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BOTANICA

Prof Stefano del Duca

Anno 2021

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INTRODUZIONE ALLA BOTANICA
La Biologia vegetale comprende varie branchie:
- Citologia: studia le cellule
- Istologia: studia i tessuti
- Fisiologia: studia gli aspetti funzionali
- Anatomia: studia la disposizione dei tessuti negli organi
- Organografia: descrive l’aspetto esteriore gli organi.
La Botanica sistematica, invece, classifica le piante in taxa (gruppi) e studia gli organismi vegetali in
tutti i loro aspetti; infine l’Ecologia evidenzia le relazioni tra i vegetali e l’ambiente.
I livelli di studio sono: molecolare, cellulare, di organo, di organismo.
Le metodiche di studio sono: morfologiche, fisiologiche-biochimiche, genetiche.

EVOLUZIONE
Dal punto di vista evolutivo si sa che 3,85 miliardi di anni fa comparve la vita sulla Terra e questi primi organismi erano
probabilmente procarioti in grado di effettuare alcuni metabolismi e da questi poi si sono evoluti tutti gli organismi
attuali.

→ BATTERI → eubatteri
PROGENITORE COMUNE → ARCHEA → archeobatteri
→ EUCARIOTI → protisti, funghi, piante, animali

Poi 2,8 miliardi di anni fa comparvero i CIANOBATTERI, i


primi organismi in grado di fare fotosintesi
(funzione comune a tutti gli organismi autotrofi) e per questo
anche chiamati “produttori primari”. Essi erano
in grado di produrre ossigeno come prodotto di reazione e
questa fu una tappa fondamentale per la successiva
affermazione degli organismi aerobici. I cianobatteri sono
stati i primi a consentire all’atmosfera di arricchirsi di
ossigeno consentendo agli organismi aerobi di sopravvivere. I
cianobatteri sono procarioti unicellulari che si associano e
hanno una morfologia filamentosa/ramificata/non ramificata.
Nelle migliori condizioni occorrono 10600 foglie medie per
produrre l’ossigeno necessario in un giorno ad una persona a
riposo, ad esempio 45 piante di pomodoro.

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LA GERARCHIA NELL’ORGANIZZAZIONE BIOLOGICA
Dagli atomi si formano le cellule; le cellule dello stesso tipo con stessa funzione formano dei tessuti che si associano a
dare gli organi (ad esempio vi è il tex epiteliale, il tex clorofilliano e vanno a formare gli organi). Le specie complesse
presentano dei sistemi/apparati. Gli organismi costituiscono le popolazioni. Le popolazioni in relazione all’area in cui si
trovano vanno a formare le comunità. Di seguito di parla di ecosistema e infine di biosfera.
Gli organismi sono dovuti alla presenza di cellule, elementi molto piccoli che presentano un elevato rapporto tra la
superfice esterna e volume per favorire gli scambi tra ambiente esterno e interno, diminuendo l’unità aumenta la
superfice esposta.

I VANTAGGI DELLE PIANTE


Le piante sono importanti per i fabbisogni energetici: combustibili fossili, legna, ricerca di fonti di energia alternative
ecc.
Un esempio è la fotosintesi artificiale che produce energia pulita da una foglia artificiale, aiutando i paesi in via di
sviluppo che non possono permettersi combustili fossili o centrali di energia; la foglia è composta da materiali come
silicio, nickel e cobalto e una volta immersa nell’acqua esposta a luce, vengono generate delle bollicine che sono quei
gas liberati derivanti dalla scomposizione dell’acqua (ossigeno e idrogeno). La foglia è molto efficiente e a basso costo.
Le piante sono anche fonte importante di materie prime: fibre, cotone, carta, lino, legno….
Le piante sono anche importanti farmaci: molte piante sono coltivate per interesse farmaceutico (ad esempio gli
oppiacei, l’aspirina ricavata dal salice, chinino, artemisinina antimalarico…)
Altre sono utilizzate per tisane, spezie (pepe, chiodi di garofano), alcune piante sono considerate motrici delle grandi
scoperte geografiche per il commercio di spezie.
Alcune piante sono benefiche dal punto di vista del rilassamento, abbassamento pressione e altri effetti benefici.
Il fitorisanamento è un processo con cui le piante, attraverso il loro apparato radicale e i microrganismi che in esso
vivono, degradano, rimuovono o immobilizzano contaminanti presenti nelle diverse matrici in natura per poi
fitovolatilizzarli.

FUNZIONI DELLE PIANTE


Le piante hanno comunque molte funzioni:
- Alimento: molti alimenti sono di derivazione vegetale o derivano da animali che si nutrono di questi.
- Regolatrici della composizione atmosferica e del clima: le piante regolano le quantità di ossigeno e anidride
carbonica presenti nell’atmosfera, quindi la loro attività tende a mantenere costante la concentrazione di
anidride e la temperatura, limitando l’effetto serra e controbilanciando l’aumento di CO 2 causato dalle attività
umane. L’acqua e i sali minerali (linfa grezza) sono assorbiti dalle radici dal terreno e la linfa risale poi il
tronco tramite i tessuti conduttori per essere portata dove serve. Inoltre, tramite un processo chiamato
TRASPIRAZIONE, le piante trasformano l’acqua liquida in vapore acqueo (in aggiunta, questo cambio di
stato dell’acqua da liquida a gassosa genera una pressione negativa che ne facilita la risalita), che viene poi
emesso nell’atmosfera, quindi esse regolano l’umidità atmosferica e quindi le precipitazioni. L’ossigeno in
parte viene ossidato e quindi trasformato in ozono (O3), che svolge un’azione di schermo per le radiazioni
ultraviolette. Tuttavia, le variazioni climatiche porteranno alcune zone del pianeta a condizioni climatiche
estreme, determinando anche altri effetti negativi, tra cui la migrazione della flora, un fenomeno per cui le
piante si spostano in base alle variazioni climatiche (es: l’Ambrosia, una pianta importante dal punto di vista
allergenico, si sta spostando dai paesi dell’est verso ovest causando problemi).
- Fabbisogno energetico: dalle piante si ricavano i combustibili fossili, la legna e fonti alternative (es: è
stata creata da Nocer il primo prototipo di “fogliaartificiale”).
- Fonte di materie prime: dalle piante si ricavano tessuti (cotone, canapa, iuta, lino) e legno.
- Farmaci: l’uso medicinale delle piante è molto antico; esse possono essere usate in 2 modi: 1.sono coltivate
per ottenere prodotti chimici che vengono poi usati dalle ditte farmaceutiche 2.sono impiegate in preparazioni
casalinghe (tisane, infusi…). Molto importante fu il CHININO, un alcaloide naturale con proprietà
antimalariche e antipiretiche, usato sin dal 1600; altri prodotti di derivazione vegetale sono la morfina (dal
papavero da oppio), la nicotina e la caffeina.
- piante transgeniche: le piante possono essere trasformate per dare nuovi prodotti (es: melanzana senza semi,
che è stata ricavata ingegnerizzandola per il carattere partenocarpia, cioè si riproduce senza fecondazione in
quanto non ha i semi).

Un concetto importante è quello dell’omeostasi: il mantenimento di un ambiente interno in grado di soddisfare i


bisogni di tutte le cellule; la sua composizione chimico-fisica deve essere mantenuta all’interno di uno spettro limitato
di condizioni fisiologiche che ne mantengono la sopravvivenza e la piena funzionalità (ad esempio per l’equilibrio del
pH).

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Tali funzioni vengono garantite da strutture
endocellulare in 2 ambiti sistematici
distinti: cellule procariotiche e cellule
eucariotiche.
Da notare il progenitore comune. Tra di loro
hanno anche interagito dando origine ad
altri organismi. Tutti gli organismi viventi
sono tra loro imparentati e infatti alcune
caratteristiche sono comuni (vie
metaboliche, ribosomi, codici genetici…)
mantenendo alcuni caratteri presenti nel
progenitore comune, si dice quindi che la
loro origine è monofiletica.

Al microscopio ottico si possono osservare organismi di grandezza compresa tra 1m-0,2μm (es: microalghe,
cianobatteri e alcuni organuli), mentre col microscopio elettronico la grandezza è compresa tra 100μm-1nm (es: batteri,
virus, piccole molecole).
Per sopravvivere una cellula deve svolgere varie funzioni, ovvero:
- ottenere energia e trasformarla; in base alla modalità con cui le cellule ricavano energia per il metabolismo si
distinguono organismi autotrofi (piante, alghe azzurre, certi batteri) che si nutrono da soli, ed eterotrofi
(animali, funghi, maggior parte dei batteri) che si nutrono di altri;
- convertire l’informazione genetica in strutture proteiche;
- disporre di comparti separati per svolgere le reazioni chimichecitoplasmatiche.

La nutrizione autotrofa permette di dare un’interpretazione a molti caratteri tipici delle piante, ad esempio l’immobilità,
il nutrimento della pianta è distribuito nell’ambiente in modo abbastanza omogeneo, quindi gli spostamenti sono inutili.
Tra gli autotrofi vi è il gruppo degli organismi fotosintetici
- procarioti: batteri e cianobatteri (o alghe azzurre; hanno diametro di 0,2μm e possono aggregarsi a
formare filamenti ramificati o non ramificati);
- protisti: microalghe (sono eucarioti unicellulari e hanno flagelli; vivono nei bacini salmastri);
- eucarioti pluricellulari: piante e macroalghe verdi.

Perciò le cellule hanno dimensioni piccole, in quanto devono mantenere molto elevato il rapporto tra la superficie
esterna e il volume, per garantire un adeguato scambio di nutrienti e cataboliti per il e dal citoplasma. Nell’ambito delle
cellule ci sono 2 livelli di organizzazione:
1) procarioti: comprendono eubatteri ed archeobatteri; le cellule non hanno compartimenti cellulari, il DNA è
circolare e addensato e sul versante esterno hanno una membrana cellulare e una parete cellulare formata da
peptidoglicani;
2) eucarioti: comprendono protisti, piante, funghi, animali; le cellule hanno compartimenti e organuli

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TEORIA ENDOSIMBIONTICA
(attualmente l’unica teoria plausibile):
l’endosimbiosi è una particolare forma di
simbiosi nella quale un organismo vive
all’interno di un altro, con le
caratteristiche di mutuo beneficio che
distinguono la simbiosi dal parassitismo e
dal commensalismo. L’ipotesi derivò
dall’osservazione che dal progenitore
comune sembrerebbero derivare per
aumento di dimensioni dei proto-eucarioti
con nucleo (derivante dalla formazione di
membrane interne che sono andate poi a
determinare la formazione di un reticolo
endoplasmatico). Di seguito i batteri
aerobi sarebbero stati inglobati tramite un
processo di endosimbiosi all’interno del
proto-eucariote generando i primi
mitocondri. A seguito sarebbero poi stati
generati protozoi, piante e animali. Si
pensa poi che un’altra via evolutiva
avrebbe determinato un processo simile
che vede l’endocitosi di un cianobatterio
fotosintetico che viene inglobato per
endocitosi e si forma quindi il primo
eucariote con cloroplasti.

Una delle prove a sostegno della teoria è data dalla presenza


della doppia membrana dei cloroplasti.

Questo processo porta poi alla formazione delle alghe varie,


delle alghe verdi e delle piante.

Le alghe e le piante sono considerate 2 cose diverse: le


alghe infatti non hanno tessuti

Si pensa che questi processi si siano susseguiti e/o


sovrapposti determinando l’origine dei vari tipi di alghe.

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La teoria endosimbiotica è sostenuta da PROVE:
1) presenza di DNA non organizzato in cromosomi (circolare a doppia elica), non compartimentato ed in grado di
duplicarsi
2) presenza di ribosomi che effettuano sintesi proteica, con caratteristiche simili a quelle dei procarioti (con
coefficiente di sedimentazione 70S e un rRNA 16S con sequenze omologhe in plastidi e cianobatteri)
3) divisione per scissione binaria
4) omologia di alcune proteine, ad esempio è presente una RNA-polimerasi con un alto grado di omologia con quella
dei cianobatteri, o nell’Arabidopsis è presente un gene omologo ad un gene batterico che controlla la divisione cellulare
5) in alcune alghe i cloroplasti sono circondati da una terza membrana, probabile “relitto” del fenomeno simbiotico
(membrana del vacuolo digestivo).

Nel DNA plastidiale è presente la subunità maggiore dell’enzima


ossigenasi (costituito normalmente da due subunità). L’enzima è il
responsabile della cattura della CO2 nel processo fotosintetico
(l’organicazione della CO2) che viene poi attaccata ad uno zucchero e
trasportata. Nel DNA plastidiale è presente solo la subunità maggiore
dell’enzima, mentre quella più piccola no.

Secondo la teoria endosimbiotica, gli endosimbionti cedono evoluzionisticamente parte delle loro informazioni
genetiche all’ospite, che dedica parte del proprio materiale genetico per codificare proteine dedicate al simbionte
permanente e che inoltre perde parte delle informazioni (e funzioni) non necessarie alla sua condizione di organismo
stabile ospitato, a differenza dei simbionti che mantengono il proprio codice integro. Ciò avviene anche grazie alla
presenza di una importante proteina chiamata rubisco.

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DIFFERENZE TRA ANIMALI E VEGETALI
1. In un animale la ricerca del cibo è legata al movimento, nella pianta avviene invece attraverso l’espansione di sempre
nuove superfici sia nell’aria che nel terreno
2. La crescita di una pianta equivale al movimento degli animali
3. Gli animali sono organismi che hanno un accrescimento definito, l’aumento di dimensioni del corpo è limitato nel
tempo
4. Nelle piante l’accrescimento è detto perenne, è cioè indefinito, l’aumento di dimensioni continua per tutta la vita.
5. Gli animali sono caratterizzati da risposte veloci a stimoli ambientali e precisa coordinazione tra gli organi.
6. Le piante sono caratterizzate da una maggiore autonomia degli organi, maggiore capacità di rigenerazione.
7. Gli animali hanno la tendenza a mantenere un ambiente interno costante nonostante il variare delle condizioni
esterne.
8. Le piante si adattano “passivamente” alle condizioni esterne

MOVIMENTO (no locomozione): in realtà, entro certi limiti, anche le piante si muovono. Alcuni esempi sono:
- stomi: cellule presenti sulla superficie epidermica e servono per consentire il passaggio dell’aria dall’esterno verso
l’interno e viceversa; sono formati da due cellule reniformi che hanno la capacità di allontanarsi tra loro aprendo una
fessura centrale che consente il passaggio dell’aria. Capita che attraverso lo stoma la pianta perda troppa acqua sotto
forma di vapore, perciò, l’apertura si chiude regolando quindi la perdita dell’acqua grazie al movimento delle due
cellule saldate tra loro all’estremità inarcandosi/unendosi.
- grano pollinico: quando il polline atterra sulla struttura femminile
del fiore, cioè il pistillo, incontra la superfice apicale (stigma) che e
congiunto ad un tratto allungato (stilo) a sua volta connesso con una
parte basale in cui è presente l’ovario con la struttura riproduttiva
femminile; appena il polline arriva al pistillo avviene un
riconoscimento grazie alle proteine esterne del grano pollinico e a
quelle della superficie stigmatica. Se il polline viene considerato
compatibile, successivamente germina (emette un tubetto pollinico
che cresce all’interno del pistillo) cercando di sopraggiungere fino
alla base, in cui vi è l’ovario. All’interno del tubo viaggiano i
gameti maschili e vengono rilasciati all’interno dell’utero e vanno
ad unirsi alla cellula uovo generando uno zigote. Questo tipo di
movimento varia a seconda della pianta e dei vari casi considerati.
- meccanorecettori (pulvini mutori): Vi sono alcuni movimenti
chiamati “movimenti di nastia” che corrispondono alla risposta di parti della pianta a sollecitazione meccanica, luce,
calore dovuti a variazioni di turgore; non dipendono dalla direzione dello stimolo, i movimenti sono reversibili, certe
foglie presentano recettori meccanici tattili e quando percepiscono uno stimolo chiudono le foglie e si abbassano (es:
mimosa pudica); altre, invece, per assorbire meglio la radiazione solare, piegano il fusto (es: girasoli). Le piante
carnivore hanno meccanorecettori per recepire stimoli tattili e in questo caso le foglie - trappola si chiudono, catturando
la preda, da cui assorbono l’azoto (per questa caratteristica sono dunque eterotrofe, ma fanno comunque la fotosintesi);
queste piante vivono spesso in ambienti privi di azoto e per questo motivo devono ricavarselo autonomamente e lo
fanno attraverso la cattura di insetti; la “trappola” scatta quando l’insetto malcapitato tocca e stimola dei peletti che ti
trovano sulla pianta e a quel punto la pianta spende energia per chiudere la “trappola” per catturare l’insetto.

ORGANIZZAZIONE DELLE PIANTE


In base all’organizzazione, le piante si dividono in 2 gruppi e poi ve n’è uno di mezzo.
1. Piante inferiori (o Tallofite): comprendono alghe, licheni e funghi (che però sono al confine); il loro corpo non è
organizzato in tessuti specializzati ed organi, cioè non si distinguono fusto, rami ecc.
2. Piante superiori (o cormofite): si sono potute affrancare dall’ambiente acquatico grazie alla lignina e al sughero, due
sostanze che danno consistenza alla struttura delle piante, consentendole di slanciarsi verso l’alto. Sono anche chiamate
cormofite perché hanno il fusto, tracheofite perché hanno tessuti di trasporto ed embriofite perché originano embrioni.
Hanno il corpo organizzato in:
- - Fusto: ha funzione di sostegno, di riserva (ci sono cellule che accumulano i nutrienti) e conduce i nutrienti e i prodotti
della fotosintesi;
- - Foglie: vi si svolgono la fotosintesi e gli scambi gassosi con l’ambiente;
- Radici: ancorano la pianta al suolo e assorbono la linfa grezza (acqua e sali minerali).
3. Piante Briofite hanno un aspetto di mezzo, sia di tallofite che di cormofite, poiché cercano di elevarsi dal terreno, ma
non si può ancora parlare di corpo specializzato; comprendono il muschio, le epatiche e leantocerote.

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A loro volta le piante superiori si dividono in:
1. Pteridofite (o Felci): non sono del tutto affrancate dall’ambiente acquatico, soprattutto perché per la riproduzione, in
quanto i gameti sono acquatici. Sono spesso chiamate Felci dal nome delle piante più note che appartengono al phylum;
sono comuni negli ambienti umidi e ombrosi (sottobosco).
2. Spermatofite: comprendono le Gimnosperme, cioè le piante a seme nudo (senza un apparato fiorale) e le Angiosperme,
cioè le piante a seme racchiuso da un fiore.
• Gimnosperme: esse non hanno un vero fiore; le strutture fiorali possono essere:
- foglie carpellari: sono legnose e disposte a spirale a formare una PIGNA (o strobilo), che porta gli
sporangi femminili, cioè le microspore che originano il gametofito femminile (ovario);
- foglie staminali: portano gli sporangi maschili, cioè le microspore che originano il gametofito
maschile, cioè il polline.
Le Gimnosperme comprendono: conifere (circa 500 specie), cycadophyta (circa 150 specie),
ginkophyta (1 specie fossile), gnetophyta (circa 80 specie, che usano l’umidità peralimentarsi).

• Angiosperme: esse comprendono circa 300.000 specie e sono divise in:


- monocotiledoni: di solito comprendono piante erbacee che non crescono più di tanto (es:
graminacee, palme);
- dicotiledoni (o eucotiledoni): hanno varie dimensioni (cespugli, alberi).
I due nomi derivano rispettivamente dal numero di poli embrionali presenti nel seme: nelle dicotiledone
l’embrione ha due cotiledoni (o foglie embrionali) e del materiale di riserva; nelle monocotiledone l’embrione
ha una grande quantità di materiale di riserva e ha un unico cotiledone. Il seme, che di solito è disidratato, va
reidratato e in seguita sviluppa l’apparato radicale poi si allunga l’asse embrionale; all’inizio dai cotiledoni la
pianta ricava le sostanze nutritive (fase eterotrofa), poi essi progressivamente si svuotano, si seccano e
cadono; infine crescono le verefoglie.

(Guarda sbobina per esempi)

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Vediamo le differenze tra le due specie:
MONOCOTILEDONI DICOTILEDONI
SEME ogni seme ha 1 cotiledone ogni seme ha 2 cotiledoni
FIORE i verticilli fiorai sono 4/5 i verticilli sono 3 o multipli
FOGLIA nervature parallele alla lunghezza della foglia; si picciolo; dalla nervatura principale si
no picciolo diramano le altre (palminerve o penninervie);
foglie semplici o composte
RADICI hanno una gerarchia: dalle radici fascicolate, cioè tante e dello stesso calibro
primarie si diramano le secondarie

Molteplici fattori di stress ambientali hanno rappresentato una sfida per le prime piante terrestri quando colonizzarono
la terra circa 450 milioni di anni fa. Le terre emerse sono molto più sensibili ai cambiamenti climatici rispetto agli
oceani e per questo motivo le piante hanno dovuto acquisire nuove caratteristiche per adattarsi alla vita sulla terra.
Queste nuove caratteristiche sono state acquisite grazie ad una nuova capacità metabolica, quella di sintetizzare nuove
molecole fondamentali per il passaggio dall’ambiente acquatico a quello terrestre. Alcune di queste molecole importanti
sono:
- Sporopolleninica (ha una struttura costituita da metaboliti) presente in qualche gruppo di microalghe, alghe
verdi, spore di Briofite, Pteridofite, polline di Gimnosperme e Angiosperme.
- Cutina, costituita da materiale idrofobico e presente nelle spore di Briofite, Pteridofite, polline di
Gimnosperme e Angiosperme.
- Lignina, che fornisce la pianta di un materiale duro che impregna la parete e fornisce rigidità e durezza, utile
contro gli urti meccanici; è presente anche nei tessuti vascolari e meccanici delle tracheophyta.
- Suberina (sughero) presente anche nei tessuti tegumentali delle Spermatophyta

I problemi che le piante hanno incontrati sulla terra sono dati dalla mancanza di un supporto fisico (in acqua
galleggiano), l’esposizione all’aria (che porta alla disidratazione) e una distribuzione non omogenea degli elementi
nutrizionali e di acqua.
Le soluzioni ai problemi incontrati furono fornite dalla comparsa di tessuti meccanici per il supporto, tessuti protettivi
con pareti cellulari impermeabili, pori che si chiudono rapidamente in mancanza di acqua, un ampio apparato radicale
con radici e peli radicali per aumentar la superficie della radice per un efficiente assorbimento di acqua e ioni dal suolo,
tessuti vascolari (composti da vasi e canalicoli costituiti da un tessuto chiamato Xilema, pareti cellulari rigide per il
trasporto rapido dell’acqua dalle radici alle foglie, vasi per il trasporto di composti organici dalle foglie al resto della
pianta). Tutte queste soluzioni caratterizzano le cosiddette “piante vascolari”.

L’acqua può essere trasportata a velocità diverse e altezze diverse (fino a 150mt); ci sono alcune piante di dimensioni
enormi e vivono anche per tantissimi anni, ad esempio la Sequoia sempervirens è un albero della famiglia delle
Cupressaceae che arriva a superare i 100mt di altezza e vive oltre i 2000 anni.

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Il gravitropismo della radice si basa sulla ridistribuzione laterale
dell’auxina che si accumula sul lato inferiore della radice, dove l’alta
concentrazione inibisce la crescita, mentre al lato opposto la diminuita
concentrazione di auxina stimola la crescita e la radice si piega verso
ilbasso.
- Gravitropismo negativo: crescita della pianta in verso opposto
alla gravità
- Gravitropismo positivo: crescita della pianta nello stesso verso
della gravita (come la crescita delle radici)

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CITOLOGIA

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LA CELLULA PROCARIOTICA
Non ha compartimenti interni. Non c’è il nucleo, ma solo un addensamento del materiale genetico definito nucleoide.
Vi sono i ribosomi, il citoplasma e la membrana plasmatica circondata da parete cellulare costituita da peptidoglicani.
Esternamente vi è una ulteriore parete (capsula gelatinosa) che inoltre consente l’agglomeramento tra di loro delle
cellule. Le cellule spesso hanno flagelli per il movimento in un mezzo liquidi/acquoso. Bisogna distinguere i batteri
gram postivi (con membrana plasmatica e parete di peptidoglicani piuttosto voluminosa) e i gram negativi (con doppia
membrana inframezzata da uno strato costituito da peptidoglicani di numero inferiore rispetto ai gram positivi).
Alcuni procarioti chiamati cianobatteri sono detti fotosintetici, cioè hanno un sistema di membrane interne generate
dalla membrana plasmatica che si ripiega all’interno formando strutture impilate che consentono la fotosintesi.

LA CELLULA EUCARIOTICA
Si sviluppa stabilendo relazioni con i primi organismi procariotici: si pensa che una cellula procariotica abbia
inizialmente formato delle membrane interne, gli acidi nucleici diventano quindi compartimentati visti i processi di
introflessione che subisce la membrana plasmatica che vanno a generare il reticolo endoplasmatico che viene
successivamente spinto verso il centro della cellula circondando il materiale genetico presente nella cellula costituendo
quella che viene denominata membrana nucleare. Successivamente per attività di fagocitosi non seguita dalla digestione
della struttura fagocitata, sarebbero stati fagocitati da questi proto-eucarioti i primi procarioti con attività mitocondriale
(da cui deriverebbero mitocondri con possibilità di attività ossidative). A seguito la cellula eucariotica ancestrale (con
processo simile) ingloba per endocitosi un cianobatterio fotosintetico (che non viene digerito, perciò si parla di
endocitosi e non fagocitosi) che va poi a cedere gran parte del suo materiale genetico al nucleo ospite, mantenendo
comunque la sua capacità fotosintetica, divenendo un cloroplasto.
Queste ipotesi sono supportate dalla teoria endosimbiotica, riguardante l’origine dei plastidi, che sostiene l’idea che i
cloroplasti si siano generati dall’esocitosi di un cianobatterio. I cloroplasti sono formati da una membrana interna ed
una esterna (relitto della membrana di endocitosi).

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Tra le cellule eucariote vi sono quelle animali e quelle vegetali:
- Cellula animale: presenta una membrana plasmatica all’interno della quale vi sono ribosomi liberi (80S), il
nucleo circondato dalla membrana nucleare (in continuità con quella del reticolo endoplasmatico), l’apparato
di Golgi, i mitocondri e gli elementi citoscheletrici, creste costituite dalla membrana interna, centrioli…ecc
- Cellula vegetale: una sola parete, vacuolo, cloroplasti, la forma della cellula è strettamente correlato alla parete
della cellula, vi sono canalicoli di intercomunicazione cellulare (plasmodesmi) che devono attraversare la
parete per mettere in comunicazione tutti i citosol delle cellule adiacenti, non vi sono i centrioli.
Rispetto alla cellula animale, quella vegetale ha:
- una forma più geometrica, dovuta alla presenza della parete cellulare, che costituisce il supporto
strutturale della cellula; tra 2 cellule adiacenti c’è lo spazio intracellulare
- un vacuolo, che occupa dal 30% al 90% del volume cellulare
- cloroplasti (o altri plastidi nel caso di piante non esposte alla luce)
- le giunzioni cellulari si chiamano PLASMODESMI e sono canalicoli localizzati nella membrana che
consentono la trasmissione tra le cellule e si allargano/restringono
- non hanno i centrioli, quindi l’organizzazione del fuso mitotico è diversa nelle 2 cellule.

Per entrambe la presenza della parete è un importante fattore in situazione in cui l’ambiente è isotonico, ipertonico
o ipotonico:

Le strutture esterne associate alle cellule sono molto importanti e svolgono diverse funzioni. Sono dette “extracellulari”
in quanto sono presenti all’esterno della cellula essendo comunque collegate con essa, un esempio è la membrana
plasmatica. Sul versante esterno della membrana plasmatica sono presenti strutture molto varie che svolgono ruoli di
difesa, di sostegno meccanico, di adesione e comunicazione tra elementi contigui. Nei batteri la struttura extracellulare è
rappresentata dalla parete costituita da peptidoglicani, nelle piante dalla parete cellulare e negli animali è presente una
matrice intercellulare o extracellulare.

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PLASTIDI
Osservando una cellula vegetale al microscopio elettronico è possibile individuare la parete cellulare la quale appare
come inspessimento scuro. Al di sotto della parete cellulare è presente la membrana cellulare la quale è, però, difficile
da individuare a causa del suo spessore molto ridotto. Nel citosol troviamo immersi diversi organuli tra cui numerosi
cloroplasti; questi ultimi sono riconoscibili per le loro elevate dimensioni e per la loro colorazione grigio scuro;
all’interno del cloroplasto è possibile individuare un ampio sistema di membrane che ospitano i complessi fotosintetici,
sottili linee di colore scuro che si associano a diventare pacchetti e alcuni granuli di amido (prodotto della fotosintesi),
strutture rotondeggianti di colore bianco. A circondare il vasto sistema di membrane troviamo lo stroma (zona grigio
chiaro) nel quale sono immersi anche numerosi ribosomi. All’interno della cellula è riconoscibile anche un grande
vacuolo (3 μm), esso appare come una grande zona vuota di colore bianco.
In generale, però, vi sono diversi tipi di plastidi:
1) Cloroplasti (la categoria più grande): svolgono la
fotosintesi, contengono clorofilla.
2) Cromoplasti, che contengono grandi quantità di pigmenti
lipidici (nei fiori e frutti), funzione attrattiva nei confronti
di insetti impollinatori.
3) Amiloplasti, che accumulano amido, nelle strutture di
riserva (radice, fusto…).
4) Proplastidi, piccoli e indifferenziati che potrebbero
trasformarsi in altri plastidi.
5) Ezioplasti, che è uno stadio specifico della
trasformazione dei Proplastidi in Cloroplasti, si formano
in tessuti determinati a divenire fotosintetici che crescono
in assenza di luce (la luce è un forte induttore per il loro
differenziamento).
6) Leucoplasti, plastidi incolore.
7) Gerontoplasti, si formano nel periodo autunnale e sono plastidi secernenti. Nelle piante caducifoglie, con
l’avvicinarsi del periodo autunnale, si assiste ad un progressivo invecchiamento dei cloroplasti che iniziano a
smantellare il loro caratteristico sistema di membrane che lascia spazio a numerose gocciole lipidiche. In
questo periodo dell’anno le foglie di tali piante si tingono di giallo e arancio per via dei carotenoidi. Non
essendo più mascherati dal colore verde della clorofilla, ormai scarsa, divengono visibili le loro tipiche
colorazioni nelle foglie.
8) Plastidi ameboidi: sono organuli in grado di svolgere movimenti ameboidi all’interno della cellula e di
inglobare parte del citosol; la loro funzione non è ben nota

L’origine dei plastidi fa riferimento alla teoria


endosimbiontica: secondo gli scienziati
ancestralmente un procariote avrebbe fagocitato un
cianobatterio; questa fagocitosi, tuttavia, non si
sarebbe completata motivo per cui il cianobatterio
continuò a vivere in simbiosi all’interno del
procariote che lo aveva fagocitato. Attraverso questa
teoria è possibile, inoltre, spiegare il perché i plastidi
siano dotati di doppia membrana: una delle due
membrane sarebbe la membrana originaria del
cianobatterio fagocitato, mentre la seconda
deriverebbe dalla fagocitosi. Si ritenne poi che, una
volta stabilita questa simbiosi, ci sarebbe stato un
trasferimento genico dal cianobatterio al nucleo
dell’organismo procariote che ha portato il
cianobatterio a perdere la sua autonomia diventando
così un plastidio. Ci sono alcune alghe le cui cellule
possiedono plastidi dotati da tre a cinque membrane.
Questo fenomeno sarebbe dovuto ad un processo di
endosimbiosi: dopo la prima fagocitosi, la quale ha portato alla formazione del plastidio primario, quest’ultimo sarebbe
stato fagocitato una seconda volta da un altro procariote al quale avrebbe ceduto il suo patrimonio genico, perdendo la
sua autonomia, e questo meccanismo si sarebbe ripetuto più volte fino a ottenere plastidi con fino a cinque membrane.
Secondo questa teoria, gli endosimbionti cedono evoluzionisticamente parte delle loro informazioni genetiche
all’ospite, che dedica parte del proprio materiale genetico per codificare proteine dedicate al simbionte permanente che
perde parte delle informazioni (e funzioni) non necessarie alla sua condizione di organismo stabilmente ospitato, a
differenza dei simbionti che mantengono il proprio codice integro.
14
Secondo la teoria endosimbiontica,
l’endosimbionte cede parte delle sue
informazioni genetiche all’ospite che, a
differenza del simbionte, mantiene il suo DNA
integro. Il DNA plastidiale contiene molti
segmenti codificanti, tra cui quello della
subunità grande del ribulosio 1,5-bifosfato
carbossilasi (chiamato anche “rubisco”), un
enzima che è responsabile della cattura,
durante la fotosintesi, della CO2, che verrà poi
attaccata ad uno zucchero esoso. A sostegno
della teoria endosimbiontica si osserva che,
nella cellula vegetale, la sequenza codificante
per la subunità piccola della rubisco risiede nel
DNA nucleare mentre quella codificante per la
subunità grande si trova nel DNA plastidiale.
La subunità piccola viene sintetizzata nel
citoplasma e maturando entra nel plastidio,
dove si unisce alla subunità grande per ottenere
l’enzima.
Si ricordi che la sintesi proteica avviene
sempre sui ribosomi, a partire dall’mRNA. Le
proteine sintetizzate nel citosol entrano nel
cloroplasto per mezzo di una sequenza segnale che specifica per un recettore presente sulla membrana plastidiale;
recettore e sequenza segnale si associano e, in questo modo, la sequenza segnale consente alla proteina di entrare nel
plastidio; una volta che la proteina è entrata nello stroma, nella parte solubile del cloroplasto la sequenza segnale si
stacca in quanto non serve più e quindi la proteina matura e diventa funzionale.

C’è una certa plasticità tra i plastidi. Un cloroplasto maturo può rimanere tale per tutto il suo ciclo vitale oppure
cambiare differenziamento nel suo corso. I plastidi sono in grado di interconvertirsi a seconda delle condizioni di
contorno.
Non per forza un plastidio una volta divenuto un
cloroplasto rimane sempre tale (vedi foto).

PROPLASTIDI
I plastidi dei tessuti maturi derivano quindi dalla
trasformazione di altri plastidi o da organismi
piccoli chiamati proplastidi (con pareti non
perfettamente definite) presenti nelle cellule
embrionali, chiamate meristemi, dove il numero
dei proplastidi per cellula è costante attorno a 10-
20; effettuano la scissione binaria per garantire la
loro duplicazione, molto importante, correlata al
differenziamento dell’organello proprio del tipo
cellulare.
La divisione dei proplastidi è seguita ad una fase
di crescita dell’organello fino ad una sua
successiva divisione. Durante la crescita si ha
anche la replicazione del DNA.

Differenziamento dei plastidi:


il tipo, il numero, le dimensioni dei plastidi di una cellula matura dipendono dallo specifico programma di sviluppo
della cellula nel tessuto a cui appartiene, ad esempio della buccia dei frutti maturi di pomodoro la popolazione di
cromoplasti è molto più numerosa di quella delle sottostanti cellule del mesocarpo.

Nelle cellule del mesofillo fogliare la popolazione di cloroplasti occupa fino al 20% del volume cellulare. Numero e
dimensioni degli organelli si compensano per produrre una quantità definita di “materiale cloroplastico” utile per la
fotosintesi. Questo meccanismo di regolazione è sotto il controllo nucleare.

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Plastidi e proplastidi possono anche fungere da riserve proteiche e di ferro, al loro interno in alcuni casi è possibile
individuare una matrice scura somigliante ad un reticolo, si tratta di una proteina, la “fitoferritina”. Tale proteina è
presente solo nei plastidi, costituisce una riserva di ferro ed è presente nell’80% delle foglie.

Tutte le piante contengono plastidi, alcune però non sono fotosintetiche ma hanno aminoplasti, quindi comunque hanno
dei plastidi (es conopholis alpina). In alcuni fiori e frutti ci sono i cromoplasti, che sono ricchi di lipidi con colorazioni
caratteristiche, che si accumulano e poi differenziano in cloroplasti (es peperone, pomodoro)

I PLASTIDI DELLE ALGHE (plastidi algali)


Nelle alghe, organismi unicellulari che vivono in quasi tutti gli ambienti (anche usate a livello biotecnologico per
ricavare pigmenti e principi attivi), l’unico plastidio presente è il cloroplasto, che occupa quasi tutto il volume cellulare
dell’alga e presenta forme diverse da quelli delle piante superiori, come ad esempio:
1. Spyrogira: il plastidio è spiralato e avvolge tutte le strutture cellulari
2. Chlamydomonas: è un’alga unicellulare dotata di 2 flagelli per il movimento in ambiente acquatico; ha
vacuoli che si contraggono e un grande cloroplasto che avvolge il contenuto cellulare
3. Chlorella: alga unicellulare con un solo cloroplasto e un pirenoide

CLOROPLASTI, i più conosciuti tra i plastidi:


Sono plastidi specializzati per il processo fotosintetico. Il cloroplasto è
costituito da una doppia membrana all’interno della quale sono presenti
numerosi pacchetti di membrane che decorrono, per certi tratti, isolate
mentre per altri tendono ad impacchettarsi a formare delle strutture simili a
dischi impilati; queste strutture prendono il nome di grana. Le membrane che
costituiscono il cloroplasto si chiamano tilacoidi e sono immerse in un
mezzo liquido che prende il nome di stroma.

Alcune piante particolari, chiamate “piante C4” (es: graminacee, canna da


zucchero), si sono adattate a climi con forte insolazione, sviluppando plastidi
agranali. Esse hanno cloroplasti agranali (cioè senza pile di tilacoidi) che circondano i fasci conduttori della pianta
(nervature).
Questa particolare caratteristica ha delle conseguenze sul loro metabolismo e in particolare sul processo fotosintetico,
poiché riescono a risparmiare acqua nella fase di fissazione della CO2.

Il punto di contatto tra le membrane di 2 tilacoidi è detto Partizione, mentre la parte esterna del tilacoide è detta
Margine e all’interno hanno una cavità, detta Lume, in cui avvengono le reazioni.
Ogni tilacoide ha 2 membrane esterne; quella più interna è più selettiva per via dellacomposizione.
Le membrane tilacoidali sono il sito chiave per la fotosintesi perché contengono tutti i complessi (unione di proteine e
pigmenti) responsabili della cattura della luce, ovvero dell’energia luminosa che deve poi essere convertita in energia
chimica (ATP) per trasformare la CO2 in glucosio.
Inoltre, le membrane tilacoidali sono caratterizzate dalla presenza di acidi grassi con un elevato grado di insaturazione e
da un alto contenuto in galattolipidi (cioè lipidi associati a zuccheri); ci sono anche lipidi apolari, coinvolti nelle
reazioni di ossidoriduzione (es: chinoni e tocoferoli).
I cloroplasti sono i plastidi specializzati per il processofotosintetico e sono provvisti di:
- 2 membrane;
- stroma: è la sede del DNA, dei ribosomi 70S e del corredo enzimatico per i vari metabolismi (es: processo
fotosintetico biosintesi di carotenoidi o degli acidi grassi); presenta granuli di amido e gocce elettrondense più o meno
grandi a seconda del plastidio, dette plastoglobuli, che sono sostante grasse (olii essenziali) e che al microscopio
elettronico appaiono come granuli neri;
- grana, interconnessi dalle membrane tilacoidali;
- hanno dimensioni comprese tra 5-10μm e sono di forma ovoidale.

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Nelle membrane dei plastidi sono presenti vari tipi di pigmenti solitamente
complessati in proteine; si tratta di pigmenti accessori, come i carotenoidi, ed
essenziali, come le clorofille. Queste ultime hanno una struttura caratterizzata
da una lunga coda idrocarburica (fitolo), che fa sì che il pigmento si inserisca
all’interno delle membrane, e da uno schermo che prende il nome di anello
porfirinico al centro del quale troviamo una molecola di Magnesio; questa
struttura ha molti doppi legami alternati e questa caratteristica fa sì che, quando
la molecola viene colpita dalla luce, essa la assorbe e appare colorata. Esistono
due tipi di clorofilla, la clorofilla A e la clorofilla B, distinguibili perché l’anello
porfirinico della clorofilla A presenta un gruppo metilico mentre quello della
clorofilla B presenta un gruppo aldeidico. Questa minima ma importante
differenza nella struttura dei due pigmenti fa sì che esse abbiano due spettri di
assorbimento della luce diversi.

Dall’osservazione al TEM del


mesofilo di una foglia di mais (il mais è una pianta modello utilizzata
anche a scopo sperimentale) notiamo strutture riconducibili a tilacoidi
granali (GT) e tilacoidi stromatici (ST) che decorrono isolati. Sono
visibili, inoltre, alcune vescicole lipidiche riconoscibili come strutture
circolari scure.
Si vedono molto chiaramente i grana, quindi membrane appressate a
formare pile di tilacoidi, e tilacoidi isolati; troviamo poi anche qui
alcune vescicole lipidiche (plastoglobuli) e numerosi ribosomi
riconoscibili come piccoli punti scuri.

I FOTOSISTEMI
All’interno dei cloroplasti sono presenti due fotosistemi; si tratta di complessi di natura proteica associati a pigmenti,
essenziali o accessori quali clorofille e carotenoidi o altri pigmenti nelle alghe; il fotosistema I si trova nelle membrane
esposte allo stroma o nei tilacoidi intergrana, mentre il fotosistema II si trova nei grana e nelle zone di contatto tra le
membrane granali. Quando giunge, la radiazione luminosa eccita i due fotosistemi grazie all’attività dei quali viene
prodotta energia sotto forma di ATP e di NADPH, una molecola riducente molto importante nel processo di
organicazione della CO2; il carbonio che costituisce la CO2 è completamente ossidato e per diventare glucosio
necessita di essere ridotto e il potere riducente necessario a tale processo è fornito proprio dal NADPH. Alla luce si
formano, dunque, ATP e potere riducente (NADPH) che vengono utilizzati nelle reazioni che avvengono nello stroma;
qui, la rubisco, cattura la CO2 e la indirizza in un ciclo di reazioni che portano alla formazione del glucosio.
Ciascun fotosistema è costituito da un nucleo centrale, che prende il nome di “core” e in cui sono presenti molte
molecole di clorofilla A, e da numerosi complessi proteici.
Fotosistema I: nel “core” sono presenti circa 90 molecole di Clorofilla A e intorno ad esso sono situati numerosi
complessi di proteine e pigmenti che catturano la radiazione luminosa a lunghezze d’onda diverse da quelle del cuore
del fotosistema e la trasferiscono al fotosistema stesso; tali complessi possono essere presenti come monomeri oppure
possono associarsi a formare dei trimeri.
Fotosistema II: esso è costituito da proteine differenti da quelle che costituiscono il fotosistema I ma al centro, nel cuore
del fotosistema abbiamo, anche qui, la Clorofilla A. Qui il core è circondato da complessi che prendono il nome di
complessi antenna; questi ultimi hanno la medesima funzione dei complessi presenti nel fotosistema I se non fosse che
catturano energia luminosa a lunghezze d’onda diverse rispetto all’I.

BIOGENESI DEL CLOROPLASTO


Il differenziamento del cloroplasto avviene alla luce e inizia con l’incremento dei processi di trascrizione, traduzione e
con l’aumento dei ribosomi. La luce è, dunque, un potente induttore del differenziamento ed è anche in grado di
stimolare la sintesi proteica. Le prime proteine ad essere sintetizzate sono quelle che costituiscono il nucleo centrale
(core) dei due fotosistemi codificate dal DNA plastidiale a cui si deve associare co-traduzionalmente la clorofilla A.
Successivamente devono essere rese disponibili le componenti proteiche codificate dai geni nucleari, sintetizzate nel
citosol ed importate nell’organello, nonché la biosintesi lipidica per la costruzione delle membrane. Quindi vi è un
“traffico” di molecole che entrano/escono dal cloroplasto e ciò è consentito da due complessi:
TOC: complesso traslocatore della membrana esterna, che permette alle proteine sintetizzate nel citosol a carico del
RER di immettersi nel cloroplasto e, all’interno di esso, di maturare e trovare la loro destinazione finale;

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TIC: complesso traslocatore della membrana interna, che consente il passaggio di molecole attraverso la membrana
interna.
Questi due traslocatori sono vicini, in quanto operano in sinergia: il TOC riconosce la proteina da importare, mentre il
TIC la trasporta.
Nelle prime fasi del differenziamento, le membrane tilacoidali sono di tipostromatico.
Successivamente ai nuclei centrali dei 2 fotosistemi, sono sintetizzati i complessi antenna LHC dei due fotosistemi.
Parallelamente, però, è necessaria la sintesi di pigmenti che, legandosi alle proteine, le stabilizzano.
In fase avanzata nel processo di differenziamento del cloroplasto, iniziano a formarsi i grana, in seguito alla progressiva
produzione di membrane tilacoidali, quindi aumentano il numero e le dimensioni degli impilamenti granali.
Una volta attraversata la membrana esterna, le proteine possono entrare nella cellula per mezzo di una vescicola di
endocitosi formatasi a partire della membrana interna che le racchiude le trasferisce al compartimento tilacoidale più
opportuno. Inoltre il passaggio del materiale può anche avvenire dal citosol: ci sono proteine, come la rubisco, che
vengono sintetizzate nel citosol ed entrano nel plastidio per associarsi a proteine sintetizzate all’interno di quest’ultimo
per dare luogo alla proteina matura.

Spesso i cloroplasti contengono PIRENOIDI, cioè globuli proteici (che spesso contengono la rubisco) circondati da
granuli di amido.
Nelle alghe i tilacoidi decorrono isolati, paralleli (come nella Rodofite anche detta alga rossa) o associati in gruppi
che ne contengono da 2 a 40, ma non formano mai grana (a eccezione delle alghe verdi).
Nel caso dell’alga rossa i tilacoidi non hanno fotosistemi ma Ficobilisomi, complessi antenna per catturare varie
lunghezze d’onda della luce grazie soprattutto a 3 pigmenti: ficoeritrina (cattura le lunghezze d’onda rosse),
ficocianina (cattura quelle blu) e alloficocianina (cattura quelle verdi).
La maggior parte delle Diatomee sono fotosintetiche, ma alcune sono eterotrofe facoltative (mixotrofe; un esempio
è l’alga unicellulare procariote Euglenophyte di cui la maggior parte delle specie sono autotrofe, ma alcune sono
eterotrofe e in particolare fagotrofe) o obbligate (vivono nei talli dell’alga bruna; es: Nitzschia putrida) e altre
vivono in simbiosi con animali (come, ad esempio, le spugne).
Le Dinofite, che emettono bioluminescenze, sono sia endosimbionti in invertebrati marini (zooxantelle) che
endosimbionti con celenterati, importanti per la vita delle barriere coralline tropicali.

EZIOPLASTI
Il differenziamento dei cloroplasti dipende dalla LUCE, che fa iniziare l’incremento dei processi di trascrizione e
traduzione e causa l’aumento dei ribosomi. Essa infatti è il fattore ambientale più importante per il differenziamento dei
cloroplasti, poiché:
- agisce sull’espressione genica nucleare e plastidica
- il precursore della clorofilla (chiamato protoclorofillide) viene convertito in clorofilla grazie a un enzima attivato dalla
luce
- dall’esposizione alla luce dipende l’interconversione plastidiale:
proplastidio →luce → stadio intermedio → luce →cloroplasto
proplastidio →luce→stadio intermedio → buio→ ezioplasto
proplastidio → buio → ezioplasto → luce → stadio intermedio → luce →cloroplasto
Gli ezioplasti formano una struttura cristallina detta corpo pro-lamellare, che è un sistema di membrane tubolari; essi
sono anche in grado di dividersi. Se un ezioplasto è illuminato, il corpo pro- lamellare inizia a gemmare membrane, che
poi evolveranno in membrane tilacoidali.

CROMOPLASTI
Sono plastidi che contengono pigmenti colorati e sono presenti in varie strutture, quali i petali dei fiori, nei frutti e
nel parenchima di riserva della carota. Hanno una funzione vessillare (attrattiva), attraendo animali e insetti
facilitano sia l’impollinazione che la dispersione della specie. Nei cromoplasti è presente un sistema esteso di
membrane, non ci sono i grana, ed i pigmenti possono essere associati alla membrana o essere presenti sottoforma
di cristalli, materiale fibrillare o vescicole separate, i plastoglobuli.
Al TEM si riconoscono per la presenza di vescicole più o meno allungate, opache o scure, che contengono i pigmenti
responsabili della colorazione.
Nella maturazione dei frutti quindi, c’è una maturazione dei cloroplasti in cromoplasti accompagnata da un
cambiamento del colore (ad esempio il pomodoro che da verdi diventano rossi), in questo processo si verifica uno
smantellamento ed una degradazione delle membrane tilacoidali, della clorofilla e parallelamente vi è la sintesi dei
cromoplasti.

