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Dott.

ssa Annalucia Carbone

Ricercatore universitario (RTD-A) in Patologia Generale (s.s.d MED/04)

Laboratorio di Medicina Sperimentale e Rigenerativa

Studio: II piano – Blocco Centrale

E-mail: annalucia.carbone@unifg.it
Libri consigliati:

• Kumar, Abbas, Fausto, Aster-Robbins e Cotran-


Robbins Fondamenti di Patologia e Fisiopatologia, ed.
9 – 2013, Edra

• Albi, Ambiesi-Ippombiato, Curcio, Moncharmont,


Palese – Le basi cellulari e molecolari delle malattie –
2018, Idelson

• Mantero, Remuzzi, Raimondi, Alhluwalia –


Fondamenti di ingegneria dei tessuti per la medicina
rigenerativa - 2009
La Patologia studia le cause delle malattie e le
alterazioni a livello cellulare, tissutale e sistemico che
ne derivano, le quali danno origine ai segni e sintomi
nel paziente.

EZIOLOGIA PATOGENESI

PROCESSO PATOLOGICO

CAMBIAMENTI MANIFESTAZIONI
MORFOLOGICI CLINICHE
RISPOSTE CELLULARI A STRESS
E STIMOLI DANNOSI
 Le cellule sane si mantengono in uno stato di
equilibrio detto OMEOSTASI.

 In seguito a stress e/o a stimoli patologici, le


cellule possono andare incontro ad
ADATTAMENTI per mantenere le proprie
funzionalità vitali, raggiungendo un nuovo stato
di equilibrio.

 Quando lo stress supera le capacità di


adattamento o è nocivo, si sviluppano
ALTERAZIONI CELLULARI.

 Tali alterazioni sono REVERSIBILI entro certi


limiti e permettono alla cellula di tornare
all’equilibrio basale.

 Stress gravi e persistenti causano alterazioni


IRREVERSIBILI e MORTE CELLULARE.
Rapporto tra normalità, adattamenti, alterazioni
reversibili e irreversibili e morte.
Il miocardio soggetto a sovraccarico persistente (es. ipertensione o stenosi valvolare) si adatta
sviluppando IPERTROFIA (aumento del volume cellulare e dell’interno organo) per aumentare la
forza contrattile. Se il sovraccarico persiste o se il flusso ematico si riduce (ischemia), il muscolo va
incontro a DANNO REVERSIBILE, in caso di stress lieve e occlusione parziale o transitoria; se
l’occlusione è totale o prolungata, il muscolo va incontro a DANNO IRREVERSIBILE e MORTE
CELLULARE (infarto).

Ischemia

Ipertrofia Necrosi cellulare


Adattamenti cellulari

 Gli ADATTAMENTI sono variazioni reversibili del numero, delle dimensioni, del fenotipo, del
metabolismo e della funzionalità delle cellule, in risposta ad alterazioni ambientali.

 Gli adattamenti FISIOLOGICI sono risposte cellulari a stimoli fisiologici.

 Gli adattamenti PATOLOGICI sono risposte cellulari allo stress, che permettono alle cellule di
modificare struttura e funzione per sopravvivere nel loro ambiente e per sfuggire al danno.
ADATTAMENTI CELLULARI ALLO STRESS
Riguardano tutte le modificazioni reversibili osservate nella dimensione, nel numero, nel fenotipo,
nell’attività metabolica, o in risposta a stimoli ambientali

IPERTROFIA: IPERPLASIA: ATROFIA: METAPLASIA:


aumento aumento del riduzione Sostituzione
delle numero delle delle di un tipo
dimensioni cellule dimensioni cellulare con
delle cellule delle cellule un altro
Ipertrofia

 Indica un aumento di volume cellulare con conseguente aumento di volume dell’organo.

 L’aumento del volume cellulare è dovuto ad una maggiore sintesi di proteine strutturali e di
organelli.

 E’ la risposta adattativa delle cellule che hanno perso la capacità di dividersi (es. fibre
miocardiche).

 Può essere fisiologica o patologica ed è causata da un’aumentata richiesta funzionale, da stimolazione


ormonale o dai fattori di crescita.
Ipertrofia fisiologica da stimolazione ormonale
La massiva crescita dell’utero in gravidanza è dovuta all’azione degli estrogeni: questi legandosi a specifici
recettori presenti sulle cellule muscolari lisce determinano un aumento della sintesi di proteine della
muscolatura liscia e di conseguenza l’aumento delle dimensioni cellulari come risposta adattativa.

A) Utero normale a destra e


gravido asportato per
emorragia post parto a
sinistra
B) Cellule muscolari lisce da
piccole e fusate in un utero
normale
C) a grandi e tonde nell’utero
gravido
Meccanismi dell’ ipertrofiacardiaca
 I meccanismi dell’ipertrofia
cardiaca implicano STIMOLI
MECCANICI (stiramento) e
STIMOLI TROFICI (mediatori
solubili che stimolano la crescita
cellulare come fattori di crescita e
ormoni adrenergici).

 Questi stimoli attivano le vie di


trasduzione del segnale inducendo
l’espressione di geni che
stimolano la produzione di
proteine cellulari (fattori di
crescita e proteine strutturali).

 Aumenta notevolmente la sintesi


di proteine e miofilamenti che,
aumentando la forza contrattile,
consentono alla cellula di far
fronte all’aumentato carico di
lavoro.
Ipertrofia

 L’ipertrofia è associata a una modificazione nell’ espressione delle proteine contrattili dalla forma
adulta a quella fetale o neonatale.

 Nell’ipertrofia muscolare, la catena pesante dell’ alpha-miosina è sostituita da quella della beta-
miosina, che genera una contrazione più lenta e meno dispendiosa dal punto di vista energetico.
Ipertrofia patologica

 L’ipertrofia raggiunge un limite oltre il quale l’aumento della massa muscolare non è in grado di
compensare il carico di lavoro.

 Nel cuore si verificano alterazioni degenerative nelle fibre miocardiche, come frammentazione e perdita
di miofibrille contrattili.

 Il risultato ultimo è lo scompenso cardiaco.

NELLO STRESS PERSISTENTE, L’ADATTAMENTO CELLULARE INIZIALE PROGREDISCE


VERSO ALTERAZIONI FUNZIONALI SIGNIFICATIVE.
Esempio di ipertrofia patologica: miocardio

Possibili fattori limitanti la progressione dell’ipertrofia cardiaca:


1. Insufficiente irrorazione delle fibre ipertrofiche
2. Mitocondri che non riescono a generare abbastanza ATP
3. L’apparato biosintetico non riesce a produrre la giusta quantità di proteine contrattili ed elementi
citoscheletrici
Iperplasia
 Consiste in un aumento del numero di cellule in un tessuto o in un organo risultante in un
accrescimento della massa del tessuto o organo in questione.

 Iperplasia e ipertrofia possono manifestarsi in concomitanza e essere innescati dallo stesso stimolo (es.
crescita dell’utero indotta da estrogeni, nella quale cellule epiteliali e muscolari lisce aumentano in numero
e in dimensione).

 L’iperplasia è una risposta dei tessuti contenenti cellule in grado di replicarsi.

 L’iperplasia può essere fisiologica o patologica: in entrambi i casi la proliferazione è stimolata da fattori di
crescita.
Iperplasia fisiologica

IPERPLASIA ORMONALE: IPERPLASIA COMPENSATORIA:


quando aumentano le capacità quando aumenta la massa tissutale dopo un
funzionali di un tessuto (es. danno o una parziale asportazione del
proliferazione dell’ epitelio tessuto o dell’organo (Epatectomia parziale:
ghiandolare mammario durante la in seguito ad asportazione di un lobo epatico,
pubertà o la gravidanza; utero in le cellule restanti proliferano per riportare in
gravidanza). breve tempo l’organo alla sua dimensione
originaria; con il ripristino della massa epatica,
la proliferazione cellulare cessa).
Iperplasia patologica

IPERSTIMOLAZIONE ORMONALE FATTORI DI CRESCITA


 Iperplasia endometriale: es. dopo il normale  Iperplasia in risposta a infezioni virali, es. da
ciclo mestruale, l’epitelio uterino va incontro a papillomavirus, responsabili della
un picco proliferativo regolato dalla formazione di verruche cutanee e lesioni
stimolazione degli ormoni ipofisari e dagli mucose composte da masse di epitelio
estrogeni ovarici e inibito dal progesterone; un iperplastico. In tali sedi i fattori di crescita
disequilibrio tra ormoni ipofisiari ed estrogeni sintetizzati dai geni virali o da cellule
ovarici (favorenti la proliferazione cellulare) e il infettate stimolano la proliferazione cellulare.
progesterone (che inibisce la crescita cellulare)
comporta iperplasia endometriale che causa  Iperplasia connettivale nella guarigione delle
sanguinamento mestruale patologico. ferite: proliferazione dei fibroblasti e dei vasi,
i fattori di crescita derivano dai globuli
bianchi (leucociti) e dalle cellule della
matrice extra-cellulare.
Meccanismi di iperplasia

IL PROCESSO PROLIFERATIVO È SEMPRE CONTROLLATO: AL CESSARE DELLO


STIMOLO ANCHE L’IPERPLASIA VIENE MENO

 La risposta ai normali meccanismi di controllo distingue l’iperplasia patologica dal cancro,


caratterizzato dalla perdita o dall’alterazione dei meccanismi di controllo della crescita cellulare.

 Spesso l’iperplasia patologica costituisce un terreno fertile per lo sviluppo del cancro: es. le
pazienti con iperplasia endometriale hanno elevato rischio di sviluppare cancro dell’endometrio.
Atrofia

 Riduzione delle dimensioni cellulari causata da perdita del contenuto: le cellule atrofiche hanno
funzionalità ridotta ma non sono morte.

 Se coinvolge un numero elevato di cellule, l’intero tessuto o organo diventa atrofico.

ATROFIA FISIOLOGICA

 In menopausa si verifica perdita di stimolazione ormonale con conseguente atrofia dell’endometrio,


dell’epitelio vaginale e della mammella.
Atrofia patologica
Causa Esempi

Diminuzione del carico di lavoro Atrofia della muscolatura striata degli


arti da immobilizzazione
Perdita di innervazione Atrofia delle fibre muscolari
Diminuzione del flusso sanguigno Atrofia del cervello per aterosclerosi

Inadeguata nutrizione Atrofia delle masse muscolari (cachessia)

Difetti di stimolazione endocrina Atrofia dell’endometrio, epitelio vaginale


e delle mammelle
Compressione di un tessuto Atrofia dei tessuti circostanti un
tumore benigno (per ischemia)
Esempi di Atrofia patologica
Cervello senile Atrofia muscolare

36 anni 82 anni In un contesto di grave


malnutrizione, una volta consumate
In età avanzata il cervello può andare le riserve dai depositi di grasso, si
incontro ad atrofia perché l’aterosclerosi utilizza la muscolatura scheletrica
riduce l’afflusso ematico in quest’area come fonte di energia con
(atrofia senile) conseguente distruzione muscolare
(cachessia)
Atrofia: modificazioni cellulari fondamentali
 La risposta iniziale consiste in una riduzione di volume fino al raggiungimento delle dimensioni
minime delle cellule e degli organelli, in modo da ridurre le necessità metaboliche e permettere la
sopravvivenza della cellula.

 Nel muscolo atrofico le cellule contengono meno mitocondri e meno miofilamenti e una ridotta
quantità di RE.

 Viene raggiunto un nuovo equilibrio adeguando la domanda metabolica cellulare ai minori livelli
di apporto ematico, di nutrizione, di stimolazione trofica.

 Nei tessuti ischemici se l’apporto ematico diventa inadeguato persino a mantenere in vita le cellule
atrofiche, sopravvengono danno e morte cellulare (per apoptosi).

 La morte cellulare per apoptosi contribuisce all’atrofizzazione di organi endocrini in seguito alla cessazione
dello stimolo ormonale.
Meccanismi di Atrofia

 L’atrofia è causata da una ridotta sintesi e da una aumentata degradazione delle proteine nelle cellule.

 La sintesi delle proteine diminuisce a causa della ridotta attività metabolica.

 La degradazione proteica (Sistema ubiquitina-proteosoma) è stimolata dal deficit nutritivo e dal disuso, che
attivano le ligasi dell’ ubiquitina, responsabili del legame di questa alle proteine cellulari marcandole per la
degradazione ad opera dei proteasomi. (via responsabile della proteolisi osservata in molte condizioni
cataboliche, compresa la cachessia neoplastica).

 In molti casi, l’atrofia si accompagna ad un aumento dell’autofagia, con conseguente aumento del numero
di vacuoliautofagici
Metaplasia
Modificazione reversibile per la quale un tipo cellulare differenziato (epiteliale o mesenchimale) viene
sostituito da un altro tipo cellulare differenziato.

Rappresenta una sostituzione adattativa di cellule sensibili allo stress con cellule più adatte a sopravvivere in
condizioni ambientali sfavorevoli.

Meccanismi di metaplasia
La metaplasia potrebbe derivare dalla riprogrammazione delle cellule staminali che vengono indotte a
differenziare in altri tipi cellulari e non da cambiamenti fenotipici (trans-differenziazione) di cellule già
differenziate.
Metaplasia epiteliale
 Un esempio di metaplasia epiteliale è la metaplasia squamosa
dell’epitelio respiratorio dei fumatori: porta alla sostituzione
dell’epitelio cilindrico ciliato della trachea e dei bronchi con
epitelio squamoso pluristratificato.

 L’epitelio squamoso pluristratificato è più resistente alle sostanze


nocive contenute nel fumo di sigaretta rispetto all’epitelio
cilindrico che non le tollera.

 Tuttavia, con la metaplasia si perdono la secrezione della mucosa


e il movimento ciliare che ripulisce l’aria inspirata.

 Gli stimoli che inducono metaplasia, se persistenti, predispongono


l’epitelio alla trasformazione neoplastica (carcinoma bronchiale).

 Anche la carenza di vitamina A (essenziale per il differenziamento


epiteliale) causa metaplasia squamosa dell’epitelio respiratorio.
Metaplasia inversa
Nel reflusso esofageo cronico, l’epitelio squamoso stratificato del tratto inferiore dell’esofago può trasformarsi
in epitelio cilindrico, di tipo gastrico o intestinale.

Metaplasia connettivale
La metaplasia del connettivo consiste nella formazione di cartilagine, osso o tessuto adiposo (tessuti
mesenchimali) in tessuti che non contengono questi elementi.

MIOSITE OSSIFICANTE TRAUMATICA:


Formazione di tessuto osseo nel muscolo dopo un’emorragia intramuscolare (processo reversibile).
Questo tipo di metaplasia non è considerata una vera e propria risposta adattativa. Può essere conseguente a
danno cellulare o tissutale.

METAPLASIACICATRIZIALE:
Formazione di tessuto osseo all’interno delle cicatrici, specialmente quelle chirurgiche lungo il solco
mediano dell’addome.
DANNO CELLULARE E MORTE CELLULARE

DANNO CELLULARE MORTE CELLULARE


Nelle prime fasi o in caso di danno Un danno persistente diventa irreversibile e
lieve, le alterazioni funzionali e porta alla morte della cellula per:
morfologiche sono REVERSIBILI se  NECROSI
lo stimolo nocivo è rimosso  APOPTOSI
(membrana cellulare non troppo
compromessa e membrana
nucleare ancora integra)
DANNO CELLULARE E MORTE CELLULARE
NECROSI
Quando la membrana è
danneggiata, gli enzimi lisosomiali
passano nel citoplasma e
digeriscono la cellula; il contenuto
cellulare fuoriesce nello spazio
extracellulare infiammazione
(Patologica)
APOPTOSI
Quando mancano i fattori di
crescita, oppure il DNA o le
proteine sono gravemente
danneggiate; dissoluzione del
nucleo ma membrana integra.
(Fisiologica e Patologica)
CAUSE DI DANNO CELLULARE
 IPOSSIA: interferisce con la respirazione ossidativa aerobica; le più comuni cause di ipossia sono ischemia, inadeguata
ossigenazione del sangue, ridotta capacità di trasporto di ossigeno, avvelenamento da monossido di carbonio.

 AGENTI CHIMICI: compromettono l’equilibrio osmotico; veleni, inquinanti atmosferici, insetticidi, etanolo, ma anche
sale, acqua, ossigeno ad elevate pressioni parziali e infine farmaci.

 AGENTI INFETTIVI: danneggiano la cellula interagendo direttamente con essa oppure rilasciando prodotti tossici; i
patogeni possono indurre una risposta immunitaria che comporta danno tissutale; virus, batteri, funghi, etc.

 REAZIONI IMMUNOLOGICHE: le reazioni autoimmuni contro tessuti autologhi o le reazioni allergiche possono causare
danno cellulare e tissutale.

 FATTORI GENETICI: causano patologie dovute al deficit di proteine funzionali che comportano morte cellulare se il
danno è irreparabile.

 SQUILIBRI NUTRIZIONALI: la malnutrizione nei Paesi meno sviluppati oppure carenze vitaminiche, obesità e diete
ricche di grassi nei Paesi sviluppati.

 AGENTI FISICI: temperature estreme, radiazioni, shock elettrico, etc.

 INVECCHIAMENTO: compromette le capacità replicative e riparative delle cellule riducendo la capacità di rispondere ai
danni; senescenza cellulare.
ALTERAZIONI MORFOLOGICHE NEL DANNO
CELLULARE E TISSUTALE
Stress e stimoli patologici comportano
nell’immediato alterazioni cellulari con
perdita di funzione; se il danno è grave e
persistente, la cellula progredisce verso il
danno irreversibile e la morte; molto dopo
entrambi i fenomeni si manifestano le
alterazioni morfologiche.

Anche se gli eventi che portano


all’irreversibilità sono sconosciuti, essa è
caratterizzata da due fenomeni:
 disfunzione mitocondriale irreversibile
con blocco della produzione di ATP
 alterazioni funzionali della membrana
cellulare con dissoluzione della cellula e
necrosi
Danno reversibile: rigonfiamento cellulare e steatosi
RIGONFIAMENTO CELLULARE
Alterazione causata dal blocco delle pompe ioniche ATP-dipendenti della membrana plasmatica che
compromette la capacità della cellula di mantenere l’omeostasi dei liquidi e dei sali.
E’ caratterizzata da pallore (per compressione dei capillari) con aumento del turgore e del peso dell’organo. Al
microscopio sono evidenti vacuoli citoplasmatici piccoli e chiari.

STEATOSI
Alterazione che si manifesta con l’accumulo nel citoplasma delle cellule che metabolizzano i grassi di piccoli
o grandi vacuoli lipidici; associata al danno da tossine e ai disturbi del metabolismo. Le cellule danneggiate
mostrano un’aumentata eosinofilia, che si accentua sempre di più con il progredire della cellula verso la
necrosi.
Alterazioni ultrastrutturali associate al danno
reversibile
 ALTERAZIONI DELLA MEMBRANA PLASMATICA
Comparsa di estroflessioni, accorciamento e distorsione dei microvilli, distacco delle giunzioni cellulari

 ALTERAZIONI MITOCONDRIALI
Rigonfiamento e comparsa di addensamenti amorfi ricchi di fosfolipidi

 ALTERAZIONI DEL RETICOLO ENDOPLASMATICO


Dilatazione del RE con distacco dei ribosomi e dissociazione dei polisomi

 ALTERAZIONI NUCLEARI
Formazione di aggregati di cromatina

 ALTERAZIONI CITOPLASMATICHE
Presenza di aggregati di fosfolipidi derivanti dalle membrane cellulare danneggiati
Necrosi
 Morte cellulare associata alla perdita dell’integrità della membrana con fuoriuscita del contenuto
cellulare e dissoluzione della cellula.

 Associata ad infiammazione locale, risposta alla fuoriuscita del contenuto cellulare finalizzata ad
eliminare le cellule morte e ad avviare il processo di riparazione.

 Gli enzimi che digeriscono la cellula provengono dai lisosomi della cellula morente e dai
leucociti impegnati nella risposta infiammatoria.

Miocardio Normale Miocardio con necrosi


Necrosi

ALTERAZIONI CITOPLASMATICHE ALTERAZIONI NUCLEARI


 Aumentata eosinofilia Dovute a frammentazione del DNA e della
 Le cellule hanno un aspetto più trasparente cromatina. Sono di tre tipi:
 Figure mieliniche più evidenti  PICNOSI: riduzione del volume del nucleo, a
 Discontinuità delle membrana e degli organelli causa della perdita di materiale e
 Dilatazione dei mitocondri condensazione della cromatina, e aumento
 Distruzione dei lisosomi della basofilia
 CARIORESSI: frammentazione e dissoluzione
del nucleo, degradazione del DNA.
 CARIOLISI: dissolvimento della cromatina
(Dnasi) e riduzione della basofilia
TIPI DI NECROSI

 COAGULATIVA

 COLLIQUATIVA

 CASEOSA

 GANGRENOSA

 STEATONECROSI

 FIBRINOIDE
Necrosi coagulativa
 L’architettura dei tessuti morti è conservata per qualche giorno.

 Il tessuto ha consistenza rigida.

 Il danno induce la denaturazione delle proteine strutturali e di quelle enzimatiche (con perdita della
struttura terziaria ed esposizione delle catene laterali), bloccando la proteolisi delle cellule morte; di
conseguenza, le cellule eosinofile e anucleate persistere per giorni o intere settimane.

 Le cellule morte vengono digerite dagli enzimi lisosomiali dei leucociti reclutati nella sede della
necrosi.

 Tipica degli infarti (è determinata da ipossia brusca, es. ischemia da ostruzione di un vaso
sanguigno, che non consente il processo di adattamento che porta alla glicolisi anaerobia) in tutti gli
organi solidi tranne il cervello.
NECROSI COAGULATIVA RENALE

Infarto cuneiforme (giallo) L’ immagine del margine dell’infarto


del rene mostra il tessuto normale (N) vicino a
quello necrotico (I), in cui si vede la
scomparsa dei nuclei.
Necrosi colliquativa

 Comporta la completa digestione enzimatica delle cellule morte che determina la trasformazione del
tessuto in una massa liquida viscosa.

 È caratteristica dei focolai di infezioni batteriche e fungine: potente stimolo per le cellule
infiammatorie (i microrganismi stimolano l’infiltrazione dei leucociti e la liberazione da parte di
questi di enzimi che digeriscono il tessuto).

 Si riscontra spesso nella morte ipossica del sistema nervoso centrale.


Necrosi colliquativa

Necrosi colliquativa dovuta da infarto


cerebrale caratterizzato da dissoluzione
del tessuto

Se il processo infiammatorio è acuto il tessuto digerito si presenta giallo e cremoso


(per la presenza di leucociti morti) ed è detto pus
Necrosi caseosa
 È una forma di necrosi riscontrabile nei focolai di
infezione tubercolare.
 Il termine caseosa deriva dall’aspetto bianco-giallastro
(simile al formaggio) dell’area necrotica.
 L’architettura tissutale è completamente distrutta e non
è possibile distinguere i contorni delle cellule.
 L’area di necrosi è racchiusa in una distinta zona
infiammatoria, detta GRANULOMA.

Tubercolosi polmonare
Necrosi gangrenosa
 Non è una forma di morte cellulare ma una patologia degli arti inferiori
che hanno perduto flusso sanguigno e hanno subito una necrosi
coagulativa che coinvolge più strati tissutali.

 Se alla necrosi coagulativa si sovrappone una infezione batterica


diventa necrosi colliquativa (l’azione liquefativa dei batteri e il
richiamo dei leucociti causano GANGRENA UMIDA).

 GANGREA GASSOSA: è un’infezione causata principalmente da


batteri anaerobi, clostridi (es. Clostridium perfringens) che può
svilupparsi dopo alcuni tipi di interventi chirurgici o lesioni (es.
arma da fuoco). In prossimità dell’area infetta si formano
vescicole con bolle gassose, accompagnate da febbre e aumento
della frequenza cardiaca e respiratoria, e frequentemente da dolore
nella sede dell’infezione.
Necrosi: esempi

INFARTO RENALE INFEZIONE MICOTICA RENALE


Necrosi coagulativa con perdita Necrosi colliquativa
del nucleo ma conservazione
dell’architettura glomerulare
Necrosi

STEATONECROSI NECROSI FIBRINOIDE


Aree di degradazione dei lipidi derivati dalla Forma di necrosi visibile all’esame
secrezione di lipasi pancreatiche (parenchima istologico caratterizzata dalla deposizione
pancreatico e nella cavità peritoneale). di immunocomplessi e fibrina nelle pareti
Nelle pancreatiti acute addominali, gli enzimi arteriose; questa genera masse amorfe
pancreatici fuoriusciti dalle cellule acinose e dai dotti dette FIBRINOIDI; questo tipo di morte è
liquefano le membrane degli adipociti peritoneali; le riscontrabile nelle patologie autoimmuni.
lipasi scindono i trigliceridi esterificati, gli acidi
grassi liberati si legano al calcio producendo aree
biancastre di necrosi (saponificazione dei grassi).
Al microscopio si osservano cellule adipose
contenenti depositi basofili di calcio circondati da
una reazione infiammatoria
LA DETERMINAZIONE DEI LIVELLI EMATICI O SIERICI DI PROTEINE INTRACELLULARI,
FUORIUSCITE DALLA MEMBRANA DANNEGGIATA E PASSATE IN CIRCOLO, CONSENTE
LA DIAGNOSI DI MORTE PER NECROSI DI ALCUNI TESSUTI

MUSCOLO CARDIACO EPITELIO DOTTI BILIARI EPATICI EPATOCITI


Creatin-chinasi e troponina Fosfatasi alcalina Transaminasi
Meccanismi di danno cellulare
 La risposta cellulare a stimoli dannosi dipende dal tipo di danno, dalla sua durata e dalla sua gravità
(es. ischemie brevi comportano danni reversibili, ischemie prolungate causano danni irreversibili e
morte cellulare).

 Le conseguenze del danno cellulare dipendono dal tipo, dallo stato, dall’adattabilità e dall’assetto
genetico della cellula danneggiata (il muscolo scheletrico dell’arto inferiore tollera un’ischemia per
qualche ora, il muscolo cardiaco non più di 30 minuti).

 Il danno deriva da alterazioni biochimiche e funzionali di elementi essenziali della cellula.

 Gli stimoli patologici possono attivare molteplici processi biochimici interconnessi


Bersagli e meccanismi biochimici degli stimoli dannosi
L’ATP viene prodotto da:
Deplezione di ATP
• fosforilazione ossidativa dell’ADP
Elettroni al alta
con riduzione di ossigeno energia trasportati
dall’ NADH
molecolare ad acqua a opera del
sistema di trasporto di elettroni
mitocondriale GLICOLISI Catena di trasporto
2 Ciclo
Acido Acetyl degli elettroni
Glucosio di
• in assenza di ossigeno, glicolisi da Piruvico CoA
KREBS
e chemiosmosi

glucosio ematico o dall’idrolisi del NADH


glicogeno intracellulare
NADH Mitocondrio

2 2 34

RESPIRAZIONE CELLULARE
Deplezione di ATP
 Le principali cause di deplezione di ATP sono:
• ridotto apporto di ossigeno e nutrienti
• danno mitrocondriale
• azione di tossine (es. cianuro)

 I tessuti con maggiore capacità glicolitica (fegato) sopravvivono meglio all’ipossia e all’inibizione
della fosforilazione ossidativa rispetto a quelli con minore capacità glicolitica (cervello).

L’ATP è essenziale per:


• trasporto di membrana
• sintesi proteica
• lipogenesi
• deacilazione e riacilazione per il turnover dei fosfolipidi
Deplezione di ATP
LA DEPLEZIONE DI ATP SOTTO IL 10% DEI LIVELLI NORMALI HA AMPI EFFETTI SU MOLTI
SISTEMI FONDAMENTALI CELLULARI
 Ridotta attività pompa di membrana del sodio ATP-dip con conseguente accumulo di sodio intracellulare e
fuoriuscita di potassio e afflusso di acqua con rigonfiamento cellulare e dilatazione del RE
 Aumento della glicolisi anaerobia che causa deplezione delle scorte
intracellulare di glicogeno e l’ aumento e accumulo di acido lattico, con
riduzione del pH intracellulare e dell’attività enzimatica
 L’alterazione delle pompe ATP-dip comporta l’ingresso di calcio con
effetti tossici su molte componenti cellulari
 Danni all’apparato biosintetico delle proteine con conseguente distacco
di ribosomi dal RE rugoso e dissociazione dei polisomi in monosomi
e quindi riduzione della sintesi proteica; infine si hanno alterazioni
delle membrane mitocondriali e lisosomiali con necrosi cellulare
Danno e disfunzione mitocondriale
I MITOCONDRI POSSONO ESSERE DANNEGGIATI DA IPOSSIA, TOSSINE CHIMICHE E
RADIAZIONI

Il danno mitocondriale può portare a:


 Blocco della fosforilazione ossidativa con progressiva deplezione di ATP
 Fosforilazione ossidativa anomala con formazione di specie reattive dell’ossigeno dannose
 Formazione di canali ad alta conducibilità (poroditransizione della permeabilitàmitocondriale, PTP)a livello
della membrana mitocondriale interna con conseguenti perdita del potenziale di membrana
mitocondriale e variazione del pH che compromettono la fosforilazione ossidativa.
 Rilascio di proteine nel citoplasma che segnalano alla cellula la presenza di danni interni attivando
l’apoptosi.
Ingresso di calcio
 La concentrazione di calcio citosolica è mantenuta fino a
10000 volte inferiore rispetto al calcio presente nel RE e nei
mitocondri grazie alla pompa Ca++-ATP- dipendente.

 Ischemia e tossine aumentano il Ca2+ intracellulare per:


 rilascio di Ca 2+ da mitocondri e reticolo endoplasmico
 ingresso attraverso la membrana plasmatica

Il Ca 2+ attiva enzimi intracellulari con effetti deleteri:


 Fosfolipasi (causano danni di membrana)
 Proteasi (degradano proteine citoscheletriche e di
membrana)
 Endonucleasi (degradano DNA e cromatina)
 ATPasi (aumenta deplezione ATP)
Danno da radicali liberi dell’ossigeno
 I ROS (specie reattive dell’ossigeno) sono specie chimiche che hanno un singolo elettrone spaiato in
un orbitale esterno.

