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Biochimica

Una volta gli organismi si dividevano in procarioti ed eucarioti. I procarioti sono organismi
unicellulari, gli eucarioti organismi pluricellulari. In realtà questa definizione è stata da poco
superata e noi distinguiamo gli esseri viventi in tre grandi classi. I vecchi procarioti costituiscono le
classi dei batteri e degli archei. Mentre gli eucarioti costituiscono gli organismi principali come
animali piante e lieviti. Partendo da un progenitore comune si è avuta una separazione tra batteri e
archei, noi (gli eucarioti) siamo più simili agli archei.

Il batterio è molto più piccolo di una cellula


eucariota, la differenza di volume va da 1000 a 1
milione di volte più piccolo. La cellula batterica è
caratterizzata da una parete cellulare, da una
membrana cellulare, non vi sono organuli
subcellulari all’interno a differenza della cellula
eucariota. I batteri rispetto alle cellule eucariote
sono diversi sia da un punto di vista morfologico
sia da un punto di vista biochimico, per cui alcuni
sistemi enzimatici presenti nei batteri sono diversi
nelle cellule eucariote, alcune proteine come gli istoni negli eucarioti non sono presenti nei batteri.
Al di là di questa differenza vi è un concetto di unicità della vita, per cui sono molte di più le
somiglianze che le differenze. Molti dei processi metabolici che noi studieremo in realtà sono stati
compresi utilizzando come modello sperimentale i batteri. I batteri più utilizzati erano l’escherichia
coli, batterio presente nel nostro intestino. Poi si è visto che alcuni di questi processi sono diversi
negli eucarioti. Quando poi per esempio vedremo la sintesi degli acidi grassi, ci accorgeremo che
sono diversi nei due sistemi.

Anche in queste due vi sono delle


differenze. vi sono alcuni
organuli differenti. Per esempio,
i lisosomi sono tipici ella cellula
animale mentre i cloroplasti
sono specifici della cellula
vegetale. Sono delle cellule
molto più grandi, entrambi
contengono all’interno organuli
subcellulari, circondati da una
membrana ed alcuni anche da
una doppia membrana.

La cellula è formata generalmente da un nucleo e da un restante citoplasma, delimitato dalla


membrana plasmatica, nel quale sono immersi vari tipi di organuli specializzati come il reticolo
endoplasmatico e i mitocondri che svolgono le funzioni metaboliche.

Prima di addentrarci tra cosa possiede una e cosa non possiede l’altra è bene avere a mente cosa
hanno in comune, ossia:
- Contengono DNA
- Sono protette da una membrana esterna e quindi presentano una divisione tra ambiente
esterno ed ambiente interno
- Il citoplasma, dal quale attingono, ad esempio, sostanze nutritive
- I ribosomi, responsabili della sintesi proteica,
- Il citoscheletro, da immaginare come un vero e proprio scheletro cellulare
- I mitocondri, dotati di un proprio DNA e responsabili della respirazione cellulare
- L’apparato di Golgi, una sorta di ”centro raccolta e spedizione” di sostanze
- Entrambe sono dotate di un processo di crescita e divisione
- Un processo di morte programmata è presente per entrambi i tipi cellulari
- Sistemi di controllo dei parametri vitali interni
- Sistemi di risposta a stimoli esterni

Strutture assenti nella cellula animale:


- I cloroplasti
Plastidi caratterizzati dal colore verde, causa la presenza del pigmento clorofilla. Sono la sede
della fotosintesi e si dividono per scissione binaria.
- Il vacuolo
Le funzioni del vacuolo sono molteplici ma sicuramente le più importanti solo l’aumento
della superficie assorbente, la funzione litica, l’accumulo di prodotti del metabolismo
secondario e la funzione osmotica
- Iplasmodesmi
Canali circondati da plasmalemma che mettono in comunicazione il citoplasma di cellule
adiacenti attraverso la parete cellulare di più cellule.

Le macromolecole
Le macromolecole sono dei polimeri costituiti da monomeri semplici. Le proteine sono dei polimeri
formati dai monomeri aminoacidi, gli acidi nucleici (DNA ed RNA) sono formati da nucleotidi (ribo e
deossiribo), i polisaccaridi sono formati da monosaccaridi. I lipidi non fanno parte delle
macromolecole.

Struttura e funzione delle proteine


Prima di vedere la struttura, cerchiamo di capire quali sono le funzioni. Ciascuna proteina è
codificata da uno specifico gene, che le da uno specifico compito:
• funzione enzimatica (catalizzatori biologici): questa è la più importante, poiché quasi tutte
le reazioni sono catalizzate da specifici enzimi.
• Regolatori delle condizioni intra- ed extra-cellulari e del trasferimento delle informazioni tra
i compartimenti cellulari (ormoni): alcuni ormoni sono di natura proteica, per esempio
l’insulina o il glucagone, tuttavia non tutti gli ormoni sono di natura proteica. Tra le funzioni
delle proteine c’è anche quello ormonale. Ma cosa sono gli ormoni? Non sono altro che il
prodotto di ghiandole a secrezione interna, il cui prodotto va a finire nel sangue (ghiandole
esocrine o a secrezione esterna - ghiandole endocrine o a secrezione interna). Le ghiandole
esocrine riversano il loro prodotto all’esterno (ghiandole lacrimali) o lo riversano in zone
dell’organismo comunicanti con l’esterno (ghiandole intestinali). Le ghiandole endocrine
sono quelle che producono gli ormoni riversati nel sangue e quindi raggiungono tutte le
cellule dell’organismo, ma non andranno a controllare tutte le cellule, andranno a
controllare soltanto quelle che possiedono per quegli ormoni i recettori specifici.
Se invece andassimo a parlare dei recettori ovvero quelle proteine presenti nella membrana
cellulare, recettori per i bio-segnalatori, questi sono sempre di natura proteica. Come
vedremo, le proteine in base alla loro conformazione e in base alla loro struttura terziaria
creano dei siti, perfettamente complementari ai gruppi chimici dei bio-segnalatori.

• altre funzioni:
- proteine strutturali: vi sono proteine strutturali come quelle che costituiscono
l’esoscheletro, i microtubuli, microfilamenti. È bene distinguere le proteine strutturali dalle
proteine di sostegno.
- Proteine di sostegno: queste oltre ad avere, come tutte le proteine, una sequenza
amminoacidica ben precisa, hanno nello spazio un livello strutturale superiore chiamato
struttura secondaria. Queste proteine sono le così dette proteine fibrose, come il collageno
e la cheratina, che quindi hanno proprio una funzione meccanica, di sostegno.
- Proteine di trasporto: quando parliamo di queste facciamo riferimento soprattutto al
trasporto di sostanze da parte di specifiche proteine al flusso ematico o sanguigno.
L’esigenza di sintetizzare proteine di trasporto nasce fondamentalmente da due eventi. Il
primo evento è la possibilità di trasportare in circolo sostanze poco solubili, come i lipidi e i
trigliceridi. Un altro tipo di composti poco solubili sono i gas; il sangue non riesce a
solubilizzare tutto l’ossigeno di cui abbiamo bisogno, e per questo interviene l’emoglobina,
una proteina che trasporta l’ossigeno dai polmoni ai tessuti. La seconda esigenza si può
spiegare tramite l’importanza del ferro. Questo viene trasportato nel nostro corpo
attraverso una proteina di trasporto chiamata transferrina, anche se non ne avrebbe bisogno
perché solubile in acqua. Il ferro però è un piccolo ione che passerebbe attraverso i filtri
renali ed eliminato tramite le urine. Il ferro, come tutti i piccoli ioni, si trova nella pre-urina,
liquido che dopo essere passato dai filtri renali passa attraverso dei tuboli renali, strutture
attive, in cui avviene il riassorbimento di sostanze preziose. Per il ferro non c’è un sistema di
riassorbimento, e quindi il problema viene superato attraverso la transferrina, che lega più
ioni ferro e non li fa passare dal filtro renale.
- Proteine di deposito e riserva: un esempio è la ferritina, che serve ad immagazzinare il ferro
in alcuni tessuti.
- Proteine di difesa e offesa: immunoglobulina, veleno di serpenti, sostanze tossiche.
- Proteine particolari: proteine di antigelo.