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I cromolipidi sono presenti in picoole quantità, sottoforma di plastoglobuli, anche nei cloroplasti della foglia, dove sono
mascherati dalla grande quantità di clorofilla; si possono vedere in autunno, quando il freddo causa la degradazione
della clorofilla e le foglie diventano gialle, arancio e/o rosse.

A seconda della modalità di sequestro dei carotenoidi e a seconda di come si associano tra loro le membrane
possono essere:
• Globulari, ad esempio nella carota
• Cristallini, ad esempio nei pomodori
• Membranosi, ad esempio nei peperoni
• fibrillari, ad esempio nei petali di ranuncolo

Anche questi plastidi possono effettuare interconversione: il proplastidio può evolvere direttamente in cromoplasto, in
altri casi evolve in cloroplasto, in altri casi ancora evolve in amilo-leucoplasto; il cloroplasto evolve in cromoplasto e
l’amilo-leucoplasto evolve in cromoplasto.
L’interconversione dipende da:
• localizzazione del plastidio (frutti, petali, parenchima di riserva della carota)
• stimoli, ormonali o ambientali (temperatura, luce, stress biotico/abiotico)
• differenziamento (inteso come formazione di organi, cioè organogenesi)
• funzione attrattive (in genere vessillare, cioè di attrazione per gli insetti)
• contenuto (pigmenti, proteine, lipidi, accumuli di carotenoidi con l’attivazione di geni nucleari)
un esempio di interconversione plastidiale è quello di una carota: in laboratorio se tengo in un terreno di cultura una
carota (in condizioni sterili) e la espongo alla luce, succede che i cromoplasti tornano cloroplasti e si vede anche
visivamente!!

LEUCOPLASTI
Sono plastidi incolore, che possono essere specializzati per particolari biosintesi (es: biosintesi degli
acidi grassi e metabolismi secondari, come gli oli essenziali).
Possono però anche contenere cristalli proteici, che hanno funzione di riserva (vedi aminoplasti).
Il ferro è un nutriente essenziale per le piante e gli animali ed è legato ad una proteina chiamata fitoferrina che si
accumula nei plastidi a differenza della ferrina animale (che si localizza ne nucleo del citosol). La maggioranza del ferro
si trova nei cloroplasti delle foglie, ma anche gli aminoplasti dei semi ne contengono una certa quantità. Molti plastidi
possono accumulare inclusi/concentrati proteici.

AMILOPLASTI
I leucoplasti più diffusi sono gli amiloplasti, che hanno funzione di riserva e contengono
granuli di amido che si possono colorare con lo iodio (assumono colorazioni dal blu al
viola).

Nei granuli di amido sono contenute due molecole:


- l’AMILOSIO, un polimero elicoidale formato da resti di molecole di glucosio unite con
legami beta (quindi ruotati) con legami alfa 1-4, non ramificata.
- l’AMILOFECTINA, che è ramificata, con legami alfa 1-4 e alfa 1-6.
In base alla specie della pianta, i granuli di amido hanno forme diverse (che variano da 1-
170μm) e queste hanno significato tassonomico:
• ovoidali
• sferici
• lenticolari
• a bastoncino
Inoltre possono essere:
• semplici (granuli singoli; es: patata)
• aggregati (più granuli uniti; es: avena)

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L’ilo è il punto di aggregazione dell’amido, attorno a cui si sviluppa il
granulo; ad esempio nella patata si nota perché è ben visibile la struttura
concentrica

I granuli di amido possono essere


colorati per essere resi più visibili.

I granuli di amido si trovano anche nelle cellule della cuffia radicale (che ha
funzione di protezione per la radice, in quanto circonda il tessuto embrionale),
dove funzionano da statoliti, cioè da strutture (contenute in cellule dette
statociti) che percepiscono la gravità. Essi sono in genere spostati su un lato,
in base alla gravità e indicano alla pianta la direzione che deve seguire
l’apparato radicale nella crescita
Come avviene questa percezione dello stimolo? Gli statoliti non sono liberi
nella struttura cellulare, ma sono tutti connessi a elementi del citoscheletro tramite i microfilamenti e vengono
mantenuti sospesi all’interno della cellula in grado di spostarsi. Gli spostamenti degli statoliti provocano
tensioni/allentamenti nei microfilamenti; questi cambi di tensione arrivano fino al reticolo endolpasmatico che invia
l’informazione alla cellula e al tessuto di cui fa parte.

Gli amiloplasti sono attaccati ai microfilamenti di actina, che li mantengono “sospesi” nella cellula; se l’apparato
radicate deve cambiare direzione (perché, ad esempio, incontra un ostacolo) gli statoliti si spostano, ma così creano una
differenza di tensione sui microfilamenti, che è recepita dalla cellula, la quale produce degli ormoni che fanno crescere
più velocemente le radici sul lato opposto all’ostacolo per far riassumere il senso corretto di crescita alla radice.

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VACUOLO
È un comparto cellulare pieno di fluido, avvolto da una membrana detta tonoplasto (ha a che fare con la tonicità) e
attraversato dai canali citoplasmatici, che di solito occupa dal 30% al 90% del volume cellulare e al microscopio appare
privo di contenuto. Sembra un buco.

GENESI E DIFFERENZIAMENTO
I vacuoli nascono da processi di differenziamento da altri sistemi membranosi, detti GERL (un misto tra Golgi
e reticolo endoplasmatico)
Da questi sistemi membranosi partono delle membrane tubulari che si intrecciano (provacuoli), finché formano una
vescicola più o meno sferoidale che contiene le due membrane. Si forma così un vacuolo autofagico, che ha enzimi
idrolitici che digeriscono la membrana interna.
Infine la vescicola inizia ad accrescersi e si forma il vacuolo maturo, che deriva dalla fusione di vari autofagi.

Nelle cellule embrionali (cellule giovani)


ci sono tanti piccoli vacuoli che saranno
destinate a fondersi tra loro generando un
unico vacuolo.

Grazie al vacuolo la pianta riesce a sviluppare strutture espanse a basso costo (poca massa citoplasmatica). Per questo
motivo la maggior parte delle foglie ha una forma larga e piatta per avere una grande superficie utile per gli scambi con
l’ambiente esterno. Le foglie sono sottili per consentire alle sostanze gassose di raggiungere rapidamente le cellule.
Quindi il vacuolo ha un importante ruolo nella crescita per distensione: molte cellule vegetali si allungano.

FUNZIONI:
1. Ruolo osmotico, che comprende varie funzioni:
• supporto meccanico alla cellula: il vacuolo esercita pressione sulla membrana e sulla parete cellulare,
quindi fa diventare le cellule turgide e toniche
• forza motrice per la distensione cellulare: le cellule, prima di maturare, aumentano di
volume e il vacuolo fa pressione dall’interno affinché la cellula si allunghi (cioè si distenda)
• funzione stomatica: regola l’apertura/chiusura della rima stomatica
2. Limitazione della massa citoplasmatica: grazie a ciò la pianta riesce a sviluppare strutture espanse a basso
costo energetico, cioè fa risparmiare energia per i metabolismi, in quanto il vacuolo occupa la maggior
parte del volume cellulare mentre il citosol ne occupa solo una piccola parte. Le cellule giovani (cellule
meristematiche) hanno un alto rapporto nucleo/citosol, mentre man mano che essa cresce il rapporto cala,
poiché le vescicole che formeranno il vacuolo pian piano si fondono.
3. PH e omeostasi cellulare: controlla il bilancio ionico.
4. Riserva: il vacuolo accumula zuccheri (mai l’amido), proteine, acidi organici e metaboliti secondari
5. Funzioni digestive e turnover molecolare: poiché le cellule vegetali non hanno lisosomi, è il vacuolo a
svolgere la funzione idrolitica ed è anche coinvolto nel turnover di quasi tutti i componenti cellulari. Per
questi motivi il vacuolo contiene molti enzimi idrolitici (o acidi idrolitici), quali nucleasi, proteasi,
glicosidasi, lipasi, fosfatasi, solfatasi, fosfolipasi, RNAasi (importante come difesa contro funghi e
patogeni, perché attacca i loro acidi nucleici), glucanasi e chitinasi (specifici per distruggere le membrane
dei funghi). Essendo enzimi acidi, il vacuolo deve mantenere il suo pH acido, attraverso l’importo di
protoni.
6. Difesa da patogeni microbici e da erbivori: durante l’evoluzione, le piante hanno sviluppato sostanze
tossiche per difendersi dai fitofagi e dagli erbivori. Ad esempio, nel Sorgo il glicoside cianogenetico
durrina libera acido cianidrico; la durrina è formata da una parte zuccherina e da una non zuccherina, che
contiene lo ione cianuro. Questi glicosidi cianogenetici sono contenuti nel vacuolo delle cellule
epidermiche, mentre nello strato inferiore a questo ci sono enzimi che, a contatto con la durrina, fanno
idrolisi e liberano l’acido cianidrico; ciò accade se la pianta è mangiata.
Inoltre nel vacuolo sono presenti sostanze tossiche importanti nell’interazione ecologica tra la pianta e
l’ambiente che la circonda, dette metaboliti secondari (così chiamati perché non partecipano ai
metabolismi primari).

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VACUOLO COME OSMOMETRO
Un osmometro contenente sali con una concentrazione inferiore a quella dell’acqua, se immerso in essa si riempie
di liquido finché le due concentrazioni non si uguagliano e a questo punto la pressione osmotica nel tubo esercita
una pressione che evita l’entrata di altra acqua.
Mettendo delle cellule epidermiche dotate di un grande vacuolo in un mezzo ipertonico, la cellula cala di volume,
poiché il vacuolo perde liquidi, e si ha la PLASMOLISI; se invece la metto in un mezzo ipotonico, la cellula
aumenta di dimensioni fino a raggiungere il massimo turgore cellulare ma non esplode (come può succedere alle
cellule animali) perché il vacuolo aumenta entro i limiti della parete cellulare. Da ciò si deduce che il vacuolo è
sensibile alle variazioni di concentrazione (tonicità) dell’ambiente in cui si trova.
Per mantenere la pressione di turgore nelle cellule in espansione, i soluti devono essere attivamente trasportati
dentro al vacuolo; nel tonoplasto ci sono trasportatori per le specie ioniche, che, una volta all’interno del vacuolo,
richiamano acqua facendo aumentare il volume della cellula.
Il trasporto di soluti avviene grazie a un GRADIENTE ELETTROCHIMICO prodotto dal flusso di protoni
attraverso il tonoplasto; in particolare i sistemi I e II trasportano attivamente (cioè spendendo ATP) i protoni
all’interno del vacuolo. Quindi al suo interno vi è un’alta concentrazione di protoni, che tenderebbero ad uscire per
bilanciare la concentrazione esterna, ma per fare ciò devono essere usati specifici trasportatori, che possono anche
effettuare cotrasporti di tipo antiporto o simporto (es: il sistema IV associa l’uscita di protoni con altri ioni, come
ad esempio se esce 𝐻+ entra 𝑁𝑎+o 𝐶𝑎2+). Quindi, dato che all’interno del vacuolo c’è un’alta concentrazione di
cariche negative, anche per trasportare all’interno cationi occorrono specifici trasportatori, ma soprattutto il pH
interno del vacuolo è acido e misura circa pH=4,5/5 (nelle piante CAM, cioè grasse, c’è un’elevata concentrazione
di acido malico, un acido organico).
Nella membrana del vacuolo ci sono canali che permettono il passaggio di un abbondante flusso d’acqua attraverso
la membrana rapidamente e che contengono proteine canale dette ACQUAPORINE (appartenenti alla famiglia
delle proteine TIP).

Anche le cellule di guardia che controllano la rima stomatica dipendono dalle


variazioni di pressione del vacuolo, per cui:
- se il vacuolo è pieno, anche le cellule guardia sono toniche e si
allontanano, aprendo la rima stomatica;
- se la rima si deve chiudere per evitare la dispersione di acqua, le
cellule di guardia perdono tonicità e si avvicinano, chiudendo la rima.
Inoltre, la parete dorsale di queste cellule è meno spessa di quella ventrale,
perciò trascina quest’ultima aprendo così lo stoma; lo ione potassio è coinvolto
in questo meccanismo ed entra nel vacuolo quando la rima si deve aprire.

COMPOSIZIONE CHIMICA DEL SUCCO VACUOLARE


Il vacuolo contiene principalmente:
• Acqua, ruolo importante a livello cellulare;
• ioni inorganici (es: potassio);
• acidi organici;
• carboidrati (monosaccaridi, disaccaridi e polisaccaridi);
• amminoacidi;
• enzimi idrolitici;
• metaboliti secondari (detti anche specializzati o prodotti naturali).

IONI INORGANICI
Le specie ioniche possono raggiungere alte concentrazioni e in questo caso precipitano, formando degli inclusi
cristallini (che spesso hanno carattere tassonomico), che possono essere:
• drusa
• sabbia cristallina
• cristallo prismatico
• rafìdi (fascio di cristalli allungati, avvolti in una guaina mucillaginosa. Es: rafidi di ossalato di calcio,
poiché il calcio ha una concentrazione 1000 volte maggiore rispetto a quella del citosol e per questo la
concentrazione del calcio va tenuta sotto controllo dal citosol ed è immagazzinato da varie strutture, come
il vacuolo e il reticolo endoplasmatico, ed è considerato come il secondo messaggero).

NB: il calcio, considerato come importante secondo messaggero, deve essere mantenuto a bassa concentrazione e
quando non serve più viene immagazzinato all’interno di alcuni organuli da cui esce al momento del bisogno.

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CARBOIDRATI VACUOLARI
Nelle piante gli zuccheri sono immagazzinati nei parenchimi di riserva dei frutti, nelle radici e nel
fusto. Essi sono importanti perché:
• legano le molecole di acqua
• abbassano il punto di congelamento, permettendo alla pianta di sopravvivere alle basse temperature
• abbassano il potenziale osmotico richiamando acqua nel vacuolo (sono sostanze osmoticamente attive)

-Tra i monosaccaridi il principale è il glucosio, presente nei vacuoli delle cellule dei frutti (es: chicchi d’uva).
-Tra i disaccaridi il principale è il saccarosio (formato da glucosio+fruttosio), che è lo zucchero traslocato dalla
pianta poiché il glucosio trasformato in amido va demolito per essere trasportato ad altri compartimenti, quindi si
riformano monosaccaridi da cui si ottiene il saccarosio – linfa elaborata - che entra nei tessuti conduttori (nella
canna da zucchero esso si accumula nei vacuoli delle cellule del midollo del fusto e l’accumulo avviene contro
gradiente di concentrazione, quindi con spesa di ATP, tramite una pompa antiporto H+/saccarosio).
-Tra i polisaccaridi ci sono:
• fruttani (maggioranza di fruttosio): presenti nelle dicotiledoni e monocotiledoni; sono formati da residui di
fruttosio e se idrolizzati abbassano il punto di congelamento del succo vacuolare, conferendo resistenza
alla piante anche a basse temperature.
• mannani (maggioranza di mannosio): presenti nelle monocotiledoni.
• Mucillagini: sono simili alle sostanze pectiche, che legano l’acqua formando gel; hanno un ruolo nel
controllo del contenuto idrico delle piante
• Inulina: è un polimero glucidico (con peso molecolare minore dell’amido), solubile in acqua e totalmente
accumulato nei vacuoli (al contrario dell’amido). Se idrolizzato produce fruttosio; è presente nei tuberi di
Topinambur, Cicoria e Tarassaco e dal punto di vista alimentare è una fibra solubile, utile per ripristinare
la flora batterica e per migliorare l’assorbimento intestinale degli estratti di certe piante medicinali (es:
isoflavoni di soia).

INCLUSI PROTEICI
Essi hanno varie dimensioni; nei semi dei cereali, sotto al tessuto epiteliale,
è presente uno strato aleuronico (che formerà la crusca) le cui cellule
hanno vacuoli che occupano quasi tutto il volume e contengono granuli
proteici. Al di sotto di questo strato c’è uno strato di cellule di riserva
(endosperma), che contiene amido e proteine; al di sotto di questo strato si
trova l’embrione vero e proprio.

VACUOLO COME COMPARTIMENTO LITICO


in quanto ricco di enzimi idrolitici (attivi generalmente a pH acido, mentre
quello del citosol è attorno alla neutralità)
- Svolge la funzione idrolitica (esplicata normalmente dai lisosomi
nelle cellule animali)
- Coinvolto nel tournover di quasi tutti i componenti cellulari
(ricambio e recupero delle molecole che devono essere smantellate e
degradate).
La presenza di enzimi è importante anche come difesa contro i funghi e
patogeni: la RNAasi, ad esempio, va a digerire gli acidi nucleici dei patogeni,
vi è poi la glucanasi e chitinasi (presente ad esempio negli insetti, nei funghi)

Come possono coesistere proteine di riserva ed enzimi idrolitici?


Molte cellule vegetali contengono (almeno durante certi stadi di sviluppo) 2 tipi di vacuoli distinti:
• un vacuolo con funzione idrolitica, che ha pH acido
• un vacuolo con funzione di riserva, che ha pH quasi neutro o leggermente basico

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Ciò si può osservare usando dei coloranti fluorescenti sensibili al pH che colorano i vacuoli; in un protoplasto di
aleurone senza membrana (che è stata digerita con enzimi specifici) si vede che i vacuoli più fluorescenti (bianchi),
che quindi hanno meglio assorbito il colorante, sono quelli litici, mentre quelli più scuri sono quelli di riserva.

SOSTANZE TOSSICHE
Il vacuolo è un compartimento litico, ma è un compartimento che può anche
accumulare sostanze tossiche che difendono la pianta dai naturali
aggressori (ad esempio anche da insetti fitofagi e funghi).Un esempio di
accumulo di sostanze potenzialmente tossiche all’interno del vacuolo, sempre
con scopo difensivo, lo ritroviamo nel sorgo. Questa pianta è principalmente
coltivata perché da essa si ricava una granella utilizzata per l’alimentazione
avicola (pollame e uccelli di vario genere negli allevamenti si cibano anche
della granella del sorgo). Nelle foglie del sorgo, più precisamente
nell’epidermide (che è un monostrato cellulare), sono presenti vacuoli
che contengono un metabolita secondario chiamato durrina, la cui
molecola è costituita da una parte zuccherina e da una parte non
zuccherina, che viene appunto immagazzinata all’interno del vacuolo delle
cellule epidermiche della foglia del sorgo. Nelle cellule sottostanti
l’epidermide, ovvero quelle che fanno la fotosintesi nella foglia e che si
chiamano cellule del mesofillo fogliare, si trovano degli enzimi che potrebbero
idrolizzare la durrina. In realtà questo normalmente non succede però, perché
la durrina è compartimentata all’interno del vacuolo delle cellule
epidermiche. Se però il tessuto viene rotto, ad esempio da un erbivoro
che si vuole alimentare di queste foglie o anche da un insetto fitofago
che per alimentarsi delle foglie può spaccare meccanicamente il tessuto,
succede allora che il contenuto vacuolare dell’epidermide fuoriesce e può venire facilmente a contatto con il
contenuto cellulare, quindi anche con gli enzimi idrolitici, delle cellule del mesofillo fogliare sottostante. Quando
questo succede la durrina può venire a contatto con uno degli enzimi presenti nei cloroplasti delle cellule del
mesofillo, per la precisione una beta-glucosidasi, che idrolizza il legame che lega la parte zuccherina al resto della
molecola di durrina, dividendola in una molecola di glucosio e una molecola di idrossinitrile. L’idrossinitrile a
questo punto può essere attaccato da un altro enzima che si chiama idrossinitrile liasi. Questo enzima va a
separare il gruppo CN dalla molecola, che in soluzione diventa poi acido cianidrico (HCN). L’acido cianidrico è un
potente veleno respiratorio, per cui difende molto efficacemente la pianta da aggressori eventuali
aggressori.Il genere Sorghum è costituito da specie coltivate per la produzione di foraggio o granella
utilizzatasoprattuttocome nutrimento per ilpollame ed altriuccelli(Sorghum vulgare).

METABOLITI SECONDARI
Sono molecole che stabiliscono una comunicazione tra la pianta e l’ambiente (compresi gli animali); ad esempio le
piante Matelea denticulata e Asclepias incarnata hanno glicosidi amari e tossici che tengono lontani gli erbivori,
ma il bruco della farfalla Monarca si nutre di queste foglie, che non gli provocano danni e accumula questi
composti tossici; quando diventa farfalla, che può essere preda di predatori (gazze), questi recepiscono il sapore
amaro e risputano la preda, la farfalla si salva.
Sono composti organici, la maggior parte dei quali sembra non partecipare alla crescita e allo sviluppo della pianta;
sono spesso diversamente distribuiti nei vari gruppi tassonomici (mentre i metaboliti primari sono distribuiti in tutti
i gruppi vegetali).
I metaboliti secondari comprendono vari gruppi: terpenoidi, alcaloidi (es: caffeina, morfina, nicotina), composti
fenolici e glicosidi (es: glicosidi cianogenetici), che sono trasversali agli altri gruppi perché essi possono essere
glicosilati, dando così glicosidi.

Terpenoidi
Comprendono circa 25.000 composti, sono incolori e di solito liposolubili; quelli a più basso peso molecolare sono
volatili e molto odorosi, infatti rappresentano i principali costituenti degli olii essenziali.
Possono svolgere vari compiti:
• un ruolo vessillare (attraggono gli insetti impollinatori)
• funzione di difesa, poiché sono tossici per molti insetti fitofagi ed erbivori
L’unità strutturale è una molecola a 5 (o multipli di 5) atomi di carbonio, detta UNITA’
ISOPRENICA.

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Essi sono accumulati nei vacuoli di fiori, frutti, foglie, fusti, semi profumati e rizomi;
ad esempio, nell’epicarpo degli agrumi questi olii sono accumulati in cavità, oppure nel timo e nella menta
piperita sono contenuti nei peli ghiandolari.
Spesso i monoterpeni sono usati per il loro generale effetto disinfettante e antibatterico, ma anche in campo
farmaceutico. Ad esempio, il Taxus bacchata (che produce un seme molto tossico chiamato arillo) nella corteccia
contiene il TAXOLO, un farmaco usato per certi tipi di cancro perché stabilizza i microtubuli delle cellule, arrestando
dunque la divisione cellulare e prevenendo la migrazione cellulare, quindi evita la formazione di metastasi. Tuttavia, il
contenuto nella corteccia è a bassa concentrazione e quindi bisognerebbe decorticare troppi alberi; per ovviare a questo
problema si può:
- fare delle colture cellulari vegetali e fungine per produrre taxolo; la coltura consentirebbe di ottenere il farmaco
direttamente nel terreno di coltura e questo è un vantaggio per la successiva purificazione
- si è scoperto che il fungo Taxomyces andreanae, che di solito colonizza gli alberi di tasso (cioè è un endofita),
è in grado di produrre taxolo in coltura
- dalla specie europea di tasso (Taxus bacchata) si estrae un analogo del taxolo dalle foglie, che può essere
trasformato attraverso la sintesi in un composto (il tassotero) la cui attività in vitro si è dimostrata
promettente

Alcaloidi
Comprendono circa 12.000 composti eterogenei, che condividono il fatto di contenere un atomo di azoto e che
spesso in soluzione si comportano come basi. Hanno inoltre la capacità di indurre (anche in piccole dosi)
importanti azioni biologiche sugli animali.
Sono sintetizzati nel citosol ma principalmente contenuti nel vacuolo, dove l’atomo di azoto viene protonato,
per cui sono carichi positivamente e solubili in acqua e inoltre possono attraversare facilmente le membrane.
Nelle piante superiori, la presenza di alcaloidi è scarsa nelle gimnosperme, mentre è alta nelle angiosperme,
soprattutto nelle dicotiledoni. Si pensa che abbiano un ruolo nella crescita e nel differenziamento cellulare della
pianta.
Alcuni esempi di alcaloidi sono: caffeina/teofilina, nicotina, morfina, colchicina (estratta dal colchico, blocca i
cromosomi in metafase) e mescalina (estratta da certi cactus).
Di solito sono molecole sintetizzate a partire da amminoacidi e la classificazione più usata è quella basata sulla
natura chimica dei loro gruppi azotati o sul loro precursore biosintetico:
- nicotina: il gruppo è il pirrolidirico, da cui il nome Pirrolidinici; il precursore è la ornitina. La nicotina è un
veleno che causa paralisi muscolare e in particolare respiratoria, ma è anche un potente insetticida.
- cocaina: il gruppo è il tropano, da cui il nome Alcaloidi tropanici; è un anestetico locale e uno stimolante
del sistema nervoso. Questi composti si trovano nelle piante delle famiglie Solanaceae (mandragora,
belladonna) e Erythroxylaceae (coca)
- coniina: fa parte dei Piperidinici e il suo precursore è la lisina; è presente nella cicuta ed è una neurotossina
che agisce a livello delle sinapsi neuromuscolari, causando paralisi muscolare. La pianta da cui si estrae è
il Conium maculatum (per via delle macchie viola sullo stelo)
- codeina (o metilmorfina): si ottiene durante l’estrazione della morfina o si prepara sinteticamente
dalla morfina stessa; è usata come tossifugo.
Circa il 20% delle piante a fiore producono alcaloidi; alcune, come la Pervinca, contengono fino a 100 diversi alcaloidi
(il cui ruolo non è ancora chiaro).
Il papavero da oppio (o Sonnifero) ha un fiore che produce frutti fatti a capsula, che si incide per ricavarne
un lattice, che una volta rappreso forma l’oppio.

Composti Fenolici
Le sostanze fenoliche sono responsabili di sapori e colori dei frutti e dei fiori; inoltre queste molecole sono importanti
anche da un punto di vista evolutivo, perché le piante si sono originate in ambiente acquatico e devono la loro conquista
terrestre alla presenza di questi composti, che sono formati da un gruppo ossidrilico legato ad un anello aromatico.
Sono un gruppo eterogeneo di circa 8.000 composti; alcuni sono solubili in acqua, altri in solventi organici, altri ancora
sono insolubili. Parlare della diversità dei composti fenolici significa discutere della diversità vegetale, poiché le
caratteristiche delle piante vascolari derivano (almeno in parte) dalla diversa disposizione di questi composti.
Solitamente i fenoli all’aria si ossidano, diventando scuri e reattivi, perciò possono legarsi alle proteine, inibendo
l’attività enzimatica (es: il Cactus peyote produce la mescolina, un componente psicoattivo; i composti fenolici
psicoattivi della Canapa indiana sono invece derivati dei terpenoidi).
La maggior parte di queste sostanze ha un ruolo strutturale, ma possono agire anche da AGENTI ALLELOPATICI,
cioè fungere da inibitori della crescita di piante in competizione che crescono vicino alla pianta che li produce.
La discussione sulle sostanze fenoliche è la discussione della diversità stessa delle piante. Le caratteristiche proprie
delle 250.000 specie di piante vascolari derivano almeno in parte dalla deposizone differenziale di derivati del
fenilpropanoide e del fenilpropanoide-acetato.

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Alcuni esempi di composti fenolici sono:
- sugherina: grazie ad essa le piante sono impermeabili e non disperdono acqua.
- lignina: dopo la cellulosa è il prodotto organico più abbondante; è un polimero di 3 alcoli fenilpropilici
(cumarilico, coniferilico e sinapilico), anche detti monolignoli. Nelle gimnosperme è costituita
prevalentemente da alcol coniferilico e in parte minore da alcol cumarilico; le angiosperme contengono
invece la stessa quantità di alcol coniferilico e sinapilico (infatti la gradualità della colorazione della
lignina dipende dalla concentrazione della composizione del campione in esame). Essa dà sostegno
meccanico alla pianta e forma la parte dura del legno (che è formato da lignina e cellulosa), consentendo
così alle piante di slanciarsi verso l’alto. È possibile fare protesi di ossa umane col legno: è possibile
trasformare il rattan in una struttura biomimetica simil-ossea composta da carbonato-idrossiapatite,
sottoponendo il legno a trattamenti ad aklte pressioni e temperature; i campioni cosi ottenuti esibiscono
una spiccata attitudine biomimetica nei confronti del tessuto osseo, con una porosità molto simile a
quella del tessuto spugnoso dell’osso, capace di ospitare gli osteoblasti e di permettere il loro
insediamento e la loro trasformazione in osteociti.
- pigmenti: tra questi composti una delle classi di fenoli naturali più numerose (che conta circa 4500
composti) è quella dei FLAVONOIDI, responsabili del colore di fiori e frutti (presenti in piante
superiori, felci e muschi) e che quindi svolgono una funzione vessillare. Inoltre possono riflettere sia la
luce ultravioletta sia la luce visibile, prevenendo danni all’apparato fotosintetico. Si trovano nei vacuoli
e possono esistere sia come monomeri che come polimeri; la struttura di base è formata da 2 anelli
aromatici collegati. Inoltre hanno gruppi OH che li fa essere solubili e permette l’attacco di residui
glicosidici; possono attaccarvisi anche i metalli, causando diverse colorazioni. Infatti i colori dei fiori e
dei frutti sono il risultato di antocianidine vacuolari come le pelargonidine (arancio, salmone, rosa,
rosso), le cianidine (magenta, cremisi) e le delfinidine (blu, viola); i colori sono tantissimi e variano a
seconda dei sostituenti.
- tannini: polimeri fenolici solubili in acqua, di basso peso molecolare (varia da 300 a 3000), con grande
variabilità strutturale e che presentano le proprietà tipiche dei fenoli (come ad esempio capacità di far
precipitare le proteine; infatti possono legare le proteine salivari dando una sensazione astringente, che
ad esempio si ha quando si mangia un caco acerbo). Hanno una colorazione marrone-nerastra e sono
facilmente ossidati e svolgono un ruolo di protezione contro l’attacco di microrganismi, perché si
ossidano i tannini e non le altre cellule.

Le sostanze fenoliche sono anche responsabili (oltre dei colori) dei sapori e degli aromi; queste proprietà vengono
sfruttate dall’industria alimentare. Alcuni esempi sono: gingerolo, capsaicinoidi, nel peperoncino; piperinoidi, nel pepe
nero, feniletil alcool, vanillina, cinnamaldeide.
La maggior parte delle bevande avrebbe il sapore dell’acqua se non ci fossero i fenoli; interessanti per l’industria degli
aromi e dei profumi.

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PARETE CELLULARE
La cellula vegetale è caratterizzata dalla presenza dei plastidi (cloroplasti), del vacuolo, della parete cellulare, esterna
alla membrana plasmatica, dei tonoplasti. Le pareti di due cellule contigue sono saldate. Nella parete sono presenti dei
canalicoli (plasmodesmi) che mettono in comunicazione i citosol di due cellule adiacenti;

La parete primaria è una complessa struttura polimerica che si organizza in modo continuo e dinamico ed esternamente
alla membrana cellulare; essa determina la forma geometrica delle cellule vegetali (senza di essa le cellule
diventerebbero sferiche).
Nel corso dello sviluppo cellulare l’architettura della parete può cambiare, facendo assumere alla cellula forme diverse e
contribuendo così alla specializzazione funzionale (es: nel tessuto clorofillare le cellule lasciano molto spazio vuoto per
gli scambi gassosi e per meglio svolgere la loro funzione hanno una forma stellare; nell’epidermide dei petali le cellule
sono coniche e allungate; nei tessuti conduttori sono tubulari).

FUNZIONI
La parete primaria ha varie funzioni:
1. strutturale: conferisce rigidità e turgore alla cellula insieme al vacuolo (poiché ne contiene la spinta)
2. difesa: è una barriera fisica e biologica contro i patogeni
3. sviluppo: certe pareti contengono molecole che influenzano i processi di sviluppo e marcano la
posizione della cellula all’interno della pianta (quindi non tutte le pareti sono uguali)
4. comunicazione: può essere di varie tipologie:
- cellula-cellula: le cellule adiacenti comunicano grazie ai plasmodesmi
- parete-nucleo: la parete trasduce un segnale esterno al nucleo
- riconoscimento di batteri simbionti azotofissatori (questi batteri fanno organicazione dell’azoto e
ciò è utile a livello radicale nelle piante che vivono al buio, poiché esse non sono in grado di
prelevare l’azoto dall’ambiente; nelle radici le cellule vegetali riconoscono questi batteri)
- distinzione delle proprie cellule da quelle estranee (es: interazione polline-stilo; alcune piante non
possono autofecondarsi grazie al fatto che il polline prodotto dalla stessa è riconosciuto come self e
ciò serve a favorire la biodiversità)

PARETE MEMBRANA/PLASMALEMMA
spessa anche parecchi μm 1000 volte meno spessa della parete
formata da polisaccaridi (cellulosa, formata da lipidi e proteine
emicellulosa, pectine)
resistenza meccanica, debole barriera chimica poca resistenza meccanica, barriera chimica
molto selettiva

Punto di contatto fra tre cellule: esternamente alla membrana plasmatica si trova la parete primaria, separata da quella
adiacente dalla lamella mediana (formata da pectine a acqua), che le fa aderire; il materiale della lamella mediana
diventa più voluminoso dove convergono le tre cellule, si forma un angolo ricco di pectine.

PLASMODESMI
Essi mettono in comunicazione 2 cellule adiacenti; sono rivestiti di membrana, che è sempre
in continuità con il reticolo endoplasmatico, e ciò consente lo scambio di informazioni e
nutrienti.
Al centro hanno una componente assiale (il desmotubulo), che al centro ha uno spazio in cui
passano le informazioni.
Nella regione del collo ci sono proteine che consentono al canalicolo di allargarsi/restringersi
in base a ciò che deve passare nel plasmodesma.

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ORIGINE DELLA PARETE
Considerando la parte finale di un ciclo cellulare (tarda anafase in cui è avvenuta la mitosi ma non la citodieresi), dopo
la separazione del materiale genico, al centro della cellula si evidenzia un fuso mitotico modificato, che ha una struttura
a forma di botte detta FRAGMOPLASTO.
Esso è formato da microtubuli al cui interno ci sono vescicole scure prodotte dal Golgi, che contengono il materiale per
la formazione della parete e che grazie ai microtubuli si incanalano fino a fondersi tra loro in posizione mediana, dove
rilasciano il loro contenuto, formando la PIASTRA CELLULARE. Questa è una grande vescicola appiattita, che cresce
in senso centrifugo, cioè laterale (al contrario la parete secondaria ha crescita centripeta, cioè verso l’interno della
cellula).
Il fragmoplasto è una struttura dinamica, quindi i microtubuli si riorganizzano (depolimerizzano e poi ripolimerizzano),
anticipando e guidando la crescita della piastra cellulare. Man mano che si forma la piastra cellulare, si creano delle
interruzioni nella parete che
formeranno poi i plasmodesmi; infine la piastra si fonde con la
membrana plasmatica e la parete
cellulare e si ottengono così 2 cellule figlie.
Il primo setto che si forma tra le 2 cellule dopo la divisione è la
lamella mediana, che è la parte più esterna della cellula e che
all’inizio è una parete sottile comune alle due cellule adiacenti.

Esistono 2 tipi di divisione:


- divisione simmetrica: la parete si forma esattamente a metà e le
cellule figlie sono identiche.
- divisione asimmetrica: la nuova parete non si forma nella zona
mediana e perciò le due cellule figlie hanno dimensioni diverse (es:
cellule degli stomi e peli radicali)

Il tipo di divisione cellulare influenza il successivo differenziamento


cellulare.
In una cellula non in divisione i microtubuli hanno una disposizione corticale, cioè sono subito sotto alla membrana;
prima della profase assumono invece una disposizione addensata, formando un cordone detto BANDA PRE-
PROFASICA, che poi si perde col proseguo del ciclo, formando il fragmoplasto e poi la piastra. La piastra cellulare si
forma dove all’inizio c’era la banda pre-profasica e ciò determina la simmetria della divisione cellulare (la banda si può
colorare per vedere dove si formerà la parete). A divisione ultimata, i microtubuli riassumono la disposizione corticale.

LAMELLA MEDIANA
E’ lo strato più esterno e scuro della parete ed è un materiale mucillaginoso
che cementa le cellule adiacenti; è molto sottile (0,1μm).
Anche gli spazi intercellulari sono riempiti dallo stesso composto di cui è fatta la lamella;
questo contiene acqua ed è ricco di PECTINE, polimeri zuccherini idrofili che idratandosi
assumono lo stato di gel.
Le sostanze pectiche contengono polisaccaridi acidi (es: Ramnogalatturonani
I e II; Omogalatturonani, formati dal solo acido pectico) e neutri (es: Arabani, formati da
arabinosio; Galattani, formati da galattosio; Arabinogalattani, formati da entrambi).
Le pectine sono polimeri dell’acido pectico e dell’acido galatturonico (un derivato del
galattosio) e possono essere formate anche da molti polimeri, quindi essere molecole molto lunghe. I residui di
galattosio hanno radicali carbossilici, che quindi hanno una carica negativa; a questi radicali si possono legare cationi
(soprattutto Ca2+ e Mg2+) e ciò serve a collegare le catene di pectina. Ne risulta una struttura a reticolo, che ha le
proprietà di una densa gelatina.
Questo collegamento tra catene è tipico della lamella mediana e ne spiega le caratteristiche adesive (es: il calcio lega gli
omogalatturonani formando “zone di giunzione”). La consistenza della lamella dipende dal numero di ponti tra i residui
zuccherini.
Quindi le sostanze pectiche formano gel reversibili e soluzioni viscose con l’acqua (cioè si idratano facilmente); il grado
di idratazione della matrice influenza le proprietà meccaniche della parete.
La METILAZIONE impedisce il legame tra le catene polisaccaridi che, influenzando le proprietà meccaniche della
parete, poiché rimuove la carica negativa del gruppo carbossilico.
In un tessuto adulto la lamella cementa le cellule grazie alle proprietà adesive dei suoi polisaccaridi; la parziale idrolisi
della lamella determina la formazione di spazi intercellulari.

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COMPOSIZIONE PARETE PRIMARIA
Essa è formata da 2 componenti:
1. MATRICE, formata da:
- sostanze pectiche ed emicellulose (zuccheri)
- proteine strutturali, enzimatiche e AGP (arabinogalattan-proteine)
- acqua
- piccola percentuale lipidica
2. COMPONENTE FIBRILLARE, formata da:
- cellulosa
- callosio (si trova nella piastra cellulare, nella parete del tubetto pollinico e in risposta alle ferite)

1. NELLA MATRICE

Emicellulose: sono anche chiamate glicani concatenati, perché sono zuccheri che si legano alla cellulosa, stabilendo
legami indiretti tramite legami a idrogeno tra le microfibrille di cellulosa; si dispongono quindi parallelamente alle
microfibrille di cellulosa collegandole tra loro. Esempi di emicellulose sono:
• Xiloglucani, formati da una catena lineare di glucosio con residui laterali di xilosio e altri residui di zucchero
(filosio e glucosio); si trovano nelle pareti primarie delle dicotiledoni
• GAX (glucuronoarabinoxilani); si trovano nelle monocotiledoni
• Βeta-glucani; si trovano nelle pareti primarie delle graminacee
(sono una fonte di fibre) e sono formati da residui di glucosio
uniti da legami misti β1-3 e β1-4.

La sintesi di zuccheri nella matrice avviene grazie agli organuli,in


particolare grazie al residuo endoplasmatico e all'apparato di Golgi,
rilasciano delle vescicole, che impacchettano il prodotto zuccherino
che viene indirizzato per esocitosi alla membrana plasmatica, la quale
rilascia all'esterno il contenuto delle vescicole. Nel Golgi, i composti
zuccherini vengono sintetizzati in un modo del tutto simile a quello dello
xilano (vedi figura accanto). Per questo polimero zuccherino si osservano dei
residui di xilosio, legati all’UDP, nucleotide difosforilato, che, con un
recettore, entrano all'interno del lume delle vescicole dove viene idrolizzato il
legame tra monomero zuccherino e UDP, in quest’ultimo viene anche rotto il
legame con un gruppo fosfato, e l’energia liberata dalla rottura del legame viene utilizzata per polimerizzare il
monomero, andando a formare la catena polisaccaridica di xilano. Una volta defosforilato, il monomero fuoriesce dal
Golgi come UMP, e torna nel citosol, dove verrà nuovamente fosforilato e sarà in grado di legare un'altra unità di
xilosio, per riprendere e compiere lo stesso ciclo. In questo modo la vescicola del Golgi si riempirà di polisaccaridi
che poi, per esocitosi, si dirigeranno verso la membrana plasmatica con la quale si fonderanno rilasciando il proprio
contenuto all'esterno.

Proteine (enzimatiche, strutturali e AGP)


-Tra le proteine enzimatiche ci sono soprattutto perossidasi (enzimi che catalizzano reazioni di ossidazione) e idrolasi
(che catalizzano la rottura di un legame chimico).
-Le AGP sono proteoglicani formati da una piccola parte proteica e fino al 95% da una parte glucidica; hanno un ruolo
nel riconoscimento cellulare.
-Tra le proteine strutturali le principali sono:
• ESTENSINA: forma filamenti che in alcuni punti si legano, originando dei pori in cui passano le microfibrille
(quindi perpendicolari all’estensina); contribuisce all’organizzazione 3D della parete, fa parte delle HRGP.
• ESPANSINA: rompe i legami a idrogeno tra le emicellulose e le microfibrille di cellulosa, ma può anche riformare
i legami grazie all’enzima XET (xiloglucanotransglicosidasi), che quindi sono molto importanti nella crescita
cellulare.
Vi sono anche:
- le PRP, proteine ricche in prolina;
- le GRP, proteine ricche in glicina.

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2. COMPONENTE FIBRILLARE

Il callosio è formato da 2 residui di glucosio legati con legami 𝛽1 − 3.


La cellulosa è un polimero formato da 2 residui di glucosio che si legano β1-4 sullo stesso piano alternativamente
ruotati di 180° l’uno rispetto all’altra, formando catene lineari molto lunghe; l’unità strutturale è il CELLOBIOSIO,
disaccaride formato quindi da 2 unità di glucosio tenute insieme dal carbonio in posizione 1 e in posizione 4. Nella
componente fibrillare queste catene zuccherine interagiscono tra loro formando catene glucidiche unite da legami a
idrogeno (possono formarsi tra catene adiacenti o anche in una stessa catena), determinando un compattamento delle
cellule glucaniche. Il cellobosio, dunque, forma singole catene glucaniche della parete delle cellule vegetali.

Si tratta di catene molto estese che si associano


parallelamente l'una all'altra e grazie a dei legami
idrogeno e si compattano originando delle strutture
che si chiamano microfibrille (osservabili al
microscopio elettronico), le quali danno una forte
consistenza meccanica alla parete.

Nello schema sono illustrate le catene


glucaniche che formano ponti idrogeno (in
rosso), che collegano gruppi appartenenti
alla stessa catena, e un altro tipo di ponti
idrogeno (tratteggiati), che collegano
gruppi appartenenti a catene diverse. Ciò
determina un compattamento delle catene
glucaniche, a formare le microfibrille.

Il callosio è costituito strutturalmente da laminaribosio e anch’esso, come il cellobiosio, forma la struttura fibrillare,
anche se non così estesa come nel caso della cellulosa.

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Le microfibrille a loro volta sono legate tramite legami a
idrogeno alle emicellulose (che di solito sono parallele alle
microfibrille, ma a volte possono anche legare 2 microfibrille);
a loro volta le emicellulose si legano alle sostanze pectiche,
distanziando le microfibrille, e tramite legame ionico anche
l’estensina si può legare alle pectine.
Le microfibrille si formano direttamente sulla membrana
plasmatica e crescono all’esterno in parete, su cui ci sono
complessi enzimatici (le ROSETTE) costituite da 6
subunità,responsabili della loro sintesi; infatti ognuna delle
6 subunità della rosetta forma 6 catene glucidiche che poi
sono assemblate nel globulo centrale della rosetta, formando
una microfibrilla, formata in totale da 36catene. Le
microfibrille (più sono più consistenza meccanica
fornicscono alla parete) possono crescere in parete in modo
disordinato o in modo orientato, tutte nella stessa direzione.

Man mano che la microfibrilla cresce, la rosetta si


sposta lungo la membrana spinta dalla polimerizzazione
della microfibrilla; ci sono 2 ipotesi riguardo al loro
moto.
Nel modello A vediamo la rosetta che viene guidata da
una proteina, tramite la quale si lega indirettamente al
microtubulo. La rosetta sintetizza la microfibrilla di
cellulosa: l'allungamento della microfibrilla di per sé è
un motore al movimento di questo complesso in
membrana ma in aggiunta si ha questa proteina che
guida il movimento del complesso lungo il microtubulo
e che dà la direzione di crescita alla microfibrilla.

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Quindi il complesso si sposta sul microtubulo e l'orientamento è determinato dalla disposizione dei microtubuli stessi.
Nel modello B, invece, i microtubuli, i quali si legano al plasmalemma tramite delle proteine particolari che mediano
questa associazione, costituiscono due binari. I microtubuli che circondano il complesso sintetizzante la cellulosa.
L'allungamento della microfibrilla consente al complesso di spostarsi, ma questo può spostarsi solo all'interno di questo
binario e ciò determina l'orientamento della disposizione delle microfibrille.

Tra le proteine delle sostanze pectiche matriciali, ci sono proteine ricche in idrossiprolina e fra queste troviamo
l'estensina, una proteina strutturale. Due catene di estensina sono fra loro in grado di formare dei legami covalenti
grazie a dei residui di tirosina. Laddove ci sono delle tirosine, tramite una reazione enzimatica di ossidazione, esse
vengono ossidate e si formano dei ponti, cosiddetti isoditirosinici perché formati fra due residui di tirosina. In tal modo
le due catene vengono saldate fra loro e lasciano liberi dei pori dentro i quali decorrono le microfibrille di cellulosa. In
questo modo l'estensina contribuisce a spaziare tridimensionalmente i componenti della parete.

In figura vediamo le molecole di estensina (in nero) che formano i pori dentro cui
decorrono le microfibrille. Queste ultime si associano parallelamente alle
emicellulose (in rosso), che possono a loro volta legare le sostanze pectiche (in
verde). Tramite le cariche negative delle sostanze pectiche si possono legare degli
ioni calcio, ioni bivalenti che, a loro volta, fanno da ponte fra due molecole di
sostanze pectiche, contribuendo all’organizzazione tridimensionale della parete.

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Riassumendo:

Le sintesi delle componenti di membrana


- Il sito di sintesi per la cellulosa e per il callosio è la membrana plasmatica, dove ci sono le rosette che sintetizzano
questi polimeri.
- L’apparato di Golgi è il sito di sintesi per le pectine, gli omogalatturonani e i ramnogalatturonani I e II, e zuccheri
come: le emicellulose, gli xilloglucani, i glucuronoarabinoxilani, i −glucani, i galattomannani. L’apparato di
Golgi è anche il sito di glicossilazione per alcune proteine che sono sintetizzate nel reticolo endoplasmatico, come
le HRGP, le AGP e altre glicoproteine modificate.
- Il reticolo endoplasmatico ruvido è il sito di sintesi per proteine delle parete, HRGP PRP,GRP,AGP e i vari enzimi
appartenenti alla famiglia delle idrolasi, delle esterasi, delle perossidasi e anche dei polisaccaridesintasi, i quali
vanno a far parte dei complessi della cellulosa sintasi.
Questa organizzazione strutturale serve ad allentare la parete, in modo tale che le cellule possano aumentare di
volume quando è necessario, e che possano, successivamente all'espansione o alla distensione, differenziarsi, in
modo tale da specializzarsi.

ALTRE CARATTERISTICHE DELLA PARETE PRIMARIA


1. CRESCITA CELLULARE
La crescita della parete avviene grazie alla pressione di turgore del vacuolo, che si riempie di liquidi e spinge sulla
periferia, dando così anche una spinta all’accrescimento. Questa rete di macromolecole della parete sarebbe
difficilmente estensibile se non ci fosse l'idrolisi di specifici legami, quindi è necessaria la presenza di un complesso di
proteine enzimatiche che hanno come compito quello di tagliare alcuni legami.
Le modalità di crescita cellulare sono 2:
1. crescita isodiametrica, per espansione: la cellula si espande in tutte le direzioni dello spazio e le microfibrille
non hanno un orientamento definito, bensì formano una TESSITURA DISPERSA
2. crescita orientata, per distensione (polarizzata o apicale): le microfibrille formano una TESSITURA
PARALLELA, quindi sono inestensibili e per espandersi la cellula segue un asse preferenziale di crescita, cioè si
allunga lungo quest’asse. Questo tipo di crescita è dovuta a una serie di vescicole prodotte dal Golgi che portano
materiale per la membrana e la parete (è la modalità di crescita prevalente; es: nei peli radicali, tubetto pollinico)
I due fattori che determinano la crescita volumetrica sono:
1.pressione di turgore esercitata dal vacuolo
2.idrolisi di specifici legami a opera delle espansine e dei XET, che scollano le emicellulose dalle microfibrille e poi
i XET riformano i legami una volta che si sono allontanate di un tot; inoltre le cellulasi tagliano le microfibrille.
Attenzione!! Quando si ha un aumento dimensionale della parete, affinché questa non si assottigli troppo, deve
continuare la sintesicellulare dei suoi componenti.

