene espresso
dalla cellula presentante l’antigene. Quali sono
le due tappe della sintesi proteica? La prima
tappa è la trascrizione (enzima: RNA polimerasi,
che trascrive una sequenza di DNA in RNA). La
seconda tappa è la traduzione del mRNA in
proteine. La traduzione avviene a livello dei
ribosomi che si trovano attaccati al reticolo
endoplasmatico. Nel reticolo endoplasmatico
rugoso delle cellule presentanti l’antigene
avviene la sintesi delle MHC-I e MHC-II. Nelle
altre cellule vengono sintetizzate solo MHCI. Il
DNA genomico è quello che identifica il

20
patrimonio genetico di ciascuna persona ed è presente in
tutte le cellule. Il DNA genomico, pur essendo presente in
tutte le cellule, non è tutto attivo: vengono espressi solo
alcuni geni perché la cellula si differenzia e si specializza.
Ciò non significa che la cellula non possa ritornare
indietro e sdifferenziarsi (quando è necessario o quando
questa condizione viene indotta in laboratorio per far
tornare una cellula differenziata a essere una cellula
staminale). Nell’embrione, proprio nella fase iniziale,
tutti i geni sono espressi. Nella differenziazione e nella
specializzazione alcuni geni vengono silenziati, altri geni
vengono lasciati espressi. Vengono quindi prodotte
quelle proteine che differenziano la cellula e la rendono
per esempio un miocita, una cellula epiteliale o una
cellula dendritica. Nelle cellule presentanti l’antigene
resta aperto e attivo il meccanismo di sintesi delle MHC-
II, mentre in tutte le altre cellule questo gene sarà
silenziato perché non esprimono MHC-II.

2) In caso d’infezione da parte di virus, la proteina virale


viene sintetizzata all’interno della cellula infettata,
processata nel citosol e il peptide risultante verrà
espresso in membrana in associazione a MHC-I.

3) Piccoli antigeni vengono fagocitati, processati e poi si


associano con le MHC-I e vengono riespressi in
membrana.

TIMOPOIESI
E’ fondamentale conoscere la timopoiesi perché tantissime immunodeficienze e patologie autoimmuni
sono dovute a un’alterazione dei linfociti T e anche della timopoiesi. I precursori linfoidi (T-committed) che
arrivano dal midollo osseo alla corticale timica sono dei tripli negativi (CD3-, CD4- e CD8-). Qui incontrano le
cellule nutrici timiche. Le cellule triplo negative iniziano a esprimere, in sede intracitoplasmatica, il TCR e il
CD3. A questo stadio si chiamano doppio negative (CD3+, CD4-, CD8-). Il CD3 e il TCR si trovano nella cellula
e io lo posso vedere tramite anticorpi che entrano dentro la cellula. Più in basso, sempre nella corticale,
incontrano le cellule epiteliali dendritiche. A questo punto si ha la selezione positiva: vengono selezionate
le cellule doppio positive (intanto hanno espresso CD4 e CD8) che riconoscono complessi MHC self-peptide
come self con un’affinità intermedia o alta. Quelle a bassa affinità vengono eliminate. Questa selezione è
detta positiva perché riconoscono MHC-II e MHC-I. I linfociti T doppio positivi rappresentano l’80% dei
timociti presenti nel timo. Queste cellule imparano a riconoscere gli antigeni self che sono espressi grazie
al gene AIRE (autoimmune regulator). La scoperta rivoluzionaria degli ultimi dieci anni e che le cellule
epiteliali timiche esprimono tutti gli antigeni di superficie del nostro corpo in associazione alle MHC-II e
MHC-I, tramite un gene che si chiama AIRE. Altrimenti non si sarebbe spiegato il motivo per il quale i nostri
linfociti sono tolleranti a tutte le nostre proteine di superficie. Ci sono delle patologie autoimmuni, come la
deficienza del gene AIRE, che implicano una non acquisizione di competenza immunologica. Le cellule T

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riconoscono le MHC con affinità intermedia, ma sempre in associazione a un antigene. Se io non
presentassi i miei antigeni (self) queste cellule li riconoscerebbero come estranei e s’innescherebbe una
risposta autoimmune. Il gene AIRE aiuta i linfociti T a riconoscere, in associazione al mio MHC, tutti i miei
antigeni di superficie. È come se ci fosse tutto un piccolo genoma attivo dentro queste cellule, che in questo
modo esprimono tutti gli antigeni di superficie.
Nella corticale, inoltre, viene persa l’espressione di uno dei due corecettori (CD8 o CD4) e le cellule
diventano singolo positive.
La selezione negativa si ha in due stadi: - nella corticale, sulle cellule doppio positive - nella midollare, sulle
cellule singolo positive Durante la selezione negativa vengono eliminati i cloni che riconoscono il complesso
MHC-self- peptide self con affinità elevata.
A questo punto abbiamo dei linfociti T maturi singolo positivi (CD4+ o CD8+) che sono tolleranti. Questi
attraversano la midollare, diventano precisamente attivi e vanno in periferia come linfociti T maturi (CD3+,
TCR+, per lo più αβ, e CD4+ o CD8+). [Queste cose si ritrovano tutte nel libro di immunologia clinica.]

MATURAZIONE DEI LINFOCITI B


Nel midollo osseo si ha la B-poiesi. I precursori B si trovano solo nel midollo e maturano nel midollo fino a
diventare linfociti B maturi. Abbiamo delle cellule pre-B che originano dalle cellule staminali. Anche le
cellule B che non hanno mai incontrato l’antigene si chiamano naïve, come i linfociti T naïve. Queste
esprimono IgD e IgM di superficie (prima in sede intracitoplasmatica e poi in superficie). I linfociti B
diventano maturi e acquisiscono competenza immunologica quando esprimono, oltre che le IgM, anche le
IgD (di cui ancora in realtà non si conosce il ruolo). I linfociti B maturi vanno in periferia, in particolar modo
nei linfonodi, a colonizzare quello che si chiama il centro germinativo.
I centri germinativi diventano follicoli quando si va incontro a una stimolazione antigenica.
[È importante ricordare com’è fatto un linfonodo e un centro germinativo anche per ematologia perché ci
sono linfomi che originano dal centro germinativo, dalla zona mantellare, dalla zona follicolare.]

Un linfonodo contiene tanti centri germinativi ed e costituito da una capsula linfonodale, da più vasi linfatici
afferenti e un unico vaso linfatico efferente. Dai vasi linfatici afferenti entra la linfa che porta l’antigene
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dove sono i centri germinativi. Qui viene presentato dalle APC. Nell’immagine si vede una cellula follicolare
dendritica circondata da linfociti. Dentro il linfonodo c’è una zona periferica, zona T, una zona mantellare
(da cui possono nascere dei linfomi mantellari) e poi c’è la zona follicolare che è quella dove si innesca la
risposta immune. È una risposta che va da un polo all’altro, dove le cellule B maturano per diventare
plasmacellule secernenti anticorpi. Dopo lo switch di classe viene prodotto l’isotipo anticorpale più adatto
in risposta a quell’antigene (solo per quanto riguarda gli antigeni di natura proteica). Anche qui avviene una
mutazione ipersomatica per aumentare l’affinità nei confronti dell’antigene una volta che il linfocita B lo
incontra in associazione alla cellula follicolare dendritica. Questa mutazione lo rende sempre più specifico
nei confronti dell’antigene.
Anche qui si ha una selezione positiva, sopravvivono le cellule che hanno una maggiore affinità verso
quell’antigene e poi si ha la maturazione in plasmacellule che producono anticorpi sempre più specifici che
vanno in circolo.

NETWORK CITOCHINICO
Fa vedere come sia fondamentale la cellula T CD4+ per il sistema immunitario. Il CD4+ T helper incontra
un’APC che sta presentando un antigene associato a MHC-II. Il CD4+ interagisce con la cellula presentante
l’antigene tramite il TCR e il complesso CD3. Per essere attivato, il linfocita necessiterà sia del segnale
innescato dall’interazione del TCR con il complesso MHC-peptide, sia di un secondo segnale dato dalle
molecole costimolatorie (CD28 sulla cellula T, CD80/CD86 sulla cellula dendritica.
Espressione del network citochinico e chemochinico:
- L’IL-2 e fondamentale per i linfociti T citotossici che riconoscono l’antigene in associazione alle MHC-I e
vengono attivati. Iniziano così la loro opera di lisi delle cellule infettate dall’antigene. - Tramite IL-4, IL-5 e
IL-6 abbiamo l’attivazione dei linfociti B. Questi producono anticorpi che si legano alle cellule (vengono
opsonizzate), attivano il complemento ecc.
- L’IFN-γ è importante per l’attivazione del killing dei macrofagi.
- Le NK svolgono la loro funzione di perforazione tramite granzimi e perforine. I macrofagi invece sono
preposti alla fagocitosi in seguito all’opsonizzazione.
- MIF, chemochina per eccellenza, che richiama granulociti che vanno a formare un granuloma intorno alla
cellula presentante l’antigene. Il granuloma può essere di tipo cronico o di tipo acuto con formazione di
necrosi caseosa e di pus.

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Queste sono solo alcune delle citochine ad oggi note. Le citochine più importanti devono essere studiate,
bisogna sapere a cosa servono.

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Lezione 1

PROGRAMMA DELLE LEZIONI DELLA MATERIA DI STUDIO MALATTIE DEL SISTEMA IMMUNITARIO
Fisiologia del sistema immune umano
Le immunodeficienze: meccanismi patogenetici del rischio infettivo e diagnostica delle immunodeficienze.

Immunodeficienze primarie:
1) Malattie da deficit anticorporali: X-linked Agammaglobulinemia, Immunodeficienza comune variabile, deficit IgA.
2) Immunodeficienze Severe Combinate: Interleukin receptor gamma-chain deficiency, Recombinase activating gene
deficiency.
3) Immunodeficienze da deficit di funzione granulocitaria: Malattia granulomatosa cronica

Le immunodeficienze secondarie:
1) Immunodeficienze secondarie (non AIDS): Dopo splenectomia, In corso di malattie linfoproliferative, In corso di
terapia immunosoppressiva e citostatiche, Dopo trapianto di cellule ematopoietiche, ecc.
2) Infezioni nel paziente immunocompromesso (AIDS: immunopatogeensi, storia naturale della malattia, quadri clinici
principali).
Malattie da ipersensibilità
Ipersensibilità immediata: Orticaria e angiodema, Allergie alimentari, Rinite allergica, Asma.
Patogenesi immunologica e quadri clinici delle principali malattie autoimmuni organo specifiche: Tiroidite di
Hashimoto, sclerosi multipla, Anemia e piastrinipenia autoimmuni, celiachia, ecc.
Porpora di Schonlein-Henoch
La malattia da siero e vasculiti da farmaci
Le crioglobulinemie
Sarcoidosi

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Il paziente immunocompromesso è quel paziente che non ha la capacità di rispondere normalmente ad un'infezione
in seguito al fatto che il suo sistema immunitario è alterato, danneggiato o indebolito.
È una definizione molto ampia. Ciò che è importante è tener presente è che un paziente immunocompromesso può
essere in qualsiasi reparto di medicina noi andiamo. Quella che un tempo era una problematica di nicchia legata a
patologie principalmente infettive, oggi con l'avvento dell'oncologia, dell'ematologia e dell'utilizzo di farmaci che
hanno la capacità di interagire con il sistema immune e di ridurne l'efficacia di azione la problematica del paziente
immunocompromesso è una grande problematica. "Paziente immunocompromesso", sotto queste due parole in
realtà vanno quadri di pazienti da molto lievi a molto importanti. Questa definizione chiaramente èmoltolimitata, nonè
una definizione completa perchéinfatti nontienecontodella insorgenza dei tumori. Alcuni pazienti che hanno difetti
genetici a carico di geni importanti che riguardano il sistema immunitario hanno una tendenza a sviluppare più
facilmente tumori e questo è un altro tipo di immunodepressione.

LA RISPOSTA IMMUNITARIA

Come sappiamo ci sono molti "giocatori" nella risposta immunitaria di cui dobbiamo parlare, prima di tutto abbiamo
popolazioni cellulari (cioè quelle che derivano da una cellula staminale emopoietica del nostro midollo osseo) sia che siano
linfoidi che non linfoidi.
Quindi ovviamente avremo i granulociti, che hanno una funzione fagocitaria, svolgono una funzione molto importante,
monociti macrofagi che hanno questo ruolo
fondamentale che non è solo quello della
risposta infiammatoria e della presentazione
antigenica e poi c'è la popolazione linfocitaria
(che non è solo quella dei linfociti T, NK, ecc..
Quindi tutte le popolazioni che avete studiato
in immunologia.
C'è anche un aspetto meccanico molto
importante che è fondamentale ricordare.
Quindi fondamentalmente un paziente
immunocompromesso è un paziente
chirurgico (apriamo, quindi superiamo quella
che era una barriera importante). Abbiamo i
sistemi meccanici di rimozione (lacrime,
ciglia, sistema urinario, desquamazione delle
cellule e la flora microbica intestinale che è
fondamentale). Ci dobbiamo ricordare che ci
sono difese non specifiche e difese specifiche.
Alterazioni di alcune di questi tipi di difese genera una immunodepressione.
Il microbioma è molto importante al punto tale, per dare un'idea, che oggi ci sono studi clinici nei pazienti immunocompromessi che hanno rischio
di avere complicanze, tanto più col trapianto, ci sono studi di autotrapianto fecale per poter consentire alla flora microbica intestinale del paziente di
poter rigenerare facilmente la flora batterica per poter evitare problematiche immunitarie.
Viene portato come esempio di immunodepressione quello degli anaerobi quali il Clostridium difficile che prendono il
sopravvento dopo terapia antibiotica, bisogna tenere presente che l'alterazione immunitaria che si viene a creare per una
flora microbica alterata può favorire anche risposte autoimmuni o alloimmuni, come la malattia del trapianto contro l’ospite di
cui parleremo, ed oggi esistono centri di raccolta feci dei pazienti per poter studiare questo tipo di problema ma si sta cercando di
realizzare una terapia con l’autoinoculamento delle feci prima di un'infezione.
A livello scientifico il microbioma è un grosso avanzamento, è qualcosa di molto importante per il sistema immunitario. Poi
abbiamo agenti chimici, mediatori della infiammazione, fattori del complemento, il fattore XII, le cellule chefanno parte della
immunitàinnata (come le fagocitiche) e dellaimmunità adattiva.
E' importante sottolineare che il concetto fondamentale è che alterare ciascuna delle componenti del sistema immunitario che entrano in gioco
nella risposta immunitaria significa avere un paziente potenzialmente immunocompromesso.

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PRESENTAZIONE CLINICA DEL PAZIENTE IMMUNOCOMPROMESSO
Il paziente immunocompromesso può essere del tutto asintomatico, può non essere in grado di fare una risposta
immunitaria non solo dal punto di vista della capacità di uccidere il germe, ma può anche non avere quei sintomi tipici di
chi ha una risposta anti-infettiva efficace (come per esempio la febbre).

Esempio
Un paziente che non ha un buon sistema monocito-macrofagico, che fa chemioterapia (immaginatevi il paziente
oncologico), può sviluppare polmoniti senza febbre tanto che poi quando ci accorgiamo della polmonite poi il paziente non
respira più. Infatti in questi pazienti è fondamentale prendere i parametri vitali (visita del paziente), non possiamo fidarci
della sola sintomatologia. Bisogna stare attenti alle disfunzioni d'organo, come le epatiti (transaminasi), insufficienza
respiratoria nella polmonite, ha una tachicardia eccessiva (il paziente ha una pericardite e va verso un tamponamento).

L'altra caratteristica tipica del paziente immunocompromesso è che può andare incontro a infezioni che non sono
ovviamente le classiche, come un rhinovirus o l'orthomyxovirus, ma sono infezioni opportunistiche, cioè da germi che
normalmente non sono patogeni ma che lo diventano qualora ci sia una condizione di immunosoppressione. Queste infezioni
possono essere batteriche (es: noi abbiamo l'intestino pieno di Coli, di enterococchi eppure il mese scorso abbiamo avuto un
decesso in reparto da Coli), funghi, virus (herpesviridae come CMV, EBV, VZV, HHV6).
Nei nostri pazienti abbiamo una prevalenza di riattivazione della sesta malattia che è di circa l'80%.
È chiaro che non tutti i patogeni si riattivano subito nel paziente immunocompromesso, dipende dal tipo di patogeno.

Infezioni in corso di neutropenia (PMN <500/ml)


"Neutropenia" significa una riduzione nel sangue periferico della conta neutrofila che può avere diverse cause (ma sono
principalmente batteri).
Generalmente si hanno 1500 neutrofili, se si hanno tra i 1000 e i 1500 non cambia essenzialmente nulla per il rischio infettivo,
tra 500 e 1000 c'è forse un rischio più elevato (soprattutto in caso di intervento chirurgico, ecc), sotto i 500 iniziano ad esserci
problemi.
Gram +: stafilococchi, streptococco, nocardia
Gram -: E. Coli, Klebsiella, Pseudomonas, Enterobacteriacee
Miceti: candida, Aspergillo

Infezioni in corso di deficit dell'immunità cellulare


Come nel caso di deficit di linfociti T helper, in assenza cominciano ad esserci diversi problemi.
Batteri: legionella, Salmonella, Listeria, Micobatteri
Miceti: Criptococco, Candida, Histoplasma
Virus: CMV, varicella-zoster, herpes simplex, EBV, vaccini vivi (morbillo, parotite, rosolia, polio)
Protozoi: Pneumocystis carinii, toxoplasma, strongiloides, criptosporidia
I pazienti non possono essere vaccinati perché morirebbero.

Infezioni in corso di deficit di immunità umorale


Batteri: Streptococco pneumoniae, _Haemoplhylus influenzae
Virus: Enterovirus, Meningococco (che hanno bisogno di IgA
Protozoi: Giardia

DIAGNOSI DEL PAZIENTE IMMUNOCOMPROMESSO


Come faccio a fare diagnosi nel paziente immunocompromesso?
Innanzitutto perché il paziente va incontro a infezioni, tanto più a infezioni ricorrenti. Mi informo e faccio anamnesi. Tra questa è
indubbiamente fondamentale l'anamnesi farmacologica.
Poi abbiamo dei test di laboratorio: prima di tutto c'è l'emocromo (è parte d'esame sapere com'è un emocromo normale),
possiamo fare test per l'immunofenotipo (ci fa riconoscere quali sono le sottopopolazioni di cellule che noi abbiamo nel sangue,
quali sono i linfociti che abbiamo. È chiaro che posso avere un emocromo con una conta normale ma avere un difetto di una
sottopopolazione linfocitaria, questo non emerge dal numero totale dei globuli bianchi ma lo devo sospettare in base
all'infezione della formula leucocitaria e in base alla storia infettiva del paziente). Quindi il test per l'immunofenotipo diventa un
esame importante, anche se è di secondo livello.
Poi un altro esame fondamentale è l'elettroforesi delle proteine.
27
Esempio
La settimana scorsa arriva da lui una donna di 36 anni perché aveva un'anemia da perdita ematica per ciclo abbondante,
prescrivo l'elettroforesi e scopro che questa donna ha un difetto di IgA (aumenta il rischio per malattie linfoproliferative, linfomi,
è difficile da trattare ma se viene monitorato si riesce ad evitare l'insorgenza di malattie).

Diventa utile soprattutto negli stati infiammatori e nelle infezioni batteriche il dosaggio delle proteine del complemento (C3,
C4). A seconda delle condizioni cliniche con cui si presenta il paziente farete delle analisi per il singolo organo. Questo è
chiaramente molto utile, bisogna attuare anche un test specifico in caso di sospetto di patologie ematologiche, infezioni,
disordini metabolici, insufficienza renale.

VALUTAZIONE DELLE COMPONENTI CELLULARI DEL SISTEMA IMMUNITARIO

Abbiamo circa 300 linfociti B, i linfociti T sono da 1000 a 2500, i CD4+ sono in rapporto 2: 1 in rapporto con i CD8+.
Non si parla di neutropenia finché uno non ha sotto i 1500 neutrofili.
Noi possiamo misurare i livelli delle immunoglobuline per valutare la funzione dei linfociti T.

Questo è per esempio un emocromo normale con valore


di emoglobina normale, globuli bianchi pari a 6230, di
cui 3000 neutrofili, 2200 linfociti, 300 monociti e 100
eosinofili. Sono valori nella normalità.

I valori delle immunoglobuline (in totale dovrebbero


essere tra le 600 e le 2300) sono:

IgA 90/400 mg/dl


IgG 800/1800 mg/dl
IgM 60/280 mg/dl
IgD 0.3/0.4 mg/dl
IgE 20/440 mg/dl

IMMUNOFENOTIPO DI MEMBRANA
Noi possiamo fare questo banalissimo test per andare a riconoscere le sottopopolazioni dei globuli bianchi.
Esiste una macchina, inventata negli anni 70, che utilizza dei lettori e utilizza le proprietà di certi anticorpi che noi
conosciamo a cui abbiamo messo delle molecole fluorescenti attaccate e prendiamo questi anticorpi, questa molecola
fluorescente che può essere riconosciuta dalla macchina e questi anticorpi li mettiamo insieme, in questo caso ai
globuli bianchi, che stanno nelle cellule del paziente.
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Questi anticorpi, che noi conosciamo, verranno riconosciuti a
loro volta da molecole espresse dalle singole cellule.
Ogni cellule esprime la sua molecola. Quindi i granulociti
neutrofili hanno molecole diverse in superficie rispetto ai
linfociti B, T alle NK.
Noi possiamo, tramite questo riconoscimento di molecole di
superficie, metterci un anticorpo che legherà il linfocita, e la
macchina ci informerà che c'è il linfocita.
Sembra semplice detto così ma in realtà nell'analisi poi dei
risultati non lo è perché la macchina non ci dice quali sono le
molecole che vengono messe ma ci dice anche le dimensioni
della cellula e la granulosità della cellula.
Le dimensioni sono delle FS (Forward scatter), le cellule più
grandi andranno più a destra nella lettura mentre le più piccole
più a sinistra. I monociti sono a destra come i granulociti ma
sono più in basso perché la presenza di granuli viene misurata
dal cosiddetto SSC (side scatter) e quindi noi riusciamo solo per
dimensione e granularità queste sottopopolazioni, senza
bisogno nemmeno di mettere anticorpi.

C'è l'antigene A che è una molecola di superficie, c'è l'anticorpo a cui


abbiamo messo in questo caso una molecola fluorescente rossa.

Qui abbiamo invece un antigene B a cui abbiamo messo una molecola


fluorescente verde.

Se avviene il legame avverrà che una cellula emetterà una fluorescenza rossa.
Se non avviene questo legame non ci sarà nessuna fluorescenza rossa.
(non si capisce nulla di quello che dice in alcuni punti quindi amen)

Questo è il principio: è chiaro che una cellula può avere


anche due antigeni ed esistono poi delle macchine che ci
permettono di lavorare con anche 30 colori insieme per
riconoscere delle sotto popolazioni linfocitarie. Infatti Le
cellule riconoscono solo l'antigene B le abbiamo messo a
destra sono A negative e B positive, possiamo poi
osservare la porzione in cui sono A positive, B negative e
poi, in ultima analisi, la parte del grafico in cui ci sono A e
B positive o A negative e B negative.

Tramite questa semplice distribuzione noi siamo in grado


di riconoscere i CD4+ dai CD8+.

29
GESTIONE DEL PAZIENTE IMMUNOCOMPROMESSO
Il pz immunocompromesso ha una più alta mortalità, ha ovviamente un alto rischio infettivo e noi dobbiamo quindi
essere aggressivi nel trattamento.
Approccio aggressivo significa utilizzare antibatterici, antivirali o antifungini al primo vero sospetto.

Esempio clinico
Paziente con una leucemia acuta, uomo di 40 anni, trapianto di midollo, la leucemia guarisce. Però questo paziente era
stato trattato male con gli antibiotici prima, era colonizzato da tantissimi germi. Il pz presenta febbre, il pz arriva in ps,
pz ricoverato in medicina interna dove viene sottoposto a test (emocoltura) ma non viene trattato con antibiotici.
Il pz la mattina dopo aveva uno shock ipovolemico, è andato in IRA con dialisi, per capire la rapidità del problema (dalla
sera alla mattina dopo). Il paziente è stato salvato.
Il problema era che non è stato dato un antibiotico con tempestività.

È chiaro che di fronte a situazioni in cui vediamo uno stato di immunosoppressione (trapianto, chemioterapie, ecc)
esiste la possibilità di utilizzare dei farmaci di profilassi. Bisogna stare attenti perché le profilassi sono pericolose
perché selezionano germi resistenti, per cui bisogna stare attenti: l'approccio deve essere adattato alle diverse
condizioni di immunosoppressione.
A noi deve rimanere il concetto che esiste la possibilità di fare profilassi.
E' chiaro che al pz che ha fatto un po' di steroidi e il giorno dopo viene con un po' di febbre, non dò un antifungino, un
antivirale ecc, bisogna fare esperienza. Dipende dall'esperienza clinica, da come noi conosciamo i nostri pazienti.
La gestione passa dal monitoraggio di infezioni opportunistiche (molto più che il normale tamponcino della gola, noi
facciamo tampone virale, oculare, nasale, facciamo test sul sangue per vedere la pressione costante nel tempo, per
vedere la riattivazione virale, facciamo TC al torace preventive). Sono pazienti impegnativi da questo punto di vista,
sono pazienti che sono trattati magari con chemioterapia, ecc.
Ci sono delle procedure di protezione, noi ci vestiamo quando dobbiamo andare in reparto. Abbiamo stanze chiuse,
singole, con pressione positiva (l'aria va da dentro a fuori sempre).
È come stare in una cappa, tutto ciò che è dentro incontaminato perché i batteri vengono portati fuori.
Ovviamente mettiamo la mascherina per proteggere il paziente dalle nostre secrezioni (a PG hanno anche la cucina a
parte).

LE IMMUNODEFICIENZE
Le immunodeficienze le distinguiamo in primitive .
Immunodeficienza primitiva (o congenita): presente dalla nascita, si tratta di una condizione ereditaria; il genitore che
ha trasmesso il carattere può essere apparentemente sano, dal momento che queste malattie hanno una penetranza
ed una espressività altamente variabili
Immunodeficienza secondaria (o acquisita): dovuta ad una noxa esterna che va ad alterare il sistema immunitario In
generale, si tratta di quadri clinici molto variabili.

MALATTIE DA IMMUNODEFICIENZA PRIMARIA PRIMITIVA

1) SCID (combinata) (si dice "SCHID")


Il bambino nasce con il sistema immunitario immunodepresso, non va oltre l'anno di età a causa di infezioni letali in
assenza di trattamento adeguato. È stata la storia, sulla SCID si basa la conoscenza della rilevanza della funzione delle
singole sottopopolazioni cellulari. La gestione della SCID ha permesso di migliorare il trapianto in questi bambini
(adesso ne salviamo oltre il 90%) e di sviluppare metodiche di trapianto perché il bambino non è in grado di fare
nessun tipo di risposta immunitaria (quindi non abbiamo rischio di rigetto e GVHD).

2) Immunodeficienza T (Di George, Atassia, teleangectasia)

3) Deficit delle immunoglobuline (agammaglobulinemia, X linked, Deficit di IgA, deficit sottoclassi IgG,
immunodeficienza comune variabile)

E' importante sottolineare questa cosa: le caratteristiche cliniche del deficit congenito dell'immunità cellulare* (se
non diciamo questo significa che non abbiamo capito niente)
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- Inizia subito dopo la nascita
- Difficoltà nella crescita e sviluppo
- Iniziano subito ad avere infezioni con opportunisti (virus, funghi, protozoi, micobatteri)
- Candidiasi intrattabili ( è ingestibile perché la candida è un commensale ma se non c'è una capacità cellulare di
gestire l'infezione)
- Diarrea e malassorbimento
Questo quadro è diverso di un quadro che deriva da un difetto dell'immunità umorale.

Caratteristiche cliniche del deficit congenito dell'immunità umorale*


- Inizia dopo 6 mesi (perché le IgG superano la barriera placentare quindi i bambini ce le hanno alla nascita, per cui il
difetto si manifesta dopo, tipicamente con:
- Infezioni respiratorie ricorrenti (bronchiti, broncopolmoniti)
- Gravi infezioni (meningiti, sepsi) batteriche (Haemophilus, Streptococco pneumoniae, stafilococchi)
- Infezioni da Giardia lamblia (diarrea)
- Crescita e sviluppo normali se riescono a superare

Queste caratteristiche sono importanti nella diagnosi differenziale al momento dell’analisi di un caso clinico.

Gli anticorpi hanno principalmente la funzione di opsonizzare le cellule, quindi per lo più batteri, cosicché possano poi
essere fagocitati ed in seguito distrutti. Pertanto, un deficit dell’immunità umorale predispone prevalentemente ad
infezioni batteriche, che sono le più ricorrenti, ma anche quelle che preoccupano meno perché sono le infezioni che
normalmente il neonato può contrarre: bronchite, tosse, cistite, otite, ecc. Invece, le infezioni batteriche più pesanti,
che possono suggerire un deficit immunitario di questo tipo, sono le meningiti: in questo caso bisogna
immediatamente eseguire una puntura lombare ed iniziare una terapia antibiotica ad ampio spettro i.v. prima ancora
di conoscere il risultato dell’analisi del liquor. Dopodiché la terapia va adattata in base all’agente eziologico e alla sua
suscettibilità agli antibiotici. I principali batteri che possono dare meningite sono Neisseria, Streptococcus pneumoniae
e Haemophilus influenzae (per pneumococco ed Haemophilus infatti c’è la vaccinazione, ma in realtà anche per
Neisseria). Ovviamente, in questi soggetti con un’alterazione dell’immunità umorale compariranno poi anche infezioni
virali e parassitarie. In particolare, i parassiti che più frequentemente infettano i bambini, ma anche gli adulti, sono gli
Ossiuri (i classici vermi, Enterobius vermicularis). Il ciclo vitale di questi parassiti prevede che, durante la notte, le
femmine si portino a livello della zona perianale per deporre le uova. La diagnosi di infezione da ossiuri si ottiene
applicando uno scotch sulla cute perianale al mattino e poi osservandolo al microscopio per la ricerca delle uova
(Scotch-test). Il bambino lamenterà prurito perianale che nel neonato si manifesterà con movimenti continui, insonnia,
alitosi, dimagrimento, cistite. Quando si presenta un paziente con eosinofilia, i primi due quadri che dobbiamo
sospettare sono allergia e parassitosi intestinale.

Al contrario, un deficit dell’immunità cellulo-mediata predispone ad infezioni virali e da patogeni intracellulari come
batteri intracellulari o miceti, le quali sono contrastate da linfociti T helper e citotossici che uccidono direttamente la
cellula infettata. Siccome stiamo parlando di ID primitive (congenite), facciamo riferimento a bambini e neonati, poiché
quelle più gravi si manifestano entro il primo anno di vita. A tal proposito, tra i funghi annoveriamo sicuramente la
Candida, che si estrinseca con mughetto (infezione da Candida a livello del cavo orale, di colore biancastro e spesso a
livello delle guance interne) resistente il quale può evolvere addirittura in esofagite da candida (che si esplica con
rigurgito, dolore e mancata deglutizione), tipica anche dei soggetti affetti da HIV o che sono sottoposti ad una terapia
steroidea (cortisone) per lungo tempo (es. in un paziente con artrite reumatoide). Se ci si presenta un paziente con
esofagite da candida, andiamo per prima cosa a ricercare una leucopenia e ad analizzare la formula leucocitaria per
vedere se sono diminuiti i neutrofili o i linfociti: questo ci dà una “misura” dell’immunità cellulo-mediata. Per
identificare i vari linfociti, ci avvaliamo dell’analisi citofluorimetrica delle sottopopolazioni linfocitarie (tipizzazione
linfocitaria). Inoltre, è importante dosare gli anticorpi tramite l’elettroforesi delle proteine: un picco gamma del 12% è
leggermente diminuito, ma comunque nella norma. Poi si fa il dosaggio delle immunoglobuline, IgG, IgA e IgM, perché,
ad esempio, ci può essere un deficit di IgM, le quali tuttavia sono talmente poche che nel dosaggio complessivo
possono non essere evidenti. Anche un deficit di IgA può passare inosservato all’elettroforesi proteica, poiché magari
quel 12% è costituito da IgG e IgM.

31
1. Anamnesi (generale, familiare, personale remota e prossima, farmacologica)
2. Emocromo, con formula leucocitaria e tipizzazione linfocitaria
3. Elettroforesi delle proteine
4. Dosaggio delle classi anticorpali (IgG, IgA, IgM)

In una ID cellulo-mediata (stiamo parlando sempre del neonato), sicuramente potremo incorrere in un’infezione da
CMV, che in questo caso non dà una banale influenza, bensì linfoadenomegalie diffuse o addirittura condizioni simil-
leucemia, ma anche da EBV, il quale provoca una mononucleosi molto sintomatica. La principale complicanza di una
mononucleosi è la rottura di milza, conseguente ad una splenomegalia e ad un trauma (rischio nel bambino piccolo
che gioca e si fa male): in questo caso si procede con splenectomia, la quale comporta un aumento delle piastrine, ma
soprattutto un quadro di ID acquisita. Le cause più frequenti che portano alla rottura della milza (che poi
approfondiremo parlando della milza) sono: trauma, piastrinopenia autoimmune ed anemia emolitica autoimmune
(nei casi di autoimmunità oggi la splenectomia è meno frequente perché ci sono farmaci più efficienti), tumori della
milza (es linfomi primitivi della milza) ed asportazione durante un intervento chirurgico di altro tipo (perché al
chirurgo dà fastidio la presenza della milza per lavorare; stesso principio di quando si rimuove il timo in un’operazione
di cardiochirurgia infantile). Questo paziente avrà un deficit immunitario serio, tanto che potrà andare incontro ad
infezioni da germi capsulati poiché è proprio nella milza che vengono distrutti i batteri opsonizzati, grazie ad un fitto
sistema reticolo-endoteliale di macrofagi. n’infezione da pneumococco, ad esempio, potrà determinare una polmonite
o addirittura una meningite nel soggetto splenectomizzato. È per questo motivo che i soggetti splenectomizzati
devono essere necessariamente vaccinati per germi capsulati (Streptococcus pneumoniae, Neisseria meningitidis,
Haemophilus influenzae) e devono sempre portare con sé l’antibiotico in caso di eventuali infezioni.