La struttura
Le proteine sono polimeri di amminoacidi, molecole molto semplici caratterizzate da un atomo di
carbonio chirale legato ad un gruppo amminico, uno carbossilico, un idrogeno e ad un radicale o
catena laterale, che distingue gli aminoacidi tra di loro. Gli amminoacidi che costituiscono le
proteine sono 20, dalla loro combinazione si formano tutte le proteine esistenti. Essendoci un
carbonio chirale sono molecole otticamente attive e quelle che formano le proteine sono tutte L-a-
aminoacidi.

Una distinzione di tipo chimico divide gli aminoacidi in acidi, basici e neutri:
⁃ Neutri: sono 15 e hanno un solo gruppo amminico e un solo gruppo carbossilico, legato al
carbonio alfa.
⁃ Acidi: sono 2 e possiedono un secondo carbossile nella catena laterale. Questi sono l’acido
aspartico e l’acido glutammico.
⁃ Basici: sono 3, lisina, istidina e arginina. Hanno un secondo gruppo amminico nella catena
laterale.

Esiste un’altra classificazione basato sul concetto di essenzialità, per essenziale in questo ambito si
intende qualcosa che il nostro corpo non può sintetizzare da solo. Gli amminoacidi si dividono in
essenziali e non essenziali

Visto che parliamo di essenzialità, diciamo che


un’altra classe di composti essenziali che il
nostro organismo non produce sono gli acidi
grassi polinsaturi (omega 3 e omega 6). Questi
presentano un doppio legame vicino al
carbonio omega. Noi abbiamo degli enzimi
che producono doppi legami, ma quelli che
possediamo non sono in grado di produrre
doppi legami vicino al carbonio omega. Altra
classe essenziale è quella delle vitamine.
Molte provengono dalla dieta altre dalla flora
batterica. Una volta assorbite vengono
trasformate in co-enzimi indispensabili per il
funzionamento di specifici enzimi, che non
sono in grado di agire da soli, ma hanno
bisogno di una componente proteica e di una
componente non proteica.

Esistono anche aminoacidi non proteici come il GABA, il principale neuro-trasmettitore di tipo
inibitore.

Amminoacidi non tipicamente proteici ma biologicamente importanti


b-Alanina - presente nella vitamina acido pantotenico e in alcuni importanti peptidi naturali

D-Alanina – presente nei polipeptidi e in alcune pareti cellulari

Acido g-Amminobutirrico – presente nel cervello e altri tessuti animali; funziona come
neurotrasmettitore

Acido D-glutammico – presente nei polipeptidi di alcune pareti cellulari batteriche


L-omocisteina – presente in molti tessuti; precursore della metionina

Funzioni non proteiche di amminoacidi proteici


Gli amminoacidi proteici hanno il ruolo fondamentale di costituire i mattoni delle proteine. È tipico degli
esseri viventi usare delle stesse molecole per fare varie cose, comportando un risparmio a livello energetico.
Come avevamo già detto gli amminoacidi proteici possono svolgere tanti ruoli che sono tipici di quelli che
fanno parte della classe non proteica. Questo ad indicare il fatto che una stessa molecola può svolgere più
ruoli.

• Neurotrasmettitori – la neurotrasmissione vede l’intervento di alcuni neurotrasmettitori


che legandosi a specifici recettori consentono questo fenomeno. La glicina per esempio è un
amminoacido proteico ed il suo ruolo non è solo quello di essere una componente delle
proteine, ma è anche un neurotrasmettitore di tipo inibitorio, come il GABA. Al contrario
l’acido glutammico è un neurotrasmettitore di tipo eccitatore.

• Precursori di ormoni: alcuni ormoni derivano da un singolo amminoacido, e non sono ne di


natura proteica ne di natura non proteica, come gli ormoni tiroidei. Questi derivano dalla
tirosina che a sua volta può derivare dalla fenilalanina, due amminoacidi proteici, e dai quali
si possono formare dei composti importanti. Questi ormoni derivano da un singolo
amminoacido. Partendo sempre dalla tirosina come singolo amminoacido si può formare
anche l’ormone adrenalina, piccolo ormone, che genera sensazione di stress, paura o
eccitazione (per questo l’adrenalina viene anche chiamato ormone della fuga o
combattimento). Sempre parlando di tirosina, da questa derivano anche i pigmenti melanici.

• Trasportatori di ammoniaca: studiando il metabolismo avremmo modo di vedere che


durante alcune reazioni si libera ammoniaca che darà vita in soluzione allo ione ammonio.
L’ammoniaca in misura minore può derivare anche da altri composti azotati (adenina).
Questa ammoniaca è una molecola poco solubile ed altamente tossica (neurotossica); se la
nostra concentrazione di ione ammonio dovesse cresce si va in contro all’iperammoniemia
che porta al coma epatico. Come si risolve il problema? Il nostro corpo (ureotelico) ha dei
sistemi attraverso cui l’ammoniaca può essere trasformata in qualcosa di molto solubile,
l’urea, ed eliminandola come urina. Il punto è che in tutte le cellule si produce ammoniaca
attraverso la d’esaminazione degli amminoacidi, per essere convertita in urea nel fegato. Si
deve quindi trasportare l’ammoniaca dai tessuti extraepatici al fegato, senza che questo
comporti un incremento dell’ammoniemia. Esistono degli amminoacidi che fanno questo
mestiere ed il principale è la glutammina. In particolare, nei tessuti extraepatici del cervello
vi è un enzima chiamato glutammina sintetasi, che fa reagire l’acido glutammico con
l’ammoniaca libera, forma la glutammina, questa esce dai tessuti exstraepatici e va in circolo
raggiungendo il fegato. Nel fegato c’è un enzima che si chiama glutaminasi che scinde la
glutammina in ammoniaca e a. glutammico, ma adesso siamo nel fegato e l’ammoniaca
viene convertita in urea. Per tanto questo amminoacido, la glutammina, svolge tanti ruoli.
Quando durante una contrazione muscolare siamo in iperproduzione di ammoniaca a livello
muscolare, non ce la fa la glutammina a svolgere questo ruolo e interviene un altro
amminoacido, l’alanina.

• Precursori di nucleotidi e di altre molecole


L-a-aminoacidi presenti nelle proteine

Con catena laterale alifatica

La glicina ha una certa polarità, ma per via dell’idrogeno difficilmente partecipa ad interazioni
idrofobiche. Questo è il più piccolo amminoacido, l’unico a non avere un carbonio chirale. Per via
della sua catena molto piccola, va ad occupare specifiche e particolari posizioni all’interno di una
proteina e in questo senso non è sostituibile da altri.
L’alanina presenta come catena laterale un metile, quindi la catena laterale è sempre idrofobica,
come d’altronde quella della valina. Questa caratteristica serve nel momento in cui una catena
polipeptidica si avvolge nello spazio, per formare quella che si chiama conformazione nativa, ovvero
quella che ha una maggiore stabilità termodinamica. Questo fenomeno di avvolgimento è chiamato
Folding, processo importantissimo poiché se la proteina non è completamente ‘’foldata’’ di fatto
non può svolgere le sue funzioni. Avere quindi un’idea della polarità, ci aiuta a capire la
conformazione, basandoci sulla tendenza degli amminoacidi con catena laterale idrofobica a
sfuggire ai solventi acquosi, rifugiandosi all’interno della struttura.

Amminoacidi che contengono anelli aromatici

La fenilalanina ha una catena idrofobica.


Leggermente meno idrofobica è la catena
laterale della tirosina. Questa non è altro
che un para-idrossi-fenilalanina, e la
presenza di questo ossidrile le conferisce
la capacità di formare legami a idrogeno.
Anche per il triptofano, amminoacido
idrofobico, la presenza dell’NH gli
consente di formare legami a idrogeno.

