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Nella linea linfoide: a seconda del tipo di linfocita che deve essere prodotto, esso
può maturate esternamente, è il caso dei linfociti T che maturano nel timo (linfocita
B e NK - natural killer maturano nel midollo osseo). Una volta completata la loro
maturazione sono inviati nei tessuti periferici. DOPO LA MATURAZIONE NEL TIMO:
LINFOTICI T HELPER o LINFOCITI T CITOTOSSICI. I linfociti B invece (Bone) maturano
nel midollo
SISTEMA IMMUNITARIO – serve per controllare che tutto vada bene. Ci difende dai
patogeni, ma anche controlla diverse altre cose. Quando un patogeno penetra
nell’organismo produce delle tossine e danni. Il sistema immunitario provvede
anche a difenderci da tutte le anomalie che sono prodotti dall’organismo stesso (es.
neoplasie per mutazioni… - antigeni tumorali). Le risposte immunitarie possono
essere indotte da varie agenti tali: virus, batteri parassiti, trapianti … IMMUNITA
NATURALE - UMORALE (complementi) O CELLULARE (Fagociti e NK). IMMUNITÀ
SPECIFICA – UMORALE (complementi, anticorpi) O CELLULARE (linfociti B e T).
L’IMMUNITÀ INNATA E ACQUISITA SONO ARMI DIVERSI CON UNO STESSO SCOPO
FINALE: ELIMINARE/MINIMIZZARE I DANNI
I Linfociti T riconoscono
l’antigene esposto tramite il recettore
TCR e si attivano. I linfociti T
citotossici invece riconoscono la
cellula eucariotica che espone
l’antigene specifico pericoloso
inducendo la cellula alla apoptosi –
innietando perforine e granzimi, o
producono dei fattori solubili (ligandi-
linfotossine) che inducono alla apoptosi. Il linfocita B, se trova un Thelper con lo
TCR/TBR giusto viene piu facilmente attivato. La presenza di due tipi di IMMUNITÀ
serve perché agiscono in tempi e modi diversi, peciò sono piu o meno adatte a ogni
tipo di “attacco”. Gli attachi non proteici invece, non attivano il sistema immunitario
(esempio agente chimici/radiazioni) ma dai sistemi imfiammatori in risposta ai danni
tissutali.
RIASSUMENDO:
1.REAZIONI DI IPERSENSIBILITA:
Molecole solitamente innocue che possono stimolare la risposta immune
acquisita e creare una memoria immunologica. Nei soggetti sensibilizzati si crea
una reazione infiammatoria eccessiva e un danno tissutale ogni volta che
l’organismo viene in contatto con l’antigene. L’iperreazione dell’organismo a
questi antigeni ambientali normalmente non nocivi è della REAZIONE DI
IPERSENSIBILITÀ (i – iv). Es urticaria, asma, febbre da fieno… Le reazione di
ipersensibilità del tipo I,II e III richiedono la formazione di un anticorpo specifico
per un antigene esogeno o endogeno. La ipersensibilita di tipo 4 invece richiede
la produzione di linfociti T specifici per l’antigene
Quando? Avviene da uno stimolo lesivo che causa la morte di cellule per
NECROSI – attivando l’infiammazione – reazione immunologica che si innesca
per provvedere all’eliminazione della causa del danno e per la riparazione del
tessuto (quando possibile)
Dove? L’infiammazione è un fenomeno per definizione locale. Alcune
molecole prodotte nella sede primaria passano nel sangue e agiscono su
organi a distanza (infiammazione sistemica es: fegato) . Epatociti rilasciano
altre molecole che sono responsabili della risposta di fasi acuta. Febbre e
leucocitosi sono manifestazioni sistemiche della flogosi
o Altre cellule
Eosinofili – circolano nel sangue. Sono presenti nelle reazioni
mediate da IgE, come ipersensibilità e le risposte allergiche e
asmatiche. Producono perossidasi e sono importante nelle difese
contro parassiti e infiammazioni croniche
Le piastrine svolgono un ruolo centrale nell’emostasi e nella
formazione del coagulo. Sono anche fonte di mediatori chimici
vasoattivi e modulatori della riparazione tissutale (regolano la
risposta proliferativa delle cellule mesenchimali
Fibroblasti – I fibroblasti sono cellule a vita lunga tipiche del
tessuto connettivo, in grado di produrre le componenti della
matrice extracellulare. Nelle infiammazioni croniche, i fibroblasti
producono citochine, chemochine e prostanoidi che regolano il
comportamento delle cellule infiammatorie nel tessuto
danneggiato.
o Tra l’interno e l’esterno dei vasi non c’è mai un equilibrio totale (è
necessario un piccolo squilibrio che permette degli scambi fisiologici
come, per esempio, tra ossigeno/CO2. La legge di Starling regola questo
equilibrio. Le forze coinvolte sono:
Pressione idrostatica – deriva dal flusso sanguigno e dal volume
del plasma (dipende dal cuore - origine della pressione tramite
battiti cardiaci) l’aumento della pressione idrostatica spinge
liquidi fuori dai vasi. (nelle arterie è maggiore e nelle venule
minore)
Pressione oncotica – diversa concentrazione proteica all’interno
(è superiore grazie all’albumina e richiama liquidi all’interno della
cellula) e all’esterno dei vasi.
Il drenaggio linfatico: trasporto dei liquidi usciti in eccesso a
livello dei capillari (dove avviene lo scambio gasoso) nel sistema
linfatico
Nell’infiammazione, la dilatazione arteriolare fa aumentare sia il volume di sangue
che la pressione idrostatica. Con l’aumento della permeabilità endoteliale
(rilassamento delle giunzioni serrate tra le cellule endoteliale) aumenta la fuoriuscita
di liquidi e proteine nello spazio interstiziale, facendo annullare la differenza di
pressione oncotica. L’accumulo di liquido all’interno del tessuto, chiamato EDEMA, è
limitato all’area vicina al danno, dove si gonfia. La funzione dell’edema è facilitare la
formazione dell’essudato
FASE CELLULARE
o FORMAZIONE DELL’ESSUDATO: l’essudato è una miscela interstiziale
composta da liquidi e proteine (edema), cellule immunitarie (fagociti),
mediatori infiammatori (IL-1, IL-6, TNFalfa, istamina), la causa del danno
(patogeni, tossine, ecc). La funzione è mettere in contatto la causa del
danno con le cellule immunitarie. L’essudato mette in contatto il
patogeno con i mediatori infiammatori e le cellule del sistema
immunitario. Le cellule dell’IMMUNITÀ innata devono raggiungere ed
accumularsi nel sito della lesione per eliminare microorganismi,
rimuovere detriti cellulari e riparare i danni tissutali
COMPOSIZIONE DELL’ESSUDATO – E sempre composto da acqua, eritrociti,
leucociti e fibrinogeno, ma le proporzioni cambiano. La reazione tissutale
dipende dalla natura dell’agente lesivo e dall’entità della risposta dell’ospite.
o ESSUDATO SIEROSO – prevale la componente acquosa e sono
solitamente prodotti da danni lievi. es vescica da ustione lieve
o ESSUDATO FIBRINOSO – Ricco di fibrina a causa dell’attivazione della
cascata della coagulazione. es. tipico della pericardite reumatica
(pleura, pericardio, peritoneo)
o ESSUDATO EMORRAGICO – Ricco di eritrociti. Es. lesione vasale,
infezioni
o ESSUDATO CATARRALE – Rico di mucco e di cellule desquamate. Es:
mucose nei raffreddori e bronchiti
o ESSUDATO PURULENTO – Ricco di leucociti. Caratteristico dalla
presenza di batteri piogeni (s. aureus) che libera molte tossine.
Neutrofili attivati liberano prodotti tossici. Si determina la necrosi
colliquativa (Necrosi colliquativa o liquefattivi: avviene per digestione
delle cellule morte. Il tessuto normale lascia spazio a una massa liquida
viscosa (pus), contenente detriti cellulari (leucocitari e non leucocitari),
detriti di microrganismi (più spesso batteri), enzimi e altre proteine) dei
tessuti che si riempiano di un essudato purulento- il pus.
INFIAMMAZIONE CRONICA –
Lunga durata (settimane o mesi),
Ridotto o assenza di edema (non c’è la formazione dell’essudato- movimento
di fluidi importanti con fase vascolare che è ridotta)
La fase cellulari è carica più dei macrofagi anche linfociti e plasmacellulare
Progressivo danno tissutale (la distruzione è lenta e continuativa)
Le riparazioni tissutale avvengono in continuazione e contemporaneamente
alla loro distruzione (fibrosi). È spesso associata a risposte riparative come
nel tessuto di granulazione e nelle fibrosi
angiogenesi – produzione di nuovi vasi da vasi pré-esistenti, per potenziare la
riparazione dei tessuti ed eliminazione dei detriti (nella acuta non succede
perché non c’è tempo)
MALATTIA CRONICA
ES. gotta cronica – cristalli di urato monosodico che si depositano e se
circondano da infiltrato infiammatorio con caratteristiche del granuloma da corpo
estraneo. La presenza nel tempo dei macrofagi fa sì che il tessuto articolare venga a
mano a mano distrutto
TIPI DI FERITA
PRIMA INTENZIONE – piccoli danni, margini netti e strettamente giustapposti,
facilmente suturabili
SECONDA INTENZIONE – ferita estesa con perdita epiteliale. Ampio difetto del
tessuto sotto epiteliale che viene riempito da tessuto di granulazione,
successivamente sostituito da estesa cicatrice. I lembi non possono essere
accostati con punti di sutura
LA TRASFORMAZIONE NEOPLASTICA
Benigni Maligni
Crescita lenta Crescita rapida
Crescita non infiltrante Crescita infiltrante
Cellule simili al tessuto di origine – ben Cellule diverse dal tessuto di origine –
differenziato non differenziato
Cellule di dimensioni normali Cellule di dimensioni abnormi
La neoplasia non di diffonde La neoplasia si diffonde ad organi
anche distanti - metastasi
Uccide l’ospite solo quando Uccide l’ospite sempre – se non
danneggia funzioni vitali trattato
REGIONALITA’
Alcune cellule maligne metastatizzano in modo preferenziale in alcuni
organi,
Esistono dei segnali che guidano le cellule tumorali : flusso ematico,
recettori endoteliali, fattori chemiotattici (sede di un’infiammazione).
Alcuni organi sono bersagli favoriti di metastasi: ossa (cancro mammella
e prostata), polmoni (cancro mammella), fegato cervello e surrenali
(cancro polmone). – perché sono a vale del punto di contaminazione,
perché presentano fattori della crescita adatti
Alcuni organi non sono bersaglio di metastasi: rene, milza, muscolatura
scheletrica, cuore.
5 - ANGIOGENESI
CAUSE DELL’ALTERAZIONE
1. Mutazioni dovute a errori casuali nella duplicazione del DNA nelle cellule
2. Mutazioni indotte da agenti cancerogeni (chimici o fisici : stimolo
ambientale)
3. Virus trasformanti (mutageni o non)
Non tutte le cellule sono originarie di tumore (a priore escludiamo tutte quelle che
non hanno capacità di proliferarsi chiamate stabili come quelle neurali. Poi ci sono le
quiescenti( come gli epatociti) che con gli stimoli giusti potrebbero entrare in fase
proliferativa. Ovviamente le cellule proliferanti ( staminali)i sono quelle più soggette
a diventare cellule
Quando una cellula staminale pluripotente adulta (per esempio
mesenchimale) si divide per mitosi (è una divisione asimmetrica – una
uguale alla mamma, una differenziata) la cellula differenziata matura e
raggiunge il suo aspetto finale e funzione. Via a via che matura, la sua
capacità proliferativa diminuisce fino alla maturazione completa dove non
prolifera più.
Le caratteristiche della cellula staminale determina la sua propensione a
diventare un tumore o maligno (capacità proliferativa maggiore – poco
differenziata, molto proliferativa – poco matura) benigno capacità
proliferativa maggiore – molto differenziata, poco proliferativa – molto
matura)
Ossia. Quanto prima la mutazione accade nella fase di maturazione
maggiore la probabilità della insorgenza di un tumore maligno
PROTO-ONCOGENI E ONCOGENI
Proto-oncogenesi sono geni cellulari che, sotto stimolazione
promuovono la proliferazione e il differenziamento. Delle mutazioni
quantitative o qualitative li trasformano in ONCOGENI essi stimolano
sempre la proliferazione, anche senza uno stimolo esterno
(proliferazione incontrollata)
Protooncogeni possono essere di diverse categorie: fattori di
crescita, recettori per fattori di crescita, fattori di trasduzione del
segnale, proteine che legano il DNA coinvolte nella trascrizione,
proteine del ciclo cellulare
Attivazione quantitativa del pro-oncogeno: MUTAZIONE SUL PROMOTORE -
aumenta la espressione ma è la stessa proteina che viene espressa : traslocazione
cromosomica, inserzione di un virus a RNA lento, amplificazione genica, mutazione
nel promotore: la proteina non cambia la sequenza codificante – Ma essendoci di
più, la proliferazione è più elevata: poiché si associala proteina che controlla la
proliferazione a più ligandi. ES. egf-r
GENI ONCOSOPPRESSORI – sono geni che codificano per proteine che impediscono
alla cellula di proliferare in modo incontrollato (Rb, p53, APC). Se la mutazione
inattiva i geni oncosoppressori la proliferazione succede in modo incontrollato
(RB,p53,APC)
P53 – è l’oncosoppressore con più funzioni . Sorveglia e protegge il
genoma dalle mutazioni (xchè esse non vengono stabilizzate) –
attiva i meccanismi di riparazione, blocca la cellula nel ciclo cellulare
per evitare che essa inizi la fase proliferativa, dando tempo ai sistemi
di riparazione per agire). Se il meccanismo di riparazione non riesce
a riparare la mutazione, il P53 induce la cellula alla apoptosi.