L’immunodeficienza è una condizione che spesso viene individuata, in un primo momento, dal medico di base, ma
che poi deve essere accertata dallo specialista.
Anamnesi
Un elemento che ci consente di sospettare una ID è sicuramente una storia di infezioni ricorrenti, soprattutto cistiti (es.
più di 5 l’anno), infezioni da batteri piogeni (deficit anticorpali, del complemento o fagocitari)oppure infezioni virali
ricorrenti (deficit linfociti T). Ci si deve poi informare riguardo la storia familiare, l’età di insorgenza, l’ambiente di vita e
il sesso, poiché ci sono delle malattie legate ai cromosomi sessuali, come la agammaglobulinemia di Bruton (X-linked)
che comporta una mancanza totale di maturazione dei linfociti B con assenza di anticorpi. Nel caso in cui questi dati ci
consentano di sospettare un’ID, procederemo con i test di cui prima: emocromo, elettroforesi proteica, dosaggio delle
IgG, IgA e IgM e tipizzazione linfocitaria. Esame obiettivo Di fondamentale importanza. È necessario far spogliare
completamente il paziente e palpare tutte le stazioni linfonodali superficiali. Queste nei bambini sono tutte
apprezzabili alla palpazione, poiché il soggetto inizia ad incontrare gli antigeni esterni, ma i linfonodi rimangono
comunque piccoli (0,5 cm), mobili e di consistenza elastica. Se non sono apprezzabili è anomalo, quindi possiamo
ipotizzare una sindrome di De George, così come se sono molto grossi si può pensare ad una infezione.
E’ fondamentale conoscere tutte le stazioni linfonodali superficiali:
• Pre-auricolari
• Retro-auricolari
• Sotto-mandibolari
• Sotto-mentonieri
• Latero-cervicali
• Retro-nucali (molto ingrossati ad esempio in caso di rosolia)
• Sopra-claveari: se ingrossati sono sempre patologici.
Se sono duro-lignei bisogna ipotizzare una metastasi secondaria, mentre se sono duri-elastici vanno comunque
asportati per effettuare una diagnosi, che può essere di linfoma (hodgkin o non-hodgkin), di TBC o di sarcoidosi, in
genere.
• Ascellari
• Inguinali: normalmente sono apprezzabili nel bambino, ma anche nell’adulto, e devono essere mobili, con un
diametro di massimo 1 cm circa.
Ciò si deve nell’adulto ai rapporti sessuali, ma nel bambino al fatto che questi linfonodi drenano la linfa proveniente
dagli arti inferiori e spesso i bambini si procurano lievi ferite alle gambe
• Poplitei Inoltre bisogna ispezionare i genitali ricercando ad esempio la presenza dei condilomi dovuti ad una
infezione da papillomavirus che nel soggetto immunodepresso è molto evidente. In un bambino poi, è opportuno
valutare la crescita e lo sviluppo, compresi gli organi sessuali, poiché ci sono delle anomalie fisiche che si associano ad
alcune forme di ID: un esempio è la sindrome di De George, cioè un’atrofia timica legata ad un’alterata maturazione
del 3° e 4° arco branchiale, che si associa a rash cutaneo, teleangectasie e facies tipica con ipertelorismo, mancato
sviluppo della mandibola, naso piccolo, basso impianto delle orecchie. Un aspetto importante da considerare è che, se
32
il soggetto è stato vaccinato, la risposta al vaccino è un ottimo indice di come funziona il suo sistema immunitario e la
si valuta ricercando il titolo anticorpale: se, infatti, c’è un deficit dell’immunità cellulare od umorale, il titolo
anticorpale stimolato dalla vaccinazione sarà basso o comunque inappropriato.

TORTA DELL'INCIDENZA

Le più frequenti sono:


– Immunodeficienza comune variabile
– Difetti delle sottoclassi di IgG in pz che saranno per la
maggior parte asintomatici. 1/3 di questa torta è quadri
– Deficit di IgA
– I "pezzetti" sono per esempio la SCID (capiamo bene la
differenza di incidenza).

I difetti genetici possono avvenire a vari livelli della cascata, più precoce è più sarà ampio lo spettro di interesse del
difetto. Se il mio difetto avviene in una maturazione da cellula staminale a CLP (progenitore comune linfoide), non avrò
nessun linfocita funzionante.
Se il difetto avviene subito dopo la progenitrice linfoide ma prima della timopoiesi, oppure se il difetto avviene solo in
una delle sottofamiglie.

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SINDROMI DA IMMUNODEFICIENZE

Gli interessa che impariamo l'agammaglobulinemia dove non c'è nessuna cellula B matura, quindi nel sangue c'è un
deficit di B (necessario per fare diagnosi). Questo deficit porta alle infezioni batteriche extracellulari di certi enterovirus
che si manifestano sei mesi dopo la nascita.
Abbiamo poi la sindrome da iper-IgM legata alla X dove in realtà il difetto è di un ligando quindi manca la possibilità ai
B di spiegare alla T di passare dalle IgM alle IgG,
manca lo switch isotipico e quindi il pz fa tante
più IgM perché non riesce a fare sufficienti IgG
e questo porta a un difficile controllo e un
rischio di batteri ec aumentato e infezioni da
opportunisti che vivono in noi e che hanno
bisogno di una memoria per essere tenuti sotto
controllo (es: pneumocystis).
Difetto del tutto sconosciuto a livello genetico
che può essere variabile, c'è
un'ipogammaglobulinemia lieve e un rischio di
infezione e di malattie linfoproliferative (per la
diagnosi bisogna fare elettroforesi e dosaggio
delle immunoglobuline)
Nel deficit selettivo da IgA è la stessa cosa: igG sono normali, le IgM sono normali (tendono anzi ad aumentare per
compenso) e le IgA sono zero.
Difetti dei fagociti (malattia granulomatosa cronica dove c'è la perdita della funzione fagocitaria e quindi il rischio di
infezioni batteriche, extracellulari che hanno bisogno e da esterni, deficit di complemento (come nel caso di deficit di
C3).

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SCID (several combined immunodefiency)

Si tratta di una forma di immunodeficienza combinata, poiché è caratterizzata da una alterazione della funzione T, la
quale poi si traduce inevitabilmente anche in un deficit della funzione B.
Tale condizione insorge subito dopo la nascita ed è così grave che il neonato che deve essere immediatamente inserito
in una camera sterile. Il bambino è privo sia d’immunità cellulare che umorale, inizieranno a comparire delle polmoniti
gravi, ma anche delle bronchioliti, ecc. Per la diagnosi è opportuno analizzare l’emocromo, in cui si potrà apprezzare
per prima cosa una leucopenia dovuta alla riduzione dei linfociti: si tratta quindi di una grave linfocitopenia (al
massimo il 5%), per cui di questa classe cellulare rimarranno soltanto le cellule NK. La tipizzazione linfocitaria mostrerà
poi la totale assenza di linfociti T e B. Si va a questo punto ad
analizzare l’elettroforesi per valutare la produzione
anticorpale: si osserverà ovviamente una
agammaglobulinemia. Con questi dati possiamo sospettare
una SCID, ma non possiamo sapere con precisione di quale
forma si tratta, perciò sarà necessario mandare questo
bambino in un centro specializzato al fine di ottenere una
diagnosi precisa. Il bambino deve essere portato in un centro
specializzato, messo in camera sterile e curato. La terapia di
una SCID prevede il trapianto di midollo, quindi è necessario
subito ricercare un possibile donatore.

E’ importante sottolineare che esistono diversi tipi di scid,


dovuti a diverse mutazioni genetiche con diverse implicazioni
cliniche.
(1) La scid più frequente (50%- 60% dei casi) che abbiamo analizzato è la SCID dovuta a mutazioni del gene che
codifica per la catena gamma del recettore comune per interleuchine (*la più importante è l’IL2 ma sono coinvolte
anche IL4, IL7, IL9 e IL 15). Questo tipo di scid va quindi a interferire con il segnale di sopravvivenza dei progenitori T.
[perché? Perché l’IL-2 stimola la proliferazione di sottoclassi di linfociti T, tra l’altro questa subunità è condivisa da
molte altre citochine che sono indispensabili alla regolazione della risposta immunitaria.]
(2) Abbiamo poi le mutazioni dell'adenosina deaminasi (ADA) causano l'inattivazione o la distruzione dell'omonimo
enzima.
Questo tipo di SCID si trasmette per via autosomica recessiva e va a causare, a causa della disfunzione enzimatica

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presa in esame, un accumulo intracellulare di substrati enzimatici tossici (adenosina) per il linfocita B, portando quindi
alla mancanza dello sviluppo linfocitario. In questa condizione non saranno presenti in alcun modo né cellule T né B.
Tutto lo sforzo terapeutico nel trattare questi bambini SCID sta nel fatto di riuscire a mettere in atto un trapianto che
sia il meno tossico possibile ma che gli consenta di avere un sistema immune efficace, però capite bene che avendo
un'assenza del sistema immune basta poco per essere tossici con questi pazienti.
Quindi allo stesso tempo c'è un grosso vantaggio: siccome loro non hanno un sistema immunitario questi bambini non
possono rigettare nulla. Ovviamente, infatti, non hanno una risposta immune contro un agente esogeno.
Cosa sta cercando di fare la scienza? Si cerca di fare la terapia genica: si prendono le cellule staminali del bambino e si
inserisce in queste cellule il gene corretto ADA tramite dei vettori virali. Sembra semplice, ma ovviamente è una cosa
molto complicata, anche se stiamo migliorando veramente molto.
È partito da qui, da una malattia rara quindi, ma poi ci sono dei trials che lo applicano anche alla talassemia (che
sappiamo avere un'incidenza molto più elevata, elevatissima).
(3) Un altro tipo di SCID è la SCID con deficit di purina nucleoside fosforilasi (PNP): forma rara con trasmissione
autosomica recessiva; mutazione del gene che codifica per PNP, enzima catalizzante la tappa successiva a quella
dell’enzima ADA; anche in questo caso abbiamo accumulo di metaboliti tossici nei linfociti T.

Questa immunopatologia comprende un gruppo eterogeneo di sindromi cliniche, caratterizzate dalla forte diminuzione
o assenza di linfociti T funzionali, associata in vario modo a deficit di altre popolazioni linfocitarie e leucocitarie. È la
conseguenza di mutazioni che avvengono in geni diversi, ereditate in modo autosomico recessivo o recessivo legato al
cromosoma X. Tutti i tipi di microrganismi determinano infezioni nei pazienti, con prevalenza delle infezioni
opportunistiche. L’immunodeficienza, in mancanza di un opportuno intervento, porta a morte i pazienti entro il primo
anno di vita.

(4) Sindrome del linfocita nudo: trasmissione autosomica recessiva; assenza delle molecole MHC II, dovuta a
mutazioni che interessano i geni regolatori dell’espressione delle molecole MHC; incapacità delle APC di presentare
l’antigene ai linfociti T CD4, con conseguente deficit delle risposte DTH e delle risposte anticorpali T-dipendenti.
Il difetto di espressione dell'MHC avviene in un secondo momento (come vediamo dallo schema della pagina
precedente avviene nella trasformazione da linfocita T a T attivato) quindi in questo caso avremo quelle SCID che
definiamo "SCID B+" cioè in cui ci sono un po' di linfociti B.

L'incidenza in generale (di tutte) è di 1 ogni 100000 (forme recessive o X-linked), sono caratterizzate da diversi difetti
cromosomici, genetici ed enzimatici. In comune hanno un basso numero di linfociti T maturi. I linfociti B non sono per
forza in numero normale/alto, diciamo che dipende dal difetto genetico. In alcuni ci sono proprio zero B, in altri ci sono
i linfociti B. Non sono funzionanti perché quando ci sono manca l'interazione di B. Sapete dal corso di immunologia che
è necessario, per il linfocita B un'interazione con il linfocita B CD4+ per poter sviluppare la memoria.
Il bambino se non trattato muore nell'arco di 1-2 anni per infezioni da opportunisti, la causa di morte più frequente è
la i virus che sono talmente ubiquitari da cui è veramente difficile isolare i bambini.
Il concetto è che la cellula staminale linfoide può andare incontro a maturazione B o T a seconda dell'environment, a
seconda di dove avviene la mutazione per capirci.
Il difetto di ADA avviene proprio a livello della trasformazione della cellula staminale linfoide in T o B, per cui non
avremo né l'uno né l'altro.

*NB: La forma più grave di SCID è la SCID con ipoplasia emopoietica generalizzata: forma più grave di SCID, con deficit
della serie cellulare linfoide e mieloide per un difetto differenziativo della cellula staminale totipotente (assenza di
immunità specifica e naturale). in un soggetto affetto da questa patologia mancano un po’ tutte le cellule della filiera
linfo-emopoietica (è una sorta di aplasia midollare) e ne consegue un deficit sia dell’immunità naturale che specifica
(mancano infatti anche neutrofili e NK). Abbiamo poi l’agammaglobulinemia di tipo svizzero: trasmissione ereditaria
autosomica recessiva; mancato sviluppo della cellula staminale linfoide.

TOPO SCID
Modello animale di immunodeficienza di tipo SCID. Originatosi da una mutazione spontanea in un ceppo inbred; sono
assenti sia i linfociti T che B per un blocco precoce nella maturazione dai precursori midollari. Il difetto consiste in
un’alterazione di DNA-PKCS, (DNA-dependent protein kinase), una proteina coinvolta nel processo di riparazione delle
rotture del doppio filamento di DNA, tappa finale del processo di riarrangiamento V(D)J necessario per la generazione
di recettori specifici per l’antigene dei linfociti T e B. il recettore per l’antigene non viene espresso ed i linfociti in via di
maturazione vengono eliminati in vivo. In una piccola percentuale di animali è presente un piccolo numero di linfociti T
e B maturi; questo fenotipo, definito “leaky”, è caratterizzato da un repertorio linfocitario limitato.
Un altro tipo di modello animale che presenta un fenotipo simile a quello dei topi SCID, è rappresentato dai topi
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(5) knockout per il gene RAG-1 o RAG-2 (Recombination-Activating Gene), geni i cui prodotti proteici sono anche essi
coinvolti nel processo di riarrangiamento delle sequenze V(D)J nella maturazione del TCR.
Il topino SCID ci permette di studiare cellule umane dal momento che in questo topino attecchiscono cellule umane.
Quindi per esempio, magari io ricercatore, domani vado ad infondere delle cellule della leucemia umana sul topino
SCID perché non me le rigetterà. Riuscirò a studiare in vivo la leucemia, ucciderla e imparare quindi a curare meglio il
paziente.
La diagnosi di SCID è stata didattica per tantissime situazioni pur essendo una patologia rara.

DIAGNOSI DI SCID
Il bambino presenta:
- infezioni precoci respiratorie ed intestinali: polmonite interstiziale da PC, diarrea, candidiasi orale "intrattabile"
- Infezioni da Aspergillo
- Infezioni da germi intracellulari: Listeria, legionella
- Conseguenze catastrofiche di vaccinazioni con vaccini vivi
- GVHD in seguito a trasfusioni (da evitare!: avviene quando vengono fatte delle trasfusioni con due o tre cellule
contaminanti dentro e proprio perché il pz non è in grado di rigettare nulla)
- Anamnesi familiare
- E. O. Assenza di linfonodi palpabili, assenza di tonsille visibili
- Rx torace: assenza dell'ombra timica
- Emocromo: linfopenia (bambini linfociti > 5000/ml)
- Tipizzazione linfocitaria

SINDROME DI DIGEORGE

Mette insieme diversi difetti genetici, è denominata anche ipoplasia timica, è infatti caratterizzata dall'assenza del timo
e delle paratiroidi, si manifesta subito dopo la nascita ed è causato da un anomalo sviluppo anomalo della 3a /4a tasca
faringea durante l'embriogenesi e avviene, nei casi più frequenti ad una traslocazione del cromosoma 22.
È trasmessa con un'ereditarietà di tipo autosomico dominante.
Come conseguenza dell'ipoplasia timica, i linfociti T non maturano e non sono presenti in periferia o lo sono in numero
molto ridotto (quindi non è detto che non ce ne sia nessuno, consente più la vita rispetto alla SCID), e, in questo ultimo
caso non proliferano in risposta agli attivatori policlonali; oltre ad una disfunzione delle reazioni immuni di tipo cellulo-
mediato può anche essere presente un'alterazione della sintesi delle immunoglobuline.
Con l'età la funzione T tende a migliorare, probabilmente grazie sia alla presenza di residui timici che al processo di
maturazione dei linfociti T in tessuti extra-timici.

Recentemente, è stato identificato un difetto genetico in un membro della famiglia dei fattori di trascrizione T-box,
TBX1, come causa dei difetti presenti in questa sindrome.

Ci sono due tipi di sindrome di DiGeorge: una forma parziale (in


cui esiste una funzione dei linfociti T) e una totale (assente la
funzione dei linfociti T).
- Insufficiente sviluppo del III e IV arco branchiale con ipoplasia di
timo e paratiroidi, anomalie cardiache (tronco comune), e facciali
(micrognazia*, ipertelorismo etc): ovviamente tutto questo ci
aiuta nella diagnosi.
- Difetto genetico autosomico dominante : delezione interstiziale
22q11
- Gravità clinica varia: da grave a parziale linfopenia con moderata
immunodeficienza.
I neonati con sindrome di DiGeorge presentano inserzione bassa
delle orecchie, schisi facciale sulla linea mediana, ipoplasia e
retrazione della mandibola, ipertelorismo, frenulo nasale corto,
ritardo della crescita e malattie cardiache congenite (p. es., arco
aortico interrotto, tronco arterioso, tetralogia di Fallot, difetti
dei setti atriali e ventricolari). Presentano anche ipoplasia o
aplasia del timo e delle paratiroidi, con conseguenti deficit dei linfociti T e ipoparatiroidismo.

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Ha una grossa variabilità di espressione clinica, la diagnosi non avviene per forza nel bambino appena nato, talvolta è
anche tardiva, le infezioni opportunistiche potrebbe averle anche un po' più avanti.
Fa sì che non sia possibile portare fuori le molecole di MHC
Questi bambini fanno qualche infezione appena nati, poi può succedere, se fanno parte dello spettro con pochi linfociti
T, ma riescono in qualche modo a fare una risposta può succedere che, visto l'adattamento, riescono ad avere magari
un po' di memoria e quindi il rischio infettivo si riduce con l'andare dell'età.

DIAGNOSI
- Ig (dato che ho un’assenza dei linfociti T avrò anche un abbassamento delle Ig; *ricordiamo il concetto di
interdipendenza linfocitaria)
- conta linfocitaria
- Rx torace
- Ecocardiografia
- Valutazione funzionale delle paratiroidi

TERAPIA
Dipende se abbiamo una sindrome parziale o totale.
Il trattamento della parziale prevede integratori di calcio (per la disfunzione parotidea) e vitamina D.
Il trattamento della forma totale invece prevede trapianto di tessuto timico e cellule staminali emopoietiche.

Difetti di sviluppo e attivazione dei linfociti T. Es.: deficienza di molecole di classe II

SINDROME DI BARE
Questa slide è molto utile per ricordarsi il discorso sulle molecole MHC che è di tipo 1 o di tipo 2 a seconda della
mutazione genetica (che possono essere più di una nella tipo due), ma fa sì che non sia possibile portare fuori dal

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linfocita le molecole di MHC.
Se manca la tipo 1, ci sarà un difetto di CD8+, Se manca il tipo 2 ci sarà un difetto di CD4+.

TOPO NUDO
Modello animale di immunodeficienza. Un difetto ereditario localizzato in un gene recessivo localizzato sul cromosoma
11, che interessa le cellule cutanee e il pavimento della terza e quarta tasca faringea. Nei topi omozigoti si manifesta il
fenotipo caratterizzato dall'assenza del pelo e dall'ipoplasia timica. Come per l'uomo, non si verifica la maturazione dei
linfociti T che sono assenti o quasi nei tessuti linfoidi periferici. Non sono quindi presenti risposte immunitarie cellule-
mediate, quali il rigetto di allotrapianti, la DTH e la risposta anticorpale verso antigeni proteici timo-dipendenti. I topi
nudi sono suscettibili a molte infezioni ma riescono ad eliminare alcuni batteri-intracellulari, grazie alla presenza di un
numero normale di linfociti natural killer, che, tramite la produzione di IFN gamma, sono in grado di attivare le capacità
microbicide dei macrofagi.

DIFETTI FUNZIONALI E REGOLATORI DEI LINFOCITI T

SINDROME LINFOPROLIFERATIVA LEGATA AL CROMOSOMA X (XLP)


In cui: SAP (SLAM- Associated Protein) e SLAM (Signalling Lymphocytic Activation
Molecule)
E' stata individuata una mutazione del gene SH2D1A codificante per SAP (SLAM-
associated protein), una proteina citoplasmatica in grado di legare SLAM (signalling
lymphocytic activation molecule). SLAM è una proteina transmembrana la cui
espressione sulla superficie dei linfociti aumenta dopo l'attivazione cellulare. Il segnale
tra SAP e SLAM media un segnale inibitorio.
è una sindrome dovuta al fatto che questa mutazione fa in modo che manchi un segnale
inibitorio importante per i linfociti Te questi di fronte a una risposta anti-infettiva/anti-
virale invece di proliferare e poi fermarsi uccidendo il virus, continuano a proliferare, per
cui abbiamo quella che chiamiamo risposta proliferativa abnorme dei linfociti T.
*NB: per ragioni non ancora chiare, mutazioni a carico di SAP determinano una
proliferazione abnorme dei linfociti T di individui infettati dall'EBV, una eliminazione
virale inefficace, la comparsa di linfoma o ipogammaglobulinemia.
L'EBV stimola molto il sistema immunitario e quindi è per questo che questa malattia si estrinseca principalmente di
fronte al virus.
Questi bambini possono stare anche bene fino al momento in cui non arrivano in età adolescenziale quando magari
tramite baci prendono la mononucleosi (dove entrano in gioco i linfociti T citotossici che non terminano la loro risposta
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e quindi vanno anche ad attaccare altre cellule come i linfociti B) per poi arrivare a sviluppare un linfoma.

SINDROME IPEX
Immunodeficency Poli endrocrinopathy and enteropathy (diarrea autoimmune, infiammatoria da infiltrato linfocitario,
è l'opposto di quello che abbiamo visto nelle SCID) and dermatitis and enterococcus and staphylococcus species
infections.
X sta per X linked ed è una mutazione di un gene importantissimo FOXP3, gene regolatore della produzione citochinica
dei linfociti T, regolatore della capacità di questi linfociti di svolgere l'azione citotossica o regolatoria, linfociti T che
hanno questa funzione sono i linfociti T regolatori.
Questa sindrome è sì un'immunodeficienza ma il gene FOXP3 fa sì che non manchino linfociti T o B in genere ma i
regolatori (sottopopolazione dei CD4, servono a contenere la risposta infiammatoria ma permette di sviluppare il
concetto di tolleranza periferica).
La Ipex è un corredo di patologie autoimmuni.
Mancando la regolazione il bambino muore da accesso di risposta infiammatoria.
I linfociti T regolatori ci hanno permesso di scoprire che c'è una tolleranza periferica (prima si pensava fosse solo nel
timo) e, mancando questi linfociti si scatenano reazioni infiammatorie autoimmunitarie e vengono prodotti anche
autoanticorpi, quindi c'è il difetto della funzione B.

DIFETTI IMMUNITA' UMORALE

Da ricordare queste tre patologie frequenti:


1) Agammaglobulinemia di Bruton
2) Immunodeficienza comune variabile
3) Deficit selettivi di Isotipi IG

I pazienti con deficit di immunità umorale presentano le seguenti caratteristiche:


• Infezioni ricorrenti con batteri capsulati: Streptococco pneumoniae, Haemophilus influenzae tipo b
• Se alterazione dell’integrità di cute e mucose: Stafilococco, gram neg
• Superano regolarmente le infezioni virali (perché i virus vengono debellati con l'immunità cellulare principalmente),
ma non sviluppano immunità permanente (es varicella, morbillo)

Diagnosi di laboratorio di deficit dell’immunità umorale


• Dosaggio IgG, IgA, IgM, IgE, Complemento, emocromo
• Valutazione funzionale dei B linfociti (nei laboratori specialistici):
– isoemoagglutinine
– risposta anticorpale booster a tetano-difterite (T-cell dependent)
– risposta anticorpale booster a pneumococco (T-cell independent)
• Quantificazione dei linfociti T e B:
– T cell (CD3, CD4, CD8, TCR, TCRgamma)
– B cell (CD19, CD20, CD21, Ig )
Analisi malattia specifica espressione CD40 ligando sui B (ridotto/assente nella X-linked agammaglobulinemia con
iperIgM)

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AGAMMAGLOBULINEMIA DI BRUTON
Malattia caratterizzata dall’assenza di gammaglobuline
nel siero; è causata dalla mutazione di un gene situato
sul braccio lungo del cromosoma X che codifica per una
tirosin-chinasi (btk) specificamente espressa dai linfociti
durante le fasi di differenziazione dei linfociti B. Gli
individui che presentano tale deficit hanno cellule pre-B
con catene m normali in cui non si verifica il successivo
riarrangiamento delle catene leggere, a causa della
mancata produzione di una btk funzionale. Quindi le
cellule pre-B sono presenti in numero normale nel
midollo osseo, mentre i linfociti B sono assenti o
fortemente ridotti in circolo e nei tessuti linfoidi. Sono
colpiti solo gli individui di sesso maschile, mentre le
donne, che sono portatrici sane, presentano un
fenotipo normale. I neonati sono asintomatici, per la
presenza di immunoglobuline di origine materna.
Quando compariranno i primi sintomi della malattia?
Dopo i primi mesi.
• Difetto nella tirosina-kinasi (di Bruton)
• Blocco della maturazione dei B linfociti
• Quasi assenza di B linfociti circolanti
• Panipogammaglobulinemia
• Inizio delle infezioni dopo i primi 6 mesi (anticorpi materni circolanti !)

Manifestazioni cliniche
• Infezioni respiratorie ricorrenti
• Spesso gravi sinusiti, otiti, bronchiectasie
• Batteri: Streptococco pneumoniae, Haemophilus, Stafilococco, Pseudomonas
• Diarrea da Giardia lamblia
• Nei non trattati artriti da Micoplasma
Bronchiectasie in un adulto con X-linked agammaglobulinemia
Sono correlate ad infezioni ricorrenti con batteri capsulati: streptococco pneumoniae, Haemophilus influenzae tipo B.

Diagnosi
- dosaggio IgG, IgA, IgM, IgE, complemento, emocromo
- Valutazione funzionale dei linfociti B (isoemo....)
- Quantificazione dei linfociti T B
- Tcell
- B cell

Analisi della malattia specifica: espressione CD40 ligando sui T (ridotto/assente


nella X linked agammablobulinemia con iperIgM).

Terapia
infusione di gammaglobuline (0.4/0.6 ogni 3-4 settimane per sempre) allo scopo
di mantenere il livello di IgG> 500 mg/dl . Sono state introdotte le
immunoglobuline sotto cute. Vengono somministrate principalmente IgG mentre
le IgA non vengono date visto che non riescono comunque a raggiungere le
mucose.
Antibiotici in caso di infezioni (tener conto dei germi più frequentemente in causa)
Evitare i vaccini.

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SINDROME DA IPER IGM
Partiamo dalla fisiopatologia: i linfociti B hanno bisogno di un secondo segnale pe la comunicazione con la cellula T
helper per attivare lo scambio isotipico dei linfociti B.
Quindi, risposta precoce: fanno IgM. Hanno bisogno di fare IgG per mantenere la risposta e per farne memoria. Hanno
bisogno di questo dialogo e per far sì che questo dialogo sia efficiente non c’è soltanto la molecola di MHC di classe II
ma c’è un’interazione efficiente tra il CD40 e il CD40L.
Un difetto genetico a questo livello fa sì che non avvenga più lo scambio isotipico e i linfociti B possano fare
praticamente solo IgM, poche IgG, sarà un difetto da IgG e ci saranno invece tante IgM.

Numero normale di linfociti B circolanti (blocco delle switch da IgM alle altre classi)
La diagnosi si fa andando a cercare l’espressione di questo ligando per una molecola di superficie che deve essere
assente.
• Infezioni respiratorie ricorrenti
• Neutropenia ricorrente con ulcere orali e ascessi perirettali
• Infezioni da opportunisti (Pneumocystis carinii)
• Diarrea da Giardia lamblia, Cryptosporidium, Entamoeba hystolitica)
Adesso andiamo alle più diffuse in assoluto:

IMMUNODEFICIENZA COMUNE VARIABILE


È molto frequente anche se spesso non si riconosce e non si fa diagnosi. Molti pazienti vengono con una elettroforesi
in cui si legge ipogammaglobulinemia, ma magari i medici non gli danno importanza. È un deficit immune
caratterizzato da difetto di produzione anticorpale, autosomico. Viene diagnosticato nella tarda infanzia o
nell’adolescenza, o può anche non essere diagnosticato oppure diagnosticato casualmente. (domanda: ma queste
migliorano nell’adulto? No. Addirittura a volte può peggiorare perché è come se si verificasse un esaurimento
anticorpale con una ridotta produzione di IgG ma anche combinata a volte a ridotta produzione di IgA (in questo caso
può avvenire una diagnosi in età adulta). Insomma non possiamo dire se migliora o peggiora perché c’è una variabilità
infinita di manifestazioni, talvolta può essere completamente asintomatica, talvolta invece può dare infezioni ricorrenti
ma non gravi e quindi può sembrare semplicemente che quel soggetto si ammala più di altri) Le IgM spesso sono
normali, il numero di linfociti B è spesso normale (dunque la diagnosi non la possiamo fare con emocromo o con
citofluorimetria ma con la elettroforesi proteica e dosaggio delle classi anticorpali). C’è carenza soprattutto di IgG, a
volte associata a IgA. Si è visto che si ha un anche un lieve deficit T quindi, anche se non si sa quale sia il deficit
genetico alla base, è presumibile che ci sia una deficitaria cooperazione da parte delle cellule T; se in passato la
malattia era stata attribuita essenzialmente ai linfociti B, ora si suppone che ci sia un’alterazione dei T con ridotta
cooperazione B-T. La diagnosi è soprattutto clinica e di laboratorio, ma non genetica perché non si sa ancora quale sia
l’alterazione genetica alla base. Soltanto in alcuni soggetti si è identificata una mutazione del gene AICOS
fondamentale per la maturazione T alterata proliferazione T e alterata produzione citochinica alterata maturazione
B.
Al di sotto di questa patologia che definiamo immunodeficienza comune variabile ci sono altri deficit diversi che
riguardano le altre classi o sottoclassi anticorpali. Per immunodeficienza comune variabile si intende un deficit di IgG o
combinato IgG-IgA, categorizzato da un punto di vista clinico e di laboratorio. In alcuni soggetti si caratterizza anche
per una alterazione molecolare causata da una mutazione del gene AICOS. Sono raggruppate insieme perché il quadro
clinico è simile: infezioni ricorrenti, da quelle gravi a quelle meno gravi, o addirittura asintomaticità. Il medico spesso
tende a sottovalutare queste condizioni, ma se c’è carenza di IgG e il soggetto ha infezioni ricorrenti, deve essere fatta
infusione di IgG

Altre forme più selettive sono:


- Deficit selettivo di IgA:
• Infezioni respiratorie ricorrenti di gravità lieve-moderata con batteri capsulati (Streptococco pneumoniae,
Haemophilus)
• Raramente polmoniti ricorrenti e/o bronchiectasie (se non concomita deficit di sottoclassi IgG2 o IgG4)
• Diarrea da Giardia lamblia
• 20 % di aumento di IgE e manifestazioni atopiche (rinite, asma)
Frequentissimo con incidenza 1:800-600. Deficit primario (modalità di trasmissione autosomica dominante o recessiva)
o acquisito (in seguito all’azione di farmaci o ad infezioni contratte durante la vita intra-uterina). Le Femmine sono più
colpite. In questo caso non possiamo fare infusione di IgA perché comunque non riuscirebbero ad arrivare alla mucosa,
ma dobbiamo fare fin dalla giovane età screening per malattie neoplastiche (marker tumorali, ecografia, evitare il
fumo, sangue occulto feci, Pap test, visita ginecologica, gastroscopia e colonscopia ogni due anni. Per evidenziare
tumori, soprattutto linfomi perché quando si ha un alterato controllo dei germi in ingresso, a causa del deficit di IgA, si
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può avere un’iperstimolazione antigenica che induce poi una proliferazione linfomatosa) o autoimmuni, essendo il
paziente più soggetto a queste malattie. Moltissime donne arrivano con un linfoma di Hodgkin o un linfoma a grandi
cellule e poi si vede che c’è un deficit di IgA. Caratteristiche cliniche variabili, che vanno dalla normalità all’aumentata
incidenza di infezioni dell’apparato respiratorio e gastrointestinale, associate ad una maggiore suscettibilità a malattie
autoimmunitarie; patogenesi dovuta ad un blocco della differenziazione terminale dei linfociti B verso plasmacellule
secernenti IgA, per ragioni non ancora chiarite (difetto intrinseco dei linfociti B o alterata funzione dei linfociti T
helper).
Possibili anticorpi anti IgA: reazioni trasfusionali
Non possiamo dare i IgA ai pz perché sono molto sensibilizzanti e danno reazioni da shock anafilattico molto frequenti.
Chi ha deficit di IgA, non avendole possono aver sviluppato, per scambio di sangue materno-placentare, per trasfusioni
fatte per altri motivi, anticorpi anti-IgA, quindi è ancora più pericoloso. Sono pz che mettiamo in monitoraggio per
malattie come il LES, l’artrite reumatoide, l’anemia emolitica, cerchiamo di fare subito la diagnosi.
Al deficit di IgA cerchiamo subito la celiachia, linfomi intestinali (hanno infatti aumentata incidenza in questi pz).

- Deficit selettivo di sottoclassi di IgG: Normali livelli totali di IgG totali, ma concentrazioni di una o più sottoclassi
ridotte (1, 2, 3, 4).
Tornando a parlare in generale di immunodeficienza comune variabile, la frequenza è la stessa tra uomini e donne.
Prevalenza 1:50.000. Picco di presentazione tra i 20 e i 30 anni, ma è frequentissimo anche che arrivi un 50 enne a cui
non è mai stata diagnosticata. C’è un deficit IgA + IgG < 500 mg/dl (IgG4> IgG2 > IgG1 > IgG3). Il numero di linfociti B
circolanti è normale (quasi sempre). Non sempre è congenita, spesso può essere acquisita, in particolare associata a
farmaci: antiepilettogeni, antimalarici, cortisonici (il cortisone è un immunosoppressore linfocitolitico sia per le cellule
B che per le cellule T). Adesso moltissime malattie autoimmuni (anche l’artrite reumatoide) vengono curate con
anticorpi monoclonali (rituximab ad esempio è un anticorpo monoclonale anti CD20) che colpiscono i linfociti B, quindi
è normale che i soggetti trattati con questi farmaci abbiamo un ipogammaglobulinemia, quindi non bisogna fare
diagnosi di immunodeficienza comune variabile. Le infezioni che ricorrono spesso sono per lo più da batteri capsulati
(otiti, sinusiti, bronchiti ricorrenti (più gravi che nella immunodeficienza di IgA)), bronchiectasie (Stafilococcus,
Pseudomonas), diarrea da Giardia lamblia, si può avere uno zooster recidivante e ovviamente le patologie che in
soggetti normali passano spontaneamente, possono in questo caso avere un decorso più grave. Abbiamo detto
maggior rischio di tumori soprattutto linfomi intestinali, sindromi granulomatose simil-sarcoidosi e una maggiore
incidenza di malattie autoimmuni (anemia immunoemolitica, trombocitopenia immunoemolitica, anemia perniciosa
[deficit vit B12], tiroidite). Polmonite invalidante interstiziale da Pneumocystis carinii, se non viene diagnosticata per
tempo e trattata con un normale antibiotico (Bactrim) porta a morte.

Questi soggetti tendono ad essere soggetti atopici, cioè allergici.