Vi è una tecnica spettroscopica attraverso la quale noi possiamo valutare il contenuto proteico di
un campione. Lo valutiamo sfruttando la tendenza che hanno questi tre amminoacidi ad assorbire
la luce ultravioletta, con un picco a 280nm. Quello che assorbe maggiormente è il triptofano a causa
del coefficiente di estinzione molare. Con questa tecnica riusciamo a risalire al contenuto proteico
di un campione. Tutti gli altri amminoacidi non assorbono nell’UV né nel visibile.
Con catene laterali contenenti gruppi ossidrile

Questi amminoacidi godono di una certa


nucleofilia e possono dare vita a legami
idrogeno (cosi come la tirosina)

Con catene laterali contenenti gruppi acidi

Quando un amminoacido perde il gruppo amminico si


trasforma nel chetoacido corrispondente, con una
struttura contenente un gruppo acido e uno chetonico,
questi chetoacidi attraverso una reazione che viene
chiamata di transaminazione, trasportano un gruppo
amminico da un amminoacido donatore ad uno accettore,
formando dall’amminoacido donatore il chetoacido
corrispondente e viceversa.

Le coppie di amminoacidi e chetoacidi che incontreremo nel metabolismo, sono tre. La prima coppia
è formata dall’alanina il cui chetoacido corrispondente è l’acido piruvico (componente finale della
glicolisi). La seconda coppia è formata dall’acido aspartico e dall’acido ossalacetico. L’ultima coppia
è formata dall’acido glutammico e dal suo corrispondete chetoacido, l’acido a-cheto-glutammico.

Con catene laterali contenenti gruppi acidi e le loro ammidi

Con catene laterali contenenti gruppi basici

La lisina è un amminoacido di-ammino-mono-carbossilico,


quindi amminoacido basico, come anche l’arginina e
l’istidina. A differenza degli altri due il pKa del secondo
gruppo amminico nell’istidina ha un valore molto simile al
fisiologico, conferendo a questo amminoacido un ruolo
importantissimo anche nell’emoglobina.
Con catene laterali contenenti atomi di zolfo
La cisteina presenta un gruppo solfidrilico, come la metionina
(fortemente idrofobico). Il secondo ha una caratteristica
particolare, questa infatti possedendo un metile legato allo zolfo,
fa si che la metionina risulti l’unico amminoacido che riesce a
donare il gruppo metilico. In altre parole, la metionina è l’agente
metilante per eccellenza. Nonostante questa caratteristica
chimica, la metionina non va in contro a reazioni di metilazione,
ma c’è bisogno di farla reagire con l’ATP (lo vedremo dopo).

Imminoacido
Questo amminoacido non ha un gruppo amminico primario, ma avendo un gruppo
imminico secondario forma una struttura ciclica, che da a questo amminoacido un
comportamento particolare quando inserito nelle proteine. Quando c’è un
residuo di prolina la struttura si rompe sempre. Questo accade per due motivi, il
primo è che non avendo un gruppo amminico primario non può stabilizzare il
legame peptidico, e come seconda cosa, questa struttura ciclica crea un ingombro
sterico che non si inserisce in quelle che sono le strutture secondarie delle
proteine. La presenza quindi di questo amminoacido ha il compito di far cambiare direzione alla
catena polipeptidica.
Un anione zwitterionico (ione dipolare)
Questo è un amminoacido visto come ione dipolare detto zwitterione. Un
amminoacido sotto questa forma è elettricamente neutro. Questa tendenza
non è uguale per tutti gli amminoacidi o per quelli non proteici, perché a far
si che l’amminoacido si trovi in una situazione elettricamente neutra
contribuisce la carina nominale. Quando parliamo di elettrolita anfotero
siamo noi a stabilire la carica, e lo facciamo in base al pH in cui mettiamo
l’elettrolita anfotero.
Il pH al quale ogni aminoacido si trova
in uno stato neutro viene chiamato
punto isoelettrico.
Immaginiamo ora di aumentare la
concentrazione idrogenionica,
andando cosi verso una condizione
nella quale il carbossile viene
protonato. A questo punto rimane
solo la carica positiva del gruppo
amminico. Quando noi portiamo
l’amminoacido ad un valore di carica
più basso del punto isoelettrico,
l’amminoacido si trova sotto forma di
catione. Al contrario se noi lo
portassimo ad un valore di pH
maggiore del punto isoelettrico
dissocia in forma anionica. Siamo noi
quindi a stabilire in base alle
condizioni dell’ambiente se questi
elettroliti debbano avere una carica
positiva, e quindi migrare verso il polo negativo, negativa per migrare verso il polo positivo o neutra.
Tutto ciò viene sfruttato da tecniche di separazione come l’elettroforesi.

Questo caso noi lo espandiamo alle proteine dove i gruppi a-amminici e a-carbossilici dei singoli
amminoacidi non avranno più carica, perché saranno impegnati nel legame peptidico, ad eccezione
dell’amminoacido ammino-terminale e di quello carbossi-terminale. Tuttavia, la capacità che ha
questa proteina di spostarsi in un campo elettrico non deriva semplicemente dalla carica che
possono avere questi gruppi, ma entreranno in gioco le cariche che possono avere le catene laterali
di questi amminoacidi.

Ogni proteina ha il suo punto isoelettrico. Ovviamente se vogliamo separare le proteine attraverso
l’elettroforesi non possiamo far si che queste proteine si trovino al punto isoelettrico, altrimenti non
si muoverebbero. Noi in laboratorio utilizziamo sempre un pH vicino a 8-9, più alcalino che
fisiologico, poiché l’esperienza di laboratorio ci dice che le proteine resistono di più a questo valore.

In questa figura vediamo la catena lineare


dell’insulina, che regola tutti i processi
metabolici. L’insulina nasce come un'unica
catena polipeptidica (preproinsulina). La
sequenza degli amminoacidi è gestita dal
nostro genoma, quindi dai geni che codificano
una singola proteina. Quando questa proteina
viene sintetizzata i singoli amminoacidi
reagiscono uno con l’altro a formare un
legame peptidico. Questa non è altro che una
reazione di condensazione che avviene tra il
gruppo carbossilico e un gruppo amminico.

Questa reazione prevede che un


gruppo carbossilico perda un OH,
che il gruppo amminico perda un
idrogeno e si liberi una molecola di
acqua. Questo legame C-N, ha una
particolare caratteristica e
normalmente per un problema
sterico il legame peptidico ha
l’ossigeno del fu carbossile in trans
con l’idrogeno del fu gruppo
amminico. Questo ultimo è un
nucleofilo, il gruppo carbossilico
non è un buon gruppo uscente,
tuttavia questa reazione da un
punto di vista termodinamico ha
l’equilibrio spostato verso la
scissione. La formazione è quindi
favorita dal consumo di ATP, che
rinforza questo legame facendolo
durare anche 7 anni.
Se questi due amminoacidi fossero la glicina e l’alanina; se la glicina fosse a destra e l’alanina fosse
a sinistra sarebbe un dipeptide, ma se questi si invertissero sarebbe un dipeptide diverso. Per
convenzione i biochimici hanno deciso che dovendo descrivere la sequenza amminoacidica di una
proteina qualsiasi, si parte dall’estremità amminoterminale (amminoacido 1).

In tutte le sequenze amminoacidiche vi è un


gruppo che si ripete continuamente, la sua
presenza è responsabile della struttura
secondaria delle proteine. Queste strutture
infatti come vedremo hanno un carattere di
periodicità, per via del gruppo chimico che si
ripete.

Quando una catena polipeptidica si


ripiega nello spazio per raggiungere la
conformazione termodinamicamente
favorita è probabile che dei residui di
cisteina si vengano a trovare uno
vicino all’altro. E dato che la cisteina
presenta un gruppo molto reattivo,
avviene una reazione di ossidazione
che da vita (ponte disolfuro) ad un
nuovo amminoacido che si chiama
cistina.

I ponti di-solfuro sono legami forti,


covalenti, così come lo sono i legami
peptidici. In una proteina noi abbiamo esclusivamente legami peptidici ma determinate proteine
hanno una maggiore stabilità grazie al fatto che presentano uno o più ponti di-solfuro.

Ovviamente non tutte le proteine che hanno cisteina hanno ponti di-solfuro, perché evidentemente
molti residui di cisteina quando si vanno a formare le configurazioni native per proteine intracellulari
non sì trovano sufficientemente vicini. Tuttavia, si è visto che con maggiore probabilità, si hanno
ponti di solfuro nelle proteine che vivono al di fuori della cellula, specialmente la dove mantenere
la configurazione è più difficile. Per esempio, le proteine dei termofili, ovvero quegli organismi che
stanno nelle acque calde, possiedono legami di-solfuro.