Gli oncosoppressori possono essere inattivati tramite la mutazione
del gene (delezione della regione cromosomica, ma anche
inattivando la proteina (in particolare alcuni virus che interagiscono
con la proteina inattivandola )
emorragiche
mentre si aggregano le
piastrine del tappo
secondario, altre cellule
possono essere
intrappolate come
neutrofili, cellule del
sangue
quello che non è strettamente necessario verrà degradato (es. le cellule
intrappolate) grazie ad enzimi (fibrinolisi – limita le dimensioni del coagulo)
– ossia: il plasminogeno viene convertito in plasmina (grazie agli attivatore
del plasminogeno: urochinasi e attivatore del plasminogeno tissutale – che
sono prodotte dal tessuto non danneggiato, sottostante e all’endotelio
attorno danno che è in parte danneggiato ) che degrada la fibrina presente
nella parte verso il lume “limando” la parte superiore del coagulo. I
frammenti di degradazione (sono anche un marker che possono essere
misurati per seguire certe patologie)
o patologicamente il meccanismo di fibrinolisi può non funzionare in
maniera corretta il che rappresenta una cresciti esagerata del
coagulo, ostruendo i vasi con conseguente ischemia a vale
riassumendo:
La legge del flusso laminare rege so scorrimento del sangue nei vasi, ossia,
quello centrale scorrono più veloci di quelli che entrano in contatto con le
parete dell’endotelio perché non hanno lo stesso attrito – questo è il
motivo per cui i fattori della coagulazione scorrono centralmente. Quando
l’endotelio viene danneggiato, i fattori incontrano l’endotelio e si attivano
CAUSE DI ISCHEMIE
TROMBOSI
EMBOLIA - trasporto di materiali non disciolti nel sangue e arresto in vasi distali
di diametro inferiore a quello dell’embolo. Emboli venosi finiscono nel polmone,
quelli arteriosi ovunque. Gli emboli possono essere:
Trombi distaccati – natura venosa
Particelle di grasso (che si staccano dopo la rottura di tessuto adiposo es
frattura)
Vegetazioni delle valvole cardiache ( contaminazione – formano un biofilm
– sostanze gelatinose insolubili attaccate alle valvole che con il
funzionamento delle valvole si staccano)
Gas (bollicine di gas es. azoto durante l’immersione)
Porzioni di placche ateromatose – placche aterosclerotiche che si staccano
ASPETTI MORFOLOGICI
STRIA LIPIDICA: strie allungate di 1-2mm contenenti lipidi e macrofagi presenti
nell’intima delle arterie fin dalla prima infanzia (fisiologicamente). Non
riducono il lume del vaso e non ne compromettono l’integrità strutturale. In
presenza di fattori di rischio cardiovascolare possono progredire nelle lesioni
più avanzate
DANNO DA RIPERFUSIONE
Es.Infarto del miocardio dovuto ad una trombosi coronaria
Terapia trombolitica entro 4-6 ore porta a benefici ma anche effetti nocivi
(un paziente arriva in spedale con un trombo – prende terapia trombolitica
– alcune cellule sono danneggiate ma non sono ancora necrotiche e
possono essere recuperate).
Il ristabilirsi del flusso ematico nella regione ischemica porta alla
produzione di un eccesso di radicali liberi da parte di neutrofili e
cardiomiociti. Come sono danneggiate, non riescono a smaltire i radicali
liberi e muore
I cardiomiociti danneggiati reversibilmente dall’ischemia vengono
“tramortiti” dai radicali liberi. Il loro recupero è molto più lento o muoiono.
CAUSE DI EDEMA
Infiammazione – aumenta la permeabilità vascolare – edema
Alterazione delle forze di Starling – aumento pressione idrostatica o
diminuzione pressione oncotica. Es. alterata concentrazione di proteine
(mancanza di amminoacidi per dieta povera – malnutrizione esempio
ventre con ascite – edema per uscita di liquidi )
Blocco dei vasi linfatici – linfedema ( es : per rimozione chirurgica)
“A” numero di massa: è la somma del numero di neutroni e di protoni presenti (totale di nucleoni) determina le
proprietà fisiche
“Z” numero atomico: numero di protoni del nucleo, che determina le sue proprietà chimiche. (un atomo neutro ha la
stessa quantità di protoni ed elettroni)
Isotopi : stesso Z ma un A diverso= uguale numero di protoni, diverso numero di neutroni. La differenza di massa fra
due isotopi di un elemento è dovuta a un numero differente di neutroni nel nucleo e non modifica in nessun modo il
comportamento chimico dell’elemento. Il comportamento fisico invece varia al variare di A, per cui alcuni isotopi di
uno stesso elemento possono essere energeticamente instabili e possono rilasciare energia sotto forma di radiazioni
(si parla allora di radioisotopi es: Uranio (Z=92), l’238U e l’235U, e dello Iodio, lo 123I e lo 131I, impiegati in esami di
diagnostica medico nucleare e radioterapia metabolica.
La coesione del nucleo atomico - i protoni sono carichi positivamente e tendono a respingersi per azione della forza
repulsiva di natura elettromagnetica la presenza dei neutroni a garantire l’aggregazione stabile dei nuclei perché tra i
nucleoni esiste una forza di tipo attrattivo di natura non elettromagnetica (“forza nucleare forte”) capace di vincere la
forza repulsiva elettromagnetica esistente tra i protoni.
TERANOSTICA – radiazioni ionizzante utilizzate come terapia (ionizzazione diretta) e per diagnostica (ionizzazione
indiretta)
Le radiazioni - un insieme di fenomeni caratterizzati dal trasporto di energia nello spazio sotto forma di onde
elettromagnetiche (prive di massa) o di particelle corpuscolari (dotate di massa). Tutti i tipi di radiazione hanno la
possibilità di cessione dell’energia trasportata ad un mezzo materiale, i meccanismi di cessione possono essere
molto diversi in funzione del tipo di radiazione e della sua energia.
Le radiazioni elettromagnetiche:
si propagano alla “velocità della luce”.
mostrano proprietà ondulatorie : descritte in termini di lunghezza d’onda e di frequenza.
trasportano e scambiano con la materia energia in quantità discrete: i “quanti”
fotoni: privi di massa ma con comportamento corpuscolare particolarmente importante nella radiazione
elettromagnetica ionizzante. L’energia trasportata dai fotoni è proporzionale alla frequenza della radiazione
(moltiplicata dalla costante di Plank) E = h .
Radiazioni corpuscolari
particelle elettricamente cariche oppure neutre dotate di massa, che si muovono ad alta velocità (inferiore a
quella della luce).
Trasportano energia cinetica, perciò esistente soltanto con il movimento.
ottenute a partire da
o particelle esistenti come i costituenti fondamentali degli atomi e dei nuclei atomici (elettroni,
protoni, neutroni)
o particelle risultanti da processi di trasformazione nucleare come: alfa e delle particelle beta (che
hanno natura identica a quella degli elettroni, ma possono avere carica – o + - positroni)
ionizzanti- se durante un’interazione può trasferire alla materia un’energia sufficientemente elevata da
romperne i legami atomici o molecolari, così da modificarne lo stato chimico . – ossia a ionizzarli. Sono radiazioni
ionizzanti le particelle alfa,beta, neutroni, protoni e la radiazione elettromagnetica di più alta energia (lunghezza
d’onda inferiore a 10^-9 e frequenza superiori a 10^17) come UVC, raggi X e raggi gamma
È proprio per la capacità di produrre ionizzazioni all’interno delle cellule che le
radiazioni ionizzanti sono in grado di danneggiarle, però non sono direttamente
percepibili dai nostri sensi e la loro presenza può essere rivelata solo attraverso
opportuni strumenti di misura.
DIRETTAMENTE IONIZZANTI :
alfa, beta e i protoni: particelle dotate di carica
Grazie alla carica elettrica interagiscono con tutti gli elettroni e i nuclei che esse incontrano nell’attraversare il
mezzo, cedendo loro tutta una frazione dell’energia posseduta.
Formano una traccia di coppie ione-elettrone nel loro percorso
Le particelle α
non rappresentano un grosso rischio nel caso di irradiazione esterna perché non riescono a penetrare ad una
profondità sufficiente per danneggiare organi o tessuti (attraversano lo spessore di un foglio di carta fine)
conseguenza dell’elevato numero di interazioni per unità di percorso nel mezzo attraversato che porta a
una rapida perdita della loro energia cinetica e quindi a un rapido arresto.
molto pericolose nel caso di contaminazione interna (quando vengono introdotte all’interno
dell’organismo), poiché sono in grado di cedere alle strutture cellulari grosse quantità localizzate di energia
Radiazione
sono costituite da elettroni (-) e da positroni ( +).
caratterizzata da una distribuzione continua di energia
vengono arrestate da spessori relativamente sottili ma a causa della minore capacità di ionizzazione lungo il
loro percorso, a parità di energia cinetica trasportata, sono più penetranti delle particelle alfa α.
emissione di radiazione di frenamento: Oltre alla perdita di energia per ionizzazione, le radiazioni beta
possono perdere energia anche sotto forma di radiazione elettromagnetica (raggi X), in seguito alle brusche
variazioni di velocità quando la particella passa vicina al nucleo e risenta del suo intenso campo elettrico.
Il fenomeno di frenamento è maggiore nei materiali ad alto numero atomico (più protoni).
L’emissione di radiazione X per frenamento può far sì che una frazione dell’energia possa essere trasportata
anche oltre il range stesso delle particelle che, dopo aver perso energia interagendo con il materiale
attraversato al pari della radiazione beta-, si annichila assieme con un elettrone e producendo due fotoni di
uguale energia, pari a 511 keV, emessi in direzione opposta l’uno rispetto all’altro.
RANGE: è lo spessore percorso in media dalle particelle ed è definibile solo per le particelle cariche (radiazione
direttamente ionizzante).
INDIRETTAMENTE IONIZZANTI:
fotoni (raggi X e gama) e neutroni
NON creano direttamente una traccia di ionizzazione al loro passaggio ma interagiscono in maniera
discontinua con i mezzi materiali che attraversano.
I fotoni interagiscono con elettroni e nuclei atomici su base probabilistica con un processo del tipo “tutto o
niente”.
La cessione di energia avviene in due fasi: i fotoni e neutroni cedono la loro energia al mezzo materiale
attraversato producendo una particella carica che, a sua volta, è in grado di provocare ionizzazione nel mezzo
circostante.
Come conseguenza del diverso meccanismo di interazione le radiazioni indirettamente ionizzanti hanno una capacità
di penetrazione maggiore rispetto alle radiazioni direttamente ionizzanti di pari energia.
Radiazione X e gamma - Fotoni
Nel caso dei fotoni non ha senso parlare di range poiché, a causa della natura intrinsecamente
probabilistica delle loro interazioni, anche fotoni con la stessa energia possono percorrere distanze assai
differenti prima dell’interazione con il mezzo materiale attraversato . Non vi è nessun modo per prevedere
la profondità a cui uno specifico fotone arriverà.
Nel caso di un grande numero di fotoni si può calcolare la capacità di attenuazione di un fascio di fotoni: lo
Spessore EmiValente (SEV), ovvero, lo spessore di un determinato materiale in grado di dimezzare
l’intensità (il numero di fotoni) di un fascio che lo attraversa.
SEV - dopo aver attraversato un determinato spessore di materiale il numero di fotoni si sarà dimezzato: N/2
fotoni hanno interagito e sono stati fermati e N/2 fotoni non hanno interagito. Ogni successivo
attraversamento il numero di fotoni si dimezzerà: è una funzione “esponenziale decrescente”
Neutroni
hanno un elevato potere di penetrazione
Non interagiscono con gli elettroni atomici, ma soltanto con i componenti del nucleo: protoni e neutroni.
L’interazione dei neutroni con i nuclei dipende dalla loro energia e dalle caratteristiche dei nuclei degli
atomi del mezzo attraversato.
perdono energia: subendo diffusione, rallentamento o cattura da parte dei nuclei stessi.
