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BIOLOGIA

La cellula è l’unità funzionale e strutturale degli organismi viventi. Gli organismi sono unicellulari (amebe,
batteri, paramecio) e pluricellulari (piante e animali). La cellula è la più piccola porzione di un essere vivente
che conserva le proprietà di un essere vivente. Le proprietà che troviamo sono: l’autoconservazione, ossia il
mantenimento dell’organizzazione complessa della cellula grazie a processi energetici, l’autoreplicazione,
ossia la capacità di produrre copie di sé stesse, e l’autoregolazione, ossia il controllo delle reazioni
biologiche per poter mantenere l’equilibrio in risposta alle variazioni ambientali.

Le forme e le dimensioni delle cellule possono essere le più svariate, ma tutte quante hanno delle
caratteristiche comuni: una membrana cellulare che le delimita e che racchiude il citoplasma, la presenza di
organuli cellulari, e la presenza di informazioni genetiche sotto forma di DNA. La diversificazione delle
cellule è il risultato di percorsi evolutivi e differenziativi. Il primo consiste nell’accumulo di cambiamenti
successivi, dovuti a piccoli cambiamenti casuali, che se vantaggiosi per la sopravvivenza e per la
riproduzione degli organismi vengono trasmessi alla progenie e si diffondono alle generazioni successive; il
secondo processo riguarda solo gli organismi pluricellulari e si svolge in un arco di tempo breve, nel corso di
uno sviluppo di un organismo: gli organismi pluricellulari si sviluppano a partire una cellula progenitrice, che
va incontro ad una serie di divisioni cellulari, man mano che si moltiplicano le cellule vanno incontro a un
processo di diversificazione e generano cellule specializzate che costituiscono i vari tessuti e organi.

Ci sono due tipi di organizzazione cellulare, la cellula eucariotica e la cellula procariotica. Nelle prime c’è il
nucleo, che è un compartimento chiuso all’interno del quale è organizzato il DNA, nelle seconde il DNA è
libero nella cellula; le prime sono di dimensioni molto maggiori (decine di micrometri) rispetto alla
procariotiche (pochi micron); le prime sono provviste oltre al nucleo anche di altri compartimenti
intracellulari, chiamati organuli membranosi, che svolgono funzioni specializzate, nelle seconde c’è un unico
compartimento, il citoplasma. Il mondo dei procarioti comprende gli eubatteri e gli archebatteri (entrambi
unicellulari). Il mondo degli eucarioti comprende i protisti (unicellulari), i funghi (sia organismi unicellulari
che organismi pluricellulari), piante e animali (pluricellulari).

CELLULA BATTERICA

Non ha nucleo, il DNA è libero ed è addensato in una regione chiamata nucleoide. Il citoplasma è una
soluzione acquosa, che oltre al DNA contiene delle strutture come i ribosomi, che sono fondamentali per la
sintesi delle proteine, molecole e macromolecole necessarie per il metabolismo e la riproduzione cellulare.
Sono delimitate da una membrana plasmatica, ossia un sottile strato che ha funzione di filtro, la maggior
parte dei batteri ha una parete cellulare che ha la funzione di dare protezione alla cellula, inoltre c’è un
involucro polisaccaridico denominato capsula, che svolge diverse funzioni; i batteri hanno inoltre dei
flagelli, delle appendici filiformi che permettono loro di muoversi all’ interno di un fluido; infine sono
presenti dei pili, che sono coinvolti sia nell’adesione di una cellula batterica con un'altra, sia in processi di
scambio di materiale genetico. I batteri sono numerosissimi e si trovano ovunque, infatti costituiscono la
maggior parte della biomassa terrestre. I batteri hanno una notevole importanza anche da un punto di vista
ecologico, infatti partecipano a dei processi biogeochimici, ossia dei processi che permettono il riciclo degli
elementi nella biosfera, ad esempio i batteri decompositori sono in grado di degradare i resti organici di
altre cellule, e i batteri fissatori sintetizzano composti organici a partire da composti inorganici. Inoltre
grazie alle loro capacità biochimiche sono in grado di degradare qualunque sostanza chimica, e proprio per
questo sono sfruttati in processo di biorisanamento, ossia la degradazioni di sostante inquinanti; sono usati
anche per la produzioni di alimenti, grazie alla loro capacità di effettuare alcuni tipi di reazioni
fermentative; possono essere anche usati per la produzione di farmaci, perché sono facilmente
manipolabili. Vivendo in contatto con molti organismi hanno diversi tipi di interazione: si parla di
mutualismo, quando sia il batterio che l’ospite ne ricavano un rapporto di beneficio (esempio è dato dalle
specie batteriche che popolano l’apparato digerente); commensalismo è quando il batterio si riproduce
senza creare danni all’ospite (esempio sono i batteri sulla cute); parassitismo è quando i batteri si
riproducono a spese dell’ospite provocando una patologia.

CELLULA ANIMALE

Caratteristica principale è la presenza di un nucleo, un compartimento che racchiude le informazioni


genetiche sotto forma di DNA. Sono presenti altri spazi chiusi delimitati da membrane: il reticolo
endoplasmatico liscio, il reticolo endoplasmatico rugoso, l’apparato di Golgi, i mitocondri, i lisosomi;
ognuno di questi compartimenti è dotato di un particolare apparato biochimico, ossia contiene particolari
molecole, enzimi e macromolecole, ciò permette una divisione dei compiti tra organuli. Ci sono anche
strutture non membranose: ribosomi, citoscheletro, costituito da una rete di filamenti, che ha da forma e
protezione alla cellula ed è coinvolto in vari tipi di movimento che le cellule possono eseguire.

Le cellule hanno dimensioni variabili e in base alle dimensioni vengono osservate in maniera diversa. Ci
sono diversi tipi di microscopi ottici: a campo luminoso, a fluorescenza, a contrasto di fase, a contrasto
interferenziale, e confocale. Poiché questi microscopi sono basati sull’utilizzazione di un fascio di luce che
attraversa il preparato permettano al massimo di osservare organelli grandi come il nucleo, senza poter
osservare l’infrastruttura di una cellula. Per questo ci sono i microscopi elettronici, che sono basati
sull’utilizzo di un fascio di elettroni, permettendo così una risoluzione assai maggiore.

Le cellule sono piccole poiché è necessario che abbiano un buon rapporto tra superficie e volume: è
necessario che abbiano un’area superficiale abbastanza estesa da permettere scambi efficaci con
l’ambiente esterno, ed è necessario che il volume sia abbastanza ridotto da permettere la rapida diffusione
delle molecole.

È importante sottolineare che i virus non possono essere considerati degli organismo viventi, poiché non
possono moltiplicarsi autonomamente, ma hanno bisogno di infettare una cellula per poterlo fare; un virus
penetra nelle cellula ospite o vi rilascia il materiale genetico, infettando così la cellula, all’interno della
quale il virus si moltiplica, il procedimento termina con la lisi della cellula, dalla quale escono i virus
sviluppati che infettano altre cellule. Esistono virus batterici, detti batteriofagi che sono specifici dei batteri,
virus specifici per animali e piante, virus per specificità di tessuti e apparati. Hanno tuttavia solo due tipi di
organizzazione: i virus nudi, che sono provvisti di un acido nucleo (DNA o RNA) e un rivestimento proteico,
che ha funzione di protezione e di interazione con la cellula che verrà infettata; virus con involucro, che
differentemente dai virus nudi hanno un rivestimento, che è una porzione della membrana cellulare della
cellula ospite che il virus si porta dietro alla fine del ciclo infettivo. I virus sono dunque delle entità
biologiche che possiedono un proprio materiale genetico ma non le attività metaboliche per utilizzarlo
autonomamente; sono causa di molte patologia sia in piante che animali; sono tuttavia usati come vettori
di materiale genetico per la terapia genetica (parte del suo materiale genetico viene sostituito da altro
materiale genetico che si vuole veicolare).

IMPORTANZA BIOLOGICA DELL’ACQUA E DEI COMPOSTI DEL CARBONIO

¾ della superficie terrestre sono ricoperti di acqua e una cellula è composta dal 70/80% di acqua e da
20/30% di composti chimici (quasi esclusivamente composti del carbonio). L’acqua condiziona il
comportamento di tutte le molecole cellulari poiché: è un ottimo solvente (scioglie diverse sostanze),
partecipa direttamente a molte reazioni chimiche e influenza la forma tridimensionale delle
macromolecole. Il carbonio ha una struttura atomica tale che può formare molti legami con diversi tipi di
altri atomi formando una grande varietà di molecole (composti organici). Infatti forma delle molecole
organiche semplici come carboidrati semplici e precursori, amminoacidi e precursori, nucleotidi e
precursori, acidi grassi e precursori, e macromolecole, come proteine, acidi nucleici, carboidrati complessi e
lipidi. Le macromolecole, o molecole biologiche, cooperano nella composizione delle varie strutture
cellulari, ad esempio nel nucleo è presente la cromatina, costituita da proteine, le membrane cellulari sono
costituite da lipidi associati con proteine e/o carboidrati, i ribosomi sono costituiti da proteine montate con
molecole di RNA, così come gli elementi del citoscheletro sono costituiti da proteine.

MEMBRANE BIOLOGICHE

Le funzioni principali delle membrane sono: compartimentazione, ossia di separazione di ambienti


biochimicamente distinti; trasporto, ossia permettono il passaggio di molecole nutritive e sostanze di
rifiuto; interazione con l’ambiente, con altre cellule, con matrice extracellulare o per recepire segnali
chimici; localizzazione e organizzazione di attività enzimatiche. Qualsiasi membrana presenta una struttura
composta da tre strati, ed è molto sottile; è costituita da tre tipi di lipidi, ossia fosfolipidi, glicolipidi e
colesterolo, proteine e carboidrati.

Sulla superficie esterna della cellula sono presenti dei carboidrati forniti da glicolipidi o da glicoproteine,
che formano una sottile superficie che ha diverse funzioni: essendo gli zuccheri idrofilici richiamano molta
acqua e formano così uno strato idratato sulla cellula che fa da protezione e intervengono in processi di
riconoscimento temporaneo e transitorio tra cellule.

Un fosfolipide è costituito da due catene di acidi grassi, ossia acidi carbossilici con un numero di atomi di
carbonio che varia tra 16 e 20, legati ad una molecola di glicerolo, unito a sua volta a una molecola di
fosfato, che a sua volta è legato a un gruppo fosfolipidico R; questi tre gruppi sono molecole idrofiliche,
mentre le catene di acidi grassi sono idrofobiche.