La maggior parte delle catene polipeptidiche naturali ha un numero di residui di cisteina tra 50 e
2000.

L’alfabeto amminoacidico è costituito da 20 lettere, le combinazioni possibili per una proteina di


100 aa sono 20^100, un numero astronomico. Naturalmente negli esseri viventi esistono soltanto
quelle combinazioni cui corrisponde una determinata conformazione associata ad una particolare
funzione.
Distinzione tra amminoacidi, piccoli polipeptidi e proteine
Normalmente quando una catena polipeptidica ha un numero inferiore a 50 noi lo chiamiamo
peptide, quando è superiore a 50 lo chiamiamo proteina. Tuttavia, questo discorso può trarre in
inganno, poiché non è un problema di numero ma di conformazione spaziale. Se io avessi un peptide
qualsiasi, ho una piccola catena che non ha la possibilità di assumere nello spazio livelli strutturali
superiori alla sequenza amminoacidica che noi chiamiamo struttura primaria.

Perché una proteina si possa avvolgere nello spazio e quindi assumere una struttura secondaria,
terziaria o quaternaria, è chiaro che questa deve avere una certa lunghezza (>50). L’insulina per
esempio dovrebbe essere un peptide ma sappiamo che è una proteina, questo perché nasce da una
catena più lunga che avvolgendosi nello spazio, è capace di dare vita a ponti di-solfuro, e rimane
perciò una proteina anche avendo 51 amminoacidi. Una proteina per svolgere le funzioni di cui si è
discusso deve avere nello spazio un livello strutturale almeno di tipo secondario.

Quelle che hanno solo la primaria e la secondaria sono solo le proteine che hanno una funzione
meccanica coma la cheratina, citrullina, collagene … perché possa svolgere un'altra funzione deve
avere anche la struttura terziaria. In questa struttura spunta la presenza di un sito, tutte le funzioni
diverse dalla meccanica richiedono che la proteina abbia un sito attivo. Un sito attivo è una
costellazione di gruppi chimici, una conformazione tridimensionale, in grado di riconoscere e legare
qualcosa di complementare. Per esempio, le proteine di trasporto legano le sostanze perfettamente
complementari ad un sito particolare. Tutto ciò perché possa avvenire, bisogna di un numero
elevato di amminoacidi nella catena.

Esistono peptidi con un numero ridotto di amminoacidi che svolgono funzioni? SI


Un peptide come dicevamo non può assumere livelli strutturali superiori. Tuttavia, alcuni peptidi
che hanno soltanto una struttura primaria possono svolgere funzioni biologiche importantissime.

Il glutatione
Questo è un tri-peptide particolare chiamato g-
glutamil-cisteinil-glicina. Il g proviene dalla sua
struttura poiché l’acido glutammico forma un
legame peptidico con la cisteina non al carbossile a
ma al g. Questo legame non può essere prodotto
dal sistema ribosomiale di sintesi proteica, perché
quel sistema è in grado di formare legami peptidici
esclusivamente utilizzando un legame a-
carbossilico-a-amminico. Questo tri-peptide svolge
un ruolo in un sistema redox importantissimo, che interviene proteggendoci da una serie di
composti tossici che noi stessi produciamo come i perossidi. Il gruppo chiave di questa struttura è il
gruppo solfidrilico della cisteina. Il glutatione può passare dalla forma ridotta a quella ossidata
unendosi ad un'altra molecola di glutatione e formando un ponte S-S tra le due cisteine. In questo
caso agisce da agente riducente. Per esempio, l’enzima glutationeperossidasi degrada l’acqua
ossigenata in comunissima acqua. A sua volta deve essere ridotto per non restare nella forma
ossidata e riprendere la sua funzione, da un enzima che si chiama glutatione riduttasi. Questo
sistema redox interverrà per smaltire le specie tossiche dell’ossigeno e molti gruppi solfidrilici delle
proteine tendono ad ossidarsi perdendo la lorofunzione e il glutatione interviene ripristinando la
funzionalità dei gruppi e delle proteine stesse. Un altro ruolo è quello che può intervenire
nell’assorbimento degli amminoacidi, ma poco importante.
Peptidi ionofori

Questi agiscono con molte modalità diverse. Molti


di questi sono in grado di legare il potassio
facendogli attraversare una membrana mobile di
tipo lipidico. Altri invece fanno passare il potassio
facendolo passare attraverso un canale.

Vasopressina e ossitocina
Sono due ormoni, ma non sono proteine perché sono entrambe formate da 9 amminoacidi. Tra
questi vi sono due cisteine che formano un ponte S-S. Sono prodotti nel cervello in particolare a
livello encefalico e vengono immagazzinati nella neuroipofisi.

La vasopressina prende questo nome perché la sua azione è quella di aumentare la pressione
sanguigna, ma in realtà ha un’azione più importante per la quale si dovrebbe chiamare ormone
antidiuretico. Quando si ha una pressione osmotica diversa dal normale nel sangue o quando si ha
un abbassamento del volume ematico, questo ormone entra in circolo andando a finire al livello
renale. Questo ormone richiama acqua, che avremmo perso come urina, abbassando la pressione
osmotica e aumentando il volume ematico. La carenza di questo ormone porta infatti ad una
patologia che viene chiamata diabete insipido. Questo ormone può essere sintetizzato e
somministrato.

L’ossitocina serve alla contrazione della muscolatura liscia e il suo ruolo più importante si ha durante
il parto. Quando arriva il momento di partorire la natura fa si che un po' di ossitocina vada in circolo
e comincino le contrazioni. Per il secondo o terzo parto i medici hanno capito che bastava mettere
in circolo con una flebo l’ossitocina, per indurre le contrazioni e il parto (parto pilotato). In tempi
recenti si è visto che esiste una prostaglandina che ha anche un effetto maggiore dell’ossitocina.

Le varie strutture
Si parla di proteine quando in
aggiunta alla sequenza
amminoacidica si aggiungono
altri tipi di livelli strutturali.
Questa foto mostra le varie
strutture. Una sequenza
amminoacidica di tipo lineare di
fatto non costituisce una
proteina. La struttura
secondaria ha un carattere di
periodicità, e non ci stupiamo di
questo carattere perché
abbiamo visto che nella
sequenza di un peptide c’è un gruppo chimico che si ripete in continuazione ed è proprio il legame
peptidico. Abbiamo anche detto che le proteine possono svolgere la loro funzione solo in virtù del
fatto che posseggono una struttura primaria e secondaria e queste sono le così dette proteine
fibrose. Queste hanno una struttura filamentosa e possono avere solo una funzione meccanica. Per
tutte le altre funzioni si ha bisogno della struttura terziaria, ovvero un ripiegamento successivo nello
spazio che assume una struttura pressoché sferoidale, tanto che da questo punto di vista prendono
il nome di proteine globulari. Queste proteine, che quindi hanno tutte le altre funzioni diverse dalla
meccanica, devono avere un sito attivo che nasce dal ripiegamento nello spazio della struttura. Ciò
comporta l’avvicinamento di gruppi chimici di amminoacidi che magari si trovavano lontani nella
struttura primaria, e la formazione di siti chimici complementare alle molecole da legare. Infine,
alcune proteine possiedono un ulteriore livello strutturale, la quaternaria, ovvero strutture formate
da più sub-unità legate tra loro da legami deboli. Queste sono le proteine più evolute e l’esempio
classico è l’emoglobina.

La struttura primaria

È costituita da una sequenza di amminoacidi. Rivediamo la struttura primaria della proinsulina


sopra. L’insulina viene sintetizzata a livello di reticolo endoplasmatico non come insulina ma come
catena polipeptidica chiamata pre-proinsulina. In quest’immagine possiamo vedere le catene A e B
che andranno a costituire la molecola finale, il peptide C che verrà tolto e la sequenza segnale che
servirà semplicemente ad indirizzare l’insulina dal ribosoma a livello dell’apparato di Golgi per
essere processata. Qui il polipeptide segnale si perde e si forma la proinsulina che si avvolge nello
spazio raggiungendo la conformazione termodinamicamente più stabile formano ponti di-solfuro
(in particolare sono 3). Dopo che è avvenuto questo folding avviene un’attività protolitica che stacca
il peptide C e viene fuori una struttura di 51 amminoacidi, la catena A di 21 e la catena B di 30, tenuti
insieme da due ponti di-solfuro (perché il terzo è intra-catena). Si è formata cosi l’insulina.