La cattura dei neutroni da parte dei nuclei, con conseguente emissione di radiazione secondaria (sotto
forma di raggi gamma) è più probabile alle basse energie,
alle alte energie aumenta la probabilità di un urto elastico sui nuclei (specie su quelli a basso Z): il neutrone
tipicamente perde parte della sua energia e cambia direzione, mentre il nucleo colpito può rinculare e
costituire esso stesso una forma di radiazione secondaria. Anche nel caso dei neutroni non ha senso parlare
di range; in linea di principio per i neutroni monoenergetici è possibile definire uno spessore emivalente.
I RADIONUCLIDI sono nuclei atomici instabili che decadendo in altri nuclei più stabili emettono energia sotto
forma di radiazione elettromagnetica e corpuscolare (radioattività) , materiali contenenti radionuclidi in quantità non
trascurabili consistono sorgenti radioattive. MACCHINE RADIOGENE - sorgenti di radiazioni molto utilizzate ES:
produzione dei raggi X e gli acceleratori di particelle.
SORGENTE RADIOATTIVE :
Naturali - è principalmente dovuta al gas radon, ai raggi cosmici e ai radionuclidi primordiali presenti nella
crosta terrestre (fondo naturale di radiazione a cui sono esposti tutti)
Artificiali /indotta: macchine acceleratici di particelle e reattori nucleari largamente impiegate in Medicina
Nucleare e la Radioterapia (brachiterapia). Di tutte le esposizioni di tipo artificiale quelle mediche sono le sole
a dare un contributo significativo.
SIGILLATA: se NON sussiste la possibilità di dispersione significativa dei radionuclidi che la costituiscono.
NON SIGILLATA: se sussiste la possibilità di dispersione significativa dei radionuclidi che la costituiscono.
RADIOISOTOPI - isotopo radioattivo di un elemento, ovvero un isotopo il cui nucleo è energeticamente instabile e
che tende quindi spontaneamente a trasformarsi emettendo energia sotto forma di radiazione. Ad esempio, il
radioisotopo Iodio-124 decadendo + si trasforma in Tellurio-124, stabile.
In molti casi il termine radioisotopo è utilizzato come sinonimo di radionuclide.
DECADIMENTO RADIOATTIVO - è casuale: non si può predire se in un determinato intervallo di tempo dt un nucleo
radioattivo decadrà oppure no. La probabilità che decada è uguale al prodotto tra tempo e la costante di
decadimento.
TEMPO DI DIMEZZAMENTO O EMIVITA, che rappresenta il tempo dopo il quale il numero di nuclei si è ridotto alla
metà del valore iniziale. Si può calcolare quanti nuclei radioattivi di una sorgente sono rimasti dopo un generico tempo
t – Il dimezzamento o emivita seguono un comportamento esponenziale decrescente
ATTIVITÀ DELLA SORGENTE è il numero di trasformazioni nucleari spontanee (decadimenti) nell’unità di tempo del
radionuclide contenuto nella sorgente.
Si misura in becquerel (Bq) dove 1 Bq = 1 decadimento al secondo
IL TUBO A RAGGI X (O TUBO RADIOGENO) è il dispositivo usato per produrre fasci di raggi X. Esso è costituito da
un’ampolla di vetro in cui è praticato il vuoto spinto e che contiene due elettrodi, tra i quali è stabilita una differenza di
potenziale elettrico. La ddp ha la funzione di accelerare e focalizzare sull’anodo gli elettroni che vengono espulsi da un
filamento (catodo) percorso da una corrente elettrica che lo riscalda ad altissima temperatura. Il bombardamento
dell’anodo da parte degli elettroni accelerati produce due fenomeni distinti:
1 - emissione di radiazione per effetto del brusco frenamento degli elettroni nell’anodo, detta di
bremsstrahlung caratterizzata da una distribuzione continua dell’energia.
2. emissione di radiazione da parte degli atomi dell’anodo a seguito del loro riassestamento energetico
dopo la ionizzazione causata dagli elettroni incidenti. Tale radiazione è caratterizzata da valori di energia
discontinui, caratteristici di ogni particolare materiale anodico e per questa ragione prende il nome di
radiazione caratteristica.
Solamente circa l’1% dell’energia iniziale degli elettroni accelerati viene emessa sotto forma di radiazione X, mentre il
restante 99% si trasforma in calore che deve essere poi smaltito dall’anodo.
In ambito medico per creare immagini dell’interno del corpo umano
ACCELERATORI dispositivi che utilizzano campi elettrici o elettromagnetici per accelerare particelle cariche (in genere
elettroni o protoni). In ambito ospedaliero si trovano acceleratori nelle strutture di Radioterapia e talvolta nelle
strutture di Medicina Nucleare (per la produzione di radionuclidi). Possono essere acceleratori circolari (ciclotroni) o
acceleratori lineari.
Energia - è una grandezza fisica legata alla capacità di un sistema di compiere un lavoro. Es.. l’energia trasportata dalle
radiazioni ionizzanti viene utilizzata per compiere il lavoro necessario alla ionizzazione. L’unità di misura é l’eV
definito come l’energia acquistata da un elettrone quando attraversa una differenza di potenziale di 1 Volt. 1 eV =
1.6.10-19 joule (J)
I fotoni sono radiazione elettromagnetica e oltre che alla loro energia, possono essere caratterizzabili in termini di:
Lunghezza d’onda λ - distanza tra due creste successive, si misura in metri
frequenza di un’onda : numero di oscillazioni complete compiute in 1 secondo e si misura in hertz (Hz).
periodo di un’onda T, espresso in secondi, corrisponde al tempo necessario a compiere un’oscillazione
completa.
T=1/ Inoltre lunghezza d’onda λ e frequenza sono inversamente proporzionali; vale infatti che:
λ = c / dove c è la velocità di propagazione dell’onda (che, per le onde elettromagnetiche che si propagano
nel vuoto, è la velocità della luce, pari a circa 300000 km al secondo). Ciò significa che alle frequenze
maggiori corrispondono lunghezze d’onda minori.
N.B. Si faccia attenzione che il simbolo λ è stato utilizzato anche per indicare la costante di decadimento.
Carica elettrica - La carica elettrica esiste in natura solo in forma quantizzata ossia in multipli della carica dell’elettrone
(negativa) protone (positiva)pur essendo uguali quantitativamente. Due o più cariche esercitano l’una sull’altra una
forza che può essere attrattiva o repulsiva (l’unita: coulomb “ C”). La carica dell’elettrone vale 1.6·10-19 C.
EFFETTI DETERMINISTICI (SI MANIFESTANO SOPRA UNA SOGLIA) sono quelli che
si verificano in tutti i soggetti esposti al superamento di un determinato valore
di dose ricevuta: Soglia di esposizione.
EFFETTI SOMATICI DETERMINISTICI
o reazioni dei tessuti alle radiazioni che li hanno colpiti, come diretta
conseguenza della perdita di un gran numero di cellule. I danni ai
tessuti sono più spesso genericamente indicati come reazioni dei
tessuti o effetti somatici deterministici
o sono determinabili e prevedibili con certezza, essendo nota la
relazione causale diretta tra la dose e la comparsa dell’effetto.
o Gradualità dell’effetto: con un aumento della gravità dei sintomi
all’aumentare della dose.
o La soglia risiede nel fatto che il danno da radiazione deve essere
sufficientemente grave affinché la riduzione delle cellule ecceda
l’intrinseca capacità di compensazione dei tessuti risultando in una
netta perdita di funzionalità a carico del tessuto o dell’organo
irraggiato.
o La dose soglia per un determinato organo può variare a seconda
che essa sia stata raggiunta tramite una singola esposizione acuta
oppure tramite un’esposizione protratta nel tempo.
I limiti di dose fissati per legge per la protezione dei lavoratori esposti sono tali
da garantire la non comparsa degli effetti deterministici.
Il danno biologico
Reazioni dei tessuti. Quando la morte cellulare è tale che il tessuto non riesce a
sostituire in tempo si verifica un’elevata riduzione del numero di cellule
funzionanti il che comporta una compromissione della funzionalità del tessuto che
può ripercuotersi su tutto l’organismo. I diversi tessuti mostrano una sensibilità
diversa al danno da radiazione, determinata dalle linee cellulari più radiosensibili
che lo compongono.
La diversa radiosensibilità dei tessuti è evidenziata nella diversa progressione della
Sindrome Acuta da Radiazioni.
Un danno ai tessuti può anche comparire in tempi più lunghi, anche a
distanza di anni, come conseguenza del progredire di lesioni precoci
inizialmente asintomatiche e del danno sul tessuto connettivo (effetti
tardivi).
Epidemiologia e radioprotezione
Per la tutela della salute del feto o dell’embrione sono disposte specifiche restrizioni
per le lavoratrici in gravidanza, tra cui il divieto di “svolgere attività in zone classificate
o, comunque, attività che potrebbero esporre il nascituro ad una dose che ecceda 1
mSv durante il periodo della gravidanza”.
I dosimetri
Dosimetri ambientali - effettuano la misura della dose (o del rateo di dose) negli
ambienti di lavoro, Sono basati su rivelatori a gas (come camere a
ionizzazione, contatori proporzionali, contatori Geiger). La radiazione
ionizzante, al suo passaggio, crea nel gas un certo numero di coppie elettrone–ione
che può essere misurato e che è proporzionale alla dose rilasciata nel gas. Nel caso
particolare della camera a ionizzazione è possibile determinare la dose assorbita in
base ad una relazione ben nota fra l’energia rilasciata nel gas e la carica elettrica
conseguentemente prodotta, raccolta e misurata.
Dosimetri personali
Il dosimetro personale è in grado di fornire un valore del livello di
irraggiamento del dosimetro stesso che consente la determinazione
della dose efficace con la necessaria accuratezza per le finalità di
radioprotezione.
Il dosimetro rientra nella categoria dei dispositivi di protezione
individuale (DPI) ma non protegge di per sé il lavoratore
dall’esposizione alle radiazioni;
Il dato dosimetrico individuale è utilizzato per:
1. verificare il rispetto dei limiti di dose fissati per legge
2. permettere ad ogni lavoratore di migliorare la sua tecnica di lavoro, nell’ottica della ottimizzazione
delle esposizioni
L’uso dei dosimetri personali è regolamentato per legge e trova specifiche indicazioni
operative nelle norme interne di radioprotezione.
3. fornire un tempestivo stato di allerta in caso di esposizione accidentale
Istruzioni per l’uso dei dosimetri personali
• Il dosimetro va utilizzato e posizionato conformemente alle disposizioni contenute nelle norme interne di
radioprotezione.
• Il dosimetro non deve essere ceduto o prestato ad altri e non può essere utilizzato per svolgere attività
per altri datori di lavoro.
• In caso di impiego di camice piombato o altri DPI, il dosimetro va portato secondo le indicazioni
dell’esperto qualificato.
• Il dosimetro non deve essere esposto intenzionalmente alle radiazioni ionizzanti.
• In caso di esposizione anomala e/o accidentale alle radiazioni, ne va fatta comunicazione al preposto,
precisando le circostanze dell’esposizione.
• In caso di deterioramento o smarrimento del dosimetro occorre darne immediata comunicazione al
preposto.
• I dosimetri vanno trattati con cura, facendo attenzione a non esporli a umidità eccessiva e a eccessive
fonti di calore (mai sopra i 50 °C).
• È vietata la manomissione dei dosimetri.
• Il dosimetro va riconsegnato al Servizio di Dosimetria nei tempi indicati: una tardiva riconsegna compromette
la tempestività della sorveglianza e può inficiare l’affidabilità della lettura.
• I dosimetri per le estremità solitamente si indossano al polso come un orologio (dosimetri a bracciale) o
alle mani come anelli (dosimetri ad anello).
Tipi di dosimetri
Segnaletica di pericolo
DPI più utilizzati per la prevenzione della contaminazione personale sono i guanti monouso e qualunque altro
abbigliamento protettivo di lavoro, ad esempio le tute e i soprascarpe.
DPI anti-X
I principali DPI contro i rischi da raggi X impiegati in Radiologia sono:
camici in gomma piombifera o in materiali equivalenti. Esso garantisce attenuazioni comprese fra l’80% ed
il 99% per i raggi X impiegati in radiodiagnostica. In un ambiente di Medicina Nucleare l’attenuazione può
essere invece anche inferiore al 50%, data la maggiore energia della radiazione impiegata
collari copritiroide servono a garantire una completa protezione nella regione tiroidea, dato che la
tiroide è un organo radiosensibile
guanti anti-X
occhiali anti-X. utilizzati per la riduzione della dose al cristallino
Norme interne di radioprotezione sono istruzioni scritte nelle quali sono specificate le regole o le procedure
alle quali bisogna attenersi durante l’attività lavorativa nelle zone controllate e in generale nelle zone in cui si
impieghino sorgenti radiogene. Sono sempre consultabile nei luoghi frequentati dai lavoratori, ed in particolare
nelle zone controllate.