Caso clinico: ragazza 20enne. Dosaggio di Ig globale normali. Aveva linfonodi ingrossati laterocervicali infiammatori.
Ogni tanto perde peso, con diarrea e feci poco formate e poco digerite, facendo un dosaggio anticorpale ha un deficit di
IgA, si ammala spesso ad esempio di sinusite ed è CELIACA. È anche anemica. Poi vengono fatti Ab anti-
transglutaminasi e anti-gliadina (anticorpi marker per la celiachia, perché sono Ab contro la proteina del glutine) e
sono negativi perché questi anticorpi sono IgA e la ragazza ha un deficit di IgA, per cui non ha senso fare questo test (la
celiachia è dovuta alla produzione di anticorpi contro la gliadina che è una proteina del glutine da parte di linfociti B
presenti nelle mucose che la incontrano). Purtroppo il deficit di IgA si associa a malattie autoimmuni per esempio la
celiachia. Quindi faccio colon e gastroscopia perché potrebbe perdere sangue con conseguente anemia e potrebbe
avere patologie croniche intestinali come il morbo di Crohn e la rettocolite ulcerosa visto che è predisposta a malattie
autoimmuni, oppure potrebbe avere una celiachia appunto. Vedo l’appiattimento dei villi attraverso la gastroscopia,
faccio una biopsia duodenale e vedo un’infiltrazione linfocitaria superiore a 40 linfociti per campo HO FATTO
DIAGNOSI DI CELIACHIA. Per corroborare la diagnosi esiste un test per quelli che hanno deficit di IgA che è la ricerca di
IgG anti- gliadinadeamminata. Correggo il deficit di ferro (che era dovuto all’appiattimento dei villi e quindi a ridotto
assorbimento), sistemo la dieta, ma continua ad essere anemica. Vedo poi che c’era un ulteriore deficit ovvero un
deficit di vit B12 (carenza coperta dalla carenza di ferro), con conseguente anemia megaloblastica (cioè con una
MCV>110. MCV=volume medio dei globuli rossi). La diagnosi di anemia perniciosa la faccio con dosaggio di anticorpi
antifattore intrinseco di Castle (il fattore intrinseco è prodotto dalle cellule parietali dello stomaco, scende nell’ileo e fa
assorbire la vitamina B12). Se questo soggetto ha positività per anticorpi anti-fattore intrinseco e per anticorpi anti-
cellule parietali, ha, a causa di una patologia autoimmune, una gastrite atrofica e non assorbe la vitamina B12. Questo
non lo curerà nessuno perché è normale che per una banale gastrite atrofica non farò immunosoppressione ad un
soggetto che ha già deficit di IgA, ma si somminsitra vit B12 intramuscolo a vita.

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Un soggetto che ha un deficit di immunoglobuline tende ad avere una iperplasia linfoide (per compensare) e per
questo la ragazza aveva linfonodi ingrossati, però essendo anche predisposto a linfomi dobbiamo anche escludere che
quei linfonodi non nascondano un linfoma. Il soggetto inoltre tende ad essere allergico, ma tende ad avere IgE
aumentate anche a causa di parassitosi. Quindi è anche importante la ricerca di parassiti fecali su minimo tre campioni
minimo. Malattie autoimmuni frequenti (LES, anemia emolitica, artrite reumatoide, dermatomiosite), malattia celiaca
e linfomi intestinali.

- Deficit di IgG ed IgA con aumento delle IgM (sindrome da iper-IgM): notevole carenza di IgG, IgA, e IgE sieriche,
associata ad un marcato aumento di IgM, per mancato switch isotipico della catena pesante; linfociti B in circolo,
esprimenti IgM di membrana, presenti in numero normale o aumentato; sono stati identificati diversi difetti molecolari
responsabili di questa patologia, che nei due terzi dei casi è dovuta a una mutazione a carico del dominio extracellulare
del CD40L, (espresso sulla superficie dei linfociti T attivati); in altri pazienti è stata individuata la mancata espressione
di CD40 sulla superficie dei linfociti B, macrofagi e cellule dendritiche (in entrambi i casi, questi individui presentano
anche una maggiore sensibilità verso infezioni opportunistiche).

La prevalenza è di 1: 10000 (ha cambiato il dato rispetto alle slide), il rapporto M=F, la presentazione in infanzia o tra i
20/30 anni.
Si dice che per fare diagnosi debbano esserci meno di 500 mg/ dl, una tipizzazione che viene normale, poi certo
bisogna stare attenti ai farmaci che abbassano i livelli di immunoglobuline ulteriormente.
Possono essere presenti otiti, sinusiti, bronchiti ricorrenti e in alcuni casi anche più rari di immunodeficienza di IgA
abbiamo bronchiectasie, raramente però ci sono polmoniti così gravi.
Una cosa che aiuta a far diagnosi , la varicella zoster noi sappiamo che si fa memoria poi si risveglia nel nervo e dà il
fuoco di sant’Antonio devo sospettare un’immunodeficienza comune variabile.
Qual è il problema? E perché dobbiamo fare diagnosi? Se facciamo diagnosi e il difetto di IgM è importante possiamo
fare poi una terapia sostitutiva, quindi possiamo dare sangue/piastrine/plasma/ le Ig da donatori sani. L’altra cosa
importante è che questi pazienti hanno una maggior incidenza di malattie autoimmuni: anemia emolitica, PTI, anemie
perniciose, tiroiditi. Hanno maggior rischio soprattutto di linfomi intestinali. Quindi, di fronte a sintomatologie
intestinali il linfoma va sospettato subito. Non bisogna aspettare a fare esami radiologici importanti.

DEFICIT DEL COMPLEMENTO

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Ricordarsi che il deficit di C3 è quello che ci dà più infezioni batteriche piogeni ricorrenti.
Batteri quali: Streptococco pneumoniae, Haemophylus influenzae, Neisseria.
Vaccinare assolutamente i pazienti.

DIFETTI DELLE CELLULE FAGOCITARIE


(persistenza di infezioni batteriche)

 Deficit di adesione dei leucociti di tipo 1 (LAD-1)


 Malattia granulomatosa cronica (MGC)
Sono patologie differenti dal punto di vista del meccanismo, ad esempio nel deficit di adesione dei leucociti di tipo 1
non è che non ci sono i neutrofili ma manca la loro capacità di aderire all’endotelio e penetrare nel tessuto dove c’è il
batterio perché mancano delle integrine beta 2 che servono a formare delle molecole di superficie con i fagociti vanno
a sbattere nell’endotelio ed entrano. In assenza di queste integrine è impossibile penetrare nell’endotelio. DI

ADESIONE DEI LEUCOCITI DI TIPO 1 (LAD-1)

È patologia autosomica recessiva caratterizzata da


infezioni batteriche e fungine ricorrenti, con
incapacità a produrre essudato purulento e una
normale cicatrizzazione.
È una malattia autosomica dominante o talvolta
anche recessiva, caratterizzata da infezioni
ricorrenti batteriche e fungine con incapacità di
produrre pus e una normale cicatrizzazione. È
dovuta a deficit di integrine che permettono
l’adesione dei fagociti, per cui questi non riescono
ad aderire all’endotelio dove vengono richiamati
quando vi è una lesione o un’infezione, c’è un
deficit di aggregazione e di chemiotassi e quindi di
fagocitosi e di eliminazione. La malattia
granulomatosa cronica arriva allo stesso risultato
finale perché c‘è sempre una incapacità da parte
dei fagociti di fagocitare, produrre pus ed
eliminare il microrganismo. Si associa anche qui a
un’alterazione del burst respiratorio (NADPH
ossidasi), le cellule immunitarie non sono in grado

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di fagocitare e formare pus e si formano dei
granulomi. Ci deve far pensare una lesione
cutanea o mucosa che non riesce a guarire oppure
che forma delle escare senza riuscire a formare
pus e demarcare il processo infiammatorio. Si
manifesta con infezioni da germi come lo
stafilococco, la serratia che sono patogeni che
danno infezioni cutanee (normalmente questi
microrganismi sono dei commensali e non danno
questo genere di infezioni). Fate un tampone se la
lesione non passa. È importante la terapia
antibiotica mirata nei confronti di quel germe che
si isola. Se non guarisce nemmeno con terapia
antibiotica bisogna sospettare un deficit
immunitario, soprattutto da deficit di fagociti se si
manifesta con lesioni cutanee o mucose che non
tendono alla guarigione.
Nell’immagine si nota un granuloma sulla cute, infezione cutanea, presenta un deficit di neutrofili (LAD), cioè i
neutrofili non riescono ad arrivare in sede con l’incapacità a formare pus e a demarcare il processo infiammatorio.
Patogenesi dovuta a diminuita o assente espressione delle integrine Beta2 (famiglia di glicoproteine CD18/CD11)
causata da una deficitaria sintesi della catena Beta (CD18).
In questi pazienti sono alterate la maggior parte delle funzioni leucocitarie mediate da molecole di adesione, come:
 l’aderenza agli endoteli
 l’aggregazione e la chemiotassi dei neutrofili
 la fagocitosi
 l’attività citotossica da neutrofili, NK e CTL

MALATTIA GRANULOMATOSA CRONICA (CGD)


È una malattia da immunodeficienza primaria che riguarda difetti delle cellule fagocitiche. Più del 50% dei casi di
questa malattia è ereditato come carattere recessivo legato al cromosoma X, nei restanti casi la trasmissione avviene
con modalità di tipo autosomico recessivo.
Questa malattia esordisce con ascessi ricorrenti durante la prima infanzia, i patogeni tipici sono Staphylococcus
aureus, Escheriachia coli, Pseudomonas sp, infezioni da Aspargillus (che rappresentano la principale causa di morte).
In questa patologia si ha un deficit di NADPH ossidasi.
Il sistema per fare diagnosi è il nitroblue di tetrazolio NBT, sostanza che viene metabolizzata da una NADPH ossidasi
che deve essere funzionante affinché questo meccanismo avvenga ma quando si verifica un difetto della NADPH
ossidasi, il fagocita non è in grado di produrre specie reattive di ossigeno o radicali necessari per uccidere i batteri. Di
conseguenza, i batteri possono prosperare all'interno del fagocita. Più alto è il punteggio blu, migliore è la cellula nel
produrre specie reattive dell’ossigeno e il colorante rosso diventa viola nel citoplasma.

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Questa triade:
 Malattia granulomatosa cronica
 LAD
 sindrome di geni efficaci (deficit della mieloperossidasi)
sono tre sindromi che si assomigliano per il difetto fagocitario perché hanno diversi livelli di incapacità del fagocita di
eliminare quello che mangia. Mangia il germe, i lisosomi in questo caso non contengono sufficienti enzimi litici, come
nella malattia granulomatosa cronica e nel deficit di mieloperossidasi, che è un deficit di NADPH ossidasi, ed è una
perossidasi lisosomiale ad azione battericida la cui assenza si caratterizza per un’incapacità ad uccidere i batteri
fagocitati, il test per la diagnosi è il NBT test.
Nella sindrome dei geni efficaci i lisosomi non riescono a fondersi con l’endosoma e si fondono invece tra loro come è
visibile nel vetrino dove si osservano neutrofili pieni di bolle, di vacuoli. Questi sono difetti di sindromi che si
assomigliano tutti tra loro.

TERAPIA
- Trapianto granulociti per infezioni gravi
- Profilassi con antibatterici e antimicotici
- Trapianto di cellule staminali emopoietiche

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IMMUNODEFICIENZE SECONDARIE

Le immunodeficienze secondarie sono tantissime e possono avere diverse origini (come endocrinologica o del tratto
gastroenterico, per esempio.)
L’aspetto fondamentale da sottolineare è la possibile natura iatrogena delle immunodeficienze secondarie, con
particolare attenzione per l’immusoppressione farmacologica che noi attuiamo nel momento in cui dobbiamo:
- attenuare malattie autoimmuni (es: methotrexate nel trattamento dell’AR)
- Prevenire il rigetto di trapianto (es: trapianto di rene o fegato)
- Per trattare la GVHD (malattia alloimmune)
- Trattare allergie principalmente croniche (asma)
- Tumori (in tal caso grossa fetta della terapia immunosoppressiva per trattare tumori non ha scopo di
immusoppressione ma quest’ultima va a costituire una complicanza del trattamento)
- Splenectomia (causa sottovalutata, si fa con procedure aferetiche)
L’immunosoppressione viene attuata tramite somministrazione di steroidi (sono i più utilizzati, trattati nelle prossime
pagine).

FARMACI CHE INDUCONO IMMUNOSOPPRESSIONE


Cominciamo a parlare di farmaci che inducono immunosoppressione, ne abbiamo un elenco infinito (all’esame non
viene chiesto di imparare tutto l’elenco di questi farmaci, anche se è chiaro che chi è specialista in questo settore deve
conoscerli); a parte questo dovremo senza dubbio ricordarci gli steroidi, per motivi storici nel trapianto di organo gli
inibitori della calcineurina e sicuramente le immunoglobuline immunosoppressive come il siero antilinfocitario o ATG,
poi chiaramente faremo un accenno alla chemioterapia ed agli antiblastici ma solo un cenno perché verranno trattate
ampiamente in oncologia.

GLI STEROIDI
Allora cominciamo a parlare di questi farmaci e di quali sono le problematiche di questo tipo e cominciamo proprio
dagli steroidi. Cosa sono i glucocorticoidi? Sono molecole lipofile molto importanti che diffondono in tutti i tessuti (di
cui non andiamo a vedere i dettagli di farmacologia perché sarà uno dei grandi argomenti affrontanti dalla
farmacologia). Per quello che serve a noi ci interessa sapere perché si usano, e che tipo di immunosoppressione
causano. Diversi di noi avranno anche in
famiglia qualcuno che li assume o noi stessi siamo stati tenuti qualche volta nella vita ad assumerli per una reazione
allergica o altre situazioni: sono dei farmaci di uso comune ed è un farmaco molto importante perché ha delle
proprietà estremamente utili in situazioni sia critiche che croniche. Di solito vengono somministrati a scopo
immunosoppressivo con l’aggiunta di altri agenti per trattare disordini autoimmuni o alloimmuni (allo- sta ad indicare
malattie di ordine trapiantologico) oppure per trattare il rigetto nel trapianto di organo. Hanno molti meccanismi di
azione che affronteremo in farmacologia e di cui noi faremo solo un cenno, e non è sempre chiaro qual è il
meccanismo prevalente che determina l’effetto. Sono farmaci che si utilizzano da decenni e il loro effetto
antinfiammatorio ed antimmunitario è estremamente ampio. Vediamo brevemente tutti gli usi che se ne fanno in
clinica: si utilizzano nella patologia sistematica (non c’è patologia sistematica con cui avremo a che fare nella quale
non si ha utilizzo di steroidi), nella patologia chirurgica, in oculistica (e ci ricordiamo del collirio a base di steroidi).
Sicuramente ha un utilizzo importantissimo nelle patologie allergiche, nelle patologie respiratorie, nelle malattie
autoimmuni e sono molto utilizzati nei disordini dermatologici (e vediamo un elenco in realtà molto limitato delle
patologie in cui possono essere utilizzati); possono essere utilizzati in molti disordini gastrointestinali, nelle patologie
renali e nei tumori e soprattutto nei tumori della filiera linfoide per il fatto che hanno una importante azione
antilinfocitaria e quindi rientrano nel pacchetto di chemioterapia contro i linfomi, le leucemie (e lo vedremo in
ematologia). Li vediamo utilizzati nel trapianto, nel rigetto del trapianto e in altre patologie che hanno in realtà una
incidenza molto importante come la sarcoidosi e la intossicazione da vitamina D, lo shock settico, le cheratiti, le
congiuntiviti, l’oculistica e il post-operatorio, gli stati infiammatori, quindi sono di uso molto comune.
Caso clinico
Riportiamo l’esempio di un caso in reparto di un ragazzo che ha sviluppato una polmonite a doppia eziologia, fungina e
virale, e che stamattina arriva in reparto ed ha un episodio di emoftoe. E cosa abbiamo fatto per cercare di tamponare
la situazione oltre che ridurre il rischio di sanguinamento con concentrati piastrinici? Gli abbiamo un pochino di
cortisone perché gli steroidi (di cui i dosaggi non stiamo a dire perché sono dei dettagli tecnici) agiscono sicuramente,
qualunque sia stato l’agente patogeno che ha portato ad erosione di un piccolo vaso, lì dove ho una reazione
infiammatoria che ho urgente bisogno di sopprimere. Non è che la terapia steroidea è la terapia della emoftoe, ma è
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una terapia antinfiammatoria estremamente importante è per questo vi ho portato un esempio per dire come si
possono utilizzare. Sono farmaci estremamente maneggevoli e conosciamo tutto degli effetti collaterali e quindi sono
farmaci molto importanti. Sono così facili da maneggiare che tuttavia ve ne è un abuso incredibile e quindi è
importantissimo studiarli e conoscerli per capire che sono immunosoppressivi.
A proposito di un altro caso clinico, abbiamo ricoverato una paziente che era stata lasciata sotto terapia steroidea per
2 anni ad alte dosi e questa paziente aveva una marea di complicanze, si era delineata una sindrome Cushingoide. C’è
un effetto collaterale molto importante che riguarda il derma, il sottocute, il surrene, l’ipofisi molto importante ed è
estremamente complicato far uscire la paziente da una situazione del genere. Quindi gli steroidi sono dei farmaci
importanti ma di cui vi è un forte abuso.
Come funzionano? Noi stessi produciamo steroidi fisiologicamente. Se vengono dati in maniera esogena bloccano il
loop dell’ACTH (ormone adrenocorticotropo) sui surreni e quindi la produzione endogena di cortisolo perché ve ne è
chiaramente molto di più nel sangue, viene alterato il ritmo circadiano del cortisolo ed è per questo che in genere
nelle terapie croniche si tende a darlo la mattina (in cui vi è il picco della cortisolemia) e la terapia prolungata blocca il
surrene a punto tale che potrebbe non essere più in grado di ripartire con la produzione. Il recettore per i
glucocorticoidi è un recettore intracellulare e che è virtualmente presente in tutte le cellule e sicuramente in quelle
del sistema immunitario. Ci ricordiamo che ci sono tanti e tipi e specie di steroidi ma e si utilizzano a varie
concentrazioni, abbiamo varie bio-disponibilità, abbiamo varie farmacocinetiche e varie farmacodinamiche ma questo
a noi non interessa in quanto lo studieremo in farmacologia. A noi ci interessa sottolineare che il meccanismo di
azione antinfiammatorio e l’effetto immunomodulatorio è sia genomico che non genomico. L’effetto genomico, quello
che ci interessa di più per l’immunosoppressione che induciamo per trattare patologie autoimmuni, è un effetto che si
realizza in poco tempo, dalle 4 alle 24 ore o anche prima, ma mai troppo precocemente perché ha bisogno dell’effetto
del ligando del recettore che vada ad incidere sull’espressione genica, che vada a finire nel nucleo cambiando
l’attivazione di alcuni geni o inducendo la soppressione di altri geni di cui parleremo. Questo è quindi l’effetto
genomico e richiede un po’ di tempo. Ma vi è anche un meccanismo non genomico, quello che usiamo per trattare
patologie come eventi allergici acuti, che è estremamente rapido e che si verifica, specialmente se utilizziamo le forme
a rapida biodisponibilità come l’idrocortisone, in secondi o pochissimi minuti e che però hanno una azione molto più
breve.
Quali sono gli effetti genetici degli steroidi che ci interessano a livello del sistema immunitario? Gli steroidi inducono
recettori solubili per moltissime citochine, interleuchine, come ad esempio IL-10, aumentano la produzione di
proteine funzionali regolatori di membrana, inducono la produzione di citochine come la stessa IL-10 ossia una
citochina che ha capacità di immunosoppressione e regolatoria mentre inibiscono quelle cosiddette infiammatorie
come la IL- 2, la IL-1(che sono citochine molto importanti per la risposta infiammatoria e chiaramente non vi è la
necessità di saperle tutte ma ci serve solo per capire che c’è un meccanismo genetico
in cui gli steroidi dicono alla cellula di non produrre queste citochine infiammatorie ma di produrne altre e soprattutto
dicono alle cellule di non produrre certe proteine infiammatorie ma di produrre queste proteine regolatorie).
C’è quindi un meccanismo diretto di riduzione/produzione di mediatori dell’infiammazione. Allo stesso tempo
riducono la produzione di molecole di adesione, che sono molto importanti per portare le cellule nel sito
infiammatorio, di interleuchine e anche recettori del sistema infiammatorio.
Il meccanismo non genomico è invece un meccanismo che riguarda direttamente il recettore del glucocorticoide a
livello del citoplasma con una attivazione delle proteine antinfiammatorie che sono presenti nel citoplasma di diverse
cellule, incluse quelle del sistema immunitario, dove focalizzeremo l’attenzione. Quello che ci interessa dire di questo
tipo di problema è che hanno un effetto molto profondo nelle funzioni cellulari di leucociti e cellule endoteliali,
riducono la capacità dei leucociti di aderire a livello vascolare e di uscire dal circolo e quindi alterano la dinamica del
circolo dei leucociti e quindi anche la capacità degli stessi di andare a finire nel sito di infezione e della infiammazione.
E poi hanno delle azioni specifiche a seconda del globulo bianco che viene preso in considerazione: ad esempio nei
fagociti, l’effetto più importante, non è che bloccano la fagocitosi neutrofila ma è la alterazione della migrazione degli
stessi. Infatti la terapia con steroidi, sui pazienti, induce una risposta neutrofila, alte dosi di cortisone fanno sì che il
paziente presenterà una leucocitosi neutrofila e quindi in chi fa steroidi ad alte dosi negli esami del sangue andremo a
ritrovare 15000 globuli bianchi con un 85% di neutrofili e sono tanti, ed è una risposta normale perché inducono la
migrazione dei fagociti stessi. Quindi l’uso di steroidi non porta uno svantaggio fagocitario ma un loro uso prolungato
fa sì che altri neutrofili possono avere difficoltà ad andare nei siti di migrazione.
Sugli eosinofili, gli steroidi, inducono un effetto meno importante e di tipo inibitorio, cioè la degranulazione eosinofila.
Ci interessa di più l’effetto che hanno su monociti e macrofagi perché gli steroidi inducono inibizione della fagocitosi
macrofagica e non solo della loro funzione microbicida ma anche della loro capacità di fagocitare e di fare filtro a
livello del sistema immune. Questo comporta ad esempio che se io ho di fronte a me una patologia autoimmune come
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può essere una piastrinopenia autoimmune (patologia che può essere indotta dalla presenza di anticorpi contro le
piastrine dovuta ad una errata produzione degli stessi da parte dei nostri linfociti B e quindi il paziente si presenterà
con piastrinopenia, calano le piastrine). Come vengono eliminate queste piastrine? Le piastrine vengono legate
dall’anticorpo ed il sistema monocito- macrofagico presente soprattutto a livello splenico filtrerà e fagociterà le
piastrine opsonizzate dagli anticorpi. Quindi se io faccio terapia steroidea blocco questo
sistema e quindi funziona non solo per l’azione antilinfocitaria B ma anche proprio per un meccanismo di blocco del
filtro splenico. Ed è il motivo per cui la splenectomia è la terapia di alcune patologie autoimmuni.
Hanno anche azione nei confronti delle cellule che presentano l’antigene e qui passiamo all’azione sulla immunità
acquisita perché sopprimono l’espressione delle molecole MHC di classe II e quindi l’interazione con il CD4, riducono il
numero delle cellule dendritiche, sia di quelle circolanti che di quelle non circolanti, inducendone principalmente
l’apoptosi a livello dei precursori. Ma di tutti gli effetti di cui abbiamo parlato finora quello che ci interessa di più e che
ci dobbiamo ricordare è quello che riguarda le cellule T perché gli steroidi sono linfocitotossici e quindi inducono
apoptosi delle cellule T ma si tratta di una apoptosi in genere selettiva per quelle cellule T che sono attivate e che sono
quindi quelle che stanno svolgendo la risposta infiammatoria. Se invece la cellula T’è in fase “resting” e quindi non sta
producendo citochine e non è in fase proliferativa non c’è alcun effetto genomico sulla stessa però questo fa sì che ad
esempio se noi facciamo un vaccino che mi richiede una risposta T sotto una terapia prolungata con steroidi possiamo
tranquillamente aspettarci che questo vaccino non faccia effetto e così se dir si voglia l’infezione.

CELLULE T REGOLATORIE

Meccanismo: sappiamo quanto sia importante l’IL2 per l’espansione della risposta linfocitaria.
L’IL2 può legarsi al CD25 sui T reg oppure a livello del CD28 sui T attivati.
Se il linfocita T reg va ad esprimere il CD25, che è un recettore ad alta affinità per l’IL2, l’IL2 va a legarsi a quest’ultimo
invece che al CD28 andando quindi a diminuire la loro espansione.

Ci interessa ora fare un cenno per quel che sono le cellule T regolatorie. Le T-reg (di cui il Dott. Pierini è grande esperto
perché sta portando avanti degli studi clinici con le T-reg in reparto) sono una popolazione cellulare molto importante
nella regolazione alla risposta infiammatoria e nella regolazione delle risposte alle infezioni, senza le quali non
possiamo vivere perché moriremmo di autoimmunità non controllata. Grazie alla scoperta delle cellule T regolatorie si
è capito che esiste una tolleranza non solo centrale ma anche periferica e quindi questo è estremamente importante.
Gli steroidi sembrano risparmiare le cellule T regolatorie rispetto alle cellule T effettrici e quindi si sbilancia la forbice
nei confronti della regolazione quando utilizzo steroidi e quindi nel sistema immunitario, la risposta antinfettiva ed
antinfiammatoria sono date da un bilancio: se io pendo nei confronti della regolazione è evidente che ho meno
capacità di rispondere a certe infezioni. Le cellule T regolatorie è per noi un argomento importantissimo e faremo un
cenno anche sulla azione sui linfociti B perché gli steroidi riducono il numero dei linfociti B in circolo, ne riducono la
sintesi, riducono la loro progressione in plasmacellule e la sintesi di immunoglobuline.

Caso clinico
Mi chiama una paziente dagli Stati Uniti comunicandomi che il suo livelli di linfociti T circolanti è 30, sono due mesi che
fa trattamento con steroidi, se ricordiamo i linfociti T dovrebbero essere dai 400-500, capite che effetto importante ha
su questa donna questa terapia.

Qual è l’impatto sui vaccini della terapia steroidea? L’uso cronico di glucocorticoidi controindica l’utilizzo di vaccini che
sono i vivi attenuati come quello del morbillo, della rosolia, della parotite, il vaccino per la varicella, e il vaccino per il
vaiolo. E questi sono i principali vivi attenuati e quindi è importante ricordarsi queste cose, per capire quanto può
essere rischiosa una terapia e quanto può essere soppressiva: si rischia che un vaccino diventi letale e questo è il
motivo per cui è importante vaccinare chi sta bene per indurre l’effetto gregge del vaccino e salvaguardare questi
pazienti che non si possono proteggere da queste infezioni.

Altra cosa fondamentale che riguarda sempre la capacità della terapia steroidea di indurre immunosoppressione è
l’impatto della dose. Gli steroidi sono un farmaco molto interessante perché sono estremamente diversi nell’indurre i
loro effetti collaterali e la loro immunosoppressione a seconda che vengano utilizzati ad alte dosi o meno, per breve
durata o per lungo tempo. Dose e tempo sono elementi importanti per quanto riguarda la immunosoppressione. Una
terapia acuta con alte dosi di glucocorticoidi (e per acuta si intende a singole dosi o al massimo due somministrazioni)
è meno immunosoppressiva di una terapia cronica con basse dosi di glucocorticoidi ma che viene somministrata per 2

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mesi ad esempio. Quindi la cronicizzazione della terapia con steroidi è un problema notevole per la medicina moderna
perché si tende a lasciarle in cronico dal momento che risolvono tantissimi sintomi come quel paziente di cui abbiamo
detto prima che aveva dolori ossei per una fibromialgia e che è stato sottoposto a steroidi per lungo tempo e ha
sviluppato una polmonite che la fibromialgia di per sé non avrebbe mai dato. Quindi bisogna sempre metterla sul
piatto della bilancia la terapia steroidea, capire quanto e per quanto. Questo era quanto bisognava dire per quel che
riguarda la terapia steroidea ed è quello che ci interessa ricordare e sappiamo che un giorno quando saremo in
ambulatorio, prima di prescrivere cortisone, ci penseremo di più; è importante rifletterci e sempre bilanciare la scelta
medica perché queste problematiche vanno completamente al di fuori di quelle che sono le linee guida del paziente,
mentre le linee guida le abbiamo per la patologia e sappiamo che gli steroidi sono indicati per una determinata
patologia, però il problema è capire quanto e per quanto al paziente va dato e quindi per questo bisogna essere dei
bravi medici, fare esperienza, studiare e se possibile fare ricerca su queste cose perché aiuta a capire le dinamiche.

INIBITORI DELLA CALCINEURINA


Dal punto di vista delle immunosoppresioni non vi possono non accennare gli INIBITORI DELLA CALCINEURINA, a parte
che vengono utilizzati nella malattia del trapianto contro l’ospite nel trapianto di midollo osseo ma anche perché sono
di elezione storica importantissima che ha consentito l’attecchimento dei primi trapianti d’organo e quindi ha salvato
la vita di diversi individui questo tipo di terapia e non bisogna dimenticarsene. La calcineurina è una fosfatasi proteica
che attiva le cellule T attraverso dei segnali di trascrizione e induce la produzione di citochine infiammatorie da parte
delle cellule T come la IL-2 ad esempio e quindi in maniera molto aspecifica dare inibitori della calcineurina riduce la
produzione delle citochine e la proliferazione delle cellule T, tuttavia gli inibitori non sono una panacea di tutti i mali
per cui quando vogliamo bloccare queste cellule non sempre ci riusciamo. Il farmaco per eccellenza, il più utilizzato
storicamente è la cosiddetta ciclosporina, farmaco fondamentale ed è tutt’ora uno dei farmaci immunosoppressivi più
utilizzati, serve per l’attecchimento d’organo e poi abbiamo il tacrolimus che è il profano, viene metabolizzato dal
fegato ed ha una azione molto simile a quella della ciclosporina. (da ricordare questi due farmaci)

Infine per quanto riguarda questa carrellata di agenti farmacologici diretti un cenno va al siero antilinfocitario: cosa
sono le ATG o globuline antitimociti? Sono anticorpi policlonali che derivano dal siero del cavallo o del coniglio ed
hanno come target le cellule T, uccidono quindi le cellule T. Sono estremamente potenti perché sono anticorpi,
durano nel sangue con una emivita da anticorpi e questi sono principalmente IgM che hanno una emivita che va da 10
a 20 giorni a seconda che siano Horse or Rabbit e sono fondamentali per indurre una deplezione delle cellule T in vivo.
A che cosa serve indurre la deplezione delle cellule T in vivo? Ci sono tantissime situazioni in cui c’è una immunità T
non controllata che è pericolosa per la vita. In primis abbiamo una malattia che si chiama anemia aplastica che è una
malattia autoimmune che induce la completa aplasia del midollo osseo, cioè il midollo osseo non produce più, diventa
bianco ed è sostituito dai linfociti, ed è principalmente indotta da cellule T. Il trattamento prolungato con siero
antilinfocitario ATG o timoglobuline consente di recuperare una condizione potenzialmente letale in molti casi. Poi per
chi fa trapiantologia hanno un ruolo particolarmente speciale perché in vivo la deplezione di cellule T consente di fare
trapianti da individui non consanguinei e parleremo più in dettaglio di questo argomento quando tratteremo i
trapianti e daremo spiegazioni sul trapianto di midollo osseo.
Se poi andiamo a finire sugli anticorpi monoclonali ne abbiamo un elenco infinito: vi sono ad esempio anticorpi contro
la IL-2, citochina infiammatoria importante; ci sono farmaci contro il TNF che è un’altra citochina infiammatoria
importante anche se ora si sta scoprendo il ruolo regolatorio di questa citochina. C’è poi questo farmaco
particolarissimo che noi accenniamo per capire come spazia la problematica del sistema immunitario tra le varie
patologie e se c’è una cosa difficile che noi dobbiamo affrontare è proprio quella di educare gli altri specialisti nelle
altre patologie sistematiche della immunosoppressione che provocano e di farla capire fino in fondo e di riconoscerla.
Il farmaco di cui parliamo si chiama ALEMTUZUMAB che è un anticorpo monoclonale che agisce contro una molecola
che si chiama CD52 espressa principalmente nei linfociti T ma è molto più potente e specifico di quelli di cui abbiamo
parlato prima. È un farmaco più recente che era stato utilizzato in alcune neoplasie ma era così potente da dare una
forte immunosoppressione tanto che stava per essere ritirato dal commercio quando adesso invece è in uno studio
clinico per trattare la sclerosi multipla, tutto un altro tipo di patologia che riguarda la neurologia e quindi ora i
neurologi chiedono consulenze sulla gestione del paziente neurologico che è immunosoppresso da questo farmaco.
Non è detto che il farmaco in questo studio funzioni abbastanza, non lo sappiamo ancora.

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Oggi è aumentata la produzione farmacologica di farmaci che interagiscono con la capacità di risposta del sistema
immunitario perché le malattie autoimmuni sono sempre più frequenti e sempre più difficili da trattare.
Inoltre bisogna fare un cenno all’immunosoppressione che facciamo ai pazienti oncologici ed ematologici che è quella
con irradiazione e chemioterapia. Questi farmaci inibiscono la divisione cellulare quindi non hanno nessuna specificità
per il sistema immune, hanno tossicità verso tutte le cellule che si riproducono e verso le cellule del midollo osseo.
Infatti i farmaci chemioterapici e la terapia radiante sono uno dei più grossi limiti dell’utilizzo di queste terapie in un
paziente oncologico danno un grande rischio infettivo che ne consegue. Quindi prima di valutare l’opportunità di
eseguire una chemioterapia o radioterapia in un paziente con nuova diagnosi oncologica, viene sicuramente fatta una
valutazione globale delle condizioni immunologiche del paziente e della sua capacità di tollerare quel tipo di terapia
anche dal punto di vista del rischio infettivo. Perché mettiamo insieme radioterapia e chemioterapia? Perché non
dobbiamo parlarne nei dettagli ma vi serve il concetto generale. Vediamo quindi perché entrambe sono causa di
immunosoppressione:

- Inibisce la divisione cellulare: la risposta immunologica ha bisogno di un riconoscimento antigenico e di una


proliferazione, per esempio dei linfociti T nei confronti di un antigene, o dei neutrofili se c’è bisogno di una fagocitosi.
Bloccare la divisione cellulare è un limite grossolano.

- mielotossicità: una grande fetta di agenti chemioterapici e sicuramente le irradiazioni sono mielotossici. C’è una
grandissima variabilità nel senso che alcuni farmaci sono blandamente mielotossici ed altri profondamente
mielotossici. È chiaro che in ematologia e nei trapianti di midollo tutto quello che facciamo è fortemente mielotossico
perché la neoplasia è nel midollo osseo ed è chiaro che il problema sia qui. Ma in alcuni linfomi maturi in ematologia,
per esempio, vengono utilizzati regimi scarsamente mielotossici proprio per evitare questo tipo di rischi. Inoltre
dovete sapere come concetto (non scendiamo nei dettagli) che a seconda del farmaco scelto e quindi della terapia da
eseguire per quel tipo di tumore c’è una grossa diversità nella gravità della linfopenia o della neutropenia che andiamo
ad indurre, di conseguenza c’è un diverso rischio infettivo. Quindi queste sono situazioni di gestione in cui immunologi
ed ematologi aiutano a gestire anche a livello oncologico gli effetti tossici di farmaci in uso.

È importante ricordare che generalmente l’immunosoppressione in chemioterapia e radioterapia è dose dipendente:


se io faccio una certa dose di chemioterapico otterrò un’immunosoppressione che dipende dalla dose di farmaco che
ho somministrato;
tempo dipendente: in base a quanto espongo il midollo osseo e quindi le cellule all’agente avrò ovviamente una
tossicità diversa;
associata alla malattia di base: capite che trattare un cancro gastrico è diverso da trattare una leucemia e quindi c’è
tutta un’immunosoppressione associata.

