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ESAME SCRITTO COMPOSTO DA 4 BLOCCHI – MICROBIOLOGIA, PATOGENESI (20X),

BIO E DIAGNOSI (10X) 40 DOMANDE TOTALI

PATOLOGIA GENERALE: scienza che studia i meccanismi generali che provocano le


malattie (perché e come).
 EZIOLOGIA - studia le cause delle malattie
 PATTOGENESI: studia i meccanismi attraverso i quali gli agenti eziologici
causano la malattia
Fisiopatologia: studio delle modificazioni funzionali conseguenti a uno stato o
processo morboso
Fenomeno morboso – lieve deviazione della norma es.
vasocostrizione/vasodilatazione. Stato morboso – condizione abnorme permanente
come la miopia. Processo morboso : condizione dinamica con esordio, decorso e
fine come: infiammazione, febbre
Sindrome: insieme di sintomi e segni a carico di più organi/apparati, con un nesso
fisiopatologico comune
MALATTIA – insorgenza di anormalità morfologica e funzionale di organi e del fisico
che pone in sofferenza l’individuo (alterazione dell’omeostasi). Può evolvere in
guarigione, cronicizzazione o morte.
Sintomi – generati dalla malattia:
oggettivi – accertati tramite istrumenti/esami
Soggettivi – riferiti dal paziente

Diagnosi – riconoscimento e identificazione del tipo della malattia


Prognosi – predizione della durata e dell’esito della malattia

Cause delle malattie:


 Cause Intrinseche all’organismo es. immunologiche, malattie genetiche
 Cause estrinseche all’organismo es infezioni, agenti chimici

PATOLOGIA È SEMPRE UNA ALTERAZIONE A LIVELLO CELLULARE che poi si


ripercuotono gerarchicamente sui tessuti/organi etc.
 Sulla cellula intervengono sempre degli stimoli: stimoli chimici, fisici,
patogeni, ambientali, infettivi, genetici, termici, nutrienti…. Alcuni fisiologici
altri patologici.
 I danni cellulare se troppo importanti non riescono a essere riparati, e
portano alla morte cellulare
 Ad ogni stimolo c’è sempre una risposta (è sempre un adattamento – quando
cessa lo stimolo essa cessa la risposta): che sia metabolica o strutturale
(produzione di glucosio, difesa, accrescimento….)
ADATTAMENTO METABOLICO – si adatta allo stimolo producendo/sintetizzando .
Esempio risposta a un aumento glicemico (cellule pancreas producono Insulina – che
va sui suoi target stimolando la produzione di glicogeno (per es. ) il che fa tornare al
livello fisiologico. Es . l’aumento di radicali liberi e molto dannoso, perciò è uno
stimolo patologico – la cellula induce alla produzione di sistemi di smaltimento per
tornare alla situazione fisiologica.

ADATTAMENTO STRUTTURALE – cambiamento nella forma/spazio:


 ATROFIA - stimolo che induce alla riduzione della funzionalità e dimensione
di una cellula/tessuto/organo. È sempre una risposta adattativa attiva e
specifica (non uno spegnimento passivo di processi cellulari). Può essere
reversibile nel caso della scomparsa dello stimolo che le ha causata.
o ATROFIA PATOLOGICA Si manifesta in condizioni di: Ridotta richiesta
funzionale (es arto gessato - atrofia muscolare per immobilizzazione -
reversibile), Insufficiente apporto di nutrimenti/O2 ( Blocco della
perfusione tessutale es occlusione vascolare del miocardio; carenza
calorica/proteica/ morbo celiaco/anoressia/bulimia – atrofia del
tessuto adiposo), atrofia da compressione (allettamento prolungato)
malattie croniche (come tumore), carenza da stimolazione trofica
(molte funzioni cellulari dipendono da segnali trasmessi da mediatori
chimici)– malattia moto neuronali come sclerosi laterale amiotrofica).
Danni cellulari persistenti- causata da infiammazioni croniche associate
a infezioni batteriche/virali prolungate o patologie autoimmuni
o ATROFIA FISIOLOGICA esempio l’atrofia del TIMO con l’età perché non
hanno più funzione, involuzione dell’utero pos parto, riduzione
muscolare con l’invecchiamento. PER DIMINUIRE IL SUO VOLUME –
distrugge degli organelli che sono più abbondanti come i mitocondri
mediante AUTOFAGIA.
 Ubiquitinazione – processo di attacco dell’ubiquitina a delle
proteine per identificarle come molecole da eliminazione. Una
volta identificate, le proteine ubiquitizzate entrano nel
proteasoma e vengono degradate (la ubiquitina invece è
riciclata). Questo processo è importante per la normale
omeostasi cellulare e anche per i meccanismi di adattamento allo
stress e al danno. L’atrofia, per esempio, è associata a una
diminuzione della sintesi proteica e a un aumento della
degradazione.

 IPERTROFIA (aumento dimensione e della sua capacità funzionale):


o IPERTROFIA FISIOLOGICA - stimolo che induce all’aumento della
funzionalità e dimensione. Es. il muscolo scheletrico: non può
aumentare il numero di cellule (come quelle neuronali/cardiache)
perciò per aumentare la sua attività utilizzerà l’ipertrofia. PER
AUMENTARE IL SUO VOLUME aumenta la sintesi dei componenti
strutturali. Di solito finalizzato ad accrescere le capacità funzionali.
(degradazione di proteine che non contribuiscono alla crescita
ipertrofica + produzione di proteine che la stimolano+ apoptosi inibita
per aumento della sopravvivenza cellulare)
o IPERTROFIA PATOLOGICA – ES. IPERTENZIONE e difetti valvolari, per
difendersi dall’aumento della pressione, il cuore ipertrofisa le pareti,
ma compromette in realtà le sue funzioni
 IPERPLASIA (aumento numero) e una strategia per aumentare la richiesta di
aumento di performance, una risposta a stimoli ormonali o danni cellulari
cronici. È un tipo di adattamento possibile soltanto in quelle cellule in grado di
dividersi (cellule che erano quiescenti (fasi G0) rientrano nel ciclo cellulare
(fase G1) e si dividano (fase M). Iperplasia fisiologica compensativa: come in
risposta all’epatectomia (quando si taglia un pezzo del fegato, le cellule
epatiche proliferano per rigenerare il tessuto tagliato). Iperplasia patologica
es. aumento del livello di estrogeno nell’endometrio che può causare una
neoplasia (tumore)
o Quando lo stimolo fisiologico e molto intenso, la cellula può utilizzare
ipertrofia e iperplasia combinati per raggiungere lo scopo, per esempio
durante la gravidanza/ le ghiandole mammarie – aumento della
superficie secretoria)
 METAPLASIA - è la conversione di un tipo cellulare differenziato in un altro,
generalmente in risposta ad un danno cronico e persistente è caratterizzata
da un cambiamento del fenotipo – cambio di “destinazione d’uso) per
garantire la miglior protezione possibile al danno. Esempio: epitelio
bronchiale dei fumatori una cellula epiteliale specializzate nella produzione di
muco (ma poco resistente a irritazioni croniche) si differenzia da cilindrico a
squamoso/pavimentoso multi-stratificato (perché il pavimentoso e più
resistente…è un sistema difensivo dell’epitelio bronchiale….soltanto che le
capacità funzionali cambiano es. perdono le ciglia e pertanto di portare via i
particolati e patogeni), in genere è una metaplasia patologica . Es 2. Anche
l’epitelio delle vie biliari che da secretorio si differenzia a squamoso per
resistere alla presenza di un calcolo. Solitamente la metaplasia è reversibile -
finito lo stimolo ritorna alle forme/funzione originali (es secretorio), ma in
certi casi può portare a trasformazione neoplastica: tumori del polmone, della
cervice uterina… L’adattamento accade non nella cellula esistente, ma alle
nuove che arrivano)
 DISPLASIA (atipia cellulare) – è una crescita e una maturazione disordinata
delle cellule di un tessuto che significa perdita di uniformità e
dell’orientamento architettonico di una cellula o gruppo di cellule. Molto
frequente negli epiteli, fino a un certo punto e reversibile. Quando il
cambiamento diventa permanete (sotto uno stimolo molto intenso o
particolare) da displastica diventa neoplastica: cancro…non sempre succede.
La displasia epiteliale estesa genera il carcinoma in situ. La densità delle
cellule displastiche in un tessuto può essere lieve, moderata o grave.
Solitamente la displasia regredisce con lo scomparire dello stimolo dannoso.

NON C’ENTRA CON LA DISPLASIA DELL’ANCA - La displasia dell'anca è una


malformazione congenita che porta gradualmente la testa del femore a dislocarsi
dalla cavità acetabolare, destinata a contenerla e a farla ruotare al proprio interno.
Questo difetto si deve ad un anomalo sviluppo dell'articolazione coxo-femorale in
epoca intrauterina.

Se la cellula non riesce a adattarsi, viene danneggiata, soffre, (accumula danni


strutturale/funzionale finché non riesce più a realizzare le sue funzioni. Se lo
stimolo patologico è molto intenso , la cellula ha il tempo per rispondere allo
stimolo (reagire) e
i danni accadano subito. Se lo stimolo cessa la cellula può riuscire a ripararsi
tornando al suo stato fisiologico. C’è ovviamente un punto di non ritorno, in quel
caso la cellula innesca il processo di morte (danno irreversibile)

NELLE CELLULE SI POSSONO ACCUMULARE SOSTANZE ORGANICHE O


INORGANICHE. Questo accumulo può essere così massiccio che è possibile osservalo
nel citoplasma con il microscopio ottico. Gli accumuli, a seconda del materiale,
possono causare diverse patologie: Steatosi, accumulo di proteine, di glicogeno, di
polisaccaridi e di pigmenti organici

1. LA STEATOSI – o degenerazione grassa. E l’accumulo intracellulare di


TRIGLICERIDI di provenienza endogena o esogena. Si verifica prinipalmente
nel fegato (ma anche dei reni e miocardio). E una reazione reversibile. I
trigliceridi sono normalmente accumulati nel fegato, se c’è una disfunzione
del sistema di trasporto dei trigliceridi, si accumulano in maniera patologica e
chiamata STEATOSI DA SOVRACCARICO – conseguenza di una aumentata
mobilizzazione di trigliceridi (iperlipemia nel diabete I) o eccessiva assunzione
di trigliceridi tramite la dieta. STEATOSI DA ALTERATO METABOLISMO/
sintesi degli acidi grassi. Conseguente dalla riduzione della secrezione dei
trigliceridi nel plasma dalla parte degli epatociti sotto forma di lipoproteine
( carenza di apolipoproteine, tossine, farmaci). STEATOSI DA ALCOL – Le cause
possono essere multifattoriali dipendenti dal metabolismo dell’etanolo a
livello epatico. L’accumulo di trigliceridi negli epatociti provoca epatomegalia
(fegato ingrandito - che risulta dolente alla palpazione e di colore giallastro).
L’Alcol arriva nel fegato per essere metabolizzato ed eliminato tramite
l’azione dell’alcol deidrogenasi formando acetaldeide che è molto tossico
(viene processato dalla aldeide deidrogenasi formando acetato e poi acetil-
coA- che è il componente principale nella formazione degli acidi grassi. La
costante assunzione di alcol porta alla steatosi o all’epatite (quando
l’assunzione è in maggior quantità – il danno agli epatociti è molto maggiore,
non causa steatosi perché non si ha tempo….) entrambi possono portare alla
cirrosi, dalla quale non si può tornare indietro.
2. ACCUMULO DI MATERIALE INORGANICO – Le cellule di alcuni tessuti possono
accumulare materiale inorganico proveniente dall’AMBIENTE ESTERNO (es.
polveri presenti negli ambienti di lavoro) o per ECCESSO IN CIRCOLAZIONE
Esempi:. malattia del Polmone Nero causata da eccessiva inalazione di
polvere di carbone che vengono assorgite dai macrofagi polmonari causando
accumulo delle particelle (minatori) o la Silicosi che è l’accumulo di particelle
di quarzo nei macrofagi polmonari). Emocromatosi – malattia genetica che
causa eccessivo riassorbimento di ferro, Emosiderosi – sovraccarico di ferro
acquisito da eccessive trasfusioni (>100), solitamete non danneggia le cellule.
L’accumulo eccessivo e prolungato di ferro può danneggiare organi vitali
(cuore, fegato e pancreas) e può essere associato all’aumento del rischio di
cancro
3. ACCUMULO PER MATERIALI EXTRACELLULARI – Materiali organici o
inorganici possono accumularsi in ambiente extracellulare perché la loro
produzione è quantitativamente o qualitativamente alterata. In generale, il
materiale viene depositato nell’organo che lo sintetizza. Materiali nella
circolazione sistemica, invece si depositano in diversi organi. Possono o no
portare danno (anche patologie gravi).

LE PRINCIPALI MALATIE DA ACCUMULO: Amiloidosi, ialinosi, degenerazione


fibrinoide o mucosa, sclerosi o fibrosi e calcificazioni
1. AMILOIDOSI – È una patologia acquisita o ereditaria che porta proteine,
normalmente solubili, a depositarsi e accumularsi in forma insolubile nello
spazio extracellulare (il nome è perché la colorazione è simile a quella
dell’amido)
a. ALZHEIMER – amiloidosi localizzata, neurodegenerativa che
interessa la corteccia cerebrale. L’incidenza maggiore è sopra 85
anni. Le principali manifestazioni cliniche sono: perdita delle funzioni
cognitive indipendenti dallo stato di attenzione (demenza), perdita
della memoria breve, disorientamento e disfunzioni del linguaggio.
Le complicazioni riducono l’aspettativa di vita, in genere portando
alla morte per complicazioni respiratorie. Microscopicamente
consiste nella deposizione di materiale proteico nel cervello
(soprattutto a livello corticale), sotto forma di PLACCHE NEURITICHE
(senili) e NODI NEUROFIBRILLARI (Mutazioni o predisposizioni
genetiche portano a un taglio peptidico patologico formando
placche che portano alla malattia)

2. SCLEROSI O FIBROSI – Il connettivo stromale evolve in connettivo fibroso


con conseguente alterazione dell’architettura tissutale e della funzionalità
dell’organo

APOPTOSI – morte cellulare programmata (suicidio cellulare) - fisiologica - ciclo


naturale della cellula per essere sostituita per una nuova – rinnovamento –
mantenendo l’omeostasi/numero fisiologico di cellule (bilancio tra proliferazione ,
cellule(esempio cellule staminale che sono in costante proliferazione/morte). Es-
cellule B e T del sangue, epitelio intestinale (molto sottoposti a stress chimici e
meccanici), Stimoli alla apoptosi:
 Diminuzione di fattori di crescita o ormoni (angiogenesi riparativa)
 Rinnovamento cellulare
 Distacco dal substrato
 Cellule che hanno subito un danno al DNA, che non può essere riparato .es.
per radiazioni (se la mutazione porta a una proliferazione non regolata –
interviene subito la apoptosi per evitarlo. Se questo meccanismo di controllo
e difesa/riparazione (per attivazione, tramite mutazione, di geni anti-
apoptotici i quali inattivano i geni pro-apoptotici) non funziona…. può dare
origine a un tumore
 Stimolazione recettori di morte es linfociti auto reattivi, linfociti T citotossici
Il processo apoptotici può essere diviso in diverse fasi temporali, tramite
“l’interruttore cellulare: LE CASPASI (enzimi proteolitici che, quando sono
attivati da speciali molecole guardiane, gli apoptosomi, tagliano proteine
strategiche nella cellula in un modo specifico e ordinato. Inoltre,
attivano/inibiscono proteine che frammentano altre molecole (come gli
acidi nucleici). che una volta attivato non c’è più ritorno:
- Iniziazione: cellule determinate alla morte
- Esecuzione: alterazioni morfologiche: nucleo si frammenta, poi la cellula si
frammenta formando i corpi apoptotici
- Riconoscimento e fagocitosi: eliminazione dei
resti cellulari da parte di cellule specializzate
 ECCESSO DI APOPTOSI – malattie degenerative come Parkinson e Alzheimer.
Eccesso di apoptosi di cellule nervose stimolate da agenti patologici. HIV
induce apoptosi in CD4 e T-helper (perché innesca l’attivazione delle CASPASI)
 DIFETTO DI APOPTOSI – Malattie autoimmuni – i linfociti T auto reattivi sono
pericolosi e devono essere eliminati, quando questo non accade possono
causare un attacco al sistema immunitario causando diabete tipo I, sclerosi
multipla…. TUMORE

AUTOFAGIA – E un processo attivo , come l’apoptosi, che s’instaura quando


una situazione di stress(ipossia, mancanza di fattori di crescita..) richiede
l’autodigestione di una parte dei costituenti macromolecolari cellulari, proteine mal
ripiegate. Invaginazioni della membrana plasmatica formano vescicole attorno alla
molecola interessata, si fondono con lisosomi e degradano il materiale inglobato.
L’autofagia è anche coinvolta nell’omeostasi cellulare e nel turnover degli organelli.

NECROSI – morte cellulare NON PROGRAMMATA, provocata da un ambiente


ostile/patogeno al quale la cellula non riesce a adattarsi efficacemente. Condizione
patologica conseguente da danni cellulari irreversibili (es. infarti). Tendenzialmente
massiva. La sequenza consiste : rigonfiamento della cellula (degradazione del DNA),
scoppio della cellula ( membrana ), riversamento di tutto il contenuto nell’interstizio
il che causa una INFIAMMAZIONE (non succede nell’apoptosi).

 IPOSSIA (mancanza di O2)– interruzione della respirazione cellulare


(mitocondri) no produzione ATP- manca energia – conseguente morte.
L’ipossia può accadere per: ISCHEMIA – riduzione del flusso ematico tessutale.
 IPOSSIEMIA – riduzione O2 nel plasma: per blocco ventilazione/diffusione
ossigeno negli alveoli, per problemi nel TRASPORTO – l’emoglobina non
trasporta correttamente l’ossigeno es. per avvelenamento di CO, anemie,
emoglobinopatie
 RADICALI LIBERI – che sono derivati dell’O2 o N, (superossido O2-, idrolilico
OH-, perossido di idrogeno H2O2 – acqua ossigenata, ossido nitrico NO). Per
neutralizzare i radicali liberi il corpo ha antiossidanti non enzimatici es.
vitamine A e E che sono assunti con la dieta; o quelli enzimatici prodotti dalle
cellule come superossido dismutasi (trasformaO2- in H2O2 )+ la catalisi
(trasforma H2O2 in H2O). Questi enzimi sono sempre presenti perché i
radicali liberi son

 o prodotti di scarto della respirazione mitocondriale…perciò sempre presenti

PATOLOGIE ASSOCIATE ALLA NECROSI:


 ISCHEMICHE – infarto del miocardio, ischemia cerebrale
 EMORRAGICHE – aneurismi, emorragia cerebrale
 MALATTIE INFETTIVE – HIV uccide linfociti T helper
 ABUSO DI SOSTANZA – farmaci, alcol causano necrosi epatica
RICORDARE : La necrosi attiva la risposta infiammatoria la quale peggiora il danno
determinando ulteriore necrosi cellulare. L’entità del danno è spesso dipendente
dall’esuberanza della risposta infiammatoria.
 L’apoptosi e l’autofagia non attivano la risposta infiammatoria quindi i
rischi che ne possono derivare

https://www.youtube.com/watch?v=mdtAXc2QWlc

DIFFERENZIAMENTO DELLE CELLULE DEL SANGUE Cellula staminale ematopoietica


pluripotente
(staminali)– si divide
in maniera
asimmetrica (una
uguale alla cellula
madre, l’altra
differenziata). La
cellula differenziata
può essere MIELOIDE
(neutrofili, basofili,
eosinofili, eritrociti,
monociti, cellule
dendritiche e
piastrine) O LINFOIDE
(linfociti T, Linfociti B
e NK). Una volta che
la cellula prende la
linea di
differenziamento, non riesce più a tornare indietro – ma maturano cellule specifiche
di quella linea.
NON È NECESSARIO SAPERE TUTTI I NOMI DELLE VIE, MA IL CONCETTO DELLE DUE
VIE PRINCIPALI: mieloide e linfoide

CELLULE DEL SISTEMA IMMUNITARIO – PRECURSORE MIELOIDE : fagociti


(eosinofili, monociti, neutrofili) e PRECURSORE LINFOIDE : linfociti (linfociti B, NK e
linfociti T)

Nella linea linfoide: a seconda del tipo di linfocita che deve essere prodotto, esso
può maturate esternamente, è il caso dei linfociti T che maturano nel timo (linfocita
B e NK - natural killer maturano nel midollo osseo). Una volta completata la loro
maturazione sono inviati nei tessuti periferici. DOPO LA MATURAZIONE NEL TIMO:
LINFOTICI T HELPER o LINFOCITI T CITOTOSSICI. I linfociti B invece (Bone) maturano
nel midollo

SISTEMA IMMUNITARIO – serve per controllare che tutto vada bene. Ci difende dai
patogeni, ma anche controlla diverse altre cose. Quando un patogeno penetra
nell’organismo produce delle tossine e danni. Il sistema immunitario provvede
anche a difenderci da tutte le anomalie che sono prodotti dall’organismo stesso (es.
neoplasie per mutazioni… - antigeni tumorali). Le risposte immunitarie possono
essere indotte da varie agenti tali: virus, batteri parassiti, trapianti … IMMUNITA
NATURALE - UMORALE (complementi) O CELLULARE (Fagociti e NK). IMMUNITÀ
SPECIFICA – UMORALE (complementi, anticorpi) O CELLULARE (linfociti B e T).
L’IMMUNITÀ INNATA E ACQUISITA SONO ARMI DIVERSI CON UNO STESSO SCOPO
FINALE: ELIMINARE/MINIMIZZARE I DANNI

ANTIGENI NON SELF – molecole non identificate dall’organismo, che vano


contrastate dal sist. Immunitario. ANTIGENI sono strutture proteiche presente
all’esterno dell’agente patogeno. (es gp120 antigene HIV)

L’IMMUNITA’ INNATA o NATURALE O ASPECIFICA – è quella sempre presente /


SEMPRE ATTIVA, che agisce immediatamente. Sono cellule o mediatori plasmatici
che quando incontrano l’antigene (agente estraneo) lo riconoscono e cercano subito
di eliminarlo. Includono tutte le barriere fisiche come mucose ed epiteli +
IMMUNITÀ CELLULARE (fagociti e natural killer) + sistema del complemento
(IMMUNITÀ UMORALE). Un ulteriore componente è la risposta infiammatoria che è
una reazione difensiva tessutale

1. IMMUNITÀ UMORALE INNATA –


proteine solubile chiamate
complemento. Si trova nel sangue
(C1 a C9) . Caratterizzate dalla
capacità di attivarsi a cascata,
ciascuno con funzioni diverse
(opsonizzazione di batteri,
attivazione di mastociti e basofili,
chemiotassi di globuli bianchi, fino
alla lisi della cellula (complesso di
attacco C5-C9). Utilizzato come
arma umorale. Il complemento viene attivato da C3 (via alternativa -attivata
da prodotti dei microrganismi come endossine batteriche, fattore del veleno
di cobra, virus, cellule tumorali e materiali estranei). Il C3 ricopre il batterio
(opsonizzazione di batteri), il fagocita identifica il c3 e fagocita il complesso.
Se non viene fagocitato il C3 attiva la cascata fino alla formazione del
complesso che perfora la parete batterica e distrugge il batterio – attiva anche
la risposta infiammatoria

2. IMMUNITÀ CELLULARE INNATA – rappresentata da cellule fagocitarie e NK

NATURAL KILLER NK – riconoscono le cellule bersaglio solitamente


mediante meccanismi antigene-indipendenti. Agiscono sulle cellule
eucariotiche (tumorali o infettate) inducendo apoptosi su essi (linfociti –
presenti sul tessuto linfoide/ Organi linfoidi secondari: linfonodi, vasi linfatici,
MALT - tessuto linfoide associato alla mucosa) tramite la liberazione di
proteine citolitiche come le perforine. I NK sono anche in grado di indurre la
lisi delle cellule bersaglio attraverso un meccanismo di citotossicità cellulo-
mediata anticorpo-Dipendente (ADCC)
L’IMMUNITÀ ACQUISITA (antigene dipendente) – arriva dopo, con tempi diversi di
quella innata, in condizioni ben specifiche. Caratteristiche:
SPECIFICITA- la risposta immune è diretta specificamente contro singole
molecole, tra loro diverse, dette antigeni ( o su parte di essa – epitopi). Antigene –
struttura proteica tridimensionale e unica. Epitopi parte dell’antigene anche
chiamata determinante antigenici, alla quale può reagire un anticorpo.
DIVERSITA’ – il sistema immunologico di un individuo è in grado di
riconoscere un’amplissima gamma di specificità diverse (10^10 determinanti
antigenici distinti, mediante specifici recettori).
MEMORIA – il sistema immunologico è in grado di rispondere più
velocemente ed efficacemente alle prossime esposizioni all’antigene perché
conserva una “memoria immunologica” la quale permane per lungo tempo in forma
quiescente e si attiva qualora l’antigene si ripresenti. E il principio sul quale si basano
le vaccinazioni.
TOLERANZA – il sistema immunologico è in grado di discriminare antigeni
esogeni e molecole endogene, tra self e non self, e di salvaguardare l’integrità
dell’individuo.

IMMUNITÀ UMORALE ACQUISITA – proteine solubile chiamate complemento


+ Anticorpi. A differenza della IMMUNITÀ innata( che è sempre attiva/presente), la
IMMUNITÀ acquisita /specifica viene attivata soltanto quando identificato un
potenziale pericolo che genera uno stimolo e una conseguente reazione:
l’attivazione delle difese immunitaria, portando alla conclusione ossia alla
eliminazione delle molecole anomale
1. La cascata di complemento prende La Via classica parte da C1- 9. È
attivata dai complessi antigene- anticorpi, da prodotti batterici e virali e
da cellula apoptotiche

ANTIGENE – ogni antigene possiede diversi epitopi che possono essere


riconosciuti in modi diverse. Il sistema immunitario e in grado di sviluppare una
risposta per ogni uno degli epitopi che possono essere riconosciuti.

GLI ANTICORPI – riconoscono gli antigeni come anomali o estranei


all’organismo. Sono prodotti dai linfociti B e esistono milioni di tipi diversi. Possono
essere solubili o attaccati sulla superficie del linfocita B. Gli anticorpi sono
composti da due catene pesanti e due leggere ( a y). Le due braccia della y sono le
porzione variabile dell’anticorpo, è li che avviene il riconoscimento
dell’antigene/riconoscimento degli epitopi.
RICONOSCIMENTO DELL’ANTIGENE - avviene quando l’anticorpo è
presente in FORMA STABILE sul linfocita B che circola nell’organismo (BCR –
anticorpo a forma di recettore fisso all’esterno del linfocita B) ed è capace di
riconoscere gli epitopi di un antigene, quando lo incontra si attiva.
REAZIONE – Attivazione delle difese immunitarie. Ogni linfocita B porta
soltanto un tipo di BCR specifico. Praticamente qualsiasi molecola estranea
arrive dentro il nostro organismo esiste un BCR capace di riconoscerla. Una
volta che un BCR riconosce una molecola non self, esso si attiva e stimola la
produzione /proliferazione del linfocita B che porta quello specifico BCR per
combattere la molecola non self (entra in mitose – era prima quiescente fasi
G0). Questa e la risposta immunitaria specifica (una volta proliferato, una
piccola parte viene accantonato per rimanere come memoria per una
prossima volta (immagazzinati negli organi linfoidi secondari) – tutti gli altri
vengono diferenziati in plasmacellula (reticolo endoplasmatico rugoso molto
svilupato in grado di produrre tante proteine – industria di produzione di
ANTICORPI SOLUBILI – sono tutti identici al BCR (per un particolare epitopo))

CONCLUSIONE - gli anticorpi solubili possono agire in 4 modi diversi:


NEUTRALIZZAZIONE – gli anticorpi possono legare a tossine batteriche
neutralizzando i siti attivi o inattivare proteine batteriche implicate nella invasione
cellulare. Può anche ricoprire completamente il patogeno impedendolo di infettare
la cellula.
STIMOLAZIONE FAGOCITOSI – agendo in cooperazione con l’immunità naturale. Si
attacca alla superfice della molecola estranea lasciando la coda (frammento fc) che è
riconosciuta in modo specifico dai recettori FC dei fagociti come molecola da
eliminare
ATTIVAZIONE DEL COMPLEMENTO – attivano proteine del complemento C1 (che
dipende dell’anticorpo per essere attivata, non potrà mai essere attivata nella
IMMUNITÀ aspecifica/innata) promuovendo la cascata delle proteine del
complemento (ricordare che nella via alternativa della immunità innata la cascata
comincia a C3 perché non serve l’anticorpo, basta l’antigene), anche ‘essa attivate
dalla coda FC dell’anticorpo esposta sulla superficie della molecola estranea. Porta
alla lisi della cellula. Il complesso di attacco promuovere la lisi della superficie
batterica (se il corpo estraneo è un batterio)

ATTIVAZIONE DEL NK – la coda FC degli anticorpi sono riconosciuti dai NK che


liberano sostanze pro-apoptosi (soprattutto cellule eucariotiche tumorali o infettate
da virus. Distruggono tutta la cellula infetta.

APPROFONDIMENTO - APC (Antigen Presenting Cell) Cellula specializzata nel legarsi


all’antigene e presentarlo, dopo elaborazione, ai linfociti T. Tre tipi di cellule
svolgono tale funzione: le cellule dendritiche, i macrofagi e i linfociti B. Il ruolo
immunologico più importante è svolto dalle cellule dendritiche. Caratteristica di
queste cellule è di esprimere entrambi gli antigeni d’istocompatibilità (➔) di classe I
e II (MHC-I e MHC-II). Ruolo delle cellule dendritiche: La cellula dendritica, nata nel
midollo osseo, colonizza i tessuti dove risiede e vi svolge attività di fagocitosi,
mediata da numerosi recettori. Queste cellule vengono attivate dalla fagocitosi di
sostanze estranee (endotossine, antigeni batterici, ecc.). Frammenti della digestione
delle sostanze fagocitate vengono legati a MHC-II e con essi esposti sulla membrana
cellulare; contemporaneamente aumenta la produzione ed espressione sulla
membrana di MHC-II e di altre molecole costimolatorie. La cellula dendritica migra
verso i linfonodi regionali, dove si ferma perdendo la capacità fagocitica.Grazie
all’interazione con molecole di adesione (LFA-1, ICAM-1, ecc.) il linfocita T,
ricircolante di passaggio nel linfonodo, aderisce sulla superficie filamentosa della
APC. Recettori presenti sul linfocita, i TCR (T Cell Receptor, recettore delle cellule T),
si combinano con i vari MHC-II che presentano peptidi antigenici. In caso di
complementarietà, cioè se il TCR riconosce l’antigene per cui il linfocita T è specifico,
il legame viene prima rinsaldato grazie al recettore CD4, che stabilizza il complesso,
e successivamente dall’interazione tra il costimolatore CD28 sulla membrana del
linfocito T e il B7 sulla cellula dendritica. Altre coppie di recettori e ligandi
consolidano ulteriormente il legame. Conseguentemente nel linfocita T si innescano i
processi di attivazione, primo fra tutti la produzione di IL-2 (interleuchina-2), che
amplifica l’attivazione e innesca la proliferazione dei linfociti T. Inoltre si innesca
anche la produzione di CTLA-4 (CD152), ligando del B7, con affinità maggiore di
CD28, ma con attività inibitoria. Un linfocita T che interagisce con una APC ma che
non riconosce l’antigene, non viene stimolato e uscirà dal linfonodo per rientrare in
circolo. Un linfocita T che riconosce un antigene su una APC non attivata (cioè priva
di molecole costimolatorie) riceve solo un segnale inibitorio da CTLA-4. Ruolo dei
macrofagi e dei linfociti B. I macrofagi del focolaio infiammatorio e dei linfonodi,
con processi analoghi a quelli delle cellule dendritiche, ma con minor efficienza, sono
molto attivi nel presentare antigeni di tipo batterico. I linfociti B, invece, grazie alle
immunoglobuline di membrana, captano antigeni solubili (per es., tossine) e li
processano per endocitosi (➔) legandoli agli MHC-II insieme alle molecole
costimolatorie, rendendo così possibile l’attivazione dei linfociti T.

IMMUNITÀ SPECIFICA CELLULARE O CELLULA MEDIATA (LINFOCITI T) – non


coinvolge anticorpi. L’antigene viene fagocitato da Cellule APC. APC – cellule
presentante l’antigene – sono le cellule sentielle che contengono l’antigene. Sono
macrofagi e cellule denditriche. Si spostano ovunque nell’organismo alla ricerca di
anomalia. Se incontrano una anomalia, la fagocitano e poi espongono l’antigene
sulla superficie cellulare tramite endocitosi (recettore MHC II solo nelle cellule APC)
per essere controlato dal sistema immunitario che poi decide se deve attivarsi o no
(LINFOCITA T HELPER – che vanno attivare i linfociti B – IMMUNITÀ umorale)
MHC – molecole del gruppo maggiore di istocompatibilità.
 MHC I - presente in tutte le cellule del corpo. Legano antigeni di
natura proteica prodotti all’interno delle cellule. Questi antigeni
vengono riconosciuti dai linfociti T citotossici nel rigetto ai trapianti o
nell’eliminazione di cellule infettate da virus
 MHC II solo nelle cellule APC . Espone tutte le proteine presenti nella
cellula al sistema immunitario, che legono proteine dei microrganismo
soltanto dopo che questi sono stati fagocitati e deradati (linfocita T
CITOTOSSICO – vanno a distrugere tutte le cellule che spongono quelli
antigene che rappresentano pericolo)

I Linfociti T riconoscono
l’antigene esposto tramite il recettore
TCR e si attivano. I linfociti T
citotossici invece riconoscono la
cellula eucariotica che espone
l’antigene specifico pericoloso
inducendo la cellula alla apoptosi –
innietando perforine e granzimi, o
producono dei fattori solubili (ligandi-
linfotossine) che inducono alla apoptosi. Il linfocita B, se trova un Thelper con lo
TCR/TBR giusto viene piu facilmente attivato. La presenza di due tipi di IMMUNITÀ
serve perché agiscono in tempi e modi diversi, peciò sono piu o meno adatte a ogni
tipo di “attacco”. Gli attachi non proteici invece, non attivano il sistema immunitario
(esempio agente chimici/radiazioni) ma dai sistemi imfiammatori in risposta ai danni
tissutali.
RIASSUMENDO:

Quando il sistema immunologico non funziona, o non riesce a combattere l’agente


di pericolo, parliamo di immunopatologia.
TIPI DI IMMUNOPATOLOGIE
1. REAZIONI DI IPERSENSIBILITÀ
2. MALATTIE AUTOIMUNI
3. SINDROMI CON RIDOTA RISPOSTA IMMUNITARIA
4. SINDROMI DI IMMUNODEFICENZA

1.REAZIONI DI IPERSENSIBILITA:
 Molecole solitamente innocue che possono stimolare la risposta immune
acquisita e creare una memoria immunologica. Nei soggetti sensibilizzati si crea
una reazione infiammatoria eccessiva e un danno tissutale ogni volta che
l’organismo viene in contatto con l’antigene. L’iperreazione dell’organismo a
questi antigeni ambientali normalmente non nocivi è della REAZIONE DI
IPERSENSIBILITÀ (i – iv). Es urticaria, asma, febbre da fieno… Le reazione di
ipersensibilità del tipo I,II e III richiedono la formazione di un anticorpo specifico
per un antigene esogeno o endogeno. La ipersensibilita di tipo 4 invece richiede
la produzione di linfociti T specifici per l’antigene

IPERSENSIBILITÀ TIPO I . o ipersensibilità immediata o REAZIONE


ANAFILATTICA: è la risposta ad antigeni ambientali (allergeni) con produzione
di IgE (“fattore ereditario”). Le manifestazioni patologiche sonno le ALLERGIE.
 In alcuni particolari soggetti, le IgE vengono prodotte in eccesso e si
depositano sulle membrane dei mastociti/basofili (recettore del frammento
FC – gambo dell’anticorpo) con le “braccia corte” esposti all’esterno. Quando
l’antigene si ripresenta si lega agli anticorpi, segnalando la interazione al
mastocita, il quale si attiva – (Il mastocita produce dei fattori proteici-
istamine, citochine e mediatori lipidici- che sono immagazzinati in granuli).
Una volta attivato il mastocita libera i fattori (degranulazione) provocando
una reazione infiammatoria (vasodilatazione capillare da aumentata
permeabilità (edema), stenosi bronchiale, secrezione di muco, dolore,
orticaria, spasmi dei muscoli lisci. Questa reazione infiammatoria provoca
danni agli epiteli (asma, febbre da fieno, anafilassi…)
Esempi di allergie:
 Via di ingresso endovenosa (il circolo ematico) vengono rapidamente
assorbiti, è il caso dei farmaci, siero, veleni. In questi casi la reazione è
sistemica e può essere estremamente grave (shock anafilattico). Sintomi tipici
sono Edema – aumentata permeabilità vasale, occlusione tracheale, collasso
circolatorio . Può portare alla morte
 Via di ingresso sottocutanea (es. puntura di insetti, test allergenici) - la
sensibilizzazione è locale tramite ponfo/eritema. Si manifesta con sintomi
tale, prurito, aumento locale di flusso sanguineo e della permeabilità
sistemica.
 Via di ingresso inalatoria (es. polini, feci degli acari delle polveri) le reazioni
allergeniche saranno a carico delle vie respiratorie come: Rinite allergiche
(febbre da fieno) che causa edema e irritazione della mucosa nasale, asma
bronchiale che causa broncocostrizione, aumento di secrezione mucosa e
infiammazione delle vie aeree
 Via di ingresso orale (cibi come crostacei, pesce, latte uova, frumento).
Provocando Allergia alimentare che causano: vomito, diarrea, prurito,
orticaria, anafilassi (L'anafilassi è una reazione IgE-mediata acuta,
potenzialmente letale, che si verifica in soggetti precedentemente
sensibilizzati in occasione di una riesposizione all'antigeni sensibilizzante. I
segni possono comprendere stridore, dispnea, sibili, e ipotensione).

IPERSENSIBILITÀ DI TIPO II o CITOTOSSICHE- La reazione accade contro


cellule dell’organismo – gli anticorpi IgM o IgG riconoscono antigeni
presenti sulle membrane di cellule dell’organismo o matrice extracellulare
provocando opsonizzazione, fagocitosi e attivazione del complemento.
Generalmente sono reazioni a farmaci, trasfusioni, incompatibilità
materno fetale (fattore Rh), malattie autoimmuni come la sindrome
Goodpasture. *
 EMOLISI DA FARMACO . es. la penicillina si lega alla superficie del
globulo rosso creando un nuovo antigene. La reazione citotossica
anticorpo-dipendente porta alla lisi della cellula, da parte del
complemento
 EMOLISI DA INCOMPATIBILITÀ – es. fattore Rh, gruppo sanguineo,
eritroblasti fetale o MEN . Nel caso di una trasfusione il donatore
Rh+ e il ricevente Rh-, l’antigene non viene riconosciuto (anche
quando mamma è Rh+ e il feto è Rh- . lo stesso accade per i gruppi
sanguini. Il gruppo 0 non presenta antigene né A né B per questo è il
donatore universale e può ricevere soltanto da un altro gruppo 0.
IPERSENSIBILITÀ TIPO III – Malattie da immunocomplessi - Gli
immunocomplessi si formano normalmente tra antigeni solubili e anticorpi
IgM o IgG. In alcuni soggetti predisposti, questi immunocomplessi sono
molto grandi e si depositano, innescando processi infiammatori (tramite
reclutamento e attivazione dei leucociti e attivazione dei complementi)

Immunocomplessi circolanti – Si possono depositare nelle pareti vasali


provocando vasculiti, o nei glomeruli renali provocando nefriti.
Immunocomplessi tissutali – si depositano nelle articolazioni (artriti) o nei
piccoli vasi cutanei (eritemi)
Le malattie umane mediate da immunocomplessi possono avere causa
esogene o endogene.
 Cause esogene possono essere conseguenze di infezioni (antigeni
batterici, virali o parassitari) o di patologie d’organo (antigeni dei
farmaci), e la loro manifestazione clinico-patologica sono: vasculiti,
eritemi cutanei e nefriti.
 Cause endogene conseguenze di malattie autoimmuni
(autoantigeni), lupus eritematoso sistemico (antigene DNA,
nucleoproteine), glomerulonefrite post streptococcica (antigene
della parete streptococcica, cross- reattività con membrana basale
del glomerulo). Le loro manifestazioni clinico-patologica sono:
vasculiti, artrite e nefriti

IPERSENSIBILITÀ TIPO IV – CELULLA MEDIATA- non implicano


produzione di anticorpi. Reazione cellula-mediata iniziata da linfociti Th
sensibilizzati (memoria) che attivano velocemente i macrofagi provocando
infiammazione. Rappresenta un importante sistema difensivo dell’organismo
contro patogeni intracellulari (batteri, funghi, protozoi)
ES. REAZIONE ALLA TUBERCULINA (ipersensibilità ritardata) iniezione
intradermica di tubercolina provoca nei soggetti precedentemente
sensibilizzati un arrossamento, gonfiore e indurimento della zona in 48-72h
DERMATITE DA CONTATO – non confondere con allergia. Sono reazioni
contro sostanze chimiche ambientali (cromo, nichel, cobalto) che vengono a
contato con la pelle. I linfociti Th (Th17) rilasciano citotossine o attivano
monociti e danneggiano i cheratinociti formando vescicole intradermiche. Es-
reazione al nichel della bigiotteria o all’edera velenosa.
RIGETTO - Nel caso di un trapianto ci può essere una reazione cellula
mediata dal sistema immunitario contro gli antigeni presenti sulle cellule
dell’organo trapiantato.
RIGETTO IPERACUTO – in pochi giorni. Accade in soggetti già
sensibilizzati. Nel sangue del ricevente sono già presenti gli anticorpi contro antigeni
dell’organo trapiantato. In soggetti dopo trasfusioni o precedenti trapianti.
RIGETTO ACUTO - (2 sett a – di 1 anno) funzione dell’IMMUNITÀ
specifica umorale e cellulare
RIGETTO CRONICO – > 3 mesi o anni – La IMMUNITÀ specifica
cellulare è di scarsa imponenza (il tempo di risposta dipende molto di tipo di
antigene -Se il corpo ricevente ha un antigene simile lo attaccherà con meno forza e
più lentamente). Causa infiammazione cronica e conseguente fibrosi nell’organo
trapiantato

es. trapianto renale:


l’organo trapiantato (lume e
vasi sanguinei), può
presentare antigeni che
attivano i linfociti T
citotossici e i Thelper che
vanno ad attaccare le
strutture del rene
trapiantato

2.NELLA REAZIONI AUTOIMMUNE, gli antigeni non sono in realtà nocivi, ma


vengono interpretati come tali dal sistema immunitario, causando reazioni che
possono essere più o meno nocive.
 Le malattie autoimmuni colpiscono 1-2% degli individui occidentali. Sono
malattie multifattoriali che coinvolgono fattori genetici, immunologici e
infettivi. Possono essere organo-specifiche o diffuse (sistemiche). Sono
correlate a sesso e età (esempio più incidenza in femmine sopra i 40 anni),
soggette all’influenza ambientali e possono essere implicati anche
microrganismi patogeni.
 In situazione fisiologica, il sistema immunitario riconosce antigeni esterni
all’organismo come NON-Self eliminandoli li elimina, e riconosci le molecole
proprie all’organismo come Self e le “risparmia”. MALATTIE AUTOIMMUNI –
Accadono quando il sistema immunitario scambia una cellula self con una non
-self e l’attacca
 La tolleranza della IMMUNITÀ specifica, in questo caso non funziona. E come
se il sistema non “ricordasse” quella molecola, nonostante sia self. Come si
istaura la tolleranza? Lo fa mediante un processo che avviene nel Timo, nelle
prime fasi dello sviluppo – fa parte del processo di maturazione dei linfociti T.
E compito dei linfociti T identificare le cellule Non self. Durante la
maturazione alcuni Linfociti non assimilano le informazioni che riguardano
tutte le molecole self. Ogni linfocita T ha un particolare TCR, e valuta se nelle
proteine self c’è un antigene per lui riconoscibile. Se lui non trova nessun
antigene, è maturo (ossia lui non attaccherà le molecole self) e può uscire
liberamente dal Timo. Se durante la maturazione il TCR del linfocita incontra
un antigene che riconosce è chiamato AUTOREATTIVO, essi rappresentano un
pericolo e vengono distrutti (apoptosi nel timo stesso) o “addormentati”. Se,
per sbaglio, questo linfocita esce dal TIMO (sfuggendo al meccanismo di
tolleranza centrale del timo) può essere comunque riconosciuto dal sistema di
tolleranza periferica (sistema di riconoscimento degli autoreattivi, fuori dal
Timo).
 Nella malattia autoimmune, succede che grazie a delle mutazioni riescono ad
“evitare” i sistemi di controllo della tolleranza.
MECCANISMI DI ELUSIONE DELLA TOLERANZA
 Inattivazione dei meccanismi di apoptosi dei linfociti T autoreattivi
(mutazione genetica)
 Inibizione della “dormienza”. La proteina B7 viene erroneamente
esposta (per una mutazione genetica, per una infiammazione
anomala o per interazione con farmaci) in alcune cellule
dell’organismo (che non sono una cellula APC), ossia in realtà la
cellula è self e la b7 non dovrebbe esserci per non attivare il linfocita
autoreattivi portandole alla dormienza, invece permette la sua
attivazione (è come un doppio errore). es. artrite reumatoide
 Mimetismo
molecolare.
Microrganismi (es.
streptococchi)
hanno antigeni
molto simili a
molecole
dell’organismo. E risultato di una predisposizione da alleli MHC. In
questo caso il sistema immunitario combatte il microrganismo ma
per sbaglio (estrema somiglianza) attacca anche delle molecole self.
 Attivazione linfocitaria policlonale. Alcune componenti della parete
batterica attivano aspecificamente i linfociti T autoreattivi
“dormiente”
I linfociti autoreattivi possono essere attivi o di memoria
Artrite reumatoide – Insorge tra 40-50 anni e affette più le femmine (3-4
volte). Caratterizzata da predisposizione genetica (alleli di MHC) – è una
degenerazione delle articolazioni ( attacco dei condrociti, ossia delle cellule
formatrice delle cartilagini). Le cause infettive proposte sono: EBV (Il Virus Epstein-
Barr (EBV o HHV-4 o Herpes human virus 4) è un virus a DNA appartenente alla
famiglia degli Herpesvirus, la stessa di varicella, fuoco di S. Antonio ed Herpes
labiale/genitale.), micoplasmi, virus della rosolia. Le proteine self sono
confuse/riconosciute come antigeni virali. Un’altra causa è la espressione della
glicoproteina 39 della cartilagine (è molto simile all’antigene di un microrganismo),
la quale può essere (anche se in minima parte) attaccata come non self portando a
una patologia degenerativa

DIABETE TIPO I – Insorge tra 10 e 14 anni d’età dovuta all’assenza della


produzione della insulina da parte delle cellule B delle isole di langerhans
pancreatiche (le cellule b vengono distrutte da una reazione immunitaria). E’
caratterizzata da predisposizione ereditaria (alleli di MHC - Il Complesso Maggiore di
Istocompatibilità è una molecola di natura proteica essenziale che espone sulla
superficie cellulare peptidi detti antigeni, che possono derivare da diverse fonti.).
Causa infettiva proposta: coxackievirus, virus della rosolia. Le proteine Self sono
riconosciute come antigeni virali. Causa chimica: streptozocina (farmaco
antitumorale), allossana. Altre cause: contatto con latte vaccino. PATOGENESI: Una
infezione virale aspecifica stimola infiltrazione di mabrofagi e linfociti nelle isole
pancreatiche, dove rilasciano citochine che distrugono selettivamente le cellule B di
langerhans provocando carenza di insulina

SCLEROSI MULTIPLA – Colpisce giovani (età attorno ai 35 anni) e doppiamente


le femmine. Rappresenta la seconda causa di invalidità neurologica. Si suppone una
predisposizione genetica (alleli MHC). La causa infettiva proposta: virus e batteri. Le
proteine self sono riconosciute come antigeni virali. La proteina basica della mielina
(MBP) è l’autoantigene reattivo. Consiste della demielinizzazione assonale del SNC -
LA GUAINA MIELINICA – viene attaccata, la trasmissione degli impulsi nervosi è
gradualmente minore, portando alla compromissione delle reazioni muscolari. Ci
sono nervi che, per la portata e funzione che hanno, non riescono a funzionare
senza la guaina.
3. SINDROMI CON RIDOTTA RISPOSTA IMMUNITARIA
1. ALTERAZIONI DEI NEUTROFILI E MACROFAGI – funzione dei
neutrofili/macrofagi non si svolgono correttamente. Causate da mutazione
geniche o farmaci. (es-glucocorticoidi). Ne conseguono infezini ricorrenti di
funghi e batteri del cavo orale, orecchio e vie respiratorie.
 Alterazioni quantitative (neutropenia) – Meno di 1000 cellule/microl
danno suscetibilità a infezioni. Le cause possono essere: radiazioni,
prodotti chimici, farmaci.
 Alterazioni qualitative – difetti di chemiotassi, adesione, attività
microbicida (malattia granulomatosa cronica). Cause: mutazioni
2. CARENZA EREDITARIA DI PROTEINE DEL COMPLEMENTO – Causate da
mutazione geniche che inattivano proteine del complemento lasciano
spazio a infezioni da piogeni incapsulati (batteri portatori di pus).
Alterazioni di C5, C6, C7 o C8 sono sogetti a infezioni da Neisserie
(meningite meningococciche)

4.SINDROMI DA IMMUNODEFICIENZA – Consiste in una anomala sensibilità alle


infezioni causata da un’alterazione dei mecanismi dell’IMMUNITÀ specifica.
 PRIMARIE: sono congenite : difetti endogeni di sviluppo dei Linfociti B e
T.
o SINDROMI DA CARENZA IMMUNOGLOBULINICA- mutazioni
causano il blocco della maturazione dei Linfociti B. Conseguenza:
riduzione del livello di vari tipi di Ig – carenza di anticorpi. – Il
linfocita B non matura, ossia la loro capacità di diventare
plasmacellula e conseguente riduzione della produzione di
anticorpi e meno capacità di combattere
o SINDROME DI Di George- Ipoplasia - (riduzione delle dimensioni
del timo risultante da malformazione faringea) –
compromettendo la maturazione dei linfociti T (pochi alla volta –
perciò si mette molto più tempo) si rischia una riduzione di
efficienza. Con l’età si può raggiungere la normalità
o IMMUNODEFICIENZA SEVERA COMBINATA (SCID) – Mutazioni in
diversi geni causano difetti nello sviluppo dei Linfociti B, T, e a
volte NK. Le cellule staminale non maturano oltre a un certo
stadio, senza specializzazione (particolarmente non scattano le
due line di differenziazione ) e perciò senza difese. Può essere
fatto un trapianto di midollo in pazienti sotto 1 anno di vita.