Punto di visto genetico


Il codice genetico è un sistema di corrispondenza che serve per tradurre il messaggio contenuto
nell’mRNA (basato su un linguaggio a 4 nucleotidi) in una proteina (scritto in un linguaggio basato
su 20 amminoacidi).Il codice è basato su triplette di nucleotidi (chiamati codoni) che rendono
possibili 64 combinazioni (più che sufficienti per specificare tutti e 20 gli amminoacidi necessari).

Modificazioni post-traduzionali e loro significato


Quando una catena polipeptidica è stata sintetizzata può subire le così dette modificazioni post-
traduzionali. Queste modifiche sono:

• Acetilazione dei terminali amminici: è una reazione che vede l’intervento dell’acetilato
attivo (acetil-coenzimaA). Questa acetilazione non avviene in tutte le proteine. È stato
dimostrato che questa rende le proteine più resistenti alla degradazione da parte degli
agenti proteolitici;
• Idrossilazione di lisina e prolina: alcuni amminoacidi vengono idrossilati. In realtà anche altri
amminoacidi vengono idrossilati. La proteina più abbondante nel nostro organismo è il
collageno e come vedremo questa subisce più di una modificazione post-traduzionale, una
delle quali è quella che prende in considerazione un elevato residuo di prolina e in misura
minore di lisina. La comparsa di gruppi alcolici in amminoacidi che non hanno questo gruppo
comporta un aumento della stabilità del collagene, in quanto questi gruppi inseriti dopo la
sintesi formeranno una serie di ponti idrogeno. La mancata idrossilazione rende il collagene
molto più fragile e in carenza di vitamina C (l’agente idrossilante) si va in contro ad una serie
di patologie.
• Carbossilazione dell’acido glutammico: ricordiamo che è uno degli amminoacidi acidi. La
formazione di un altro carbossile nella catena laterale fa si che ne abbia due. Questa reazione
la riscontriamo in proteine che partecipano alla coagulazione del sangue. Questa
coagulazione coinvolge un sacco di fattori e la parte terminale è la trasformazione del
fibrinogeno in fibrina che forma il coagulo. La conversione è catalizzata da un enzima
chiamato trombina. Tutto ciò avviene grazie allo ione calcio, che si lega alle due cariche
negative di residui del glutammato che sono state modificate attraverso la g-carbossilazione;
• Glicosilazione: processo che coinvolge per esempio le immunoglobuline sono delle
glicoproteine e questo le rende più solubili;
• Acilazione o prenilazione: rende le proteine idrosolubili;
• Fosforilazione di serina, treonina e tirosina: serve a regolare la funzione di molte proteine;
• Tagli proteolitici irreversibili: uno è per esempio quello della pre-proinsulina fino
all’insulina. Questi processi avvengono anche per l’attivazione di enzimi digestivi. Questi tagli
intervengono anche per il suicidio programmato o apoptosi.

Tecniche per riconoscere le serie amminoacidiche di una proteina


Per conoscere la sequenza e quindi la struttura primaria
esistono delle tecniche. In tempi recenti sono stati messi
a punto dei sequenziatori automatici, e quindi invece di
studiare la struttura primaria, si isola il gene, si
sequenziano i nucleotidi, si conoscono i complementari
dei messaggeri e attraverso il codice genetico si risale alla
sequenza degli amminoacidi di una specifica proteina
codificata da quel particolare gene. Questo lavoro non
consente però di sapere se la proteina ha subito
modificazioni post-traduzionali. Si deve cosi sequenziare
la proteina e il discorso è complesso.
Tutto ciò in realtà si basa su una tecnica antica che è la degradazione di Edmand. Bisogna purificare
la proteina e tagliarla in frammenti più piccoli utilizzando sistemi proteolitici diversi. Se per esempio
la tagliamo con la tripsina dobbiamo sapere che questa rompe un legame peptidico dove partecipa
un amminoacido base. Quindi si formano questi frammenti e verranno sequenziati attraverso la
cromatografia e si fa una sovrapposizione …. FORTUNATAMENTE ABBIAMO I SEQUENZIATORI
AUTOMATICI
Importanza della conoscenza della struttura primaria di una proteina

Abbiamo detto che una proteina svolge un ruolo in virtù della sua conformazione nativa. Ma in
realtà questa conformazione dipende dalla sequenza. È bene quindi capire le regole che regolano il
folding, ovvero le regole che gestiscono il giusto avvolgimento nello spazio.

La determinazione della sequenza di alcune proteine mutate ha gettato le basi della patologia
molecolare (anemia falciforme, fibrosi cistica). Da cosa è causata l’anemia? È un’emoglobina che ha
subito una mutazione di un singolo amminoacido nella catena b nella posizione 6 (l’acido
glutammico viene sostituito dalla valina). Un altro esempio è la fibrosi cistica, che vede la sottrazione
di una fenilalanina in una proteina che gestisce il trasporto. È quindi importante capire e sequenziare
gli amminoacidi in modo tale da riuscire a risolvere e capire questi problemi.

L’evoluzione viene studiata comparando sequenze amminoacidiche di varie specie con specie più
vecchie ed ancestrali, riuscendo a farsi un’idea sull’evoluzione.
In base a ciò possiamo distinguere gli aminoacidi in tre categorie:
• Totalmente conservativi: prendiamo due specie una meno evoluta e una più evoluta e
analizziamo l’emoglobina. Andando a vedere la sequenza amminoacidica ci rendiamo conto
che ci sono troppe differenze, ma grazie al mantenimento della stessa struttura si è
conservata la funzione. Se andassimo a guardare la struttura vedremmo però che ci sono
degli amminoacidi che in tutte le emoglobine, quindi da quella nell’organismo meno
sviluppato a quella nell’organismo più sviluppato, contengono in determinate posizioni degli
amminoacidi sempre uguali. Questi sono chiamati totalmente conservativi, poiché
evidentemente per far si che la proteina tenga quella struttura e quella funzione, in una
determinata posizione ci deve per forza essere sempre lo stesso amminoacido.
• Funzionalmente conservativi: sempre conoscendo la struttura primaria i biologi
evoluzionisti si sono accorti che vi possono essere delle sostituzioni all’interno della
sequenza, benché la struttura rimanga quella. Per far ciò evidentemente l’amminoacido che
sta entrando deve avere le stesse caratteristiche chimiche di quello che si sta sostituendo.
Quindi per esempio al posto dell’alanina possiamo sostituire una valina.
• Liberamente variabili: in misura minore sono stati visti amminoacidi che in determinate
condizioni, forse non svolgendo un particolare ruolo nella formazione e orientamento della
struttura possono essere liberamente sostituiti da qualsiasi altro amminoacido.
Struttura secondaria

Abbiamo accennato che la catena polipeptidica si può


avvolgere nello spazio con carattere di periodicità.
Cominciamo ad esaminare con precisione questo
legame peptidico che si ripete. Questo legame C-N ha
le caratteristiche parziali di un doppio legame e
questo fa si che non possa avvenire una rotazione
attorno al legame, per cui gli atomi che partecipano al
legame stanno tutti su un piano (6 atomi). Questo
riduce le possibili conformazioni che una catena
peptidica potrebbe assumere.

Questi angoli possono assumere un qualunque


valore nell’arco dei 360°. Tuttavia, si è visto che
alcune strutture sono più probabili di altre e
altre ancora sono completamente improbabili
per via del fatto che sono termodinamicamente
inaccettabili. Questo lavoro della probabilità in
riferimento agli angoli che la catena può
assumere fu svolto da un matematico-
biochimico Ramachandran. Egli sviluppò un
grafico dando un’idea appunto della stabilità
termodinamica e le parti più scure sono quelle a
maggiore probabilità. In effetti le strutture che
noi riscontriamo ricadono all’interno di quelle
zone. Come vedremo le strutture maggiori sono
l’a-elica, il foglietto ripiegato, l’elica del
collageno.