Ora diamo due cenni riguardanti due gruppi di farmaci:

1)AGENTI ALCHILANTI: in particolare vanno ricordate le mostarde azotate ma soprattutto i fosfatidi. Per quanto
riguarda quest’ultima classe ricordiamo la ciclofosfamide: farmaco di uso ancora oggi comunissimo che viene utilizzato
di routine dagli anni ’70 in oncoematologia ed è scarsamente rimpiazzabile perché molto efficace. È uno dei farmaci
immunosoppressivi più potenti con una tossicità linfoide molto forte, per questo motivo rientra nei regimi di
trattamento di tutte quelle che sono le leucemie linfoidi ed ha una particolarità interessante: essendo un agente
alchilante blocca il dna nella fase proliferativa e quindi colpisce principalmente le cellule in divisione inducendo
pancitopenia, ma allo stesso tempo risparmia la cellula staminale emopoietica, questa infatti soffre scarsamente della
ciclofosfamide se non utilizzata per tempi prolungati. Avete mai sentito parlare della cura Divella? Circa 10 anni fa un
certo prof Divella aveva creato l’idea che si potessero curare senza farmaci tossici moltissimi tipi tumori, basava su un
cocktail di alghe, vitamine ed altre sostanze che ha variato nel tempo questa sua terapia. E sapete perché funzionava?
Perché aveva aggiunto una compressina di ciclofosfamide a bassissime dosi che faceva prendere ai pazienti tutti i
giorni. La ciclofosfamide funziona, è un bel farmaco, quindi questo era il vero principio della maggior parte delle cure
Divella. Noi ci siamo trovati a gestire in reparto complicanze legate ad aplasia midollare insorta anche due o tre anni
dopo l’inizio della terapia stessa. E questi pazienti che erano andati in remissione dalla loro patologia, sembravano
guariti dal loro cancro di base ma avevano il midollo finito. In un caso abbiamo dovuto addirittura trapiantare. Tutto
questo per farvi capire che è un farmaco importante: interessa sia il campo ematologico che quello del trapianto in cui
è necessario effettuare una linfoablazione e la ciclofosfamide è molto efficace per questo.
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2)ANTIMETABOLITI: questi sono farmaci che interferiscono con la sintesi degli acidi nucleici, hanno un effetto
immunosoppressivo importante ma meno rapido e diretto di quello della ciclofosfamide. Sono di uso molto comune.
Li ritroverete in moltissime specialistiche che farete per esempio ricordiamo in gastroenterologia l’azatioprina per il
morbo di Crohn, in reumatologia Methotrexate per l’artrite reumatoide. L’autoimmunità è bersaglio di molti di questi
farmaci e chiaramente complicanze di queste terapie sono le infezioni. Chiaramente il paziente autoimmune solo in
fase molto avanzata di patologia sviluppa più infezioni e soprattutto quando c’è danno d’organo. È difficile scegliere in
un paziente con patologia autoimmune il trattamento adeguato e se iniziare la terapia immunosoppressiva molto
presto, infatti la terapia espone il paziente a determinati rischi terapia relati.

Gli antibiotici citotossici sono veramente un pochino più specialistici.

SPLENECTOMIA

Molto importante è la splenectomia è un atto immunosoppressivo. Vi ricordo un pochino la funzione della milza
pensata sempre come riserva di globuli rossi e quindi importantissimo organo emocateretico, dimenticando che la
milza è un organo linfoide secondario estremamente importante dove avvengono importanti funzioni del sistema
immunitario, soprattutto la presentazione antigenica ai linfociti T. La milza è un organo che svolge gran parte di
questo coadiuvato ovviamente dai linfonodi, può perfino avvenirvi l’emopoiesi in caso di difetto midollare (come
sapete dall’anatomia), ed è fondamentale nella protezione nei confronti dei germi capsulati perché svolge da filtro di
tutto ciò che e opsonizzato, ovvero legato da anticorpi, quindi se devo ammazzare un organismo capsulato devo
ucciderlo facendolo legare da anticorpi e poi fagocitare dai macrofagi splenici, non basta la semplice fagocitosi. In
assenza di milza questo processo molto limitato può avvenire nel fegato o in minima parte in altri tessuti, quindi è un
limite grosso. Capite quindi che senza milza il rischio di infezioni di questo tipo aumenta. Inoltre la milza contiene una
grossa quota di linfociti B per la produzione di immunoglobuline. Molto importante è che la milza può diventare
organo di produzione di cellule emopoietiche, quindi in alcune malattie ematologiche dove il midollo osseo è
estremamente e cronicamente danneggiato, può esserci splenomegalia come tentativo di compenso.

Perché ancora oggi si fa splenectomia? Si fa per il trattamento di alcune patologie autoimmuni, si fa nelle
piastrinopenie, dove non risponde al trattamento con steroide e vogliamo togliere il sistema reticolo endoteliale, i
glucocorticoidi hanno una azione non dissimile verso il sistema reticolo endoteliale perché bloccano la funzione
macrofagica opsonizzante di fagocitare le cellule opsonizzate la milza però è il vero proprio effettore, lo fa. Infatti, a
volte i pazienti rispondono meglio alla splenectomia che al trattamento con glucocorticoidi.

La piastrinopenia da distruzione periferica è generalmente legata a presenza di anticorpi e se non è possibile


rimuovere la produzione anticorpale, cosa non sempre possibile, anzi molte volte è impossibile rimuovere gli
anticorpi, togliere la milza è una delle terapie più efficaci in assoluto, quindi viene fatta tuttora. Oggi sono entrati in
commercio molti nuovi agenti specifici ematologici di cui non vi parlo, però ancora oggi si tolgono le milze anche a
ragazzi giovani perché è un trattamento “sicuro” rispetto a tanti altri trattamenti immunosoppressivi che andrebbero
fatti in quei casi.

Togliere la milza è sicuro se: ho vaccinato prima il paziente per tutti quei germi capsulati (oggi esistono i vaccini e sono
largamente disponibili), monitoro attentamente in fase acuta il paziente e faccio una buona istruzione del paziente.
Fatte queste cose l’intervento è sicuro, il rischio di sanguinamento durante la procedura è bassissimo, se fatta in
laparoscopia e quando la milza è piccola; quando la milza è grande può creare problemi. Un altro motivo per cui si può
fare splenectomia è per interventi palliativi in tumori maligni, quando la milza raggiunge dimensioni enormi e dà
compressione di altri organi, ma in questi casi l’immunosoppressione ci interessa meno. Quali sono le manifestazioni
cliniche? Quello che vi dicevo: prima di tutto la suscettibilità aumentata ai germi capsulati, vi dovete ricordare il
trittico Meningococco, Pneumococco ed Haemophilus Influentiae. Questo è quello che vi interessa per la
splenectomia.

Esempio ematologico di splenectomia: paziente bambino talassemico che avrà splenomegalia di compenso è
necessario asportare la milza perché può dare alterazione della digestione e alti sintomi.

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IMMUNOSOPPRESSIONI INDOTTE DA INFEZIONI

Faremo solo un cenno ora, infatti ne parleremo meglio dopo aver fatto il trapianto in maniera un po’ più dettagliata.
Sicuramente l’infezione da HIV (virus da immunodeficienza umana) è il capostipite delle immunodeficienze da cause
infettive acquisite, infatti è colui che ha insegnato a conoscere come si può evadere il sistema immunitario e quali
sono gli effetti dell’immunosoppressione, di questo ne parleremo in una lezione dedicata. Ci sono sicuramente altri
virus che sono importanti e che sono soprattutto i virus del gruppo dei virus erpetici: sottolineiamo il virus della
mononucleosi (EBV) e quello del citomegalovirus (CMV). Ce ne sono anche altri ma questi ve li nomino perché hanno
ruolo importante in due momenti dell’immunosoppressione.
1) Possono causare, al momento dell’infezione primaria, loro stessi immunosoppressione perché hanno una tossicità
linfoide, perché hanno sviluppato dei geni per l’escape immunologico e perché danneggiano le barriere.
2) Sono i tre primi virus che si approfittano dell’immunosoppressione dell’individuo, causando patologie
importantissime nell’immunodepresso.

Quindi svolgono questo effetto di loop: io(virus) causo l’immunosoppressione, una volta superata l’infezione primaria
essendo un virus a dna normalmente mi integro nel genoma di cellule target preferite che variano in base al tipo di
virus di cui parliamo e dopo che si sono integrati possono riattivarsi, proliferare e diventare nuovamente citotossici in
caso di immunosoppressione. Ne parleremo più nel dettaglio perché causano patologie nel paziente immunodepresso
molto importanti. Mi piace che vi ricordiate che anche un virus della varicella zoster possa causare
immunosoppressione, non è strano che un paziente con le zoster sviluppi a distanza di pochi giorni una polmonite e
non per questo vuol dire che abbia una grave patologia immunologica, semplicemente è il virus e facendo una
tipizzazione linfocitaria troverete un paziente linfopenico, almeno per i cd 4. Ed è comune riscontrare questo tipo di
problema.

PATOLOGIE EMATOLOGICHE COME CAUSA DI IMMUNOSOPPRESSIONE

Non posso non nominarvi le patologie ematologiche come causa di immunosoppressione, ma le farete bene in
ematologia. Si parla di leucemie acute, croniche, mieloma multiplo, linfomi ecc le farete in ematologia ma i
meccanismi vorrei che ve li ricordaste: sopprimono la normale emopoiesi e linfopoiesi perché

filtrano le barriere perché inducono un difetto di produzione di immunoglobuline che posso esse stesse indurre
produzione paraneoplastica di anticorpi.

Sono appena sceso dal reparto in cui una ragazza di quarant’anni con una nuova diagnosi con infiltrazione del
polmone, si trova in condizioni critiche e la stiamo stabilizzando, quindi il rischio infettivo è alto e infatti abbiamo una
polmonite, il midollo è completamente sostituito dalla neoplasia che dà anche metastasi a distanza infiltrando i tessuti
come in questo caso che le infiltrazioni hanno interessato l’albero polmonare facendo da porta verso patogeni
comuni. Inoltre possiamo avere in molti tumori ipogammaglobulinemia, ovvero deficit di produzione di anticorpi, ma
anche sindromi paraneoplastiche in cui si producono autoanticorpi e questo è un altro problema che affronterete
largamente in ematologia.

Prima di parlare dei trapianti, concludo, ricordandovi la malnutrizione.

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MALNUTRIZIONE

Chiudiamo questo argomento


parlando di cose che da noi non
esistono, anzi abbiamo il problema
opposto; ma dall’altra parte del
mondo sono molto frequenti: la
malnutrizione è la principale causa di
immunodeficienza secondaria nel
mondo. Per malnutrizione si intende
l’inadeguatezza di rapporto di
nutrienti essenziali.

Ne esistono due principali tipi: il


marasma che consiste in una
mancanza di tutti i nutrienti, iponutrizione completa ovvero assenza di alimentazione; e il kwashiorkor, questi
bambini col pancione, queste persone riescono ad avere vitamine, carboidrati ma hanno carenza dell’intake proteico.
Il marasma è molto precoce nell’infanzia perché se non c’è latte, non c’è cibo, non c’è nulla, il bambino è sottopeso e
malnutrito, il bambino va incontro a osteopenia anche e muore in genere a causa di eventi infettivi. Non ci sono difetti
macroscopici, semplicemente il bambino smette di crescere per mancanza di nutrienti e muore. Il kwashiorkor invece
compare dopo perché le proteine sono state prese dalla madre nella fase iniziale della vita e cercano di vicariare la
mancanza di proteine con cibi non proteici, ma alla fine viene fuori per mancanza di sintesi proteica molto importante
con ipoalbuminemia, ritenzione di liquidi, mancanza di crescita, dermatiti, mancanza di sviluppo pilifero ecc e vengono
fuori queste pancione per un’importantissima ascite. E quindi chiaramente questo porta ad una malnutrizione cronica
con ritardo soprattutto dello sviluppo timico, differenziazione linfocitaria T, nella produzione citochinica, nella
produzione del complemento ecc.

Quello che è importante ricordarsi è che entrambi causano importante immunosoppressione e un rischio infettivo
notevole in questi bambini che hanno problemi da questo punto di vista.

55
I TRAPIANTI

Un filo di storia ve lo devo raccontare: questo


signore è un grandissimo professore: Edward
Donald Thomas, per il quale ancora oggi la società
di ematologia americana (American Society of
Haematology) il congresso più importante a livello
mondiale, e ovviamente di tutti i congressi di
trapianto del mondo, viene riconosciuta una
lettura dedicata a lui, tenuta ogni anno da uno dei
più importanti trapiantologi a livello mondiale. Vi
devo dare due cenni: perché si è pensato di fare il
trapianto di midollo da un individuo ad un altro,
che è tutto fuorché naturale?
Non siamo fatti per ricevere midollo da un altro
individuo e ci abbiamo messo anni per scoprirlo.
Il primo parte ancora una volta dalla guerra,
persone esposte a radiazioni e danno tossico o
nucleare morivano per aplasia midollare,
completa distruzione del midollo. E quindi gli
facevano un po’ di trasfusioni, ma morivano
comunque.
Poi ci sono i primi passaggi molto importanti
all’inizio degli anni ’50 quando parte lo studio in
cui si è osservato che dando un mescolato
splenico a dei topini abbiamo ottenuto riduzione
della crescita di tumore, poi si scoprì che questi topini dimagrivano e poi morivano proprio a causa del mescolato
splenico.
Il dr. Thomas è stato il primo studioso che avendo dei pazienti con leucemie che non guarivano in nessun modo prova
a dargli del midollo da altri individui. Lui e il suo gruppo avevano fatto precedentemente studi sulle scimmie (ed è
stato molto importante anche lo studio sui cani, fa effetto oggi, ma questa è stata la storia, oggi non si fanno più sui
cani ma sui topi essendo cambiate le regolamentazioni etiche e ci sono molte tutele per il mondo animale). Questi
studi hanno consentito nel 1959 di fare due trapianti a due pazienti con leucemia acuta linfoide presi in quel caso da
donatori familiari che erano disposti a fare qualsiasi cosa per i loro bimbi. Uno dei due è andato molto bene e Thomas
così ha dato il via al “si può fare trapianto”.

Sono stati fatti trapianti di midollo a 203 pazienti fino al 1970. Il trapianto era una procedura complessa, non si sapeva
nulla fuorché che ci fosse una problematica midollare, nel topo si riusciva a fare con successo, e ora si fa anche
nell’uomo.
Prendevano questi familiari e mettevano (il midollo) all’interno di questi pazienti che erano in genere in stadio già
avanzato, avevano ricevuto tantissima radio e chemioterapia che erano le uniche armi contro la leucemia acuta a quel
tempo. E dopo la procedura solo 3 pazienti avevano superato indenni la procedura ed erano vivi. I primi risultati erano
molto scoraggianti: la media era bassa, siamo all’1%, quindi la procedura trapiantologica sembrava scemare: quasi
tutti i pazienti morivano durante la procedura per la tossicità dei farmaci e perché il trapianto non partiva per via del
rigetto immunologico.

Fortunatamente questi primi eventi trapianto logici hanno dato il via a studi paralleli sui trapianti: J. Dauset e J.J. Van
Rood hanno scoperto quelli che sono i meccanismi dei geni HLA, l’istocompatibilità.
Hanno scoperto che bisogna essere istocompatibilmente identici per fare trapianto, perché se sei diverso il trapianto
chiaramente non attecchisce. E qualora hai fatto immunosoppressione tale da farlo attecchire sicuramente morirai di
GVHD (graft versus host disease).
Quindi non si può fare un trapianto con HLA diverso: questa scoperta ha dato il via allo studio dei geni HLA e di
conseguenza è nato il registro dei donatori volontari. Ci sono tanti geni HLA e tante combinazioni, ma queste sono
inferiori al numero degli esseri umani. Quindi essere donatore di midollo osseo vuol dire potenzialmente dare la
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possibilità ad un altro individuo di poter fare un trapianto di midollo osseo. Qualcosa di buono è che il registro è in
costante crescita dagli anni 70 ad oggi. Uno dei più grandi allievi del dr. Thomas è il dr. Storb che è ancora il direttore
del centro di Seattle, ricordate che Seattle è uno dei più importanti perché è dove ha studiato dr. Thomas e quindi è
rimasta una enorme scuola di trapiantologia importantissima, e ancora oggi è rimasto uno dei centri dove fanno più
trapianti al mondo, valanghe e valanghe di trapianti. C’è chi ancora oggi si rivolge a Seattle per fare il trapianto perché
è storicamente importante.
Il dr. Storb ha lavorato molto su come ottimizzare i regimi di condizionamento nell’utilizzo della radioterapia e
nell’utilizzo della profilassi contro la malattia da trapianto e l’introduzione del methotrexate nella profilassi del GVHD
e ha fatto sì che ci fosse molta meno GVHD. Da lì in poi (dagli anni ’80 ad oggi) c’è stato un avanzamento continuo
delle procedure trapiantologiche.
Questo ci ha permesso di sviluppare un trapianto che attecchisca, molto efficace: oltre il 95% dei casi; un trapianto
che induca poca malattia da trapianto verso l’ospite, sia sicuro dal versante infettivo e che sia in grado di controllare la
recidiva della malattia nella maggior parte dei casi. E oggi siamo molto vicini a un risultato, anche se ci sono ancora
molti problemi di cui vi parlerò. Però è una tecnologia che si è sviluppata moltissimo soprattutto negli ultimi
trent’anni.

Il trapianto di cellule staminali emopoietiche è una tecnica in rapida evoluzione che offre una possibile guarigione in
caso di neoplasie ematologiche maligne (leucemie, linfomi, mieloma) e di altre malattie ematologiche (p. es.,
immunodeficienza primitiva, aplasia midollare, mielodisplasia). Il trapianto di cellule staminali emopoietiche è anche
talvolta utilizzato nei tumori solidi (p. es., alcuni tumori delle cellule germinali) che rispondono alla chemioterapia.

Il trapianto di cellule staminali ematopoietiche contribuisce a curare attraverso

 Il ripristino del midollo osseo dopo trattamenti mieloablativi contro il cancro

 La sostituzione dell'anormale midollo osseo con midollo osseo normale nei disturbi ematologici non maligni

Il trapianto di cellule staminali ematopoietiche può essere autologo (utilizzando le cellule del paziente stesso) o
allogenico (utilizzando cellule di un donatore). Le cellule staminali possono essere raccolte dal

 Midollo osseo

 Sangue periferico

 Sangue del cordone ombelicale

Tutto parte dal concetto di cellula staminale pluripotente che dovreste già conoscere, sicuramente perché io possa
avere un trapianto con successo ho bisogno di trapiantare una cellula staminale pluripotente; se io metto dentro
linfociti NK, linfociti B o T maturi o globuli rossi maturi “tutto finirà a breve”, ho bisogno di mettere quindi una cellula
staminale emopoietica, ovvero la madre di tutte che è in grado di generare tutte le filiere emopoietiche e questo è
importante come concetto, ma c’è bisogno anche di un ambiente adatto dove essa posso crescere, quindi c’è bisogno
di una nicchia nel midollo osseo che la possa accogliere, che la protegga e che ne permetta di svolgere quelle funzioni
fondamentali quali la differenziazione e il mantenimento.

*NB: concetto di nicchia vascolare, nicchia ossea (o endostea) e nicchia immunologica: importanti per l’attecchimento
del trapianto.
La cellula staminale, infatti ha bisogno di una sua nicchia che abbiamo compreso studiando la cellula viva nel midollo
osseo.
La nicchia ossea (o endostea) è fatta di osteoblasti, osteoclasti, da fibroblasti del loco, da tante citochine che la
tengono protetta dagli eventi infettivi.
La nicchia vascolare che la cellula staminale utilizza invece per muoversi, dividersi, differenziarsi.
La nicchia immunologica: sembra che alcune cellule del sistema immunitario svolgano una protezione nei confronti
della cellula staminale tale e quale alle protezioni che noi abbiamo fisiologiche nell’organismo (esempio: barriera
ematoencefalica per il cervello o le cellule del Sertoli nelle gonadi e così via).
Quindi le nicchie sono importanti per la vita, per la riproduzione e la differenziazione delle cellule staminali. La cosa
importante ed interessante è che studiando queste nicchie abbiamo capito come spostare la cellula staminale dalla

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nicchia endostea alla nicchia vascolare e poi ripescarla nel sangue, dando al paziente fatto di crescita (growth factor)
che aumentano la proliferazioni delle cellule staminali e proprio per questo aumento esponenziale fuoriescono dal
midollo osseo andando a riversarsi nel circolo sanguigno.
Quindi ci permette di fare la maggior parte dei nostri trapianti da sangue periferico. Vediamo dopo come si fa. Un
altro concetto molto importante, per i trapianti, è stato conoscere i geni di istocompatibilità.
I geni HLA, presenti sul cromosoma 6, ne esistono di tre classi: classe prima, seconda e terza e vengono ereditate in
maniera classica mendeliana (il crossing over, sono cose di biologia che dovete sapere).
A noi interessano i geni HLA di classe I A, B, C; e di classe II (dP, dR, dQ.).
Si chiamano così, sono nomi, sigle e servono perché abbiamo bisogno di un’identità di questi geni di istocompatibilità
affinché possa essere effettuato un trapianto. Altrimenti questo non è possibile, o è possibile in determinate
condizioni di cui vi parlerò. Importante capire che una mamma e un papà hanno due aplotipi di HLA e voi avete
ereditato un aplotipo dalla madre e uno dal padre, ovviamente questo se non ci sono stati crossing over durante la
meiosi.
In questo caso è chiaro che ciascuno di voi sarà aploidentico con ciascuno dei genitori, ovvero sarà identico per un
aplotipo con un genitore ma sarà diverso per l’altro aplotipo.
Questo fa sì che se avete fratelli o sorelle, per meccanismi mendeliani ovvi e noti, abbiate la possibilità di avere un
fratello o una sorella identici a voi (per i geni HLA) del 25%, chiaramente questa probabilità si diluisce con le
generazioni, quindi c’è possibilità di pescare un cugino ma sempre meno.

Capite che il 25% non è un numerone, soprattutto nel mondo di oggi: dove la maggior parte delle famiglie è composta
da un solo figlio. Capite che questo può essere un limite per la procedura trapiantologica perciò è stato messo a punto
un registro, registro dei donatori di midollo osseo.

Le molecole di istocompatibilità (codificate dai geni di istocompatibilità HLA) : sono le molecole che presentano i
peptidi ai linfociti T permettendogli di riconoscere ed eliminare tutto ciò che è non self, ovvero il diverso, lo straniero,
il patogeno. è chiaro che questo riconoscimento del non self è un meccanismo di tutela per la crescita dell’individuo,
per la diversità, per l’evoluzione ma per il trapianto è un grosso ostacolo.

Il primo ostacolo è se metto dentro una cellula staminale che ha dei geni HLA diversi verrà chiaramente riconosciuta
come diversa e verrà rigettata, ma allo stesso tempo se io uccido con chemio e radioterapia ad alte dosi tutto quello
che in un organismo può rigettare, questa cellula (del donatore) staminale (che è diversa) riconoscerà ogni altro
tessuto, o meglio le figlie di questa cellula staminale riconosceranno ogni altro tessuto come diverso e lo
attaccheranno fino ad ucciderlo, quindi è un gioco delle parti un po’ complesso.

1) La classe prima (A, B, C) è presente in quasi tutte le cellule nucleate, non ce l’abbiamo nei globuli rossi grazie al
cielo, altrimenti avremmo grossissimi problemi anche con le trasfusioni di sangue. La classe I serve ad interagire con i
linfociti T cd8, cosi svolgono il loro ruolo citotossico.

2) La classe II è presente generalmente nelle cellule del sistema immunitario, tranne rarissime eccezioni, interagisce
con i linfociti T cd4, cosiddetti T-Helper. Ci sono tantissimi polimorfismi e sono quelli che permettono la variabilità
genetica.

3) La classe III è poco importante per quanto riguarda l’aspetto trapiantologico.

Come possiamo capire qual è il vostro genotipo HLA? Cioè cosa dovete fare voi per conoscerlo? Basta fare un prelievo
di sangue e per essere grossolani basta fare la sierologia: vedere con un sistema sierologico quali anticorpi avete, c’è
un pannello di anticorpi, li legate e si vede che siete ad esempio A2 B1 C3 eccetera, ce ne sono tanti sottotipi. Per
essere più precisi quando non c’è legame anticorpale ci sono molte tecniche molecolari come la PCR che ci
permettono di dire questo individuo ha questo genotipo HLA ed è molto importante conoscerlo.

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SELEZIONE DEL DONATORE
Come avviene la selezione del donatore? Ci sono criteri molto importanti.
1) confronto HLA del donatore con il ricevente La prima cosa è l’HLA familiare, che non è il gemello omozigote, in quel
caso sarebbe trapianto autologo, ci deve essere un minimo di disparità per avere l’effetto immunologico.

Caso clinico
Abbiamo avuto recentemente una ragazza che ha fatto un trapianto di midollo osseo per una brutta leucemia e aveva
una sorella gemella identica a lei, abbiamo fatto dei test genetici e abbiamo dimostrato che i suoi geni erano del tutto
identici, abbiamo quindi scartato la sorella e abbiamo preso la madre. La ragazza non sarebbe mai stata curata dalla
sorella. La scelta del donatore è cruciale, un elemento critico per la cura dei pazienti.

L’ordine è questo per la scelta del donatore: se c’è un identico comanda lui, facciamo un donatore identico se è in
grado di donare; altrimenti gli altri a seconda delle condizioni del paziente e del tempo necessario per trapiantarlo, nel
senso che se un paziente ha un’immediata esigenza di trapianto salvavita non ho il tempo di andare a prendere un
donatore dal registro. Questo infatti significa: interrogare un registro internazionale, andare a telefonare a questo
individuo che può essere in America o in Germania (raramente ahimè in Africa, per questo le persone di colore hanno
difficoltà nei trapianti perché i donatori volontari sono pochi nei registri), andare a pescare questo individuo e dirgli
“sei disposto a donare la prossima settimana?”. Lui deve essere messo a riposo, fare tutti gli esami, la preparazione
ecc. invece se è un familiare ce l’ho a diposizione qui in reparto e faccio tutto; quindi dipende dalle condizioni del
paziente

2) prendo in considerazione le condizioni cliniche del donatore


Sicuramente contano le condizioni cliniche del donatore, perché nel trapianto l’obbligo è quello di preservare il
donatore, è anche scritto nelle leggi italiane: non fare del male al donatore sano, questa è un’ovvietà se ci pensate,
non succede mai niente ma ad esempio il rischio di reazione allergica all’anestetico esiste per esempio e quindi va
contemplato. Nella donazione delle cellule staminali i fattori di crescita possono dare delle complicanze come un
ingrossamento della milza temporaneo, dolori, dolori osteomuscolari, ci sono quelle problematiche per cui un
donatore deve essere sano al momento della donazione. Non viene data l’idoneità ad un donatore se questo ha
trombofilia o se ha avuto un infarto o se ha avuto un precedente tumore chiaramente questo per non dare tumore al
ricevente. Ci sono dei criteri che dobbiamo utilizzare per poter scegliere un donatore, e sono anche di salute del
donatore, l’età chiaramente è importante perché far donare un ragazzo di trent’anni è diverso da far donare uno di
settanta.

3) confronto la sierologia: questa è una cosa importante da sottolineare.


Perché se sono un ricevente sieropositivo per il CMV (citomegalovirus) e ricevo un midollo o cellule staminali da un
donatore che è CMV sieronegativo, questo significa che il CMV che “sta dormendo” nelle mie cellule e che si
risveglierà quasi sicuramente perché non troverà un sistema immunitario in grado di combatterlo, quindi si svilupperà
come una nuova infezione primaria in una situazione di carenza immunologica. E quindi ho un rischio infettivo di
mortalità CMV relata altissimo. Siamo costretti quindi a scegliere il donatore anche secondo combinazioni sierologiche
per quelli che sono i virus più pericolosi: CMV è uno tra questi. Ma anche il toxoplasma.

Caso clinico
Siamo stati costretti a fare un trapianto ad una ragazza di 23 anni da una donatrice (la madre in questo caso) che era
toxoplasma negativa, mentre lei era toxoplasma positiva. Per questo nonostante le profilassi che avevamo fatto, ha
sviluppato una toxoplasmosi cerebrale; ora è guarita e sta bene la ragazza, però queste complicanze non sono uno
scherzo.

Esempio: se il mio ricevente non ha mai avuto il CMV nella sua vita non ci sono grossi problemi, perché il mio
ricevente non può riattivare niente. Invece se il mio ricevente ha avuto il CMV, io distruggo le sue cellule immunitarie
che lo proteggono dalla riattivazione, ricordo che il CMV è latente dentro di noi.
Può succedere quindi che il CMV si riattivi, e se io ho il donatore che non ha mai avuto il CMV quindi che non ha un

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immunità in grado di combatterlo, questo donatore è pericoloso. Perché il paziente per potersi proteggere da quel
CMV ha bisogno non solo che escano i linfociti T del donatore ma che questi abbiamo una presentazione dell’antigene,
un buon riconoscimento, una capacità di produrre citochine ecc.

4) esistono inoltre antigeni sesso-specifici che possono dare trigger per GVHD. Conta inoltre avere una mamma o un
papà donatori nel caso di un donatore alternativo, nel caso di una mamma, lei potrebbe aver visto quel tipo di
aplotipo HLA che porti addosso mentre eri in grembo per un contatto di sangue e quindi una donatrice mamma può
avere un maggiore effetto antileucemico a causa di questa precedente stimolazione, ma anche dare un rischio di
GVHD. Il sistema immunitario è un pochino particolare perché si ricorda di tante cose.

5) alloreattività delle cellule NK.


Le cellule NK hanno una reattività: ognuno ha un corredo di NK che hanno dei recettori in base al genotipo HLA: questi
recettori sono di due tipi (KIR 1 e 2) e sono, sostanzialmente, inibitori della funzione NK.
Nei trapianti di cellule ematopoietiche in pazienti con leucemia, le cellule Natural Killer alloreattive possono eliminare
il rischio di ricadute e di rigetto, e proteggono il paziente dalla GvHD (Graft-versus-host disease, reazione
immunologica da trapianto contro l'ospite).
È quanto è emerso da una ricerca condotta da Andrea Velardi dell'Università di Perugia (Dipartimento di Medicina
Clinica e Sperimentale, Sezione di Ematologia e Clinica Immunologica) che ha studiato il caso di 92 pazienti che
avevano ricevuto un trapianto di midollo da donatori non compatibili.
Su 58 pazienti che avevano ricevuto cellule NK non alloreattive, il 15.5% ha presentato rigetto, mentre nei 34 pazienti
che avevano ricevuto cellule alloreattive, non è stato rilevato alcun caso.
Lo stesso vale per i sintomi da GvHD acuta che si sono presentati in percentuale minima (p<0.001).
È stato inoltre condotto uno studio su modello animale (topi) con trapianto di midollo osseo. I ricercatori di Perugia
hanno rilevato che i topi nei quali era stato innestato un midollo non compatibile erano morti per GvHD nell'arco di 2-
4 settimane. Un innesto di cellule NK alloreattive in regime di condizionamento, ha invece permesso ai topi di
sopravvivere per 120 giorni, fino al termine dello studio, senza presentare sintomi di GvHD.
Le cellule NK alloreattive possono così fornire uno strumento di grande efficacia e di sicurezza nel trapianto di midollo.

METODICHE DEL TRAPIANTO

Passiamo ora un po’ più alle metodiche di trapianto: dopo un trapianto come diventa l’individuo? Nel trapianto cosa
succede secondo voi? Noi trapiantiamo cellule staminali emopoietiche, quindi quello che noi avremo è il sangue del
donatore dentro il ricevente. E’ il sangue che cambia e i linfonodi.
Tutto quello che è nel sangue diventa del donatore, le cellule immunitarie diventano del donatore, tutto ciò che
invece è tissutale e immunitario diventa lentamente del donatore.
Il fatto che avvenga lentamente è importante nella GVHD.

Ma è importante questo, perché avere una cellula che presenta l’antigene come i macrofagi tissutali o le Langerhans
nella cute (che sono del ricevente) e presenta l’antigene ad un linfocita del donatore può essere un problema, infatti
l’HLA è diverso e quindi mi può scatenare la malattia da trapianto contro l’ospite(GVHD), se l’HLA non è perfettamente
identico. Ho omesso quando ho parlato di HLA che quello che vi ho mostrato è il sistema maggiore di istocompatibilità
ed esiste un sistema minore di istocompatibilità con tanti altri piccoli geni che possono scatenare reazioni
immunologiche. Quindi avere un donatore HLA identico non è garanzia che non avvenga la GVHD, non è detto che non
venga il rigetto; è solo ridurre moltissimo la probabilità che ciò avvenga.

Prima di parlare nei dettagli del trapianto bisogna capire perché lo facciamo, c’è qualche motivo per fare trapianto?
Sicuramente i primi motivi sono gli stati di immunodeficienza e quelli di figure midollare, cioè le aplasie midollari
(farmaco indotte, radio indotte, indotte dalla guerra atomica o da quello che volete) quando c’è un’aplasia midollare
che non può essere revertita farmacologicamente il trapianto la può potenzialmente recuperare. Tra queste malattie,
a parte l’anemia aplastica, che non avete ancora studiato ed è un disordine autoimmune severo, c’è invece una
patologia che dovete sapere all’esame, di cui vi ho parlato ed è l’immunodeficienza SCID. Le SCID sono molto
importanti ed hanno insegnato molto nel trapianto: essendo bambini che vivono nelle bolle, perché non hanno nessun
tipo di immunità non avendo linfociti T e quindi morirebbero rapidamente di infezioni nel giro di pochi mesi, al primo

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o secondo anno di vita in assenza di una protezione assoluta nei confronti delle infezioni a causa dei difetti genetici di
cui parlerete.

È chiaro che questi bambini hanno facilità ad attecchire perché praticamente non hanno modo di rigettare. Quello che
si è imparato è fare a questi bambini un trapianto T-depleto, senza linfociti T. Hanno insegnato tanto, all’inizio degli
anni ’80. In America hanno fatto trapianti T-depleti in questi bambini, hanno attecchito e siccome sono bambini forti
che hanno un ottimo timo, poi le cellule del donatore si sono ricostituite nel timo ed è successa la cosa più eccezionale
che si potesse immaginare: cellule HLA diverse possono essere tolleranti nei confronti di un organismo diverso grazie
alla presentazione degli antigeni a livello timico, la cosiddetta tolleranza centrale. Questo è quello che negli anni ’80 si
sapeva, forse questi discorsi sono un po’ complessi ma vi devo dare delle nozioni di base.
Le SCID sono molto didattiche per noi. Poi ovviamente le talassemie, le emoglobinopatie sono altre problematiche, ma
anche disordini metabolici; queste sono una piccolissima fetta dei trapianti, ce n’è una grandissima che sono i tumori,
principalmente neoplasie di tipo ematologico. Oggi la procedura trapiantologica è diventata a tratti in alcune
situazioni così sicura che viene utilizzata per favorire la tolleranza nei trapianti d’organo.

HSCT vuol dire trapianto di cellule staminali emopoietiche, dovete sapere che ci sono due principali tipi di trapianto
che si distinguono per la sorgente delle cellule emopoietiche:

1)TRAPIANTO AUTOLOGO: prendo le cellule staminali di un individuo e poi gliele rimetto in circolo, quindi non ci
sarebbe una chimera, ma perché questo?
Certamente non a scopo immunologico, perché non cambia nulla da questo punto di vista. Ma posso farlo quando per
certe neoplasie soprattutto in ematologia vogliamo fare chemio e radio terapia così elevate da causare
mieloablazione. Se io ho un rescue di cellule autologhe le ridò al paziente così riesce a sopportare una terapia che di
per sé sarebbe letale, recupera il suo midollo osseo autologo e nel frattempo ho bastonato un tumore con farmaci
molto forti. Chiaramente ci sono delle indicazioni specifiche, io ora ve l’ho fatta molto generica. Soprattutto nei
linfomi avanzati e nel mieloma si usa questa metodica. Per un immunologo il trapianto autologo è di scarso interesse
perché c’è poco di immunologia in questo, è molto rozzo.

2)Il TRAPIANTO ALLOGENICO è molto più interessante per l’immunologo, è da un donatore differente. C’è in gioco la
differenza di HLA.