 SECONDARIE: acquisite – sono prodotte da fattori esogeni.


o AIDS – I virus HIV-1 e HIV-2 infettano i linfociti T helper CD4+ (il
linfocita T helper presenta CD4 sulla superficie il che permette
che il virus di interagire / infettare il linfocita – (che diminuisce in
numero ed efficacia), macrofagi e cellule dendritiche. Le cellule
infettate vengono uccise tramite induzione di apoptosi o attacco
citotossico. Il malfunzionamento dei Thelper influenza tanto la
IMMUNITÀ naturale quanto quella specifica ( la diminuzione dei
Linfociti T Helper causa anche una riduzione della funzionalità
delle altre cellule del sistema immunitario (macrofagi, cellule B,
NK)

FASI DELL’INFEZIONE: 1 – fase di replicazione (rapida disseminazione del


virus).
2- attivazione del sistema immunitario: anticorpi anti-HIV riducono la carica
virale.
3- fase di sieropositività (latenza ): infezione cronica asintomatica. Il virus non
si replica (è nascosto). Con i nuovi medicinali, si riesce a mantenere il virus in latenza
“permanente”. Sono dei farmaci che bloccano l’attività replicativa del virus
(agiscono su delle proteine specifiche del virus)
4- Attivazione replicativa: segnali inducono la ripresa del ciclo vitale.
L’infezione riprende.
5 – AIDS . Linfociti T helper sotto 400 unità/mm^3. Quando la quantità dei
linfociti T helper e sotto il valore di 400/mm^3 iniziano i sintomi legate alla malattia
che sono: febbre di durata superiore a 3 mesi, perdita di peso, diarrea, anemia,
sudorazioni notturne, infezioni superficiali da Candida (cavo orale ed esofago).
Sotto il 200(mm^3 di linfociti, le risposte immunitarie non riescono più ad
attivarsi - patogeni prendono il sopravento e le infezioni (principalmente quelle
opportunistiche) diventano un problema importante con conseguenze cliniche
drammatiche: Infezioni opportunistiche del SNC come toxoplasmosi e
criptococcosi. Encefalopatia progressiva legata al virus che porta alla demenza.
Aumento del rischio di linfoma maligno. Infezioni da micetti del cavo orale e
dell’esofago. Infezioni opportunistiche intestinali e polmonari. Sarcoma di Kaposi
LA TRASMISSIONE DEL HIV
 CONTATTI SESSUALI: linfociti infetti possono essere presenti nello
sperma (e secrezione vaginale) e penetrare nel partner attraverso
abrasioni interne all’organo.
 USO DI SIRINGHE INFETTE – somministrazione endovenosa di droghe
 TRASFUSIONI di sangue infetto
 TRASMISSIONE VERTICALE da madre infetta al feto. Attraverso la
placenta, nel canale del parto o tramite il latte
IMMUNOPROFILASSE - Nel 1976 Jenner riuscì a combattere il vaiolo
inoculando materiale prelevato da pustole di vaiolo vaccino. Marca l’inizio dell’era
delle vaccinazioni per indurre resistenza contro malattie infettive. Nel 1980 OMS
dichiara eradicato il vaiolo

VACCINI - I vaccini inducono lo sviluppo di cellule effettrici e di cellule


memoria specifiche contro il patogeno. Viene attivata la produzione di anticorpi.
VACCINI ATTENUATI O INATTIVI – sono vaccini batterici e virali. Non viene
alterata la presenza degli antigeni (antipolio, antimorbillo, anti-febbre-gialla)
Presenta problemi di sicurezza.
VACCINI CON ANTIGENI PURIFICATI – inoculo di tossine inattivate (tetano e
difterite)
VACCINI SINTETICI – Identificazione degli antigeni più forti di un patogeno e
produzione di proteine ricombinanti da inoculare (epatite B, HBV, Herpes virus) .
Possono non funzionare
VETTORI VIRALI VIVI – Virus non citopatici che portano antigeni microbici
immunogenici (adenovirus in AstraZeneca Covid 19)
VACINI A RNA – RNA contenente l’informazione per creare l’antigene è
veicolato in nanoparticelle lipidiche (Pfizer e Moderna – Covid -19)

L’IMFIAMMAZIONE fa parte del sistema difensivo

APPROFONDIMENTO - a sindrome di Goodpasture è una malattia


estremamente rara, caratterizzata dall'associazione tra emorragia polmonare,
glomerulonefrite extra capillare e anticorpi diretti contro la membrana basale del
glomerulo. L'incidenza annuale stimata in Europa è di circa 0,5-1 caso ogni milione
di abitanti. L'incidenza è più elevata in primavera e all'inizio dell'estate. La malattia è
molto più frequente nelle popolazioni caucasiche ed è lievemente più frequente nei
maschi, rispetto alle femmine. La malattia è causata dagli autoanticorpi diretti
contro il dominio NC1 della catena alfa 3 del collagene tipo IV. La limitata presenza
di questa molecola nell'organismo spiega l'interessamento confinato a specifici
organi bersaglio, come il polmone e il rene. È probabile che anche le cellule T
autoreattive abbiano un ruolo nella patogenesi della malattia.

INFIAMMAZIONE O FLOGOSI (parte dell’IMMUNITÀ naturale) – Reazione difensiva


del tessuto che ha subito un danno. È necessario che in questo tessuto ci sia un
innesco che attive il sistema difensivo. Dalle osservazioni macroscopiche (descritte
da Celso) possiamo identificare come caratteristiche macroscopiche delle
infiammazioni: Rubor/rossore, calore, tumor/gonfiore e dolore

TERMINOLOGIA – L’infiammazione si indica con il nome dell’organo interessato


seguito dal suffisso -ITE es. polmonite, nefrite…

 Quando? Avviene da uno stimolo lesivo che causa la morte di cellule per
NECROSI – attivando l’infiammazione – reazione immunologica che si innesca
per provvedere all’eliminazione della causa del danno e per la riparazione del
tessuto (quando possibile)
 Dove? L’infiammazione è un fenomeno per definizione locale. Alcune
molecole prodotte nella sede primaria passano nel sangue e agiscono su
organi a distanza (infiammazione sistemica es: fegato) . Epatociti rilasciano
altre molecole che sono responsabili della risposta di fasi acuta. Febbre e
leucocitosi sono manifestazioni sistemiche della flogosi

AGENTI LESIVI CHE CAUSANO INFIAMMAZIONE


 ENDOGENI : Ischemia, Tumore, Pat. Autoimuni
 ESOGENI: infezioni virali, batteriche o fungine, traumi meccanici, variazione di
temperatura, sostanze tossiche ambientali (es agenti chimici)

LE CELLULE CHE INTERVENGONO NELLA INFIAMMAZIONE SONO i granulociti


neutrofili, linfociti, monociti presenti dentro i vasi sanguigni (l’endotelio e le cellule
muscolari lisce presenti nella tonaca vasale)
 Ad azione fagocitaria:
Neutrofili – arrivano subito e in massa: si concentrano nella distruzione del
patogeno. Possiedono la capacità di fagocitare microrganismi e tessuti morti anche
mediante opsonizzazione. Vanno poi incontro ad apoptosi in corrispondenza della
fase di risoluzione
dell’infiammazione acuta.
Monociti/ macrofagi
sono importante
nell’infiammazione acuta
e cronica. In risposta ai
mediatori
proinfiammatori, i
monociti circolanti
migrano nei tessuti e
differenziano in
macrofagi. Nella sede
dell’infiammazione
captano e digeriscono i
microrganismi patogeni e
tramite i loro mediatore
vasoattivi e chemiotattici
orchestrano tutte le tappe del processo infiammatorio. Arrivano dopo i neutrofili e
restano più tempo perché si occupano della rimozione dei detriti e anche della
ricostruzione tissutale.
o Mastociti – localizzati nel connettivo sono cellule grosse che contengono
granuli con stamina (anche leucotrieni, fattori attivanti delle piastrine,
citochine, fattori chemiotattici per gli eosinofili)– mediatore infiammatorio,
(anche i basofili – presente in piccole quantità in circolo e possono migrare
nei tessuti). Mastociti e basofili hanno recettori di membrana IgE e sono
importanti nelle reazioni allergiche
o

o Altre cellule
 Eosinofili – circolano nel sangue. Sono presenti nelle reazioni
mediate da IgE, come ipersensibilità e le risposte allergiche e
asmatiche. Producono perossidasi e sono importante nelle difese
contro parassiti e infiammazioni croniche
 Le piastrine svolgono un ruolo centrale nell’emostasi e nella
formazione del coagulo. Sono anche fonte di mediatori chimici
vasoattivi e modulatori della riparazione tissutale (regolano la
risposta proliferativa delle cellule mesenchimali
 Fibroblasti – I fibroblasti sono cellule a vita lunga tipiche del
tessuto connettivo, in grado di produrre le componenti della
matrice extracellulare. Nelle infiammazioni croniche, i fibroblasti
producono citochine, chemochine e prostanoidi che regolano il
comportamento delle cellule infiammatorie nel tessuto
danneggiato.

1. INFIAMMAZIONE ACUTA – ha una durata breve (ore o giorni), risposta


immediata di difesa del tessuto in risposta a un danno. Caratterizzata dal
movimento di fluidi (edema), spostamento di diversi tipi di cellule (macrofagi,
neutrofili…), il tessuto è riparato alla fine dello stimolo. Si caratterizza in
diverse fasi: innesco, fase vascolare e fase cellulare
o INNESCO – Si attiva soltanto: mediante uno stimolo e nella sede dove
succede il danno.
 Ci devono essere dei detriti tessutali (indicano il danno)/
frammenti batterici/frammenti virali (il che non occorre nel caso
di morte cellulare per apoptosi, soltanto per necrosi) o un agente
infettivo. I macrofagi (principali cellule di “sorveglianza”)
identificano la presenza degli stimoli tramite i recettori TLR (toll
like).
 Ci sono vari tipi di TLR e ciascuno è specializzato in legare tipi
diversi di segnali tessutali (es. gram positivi/gram
negativi/virus/lieviti).
 La reazione difensiva succede localmente una volta che i
recettori vengono attivati dai ligandi (detriti o segnali indicativi
del danno tissutale) .
 Il macrofago attivato produce e secerne citochine (interleuchine
1beta, interleuchine 6 e TNFalfa), le quali promuovono il segnale
di innesco/attivazione dell’infiammazione (chiamate citochine
pro-infiammazione)
 Viene prodotta anche l’interleuchina 10 e 1 che funzionano come
regolatore (feedback negativo che limita la produzione delle altre
3) e come responsabile della cessazione del processo
infiammatorio (una volta finito il danno). Anche le lipossine
(antinfiammatori prodotti dai fosfolipidi di membrana),
Glucocorticoidi (prodotti dalla surrenale con effetto
immunosoppressivo) e fattori della crescita trasformante beta
(TGF-Beta sono espressi dalle cellule apoptotiche e inibiscono la
produzione di citochine e chemochina proinfiammatori) fanno
parte del sistema regolatorio antinfiammatorio.
 Anche il complemento (elementi proteici che partecipa della
reazione immunitaria tanto innata quanto acquisita) agisce nella
stessa direzione – Una volta attivato stimola la infiammazione.

 FASE VASCOLARE – le modificazioni/alterazione sono soltanto a livello dei


vasi. Una prima reazione di vasocostrizione dovuta a mediatori neurogenici e
cimici dura qualche secondo e venie seguita da:
o VASODILATAZIONE - I mastociti hanno dei recettori che, attivati dalle
citochine pro-infiammatorie secrete dai macrofagi, rilasciano l’istamina
(NO e altri agenti solubili). L’istamina secreta agisce sulle cellule della
muscolatura liscia del vaso nelle aree circonstanti (vasi di piccolo e
medio calibro) causando il rilassamento della parete e l’aumento del
diametro vasale, aumentando così l’afflusso di sangue nella zona
interessata (chiamata iperemia) causando Rubor e Calor (rossore e
calore). È interessato soltanto il microcircolo dell’area danneggiata

o AUMENTO DELLA Permeabilità ENDOTELIALE (caratteristica distintiva


dell’infiammazione acuta) – L’istamina è in grado di agire anche
sull’endotelio, aumentando la permeabilità vasale, che determina una
maggior fuoriuscita di liquidi e proteine dal vaso ai tessuti extra
vascolari (causando edema). La zona del danno si gonfia. La pressione
dell’edema sulle terminazioni nervose e l’effetto diretto di mediatori
pro-infiammatori causa dolore.

o Tra l’interno e l’esterno dei vasi non c’è mai un equilibrio totale (è
necessario un piccolo squilibrio che permette degli scambi fisiologici
come, per esempio, tra ossigeno/CO2. La legge di Starling regola questo
equilibrio. Le forze coinvolte sono:
 Pressione idrostatica – deriva dal flusso sanguigno e dal volume
del plasma (dipende dal cuore - origine della pressione tramite
battiti cardiaci) l’aumento della pressione idrostatica spinge
liquidi fuori dai vasi. (nelle arterie è maggiore e nelle venule
minore)
 Pressione oncotica – diversa concentrazione proteica all’interno
(è superiore grazie all’albumina e richiama liquidi all’interno della
cellula) e all’esterno dei vasi.
 Il drenaggio linfatico: trasporto dei liquidi usciti in eccesso a
livello dei capillari (dove avviene lo scambio gasoso) nel sistema
linfatico
Nell’infiammazione, la dilatazione arteriolare fa aumentare sia il volume di sangue
che la pressione idrostatica. Con l’aumento della permeabilità endoteliale
(rilassamento delle giunzioni serrate tra le cellule endoteliale) aumenta la fuoriuscita
di liquidi e proteine nello spazio interstiziale, facendo annullare la differenza di
pressione oncotica. L’accumulo di liquido all’interno del tessuto, chiamato EDEMA, è
limitato all’area vicina al danno, dove si gonfia. La funzione dell’edema è facilitare la
formazione dell’essudato
 FASE CELLULARE
o FORMAZIONE DELL’ESSUDATO: l’essudato è una miscela interstiziale
composta da liquidi e proteine (edema), cellule immunitarie (fagociti),
mediatori infiammatori (IL-1, IL-6, TNFalfa, istamina), la causa del danno
(patogeni, tossine, ecc). La funzione è mettere in contatto la causa del
danno con le cellule immunitarie. L’essudato mette in contatto il
patogeno con i mediatori infiammatori e le cellule del sistema
immunitario. Le cellule dell’IMMUNITÀ innata devono raggiungere ed
accumularsi nel sito della lesione per eliminare microorganismi,
rimuovere detriti cellulari e riparare i danni tissutali
 COMPOSIZIONE DELL’ESSUDATO – E sempre composto da acqua, eritrociti,
leucociti e fibrinogeno, ma le proporzioni cambiano. La reazione tissutale
dipende dalla natura dell’agente lesivo e dall’entità della risposta dell’ospite.
o ESSUDATO SIEROSO – prevale la componente acquosa e sono
solitamente prodotti da danni lievi. es vescica da ustione lieve
o ESSUDATO FIBRINOSO – Ricco di fibrina a causa dell’attivazione della
cascata della coagulazione. es. tipico della pericardite reumatica
(pleura, pericardio, peritoneo)
o ESSUDATO EMORRAGICO – Ricco di eritrociti. Es. lesione vasale,
infezioni
o ESSUDATO CATARRALE – Rico di mucco e di cellule desquamate. Es:
mucose nei raffreddori e bronchiti
o ESSUDATO PURULENTO – Ricco di leucociti. Caratteristico dalla
presenza di batteri piogeni (s. aureus) che libera molte tossine.
Neutrofili attivati liberano prodotti tossici. Si determina la necrosi
colliquativa (Necrosi colliquativa o liquefattivi: avviene per digestione
delle cellule morte. Il tessuto normale lascia spazio a una massa liquida
viscosa (pus), contenente detriti cellulari (leucocitari e non leucocitari),
detriti di microrganismi (più spesso batteri), enzimi e altre proteine) dei
tessuti che si riempiano di un essudato purulento- il pus.

RECLUTAZIONE DEI LEUCOCITI:


I mastociti e i monociti non sono
in grado di combattere da soli la
causa del danno. I macrofagi,
perciò, reclutano (anche a
distanza) cellule leucocitaria,
usando sempre le citochine pro-
infiammazione. Loro agiscono
sull’endotelio locale (fase
vascolare). Nel sangue si trovano
tante cellule immunitarie (che passano nel sangue del vaso più vicino
all’infiammazione) che vengono “reclutate” tramite l’attivazione di recettori delle
cellule endoteliali esposti all’interno dei vasi (lume nella regione specifica dove c’è
l’infiammazione). I leucociti (monociti e neutrofili) aderiscono ((adesine per
leucociti- selectine rallentano i leucociti) e rotolano sull’endotelio. L’arrotolamento
(Rolling) serve per verificare se il recettore è presente in più punti o se è stato una
attivazione erronea (falso segnale). Se trova gli stessi recettori su più cellule, capisce
che lo stimolo è giusto, allora questa si attiva, si appiattisce e quando raggiunge una
giunzione endoteliale migra per diapedesi paracellulare/transcellulare all’esterno
del vaso. Raggiunto lo interstizio si orienta verso la maggior concentrazione dei
fattori (a favore del gradiente di concentrazione – chemiotassi: movimento nel
tessuto) solubili chiamate chemochine (specifiche per segnalare il sito del danno). Le
chemochine sono prodotte sempre dai macrofagi di innesco (monociti).

I MEDIATTORI SOLUBILI DELL’INFIAMMAZIONE , presenti dell’essudato, regolano e


amplificano il processo infiammatorio fino alla risoluzione.
MEDIATORI DI NEOSINTESI : di natura lipidica (prodotti sempre dai
macrofagi: ciclossigenasi, PAF, leucotriene; di natura proteica (IL-1, TNF)
MEDIATORI PREFORMATI : sono prodotti sempre e immagazzinati nei
mastociti, ma sono liberati soltanto quando arriva lo stimolo dell’infiammazione. (lo
stesso sistema nel caso delle allergie – l’antistaminico previene la fase vascolare
dell’infiammazione)
MEDIATORI PLASMATICI: Normalmente presenti nella circolazione. Es:
complemento, chinine, fattori di coagulazione.
Il complemento viene attivato a cascata in entrambi le fasi: vascolare – attivando
mastociti e basofili e cellulare - agendo per attirare i leucociti

Una volta arrivate le cellule


immunitarie: i macrofagi (neutrofili e
macrofagi) fagocitano il patogeno e
lo digeriscono. Esplosione
Respiratoria - ROS – specie reattive
dell’ossigeno che contribuiscono
all’uccisione dei batteri all’interno
dei fagosomi. Nel processo
infiammatorio sono particolarmente
importanti l’anione superossido O2,
il perossido di idrogeno H2O2, il
radicale idrossile OH- e l’ossido
nitrico NO. Secernono anche molecole dannose quali enzimi proteolitici e radicali
liberi .
L’infiammazione può facilmente mutare da difesa a danno (per azione dei radicali
liberi – solo neutrofili a macrofagi) perché danneggiano, oltre al patogeno, anche il
tessuto.

RISOLUZIONE DELL’INFIAMMAZIONE: Grazie all’emivita Breve dei neutrofili e


alla fine regolazione dei mediatori chimici le infiammazioni acute tendono ad auto
limitarsi e a risolversi. Se la causa del danno è eliminata, l’infiammazione regredisce
e la normale architettura del tessuto e le sue funzioni fisiologica vengono
ripristinate.
Le risposte infiammatorie possono avere anche altri esiti, oltre alla risoluzione:
CICATRIZZAZIONE: Se il tessuto è danneggiato irreversibilmente, la sua
architettura viene sostituita da una cicatrice (matrice connettivale al posto
dell’originale tessuto)
ACCESSO - I fibroblasti formano una sorta di capsula fibrosa che sigilla la area
dell’essudato, nel tentativo di impedire la fuoriuscita del patogeno, obbligandoli a
combattere contro il sistema immunitario
INFIAMMAZIONE PERSISTENTE: l’incapacità di combattere il patogeno o di
promuovere la guarigione portano a una infiammazione persistente che cronicizza.

VERSAMENTO: eccesso di liquido nelle cavità dell’organismo (peritoneo, pleura). Il


liquido può essere essudatizio o trasudatizio
TRASUDATO: liquido a basso contenuto proteico che si forma in condizioni non
infiammatorie. Si verifica quando c’è uno squilibrio idrostatico tra compartimenti
intra ed extra vasali

EFFETTI SISTEMICI DELL’INFIAMMAZIONE ACUTA. – L’infiammazione è per


definizione uno sistema di reazione locale. Se essa diventa fuori controllo ci sono
effetti infiammatori sistemici. Nel caso il danno sia estremamente significativo, la
reazione pro-infiammatoria aumenta e la quantità di citochine è talmente
abbondante che esse entrano nel torrente sanguigno (espansione dell’essudato)
passando attraverso lo spazio/giunzione cellulare dell’endotelio. A questo punto si
attiva un allarme sistemico: un segnale importante di pericolo per l’intero
organismo. A un processo infiammatorio acuto di una certa intensità (come
influenza virale o polmonite) si associano una serie di sintomi sistemi caratteristici:
FEBBRE: il rilascio da parte di batteri, virus o cellule danneggiate di pirogeni
(fattori che causano febbre) possono provocare l’aumento ipotalamo-dipendente
della temperatura corporea di 1-4 gradi il che sfavorisce la crescita dei
microrganismi e allo stesso tempo potenzia la risposta immunitaria; aumenta la
resistenza delle cellule al danno da mediatori infiammatori.
AUMENTO DELLE PROTEINE DI FASE ACUTA NEL PLASMA- arrivano al fegato
e stimolano la produzione di proteine di fase acuta come le pentraxine come PCR
(sempre presente nel plasma quando c’è un’infiammazione sistemica) e siero
amiloide A: amplificano la risposta immune e funzionano come opsonine
(opsonizzazione cellulare – appiccicano attorno al patogeno per segnalarlo al
fagocita)
AUMENTO NEL SANGUE PERIFERICO DI NEUTROFILI – Piu associata ad
infezioni batteriche e a lesioni tessutali, è causata da mediatori specifici prodotti dai
macrofagi (citochine) che stimolano, la produzione, da parte del midollo osseo, di
leucociti (neutrofili e monociti): LEUCOCITOSI .
Le infezioni virali sono caratterizzate, invece, da LINFOCITOSI, (aumento di linfociti
circolanti). Parassiti e reazioni allergiche causano EOSINOFILIA
Se le citochine restano a livello sistemico per un periodo prolungato possono
causare conseguenze negative in particolare:
MIOCARDIO – inibizione della contrattilità – danno del tessuto miocardico
PARETE VASALE – vasodilatazione prolungata portando alla perdita di
funzionalità- caduta della pressione arteriosa
SHOCK SETTICO - In condizioni di danno tessutale esteso o di infezioni
disseminate, solitamente sono una complicanza di un’infezione da batteri gram
negativi, si possono generare una quantità significativa di citochine. La persistenza di
questi mediatori ha effetto sul cuore e sulla circolazione
o Endotossina batterica gram- induce l’infiammazione
o Neutrofili producono TNFalfa e altre molecole che hanno effetti dannosi
a livello sistemico
o Inibizione contrattilità del miocardio, produzione di ossido nitrico (NO –
prodotta dall’endotelio che regola il tono vasale (troppo NO: riduzione
del tono vasale)
 Caduta della pressione e collasso cardio-circolatorio
 Morte
Il dosaggio sierico del TNF alfa può essere predittivo dell’esito di un’infezione da
gram-negativi
INFEZIONE DISSEMINATA - sepsi
Infiammazione fa parte dell’sistema immunitario naturale in presenza di un agente
patologico che provoca danno tessutale

L’ESSUDATO è IL LIQUIDO INFIAMMATORIO PRODOTTO PER SQUILIBRIO DELLE


FORZE DI STARLING E AUMENTO DELLA PERMEABILITA’ ENDOTELIALE
EDEMA è L’ACCUMULO DI LIQUIDO INFIAMMATORIO NELL’INTERSTIZIO
CHEMIOTASSI – MIGRAZIONE DELLE CELLULE INFIAMMATORIE DAI VASI
ALL’INTERSTIZIO
FATTORI CHEMIOTATTICI: COMPLEMENTO, PRODOTTI BATTERICI, PRODOTTI DEL
METABOLISMO DELL’ACIDO ARACHIDONICO E CHEMOCHINE

DOPPIO RUOLO DELL’INFIAMMAZIONE (sia acuta che cronica): ATTACARE LA


CAUSA DEL DANNO E RIPARARE IL TESSUTO DANNEGGIATO

INFIAMMAZIONE CRONICA –
 Lunga durata (settimane o mesi),
 Ridotto o assenza di edema (non c’è la formazione dell’essudato- movimento
di fluidi importanti con fase vascolare che è ridotta)
 La fase cellulari è carica più dei macrofagi anche linfociti e plasmacellulare
 Progressivo danno tissutale (la distruzione è lenta e continuativa)
 Le riparazioni tissutale avvengono in continuazione e contemporaneamente
alla loro distruzione (fibrosi). È spesso associata a risposte riparative come
nel tessuto di granulazione e nelle fibrosi
 angiogenesi – produzione di nuovi vasi da vasi pré-esistenti, per potenziare la
riparazione dei tessuti ed eliminazione dei detriti (nella acuta non succede
perché non c’è tempo)

 INFEZIONI PERSISTENTI – dopo una infiammazione acuta IL Microrganismo


non è stato totalmente eliminato dai macrofagi es tubercolosi. Le citochine
vengono spente e rimangono i macrofagi che a lungo termine danneggiano
anche loro il tessuto con i radicali liberi per esempio
 ESPOSIZIONE PROLUNGATA AD AGENTI TOSSICI come ES. silicosi – Nasce già
come infiammazione cronica non a seguito di una infiammazione acuta
 PATOLOGIE AUTOIMMUNI - l’antigene non viene mai eliminato (perché è un
elemento self che viene “letto” come non self)– perciò il sistema immunitario
continua ad agire …che causano, nel tempo, danni tessutali. Anche qua non
c’è una infiammazione acuta a monte
 DEFICIT DI PROTEINE DEL COMPLEMENTO O FUNZIONALITÀ DEI MACROFAGI

I MACROFAGI – solo le cellule che svolgono il ruolo principale nelle infiammazioni


croniche (sentinelle, con funzione fagocitaria, appartengono alla immunità innata e
anche in quella acquisite come cellule APC. Sono anche pericolose perché se
vengono attivati – (tramite ligandi come le interleuchine) le sue funzioni sono
potenziate: sono più grandi, producono enzimi litici (come proteasi, lipasi,
collagenasi, elastasi, idrolasi acide, proteasi neutre, attivatore del plasminogeno) e
sostanze dannose (metaboliti dell’ossigeno, ossido di azoto, derivati dell’acido
arachidonico, citochine e chemochine, fattori della crescita)
IMFIAMMAZIONE DI TIPO GRANULOMATOSO –
 I macrofagi attivati tendono a concentrarsi nell’area del danno, possono
cambiare forma (morfologia epitelioide secretoria o gigante multinucleata),
fondersi tra loro aggregandosi (sincizio cellulare con il patogeno interno e
massimizzando il potenziale di azione).
 GRANULOMI: aggregazione di macrofagi circondate da linfociti, macrofagi e
poche plasmacellule. Nel tempo, il granuloma si riveste di fibroblasti e tessuto
fibroso. Si formano quando sostanze sono troppo voluminose da essere
fagocitate (granuloma da corpo estraneo: fibre, talco, suture) o parassiti
endocellulari (granuloma di tipo immunologico: tubercolosi, lebbra)

GRANULOMA TUBERCOLARE: Necrosi (causata dal micobatterio) centrale con


macrofagi attivati attorno (a uno o più strati, anche aggregati) circondate alla loro
volte dai linfociti tutto sigillato da una capsula fibrosa (formata dai fibroblasti). Come
non riescono a combattere completamente il patogeno, cercano di isolarlo

MALATTIA CRONICA
ES. gotta cronica – cristalli di urato monosodico che si depositano e se
circondano da infiltrato infiammatorio con caratteristiche del granuloma da corpo
estraneo. La presenza nel tempo dei macrofagi fa sì che il tessuto articolare venga a
mano a mano distrutto

MALATTIE AUTOIMMUNI – In maniera subdola, i macrofagi attivati attaccano


il tessuto (e anche un tentativo di ricostruzione che non riesce a superare la
distruzione) considerato non self es. artrite reumatoide, diabete mellito insulino
dipendente
GUARIGIONE DI UN DANNO TISSUTALE: RIGENERAZIONE E RIPARAZIONE
 RIGENERAZIONE - ripristinare il tessuto danneggiato come era originalmente
(con tessuto nuovo e uguale). È possibile quando ci sono delle cellule dello
stesso tipo di quelle danneggiate. Dipende dell’entità del danno e del tipo di
tessuto. (alcuni tessuti non sono in grado di rigenerarsi)
o Facilmente rigenerabili: Tessuti composti soltanto da cellule
 l’epidermide è composta da vari estratti di cellule epiteliali
 fegato (che ha una crescita compensatoria, la cellula dominante
è l’epatocita) non è una rigenerazione perfetta, per questo è
chiamata compensatoria (poiché sono le cellule funzionali)

Le cellule mesenchimali pluripotenti muscolare riescono a una minima rigenerazione


ma il danno deve essere veramente minimo. Servono invece al turnover delle cellule
e se il danno e a livello di qualche cellula sparsa)

 RIPARAZIONE – La fibrosi è l’alternativa alla rigenerazione: è sostituire il


tessuto danneggiato con un altro tipo tessuto (la componente cellulare
staminale non è sufficiente per rigenerale) per garantire la integrità tissutale
o FIBROSI – è la deposizione di materiale proteico: collagene tipo I a
formare un tessuto connettivo fibroso. Questo tipo di tessuto riempie lo
spazio lascato libero dalle cellule morte per necrosi, ristabilendo
l’integrità anatomica del tessuto danneggiato. Conseguenza:
alterazione dell’architettura tissutale e della funzionalità dell’organo

FIBROBLASTI – sono i protagonisti della riparazione, in risposta all’infiammazione,


depositando il collagene tipo I .

PATOLOGIE ASSOCIATE A FIBROSI


 Fibrosi miocardica e valvolare come infarto del miocardio, c’è morte dei
cardiomiociti (necrosi) e viene sostituito con tessuto fibroso – si forma una
“cicatrice – che non è funzionale (non è contratile).
 Cirrosi epatica (da alcol) - il deposito di fibre compromette la funzionalità
dell’organo (a lungo termine un sovraccarico dell’organo che può portare alla
morte).
 Fibrosi Polmonare – per silicosi – fibrose nella parete dell’alveolo, che
compromette gli scambi gasosi.
 Fibrosi pancreatica : da pancreatite, fibrosi cistica ecc.

ESEMPIO DI RICOSTRUZIONE TISSUTALE: LA FERITA CUTANEA


Cute: epidermide (cellula epiteliale), Derma (fibroblasti, connettivo: vasi, nervi,
collagene+ matrice extracellulare), endoderma (grasso), muscolo/scheletrico. La
funzione primaria della pelle è quella di barriera protettiva nei confronti
dell’ambiente esterno. La perdita di integrità della pelle in seguito a ferita o malattia
può portare a gravi conseguenze – fino alla morte, La guarigione delle ferite cutanee
è un processo che coinvolge molecole solubili, cellule del sangue, cellule del tessuto
e matrice extracellulare
FASI DELLA RIPARAZIONE
1. Formazione del coagulo – essenziale per fermare l’emorragia. Il danno
tessutale provoca la rottura dei vasi sanguigni con fuoriuscita di materiale
ematico. Le piastrine insieme alla fibrina formano il coagulo che tampona
l’emorragia. Le piastrine producono molecole solubili che attraggono cellule
del sistema immunitario nell’area della ferita e le attivano (fase cellulare)
2. Fase infiammatoria – che scatta grazie all’stimolo di danno tissutale (es. in
una lesione cutanea da coltello, la causa del danno non c’è più ma i neutrofili
e macrofagi rimangono comunque come protezione immunitaria per
proteggere da eventuali patogeni che possono attaccare dove il tessuto è
danneggiato
3. Riepitelizzazione – per riparare il tessuto: ci sono due tipi di tessuti da
riparare in questo caso: il derma e l’epidermide: inizio da quello esterno
perché è più facile e si ristaura la protezione naturale e si ha più tempo e
migliori condizioni per ricostituire il derma. Le cellule staminali pluripotente
dell’epitelio sono nell’estratto più interno, al confine con il derma. Le cellule
staminali dei “bordi” della ferita entrano una divisione in senso orizzontale
(stimolate dalle citochine proinfiammatori prodotte dai neutrofili e macrofagi)
per riempire il tessuto mancante fino a chiudere la ferita (si congiungono
chiudendo lo stratto basale) – si forma il primo estratto protettivo. A questo
punto inizia la proliferazione verticale fino a rigenerare tutta la regione
danneggiata

4. Tessuto di granulazione – 4 giorni dopo il danno, un nuovo tessuto (tessuto di


granulazione) riempie il derma danneggiato. I Macrofagi infiltranti producono
fattori che richiamano e attivano i fibroblasti. I fibroblasti proliferano e
migrano nella lesione deponendo matrice extracellulare (collagene tipo I) -
Fibrosi
5. Neovascolarizzazione – del derma danneggiato (angiogenesi). Non è una fase
temporalmente definita, ma inizia con l’inizio dell’infiammazione. Durante la
formazione dell’essudato, per esempio, ci sono già piccoli vasi che aiutano il
processo infiammatorio. Quando non sono più necessario vengono demoliti e
si formano nuovi più efficaci
6. Contrazione della ferita – i fibroblasti che formano il tessuto di granulazione,
si trasformano in miofibroblasti (differenziazione in fibra con capacità
contratile – simile a cellule muscolari lisce) che si contraggono avvicinando i
lembi della ferita. La contrazione facilita la guarigione: cicatrice (tessuto di
granulazione – tessuto fibroso – derma riparato)

TIPI DI FERITA
 PRIMA INTENZIONE – piccoli danni, margini netti e strettamente giustapposti,
facilmente suturabili
 SECONDA INTENZIONE – ferita estesa con perdita epiteliale. Ampio difetto del
tessuto sotto epiteliale che viene riempito da tessuto di granulazione,
successivamente sostituito da estesa cicatrice. I lembi non possono essere
accostati con punti di sutura

RIPARAZIONE DIFETTIVA DELLE FERITE


 SCORBUTO: deficit di vitamina C che inibisce la sintesi di collagene – difficile
riparare, ferita aperta molto tempo
 GLUCOCORTICOIDI : (antinfiammatori) inducono la fibroplasia ( rallenta i
fibroblasti: formazione del tessuto fibroso)
 ARTERIOSCLEROSI: causa angiopatia (es nei diabetici) ritardi nel drenaggio del
sangue venoso

LA TRASFORMAZIONE NEOPLASTICA

1. TUMORE: neoplasia (nuova crescita), cancro: massa di tessuto la cui crescita


eccede ed è scoordinata rispetto ai tessuti normali e persiste nella sua
crescita eccessiva anche dopo la cessazione dello stimolo che ha provocato il
cambiamento

Il cancro e le malattie infettive sono quelle che hanno aumentato di più


l’incidenza. Risultato dei cambi ambientali (stili di vita, inquinamento,
industrializzazione, alimentazione…)

TUMORI BENIGNI – cellule che si assomigliano molto alle originali (ben


differenziate, riconoscibili della stessa famiglia cellulare).). Il prefisso è dato dalla
cellula originaria. Il suffisso della malattia è OMA (epatoma, lipoma…). Spesso
racchiusi in una capsula di connettivo, non danno metastasi. Quando si
sviluppano dagli epiteli di rivestimento sono classificati morfologicamente: Polipo
(adenoma: ghiandola proliferata), papilloma (digitiforme: epitelio squamoso
proliferato). Non sono letali (con eccezioni perché possono avere Aspetti
patologici:
 L’espansione del tumore benigno può causare compressione di organi e
tessuti (meningioma – aumento pressione intracranica)
 Tumori con attività secernente abnorme:
o Insulinoma da cellula beta (isole pancreatici di Langerhans) (ipoglicemia
da eccesso di insulina)
o Feocromocitoma del surrene (crisi ipertensive da eccesso di
catecolamine: ormoni che regolano la pressione arteriosa)

La capsula: l’accrescimento comprime le cellule sottostanti portandole ad atrofie


fino a morire per necrosi = danno tissutale= reazione infiammatoria= riparazione
tissutale = fibrosi attorno alla massa tumorale.

 ECCEZIONE ALLA REGOLA DI NOMENCLATURA, FINISCONO PER OMA, MA


SONO MALIGNI:
o MELANOMA - MELANOCITA
o LINFOMA
o MESOTELIOMA (sierosa: legato alla esposizione all’amianto)
o GLIOMA
o LEUCEMIE – non seguono nessuna regola ma sono sempre maligni

TUMORI MALIGNI - cellule che NON si assomigliano alle originali (non


differenziate, non riconoscibili a nessuna famiglia cellulare). Il prefisso è dato
dalla cellula originaria. Due suffissi: SARCOMA (tessuto di origine mesenchimale
esempio i fibroblasti possono dare origine soltanto a sarcoma perché hanno
origine mesenchimale) O CARCINOMA (origine cellule epiteliali). Esempi: epato-
CARCINOMA, FIBRO-SARCOMA…).
Tumori misti – le cellule di origine si differenziano In modo diverso
I tumori maligni derivanti dai tutti i tre foglietti embrionali sono detti
teratocarcinomi (tumori molto precoci pré embrionali – poco compatibili con la
vita)
I tumori di origine embrionale hanno spesso il suffisso “blastoma”
(retinoblastoma, epatoblastoma…)
Tumori dalla derivazione istologica complessa portano il nome dello scopritore
( es linfoma di Hodgkin, sarcoma di Ewing)

LEIOMIO – TESSUTO MUSCOLARE LISCIO


RABDOMIO – TESSUTO MUSCOLARE STRIATTO

Benigni Maligni
Crescita lenta Crescita rapida
Crescita non infiltrante Crescita infiltrante
Cellule simili al tessuto di origine – ben Cellule diverse dal tessuto di origine –
differenziato non differenziato
Cellule di dimensioni normali Cellule di dimensioni abnormi
La neoplasia non di diffonde La neoplasia si diffonde ad organi
anche distanti - metastasi
Uccide l’ospite solo quando Uccide l’ospite sempre – se non
danneggia funzioni vitali trattato

CARATTERISTICHE DELLE NEOPLASIE


1. Velocità DI ACCRESCIMENTO
 Le cellule tumorali sono in attiva e continua proliferazione (varia tra
le cellule stesse dei tumori che tra di loro sono velocità diverse –
anche quiescenza)
 La velocità di crescita non è necessariamente più elevata di una
cellula normale
 I tumori maligni, solitamente, crescono più velocemente di quelli
benigni
 La velocità di crescita può variare durante l’accrescimento di un
tumore
2. ANAPLASIA E ATIPIA CELLULARE
 Anaplasia è il grado di diversità tra cellule tumorali e le cellule
normali di origine (elevata anaplasia significa poca somiglianza)
 Un tumore molto anaplastico è spesso aggressivo, pericoloso e poco
differenziato

3. Invasività LOCALE (dentro lo stesso tessuto dove è stata prodotta


 L’espansione del tumore benigno causa una risposta da parte del
tessuto circostante con la formazione di una capsula fibrosa
 Il tumore maligno non viene incapsulato perché le sue cellule sono
in grado di muoversi sul tessuto circostante
 Le cellule tumorali maligne invadono il tessuto usando particolari
strategie:
i. per Staccare dalle cellule circostante la cellula tumorale fa
scomparire le proteine di adesione come la e-caderina per
diminuire l’adesione tra le cellule. La capacità di non esporre
la e-caderina sulla superficie è risultato di una mutazione
genetica (a livello del gene che codifica per la proteina e-
caderina / inibizione o non funzionamento)
ii. Si sposta verso l’interno (DERMA) – per Oltrepassa la membrana
basale (che è basicamente un stratto proteico) – deve sviluppare la
capacità di esporre delle integrine (recettori proteici che
riconoscono le proteine della membrana basale). Per sfondare la
barriera proteica secretano metalloproteasi o sistema UPAUPAR
(capacità sempre acquisite tramite delle mutazioni).
iii. Per riuscire a muoversi hanno bisogni di stimoli .- ossia fattori per i
quali hanno dei recettori e così servono da stimolo per lo
spostamento
 Via endocrina – la cellula ha un particolare recettore per un
fattore fisiologicamente secreto dalle cellule vicine
 Via paracrina – secerne dei fattori che stimolano una cellula
vicina a produrre i fattori che andranno a stimolare i suoi
recettori
 Via autocrine- la cellula stesso produce il fattore lo secerne da
sola i quali si legano ai suoi stessi recettori

4 – METASTASI : CONCETTI GENERALI – e la invasività in tessuti diversi dal suo di


origine

DEFINIZIONE: capacità delle cellule tumorali di colonizzare un organo non contiguo.


 La metastasi è la principale causa di morte per cancro
 2/3 dei pazienti presenta metastasi alla diagnosi
 Principali vie di metastatizzazione:
o Sistema linfatico (carcinomi)
o Sistema circolatorio (sarcomi ma anche carcinomi)
o Cavità sierose come pleura, peritoneo ecc.

REGIONALITA’
 Alcune cellule maligne metastatizzano in modo preferenziale in alcuni
organi,
 Esistono dei segnali che guidano le cellule tumorali : flusso ematico,
recettori endoteliali, fattori chemiotattici (sede di un’infiammazione).
 Alcuni organi sono bersagli favoriti di metastasi: ossa (cancro mammella
e prostata), polmoni (cancro mammella), fegato cervello e surrenali
(cancro polmone). – perché sono a vale del punto di contaminazione,
perché presentano fattori della crescita adatti
 Alcuni organi non sono bersaglio di metastasi: rene, milza, muscolatura
scheletrica, cuore.
5 - ANGIOGENESI

Perché un tumore possa crescere oltre un diametro di pochi millimetri è


necessario che si sviluppi una nuova rete vascolare. Se la massa tumorale
cresce, ha bisogno di più nutrimenti, perciò produce fattori che stimolano
la angiogenesi, permettendo la loro crescita (se non sono in grado non
riescono ad aumentare, e possono anche andare incontro alla necrosi

CANCEROGENESI – cosa succede alla cellula “normale” per subire l’alterazione


genetica – mutazione – cambiando suo aspetto e capacità. Le mutazioni se
susseguono via a via . è un processo multifasico. Alla base vi sono eventi mutageni
non letali che determinano attivazione o inattivazioni di geni coinvolti nella crescita
e nel differenziamento cellulare.
LA CANCEROGENISE E UN PROCESSO MULTIFASICO DOVUTO A SUCCESSIME
MUTAZIONI
Mutazioni successiva conferiscono VANTAGGI DI CRESCITA sempre
maggiori (selezione positiva del tumore maligno)
A seconda del tipo di cancro sono necessarie da 3 a 10 o più mutazioni
diverse perché si sviluppi la neoplasia (la quantità di mutazioni necessaria
dipende dalle caratteristiche della cellula iniziale (es. cellule ematiche, che
hanno grande capacità di proliferazione non hanno bisogno di acquisire
quella capacità)

CAUSE DELL’ALTERAZIONE
1. Mutazioni dovute a errori casuali nella duplicazione del DNA nelle cellule
2. Mutazioni indotte da agenti cancerogeni (chimici o fisici : stimolo
ambientale)
3. Virus trasformanti (mutageni o non)

Non tutte le cellule sono originarie di tumore (a priore escludiamo tutte quelle che
non hanno capacità di proliferarsi chiamate stabili come quelle neurali. Poi ci sono le
quiescenti( come gli epatociti) che con gli stimoli giusti potrebbero entrare in fase
proliferativa. Ovviamente le cellule proliferanti ( staminali)i sono quelle più soggette
a diventare cellule
Quando una cellula staminale pluripotente adulta (per esempio
mesenchimale) si divide per mitosi (è una divisione asimmetrica – una
uguale alla mamma, una differenziata) la cellula differenziata matura e
raggiunge il suo aspetto finale e funzione. Via a via che matura, la sua
capacità proliferativa diminuisce fino alla maturazione completa dove non
prolifera più.
Le caratteristiche della cellula staminale determina la sua propensione a
diventare un tumore o maligno (capacità proliferativa maggiore – poco
differenziata, molto proliferativa – poco matura) benigno capacità
proliferativa maggiore – molto differenziata, poco proliferativa – molto
matura)
Ossia. Quanto prima la mutazione accade nella fase di maturazione
maggiore la probabilità della insorgenza di un tumore maligno

Leiomioma (chiamato erroneamente fibroma dell’utero). Il tumore


maligno è raro perché le cellule mesenchimali muscolare lisce poco
differenziate è molto basso.

Il tumore benigno ha una capacità proliferativo troppo bassa per diventare


maligno, MA…
A volte un tumore maligno si “traveste da benigno, ossia le cellule si
sviluppano e differenziano ma all’interno hanno comunque cellule non
differenziate con potenzialità maligna (che non si può prevedere) che
accumula mutazione finché invade il polipo

PROTO-ONCOGENI E ONCOGENI
 Proto-oncogenesi sono geni cellulari che, sotto stimolazione
promuovono la proliferazione e il differenziamento. Delle mutazioni
quantitative o qualitative li trasformano in ONCOGENI essi stimolano
sempre la proliferazione, anche senza uno stimolo esterno
(proliferazione incontrollata)
 Protooncogeni possono essere di diverse categorie: fattori di
crescita, recettori per fattori di crescita, fattori di trasduzione del
segnale, proteine che legano il DNA coinvolte nella trascrizione,
proteine del ciclo cellulare
Attivazione quantitativa del pro-oncogeno: MUTAZIONE SUL PROMOTORE -
aumenta la espressione ma è la stessa proteina che viene espressa : traslocazione
cromosomica, inserzione di un virus a RNA lento, amplificazione genica, mutazione
nel promotore: la proteina non cambia la sequenza codificante – Ma essendoci di
più, la proliferazione è più elevata: poiché si associala proteina che controlla la
proliferazione a più ligandi. ES. egf-r

Attivazione qualitativa del pro-ontogenico: cambia il tipo di proteina prodotta che è


espressa (struttura e funzione diverse perché l’agente mutageno agisce sui geni
codificanti non sul promotore) es. egr, la proteina non ha il dominio extracellulare
per attivarla, ma il dominio citosolico è sempre attivo. Esempio la proteina citosolica
RAS – fisiologicamente vengono attivate soltanto quando il recettore è attivato,
invece se il gene mutasse, il RAS poterebbe essere sempre attivo (anche senza il
ligando). EGFR (recettore per il fattore di crescita) e RAS (fattore di trasduzione del
segnale) sono due esempi di alterazione qualitativa

GENI ONCOSOPPRESSORI – sono geni che codificano per proteine che impediscono
alla cellula di proliferare in modo incontrollato (Rb, p53, APC). Se la mutazione
inattiva i geni oncosoppressori la proliferazione succede in modo incontrollato
(RB,p53,APC)
 P53 – è l’oncosoppressore con più funzioni . Sorveglia e protegge il
genoma dalle mutazioni (xchè esse non vengono stabilizzate) –
attiva i meccanismi di riparazione, blocca la cellula nel ciclo cellulare
per evitare che essa inizi la fase proliferativa, dando tempo ai sistemi
di riparazione per agire). Se il meccanismo di riparazione non riesce
a riparare la mutazione, il P53 induce la cellula alla apoptosi.
 Gli oncosoppressori possono essere inattivati tramite la mutazione
del gene (delezione della regione cromosomica, ma anche
inattivando la proteina (in particolare alcuni virus che interagiscono
con la proteina inattivandola )

 Il corredo è diploide, perciò anche i protooncogeni (dominante)i e


oncosoppressori (recessivo) sono soggetti a dominanza e recessività.
Dove vediamo la ereditarietà di alcuni tumori es. retinoblastoma
(tumore di origine embrionale dei precursori delle cellule della
retina (uno dei due genitori aveva un gamete con coppia mutata
dell’oncosoppressore RD)

Il tumore maligno non regredisce, a volte si riesce a frenarlo

CANCEROGENESI INDOTTA cause esterne

1. Cancerogenesi chimica – agente chimici che inducono o


favoriscono le mutazioni (arriva a livello del DNA-
Agente chimico iniziatore: semplicemente si deposita su
delle basi, il che induce in errore la polimerasi al momento
della duplicazione – ossia- mutazione.
Agente chimico promotore: subentra stimolando la
proliferazione cellulare (e se la cellula è già mutata stimola
il cancro e mutazione addizionali completano la
trasformazione maligna. (ossia è cancerogeno ma no
mutageno)
 Attivazione epatica: molti cancerogeni chimici sono
innocui nel loro stato nativo ma se arrivano al nostro
fegato possono essere attivati da alcuni enzimi come
l’ossidasi, diventando cancerogeno dopo questa
trasformazione
 Test di Ames: test di mutagenicità delle sostanze
chimiche, vengono utilizzate come cavie le
Salmonelle
2. Asbesto o amianto – comprende una famiglia di silicati fibrosi,
costituiti da fibre sottile utilizzate in passato. Le fibre più sottili si
depositano negli alveoli polmonari e, attraverso i vasi linfatici, si
depositano nella cavità pleurica e peritoneale causando un
mesotelioma (maligno). Non è ancora ben chiaro il meccanismo
3. Cancerogenesi da corpo estraneo platiche, fibre…è conosciuto
l’alterazione neoplastica nei RODITORI. Nell’uomo non è
individuata

4. Cancerogenesi da radiazioni – Particelle (alfa, beta, protoni e


neutroni O IONIZZANTI (raggi x e gama)
 ionizzanti : POSSONO ANDARE ad agire direttamente sul DNA
o agendo sull’acqua – produzione di radicali liberi – mutazione
genetica
 UV:
i. UVA cancerogenesi non comprovata ,
ii. UVB – arriva dal sole – comprovata cancerogenesi: crea
alterazioni sul DNA che influenza la insorgenza di
mutazioni (inattivazione di enzimi, danno ai fosfolipidi e
mutagenesi: dimeri di Timina: due timine in sequenza
vengono intrecciate e la polimerasi non li riconosce,
mettendo due basi a caso: mutazione). Xeroderma
pigmentonum – la correzione della mutazione dei
dimeri di timina non funziona)
iii. UVC – cancerogenesi dimostrata ( filtrate
dall’atmosfera. Sono prodotte artificialmente dalle
lampade germicide)

5. Cancerogenesi virale – Virus oncogeni sono di due tipi e hanno


un diverso meccanismo cancerogeno:
 Virus a RNA – HTLV-1 – il genoma virale si integra nel DNA di
linfociti T umani. La proteina virale tax induce la espressione
di IL2 e IL2R (interleuchina due e recettore dell’interleuchina
2- stimolazione autocrina della proliferazione). Il linfocita
infettato forma leucemia
 Virus oncogeni a DNA: il virus produce una serie di proteine
virali che interagiscono con proteine cellulari interferendo con
la loro funzione
i. HPV – virus papilloma umano (laringe e cervice uterina)
ii. EBV – virus Epstein Barr – carcinoma naso faringeo
iii. HBV e HCV – virus epatite B e C – aumentata incidenza
tumori del fegato
Utilizzano le proteine virali che si possono legare a oncosoppressori
(inattivandoli) o proto-oncogenesi (attivandoli) SAPERE SOLO I VIRUS
NON I MECCANISMI

ELUSIONE DEL SISTEMA IMMUNITARIO


 Cellule tumorali mettono in atto espedienti per iludere la
sorveglianza dell’ospite
 Il sistema immunitario dell’ospite oncologico risulta poco
efficiente
 Alcuni meccanismi :
o Secrezione di sostante immunisoppressive come TGF beta
o Le cellule tumorali si ricoprono di piastrine o fibrina per
mascherare i siti antigenici
o Espressione di proteine che inducono apoptosi nei linfociti
T
Perché SI MUORE DI TUMORE? – perché provoca dei cambiamenti nel metabolismo
e va a minare le funzionalità fisiologiche di organi vitali, ma anche per deperimento
fisico perché consuma energia che viene tolta ad altri tessuti
 In realtà la maggior parte delle cellule mutate sono riconosciute e portate
all’apoptosi, ho comunque eliminati dal sistema immunitario. E’ una porzione
minima di cellula che riesce a eludere il sistema immunitario
 Tumori maligni (e benigni) possono causare varie conseguenze nell’organismo
dell’ospite: la sintomatologia consente di intuire la comparsa. I tumori maligni
possono causare cachessia e sindromi paraneoplastiche
 CACHESSIA: è un progressivo deperimento fisico associato agli stadi più
avanzati della malattia tumorale. E’ caratterizzato da indebolimento,
malessere, riduzione della massa grassa e muscolare, anemia. Nel digiuno c’è
soltanto riduzione della massa grassa. E’ causata dal rilascio di cachessina
(TNF alfa) da parte delle cellule tumorali e dei macrofagi
 SINDROMI PARANEOPLASTICHE: effetti umorali a distanza provocati dal
tumore ma non correlati all’invasione locale o alla metastasi. Possono essere
predittive della presenza del tumore prima che esso di manifesti clinicamente
a livello locale o per metastasi. Dal 7 al 50% dei tumori sono associati a
sindromi paraneoplastiche
 INFEZIONI: i pazienti neoplastici sono spesso immunodepressi e perciò
suscettibili a infezioni che spesso sono la causa di morte

Marcatori che possono indicare la presenza tumorali (se è positivo, ci vuole


ulteriori indagini xchè sono anche marcatori infiammatori). Esempi:
 Antigeni carcinoembrionale (CEA) – proteina espressa nell’intestino durante
l’embriogenesi. 60-90% di positività nei carcinomi del colon-retto. Anche
associata al morbo di Crown
 Antigene prostatico specifico (PSA): aumentato nell’iperplasia prostatica.
Usato per l’adenocarcinoma prostatico ma presente anche in prostatiti
ANEMIA – Diminuzione della concentrazione di emoglobina (Hb) o dell’ematocrito
accompagnata da una riduzione degli eritrociti circolanti Hb<12 (F) e <13 (M).
Questa diminuzione compromette la quantità totale di ossigeno disponibile ai
tessuti – anche se lo scambio polmonare di ossigeno è normale