Nell’organizzazione con le membrane è importante l’interazione dei fosfolipidi con l’acqua: in ambiente
acquoso i fosfolipidi si aggregano autonomamente in doppi strati, formati dalla disposizione con le code
idrofobiche rivolte verso l’interno e le teste idrofiliche rivolte verso l’ambiente extracellulare (acquoso).
L’organizzazione dei fosfolipidi è responsabile di ciò che si vede al microscopio: le parti scure sono le teste
idrofiliche e la parte chiara all’interno è costituita dalle code idrofobiche.

Anche le proteine possono avere delle regioni idrofobiche e delle regioni idrofiliche, e si associano nel
doppio strato delle membrane in modo tale che le parti idrofobiche saranno all’interno e le parti idrofiliche
all’esterno.

Il doppio strato lipidico ha funzione di barriera di permeabilità e costituisce la base strutturale fluida in cui
si organizzano dinamicamente i vari componenti molecolari. Le proteine di membrana hanno diverse
funzioni: trasporto di molecole, ancoraggio della membrana alla matrice extracellulare verso l’esterno della
cellula e al citoscheletro verso l’interno, intervengono nei processi di riconoscimento tra cellule dello stesso
tipo e nella loro adesione (solo negli organismi pluricellulari), partecipano ad attività enzimatiche e infine
sono coinvolte nella ricezione di segnali extracellulari.

Una molecola che dovrebbe attraversare un doppio strato fosfolipidico dovrebbe percorrere un tratto
esteso di regione idrofobiche, ciò costituisce un ostacolo per le molecole polari, mente le molecole
idrofobiche possono passare facilmente; passano con facilità anche piccole molecole neutre come
l’ossigeno o il diossido di carbonio; molecole polare di dimensioni piccoli riescono ad attraversare la
membrana con un coefficiente di permeabilità molto basso; molecole organiche polari non sono libere di
attraversarla, lo stesso vale per gli ioni e per le macromolecole come le proteine. Ciò che influisce sulla
polarità è sia la carica, sia le dimensioni di ciò che deve entrare.

Con fluidità della membrana si intende la libertà delle molecole di muoversi all’interno della membrana: i
fosfolipidi fanno movimenti rapidi di diffusione laterale senza alcun dispendio energetico, inoltre sono in
gradi di ruotare sul proprio asse; il capovolgimento di un fosfolipide (diffusione trasversale) è molto lento, è
un procedimento che per avvenire è necessario che la testa polare attraversi tutta la regione idrocarburica
per poter passare dall’altro lato. Anche le proteine si muovono liberamente all’interno della membrana, ma
in maniera molto più lenta poiché hanno dimensioni molto maggiori rispetto ai fosfolipidi. La fluidità è
importante perché le membrane funzionano correttamente solo allo stato fluido, esistono infatti dei
meccanismi di omeostasi che impediscono di fosfolipidi di avvicinarsi eccessivamente tra loro perdendo la
libertà di movimento. La fluidità permette i cambiamenti di forma, l’accrescimento e vari tipi di movimenti
cellulari, permette il processo di fusione delle membrane (ad esempio quando c’è il trasporto di vescicole
membranose che portano il materiale da un organello all’altro), infine grazie alla fluidità le proteine di
membrana possono spostarsi e possono cambiare conformazione (ad esempio quando partecipano a
reazione chimiche).

Le proteine hanno come funzione principale trasportare molecole, sia sulla membrana plasmatica sia sulle
membrane degli organelli intracellulari, fanno entrare nella cellula nucleotidi, zuccheri, amminoacidi, che
sono utilizzate dalle cellule come sostanze nutritive o come materiale da costruzione delle macromolecole;
sono fondamentali per il trasporto di ioni sia dall’esterno all’interno, che dall’interno all’esterno e ciò è
fondamentale per regolare processi osmotici e per le proprietà elettriche delle membrane; il trasporto è
importante anche negli organelli: ad esempio in un mitocondrio viene prodotta ATP che viene trasportata
nel citoplasma per essere indirizzata ad altri compartimenti intracellulari, ed è importante all’interno della
cellula il trasporto di ioni H+ per il funzionamento di vari enzimi.

Si parla di diffusione (processo spontaneo) quando le molecole si muovono dal versante in cui sono più
concentrate verso il versante in cui sono meno concentrate. La diffusione è semplice quando la molecola
passa direttamente, ossia la molecola che passa è idrofobica; la diffusione è facilitata quando il trasporto è
mediato da una proteina, in questo caso si parla di molecole polari. La proteina che media il trasporto può
essere una proteina canale, che forma un foro idrofilico, che permette alla molecola polari di transitare, o
proteina trasportatrice, che subisce dei cambiamenti della conformazione, ossia una conformazione che si
rivolge sul sito di legame per il soluto dove viene legato e una conformazione dove il sito di legame per il
soluto è rivolto sull’altro versante, dove viene rilasciata. Si parla di trasporto attivo (consuma energia)
quando le molecole si muovono contro il gradiente di concentrazione (il contrario della diffusione); il
trasporto attivo è sempre mediato da una proteina trasportatrice. Nel trasporto attivo le proteine vengono
anche definite come pompe, poiché spostano le molecole contro il loro gradiente di concentrazione, gran
parte di queste proteine vengono alimentate dall’ATP che cede energia. Il trasporto attivo permette
l’assorbimento di sostanze nutritive dall’ambiente anche quando le loro concentrazioni esterne sono più
basse rispetto all’interno. Inoltre permette a varie sostanze di rifiuto di essere rimosse dalla cellula o
dall’organello anche quando la concentrazione esterna è più elevata rispetto all’interno. Infine permette
alla cellula di creare e mantenere gradienti ionici.
In determinati casi le grosse molecole devono essere importate o esportate dalla cellula: alcune sostanze
prodotte da delle cellule secernenti, vengono inviate nella matrice extracellulare dove svolgono diverse
funzioni; queste molecole vengono inviate verso la membrana plasmatica rinchiuse in un involucro detto
vescicola, essa si avvicina alla membrana, si fonde con essa e rilascia nell’ambiente esterno il proprio
contenuto, questo processo è detto esocitosi. Alcune macromolecole presenti nell’ambiente extracellulare
possono essere internalizzate grazie a un processo detto endocitosi: si forma un’invaginazione della
membrana cellulare, i cui margini si fondono tra loro e il processo termina con il distacco di una vescicola
all’interno della cellula che contiene del materiale che prima era extracellulare.

Alcune proteine interagiscono direttamente con le cellule poiché sono agganciate alla matrice
extracellulare; mandano dei segnali alla cellula che cambiano il comportamento della cellula. Alcune
proteine ancorano la membrana al citoscheletro, una specie di impalcatura, agganciandoli tra loro. Alcune
proteine connettono la matrice con il citoscheletro.

Delle proteine di membrana permettono il riconoscimento e l’adesione tra cellule; quest’adesione è


importante in alcuni tessuti, in cui c’è poca matrice extracellulare, come gli epiteli, costituiti da cellule unite
strettamente tra loro e tenute insieme tramite giunzioni cellulari, che sono di diversa natura, e costruite in
modi diversi, ma in tutti i casi sono costruite da proteine che sporgono sulla superfici di due cellule
adiacenti e permettono che le due cellule vengano agganciate tra loro.

Alcune proteine hanno attività enzimatiche: gli enzimi sono inseriti nel doppio strato fosfolipidico e
collaborano in reazioni correlate che vengono dette vie metaboliche, in cui il prodotto della prima reazione
diventa il substrato della seconda reazione così via; il fatto di avere enzimi organizzati nelle vicinanze
permette di rendere veloci ed organizzare questi processi.

Alcune proteine funzionano come recettori di segnali extracellulari: tutte le cellule degli organismi
pluricellulari comunicano tra loro, e questa comunicazione avviene attraverso dei segnali chimici; questa
segnalazione può avvenire a breve distanza, in cui la cellula segnalatrice che produce il segnale invia nello
spazio extracellulare il segnale che arriva a cellule bersaglio che si trovano nelle vicinanze; può avvenire una
segnalazione a lunga distanza in cui la cellula segnalatrice manda il segnale che viaggia nel sangue
circolante per raggiungere cellule bersaglio che si trovano distanti in vari distretti dell’organismo; affinché
l’organo bersaglio riceva il segnale, la cellula segnalatrice deve interagire con un recettore che si trova sulla
sue superficie; questi recettori sono proteine transmembrana ossia che attraversano il doppio strato
fosfolipidico sporgendo sia sul versante interno che sul versante esterno, e sul versante esterno hanno una
regione che riconosce specificamente una molecola segnale. Queste proteine di solito sono inattive finché
non arriva il segnale, il quale causa un cambiamento di conformazione della proteina, e questo
cambiamento si propaga alla porzione infracellulare e scaturisce così un processo di trasduzione, in cui
viene stimolata una catena di intermedi che portano all’attivazione o alla disattivazione dei bersagli che
possono essere enzimi, con conseguente modifica del metabolismo cellulare, possono essere il
citoscheletro, che come risposta ha cambiamenti di forma e della motilità cellulare, infine può essere una
proteina regolatrice di un gene, e da qui si possono avere dei cambiamenti dell’espressione genica.

ORGANELLI CELLULARI

Il più grande organulo membranoso è il nucleo; è delimitato da una doppia membrana detta involucro
nucleare attraversata da diverse aperture, i pori nucleari, che sono fondamentali per il passaggio di
molecole e macromolecole tra nucleo e citoplasma; all’interno del nucleo è presente la cromatina (detta
così perché è materiale con coloranti basici) ed è costituita da una rete di fibre di DNA associato con
proteine. All’interno del nucleo è presente una struttura sferoidale non delimitata da membrana, detta
nucleolo, che è coinvolta nell’assemblaggio dei ribosomi; il nucleo è il centro di controllo della cellula
eucariotica, perché contiene il DNA che porta tutte le informazioni per dirigere le varie attività cellulari. Al
momento della divisione cellulare, il nucleo va incontro a grossi cambiamenti funzionali e strutturali.

Il reticolo endoplasmatico, l’apparato di Golgi, gli endosomi, i lisosomi, e le vescicole di trasporto fanno
parte di un sistema di endomembrane, mentre i mitocondri, i perossisomi e il nucleo non ne fanno parte. Il
sistema di endomembrane è un insieme di organuli che lavorano insieme nel sintetizzare, immagazzinare e
distribuire i prodotti cellulari (ad esempio molecole importanti come lipidi e proteine); il compito che svolge
questo sistema comporta dei processi di gemmazione cellulare e fusione cellulare: un compartimento
donatore è capace di dar luogo a una protuberanza (detta gemma) in cui vengono raccolti i contenuti che si
trovano nel lume del compartimento stesso e in seguito questa gemma si distacca dalla membrana
formando una vescicola che contiene i contenuti provenienti dal compartimento dal quale si è formata, e
una volta che la vescicola è stata trasportata verso il compartimento bersaglio attraverso il citoplasma si va
a fondere con esso in un processo detto fusione cellulare, ossia il contenuto della vescicola viene rilasciato
nella cavità del compartimento bersaglio e la membrana della vescicola diventa parte integrante della
membrana del compartimento bersaglio. Attraverso questi processi gli organuli del sistema di
endomembrane si scambiano sia il contenuto sia i componenti della membrana, questi processo è detto
trasporto vescicolare.