Come avviene?
1) raccolta delle cellule staminali dal
donatore (MO o sangue periferico)
2) processazione (togliere i B,
togliere i T o lasciare solo le cellule
staminali)
3) criopreservazione
(dimetilsufossido + altre sostanze che
consentono di congelare cellule, per
permettere una corretta
sincronizzazione tra donatore e
ricevente)
4) chemioterapia (uccisione del
sistema immunitario del ricevente
col fine di evitare un rigetto)
5) infusione nel ricevente

*NB: La procedura di raccolta di


cellule staminali si fa o molto
precedentemente al trapianto e
dunque con congelamento delle
cellule raccolte, oppure in
contemporanea.

61
Quali sono i trapianti allogenici che oggi possiamo fare?

A) Il trapianto matched o HLA identico che è quello dal fratello o dalla sorella. Può svolgere un effetto immunologico
importante, infatti quel trapianto HLA identico ha un sistema immunitario che potrebbe controllare il tumore. Dove
c’è una diversità antigenica minore per cui ho una certa sicurezza nell’attecchimento, e una certa, relativa, sicurezza
nella GVHD. Per quanto riguarda la disponibilità di trovare un fratello con un HLA identico la probabilità è del 25%, c’è
inoltre un registro internazionale di donatori per il midollo osseo dove sono iscritti tutti i donatori, che ci dà
l’opportunità di trovare un individuo con HLA identico al paziente al di fuori della famiglia. Non è come fare un
trapianto fratello-sorella perché mentre i geni HLA che noi possiamo studiare sono gli stessi, gli antigeni minori cioè gli
antigeni di istocompatibilità minori, saranno maggiori e questo ci dà dei rischi un pochino più alti.

B) è stato messo a punto e per la prima volta sperimentato nell’adulto, contro le leucemie, a Perugia il trapianto
mismatched, o aploidentico grazie alle tecnologie sulla T deplezione, ne parleremo meglio più avanti.

C) unrelated: è il trapianto da donatore non familiare, quello da registro.

Quindi oggi nell’adulto ci sono tre modalità di fare trapianto: identico (ha la priorità in genere), unrelated e
aploidentico. Ci sono pro e contro in ognuno e ne parleremo.

La tecnica per il trapianto di cellule staminali emopoietiche da cordone ombelicale è ancora in fase embrionale.
Sono stati effettuati circa 20 000 trapianti di sangue cordonale da quando la procedura è stata introdotta nel 1989.
Poiché il sangue del cordone ombelicale contiene cellule staminali immature, la corrispondenza HLA appare meno
cruciale rispetto agli altri tipi di trapianto di cellule staminali ematopoietiche. Una delle preoccupazioni riguardo alla
procedura è l'assenza di contatto con antigeni delle cellule immunitarie nel sangue del cordone ombelicale, che porta
a una maggiore percentuale di cellule T naive, che aumenta il rischio di riattivazione delle infezioni da cytomegalovirus
o da virus Epstein-Barr.
Questa metodica è utilizzata in situazioni pediatriche dove il bambino è piccolo e dandogli un cordone forse questo
attecchisce. Nell’adulto viene usato solo in casi un po’estremi perché l’attecchimento è molto più lento per la scarsa
quantità di cellule, c’è stato un momento in cui era spinto ma il rischio di rigetto è alto. Capite però che donare un
cordone ha costo pressoché zero e non capisco perché non lo facciano, mentre si sono sviluppate vere e proprie
banche del cordone: le persone mettono via per i propri figli il proprio cordone che è una follia con costi esorbitanti
non sostenuti da alcuna evidenza scientifica. (“come a dire: succede qualcosa a mio figlio... ma che deve succedere?
tirano una bomba atomica perché se è una leucemia non basta per guarirla, quindi come la girate la girate male, serve
donarlo!”)
È chiaro che il trapianto allogenico rispetto all’autologo consente alte dosi di radio e chemio associate
all’immunoterapia e quindi è più potente contro il cancro.

Il sangue periferico ha largamente sostituito il midollo osseo come fonte di cellule staminali, specialmente in caso di
trapianto di cellule staminali emopoietiche autologhe, perché il prelievo di cellule staminali è più facile e le conte di
neutrofili e piastrine risalgono più rapidamente. Il trapianto di cellule staminali emopoietiche da cordone ombelicale è
riservato principalmente ai bambini perché il numero di cellule staminali nel cordone ombelicale è troppo esiguo per
un adulto. Una fonte potenziale futura di cellule staminali viene indotta dalle cellule staminali pluripotenti (alcune
cellule prelevate da adulti e riprogrammato per agire come cellule staminali).
Non ci sono controindicazioni al trapianto di cellule staminali emopoietiche autologo. Le controindicazioni al trapianto
di cellule staminali emopoietiche allogenico sono relative e comprendono età > 50 anni, un pregresso trapianto di
cellule staminali emopoietiche e co-morbilità gravi.
Il trapianto di cellule staminali emopoietiche allogeniche è limitato soprattutto dalla mancanza di donatori
istocompatibili. Il donatore ideale è un fratello HLA-identico, seguito da un fratello donatore HLA-compatibile. Poiché
solamente un quarto dei pazienti possiede un fratello compatibile, spesso si ricorre a donatori consanguinei non
compatibili o donatori non consanguinei compatibili (identificati attraverso i registri internazionali). Tuttavia, le
percentuali di sopravvivenza libera da malattia a lungo termine possono essere inferiori rispetto a quelle con donatori
fratelli HLA-identici.

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PROCEDURA
Nel caso del prelievo di cellule staminali midollari, vengono aspirati dal donatore 700-1500 mL (massimo 15 mL/kg) di
midollo dalle creste iliache posteriori; la procedura viene eseguita in anestesia locale o generale.
Da sottolineare come a questo livello siano presenti meno linfociti T, di conseguenza avrò meno rischio di GVHD.
Questa procedura è preferenziale nel caso in cui la mia paura della GVHD è maggiore e in caso di problematiche
midollari. Voglio “solo” che mi si sostituisca il midollo.

Nel caso del prelievo di sangue periferico, il donatore viene trattato con fattori di crescita ricombinanti (fattore
stimolante le colonie di granulociti o fattore stimolante le colonie di granulociti e macrofagi - gCSFF) per stimolare la
proliferazione e mobilizzazione delle cellule staminali; dopo 4-6 giorni viene eseguita un'aferesi standard.
Dopo qualche giorno circolano cellule staminali CD34+, provoca una transitoria leucopenia.
La citofluorimetria viene utilizzata per identificare e separare le cellule staminali dalle altre cellule.
In seguito, le cellule staminali vengono infuse in 1-2 h mediante un catetere venoso centrale di calibro adeguato.
Gli unici effetti collaterali che ho sono:
1) Rischio di ingrossamento della milza (escono in circolo molti precursori midollari e tantissimi neutrofili).
2) Dolore osseo come risultato dell’aumentata spinta proliferativa del midollo.

REGIMI DI CONDIZIONAMENTO
Lo scopo e l’effetto fondamentale del condizionamento è:
1) indurre la completa ablazione delle cellule staminali del ricevente (sennò dopo il trapianto andranno a produrre
nuovi precursori)
2) distruggere totalmente la capacità della risposta immunologica, in particolare la T mediata dal ricevente nei
confronti del donatore, altrimenti avverrà il rigetto immunologico: è necessario quindi ablare completamente sia le
staminali del ricevente che il suo sistema immunitario per permettere l’attecchimento.
I pazienti che devono ricevere il trapianto sono pazienti che normalmente hanno patologie maligne ematologiche o
patologie non maligne.
Come facilmente deducibile ne consegue che i regimi di condizionamento saranno diversi a seconda delle condizioni
del paziente. Prendiamo ad esempio il caso di un paziente talassemico [la talassemia è una patologia che deriva da un
difetto genetico nella catena emoglobina, il paziente beta-talassemico ha una catena beta mutata, sviluppa anemia
molto severa con un midollo che risponde o meno, ma che può essere anche sano. È una malattia molto grave quando
si manifesta nella sua completezza, nel cosiddetto Morbo di Cooley, che richiede trasfusioni fin dai primi mesi di vita e
induce a morte il paziente nel giro di pochi anni in mancanza delle giuste misure preventive. Il trapianto, dunque, a
oggi è ancora l’unica cura possibile di questa malattia, anche se lo stiamo “ottimizzando”, e si sta sviluppando la
terapia genica, cioè la sostituzione solo del gene malato – ma è un qualcosa su cui ci sono i primi studi clinici oggi]
quindi in un paziente del genere, nonostante non abbia alcuna neoplasia, siamo costretti ad un regime radio e chemio
terapico molto forte, perché capite che “è tutto sano” quello che ha, ma dobbiamo fare spazio al midollo del
donatore.
Il regime di condizionamento viene fatto con alte dosi di radio e/o chemio terapia – non entriamo nei dettagli anche
per l’enorme variabilità a seconda delle condizioni, sono cose molto specialistiche per cui è necessario conoscere
molto bene le situazioni che predispongono ad una terapia piuttosto che ad un’altra ecc. È chiaro però, che questa
chemio terapia viene anche mirata nei pazienti oncologici, nei confronti della patologia di base; per cui se c’è una
leucemia farò una chemio terapia che abbia in sé anche l’effetto antileucemico. Il regime di condizionamento, già per
come ve l’ho presentato, è chiaro che richieda che il paziente sia fisicamente pronto a riceverlo perché porta delle
tossicità notevoli date le alte dosi di terapia.

Pertanto consideriamo due principali tipi di condizionamento (in realtà ci sono anche altre classi e sottoclassi ma è
importante che ricordiate queste due tipologie):
1- condizionamento mieloablativo (letteralmente = eliminazione totale del midollo osseo)
2- condizionamento non mieloablativo, detto anche condizionamento ad intensità ridotta (poi ci sono delle opinioni
per cui si dice che a tratti esso possa essere anche mieloablativo, ma sono un po’ di chiacchiere)

Quello che è importante ricordare è che possiamo avere un condizionamento molto forte il primo e meno forte il
secondo.
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È chiaro che se io faccio altissime dosi di radio e chemio terapia per ablare completamente midollo osseo e sistema
immunitario, avrò sotto controllo, almeno più probabilmente, il rigetto immunologico e farò attecchire il mio
trapianto se ho poi anche una patologia ematologica in più potrò avere il controllo della patologia neoplastica
sottostante, per via delle importanti dosi somministrate; ovviamente avrò anche un incremento di tossicità dovuto al
trattamento. Questo è il motivo per cui il condizionamento molto antileucemico e antineoplastico viene generalmente
riservato ad individui giovani, in assenza di co-morbidiità importanti (epatopatie, cardiopatie, nefropatie e così via)
cioè che abbiano organi bersaglio della radioterapia integri, perché altrimenti si configurerà una alta incidenza di
mortalità trapianto relata per la tossicità della terapia. L’opposto è il regime non mieloablativo/ condizionamento ad
intensità ridotta perché viene fatto con dosi minori di terapia, ma questo ha una conseguenza: il problema di fare
attecchire il trapianto e, per ovviare a questo problema, si va in genere ad utilizzare un aumentato numero di cellule
del donatore, soprattutto i linfociti T che svolgono un importante effetto nel trapianto, più nei confronti del ricevente:
le mettiamo in competizione. Saranno essi stessi a eliminare i residui di cellule staminali del ricevente.

Nonostante questo però utilizzando basse dosi di terapia, c’è maggior rischio di rigetto e anche di chimerismo misto.
Vi avevo detto che nel fare un trapianto allogenico si sviluppa una chimera: il ricevente sarà “tutto ricevente” (dal
punto di vista genomico) nei tessuti e invece donatore nelle cellule del sangue e del sistema immunitario. Quindi
quando farò un prelievo a questo paziente dopo un trapianto perfetto, per vedere quali sono i geni delle cellule del
sangue avrò le avrò tutte con il genoma del donatore. Se trovo, invece, un po’ del donatore e un po’ del ricevente
all’interno delle cellule del sangue, lo chiamerò chimerismo misto.

Il rischio di fare questo tipo di trapianto (intende quello a intensità ridotta) è quello di avere un maggiore chimerismo
misto e dunque problematica nell’attecchimento. Ovviamente il controllo della malattia con quel poco radioterapia
che ho fatto, sarà difficile e ridotto e, piuttosto, se lo otterrò, sarà dovuto alle numerose cellule T del donatore che ho
infuso e quindi esclusivamente a un effetto immunologico il trapianto potenzialmente sarà anche molto efficace per
darmi anche un effetto antileucemico sono le cellule T del donatore che mi devono uccidere la leucemia = riassunto.

Sicuramente c’è una tossicità ridotta e un rischio di mortalità immediata bassa. Questo è un gran vantaggio perché
posso somministrarla in pazienti anziani oppure “unfit” cioè i non-adatti a fare un trapianto mieloablativo. Ora di
questo discorso dovete ben tenere presente, e ne parleremo nella seconda ora oggi, il problema della malattia del
trapianto contro l’ospite perché, ve l’ho già accennato, è chiaro che infondere le cellule T del donatore significa farlo
non solo contro la leucemia e basta, ma contro qualunque cosa verso cui esse possono essere attivate.

Se questo ricevente ha degli antigeni di disparità soprattutto dal punto di vista del complesso di istocompatibilità (il
maggiore principalmente, ma anche il minore) avremo la possibilità che queste cellule del donatore si attivino nei
confronti di cellule e tessuti del ricevente e sviluppino la malattia del trapianto contro l’ospite.

È chiaro che i due condizionamenti richiedono attenta modulazione anche di questo aspetto perché se io faccio un
condizionamento e regime mieloablativo, rado al suolo tutto quello che è il sistema immunitario del ricevente e quindi
anche del midollo osseo. Dunque in una situazione del genere pochi linfociti T hanno strada spianata e possono essere
ulteriormente efficaci contro la malattia, ovviamente se faccio il trapianto allogenico vuol dire che di base non mi
accontenterei di fare solo radio e chemioterapia per quel trapianto, altrimenti avrei scelto di fare quello autologo. Se
faccio il trapianto allogenico vuol dire che sto cercando qualcosa oltre la radio e chemio terapia perché quella specifica
leucemia si è dimostrata radio/chemio resistenze in qualche modo.

Poche cellule T in un regime mieloablativo daranno più rischio di malattia trapianto contro l’ospite; in un regime a
condizionamento ridotto ci sarà competizione perché lascio delle cellule vive nel ricevente quindi per avere una
malattia contro l’ospite ho bisogno di tante T, ma ho bisogno di tante T anche per fare il rigetto e quindi sarà molto
possibile anche in quel caso. Il controllo della malattia dipende da un certo grado di Graft Versus Host (GVHD), ovvero
reazione del trapianto contro l’ospite, che spero sempre non mi diventi una malattia conclamata. È un fine tuning le
procedure trapianto e va molto adattata al setting, al paziente.

È chiaro che mentre nei confronti del trapianto d’organo il processo immunologico prevalente, quello che tutti
temono è il rigetto, perché se metto un rene che non ha un suo sistema immunitario, può rischiare “solo”, a parte
rarissime eccezioni, di essere rigettato e quindi di perdere di nuovo funzione renale.

Nel trapianto di midollo osseo, di cellule staminali emopoietiche, si verifica anche il problema opposto a quello che è il
rigetto malattia del trapianto contro l’ospite. Il problema è che noi trapiantiamo il sistema immune, quindi mettiamo
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dentro il ricevente un qualcosa che è immunocompetente. Il sistema immunitario va sempre visto da un punto di vista
bidirezionale: host- ricevente versus graft-donatore e graft versus host. Se sarà più forte il sistema immunitario del
ricevente ci sarà rigetto, se sarà più forte quello del donatore andrà a buon fine il trapianto.

Quello che però è affascinante di tutta questa storia, motivo per cui vanno avanti tutti questi studi grazie ai quali
abbiamo capito molte più cose, è che per qualche motivo, si sviluppa nel corso del tempo, in un trapianto allogenico,
anche in presenza di una certa disparità dell’istocompatibilità, una certa tolleranza. Quindi due individui immunologici
diversi imparano a convivere in uno stesso organismo.

L’ospite inizierà e imparerà a tollerare il ricevente. Ricordatevi due cose principali, nello sviluppo ho una tolleranza
centrale o timica, che si verifica quando i precursori partono e colonizzano il midollo osseo, vanno a finire nel residuo
timico dell’adulto o del bambino, e successivamente vanno incontro ad una selezione e impareranno a riconoscere
come self quello del ricevente che non lo era prima.

Altro meccanismo di tolleranza è quella periferica che ed è dovuta a tutta una serie di cellule che sono normalmente
presenti nel sistema immunitario, tra queste le più studiate e importanti sono le T-reg con proprietà regolatorie di
risposta (ce ne sono altre anche). L’insieme di questi meccanismi fa sì che si induca tolleranza. Quindi la problematica
di rigetto riguarda i primi tempi di trapianto.

Un altro paio di definizioni, è la distinzione tra Graft figure (mancato attecchimento, letteralmente fallimento del
trapianto) e Rigetto immunologico il risultato è sempre che il trapianto non funziona ma bisogna distinguerli perché il
come reagire nei confronti di questo evento è diverso. Il Graft figure, un attecchimento che viene a mancare, significa
che le cellule che io ho infuso (CD34+) non sono abbastanza per superare le barriere fisiche e ripopolare la nicchia del
midollo osseo. Quali sono le barriere fisiche? Sicuramente i filtri del microcircolo, molte cellule staminali si imbrigliano
nel circolo polmonare ed epatico e poi banalmente, se non ho fatto abbastanza mieloablazione e ho un midollo osseo
dove c’è magari ancora malattia o residuo di cellule staminali, non ho proprio lo spazio fisico che serve loro per
ripopolarlo. Che cosa succede tecnicamente? Il paziente non attecchisce, rimane in aplasia = 0 globuli bianchi, 0
globuli rossi (che 0 non sono perché sennò morirebbe e noi continuiamo a trasfonderlo), 0 piastrine. E clinicamente
non osservo nulla: questo evento non dà segni clinici. Quindi me ne devo accorgere prima possibile, prima che
avvenga e per questo ci sono delle tempistiche studiate, perché devo aspettarmi un certo attecchimento per il tipo di
trapianto che ho fatto perché il paziente in aplasia morirà di infezione, ce lo siamo detti, e dovrò fare un nuovo regime
di condizionamento che faccia più spazio e quindi ho bisogno di nuove infusioni di cellule staminali, possibilmente un
maggior numero, per ottenere questo risultato.

Invece nel rigetto immunologico, dove esiste un residuo di sistema immunitario del ricevente, in particolare di T;
quello che può succedere, e che succede ancora qualche volta, è che il paziente attecchisca, cioè anche nei controlli
ritrovo i globuli bianchi cresciuti, va tutto bene, ma improvvisamente il paziente manifesta dei segni clinici tipici:

-Febbre
-Rush cutaneo diffuso
-Rapido aumento LDH (lattato deidrogenasi, indice laboratoristico di morte cellulare)

Da un giorno all’altro manifesta solo questi sintomi, noi facciamo antibiotici ma di per sé il paziente sta bene e ha solo
questi sintomi, quando improvvisamente scompaiono i sintomi e i globuli bianchi, che erano diventati 3000, in un
giorno scendono a 0; è una vera e propria uccisione cellulo-mediata. Quei pochi milioni di cellule residue del ricevente,
i linfociti T naive, si sono attivate nei confronti del donatore, cioè riconoscono le cellule del donatore che vengono
presentate dall’APC come cellule non compatibili e le uccidono. Così il donatore “perde” la battaglia nonostante stesse
attecchendo all’inizio e le sue cellule staminali stessero producendo i primi precursori che avevamo ritrovato nella
conta leucocitaria in periferia, ma non è bastato una vera e propria reazione immunologica. Ci vuole quindi, per poter
correggere questo evento, sì un condizionamento, che sia volto però non tanto a distruggere il midollo osseo ma
piuttosto il sistema immunitario, molto linfoblastico, con i farmaci di cui abbiamo parlato: ciclofosfamide, fludarabina,
thymoglobuline ecc. sono farmaci antilinfocitari molto importanti e bisogna infondere in questo caso cellule, se
possibile, di un altro donatore per evitare l’attivazione di una memoria HLA del ricevente che si è già attivato contro
quello specifico donatore, dovremmo trovare un donatore aploidentico con un altro aplotipo non condiviso, e magari
ne ho un altro nella stessa famiglia— >ho ad esempio un trapianto aploidentico con questa situazione di rigetto come

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conseguenza, magari poi con un fratello, papà o mamma potrei avere un altro aplotipo, per cui le cellule T attivate del
ricevente, lo sono verso un aplotipo diverso posso ripetere un trapianto rapidamente.

POST TRAPIANTO (SUPPORTIVE CARE)

Il supporting care di questi pazienti, è una fase molto importante. Il giorno del trapianto (giorno 0) che si effettua con
infusione tramite una sacca di sangue, è una specie di trasfusione, è seguito da un supporto molto importante perché
da quel giorno in cui ho infuso le cellule io avrò un attecchimento che sarà almeno 15/20 giorni dopo, dipende da
quante cellule staminali ho infuso, dal regime preparativo che ho effettuato, e vi ho detto se è un’unità cordonale
attecchisce molto lentamente (1-2 mesi dopo); se ho tantissime cellule staminali da sangue periferico e non faccio
altre terapie nel mezzo attecchiscono in 10 giorni di media.

Dopo il trapianto di cellule staminali emopoietiche, i riceventi vengono trattati con fattori stimolanti le colonie per
ridurre la durata della leucopenia post-trapianto, la profilassi antinfettiva e, dopo trapianto di cellule staminali
emopoietiche allogeniche, la profilassi con immunosoppressori per fino a 6 mesi (solitamente metotrexate e
ciclosporina) per impedire che le cellule T del donatore reagiscano contro le molecole HLA del ricevente (malattia del
trapianto contro l'ospite [graft-versus-host disease]). Abitualmente, non vengono somministrati antibiotici a largo
spettro se non in caso di febbre.

COMPLICANZE POST TRAPIANTO


Possono verificarsi complicanze precoci del trapianto di cellule staminali (< 100 giorni dopo il trapianto) o tardive.
Dopo trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche, il rischio di infezioni aumenta.

Complicanze precoci

Le maggiori complicanze precoci comprendono

 Mancato attecchimento del trapianto

 Rigetto

 Malattia del trapianto contro l'ospite acuta (GVHD acuta)

Il mancato attecchimento e il rigetto colpiscono < 5% dei pazienti e si manifestano con persistente pancitopenia o con
riduzione irreversibile dei valori emocromocitometrici. Il trattamento si basa sui corticosteroidi somministrati per
molte settimane.

La malattia del trapianto contro l'ospite (GVHD) è, essenzialmente, una reazione immune del donatore contro
l’ospite. Affinché questa avvenga è necessario che si verifichino tre condizioni:
a) Il donatore deve essere in grado di dare cellule che siano immunocompetenti (altrimenti non sarebbe possibile
nemmeno avere questo tipo di malattia: infatti, se fossero solo staminali purissime e super purificate, in assenza di
cellule T e di qualsiasi altro agente contaminante, il trapianto contro l’ospite non avverrebbe).
b) Un ricevente che non sia in grado di controllare una risposta immunologica (se vado verso il rigetto e non vado
verso la malattia GVHD).
c) Un ricevente esprime antigeni tissutali che non sono presenti nel donatore (le cellule immunocompetenti del
donatore riconoscono le cellule dell’ospite come non self/diverso).

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Ci sono due tipi di GVHD e sono la GVHD acuta e cronica

La GVHD ACUTA si verifica nei riceventi di trapianto di cellule staminali emopoietiche allogeniche (nel 40% dei
riceventi un trapianto da donatore consanguineo HLA-compatibile e nell'80% dei riceventi un trapianto da donatore
non consanguineo).
Le manifestazioni cliniche della GVHD cronica comprendono manifestazioni a livello di:
- Cute: rush infiammatorio generalmente infiltrato e pruriginoso, coinvolgente il palmo delle mani e dei piedi.
- Intestino: questo coinvolgimento è molto importante in quanto a livello intestinale abbiamo una grossa fetta di
cellule del sistema immunitario (70/80%). In questo caso il coinvolgimento può andare dalla bocca all’ano, ma
caratteristicamente si manifesta con colite, diarrea secretoria (anche profusa), si vanno quindi a perdere liquidi.
L’infiammazione può essere tale che questa diarrea secretoria può essere accompagnata da rettoragia o melena (a
seconda dell’altezza del danno: ovviamente la melena si andrà a manifestare nella condizione in cui il danno sarà
situato “più in alto” a livello del sistema gi)
- Fegato: il danno epatico che prendiamo ora in esame non è assolutamente patognomonico, principalmente è un
danno colestatico (abbiamo un danno dei linfociti del donatore nei confronti del versante biliare epatico, quindi
soprattutto nei confronti del biliocita ,di conseguenza gli spazi portali sono i più coinvolti, non tanto le cellule lobulari).
Avrò anche evidenza di ittero.

Come doso il danno determinato dalla GVHD acuta?

Dalla tabella riportata in alto si evince come in realtà sia difficile determinare il grado preciso di gravità della GVHD.
Non c’è qualcosa che ci permetta dal punto di vista laboratoristico di definire l’estensione della cute coinvolta.
Come faccio a dire il 50%? Sarà il 40% o il 60%? Non posso mica usare il metro! È un po’ complicato però siccome è
tanto difficile almeno uso questi parametri (si riferisce alla seconda tabella). Diversa è la bilirubina per il fegato perché

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tanto tanto è un esame laboratoristico ma immaginatevi la classificazione della diarrea, come possiamo classificare a
seconda di quanto è la diarrea? 1L, più di 1,5L e stiamo lì a chiedere al paziente? E lui risponde “eh ne ho fatta 30cc,
poi un litro e così via?

Aspetto clinico
È ancora molto complicato classificare la GVHD, quindi si banalizza un po’ ma la pratica clinica è questa: c’è un
paziente simpaticissimo, collega, che stiamo seguendo: un GVHD intestinale. Questo paziente ha fatto un breviario,
quindi ogni mattina apre il breviario e ci dice “l’ho fatta alle 7 alle 8 alle 9, 110cc” è precisissimo. Fa ridere ma a volte è
necessario quantificare proprio per poter decidere la terapia.

*NB: non è detto che la GVHD parta sempre con la triade, può essere solo cutanea, solo intestinale, rarissimamente
(1%) solo epatica nella GVHD acuta, in genere il fegato è accompagnato dal coinvolgimento di uno degli altri due. Poi
vengono dividi in stadi – grading- a seconda che sia Stadio 1, Stadio 2, Stadio 3 in ognuno di essi, a seconda che sia
nella cute, nell’intestino o nel fegato. Ricordate questa tabellina senza impararla a memoria.

È chiaro che conoscere l’esistenza di questo problema ci pone di fronte a un qualcosa di molto impegnativo: il
problema della profilassi. Siccome tutti noi che facciamo trapianto sappiamo che la GVHD è un problema molto serio,
perché di quello che vi ho raccontato si muore, raramente di cute, ma di coinvolgimento intestinale e epatico si
muore, è importantissimo fare tutto il possibile perché questa non venga fuori. Dunque prevenire la GVHD è qualcosa
di molto importante, ma come faccio? sono costretto ad utilizzare farmaci che inibiscano la funzione dei linfociti T.
Però non esiste ancora oggi il farmaco che inibisca selettivamente la funzione dei linfociti T contro la GVHD e basta.
Quindi se io farò la profilassi aggressiva avrò sicuramente meno GVHD ma più infezioni e più recidiva. Oggi va per la
maggiore l’utilizzo di un farmaco detto ciclofosfamide, post trapianto aplo-identico, che è importante
immunosoppressore: così risparmio le cellule staminali, il trapianto attecchisce, e faccio fuori tantissime T; tuttavia
questi pazienti hanno altissimo rischio di recidivare quindi il problema di questa profilassi è che in questo modo riesco
ad evitare GVHD ma mi aumenta di molto il problema della recidiva.

Se faccio poca profilassi invece mi porto il rischio di GVHD e quindi la modulazione di questa cosa è molto importante.
Quali sono le profilassi che facciamo in questi pazienti? Ecco un elenco della spesa parzialmente, perché ci sono dei
farmaci che vengono eseguiti in acuto, soprattutto quando c’è mismatch HLA di donatore non familiare, come il siero
antilinfocitario, viene eseguito durante la fase di condizionamento perché rimane nel sangue per

l’emivita alcuni giorni, sono le IgM, durano almento 12-15 giorni nel sangue infondo cellule T dove c’è un siero anti-T.
È una profilassi buona e importante anche se chiaramente aumenta il rischio infettivo.

Poi storicamente ci sono i farmaci che vengono utilizzati anche in altri tipi di trapianto contro il rigetto, e sono:
ciclosporine, methotrexate, tipici della profilassi. Indubbiamente ci sono poi tutte quelle metodiche, associate a questi
farmaci puri, che servono per eliminare le T:

1) Ex vivo T depletion (deplezione delle cellule T ex vivo): cioè vado ad infondere al paziente, invece che tutto quello
che ho raccolto aspirando dal midollo osseo e dalle cellule periferiche, soltanto le cellule staminali. È una profilassi
estremamente efficace ma con un grosso rischio infettivo addosso. Si può fare sia con ciclofosfamide di cui parlavamo
prima che con la T- depletion.

Se però il paziente, nonostante le profilassi, nonostante il trapianto sia stato fatto a dovere, nonostante ci sia un
trattamento con ciclosporina e methotrexate (si fanno da anni come classiche profilassi), sviluppa comunque una
GVHD, significa che devo trattarla. Quando lo faccio? Di certo non la tratto quando è allo stadio di cute e basta - non
mi interessa trattarla in quel caso perché la terapia immunosoppressiva è molto pericolosa - ma se ho un
coinvolgimento intestinale o epatico, situazioni in cui il paziente è a rischio di vita.

La terapia oggi è con i glucocorticoidi. Nel mondo le dosi più indicate sono 2mg/Kg/die di 6metil-prednisolone e si va
poi a scalare man mano. Nonostante che il cortisone e gli steroidi siano la terapia di prima linea, c’è una grossa fetta di
pazienti detta “steroid refractory” che variano, a seconda del trapianto, dal 30% al 70%; ricordate quindi che c’è una
grossa fetta di pazienti che può essere refrattaria agli steroidi e che quindi deve essere trattata con agenti secondari.
Quali sono? Di nuovo le stesse cose, sempre gli stessi a cui si associano altri farmaci, molti immunosoppressivi, alcuni
anche pericolosi, tanti monoclonali (inibitori TNF, infliximab) con un rischio infettivo altissimo.
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2) C’è una procedura che mi interessa dirvi che è la fotoferesi extracorporea: in questi pazienti non facciamo altro che
prenderli, attaccarli ad una macchina aferetica, prendere i loro globuli bianchi e linfociti, fare una aferesi delle loro
cellule come quella che facciamo nel donatore, le mettiamo sotto raggi ultravioletti e gliele rimettiamo, perché essi
indurranno apoptosi in queste cellule linfociti apoptotici rilascio di citochine regolatorie che servono a richiamare un
ambiente regolatorio. È una metodica molto particolare, ma efficace e non eccessivamente immunosoppressiva e sta
prendendo sempre più piede.

3) Poi c’è l’infusione, avvalorata da molti più studi, con terapie cellulari per cui utilizzo le cellule mesenchimali, Treg,
che è un qualcosa che abbiamo portato nel mondo noi, a Perugia. La mortalità nella casistica, prima di dirvi due cose
nella cronica, di GVHD acuta steroido refrattaria, è ancora molto alta. Nel trapianto standard i veri refrattari hanno
una mortalità talmente elevata che i sopravvissuti a un anno sono il 15-20%. È chiaro che se ci fosse qualcosa meglio
degli steroidi la utilizzeremmo in prima linea, motivo per cui facciamo tante associazioni tra la seconda linea,
altrimenti perdiamo il paziente.

La mortalità può avvenire per quali motivi? Secondo voi perché muore il paziente in GVHD acuta? Cosa porta all’exitus
del paziente? La stragrande maggioranza muore per via di infezioni a causa delle terapie immunosoppressive
necessarie: se non facessimo queste ovviamente il paziente morirebbe (dissanguato dall’intestino o per ittero
progressivo, ecc). Nella maggioranza dei casi per controllare queste manifestazioni siamo costretti a prolungare
l’immunosoppressione perché come cediamo un attimo si affaccia la malattia trapianto contro l’ospite e chiaramente
qualsiasi infezione non può essere da lui controllata.

I fattori di rischio per la malattia del trapianto contro l'ospite acuta comprendono

 Disabbinamento HLA e sessuale

 Donatore non consanguineo

 Età avanzata del ricevente, del donatore, o di entrambi

 Presensibilizzazione del donatore

 Inadeguata profilassi per la malattia del trapianto contro l'ospite

La diagnosi di malattia del trapianto contro l'ospite acuta è ovvia basandosi sull'anamnesi, sull'esame obiettivo e sugli
esami di funzionalità epatica. Il trattamento si basa su metilprednisolone 2 mg/kg 1 volta/die EV, aumentato a 10
mg/kg in assenza di risposta entro 5 giorni.

Complicanze tardive

Le maggiori complicanze tardive comprendono

 Malattia del trapianto contro l'ospite (graft-versus-host disease, GVHD) cronica

 Recidiva della malattia neoplastica

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GVHD CRONICA
La malattia del trapianto contro l'ospite cronica si può verificare come tale o come esito di una malattia del trapianto
contro l'ospite acuta oppure dopo la risoluzione della malattia del trapianto contro l'ospite acuta. Essa si verifica a
partire, grosso modo, da 100 giorni dopo il trapianto, in genere 4-7 mesi dopo il trapianto di cellule staminali
emopoietiche (range 2 mesi a 2 anni). La malattia del trapianto contro l'ospite cronica compare nei riceventi di
trapianto di cellule staminali emopoietiche allogeniche (in circa il 35-50% dei riceventi un trapianto da donatore
consanguineo HLA-compatibile e nel 60-70% dei riceventi un trapianto da donatore non consanguineo).

La malattia del trapianto contro l'ospite cronica


interessa principalmente la cute (p. es., rash
lichenoide, cambiamenti della pelle sclerotica) e
le mucose (p. es., cheratocongiuntivite secca,
periodontite, reazioni lichenoidi orogenitali) ma
colpisce anche il tratto gastrointestinale e il
fegato. L'immunodeficienza è un segno primario;
può svilupparsi anche una bronchiolite
obliterante simile a quella osservata dopo
trapianto di polmone.
In definitiva, la malattia del trapianto contro
l'ospite provoca la morte nel 20 al 40% dei
pazienti che l'hanno sviluppata.

La GVHD cronica viene distinta in: lieve,


moderata e grave in base a seconda degli organi
che colpisce, ad ogni organo viene attribuito un
punteggio ed in base al punteggio avviene la
classificazione.

Potrebbe non essere necessario un trattamento


per la malattia del trapianto contro l'ospite che interessa la pelle e le mucose, si tende ad aspettare prima di trattare
questa forma di GVHD, mentre nelle forme più gravi il trattamento è simile a quello della malattia del trapianto contro
l'ospite acuta.

Altra cosa molto importante è che la GVHD è stata scoperta come potenziale contro la leucemia.
Parliamo quindi di GVHD versus leukemia.
Le cellule NK sono in grado di potenziare l’effetto antileucemico del trapianto, per cui trovare un donatore con queste
caratteristiche significa poter dare una maggiore garanzia di aver eliminato la leucemia, in assenza di un rischio
agguntivo di GVHD.