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2. ALLENTAMENTO DELLA PARETE
In figura vediamo in azione due enzimi chiave per l'allentamento della
parete. Si notano le espansine (in giallo) simili a dei cunei, che si infilano
nei punti in cui le emicellulose (rappresentate da linee sottili) si associano
legandosi alle microfibrille rompendo i legami idrogeno. Notiamo anche le
xiloglucano endotransglicosilasi (XET) ovvero enzimi idrolitici delle
emicellulose, che vanno a tagliare le emicellulose, come nel caso
raffigurato: XET entra in azione → taglio dell’emicellulosa→ emicellulosa
non collega più le due microfibrille → la parente si allenta e la cellula può
accrescersi. Una volta avvenuto l'accrescimento, i legami fra le
emicellulose si riformano, e in questo modo viene ristabilita la struttura
della parete.

Ogni volta che c'è questo fenomeno fisiologico di accrescimento,


l'espansione determinerebbe un assottigliamento della parete se
contemporaneamente non vi fosse la sintesi dei suoi componenti, che
devono comunque essere immessi in parete durante il processo di
distensione.

3. PARTICOLARI MODALITÀ DI ACCRESCIMENTO


Esistono modalità di crescita particolari, crescite cellulari per
distensione molto spinte e questo riguarda alcuni tipi cellulari come
il tubetto pollinico, che deve accrescersi all'interno del pistillo e
quindi dall’apice di questo si deve formare un lungo tubulo pollinico
che deve raggiungere la base del pistillo, dove solitamente risiede la
cellula uovo, per la fecondazione. Anche nei peli radicali c'è una
crescita molto polarizzata ed una distensione molto accentuata delle
cellule, tanto da poter raggiungere dimensioni di qualche centinaio
di m, così come il tubetto pollinico; in questo caso l'allungamento
cellulare è dovuto alla fusione massiva di micro o nano vescicole
trasportate dal citoscheletro che si fondono all'apicedella cellula. Un
esempio sono i tubetti pollinici delle rosacee i quali sono in grado di
crescere per qualche centinaio di m in poche ore,
quindi possiamo riconoscere una crescita molto intensa tanto che si potrebbe osservare anche al microscopio. Questo
tipo di crescita, del tubetto pollinico o del pelo radicale, è un tipo di crescita che viene definita crescita apicale e
costituisce un esempio eclatante di crescita polarizzata.

COMPOSIZIONE PARETE SECONDARIA


Essa è presente solo in certi tipi di cellule ed è formata, come la parete primaria, da:
• COMPONENTE FIBRILLARE→ una percentuale di microfibrille di cellulosa maggiore rispetto alla parete
primaria (dal 60-70% fino al 90-95% delpeso secco);
• MATRICE→ formata solo da emicellulose (mancano le sostanze pectiche).
La parete secondaria è una parete che cresce in senso centripeto, cioè verso il centro, quindi la sua crescita riduce il
lume cellulare. È la parete secondaria che da sostegno alle cellule; si trova, ad esempio, nelle cellule che formano il
legno e che spesso non hanno organuli perché a maturità sono destinate a morire, ma in questo modo assolvono al
meglio la loro funzione meccanica di sostegno, oppure nelle cellule che formano i tracheidi (che servono a trasportare la
linfa grezza), dove la cellula muore lasciando una cavità in cui scorre la linfa.

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Dall’esterno troviamo quindi: lamella mediana, parete primaria (con microfibrille disordinate) e parete secondaria, in
cui le microfibrille hanno una tessitura definita e grazie a ciò la parete ha una grande resistenza meccanica. La parete
secondaria è formata da 2 o 3 strati:
- strato 1 (0,1-0,65μm): tessitura elicoidale incrociata
- strato 2 (1,5-7μm): tessitura elicoidale parallela; è lo strato piùspesso
- strato 3 (0,1μm): tessitura elicoidale incrociata; può non esserci (dipende dal tipo dicellula)
Le cellule sopravvivono finché funzionano i plasmodesmi/porocanali, poiché quando questi non funzionano più la
cellula degenera e muore, lasciando un lume interno; ciò succede quando lo strato S2 diventa molto spesso.
La parete secondaria forma spesso strutture specializzate (es: negli stomi la parte della cellula che si affaccia sulla rima
stomatica è molto ispessita; possono esserci ispessimenti “agli angoli” della cellula, che anche se non è lignificata, è
un tessuto di sostegno; la fibra del cotone è formata al 90% da cellulosa, quindi è quasi tutta parete). Inoltre le cellule
che producono particolari pareti possono svolgere una funzione per lungo tempo anche dopo la morte (es: i semi del
tarassaco hanno strutture – i pappi- che prendono il vento per essere dispersi nell’ambiente; anche il frutto dell’acero
– samara – ha una struttura per volare).

MODIFICAZIONI DELLA PARETE


La parete può anche essere modificata, la lignificazione, già accennata, non è l’unica modalità di modificazione della
parete, la quale può essere anche suberificata, cutinizzata, può gelificare, mineralizzare e può essere pigmentata.

1. LIGNIFICAZIONE: la parete è impregnata di alcoli aromatici (soprattutto alcol coniferilico e sinapilico) invece che
di acqua; dato che gli alcoli sono reattivi, formano reticoli attorno ai polimeri glucidici della parete. Questo tipo di
parete conferisce resistenza meccanica a forze di trazione e pressione e svolge un ruolo di difesa contro l’attacco di
microrganismi patogeni, cioè è una barriera fisica e chimica. Si trova nelle Pteridofite e nelle Spermatofite; ha permesso
che le piante si affrancassero dall’ambiente acquatico e raggiungessero notevoli dimensioni.
Anche i del tessuto conduttore di queste piante sono lignificati, poiché le cellule muoiono lasciando una cavità
centrale in cui scorre la linfa; ma per fare ciò occorre che i vasi siano resistenti affinché non collassino e non scoppino.
La lignificazione dei tessuti conduttori può essere di vari tipi:
• vaso anulato: è parziale quindi poi si modifica, poiché tipica delle piante giovani; i vasi formanoanelli
• vaso a spirale
• vaso reticolato
• vaso punteggiato: del tutto lignificato (tipico dei tessuti maturi), con molte aperture per ottimizzare gli scambi
gassosi
La Zinnia è usata per mettere in cultura il tessuto del mesofillo fogliare per vedere come si formano i vasi: infatti,
somministrando certi ormoni, le cellule si sdifferenziano tornando ad essere cellule totipotenti e poi si ridifferenziano,
diventando tessuti dei vasi (gli enzimi idrolitici digeriscono il materiale cellulare e poi si forma un vaso anulato). Gli
ispessimenti lignificati si colorano di rosso se si evidenzia la lignina.

2. SUBERIFICAZIONE e CUTINIZZAZIONE: la suberina e la cutina sono sostanze lipofile (cioè miscugli di acidi
e ossiacidi grassi esterificati) presenti:
• Suberina: nella scorza dei fusti e nei tessuti cicatriziali; a maturazione le cellule sono circondate da questa sostanza
grassa quindi muoiono
• Cutina: cellule vive formano uno strato biancastro continuo sopra all’epidermide (insieme alla cuticola e alle
cere);dà lucentezza e impermeabilità
Queste sostanze, essendo idrofobiche, impermeabilizzano le foglie e il fusto, evitando un’eccessiva dispersione di acqua
per traspirazione; inoltre danno resistenza chimica e ai parassiti e alle abrasioni (stress meccanici). Il sughero è anche un
isolante termico; infatti al microscopio ottico si vede che il sughero inizia a essere prodotto dagli strati basali, poi le
cellule sono schiacciate e muoiono, perdendo la loro forma e accumulandosi formando uno strato isolante.
Sono sostanze presenti nelle Pteridofite e nelle Spermatofite, che gli hanno permesso di affrancarsi dall’
ambiente acquatico.

3. MINERALIZZAZIONE in questo caso la parete è impregnata di sostanze minerali (soprattutto carbonati e silicati)
e diventa molto dura, assumendo proprietà simili a quelle del vetro. Ha funzione di sostegno e di difesa (es: il pelo
dell’ortica ha un vacuolo molto sviluppato che percorre tutto il pelo e la parete è mineralizzata; in particolare la parete
che forma l’asse del pelo è impregnata di carbonati, mentre la parte terminale è silicizzata. L’impregnazione con due
minerali diversi crea una linea di rottura, per cui al minimo stimolo meccanico il pelo si rompe ed esce il liquido
urticante, contenuto nel vacuolo e formato da istamina, acetilcolina, serotonina e acido formico).

4. PIGMENTAZIONE: la parete del legno, della scorza o delle foglie si impregna di metaboliti secondari (soprattutto
tannini e flavonoidi), poiché queste sostanze svolgono un’azione batteriostatica antimarcescenza; si trovano sia nelle
piante che nei funghi.

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5. GELIFICAZIONE: nella parete aumenta la quantità di sostanze pectiche, gomme e mucillagini; ciò ha lo scopo di
aumentare la capacità idrica e lubrificante della pianta. E’ un fenomeno sempre presente nella cuffia radicale, poiché
favorisce la penetrazione della radice nel terreno, ma si può trovare anche nei tegumenti di certi semi o nelle capsule di
batteri e alghe oppure è un fenomeno patologico (gommosi) conseguente a una degradazione della parete o indotto da
ferite.

INTERAZIONE PIANTA PATOGENO


La parete svolge anche un’attività biologica; infatti,
quando dei patogeni demoliscono la parete, si
formano dei frammenti detti OLIGOSACCARINE,
che sono recepite dalle altre cellule e possono
quindi agire come specifici regolatori
dell’espressione genica, controllando la crescita, la
morfogenesi e i meccanismi di difesa delle piante.
Il patogeno produce delle molecole che vengono
riconosciute dai recettori della membrana, oppure
rilasciano degli enzimi che si legano alla parete e la
digeriscono, rompendone i legami e producendo
così le oligosaccarine e questi frammenti sono poi
riconosciuti dai recettori della membrana.
Quando i recettori della membrana riconoscono i
frammenti, inviano un secondo messaggero al
nucleo (cioè trasducono il segnale) segnalando il
legame di alcuni ligandi che comunicano la
presenza di un patogeno.
Il nucleo risponde in vari modi attraverso
l’espressione genica:
1. sintetizza metabolismi secondari che funzionano
da antibiotici naturali (FITOALEXINE), che
sono liberati dove c’è il patogeno; quindi questa è
una rispostalocale
2. sintetizza polisaccaridi di parete dove questa è stata
lesa dal patogeno per irrobustirla (sono prodotti
anche callosio e lignina); quindi anche questa è una
risposta locale
3. segnala alle cellule vicine il pericolo; infatti la cellula produce PROTEINE PR (patogenic related), che attraverso i
plasmodesmi raggiungono le cellule vicine, inducendole a rispondere al patogeno tramite una risposta genica

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NUCLEO
Il nucleo funziona da archivio permanente dell'informazione genetica
della cellula. Tutte le informazioni sono contenute all'interno del DNA
che si trova nel nucleo. Esso è una struttura circondata da un involucro
nucleare che consiste in una membrana interna ed esterna, quest'ultima è
in continuità con il RER e presenta dei pori nucleari con cui comunica
con il citosol. All'interno del nucleo sono presenti uno, due o più
nucleoli: regioni in cui vengono sintetizzate ed assemblate le
componenti dei ribosomi; si possono vedere perché si colorano più
intensamente rispetto al resto del nucleo.

I nuclei sono organi piuttosto complessi e spesso occupano gran parte


del volume cellulare. Nelle cellule giovani possono occupare fino al
50% del volume cellulare. Possiamo vedere come anche gli organuli
abbiano un volume relativo in percentuale diverso nelle cellule giovani e
nelle cellule mature. Per esempio, in una cellula giovane il vacuolo
occupa circa il 5% del volume ma in una cellula matura arriva all'83%. I
mitocondri in una cellula giovano occupano il 5%, mentre in una cellula
matura occupano l'1%. I plastidi rimangono in percentuale uguale tra cellula giovane e matura, ovvero 3,72%.

La sostanza presente nel nucleo è detta nucleoplasma ed è un'associazione complessa di:


- DNA
- Enzimi
- Proteine istoniche
- Vari tipi di RNA
- Acqua e altre molecole

Nel nucleoplasma delle cellule in attiva divisione mitotica (es. meristemi


dell'apice caulinare e radicale) si trova prevalentemente DNA, istoni ed
enzimi di replicazione; le cellule già mature/differenziate invece contengono
prevalentemente RNA messaggero 2, enzimi di trascrizione dell'RNA.

Il DNA è sempre associato agli istoni a formare la cromatina.


Differentemente dalle cellule animali, il nucleo delle cellule vegetali mostra
diversi tipi di organizzazione della cromatina:
1. cromatina di tipo diffuso → i nuclei hanno addensamenti di cromatina
(eterocromatica, componente silente del DNA) localizzati in prossimità della
membrana nucleare, mentre il resto del nucleo presenta cromatina con
aspetto diffuso (eucromatina, componente attiva del DNA)
2. cromatina di tipo reticolato→ consiste di cromatina addensata che forma
cordoni che si intersecano
3. situazioni intermedie→ eucromatina (parte più chiara) nella quale si trova la componente attiva del DNA e
eterocromatina (parte più scura) presenta un DNA silente.

CICLO CELLULARE
Il ciclo vitale di un organismo comprende gli stadi di inizio, crescita e morte. Anche le singole cellule presentano un ciclo
vitale: il ciclo cellulare.
Le cellule hanno origine per divisione del nucleo (a: mitosi o cariocinesi) e del citoplasma (b: citodieresi) di una cellula
madre, crescono per un certo periodo (d) e possono dividersi a loro volta, producendo ciascuna altre due cellule figlie,
oppure differenziandosi (f).

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Sezione trasversale di un fusto in struttura secondaria: le
cellule con la parete viola hanno una parete molto spessa, si
stanno differenziando (in questo caso come elementi di
legno e fibre) e non si dividono più. Le cellule dalla parete
blu, più sottile, mantengono ancora la capacità di dividersi.

Alcune cellule adulte vivono persino centinaia di anni,


mentre altre muoiono subito dopo la maturazione e svolgono
la loro funzione come elementi morti. È questo il caso delle
cellule del sughero della corteccia secondaria di fusti e
radici, che svolgono la loro funzione protettiva dopo la
morte. Come anche i tessuti conduttori: una cellula cilindrica
nel corso del suo differenziamento inspessisce le pareti,
perché le lignifica ma poi diventa cava, il suo protoplasto
degenera e diventa un tubo per il trasporto della linfa dalle radici alle foglie. La cellula in questo caso differenzia così
tanto che muore.

Nell'uomo ogni secondo avvengono circa 25 milioni di divisioni cellulari, tuttavia, nelle piante, quando la forma adulta
dell'organismo è raggiunta, la maggior parte delle cellule interrompe la divisione (arresto del ciclo cellulare) ed
intraprende una diversa crescita, per espansione, prima, e differenziamento e maturazione, poi. Il differenziamento è il
processo che determina modificazioni profonde nella struttura cellulare compatibili con l'assunzione di specifici compiti
funzionali.

Nella corteccia secondaria di un fusto alcune cellule


differenziano deponendo nelle parete antimicrobici e
idrorepellenti. Infine le cellule muoiono e rimangono solo le
pareti. Questo nuovo tessuto (tegumentale) è detto sughero. La
mancanza di protoplasto in queste cellule è vantaggiosa dal
punto di vista selettivo perché se funghi ed insetti penetrano
all'interno della parete non possono nutrirsi e muoiono. Subito
al di sotto del sughero sono presenti piccole cellule in divisione,
le quali costituiscono il meristema laterale secondario detto
cambio- subero-fellodermico.

Le cellule adulte che non muoiono possono conservare una certa plasticità. In certi casi se un organo subisce una lesione
o viene asportato, alcune cellule già differenziate possono sdifferenziarsi e ritornare a dividersi e perciò una volta che si
dividono possono formare cellule che si possono a loro volta differenziarsi anche in maniera diversa dalla cellula di
partenza. Questa capacità si definisce pluripotenza o totipotenza ed è alla base di meccanismi di auto-riparazione delle
piante e anche della loro capacità di moltiplicarsi e produrre nuovi individui chiamati cloni, utilizzando cellule del corpo
vegetativo anziché cellule degli organi riproduttivi.

Nell'800, si è iniziato a studiare il ciclo cellulare e si ipotizzò che tra due successive
divisioni le cellule rimanessero "bloccate", tanto che il periodo che intercorreva tra due
successive divisioni cellulari era stato chiamato fase di riposo o interfase. Questa
evidenza fatta nell'800 risultò molto sbagliata. Al contrario, la cellula è molto attiva
durante l'interfase con tre principali fasi di crescita: G1, S, G2. La durata di queste fasi
varia a seconda della pianta, del tipo cellulare, dell'età, della temperatura e di molti altri
fattori inclusi lo stato di salute dell'individuo. Cicli di breve durata quindi con interfase
corta si osservano anche in embrioni o in radici in rapida crescita. Al contrario ci sono
cicli cellulari lunghi due o tre giorni, o persino settimane o mesi in tessuti o piante a
crescita lenta. Ci sono piante che subiscono interruzioni invernali (dormienza invernale)
e qui il ciclo cellulare può durare dall'autunno alla primavera. In primavera quando

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l'attività della pianta riprende può durare solo poche ore, dipende dai fattori ambientali e di contorno. Nello stesso modo è
variabile la lunghezza delle varie fasi del ciclo ed in particolare della fase G1, che in generale è la fase più lunga.

FASE G1
G sta per gap: è il primo stadio del ciclo dopo una precedente divisione; la cellula opera la maggior parte del suo normale
metabolismo. È un processo di sintesi importantissimo perché è preparativo per la fase successiva, detta fase S; infatti
avviene la sintesi dei nucleotidi che verranno usati nella replicazione del DNA. Vengono inoltre prodotti molti enzimi,
ribosomi, proteine, microtubuli e microfilamenti (elementi del citoscheletro), sistemi di membrana e si duplicano anche
gli organuli dotati di un DNA circolare come mitocondri e plastidi.

FASE S
Durante la fase S di sintesi, sono replicati i geni del nucleo, viene quindi duplicato il DNA. Un gene è un polimero di
nucleotidi caratterizzato da una sequenza; quindi geni diversi non hanno mai la stessa sequenza di nucleotidi. L'intero
complesso genico di un organismo ne costituisce il genoma. I geni sono legati ad altri geni in una sequenza che prende il
nome di cromosoma. I geni di un organismo non costituiscono un unico lungo cromosoma, che sarebbe molto difficile da
gestire durante la mitosi, ma ci sono più cromosomi più corti. Poche piante hanno solo 2 cromosomi, la maggioranza ne
ha da 5 a 30.

Le molecole che sono presenti nei cromosomi sono molto lunghe (nella cipolla il DNA è lungo 10,5m, nel giglio 21,8m).
Esse se non protette, potrebbero rompersi. Negli eucarioti, una speciale classe di proteine basiche, gli istoni, si
complessano con il DNA conferendogli protezione e supporto e realizzando la struttura del nucleosoma.
Il complesso del DNA, delle proteine istoniche, e di altre proteine non istoniche che si legano anch'esse al DNA, prende
il nome di cromatina. Caratteri strutturali dei cromosomi osservabili al microscopio ottico sono il centromero, spesso
localizzato nella regione mediana del cromosoma, e le due regioni terminali (telomeri).

Duplicazione cromosomica
Quando la replicazione ha termine, le molecole duplicate di DNA restano unite attraverso il centromero, collegate da una
proteina chiamata coesina. A ciascuna delle due identiche metà che compongono il cromosoma dopo la fase S si dà il
nome di cromatidio, e il cromosoma diviene largo il doppio rispetto a prima della fase S.

FASE G2
Dopo la fase S la cellula entra nella fase G2 (gap 2), durante la quale si prepara alla divisione nucleare. Questa fase dura
di solito solo dalle tre alle cinque ore, è quindi più breve della fase G1. In G2 sono sintetizzate l'alfa e beta tubulina
necessarie per formare i microtubuli del fuso mitotico, proteine quali quelle necessarie per il rimaneggiamento dei
cromosomi, ed enzimi che serviranno per la disorganizzazione della membrana nucleare. Evidenze sperimentali
suggeriscono che durante la fase G2 la cellula produca anche fattori necessari per l'inizio della divisione nucleare.

Arresto del ciclo cellulare, FASE G0


Le cellule che arrestano il ciclo cellulare ed iniziano a differenziarsi e maturare entrano in uno stato simile al G1,
chiamato fase quiescente G0, in cui possono rimanere per tutta la vita. Le cellule in G0 sono caratterizzate da un forte
compattamento del DNA nel nucleo. Il re-ingresso nel ciclo cellulare, cioè la transizione da G0 a G1, può essere indotto
da vari fattori, in particolare da fitormoni, come auxina e citochinina; è detto sdifferenziamento e coinvolge un
rimodellamento (rilassamento) della cromatina, modificazioni degli istoni, cambiamenti nella metilazione del DNA ed
attivazione di geni silenti.

Processo di endoreduplicazione
In numerose piante a ciclo vitale breve e quindi a rapido sviluppo, ed in specifici organi (foglie, frutti), l'arresto del ciclo
cellulare non ha luogo in uno stadio simile al G1, ma successivamente, cioè le cellule entrano in fase S e replicano il
DNA prima di iniziare il differenziamento. Il processo è detto endoreduplicazione.

Può avvenire una sola replicazione del DNA, dando luogo ad un nucleo di taglia raddoppiata, oppure le replicazioni del
DNA possono essere molteplici, generando nuclei giganti. L'endoreduplicazione non aumenta il numero di cellule, ma la
quantità di DNA per cellula, conferendo ai nuclei molte copie di ciascun gene.

É quindi un importante meccanismo che la pianta attua per tamponare le numerose mutazioni che si sono accumulate nel
genoma durante la sua esistenza.
L'endoreduplicazione ha luogo di preferenza in cellule che differenziano in peli, in cellule ghiandolari o in altri tipi
cellulari caratterizzati da un metabolismo rapido ed intenso che non potrebbe essere sostenuto dall' mRNA prodotto dal
normale complemento di due copie per gene. In accordo, le cellule endoreduplicate sono ricche di ribosomi e producono
grandi quantità di proteine.

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La decisione di una cellula di compiere endoreduplicazione o affrontare la
fase M sembra dipendere dal fattore cellulare MIF (Mitosis Inducing
Factor), la cui inattivazione non consentirebbe la mitosi obbligando la cellula
all'endoreduplicazione. Esiste infatti un complesso macchinario di controllo
del ciclo cellulare che consente alla cellula di superare le fasi G1, S e G2 per
entrare in Mitosi e la progressione attraverso le varie fasi dipende dalla
formazione di diversi complessi proteici che promuovono o reprimono il
passaggio da una fase all'altra. Tali complessi sono costituiti da chinasi
ciclina-dipendenti (CDK) e dalle loro subunità attivatrici, le cicline che sono
molto numerose nelle piante. Vi sono alcune cicline (cicline di tipo D, la cui
espressione è regolata da fitormoni (come auxine e citochinine) che regolano
la transizione G1-S, mentre altre cicline (di tipo A) regolano la transizione da
S a G2 (e continuano ad essere attive anche in fase M) e la transizione da G2 a
M (cicline di tipo B).
L'attivazione/inattivazione di questi complessi è regolata da eventi di
fosforilazione e defosforilazione.

L'amplificazione genica è simile all'endoreduplicazione, ma solo alcuni geni


si replicano ripetutamente. I geni così amplificati sono quelli necessari per il
metabolismo specializzato della cellula matura. Per esempio, durante lo sviluppo di un seme ricco di proteine, le sue
cellule necessitano di grandi quantità di mRNA che codifica per le proteine di riserva, e solo i geni relativi a queste
vengono amplificati. La replicazione dell'intero genoma sarebbe un inutile spreco di energia.

DIVISIONE CELLULARE
La divisione coinvolge due processi:
- la divisione del nucleo, detta cariocinesi (mitosi e meiosi)
- la divisione della cellula, detta citodieresi o citochinesi.

MITOSI
La mitosi è la divisione duplicativa o equazionale ed è il più comune tipo di cariocinesi. Mediante la mitosi, seguita dalla
citodieresi, gli organismi pluricellulari aumentano il numero delle loro cellule somatiche durante lo sviluppo e gli
eucarioti unicellulari aumentano il loro numero (riproduzione vegetativa). La mitosi è detta divisione duplicativa perché i
geni nucleari, già copiati, vengono separati in due set identici, ciascuno nel suo proprio nucleo. I due nuclei che si
formano sono così duplicati del nucleo originario e sono gemelli. Di conseguenza, la mitosi produce nuclei che sono
copie (cloni) del nucleo originario.
Il meccanismo consiste di quattro fasi: profase, metafase, anafase e telofase.

PROFASE
Immediatamente prima della profase c'è la formazione della banda preprofasica che è un addensamento di elementi del
citoscheletro, microtubuli e microfilamenti che si forma in una posizione della cellula come un cordone (in posizione
equatoriale o in non equatoriale in base alla simmetria della cellula) e questo anello decorre al di sotto della membrana
plasmatica, identifica il piano di divisione della cellula marcando la regione ove la nuova parete si attaccherà alla
preesistente. Se la banda si forma in regione equatoriale le due cellule figlie avranno la stessa grandezza, qualora si formi
in posizione eccentrica allora le due cellule figlie avranno dimensioni diverse (una grande e una piccola).
La banda preprofasica è transitoria in quanto i suoi microtubuli si disassemblano rapidamente ed i dimeri di alfa e beta
tubulina vengono riciclati per formare il fuso mitotico.

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Durante la profase:
- I cromosomi si condensano (avvolgendosi a spirale e accorciandosi).
- Il nucleolo diviene meno visibile e di solito scompare del tutto alla fine della profase, allorché si rompe anche
l'involucro nucleare che si dissolve in vescicole per azione di enzimi sintetizzati alla fine della fase G2.
- Negli organismi dotati di centrioli (animali, alcune alghe e funghi), questi ultimi, che erano stati duplicati
durante l'interfase, migrano ai due poli opposti della cellula.

Nelle cellule vegetali i regolatori spaziali dell'assemblaggio microtubulare sono dei siti discreti riconoscibili al
microscopio elettronico e si chiamano COMT (centri organizzatori dei microtubuli), zone del citoplasma dense ed
amorfe che si spostano ai poli e da qui vengono organizzati i microtubuli. Durante la profase avanzata si forma il fuso
mitotico.

FUSO MITOTICO
Il fuso mitotico è formato da centinaia a migliaia di microtubuli. I microtubuli sono formati da alfa e beta tubulina. I
filamenti di actina mescolati ai microtubuli sono organizzati in modo da formare una gabbia. Alcuni microtubuli
(microtubuli polari) vanno da un polo al centro della cellula, ove le loro estremità si sovrappongono a quelle di altri
microtubuli che partono dall'altro polo del fuso, formando un'ampia zona di sovrapposizione. Altri microtubuli
(microtubuli del cinetocore) vanno da ciascuno dei due poli del fuso ad un cromosoma, dove si attaccano ai due lati del
centromero. Il punto d'attacco è il cinetocore.
Ogni centromero ha due facce cinetocoriche, una per cromatidio fratello, ad ognuna si attaccano in media da 15 a 35
microtubuli provenienti dagli opposti poli del fuso.

METAFASE
Per mezzo dei microtubuli, i cromosomi sono portati verso il centro della cellula. Si forma cosi la piastra metafasica o
piastra equatoriale, con i cromosomi distribuiti nel piano centrale della cellula. Non c’è un confine distinto fra profase e
metafase: i cromosomi si condensano gradualmente e gradualmente formano la piastra metafasica.
Alla fine della metafase, viene sintetizzato un enzima che si chiama separasi e questo degrada la coesina, causando la
separazione dei cromatidi fratelli di ogni cromosoma (divisione del centromero).

ANAFASE
L'anafase inizia subito dopo la degradazione della coesina ad opera della separasi, evento che causa la liberazione delle
due facce cinetocoriche di ogni cromosoma parentale. I microtubuli collegati ai cinetocori si accorciano,
depolimerizzandosi alle estremità prossime ai poli del fuso, allontanando ogni cromosoma figlio dal suo gemello grazie
all'intervento di proteine motrici chiamate dineine che cooperano allo spostamento dei cromatidi verso i poli
mantenendoli ancorati al microtubulo in accorciamento.

TELOFASE
Non appena i cromosomi (ognuno formato da un solo cromatidio) raggiungono le estremità del fuso, vicino ad essi
appaiono frammenti di membrana nucleare che si uniscono insieme a formare involucri nucleari completi ad ognuno dei
due poli della cellula. I cromosomi iniziano a decondensarsi. Gradualmente, man mano che i geni ribosomali divengono
attivi si formano i nuovi nucleoli. Il fuso si depolimerizza completamente e scompare.

CITODIERESI
La divisione del protoplasto è molto più semplice di quella del nucleo. La distribuzione casuale degli organelli nel
citoplasma della cellula parentale fa sì che ciascuna delle due cellule figlie ne riceva almeno alcuni di ogni tipo. Non è
necessario che ciascuna cellula figlia riceva esattamente la metà degli organelli della cellula parentale. Infatti, i
mitocondri o i plastidi possono dividersi, o i frammenti di reticolo endoplasmatico possono crescere, fino a quando ogni
cellula figlia non ne possegga una quantità adeguata.

Nelle piante, la citodieresi comporta la formazione di un fragmoplasto costituito da un insieme di corti microtubuli, e
filamenti di actina, allineati parallelamente a quelli che costituivano l'assetto citoscheletrico precedente, cioè il fuso
mitotico.
Il fragmoplasto si forma nella cellula parentale nella zona precedentemente marcata dalla banda preprofasica. I
microtubuli del fragmoplasto, che compaiono all'inizio della telofase, intrappolano probabilmente per aiuto di proteine
motrici, vescicole dittiosomiche (vescicole di secrezione provenienti dall'apparato del Golgi e contenenti pectine e/o
emicellulose) che poi si fondono in una grande vescicola piatta, in cui si iniziano a formare la lamella mediana, comune
alle due cellule figlie e successivamente, le due nuove pareti primarie, una per ogni cellula figlia. In seguito, il
fragmoplasto cresce in direzione centripeta verso le pareti della cellula madre. Nuovi microtubuli polimerizzano ai bordi
esterni del fragmoplasto, mentre depolimerizzano all'interno. Nel frattempo nuove vescicole si aggiungono ai bordi di
quella iniziale, che cresce anch'essa verso l'esterno seguendo il fragmoplasto. Durante la fusione delle vescicole si

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formano contemporaneamente anche i plasmodesmi, come segmenti del reticolo endoplasmatico intrappolati fra di esse.
Il fragmoplasto, la vescicola, e le pareti in formazione costituiscono la piastra cellulare. Il processo continua fino a che la
grande vescicola non incontra il plasmalemma della cellula madre fondendosi con esso. Contemporaneamente, le due
pareti incontrano la parete della cellula madre e si fondono, completando la divisione della cellula parentale nelle due
cellule figlie.

Le cellule del cambio cribrovascolare, un meristema cosiddetto secondario, sono cellule allungate, con un rapporto
nucleo citosol decisamente diverso rispetto a quello delle cellule meristematiche, perché vi è un citosol più abbondante.
Esse hanno un grande vacuolo, formano tessuti embrionali e quindi si devono dividere perché dividendosi determinano
l'aumento isodiametrico del fusto se sono localizzate nel fusto o nella radice.
Il vacuolo che è piuttosto voluminoso deve dividersi per consentire la divisione del nucleo (cariocinesi e anche
citodieresi); in questo caso non si ha la divisione che precedentemente era stata descritta. Si ha invece un'altra divisione
che vede coinvolta soprattutto la divisione del vacuolo e tale divisione si realizza attraverso il fragmosoma (non
confondere i termini: il fragmoplasto e il fragmosoma sono due cose diverse).

Il fragmosoma è un insieme di citoplasma e citoscheletro quindi microtubuli, filamenti di


actina e citoplasma; il nucleo viene spostato nel sito di divisione, ad esempio se la divisione è
simmetrica, il nucleo si sposta al centro della cellula e viene imbrigliato in cordoni di
citoplasma; tali briglie citoplasmatiche attraversano il vacuolo. Una volta localizzato al centro
il fragmosoma si accresce dal nucleo alla periferia e divide progressivamente in due il
vacuolo; mentre si accresce avviene la mitosi e successivamente si formano anche il
fragmoplasto e la piastra cellulare, che raggiungono il plasmalemma e la parete della cellula
madre: in tal modo avviene la citodieresi. Guardando ora la cellula dall'alto nel contesto del
ciclo cellulare: all'inizio della fase G1, quindi prima della duplicazione del DNA, il nucleo
migra al centro della cellula, dove viene ancorato mediante queste briglie citoplasmatiche che
attraversano i comparti verdi (vacuolo); a questo punto tali briglie si fondono e formano una
lamina di citosol (che contiene anche microtubuli e microfilamenti) che taglia la cellula
secondo il piano di divisione cellulare: questa lamina è il fragmosoma. Le due cellule sono quindi orientate di 90° l'una
rispetto all'altra. Mentre questo si forma avviene la mitosi, successivamente si abbozza la formazione del fragmoplasto
con i suoi microtubuli corti che guidano le vescicole del Golgi a formare la piastra cellulare che si accresce; il
fragmosoma si riduce e la piastra si fonderà con la parete cellulare preesistente dando origine alla citodieresi (due cellule
con 2 nuclei).

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MICROCORPI
Tutte le cellule eucariotiche presentano, se osservate al microscopio elettronico, numerosi corpuscoli sferici, di circa
0,5-1,5 micrometri di diametro, circondati da una membrana singola, privi di membrane interne, di DNA, RNA e di
ribosomi, ma ricchi di proteine: i microcorpi.
Sono distinti in due classi, che hanno funzioni diverse:
- gliossisomi: rinvenuti delle piante e cosi denominate perché contenenti enzimi del ciclo del gliossilato.
- perossisomi: per indicarer il loro coinvolgimento nel metabolismo dell’ 𝐻2𝑂2.

I microcorpi, in generale, hanno delle funzioni in comune: degradazione dell’H2O2, beta-ossidazione degli acidi grassi,
catabolismodegli aminoacidi a catena ramificata.

Gliossisomi
I gliossisomi si trovano, sia nei tessuti di riserva come nelle cotiledoni (es: endosperma durante la crescita post-
germinativa delseme oleoso come le arachidi, girasole, noce di cocco), sia negli organi senescenti. Gli enzimi in essi
contenuti sono quelli del ciclo del gliossilato e della beta-ossidazione degli acidi grassi, per cui essi giocano un ruolo
fondamentale nella conversione dei lipidi in saccarosio.

Perossisomi
Nell’organismo avvengono spesso reazioni che producono acqua ossigenata o perossido di idrogeno, che è una specie
chimica molto reattiva e potenzialmente pericolosa. I perossisomi agiscono tramite catalasi andando a convertire il
composto in acqua e ossigeno, proteggendo la cellula da potenziali danni.
Queste reazioni chimiche avvengono servendosi di O2, che reagendo con i substrati produce perossido di idrogeno.

Il processo fotosintetico può essere influenzato negativamente (fino al 25-30%) dal processo della fotorespirazione (che
spesso avviene con alte temperature, aridità, abbassamento della concentrazione di CO2); il processo parte sempre dalla
rubisco. I composti tossici prodotti possono essere detossificati dai microcorpi.
I perossisomi a localizzazione fogliare, detti “perossisomi fogliari” contengono una parte degli enzimi coinvolti nel
metabolismo fotoresporatorio del glicolato; poiché questa via metabolica coinvolge numerosi enzimi, alcuni dei quali
sono localizzati nel cloroplastoe nel mitocondrio, i perossisomi fogliari si localizzano nelle vicinanze dei mitocondri o
dei cloroplasti.

È ben documentata la presenza nelle piante di perossisomi che contengono enzimi di vie metaboliche specializzate (per
esempio l’ossidazione delle purine), e l’esistenza di una popolazione di perossisomi di funzione incerta, detti
“perossisomi non specializzati”, e si trovano in tessuti non fotosintetici e privi di riserve lipidiche. Essi sono più piccoli
e meno numerosi di quelli fogliari, sono per lo più liberi o associati soltanto al reticolo endoplasmatico ruvido.
Altre funzioni per i perossisomi non specializzati, consistono nella produzione di molecole segnale (per esempio:
acido jasmonico), nella foto morfogenesi e nella costruzione della piastra cellulare, sia attraverso la regolazione della
produzione di H2O2 nella parete neoformata, sia, tramite la beta-ossidazione, nel riciclare l’eccesso di membrana dalle
vescicole secretorie.

Le proteine enzimatiche dei


perossisomi, non avendo questi
né DNA, né il macchinario
proteico, devono essere
importate. Queste vengono
sintetizzate dai ribosomi
citoplasmatici come precursori
di peso molecolare maggiore
della proteina matura, perchè
devono avere dei segnali di
indirizzo che attualmente sono
stati ben caratterizzati.

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CITOSCHELETRO
Il citoscheletro è una rete altamente dinamica che si riorganizza continuamente nei cambiamenti di forma, nella
divisione, nel differenziamento, nella crescita e nella polarità della cellula; interviene anche nella comunicazione tra
cellule attraverso i plasmodesmi e quindi riveste un ruolo primario nella morfogenesi delle piante.
La morfogenesi, dipende dall’orientamento del piano di divisione della cellula durante la mitosi, dalla deposizione
attorno a quel piano della parete, che rende la cellula immobile, durante la citochinesi e dalla direzione della crescita per
distensione nell’interfase. Sistemi citoscheletrici specifici accompagnano ogni tappa dell’avvio della morfogenesi nelle
piante: la banda preprofasica, il fragmoplasto e il sistema dei microtubuli corticali.

I MICROTUBOLI sono gli elementi citoscheletrici più


abbondanti e più facilmente studiabili. Compiono varie funzioni in
dipendenza della loro associazione e della regolazione da parte di
proteine cui sono associati. Sono i principali responsabili della
forma della cellula vegetale della quale orientano l’accrescimento
per distensione. Se assemblati in maniera organizzata funzionano
come un’antenna che cattura le vescicole, guidandole in siti
cellulari, o ricoprendo una zona impedendo l’accesso alle
vescicole stesse.
I microtubuli, inoltre, sono le strutture che consentono la segregazione dei cromosomi durante la mitosi e la meiosi e il
movimento di nuclei interi, di microtubuli ed altri organuli, nonché la citodieresi partecipando alla costruzione della
nuova parete.
i microtubuli sono cilindri vuoti e sottili di 24nm di diametro, composti
principalmente di eterodimeri di alfa e beta tubulina che “in vivo” auto-
polimerizzano in 13 protofilamenti che si riuniscono a formare un
microtubulo. Un terzo tipo di tubulina (la gamma tubulina), presente nel
nucleo e nel citoplasma, serve da stampo per la nucleazione ed
organizzazione di questi filamenti. Si pensa che i microtubuli si siano
evoluti dalla proteina FtsZ, essenziale per la divisione procariotica (teoria
endosimbiontica)

Strutture dinamiche, potrebbe predominare la polarizzazione o la


depolarizzazione alle estremità delle strutture.
La capacità che i microtubuli hanno nel compiere varie funzioni è
relazionata sia alle proprietà del microtubulo stesso, sia
all’associazione con diversi elementi cellulari quali le proteine
associate ai microtubuli e il centro di nucleazione ed organizzazione
dei microtubuli (nelle cellule vegetali non ci sono i centrioli).

In tutti gli animali ed in alcuni funghi e alghe (ma non nelle piante)
vi è una coppia di organuli, detti centrioli. È associata alla
formazione del fuso. Un centriolo è costituito da 9 gruppi di tre
microtubuli corti e lenove triplette sono tenute insieme da sottili
raggi proteici; erano considerati i responsabili dell’organizzazione e
della polimerizzazione dei microtubuli del fuso, sebbene non fossero
stati osservati nelle piante.

Attualmente, tuttavia, si sospetta che i centrioli non siano


implicati nella formazione del fuso, neanche negli animali.

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I MICROFILAMENTI sono costituiti da F actina, una struttura polimerica filamentosa di diametro medio 7nm
derivata dall’auto-assemblaggio di un monomero, la proteina globulare G actina. Come i microtubuli, i microfilamenti
hanno una polarità funzionale: l’addizione e la perdita delle sub-unità sono differenti alle due estremità del filamento,
distinte in una “plus-end” (estremità che cresce velocemente) e in una “minus-end” (estremità che cresce lentamente).
La dinamica dei microfilamenti dipende (analogamente ai microtubuli) dalla varietà di proteine leganti la F actina
presenti nel citoplasma di ciascuna cellula, della loro distribuzione spaziale e dalla loro attivazione locale.
I microfilamenti, tramite le proteine ad essi legate, ricevono e trasducono vari segnali e dall’altra
riarrangianol’architettura del citoplasma in base alle informazioni ricevute.

Ad esempio, sono riorgannizzati, insieme ai microtubuli, nel tubetto pollinico in fase di accrescimento, dove sono
presenti anche le proteine in grado di generare movimento associandosi agli elementi del citoscheletro, quali la miosina
(associata ai microfilamenti) e la kinesina (associata ai microtubuli).
Una volta che il grano pollinico atterra sulla parte apicale del pistillo, chiamato stigma, vi è la fase di riconoscimento
tra il maschio e la femmina (tra il grano pollinico e le cellule del tessuto femminile). In caso di compatibilità il grano
pollinico germina, fa quindi una crescita apicale in cui forma una estroflessione, chiamata tubetto pollinico che cresce
dalla parte apicale del pistillo fino alla sua base in cui c’è la cellula uovo.
Durante la fase di crescita c’è una riorganizzazione del citoscheletro all’interno del tubetto pollinico in cui si trovano
proteine che generano movimento di organuli e vescicole sfruttando gli elementi del citoscheletro sui quali le proteine
motrici si muovono. La miosina ad esempio è associata ai microfilamenti, ma sui microtubuli si trovano le kinesine
che si muovono come bipedi, trasportando un carico (vescicola o organello).

I movimenti sono mediati da proteine motrici (o motori proteici).

La kineina si sposta verso l’estremità plus-


end dei microtubuli, mentre la dineina si
muove sempre sui microtubuli, ma verso
l’estremità minus-end (in direzione
opposta e che depolimerizza)
Le due proteine condividono una
organizzazione strutturale simile: braccia
che legano un cargo e teste motrici che si
muovono lungo i microtubuli, con un sito
di legame per ATP che viene idrolizzato
ogni volta che la proteina si muove. Il
movimento dunque ha un costo in termini
energetici.

Si hanno inoltre movimenti mediati dai microfilamenti costituiti da F actina e dal motore miosina (una proteina
motrice): movimenti di due filamenti l’uno rispetto all’altro con la miosina con teste motrici, le quali eseguono
movimenti di flessione simili a quelli del braccio sull’avambraccio. In questo modo trascina il microfilamento che
viene spostato nel filamento sottostante in cui avviene lo stesso tipo di movimento ma in senso opposto.
Esistono diversi tipi di miosine che generano diversi tipi di movimento utilizzando come struttura di riferimento
sempre i microfilamenti.
Alcune miosine possono determinare lo scorrimento di un microfilamento sopra ad un altro microfilamento, associarsi
a delle vescicole e determinarne il loro movimento lungo i microfilamenti, determinare lo spostamento di un
microfilamento lungo la membrana plasmatica.

Organelli diversi portano motori differenti: ci sono organelli che utilizzano le kinesine e quindi si spostano
lungo i microtubuli e organelli che utilizzano il sistema dei filamenti di actina per muoversi, utilizzando in
questo caso come motori le miosine.

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I motori sono coinvolti anche nella divisione cellulare e quindi lo scorrimento dei microtubuli che sono
parzialmente sovrapposti vede coinvolti vari tipi di motori che partecipano alla dinamica di queste strutture.
Ad esempio i motori plus-end-directed motor protein diretti
verso le estremità che crescono velocemente e altri invece
diretti verso le estremità che crescono più lentamente.

Ci sono motori che si associano ai microtubuli che


spostano i cromosomi, come i minus- end-directed
motor proteins e sono delle dineine. I plus-end-motor
protein patecipano anch’essi al movimento dei
cromosomi.
Quando avviene un movimento all’interno della cellula
generalmente è sempre mediato da queste proteine
motrici.

In sintesi: il fragmoplasto vede coinvolti i microtubuli e i microfilamenti nella formazione della piastra cellulare. I
microtubuli guidano le vescicole a formare la piastra, una volta formata depolimerizzano e ripolimerizzano
perifericamente formando nuove vescicole, fino al completamento della piastra e alla formazione della nuova
parete.

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ISTOLOGIA

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La transizione dagli organismi unicellulari a quelli pluricellulari, passaggio fondamentake nella storia della vita,
potrebbe essere stata rapida, rapidissima. Il passaggio alla vita pluricellulare non consiste semplicemente
nell’aggregarsi di più cellule, ma nell’organizzazione di una struttura in cui le singole unità comunicano tra loro e in
cui vengono raggiunte via via funzionalità di alto livello, assegnando alle diverse parti compiti e comportamenti tra
loro complementari.

Durante l’evoluzione certi organismi unicellulari si sono aggregati, formando organismi più complessi quali:
• Cenobi: colonie in cui certi componenti possono specializzarsi secondo il principio di divisione del lavoro;
alcuni esempi sono:
1. Anabaena circinali: le cellule più grandi e tonde sono specializzate nell’organicazione dell’azoto
2. Pediastrum boryanum: è un eucariote unicellulare che si riproduce mediante zoospore
3. Volvox: è un’alga verde sferoidale vuota al centro, con molti individui unicellulari sulla superficie che
contengono organuli fotosintetici; è una specie di colonia mobile con divisione del lavoro
• Organismi pluricellulari: le cellule formano talli o cormi in cui la divisione del lavoro può essere molto
specializzata

I tessuti sono complessi di cellule formatesi per divisione nelle 3 dimensioni dello spazio a partire da 1 o poche
cellule madri. Le cellule derivate restano unite grazie alla lamella mediana e comunicano tramite i plasmodesmi.
Inoltre un tessuto è formato da cellule con uguale morfologia e funzione (cioè è omogeneo); sono tipici delle piante
superiori.
Negli organismi inferiori (alghe e funghi) ci sono PSEUDOTESSUTI, in cui le cellule iniziali si dividono secondo
1 o 2 dimensioni dello spazio, quindi non formano la rete cellulare tridimensionale tipica dei veri tessuti (nei funghi
una cellula che si divide lungo 1 dimensione origina un’ifa, le cui cellule impilate hanno connessioni simili ai
plasmodesmi ma le varie ife non comunicano tra loro; nelle alghe le cellule iniziali si dividono lungo 2 dimensioni
formando delle lamine che originano talli di tipo foglioso).

I tessuti delle piante superiori sono di 2 tipi:


1. MERISTEMATICI (o embrionali)
- Meristemi primari
- Meristemi secondari
2.ADULTI (o definitivi)
-Tessuti Tegumentali
-Tessuti Parenchimatici
-Tessuti Secretori
-Tessuti Meccanici
-Tessuti Conduttori

Ogni cellula vegetale è totipotente, cioè le sue cellule figlie possono differenziarsi in ogni tipo di cellula, dando origine
a tessuti diversi; inoltre possono sdifferenziarsi e ridifferenziarsi.

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TESSUTI MERISTEMATICI
I tessuti meristematici si moltiplicano in continuazione e danno origine a nuovi tessuti adulti; alcune cellule però escono
da questo ciclo e iniziano a specializzarsi, originando nuovi tessuti maturi (a volte il differenziamento può essere
estremo e portare alla morte della cellula, che tuttavia in questo modo svolge al meglio la sua funzione).
I tessuti meristematici sono presenti per tutta la vita della pianta, che quindi ha un accrescimentoindefinito.
Le cellule meristematiche sono piccole e il rapporto nucleo/citosol è molto alto (infatti tra le varie cellule praticamente
non ci sono spazi intercellulari).

I tessuti meristematici si trovano alle estremità della pianta (i meristemi primari) e a livello del fusto (i meristemi
secondari).
- I meristemi localizzati alle estremità sono detti apicali e si trovano nella gemma apicale, all’apice del fusto, e in
prossimità dei punti in cui si vanno a formare le radici laterali; in quest’ultima località i tessuti meristematici
contribuiscono alla formazione delle radici stesse. All’apice delle radici vi è la zona meristematica protetta dalla
cuffia radicale (una struttura conica terminale), in cui è molto intensa la colorazione rossa. Il tessuto
meristematico è delicatissimo e va quindi protetto dalla cuffia che ha il compito di limitare gli attriti con il
terreno. È da ricordare, inoltre, che nella cuffia radicale vi sono anche le strutture in grado di recepire la
direzione di gravità.
I meristemi apicali (primari) son i responsabili della crescita in altezza e in profondità della pianta, in quanto la
divisione cellulare delle cellule meristematiche provoca l’aumento delle dimensioni in lunghezza.
- Se facessimo una sezione trasversale nel fusto, noteremmo due anelli concentrici costituiti da pochi strati di
cellule meristematiche. In questo caso le cellule vanno a formare il Cambio-Vascolare (anello più interno) e il
Cambio del Sughero (anello più esterno).
I meristemi (secondari) in queste zone sono i responsabili della crescita in larghezza (in spessore) della pianta.