Il reticolo endoplasmatico e l’apparato di Golgi collaborano nella sintesi e nello smistamento delle proteine
e lipidi ad altri organelli o all’esterno della cellula. Gli endosomi e i lisosomi, hanno come compito la
raccolta, degradazione e digestione di particelle e sostanze importate nelle cellule dall’ambiente esterno.
Le vescicole membranose sono addette al trasporto di sostanze di origine intra- ed extra-cellulare verso le
rispettive destinazioni.

Il reticolo endoplasmatico (il nome reticolo deriva da come esso appare al microscopio, ossia costituito da
una rete di cavità intercomunicanti) esiste in due forme, rugoso (o ruvido), per la presenza della superficie
delle membrane per la presenza di delle strutture granulari, i ribosomi; liscio, poiché non ha ribosomi. Le
due forme di reticolo endoplasmatico costituiscono una rete di cavità comunicanti: il reticolo rugoso è
costituito da dei sacchi appiattiti chiamati cisterne che sono addossate all’involucro nucleare; il lume del
reticolo rugoso è in continua comunicazione con il reticolo liscio, che morfologicamente è diverso dal
primo, in quanto costituito da una serie di strutture tubulari; ci sono diverse funzioni del reticolo liscio: la
principale è la sintesi di vari lipidi (acidi grassi, fosfolipidi, colesterolo e steroidi), e per questa funzione il
reticolo liscio è considerato una fabbrica di membrane, poiché le molecole che vengono sintetizzate al
livello della membrana del reticolo liscio vengono inserite nel doppio strato fosfolipidico di questo
compartimento, ma tramite il processo di gemmazione e fusione i componenti di membrana sintetizzati da
questo compartimento possono essere recapitate da qui ad altri organelli che fanno parte del sistema di
endomembrane; un’altra funzione importante consiste nella demolizione di tossine o farmaci idrofobici;
inoltre funziona come un serbatoio di ioni calcio, grazie a meccanismi di trasporto attivo ed è in grado di
rilasciare ioni calcio nelle cellule muscolari in seguito ad opportuni segnali. Il reticolo rugoso ha una
funzione connessa alla presenza di ribosomi sulla sua superficie citoplasmatica, che sono delle strutture al
livello delle quali avviene la sintesi delle catene polipeptiche in seguito alla lettura del messaggio genetico;
le catene polipeptiche sintetizzate finiscono nel lume del reticolo endoplasmatico; poi le proteine che si
trovano nella cavità del reticolo rugoso partono tramite trasporto vescicolare e vengono riversate
all’interno di altri compartimenti del sistema di endomembrane o rilasciate nell’ambiente extracellulare.
Per questo trasporto vescicolare interviene l’apparato di Golgi, che è direttamente comunicante con il
reticolo endoplasmatico: formata da una serie di sacchi appiattiti e impilati gli uni sugli altri, e nelle
vicinanze del reticolo endoplasmatico, le sue sacche vengono dette cisterne cis, cisterne mediane quelle
intermedie e cisterne trans quelle più distanti; oltre alle cisterne fanno parte dell’apparato di Golgi molte
vescicole che fanno da spola tra le varie cisterne man mano che il materiale progredisce per trasporto
vescicolare dalle cisterne cis alle cisterne trans. Nell’apparato di Golgi durante il tragitto dalle cisterne dal
reticolo endoplasmatico verso le cisterne più distanti le vescicole contenenti proteine solubili o altre
molecole si distaccano per gemmazione dalle cisterne cis, vanno a fondersi con le cisterne mediane in cui
riversano il loro contenuto, dalle cisterne mediane partono altre vescicole, che vanno a fondersi con le
cisterne trans; durante questo tragitto le proteine e altre molecole subiscono delle modificazioni chimiche
che fanno parte di un processo detto di maturazione delle proteine come per esempio la glicosilazione, cioè
il legame di determinate proteine con monosaccaridi e oligosaccaridi, o fosforilazioni e solfatazioni; oltre a
quello della maturazione delle proteine c’è quello dello smistamento: dalle cisterne trans dell’apparato di
Golgi si formano delle vescicole con contenuti specifici, cioè all’interno di determinate vescicole vengono
selezionati alcune molecole che hanno una particolare destinazione. Di queste vescicole, alcune hanno
delle caratteristiche tali che sono in grado di riconoscere e fondersi con la membrana bersaglio, altre vanno
a fondersi con la membrana plasmatica, altre, che sono destinate a un processo di secrezione regolato
stazionano nelle vicinanze della membrana per fondersi con quest’ultima all’arrivo di un opportuno
segnale; altre vescicole contengono dei materiali che vanno a fondersi con gli organuli intracellulari, come
gli endosomi, che contengono del materiale entrato nella cellula per processi di endocitosi.

Il processo di sintesi, maturazione, di smistamento alla membrana plasmatica e di esocitosi è detto


processo di secrezione ed ha due forme: secrezione costitutiva, è un processo che avviene in maniera
continua, e contribuisce alla formazione della matrice extracellulare e della membrana plasmatica;
secrezione regolata, che è coinvolta nel rilascio di enzimi digestivi (ad esempio enzimi coinvolti nella
degradazione delle macromolecole entrati con l’alimentazione che devono essere degradate in molecole
più piccole), ormoni e neurotrasmettitori. L’esocitosi è l’ultima parte del processo di secrezione: è la
fusione della vescicola che trasporta il materiale che deve essere esportato con la membrana plasmatica;
ciò è possibile grazie alla fluidità delle membrane. Il processo che va in direzione opposta è l’endocitosi,
ossia consiste nella internalizzazione di molecole che si trovano nell’ambente extracellulare.

Una volta formate le vescicole dall’endocitosi, esse sono indirizzate ai lisosomi; essi hanno enzimi idrolitici,
ossia enzimi capaci di catalizzare reazioni di idrolisi, ossia la rottura di legami covalenti, cosa molto
importante nella degradazione di macromolecole, in particolare dei polimeri nei monomeri che li
costituiscono (proteine in amminoacidi, polisaccaridi in monosaccaridi); gli enzimi dei lisosomi lavorano a
PH basso, ossia acido, e l’ambiente del lisosoma viene mantenuto a PH basso grazie a delle pompe che
trasportano verso l’interno ioni H+, responsabili dell’abbassamento del PH. Questi organuli ricevono questi
enzimi dall’apparato di Golgi tramite un processo che parte dal reticolo endoplasmatico. I lisosomi primari
sono delle vescicole che contengono enzimi idrolitici, e sono capaci di fondersi con endosomi, che sono
delle vescicole di endocitosi che possono contenere macromolecole, particelle, organismi o detriti cellulari;
dalla fusione del lisosoma primario con l’endosoma si forma il lisosoma maturo, e il primo, trovandosi in
contatto con gli enzimi litici, viene degradato in piccole molecole, che possono diffondersi tramite i processi
di attraversamento delle membrane (endocitosi ed esocitosi), o passano nel citoplasma dove possono
essere usate come reazioni per ricavare energia o come materiali per costruire altre macromolecole; i
materiali non digeriti vengono riversati nell’ambiente extracellulare grazie a un processo di esocitosi.

Ci sono tre forme di endocitosi: fagocitosi, che consiste nell’assunzione di particelle di grandi dimensioni, ed
ha funzioni diverse a seconda del tipo ci cellula, nei protisti (unicellulari) è destinato alla nutrizione, in
organismi pluricellulari interviene per difesa (eliminazione di organismi) e rimozione di detriti cellulari;
pirocitosi, ossia assunzione di piccola quantità di fluidi, che ha funzione di controllo dell’area superficiale e
del volume della cellula, serve per compensare la continua aggiunta di membrana con i processi di
esocitosi; endocitosi mediata da un recettore, diversa dalle altre per la partecipazione di proteine di
membrana che riconoscono specificamente delle molecole e che servono per catturarle, internalizzarle e
selezionarle, un esempio è quella dell’internalizzazione delle cellule di colesterolo LDL (la forma in cui il
colesterolo viaggia nel sangue).

I mitocondri, grandi circa un micron, sono costituiti da una doppia membrana, una esterna e una interna,
quest’ultima ripiegata a formare delle pieghe, ossia le creste mitocondriali; è presente all’interno una
soluzione contenente molte molecole biologiche ed enzimi, detta matrice mitocondriale. Sono coinvolti nel
metabolismo energetico, cioè nelle trasformazioni dell’energia che si verificano all’interno della cellula, al
loro interno avviene la maggior parte delle reazioni chimiche implicate nell’ossidazione di zuccheri e di altre
molecole dette combustibili, perché dalla loro ossidazione le cellule ricavano energia; l’energia che viene
ricavata dall’ossidazione di composti organici viene convertita in un composto ad alta energia, l’adenosina
trifosfato (ATP), e questo è un processo che avviene in tutte le cellule. Infatti l’ATP viene utilizzato per
conservare l’energia e liberarla quando è necessario per permettere che si svolgano i processi
endoergonici, ossia i processi che richiedono un apporto energetico per poter avvenire, come alcune
particolari reazioni chimiche, ad esempio la sintesi delle macromolecole, il lavoro chimico, i movimenti
cellulari e il trasporto attivo.