Una struttura secondaria regolare si ha quando all’interno di un segmento considerato gli angoli
rimangono invariati. Le principali sono l’a-elica e la struttura b.

a-elica
Nell’a-elica le catene laterali
sporgono al di fuori in maniera tale
da disturbarsi il meno possibile.
Questa è stabilizzata da ponti di
idrogeno, formati tra l’ossigeno del
gruppo CO e dal gruppo NH di un
altro amminoacido che si trova 4
posizioni dopo.
Questa elica ha una caratteristica ben precisa, la distanza tra una spira e l’altra è di 5,4 Å (0.54 nm)
e in ogni spira sono presenti 3,6 residui amminoacidici. Dopo 10 spire quindi avremmo 36
amminoacidi. Poiché gli amminoacidi sono tutti della serie L anche l’elica sarà completamente
destrorsa.
Non tutti gli amminoacidi tendono a stabilizzare l’a-elica, ma tutti
tranne qualcuno se opportunatamente mescolati
tendono a stabilizzarla e a inserirsi nella
catena. L’amminoacido che ha maggiore
tendenza a formare quest’elica è l’alanina.
Quelli invece che hanno la minore tendenza
ad inserirsi e destabilizzano la catena sono
la prolina e la glicina. La glicina, se inserita nel giusto segmento potrebbe
anche starci, mentre la prolina ha due motivi per destabilizzare, da una
parte vi è la struttura ciclica della catena laterale che essendo attaccata
al carbonio alfa di fatto non ci sta nei 5,4 A°, dall’altra parte la prolina non ha
un gruppo amminico primario e non riesce a formare legami a idrogeno.

b-foglietto
Il b-foglietto si estende nello spazio con una
composizione a zig-zag e la caratteristica è sempre
data dalla planarità del legame peptidico. In questo
caso il ripiegamento è sempre dato dagli angoli j e
f. Anche qui si ha la formazione di legami a idrogeno
tra il gruppo CO e il gruppo NH di un altro legame
peptidico, ma questa volta si trovano o in catena
adiacenti oppure sempre nella stessa catena quando
questa fa una inversione ad U.

Le catene adiacenti possono essere parallele


e antiparallele. Sono quindi catene che
contengono da 2 a 12 segmenti polipeptidici
e ciascuno contenente 5/6 residui
amminoacidici. Fermo restando che
entrambe le strutture le riscontriamo in
molte proteine la struttura b parallela ha
una maggiore stabilità, poiché i legami a
idrogeno hanno una distanza opportuna e
sono obliqui. Nel foglietto le catene laterali
fuoriescono in modo alternato per
disturbarsi il meno possibile.
Molto importante per le proteine globulari è il
ripiegamento beta, ovvero quello che dà la
possibilità di una inversione ad U. Anche questo
ripiegamento deve avere una stabilità chimica. È
un segmento di catena che coinvolge 4 residui in
cui il primo residuo forma un legame ad idrogeno
con il quarto determinando un ripiegamento a
forcina.

Cosa fa scegliere allora alle proteine se assumere una


conformazione ad elica o a foglietto? È stato visto che il foglietto trova una maggiore stabilità
quando le catene laterali degli amminoacidi che vi partecipano hanno delle componenti più piccole

Proteine fibrose
Sono costituite da catene polipeptidiche disposte in modo parallelo lungo un singolo asse.
Posseggono proprietà che conferiscono una certa resistenza meccanica e/o elasticità alla struttura
di cui fanno parte. E ricordiamo che sono quelle proteine che posseggono solo le strutture primarie
e secondarie. L’unità strutturale di base è un elemento di struttura secondaria ripetuto. Le proteine
fibrose sono solubili in acqua e tale proprietà nasce dalla presenza di numerosi amminoacidi
idrofobici.

Alfa-cheratina
È una molecola che possiede al 100% una struttura ad alfa-elica. Questa è una proteina che
rappresenta la quasi totalità del peso secco di capelli, peli, lana, unghia, corna e zoccoli. L’a-
cheratina fa parte di una classe di proteine chiamate proteine dei filamenti intermedie. La
conoscenza di questa struttura ha fatto comprendere le strutture che le proteine possono assumere
nello spazio.

L’a-elica della cheratina è un’elica


destrorsa, lunga circa 310 aa, con una
sequenza di 7 residui ripetuti numerose
volte. Due catene con la stessa lunghezza
e direzione si avvolgono l’una sull’altra per
formare un super avvolgimento
sinistrorso. Due file sfalsati di dimeri
avvolti si associano testa-coda per
formare i proto-filamenti. Questi si
organizzano in strutture ancora più
complesse per formare le protofibrille. E
l’ulteriore unione delle ultime, porta alla
formazione di microfibrille.
Nella ripetizione di questi 7 aa ci sono residui di
cisteina per cui la cheratina risulta essere molto
resistente. I ponti S-S intercatena danno infatti
particolare forza a queste strutture, riuscendo a
conservarle anche nei millenni. In un ambiente caldo
umido e in presenza di un agente riducente, i ponti S-
S si possono rompere, l’alfa-elica può essere stirata e
formare addirittura una struttura a foglietto ripiegato.
La stessa cosa che avviene durante la permanente.

La fibroina della seta


La seta prodotta da insetti e.
aracnidi per fabbricare bozzoli, nidi…
è costituita da foglietti beta
antiparalleli. La fibroina ha il 100%
della struttura a foglietto beta
antiparallelo e contiene una
sequenza di 6 residui ripetuti molte
volte. In questa sequenza il 50% della catena è costituito da glicina, mentre gli altri sono serina,
alanina o comunque aa molto piccoli. Questa catena non è estensibile ma è molto flessibile.

Collageno
È presente in tutti i nostri tessuti e rappresenta la componente principale del tessuto connettivo:
ossa, denti, cartilagine eec. È una struttura cosi organizzata che è più resistente di un filo di acciaio
dello stesso peso, riesce ad essere trasparente (la cornea dell’occhio) … esistono 30 tipi di collageno
ma tutti svolgono la stessa funzione.

L’unità fondamentale del collageno è il tropocollageno, struttura a tripla elica a composizione


variabile secondo i vari tipi di collageno: una singola catena ha una struttura elicoidale (non si deve
confondere con l’alfa-elica) con un passo di 8,6 A° e ci sono solo 3 residui aa per spira, risultando
quindi più allungata e stretta rispetto all’alfa elica. Anche in questo caso vi è la presenza di strutture
ripetitive, qui infatti ogni 3 amminoacidi vi è una glicina, che permette appunto di avere un’elica
sinistrorsa. Quando le due eliche si avvolgono nasce una ‘’corda’’ destrorsa, l’esatto opposto della
cheratina.

Ogni catena polipeptidica (circa 1000 aa) è caratterizzata da una particolare composizione, per cui
un terzo dei suoi residui aa è la glicina e dal 15% al 30% è prolina e idrossiprolina. C’è inoltre una
grande presenza di lisina e idrossilisina.

La vitamina C
Una modificazione post-
traduzionale che il
collageno subisce è
l‘idrossilazione dei
residui di prolina,
attraverso un enzima
chiamato proliidrossilasi,
e la idrossilazione di un
certo numero di lisina,
attraverso la
lisinaidrossilasi. Questo
meccanismo è
dipendente dalla
vitamina C (a ascorbico).
La vitamina C è
idrosolubile e svolge
molte funzioni anche come coenzima. Essa è rappresentata da un sistema redox tra l’acido ascorbico
e l’acido deidroascorbico. Si produce a partire dal glucosio in 4 tappe.
Perché è importante relativamente al collageno e perché la sua assenza provoca lo scorbuto?
Questa patologia è caratterizzata dal fatto che il collageno non matura, perché viene meno la
idrossilazione della prolina e della lisina. Questi gruppi OH (che si dovrebbero ottenere) partecipano
alla formazione di ponti di idrogeno e quindi alla stabilizzazione della struttura. In assenza di questa
idrossilazione il collageno è molto più fragile. La reazione (a) non richiede la presenza della vitamina
C, ma contemporaneamente avviene un'altra reazione (b), in cui non vi è la presenza dell’acido
ascorbico e la sua mancanza porta all’ossidazione del ferro a Fe3+. Dal momento che si ossida non
è più in grado di far avvenire la reazione precedente. La vitamina evita tutto ciò.