Cellula staminale pluripotente di divide in maniera asimmetrica nel midollo osseo,


una uguale alla madre e le altre sarà differenziata es: grazie alla eritropoietina si
differenzia in proeritroblasto poi reticolociti poi eritrociti (emivita di 120 gg)
CAUSE DI ANEMIA
1 – sanguinamento/perdita ematica
 Acuto – emorragia porta a diminuzione del volume intravascolare in poco
tempo. Per compensare, l’acqua interstiziale entra nella circolazione
diminuendo l’ematocrito (anche compenso renale concentrando l’urina) -il
rimpiazzo dei globuli rossi ci mette tanto tempo, perciò la quantità di globuli
rosse nel sangue è molto inferiore = bassa emoglobina
 Cronico – emorragie piccole ma per lunghi tempi es ulcere
gastriche/emorroidi. Il midollo non riesce a compensare la perdita di globuli
alla lunga. Insorgenza tardiva
2- ipocromiche – riduzione delle eritropoiese – diffeto nella produzione di globuli
rossi
 Diminuzione di Hb per: (ipocromica)
o Carenza di ferro (gravidanza, mal assorbimento). L’emoglobina c’è ma
senza il ferro non riesce a legare l’O2 – non è funzionale
o Talassemia (malattia genetica. Difetto nella sintesi delle catene alfa e
beta del Hb -
 Diminuzione del DNA: Carenza di vitamina B12 o acido folico assunti con la
dieta
3 – emolitica – aumento della distruzione degli eritrociti
 emivita inferiore a 120 gg
 emolisi intravascolare – complemento tossine esogene (esempio
IPERSENSIBILITÀ DI TIPO II o CITOTOSSICHE-)
 emolisi extravascolare – splenico : macrofagi
 Sintomi: splenomegalia
 Cause intrinseche
o Sferocitosi ereditaria: alterazione di proteine di membrana e
produzione di globuli rossi di forma sferica che sono piu facilmente
daneggiati e possono essere attaccati dal sistema immunitario(che
dovrebbe essere biconcavo). Sono eliminate nella milza
o Emoglobinopatie:
 Emoglobina S – strutturale – anemia falciforme –. Cambia il
comportamento biochimico e biofisico che tende ad aggregarsi e
a precipitare – compromissione delle funzioni perché ostruisce
facilmente i vasi - causando ischemia e emolisi (che viene
attaccato dal sistema immunitario). In africa è molto frequente
perché rende immune alla malaria, e c’è una specie di selezione
positiva del difetto
 Emoglobina C – strutturali
 Talassemie – catene alfa libere precipitano
 Carbossiemoglobina – causata da avvelenamento da CO il quale
ha una affinità per Hb 240 volte superiore a quella dell’O2 e si
sostituisce nel gruppo eme. Carenze di ossigeno ai tessuti. CO-Hb
> 50% può essere fatale. Terapia: ossigeno iperbarico

 Cause estrinseche alla cellula.


o Cause immunologiche: incompatibilità materndo-fetale, emolisi da
farmaco, malattie autoimuni.
o Cause meccaniche: intravascolari
o Cause infettive: infezione di globuli rossi o lisi indiretta da parte di
patogeni
CONSEGUENZE DELLE ANEMIE
 Ipossia tissutale
 Meccanismi compensatori:
o Incremento della portata circolatoria (proporzionale alla riduzione di
Hb)
o Incremento della frequenza e della profondità degli atti respiratori

EMOSTASI – funzione fisiologica dell’organismo deputata a :


 mantenere fluido il sangue impedendo i fenomeni coagulativi in ogni
momento e distretto corporeo, se il meccanismo non funziona ci possono
formare coaguli, anche quando non è necessario causando trombosi
 favorire rapidamente la formazione di un tappo emostatico nella sede di un
danno vascolare. Se il meccanismo non funziona correttamente – sindromi

emorragiche

MECCANISMI DI EMOSTASI NEL CASO DI DANNO VASALE:


 spasmo della muscolatura liscia – vasocostrizione per minimizzare la perdita
ematica
 endotelio e piastrine sono i primi elementi costitutivi del tappo emostatico
primario (deficitaria in trombocitopenia e piastrinopatie)
o assieme al fattore proteico di Von Willembrand (molta affinità per il
collagene – che si trova soltanto nella matrice extracellulare, ma non
dentro il torrente . Quando si rompe un vaso il fattore entra in contatto
con il collagene aderisce ad esso formando una superficie adesiva in
tutta l’area danneggiata. Le piastrine hanno dei recettori specifici che si
legano al fattore Von Willebrand formando un primo stratto piastrinico.
Lo stratto piastrinico secretano granuli alfa e densi i quali segnalano il
danno, richiamando altre piastrine l’esistenza del danno il che permette
l’aggregazione di nuove piastrine , successivi stratti. L’aggregazione dei
nuovi stratti di piastrine succede tramite ponti di fibrinogeno tra
piastrine adiacenti
o patologie piastriniche come trombocitopenie:
pocche piastrine e.: patologie autoimmune, pat.
Megacariocitarie.
o Alterazione funzionale: malattia di von willebrand

 stabilizzazione del tappo emostatico primario in tappo secondario – cascata


coagulativa con produzione di fibrina (deficitaria nell’emofilia). La cascata
coagulativa viene attivata da segnali della cellula endoteliale danneggiata (ed
esposizione della matrice extracellulare). Avviene in parallelo alla formazione
del primo tappo piastrinico
o Via intrinseca – nella zona /superficie danneggiata – c’è contatto con
superficie non endoteliale e tramite il fattore di Hageman si attiva il
fattore XII in XII a …cascata di coagulazione fino il fattore Xa – punto di
convergenza con la via estrinseca
o Via estrinseca (trauma a livello tissutale – trauma – fattore TPF1
converte fattore VII in fattore VIIa e fattore X in Xa punto comune con la
via intrinseca
o Via comune tramite: protrombina – trasformata in trombina: la
trombina fibrinogeno viene convertito in fibrina e successivamente
tramite fattore XIII la fibrina viene trasformata in fibrina insolubile che è
ancora più robusta

MALATTIE DELLA COAGULAZIONE – qualsiasi difetto nella cascata coagulativa


compromette la formazione del tappo secondario
 Malattie emorragiche ereditarie: Emofilia A e B (carenza di fattori VII e IX –
per mutazione nel DNA che non permette la loro formazione)
 Malattie emorragiche acquisite: carenze di Vitamina K (carenza dietetica,
malassorbimento, epatopatie croniche ) fondamentale per la attivazione
di diversi fattori della coagulazione

mentre si aggregano le
piastrine del tappo
secondario, altre cellule
possono essere
intrappolate come
neutrofili, cellule del
sangue
quello che non è strettamente necessario verrà degradato (es. le cellule
intrappolate) grazie ad enzimi (fibrinolisi – limita le dimensioni del coagulo)
– ossia: il plasminogeno viene convertito in plasmina (grazie agli attivatore
del plasminogeno: urochinasi e attivatore del plasminogeno tissutale – che
sono prodotte dal tessuto non danneggiato, sottostante e all’endotelio
attorno danno che è in parte danneggiato ) che degrada la fibrina presente
nella parte verso il lume “limando” la parte superiore del coagulo. I
frammenti di degradazione (sono anche un marker che possono essere
misurati per seguire certe patologie)
o patologicamente il meccanismo di fibrinolisi può non funzionare in
maniera corretta il che rappresenta una cresciti esagerata del
coagulo, ostruendo i vasi con conseguente ischemia a vale
 riassumendo:

Il tempo di sanguinamento finisce con la formazione del tappo


emostatico primario

MECCANISMI DI EMOSTASI PER MANTENERE LA FLUIDITA DEL SANGUE:


PROPRIETÀ ANTITROMBOTICHE DELL’ENDOTELIO:
 produce dei fattori che normalmente (quando non ci sono danni endoteliali)
che impediscono la coagulazione (nel caso di una formazione erronea di
coaguli ) come azione preventiva, garantendo la fluidità del sangue
o Anticoagulanti: impediscono l’attivazione dei fattori della coagulazione
o Proteine come il t-PA – attivatore del plasminogeno responsabile della
attivazione della cascata fibrinolitica
o Antiaggreganti: agiscono impedendo/inibendo l’aggregazione delle
piastrine

La legge del flusso laminare rege so scorrimento del sangue nei vasi, ossia,
quello centrale scorrono più veloci di quelli che entrano in contatto con le
parete dell’endotelio perché non hanno lo stesso attrito – questo è il
motivo per cui i fattori della coagulazione scorrono centralmente. Quando
l’endotelio viene danneggiato, i fattori incontrano l’endotelio e si attivano

TROMBOSI - quando l’endotelio non riesce a produrre i fattori


anticoagulanti, i coaguli si formano (senza che ci sia danno) e ostruiscono i
vasi. Le cause sono riconducibile a DANNO ENDOTELIALE, FLUSSO
EMATICO ANOMALO E IPERCOAGULABILITà
L’endotelio normalmente produce fattori anticoagulanti cercando di
mantenere l’attività antitrombotica come prevalente. Soltanto quando
accade un danno, in quel punto viene aumentata invece l’attività
coagulativa.
 Danno/malfunzionamento endoteliale (non nel senso
meccanico/emorragico ma dello stress con cambio funzionale) –
errori nella produzione dei fattori anticoagulanti . stress del tipo:
 Placche aterosclerotiche, vasculite (trombi arteriosi)
 Lesione endocardica da infarto del miocardio (trombi
cardiaci)
 Ipercolesterolemia, prodotti da fumo, irradiazione
 Tossine batteriche

 Alterando il flusso sanguigno, i fattori di coagulazione vengono in


contatto con l’endotelio (flusso turbolento ) simulando l’esistenza
di danno. Le cause possono essere, per esempio placche
aterosclerotiche, aneurismi, infarto del miocardio, neoplasie
o 3 - Ipercoagulabilità
 Primaria (genetica) - Mutazioni geniche come fattore quinto di
Leiden che si attiva con più facilità del fattore V normale – che ha
una maggior predisposizione a formare coaguli
 Secondaria (acquisita) – esempio un cancro che favorisce la
cascata coagulativa – inducendo la formazione di trombosi

EVOLUZIONE DEL TROMBO

Il trombo può crescere in maniera sregolata fino a provocare


l’occlusione del vaso (perche è un coagulo senza la regolazione della
fibrinolisi). Ci può essere una risoluzione spontanea del trombo ( o per
via farmacologica) attivando la fibrinolisi
Embolizzazione: si stacca un pezzo del trombo fino ad arrivare
(tramite corrente ematica) a un vaso di dimensioni tali che lo può
bloccare – e dipendendo della sedi può creare una patologia ischemica
più o meno gravi
TERAPIE ANTICOAGULANTE – sono di diversi tipi – agiscono sui dei
target diversi: antiaggreganti agiscono sulle piastrine, anticoagulanti
agiscono sui fattori della coagulazione es Eparina agisce sull’attivazione
della trombina

ISCHEMIA – Perfusione sanguigna inadeguata alle richieste metaboliche tissutali fino


a che i danni non diventano irreparabili postando alla morte cellulare per NECROSI,
con conseguente:
 ridotto apporto di ossigeno (ipossia)
 ridotto apporto di substrati dei processi metabolici cellulare (glucosio)
 accumulo dei cataboliti cellulari (incluso CO2)

L’ischemia può colpire tutti i tipi di vasi:


 SISTEMA VENOSO – spesso causate da trombosi es vene varicose,
strozzamento dei vasi venosi nell’ernia intestinale
 MICROCIRCOLO – poco frequente – causata da accumuli di globuli rossi
(anemia falciforme), globuli bianchi (leucemie), emboli lipidici e gassosi.
Schiacciamento dei vasi contro strutture rigide come le ossa – piaghe da
decubito
 SISTEMA ARTERIOSO – causate da placche ateromasiche, aneurismi

L’ENTITÀ DEL DANNO ISCHEMICO DIPENDE DA:


 Rapidità di insorgenza - TEMPO: quanto tempo ci metterà la lesione a
causare ipossia, quando più ci mette, più tempo il corpo ha per adattarsi,
es. creando rami collaterali.
 Sensibilità del tessuto all’ipossia: es neuroni e cardiomiociti sonno piu
sensibili
 Tipo di vaso interessato: vasi più grossi/ maggior danni
 Tipo di circolazione dell’organo colpito
o doppia circolazione - es il polmone e fegato è piu protetto.
o Presenza di vasi collaterali
o Disponibilità di anastomosi
GANGRENA – Complicanza infettiva di un distretto necrotico. Può essere
Gangrena secca, umida o gassosa

CAUSE DI ISCHEMIE
TROMBOSI
EMBOLIA - trasporto di materiali non disciolti nel sangue e arresto in vasi distali
di diametro inferiore a quello dell’embolo. Emboli venosi finiscono nel polmone,
quelli arteriosi ovunque. Gli emboli possono essere:
 Trombi distaccati – natura venosa
 Particelle di grasso (che si staccano dopo la rottura di tessuto adiposo es
frattura)
 Vegetazioni delle valvole cardiache ( contaminazione – formano un biofilm
– sostanze gelatinose insolubili attaccate alle valvole che con il
funzionamento delle valvole si staccano)
 Gas (bollicine di gas es. azoto durante l’immersione)
 Porzioni di placche ateromatose – placche aterosclerotiche che si staccano

ATEROSCLEROSI – patologia associata alla formazione della placca


aterosclerotica
 L’aterosclerosi è una malattia delle arterie di medio e grosso calibro, che
porta ad un graduale accumulo nell’intima di macrofagi, cellule muscolari
lisce, lipidi e collagene con la formazione di una placca, crescendo, prò
occludere il lume vascolare –
 è una infiammazione che nasce cronica, localizzata nella tonaca intima dei
vasi e scatenata da un danno prolungato a carico dell’endotelio
 La classica lesione aterosclerotica è la placca o ateroma e impiega dai 20 a
30 anni per svilluparsi. Tende a formarsi più facilemnte dove il flusso non è
laminare ma vorticoso, come accade in prossimità delle biforcazione delle
arterie
 E’ responsabile di due delle tre principali cause di morte nei paesi
industrializzati: l’infarto del miocardio acuto e l’ischemia

ASPETTI MORFOLOGICI
 STRIA LIPIDICA: strie allungate di 1-2mm contenenti lipidi e macrofagi presenti
nell’intima delle arterie fin dalla prima infanzia (fisiologicamente). Non
riducono il lume del vaso e non ne compromettono l’integrità strutturale. In
presenza di fattori di rischio cardiovascolare possono progredire nelle lesioni
più avanzate

 PLACCA FIBROSA (ATEROMA) : ispessimento circoscritto, che protude nel


volume vascolare, lattescente, con dimensione da qualche milimetro a 1,5 cm
o Vasi interessati: aorta addominale e toracica, le coronarie, le arterie
poplitee, le femorali e le carotidi interne. Sono di solito risparmiati i vasi
delle estremità superiori
o Tre sono le componenti della placca:
 Cellule (macrofagi, cellule muscolari lisce migrate dalla tonaca
media, qualche linfocito)
 Matrice extracellulare: collagene e proteoglicani
 lipidi

CELLULE COINVOLTE NELLA GENESI DELLA PLACCA ATEROSCLEROTICA


Endotelio, piastrine, monocita, lipidi, cellule schiumose, cristalli di colesterolo,
linfocita, lamina elastica interna, cellula muscolare liscia, calcificazione, capillari
Se LDL passa attraverso le giunzioni endoteliali (dovrebbero restare dentro l
vaso) verso l’interstizio si ossidano. Questi LDL ossidati sono qualcosa di anomala,
e scattano le difese immunitarie. I macrofagi si attivano per fagocitarle, ma non
riescono a eliminarle – accumulando grande quantità di LDL – formando grande
cellule chiamate SCHIUMOSE. Come non riescono a eliminare chiamano altri
macrofagi per aiutarli, ma il processo soltanto aumenta, aumentando il volume,
occupano spazio verso il lume (meno resistenza della tonaca muscolare). I
macrofagi liberano anche radicali liberi.
Poi i macrofagi richiamano delle cellule muscolare lisce dallo stratto sottostante,
che formano uno stratto sotto endoteliale, attorno al ateroma e depongono
collagene (il collagene solitamente viene depositato dai fibroblasti – ma in questo
caso la muscolatura liscia ha la stessa origine mesenchimale pluripotente perciò
sotto lo stimolo di fattori chemiostatici, riescono a farlo) formando una capsula
fibrosa . A che cosa serve il collagene? Perché i macrofagi richiamano le cellule
lisce a farlo? Perché è una infiammazione cronica e perciò è un tentativo di
riparazione della necrosi causata dai macrofagi - fibrosi

COMPLICANZE DELLA PLACCA – con l’aumento eccessivo può provocare la totale


ostruzione del vaso…ma ancora peggio:
 Ulcerazione: macrofagi producono metalloproteasi che degradano la
capsula fibrosa causandone la rottura (possibile embolia), partendo un
embolo ateromasico
 Fissurazione: piccola discontinuità nell’ endotelio che permette l’entrata di
sangue nella placca e aumento di volume con possibile rottura –
fuoriuscita di sangue nell’interno della placca – embolo
 Emorragia – rottura dei vasi neo formati nella placca con aumento di
volume della placca stessa che può ulcerarsi o occludere il vaso
 Trombosi: dopo ulcerazione, il contatto tra sangue e interno della placca
stimola fenomeni pro-trombotici – Un trombo sopra una placca ha ancora
più ricchi di ostruire il vaso ma anche si staccarsi formando embolo
 Calcificazione: deposizione di Sali di calcio – simile a ossificazione
 Aneurisma: la parete dell’arteria si indebolisce in corrispondenza della
placca e si dilata causando un aneurisma

FATTORI DI RISCHIO MAGGIORI


 E NON MODIFICABILI: età>40, sesso maschile, familiarità, difetti genetici
 Potenzialmente controllabili: iperlipemia, ipertensione, fumo, diabete
 Minori: obesità, poca attività fisica, stress, deficit di estrogeni in epoca
post-menopausale, alcol, infezione
 Età, sesso, diabete, familiarità, dieta e obesità portano all’aumento di LDL
plasmatiche con conseguente danno endoteliale
 Ipertensione, diabete, fumo stress e familiarità portano a danno
endoteliale

DANNO DA RIPERFUSIONE
 Es.Infarto del miocardio dovuto ad una trombosi coronaria
 Terapia trombolitica entro 4-6 ore porta a benefici ma anche effetti nocivi
(un paziente arriva in spedale con un trombo – prende terapia trombolitica
– alcune cellule sono danneggiate ma non sono ancora necrotiche e
possono essere recuperate).
 Il ristabilirsi del flusso ematico nella regione ischemica porta alla
produzione di un eccesso di radicali liberi da parte di neutrofili e
cardiomiociti. Come sono danneggiate, non riescono a smaltire i radicali
liberi e muore
 I cardiomiociti danneggiati reversibilmente dall’ischemia vengono
“tramortiti” dai radicali liberi. Il loro recupero è molto più lento o muoiono.

ISCHEMIA – ridotto apporto ematico al tessuto


INFARTO – morte di un tessuto provocato da un ridotto apporto ematico
(ischemia). Le cellule del tessuto muoiono per necrosi (infarto cerebrale = ICTUS,
infarto nel cuore = infarto del miocardico)
INFARTO DEL MIOCARDIO
 E una delle principali cause di morte del mondo occidentale
 L’arteria coronarica si ostruisce a causa di un trombo o placca
aterosclerotiche – si riduce l’apporto ematico in una regione e si forma
una zona necrotica a vale della occlusione. La necrosi inizia dalle cellule più
lontane dal vaso occluso (ossia, comincia dalle cellule più interne della
parete – endocardio - cardiomiociti vanno in necrosi)
 L’entità del danno dipende dal circolo collaterale instaurato con il
cronicizzarsi della patologia (se il trombo si forma lentamente, si sviluppa
una circolazione collaterale che riesce a prevenire l’infarto)
 Le complicanze dell’infarto:
o rottura dell’infarto - Nella sede della parete necrotica – essa è più
debole e si può rompere
o Formazione di trombi con embolia sulla sede dell’infarto
o Aneurisma (si sfianca la parete- altera il volume)
o Fibrosi dell’infarto (è una riparazione necessaria per mantenere
l’integrità anatomica, ma non funzionale – il tessuto fibrotico non è
eccitabile)
o Dilatazione e insufficienza cardiaca

ATEROSCLEROSI è DIVERSO DA : ARTEROSCLEROSI – termine generica –


patologia da ispessimento e perdita di elasticità della parete arteriosa- Le cause
possono essere:
aterosclerosi, sclerosi calcifica, arteriosclerosi da ipertenzione o diabete

MALATTIE DELLE ARTERIE –


 ARTERIOSCLEROSI – ispessimento o indurimento della parete arteriosa. Si
verifica con l’invecchiamento per la deposizione di tessuto connettivo
nell’intima e spiega il lieve e graduale aumento della pressione arteriosa
nelle persone anziane. L’ATEROSCLEROSI può provocare
ARTERIOSCLEROSI
 ARTERITI: processi infiammatori a carico della parete delle arterie. Possono
essere causate da disordini immunologici (tipo III) , da farmaci et traumi,
da invasione della parete arteriosa da parte di batteri, virus o funghi. Il
danno endoteliale che ne consegue predispone a trombosi
 ANEURISMA: dilatazione localizzata a carico delle arterie. In base alla
morfologia si distinguono in:
o Fusiforme – rigonfiamento ovoidale parallelo all’asse ongitudinale
del vaso
o Sacciforme – protusione a forma di bolla della parete arteriosa nella
sede in cui la tonaca media è indebolita
 L’aterosclerosi, la sifilide, malattie ereditarie a carico di componenti del
connettivo e i traumi causano un indebolimento della parete del vaso che
si sfianca per effetto della pressione del sangue
 Il cambiamento della forma provoca una alterazione del flusso da laminare
a turbolento, aumentando la probabilità della formazione di trombi

MALATTIE DELLE VENE


L’aspetto trombotico è piu importante nelle vene perche ci sono le valvole – in
corrispondenza di queste, c’è un flusso turbolento e perciò più facile la formazione
dei trombi.
 La trombosi venosa viene descritta con due termini:
o Tromboflebite: infiammazione che determina lesione endoteliale e
quindi trombosi. Interessa più frequentemente le vene superficiali
o Flebotrombosi (o trombosi venosa profonda) in cui la stasi venosa è
il fattore causale più importante. Interessa più frequentemente le
vene profonde
 Le varici sono dilatazioni delle vene che diventano tortuose e allungate.
Frequentemente interessano le vene safene superficiali, soprattutto in chi
mantiene a lungo la posizione eretta, nelle donne in gravidanza e negli
obesi. Le varici sono causate da un aumento di lunga durata della
pressione nella vena, che, per ridotta resistente della parete, si sfianca e
dilata

ALTERAZIONE DEI FLUIDI CORPOREI


 ALTERAZIONE LOCALE - accumulo di in un’eccessiva quantità di fluidi
esempio edema
EDEMA
 Raccolta di fluido nello spazio interstiziale o nelle cavità corporee
(versamenti o effusioni)
 Obbedisce le leggi di gravità – EDEMI DECLIVI es caviglie
 Nelle cavità corporee viene indicato con il nome della cavità interessata
es. effusione o versamento pleurico: ASCITE
 ANASARCA – edema generalizzato a tutte le cavità corporee
 In base alla composizione proteica del fluido si definiscono TRASUDATO
(povero di proteine) ed ESSUDATO (ricco di proteine e cellule)

CAUSE DI EDEMA
 Infiammazione – aumenta la permeabilità vascolare – edema
 Alterazione delle forze di Starling – aumento pressione idrostatica o
diminuzione pressione oncotica. Es. alterata concentrazione di proteine
(mancanza di amminoacidi per dieta povera – malnutrizione esempio
ventre con ascite – edema per uscita di liquidi )
 Blocco dei vasi linfatici – linfedema ( es : per rimozione chirurgica)

 ALTERAZIONE SISTEMICA : DEL VOLUME IDRICO – se c’è una perdita


importante di liquidi, questo viene richiamato dall’interstizio, ed
eventualmente dal liquido cellulare
 Il Bilancio del volume idrico – viene raggiunto da na condizione prossima
all’equilibrio traEntrate (liquidi, cibo) e Uscite (feci, evaporazione cutanea e
respiratoria, urina, vomito e diarrea)
 La regolazione del volume idrico: viene fatta particolarmente in uscita
tramite l’urina (concentrando o diluendo) tramite regolazione ormonale :
o Ridotto volume idrico ematico: ritenzione liquidi- concentra urina
tramite sistema renina-angiotensina-aldosterone (La ritenzione di sodio
e acqua da parte del rene aumenta il volume plasmatico e la pressione
arteriosa)
o La vasopressina o ormone antidiuretico viene secreta ogni qualvolta
l'acqua scarseggia, per informare i reni dello stato di disidratazione
dell'organismo

ASPETTO PATOLOGICO PER SCOMPENSO IDRICO:


 IPOVOLEMIA – (perdita soltanto dell’acqua, se invece c’e perdita anche
ematica allora è EMORRAGIA ). Diminuzione del volume idrico (acqua e
Na+) nell’interstizio. Causata da perdita di liquidi gastrointestinali,
sudorazione, ustioni, malattie renali e uso cronico di diuretici. Le
conseguenze sono la riduzione del turgore cutaneo, secchezza delle
mucose, iperattività simpatica (cute fredda)
 IPERVOLEMIA – incremento del volume idrico (acqua e Na+)
interstiziale. Può essere causata dalla sindrome di Cushing e
iperaldosteronismo primario(iperfunzione del surrene) che causano
l’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone, sindrome da
inappropriata secrezione di ADH(ormone antidiuretico o vasopressina),
insufficienza renale cronica con conseguenti edemi
 SHOCK: ipoperfusione tissutale generalizzata con conseguente
riduzione dell’apporto di ossigeno. La perfusione dei tessuti dipende
dalla pressione arteriosa, dalla lunghezza del vaso e dalla viscosità del
sangue. In assenza di ostacoli di flusso, l’alterazione di questi parametri
sono responsabili dei difetti di perfusione
 SHOCK SETTICO – complicanza di un’infezione sistemica da batteri
gram-negativi (anche gram positivi e miceti)
o L’endotossina batterica induce alla infiammazione
o Lipopolissacaride (LPS) è liberato dalla parete batterica quando
essa viene distrutta nell’infiammazione
o LPS, quando presente in quantità elevata, induce la produzione
massiccia di TNF alfa da parte dei neutrofili e altre molecole (IL-
1…) che si riversano nel circolo ematico
o Il dosaggio sierico del TNFalfa può essere preditivo dell’esito di
un’infezione da gram-negativi
Il shock può essere
 Cardiogeno – infarto o miocarditi
 Ipovolemico
o Ipovolemico assoluto – emorragia, disidratazione, diarree
profuse, ustioni gravi
o Ipovolemico relativo
 Settico – batteriemia
 Anafilattico – reazione di ipersensibilità del tipo I
 Neurogeno – lesioni cerebrali
 Lesioni midollari
ATOMO - la più piccola porzione di un elemento che ne conservi ancora le proprietà chimiche.
NUBE DI ELETTRONI- occupano delle orbite che circondano l’atomo.
NUCLEO - struttura centrale densa DEL ATOMO in cui è concentrata la quasi totalità della massa.
NUCLEONI - si trovano all’interno del nucleo sono:
i protoni - carichi positivamente
i neutroni - privi di carica elettrica

“A” numero di massa: è la somma del numero di neutroni e di protoni presenti (totale di nucleoni) determina le
proprietà fisiche
“Z” numero atomico: numero di protoni del nucleo, che determina le sue proprietà chimiche. (un atomo neutro ha la
stessa quantità di protoni ed elettroni)

Isotopi : stesso Z ma un A diverso= uguale numero di protoni, diverso numero di neutroni. La differenza di massa fra
due isotopi di un elemento è dovuta a un numero differente di neutroni nel nucleo e non modifica in nessun modo il
comportamento chimico dell’elemento. Il comportamento fisico invece varia al variare di A, per cui alcuni isotopi di
uno stesso elemento possono essere energeticamente instabili e possono rilasciare energia sotto forma di radiazioni
(si parla allora di radioisotopi es: Uranio (Z=92), l’238U e l’235U, e dello Iodio, lo 123I e lo 131I, impiegati in esami di
diagnostica medico nucleare e radioterapia metabolica.

La coesione del nucleo atomico - i protoni sono carichi positivamente e tendono a respingersi per azione della forza
repulsiva di natura elettromagnetica la presenza dei neutroni a garantire l’aggregazione stabile dei nuclei perché tra i
nucleoni esiste una forza di tipo attrattivo di natura non elettromagnetica (“forza nucleare forte”) capace di vincere la
forza repulsiva elettromagnetica esistente tra i protoni.

TERANOSTICA – radiazioni ionizzante utilizzate come terapia (ionizzazione diretta) e per diagnostica (ionizzazione
indiretta)

Le radiazioni - un insieme di fenomeni caratterizzati dal trasporto di energia nello spazio sotto forma di onde
elettromagnetiche (prive di massa) o di particelle corpuscolari (dotate di massa). Tutti i tipi di radiazione hanno la
possibilità di cessione dell’energia trasportata ad un mezzo materiale, i meccanismi di cessione possono essere
molto diversi in funzione del tipo di radiazione e della sua energia.
Le radiazioni elettromagnetiche:
 si propagano alla “velocità della luce”.
 mostrano proprietà ondulatorie : descritte in termini di lunghezza d’onda e di frequenza.
 trasportano e scambiano con la materia energia in quantità discrete: i “quanti”
 fotoni: privi di massa ma con comportamento corpuscolare particolarmente importante nella radiazione
elettromagnetica ionizzante. L’energia trasportata dai fotoni è proporzionale alla frequenza della radiazione
(moltiplicata dalla costante di Plank) E = h .

Radiazioni corpuscolari
 particelle elettricamente cariche oppure neutre dotate di massa, che si muovono ad alta velocità (inferiore a
quella della luce).
 Trasportano energia cinetica, perciò esistente soltanto con il movimento.
 ottenute a partire da
o particelle esistenti come i costituenti fondamentali degli atomi e dei nuclei atomici (elettroni,
protoni, neutroni)
o particelle risultanti da processi di trasformazione nucleare come: alfa e delle particelle beta (che
hanno natura identica a quella degli elettroni, ma possono avere carica – o + - positroni)

Le radiazioni vengono classificate in radiazioni:


non ionizzanti: se, pur cedendo energia, questa non è in grado di produrre ionizzazione nel mezzo
attraversato. con lunghezza d’onda superiore a 10^-9 e frequenza inferiori a 10^17 come radio AM e FM, micro-onde,
infrarosso e visibile, ultravioletta A e B

ionizzanti- se durante un’interazione può trasferire alla materia un’energia sufficientemente elevata da
romperne i legami atomici o molecolari, così da modificarne lo stato chimico . – ossia a ionizzarli. Sono radiazioni
ionizzanti le particelle alfa,beta, neutroni, protoni e la radiazione elettromagnetica di più alta energia (lunghezza
d’onda inferiore a 10^-9 e frequenza superiori a 10^17) come UVC, raggi X e raggi gamma
È proprio per la capacità di produrre ionizzazioni all’interno delle cellule che le
radiazioni ionizzanti sono in grado di danneggiarle, però non sono direttamente
percepibili dai nostri sensi e la loro presenza può essere rivelata solo attraverso
opportuni strumenti di misura.
DIRETTAMENTE IONIZZANTI :
 alfa, beta e i protoni: particelle dotate di carica
 Grazie alla carica elettrica interagiscono con tutti gli elettroni e i nuclei che esse incontrano nell’attraversare il
mezzo, cedendo loro tutta una frazione dell’energia posseduta.
 Formano una traccia di coppie ione-elettrone nel loro percorso

Le particelle α
 non rappresentano un grosso rischio nel caso di irradiazione esterna perché non riescono a penetrare ad una
profondità sufficiente per danneggiare organi o tessuti (attraversano lo spessore di un foglio di carta fine)
conseguenza dell’elevato numero di interazioni per unità di percorso nel mezzo attraversato che porta a
una rapida perdita della loro energia cinetica e quindi a un rapido arresto.
 molto pericolose nel caso di contaminazione interna (quando vengono introdotte all’interno
dell’organismo), poiché sono in grado di cedere alle strutture cellulari grosse quantità localizzate di energia

Radiazione 
 sono costituite da elettroni (-) e da positroni ( +).
 caratterizzata da una distribuzione continua di energia
 vengono arrestate da spessori relativamente sottili ma a causa della minore capacità di ionizzazione lungo il
loro percorso, a parità di energia cinetica trasportata, sono più penetranti delle particelle alfa α.
 emissione di radiazione di frenamento: Oltre alla perdita di energia per ionizzazione, le radiazioni beta
possono perdere energia anche sotto forma di radiazione elettromagnetica (raggi X), in seguito alle brusche
variazioni di velocità quando la particella passa vicina al nucleo e risenta del suo intenso campo elettrico.
 Il fenomeno di frenamento è maggiore nei materiali ad alto numero atomico (più protoni).
 L’emissione di radiazione X per frenamento può far sì che una frazione dell’energia possa essere trasportata
anche oltre il range stesso delle particelle  che, dopo aver perso energia interagendo con il materiale
attraversato al pari della radiazione beta-, si annichila assieme con un elettrone e producendo due fotoni di
uguale energia, pari a 511 keV, emessi in direzione opposta l’uno rispetto all’altro.
RANGE: è lo spessore percorso in media dalle particelle ed è definibile solo per le particelle cariche (radiazione
direttamente ionizzante).

INDIRETTAMENTE IONIZZANTI:
 fotoni (raggi X e gama) e neutroni
 NON creano direttamente una traccia di ionizzazione al loro passaggio ma interagiscono in maniera
discontinua con i mezzi materiali che attraversano.
 I fotoni interagiscono con elettroni e nuclei atomici su base probabilistica con un processo del tipo “tutto o
niente”.
 La cessione di energia avviene in due fasi: i fotoni e neutroni cedono la loro energia al mezzo materiale
attraversato producendo una particella carica che, a sua volta, è in grado di provocare ionizzazione nel mezzo
circostante.

Come conseguenza del diverso meccanismo di interazione le radiazioni indirettamente ionizzanti hanno una capacità
di penetrazione maggiore rispetto alle radiazioni direttamente ionizzanti di pari energia.
Radiazione X e gamma - Fotoni
 Nel caso dei fotoni non ha senso parlare di range poiché, a causa della natura intrinsecamente
probabilistica delle loro interazioni, anche fotoni con la stessa energia possono percorrere distanze assai
differenti prima dell’interazione con il mezzo materiale attraversato . Non vi è nessun modo per prevedere
la profondità a cui uno specifico fotone arriverà.
 Nel caso di un grande numero di fotoni si può calcolare la capacità di attenuazione di un fascio di fotoni: lo
Spessore EmiValente (SEV), ovvero, lo spessore di un determinato materiale in grado di dimezzare
l’intensità (il numero di fotoni) di un fascio che lo attraversa.
 SEV - dopo aver attraversato un determinato spessore di materiale il numero di fotoni si sarà dimezzato: N/2
fotoni hanno interagito e sono stati fermati e N/2 fotoni non hanno interagito. Ogni successivo
attraversamento il numero di fotoni si dimezzerà: è una funzione “esponenziale decrescente”

Neutroni
 hanno un elevato potere di penetrazione
 Non interagiscono con gli elettroni atomici, ma soltanto con i componenti del nucleo: protoni e neutroni.
 L’interazione dei neutroni con i nuclei dipende dalla loro energia e dalle caratteristiche dei nuclei degli
atomi del mezzo attraversato.
 perdono energia: subendo diffusione, rallentamento o cattura da parte dei nuclei stessi.
 La cattura dei neutroni da parte dei nuclei, con conseguente emissione di radiazione secondaria (sotto
forma di raggi gamma) è più probabile alle basse energie,
 alle alte energie aumenta la probabilità di un urto elastico sui nuclei (specie su quelli a basso Z): il neutrone
tipicamente perde parte della sua energia e cambia direzione, mentre il nucleo colpito può rinculare e
costituire esso stesso una forma di radiazione secondaria. Anche nel caso dei neutroni non ha senso parlare
di range; in linea di principio per i neutroni monoenergetici è possibile definire uno spessore emivalente.

SORGENTI DI RADIAZIONI IONIZZANTI : Radionuclidi e Radioisotopi

I RADIONUCLIDI sono nuclei atomici instabili che decadendo in altri nuclei più stabili emettono energia sotto
forma di radiazione elettromagnetica e corpuscolare (radioattività) , materiali contenenti radionuclidi in quantità non
trascurabili consistono sorgenti radioattive. MACCHINE RADIOGENE - sorgenti di radiazioni molto utilizzate ES:
produzione dei raggi X e gli acceleratori di particelle.

SORGENTE RADIOATTIVE :
 Naturali - è principalmente dovuta al gas radon, ai raggi cosmici e ai radionuclidi primordiali presenti nella
crosta terrestre (fondo naturale di radiazione a cui sono esposti tutti)
 Artificiali /indotta: macchine acceleratici di particelle e reattori nucleari largamente impiegate in Medicina
Nucleare e la Radioterapia (brachiterapia). Di tutte le esposizioni di tipo artificiale quelle mediche sono le sole
a dare un contributo significativo.
 SIGILLATA: se NON sussiste la possibilità di dispersione significativa dei radionuclidi che la costituiscono.
 NON SIGILLATA: se sussiste la possibilità di dispersione significativa dei radionuclidi che la costituiscono.

RADIOISOTOPI - isotopo radioattivo di un elemento, ovvero un isotopo il cui nucleo è energeticamente instabile e
che tende quindi spontaneamente a trasformarsi emettendo energia sotto forma di radiazione. Ad esempio, il
radioisotopo Iodio-124 decadendo + si trasforma in Tellurio-124, stabile.
In molti casi il termine radioisotopo è utilizzato come sinonimo di radionuclide.

DECADIMENTO RADIOATTIVO - è casuale: non si può predire se in un determinato intervallo di tempo dt un nucleo
radioattivo decadrà oppure no. La probabilità che decada è uguale al prodotto tra tempo e la costante di
decadimento.
TEMPO DI DIMEZZAMENTO O EMIVITA, che rappresenta il tempo dopo il quale il numero di nuclei si è ridotto alla
metà del valore iniziale. Si può calcolare quanti nuclei radioattivi di una sorgente sono rimasti dopo un generico tempo
t – Il dimezzamento o emivita seguono un comportamento esponenziale decrescente
ATTIVITÀ DELLA SORGENTE è il numero di trasformazioni nucleari spontanee (decadimenti) nell’unità di tempo del
radionuclide contenuto nella sorgente.
Si misura in becquerel (Bq) dove 1 Bq = 1 decadimento al secondo

IL TUBO A RAGGI X (O TUBO RADIOGENO) è il dispositivo usato per produrre fasci di raggi X. Esso è costituito da
un’ampolla di vetro in cui è praticato il vuoto spinto e che contiene due elettrodi, tra i quali è stabilita una differenza di
potenziale elettrico. La ddp ha la funzione di accelerare e focalizzare sull’anodo gli elettroni che vengono espulsi da un
filamento (catodo) percorso da una corrente elettrica che lo riscalda ad altissima temperatura. Il bombardamento
dell’anodo da parte degli elettroni accelerati produce due fenomeni distinti:
 1 - emissione di radiazione per effetto del brusco frenamento degli elettroni nell’anodo, detta di
bremsstrahlung caratterizzata da una distribuzione continua dell’energia.
 2. emissione di radiazione da parte degli atomi dell’anodo a seguito del loro riassestamento energetico
dopo la ionizzazione causata dagli elettroni incidenti. Tale radiazione è caratterizzata da valori di energia
discontinui, caratteristici di ogni particolare materiale anodico e per questa ragione prende il nome di
radiazione caratteristica.

Solamente circa l’1% dell’energia iniziale degli elettroni accelerati viene emessa sotto forma di radiazione X, mentre il
restante 99% si trasforma in calore che deve essere poi smaltito dall’anodo.
In ambito medico per creare immagini dell’interno del corpo umano

ACCELERATORI dispositivi che utilizzano campi elettrici o elettromagnetici per accelerare particelle cariche (in genere
elettroni o protoni). In ambito ospedaliero si trovano acceleratori nelle strutture di Radioterapia e talvolta nelle
strutture di Medicina Nucleare (per la produzione di radionuclidi). Possono essere acceleratori circolari (ciclotroni) o
acceleratori lineari.

PRINCIPALI GRANDEZZE FISICHE E UNITÀ DI MISURA LEGATE ALLE RADIAZIONI

Energia - è una grandezza fisica legata alla capacità di un sistema di compiere un lavoro. Es.. l’energia trasportata dalle
radiazioni ionizzanti viene utilizzata per compiere il lavoro necessario alla ionizzazione. L’unità di misura é l’eV
definito come l’energia acquistata da un elettrone quando attraversa una differenza di potenziale di 1 Volt. 1 eV =
1.6.10-19 joule (J)

I fotoni sono radiazione elettromagnetica e oltre che alla loro energia, possono essere caratterizzabili in termini di:
 Lunghezza d’onda λ - distanza tra due creste successive, si misura in metri
 frequenza di un’onda : numero di oscillazioni complete compiute in 1 secondo e si misura in hertz (Hz).
 periodo di un’onda T, espresso in secondi, corrisponde al tempo necessario a compiere un’oscillazione
completa.
 T=1/ Inoltre lunghezza d’onda λ e frequenza  sono inversamente proporzionali; vale infatti che:
 λ = c /  dove c è la velocità di propagazione dell’onda (che, per le onde elettromagnetiche che si propagano
nel vuoto, è la velocità della luce, pari a circa 300000 km al secondo). Ciò significa che alle frequenze
maggiori corrispondono lunghezze d’onda minori.

N.B. Si faccia attenzione che il simbolo λ è stato utilizzato anche per indicare la costante di decadimento.

Carica elettrica - La carica elettrica esiste in natura solo in forma quantizzata ossia in multipli della carica dell’elettrone
(negativa) protone (positiva)pur essendo uguali quantitativamente. Due o più cariche esercitano l’una sull’altra una
forza che può essere attrattiva o repulsiva (l’unita: coulomb “ C”). La carica dell’elettrone vale 1.6·10-19 C.

Gli effetti biologici delle radiazioni ionizzanti e


valutazioni epidemiologiche

Le radiazioni ionizzanti sono in grado di modificare le strutture cellulari fino a


determinare un danno irreparabile.
Gli effetti dipendono dalla quantità di energia che la radiazione ha ceduto nella
cellula (dose) ma anche dal tipo di radiazione e dalla distribuzione temporale e
spaziale della dose ricevuta
EFFETTI SOMATICI (NELLO INDIVIDUO STESSO): deterministici o stocastici
EFFETTI GENETICI (PROGENIE): SOLTANTO STOCASTICI

EFFETTI DETERMINISTICI (SI MANIFESTANO SOPRA UNA SOGLIA) sono quelli che
si verificano in tutti i soggetti esposti al superamento di un determinato valore
di dose ricevuta: Soglia di esposizione.
 EFFETTI SOMATICI DETERMINISTICI
o reazioni dei tessuti alle radiazioni che li hanno colpiti, come diretta
conseguenza della perdita di un gran numero di cellule. I danni ai
tessuti sono più spesso genericamente indicati come reazioni dei
tessuti o effetti somatici deterministici
o sono determinabili e prevedibili con certezza, essendo nota la
relazione causale diretta tra la dose e la comparsa dell’effetto.
o Gradualità dell’effetto: con un aumento della gravità dei sintomi
all’aumentare della dose.
o La soglia risiede nel fatto che il danno da radiazione deve essere
sufficientemente grave affinché la riduzione delle cellule ecceda
l’intrinseca capacità di compensazione dei tessuti risultando in una
netta perdita di funzionalità a carico del tessuto o dell’organo
irraggiato.
o La dose soglia per un determinato organo può variare a seconda
che essa sia stata raggiunta tramite una singola esposizione acuta
oppure tramite un’esposizione protratta nel tempo.

I limiti di dose fissati per legge per la protezione dei lavoratori esposti sono tali
da garantire la non comparsa degli effetti deterministici.

 EFFETTI STOCASTICI - la probabilità aumenta con la quantità di


esposizione
o si verificano casualmente solo in alcuni dei soggetti esposti in
modo non prevedibile a priori, comunque con una maggiore
incidenza all’aumentare della dose.
o stocastici somatici: se si manifestano sull’individuo esposto es.
esposizione prolungata ai raggi ultravioletta del sole, negli anni
rischi di melanoma (tumore della pelle),
o stocastici genetici, se si manifestano nella discendenza
dell’individuo esposto (l’alterazione è a livello genetico, perciò si
manifesterà nella progene).
Gli effetti somatici stocastici- (o non deterministici)
 rappresentati dall’insorgenza di tumori solidi e di leucemie.
 la probabilità che l’evento negativo avvenga (non l’aumento della sua
gravità) aumenta all’aumentare della dose.
 A dosi inferiori a 100 mSv, la relazione tra dose e probabilità non è
completamente nota ed è basata solo su considerazione teoriche e dati
sperimentali ancora insufficienti. Cautelativamente (principio di
precauzione), che per valori di dose inferiori a 100 mSv la probabilità di
comparsa continui ad essere direttamente proporzionale alla dose
ricevuta senza alcuna soglia al di sotto della quale questa si possa
escludere.
 Effetti cancerogeni. l’esposizione alle radiazioni induce un aumento di
comparsa di tumori praticamente in tutti i tessuti, benché in alcuni
(quelli a più alta attività proliferativa) siano più frequenti che in altri.
Proprio per la tipologia di effetto essi sono danni tardivi, cioè si
manifestano a distanza di anni dall’irradiazione. Gli effetti cancerogeni
delle radiazioni sono genericamente indicati come danni somatici
stocastici, in relazione alle condizioni per le quali essi si manifestano
nei soggetti esposti.
 rappresentano gli effetti più “rilevanti” per i lavoratori perché non è
possibile definire un valore di dose al di sotto del quale l’esposizione
possa considerarsi sicura, a differenza di quanto invece avviene per gli
effetti deterministici che possono essere sempre prevenuti
rispettando i limiti di dose fissati per legge.

Gli effetti genetici stocastici


 costituiti dalle mutazioni che si manifestano nelle generazioni successive a
quella del soggetto irradiato in conseguenza della dose assorbita alle
gonadi. Effetti genetici. Se poi il danno ai cromosomi (aberrazioni
cromosomiche e mutazioni) interessa le cellule della linea germinale,
esso potrà trasmettersi sulla discendenza degli individui esposti.

Il danno biologico

 Stadio fisico iniziale (10^-16s): la ionizzazione delle molecole prodotta


dall’energia rilasciata nel tessuto può risultare in un danno
 Stadio fisico-chimico (10^-6s): cambiamenti fisico-chimici delle molecole –
 Stadio chimico (secondi): cambiamenti fisico-chimici delle molecole
 Stadio biologico (minuti – anni):
1)morte cellulare causando danni immediati o tardivi ai tessuti.
2)Trasformazione cellulare causando tumori o effetti ereditari

Danno chimico, biochimico e biologico. Le molecole ionizzate portano ad


alterazioni a livello biochimico delle macromolecole e delle strutture cellulari.
Danno cellulare. Le cellule comunque possiedono specifici meccanismi di
riparazione del danno sul DNA ma l’efficacia di tali meccanismi dipende dal
tipo di danno e dalla sua estensione: in alcuni casi le cellule sono capaci di
riparare completamente tutti i danni subiti e tornare a funzionare
normalmente, in altri questo non succede. Le possibili conseguenze sono:
a) la cellula è danneggiata in modo reversibile, ripara il danno e torna ad operare normalmente
b) la cellula muore in seguito al danno se questo è troppo esteso per essere riparato
c) le cellule figlie muoiono o si differenziano precocemente perdendo la capacità di riprodursi indefinitamente
(morte riproduttiva)
d) la cellula è danneggiata, ripara il danno in modo non corretto e finisce per operare in modo anomalo
(mutazione). Se la cellula è caratterizzata da attività proliferativa allora tale anomalia si potrà trasferire
anche alle cellule figlie.

le cellule a rapida replicazione (elevata attività mitotica) e quelle non


specializzate sono più sensibili al danno da radiazioni perchè il danno al
DNA è potenzialmente più elevato durante la fase del ciclo cellulare di
duplicazione del materiale genetico.
Tra le cellule più sensibili al danno da radiazioni vi sono le cellule del
sistema linfo emopoietico (deputate alla produzione delle cellule del
sangue) che, per questa ragione, risulta uno dei più sensibili indicatori biologici
della esposizione alle radiazioni.

Reazioni dei tessuti. Quando la morte cellulare è tale che il tessuto non riesce a
sostituire in tempo si verifica un’elevata riduzione del numero di cellule
funzionanti il che comporta una compromissione della funzionalità del tessuto che
può ripercuotersi su tutto l’organismo. I diversi tessuti mostrano una sensibilità
diversa al danno da radiazione, determinata dalle linee cellulari più radiosensibili
che lo compongono.
La diversa radiosensibilità dei tessuti è evidenziata nella diversa progressione della
Sindrome Acuta da Radiazioni.
Un danno ai tessuti può anche comparire in tempi più lunghi, anche a
distanza di anni, come conseguenza del progredire di lesioni precoci
inizialmente asintomatiche e del danno sul tessuto connettivo (effetti
tardivi).

Epidemiologia e radioprotezione

La distribuzione e la frequenza con cui si manifestano gli effetti alle radiazioni


nella popolazione esposta dipendono da una serie di fattori, tra cui:
 la quantità di energia complessivamente assorbita, che determina il numero di ionizzazioni iniziali
 la tipologia della radiazione (elettromagnetica, corpuscolare) e la sua energia, che determinano la modalità
di rilascio locale della dose
 la distribuzione temporale della dose assorbita (intensità o rateo di dose), poiché i meccanismi di
riparazione risultano più efficaci quando l’esposizione alla stessa quantità di dose avviene su un arco di
tempo più lungo rispetto al caso di un’unica esposizione acuta
 ulteriori fattori biologici legati alla variabilità individuale.

GLI EFFETTI SUL FETO E SULL’EMBRIONE

 sono irradiati direttamente e gli effetti delle possono essere sia


deterministici sia stocastici e non vanno confusi con gli effetti
genetici.
 sono più sensibili alle radiazioni ionizzanti rispetto ad un adulto
 le conseguenze dell’esposizione possono essere significativi anche per
dosi di radiazioni troppo basse per produrre effetti sui tessuti e organi
della madre.
 Le conseguenze dell’irradiazione del feto dipendono fortemente, oltre
che dalla dose assorbita, dal periodo della gestazione nel quale
avviene l’esposizione
 Gli effetti possono essere: comparsa di, di anomalie nello sviluppo o di
ritardi mentali, di riduzione del quoziente intellettivo (IQ) e di
un’aumentata incidenza di tumori infantili

Per la tutela della salute del feto o dell’embrione sono disposte specifiche restrizioni
per le lavoratrici in gravidanza, tra cui il divieto di “svolgere attività in zone classificate
o, comunque, attività che potrebbero esporre il nascituro ad una dose che ecceda 1
mSv durante il periodo della gravidanza”.

Le donne in stato di gravidanza che si devono esporre a trattamenti o esami con


radiazioni ionizzanti devono comunicare l’esistenza di uno stato di gravidanza al
medico specialista (radiologo, medico nucleare, medico radioterapista).

La valutazione del rischio


 gli unici effetti che possono verificarsi a carico del lavoratore esposto
sono quelli stocastici, poiché le soglie per gli effetti deterministici
risultano molto superiori alle dosi massime ammissibili per legge.
 Gli effetti stocastici si manifestano attraverso una aumentata
incidenza di tumori solidi e leucemie.
 è stata stabilita la probabilità di insorgenza di tumore collegata alle
radiazioni ionizzanti e sono stati conseguentemente stabiliti i limiti
massimi di dose efficace in modo da rendere i rischi presenti nelle
attività lavorative con radiazioni ionizzanti non superiori a quelli
presenti nelle altre attività lavorative ritenute tradizionalmente
sicure.