Il citoscheletro è presente solo nelle cellule eucariotiche ed ha diverse funzioni: è struttura di sostegno, è
responsabile della forma della cellula e dell’organizzazione dei vari organuli all’interno della cellula; ha
funzioni anche dinamiche perché è responsabile di vari movimenti cellulari (sia locomozione cellulare sia
movimenti intracellulari). Il citoscheletro è costituito da tre tipi di elementi strutturali; i primi sono detto
microtubuli perché sono costituiti da tubuli cavi, formati dall’assemblaggio di subunità della proteina
tubulina; hanno diverse funzioni: nelle cellule interfase (cellule tra una divisione e la successiva) sono
organizzati come raggi che partono da una regione centrale detta centrosoma e si irradiano verso la
superficie cellulare dove hanno come funzione dare forma e supporto meccanico alla cellulare e guidano il
movimento di organelli e vescicole; nelle cellule in divisione il citoscheletro microtubulare viene smontato
per poi essere rimontato in una struttura diversa detta fuso mitotico, che è necessario per la separazione
dei cromatidi fratelli; nelle cellule cigliate (che hanno delle estroflessioni dette ciglia o flagelli), le cui
appendici sono rivestite da fasce di microtubuli, sono capaci di provocare la flessione di queste strutture,
che può servire per muovere il fluido circostante o per far muovere la cellula. i secondi, microfilamenti,
sono formati da subunità di actina, che si organizza per formare dei filamenti intrecciati. I microfilamenti di
actina sono più concentrati al di sotto della superficie cellulare ed hanno funzioni sia meccaniche che
strutturali; all’interno di strutture dette microvilli (strutture fisse presenti in alcune cellule come negli
epiteli assorbenti) hanno funzione di incrementare la superficie cellulare per migliorare l’efficienza
dell’assorbimento; microfilamenti di actina sono presenti sotto forma di anello contrattile nell’ultima fase
della divisione cellulare, quando i nuclei si sono formati e il citoplasma deve essere diviso in due;
intervengono nel movimento ameboide, ossia emissione di protrusioni che sono servono sia per lo
spostamento della cellula che per l’inglobazione del materiale fagocitato; infine hanno la funzione di
contrazione cellulare. I terzi, i filamenti intermedi sono costituiti da proteine miste a seconda del tipo
cellulare, e sono costituiti da proteine fibrose (dalla forma allungata) e sono associate tra loro per formare
delle strutture stabili simili a delle corde. I filamenti intermedi hanno funzioni principalmente strutturali, e
sono presenti nel citoplasma, dove si attaccano alle giunzioni cellulari di ancoraggio, che tengono le cellule
vicine o le agganciano alla matrice extracellulare; inoltre esiste un filamento al di sotto dell’involucro
nucleare ed ha funzione di dare protezione al nucleo. Le proteine che lo compongono sono cheratina nelle
cellule epiteliali, vementina nei tessuti connettivi, lamina nel nucleo. I filamenti intermedi inoltre
costituiscono una forte resistenza alla trazione, e senza di essi i tessuti si romperebbero, infatti si verificano
delle patologie dell’epidermide dovute ad una fragilità della pelle conseguente a difetti delle proteine della
famiglia delle cheratine.

LA CONSERVAZIONE E LA TRASMISSIONE DELL’INFORMAZIONE GENETICA

Il materiale genetico è costituito da DNA, il quale è una memoria centrale che contiene tutte le
informazioni che determinano le caratteristiche morfologiche e funzionali dell’organismo; il DNA viene
riprodotto in copie identiche che sono assegnate alle nuove cellule che si originano dalla divisione delle
cellule progenitrici.

Il DNA è una macromolecola che fa parte del gruppo degli acidi nucleici, che sono polimeri di nucleotidi.
Esistono quattro diversi nucleotidi che rientrano nella composizione degli acidi nucleici. Un nucleotide è
una molecole costituita da tre porzioni: uno zucchero pentoso (a cinque atomi di carbonio), un gruppo
fosfato, che deriva dall’ acido fosforico e una base azotata che sono legati covalentemente allo zucchero
pentoso. I quattro nucleotidi differiscono per la base azotata. Le catene polinucleotidiche hanno tutte la
stessa struttura ( legami tra gruppi fosfato e zuccheri pentosi, e la base azotata che sporge), ma differiscono
per la composizione e l’ordine della sequenza delle basi.

Le differenze distintive di RNA (acido ribonucleico) e di DNA (acido desossiribonucleico) sono: lo zucchero
pentoso dell’RNA è il ribosio del DNA è il desossiribosio, hanno entrambi come basi azotate adenina
citosina e guanina ma differiscono per una base, che nell’RNA è l’uracile e nel DNA è la timina. Il ribosio e il
desossiribosio differiscono unicamente per il gruppo funzionale presente a un vertice dello zucchero, che è
un ossidrile nel ribosio e un idrogeno nel desossiribosio. Le basi azotate sono dette basi in quanto basiche e
azotate poiché nei loro anelli contengono azoto e carbonio e sono di due tipi: purine, che hanno una base
comune costituita da due anelli messi tra loro e differiscono tra loro per la presenza e per la posizione di
determinati gruppi funzionali, ad esempio nell’adenina c’è un gruppo amminico e nella guanina c’è un
carbonile; pirimidine, che sono costituite da un solo anello e differiscono tra loro per i gruppi funzionali, che
sono carbonile, gruppo amminico, gruppo metilico, idrogeno ecc..

Pertanto un nucleotide di RNA ( A C G U) differisce da uno di DNA ( A C G T )per la possibilità di diverse basi
azotate e per lo zucchero pentoso.

Per la polimerizzazione sono importanti il gruppo ossidrilico (OH) e il gruppo fosfato: formano un legame
chiamato fosfodiestere, la zona in cui c’è in cui il carbonio 3’ dello zucchero va ad attaccarsi alla zona
dell’ossigeno del gruppo fosfato del nucleotide che gli sta sotto. Le catene polinucleotidiche hanno due
estremità distinte: l’estremità 5’ corrisponde a quella con il fosfato libero, l’estremità 3’ corrisponde a
quella con l’ossidrile libero.

Le molecole del DNA sono formate da catene polinucleotidiche associate in un doppio filamento, l’RNA da
singoli filamenti. Queste due catene sono complementari: gli appaiamenti tra le basi sono degli
appaiamenti obbligati, ossia adenina si appaia sempre con timina, e citosina con guanina, ciò implica che
dato un filamento con una certa sequenza di basi è già determinata la sequenza dell’altro filamento; questi
doppi filamenti si organizzano a formare una struttura tridimensionale a doppia elica. L’appaiamento
complementare è dovuto al fatto che possono formarsi dei legami idrogeno efficienti solo tra quei tipi di
basi. Nella coppia timina adenina si formano due legami idrogeno (HN e OH) e nella coppia citosina guanina
se ne formano tre (OH NH e HO). I filamenti appaiati sono orientati con polarità opposta, e ciò è necessario
affinché le basi si trovino nell’orientamento giusto per formare una doppia elica stabile. La
complementarietà delle basi è fondamentale perché sta alla base dei meccanismi di duplicazione del DNA,
infatti un filamento polinucleotidico può funzionare da stampo per un filamento complementare; ciò
implica il reclutamento di nucleotidi liberi (richiamati tramite interazioni complementari) e l’unione in
catena polinucleotidica, tramite la formazione di legami covalenti, e ciò avviene grazie a un enzima (DNA
polimerasi), che lega i nucleotidi uno alla volta all’estremità di una catena nucleotidica in crescita. Facendo i
filamenti singoli da stampo pe dei nuovi filamenti, le due cellule che nasceranno saranno identiche. La
modalità di duplicazione del DNA è definita semiconservativa: le molecole di DNA figlie sono costituite da
un filamento vecchio e un filamento nuovo sintetizzato.

Se si considera la lunghezza totale del DNA in una cella umana (6 miliardi di coppie di basi) disteso, esso
avrebbe una lunghezza di circa due metri, e tutto questo materiale è organizzato nel nucleo, che ha
lunghezza di circa 5 – 10 um. Il DNA è ripiegato in maniera regolare, e avviene tramite l’avvolgimento dei
filamenti attorno a particolari proteine; la struttura che nasce da questa unione è detta cromatina. Il primo
livello di avvolgimento corrisponda alla fibra nucleosomica: è costituita dalla successione di nucleosomi,
delle particelle che si ripetono lungo una fibra molto lunga, costituite da un segmento di DNA della
lunghezza di 146 coppie di nucleotidi avvolto intorno a un complesso di 8 molecole di proteine (istoni) di
quattro tipi; in ogni nucleosoma le proteine sono a coppie. La fibra nucleosomica si ripiega per formare
delle fibre di ordine superiore: si spiralizza per formare una fibra di spessore maggiore, detta fibra
cromatinica. La cromatina caratterizza le cellule che sono in interfase (il periodo che intercorre tra una
divisione e la successione), mentre al momento della divisione cellulare essa subisce un altro
compattamento per formare i cromosomi (più compatti), al fine di garantire da un punto di vista
meccanico e fisico un’agevole ripartizione del DNA dopo che si è duplicato.

Le quattro basi si possono considerare come lettere di un alfabeto utilizzato per scrivere messaggi biologici
e sequenze nucleotidiche diverse portano messaggi diversi; infatti gli organismi differiscono tra loro perché
le loro molecole di DNA hanno sequenze diverse. Grazie all’esatta duplicazione del DNA gli organismi
somigliano ai propri genitori. Pertanto si può dire che la duplicazione del DNA è alla base dell’ereditarietà. Il
DNA serve da progetto per la sintesi di proteine, che sono le macromolecole che controllano tutte le
funzioni cellulari. La lettura, interpretazione e attuazione delle istruzioni contenute nella sequenza del DNA
è chiamata espressione dell’informazione genetica.

Un gene è un tratto di DNA che contiene l’informazione per fabbricare un particolare tipo di proteina.

L’ESPRESSIONE DELL’INFORMAZIONE GENETICA

Quando si parla di flusso dell’informazione genetica si parla del passaggio di queste informazioni dal DNA
alle proteine. Le due tappe che costituiscono la trasmissione dell’informazione genetica sono la trascrizione
e la traduzione: la prima implica il trasferimento delle istruzioni codificate nella sequenza di base di DNA
nelle molecole di RNA (detto trascrizione perché le informazioni vengono ricopiate); nella seconda le
informazioni genetiche vengono tradotte in una sequenza di amminoacidi.

Si definisce trascrizione la sintesi di una molecole di RNA su uno stampo di DNA. Questo processo avviene
con un meccanismo basato sull’ appaiamento di basi complementari: c’è la differenza che singoli tratti per
volta di DNA vengono trascritti ma, anche qui, nella reazione di polimerizzazione l’enzima RNA polimerasi
incorpora in una catena in crescita dei nucleotidi che sono stati allineati in base all’appaiamento
complementare. L’RNA polimerasi trascrive dei segmenti detti unità trascrizionali, che sono delimitati da un
sito di inizio e un sito di terminazione; l’enzima riconosce un tratto di DNA detto promotore, un sito di
regolazione, nel quale comincia il processo di trascrizione, da qui segue, grazie all’incorporazione dei
nucleotidi complementari, l’allungamento della catena di RNA, finché l’RNA polimerasi arriva in
corrispondenza di un altro sito di regolazione, detto sito di terminazione della trascrizione, in l’enzima si
stacca dalla catena di RNA ed esso viene rilasciato. L’RNA polimerasi permette l’apertura dei filamenti di
DNA, in modo tale che vi si possano attaccare i nucleotidi. Le catene di RNA formate garantiscono
l’amplificazione del messaggio biologico, che permettono di produrre la quantità necessaria di una proteina
molto più rapidamente che se il DNA stesso agisce da stampo per la sintesi proteica. Ogni gene può essere
trascritto con diversi gradi di efficienza, e ciò permette alla cellula di moderare le quantità di ogni proteina
di cui necessita.

Ci sono tre classi di RNA: messaggeri (mRNA), che contengono nella loro sequenza le istruzioni per
sintetizzare i polipeptidi; transfer e ribosomiali (tRNA, rRNA) che fanno parte del processo di sintetizzazione
del polipeptidi.