I legami crociati
Le fibre di collageno presentano questo tipo
di legami, formati a partire da residui di lisina
e catalizzati da un enzima chiamato lisina
ossidasi. Questo enzima ossida la lisina
formando derivati aldeidici (allisina) che
possono interagire tra di loro formando i cosi
detti legami crociati. Gli animali più
invecchiano più presentano legami crociati, e
questo giustifica la maggiore rigidità delle
ossa.
Struttura terziaria
Le proteine si sono evolute, sotto la spinta selettiva, per poter svolgere specifiche funzioni. Le
proprietà funzionali delle proteine dipendono dalla loro struttura tridimensionale. Questa risulta
più conservata di quella primaria. Descrive il ripiegamento degli elementi della struttura secondaria
che si sviluppa nello spazio per assumere una struttura globulare e specifica la posizione di tutti gli
atomi della proteina, compresi quelli delle catene laterali degli aa.

Il maggior numero di residui idrofilici saranno esposti all’ambiente acquoso e il maggio numero di
residui idrofobici saranno disposti all’interno della struttura, lontani dall’acqua. Le strutture terziarie
di molte proteine sono state chiarite mediante cristallografia a raggi x o con la risonanza magnetica
nucleare (NMR). Una struttura terziaria può contenere varie tipologie di strutture secondarie, ma ci
dovranno essere tratti privi di strutture per consentire il ripiegamento che le rende globulari. Nello
spazio una molecola può assumere un numero infinito di ripiegamenti ma solo uno porta alla
molecola biologicamente attiva, quella che noi chiamiamo struttura nativa. Per molte proteine ci
può essere più di una configurazione nativa in realtà.

La tendenza ad assumere nello spazio questa conformazione è dato solo dalla presenza di catene
laterali idrofobiche e alla loro tendenza a sfuggire all’acqua, cosi come quelle di natura idrofila che
si espongono all’ambiente acquoso.
Localizzazione:
- Interna: Ile, Leu, Met, Phe e Val;
- Esterna: Arg, Asn, Asp, Gln, Glu, His e Lys;
- Variabile: Ala, Cys, Gly, Pro, Ser, Thr, Trp e Tyr.

Il ripiegamento di una proteina globulare è un processo termodinamicamente favorevole in


condizioni fisiologiche, cioè la variazione di energia libera nel ripiegamento deve essere negativa. La
variazione complessiva negativa di energia è ottenuta come bilancio di molti fattori termodinamici:
interazioni idrofobiche, legami ionici (ponti salini), legami a idrogeno (che coinvolgono catene
laterali degli aa e/o dei gruppi CO e NH dei legami peptidici non impegnati nella stabilizzazione della
struttura secondaria) e forze attrattive e repulsive di Van der Waals. Anche se tutti questi legami
sono deboli, il loro numero elevato conferisce stabilità alla struttura. Ovviamente sono presenti
anche i ponti S-S, ma non tutte le proteine pur avendo numerosi residui di cisteina presentano questi
ponti. Quindi i legami tipici della struttura terziaria sono legami deboli.

Nelle metalloproteine anche i legami di coordinazione che si instaurano tra il metallo ed altri atomi
degli aa conferiscono stabilità alla proteina. Le metalloproteine sono quelle che posseggono un
metallo saldamente legato alla catena amminoacidica.

Le strutture supersecondarie
Non bisogna confondere le strutture supersecondarie con qualcosa che sta prima della struttura
terziaria, non è caratterizzata da un fattore gerarchico. Queste strutture sono aggregazioni di
elementi di strutture secondarie. È stato visto come alcune proteine presentano alcuni motivi
strutturali che si ripetono. Per esempio (a) sarebbe un motivo strutturale chiamata beta-alfa-beta,
oppure un altro motivo potrebbe essere il barile-beta. Perché bisogna dare importanza a questi
motivi? Perché proteine che presentano funzioni analoghe presentano motivi strutturali identici,
quindi per poter evidenziare la presenza di questi motivi, bisogna partire dallo studio della funzione.
Le proteine che legano il calcio per esempio presentano sempre lo stesso motivo strutturale.

Un tipo di motivo strutturale di struttura


supersecondaria che viene riscontrato nelle
proteine che legano il DNA, viene chiamato
struttura a dita di zinco (Zn). Questo motivo
fa vedere nella sequenza aa che ci sono degli
atomi d zinco che sono coordinati con due
cisteine e con due istidine. Queste proteine
riescono ad interagire con la doppia elica del
DNA.

Un altro motivo tipico che caratterizza le proteine che legano con il DNA
sono le così dette strutture a cerniera di leucine; sono catene
polipeptidiche in cui tra gli aa c’è una leucina, i dentini della cerniera sono
due residui di leucina che interagiscono tramite interazioni idrofobiche.

Le proteine che legano il calcio, hanno un motivo strutturale chiamato a mano EF, poiché vi è una
elica E, un’elica F e una pallina al centro (atomo di calcio).

Domini proteici
Per dominio di una proteina si intende una porzione di proteina. Alcune proteine sono
monodominiali, cioè l’unico dominio coincide con l’intera proteina, proteine più grandi possono
essere multidominiali. Una proteina bidominiale ha due diverse porzioni. Queste porzioni globulari
si trovano all’interno di una catena polipeptidica e
in genere di grandi dimensioni.
I domini sono unità strutturalmente indipendenti
che posseggono le caratteristiche di piccole
proteine globulari. I domini hanno spesso un ruolo
funzionale.

Quand’è che la porzione di una proteina può essere definito dominio? Immaginiamo una proteina
bidominiale, in cui abbiamo una porzione con struttura beta, un tratto di connessione e una seconda
struttura beta. Ma quando una porzione si può considerare proteina? Noi immaginiamo che
attraverso una proteolisi specifica possiamo tagliare questa proteina in modo tale da avere il lobo
di sinistra e quello di destra. Dopo di che le separiamo con una tecnica cromatografica e
denaturiamo tramite un agente chimico-fisico, in modo tale da far perdere tutti i legami deboli che
stabilizzano queste strutture e linearizzare le catene peptidiche. Se togliendo l’agente denaturante,
entrambe le catene peptidiche assumono la conformazione originaria, allora questo viene
considerato un dominio. Nel caso in cui una delle due porzioni non dovesse mantenere la struttura,
quello non è un dominio, poiché necessità delle informazioni geniche dell’altra porzione.

I domini hanno spesso anche un’‘’autonomia funzionale’’. Prendiamo come esempio la deidrogenasi
dipendente dai coenzimi piridinici. Questa sappiamo che posseggono due domini. In un dominio c’è
il sito per legare la gliceraldeide trifosfato, nell’altro dominio c’è il sito per legare il NAD. Quindi per
autonomia funzionale intendiamo che si ripristinino i siti in cui si vanno a legare le due cose. Altre
proteine bidominiali sono l’enzima tandem e il complesso dell’acido grasso sintetasi.
La struttura quaternaria
La struttura quaternaria studia il rapporto che ci può essere tra le
sub-unità che formano le proteine, e quella che può essere la
distribuzione dei singoli protomeri per costituire la struttura
finale. Quindi non soltanto i tipi di legami che ci sono ma come
queste subunità interagiscono. Le modalità con le quali le
catene polipeptidiche si associano a formare strutture
multimeriche, costituisce il livello strutturale quaternario.

Nella struttura quaternaria i singoli protomeri interagiscono


attraverso legami deboli, gli stessi che stabilizzano la struttura
terziaria. Ovviamente questi sono legami intercatena, al
contrario della terziaria dove sono intracatena.

Vantaggi della struttura quaternaria


I vantaggi possono essere veramente vari a seconda del fatto che riguardino strutture complesse
chiamati multimeri o strutture più semplici chiamate oligomeri.