Normativa di radioprotezione
Principi
La normativa italiana di radioprotezione si ispira ai tre principi fondamentali
formulati dall’ICRP (GOL): giustificazione, ottimizzazione , limitazioni delle dosi,
zona sorvegliata, rischio di superamento di uno qualsiasi dei limiti di dose per la popolazione,
l’accesso alla zona sorvegliata è segnalato ma non necessariamente regolamentato; è quella nella
quale le condizioni di lavoro sono tenute sotto sorveglianza, ma non sono normalmente necessarie
procedure speciali. Dalla legge, ogni area di lavoro ove sia possibile in un anno il superamento di uno
qualsiasi dei seguenti valori:
o 1 mSv di dose efficace
o 15 mSv di dose equivalente per il cristallino
o 50 mSv di dose equivalente per la pelle, mani, avambracci, piedi, caviglie.
zona controllata, rischio di superamento di opportuni valori fissati per legge, superiori rispetto a
quelli definiti per le zone sorvegliate. Per legge l’accesso alla zona controllata è segnalato e
regolamentato; è un’area delimitata nella quale misure di protezione e mezzi di sicurezza specifici sono,
o potrebbero essere, richiesti per il controllo delle esposizioni o per la prevenzione della diffusione di
contaminazione durante le condizioni di lavoro normali, nonché per la prevenzione o la limitazione
dell’entità delle esposizioni potenziali. D a l l a l e g g e , ogni area di lavoro ove sussiste la possibilità di
superamento in un anno di uno qualsiasi dei seguenti valori:
6 mSv di dose efficace
45 mSv di dose equivalente per il cristallino
150 mSv di dose equivalente per la pelle, mani, avambracci, piedi, caviglie.
osservare le disposizioni impartite dal datore di lavoro o dai suoi incaricati, ai fini della protezione individuale e collettiva e
della sicurezza, a seconda delle mansioni alle quali sono addetti;
usare secondo le specifiche istruzioni i dispositivi di sicurezza, i mezzi di protezione e di sorveglianza dosimetrica
predisposti o forniti dal datore di lavoro”;
segnalare immediatamente al datore di lavoro deficienze dei dispositivi e dei mezzi di sicurezza, di protezione e di
sorveglianza dosimetrica, nonché le eventuali condizioni di pericolo di cui vengono a conoscenza;
non rimuovere né modificare, senza averne ottenuto l’autorizzazione, i dispositivi e gli altri mezzi di sicurezza, di
segnalazione, di protezione e di misurazione;
non compiere, di propria iniziativa, operazioni o manovre che non sono di loro competenza o che possono
compromettere la protezione e la sicurezza;
sottoporsi alla sorveglianza medica”; ad esempio sottoporsi alle indagini di laboratorio e alle visite
specialistiche con la frequenza stabilita.
la radiazione primaria: La radiazione primaria è il fascio di raggi X in uscita dal sistema di collimazione del tubo
radiogeno ed è quella utilizzata per produrre l’immagine radiologica. Si tratta della fonte di rischio più
significativa. L’intensità è proporzionale alla corrente impostata al tavolo di comando e inversamente
proporzionale al quadrato della distanza. La quantità totale di radiazione emessa durante un esame è
proporzionale al tempo di esposizione e al quadrato della tensione applicata al tubo (kV)
le radiazioni secondarie:
• la radiazione diffusa: si origina dall’interazione del fascio primario con il paziente e con gli altri
oggetti interessati dall’irraggiamento, incluse le pareti. E’ circa 0,1% della radiazione primaria, si
propaga in tutte le direzioni. L’intensità diminuisce molto con la distanza. La maggioranza delle
radiazioni è di ritorno verso il tubo. Rischio: quando c’è la necessità di stazionare in prossimità del
paziente durante l’erogazione dei raggi, es: assistenza durante la radiografia. La radiazione diffusa
cessa immediatamente al termine dell’emissione raggi.
• la radiazione di fuga: è la radiazione emessa dal tubo radiogeno nelle direzioni diverse da quelle
del fascio primario. Per legge, nel caso di apparecchi per radiodiagnostica la radiazione di fuga
deve essere inferiore a 1 mGy alla distanza di 1 metro/ora
Valutazione del rischio RX sia per la radiazione primaria che per quella secondaria, dipende principalmente dai
seguenti fattori:
la quantità totale di radiazione emessa, legata al tipo di apparecchiatura, al numero ed alla tipologia di
procedure effettuate
la distanza tra la posizione occupata dall’operatore e la sorgente della radiazione
il tempo di esposizione
le barriere protettive interposte tra il lavoratore e la sorgente di raggi X (primaria o secondaria).
sale radiologiche
sono classificate come zone controllate e l’accesso è regolamentato
dotata di apposita segnaletica specificante il pericolo di irraggiamento sui punti di accesso e sul tubo
radiogeno
all’esterno è collocata una segnaletica luminosa che avverte lo stato di funzionamento (bianca: impianto
pronto a emettere, rossa: emissione raggi)
attività radiografica eseguita in una sala di radiodiagnostica dedicata, le dosi ricevute dal personale all'esterno di
questa sono irrilevanti dal punto di vista radioprotezionistico (distanza+schermatura)
apparecchi portatili per grafia si eseguono esami su pazienti allettati i rischi radiologici per il personale sono
molto bassi (interventi molto rari).
esami fluoroscopici per imaging diagnostico le esposizioni occupazionali hanno livelli trascurabili. (telecomando
+ schermatura)
CT, alte dosi per il paziente, per il personale che opera dalla sala comandi le dosi sono invece molto basse. Se
necessario stazionare nelle vicinanze del gantry per assistere il paziente durante l’emissione di radiazione, le dosi
possono diventare rilevanti, è perciò indispensabile l’impiego di dispositivi di protezione individuale. (camice
riduce 90% dell’esposizione)
mammografia, radiologia dentale e MOC si utilizzano apparecchiature radiologiche dedicate che comportano
esposizioni occupazionali irrilevanti per gli operatori. Nel caso della mammografia e di talune MOC vi è una
barriera protettiva per l’operatore che si trovi alla postazione comandi.
Radiologia interventistica es angiografiche e cardiologiche e l’attività chirurgica con controllo radiologico
rappresentano la maggior fonte di esposizione professionale del raggi X perchè il personale ha la necessità di
stazionare in prossimità del paziente durante l’emissione raggi e i tempi di esposizione sono più lunghi. Ai fini
della riduzione del rischio, è quindi importante essere consapevoli dei livelli di radiazione connessi alle varie
modalità di utilizzo dell’apparecchiatura, specialmente quelle comportanti esposizioni maggiori.
Il personale che opera nelle procedure inter ventistiche, angiografiche o di chirurgia con controllo fluoroscopico
è di norma sottoposto a sorveglianza dosimetrica individuale. E può essere necessario che questi indossi,
oltre ai dosimetri per il corpo intero anche i dosimetri per le estremità e/o per il cristallino.
Nei casi in cui sia necessaria la permanenza del personale durante l’irraggiamento del paziente, ES. procedure
interventistiche, le dosi occupazionali possono essere adeguatamente ridotte:
Nelle attività diagnostiche le dosi annuali sono tipicamente molto basse (di solito inferiori a 1 mSv) mentre
nelle attività interventistiche (in ambito cardiologico, neurologico, urologico) le dosi possono risultare
considerevolmente più elevate.
Anche se non rientrano propriamente tra i dispositivi per la riduzione della dose, è fondamentale il
corretto utilizzo dei dosimetri al fine di monitorare le esposizioni e intervenire tempestivamente nei
casi in cui queste risultino inspiegabilmente elevate.
Misure di radioprotezione di tipo tecnico, strutturale e organizzativo.:
la progettazione di idonee schermature primarie e secondarie
sale radiologiche di dimensione tale da consentire di posizionare barriere mobili o di sfruttare al meglio il
fattore distanza
la disponibilità di DPI antiX adeguati alle varie circostanze di lavoro.
la disponibilità nelle sale per fluoroscopia e radiologia interventistica di dispositivi
di protezione addizionali quali schermi protettivi sospesi, cortine piombate montate sul tavolo paziente e
barriere mobili
la presenza di dispositivi luminosi di avvertimento,
le verifiche periodiche sull’integrità dei dispositivi di protezione disponibili e
sull’efficacia delle schermature fisse
l’adeguata formazione e l’aggiornamento continuo del personale in materia di radioprotezione
la definizione e l’adozione di idonee procedure di lavoro nelle zone controllate,
L’attività lavorativa nei locali classificati come zona sorvegliata e come zona controllata è consentita
unicamente al personale addetto che abbia acquisito adeguata conoscenza dei rischi connessi con l’uso delle
radiazioni ionizzanti con particolare riferimento alla mansione cui è addetto.
Gli operatori sono tenuti a osservare le disposizioni impartite dal datore di lavoro o
dai suoi incaricati ai fini della protezione individuale e collettiva e della sicurezza, a
seconda delle mansioni alle quali sono addetti. Per le lavoratrici che svolgono
attività nelle radiologie è obbligatorio notificare al preposto il proprio stato di
gestazione non appena accertato.
Ai fini della protezione dai rischi, i lavoratori possono essere tenuti, alla luce della normativa vigente, a:
assicurarsi prima dell’inizio dell’indagine radiologica che le porte siano chiuse e
che nessuno sia presente all’interno della sala ad eccezione del paziente e del personale indispensabile alla
sua assistenza
disporsi al riparo di eventuali barriere (ad esempio al tavolo di comando)
nel caso vi sia necessità di stazionare in prossimità del paziente durante l’erogazione dei raggi X,
utilizzare con cura e in modo corretto tutti i dispositivi di protezione individuale previsti (camici piombati,
paratiroide, occhiali antiX)
indossare il dosimetro personale, se prescritto, secondo le norme interne di radioprotezione
nel caso di impiego di apparecchi radiologici portatili: posizionare e orientare correttamente il fascio,
utilizzare i DPI prescritti, non esporsi al fascio diretto, tenere la massima distanza possibile (almeno 2
metri)
utilizzare sempre il fascio più collimato possibile
nel caso di esami CT, se vi fosse la necessità di stazionare all’interno della sala, posizionarsi a lato del
gantry e utilizzare tutti i dispositivi di protezione presenti
segnalare eventuali anomalie o incidenti al responsabile dell’impianto radiologico.
La Medicina Nucleare è la specialità concernente l’impiego medico di radionuclidi in forma non sigillata es.
radiofarmac marcati con Fluoro18.
Medicina Nucleare diagnostica Es. scintigrafie, esami PET, test di captazione i radionuclidi svolgono la
funzione di traccianti del radiofarmaco al fine di valutarne e/o quantificarne la distribuzione negli
organi e nei tessuti.
Le apparecchiature utilizzate in Medicina Nucleare non emettono radiazioni (ad eccezione della PET/CT)
ma sono rivelatori della radiazione che proviene dal paziente a cui è stato somministrato il
radiofarmaco e le immagini forniscono legate al metabolismo degli organi.
I recenti sistemi integrati PET/CT o SPECT/CT consentono di ottenere immagini anatomiche e
metaboliche.
Esposizione esterna
Nella Medicina Nucleare diagnostica le più rilevanti circostanze di esposizione ester na si possono verificare
durante:
la preparazione dei radiofarmaci e la loro somministrazione al paziente
l’assistenza al paziente dopo la somministrazione nelle fasi di captazione del farmaco,
posizionamento in sala esame, esecuzione dell’esame e congedo.
Di solito il personale esposto della Medicina Nucleare è controllato con dosimetro personale al corpo
intero per la misura della dose efficace e con dosimetri ad anello o a bracciale per la misura delle dosi
equivalenti alle estremità.
RADIOFARMACO – medicinale che include radionuclidi a scopo sanitario.
E’ facilmente rilevabile e quantificabile.
Si localizza solo in organi di interesse
E’ stabile dal punto di vista biochimico e chimico
adeguata emissione energetica (gamma per diagnosi, beta per terapia)
ha un costo contenuto
Durante le fasi di preparazione dei radiofarmaci e della loro somministrazione al paziente. Il rischio di
irradiazione esterna è potenzialmente rilevante a causa della breve distanza.
Per la riduzione del rischio di irradiazione durante la preparazione e tra sporto dei radiofarmaci è
importante l’utilizzo dei contenitori schermati (Figura 4).
per schermare i raggi gamma è usato il piombo, mentre per arrestare la radiazione beta, materiali
plastici che evitano l’insorgere di radiazione X secondaria - fenomeno detto di brems strahlung).
L’impiego di telemanipolatori è fortemente raccomandato nella manipolazione dei radionuclidi PET.
la somministrazione dei farmaci richiede particolare attenzione per la breve distanza di
stazionamento dalla sorgente (in particolare il paziente) e per la possibile presenza di rischio di
contaminazione
L’uso di un meccanismo automatico di somministrazione può ridurre notevolmente le esposizioni del
personale durante la somministrazione.
Il rischio di irraggiamento è ridotto avendo l’accortezza di riporre sempre tut te le sorgenti non più
utilizzate negli appositi contenitori schermati o nelle celle di stoccaggio.