Il gene è una regione di DNA trascritta che contiene istruzioni per la sintesi di una proteina o di un RNA.
Esistono geni che codificano per proteine, e vengono trascritti in RNA messaggero e geni che codificano per
prodotti non proteici ed hanno ruoli molto importanti nella regolazione dell’espressione genica.

Si definisce traduzione la sintesi di una catena proteica su uno stampo di mRNA; apparentemente non c’è
corrispondenza tra amminoacidi e nucleotidi, poiché i primi sono 20 e i secondi sono 4, tuttavia per
specificare un amminoacido si usano delle combinazioni di nucleotidi: riunendo 4 tipo di basi in gruppo di 3
si possono ottenendo ben 64 combinazioni diverse, ampiamente sufficienti per specificare 20 amminoacidi.
Il codice genetico è costituito quindi da triplette di basi: una tripletta di basi costituisce un codone, o unità
di codificazione, il segnale necessario e sufficiente per inserire un amminoacido nella catena polipeptica.
Pertanto il macchinario della sintesi proteica legge piuttosto che la sequenza di nucleotidi, la sequenza di
triplette (codoni) ed in base ad essa allinea amminoacidi specifici in una catena polipeptica.

L’insieme delle regole per costruire una catena polipeptidica sul modello di una catena polinucleotidica è
detto codice genetico e poiché ad ogni codone è stato attribuito un significato si può dire che il codice
genetico è stato decifrato; inoltre esso è universale, ossia le sue regole sono uguali per ogni essere vivente.
Ognuno dei 64 codoni esistenti, a parte UAA, UGA e UAG, che segnalano l’interruzione della sintesi della
catena polipeptidica (quindi non indicano nessuna proteina), hanno significato. Esistono diversi codoni
sinonimi, poiché gli amminoacidi sono 20; questa proprietà del codice genetico è detta degenerazione o
ridondanza; il codice genetico inoltre non è ambiguo (un codone non specifica mai più di un amminoacido).

Il processo di traduzione implica la partecipazione di tutti e tre i tipi di RNA: l’ mRNA porta la sequenza di
triplette che poi vengono interpretate per la sequenza di amminoacidi, il tRNA trasporta amminoacidi e
l’rRNA è coinvolto nel funzionamento dei ribosomi, al livello dei quali gli RNA messaggeri entrano in
contratto con RNA transfer che trasportano gli amminoacidi.

Il tRNA presenta dei ripiegamenti, ossia strutture secondarie o terziarie dovute ad appaiamenti tra basi
complementari che si trovano all’interno dello stesso filamento; esso è caratterizzato è caratterizzato da
diverse anse (questi ripiegamenti), e ce n’è una in particolare, detta ansa dell’anticodone, poiché contiene
un anticodone, ossia una tripletta che si appaia con il codone dell’RNA messaggero, permettendo il
reclutamento del tRNA sull’RNA messaggero mentre viene tradotto. All’estremità opposta ha un sito a cui si
lega l’amminoacido che viene trasportato. Esistono nelle cellule molecole differenti di tRNA, che
differiscono tra loro per l’anticodone e per il sito di legame dell’amminoacido, in modo tale che ogni tRNA
possa trasportare un amminoacido diverso. La molecole di tRNA funge da adattatore, facendo
corrispondere ciascun amminoacido a specifici codoni.

Man mano che gli amminoacidi vengono allineati lungo l’RNA messaggero, vengono uniti tramite la
formazione di legami peptidici per formare una catena di amminoacidi.

Il processo di traduzione avviene nel citoplasma attraverso i ribosomi; essi possono essere sia liberi, sia
associati alle membrane del reticolo endoplasmatico. Essi sono degli enormi aggregati di macromolecole,
costituiti da 4 tipi di rRNA e da oltre 80 proteine; un ribosoma completo è costituito da due sub unità, una
maggiore e una minore: la prima è costituita da 49 proteine e 3 molecole di rRNA diverse, la seconda è
costituita da circa 33 proteine e da una molecola di rRNA. I ribosomi hanno il compito di mettere in
contatto le molecole di RNA; un ribosoma presenta tre siti in cui alloggiano i vari componenti: il sito di
legame per l’RNA messaggero si trova (orizzontalmente) sulla sub unità minore, e con l’associazione delle
due sub unità sul ribosoma vengono a costituirsi (verticalmente) un sito detto A, dove si lega amminoacil-
tRNA con l’ultimo amminoacido che sta entrando nella catena polipeptidica, e un sito P, dove è legato il
peptidil-tRNA, che trasporta la catena polipeptidica in allungamento e infine c’è un sito E (exit), sul quale di
sofferma il tRNA scarico, ossia dopo che ha ceduto il suo amminoacido alla catena polipeptidica in crescita,
per poi uscire. Il primo amminoacil-tRNA riconosce il sito d’inizio della traduzione (sempre AUG), si monta
l’unità maggiore per formare il ribosoma completo, e ciò porta alla formazione dei 3 siti (nel sito centrale P
si trova l’amminoacil-tRNA); il secondo codone seleziona un amminoacil-tRNA che è l’anticodone
complementare che trasporta un preciso amminoacido, il primo amminoacido si stacca dal tRNA e si lega
covalentemente al secondo amminoacido, in seguito alla traslocazione del ribosoma che scorre lungo l’RNA
messaggero, la prima molecola di tRNA si trova nel sito E (ed è scarico) ed esce dal ribosoma, viene
reclutato il terzo amminoacil-tRNA, la catena polipeptica appena formata (da due elementi) si stacca dalla
seconda molecola di tRNA e si attacca al terzo amminoacido tramite un nuovo legame peptidico, così il
tRNA scarico esce dal sito E; il processo va avanti fino a quanti sul sito a non viene esposto uno dei tre
codoni che segnalano l’interruzione della sintesi della catena polipeptidica. La catena polipeptidica viene
così rilasciata il ribosoma viene riscomposto nelle due sub unità.

I ribosomi assicurano che i codoni vengano letti consecutivamente senza interruzioni e che la traduzione
parta dal corretto segnale di inizio AUG. Queste operazioni sono fondamentali per stabilire e mantenere la
giusta cornice di lettura, ossia il modo in cui vengono lette le triplette (perché una cornice può essere letta
cominciando con una tripletta (CUC AGC ..), con un nucleotide solo (C UCA GCG…) o con due (CU CAG
CGU…)).

Non tutti i geni vengono utilizzati nello stessi momento e non tutti con la stessa intensità: nei procarioti la
regolazione dell’espressione genica permette di esprimere solo quei geni che sono immediatamente
utilizzabili nelle attuali condizioni ambientali, ciò per risparmiare energia e per impedire che ci siano diversi
processi enzimatici contemporaneamente che creerebbero problemi dal punto di vista della stabilità
biochimica; negli eucarioti, in particolare negli organismi pluricellulari, l’espressione genica selettiva
permette alle cellule di svolgere ruoli specializzati, questo processo consiste nello spegnimento di alcuni
geni e nell’accensione di altri, garantendo il funzionamento dei diversi tessuti.

Le cellule differenziate in un pluricellulare adulto derivano dallo zigote, che si forma dall’unione dell’uovo
con lo spermatozoo: si forma inizialmente un embrione che inizia gradualmente a formare dei tessuti
embrionali e man mano e specializzarsi, formando ectoderma, mesoderma, endoderma e cellule germinali;
questi tessuti si diversificano ulteriormente dando origine alle cellule specializzate presenti nell’organismo.
Nonostante la specializzazione dei vari tessuti e cellule i geni non sono tutti inattivi, ma sono attivi in base
alla funzione che cellule e tessuti specializzati svolgono.

RIPRODUZIONE CELLULARE

Viene detto ciclo cellulare quella serie di eventi che si verificano tra una divisione cellulare e quella
successiva. Queste serie di eventi comprende la crescita della cellula e la duplicazione del materiale
genetico, la separazione delle due copie di materiale genetico duplicato e infine la divisione cellulare.

Una cellula batterica si riproduce tramite scissione semplice: duplicazione del DNA, allungamento della
cellula e infine il processo di scissione, dovuto alla formazione di un setto, che una volta completato divide
la cellula madre in due cellule figlie.

Il ciclo di una cellula eucariotica si divide in quattro fasi: l’interfase, suddivisa in G1, S e G2, e la divisione.
Nella fase G1 la cellula cresce e gli organelli si duplicano, nella fase S si replica il DNA e si duplicano i
cromosomi, nella fase G2 la cellula si prepara per la mitosi; nella divisione il nucleo si divide (mitosi) e il
citoplasma si divide (citochinesi). La durata del ciclo è variabile tra i diversi tipi cellulari e ciò che di solito
varia è il tempo delle fasi G1 e G2. La fase M è la fase più importante poiché si verificano: la condensazione
della cromatina (già duplicata) in cromosomi, la formazione di una complessa macchina citoscheletrica
(fuso mitotico), la scomparsa dell’involucro nucleare e del nucleolo e la separazione dei cromatidi fratelli (le
due unità identiche da cui è costituito ciascun cromosoma dopo la duplicazione).

Il nucleo eucariotico al suo interno ha eucromatina ed eterocromatina: la prima è una forma più dispersa e
l’altra è più condensata ed è localizzata sul versante interno dell’involucro nucleare o nelle vicinanze del
nucleolo. L’involucro nucleare, è costituito da due membrane fosfolipidiche, una nucleare esterna e una
nucleare interna, che sono unite, e dove presenta discontinuità sono presenti i pori nucleari. Ha funzione di
compartimentazione, di separare il nucleo dal citoplasma; ha anche funzione meccanica e strutturale,
infatti al di sotto dell’involucro nucleare è presente una rete di filamenti citoscheletrici dette lamìne, che
costituiscono una rete detta lamina nucleare; infine è importante perché attraverso i pori nucleari il nucleo
controlla gli scambi di particelle e macromolecole con il citoplasma. Lo scambio di alcune particelle (in
particolare quelle ribosomiali) avviene attraverso il nucleolo, una struttura non delimitata da membrana, in
cui sono addensati dei tratti di DNA che codificano per l’RNA ribosomiale, da filamenti di rRNA nascenti, da
proteine ribosomiali e da subunità ribosomiali; il nucleolo è pertanto la sede di produzione dei ribosomi.

La cromatina è costituita da DNA che si avvolge a ottameri di istoni, per formare i nucleosomi, che unendosi
formano la fibra cromosomica, la quale si ripiega formando eucromatina ed eterocromatina (quindi
cromosomi); la cromatina impacchetta il DNA all’interno del nucleo, protegge il DNA da danni meccanici,
controlla l’espressione genica (in particolare della trascrizione), infine al momento della divisione cellulare
facilita la ripartizione del DNA duplicato tra i due nuclei figli.