Elementi di dosimetria delle radiazioni

 L’energia complessivamente rilasciata è molto piccola ma la peculiarità


del meccanismo della ionizzazione la rende estremamente efficace nel
produrre danni cellulari, poiché in grado di agire direttamente sulle
macromolecole biologiche alla base del funzionamento cellulare.
 La dosimetria è la disciplina che si occupa della definizione e della
misura, diretta o indiretta, delle grandezze correlate al rilascio di
energia da parte delle radiazioni ionizzanti.
 Dose assorbita - direttamente misurabili- media – è l’energia rilasciata
per unità di massa all’interno di organi e tessuti del corpo umano ..R
appresenta la base di tutte le grandezze dosimetriche per la valutazione
delle esposizioni alle radiazioni.
Dose assorbita=energia/massa (GRAY o J/kg) o rateo=dose assorbita/s

 La dose equivalente- calcolata : variazione di efficacia biologica dei


diversi tipi di radiazione a parità di dose assorbita
dose equivalente (Sievert o J/kg) effetto x tipi diversi di radiazioni
in relazione agli effetti stocastici, si è osservato che maggiore è la
densità delle ionizzazioni prodotte al passaggio della radiazione,
maggiore è l’efficacia biologica (cioè il danno) di quel tipo di radiazione.
Ossia l’effetto biologico aumenta con l’aumento di peso
o Fotoni (X e Gamma), Elettroni e radiazione  = 1
o Protoni =2
o Radiazione  =20
o Neutroni = 2-20 a seconda dell’energia
 La dose efficace – calcolata La dose efficace è definita tenendo conto sia del tipo di
radiazione sia della radiosensibilità dei tessuti e degli organi irradiati; essa è la
grandezza radioprotezionistica che meglio quantifica l’esposizione dell’uomo alle
radiazioni ionizzanti, perché è direttamente correlabile al detrimento sanitario
prodotto. unità SIEVERT
o I fattori di ponderazione Sono utilizzati per rappresentare i
contributi dei vari tessuti al detrimento totale,
o Il vantaggio della dose efficace consiste nella proprietà
additiva di cui essa gode in relazione al detrimento sanitario a
seguito dell’esposizione a radiazioni ionizzanti;

la dose efficace annuale dovuta all’esposizione al fondo naturale di


radiazione ha un valore medio di 2.4 mSv,

I dosimetri

Le informazioni sui livelli di esposizione esterna vengono ottenute mediante


strumenti di misura genericamente detti dosimetri
Non esiste un dosimetro universale, adatto a tutte le modalità di esposizione e a tutti i
tipi di radiazione.

Dosimetri ambientali - effettuano la misura della dose (o del rateo di dose) negli
ambienti di lavoro, Sono basati su rivelatori a gas (come camere a
ionizzazione, contatori proporzionali, contatori Geiger). La radiazione
ionizzante, al suo passaggio, crea nel gas un certo numero di coppie elettrone–ione
che può essere misurato e che è proporzionale alla dose rilasciata nel gas. Nel caso
particolare della camera a ionizzazione è possibile determinare la dose assorbita in
base ad una relazione ben nota fra l’energia rilasciata nel gas e la carica elettrica
conseguentemente prodotta, raccolta e misurata.

Dosimetri personali
 Il dosimetro personale è in grado di fornire un valore del livello di
irraggiamento del dosimetro stesso che consente la determinazione
della dose efficace con la necessaria accuratezza per le finalità di
radioprotezione.
 Il dosimetro rientra nella categoria dei dispositivi di protezione
individuale (DPI) ma non protegge di per sé il lavoratore
dall’esposizione alle radiazioni;
 Il dato dosimetrico individuale è utilizzato per:
1. verificare il rispetto dei limiti di dose fissati per legge
2. permettere ad ogni lavoratore di migliorare la sua tecnica di lavoro, nell’ottica della ottimizzazione
delle esposizioni

L’uso dei dosimetri personali è regolamentato per legge e trova specifiche indicazioni
operative nelle norme interne di radioprotezione.
3. fornire un tempestivo stato di allerta in caso di esposizione accidentale
Istruzioni per l’uso dei dosimetri personali
• Il dosimetro va utilizzato e posizionato conformemente alle disposizioni contenute nelle norme interne di
radioprotezione.
• Il dosimetro non deve essere ceduto o prestato ad altri e non può essere utilizzato per svolgere attività
per altri datori di lavoro.
• In caso di impiego di camice piombato o altri DPI, il dosimetro va portato secondo le indicazioni
dell’esperto qualificato.
• Il dosimetro non deve essere esposto intenzionalmente alle radiazioni ionizzanti.
• In caso di esposizione anomala e/o accidentale alle radiazioni, ne va fatta comunicazione al preposto,
precisando le circostanze dell’esposizione.
• In caso di deterioramento o smarrimento del dosimetro occorre darne immediata comunicazione al
preposto.
• I dosimetri vanno trattati con cura, facendo attenzione a non esporli a umidità eccessiva e a eccessive
fonti di calore (mai sopra i 50 °C).
• È vietata la manomissione dei dosimetri.
• Il dosimetro va riconsegnato al Servizio di Dosimetria nei tempi indicati: una tardiva riconsegna compromette
la tempestività della sorveglianza e può inficiare l’affidabilità della lettura.
• I dosimetri per le estremità solitamente si indossano al polso come un orologio (dosimetri a bracciale) o
alle mani come anelli (dosimetri ad anello).

Tipi di dosimetri

Dosimetri TLD (a termoluminescenza)


Sono dosimetri realizzati con materiali che, se precedentemente esposti alle radiazioni ionizzanti, emettono luce
in seguito a riscaldamento (fenomeno detto di termoluminescenza). i dosimetri a termoluminescenza sono
particolarmente indicati nel misurare la dose da radiazione X o gamma (energie tipiche della diagnostica e terapia
medica) e presentono maggior comodità di gestione.
Le caratteristiche principali dei TLD sono:
 uniformità di risposta rispetto all’energia della radiazione assorbita
 linearità di risposta rispetto alla dose assorbita (fino a decine di gray)
 alta sensibilità di misura
 dimensioni ridotte
 tessuto-equivalenza
 scarsa sensibilità alla luce ambientale
 possibilità di produzione a basso costo
 risposta indipendente dall’angolo di incidenza della radiazione
 conservazione del contenuto informativo dosimetrico per un lungo periodo (mesi)
 possibilità di automatizzazione della lettura, con grande vantaggio dal punto di vista dell’organizzazione
del lavoro.

Dosimetri a pellicola (film badge)


la radiazione ionizzante impressiona una emulsione fotografica che si
annerisce in rapporto alla dose assorbita. Dall’annerimento è possibile
risalire alla dose assorbita dall’individuo che ha indossato il dosimetro.
Le caratteristiche più rilevanti dei dosimetri a film sono:
 registrazione permanente dell’esposizione: la pellicola costituisce una documentazione diretta della
dose ricevuta che può essere archiviata e ricontrollata anche a distanza di anni.
 determinazione del tipo di radiazione, della sua energia e della modalità di esposizione
 possibilità di risalire all’angolo di incidenza della radiazione (dall’analisi dell’immagine dei filtri sulla
pellicola).
Da un punto di vista pratico, i dosimetri a film sono indossati, al pari dei
TLD, al petto, in corrispondenza dell’emitorace sinistro. Più difficoltoso è il
loro impiego per il controllo delle estremità.
Dosimetri elettronici e penne dosimetriche
Sono dosimetri personali a lettura diretta che permettono un’immediata
visualizzazione del valore misurato.
 essi sono più costosi e meccanicamente meno resistenti rispetto agli
altri tipi di dosimetro personale.
 Vengono usati per monitorare lavoratori occasionali, oppure nel caso di
operazioni in cui potrebbero essere assorbite dosi elevate.

Servizi di dosimetria personale

 I dosimetri personali non sono strumenti in grado di misurare la dose


equivalente e/o efficace ma sono tarati in termini di due apposite
grandezze fisiche introdotte per il monitoraggio delle esposizioni
personali, chiamate equivalente di dose personale profonda (10 cm), ed
equivalente di dose personale superficiale H p(0.07 cioè la cute
 La loro valutazione è compito del servizio di dosimetria personale, che è
in grado di fornire risultati affidabili non soltanto se impiega materiali
con qualità e caratteristiche adeguate, ma soprattutto se utilizza
procedure corrette, standardizzate e controllate nella gestione dei
dosimetri.
Le basi della radioprotezione

 La radioprotezione è la disciplina che si occupa degli aspetti tecnico-


scientifici, normativi ed organizzativi relativi alla tutela dal rischio da
radiazioni ionizzanti per tutti coloro che possono risultarvi esposti
(lavoratori, pazienti, popolazione).

 I tre principi fondamentali su cui si basa la radioprotezione in ordine,


sono GOL:
1. Principio di giustificazione: nessuna attività umana che esponga alle
radiazioni deve essere introdotta o proseguita, a meno che la sua
introduzione o prosecuzione produca un beneficio netto e dimostrabile.
2. Principio di ottimizzazione: ogni esposizione di esseri umani deve essere
mantenuta al livello più basso ragionevolmente ottenibile, tenendo conto
dei fattori economici e sociali. noto come principio ALARA, . esempio, la
riduzione del tempo di stazionamento presso una sorgente o l’aggiunta
di barriere protettive.
3. Principio di limitazione delle dosi individuali: le dosi ricevute dai singoli
individui non devono comunque mai superare determinati limiti,
adeguatamente sicuri. Non sono invece previsti limiti per quel che
riguarda le esposizioni mediche dei pazienti MA ai soli lavoratori e agli
individui della popolazione.

 l’organizzazione della radioprotezione dei lavoratori nelle attività


sanitarie si esplica attraverso una articolata serie di adempimenti
tecnici, gestionali ed amministrativi CHE COINVOLGONO:
o il datore di lavoro e i suoi incaricati,
o la medicina del lavoro,
o la fisica sanitaria,
o i servizi tecnici
o i lavoratori stessi.
 Tra i provvedimenti tecnici adottati rientrano le misure per prevenire le
esposizioni o per limitarne le conseguenze quali:
o la predisposizione di barriere protettive o di DPI,
o la sorveglianza dosimetrica e medica dei lavoratori,
o la delimitazione degli ambienti di lavoro in cui vengono
impiegate le radiazioni,
o la segnalazione delle sorgenti,
o la predisposizione delle norme interne di radioprotezione,
o i controlli periodici sull’efficacia e sullo stato dei dispositivi di
protezione
o tutti i pertinenti accorgimenti progettuali.

Tipologie di irradiazione e rischi

 l’irradiazione (o esposizione o irraggiamento) - si è investiti dalle


radiazioni emesse da una sorgente o machina radiogena. Radiologia
(Tubi a raggi X), Radioterapia (Acceleratori lineari, sorgenti sigillate)
e medicina nucleare (Sorgenti radioattive non sigillate)
o in base alla collocazione della sorgente rispetto al soggetto irradiato, l’irradiazione da sorgente
radiogena può essere :
 irradiazione interna in seguito a una contaminazione interna, il
corpo continua a irradiare fino al totale decadimento
 irradiazione esterna Si ha irradiazione esterna ogni volta che si è
esposti alle radiazioni emesse da sorgenti situate all’esterno
dell’organismo. Il rischio da irradiazione esterna è
potenzialmente presente in tutte le attività lavorative che
utilizzano sorgenti di radiazioni ionizzanti. Nel caso di impiego di
sorgenti di radiazione β di bassa energia o α, il rischio di
irradiazione esterna è trascurabile, dato che si tratta di
radiazioni scarsamente penetranti che possono essere fermate in
pochi centimetri di aria o semplicemente dagli strati più esterni
della cute.
 la contaminazione radioattiva si riferisce invece al rilascio, alla
deposizione, alla diffusione incontrollata di sostanze radioattive (in forma
di polveri o liquidi radioattivi) nell’ aria, superfi cie o organismo.
Laboratori e medicina nucleari (Sorgenti radioattive non sigillate)
o La contaminazione radioattiva di un individuo può essere:
 contaminazione esterna se il materiale radioattivo viene a contatto con la pelle, i capelli o
gli indumenti di una persona
 contaminazione interna, sostanze radioattive entrano all’interno dell’organismo per
ingestione, inalazione o attraverso la cute. Il rischio è presente nella manipolazione e
l’impiego di sorgenti non sigillate, ovvero in Medicina Nucleare e nei laboratori di
indagini chimico cliniche e di ricerca che utilizzano sostanze radioattive; Questo rischio
non è invece presente negli ambienti in cui si utilizzano macchine radiogene e
sorgenti radioattive sigillate (ad es. in brachiterapia). È molto importante, nelle attività
comportanti un rischio di contaminazione, attuare le azioni necessarie a prevenire la
contaminazione personale, quali:

 indossare sempre gli indumenti di lavoro (ad esempio camici e guanti)


 applicare regole di igiene sul lavoro: mantenere puliti gli ambienti, le superfici e gli
indumenti, non portarsi le mani alla bocca, non mangiare o bere negli ambienti
dove si manipolano radioisotopi
 attenersi alle norme interne di sicurezza, i cui contenuti sono stati elaborati per
limitare il rischio di contaminazione. Manovre non previste potrebbero comportare
tale rischio!
 in caso di avvenuta contaminazione, attenersi alle indicazioni contenute nelle
norme interne di radioprotezione.

Segnaletica di pericolo

 La presenza di sorgenti di radiazioni ionizzanti e la tipologia del rischio


ad esse connesso deve sempre essere indicata da apposita segnaletica.
 le aree di lavoro in cui si svolgono attività che utilizzano le sorgenti
radiogene (sorgenti radioattive o macchine radiogene) sono
classificate e contrassegnate, a seconda del livello di rischio presente

Questi simboli sono collocati:


 in corrispondenza degli accessi agli ambienti o alle aree di lavoro classificate come zona sorvegliata
o zona controllata
 in corrispondenza di tutte le sorgenti, eccetto le sorgenti non sigillate in corso di manipolazione, e dei
loro contenitori
Principali tecniche di riduzione della dose

 norme interne di radioprotezione sempre presenti e facilmente


consultabili nell’ambiente di lavoro e devono essere consultate prima di
svolgere una qualsiasi attività nelle zone controllate
 esistono un insieme di accorgimenti che consentono di ridurre
significativamente l’esposizione nel caso di irradiazione esterna come:
o diminuire il tempo di esposizione alla sorgente. La dose assorbita
dipende dal tempo di esposizione alla sorgente; quanto
In presenza di una sorgente di radiazioni ionizzanti stazionare nelle sue vicinanze
il meno possibile.
maggiore è il tempo T di esposizione alle radiazioni ionizzanti,
tanto maggiore è la dose D assorbita.
o aumentare la distanza dalla sorgente. La dose assorbita è inversamente proporzionale al
quadrato della distanza dalla sorgente radioattiva
o operare dietro a idonee schermature che attenuano le radiazioni ionizzanti

In presenza di una sorgente radiogena, operare permanendo al riparo delle


specifiche barriere predisposte.
In presenza di una sorgente di radiazioni ionizzanti, stazionare o transitare il più
lontano possibile da essa.

Dispositivi di protezione collettiva- in genere fanno parte integrante


dell’impianto radiologico. La scelta del materiale schermante, il suo
posizionamento e il suo dimensionamento dipendono sia dal tipo di radiazione
ionizzante e dalla sua energia, sia dalla destinazione d’uso dell’ambiente da
schermare e di quelli circostanti.
 La progettazione delle barriere è effettuata dall’esperto qualificato
 Fanno inoltre parte di questa la segnaletica luminosa installata in
corrispondenza dell’accesso alle sale radiologiche, eventuali interlock o
segnalazioni acustiche o luminose per prevenire l’apertura accidentale di
sportelli contenenti sorgenti radiogene di alta intensità, i pulsanti di
emergenza per l’interruzione dell’emissione radiativa
Dispositivi di protezione individuale - qualsiasi attrezzatura destinata ad essere
indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più
rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro, nonché
ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo
I DPI non sono da intendersi come sostituti delle misure di protezione collettiva,
ma solamente a loro integrazione e complemento.
Ai fini della radioprotezione nelle attività sanitarie si utilizzano DPI:
 per prevenire la contaminazione personale nelle attività comportanti manipolazione diretta delle sostanze
radioattive non sigillate e nei casi di presenza di contaminazione ambientale
 per ridurre le esposizioni individuali nelle attività comportanti impiego di raggi X
 I DPI sono forniti dal datore di lavoro e il loro utilizzo è obbligatorio per i lavoratori, secondo le
modalità indicate nelle norme interne di radioprotezione.

Nell’ottica di garantire il corretto utilizzo dei DPI il lavoratore è tenuto a:


 sottoporsi, quando richiesto, al programma di formazione ed addestramento organizzato dal datore di
lavoro
 utilizzare i DPI conformemente alla formazione e alle informazioni ricevute
 aver cura dei DPI messi a disposizione
 segnalare immediatamente eventuali difetti o inconvenienti al preposto
 non apportarvi modifiche di propria iniziativa
 seguire le procedure di riconsegna al termine dell’utilizzo.

DPI più utilizzati per la prevenzione della contaminazione personale sono i guanti monouso e qualunque altro
abbigliamento protettivo di lavoro, ad esempio le tute e i soprascarpe.

DPI anti-X
I principali DPI contro i rischi da raggi X impiegati in Radiologia sono:
 camici in gomma piombifera o in materiali equivalenti. Esso garantisce attenuazioni comprese fra l’80% ed
il 99% per i raggi X impiegati in radiodiagnostica. In un ambiente di Medicina Nucleare l’attenuazione può
essere invece anche inferiore al 50%, data la maggiore energia della radiazione impiegata
 collari copritiroide servono a garantire una completa protezione nella regione tiroidea, dato che la
tiroide è un organo radiosensibile
 guanti anti-X
 occhiali anti-X. utilizzati per la riduzione della dose al cristallino

Norme interne di radioprotezione sono istruzioni scritte nelle quali sono specificate le regole o le procedure
alle quali bisogna attenersi durante l’attività lavorativa nelle zone controllate e in generale nelle zone in cui si
impieghino sorgenti radiogene. Sono sempre consultabile nei luoghi frequentati dai lavoratori, ed in particolare
nelle zone controllate.
Normativa di radioprotezione

La legislazione italiana che disciplina la radioprotezione è basata sulle


Direttive emanate dalla Comunità Europea
Le esposizioni delle persone alle radiazioni ionizzanti vengono suddivise in
tre categorie distinte:
 esposizioni occupazionali (o lavorative, o professionali): sono tutte le esposizioni a cui sono sottoposti i
lavoratori in conseguenza della loro attività professionale (esclusa la radiazione del cosiddetto fondo
naturale). In alcuni casi particolari è proprio la radiazione dovuta al fondo naturale la causa dell’esposizione
occupazionale: è questo il caso degli addetti alle miniere di minerali uraniferi o dei piloti e degli
assistenti di volo (radiazione cosmica)
 esposizioni mediche: sono le esposizioni a scopo diagnostico o terapeutico dei pazienti e loro
accompagnanti
 esposizioni del pubblico (o della popolazione): sono tutte le esposizioni della popolazione diverse da
quelle mediche e occupazionali.

In Italia, in particolare, sono due i decreti legislativi che determinano


l’attuale regime giuridico della radioprotezione:
 il D.Lgs. 230/95 protezione dei lavoratori e degli individui della popolazione contro i rischi derivanti
dalle radiazioni ionizzanti
 il D.Lgs. 187/00 che tratta la protezione delle persone contro i pericoli delle radiazioni ionizzanti connesse
ad esposizioni mediche.
Sono stato sostituiti da un nuovo decreto Europeo DL 101 del 2020 che conferma i
principi

Principi
La normativa italiana di radioprotezione si ispira ai tre principi fondamentali
formulati dall’ICRP (GOL): giustificazione, ottimizzazione , limitazioni delle dosi,

Come esplicitamente affermato nell’art. 2, gli obiettivi di prevenzione e pro- tezione


sono perseguiti applicando i principi generali di giustificazione e di ottimizzazione;
l’uniformità delle garanzie protezionistiche tra i lavoratori o gli individui della
popolazione è invece assicurata dalla definizione di precisi limiti sulle dosi che tali
soggetti possono ricevere.

La legge da un punto di vista delle figure:


 Il datore di lavoro ha la responsabilità e l’esercita tramite (individuati dal
datore di lavoro) dirigenti (es. primario) e preposti (in genere i
coordinatori) che hanno la responsabilità della corretta applicazione
delle norme di sicurezze
 i lavoratori, che devono attenersi alle disposizioni impartite dal datore di lavoro o dai suoi incaricati
 l’esperto qualificato, a cui è affidata la sorveglianza fisica della radioprotezione
 il medico competente/autorizzato (in medicina del lavoro), a cui è affidata la sorveglianza medica della
radioprotezione. Lo esperto qualificato è quello che tiene sotto controllo le dosi assorbite e ha
l’autonomia per effettuare misurazioni individuali e ambientali

Da un punto di vista operativo:


• la definizione di precisi limiti di dose a cui possono essere esposti..
• la segnalazione delle sorgenti e dei pericoli – cartelli e norme esposte
• la classificazione degli ambienti di lavoro – zona sorvegliata e controllata
• la classificazione dei lavoratori
• la predisposizione delle norme interne di radioprotezione
• la disponibilità dei dispositivi di protezione
• la formazione dei lavoratori.

Classificazione degli ambienti di lavoro

La normativa di radioprotezione prescrive di individuare, classificare,


delimitare, segnalare gli ambienti di lavoro in cui sussista un rischio da
radiazioni e di regolamentarne l’accesso.

Le zone possono essere classificate in zone controllate o zone sorvegliate.

 zona sorvegliata, rischio di superamento di uno qualsiasi dei limiti di dose per la popolazione,
l’accesso alla zona sorvegliata è segnalato ma non necessariamente regolamentato; è quella nella
quale le condizioni di lavoro sono tenute sotto sorveglianza, ma non sono normalmente necessarie
procedure speciali. Dalla legge, ogni area di lavoro ove sia possibile in un anno il superamento di uno
qualsiasi dei seguenti valori:
o 1 mSv di dose efficace
o 15 mSv di dose equivalente per il cristallino
o 50 mSv di dose equivalente per la pelle, mani, avambracci, piedi, caviglie.

 zona controllata, rischio di superamento di opportuni valori fissati per legge, superiori rispetto a
quelli definiti per le zone sorvegliate. Per legge l’accesso alla zona controllata è segnalato e
regolamentato; è un’area delimitata nella quale misure di protezione e mezzi di sicurezza specifici sono,
o potrebbero essere, richiesti per il controllo delle esposizioni o per la prevenzione della diffusione di
contaminazione durante le condizioni di lavoro normali, nonché per la prevenzione o la limitazione
dell’entità delle esposizioni potenziali. D a l l a l e g g e , ogni area di lavoro ove sussiste la possibilità di
superamento in un anno di uno qualsiasi dei seguenti valori:
 6 mSv di dose efficace
 45 mSv di dose equivalente per il cristallino
 150 mSv di dose equivalente per la pelle, mani, avambracci, piedi, caviglie.

In alcuni casi le procedure scritte di radioprotezione delle zone controllate


possono contenere il divieto assoluto per gli operatori di permanere in un
determinato ambiente o locale nel quale i livelli di esposizione risultano
troppo elevati (ad esempio il bunker di un acceleratore lineare o di un
ciclotrone, quando in funzione).

Classificazione dei lavoratori

È definito lavoratore esposto chiunque sia suscettibile, durante l’attività


lavorativa, di superare in un anno solare uno o più dei seguenti valori:
 1 mSv di dose efficace
 15 mSv di dose equivalente per il cristallino
 50 mSv di dose equivalente per la pelle calcolata come media su 1 cm2 qualsiasi di pelle,
indipendentemente dall’area esposta
Tutti i lavoratori che non sono suscettibili di superare detti valori sono da
classificarsi come lavoratori non esposti.
Lavoratori esposti di categoria A - suscettibili di superare in un anno
solare uno o più dei seguenti valori:
 6 mSv di dose efficace
 45 mSv di dose equivalente per il cristallino
 150 mSv di dose equivalente per pelle, mani, avambracci, piedi e caviglie.
I lavoratori esposti Categoria B. tutti gli altri lavoratori esposti

La classificazione dei lavoratori è un’attribuzione dell’esperto qualificato e


tiene conto dell’ambiente ma anche delle caratteristiche individuali delle
modalità e dei tempi di lavoro. Il personale esposto è sottoposto alla
sorveglianza medica della radioprotezione che comprende :
 visite mediche (preliminari di idoneità e periodiche di controllo)
 indagini specialistiche e di laboratorio e tutti i provvedimenti sanitari che
il medico responsabile della protezione sanitaria dei lavoratori ritenga
utile adottare con frequenza di tali esami annuale per Categoria B e
semestrale per Categoria A.
 Le visite mediche per Categoria A devono essere effettuate da un
medico autorizzato (speciale abilitazione).
 Tale abilitazione non è invece richiesta per la sorveglianza medica dei
lavoratori classificati in Categoria B.
 Categoria A è obbligatoriamente sottoposto a sorveglianza
individuale dosimetrica sia per le dosi derivanti da esposizioni
esterne sia eventualmente per quelle derivanti da esposizioni
interne.
 Categoria B la valutazione può essere fatta sulla scorta dei risultati
della sorveglianza fisica dell’ambiente di lavoro; tuttavia, per ragioni
di praticità, anche il personale classificato in Categoria B è in genere
sorvegliato individualmente.

I risultati della sorveglianza dosimetrica sono registrati e comunicati ad


intervalli regolari all’addetto alla sorveglianza medica, il quale illustrerà al
lavoratore il significato sanitario di tali dosi in occasione delle visite
periodiche.
Limiti di dose
Tutte le esposizioni devono essere mantenute al livello più basso ragionevolmente ottenibile e la somma
delle dosi non deve comunque superare determinati limiti che sono stati stabiliti sia per i lavoratori esposti
sia per quelli non esposti. Tali limiti, si riferiscono alla somma delle dosi ricevute per irradiazione esterna e
interna.
 Lavoratori esposti (sia Cat. A, sia Cat. B)
o 20 mSv/anno di dose efficace
o 150 mSv/anno di dose equivalente per il cristallino
o 500 mSv di dose equivalente per pelle, mani, avambracci, piedi e
caviglie.
 Lavoratori non esposti
o 1 mSv/anno di dose efficace
o 15 mSv/anno di dose equivalente per il cristallino
o 50 mSv di dose equivalente per pelle, mani, avambracci, piedi e
caviglie.
Tali limiti sono fissati in modo tale da prevenire qualunque effetto
deterministico. Restano sempre le probabilità di effetti stocastici anche a dosi
basse.
Obblighi del datore di lavoro

 I datori di lavoro ed i dirigenti ed i preposti devono attuare precise


misure di protezione e di sicurezza
 Il datore di lavoro, prima dell’inizio delle attività, deve acquisire da un
esperto qualificato una relazione scritta contenente le valutazioni e le
indicazioni di radioprotezione inerenti alle attività stesse. Sulla base delle
indicazioni dell’esperto qualificato i datori di lavoro, i dirigenti e i
preposti devono:
 classificazione degli ambienti di lavoro
 classificazione dei lavoratori
 predisporre norme interne di protezione e sicurezza adeguate al rischio di radiazioni
 fornire ai lavoratori i mezzi di sorveglianza dosimetrica e di protezione necessari in relazione
ai rischi cui sono esposti
 formazione del lavoratore sulla radioprotezione
 provvedere a l l a o s s e r v a n z a delle norme interne di radioprotezione e sicurezza da
parte dei lavoratori
 contrassegnare le sorgenti di radiazioni ionizzanti
 fornire al lavoratore i risultati relativi alla loro sorveglianza dosimetrica
 la realizzazione e l’acquisto di ogni presidio necessario al fine di tutelare i lavoratori contro
i rischi da radiazioni ionizzanti.
 Per l’attuazione dei propri doveri il datore di lavoro utilizzerà in un’azienda sanitaria:
o la medicina del lavoro, la fisica sanitaria, le strutture degli uffici tecnici e in generale tutte le
competenze tecnico-scientifiche ed operative presenti.

Obblighi dei lavoratori

 osservare le disposizioni impartite dal datore di lavoro o dai suoi incaricati, ai fini della protezione individuale e collettiva e
della sicurezza, a seconda delle mansioni alle quali sono addetti;
 usare secondo le specifiche istruzioni i dispositivi di sicurezza, i mezzi di protezione e di sorveglianza dosimetrica
predisposti o forniti dal datore di lavoro”;
 segnalare immediatamente al datore di lavoro deficienze dei dispositivi e dei mezzi di sicurezza, di protezione e di
sorveglianza dosimetrica, nonché le eventuali condizioni di pericolo di cui vengono a conoscenza;
 non rimuovere né modificare, senza averne ottenuto l’autorizzazione, i dispositivi e gli altri mezzi di sicurezza, di
segnalazione, di protezione e di misurazione;
 non compiere, di propria iniziativa, operazioni o manovre che non sono di loro competenza o che possono
compromettere la protezione e la sicurezza;
 sottoporsi alla sorveglianza medica”; ad esempio sottoporsi alle indagini di laboratorio e alle visite
specialistiche con la frequenza stabilita.

Disposizioni particolari per le lavoratrici

 non appena una lavoratrice accerta il suo stato di gravidanza ha


l’obbligo di notificarlo al datore di lavoro per garantire al feto un livello
di protezione equivalente a quello previsto per le persone del pubblico.
 le gestanti non possono svolgere attività che potrebbero esporre il
nascituro a una dose che ecceda 1 mSv durante il periodo della
gravidanza.
 il datore di lavoro debba accuratamente esaminare le condizioni di
esposizione delle donne in stato di gravidanza, in particolare con
riferimento alla possibilità di dosi accidentali.
 È vietato adibire le donne che allattano ad attività comportanti un
rischio di contaminazione interna.

21-04-08 RADIOTERAPIA – STORIA, FILE A PARTE, DARE UN OCCHIO)


Radioprotezione in Radiologia diagnostica e
interventistica
 La discriminazione dei diversi organi o tessuti è possibile perché i raggi X, attraversando il paziente, sono
assorbiti in misura diversa a seconda della densità e del numero atomico delle strutture che incontrano.
 Mezzo di contrasto sostanze che avendo una maggiore densità o numero atomico sono in grado di
aumentare l’assorbimento dei raggi X evidenziando i tessuti con i quali esse sono a contatto.

 Raggi X (tubo radiogeno):


• nelle attività radiodiagnostiche: radiologia, mammografia, Tomografia Computerizzata (CT),
fluoroscopia per imaging
• attività di radiologia interventistica: emodinamica, angiografia, cateterismo cardiaco,
neurochirurgia, chirurgia ortopedica, urologia) per visualizzare particolari anatomici o localizzare i
dispositivi medici utilizzati durante procedure comunque invasive sul paziente.

 le modalità tecniche di impiego dei raggi X:


o La radiografia: immagini statiche di un distretto anatomico
o La fluoroscopia: immagini dinamiche visualizzate in tempo reale tramite una opportuna
catena televisiva.

Fonti di rischio dei raggi X

 la radiazione primaria: La radiazione primaria è il fascio di raggi X in uscita dal sistema di collimazione del tubo
radiogeno ed è quella utilizzata per produrre l’immagine radiologica. Si tratta della fonte di rischio più
significativa. L’intensità è proporzionale alla corrente impostata al tavolo di comando e inversamente
proporzionale al quadrato della distanza. La quantità totale di radiazione emessa durante un esame è
proporzionale al tempo di esposizione e al quadrato della tensione applicata al tubo (kV)
 le radiazioni secondarie:
• la radiazione diffusa: si origina dall’interazione del fascio primario con il paziente e con gli altri
oggetti interessati dall’irraggiamento, incluse le pareti. E’ circa 0,1% della radiazione primaria, si
propaga in tutte le direzioni. L’intensità diminuisce molto con la distanza. La maggioranza delle
radiazioni è di ritorno verso il tubo. Rischio: quando c’è la necessità di stazionare in prossimità del
paziente durante l’erogazione dei raggi, es: assistenza durante la radiografia. La radiazione diffusa
cessa immediatamente al termine dell’emissione raggi.
• la radiazione di fuga: è la radiazione emessa dal tubo radiogeno nelle direzioni diverse da quelle
del fascio primario. Per legge, nel caso di apparecchi per radiodiagnostica la radiazione di fuga
deve essere inferiore a 1 mGy alla distanza di 1 metro/ora
Valutazione del rischio RX sia per la radiazione primaria che per quella secondaria, dipende principalmente dai
seguenti fattori:
 la quantità totale di radiazione emessa, legata al tipo di apparecchiatura, al numero ed alla tipologia di
procedure effettuate
 la distanza tra la posizione occupata dall’operatore e la sorgente della radiazione
 il tempo di esposizione
 le barriere protettive interposte tra il lavoratore e la sorgente di raggi X (primaria o secondaria).

sale radiologiche
 sono classificate come zone controllate e l’accesso è regolamentato
 dotata di apposita segnaletica specificante il pericolo di irraggiamento sui punti di accesso e sul tubo
radiogeno
 all’esterno è collocata una segnaletica luminosa che avverte lo stato di funzionamento (bianca: impianto
pronto a emettere, rossa: emissione raggi)

sorveglianza dosimetrica individuale RX - l’obbligatorietà solo per i lavoratori esposti di Categoria A,


misure di dosimetria ambientale la valutazione della dose assorbita dai lavoratori esposti di Categoria B

Radiodiagnostica tradizionale e CT - comportano esposizioni molto basse per gli operatori.

attività radiografica eseguita in una sala di radiodiagnostica dedicata, le dosi ricevute dal personale all'esterno di
questa sono irrilevanti dal punto di vista radioprotezionistico (distanza+schermatura)
apparecchi portatili per grafia si eseguono esami su pazienti allettati i rischi radiologici per il personale sono
molto bassi (interventi molto rari).
esami fluoroscopici per imaging diagnostico le esposizioni occupazionali hanno livelli trascurabili. (telecomando
+ schermatura)

CT, alte dosi per il paziente, per il personale che opera dalla sala comandi le dosi sono invece molto basse. Se
necessario stazionare nelle vicinanze del gantry per assistere il paziente durante l’emissione di radiazione, le dosi
possono diventare rilevanti, è perciò indispensabile l’impiego di dispositivi di protezione individuale. (camice
riduce 90% dell’esposizione)

mammografia, radiologia dentale e MOC si utilizzano apparecchiature radiologiche dedicate che comportano
esposizioni occupazionali irrilevanti per gli operatori. Nel caso della mammografia e di talune MOC vi è una
barriera protettiva per l’operatore che si trovi alla postazione comandi.
Radiologia interventistica es angiografiche e cardiologiche e l’attività chirurgica con controllo radiologico
rappresentano la maggior fonte di esposizione professionale del raggi X perchè il personale ha la necessità di
stazionare in prossimità del paziente durante l’emissione raggi e i tempi di esposizione sono più lunghi. Ai fini
della riduzione del rischio, è quindi importante essere consapevoli dei livelli di radiazione connessi alle varie
modalità di utilizzo dell’apparecchiatura, specialmente quelle comportanti esposizioni maggiori.

Se non sono adottati e rispettati gli accorgimenti radioprotezionistici previsti e se


ogni giorno sono effettuate molteplici e complesse procedure, le dosi possono
risultare talmente elevate da comportare in taluni casi il superamento dei limiti di dose o
il manifestarsi a distanza di tempo di danni da radiazione, ad esempio a carico del
cristallino2 3.

Il personale che opera nelle procedure inter ventistiche, angiografiche o di chirurgia con controllo fluoroscopico
è di norma sottoposto a sorveglianza dosimetrica individuale. E può essere necessario che questi indossi,
oltre ai dosimetri per il corpo intero anche i dosimetri per le estremità e/o per il cristallino.

Metodi per la riduzione della dose

Nei casi in cui sia necessaria la permanenza del personale durante l’irraggiamento del paziente, ES. procedure
interventistiche, le dosi occupazionali possono essere adeguatamente ridotte:

 riducendo il tempo di esposizione (fattore tempo)


 stazionando il più lontano possibile dal paziente quando il tubo radiogeno è in funzione (fattore distanza).
 indossando i DPI antiX prescritti
 riparandosi dietro schermature
 non intercettare il fascio diretto con le estremità (in particolare nelle procedure fluoroscopiche ed
interventistiche)
 posizionando il tubo in basso e il recettore dell’immagine in alto.

La riduzione delle esposizioni ai lavoratori può quindi essere ottenuta:


 controllando la durata dell’indagine
 acquisendo immagini della qualità iconografica adeguata allo specifico fine radiodiagnostico/interventistico
 rimuovendo temporaneamente la griglia antidiffusione per le procedure che non la richiedono. (migliora
la qualità dell’immagine, incrementa da 2 a 6 volte della dose in ingresso al paziente)
 utilizzando sistemi per il controllo automatico della esposizione
 selezionando apparecchiature che includano le funzioni di stop immagine o sistemi a memoria
(l’acquisizione in modalità grafia comporta dosi maggiori rispetto alla modalità scopia)
 imparando le funzionalità per la riduzione della dose al paziente proprie dell’apparecchiatura
 collimando il più possibile i campi sulla regione di interesse
 minimizzando la distanza tra il recettore di immagine e il paziente.

Preoccuparsi della radioprotezione del paziente permette anche la riduzione


dell’esposizione occupazionale!

Nelle procedure interventistiche ed angiografiche, a tutela del paziente (e del


lavoratore), la formazione specifica in materia di radioprotezione è prevista
anche dalla vigente normativa (D.Lgs. 187/00).

Risultati della sorveglianza dosimetrica

 Nelle attività diagnostiche le dosi annuali sono tipicamente molto basse (di solito inferiori a 1 mSv) mentre
nelle attività interventistiche (in ambito cardiologico, neurologico, urologico) le dosi possono risultare
considerevolmente più elevate.
 Anche se non rientrano propriamente tra i dispositivi per la riduzione della dose, è fondamentale il
corretto utilizzo dei dosimetri al fine di monitorare le esposizioni e intervenire tempestivamente nei
casi in cui queste risultino inspiegabilmente elevate.
Misure di radioprotezione di tipo tecnico, strutturale e organizzativo.:
 la progettazione di idonee schermature primarie e secondarie
 sale radiologiche di dimensione tale da consentire di posizionare barriere mobili o di sfruttare al meglio il
fattore distanza
 la disponibilità di DPI antiX adeguati alle varie circostanze di lavoro.
 la disponibilità nelle sale per fluoroscopia e radiologia interventistica di dispositivi
di protezione addizionali quali schermi protettivi sospesi, cortine piombate montate sul tavolo paziente e
barriere mobili
 la presenza di dispositivi luminosi di avvertimento,
 le verifiche periodiche sull’integrità dei dispositivi di protezione disponibili e
sull’efficacia delle schermature fisse
 l’adeguata formazione e l’aggiornamento continuo del personale in materia di radioprotezione
 la definizione e l’adozione di idonee procedure di lavoro nelle zone controllate,

Norme interne di radioprotezione e indicazioni del D.Lgs. 230/95

L’attività lavorativa nei locali classificati come zona sorvegliata e come zona controllata è consentita
unicamente al personale addetto che abbia acquisito adeguata conoscenza dei rischi connessi con l’uso delle
radiazioni ionizzanti con particolare riferimento alla mansione cui è addetto.

Gli operatori sono tenuti a osservare le disposizioni impartite dal datore di lavoro o
dai suoi incaricati ai fini della protezione individuale e collettiva e della sicurezza, a
seconda delle mansioni alle quali sono addetti. Per le lavoratrici che svolgono
attività nelle radiologie è obbligatorio notificare al preposto il proprio stato di
gestazione non appena accertato.

Ai fini della protezione dai rischi, i lavoratori possono essere tenuti, alla luce della normativa vigente, a:
 assicurarsi prima dell’inizio dell’indagine radiologica che le porte siano chiuse e
che nessuno sia presente all’interno della sala ad eccezione del paziente e del personale indispensabile alla
sua assistenza
 disporsi al riparo di eventuali barriere (ad esempio al tavolo di comando)
 nel caso vi sia necessità di stazionare in prossimità del paziente durante l’erogazione dei raggi X,
utilizzare con cura e in modo corretto tutti i dispositivi di protezione individuale previsti (camici piombati,
paratiroide, occhiali antiX)
 indossare il dosimetro personale, se prescritto, secondo le norme interne di radioprotezione
 nel caso di impiego di apparecchi radiologici portatili: posizionare e orientare correttamente il fascio,
utilizzare i DPI prescritti, non esporsi al fascio diretto, tenere la massima distanza possibile (almeno 2
metri)
 utilizzare sempre il fascio più collimato possibile
 nel caso di esami CT, se vi fosse la necessità di stazionare all’interno della sala, posizionarsi a lato del
gantry e utilizzare tutti i dispositivi di protezione presenti
 segnalare eventuali anomalie o incidenti al responsabile dell’impianto radiologico.

LEZIONE DEL 21-03-30 NON CI SONO LE SLIDE RIGUARDARE LA REGISTRAZIONE


7 Radioprotezione in Medicina Nucleare

La Medicina Nucleare è la specialità concernente l’impiego medico di radionuclidi in forma non sigillata es.
radiofarmac marcati con Fluoro18.

 Medicina Nucleare diagnostica Es. scintigrafie, esami PET, test di captazione i radionuclidi svolgono la
funzione di traccianti del radiofarmaco al fine di valutarne e/o quantificarne la distribuzione negli
organi e nei tessuti.
 Le apparecchiature utilizzate in Medicina Nucleare non emettono radiazioni (ad eccezione della PET/CT)
ma sono rivelatori della radiazione che proviene dal paziente a cui è stato somministrato il
radiofarmaco e le immagini forniscono legate al metabolismo degli organi.
 I recenti sistemi integrati PET/CT o SPECT/CT consentono di ottenere immagini anatomiche e
metaboliche.

Radionuclidi impiegati in diagnostica


 radionuclidi impiegati nelle procedure diagnostiche scintigrafiche emette radiazione gamma
 Il radionuclide più impiegato è il 99mTc (Tecnezio99 meta stabile), questo radionuclide è prontamente
disponibile nei centri di Medicina Nucleare grazie all’esistenza di un generatore portatile per la sua
produzione.
 I radionuclidi impiegati nelle tecniche PET decadono emettendo un positrone (beta+) i piu comuni sono
18
F e 11C, 13N, 15°
 Si ricorda infatti che molti radionuclidi possono andare incontro a diversi modi di decadimento.
 I radionuclidi PET (11C, 13N, 15O, 18F), a causa della maggiore energia della radiazione emessa,
presentano maggiori problematiche di radioprotezione (si noti l’elevato valore del SEV).

Valutazione del rischio


 sorgenti radioattive non sigillate: il rischio di irradiazione esterna e rischio di irradiazione interna.
 Il rischio è proporzionale all’attività e al tipo di radionuclide (emi vita e alla qualità e quantità della
radiazione emessa), dal suo stato fisico-chimico e dalla complessità delle procedure effettuate.
 il rischio è maggiore all’interno del laboratorio di preparazione dei radiofarmaci e dei locali in cui
avviene la somministrazione al paziente;
 il rischio è minore nei locali di diagnostica, locali di attesa “calda” dei pazienti, nei locali destinati
alla conservazione dei radiofarmaci nonché nei servizi igienici riservati ai pazienti
 tutte le zone in cui vi sia rischio, in corrispondenza dei contenitori schermati per il deposito o il trasporto
delle sorgenti radioattive e quelli per la raccolta dei rifiuti radioattivi sono classificate e contrassegnate in
corrispondenza degli accessi con segnaletica di pericolo di irraggiamento e contaminazione.

Esposizione esterna

Nella Medicina Nucleare diagnostica le più rilevanti circostanze di esposizione ester na si possono verificare
durante:
 la preparazione dei radiofarmaci e la loro somministrazione al paziente
 l’assistenza al paziente dopo la somministrazione nelle fasi di captazione del farmaco,
posizionamento in sala esame, esecuzione dell’esame e congedo.
 Di solito il personale esposto della Medicina Nucleare è controllato con dosimetro personale al corpo
intero per la misura della dose efficace e con dosimetri ad anello o a bracciale per la misura delle dosi
equivalenti alle estremità.
RADIOFARMACO – medicinale che include radionuclidi a scopo sanitario.
 E’ facilmente rilevabile e quantificabile.
 Si localizza solo in organi di interesse
 E’ stabile dal punto di vista biochimico e chimico
 adeguata emissione energetica (gamma per diagnosi, beta per terapia)
 ha un costo contenuto

Preparazione e somministrazione dei radiofarmaci

 Durante le fasi di preparazione dei radiofarmaci e della loro somministrazione al paziente. Il rischio di
irradiazione esterna è potenzialmente rilevante a causa della breve distanza.
 Per la riduzione del rischio di irradiazione durante la preparazione e tra sporto dei radiofarmaci è
importante l’utilizzo dei contenitori schermati (Figura 4).
 per schermare i raggi gamma è usato il piombo, mentre per arrestare la radiazione beta, materiali
plastici che evitano l’insorgere di radiazione X secondaria - fenomeno detto di brems strahlung).
 L’impiego di telemanipolatori è fortemente raccomandato nella manipolazione dei radionuclidi PET.
 la somministrazione dei farmaci richiede particolare attenzione per la breve distanza di
stazionamento dalla sorgente (in particolare il paziente) e per la possibile presenza di rischio di
contaminazione
 L’uso di un meccanismo automatico di somministrazione può ridurre notevolmente le esposizioni del
personale durante la somministrazione.
 Il rischio di irraggiamento è ridotto avendo l’accortezza di riporre sempre tut te le sorgenti non più
utilizzate negli appositi contenitori schermati o nelle celle di stoccaggio.

Assistenza al paziente portatore di radioattività


 la fonte di irradiazioni ne esterna per il personale non è rappresentata dalle apparecchiature (ad
eccezione però della PET/CT o della SPECT/CT che contengono all’interno una CT), ma proviene dai
pazienti dopo la somministrazione del radiofarmaco .
 durante le fasi di manipolazione/preparazione e somministra zione i radiofarmaci sono contenuti in
flaconi di piccole dimensioni e possono essere facilmente schermati, questa possibilità viene meno
quando invece i radio farmaci sono presenti all’interno del corpo del paziente.
 In Medicina Nucleare l’irraggiamento da parte del paziente costituisce il principale contributo alla
dose efficace per il personale esposto e dipende da:
o l’attività loro somministrata
o tipo di radionuclide impiegato
o numero di pazienti trattati giornal mente e dal loro tempo di stazionamento all’interno dei
locali.
 L’irradiazione degli operatori può essere comunque minimizzata organizzando l’attività in maniera da
limitare la permanenza in prossimità del paziente dopo la somministrazione
 i livelli di esposizione diminuiscono significativamente con il passare del tempo, sia in ragione del
decadimento dei radionuclidi (in particolare quelli PET) sia per la escrezione fisiologica del
radiofarmaco. L’esposizione dovuta all’irraggiamento da parte dei pazienti che stazionano nelle sale
di somministrazione, di attesa e di esame è ridotta dalla presenza di una oppor tuna schermatura
delle pareti.

Contaminazione ed esposizione interna in medicina nucleare

Con l’impiego di sorgenti radioattive in forma non sigillata vi è sempre rischio di contaminazione ambientale e
personale (interna e esterna)

 Nella contaminazione esterna il materiale radioattivo si deposita sui vestiti del lavoratore oppure
direttamente sulla cute, ad esempio nel caso di sgocciolamento da siringhe o flaconi o di contatto
con oggetti contaminati.
 Contaminazione interna- Sia la contaminazione ambientale sia la contaminazione personale possono
determinare una contaminazione interna allorché i radioisotopi siano inavvertitamente introdotti
nell’organismo per ingestione (mani in bocca), inalazione (es aerosol) o assorbimento transcutaneo.

Per ridurre il rischio di contaminazione tutte le manipolazioni dei radiofarmaci devono


avvenire con le mani protette da guanti monouso; questi non hanno tanto la funzione di
ridurre l’irraggiamento, quanto quella di prevenire la con- taminazione della cute nei
casi di fuoriuscita o sgocciolamento accidentale dei preparati e quindi di evitare il
prolungamento dell’irraggiamento dopo la manipolazione e la possibile contaminazione
interna. I guanti dovranno quindi essere sempre rimossi al termine di ogni
manipolazione ponendo attenzione ad evitare il possibile trasferimento di
contaminazione alla cute. Il rischio di contaminazione esterna nel caso di manipolazione
di grandi quantità di radio- farmaco è prevenuto adoperando sistemi di frazionamento e di
manipolazione comandati a distanza.

I rischi di contaminazione e di conseguente irradiazione esterna e interna sono minimizzati:


 prevenendo l’eventualità di contaminazione degli ambienti, degli strumenti e delle
superfici di lavoro
 mantenendo la buona pulizia degli ambienti
 adottando le corrette norme di lavoro e di comportamento nelle zone “calde” (per esempio non bere o
mangiare nelle zone a rischio di contaminazione)
 indossando sempre l’abbigliamento protettivo prescritto (ad esempio guanti monouso e soprascarpe)
e togliendolo non appena terminata l’attività comportante il rischio di contaminazione.
 non portare fuori dalle zone “calde” strumenti od oggetti senza averne verificato l’eventuale
contaminazione.
 indispensabile il controllo della contaminazione personale con monitor mani/piedi all’uscita della “zona
calda” sia al termine delle operazioni sia nei casi di sospetti incidenti al fine di attivare le necessarie
procedure di decontaminazione.
 sono ritenuti sufficienti i controlli periodici della contaminazione ambientale nelle aree di lavoro e nelle
zone adiacenti ad esse
Radioterapia metabolica
 I rischi connessi all’impiego terapeutico dei radionuclidi variano ampiamente in relazione al tipo di
radiofarmaco impiegato e alla sua attività. Alcuni radio farmaci si localizzano in specifici tessuti e vi
rimangono senza essere escreti in quantità apprezzabili (e quindi senza comportare particolari rischi di
contaminazione).
 radionuclidi che emettono esclusivamente radiazione beta, questa viene interamente assorbita dai
tessuti e il rischio di irradiazione esterna è pure molto limitato.
 alcuni radiofarmaci possono andare incontro ad importante elimina zione fisiologica prima che
sopraggiunga il loro decadimento fisico oppure possono emettere radiazione gamma, oltre a quella
beta, comportando così, per le persone e l’ambiente circostante, rischi sia di irradiazione sia di
contaminazione.
 Per sicurezza, alcuni trattamenti vengono effettuati obbligatoriamente in regime di ricovero protetto,
con raccolta delle deiezioni dei pazienti.

Radionuclidi impiegati in terapia


 I radionuclidi ideali per la radioterapia metabolica emettono radiazione corpuscolare (beta o alfa). La
scarsa capacità di penetrazione di questa radia zione rispetto ai fotoni comporta un rilascio di energia
concentrato nel solo tessuto in cui il radiofarmaco è stato captato,
 In pratica, però, molti dei radionuclidi impiegati emettono anche radiazione gamma.
Valutazione del rischio
 In tutte le attività che comportano la manipolazione e l’impiego di sorgenti radioattive non sigillate vi è
potenzialmente sia il rischio di irradiazione esterna sia il rischio di contaminazione.
 l’entità del rischio :
o è proporzionale all’attività totale impiegata,
o dipende dal tipo di radiofarmaco (emivita fisica e biologica, caratteristiche della radiazione
emessa) e dalla complessità delle procedure
o è solitamente maggiori rispetto a quelli connessi all’uso di radiofarmaci a scopo diagnostico:
 maggiori attività manipolativa
 maggiore emivita dei radionuclidi
 emissione radiante prevalentemente corpuscolare.
 Tutte le zone in cui vi sia rischio di irradiazione esterna o di contaminazione sono classificate e
contrassegnate in corrispondenza degli accessi mediante apposita segnaletica triangolare di pericolo
irraggiamento e contaminazione. ( a n c h e nei contenitori schermati per il deposito o il trasporto
delle sorgenti radioattive, e per la raccolta dei rifiuti radioattivi)
 Gli ambienti comportanti i maggiori livelli di irraggiamento sono in genere classificati come “zona
controllata” e il loro accesso è regolamentato

Esposizione esterna radiofarmaci/terapia metabolica


 la fonte di irradiazione proviene principalmente dal paziente in cui siano presenti i radiofarmaci. Gli
operatori sono particolarmente esposti:

o Preparazione e somministrazione dei radiofarmaci


 Il rischio di irradiazione esterna durante la preparazione dei radiofarmaci è funzione:
dall’attività solitamente elevate e della breve distanza alla quale si opera.
 misure protettive: le barriere e le schermature, le celle di manipolazione, i contenitori
schermati per il deposito e il trasporto dei radiofarmaci, le schermature per siringhe e
telemanipolatori
 In caso d’impiego di radionuclidi beta emettitori di alta energia si utilizzano
schermature in materiali plastici che limitano l’insorgere di radiazione X secondaria
prodotta dall’interazione della radiazione beta col materiale schermante stesso
(fenomeno di bremsstrahlung).
o Assistenza al paziente
 Il paziente al quale è stato somministrato il radiofarmaco diventa esso stesso una sorgente di
radiazioni.

Contaminazione ed esposizione interna


La contaminazione può essere ambientale o personale.