 I radicali liberi sono implicati in diverse condizioni patologiche: danno da ischemia-riperfusione,


danno da agenti chimici e da radiazioni, effetti tossici dei gas, senescenza cellulare, fagocitosi dei
batteri, cellule infiammatorie.

 Sono molto instabili ed attivi e reagiscono rapidamente con molecole organiche e inorganiche (acidi
nucleici, proteine, lipidi), convertendole in radicali liberi e propagando la catena del danno.
Produzione di radicali liberi dell’ossigeno (reazioni redox)
Durante le reazioni redox, la produzione di piccole
quantità di ROS è normalmente associata alla produzione
di ATP durante la respirazione mitocondriale.

In questa reazione, se l’O2 viene ridotto parzialmente


(normalmente si ha l’aggiunta di quattro elettroni per
generare acqua), si generano intermedi tossici a breve vita
ma altamente reattivi:
 L’ anione superossido (O2-)
 Il perossido di idrogeno (H2O2)
 Il radicale ossidrilico (•OH)
Ossigeno e radicali liberi dell’ossigeno
Il perossido d'idrogeno (H2O2) è spesso il Il radicale ossidrilico (•OH) è generalmente un prodotto
prodotto della superossido dismutasi dell' idrolisi dell'acqua da parte di radiazioni, oppure è un
(SOD) o da alcune ossidasi contenute nei prodotto della reazione di Fenton a partire dal perossido
perossisomi. Viene metabolizzato dalla d'idrogeno (con lo ione ferroso Fe2+ quale catalizzatore).
catalasi dei perossisomi in H2O e O2 e E' il ROS più reattivo ed è prodotto dai leucociti a partire
dalla glutatione perossidasi nel citosol e dal perossido d'idrogeno per distruggere patogeni, ma se
nei mitocondri. in eccesso provoca danni alla membrana plasmatica, alle
proteine e agli acidi nucleici. Viene inattivato per
L'anione superossido (O2 -) è prodotto conversione in H2O da parte della glutatione perossidasi.
dalla riduzione incompleta di O2 durante
la fosforilazione ossidativa, da alcuni
enzimi (xantina ossidasi) e dai leucociti.
Viene inattivato dalle superossido
dismutasi (SOD) che lo converte in H2O2 e
O2. Se non viene inattivato danneggia i
lipidi di membrana, proteine e DNA,
generalmente ha un raggio d'azione
limitato.
Produzione di radicali liberi dell’ossigeno (fagociti)
I radicali liberi sono prodotti dai fagociti (macrofagi e
neutrofili) per distruggere microbi e sostanze
internalizzate durante la difesa.

In particolare, le ROS vengono prodotte nei fagosomi e


nei fagolisosomi dei leucociti (processo detto esplosione
ossidativa): un enzima della membrana del fagosoma
genera il superossido convertito poi in perossido di
idrogeno; quest’ultimo viene convertito in ipoclorito, un
composto altamente reattivo, dalla mieloperossidasi
presente nei leucociti.

Un altro radicale libero prodotto dai leucociti è l’acido


nitrico (NO), che reagendo con l’anione superossido
forma il perossido nitrico, composto altamente reattivo
che contribuisce al danno cellulare.
Eccesso di radicali liberi dell’ossigeno e stress ossidativo

Quando la produzione di ROS aumenta e la rimozione è inefficiente si genera un accumulo di radicali


liberi che causa STRESS OSSIDATIVO

L’aumento di ROS può essere indotto:

 Esposizione a radiazioni ionizzanti che idrolizzano l’acqua portando alla formazione di radicali
idrossilici e idrogeno

 Metabolismo enzimatico di sostanze chimiche esogene o farmaci

 Infiammazione nel caso dei radicali liberi prodotti dai leucociti


Meccanismi di rimozione di radicali liberi dell’ossigeno

Le ROS sono specie instabili e decadono spontaneamente, inoltre sistemi enzimatici e non che
contribuiscono alla loro degradazione. Es. la conversione del superossido è aumentata dall’azione
della SOD (superossido dismutasi); la glutatione (GSH)-perossidasi e la catalasi degradano il
perossido di idrogeno in acqua; gli antiossidanti esogeni e endogeni ostacolano la formazione di
ROS o combattono quelli già formati (vitamina A e beta-carotene, vitamine C ed E)
Effetti patologici dei radicali liberi dell’ossigeno

Le ROS danneggiano le cellule attraverso:


 Perossidazione lipidica, attaccando i doppi legami dei lipidi di membrana formano perossidi in
reazioni a catena che danneggiano le membrane
 Alterazioni proteiche, attaccando i ponti disolfuro delle proteine, con degradazione e perdita
dell’attività enzimatica, oppure inducendo la frammentazione delle proteine
 Danni al DNA, attaccando la timina con conseguente interruzione nel filamento.
Difetti di permeabilità di membrana
 L’aumento della permeabilità di membrana, associata a gravi danni di membrana, è un’importante
caratteristica di danno cellulare che evolve nella necrosi.

 E’ un evento precoce nel processo di danno cellulare.

 Può essere dovuto ad eventi che portano a:


 deplezione di ATP
 attivazione di fosfolipasi modulate dal calcio

 Danno diretto alla membrana plasmatica:


 tossine batteriche
 proteine virali
 componenti litiche del complemento
 prodotti dei linfociti (perforine)
 agenti fisici e chimici
Meccanismi biochimici del danno alla membrana
 Ridotta sintesi di fosfolipidi: la riduzione dei livelli di ATP
comporta l’inibizione della sintesi dei fosfolipidi Cause :
 Aumentata degradazione dei fosfolipidi causata
dall’attivazione di fosfolipasi endogena ad opera di
aumentati livelli di calcio
 ROS (Specie reattive dell’ossigeno) danneggiano le
membrane attraverso perossidazione lipidica
 Alterazioni citoscheletriche causata dall’attivazione
di proteasi in seguito all’aumento di calcio citosolico
porta a distruzione del citoscheletro e danni alla
membrana
 Prodotti di degradazione lipidica (Acidi grassi liberi non
esterificati, Acil carnitina, lisofosfolipidi) che si
accumulano nelle cellule con effetti dannosi o che si
vanno a inserire nel doppio strato lipidico causando
alterazioni della permeabilità
Danno alla membrana
Le membrane maggiormente danneggiate nel danno cellulare sono:

• Membrane Mitocondriali: le alterazioni della membrana mitocondriale riducono la


produzione di ATP

• Membrane Plasmatiche: Il danno alla membrana plasmatica provoca una perdita dell’equilibrio
osmotico e un ingresso di liquidi e ioni , inoltre perdita di proteine, enzimi e acidi nucleici.

• Membrane Lisosomiali: Il danno alle membrane lisosomiali provoca fuoriuscita di enzimi


(RNasi, DNasi, proteasi ecc) nel citoplasma e loro attivazione nell’ambiente intracellulare acido
Danno del DNA e delle proteine

SE I MECCANISMI DI RIPARAZIONE NON SONO IN GRADO DI RIPARARE IL DNA


OPPURE NEL CASO DI ACCUMULO
DI PROTEINE MALRIPIEGATE, SI ATTIVA UN PROGRAMMA SUICIDA CHE PORTA LA
CELLULA ALLA MORTE PER APOPTOSI.
EVOLUZIONE CLINICA DEL DANNO CELLULARE
E DELLA NECROSI
ISCHEMIA E IPOSSIA
 Nell’ischemia i substrati per la glicolisi  Nell’ipossia l’ATP può essere prodotto
subiscono una riduzione dell’apporto ematico attraverso la glicolisi anaerobica.
con conseguente blocco totale della  Le principali alterazioni delle cellule ipossiche
produzione di ATP. Danno ischemico più sono ridotta produzione di ATP con conseguente
rapido e grave del danno ipossico. blocco dei sistemi ATP-dipendenti (pompe
 Il protrarsi dell’ischemia causa alterazioni ioniche, pH intracellulare, sintesi proteica).
irreversibili e necrosi.  La deplezione di ATP peggiora il danno di
 Rigonfiamento degli organelli e alterazioni membrana con rigonfiamento della cellula e dei
della membrana plasmatica, associati aa suoi organelli.
accumulo di ROS e aumento della  Dal punto di vista funzionale si hanno
concentrazione di calcio. Le componenti conseguenze gravi: ad esempio il muscolo
cellulari vengono degradate, la cellula viene cardiaco cessa di contrarsi dopo 60 secondi di
ridotta in ammassi di fosfolipidi (figure occlusione coronarica.
mieliniche) fagocitati dai leucociti e degradati  Con il ripristino di ossigeno, le alterazioni
in acidi grassi. biochimiche e funzionali sono recuperabili
EVOLUZIONE CLINICA DEL DANNO CELLULARE
E DELLA NECROSI
ISCHEMIA-RIPERFUSIONE

Il ripristino del flusso ematico in aree ischemiche può causare la morte cellulare nonostante il danno sia
reversibile; in questo caso parliamo di danno da riperfusione:

 la riossigenazione stimola l’aumento della produzione di ROS e l’ischemia compromette i


meccanismi antiossidanti di difesa con conseguente accumulo di radicali liberi

 l’infiammazione causata dall’ischemia aumenta con la riperfusione, aggravando i danni tissutali;


EVOLUZIONE CLINICA DEL DANNO CELLULARE
E DELLA NECROSI
AGENTI CHIMICI
 MECCANISMO DIRETTO: alcune tossine si legano ad una componente cellulare o ad un organello
cellulare essenziale (es.: il cloruro di mercurio si lega ai gruppi sulfidrilici di diverse proteine di
membrana, causando inibizione del trasporto ATP-dipendente ed aumento della permeabilità di
membrana)

• INDIRETTO: molti agenti chimici inattivi devono essere prima convertiti in metaboliti reattivi;
l’attivazione avviene ad opera del citocromo P-450 a livello del reticolo endoplasmico liscio del fegato e di
altri organi; i metaboliti attivi danneggiano le membrane e le cellule legandosi a proteine e lipidi e
stimolando la produzione di ROS. (es.: tetracloruro di carbonio (CCl4) e paracetamolo)
APOPTOSI
 L’apoptosi è un tipo di morte cellulare in cui la cellula attiva enzimi che degradano le sue stesse
componenti, quali il DNA nucleare e le proteine citoplasmatiche e nucleari.

 La membrana plasmatica resta intatta ma viene modificata così da rendere la cellula riconoscibile per i
fagociti.

 Le cellule apoptotiche e i loro frammenti vengono fagocitati dai macrofagi

 L’apoptosi non suscita infiammazione nell’ospite.

 Può essere FISIOLOGICA, per l’eliminazione di cellule pericolose o che hanno completato il loro ciclo vitale,
oppure PATOLOGICA, per l’eliminazione di cellule che hanno subito danni irreparabili (DNA e proteine)
Apoptosi fisiologica
 Embriogenesi: lo sviluppo fisiologico si associa alla morte di alcuni tipi cellulari per modellare
l’organismo; es. la formazione delle dita del feto richiede la rimozione del tessuto che le unisce

 Involuzione dei tessuti ormone-dipendenti in seguito a carenza ormonale: es. lo sfaldamento


dell’endometrio che dà inizio alle mestruazioni e la regression della ghiandola mammaria dopo lo
svezzamento

 Turnover di popolazioni proliferanti, per mantenere costante il numero di cellule; es. epitelio delle
cripte intestinali

 Eliminazione di cellule che hanno concluso la loro funzione; es. neutrofili nell’infiammazione acuta

 Eliminazione di linfociti autoreattivi, per evitare reazioni autoimmuni

 Indotta dai linfociti T citotossici, come meccanismo di difesa contro virus e cellule tumorali
Apoptosi Patologica
 Danno al DNA diretto o attraverso la produzione di ROS (radiazioni, chemioterapici,
temperature estreme, ipossia), se i meccanismi riparativi non risolvono il danno la cellula va
in apoptosi (per evitare di accumulare mutazioni che potrebbero indurre la trasformazione
maligna)

 Accumulo di proteine mal ripiegate causato da mutazioni nei geni che le codificano o dai ROS con
conseguente stress del RE e apoptosi

 Infezioni virali, durante le quali la morte delle cellule infettate viene indotta dal virus (es. HIV,
adenovirus) oppure dalle risposte immunitarie dell’ospite (es. epatite virale)

 Atrofia patologica in organi parenchimatosi dopo ostruzione dei dotti (es. pancreas)
Apoptosi - Morfologia
 Condensazione e aggregazione della cromatina e
infine carioressi

 Riduzione del volume cellulare con formazione


di estroflessioni citoplasmatiche che poi si
distaccano formando i corpi apoptotici
(vescicole delimitate da membrana contenenti
citoplasma e organelli) che vengono
rapidamente espulsi dalla cellula

 Fagocitosi delle cellule apoptotiche o dei corpi


cellulari, ad opera dei Macrofagi, senza suscitare
risposte immunitarie

 La reazione apoptotica è molto rapida (2-4


ore) ed i corpi apoptotici sono rapidamente
degradati e fagocitati
Apoptosi - Meccanismi
 L’apoptosi è la conseguenza dell’attivazione di enzimi chiamati CASPASI, che effettuano il taglio delle
proteine in corrispondenza di residui di acido aspartico

 L’attivazione delle caspasi è il risultato di un disequilibrio biosintetico delle proteine pro- ed anti-
apoptotiche

 A monte dell’attivazione delle caspasi si distinguono due vie di trasduzione: VIA


MITOCONDRIALE (o via intrinseca) e VIA DEI RECETTORI DI MORTE (o via estrinseca)
Apoptosi - Meccanismi
VIA MITOCONDRIALE
La sopravvivenza o morte della cellula dipende dalla
permeabilità dei mitocondri, controllata dalla famiglia
delle proteine BCL-2: privazione di fattori di crescita,
danno al DNA e accumulo di proteine malripiegate
attivano proteine-sensori, BH3, che a loro volta
attivano proteine pro-apoptotiche, BAX e BAK, che
dimerizzando si inseriscono nella membrana
mitocondriale e formano canali attraverso i quali il
citocromo C e altre proteine (pro-apoptotiche)
fuoriescono; i sensori inibiscono anche le molecole
anti-apoptotiche BCL-2 e BCL-XL, potenziando la
fuoriuscita delle proteine mitocondriali; il citocromo
C attiva la caspasi-9 e le altre proteine inibiscono gli
anatgonisti delle caspasi; il risultato è l’attivazione
della cascata delle caspasi che porta alla
frammentazione del nucleo
Apoptosi - Meccanismi
VIA MITOCONDRIALE
L’esposizione a fattori di crescita e ad altri segnali di
sopravvivenza stimola la sintesi di BCL-2 e BCL-XL
(anti-apoptotiche), antagonisti di BAX e BAK, che
limitano la fuoriuscita di proteine mitocondriali
apoptotiche.
In assenza di segnali di sopravvivenza, si ha
attivazione delle proteine BAX e BAK e inibizione di
BCL-2 e BCL-XL, portando la cellula verso la morte.
Apoptosi - Meccanismi
VIA DEI RECETTORI DI MORTE
Questa via viene indotta dall’attivazione dei recettori
di morte presenti sulla membrana plasmatica dei
linfociti autoreattivi e delle cellule bersaglio dei
linfociti T citotossici. I recettori di morte sono il
recettore del TNF1 (TNFR1) e il recettore FAS
(CD95) e contengono un dominio citoplasmatico,
dominio di morte, che media le interazioni con
proteine intracellulari implicate nella trasduzione di
segnali pro-apoptotici. Il ligando del recettore FAS
(FasL) è espresso dai linfociti T attivati: quando
questi incontrano cellule esprimenti FAS, i recettori
vengono legati dai ligandi e tale interazione attiva il
dominio di morte del recettore FAS inducendo il
legame di proteine adattatrici; tali proteine attivano la
caspasi-8, il risultato è l’attivazione della cascata
delle caspasi che porta alla frammentazione del
nucleo e distruzione del citoscheletro.
Apoptosi - Meccanismi

IN ALCUNI CASI LA CASPASI-8 ATTIVA UNA PROTEINA PRO-APOPTOTICA DELLA


FAMIGLIA BCL-2, BID, INDUCENDO ANCHE L’APOPTOSI MITOCONDRIALE

L’ATTIVAZIONE DELLE DUE VIE E’ LETALE PER LA CELLULA


Apoptosi – Attivazione caspasi iniziatrici
CASPASI INIZIATRICI -9 e -8

CASPASI ESECUTRICI

NUCLEASI

degradazione del DNA e delle proteine

degradazione della matrice nucleare e del citoscheletro


(frammentazione)
Apoptosi - Fattori antiapoptotici

 Meccanismo di controllo dell’apoptosi: sintesi di proteine antiapoptotiche

 FLIP (blocco dell’attivazione della caspasi-8 a valle dei recettori di morte)


 IAP (inibitore delle caspasi anche se già attivate)

L’APOPTOSI DIPENDE QUINDI DA UN FINE EQUILIBRIO TRA FATTORI PRO-APOPTOTICI E


ANTI-APOPTOTICI
Apoptosi – Eliminazione delle cellule
 Le cellule apoptotiche espongono sul lato esterno della membrana la FOSFATIDILSERINA (che
normalmente si trova nel lato interno), che viene riconosciuta dai macrofagi tissutali inducendo la
fagocitosi delle cellule.

 Le cellule apoptotiche rilasciano anche FATTORI SOLUBILI che richiamano i fagociti.

 I corpi apoptotici esprimono glicoproteine riconosciute dai fagociti.

 I macrofagi stessi producono proteine che legano le cellule apoptotiche marcandole per la
fagocitosi.
Apoptosi – Esempi

 PRIVAZIONE DI FATTORI DI CRESCITA: le cellule ormone-dipendente, i linfociti non stimolati


da antigeni, i neuroni privati del fattore di crescita, vanno incontro a morte per apoptosi
mitocondriale (attivazione proteine pro-apoptotiche e ridotta sintesi di proteine anti-apoptotiche)

 DANNI DEL DNA: quando il DNA è danneggiato (esposizione a radiazioni o a chemioterapici)


nelle cellule si accumula la proteina p53 (blocca replicazione del DNA per consentire la sua
riparazione) che stimola la sintesi delle proteine pro-apoptotiche della famiglia BCL-2.
(nelle neoplasie, mutazioni e perdita di p53 consentono la sopravvivenza di cellule con danni al
DNA che normalmente andrebbero incontro a morte per apoptosi)
Apoptosi – Esempi
 ACCUMULO DI PROTEINE MALRIPIEGATE E STRESS DEL RE
Normalmente, durante la sintesi proteica
proteine dette CHAPERONINE
controllano il ripiegamento delle proteine.
I polipeptidi malripiegati vengono
marcati per la degradazione (ubiquitinati).
L’accumulo di proteine malripiegate
comporta un’aumentata produzione di
chaperonine e una diminuzione della
sintesi proteica come risposta adattativa
per ridurre i livelli di proteine
malripiegate.
Quando l’adattamento è superato e si
accumulano ancora proteine malripiegate,
insorge STRESS DEL RE e apoptosi.
L’APOPTOSI DA PROTEINE MALRIPIEGATE CAUSA NUMEROSE PATOLOGIE NEURODEGENRATIVE MA ANCHE
FIBROSI CISTICA, IPERCOLESTEROLEMIA
Apoptosi – Esempi

 APOPTOSI DEI LINFOCITI AUTOREATTIVI: il legame tra linfociti e antigeni autologhi induce
apoptosi di queste cellule per via mitocondriale e per via dei recettori di morte FAS (la mancata
apoptosi causa le malattie autoimmuni)

 APOPTOSI MEDIATA DAI LINFOCITI CITOTOSSICI: i linfociti T citotossici riconoscono


antigeni estranei sulla membrana delle cellule tumorali o infettate da virus, si attivano e
inseriscono le proteasi nelle cellule bersaglio; queste attivano mediante clivaggio le caspasi e
inducono l’apoptosi delle cellule bersaglio senza utilizzare la via mitocondriale o la via dei
recettori FAS; quando esprimono i ligandi FAS uccidono le cellule bersaglio legandosi ai loro
recettori.
AUTOFAGIA
Digestione lisosomiale delle componenti cellulari da parte delle cellula stessa

Meccanismo di sopravvivenza alla scarsità di nutrienti

La cellula degrada e ricicla le proprie componenti per produrre nutrienti ed energia

Gli organelli e una parte di citoplasma vengono racchiusi in VACUOLI AUTOFAGICI, che poi si
fondono con i lisosomi formando AUTOFAGOSOMI; all’interno di questi gli enzimi degradano le
componenti cellulari.

Quando la cellula non riesce a fronteggiare la carenza di nutrienti, l’autofagia diventa un segnale di
morte per apoptosi deficit di autofagia causano morte patologica delle cellule
DANNO DA ACCUMULI INTRACELLULARI
Alcune patologie comportano l’accumulo di sostanze, nel citoplasma o negli organelli o nel nucleo,
endogene o esogene. Esempi:

STEATOSI accumulo patologico di trigliceridi, generalmente nel fegato ma anche nel cuore, nel
muscolo scheletrico, etc. Causata da tossine, diabete, obesità.

COLESTEROLO ED ESTERI DEL COLESTEROLO accumulo patologico di lipidi con conseguente


patologia. L’aterosclerosi è la principale patologia da accumulo di lipidi.

PROTEINE accumulo patologico di proteine nelle cellule che sintetizzano eccessive quantità di
proteine oppure che vengono esposte a un sovraccarico di queste. In alcune patologie renali con
elevata perdita di proteine attraverso il filtro glomerulare (sindrome nefrosica), un aumentato
riassorbimento proteico comporta l’accumulo di vescicole contenenti proteine.

GLICOGENO alterazioni del metabolismo del glicogeno o del glucosio comportano un accumulo di
glicogeno. Il diabete mellito malcurato costituisce il principale esempio patologico.
DANNO DA ACCUMULI INTRACELLULARI

PIGMENTI sostanze colorate di origine endogena o esogena

Carbone Quando viene inalato viene trasportato ai linfonodi tracheobronchiali che appaiono
anneriti (antracosi)
Lipofuscina Complessi lipoproteici formatisi in seguito a perossidazione lipidica dei grassi delle
membrane subcellulari ad opera dei ROS; indicatore di danno da radicali liberi;
conferisce al tessuto un aspetto caratteristico (atrofia bruna)
Emosiderina Deriva dall’emoglobina e si accumula nei tessuti quando i livelli di ferro sono elevati
CALCIFICAZIONE PATOLOGICA
Deposizione anomala di Sali di calcio associato a piccole quantità di altri minerali. Può essere:

DISTROFICA METASTATICA
 Riguarda tessuti morti o morenti  Riguarda tessuti sani
 Non è associata ad alterazioni del  E’ associata ad aumento del
metabolismo del calcio metabolismo del calcio
 Normocalcemia  Ipercalcemia
INVECCHIAMENTO CELLULARE

Processo regolato di senescenza cellulare e declino della funzionalità. E’ causato da diversi fattori:

 DANNO DEL DNA: alcune sindromi da invecchiamento si associano a difetti dei meccanismi
riparativi del DNA
 RIDOTTA REPLICAZIONE CELLULARE: l’invecchiamento è associato a senescenza replicativa
delle cellule (es. le cellule dei pazienti con sindrome di Werner, patologia caratterizzata da
invecchiamento precoce, hanno un ciclo vitale molto ridotto)
 DIFETTI DELL’OMEOSTASI PROTEICA: l’alterata omeostasi proteica causa accumulo di
proteine malripiegate e apoptosi
INFIAMMAZIONE E RIPARAZIONE
TISSUTALE
 L’infiammazione è una risposta protettiva il cui obiettivo finale è quello
di eliminare la causa del danno cellulare (ad es. microrganismi) e i tessuti
danneggiati (necrotici)

 Coinvolge cellule dell’ospite, vasi sanguigni, proteine e altri mediatori

 L’infiammazione è strettamente connessa al processo di riparazione: dopo


aver neutralizzato gli agenti lesivi, l’infiammazione avvia gli eventi che
porteranno alla guarigione e alla riparazione dei siti danneggiati

 Qualora la reazione infiammatoria sia molto forte (es. infezioni gravi) o


prolungata (agente lesivo resistente) o inappropriata (disordini
autoimmuni) può danneggiare anche i tessuti normali e causare un danno
considerevole
INFIAMMAZIONE E RIPARAZIONE
TISSUTALE
I. ACUTA I. CRONICA

Durata Minuti - giorni Settimane - mesi

Essudato Sì No
(fluido e proteine
plasmatiche)
Cellule Leucociti (neutrofili) Linfociti e macrofagi

Proliferazione vasi No Sì
sanguigni

Fibrosi No Sì
INFIAMMAZIONE E RIPARAZIONE
TISSUTALE
 La presenza dell’infezione o del danno
viene rilevata dalle cellule residenti, i
macrofagi, ma anche da cellule
dendritiche e mastociti, che secernono
mediatori (citochine o altre molecole)
prodotti anche da proteine plasmatiche
 I mediatori promuovono l’efflusso di
plasma e il reclutamento dei leucociti
circolanti, che attivati fagocitano
l’agente patogeno
 Le manifestazioni cliniche sono calore,
arrossamento, tumefazione, dolore e
perdita di funzione
 L’infiammazione è controllata e
autoeliminante: i mediatori e le cellule
sono degradati/inattivati quando
l’agente dannoso è eliminato
INFIAMMAZIONE ACUTA
E’ caratterizzata da:

 MODIFICAZIONI VASCOLARI
vasodilatazione con aumento del
flusso sanguigno e aumento della
permeabilità vascolare con
fuoriuscita di proteine
plasmatiche; attivazione delle
cellule endoteliali con aumento
della migrazione dei leucociti

 EVENTI CELLULARI
migrazione dei leucociti
(polimorfonucleati, neutrofili) e
accumulo nel sito di danno
(reclutamento cellulare),
attivazione dei leucociti con
eliminazione dell’agente lesivo
INFIAMMAZIONE ACUTA: STIMOLI

 Infezioni: batteriche, virali, micotiche, parassitarie

 Traumi, agenti fisici (ustione o congelamento o irradiazione) e


agenti chimici

 Necrosi tissutale

 Corpi estranei (schegge, suture)

 Reazioni immunitarie (o reazioni da ipersensibilità) contro


sostanze ambientali o tessuti propri
RICONOSCIMENTO DI MICRORGANISMI,
CELLULE NECROTICHE E SOSTANZE
ESTRANEE

Fagociti, cellule dendritiche (nel tessuto connettivo e negli organi catturano


i microorganismi e iniziano la risposta verso di essi) e cellule epiteliali,
esprimono recettori in grado di rilevare la presenza di agenti infettivi e di
sostanze rilasciate da cellule morte.

Recettori PRR (PATTERN RECOGNITION RECEPTOR) che riconoscono


strutture (pattern molecolari) comuni a molti microrganismi o cellule morte
I RECETTORI PRR
RECETTORI CELLULARI TLR
(TOLL-LIKE RECEPTOR)
 Sono localizzati nella membrana
plasmatica e negli endosomi
(individuano microorganismi al
di fuori della cellula o ingeriti)
 Ci difendono contro tutte le classi
di patogeni
 Il riconoscimento dei
microorganismi da parte di questi
recettori attiva fattori di
trascrizione che stimolano la
produzione di mediatori
dell’infiammazione, citochine
antivirali (interferoni) e proteine
che attivano i linfociti.
I RECETTORI PRR

INFLAMMASOMA INTRACELLULARE
NLRP3 (NOD-LIKE RECEPTOR
PROTEIN 3)
 Complesso intracellulare che riconosce
prodotti di cellule morte (ATP
extracellulare) oltre a cristalli (di urato
nella gotta, di colesterolo e acidi grassi
nell’aterosclerosi e nel diabete da
obesità) e alcuni prodotti microbici
 Attiva la caspasi-1 che attiva
l’interleuchina-1beta, una citochina
infiammatoria che recluta i leucociti con
conseguente fagocitosi e distruzione
delle cellule morte.
MODIFICAZIONI VASCOLARI:
VASODILATAZIONE
 Aumentato flusso sanguigno,
vasodilatazione e aumentata
permeabilità vascolare per richiamare
cellule e proteine verso i siti di
infezione o di danno.
 Le variazioni dei VASI SANGUIGNI
iniziano rapidamente ed evolvono a
seconda dello stimolo infiammatorio.
 Dopo breve vasocostrizione, si ha
vasodilatazione con aumento del flusso
sanguigno ed espansione dei letti
capillari (rossore/eritema e aumento di
T) INF. ACUTA
 Il microcircolo diventa più permeabile,
un fluido ricco di proteine si muove
verso i tessuti e aumenta la
concentrazione di globuli rossi per
rallentare il flusso (stasi)
MODIFICAZIONI VASCOLARI: PERMEABILITA’
 L’aumento della permeabilità vascolare
comporta movimento di fluido ricco di
proteine e di cellule del sangue
all’interno dei tessuti.
 Ciò comporta un aumento della
pressione del fluido interstiziale con
fuoriuscita di liquidi verso i tessuti
ESSUDATO
 L’essudato differisce dal
TRASUDATO (accumuli di liquido
causati da aumento della pressione
idrostatica conseguente a un ridotto
ritorno venoso) poiché quest’ultimo è
caratterizzato da basse concentrazioni
di proteine e poche cellule del sangue.
 L’accumulo di liquido negli spazi
extravascolari produce edema.
MECCANISMI CHE AUMENTANO LA
PERMEABILITA’ NELL’INFIAMMAZIONE
ACUTA
 CONTRAZIONE DI CELLULE EPITELIALI CON APERTURE
INTERCELLULARI NELLE VENULE: avviene rapidamente dopo il
legame di mediatori (istamina, bradichinina e altri leucotrieni) a specifici
recettori ed è di breve durata (30 min); se indotta da TNF e IL-1determina
modificazioni del citoscheletro e avviene più lentamente oltre che
persistere per più di 24 ore.