La deplezione ex-vivo delle cellule T è un concetto importante, studiato in America sul paziente SCID: questi pazienti
trapiantati correvano il rischio solo di GVHD, dato che non hanno il sistema immune.
Cosa hanno fatto negli Stati Uniti per la prima volta? Hanno pensato di trapiantare ai bambini SCID solo le cellule
staminali andando a depletare i linfociti T.
La deplezione di cellule T dai trapianti allogenici mediante anticorpi monoclonali o separazione meccanica riduce
l'incidenza e la gravità della malattia del trapianto contro l'ospite ma elimina anche l'effetto graft-versus-tumor che
può aumentare la proliferazione e l'attecchimento delle cellule staminali e ridurre i tassi di recidiva della malattia.
I tassi di recidiva nel trapianto di cellule staminali emopoietiche autologhe sono più alti poiché non si sviluppa alcun
effetto graft-versus-tumor, e per la possibilità che siano trapiantate anche cellule tumorali circolanti. È oggetto di
studio la possibilità di purificare ex vivo il trapianto autologo dalle cellule tumorali prima dell'infusione.

Nei pazienti che non presentano malattia del trapianto contro l'ospite cronica, tutti i farmaci immunosoppressori
possono essere sospesi 6 mesi dopo il trapianto di cellule staminali emopoietiche; pertanto, le complicanze tardive
sono rare in questi pazienti.

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Prognosi

(queste percentuali sono state attinte da un sito, quindi da ricordare è essenzialmente il concetto)
La prognosi dopo trapianto di cellule staminali ematopoietiche varia in base alle indicazioni e alla tecnica.

Complessivamente, la recidiva di malattia avviene in

 Dal 40 al 75% dei riceventi un trapianto autologo di cellule staminali emopoietiche

 Dal 10 al 40% dei riceventi un trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche

Le percentuali di successo (midollo osseo libero da tumore) sono

 Dal 30 al 40% dei pazienti con linfoma recidivato, sensibile alla chemioterapia

 Dal 20 al 50% dei pazienti con leucemia acuta in remissione

Rispetto alla sola chemioterapia, il trapianto di cellule staminali emopoietiche aumenta la sopravvivenza dei pazienti
con mieloma multiplo. Le percentuali di successo sono modeste nei pazienti con malattia più avanzata o con tumori
solidi responsivi (p. es., tumori delle cellule germinali). I tassi di recidiva sono ridotti nei pazienti con malattia del
trapianto contro l'ospite, ma i tassi di mortalità globale sono aumentati in caso di malattia del trapianto contro l'ospite
grave.

Regimi di condizionamento intensivi, profilassi efficace della malattia del trapianto contro l'ospite, regimi
immunosoppressori a base di ciclosporina e miglioramento delle terapie di supporto (p. es., antibiotici se necessari,
profilassi contro herpesvirus e cytomegalovirus) hanno migliorato la sopravvivenza a lungo termine libera da malattia
dopo il trapianto di cellule staminali emopoietiche.

COMPLICANZE INFETTIVE

L’infezione del paziente immunocompromesso. Nel paziente immunocompromesso chiaramente ci deve essere una
combinazione di cose perché si manifesti una infezione:
• Entità di Immunodeficit
• La presenza di terapia, profilassi
• L’esposizione al patogeno Ora come abbiamo detto all’inizio del discorso sulle immunocompromissioni secondarie,
l’esposizione può essere:
• Comunitaria: cioè presa all’esterno
• Nosocomiale: all’interno dell’ospedale si intende. Qui da noi per nosocomiale si intendono riattivazioni di infezioni di
germi endogeni. È chiaro che a seconda del livello di immunosoppressione ci sarà un rischio di infezione. E ci sono
situazioni ad Alto Rischio ed a Basso Rischio (slide). Non prendete lo slide per oro colato, anche perché sono tabelle
vecchie queste, vengono continuamente aggiornate. Ad esempio si parla di CD4<200. Vi spiegherò “sotto 200” cosa
vuol dire.

Ad esempio l’HIV uccide i CD4 e più questi son bassi più è grave l’Immunodeficit ed il rischio infettivo. Quindi un
paziente HIV asintomatico pur sopravvivendo ed essendo infettivo ha uno scarso rischio di prendere una infezione
perché ha ancora i CD4 elevati, ma ci sono situazioni come immunodeficienze combinate come terapia steroidea
molto prolungata o inibitori di Rolgi/tenalfa/TG (non ha detto questo perché si è mangiato le parole, devo rivedere le
slide) e tra queste condizioni c’è ovviamente il Trapianto perché come avete capito c’è una fase del Trapianto in cui
per permettere l’attecchimento dovete severamente creare immunodepressione. È chiaro che questo rischio
(infettivo) in un paziente trapiantato sarà strettamente correlato alla capacità di ricostituire il sistema immune. Quindi
se la conta linfocitaria del Donatore e nel Ricevente rimane bassa per mesi questo sarà un problema da punto di vista
del Rischio Infettivo, non è detto lo avrà sicuramente però corre il rischio.

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Ovviamente quando si parla di entità di Immunodeficit non si intende solo quanto ma anche la qualità: se si tratta
della umorale o della cellulo mediata ad esempio...

Perché quindi in un paziente trapiantato può avvenire un’infezione?


• Terapia di Base
• Terapie precedenti
• Malattie che creano immunodepressi. Non è raro che dobbiamo fare un trapianto in pazienti con già infezioni in atto
e questa è una condizione grave che può portare il paziente all’exitus, la terapia per il trapianto andrà infatti a
peggiorare ancora di più le condizioni.
• Il lungo periodo di immunocompromissione.
• Tutto quello che può essere come complicanza.

Tutti gli strumenti invasivi. Esempio classico i Cateteri Venosi: per eseguire un trapianto allogenico c’è bisogno di fare
3 prelievi quotidiani e flebo in vena 24h/24. Non possiamo accontentarci di due Brachiali, perché in qualche giorno il
paziente finisce le vene. Dobbiamo mettere un Catetere Venoso Centrale che per quanto sempre migliori, sono
sempre device esterni che comunicando con l’esterno possono essere fonte di ingresso per i germi. Esempio è una
infezione da Aureus che è un problema grave che può

mettere anche a repentaglio la vita del paziente, ma non possiamo farne a meno. Anche Cateteri Vescicali danno
rischi.

QUALI SONO I PERIODI DI RISCHIO DI INFEZIONE DOPO TRAPIANTO?

Fase Neutropenica: la durata dipende da due fattori principali:

Tipo di Trattamento che ho scelto

Tempo di Attecchimento del trapianto: se quest’ ultimo avviene in 10° giornata la mia fase neutropenica sarà molto
più breve di uno in cui attecchirà a 25/30 giorni dal trapianto. È una fase importante in cui il paziente rischia la vita.

Fase Linfopenica: lasciate perdere questi mesi segnati, li ho scritti io ma non so perché, è relativa al tipo di trapianto.
La linfopenia può durare fino molti mesi se il trapianto è T Depleto. Ma se non è T Depleto allora la linfopenia durerà
meno. Ci potrebbe essere una immunosoppressione che mi riduce di nuovo una seconda linfopenia e questa è una
complicanza. È buona norma quindi fare conte linfocitarie nel sangue dei nostri pazienti. E come si fanno?
Immunofenotipo su sangue periferico, tipizzazione linfocitaria, una tecnica per vedere quanti linfociti ha il nostro
paziente così da avere una idea del rischio che ci indica o meno la necessità di profilassi.

Quali sono i fattori che possono aumentare il rischio di sviluppo infezione in neutropenia?
• La mancanza di neutrofili circolanti e tissutali. Sicuramente questo può facilitare strade all’entrata dei batteri e in
secondo luogo sono più lenti dei batteri, hanno una capacità di invasività dal punto di vista del tempo ridotta.
• Chiaramente ci sono deficit di barriere: mucositi, cateteri e antibiotici che utilizziamo. Questi contano molto lo farete
meglio in malattie infettive. È un enorme problema lo sviluppo di resistenze da parte dei batteri. In 3 anni che ho
passato a girovagare per il mondo, da quando sono partito a quando sono tornato ho trovato una epidemiologia
batterica totalmente diversa nel nostro ospedale e questo conta. L’Epidemiologia di certi batteri è importante per la
sopravvivenza del paziente perché le resistenze spingono verso certi tipi di trattamento o verso altri.

Quali sono le principali Infezioni che bisogna ricordarsi in fase neutropenica?

• Batteremia: qui è proprio la Epidemiologia locale che fa la differenza. Qui da noi c’è una preponderanze di Gram-.
• Viremia: spesso il paziente fa trattamento con Aciclovir per evitare la Viremia da Herpes Simplex e la letale Encefalite
Erpetica. La maggioranza di voi avrà avuto un Herpes, ok, ma nel paziente immunodepresso è un problema da
trattare.
• Candida: questa è il primo dei problemi che può venire fuori. Noi la abbiamo come commensale, sta tranquillo, ogni
tanto da Cistite durante il ciclo, da pochi problema nell’individuo sano ma è una cosa seria in un immunodepresso.
Non si fa trapianto allogenico in assenza di profilassi. Per fortuna oggi le Candide sono sensibili ai nostri antimicotici, e
dico per fortuna perché sono letali le candidemie per il 50% dei casi.
• Aspergillo: presente in quasi tutti i nostri nasi è un problema serio, è più lento della candida ma può dare problemi
anche lui in fase neutropenica.
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Quali sono i fattori che aumentano il rischio di infezione in fase Linfopenica?
• L’immunosoppressione acuta: causa Farmaci Linfotossici di cui vi ho già parlato.
• L’età del paziente
• Fattori legati al donatore.

Quali saranno i fattori legati al donatore? Sierologie. Questo donatore ha un sistema immunitario in grado di coprirmi?
Le infezioni da cui il paziente è già stato immunizzato. Mi spiego, Se un paziente ha CMV, che è un virus molto comune
nelle nostre latitudine, in età adulta 90% di noi lo ha. È chiaro che se ho un donatore Sieronegativo, questo donatore
può anche ricostituire bene (...), ma provoca una lacuna immunitaria, quindi il CMV può riattivare in forma secondaria.
Questa è una combinazione sempre negativa: Ricevente Positivo e Donatore Negativo, da non fare se ci sono
alternative. Quindi ci sono fattori negativi nel donatore, capite quanto è difficile scegliere il donatore. Ad esempio un
donatore con leucemia, devi fargli il trapianto e hai buone possibilità di salvargli la vita se glielo fai ma devi ricordarti
di questi virus. L’immunosoppressione cronica, il fatto che a causa della B deplezione c’è riduzione delle
immunoglobuline circolanti se non vengono infuse costantemente e c’è un recupero della funzione timica cioò lo
sviluppo di un nuovo poll di cellule T naive che devono ancora incontrare l’antigene e sviluppare una nuova risposta
immunitaria, è lì che si fa la differenza. Quando c’è sviluppo di nuova funzione Timica in assenza di ulteriori
immunosoppressione il paziente è fuori da molti guai. E il recupero della funzione timica è molto differente in base
all’età; in un vecchietto il residuo timico sarà sicuramente inferiore ad un bambino di 6. I fattori che influiscono sulla
immunoricostituzione sono:
• Trapianto
• Differenze genetiche
• Cellule staminali
• Eventi post trapianto
Pertanto abbiamo pazienti che dopo mesi hanno ricostituito benissimo ed altri no. Quindi non c’è una vera linea fissa
di prognosi e terapia, bisogna sempre orientarsi sul tipo di paziente, bisogna valutarlo nella sua interezza, non puoi
appoggiarti ad un ordine di cose.

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Chiarimenti sul tema TRAPIANTI:

Trapianto aploidentico: compatibilità HLA soltanto di un aplotipo, non di entrambi (quindi, aploidenticità solo dal
padre o solo dalla madre). Il problema consiste in un’alta incidenza di GVHD letale. Le APC, infatti, si presentano
mismatch, ovvero esiste un repertorio in più di differenza da fronteggiare e i linfociti T vengono tutti attivati contro
l’alloantigene diverso (del ricevente). I sintomi saranno: epatite, enterite, rush cutaneo e una progressione verso
l’exitus. I pochissimi linfociti residui del ricevente saranno sufficienti per rigettare queste cellule staminali. Negli anni
’90, si è riusciti a potenziare la deplezione in vivo con la terapia ATG e si è inventato il concetto della megadose (= si
danno tantissime cellule staminali del donatore provenienti dal sangue periferico). È stato un cambiamento epocale
nel trattamento di pazienti con malattie ematologiche che necessitavano di un trapianto. La potenzialità di cura è
stata sconvolta, l’attecchimento è stato molto maggiore. Il trapianto aploidentico ora è il caso più frequente di
trapianto ematologico.

Alloreattività cellule NK: le NK vivono su un bilancio di stimoli attivatori e stimoli inibitori. Uno degli stimoli inibitori
più importanti è quello conferito dai recettori KIR, presenti in diverse forme, che interagiscono solo con molecole
HLA di classe C (gruppo I e II). Ognuno di noi possiede HLA di classe C di tipo differente, ma tutta la popolazione
condivide dei KIR (poiché hanno variabilità minore). Perciò, è possibile che due HLA diverse possano interagire con lo
stesso KIR.

Esempio: se l’aplotipo diverso che hanno donatore e ricevente si trova nello stesso gruppo di HLA, il donatore
mancherà la possibilità di inibire uno dei KIR delle NK. Ovvero, immaginiamo le NK di un donatore aventi due tipi di
KIR. Se l’HLA di classe C del ricevente è soltanto di gruppo I, non si potrà inibire il KIR delle NK del donatore.

Immaginiamo che il donatore ha dei KIR che agiscono sia con il gruppo I che con il gruppo II e il mio ricevente agisce
solo contro il gruppo I o solo con il II, se agisce solo contro il gruppo I mi inibirà questo ma se ha anche un KIR di
gruppo II non verrà inibito dal ricevente, in questo caso dalla leucemia. Ciò farà sì che queste NK avranno un’azione
anti-leucemica. Nel caso in cui si abbia un donatore aploidentico e un paziente con una leucemia acuta, cosa faccio?
guardo se questo paziente ha HLC di gruppo I e II non potrà mai avere un donatore NK, quindi pazienza. Se invece, il
paziente con la leucemia acuta, ha due alleli con HLC di gruppo I oppure due alleli con HLC di gruppo II, si cerca un
donatore che abbia il KIR dell’altro aplotipo. Questo consente di rilasciare l’efficacia anti- leucemica. I pazienti con
donatore NK alloreattivo hanno più probabilità di recidive.

La leucemia linfoide acuta B (nel bambino) non è sensibile all’NK alloreattività.

Linfociti T regolatori: T CD4 che esprimono FOXP3, un fattore intranucleare che regola l’espressione genica. Esso
permette che il linfocita T regolatore esprima il recettore per IL-2. Perciò, i linfociti T o le altre cellule che
intervengono nella risposta infiammatoria immunologica producono IL-2, attivano T reg che ne limita l’eccesso di
risposta. I T regolatori si trovano nel sangue e possono migrare in tessuti e organi target per la GVHD (proteggono
dalla malattia). Sono spesso utilizzati nel trapianto perché portano a migliore immunoricostruzione.

I linfociti T regolatori agiscono soprattutto a livello linfonodale ed hanno poca capacità di migrare nel midollo osseo;
è per questo che non riescono ad uccidere la leucemia di un paziente.

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INFEZIONI NEL PAZIENTE IMMUNOCOMPROMESSO
Le infezioni opportunistiche sono quelle sostenute da patogeni che approfittano del sistema
immunocompromesso di un paziente. Patogeni più importanti:

 Gram +: S. aureus (può dare shock settico), e altri patogeni presenti sulla cute;
 Gram –: Noi abbiamo un enorme problema, i Gram –. Questi batter sviluppano molteplici resistenze ai
farmaci in uso. Apro una parentesi, è importantissima la terapia antibiotica ma c’è un problema, stiamo
tornando ad un periodo pre penicillina, perché ci sono germi nosocomiali con Antibiogrammi resistenti a
tutto. E se è così non c’è molto da fare. E anzi quelli che più spesso sviluppano questa resistenza sono i
commensali, perché quando prendiamo un Augmentin per il mal di gola, attacchiamo anche il Coli nel Retto
che abbiamo sicuro. Solo che questo magari trova il gene di Resistenza e produce Betalattamasi. Un domani
sarà un problema. Fra i Gram- da citare abbiamo sicuramente: Enterobacteriacee, Pseudomonas aeruginosa
¼ resistente a molti antibiotici, problema dovuto al cattivo uso di questi; che è un commensale terribile, ed
è un problema tipico negli ustionati. È un
problema gigantesco. Si moltiplica tantissimo e produce Endotossina in maniera impressionante, tanto che
ammazza il paziente. E lui resiste a tutto, persino ai Carbapenemici, l’ultima generazione. (anche Klebsiella
resiste).

 Altri: Mycobatterium;
 Fughi: Candida (infezione mucosa orale, della cute, oggi abbiamo un sacco di farmaci efficaci contro la
candidemia, anche se la mortlità rimane del 50%), Cryptococcus neoformans (ormai rare), Pneumocystis
jerovecii (causa polmoniti interstiziali), Aspergillus (il nemico più spaventoso, fungo filamentoso,
ubiquitario, si annida nel polmone ed è presente normalmente nella mucosa orale, difficile da eradicare
perché tende a resistere ai farmaci e creare lesioni molto importanti), Mucor;
 Parassiti: Toxoplasma ¼ annidamento a livello cerebrale, si riattiva in paziente immunocompromesso con
conta T CD4 bassa, causa gravi riniti, encefaliti e polmoniti, è un parassita ubiquitario che ingeriamo tramite
contaminazioni tipicamente di feci di gatto.
 Virus: famiglia degli Herpes virus (CMV, HSV, EBV, VZV). il CMV che può dare qualunque tipo di
sintomatologia cronica, tipicamente sistemica in genere riinite esofagite epatite encefalite. Herpes simplex.
EBV, ve lo nomino perché è particolarmente subdolo potendo dare tumori nel post trapianto. Lo Zoster che
nel trapiantato può essere destruente e non dare le solite quattro bollicine con mal di schiena, invasiva con
fortissimo dolore.

L’infezione nel paziente immunocompromesso il più delle volte è di tipo endogeno, ma può essere anche esogena.

DIAGNOSI
 Storia delle infezioni e farmaci (anamnesi);
 Test di laboratorio: emocromo (conta leucocitaria), striscia di sangue periferico (non smettere mai di
guardare i vetrini, molto importante ed è una risposta immediata), elettroforesi delle proteine (importante
per tutti i difetti umorali), dosaggio di immunoglobuline e complemento, tipizzazione linfocitaria per vedere
quale sottopopolazione linfoide ha il paziente, se ci sono alterazioni di conta linfocitaria (CD4 devono essere
più 400-500 , i CD8 più di 200 ) se ci sono difetti NK, test specifici per l’organo compromesso, cioè fare test
per possibili patologie sottostanti Esempio: se il paziente ha una leucopenia ci dobbiamo chiedere se ha una
patologia ematologica che induce una leucopenia. Se vediamo una linfopenia e il paziente ha febbricola
sospettiamo ad un’infezione virale.
 Test genetici.

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Presentazione clinica di un paziente immunocompromesso: si presenta con febbre, che viene misurata ogni ora. Ad
un paziente neutropenico va immediatamente somministrato l’antibiotico (anche a 37.2) Altri sintomi:

o Brividi
o Calo di pressione
o Shock settico, si può manifestare poche ore dopo l’insorgenza dell’infezione. Solitamente è dovuta
a un Gram – (E. Coli), per questo che li teniamo ricoverati. Per intervenire il prima possibile
facciamo emocolture per mettere antibiotici più adatti. I Gram negativi sono molto rapidi mentre i
Gram positivi inducono febbre molto resistenti.
o Sintomi a carico del sistema respiratorio
o Diarrea

Caso clinico
Questa mattina paziente neutropenico chiama infermiera perché ha 37,4°C e brivido. Vado a vedere ed il
paziente saltava sul letto per il brivido e aveva 38,5°C. C’era una infezione polmonare. Questo per farvi capire la
rapidità di questi avvenimenti. Ricordatevi sempre che a causa dell’assenza della risposta immune, sintomi e
segni possono essere lievi o addirittura assenti pur con infezioni severe.
In questo paziente faremo poi una Tac toracica perché necessitiamo di fare diagnosi il prima possibile, non so se
adesso risponderà alla terapia antibatterica.
Poiché il paziente ha ridotta o assente risposta immune, i segni e i sintomi possono risultare lievi e la diagnosi può
avvenire anche tardivamente, ovvero quando c’è danno d’organo conclamato, quindi la visita e la clinica sono
cruciali.

Per quanto riguarda la diagnosi del patogeno ci sono alcuni elementi:

Test per infezioni batteriche:


 Microscopio
 Emocoltura, subito quando c’è febbre
 Sierologia, non servono a niente nel paziente immunodepresso perché non ha un sistema immunitario che
può rispondere.
 PCR (anche se non riesce a distinguere se un batterio è vivo o morto), molto importanti. Questa viene
utilizzata per ricercare il DNA batterico. Ed essendo una metodica ad alta precisione rischia di darci
addirittura dei Falsi Positivi dato che ci dice non se c’è l’infezione ma se c’è il DNA del batterio.

Test per infezioni virali:


 Sierologia (no nel paziente trapiantato poiché immunodeficiente)
 PCR, RT-PCR
 Colture virali
Test per infezioni fungine: il più difficile da diagnosticare poiché è difficile far crescere in coltura un fungo, quindi
spesso è una diagnosi indiretta, si osservano le lesioni dell’organo colpito.

 Colture fungine con agar saboraud


 Microscopio
Test per infezioni parassitarie:
 PCR
 Coloranti acidi modificati

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*La sierologia si occupa di trovare un anticorpo specifico contro un determinato batterio/virus.

Approccio al trattamento: Si inizia una terapia empirica con Antibiotici ad ampio spettro in vena e non per bocca
perché non si sa nulla delle capacità di assorbimento di quel paziente e non ti puoi affidare ad una terapia orale.
Se l’infezione non si risolve, entro 5 giorni si somministra anche un antifungino ad ampio spettro.

In genere la terapia è poliantibiotica. Ma ci sono innumerevoli discussioni al riguardo nel mondo dei pazienti
immunodepressi.

Perché se faccio più antibiotici rischio:


- Tossicità antibiotica
- Creazione di resistenze

Quindi se si fa terapia con più antibiotici si fa facendo la De Escalation Therapy. Questa in pratica consiste
nell’approccio al paziente per cui si riduce precocemente la dose quanto si osservano sintomi insorti o non c’è
risposta clinica o ... isolato.
A questo atteggiamento viene contrapposta la Escalation Therapy cioè metto un antibiotico ad ampio spettro e
seguo il paziente attentamente. Questo è un atteggiamento da medico coraggioso che punta a ridurre la tossicità ma
ovviamente si aumenta il rischio che non venga soppresso.
Fra i due ancora si sono trovati studi che dimostrino la supremazia dell’uno o dell’altro.
Ancora oggi nel paziente trapiantato se la febbre persiste con adeguata terapia antibiotica clinica per almeno 5 giorni
aggiungiamo una terapia antifunginea empirica. E precisamente utilizziamo la molecola Anfotericina B, che in
America non è utilizzata per gli eccessivi costi.
È chiaro che se il paziente va in shock metti dentro 3 antibiotici che coprono tutti i possibili gram+ e gram- altrimenti
lo perdi. Dopo la seconda linea di difesa sono gli antifungini.
Anche la scelta delle Profilassi è complessa. Sembrano essere utili nel paziente con rischio basso o intermedio-alto,
per il rischio alto o altissimo la profilassi non basta perché le resistenze sono diffusissime...

Profilassi antibiotica: si basa su studi di epidemiologia locale e di microbiologia. L’utilizzo sfrenato di antibiotici ha
portato a problemi di farmaco-resistenza

Per quanto riguarda gli antifungini, sono obbligatori prima di un trapianto. Approcci addizionali: ambiente protetto,
profilassi antibiotica antimicotica, profilassi contro Herpes, screening contro CMV, utilizziamo il cotrimossazolo che è
un antibatterico per prevenire le polmoniti da pneumocistis, poi rivacciniamo i nostri pazienti appena hanno un filo
di capacità di rispondere ad un vaccino.

Misure generali per prevenire un’infezione:


 Evitare il contatto con infezioni respiratorie
 Evitare vaccini vivi
 Utilizzare prodotti ematici sieronegativi con CMV

CMV

Il Citomegalovirus è un membro degli Herpes virus, è universalmente diffuso e colpisce circa dal 50 al 85% degli
adulti. Specifico da noi perché ci sono delle situazioni come in Nord Europa per motivazioni come clima o onde
migratorie dove ci sono delle percentuali di infezioni più basse, il 30-35% e ovviamente questo permette che ci siano
molti più riceventi e donatori senza infezione.
Tipicamente dorme all’interno nell’organismo, si va a localizzare in moltissime sedi, è un subdolo nell’organo infetto
primario ed nel tessuto linfoide. Non vi parlo delle proteine di membrana perché a me interessa l’infezione. Un
soggetto infettato, rimarrà tale per tutta la vita. Si trasmette da persona a persona, tramite contatto intimo con un
soggetto che rilascia il virus (es. rapporto sessuale, saliva, latte materno, sangue, organi trapiantati). Può essere
secreto in tutti i fluidi corporei.
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La patologia da CMV è poche volte un problema clinico essendo spesso asintomatico nell’immunocompetente ed è
la riattivazione che è il problema nell’immunocompromesso.

Il CMV nell’immunocompetente da una sindrome simil influenzale che in alcuni soggetti può assomigliare ad una
mononucleosi cioè:

 Febbre
 Malessere generale,

 Artralgie

 Epato e splenomegalia, possono essere presenti perché è la risposta del tessuto linfoide
al virus.
 Linfocitosi, spaventa tantissimo perché il paziente pensa ad una leucemia, ma in realtà
non è altro che la risposta dei linfociti T che si attivano.
Questo avviene nell’immunocompetente generalmente ma si può andare dalla asintomaticità
completa a sintomi per svariati mesi. Non si sa perché varia, si sospettano polimorfismi genetici
nell’ancoraggio dei recettori del citomegalovirus nei pazienti immunocompromessi.

Difatti il vero problema, per quanto riguarda il CMV, è la riattivazione dell’immunocompromesso.


Provoca una sindrome simil-mononucleosica:

 con febbre persistente per 4-5 settimane

 linfoadenopatia

 retiniti,

 epatiti,

 gastriti,

 esofagiti,

 cardiopatie

 encefaliti

 polmonite

 mieliti

Può infettare, quindi, qualunque organo poiché si stabilisce a livello degli endoteli.

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DIAGNOSI
La sierologia non serve nell’immunocompromesso, ma ci sono questi aspetti di laboratorio che sono importanti:

 Shell vial

 PCR: Sono diventate qualitative e quantitative cioè ci dicono questo paziente in una unità
di sangue ha 853 copie di DNA. Che significato ha? In primis che lo ha e poi sappiamo se migliora,
se peggiora e diventa un modo per monitorare il paziente.
Ci sono aspetti istologici importanti: il CMV può dare lesioni a scoppio con morte cellulare degli
epiteli ad esempio intestinali o ghiandolari richiamare Linfociti T in sede, innescare
infiammazione e si può colorare il CMV stesso nel reperto istologico colorando il DNA.

TERAPIA

Il farmaco di scelta è il Valganciclovir, un analogo nucleosidico che inibisce la sintesi del DNA. È un farmaco
importante perché è un viro statico che consente il blocco della replicazione virale e permette al sistema
immunitario di recuperare l’infezione.

EPSTEIN BARR

Voglio aggiungere una sola cosa sul virus dell’EPSTEIN BARR, della mononucleosi, nell’immunocompromesso c’è una
riattivazione e fra le complicanze che può dare c’è un processo di proliferazione dei linfociti B che può essere
inizialmente policlonale che vuol dire che due tipi diversi di linfociti B sono infetti e tendono a proliferare. Poi da qui
c’è una sorta di grande risposta infiammatoria e che può sfociare nello sviluppo del linfoma EB correlato (non sono
certissimo). È questo Linfoma è molto pericoloso ma se preso in tempo risponderà bene ad una terapia antivirale
contro EBV. Anche se non esiste un antivirale veramente efficace, una delle cose che possiamo fare è creare linfociti
di donatore in vitro contro EBV e spanderli in giro.
Quindi questo serve a farvi capire quali sono i problemi nell’immunodepresso che possono insorgere post trapianto
e immunodepressione indotta.

INFEZIONI FUNGINE INVASIVE


Questo è un altro grande problema. C’è una mortalità alta per queste ad esempio l’Aspergillo ha una mortalità 35%-
50% (cambia dalle slide) si è ridotta infatti di recente grazie agli antimicotici. L’aspergillosi cerebrale è quasi sempre
fatale tuttora perché gli antimicotici non arrivano in quella sede per la barriera ematoencefalica.
Le infezioni fungine invasive sono classificate in: possibili, probabili, provate.
C’è da dire che è un problema classificare una infezione funginea, dire che studiarla è dura perché è difficile da
isolare, è difficile farla crescere in coltura, in vitro se ci sono batteri ne superano la crescita e bloccano la crescita
funginea e quindi isolarlo è molto difficile. Quindi ci siamo inventati questo sistema per dire “Ok li sospettiamo una
infezione funginea” ed è stato approvato da Lecibel, organo europeo che studia queste cose.

Infezioni probabili:
- Fattori dell’ospite (paziente immunocompromesso);
- + criteri micologici, ovvero materiale che provi la presenza del fungo. I materiali sono: coltura su materiale
sterile come BAL o espettorato, test su sangue;
- + criterio clinico.

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Le infezioni fungine invasive più frequenti sono
l’ASPERGILLOSI e la CANDIDIASI. La Candida viene
individuata meglio e, negli ultimi anni, l’incidenza della
malattia è aumentata. Più il paziente sarà
immunodepresso, più sarà alta la mortalità.

ASPERGILLOSI

L’Aspergillus è un fungo filamentoso ubiquitario che si


trova nella materia organica; ne esistono
oltre 300 specie ed emettono spore nell’aria,
infatti si trasmette per via inalatoria attraverso le
spore e sono colpiti prevalentemente i polmoni
(Aspergillosi polmonare invasiva).
L’incidenza sembra aumentata, noi la trattiamo molto di più perché essendo aumentate le cure verso pazienti
neoplastici aumentano anche gli immunodepressi e quindi le infezioni.

I sintomi: sono generalmente aspecifici: febbre, tosse con espettorato, dispnea, dolore toracico fino a pleurite ed
emottisi. Quest’ultima c’è perché l’aspergillo è angioinvasivo, colpisce i vasi sanguigni, che li perfora e genera
emottisi, e si può disseminare per via ematogena. Per questo motivo, colpisce altri organi come il cervello e può dare
crisi epilettiche, lesioni cerebrali ed emorragie intracraniche. Raramente viene interessato anche il fegato.

FATTORI DI RISCHIO
Prolungata neutropenia <500 cellule /mm3
Terapie citotossiche
Neoplasie ematologiche
Trapianti
Terapie con corticosteroidi >3 settimane
HIV

DIAGNOSI
Si fa l’istopatologia (ifi) e TAC ad alta risoluzione (HRTC), dove si evidenziamo delle caratteristiche specifiche. Questi
segni tipici: sono alone a vetro smerigliato e segno della luna crescente (segno precoce di emottisi, il fungo sta
scavando una cavità). PCR, livelli di galattomannato, dato che è un polisaccaride componente della parte cellulare
rilasciato dall’aspergillus durante la crescita.

La diagnosi inoltre si fa anche con una metodica tipica che è il lavaggio broncoalveolare (BAL).

BAL: che cos’è? Il lavaggio broncoalveolare o BAL è una procedura medica in cui un broncoscopio ottico è fatto
passare attraverso la bocca o il naso fino nei polmoni; una piccola quantità di liquido è schizzata nel polmone e
quindi raccolta per essere esaminata. Questa procedura in genere viene eseguita come metodo di analisi per la
diagnosi di alcune malattie polmonari.

In particolare, il BAL è comunemente usato per la diagnosi di infezione nelle persone con problemi al sistema
immunitario, nei pazienti con polmonite collegate ad un respiratore, in alcuni tipi di cancro del polmone e per le
malattie polmonari interstiziali.

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Il BAL è il modo più comune per ottenere le componenti del fluido di rivestimento epiteliale alveolare e per
determinare la composizione proteica delle vie aeree polmonari, ed è spesso usato nelle ricerche immunologiche
per ottenere cellule o analizzare gli agenti patogeni nel polmone.

TERAPIA: se hai una Aspergillosi invasiva la prima terapia deve essere un Azolo ad ampio spettro. Fluriconazolo o
Isodionazolo (?). Ma se hai solo il sospetto, magari davanti ad una polmonite entra in gioco l’Anfotericina B che
copre molto più degli Azoli molti altri funghi anche non Aspergilli.

HIV
Virus dell’immunodeficienza umana. Il primo paziente con HIV
documentato risale al 1981. È un lentivirus (appartenente alla
famiglia dei retrovirus), possiede una trascrittasi inversa che co
nsente all’RNA virale di incorporarsi con il DNA della cellula ospite.
È caratterizzato da una grandissima variazione genetica. Possiede
un mantello e un core, quest’ultimo contiene la trascrittasi inversa
(la quale è il target di tante terapie farmacologiche).

L’HIV determina una patologia chiamata AIDS = Sindrome Da


Immunodeficienza Acquisita, è lo stadio finale
dell’immunodeficienza acquisita da HIV.

I diversi ceppi di HIV sono stati trasmessi dagli animali all’uomo;


quello che noi abbiamo come patogeno è il virus degli scimpanzé.

Si può trasmettere attraverso il contatto sessuale (via trasmissione


più importante), scambio di siringhe tra

tossicodipendenti, esposizione occupazionale, trasmissione madre-


figlio, trasfusioni di sangue e trapianti d’organo (problema ormai
risolto). Non si trasmette per via salivare.

La possibilità di trasmissione è influenzata da: quantità di materiale


biologico a cui si è esposti, fase di malattia e terapia del soggetto
fonte di esposizione, quantità di virus circolante nel paziente.
Trasmettere il virus a un’altra persona volontariamente è un atto
punibile legalmente.

Il virus penetra all’interno della membrana cellulare dei T-helper (target) tramite l’azione dell’enzima trascrittasi
inversa. Essa usa l’RNA virale per produrre DNA, il quale verrà poi integrato dal linfocita stesso. La drastica riduzione
delle cellule T CD4 è provocata sia dall’azione del virus, sia dalle NK, che uccidono i linfociti infetti per cercare di
combattere l’infezione virale. Tutto ciò porta a immunosoppressione. Nella fase di ancoraggio è importante la
glicoproteina gp120, che permette al virus di entrare nella cellula.
Il virus muta ogniqualvolta si replica, e si replica in milioni di cellule simultaneamente ogni giorno; è per questo motivo
che non si riesce a creare un vaccino.

In un paziente privo di trattamento, l’infezione si manifesta inizialmente con una sindrome influenzale e si ha la
massima carica virale (prime settimane). Si sviluppa una risposta immunologica (periodo finestra, dalle 3 alle 8
settimane), il paziente ha una viremia e si sviluppano anticorpi, anche se il soggetto continua ad essere trasmissivo. Il
virus, quindi, si staziona negli organi linfoidi, la viremia scende e si entra nella fase di latenza clinica. Questa fase può
durare molti mesi e anche anni. Quando il livello di T CD4 scende di molto, si hanno infezioni opportunistiche e infine
morte.
81
La diagnosi sierologica si può effettuare dopo qualche settimana, quando il paziente inizia a sviluppare anticorpi IgG
anti-HIV.
La progressione della malattia è basata sulla quantità di virus nel corpo.

Stadi clinici:

Stadio I: fase acuta, asintomatica o con sintomi simil-influenzali;


Stadio II: sintomi minori;
Stadio III: sintomi moderati;
Stadio IV: AIDS conclamato, infezioni opportunistiche.