La contaminazione personale può essere esterna o interna e può avvenire:


 durante la preparazione, manipolazione e somministrazione dei radiofarmaci in
conseguenza dell’inalazione di radionucldidi sospesi in aria o della contaminazione mani/pelle durante
l’assistenza al paziente
 Nella contaminazione esterna il materiale radioattivo si deposita sulla cute e/o sui vestiti del
lavoratore, Le attività più a rischio di contaminazione sono la preparazione e la somministrazione dei
radiofarmaci. La contaminazione esterna comporta sia il rischio di irraggiamento esterno,
soprattutto della cute, sia la potenziale contamina zione interna con conseguente esposizione
interna.
Per ridurre il rischio di contaminazione tutte le manipolazioni dei radiofarmaci devono
avvenire con le mani protette da guanti monouso; questi non hanno tanto la funzione di
ridurre l’irraggiamento, quanto quella di prevenire la conta- minazione della cute nei casi
di fuoriuscita o sgocciolamento accidentale dei preparati e quindi di evitare sia il
prolungamento dell’irraggiamento dopo la manipolazione sia la possibile contaminazione
interna. I guanti dovranno quindi essere sempre rimossi al termine di ogni
manipolazione ponendo attenzione ad evitare il possibile trasferimento di
contaminazione alla cute. Il rischio di contaminazione esterna nel caso di manipolazione
di grandi quantità di radio- farmaco è prevenuto adoperando sistemi di frazionamento e di
manipolazione comandati a distanza.

Sia la contaminazione ambientale sia la contaminazione personale possono causare la contaminazione


interna se la radioattività è inavvertitamente introdotta nell’organismo
Per inalazione, ingestione….
L’ingestione può avvenire in seguito alla contaminazione radioattiva di mani, vestiario, pelle, oggetti.

I rischi di contaminazione e di conseguente irradiazione esterna e interna sono minimizzati:


 prevenendo l’eventualità di contaminazione degli ambienti, degli strumenti e delle
superfici di lavoro
 mantenendo la buona pulizia degli ambienti
 adottando le corrette norme di lavoro e di comportamento nelle zone “calde” (per esempio non bere o
mangiare nelle zone a rischio di contaminazione)
 indossando sempre l’abbigliamento protettivo prescritto (ad esempio guanti monouso e soprascarpe)
e togliendolo non appena terminata l’attività comportante il rischio di contaminazione
 verificando l’eventuale contaminazione personale ed ambientale al termine delle
lavorazioni.

Misure di radioprotezione

 La protezione del personale della Medicina Nucleare si basa essenzialmente su accorgimenti progettuali,
strutturali, impiantistici, organizzativi e procedurali finalizzati a contenere/ridurre il rischio di
irradiazione esterna e a permettere il massimo controllo della contaminazione (prevenendone la
dispersione nel luogo di utilizzo e il possibile spargimento nelle aree adiacenti).
 zona “fredda”: a basso rischio di irraggiamento/contaminazione
 zona “calda”: ad alto rischio di irraggiamento e contaminazione – contiene solitamente:
• una zona destinata alla preparazione dei radiofarmaci
• le zone o i locali per la somministrazione dei radiofarmaci ai pazienti e quelli destinati all’attesa
prima dell’esame per il tempo necessario alla adeguata captazione del farmaco
nell’organismo
• i locali in cui si svolgono gli esami diagnostici. In questi sono collocate le apparecchiature di
misura (gamma camera, tomografo SPECT o PET/CT)
• i servizi igienici, separati dagli altri, per i pazienti sottoposti ad indagini diagnostiche
• una zona di decontaminazione in uscita dalla zona “calda”
• appositi locali per la raccolta e/o lo stoccaggio temporaneo dei rifiuti prodotti.
 I particolari requisiti strutturali e impiantistici per gli ambienti e per le finiture sono tali da garantire
elevati livelli di protezione in relazione al rischio sia di irraggiamento sia di contaminazione. Tali
requisiti possono comprendere, a seconda dell’entità del rischio radiologico presente:
 materiali non porose e non assorbenti per pavimenti e superficie di lavoro
 cappe di aspirazione a flusso laminare,
 un sistema di raccolta degli scarichi liquidi contaminati provenienti dai servizi igienici dei pazienti
 sistemi di lavaggio e di decontaminazione dotati di servizi azionabili senza fare
uso delle mani
 sistema appropriato di ventilazione progettato in modo tale che gli ambienti a più alto rischio di
contaminazione dell’aria si trovino ad una pressione negativa
 schermature delle pareti
Le misure organizzative e procedurali comprendono:
 la formazione e l’informazione specifica dei lavoratori
 la definizione e l’adozione di idonee e dettagliate procedure, per minimizzare
i rischi
• la regolamentazione degli accessi nelle diverse aree
 l’assegnazione dei mezzi di protezione individuali previsti nelle varie fasi di lavoro
 la manipolazione dei radiofarmaci nella quantità minima necessaria
 il controllo periodico dei livelli di contaminazione ambientale e superficiale
 la definizione e l’adozione di procedure operative da applicare in caso di contami
nazione accidentale sia ambientale sia personale
 la definizione di procedure da adottare in caso di incendio
 la gestione dei rifiuti radioattivi prodotti
 i registri in cui sono riportate le informazioni di carico/scarico delle sorgenti.
Norme interne di radioprotezione e indicazioni del D.Lgs. 230/95

L’attività lavorativa nei locali classificati come zona sorvegliata e come zona control lata è consentita
unicamente al personale addetto, con idonea conoscenza dei rischi. I lavoratori della Medicina Nucleare
diagnostica e della Radioterapia metabolica possono essere tenuti, alla luce della normativa vigente, a:
 indossare sempre all’ingresso delle aree di lavoro i propri indumenti di lavoro che
dovranno essere riposti al termine del lavoro stesso
 utilizzare con cura ed in modo corretto i dispositivi di sicurezza ed i mezzi di protezione individuale
(indumenti di lavoro, guanti monouso,…) prescritti per ogni tipo di lavoro
 utilizzare tutti i dispositivi e le barriere protettive previste per le varie mansioni
 sostare in prossimità di sorgenti non schermate (in particolare i pazienti a cui è stato somministrato il
radiofarmaco) per il tempo minimo necessario
 quando si indossano i guanti, non toccare: telefoni, maniglie, apparecchiature o
comunque oggetti che possano essere toccati anche da altre persone
 non mangiare, non bere all’interno delle aree classificate a rischio di contamina zione, né portarsi le
mani o altri oggetti alla bocca
 non utilizzare i servizi igienici riservati ai pazienti
 eseguire qualunque manipolazione di materiale radioattivo nelle aree assegnate secondo le indicazioni
del preposto.
 raccogliere tutti i rifiuti radioattivi nei contenitori appositi, separando solidi e liqui
di, avendo cura di non immettere rifiuti non contaminati negli stessi contenitori dei rifiuti radioattivi.
• controllare, al termine del lavoro, la contaminazione personale
• lasciare i locali in ordine ed esenti da contaminazioni ambientali
 segnalare eventuali anomalie o incidenti al responsabile delle attività o al preposto.
Come comportarsi in caso di contaminazione
• nel caso di trattamenti di Radioterapia metabolica le possibili contaminazioni assumono
rilievo.
• Nel caso in cui si verifichi una contaminazione occorre attenersi alle indicazioni con tenute nelle
norme interne di radioprotezione affisse in posizione visibile
• In caso di contaminazione ambientale, è necessario limitare l’accesso al locale da parte di altre
persone, ridurre l’estensione della contaminazione facendo uso di materiale assorbente
• In caso di contaminazione personale, tutti gli indumenti contaminati devono essere rimossi e si
dovrà poi procedere alla decontaminazione della parte interessata attraverso il lavaggio con
sapone neutro in acqua possibilmente tiepida (mai troppo calda) e sciacquando accuratamente.
• In tutti i casi di contaminazione (sia ambientale sia personale) è necessario avvertire il
responsabile delle attività o il preposto e, prima del ritorno alla normale attività, occorre
sempre verificare il livello di contaminazione residua con l’apposita strumentazione

Smaltimento dei rifiuti contaminati


Come regola generale tutto il materiale prodotto in un reparto di Medicina Nucleare
diagnostica o di radioterapia metabolica è da considerarsi potenzial- mente contaminato e
può essere smaltito solo dopo verifica della assenza di contaminazione radioattiva.

Radioprotezione in Radioterapia

La radioterapia è una disciplina medica che si serve delle radiazioni ionizzanti a scopo terapeutico in ambito
oncologico che puo essere classificata come:
• radioterapia con fasci esterni: i fasci sono diretti e conformati sul volume bersaglio all’interno del
paziente.
• Nella brachiterapia (terapia da vicino) piccole sorgenti radioattive sigillate sono posizionate
direttamente nel tessuto malato (brachiterapia interstiziale) o a contatto con esso (brachiterapia di
contatto) oppure all’interno di organi cavi (brachiterapia endocavitaria).
• Nella radioterapia metabolica si somministrano al paziente a scopo terapeutico radiofarmaci che si
distribuiscono nel suo organismo secondo il metabolismo proprio della molecola cui sono legati.

Sorgenti per radioterapia esterna


• si impiegano solitamente i raggi X di alta energia (circa cento volte maggiori rispetto a quelle dei
raggi X usati in radiodiagnostica ).
• La maggior parte degli acceleratori lineari permette di utilizzare direttamente anche fasci di elettroni
che trovano impiego nel trattamento di lesioni superficiali o poco profonde e in particolare nella
radioterapia intraoperatoria
• gamma knife (in italiano “bisturi gamma”) - trattamento radiochirurgico di tumori e di altre
patologie cerebrali.

Sorgenti per brachiterapia


• l’involucro di rivestimento delle diverse sorgenti utilizzate è ermeticamente sigillato in modo da
prevenire la fuoriuscita del materiale radioattivo.
• Le sorgenti possono essere impiantate in maniera permanente temporanea
Nelle attività di radioterapia con fasci esterni e di brachiterapia l’irradiazione esterna rappresenta il rischio
radiologico più rilevante.
• è necessaria la predisposizione di barriere di spessori maggiori al fine di rendere trascurabili i livelli di
irraggiamento nei locali circostanti quelli del trattamento. In radioterapia anche una sola
esposizione, in caso di evento anomalo o malfunzionamento, può determinare dosi elevate e
produrre conseguenze gravi.

Rischi in radioterapia con fasci esterni

• il rischio radiologico è presente all’interno della sala schermata di trattamento (bunker) solo durante
l’irraggiamento del paziente. è vietato per tutto il personale stazionare o permanere all’interno del
bunker durante l’irraggiamento del paziente.
• Le sale di trattamento e le sale centraggi (dove sono installati i simulatori) sono solitamente
classificate zone controllate e l’accesso ad esse è regolamentato, con- trollato e consentito solo al
personale autorizzato.
• Le altre zone del reparto possono essere classificate come zone sorvegliate o non essere classificate,
in relazione ai livelli di esposizione presenti.

Rischi in brachiterapia
 la preparazione delle sorgenti
 il posizionamento delle sorgenti nel paziente
 l’assistenza non differibile su pazienti con impianti di sorgenti radioattive.
Esposizioni potenziali. Una esposizione potenziale in brachiterapia è quella conseguente al mancato rientro della
sorgente all’interno del suo alloggiamento scherma- to (remote after-loader).
Misure di radioprotezione

• La gestione del rischio radiologico in radioterapia esterna e in brachiterapia si concretizza in un


insieme di misure strutturali, organizzative e procedurali atte a ridurre le esposizioni del personale
nelle normali condizioni di lavoro nonché a prevenire le esposizioni e a limitarne le conseguenze:
o l’idonea progettazione delle sale di trattamento e la loro schermatura.
• All’esterno e all’interno delle sale di trattamento è collocata una segnaletica luminosa
• “Apparecchio pronto all’emissione”, luce verde o bianca
• “Emissione radiazioni”, luce rossa.

L’accesso alla sala di trattamento in radioterapia con fasci esterni è sempre vietato durante l’emissione raggi.

Gli operatori sono tenuti a osservare le disposizioni impartite dal datore di lavoro o
dai suoi incaricati, ai fini della protezione individuale e collettiva e della sicurezza,
a seconda delle mansioni alle quali sono addetti. Per le lavoratrici che svolgono
attività nelle radioterapie è obbligatorio notificare al preposto il proprio stato di
gestazione non appena accertato.

Ai fini della protezione dai rischi, in generale i lavoratori sono tenuti a:


 assicurarsi prima dell’inizio della terapia che le porte siano chiuse e che nessuno sia presente all’interno del
bunker ad eccezione del paziente
 assicurarsi che il sistema di controllo del paziente tramite il sistema televisivo a circuito chiuso sia attivo
 prendere visione della localizzazione dei sistemi di sicurezza per l’interruzione del trattamento in caso di emergenza
 nel caso dei trattamenti brachiterapici, qualora fosse necessario assistere il paziente portatore di radioattività,
stazionare in sua presenza solo per il tempo strettamente necessario allo svolgimento della propria mansione,
mantenersi alla massima distanza possibile e ripararsi dietro le barriere mobili, se previste
 manipolare le sorgenti radioattive della brachiterapia facendo uso degli apposi- ti mezzi di protezione. Dopo la
rimozione delle sorgenti dal paziente procedere all’inventario delle sorgenti e riporre sempre i preparati
radiogeni non in uso negli appositi contenitori schermati
 portare il dosimetro personale se prescritto
 segnalare eventuali anomalie o incidenti al preposto.

Irraggiatori di preparati biologici


• Spesso in ambito ospedaliero sono presenti delle speciali apparecchiature per irradiare preparati
biologici, tra cui sangue ed emoderivati, cellule, tessuti od organi da trapiantare. Esse sono costituite
da una cella schermata che contiene all’interno un tubo radiogeno o una sorgente radioattiva ad
alta attività, solitamente 137Cs.
• Tali dispositivi non presentano particolari pericoli o rischi da un punto di vista protezionistico, dato
che la schermatura è sufficiente a rendere irrilevanti le esposizioni all’esterno. Nel caso particolare
delle installazioni contenenti una sorgente radioattiva è bene sapere che non vi è modo di fare
uscire la sorgente fuori dalla propria schermatura (salvo in caso di manomissione intenzionale). Il
personale addetto deve comunque essere a conoscenza del funzionamento e deve attenersi alle
indicazioni tecniche e di sicurezza presenti.
• Apposita segnaletica di pericolo irraggiamento è affissa in modo visibile sull’apparecchio.
VARIABILITA’ BIOLOGICA nel contesto clinico - È una componente di varianza nelle
misurazioni di laboratorio determinata dalla fisiologia del soggetto osservato. In ogni
momento, la concentrazione dei componenti in un liquido biologico (es. sangue) nel
singolo individuo è il risultato di un equilibrio dinamico.
Punto omeostatico - equilibrio fisiologico è dovuto a meccanismi che tendono a
mantenere la concentrazione di un valore medio, ottimale per l’organismo

LE COMPONENTI BIOLOGICHE DELLA VARIABILITÀ

Variabilità intra-individuale (VI): rappresenta la fluttuazione casuale intorno al


punto omeostatico di un individuo. VI varia da individuo a individuo. In genere si
considera la media dei valori di VI ottenuti in più individui
Variabilità interindividuale (VG): rappresenta la differenza nei punti omeostatici di
diversi individui

È importante rammentare che:


VI e VG variano da componente a componente, se misurate con opportuni protocolli
sperimentali, sono espresse come coefficiente di variazione (CV, %)

PROTOCOLLO SPERIMENTALE PER LA STIMA DELLA VARIABILITÀ BIOLOGICA

1) FASE PRE-ANALITICA (si cerca di minimizzare o cancellare la variabilità pré-


analitica):
1. Selezione dei soggetti:
 Soggetti sani [o soggetti affetti da patologia purché sia stabile (condizioni
patologiche conosciute e sotto controllo)]
 Età tra i 20 e i 50 anni [a meno che l’utilizzo clinico dell’analita sia inteso
per una particolare classe di età]
Criteri di esclusione:
 abitudini e stili di vita inusuali
 farmaci (contraccettivi)
 alcool (>10 g of etanolo/day)
 fumo [identificare altre variabili sulla base dell’analita considerato!]

Si seleziona ~ 10 soggetti per ogni sottogruppo: Uno specifico campione della


popolazione generale per il quale è importante derivare separatamente i dati di VB

2. Raccolta dei campioni


 Intervalli di tempo regolari, alla stessa ora del mattino
 Prelievi: fatti dallo Stesso flebotomista, con Aghi 20 o 21 gauge e tipo di
provetta scelta sulla base dell’analita [se è possibile senza anticoagulante e
gel separatore]
 Soggetti a digiuno da almeno 12 ore
 Non attività fisica nelle precedenti 24 ore

3. Conservazione del campione


 Centrifugare i campioni di sangue entro un’ora dalla raccolta, non prima di
30 minuti dalla raccolta
 Aliquotare in provette adatte al congelamento
 Determinare gli indici di interferenza
 Conservare i campioni a -80°C prima delle analisi

Un esempio… marcatore HE4 – per cancro ovarico

 Donne sane:
o in pré-menopausa (n=14; età, 25–53 anni) e
o in post-menopausa (n=14; età, 50–68 anni)
 Donne in pré- menopausa:
o ciclo mestruale regolare
o non contraccettivi
o campioni raccolti tra il 12° e il 14° giorno del ciclo mestruale (per
evitare una potenziale influenza delle differenti fasi del ciclo sulla
fluttuazione biologica delle concentrazioni di HE4]
 I campioni di sangue erano ottenuti mensilmente per 4 mesi consecutivi
PROTOCOLLO SPERIMENTALE PER LA STIMA DELLA VARIABILITÀ BIOLOGICA

2) FASE ANALITICA
Definizione del misurando e selettività della metodica analitica. Cambio del
misurando porta a una variabilità biologica differente.
È essenziale, prima di iniziare un esperimento di VB, controllare se:

 il misurando è stato definito in maniera univoca dalle organizzazioni


professionali
 la metodica analitica impiegata è selettiva abbastanza per il misurando così
come è stato definito

Sensibilità del metodo analitico


 Il metodo analitico impiegato in uno studio di VB dovrebbe essere
sufficientemente sensibile per l’analita da permettere la sua affidabile
determinazione nei soggetti sani
 Prima di iniziare uno studio di VD è indispensabile valutare se il LoD del
metodo è adatto per le concentrazioni da misurare

Analisi dei campioni - Solo quando tutti i campioni di tutti I soggetti arruolati sono
disponibili, è possibile procedere con la loro analisi che dovrebbe essere eseguita:

 In un’unica seduta analitica [permette l’eliminazione della componente CVA


(variabilità analitica) tra le serie, difficile da derivare.
 In duplicato [permette una stima diretta della CVA entro la serie]
 Ordine casuale
 Utilizzando un unico lotto di reagente
 CQI

PROTOCOLLO SPERIMENTALE PER LA STIMA DELLA VARIABILITÀ BIOLOGICA

3) ANALISI STATISTICA
Prima di iniziare con l’analisi statistica, è opportuno controllare attentamente i dati
grezzi. In particolare, è importante verificare che tutte le concentrazioni siano sopra
il LoD del metodo analitico. Successivamente, è possibile procedere con l’analisi
degli outlier e la valutazione della distribuzione dei dati

Test per gli outlier - Se viene identificato un outlier, indipendentemente


dal livello, è consigliabile escludere tutti I dati del soggetto corrispondente
 Cochran’s test: osservazioni, S2I+A
 Criterio di Reed: valori medi dei soggetti
La derivazione della VB come CV richiede la normalità dei dati
Test di normalità - Shapiro Wilk test
Media (aritmetica)= µ ; deviazione
standard= σ
Caratteristiche essenziali: simmetria della
curva e media, mediana e moda coincidono
Test per confrontare popolazioni
- Per confrontare i valori medi dei
sottogruppi: Test di Student
(parametrico),
Wilcoxon-Mann-Whitney (non-
parametrico)
- Per confrontare le varianze dei due
sottogruppi
- F-test

INDICE DI INDIVIDUALITA’
II = CV I/CV G
Se II <0,6:gli intervalli di
riferimento non sono utili
per l’interpretazione del
singolo risultato
Se II >1,4: gli intervalli di
riferimento sono utili per
l’interpretazione del
singolo risultato
INDICI DERIVATI
Differenza critica (DC): è la differenza tra due misure consecutive in un
paziente [col medesimo metodo] è dovuta alla combinazione di VA e VI. La
differenza massima dovuta solamente all’effetto di tali variabilità è la “differenza
critica” (DC)
Esempio - Colesterolo totale: CVA=1%; CVI=3.6%; DC=10%
CVA – variabilità analitica critica
CVI – variabilità intraindiviuduale critica
DC – differenza critica

Due pazienti: entrambi con colesterolemia 280 mg/dl iniziano un trattamento con
dieta ipocolesterolemica. Dopo un mese: uno ha colesterolo = 260 mg/dl, l’altro
colesterolo = 300 mg/dl. In entrambi i casi: la differenza è pari al 7% del primo valore
e non si può definitivamente concludere né per un’efficacia della terapia (nel primo)
né per un peggioramento della situazione di rischio (nel secondo) perché come DC è
10% dentro i valori 280 + 10% e 280 – 10% non si può considerare una
miglioria/peggioramento perché è come se fosse dentro il “margine di errore” – il
range dentro il quale la variazione non è significativa.

Determinare il numero di campioni necessari per derivare una stima affidabile del
punto omeostatico di un individuo per un analita
n = [1.96 (CVA^2 + CVI^2)^0,5/D]^2

es. Quanti campioni (n) sono necessari per stimare il punto omeostatico del
colesterolo entro il 5% di vicinanza?
CVI = 3.6% CVA = 2% (desiderabile)

n = [1.96 (2^2 + 3.6^2)^½/5]^2 = [1.96 (4+12,96)^½/5]^2= [1.96 (4,11)/5]^2 = 2.6

TRAGUARDI ANALITICI
Precisione - Livello di concordanza fra misure ripetute in condizioni definite.
Esprime l’errore casuale, che è inversamente correlato con la precisione.
IMPRECISIONE = ERRORE CASUALE

Esattezza - Livello di concordanza fra il valore medio, ottenuto da una serie


numerosa di risultati analitici, e il valore vero. Il grado di esattezza di solito è
espresso numericamente dal "bias" che è inversamente correlato con l'esattezza.
BIAS (SCOSTAMENTO, ERRORE SISTEMATICO, INESATTEZZA)

ASSUNZIONI/PREMESSE
- Il contesto clinico richiede la minima variabilità totale (VT) del risultato
biochimico
- Il contributo di VI a VT è “incomprimibile”
- Il contributo della variabilità analitica (VA) alla VT deve essere pertanto
minimizzato

Impatto dell’imprecisione analitica sulla variabilità totale


- VA e VI si sommano a dare VT secondo la relazione: VT = (VI^2 + VA^2)^1/2
- se le condizioni analitiche sono tali che: VA = 0,5 VI
- si ottiene che: VT = 1,12 VI

ossia, selezionando per un analita un metodo di imprecisione inferiore o uguale alla


metà della VI dell’analita stesso, la VT della misura è maggiore di solo il 12% della VI
dell’analita. Se la variabilità totale di una determinazione è minore, è possibile
valutare meglio se una variazione (per es. da 100 a 150) evidenziata da due singole
misure successive sia o no significativa.
VALORI DI RIFERIMENTO E LIVELLI DECISIONALI

CRITERI PER INTERPRETARE I RISULTATI DEGLI ESAMI DI LABORATORIO


 Confronto del risultato con un intervallo di riferimento (LR)
 Confronto dell’ultimo risultato con il precedente (RCV)
 Impiego dei livelli decisionali (LD)

INTERVALLI DI RIFERIMENTO
 Confronto del risultato nel soggetto vs distribuzione dei valori in una
popolazione apparentemente sana
 “valori normali” sostituito da “valori di riferimento”
Riferimento a:
o livello di salute dichiarato/confermato da altri dati nella popolazione
indagata
o fattori che caratterizzano la popolazione di riferimento
o fattori pré-analitici (raccolta, preparazione, conservazione materiale
biologico)
o prestazioni analitiche del saggio (imprecisione, inesattezza)
o metodi statistici per analisi e trattamento dati

Individui di riferimento costituiscono una popolazione di riferimento dalla quale è


estratto un gruppo di campioni di riferimento sui quali vengono determinati i valori
di riferimento che si distribuiscono in una distribuzione di riferimento dalla quale
vengono calcolati i limiti di riferimento che definiscono l’intervallo di riferimento –
i valori di riferimento vanno confrontati poi con i valori osservati per un singolo
individuo

Produzione dei valori di riferimento: raccomandazioni


Selezione accurata della popolazione
 Caratterizzazione della popolazione
 Fonti di variabilità delle concentrazioni dell’analita:
Età, sesso, alimentazione, fattori genetici
 Definizione criteri inclusione/esclusione
 Definizione delle condizioni fisiologiche (stato di buona salute)

Protocollo accurato di raccolta/conservazione campione


 Preparazione soggetto/condizione di prelievo (orto clinostatismo)
 Tipo/conservazione campione ( -80 gradi C)

Descrizione del metodo di dosaggio (valutazione possibili interferenze)

Metodologia statistica: distribuzione dei valori →scelta del modello

La Linea guida CLSI raccomanda un approccio basato sul questionario per la


determinazione degli intervalli di riferimento arruolando almeno 120
individui ed utilizzando dei metodi statistici non parametrici se la distribuzione dei
dati non è gaussiana.

PROTOCOLLO SPERIMENTALE
1. Investigare le interferenze analitiche e le fonti di variabilità pré-analitiche (se
l’analita è nuova e la letteratura non è di aiuto, è necessario verificare
sperimentalmente le potenziali fonti di variabilità).
2. Stabilire i criteri di inclusione/esclusione
3. Preparare un consenso informato
4. Preparare un questionario: che è un ottimo strumento per verificare la
presenza o meno dei criteri di esclusione o di raggruppamento. Esso deve
essere:
 Semplice, non intimidatorio
 Domande a cui si risponde con “no” o “si”
 È possibile affiancare al questionario anche semplici misurazioni (pressione
del sangue, peso, altezza, esami del sangue)
 Trattare le informazioni fornite dal
 soggetto in maniera confidenziale (I questionari possono essere anonimi)
5. Suddividere i soggetti in base alle informazioni del questionario e delle
misurazioni. Quello che è un criterio di esclusione in uno studio potrebbe
essere un criterio di suddivisione in gruppi in un altro studio
-ESCLUSIONE A PRIORI: i soggetti vengono esclusi prima della raccolta
dei campioni. richiede dei criteri di esclusione e di raggruppamento ben
definiti, questionario, valutazione dei soggetti prima della raccolta dei
campioni

- ESCLUSIONE A POSTERIORI: i soggetti vengono esclusi dopo la raccolta


dei campioni. Il processo di esclusione e di raggruppamento avviene dopo la
raccolta dei campioni. Può essere appropriato per analiti nuovi (poche
informazioni in letteratura). Questionario più dettagliato

TECNICA DI CAMPIONAMENTO DIRETTA


 Fortemente raccomandato dalla line guida CLSI
 Arruolamento di una popolazione di riferimento
TECNICA DI CAMPIONAMENTO INDIRETTA
 Utilizzo di metodi statistici applicati ai valori di un database
 Da utilizzare solo se non è possibile arruolare soggetti
 Basata sull’assunzione, confermata dall’osservazione, che la maggior
parte dei risultati dei pazienti sono dentro l’intervallo di riferimento
 Molti metodi sono utilizzati per escludere i valori di individui non sani
 Meglio includere i valori di particolari pazienti (donatori, piccoli
interventi chirurgici, screening)

6. Estrarre il gruppo di riferimento da una popolazione di riferimento


Principio: “Tutti gli individui della popolazione Pi devono avere la stessa
probabilità di essere selezionati.”
 Selezione ‘a priori’ casuale (ideale), Criteri Inclusione/Esclusione punto
di applicazione: Pi, Da Pi estrarre casualmente Gi

 Nella pratica spesso selezione ‘a priori’ a “ridotta” casualità. Criteri


Inclusione/Esclusione punto di applicazione: Gi

Fattori intra-laboratorio che influenzano i valori di riferimento. La


produzione dei valori di riferimento deve avvenire nelle stesse condizioni di
produzione dei risultati clinici.
 Standardizzazione fase pré analitica: Preparazione, modalità, tempo
effettuazione prelievo/raccolta materiale
 Controllo variabilità analitica: Inesattezza/imprecisione (CQI), Inaccuratezza
(VEQ)
 Identificazione dei possibili interferenti sulla misura (esclusione dei campioni):
Emolisi, lipemia, ittero, farmaci
 Se le valutazioni sono multicentriche: Confrontabilità dei dati (armonizzazione
dei metodi)

7. Verificare la distribuzione dei dati – Gaussiana (normale) La verifica visuale


della distribuzione
dei dati è
auspicabile,
Differenti test
statistici (es. Shapiro
Wilk test)
8. Identificare gli outlier

CAUSE POSSIBILI: Errori grossolani, Errori analitici, Inclusione di soggetti


patologici, Mistura di distribuzioni (adulti e bambini)
EFFECTS: Gli outlier incidono sulla distribuzione dei dati

MANAGEMENT: Devono essere identificati prima di calcolare gli intervalli di


riferimento. Se sono errori devono essere eliminati e/o sistemati. Altrimenti valutare
attentamente

IDENTIFICATION: Tuckey test

9) Stimare gli intervalli di riferimento


INTERVALLO DI RIFERIMENTO:
 Delimitato tra due numeri (limite inferiore e limite superiore)
 Comprende il 95% dei valori della popolazione di riferimento arruolata:
o µ − 1.96σ e µ + 1.96σ (APPROCCIO PARAMETRICO)
o 2.5 e 97.5 percentile di una distribuzione (APPROCCIO NON
PARAMETRICO)

METODO STATISTICO PARAMETRICO fa riferimento principalmente alla


distribuzione Gaussiana. La trasformazione dei valori - Molti valori di
riferimento di molti analiti non seguono la distribuzione gaussiana. In questi
casi per poter utilizzare il metodo parametrico bisogna eseguire una
trasformazione dei dati. (ad esempio, trasformazione logaritmica).
Successivamente è necessario verificare se i valori di riferimento trasformati
sono conformi a una distribuzione gaussiana. Questo approccio implica una
teoria statistica moderatamente complessa
Es. Distribuzione bilirubinemia totale non è Gaussiana, facendo una
trasformazione logaritmica diventa approssimativamente gaussiana ma
darebbe un limite inferiore = -0.63 µmol/L (!!!ATTENZIONE: valori negativi non
sono plausibili) . CONCLUSIONE: La statistica Gaussiana non è accettabile per
elaborare la distribuzione dei valori di riferimento della bilirubinemia totale

METODO STATISTICO NON PARAMETRICO


 Il più semplice è basato sui ranghi
 Ordinare i valori in senso crescente
 Identificare il 2,5% e il 97,5% percentile della distribuzione
 Tra i due percentili è compreso il 95% delle osservazioni
 Formula generale: (N+1)*P/100, dove N è il numero di osservazioni e P è
il percentile
o CAUTELE:
o Necessario definire un campione sufficientemente grande – altrimenti
non fornice valori utilizzabili

Mistura di distribuzioni - Nel Gi potrebbero essere inclusi Ii appartenenti a


Pi con diverse distribuzioni dell’analita.
EFFETTI: La dispersione della distribuzione è elevata a causa della
eterogeneità dei soggetti. I limiti di riferimento sono ampi: aumenta la
probabilità di errata valutazione del risultato nel singolo individuo
INDICI DI POSSIBILE MISTURA: Multimodalità nel grafico. No. elevato di
outliers.
STRATEGIA PROPOSTA: Suddividere il campione in ’’sotto campioni’’ di
No. adeguato (caratteristiche Ii). Confrontare le distribuzioni ottenute.
I limiti di riferimento ottenuti dovrebbero sempre essere accompagnati
dall’intervallo di confidenza al 90%. Questo intervallo di confidenza è tanto più
ristretto quanto maggiore è il numero dei soggetti utilizzati per la definizione degli
intervalli.
Intervalli di confidenza (IC) dei limiti di riferimento
 Precisione delle stime.
 Un altro campione estratto dalla popolazione potrebbe generare stime
differenti.
 IC calcolati sui percentili della popolazione rappresentano un modo per
definire la variabilità delle stime campionarie, usando l'informazione fornita
dal campione.
 Interpretazione: siamo confidenti al 90% che quelli calcolati siano i limiti di
riferimento per quell’analita in quella popolazione (per tutti i campioni
casualmente estratti).
 Tavole per calcolare gli IC al 90% da utilizzare per il metodo non parametrico
sono fornite dalle linee guida in funzione della dimensione del campione

CRITERI PER INTERPRETARE I RISULTATI DEGLI ESAMI DI LABORATORIO


 Confronto del risultato con un intervallo di riferimento (LR)
 Confronto dell’ultimo risultato con il precedente (RCV)
 Impiego dei livelli decisionali (LD)
 LIVELLO DECISIONALE - Il livello decisionale rappresenta il valore/risultato di
un esame di laboratorio che è associato a una specifica decisione e
comportamento clinico:
o trattamento/non trattamento
o modifica del trattamento
o proseguimento delle indagini diagnostiche

 Scelta dei livelli decisionali per: consenso, empirica (es. su base


fisiopatologica), con il calcolo delle probabilità (teorema di Bayes, curve ROC)

Preparazione del paziente e modalità per l’ottenimento del campione biologico


(prelievo di sangue).

GENERALITÀ SULLA FASE PREANALITICA

FASE PREANALITICA
Sequenza cronologica di tutti gli eventi relativi ad una analisi chimico-clinica, che
avvengono prima dell’ attività analitica vera e propria:

1. formulazione di un quesito clinico corretto (appropriatezza della richiesta –


non chiedere eccessi di esami. Pochi ma mirati in base alla ) - Un’analisi
chimico-clinica può definirsi appropriata solo quando sussistono fondate
ragioni cliniche per richiederla. Queste ragioni devono essere basate sulle
prove di efficacia dell’esame.

Es. per il tumore di prostata si richiede il PSA totale, se i valori sono in un


certo range (TRA 2 E 10 mg/L), solo lì si chiede il PSA libero. Se il rapporto e
inferiore al 20% può indicare un tumore. Sotto il 2 non c’è senso perché sicuro
Non è un tumore (l’ulteriore esame è inappropriato e oltre il costo economico
può creare anche ansia non necessaria la paziente) , sopra il 10 è sicuro un
tumore, perciò, chiedere il PSA libero e un esame non necessario

2. preparazione del paziente (esempio il digiuno, raccogliere info su medicine,


alcune non devono essere prese prima del prelievo…) Il risultato dell’analisi
chimico clinica deve riflettere il reale profilo biologico e fisiologico del
paziente.
 Dieta/assunzione di liquidi. Es Profilo lipidico. Su tutti gli adulti di 20 anni o
più, dovrebbe essere eseguito un profilo delle lipoproteine a digiuno
(colesterolo totale, colesterolo LDL, lipoproteine ad alta densità o
colesterolo HDL, e trigliceridi) ogni 5 anni. Se il test viene effettuato non a
digiuno, solo i valori del colesterolo totale e HDL possono essere utilizzati.
Un profilo delle lipoproteine che preveda il dosaggio dei trigliceridi ed il
calcolo del colesterolo LDL necessita da 9 a 12 ore di digiuno. Il dosaggio
dei lipidi deve essere effettuato con il soggetto in condizioni basali stabili,
cioè in assenza di malattie in fase acuta, inclusi ictus, traumi, interventi
chirurgici, infezione acuta, calo ponderale, gravidanza, o recente modifica
della dieta abituale. Queste condizioni determinano spesso valori che non
sono rappresentativi degli abituali livelli dell’individuo. I soggetti
dovrebbero essere seduti da almeno 5 minuti prima di effettuare il prelievo
al fine di evitare l’emoconcentrazione. Il sangue dovrebbe essere raccolto
in provette prive di anticoagulante per il siero o con EDTA per il plasma. Il
plasma è caratterizzato da valori approssimativamente del 3% più bassi dei
rispettivi valori del siero. Sono comunque disponibili metodi basati sulla
puntura del dito per il dosaggio della colesterolemia totale ed HDL, e della
trigliceridemia. Deve essere prestata una particolare attenzione alla
raccolta del campione di sangue per ridurre al minimo la diluizione da
parte del liquido interstiziale. Il prelievo di sangue capillare attraverso la
puntura del dito è critico al fine di ottenere risultati accurati.

 Ritmo circadiano - - influenza la concentrazione di diversi ormoni, perciò e


importante tenere in conto es. cortisolo ha un pico di concentrazione nelle
prime ore del mattino, per poi decadere.


 Esercizio fisico – le attività fisiche intense influenzano la quantità di globuli
bianchi, specialmente dei neutrofili, Effetto dell’esercizio fisico sull’analisi
delle urine: moderato - Può indurre microematuria ( piccola quantità di
sangue nelle urine - eritrociti isomorfi – a forme uguali e ben definite),
intenso - Può indurre microematuria (maggior quantità di sangue nelle
urine eritrociti dismorfi). Può indurre proteinuria (cilindri). REQUISITI
MINIMI: Prelievo al mattino ( 8 10 h), Digiuno di 8 ore, A riposo per almeno
5 minuti prima del prelievo
 Altitudine – cut off – influenzano la concentrazione delle emoglobine. In
alta altitudine, l’aria e meno piena di ossigeno – perciò si fa più fatica a
respirare – ipossia (stimola il rene a produrre eritropoietine – produzione
emazie aumenta – perciò l’ematocrito aumenta). Alcuni fattori noti
possono aumentare le concentrazioni di emoglobina nel soggetto, ad
esempio, il luogo dove vive ovvero l’altitudine sul livello del mare e le
abitudini di vita, ad esempio il fumo. In questi casi l’applicazione dei livelli
decisionali riportati in tabella 1, può indurre ad una erronea diagnosi o
classificazione del grado di anemia del soggetto. Pertanto, per una corretta
valutazione dello stato del soggetto, devono essere applicati alla
concentrazione di emoglobina misurata i fattori correttivi descritti in
tabella 2 per l’altitudine sul livello del mare, mentre la correzione per
l’abitudine al fumo è di fatto trascurabile.

 Esempio: una donna


che vive a 3500 metri
sul livello del mare con
emoglobina di 130 g/L è
anemica, infatti il suo
valore di
emoglobina è solo
apparentemente
normale.
Il valore di emoglobina deve essere corretto come segue:
130- 27=103 g/L
 Farmaci e processi terapeutici - PRELIEVO PER IL MONITORAGGIO DELLE
TERAPIE FARMACOLOGICHE. Eseguire il prelievo allo STEADY-STATE = ~5x
t½ Prelievo mattino prima della dose giornaliera di farmaco.
Cause iatrogene– corollario pratico - È necessario che il campione di sangue per il
dosaggio dei biomarcatori sia prelevato prima di ogni manovra diagnostica (invasiva
o cruenta) e di qualsiasi intervento terapeutico. Esempio di manovre diagnostiche o
interventi terapeutici
 Esplorazione rettale PSA aumenta i valori x2
 Cateterismo vescicalePSA aumenta i valori x 50
 Agobiopsia prostaticaPSA aumenta i valori
 Agobiopsia tiroidea TG aumenta i valori
 Interventi chirurgici TPA aumenta i valori
 Interventi chirurgici (addome) CA125 aumenta i valori
 Cistoscopia BTA aumenta i valori x 4
 Chemioterapia Vari aumenta i valori
abitudini voluttuarie – che influenzano i valori
 Fumo CEA,TPA,TG,SCC
 CannabishCG
 Alcool CEA,TPA,SCC
 Cycling PSA

Il risultato dell’analisi chimico clinica deve essere il più rappresentativo possibile del
profilo ematochimico in vivo.
3. raccolta dei campioni biologici (prelievo in una modalità appropriata, poiché
può interferire nei risultati)
4. conservazione dei campioni biologici (stabilità – anche il trasporto)

CAMPIONI BIOLOGICI
Sangue venoso, arterioso, capillare Urine differenti tempi di raccolta Fluidi biologici
spinale, amniotico etc. Sperma, Feci, Saliva Sudore

SAPERE BENE CHIEDE SEMPRE


Sangue intero
Un campione di sangue venoso, arterioso o capillare in cui le concentrazioni e le
proprietà dei costituenti cellulari ed extra- cellulari rimangono relativamente
inalterate rispetto al loro stato in vivo. L'anticoagulazione in vitro stabilizza i
componenti in un campione di sangue intero per un certo periodo di tempo

Plasma
Il surnatante virtualmente privo di cellule del sangue ottenuto dopo centrifugazione
in provette contenenti anticoagulante. Parte liquida rimasta dopo la centrifugazione
avendo bloccato la coagulazione

Siero
Il surnatante virtualmente privo di cellule del sangue ottenuto dopo centrifugazione
in provette prive di anticoagulante. Si ottiene lasciando coagulare il sangue e
successivamente centrifugandolo. Parte liquida rimasta dopo la centrifugazione
senza aver bloccato la coagulazione

Anticoagulanti
Additivi che inibiscono la coagulazione del sangue assicurando che il componente da
misurare non sia significativamente modificato prima del processo analitico.
L'anticoagulazione si verifica legando ioni di calcio (EDTA, citrato) o inibendo
l'attività della trombina (eparina trombina trasforma fibrinogeno in fibrina – la )
CHECKLIST PER PRELIEVO DI SANGUE VENOSO
1. Utilizzare dispositivi di protezione individuale (DPI)
2. Il paziente sia seduto (meglio) o disteso da almeno 5 minuti
3. Controllare l’identità del paziente
4. Verificare corrispondenza di dati anagrafici sulle etichette
5. Etichettare le provette prima del prelievo
6. Preparare il materiale per il prelievo
7. Assemblare il dispositivo
8. Applicare laccio emostatico per meno di 2 minuti
9. Evitare accanimento se il prelievo è difficoltoso
10.Seguire ordine specifico di provette (per evitare contaminazioni)
11.Riempire bene le provette (specialmente quelle con anticoagulante)
12.Miscelare gentilmente le provette
13.Eliminare in modo sicuro il materiale

PRELIEVO DI SANGUE
Il prelievo di sangue (“flebotomia”) è effettuato mediante puntura venosa, arteriosa
o cutanea.

Il prelevatore, che appartiene in genere alla categoria dei medici, infermieri,


ostetriche o altri professionisti sanitari a ciò autorizzati, secondo il tipo d’analisi e
del soggetto, sceglie la procedura d’esecuzione.

PRELIEVO VENOSO: SCELTA DELLA VENA


Viene effettuato scegliendo una vena superficiale della faccia anteriore del braccio,
nella maggiore parte dei casi la vena cefalica o cubitale mediana. Adeguate al
prelievo vene di minor calibro, ma il flusso sanguigno può essere lento o possono
facilmente collassare.

APPLICAZIONE DEL LACCIO

Il laccio viene applicato per aumentare il riempimento venoso e quindi rendere le


vene più prominenti ed accessibili al prelievo. Va applicato 8 – 10 cm sopra il punto
di prelievo; il tempo di applicazione non deve superare i 2 minuti (applicazioni
prolungate causano aumento della pressione idrostatica venosa, shift extra-vasale di
liquidi ed emoconcentrazione degli elementi corpuscolati del sangue, delle
macromolecole non diffusibili e degli analiti da esse veicolati. In particolare, si può
riscontrare un aumento del 13% del colesterolo totale ed HDL; del 12% di Fe,
trigliceridi, CK); va tolto prima che venga ritirato l’ago.

Esempio -il citrato es.


evita la glicolisi
garantendo i livelli di
glucosio del risultato,
ma altera il valore
medio di glicemia
INTERFERENTI
L'interferenza analitica è l'effetto di una sostanza in ogni determinazione della
concentrazione dell'analita. L’analita è il componente destinato a essere misurato
nel campione. Un "interferente" è un componente del campione, diverso
dall'analita, che altera il risultato finale.

Emolisi – rottura delle emazie (es.


se si usano aghi molto piccoli –
laccio emostatico tenuto a tropo
tempo…) facendo fuoriuscire il loro
contenuto, il che altera la
composizione del plasma/siero (che
diventa rossastro- alterano es.
valori di K, TRASAMMINASI e LDH). I
risultati sono falsati perciò nel
risultato non viene un valore ma la
dicitura emolisi.
CAMPIONI NON ADATTI AL TEST

La lipemia visibile è definita come torbidità a causa


di elevate concentrazioni di lipidi misurabili a
660/700 nm e in genere corrispondenti a una
concentrazione di trigliceridi> 1000 mg / dl (11,3
mmol / L) su campioni di sangue intero o> 300
mg / dl (3,4 mmol / L) in campioni centrifugati.
NON ADATTI AL TEST

Campione itterico - La definizione di campione


itterico con l'ispezione visiva non è affidabile. Si
consiglia di utilizzare il rilevamento fotometrico a
450 e 575 nm. La bilirubina interferisce con la
creatinina! L'interferenza con la bilirubina ha come
risultato valori di creatinina più bassi ed è maggiore
con l'aumento delle concentrazioni sieriche di
bilirubina tipiche dei pazienti più malati, quelli con
la massima priorità per il trapianto di fegato. (meld
score – e utilizzato per determinare graduatoria/ la priorità del paziente per
ottenere il trapianto di fegato. Quando il valore è altissimo (sono paziente che sono
talmente gravi che non serve più il trapianto – il valore medio è quello per pazienti
“validi per il trapianto, valori molto bassi non serve ancora il trapianto- Se il
campione è itterico sbalza i valori del MELD SCORE). NON ADATTI AL TEST (se non ci
sono altri modi, il laboratorio utilizza dei filtri per trattare il campione bloccando la
bilirubina, misurando così la creatinina con valore più giusto che potrà essere
utilizzato per calcolare il MELD SCORE)

Campioni coagulati sono definiti come campioni di sangue intero, per i test
ematologici e di coagulazione, che presentano micro o macro-coaguli visibili. NON
ADATTI AL TEST. E necessario un nuovo prelievo

PRELIEVO CAPILLARE - Sconsigliato in caso di: ipotensione, ridotta gettata cardiaca,


vasocostrizione. Non spremere il dito ma scaldare la mano o tenere il braccio
rivolto verso il basso. I risultati sono leggermente diversi da quelli di laboratorio
perché il sangue capillare cambiano i valori. SANGUE VENOSO x SANGUE
CAPILLARE Rispetto al campione di sangue venoso quello di sangue capillare
contiene : lipidi-5%, proteine totali-3%, bilirubina-5%, calcio -5%, potassio - spesso
aumentato per emolisi

CAMPIONI DI URINE
Prima urina del mattino (spot): Esame chimico-fisico
Seconda urina del mattino (spot): Esame microscopico sedimento
Campione random (spot): HCG, Proteina di Bence Jones
Campione temporizzato (24 ore): Per quantificare l’analita
Campione sterile: Batteriologia (urinocoltura del mito intermedio – scartando la
prima e l’ultima parte della minzione)
campione spot – da una singola minzione – valido per analisi qualitativi (es se sono
o non in gravidanza basta identificare la presenza dell’analita)
per analisi quantitativi non vanno bene i campioni spot perché ne risentono molto
dalla diluizione (es se appena prima ho bevuto molto, la quantità è diluita, in questo
caso servono campioni temporizzati (es. nelle 24 ore)

Campioni di urina temporizzati -


La vescica deve essere svuotata al
momento dell'inizio della raccolta
e questa urina viene scartata.
Successivamente tutte le urine
devono essere raccolte fino alla
fine del tempo previsto. Il
contenitore deve essere
conservato a 4 ° C in frigorifero
durante l'intero periodo di
raccolta.
Nota: la rimozione di aliquote non
è consentita poiché l'escrezione della maggior parte dei composti varia durante il
giorno e i risultati del test ne risentiranno.

LA MEDICINA DI LABORATORIO offre un contributo sostanziale a: Screening,


Predizione, Prevenzione, Diagnosi, Prognosi, Monitoraggio della malattia e della
terapia

SCREENING è un intervento su una particolare popolazione inteso alla


presuntiva identificazione di una malattia non conosciuta mediante l’applicazione di
esami semplici e rapidi.

Esempio - Ricerca sangue occulto nelle feci (FOB): screening del carcinoma del
colon-retto (raccolta di 3 campioni di fece in 3 provette raccolte in momenti diversi-
perché il sangue occulto non e sempre presente, perciò, ci vuole + campioni). Se il
risultato è negativo (tutto a posto perché ha un elevatissimo numero di veri
negativi), se è positivo va fatta una ulteriore indagine (di secondo livello) (perché
nello screening c’è un altissimo numero di falsi positivi , per esempio la presenza di
emorroidi, o altri sanguinamenti ma che non sono relativi al carcinoma colon-retto)
Le indagini di laboratorio hanno lo scopo di restringere in modo progressivo le
ipotesi iniziali formulate dal medico clinico fino ad una diagnosi ove possibile di
certezza
DIAGNOSI
1.Esami mirati singoli - trovano utilizzo nei casi in cui un solo ulteriore
dato viene ritenuto sufficiente per confermare o per escludere il sospetto
diagnostico formulato in base all’esame obiettivo, clinico e/o di laboratorio.
Esempio Criteri diagnostici per il diabete mellito: uno tra questi è sufficiente:
HbA1C ≥6.5% (48 mmol/mol) o plasma glucosi rapida ≥126 mg/dL O
2-h Plasma Glucosi ≥200 mg/dL durante un OGTT o in pazienti con sintomi
classici (come poliuria e polidipsia) di iperglicemia, misurazione Randon dei
livelli di glucosi plasmatica ≥200 mg/dL
2. Profili mirati - è l’accostamento di un numero per lo più limitato di
esami, attuato in base a considerazioni di fisiopatologia, per soddisfare le
esigenze cliniche di ambiti diagnostici mirati, con informazioni più complete.
Taluni profili mirati oltre che in fase diagnostica di approfondimento possono
trovare utilizzo molto efficace nel monitoraggio del decorso di determinate
malattie.
3. Algoritmi diagnostici - una serie di indagini sequenziali intese a
risolvere uno specifico problema. Es. algoritmo diagnostico per il
carcinoma prostatico
4. Prove funzionali – sono misure dell’andamento nel tempo della
concentrazione di sostanze presenti nell’organismo o somministrate
appositamente, per ottenere indicazioni sullo stato fisiopatologico di organi e
sistemi.

Utilità DEI PROFILI DIAGNOSTICI

 Riduzione drastica del costo unitario di ogni esame quando questo è


assemblato per costituire un profilo.
 Non utilizzare i profili alimenta un sistema organizzativo estremamente
complesso, costoso e di scarsa efficienza.

MATERIALI BIOLOGICI CHIEDE ALL’ESAME


 Sangue intero, plasma o siero che possono essere ottenuti da vene, arterie o
capillari (prelievo)
 Urine (raccolta diretta da parte del paziente)
 Feci (raccolta diretta da parte del paziente)
 Liquido cefalo-rachidiano (rachicentesi)
 Altri : Liquido peritoneale (paracentesi),Liquido pleurico (toracentesi), Liquido
pericardico (pericardio centesi), Liquido sinoviale (artrocentesi), Liquido
amniotico (amniocentesi), Liquido seminale, Latte materno, Saliva (raccolta
diretta da parte del paziente), Sudore, Capelli, Tessuti solidi (biopsia)
 Midollo osseo (prelievo o biopsia midollare), Secreto bronchiale
(Aspirato/Lavaggio tracheo-bronchiale o bronco alveolare), Succo gastrico,
Secreti: faringeo, nasale, auricolare, uretrale, vaginale, da ferita, da drenaggi.

COMPOSIZIONE DEL SANGUE CHIEDE ALL’ESAME


SANGUE INTERO - Un campione venoso, arterioso o capillare in cui la
concentrazione e le Caratteristiche delle quantità di analita intra- ed extracellulare
restano invariati in comparazione con la situazione in vivo. Ciò viene ottenuto per
mezzo di anticoagulanti in vitro

PARTE LIQUIDA si chiama PLASMA ed è composta per il 90% d’acqua; vi si


trovano disperse numerose famiglie di proteine (albumina, fibrinogeno, fattori della
coagulazione, immunoglobuline) inoltre vi sono disciolti ormoni, elettroliti e gas. Si
ottiene Il surnatante virtualmente privo di cellule del sangue ottenuto dopo
centrifugazione in provette CONTENENTI ANTICOAGULANTE. SIERO - Plasma privo
di fibrinogeno e fattori della coagulazione. Si ottiene Il surnatante virtualmente privo
di cellule del sangue ottenuto dopo centrifugazione in provette PRIVE DI
ANTICOAGULANTE. Si ottiene lasciando coagulare il sangue e (dopo 30 min)
successivamente centrifugandolo.
PARTE CORPUSCOLATA è costituita da cellule del sangue o ematiche, si
dividono in:
 eritrociti o globuli rossi o emazie;
 leucociti o globuli bianchi , a loro volta distinguibili in:
o granulociti neutrofili, eosinofili e basofili;
o monociti o linfociti;
o piastrine o trombociti.

URINA
Campioni estemporanei (o spot): si utilizza per lo esame standard delle urine
(profilo urinario), che consta dell’esame chimico-fisico e microscopico. Si
raccoglie la prima urina del mattino in un contenitore non necessariamente sterile,
ma richiudibile e pulito.