 DANNO ENDOTELIALE: le cellule epiteliali danneggiate (ustioni o


infezioni o irradiazioni) vanno incontro a necrosi e distacco con
conseguente aumento della permeabilità, che persiste fino a quando i vasi
non vengono riparati o trombizzati; il danno endoteliale può essere
causato anche dall’accumulo di leucociti lungo la parete che rilasciano
mediatori tossici.
MECCANISMI CHE AUMENTANO LA
PERMEABILITA’ NELL’INFIAMMAZIONE
ACUTA
 AUMENTATA TRANSCITOSI DI PROTEINE: per azione del fattore di
crescita (mediatore) VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor)
aumenta la formazione di canali costituiti dalla fusione di vescicole per il
trasporto da un lato all’altro della cellula di proteine.

 PERDITA DI LIQUIDI DURANTE LA FORMAZIONE DI NUOVI


VASI SANGUIGNI: l’angiogenesi alla base della riparazione tissutale
comporta una continua permeabilità fino alla maturazione delle cellule
endoteliali; inoltre le nuove cellule presentano aumentata espressione di
recetteri per mediatori vasoattivi e alcuni dei fattori che stimolano
l’angiogenesi (es. VEGF) inducono direttamente aumentata permeabilità.
MODIFICAZIONI VASCOLARI: RISPOSTE DEI
VASI LINFATICI
Nell’infiammazione un ruolo fondamentale è svolto anche dal
FLUSSO LINFATICO

 L’ aumentato flusso linfatico nell’infiammazione amplifica il drenaggio di


edema, leucociti e detriti cellulari e, nelle infezioni gravi, può contribuire
alla disseminazione del patogeno.

 I vasi linfatici e i linfonodi drenanti possono andare incontro a


infiammazione (linfangite, linfoadenite)
EVENTI CELLULARI: RECLUTAMENTO E
ATTIVAZIONE LEUCOCITARIA

LA RISPOSTA INFIAMMATORIA COMPORTA IL RECLUTAMENTO


DEI LEUCOCITI VERSO I SITI DI DANNO, LA LORO ATTIVAZIONE
CON CONSEGUENTE ELIMINAZIONE DEGLI AGENTI LESIVI, DEL
TESSUTO NECROTICO E DELLE SOSTANZE ESTRANEE.
EVENTI CELLULARI: RECLUTAMENTO E
ATTIVAZIONE LEUCOCITARIA

Normalmente i leucociti scorrono nel sangue; nell’infiammazione vengono


bloccati e condotti verso l’agente lesivo o il sito di danno, al di fuori dei vasi:
1. Marginazione e rotolamento lungo la parete del vaso
2. Adesione all’endotelio
3. Transmigrazione attraverso l’endotelio
4. Migrazione nei tessuti in risposta a stimoli chemiotattici emanati dalla
fonte del danno
MARGINAZIONE E ROTOLAMENTO

 Durante lo scorrimento del sangue dai capillari alle venule postcapillari, i


globuli rossi (più piccoli) si muovono più velocemente spingendo i
globuli bianchi (più grandi) alla periferia dei vasi MARGINAZIONE

 Le cellule endoteliali attivate da mediatori dell’infiammazione esprimono


molecole di adesione, selectine, alle quali i leucociti si attaccano e si
staccano iniziando a rotolare sull’endotelio ROTOLAMENTO
MARGINAZIONE E ROTOLAMENTO

 Le selectine, in particolare la E-selectina e la P-selectina sono


recettori espressi sulle cellule endoteliali; si legano alle forme
sialilate degli oligosaccaridi (es. sialil-Lewis X sui leucociti), che a
loro volta sono legate a glicoproteine mucina-simili (es.PSGL-1)

 La loro espressione è upregolata dopo stimolazione da parte di


citochine (TNF e IL-1) e mediatori prodotti nei siti di infezione e di
danno tissutale; nelle cellule endoteliali non attivate sono espresse a
bassi livelli e non sono presenti sull’endotelio
ADESIONE

 La fase successiva è l’ADESIONE STABILE dei leucociti alla


superficie endoteliale mediata dalle INTEGRINE, glicoproteine
transmembrana espresse dai leucociti

 Le integrine sono normalmente espresse sui leucociti ma in una forma


a bassa affinità per i loro ligandi sulle cellule endoteliali; quando i
leucociti sono attivati dalle chemochine, citochine chemiotattiche
secrete ed esposte sulla superficie endoteliale nei siti di
infiammazione, le loro integrine si raggruppano convertendosi nella
forma ad alta affinità
ADESIONE

 Altre citochine (TNF e IL-1) attivano le cellule endoteliali per


aumentare l’espressione di ligandi delle integrine:
- ligando ICAM-1 che lega integrine LFA-1 e Mac-1 (CD11/CD18)
- ligando VCAM-1 che lega integrina VLA-4

IL LEGAME TRA INTEGRINE E LINGANDI PRODUCE


SEGNALI CHE COMPORTANO MODIFICAZIONI
CITOSCHELETRICHE CHE MEDIANO L’ADESIONE AL
SUBSTRATO: IL RISULTATO DELL’AUMENTO
DELL’AFFINITA’ DELLE INTEGRINE E DELLE ESPRESSIONI
DEI LIGANDI (CITOCHINE) E’ UN LEGAME SATBILE DEI
LEUCOCITI ALLE CELLULE ENDOTELIALI NEL SITO DI
INFIAMMAZIONE
TRANSMIGRAZIONE

 I leucociti ben adesi all’endotelio, migrano inserendosi tra le cellule


a livello delle giunzioni cellulari (DIAPEDESI), guidati da un
gradiente chimico prodotto dalle chemochine

 PECAM-1/CD31 (Platelet Endothelial Cell Adhesion Molecule-1),


una molecola di adesione espressa dai leucociti e dall’endotelio,
media la transmigrazione

 Dopo il passaggio attraverso l’endotelio, secernendo collagenasi i


leucociti attraversano la membrana basale vascolare
CHEMIOTASSI

 I leucociti, dopo la transmigrazione, raggiungono i siti di infezione o


di danno seguendo un gradiente chimico (CHEMIOTASSI) di
sostanze esogene o endogene prodotte in risposta a infezioni, danno
o reazioni immunitarie.

 I leucociti si muovono estendendo pseudopodi che si ancorano alla


ECM e la direzione è stabilita da una maggiore concentrazione di
recettori chemiotattici in determinati siti della cellula
CHEMIOTASSI

 Alcune sostanze chemiotattiche possono essere PRODOTTI


BATTERICI, citochine (CHEMOCHINE), componenti del
COMPLEMENTO, prodotti del metabolismo DELL’ACIDO
ARACHIDONICO.

 Dopo essere entrati nei tessuti, i leucociti hanno vita breve e


vengono sostituiti dai macrofagi; in realtà, in alcune infezioni
batteriche (es. Pseudomonas) i leucociti possono persistere per molti
giorni, così come nelle infezioni virali vengono reclutati per primi i
linfociti.
ATTIVAZIONE LEUCOCITARIA
 Una volta arrivati nel sito di infezione, i leucociti devono essere attivati; il
legame tra mediatori dell’infiammazione e recettori sulle cellule leucocitarie
induce risposte difensive da parte di queste cellule raggruppate sotto il nome
di ATTIVAZIONE LEUCOCITARIA

 L’attivazione leucocitaria comporta un incremento delle seguenti


funzioni:

 Fagocitosi di particelle
 Distruzione intracellulare di microrganismi fagocitati e cellule morte
 Liberazione di sostanze che distruggono microrganismi extracellulari e
tessuti morti
 Produzione di mediatori
ATTIVAZIONE LEUCOCITARIA
ATTIVAZIONE LEUCOCITARIA

Il processo di fagocitosi prevede tre fasi diverse:

1. riconoscimento e adesione del patogeno al fagocita

2. Ingestione con formazione di un vacuolo fagocitico

3. uccisione e degradazione del materiale ingerito


ATTIVAZIONE LEUCOCITARIA
1. RICONOSCIMENTO E ADESIONE DEL PATOGENO AL
FAGOCITA

I leucociti possono riconoscere:

 Componenti di microrganismi o cellule morte

 Proteine dell’ospite, presenti nel sangue o prodotte in risposta a infezioni,


che marcano i microrganismi da fagocitare (opsonine), tra le quali IgG, la
componente C3 del complemento e le collectine (lectine leganti gruppi
glucidici della parete dell’ospite)

 I recettori sue leucociti sono FcγRI per le IgG, CR1 e CR3 per i
frammenti del complemento e C1q per le collectine.
ATTIVAZIONE LEUCOCITARIA

2. INGESTIONE CON FORMAZIONE DI UN VACUOLO


FAGOCITICO

Il legame tra opsonine e recettori attiva l’ INGESTIONE: il bersaglio viene


racchiuso in un vacuolo di fagocitosi, la cui membrana si fonde con la
membrana del lisosoma a formare il fagolisosoma.
ATTIVAZIONE LEUCOCITARIA

3. UCCISIONE E DEGRADAZIONE DEL MATERIALE INGERITO

Il punto cruciale in questa fase è la produzione nei lisosomi di prodotti


microbicidi, tra i quali ROS ed enzimi digestivi.
ATTIVAZIONE LEUCOCITARIA

3. UCCISIONE E DEGRADAZIONE DEL MATERIALE INGERITO

 ESPLOSIONE OSSIDATIVA O RESPIRATORIA stimolata dalla


fagocitosi e caratterizzata da
• aumento del consumo di ossigeno
• glicogenolisi
• aumentata ossidazione del glucosio
• produzione di ROS

 La produzione di ROS è dovuta all’attivazione della NADPH ossidasi


leucocitaria (ossidasi fagocitica) che ossida il NADPH convertendo
l’ossigeno a ione superossido (O2-), a sua volta convertito in perossido di
idrogeno (H2O2)
ATTIVAZIONE LEUCOCITARIA
3. UCCISIONE E DEGRADAZIONE DEL MATERIALE INGERITO

 O2- e H2O2 non sono


sufficienti a uccidere i
patogeni; i lisosomi dei
neutrofili, detti granuli,
contengono la
mieloperossidasi (MPO) che
in presenza di Cl- converte
H2O2 in un potente ossidante
e antimicrobico, HOCL.
(radicale ipocloroso)

UCCIDE I BATTERI PER


ALOGENAZIONE O
PEROSSIDAZIONE DI
PROTEINE E LIPIDI
ATTIVAZIONE LEUCOCITARIA
3. UCCISIONE E DEGRADAZIONE DEL MATERIALE INGERITO

 H2O2 viene trasformato in H2O e O2 (catalasi)

 Le specie reattive dell’azoto (NO) agiscono in modo simile


ATTIVAZIONE LEUCOCITARIA
3. UCCISIONE E DEGRADAZIONE DEL MATERIALE INGERITO

 I microrganismi uccisi vengono degradati dalle idrolasi acide lisosomiali


(elastasi)
ATTIVAZIONE LEUCOCITARIA
3. UCCISIONE E DEGRADAZIONE DEL MATERIALE INGERITO

 Altri costituenti dei granuli coinvolti nell’uccisione dei patogeni:

 Proteina BPI (Bactericidal Permeability Increasing Protein), attiva le


fosfolipasi con degradazione della membrana

 Lisozima, degrada il rivestimento oligosaccaridico batterico

 MBP (proteina basica maggiore), citotossica per i parassiti

 Defensine, uccidono i patogeni creando aperture nelle membrane


ATTIVAZIONE LEUCOCITARIA
4. SECREZIONE DI SOSTANZE MICROBICIDE

 Durante la fagocitosi, i leucociti liberano i prodotti tossici dei granuli


lisosomiali non solo all’interno dei fagolisosomi, ma anche nello spazio
extracellulare:

- enzimi lisosomiali presenti nei granuli


- metaboliti attivi dell’ossigeno
- prodotti del metabolismo dell’acido arachidonico (prostaglandine e
leucotrieni)

Sono mediatori del danno endoteliale e tessutale ed amplificano l’effetto


dello stimolo infiammatorio iniziale
ATTIVAZIONE LEUCOCITARIA

5. TRAPPOLE EXTRACELLULARI DI NEUTROFILI (NET)


 In risposta ad agenti patogeni e a mediatori, i neutrofili producono nei siti
di infezione reti fibrillari extracellulari composte da cromatina nucleare e
granuli (peptidi antimicrobici ed enzimi)

Le NET concentrano le sostanze antimicrobiche nei siti d’infezione e


intrappolano i microrganismi nelle fibrille impedendone la diffusione

 I neutrofili, perdendo i nuclei, vanno incontro a morte.


DANNO TISSUTALE INDOTTO DAI LEUCOCITI

 In alcune situazioni, i meccanismi effettori dei leucociti (enzimi e ROS)


non distinguono tra patogeno e ospite provocando danno tissutale:

- infezioni come la tubercolosi

- infezioni virali

- infarto al miocardio

- patologie autoimmuni o allergiche


DIFETTI DELLA FUNZIONE LEUCOCITARIA

 Tra le cause più comuni troviamo:

- soppressione midollare causata da tumori

- chemioterapia o radiazioni con riduzione del numero dei leucociti

- patologie metaboliche che comportano disfunzioni leucocitarie

INFEZIONI RICORRENTI E LETALI


DIFETTI DELLA FUNZIONE LEUCOCITARIA
 Tra i difetti genetici troviamo:

- difetti dell’adesione leucocitaria: es. nel LAD-1 una difettosa sintesi delle
integrine LFA-1 e Mac-1comporta deficit dell’adesione e migrazione
leucocitaria con conseguente difetto della fagocitosi e dell’esplosione
ossidativa; es. nel LAD-2 manca sialil-Lewis X che lega le selectine
dell’endotelio (difetto metabolico fucosio)

- difetti dell’attività microbicida: es. nella malattia granulomatosa (i


macrofagi inglobano i patogeni formando granulomi) cronica
difetti di produzione di ROS leucocitari comportano la non attivazione dei
meccanismi di uccisione

- difetti della formazione del fagolisosoma: difetti del traffico di organelli


che si ripercuotono sulla fusione tra lisosomi e fagosomi

- mutazioni nelle vie di segnalazione TLR


ESITI DELL’INFIAMMAZIONE ACUTA
1

2
3
ESITI DELL’INFIAMMAZIONE ACUTA
 RISOLUZIONE: RIGENERAZIONE E RIPARAZIONE

- evento lesivo breve o limitato


- danno scarso o nullo
- cessazione della migrazione leucocitaria e morte
(apoptosi) dei neutrofili extravasati
ESITI DELL’INFIAMMAZIONE ACUTA
 RISOLUZIONE: RIGENERAZIONE E RIPARAZIONE
1. Ripristino della normale
permeabilità vascolare
2. Drenaggio del liquido di edema e
delle proteine nei linfatici o
3. Per mezzo della pinocitosi dei
macrofagi
4. Fagocitosi dei neutrofili
apoptotici
5. Fagocitosi dei residui necrotici
6. Smaltimento dei macrofagi

I leucociti producono anche fattori di


crescita che danno inizio al
successivo processo di riparazione.
ESITI DELL’INFIAMMAZIONE ACUTA

 CICATRIZZAZIONE
- riparazione tissutale conseguente a
distruzione o infiammazione di
tessuti che non si rigenerano
- il tessuto danneggiato è sostituito
da tessuto connettivo
- un’estesa deposizione di tessuto
causa fibrosi, che può
compromettere la funzione
ESITI DELL’INFIAMMAZIONE ACUTA

 INFIAMMAZIONE CRONICA
- evento lesivo grave (infezioni
virali, risposte autoimmuni) o
prolungato (agente lesivo non
rimosso)
- può essere seguita da

ripristino della cicatrizzazione


normale
struttura e
funzionalità
MODELLI MORFOLOGICI
DELL’INFIAMMAZIONE ACUTA

 Infiammazione sierosa: è caratterizzata dall‘ essudazione di liquido


acquoso (EFFUSIONE) povero di proteine, derivato dal plasma (aumento
della permeabilità vascolare) o dalle secrezioni delle cellule mesoteliali
(irritazione locale). Es. vescicole da ustione o da infezione virale

 Infiammazione fibrinosa: è caratterizzata da essudato fibrinoso dovuto


alla perdita vascolare di fibrina. Se la fibrina non viene rimossa mediante
la fibrinolisi o dai macrofagi, si può avere la cicatrizzazione tissutale con
conseguenze sulla funzione dell’organo. Es. infiammazione meningi,
pericardio e pleura.
MODELLI MORFOLOGICI
DELL’INFIAMMAZIONE ACUTA

 Infiammazione purulenta: caratterizzata dalla produzione di pus, un


essudato costituito da neutrofili, detriti liquefatti di cellule necrotiche ed
edema. La causa più frequente è l’infezione batterica e i microrganismi
coinvolti sono definiti piogeni. Raccolte di pus all’interno di un tessuto
costituiscono gli ascessi, che sfocia nella cicatrizzazione.

 Ulcera: è una lesione locale della superficie di un organo o di un tessuto


prodotta dalla eliminazione (shedding) di tessuto necrotico e infiammatorio.
Comunemente riscontrata nella mucosa del cavo orale, dello stomaco,
dell’intestino e del tratto genito-urinario. La cronicizzazione comporta
cicatrizzazione.
MEDIATORI DELL’INFIAMMAZIONE
 Generalmente agiscono legandosi a specifici recettori

 Alcuni (proteasi lisosomiali e ROS) hanno attività enzimatiche o


tossiche dirette

 Tutti hanno azioni regolate e di breve durata

 Possono essere prodotti da cellule presenti nel sito di infiammazione


o possono derivare da precursori circolanti inattivi, che vengono
attivati nel sito di infezione
MEDIATORI DELL’INFIAMMAZIONE

I mediatori cellulo-derivati sono: I mediatori derivanti da proteine


- contenuti nei granuli e secreti in plasmatiche (complemento e
seguito ad attivazione cellulare (es. chinine):
istamina nei mastociti) - circolano in forma inattiva
- sintetizzati in risposta a uno - un taglio proteolitico comporta
stimolo (es. citochine prodotte dai la loro attivazione
leucociti)
MEDIATORI DELL’INFIAMMAZIONE
CELLULO-DERIVATI contenuti nei granuli di macrofagi tissutali, mastociti,
cellule endoteliali (nel sito d’infezione) e leucociti recluati

 Amine vasoattive (istamina, serotonina)


 Metaboliti dell’acido arachidonico (Prostaglandine, Leucotrieni,
Lipossine)
 Fattori di attivazione delle piastrine
 Citochine
 Chemiochine
 Monossido d’azoto

PLASMATICI proteine circolanti che appartengono a tre sistemi

 Complemento
 Coagulazione
 Chinine
MEDIATORI CELLULARI
 AMINE VASOATTIVE: ISTAMINA E SEROTONINA

 ISTAMINA

- causa vasodilatazione e aumento della permeabilità vascolare

- immagazzinata nei granuli dei mastociti, dei basofili e delle piastrine


rilasciata in seguito a:
 danni fisici (calore o trauma)
 legami di anticorpi IgE ai recettori Fc sui mastociti (allergie)
 frammenti C3a e C5a del complemento (anafilotossine)
 proteine rilascianti istamina
 neuropeptidi (sostanza P)
 citochine (IL-1, IL-8)

- dopo il suo rilascio viene inattivata dall’istaminasi


MEDIATORI CELLULARI
 AMINE VASOATTIVE: ISTAMINA E SEROTONINA

 SEROTONINA

- prodotta nei neuroni serotoninergici e nelle cellule enterocromaffini della


mucosa gastrointestinale

- immagazzinata nei granuli delle piastrine e rilasciata durante


l’aggregazione piastrinica

- induce vasocostrizione durante la coagulazione


MEDIATORI CELLULARI

 METABOLITI DELL’ACIDO ARACHIDONICO (eicosanoidi):


PROSTAGLANDINE, LEUCOTRIENI E LIPOSSINE

 Intervengono nel processo nell’ infiammazione e nell’ emostasi

 Possono mediare tutte le fasi dell’infiammazione

 Sintesi aumentata nei siti d’infiammazione

 Inibizione sintesi ad opera di agenti che riducono anche


l’infiammazione

 Le principali fonti sono leucociti, mastociti, cellule endoteliali e


piastrine

 Dopo il rilascio, decadono o vengono eliminati enzimaticamente


MEDIATORI CELLULARI
 METABOLITI DELL’ACIDO ARACHIDONICO: PROSTAGLANDINE,
LEUCOTRIENI E LIPOSSINE

 L’ acido arachidonico è un grasso polinsaturo a 20 atomi di C con 4


doppi legami

 E’ prodotto dall’acido linoleico che nella sua forma esterificata


costituisce i fosfolipidi di membrana

 Viene rilasciato attraverso l’azione di fosfolipasi attivate da stimoli


(meccanici, chimici o fisici) o da mediatori dell’infiammazione
MEDIATORI CELLULARI
 METABOLITI DELL’ACIDO ARACHIDONICO: PROSTAGLANDINE,
LEUCOTRIENI E LIPOSSINE

L’acido arachidonico costituisce il


substrato di due vie principali

CICLOSSIGENASI
 Nei mastociti porta alla
formazione di prostaglandina E2
e D2 (PGE2, PGD2) che causano
vasodilatazione
 PGE2 contribuisce anche
all’aumento del dolore e della
febbre
MEDIATORI CELLULARI
 METABOLITI DELL’ACIDO ARACHIDONICO: PROSTAGLANDINE,
LEUCOTRIENI E LIPOSSINE

5- LIPOSSIGENASI
 Nei neutrofili porta alla formazione
di leucotriene A4 (LTA4), che a sua
volta genera LTB4 e LTC4
 LTB4 è un potente chiemiotattico
per i neutrofili
 LTC4, LTD4 e LTE4 prodotti nei
mastociti causano
broncocostrizione e aumento della
permeabilità vascolare
MEDIATORI CELLULARI
 METABOLITI DELL’ACIDO ARACHIDONICO: PROSTAGLANDINE,
LEUCOTRIENI E LIPOSSINE

12- LIPOSSIGENASI
 I leucociti una volta penetrati nei
tessuti convertono i leucotrieni in
lipossine, che inibiscono la
chemiotassi dei neutrofili e
l’adesione all’endotelio

 Lipossina A4 e B4 (LXA4 e LXB4)


MEDIATORI CELLULARI
 METABOLITI DELL’ACIDO ARACHIDONICO: PROSTAGLANDINE,
LEUCOTRIENI E LIPOSSINE

12- LIPOSSIGENASI

 Le piastrine producono lipossine a


partire da prodotti intermedi
derivati dai neutrofili adiacenti
MEDIATORI CELLULARI

INIBITORI FARMACOLOGICI DELLA PRODUZIONE DI


PROSTAGLANDINE

 I farmaci antiinfiammatori non steroidei (FANS), acido acetilsalicilico e


ibuprofene, inibiscono due forme della ciclossigenasi, COX- 1 e COX-2

 Bloccano la sintesi delle prostaglandine

 Impiegati nel trattamento del dolore e della febbre

 I glucocorticoidi o cortisonici inibiscono la fosfolipasi A2 e quindi il


rilascio di acido arachidonico dai lipidi di membrana
MEDIATORI CELLULARI
 FATTORE DI ATTIVAZIONE DELLE PIASTRINE

 PAF (Platelet-Activating Factor) deriva dai fosfolipidi di membrana di


neutrofili, monociti, basofili, cellule endoteliali, piastrine e altre cellule,
privati dell’acido arachidonico

 Potente stimolatore dell’aggregazione piastrinica

 Causa inoltre vasodilatazione e aumento della permeabilità vascolare

 Stimola la sintesi di altri mediatori, eicosanoidi e citochine,


implementando adesione leucocitaria-chemiotassi-degranulazione
neutrofila-esplosione ossidativa
MEDIATORI CELLULARI
 CITOCHINE

 Mediatori dell’infiammazione e delle risposte immunitarie

 Stimolano i precursori midollari a produrre più leucociti da sostituire alle


cellule utilizzate per la risposta infiammatoria o immunitaria

 Sono chiamate interleuchine

 Nella risposta acuta sono coinvolte: TNF, IL-1, IL-6 e le chemochine


MEDIATORI CELLULARI
 CITOCHINE
 TNF e IL-1 sono secreti in seguito a stimoli di prodotti microbici, come
endotossina batterica, di immunocomplessi o dei linfociti T nelle risposte
adattative; IL-1 è indotta anche dall’attivazione dell’inflammasoma

 Stimolano l’espressione di molecole di adesione sulle cellule endoteliali,


con aumento del legame e del reclutamento di leucociti

 Stimolano la produzione di chemochine ed eicosanoidi

 TNF aumenta la capacità trombogenica dell’endotelio

 IL-1 attiva i fibroblasti tissutali con conseguente proliferazione e


deposizione di ECM

 Sebbene siano prodotte nei siti d’infezione, possono indurre una risposta
sistemica lontano dai siti di interesse, come febbre, letargia, deperimento
metabolico, caduta della pressione arteriosa
MEDIATORI CELLULARI
 CHEMOCHINE
 Reclutano i leucociti nel sito d’infiammazione

 Attivano i leucociti reclutati, aumentando l’affinità delle integrine per i


ligandi endoteliali

 Si legano a recettori specifici sulle cellule bersaglio

 Ci sono due gruppi principali:

- CXC, a cui appartiene IL-8 prodotta da macrofagi-cellule endoteliali-


mastociti-fibroblasti, in risposta a stimoli microbici e ad altre citochine,
TNF e IL-1
- CC, a cui appartengono MCP-1 e MIP-1alpha (chemiotattiche per i
monociti), RANTES (chemiotattica per le cellule T CD4+ e i monociti) e
eotassina (chemiotattica per gli eosinofili)
MEDIATORI CELLULARI

 MONOSSIDO DI AZOTO

 Radicale gassoso, solubile e di breve durata

 Regola il flusso ematico oltre che il rilascio di neurotrasmettitori

 Viene utilizzato dai macrofagi come agente citotossico nei confronti di


microrganismi e cellule tumorali

 Viene prodotto dalle cellule endoteliali e comporta vasodilatazione


MEDIATORI CELLULARI

 MONOSSIDO DI AZOTO (NO)

• Viene prodotto dalla ossido-nitrico sintetasi (NOS) a partire da la L-


Arginina.

• Esistono tre isoforme dell’enzima:

- NOS di tipo I o Neuronale o nNOS espressa nei neuroni


- NOS di tipo II o Inducibile o iNOS espressa nei macrofagi e nelle cellule
endoteliali, indotti da citochine e mediatori (TNF, IL-1, IFNgamma) e da
endotossina batterica; responsabile della produzione di NO
nell’infiammazione
- NOS di tipo III o endoteliale o eNOS sintetizzata pricipalmente
nell’endotelio
MEDIATORI CELLULARI
 MONOSSIDO DI AZOTO (NO)
 Attività antibatterica nei macrofagi attivati

 Induce vasodilatazione

 Riduce adesione, aggregazione e degranulazione piastrinica

 Riduce il reclutamento leucocitario


MEDIATORI DERIVATI DALLE PROTEINE
PLASMATICHE

 Proteine coinvolte nella risposta infiammatoria che fanno parte di


tre sistemi interconnessi

DEL COMPLEMENTO DELLA COAGULAZIONE


DELLE CHININE
MEDIATORI DERIVATI DALLE PROTEINE
PLASMATICHE
 COMPLEMENTO

 E’ composto da proteine plasmatiche impegnante nell’immunità e


nell’infiammazione

 I componenti sono numerati da C1 a C9 e sono presenti in forma


inattiva; vengono attivati in seguito a proteolisi

 Dopo essere state attivate, le proteine:


- rivestono (OPSONIZZANO) le particelle da eliminare
- - aumentano la permeabilità vascolare
- aumentano la chemiotassi dei leucociti

 Il complesso del complemento attivato (MAC) forma pori nella


membrana del patogeno
MEDIATORI DERIVATI DALLE PROTEINE
PLASMATICHE

Via classica: C1 si lega a complessi


antigene-anticorpo

Via alternativa: componenti


microbiche

Via della lectina: legame tra lectina


plasmatica e residui di mannosio sui
microrganismi
MEDIATORI DERIVATI DALLE PROTEINE
PLASMATICHE
 Tutte e tre le vie di attivazione
del complemento portano alla
formazione di un enzima attivo
chiamato C3 convertasi, che
scinde C3 in due frammenti
funzionalmente distinti, C3a e
C3b.