I tessuti meristematici, tessuti embrionali, sono molto importanti per le piante che possiedono uno sviluppo che porterà
a strutture di tipo arboreo.

I meristemi primari sono presenti fin dalla formazione della giovane plantula e rimangono presenti per tutta la vita della
pianta determinando la sua crescita e per questo sono detti “primari”; diversamente i meristemi secondari si formano
successivamente per sdifferenziamento di alcune cellule già differenziate (si tratta proprio della plasticità delle cellule
vegetali che possono sdifferenziare e tornare totipotenti).

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MERISTEMI PRIMARI
I meristemi primari sono presenti sin dai primi stadi di sviluppo embrionale, accompagnano la pianta durante tutta la
sua vita, partecipano all’allungamento del corpo della pianta e vengono distinti in:
- Meristemi apicali: si trovano all’apice del fusto e all’apice delle radici, laddove partono le radici laterali.
- Meristemi intercalari o residui: si trovano nei nodi, zone da cui si sviluppano giovani germogli e foglie (la zona
che divide due nodi si chiama “internodio”). Nella pianta di Bambù, ad esempio, si notano molto bene gli anelli
costituenti i nodi della pianta.

MERISTEMI APICALI
Le cellule meristematiche apicali si dividono inizialmente in modo ineguale, asimmetrico: dalla loro divisione derivano
cellule figlie che presentano dimensioni diverse e questo è strettamente correlato alla formazione della banda
preprofasica (se si forma non in posizione centrale darà origine ad una citodieresi asimmetrica). Successivamente
queste cellule derivate si dividono a loro volta, ma lo fanno in maniera simmetrica. Le cellule figlie, quindi, subiscono
una crescita per distensione e poi si differenziano e specializzano in un elemento maturo e definitivo, tipico di ciascun
tessuto.
A seconda del tipo di pianta, la situazione del suo meristema apicale sarà diversa.

Nelle briofite e nelle pteridofite (ad esempio nei muschi o nelle


felci) vi è un’unica cellula iniziale nel meristema apicale e
radicale che andrà a dividersi in modo ineguale e a seguito le
divisioni saranno simmetriche.

Nelle spermatofite vi sono numerose cellule iniziali nel meristema


apicale caulinare e radicale. Se prendessimo il germoglio di una
spermatofite e ne facessimo una sezione trasversale o longitudinale,
noteremmo ciò che è mostrato in foto: a sinistra la sezione
longitudinale e a destra quella trasversale

Le cellule embrionali hanno un alto rapporto nucleo/citosol: il nucleo è molto grande rispetto al volume cellulare.
Questo è tipico dei tessuti embrionali. Quando poi queste cellule dovranno differenziarsi, prima di farlo dovranno
espandersi notevolmente modificando le dimensioni del volume (il rapporto nucleo/citosol diminuisce drasticamente).

Anche nel meristema apicale radicale vi sono cellule


con un alto rapporto nucleo/citosol. Al centro del
meristema apicale radicale vi è una zona (4) in cui le
divisioni avvengono apparentemente meno
frequentemente e costituisce una riserva di cellule
meristematiche. L’apice radicale è suddivisibile in
varie zone che andranno ad originare il cilindro
centrale, la corteggia, il tegumento e la cuffia.

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MERISTEMI INTERCALARI
I meristemi intercalari, come già detto, sono localizzati nei nodi; queste strutture sono molto evidenti, ad esempio, nelle
piante della famiglia delle graminacee o nella pianta del bambù. Nei nodi il fusto risulta ingrossato e da essi nascono i
germogli. Inoltre, i meristemi intercalari danno origine agli internodi e ne determinano l’allungamento.

MERISTEMI SECONDARI
I meristemi secondari sono cosi chiamati perché si formano in un secondo tempo della vita della pianta per ripresa di
attività di divisione di cellule che erano già differenziate (es. tessuti parenchimatici) che daranno origine,
sdifferenziandosi tornando totipotenti e ri-differenziandosi, al corpo secondario della pianta. Potrebbero divenir parte di
elementi cellulari differenti da quelli originali. Esistono diversi tipi di meristemi secondari:
- Cambio Cribro-Vascolare (prima indicato come Cambio-Vascolare)
- Cambio Subero-Fellodermico (prima indicato come Cambio del Sughero)
- Meristemi Avventizi
- Meristemoidi

CAMBIO CRIBRO-VASCOLARE E CAMBIO SUBERO-FELLODERMICO


Le cellule del Cambio sono cellule ben riconoscibili, allungate e filiformi (sono infatti dette “iniziali fusiformi”), quindi
non sono caratterizzate da un rapporto nucleo/citosol particolarmente elevato. Queste cellule possono dividersi
seguendo diverse modalità:
- Divisione periclinale: secondo un piano di simmetria parallelo alla
superficie del fusto o della radice più vicina della pianta; in questo
caso verranno prodotte cellule che risiederanno all’esterno o
all’interno dell’anello del fusto, garantendo l’inspessimento del fusto
stesso.
- Divisione anticlinale: secondo un piano di simmetria perpendicolare
alla superficie del fusto più vicina della pianta; in questo caso la
divisione produce nuove cellule meristematiche che andranno ad
aumentare le dimensioni dell’anello di divisione che dovrà seguire
l’inspessimento isodiametrico del fusto o della radice.
In altre parole, l’aumento delle dimensioni dell’anello (in termini
d’inspessimento) dovuto alla divisione periclinale, implica il bisogno di avere
più cellule all’interno di esso. Questa mancanza numerica è colmata grazie alla divisione anticlinale, che garantisce un
aumento delle cellule all’interno dell’anello.
- Divisione trasversale: le cellule che effettuano questa divisione sono le cellule che daranno poi origine ai raggi
midollari.

Questa immagine spiega la modalità di divisione periclinale. Vi è una


cellula che, per divisione con piano di scissione parallelo alla superficie,
genera due cellule: una (quella bianca) rimane meristematica
secondaria, un’altra (quella scura) si differenzia in un elemento del
tessuto vascolare (Xilema) e sta all’interno. Successivamente la cellula
meristematica generata subisce una divisione periclinale uguale a quella
della prima cellula, andando a generare nuovamente due cellule: una
(quella bianca) rimane meristematica secondaria, un’altra (quella a
pallini) si andrà a trovare esternamente e andrà a costituire un elemento
del tessuto conduttore floematico, che trasporta la linfa elaborata dalle
foglie fino alle radici. Il processo, come mostra l’immagine, continua.
L’accumulo delle cellule di Xilema (elementi forti, lignificati)
determina un aumento dello spessore del fusto o della radice e anche
uno spostamento progressivo verso l’esterno di cellule meristematiche
cambiali.

Le cellule dello Xilema sono cellule differenziate che vanno in apoptosi, dunque le cellule del meristema che si
differenziano in cellule dello Xilema sono destinate a morire. Le cellule del Floema, estremamente differenziate,
quando sono mature non muoiono, restano vive, e presentano un nucleo degenerato; hanno bisogno della collaborazione
di alcune cellule vicine, chiamate “cellule compagne” che assolvono tutti i metabolismi con la loro attività nucleare, di
cui necessitano questi elementi conduttori de Floema. Ogni anno il Floema va riformato in quanto, essendo costituito da
cellule molto delicate, al momento dell’accrescimento di spessore della pianta, vengono schiacciate.

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La divisione periclinale da origine, ad esempio, ad
elementi del legno; per questo motivo il Cambio Cribo-
Vascolare è spesso chiamato Cambio Cribo-Legnoso. La
freccia nell’ immagine mostra chiaramente un tessuto
caratterizzato da piccole cellule di forma schiacciata
affiancate ad altre cellule molto più voluminose. Queste
piccole cellule del Cambio daranno origine ad elementi
che poi verso l’interno differenzieranno in elementi dei
vasi legno: cellule morte cave che trasportano la linfa dalle
radici fino alla chioma della pianta. Verso la parte esterna,
rivolta verso la superficie del fusto, le cellule andranno
differenziandosi in altri elementi del tessuto conduttore
floematico oppure del tessuto cribroso, importanti in
quanto trasportano la linfa elaborata dalle foglie verso le
strutture che necessitano materiale energetico (ad esempio
le radici).

Nell’immagine è rappresentato il Cambio Subero Fellodermico. Vi sono


cellule schiacciate (indicate dalla graffa centrale) che si stanno
dividendo e daranno origine, per progressivo differenziamento, a
elementi diversi del subero. Differenziandosi verso l’esterno le cellule
perdono la loro tonicità, assumono forme irregolari, accumulano
pigmenti antimicrobici naturali ed effettuano un isolamento termico e
biologico; questi elementi sono ben riconoscibili nella parte alta
dell’immagine. Differenziandosi verso l’interno, invece, danno origine
ad elementi del Felloderma (tessuto parenchimatico secondario)
tondeggianti con visibili spazi intercellulari.

MERISTEMI AVVENTIZI
Si possono formare in punti diversi della pianta, soprattutto in riparazione a ferite (meristemi cicatriziali): le cellule
localizzate nei pressi della ferita iniziano a dividersi e a formare un callo che rimargina la lesione. Il callo (si può creare
anche in laboratorio) eventualmente potrebbe dare origine a nuovi organi e piante.

MERISTEMOIDI
Formati da una a poche cellule, danno origine a piccole strutture. Un esempio sono le cellule che si originano per
sdifferenziamento di cellule epidermiche e che poi divengono stomi o peli del tessuto connettivo della pianta.

Perdendo le qualità meristematiche, le cellule perdono la capacità di dividersi continuamente: si distendono e


espandono aumentando di volume e successivamente si differenziano nei diversi tessuti adulti, chiamati anche
permanenti o definitivi.

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TESSUTI ADULTI
I tessuti adulti sono definiti primari o secondari a seconda che derivino da meristemi primari o secondari. Se
prendessimo una sezione trasversale di una foglia o di un fusto, vedremmo diversi tipi di tessuti distinguibili in 5 tipi
diversi:
-Tessuti Tegumentali
-Tessuti Parenchimatici
-Tessuti Secretori
-Tessuti Meccanici
-Tessuti Conduttori

TESSUTO PARENCHIMATICO
In generale, il parenchima è caratterizzato da elementi cellulari con parete sottile e spazi intercellulari (che sono
importati per l’attività fisiologica dei tessuti stessi). Vi sono vari tipi di tessuto parenchimatico, tutti formati da cellule
vive.
- Parenchima clorofilliano (o clorenchima);
- Parenchima di riserva;
- Parenchima acquifero;
- Parenchima aerifero (o aerenchima);
- Parenchima conduttore;
- Parenchima di trasporto (o di trasfusione).

PARENCHIMA CLOROFILLIANO
È presente nelle foglie e nei giovani fusti verdi ed è caratterizzato da
cellule ricche di cloroplasti in quanto è un tessuto deputato alla
funzione fotosintetica. Se facessimo una sezione trasversale di una
foglia, noteremmo subito il tessuto tegumentale, gli stomi e, nella
parte centrale, il parenchima clorofilliano. Il clorenchima forma due
strutture diverse: nella parte superiore vi sono numerose cellule
allungate e appressate tra loro (“cellule a palizzata”), mentre nella
parte sottostante le cellule, non appressate, hanno una forma tale da
formare numerosi spazi intercellulari, importanti per la presenza degli
stomi sottostanti attraverso i quali entra l’aria che si dirige verso il
tessuto parenchimale soprastante (tessuto lacunoso) e in tutta la foglia.
Il parenchima clorofilliano è quindi ricco di cloroplasti, soprattutto
nella parte alta nelle cellule a palizzata, in corrispondenza delle quali
la foglia presenta una colorazione verde più accesa.

PARENCHIMA DI RISERVA
È caratterizzato dall’accumulo nelle sue cellule di sostanze di riserva (nel vacuolo, nei leucoplasti o talvolta nelle
pareti). Come già detto, il parenchima di riserva può trovarsi anche nelle pareti. In questo caso le pareti sono inspessite
e arricchite da emicellulose.

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PARENCHIMA AERIFERO
In questa foglia di ninfea (che galleggia
sulla superfice dell’acqua) si vede lo strato
di epidermide superiore cui segue il
tessuto parenchimale a palizzata e un
tessuto lacunoso con spazi talmente grandi
che prende il nome di Aerenchima.

È caratterizzato da spazi intercellulari


molto ampi utili per l’approvvigionamento
di ossigeno, (soprattutto per i tessuti
carenti di tale elemento) e per il
galleggiamento delle foglie. Queste
strutture di galleggiamento sono molto
funzionali, le foglie possono essere anche
molto grandi come ad esempio nella
ninfea tropicale Victoria amazonica, le cui
foglie riescono a sostenere anche un
bambino.
Dal punto di vista meccanico, il tessuto,
essendo “arieggiato”, è poco resistente
alle sollecitazioni; per compensare questa mancanza sono presenti degli elementi del tessuto meccanico che formano
delle strutture a reti.
Il tessuto parenchimale aerifero lo troviamo molto spesso in piante per le quali risulta difficile lo scambio gassoso, che
magari sono immerse in acqua.
In altre situazioni, come per la pianta di mais, il tessuto aerenchimale risulta importante in quanto la pianta, nonostante
sia terrestre, si trova in zone che potrebbero allagarsi.
In presenza della luce, anche l’attività fotosintetica è favorita da questo tessuto, in quanto consente il circolo anche
dell’anidride carbonica.

ATTENZIONE. Il clorenchima presenta il tessuto lacunoso con spazi abbastanza ampi, ma non tanto grandi quanto
quelli del aerenchima: sono due tessuti diversi.

PARENCHIMA ACQUIFERO
Il parenchima acquifero può essere considerato un particolare parenchima di riserva solo che in questo caso le riserve
sono grandi quantità di acqua che vengono accumulate all’interno delle cellule caratterizzate da pareti cellulari molto
sottili e spazi intercellulari.
Si trova soprattutto nelle piante succulente (Cactus), i cui vacuoli occupano quasi tutto il
volume cellulare poiché sono pieni d’acqua. Per trattenere l’acqua si servono di sostanze
pectiche e mucillagini, poiché, essendo zuccheri che si idratano facilmente, legano l’acqua e
la trattengono.
Nelle foglie dell’Aloe c’è un gel, poiché i polisaccaridi sono formati da varie catene, tra
cui l’acido galatturonico, che lega le molecole d’acqua grazie all’attrazione elettrostatica prodotta dai cationi che lo
possono accompagnare. Questi polimeri zuccherini creano un reticolo gelificato, all’interno del quale le molecole
d’acqua formano un gel trasparente, bloccandone così l’evaporazione.

PARENCHIMA CONDUTTORE
È un parenchima dotato di cellule vive. Alcune volte la parete di queste cellule
parenchimatiche risulta ispessita ma la maggior parte delle volte è sottile. Serve per
trasportare le sostanze a media distanza, cioè le cellule effettuano un trasporto radiale,
perpendicolare allo xilema e al floema, tramite i RAGGI MIDOLLARI, che separano i
cordoni del tessuto conduttore. Essi sono formati da cellule vive, che effettuano il trasporto
tramite plasmodesmi (quindi l’efficienza di questo parenchima è minore di quella del tessuto
conduttore). Le strutture simili a pacchetti che sono distribuiti lungo una circonferenza si
chiamano fasci e sono le sedi dei tessuti conduttori: in rosso lo xilema e la parte poco colorata
è il floema. Fra un fascio e l’altro vi è uno strato di cellule parenchimali che vanno a
costituire i raggi midollari e quest’ultimi permettono la conduzione in senso radiale
nell’ambito del fusto: dalla zona corticale al midollo e viceversa.

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PARENCHIMA DI TRASPORTO
Serve per trasportare le sostanze a breve distanza; le cellule parenchimatiche sono adiacenti ai
tessuti conduttori del floema (che effettua il trasporto della linfa elaborata dalle foglie alle
radici), che si serve di TUBI CRIBROSI, e vi riversano i metaboliti. Esse sono dette
CELLULE COMPAGNE, perché lavorano in associazione col floema, in quanto fanno
entrare gli zuccheri prodotti dalla fotosintesi contro gradiente di concentrazione nei tubi
cribrosi grazie ai loro plasmodesmi molto ramificati e per aumentare la superficie di contatto
tra le cellule compagne e i tubi cribrosi la parete di queste cellule si ripiega.

TESSUTO TEGUMENTALE
I tessuti tegumentali proteggono i tessuti sottostanti e sono divisi in:
• Primari: derivano da meristemi primari
• Secondari: derivano da meristemi secondari
Possono essere esterni o interni:
- Epidermide: è il più esterno ed è primario; avvolge le foglie e il corpo primario del fusto
- Rizoderma: esterno e primario; riveste la radice
- Esoderma: primario; nelle parti più mature della radice si forma all’interno del rizoderma.
- Endoderma: interno e primario; rappresenta un filtro selettivo degli ioni al passaggio delle soluzioni assorbite
dai peli radicali, quindi si trova nelle radici e circonda il tessuto vascolare.
- Sughero: esterno e secondario; sostituisce l’epidermide e il rizoderma in seguito all’accrescimento
secondario in spessore del fusto e della radice

EPIDERMIDE
L’epidermide svolge varie funzioni:
• protezione contro la perdita d’acqua
• protezione contro fattori abiotici (agenti atmosferici) e biotici (es: patogeni)
• relazione con l’ambiente
• assorbimento (nelle piante che non hanno strutture radicali sviluppate)

Le cellule epidermiche devono isolare l’ambiente interno da quello esterno e soprattutto prevenire la perdita
d’acqua; L’epidermide è solitamente
monostratificata. Questo mono-strato di cellule ha
la parete impregnata di un materiale grasso
chiamato cutina, per questo motivo le pareti
tangenziali ma anche quelle radiali di queste cellule
sono cutinizzate (tuttavia, nell’epidermide inferiore
di una foglia bifacciale lo strato di cutina è meno
spesso); la cutina può anche formare uno strato
continuo più o meno spesso e amorfo detto
CUTICOLA (che è quindi lo stratopiù esterno).
Inoltre nel monostrato epidermico le cellule non
presentano spazi intercellulari per evitare la
traspirazione.
Tra le cellule dell’epidermide possono esserci CISTOLITI, cioè cellule ripiene di cristalli di carbonato
di calcio collegate alla superficie con un peduncolo, che sono una riserva di calcio e caratterizzano alcune
piante come il Ficus.
In alcuni casi le cellule epidermiche sono molto voluminose e sono perciò dette CELLULE BULLIFORMI;
esse contengono acqua, che possono rilasciare quando la pianta ne è in carenza e inoltre fanno accartocciare la
foglia, esponendola meno al sole e facendole quindi perdere meno acqua.

Sull’epidermide riconosciamo strutture molto importanti: stomi e tricomi.

Stomi
Spesso gli stomi sono localizzati sull’epidermide inferiore. Attraverso gli stomi avvengono scambi gassosi, importanti per
l’attivazione del metabolismo, e passa l’acqua che viene persa dalla foglia tramite l’evaporazione.
Quindi la CO2, necessaria per la fotosintesi, entra nella foglia attraverso gli stomi che sono in gran parte localizzati
nell’epidermide inferiore; ma quando la CO2 entra, contemporaneamente esce l’acqua attraverso il vapore acqueo e questa
perdita causa gravi problemi alle piante però la traspirazione se da una parte crea problemi dall’altra è un processo
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fondamentale perché la perdita di acqua attraverso la traspirazione crea la forza motrice per l’assorbimento dell’acqua da
parte delle radici.
Sono presenti molti stomi sull’epidermide con una distribuzione omogenea, la distribuzione sulla superficie
epidermica è controllata a livello genico ed è così precisa in quanto deve rispondere a delle funzioni ben precise:
ricambio gassoso fra l’ambiente esterno della foglia e l’ambiente interno. Sono distribuiti in modo che ogni stoma
possa garantire un adeguato ricambio gassoso a una certa superficie del lembo fogliare per far avvenire una corretta
fotosintesi.

Nelle foglie bifacciali essi sono localizzati nell’epidermide inferiore, ma al contrario di questo nele cellule di
guardia degli stomi sono presenti molti cloroplasti, poiché questi sono trasformatori di energia e l’energia serve
alle celluledi guardia per aprire o chiudere la rima stomatica.
Nelle foglie unifacciali, invece, gli stomi sono su entrambe le epidermidi e non si riconosce il parenchima a
palizzata (es: canna da zucchero, graminacee).
Anche l’ispessimento della parete ventrale delle cellule di guardia è funzionale al meccanismo di apertura/ chiusura
degli stomi, poiché in questo modo è più rigida.
Al di sotto delle cellule di guardia c’è una grande CAMERA SOTTOSTOMATICA, che consente un’efficiente
distribuzione dell’aria nel mesofillo.
In presenza di luce e acqua, gli stomi nella foglia fanno entrare i gas per produrre energia; inoltre l’acqua è liberata
attraverso gli stomi perché l’epidermide superiore è impermeabile.
Nelle graminacee ci sono STOMI A MANUBRIO, che si aprono perché le parti terminali si gonfiano.

Quando i vacuoli devono trattenere l’acqua la rima stomatica si chiude, mentre se devono espellerla, le cellule di
guardia si gonfiano, aprendo la rima, poiché la parete dorsale trascina quella rigida ventrale.

Meccanismo osmotico
Sulla membrana delle cellule di guardia ci sono dei trasportatori che legano gli ioni (principalmente ioni potassio)
contro gradiente di concentrazione e questi richiamano acqua, facendo aumentare il turgore del vacuolo e facendo
così aprire lo stoma (trasporto attivo). Viceversa, nel processo di chiusura, i vacuoli espellono ioni senza consumo
di ATP.
Le microfibrille di cellulosa avvolgono ad anello le cellule di guardia; la disposizione delle microfibrille è radiale,
cioè è una disposizione che è perpendicolare all’asse maggiore di queste due cellule. La disposizione delle
microfibrille le rende inestensibili quindi il diametro delle cellule di guardia quando entra l’acqua non può
cambiare più di tanto e prevale quindi la tendenza a inarcarsi cheporta quindi la rima stomatica ad allargarsi.

Ci sono alcune piante che si sono particolarmente adattate a climi aridi e perciò devono proteggere gli stomi.

Negli aghi di Pino gli stomi sono infossati e oltre alla camera sottostomatica hanno anche una camera prestomatica;
nelle foglie bifacciali dell’Oleandro (che appartiene alle piante xerofite, cioè adattate a vivere in ambienti aridi;
l’epidermide superiore è formata da 3 strati e sotto ha delle cripte stomatiche al cui interno ci sono gli stomi
infossati e ciò è una difesa contro la traspirazione, unito alla presenza di peli nelle cripte.

Come abbiamo già detto le cellule di guardia sono sempre circondate da cellule associate all’apparato stomatico che
vengono chiamate cellule compagne ma questo termine conviene usarlo il meno possibile perché le cellule compagne
fanno parte del tessuto conduttore floematico.

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Gli stomi si classificano in base all’apparato stomatico (cioè considerando le cellule di guardia, che possono essere a
manubrio o a fagiolo, e le cellule annesse), in base alla reciproca disposizione delle cellule compagne rispetto alle cellule
di guardia e possono essere di vari tipi:
• STOMA ANOMOCITICO: le cellule di guardia sono circondate da cellule irregolari. Le cellule
compagne non sonomorfologicamente distinguibili dalle cellule epidermiche (es: Ranuncolacee)
• STOMA ANISOCITICO: le cellule di guardia sono circondate da 3 cellule con grandezze diverse (es:
Crucifere)
• STOMA PARACITICO: le cellule di guardia sono circondate da 2 cellule compagne adiacenti la cui parete
è parallelaall’asse maggiore della rima stomatica (es: Rubiacee)
• STOMA DIACITICO: la parete delle cellule compagne che circondano le cellule di guardia è
perpendicolare all’ assemaggiore della rima stomatica, cioè le cellule sono incrociate (es: Cariofillacee)

Indice stomatico:
È un numero che indica la densità di distribuzione degli stomi nell’epidermide:
I.S. = 100 S / (E + S)
con S= numero di stomi per una data superficie; E= numero di cellule epidermiche per la stessasuperficie
N.B.: sia il tipo di stoma che l’indice stomatico sono informazionitassonomiche

Origine delle cellule di guardia:


Quando si devono formare le cellule di guardia, una cellula epidermica (detta meristemoide) torna ad essere totipotente e
si divide in modo asimmetrico, dando 1 cellula più grande e 1 più piccola; quest’ultima a sua volta tramite divisione
simmetrica origina 2 cellule, che sono appunto le cellule di guardia.
Tuttavia le due nuove cellule sono unite tra loro dalla lamella mediana; per digerirla nella parte centrale le due cellule
elaborano enzimi digestivi e quindi restano unite solo negli estremi.

2. Tricomi
Sono dei PELI con varie funzioni:
1. funzione protettiva: evitano un’eccessiva traspirazione o servono da filtro contro la radiazionesolare
(spesso infatti hanno una forma a scudo – peltati - come nel caso del pelo di olivo)
2. funzione difensiva: sono un deterrente contro l’attacco di insetti o altri animali (es: ortica)
3. funzione ghiandolare: i peli ghiandolari si formano al di sotto della cuticola oppure sono allungati e
all’apice hanno il loro contenuto (ortica); secernono sostanze profumate
attrattive/repulsive (es: olii essenziali, che tuttavia negli agrumi si accumulano nelle tasche
lisigene presenti nell’epidermide) o eliminano certe sostanze la cui concentrazione nella
pianta è diventata eccessiva o quasi tossica (es:timo; tamerice, che vive in acque salmastre e grazie ai peli
elimina l’ NaCl in eccesso)
4. funzione assorbente: i tricomi sono anche detti “peli assorbenti”, poiché assorbono l’acqua presente
nell’ambiente sotto forma di vapore acqueo (es: Tillandsia)
5. funzione tattile: i peli provocano bruschi movimenti dell’organo su cui sono inseriti se rilevano stimoli
tattili; ciò serve, ad esempio, per la cattura degli insetti nel caso delle piante carnivore (es: Dionea; tuttavia
in alcune piante carnivore come la Pinguicola le cellule secernenti elaborano una sostanza appiccicosa che
cattura gli insetti)

Esistono tantissimi tipi di peli con diversa morfologia: possiamo avere peli a forma di scudo come nell’ulivo, oppure
possiamo avere peli ramificati, oppure semplici unicellulari o pluricellulari, oppure possono somigliare a dei bottoncini.
Nelle radici abbiamo numerosi peli che sono piuttosto grandi (possono arrivare fino a 300 µm di lunghezza). Qui i peli
hanno funzione assorbente, devono assorbire l’acqua e i nutrienti presenti nel terreno. Fanno parte del rizoderma, cioè
della struttura tegumentale radicale che è formato da cellule appiattite e da cellule che formano i peli.
Possiamo distinguere i peli tra PELI NON-GHIANDOLARI, cioè quelli che hanno funzione protettiva e di
assorbimento, e PELI GHIANDOLARI, cioè quelli che secernono vari tipi di sostanze.

I peli protettivi possono essere unicellulari semplici, pluricellulari semplici, ramificati o a scudo (come il pelo peltato
dell’ulivo: è come un vero e proprio scudo sulla superficie epidermica ed evita l’eccessiva esposizione ai raggi solari).

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Spesso il pelo ghiandolare ha una testa sferoidale dove si accumula il secreto. Poi c’è una struttura assile che porta il
pelo costituita da cellule (cellule del gambo) e poi ci sono delle cellule basali. Questo tipo di pelo si chiama pelo
ghiandolare capitato. La testa può essere costituita anche da più cellule.

Un esempio è la Pinguicola, con peli ghiandolari che emettono vari tipi di sostanze che servono per catturare la preda e
per poi digerirla.
Nella Drosera rotundifolia i peli emettono sostanze appiccicose per cui l’insetto che si posa su questo tipo di foglia
rimane attaccato alla superficie fogliare.
Nella Venus Flytrap vi sono due tipi di peli: hanno dei peli semplici che sono dei meccanocettori e delle ghiandole
digestive. Quando l’insetto si posa su queste foglie, se è abbastanza grande, scatta la trappola e la foglia si chiude.

La particolarità del pelo pungente d’ortica è data dalla presenza di un bottoncino


terminale (punge); all’interno di questo pelo il vacuolo contiene molte sostanze che
sono urticanti. Il pelo di ortica ha il bottoncino terminale che è silicizzato mentre la
struttura assile del pelo è mineralizzata.

La mineralizzazione dei peli può essere diversa:


• Il bottoncino terminale è silicizzato e la struttura assile è impregnata di
carbonato di calcio (Urtica dioica)
• Il bottoncino terminale è silicizzato e la struttura assile è costituita da fosfato di
calcio (Laportea perrieri)
• Il bottoncino terminale è mineralizzato con fosfato di calcio e la struttura assile
impregnata di carbonato di calcio con qualche accenno di silice (Caiophora
deserticola)
Esistono anche peli che non sono mineralizzati (Cnidoscolus aconitifolius)

Anche i peli hanno importanza tassonomica (ad esempio, quelli del cotone sono
schiacciati ed elicoidali e formati al 90% da cellulosa). Tuttavia, mentre i peli sono
produzioni epidermiche, le emergenze sono prodotte anche dal mesofillo e sono più grandi (es: tentacoli della
pianta carnivora Drosera; spine).

I peli li ritroviamo anche nelle radici (rizoderma).

RIZODERMA
È il tessuto tegumentale della radice. È localizzato nei peli radicali, che sono
importanti per l’assorbimento di acqua e sali minerali. Osservando la struttura
dell’apice radicale ho:
• cuffia radicale: circonda e protegge la zona meristematica, all’interno
della quale c’è il centro quiescente (riserva di cellule meristematiche)
• zona di distensione: le nuove cellule prodotte dal meristema devono
aumentare di volume
• zona di struttura primaria (zona dei peli): le cellule si differenziano e
sono presenti anche peli radiali

L’acqua entra nel pelo, arriva alla


radice,raggiunge la zona centrale dove
vi sonovasi che rappresentano lo
Xilema; successivamente la linfa grezza
si distribuisce ovunque nella
struttura della radice.

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Nel rizoderma sono presenti 2 tipi di cellule:
1. ATRICOBLASTI: cellulose pavimentose del tegumento
2. TRICOBLASTI: cellule che formano i peli radicali (le radici invece si originano dall’epidermide), che
quindi sono tricoblasti molto allungati e più grandi delle cellule epidermiche. Hanno un intenso
metabolismo e per soddisfarlo il pelo raddoppia/triplica il suo materiale genico. La cellula epidermica che
deve formare un pelo ha una banda pre-profasica asimmetrica e la citodieresi produce 1 cellula più
grande, che forma un atricoblasto, e 1 più piccola che forma il pelo radicale, cioè un tricoblasto.

ESODERMA
È il tessuto tegumentale che si forma all’interno del rizoderma.
Dove finisce la zona dei peli radicali e la struttura radicale diventa più matura, le cellule sottostanti al rizoderma
iniziano a suberificare. Questo strato suberificato isola il rizoderma, che pian piano si sfalda, lasciando posto
all’esoderma. Dall’esterno verso l’interno: rizoderma, esoderma, parenchima corticale, endoderma. Sia l’esoderma
che l’endoderma hanno delle pareti suberificate e nelle pareti radiali vi sono degli ispessimenti di suberina (puntini
rossi).

ENDODERMA
Circonda la sede dei tessuti conduttori. Si trova nella radice e forma un filtro per l’assorbimento, poiché le
sostanze assorbite dai peli radicali devono arrivare ai vasi; tuttavia alcune cellule endodermiche sono avvolte da
un nastro di suberina detto BANDA del CASPARY, che si trova tra le pareti radialidi 2 cellule.
Una volta che i peli radicali assorbono le sostanze nutritive, la linfa grezza può seguire 2 vie:
• VIA SIMPLASTICA: la soluzione entra nelle varie cellule attraverso i plasmodesmi e arriva poi
nell’endoderma; quindi questa via non è selettiva
• VIA APOPLASTICA: la soluzione passa
attraverso le pareti e gli spazi intercellulari, quindi
c’è una selezione degli elementi; la linfa passa poi
nell’endoderma
Nell’endoderma le pareti cellulari sono suberificate nella
Banda del Caspary, quindi quando la via apoplastica arriva
nell’endoderma si blocca, poiché il sughero è idrofobico, e
la soluzione, per arrivare ai vasi, deve passare tra le cellule
epidermiche attraverso i plasmodesmi, perciò le cellule
selezionano il materiale.

Modificazioni dell’endoderma:
Nelle piante mature può esserci una suberificazione molto forte e perciò le cellule sono circondate da una specie di
U, poiché sono suberificate sia le pareti radiali che quella tangenziale interna e ciò è tipico delle monocotiledoni.
Nelle dicotiledoni invece la suberificazioni avviene principalmente nelle pareti radiali.
Quindi la suberificazione della Banda del Caspary si estende e la cellula diventa quasi del tutto
impermeabile; negli strati più maturi può anche esserci lignificazione dell’endoderma.

Ulteriori modificazioni: nelle strutture più mature delle radici la


struttura potrebbe anche lignificare con la crescita della parete
secondaria.

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Formazione della Banda del Caspary:
Le cellule corticali e quelle vascolari sono impregnate di un
materiale che ispessisce la parete. La regione di membrana
plasmatica in diretto contatto con la banda del Caspary è il sito in
cui sono localizzate le proteine che guidano la suberificazione che
formerà la banda.
Essa è preceduta dall’accumulo di proteine, dette proteine del
dominio della Banda del Caspary, che si accumulano nelle zone che
saranno poi suberificate. Dallo studio della pianta-modello
Arabidosis sono state identificate 5 PROTEINE CASP (per fare ciò
sono stati usati anticorpi marcati a fluorescenza, che localizzano il
punto in cui si inizierà a formare la Banda, cioè nella parete radiale).

SUGHERO
Nelle piante (querce sughero) vi è uno strato esterno, più o meno spesso, attorno al fusto, molto funzionale
all’isolamento termico e acustico, che viene considerato un materiale pregiato.
Le cellule del sughero sono morte, schiacciate, deformi e contengono tannini, che hanno un’azione antimicotica e
inoltre per questo appaiono scure.
Tuttavia, un fusto del tutto suberificato ha poche possibilità di scambiare i gas, perciò spesso in superficie si formano
delle aperture, dette LENTICELLE, come se in quel punto il tessuto del subero fosse “spaccato”; queste aperture
favoriscono gli scambi dei gas tra ambiente interno ed esterno. Infatti le cellule del cambio subero-fellodermico (subito
sotto allo strato di sughero, evidenziato in rosso nella figura) iniziano a riprodursi fino a rompere lo strato di
sughero e facendo così formare queste aperture, dove le cellule sono distanziate e riescono quindi a far passare l’aria,
che alimenta i metabolismi delle cellule interne.
Sotto al sughero c’è la corteccia, che è formata da celluleparenchimatiche.

TESSUTI MECCANICI
Sono fondamentali per la conquista dell’ambiente terrestre. Essi conferiscono alla pianta le doti per il mantenimento del
proprio portamento e notevole resistenza a piegamenti, torsioni, trazioni e rotture.
Inoltre, solidità, resistenza ed elasticità sono assicurate da sistemi di cellule caratterizzate da ispessimento delle
pareti e scarsa presenza di spazi intercellulari.
In base alla natura degli ispessimenti della parete e della resistenza o meno dei protoplasti nelle cellule, i tessuti
meccanici si dividono in:
- Collenchimi: tessuti vivi sub-epidermici, formati da 4/5 strati; le cellule non sono mai lignificate, in
quanto questi ispessimenti sono di natura celluloso-pectica (come la parete)
- Sclerenchimi: tessuti morti con cellule molto indurite e programmate a morire

COLLENCHIMA
Tessuto vivo, plastico (cioè conserva un certo grado di elasticità), caratteristico delle strutture giovani o delle
strutture erbacee poiché dà resistenza meccanica ma può essere modificato, assumendo nuove forme (le cellule
giovani hanno un diametro di 20-40μm; le cellule adulte arrivano a 200μm). È incapace da solo di mantenere eretto
il fusto.
E’ formato da cellule più piccole rispetto a quelle parenchimatiche centrali, con pareti ispessite ma mai lignificate
perché questo tessuto è caratteristico delle piante giovani quindi deve poter modificarsi. La natura degli ispessimenti è
celluloso-pectica (quindi non ci sono modificazioni della parete) ed è evidente la componente fibrillare della parete.
In ogni caso, il collenchima da solo non è capace di mantenere eretto il fusto, che per mantenere il proprio sostegno
necessita anche del turgore delle cellule dei parenchimi interni, la cui tendenza ad espandersi viene controbilanciata
dalla resistenza dello strato periferico del collenchima.
L'inspessimento delle pareti collenchimatiche interessa sempre la parete primaria, avviene soprattutto agli angoli
della cellula e riduce il volume cellulare. A causa degli inspessimenti, quelli che potevano essere spazi intercellulari
sono completamente occupati dal materiale di cui è fatta la lamella mediana, che impregna tutti gli spazi tra le cellule
collenchimatiche. Gli inspessimenti delle pareti collenchimatiche sono sempre costituiti da cellulosa e sostanze
pectiche, non sono mai lignificati. In questo modo, le cellule non si isolano e rimangono vive, svolgendo comunque la
loro azione meccanica.

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In base alla localizzazione degli ispessimenti, si distinguono 3 tipi di collenchimi:
• COLLENCHIMA ANGOLARE: gli ispessimenti sono agli angoli delle cellule; può
contenere cloroplasti. Sotto vi sono le cellule del parenchima

• COLLENCHIMA LAMELLARE: sono ispessite le pareti tangenziali delle cellule

• COLLENCHIMA LACUNATO: presenta ampi spazi intercellulari

Qualora la funzione di sostegno non sia necessaria, come nei fusti sotterranei e nelle radici, il collenchima non è
presente. Se però le radici non crescono nel terreno, come le radici aeree delle piante epifite (che vivono su altre piante),
il collenchima è presente.
Con l’invecchiamento degli organi o il passaggio alla crescita secondaria le pareti delle cellule del collenchima possono
lignificare, il protopplasto morire ed il tessuto, assumere funzione sclerenchima.

SCLERENCHIMA
In greco “scleros” significa duro e infatti le pareti delle cellule sclerenchimatiche sono lignificate. Tipico delle strutture
e organi maturi, rigidi. Inoltre questo tessuto è formato da cellule morte e si trova nelle parti adulte della pianta, cioè in
quelle che non sono più soggette a crescita, poiché non si puòmodificare. Ha funzione meccanica e protettiva. Le
cellule sono morte e assolvono perfettamente la funzione meccanica; le cellule hanno subito un differenziamento
estremo che ha portato ad una morte programmata.
Ha una funzione protettiva, perciò resiste agli apparati boccali deglianimali.
In queste cellule la parete secondaria è formata da 3 strati e fino al 20-35% da lignina, checonferisce:
• notevole resistenza e rigidità meccanica (per questo può circondare i canaliresinicoli)
• protezione contro gli agenti biotici e abiotici
• protezione contro la marcescenza della parete poiché essa è digerita solo da funghi etermiti
Lo sclerenchima presenta 2 tipologie cellulari:
1. Fibra: cellule allungate; spesso le fibre decorrono associate in fascetti e ciò dà grande resistenza meccanica al
tessuto. In una sezione trasversale queste cellule si riconoscono perché hanno un lume cellulare molto piccolo e
una parete spessa, che si può evidenziare con un colorante per la lignina; in una sezione longitudinale invece si
vede il lume (in cui, se la cellula non è ancora morta, si può vedere il nucleo) e la parete ispessita. La lunghezza è
pari a 50 volte la larghezza.
Nei tessuti parenchimatici possono esserci isole di fibre extraxilari (o corticali), localizzate nel tessuto corticale,
fuori dallo Xilema, (che va da sotto all’epidermide ai tessuti vascolari), che sono estratte per ottenere, ad
esempio, il lino e la canapa (le fibre possono anche trovarsi tra i tessuti conduttori, ma in questo caso non
sono utilizzabili. Le fibre del lino hanno terminazioni appuntite mentre quelle di canapa hanno terminazioni
appuntite e smussate, piuttosto irregolari. Queste 2 piante sono erbacee e le terminazioni sono appuntite e
presentano striature trasversali.
2. Sclereide: cellule più o meno poligonali (o a volte con forme molto strane), con una parete spessa e lume
piccolo; possono avere forme diverse in base alla pianta, quindi hanno importanza tassonomica (es: filiformi nel
mesofillo fogliare dell’olivo, cellule pietrose della pera, ad estremità ramificate nel tessuto a palizzata
della foglia di Hakea; spesso nell’aerenchima si trovano sclereidi dette IDIOBLASTI, poiché hanno
una forma diversa e servono a dare sostegno al tessuto). I lumi di queste cellule sono connessi tramite
poro canali (plasmodesmi moltoramificati).

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TESSUTO SECRETORE
I tessuti secretori sono un sistema di relazione della pianta con l’ambiante, relazione che avviene tramite messaggeri
chimici tra:
• pianta-pianta (es: secernono inibitori della crescita di altre piante, come gli agenti allelopatici)
• pianta-animali (es: secernono fragranze di richiamo per gli insetti impollinatori o sostanza velenose di
protezione contri i fitofagi e gli erbivori, come i glicosidi)
• pianta-suolo (es: la pianta riversa nel suolo le sostanze di scarto e in particolare le piante alofile, cioè salmastre,
riversano NaCl molto concentrato)

Ci sono varie modalità di secrezione:


1. Secrezione: compartimentazione nel vacuolo o nella parete di metaboliti secondari o macromolecole, separate
dal citoplasma
2. Escrezione: eliminazione di sostanze all’esterno, sotto forma di rifiuti metabolici
3. Recrezione: restituzione all’ambiente di sostanze minerali in eccesso tramite ghiandole
secretrici o peli ghiandolari (es: le piante alofile eliminano NaCl).

I tessuti secretori sono formati da cellule specializzate per l’elaborazione di prodotti bene definiti e ci sono:
• Tessuti secretori veri e propri: immagazzinano nei vacuoli le sostanze elaborate
• Tessuti Ghiandolari: accumulano all’esterno le sostanze elaborate
• Idoblasti secretori: sono cellule isolate, diverse per struttura e funzione, poiché riversano le sostanze prodotte nei
vacuoli. Gli idiatomi eliminano l’eccesso di acqua come gocce che si formano al margine della foglia; sono
“stomi d’acqua”.

Vi sono:
- Strutture secretorie esterne: si trovano sulla superficie della pianta (tricomi, nettari, idatodi)
- Strutture secretorie interne: si trovano all’interno fra vari tessuti della pianta (cellule secretorie, cavità
secretoriee canali, lativiferi)

Tipi di secrezione:
Esistono varie tipologie di secrezione:
• segregazione intracellulare: compartimentazione o rilascio delle sostanze elaborate dalla cellula tramite vescicole
nel citosol
• secrezione intracellulare: le sostanze elaborate sono riversate nel vacuolo
• secrezione granulocrina: il secreto è impacchettato in vescicole, che per esocitosi arrivano alla membrana, con
cui si fondano, e rilasciano il loro contenuto
• secrezione eccrina: il secreto esce tramite un canale con un trasportatore
• secrezione olocrina: la cellula si riempie di secreto e poi muore, rilasciando il suo contenutoall’esterno (es: olii
essenziali che escono dalle tasche lisogene degli agrumi)

Tipi di secreto:
Vi sono secreti gassosi, resine, latice, secreti radicali, enzimi, prodotti dei nettari.
I secreti sono sostanze di natura diversa: alcaloidi, antociani, gomme, redine, tannini, glicosidi, enzimi litici ecc… i
terpeni, ad esempio, sono tossici per fitofagi. Nelle crucifere sono frequenti idioblasti secretori che contengono nel
vacuolo glicosinolati some la sinigrina (uno dei composti responsabili delle proprietà salutistiche delle piante).
Nei secreti sono presenti sostanze di diversa natura (nelle Crucifere sono frequenti idioblasti secretori che contengono
nel vacuolo glicosinolati, come la sinigrina, che sono sostanze irritanti) ed essi possono essere di varie tipologie:
• secreti gassosi: essi possono essere di 3 tipologie principali:
1. etilene: piccola molecola volatile ed ormone, è un composto associato alla senescenza, cioè alla maturazione,
poiché provoca un ammorbidimento delle pareti e le cellule accumulano sostanze profumate; è presente
anche nelle foglie che diventano gialle (per via biotecnologica si sono creati pomodori che producono meno
etilene e che quindi si degradano più lentamente)
2. terpeni volatili: formano gli olii eterei, emessi tramite i peli ghiandolari (basso peso molecolare)
3. tasche lisigene e schizogene: sono sedi di accumulo di oli vegetali. La differenza tra le due tasche è che:
- tasca schizogena: la cavità si forma per allontanamento delle cellule;
- tasca lisigena: la cavità si forma perché alcune cellule degenerano e avviene la lisi cellulare.
In realtà nelle cellule vegetali i 2 processi coesistono e i globuli oleosi confluiscono in un’unica massa nelle
cavità lasciate libere dalle cellule. Nelle tasche si riversano i metaboliti secondari (olii essenziali) e si trovano
nelpericarpo (buccia) degli agrumi.

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• Resine: sono miscele di terpeni molto lunghi (cioè con alto peso molecolare e quindi solidi), corti (quindi liquidi)
e molto corti (quindi volatili); sono prodotte nei CANALI RESINIFERI, che sono circondati da fibre del tessuto
meccanico e all’interno hanno cellule ghiandolari che riversano il secreto nel lume (es: Pino). La resina prodotta
esercita una pressione, che è contenuta grazie alle fibre. Essa serve a cicatrizzare le ferite e come difesa dai
fitofagi.
• Latice: emulsione eterogenea con molti metaboliti secondari (oli essenziali, lipidi, alcaloidi, gomme…); di solito
è bianco ed è accolto in un sistema di cellule tubulari allungate e ramificate dette TUBI LATICIFERI, che di
solito di trovano nella zona del parenchima (inoltre possono essere settati, cioè formati da file o reticoli di cellule
allungate, o non settati, cioè formati da singole cellule allungate e spesso ramificate). Il latice contiene la gomma
naturale e si trova nel Papaver somniferum (da oppio) o nella Hevea brasiliensis (anche detta albero della gomma).
• Secrezoni radicali: di solito queste sono ACIDE e sono importanti perché le secrezioni radicali sono connesse
all’assorbimento, in quanto gli acidi sciolgono i sali minerali nel terreno, che così sono disponibili
all’assorbimento da parte dei peli radicali. Sostanzialmente si tratta di acidi che rendono accessibili le sostanze
minerali del terreno.
• Prodotti dei nettari: essi sono ghiandole che secernono sostanze zuccherine (glucosio e saccarosio), dette
NETTARE, che richiamano gli insetti per l’impollinazione; sono strutture che possono essere extrafiorali o
all’interno del fiore.
• Enzimi: si trovano nell’embrione, poiché quando il seme germina ha bisogno di mobilizzare le riserve
(amido), quindi ha degli enzimi digestivi; oppure nelle piante carnivore, ad opera di ghiandole digestive, sono
secreti enzimi per idrolizzare le proteine.

Peli secretori
Il pelo è un annesso dell’epidermide ed è formato da una struttura peduncolare
che contiene l’olio essenziale, che viene rilasciato lentamente nella cuticola (es:Lavanda). Ci sono delle cellule della vescica
o vescicola epidermica: gli EBC (omologhi ai tricomi) sono utilizzati per sequestrare Sali così che non possano interferire
con cellule metabolicamente attive e sono fondamentali per la tolleranza al sale.

Vi sono vesciche saline che aiutano ad eliminare il sale in eccesso.


La superficie epidermica è una struttura pluricellulare costituita da una “vescicola” terminale con un grande vacuolo
centrale e una cellula basale (di supporto) senza vacuolo e pareti cellulari spesse e cutinizzare. Il sale viene traslocato
dalla cellula epidermica alla cellula basale e poi alla vescicola, che scoppia o cade quando è piena.

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TESSUTI CONDUTTORI
I tessuti conduttori sono di 2 tipologie:
- Tessuto Cribroso: trasporta la linfa elaborata, traslocando gli assimilati organici dalle foglie ai compartimenti
che necessitano energia; è formato da cellule vive. È chiamato anche floematico o libroso.
- Tessuto Vascolare: trasporta la linfa grezza dalle radici alle foglie (trasporto a lunga distanza) e ha anche una
funzione di sostegno, perché i vasi vascolari sono lignificati (cellule morte). È chiamato xilema.
La presenza dei tessuti conduttori è importante da un punto di vista evolutivo, perché essi hanno permesso la presenza
di piante di grandi dimensioni, che per questo sono anche dette piante vascolari o tracheophyta.