Campioni temporizzati: sono rappresentati dalle urine delle 12 e delle 24 ore, per la
determinazione di analiti (glucosio, creatinina, proteine…).Scartare la prima urina
del mattino. Raccogliere, da questo momento in poi, tutte le urine che saranno
prodotte (anche di notte) nelle successive 24 ore, inclusa la prima del giorno dopo
l’inizio della raccolta

FECI - Esame essenziale per l’inquadramento di numerose patologie del sistema


gastroenterico. I pazienti devono essere istruiti sulle modalità di raccolta del
campione: usare un contenitore richiudibile; non riempire successivamente per non
sporcare la superficie esterna del contenitore; non urinare nel recipiente di raccolta.

LIQUOR - Il liquido cefalorachidiano (LCR) è un fluido trasparente di derivazione


plasmatica presente nel sistema nervoso centrale (SNC) che svolge principalmente
funzioni trofiche e protettive. Il LCR viene prelevato in condizioni di assoluta sterilità
tramite rachicentesi a livello dello spazio L4-L5 (o L5-S1) della colonna vertebrale.
PRINCIPALI ESAMI DI BIOCHIMICA CLINICA
 Amminoacidi, peptidi e proteine
 Enzimi
 Marcatori tumorali
 Test di funzionalità renale
 Carboidrati
 Lipidi, lipoproteine, apolipoproteine altri fattori di rischio cardiovascolare
 Elettroliti e gas nel sangue
 Ormoni
 Vitamine ed elementi in tracce

AMMINOACIDI - Hanno diversi ruoli nel metabolismo, nella neurotrasmissione e nei


segnali intercellulari. Costituiscono le subunità strutturali dei peptidi e delle
proteine. Utilizzati poco nella pratica clinica per il monitoraggio dei disordini
nutrizionali (le concentrazioni nel plasma non sempre riflettono realmente delle
carenze, analisi costose, TAT). Storicamente dosati nel plasma e nelle urine per
diagnosticare o monitorare gli errori innati del metabolismo. Esempio- Omocisteina
Plasmatica: si forma durante il metabolismo della metionina e richiede l’acido folico
come cofattore. Indicatore della carenza di acido folico o vitamina B12. Correlata
con il rischio cardiovascolare e trombosi

PEPTIDI - Includono molti ormoni, molecole segnale, e frammenti di proteine di


significato fisiologico e diagnostico

PROTEINE - Multifunzionali. Costituiscono la macchina della vita. Proteoma:


rappresenta il set completo delle proteine in un organismo o in un Sub-
compartimento di un organismo

DIAGNOSTICA PROTEICA
IMMUNOGLOBULINE - Glicoproteine prodotte dalle plasmacellule in risposta
ad un immunogeno. (non tutte le proteine vengono prodotte dal fegato – le
immunoglobuline, infatti, vengono prodotte dalle plasma cellule)

Regione costante pesante (azzurra doppio braccio):


IgG, IgA, IgM, IgD, IgE (GADEM)
Regione costante leggera(azzurra nella base): κ, λ

DISCRASIE PLASMACELLULARI (GAMMOPATIE


MONOCLONALI) - Rappresentano un gruppo di
patologie caratterizzate dalla proliferazione di uno o
più cloni plasmacellulari (linfociti B differenziati),
ognuno dei quali produce una quantità variabile di immunoglobuline omogenee dal
punto di vista strutturale e immunologico che costituisce la componente
monoclonale (CM) o paraproteina. Plasmacellula si riproduce in maniera non
controllata perché un clone è “impazzito” risultando i monoclonali.
Forme clinicamente manifeste dovute alla proliferazione del clone
neoplastico. Esempi:
 Mieloma multiplo (MM) e le sue varianti (SMM, NSMM, LCM, igM)
 Malattie linforpoliferative ( macroglobulinemia di Walderstrom,
malattie catene pesanti a, g, m, l,
linfoma non Hodgkin, leucemia
linfatica cronica
 Leucemie plasmacellulari,
Plasmocitoma solitario
midollare ed extra midollare
Forme clinicamente manifeste dovute a effetti patologici della CM. Esempi:
 Amiloidosi a catena leggera(AL), crioglobulinemia I e II, malattie da
deposizione di immunoglobuline monoclonali, malattia cronica da
crioagglutinine, malattia da deposizione di catene leggere, Sindromi di
Fanconi acquisita dell’adulto
Forme clinicamente occulte. Esempi:
 Gammopatie monoclonali di significato indeterminato (MGUS) o
transitorie

La CM circolante può essere costituita da:


 un’immunoglobulina completa
 solo catene leggere (catene leggere libere, fLC)
 solo catene pesanti (più raramente)

ELETTROFORESI delle SIEROPROTEINE (EF)


Famiglia di tecniche d’analisi e di frazionamento in
grado di separare le proteine del siero in funzione
della loro mobilità in campo elettrico. Le tecniche
elettroforetiche sono al centro della diagnostica
proteica in quanto sono in grado di rilevare e
caratterizzare le CM (componenti monoclonali). Le
proteine cariche negativamente vengono attratte
verso l’anodo che è positivo, e viceversa. Il
fenomeno della migrazione dipende dalla natura
del mezzo, dal gradiente di potenziale elettrico, dalla lunghezza della corsa
elettroforetica, dall’elettroendosmosi e dalla massa, dimensione, carica e forma
delle proteine

MONITORAGGIO DELLE CM (COMPONENTE MONOCLONALE)


Ogni CM è costituita da una frazione
elettroforetica omogenea, dal tipico
aspetto morfologico di picco alto e
stretto, ed è costituita da una
immunoglobulina monoclonale. Una
volta rilevata, la quantificazione
elettroforetica periodica (in agarosio
o con tecnica capillare) della CM è
uno dei parametri utilizzati per
valutare la eventuale progressione
della condizione verso il mieloma (e
disordini correlati) o la risposta alla terapia. Se la curva delle immunoglobuline è
omogenea va bene, se ci sono dei picchi può essere indice di un mieloma multiplo

QUANTIFICAZIONE DELLA CM - obbiettivi


 porre diagnosi differenziale tra Gammopatie monoclonale di incerto
significato (MGUS – deve essere tenuta sotto controllo perché può progredire
verso il mieloma multiplo) e mieloma multiplo (CM >30 g/L)
 valutare, in corso di mieloma e disordini correlati, la risposta alla terapia
 valutare il rischio di progressione di una MGUS verso il mieloma

Gammopatie monoclonali di incerto significato (MGUS)


 solitamente sono pazienti anziani, asintomatici , creatinina e Hb nella norma
CM <30 g/L, BJP (proteina Bence Jones) assente (o <50 mg/24h), non lesioni
ossee (calcemia fisiologica), concentrazioni delle immunoglobuline non
monoclonali preservate, circa 1% per anno tende a progredire verso il
mieloma o forme maligne associate

TIPIZZAZIONE DELLE CM – Identificare quale tipo di immunoglobulina è alterata.


In caso di presenza o di sospetto di CM, in aggiunta all’EF (elettroforesi) è necessario
eseguire l’immunotipizzazione della CM, mediante immunofissazione in gel di
agarosio (IFE) o immunosottrazione (ISE) in EF capillare, per confermare/escludere
la presenza della CM evidenziata con EF e per caratterizzarla, ovvero determinare
quali catene, pesanti e leggere, costituiscono l’Ig monoclonale rilevata sul tracciato .
L'immunofissazione (o immunoelettroforesi, anche abbreviata nell'acronimo IFE) è
una tecnica in grado di determinare se e quale classe di immunoglobuline (IgG, IgM,
IgA, IgD, IgE) o tipo di catena leggera kappa o lambda, sia presente in eccesso o
difetto nel siero sanguigno e nelle urine del paziente.

DETERMINAZIONE DELLA PROTEINA DI BENCE JONES (esame delle urine)


 Costituita dalle catene leggere libere (sono catene leggere in più, che non si
assemblano a formare anticorpi – a livello urinare passano liberamente ne
glomerulo, ma vengono riassorbite, perciò in situazione fisiologica non le
troviamo nelle urine – in casi di componenti monoclonali, l’altissima
concentrazione di catena corta libera, non riesce a essere riassorbita
completamente dai tubuli, perciò la ritroviamo nelle urine) monoclonali
prodotte in eccesso dal clone plasmacellulare e presenti nelle urine
 U-IFE per la ricerca di PBJ (IFE con campione urinario estemporaneo)
 Essenziale all’interno dello screening per discrasie plasmacellulari (mieloma
multiplo)quando si sospetti un’amiloidosi o quando persiste il sospetto clinico
di Gammopatie monoclonale (GM) e gli esami su siero sono negativi
 È uno degli esami da eseguire alla diagnosi di GM (Gammopatie) e nella
verifica della risposta alla terapia nel MM (mieloma multiplo) e nell’amiloidosi

Prima -pré albumina


Pico alto albumina
Pico alfa1
Pico alfa 2
Pico beta 1
Pico B2 – anticorpi – indagine monoclonale
Pico gamma – anticorpi – indagine monoclonale

MISURA DELLE CATENE LEGGERE LIBERE NEL SIERO

 Le catene leggere sono sintetizzate in eccesso rispetto alle catene pesanti


all’interno della plasmacellula, quelle non assemblate si ritrovano in circolo
come FLC
 È disponibile un metodo immunochimico per la loro misura nel siero che
utilizza antisieri diretti contro epitopi che rimangono nascosti quando le
proteine è legata alla catena pesante
 parametro quantitativo utile per la diagnosi e monitoraggio

PRINCIPALI PROTEINE SIERICHE DI RILEVANZA CLINICA

Prealbumina(o transtiretina). Sintetizzata nel fegato. Proteina di trasporto


non glicosilata degli ormoni tiroidei (tiroxina, T4 e triiodotironina, T3). Valori
bassi indicano malnutrizione, patologie del fegato, risposta di fase acuta,
enterite, colite, sindrome nefrosica, epatopatia, ustioni e ipertiroidismo
Albumina - Proteina non glicosilata del plasma, prodotta dalle cellule
epatiche. Ha un elevato peso molecolare pari a 69000 Da e costituisce circa il 60% di
tutte le proteine plasmatiche. Quando questa diminuisce si verificano problemi
nella regolazione della pressione oncotica intravascolare che si manifesta in forma
di edema. Oltre mantenere costante la pressione oncotica ha funzioni di trasporto e
riserva di amminoacidi. Valori bassi possono indicare: diminuita sintesi, shock
settico, edema o ascite, sindrome nefrosica, infiammazione. Nella pratica clinica la
misurazione della quantità di albumina viene ampiamente utilizzata per la
valutazione della funzionalità epatica e di situazioni di perdita proteica
Alfa 1 antitripsina. Glicoproteina sintetizzata soprattutto nel fegato, ma anche
nei tessuti sebbene in minima parte. Inibitore delle proteasi . Valori alti indicano
Risposta di fase acuta (aumenta con la presenza di una infiammazione), aumentata
produzione di estrogeni. Valori bassi indicano una deficienza genetica: associata a
enfisema polmonare (dovuto alla degradazione dell’elastina nel polmone da parte
dell’elastasi neutrofila che sarebbe inibita dalla antitripsina) e patologie del fegato.

APPROFONDIMENTO La alfa-1 antitripsina (AAT) è una proteina del sangue che


protegge i polmoni dal danneggiamento causato dagli enzimi attivati. Questo esame
misura la concentrazione di AAT nel sangue. Alcuni esami associati possono
determinare quali forme anormali di AAT il soggetto ha ereditato. La AAT facilita
l'inattivazione di alcuni enzimi, il più importante dei quali è l’elastasi. L'elastasi è un
enzima prodotto da alcuni tipi di globuli bianchi, i neutrofili e fa parte della normale
risposta del corpo all'infiammazione e alle lesioni. L'elastasi rompe le proteine così
che esse possano essere rimosse e riciclate dall'organismo ma, se la sua azione non
viene regolata dall'AAT, l'elastasi può cominciare anche a danneggiare il tessuto
polmonare e determinarne il collasso.

Ceruloplasmina – (alfa 2) Glicoproteina sintetizzata dal fegato che contiene


circa il 95% del rame del siero. Valori ↑ indicano Risposta di fase acuta, estrogeni
Valori ↓ indicano Deficienza genetica (neuro degenerazione, deposito del rame nel
cervello); Deficienza secondaria (dieta povera di rame, malattia di Menkes, malattia
di Wilson)

Aptoglobina – (alfa 2)Glicoproteina sintetizzata dal fegato che lega


l’emoglobina. . Valori ↑ indicano Risposta di fase acuta, corticosteroidi. Valori ↓
indicano Deficienza genetica; emolisi in vivo (fuoriesci la emoglobina che si lega alla
aptoglobina e viene immediatamente eliminata dal corpo); estrogeni; patologie
epatiche; periodo neonatale

Transferrina - Sintetizzata principalmente dal fegato, è la principale proteina


di trasporto del Fe3+ nel plasma. Valori ↓ indicano Risposta di fase acuta; malattie
del fegato; malnutrizione. Valori ↑ indicano anemia sideropenica; gravidanza;
estrogeni
APROFONDIMENTO: L'anemia da carenza di ferro/sideropenica/ marziale è il tipo
più comune di anemia. Si tratta di una condizione in cui nell'organismo non vi sono
adeguati livelli di ferro, di conseguenza la produzione di emoglobina è insufficiente e
questo determina una scarsa circolazione di ossigeno attraverso l'organismo.
Interessa tutte le fasce di età

Sistema del complemento – (ZONA b)Consiste in più di 20 proteine,


sintetizzate principalmente dal fegato. Protagonisti della Cascata multienzimatica ed
è la maggior componente dell’immunità innata

IMMOGLOBULINE –(ZONA GAMMA) Gruppo di proteine eterogeneo con funzione


anticorpale SINTETIZZATE DALLE PLASMACELLULE (IgG, IgA, IgM). L’esame serve per
identificare Discrasie plasmacellulari. Valori ↑possono indicare Ig policlonali;
processi infiammatori, autoimmuni e neoplastici (se sono dei pichi. Allora sono
monoclonali). Valori ↓ possono indicare Deficit selettivo di IgA
APROFONDIMENTO: immunoglobuline sono un sinonimo di anticorpi; sono proteine
globulari coinvolte nella risposta immunitaria (contro microrganismi considerati
estranei (detti antigeni)).Le immunoglobuline sono talvolta chiamate gamma-
globuline per via della loro particolare conformazione a Y. Le immunoglobuline
vengono secrete dai linfociti B maturi, che le ospitano nella propria membrana
cellulare. A questo livello agiscono come recettori specifici di membrana che al
contatto con l'antigene attivano il linfocita; una parte dei linfociti attivati viene
stimolata a riprodursi, differenziandosi in plasmacellule capaci di sintetizzare e
secernere un numero impressionante di nuovi anticorpi. Gli anticorpi liberati dalle
plasmacellule, solubili nel plasma, non distruggono direttamente l'ospite estraneo,
ma si legano ad esso per renderlo maggiormente visibile e suscettibile all'azione
degli altri attori del sistema immunitario (fagociti e cellule citotossiche). dopo che
l'estraneo è stato debellato, nel circolo sanguigno rimangono delle cellule -
cosiddette "di memoria" - che conservano la capacità di riconoscere prontamente
l'antigene nel caso si ripresentasse, producendo una risposta più rapida e forte; è
proprio su tale principio che si basano le vaccinazioni.

ENZIMI DEL MUSCOLO

CREATIN CHINASI –Ha molti fattori preanalitici es. se fai la maratona il giorno
prima…i valori saranno alle stelle😊): attività fisica, genero, età, etnia, massa
muscolare personale. Enzima dimerico che catalizza la fosforilazione reversibile della
creatina attraverso l’ATP (trasforma fosfocreatina in creatina (presente soltanto a
livello muscolare)
• Sospetto di danno muscolare: valori ↑ possono indicare: infiammazione,
disordini di natura muscolare (miopatie, rabdomiolisi, traumi muscolari

ENZIMI DEL FEGATO


Danno epatocellulare: Aspartato aminotransferasi (AST), Alanina
aminotransferasi (ALT) – le trasaminasi si trovano quando degli epatociti si
sono distrutti e rilasciati il loro contenuto in circolo

TRANSAMINASI
--> danno epatocellulare
Catalizzano la reazione di transaminazione, ovvero il trasferimento del gruppo
amminico α da un amminoacido a un α chetoacido.
ALT - presente solo nel FEGATO. DOVREBBE ESSERE RICHIESTO COME I
LIVELLO. LSR(limite superiore di riferimento): 59 U/L Maschi e 41 U/L
Femmine

Deve essere misurata soltanto se l’ALT è alta


AST presente nel CUORE, FEGATO, MUSCOLO SCHELETRICO, ERITROCITI
DOVREBBE ESSERE RICHIESTO COME II LIVELLO. LSR: 34 U/L (neonati e
bambini < 3anni: doppio)

AST/ALT
Utile se la ALT è alta. È un indicatore prognostico e diagnostico.
Dovrebbe essere <1
Se >1: progressione della fibrosi (prognostico)
Se >2: epatopatia di origine alcolica (diagnostico)

SIGNIFICATO CLINICO DELLE TRANSAMINASI


• EPATITE ACUTA: Cause: virale, azione tossica di farmaci, alcool
ALT aumenta per più di 7 volte il LSR
•EPATITE CRONICA ALT persistemente elevata per più di 6 mesi dall’episodio
acuto
•CIRROSI EPATICA Transaminasi da LSR fino a valori 4. 5 volte LSR. Rapporto
AST/ALT >1
•FIBROSI EPATICA Rapporto AST/ALT ≥1
•CARCINOMA PRIMARIO O METASTATICO DEL FEGATO Aumenti
transaminasi di 2. 5 volte LSR
•DISTROFIA MUSCOLARE PROGRESSIVA E DERMATOMIOSITE Aumenti AST
fino a 8 volte LSR

Danno colestatico(blocco del flusso biliare a livello post-epatico): Fosfatasi


alcalina (ALP), Gammaglutamil transferasi (GGT) – colestasi : è la stasi con
flusso retrogrado della bile verso il flusso sanguineo (reflusso biliare ). Questi
due enzimi sono presenti a livello della membrana della cellula, il blocco
biliare provocano il reflusso…i Sali biliari fanno staccare (tensioattivi) le ALP e
la GGT dalle membrane cellulari

FOSFATASI ALCALINA--> danno colestatico (sempre alta nelle gravida – non è


valido l’esame) ma può essere anche al carico dell’ osso
•Glicoproteina di membrana presente in molti tessuti coinvolta nel trasporto trans
membrana. Presente : Fegato, osso e rene (intestino e placenta). LSR: 33 98 U/L
donne; 43 115 U/L (neonati e bambini valori più alti)

SIGNIFICATO CLINICO DI ALP –


• Malattie epatobiliari e quelle ossee associate ad un aumento dell’attività
osteoblastica.
• OSTRUZIONE ALBERO BILIARE EXTRAEPATICO (4 x LSR)
• CIRROSI BILIARE PRIMITIVA (se ALP è >2LSR: trapianto di fegato o morte)
• EPATITE INFETTIVE (< 3 LSR)

GAMMA GLUTAMIL TRANSFERASI--> danno colestatico presente sulla membrana


ma anche sul sistema microsomiale
• Sialoglicoproteina appartenente alla classe delle peptidasi
• LSR: 40 U/L (femmine), 68 U/L (maschi) (nei neonati è 6 7 LSR)
• parametro di colestasi.
• Anche nel sistema microsomiale dove lavora su induzione di sostanze
esogene (alcool, farmaci)

SIGNIFICATO CLINICO DI GGT


• OSTRUZIONE BILIARE INTRAEPATICA E POST-EPATICA
• NEOPLASIE PRIMARIE O SECONDARIE DEL FEGATO
• EPATITE INFETTIVA (2 5 volte LSR)
• PANCREATITE ACUTA E CRONICA E TUMORI MALIGNI DEL
• PANCREAS
• EPATITE ALCOLICA
ALP E CGT VANNO SEMPRE MISURATE INSIEME

SE ENTRAMBI SONO ALTE: danno colestatico


SOLTANTO ALP ALTA : DANNO OSSEO
SOLTANTO CGT ALTA:

ENZIMI DEL PANCREAS (LIPASI ,LIPASI)

• Prodotta dalle cellule acinose del pancreas esocrino che provvede


alla digestione dei trigliceridi di origine alimentare favorendone
l’assorbimento da parte della mucosa intestinale
• LSR (metodo dipendente) LIVELLO SUPERIORE DI RIFERIMENTO

SIGNIFICATO CLINICO DELLA LIPASI

DIAGNOSI PANCREATITE ACUTA


↑ entro 4
8 ore dall’attacco
Picco dopo 24 ore (2
50 volte LSR)
Valori normali entro 7
14 giorni
* Test migliore dell’AMILASI PANCREATICA perché è più specifica (solo nel
pancreas è prodotta), concentrazioni alte più a lungo
•↑ Ridotta velocità di filtrazione glomerulare (fisiologicamente non sarebbe
presente nelle urine (può essere aumentata nel paziente con patologie renali
per difetto di riassorbimento)

AMILASI PANCREATICA
• Prodotta dalle cellule acinose del pancreas esocrino. Secreta nel
tratto intestinale per mezzo del sistema duttale pancreatico per la
digestione dei polisaccaridi
•Presente anche nell’intestino
•LSR 13 51 U/L

SIGNIFICATO CLINICO DELLA AMILASI PANCREATICA


Può essere problemi nel pancreas o nell’intestino
•PANCREATITE ACUTA
•MALATTIE DELLE VIE BILIARI
•ALTRI EVENTI INTRADDOMINALI
•INSUFFICIENZA RENALE
•MIELOMA MULTIPLO
:::::
TEST DI FUNZIONALITA’ RENALE
La Funzione Renale: Il rene è essenziale nella regolazione della composizione e del
volume dei liquidi corporei

 Produzione di URINA (1-2 L/die):


o Filtrazione: eliminazione dal sangue dei prodotti finali del metabolismo,
sostanze esogene. La ultrafiltrazione sarà a livello del glomerulo.
o Riassorbimento - Molte sostanze come il glucosio e i fosfati vengono
riassorbiti a livello del tubolo contorto prossimale
o A livello del tubo collettori si ha già l’urina che sarà escreta
 Funzione omeostatica: regolazione del volume e della composizione del VEC,
bilancio idroelettrolitico, mantenimento del bilancio acido/base
 Funzione metabolica: (anabolica, catabolica)
– Funzione Endocrina: Eritropoiesi, metabolismo del Ca2+ (calcitriolo),
regolazione pressione arteriosa e flusso ematico (Renina e Aldosterone)

Il Tubulo - Capacità di “concentrare” e di “recuperare” i soluti essenziali. Modifica


attraverso processi di riassorbimento e secrezione, la composizione dell'ultrafiltrato
prodotto dal glomerulo
– Diuresi = Volume urinario 24 h. 800-2500 mL di urine al giorno, dipendente
dalla attività fisica, stato di idratazione, dieta e dimensioni corporee
(Anuria= <100 mL/die, Oliguria= <400 mL/die, Poliuria= >3000 mL/die)

– Bilancio acido base e bilancio idroelettrolitico. Riassorbire HCO - TCP,


produzione HCO3-, TCD, secernere H+ TCD, escrezione acidi organici,
riassorbimento di elettroliti TCP, TCD, dotto collettore
– Riassorbimento/Produzione di Proteine. TCP riassorbe più del 90% dei
peptidi e delle proteine filtrati (PM <66.5 kDa). I peptidi con PM <10 kDa
vengono scissi nel lume da peptidasi dell’orletto a spazzola e vengono
assorbiti nelle cellule come amminoacidi mediante processo di endocitosi, con
rilascio tuttavia di parte dei prodotti di scissione assieme agli enzimi
lisosomiali. Lungo ogni segmento tubulare sintesi e rilascio (fisiologico i.e.
turnover cellulare) di proteine strutturali ed enzimi specifici che si aggiungono
ai componenti di base dell’urina.

Danno renale: segni clinici


Test biochimici
1. Ritenzione prodotti azotati: nausea, vomito, letargia
2. Alterazioni nella composizione urinaria: ematuria, proteinuria, batteriuria,
leucocituria
3. Edema: Ipoalbuminemia, ritenzione elettroliti ti

Disordini della frequenza urinaria:


– alterata frequenza urinaria, nicturia, disuria
– Alterato volume urinario: oliguria, poliuria, anuria

Le principali funzioni renali indagate in laboratorio sono:


 Funzione glomerulare: Capacità del glomerulo ad eliminare le molecole
“piccole” (Minori di 66,5 kdalton) , Capacità del glomerulo di trattenere le
molecole grosse
 Funzioni tubulari: Capacità del tubulo a “concentrare”. Capacità del tubulo a
riassorbire proteine

Test Biochimici di Funzionalità renale


Esame chimico fisico delle urine (qualitativo) (meglio la prima urina del mattino)
– Aspetto : limpide o torbide (sedimenti/granulazione)
- colore (rosso da barbabietola, farmaci…)
- Peso specifico (1000 sarebbe l’acqua…l’urina giusta sarebbe da 1015 a 1020
da 1025 a 1035 sono troppo concentrate spesso tipica dei diabetici) se il peso
specifico è molto alto, vuol dire che la persona è disidratata e il rene
concentra la urina per risparmiare acqua
- , osmolarità, pH, Glucosio, Proteine,
– Sedimento urinario
ESAME CHIMICO (SEMIQUANTITATIVO/QUALITATIVO) – solitamente tramite
striscete reattive
• pH (7,35/7,45 per il sangue 5 e 5,5 urina acida e 6,6 in su urina basica. Valore
giusto di riferimento per le urine tra 5,5 e 6,6 (spesso pieni di batteri che
trasformano la urea in ammoniaca
Nitriti – indicano la presenza di batteri che trasformano nitrato in nitriti• Glucosio
– e presente soltanto quando il livello di glucosi nel sangue è talmente alto che il
tubo prossimale non riesce a riassorbire tutto – indice di diabete. Soglia renale di
glucosio è 180 ml/dl di glucosio nel sangue (sopra questo valore il glucosio sarà
trovato in urina)
• Sangue – presenza di emoglobina (striscia reattiva). Se è presente si guarda in
microscopio per cercare emazie (se non c’è vuole dire che è emoglobina libera
risultante della lisi di emazie)
• Proteine
• Chetoni -sono prodotti della betaossidazione degli acidi grassi – quando il corpo
sta utilizzando i lipidi come energia (esempio nei digiuni prolungati). I diabetici
avendo una concentrazione altissima nel sangue perché non riescono a utilizzarlo
come energia, perciò il glucosio rimane nel sangue ma le cellule usano i lipidi –
con la formazione dei chetoni
• Urobilinogno - normalmente presente nell’urina, ma aumenta molto nel caso
di colestasi (Urobilinogeno è la forma nella quale la bilirubina viene eliminata
nelle urine – coprobilinogeno nelle feci)
• Bilirubina – non dovrebbe esserci nelle urine, perciò indica un problema di
colestasi – blocco del flusso degli acidi biliari- che viene riversato nel flusso
sanguigno
• Leucociti- le strisce rilevano la esterasi (che è rilasciata dai leucociti) anche qua
si fa una indagine microscopica per vedere se ci sia la presenza di leucociti integri
…ed Esame Microscopico
(MORFOLOGICO)
• RBC
• Cilindri
• Cellule epiteliali
• Batteri
• WBC
• Cristalli
• Valutazione della velocità di filtrazione glomerulare
– Creatinina
– Capacità di “clearance” renale di biomarcatori
• Funzionalità tubulare

ESAME MICROSCOPICO DEL SEDIMENTO URINARIO


– Mezzo diagnostico indispensabile nello studio dei disordini del rene e delle vie
urinarie.
FASE PRE ANALITICA – Preparazione del paziente:

 Non fare attività fisica nelle 12 ore antecedenti la raccolta perché pro
provocare ematuria o proteuria
 non eseguire l’esame durante il periodo mestruale
 non utilizzare l’urina proveniente da catetere vescicale. Perché il catetere può
provocare la presenza di cellule epiteliali, compromettendo la lettura
 seconda minzione del mattino – perché nella prima urina è troppo
concentrata (dalle 8 ore di sono – e i troppi elementi , se invece si vuole fare
soltanto l’analisi fisico-chimica è meglio la prima minzione)
 tecnica del mitto intermedio:
o dopo accurata pulizia dei genitali, per evitare l’inquinamento da cellule
di sfaldamento e da batteri, scartare il primo getto di urina.
o MITO INTERMEDIO: raccogliere la seconda parte di urina in un
contenitore pulito con ampia apertura (es. bicchiere di plastica).
Scartare l’ultima parte della minzione.
o travasare l’urina nell’apposita provetta a fondo conico (perché facilita la
visualizzazione del sedimento)(10 mL ideale – nel limite 5 ml (2,5 ml per
casi molto speciali)- non meno) adeguatamente identificata con i dati
del paziente, tramite etichetta con barcode. Richiudere bene la
provetta in modo che l’urina non fuoriesca durante il trasporto.

 Volume richiesto: 10 mL
 Volume minimo accettabile: 5 mL

CONSERVAZIONE E TRASPORTO DEI CAMPIONI


 conservazione a T ambiente
 i campioni devono pervenire al laboratorio entro 2 ore dalla raccolta

FASE PREANALITICA NEL LABORATORIO

 valutare l’idoneità del campione pervenuto in merito all’identificazione, al


volume e al trasporto
 processare i campioni entro 2 ore dal loro arrivo in laboratorio (col passare
del tempo i batteri ed i lieviti iniziano a moltiplicarsi, i batteri ureasici.
Producono. NH3 ed il pH aumenta, i batteri utilizzano glucosio diminuendone
la concentrazione, i cilindri e le cellule si deteriorano e si formano cristalli e
sedimenti amorfi)

PREPARAZIONE DEL SEDIMENTO


 centrifugazione del campione a bassa velocità (400g x 5min)
 eliminazione del surnatante standardizzando la concentrazione del sedimento
con un fattore stabilito che può variare tra 10-25x (con 10 mL di urina utilizzo
di Pipette Pasteur triplo bulbo 1 mL,; se il volume è inferiore eliminare con
una classica pipetta Pasteur un volume che consente di concentrare la urina a
10x )
 La lettura microscopica del sedimento deve essere eseguita dal laureato
immediatamente dopo l’allestimento dei vetrini

FASE ANALITICA
Strumentazione
• Microscopio ottico a contrasto di fase e campo chiaro con
polarizzatore (20, 40X)
 La valutazione quantitativa si effettua osservando almeno 10 campi e
ricavando una media aritmetica per ciascun tipo di elemento
 Il conteggio si esprime riportando il numero medio di elementi per
campo.

Valutazione dei sedimenti


 La lettura del sedimento urinario non può essere eseguita senza i
risultati dell’esame chimico-fisico delle urine: ossia Aspetto, colore,
pH, peso specifico, glucosio, chetoni, proteine, Urobilinogeno,
Bilirubina, Sangue, Leucociti, Nitriti.

L’esame microscopico del sedimento urinario comprende la valutazione dei seguenti


parametri:
 ERITROCITI:
 Solitamente non presenti in soggetti sani (a meno che abbia
fatto intenso esercizio fisico prima della raccolta)
 La morfologia varia in relazione a fattori chimico-fisici (pH e
peso specifico) e in relazione alla causa dell’ematuria. Emazie
tonde, piene e senza granulazione all’interno – isomorfe –
provengono dalle basse vie urinarie – post renale. Le emazie
dismorfiche hanno contorno irregolare, diverse tra di loro –
hanno subito un lungo percorso – origine glomerulare –
indicano problemi più gravi – al livello renale)
 Non sempre vi è rispondenza tra l’esame chimico fisico, che
dosa l’emoglobina, e l’esame microscopico che , invece, rileva
le emazie.

Emoglobinuria= presenza di emoglobina nelle urine (senza emazie)


Mioglobinuria= presenza di mioglobina nelle urine
Ematuria: Presenza di sangue nelle urine (globuli rossi evidenziabili).
Microematuria –
 sangue nell’urina, in quantità ridotta, non visibile macroscopicamente
 reazione positiva per l’emoglobina e/o osservazione microscopica del
sedimento urinario
 Può essere presente per cause fisiologiche (es. attività fisica), ma deve essere
sempre considerata con estrema attenzione
 Alcuni dettagli morfologici delle emazie (emazie dismorfiche, acantociti)
possono consentire di identificare la sede di provenienza (glomerulo vs. basse
vie urinarie)
 EMATURIA MICROSCOPICA ISOLATA - MORFOLOGIA DEGLI ERITROCITI
(dismorfiche o isomorfiche) se più di 40% sono DISMORFICI e/o ACANTOCITI
in quantità superiore a 5%
vuol dire che il sanguinamento è glomerulare – (problema nefrologico). Se
invece sono tutti isomorfe (problema urologico)

MACROEMATURIA
 Sangue nell’urina, in quantità tali da renderne identificabile la presenza
all’ispezione visiva
 Reazione positiva per l’emoglobina con lo stick
 Il campione dopo Centrifugazione a 1600 rpm per 5 min del campione di urina
rossa
EMATURIA: precipitazione delle emazie con surnantante “giallo
fisiologico” (surnatante e/o precipitato positivi alla reazione con TMB)
EMOGLOBINURIA/MIOGLOBINURIA: assenza di precipitato, surnatante
rosso positivo alla reazione con TMB
INTERFERENTE ESOGENO assenza di precipitato, surnatante rosso
negativo alla reazione con TMB - esempio la barbabietola, che rende rosso
l’urina ma in realtà non indica presenza di emazie

LEUCOCITI – la loro presenza in grande quantità indica una infiammazione in


essere
 granulociti neutrofili
 nel soggetto normale è frequente il riscontro di rari o pochi leucociti. Se
presenti in maggior numero: infiammazione
 la permanenza del campione urinario a temperatura ambiente per un tempo
superiore alle due ore, specialmente se le urine sono alcaline e a basso peso
specifico, favorisce la degenerazione dei leucociti, rendendone difficile
l’identificazione
 anche per questo parametro non sempre vi è rispondenza tra l’esame chimico
fisico, che dosa l’esterasi, e l’esame microscopico che , invece, rileva i leucociti
CILINDRI
 I cilindri sono elementi del sedimento, il cui nome origina dalla loro forma,
che si formano dalla precipitazione di una mucoproteina (proteina di Tamm-
Horsfall) secreta dalle cellule tubulari, in presenza di fattori promuoventi
(presenza di alcune proteine, tra cui Bence-Jones, mioglobina ed emoglobina,
alta concentrazione di soluti, stasi urinaria, bassa velocità di filtrazione
glomerulare, etc..). I cilindri si formano a livello del tubulo contorto distale e
nel dotto collettore del nefrone. Si distinguono:
o cilindri ialini, costituiti da sola materia proteica,
o cilindri granulosi, costituiti da materia proteica e frammenti di cellule
epiteliali tubulari,
o cilindri ialino-granulosi,
o cilindri leucocitari, costituiti da materia proteica con inclusi leucociti
o cilindri eritrocitari, costituiti da materia proteica con inclusi eritrociti
o cilindri epiteliali, costituiti da materia proteica inglobante cellule
epiteliali tubulari
o cilindri cerei, che costituiscono lo stadio finale dei cilindri sopra
menzionati che ristagnano nei tubuli in seguito a riduzione del flusso
urinario.
o cilindri con inclusioni lipidiche, costituiti da materia proteica
contenente gocciole lipidiche,
o cilindri ematici, formati da emoglobina
CRISTALLI
Si possono identificare nel sedimento urinario i seguenti cristalli:
o Acido urico: Precipita a pH acido. Si presenta sotto varie forme (poligonali, a
rosetta, a manubrio, a botte, ad aghi e ciuffi). Generalmente di colore giallo.
Può essere indice di calcolosi, ma è anche presente in seguito a diete ricche in
purine. (urati amorfi: acido urico frammentato).
o Triplo fosfato (ammonio magnesiaco): Precipita a pH basico. Forma prismatica
lucente irregolare o, spesso, a forma di coperchio di bara. Il riscontro ripetuto
in urine appena emesse è segno di predisposizione calcolosica. (fosfati amorfi:
triplo fosfato (ammonio magnesiaco) frammentato)
o Ossalato di calcio: Prima causa di calcolosi ma può essere presente anche in
seguito ad assimilazione di sostanze ricche di acido ossalico (es. cacao, spinaci,
mele, pomodori…). Può essere monoidrato (forma ovoidale) o di-idrato (forma
classica a busta di lettera nel cui interno è ben evidente l’immagine rifrangente
di una croce)
o Fosfato di Calcio: Precipita a pH neutro/basico. Si presenta sotto forma di zolle
allo stato amorfo oppure a forma di sbarre cuneiformi isolate o, più spesso,
aggregate a rosette.
Di frequenza più rara, altri cristalli identificabili nel sedimento urinario sono Solfato
di Calcio, Fosfati amorfi, Carbonato di Calcio, Colesterolo, Acido ippurico, Cistina,
Xantina, Tirosina e Leucina

BATTERI
La presenza di batteri in urine appena emesse deve sempre far
sospettare una infezione dell’apparato urinario, specie se si associa
leucocituria e le urine sono torbide con odore ammoniacale. Sono
spesso identificabili in urine alcaline perché alcuni batteri
metabolizzano l’urea ad ammoniaca, aumentando il pH delle urine e
favorendo a loro volta la crescita batterica. Nelle infezioni sostenute da
batteri Gram-, che contengono reduttasi, l’enzima che trasforma i
nitrati in nitriti, il test per i nitriti è positivo.
MICETI E PROTOZOI (esempio candide

LE CELLULE EPITELIALI NELLE URINE Le cellule tubulari renali provengono dai reni. I
tubuli renali sono rivestiti dall’epitelio monostratificato tubulare costituito da
CELLULE TUBULARI RENALI:
 DI DIMENSIONI uguali o poco superiori a quelle di un leucocita,
 con forma rotondeggiante o poligonale.
 il nucleo è evidente e rotondeggiante, circondato da scarso citoplasma
(granulare, organelli)
 sul lato luminale sono presenti corti microvilli
 Si possono riscontrare libere o, più facilmente, incluse in cilindri epiteliali
 La presenza di goccioline lipidiche nel citoplasma (corpi grassi ovali), anche in
assenza di nucleo ben visibile, è segno di una loro provenienza dall’epitelio
tubulare
 A volte possono assumere anche una forma a “colonna”.
SIGNIFICATO CLINICO
o Necrosi tubulare acuta
o Nefrite interstiziale acuta
o Rigetto acuto di rene trapiantato
o Glomerulonefrite proliferativa attiva
o Sindrome nefrosica
o Malattia di Fabry
o Infezioni virali

CELLULE DELL’EPITELIO TRANSIZIONALE - Le cellule dell’epitelio transizionale


provengono dall’uretere, dalla vescica (trigono vescicale escluso) e
dalla prima parte dell’uretra maschile. L’uretere, la vescica (trigono vescicale
escluso) e la prima parte dell’uretra maschile sono costituiti da un epitelio di
transizione pluristratificato detto urotelio
 Procedendo dagli strati più superficiali a quelli più profondi le cellule variano
per forma, dimensione e rapporto nucleo/citoplasma.
Cellule superficiali: grandi, talora polinucleate di forma variabile con basso
rapporto nucleo/citoplasma forma: rotondeggiante, nucleo: centrale,
rotondeggiante; citoplasma: granuli periferici; diametro: 30 μm
o SIGNIFICATO CLINICO: Infezioni delle basse vie urinarie (uretrite e
cistite)
 Cellule profonde: piccole (cmq più grandi di quelle renali), ovoidali o “clavate”
con più alto rapporto nucleo/citoplasma. forma: ovoidale o “clavata”. nucleo:
molto grande (1 o 2 nucleoli), citoplasma: leggermente granulare, diametro:
19 μm
o SIGNIFICATO CLINICO: Carcinoma alla vescica, Urolitiasi, Idronefrosi
Stent ureterale, Catetere vescicale

CELLULE EPITELIALI SQUAMOSE - Il trigono vescicale, l’ultima parte dell’uretra


maschile e gran parte dell’uretra femminile sono costituiti da un epitelio squamoso.
Le cellule epiteliali squamose sono fogliformi, grandi, appiattite, spesso con bordi
accartocciati, con piccolo nucleo ed amplissimo citoplasma. forma: poligonale,
nucleo: piccolo centrale, citoplasma: ampio; qualche granulo, diametro: 55 μm
 SIGNIFICATO CLINICO: Un piccolo quantitativo di cellule epiteliali
squamose è quasi sempre presente nei sedimenti femminili. Queste
cellule provengono dall’uretra e dalla vagina. Numerose cellule
epiteliali squamose sono invece riscontrabili in presenza di vaginiti,
spesso associate a batteri e/o candida. Numerose cellule epiteliali
squamose possono anche essere espressione di contaminazione
genitale, rappresentando un indicatore di non corretta raccolta del
campione. ATTENZIONE ALLA CORRETA IGIENE DEI GENITALI

VALUTAZIONE DELLA CAPACITÀ DI FILTRAZIONE GLOMERULARE:


 Creatinina
 Capacità di “clearance” renale di biomarcatori
o Capacità del glomerulo ad eliminare le molecole “piccole”.
Alcune molecole endogene (“piccole”) sono prodotte in
quantità sostanzialmente costante e circolano nel plasma in
condizioni di libera diffusibilità. La loro concentrazione
plasmatica è quindi regolata dalla velocità di filtrazione
glomerulare
Molecole utilizzate:
 Urea (“azotemia??”): valore storico
 Creatinina: la più utilizzata perché più affidabile (ma dipende dalla massa
muscolare del soggetto)
 Cistatina C: proposta più recentemente
La concentrazione plasmatica di una sostanza può stimare la funzione glomerulare
se:
 La sostanza e’ liberamente filtrabile (per dimensioni molecolari e per
assenza di legame proteico) a livello glomerulare
 La sostanza ha concentrazione plasmatica costante
 La sostanza è filtrata a livello glomerulare e non è riassorbita né
escreta/secreta a livello tubulare

CREATININA SIERICA – SIGNIFICATO CLINICO


CREATININA: Prodotto terminale del catabolismo della creatina. Tramite una
reazione non enzimatica e irreversibile l’1-2% di creatina prodotta per conversione
dalla fosfocreatina, viene convertita nella sua forma di anidride ciclica, la creatinina.

Perché la creatininemia nella valutazione della funzionalità glomerulare?


– Ridotto peso molecolare 113,12 Dalton ( ossia molto piccola) (distribuzione
ubiquitaria >>> fluidi corporei, di secrezione, renale).
– E liberamente filtrata a livello glomerulare per le sue ridotte dimensioni
molecolari e per assenza di legame proteico; non è riassorbita a livello
tubulare (riassorbimento pressoché trascurabile);
– concentrazione plasmatica costante (ridotta variabilità biologica
intraindiviuduale CV i);
– non è escreta/secreta a livello tubulare (quota minima significativa ma
opportunamente corretta
In caso di insufficienza di funzionalità di filtrazione glomerulare:-La quota di
creatinina escreta diminuisce, Le concentrazioni circolanti aumentano

CONCENTRAZIONI DI CREATININA SIERICA - Fonti di variabilità >>> BIOLOGICA


(bassa sensibilità diagnostica della funzionalità glomerulare ridotta), I limiti della
creatinina come parametro:
 La concentrazione dipende dall’equilibrio tra input (produzione di creatinina)
e output (escrezione renale). Produzione determinata dalla massa muscolare
che dipende dall’età, genere e peso.
 Alta biovariabilità tra soggetti, ma bassa variabilità intrasoggetto (alta
individualità; poca utilità degli IR – la variabilità nello stesso soggetto e bassa,
ma tra un soggetto e l’altro è enorme – perciò l’intervallo di riferimento non
ha senso)
 La bilirubina elevata influenza sottostimando la presenza della creatinina nel
sangue
 La variabilità biologica intraindividuale (CVI) è minore rispetto alla variabilità
biologica interindividuale (CVG) . In questa configurazione l’intervallo di
riferimento (RL) perde parte della sua sensibilità nell’identificare variazioni
individuali significative di patologia. Per la creatinina un RCV 12% può
segnalare un cambiamento significativo sebbene il valore del soggetto cada
entro il RL. Attenzione alla differenza critica: osservare quanto varia la
creatinina mettendo a confronto risultato di vari prelievi

LA MISURA DELLA GFR SI BASA SUL CONCETTO DI CLEARANCE- Il volume di plasma


depurato da una sostanza che passa nelle urine grazie alla attività filtrante del
glomerulo. Se si considera che alcune molecole endogene sono prodotte in quantità
sostanzialmente costante e circolano nel plasma in condizioni di libera diffusibilità,
la loro concentrazione plasmatica è regolata dalla velocità di filtrazione glomerulare
(GFR) è il VOLUME DI FILTRATO CHE SI FORMA NELL’UNITÀ DI TEMPO - (valore
fisiologico ~125 mL/min)- è considerato il migliore indicatore dell’indice funzionale
dei reni

Ogni volta che viene richiesta una creatinina sierica, l’informazione che si vuole
avere È UN INDICE DELLA FUNZIONALITÀ DEL RENE, della sua capacità filtrante
1- Clearance renale della creatinina (‘capacità depurante’) - mL/min

La quantità del componente trasferito dal plasma in un dato tempo è data dal
prodotto della concentrazione nel plasma (Cp) per il volume di plasma (Vp) che
perde il componente nel medesimo tempo. Nell’urina la medesima quantità è data
dal prodotto della concentrazione urinaria (Cu) per il volume di urina (Vu). Una
diminuzione del GFR con l’età è fisiologica

I LIMITI DELLA CLEARANCE DELLA CREATININA


 Urine temporizzate delle 24 ore
 La creatinina è attivamente secreta dal tubulo renale: ~19% di sovrastima del
GFR
EQUAZIONI PER LA STIMA DEL GFR
 Più semplice (creatinina sierica + misure antropomorfiche)
 Le equazioni più comunemente utilizzate:
o Adulti: CKD-EPI, MDRD Study, Cockcroft-Gault
o Bambini: Schwartz basata sulla creatinina, Schwartz basata sulla
Cistatina

CKD-EPI (Chronic Kidney Disease Epidemiology Collaboration) equazione che


corregge i limiti dei dati di creatinina con correzioni in base a sesso, età….
 Richiede: il valore di creatininemia (laboratorio) e dati antropomorfi
 Espressa in funzione di un valore di superficie corporea medio (1,73 m2)
 Sviluppata in base ai valori di S-Cr di soggetti non selezionati per CKD
 Misura della creatininemia con metodo enzimatico standardizzato
 accuratezza della misura per valori di GFR ≥60 mL/min/1,73m2

PER VERIFICARE IL FUNZIONAMENTO DEL GLOMERULO: SI DOSA LA CREATININA NEL


SIERO (LIMITE – DIPENDE DALLA MASSA MUSCOLARE PERCIO SE LA PUO TROVARE
IN QUANTITA ELEVATA MA IN FUNZIONE DELLA MASSA MUSCOLARE). PER QUESTA
LIMITAZIONE SI UTILIZZANO DELL FORMULE PER CALCOLARE IL GFR CON
CORREZIONI CHE TENGONO IN CONTO QUESTO LIMITE

NON HO CAPITO---SE LA CREATININA è MISURATA NEL SIERO, PERCHE IL PRELIEVODI


URINA NON è DI SANGUE???

T EST DI FUNZIONALITA’ TUBULARE - Il Rene e le Proteine del Plasma


 Le “grandi” molecole proteiche (≥66,5 kDa) non passano il filtro glomerulare.
La loro presenza/aumento nelle urine indica una lesione del filtro
glomerulare
 Le “piccole” molecole proteiche (<66,5 kDa) passano il filtro glomerulare e
sono riassorbite dal tubulo. La loro presenza/aumento nelle urine indica una
lesione del tubulo

PROTEINURIA
 PROTEINE TOTALI NELLE URINE: situazione fisiologica- fino a 150 mg/L; fino a
140 mg nelle 24 ore
 ALBUMINA NELLE URINE (ha il peso molecolare di 66,5 – perciò
tendenzialmente non viene filtrata): situazione fisiologica <10 mg/24h, <10
mg/g creatinina

FATTORI NON RENALI CHE PROVOCANO PROTEINURIA (albuminuria)


 Esercizio intenso
 Febbre (aspettare 3 giorni)
 Postura eretta per lungo tempo
 Gravidanza hanno sempre concentrazione alta fisiologicamente

IL DIFFERENTE SIGNIFICATO DIAGNOSTICO DELLE PROTEINE URINARIE IN


FUNZIONE DELLE DIFFERENTI DIMENSIONI MOLECOLARI
 In condizioni fisiologiche l’albumina è eliminata con le urine in piccolissime
quantità
 L’albumina rappresenta la tipica proteina “glomerulare” perché ha la stessa
dimensione del filtro glomerulare (proteinuria glomerulare selettiva)
 Via via che il danno peggiora vengono eliminate proteine di peso molecolare
maggiore (perdita di selettività)
 Le proteine di peso molecolare inferiore all’albumina sono marcatori di danno
tubulare (perché non c’è il riassorbimento)

RIASSUMENDO:
PROTEINURIA PER PROBLEMI TUBULARI: proteine con peso molecolare sotto
66,5 Kdalton che non sono state riassorbite dal tubulo
Proteinuria glomerulare SELETTIVA: danno glomerulare ma non esagerato
perché passa soltanto l’albumina
PROTEINURIA NON SELETTIVA: maggior danno glomerulare perché oltre la albumina
fa passare altre proteine che sono ancora maggiori della albumina es transferrina
IgG

1 Definizione di malattia Renale Cronica [uno dei seguenti criteri


(marcatori)presenti per >3 mesi]
 Albuminuria >30 mg/giorno,
 Anormalità di sedimenti urinari (e.g. microematuria, globuli rossi)
 Elettroliti o altre anomalie conseguenti di disfunzione tubulare
 Anomalie istologiche o anomalie strutturali
 Trapianto di rene
 GFR <60 mL/min/1.73m2

2 - Prognosi di CKD: Albuminuria + eGFR


3 - Frequenza del monitoraggio di CKD: Albuminuria + eGFR
LA PRESENZA DI ALBUMINA NELLE URINA INDICA UN DANNO VASCOLARE DEL
GLOMERULO, MA Può INDICARE OLTRE A QUELLO DANNI VASCOLARI IN ALTRE SEDI
CHE DEVONPO ESSERE CONTROLATI COME CERVELLO, CUORE

ALBUMINURIA- ASPETTI PREANALITICI E ANALITICI


 Usare il ‘1st morning sample’ (minore variabilità biologica intraindividuale,
esclude “orthostatic albuminuria”) Esprimere il risultato nel rapporto
albumina/creatinina (ACR) PERCHE NON HO DISPONIBILE LA ANALISE DELLE
URINE DELL 24H – COSI COMPENSO ERRORI (PER ESEMPIO SE L’URINA E
TROPPO DILUITA XCHE LA PERSONA HA BEVUTO MOLTISSIMO PRIMA DELLA
RACCOLTA)
 Analisi di almeno 2 (meglio 3) campioni
 Campione fresco o conservato in frigorifero (non congelare)

DUE MARCATORI NECESSARI ALLA FUNZIONALITA’ RENALE


 GFR - numero di nefroni. SE IL gfr è BASSO (OSSIA LA CREATININA è MOLTO
ALTA) vuole dire che i nefroni stano diminuendo (non funzionano più)
 Albuminuria - qualità della membrana glomerulare - la quantità di glomeruli è
la stessa ma la loro capacità funzionale sta diminuendo

CARBOIDRATI
I carboidrati sono poliidrossialdeidi (aldosi) o poliidrossichetoni (chetosi) o sostanze
che per idrolisi danno aldosi o chetosi.
Con questo termine si identificano le 4 classi principali di zuccheri:
 monosaccaridi;
 disaccaridi;
 oligosaccaridi;
 polisaccaridi.
I monosaccaridi sono carboidrati formati da un solo residuo saccaridico, sono anche
detti zuccheri semplici, perché non possono essere ulteriormente idrolizzati.
Si distinguono in due categorie:
 aldosi, caratterizzati da un gruppo aldeidico (glucosio, galattosio);
 chetosi, caratterizzati da un gruppo chetonico (fruttosio).

I più comuni monosaccaridi d’importanza biologica sono costituiti da una catena a 5


(pentosi) o 6 (esosi) atomi di carbonio. Questi ultimi possiedono un OH (gruppo
ossidrilico) o un CO (gruppo carbonilico). Questo, se è in posizione terminale, forma
un gruppo aldeico; se, invece, è in posizione intermedia, forma un gruppo chetonico.