 C3b porta alla formazione,


dopo che sulla superficie del
patogeno il complesso è stato
attivato, di C5 convertasi

 C5 convertasi genera C5a e


C5b e inizia l’assemblaggio di
C6-C9
MEDIATORI DERIVATI DALLE PROTEINE
PLASMATICHE

Effetti vascolari
• C3a e C5a inducono il rilascio di istamina dai mastociti (vasodilatazione e
aumento permeabilità)
• C5a attiva la via lipossigenasica dell’acido arachidonico nei neutrofili e nei
monociti (rilascio di mediatori dell’infiammazione)

Adesione, chemiotassi e attivazione dei leucociti


• C5a è un potente agente chemiotattico per neutrofili, monociti, eosinofili e
basofili
• aumenta l’adesione leucocitaria all’endotelio
• aumenta l’avidità di legame delle integrine
MEDIATORI DERIVATI DALLE PROTEINE
PLASMATICHE

Fagocitosi
• C3b e iC3b sulla superficie microbica agiscono da
opsonine per i neutrofili e per i macrofagi che posseggono
il recettore per questi prodotti, aumentandone la fagocitosi

Lisi cellulare
• Il complesso MAC costituito dalla componente C9 uccide i batteri
causando pori che alterano l’equilibrio osmotico
MEDIATORI DERIVATI DALLE PROTEINE
PLASMATICHE

 L’attivazione del complemento è regolata da proteine cellulari o


circolanti a protezione delle cellule normali

 Deficit di queste proteine portano ad attivazione spontanea del


complemento
MEDIATORI DERIVATI DALLE PROTEINE
PLASMATICHE
 SISTEMI DELLA COAGULAZIONE E DELLE CHININE

 Il fattore di Hageman o fattore XII della via della coagulazione una


volta attivato (fattore XIIa) innesca altri sistemi coinvolti nella
risposta infiammatoria
MEDIATORI DERIVATI DALLE PROTEINE
PLASMATICHE
 SISTEMI DELLA COAGULAZIONE E DELLE CHININE

 Il sistema delle chinine porta alla sintesi di bradichinina, con


aumento della permeabilità vascolare, e di callicreina, potente
chiemiotattico e attivatore del fattore XII (collegamento tra sistema
chinine-coagulazione)
MEDIATORI DERIVATI DALLE PROTEINE
PLASMATICHE
 SISTEMI DELLA COAGULAZIONE E DELLE CHININE

 Il sistema della coagulazione porta all’attivazione della trombina


(converte il fibrinogeno in fibrina), che si lega sulle cellule
endoteliali attivando ed implementando l’adesione leucocitaria

 La trombina genera
fibrinopeptidi
chemiotattici per i
leucociti e aumentano
permeabilità

 La trombina attiva C5,


che produce C5a
(collegamento tra
coagulazione e complemento)
MEDIATORI DERIVATI DALLE PROTEINE
PLASMATICHE
 SISTEMI DELLA COAGULAZIONE E DELLE CHININE

 Il sistema fibrinolitico, attivato contemporaneamente alla


coagulazione, solubilizza la fibrina per limitare la coagulazione:
attivatore del plasminogeno e callicreina convertono il plasminogeno
in plasmina che taglia la
fibrina sciogliendo il
coagulo

 I prodotti di degradazione
della fibrina aumentano
la permeabilità

 La plasmina attiva la
proteina C3, che produce
C3a (vasodilatazione con aumentata permeabilità), e il fattore XII
RUOLO DEI MEDIATORI NELLE REAZIONI
INFIAMMATORIE
MECCANISMI ANTINFIAMMATORI

 Breve durata dei mediatori

 Lipossine e proteine regolatrici del complemento come blocco della


risposta infiammatoria

 Le cellule attivate secernono citochine antinfiammatorie (IL-10, TGF-


β)

 Le cellule esprimono proteine intracellulari (tirosina fosfatasi) che


bloccano i segnali proinfiammatori
INFIAMMAZIONE CRONICA

 E’ un processo caratterizzato dalla persistenza di una risposta per un


periodo di mesi-anni e dalla persistenza nel tempo di processi di danno e
riparo tessutale.

 Infiltrazione di cellule mononucleate, inclusi i macrofagi, linfociti e


plasmacellule

 Distruzione tissutale, indotta dall’agente causale persistente o dalle stesse


cellule infiammatorie

 Riparazione, con angiogenesi e fibrosi


INFIAMMAZIONE CRONICA
 Infezioni frequenti
- Microrganismi difficili da eradicare come Mycobacterium tuberculosis,
Treponema pallidum (agente eziologico della sifilide), alcuni virus e
funghi
- Scatenano la risposta immunitaria mediata dai Linfociti T (ipersensibilità di
tipo ritardato)

 Malattie da ipersensibilità (Patologie infiammatorie immuno-mediate)


- Malattie autoimmuni
- Malattie allergiche (asma bronchiale)

 Esposizione prolungata ad agenti potenzialmente tossici, esogeni ed


endogeni
- Aterosclerosi

 Malattie neurodegenerative (Alzheimer)


CELLULE E MEDIATORI
DELL’INFIAMMAZIONE CRONICA

Monociti/Macrofagi

Linfociti

Plasmacellule
MACROFAGI

 Sono le cellule predominanti dell’infiammazione cronica

 Derivano da monociti (originano da precursori nel midollo osseo) circolanti


nel sangue, che attratti da molecole di adesione e da chemochine, migrano
verso i siti di danno

 Una volta raggiunto il tessuto si trasformano in macrofagi, che sono attivati


da diversi stimoli secondo due vie: CLASSICA e ALTERNATIVA
MACROFAGI
1.

 Indotta da endotossine,
1 IFN-gamma, sostanze
estranee

 Una volta attivati,


producono enzimi
lisosomiali, NO e ROS
(incremento della capacità
di uccisione)

 Secernono citochine
proinfiammatorie

 Fondamentali nella difesa


contro patogeni e
nell’infiammazione cronica
MACROFAGI

2.
2
 Indotta da IL-13 e IL-4

 Una volta attivati


intervengono nella
riparazione tissutale

 Producono fattori di
crescita che stimolano
angiogenesi e sintesi di
collagene e attivano
fibroblasti
MACROFAGI
Ruolo dei macrofagi nella risposta infiammatoria:

 Ingeriscono ed eliminano i microrganismi e le cellule tissutali


danneggiate

 Danno inizio al processo di riparazione tissutale

 Secernono i mediatori dell’infiammazione (citochine, eicosanoidi)

 Presentano gli antigeni ai linfociti T e rispondono ai loro segnali

 Dopo la rimozione dello stimolo e riduzione della risposta


infiammatoria, i macrofagi muoiono o si allontanano mediante i vasi
linfatici
LINFOCITI
 I linfociti vengono mobilitati nel contesto di ogni stimolo immunitario
specifico (es. infezioni) ma anche di eventi infiammatori non immuno-
mediati (es nella necrosi ischemica o nei traumi).

 Sono le principali cellule guida dell’infiammazione in molte patologie


autoimmuni e disordini infiammatori cronici.

 I linfociti T e B stimolati da antigeni, utilizzano molecole di adesione


(selectine, integrine e loro ligandi) e chemochine per migrare nei siti
dell’infiammazione.

 Nei tessuti, i linfociti B possono diventare plasmacellule secernenti


anticorpi, i linfociti T CD4+ secernono citochine proinfiammatorie e
influenzano il tipo di reazione infiammatoria.
LINFOCITI

Ci sono tre sottopopolazioni di linfociti T CD4+ che secernono diversi tipi di


citochine e provocano diversi tipi di infiammazione:

 I linfociti TH1 producono la citochina IFN-gamma che attiva i


macrofagi mediante la via classica

 I linfociti TH2 secernono IL-4, IL-5 e IL-13, che reclutano e attivano gli
eosinofili e sono responsabili della via di attivazione macrofagica
alternativa

 I linfociti TH17 secernono IL-17 e altre citochine che inducono la


secrezione di chemochine responsabili del reclutamento dei neutrofili e dei
monociti
LINFOCITI
 I macrofagi presentano gli antigeni alle cellule T ed esprimono
molecole di membrana (costimolatori) e producono citochine (IL-6,
IL-12 e altre) che stimolano la risposta delle cellule T

 I linfociti T attivati producono citochine che reclutano e attivano i


macrofagi, amplificando la risposta antigenica e la produzione di
citochine stimolanti i linfociti T

 Reazioni cicliche che alimentano


l’infiammazione cronica
EOSINOFILI

 Gli eosinofili sono abbondanti nelle reazioni immunitarie mediate da IgE


(allergie) e nelle infezioni parassitarie.

 Il loro reclutamento è guidato da molecole di adesione e da chemochine


specifiche (es l’eotassina) derivate dai leucociti e dalle cellule epiteliali

 Gli eosinofili hanno granuli che contengono la proteina basica maggiore,


tossica per i parassiti ma che provoca anche la lisi di cellule epiteliali
tissutali (necrosi)
MASTOCITI

 I mastociti possono partecipare alle risposte infiammatorie acute e croniche

 Nelle persone atopiche (soggette a reazioni allergiche), sono rivestiti con


anticorpi IgE specifici per alcuni antigeni ambientali

 Il riconoscimento di tali antigeni stimola i mastociti a rilasciare istamina e


metaboliti dell’acido arachidonico (infiammazione acuta)

 I mastociti possono anche secernere citochine come TNF e chemochine e


possono giocare un ruolo benefico nel combattere alcune infezioni
INFIAMMAZIONE GRANULOMATOSA

 E’ una forma distinta di infiammazione cronica caratterizzata da aggregati


di macrofagi attivati con linfociti sparsi.

 Il riconoscimento dei granulomi, caratteristici di alcuni specifici stati


patologici, è importante poiché sono alla base di patologie, anche
mortali

 La formazione del granuloma è un importante meccanismo di difesa in


quanto comporta l’isolamento del patogeno

 Se il patogeno non viene eradicato, l’infiammazione granulomatosa


sfocia in fibrosi e conseguente disfunzione dell’organo
INFIAMMAZIONE GRANULOMATOSA
I granulomi possono formarsi attraverso tre modalità:

1. Risposte persistenti ad alcuni microrganismi (Mycobacterium tuberculosis)


in cui le citochine derivate dalle cellule T sono responsabili dell’attivazione
cronica dei macrofagi. La tubercolosi è il prototipo di malattia
granulomatosa causata da un’infezione.

2. Patologie infiammatorie immuno-mediate come la malattia di Crohn che è


una patologia infiammatoria intestinale e un’importante causa di
infiammazione granulomatosa.

3. In una patologia a eziologia sconosciuta, come la sarcoidosi, o in risposta a


corpi estranei relativamente inerti (filo da suture o schegge) formando i
granulomi da corpo estraneo
EFFETTI SISTEMICI
DELL’INFIAMMAZIONE
 L’infiammazione, anche se localizzata, è associata a reazioni
sistemiche indotte da citochine che sono chiamate, nel loro insieme,
reazione di fase acuta

 La risposta di fase acuta consiste in diverse modificazioni


cliniche e patologiche:
 Febbre
 Livelli plasmatici elevati di proteine delle fase acuta
 Leucocitosi
 Shock settico
 Altre manifestazioni
FEBBRE

 Caratterizzata dall’aumento della temperatura corporea in risposta a


sostanze chiamate pirogeni

 LPS, pirogeno esogeno che stimola i leucociti a rilasciare IL-1 e TNF,


pirogeni endogeni che aumentano i livelli di ciclossigenasi convertendo
acido arachidonico in prostaglandine

 Nell’ipotalamo le prostaglandine stimolano la produzione di


neurotrasmettitori che innalzano la temperatura
FEBBRE
LIVELLI PLASMATICI ELEVATI DI PROTEINE
DI FASE ACUTA
 Sono sintetizzate principalmente nel fegato e la loro
concentrazione aumenta durante l’infiammazione acuta

 Le tre più note sono: proteina C-reattiva (PCR), il fibrinogeno e la


proteina sierica A dell’amiloide (SAA)

 La sintesi da parte degli epatociti è stimolata da citochine (TNF, IL-1, IL-6)

 SAA e PCR si legano alle pareti delle cellule microbiche (osponine) e


attivano la cascata del complemento

 Il fibrinogeno si lega ai globuli rossi formando aggregati con velocità di


sedimentazione maggiore rispetto agli eritrociti

 La velocità di eritrosedimentazione (VES) è un test per la misurazione


della risposta infiammatoria sistemica causata da diversi stimoli
LEUCOCITOSI

La conta leucocitaria raggiunge le 15.000/20.000 cellule/mL, ma in alcuni casi


può raggiungere le 40.000/100.000 cellule/mL. Questi estremi aumenti sono
indicati come reazioni leucemoidi perché simili a quelli riscontrati nelle
leucemie

Inizialmente si verifica in seguito all’aumentato rilascio di leucociti dal midollo


osseo sotto l’influenza di citochine (TNF, IL-1) aumento di neutrofili
immaturi nel sangue noto come «spostamento a sinistra»

L’infezione prolungata stimola la produzione di fattori stimolanti le


colonie (CSF), che aumentano la produzione di leucociti dal midollo osseo
per compensare la perdita di tali cellule nella reazione infiammatoria.
LEUCOCITOSI
 La maggior parte delle infezioni batteriche determina un aumento della
conta dei neutrofili, chiamata NEUTROFILIA

 Le infezioni virali (mononucleosi infettiva, la parotite e la rosolia)


sono associate all’aumento del numero di linfociti, chiamata
LINFOCITOSI

 L’asma bronchiale, la febbre da fieno e le infestazioni parassitarie


comportano tutte un aumento del numero assoluto di eosinofili,
determinando EOSINOFILIA

 Alcune infezioni (febbre tifoide e infezioni causate da alcuni virus e


alcuni protozoi) sono associate a un ridotto numero di globuli bianchi
circolanti (LEUCOPENIA), probabilmente a causa del sequestro
citochino-dipendente di linfociti nei linfonodi.
SHOCK SETTICO

 Nelle infezioni batteriche gravi (sepsi), la presenza di un grande numero di


batteri (e dei loro prodotti) nel sangue stimola la produzione di enormi
quantità di diverse citochine, in particolare TNF, IL-1 e IL-12.

 Il TNF può causare la coagulazione intravascolare disseminata (CID),


squilibri metabolici fra cui acidosi, l’iperglicemia e la resistenza
all’insulina. Questa triade clinica è nota come shock settico.
ALTRE MANIFESTAZIONI

 Aumento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa

 Riduzione della sudorazione

 Brividi

 Sensazioni di freddo (dovuta al cambiamento delle T da parte


dell’ipotalamo)

 Anoressia

 Sonnolenza e malessere
RIPARAZIONE TISSUTALE

 La riparazione, o guarigione, riguarda il ripristino dell’architettura


e delle funzioni dei tessuti danneggiati

 La riparazione dei tessuti danneggiati avviene con due tipi di eventi: la


rigenerazione del tessuto e la deposizione di tessuto connettivo per formare
una cicatrice.

RIPARAZIONE TISSUTALE

RIGENERAZIONE FORMAZIONE DI
CICATRICE
MECCANISMI DI RIPARAZIONE TISSUTALE

 RIGENERAZIONE

 Processo mediante il quale alcuni


tessuti sostituiscono le cellule
danneggiate tornando allo stato
iniziale

 Avviene grazie alla proliferazione


delle cellule non danneggiate e alle
cellule staminali tissutali

 Risposta tipica al danno a livello


della pelle, dell’intestino e del
fegato
MECCANISMI DI RIPARAZIONE TISSUTALE

 CICATRIZZAZIONE

 La riparazione consiste nella


deposizione di tessuto connettivo
(fibroso) e nella formazione di una
cicatrice che permette al tessuto di
funzionare

 Nei tessuti non in grado di


rigenerarsi o con strutture di
supporto danneggiate
RIGENERAZIONE CELLULARE E
TISSUTALE

LA RIGENERAZIONE DELLE CELLULE E DEI TESSUTI


DANNEGGIATI COINVOLGE LA PROLIFERAZIONE
CELLULARE, CHE È CONTROLLATA DA FATTORI DI
CRESCITA ED È STRETTAMENTE DIPENDENTE
DALL’INTEGRITÀ DELLA MATRICE
EXTRACELLULARE.
CAPACITA’ PROLIFERATIVE DEI TESSUTI

 La capacità dei tessuti di ripararsi è determinata, in parte, dalla loro


capacità intrinseca di proliferare.

 In base a questo criterio, i tessuti sono divisi in tre gruppi:

• Tessuti labili (continuamente in replicazione)

• Tessuti stabili

• Tessuti perenni
CAPACITA’ PROLIFERATIVE DEI TESSUTI
 TESSUTI LABILI
 Le cellule sono perse e continuamente rimpiazzate tramite la
differenziazione di cellule staminali e la proliferazione di cellule mature
 Es. cellule ematopoietiche del midollo osseo, epitelio squamoso stratificato
della cute, della vagina e della cervice uterina, l’epitelio cuboidale dei dotti
escretori delle ghiandole esocrine (pancreas, tratto biliare), l’epitelio
colonnare del tratto intestinale, dell’utero e delle tube di Falloppio,
l’epitelio di transizione del tratto urinario

 TESSUTI STABILI:
 Le cellule sono quiescenti e hanno un’attività replicativa minima in
condizioni normale
 Si replicano in risposta a un danno o perdita di massa tissutale
 Es. cellule del parenchima di fegato, rene e pancreas, cellule endoteliali,
fibroblasti, tessuto muscolare liscio. La loro proliferazione è importante nel
processo di guarigione delle ferite
 Fatta eccezione per il fegato, i tessuti stabili hanno una capacità di
rigenerazione limitata in risposta a un danno
CAPACITA’ PROLIFERATIVE DEI TESSUTI

 TESSUTI PERENNI
 Le cellule sono incapaci di proliferare o di differenziarsi ulteriormente Es
neuroni e cellule del muscolo cardiaco
 Il muscolo scheletrico è considerato come tessuto perenne con una residua
capacità rigenerativa
 Nei tessuti permanenti, la riparazione è tipicamente dominata dalla
cicatrizzazione
CELLULE STAMINALI
CONTROLLO DELLA PROLIFERAZIONE
CELLULARE

 Durante il processo riparativo proliferano:


 Le cellule superstiti (struttura)
 Le cellule dell’endotelio vascolare
(nutrimento)
 I fibroblasti (cicatrizzazione)

 La proliferazione è guidata da proteine


chiamate FATTORI DI CRESCITA

 In condizioni normali, la popolazione


cellulare in termini di numero è
determinata dall’equilibrio tra
proliferazione cellulare, morte cellulare
per apoptosi e nascita di nuove cellule
differenziate dalle staminali
CONTROLLO DELLA PROLIFERAZIONE
CELLULARE

 I fattori di crescita stimolano le cellule a passare dalle fasi del ciclo


cellulare in cui sono quiescenti (G0 e G1) alla fase S (duplicazione DNA)
prima, e G2 (precede mitosi) e M (mitosi) dopo.

 Tale progressione è regolata da una famiglia di proteine dette CICLINE


FATTORI DI CRESCITA

 Sono proteine che stimolano la sopravvivenza e la proliferazione di


particolari cellule e possono anche promuovere la migrazione, la
differenziazione e altre risposte cellulari

 Inducono la proliferazione cellulare legandosi a specifici recettori che


attivano l’espressione di geni che promuovono l’avvio e la progressione del
ciclo cellulare, inibiscono l’apoptosi e aumentano la sintesi di proteine per
la mitosi

 In particolare, stimolano la funzione di geni che controllano la crescita,


detti proto-oncogeni (mutazioni proliferazione incontrollata cancro)

 Di quelli coinvolti nella riparazione, molti sono sintetizzati da macrofagi e


linfociti nella sede del danno oppure attivati in tale sede come fase del
processo infiammatorio; altri sono attivati dalle cellule parenchimali o
stromali
FATTORI DI CRESCITA

 L’azione dei fattori di crescita può svolgersi:

 Nella cellula che li ha prodotti (SEGNALAZIONE AUTOCRINA)

 Tra cellule adiacenti (SEGNALAZIONE PARACRINA)

 Tra cellule distanti (SEGNALAZIONE ENDOCRINA)


FATTORI DI CRESCITA
 I recettori di membrana possono essere

 RECETTORI CON ATTIVITÀ CHINASICA INTRINSECA: il legame tra


ligando e recettore causa dimerizzazione e fosforilazione delle sue subunità;
questa forma lega, attivandole, proteine intracellulari a monte di vie di
trasduzione del segnale che comportano la proliferazione cellulare

 RECETTORI ACCOPPIATI A PROTEINE G: costituiti da sette domini


transmembrana; dopo il legame del ligando, al recettore si legano proteine
G intracellulari contenenti GDP, il GDP viene convertito in GTP con
conseguente attivazione della stessa proteina G; le vie di trasduzione a valle
coinvolgono cAMP e inositolo trifosfato (IP3) che comporta il rilascio di
calcio dal reticolo endoplasmatico con aumento della motilità cellulare

 RECETTORI PRIVI DI ATTIVITÀ CHINASICA INTRINSECA:


l’interazione tra ligando e recettore provoca un cambiamento
conformazionale con associazione a proteine chinasi dette JAK; la
fosforilazione di queste attiva fattori di trascrizione STAT che migrano nel
nucleo
FATTORI DI CRESCITA

 HGF: Hepatocyte Growth Factor

 EGF: Epidermal Growth Factor

 TGF: Transforming Growth Factor

 VEGF: Vascular Endothelial Growth Factor

 PDGF: Platelet-Derived Growth Factor

 FGF: Fibroblast Growth Factor

 KGF: Keratinocyte Growth Factor


RUOLO DELLA MATRICE EXTRACELLULARE
NELLA RIPARAZIONE TISSUTALE
 La riparazione dei tessuti non dipende soltanto dall’azione dei fattori di
crescita, ma anche dalle interazioni tra cellule e i componenti della
matrice extracellulare (ECM)

 La ECM è un complesso tra diverse proteine che forma una rete


abbastanza estesa intorno alle cellule

 Sequestra acqua per garantire turgore ai tessuti molli e minerali per


conferire rigidità all’osso

 Regola la proliferazione, il movimento e la differenziazione delle


cellule che vivono al suo interno poiché fornisce un substrato per
l’adesione cellulare e la migrazione e rappresenta un serbatoio di fattori
di crescita
RUOLO DELLA MATRICE EXTRACELLULARE
NELLA RIPARAZIONE TISSUTALE
 L’ECM è rimodellata costantemente, mediante sintesi e degradazione,
durante morfogenesi, guarigione delle ferite, fibrosi, invasione
tumorale e metastasi

 La ECM è costituita da due strutture di base:

MATRICE INTERSTIZIALE MEMBRANA BASALE


ECM: MATRICE INTERSTIZIALE

 Si trova negli spazi tra le


cellule nel tessuto connettivo,
fra l’epitelio e le strutture
vascolari

 E’ sintetizzata dalle cellule


mesenchimali

 Forma un gel tridimensionale


amorfo

 I principali componenti sono


collagene, fibronectina,
elastina, proteoglicani,
ialuronato e altri elementi
ECM: MEMBRANA BASALE

 Circonda le cellule epiteliali,


endoteliali e muscolari lisce

 Molto più specializzata e


organizzata, tende a formare
un reticolo a nido d’ape

 Sintetizzata dall’epitelio e
dalle mesenchimali sottostanti

 Costituita da Collagene di tipo


IV e laminina
COMPONENTI DELLA MATRICE
EXTRACELLULARE

Le componenti della matrice extracellulare sono:

 Proteine fibrose strutturali (collagene ed elastina) che


conferiscono resistenza alla trazione ed elasticità

 Gel costituiti da proteoglicani e ialuronato che conferiscono


lubrificazione e flessibilità

 Glicoproteine adesive che connettono gli elementi della matrice fra di loro
e alle cellule
COLLAGENE

 E’ la proteina più abbondante nel regno animale e fornisce


l’impalcatura extracellulare di tutti gli organismi pluricellulari.

 Le molecole di collagene sono costituite da tre distinte catene


polipeptidiche intrecciate a formare una tripla elica simile ad una corda

 Circa 41 tipi di catene formano almeno 27 tipi distinti di collagene


COLLAGENE

 I tipi I, II, III e V costituiscono i collageni fibrillari, i maggiori


costituenti del connettivo nelle ferite e nelle cicatrici; si formano in
seguito a legami crociati fra triple eliche, che conferiscono resistenza alla
tensione

 La vitamina C favorisce il processo di formazione di collageni fibrillari


(carenze comportano guarigione delle ferite difettosa e sanguinamento
facile)

 Difetti in questi tipi di collagene causano patologie come osteogenesi


imperfetta e sindrome di Ehlers-Danlos
ELASTINA E FIBRE ELASTICHE

 L’elasticità dei tessuti (cute, utero, vasi sanguigni, polmoni) è conferita


dalle fibre elastiche

 Le fibre elastiche hanno la capacità di allungarsi per poi ritornare


alle loro dimensioni originali

 Le fibre elastiche sono formate da un nucleo centrale di elastina


circondato da una rete periferica di fibrillina

 Difetti nella sintesi di fibrillina determinano anomalie


scheletriche e indebolimento della parete dell’aorta (sindrome
di Marfan)
PROTEOGLICANI (PG) E IALURONATO
Sono gel idratati e comprimibili che conferiscono elasticità e lubrificazione
(cartilagini articolari); fungono anche da riserva di fattori di crescita prodotti
dalla ECM (FGF, HGF)

Sono costituiti da lunghe catene polisaccaridiche denominate


glicosaminoglicani o mucopolisaccaridi legate ad un “core” proteico.

Alcuni sono costituenti delle proteine di membrana con un ruolo nella


proliferazione, migrazione e adesione (legano fattori di crescita e chemochine,
concentrandoli a livello locale)

Lo ialuronato (o acido ialuronico) è un enorme mucopolisaccaride non


legato a proteine che funge da scheletro per grandi complessi di PG.

Lega l’acqua formando una matrice viscosa simile alla gelatina


conferendo elasticità e potere lubrificante (come nelle cartilagini e nelle
articolazioni).
GLICOPROTEINE ADESIVE
 Le glicoproteine adesive e i recettori di adesione sono coinvolte
nell’adesione tra cellule, nel legame tra cellule e ECM e nel legame tra i
componenti della ECM

 Le glicoproteine di adesione comprendono:


- Fibronectina (matrice interstiziale)
- Laminina (membrana basale)

 I recettori di adesione o CAM comprendono:


- Immunoglobuline
- Caderine
- Selectine
- Integrine
FIBRONECTINA

E’ una glicoproteina di grosse dimensioni, costituita da due catene,


unite da ponti disolfuro.

 E’prodotta da fibroblasti, monociti e cellule endoteliali

Si lega a diverse altre componenti della ECM: collagene, fibrina e


proteoglicani

Si lega alle integrine cellulari che riconoscono una sequenza


aminoacidica: arginina-glicina-acido aspartico (RGD).

Nei siti di guarigione delle ferite, la forma plasmatica lega la


fibrina del coagulo formando aggregati fibrillari, substrati per
la deposizione di ECM e la ricostituzione del tessuto
LAMININA

E’ la glicoproteina più abbondante nella


membrana basale

E’ una proteina di grandi dimensioni ed ha


struttura eterotrimerica con forma a croce

Attraversa la lamina basale, legandosi da un


lato con recettori specifici sulla cellula,
dall’altro con componenti della ECM
(collagene tipo IV, eparansolfato)

Modula l’adesione, la crescita, la


sopravvivenza, la morfologia, il
differenziamento e la motilità di diversi tipi
cellulari
INTEGRINE

 Glicoproteine transmembrana con un ruolo importante nell’adesione


leucocitaria all’endotelio e nell’aggregazione piastrinica

 Sono presenti nella membrana della maggior parte delle cellule

 Fondamentali in qualità di recettori cellulari per componenti della ECM


(fibronectina e laminina)

Attraverso le sequenze RGD si legano a molte componenti della ECM,


attivando le vie di segnalazione coinvolte nella proliferazione,
differenziazione e locomozione cellulare.
RUOLO DELLA ECM
 Supporto meccanico per
ancoraggio migrazione e polarità
cellulare

 Controllo della proliferazione


cellulare (fattori di crescita e
recettori per le integrine)

 Differenziazione delle cellule


influenzata dalle integrine

 Nel rinnovamento tissutale è


fondamentale che la ECM sia
integra per fungere da supporto

 Organizzazione dei microambienti


tissutali
LA RIGENERAZIONE NELLA RIPARAZIONE
TISSUTALE

LA RIGENERAZIONE PUO’ VERIFICARSI SE LE CELLULE SONO IN


GRADO DI PROLIFERARE E DIFFERENZIARE E SE LA ECM E’
INTATTA

SE IL TESSUTO E’ INTERAMENTE DANNEGGIATO LA


RIGENERAZIONE E’ INCOMPLETA ED E’ ACCOMPAGNATA DA
CICATRIZZAZIONE
CICATRIZZAZIONE

IN CASO DI INFEZIONE GRAVE O CRONICA CON DANNO ALLE


CELLULE PARENCHIMALI, EPITELIALI E AL TESSUTO CONNETTIVO
O CON DANNO ALLE CELLULE CON PERDITA DI CAPACITA’
REPLICATIVA, LA RIPARAZIONE AVVIENE TRAMITE LA
SOSTITUZIONE DEL TESSUTO CON CONNETTIVO E FORMAZIONE DI
UNA CICATRICE
FASI DELLA CICATRIZZAZIONE
 Angiogenesi

 Formazione del tessuto di


granulazione (migrazione e
proliferazione dei fibroblasti, con
deposizione di connettivo che
insieme a vasi e leucociti forma
questo tessuto)

 Rimodellamento del tessuto


fibroso per produrre la cicatrice
ANGIOGENESI

 E’ il processo di sviluppo di nuovi vasi sanguigni a partire da vasi esistenti


fondamentale:

 Nella guarigione del tessuto danneggiato

 Nello sviluppo di circoli collaterali nei siti ischemici

 Nella crescita tumorale oltre la perfusione ematica originaria


ANGIOGENESI

 Vasodilatazione (NO) e aumentata


permeabilita’ (VEGF)
 Degradazione della membrana
basale
 Migrazione delle cellule
endoteliali verso il sito di danno
 Proliferazione delle cellule
endoteliali appena dietro il fronte
della migrazione
ANGIOGENESI
 Maturazione delle cellule
endoteliali, con inibizione della
loro crescita e loro rimodellamento
in tubi capillari
 Reclutamento di periciti staccatisi
dalla superfice periluminale per
formare vasi maturi
 Deposizione della membrana
basale
FATTORI DI CRESCITA COINVOLTI
NELL’ANGIOGENESI
 VEGF o fattori di crescita endoteliale vascolare

 la famiglia include VEGF-A, -B, -C, -D, -E; VEGF-A (o VEGF), è


coinvolto maggiormente nella stimolazione dell’angiogenesi nei danni
tissutali e nei tumori ed è espresso nei tessuti adulti;

 si lega a recettori tirosin-chinasici VEGFR-1, -2, -3; il più importante


nell’angiogenesi è il VEGFR-2, espresso principalmente dalle cellule
endoteliali

 VEGF è stimolato principalmente da ipossia; altri stimoli sono PDGF e


TGF

 VEGF stimolato, a sua volta stimola migrazione e proliferazione delle


cellule endoteliali, produzione di NO con vasodilatazione, formazione del
lume vascolare
FATTORI DI CRESCITA COINVOLTI
NELL’ANGIOGENESI
 FGF o fattore di crescita dei fibroblasti

 Legano recettori con attività tirosin-chinasica

 La famiglia ha più di 20 membri, tra i più conosciuti abbiamo FGF-1 (o


acido) e FGF-2 (o basico)

 FGF-2 è importante nell’angiogenesi: stimola proliferazione delle cellule


endoteliali

 Promuove la migrazione di macrofagi e fibroblasti verso l’area danneggiata e


stimola migrazione delle cellule epiteliali per coprire le ferite epidermiche
FATTORI DI CRESCITA COINVOLTI
NELL’ANGIOGENESI

 Angiopoietine Ang1 e Ang2

 Sono importanti nella stabilizzazione dei vasi neoformati

 Insieme ai fattori PDGF e TGF reclutano periciti e cellule muscolari e


contribuiscono alla deposizione di connettivo

 Si legano a recettori tirosin-chiansici sulle cellule endoteliali detti Tie2


ATTIVAZIONE DEI FIBROBLASTI E
DEPOSIZIONE DI TESSUTO
CONNETTIVO
 La deposizione di connettivo nelle cicatrici avviene in due fasi:

 Migrazione e proliferazione di fibroblasti nel sito di riparo

 Deposizione di ECM da parte dei fibroblasti


ATTIVAZIONE DEI FIBROBLASTI E
DEPOSIZIONE DI TESSUTO
CONNETTIVO
 Il reclutamento e la stimolazione dei fibroblasti è guidata da fattori di
crescita, come PDGF, bFGF e TGF.