Con l’impiego di sorgenti radioattive in forma non sigillata vi è sempre rischio di contaminazione ambientale e
personale (interna e esterna)
Nella contaminazione esterna il materiale radioattivo si deposita sui vestiti del lavoratore oppure
direttamente sulla cute, ad esempio nel caso di sgocciolamento da siringhe o flaconi o di contatto
con oggetti contaminati.
Contaminazione interna- Sia la contaminazione ambientale sia la contaminazione personale possono
determinare una contaminazione interna allorché i radioisotopi siano inavvertitamente introdotti
nell’organismo per ingestione (mani in bocca), inalazione (es aerosol) o assorbimento transcutaneo.
Misure di radioprotezione
La protezione del personale della Medicina Nucleare si basa essenzialmente su accorgimenti progettuali,
strutturali, impiantistici, organizzativi e procedurali finalizzati a contenere/ridurre il rischio di
irradiazione esterna e a permettere il massimo controllo della contaminazione (prevenendone la
dispersione nel luogo di utilizzo e il possibile spargimento nelle aree adiacenti).
zona “fredda”: a basso rischio di irraggiamento/contaminazione
zona “calda”: ad alto rischio di irraggiamento e contaminazione – contiene solitamente:
• una zona destinata alla preparazione dei radiofarmaci
• le zone o i locali per la somministrazione dei radiofarmaci ai pazienti e quelli destinati all’attesa
prima dell’esame per il tempo necessario alla adeguata captazione del farmaco
nell’organismo
• i locali in cui si svolgono gli esami diagnostici. In questi sono collocate le apparecchiature di
misura (gamma camera, tomografo SPECT o PET/CT)
• i servizi igienici, separati dagli altri, per i pazienti sottoposti ad indagini diagnostiche
• una zona di decontaminazione in uscita dalla zona “calda”
• appositi locali per la raccolta e/o lo stoccaggio temporaneo dei rifiuti prodotti.
I particolari requisiti strutturali e impiantistici per gli ambienti e per le finiture sono tali da garantire
elevati livelli di protezione in relazione al rischio sia di irraggiamento sia di contaminazione. Tali
requisiti possono comprendere, a seconda dell’entità del rischio radiologico presente:
materiali non porose e non assorbenti per pavimenti e superficie di lavoro
cappe di aspirazione a flusso laminare,
un sistema di raccolta degli scarichi liquidi contaminati provenienti dai servizi igienici dei pazienti
sistemi di lavaggio e di decontaminazione dotati di servizi azionabili senza fare
uso delle mani
sistema appropriato di ventilazione progettato in modo tale che gli ambienti a più alto rischio di
contaminazione dell’aria si trovino ad una pressione negativa
schermature delle pareti
Le misure organizzative e procedurali comprendono:
la formazione e l’informazione specifica dei lavoratori
la definizione e l’adozione di idonee e dettagliate procedure, per minimizzare
i rischi
• la regolamentazione degli accessi nelle diverse aree
l’assegnazione dei mezzi di protezione individuali previsti nelle varie fasi di lavoro
la manipolazione dei radiofarmaci nella quantità minima necessaria
il controllo periodico dei livelli di contaminazione ambientale e superficiale
la definizione e l’adozione di procedure operative da applicare in caso di contami
nazione accidentale sia ambientale sia personale
la definizione di procedure da adottare in caso di incendio
la gestione dei rifiuti radioattivi prodotti
i registri in cui sono riportate le informazioni di carico/scarico delle sorgenti.
Norme interne di radioprotezione e indicazioni del D.Lgs. 230/95
L’attività lavorativa nei locali classificati come zona sorvegliata e come zona control lata è consentita
unicamente al personale addetto, con idonea conoscenza dei rischi. I lavoratori della Medicina Nucleare
diagnostica e della Radioterapia metabolica possono essere tenuti, alla luce della normativa vigente, a:
indossare sempre all’ingresso delle aree di lavoro i propri indumenti di lavoro che
dovranno essere riposti al termine del lavoro stesso
utilizzare con cura ed in modo corretto i dispositivi di sicurezza ed i mezzi di protezione individuale
(indumenti di lavoro, guanti monouso,…) prescritti per ogni tipo di lavoro
utilizzare tutti i dispositivi e le barriere protettive previste per le varie mansioni
sostare in prossimità di sorgenti non schermate (in particolare i pazienti a cui è stato somministrato il
radiofarmaco) per il tempo minimo necessario
quando si indossano i guanti, non toccare: telefoni, maniglie, apparecchiature o
comunque oggetti che possano essere toccati anche da altre persone
non mangiare, non bere all’interno delle aree classificate a rischio di contamina zione, né portarsi le
mani o altri oggetti alla bocca
non utilizzare i servizi igienici riservati ai pazienti
eseguire qualunque manipolazione di materiale radioattivo nelle aree assegnate secondo le indicazioni
del preposto.
raccogliere tutti i rifiuti radioattivi nei contenitori appositi, separando solidi e liqui
di, avendo cura di non immettere rifiuti non contaminati negli stessi contenitori dei rifiuti radioattivi.
• controllare, al termine del lavoro, la contaminazione personale
• lasciare i locali in ordine ed esenti da contaminazioni ambientali
segnalare eventuali anomalie o incidenti al responsabile delle attività o al preposto.
Come comportarsi in caso di contaminazione
• nel caso di trattamenti di Radioterapia metabolica le possibili contaminazioni assumono
rilievo.
• Nel caso in cui si verifichi una contaminazione occorre attenersi alle indicazioni con tenute nelle
norme interne di radioprotezione affisse in posizione visibile
• In caso di contaminazione ambientale, è necessario limitare l’accesso al locale da parte di altre
persone, ridurre l’estensione della contaminazione facendo uso di materiale assorbente
• In caso di contaminazione personale, tutti gli indumenti contaminati devono essere rimossi e si
dovrà poi procedere alla decontaminazione della parte interessata attraverso il lavaggio con
sapone neutro in acqua possibilmente tiepida (mai troppo calda) e sciacquando accuratamente.
• In tutti i casi di contaminazione (sia ambientale sia personale) è necessario avvertire il
responsabile delle attività o il preposto e, prima del ritorno alla normale attività, occorre
sempre verificare il livello di contaminazione residua con l’apposita strumentazione
Radioprotezione in Radioterapia
La radioterapia è una disciplina medica che si serve delle radiazioni ionizzanti a scopo terapeutico in ambito
oncologico che puo essere classificata come:
• radioterapia con fasci esterni: i fasci sono diretti e conformati sul volume bersaglio all’interno del
paziente.
• Nella brachiterapia (terapia da vicino) piccole sorgenti radioattive sigillate sono posizionate
direttamente nel tessuto malato (brachiterapia interstiziale) o a contatto con esso (brachiterapia di
contatto) oppure all’interno di organi cavi (brachiterapia endocavitaria).
• Nella radioterapia metabolica si somministrano al paziente a scopo terapeutico radiofarmaci che si
distribuiscono nel suo organismo secondo il metabolismo proprio della molecola cui sono legati.
• il rischio radiologico è presente all’interno della sala schermata di trattamento (bunker) solo durante
l’irraggiamento del paziente. è vietato per tutto il personale stazionare o permanere all’interno del
bunker durante l’irraggiamento del paziente.
• Le sale di trattamento e le sale centraggi (dove sono installati i simulatori) sono solitamente
classificate zone controllate e l’accesso ad esse è regolamentato, con- trollato e consentito solo al
personale autorizzato.
• Le altre zone del reparto possono essere classificate come zone sorvegliate o non essere classificate,
in relazione ai livelli di esposizione presenti.
Rischi in brachiterapia
la preparazione delle sorgenti
il posizionamento delle sorgenti nel paziente
l’assistenza non differibile su pazienti con impianti di sorgenti radioattive.
Esposizioni potenziali. Una esposizione potenziale in brachiterapia è quella conseguente al mancato rientro della
sorgente all’interno del suo alloggiamento scherma- to (remote after-loader).
Misure di radioprotezione
L’accesso alla sala di trattamento in radioterapia con fasci esterni è sempre vietato durante l’emissione raggi.
Gli operatori sono tenuti a osservare le disposizioni impartite dal datore di lavoro o
dai suoi incaricati, ai fini della protezione individuale e collettiva e della sicurezza,
a seconda delle mansioni alle quali sono addetti. Per le lavoratrici che svolgono
attività nelle radioterapie è obbligatorio notificare al preposto il proprio stato di
gestazione non appena accertato.
Donne sane:
o in pré-menopausa (n=14; età, 25–53 anni) e
o in post-menopausa (n=14; età, 50–68 anni)
Donne in pré- menopausa:
o ciclo mestruale regolare
o non contraccettivi
o campioni raccolti tra il 12° e il 14° giorno del ciclo mestruale (per
evitare una potenziale influenza delle differenti fasi del ciclo sulla
fluttuazione biologica delle concentrazioni di HE4]
I campioni di sangue erano ottenuti mensilmente per 4 mesi consecutivi
PROTOCOLLO SPERIMENTALE PER LA STIMA DELLA VARIABILITÀ BIOLOGICA
2) FASE ANALITICA
Definizione del misurando e selettività della metodica analitica. Cambio del
misurando porta a una variabilità biologica differente.
È essenziale, prima di iniziare un esperimento di VB, controllare se:
Analisi dei campioni - Solo quando tutti i campioni di tutti I soggetti arruolati sono
disponibili, è possibile procedere con la loro analisi che dovrebbe essere eseguita:
3) ANALISI STATISTICA
Prima di iniziare con l’analisi statistica, è opportuno controllare attentamente i dati
grezzi. In particolare, è importante verificare che tutte le concentrazioni siano sopra
il LoD del metodo analitico. Successivamente, è possibile procedere con l’analisi
degli outlier e la valutazione della distribuzione dei dati
INDICE DI INDIVIDUALITA’
II = CV I/CV G
Se II <0,6:gli intervalli di
riferimento non sono utili
per l’interpretazione del
singolo risultato
Se II >1,4: gli intervalli di
riferimento sono utili per
l’interpretazione del
singolo risultato
INDICI DERIVATI
Differenza critica (DC): è la differenza tra due misure consecutive in un
paziente [col medesimo metodo] è dovuta alla combinazione di VA e VI. La
differenza massima dovuta solamente all’effetto di tali variabilità è la “differenza
critica” (DC)
Esempio - Colesterolo totale: CVA=1%; CVI=3.6%; DC=10%
CVA – variabilità analitica critica
CVI – variabilità intraindiviuduale critica
DC – differenza critica
Due pazienti: entrambi con colesterolemia 280 mg/dl iniziano un trattamento con
dieta ipocolesterolemica. Dopo un mese: uno ha colesterolo = 260 mg/dl, l’altro
colesterolo = 300 mg/dl. In entrambi i casi: la differenza è pari al 7% del primo valore
e non si può definitivamente concludere né per un’efficacia della terapia (nel primo)
né per un peggioramento della situazione di rischio (nel secondo) perché come DC è
10% dentro i valori 280 + 10% e 280 – 10% non si può considerare una
miglioria/peggioramento perché è come se fosse dentro il “margine di errore” – il
range dentro il quale la variazione non è significativa.
Determinare il numero di campioni necessari per derivare una stima affidabile del
punto omeostatico di un individuo per un analita
n = [1.96 (CVA^2 + CVI^2)^0,5/D]^2
es. Quanti campioni (n) sono necessari per stimare il punto omeostatico del
colesterolo entro il 5% di vicinanza?
CVI = 3.6% CVA = 2% (desiderabile)
TRAGUARDI ANALITICI
Precisione - Livello di concordanza fra misure ripetute in condizioni definite.
Esprime l’errore casuale, che è inversamente correlato con la precisione.
IMPRECISIONE = ERRORE CASUALE
ASSUNZIONI/PREMESSE
- Il contesto clinico richiede la minima variabilità totale (VT) del risultato
biochimico
- Il contributo di VI a VT è “incomprimibile”
- Il contributo della variabilità analitica (VA) alla VT deve essere pertanto
minimizzato
INTERVALLI DI RIFERIMENTO
Confronto del risultato nel soggetto vs distribuzione dei valori in una
popolazione apparentemente sana
“valori normali” sostituito da “valori di riferimento”
Riferimento a:
o livello di salute dichiarato/confermato da altri dati nella popolazione
indagata
o fattori che caratterizzano la popolazione di riferimento
o fattori pré-analitici (raccolta, preparazione, conservazione materiale
biologico)
o prestazioni analitiche del saggio (imprecisione, inesattezza)
o metodi statistici per analisi e trattamento dati
PROTOCOLLO SPERIMENTALE
1. Investigare le interferenze analitiche e le fonti di variabilità pré-analitiche (se
l’analita è nuova e la letteratura non è di aiuto, è necessario verificare
sperimentalmente le potenziali fonti di variabilità).