I cromosomi sono visibili solo dopo il compattamento della cromatina tuttavia sono presenti come unità
distinte anche nelle cellule interfase; nella fase S ciascun filamento cromatinico viene duplicato; si
compatta fino a formare due molecole di cromatina che restano attaccate tra loro al livello di una regione
del cromosoma detta centromero, grazie alla presenza di proteine di una struttura detta cinetocore, e
saranno evidenziabili come cromatidi fratelli. Essi rimangono uniti fino al momento della separazione
quando verranno indirizzati ai poli della cellula per diventare cromosomi figli.

La fase M o mitosi è suddivisa in più fasi: interfase, in cui avviene la replicazione del DNA e del centrosoma,
una struttura che si trova al centro della cellula che fa da centro organizzatore per crescita dei microtubuli, i
due nuovi centrosomi dovranno organizzare il fuso mitotico; nella profase la cromatina comincia ad
addensarsi, i microtubuli citoplasmatici vengono disassemblati e le subunità di tubulina vengono
assemblate per costruire il fuso mitotico, ossia i centrosomi si dirigono ai poli della cellula e fanno partire
verso il centro dei fasci di microtubuli; nella prometafase il fuso mitotico si è già formato e i cromosomi
sono condensati e cominciano ad allinearsi sulla piastra equatoriale cominciando a prendere contatto con i
microtubuli del fuso mitotico; nella metafase ogni cromosoma si dispone sull’equatore della cellula;
nell’anafase comincia il processo di separazione dei cromatidi che vengono trascinati dai microtubuli verso i
poli opposto; telofase, in cui il fuso mitotico viene rismontato nelle sue subunità che andranno a costituire
il citoscheletro delle cellule figlie, si riforma l’involucro nucleare e si riforma il nucleolo, la mitosi termina
poi con la divisione dei citoplasmi.

Il motore del ciclo cellulare è basato su due tipi di proteine: le cicline, proteine che vengono accumulate e
degradate ciclicamente durante il ciclo cellulare, e chinasi, enzimi che catalizzano azioni di fosforilazioni,
dette ciclina dipendenti (Cdk), ossia attive solo se legate con unità di ciclina. Il livelli di Cdk sono costanti,
mentre quelli delle cicline oscillano in un’alternanza di sintesi e degradazione. Partendo dalla fase G1 la
cellula ha una Cdk inattiva perché non c’è ciclina, ma in seguito a segnali si accumulano delle cicline dette
cicline S (perché agiscono nella fase S), che si associano con la Cdk inattiva, inducendone l’attività
enzimatica, che scatena il macchinario di replicazione del DNA, dopo la replicazione la ciclina viene
degradata e la Cdk torna in uno stato inattivo finché nella fase G2, si accumula la ciclina M (perché agisce
nella fase M), che attiva la Cdk e il complesso attivo Cdk ciclina M scatena il macchinario della mitosi.

Il ciclo cellulare è regolato da controlli intrinseci e controlli estrinseci: i primi, che agiscono in risposta a
segnali interni, verificano il corretto compimento di una fase prima di consentire il passaggio alla
successiva, i secondi, che agiscono in risposta a segnali esterni, agiscono in risposta a segnali extracellulari e
consentono alla cellula di procedere nel ciclo o di rimanere in uno stato quiescente. C’è un punto di
controllo nella fase G1 detto transizione G1/S che controlla dimensione della cellula, la presenza di
nutrienti, la presenza di fattori di crescita e la presenza di danni al DNA, e qualora questi parametri non
siano rispettati la cellula viene bloccata in uno stato quiescente; altro punto di controllo è la transizione
G2/M, della fase G2, che controlla dimensioni e il completamento della replicazione del DNA; altra
transizione è quella metafase/anafase, che controlla l’attacco dei cromosomi al fuso.

La grandezza complessiva della popolazione delle cellule è bilanciato dalla moltiplicazione cellulare e dalla
morte cellulare programmata o apoptosi. Quest’ultima non ha niente a che vedere con la necrosi, che è un
evento accidentale, viene subito dalle cellule passivamente, può essere dovuto a un trauma, veleno o
anossia e comporta la lisi della cellula e causa fenomeni di infiammazione; l’apoptosi è un evento
programmata realizzato attivamente dalle cellule in condizioni fisiologiche, inoltre è una modalità di morte
che non provoca infiammazione poiché la frammentazione della cellula e le modificazione della superficie
in corpi apoptotici favoriscono la fagocitosi da parte dei macrofagi. L’apoptosi è importante nello sviluppo
embrionale, poiché durante questo stadio sono prodotte più cellule di quante effettivamente servono,
nella omeostasi tissutale, per rigenerare costantemente cellule all’interno dei tessuti, è importante anche
nel meccanismo di alcune risposte immunitarie, come nel caso dei linfociti T citotossici, che uccidono delle
cellule bersaglio infettate da virus inducendo un processi di apoptosi; l’apoptosi avviene anche in risposta a
danni al DNA, ossia delle cellule danneggiate si autodistruggono per impedire che i danni si propaghino,
anche in risposta allo stress si verifica apoptosi e in casi di infezioni virali per impedire la propagazione del
virus; infine anche in caso di proliferazione eccessiva di cellule. Un esempio di apoptosi è l’eliminazione
della membrana interdigitale durante lo sviluppo delle dita, che avviene dopo 56 giorni dalla fecondazione.
Sia il difetto che l’eccesso di apoptosi può portare a conseguenze patologiche: quando sono bilanciate si ha
l’omeostasi tissutale, se il tasso di morte delle cellule è basso c’è un eccessivo accumulo delle cellule e si
possono provocare tante patologia da accumulo di cellule come nei tumori; un eccesso di apoptosi può
causare malattie da perdita di cellule, esempio ne sono le malattie degenerative. Le cellule che non
rispettano i segnali interni ed esterni che regolano la moltiplicazione cellulari sono dette cellule cancerose,
esse sono meno propense rispetto alle cellule normale ad andare in apoptosi, sfuggono al tessuto in cui
risiedono (sono invasive), sopravvivono e proliferano in siti estranei (metastatizzano). La crescita tumorale
è il risultato di alterazioni genetiche nelle cellule somatiche.

Un tumore comincia da una cellula isolata, che va incontro a mutazione, si riproduce generando una
popolazione di cellule mutate che crescono in un grande clone di cellule. Affinché queste alterazioni
genetiche portino allo sviluppo di cellule tumorali devono interessare due classi di geni critici: classe dei
proto-oncogeni, ossia dei geni che codificano per proteine che favoriscono la proliferazione cellulare,
promuovendo la progressione del ciclo cellulare o inibendo la morte cellulare; il loro incremento di
funzione conduce verso il cancro e le forme mutanti iperattive sono dette oncogeni; classe degli
oncosoppressori, ossia geni che codificano per proteine che contrastano la proliferazione cellulare,
inibendo la progressione del ciclo cellulare o promuovendo la morte cellulare; la loro perdita di funzione
conduce verso il cancro.

RIPRODUZIONE SESSUATA E VARIABILITA’ GENETICA

Variabilità genetica consiste nella diversità dei corredi di informazioni genetiche che danno origini ai diversi
organismi; ci si può riferire sia alle differenze piccole tra individui della stessa specie, sia differenza grandi
tra individui di specie diverse. La variabilità genetica è fondamentale per la continuità della vita sulla terra
perché rende possibile l’azione della selezione naturale, la quale può causare evoluzione tramite il diverso
successo riproduttivo di individui che variano per alcuni caratteri.

All’origine della variabilità genetica ci sono in primo luogo le mutazioni, dei cambiamenti ereditabili nella
sequenza del DNA e che creano delle forme varianti dei geni, e la riproduzione sessuata, che implica la
confluenza di patrimoni genetici di individui diversi e quindi il mescolamento di essi in modo da creare
nuove combinazioni.

Per mutazioni si intendono dei cambiamenti nella sequenza del DNA: possono essere spontanei, di solito
per errori nella replicazione del DNA, come la perdita di frammenti o appaiamenti diversi, e questo
procedimento è abbastanza raro; possono essere indotte da agenti fisici, chimici o biologici, come dei virus
o radiazioni. In base all’estensione della regione del DNA alterata vengono distinte in mutazioni geniche,
ossia alterazioni che riguardano un singolo gene o mutazioni cromosomiche, ossia alterazioni di grossi
frammenti cromosomici.

Le mutazioni geniche sono diverse: mutazione silente, in cui c’è la sostituzione di un codone con un altro
codificante per lo stesso amminoacido; mutazione missenso (o di senso sbagliato), cioè la sostituzione di un
amminoacido nella catena polipeptidica con un altro; mutazione non senso, che portano alla sostituzione di
un codone di senso con uno di stop (quelli che bloccano la traduzione); mutazione frameshift (scivolamento
della cornice di lettura), che consistono in inserzioni o delezioni di una o più basi che provocano uno
scivolamento della cornice di lettura, che comporta l’alterazione di tutta la sequenza di amminoacidi.

Molte mutazioni sono svantaggiose, come l’anemia falciforme, che si verifica nel gene della β-globina: c’è
una sostituzione di una base, in cui il codone GA che normalmente codifica per l’acido glutammico
specifichi la sostituzione di esso con una valina; ciò porta alla formazione di molecole di emoglobina che
formano degli aggregati, che formano un globulo rosso dalla forma falciforme e a conseguenze come
anemia per la distruzione dei globuli rossi o aggregazioni di globuli rossi.

Le mutazioni cromosomiche possono essere: delezioni, ossia la perdita di un pezzo di cromosoma,


duplicazioni, in cui un cromosoma si raddoppia, inversioni, ossia il cambio di orientamento di un pezzo del
cromosoma, o traslocazioni reciproche, in cui due cromosomi diversi si scambiano dei pezzi tra loro. Queste
mutazioni poiché implicano pezzi interi di cromosomi, dove sono presenti molti geni, implicano
conseguenze diverse e anche gravi.

La riproduzione è di forma asessuata e sessuata: la prima implica un unico genitore che produce individui
geneticamente identici all’organismo che li ha generati ed è basata sulla divisione cellulare per mitosi. La
seconda comporta l’unione di informazioni genetiche provenienti da due genitori distinti e produce
individui geneticamente diversi tra loro e rispetto a entrambi i genitori; è basata sulla presenza di cellule
aploidi e diploidi e sull’alternanza di meiosi e fecondazione.