 Questi fattori vengono secreti dall’endotelio dei nuovi vasi e dalle


cellule infiammatorie: i macrofagi sono costituenti importanti del
tessuto di granulazione e producono mediatori coinvolti nella
proliferazione dei fibroblasti e produzione di ECM.

 Possono essere presenti anche mastociti e linfociti


CICATRIZZAZIONE
 Con l’avanzare della guarigione, il numero di fibroblasti diminuisce, ma i
fibroblasti acquisiscono maggiori capacità sintetiche ed aumenta la
deposizione di ECM

Molti dei fattori di crescita che stimolano la proliferazione dei


fibroblasti partecipano anche nella sintesi della ECM.

La sintesi di collagene inizia al 3-5’ giorno e continua per molte


settimane. E’ favorita da fattori di crescita (PDGF, bFGF, TGF) ma
anche da citochine (IL-1, TNF) secrete dai leucociti e fibroblasti

La deposizione netta di collagene non dipende solo dalla sua sintesi ma
anche dalla diminuzione della sua degradazione.

 Infine, il tessuto di granulazione evolve in una cicatrica formata da


fibroblasti inattivi a forma di fuso, collagene denso, frammenti di tessuto
elastico. La cicatrice può diventare avascolare e pallida a causa della
regressione vascolare
RIMODELLAMENTO DEL TESSUTO
CONNETTIVO
 La transizione dal tessuto di granulazione alla cicatrice comporta una
variazione nella composizione della ECM

Alcuni fattori di crescita che stimolano la sintesi del collagene modulano


anche la sintesi e l’attivazione delle metalloproteasi, enzimi che degradano le
componenti dell’ECM.

Le metalloproteasi della matrice (MMP), la cui attività dipende da ioni


zinco, devono essere distinte dalla elastasi dei neutrofili, dalla catepsina G,
dalle chinine, e dalla plasmina che sono proteasi seriniche e non
metalloenzimi
RIMODELLAMENTO DEL TESSUTO
CONNETTIVO
METALLOPROTEASI DELLA MATRICE

Metalloproteasi della matrice legate alla membrana: prodotti da diversi tipi


cellulari (fibroblasti, macrofagi, neutrofili, cellule della sinovia ed alcune
cellule epiteliali)

Collagenasi interstiziali: tagliano i collageni fibrillari di tipo I, II e III

 Gelatinasi (o collageni di tipo IV): degradano sia il collagene amorfo che


la fibronectina

Stromalisine: agiscono su vari componenti dell’ECM (proteoglicani,


laminina, fibronectina e collageni amorfi)
RIMODELLAMENTO DEL TESSUTO
CONNETTIVO
METALLOPROTEASI DELLA MATRICE

La secrezione delle metalloproteasi è indotta da fattori di crescita e


citochine, fagocitosi, stress fisici, mentre è inibita da TGF e steroidi.
Le collagenasi vengono prodotte sotto forma di precursori (procollagenasi),
i quali vengono attivati da proteasi (plasmina).
Una volta formate, le metalloproteasi vengono rapidamente inibite da una
famiglia di specifici inibitori tessutali delle metalloproteasi (tissue inhibitor
of metalloproteinases, TIMP), prodotte dalle cellule mesenchimali.
Le collagenasi e i loro inibitori sono regolati spazialmente e temporalmente
durante i processi di guarigione delle ferite
Sono indispensabili per la rimozione dei detriti e nel processo di
rimodellamento del tessuto connettivo, eventi necessari alla riparazione del
danno
GUARIGIONE DELLE FERITE
CUTANEE
 I meccanismi alla base di questi eventi sono stati già trattati e
coinvolgono:
 i mediatori dell’infiammazione acuta
 i fattori di crescita
 le interazioni cellula-ECM
 angiogenesi e fibrosi

 Si distinguono:
 Prima e seconda intenzione
 Fibrosi degli organi parenchimali
GUARIGIONE DELLE FERITE
CUTANEE
 Ne è esempio la guarigione di una incisione chirurgica non
infetta, i cui lembi siano giustapposti da una sutura chirurgica.

 L’incisione causa la morte di un numero limitato di cellule


epiteliali e connettivali e l’interruzione della continuità della
membrana basale

 Di conseguenza, la rigenerazione epiteliale predomina sulla


fibrosi.

 Si forma dapprima un coagulo che riempie lo stretto spazio


incisionale.
GUARIGIONE DELLE FERITE
CUTANEE

Entro le 24 ore, i neutrofili compaiono ai


margini della lesione, migrando verso il
coagulo di fibrina

Le cellule basali ai margini del taglio


aumentano nella loro attività mitotica e
migrano lungo i margini

Al 3° giorno, i neutrofili sono stati


sostituiti dai macrofagi
GUARIGIONE DELLE FERITE
CUTANEE

Il tessuto di granulazione invade


progressivamente lo spazio di
incisione. Le fibre di collagene
appaiono ai margini dell’incisione,
ma all’inizio sono disposte
verticalmente e non saldano i
lembi della ferita

 Continua la proliferazione delle


cellule epiteliali
GUARIGIONE DELLE FERITE
CUTANEE
Al 5° giorno, lo spazio di
incisione è riempito dal tessuto di
granulazione.

Il processo di angiogenesi è al


massimo.

Le fibre di collagene cominciano


ad unire i lembi della ferita.

Le cellule epiteliali riformano la


normale architettura epidermica

Durante la 2a settimana, si ha
continuo accumulo di collagene e
proliferazione di fibroblasti.
GUARIGIONE DELLE FERITE
CUTANEE
Durante la seconda settimana, si
ha continuo accumulo di collagene
e proliferazione di fibroblasti.

L’edema, l’infiltrato leucocitario


e l’eccesso di vascolarizzazione
sono in gran parte scomparsi

Inizia il processo di schiarimento


dovuto all’aumento del collagene
ed alla regressione vascolare
GUARIGIONE DELLE FERITE
CUTANEE

Alla fine del primo mese, la


cicatrice è costituita da un tessuto
connettivo cellulare, privo di
infiltrato infiammatorio e
ricoperto da epidermide intatta.

Gli annessi dell’epidermide non


rigenerano.
GUARIGIONE PER SECONDA
INTENZIONE

 Avviene quando c’è una grossa perdita di tessuto come nello infarto,
ulcerazione infiammatoria e nella formazione di ascessi

 In questi casi la rigenerazione delle cellule parenchimali non può


ricostruire completamente l’architettura originale.

 Dai margini della ferita cresce un abbondante tessuto di


granulazione.
GUARIGIONE PER SECONDA
INTENZIONE

 Rispetto alla guarigione per prima intenzione abbiamo che:

 la reazione infiammatoria è più intensa, a causa della maggiore


quantità di detriti necrotici, fibrina ed essudato

 si formano maggiori quantità di tessuto di granulazione

 fenomeno della contrazione della ferita: entro 6 settimane grandi ferite


superficiali si riducono al 5-10% della propria dimensione originale.
Questo è dovuto alla presenza di miofibroblasti, fibroblasti modificati
aventi le caratteristiche ultrastrutturali e funzionali di cellule muscolari
lisce
FIBROSI NEGLI ORGANI
PARENCHIMALI
 La deposizione di collagene fa parte del
normale processo di guarigione ma
l’eccessiva deposizione di collagene e
altre componenti della ECM, causa la
fibrosi.

 I meccanismi sono gli stessi che si


verificano per la formazione della
cicatrice durante la riparazione dei
tessuti

 La fibrosi si riscontra nelle patologie


croniche come la fibrosi polmonare spesso
è responsabile di disfunzioni o anche di
insufficienza d’organo
ONCOLOGIA
 Il cancro è un disordine genetico causato da mutazioni del DNA nella
maggior parte dei casi acquisite o indotte

 I tumori mostrano di frequente alterazioni epigenetiche (aumenti della


metilazione del DNA/alterazioni istoniche) causate da mutazioni di geni
che regolano tali attività

QUESTI CAMBIAMENTI, GENETICI ED EPIGENETICI, ALTERANO


L’ESPRESSIONE DI GENI COINVOLTI IN PROCESSI CELLULARI
FONDAMENTALI, COME CRESCITA SOPRAVVIVENZA E
INVECCHIAMENTO
ONCOLOGIA

 Le alterazioni genetiche vengono ereditate dalle cellule figlie durante la


divisione cellulare e sono soggette a selezione darwiniana (sopravvivono
quelle più idonee)

 Le cellule sopravvissute hanno ereditato mutazioni che conferiscono ad


esse vantaggi in termini di crescita e sopravvivenza (popolazione
dominante)

 I tumori sono clonali: la progenie che eredita i vantaggi selettivi deriva da


un’unica cellula che in definitiva dà origine al tumore
ONCOLOGIA
 L’ accumularsi di mutazioni comporta l’acquisizione di alcune proprietà
caratteristiche della cellula tumorale

 crescita indipendente da stimoli fisiologici (autosufficienza)

 mancata risposta ai segnali di inibizione della proliferazione cellulare

 elusione della morte cellulare (apoptosi)

 potenziale replicativo illimitato (cellule tumorali immortali)

 sviluppo angiogenesi

 invasione tissutale anche a lunga distanza

 elusione del sistema immunitario


ONCOLOGIA: DEFINIZIONI
 L’oncologia (dal greco oncos = rigonfiamento e logos = studio) è lo studio
dei tumori o neoplasie.

 Nell’ambito dei tumori distinguiamo le

NEOPLASIE BENIGNE NEOPLASIE MALIGNE


- Tumore localizzato - Cancro
- Tumore rimovibile - Tumore invasivo, nelle
chirurgicamente strutture adiacenti e a
lunga distanza
- Le metastasi possono
causare decesso
ONCOLOGIA: DEFINIZIONI
 Tutti i tumori hanno due componenti

PARENCHIMALE STROMALE
- Cellule neoplastiche - Tessuto connettivo, vasi
- Identifica la natura del sanguigni, cellule
tumore infiammatorie
- Da essa deriva la - Fondamentale per la
denominazione del crescita del tumore
tumore (apporto ematico e
sostegno alle cellule del
parenchima)
ONCOLOGIA: TUMORI BENIGNI
 Suffisso –oma al tipo cellulare da cui hanno origine (es. fibroma da tessuto
fibroso, condroma da cartilagine)

 Tumori benigni di origine epiteliale hanno una nomenclatura che dipende


dalla cellula di origine, dall’architettura microscopica o dall’aspetto
macroscopico:

 Adenoma: tumori con aspetto ghiandolare o di derivazione ghiandolare


 Papilloma: proiezione digitiforme o verrucoide che origina da superfici
epiteliali
 Polipo: escrescenza macroscopica nel lume di organi tappezzati da mucosa
(stomaco, colon)
 Cistoadenomi: formazione di masse cistiche all’interno di organi (ovaio)
ONCOLOGIA: TUMORI MALIGNI
 Nomenclatura simile a tumori benigni con alcune eccezioni

 Indipendentemente dal tessuto di origine (meso- endo- ed ectoderma) le


neoplasie maligne delle cellule epiteliali si definiscono carcinomi

 Carcinomi epiteliali
 Sarcomi: originano da tessuti mesenchimali o loro derivati SOLIDI (es.
fibrosarcomi da tessuto fibroso, condrosarcomi da condrociti)
 Leucemie o linfomi: originano dalle cellule mesenchimali del sangue

 I carcinomi si possono suddividere in

 Adenocarcinomi: carcinomi con aspetto ghiandolare


 Carcinomi a cellule squamose: producono cellule squamose
 Carcinoma scarsamente differenziato: tumore con scarsa o nulla
differenziazione
TUMORI BENIGNI E MALIGNI:
CARATTERISTICHE
 La distinzione tra neoplasia benigna e maligna si basa sui seguenti
caratteri:

 Differenziazione e anaplasia

 Tasso di crescita

 Invasività locale

 Metastasi
DIFFERENZIAZIONE E ANAPLASIA

 La differenziazione indica il grado di somiglianza tra le cellule


neoplastiche (componente parenchimale) e le corrispondenti cellule
normali sia dal punto di vista morfologico che funzionale

 La mancanza di differenziazione, o anaplasia, costituisce una caratteristica


fondamentale della malignità

 Anaplasia vuol dire “regressione”: dedifferenziazione, passaggio da una


forma più differenziata ad una indifferenziata

 In generale, tutti i tumori benigni sono costituiti da cellule ben


differenziate, con lo stesso fenotipo della loro controparte normale

 I tumori maligni sono costiutiti da cellule ben differenziate e da


cellule indifferenziate
VELOCITÀ DI ACCRESCIMENTO

 La velocità di crescita dei tumori correla con il loro grado di


differenziazione (correlazione inversa)
 la maggior parte dei tumori benigni cresce lentamente
 la maggior parte dei tumori maligni cresce rapidamente

 La velocità di accrescimento può comunque dipendere da vari


fattori:
 es. adenomi dell’ipofisi: accrescimento di questi tumori benigni può
diminuire o cessare in caso di inadeguatezza dell’apporto ematico o
di compressione
 es. leiomiomi dell’utero: accrescimento di questi tumori benigni
della muscolatura liscia uterina dipende dai livelli di estrogeni, con
aumento dell’accrescimento in gravidanza e blocco della crecita in
menopausa
INVASIONE LOCALE
 NEOPLASIA BENIGNA
 Rimane localizzata nella sua sede di origine
 Non ha la capacità di infiltrare, invadere o metastatizzare in sedi a
distanza
 La maggior parte dei tumori benigni sviluppa una capsula fibrosa
delimitante che li separa dal tessuto ospite

 NEOPLASIA MALIGNA
 I tumori maligni si accrescono infiltrando, invadendo, distruggendo e
penetrando progressivamente nei tessuti circostanti
 Non presentano capsule ben definite.

INSIEME ALLA CAPACITÀ DI METASTATIZZARE, L’INVASIVITÀ


LOCALE RAPPRESENTA LA CARATTERISTICA PIÙ AFFIDABILE
PER LA DISTINZIONE TRA TUMORI MALIGNI E BENIGNI
METASTASI

 Le metastasi sono impianti secondari del tumore che appaiono distaccati


dal tumore primitivo e localizzati in tessuti a distanza.

 La proprietà di metastatizzare identifica una neoplasia come maligna più


di ogni altra caratteristica.

 Tutti i cancri possono metastatizzare, ad eccezione di:


 gliomi e carcinoma basocellulare della cute: neoplasie altamente invasive
a livello locale, raramente danno metastasi

IN GENERALE, QUANTO PIÙ UN TUMORE È ANAPLASTICO E


ESTESO PIÙ È PROBABILE LA DIFFUSIONE METASTATICA
METASTASI

 Le neoplasie maligne diffondono attraverso tre modalità

Disseminazione Diffusione per via Diffusione per via


all’interno di una linfatica: ematica:
cavità corporea: Es. carcinomi del Es. i sarcomi
Es. tumori maligni polmone, disseminano diffondono attraverso il
ovarici spesso nei linfonodi bronchiali flusso venoso e si
disseminano e tracheobronchiali, e fermano in
ricoprendo le superfici della mammella, corrispondenza del
del peritoneo linfonodi ascellari primo letto capillare
(vena porta-fegato e
vena cava-polmone)
BASI MOLECOLARI DEI TUMORI
 Danno genetico o mutazione rappresenta l’aspetto fondamentale della
cancerogenesi
 Acquisito fattori ambientali (agenti chimici, radiazioni, virus)
 Ereditato via germinale

 Geni regolatori
 Proto-oncogeni
 Oncosoppressori
 Geni che regolano apoptosi
 Geni implicati nella riparazione del DNA
BASI MOLECOLARI DEI TUMORI
 PROTONCOGENI
 Versione mutata o overespressa degli oncogeni, responsabili della
comparsa di un fenotipo trasformato
 Gli oncogeni codificano per fattori di trascrizione, proteine regolatrici
della crescita o della sopravvivenza cellulare

 ONCOSOPPRESSORI
 Mutazioni o delezioni di questi consentono al fenotipo trasformato di
svilupparsi
 Gli oncosoppressori prevengono la crescita incontrollata
DUE POSSIBILI MODI COME L’ABERRANTE METILAZIONE DEL DNA
PUÒ PORTARE AL CANCRO

Nelson S. (2008) Comparative methylation hybridization. Nature Education


1(1): 55
BASI MOLECOLARI DEI TUMORI
 ONCOSOPPRESSORI

 Regolatori (RB): mutazioni in questi geni causa un’aumentata


proliferazione cellulare con conseguente trasformazione

 Guardiani (TP53): sono responsabili del rilevamento del danno al DNA;


organizzano una risposta per il controllo del danno che consiste
nell’interruzione della proliferazione o nell’induzione dell’apoptosi

MUTAZIONI A CARICO DEI GENI ONCOSOPPRESSORI


GUARDIANI NON CAUSA LA TRASFORMAZIONE DIRETTA DELLE
CELLULE, COMPORTA PIUTTOSTO L’ACCUMULO DI MUTAZIONI
A CARICO DI ONCOGENI E ONCOSOPPRESSORI CHE PORTANO
ALLO SVILUPPO DEL CANCRO
LESIONI GENETICHE NEI TUMORI
 Le alterazioni genetiche alla base delle mutazioni associate al cancro
possono essere:

 Limitate mutazioni puntiformi/inserzioni/delezioni, che causano


attivazione dei proto-oncogeni o disattivazione degli oncosoppressori

 Ampie inducono cambiamenti del cariotipo; le più frequenti


sono TRASLOCAZIONI BILANCIATE, DELEZIONI,
AMPLIFICAZIONI GENICHE
LESIONI GENETICHE NEI TUMORI
 TRASLOCAZIONI BILANCIATE

 Associate a tumori maligni, in particolare neoplasie ematopoietiche e


mesenchimali

 Alcune comportano un elevata espressione di proto-oncogeni sotto il


controllo di promotori inappropriati e altamente attivi (Es. Linfoma di
Burkitt le cellule presentano una traslocazione tra i cromosomi 9 e 14
comporta l’overespressione del gene MYC)

 Altre comportano la nascita di geni di fusione che codificano per nuove


proteine
LESIONI GENETICHE NEI TUMORI
 TRASLOCAZIONI BILANCIATE

La più nota traslocazione che


determina la nascita di geni di
fusione che codificano per nuove
proteine è rappresentata dal
cromosoma Philadelphia nella
leucemia mieloide cronica:
traslocazione tra i cromosomi
22 e 9 in seguito alla quale il
Cromosoma 22 appare accorciato
Il gene di fusione, BCR-ABL,
ha una potente attività
tirosin-chinasica (crescita
incontrollata delle cellule)
LESIONI GENETICHE NEI TUMORI

 DELEZIONI

 Delezioni ampie sono più frequenti nei tumori solidi non ematopoietici

 Possono determinare la perdita di geni oncosoppressori (mutazione su un


allele e delezione sull’altro)

 Delezioni del gene RB sono associate al retinoblastoma


LESIONI GENETICHE NEI TUMORI

 AMPLIFICAZIONI GENICHE

 Comportano amplificazione del numero di copie di proto-oncogeni nella


cellula tumorale

 Es. nei neuroblastomi NMYC risulta amplificato nel 25-30% dei casi, e
tale amplificazione è fortemente associata a prognosi sfavorevole

 Es. l’amplificazione del recettore ERBB2 si verifica nel 20% dei casi di
tumore mammario (si sta dimostrando molto efficace la terapia a base
anticorpale per curare questo tipo di tumore)
MicroRNA E CANCRO
 Recentemente, un’altra classe di molecole regolatorie, i microRNA
(miRNA), non codificanti per proteine, è stata coinvolta nella patogenesi
molecolare del cancro

 In alcuni casi possono agire come oncogeni, in altri come


oncosoppressori, modificando la traduzione di altri geni e quindi
l’espressione di proteine

 Se un miRNA inibisce la traduzione


di un oncogene, la sua inibizione
determina iperespressione di quel dato
oncogene

 Se regola negativamente un
oncosoppressore, un sua aumentata
ha un effetto oncosoppressore
MODIFICAZIONI EPIGENETICHE NEI TUMORI
 Sono alterazioni ereditarie di geni in assenza di mutazioni

 Comportano cambiamenti degli istoni e variazioni dello stato di metilazione


del DNA

TUTTO CIO’ SI RIFLETTE SULL’ESPRESSIONE GENICA

 Negli ultimi anni si è visto che le sequenze promotrici dei geni


oncosoppressori sono ipermetilate piuttosto che mutate
ALTERAZIONI ESSENZIALI NELLA
TRASFORMAZIONE MALIGNA
 Autosufficienza dei segnali di crescita
 Insensibilità ai segnali di inibizione della crescita
 Evasione dall’apoptosi
 Potenziale replicativo illimitato (immortalità)
 Sviluppo e mantenimento dell’angiogenesi
 Capacità di invasione e di formare metastasi
 Protezione dalla risposta immune dell’ospite
 Riprogrammazione del metabolismo
AUTOSUFFICIENZA DEI
SEGNALI DI CRESCITA
AUTOSUFFICIENZA DEI SEGNALI DI
CRESCITA
Ciascuna delle fasi qui sotto riportate può essere suscettibile di
alterazioni nelle cellule neoplastiche

 Fattori di crescita

 Recettori per i fattori di crescita

 Proteine di trasduzione del segnale

 Fattori di trascrizione

 Cicline e CDKs (Chinasi ciclino dipendenti)


FATTORI DI CRESCITA
 Molte cellule tumorali acquisiscono la capacità di sintetizzare fattori di
crescita

 Nella maggior parte dei casi, i geni per i fattori di crescita non sono
alterati o mutati ma sono i prodotti mutati di alcuni oncogèni, es. RAS,
che inducono una iperespressione dei geni dei GFs.

 L’accresciuta sintesi dei GFs, favorendo l’iperproliferazione,


predisponde le cellule all’accumulo di mutazioni spontanee o indotte.

 Es. nei glioblastomi le cellule producono PDGF ed esprimono il


recettore per questo GF, così come le cellule dei sarcomi producono
TGF-α e il suo recettore

 Le cellule tumorali possono inviare segnali alle cellule dello stroma


per indurle a produrre fattori di crescita.
RECETTORI PER GF
 Proteine recettoriali mutanti trasducono segnali di crescita e
proliferazione alle cellule tumorali anche in assenza di GF

 Superespressione di recettori per GF rende le cellule neoplastiche


ipersensibili a livelli di GF che normalmente non stimolano la
proliferazione

 Es. ERBB1, recettore EGF, superespresso nell’80% dei carcinomi


polmonari, nel 50% dei glioblastomi e fino al 100% nei tumori epiteliali
della testa e del collo

 Es. ERBB2 risulta superespresso nel 30% dei cancri mammari,


polmonari, ovarici e delle ghiandole salivari; in questi tumori la
sensibilità a piccole quantità di GF è molto elevata (importanza clinica
di anticorpi contro questo recettore)
PROTEINE DI TRASDUZIONE DEL SEGNALE

 Mutazioni a carico di geni che codificano per varie componenti del sistema
di trasduzione del segnale (porta il messaggio dal recettore al nucleo) sono
responsabili dell’autonomia nella crescita delle cellule tumorali

 Tra queste, le più importanti sono RAS e ABL


PROTEINE DI TRASDUZIONE DEL SEGNALE

 Proteina RAS: mutata nel 30% dei


tumori (in particolar modo negli
adenocarinomi del pancreas e del
colon)

 Normalmente passa da uno stato


attivo (lega GTP) a uno stato
inattivo (lega GDP)

 L’inattivazione incontrollata di
RAS avviene ad opera delle GAP
(GTPasi), che agiscono come freni
molecolari favorendo l’idrolisi di
GTP a GDP
PROTEINE DI TRASDUZIONE DEL SEGNALE

 La proteina RAS attiva stimola


regolatori della proliferazione

 Mutazioni attivanti RAS sono


comuni in molti tumori

 L’attivazione di questi messaggeri


mima l’effetto dell’attivazione di
RAS (es. BRAF che fa parte della
via RAF/MAPK è mutata nel 60%
dei melanomi)
PROTEINE DI TRASDUZIONE DEL SEGNALE

 Proteina ABL

 Tirosin chinasi non associata a recettori coinvolta nella traduzione del


segnale

 Nella leucemia mieloide cronica, una parte del gene ABL in seguito a
traslocazione (dal cromosoma 9 al 22) si fonde con una parte del gene
BCR; il risultato è una proteina di fusione con attività tirosin chinasica
amplificata

 Il ruolo di tale proteina di fusione nella trasformazione neoplastica è


stato confermato da un’importante risposta clinica di pazienti trattati con
inibitori di BCR-ABL
FATTORI DI TRASCRIZIONE NUCLEARI
 L’autonomia della crescita delle cellule tumorali può derivare anche
da mutazioni che interessano geni che regolano la trascrizione del
DNA

 Tra i fattori di trascrizione che regolano l’espressione di geni


promuoventi la crescita cellulare, il più noto nell’ambito delle
neoplasie è MYC

 La proteina MYC può attivare o reprimere la trascrizione di altri


geni:
 Attiva la chinasi cicline-dipendente (CDK) i cui prodotti guidano la
cellula verso il ciclo cellulare
 Inattiva gli inibitori di CDK (esempio CDKI)

DEREGOLAZIONE DI MYC INDUCE LA CANCEROGENESI


AUMENTANDO L’ESPRESSIONE DI GENI CHE PROMUOVONO
LA PROGRESSIONE ATTRAVERSO IL CICLO CELLULARE E
REPRIMENDO I GENI CHE RALLENTANO O PREVENGONO LA
PROGRESSIONE LUNGO IL CICLO CELLULARE
TRASLOCAZIONE CROMOSOMICA 8;14 NEL
LINFOMA DI BURKITT E MYC
Linfociti B
CICLO CELLULARE E REGOLAZIONE DELLA
DIVISIONE CELLULARE SINTESI DEL DNA PREMITOTICA

MITOTICA

PRESINTETICA

 Il ciclo cellulare e la divisione cellulare sono


controllati da attivatori e inibitori:

 La progressione del ciclo cellulare avviene


grazie una cascata di fosforilazioni
proteiche che coinvolge un gruppo di
proteine chiamate cicline

 Dei punti di controllo (checkpoint) che


verificano la completezza degli eventi
molecolari precedenti e, se necessario,
bloccano la progressione del ciclo cellulare
CICLINE E CHINASI CICLINA-DIPENDENTI

 L’ingresso e la progressione delle cellule nel ciclo


cellulare sono controllati da

 Cicline, sintetizzate in determinate fasi del ciclo cellulare, per poi


essere rapidamente degradate non appena la cellula entra nella fase
successiva

 Chinasi ciclina-dipendenti (CDK, cyclin-dependent kinases), espresse


costitutivamente durante il ciclo in forma inattiva e vengono attivate
grazie ad un equilibrio tra fosforilazioni e defosforilazioni dopo
essersi legate alle cicline
CICLINE E CHINASI CICLINA-DIPENDENTI

 Ogni fase del ciclo è


associata alla presenza
di diverse combinazioni
di cicline e CDK

 Le CDK guidano il
ciclo cellulare
fosforilando dei
bersagli critici cioè
proteine che sono
necessarie per far
progredire il ciclo alla
fase successiva
PUNTI DI CONTROLLO DEL CICLO CELLULARE
 In caso di problemi che riguardano:
 replicazione del DNA
 riparazione del DNA
 segregazione dei cromosomi

vengono attivati dei meccanismi che promuovono l’arresto del ciclo

 Vi sono due punti di controllo o checkpoint:

 tra G1 e S: monitora integrità del DNA prima della sua replicazione

 tra G2 e M, dopo la replicazione del DNA e prima che i


cromatidi fratelli si siano separati (controllo del DNA replicato)
CICLINE E CHINASI CICLINA-DIPENDENTI

 Mutazioni che deregolano l’espressione di cicline e CDK possono


favorire la proliferazione cellulare

 Tutti i tumori presentano lesioni che disattivano il check-point G1-S e le


cellule entrano continuamente in fase S

Mutazioni funzionali Mutazioni con perdita


nei geni ciclina D e della funzione in geni
CDK4, oncogeni che oncosoppressori (CDKI)
favoriscono il che inibiscono il
progresso G1/S progresso di G1/S
INSENSIBILITA’ AI SEGNALI DI
INIBIZIONE DELLA CRESCITA
GENI ONCOSOPPRESSORI