2. Stabilire i criteri di inclusione/esclusione
3. Preparare un consenso informato
4. Preparare un questionario: che è un ottimo strumento per verificare la
presenza o meno dei criteri di esclusione o di raggruppamento. Esso deve
essere:
Semplice, non intimidatorio
Domande a cui si risponde con “no” o “si”
È possibile affiancare al questionario anche semplici misurazioni (pressione
del sangue, peso, altezza, esami del sangue)
Trattare le informazioni fornite dal
soggetto in maniera confidenziale (I questionari possono essere anonimi)
5. Suddividere i soggetti in base alle informazioni del questionario e delle
misurazioni. Quello che è un criterio di esclusione in uno studio potrebbe
essere un criterio di suddivisione in gruppi in un altro studio
-ESCLUSIONE A PRIORI: i soggetti vengono esclusi prima della raccolta
dei campioni. richiede dei criteri di esclusione e di raggruppamento ben
definiti, questionario, valutazione dei soggetti prima della raccolta dei
campioni
FASE PREANALITICA
Sequenza cronologica di tutti gli eventi relativi ad una analisi chimico-clinica, che
avvengono prima dell’ attività analitica vera e propria:
Esercizio fisico – le attività fisiche intense influenzano la quantità di globuli
bianchi, specialmente dei neutrofili, Effetto dell’esercizio fisico sull’analisi
delle urine: moderato - Può indurre microematuria ( piccola quantità di
sangue nelle urine - eritrociti isomorfi – a forme uguali e ben definite),
intenso - Può indurre microematuria (maggior quantità di sangue nelle
urine eritrociti dismorfi). Può indurre proteinuria (cilindri). REQUISITI
MINIMI: Prelievo al mattino ( 8 10 h), Digiuno di 8 ore, A riposo per almeno
5 minuti prima del prelievo
Altitudine – cut off – influenzano la concentrazione delle emoglobine. In
alta altitudine, l’aria e meno piena di ossigeno – perciò si fa più fatica a
respirare – ipossia (stimola il rene a produrre eritropoietine – produzione
emazie aumenta – perciò l’ematocrito aumenta). Alcuni fattori noti
possono aumentare le concentrazioni di emoglobina nel soggetto, ad
esempio, il luogo dove vive ovvero l’altitudine sul livello del mare e le
abitudini di vita, ad esempio il fumo. In questi casi l’applicazione dei livelli
decisionali riportati in tabella 1, può indurre ad una erronea diagnosi o
classificazione del grado di anemia del soggetto. Pertanto, per una corretta
valutazione dello stato del soggetto, devono essere applicati alla
concentrazione di emoglobina misurata i fattori correttivi descritti in
tabella 2 per l’altitudine sul livello del mare, mentre la correzione per
l’abitudine al fumo è di fatto trascurabile.
Il risultato dell’analisi chimico clinica deve essere il più rappresentativo possibile del
profilo ematochimico in vivo.
3. raccolta dei campioni biologici (prelievo in una modalità appropriata, poiché
può interferire nei risultati)
4. conservazione dei campioni biologici (stabilità – anche il trasporto)
CAMPIONI BIOLOGICI
Sangue venoso, arterioso, capillare Urine differenti tempi di raccolta Fluidi biologici
spinale, amniotico etc. Sperma, Feci, Saliva Sudore
Plasma
Il surnatante virtualmente privo di cellule del sangue ottenuto dopo centrifugazione
in provette contenenti anticoagulante. Parte liquida rimasta dopo la centrifugazione
avendo bloccato la coagulazione
Siero
Il surnatante virtualmente privo di cellule del sangue ottenuto dopo centrifugazione
in provette prive di anticoagulante. Si ottiene lasciando coagulare il sangue e
successivamente centrifugandolo. Parte liquida rimasta dopo la centrifugazione
senza aver bloccato la coagulazione
Anticoagulanti
Additivi che inibiscono la coagulazione del sangue assicurando che il componente da
misurare non sia significativamente modificato prima del processo analitico.
L'anticoagulazione si verifica legando ioni di calcio (EDTA, citrato) o inibendo
l'attività della trombina (eparina trombina trasforma fibrinogeno in fibrina – la )
CHECKLIST PER PRELIEVO DI SANGUE VENOSO
1. Utilizzare dispositivi di protezione individuale (DPI)
2. Il paziente sia seduto (meglio) o disteso da almeno 5 minuti
3. Controllare l’identità del paziente
4. Verificare corrispondenza di dati anagrafici sulle etichette
5. Etichettare le provette prima del prelievo
6. Preparare il materiale per il prelievo
7. Assemblare il dispositivo
8. Applicare laccio emostatico per meno di 2 minuti
9. Evitare accanimento se il prelievo è difficoltoso
10.Seguire ordine specifico di provette (per evitare contaminazioni)
11.Riempire bene le provette (specialmente quelle con anticoagulante)
12.Miscelare gentilmente le provette
13.Eliminare in modo sicuro il materiale
PRELIEVO DI SANGUE
Il prelievo di sangue (“flebotomia”) è effettuato mediante puntura venosa, arteriosa
o cutanea.
Campioni coagulati sono definiti come campioni di sangue intero, per i test
ematologici e di coagulazione, che presentano micro o macro-coaguli visibili. NON
ADATTI AL TEST. E necessario un nuovo prelievo
CAMPIONI DI URINE
Prima urina del mattino (spot): Esame chimico-fisico
Seconda urina del mattino (spot): Esame microscopico sedimento
Campione random (spot): HCG, Proteina di Bence Jones
Campione temporizzato (24 ore): Per quantificare l’analita
Campione sterile: Batteriologia (urinocoltura del mito intermedio – scartando la
prima e l’ultima parte della minzione)
campione spot – da una singola minzione – valido per analisi qualitativi (es se sono
o non in gravidanza basta identificare la presenza dell’analita)
per analisi quantitativi non vanno bene i campioni spot perché ne risentono molto
dalla diluizione (es se appena prima ho bevuto molto, la quantità è diluita, in questo
caso servono campioni temporizzati (es. nelle 24 ore)
Esempio - Ricerca sangue occulto nelle feci (FOB): screening del carcinoma del
colon-retto (raccolta di 3 campioni di fece in 3 provette raccolte in momenti diversi-
perché il sangue occulto non e sempre presente, perciò, ci vuole + campioni). Se il
risultato è negativo (tutto a posto perché ha un elevatissimo numero di veri
negativi), se è positivo va fatta una ulteriore indagine (di secondo livello) (perché
nello screening c’è un altissimo numero di falsi positivi , per esempio la presenza di
emorroidi, o altri sanguinamenti ma che non sono relativi al carcinoma colon-retto)
Le indagini di laboratorio hanno lo scopo di restringere in modo progressivo le
ipotesi iniziali formulate dal medico clinico fino ad una diagnosi ove possibile di
certezza
DIAGNOSI
1.Esami mirati singoli - trovano utilizzo nei casi in cui un solo ulteriore
dato viene ritenuto sufficiente per confermare o per escludere il sospetto
diagnostico formulato in base all’esame obiettivo, clinico e/o di laboratorio.
Esempio Criteri diagnostici per il diabete mellito: uno tra questi è sufficiente:
HbA1C ≥6.5% (48 mmol/mol) o plasma glucosi rapida ≥126 mg/dL O
2-h Plasma Glucosi ≥200 mg/dL durante un OGTT o in pazienti con sintomi
classici (come poliuria e polidipsia) di iperglicemia, misurazione Randon dei
livelli di glucosi plasmatica ≥200 mg/dL
2. Profili mirati - è l’accostamento di un numero per lo più limitato di
esami, attuato in base a considerazioni di fisiopatologia, per soddisfare le
esigenze cliniche di ambiti diagnostici mirati, con informazioni più complete.
Taluni profili mirati oltre che in fase diagnostica di approfondimento possono
trovare utilizzo molto efficace nel monitoraggio del decorso di determinate
malattie.
3. Algoritmi diagnostici - una serie di indagini sequenziali intese a
risolvere uno specifico problema. Es. algoritmo diagnostico per il
carcinoma prostatico
4. Prove funzionali – sono misure dell’andamento nel tempo della
concentrazione di sostanze presenti nell’organismo o somministrate
appositamente, per ottenere indicazioni sullo stato fisiopatologico di organi e
sistemi.
URINA
Campioni estemporanei (o spot): si utilizza per lo esame standard delle urine
(profilo urinario), che consta dell’esame chimico-fisico e microscopico. Si
raccoglie la prima urina del mattino in un contenitore non necessariamente sterile,
ma richiudibile e pulito.
Campioni temporizzati: sono rappresentati dalle urine delle 12 e delle 24 ore, per la
determinazione di analiti (glucosio, creatinina, proteine…).Scartare la prima urina
del mattino. Raccogliere, da questo momento in poi, tutte le urine che saranno
prodotte (anche di notte) nelle successive 24 ore, inclusa la prima del giorno dopo
l’inizio della raccolta
DIAGNOSTICA PROTEICA
IMMUNOGLOBULINE - Glicoproteine prodotte dalle plasmacellule in risposta
ad un immunogeno. (non tutte le proteine vengono prodotte dal fegato – le
immunoglobuline, infatti, vengono prodotte dalle plasma cellule)
CREATIN CHINASI –Ha molti fattori preanalitici es. se fai la maratona il giorno
prima…i valori saranno alle stelle😊): attività fisica, genero, età, etnia, massa
muscolare personale. Enzima dimerico che catalizza la fosforilazione reversibile della
creatina attraverso l’ATP (trasforma fosfocreatina in creatina (presente soltanto a
livello muscolare)
• Sospetto di danno muscolare: valori ↑ possono indicare: infiammazione,
disordini di natura muscolare (miopatie, rabdomiolisi, traumi muscolari
TRANSAMINASI
--> danno epatocellulare
Catalizzano la reazione di transaminazione, ovvero il trasferimento del gruppo
amminico α da un amminoacido a un α chetoacido.
ALT - presente solo nel FEGATO. DOVREBBE ESSERE RICHIESTO COME I
LIVELLO. LSR(limite superiore di riferimento): 59 U/L Maschi e 41 U/L
Femmine
AST/ALT
Utile se la ALT è alta. È un indicatore prognostico e diagnostico.
Dovrebbe essere <1
Se >1: progressione della fibrosi (prognostico)
Se >2: epatopatia di origine alcolica (diagnostico)
AMILASI PANCREATICA
• Prodotta dalle cellule acinose del pancreas esocrino. Secreta nel
tratto intestinale per mezzo del sistema duttale pancreatico per la
digestione dei polisaccaridi
•Presente anche nell’intestino
•LSR 13 51 U/L
Non fare attività fisica nelle 12 ore antecedenti la raccolta perché pro
provocare ematuria o proteuria
non eseguire l’esame durante il periodo mestruale
non utilizzare l’urina proveniente da catetere vescicale. Perché il catetere può
provocare la presenza di cellule epiteliali, compromettendo la lettura
seconda minzione del mattino – perché nella prima urina è troppo
concentrata (dalle 8 ore di sono – e i troppi elementi , se invece si vuole fare
soltanto l’analisi fisico-chimica è meglio la prima minzione)
tecnica del mitto intermedio:
o dopo accurata pulizia dei genitali, per evitare l’inquinamento da cellule
di sfaldamento e da batteri, scartare il primo getto di urina.
o MITO INTERMEDIO: raccogliere la seconda parte di urina in un
contenitore pulito con ampia apertura (es. bicchiere di plastica).
Scartare l’ultima parte della minzione.
o travasare l’urina nell’apposita provetta a fondo conico (perché facilita la
visualizzazione del sedimento)(10 mL ideale – nel limite 5 ml (2,5 ml per
casi molto speciali)- non meno) adeguatamente identificata con i dati
del paziente, tramite etichetta con barcode. Richiudere bene la
provetta in modo che l’urina non fuoriesca durante il trasporto.
Volume richiesto: 10 mL
Volume minimo accettabile: 5 mL
FASE ANALITICA
Strumentazione
• Microscopio ottico a contrasto di fase e campo chiaro con
polarizzatore (20, 40X)
La valutazione quantitativa si effettua osservando almeno 10 campi e
ricavando una media aritmetica per ciascun tipo di elemento
Il conteggio si esprime riportando il numero medio di elementi per
campo.
MACROEMATURIA
Sangue nell’urina, in quantità tali da renderne identificabile la presenza
all’ispezione visiva
Reazione positiva per l’emoglobina con lo stick
Il campione dopo Centrifugazione a 1600 rpm per 5 min del campione di urina
rossa
EMATURIA: precipitazione delle emazie con surnantante “giallo
fisiologico” (surnatante e/o precipitato positivi alla reazione con TMB)
EMOGLOBINURIA/MIOGLOBINURIA: assenza di precipitato, surnatante
rosso positivo alla reazione con TMB
INTERFERENTE ESOGENO assenza di precipitato, surnatante rosso
negativo alla reazione con TMB - esempio la barbabietola, che rende rosso
l’urina ma in realtà non indica presenza di emazie
BATTERI
La presenza di batteri in urine appena emesse deve sempre far
sospettare una infezione dell’apparato urinario, specie se si associa
leucocituria e le urine sono torbide con odore ammoniacale. Sono
spesso identificabili in urine alcaline perché alcuni batteri
metabolizzano l’urea ad ammoniaca, aumentando il pH delle urine e
favorendo a loro volta la crescita batterica. Nelle infezioni sostenute da
batteri Gram-, che contengono reduttasi, l’enzima che trasforma i
nitrati in nitriti, il test per i nitriti è positivo.