Nella cellule diploidi ciascun cromosoma esiste in coppia, ciò porta al fatto che ognuno dei tre geni sia
rappresentato due volte, mentre in una cellula aploide sono presenti tre cromosomi diversi. Nella cellula
diploide i cromosomi che fanno parte di ciascuna coppia non sono identici tra loro ma vengono definiti
omologhi perché hanno la stessa serie di geni, ma le forme di ogni singolo gene possono essere
leggermente diverse; queste forme varianti di ogni singolo gene vengono definite alleli. Gli alleli sono
quindi forme alternative di un gene che determinano forme alternative di un carattere. Tenendo conto del
fatto che gran parte degli organismi che si prendono in considerazione sono diploidi è importante il termine
omozigote, ossia l’individuo che porta due alleli identici di un determinato gene, mentre si definisce
eterozigote un individuo che porta due alleli diversi di un determinato gene. Un allele può essere
dominante, quando si manifesta anche allo stato eterozigote, o recessivo quello che si manifesta solo allo
stato omozigote. Si parla di genotipo per definire la costituzione genetica e di fenotipo la manifestazione
fisica del genotipo.

Con i processi di meiosi e fecondazione c’è un’alternanza tra stato aploide e stato diploide e riguarda
determinati tipi di cellule. È definita meiosi un particolare tipo di divisione cellulare che porta alla
formazione di cellule aploidi, i gameti; essi sono la cellula uovo e lo spermatozoo. Con la fecondazione i due
gameti aploidi si uniscono per formare una cellula diploide (indicato come corredo cromosomico 2n – che è
pari a 46 cromosomi-), ossia l’uovo fecondato, detto anche zigote; da qui si arriva alla formazione di
individui adulti che possono riformare tramite meiosi gameti aploidi. Un individuo pluricellulare è costituito
da cellule somatiche, cioè le cellule che costituiscono la maggior parte dei tessuti organi e dalle cellule
germinali, dove si verifica la meiosi, delle particolari cellule diploidi presenti nelle gonadi in degli organi
specializzati. In seguito alla meiosi si formano uova e spermatozoi che conterranno un solo rappresentante
di ciascuna coppia cromosomica; in seguito con la fecondazione ci sarà l’unione dei nuclei di queste cellule,
che porta al ripristino della condizione diploide; i due cromosomi di ciascuna coppia saranno uno di origine
materna e uno di origine paterna; uno zigote diploide va poi incontro a mitosi e differenziazione portando
alla formazione di un nuovo organismo diploide composto da molte cellule.

Il meccanismo che permette il passaggio da diploidia ad aploidia (meiosi) è dovuto al fatto che è una
divisione cellulare simile alla mitosi, cioè è caratterizzata da una duplicazione del DNA, ma è seguita da due
divisioni cellulari, definite meiosi I e meiosi II. Nella meiosi I avviene la divisione della coppia omologa di
cromosomi, un omologo finisce in una cellula l’altro in un'altra, nella meiosi II ciascuno di essi sarà diviso in
due cromatidi fratelli. Nella meiosi pertanto da una cellula diploide si formano 4 cellule aploidi, ognuna
contenente un rappresentante per ciascuna coppia cromosomica.

Anche la meiosi si divide in fasi: interfase I, in cui avviene la duplicazione della cromatina e dei centrosomi;
profase I, dove avviene la condensazione della cromatina in cromosomi e la formazione del fuso mitotico;
nella profase della prima divisione meiotica avviene l’appaiamento delle coppie di cromosomi omologhi,
queste coppie si dispongono sulla piastra equatoriale con la frammentazione dell’involucro nucleare;
metafase I in cui cromosomi omologhi sono pronti per essere separati; anafase I, in cui i microtubuli
separano le coppie cromosomiche (ciascun cromosoma dal suo omologo) e le portano verso i poli cellulari;
telofase I e citochinesi, in cui si formano due cellule aploidi aventi ciascun cromosoma rappresentato da
due cromatidi fratelli. Nella meiosi II: profase II, in cui si verifica la condensazione della cromatina in
cromosomi; metafase II, in cui i cromosomi si dispongono sul piano equatoriale; anafase II, in cui avviene la
separazione dei cromatidi fratelli al livello dei centromeri e comincia la ricostituzione dei due involucri
nucleari; telofase II e citochinesi in cui viene ultimata la ricostruzione delle membrane nucleare e i
cromosomi si decondensano.

Le funzioni principali della meiosi sono: ridurre il numero cromosomico da diploide ad aploide,
fondamentale perché permette la fusione di due corredi genetici; assicurare che ciascun gamete aploide sia
provvisto di un corredo completo di cromosomi; garantire la diversità genica dei gameti.

Nella divisione meiotica ci sono diverse possibilità con cui possono assortirsi i cromosomi omologhi (in
maniera casuale): se si dispongono in due file ABC e abc si avrà una cellula con le prime tre e l’altra con le
altre tre, se in due file AbC e aBc una cellula avrà la prima fila e l’altra la seconda, e così via. Il numero totale
di combinazioni possibili è 2n dove n è il numero aploide di cromosomi. Nell’uomo (n=23) ci sono circa 8
milioni di possibili combinazioni cromosomiche. In un uomo ci sono quindi almeno 8 milioni di possibili
diversi gameti, quindi nell’uomo ci sono 64.000 miliardi di possibili combinazioni cromosomiche in uni
zigote diploide.

Nel momento in cui i cromosomi omologhi sono appaiati avviene un processo detto crossing over, in cui
avviene uno scambio di segmenti omologhi tra i cromatidi della coppia di cromosomi. Quando avviene
questo scambio, a differenza della cellula parentale, dove l’allele A è associato con l’allele B e l’allele a è
associato con b, si avranno nuove associazioni alleliche; il numero di gameti diversi che si possono ottenere
aumenta grazie al crossing over.

Differenze tra meiosi e mitosi: nella prima si hanno due divisioni cellulari che risultano in 4 nuclei, nella
seconda una sola divisione che risulta in 2 nuclei; nella prima i nuclei figli sono geneticamente diversi, nella
seconda geneticamente identici; nella prima alla profase I i cromosomi omologhi si appaiano per formare
tetradi (bivalenti), nella seconda i cromosomi omologhi non si appaiano; la prima avviene nelle cellule
germinali, durante la produzione di gameti per la riproduzione sessuata, la seconda avviene nelle cellule
somatiche, durante l’accrescimento, l’omeostasi e la riparazione dei tessuti.

I gameti si formano in seguito a processi di spermatogenesi e di ovogenesi: essi implicano delle fasi di
amplificazione mediante divisione cellulare per mitosi, sia la meiosi, sia un processo di differenziazione
cellulare. Nella gonade maschile (testicolo) sono presenti sono presenti degli spermatogoni, cellule diploidi
precursori degli spermatozoi che si riproducono in diverse generazioni per mitosi; poi vanno incontro a
diversi cambiamenti, come accrescimento e differenziazione, diventando spermatociti primari, i quali
andranno incontro a divisione meiotica; uno spermatocita primario nella prima divisione meiotica forma
due spermatociti secondari che sono aploidi, i quali nella seconda divisione meiotica diventano spermatidi,
che vanno incontro a differenziazione diventando spermatozoi. Nell’ovogenesi come precursori si hanno gli
oogoni, che vanno incontro a crescita e differenziazione, caratterizzate dall’acquisizione di proprietà
biochimiche; è detto oocita primario quello che andrà incontro alla meiosi, che formerà nella prima
divisione meiotica un oocita secondario, che conserva quasi tutto il citoplasma dell’oocita primario e
un’altra cellula detta corpuscolo polare, che contiene una serie di cromosomi aploidi come l’oocita
secondario, che non riceve citoplasma, il quale viene conservato per l’uovo maturo; il processo di
fecondazione avviene prima che si sia verificata la seconda divisione meiotica, la quale sarà completata solo
con l’unione dei geni dei genitori. La sostanziale differenza che c’è tra spermatogenesi e ovogenesi consiste
nel fatto che la prima è un processo continuo mentre la meiosi della seconda è interrotta due volte: nella
profase I (dal periodo prenatale all’ovulazione) e nella metafase II (in attesa della fecondazione), cioè
quando lo spermatozoo ha fecondato l’uovo. Più è lungo l’intervallo di tempo in cui una cellula uovo rimane
ferma in meiosi e più aumenta la probabilità che, quando la meiosi si completa, si verifichino errori come la
non-disgiunzione. Quest’ultima è la mancata separazione dei cromosomi omologhi: la meiosi I inizia
normalmente con gli omologhi che si appaiano, una coppia di omologhi non si separa, quindi una cellula
riceve il rappresentante di una sola coppia di cromosomi, e l’altra riceve entrambi gli omologhi non
disgiunti; la meiosi II avviene normalmente e si formano due tipi di gameti, uno che parte un corredo n-1 e
uno che porta un corredo n+1. Quando questi gameti anomali vanno incontro alla fecondazione si forma
uno zigote 2n+1, invece di una coppia di omologhi si hanno tre rappresentanti e si parla di trisomia. Il
problema più conosciuto è la trisomia del cromosoma 21. Più va avanti l’età materna più è l’incidenza della
sindrome di Down.

Per verificare il numero e la struttura dei cromosomi si ricorre all’analisi del cariotipo: vengono prelevate
delle cellule, si fanno proliferare in laboratorio e si usano delle sostanze le arrestano nella metafase della
mitosi, momento di massima condensazione dei cromosomi. Ciascun membro di una coppia cromosomica
sarà simile al suo omologo per dimensioni, forma per dimensioni del centromero e per alcune colorazioni
che provocano la formazione di bande colorate su uno stesso tipo di cromosoma. L’uomo ha 23 coppie di
cromosomi: 22 coppie di autosomi e una coppia di eterocromosomi (o cromosomi sessuali), ossia i
cromosomi x e y . Essi vengono trasmessi come tutti gli altri cromosomi; i maschi hanno 44 autosomi e un
cromosoma x e uno y, le donne 44 autosomi e due cromosomi x; con la meiosi i maschi formano delle
cellule aploidi con 22 autosomi e un cromosoma che può essere x o y, mentre le femmine formano cellule
aploidi con 22 autosomi e cromosomi x.

PRINCIPALI APPLICAZIONI DIAGNOSTICHE E TERAPEUTICHE DELLE BIOTECNOLOGIE

Le biotecnologie sono le tecnologie che utilizzano sistemi biologici (organismi, cellule, o loro componenti
molecolari) per ottenere prodotti che hanno applicazione in svariati campi, quali medicina, agricoltura,
zootecnia, settore alimentare, difesa dell’ambiente; le biotecnologie sono sia tradizionali che avanzate. Le
prime sono basate sull’utilizzo diretti di organismi e delle loro proprietà biochimiche (come i lieviti). Le
seconde sono basate sulla manipolazione di cellule o essere viventi: sono basate sulla tecnologia del DNA
ricombinante, o ingegneria genetica, che consiste nell’insieme di tecniche che permette di isolare geni,
analizzarne la sequenza nucleotidica e la funzione, modificarli e introdurli nel genoma di altri organismi;
sono inoltre basate sulle tecnologie cellulari, ossia un insieme di tecniche che permette di: coltivare in vitro
(in laboratorio) cellule e tessuti di mammiferi, di farle differenziare, di modificarle geneticamente e di
trapiantarle in un organismo.