 Possiamo definire gene oncosoppressore qualunque gene che con una


perdita della funzione contribuisce alla cancerogenesi

 I geni oncosoppressori non solo mettono dei freni alla proliferazione


cellulare, ma controllano eventualmente anche l’ingresso nella
senescenza e, se opportuno, mandano le cellule in apoptosi

 In caso di attivazione di un proto-oncogene in cellule con una normale


funzionalità dei geni oncosoppressori, si ha quiescenza oppure un arresto
definitivo del ciclo cellulare (senescenza indotta da oncogene) piuttosto che
una proliferazione incontrollata
GENE RB RETINOBLASTOMA

 Il 60% dei retinoblastomi


si manifesta in forma
SPORADICA, nel 40% la
predisposizione viene
trasmesssa con modalità
AUTOSOMICA
DOMINANTE

 Per lo sviluppo del


retinoblastoma entrambi
gli alleli di RB devono
essere inattivati
(cromosoma 13)
GENE RB RETINOBLASTOMA
 Nei casi FAMILIARI, i
bambini ereditano per via
germinale una copia del
gene mutato e sviluppano
il retinoblastoma in seguito
a mutazione somatica
dell’altro allele

 Nei casi SPORADICI sono


inattivati entrambi gli alleli
per mutazione somatica

LA CELLULA RETINICA
CHE HA PERSO
ENTRAMBE LE COPIE
DEL GENE RB DIVENTA
NEOPLASTICA
PROTEINA RB E CHECKPOINT G1-S
 RB ipofosforilata e legata
al fattore di trascrizione
E2F si lega al DNA e
inibisce la trascrizione di
geni coinvolti nella fase S
del ciclo cellulare

 In presenza di segnali
mitogeni, i fattori di
crescita comportano
epsressione di ciclina D e
attivazione del complesso
ciclinaD/CDK4

 Tale complesso fosforila


RB inattivandola e
consentendo a E2F di
attiavre la trascrizione di
geni target
RETINOBLASTOMA

 La funzione di RB può essere alterata in tre modi diversi:

 Perdita di funzione dovuta a mutazioni o delezioni che coinvolgono


entrambi gli allei RB del cromosoma 13. Le mutazioni sono localizzate
in una regione della proteina coinvolta nell’associazione a E2F

 Mutazioni con guadagno di funzione che sovraregolano


CDK/ciclina D

 Mutazioni con perdita di funzioni che annullano l’attività degli


inibitori di CDK
GENE p53

 TP53 è uno dei geni più frequentemente mutati nei tumori

 p53 contrasta la trasformazione neoplastica mediante tre


meccanismi collegati:

 l’arresto temporaneo del ciclo cellulare (quiescenza)

 l’arresto permanente del ciclo cellulare (senescenza)

 attivazione della morte cellulare programmata (apoptosi)


GENE p53
 E’ responsabile della
risposta del danno al
DNA, centrale nel
mantenimento
dell’integrità del genoma

 Media il blocco del ciclo


cellulare in G1 attivando
la trascrizione di un gene
per CDKI

 La proteina risultante, p21,


previene la formazione dei
complessi cicline-CDK e
quindi la fosforilazione di
RB, con arresto del ciclo
in fase G1
GENE p53
 Determina anche
l’espressione di geni
coinvolti nella riparazione
del DNA

 Se il danno è riparato,
regola la trascrizioni di
geni che sbloccano il ciclo
e che ditruggono p53

 Se il danno non è riparato,


regola l’ingresso della
cellula in uno stato di
senescenza o in apoptosi
GENE p53
 La perdita in omozigosi di TP53 causa non riparazione del danno al
DNA, accumulo di mutazioni nelle cellule che dividendosi vanno
incontro a trasformazione neoplastica

 Più del 70% dei tumori presenta difetti a carico del gene TP53, nel
30% dei casi le mutazioni sono a monte o a valle

 Le mutazioni sono acquisite per via germinale e raramente ereditate

 Ereditare una copia dell’allele mutato, come per Rb, predispone alla
trasformazione maligna (sindrome di Li-Fraumeni, i pazienti hanno
una probabilità maggiore di sviluppare un tumore maligno)
TGF-β
 Tra le molecole che trasmettono segnali antiproliferativi la più nota è
TGF-β (cellule epiteliali, endoteliali ed ematopoietiche)

 Si lega ad un complesso formato dai recettori I e II, ne induce una


dimerizzazione

 Attivazione di una cascata di eventi che determinano la trascrizione di


CDKI (inibizione della proliferazione) e la repressione di MYC,
CDK2, CDK4, cicline A e E (promuoventi la crescita)

 Il recettore II mutato (colon, stomaco, endometrio)

 SMAD mutato (pancreas)


INIBIZIONE DA CONTATTO: NF2 e APC

NF2

 Nelle cellule tumorali, l’inibizione da contatto è abolita, di


conseguenza la crescita continua

 I contatti cellula-cellula sono mediati dall’interazione tra proteine


dette caderine: nelle cellule epiteliali tali proteine sono denominate E-
caderine.

 Il prodotto del gene oncosoppressore NF2, neurofibromina-2, facilita


l’inibizione da contatto mediata dall’ E-caderina

 La perdita in omozigosi di NF2 alcuni tumori del sistema nervoso


associato a neurofibromatosi
INIBIZIONE DA CONTATTO: NF2 e APC

APC

 L’E-caderina è coinvolta in una rara malattia ereditaria, la poliposi


adenomatosa del colon (APC)

 APC è caratterizzata dallo sviluppo di numerosi polipi adenomatosi nel


colon che, con un’incidenza molto alta, possono subire trasformazione
neoplastica

 Uno dei meccanismi alla base di questa patologia è la perdita


dell’oncosoppressore APC
INIBIZIONE DA CONTATTO: NF2 e APC
 Il gene APC codifica per una proteina citoplasmatica che regola i livelli
intracellualari di β-catenina, che lega porzioni citoplasmatiche dell’E-
caderina/trasloca nel nucleo e attiva la proliferazione (WNT pathway)

 WNT si lega al suo recettore, inibisce la degradazione di β-catenina,


che traslocando nel nucleo, insieme a TCF attiva la trascrizione di geni
promuoventi la crescita
INIBIZIONE DA CONTATTO: NF2 e APC
 Nelle cellule quiescenti, la β-catenina viene degradata da un complesso
di cui APC è parte integrante

 La perdita di APC nelle cellule maligne comporta non degradazione di


β-catenina con attivazione della via del segnale WNT in assenza di
WNT stesso
INIBIZIONE DA CONTATTO: NF2 e APC
 L’ attivazione della via WNT induce la trascrizione di geni promuoventi
la crescita, come MYC e ciclina D1

 Vengono attivati anche i geni TWIST e SLUG, che reprimendo


l’espressione di E-caderina, riducono l’inibizione da contatto

 Mutazioni in un allele del gene APC sono caratteristiche dei soggetti


che presentano da centinaia a migliaia di polipi adenomatosi, che vanno
incontro a perdita dell’altro allele e a trasformazione maligna

 Nel 70-80% dei tumori al colon sono frequenti mutazioni a carico del
gene APC; gli stessi tumori che presentano il gene APC normale hanno
mutazioni che rendono la β-catenina resistente alla degradazione da
parte di APC
ELUSIONE DELLA MORTE
CELLULARE
ELUSIONE DELLA MORTE CELLULARE

L’ACCUMULO DI CELLULE NEOPLASTICHE PUÒ DIPENDERE,


OLTRE CHE DALL’ATTIVAZIONE DI ONCOGENI E DALLA
INATTIVAZIONE DI ONCOSOPPRESSORI, ANCHE DA MUTAZIONI
IN GENI COINVOLTI NELL’APOPTOSI
ELUSIONE DELLA MORTE CELLULARE
ELUSIONE DELLA MORTE CELLULARE
 L’apoptosi può essere indotta attraverso la stimolazione di due vie

 ESTRINSECA (recettore di morte): il recettore Fas (membro della


famiglia dei recettori per il TNF, si lega al suo ligando FasL;
l’attivazione di questo recettore comporta il legame della proteina
FADD che attiva la procaspasi-8 in caspasi-8 mediante clivaggio; la
caspasi-8 attiva altre caspasi che portano la cellula all’apoptosi

 INTRINSECA (mitocondriale): in mancanza di fattori per la


sopravvivenza, in caso di stress o in caso di danno al DNA,
l’attivazione di questa via comporta l’attivazione da parte di p53 di
BAX/BAK con permeabilizzazione della membrana mitocondriale
esterna; fuoriesce citocromo c che legandosi ad APAF-1 attiva la
caspasi-9 e la via apoptotica
ELUSIONE DELLA MORTE CELLULARE

 La superespressione della proteina BCL-2 (antiapoptotico) nell’ 85%


dei linfomi a cellule B follicolari in seguito a traslocazione, causa
protezione dall’apoptosi e di conseguenza accumulo di linfociti B
(linfoadenopatia e infiltrazione midollare)

 Nella via estrinseca, mutazioni a carico FasL o della proteina FLIP


coinvolta nell’attivazione della caspasi-8 rendono le cellule meno
suscettibili alla morte indotta per apoptosi
POTENZIALE REPLICATIVO
ILLIMITATO
POTENZIALE REPLICATIVO ILLIMITATO

 Normalmente le cellule hanno un potenziale replicativo limitato e


perdendo la capacità di dividersi entrano in senescenza

 Tale fenomeno è attribuibile all’accorciamento dei telomeri, che


riconosciuto dai meccanismi di riparazione del DNA, comporta arresto
del ciclo cellulare e senescenza (RB e TP53)

 Il mantenimento dei telomeri si osserva in tutti i tipi di tumore e, nella


maggior parte dei casi dipende dalla regolazione positiva delle
telomerasi (allungamento dei telomeri)
SVILUPPO E MANTENIMENTO
DELL’ANGIOGENESI
SVILUPPO E MANTENIMENTO
DELL’ANGIOGENESI

 Anche se avvantaggiati in termini di crescita, i tumori non possono


aumentare di diametro se non sono vascolarizzati

 I tumori di grandi dimensioni stimolano la formazione di nuovi vasi


(angiogenesi da capillari preesistenti o vascolarizzazione da cellule
endoteliali dal midollo osseo)

 Le funzioni della vascolarizzazione sono due: apporto di ossigeno e


nutrienti; stimolazione della crescita delle cellule tumorali ad opera dei
GF (PDGF) secreti dalle cellule endoteliali di nuova formazione

 La vascolarizzazione dei tumori è anomala: vasi pervi e dilatati


SVILUPPO E MANTENIMENTO
DELL’ANGIOGENESI
 La vascolarizzazione dei tumori è essenziale per la loro crescita ed è
controllata da un equilibrio tra fattori pro- ed anti- angiogenesi prodotti
dalle cellule tumorali e stromali

 Nella fase iniziale della crescita, le cellule tumorali sono in uno stato di
quiescenza vascolare

 Molti stimoli controllano lo switch angiogenetico, tra cui l’ipossia: in


condizioni di carenza di ossigeno, si attiva HIF-1α, costitutivamente
espresso, ma inibito dalla proteina VHL, che stimola la produzione di
fattori angiogenetici, come VEGF

 VHL funge da oncosoppressore e mutazioni a carico del gene che


codifica per questa proteina sono comuni in molti tumori a cellule
renali, emangiomi del sistema nervoso centrale, angiomi retinici e cisti
renali
CAPACITA’ DI INVASIONE E
METASTATIZZAZIONE
CAPACITA’ DI INVASIONE E
METASTATIZZAZIONE
 La diffusione dei tumori è un processo costituito da diverse fasi:

 Invasione locale
 Penetrazione nei vasi ematici e linfatici (intravasazione)
 Transito lungo i vasi
 Fuoriuscita dai vasi (estravasazione)
 Formazione di micrometastasi
 Accrescimento delle micrometastasi
CAPACITA’ DI INVASIONE E
METASTATIZZAZIONE
 INVASIONE DELLA ECM

 Perdita delle giunzioni cellulari (E-caderina)


per inattivazione dell’E-caderina e della β-
catenina o per iperespressione di fattori che
che inibiscono E-caderina (SNAIL e TWIST)

 Degradazione della membrana basale e del


connettivo interstiziale ad opera di proteasi
prodotte dalle cellule tumorali o dallo stroma:
tra queste le metalloproteasi della matrice
(MMP), che rimodellano la ECM e stimolano
la produzione di VEGF
CAPACITA’ DI INVASIONE E
METASTATIZZAZIONE
 INVASIONE DELLA ECM

 Cambiamenti nel legame delle cellule tumorali


alle proteine della ECM: il clivaggio delle
componenti della membrana basale ad opera
delle MMP genera nuovi siti che si legano a
recettori sulle cellule tumorali e ne stimolano
la migrazione

 Durante la migrazione, le cellule tumorali


attraversano la membrana basale e la matrice
interstiziale grazie a fattori prodotti dalle
cellule tumorali per la motilità, fattori di
crescita con attività chemiotattica derivanti dal
clivaggio delle componenti della ECM
CAPACITA’ DI INVASIONE E
METASTATIZZAZIONE
 DISSEMINAZIONE VASCOLARE E IMPIANTO DELLE CELLULE
TUMORALI

 In circolo le cellule tumorali circolano singolarmente oppure formano


aggregati e aderiscono ai leucociti circolanti (piastrine), acquisendo una
protezione rispetto alla difesa immunitaria dell’ospite

 La fuoriuscita dai vasi comporta: adesione all’endotelio vascolare,


attraversamento della membrana basale fino al parenchima dell’organo

 Molti tumori metastatizzano al primo letto capillare che incontrano


(polmone e fegato)
CAPACITA’ DI INVASIONE E
METASTATIZZAZIONE
 DISSEMINAZIONE VASCOLARE E IMPIANTO DELLE CELLULE
TUMORALI

 Alcuni tumori hanno tropismo specifico per un organo dovuto a:

 Espressione di molecole di adesione da parte delle cellule tumorali i cui


ligandi sono espressi sull’endotelio degli organi bersaglio
 Espressione di chemochine e loro recettori: alcuni tumori mammari
esprimono particolari recettori i cui ligandi sono espressi a livello degli
organi in cui metastatizzano

 Una volta raggiunto l’organo bersaglio il tumore deve colonizzarlo: in


questo contesto, la crescita delle cellule tumorali dipende dallo stroma
ricevente
RIPROGRAMMAZIONE DEL METABOLISMO
ENERGETICO
 Effetto Warburg: anche in condizioni di presenza di ossigeno, le cellule
metabolizzano il glucosio non attraverso la fosforilazione ossidativa ma
attraverso la glicolisi, in questo caso detta glicolisi aerobica

 Fisiologicamente, tale fenomeno è adottato dalle cellule embrionali

 Nei tumori persiste tale tipo di metabolismo del glucosio e le cellule


tumorali sono in grado di dividersi più rapidamente

 Nella pratica clinica la PET (tomografia a emissione di positroni) viene


utilizzata per verificare l’aumentata captazione del glucosio da parte delle
cellule tumorali: nel paziente si inietta un derivato del glucosio non
metabolizzato e la maggior parte dei tumori risulta positiva (soprattutto
quelli a crescita più rapida)
RIPROGRAMMAZIONE DEL METABOLISMO
ENERGETICO

 L’utilizzo massivo di glucosio è dovuto anche alla sua importanza come


fonte di carbonio utilizzato per la sintesi di lipidi o di intermedi degli
acidi nucleici (processi di duplicazione del DNA e di divisione cellulare
accellerati)

 Diversi studi sono in atto per indagare il coinvolgimento di oncogeni


(TP53) e di oncosoppressori (PTEN) nel reclutamento di grandi quantità
di glucosio, molto probabilmente agendo sui trasportatori di questo

 Inoltre sono oggetto di studio diversi farmaci contro la via metabolica


della glicolisi aerobica
INSTABILITA’ GENOMICA COME FATTORE
FAVORENTE LA MALIGNITA’
 La capacità delle cellule di riparare i danni al DNA è garanzia del
mantenimento dell’integrità genomica

 Persone che ereditano difetti a carico delle proteine coinvolte nella


riparazione del DNA hanno un rischio aumentato di sviluppare un tumore

 Difetti a carico di tali proteine comporta accumulo di mutazioni a carico


di geni che contribuiscono alla nascita del tumore

 Es. BRCA1 e BRCA2: mutazioni a carico di questi geni coinvolti nella


riparazione del DNA sono riscontrabili nel 50% dei tumori della
mammella e dell’ovaio
INFIAMMAZIONE COME FATTORE
FAVORENTE LA MALIGNITA’
 L’infiammazione cronica persistente (infezioni o autoimmunità) può
favorire la malignità: il danno cronico promuove una proliferazione
cellulare compensatoria; la replicazione cellulare e la ridotta apoptosi
possono far si che le cellule accumulino mutazioni a carico di geni
coinvolti nell’oncogenesi

 L’infiammazione in risposta ai tumori potrebbe essere un primo tentativo


del tessuto ospite di distruggere il tumore, anche se i neutrofili a loro
volta producendo metaboliti dell’ossigeno possono accumulare ulteriori
danni al DNA nelle cellule in replicazione

 In molti tumori (colon) è aumentata l’espressione della ciclossigenasi-2


(converte acido arachidonico in prostaglandine): l’uso di inibitori di
COX-2 potrebbe essere utile per trattare o curare tali tumori
CANCEROGENESI E PROGRESSIONE DEI
TUMORI

I carcinomi del colon sono rappresentativi degli eventi fenotipi e molecolari


alla base della tumorigenesi:

1. Iperplasia del colon (mutazione APC)


2. Formazione di adenomi (mutazione metilazione DNA e RAS)
3. Accrescimento adenomi (mutazione oncosoppressore)
4. Trasformazione maligna (mutazione p53)
AGENTI CANCEROGENI
 SOSTANZE CHIMICHE

 Possono essere ad azione diretta (farmaci chemioterapici) o indiretta


(idrocarburi policiclici aromatici): formano legami covalenti con DNA,
RNA e proteine; i bersagli più comuni sono oncogeni e oncosoppressori
(TP53 e RAS)

 RADIAZIONI

 Le radiazioni ionizzanti causano rotture cromosomiche, traslocazioni e


mutazioni puntiformi; in questo contesto, l’effetto dei raggi UV è da
sottolineare: determinano la formazione di dimeri di pirimidine e, nel
caso in cui tale danno non viene riparato (escissione nucleotidica), si ha
la comparta di tumori cutanei
AGENTI CANCEROGENI
 AGENTI MICROBIOLOGICI

 VIRUS A RNA

 HTLV-1: virus della leucemia umana a linfociti T di tipo 1 causa cancro


nell’uomo; diffuso soprattutto in Giappone, ma anche bacino Caraibico e
Stati Uniti; attacca i linfociti T CD4+ e li rende suscettibili a
trasformazione neoplastica; si trasmette tramite rapporti sessuali,
emoderivati o allattamento; dopo un lungo periodo di latenza (accumulo
mutazioni a carico oncogeni), la leucemia si sviluppa nel 5% dei soggetti
infetti

 Il genoma contiene una regione codificante la proteina TAX, che


interagisce con molte regioni del genoma dell’ospite, stimolando i
linfociti a produrre molecole coinvolte nell’avanzamento del ciclo cellure
e nella proliferazione cellulare
AGENTI CANCEROGENI
 AGENTI MICROBIOLOGICI

 VIRUS A DNA

 Papilloma virus umano (HPV): associato a tumori benigni (verruche) e


tumori maligni della cervice uterina e della regione anogenitale (20%
tumori orofaringei)

 Il prodotto di due geni virali è alla base del potenziale oncogenico di tali
virus: E7, si lega alla proteina Rb, viene rilasciato il fattore di trascrizione
E2F e ciò comporta progressione del ciclo cellulare; E6 si lega p53 e ne
causa degradazione
AGENTI CANCEROGENI
 AGENTI MICROBIOLOGICI

 VIRUS A DNA

 Virus di Epstein-Barr: correlato al linfoma di Burkitt e a numerosi altri


tumori

 Attacca e infetta i linfociti B e induce la trascrizione di un suo gene,


LMP1, che funge da oncogene attivando le vie del segnale coinvolte nella
proliferazione dei linfociti B; attiva anche BCL2 impedendo l’apoptosi

 EBNA2, un’altra proteina codificata da EBV attiva protoncogeni

 Esprime una citochina che previene l’attivazione dei linfociti T


AGENTI CANCEROGENI
 AGENTI MICROBIOLOGICI

 VIRUS HCV e HBV

 Virus dell’epatite B e C: l’infezione da parte di questi virus è


responsabile dell’ 80% dei carcinomi epatocellulari

 L’infiammazione cronica causa proliferazione compensatoria degli


epatociti e, insieme al blocco dell’apoptosi, causa accumulo di mutazioni

 Le proteine prodotte da tali virus possono attivare vie di trasduzione del


segnale e contribuire alla cancerogenesi
AGENTI CANCEROGENI
 Helicobacter pylori

 L’infezione da Helicobacter pylori è implicata nell’adenocarcinoma


gastrico e nel linfoma gastrico

 Meccanismo simile a HCV e HBV

 Contiene geni implicati nella cancerogenesi che stimolano la


proliferazione cellulare
ELUSIONE DEL SISTEMA IMMUNITARIO

 Il riconoscimento e la distruzione di cellule tumorali neoformate avviene


ad opera della sorveglianza da parte del sistema immunitario dell’ospite
(sorveglianza immunitaria)

 La comparsa del tumore indica l’esistenza di meccanismi che permettono


ad esso di eludere tale sorveglianza
ELUSIONE DEL SISTEMA IMMUNITARIO

L’IMMUNITA’ TUMORALE

 ANTIGENI TUMORALI (ONCOGENI e ONCOSOPPRESSORI)

 Alcune mutazioni genetiche alla base della trasformazione neoplastica


comportano l’espressione di antigeni non-self da parte delle cellule
immunitarie, derivanti oncogeni e oncosoppressori (β-catenina, RAS,
p53, CDK4)

 Le risposte protettive ad opera del linfociti T citotossici non sembrano


essere abbastanza efficace

 Nel tumore alla mammella, anticorpi diretti contro la proteina prodotta


dall’oncogene HER2/NEU sono utilizzati in clinica per la terapia
ELUSIONE DEL SISTEMA IMMUNITARIO

L’IMMUNITA’ TUMORALE

 ANTIGENI TUMORALI (ALTRI GENI)

 Alcune mutazioni genetiche indotte da cancerogeni o da radiazioni


interessano geni non coinvolti nella trasformazione

 I prodotti proteici risultanti costituiscono antigeni tumorali e sono


bersaglio del sistema immunitario
ELUSIONE DEL SISTEMA IMMUNITARIO
L’IMMUNITA’ TUMORALE

 ANTIGENI TUMORALI (PROTEINE)

 In alcuni tumori umani, antigeni tumorali sono rappresentati da proteine


cellulari superespresse o espresse in maniera aberrante

 Tali antigeni, anche se self, scatenano una risposta immunitaria mediata


dai linfociti T (in condizioni normali la non risposta è dovuta alla bassa
concentrazione di tali proteine, non rilevabile dal sistema immunitario)

 Es. tirosinasi, enzima coinvolto nella sintesi di melanina espresso solo nei
melanociti normali e nei melanomi

 Es. antigeni del tumore del testicolo, molecole espresse sono nel testicolo
e deregolate nei tumori (espresse anche nei melanomi e in alcuni
carcinomi)
ELUSIONE DEL SISTEMA IMMUNITARIO

L’IMMUNITA’ TUMORALE

 ANTIGENI TUMORALI (VIRUS)

 Le proteine E6 ed E7 del HPV costituiscono antigeni tumorali e vaccini


diretti contro tali antigeni sono utili nella prevenzione dei carcinomi della
cervice uterina

 Potenti antigeni sono anche le proteine prodotte dal EBV


ELUSIONE DEL SISTEMA IMMUNITARIO

L’IMMUNITA’ TUMORALE

 ANTIGENI TUMORALI (EMBRIONALI)

 Gli antigeni CEA e α-fetoproteina sono espressi durante l’embriogenesi

 In tumori del colon e del fegato è stata trovata una espressione di tali geni
ad indicare l’esistenza di mutazioni che ne annullano la repressione
ELUSIONE DEL SISTEMA IMMUNITARIO

L’IMMUNITA’ TUMORALE

 ANTIGENI TUMORALI (COMPONENTI MEMBRANA)

 La maggior parte dei tumori esprime glicolipidi e glicoproteine di


membrana in quantità più elevata e in forma anomala

 Questi antigeni tumorali scatenano risposte immunitarie nei confronti


delle cellule tumorali, risposte sia anticorpali che mediate dai linfociti T
ELUSIONE DEL SISTEMA IMMUNITARIO

L’IMMUNITA’ TUMORALE

 ANTIGENI TUMORALI (DIFFERENZIAZIONE)

 I tumori esprimono antigeni specifici , detti antigeni di differenziazione,


per particolari linee cellulari e, all’interno della stessa linea, per
particolari stadi di differenziamento

 Es. I linfomi esprimono molecole di superficie caratteristiche dei linfociti


B da cui derivano

 Antigeni self-no risposta immunitaria


ELUSIONE DEL SISTEMA IMMUNITARIO
MECCANISMI EFFETTORI ANTITUMORALI

 LINFOCITI T CITOTOSSICI

 Ruolo protettivo nelle neoplasie associate a virus (linfoma di Burkitt e


EBV, tumori della cervice uterina da HPV)

 CELLULE NATURAL KILLER

 Linfociti rappresentanti la prima linea di difesa rispetto alle cellule


tumorali: sono in grado di attaccare cellule tumorali non riconosciute dai
linfociti T (non presentanti antigeni MHC I)

I recettori presenti su tali linfociti (T e NK) riconoscono antigeni indotti


da stress espressi sulle cellule tumorali e sulle cellule che hanno subito
danno al DNA e sono suscettibili nell’acquisizione del fenotipo
trasformato
ELUSIONE DEL SISTEMA IMMUNITARIO
MECCANISMI EFFETTORI ANTITUMORALI

 MACROFAGI

 I macrofagi attivati sono citotossici per le cellule tumorali e


probabilmente utilizzano, come per i microbi, di ROS e TNF

 Collaborano con i linfociti T e NK poiché stimolati da una citochina


prodotta da queste cellule, l’ interferone γ

 MECCANISMI UMORALI

 Anticorpi contro le cellule tumorale: anti-CD20 contro CD20, antigene


di superficie dei linfociti B, utilizzato per il trattamento dei linfomi non-
Hodgkin
ELUSIONE DEL SISTEMA IMMUNITARIO
IMMUNOSORVEGLIANZA ED ELUSIONE DELLE DIFESE DA PARTE
DELLE CELLULE TUMORALI

 Durante la progressione del tumore viene favorita la crescita di varianti


non immunogene

 Le cellule tumorali possono non esprimere le MHC-I per eludere la


risposta da parte dei linfociti T, ma non NK.