 Il glucosio può essere considerato il più importante e il più diffuso dei


monosaccaridi. Esso viene sintetizzato dalle piante a partire da H2O e CO2 nel
processo della fotosintesi. Una volta prodotto, il glucosio viene trasformato in
molti modi e da esso prendono origine, attraverso le numerose reazioni del
metabolismo, tutti i composti organici.
 Il glucosio non è soltanto la molecola di partenza da cui derivano più o meno
indirettamente tutte le altre molecole biologiche, ma è la molecola energetica
per eccellenza. Infatti, si può dire che, in ultima analisi, tutti gli organismi
traggono l’energia per i loro processi vitali dalla demolizione del glucosio

DISACCARIDI
Sono zuccheri formati da due residui saccaridici uniti tra loro dal legame glicosidico
realizzato attraverso una condensazione (la reazione inversa si chiama idrolisi).
I più comuni sono:
 Maltosio: Glucosio + glucosio (è presente nell'orzo e in alcuni cereali
germinati).
 Saccarosio: Glucosio + fruttosio (il comune zucchero da tavola
presente nella barbabietola e nella canna da zucchero).
 Lattosio: Glucosio + galattosio (lo zucchero del latte).
Sono zuccheri formati da più residui saccaridici uniti tra loro; comprendono:

POLISACCARIDI
 Amido: è il carboidrato di riserva delle piante, immagazzinato come fonte
energetica, sintetizzato per via enzimatica a partire dal glucosio.
 Glicogeno: è un polimero (omopolimero) del glucosio, riserva energetica degli
animali e dell’uomo, sintetizzato per via enzimatica a partire dal glucosio.
 Cellulosa: non costituisce una sostanza di riserva, ma svolge
fondamentalmente funzioni meccaniche nelle cellule vegetali essendo il
componente base delle strutture di sostegno.
 Chitina.
 Inulina
 Destrine

GLICOPROTEINE E PROTEOGLICANI - Vi sono molecole costituite da proteine e


monosaccaridi o oligosaccaridi uniti covalentemente, detti:
 Glicoproteine: la componente proteica predomina su quella saccaridica (es.
proteine della membrana cellulare, glicocalici, fibronectina…).
 Proteoglicani: la componente saccaridica predomina su quella proteica (es.
mucina, condroitina, eparina…)
 La digestione dei carboidrati inizia nella bocca: la saliva contiene infatti l'alfa-
amilasi salivare, che idrolizza l'amido liberando maltosio, maltosio e destrine.
 L'azione dell'alfa-amilasi si interrompe nello stomaco poiché l'ambiente acido
inattiva l'azione dell'enzima.
 La digestione dei glucidi riprende nell'intestino, dove l'alfa- amilasi
pancreatica trasforma l'amido in vari tipi di disaccaridi.
 La digestione si completa a livello delle membrane delle cellule della mucosa
intestinale ad opera di altri enzimi (lattasi, saccarasi, a-glucosidasi), che
trasformano i disaccaridi nei monosaccaridi glucosio, fruttosio, galattosio e
piccole quantità di altri monosaccaridi.

METABOLISMO DEI GLUCIDI


 Glicogenosintesi: conversione del glucosio in glicogeno.
 Glicolisi: una molecola di glucosio viene scissa in due molecole di piruvato (nel
citoplasma) al fine di generare molecole a più alta energia, come 2 molecole
di ATP e 2 molecole di NADH per ogni molecola di glucosio utilizzata.
 Ciclo di krebs: i glucidi vengono completamente demoliti per via ossidativa a
CO2 e H2O; per ogni molecola di acido piruvico ossidato si formano 15
molecole di ATP (fosforilazione ossidativa nei mitocondri).

GLUCOSIO 50 – 55 % delle calorie della dieta giornaliera è rappresentato da glucidi:


– 240-260 g amido, 50-60 g saccarosio, 5-10 g lattosio, 5-10 g fruttosio

EQUILIBRIO GLICO- METABOLICO


Ormoni: insulina, glucagone, cortisolo (gluconeogenesi), adrenalina (stress)
somatomedine (IGF I e II)

DIABETE MELLITO - Gruppo eterogeneo di malattie caratterizzate da un


metabolismo anormale dei carboidrati, causato da un DEFICIT DI INSULINA assoluto
(tipo 1) o relativo (tipo 2), che provoca IPERGLICEMIA
INSULINA
 E’ il principale ormone che regola l'ingresso del glucosio dal sangue nelle
cellule
 E’ prodotta dalle cellule β del pancreas come esatta risposta all'innalzamento
dei livelli di glucosio nel sangue (per esempio dopo un pasto).
 L’insulina controlla anche il metabolismo lipidico ed ha un effetto
antilipolitico, cioè impedisce la degradazione dei lipidi.

AZIONE DELL’INSULINA
 Modifica i processi di permeabilità della membrana cellulare, favorendo
l’ingresso del glucosio nella cellula.
 Di conseguenza, previene l’accumulo di glucosio nel sangue, che invece si
verifica in carenza o per ridotta funzionalità dell’insulina.

DIABETE MELLITO (CLASSIFICAZIONE EZIOLOGICA)


Diabete mellito gestazionale (GDM) – solitamente dura soltanto il periodo
gestazionale, poi si risolve automaticamente
 Diabete di tipo 1 (caratterizzato da distruzione delle beta-cellule, solitamente
comportante un deficit assoluto di insulina): Immuno-mediato, Idiopatico
(LADA)
 Il DM di tipo 1 è una malattia cronica autoimmune nella quale si verifica una
progressiva distruzione delle cellule beta del pancreas endocrino. Ossia non si
può guarire
 Si ha quindi un deficit assoluto di insulina(diabete insulino-dipendente).
 Il DM di tipo 1 esordisce in circa la metà dei casi in età inferiore ai 20 anni
(proprio per questo in passato veniva chiamato "diabete giovanile")

 Diabete di tipo 2 (può variare da predominantemente insulino- resistente e


relativamente insulino-deficiente, a predominantemente insulino-deficiente
con insulino-resistenza) molto associato allo scorretto stile di vita
 DM di tipo 2 ha patogenesi non immunitaria ed è caratterizzato da disordini
dell’azione e della secrezione insulinica.
 Ha origine genetica ed ambientale; tra i fattori ambientali hanno
un'importanza preminente l'obesità e l'inattività fisica. Anche l'età favorisce la
comparsa del diabete, poiché essa si accompagna ad una riduzione fisiologica
della sensibilità dei tessuti periferici all'insulina.
 Il diabete mellito di questo tipo era precedentemente definito diabete mellito
non insulino-dipendente o diabete ad insorgenza nell’adulto. È un termine
usato per soggetti che abbiano un deficit relativo (anziché assoluto) di
insulina.
Biochimica clinica del diabete mellito e delle sue complicanze
 Diagnosi
o glicemia a digiuno/occasionale
o glicemia postprandiale/da carico
o Emoglobina glicata
 Sorveglianza (del compenso metabolico)
o glicemia
o Emoglobina glicata
 Complicanze
o Microangiopatia: albumina urinaria
o Aterosclerosi: lipidi e lipoproteine
o Chetoacidosi: chetonuria, emogasanalisi

EMOGLOBINA GLICATA (HBA1C) per monitorare i livelli glicemici in 120 gg (non di


un momento puntuale – è utile per esempio, per monitorare l’efficacia del
tratamento del diabete)

 Principio: in un ambiente contenente glucosio, questo si lega stabilmente alle


proteine, che risultano “glicate” (legame stabile tra emoglobina e glucosio).
 L’entità della glicazione è proporzionale all’integrale della concentrazione di
glucosio per il tempo di contatto
 Processo non enzimatico di condensazione, si realizza durante tutta la vita
degli eritrociti, irreversibile.
 La formazione di Hb glicata dipende principalmente dalla concentrazione di
glucosio e la sua eliminazione avviene con la degradazione degli eritrociti.
 Vita media degli eritrociti circa 120 giorni.
 La quantità di HbA1c è proporzionale alla glicemia media delle 6-12 settimane
precedenti.

MISURA DELL EMOGLOBINA GLICATA: ESPRESSIONE DEI RISULTATI


 Tradizionalmente, la glicazione della Hb è stata stimata misurando la
percentuale glicata ed esprimendo la HbA1c come percentuale della Hb totale
(%Hb)
 Più propriamente, i risultati di HbA1c sono espressi in millimoli di Hb (catena
β) glicata per mole di Hb (catena β) totale (mmol/mol).

domanda di esame: 4 CRITERI X DIAGNOSI DI DIABETE (BASTA 1 DEI 4)


 HbA1C– EMOGLOBINA GLICATA48 mmol/mol (6.5% è la vecchia unità di
misura dei referti)
 GLICEMIA A DIGIUNO126 mg/dL
 GLICEMIA PLASMATICA A DUE ORE DA UN CARICO DI GLUCOSIO 200 mg/dL
 PAZIENTE CON AUMENTO DELLA QUANTITA DELLE URINE NELLE 24H E
SENSAZIONE PERENE DI SETE SONO I CLASSICI SINTOMI DEL DIABETE +
GLICEMIA RANDOM SUPERIORE A 200MG/DL. (POLIURIA E POLIDIPSIA)

CONDIZIONI A RISCHIO ELEVATO DI EVOLUZIONE IN DIABETE (PREDIABETE)


 Alterata glicemia a digiuno (IFG: impaired fasting glucose)
 Ridotta tolleranza al glucosio (IGT: impaired glucose tolerance)
 Emoglobina glicata (HbA1c) borderline
GLICEMIA - PUNTI DI ATTENZIONE per l’esame
 Digiuno overnight (almeno 8 ore)
 Plasma con antiglicolitico (additivo che blocca la glicolisi, così i valori
dell’esame sarà affidabile perché le emazie non possono continuare ad
utilizzare il glucosio e il risultato non sarà sottostimato): campione
raccomandato per la diagnosi
 Separare il plasma entro 30 min se non utilizzati inibitori della glicolisi
(diminuzione pari a circa10 mg/dL all'ora)
 Differenze tra plasma, sangue intero, sangue capillare (>10%)

LA PROVA DA CARICO ORALE DI GLUCOSIO (OGTT) PUNTI DI ATTENZIONE (in


generale fatto in persone in normale condizioni di salute)
 Effettuare l’esame dopo 3 gg di dieta e attività fisica regolari
 Soggetto in buone condizioni di salute e non ospedalizzato
 No fumo durante l’esame
 75 g glucosio anidro in 250-300 mL acqua da assumere in 5 min
 Determinazione di glicemia basale e dopo 2 ore

PERCHÉ HBA1C (emoglobina glicata) È PIÙ AFFIDABILE RISPETTO ALLA GLICEMIA


PER DIAGNOSTICARE IL DIABETE?
 É espressione della glicemia media di un lungo periodo e non di un singolo
momento
 Ha una minore variabilità nell’individuo
 E’ stabile nel campione di sangue prelevato (non serve l’addittivo
antiglicolitico)
 Non necessita di un prelievo a digiuno
 Non è influenzata da parte di situazioni acute (es. infiammazioni sistemiche) o
stress
 E’ lo stesso parametro usato per il monitoraggio clinico del diabete.

SVANTAGGI ASSOCIATI ALL’UTILIZZO DIAGNOSTICO DELL HBA1C


 Rischio di missclassificazioni quando il paziente ha un turnover alterato dei
globuli rossi (gravidanza, anemie da emolisi e da carenza di ferro)
 HbA1c non fornisce informazioni sulle fluttuazioni delle
 concentrazioni di glucosio
 La metodica è costosa
 Sensibilità inferiore rispetto alla glicemia a digiuno nella diagnosi di diabete
(un paziente con FPG ≥ 126 mg/dL e HbA1c <48 mmol/mol, è considerato
diabetico)

HBA1C NEL MONITORAGGIO DELLA MALATTIA


 Parametro di elezione per la valutazione retrospettiva del grado di controllo
glicemico nei soggetti diabetici: è stabile e non risente di improvvise variazioni
della concentrazione glicemica.
 Fondamentale per valutare l’efficacia della terapia e per predire lo sviluppo
delle complicanze.

Il valore target per persone che sono in terapia diabetica, ottimalmente il


paziente deve rimanere sotto 53mmol/mol, se supera 64 mmol/mol è
necessario un cambio di terapia

FREQUENZA DELLA MISURA DELLA HBA1C NEL MONITORAGGIO DEL DIABETE


 1 volta ogni 6 mesi: diabete compensato
 1 volta ogni 3 mesi: diabete scompensato o dopo cambio di terapia

In un dato momento, l’entità della glicazione misurabile è una misura retrospettiva


dell’integrale “concentrazione di glucosio su tempo”, per un intervallo di tempo
dipendente dalla vita media della proteina: es: emoglobina 6-12 settimane
albumina 3-5 settimane

ALBUMINA GLICATA O FRUTTOSAMMINA


Si può utilizzare la fruttosammina in sostituzione della HbA1c quando:
 E’ necessaria una informazione relativa ad un periodo precedente più breve
(per es. valutazione degli effetti di variazione terapeutica)
 Esistono ragioni biologiche (es. anemia emolitica) o analitiche (es. presenza di
particolari varianti emoglobiniche) che rendono inaffidabile la misura della
HbA1c
 Albumina glicata (come fruttosammina)
o Limiti di riferimento: 204-285 mmol/L (livelli decisionali non definiti)

 OGTT – curva glicemica
GLICOSURIA - concentrazione di glucosio nelle urine ( quando i livello
di glucosio nel plasma supera 180mm/dl

 Il controllo della glicosuria delle 24 ore può indicare l’evento di una pregressa
puntata iperglicemica anche in presenza di glicemia fisiologica nella fascia
oraria (8.00-10.00) dei prelievi a digiuno.
 Raccolta urine 24 h.
 Picchi iperglicemici al di sotto della soglia renale (180-190 mg/dL) non danno
luogo a glicosuria.

IPOGLICEMIA
 glicemia (< 83 mg/dL)   insulinemia
 glicemia (< 68 mg/dL)  glucagone
(GH, cortisolo)

Diagnosi: Disfunzioni SNC, Glicemia < 40 mg/dL, Sintomi scompaiono dopo


somministrazione di Glucosio

CAUSE DI IPOGLICEMIA
Nell’adulto: diabete mellito, alcoolismo, sepsi, insulinoma
Nel bambino : Aumento utilizzazione glucosio, Alterazioni metabolismo glicogeno,
Chetogenesi, Riduzione gluconeogenesi, Varie cause metaboliche e patologiche
SINTOMI: Tremito, ansia, nervosismo, Palpitazioni, tachicardia, Sudore,
sensazione di calore, Pallore, sudore freddo, Pupille, dilatate, Fame, Nausea, vomito,
malessere addominale, Shock, coma e morte

DIAGNOSI: Una diagnosi di sindrome ipoglicemica può essere avanzata solo


sulla base di un controllo laboratoristico e precisamente se si consta che la glicemia
è:
- <50 mg/dL nell’adulto,
<40 mg/dL nel bambino (1-2 anni),
<30 mg/dL nel lattante.
Prova scritta a QUIZ
E DISPONIBILE PER APPUNTAMENTI 0239042239
MARIARITA.GISMONDO@UNIMI.IT
Gli argomenti vano approfonditi, oltre le slide, ma non indica libri

INTRODUZIONE . SARS COVID 2

Percentualmente parlando è la comorbidità che oggi porta alla morte. Ossia, anziani
con altre patologie associate. La reale mortalità è risultato di una grave insufficienza
vascolare. Appartenente alla famiglia virale dei Coronaviridae, rivestito da envelope
da cui sporgono le tipiche “punte” spike che conferiscono l’aspetto tipico dei CoV al
ME (corona). Legame specifico dello spike con l’enzima convertitore
dell’angiotensina 2 (ACE2 - L'angiotensina è un ormone peptidico che stimola la
vasocostrizione aumentando la pressione arteriosa). Espresso sugli epiteli respiratori
(alveoli polmonari) e dell’apparato digerente. E poi capace di attaccare tutti gli altri
tessuti, in specie quello nervoso (sequele anche dopo la guarigione).
L’immunità dei coronavirus è considerata estremamente personale (ci sono dei casi
che rimangono positivi per 7 mesi, e quelli per 2 settimana) es. Rh O+
apparentemente sono meno a rischio . Anche tra i sessi c’è una certa differenza
(donne sembrano meno soggetti - ma può essere una questione comportamentale –
più attente a regole e igiene).
Vaccini – sono genici – che stimolano il nostro DNA a produrre delle proteine virali
per scattare la difesa immunitaria naturale - (gli altri sono batteri vivi inattivati o
morti/ o porzioni di virus - proteici). Come e molto nuovo, si teme effetti collaterali a
lungo termini (es autoimmunità) perché non si conosce le risposte umane alla lunga.
(EMA – ente certificatore internazionale per i vaccini). La scelta e di utilizzare tutti i
vaccini piuttosto di rischiare le perdite umane giornaliere di questa pandemia.
Anche il costo socioeconomico è estremamente alto – non riusciamo più a sostenere
la pandemia. Questo vaccino protegge dalla malattia ma non dalla infezione.

Tampone molecolare – unico accettato – valuta i 3 geni + importanti


Tamponi rapidi antigenici – positivo è quasi sempre giusto, se è negativo potrebbe
essere positivo o negativo. Questo di nuova generazione è più preciso. Se è positivo,
deve essere confermato dal tampone molecolare

Variante inglese – non più gravi, ma più contagiosa – sensibile alla vaccinazione
Variante Brasiliana e africana – sembrano non rispondere al vaccino, ma sono meno
contagiosi
I virus a RNA – difficilmente hanno un vaccino definitivo, perché le mutazioni sono
frequenti. STORIA E SCOPO DELLA MICROBIOLOGIA
La Microbiologia è la scienza che studia i microrganismi e la loro attività. Ha per
oggetto la forma, la struttura, la riproduzione, la fisiologia, il metabolismo e
l’identificazione dei microrganismi

…fino 1700 dalle prime intuizioni al microscopio:


Cornelius Celsius – enciclopedia medica: dietetica, farmaceutica e chirurgia –
metodologia e riunione dell’approccio empirico al razionale
Ipocrate – manuali pratici medici di carattere razionalista
Fracastoro 1476 – 1553 È uno dei fondatori della moderna patologia. Nello
studio da scienziato fu il primo ad ipotizzare e verificare che le infezioni fossero
dovute a germi portatori di malattia, con la capacità di moltiplicarsi nell’ organismo
e di contagiare altri attraverso la respirazione o altre forme di contatto.
Marcello Malpighi (1628-1694) è stato un medico, anatomista e fisiologo. Egli
viene considerato come il padre microscopico dell' anatomia, istologia, fisiologia,
embriologia e medicina pratica. Fu il primo ad osservare i capillari negli animali e a
scoprire il legame tra le arterie e le vene, i quali erano sfuggite da William Harvey.
Malpighi fu anche il primo ad osservare i globuli rossi sul microscopio. Il suo trattato
De polypo cordis è stato importante per la spiegazione della composizione del
sangue.
Van Leeuwenhoek – Primo microscopio
Micheli – Fondatore della micologia. Dimostrò che i funghi si originano da
spore
1700- 1850 generazione spontanea contro biogenesi e teoria microbica delle
malattie
Linneo - NOMENCLATURA E CLASSIFICAZIONE DEI MICRORGANISMI - stabilì il
metodo della nomenclatura binomiale nel sistema di classificazione delle piante e
degli animali. A ciascun organismo sono attribuiti due nomi (in origine in latino): il
primo si riferisce al GENERE di appartenenza dell'organismo stesso ed è uguale per
tutte le specie che condividono alcuni caratteri principali; il secondo termine, che è
spesso descrittivo, designa la SPECIE propriamente detta. Nomi scientifici:
Staphylococcus aureus. – Descrive la distribuzione a grappolo dal greco [stafule]:
grappolo e [coccos]: (bacca, acino d'uva) ed il colore dorato delle colonie. Nomi
scientifici: Escherichia coli– Rende omaggio allo scienziato che lo ha scoperto,
Theodor Eshcerich, e descrive l’habitat del batterio, il colon.

Bassi – Primo autore della teoria del contagio. (mali contagiosi derivano da
parasiti) – Ha mostrato che una malattia dei bachi da seta era causata da un fungo

1850 -1900 colture axeniche e immunizzazione


Emil von Behring (1854-1917) e Shibasaburo Kitasato (1852-1931) - Hanno
sviluppato un’antitossina contro difterite e tetano. Hanno fornito evidenze di
un’immunità umorale

Elie Metchnikoff (1845-1916) - Ha scoperto le cellule fagocitarie del sangue,


Ha fornito evidenze di un’immunità cellulare

Pasteur – studio sulle fermentazioni, sterilizzazione sotto pressione,


carbonchio, immunizzazione con colture attenuate. Ha dimostrato che sia la
fermentazione alcolica che altre fermentazioni erano il risultato di attività microbica.
Ha sviluppato il processo di pastorizzazione per conservare il vino. Pasteur, Roux ed
altri collaboratori: Hanno scoperto che la lunga incubazione di colture prima del
trasferimento nell’ospite provocava nel patogeno la perdita della capacità di
provocare la malattia. Hanno sviluppato il vaccino contro il colera dei polli, antrace e
rabbia

Koch – carbonchino, spore, isolamento su terreno solido, bacillo tubercolare,


colorazione Gram. Stabilisce la relazione fra Bacillus anthracis e antrace. Criteri noti
come i postulati di Koch sono ancora utilizzati per stabilire il legame fra una
particolare microrganismo ed una particolare malattia.
I postulati di Koch – Per determinare un agente Eziologico di malattia infettiva
1. L’agente causale deve essere presente in tutti i casi della malattia di cui è ritenuto
responsabile e deve essere invece assente negli individui sani
2. L’agente causale deve essere isolato dall’individuo affetto e, posto in coltura, deve
dare origine ad una popolazione cellulare omogenea (una sola specie)
3. L’inoculo di una coltura pura dell’agente causale in individui sani deve dare luogo
alla comparsa della malattia di cui si ritiene responsabile
4. L’agente causale deve essere isolato dall’individuo infettato sperimentalmente
Lo sviluppo di tecniche per lo studio dei microrganismi patogeni.Il lavoro di Koch
ha permesso la scoperta o lo sviluppo di: agar, piastre di petri, nutrient broth (brodo
di carne) e nutrient agar, metodi per isolare i microrganismi,

1900 a oggi integrazione della conoscenza


L’età dell’oro della Microbiologia (1857-1914) grazie al microscopio….
 Sono stati identificati molti organismi che producono malattie.
 È stato intrapreso lo studio del metabolismo microbico.
 Sono state raffinate le tecniche microbiologiche, permettendo di stabilire che
alcuni batteri erano agenti eziologici di determinate malattie (terreni di
culture es. su piastra x studiare).
 È stata migliorata la comprensione del ruolo dell’immunità e di come
controllare e prevenire le infezioni microbiche. Comprende lo studio della loro
distribuzione in natura, delle relazioni tra loro e con gli altri esseri viventi,
degli effetti benefici e dannosi che hanno sugli esseri umani, delle
modificazioni fisiche e chimiche che provocano nel loro ambiente.

Alexander Fleming scoprì il primo antibiotico. Osservò che il fungo Penicillium


produceva un antibiotico (la penicillina) in grado di uccidere lo Staphylococcus
aureus. Sarebbe stato un Italiano – cefalosporina (antibiotico). La penicillina fu
clinicamente testata ed iniziò la produzione del farmaco

Joseph Lister- Fornisce evidenze indirette che i microrganismi sono agenti


causali delle malattie. Sviluppa una metodologia in chirurgia elaborata per impedire
l’ingresso dei microrganismi nelle ferite ed una per il trattamento dei ferri chirurgici
e per gli abiti da camera operatoria. Poche volte i suoi pazienti andavano incontro a
infezioni post-operative. MICRORGANISMO E MALATTIE - Una volta stabilita la
correlazione, ha permesso lo studio delle difese dell’ospite - l’immunologia

STUDIO DEI MICROBI - Comprende lo studio della morfologia e costituzione ma


anche della loro distribuzione in natura, delle relazioni tra loro e con gli altri esseri
viventi, degli effetti benefici e dannosi che hanno sugli esseri umani, delle
modificazioni fisiche e chimiche che provocano nel loro ambiente.

SETTORI DELLA MICROBIOLOGIA: BATTERIOLOGIA, PROTOZOOLOGIA


(Parassitologia), MICOLOGIA (funghi), ALGOLOGIA (NON STUDIAMO), VIROLOGIA. La
maggior parte dei microbi rappresentano una presenza positiva per noi (es flora
batterica, mitocondrio)

Tipi di Classificazione

 Schema a cinque regni comprendente Monera, Protista, Fungi, Animalia e


Plantae. I microbi si trovano nei primi tre regni
 Schema a tre regni, basato sul confronto dell’RNA ribosomiale. Classifica i
microrganismi in Bacteria (batteri veri), Archaea ed Eucarya (eucarioti – non
sono batteri)

PROCARIOTI - sono privi di un nucleo delimitato da una membrana es. batteri


EUCARIOTI - possiedono un nucleo racchiuso da una membrana, sono
morfologicamente più complesse e generalmente più grandi delle cellule
procariotiche (alghe, protozoi e miceti)

REGNO DEGLI ARCHAEA – tutti . Si distinguono dai Bacteria per sequenze ribosomali
– non presentano nucleo. Caratteristiche: Non contengono peptidoglicano nella
parete. Molti si trovano in ambienti estremi. Includono: Metanogeni, Alofili estremi,
Termofili estremi, Non si conoscono specie patogene

Regno Eucarya – tutti eucarioti. I microrganismi comprendono i protisti (alghe


unicellulari, protozoi, muffe) e funghi. La maggior parte sono più grandi delle cellule
procariotiche. Parassiti animali pluricellulari

Regno dei Bacteria – tutti procarioti. La maggior parte è costituita da singole cellule.
e contiene peptidoglicano nella parete. Possono sopravvivere in una infinità di
ambienti. In genere non sono patogeni ed hanno un ruolo fondamentale nel riciclo
dei nutrienti

DIMENSIONI DEI MICRORGANISMI


BATTERI – MICROSCOPIO OTTICO (10^-6 – I MICRON)
VIRUS E PRIONI – MICROSCOPIO ELETTRONICO(10^-7 – 0,I MICRON)

PROCARIOTI
EUCARIOTI

Generalmente da 1 a 10 m Dimensioni cellulari Maggiori e diverse a seconda


di dimensioni lineari del regno
Anaerobio o aerobio metabolismo Generalmente aerobio
nessuno organuli Nucleo, mitocondri,
cloroplasti, reticolo
endoplasmatico, ecc..
DNA circolare nel Molecole di DNA lineare
citoplasma DNA contenenti regioni non
codificanti nel nucleo
Scissione binaria Divisione cellulare mitosi
unicellulare Organizzazione Unicellulari o pluricellulari
cellulare
Presente Peptidoglicano nei Parete Cellulare Assente
Batteri Chitina nei Miceti
Cellulosa nei vegetali

I BATTERI – Si differiscono per morfologia (dimensione, forma, colorazione),


caratteristiche metaboliche, genetiche e antigeniche.
Forma:
 Sferica (coccus, diplococcus, streptococcus, tetraci, sarcine staphylocaccus)
 Cilindrica/bastoncellare (bacilli es. enterobatteri, coccobacilli, diplobacilli,
streptobacilli)
 Curvata (vibrioni es. vibrio cholerae, spirilli)
FUNZIONE DEI RIVESTIMENTI BATTERICI
(membrana citoplasmatica etc)

Componenti strutturali dei


batteri: Membrana
esterna, Granulo
intracitoplasmatico (granuli
di riserva), Spazio
periplasmatico, Citoplasma,
Capsula (non sempre
presente, a volte in
momenti si in altri no),
Membrana citoplasmatica
interna, Peptidoglicano,
Flagello (estroflessioni di
trasporto - facoltativi),
Corpo basale, Ribosomi, pilo (estroflessioni di trasporto - facoltativi), Cromosoma,
Mesosoma.

Gram: Speciale colorazione inventata dall'omonimo scienziato, che permette di


dividere in due grandi tronconi i batteri, i Gram + e i Gram -, in base alla
composizione della parete batterica. I coloranti chimici hanno permesso di
classificare i batteri in grandi gruppi

LA PARETE CELLULARE - Complessa struttura rigida presente solo nei procarioti che
conferisce la forma al batterio e ne garantisce la protezione dall'ambiente esterno,
integrità, porosità, resistenza pressione osmotica (fino a 20atm).
Nei Gram-positivi è
costituita principalmente da un
spesso strato rigido e
stratificato di peptidoglicani (è
un polimero formato di
zuccheri modificati che si
alternano tra L’acido n-acetil
muramico -AAM- e
N’acetilglucosamina - NAG
uniti da legame beta 1-4
glucosidico – particolarmente irrigidite da legami crociati formate da corte catene
peptidiche). (non perdono la colorazione blu iniziale). Non hanno membrana esterna
ma una parte spessa.
Nei Gram-negativi hanno uno strato più sottile di peptidoglicano, spazio
periplasmatico e una membrana esterna. Lipoproteine di Braum (spazio
periplasmatico): ancorano covalentemente la membrana esterna del peptidoglicano.
La membrana esterna costituisce una barriera protettiva (rallenta l’ingresso di
sostanze tossiche come antibiotici. Il costituente principale è il lipopolisaccaride LPS.
Porine (membrana esterna): proteine aggregate a gruppi di 3, formano canali per il
passaggio piccole ( glucosio, monosaccaridi < 600-700). Molecole maggiori
richiedono proteine di trasporto. (perdono la colorazione blu iniziale con decoloranti
alcolici e si colorano di rosso – seconda colorazione)

CAPSULA (si forma soltanto in vivo)- Involucro denso esterno alla parete, di natura
polisaccaridica o proteica è presente sia dei batteri Gram+ che Gram-. Glicocalice -
capsula poco aderente e poco uniforme per densità e spessore (poco definita).
Previene l’essicamento, Favorisce l’adesività ad altri batteri e alle superfici dei
tessuti dell’ospite, Favorisce la colonizzazione in particolari distretti biologici. Ha
proprietà antifagocitaria impedendo il riconoscimento tra cellula fagocitaria ed il
batterio (Inibizione fagocitosi e killing intracellulare). Funge da barriera alla
diffusione degli antibiotici (mimetismo immunitario). Mutanti di batteri
normalmente capsulati che hanno perso la capacità di formare la capsula perdono
la virulenza (es. treptoccocos polmonite, non è in grado di causare la polmonite
quando perde la capsula). Spesso sono assenti IN Vitro. Esempi di batteri che
sintetizzano la capsula: Streptococcus mutans: la capsula permette di aderire e
colonizzare lo smalto dentale ed innescare il processo cariogeno. Streptococcus
pneumoniae: agente di polmonite, meningite, otite. Haemophilus influenzae di tipo
b: agente di meningite, otite, sinusite. Neisseria meningitidis: agente di meningite,
meningoencefalite, polmonite. Bordetella pertussis: agente della pertosse catarrale
e parossistica. Bacillus anthracis: agente dell’antrace cutaneo, polmonare,
gastrointestinale
FLAGELLI – Non sempre presenti. I flagelli sono organi di movimento, cioè
conferiscono motilità ai batteri. Consentono un movimento orientato (chemiotassi
positiva o negativa in risposta a stimoli fisici quali luce e calore o chimici quali
nutrienti o sostanze dannose). Sono costituiti da flagellina (dotate di proprietà
antigeniche e rappresentano l’antigene H dei batteri provvisti di motilità) , una
proteina contrattile ad elica e sono formati da un unico filamento sprovvisto di
membrana (sono ancorati alla membrana batterica). Possono essere persi e
rigenerati e la loro sintesi è regolata da almeno 20 geni. Monotrico (un flagello),
anfitrico (due flagelli a estremità opposte), lofotrico (più flagelli su una o entrambi
estremità), peritrico(più flagelli distribuiti in tutto il perimetro della membrana) . Il
potenziale di membrana fornisce energia elettrochimica per il “motore” del flagello
PILI (FIMBRIE) – Sono appendici della superficie cellulare, (molto più corti dei
flagelli), strutture proteiche (proteina pilina) rigide (0,2 - 20μm) presenti soprattutto
nei Gram- sulla superficie esterna della cellula. I pili comuni, spesso codificati da
plasmidi, sono presenti in gran numero (anche fino a 1000 per cellula). Mediano
l’adesione (Come fattore di adesività le punte delle fimbrie contengono delle
proteine (lectine) che legano specifici zuccheri (e.g. Mannosio)) e l’aggregazione
batterica, quindi favoriscono la colonizzazione e la formazione di pellicole
superficiali. Alcuni consentono la coniugazione tra batteri ( pili sessuali). Nomi
alternativi: lectine, evasine, aggressine.
Escherichia coli: Gli enterotossigeni utilizzano pili di tipo 1 e adesine CFA/I e CFA/II
per aderire alla mucosa intestinale. Gli enteroaggreganti utilizzano fimbrie GVVPQ,
pili a fasce (Bfp) e intimina. Un tipo di pilo è quello coniugativi chiamato pilo F
(ponte citoplasmatico per trasferenza dei plasmidi)
ADESINE - sono proteine che si trovano nella parete cellulare di diversi batteri e
sono capaci di legarsi a specifici recettori molecolari sulla superficie delle cellule
dell’ospite e danno la capacità al batterio di aderire perfettamente alla cellula e
permetterne la colonizzazione e resistere alla loro rimozione
SPORE - Prerogativa di alcuni gram-positivi. Sono Strutture protettive (Resiste alla
penetrazione di sostanze estranee) in cui il batterio sopravvive (anche per anni
nell’ambiente esterno) in uno stato di quiescenza, una forma di resistenza
metabolicamente inattiva. Non è una modalità di riproduzione batterica. Viene
prodotta in risposta a condizioni ambientali avverse; Resiste all’essiccamento, alle
radiazioni gamma e ultraviolette. Sopravvive al calore (anche > 100°C). È coinvolta
nella trasmissione di alcune infezioni umane.. La spora contiene una copia completa
del cromosoma, concentrazioni minime di proteine essenziali e ribosomi, alta
concentrazione di calcio legato all’acido dipicolinico e presenta: una membrana
interna, due strati di peptidoglicano e un rivestimento esterno (coat) proteico simil-
cheratinico. Sporogenesi (6-8 ore) – processo di formazione dell’endospora. In
condizioni ambientali favorevoli (acqua, calore, sostanze nutritive), la spora germina
(90 minuti) liberando la cellula batterica che dallo stato vegetativo può avviarsi ad
uno stato germinativo.

RUOLO DEI MICRORGANISMI NELLE MALATTIE – vedere i postulati di Koch

Infezione x Malattie Infettive


Infezione: contatto con l’agente patogeno. Il sistema immunologico reagisce.
Quando il patogeno supera la resistenza dell’ospite, si ha la malattia infettiva.

MALATTIE INFETTIVE EMERGENTI (EID): Nuove malattie e malattie a maggiore


incidenza

 West Nile encefalite: trasmessa da una zanzara - West Nile Virus


 Ebola febbre emorragica
ES . Virus Ebola - Causa febbre, emorragie e coagulazione del sangue.
 Hantavirus sindrome polmonare. Identificato per la prima volta nel 1951 in
Korea come causa di febbre emorragica
 Sindrome da Immunodeficienza Acquisita (AIDS) - Human immunodeficiency
virus (HIV). Isolato per la prima volta nel 1981.
 Encefalopatia Bovina Spongiforme. Prioni. Inoltre, causa la malattia di
Creutzfeldt- Jakob disease (CJD) è correlata al consumo di frattaglie bovine
contaminate.
 Escherichia coli O57:H7 - Principale causa di diarrea diffusa in tutto il mondo.
 Streptococcus invasivo di gruppo A. La rapida crescita batterica causa un
esteso danno tissutale.
 Antrace- Bacillus anthracis - era la causa eziologica dell’antrace.

L’IMPORTANZA DEI MICRORGANISMI


 causa di malattie che colpiscono il regno vegetale e animale;
 causa di degradazione degli alimenti;
 essenziali per la vita;
 necessari per i cicli geochimici e la fertilizzazione del suolo;
 utilizzati come biomassa e produttori di farmaci e molecole per uso
industriale.

Ruolo dei microrganismi in natura e loro utilizzazione da parte dell’uomo


 Vengono utilizzati come modelli sperimentali per lo studio della genetica
molecolare e della fisiologia cellulare.
 produzione commerciale di antibiotici, farmaci e altre sostanze (vari
aminoacidi ed enzimi);
 produzione di acido acetico e aceto;
 fermentazione lattica del lattosio per la produzione di formaggi e yogurt;
 acido lattico usato anche per conservazione di crauti e nelle salamoie acide;
 Biotecnologie Moderne ed Ingegneria Genetica –
o Biotecnologia, l’uso di microbi per produrre cibi e sostanze chimiche
(sfruttamento dei microbi sin dall’antichità).
o L’ingegneria genetica è una tecnica nuova nelle biotecnologie.
Attraverso l’ingegneria genetica , i batteri ed i funghi possono produrre
una varietà di proteine, tra cui i vaccini ed enzimi. Nelle cellule umane i
geni mancanti o difettivi possono essere sostituiti nella terapia genica.
Batteri geneticamente modificati vengono utilizzati per proteggere i
raccolti dagli insetti e dal congelamento.
 Insetticidi Biologici - Microbi patogeni per gli insetti sono l’alternativa ai
pesticidi chimici in agricoltura e nella trasmissione di infezioni. Le infezioni da
Bacillus thuringiensis sono letali per alcuni insetti, ma innocue per altri
animali, come l’uomo, e per le piante.
 Bioriparatori. I batteri degradano la materia organica dei liquami. I batteri
degradano o detossificano inquinanti come gli olii ed il mercurio

PATOGENESI BATTERICA

INTERAZIONE OSPITE - PARASSITA:


Commensalismo - Convivenza innocua - Relazione simbiotica dove un
organismo, commensale, trae da essa beneficio, mentre l’altro, l’ospite, non ne
viene né danneggiato né favorito. Es. E.coli nel Colon),
Mutualismo (aiuto mutuo), Tipo di relazione dalla quale derivano benefici
reciproci per entrambi i partner e dove i membri sono metabolicamente dipendenti
l’uno dall’altro
Parassitismo (bene di uno a danno dell’altro)

RAPPORTO OSPITE-MICRORGANISMO

CONTAMINAZIONE: l’ospite entra in contato con un microrganismo che


raggiunge, solitamente, le superfici cutanee o mucose. Se il microrganismo trova le
condizioni ideali per il suo metabolismo, comincia a moltiplicarsi e a colonizzare.
COLONIZZAZIONE: la presa di possesso di un distretto superficiale dell’ospite
dove il microrganismo trova condizioni idonee per il proprio insediamento.
INFEZIONE: indica l’insediamento dei microrganismi nell’ospite che
stabiliscono un rapporto di equilibrio con le difese dell’ospite generalmente senza
causare danno, ma lasciando una traccia nel sistema immunitario (memoria
immunologica per un prossimo attacco). Le infezioni sono definite: acute
autolimitanti (ha inizio e fine ben definiti), croniche o persistenti (si prolunga per
tempo) e latenti (es. latenti Herpes. Il virus non va mai più via, e ogni tanto,
specialmente condizioni di stress, si manifesta nuovamente).
MALATTIA: è la moltiplicazione dei microrganismi nell’ospite in grado di
causare danno. Il microrganismo produce dei metaboliti che recano danno all’ospite.
(es difterite – alte vie respiratoria che causa un danno a distanza sul rene- esistono
anche quelli che provocano soltanto danni locali. PATOGENICITA’ è la capacità
d’indurre la malattia, o è la risultante di vari fattori e meccanismi che permettono al
microrganismo patogeno di invadere i tessuti di un organismo e di moltiplicarvisi,
alterando il funzionamento dell’organismo ospite attraverso la produzione di una o
più sostanze tossiche specifiche.
La patogenicità è caratterizzata da:
 fattori e meccanismi di virulenza – meccanismi che i batteri riesce a innescare
una volta che colonizza l’ospite
 carica batterica (numero iniziale di batteri infettanti), quanto più alto i numeri
maggior la capacità patogenica, e molto legata anche alla capacità di replicarsi
del batterio
 stato di salute, in particolare immunitario, dell’ospite.

COLONIZZAZIONE BATTERICA è la sua capacità di invadere e moltiplicarsi - è la


risultante dei meccanismi di virulenza che permettono al batterio di:
 Aderire alle cellule dell’ospite;
 Invadere i tessuti dell’ospite;
 Resistere all’immunità innata ;
 Evadere l’immunità adattiva
 Competere per i nutrienti.

LA PERSISTENZA è la permanenza a tempo indefinito di un microrganismo


nell’ospite in assenza di danni conclamati (latenza clinica). È possibile che si verifichi
una riattivazione del processo infettivo, con il passaggio dallo stato di infezione a
quello di malattia. Ad esempio, il Mycobacterium tuberculosis, a seguito di una
infezione primaria, può persistere per anni in maniera latente e silente
nell’organismo (polmone, linfonodi). La riattivazione e passaggio a malattia potranno
avvenire per una riduzione dell’immunità cellula mediata, evento comune con
l’avanzare dell’età.

PORTATORE è una forma di persistenza che può instaurarsi nell’organismo dopo il


superamento di una malattia. Portatore sano ( ha la presenza del microrganismo
senza sintomi ma può trasmettere) Portatore non sano – quello che sviluppa i
sintomi/malattia

VIE DI ACCESSO AL CORPO UMANO


Le superfici corporee possono essere site d’infezione e di diffusione batterica.
(mucose e cute). I batteri che si trasmettono tramite vettore infettano direttamente
il corrente sanguigno

La maggior parte delle infezioni è causata da patogeni opportunisti facenti parte


della normale flora microbica apatogena dell’individuo (S. aureus, E. coli, Candida
albicans) che scatenano malattia quando, ad esempio, vengono introdotti in un sito
non protetto (circolo ematico, tessuti) , solitamente accade per un eccesso di
proliferazione o una scarsa risposta immunologica

TAPPE DEL PROCESSO INFETTIVO


1. Ingresso
2. Adesione
3. Invasione dei tessuti
4. Diffusione
5. Danno

PATOGENICITÀ - POTERE PATOGENO: è la risultante di vari fattori che permettono


al microrganismo patogeno di invadere e moltiplicarsi con conseguente
danneggiamento dell’organismo.

 fattori di virulenza (VIRULENZA: grado di patogenicità di un batterio)


o carica batterica (numero iniziale di batteri che infettano)
o stato di salute, in particolare immunitario, dell’ospite
o
Batteri senza pili hanno meno
capacità di adesività. L’adesione è
del tipo chiave serratura, per
questo un batterio colonizza un
tessuto piuttosto che l’altro,
perché trovano i posti di adesione.

Ci sono batteri capaci di formare il biofilm – su


superficie inanimate, provocando
contaminazione anche nel caso di cateteri,
protesi…

BIOFILM - Complessa struttura formata da una matrice di materiale capsulare


contenente numerosi batteri che possono colonizzare ed invadere .Un biofilm è una
comunità strutturata di cellule batteriche racchiuse in una matrice polimerica
autoprodotta e adesa ad una superficie inerte o vivente.:
 Zone assai ampie di mucosa, e.g., Psudomonas aeruginosa nella mucosa
respiratoria. Fasce connettivali intermuscolari, e.g., fascite necrotizzante da
alcuni ceppi di Streptococcus pyogenes. Superfici connettivali come le valvole
cardiache, e.g., Streptococchi viridanti. Materiali inerti come fili di sutura e
impianti protesici come cateteri vescicali, protesi vascolari, protesi valvolari
cardiache, shunt artero-venosi, lenti a contatto

I MECCANISMI DI DIFESA DELL’OSPITE:

INFIAMMAZIONE ACUTA Meccanismo di difesa precoce/aspecifica/innata


finalizzato nel contenere l’infezione e prevenirne la diffusione dal sito iniziale. È il
segnale per successive risposte immunitarie specifiche. (e la prima risposta a un
corpo estraneo sia patogeno o no es, catetere, spina sul dito, batterio)

IMMUNITA’ INNATA – è una risposta aspecifica ma immediata – cellule


fagocitarie (neutrofili monociti e macrofagi) – cellule che rilasciano mediatori
infiammatori (basofili, mastociti ed eosinofili), NK, complementi proteici, citochine,
anticorpi

IMMUNITA’ ACQUISITA – naturale o vaccinale

L'immunità acquisita di solito migliora con l'esposizione ripetuta a una data


infezione e comporta:
 cellule presentanti l'antigene (APC) come i macrofagi e le cellule dendritiche;
 la proliferazione di linfociti B antigene-specifici;
 la proliferazione di linfociti T antigene-specifici;
 la produzione di molecole di anticorpi, linfociti T citotossici (CTL) e citochine.

IL COMPLEMENTO - Il sistema complemento è presente nel siero e nei liquidi


interstiziale dei mammiferi ed è costituito da enzimi che si attivano a cascata con la
produzione di fattori che favoriscono la fagocitosi e l’attivazione del processo
infiammatorio locale. Il complemento agisce attraverso:
 Via alternativa attivata dalle strutture batteriche (immunità innata cascata
inizia a c3)
 Via classica attivata tardivamente dai complessi Ag-Ac (via tradizionale parte
da C1)
 Produzione di proteine chemiotattiche e anafilotossine (C3a, C5a)
 Opsonizzazione dei batteri (C3b)
 Eliminazione diretta dei batteri (MAC)
 Attivazione dei linfociti B (C3d)

Dal punto di vista microbiologico il complemento favorisce:


 l’opsonizzazione dei microrganismi per la fagocitosi (è la preparazione del
microrganismo per essere riconosciuto e inglobato dal macrofago) - Le
Opsonine(C3b) si legano ai batteri e facilitano la fagocitosi
 l’uccisione diretta dei microrganismi per lisi
 l’attrazione chemiotattica dei linfociti nei siti di infiammazione e la loro
attivazione (es. il pus)
 Il processamento degli immunocomplessi ( pulizia dei complessi antigeni-
anticorpi)
 L’induzione di risposte anticorpali specifiche mediante aumento della
localizzazione degli antigeni sui linfociti B
 e sulle APC e abbassando la soglia di attivazione dei linfociti B

LA RISPOSTA ANTICORPALE - Gli anticorpi agiscono attraverso:


 Legame a strutture di superficie (pili, acidi tecoici e lipotecoici, capsula)
 Inibizione dell’adesione
 Opsonizzazione dei batteri per la fagocitosi
 Attivazione del complemento
 Eliminazione diretta dei batteri
 Neutralizzazione di tossine ed enzimi tossici es- l’anatossina

FAGOCITOSI E KILLING - è quel processo operato dai leucociti polimorfonucleati, dai


monociti e dai macrofagi che prevede l’attacco, l’ingestione e la distruzione
intracellulare dei batteri

MECCANISMO DELLE TOSSINE

1. Inibizione della sintesi proteica:


Inizia con il Legame della tossina al
recettore, La quale viene
internalizzata per endocitosi. Una
volta dentro la cellula provoca
l’acidificazione dell’endosoma
passa nel citosol dove provoca
ADP-ribosilazione di EF-2
inattivandolo. La morte cellulare è
causata da un blocco della sintesi
proteica ribosomiale. I Bersagli
della tossina sono le cellule cardiache, nervose e renali (tossina pantropa - in
grado di danneggiare qualsiasi cellula in possesso di recettori idonei a fissare
la tossina). Esempio: tossina difterica , tossina di Shiga (dissenteria), E. coli
enteroemorragici, Pseudomonas aeruginosa
2. Iperativazione – la tossina colerica
attraversa la membrana penetrando
nel citosol cellulare. Viene attivata
l’adenilato-ciclasi con conseguente
iperproduzione di AMP-ciclico. Gli
Effetti sono: alterazione del
passaggio di acqua ed elettroliti
attraverso la membrana
dell’enterocita e conseguente
perdita di acqua nel lume intestinale
portando a conseguente diarrea e
disidratazione dell’organismo.
3. Effetti sulla trasmissione neuro
muscolare - Clostridium tetani -
bacillo di piccole dimensioni,
mobile, sporigeno, NON capsulato,
Gram + (a volte Gram -), le spore
sono in posizione terminale,
rotonde (forma a “mazza di
tamburo”). A differenza di altri
clostridi, C. tetani difficilmente
cresce in laboratorio perché, come stretto anaerobio, non tollera la presenza
di ossigeno. IL C. Tetani produce la tetanospamina che Agisce a livello del SNC
bloccando l’impulso nervoso
inibitore del riflesso da stiramento
muscolare (GABA),per cui ad ogni
contrazione muscolare segue la
contrazione dei muscoli
antagonisti con una contrattura
spastica di tutta la muscolatura
che si traduce nell’incapacità
funzionale della stessa
muscolatura (paralisi spastica). Il
C. botulinum invece rilascia una tossina che si instaura nella membrana pré
sinaptica impedendo il rilascio dei neurotrasmettitori bloccando ogni stimolo
eccitatorio. Il muscolo rimane perennemente rilassato.

4. Altri mecanismi: Inibizione dell’opsonizzazione (proteina A di S. aureus),


Inibizione della chemiotassi, Uccisione dei fagociti (S.Aureus). Inibizione della
fagocitosi (capsula del streptococcus pneumoniae). Inibizione della azione di
fusione lisosomiale (pos fagocitosi) (M. tuberculosis). Elusione dei lisosomi e
moltiplicazione nel citoplasma. Resistenza all’azione antibatterica
lisosomiale e moltipicazione nella cellula (Salmonella)

MECCANISMI DI PATOGENESI BATTERICA: le tappe del processo infettivo


PATOGENI
EPIDEMIA
 Persone sane
 Malattie da patogeni stretti: tubercolosi, gonorrea, tularemia (o
febbre da zecca da Francisella tularensis), malaria

INFEZIONI OPPORTUNISTE

 Pazienti immunocompromessi (ossia debilitato immunologicamente anche


temporaneamente)
 Batteri facenti parte della:
o Flora Normale: Pelle (Staphylococcus aureus,S. epidermidis,
Propionibacterium acnes). Intestino (Bacteroides – rande quantità,
Enterobacteriaceae - piccola quantità
o Ambiente (aria, acqua, cibo suolo)

INFEZIONI OPPORTUNISTI IN OSPEDALE (Nosocomiali)


 Esempio: l’ospedalizzazione può portare alla sostituzione di normali
microrganismi avirulenti dell’orofaringe con bacilli gram negativi
(Klebsiella e Pseudomonas species) che possono causare polmoniti. (Per
infezione acquisita in Ospedale si definisce un’infezione contratta
durante il ricovero in ospedale, che non era manifesta clinicamente né
in incubazione al momento dell’ammissione, ma che compare durante
o dopo il ricovero Si manifestano in genere dopo 48 dal ricovero
durante la degenza stessa o dopo le dimissioni

LA PATOGENICITÀ:

LA COLONIZZAZIONE BATTERICA NELL’OSPITE (capacità di invadere e


moltiplicarsi) è la risultante dei meccanismi di virulenza che permettono al batterio
di:

 Aderire alle cellule dell’ospite;


 Invadere i tessuti dell’ospite;
 Resistere all’immunità innata ;
 Evadere l’immunità adattiva
 Competere per i nutrienti esempio con altri batteri della flora intestinale.

DUE MECCANISMI DI PENETRAZIONE

 Distruzione del tessuto connettivo attraverso la produzione di esoenzimi.


Aiuta la disseminazione del batterio. Esempi: Ialuronidasi: idrolisa gli acidi
ialuronici, i mucopolisaccaridi presenti nella matrice acellulare del conettivo
(S. aureus). Pneumolisina: del s. penumoniae distrugge le cellule epiteliali
ciliate del polmone. Mucinasi – degrada la mucosa gastrica (H.Pylori)
 Meccanismi invasivi che consentono di penetrare direttamente nelle cellule
dell’epitelio (utilizzati anche per penetrare nei fagociti professionali)

I Sistemi di Secrezione - Sistemi batterici in grado di iniettare all’interno


della cellula ospite molecole tossiche

TAPPE DEL PROCESSO INFETTIVO

DIFFUSIONE - Il superamento delle barriere epiteliali comporta la


penetrazione nei tessuti sub epiteliali e, per alcuni batteri, il raggiungimento dei
linfonodi, il passaggio nel circolo linfatico e quindi nel circolo ematico. Nel processo
di diffusione il batterio deve necessariamente sviluppare meccanismi di evasione
delle difese dell’ospite

Batteriemia: quando batteri responsabili di processi morbosi localizzati


(polmoniti, enteriti) invadono, anche se transitoriamente, il sangue. (puo essere
asintomatico)
Setticemia: quando si instaura una costante e massiccia presenza di batteri in
circolo (e loro prodotti tossici). Implica la disseminazione del batterio in tutto
l’organismo o diversi altri organi

BENEFICI DELLA FLORA NORMALE


 Sintesi ed escrezione di vitamine
 Previene la colonizzazione di agenti patogeni
 può antagonizzare/combattere altri batteri
 stimola lo sviluppo di certi tessuti
 stimola la produzione di anticorpi a reattività crociata (Le reazioni crociate
avvengono quando gli anticorpi di uno specifico allergene riconoscono e
inducono reazioni immunitarie di tipo allergico a fronte di un allergene
proveniente da un'altra specie. La reattività crociata si manifesta anche con
vie d'esposizione diverse. Sono rilevanti e comuni le allergie crociate tra
allergeni inalati (pollini) e ingeriti (cibi) o tra quelli a contatto cutaneo (lattice,
gomma naturale).