La tecnologia del DNA ricombinante permette di unire tra loro segmenti di DNA di provenienza diversa e
quindi di clonare geni, ossia produrre una popolazione di organismi o cellule identici geneticamente poiché
derivano da un’unica cellula; quando si parla di clonaggio del DNA si intende la produzione di una
popolazione di oggetti identici geneticamente tra loro. Per clonare il DNA esistono due metodi: metodo in
vivo (perché le copie vengono prodotte all’interno di cellule), ossia l’inserimento del frammento di DNA da
clonare nel DNA di un elemento genetico che si autoreplica in cellule batteriche, come un virus o un
plasmìde; metodo in vitro (in provetta), che consiste nell’amplificazione selettiva di un segmento di DNA
mediante la reazione a catena della polimerasi (PCR), che basata sulla sintesi del DNA tramite un DNA
polimerasi.

Per quanto riguarda il primo metodo i plasmidi (detti plasmidi vettori di clonaggio perché portano il
segmento di DNA) sono piccole molecole di DNA circolare capaci di replicarsi autonomamente dal
cromosoma principale in molte copie; per inserire un frammento il DNA deve essere tagliato in frammenti
di dimensioni facilmente utilizzabili, ed in maniera riproducibile, mediante le endonucleasi di restrizione,
ossia degli enzimi che tagliano il legame fosfodiesterico in specifici punti. La procedura di inserimento di
frammenti di DNA nel plasmidi implica un taglio con endonucleasi di restrizione sia del DNA plasmidico
circolare a doppio filamento (vettore di clonaggio), sia del DNA in cui è presente il frammento che si vuole
clonare; questo frammento viene poi fatto unire covalentemente grazie all’enzima DNA ligasi al plasmide e
si ha una molecole di DNA ricombinante (che contiene DNA di origini diverse). I DNA ricombinanti vengono
poi introdotti all’interno di cellule batteriche, le quali vengono fatte crescere in coltura, dalla quale nascono
diverse centinaia di batteri; alla fine del periodo di coltura si avrà una grossa quantità di plasmidi
ricombinanti.

La PCR o reazione a catena della polimerasi, è una metodica che consente di ottenere un numero enorme
di copie di una specifica sequenza di DNA senza doverla inserire in un vettore. È possibile dirigere la DNA
polimerasi verso una sequenza bersaglio, al fine di amplificare selettivamente solo quella. Il processo
consiste in una serie di cicli di sintesi di DNA: nel ciclo 1 da una copia se ne formano due, con il ciclo 2 se ne
formano quattro con il terzo 8 e così via; aumenta in maniera esponenziale fino ad ottenere miliardi di
frammenti.

Le applicazioni della PCR sono molte; in primo luogo il clonaggio diretto senza inserimento in un plasmide ,
poi la diagnosi molecolare diretta di mutazioni: gli oligonucleotidi primers (inneschi) riescono a distinguere
due alleli che differiscono anche di un solo nucleotide, se c’è una mutazione l’innesco (primer) non si
appaia bene e quindi non c’è un amplificazione del DNA. La PCR viene utilizzata anche per tipizzazione
genetica in medicina legale (DNA fingerprinting), poiché ciascun individuo ha regioni variabili con la
sequenza di DNA diversa, è possibile distinguere ogni individuo da qualunque altro. Con la PCR inoltre è
possibili amplificare di tracce minime di DNA, consentendo di individuare infezioni da agenti patogeni
anche in stadi precoci.

Con la tecnologia del DNA ricombinante è possibile ottenere proteine di utilità medica, sempre tramite
vettori (autoreplicanti) di espressione, che hanno delle regioni di regolazione della trasmissione: se il gene
di interesse viene inserito nelle vicinanze delle zone di regolazione esso può essere trascritto e tradotto; si
può avere così la produzione di grosse quantità di proteine. Esempi ne sono: l’insulina, che stimola
l’assunzione del glucosio ematico in soggetti diabetici, l’eritropoietina, che è utilizzata per combattere
l’anemia, tramite la produzione di globuli rossi, il fattore VIII della coagulazione, che sostituisce il fattore
mancante in pazienti affetti da emofilia A, il fattore di stimolazione delle colonie, che stimola la produzione
di leucociti in pazienti affetti da AIDS, la proteine attivatore tissutale del plasminogeno, che dissolve o
coaguli ematici dopo infarti ed ictus, infine proteine usate come vaccini per epatite B, influenza, herpes, per
la prevenzione di malattie infettive.
Con la tecnologia del DNA ricombinante è possibile ottenere cellule e organismi geneticamente modificati;
essi sono importanti per lo studio della funzione dei geni clonati, per il miglioramento della produttività di
piante e animali importanti nell’agricoltura, e per studi di possibili terapie geniche nell’uomo.

Lo studio della funzione di geni clonati implica: la modificazione in vitro della sequenza nucleotidica del
gene clonato, il trasferimento del gene ingegnerizzato in una cellula (che sarà contenuto nei discendenti
della cellula); infine una volta inseriti i geni mutanti all’interno delle cellule si può procedere all’analisi del
fenotipo. La funzione di un gene alterato può essere studiata mediante il suo trasferimento in cellule
animali in coltura: esse vengono prelevate dai tessuti, vengono sminuzzate e fatte crescere in un ambiente
controllato in dei recipienti appositi con dei mezzi di coltura che contengono varie sostanze nutritive
(vitamine, ormoni, sali). Le cellule eucariotiche mutate oltre a contenere il gene di interesse, contengono
un gene che conferisce alle cellule la resistenza ad un determinato farmaco; ciò serve per riconoscere le
cellule che hanno incorporato un plasmide. Effettuato il trasferimento di geni all’interno della cellula
tramite i plasmidi, esse vengono fatte riprodurre e vengono immerse nel farmaco a cui quelle modificate
sono resistenti, in modo tale che le cellule che non hanno incorporato il plasmide vengono eliminate, e
sopravvivono quelle mutanti.

La funzione di un gene alterato può essere studiata anche in vivo, ossia mediante il suo trasferimento in un
uovo fecondato; il DNA plasmidico viene inserito nei due pronuclei, (ciò che diventerà il nucleo dell’uovo),
l’uovo ingegnerizzato viene poi inserito nell’utero di una madre adottiva, che darà luogo ad una progenie
ed una certa percentuale della progenie avrà il gene di interesse, e da qui si studierà il fenotipo dovuto alle
caratteristiche del gene che è stato inserito.

Gli organismi si possono modificare geneticamente alterandone i geni in vari modi: si può sostituire
completamente un gene normale, nel caso della sostituzione genica, in cui è attivo solo il gene mutato, si
può eliminare completamente il gene, nella procedura detta knockout genico, in cui non è presente alcun
gene attivo, o si può avere sia il gene mutato sia il gene normale attivi, nella procedura detta addizione
genica.

È molto facile generare piante transgeniche, perché al contrario degli animali le loro cellule somatiche
hanno la capacità di rigenerare un organismo intero più facilmente di quelle animali; anche in questo caso
si usa un plasmide (specifico per le cellule vegetali) che si inserisce nella cellula vegetale, la quale viene
messa in coltura, portando alla rigenerazione della pianta con il nuovo gene e nuove caratteristiche come:
resistenza aumentata a insetti, erbicidi, malattie virali e deterioramento, produzione di alimenti vegetali
con aumentato valore nutritivo, creazione di piante che producono proteine di utilità medica. Un esempio è
il riso transgenico, che è di colore arancio, poiché è stato ingegnerizzato per poter produrre β-carotene, un
precursore della vitamina A.

TERAPIA GENICA E CELLULARE

Consiste nel trasferimento di informazioni genetiche all’interno di cellule somatiche; ci sono due casi, in cui
si trasferisce una copia normale di un gene alterato, e uno in cui si trasferisce un gene utile a contrastare
una patologia. Ciò può avvenire in vivo, ossia il vettore contenente il gene terapeutico viene somministrato
direttamente nel paziente, o ex vivo, in cui le cellule prelevate dal paziente vengono modificate
geneticamente in laboratorio e poi ritrapiantate. Per la terapia genica come vettori si usano dei virus, che
sono ingegnerizzati e hanno perso gran parte dei loro geni, al fine di conservare unicamente la capacità di
infettare, per veicolare il gene di interesse nelle cellule ospiti e di esprimere il gene terapeutico.
La terapia cellulare consiste nel trasferimento all’interno dell’organismo di cellule isolate o di tessuti
ricostruiti in laboratorio; questa è in uso per patologie caratterizzate dalla distruzione di specifici tessuti, ed
è basta sull’utilizzo di cellule staminali. Queste ultime sono delle cellule indifferenziate che sono capaci di
autorinnovarsi di dare origine a progenie differenziata: quando si dividono possono far nascere sia cellule
staminali sia cellule specifiche che in seguito a serie di duplicazioni procedono verso un differenziamento
terminale. Esistono cellule staminali embrionali, che sono presenti nell’embrione precoce, e queste
possono dare origine a tutti i tipi di cellule somatiche (sono pertanto dette totipotenti); sono pertanto
responsabili dello sviluppo dell’organismo. Le cellule staminali adulte hanno un potenziale differenziativo
che è più o meno limitato in base allo stadio in cui si trovano e al tessuto in cui si trovano e sono
responsabili del rinnovamento (tutte le componenti dell’ematocrito, epidermide, epiteli assorbenti) e della
riparazione dei tessuti. Esiste una gerarchia riguardo la potenzialità delle cellule staminali: quelle
embrionali sono totipotenti, poi ci sono le multipotenti che sono parzialmente impegnate, e quelle
monopotenti che sono quelle con il potenziale più basso.

Una terapia genica implica: 1 il prelievo delle cellule dal paziente dai vari tessuti, 2 la coltura in vitro, con
espansione e ottenimento di un gran numero di cellule e 3 il trapianto autologo nel paziente stesso.
Esistono due modelli consolidati di terapia genica: le cellule staminali emopoietiche possono essere
utilizzate per sostituire le cellule malate del sangue con cellule sane; ciò avviene in casi di leucemia, in cui
per effettuare il trapianto viene distrutto il midollo osseo con radiazioni o chemioterapie, per poi fare un
trapianto di midollo osseo, cioè si infondono cellule staminali che sono capaci di moltiplicarsi e di
ripopolare il midollo osseo, portando alla produzione di cellule ematiche sane e alla guarigione del
paziente; altro modello è l’utilizzo di cellule staminali epidermiche possono essere espanse in coltura per
ripopolare la superficie corporea danneggiata, ad esempio in casi di soggetti che hanno subito ustioni.

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