 Il TGF-β prodotto in grandi quantità dalle cellule tumorali è un potente


immunosoppressore, anche FasL può stimolare Fas sulle cellule
immunitarie e indurle all’apoptosi
ELUSIONE DEL SISTEMA IMMUNITARIO
IMMUNOSORVEGLIANZA ED ELUSIONE DELLE DIFESE DA PARTE
DELLE CELLULE TUMORALI

 Molte cellule tumorali sono costituite da grandi quantità di


mucopolisaccaridi contenenti acido sialico, e tale rivestimento blocca il
legame delle cellule immunitarie alle MHC e quindi il riconoscimento e
l’eliminazione della cellula tumorale

 Molti tumori regolano negativamente l’espressione di molecole


necessarie alla stimolazione dei linfociti T
PATOLOGIA MOLECOLARE
 La patologia molecolare studia i fenomeni dovuti ad alterazioni di geni e
cerca di spiegare perché un dato cambiamento genotipico dia luogo a un
determinato fenotipo clinico

PATOLOGIA GENETICA ONCOLOGIA


Malattie causate da Tumori causati da
alterazioni ereditarie del alterazioni somatiche ed
genoma ereditarie del genoma
MALATTIE GENETICHE

Malattie monogeniche,
ereditate generalmente
in modo mendeliano

MALATTIE Malattie
GENETICHE citogenetiche

Malattie multigeniche
complesse
 MUTAZIONI GERMINALI  MUTAZIONI SOMATICHE
 Colpiscono le cellule germinali  Colpiscono le cellule somatiche
 Si trasmettono alla progenie  Non si trasmettono alla progenie
 Causano malattie ereditarie  Causano neoplasie e
malformazioni congenite
ALTERAZIONI GENETICHE
CHE CAUSANO MALATTIA

 MUTAZIONI DI GENI CHE CODIFICANO PROTEINE

 Mutazioni puntiformi (missense) conseguenti alla sostituzione di un


nucleotide con sostituzione di un amminoacido (es. anemia falciforme,
sostituzione di una base nel gene che codifica la β-globina)

 Mutazioni che generano un codone di stop (nonsense) conseguenti alla


sostituzione di un nucleotide che cambia un codone per un amminoacido
in codone di stop con interruzione della traduzione, degradazione
dell’RNA e scarsa o nulle sintesi della proteina
ALTERAZIONI GENETICHE
CHE CAUSANO MALATTIA

 MUTAZIONI DI GENI CHE CODIFICANO PROTEINE

 Mutazioni che alterano lo schema di lettura (frameshift) conseguenti


all’inserzione o alla delezione di una o due paia di basi con diversa lettura
delle triplette

 Mutazioni con ripetizioni di triplette nucleotidiche con amplificazione di


una specifica sequenza nucleotidica (es. sindrome dell’ X fragile, sequenza
CGG ripetuta nel gene FMR1)
ALTERAZIONI GENETICHE
CHE CAUSANO MALATTIA
 ALTERAZIONI STRUTTURALI I geni codificanti possono subire
alterazioni come amplificazioni/delezioni (numero copie) o traslocazioni
con conseguente guadagno o perdita di funzione per la proteina

 Polimorfismi a singolo nucleotide (SNP), sono variazioni di un nucleotide


che possono interessare qualsiasi regione del genoma (esoni, introni,
regiori intergeniche e raramente regioni codificanti); spesso si trovano
vicini a geni malattia e vengono ereditati insieme

 Variazioni del numero di copie (CNV), sono caratterizzati dalla presenza


di un numero variabile di copie di lunghe sequenze; la metà riguarda
sequenze codificanti ed è responsabile delle differenze fenotipiche umane
ALTERAZIONI GENETICHE
CHE CAUSANO MALATTIA
 ALTERAZIONI EPIGENETICHE Riguardano la regolazione epigenetica
dell’espressione genica e comportano alterata metilazione

- dei promotori genici che, risultando inaccessibili, causano silenziamento


trascrizionale (nel cancro si riscontra spesso metilazione dei promotori e
silenziamento dei geni oncosoppressori)

- delle proteine istoniche che, causando cambiamenti nella struttura del


DNA, influenzano la trascrizione genica (alterazioni delle modificazioni
istoniche si riscontrano spesso nel cancro)
ALTERAZIONI GENETICHE
CHE CAUSANO MALATTIA
 ALTERAZIONI DEGLI RNA NON CODIFICANTI I prodotti degli RNA
non codificanti hanno importanti funzioni regolatorie

- miRNA, piccoli RNA detti microRNA che inibiscono la traduzione di


mRNA con regolazione post-trascrizionale dell’espressione del gene

- lncRNA, lunghi RNA detti long non-coding RNA che legandosi alla
cromatina inibiscono la trascrizione dei geni compresi nella regione
bloccata
EREDITARIETÀ MENDELIANA

• Autosomica
– Dominante
– Recessiva

• Legata all’X
Mutazioni nel cromosoma Yprovocano infertilita’e quindi non si
trasmettono
EREDITARIETÀ MENDELIANA

• PLEIOTROPIA una mutazione genica può dare origine a più difetti

• ETEROGENEITA’ GENETICA mutazioni di diversi geni producono lo stesso


carattere
MALATTIE AUTOSOMICHE DOMINANTI
 Una malattia è detta a
trasmissione autosomica
dominante quando basta una
singola copia dell’allele
mutato per far sì che la malattia
si esprima, a prescindere dal
sesso (basta un solo genitore
malato).
 la probabilità di trasmissione
alla prole è del 50%
 non può esistere un
“portatore sano”
 in molti casi, l’età di esordio
della patologia è ritardato, i
sintomi e i segni clinici non
compaiono fino all’età adulta
(es. malattia di Huntington)
MALATTIE AUTOSOMICHE RECESSIVE
 Una malattia è detta a trasmissione
autosomica recessiva quando
entrambi gli alleli sono mutati, a
prescindere dal sesso. (entrambi i
genitori devono essere portatori
sani o malati)
Aa Aa
 la probabilità di trasmissione alla
prole è del 25%
 un individuo che possegga entrambi
gli alleli alterati: è portatore ed è
malato
Aa Aa AA
 un individuo che possegga solo un
aa
allele alterato: è portatore ma è
sano
 l’esordio avviene frequentemente in
età precoce
MALATTIE LEGATE ALL’X (X-LINKED)
 Una malattia è detta a trasmissione
legata al cromosoma X quando è
causata da una mutazione su uno
dei geni del cromosoma X.
(entrambi i genitori devono essere
portatori sani o malati)
 E’ trasmessa dalle madri portatrici
ai figli maschi
 La patologia è molto più
frequente tra i maschi che tra le
femmine
 Non c’è trasmissione da padre affetto a
figlio, ma tutte le figlie sono portatrici
 Le madri portatrici hanno il
50% di probabilità di avere
figli maschi affetti
PRINCIPALI TIPI DI PROTEINE ALTERATE
NELLE MALATTIE MENDELIANE
• Proteine strutturali

• Recettori e sistemi di trasporto

• Enzimi e loro inibitori

• Proteine che controllano la crescita


cellulare (geni oncosoppressori ed
oncogeni)
PRINCIPALI TIPI DI PROTEINE ALTERATE
NELLE MALATTIE MENDELIANE
SINDROME DI MARFAN

 Malattia dei tessuti connettivi a trasmissione autosomica dominante

 Mutazione della fibrillina, glicoproteina secreta dai fibroblasti che costituisce


le microfibrille della ECM (importanti per la deposizione di tropoelastina
nelle fibre elastiche)

 Le microfibrille sono abbondanti nell’aorta, nei legamenti, nel cristallino

 Gene: fibrillina 1 (FBN1, cromosoma 15) (FBN2 aracnodattilia


contratturale congenita)

 oltre 600 mutazioni, con una prevalenza di 1:5000

 80% dei casi è costituito da forme familiari, il resto deriva da mutazioni di


nuova insorgenza
SINDROME DI MARFAN
 La carenza di microfibrille causa iperattivazione del TGFβ con effetti deleteri
sullo sviluppo della muscolatura liscia vasale e sull’integrità della ECM

 Mutazioni del recettore di tipo II del TGFβ causano la sindrome di Marfan di


tipo 2 (MFS2)

 Sono in corso di valutazione in trials clinici gli inibitori del TGFβ


(antagonisti del recettore dell’angiotensina) che nei modelli murini
migliorano la funzione aortica e caridaca
SINDROME DI MARFAN

 Anomalie scheletriche: snelli e di alta statura, braccia-gambe-dita lunghe,


palato anteriore curvato, articolazioni iperestensibili, deformità spinali
(scoliosi) e toraciche (carenato)

 Anomalie del cristallino: ectopia lentis (sublussazione del cristallino)


SINDROME DI MARFAN

 Anomalie dell’apparato cardiocircolatorio: dilatazione dell’anello valvolare


aortico con conseguente insufficienza aortica; valvole cardiache estensibili
che causano scompenso cardiaco
SINDROME DI MARFAN

Le alterazioni cliniche non si osservano in tutti i casi: l’espressività variabile si


spiega sulla base di mutazioni diverse all’interno dello stesso locus

Diagnosi clinica complessa


SINDROME DI EHLERS-DANLOS
 Gruppo di patologie clinicamente e geneticamente eterogenee, dovuto ad
alterazioni nella STRUTTURA o nella SINTESI del COLLAGENE
FIBRILLARE. (cute, legamenti, articolazioni sono interessati)

 Esistono 30 diversi tipi di collagene e si può ben immaginare che


l’eterogeneità di tale patologia può essere spiegata da mutazioni nei diversi
geni che codificano per i collageni

 Malattie monogeniche a trasmissione autosomica dominante e recessiva


SINDROME DI EHLERS-DANLOS
 Le fibre di collagene alterate non sono resistenti e ciò causa
iperestensibilità della cute e estrema mobilità dei legamenti: queste
caratteristiche comportano particolari contorsioni come piegare il pollice
all’indietro fino a toccare l’avambraccio; i pazienti sono fragili e soggetti a
traumi difficilmente riparabili mediante interventi chirurgici

 I difetti del connettivo causano rottura del colon e delle grosse arterie
(EDS vascolare), fragilità oculare con rottura della cornea e distacco della
retina (EDS cifoscoliotica), ernie diaframmatiche (EDS classica)
EDS cifoscoliotica: carenza enzimatica (lisilidrossilasi) con riduzione della
formazione dei legami crociati tra le molecole di collagene (I e III); autosomica
recessiva

EDS classica: mutazione dei geni COL5A1 e COL5A2 con ridotta sintesi di
collagene di tipo V; autosomica dominante

EDS vascolare: mutazione del gene COL3A1 causa ridotta sintesi del collagene
di tipo III; autosomica dominante

Fibroblasti,
osteoblasti
Necessaria
Vitamina
C
SFEROCITOSI EREDITARIA
 Causata da difetti del citoscheletro di membrana del globulo rosso

 La principale proteina del citoscheletro è la SPETTRINA, eterodimero


lungo e flessibile che si associa con una estremità a un’altra molecola di
spettrina e con l’altra estremità all’ actina

(glicoforina)

Membrana
Citoscheletro
SFEROCITOSI EREDITARIA
 Questi reticolo si lega alla membrana sovrastante attraverso l’
ANCHIRINA e le BANDE 4.2 e 4.1

 In una porzione del reticolo anchirina e banda 4.2 si associano alla


membrana attraverso la proteina BANDA 3, in un’altra porzione
l’associazione avviene tra actina e banda 4.1 con la GLICOFORINA di
membrana

(glicoforina)

Membrana
Citoscheletro
SFEROCITOSI EREDITARIA
 Le mutazioni più frequenti coinvolgono anchirina, banda 3 e spettrina e
causano indebolimento delle interazioni verticali tra citoscheletro e
proteine di membrana

 La conseguenza è una destabilizzazione della membrana dell’eritrocita

 Il globulo rosso, mano a mano che invecchia, rilascia in circolo vescicole

 Tale rilascio comporta la perdita di citoplasma e di conseguenza


diminuisce il rapporto superficie/volume (SFEROCITO)
SFEROCITOSI EREDITARIA

 Rispetto ai globuli rossi, gli sferociti non sono deformabili e di


conseguenza vengono intrappolati nella milza a livello dei sinusoidi e
distrutti dai macrofagi residenti

 La distruzione eccessiva dei globuli rossi e l’anemia risultante comportano


iperplasia compensatoria dei progenitori nel midollo osseo con aumento
della produzione dei globuli rossi
SFEROCITOSI EREDITARIA
 Nella maggior parte dei soggetti la trasmissione è AUTOSOMICA
DOMINANTE

 In una piccola minoranza di pazienti la trasmissione è AUTOSOMICA


RECESSIVA (forma più grave di malattia)

 La SPLENOMEGALIA è comune e importante nella sferocitosi ereditaria


ed è dovuta alla congestione dei sinusoidi splenici e all’aumento del
numero dei macrofagi

 Accumulo di EMOSIDERINA (pigmento contenente il ferro derivato dai


globuli rossi) a livello sistemico

NON ESISTE UN TRATTAMENTO: LA SPLENECTOMIA E’ L’UNICA


SOLUZIONE POSSIBILE PER RIDURRE L’ANEMIA, MA IL RISCHIO
DI INFEZIONI E’ ALTISSIMO, SOPRATTUTTO NEI BAMBINI
DISTROFIE MUSCOLARI
 Le distrofie muscolari sono malattie ereditarie che causano un danno
muscolare progressivo in soggetti che alla nascita appaiono normali

 Le DISTROFINOPATIE sono le distrofie muscolari più comuni, e tra


queste le principali forme cliniche sono

Distrofia Muscolare Distrofia Muscolare


di Duchenne di Becker
(DMD) (BMD)
DISTROFIE MUSCOLARI
 Sono causate da mutazioni con perdita di funzione del gene che codifica
per la DISTROFINA (braccio corto cromosoma X), una proteina che
forma il complesso distrofina-glicoproteine (DGC)

 Il complesso DGC consente l’accoppiamento della membrana a proteine


della matrice extracellulare e al citoscheletro

Matrice extracellulare

Sarcolemma

Citoscheletro
DISTROFIE MUSCOLARI
 Nel complesso DGC la distrofina ha un ruolo fondamentale:
 funge da ponte tra citoscheletro e distroglicani e sarcoglicani del
sarcolemma
 lega complessi intracellulari formati da distrobrevina-sintrofine-ossido
nitrico sintasi neuronale-caveolina che partecipano alla segnalazione
intracellulare

Matrice extracellulare

Sarcolemma

Citoscheletro
SINTOMI della DMD

 Prime manifestazioni cliniche intorno ai 3-5 anni con difficoltà di


deambulazione e ad alzarsi da terra

 Degenerazione progressiva dei muscoli prossimali della coscia e del


bacino

 Perdita progressiva della forza muscolare i pazienti cessano di


deambulare intorno ai 12 anni

 Morte intorno ai 20 anni per indebolimento della muscolatura


cardiaca e polmonare
SINTOMI della BMD

 Incidenza di 1/20.000 maschi nati vivi

 Provoca debolezza e atrofia degli stessi muscoli coinvolti nella


distrofia di Duchenne, ma l'esordio è più tardivo, comparendo intorno
ai 12 anni.

 L'età media alla quale viene persa la capacità di camminare è di 25-


30 anni e la morte sopraggiunge in genere nella quinta decade.

 L'interessamento cardiaco è meno frequente e le facoltà


intellettive sono quasi sempre normali.
DISTROFIE MUSCOLARI DI DUCHENNE E DI
BECKER

Le mutazioni più comuni sono


DELELZIONI, seguite da
FRAMESHIFT e MUTAZIONI
PUNTIFORMI

Tratto da Strachan &


La gravità della malattia dipende Read, Genetica Umana
dalla gravità del deficit di distrofina Molecolare, UTET
PRINCIPALI TIPI DI PROTEINE ALTERATE
NELLE MALATTIE MENDELIANE
 Proteine strutturali

 Recettori e sistemi di trasporto

 Enzimi e loro inibitori

 Proteine che controllano la


crescita cellulare (geni
oncosoppressori ed oncogeni)
RECETTORI E SISTEMI DI TRASPORTO
IPERCOLESTEROLEMIA FAMILIARE
 Tra le più comuni malattie mendeliane

 Gli eterozigoti si presentano con una frequenza di 1:500

 Mutazioni nel gene LDLR che codifica per il recettore delle LDL, responsabili
del trasporto del 70% del colesterolo plasmatico

 Autosomica dominante

 Negli eterozigoti la colesterolemia è aumentata di 2-3 volte, negli


omozogoti fino a 5 volte

 Gli eterozigoti sono asintomatici fino all’età adulta (xantomi e


coronaropatie)

 Gli omozigoti sono colpiti in modo più grave (xantomi nell’infanzia e


infarto miocardico prima dei 20 anni)
METABOLISMO DEL COLESTEROLO

 Il colesterolo deriva dalla dieta e dalla sintesi endogena

 Il colesterolo introdotto con la dieta viene incorporato nei chilomicroni della


mucosa intestinale e passa nel sangue attraverso i vasi linfatici intestinali

 I chilomicroni vengono idrolizzati dalle lipasi dei capillari del tessuto


muscolare e adiposo

 I residui dei chilomicroni ricchi di colesterolo sono trasportati al fegato


TURNOVER DELLE LIPOPROTEINE
Circa il 7% del colesterolo circola nel plasma sottoforma di LDL

Il fegato gioca
un ruolo
fondamentale
nella
regolazione
dei livelli
plasmatici di
colesterolo
TURNOVER DELLE LIPOPROTEINE
 La sintesi di colesterolo e
LDL inizia nel fegato

 Vengono secrete dapprima


le VLDL ricche di
trigliceridi nel sangue

 Nei capillari del tessuto


adiposo e muscolare
queste, in seguito a
lipolisi, vengono
convertite in IDL (ricche
di colesterolo) che
conservano sulla superfice
ApoE e B-100 (due delle
apolipoproteine associate e
VLDL)
TURNOVER DELLE LIPOPROTEINE

 Gran parte delle IDL viene


captata dal fegato
attraverso il recettore
LDL, altre sono convertite
in LDL, ricche di glicerolo
(deplezione trigliceridi e
ApoE)

 Nel fegato le IDL sono


riciclate per generare
VLDL
METABOLISMO DEL COLESTEROLO
 La maggior parte delle LDL è
metabolizzata attraverso la via
del recettore per le LDL, il
resto attraverso la via del
recettore scavenger

 IL recettore LDL lega ApoE e


B-100, implicato nel trasporto
di LDL e IDL, il 75% di
questi è localizzato negli
epatociti acil-CoA

 Legame delle LDL al


recettore, endocitosi mediata
dalle fossette rivestiste di
clatrina
METABOLISMO DEL COLESTEROLO
 Le vescicole si fondono con i
lisosomi e le LDL sono
degradate lasciando il
colesterolo libero nel
citoplasma

 Il trasporto delle LDL ossidate


attraverso i recettori scavenger
dipende dai macrofagi, che
hanno recettori per le LDL
modificate acil-CoA

 Oggi si utlizza una classe di


farmaci, le statine, per
combattere
l’ipercolesterolemia:
stimolano la sintesi del
recettore LDL
CLASSI DI MUTAZIONI NEL GENE DEL
RECETTORE DELLE LDL
 Nell’ipercolesterolemia
familiare, le mutazioni del
recettore per le LDL
compromettono trasporto e
catabolismo delle LDL e
trasporto delle IDL (che
vengono convertite in
LDL) con conseguente
accumulo di LDL a livello
plasmatico

 Aumenta il trasporto di
colesterolo nei monociti
macrofagi e nella parete
vasale con xantomi
cutanei e aterosclerosi
precoce
IPERCOLESTEROLEMIA FAMILIARE

xantoma

Xantoma : è una degenerazione della pelle di colore giallastro,


dovuto ad accumulo di lipidi. Si riscontra in particolare in caso di
livelli elevati di colesterolo e di trigliceridi. Gli xantomi possono
essere localizzati anche a livello dei tendini. Deriva dalla parola
greca xanthòs che significa "giallo".
CLASSI DI MUTAZIONI NEL GENE DEL
RECETTORE DELLE LDL
 Si conoscono più di 900
diversi tipi di mutazioni,
divisibili in 5 categorie

 Classe I causano perdita


sintesi recettore

 Classe II il recettore è
sintetizzato ma è
compromesso il trasporto
dal RE al Golgi

 Classe III i recettori


correttamente trasportati
sulla membrana non sono
in grado di legare LDL
CLASSI DI MUTAZIONI NEL GENE DEL
RECETTORE DELLE LDL

 Classe IV i recettori non


vengono internalizzati
nelle fossette di clatrina
dopo aver legato le LDL

 Classe V i recettori sono


intrappolati negli
endosomi poiché non
avviene dissociazione
ATEROSCLEROSI
Le LDL in eccesso
vengono ossidate
dai macrofagi che
innescano un
processo
Infiammatorio e
producendo fattori
di crescita
stimolano la
crescita delle cellule
muscolari lisce che a
loro volta secernono
matrice
extracellulare

ATEROMA
FIBROSI CISTICA (MUCOVISCIDOSI)

 La più comune patologia genetica autosomica


recessiva nelle popolazioni caucasiche
 ∽1/2.500 nati
 ∽1/20.000 in asiatici e africani
 ∽1/25 è portatore sano eterozigote

 Dovuta a mutazioni nel gene CFTR (cromosoma 7)


che codifica la proteina CFTR (Cystic Fibrosis
Transmembrane Regulator)

 La mutazione più frequente (70%) è la delezione


della fenilalanina in posizione 508 (F508del)

 Attesa di vita 40 anni (era 10 anni nel 1960)


CFTR • Il gene che codifica la proteina CFTR
umana si trova sul cromosoma 7, clonato
nel 1989.

• Il gene è lungo circa 189 kb e conta 27


esoni e 26 introni.

• La CFTR è una glicoproteina di


membrana con 1480 amminoacidi.

• È costituita da 5 parti: due domini


intermembrana (ognuno costituito da 6
α- eliche transmembrana), connessi
nel citoplasma a due domini per
i nucleotidi (NBD “nucleotide binding
domain”). La quinta parte è la regione
regolatrice “R” che collega il primo
dominio per i nucleotidi NBD1 al
secondo dominio intermembrana.
FIBROSI CISTICA : CLASSI DI MUTAZIONI Elborn J.S., The Lancet, 2016

Alterata Difetto del Alterata Ridotta Produzione Ridotta


sintesi trafficking regolazione conduttanza ridotta stabilità
proteica
FISIOPATOLOGIA DELLA FIBROSI CISTICA
 CFTR è un trasportatore del cloruro e del bicarbonato regolato dall’cAMP

 espresso nella membrana apicale delle cellule epiteliali

 Le funzioni sono tessuto-specifiche


 nelle ghiandole sudoripare permette il riassorbimento di cloro
 nelle ghiandole esocrine permette la fuoriuscita del cloro

 la mancata inibizione dell’ ENaC da parte del CFTR causa un


iperassorbimento di Na+ e di conseguenza H2O che assottiglia l’ ASL
(liquido superficiale delle vie aeree) e porta ad una ridotta clearence
mucociliare, con successiva infezione.
MALATTIA MULTI-ORGANI
 Apparato respiratorio: il muco spesso e
viscoso, ostruisce le vie respiratorie e
rallenta la rimozione di virus e batteri,
provocando difficoltà respiratorie e
infezioni polmonari ricorrenti.

 Pancreas: il muco ostruisce i dotti che


portano gli enzimi digestivi dal pancreas
all’intestino; ne consegue
malassorbimento degli alimenti e
crescita corporea rallentata.
Cutting. Annu Rev, 2015
 Apparato riproduttivo: ostruzione dei
vasi deferenti e infertilità nel 95% dei
casi. Anche nelle femmine ridotta
fertilità.
MALATTIA MULTI-ORGANI

 Pelle: malfunzionamento delle ghiandole


sudoripare che rilasciano elevate quantità
di NaCl nel sudore (sudore salato).

 Intestino: alla nascita può esserci


l’ileo da meconio (ostruzione intestinale
da parte del muco)

Cutting. Annu Rev, 2015


 I pazienti con FC soffrono di infezioni batteriche multiple nel corso
della vita, tuttavia la flora batterica nei polmoni è soggetta a
cambiamenti nel tempo.

 Staphylococcus aureus colpisce circa il 50% dei pazienti durante


l'infanzia; circa l'80% dei pazienti adulti (<18 anni) è cronicamente
infetto Pseudomonas aeruginosa.

 Altri batteri noti anche per infettare le vie aeree CF includono


Haemophilus influenza, MRSA (Staphylococcus aureus resistente alla
meticillina) e S. maltophillia.
FIBROSI CISTICA: SCREENING NEONATALE
 Immunoreactive trypsinogen (IRT) su
campione di sangue ottenuto dal tallone al
2°-4° giorno dalla nascita. L’ostruzione dei
dotti pancreatici ad opera del muco
determina l’impossibilità del tripsinogeno di
raggiungere l’intestino e il suo conseguente
accumulo nel circolo ematico. Le persone
affette da FC presentano quindi livelli di
tripsinogeno ematico elevati

 Test del sudore: >60 mmol/L : FC


<40 mmol/L: carrier
tra 60 e 40 Border Line

 Differenza di potenziale nasale (NPD):


viene misurata la differenza di potenziale
transepiteliale (trasporto di ioni) mediante
un elettrodo posizionato nella cavità nasale.
Ratjen F., The Lancet, 2003

 Analisi genetica
FIBROSI CISTICA: ANALISI GENETICA
• L’analisi genetica di I livello consiste nella ricerca delle mutazioni più
frequenti (35-200) nella popolazione. Le tecniche più utilizzate sono Revers
Dot Blot, Amplification Refractory Mutation System, Oligonucleotide
Specific Allele and Oligonucleotide Ligation Assay.

• L’analisi genetica di II livello utilizza sistemi di scanning (sequenziamento)


di tutti gli esoni e delle regioni di splicing del gene CFTR (è più
approfondito del I livello). Le tecniche più utilizzate sono Denaturing
Gradient Gel Electrophoresis e Denaturing High Performance Liquid
Cromatography. I test di II livello si usano quando la mutazione da
identificare non è conosciuta

• L’analisi genetica di III livello ricerca di delezioni/inserzioni/duplicazioni


della sequenza del gene. Si effettua nel 10-15% dei soggetti in cui le
precedenti analisi non hanno avuto successo: ricerca di inserzioni e/o
delezioni
TRATTAMENTO DELLA FIBROSI CISTICA

 Insufficienza pancreatica: enzimi pancreatici ad ogni pasto

 Problemi di assorbimento degli alimenti: aumento calorie


mediante integratori

 Manifestazioni polmonari:
 Profilassi e terapia antibiotica (azitromicina, tobramicina)
 Fisioterapia respiratoria (per la rimozione delle secrezioni
bronchiali)
 Farmaci broncodilatatori
 Corticosteroidi orali
 Trapianto di polmone
 Terapia genica
 Modulatori della CFTR
TERAPIA FARMACOLOGIA PER I PAZIENTI
CON LA MUTAZIONE F508DEL
 Kaftrio (Trikafta): tezacaftor-
elexacaftor-ivacaftor

Bear C.E., Cell, 2020

Middleton P.G., NEJ, 2019


ANEMIA A CELLULE FALCIFORMI
 E’una malattia autosomica recessiva

 E’ l’emoglobinopatia più prevalente

 Una mutazione del gene per la β-globina emoglobina falciforme


(HbS)

 Negli omozigoti tutta l’emoglobina è costituita da HbS, negli


eterozigoti la HbS sostituisce metà dell’emoglobina
ANEMIA A CELLULE FALCIFORMI
 L’emoglobina è un tetramero composto da due coppie di catene simili

 L’HbS è prodotta dalla sostituzione della valina con acido glutammico in


posizione 6 nella catena della β-globina

Emoglobina embrionale
Gower 1 (), Gower 2 (), Hb Portland
()

Emoglobina fetale (): dalla 8a


settimana di gestazione
> affinità per l’O2 rispetto a quella
adulta

Emoglobina adulta (dopo i 6 mesi di vita):


HbA () 97%; HbA2 () 2-3%;
HbF (): < 1%
ANEMIA A CELLULE FALCIFORMI
 L’emoglobina è un tetramero composto da due coppie di catene simili

 L’HbS è prodotta dalla sostituzione della valina con acido glutammico in


posizione 6 nella catena della β-globina

HbA HbS
acido glutammico valina
ANEMIA A CELLULE FALCIFORMI
 In condizioni di bassa tensione di ossigeno, le molecole di HbS si
aggregano e polimerizzano (a causa della valina, residuo idrofobico,
che interagisce con la tasca idrofobica delle catene vicine)

L’HbS polimerizzata trasforma il citosol da liquido a gel viscoso


portando alla formazione di fibre di HbS che distorcono gli eritrociti che
assumono la forma a falce

Sebbene la falcizzazione sia un fenomeno inizialmente reversibile in


seguito all’ossigenazione, con il ripetersi di episodi di falcizzazione si
verifica un danno di membrana e la falcizzazione diventa irreversibile
 L’entità della polimerizzazione dell’HbS dipende dalla concentrazione
cellulare di emoglobina (aumenta dopo rottura di membrana per
fuoriuscita di acqua).
Anemia a cellule falciformi: La falcizzazione avviene
dove il flusso sanguigno è lento
VANTAGGIO DELL’ETEROZIGOTE

In certe popolazioni africane la prevalenza dell’eterozigosi può arrivare al


30%: effetto protettivo nei confronti di Plasmodium falciparum
SINDROMI TALASSEMICHE

 Malattie mendeliane autosomiche recessive caratterizzate da una


mancanza o da una diminuzione della sintesi della catena  o della catena
.

 Le conseguenze ematologiche derivano dal basso livello di Hb


intracellulare (ipocromia) ma anche dal relativo eccesso di catene
difettive (nella  , si accumulano le catene  in eccesso formando
inclusioni insolubili con danno alla membrana ).

 Questo comporta sia la prematura distruzione degli eritroblasti a


livello midollare (eritropoiesi inefficace) sia la lisi degli eritrociti
maturi nella milza (emolisi)
-TALASSEMIE

 Le catene  sono codificate da un gene localizzato sul cromosoma 11

 0-talassemia: totale assenza di catene -globiniche

 +-talassemia: ridotta sintesi di -globina in condizioni di omozigosi

 Sono state identificate più di 100 mutazioni puntiformi neigeni :


 mutazioni della regione promotrice +
 mutazioni che determinano un’interruzione della catena
(stop codon o mutazioni frameshift) 0

 mutazioni di splicing (le più frequenti, riguardano introni e


esoni)0o +raramente delezioni (più frequenti nell’-talassemia)
-Talassemie: patogenesi
L’assorbimento del ferro avviene
nel duodeno. Il livello di
assorbimento dipende dal
contenuto corporeo totale di ferro
e dall’eritropoiesi o più
specificatamente dalla richiesta
nei precursori eritroidi. Non
appena i depositi aumentano,
l’assorbimento del ferro si riduce
e viceversa. Nel caso della beta
talassemia l’assorbimento di ferro
è aumentato nonostante
l’eccesso di riserve nell’
organismo perché si abbassano i
livelli di EPCIDINA, un regolatore
negativo dell’assorbimento di
ferro.