TESSUTO CRIBROSO, FLOEMA


Le sostanze organiche elaborate che derivano dalla fotosintesi (zuccheri) sono incanalate
verso il fusto e il tessuto cribroso con meccanismi attivi (cioè con dispendio di energia),
tramite pompe molecolari. Nei punti di utilizzo, altre pompe riversano le sostanze
elaborate nei tessuti circostanti.
Il tessuto cribroso è anche chiamato corteccia o libro e trasporta sostanze elaborate con
meccanismi attivi che richiedono dispendio di energia.
La linfa elaborata contiene principalmente saccarosio (in quanto il glucosio prodotto dalla
fotosintesi è dapprima trasformato in amido e poi in saccarosio), che ha una
concentrazione di 50-200 mg/ml, ma anche acidi organici, aminoacidi e ormoni. La
velocità di flusso è di 10-100 cm/h. Gli elementi cribriosi vengono caricati, attraverso
pompe molecolari, con la linfa elaborata. Nei punti di utilizzo altre pompe molecolari
riversano le sostanze elaborate nei tessuti circostanti.
I tessiti cribrosi non sono particolarmente resistenti. La loro funzionalità è in genere
limitata ad una sola stagione vegetativa. Il rivestimento di callosio a progressivamente
aumentando e, alla fine della stagione, la placca cribrosa è completamente ricoperta sulle
due facce da callosio. In seguito, le cellule muoiono, i protoplasti si disorganizzano ed i cordoni citoplasmatici di
comunicazione scompaiono.

Quando gli elementi cribrosi immaturi si differenziano, i loro plasmodesmi si allargano fino a raggiungere un diametro
maggiore di 1μm, formando i pori cribrosi; un gruppo di pori cribrosi forma le aree cribrose, che sono sparse sulla parete
delle cellule cribrose.
Le placche cribrose hanno pori rivestiti da una parete di callosio (che si può evidenziare con uno specifico colorante); in una
sezione trasversale, in corrispondenza della parete trasversale edella placca, si vedono i pori, che si possono trovare anche
sulla parete longitudinale per mettere in comunicazione i vari tubi.

Questo tessuto presenta specifici elementi vivi per la conduzione, che non hanno pareti ispessite ma che sono talmente
specializzati che sono sempre associati ad altri elementi allungati (che appartengono al parenchima di trasferimento):
• CELLULE CRIBROSE: si trovano in tutte le altre piante vascolari; la cellula è allungata e affusolata alle
estremità; comunicano tra loro tramite AREE CRIBROSE, sparse su tutta la superficie cellulare, con pori (di
1microm di diametro) per il passaggio di sostanze e sono associate alle CELLULE ALBUMINOSE (sono
sempre accompagnate da cellule compagne). Questo tipo di cellule si è evoluto per primo ed è stato trovato nei
fossili più antichi e nelle piante vascolari non appartenenti alle angiosperme.
• TUBI CRIBROSI: sono tipici delle Angiosperme; comunicano tra loro tramite PLACCHE CRIBROSE poste
sulle pareti trasversali (sulle pareti longitudinali ci possono essere aree cribrose con pori molto piccoli) e sono
associati alle CELLULE COMPAGNE, che per aumentare la superficie di contatto coi tubi cribrosi si ripiega.

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I tubi cribrosi sono elementi relativamente piccoli e le piccole aree cribrose presenti sulle pareti laterali servono per il
trasporto laterale tra tubi cribrosi e le altre cellule adiacenti. In alcuni casi il tubo cribroso può funzionare anche per due
anni consecutivi. Nel secondo anno, alla ripresa dell’attività vegetativa, alcuni enzimi eliminano lo strato di callosio,
così che il tubo possa riprendere la sua funzionalità. I tubi cribrosi e le cellule compagne hanno una genesi comune
essendo derivate da un’unica cellula meristematica che si divide in modo asimmetrico in 2 cellule che si differenziano
in due modi diversi. La cellula più piccola origina la cellula compagna. Durante il differenziamento il tonoplasto si
destruttura e si mescola col citoplasma in cui nel lume cellulare sono sparsi mitocondri e plastidi tipici a funzione di
riserva proteica e glucidica.

Negli elementi di trasporto floematico, la quantità di citoplasma aumenta nei pori rendendo possibile un rapido e
cospicuo movimento di sostanze tra cellule adiacenti che devono, perciò, avere i pori allineati.

Una caratteristica particolare degli elementi cribrosi è rappresentata dal fatto che al termine del differenziamento sono
privi di nucleo cosi come dei ribosomi ed apparato di golgi. Senza nucleo la cellula diviene incapace di un metabolismo
completo. L’indispensabile controllo nucleare è fornito dal nucleo delle cellule intimamente associate alle conduttrici le
cellule albuminose, associate alle cellule cribrose, e le cellule compagne, associate agli elementi dei tubi cribrosi.

Sia le cellule compagne che le cellule albuminose collaborano alla funzionalità degli elementi cribrosi e soprattutto ne
controllano le attività metaboliche (infatti gli elementi cribrosi sono talmente specializzati che a volte il loro nucleo e i
vacuoli degenerano e restano solo i mitocondri e i plastidi), perciò sono ricche di organuli e hanno plasmodesmi
ramificati.

Gli elementi floematici di solito hanno durata annuale, quindi vanno rinnovati ogni anno dal
cambio cribro- vascolare. Nel periodo invernale, i pori delle placche cribrose sono
completamente ostruiti dal callosio, perciò i tubi cribrosi non funzionano; tuttavia in alcune
piante, in primavera, il callosio eccessivo è riassorbito, mentre in altre il nuovo legno schiaccia
i tubi cribrosi facendoli collassare, quindi vanno rinnovati.
Sia nel tessuto vascolare che nel cribroso, in una sezione longitudinale, si possono vedere i
raggi midollari, formati da 2 o 3 strati di cellule e perpendicolari al verso del sistema
conduttore.

TESSUTO VASCOLARE, XILEMA


E’ anche detto tessuto vasale o xilema o legno. Trasporta la linfa grezza, cioè le sostanze assorbite dalle radici (acqua,
ioni, sostanze organiche), e gli elementi vasali sono caricati nella radice tramite meccanismi osmotici, poi arrivano nei
vasi. Nei punti di utilizzo (principalmente nelle foglie) le sostanze sono riversate nei tessuti circostanti.
Differenziamento di un vaso: dopo che la cellula meristematica si divide, le nuove cellule si distendono e poi si
differenziano, iniziando a ispessire la parete tramite lignificazione. In seguito, il protoplasto degenera e muore,
lasciando solo le pareti. Dato che la parete secondaria è impermeabile all’acqua, alcune parti di parete primaria devono
rimanere prive di parete secondaria per consentire il flusso d’acqua nellacellula.
La velocità di flusso di questo tessuto è di 100-5000 cm/h (ma può arrivare a 15000 nelle liane); a livello fogliare,
l’acqua traspira, diventando da liquida a gassosa e ciò genera una decompressione nello xilema, che fa risalire altra
acqua.

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Dato che gli ispessimenti della parete secondaria sono lignificati, usando un colorante per evidenziare la lignina, si
possono osservare i vasi, che sono formati da più “pezzi” detti ARTICOLI. In base alla natura degli ispessimenti ci sono
diversi tipi di vasi:
• ANULATO: la parete secondaria ha anelli lignificati intercalati da parete primaria non
lignificata; sono caratteristici delle strutture giovani, poiché queste devono essere strutture
elastiche per adattarsi alla crescita; inoltre è necessario un grande scambio coi tessuti
circostanti e per questo la parete primaria è ricca di plasmodesmi. Caratteristico di piante
giovani
• ANULOSPIRALATO: caratteristico dei tessuti giovani
• SPIRALATO
• RETICOLATO
• SCALARIFORME: gli ispessimenti formano una specie di scala
• PUNTEGGIATO: è completamente lignificato, quindi rigido e tipico delle piante adulte; presenta dei punti non
lignificati (da cui il nome) in cui passano le sostanze

Man mano che la pianta matura, aumenta la parte di parete secondaria lignificata e il diametro del vaso per
migliorare il trasporto. Il tessuto vascolare presenta 2 tipologie di vasi:
• TRACHEIDI (o vasi chiusi): sono vasi stretti caratterizzati da cellule lunghe con
estremità affusolate, con pareti trasversali traforate per far passare le sostanze, ma che
generano comunque un certo attrito; le pareti primarie longitudinali sono complete
sull’intera superficie ma così sottili da consentire la visione della parete secondaria
sottostante sulla faccia interna e sono formate da cellule lunghe, con estremità
affusolate.
• TRACHEE (o vasi aperti): effettuano un efficiente trasporto della linfa perché hanno un
diametro ampio, le pareti trasversali sono quasi del tutto riassorbite (quindi c’è meno
attrito), sono più tozze e quasi del tutto lignificate, quindi sono punteggiate. Le
punteggiature possono essere semplici o areolate (formate da 2 anelli concentrici). In
una sezione trasversale si vede che hanno la parete longitudinale ispessita e un grande
lume vuoto, perché le cellule sono morte.
Inoltre, le trachee possono essere circondate dal TESSUTO PARENCHIMATICO PARATRACHEALE per
minimizzare gli emboli gassosi (a causa dei quali il vaso perderebbe la sua funzione). Nelle trachee il flusso è
proporzionale alla quarta potenza del raggio; ogni articolo può essere lungo 50-100μ ma impilati possono essere
lunghi molti metri.

Sia i tracheidi che le trachee, tramite le punteggiature sulle pareti longitudinali, comunicano tra loro; le trachee e i
tracheidi sono vasi tipici delle Angiosperme.

• FIBROTRACHEIDI: si trovano nelle Gimnosperme e sono un elemento ibrido tra i vasi e le


fibre; lungo i fibrotracheidi ci sono dei piccoli dischi, che corrispondono alle punteggiature e
che permettono il passaggio della linfa tra gli elementi adiacenti. Questo tipo di punteggiatura
delle Gimnosperme è detta PUNTEGGIATURA AREOLATA CON TORO, in cui la parete
secondaria forma delle propaggini, restringendo un po’ il lume (mentre nelle Angiosperme
nelle
punteggiature tra le cellule c’è solo la lamella mediana e la parete
primaria) e all’interno della punteggiatura c’è un ispessimento (il
toro), ancorato alle pareti da alcune griglie. Il toro è una struttura
elastica, che di solito è al centro della punteggiatura, ma che può
spostarsi a destra o a sinistra per impedire che un embolo gassoso
si diffonda, cioè ne blocca il passaggio da un elemento all’altro,
spostandosi verso il fibrotracheide senza l’embolo (quindi si
sposta verso il vaso che funziona e in cui c’è ancora
decompressione).

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Il toro, presente nelle trachee delle 2 fibrotracheidi, si trova sospeso lateralmente. Le
fibrotracheidi continuano a trasportare la fibra grezza (dalle radici alla chioma). Il
flusso continua ininterrotto finche non si verifica la formazione di una bolla d’aria,
chiamata embolo: se si forma nelle fibrotracheidi, che sono abbastanza strette, la
colonnina di liquido che sale viene interrotta e continua a funzionare soltanto l’altra
fibrotracheide. Succede che il toro si sposta per tappare questa mancanza: sistema di
valvole di sicurezza, funzionale a garantire che la formazione di emboli gassosi non si
diffondano e limitandone i danni. L’embolo non viene rimosso, la fibrotracheide perde
la sua funzionalità.

Xilema e Floema formano i fasci conduttori.


Lo xilema e il floema sono fasci semplici, considerati incompleti, sono composti da:
• Fasci Xilematici: formati da tessuto vascolare (vasi: trachee, tracheidi, fibrotracheidi), meccanico (fibre),
parenchimatico
• Fasci Floematici: formati da tessuto cribroso, meccanico e parenchimatico (cellule compagne)

Questi 2 fasci sono associati a formare fasci completi detti fasci cribro-vascolari (o fasci libro-legnosi), che possono
essere di varie tipologie:
• COLLATERALE CHIUSO: floema e xilema sono
strettamente associati (non sono separati dal cambio); è
tipico delle monocotiledoni (a). Tipico delle
monodicutiledoni.
• COLLATERALE APERTO: tra floema e xilema c’è il
pro-cambio (cambio giovane), cioè tessuto
meristematico che forma nuovo floema e xilema; è
tipico delle Gimnosperme e delle dicotiledoni, cioè di
quelle piante che sopravvivono più anni (b). Tipico delle
edicotiledoni.

• BICOLLATERALE: lo xilema è al centro e all’esterno ci sono 2 porzioni di floema, separate dallo xilema dal
pro-cambio (c)
• RADIALE. lo xilema forma dei raggi, separati da cordoni di floema; si trova in particolare nelle piante con
crescita secondaria e tra i fasci radiali e i cordoni di floema spesso c’è il pro-cambio (quando c’è è localizzato
nel floema e le cellule formano una specie di virgola) (d)
• CONCENTRICO PERIXILEMATICO: lo xilema circonda il floema; tipico del fusto sotterraneo di alcune
monocotiledoni (e)
• CONCENTRICO PERIFLOEMATICO: il floema circonda lo xilema; è tipico delle Pteridofite ed è l’antenato
dei fasci collaterali (e). si trova spesso nei fusti di molte felci.

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Sia il floema che lo xilema presentano 2 successive tappe dimaturazione:
• prima formazione: PROTOFLOEMA e PROTOXILEMA
• seconda formazione: METAFLOEMA e METAXILEMA
Il tessuto può avere varie posizioni:
- se è interno, cioè è rivolto verso il midollo è detto ENDARCO
-se è rivolto verso la superficie è detto ESARCO
- se è nel mezzo è detto MESARCO

Ad esempio, (guarda immagine) in un fascio collaterale chiuso i tessuti


più vecchi sono all’esterno, quindi il protoxilema è endarco e il protofloema
èesarco.

Nel fusto di una dicotiledone, sotto al tegumento, al collenchima e al


parenchima (zona corticale), c’è la zona dei fasci, che sono disposti su un
anello (zona della stele) e perciò questa particolare disposizione dei fasci è
detta EUSTELE, in cui i fasci sono collaterali aperti; al centro c’è il
midollo. La conformazione è concentrica.

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In sezione trasversale di un fascio collaterale aperto, noteremmo:

Le monocotiledoni invece hanno una struttura detta ATACTOSTELE, in cui i fasci sono collaterali chiusi e sono sparsi su
tutto il cilindro vascolare (non ad anello come nell’eustele), però mantengono sempre un certo orientamento
(il floema è sempre verso la superficie e lo xilema verso il centro); tra i fasci si trovano cellule parenchimatiche. Inoltre,
nell’atactostele il cilindro vascolare inizia poco sotto alla zona corticale (in sezione trasversale non presentano né raggi
midollari né midollo) e i fasci sono spesso circondati da una guaina sclerenchimatica.

Nelle radici: in un fascio radiale di una radice (sia monocotiledoni che dicotiledoni) la struttura è opposta ed è detta
ACTINOSTELE; qui il protoxilema è esterno mentre il metaxilema è interno.

La differenza della struttura tra monocotiledone e dicotiledone sta nel numero di raggi:
• Dicotiledone: possono avere 1-7 raggi
• Monocotiledone: possono avere 7-30 raggi

Facendo una sezione trasversale di un fusto si vede che la parte più esterna del floema è spesso racchiuso da una guaina
sclerenchimatica formata da fibre sulla parte verso la superficie, mentre il parenchima circonda tutto il tessuto
conduttore.
Le cellule meristematiche del cambio sono piccole, schiacciate e senza spazi intercellulari; in sezione longitudinalesono
molto allungate e schiacciate.

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IL FUSTO

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IL FUSTO
Possiamo avere vari tipi di fusto, tra cui due sono i principali:
- fusti aerei o erbacei che sono verdi, fotosintetizzanti e producono foglie e fiori;
- fusti ipogei, cioè sotterranei, che formano i cosiddetti rizomi, ossia strutture che consentono alla pianta di
sopravvivere a stagioni avverse. Normalmente, questi rizomi hanno una funzione di riserva, il cui fusto talvolta può
essere carnoso come nel caso del bambù, dell’iris e delle canne.
Nelle stagioni invernali la parte aerea della pianta muore mentre la parte ipogea rimane stabile e dormiente con un
metabolismo molto basso e in seguito, con la ripresa della stagione primaverile, la pianta torna a germogliare e a
ricostruire la parte epigea.

Nel caso del bulbo (germoglio accorciato sotterraneo), ad esempio, invece, il fusto verticale è corto e le foglie possono
essere di due tipi:
-foglie interne carnose con funzione di riserva (si chiamano catafilli nella cipolla)
-foglie esterne secche con funzione protettiva.
Possiamo anche avere dei tuberi, il cui tessuto può essere molto voluminoso perché è un tessuto di riserva; nel tubero
abbiamo delle microscopiche strutture germogliative chiamate gemme, dalle quali si svilupperà poi la pianta quando la
stagione lo consentirà.

Le funzioni del fusto sono:


1. sostenere e distribuire nello spazio le parti aeree della pianta
2. collegare foglie e radici tramite trasporto acropeto (dal basso verso l’alto: linfa grezza) e basipeto
(verso la base: linfa elaborata) della linfa
3. è un organo di riserva
4. partecipa alla fotosintesi, soprattutto se si parla dei fusti giovani verdi
5. in molti casi funge da organo perennate, cioè permette alla pianta di superare le condizioni ambientali
avverse, trasformandosi in rizomi, bulbi o tuberi

MODIFICAZIONI DEL FUSTO


Il fusto può subire delle modificazioni; le più comuni sono:
1.prensile→ sono tipici dei viticci caulinari, le cui foglie o germogli ascellari assumono la forma di uncini
ricurvi per avvolgersi ad un supporto
2. spine→ hanno funzione di difesa
3. rizomi→ fusto orizzontale carnoso (presente nel bambù o nella canna da zucchero)
4. bulbi→ germoglio accartocciato sotterraneo, in cui le foglie formano scaglie esterne secche
con funzione protettiva e scaglie interne carnose con funzione di riserva (es: cavolo)
5.tuberi→ la parte ingrossata corrisponde al parenchima corticale, che ha funzione di riserva
6.fusti succulenti (es: Echinocactus, ricco di parenchima di riserva)

CRESCITA, DIFFERENZIAMENTO E APICE MERISTEMATICO

Le gemme sono protette dalle PERULE, foglie pelose che cadono quando la
gemma è matura.
In un germoglio (anche detto meristema apicale caulinare) sono presenti
fusto, foglie e gemme giovani; in una sezione trasversale al centro si trova il
meristema caulinare, avvolto dalle foglie giovani.

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Le cellule meristematiche (cellule madri centrali) sono appena sotto la tunica (zona protettiva che originerà il tegumento),
ma in generale si distinguono 3 tipi di meristema:
• meristema periferico: origina i primordi fogliari e le gemme ascellari
• meristema sub-apicale: regione al di sotto della cupola (doma); è formato da cellule in divisione
• meristema apicale: responsabile dell’allungamento dell’apice del fusto; a sua volta si divide in:
- protoderma: cellule che formeranno l’epidermide
- meristema fondamentale corticale: futuro parenchima corticale
- pro-cambio: origina il sistema conduttore (xilema e floema primari)
- meristema fondamentale midollare: origina il midollo (se presente)

Nel fusto di una dicotiledone (vedi immagine) dall’alto troviamo:


• zona embrionale(0-9,92mm): contiene la gemma apicale; molto piccola
• zona di determinazione (0,02-0,04mm)
• zona di distensione e differenziamento (accrescimento 1°; 0,04- 25mm), al suo
interno è suddivisa in:
- inizio della formazione dei cordoni pro-cambiali
- inizio della formazione di floema e xilema (fusto eustelico)
- inizio della formazione di fibre nel floema primario e il cambio diventa un
anello continuo

FUSTO DI DICOTILEDONE
Sezionando trasversalmente la zona di struttura primaria si vede che il fusto ha una
struttura eustelica, con fasci collaterali aperti.
Spostandosi poi all’inizio della zona di struttura secondaria, il cambio diventa un anello continuo, che all’esterno genera
un anello continuo di floema secondario (il floema primario è schiacciato e degenera) mentre all’interno
genera un anello continuo di xilema secondario e più
all’interno si vedono residui di xilema primario e al centro il
midollo. Scendendo più in basso (quindi la pianta è più
matura), all’interno c’è sempre il midollo con residui di
xilema primario, ma l’anello di xilema secondario è
cresciuto e ci sono vari strati (cerchi annuali) per l’attività
continua del cambio; infine c’è il floema secondario e verso
l’esterno il cambio subero- fellodermico che forma la
corteccia esterna (l’epidermide si rompe man mano che
cresce il sughero).
Il cordone pro-cambiale è formato da cellule longitudinali, che poi
si differenziano in protofloema verso l’esterno e protoxilema
verso l’interno; il differenziamento continua e si formano i fasci
collaterali.
I fasci conduttori che devono irrorare le foglie e i rami in sezione
longitudinale non sempre formano una perfetto eustele, poiché devono deviare verso i rami o le foglie. Facendo una
sezione trasversale in corrispondenza delle deviazioni, si vede che mancano dei fasci nell’eustele.

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Vediamo la posizione dei tessuti


conduttori nel fusto: all’interno di un
fascio collaterale aperto abbiamo le
parti più vecchie del floema e dello
xilema che si chiamano rispettivamente
protofloema e protoxilema.
In un fascio collaterale aperto di una
struttura eustelica, il protofloema è
esarco ed il
protoxilema è endarco, invece le parti
più recenti chiamate metaxilema e
metafloema sono a ridosso dello strato
procambiale all’interno del fascio. La
struttura del fusto delle eucotiledoni
prende il nome di eustele. La struttura
della radice endocentrale prende il
nome di attinostele (=a forma di stella)
ed è caratterizzata da un fascio radiale
in cui il protoxilema è esarco e il
metaxilema è endarco. Il protofloema è
esarco. Il cambio sta in mezzo tra i due,
in una struttura a virgola.

Anatomia eustelica
Schematicamente, un fusto è organizzato in tre anelli concentrici:
• un anello tegumentale costituito dall’epidermide;
• un anello corticale che prosegue fino al cilindro centrale o stele;
• il cilindro centrale che comprende il midollo: la stele nelle
dicotiledoni è caratterizzata dalla disposizione dei fasci
collateraliaperti a formare un anello nota come eustele.

Il fusto è la sede dei tessuti conduttori, ma nel trasporto del nutrimento può capitare che questo subisca delle deviazioni,
quindi i fasci si staccano causando delle zone vuote nel fusto, così la pianta, per compensare queste “mancanze” dà luogo
ad altre ramificazioni.

FUSTO DI MONOCOTILEDONE
Ha struttura atactostelica con fasci collaterali chiusi sparsi su tutta la superficie, che hanno vita annuale perché non
possono avere un accrescimento secondario. Nelle graminacee lo xilema ha spesso una struttura a Y, che accoglie come
una coppa il floema.
Sotto all’epidermide c’è uno strato sottilissimo di zona corticale e poi inizia il cilindro centrale; spesso (es: graminacee)
la struttura centrale del fusto è cava ma è meccanicamente resistente perché al centro vi sono sclereidi e le foglie
all’esterno; tuttavia nei nodi il fusto è ancora pieno (e ciò contribuisce a irrobustire il fusto cavo), perché questa zona è la
sede dei meristemi intercalari, responsabili dell’accrescimento in lunghezza del fusto. Inoltre, nella zona superficiale, per
irrobustire ulteriormente il fusto, c’è un anello meccanico di fibre, che sono lignificate. Le foglie delle monocotiledoni
hanno delle guaine con cui si saldano sui fusti e per irrorarle i fasci devono deviare dal fusto.

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STRUTTURA SECONDARIA DEL FUSTO


Alcuni di questi gruppi di piante (monocotiledoni e dicotiledoni) hanno un’evoluzione a formare delle strutture
secondarie, cioè si possono inspessire e dare origine a strutture arboree o cespugliose. I fusti possono avere morfologie
diverse:
- ramificazione monopodiale con dominanza apicale, cioè con una parte principale del fusto che prevale sulle
ramificazioni secondarie, come nel caso di un cipresso o di un cactus;
- ramificazione simpodiale, in cui le ramificazioni secondarie possono prendere il sopravvento sulla struttura
apicale principale e non c’è quindi una gerarchia ben precisa.
Per un accrescimento secondario, entrano in gioco i meristemi secondari. I meristemi primari che stanno all’apice del
fusto e della radice determinano l’allungamento del corpo della pianta, invece i meristemi secondari che si chiamano
cambio cribro vascolare per l’anello più interno e cambio subero fellodermico per l’anello più periferico, hanno
un’attività tale che determina un aumento dello spessore.

Nel passaggio alla struttura secondaria quello che succede è che i singoli strati di procambio che stanno all’interno di
ciascun fascio si connettono a formare un unico anello continuo di cambio, quindi quello che succede è che le cellule del
raggio midollare tornano cellule meristematiche procambiali. Una volta formatosi questo anello, l’attività del cambio
formerà xilema nella parte interna e floema nella parte esterna, aumentando lo spessore del fusto. Contemporaneamente a
questo (o successivamente), avverrà un secondo cambio, ovvero quello del cambio subero fellodermico che si forma al di
sotto della superficie dalla cui attività si formerà il sughero nella parte esterna e il felloderma (tessuto parenchimatico)
nella parte interna, anche questo con un inspessimento del fusto o della radice.

Se facciamo una sezione trasversale nella zona in cui si è formato l’anello continuo di cambio, potremmo vedere ancora
la struttura primaria eustelica con tutti i fasci ben distinguibili, ma laddove ci sono i fasci midollari si è formato uno strato
di cambio che connette fra di loro tutti gli strati di cambio che stanno tra floema e xilema di ciascun fascio.

Quindi si avranno a lungo andare strati successivi via via più


maturi, dove il cambio cribro vascolare ha formato strati di
legno al suo interno: è possibile vedere spesso spicchi neri
che non sono altro che residui della struttura del legno
primario (sono lignificati,non degenerano). Intanto. Il cambio
cribro vascolare va a formare floema verso l’esterno.
A sua volta, il cambio subero fellodermico funziona dando
origine al sughero nella parte esterna, con residui di
epidermide, e cellule parenchimatiche (felloderma) verso
l’interno.

Quest’attività è stagionale, ad ogni primavera riprende il


processo fino all’autunno e determina l’aumento di strati di
anelli sempre nuovi.

Descrizione dell’immagine: fusto in struttura secondaria.


Al centro è presente il midollo e sono visibili residui di legni primario (i
fasci). Sono ben visibili tre cerchie annuali. Il cambio è rappresentato da
quella linea circolare che divide una zona chiara da una scura ed è il
responsabile dell’accrescimento in spessore del fusto: va a formare legno
verso l’interno (zona chiara) e floema verso l’esterno (zona scura). Man
mano che ci si allontana dal centro il floema risulta schiacciato.
Attenzione: è presente più zona chiara (legno) che zona scura (floema) dato
che il legno è un materiale molto duro, quindi non degenera a differenza del
floema che muore, si schiaccia e necessita di riformarsi alla stagione
successiva.
(Ricorda: tessuto vascolare=xilema=legno;
tessuto cribroso=floema=libro)

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DECORSO DEI FASCI CONDUTTORI


Il decorso dei fasci conduttori può essere talvolta irregolare, però nel fusto il tessuto conduttore compensa “lacune”
derivanti delle diramazioni a carico dei fasci adiacenti che riformano quel fascio che era venuto a mancare.

Vedi immagine. Partendo dall’esterno, abbiamo la zona tegumentale, la zona corticale


e la zona del cilindro centrale (fascio costituito da una guaina con fibre
sclerenchimatiche colorate in rosso), la zona del floema, la zona del procambio e al di
sotto ci sono i vasi dello xilema. Le zone cerchiate sono poi i raggi midollari costituiti
da cellule parenchimatiche, moltoimportanti per formare la struttura secondaria,
perché è lì che si sdifferenziano per tornare meristematiche (notiamo la grande
plasticità dei tessuti meristematici) ed ecco che si formano quegli strati di cambio che
sono all’interno dei fasci.

Quindi, per ricapitolare, nel passaggio avviene esattamente questo: abbiamo due fasci
conduttori di una struttura eustelica separati da raggio midollare. I due cambi intrafasciali
vengono connessi fra di loro dallo sdifferenziamento delle cellule del raggio midollare che
formerà il cambio interfasciale, cioè fra i fasci connettendo i cambi intrafasciali. In questo
modo, si forma un anello continuo di cambio, questo anello continuo di cambio
successivamente darà origine ad un anello continuo di legno secondario, le parti scure sono
i residui del legno primario che daranno origine ad un anello continuo di libro secondario.
Naturalmente, una volta che questa attività si è avviata, essa continuerà nelle stagioni
successive, quindi, per esempio, dopo tre anni avrà formato tre anelli di legno. Il legno è un
materiale molto duro quindi non degenera a differenza del floema che man mano che questa
struttura cresce, muore ad ogni stagione e si riforma nella stagione successiva; il libro
primario, quindi, è destinato a degenerare.
Le cellule del cambio sono delle cellule meristematiche, anche se sono morfologicamente
differenti perché non c’è un alto rapporto nucleo-citosol come nei meristemi primari, sono
cellule affusolate, piccole e allungate, esse si possono dividere secondo due modalità:
- divisione periclinale: è un tipo di divisione parallela alla superficie più vicina della
pianta e dà origine al legno nella parte interna e al libro secondario nella parte esterna;
- divisione anticlinale: perpendicolare alla superficie più vicina della pianta, e dà origine a nuove cellule del
cambio, quindi aumenta la circonferenza del cambio.

Non è finita qui, perché le cellule cambiali (anche chiamate


iniziali fusiformi) possono dividersi trasversalmente, spesso
questo tipo di divisione dà origine ad elementi dei raggi
midollari, che sono elementi importanti per il trasporto radiale.
In questa sezione trasversale possiamo notare molto bene i fasci
che caratterizzano la struttura primaria, agli angoli ci sono
quelli più grandi (ma ci sono anche quelli più piccoli),
riconosciamo il cilindro centrale, ma soprattutto le cellule
iniziali fusiformi che formano l’anello continuo di cambio
all’interno del fusto.

A circa un anno di età si è già iniziata a formare la struttura


secondaria. Nella zona che ha tre anni, più inbasso,
l’epidermide è già scomparsa.

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Struttura secondaria del fusto di un anno del pino:


vediamo un anello continuo di legno, tra floema e legno c’è il
cambio cribro vascolare. Nella zona corticale vediamo cellule
parenchimatiche, ma nel caso del pino vediamo anche molti canali
resiniferi, mentre nella zona superficiale si è accumulato il sughero
grazie all’attività del tessuto meristematico secondario, che è il
cambio subero fellodermico.

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Se andiamo a vedere delle latifoglie vediamo un tipo di


legno diverso perché abbiamo vari tipi di elementi: gli
elementi conduttori, quelli con i pori più grandi sono
vasi tracheidi, quelli più piccoli con le pareti spesse
sono invece fibre. Nel mezzo possiamo avere anche
delle cellule parenchimatiche tra le fibre e i vasi.
Quindi abbiamo tre tipi di elementi che rendono il
legno eterogeneo. Alla fine del legno, naturalmente
abbiamo il floema, la zona corticale e il tegumento, che
ancora è un epidermide (monostrato), addirittura si può
riconoscere uno stoma con le sue due cellule di guardia.
In questo tipo di campione quindi è entrato in funzione
il cambio cribro-vascolare, ma non è ancora entrato in
funzione quello subero-fellodermico: c’è ancora un
tegumento primario mentre si è già formato del legno
secondario. A fianco abbiamo sempre un legno costituito da vasi, fibre, e, anche se l' ingrandimento non ci consente di
osservare, ci sono sicuramente anche delle cellule parenchimatiche, cambio cribro vascolare. Riconosciamo la zona del
floema (grigio chiaro), la zona corticale in cui ci sono questi isolotti rosa (fibre, il puntino in mezzo è il lume cellulare).
Dalle fibre fino al tegumento è tutto tessuto parenchimatico. Nella zona del tegumento vediamo che non c'è più l'
epidermide ma si è già iniziato a formare del sughero (l' epidermide sta sfaldando).

TIPI DI LEGNO
Abbiamo due tipi di legno:
•legno eteroxilo, in cui sono presenti vasi, fibre e cellule parenchimatiche, è per cui molto eterogeneo;
•legno omoxilo molto più omogeneo formato unicamente da fibrotracheide, caratteristico delle gimnosperme.

Le due linee sono linee di confine tra due cerchie


annuali, testimonianza dell’attività annuale del cambio
(se ne forma uno ogni anno). Nel legno omoxilo, pur
essendo tutto omogeneo, il confine della cerchia
annuale si distingue molto bene. Il legno più chiaro,
con il lume più piccolo delle fibrotracheidi, è il legno
che si forma in estate; invece quello successivo, della
stagione successiva è il legno che si forma nella
primavera successiva, caratterizzato da tracheidi con il
lume certamente più ampio: man mano che ci
spostiamo verso la stagione estiva il lume si ridurrà
progressivamente.

vedi foto a destra. Nel legno eteroxilo la distinzione fra legno estivo e
primaverile la possiamo vedere molto bene: la parte alta primaverile è
caratterizzata da fibre con un lume piuttosto ampio, in mezzo al legno ci
sono anche delle fibre sclerenchimatiche, con il lume piccolo, e delle
cellule parenchimatiche che non sono indicate. Le striature continue degli
anelli sono i raggi midollari, costituiti da celle parenchimatiche, che
rappresentano un sistema di trasporto radiale oltre ai due sistemi di
trasporto assiale longitudinale, xilema e floema, abbiamo un sistema che
li interconnette, che è il sistema radiale. Sotto ci spostiamo nella cerchia
annuale dell'anno precedente dove vediamo il legno estivo; alla fine
dell'estate in realtà il cambio entra una stasi metabolica, non funziona e
non si divide più, rimane fermo per tutto l'inverno fino alla primavera
successiva, quando riprende e comincia a formare questi vasi. Quindi
durante il periodo estivo si forma il legno estivo, caratterizzato
sostanzialmente dalla scarsa presenza di vasi (se ci spostiamo verso la primavera allora cominciamo a vedere dei vasi).

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Nel preparato a sinistra vediamo cinque cerchie annuali. Qui, in ogni cerchia annuale,
il legno è caratterizzato da una grandissima differenza fra gli elementi che si formano
in primavera e quelli che si formano in estate (all’interno della stessa cerchia). Questo
è un legno che si chiama legno a porosità anulare, perché i pori dei vasi sono
particolarmente presenti all'inizio della cerchia, cioè nel legno primaverile e poi
riducono drasticamente nel corso della stagione (in estate praticamente non ci sono
più). Non tutti gli anelli sono caratterizzati da questo tipo di porosità: ci può essere una
pratica diffusa, come vediamo qui nell’ immagine a fianco, in cui la differenza fra il
lume dei vasi è molto graduale. I raggi midollari sono ovviamente presenti, li possiamo
seguire e continuano dallo xilema anche nel floema. La linea più scura in basso
rappresenta il confine fra la zona del cambio cribro-vascolare, quindi il confine tra
xilema e floema. Il preparato a sinistra è caratterizzato da raggi midollari molto
voluminosi e ciò varia a seconda delle specie.

Vedi sbobina per immagini esemplificative di vasi e raggi del legno (pag 6, 7, 8, 9, 10, 11) della lezione del 14/04.

TIPI DI SEZIONI
Per esaminare un legno si possono fare 3 tipi di sezione:
• sezione trasversale: perpendicolare all’asse maggiore del fusto
• sezione longitudinale radiale: passa per il centro del fusto,
seguendo il decorso dei raggi midollari; in essa si possono
riconoscere le cerchie annuali
• sezione longitudinale tangenziale: non passa per il centro del
fusto ed è perpendicolare al decorso dei raggi midollari (quindi si
vede il loro lume)

LIBRO II
Il libro funzionante, ovvero il floema che trasporta la linfa elaborata è
sempre l'ultimo che si è formato perché il precedente normalmente
viene schiacciato, quindi i tubi fibrosi vengono schiacciati da questa
crescita isodiametrica del legno, che ovviamente accumula materiale
lignificato; quindi il cambio si sposta all'esterno e man mano che si
sposta il floema che non è lignificato viene schiacciato. In questa
immagine è rappresentata ,una sezione trasversale di un fusto che
presenta partendo dal basso, lo xilema secondario (dove ci sono molti
vasi), fibre e raggi midollari visibili, la zona del cambio, il floema non
funzionante (quello più lontano dal cambio) e quello funzionante (che
invece è più vicino al cambio cribro vascolare) che si formato più
recentemente, mentre man mano che ci allontaniamo viene schiacciato.
La parte di floema che funziona quindi è molto sottile. I raggi che sono presenti nello xilema, poi aumentano di volume
all'interno del del floema, si dilatano sostanzialmente perché la crescita del legno è più intensa, più rapida rispetto a
quella del libro. Il libro che stava a periferia non riesce a seguire, per l'attività del cambio, la stessa crescita del legno e
quindi non riuscirebbe a coprire degli spazi che vengono in questo modo compensati dalla dilatazione del raggio
midollare. La struttura si dilata con crescita isodiametrica. Nell’immagine è visibile la zona corticale e sopra il tegumento
che costituisce la scorza (qui si è già formato del sughero) o ritidoma o corteccia esterna (con “corteccia” intendiamo un
tessuto vivo che sta all'interno della parte periferica esterna).

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Il raggio midollare, arrivato al livello del floema, si dilata e costituisce il parenchima di dilatazione proprio per andare a
coprire degli spazi che non riuscirebbero ad essere coperti dalla crescita del floema. Si forma quindi questo parenchima
di dilatazione con proliferazione e distensione di queste cellule parenchimatiche dei raggi, che hanno evitato che la zona
corticale si lacerasse, proprio per questa crescita isodiametrica del legno.
Naturalmente, il floema secondario è ricco di fibre che danno consistenza meccanica.

Questa immagine ci mostra la posizione del cambio durante la dormienza


invernale, ad inizio della primavera, e infine nella tarda primavera; man
mano che continua a produrre elementi in questo caso fibrotracheidi si
sposta via via più all'esterno. In basso abbiamo la posizione del cambio
all’inizio dell'estate dell'anno precedente: questo cambio si è spostato e si sta
spostando man mano che prosegue nella sua attività via via verso l'esterno.

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ANELLI DI ACCRESCIMENTO
Lo spessore dell'anello è tanto più grande quanto più alta è stata la temperatura → questi anelli derivano dall'
accrescimento, dall’attività stagionale del cambio; sono costituiti da un tessuto più tenero, meno compatto, perché ricco
di vasi che si forma in primavera, chiamato anche legno primaticcio, e da uno più compatto perché ricco di fibre che si
forma in estate fino alla fine della stagione. Naturalmente in inverno l'attività del cambio si arresta, le cellule non si
dividono → nelle zone temperate ogni anello corrisponde a un anno della pianta. In questo modo è possibile calcolare
l'età della pianta contando il numero degli anelli (questo discorso è valido solo dove c'è un’alternanza regolare delle
stagioni).

Nel legno ci possono essere anche elementi del parenchima e in alcuni casi le cellule del parenchima che circondano i
vasi possono formare delle protuberanze che entrano all'interno dei vasi: queste strutture si chiamano tille e tilosi e
interessano il processo appunto di accrescimento di queste cellule parenchimatiche all'interno dei vasi. Le tilosi si
formano quando il protoplasma delle celle parenchimatiche che circondano il vaso viene spinto all'interno del vaso. Il
fenomeno attualmente può essere così intenso da occludere completamente il vaso e questo può diventare un meccanismo
per sigillarlo: quando i vasi smettono di funzionare, infatti, vengono riempiti da cellule parenchimatiche fino alla
completa occlusione e questo preserva dalla proliferazione di microorganismi. Le cellule infatti entrano all'interno del
vaso utilizzando le punteggiature e formano dei tappi all'interno del vaso.

Vediamo delle immagini esemplificative:


Nell’immagine in alto a sinistra si vedono 5 cerchi
annuali,a partire dal 1981 fino ad arrivare al 1985;
nell’ambito di ciascuna cerchia è chiaramente
distinguibile il legno primaverile dal legno estivo: nel
primo vi è una predominanza di trachee, visibili in
sezione trasversale come strutture dall’ampio lume
cellulare; proseguendo oltre, però, si vede un vero e
proprio stacco che lo separa dal legno estivo, dovuto
alla scomparsa dei vasi molto grandi, che lasciano
posto a vasi molto più piccoli (in
estate c’è carenza idrica e vasi più piccoli, per quanto
abbiano una capienza minore, probabilmente sono più
adeguati);
di contro, nel legno estivo, si nota un netto aumento delle
fibre, quindi prevale una funzione meccanica e di
sostegno.
Questa sequenza si ripete nei vari cerchi annuali: quando
si vede un netto distacco tra il legno primaverile e il
legnoestivo, allora si parla di porosità anulare del legno.
Nell’ingrandimento della stessa immagine (in alto a
destra) si vedono bene anche delle linee radiali, alcune
molto spesse, altre molto sottili: le prime sono i
cosiddetti raggi multiseriati, che connettono lo xilema al floema, i quali hanno decorsi opposti, le seconde sono i raggi
uniseriati.
Anche qui si vede bene che nel legno estivo prevalgono le fibre, mentre in quello primaverile le trachee. Nell’immagine
in basso a sinistra si vede la sezione di un legno eteroxilo, con due o tre cerchi annuali, privi di quel netto distacco tra
legno primaverile ed estivo visibile prima: si tratta di un legno a porosità diffusa, ovvero con distribuzione omogenea di
vasi e di fibre.
Nell’immagine in basso a destra si vede la sezione di un legno omoxilo, con due cerchi annuali; nel legno primaverile ci
sono delle fibrotracheidi, con un lume relativamente ampio che si riduce nel legno estivo: questa è la differenza rispetto al
legno eteroxilo.
I due pori molto più grandi sono i canali resiniferi, i quali possono avere un’impalcatura di fibre, come nella foglia di
pino, oppure possono non averla (come in questo caso): è un carattere tassonomico, cioè dipende strettamente dalla specie
e può essere proprio come fattore discriminante.

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LEGNO DI REAZIONE
In funzione delle sollecitazioni che le varie parti di una pianta, come fusti e ramificazioni, possono subire, si può assistere
alla formazione di un particolare legno, chiamato legno di reazione;
nei rami o nei fusti che non hanno un orientamento verticale o ortotropo perché sollecitati dalla gravità o da condizioni
atmosferiche (come il vento), se tale sollecitazione non fosse contrastata i rami tenderebbero a piegarsi e a diventare
pendenti; in risposta a questo stress le piante producono il legno di reazione.
Facendo una sezione di questo legno si osserva che le cerchie annuali sono eccentriche,proprio perché non hanno una
disposizione concentrica ben precisa;
Nelle Angiosperme, facendo una sezione del legno di un ramo o del fusto particolarmente sottoposti a sollecitazioni
esterne, si nota che il legno di reazione si sviluppa nella parte superiore del ramo e quindi le cerchie sono più spesse in
quel punto: il legno così sviluppato (indicato nell’immagine dalla
freccia) prende il nome di legno di tensione; esso è formato da molte
fibre non completamente lignificate, ma gelatinose, perché povere in
lignina e ricche di cellulosa e materiale pectico: questo serve a evitare
che il ramo si pieghi quando su di esso viene esercitata una tensione(in
alternativa esso si piega o si solleva lentamente).
Nelle conifere, invece, la situazione è opposta: i cerchi annuali sono
sempre eccentrici, ma l’eccentricità si sviluppa nella parte inferiore del
ramo: in questo caso il legno si chiama legno di compressione.
Analizzando le fibre, anche dal punto di vista molecolare si notano
differenze da quelle del legno di tensione: sono ricche di lignina e
hanno poca cellulosa.

Quindi, se si analizza una sezione trasversale di una struttura arborea, la struttura secondaria è composta da diverse parti:
al centro c’è il midollo, intorno al quale si vede la parte più scura del legno, l’Heartwood, o duramen; è più scura perché
è impregnata di metaboliti secondari, come tannini e flavonoidi, che rendono il legno anche più resistente all’attacco di
microrganismi: si dice che è più durevole e quindi è anche più pregiato; il legno più chiaro, invece, si chiama Sapwood o
alburno, poi c’è la zona del cambio cribro vascolare, a cui segue la zona del floema secondario, poi c’è la zona corticale,
in strutture arboree cos’ ampie molto sottile, e infine la zona dei cambio subero fellodermico, che dà origine al sughero
che poi, insieme ad altri tessuti forma il ritidoma, o corteccia (tessuto morto che si sfalda, a seguito di un accrescimento
isodiametrico progressivo del fusto).

DENDOCRONOLOGIA
La dendrocronologia è lo studio delle cerchie annuali, e corrisponde allo studio della quantità di legno prodotta dal
cambio cribro vascolare, che è strettamente correlata al clima: ai tropici la crescita annuale è molto più rapida rispetto alle
regioni fredde perché c’è una minore stagionalità, ovvero una minore differenza di clima da una stagione all’altra, ed
ogni cerchia è formata da 50 fino a 100 strati di nuove cellule.
Le cerchie annuali, quindi, riflettono con grande accuratezza gli andamenti climatici e lo studio del loro spessore ha
molte applicazioni importanti; quando si esaminano le cerchie annuali si parte dall’anello più recente, il più esterno, e si
contano tutte le cerchie procedendo verso l’interno.
È un analisi che sicuramente consente di dare un’età alla pianta: il cambio ha un andamento stagionale, quindi in autunno
si ferma e non è più attivo fino alla primavera successiva, quando formerà una nuova cerchia. Se in un anno c’è una
anomalia climatica, come un innalzamento della temperatura nella stagione fredda, il cambio si può riattivare e produrre
nuovo materiale: le cerchie che si formano a seguito di questo sono più sottili e riconoscibili e si chiamano false cerchie.
Alcune piante possono vivere molto a lungo, alcuni esemplari hanno raggiunto anche 5000 anni e questo consente di
avere una cronologia accurata anche di periodi molto estesi; questo perché lo spessore di ogni singolo anello dipende da
diversi fattori: biologici (come la specie, l’età della pianta, eventuali avversità che ha affrontato), stazionali (altitudine,
suolo, esposizione, pendenza del versante ecc.) e climatici (temperatura, umidità, precipitazioni ecc.), e l’albero reagisce
immediatamente al variare di questi fattori producendo per quell’anno un diverso quantitativo di legno e quindi una
cerchia dal diverso spessore rispetto a quella precedente.
Misurando con la massima precisione ciascun anello e mettendo in grafico tali valori in funzione dell’epoca a cui risale, è
possibile costruire delle curve dendrocronologiche. Non è necessario avere solo un albero che ha vissuto per molti anni,
si possono utilizzare più esemplari di epoche diverse, ricostruendo per ognuno un’analisi dettagliata del tempo in cui
sono vissuti.

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Dati due campioni di piante diverse, A e B, che siano della stessa specie e che provengano
dalla stessa zona, l’alternanza di cerchie dal diverso spessore crea una sequenza simile ad un
codice a barre, unica e specifica di una determinata epoca; facendo due carotaggi per ogni
esemplare si vede in quali punti la sequenza delle cerchie corrisponde: nei punti in cui
corrisponde, i due campionisi sovrappongono, e dunque la curva può essere costruita e
continuata.
Collegando fra loro curve dendrocronologiche di piante cresciute in tempi successivi è possibile creare curve standard, o
master, cioè curve che riguardano periodi di secoli o anche millenni di determinate zonegeografiche (esiste una curva del
genere quercus valida per l’Europa del Nord che abbraccia 10.000 anni). Queste curve sono costruite con il metodo del
cross-dating e si ottengono lavorando a ritroso con un processo di interdatazione. Per datare un campione ligneo si dovrà
sovrapporre la sua sequenza anulare con la corrispondente curva madre, per poi verificare presenza e localizzazione di
quei tratti a successione anulare analoga.
La curva madre corrispondente deve avere però 2 requisiti fondamentali:
a) appartenere alla stessa specie legnosa (o comunque ad una riconosciuta equivalente);
b) essere riferita alla stessa area geografica.

Come si fa a costruiscono le curve dendrocronologiche?


Si determina lo spessore di ciascun anello, espresso in millimetri, e lo si riporta su un grafico: si ottengono così le curve
che hanno il tempo sull’asse delle x e lo spessore degli anelli sull’asse delle y. Queste curve ovviamente sono delle
spezzate, con oscillazioni negative e positive che indicano una diminuzione o un aumento dello spessore degli anelli,
dovuti ad eventi diversi vissuti dagli alberi.
Da queste curve si possono ricavare i “codici a barre” di cui si è parlato prima, e confrontare di conseguenza più curve tra
loro.