MICETI E PROTOZOI (esempio candide
LE CELLULE EPITELIALI NELLE URINE Le cellule tubulari renali provengono dai reni. I
tubuli renali sono rivestiti dall’epitelio monostratificato tubulare costituito da
CELLULE TUBULARI RENALI:
DI DIMENSIONI uguali o poco superiori a quelle di un leucocita,
con forma rotondeggiante o poligonale.
il nucleo è evidente e rotondeggiante, circondato da scarso citoplasma
(granulare, organelli)
sul lato luminale sono presenti corti microvilli
Si possono riscontrare libere o, più facilmente, incluse in cilindri epiteliali
La presenza di goccioline lipidiche nel citoplasma (corpi grassi ovali), anche in
assenza di nucleo ben visibile, è segno di una loro provenienza dall’epitelio
tubulare
A volte possono assumere anche una forma a “colonna”.
SIGNIFICATO CLINICO
o Necrosi tubulare acuta
o Nefrite interstiziale acuta
o Rigetto acuto di rene trapiantato
o Glomerulonefrite proliferativa attiva
o Sindrome nefrosica
o Malattia di Fabry
o Infezioni virali
Ogni volta che viene richiesta una creatinina sierica, l’informazione che si vuole
avere È UN INDICE DELLA FUNZIONALITÀ DEL RENE, della sua capacità filtrante
1- Clearance renale della creatinina (‘capacità depurante’) - mL/min
La quantità del componente trasferito dal plasma in un dato tempo è data dal
prodotto della concentrazione nel plasma (Cp) per il volume di plasma (Vp) che
perde il componente nel medesimo tempo. Nell’urina la medesima quantità è data
dal prodotto della concentrazione urinaria (Cu) per il volume di urina (Vu). Una
diminuzione del GFR con l’età è fisiologica
PROTEINURIA
PROTEINE TOTALI NELLE URINE: situazione fisiologica- fino a 150 mg/L; fino a
140 mg nelle 24 ore
ALBUMINA NELLE URINE (ha il peso molecolare di 66,5 – perciò
tendenzialmente non viene filtrata): situazione fisiologica <10 mg/24h, <10
mg/g creatinina
RIASSUMENDO:
PROTEINURIA PER PROBLEMI TUBULARI: proteine con peso molecolare sotto
66,5 Kdalton che non sono state riassorbite dal tubulo
Proteinuria glomerulare SELETTIVA: danno glomerulare ma non esagerato
perché passa soltanto l’albumina
PROTEINURIA NON SELETTIVA: maggior danno glomerulare perché oltre la albumina
fa passare altre proteine che sono ancora maggiori della albumina es transferrina
IgG
CARBOIDRATI
I carboidrati sono poliidrossialdeidi (aldosi) o poliidrossichetoni (chetosi) o sostanze
che per idrolisi danno aldosi o chetosi.
Con questo termine si identificano le 4 classi principali di zuccheri:
monosaccaridi;
disaccaridi;
oligosaccaridi;
polisaccaridi.
I monosaccaridi sono carboidrati formati da un solo residuo saccaridico, sono anche
detti zuccheri semplici, perché non possono essere ulteriormente idrolizzati.
Si distinguono in due categorie:
aldosi, caratterizzati da un gruppo aldeidico (glucosio, galattosio);
chetosi, caratterizzati da un gruppo chetonico (fruttosio).
DISACCARIDI
Sono zuccheri formati da due residui saccaridici uniti tra loro dal legame glicosidico
realizzato attraverso una condensazione (la reazione inversa si chiama idrolisi).
I più comuni sono:
Maltosio: Glucosio + glucosio (è presente nell'orzo e in alcuni cereali
germinati).
Saccarosio: Glucosio + fruttosio (il comune zucchero da tavola
presente nella barbabietola e nella canna da zucchero).
Lattosio: Glucosio + galattosio (lo zucchero del latte).
Sono zuccheri formati da più residui saccaridici uniti tra loro; comprendono:
POLISACCARIDI
Amido: è il carboidrato di riserva delle piante, immagazzinato come fonte
energetica, sintetizzato per via enzimatica a partire dal glucosio.
Glicogeno: è un polimero (omopolimero) del glucosio, riserva energetica degli
animali e dell’uomo, sintetizzato per via enzimatica a partire dal glucosio.
Cellulosa: non costituisce una sostanza di riserva, ma svolge
fondamentalmente funzioni meccaniche nelle cellule vegetali essendo il
componente base delle strutture di sostegno.
Chitina.
Inulina
Destrine
AZIONE DELL’INSULINA
Modifica i processi di permeabilità della membrana cellulare, favorendo
l’ingresso del glucosio nella cellula.
Di conseguenza, previene l’accumulo di glucosio nel sangue, che invece si
verifica in carenza o per ridotta funzionalità dell’insulina.
Il controllo della glicosuria delle 24 ore può indicare l’evento di una pregressa
puntata iperglicemica anche in presenza di glicemia fisiologica nella fascia
oraria (8.00-10.00) dei prelievi a digiuno.
Raccolta urine 24 h.
Picchi iperglicemici al di sotto della soglia renale (180-190 mg/dL) non danno
luogo a glicosuria.
IPOGLICEMIA
glicemia (< 83 mg/dL) insulinemia
glicemia (< 68 mg/dL) glucagone
(GH, cortisolo)
CAUSE DI IPOGLICEMIA
Nell’adulto: diabete mellito, alcoolismo, sepsi, insulinoma
Nel bambino : Aumento utilizzazione glucosio, Alterazioni metabolismo glicogeno,
Chetogenesi, Riduzione gluconeogenesi, Varie cause metaboliche e patologiche
SINTOMI: Tremito, ansia, nervosismo, Palpitazioni, tachicardia, Sudore,
sensazione di calore, Pallore, sudore freddo, Pupille, dilatate, Fame, Nausea, vomito,
malessere addominale, Shock, coma e morte
Percentualmente parlando è la comorbidità che oggi porta alla morte. Ossia, anziani
con altre patologie associate. La reale mortalità è risultato di una grave insufficienza
vascolare. Appartenente alla famiglia virale dei Coronaviridae, rivestito da envelope
da cui sporgono le tipiche “punte” spike che conferiscono l’aspetto tipico dei CoV al
ME (corona). Legame specifico dello spike con l’enzima convertitore
dell’angiotensina 2 (ACE2 - L'angiotensina è un ormone peptidico che stimola la
vasocostrizione aumentando la pressione arteriosa). Espresso sugli epiteli respiratori
(alveoli polmonari) e dell’apparato digerente. E poi capace di attaccare tutti gli altri
tessuti, in specie quello nervoso (sequele anche dopo la guarigione).
L’immunità dei coronavirus è considerata estremamente personale (ci sono dei casi
che rimangono positivi per 7 mesi, e quelli per 2 settimana) es. Rh O+
apparentemente sono meno a rischio . Anche tra i sessi c’è una certa differenza
(donne sembrano meno soggetti - ma può essere una questione comportamentale –
più attente a regole e igiene).
Vaccini – sono genici – che stimolano il nostro DNA a produrre delle proteine virali
per scattare la difesa immunitaria naturale - (gli altri sono batteri vivi inattivati o
morti/ o porzioni di virus - proteici). Come e molto nuovo, si teme effetti collaterali a
lungo termini (es autoimmunità) perché non si conosce le risposte umane alla lunga.
(EMA – ente certificatore internazionale per i vaccini). La scelta e di utilizzare tutti i
vaccini piuttosto di rischiare le perdite umane giornaliere di questa pandemia.
Anche il costo socioeconomico è estremamente alto – non riusciamo più a sostenere
la pandemia. Questo vaccino protegge dalla malattia ma non dalla infezione.
Variante inglese – non più gravi, ma più contagiosa – sensibile alla vaccinazione
Variante Brasiliana e africana – sembrano non rispondere al vaccino, ma sono meno
contagiosi
I virus a RNA – difficilmente hanno un vaccino definitivo, perché le mutazioni sono
frequenti. STORIA E SCOPO DELLA MICROBIOLOGIA
La Microbiologia è la scienza che studia i microrganismi e la loro attività. Ha per
oggetto la forma, la struttura, la riproduzione, la fisiologia, il metabolismo e
l’identificazione dei microrganismi
Bassi – Primo autore della teoria del contagio. (mali contagiosi derivano da
parasiti) – Ha mostrato che una malattia dei bachi da seta era causata da un fungo
Tipi di Classificazione
REGNO DEGLI ARCHAEA – tutti . Si distinguono dai Bacteria per sequenze ribosomali
– non presentano nucleo. Caratteristiche: Non contengono peptidoglicano nella
parete. Molti si trovano in ambienti estremi. Includono: Metanogeni, Alofili estremi,
Termofili estremi, Non si conoscono specie patogene
Regno dei Bacteria – tutti procarioti. La maggior parte è costituita da singole cellule.
e contiene peptidoglicano nella parete. Possono sopravvivere in una infinità di
ambienti. In genere non sono patogeni ed hanno un ruolo fondamentale nel riciclo
dei nutrienti
PROCARIOTI
EUCARIOTI
LA PARETE CELLULARE - Complessa struttura rigida presente solo nei procarioti che
conferisce la forma al batterio e ne garantisce la protezione dall'ambiente esterno,
integrità, porosità, resistenza pressione osmotica (fino a 20atm).
Nei Gram-positivi è
costituita principalmente da un
spesso strato rigido e
stratificato di peptidoglicani (è
un polimero formato di
zuccheri modificati che si
alternano tra L’acido n-acetil
muramico -AAM- e
N’acetilglucosamina - NAG
uniti da legame beta 1-4
glucosidico – particolarmente irrigidite da legami crociati formate da corte catene
peptidiche). (non perdono la colorazione blu iniziale). Non hanno membrana esterna
ma una parte spessa.
Nei Gram-negativi hanno uno strato più sottile di peptidoglicano, spazio
periplasmatico e una membrana esterna. Lipoproteine di Braum (spazio
periplasmatico): ancorano covalentemente la membrana esterna del peptidoglicano.
La membrana esterna costituisce una barriera protettiva (rallenta l’ingresso di
sostanze tossiche come antibiotici. Il costituente principale è il lipopolisaccaride LPS.
Porine (membrana esterna): proteine aggregate a gruppi di 3, formano canali per il
passaggio piccole ( glucosio, monosaccaridi < 600-700). Molecole maggiori
richiedono proteine di trasporto. (perdono la colorazione blu iniziale con decoloranti
alcolici e si colorano di rosso – seconda colorazione)
CAPSULA (si forma soltanto in vivo)- Involucro denso esterno alla parete, di natura
polisaccaridica o proteica è presente sia dei batteri Gram+ che Gram-. Glicocalice -
capsula poco aderente e poco uniforme per densità e spessore (poco definita).
Previene l’essicamento, Favorisce l’adesività ad altri batteri e alle superfici dei
tessuti dell’ospite, Favorisce la colonizzazione in particolari distretti biologici. Ha
proprietà antifagocitaria impedendo il riconoscimento tra cellula fagocitaria ed il
batterio (Inibizione fagocitosi e killing intracellulare). Funge da barriera alla
diffusione degli antibiotici (mimetismo immunitario). Mutanti di batteri
normalmente capsulati che hanno perso la capacità di formare la capsula perdono
la virulenza (es. treptoccocos polmonite, non è in grado di causare la polmonite
quando perde la capsula). Spesso sono assenti IN Vitro. Esempi di batteri che
sintetizzano la capsula: Streptococcus mutans: la capsula permette di aderire e
colonizzare lo smalto dentale ed innescare il processo cariogeno. Streptococcus
pneumoniae: agente di polmonite, meningite, otite. Haemophilus influenzae di tipo
b: agente di meningite, otite, sinusite. Neisseria meningitidis: agente di meningite,
meningoencefalite, polmonite. Bordetella pertussis: agente della pertosse catarrale
e parossistica. Bacillus anthracis: agente dell’antrace cutaneo, polmonare,
gastrointestinale
FLAGELLI – Non sempre presenti. I flagelli sono organi di movimento, cioè
conferiscono motilità ai batteri. Consentono un movimento orientato (chemiotassi
positiva o negativa in risposta a stimoli fisici quali luce e calore o chimici quali
nutrienti o sostanze dannose). Sono costituiti da flagellina (dotate di proprietà
antigeniche e rappresentano l’antigene H dei batteri provvisti di motilità) , una
proteina contrattile ad elica e sono formati da un unico filamento sprovvisto di
membrana (sono ancorati alla membrana batterica). Possono essere persi e
rigenerati e la loro sintesi è regolata da almeno 20 geni. Monotrico (un flagello),
anfitrico (due flagelli a estremità opposte), lofotrico (più flagelli su una o entrambi
estremità), peritrico(più flagelli distribuiti in tutto il perimetro della membrana) . Il
potenziale di membrana fornisce energia elettrochimica per il “motore” del flagello
PILI (FIMBRIE) – Sono appendici della superficie cellulare, (molto più corti dei
flagelli), strutture proteiche (proteina pilina) rigide (0,2 - 20μm) presenti soprattutto
nei Gram- sulla superficie esterna della cellula. I pili comuni, spesso codificati da
plasmidi, sono presenti in gran numero (anche fino a 1000 per cellula). Mediano
l’adesione (Come fattore di adesività le punte delle fimbrie contengono delle
proteine (lectine) che legano specifici zuccheri (e.g. Mannosio)) e l’aggregazione
batterica, quindi favoriscono la colonizzazione e la formazione di pellicole
superficiali. Alcuni consentono la coniugazione tra batteri ( pili sessuali). Nomi
alternativi: lectine, evasine, aggressine.