Stadiazione della diagnosi:

Stadio I: presente unicamente RNA virale (viremia);


Stadio II: produzione dell’antigene virale p24 (ricercando questo antigene tramite test, è possibile ridurre il periodo
finestra);
Stadio III: produzione anticorpi IgM anti-HIV;
Stadio IV: Western blot indeterminato;
Stadio V: Western blot reattivo;
Stadio VI: fase conclamata.

Diagnosi immunologica: conta dei linfociti T CD4. All’inizio, è necessario effettuare due determinazioni consecutive,
ovvero si richiede la certezza della conta. In corso di terapia, la conta dei linfociti accompagna il monitoraggio del
paziente e si effettua ogni 3-4 mesi.

Il paziente, secondo la CDC, può essere classificato in fase:

 A = sintomatico;
 B = condizioni cliniche HIV-relate: candidiasi orofaringea, leucoplachia mucosa orale;
 C = condizioni cliniche proprie dell’AIDS: candidiasi invasiva (lesioni bronchiali, polmonari), carcinoma
cervicale invasivo, Kaposi, encefalopatia, mycobatteriosi disseminata, cachessia, toxoplasmosi cerebrale.

Un paziente che sviluppa una candidiasi deve sempre testarsi contro l’HIV.

Terapia antiretrovirale
Gli obiettivi sono:
 prevenire la replicazione virale;
 eliminare i reservoirs (= serbatoio, il compito del medico è far sì che un paziente HIV sia sottoposto a
terapia antiretrovirale, per impedire ulteriormente la trasmissione del virus);
 ripristinare il sistema immune.
Necessaria una valutazione clinica e laboratoristica della carica virale e dei CD4. Non si effettua la terapia se la
viremia è a zero.

Classi di farmaci usati:


 inibitori della trascrittasi inversa
 inibitori della proteasi
I pazienti in terapia sono monitorati soprattutto attraverso anamnesi, conta dei linfociti, emocromo e valutazione
della funzione epatica. La terapia, nella maggioranza dei casi, consente un controllo pressoché completo della
carica virale e della trasmissibilità del virus anche per decenni.

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SARCOIDOSI

Patologia multi-sistemica, caratterizzata dalla presenza di granulomi privi di caseosi; essi possono infiltrare tutti gli
organi, ma l’organo principalmente più colpito è il polmone. Presenta granulomi senza caseosi, non tubercolari
questo è fondamentale. A causa della grande varietà delle manifestazioni cliniche, la sarcoidosi può mimare molte
altre patologie e quindi la sarcoidosi la può vedere l’ematologo, il reumatologo, il nefrologo ecc.

La sarcoidosi è diffusa in tutto il mondo, può colpire tutti ma c’è da dire che è più frequente nei giovani, ha un picco
di incidenza verso i 20-30 anni e colpisce maggiormente le persone di sesso femminile.

L’immunopatogenesi suggerisce un’over reazione verso un antigene di cui non conosciamo la provenienza; sono stati
presi in considerazione vari antigeni ambientali. Infatti, il principale target della sarcoidosi è il polmone, che è
accessibile dal punto di vista ambientale. Inoltre, alcune alterazioni genetiche possono dare forme famigliari della
malattia, e ciò fa pensare che ci sia uno stimolo immune che la scateni. Poi ci sono anche fattori ambientali
considerati fattori di rischio come ad esempio l’uso di insetticidi.

Una della ipotesi dell’eziopatogenesi della sarcoidosi è:


Ipotesi batterica: (aiuta a ricordare quale è la differenza tra granuloma sarcoideo e granuloma tubercolare) il
Mycobatterium Tubercolosis può essere causa della malattia pur non causando una vera tubercolosi franca e pur
guarendo con immunosoppressione (= trigger antigenico, vi è un eccesso di risposta infiammatoria). Sono stati
proposti altri batteri come causa della patologia.

Quello che è importante ricordarsi è le:


Predisposizione genetica: esistono dei cluster famigliari, ci sono delle famiglie in cui c’è lo zio, il fratello, il nipote
con la sarcoidosi, e vi è una prevalenza di malattia nei gemelli omozigoti. Nel 19% di famiglie afroamericane c’è
almeno un membro di sarcoidosi, mentre 5% nelle famiglie bianche.

È possibile, quindi, che geni multipli costituiscano una predisposizione genetica alla malattia, questi geni sono gli
HLA, in particolar modo quelli di classe III ma come il B7 e B8 sono correlati alla malattia e soprattutto il B8 porta
forme acute brevi, ciò significa che se io faccio il mio HLA e vedo B7 non è detto che mi verrà la sarcoidosi ma ho un
corredo genetico, che riguarda la mia presentazione dell’antigene, che predispone a sarcoidosi a forme acute e
brevi. Poi quelli di classe II sono associati a varie forme e vario tipo, particolarmente importanti in Italia.
Inoltre abbiamo tantissimi farmaci e terapia che causano sarcoidosi, quindi farmaci che possono stimolare o
favorire la sarcoidosi, tra cui Esempio: chemioterapia contro il cancro, antiretrovirali, trapianto di midollo.

Però il concetto fondamentale è che la sarcoidosi si basa sul


granuloma sarcoideo, che è la lesione tipica della malattia.
Esso vede assenza di necrosi caseosa, bensì va incontro a una
graduale necrosi ialina, che lo differenzia completamente dal
granuloma tubercolare. È un reperto istologico fondamentale
per la diagnosi. Questo granuloma possiede una zona
centrale caratterizzata da cellule epitelioidi grosse, che hanno
diversi attività macrofagica, cellule giganti di tipo Langerhans,
poi ci sono diversi linfociti T CD4 e macrofagi attivati. La zona
periferica, invece, è caratterizzata dalla presenza di linfociti T
CD8.

83
Nel tempo, abbiamo fibrosi e ialinizzazione centripeta (= che si avvicina verso il centro).

Come avviene la formazione del granuloma? Sappiamo che è fondamentale la presenza dei CD4 (aiutano anche nella
diagnosi), i quali riconoscono un antigene di cui non conosciamo l’origine. Questo antigene sconosciuto viene
riconosciuto dalle CD4, che si attivano, avviene una risposta infiammatoria mediata dai CD4 con produzione di
citochine infiammatorie. Anche i macrofagi presenti nei tessuti rilasciano citochine infiammatorie, cercando di
eliminare l’antigene estraneo senza riuscirci; vi è, come conseguenza, la nascita del granuloma (non è altro che un
meccanismo per rimuovere una sostanza estranea). Avviene anche una risposta infiammatoria reattiva linfocitaria
quindi richiamo di linfociti T citotossici.

Quello sarcoideo è molto simile a quello tubercolare, con la differenza della maggiore presenza di linfociti T CD4 e
l’assenza di necrosi. Per lo sviluppo cronico del granuloma sarcoideo è molto importante anche
l’immunodisregolazione (NK-T reg). Finché l’antigene non viene eliminato, si avrà una reazione cronica da parte
dell’organismo. Non c’è sufficiente regolazione di questo eccesso di risposta infiammatoria. Se, invece, viene
eliminato, con un efficiente risposta T, si può avere remissione della malattia. Se non si risolve la patologia cronicizza

Presentazione clinica

Tecnicamente può essere coinvolto qualsiasi organo, quello più interessato


è comunque il polmone (80-90% dei casi) (esistono anche sarcoidosi senza il
coinvolgimento del polmone ma sono rare).

Forme di esordio particolari: sindrome di Löfgren, ritrovata


soprattutto in Europa.

L’esordio può essere:


 acuto
 insidioso/subclinico
 asintomatico (diagnosi occasionale)
Esordio acuto: febbre, artralgie, astenia, dispnea, tosse secca (nella forma con coinvolgimento polmonare).
Esordio insidioso: manca artralgia e febbre ma si sviluppa nell’arco di mesi con dispnea da sforzo, tosse secca ed
insistente, febbricola, eritema nodoso (nodulo edematoso rosso-brunastro, reattivo e infiammatorio, dolorante,
presente in varie sedi del corpo sulla cute).

Dal punto di vista radiologico polmonare, si distinguono 4 fasi:


1. – linfoadenomegalia mediastinica bilaterale senza interessamento parenchimale, che quasi sempre si
risolve spontaneamente, con paziente asintomatico o con tosse secca e febbricola;
2. – linfoadenomegalia mediastinica bilaterale con anche localizzazione parenchimale, si sta cronicizzando la
malattia. Le lesioni parenchimali sono a morfologia variabile;
3. – lesioni diffuse che risparmiano gli apici del polmone; localizzazioni parenchimali in assenza di
lindoadenomegalia
4. – fibrosi polmonare, le lesioni sono irreversibili (insufficienza respiratoria). Inusuali le manifestazioni
pleuriche ed extratoraciche.

Si può morire di sarcoidosi.

Sono colpiti anche:


Milza: splenomegalia (in pazienza asintomatico va sempre indagata).
SNC: segni clinici solo in una piccola fetta di pazienti. I sintomi dipendono dal luogo in cui è presente la lesione
granulomatosa (paralisi nervi cranici, lesioni all’ipotalamo, meningiti, ecc.).

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Cuore: scompenso nella sarcoidosi avanzata, danno dovuto soprattutto all’insufficienza respiratoria e
all’ipertensione polmonare.
Fegato: epatomegalia, danno epatico. Occhi: uveite, patologia infiammatoria che rientra in molte diagnosi
differenziali di malattie autoimmuni/reumatiche/vasculitiche. Se non gestita in tempo rapido, può portare a
cecità.
Ghiandole salivari: segno del panda, le lesioni, in una scintigrafia, assomigliano alle caratteristiche macchie sugli
occhi del panda.
Linfonodi: si presentano grandi, mobili, a margini netti, duro-elastici (dal punto di vista morfologico assomigliano a
un linfoma).
Apparato muscolo-scheletrico: artralgie, artrite acuta mono o poli-articolare, poliartrite cronica persistente.
Rene: danno per infiltrazione granulomatosa, danno glomerulare e tubulare, ipercalcemia e ipercalciuria
(escrezione di calcio nelle urine in quantità superiore alla norma).

Diagnosi
Dopo il sospetto clinico, si effettua una valutazione funzionale soprattutto del polmone attraverso l’imaging. La
vera diagnosi, però, è istologica. L’emocromo, in un paziente con sarcoidosi, può essere anche del tutto normale.
Alti livelli di ACE si associano a sarcoidosi.
Importante è il lavaggio bronco-alveolare (BAL): si ha netta sproporzione di CD4 sopra ai CD8, con un rapporto 2:1,
6:1, 8:1 ecc. La fase avanzata della sarcoidosi (fase fibrotica con danno d’organo) presenta solo residuo
connettivo, la diagnosi perciò deve essere fatta in un momento precedente. Spirometria: quadro classico di tipo
restrittivo, si riduce la capacità vitale del polmone. La diagnosi certa si effettua istologicamente, prelevando
campioni di cute, linfonodi, congiuntiva o con biopsia polmonare. Esistono anche varianti di sarcoidosi che
colpiscono un singolo organo.

Terapia
Si stabilisce un piano di trattamento individuale per ogni paziente. Esso si basa sulla sintomatologia, sullo stato
degli organi. La terapia per i pazienti sintomatici consiste nel controllo dell’infiammazione con l’utilizzo di farmaci
steroidei. Vi è un supporto per i danni d’organo avvenuti. Necessario il follow up periodico. Prognosi: la sarcoidosi
è una malattia generalmente benigna, purché diagnosticata in tempo. L’insorgenza acuta suggerisce più elevate
probabilità di guarigione, quella subacuta suggerisce, al contrario, un decorso cronico della malattia.

85
IPERSENSIBILITA'

Riepilogo L'antigene è una molecola estranea che induce una risposta immunitaria. L'anticorpo è una molecola di
tipo proteico costituita da due catene pesanti e due leggere, prodotto dalle cellule B (sulle quali agisce il rituximab
legandosi al CD20), che tende a reagire in modo altamente specifico con l'antigene. La risposta verso un antigene
può essere di due tipi: - risposta anticorpale o umorale: produzione di anticorpi che si legano all'antigene; -
risposta cellulo-mediata: data dai linfociti CD4 che inducono poi una proliferazione dei CD8 che riconoscono in
modo specifico l'antigene e secernono, a seguito dell'interazione, citochine di tipo infiammatorio.

Il MACROFAGO è un fagocita che appartiene all'immunità innata. È in grado di fagocitare immediatamente agenti
viventi o polveri inerti, matrice cellulare o extracellulare. Deriva da una differenziazione dei monociti così come le
cellule dendritiche, anche se questi due tipi cellulari non sono simili tra di loro. Oltre a partecipare alla risposta
innata, partecipa anche alla risposta specifica di tipo secondario, infatti presenta gli antigeni per la stimolazione e
produzione anticorpale e per l'innesco della risposta cellulo-mediata specifica CD4 e CD8. Il MASTOCITA è una
cellula che secerne istamina ed eparina ed è implicato assieme agli eosinofili e basofili nelle risposte
d'ipersensibilità di tipo 1 (di cui fanno parte tipicamente le risposte atopiche). È caratterizzata da granuli secretori
che contengono istamina, eparina e TNF-alfa. Risponde a stimoli che sono sia immunomediati sia tossici o di tipo
traumatico. Possiede dei recettori per anticorpi IgE che gli permettono di degranulare a seguito della risposta con
un antigene. Le IgE non sono soltanto implicate in fenomeni dannosi d'ipersensibilità ma mediano anche la
risposta immunitaria contri gli elminti e più in generale contro i parassiti (se il titolo anticorpale IgE è alto si
sospettano parassiti nelle feci). L'ipereosinofilia può essere anche riscontrata in una qualsiasi risposta
immunitaria, e risposta a neoplasia secondaria. L'ipereosinofilia può essere anche di tipo maligno in conseguenza
a patologie di tipo ematologico tumorale che si associano ad alterazioni dell'eosinofilo stesso o in risposta a
neoplasie secondarie di tipo ematologico e extraematologico. Il mastocita secerne anche derivati dell'acido
arachidonico (prostaglandine e leucotrieni) implicati nelle manifestazioni di tipo allergico. Inoltre, facendo parte di
tutto il corredo immunitario, induce il reclutamento di altre cellule, favorisce la differenziazione cellulare e induce
i processi riparativi a seguito di ustioni o traumi stimolando la produzione di collagene per la cicatrizzazione dei
danni tissutali. Il GRANULOCITA EOSINOFILO partecipa all'infiltrato flogistico in numerose forme dermatologiche.
Infatti un’ipereosinofilia, sia ematica sia tissutale, si manifesta in forme di dermatite atopica, di tipo bolloso o
nell'orticaria. L'orticaria è una manifestazione di tipo dermatologico in risposta a stimoli allergizzanti, costituita da
lesione tipica detta ponfo che può essere di varie dimensione e può confluire a dare l'orticaria. Il ponfo è una
lesione rilevata rossastra, abbastanza tenue, con un piccolo centro di colore biancastro, a causa del collasso dei
vasi, che scompare alla digitopressione perché non è infiltrato, ma dovuto alla liberazione d'istamina che causa il
dolore durante la digitopressione (si differenzia dalle vasculiti e porpore perché non è infiltrato). Il LINFOCITA B
non è normalmente presente nella cute, produce le immunoglobuline e si può accumulare in condizioni
patologiche cutanee.

LE IMMUNOGLOBULINE
-IgG: mediano la risposta immunitaria secondaria;
-IgA: anticorpi di secrezione nelle mucose;
-IgM: mediano la risposta primaria (sono meno specifiche rispetto alle IgG che sono molto specifiche);
-IgE: sono le tipiche immunoglobuline della risposta ai parassiti ma anche di risposte abnormi che sono le risposte
allergiche in cui riconoscono antigeni definiti allergeni, cioè antigeni che inducono una tipica risposta allergica
atopica IgE mediata.

86
IPERSENSIBILITA'
L'ipersensibilità è una risposta su base fisiologica, ma così intensa che produce una noxa nell'organismo ospite
provocando patologie da ipersensibilità. Ne conosciamo quattro tipi: - tipo I: ipersensibilità immediata o anafilassi
(o atopia); - tipo II: ipersensibilità mediata da anticorpi citotossici; - tipo III: ipersensibilità mediata da
immunocomplessi; - tipo IV: ipersensibilità di tipo ritardato o cellulo-mediata (importante ad esempio in dermatiti
cutanee).
Dal 5 al 10% dei soggetti soffre d'ipersensibilità di tipo 1. Nel tipo 1 c'è un’alterata ed esagerata risposta immune nei
confronti di alcuni allergeni, ossia antigeni, che da parte di alcuni soggetti vengono percepiti come qualcosa di
estraneo a cui si risponde con un'iperproduzione di IgE che causa il danno cellulare. In questo tipo d’ipersensibilità il
reattivo immunologico sono le IgE, l'antigene è solubile e si ha attivazione delle mast-cellule (deriva dal tedesco
“mast-zellen” e indica una cellula che contiene organuli di eparina e istamina e che degranula alla presenza di allergeni
in quanto sono cosparsi di recettori per le IgE). Le manifestazioni locali sono lesioni cutanee e ponfi, mentre le
manifestazioni sistemiche sono riniti e congiuntiviti, fino ad arrivare a un'iperreattività bronchiale con veri e propri
fenomeni di asma e broncostenosi. Addirittura nella massima manifestazione c'è shock anafilattico sistemico con
edema dell'epiglottide (la maggiore causa di morte per shock anafilattico è il soffocamento dovuto all'edema
dell'epiglottide cui si interviene con tracheostomia [nel caso non si sia intervenuti tempestivamente con adrenalina e
cortisone]) e con ipotensione dovuta alla vasodilatazione provocata dalla liberazione di istamina ed eparina.
L'ipotensione implica un’ipoperfusione renale, con insufficienza renale, e un’ipossia cerebrale. Come risposta allo
shock anafilattico, si somministra adrenalina o cortisone al fine di prevenire l'edema della glottide, l'asfissia e
l'ipotensione severa. Nel tipo 2 c'è la mediazione da parte di anticorpi citotossici verso antigeni cellulari o associati alla
matrice, e di cellule, le quali posseggono l’Fc-receptor, che inducono una tossicità cellulare anticorpo mediata, come
ad esempio le cellule NK, DC (cellule dendritiche) o i fagociti. Questo tipo presenta anticorpi anti- piastrine o
antiglobuli rossi tipici dell'immunità anticorpo-mediata che possono essere prodotti anche in risposta ad alcuni
farmaci provocando piastrinopenia. Nel tipo 3 c'è la produzione di anticorpi contro antigeni solubili con formazione di
immunocomplessi con associazione di fenomeni di tipo artritici (es. crioglobulinemie, malattia da siero) Nel tipo 4 c'è
l'azione di cellule Th1, Th2 o CTL e c'è la presenza di forme di tipo cutaneo. Una forma tipica è la dermoreazione di
Mantoux secondaria alla iniezione sottocuntanea di DPP= derivato proteico purificato reazione cellulo-mediata,
ritardata che si manifesta nelle 24-48 ore successive. Si distingue dall'ipersensibilità di tipo 1 proprio per il fatto che
nel tipo 1 la risposta è immediata mentre nel tipo 4 la risposta è tardiva. Ciò è dovuto al fatto che nel tipo 1 la risposta
è mediata dalle IgE che agiscono immediatamente, mentre nel tipo 4 la risposta è cellulo-mediata e quindi necessita di
più tempo per agire.

L'atopia colpisce soggetti geneticamente predisposti, ciò non significa che sia ereditaria ma comunque si fonda su basi
genetiche, infatti i soggetti allergici hanno una maggiore probabilità di avere una prole affetta. L'ipersensibilità si
manifesta dopo la seconda o la terza esposizione all'allergene specifico, con produzione di IgE, e si presenta con asma,
rinite allergica, eczema, orticaria, fino ad arrivare a una vera e propria anafilassi.

Allergeni più comuni e i tipi di risposta - allergie al cibo: frutta secca, fragole, uova, soia, crostacei e molluschi,
cioccolata. Questi cibi si introducono nei bambini dopo il terzo anno di età. L'ingresso degli allergeni contenuti in
questi cibi sono introdotti per via orale e quindi danno manifestazioni gastroenteriche come vomito, diarrea e
fenomeni d'intolleranza (causate dall'infiltrazione delle IgE nelle mucose che diventano rigonfie e edematose), fino ad
arrivare a manifestazioni cutanee (prurito, orticaria) e a fenomeni anafilattici causati da cibo. Quest’ultima evenienza
è molto rara per il cibo ma può accadere soprattutto con frutta secca o crostacei. - fenomeni di asma: gli allergeni
inalatori sono pollini, polveri che contengono le feci dei dermatofagoidi (acari). Questi allergeni vengono inalati e
provocano costrizione bronchiale, edema della mucosa nasale, della mucosa faringe e della mucosa bronchiale,
aumento della produzione di muco, infiammazione delle vie aeree. - orticaria: dovuta ad iniezione sottocutanea di
allergeni, come avviene nelle punture di insetto. Si forma un ponfo a causa dell'aumento del flusso e della
permeabilità dei vasi, quindi si ha uno stravaso per vasodilatazione da eparina. - anafilassi sistemiche: causata da
farmaci, siero, veleni, arachidi (allergeni presenti nella frutta secca). L'ingresso dell'allergene è per lo più di tipo
endovenoso, di conseguenza l'anafilassi è molto severa proprio perché l'allergene arriva a contatto con il sistema
immunitario direttamente a livello sistemico, causando shock ipovolemico, edema della mucosa oro-faringea e
collasso cardio-circolatorio.

87
IPERSENSIBILITA' DI TIPO 1
Nell'ipersensibilità di tipo 1, le IgE si legano alle superfici cellulari dei mastociti, dei basofili e degli eosinofili mediante
recettori per la porzione Fc delle IgE. Dal momento che i mastociti si trovano solitamente in prossimità di vasi, questi
liberano granuli lisosomiali ricchi di istamina, eparina, enzimi proteolitici, fattori chemiotattici ed attivanti, leucotrieni
e prostaglandine che fanno vasodilatare e fanno contrarre la muscolatura liscia, in particolar modo nei vasi endoteliali
e nelle pareti bronchiali, provocando infine una reazione infiammatoria. Le IgE sono prodotte dal tessuto linfoide dopo
che si è venuti a contattato con l'allergene. A seguito di una seconda esposizione con l'allergene, esso si lega alle IgE
che a loro volta si legano agli Fc- receptors dei mastociti che quindi rilasciano i mediatori contenuti nei granuli. Gli
enzimi presenti nei mastociti sono la triatasi, la atesina G e la carbossipeptidasi che rimodellano la matrice cellulare
del tessuto; poi tra i mediatori tossici ci sono l'eparina e l'istamina che da un lato sono importanti per le difese dai
parassiti mentre dall'altro aumentano la permeabilità vascolare e inducono la contrazione della muscolatura liscia.
Abbiamo anche un rilascio di citochine che sono infiammatorie, chemiotattiche e importanti mediatori
dell'infiammazione, soprattutto il TNF-alfa. Ci sono inoltre le chemochine (come MIP-1alfa) che richiamano cellule
infiammatorie quali monociti, macrofagi e neutrofili. Infine ci sono mediatori lipidici quali leucotrieni e fattori di
attivazione delle piastrine (PAF). Questi sono tra i mediatori più importanti nell'asma in quanto le leucotrieni
provocano contrazione della muscolatura liscia e stimolano la secrezione del muco, mentre il PAF è un agente che
attira i leucociti ed amplifica tutte le mediazioni lipidiche delle leucotrieni e trombossani. L'ereditarietà è dovuta ad
alcuni polimorfismi genici di strutture che predispongono maggiormente all'asma, quali IL-4, catena alfa del recettore
per l'IL-4, catene beta a maggiore affinità in recettori per le IgE, alcuni geni per le MHC di classe II e alcuni recettori
beta2-adrenergici. Normalmente le reazioni di tipo 1 sono usate per l'eliminazione di elminti intestinali, perché essi
sono insensibili ad una fagocitosi classica e quindi devono essere eliminati tramite dei fattori altamente letali come le
IgE. Il trattamento delle allergie avviene tramite antistaminici classici. Dal momento che ci sono vari recettori per

l'istamina, si sta cercando di fare antistaminici sempre più specifici per i recettori dell'allergia, di modo che non si
presentino effetti collaterali come intorpidimento e incapacità di guidare. Per lo più si utilizzano quindi antistaminici e
inibitori delle lipoossigenasi (farmaci che agiscono sia sull'istamina che sulle leucotrieni e trombossani). Questi farmaci
agiscono o sui recettori dei mediatori o sulla sintesi stessa dei mediatori. Poi ci sono farmaci ancora sperimentali quali
quelli che agiscono sull'infiammazione mediata dagli eosinofili, inibendo l'IL-5 e bloccando il recettore CCR3 degli
eosinofili. Altri farmaci fondano la loro azione su un disequilibrio tra linfociti Th2 e Th1, che è spostato sui Th2 nelle
risposte alle allergie, quindi inducono una maggiore attivazione dei linfociti Th1 che favoriscono una maggiore
produzione di IgG rispetto alle IgE. Questo meccanismo può essere favorito attraverso somministrazione di citochine o
attraverso l'inibizione di specifici antigeni o peptidi iniettati al fine di competere con gli allergeni. Un esempio sono le
desensibilizzazioni che sposta l'equilibrio Th2/Th1 verso i Th1 per uno specifico allergene. Si può ottenere
desensibilizzazione tramite una somministrazione graduale dell'allergene stesso che va a ridurre la produzione di IgE.
Infine ci sono farmaci che bloccano la produzione di IgE.

IPERSENSIBILITA' DI TIPO 2 o CITOTOSSICA


È un’ipersensibilità di tipo citotossico mediata da anticorpi IgG o IgM che si legano agli antigeni di superficie delle
cellule ospite o della matrice. Ovviamente l'antigene che è legato all'anticorpo lega il complemento che media le
reazioni di tipo citotossico (es nei confronti delle piastrine, dei globuli rossi e di tutte le cellule implicate nelle reazioni
di autoimmunità, come le cellule del sangue). Un tipico esempio di reazione che avviene abbastanza rapidamente e in
maniera evidente è la cosiddetta allergia ai farmaci. Il meccanismo di questa allergia avviene tramite il legame della
molecola del farmaco alle membrane cellulari, in particolare macrofagi, che quindi opsonizza la cellula in questione
inducendone la rimozione da parte degli anticorpi (la molecola del farmaco fa da aptene, cioè rende antigenica una
proteina innocua quale quelle di membrana). Quando un soggetto presenta una anemia emolitica o una
piastrinopenia su base autoimmune bisogna sempre fare una accurata anamnesi farmacologica per escludere una
allergia ai farmaci che assume normalmente (esempi di farmaci che provocano allergia sono l'allopurinolo, che è un
farmaco che tende ad abbassare i valori dell'uricemia andando ad interferire con il metabolismo delle basi puriniche, e
alcuni antibiotici quale la penicillina). Bisogna sempre chiedere quali farmaci assume il paziente e da quanto tempo li
assume. Se un paziente si presenta dal reumatologo con dolori muscolari e assume statine per abbassare
l'ipercolesterolemia, bisogna sapere che le statine sono farmaci che possono portare a danni muscolari (CPK>500 il
farmaco in questione viene considerato tossico) e quindi causare dolore. Un ulteriore esempio di ipersensibilità di tipo
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2 è la trasfusione di sangue incompatibile che porta a lisi dei globuli rossi con anemia emolitica, passaggio dei
metaboliti dell'emoglobina nel rene, dolore renale ("back pain"), urina a lavatura di carne, dolore e costrizione
toracica; immediato trattamento con cortisone. Nell'ipersensibilità di tipo 2 rientrano moltissime patologie di tipo
autoimmune mediate da anticorpi quali piastrinopenie di tipo autoimmune, incompatibilità sanguigne, morbo di
Graves (causata da anticorpi che si legano e stimolano il recettore per il TSH), febbre reumatica (dovuta a cross-
reattività tra proteine streptococciche e miocardiche), anemia perniciosa (causata da anticorpi contro il fattore
intrinseco di Castle prodotto dalle cellule della parete gastrica per l'assimilazione della vit.B12).

IPERSENSIBILITA' DI TIPO 3
Caratterizzata da autoanticorpi e formazione di immunocomplessi che si depositano in circolo a livello delle
membrane basali dei vasi e costituiti da complemento, antigene e anticorpo. Provocano maggiormente danno renale
con insufficienza renale (rappresenta il danno più grave da immunocomplessi che può avvenire anche nelle
crioglobulinemie). Un classico esempio è dato dagli effetti secondari di una tonsillite da streptococco; infatti se non
curata può dare manifestazione secondarie disimmuni e autoimmuni, come una glomerulonefrite post-streptococcica
provocata dalla deposizione nella membrana basale del glomerulo di immunocomplessi che si formano da anticorpi
anti-streptococco. Questi immunocomplessi si possono depositare anche nelle articolazioni, causando artrite post-
streptococcica, o nell'endocardio, causando endocarditi o valvulopatie (molte valvulopatie sono secondarie a infezioni
streptococciche non curate con antibiotici). L'ultima manifestazione infettiva da streptococco è la scarlattina, che è
molto frequente in età scolare e prescolare. Lo streptococco va trattato se presente all'esame del tampone o durante
manifestazione secondaria.
L'ipersensibilità di tipo 3 si riassume con il legame dell'antigene con l'anticorpo, la formazione dell'immunocomplesso,
la degranulazione dei mastociti e la conseguente infiammazione locale.

IPERSENSIBILITA' DI TIPO 4 RITARDATA o CELLULO-MEDIATA


In questa ipersensibilità si richiede la presenza di linfociti T sensibilizzati e di un antigene (è tipica come
manifestazione della intradermoreazione di Mantoux, dove vengono inoculati antigeni del Mycobacterium
tubercolosis). Non si manifesta prima delle 24-48 ore dall'incontro antigene-cellula. Questo incontro cellulo- mediato
può avvenire con una cellula Th1, portando ad attivazione macrofagica, con una cellula Th2, portando ad attivazione
degli eosinofili, o con una cellula CTL (linfocita T citotossico), portando a fenomeni di citotossicità. Per esempio
nell'intradermoreazione di Mantoux con tubercolina si presenta una rilevazione che non è un ponfo, con infiltrazione
cellulare. Questa rilevazione si può estendere anche per 6 centimetri intorno alla zona di inoculazione della
tubercolina (ricorda che la zona di inoculo deve essere indicata circondandola con un pennarello), che viene sempre
fatta sulla porzione polare del braccio. L'ipersensibilità di tipo 4 viene provocata da batteri intracellulari quali il Bacillo
tubercolare, la Salmonella typhi e la Brucella, ma può essere provocata anche da virus (morbillo e parotite), funghi,
punture di insetto, sostanze chimiche e farmacologiche (additivi e parabeni nelle creme di cosmesi e nei profumi
possono provocare dermatite cutanea). Nell'ipersensibilità di tipo 4 c'è una reazione tra antigene, linfocita T
sensibilizzato all'antigene e macrofago. Ciò perché il linfocita T sensibilizzato all'allergene richiama monociti e
macrofagi nel sito, quindi si ha una reazione infiammatoria di lunga durata che provoca distruzione del tessuto.
Questo tipo di ipersensibilità causa dermatiti. Le dermatiti si manifestano con pelle disidratata, lieve rossore e piccola
infiltrazione cellulare, ma se c'è la liberazione di sostanze come il TNF-alfa, allora si può arrivare fino a manifestazioni
bollose come flittene (possono essere causate da alcuni metalli pesanti rari come lo zinco e lo zirconio).

89
MALATTIE AUTOIMMUNI
Il sistema immunitario è in grado di riconoscere i costituenti autologhi dell’organismo e di riprodurre risposte
immunologiche verso di essi senza peraltro che si realizzi una malattia autoimmune vera e propria.
*NB: Sono state fatte delle prove di induzione della tolleranza attraverso la quantità di antigene. Un altro meccanismo
per indurre tolleranza è quindi, appunto, la quantità di antigene: antigeni solubili hanno la capacità di indurre
tolleranza a seconda di quanto sono in grado di indurre proliferazione: aumentando la concentrazione riescono a
modulare la tolleranza dei linfociti T.
Quindi la tolleranza può essere dipendente dalla concentrazione dell’antigene, dal tipo di antigene che si ha e dalla
presenza o meno delle cellule T regolatorie.
Concettualmente è importante ricordarsi che in soggetti normali sono rilevabili basse concentrazioni di autoanticorpi e
cloni non espansi di linfociti T e B autoreattivi [*cloni* I linfociti B che clonano, cioè tutti che hanno un B cell receptor
( o i T che hanno un T cell receptor) tutti uguali a se stessi contro un epitopo autoreattivo, contro un epitopo autologo
in quel caso]
• Fenomeni di autoimmunità transitoria sono riscontrabili (spesso senza manifestazioni cliniche) in corso di:
1) malattie infettive acute e croniche
2) malattie linfoproliferative
3) neoplasie
4) malattie da deficienza immunologica
Nelle malattie autoimmuni esistono molteplici alterazioni del sistema immunitario responsabili dell’inizio e
dell’automantenimento del processo morboso.

La malattia autoimmune si sviluppa a causa dell’emergenza di cloni autoreattivi che rompono (che sono lesivi) per:
1) Rottura della tolleranza immunitaria (la tolleranza è la capacità che noi abbiamo di proteggere il nostro organismo
dal punto di vista immunologico verso proprio l’autoreattività sia a livello centrale, self o non self, sia livello periferico
con i linfociti T regolatori e tutte le altre popolazioni regolatorie che abbiamo).
2) estrinsecazione clinica della malattia autoimmune

PRINCIPALI AUTOANTIGENI
A) ANTIGENI PROPRI DELLA MEMBRANA CELLULARE
- Recettori di superficie
- Antigeni vari che causano autoimmunità organo-specifica o sistemica

B) ANTIGENI INTRACITOPLASMATICI LIBERATI IN CIRCOLO IN SEGUITO A CITOLISI


- Nucleari, microsomici, mitocondriali, etc. Questi circolano e quindi avremo una patologia autoimmune
prevalentemente sistemica

C) ANTIGENI INTRACITOPLASMATICI ESPRESSI IN SUPERFICIE (Fenomeno comune a tutte le cellule endocrine)


- C. Tiroidee (es: tiroidite), Insulari pancreatiche, surrenali AI prevalentemente organo-specifica

Gli autoanticorpi non sono diversi dai “naturali” o dagli anticorpi “indotti da antigeni esogeni” se non per la reattività
verso autoantigeni. E’ importante ricordarsi che esiste una sottopopolazione specifica che ci interessa SUBSET B-
CELLULARI deputati alla formazione degli autoanticorpi (B-CD5+).
Il CD5 è un marker di questi linfociti che è comune nei T mentre nei B è presente solo in una piccola popolazione che
sono i cosiddetti subset B- cellulari deputati alla formazione degli autoanticorpi B-CD5+.

ROTTURA DELLA TOLLERANZA IMMUNITARIA GENESI MULTIFATTORIALE

A) PREDISPOSIZIONE GENETICA
- Aggregazione familiare; correlazione con aplotipi HLA; M.A.I. spontanee in animali
- Espressione inappropriata di MHC-Classe II
Anche se esiste l’insorgenza delle patologie autoimmuni anche in soggetti che non hanno alcuna familiarità per le
stesse.