In una sezione trasversale della radice si osserva la stele, chiamata actinostele o fascio raggiato o fascio alterno. Il
numero di raggi (learche) dello xilema può variare: ci sono radici con 2 (diarche), 3 (triarche), 4 (tetrarche)... arche (le
radici più estese e robuste tendono ad avere più arche), a seconda della pianta; ovviamente tra un’arca e quella successiva
vi è un cordone di floema.
Il protoxilema, nell’immagine della radice tetrarca, è esarco, come lo è anche il protofloema; il cambio si trova tra il
metafloema e il metaxilema.

Questa è una radice tetrarca con elementi dello xilema al centro, il floema attorno e
all’esterno gli elementi del cambio. Sempre all’esterno si vede un anello che
circonda il complesso, che è uno strato di endoderma, molto maturo e quindi con
pareti suberificate e anche lignificate, e per questo colorate.
L’endoderma è lo strato più interno della zona corticale e partecipa alla produzione
delle cellule del cambio; aldilà dell’endoderma c’è il periciclo,definibile anche come
il primo strato di cellule parenchimatiche del cilindro centrale.
In quest’immagine si vede che l’endoderma è incompleto, perché vi sono dei punti
di permeazione e si vede anche che tutt’intorno vi sono cellule parenchimatiche di
riserva, ricche di granuli di amido.

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PASSAGGIO DALLA STRUTTURA PRIMARIA ALLA STRUTTURA SECONDARIA NELLE


RADICI (STRUTTURA ACTINOSTELE)
Lo xilema è rappresentato in nero, il floema è punteggiato e le curve sono il cambio
cribro vascolare.
Innanzitutto, i vari strati di cambio si uniscono formando una linea continua: gli
elementi del periciclo si sdifferenziano, tornano totipotenti e si dividono, formando
nuove cellule che, connettendosi alle altre cellule del cambio, formano una linea
sinuosa tra xilema e floema. Una volta che si è formata questa linea, le cellule
entrano in funzione e iniziano a dividersi per via periclinale (legno secondario verso
l’interno e floema secondario verso l’esterno).
Il cambio, così, da avere una forma sinuosa, assume progressivamente una forma
circolare con il libro secondario che lo circonda dall’esterno. Gli spicchi neri
indicano i residui di legno primario all’interno, mentre le porzioni grigie indicano il
legno secondario che si è appena formato.
Il cambio è diventato circolare.
L’attività del cambio è stagionale e ogni volta si forma un nuovo strato di legno, con
un nuovo strato di libro secondario, anche se questo non lignifica e quello vecchio
normalmente degenera, viene schiacciato e non funziona più (lo spessore del libro
secondario, infatti, è decisamente inferiore rispetto a quello del legno).

Questo è il disegno di una sezione trasversale di una radice


triarca; il cambio è rappresentato dalle linee tratteggiate, al
centro c’è lo xilema e all’esterno i cordoni di xilema. Nello
stesso modo di prima, dal periciclo le cellule si
sdifferenziano, ritornano meristematiche e formano una linea
continua di cambio che comincia a produrre xilema
all’interno e floema all’esterno, diventa via via circolare e poi
prosegue la sua attività.

PERIDERMA
È quello strato di cellule compreso fra le porzioni più esterne della corteccia o del
libro, e l’epidermide, prodotto dal fellogeno che produce sughero all’esterno e
felloderma (cellule parenchimatiche) all’interno. Può trovarsi nell’epidermide, nello
strato subepidermico, oppure anche nel floema (quindi il periderma, dall’esterno verso
l’interno è costituito da sughero, fellogeno e felloderma).
Questa è una sezione trasversale di una pianta dove il cambio subero fellodermico non
è ancora entrato in funzione perché nella zona tegumentale non si vedono strutture
secondarie, ma solo un’epidermide con uno spesso strato di cuticola (si vede anche
uno stoma): questo significa che il cambio cribro vascolare è entrato in azione, ma
quello subero fellodermico no.
Spesso, infatti, le attività dei due cambi sono asincrone, normalmente si
forma prima il cribro vascolare e poi il subero fellodermico: solo in alcuni casi sono
contemporanee.

Il cambio subero-fellodermico può formarsi a carico delle cellule


tegumentali dell’epidermide o delle cellule parenchimatiche al di sotto
dell’epidermide (ipoderma); naturalmente, più è spostato in avanti più
strati di sughero si accumulano all’esterno (e il felloderma all’interno).
Il cambio subero fellodermico, come già detto, si può formare a partire
dalle cellule al di sotto dell’epidermide: nell’immagine si vede un
epidermide con un pelo e solo al di sotto lo strato di cellule schiacciate
che costituisce il fellogeno (formatosi dal cambio subero-fellodermico).
Nell’altra immagine, si vede il sughero che si è accumulato
sull’epidermide, isolandola e causandone la morte (il pelo, prima tonico,
ora è distrutto).

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Il primo cambio subero fellodermico, in realtà, si può formare a spese di diversi tessuti, come l’epidermide, la corteccia, e
il floema primario o secondario. Si può formare tra l’altro, in vari punti, anche nel floema primario o secondario.
I tempi della sua formazione possono essere piuttosto diversi: in alcune specie il primo fellogeno si può formare
contemporaneamente al cambio cribro vascolare, in altre molto più avanti.
In ogni caso, la sua comparsa è molto evidente perché il sughero è visibile
come uno strato di colore scuro, e le cellule appaiono morte e sfaldate.
In alcune specie il primo cambio si forma solamente dopo molti anni e
l’epidermide e i tessuti del cilindro corticale possono durare per diversi anni.

Vedi immagine. Si vedono molti strati di sughero: le cellule sono ancora in


granparte vive e solo alcune cellule superficiali stanno iniziando a morire.
In basso si vede sempre uno strato di sughero: le cellule stanno via via
perdendo tonicità e si stanno sfaldando; ovviamente si riempiono di tannini
(perché il sughero isola e protegge la pianta) e questo risulta nell’assunzione
di una colorazione brunastra.
In alto si vede uno strato di cellule epidermiche che si stanno sfaldando.

Poiché il sughero isola completamente le parti interne, queste non riescono ad effettuare gli scambi gassosi di cui hanno
bisogno: ecco perché il fellogeno forma in alcuni punti delle piccole aperture, le lenticelle, che sono vere e proprie
interruzioni del sughero. Qui le cellule, differenziandosi, si scollano e si arrotondano,
lasciando spazi intercellulari nei quali può circolare l’ossigeno (si chiama anche sughero aerenchimatico, per sottolineare
la presenza di spazi intercellulari).

SCORZA O RITIDOMA
L’attività del cambio subero fellodermico e la produzione del
felloderma portano progressivamente ad una produzione di tessuto
morto all’esterno, che non è costituito solo da sughero: esso è il
ritidoma.
Il primo periderma che si forma è costituito da uno strato di
fellogeno (la parte rossa) che produce felloderma all’interno e
sughero all’esterno (questi 3 strati costituiscono il periderma).
In seguito, si forma un secondo periderma a carico del libro
secondario, nello stesso modo di prima: a causa di questo, tutti i
tessuti al di sotto del primo periderma sono destinati a morire,
perché isolati dal sughero sovrastante e sottostante; questi tessuti
morti, che comprendono parte del libro secondario, residui del
libro primario, cellule parenchimatico e qualche fibra,
parteciperanno tutti alla costituzione della corteccia esterna (o
ritidoma), insieme al sughero stesso.
Il ciclo si ripete periodicamente, determinando un
aumento di spessore del tessuto morto all’esterno. Le situazioni
che si presentano sono diverse di specie in specie: nella quercia da
sughero si vede un ritidoma molto consistente, che viene asportato
periodicamente per prelevare il sughero, impiegato in vari settori.

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FORME ANOMALE DI CRESCITA E ACCRESCIMENTO


monocotiledoni
Nelle monocotiledoni ci sono sistemi di accrescimento secondario simile a quello delle Eudicotiledoni. Molte
monocotiledoni hanno una struttura arborea, anche se non hanno una crescita secondaria; per questo ci sono dei
meccanismi particolari.
Si organizza un cambio vascolare che deriva dallo sdifferenziamento delle cellule corticali.
Una volta formato questo cambio nella zona corticale, questo produce del parenchima. Successivamente alcune di queste
cellule prodotte, iniziano a dividersi rapidamente per divisione mitotica, dando origine a stretti cordoni procambiali. Da
qui si originano i fasci cribro vascolari secondari (con xilema, floema e circondati da un anello di fibre con pareti
secondarie ispessite) e danno consistenza meccanica.
Un esempio è la Dracena, che può avere una struttura arborea molto voluminosa.

palme
Nelle palme, in realtà, avviene un meccanismo diverso e insolito. Durante i primi anni di vita la pianta si accresce in
spessore e aumenta il numero di foglie; ciò avviene senza un accrescimento secondario, bensì grazie alle numerose radici
avventizie che si originano alla base del fusto. Ogni radice è caratterizzata da una stele, l’actinostele, con un certo
numero di archi di xilema. Ciascuna radice aumenta il numero delle arche vascolari, e la porzione del fusto che sovrasta
ogni nuova radice possiede molti più fasci rispetto quella precedente. Ad esempio: se ad un certo punto il livello del fusto
contiene 100 fasci, ad un livello sovrastante produce 5 radici avventizie ognuna delle quali ha 8 arche; in questo modo al
di sopra di esse il fusto presenterà 140 fasci.
Ogni anno un certo numero di radici avventizie muore in tutta la lunghezza e viene sostituito da nuove. In questa maniera
avviene l’accrescimento della pianta.

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IL FIORE

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STRUTTURA DEL FIORE


Il fiore è formato da foglie modificate; dall’esterno si hanno:
• sepali→ verticilli protettivi, foglie protettive
• petali→ verticilli con funzione attrattiva
• stami(androceo)→ formati da un filamento e da un’antera,
al cui interno ci sono tasche cave in cui matura il granulo
pollinico; quando questo è maturo, l’antera si lacera e il
polline esce
• pistillo(gineceo)→ formato da stigma, stilo (porta in alto
lo stigma) e ovario; lo stigma è formato da
cellule che elaborano un secreto mucillaginoso, che
favorisce l’atterraggio e l’ancoraggio del polline
• ovario→ formato da cellule carpelli (che possono o meno essere fuse), che creano delle tasche al cui interno si
trovano gli ovuli; ha un’apertura, il MICROPILO, da cui entra il tubetto pollinico
• ricettacolo→ vi poggia l’ovario; al di sotto c’è il pedicello (i falsi frutti sono formati anche dallo sviluppo del
ricettacolo).
• L’asse fiorale, cioè il tratto di ramo che porta il fiore stesso, è detto pedicello fiorale; la parte terminale dell’asse
fiorale, dove sono inserite le diverse parti del fiore, è detta ricettacolo.

Le appendici fiorali sono 4 tipi diversi: sepali, petali, stami, carpelli. In molte piante, il fiore presenta tutte e 4 queste
appendici, e quindi è chiamato fiore completo. I fiori incompleti, invece, mancano di 1 o più delle parti fiorali suddette; è
un fatto, questo, piuttosto comune.

I diversi colori dei fiori hanno funzione vessillare e attrattiva per gli impollinatori specifici; oltre a quelli che assorbono
nel visibile, molti fiori hanno pigmenti che assorbono la luce ultravioletta, una sorta di segnale che solo gli occhi di certi
insetti possono recepire.

Quando si sono formati i primi fiori?


Fino a circa 140 milioni di annii continenti erano associati nella Pangea. Nella Nuova Caledonia(1500 km ad est
dell’Australia) la vegetazione si è mantenuta come doveva essere all’epoca: erano dominanti le Peteridofite
(Felci, spesso con tipi arborescenti) e le Conifere rappresentate dai generi Araucariae Dammara. Le peteridofite si
riproducono in acqua, avendo gameti mobili; le conifere invece fanno una riproduzione detta anemofila (il
polline viene rilasciato nell’ambiente esterno e, trasportato dal vento, raggiunge il proprio target).

Circa 130 milioni di anni fa, una pianta si riprodusse in modo


diverso originando il primo fiore grazie alla mutazione del
genoma di una foglia: Amborella Trichopoda, considerato il
primo fiore, un fossile vivente (specie legnosa sempreverde).
Iniziò poi, grazie ai coleotteri, l’impollinazione di questa pianta
e la conseguente diffusione.

Nel Giurassico nacquero terre più piccole e ci furono


cambiamenti ambientali, nuovi habitat. Per le conifere e le felci
(legate a vento e acqua per la loro riproduzione) queste nuove
condizioni non erano tanto favorevoli; per le angiosperme,
invece, era una buona occasione in quanto il loro ciclo vitale è
rapido perciò ogni ciclo riproduttivo dà la possibilità di
variazioni del genoma e quindi adattabilità ai nuovi habitat.

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RIPRODUZIONE DEI FIORI


Le piante possono avere 2 modalità di riproduzione:
• riproduzione sessuale→ genera individui geneticamente diversi dai genitori, quindi aumenta la variabilità genetica
di una specie, contribuendo alla biodiversità; tuttavia i discendenti non possono colonizzare rapidamente un nuovo
sito simile a quello originario, perché non tutti sono adatti ad esso, ma altri possono colonizzare siti con
caratteristiche diverse da quello originario. Inoltre, cambiamenti nell’habitat possono eliminare alcuni membri della
progenie, ma altri possono risultare adatti alle nuove condizioni. Da una fase vegetativa si origina tramite meiosi
una fase riproduttiva, che porta alla formazione dei gameti, che si fondono formando lo zigote (cellula diploide),
che tramite mitosi darà origine all’individuo pluricellulare. Le piante che si riproducono per via sessuata possono
adattarsi abbastanza bene anche in ambienti in cui il clima o le condizioni ambientali variano, in quanto la
variabilità genetica permetterebbe alla prole di adattarsi in base alle condizioni. Individui isolati non possono
riprodursi.
• riproduzione asessuale (o vegetativa)→ gli individui sono geneticamente identici ai genitori, quindi non c’è
variabilità; tuttavia è possibile la colonizzazione rapida di un nuovo sito con caratteristiche simili a quello
originario; tuttavia, cambiamenti anche minimi nell’habitat possono eliminare tutti i membri della progenie, in
quanto questo tipo di riproduzione è adatta a condizioni ambientali cotanti e favorevoli (se vi fossero cambiamenti
ambientali sarebbe meglio che la pianta si riproducesse per riproduzione sessuata, in quanto la variabilità potrebbe
essere vantaggiosa all’adattamento). Individui isolati possono riprodursi.

Alcune piante possono tuttavia riprodursi in entrambi i modi; tra queste le fragole, che producono semi, ma si diffondono
rapidamente anche per via vegetativa tramite stoloni. Noi analizzeremo la prima.

“monoica” → una specie che presenta solo una parte (femminile o maschile)
“dioica”→ una specie con la parte maschile e femminile

RIPRODUZIONE SESSUALE
CICLO DI VITA (degli eucarioti)
Nel loro ciclo di vita c’è alternanza tra generazione aploide e
diploide (zigote), che deriva dall’unione di 2 gameti.
Tramite la meiosi il gametofito genera le spore (gameti), che
fondendosi originano lo sporofito, cioè la struttura
macroscopica della pianta. Nelle piante la fase aploide è
detta FASE GAMETOFITICA (n), mentre la FASE
SPOROFITICA è quella diploide (2n).

In generale:
Nel fiore, che fa parte dello sporofito diploide (2n),accadono degli eventi che portano alla riproduzione:
• Nella parte femminile c’è una megaspora detta cellula madre che fa una meiosi e produce 4 cellule, di cui 3
degenerano e ne rimane soltanto una: la megaspora aploide. Essa subisce 3 mitosi, originando 8 nuclei e 7
cellule (perché una è binucleata) e si sviluppa il megagametofito. Esso, anche detto sacco embrionale, è
il gametofito femminile al cui interno si forma l’ovocellula aploide circondata da due cellule (che
collaborano con essa) e una grande cellule binucleata.
• Nella parte maschile (nelle antere)ci sono delle cavità in cui maturano i granuli pollinici: si formano
delle microspore aploidi che danno origine ai microgametofiti aploidi(polline)dotati di un nucleo del granulo
pollinico e di due cellule che sono i microgameti(o cellule spermatiche). Quando il granulo pollinico è
maturo viene rilasciato e trasportato dagli insetti nella parte apicale del pistillo (dove c’è lo stigma). Una
volta aderito per prima cosa riprende i propri metabolismi reidratandosi, poi germina e costruisce un
tubetto pollinico che cresce molto rapidamente. All’interno del tubetto pollinico ci sono le cellule
spermatiche che devono raggiungere il sacco embrionale in prossimità dell’ovocellula; a questo punto il
tubetto rilascia i gameti, uno dei quali si fonde con l’ovocellula e dà origine allo zigote diploide, mentre
l’altro si fonde con la grande cellula binucleata formando una cellula triploide che inizia a dividersi
intensamente dando origine ad un tessuto di riserva, detto endosperma, per l’embrione originatosi dallo
sviluppo dello zigote.

In questo modo si è formato il seme. Esso si svilupperà, formerà la radichetta ed il germoglio, ma nelle prime fasi
della sua vita la pianta non è eterotrofa, ma autotrofa perché le sue foglie non si sono ancora sviluppate e non
possono compiere fotosintesi, perciò l’organismo si sviluppa a spese delle proprie riserve.

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Nel dettaglio:
GAMETOGENESI
La gametogenesi ha 2 modalità:
1. microgametogenesi→ forma il gametofito maschile
2. megasporogenesi poi megagametogenesi→ forma il gametofito femminile o sacco embrionale (7 cellule e 8 nuclei)

Microgametogenesi
Nell’antera c’è una nervatura che la irrora e la nutre, un epidermide esterna e 4 sacche polliniche, dove avviene lo
sviluppo dei pollini, circondate da un tessuto detto TAPPETO, importante perché:
• ha funzione trofica, cioè favorisce lo sviluppo del granulo pollinico
• produce l’enzima callasi, che digerisce il callosio delle microspore
• ha un ruolo nella formazione della parete del granulo pollinico, poiché quando degenera forma la parete esterna
del granulo, composta da:
- uno strato interno detto INTINA (che deriva dal gametofito, cioè ha origine aploide), formata da callosio,
cellulosa e altri zuccheri formati da arabinosio; ha aspetto fibrillare
- uno esterno detto ESINA, che deriva dal tappeto (origine diploide) e forma i particolari solchi e decorazioni
del granulo, che sono specie-specifiche e in cui manca l’esina, quindi c’è solo intina. Il principale costituente
dell’esina è la SPOROPOLLENINA, che deriva dalla polimerizzazione ossidativa di carotenoidi; essa è molto
resistente alla degradazione, tanto che pareti fossilizzate di pollini sono state trovate negli strati geologici o su
reperti storici (es: sindone)
• la degenerazione delle cellule del tappeto determina la deposizione di lipidi e proteine, che giocano un ruolo
importante nell’interazione coi tessuti femminili, in particolare per impedire l’autofecondazione (che limiterebbe
la variabilità) poiché l’ovario riconosce il proprio polline grazie a particolari proteine contenute nell’esina.
• a livello dell’esina, deposita dei polimeri con funzione strutturale e pigmenti, tra cui metaboliti secondari quali i
flavonoidi, che favoriscono la germinazione del tubetto.

Il tipo di parete è adattato alla modalità di dispersione: se è entomofila l’esina è fortemente ispessita e scolpita.

Da una cellula madre contenuta in una delle tasche dell’antera con la meiosi si formano 4 microspore aploidi
(TETRADE), contenute in una parete di callosio, che è poi digerita dall’enzima callasi, liberando le 4 cellule. Tuttavia,
le 4 microspore hanno una parete immatura, quindi devono crescere; si forma così un vacuolo, che favorisce la crescita
volumetrica e infine iniziano a formarsi i solchi (il cui numero varia in base alla specie).

Ogni microspora subisce mitosi e si formano:


• 1 nucleo vegetativo→ responsabile del metabolismo del granulo;
• 1 nucleo gen er ativo → racchiuso da una membrana e una parete, formerà i 2 gameti.

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A questo punto le sacche dell’antera sono piene di granuli; tuttavia prima dell’apertura il granulo si disidrata, poiché
perdendo acqua rallenta il suo metabolismo e ciò gli permette di sopravvivere più a lungo all’esterno. Quindi raggiunge
la fase di maturazione, diventando meno rigonfio e più schiacciato; a questo punto l’antera si apre longitudinalmente
(tramite morte cellulare programmata), rilasciando i granuli.

Quando il granulo pollinico si attacca allo stigma, germina e il tubetto pollinico cresce finché non entra nel
micropilo dell’ovario. Circa il 60-90% dei geni espressi nel granulo (gametofito) è espresso anche nello sporofito.
Inoltre, alcune proteine sono presenti solo nel polline (come quelle allergeniche delle graminacee), alcune delle quali
hanno un ruolo nella crescita del tubetto, fra queste:
• Pectato liasi: rompono le pectine, favorendo la crescita del granulo
• Profilina: è un panallergene che ha a che fare con l’organizzazione del citoscheletro, che è
riorganizzato quando germina il tubetto
• Espansine: sono allergeni, che si trovano in molte specie erbacee;

L’analisi quantitativa e qualitativa dei pollini fornisce anche informazioni sulla composizione della vegetazione del
passato; inoltre, l’identificazione sistematica del polline ha molte applicazioni, dalla criminologia all’archeologia
alla criminologia o l’esplorazione petrolifera. Inoltre l’identificazione del polline è importante anche per il
calendario pollinico, in relazione al fenomeno delle allergie.

Il granulo pollinico ha importanza tassonomica ed è dotato di una parete esterna molto resistente con 3 solchi e da
uno di questi germinerà il tubetto pollinico. Inoltre, i granuli sono diversi tra loro in base alla modalità con cui sono
trasportati (certe specie usano entrambi i metodi):
• ENTOMOFILI: trasportati dagli insetti, con esina ispessita e ornamentata, che favorisce
l’attacco alle zampe degli insetti; inoltre il granulo è rivestito da materiale viscoso (POLLENKIT), derivante
dalla degenerazione delle cellule del tappeto, che favorisce l’aggregazione dei granuli e
l’adesione allo stigma ed è composto da lipidi, glicolipidi, carotenoidi e flavonoidi. L’adesione del grano pollinico
allo stigma è dovuta anche grazie al pollenkit.
• ANEMOFILI: trasportati dal vento, con esina liscia e più sottile, meno adesivo.
• piante acquatiche: presentano una forte riduzione dell’esina, che è completamente assente in certe
monocotiledone delle praterie marina (es: Posidonia oceanica)

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I grani pollini sanno quindi essere molto diversificati, con morfologie anche abbastanza riconoscibili. Spesso la struttura
presenta dei pori: fessure senza esina al centro delle quali vi sono dei pori.

➔ grani pollinico al microscopio ottico: colorati il nucleo e la cellula generativa.

Megasporogenesi
Nella formazione del gamete femminile, il megasporocito subisce meiosi, ma 3 delle 4 cellule degenerano e resta
una sola megaspora funzionale e assorbe il citosol delle altre, dunque diviene grande.

Megagametogenesi
A sua volta questa subisce 3 mitosi, che determinano la formazione di
8 nuclei, che però sono contenuti in 7 cellule perché una è binucleata.
Alla fine,a seguito della citodieresi, il sacco embrionale contiene:
• 1 cellula uovo affiancata da 2 cellule sinergidi, che la nutrono;
• 1 cellula binucleata centrale, con 2 nuclei polari;
• 3 cellule antipodali, così dette perché sono al polo opposto
della cellula uovo.
Tutto ciò avviene all’interno dell’ovario. L’ovario di Giglio si
maneggia molto bene e può essere utilizzato per fini di studio: presenta
3 carpelli fusi con 3 logge, ognuna con 2 ovuli uniti alla placenta
tramite una struttura (funicolo) di raccordo che contiene il tessuto
conduttore. La parte centrale dell’ovulo è la nocella (macrosporangio)
che generalmente ha un solo megasporocita (che andrà incontro a
meiosi) ed è circondata da uno o due strati di cellule che lasciano solo un piccolo orifizio (micropilo) in prossimità della
cellula uovo.

Più del 70% delle piante a fiore si sviluppa secondo questo modello. Ogni cellula carpellare contiene un certo numero di
ovuli in base alla specie esaminata, uniti alla placenta mediante il FUNICOLO (tessuto conduttore); la parte centrale
dell’ovulo è detta NOCELLA (macrosporangio), che di solito ha un solo megasporocita, che andrà incontro a meiosi, ed
è circondata da 1/2 strati di cellule, che lasciano solo un piccolo orifizio, detto MICROPILO, da cui entra il tubetto.

Cellula vegetativa: darà origine ai


gameti.

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Il termine “polline” fu introdotto da Linneo col significato di polvere


fine; il suo ruolo è quello di trasferire i gameti maschili fino alla
cellula uovo, proteggendoli da condizioni
ambientali difficili grazie alla parete spessa. Il polline si sviluppa
rispettivamente:
• nelle sacche polliniche nelle Gimnosperme
• nelle antere nelle Angiosperme

L’IMPOLLINAZIONE è il periodo che va dall’apertura delle


antere/sacche polliniche all’atterraggio in prossimità del
macrogametofito. Questo processo avviene a determinate condizione
ambientali e climatiche. Le cellule dello stigma formano una
superficie irregolare, formata da PAPILLE STIGMATICHE, e
secernono un materiale mucillaginoso per favorire l’atterraggio e
l’adesione del granulo pollinico.

E’ un processo che comporta cambiamenti fisiologici nel granulo,


poiché:
1. dato che a maturazione il granulo si disidrata, una volta atterrato
sullo stigma deve reidratarsi per riattivare i metabolismi e ciò
avviene solo se c’è un riconoscimento tra tessuti femminili e
maschili
2. in seguito alla reidratazione il granulo pollinico germina, cioè inizia a svilupparsi il tubetto pollinico con crescita
polarizzata (o apicale), grazie a cui esso penetra nei tessuti femminili lungo il pistillo
3. una volta che il tubetto pollinico (che trasporta i gameti maschili alla cellula uovo) entra nell’ovario tramite il
micropilo avviene la fecondazione; questo processo si verifica con successo solo tra piante compatibili e le piante
che non si auto-fecondano sono dette non-auto-polliniche. Il tubetto entra in una delle 2 cellule sinergidi, liberando
i gameti e si ha che:
- 1 gamete si fonde con la cellula uovo, formando lo zigote
- 1 gamete si fonde con la cellula binucleata centrale, formando così una cellula triploide, che poi tramite mitosi
formerà l’ENDOSPERMA, cioè il tessuto di riserva dello zigote

I tipi di impollinazione sono:


• Anemogama: dipende dal
vento
• Zoogama: dipende dagli
animali impollinatori, detti
pronubi (es: colibrì)
• Entomogama: dipende da
insetti impollinatori
• Idrogama: dipende dall’acqua
(avviene per le angiosperme
acquatiche)

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GERMINAZIONE DEL POLLINE


Nel granulo pollinico maturo:
a) INTINA: strato più interno, secondo ad essere deposto
- callosio+cellulosa e arabinani
- in corrispondenza dei pori di germinazione non ricoperta da esina
- parete del tubetto si forma per estensione della intina (callosio è prevalente)
- aspetto fibrillare
b) ESINA: strato più esterno, primo ad essere deposto
- decorata da ornamentazioni (spine o creste) specie-specifiche

sporopollenina: politerpene che si origina dalla polimerizzazione ossidativa di carotenoidi e loro esteri, struttura spiralata
e resistente alla degradazione (fossili), presenta solchi e pori.

Dopo aver aderito allo stigma, il granulo si reidrata e diventa


più tondeggiante. Inoltre c’è anche un influsso di calcio, la cui
presenza attiva il citoscheletro e in particolare si riorganizzano
i microfilamenti di actina.
Da uno dei pori del granulo pollinico si forma il tubetto per
estensione dell’intina, che ha un gradiente di apicale di calcio
che ne orienta la crescita e il differenziamento (con coloranti
fluorescenti diventa rosso).

La CRESCITA APICALE è PULSATA (a intervalli), cioè non


è costante, e la velocità di crescita dipende dalla
concentrazione di calcio (più calcio c’è più è veloce);
coinvolge:
• il calcio attiva l’apparato di trasduzione del segnale; in
particolare sono secrete proteine polliniche glicosilate,
che consentono la comunicazione molecolare tra tessuti
femminili e maschili
• polarizzazione del citoplasma e del citoscheletro, per cui
quelli all’apice sono diversi da quelli interni
• formazione di gradienti interni, grazie alla presenza del gradiente di calcio all’apice
• flusso trasmembrana di ioni
• accumulo di vescicole all’apice e secrezione apicale di materiale, grazie a cui si forma nuova parete e membrana
del tubetto (avviene anche un’endocitosi del materiale in eccesso)

L’unità germinativa maschile (cioè i 2 gameti) viaggiano insieme e sono localizzati in una posizione
retrostante all’apice germinativo, che ha flusso acropeto (cioè verso l’apice).
Le vescicole e gli organelli (anche detto “traffico vescicolare”) nel tubetto si muovono grazie a proteine motrici (dette
motori molecolari) che viaggiano sul citoscheletro (che si può evidenziare tramite anticorpi fluorescenti); essi hanno sia
flusso acripeto che anterogrado.
La capacità di una pianta di riconoscere il polline come self per evitare l’auto-fecondazione è detta AUTO-
INCOMPATIBILITA’; se in seguito al contatto con lo stigma il polline è riconosciuto come self, per evitare l’auto-
fecondazione la pianta può ricorrere a 2 modalità:
- si forma un tappo di callosio all’apice del tubetto, impedendone la crescita
- il tubetto cresce ma non riesce a deviare verso il funicolo

N.B.: in laboratorio, per germinare, il polline deve essere reidratato in una camera umida (cioè satura di vapore) a 30°;
poi è messo in capsule petri o in micropiastre in un mezzo liquido (1mg/ml) di germinazione, che contiene saccarosio,
acido borico e calcio, cioè le sostanze che solitamente derivano dai tessuti femminili. La germinazione avviene in
qualche ora e la velocità di crescita del tubetto arriva fino a 10μm/min (ma dipende dal tipo di polline) e può essere
indotta mettendo il polline sullo stigma.

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Tubetto pollinico
Struttura del tubetto pollinico
Nel tubetto, che è rivestito dalla sola intina, ci sono proteine motrici citoscheletriche (cioè che interagiscono con questo)
che trasportano le vescicole, gli organelli e i 2 gameti maschili. In particolare:
- i microfilamenti di actina muovono gli organelli
- i microtubuli di tubulina le vescicole
All’apice del tubetto ci sono vescicole che contengono i precursori della parete e della membrana.
La parte apicale metabolicamente attiva del tubetto è isolata dalla parte inattiva tramite tappi di callosio; ciò è una sorta
di meccanismo per il risparmio energetico.

La struttura del tubetto è la seguente:


- dominio apicale di crescita: presenta una rete di microfilamenti, che impedisce il passaggio verso l’apice agli
organelli (che quindi tornano indietro), mentre fa passare le vescicole, che in questa zona si fondono tra loro
- dominio sub-apicale: qui il citoscheletro è disorganizzato e forma una specie di rete
- dominio basale: qui il citoscheletro è ben organizzato e trasporta vescicole e organelli (soprattutto mitocondri,
in quanto la crescita del tubetto richiede energia).

Movimento del tubetto pollinico


Nel tubetto avvengono 3 tipi di moto:
- a fontana inversa (vedi foto): gli organelli vanno verso l’apice, ma poi tornano indietro
- vescicole secretrici: portano le vescicole verso l’apice, dove si fondono creando nuova parete e membrana del
tubetto, che in questo modo può continuare a crescere
- moto dell’unità germinativa maschile (MGU): essa è localizzata in una zona retrostante all’apice e si muove
costantemente in avanti; di solito interagisce con il citoscheletro e le proteine di membrana per farsi
trasportare

Crescita apicale del tubetto pollinico (velocità fino a 10 micron/min):


• La crescita richiede un gradiente ed un influsso di Ca2+all’apice
• Fusione di vescicole all’apice
• Flusso acropeto della “male germ unit” (MGU: nucleo vegetativo e cellule spermatiche)
• Movimento organellare sostenuto da un sistema rappresentato da proteine motrici associate al citoscheletro
• Tappi di callosio consentono di localizzare la MGU nella parte apicale in crescita separandola dalla parte “spenta”.

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Motori molecolari del tubetto pollinico:


• Proteine citoscheletriche trasportano vescicole, organelli, cellula generativa e nucleo vegetativo
• Interazione organelli- citoscheletro ne garantisce posizionamento
• MFs di actina promuovono moto organelli
• MTs di tubulina (regione corticale) organizzano citoplasma e promuovono il moto della cellula generativa e nucleo
vegetativo
• MFs e MTs richiedono proteine motrici e/o associate (miosina, kinesina, dineina)

Idratazione
Quando il granulo pollinico raggiunge lo stigma di un fiore compatibile, deve essere per prima cosa reidratato per
riattivare i metabolismi; il granulo assorbe acqua tramite le proteine canale acquaporine, che permettono il passaggio di
un abbondante flusso d’acqua, regolando l’idratazione.
Nel rivestimento del granulo ci sono anche LIPIDI, molto importanti, che hanno un duplice ruolo:
• funzionano da molecole segnale
• hanno un ruolo nell’idratazione, poiché determinano la formazione di un gradiente di concentrazione di acqua
che dirige la crescita del tubetto (cioè è stato dimostrato da mutanti difettivi)

Inoltre, ci sono anche PROTEINE del RIVESTIMENTO POLLINICO (PCPs), che sono regolatori positivi che
promuovono un’efficiente reidratazione.
Quindi il tubetto segue segnalazioni chimiche per arrivare all’ovario, anche perché deve deviare prima verso il funicolo e
poi deve cercare il micropilo, perciò deve fare almeno 2 deviazioni. Una volta raggiunto il sacco embrionale, l’apice
entra in una delle 2 cellule sinergidi che secernono calcio per richiamarlo, rilasciando i gameti, di cui:
• 1 gamete si fonde con la cellula uovo, formando lo zigote
• 1 gamete si fonde con la cellula binucleata centrale, formano l’endosperma (tessuto triploide)
I due gameti non sono però uguali tra loro e si è visto che di solito è quello più piccolo che si fonde con la cellula uovo;
inoltre, presentano anche differenze molecolari.

I tubetti vanno a “cercare” gli ovuli. Se invece non sono compatibili li


evitano: c’è un meccanismo self/non self→un check che continua anche
durante la crescita. Nel caso sia non self il tubetto viene indotto a
morire→ morte cellulare.

Il tubetto durate la sue crescita è in grado di rilasciare delle proteine di diverso tipo che vanno a digerire alcuni
componenti della parete rendendole più morbide, meno rigide, e a seguito il tubetto riesce a crescervi dentro.

FECONDAZIONE
La singamia, cioè la fusione dei gameti maschili e femminili, comporta la
fusione sia dei citoplasmi che dei nuclei dei gameti stessi, cioè, rispettivamente,
la plasmogamia e la cariogamia. Il tubetto pollinico che cresce all’interno
dell’ovario viene indirizzato verso il micropilo; qui giunto, arriva all’apparato
ovarico ed entra in una delle due sinergidi. L’apice del tubetto, a questo punto,
scoppia rilasciando entrambi i gameti. Uno dei due si fonde con la cellula uovo,
l’altro si fonde con la cellula diploide formandone una triploide (3n). La cellula
triploide inizia poi a dividersi intensamente, dando origine a un tessuto di
riserva che prende il nome di endosperma.

Lo zigote può ereditare mitocondri o plastidi di provenienza “paterna” con il


materiale genetico in essi contenuto. Eventualmente questo patrimonio
ereditario va ad aggiungersi ai geni plastidiali e mitocondriali di origine
“materna” che appartengono al corredo genetico dello zigote. Questo fenomeno
si chiama “eredità biparentale”. Questo avviene spesso nelle gimnosperme, i

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cui gameti maschili sono sempre provvisti di plastidi, per cui i geni in essi contenuti entrano sempre a far parte del
patrimonio dello zigote. Nelle gimnosperme, per altro, la singamia del gamete maschile e della cellula uovo è anche la
sola fecondazione che si compie, mentre l’altro gamete degenera.

È invece esclusiva delle angiosperme la cosiddetta doppia fecondazione. Il secondo gamete maschile, infatti, migra dalla
sinergide verso la cellula centrale, e fonde il suo nucleo con i due nuclei polari, formando così un grande nucleo
dell’endosperma secondario, che risulta quindi triploide. Il nucleo dell’endosperma è molto attivo e si divide
ripetutamente, con mitosi distanziate di alcune ore. In questo modo, la cellula centrale si accresce grandemente, dando
luogo ad un’unica e ampia massa di citoplasma con centinaia o migliaia di nuclei, perché le divisioni nucleari non sono
accompagnate dalla citodieresi.
Quando le divisioni cellulari cessano, un citoplasma denso attornia ciascun nucleo e si costruiscono le pareti,
individuando così i confini delle singole cellule dell’endosperma (es noce di cocco, che ha il più grande endosperma
conosciuto).
Quando vi è una struttura sinciziale (no pareti, solo nuclei), spesso l’endosperma è liquido. Un altro esempio è quello del
mais, che presenta le cellule con l’endosperma che attraversa uno stadio liquido e che successivamente diventa un tessuto
cellularizzato (le pannocchie vengono raccolte allo stadio immaturo in cui endosperma va trasformato da sinciziale a
cellulare).

EMBRIOGENESI IN VIVO
Parallelamente allo sviluppo dell’endosperma secondario, anche lo zigote compie una serie di mitosi; qui, però, la
divisione del nucleo e la citodieresi sono ben coordinate, e non si ha mai una fase di sincizio. Lo zigote, prima cellula del
nuovo individuo diploide, si sviluppa cioè ad embrione.

Dalla cellula uovo iniziale maturano più cellule meristematiche (da cui poi si differenziano varie cellule) che formano 2
zone meristematiche, responsabili dello sviluppo della pianta.
L’embrione è infatti una STRUTTURA BIPOLARE per via delle localizzazioni opposte dell’apice caulinare e
dell’apice radicale (ciò nelle Angiosperme). Esso è ancorato al sacco embrionale tramite alcune cellule che formano
il sospensore e una cellula basale, quindi resta racchiuso nell’ovulo e si accresce a spese del gametofito femminile.

Dal punto di vista morfologico la struttura dell’embrione può essere


vista come il risultato di 2 programmi di sviluppo (pattern): uno
lungo l’asse longitudinale (o apicale-basale) e l’altro lungo l’asse
radiale.

Stadi di sviluppo
Nel caso del modello Arabidopsis (dicotiledone), una volta che si è formato lo zigote, esso si distende e poi subisce la
prima divisione, che è asimmetrica e porta alla formazione 2 cellule:
• una apicale più piccola, che origina la maggior parte dell’embrione e in particolare forma il meristema caulinare, i
cotiledoni e la porzione apicale dell’ipocotile; la parte basale di questa cellula forma invece la maggior parte della
radice e dell’ipocotile (zona del fusto che va dal punto d’intersezione dei cotiledoni alla radice; mentre l’
epicotile val punto d’intersezione dei cotiledoni al meristema apicale)
• una basale più grande, che forma 6-9 cellule che compongono il SOSPENSORE
Queste due cellule continuano a dividersi, restando collegate tramite il sospensore, che è una struttura di
raccordo che assieme alla cellula basale trasporta i nutrienti all’embrione.

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Leggi dell’Embrionomia: In ogni specie sono prestabilite:


- la sequenza
- la direzione di divisione,
- il numero di cellule

L’embrione cresce lungo un asse embrionale longitudinale e uno radiale; presenta:


• la parte esterna è il PROTODERMA, che origina i tessuti tegumentali
• la parte mediana è il MERISTEMA FONDAMENTALE, che origina la corteccia
• la parte più interna è il PROCAMBIO, che origina i tessuti conduttori

I vari stadi di sviluppo dell’embrione sono (modello di Arabidopsis):


1. stadi pre-globulari: la cellula apicale si divide più rapidamente di quella basale e forma inizialmente 4 spicchi
dividendosi per 2 volte trasversalmente, poi si divide trasversalmente formando un embrione di 8 cellule detto
OTTANTE. Queste 8 cellule si dividono in modo periclinale (piano di divisione parallelo alla superficie
dell’embrione), generando 8 cellule più esterne e una massa di cellule centrali; con questa divisione è generato il
primo tessuto, cioè protoderma; le successive divisioni organizzano invece un embrione globulare.
2. stadio globulare: la struttura apicale si divide ulteriormente, formando una struttura più o meno triangolare, i cui
vertici origineranno i cotiledoni.
3. stadio a cuore: iniziano a formarsi i cotiledoni, in cui sono accumulate le sostanze di riserva (amido e proteine); non
è ancora evidenziato il gruppo di cellule che formerà il meristema apicale, mentre compaiono i gruppi di cellule da
cui si sviluppano l’ipocotile, il meristema radicale e il centro quiescente.
4. stadio a torpedo: l’embrione forma una struttura a torpedo, in cui i cotiledoni si ripiegano.

In immagine sono rappresentati gli stadi pre-globulari

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Quando l’embrione completa la maturazione le cellule del sospensore e della cellula basale vanno incontro a morte
cellulare programmata.
Come nel granulo pollinico, anche il seme maturo va incontro a disidratazione per stabilizzare i metabolismi.
In base al tipo di pianta, la struttura embrionale può variare, in particolare per ciò che riguarda il sospensore (es:
Tristerix, Capsella bursa-pastoris).
L’insieme dell’embrione e dei tessuti che lo avvolgono e lo proteggono costituisce il SEME.

Il sospensore può avere forme diverse. Le riserve sono contenute nell’endosperma per alcune specie, per altre si
accumulano all’interno dei cotiledoni: questi ultimi possono dunque essere poco sviluppati (ad esempio nei cereali, che
accumulano riserve nell’endosperma, oltre che nel frumento, nel papavero e nel ricino), oppure molto sviluppati come
nelle leguminose, ad esempio nei piselli, o nella lattuga.
I tegumenti dell’ovulo si accrescono e si sviluppano nel doppio involucro che avvolge il seme (distinto in tegmen e testa)
accompagnando la crescita dell’embrione e dell’endosperma.
A maturità i tegumenti del seme possono diventare estremamente resistenti, arricchendosi di strati di sclereidi. Possono
contenere anche dei pigmenti (es varietà di fagioli neri, rossi e verdi).

Germinazione dell’embrione
La germinazione può essere di 2 tipi:
- EPIGEA: quando l’embrione germina i cotiledoni sono portati fuori dal terreno grazie a un UNCINO formato
dall’ipocotile. Inizialmente la nuova pianta è eterotrofa, perché usa le riserve accumulate nei cotiledoni; la vita
autotrofa inizia quando i cotiledoni raggrinziscono e cadono e le prime foglioline inverdiscono e diventano
fotosintetiche. La radichetta è la prima a germinare, poi inizia a crescere l’epicotile.
- IPOGEA: dal terreno spunta il COLEOTTILE, una guaina protettiva che avvolge le giovani foglioline
prodotte prima della dormienza e che è poi perforato dalle giovani foglie; tuttavia, il cotiledone resta ipogeo.
E’ tipica delle monocotiledoni (anche dette Cariossidi), in cui le riserve non sono accumulate nel cotiledone
ma nell’endosperma, che le trasferisce all’embrione tramite il cotiledone (anche detto scutello).

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SEMI
Il seme delle dicotiledone contiene amido e proteine ed è avvolto da:
• uno strato continuo di sclereidi (tessuto meccanico)
• strato pluristratificato di cellule parenchimatiche
Il seme delle monocotiledone presenta invece:
• tegumenti esterni, che costituiscono la CRUSCA
• ALEURONE, che è un monostrato continuo di cellule, i cui vacuoli sono pieni di proteine (anche dette granuli
di aleurone)
• endosperma secondario amilifero, che contiene amido e proteine
• nella porzione basale ha lo scutello, cioè il cotiledone, che separa l’embrione dall’endosperma e ha funzione di
assorbimento e trasferimento dei nutrienti dall’endosperma all’embrione
• sia la radichetta che lo scutello sono protetti da una guaina detta COLEORRIZA, che si rompe con la
germinazione

Perciò le riserve nutritive possono essere contenute in varie parti del seme:
• monocotiledone: endosperma secondario amilifero e aleurone
• dicotiledone: cotiledoni (es: pisello, fagiolo)

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IL FRUTTO
Il frutto è il prodotto della crescita e della trasformazione dell’ovario dopo la fecondazione e racchiude i semi originatisi
dalla trasformazione dell’ovulo fino alla loro maturità. Ci sono varie modificazioni:
• la parete dell’ovario si trasforma nella parete del frutto
• possono restare residui dei sepali e dello stigma; i petali si perdono
• se si sviluppa anche il ricettacolo si ottengono “falsi frutti”

In particolare, la parete dell’ovario si differenzia in 3 strati, che formano il PERICARPO, diviso in:
• ESOCARPO
• MESOCARPO (può mancare)
• ENDOCARPO

L’evoluzione del pistillo può portare a diversi tipi di frutto:


1. frutto coriaceo secco
2. frutto con esterno carnoso e interno legnoso
3. frutto legnoso
4. frutto carnoso

La funzione del frutto è quella di disperdere al meglio i semi e affinché ciò


avvenga le piante hanno sviluppato varie modalità di dispersione dei semi (es:
il frutto si stacca dalla pianta madre coi semi attaccati poiché è dotato di
strutture per il volo).
Talvolta il frutto può formarsi anche senza che gli ovuli siano stati fecondati;
in questo caso risulta privo di semi e si parla di FRUTTO
PARTENOCARPICO (es: cachi, certi mandarini, banane commerciali; in
realtà il frutto del banano selvatico è pieno di semi, che sulle banane
commerciali diventano puntini neri sulla buccia, che quindi sono i residui dei
semi abortiti).

TIPI DI FRUTTO
In base all’origine
• VERI FRUTTI: solo l’ovario contribuisce alla loro formazione
• FALSI FRUTTI: alla loro costituzione contribuiscono altre porzioni extraovario (ricettacolo, sepali, petali, ecc.)

I frutti possono essere:


1.SEMPLICI
2.AGGREGATI
3.MULTIPLI o INFRUTTESCENZE
4. FALSI FRUTTI

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FRUTTI SEMPLICI
Si sviluppano da 1 singolo carpello (foglia modificata con funzione riproduttiva) o da più carpelli uniti (ovario
sincarpico)

Si distinguono in:
• frutto secco: il pericarpo è membranoso o coriaceo, relativamente poco sviluppato e arido
• frutto carnoso: alcuni strati del pericarpo sono molli e formano la POLPA del frutto

FRUTTI SECCHI
In base alla modalità con cui i semi sono liberati si distingue tra:
- frutti indeiscenti: i semi restano avvolti dai tessuti del pericarpo
- frutti deiscenti: sia i frutti secchi che carnosi (anche se meno frequentemente) si aprono a maturità, liberando i semi

Frutti secchi indeiscenti


Esistono varie tipologie di frutti secchi indeiscenti:
1.ACHENIO: all’interno il seme non è unito al pericarpo (es: seme di girasole); per il volo ha il PAPPO
2.CARIOSSIDE: all’interno il seme è strettamente unito al pericarpo (es: graminacee)
3.SÀMARA: frutto bicarpellare in cui il pericarpo si trasforma in una struttura di volo, poiché
presenta un’espansione membranosa che facilita la dispersione (es: acero e frassino)
4.NOCE: ha pericarpo legnoso e contiene 1 unico seme, che deriva da un pistillo pluricarpellare, in cui gli altri ovuli
sono abortiti (es: nocciola, noce, ghianda, castagna). Presentano una parte esterna carnosa.