Escherichia coli: Gli enterotossigeni utilizzano pili di tipo 1 e adesine CFA/I e CFA/II
per aderire alla mucosa intestinale. Gli enteroaggreganti utilizzano fimbrie GVVPQ,
pili a fasce (Bfp) e intimina. Un tipo di pilo è quello coniugativi chiamato pilo F
(ponte citoplasmatico per trasferenza dei plasmidi)
ADESINE - sono proteine che si trovano nella parete cellulare di diversi batteri e
sono capaci di legarsi a specifici recettori molecolari sulla superficie delle cellule
dell’ospite e danno la capacità al batterio di aderire perfettamente alla cellula e
permetterne la colonizzazione e resistere alla loro rimozione
SPORE - Prerogativa di alcuni gram-positivi. Sono Strutture protettive (Resiste alla
penetrazione di sostanze estranee) in cui il batterio sopravvive (anche per anni
nell’ambiente esterno) in uno stato di quiescenza, una forma di resistenza
metabolicamente inattiva. Non è una modalità di riproduzione batterica. Viene
prodotta in risposta a condizioni ambientali avverse; Resiste all’essiccamento, alle
radiazioni gamma e ultraviolette. Sopravvive al calore (anche > 100°C). È coinvolta
nella trasmissione di alcune infezioni umane.. La spora contiene una copia completa
del cromosoma, concentrazioni minime di proteine essenziali e ribosomi, alta
concentrazione di calcio legato all’acido dipicolinico e presenta: una membrana
interna, due strati di peptidoglicano e un rivestimento esterno (coat) proteico simil-
cheratinico. Sporogenesi (6-8 ore) – processo di formazione dell’endospora. In
condizioni ambientali favorevoli (acqua, calore, sostanze nutritive), la spora germina
(90 minuti) liberando la cellula batterica che dallo stato vegetativo può avviarsi ad
uno stato germinativo.
PATOGENESI BATTERICA
RAPPORTO OSPITE-MICRORGANISMO
INFEZIONI OPPORTUNISTE
LA PATOGENICITÀ:
o Condizioni particolari:
Meningiti o ascessi intracranici associati a traumi, interventi
chirurgici o presenza di corpi estranei. Es: S. Aureus, batteri
anaerobi
Ascessi intracranici non associati con traumi o interventi
chirurgici esempio: streptococchi microaerofili e anaerobi
INFEZIONI DEL CUORE
ENDOCARDITE INFETTIVA: infezione delle strutture endocardiche sia valvolari
che murali (rispettivamente i lembi valvolari e le pareti delle cavità cardiache. Molto
difficile da eradicare – formano delle vere colonie . Partenza dal torrente
circolatorio). Es: Cocchi gram positivi: S. aureus, S. epidermidis, streptococchi
viridanti
Vie seguite dai microrganismi nelle infezioni intravasali:
1. Microrganismi presenti
sulla cute (flora cutanea
normale, sorgente
estrinseche (personale
sanitario), ferite
penetranti
2. Contaminazione del
perfusato o della guida
del catetere (fluidi o
farmaci, sorgente
estrinseche (personale
sanitario), flora endogena (es della cute)
3. Contaminazione del dispositivo prima dell’inserimento, di solito di origine
estrinseca
Adesione degli stafilococchi alle srutture valvolari cardiache
Clamping factors (Clf):proteine leganti il fibrinogeno
Collagen binding proteins (Cbp):proteine leganti il collagene
INFEZIONI DELL’APPARATO GENITO- URINARIO - Infezioni endogene (che originano
dai batteri dello stesso paziente) es: Actinomyces, Bacteroides fragilis,
Enterococcus, E. coli, Klebsiella pneumoniae, Morganella.
GENETICA BATTERICA
o Definizione: Segmenti di DNA mobili in grado di traslocare nell’ambito della stessa cellula
(spesso assimilati dall’ambiente esterno, e non si replicano)
o Proprietà
o Movimenti “Random”
o Non capaci di auto-replicazione
o Transposizione mediata da ricombinazione sito-specifica: Transposasi
o Transposizione può essere accompagnata da duplicazione
o Sequenze di inserzione (IS)
o TRASPOSONI (Tn)
TRASPOSONI (Tn)
o elementi genici mobili piu’ grandi delle IS (superiori alle 2000 coppie di basi)
o oltre ai geni per la propria traslocazione trasportano altri geni
ELEMENTI INVERTIBILI - Elementi genici trasponibili: codificano per un enzima
(DNA-invertasi) che permette di invertire con una rotazione di 180°la posizione
dell’elemento nell’ambito dello stesso sito di inserzione
CONVERSIONE FAGICA: batteri che assumono nuovi caratteri fenotipici quando vengono
lisogenati con un profago ricombinato (contenti geni di origine batterica).
ESEMPI DI CONVERSIONE FAGICA:
La trasformazione di batteri avirulenti in batteri produttori di tossine, eg. Corynebacterium
diphtheriae (fago beta con proteina Tox)
Amplia il corredo di tossine batteriche, eg.Clostridium botulinum ( almeno due delle sette
tossine botuliniche), Streptococcus pyogenes (alcune tossine pirogene).
Modificazioni antigeniche che si riscontrano in alcune salmonelle, shigelle ed altri batteri
In una singola cellula batterica possono essere presenti più di 500 virus
L’ordine di grandezza dei virus è tra 10^-8 e 10^-7 – perciò sono visibili
soltanto con microscopio elettronico
Origine dei virus – Teorie su come sono divenuti entità Unico. Il requisito assoluto è
la presenza di acido nucleico e origine della replicazione
DEFINIZIONE DI ANTIBIOTICO
Molecola naturale (in senso stretto) o di sintesi (chemioterapico), metabolita
secondario prodotto da batteri (Eubatteri-10%, Actinomices- 70%) e funghi
(20%) capace di ucciderne altri. Dal greco “contro la vita”. I batteri in grado di
produrli, quando il substrato è esaurito, per sopravvivere e differenziare
nuove strutture cellulari specializzate producono antibiotici, in grado di inibire
la crescita di microrganismi attivamente metabolizzanti
Esempio antibiotici naturali: penicillina e streptomicina
Esempio antibiotici di sintesi : Nitrofurantoina, sulfamidici e acido nalidixico
SPETTRO D’AZIONE
Ampio spettro: attivo verso Gram positivi e Gram negativi
Medio: attivo verso Gram positivi e alcuni Gram negativi
Ristretto: attivo verso Gram positivi o Bersagli dell’attività antibiotica
MECCANISMI D’AZIONE
Inibizione della sintesi della parete cellulare
Inibizione della sintesi proteica
Inibizione della replicazione e trascrizione acidi nucleici
Antibiotici che agiscono come metaboliti
ANTIBIOTICI CON AZIONE A LIVELLO DELLA PARETE: beta LATTAMICI
penicillina e cefalosporina hanno l’anello betalattamico in comune
INDICAZIONI TERAPEUTICHE
Meningite pediatrica: ceftriaxone
Infezioni urinarie da patogeni multiresistenti: ceftazidime
Infezioni respiratorie nosocomiali: cefalo di 3°generazione
ALTRI ANTIBIOTICHE CHE INIBISCONO LA SINTESI DEL PEPTIDOGLICANO
Fosfomicina
Cicloserina (Actinomicete)
Vancomicina (Streptomyces)
Bacitracina (bacillus subtilis)
GLICOPEPTIDI
Classe di antibiotici che comprende vancomicina (sin), teicoplanina (dex)
Inibiscono polimerizzazione del peptidoglicano. Blocca la trasglicolisazione
(allungamento del peptidoglicano)e transpeptidazione (formazione dei legami
peptidici o crociati)
Somministrazione della vancomicina
o Assorbita solo in minima parte per OS (somministrazione orale); ecco
perché in ambito ospedaliero è somministrata per via ematica.
o Unica eccezione: colite Pseudomembranosa sostenuta da C difficile
somministrata per OS per effetto topico sul colon
o Largo uso clinico: infezione da MRSA, endocarditi da Enterococco spp,
polmoniti da S.pneumoniae
o Effetto comune: sindrome dell’uomo rosso da rilascio di istamina
INDICAZIONI CLINICHE
Infezioni alle vie urinarie
STD – (sexually transmitted deases MST)
Prostatiti
Infezioni gastroenteriche
Infezioni della cute
osteomieliti
INIBIZIONE DELLA SINTESI DELL’RNA: RIFAMICINE
Isolati da Nocardia presente in terreno proveniente dalla Costa azzurra
(laboratori Lepetit a Milano), sono attivi contro G– e G+.
Rifampicina, introdotta nel 1967 come un’aggiunta alla terapia per M.
tubercolosis insieme all’isoniazide, etambutolo e streptomicina; usata come
profilassi contro l’infezione meningococcica sostenuta da N.meningitidis
Meccanismo d’azione: blocco trascrizione
Deriva dal nome di un romanzo che i ricercatori del laboratorio Leptit hanno
dato al campione di terra identificato.
Franco Parenti (biologo) Scopre teicoplanina (stesso gruppo della rifamicina,
ma anche essa ha una certa tossicità
MACROLIDI
Origine: naturale ed estrattiva
Classificati in base al numero di atomi 14-16)
Meccanismo d’azione: impediscono sintesi proteica
Effetto post antibiotico
ANTIBIOGRAMMA
Test per la determinazione della sensibilità in vitro di un determinato
batterio isolato ai farmaci antibatterici
o MIC (Minimal Inhibitory Concentration): la concentrazione minima di
antibiotico in grado di inibire la crescita batterica.
o MBC (Minimal Bactericidal Concentration): la più bassa concentrazione
di antibiotico in grado di distruggere i batteri
Tecniche disponibili
o Determinazione della MIC
–Metodo delle diluizioni in brodo
–Metodo delle diluizioni in agar
o Kirby Bauer test (diffusione in agar)
o E test
o Sistemi automatizzati
ATTIVITA’ ANTIBIOTICA
Sensibile (S): l’infezione sostenuta dal batterio in causa rispondera’ a dosaggi
dell’antibiotico usualmente adottati per quel tipo di infezione e per quella
specie batterica
Resistente (R): lo stipite batterico non e’ inibito dalle concentrazioni di
antibiotico ottenibili con dosaggi terapeutici
Intermedio (I): lo stipite potrebbe rispondere a dosaggi particolarmente
elevati di antibiotici
INDICAZIONE PER L’ASSOCIAZIONE ANTIBIOTICA
Quando sono presenti infezioni miste
Nel trattamento dell'endorcardite enterococcica con penicillina e
streptomicina. Nel tratamento della meningite Criptococcica con
l’amfotericina B In associazione con la flucitosina.
Quando c'è un rischio che si sviluppino microrganismi resistenti, per esempio,
isoniazide più pirazinamide rifanpicina nel trattamento della tubercolosi.
Quanto è auspicabile la più grande copertura antibiotica,(sepsi, meningiti) O
infezione di origine ignota
RESISTENZA ANTIBIOTICA
Naturale o intrinseca: Immutabile, si manifesta in tutti i ceppi della specie. Di
qualunque batterio produttore antibiotico: hanno un gene che conferisce la
resistenza al loro antibiotico es: Streptomiceti
RIASSUMENDO
ERA POST ANTIBIOTICA
Limitazione dell’uso e necessità di rotazione soprattutto in reparti di area
critica
Aumento di pazienti immunocompromessi che necessitano uso prolungato di
antimicrobici
Aspettative di vita più lunghe per pazienti cronici
Aumento dei viaggi e spostamenti internazionali promuovono la migrazione di
resistenze (M. tubercolosis)
RESISTENZE BATTERICHE
Lo sviluppo di resistenze batteriche è progressivo: la resistenza a carico di una
molecola porta a un passaggio di resistenza all’interno della stessa classe, alle
altre classi, nell’ambiente (MDR)
Si parla di resistenze acquisite in ambiente ospedaliero e ambito comunitario
RESISTENZA AI CARBAPENEMI
Produzione di carbapenemasi
Iperproduzione di pompe d’efflusso
ESBL produttori
Modifica delle porine di membrana