(microcitico , ipocromico)
danno alla membrana,
apoptosi
PRINCIPALI TIPI DI PROTEINE ALTERATE
NELLE MALATTIE MENDELIANE
 Proteine strutturali

 Recettori e sistemi di trasporto

 Enzimi e loro inibitori

 Proteine che controllano la


crescita cellulare (geni
oncosoppressori ed oncogeni)
MALATTIE DA ACCUMULO LISOSOMIALE
 In caso di deficit ereditario di un enzima lisosomiale si ha accumulo,
all’interno dei vacuoli, di metaboliti derivanti dalla degradazione di
substrati complessi derivanti dal metabolismo cellulare

 Sono state identificate circa 40 malattie da accumulo lisosomiale, che


colpiscono neonati e bambini

 Trasmissione autosomica recessiva

 Epatosplenomegalia dovuta all’accumulo di intermedi nei fagociti


mononucleati

 Disturbi neurologici frequenti

 Disfunzioni cellulari causate dall’attivazione dei macrofagi e dal


rilascio di citochine, a valle dell’accumulo di intermedi
MALATTIA DI TAY-SACHS O GANGLIOSIDOSI

 E’ dovuta a una mutazione che causa deplezione delle subunità α della


β-esosaminidasi A, necessaria per la degradazione dei gangliosidi

 I gangliosidi sono presenti in abbondanza sulle membrane sinaptiche


dove svolgono un ruolo nel legare i neurotrasmettitori durante la
trasmissione dell’impulso nervoso

 Sono state descritte più di 100 mutazioni che alterano il traffico


intracellulare della proteina o la sua conformazione

 I gangliosidi si accumulano nei neuroni del sistema nervoso centrale e


autonomo e della retina, le cellule risultano rigonfie, i lisosomi
contengono strutture concentriche
MALATTIA DI TAY-SACHS O GANGLIOSIDOSI

 Le alterazioni sono diffuse nel sistema nervoso centrale e periferico

 Macchie rosse nella retina dovute al rigonfiamento delle cellule


gangliari

 Dal punto di vista molecolare, l’accumulo di proteine malripiegate, se


non stabilizzate dalle chaperonine, induce apoptosi

 A questo proposito si sta pensando ad una cura basata su una terapia


che aumenta la sintesi delle chaperonine
PRINCIPALI TIPI DI PROTEINE ALTERATE
NELLE MALATTIE MENDELIANE
 Proteine strutturali

 Recettori e sistemi di trasporto

 Enzimi e loro inibitori

 Proteine che controllano la


crescita e il differenziamento
cellulare (geni oncosoppressori
ed oncogeni)
MALATTIE MONOGENICHE A
TRASMISSIONE ATIPICA

Malattie causate da Malattie causate da Malattie causate da


mutazioni di mutazioni nei geni alterazioni
triplette ripetute mitocondriali dell’imprinting
genomico
MUTAZIONI DA TRIPLETTE RIPETUTE:
SINDROME DELL’ X FRAGILE

 E’ causata da mutazioni in cui si ritrovano lunghe sequenze ripetute di


tre nucleotidi

 Sono state identificate circa 40 malattie causate da questo tipo di


mutazioni (alterazioni neurodegenerative)

 L’amplificazione di una tripletta nel gene ne distrugge la funzione

 Altri esempi di malattie sono la distrofia miotonica e la malattia di


Huntington
MUTAZIONI DA TRIPLETTE RIPETUTE:
SINDROME DELL’ X FRAGILE
 Nella sindrome dell’X fragile la mutazione riguarda il gene FMR1 (gene
per il ritardo mentale familiare 1)

 Il test diagnostico tradizionale mostra una discontinuità del bandeggio o


restringimento nel braccio lungo del cromosoma X; il cromosoma sembra
rotto sito fragile
MUTAZIONI DA TRIPLETTE RIPETUTE:
SINDROME DELL’ X FRAGILE
 Dopo la sindrome di Down, è la seconda causa genetica di ritardo mentale

 Incidenza: 1:1500 nei maschi e 1:1800 nelle femmine

 Fenotipo: viso allungato con mandibola grande, occhi grandi e sporgenti,


testicoli grandi (macro-orchidismo)
MUTAZIONI DA TRIPLETTE RIPETUTE:
SINDROME DELL’ X FRAGILE
 Trasmissione atipica

 Maschi portatori: il 20% è


normale, trasmette il carattere
a tutte le figlie (normali) e ai
nipoti (malati)

maschi trasmettitori sani

 Femmine portatrici: il 30-


50% è malato

 Anticipazione: il fenotipo
peggiora con le generazioni
MUTAZIONI DA TRIPLETTE RIPETUTE:
SINDROME DELL’ X FRAGILE
 Nella popolazione normale il
gene FMR1 contiene circa 29
triplette ripetute (CGG), nei
portatori il genoma ne
contiene da 52 a 200
(premutazione), i soggetti
malati contengono da 200 a
400 ripetizioni (mutazioni
complete)

 Durante l’ oogenesi, le
premutazioni possono essere
convertite in mutazioni
complete dall’amplificazioni
delle triplette, mutazioni
trasmesse ai figli e alle figlie
della madre portatrice
FMRP E LA SINDROME DELL’X FRAGILE

FMRP è una proteina


citoplasmatica espressa
in molti tessuti, sorprattutto
nel cervello e testicoli.

Sembra regolare
negativamente
la traduzione di mRNA a
livello sinaptico.

Una loro alterazione causa


danni all’attività sinaptica
(ritardo mentale)
MUTAZIONI NEI GENI MITORCONDRIALI

 Trasmissione materna

 Le malattie causate da mutazioni nei geni mitocondriali sono rare

 I geni del DNA mitocondriale codificano enzimi coinvolti nella


fosforilazione ossidativa

 Mutazioni di questi geni causano patologie negli organi dipendenti dalla


fosforilazione ossidativa, come muscolo scheletrico cuore encefalo

 Es. neurite ottica ereditaria di Leber: progressiva perdita bilaterale della


vista con conseguente cecità
ALTERAZIONI DELL’IMPRINTING GENOMICO

 E’ un processo che implica l’inattivazione trascrizionale dell’allele


materno o paterno mediante metilazione del promotore e modificazione
delle proteine istoniche

 Avviene nei gameti sessuali e viene trasmesso a tutte le cellule somatiche


derivate dallo zigote

 Dei geni sottoposti a imprinting esiste quindi una sola copia attiva

 La perdita dell’allele attivo causa malattia


ALTERAZIONI DELL’IMPRINTING GENOMICO

 Sindrome di Prader-Willi
 ritardo mentale, bassa statura, mani e piedi piccoli, obesità;
 è causato da una delezione che interessa una serie di geni sul cromosoma
paterno soggetti a imprinting su quello materno

 Sindrome di Angelman
 ritardo mentale, atassia, convulsioni, riso immotivato
 è causato da una delezione di un unico gene sul cromosoma materno, il cui
corrispettivo allelico sul cromosoma paterno è soggetto a imprinting
METODICHE E TECNICHE
PER LO STUDIO DELLA
PATOLOGIA CELLULARE
E TISSUTALE
SPERIMENTAZIONE E
AUTORIZZAZIONE DI MOLECOLE
Ø Come si valuta se una molecola,
impiegata per curare o prevenire
una specifica malattia, è efficace
e, soprattutto, non arreca danni
alla salute?

Ø Per comprendere le sue


proprietà, quantificare il
rapporto tra gli eventuali rischi e
i benefici, la molecola chimica
che aspira a diventare un
farmaco è sottoposta a una lunga
serie di studi, condotti prima in
laboratorio e su animali e poi
sull’uomo.
SPERIMENTAZIONE E
AUTORIZZAZIONE DI MOLECOLE
Ø Queste ricerche, la cui durata
oscilla in genere tra i sette e i
dieci anni, si articolano in
diverse fasi:

ü studi “in vitro” e “in vivo” sugli


animali (sperimentazione
preclinica)
ü studi cosiddetti di fase 1, di fase
2 e di fase 3 eseguiti sull’uomo
(sperimentazione clinica).
SPERIMENTAZIONE PRECLINICA: FINALITÀ

Ø Valutare la tossicità e la formulazione ottimale

Ø Verificare se la molecola identificata possiede le proprietà terapeutiche che


le sono state attribuite teoricamente (EFFICACIA)

Ø Modificare eventualmente la molecola per aumentarne l’efficacia


SPERIMENTAZIONE PRECLINICA: FINALITÀ

Ø Inizialmente sono eseguiti gli studi “in vitro” al fine di comprendere le


caratteristiche della molecola (la sostanza viene messa in provetta insieme a
colture cellulari o a microrganismi e sottoposta a una serie di test)

Ø Soltanto quando si è appurato in laboratorio che la molecola possiede


potenziali effetti terapeutici si può passare alla sperimentazione sugli animali
(studi “in vivo”).

Ø La sperimentazione preclinica è il banco di prova della molecola, superato il


quale si può procedere alla sperimentazione sull’uomo
SPERIMENTAZIONE CLINICA: FASE 1

Ø Ha inizio con lo studio di fase 1 la sperimentazione del principio


attivo sull’uomo che ha lo scopo di fornire una prima valutazione della
sicurezza e tollerabilità del medicinale.

Ø In genere, questi studi sono condotti in pochi centri selezionati, su un numero


limitato di volontari sani, in età non avanzata, per i quali è documentata
l’assenza e valutata la non predisposizione a malattie.

Ø L'obiettivo principale è la valutazione degli effetti collaterali che possono


essere attesi considerando i risultati delle precedenti sperimentazioni sugli
animali e la valutazione della modalità di azione e distribuzione del farmaco
nell’organismo
SPERIMENTAZIONE CLINICA: FASE 1

Ø I volontari vengono divisi in più gruppi, ciascuno dei quali riceve una diversa
dose di farmaco (in genere crescente), per valutare gli eventuali effetti
indesiderati della sostanza in relazione alla quantità somministrata.

Ø Se oggetto della sperimentazione sono gravi patologie (per esempio tumori,


AIDS), questi studi possono essere condotti direttamente su pazienti che ne
sono affetti e per i quali il farmaco è stato pensato.

Ø Se il farmaco dimostra di avere un livello di tossicità accettabile rispetto al


beneficio previsto (profilo beneficio/rischio) allora può passare alle
successive fasi della sperimentazione.
SPERIMENTAZIONE CLINICA: FASE 2

Ø Comincia ad essere indagata l’attività terapeutica del potenziale farmaco,


cioè la sua capacità di produrre sull’organismo umano gli effetti curativi
desiderati.

Ø Serve inoltre a comprendere quale sarà la dose migliore da sperimentare nelle


fasi successive, e determinare l’effetto del farmaco in relazione ad alcuni
parametri (pressione sanguigna), indicatori della salute del paziente.

Ø La sostanza è somministrata a soggetti volontari affetti dalla patologia per cui


il farmaco è stato pensato.
SPERIMENTAZIONE CLINICA: FASE 2
Ø I soggetti “arruolati” per lo studio vengono generalmente divisi in più gruppi,
a ciascuno dei quali è somministrata una dose differente del farmaco e
un placebo (sostanza priva di efficacia terapeutica)

Ø Per evitare che la somministrazione del placebo influenzi le aspettative dei


partecipanti, le valutazioni dei parametri di attività e sicurezza sono condotte
senza che paziente (si parla così di studio in cieco singolo), o medico e
paziente (studio in doppio cieco), conoscano il tipo di trattamento ricevuto o
somministrato.

Ø Questa fase dura circa un paio d'anni.


SPERIMENTAZIONE CLINICA: FASE 3
Ø La fase 2 è utile quindi a dimostrare la non tossicità e l’attività del
nuovo principio attivo sperimentale.

Ø Ci sono però ancora altri quesiti a cui bisogna dare una risposta: ma il
farmaco quanto è efficace? Ha qualche beneficio in più rispetto a farmaci
simili già in commercio? E qual è il rapporto tra rischio e beneficio?

Ø A tutte queste domande si risponde con lo studio di fase 3 (o terapeutico-


confermatorio). In questo caso non sono più poche decine i pazienti
“arruolati”, ma centinaia o migliaia.

Ø L’efficacia del farmaco sui sintomi, sulla qualità della vita o sulla
sopravvivenza è confrontata con un placebo, con altri farmaci già in uso, o
con nessun trattamento.
SPERIMENTAZIONE CLINICA: FASE 3
Ø La tipologia di studio di riferimento in questa fase è lo Studio
clinico controllato randomizzato: ai pazienti viene assegnato casualmente
(random) il nuovo principio attivo o un farmaco di controllo (in genere il
trattamento standard per quella specifica patologia oggetto della ricerca).

Ø Lo studio clinico controllato randomizzato è molto affidabile nel definire


l’efficacia di un medicinale: l’attribuzione casuale del nuovo farmaco o del
farmaco di controllo garantisce che i due gruppi siano simili per tutte le
caratteristiche salvo che per il medicinale assunto.
SPERIMENTAZIONE CLINICA: FASE 3
Ø Alla fine della sperimentazione, sarà possibile attribuire ogni differenza nella
salute dei partecipanti esclusivamente al trattamento e non a errori o al caso.

Ø Durante questa fase vengono controllate con molta attenzione l'insorgenza, la


frequenza e gravità degli effetti indesiderati.

Ø La durata della somministrazione del farmaco è variabile a seconda degli


obiettivi che la sperimentazione si pone, ma in genere dura dei mesi.

Ø Il periodo di monitoraggio degli effetti del farmaco è invece spesso più


lungo, arrivando in qualche caso a 3-5 anni.
AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE AL
COMMERCIO
QUANDO INFINE IL NUOVO FARMACO HA DIMOSTRATO DI AVERE
UN’EFFICACIA SUFFICIENTE IN RAPPORTO AGLI EVENTUALI
RISCHI (RAPPORTO RISCHIO/BENEFICIO), TUTTI I DATI DERIVATI
DALLE VALUTAZIONI PRECLINICHE E CLINICHE SONO RACCOLTI IN
UN DOSSIER CHE VIENE SOTTOPOSTO ALL’AUTORITÀ
COMPETENTE (PER L’ITALIA L’AIFA), PER RICHIEDERNE LA
REGISTRAZIONE E L'AUTORIZZAZIONE ALLA
COMMERCIALIZZAZIONE.
MODELLI BIOLOGICI PER LO
STUDIO DELLE PATOLOGIE:

Ø In vitro (primarie, immortalizzate)

Ø Ex vivo (3D, organoidi)

Ø In vivo (animali)
COLTURE CELLULARI IN VITRO
Ø Le colture cellulari sono il modello in vitro per eccellenza,
rappresentato da un gruppo di cellule eucariotiche capaci di crescere e
proliferare in vitro in particolari condizioni volte a simulare
l’ambiente di origine della coltura.

Ø Le tecniche di coltura cellulare hanno permesso di studiare il


comportamento delle cellule al di fuori dell’organismo vivente in
condizioni artificiali che riproducano, quanto più fedelmente possibile,
il microambiente del tessuto o dell’organo da cui derivano
COLTURE CELLULARI: VANTAGGI E
SVANTAGGI
COLTURE CELLULARI: CAMPI
D’ APPLICAZIONE
COLTURE CELLULARI

Colture Primarie Linee cellulari


COLTURE PRIMARIE

Le colture primarie derivano


da un tessuto o da un organo
per dissociazione meccanica
ed enzimatica delle singole
componenti cellulari
COLTURE PRIMARIE

Dalle colture primarie si


originano le colture
secondarie che mantengono
le caratteristiche delle cellule
d’origine e che possono subire
al massimo una decina di
passaggi
COLTURE PRIMARIE
Fibroblasti Neuroni Cellule epiteliali

Producono collagene Formano assoni Formano monostrato


e sinapsi compatto e ordinato
COLTURE PRIMARIE
VANTAGGI

Ø Cellule molto simili al tessuto di origine


Ø Riflettono con maggiore probabilità le attività delle cellule in vivo

SVANTAGGI
Ø Piccole quantità sono disponibili
Ø Vita limitata (senescenza), ripetuti isolamenti per progetti a lungo termine
Ø Popolazione eterogenea
Ø Sterilità è difficile
COLTURE PRIMARIE
Ø Tra la semina e la ripresa della crescita c’è un intervallo

Ø In generale, il tempo di duplicazione è lento anche se aumenta


all’aumentare dei passaggi in coltura

Ø I tempi di duplicazione tornano ad allungarsi nella fase di senescenza fino


alla morte
DALLE COLTURE PRIMARIE ALLE LINEE
CELLULARI
Ø Nella fase di senescenza possono intervenire trasformazioni che producono
linee cellulari immortalizzate, in grado di replicarsi indefinitivamente

Ø Il processo della trasformazione rende le cellule immortali in coltura

LINEA CELLULARE
LINEE CELLULARI

q Derivano da colture secondarie immortalizzate e hanno molte


caratteristiche simili alle cellule cancerose

VANTAGGI

Ø Più facili da coltivare


Ø Possono essere cresciute per molte generazioni (> 150/200
duplicazioni) e in grande quantità
Ø Risposte riproducibili con risultati meno variabili (fedeltà del cariotipo)

SVANTAGGI

Ø Possono perdere alcune caratteristiche proprie delle cellule in vivo e


quindi non riprodurre fedelmente l’ambiente fisiologico originale
LINEE CELLULARI PARTICOLARMENTE
UTILIZZATE
COLTURE PRIMARIE E IMMORTALIZZATE

Ø Le linee cellulari stabilizzate non mostrano né la fase stazionaria, né la


fase di morte.
Ø Le colture secondarie rimangono nella fase esponenziale dopo aver subito
il processo di immortalizzazione.
Ø Es. HeLa cells sono sempre nella fase esponenziale perché derivano da
cellule tumorali le quali proliferano in maniera incontrollata.
COLTURE PRIMARIE E IMMORTALIZZATE

Ø LE LINEE CELLULARI A VITA FINITA


ü Resistono in coltura per un numero limitato di cicli cellulari
ü Crescono in monostrato risentendo dell’inibizione da contatto
ü Fortemente dipendenti da fattori di crescita presenti nel siero

Ø LE LINEE CELLULARI CONTINUE


ü Hanno origine da mutazioni (spontanee o indotte) a partire da colture a
vita finita
ü Possono essere ottenute da tumori
ü Presentano minore dipendenza da fattori sierici e minore inibizione da
contatto
TIPI DI COLTURE CELLULARI
SULLA BASE DELLA LORO ORIGINE POSSO CRESCERE

Ø ADESE (cellule epiteliali, fibroblasti)

Ø IN SOSPENSIONE (cellule del sangue)

L’attacco è indispensabile per la proliferazione


MANTENIMENTO DELLE CELLULE IN
COLTURA

q Le cellule crescono in supporti di plastica opportunamente trattati


MANTENIMENTO DELLE CELLULE IN
COLTURA
q Le cellule crescono in specifici mezzi o terreni di coltura che
contengono le sostanze necessarie:
ü Sali inorganici (equilibrio osmotico, potenziale di membrana, ECM per
adesione cellulare, cofattori enzimatici)
ü Carboidrati (glucosio, galattosio, mannosio, fruttosio)
ü Aminoacidi (essenziali, GLUTAMMINA)
ü Vitamine (riboflavina, tiamina, biotina)
ü Acidi grassi
ü Lipidi
ü Proteine (albumina, transferrina, fibronectina)
ü Siero (FBS)
ü Rosso fenolo (pH)
MANTENIMENTO DELLE CELLULE IN
COLTURA

Media Type Examples Use


Balanced salt PBS, Hanks’BBS, Earle’s salts Form the basis of many complex
DPBS media
solutions
HBSS
EBSS

Basal media MEM Minimum essential Medium PRIMARY CULTURE

DMEM Dulbecco’s modification of Mem Modification of Mem containing


increased level of amino acids and
vitamins.
Glagows modified MEM was
GMEM defined for BHK-21 cells

Complex media RPMI 1640 Roswell Park Memorial Originally derived for human
Institute leukaemic cells. It support a wide
range of mammalian cells.
Designed for CO2 free
Leibovits L-15 environments

Serum free media DMEM/F12 These media must be


Neurobasal supplemented with other factors
such as insulin, transferrin and
epidermal growth factor.
MANTENIMENTO DELLE CELLULE IN
COLTURA
q Le cellule crescono in incubatori in grado di mantenere controllata la
temperatura, la pressione parziale di anidride carbonica e l’umidità
STERILITA’
q Per mantenere la sterilità bisogna:
ü Lavorare sotto cappe a flusso laminare
ü Utilizzare materiale sterile (stufa a secco, autoclave, filtri da 0,22 µm)
ü Utilizzare la stanza colture cellulari in maniera esclusiva

CAPPA A FLUSSO
LAMINARE DI CLASSE II
STERILITA’
q Contaminazioni da funghi/batteri
ü Torbidità terreno
ü Microrganismi visibili al microscopio

q Contaminazione da micoplasma
ü Non visibile da terreno o al microscopio
ü Test con cadenza regolare
CRIOCONSERVAZIONE

Ø Le cellule possono essere crioconservate in azoto liquido (-195 °C) per


oltre 10 anni, senza significativi cambiamenti delle loro caratteristiche
biologiche

Ø Il congelamento deve essere graduale ma rapido per evitare la


formazione di cristalli di ghiaccio e il danneggiamento della cellula per
disidratazione

Ø Si usano agenti crioprotettivi (DMSO, glicerolo) che preservano le


cellule dai danni indotti dalla formazione di cristalli di ghiaccio
SISTEMI DI COLTURA
Ø Co-colture DIRETTE

Ø Co-colture INDIRETTE

Ø Colture con MEDIUM CONDIZIONATI


MODELLO IN-VITRO: CO-COLTURE
Ø Possono essere utilizzate per osservare interazioni tra cellule

Ø Sono un modello in vitro che supera i limiti delle monocolture e che


si avvicina ai modelli animali in vivo.

Ø Vengono utilizzate per studiare i fattori coinvolti nel processo di


differenziazione cellulare, nella regolazione della proliferazione cellulare e
nella produzione di metaboliti per le vie di segnalazione.
MODELLO IN-VITRO: CO-COLTURE
Ø Possono essere utilizzate per esplorare i meccanismi d’azione dei farmaci e
la loro efficacia. Sono utilizzate per identificare gli organi bersagli di un
farmaco e prevedere gli effetti collaterali dei metaboliti dei farmaci.

Ø Sono utilizzate per studiare il cross-talk tra diverse linee cellulari, compresi
adipociti, cellule endoteliali, cellule epiteliali, cellule muscolari, fibroblasti,
macrofagi.

Ø Possono fornire informazioni sulla interazione cellula-cellula tramite fattori


di secrezione che agiscono sulle funzioni metaboliche come omeostasi
energetica, atrofia muscolare, obesità.
CO-COLTURE

Ø Monocolture
(segnali AUTOCRINI)

Ø Co-colture dirette
(segnali AUTOCRINI e
PARACRINI)

Ø Co-colture indirette
(segnali PARACRINI)
CO-COLTURE DIRETTE
Ø Gap Junction

Ø Tight Junction

Ø Desmosomes
CO-COLTURE INDIRETTE

Comunicazione
paracrina
COLTURE CON MEDIUM CONDIZIONATI
LE CELLULE STAMINALI
Sono cellule in grado di autorinnovarsi indefinitamente senza
differenziare oppure di dare origine a tipi cellulari specializzati

Ø AUTORINNOVAMENTO: divisione cellulare che consente di


mantenere le caratteristiche della cellula madre e lo stesso numero di
cellule

Ø DIFFERENZIAZIONE: trasformazione che porta la cellula ad


acquisire caratteristiche specifiche (strutturali, molecolari e
funzionali) di determinati tipi cellulari
LE CELLULE STAMINALI

Le divisioni possono essere:

Ø SIMMETRICHE: due cellule identiche alla cellula madre

Ø ASIMMETRICHE: una cellula si differenzia e genera cellule mature,


mentre un’altra rimane indifferenziata (identica alla madre) e conserva
la propria capacità di autorinnovamento.
DIVISIONE CELLULARE ASIMMETRICA
LE CELLULE STAMINALI
TIPI DI CELLULE STAMINALI:
CAPACITA’ DIFFERENZIATIVE
STAMINALI TOTIPOTENTI

Ø Cellule capaci di dividersi e produrre tutte le cellule differenziate in un


organismo, compresi i tessuti extra embrionali

Ø Sono cellule staminali totipotenti lo zigote e l’embrione fino a 2-4 cellule.


STAMINALI PLURIPOTENTI

Ø Cellule (massa interna blastocisti) capaci di dividersi e di differenziarsi


in uno qualsiasi dei tre foglietti germinali:

ü Endoderma (tubo digerente, polmoni, fegato, pancreas)


ü Mesoderma (muscoli, ossa, tessuto connettivo, sangue, apparati
riproduttivo ed escretore)
ü Ectoderma (pelle, occhi, tessuto nervoso)
STAMINALI MULTIPOTENTI

Ø Cellule in grado di differenziarsi in tutte le cellule del tessuto di


appartenenza

Ø Cellule staminali del midollo osseo, cellule staminali neurali


STAMINALI UNIPOTENTI

Ø Cellule capaci di differenziarsi in un singolo tipo di cellula, sono


anche dette cellule precursori

Ø Cellule staminali unipotenti sono gli epatociti, le cellule dello strato


profondo dell’epidermide
I PRINCIPALI FATTORI DI TRASCRIZIONE CHE
REGOLANO E MANTENGONO LA
STAMINALITÀ DELLE CELLULE
PLURIPOTENTI SONO:
SOX2, NANOG, OCT4, SALL4
RIEPILOGO
TIPI DI CELLULE STAMINALI:
FONTE DI PROVENIENZA

q Cellule staminali embrionali

q Cellule staminali fetali, della placenta e del cordone ombelicale

q Cellule staminali adulte

q Cellule staminali adulte riprogrammate (iPSC)


CELLULE STAMINALI EMBRIONALI (ES)
Ø Si trovano nella blastocisti, ammasso di
cellule che a 5 giorni dalla fecondazione
dell’ovulo deve ancora impiantarsi
nell’utero
Ø Sono in grado di generare tutte le
cellule del corpo (cellule pluripotenti
e multipotenti)
Ø Possono essere coltivate in laboratorio
ed utilizzati per lo studio della
rigenerazione tissutale e manipolazioni
genetiche
Ø Possibili applicazioni per la medicina
rigenerativa (riparazione di tessuti ed
organi danneggiati) oppure curare
malattie come il morbo di Parkison,
Sclerosi Multipla, DMD
CELLULE STAMINALI EMBRIONALI (ES)

q Morbo di Parkinson: morte dei neuroni che rilasciano la dopamina


(regola movimenti corporei); levodopa, precursore dopamina
ü Febbraio 2023: primo trial clinico su 8 pazienti

q Sclerosi Multipla: iperattivazione del sistema immunitario con


conseguente distruzione di mielina che comporta progressiva perdita del
controllo muscolare; farmaci immunomodulanti
ü Nel 2017 primo trials clinico
ü Nel 2023 risultati: sicurezza e riduzione atrofia cerebrale
CELLULE STAMINALI FETALI, DELLA
PLACENTA E DEL CORDONE OMBELICALE
q Cellule staminali fetali: sono presenti a partire dall’ottava settimana dopo la
fecondazione e ricavate da aborti naturali. Sono parzialmente specializzate.

q Cellule staminali della placenta: Sono contenute nella placenta,


possono essere estratte dalla membrana amniotica, vengono prelevate
dopo il parto. Sono ad alto potenziale replicativo.

q Cellule staminali del liquido amniotico: Sono presenti nel liquido


amniotico. Hanno caratteristiche miste tra quelle embrionali e quelle adulte

q Cellule staminali del cordone ombelicale: sono contenute nel sangue del
cordone ombelicale. Sono prelevate dopo il taglio del cordone mediante
prelievo del sangue e possono essere congelate. Sono simili alle cellule
staminali del sangue che si trovano nel midollo osseo dell’adulto.
CELLULE STAMINALI ADULTE

Ø Sono presenti in numerosi tessuti; danno


origine a cellule di ricambio per
mantenere fisiologicamente in equilibrio
il tessuto (midollo osseo, cervello,
intestino)

Ø Possono generare solo alcuni tipi di


cellule specializzate (multipotenti)

Ø Un tipo di cellule staminali adulte, le


cellule staminali mesenchimali, possono
dare origine all’osso, alla cartilagine e al
tessuto adiposo
CELLULE STAMINALI ADULTE

Ø Servono a rigenerare e a riparare i tessuti


di cui fanno parte, e potrebbero avere lo
stesso uso anche in medicina, per
rimpiazzare delle parti di un organo o di
un tessuto perdute o danneggiate

Ø Possono essere estratte da una persona


adulta e reimpiantate nella stessa persona

Ø L’auto-trapianto di cellule del midollo


osseo viene comunemente fatto per
persone che devono subire una
chemioterapia molto aggressiva.
CELLULE STAMINALI ADULTE

ü Occhio (retina)
ü Cervello
ü Polpa dentale
ü Seno
ü Midollo osseo
ü Muscoli
ü Intestino
ü Pelle
ü Gonadi
CELLULE STAMINALI ADULTE

EMATOPOIETICHE MESENCHIMALI

Danno origine a tutte le cellule Danno origine a cellule della


del sangue (leucociti, eritrociti linea tessutale, in particolare del
e piastrine) tessuto connettivo (condrociti,
adipociti e osteociti)
CELLULE STAMINALI ADULTE: MEDICINA
RIGENERATIVA
Il trapianto di cellule staminali ematopoietiche è una procedura utilizzata in
ematologia ed oncologia per pazienti affetti da malattie del sangue o midollo
osseo (mieloma multiplo, leucemia).

q AUTOLOGO: le cellule staminali derivano dallo stesso paziente e


vengono rinfuse nel suo corpo facendone riprendere la corretta produzione
di cellule ematopoietiche.
Ø vantaggi: assenza di malattia del trapianto contro l’ospite, ridotta mortalità
correlata al trapianto, rapida ricostruzione emopoietica
Ø svantaggi: assenza di una reazione contro la leucemia, possibile
contaminazione di cellule maligne

q ALLOGENICO: le cellule staminali derivano da un donatore compatibile


con il ricevente (fratello, donatore alternativo).
Ø vantaggi: non contaminazione tumorale, reazione contro la leucemia
Ø svantaggi: rigetto, reazione del trapianto contro l’ospite, mortalità
correlata al trapianto
MALATTIE CURABILI CON IL TRAPIANTO DI
CELLULE STAMINALI ADULTE

Ø Leucemie e linfomi: leucemia mieloide acuta, linfoma di Hodgkin

Ø Malattie del midollo osseo: anemia plastica grave,


trombocitopenia congenita

Ø Emoglobinopatie: b-talassemia major, anemia falciforme

Ø Disturbi metabolici ereditari: malattia di Krabbe, leucodistrofia


metacromatica

Ø Disturbi ereditari del sistema immunitario: immunodeficienza


combinata grave
CELLULE STAMINALI ADULTE
RIPROGRAMMATE (iPSC)
Le iPSC (induced pluripotent stem cells)
sono cellule staminali pluripotenti indotte
che derivano da cellule somatiche riportate
allo stadio di pluripotenza.

Shinya Yamanaka
GENERAZIONE DELLE iPSC
ü Le iPSC vengono prodotte per trasduzione di geni associati alle staminali
all’interno di cellule non pluripotenti (es. fibroblasti adulti).
ü Nella trasduzione vengono utilizzati retrovirus.
ü I geni trasdotti includono regolatori come OTC3 e SOX2.
ü Dopo 4 settimane le cellule assumono caratteristiche morfologiche e
biochimiche simili alle staminali.

Myc, Oct4,
Sox2, Kfl4
POSSIBILI APPLICAZIONI DELLE iPSC
ü Osteoporosi
ü Fibrosi Cistica
ü Sindrome di Rett
ü Atrofia Muscolare Spinale (SMA)

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