LE CAUSE PIU COMUNI DI INFEZIONI PURULENTE DEL SNC

o MENINGITE - infezione da forte risposta infiammatoria localizzata nello


spazio sub-aracnoideo. Vie di accesso: plessi coroidei, seni venosi durali,
piastra cribiforme, capillari cerebrali La meningite batterica è l’infezione
più comune e rilevante SNC; può presentare una progressione rapida e
portare a debilitazione permanente o morte.

o Condizioni particolari:
 Meningiti o ascessi intracranici associati a traumi, interventi
chirurgici o presenza di corpi estranei. Es: S. Aureus, batteri
anaerobi
 Ascessi intracranici non associati con traumi o interventi
chirurgici esempio: streptococchi microaerofili e anaerobi

PATOGENESI DELLA MENINGITE BATTERICA (O SETTICA)


APPROFONDIMENTO:. Meningite batterica o settica è causata da un’ampia varietà
di batteri; si presenta in forma più rara ma severa, con sequele gravi e conseguenze
anche fatali. I batteri, i quali sono più frequentemente causa di meningite, sono:
Haemophilus influenzae tipo b, Streptococcus pneumoniae, Neisseria meningitidis,
Listeria, Streptococchi Gruppo B. Meningiti asettiche: da virus, miceti o
mycobacterium tuberculosis. Meningite virale, nota anche come meningite asettica,
è quella più comune: solitamente si presenta in forma meno seria rispetto alla
batterica. Meningite fungina: colpisce in particolare pazienti immunocompromessi e
si presenta spesso associata all’AIDS. Sono meningiti provocate da particolari tipi di
funghi come il Crypttococcus neofformans. Meningite parassitaria o Amoebica: è
una forma rara e molto grave di meningite, spesso fatale. Può essere determinata
dalle specie Acanthamoeba, Balamuthia e Naeleria. Le principali modalità di
diffusione sono: 1 . Ematogena: il germe colonizza le mucose, penetra e si diffonde
nel torrente circolatorio, raggiunge e penetra la barriera emato-encefalica,
diffondendo e moltiplicandosi nel liquor. 2 . Contiguità: tramite la lamina cribrosa
dell’etmoide (lungo la guaina del nervo olfattivo, attraverso i vasi) per contiguità
delle vie aeree superiori; oppure per contiguità da infezioni cerebrali, ascessi,
infezioni ossee (otomastoiditi) o dai seni venosi (tromboflebiti). 3. Introduzione
diretta: dopo rachicentesi, ferite penetranti, fratture ossee, interventi
neurochirurgici. Complicanze: La meningite batterica conserva una letalità elevata
(5-10%) e, nel 10-20% di coloro che sopravvivono, può determinare sequele
permanenti, come perdita dell’udito, disturbi della parola, della vista, danni
cerebrali, con ritardo mentale e paralisi. Tra le complicazioni, in particolare per
quelle che seguono l’infezione da meningococco, possono esserci danni ai reni e alle
ghiandole surrenali, con conseguenti squilibri ormonali.

BRONCHITI - infiammazione della mucosa bronchiale. Esempi agenti


patogeni: Bordetella pertussis, Haemophilus influenzae, Moraxella catharralis,
Streptococcus pneumoniae

POLMONITI – Infezione parenchima polmonare


Polmonite acuta - si instaura in poche ore o giorni. Riempimento alveoli
con liquido essudatizio e cellule infiammatorie). Esempi agenti patogeni:
Staphylococcus aureus, Haemophilus influenzae, Pseudomonas aeruginosa,
Streptococcus pneumoniae
Polmonite pneumococcica- Primo stadio: gli alveoli si riempiono di
liquido sieroso che funge da terreno di coltura dei batteri per una rapida crescita e
diffusione agli alveoli circostanti. Altera gli scambi gassosi del polmone. Secondo
stadio: consolidazione della patologia, gli alveoli sono infiltrati da neutrofili
richiamati da segnali chemiotattici di origine batterica. Terzo stadio o
consolidazione tardiva della polmonite in cui i neutrofili hanno eliminato la maggior
parte dei batteri. Quarto stadio o risoluzione in cui i neutrofili sono sostituiti dai
macrofagi i quali eliminano il restante processo infiammatorio. L’architettura del
polmone non viene alterata come nelle polmoniti da gram negativi o anaerobi in
cui si sviluppa necrosi polmonare sostituita da processi fibrotici.
Polmonite cronica - può durare settimane o mesi. Distruzione del
parenchima con formazione di ascessi o cavità. Agenti patogeni: Mycobacterium
tuberculosis o Cryptococcus neoformans (fungo)

INFEZIONI APPARATO GASTROENTERICO - Le infezioni gastrointestinali sono


infezioni virali, batteriche o parassitarie che causano la gastroenterite,
un'infiammazione del tratto gastrointestinale che coinvolge sia lo stomaco sia
l'intestino tenue. I sintomi includono diarrea, vomito e dolore addominale. Quadri
clinico-patologici
 Ulcera peptidica e gastrite cronica: Helicobacter pylori
 Diarrea: Vibrio cholerae, EPEC, ETEC, Salmonella spp.,
 Sindrome dissenterica: Shigella spp.,EIEC, EHEC, Salmonella spp., Yersinia
enterocolitica, Campylobacter, Clostridium difficile
 Febbre enterica o tifoide: Salmonella


INFEZIONI DEL CUORE
ENDOCARDITE INFETTIVA: infezione delle strutture endocardiche sia valvolari
che murali (rispettivamente i lembi valvolari e le pareti delle cavità cardiache. Molto
difficile da eradicare – formano delle vere colonie . Partenza dal torrente
circolatorio). Es: Cocchi gram positivi: S. aureus, S. epidermidis, streptococchi
viridanti
Vie seguite dai microrganismi nelle infezioni intravasali:
1. Microrganismi presenti
sulla cute (flora cutanea
normale, sorgente
estrinseche (personale
sanitario), ferite
penetranti
2. Contaminazione del
perfusato o della guida
del catetere (fluidi o
farmaci, sorgente
estrinseche (personale
sanitario), flora endogena (es della cute)
3. Contaminazione del dispositivo prima dell’inserimento, di solito di origine
estrinseca
Adesione degli stafilococchi alle srutture valvolari cardiache
 Clamping factors (Clf):proteine leganti il fibrinogeno
 Collagen binding proteins (Cbp):proteine leganti il collagene
INFEZIONI DELL’APPARATO GENITO- URINARIO - Infezioni endogene (che originano
dai batteri dello stesso paziente) es: Actinomyces, Bacteroides fragilis,
Enterococcus, E. coli, Klebsiella pneumoniae, Morganella.

Principali determinanti di patogencicità di Escherichia coli uropatogeno

MECCANISMI PATOGENI E.COLI


Attacco all’epitelio Urogenitale con pili di tipo 1. Questo legame stimola vie di
segnalazione Sconosciute che mediano l'invasione e l'apoptosi. Il legame
all’integrina α3β1 media L'internalizzazione dei
batteri nelle cellule superficiali per formare comunità batteriche intracellulari.
Concentrazioni sublitiche della tossina formante pori, emolisina A (hlya), possono
inibire l'attivazione delle proteine Akt e condurre ad apoptosi delle cellule ed
esfoliazione. Questo favorisce l’esposizione e l’ulteriore invasione delle cellule di
transizione, che fungono da serbatoio

GENETICA BATTERICA

MATERIALE GENETICO PRESENTE NELLA CELLULA BATTERICA


1. Cromosoma batterico – materiale genetico costante nel batterico vivente (procarioti – percio
nel citoplasma). DNA doppia elica e circolare.
2. Plasmidi
3. Elementi genetici trasponibili
4. DNA fagico – Dna che viene fagocitato (è un virus dei batteri che puo trasferire materiale
genico da una cellula all’altra)

2. PLASMIDI - Elementi genetici extracromosomici. Stabili con replicazione indipendente dagli


altri elementi genici. Sono circolari, spiralizzati, DNA lineare o a doppio filamento. Alcuni
plasmidi denominati plasmidi coniugativi possiedono un set di geni (geni tra, da trasferimento) che
sono in grado di promuovere il loro trasferimento in cellule diverse (trasmissione orizzontale)
attraverso un ponte citoplasmatico. I plasmidi codificano per funzioni non indispensabili alla
sopravvivenza della cellula batterica, ma garantiscono notevoli vantaggi in particolari condizioni di
crescita. Si ripproducono a prescindere del momento di replicazione. Ci possono esserci o no nel
batterio.

Principali funzioni dei plasmidi di interesse medico-


 Coniugazione : Plasmide F, meccanismo di trasferimento genico. Ponte citoplasmatico che
si crea tra due batteri attraverso il quale si scambia il materiale genetico – ossia migrazione
di plasmidi
 Resistenza agli antibiotici: Plasmidi R. Composto dal fattore di trasferimento RTP e
dai determinanti R (Geni resistenza e trasposoni) Diversi caratteristiche di resistenza
possono essere trasmesse tali:
o degradazione enzimatica (e.g. penicillina)
o modificazioni enzimatiche (e.g. cloramfenicolo)
o alterata permeabilità (e.g. tetracicline) -mutamento membrane esterne
o alterazione del target (e.g. streptomicine) – ai quali gli antibiotici si legano
o via metabolica alternativa (e.g. sulfamidici)
 Virulenza: fattori di invasione, produzione tossine e colicine (colicina è un Antibiotico
prodotto da alcuni batteri intestinali e attivo in modo assai specifico verso altri ceppi dello
stesso tipo batterico. Le c. si comportano da antigeni e la loro attività antibatterica è distrutta
dagli enzimi proteolitici.).
 Metabolismo e Catabolismo: e.g., produzione di siderofori (molecola con elevata affinità
per il ferro)

3. ELEMENTI GENETICI TRASPONIBILI

o Definizione: Segmenti di DNA mobili in grado di traslocare nell’ambito della stessa cellula
(spesso assimilati dall’ambiente esterno, e non si replicano)
o Proprietà
o Movimenti “Random”
o Non capaci di auto-replicazione
o Transposizione mediata da ricombinazione sito-specifica: Transposasi
o Transposizione può essere accompagnata da duplicazione
o Sequenze di inserzione (IS)
o TRASPOSONI (Tn)
TRASPOSONI (Tn)
o elementi genici mobili piu’ grandi delle IS (superiori alle 2000 coppie di basi)
o oltre ai geni per la propria traslocazione trasportano altri geni
ELEMENTI INVERTIBILI - Elementi genici trasponibili: codificano per un enzima
(DNA-invertasi) che permette di invertire con una rotazione di 180°la posizione
dell’elemento nell’ambito dello stesso sito di inserzione

SCAMBIO GENETICO NELLE CELLULE PROCARIOTE - La maggior parte dei batteri


patogeni possono scambiare materiale genetico andando incontro a fenomeni di ricombinazione
genica omologa e non omologa

DIVISIONE DELLA CELLULA BATTERICA


o La divisione di una cellula batterica in due cellule figlie avviene mediante scissione binaria,
un processo che si realizza attraverso:
o l’estensione della parete
o la replicazione del materiale genetico, costituito nel caso dei batteri da un’unica
molecola circolare di DNA (cromosoma batterico) ancorata alla membrana
citoplasmatica – separazione dei cromosomi
o la formazione del setto – separazione delle due cellule uguali alla originale

LA RICOMBINAZIONE è un processo unidirezionale mediante il quale una porzione di


materiale genetico (DNA) è trasferita da un donatore ad una cellula ricevente che la integra nel suo
cromosoma, attraverso processi di scambio di sequenze omologhe, con acquisizione di nuove
caratteristiche fenotipiche.Il trasferimento di materiale genetico tra 2 cellule batteriche e consiste
nello scambio di porzioni omologhe fra 2 molecole di DNA di 2 differenti batteri.
Può avvenire tramite:

TRE MECCANISMI DI TRASFERIMENTO DI DNA BATTERICO

1. La trasformazione. 2. La coniugazione E 3.La trasduzione fagica

1. TRASFORMAZIONE - acquisizione di nuovi marcatori genetici attraverso


l’incorporazione di DNA esogeno (frammenti di cellule batteriche morte disperse
nell’ambiente). Condizioni necessarie sono:
 La presenza di DNA libero. Il DNA a doppio filamento viene incorporato dalla cellula
batterica ricevente
 Stato di competenza della cellula ricevente.
 La cellula è normalmente impermeabile al DNA, a meno che non si trovi in uno stato di
competenza (formazione di pori transitori nella membrana che permettono il passaggio di
molecole di DNA).
 A questo punto i frammenti di DNA entrano, Uno dei 2 filamenti viene demolito
dall’enzima nucleasi. L’altro filamento si puo appaiare se è presente una regione omologa
sostituendo il filamento batterico (ricombinandosi) o degradarsi (trasformazione non
riuscita)

2. CONIUGAZIONE - Le cellule che possiedono il plasmide F (indicate con F+) sono


donatrici, sono quindi in grado di trasferire il proprio plasmide alle cellule riceventi
(indicate con F−). Il fattore F viene trasmesso grazie alla sintesi, a partire da geni
contenuti sullo stesso plasmide, di piccole estroflessioni, dette pili, che prendono
contatto con una cellula ricevente, avvicinandola e rendendo possibile il passaggio del
materiale genico, che non avviene attraverso il pilo, ma grazie alla formazione di un
ponte di coniugazione; viene trasferito un solo filamento del DNA. Un filamento del
DNA circolare del plasmide viene tagliato e un filamento parentale viene trasferito nella
cellula ricevente. Si attiva quindi nel donatore la replicazione del DNA mediante il
meccanismo a cerchio rotante, che porterà al rimpiazzamento del filamento che è stato
trasferito. Nello stesso tempo, un filamento complementare al filamento donato viene
sintetizzato nel ricevente a completare la molecola di acido nucleico nel ricevente.Key
Words della coniugazione:
• Plasmide F.
• Plasmidi coniugativi
• Geni trache codificano per il pilo

3. TRASDUZIONE FAGICA : Alcuni virus batterici (batteriofagi) possono trasferire


geni batterici da una cellula all’altra. ricombinazione genetica attraverso un’infezione
fagica.

BATTERIOFAGI – sono virus che infettano esclusivamente i


batteri. La struttura generale del fago è composta da: una testa di
forma esagonale per la presenza di un guscio proteico; un collo a
cui è legato il corpo del batteriofago; una coda retrattile che si
trova all’interno di una piastra nella parte terminale del corpo e le
fibre (molto importanti per la virulenza del batteriofago).

DUE CICLI DI INFEZIONE e replicazione dei batteriofagi: Il


batteriofago può infettare la cellula batterica seguendo differenti
modalità di replicazione del DNA dalla quale dipende anche la tipologia di
trasduzione che può avvenire. Esistono genericamente due tipologie di fagi
(virulenti e temperati) che seguono cicli di replicazione differenti. Il batteriofago
virulento segue il ciclo litico ovvero dopo la penetrazione del DNA virale
all'interno del batterio, inizia la propria replicazione utilizzando le strutture
biosintetiche della cellula infettata provocandone la lisi cioè la rottura e liberando
la progenie di fagi.
Il batteriofago temperato invece segue il ciclo lisogeno o lisogenico ovvero
una volta che il DNA virale penetra nella cellula batterica, non ne provoca la
lisi ma integra il proprio DNA con quello del batterio divenendo un profago
e inducendo la replicazione e la lisi cellulare in un secondo momento .

IMMUNITA’ FAGICA: durante lo stato lisogeno la cellula batterica e’ immune


da infezioni di altri fagi dello stesso tipo del fago integrato.
1 . TRASDUZIONE FAGICA GENERALIZZATA (associata al ciclo litico): La
trasduzione generalizzata è resa possibile a seguito dell’infezione di un batteriofago virulento che si
replica nella cellula batterica
attraverso il ciclo litico.
Durante un normale ciclo
all’interno della cellula
infettata avviene la
frammentazione del
cromosoma batterico di
solito in uno di questi può essere incorporato per sbaglio nel DNA del fago e venire copiato durante
la replicazione del materiale genetico del batteriofago. Pertanto i batteriofagi con il frammento di
DNA batterico incluso risultanti dalla replicazione quando andranno ad infettare una nuova cellula
ospite vi trasferiranno anche il gene prelevato dal batterio infettato in precedenza.

2. TRASDUZIONE FAGICA SPECIALIZZATA (associata al ciclo lisogeno) La


trasduzione ristretta è resa possibile a seguito dell’infezione di un batteriofago temperato che
si replica nella cellula batterica attraverso il ciclo lisogeno. In questo tipo di meccanismo i
batteriofagi che si sono replicati trasferiscono un frammento di cromosoma batterico che
proviene sempre dalla stessa regione (è per questo che viene anche denominata ristretta).
Ciò può avvenire perché durante il distacco del DNA virale da quello del batterio che porta
alla formazione del profago, si manifesta un errore di asportazione di porzioni vicine della
stessa lunghezza del genoma virale. La progenie di batteriofagi avrà quindi annessa al
proprio DNA una parte di DNA batterico che verrà copiata un’altra cellula ospite. Questo
tipo di trasduzione favorisce la comparsa di caratteri che sono propri del batterio donatore.
APPROFONDIMENTO : Il risultato della trasduzione.
A seguito di entrambe le tipologie di trasduzione, sia che si tratti di un fago virulento o di un fago
temperato, il DNA virale della progenie che ne deriva non contiene tutte le informazioni necessarie
ad iniziare un nuovo ciclo vitale in quanto una parte del cromosoma batterico ha preso il posto di
quello fagico che risulta quindi essere mancante. Ciò consente al batterio infettato di non andare
incontro alla lisi ma di trarre vantaggio dai geni che il fago ha precedentemente incorporato
sviluppando nuovi caratteri che riguardino ad esempio la resistenza agli antibiotici.
Riassumendo
I batteri possono scambiarsi informazioni attraverso meccanismi che chiamiamo di ricombinazione
genetica. Questi meccanismi sono importanti perché influenzano l’evoluzione delle malattie. La
trasduzione è uno di questi meccanismi ed è operata dai batteriofagi. I batteriofagi o fagi sono
virus che infettano solo ed esclusivamente cellule batterichi. Il batteriofago infetta le cellule ospiti
agganciando le fibre ai recettori presenti sulla superficie del batterio e con la coda retrattile
rilascia il proprio materiale genetico all'interno della cellula da infettare. I batteriofagi sono di
due tipologie : virulenti o temperati. I fagi virulenti seguono il ciclo litico cioè a seguito di
replicazione nella cellula ospite si libera la progenie provocando lisi
Cellulare. I fagi temperati seguono il ciclo lisogeno o lisogenico cioè integrano il materiale
genetico virale a quello batterico prima di iniziare l’attività replicativa e tramite induzione lisare
la cellula ospite. La trasduzione dipende dal tipo di batteriofago che infetta la cellula e quindi
dalla modalità replicativa di quest'ultimo.
La trasduzione generalizzata avviene per via di batteriofagi virulenti che seguono il ciclo litico. In
sostanza, per un errore durante la replicazione viene impacchettato un frammento di cromosoma
batterico. La trasduzione specializzata o ristretta avviene per via di batteriofagi temperati che
seguono il ciclo lisogeno. Durante la
formazione del profago viene copiata una sequenza specifica di materiale genetico batterico che
quindi prenderà il posto di quella virale. Entrambe le tipologie di trasduzione danno come effetto
l’impossibilità della progenie di fagi di replicarsi poiché manca una parte del proprio materiale
genetico che è stato sostituito da quello batterico. I batteri traggono vantaggio da questi errori
durante la replicazione dei fagi poiché non possono essere lisati e acquisiscono nuovi caratteri
portati dal batteriofago difettivo.

SIGNIFICATO DELLA LISOGENIA

CONVERSIONE FAGICA: batteri che assumono nuovi caratteri fenotipici quando vengono
lisogenati con un profago ricombinato (contenti geni di origine batterica).
ESEMPI DI CONVERSIONE FAGICA:
 La trasformazione di batteri avirulenti in batteri produttori di tossine, eg. Corynebacterium
diphtheriae (fago beta con proteina Tox)
 Amplia il corredo di tossine batteriche, eg.Clostridium botulinum ( almeno due delle sette
tossine botuliniche), Streptococcus pyogenes (alcune tossine pirogene).
 Modificazioni antigeniche che si riscontrano in alcune salmonelle, shigelle ed altri batteri
 In una singola cellula batterica possono essere presenti più di 500 virus

 L’ordine di grandezza dei virus è tra 10^-8 e 10^-7 – perciò sono visibili
soltanto con microscopio elettronico

Origine dei virus – Teorie su come sono divenuti entità Unico. Il requisito assoluto è
la presenza di acido nucleico e origine della replicazione

 Teoria REGRESSIVA - forme di degenerazione verso il parassitismo


endocellulare. Alcuni batteri (rickettsie e chlamydie) hanno evoluto in questa
direzione. Anche mitocondri e cloroplasti possono essere derivati da
fenomeni di parassitismo endocellulare. Ma i virus non hanno i propri rRNA e
ribosomi

 Teoria PROGRESSIVA . Componenti di RNA e DNA cellulare evoluti verso


autonomia: Virus a DNA evoluti da plasmidi o da elementi trasponibili. Virus a
RNA evoluti da mRNA. Retrovirus evoluti da retrotrasposoni. Informazione
genetica divenuta capace di codificare proteine di rivestimento
Un’ipotetica molecola di RNA che può catalizzare la propria sintesi??
La vita necessita l’autocatalisi
 L’origine della vita richiede delle molecole che abbiano la capacità di
catalizzare la produzione di ulteriori molecole uguali ad esse.
Quali molecole hanno proprietà autocatalitiche?
 Il miglior candidato sono le proteine ma le proteine non hanno proprietà
autocatalitiche, cioè non possono riprodursi direttamente da sole
 RNA ha la proprietà sia di conservare l’informazione sia di catalizzare
reazioni. Le robosime sono molecole di RNA con atività catalitica

PROPRIETÀ DISTINTIVE DEI VIRUS:


• Agenti patogeni estremamente piccoli capaci di infettare cellule animali,
vegetali e batteriche (fago).
• VIRIONI particelle virali complete, di dimensioni estremamente modeste
10 300 nm). Parassiti endocellulari obbligati perché possono replicarsi
soltanto all’interno di cellule viventi essi non sono in grado di produrre e di
immagazzinare energia né di provvedere alla replicazione delle proprie
unità costitutive. Sono caratterizzati da una organizzazione strutturale
estremamente semplice. Possiedono modalità di replicazione peculiari.
Sono caratterizzati da elevati tassi di replicazione. Sono interessati dal
fenomeno della mutazione
• I virus rappresentano la forma vivente “più semplice”, ma non per questo
meno “inteligenti”
• Non hanno una compartimentazione di tipo cellulare. Sono dei semplici
aggregati macromolecolari forniti di, ed in grado di trasferire, informazioni
genetiche.
• Alcuni agenti infettanti subvirali ( sono costituiti esclusivamente da
materiale genetico ( privo di un involucro proteico Altri, i prioni, sarebbero
costituiti da soli frammenti glicoproteici autoreplicanti, privi di acido
nucleico
• Alcuni di essi colpiscono il sistema nervoso, determinando malattie mortali
tutt’oggi incurabili (kuru, scrapie, malattia di Creutzfeldt Jacob)
• Sono al limite tra forma
vivente e non vivente
• Sopravvivono un
tempo limitato (pochi
minuti o alcuni giorni, a
seconda del tipo virale)
nell’ambiente
extracellulare, senza
mai replicarsi fuori
dalle cellule
• Come parassiti intracellulari obbligati, i virus necessitano non solo degli
elementi nutritivi prodotti dalle cellule ospiti, ma soprattutto dei sistemi di
trascrizione e traduzione di tali cellule. Contengono enzimi propri
indispensabili per il ciclo replicativo ( proteasi, ecc). Tutti gli altri enzimi
sono resi disponibili dalla cellula ospite
• I virus attraversano i comuni filtri, sono invisibili al microscopio ottico (con
l’eccezione di virus estremamente grandi, quali i poxvirus), ma visibili al
microscopio elettronico (meglio a trasmissione).
• Determinano spesso, nelle cellule infettate, la presenza di corpi inclusi
intranucleari o citoplasmatici.
• Sono coltivabili in vitro in cellule isolate da organismi, o in batteri (a
seconda del tipo virale). Alcuni possono essere coltivabili con facilità in
uova embrionate (es Orthomyxovirus, Paramyxovirus)
• Hanno resistenza variabile al pH. Questo regola la loro patogenicità.
o es rhinovirus sono distrutti a pH 3 (pH gastrico di circa 1 e pertanto
sono non patogeni per l’apparato gastrointestinale-
o es altri picornavirus sono resistenti al pH gastrico e sono pertanto
patogeni (enterovirus)
• I virus rappresentano un sistema altamente sofisticato di trasferimento
genetico da cellula a cellula. Tramite i virus, e’ possibile modificare il
corredo genetico (e quindi fenotipico) di una cellula, favorendone, quindi,
l’acquisizione di nuovi caratteri. Data questa loro caratteristica naturale,
sono usati, nella manipolazione genetica come vettori finalizzati al
trasferimento di nuovi caratteri a cellule infettabili da un determinato virus
( lentivirus, adenovirus,AAV, herpesvirus)
• Sono concentrabili in vitro solo con l’uso delle ultracentrifughe 20 000
rpm). La ultracentrifugazione su gradiente di densità permette di separare
particelle virali della stessa specie virale, ma aventi densità leggermente
diversa a causa di quantità diverse di proteine o di acido nucleico presente
• L’esame al microscopio elettronico permette sia la conta delle particelle
virali, sia la loro caratterizzazione morfologica
• I VIRUS SONO INSENSIBILI AGLI ANTIBIOTICI

CRITERI PER LA DENOMINAZIONE DEI VIRUS - In genere sulla base delle


informazioni disponibili al momento della prima caratterizzazione
1.Malattia associata (es virus del morbillo, dell’influenza, della poliomielite
o tipo di lesione (pox ::“ vaiolo)
2. Citopatologia associata (es Respiratory Syncytial virus, Cytomegalovirus)
3. Caratteristiche strutturali (es Parvovirus, Picornavirus, Arenavirus,
Astrovirus, Filovirus)
4. Distretto anatomico di isolamento (es Adenovirus, Enterovirus,
Rhinovirus
5. Luogo di isolamento (es Rift Valley Fever virus, Marburg, Norwalk)
6. Nome dei ricercatori che lo hanno identificato (es virus di Epstein Barr,
sarcoma di Rous)
7. Iniziali dei pazienti da cui è stato isolato JCV e BKV
8. Iniziali delle università che hanno isolato i nuovi virus KI (Karolinska
Institut) e WU (Washington University)
9. Caratteristiche biochimiche (es Retrovirus, Hepadnavirus)

CLASSIFICAZIONE VIRALE - Si basa su criteri morfologici, strutturali, chimici e


replicativi forma, dimensioni, tipo e struttura del genoma, strategia replicativa. In
base a queste caratteristiche i virus vengono suddivisi In :
• Ordine (con suffisso virales-
• Famiglie (con suffisso viridae
• Sottofamiglie (generalmente con suffisso virinae
• Generi (con suffisso virus
• Specie
Ulteriori suddivisioni in sottospecie, tipi, ceppi ecc vengono di volta in volta stabilite
da apposite commissioni per la nomenclatura in base a criteri che risultino via via
accettati.
• L’attuale classificazione si basa:
o sul tipo di genoma (DNA o RNA) e la sua configurazione (mono o
bicatenario, lineare o circolare, monofilamento o segmentato, a
polarità positiva o negativa)
o sul tipo di simmetria ( elicoidale, complessa)
o sulla presenza o meno di involucro pericapsidico
o sul meccanismo di replicazione omologia di sequenza
Molti virus non sono stati ancora classificati oppure lo sono solo provvisoriamente.
Per alcuni agenti non è ancora stata accertata la natura virale (es gli agenti delle
encefaliti spongiformi dell’uomo e di vari animali).
CLASSIFICAZIONE BASATA SULLA SEQUENZA NUCLEOTIDICA
•Basata sulla di identità delle sequenze genomiche
•Consente la costruzione di un albero filogenetico
•Consente una comprensione migliore della relazione filogenetica tra gli
ordini inferiori
IL SISTEMA DI CLASSIFICAZIONE BALTIMORE
• Si basa sul contenuto genetico del virus e sulla sua strategia replicativa
• Si basa sulla centralità dell’RNA a polarità positiva
• Si basa sul concetto che ogni virus produce un mRNA o RNA senso (polarità
positiva)
CARATTERISTICHE E MECCANISMI D’AZIONE DEGLI ANTIBIOTICI
Cambiamento nella popolazione batterica - Cause della riemergenza di nuovi
patogeni:
 -Cambiamenti ambientali
 -Aumentato numero di pazienti immunodepressi
 -Resistenza intrinseca delle specie microbiche coinvolte

DEFINIZIONE DI ANTIBIOTICO
 Molecola naturale (in senso stretto) o di sintesi (chemioterapico), metabolita
secondario prodotto da batteri (Eubatteri-10%, Actinomices- 70%) e funghi
(20%) capace di ucciderne altri. Dal greco “contro la vita”. I batteri in grado di
produrli, quando il substrato è esaurito, per sopravvivere e differenziare
nuove strutture cellulari specializzate producono antibiotici, in grado di inibire
la crescita di microrganismi attivamente metabolizzanti
 Esempio antibiotici naturali: penicillina e streptomicina
 Esempio antibiotici di sintesi : Nitrofurantoina, sulfamidici e acido nalidixico

CARATTERISTICHE ANTIBIOTICHE: TIPO DI AZIONE


 Batteriostatici: Bloccano la riproduzione batterica impedendone la divisione
per scissione . esempi: beta lattamici, chinoloni, glicopeptidi, aminoglicosidi,
sulfamidici + trimethoprim
 Battericidi: uccidono direttamente il microrganismo: Macrolidi, tetracicline,
nitrofurani, sulfamidici, trimethoprim

SPETTRO D’AZIONE
 Ampio spettro: attivo verso Gram positivi e Gram negativi
 Medio: attivo verso Gram positivi e alcuni Gram negativi
 Ristretto: attivo verso Gram positivi o Bersagli dell’attività antibiotica

MECCANISMI D’AZIONE
 Inibizione della sintesi della parete cellulare
 Inibizione della sintesi proteica
 Inibizione della replicazione e trascrizione acidi nucleici
 Antibiotici che agiscono come metaboliti
ANTIBIOTICI CON AZIONE A LIVELLO DELLA PARETE: beta LATTAMICI
penicillina e cefalosporina hanno l’anello betalattamico in comune

PARETE CELLULARE COME BERSAGLIO ANTIBIOTICO – antibiotici battericidi


 Le transpeptidasi (enzimi) sono una famiglia di proteine (PBP-penicellin
binding protein) responsabili della formazione di legami crociati che si
formano per rafforzare il peptidoglicano. I BETA lattamici sono inibitori delle
transpeptidasi e ne impediscono la loro azione impedendo la sintesi del
peptidoglicano.

PENICILLINE: Antibiotici battericidi. Ogni penicillina ha un’affinità selettiva per una


o più PBP, Con blocco della sintesi del peptidoglicano e lisi della cellula batterica 2
TIPI DI PENICILLINE
 Naturali cioè estrattive –
o Penicillina G: attiva principalmente contro G+ (Corynebacterium,
Listeria, anaerobi e spirochete) e contro G- (Neisserie spp). La maggior
parte dei G- è insensibile per via della difficoltà di penetrazione nella
parete, sia per la presenza di BETA lattamasi endogene come enzimi
costitutivi. Inattiva contro M. tubercolosis
o Somministrazione per via parenterale (endovena/intramuscolare…)
 Semisintetiche (aggiunta di catene laterali in posizione 6).
o Penicilline beta lattamasi (è una protezione del batterio contro
l’attacco della penicillina) resistenti: Meticillina.
 Spettro: Stafilococchi non MR, Streptococchi, Neisserie,
Clostridium.
 Emivita: renale, breve,
 somministrazione parenterale, dolorosa.
 Resistenza legata alla sintesi di nuove PBP “A” con scarsa affinità
per meticillina
o Oxacillina: inizialmente sintetizzate come penicilline anti-
stafilococciche, impiego limitato da bassa attività e meticillino-
resistenza. Somministrazione orale
o Altre penicilline semisintetiche:
 Amminopenicilline (ampicillina e amoxicillina)
 Ampio spettro d’azione (gastro-resistenti) anche se
Pseudomonas, Proteus e Klebsiella sono resistenti.
 Buona diffusione nel liquor e nei tessuti
 Ampicilline associate a inibitori delle beta lattamasi
(acidoclavulanico e sulbactam) quali tazobactam
 Hanno spettro più ampio che comprende Klebsiella,
Proteus vulgaris, Stafilococco spp, Moraxella produttori di
beta lattamasi
 Carbossipenicilline: spettro d’azione verso i G- anche se sono
resistenti Acinetobacter, Serratia, Pseudomonas, Providencia
stuartii
 Somministrazione parenterale, picchi ematici elevati ed
emivita breve
 Ureidopenicilline (piperacillina): spiccata attività verso
Pseudomonas aeruginosa e G- Somministrazione parenterale

INDICAZIONE CLINICO TERAPEUTICA - La terapia deve essere rapportata al tipo di


patogeno e al suo antibiogramma

 Angina streptococcica - penicillina


 Polmonite pneumococcica - penicillina e/o cefalosporina III
 Infezioni otorino-laringoiatriche - amoxicillina + acido
clavulanico
 Infezioni urinarie - aminopenicelline, carbossipenicelline,
Ureidopenicilline

CEFALOSPORINE – isolato da micete cephalosporium brotsu (naturale – da un


fungo, le tre generazioni sono di sintesi e hanno seguito le necessita
epidemiologiche)
 Le generazioni si differiscono rispetto al loro spettro d’azione,
e loro capacità di agire su specie diverse

Attualmente si distinguono cinque generazioni;


 prima generazione (cefalotina e cefazolina) hanno una buona
attività contro i molti germi Gram+, ma sono meno efficaci
contro i germi Gram-.
 seconda generazione (fra cui si ricordano cefoxitina,
cefotetan, e cefmetazolo) : un’aumentata attività verso i germi
Gram-.

 terza generazione (per esempio ceftazidima e


cefoperazone) sono in linea generale meno attive rispetto a quelle
di prima generazione per quanto concerne i germi Gram+, ma
hanno un’ottima attività nei confronti di alcuni ceppi nei
confronti dei quali le altre cefalosporine non sono efficaci.

 quarta generazione (per esempio il cefepime) si caratterizzano


per uno spettro d’azione molto più esteso rispetto a quello dei
principi attivi di terza generazione.

 quinta generazione (per esempio il ceftobiprolo) sono state


sviluppate per il trattamento di germi resistenti ai principi attivi
appartenenti alle precedenti generazioni.
Peni
nciline non hanno attività nei confronto degli batteri anaerobi, alcune ceflosporine
si!

INDICAZIONI TERAPEUTICHE
 Meningite pediatrica: ceftriaxone
 Infezioni urinarie da patogeni multiresistenti: ceftazidime
 Infezioni respiratorie nosocomiali: cefalo di 3°generazione
ALTRI ANTIBIOTICHE CHE INIBISCONO LA SINTESI DEL PEPTIDOGLICANO
 Fosfomicina
 Cicloserina (Actinomicete)
 Vancomicina (Streptomyces)
 Bacitracina (bacillus subtilis)

GLICOPEPTIDI
 Classe di antibiotici che comprende vancomicina (sin), teicoplanina (dex)
 Inibiscono polimerizzazione del peptidoglicano. Blocca la trasglicolisazione
(allungamento del peptidoglicano)e transpeptidazione (formazione dei legami
peptidici o crociati)
 Somministrazione della vancomicina
o Assorbita solo in minima parte per OS (somministrazione orale); ecco
perché in ambito ospedaliero è somministrata per via ematica.
o Unica eccezione: colite Pseudomembranosa sostenuta da C difficile
somministrata per OS per effetto topico sul colon
o Largo uso clinico: infezione da MRSA, endocarditi da Enterococco spp,
polmoniti da S.pneumoniae
o Effetto comune: sindrome dell’uomo rosso da rilascio di istamina

ANTIBIOTICi CHE AGISCONO SULLE MEMBRANE BATTERICHE: POLIMIXINE


o Attivi solo verso i G- (si legano ai fosfolipidi di membrana
distruggendone le proprietà osmotiche)
o Meccanismo d’azione che altera le strutture cellulari piuttosto che
inibire processi biosintetici (analogo ai disinfettanti)
o Tossiche, uso limitato ai trattamenti topici (perche agiscono su
molecole che sono presente anche nel nostro organismo)

INIBIZIONE DELLA SINTESI DEL DNA: NOVOBIOCINA


 Antibiotico antistafilococcico: tossicità che ne ha limitato l’impiego nella
pratica clinica
 Inattiva la girasi (topoisomerasi II) legandosi alla sub GyrB ( i chinoloni si
legano alla GyrA)

CHINOLONI: acido nalidixico, ciprofloxacina, levofloxacina


 A seconda del loro spettro d'azione e del loro sito d'azione:
 ✓I generazione - attivi contro G- ( infezioni vie urinarie) – Acido nalidixico
 ✓II generazione - attivi contro G- più resistenti (P aeruginosa) –
ciprofloxacina. Vie urinarie e respiratorie basse
 ✓III generazione: attivi contro G+, usati per via sistemica - levofloxacina

AZIONE SULLA REPLICAZIONE DEL DNA CHINOLONI E FLUOROCHINOLONI

MECCANISMO E SPETTRO D’AZIONE DEI CHINOLONI


 Inibizione della replicazione del DNA per inibizione della subunità A della
girasi (topoisomerasi – blocca lo srotolamento del DNA x replicarsi)
 Azione ad Ampio spettro. Comprende:
o Enterobatteri
o Bacilli G-: Haemophilus, Vibrio e Legionella
o Cocchi G-:Neisseria e Moraxella
o Cocchi G+:Stafilococchi, Streptococchi e Pneumococchi

INDICAZIONI CLINICHE
 Infezioni alle vie urinarie
 STD – (sexually transmitted deases MST)
 Prostatiti
 Infezioni gastroenteriche
 Infezioni della cute
 osteomieliti
INIBIZIONE DELLA SINTESI DELL’RNA: RIFAMICINE
 Isolati da Nocardia presente in terreno proveniente dalla Costa azzurra
(laboratori Lepetit a Milano), sono attivi contro G– e G+.
 Rifampicina, introdotta nel 1967 come un’aggiunta alla terapia per M.
tubercolosis insieme all’isoniazide, etambutolo e streptomicina; usata come
profilassi contro l’infezione meningococcica sostenuta da N.meningitidis
 Meccanismo d’azione: blocco trascrizione
 Deriva dal nome di un romanzo che i ricercatori del laboratorio Leptit hanno
dato al campione di terra identificato.
 Franco Parenti (biologo) Scopre teicoplanina (stesso gruppo della rifamicina,
ma anche essa ha una certa tossicità

INIBIZIONE DELLA SINTESI PROTEICA


 Inibitori della subunità 50S (subnunita specifica dei batteri, percio gli
antibiotici sono meno tossici): bloccano il meccanismo di traslocazione dei t-
RNA che portano gli amminoacidi all'interno del ribosoma, impedendo che
passino dal sito di ingresso A, al sito P e quindi al sito di uscita E. Si legano alla
subunità 50s del ribosoma batterico bloccandolo, impedendo così la sintesi
delle proteine.
o macrolidi, cloramfenicolo e lincosamidi
 Inibitori della subunità 30S - Si legano alla sub unità 30S, subito dopo il
legame del mRNA Impedendo l’attacco dell’aminoacil tRNA a livello del
Codone iniziatore: blocco forma zione polisoma
o Tetracicline ed aminoglicosidi (possono essere ottotocici – attacano il
nervo accustico)
Vedere bene la slide sembra esserci un errore
SPETTRO D’AZIONE
 Tetracicline: antibiotici ad ampio spettro
 Aminoglicosidi: G-, G+, Micobatteri ma non spirochete, micoplasmi, clamidie,
streptococchi e anaerobi obbligati

MACROLIDI
 Origine: naturale ed estrattiva
 Classificati in base al numero di atomi 14-16)
 Meccanismo d’azione: impediscono sintesi proteica
 Effetto post antibiotico

NUOVI ANTIBIOTICI: TIGECICLINA


 Analogo sintetico della tetraciclina
 Primo membro della classe delle glicilcicline
 Sviluppato per crescente presenza di MRSA (L'MRSA è un'infezione batterica
umana provocata da ceppi particolari di Staphylococcus aureus, resistenti agli
antibiotici β-lattamici come le penicilline (meticillina, dicloxacilina, nafcilina,
oxacilina ecc) e le cefalosporine) ed Acinetobacter baumanii MDR (multiple
drug resistante)
 Non ha attività contro Pseudomonas spp e Proteus spp
 Meccanismo d’azione: inibizione della sintesi proteica
COSTI ELEVATI

SCELTA DELL’ANTIBATTERICO MIGLIORE


 Desunta (ricavata) da prove batteriologiche di identificazione dell’agente
eziologico e della sua sensibilità agli antibiotici
 A volte l’antibiotico dato è resistente ® e quindi in grado di moltiplicarsi in
presenza di concentrazioni del farmaco che risultano inibitorie per la massima
parte degli stipiti della stessa specie

ANTIBIOGRAMMA
 Test per la determinazione della sensibilità in vitro di un determinato
batterio isolato ai farmaci antibatterici
o MIC (Minimal Inhibitory Concentration): la concentrazione minima di
antibiotico in grado di inibire la crescita batterica.
o MBC (Minimal Bactericidal Concentration): la più bassa concentrazione
di antibiotico in grado di distruggere i batteri
 Tecniche disponibili
o Determinazione della MIC
 –Metodo delle diluizioni in brodo
 –Metodo delle diluizioni in agar
o Kirby Bauer test (diffusione in agar)
o E test
o Sistemi automatizzati

ATTIVITA’ ANTIBIOTICA
 Sensibile (S): l’infezione sostenuta dal batterio in causa rispondera’ a dosaggi
dell’antibiotico usualmente adottati per quel tipo di infezione e per quella
specie batterica
 Resistente (R): lo stipite batterico non e’ inibito dalle concentrazioni di
antibiotico ottenibili con dosaggi terapeutici
 Intermedio (I): lo stipite potrebbe rispondere a dosaggi particolarmente
elevati di antibiotici
INDICAZIONE PER L’ASSOCIAZIONE ANTIBIOTICA
 Quando sono presenti infezioni miste
 Nel trattamento dell'endorcardite enterococcica con penicillina e
streptomicina. Nel tratamento della meningite Criptococcica con
l’amfotericina B In associazione con la flucitosina.
 Quando c'è un rischio che si sviluppino microrganismi resistenti, per esempio,
isoniazide più pirazinamide rifanpicina nel trattamento della tubercolosi.
 Quanto è auspicabile la più grande copertura antibiotica,(sepsi, meningiti) O
infezione di origine ignota
RESISTENZA ANTIBIOTICA
 Naturale o intrinseca: Immutabile, si manifesta in tutti i ceppi della specie. Di
qualunque batterio produttore antibiotico: hanno un gene che conferisce la
resistenza al loro antibiotico es: Streptomiceti

 Acquisita: favorita dalla velocita’ con cui i batteri duplicano. Dovuta a


mutazioni, trasformazioni, trasduzione e coniugazione
 Resistenza di tipo cromosomico: mutazione spontanea delle
sequenze delle basi nucleiche del cromosoma batterico, stabile e
trasmessa ereditariamente, non indotta dall’antibiotico.
o Costituisce solo il 10-15% di tutte le resistenze acquisite
o Si verifica per mutazione genetica spontanea
o L’antibiotico seleziona i ceppi resistenti
o Gli stessi mutanti possono essere resistenti ad altri antibiotici
con caratteristiche simili
o Si trasmette verticalmente tramite la discendenza
o Può essere multi-step o one-step
 Resistenza extracromosomica
o Costituisce il 90% di tutte le resistenze (alta frequenza di
insorgenza)
o Si origina per acquisizione di nuova informazione
o genetica che deriva da altri microrganismi e che penetra nella
cellula mediante lo scambio di geni presenti su plasmidi o
trasposoni (trasmissione orizzontale) con meccanismi di
coniugazione, trasformazione e traduzione
o Riguarda più antibiotici contemporaneamente (resistenza
multipla- MDR)
o Può essere trasferita anche a microrganismi
o appartenenti a specie differenti (resistenza contagiosa)

RIASSUMENDO
ERA POST ANTIBIOTICA
 Limitazione dell’uso e necessità di rotazione soprattutto in reparti di area
critica
 Aumento di pazienti immunocompromessi che necessitano uso prolungato di
antimicrobici
 Aspettative di vita più lunghe per pazienti cronici
 Aumento dei viaggi e spostamenti internazionali promuovono la migrazione di
resistenze (M. tubercolosis)

RESISTENZE BATTERICHE
 Lo sviluppo di resistenze batteriche è progressivo: la resistenza a carico di una
molecola porta a un passaggio di resistenza all’interno della stessa classe, alle
altre classi, nell’ambiente (MDR)
 Si parla di resistenze acquisite in ambiente ospedaliero e ambito comunitario

PRINCIPALI MECCANISMI DI RESISTENZA AI FARMACI ANTIBATTERICI


 Produzione di enzimi che inattivano il farmaco: beta lattamasi, acetiltrasferasi,
fosfotrasferasi e adeniltrasferasi
 Modificazione del bersaglio del farmaco: esempi
o Modificazione delle PBP (Penicillin Binding Proteins) sono enzimi
essenziali della parete batterica (per es., transpeptidasi,
carbossipeptidasi), che permettono la sintesi del peptidoglicano – di
scarza rilevanza nella resistenza agli antibiotici betalattamici ma molto
importante nella resistenza alla metillicina e agli antibiotici correlati
o Modificazione del dimero DADA della untià basale del peptidoglicano in
DADlattato (antibiotici glicopeptidici: vancomicine e teicoplanina)
 Diminuita permeabilità al farmaco o efficace espulsione del farmaco dalla
cellula: tetracicline (espulsione), aminoglicosidi (es. pseudomonas)
 Perdita di enzimi batterici necessari per la produzione della forma bioattiva
del farmaco (e presumibile instaurarsi di vie metaboliche alternative)

MECCANISMI DI RESISTENZA AI BETA LATTAMICI


 Inattivazione enzimatica dell’antibiotico da BETA Lattamasi (Produzione di
blattamasi da parte dei batteri e conseguente inattivazione BETA lattamici)
 Modificazioni del bersaglio (alterazione delle PBP)
 Diminuita penetrazione dell’antibiotico in cellula
BETA LATTAMASI
 G- inducibili, esocellulari
 G+ inducibili, intracellulari
 Controllo genetico
o Plasmidico: Stafilococchi, Enterobatteriaceae, P. aeruginosa, H.
influenzae e N. gonorrhieae
o Cromosomico: prodotte in piccola quantità dalla maggior parte dei G-,
preferenzialmente attive sulle cefalosporine (cefalosporinasi)

4 FAMIGLIE DI beta LATTAMASI


 Classe A: ESBL a spettro esteso/ristretto - Esempio: La BETA lattamasi TEM1 è
legata ai trasposoni Tn2 e Tn3: comuni nelle Enterobatteriaceae,
Pseudomonas e Recentemente riscontrata in H. influenzae e N. gonorrheae.
o Se un isolato è confermato come ESBL produttore devono essere
riportate come resistenti tutte le penicilline, le cefalosporine (eccetto
cefoxitina) ed aztreonam indipendentemente dal risultato dei test in
vitro .

 Classe B: Zinco  lattamasi


 Classe C: AMPc
 Classe D: plasmidiche di tipo OXA
STAFILOCOCCO AUREUS
 resistenza plasmidica: produzione di un enzima Extracellulare, beta lattamasi
(penicillinasi) che inattiva l’antibiotico rompendo l’anello beta lattamico:
Resistenza alle penicilline sensibili
 resistenza intrinseca: meticillino-resistenza, riguarda tutti i beta lattamici
(cefalosporine incluse) , trasmessa con il gene mecA e modificazione della
PBP2 in PBP2a proteina scarsamente affine ai beta lattamici: Resistenza a tutti
i beta lattamici
 meticilino resistenza – incidenza elevata -La resistenza all’oxacillina è dovuta
all’acquisizione del gene mec A e geni accessori (femA-D, essenziali per
l’espressione degli alti livelli) veicolata da un trasposone codificante per una
nuova PBP2
o Ceppi OXA-R acquisiscono resistenza a: BETA lattamici, Chinoloni,
macrolidi e aminoglicosidi
 Meticillina: penicillina ad alta tossicità; e somministrata solo per via
parenterale
 Oxacillina: penicillina che presenta una maggior stabilità alla degradazione
acida, somministrabile per via orale
 Resistenza anche nei confronti di tutte le penicilline semisintetiche,
aminoglicosidi e chinoloni
 Dati di letteratura documentano la riduzione delle infezioni da S.aureus
meticillino resistente a seguito del lavaggio mani
RESISTENZE AI GLICOPEPTIDI - STAFILOCOCCO AUREUS
o Cromosomico: dovute alla produzione di proteina che crea un
impedimento sterico che blocca l’accesso del glicopeptide al di- peptide
terminale Dala-Dala
o Mediata da Trasposone: formazione di un lattato nell’ ultima alanina
della catena peptidica, impedendo il legame con l’antibiotico
 RESISTENZA ALLA VANCOMICINA: 2 geni sensori rilevano la vanco e ne
attivano altri 3 2 geni sintetizzano per D-Ala-D-lattato, 1 gene distrugge D-Ala-
D-ala nella cellula. Per la produzione di peptidoglicano terminante in D lattato,
sono necessari 5 prodotti genici. La necessità di attivare 5 prodotti genici
differenti per indurre vanco resistenza giustifica un rallentamento nello
sviluppo di ceppi infettivi e altamente resistenti. Motivazione per cui la
resistenza alla penicillina e’ apparsa 2 anni dopo il suo utilizzo mentre quella
alla vancomicina 30 anni dopo

ENTEROCOCCHI VANCOMICINA RESISTENTI


 Van A: elevata resistenza alla vancomicina e teicoplanina
 Van B: sensibile alla teicoplanina e resistenza alla vancomicina (media e basse
concentrazioni)
 Van C: sensibile alla teicolpanina e talvolta resistente alla vancomicina

RESISTENZA ALLE TETRACICLINE


 Diminuita concentrazione dell’antibiotico all’interno della cellula batterica
dovuto a un efflusso attivo attraverso la membrana citoplasmatica promosso
dalla sintesi inducibile di una proteina di membrana (TET) codificata da geni
collocati su plasmidi o trasposoni
 Mutanti di permeabilita’ a livello delle porine di membrana

RESISTENZA AI MACROLIDI: POMPE AD EFFLUSSO


 I comuni batteri usano per espellere le sostanze (molecole
lipofiliche/antibiotici) all’esterno della cellula proteine di membrana ATP
dipendenti
 I geni plasmidici mef condizionano una resistenza crociata per tutti i macrolidi

RESISTENZA AI CARBAPENEMI
 Produzione di carbapenemasi
 Iperproduzione di pompe d’efflusso
 ESBL produttori
 Modifica delle porine di membrana

CLASSE MOLECOLARE DELLE CARBAPENEMASI SULLA BASE DEGLI ENZIMI ESPRESSI


 A Enterobatteri e GNF (KPC)
 B GNF (metallo enzimi che esplicano loro azione in presenza di zinco)
 D Acinetobacter (oxacillinasi)

MECCANISMO DI RESISTENZA DI ACINETOBACTER SPP


 idrolisi degli enzimi: Oxacillinasi, Carbapenemasi di classe D
 Ridotta permeabilità

RUOLO DEL LABORATORIO DI MICROBIOLOGIA


 Consulenza infettivologo-microbiologo
 Osservatorio ospedaliero (CIO) per la sorveglianza delle resistenze
 Isolamento dell’agente eziologico
 Determinazione dell’efficacia in vitro degli antibiotici sul germe isolato
 Monitoraggio della terapia instaurata:
 Terapia ragionata o empirica
 Terapia mirata
Vedere pdf urinocultura / diagnosi batteriologica e materiale prof Grande sul libro

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