Frutti secchi deiscenti


Le tipologie di frutti secchi deiscenti sono:
1. FOLLICOLO: si apre lungo un’unica linea, che corrisponde alla linea di sutura dell’unico carpello, poiché deriva
da un ovario monocarpellare che però può contenere più ovuli (es: falso gelsomino)
2. LEGUME: deriva da un ovario unicarpellare, è a più semi e si apre in 2 valve, cioè lungo due linee di sutura; è
tipico delle Leguminose
3.SILIQUA: il frutto è formato da 2 valve fuse e divise da un falso setto; a maturità i 2 lati del frutto si aprono,
lasciando però i semi attaccati a una porzione centrale (es: carruba)
4. CAPSULE: si originano da un ovario pluricarpellare e possono assumere forme diverse in base alla modalità di
dispersione dei semi:
• capsula setticida: si apre lungo fessure longitudinali, che corrispondono alle linee di sutura dei carpelli (es:
Digitale)
• capsula loculicìda: si apre lungo fessure che corrispondono alle nervature dei carpelli (es: Giglio)
• capsula circumnscissa o pìsside: si apre attraverso una fessura trasversale circolare (Hyosciamus)
• capsula poridica o treto: si apre per mezzo di numerosi pori alla base dello stigma (es: Papavero)

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FRUTTI CARNOSI
Esistono 2 tipi di frutti carnosi:
1. BACCA: epicarpo sottile (buccia), mesocarpo ed endocarpo carnosi non sempre distinguibili; di solito contiene semi
con tegumento duro; presenta varie tipologie:
• esperidio: tipico degli agrumi; epicarpo sottile e ghiandolare colorato, mesocarpo spugnoso e bianco, endocarpo
carnoso diviso in spicchi, con cellule che avvolgono i semi molto ricche di succhi.
• peponide: tipico della zucca, con epicarpo e mesocarpo fusi; l’endocarpo a maturità può
diventare semiliquido e contenere molti semi; tipico delle cucurbitacee (melone, zucca, cetriolo).
• Peperonide: pericarpo carnoso non molto sviluppato che circonda una grande cavità, per la maggior parte vuota,
contenente i semi e le placente.
• balaustio: epicarpo coriaceo, mesocarpo spugnoso, endocarpo sottile; i semi hanno la parete esterna
gelificata ed edule e la parte interna dura (es: Melograno)
2. DRUPA: epicarpo sottile (buccia), mesocarpo quasi sempre carnoso (polpa) ed endocarpo legnoso, che riveste l’unico
seme che costituisce il nòcciolo. I tipi possibili di mesocarpo sono:
• mesocarpo carnoso (es: ciliegia, susina, albicocca, pesca)
• mesocarpo membranoso, non edule (es: mandorlo)
• mesocarpo fibroso (es: noce di cocco)

FRUTTI AGGREGATI
Si sviluppano da più carpelli separati di uno stesso ovario (ovario
apocarpico); alcuni esempi sono la mora di rovo o il lampone.

FRUTTI MULTIPLI
Derivano da ginecei di più fiori (es: ananas, che si sviluppa da un’infiorescenza con molti ovari, che si fondono lungo
l’asse sul quale si inseriscono i fiori; fragole).

FALSI FRUTTI
Alla loro formazione contribuiscono porzioni extra-ovariche del fiore, come il ricettacolo; alcuni esempi sono la mela
e la pera, in cui la porzione carnosa edule deriva dal ricettacolo fiorale, mentre l’endocarpo è formato da una struttura
membranosa che forma le 5 logge in cui si trovano i semi (questo è il vero frutto).

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RIPRODUZIONE ASESSUATA
Essa è anche detta AGAMICA o VEGETATIVA; è molto diffusa nelle Angiosperme grazie alla capacità
generativa di nuovi tessuti e organi, poiché le cellule vegetali sono in grado di sdifferenziare e poi generare nuovi tessuti.
Gli individui che si ottengono con la riproduzione asessuale sono geneticamente identici ai genitori, quindi questa
modalità di riproduzione non comporta variabilità genotipica.
Alcuni esempi sono:
• pianta della maternità: piccoli esemplari (già dotati di fusto, foglie e radici) si sviluppano ai margini fogliari delle
piante adulte; quando la foglia cade, gli esemplari radificano direttamente
• chollas: i rami sono debolmente attaccati al fusto, perciò se un animale li sfiora le spine gli si impigliano nel pelo e il
ramo si stacca e viene trasportato altrove; una volta a terra, radicherà formando una nuova pianta
• pioppo: i frutti contengono numerosi semi che sono dispersi dal vento tramite un pappo; inoltre dalle radici si
formano gemme che originano poi nuove piante con corredo uguale alla pianta madre
• talea: è una porzione di fusto, foglia o radice indotta a radicare o produrre germogli, spesso
grazie all’uso di trattamenti ormonali che inducono la formazione di radici.

Questa modalità prevale nei tuberi di patata o topinambur, nel rizoma di iris e negli stoloni delle fragole (lo stolone
radica formando nuove gemme che originano piantine che diventano indipendenti per la rottura dello stolone) che sono
parti di fusti modificati di piante che mantengono le gemme in ambiente sotterraneo.

Micropropagazione
Alcune porzioni di pianta dette ESPIANTI (che sono più piccoli delle talee), appartenenti ai meristemi apicali o
ascellari (poiché i meristemi apicali, per natura esenti da virus anche nelle piante infette, si possono rigenerare nuove
piante sane) o anche a parti più piccole (centro quiescente), sono prelevate e messe in coltura in vitro, cioè in
condizioni sterili, al fine di rigenerare individui omogenei per i caratteri desiderati (es: clonazione di una pianta per
ottenere piante resistenti alla salinità e alla siccità).

Le fasi della micropropagazione sono:


1. selezione e preparazione della pianta madre
2. avvio della coltura asettica in vitro
3. proliferazione e conservazione (si trapiantano alcuni individui per conservarli)
4. radicazione
5. ambientamento in serra
6. trasferimento in terreno

La coltura in vitro offre la possibilità di compiere studi su:


• eventi del ciclo cellulare (distensione, espansione, differenziamento,
sviluppo, tumori)
• meccanismi genetici
• produzione di metaboliti secondari per uso farmaceutico
• si presta per aspetti applicativi, come la micropropagazione, per produrre
anche piante transgeniche

EMBRIOGENESI IN VITRO (somatica)


Già dai primi stadi di sviluppo l’embrione (anche detto embrioide o embrione somatico) è una STRUTTURA
BIPOLARE, in quanto presenta un polo caulinare e uno radicale, formatosi asessualmente da una singola cellula
somatica, appartenente al tessuto vegetativo o riproduttivo.
L’embrione somatico è diverso dall’embrione zigotico, sia per differenze morfologiche poiché il nuovo embrione
non ha rapporti vascolari con la pianta madre, quindi non presenta né il sospensore né la cellula basale, sia perché
quello somatico non è racchiuso in strutture specializzate.
Le cellule somatiche in coltura possono originare un embrione somatico, quindi una nuova pianta: un frammento
proveniente da una regione della pianta adulta è messo in coltura, dove si sdifferenzia formando un ammasso
indifferenziato di cellule detto CALLO. Nel callo ci sono aggregati di cellule che hanno le caratteristiche di cellule
meristematiche (cioè hanno alto rapporto nucleo/citosol, quindi nucleo molto grande in una cellula piccola; pochi
spazi intercellulari; grande vacuolo) che si possono prelevare e mettere a coltura, le quali origineranno l’embrione
somatico.
Il callo si può formare anche in condizioni naturali per accrescimento e proliferazione di cellule sulla superficie di
una lesione di un organo vegetale, allo scopo di cicatrizzarla.

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Esempio: embriogenesi somatica di carota. Si tagliano sezioni di carota e si mettono in vitro, dove gli espianti perdono le
loro caratteristiche (pigmenti arancioni) formando il callo, tra cui si sono cellule meristematiche, che formeranno
l’embrione, che a sua volta originerà una giovane pianta.

ANDROGENESI
L’embriogenesi somatica si può ottenere sia dal callo, dalle foglie ma anche dalle antere (che danno embrioni aploidi),
quindi da tessuti di partenza diversi. Nel caso delle antere si ha il processo chiamato androgenesi, che può avvenire in 2
modi:
1. le antere sono aperte e le microspore sono messe in coltura; esse danno pollini multinucleati che sono indotti a
sviluppare pro-embrioni ed embrioni veri e propri.
2. sono direttamente messe in coltura, dove formano cellule aploidi, che per diventare embrioni devono andare
incontro a mitosi e quindi alla fine sono omozigoti.

Tramite endomitosi indotta (ad esempio usando colchicina) si ottengono piante diploidi omozigoti.
L’embriogenesi in vitro può avvenire in diversi modi:
1. prelevando i meristemi (apicali o ascellari) e li mettiamo in coltura, ottenendo dei germogli da mettere in coltura in
vitro, dove sono indotti a radicare e formano poi la plantula.
2. prelevando porzioni corticali, di floema o di radici e mettendole in vitro, esse danno
- morfogenesi diretta formando o delle gemme avventizie, che sono indotte a radicare, o degli embrioni somatici,
che evolvono tramite embriogenesi diretta formando la plantula.
- morfogenesi indiretta nel caso in cui l’espianto forma il callo, che poi può essere messo in colture liquide in
sospensione (da cui si formano gli embrioni che originano la plantula); oppure dal callo evolvono i germogli e poi
la plantula.

COLTURE IN VITRO
Le colture in vitro sono espianti di alcune parti di pianta (come ad esempio cellule, tessuti, organi) cresciuti in terreni di
coltura a composizione nota (es: zuccheri, sali, ormoni) e in condizioni controllate di luce, temperatura e umidità per
evitare la proliferazione di batteri; si deve operare in condizioni di sterilità.
Le cellule vegetali in coltura hanno un METABOLISMO ACCELERATO, quindi di conseguenza c’è una
veloce proliferazione di biomassa e un ciclo biosintetico condensato.
E’ inoltre possibile ottenere una pianta senza passare dall’embrione e senza fecondazione; in generale i vantaggi di
questo tipo di coltura sono:
• rapido incremento della biomassa
• maggiore resa di metaboliti (che supera anche quella derivata da sintesi chimica)
• drastica riduzione dei tempi di coltura poiché il metabolismo cellulare è accelerato
• indipendenza da fattori climatici, geografici e ambientali, con condizioni controllate e riproducibili
• possibilità di selezionare numeri elevatissimi di genotipi e fenotipi (naturali o indotti da mutagenesi con raggi X, da
embrioni da incroci interspecifici, da trasferimento genico con ingegneria genetica ottenendo così gli OGM o da
variazione somaclonale, cioè mutazioni che possono occorrere quando le cellule sono coltivate in vitro)
• risultati riproducibili

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Terreni di coltura
Di solito i terreni di coltura sono soluzioni acquose di varie sostanze con una composizione che si avvicina alle
condizioni nutrizionali in vivo; nei terreni sono presenti:
• macroelementi, cioè ioni inorganici ad alta concentrazione (Ca 2+, Mg2+, K+, NO3-, NH4+, PO 2- ecc)
• microelementi a basse concentrazioni (Boro, Rame, Manganese, Iodio, Zinco, Cobalto ecc)
• vitamine B
• zuccheri (principalmente glucosio o saccarosio)
• ormoni
La composizione dipende dal tipo di cellule o tessuti che si vogliono mantenere e far sviluppare (esempi di terreni
standard: MS, B5; essi contengono gli stessi elementi ma in concentrazioni diverse).
Per ogni coltura vanno bilanciati il contenuto di zuccheri e la composizione e/o bilanciamento ormonale.

Inoltre, i terreni possono essere di 2 tipologie:


1.liquidi
2.solidi: in questo caso possono essere gelatinosi o agarizzati (tramite l’aggiunta di agar, una sostanza
idrofila estratte dalle alghe marine rosse Agar Agar, o altri agenti gelificanti)

Vanno perciò controllate varie condizioni:


• sterilità, per evitare contaminazioni batteriche o fungine
• pH del mezzo di crescita
• temperatura
• fotoperiodo (alternanza delle ore di luce/buio)
• agitazione nel caso di sospensioni cellulari liquide, per consentire lo scambio gassoso
Le condizioni sterili si ottengono usando le CAPPE a flusso laminare orizzontale, in cui l’aria passa attraverso un filtro
(il più usato è il filtro HEPA: High Efficiency Particulate Air) ed entra quindi sterile nella cappa; per mantenere queste
condizioni anche quando non si opera, la cappa viene chiusa ed è accesa una lampada a raggi UV.

Espianti
Essi sono parti di vari organi o tessuti della pianta, che sono messi in coltura; per espianti da organi massici come radici e
fusti si usa il bisturi o il foratappi (un esempio è l’embriogenesi somatica da colture cellulari di carota).
Sono fatti germinare dei semi in vitro e sono indotti a formare il callo, che è poi setacciato per selezionare il PEM, cioè
quelle cellule che hanno caratteri meristematici e che sono prelevate e trasferite in coltura, dove formano gli embrioni
somatici.

Il callo può essere di 2 tipi:


• compatto: le cellule sono coese e difficilmente separabili
• friabile: le cellule sono facilmente separabili e sono l’ideale per ottenere sospensioni

Una volta indotta la formazione di callo friabile, si prelevano certe cellule o protoplasti (cellule vegetali senza parete,
digerita da particolari enzimi quali cellulasi e pectinasi, che quindi assumono forma sferica) e si mettono in terreno liquido
in sospensione; in questo caso le beute contenenti le colture sono messe su agitatori rotanti per facilitare il ricambio
gassoso.

Applicazioni, culture di protoplasti


Per ottenere i protoplasti, dopo aver digerito il tessuto con gli enzimi per eliminare la parete, si procede a centrifugare la
coltura: si forma uno strato denso superficiale in cui sono presenti i protoplasti, che vengono dunque prelevati. Essi sono
utili per:
• selezione di mutanti (es: i clementini derivano da protoplasti
di arancio e mandarino, i mapo da quelli di pompelmo e
mandarino)
• ottenimento di ibridi somatici interspecifici tramite fusione di
protoplasti appartenenti a specie/generi diversi, creando nuove
varietà e specie di piante
• ingegneria genetica e ricerca
• in poco tempo in coltura rigenerano la parete, quindi se ne può
studiare la formazione

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Se i protoplasti vengono inoculati in un mezzo agarizzato formeranno nuovi calli da cui potranno essere rigenerate nuove
piante.
- ricerca (es: studi di trasporto, immunolocalizzazione, ecc);
- fusione di protoplasti per creare ibridi interspecifici, nuove varietà o specie (se le 2 piante sono molto lontane
filogeneticamente uno dei due corredi genetici è perso completamente, altrimenti i genomi si mescolano) o selezione di
mutanti.

Esempi di fusioni:
- clementini da protoplasti di arancio e mandarino
- mapo da protoplasti di pompelmo e mandarino
- pianta che fa pomodori e patate (entrambe Solanacee) → non commercializzata per cattivo sapore

Organogenesi
Essa è la rigenerazione di organi o di intere piante e può essere di vari tipi:
• rizogenesi: produzione di molti radici
• caulogenesi: produzione di fusto (formazione di germogli)
• fillogenesi: produzione di foglie
• florogenesi: produzione di fiori
• embriogenesi: produzione di embrioni

Per indurre l’organogenesi si opera sul bilanciamento ormonale; gli ormoni più usati sono:
1.AUXINE: inducono rizogenesi
2.CITOCHININE: inducono caulogenesi

Da ciò si capisce che è importante il tipo, la concentrazione e la combinazione degli ormoni vegetali usati.
In colture discontinue, appena messe in coltura le cellule hanno varie fasi:
1.FASE di LATENZA dovuta al fatto che le cellule si devono abituare al nuovo terreno, una volta adattate iniziano a
crescere fase successiva)
2.FASE di ACCELERAZIONE, in cui accelerano la crescita
3.FASE ESPONENZIALE di crescita, molto rapida
4. FASE di DECELERAZIONE, che si verifica quando iniziano ad esserci carenze nutrizionali e quindi la crescita cala
5. FASE STAZIONARIA

Sistemi di crescita delle cellule in coltura


Ciò che normalmente si utilizza per la produzione di certi composti è un CHEMOSTATO (o bioreattore o fermentatore,
di varie dimensioni), un dispositivo collegato alla coltura che consente di evitare che insorgano carenze nutrizionali
dovute ad un fattore limitante. Un chemostato è costituito da:
• una tanica che immette terreno nuovo di coltura tramite una pompa per impedire
carenze nutrizionali
• una valvola di fuoriuscita dell’aria per lo scambio dei gas
• una pompa che immette aria sterile perché le cellule necessitano di gas, tra cui CO2
per fare la fotosintesi ma anche O2 per poter respirare
• uno scarico per quando il livello di terreno è troppo elevato
Le cellule moltiplicano e tendono a depositarsi, quindi il livello superiore è occupato solo da terreno di coltura,
livello nel quale si trova il tubo di scarico, perciò non c’è pericolo che da questo fuoriescano cellule.

Variazione somaclonale
Consiste nella mutazione che si può verificare nella messa in vitro. Il passaggio in vitro infatti può generare
mutazioni durante i primi cicli di duplicazione cellulare; questo può essere sia un problema che una risorsa, perché
alcune variazioni possono risultare interessanti e migliorare alcune caratteristiche delle cellule, come la resistenza
alle carenze d’acqua.
La subcultura (trapianto di cellule di una cultura in un terreno di cultura nuovo) in vitro può provocare la formazione
di varianti genotipiche, ovvero mutazioni. Questo si manifesta grazie a differenze morfologiche o fisiologiche delle
cellule. Le variazioni possono essere ereditarie e trasmesse alle piante rigenerate dalla coltura, quindi dopo la
creazione di nuove varietà di piante, esse vanno analizzate e sviluppate.
La variazione somaclonale dà la possibilità di selezionare in vitro varietà di piante in base a particolari
caratteristiche: es. velocità di crescita, colore, capacità rigenerativa, resistenza a sostanze o condizioni ambientali,
morfologia della pianta rigenerata. Inoltre è spesso sfruttata per creare resistenza (ad alte concentrazioni saline,
stress idrici, antiparassitari, diserbanti, patogeni.)

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SVILUPPO e MORFOGENESI IN RISPOSTA AGLI STIMOLI


AMBIENTALI
Gli organismi vegetali vivono in un ambiente eterogeneo esposto a continue variazioni delle condizioni ambientali (es.
luce, vento, forza di gravità, temperatura, umidità), perciò è vantaggioso essere in grado di percepire le variazioni e
mutare in risposta ad esse. Vi sono sistemi sensoriali in grado di percepire le variazioni delle condizioni ambientali (es.
disponibilità idrica, fotoperiodo, temperatura; la gravità viene percepita dalle radici che crescono secondo l’asse di
gravità, mentre il fusto cresce in direzione opposta all’asse). Una volta percepita, questa informazione deve essere
trasferita, ovvero trasdotta a livello nucleare e determinare così l’attivazione di una risposta (lo stimolo deve essere
convertito in una forma che può essere trasmessa all’interno della cellula in modo che essa possa rispondere).
I mediatori di questa comunicazione sono i segnali chimici: gli organi delle piante comunicano fra loro utilizzando
segnali chimici. Gran parte della comunicazione all’interno della pianta ha luogo mediante trasporto di ormoni.

Esempio di adattamento: preparazione all’inverno in risposta adattativa ai corti giorni autunnali


Le foglie recepiscono la brevità dei giorni (stimolo) e quindi inviano informazioni sotto forma di ormoni, che agiscono a
livello radicale, nel cambio vascolare e all’apice caulinare. Avviene così la risposta allo stimolo, che è il fotoperiodo
percepito come giorno corto:
- l’apice produce perule, foglie protettive che proteggono la gemma e le consentono di superare l’inverno
- le cellule del cambio si riempiono di piccoli vacuoli e interrompono la mitosi e la citodieresi, rallentando
così l’attività del cambio
- le radici rallentano notevolmente la loro crescita
questa segnalazione chimica avviene spesso grazie alla presenza ormoni

Stimoli ambientali
• LUCE: di cui le piante percepiscono la direzione, orientamento e durata (=fotoperiodo).
• GRAVITÀ: le piante orientano parte del corpo rispettando la direzione di gravità e ciò vale sia per le radici che per
il fusto (statoliti) che crescono in direzioni opposte, rispondendo quindi in maniera opposta allo stesso stimolo.
• CONTATTO: stimolo al quale la pianta risponde; esempi: l’ispessimento della corteccia come strato protettivo; i
viticci si avvolgono a un supporto percependo gli stimoli da contatto; i peli sensitivi della Dionea (pianta
carnivora) quando l’insetto si appoggia fanno scattare la trappola
• TEMPERATURA: è uno stimolo importante; ad esempio uno degli effetti della temperatura è la vernelizzazione:
molti semi o piante necessitano di periodi estesi a basse temperature per germinare o fare fiori, se ciò non
avvenisse di conseguenza non accadrebbero tanti altri fenomeni. La vernalizzazione ha a che fare con
l’espressione genica.
• ACQUA: la carenza idrica stimola la produzione di un ormone chiamato acido abscissico che dà resistenza a tutti i
fenomeni di stress

Risposta agli stimoli ambientali


Le tipologie di risposta agli stimoli ambientali sono:
1. TROPISMO: risposta di crescita orientata; esistono vari tipi di tropismo:
• tropismo positivo: crescita orientata verso lo stimolo (es. luce→ la pianta cresce verso la direzione della luce,
fototropismo, apice radicale→la pianta cresce verso la direzione della gravità)
• tropismo negativo: crescita opposta allo stimolo (es. apice caulinare, gravitropismo negativo→ quello del fusto
che cresce in maniera opposta alla gravità)
• dia-tropismo: crescita ad angolo retto rispetto alla direzione dello stimolo (es. ramo che cresce orizzontalmente)
• plagiotropismo: crescita con una determinata angolazione rispetto alla direzione dello stimolo (es. rami e radici
laterali)
• tigmo-tropismo: lo stimolo è il contatto, che è uno stimolo meccanico (es: viticcio)
• chemio-tropismo: lo stimolo è un gradiente di sostanze chimiche (es: i tubetti pollinici crescono in funzione del
richiamo del calcio da parte delle cellule sinergidi che lo indirizzano verso la cellula uovo)
• fototropismo: lo stimolo è la luce

2. NASTIE: movimenti di petali, sepali o trappole delle piante carnivore, dovuti a cambiamenti di turgore; si possono
osservare in particolare nelle foglie di piante molto sensibili al contatto o appunto nelle piante carnivore.

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3. RISPOSTE MORFOGENICHE: causano un cambiamento nella qualità della pianta. Ad esempio il legno di
reazione è più spesso perché ricco di fibre e con cerchie annuali eccentriche più larghe su un lato perché soggette a
uno stimolo di gravità più accentuato; oppure nelle dicotiledoni la parte superiore del ramo che è soggetta a stimolo
di gravità presenta il legno di tensione, che è un ispessimento della parte lignificata nelle cerchie annuali (quindi la
parte superiore ha cerchie annuali più lignificate rispetto alla parte inferiore) ed esso serve per resistere a un forte
stimolo di gravità.

Esempi di risposte morfogeniche


L’induzione florale, per esempio nelle stelle di natale, consiste nella conversione dalla condizione vegetativa a quella
fiorale. Le stelle di natale sono piante brevidiurne che per arrivare alla fioritura hanno bisogno di periodi
d’illuminazione breve, quindi nelle serre viene controllata artificialmente la lunghezza del giorno per assicurare che
tutte fioriscano a natale.
La vernalizzazione; ad esempio la barbabietola durante il primo anno di vita si trova in uno stadio vegetativo
(solo foglie), nel secondo anno invece di norma entra nello stadio riproduttivo. In assenza di vernalizzazione a 41
mesi è invece ancora allo stadio vegetativo, non produce fiori e quindi non riesce a riprodursi. La vernalizzazione è
uno stimolo che agisce sull’espressione genica perché promuove il fenomeno della demetilazione della citosina in
geni specifici (è correlato a maturazione e fioritura).

4.TASSIE: risposte in cui una cellula si muove verso uno stimolo (tassia positiva) o lontano (tassia negativa); ad
esempio certe cellule spermatiche flagellate, soprattutto gameti, hanno tassia positiva.

Esempio di risposte agli stimoli


Il gravitropismo positivo della radice è dovuto agli statoliti, le cellule che contengono gli statoliti, granuli di amido che si
spostano nella direzione di gravità e indicano alla radice qual è la direzione di crescita.
Le piante rampicanti come la vite si aggrappano mediante delle strutture dette viticci (o tendrili) a dei supporti. Il contatto
delle cellule dei viticci con il supporto le stimola a produrre l’ormone vegetale auxina, che sia accumula nella parte
opposta rispetto a quella dove è avvenuto il contatto e, viene poi trasportato alle cellule vicine; queste cellule crescono
più velocemente delle altre, perché l’ormone stimola la distensione cellulare e il viticcio si piega sul supporto perché si
allunga dalla parte opposta rispetto a quella con la quale è in contatto col supporto.

I potenziali d’azione
Sono stati scoperti prima delle cellule vegetali, nel 1873, e sono la più rapida via di comunicazione neurale negli animali,
ma sono ora noti anche nelle piante; ad esempio ci sono piante che al contatto con uno stimolo chiudono tutte le foglie.
La propagazione della percezione sensoriale avviene grazie al potenziale d’azione, perché non si chiudono solo le foglie
che sono venute a contatto con lo stimolo ma anche tutte le altre. Esempi: Ipomoea è una pianta con un fiore che dura un
giorno: questo è un fenomeno di fotonestia (regolato dalla luce) che si conclude con morte cellulare programmata; nel
Pinus Longaeva le foglie vivono fino a 45 anni; nella Mimosa Pudica le foglie si chiudono e il picciolo si abbassa dopo
aver percepito uno stimolo tattile, una reazione di tipo protettivo (ciò dipende da segnali elettrici).

ORMONI VEGETALI
Sono messaggeri chimici di natura organica, attivi a bassa concentrazione (ma in un ambito ampio) i cui siti di
produzione e d’azione sono quasi sempre separati, quindi devono raggiungere il sito dove svolgeranno la loro funzione
per via floematica o attraverso il parenchima.

Nella percezione e trasduzione del segnale sono importanti 2 fattori, che viaggiano parallelamente:
1. tempo di presentazione, ovvero il tempo in cui lo stimolo deve essere presente nelle cellule percettive per
innescare una risposta (es. la vernalizzazione deve essere prolungata nel tempo, sennò non sufficiente e così
anche la fioritura)
2. soglia di stimolazione, cioè deve essere presente un certo livello dello stimolo durante il tempo di presentazione
per innescare una risposta (es. per il funzionamento di un ormone ci deve essere una certa concentrazione
ormonale)

Gli ormoni esistono sia in forma libera che in forma coniugata ovvero legati ad altre molecole.
Sono molti i siti di biosintesi, molti i siti d’azione e svariati gli effetti. Ogni cellula produce e risponde a più ormoni, e un
ormone non può sostituirne altri. C’è sempre quindi una specificità di azione degli ormoni.

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Meccanismo d’azione
Essi sono vari e agiscono sulla sintesi di proteine e acidi nucleici e sulla divisione, distensione e differenziamento
cellulare.
Quando l’ormone arriva, interagisce con il recettore che può essere sulla membrana plasmatica o su un compartimento
interno alla cellula, come il reticolo endoplasmatico. La riposta può avvenire direttamente, oppure l’ormone si sposta nel
nucleo dove evoca poi una risposta, che può essere quindi diretta o indiretta. Nella risposta alcuni geni nucleari vengono
attivati ed altri repressi, quindi le cellule possono avere recettori per diversi ormoni.
Ciascun ormone attiva una risposta che consiste in un programma di espressione genica. In un'altra cellula diversa lo
stesso ormone può attivare un altro programma quindi la risposta può essere diversa. Ogni cellula ha già il suo
programma di risposta e l’ormone non fa altro che attivare questo programma. Inoltre l’effetto degli ormoni può essere
integrato: l’effetto può essere diverso se l’ormone viene applicato da solo o insieme a un altro ormone.

Vengono sintetizzati od immagazzinati e trasportati attraverso il floema o il parenchima al sito di risposta dove si legano
a molecole recettoriali e mettono in moto la risposta. La cellula recettoriale contiene quasi tutta l’informazione necessaria
per la risposta e gli ormoni servono solo per attivare la risposta. La stessa cellula può produrre e rispondere a più ormoni.

Ormoni e risposte
I principali ormoni vegetali sono:
1. AUXINE: stimolano la distensione cellulare, il differenziamento, determinano la dominanza apicale (es.
nelle conifere), la neo-formazione di radici (talee), la maturazione del frutto, l’inibizione dell’abscissione
(caduta delle foglie) e i tropismi, ovvero i movimenti.
2. GIBBERELLINE: stimolano il risveglio dalla dormienza (induzione della germinazione di semi e gemme),
le transazioni fra stadio giovanile e adulto o viceversa, sono coinvolte nella fioritura, nell’allungamento
caulinare e stimolano la crescita del tubetto pollinico.
3. CITOCHININE (citochinesi= divisione cellulare): stimolano la divisione cellulare, la produzione di
gemme, hanno effetti simili a quelli della luce (es. crescita, fototropismo), prevengono i fenomeni di
senescenza, promuovono lo sviluppo del frutto e dell’embrione.
4. ACIDO ABSCISSICO: quando c’è una carenza idrica viene prodotto perché stimola la chiusura degli
stomi, induce la dormienza (effetto opposto a quello delle gibberelline), la resistenza agli stress, stimola la
crescita e induce proteine di riserva nel seme.
5. ETILENE: è l’unico gassoso ed è coinvolto nei fenomeni di senescenza e maturazione. In alcune situazioni
di stress stimola la formazione di aerenchima e peli radicali (es. organo in anossia), la maturazione e
l’abscissione del frutto, oltre che la produzione di lattice.

Vediamoli nel dettaglio.

1. Auxine
La più nota auxina si chiama IAA (acido indol-3-acetico), naturale e identificato nel 1926 come messaggero chimico
coinvolto nel fototropismo positivo (=crescita verso la sorgente luminosa) nei coleottili di avena; nei fusti ha flusso
basipeto, mentre nelle radici ha flusso acropeto. Spesso è immagazzinata nei semi ed è trasportata dai cotiledoni
all’epicotile durante la germinazione.

Il 2-4D è un’altra auxina, molto simile alla prima ma molto potente, ed è stata ampiamente usata come erbicida. Durante
la guerra del Vietnam venne usata dagli americani per distruggere le piante e quindi la fonte di cibo dei vietcong. Il
prodotto ha infatti una forte attività defoliante e inoltre contiene anche diossine cancerogene che provocarono molti morti
tra quelli che entrarono in contatto con il 2-4D, chiamato anche agente arancio per via dei fusti circondati da una banda
arancione in cui era contenuto.

I centri più attivi di sintesi dell’auxina sono:


- meristemi apicali caulinari
- giovani foglie e frutti
- apici radicali, dove è trasportata dall’apice caulinare per via floematica

Fototropismo
Esso induce il coleottile a piegarsi verso la sorgente luminosa; ciò avviene
grazie alla presenza dell’auxina, che ha flusso basipeto e che si accumula sul
lato opposto alla luce, facendo crescere di più il lato al buio e aumentando così la superficie esposta alla luce.

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Se si taglia l’apice del germoglio e lo si mette su un blocco di agar (gel), che poi si colloca all’apice del coleottile,
esso si piega ugualmente→ dal tubetto di gel viene trasferita questa sostanza organica ripiegandosi dove c’è più
concentrazione di auxina; se invece si rimuove semplicemente senza sostituirlo, il coleottile non si piega.
Nel caso delle radici, quando esse incontrano un ostacolo, nel lato a contatto con questo si accumulano degli inibitori che
ne interrompono la crescita, favorendo quindi la crescita del lato opposto.

Crescita per distensione (crescita acida)


Quando l’auxina interagisce con un recettore sulla membrana cellulare, questa interazione determina come risposta un
flusso di protoni nella parete cellulare, che determina un abbassamento del pH e quindi attiva gli enzimi idrolitici, che
fanno “allentare” la parete. Grazie a ciò e alla pressione esercitata dal vacuolo la cellula può distendersi e crescere.
Dato che l’auxina può accumularsi anche nei semi e questi servono a far crescere il frutto, se si tolgono
esso non si sviluppa; tuttavia se si tolgono i semi ma si somministra auxina cresce lo stesso (es: fragola).
Nei terreni di coltura si usano come ormoni l’auxina e la citochinina (anche vitamine); la loro concentrazione è
importante, perché variando il loro rapporto si può indurre la proliferazione cellulare a formare un callo/gemme
vegetative o a produrre embrioni somatici.

Dominanza apicale
Per dominanza apicale si intende l’esistenza di una gerarchia nella struttura del fusto; in particolare, il flusso basipeto di
auxina che proviene dalla gemma apicale inibisce la crescita delle gemme ascellari, che quindi restano dormienti (cioè in
stasi metabolica; molti cactus mostrano circa il 100% di dominanza apicale). Se però la gemma apicale viene
danneggiata, quelle ascellari sviluppano rami o fiori, assumendo a loro volta il ruolo di gemma apicale e quindi
esercitando la dormienza sulle altre gemme.

2. Gibberelline
Ne esistono più di 100 tipi, ma la più nota è la GA3 (acido gibberellinico) e si trovano in tutte le parti della pianta, ma in
particolare in semi, radici e foglie. Il metabolismo delle gibberelline è complesso. L’apice radicale è un importante sito di
sintesi e la traslocazione dalla radice ha luogo mediante XILEMA. Foglie e semi sono altri importanti siti di sintesi: da
qui la traslocazione ha luogo mediante FLOEMA.
Coinvolte in Germinazione, Induzione della dormienza, Transizione dallo stadio giovanile a quello adulto, Reversione
allo stadio giovanile, Fioritura, Stimolazione della crescita del tubetto pollinico, Induzione dell’allungamento caulinare.
Di solito nelle piante biennali il primo anno è prodotta una rosa di foglie basali e il secondo c’è la “levata”, che è
controllata dal GA3; se manca l’acido gibberellinico la pianta resta bassa/nana (infatti spesso i mutanti nani mancano
dell’GA3 necessario a provocare l’allungamento).
Nei semi questi ormoni svolgono un ruolo in preparazione alla germinazione: appena il seme si imbimbisce di acqua,
l’embrione inizia a sintetizzare le gibberelline, che si diffondono nello strato aleuronico. Esso (e anche l’embrione), a
causa della loro presenza, sintetizza enzimi idrolitici (es: amilasi, proteasi..) e li secerne nell’endosperma amilaceo.
Questi enzimi idrolizzano le riserve contenute nell’endosperma, formando aminoacidi liberi; i prodotti dell’idrolisi sono
poi assorbiti dallo scutello e trasportati alle parti in crescita della piantina.

3. Citochinine
Sono così chiamate perché la loro aggiunta ad un mezzo per la cultura di tessuti stimolava la divisione cellulare→ Sono
purine (affini all’adenina) che stimolano la divisione cellulare (anche detta citodieresi o citocinesi, da cui il nome).
Citochinina naturale: zeatina; citochina artificiale: chinetina.
Sono coinvolte in numerose attività, principalmente nelle risposte in tutte le parti della pianta, ad esempio nella
coordinazione della crescita radice-fusto (poiché devono essere proporzionati). Sono presenti anche nell’endosperma,
dove controllano lo sviluppo e la morfogenesi dell’embrione e del seme.
In primavera, le radici crescono e producono citochinine, che sono trasportate al fusto, dove attivano le gemme
dormienti, che così si risvegliano dalla dormienza invernale.
Sono coinvolte nella attivazione delle gemme, nella divisione cellulare, prevengono fenomeni di invecchiamento
(senescenza fogliare), sono coinvolte nello sviluppo dell’embrione

4. Acido Abscissico (ABA)


E’ un inibitore della crescita, che induce la dormienza nelle gemme, nei tuberi e nei semi; quindi ha un effetto opposto
alle citochinine. La dormienza è un insieme complicato di cambiamenti che preparano la pianta o il seme per le
condizioni avverse (ad esempio periodon invernale). Non tutti i suoi effetti sono però inibitori, perché, ad esempio,
induce la sintesi di proteine di riserva durante lo sviluppo del seme. Si pensava inizialmente che inibisse la caduta delle
foglie (abscissione o apoptosi) ma in realtà non è così.
E’ coinvolto nella resistenza allo stress; esempi di stress che causano l’aumento di ABA sono: saturazione di acqua nelle

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radici, alta salinità, riscaldamento delle foglie, raffreddamento o carenza idrica (disidratazione): in questo caso le cellule
di guardia degli stomi chiudono la rima stomatica grazie alla mediazione dell’ABA. Le piante pretrattate con ABA
diventano più resistenti agli stress; ad esempio, in caso di carenza idrica l’ABA aumenta da 20μg/Kg a 500μg/Kg.
Molto acido abscissico è trasportato dalle foglie appassite verso il resto della pianta tramite il floema, diffondendo così il
messaggio→ segnalazione sistemica.
Riscaldamento delle foglie, saturazione di acqua nelle radici, raffreddamento, alta salinità sono stress che causano
repentini aumenti dell’ABA.
Piante pretrattate con ABA diventano più resistenti alle condizioni di stress.

5. Etilene
E’ un ormone volatile (cioè gassoso) ed è l’unico ormone vegetale di questo tipo.
Stimola il CLIMATERIO, cioè l’aumento di etilene negli stadi finali della maturazione dei frutti, che:
• accelera le attività metaboliche delle cellule, che quindi convertono l’amido in glucosio
• le pareti diventano più morbide a causa dell’azione degli enzimi idrolitici
• si sviluppano gli aromi
• il frutto cambia colore (es: nel pomodoro passa da verde a rosso; mela, pera, avocado, banana, mango e
pomodoro sono detti frutti climaterici)

L’etilene sincronizza anche la fioritura e la fruttificazione


nell’ananas.
Spesso funziona anche da effettore finale dell’auxina, perché si
diffonde più rapidamente e quindi mette in moto risposte nell’area
adiacente più velocemente; è trasportato attraverso i tessuti per
diffusione. Quando però è in eccesso, può essere demolito a CO2 o a
ossido di etilene; in questo modo è possibile controllarne la
concentrazione e quindi gli effetti.
E’ anche detto ORMONE della SENESCENZA perché promuove
l’espressione dei geni (detti SAG) associati alla senescenza (e che,
ad esempio, fanno ingiallire le foglie). In alcuni fiori i processi di
senescenza iniziano subito dopo l’impollinazione, che è preceduta da
un forte aumento dei livelli di etilene.

Si è cercato di ridurre la produzione di etilene nella frutta da commerciare e per fare ciò si inibiscono i geni coinvolti
nella sua espressione.
Quando una radice è sommersa dall’acqua (perché, ad esempio, il terreno è allagato), il tessuto va in anossia e ciò
determina una condizione di stress, che porta alla produzione di etilene, il quale induce una morte cellulare programmata
nella zona corticale, formando un AERENCHIMA per favorire gli scambi gassosi.
Risposta a stress abiotici→formazione dell’aerenchima→respirazione facilitata.

Altri ormoni vegetali


- BRASSINOSTEROIDI: è una classe di ormoni formata da circa 40 composti con struttura steroidea, isolati per la
prima volta nel polline di una rapa (Brassicaceae, da cui il nome). In seguito furono trovati anche in altre specie
(Colza) e hanno effetti sull’accrescimento delle piante, divisione cellulare e distensione cellulare. Sono stati inseriti
nei fitormoni.
- ACIDO JASMONICO: è inserito nei fitormoni ed è associato alle risposte allo stress, alla resistenza alle malattie,
inibisce la germinazione dei semi e del polline, quindi influisce negativamente sulla crescita delle piante.
- ACIDO SALICILICO: è coinvolto nei fenomeni di termogenesi in alcune Aracee (es: calla); la sua attivazione causa
la produzione di calore, che porta alla liberazione di sostanze volatili (es: indoli e/o poliamine), che favoriscono
l’impollinazione entomofila, poiché queste sostanze attirano gli insetti. In altre specie, tuttavia, (es: tabacco) è
implicato nella resistenza ai patogeni ed è trasmesso per via sistemica a tutta la pianta→ molecola segnalatore.

Poliammine
Soni considerate sostanze di crescita; sono tre i composti principali: PU, SD e SM e hanno in comune con l’etilene il
precursore, ma esercitano effetti opposti. Promuovono la divisione cellulare, hanno effetto antisenescenza inibendo la
sintesi di etilene e stabilizzando alcune molecole biologiche (come acidi nucleici, proteine). Influenzano la morfogenesi,
favorendo la formazione di primordi vegetativi, fiorali e radicali.

Presenza di più ormoni e interazioni


Spesso l’azione degli ormoni è integrata, quindi essi stimolano vari programmi di risposta; esempi:

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Alla base di una foglia si forma un anello di abscissione per farla cadere. Quando la foglia è sana la zona di abscissione è
inibita dal flusso di auxina verso il fusto; se essa è danneggiata, i livelli di auxina calano e non contrastano più la
formazione dell’anello, quindi la foglia è destinata a staccarsi. In autunno, quando i giorni si accorciano, aumenta la
produzione di etilene, che quando raggiunge un certo livello di soglia inibisce la produzione di auxina, facendo così
formare l’anello.
In un fusto i meristemi apicali producono auxina, che poi si diffonde verso la base e agisce a 3 livelli. Tre diversi tessuti
bersaglio danno tre differenti risposte allo stesso ormone
- 1° sito d’azione: distensione cellulare. le cellule degli internodi giovani sottostanti l'apice estrudono
attivamente protoni attraverso il plasmalemma, acidificando la parete. I protoni rompono alcuni dei legami
chimici che tengono insieme le microfibrille di cellulosa ed attivano enzimi idrolitici. Il protoplasto turgido
preme contro la parete, la tende e ne provoca la crescita.
- 2° sito di risposta: dominanza apicale. Le gemme ascellari si attivano o restano dormienti in base al flusso di
auxina, che quindi esercita la dominanza apicale. Le radici sintetizzano citochinine che vengono trasportate
all’apice caulinare e stimolano le gemme ascellari, che si attivano o restano dormienti (dipendendo dalle
quantità relative dei due ormoni).
- 3° sito: differenziamento dei vasi. Cambio cribro vascolare le cui cellule derivate si differenziano in xilema,
mentre un aumento di Gibberellina rispetto all’auxina fa in modo che alcune cellule derivate si differenzino in
floema

FIORITURA

Induzione della fioritura


La formazione del fiore è un’importante modificazione del programma di sviluppo del germoglio. I meristemi del
germoglio, durante lo sviluppo vegetativo, originano germogli secondari per la formazione delle foglie e sono
riprogrammati per la produzione dei fiori; si tratta di germogli determinati, dai quali non si formeranno più altri
germogli. Si passa quindi dal modello di sviluppo somatico al modello riproduttivo.
Nelle piante annuali l’induzione della fioritura rappresenta l’inizio della riproduzione ma anche della senescenza,
quindi è un meccanismo che deve essere finemente regolato, in modo da verificarsi in un momento favorevole per il
completo sviluppo del seme per favorire il successo riproduttivo.

Quasi tutte le piante devono raggiungere una certa età prima di essere indotte a fiorire.
Le piante annuali hanno bisogno solo di qualche mese di vita prima di diventare competenti a rispondere allo
stimolo fiorale. Le piante perenni necessitano di molto più tempo, ad esempio5, 10, perfino molti più anni di età (ad
esempio il faggio che fiorisce circa a 40 anni di età).

La pianta quindi attraversa generalmente due fasi:


- stadio giovanile: la pianta non è indotta a fiore
- stadio adulto, caratterizzato dalla fioritura

La fioritura quindi avviene dopo che la pianta raggiunge lo stadio adulto e avviene con meccanismi differenti in differenti
specie. Essa dipende da vari fattori:

1. RITMI ENDOGENI: alcuni aspetti del


ciclo metabolico sono controllati da fattori interni
e si alternano ciclicamente; il ritmo circadiano è
di 24 ore. Anche la produzione di nettare e
profumi in molti fiori è dovuta a ciò, così come
l’andamento della crescita di fusti (es:
avvolgimento a spirale di certi apici caulinari) e
radici; certe alghe brune emettono gameti
sottostando a un ciclo controllato da un ritmo
lunare di 28 giorni; alcuni semi hanno un ritmo
annuale di germinazione.

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Altri processi metabolici della pianta che risentono dei ritmi endogeni: accumulo di metaboliti nelle piante
CAM, cambiamenti nella posizione delle foglie, andamento della crescita di cauli e radici, Mitosi, apertura
e chiusura degli stomi, andamenti dell’attività enzimatica, respirazione ed altri metabolismi, assorbimento
di sali minerali da parte della radice.

2. FOTOPERIODO: è la durata dell’esposizione alla luce ed è un indicatore stagionale, misurato col


fitocromo, che ha una porzione fotosensibile, il cromoforo (situato nelle foglie) unita a una proteina. Le
giovani foglie sono il sito di percezione della lunghezza della notte. Le piante si suddividono in:
• brevidiurne: fioriscono quando il periodo di illuminazione è breve (giorno corto/notte lunga); alcuni
esempi sono: stella di natale, mais, cotone, girasole
• longidiurne: fioriscono quando il periodo di illuminazione è lungo (giorno lungo/notte corta); alcuni
esempi sono: lattuga, cereali, barbabietola
• neutrodiurne: non sono sottoposte a stimolo fotoperiodico
Il fotoperiodismo invece è la risposta della pianta alla durata dei periodi di luce/buio; alcune piante
fioriscono anche a causa di una variazione del fotoperiodo.

3. TEMPERATURA: in una pianta biennale le basse temperature stimolano la conversione e questo processo
è detto vernalizzazione; il sito di percezione è l’apice caulinare

Attenzione.
Se si prende una pianta brevidiurna di tabacco (Nicotiana tabacum), esposta quindi a poca intensità relativa dei raggi
solari – (condizioni induttive della fioritura) e, quindi, giunta quasi alla fioritura - e si innesta una sua foglia su una
pianta di tabacco tenuta in prolungata illuminazione (condizioni NON induttive della fioritura), scopriremo che il
secondo tipo di pianta in cui è stato effettuato l'innesto arriva alla fioritura. Ne è stato dedotto che esista un ormone
(appunto, della fioritura).

Vi sono anche piante che fioriscono quando c’è una variazione nella durata del giorno (giorni lunghi seguiti da
giorni brevi ed al contrario giorni brevi seguiti da giorni lunghi). Sono le foglie che percepiscono lo stimolo
fotoperiodico

Da cosa è mediata la fioritura?


Per molto si cercò il cosiddetto “fattore della fioritura”, ma poi si scoprì che essa dipende da un ormone. Infatti,
prendendo una pianta di tabacco (brevidiurna) quasi giunta a fioritura e innestandola su un’altra pianta di tabacco
tenuta in prolungata illuminazione, quest’ultima arriva ugualmente a fioritura e ciò è determinato da un ormone.
L’ormone della fioritura è detto ORMONE FT (es: stimolando un pioppo con FT esso fiorisce a 6 mesi invece che tra 8-
20 anni); lo stimolo luminoso promuove la fioritura, agendo indirettamente come attivante della trascrizione dell’ormone
FT.

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FOTOSINTESI

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Gli organismi viventi dal punto di vista termodinamico sono dei sistemi aperti, capaci cioè di interazioni con l’ambiente
scambiando energia e materia. Gli organismi sono in uno stato stazionario in cui un continuo apporto di energia e materia
controbilancia le relative perdite.

L’energia che le cellule assorbono dall’ambiente è trasformata in energia chimica (ATP), che può successivamente essere
usata per compiere un lavoro chimico e/o meccanico (es. contrazione, movimento) nelle stesse cellule.

Una pianta assorbe molecole di CO2 , H2O e di sali minerali e le trasforma in molecole organiche, cellule e tessuti
aumentando così l’ordine del sistema ( = diminuzione di entropia, in termodinamica).

Se viene meno l’apporto di energia i sistemi viventi evolvono verso uno stato crescente di disorganizzazione che coincide
con un aumento del disordine ( = aumento di entropia).

I 2 processi fondamentali grazie a cui l’energia fluisce nelle cellule sono:


• Fotosintesi: trasforma l’energia luminosa in energia chimica (ATP)
• Respirazione: le cellule usano l’energia chimica per ricavare energia
per i processi biochimici
L’insieme di questi 2 processi costituisce il ciclo del carbonio.

Inoltre, i reagenti della fotosintesi equivalgono ai prodotti restituiti


all’ambiente dalla respirazione e, viceversa, i prodotti della fotosintesi sono i
reagenti della respirazione; in questo modo si ha il cosiddetto CICLO
DELL’ENERGIA.

CICLO DEL CARBONIO


La CO2 nell’atmosfera (che è in equilibrio con quella sciolta nell’acqua) entra dagli stomi delle foglie (da cui esce O2),
attraversa l’aerenchima e raggiunge il mesofillo ed è organicata con la fotosintesi e trasformata in C6H12O6; rompendo
poi i legami chimici del glucosio le cellule ricavano energia e restituiscono il carbonio all’ambiente sottoforma di CO2.
Inoltre il carbonio organico col tempo forma i combustibili fossili (carboni fossili, gas naturali e petroli), che attraverso le
combustioni sono restituiti all’atmosfera sottoforma di CO2. Oppure il carbonio organico può essere decomposto da
batteri e funghi e riconvertito in carbonio organico. Infine, gli eterotrofi assorbono il carbonio organico per compiere
reazioni metaboliche e attraverso la respirazione aerobica e la fermentazione lo rendono all’ambiente.

I principali processi biologici di trasformazione dell’energia sono:


• fotosintesi
• chemiosintesi
• respirazione cellulare
• fermentazione

I 2 processi fondamentali di approvvigionamento


dell’energia per le cellule sono la fotosintesi e la
chemiosintesi.
I chemiosintetici utilizzano l’energia liberata
dall’ossidazione di materiali inorganici, mentre i
fotosintetici utilizzano l’energia solare. Dal punto
di vista quantitativo questi ultimi sono gli autotrofi
più importanti, poiché i chemiosintetici sono
limitati ad ambienti particolari.

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FOTOSINTESI
La fotosintesi ci permetta di ottenere materiali organici come gli zuccheri (glucosio) a partire da composti
inorganici, che sono l’carbonica e l'acqua.