90
B) LINFOCITI B CD5+ (Aumento nelle MAI; produzione di AA in vitro e in vivo)

C) DEFICIT MECCANISMI REGOLATORI

D) INTERVENTO SCATENANTE DI FATTORI ESOGENI


- Attivazione policlonale B-linfociti (Virus e batteri)
- Mimetismo molecolare (cross-reattività non-self=self) -Reattività anti-idiotipica

E) ORMONI SESSUALI
- Maggior frequenza di malattie autoimmunitarie nel sesso femminile (estrogeni inibitori dei linfociti T ad attività
regolatoria)

CARATTERISTICHE COMUNI
- Insorgenza spontanea della malattia
- Familiarità
- Maggior frequenza nel sesso
femminile
- Associazioni cliniche e siero-
immunologiche tra più patologie
autoimmuni
- Associazione con particolari
aplotipi (HLA)
- Auto anticorpi circolanti
diagnostici e/o patogeni
- Alterazione dei meccanismi di
regolazione delle risposte immuni
- Patogenesi multifattoriale con
fattori genetici di fondamentale
importanza: a livello terapeutico
infatti siamo in difficoltà infatti
nell’intervento nella
multifattorialità di questa
patogenesi. Ci sono tanti studi ma

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non abbiamo armi efficaci per eradicare la malattia.

FATTORI REUMATOIDI
La principale anomalia sierologica dell’artrite reumatoide (75% dei casi) è l’AUTOANTICORPO REATTIVO CON IgG.
Riconoscono epitopi del Fc delle IgG
Abbiamo un’alterazione delle IgG (iperglicosilate?) + perdita tolleranza
Sono frequentemente presenti in altre connettiviti, epatopatie croniche, processi infettivi o infiammatori cronici
presenti in popolazioni normali (5% nel giovane // 10-20% nell’anziano)
Significato diagnostico "relativo"
Significato prognostico valido (Gravità AR --Titolo FR)
Significato patogenetico: sicuro per noduli e vasculiti
Prodotti da B-CD5+ (assenti nella sclerodermia -> perdita CD5?)
Classe Ig: IgM e/o IgG !!! fissanti il complemento

DIVERSI ESAMI PER LE MALATTIE DEL CONNETTIVO

Esami di I livello
1) esame emocromocitometrico
2) protidogramma
3) Esami ematochimici generali
4) VES
5) PCR
6) Fattori reumatoidi
7) Esame delle urine con proteinuria

Esami di II livello
1) Autoanticorpi
- antinucleari (ANA)- IFI (immunofluorescenza indiretta) con gli ANA da soli non facciamo diagnosi di nulla
- anti-DNA nativo – IFI, RIA, ELISA
- anti- ENA (antigeni nucleari estraibili) –ELISA
2) Autoanticorpi marcatori specifici di malattia ( + test di Coombs)
3) Immunocomplessi circolanti (solo se persistenti) (stanno passando al terzo livello)
4) Crioglobuline
5) Frazioni complementari (calo C3 e C4)
6) Studi immunoistochimici
7) Esami strumentali e di laboratorio per coinvolgimento di organi e apparati

Esami di III livello

1) Studio del sistema maggiore di istocompatibilità (HLA)


2) Studio delle alterazioni della produzione di citochine o dell’espressione dei recettori di queste
3) Studio del riarrangiamento dei geni delle Ig e dei linfociti T verso autoreattività

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ANTICORPI ANTIFOSFOLIPIDI (aPL)
- Termine ambiguo ma consacrato dall’uso
- Famiglia eterogenea di IgG, IgM, (IgA) a lungo considerate con specificità per i PL anionici (cardiolipina,
fosfatidilserina)
- aPL di importanza clinica :
- lupus anticoagulant (LAC)
- anticorpi anticardiolipina
- anticorpi anti-beta2-glicoproteina
- I principali targets degli aPL sono proteine legate ai PL (β2-GPI e protrombina)
- Gli aPL riconoscono anche altre proteine (aPC, PS, annessina V, HMWK, LMWK, FXII, t-PA, LDL ossidate)

SINDROME DA ANTICORPI ANTIFOSFOLIPIDI:


CRITERI PRELIMINARI DI CLASSIFICAZIONE
Criteri clinici

93
Questi tre anticorpi sono particolarmente importanti perché vanno a costituire dei criteri di laboratorio che dobbiamo
assolutamente conoscere la glicoproteina, a causa dello stress ossidativo, si apre e diventa uno stimolo anticorpale,
lega le membrane e diventa un fattore.
Gli anticorpi antifosfolipidi fanno veramente tante cose e sono quindi molto importanti da studiare (anche nel LES o da
soli in caso di trombosi). Sono estremamente sottovalutati: attivano le cellule endoteliali [vedi immagine sotto].

Oltre a manifestazioni trombotiche ci sono tante altre manifestazioni come la trombocitopenia, lesioni valvolari,
distruzione cognitiva, malattia glomerulare e cutanea.

MANIFESTAZIONI EMATOLOGICHE
• TROMBOCITOPENIA: caratteristica della APS (100-150.000; raramente < 50.000). Probabilmente indotta da legame
degli anticorpi anti-fosfolipidi su fosfolipidi della membrana delle piastrine, complesso fosfolipidi/beta2GPI o per
azione diretta di anticorpi anti-piastrine
• ANEMIA EMOLITICA: rara; più spesso, test di Coombs positivo in assenza di anemia emolitica. Probabilmente indotta
dal legame anticorpi anti-fosfolipidi verso complessi cardiolipina/ beta2GPI presenti sulla membrana eritrocitaria. Rara
l’evenienza di piastrinopenia in associazione ad anemia emolitica (sindrome di Evans).
Trombosi vascolare: uno o più episodi clinici a livello delle arterie, delle vene o dei piccoli vasi in qualsiasi tessuto o
organo. Le trombosi possono essere confermate da criteri oggettivi. Per una conferma istopatologica, la trombosi
dovrebbe essere presente senza un’evidenza significativa di infiammazione a livello delle pareti dei vasi.

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I quadri clinici associati

La diagnosi di APS la facciamo con


- almeno un criterio clinico
- almeno un criterio biologico

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QUADRI CLINICI ASSOCIATI AGLI APL
APS primaria
APS secondaria a LES (o altre m. del connettivo)
APS da altre cause (farmaci, neoplasie, infezioni)

Possibili forme catastrofiche: SINDROME da ANTICORPI ANTIFOSFOLIPIDI CATASTROFICA


• episodi trombotici ricorrenti e simultanei a carico di più distretti in soggetti con positività degli anticardiolipina o del
LAC
• rara (1% dei pz con APS)
• in oltre il 50% dei casi, patologia infettiva come evento precipitante
• in base al distretto o all’organo interessato, il paziente si presenterà con ipertensione arteriosa, insufficienza renale
progressiva, sindrome da distress respiratorio acuta, emorragia alveolare, disturbi neurologici (confusione e
disorientamento temporospaziale, eventi ischemici cerebrali), infarto intestinale.

Quando è giustificato ricercare gli anticorpi anti-fosfolipidi?


• Malattie autoimmuni sistemiche, in particolare il LES (in particolare in presenza di anemia emolitica o piastrinopenia)
• Trombosi arteriose e/o venose prima dei 45 anni
• Associazione di trombosi arteriose e venose
• Episodi trombotici ricorrenti
• Trombosi in distretti inusuali: vena retinica, porta, renale, circolo cerebrale
• Aborti ripetuti, in particolare nel 2° o 3° trimestre di gravidanza o pre-eclampsia precoce (< 20 settimane di
gestazione)

Altri elementi che giustificano la ricerca di anticorpi anti-fosfolipidi


• Trombocitopenia
• Ulcere agli arti inferiori
• Livedo reticularis
• Anemia emolitica
• Manifestazioni neurologiche quali ischemia cerebrale transitoria, mielite trasversa, corea, emicrania, deficit di
memoria

TERAPIA
Anticoaugulanti con eparina e warfarin

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Caso clinico
vengo chiamato in chirurgia vascolare dall’ematologo che avevano operato per una trombosi acuta in arto inferiore
sinistro (femorale sinistra).
I chirurghi vascolari cercano di “stappare” il vaso ma senza risultato. Sono costretti a fare amputazione dell’arto.
Notate bene che il pz aveva 55 anni. Mi chiamano perché in questo paziente, che aveva in anamnesi recente diagnosi di
artrite reumatoide, aveva un calo rapido delle piastrine.
Lo vado a vedere e, oltre a cercare delle cause di anticorpi anti-piastrine”, la cosa che non mi tornava era comunque
l’età del paziente che aveva avuto un evento trombotico così importante.
Quindi richiedo il dosaggio dei tre anticorpi prima citati.
A causa dell’artrite reumatoide ha artralgia importante che non rispondeva a steroidi ad alte dosi, aveva un fattore
reumatoide alto e in due mesi dalla diagnosi già era stato sottoposto a trattamento con farmaco di seconda linea.
I risultati del dosaggio riportano positività solo per il LAC.
Però io ho già abbastanza: mentre aspetto il referto per questo anticorpo, la notte che io vedo il pz in chirurgia
vascolare, il giorno dopo mi richiamano e questo paziente era stato trasferito in emergenza dalla chirurgia vascolare in
neurologia e dalla neurologia alla terapia intensiva per una sindrome trasversa, cioè ha perso l’utilizzo degli sfinteri
delle gambe, sindrome neurologica acuta, la risonanza ha mostrato un’ischemia critica dell’arteria spinale (forse D12).
Il paziente ha perso improvvisamente l’uso di gambe e sfinteri.
L’insieme dell’età, del fattore reumatoide, del LAC, e della trombosi in brevissimo tempo ci qualificavano la sindrome
che è la cosiddetta sindrome da anticorpo antifosfolipidica catastrofica. Per me la notte abbiamo cominciato subito
trattamenti acuti: steroidi, plasmaferesi, altrimenti avremmo perso questo paziente immediatamente. Il pz sta in unità
spinale da 3 mesi, ha perso l’uso delle gambe.
Nessuno aveva pensato, in tre mesi che l’insieme di quel fattore reumatoide e quelle artralgie potessero essere sintomo
di anticorpi antifosfolipidi. Non era mai stato scoagulato.
Ho avuto 10 ore di tempo, lo abbiamo salvato.
Sono cose che non potete dimenticare.

97
Vi chiudo il discorso con questa slide

Chiaramente il trattamento si basa sulla gestione delle complicanze trombotiche

98
SINDROMI VASCULITICHE
La vasculite è processo clinico patologico caratterizzato da
un’infiammazione e dal danno della parete vascolare, le cui
caratteristiche istologiche sono piuttosto omogenee.
Ci può essere compromissione del lume vascolare fino ad
ischemia dei tessuti dove quel vaso porta sangue, se si tratta
di un’arteria ovviamente, o dove quel vaso drena sangue se è
una vena. Può, infatti essere coinvolto qualsiasi vaso (arterie,
vene, capillari), di qualsiasi distretto dell’organismo. Il quadro
clinico varia a seconda del tipo e della sede dei vasi coinvolti.
Lo spettro di manifestazioni cliniche possibili è ampio, così
come anche la gravità, il tipo di esordio, il decorso e la
prognosi.
Non è possibile identificare una modalità d’esordio tipica.
L’ampia varietà di manifestazioni cliniche e la non specificità
delle lesioni istologiche obiettivabili rendono complessa la
diagnosi di forme specifiche di vasculite.
Ciò è problematico in quanto forme distinte di vasculite (con
una medesima presentazione clinica) rispondono a
trattamenti distinti e possono presentare una diagnosi assai
variabile.
La vasculite può portare solo all’insorgenza della malattia
stessa o andare di pari passo con un’infezione virale.

SEGNI E SINTOMI EVOCATIVI DI VASCULITE


- Febbre, astenia marcata, calo ponderale non
altrimenti spiegabili
- Porpora/orticaria
- Mono o polineurite
- Artrite/miosite/sierosite di orgine sconosciuta
- Alterazione della funzione renale
- Alterazione della funzione polmonare
- Alterazione della funzione cardiovascolare

La patogenesi delle vasculiti è complessa, non ancora del tutto chiarita e può coinvolgere tutte le cellule
infiammatorie. La disregolazione dei processi che controllano l’apoptosi e l’alterazione della clearance di tali cellule
infiammatorie potrebbe portare alla persistenza dell’infiammazione e all’eccessivo danno tissutale. Un possibile
approccio classificativo delle vasculiti su base non infettiva ne prevede la suddivisione a seconda del tipo
predominante di vaso coinvolto.

La vasculite può essere primaria o secondaria, cioè mediata da immunocomplessi –anticorpi, complemento/antigene-,
evidenziati a livello della parete vasale.

Gli antigeni che possono indurre delle vasculiti secondarie sono:


1) antigeni esogeni
- microbici
a) batterici come streptococchi, stafilococchi, mycobacterium, treponema pallidum
b) virali come HBV, HCV,HIV
c) protozoari

- non microbici
(a) Proteine eterologhe
(b) Allergeni
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(c) Farmaci
(d) Antigeni tumorali (?)

2) Antigeni autologhi
- Antigeni nucleari (anticorpi antinucleo)
- Immunoglobuline G (fattore reumatoide, Crioglobuline)
- Altri

CLASSIFICAZIONE DELLE SINDROMI VASCULITICHE


1) dei vasi di grande calibro (artrite gigantocellulare/artrite di Takayasu)
2) dei vasi di medio calibro (poliarterite nodosa/malattia di Kawasaki/Vasculite primaria del sistema nervoso)
3) dei vasi di piccolo calibro (granulomatosi di Wegener / angioite di Churg-strauss / poliangioite microscopica /
Vasculite crioglobulinemica essenziale / Porpora di Schonlein- Henoch)
In questa tipologia è utile dosare gli anticopi anti-citosol dei granulociti neutrofili (o ANCA) diretti contro:
1- mieloperossidasi (MPO) – pattern perinucleare (p-ANCA) positivi nella sindrome di Chug Strauss
2 – proteinasi 3 (PR3) – pattern granulare citoplasmatico (c-ANCA) positivi nella granulomatosi di Wegener
Nelle vasculiti non infettive dei vasi di piccolo calibro
1) associate a positività degli ANCA (granulomatosi di Wegener / angioite di Churg strauss / poliangioite microscopica)
2) da immunocomplessi (vasculite crioglobulinemica essenziale / porpora di Scholein-Henoch / Malattia di Behcet /
Sindrome di Goodpasture / Malattia da siero / Vasculite associata a collagenopatie – LES, AR, S. di sjogren)
3) Paraneoplastiche
4) Associate a malattie infiammatorie croniche intestinali
La formazione degli immunocomplessi non siamo ancora
in grado di bloccarla. Il loro deposito nei vasi è
particolarmente importante però non è sempre facile
dimostrarlo.
* Per quanto riguarda le risposte autogeniche: sono la
formazione del granuloma che sono importanti perché si
può cadere perché le cellule endoteliali esprimono
un’HLA di classe II, possono quindi, specialmente in caso
di infiammazione, per un meccanismo verosimilmente
difensivo, esse tirano fuori delle HLA di classe seconda
come se ci fosse davvero uno stimolo infettivo da cui
proteggere: quindi isoliamo quell’organo e i germi che
stanno lì dentro. Questi stimolano CD4+ a produrre
100
citochine infiammatorie e quindi svolgere la presentazione dell’antigene e quindi rispondere alla citotossicità.

APPROCCIO DIAGNOSTICO
Non esistono criteri diagnostici stabiliti ufficialmente
Nel 1990 l’American college of rheumatology ha pubblicato un approccio di tipo classificativo per la defiinizione dei
trials clinici nelle vasculiti: questo approccio viene adoperato ai fini diagnostici.
Tra gli esami laboratoristici è utile il riscontro di ANCA, anticorpi antinucleo, C3- C4, Crioglobuline, sangue occulto
fecale, sierologia per epatite B e C, fattore reumatoide , parametri di funzionalità renale
Tra gli esami strumentali sono utili la radiografia del torace e dei seni paranasali/tomografia computerizzata del torace,
elettroneurografia, F18 fluorodesossiglucosio-PET, biopsia della cute, muscolo, nervo, polmone, rene o dell’organo
coinvolto.
- Modificazioni emodinamiche del flusso
- Ispessimento circonferenziale della parete
- Valutazione dell’attività di malattia

VASCULITI DEI VASI DI PICCOLO CALIBRO: PORPORA DI SCHONLEIN-HENOCH (PSH)


È la vasculite più frequente in età pediatrica (4/7 anni, non la vediamo più in età infantile, è più frequente nei
maschietti), abitualmente si manifesta con la deposizione di immunocomplessi dopo un episodio infettivo a carico
delle vie respiratorie alte (infezioni da Streptococcus pyogenes), ma anche dopo infezioni virali (varicella, rosolia,
epatite, infezioni da Parvovirus). Coinvolge preferenzialmente arteriole, capillari e venule di più distretti: assai tipico è il
coinvolgimento cutaneo. Vi è un picco di incidenza a 5 anni di età.
La porpora è leucocitoclastica non trombocitopenica e riguarda primariamente gli arti inferiori e le natiche (porpora
ortostatica).
Uno stimolo antigenico ignoto determinerebbe l’elevazione delle IgA e l’attivazione del complemento con successiva
infiammazione necrotizzante dei vasi di piccolo calibro della cute. Oltre ai piccoli vasi del distretto cutaneo la PSH può
coinvolgere il distretto gastrointestinale, sinoviale, renale e neurologico.
In corrispondenza dei vasi coinvolti vi è un deposito predominante di IgA: questa è la “condicio sine qua non” per la
diagnosi di PSH. La biopsia cutanea è lo strumento diagnostico cardine della PSH.
E’ stata descritta nel 1801.

Vedete una vena e un infiltrato leucocitoclastico infiltrato infiammatorio nel derma, intorno alle trabecole che poi
vengono danneggiate e l’infiltrato entra nella vena causando danno vascolare composito.

101
La classe di IgA è l’antigene che si vede a livello renale ed è quello che è più importante evitare in questi bambini
perché questi rischiano di andare incontro ad una malattia renale a stadio finale, cioè una dialisi con necessità di
trapianto di rene (uremia). Questo è il problema più grosso di questa malattia che altrimenti, negli altri casi, è
autolimitante, si gestisce tranquillamente.

102
CARATTERISTICHE CLINICHE PIU’ FREQUENTI

- Porpora palpabile (va a costituire anche un criterio diagnostico) nodulare non trombocitopenica può confondersi con
petecchie dovute a piastrinopenia (
- Artralgia
- Dolore addominale
- Glomerulonefrite

CRITERI DIAGNOSTICI (diagnosi con almeno 2 di questi 4 criteri presenti)


- Porpora palpabile
- Età di esordio < 20 anni
- Dolore addominale acuto
- Granulociti alla biopsia dei piccoli vasi
- Ematuria
- Dolore articolare

COMPLICANZE GASTROINTESTINALI
- Melena
- Perforazione intestinale
- Infarto intestinale
- Sub occlusione intestinale
- Invaginazione intestinale

Il suo esordi è improvviso e nella maggioranza l’evoluzione è rapida e benigna.


La durata media di questa malattia è di 2-4 settimane. Esistono però dei
casi atipici la cui durata può protrarsi per anni con periodiche oscillazioni
tra ricadute e benessere. I fattori prognostici della PSH sono stati studiati
soprattutto negli adulti.
La prognosi della PSH è globalmente eccellente, la possibilità di sequele a
livello renale giustifica la necessità di sorvegliare sui parametri di
funzionalità renale per un lungo periodo dopo la guarigione clinica.
È necessario sorvegliare sul rischio di coinvolgimento renale per la
possibile evoluzione vero l’insufficienza renale cronica.
Il coinvolgimento renale può aggravare la prognosi a lungo termine della
PSH. L’interessamento renale può interessare il 20%-30% dei pazienti con
PSH: la sua espressione più tipica è l’ematuria con/senza proteinuria.
La patogenesi si basa sulla deposizione delle IgA.

TERAPIA
Vi è consenso unanime sulla terapia con ANTINFIAMMATORI NON STEROIDEI (ibuprofene, flurbiprofene,ecc) per la
sintomatologia dolorosa articolare o per la comparsa di edema dolente alle estremità, non vi sono linee guida circa
l’utilizzo della terapia con steroidi nei casi di coinvolgimento gastrointestinale e renale.
Il prednisone può essere utilizzato per brevi periodi nelle manifestazioni addominali. Il trattamento della
glomerulonefrite in corso di PSH è controverso.
Nella nefrite il prednisone può essere adoperato per controllare il processo biologico della malattia. Esso può essere
associato alla azatioprina e a una terapia antiaggregante.
La ciclofosfamide è di ausilio nella nefrite resistente agli steroidi.
Il rash persistente per un periodo superiore a un mese rappresenta un segno clinico predittivo della possibilità di
sequele renali o di insorgenza di ricaduta di malattia in bambini affetti da PSH.

103
VASCULITI CRIOGLOBULINICHE

Per crioglobulinemia si intende una sindrome che è caratterizzata dalla presenza di immunoglobuline circolanti che
sono poli o monoclonali. “Crio” perché a freddo, cioè al di sotto di 37 C°, tendono a precipitare, a formare
immunocomplessi e a consumare i fattori del complemento, innescando la solita cascata infiammatoria con la
possibilità che ci sia una vasculite, soprattutto dei piccoli vasi. La vasculite crioglobulinemica è una sindrome che si
associa a malattie autoimmuni o infettive o infiammatorie croniche. Nella maggior parte dei casi sono HCV relate. È
caratterizzata da lesioni infiammatorie che interessano i vasi di piccolo e medio calibro e può dare una vasculite
leucocitoclastica (cioè c’è un accumulo e un deposito di cellule di tipo infiammatorio, in seguito a deposizione di
immunocomplessi, perché i vasi sono piccoli o medi e queste cellule che vengono richiamate in sede tendono a
stagnare perché non riescono a circolare in modo abbastanza fluido). Ci sono 3 tipi di vasculiti crioglobulinemiche:

Tipo 1: è dovuta ad anticorpi monoclonali perlopiù di tipo IgM e a volte di tipo IgG. Si associa a malattie
linfoproliferative come il mieloma multiplo, il morbo di Waldenstrom e altre. Cenni di malattie ematologiche da sapere
per immunologia clinica: il mieloma multiplo e Waldenstrom sono molto simili tra di loro e sono malattie
linfoproliferative croniche associate a una proliferazione tumorale delle plasmacellule (quindi la cellula tumorale è la
plasmacellula). Nel mieloma multiplo la plasmacellula produce IgG, mentre nel morbo di Waldenstrom si producono
IgM. La differenza tra le due è che Waldenstrom è una sindrome da iperviscosità perché le IgM sono pentameriche e
quindi pesano molto (la Falsetti boccia se non si sa questo). Quindi in Waldenstrom la cosa peggiore è l’iperviscosità
perché non è una malattia molto aggressiva e le plasmacellule si possono depositare nel midollo, nei linfonodi, nella
milza e nel fegato, ma il paziente va trattato solo quando c’è una sindrome da iperviscosità con sintomi quali: acufene,
mal di testa, offuscamento visivo. A volte si fanno le plasmaferesi per togliere le immunoglobuline Nel Waldenstrom e
nel mieloma multiplo si ha perlopiù presenza di componente monoclonale nel sangue e si può avere nelle urine,
oppure viceversa si può avere un mieloma micromolecolare che perde solo catene leggere e non ha catene pesanti nel
siero.

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Tipo 2: è mista con una
componente monoclonale. (Ci
accorgiamo di una componente
monoclonale con l’elettroforesi
delle proteine la quale ci segnala
la presenza di una componente
monoclonale in zona gamma o in
zona beta (per esempio le IgM
che sono più pesanti si possono
mettere o in zona beta o in zona
alfa 2). Poi per essere sicuro della
componente monoclonale
facciamo due cose: il dosaggio
delle immunoglobuline e
l’immunofissazione sierica (anticorpo che si lega ad un anticorpo e migra e ci fa vedere una bandina nel gel. Identifica il
tipo di anticorpo (kappa, lambda) e ci dice quanto è). Se invece siamo davanti ad una ipogammaglobulinemia, per
escludere che sia un ipogamma secondaria a una malattia mieloproliferativa cronica o linfoproliferativa cronica, prima
di dire che il paziente ha una immunodeficienza comune variabile, dobbiamo ricercare le immunoglobuline nelle urine
perché se il paziente ha una malattia linfoproliferativa con una iperproduzione di anticorpi, soprattutto di catene
leggere per cui non si forma l’anticorpo completo, le catene leggere passano nelle urine perché sono piccole. Quindi si
perdono catene leggere nelle urine e si perdono anticorpi perché non si riescono a formare correttamente e c’è una
ipogammaglobulinemia. Soprattutto, dunque, risulta positiva l’immunofissazione urinaria. Quindi si consiglia al
paziente di raccogliere le urine delle 24h, si deve segnare la quantità fatta in quell’arco di tempo e deve essere
richiesta l’immunofissazione urinaria che dosa la le catene leggere nelle urine, che normalmente sono assenti. Di solito
queste catene leggere sono monoclonali perché siamo nell’ambito delle sindromi linfoproliferative tumorali. Ma anche
nelle forme di gammopatia benigna (frequente negli anziani) si possono ritrovare catene leggere nelle urine ma questo
non basta a dirci che il soggetto ha una patologia maligna. Avere una componente monoclonale nelle urine e/o nel
siero non vuol dire necessariamente avere una patologia maligna, ma si può avere una gammopatia monoclonale
benigna (ora in realtà si chiama MGUS, dall'acronimo in inglese di monoclonal gammopathy of undetermined
significance perché con il tempo può progredire verso una condizione maligna, ovvero un mieloma multiplo. Ma
questo accade solo nel 5% dei soggetti che hanno una MGUS). Elettroforesi delle proteine con picco in zona gamma (a
volte alfa2 e beta, in caso di IgM) dosaggio delle immunoglobuline immunofissazione urinaria. Se abbiamo
ipogammaglobulinemia immunofissazione urinaria che dosa le catene leggere (se presente l’intera componente
monoclonale l’immunofissazione urinaria è negativa perché magari quel soggetto ha una iperproduzione di
immunoglobuline monoclonali ma su uno sfondo di insufficienza renale, per cui il rene non riesce a trattenere
l’eccesso di immunoglobuline che si ritrovano nelle urine). Avere una proteinuria di Bence Jones positiva (presenza di
catene leggere nelle urine) può essere pericoloso perché se sono tante possono 1) denotare una condizione
neoplastica o pre-neoplastica importante e 2) danneggiare il rene. Associazione a ipercalcemia che si può avere nel
mieloma multiplo perché siamo in una condizione tumorale le plasmacellule si vanno a localizzare perlopiù nell’osso,
con attivazione degli osteoclasti, riassorbimenti osseo, ipercalcemia e ipercalciuria. Quando sospettiamo una
crioglobulinemia dobbiamo fare l’immunofissazione sierica perché se ritroviamo la componente monoclonale
(presente nel tipo uno e due) con un quadro clinico compatibile la diagnosi è quasi fatta. Al contrario se facciamo il
dermatologo e ci viene un paziente con una sospetta vasculite da crioglobulinemia subito facciamo l’elettroforesi delle
proteine e l’immunofissazione sierica perché saremo confortati da una componente monoclonale, o IgM nel tipo uno,
o IgM associate a IgG policlonali nel tipo due. La crioglobulinemia di secondo tipo si associa nel 90% ad infezioni
croniche da HCV, ma anche a condizione di autoimmunità e malattie linfoproliferative.

Tipo 3: è più difficile da diagnosticare perché non c’è la monoclonalità. È policlonale. È ad IgM ed IgG ed anche qua si
associa sempre a infezioni croniche, condizione di autoimmunità e malattie linfoproliferative.
Se c’abbiamo un soggetto HCV positivo con una manifestazione di vasculite leucocitoclastica dobbiamo pensare ad
una sindrome da crioglobulinemia o di tipo 2 (si fa l’immunofissazione sierica ed elettroforesi delle proteine e dosaggio
IgG, IgA ed IgM) o di tipo 3 (qui la monoclonalità non può essere riscontrata perché le Ig sono pliclonali policlonalità,
però ci sono l’epatite cronica e le altre manifestazioni). Le Ig aumentano in caso di infezione da HCV perché oltre ad
essere un virus epatotropo è un virus linfotropo. I linfociti aumentano sia in risposta all’infezione (motivo per cui
proliferazioni e picchi policlonali sono spesso associati ad infezioni croniche) sia per un effetto diretto del virus che si
lega, tramite la proteina E2, al recettore CD81 espresso sui linfociti B, inducendoli a proliferare. In questo modo il virus
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ha una azione oncogenica sia negli epatociti che nei linfociti, portando ad una proliferazione policlonale e poi
monoclonale fino allo sviluppo di un linfoma. Nel linfocita il virus induce una traslocazione 14-18 ed induce un gene, il
Bcl2, che si usa tantissimo per fare diagnosi di linfoma perché è un gene che normalmente induce l’apoptosi cellulare
per cui se viene spento si ha l’induzione di una proliferazione che da policlonale diventa oligoclonale e poi
monoclonale fino a diventare linfoma non Hodgkin di tipo b.
Ovviamente non tutti i pazienti con epatite C svilupperanno un linfoma o una sindrome crioglobulinemica. Quando c’è
però una componente monoclonale in un’epatite C, con una crioglobulinemia bisogna sempre escludere una malattia
linfoproliferativa. Ovviamente ci sono altri cofattori quali: una maggiore suscettibilità genetica, la prolungata
stimolazione antigenica associata ad infezioni croniche soprattutto dovute a virus che possono integrare il loro genoma
con quello della cellula ospite (si parte con una attivazione policlonale dei linfociti dovuta all’azione di superantigeni),
attivazione di oncogeni o inibizione di geni oncosopressori, ridotta capacità di eliminare gli immunocomplessi circolanti
da parte del sistema reticolo-endoteliale (fegato, milza, midollo, in misura minore negli altri organi linfoidi), possibilità
di cross-reattività con altri antigeni.

La crioglubulinemia mista (tipo 2 o 3) si associa all’infezione da HCV nell’80-90% dei casi. L’HCV virus epatotropo e
linfotropo favorisce una proliferazione policlonale di linfociti B.

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COFATTORI
- Maggiore suscettibilità genetica;
- Prolungata stimolazione antigenica;
- Attivazione policlonale dei linfociti B;
- Particolari proprietà superantigeniche di agenti infettivi;
- Attivazione di protoncogeni
- Riduzione della clearance degli immunocomplessi circolanti da parte del sistema reticolo-endoteliale nel
fegato
- Cross reattività dei vari antigeni

PATOGENESI

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MANIFESTAZIONI CLINICHE
Come si verifica una vasculite crioglobulinemica? Abbiamo anticorpi monoclonali/oligoclonali/misti, prodotti da un
linfocita B attivato, che tendono a depositare come immunocomplessi nella parete vasale di vasi di piccolo e medio
calibro, attivano il complemento e le citochine infiammatorie, richiamano leucociti e si ha la stasi delle molecole e
delle cellule infiammatorie. C’è quindi una infiammazione classica con rossore, dolore, porpora, che denota il
coinvolgimento dei piccoli vasi). Quindi c’è una vasculite leucocitoclastica che non è patognomonica di vasculite
crioglobulinemica ma si ritrova in tutte le vasculiti a piccolo e medio calibro (come ad esempio la Schoenlein Henoch).
La diagnosi è soprattutto clinica.
Caratteristica è infatti la triade di
Meltzer:
- Astenia
- Artralgie (perché gli anticorpi si
vanno a depositare anche nei
piccoli vasi delle articolazioni)
- Porpora palpabile ortostatica
(perlopiù nelle zone declivi dove
c’è una stasi venosa e linfatica)
Inoltre può esserci un
interessamento multi
distrettuale perché può essere
evidente anche a livello cutaneo,
può dare disfunzione anche di
alcuni organi (soprattutto il rene,
perché colpisce i vasi di piccolo
calibro). Per quanto riguarda la
stadiazione, è possibile dividere
la VC in tre stadi clinici
corrispondenti ad una malattia
progressivamente più severa e
ad una prognosi più infausta, ed
in due varietà cliniche, A e B a
seconda che la funzionalità
renale sia normale o alterata.

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STADIAZIONE
È possibile dividere la VC in tre stadi clinici corrispondenti ad una malattia progressivamente più severa e ad una
prognosi più infausta, ed in due varietà cliniche, A e B a seconda che la funzionalità renale sia normale o alterata.

VARIANTE A: Funzione renale normale con creatinina <1.4 mg/dl e proteinuria <0.14g/24 h

VARIANTE B: Funzione renale alterata con creatinina >1.4 mg/dl e proteinuria >0.14 g/24

STADIO I

- Porpora a livello dei segmenti distali degli arti inferiori


- Astenia
- Artralgie
- Funzione epatica normale
- Bilirubinemia totale < 2,0 mg/dl
Albuminemia > 3.5 g/dl
INR < 1.2
- Quadro istologico epatico con lesioni minime o epatite cronica persistente
- Infiltrati B linfocitari a livello midollare

STADIO II
- Porpora agli arti inferiori e al tronco (score 2)
- Neuropatia periferica sensitivo-motoria, lieve o moderata
- Danno epatico moderato
- Bilirubinemia tot tra 2 e 3 mg/dl,
Albuminemia compresa tra 3,5 e 2,8 g/dl
INR >1.2
- Quadro istologico epatico di epatite cronica attiva.

STADIO III
- Ulcere cutanee arti inferiori e/o al tronco
- Neuropatia periferica sensitivo-motoria grave
- Quadro istologico e bromurale di cirrosi epatica
- Segni di ipertensione portale e/o encefalopatia epatica Quadro istologico oste midollare o linfonodale di LNH

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SIEROLOGIA: Rilievo e tipizzazione Crioglobuline
• Sangue venoso posto a 37 C° per 2 ore, per ottenere una completa coagulazione, a 4 C° per 96 ore affinché le
crioproteine possano precipitare.
• I crioprecipitati, detti crioliti, sono sottoposti a lavaggio in 4 tempi
• Immunolettroforesi su gel di poliacrilamideo immunofissazionedelle componenti mono e policlonali
• Ipocomplementemia, nel 90% dei pazienti con VC, distingue tali vasculiti da quelle normo o iper
complementinemiche con ANCA positivi quali la GRANULOMATOSI DI WEGENER.
• Fattore 4 del complemento ß
• Fattore 3 del complemento decorso fluttuante
• Fattore reumatoide circolante presente ad alto titolo.
• Anticorpi anti virus C dell’epatite nel 90% dei casi
• HCV Rna presente nell’80% dei casi (ricercarlo nel criocrito!)
• Ipertransaminasemia, creatinina, proteinuria
• Anticorpi anti HBV, HBS ag, anticorpi antinucleo, antimuscololiscio, antifosfolipidi

DIAGNOSI DIFFERENZIALE
- Panarterite
- Arterite a cellule giganti di Horton
- Vasculiti cerebrali
Tutte con coinvolgimento di vasi di piccolo e medio calibro

TERAPIA
• Diretta verso HCV e/o linfoma – Nuovi antivirali à stanno rivoluzionando il controllo dell’infezione da HCV e quindi
anche della crioglobulinemia – Anticorpo monoclonale anti-CD20 (Rituximab)
• Gestione delle complicanze e delle fasi acute:
– terapia steroideaad alto dosaggio riservata soprattutto alle fasi di acuzie e di grave compromissione renale.
– Plasmaferesi
– Dieta a basso contenuto antigenico (lowantigencontent diet/ LAC –diet) è utilizzata in molti disordini mediati da
immunocomplessi (GN da IgA) à migliore clearance degli immunocomplessi favorendo l’attività del SRE.

CONCLUSIONI
• L’approccio terapeutico delle VC va modulato in ogni singolo paziente e sulla base della gravità del quadro clinico
• Durante le fasi asintomatiche della malattia non è necessario ALCUN TRATTAMENTO.
• Fondamentale la terapia eradicante HCV e linfoma
• Per sintomi lievi-moderati, come la porpora sono utili bassi dosaggi di STEROIDI.
I casi più gravi con severe manifestazioni vasculitiche devono essere trattati prontamente con terapia combinata
basata su
• PLASMAFERESI
• ALTE DOSI DI STEROIDI
• IMMUNOSOPPRESSORI
• RITUXIMAB
È utile monitorare la malattia con particolare attenzione alle complicanze neoplastiche (LNH)

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