Oltre al glucosio, la fotosintesi produce anche altri importanti intermedi:


- ATP
- NADPH, che ha potere riducente, poiché la CO2 si deve ridurre
assumendo elettroni per dare glucosio.
È proprio grazie a questi 2 intermedi che può formarsi il glucosio, che poi è
scisso in saccarosio o in amido ed è usato per immagazzinare riserve o per
formare nuove strutture. Al buio poi le riserve sono smontate e degradando il
glucosio si riottengono ATP e NADPH.

Esiste anche una fotosintesi, svolta da batteri anaerobi, che al posto di usare l’acqua come reagente usa l’acido solfidrico
e perciò è detta fotosintesi anossigenica, perché non libera O2 ma zolfo:

La fotosintesi si svolge all'interno di particolari strutture che prendono il nome di cloroplasti, formati
esternamente da una doppia parete formata da fosfolipidi e contenenti strutture verdi che prendono il
nome di tilacoidi, che sono disposti l'uno sull'altro a formare delle vere e proprie pile che si chiamano grana.
All'interno di ogni piccolo tilacoide avvengono le reazioni di fotosintesi, e lo spazio libero all'interno del
cloroplasto prende il nome di stroma, all’interno del quale ci sono particolari tilacoidi che non si organizzano a
formare grana, ma rimangono liberi (tilacoidi dello stroma). I tilacoidi contengono molecole di clorofilla e per
questo motivo il cloroplasto è verde. La molecola di clorofilla presenta un atomo di magnesio: è importante
perché serve per assorbire le radiazioni luminose.
Ovviamente la cellula non contiene solo clorofilla, vi sono anche altri pigmenti come i carotenoidi. La clorofilla
quindi assorbe la luce che proviene dal sole, i fotoni, e utilizza l'energia che ne deriva per attivare una
reazione che comporta la riduzione del NADP a NADPH, e la fosforilazione dell’ADP in ATP.

Principali complessi proteici dei tilacoidi


- Fotosistema II
- Citocromo b6/f
- Fotosistema I
- ATP sintetasi
Nei tilacoidi ci sono anche “trasportatori diffusibili”, che trasportano gli elettroni: Plastochinone, Plastocianina e
Ferridossina.

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Il processo fotosintetico è diviso in 2 fasi, strettamente legate tra loro:


• FASE LUMINOSA: le membrane tilacoidali nei cloroplasti recepiscono la luce e la convertono in
energia chimica, cioè in ATP e NADPH, usando acqua e anidride carbonica. È chiamata così perché per
svolgersi ha bisogno della luce del sole.
• FASE OSCURA (Ciclo di Calvin): sono reazioni che avvengono usando gli intermedi prodotti con la fase
luminosa e che riducono la CO2 per sintetizzare gli zuccheri (glucosio); è anche chiamata “fase
indipendente dalla luce”, perché per svolgersi non ha per forza bisogno direttamente della luce solare.

Nella fotosintesi sono coinvolti:


- NADP/NADPH + H+: trasporta 2 elettroni ed è un composto libero, cioè non associato alle membrane (ricordarsi
che il NADPH si trova nei cloroplasti, mentre li NADH nei mitocondri)
- CITOCROMO: trasporta 1 elettrone
- PLASTOCHINONE: trasporta 2 elettroni composti legati alle membrane tilacoidali
- PLASTOCIANINA: trasporta 1 elettrone

Le due molecole più usate per trasportare gli elettroni


sono però il NAD+ (nicotinamide adenin dinucleotide)
e il NADP+ (nicotinamide adenin dinucleotide
fosfato), che ricevendo 2 elettroni e 1 protone passano
allo stato ridotto NADH e NADPH, che sono agenti
riducenti. Quando questi 2 composti riducono un
composto trasferendogli elettroni, viene liberato un
protone e quindi vengono rigenerati a NAD+ e
NADP+, che sono agenti ossidanti (cioè ossidano la
molecola con cui reagiscono, togliendole elettroni).

Cambia anche l’energia potenziale delle molecole: il


carbonio passa dallo stato di ossidazione +4 nella CO2
allo stato 0 nel glucosio, quindi accetterà 4 elettroni. È
necessaria quindi una fonte di elettroni (acqua) ed una
di energia (luce), che non agiscono direttamente con la
CO2 ma lo fanno per mezzo di ATP e NADPH.

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Pigmenti fotosintetici
Nelle alghe e nelle piante la fotosintesi avviene nei cloroplasti e i pigmenti fotosintetici si dividono in:
• Pigmenti essenziali: clorofilla a, batterioclorofille
• Pigmenti accessori: clorofilla b e c, carotenoidi (βcarotene, responsabile del colore giallo-arancione delle foglie
in autunno), ficobiline (proprie di alghe e cianobatteri); essi catturano lunghezze d’onda diverse da quella
catturata dalla clorofilla a, a cui le trasferiscono, grazie ai complessi antenna.
In realtà sia le clorofille che i carotenoidi sono pigmenti indispensabili per la fotosintesi.
Le clorofille sono formate da una coda idrofoba idrocarburica (anche detta di fitolo), che le ancora nella membrana del
tilacoide e da un anello porfirinico (o gruppo cromoforo), che cattura la luce grazie al suo sistema di doppi legami
coniugati. Al centro dell’anello si trova un atomo di magnesio, che trasporta gli elettroni coinvolti nel processo di
fotosintesi. Tuttavia, la clorofilla b si differenzia dalla a per la presenza di un gruppo aldeico (CHO) al posto di un
gruppo metile (CH3) attaccato all’anello e ciò fa sì che esse abbiano un diverso spettro di assorbimento (assorbono luce a
lunghezze d’onda diverse).

RADIAZIONE LUMINOSA
La radiazione dello spettro visibile ha una lunghezza d’onda compresa tra 400-700nm (al di sotto ci sono i raggi X e al di
sopra gli infrarossi), una velocità che equivale a quella della luce (c=300000km/s) e una certa frequenza v (mu); tuttavia,
la radiazione usata dalla fotosintesi va da 380 a 710nm (cioè i pigmenti fotosintetici assorbono nel blu e nel rosso).
Variare la lunghezza d’onda equivale a variare l’energia dell’onda; l’energia di 1 fotone è pari alla costante di
Plank (h = 6,625x10-34Js) moltiplicata per la frequenza della radiazione luminosa:
E=hxv
Ma dato che la frequenza può anche essere scritta come:
v = c / λ →E = h x c / λ
Quindi l’energia è inversamente proporzionale alla lunghezza d’onda, perciò non tutti i colori della radiazione luminosa
hanno la stessa energia:
• verso gli infrarossi aumenta la lunghezza d’onda, quindi cala l’energia (es: onde radio)
• verso i raggi X diminuisce la lunghezza d’onda, quindi aumenta l’energia

Esempio: le mele mature hanno pigmenti che assorbono molte lunghezze d’onda, ma non il rosso, che quindi è riflesso;
prima di maturare avevano la clorofilla (verde), che assorbe nello spettro del blu e del rosso, quindi riflette il verde.

Per far sì che la fotosintesi proceda servono circa 467 kJ/mol cioè circa 9-10 fotoni di luce (comunque una parte
dell’energia è dispersa perché il sistema non è perfettamente isolante); i pigmenti fotosintetici trasferiscono poi l’energia
luminosa assorbita agli elettroni che partecipano alle reazioni chimiche.
Il pigmento fotosintetico fondamentale è la clorofilla a, che assorbe la luce blu e rossa e quindi
riflette il verde e trasmette le altre lunghezze d’onda (come i raggi X). Il massimo grado di eccitazione della clorofilla
isolata (essa si isola con una soluzione di acetone all’80%) si ottiene con la radiazione blu (circa 400nm) mentre il
minimo grado si ottiene con la radiazione rossa (meno di 700nm); tuttavia, essendo isolata, perde la sua energia (che è
dissipata), quindi dalla massima eccitazione tende a tornare allo stato fondamentale cedendo calore, mentre dalla minima
eccitazione torna allo stato fondamentale emettendo una radiazione di lunghezza d’onda maggiore (quindi di energia
minore) di quella della luce rossa, cioè tramite fluorescenza.
Irradiando una molecola con una lunghezza d’onda non specifica, la luce viene trasmessa, cioè passa attraverso; se invece
la lunghezza d’onda è specifica, l’elettrone è colpito e si eccita.

Se una molecola allo stato fondamentale assorbe 1 fotone passa a uno stato eccitato, che ha un maggiore contenuto
energetico; quindi l’assorbimento del fotone spinge uno degli elettroni della molecola in un orbitale più lontano dal
nucleo. Di solito, in questi casi, è un elettrone 𝜋 che si sposta sul livello energetico superiore.
Se l’elettrone mantiene il suo spin (movimento magnetico di rotazione) il pigmento passa allo stato eccitato di
SINGOLETTO; se invece lo inverte, il pigmento acquista lo stato di TRIPLETTO.

Il pigmento eccitato può tornare allo stato fondamentale (DECADIMENTO) perdendo l’energia in 4 modi:
1. FLUORESCENZA: se si illumina la clorofilla con onde ad alta energia (es: raggi UV) emette 1 fotone e
torna allo stato fondamentale (inoltre illuminandola essa appare fluorescente)
2. CALORE: la clorofilla torna allo stato fondamentale disperdendo calore, ma senza emettere fotoni
3. TRASFERIMENTO di ENERGIA: la clorofilla trasferisce la sua energia a un’altra molecola
4. REAZIONE FOTOCHIMICA: la clorofilla perde un elettrone e si foto-ossida (ma così è instabile).

Mentre le prime 2 modalità avvengono soprattutto se la molecola di clorofilla è isolata, nelle ultime 2 essa è inserita nelle
membrane dei cloroplasti.

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Quindi se un elettrone eccitato è instabile (la clorofilla resta eccitata solo per 109 secondi), tende a tornare allo stato
fondamentale in uno di questi 4 modi (ma di solito prevale la fluorescenza) e ciò avviene usando onde corte ad alta
energia (es: UV). Oppure l’elettrone può stabilizzarsi anche spostandosi in un orbitale più stabile di un altro atomo,
trasferendogli energia.

FASE LUMINOSA, in generale


Le reazioni della fase luminosa si svolgono lungo la membrana che forma il tilacoide. Nella membrana del
tilacoide vi sono tanti complessi proteici che formano due fotosistemi: il fotosistema 2, rappresentato da
un complesso di proteine, e il fotosistema 1, rappresentato da un altro complesso proteico.

Il fotosistema comprende una proteina detta sistema antenna: la proteina del sistema antenna contiene all'interno
molecole di clorofilla che captano i fotoni che provengono dalla luce solare e li trasferiscono a tutti questi
complessi proteici.

Quando arriva un fotone sul fotosistema 2, la sua energia balza da molecole di clorofilla a molecole di clorofilla
del sistema antenna; a un certo punto questa energia arriva a una molecola di clorofilla di un complesso che si
chiama centro reattivo. La molecola di clorofilla del centro reattivo cede un elettrone ad una proteina di membrana
chiamata plastochinone. A questo punto la molecola di clorofilla del centro reattivo che ha dato un elettrone al
platochinone deve in qualche modo colmare la mancanza, la lacuna lasciata dall’elettrone trasferito: per
recuperarlo, prende una molecola d'acqua e la scinde in ossigeno e protoni. Questa reazione importante
si chiama fotolisi dell'acqua; avviene vicino al fotosistema 2 e produce ossigeno che viene naturalmente espulso
all'esterno.
A seguito il sistema antenna riceve un secondo fotone proveniente dal sole e la sua energia arriva sempre alla
molecola di clorofilla del centro reattivo che libera a sua volta un altro fotone e lo da al plastochinone, che ora ha
2 elettroni e può quindi ridursi: combina due elettroni con due protoni che si trovavano nello stroma e forma due
atomi di idrogeno. Il plastochinone deve ri-ossidarsi per permettere lo svolgimento di un altro ciclo: si ri-ossida e
cede i suoi elettroni ad un altro complesso di membrana che si chiama citocromo e mette i suoi protoni all'interno
dello spazio presente nei tilacoidi. Gli elettroni delle citocromo f vengono spediti a un'altra proteina solubile che
si trova sempre lungo la membrana del tilacoide che si chiama plastocianina e dopo di che in questa regione del
tilacoide esiste il fotosistema 1 che possiede un suo sistema antenna formato anch’esso da molecole di clorofilla
che assorbono il fotone che proviene dalla luce solare e l'energia viene trasferita da molecola a molecola di
clorofilla finché arriva anche quest'ultima alla molecola di clorofilla del centro reattivo. Dopo
di che questa dona il suo protone ad una proteina di membrana che si chiama ferrodossina, la quale dà i suoi
elettroni alla ferrodossina NADPH reduttasi. La ferrodossina NADPH reduttasi utilizza gli elettroni che gli sono
stati dati e i protoni liberi nello stroma per ridurre il NAD, quindi per portare il NADP a NADPH.
Naturalmente la molecola di clorofilla del centro reattivo recupera l'elettrone che ha donato alla ferrodossina
prendendo l'elettrone che gli viene dato dalla plastocianina; dopo di che quindi si converte riducendo il NADP a
NADPH (la P è perché ha un gruppo fosfato in più).

A questo punto abbiamo un altro complesso proteico di membrana, l’ATP sintetasi, che genera un flusso di
protoni che vanno dalla regione interna dei tilacoidi verso lo stroma, e questo flusso di protoni serve per
sintetizzare molecole di ATP (quindi le molecole di ATP vengono prodotte dall'ATP sintetasi).
A questo punto abbiamo l'ultima fase della fotosintesi che costituisce il ciclo di calvin.

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Alcuni aspetti nel dettaglio


Trasferimento dell’energia
Il trasferimento dell’energia di eccitazione da una molecola di pigmento a un’altra avviene tramite RISONANZA
DIPOLO-DIPOLO, in quanto l’elettrone eccitato del pigmento donatore di energia entra in risonanza con un
elettrone allo stato fondamentale del pigmento accettore, a cui trasferisce il suo moto oscillatore, rilassandosi.
Questo tipo di trasferimento energetico è indotto dal campo elettromagnetico prodotto dalla molecola eccitata e
richiede che i 2 pigmenti siano molto vicini e che lo spettro di assorbimento del pigmento accettore sia in parte
sovrapposto a quello di emissione del pigmento donatore. Inoltre, è un trasferimento unidimensionale verso
pigmenti che assorbono fotoni a lunghezza d’onda uguale o superiore (perché l’energia rilasciata è minore).
Nel caso della RISONANZA di SCAMBIO i 2 pigmenti devono essere a contatto fisico tra loro affinché l’elettrone
eccitato del pigmento donatore passi alla molecola del pigmento accettore, scambiandosi con un elettrone di questa
allo stato fondamentale, a cui passa il suo moto oscillatore, rilassandosi.
Entrambi questi trasferimenti per risonanza dell’energia di eccitazione da una molecola di pigmento a un’altra sono tipici
dei pigmenti fotosintetici detti “antenne”.
Un’altra tipologia di trasferimento di energia è quella della REAZIONE FOTOCHIMICA, la foto-ossidazione.
La molecola eccitata del pigmento donatore (clorofilla a) si ossida, cedendo 1 elettrone alla molecola vicina di un
accettore immediato, che si riduce. Questo evento di separazione delle cariche costituisce la reazione fotochimica alla
base della fotosintesi.

In vivo i pigmenti fotosintetici (clorofille e carotenoidi) sono inseriti in complessi di pigmenti-proteine e queste
interazioni determinano le caratteristiche spettrali (perché le lunghezze d’onda non sono uguali a quelle che
assorbirebbero se fossero isolati), le distanze e gli orientamenti reciproci dei pigmenti, che sono essenziali per il
trasferimento dell’energia.

Complessi antenna e centri di reazione


Nei cloroplasti non si ha fluorescenza e la maggior parte dei pigmenti sulle membrane tilacoidali funzionano come
un’antenna per catturare lunghezze d’onda diverse da quelle catturate dalla clorofilla a: la radiazione luminosa (fotone)
colpisce un pigmento, che trasferisce per risonanza la sua energia agli altri, finché l’onda perde energia (cioè elettroni) e
quindi la sua lunghezza d’onda aumenta fino a diventare quella della clorofilla a (che misura circa 680-700nm).
I pigmenti dei sistemi antenna convogliano l’energia luminosa ai centri di reazione dei fotosistemi I e II; per ogni
fotosistema ci sono circa 200-300 molecole di clorofille e diverse centinaia di carotenoidi (in particolare nel FSI le
molecole di clorofilla a e b sono presenti in rapporto di circa 4:1 e il centro di reazione è il P700, mentre nel FSII sono
circa equivalenti e il centro di reazione è il P680).

Circa il 99% dei fotoni assorbiti dai pigmenti antenna raggiunge il centro di reazione (clorofilla a), dove avviene la foto-
ossidazione, quindi è un sistema molto efficiente (inoltre ci sono centinaia di molecole di clorofilla che agiscono
contemporaneamente). Si può pensare al fotosistema come a un imbuto che assorbe molte lunghezze d’onda e che poi
trasferisce l’energia con la λ al centro di reazione.
Gli elettroni della clorofilla possono essere trasferiti solo alle molecole vicine cosicché la reazione avvenga
istantaneamente, prima che si verifichi la fluorescenza (cioè prima che l’energia si dissipi). Quindi se le molecole di
clorofilla sono isolate sfruttano meno lo spettro luminoso, se invece sono all’interno dei fotosistemi assorbono più
lunghezze d’onda (anche se attorno a 550nm – luce verde - resta un “buco di assorbimento”, cioè i pigmenti non
assorbono a queste lunghezze d’onda quindi riflettono il verde).

Il fitolo, presente nella coda idrocarburica della clorofilla, fa sì che gli anelli porfirinici delle varie molecole siano tra loro
paralleli, cosicché gli orbitali elettronici delle molecole adiacenti possano interagire. Se però la molecola di pigmento
eccitata non trova altre molecole (cioè è isolata) a cui trasferire l’energia, la dissipa sottoforma di calore o fluorescenza
per tornare allo stato fondamentale.
Quando una molecola di clorofilla è eccitata diventa un agente riducente e l’elettrone nell’orbitale superiore può essere
trasferito sulla molecola di un trasportatore di elettroni ossidato, che così si riduce. In questo modo gran parte
dell’energia posseduta nello stato eccitato si conserva e non è emessa come fluorescenza.

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Nella fase luminosa, per ogni carbonio organicato (CO2) servono 2 molecole di H20, che è scissa in O2 e 4H+ + 4e-, che
convertono 2NADP+ in 2NADPH. Nella fase oscura, il NADPH restituisce 4e- e 2H+ per organicare la CO2, che si
ossida.
Nel processo fotosintetico il Carbonio è ridotto e il suo numero di ossidazione passa da +4 nella CO2 a 0 nel glucosio,
quindi accetta 4 elettroni e perciò la sua energia potenziale aumenta. Per fare ciò è necessaria una fonte di elettroni, che è
rappresentata dall’acqua (che subisce fotolisi) e una fonte di energia, rappresentata dalla luce. Tuttavia, acqua e luce non
agiscono direttamente sulla CO2, ma attraverso l’ATP e il NADPH.

Schema a zeta della fotosintesi:

Fotosistema II:
- feofitina: molecola simile alla clorofilla, ma senza il magnesio nell’anello
- fattore Q: proteina di membrana
Fotosistema I: catena che trasferisce elettroni dall’accettore al NADP+; è formato da varie proteine:
- Fe4–S4: ferrosolfo-proteina
- Ferridossina: trasferisce 1 elettrone alla volta e lo cede alla proteina riducente successiva
- Ferridossina/NADP+riduttasi: trasferisce 2 elettroni al NADP+ e trasferisce anche i 2H+

Nel FSI l’energia è assorbita da una coppia di molecole di clorofilla a del P700, che spostano i loro elettroni su un
livello energetico eccitato, per passarlo poi ai vari trasportatori e infine sono trasferiti al NADP+, riducendolo a
NADPH + H+. I 2 fotosistemi cooperano per trasferire elettroni dall’acqua al NADPH.
Più il potere riducente è alto, più le molecole tendono a rilasciare l’elettrone, riducendo così le molecole adiacenti;
invece scendendo, il potere riducente cala e, viceversa, aumenta il potere ossidante.
Dato che nel FSI la clorofilla perde 1 elettrone, è instabile; la lacuna elettronica è colmata dal FSII, che ha molecole di
clorofilla a con spettro massimo di assorbimento a 680nm e che, tramite una catena di trasportatori elettronici, cede 1
elettrone al P700.

Colpendo la lacuna elettronica del P700, il P680 perde un elettrone, quindi ha anche lui una lacuna elettronica, che per
essere colmata riceve elettroni dall’acqua, che grazie al complesso enzimatico OEC (oxigen evolving complex) subisce
fotolisi:

Sintesi dell’ATP
L’ATP è sintetizzata da un sistema che sfrutta la caduta di potenziale da P680+ a P700, quindi essa si forma nel
passaggio dal FSII al FSI, sfruttando l’energia del flusso di elettroni lungo la catena redox tra i due fotosistemi (che
quindi non è dissipata ma trasformata in energia chimica)

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Riassunto fase luminosa


La luce colpisce il FSII, che perde 1elettrone (quindi diventa instabile), catturato dall’accettore plastochinone; la lacuna
elettronica formatasi è colmata dalla fotolisi dell’acqua (che avviene grazie al complesso enzimatico OEC), grazie a cui
si accumulano protoni. La forma ossidata del plastochinone lega i protoni nello stroma del cloroplasto; fatto ciò, si gira
verso il lume tilacoidale e, mentre cede l’elettrone al citocromo, libera anche il protone nel lume.
Infine l’elettrone passa agli altri trasportatori, fino ad
arrivare al FSI, che produce NADPH. Perciò la
concentrazione di protoni è maggiore nel lume
tilacoidale rispetto allo stroma, ma essi non possono
uscire, quindi si forma un alto gradiente di potenziale
elettrochimico. La sola struttura grazie a cui i protoni
possono uscire dal lume è il complesso proteico ATP-
sintetasi, che è dotata di un canale e sfrutta l’energia
dell’uscita dei protoni per la sintesi dell’ATP.

FASE OSCURA
Essa avviene nello stroma, dove ATP e NADPH sono usati per ridurre la CO2, che subisce 3 reazioni:

1. CARBOSSILAZIONE: la CO2 è attaccata all’intermedio enzimatico RuBP (ribulosio 1,5-bisfosfato),


uno zucchero a 5 atomi di carbonio, che quando acquista anche il carbonio della CO2 diventa instabile e si rompe in
2 molecole a 3 atomi di carbonio dette 3PG (acido 3-fosfoglicerico o 3-fosfoglicerato).
2. RIDUZIONE: grazie all’ATP e al NADPH il 3PG è ridotto a G3P (gliceraldeide 3-fosfato), che in parte esce dal
cloroplasto ed è anche usata come intermedio per sintetizzare vari composti (es: glucosio).
3. RIGENERAZIONE: un’altra parte della G3P è usata per riformare RuBP.

Rubisco (RuBP)
E’ l’enzima che lega la CO2 alle molecole organiche
(fissazione del carbonio). In realtà può funzionare sia in
presenza di CO2 (carbossilasi) che in presenza di O2
(ossigenasi).
E’ un ottamero funzionale, formato da 8 subunità
piccole (14KDa, cioè che misurano 14.000 volte il peso
di 1H) e 8 subunità grandi (53-55KDa); il peso
molecolare totale è di circa 480KDa. La subunità
grande è codificata dal DNA plastidiale, quella piccola
è sintetizzata nel nucleo delle cellule.
Rappresenta circa il 30% delle proteine fogliari. 3-
fosfogliceraldeide.
È una molecola molto versatile e a partire da essa le
piante possono costruirsi tutto, usando acqua, nitrati e
sali minerali.

Tuttavia, la maggior parte delle molecole biologiche


sono più grandi di G3P, perciò essa va modificata nel
citoplasma per formare molecole più grandi e
complesse (anabolismo).

Le VIE ANABOLICHE sono numerose, ma le principali sono:


1. vie biosintetiche dei polisaccaridi (es: nella gluconeogenesi, a partire da G3P, si forma il glucosio, che è
formato da amido e cellulosa);
2. vie biosintetiche dei grassi, che originano molecole importanti per l’immagazzinamento energetico.

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La G3P può restare anche nel cloroplasto, dove forma l’AMIDO PRIMARIO, che è una forma transitoria dell’amido, che
poi è idrolizzato e trasferito per via floematica come saccarosio; oppure è traslocata fuori dal plastidio tramite una
permeasi della membrana plastidiale.

Riserve delle cellule vegetali


- Riserve a breve termine: ATP e NADPH, prodotti nella fase luminosa e usati nella fase oscura, perché sono
instabili e molto reattivi
- Riserve a medio termine: derivati della G3P (glucosio, saccarosio), che sono abbastanza stabili per passare di
cellula in cellula e attraverso il floema raggiungono i tessuti in accrescimento o sono conservati per mesi.
Tuttavia, grandi quantità di queste sostanze possono alterare i processi osmotici della cellula (abbassano il
potenziale osmotico richiamando acqua), quindi più di tanto non si possono accumulare.
- Riserve a lungo termine: amido, che è un polimero di glucosio troppo grande per essere trasportato, ma è stabile
e si può mantenere anche per anni, inoltre non altera i processi osmotici della cellula

FATTORI CHE INFLUENZANO LA FOTOSINTESI


Fattore fondamentale per la fotosintesi è la luce e in particolare la sua qualità, quantità e durata:

1. QUALITA’: essa dipende dalla lunghezza d’onda; al mattino e alla sera i raggi luminosi emettono
prevalentemente nel rosso, mentre alle 12 la radiazione prevalente è nel blu. Quando la luce arriva sulla
vegetazione meglio esposta, le foglie assorbono maggiormente le radiazioni blu-rosse in base ai loro pigmenti.
Le piante del sottobosco ricevono invece una “luce filtrata” di energia inferiore e λ maggiore, perché la maggior
parte della radiazione rossa e blu è già stata assorbita e quindi hanno un corredo di pigmenti che assorbe anche
la luce più verso il verde (cose simili succedono anche per le piante acquatiche: l’acqua assorbe maggiormente
nel rosso, ma in profondità la luce che arriva è povera di queste λ, che sono già state assorbite dagli organismi
presenti in superficie).

2. QUANTITA’: si esprime come quanti che incidono su un’area per unità di tempo; le parti meglio esposte in
genere ricevono dal 50-100% di luce, quelle intermedio tra 25-50% e quelle in ombra tra 0-25%. Ciò influenza
l’efficienza fotosintetica, che dipende anche dal fatto che la giornata sia serena o nuvolosa. Inoltre, di solito le
piante esposte a nord ricevono meno luce di quelle esposte a sud, mentre le piante all’ equatore assorbono
praticamente sempre la stessa quantità di luce.

3. DURATA: è il numero di ore di luce al giorno; all’equatore ci sono 12 ore di luce tutto l’anno, ai poli ci sono 24
ore di luce a metà estate e 24 di notte a metà inverno, alle medie latitudini ci sono giorni brevi in inverno e
lunghi in estate. In certe piante delle medie latitudini l’eccessiva produzione di amido primario riempie i
cloroplasti e blocca la fotosintesi anche in presenza di luce; l’amido poi può essere idrolizzato di notte e
trasportato agli organi di riserva, così al mattino la fotosintesi può riprendere.

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Analizziamo il grafico che illustra alcuni dei parametri coinvolti:

• in A le piante ricevono una luce debole quindi assorbono poca CO2 (il fattore limitante è rappresentato dalla luce)
• il tratto B è uno stato stazionario in cui c’è il massimo assorbimento di CO2, cioè l’apparato fotosintetico è saturato
dalla luce (anche aumentando la luce, l’assorbimento resta uguale)
• in C la luce è troppo forte e crea danni all’apparato fotosintetico (distrugge i pigmenti per surriscaldamento)
• nel tratto D aumenta ancora la concentrazione di CO2 e l’efficienza fotosintetica aumenta ancora
• il punto di compensazione della luce è il livello di luce a cui la fotosintesi uguaglia la respirazione; sotto a questo
livello la fotosintesi usa meno CO2 di quella che è prodotta con la respirazione
Quindi l’efficienza fotosintetica aumenta proporzionalmente all’aumento dell’intensità luminosa.

Si stima che la concentrazione atmosferica di biossido di carbonio prima della rivoluzione industriale fosse 280 ppm, e
che quindi sia aumentata del 35% dai tempi della rivoluzione industriale e del 20% dal 1958. La combustione dei
combustibili fossili (carbone, petrolio) è la causa di questo aumento per il 64%, mentre la deforestazione è la seconda con
il 34%.

Adattamenti protettivi in condizioni di illuminazione troppo intensa


I principali adattamenti protettivi sono:
• peli, tricomi→ formano una barriera per la radiazione solare
• cere (es: cuticola)→ proteggono dalle radiazioni a bassa λ (es: UV)
• pigmenti accessori (es: carotenoidi)→ proteggono le clorofilla
• cambio dell’inclinazione delle foglie esposte alla luce→ alla sera e alla mattina la posizione della pianta fa
si che essa assorba le radiazioni solari perpendicolarmente, mente nelle ore più calde i raggi sono
praticamente paralleli e quindi la pianta non assorbe quasi nulla (es: Iris); un altro esempio è la pianta di
Corbezzolo, che muove le foglie per assorbire la quantità minore di luce.

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Situazioni particolari che possono venire a crearsi nella fotosintesi:


fotofosforilazione ciclica e fotorespirazione

Fotofosforilazione ciclica: troppo NADPH e poco ATP


Essa avviene quando le cellule hanno NADPH sufficiente e quindi necessitano solo di ATP; coinvolge solo il FSI, perché
l’elettrone eccitato, invece di incanalarsi lungo la catena elettronica, è restituito dalla Ferridossina alla Plastocianina per
colmare la lacuna elettronica, ma anche in questo modo si produce ATP.
Quindi la fotofosforilazione ciclica effettua la fosforilazione dell’ADP in ATP in presenza di luce.

Fotorespirazione: troppo O2 e troppa poca CO2.


Richiede che un cloroplasto, i mitocondri e un perossisoma (in cui
avvengono reazioni di ossidazione) siano molto vicini. Essa avviene in
presenza di luce e O2; libera CO2 e perciò è detta fotorespirazione; in
questo processo la RuBP agisce da ossigenasi e questa sua funzione è
favorita da temperatura elevate e da bassi livelli di CO2.
Uno dei prodotti della reazione ossigenasica è il GLICOLATO, un
composto a 2 atomi di carbonio che esce dai cloroplasti (per cui è tossico)
per entrare nei perossisomi, dove è ossidato in una via metabolica il cui
prodotto, la glicina, diffonde nei mitocondri, dove il composto è trasformato
in serina in una reazione che produce CO2+H2O+calore.
Questo processo interferisce con la fotosintesi, riducendone l’efficienza
energetica del 25% e provocando un danno per la crescita della pianta e la
produttività dei raccolti.

È una sorta di intermedio che fissa l’O2 quando ce n’è troppo.


Il vantaggio è che produce CO2 quando ce ne è poca (nei mitocondri).

FOTOSINTESI C4
La RuBP in presenza di ossigeno funziona da ossigenasi, cioè ossida i composti invece di organicare la CO2, quindi
l’efficienza della fotosintesi cala. Di solito ciò avviene negli ambienti aridi, dove la concentrazione di ossigeno è
maggiore di quella dell’anidride carbonica.

Quando la RuBP si originò nell’atmosfera c’era un’alta concentrazione di CO2 ma era priva di ossigeno, quindi il suo
funzionamento era ottimale. Con i primi cianobatteri fotosintetici, l’atmosfera si arricchì di ossigeno, consentendo
l’affermazione degli organismi aerobi. Tuttavia l’efficienza della RuBP non è migliorata, perché non ci sono state
mutazioni che abbiamo prodotto una forma di enzima più efficiente.

Tuttavia, certe piante hanno migliorato le proprie condizioni di lavoro compartimentalizzando la RuBP in un sito con
un’alta concentrazione di CO2 e bassa di O2. Questo sistema è tipico delle piante con metabolismo C4 (o fotosintesi C4),
come la canna da zucchero; infatti ciò consente di assorbire, trasportare e concentrare la CO2, mentre l’O2 è tenuto
lontano dalla Rubisco.

E’ un sistema dispendioso, perché fino al 30% di ATP e NADPH prodotti in fase luminosa sono usati per questo
meccanismo di fotorespirazione, che avviene in presenza di O2 e libera CO2, H2O e calore (produce come
intermedio il fosfoglicolato, che è tossico).

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Differenze anatomiche nella foglia C3 e C4


• C4: mesofillo omogeneo; attorno alle nervature c’è una corona di cellule, che formano la GUAINA del
FASCIO, i cui cloroplasti sono coinvolti nel metabolismo C4; inoltre la stretta associazione permette il
passaggio della CO2 dalle cellule del mesofillo alle cellule della guaina per alimentare il Ciclo di Calvin (p.s:
il nome C4 deriva dal fatto che si formano composti a 4 atomi di carbonio). I cloroplasti delle cellule della
guaina sono agranali, cioè non presentano le pile di grana; ciò perché tra le membrane dei grana si trova il
FSII, che fa fotolisi dell’acqua liberando ossigeno e dunque la RuBP funzionerebbe da carbossilasi e non da
ossigenasi.
• C3 (foglia normale): mesofillo eterogeneo, diviso in
parenchima clorofilliano a palizzata e lacunoso; le cellule
della guaina del fascio sono prive di cloroplasti (p.s: il nome
C3 deriva dal fatto che il primo composto che si forma nella
fase oscura è il 3PG, che è a 3 atomi di carbonio)

Metabolismo C4
La RuBP si trova solo nella guaina del fascio; nel mesofillo arriva la CO2, che entra nei cloroplasti ed è legata a un
intermedio a 3 atomi di carbonio detto PEP (fosfoenolpiruvato).
Grazie all’intervento dell’enzima PEP-carbossilasi, presente solo nelle cellule del mesofillo e che ha una grande
affinità per la CO2 ed è insensibile all’ossigeno (che quindi può essere presente anche in grandi quantità), si forma
poi un intermedio a 4 atomi di carbonio (ossalacetato).
L’ossalacetato è poi ridotto in acido malico, che attraverso i plasmodesmi passa nelle cellule della guaina del fascio,
dove subisce la decarbossilazione, cioè perde 1 carbonio, che torna nel mesofillo (dopo essere stata legata dal PEP),
dove forma la CO2 che entra nel Ciclo di Calvin e che è legata dalla RuBP.
Quindi nel metabolismo C4 c’è una separazione spaziale tra l’organicazione (PEP) e la fissazione (RuBP) della
CO2; la differenza di pressione dovuta alla CO2 va da 10Pa nel mesofillo a 200Pa nella guaina.

Metabolismo Cam
E’ tipico delle piante grasse (Crassulaceae); mentre nel
metabolismo C4 c’è una separazione spaziale tra
organicazione e fissazione della CO2, nel metabolismo
CAM la separazione è temporale. Queste piante infatti
vivono in ambienti aridi, quindi per evitare la
traspirazione di giorno chiudono gli stomi e li riaprono
di notte.
Dagli stomi di notte entra la CO2, che è fissata dalla
PEP- carbossilasi e si forma acido malico, che viene
immagazzinato nel vacuolo. Di giorno, con la luce, dal
vacuolo esce l’acido malico, che è decarbossilato,
divenendo un intermedio a 3 atomi di carbonio (perde
1C che forma la CO2). La CO2 prodotta entra nel
Ciclo di Calvin, dove è fissata dalla RuBP.

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NUTRIZIONE
E AZOTO

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NUTRIZIONE ETEROTROFA
1. SAPROFITI: organismi che traggono il loro alimento organico da organismi morti; in genere sono funghi e batteri
che secernono enzimi che degradano i substrati macromolecolari extracellulari (lignina, proteine, cellulosa) in
piccole molecole che possono essere assunte e metabolizzate. Nel corso della putrefazione ritrasformano poi la
sostanza organica di piante (tronchi, foglie) e animali morti in composti inorganici (HUMUS). I saprofiti servono
anche a depurare le acque reflue, perché trasformano le sostanze organiche di rifiuto, e in questo caso sono detti
fanghi attivi, che sono una sospensione in acqua di biomassa attiva (batteri, saprofiti, protozoi, amebe, rotiferi e altri
microrganismi).

2. SIMBIOSI: stretta convivenza tra 2 organismi di specie diverse; può essere di 2 tipi:
• mutualistica: entrambi gli organismi traggono vantaggio (es: micorrize, licheni, batteri dei noduli radicali nelle
Leguminaceae).
In particolare, i licheni sono un’associazione tra un fungo e un’alga, che continua ad espletare le sue
funzioni (fotosintesi o fissazione di N2) talvolta anche a velocità maggiore, mentre il fungo fornisce le
sostanze vitali (acqua e sali minerali). Per queste caratteristiche i licheni sono i “pionieri della
colonizzazione”, perché crescono facilmente in ogni tipo di ambiente (anche in quelli estremi, come
sulla pietra), e sono di 3 tipi: crostosi, fogliosi, fruticosi.

I batteri dei noduli radicali, invece, sono un’associazione tra batteri e piante superiori, che formano i
tubercoli radicali azoto fissatori delle Leguminose (batteri del genere Rhizobium). I batteri penetrano
nel tessuto corticale della pianta attraverso i peli radicali, stimolando poi l’accrescimento cellulare, che
portano alla formazione dei noduli dovuti all’aumento volumetrico delle cellule ospiti, che si
riempiono di questi batteri. In particolare, i batteri ottengono carboidrati dalla pianta ospite e cedono in
cambio i prodotti della fissazione dell’N2.

Le micorrize sono una simbiosi tra radici e funghi (es: tartufo, porcini e altri funghi, che vivono quasi
esclusivamente in simbiosi e formano i corpi fruttiferi solo in unione con una radice d’ albero); il
micelio avvolge le radici laterali con un denso intreccio, sostituendo funzionalmente i peli radicali. La
pianta trae vantaggio perché:
- ha un miglioramento della nutrizione minerale e nell’approvvigionamento dell’ H2O.
- ha un maggior rifornimento di azoto e di fosfati grazie alla decomposizione di humus da parte dei
funghi.
In cambio i funghi ricevono carboidrati dall’ospite; inoltre, i funghi si sviluppano nella zona corticale e
le ife penetrano nelle cellule, che però continuano a vivere (le ife sono pseudo-tessuti perché le cellule
hanno rapporti solo con le cellule che le precedono e con quelle che le susseguono).

• parassitaria: solo un organismo trae vantaggio; i parassiti principali sono batteri, funghi, licheni e
Angiosperme; i danni subiti dall’ospite sono dovuti a:
- sottrazione di sostanze
- distruzione del tessuto (ferite)
- produzione di prodotti velenosi (tossine)

Batteri e funghi parassiti penetrano negli organismi ospiti secernendo enzimi che decompongono la cutina
(cutinasi), la cellulosa (cellulasi) e le pectine (pectinasi) e si localizzano intra-cellularmente od inter-
cellularmente.

Es: i funghi chiodini (Armillaria mellea) provocano il marciume radicale delle piante attaccate; all’inizio
instaurano un rapporto di parassitismo, che poi diventa saprofitismo alla morte della pianta.
Es: tra le Angiosperme si distinguono le emiparassite dalle oloparassite: le emiparassite (vischio) sono capaci
di fotosintesi, ma assorbono i nutrienti inorganici e l’acqua non dal terreno, ma per mezzo di austori dallo
xilema dell’ospite; le oloparassite (Orobanche) invece sono prive di clorofilla e tutte parassite sulle radici di
molte piante, da cui traggono i nutrienti.

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NUTRIZIONE MINERALE
I minerali del suolo derivano dalla roccia madre per disgregazione fisica (agenti atmosferici, come acqua, vento,
ghiaccio e variazioni di temperatura) e chimica (acidi prodotti dalla decomposizione dei residui vegetali), che libera
gli ioni necessari per la nutrizione minerale, poiché la matrice cristallina incorpora vari elementi. Il suolo è infatti
fonte di minerali, acqua, aria, ospita microflora e microfauna, batteri e funge da sostegno per le piante.

La disgregazione forma particelle sempre più piccole e libera ioni carichi positivamente, il residuo non sciolto ha
carica negativa (micelle, che si formano in base alla composizione della roccia); molti cationi rimangono legati da
interazioni elettriche. Le dimensioni delle particelle prodotte dalla disgregazione determinano la porosità e la
tessitura del terreno; in particolare:
• sabbia: formata da particelle di grandezza compresa tra 0,02-2mm; i granuli di sabbia più grandi tendono ad
aggregarsi poco, lasciando molti spazi e facilitando così la diffusione dei gas, tuttavia non trattengono
l’acqua, che percola fino alle falde.
• limo: formato da particelle di grandezza compresa tra 0,002-0,02mm; poiché la porosità è fine, l’acqua è
trattenuta per adesione capillare/coesione (infatti più il terreno è fine più lega l’acqua), determinando la
“capacità di campo”, cioè l’acqua che resta nel suolo e che poi è assorbita dai peli radicali.

Scambio ionico
I cationi legati alle micelle non possono essere direttamente assorbiti dalle radici, ma devono essere prima dissolti
nelle soluzioni del suolo, grazie al processo di scambio ionico (di solito prevale lo scambio cationico).
Nel terreno le cellule dei peli radicali hanno proprio metabolismo, perciò emettono all’esterno CO2, che interagisce
con H2O, formando acido carbonico, che poi si dissocia in 2 protoni e nell’anione bicarbonato:

I protoni interagiscono coi cationi legati alle micelle staccandoli; i cationi vanno quindi a far parte delle soluzioni
acquose nel terreno o sono assorbiti dai peli radicali.

Elementi essenziali
Essi hanno certe caratteristiche:
• non sono sostituibili
• l’elemento deve essere attivo all’interno della pianta
• servono per lo sviluppo completo della pianta (crescita e riproduzione) e non tutti sono importanti nella
stessa quantità, quindi hanno diverse concentrazioni

Essi sono stati studiati tramite le IDROCOLTURE (o colture idroponiche), in cui la pianta è piantata su argilla espansa e
sospesa in acqua e in questo modo si possono vedere le concentrazioni dei vari elementi.

Gli elementi essenziali si dividono in 2 gruppi:


1. MACRONUTRIENTI: sono gli elementi essenziali necessari in quantità abbastanza elevate:
- carbonio, ossigeno, idrogeno: presenti nei composti organici
- azoto: negli amminoacidi, acidi nucleici e clorofilla (non si trova disciolto nel terreno)
- potassio: amminoacidi; controlla bilancio osmotico; attivatore di enzimi; moto cellule di guardia
- calcio: controlla l’attività enzimatica; presente in parete; controlla le proprietà delle membrane
- fosforo: ATP; fosforilazione di zuccheri; presente negli acidi nucleici, fosfolipidi e coenzimi
- magnesio: si trova al centro dell’anello porfirinico e attiva molti enzimi
- zolfo: fa parte di alcuni amminoacidi

2. MICRONUTRIENTI: sono presenti solo in tracce:


- ferro: citocromi, nitrogenasi, trasportatori di elettroni, sintesi della clorofilla
- cloro: funzioni poco conosciute, forse è coinvolto nelle reazioni fotosintetiche che liberano ossigeno
- rame: nella plastocianina
- manganese: attivatore di molti enzimi (cofattore); sintesi della clorofilla
- zinco: cofattore
- molibdeno: riduzione dell’azoto
- boro: germinazione del polline; lega i polisaccaridi di parete

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L’AZOTO E LE PIANTE
L’azoto fu scoperto da Rutherford nel 1772:
• numero atomico: 7
• T fusione: - 209.86°C ; T ebollizione: - 195.8°C
Non è un componente della matrice cristallina del terreno (se non in zone molto aride), ma forma circa il 78%
dell’atmosfera terrestre sottoforma di N2, che però in questa forma non è utilizzabile dalle piante perché è inerte (i due
atomi sono uniti da un triplo legame e hanno l’ottetto completo).

Esso è usato nell'industria chimica per la preparazione di ammoniaca e altri fertilizzanti, nelle atmosfere inerti delle
preparazioni alimentari e nell'industria degli esplosivi.
L'azoto liquido, avendo il punto di ebollizione a -195,82 °C e un costo di produzione ragionevole, è molto utilizzato per il
raffreddamento di apparecchiature scientifiche, la crioconservazione di campioni biologici (estrazione di tessuti
biologici) e vari altri processi nei quali è necessario ottenere o conservare temperature estremamente basse.

METABOLISMO DELL’AZOTO
L’azoto può essere usato dagli organismi solo mediante un processo di riduzione; esistono varie forme di azoto
utilizzabili: nitrato NO3-, nitrito NO2-, ammoniaca NH3, ammonio NH4+, gruppo amminico negli amminoacidi –NH2.
Le piante non sono in grado di organicare azoto molecolare (N2) al contrario di batteri (taluni batteri usano la
flavodossina al posto della ferridossina) e cianobatteri azoto-fissatori, che utilizzano l’enzima NITROGENASI
spendendo molta energia (n≥6):

La nitrogenasi:
• non esiste negli eucarioti
• è irreversibilmente alterata dal contatto con l’ossigeno
• riduce N catalizzando il trasferimento di protoni ed elettroni
• è un complesso enzimatico di 100-300kDa e contiene 5-20 atomi di Ferro e 1-2 di Molibdeno
Essendo sensibile all’ossigeno, è attiva in:
• organismi anaerobi
• ambienti isolati
• ambienti in cui è diminuita la presenza di O2 (es: respirazione intensa o cattura da parte della Leghemoglobina
nella simbiosi Rhizobium/leguminose)

La Leghemoglobina è una ferro-proteina e un esempio di simbiosi, perché la parte contenente il ferro è sintetizzata dal
batterio, mentre la parte proteica è sintetizzata dalla leguminosa. Essa fa calare di molto la concentrazione di ossigeno
molecolare nelle cellule (di circa 100 volte).
Dato che la nitrogenasi è sensibile all’ossigeno, il nodulo deve fornire una nicchia in cui la nitrogenasi resti attiva (pur
permettendo il metabolismo del rizobio che è un aerobio obbligato). A queste esigenze adempie il tessuto periferico, che
mancando di spazi intercellulari e abbondando della proteina leghemoglobina che lega l’O 2, contribuisce a mantenere
basso il livello dell’O2 (intorno allo 0.2%, cioè 100 volte meno rispetto all’atmosfera) e ne facilita la diffusione fino al
rizobio.

1. Fissazione dell’azoto
Con fissazione dell’azoto si intende la conversione di N2 in nitrato, nitrito, ammoniaca o ammonio (l’industria fissa circa
25 milioni di tonnellate di azoto all’anno per produrre, ad esempio, i fertilizzanti azotati; in natura ne vengono fissate 150
milioni di tonnellate all’anno, di cui 130 grazie ai batteri ed ai cianobatteri che usano la nitrogenasi):

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Organismi azoto-fissatori
Essi si dividono in 2 gruppi:

1. PROCARIOTI LIBERI→ essi comprendono:


• batteri eterotrofi aerobi (es: Azotobacter), anaerobi facoltativi o obbligati
• batteri fotoautotrofi
• cianobatteri unicellulari, coloniali eterocistici (in cui nella catena c’è una cellula più grande, che contiene
nitrogenasi e si può colorare con proteine fluorescenti, in cui avviene la fissazione; es: Nostoc, Anabaena che
è simbionte della felce acquatica Azolla) o coloniali non eterocistici (es: Spirulina)

2. PROCARIOTI SIMBIONTI→ comprendono:


• cianobatteri con molti tipi di piante inferiori e superiori
• batteri Rhizobium con leguminose (in cui l’eme della proteina leghemoglobina è prodotto dal batterio) e
attinomiceti

2) Riduzione dell’azoto
Nel processo di organicazione è usata solo la forma ammoniacale dell’azoto (NH 3), che si lega facilmente al suolo; i
nitrati, nitriti e l’urea per essere usati dalle piante devono prima essere trasformati in NH 3 spendendo potere riducente
(l’azoto lega 8 elettroni): NO3- 2e- NO2- 6e- 𝑁𝐻4+ . La riduzione, e quindi la progressiva riduzione da azoto nitrico ad
ammoniacale, avviene tramite l’acquisto di 8 elettroni:
- nitrato reduttasi nel citoplasma: NO3- + 2H+ + 2e- → NO2-+ H2O
- nitrito reduttasi nel cloroplasto: NO2- + 8H+ + 6e- → NH4+ + 2H2O

3. Assimilazione dell’azoto
Con ciò si intende l’inserimento dell’azoto nei composti organici delle piante (di solito l’azoto è
assimilato a livello radicale):

glutammato + NH4+ + ATP → ADP + H2O + glutammina

I gruppi amminici possono venire trasferiti per transaminazione a diversi altri composti dando
origine ad amminoacidi, basi azotate etc.

Schema del ciclo dell’azoto

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