Nelle grandi aggregazioni proteiche è molto più facile costruire molte subunità di una piccola
proteina piuttosto che una proteina molto grande. Inoltre, è molto dispendioso eliminare una
piccola subunità difettosa piuttosto che una grande. Facciamo un esempio banale, immaginiamo
che una proteina sia costituita da una grande parete, noi la parete la costruiamo tramite i mattoni,
se ci dovesse essere qualche mattone che non va lo possiamo buttare via. Se costruissimo una
parete come un'unica grande molecola e ad un certo punto si commette un errore dobbiamo
buttare tutto quello che abbiamo fatto. Quindi costruire piccole proteine consente che nel
momento in cui una di queste non funziona bene, viene eliminata tramite i sistemi di degradazione
che la cellula possiede.
Inoltre, il DNA che serve per la sintesi di una subunità è più piccolo rispetto a quello necessario per
la sintesi di una grande proteine, e quindi ci sono piccole probabilità di errore.

Nelle strutture più semplici (oligomeri), compare una nuova proprietà tipica delle proteine più
evolute ovvero la possibilità delle singole subunità di poter interagire tra di loro trasmettendosi
delle interazioni (portare avanti eventi cooperativi - allosterismo).
Come dicevamo queste subunità interagiscono tra di loro, ovvero un evento che riguarda una
subunità in qualche modo condiziona il funzionamento della subunità adiacente. Queste proteine
sono chiamate allosteriche, vengono inoltre chiamate proteine regolate o regolatori. Regolate
perché sono appunto regolate da piccole proteine chiamate effettori o modulatori allosterici, e
regolatori, perché andranno a regolare i processi metabolici di cui fanno parte. Noi in particolare
approfondiremo questo concetto studiando l’emoglobina.
Famiglie di proteine
Le famiglie di proteine sono formate da proteine analoghe che svolgono funzioni simili e che hanno
particolari caratteristiche.

Proteine di membrana
Queste proteine sono costituite da una componente lipidica e da tutta una serie di proteine, che
attraversano la membrana internamente, altre superficialmente. Dato che si sta parlando di
proteine di membrana, noi abbiamo una
componente extracellulare, una
componente che è a contatto con l’ambiente
acquoso, una componente intracellulare in
contatto con il citosol, e una componente
trans membrana, ovvero quella componente
che attraversa il binario di lipidi. Per la
componente transmembrana la
conformazione di una proteina cambia
poiché questa componente è caratterizzata
da una certa idrofobicità, da un punto di
vista termodinamico, la zona che attraversa
la membrana si trova in un ambiente di polarità totalmente diverso da quello acquoso. Allora per
questo tratto la proteina è sistemata al contrario, con le componenti idrofile verso l’interno e quelli
idrofobici verso l’esterno. Questa figura ci mostra anche come molte proteine di membrana siano
glicosilate (antennine viola), ovvero contengano oligosaccaridi, legati ad alcuni glicolipidi nella parte
extracellulare.
- Proteine a barile
- Proteine a sette eliche transmembrana: recettori di membrana per molti biosegnalatori, che
attraversano la membrana 7 volte (Proteine G: legano i residui guanidinici)
- Proteine a 12 eliche transmembrana: le più famose sono le Glut

Immunoglobuline

Un'altra importante categoria è quella delle immunoglobuline


(anticorpi). Il nostro sistema immunitario ci permette un’immunità
cellulomediata che dipende dai globuli bianchi e poi una immunità
umorale data dagli anticorpi. Un anticorpo è formato da 4 catene,
però non possiamo parlare di struttura quaternaria perché vi sono
ponti S-S. Le immunoglobuline hanno la forma tipica ad Y, con le due
catene pesanti e le due catene leggere. Le parti in arancio sono le
parti variabili.

Denaturazione e folding delle proteine


Noi sappiamo che una proteina svolge le proprie funzioni in virtù della struttura che assume nello
spazio. Sappiamo inoltre che la struttura primaria ci da delle informazioni per capire quali sono le
regole che governano il folding, ovvero il giusto avvolgimento nello spazio per raggiungere la
conformazione nativa.
Adesso vedremo come avviene la regolazione del folding. Numerose condizioni possono concorrere
alla perdita della struttura nativa con conseguente denaturazione e perdita sia della solubilità che
della funzione della proteina. Quando parliamo di denaturazione intendiamo la perdita della
conformazione nativa, attraverso la rottura dei legami deboli. Quando parliamo di denaturazione
non parliamo di idrolisi! Tra gli agenti denaturanti abbiamo il calore. Sappiamo infatti che le proteine
sono sostanze termolabili.

Normalmente quando una proteina viene denaturata i raggruppamenti idrofobici che ci sono
all’interno in qualche modo vengono esposti, interagiscono tra di loro e le proteine tendono a
precipitare, diventando aggregati. Anche il pH può comportare una denaturazione, modificando lo
stato di ionizzazione delle catene, alterando la distribuzione delle cariche della proteina e la
possibilità di formare legami a idrogeno, salini etc.
I detergenti si associano ai residui non polari delle proteine interferendo con le interazioni
idrofobiche.

‘’ le informazioni per il ripiegamento tridimensionale della proteina globulare, sono tutte contenute
nella struttura primaria’’ … questo è stato dimostrato da un esperimento fatto da Anfinsen.

Questo esperimento fu fatto su un enzima (Rn-asi), enzima


che serve a degradare l’RNA. È una piccola proteina che ha
una struttura molto stabile (difficile da isolare). Stabilità
data dal fatto che una volta denaturata tende a rinaturarsi
assumendo una nuova conformazione stabile grazie al
possesso dei 4 ponti S-S (8 residui di cisteina). Anfinsen
purificò la ribonucleasi e vide che questo enzima funzionava
perfettamente, lo denaturò con l’urea (questa tende a
portare in soluzione i raggruppamenti idrofobici), ma per
rompere i ponti S-S aggiunse il mercapto-etanolo. Grazie a
questo si riuscì a perdere la conformazione nativa,
perdendo la sua attività enzimatica. Egli mise questa
proteina all’interno di una busta per dialisi per allontanare
gli agenti denaturanti e vide che la proteina si rinaturò,
riformando una molecola perfettamente funzionante. Tutto
ciò presenta ovviamente dei limiti, perché egli lavorò solo
con una proteina. Egli provò per esempio sull’insulina, ma
questa una volta denaturata non si rinaturò più, poiché ha
perso il peptide C che era indispensabile al fine del corretto
ripiegamento. La preinsulina al contrario presentando il
peptide C si rinaturava.

Le forza che regolano il ripiegamento delle proteine


La catena polipeptidica deve soddisfare i vincoli intrinsechi alla struttura proteica. La catena
polipeptidica tende a ripiegarsi in modo da nascondere le catene laterali idrofobiche e minimizzare
il loro contatto con l’ambiente acquoso. Tutte le proteine globulari devono contenere un interno
dove possa essere localizzato il nucleo idrofobico e uno esterno verso cui i gruppi idrofilici possano
essere rivolti. La segregazione dei residui idrofobici lontano dall’acqua è la forza dominante
nell’interazione tra strutture secondarie e porzioni non ripetitive a formare la struttura terziaria.
Le regole che portano all’assunzione della struttura finale,
ovviamente devono consentirne il ripiegamento in tempi compatibili
con la vita. Si è visto che alcune proteine iniziano ad avvolgersi ancora
prima che tutta la catena sia stata sintetizzata nel sistema
ribosomiale.
Nel 68 Levinthal provò ad immaginare una proteina formata da 100
aa (piccola) e che il suo avvolgimento potesse avvenire in maniera
casuale. Ogni aa prima di trovare la giusta posizione ne poteva
provare 10. Per ognuno di questi tentativi immagino un tempo di 10^-
13 s (il tempo necessario per una vibrazione molecolare). Utilizzando
questi numeri e questi tempi, venne fuori un numero più grande
dell’età dell’universo. Quindi il processo di avvolgimento deve essere
un processo di tipo cooperativo e non causale. Nel grafico vediamo
una specie di imbuto nella cui parte iniziale abbiamo un alto livello di
entropia. Man mano che questa proteina trova il giusto ripiegamento l’energia va scendendo fino a
quando non si arriva ad una sola struttura nativa e stabile.
Oggi sappiamo che il ripiegamento comincia quando ancora la catena polipeptidica non è
completamente uscita dal sito ribosomiale. Esistono tre diverse possibilità.

1. Alcune proteine arrivano alla configurazione nativa spontaneamente, e sono la maggior


parte (ripiegamento chaperon-indipendente).

2. Altre proteine richiedono una mano, e questo aiuto è dato da una serie di proteine, che sono
state isolate nei batteri, chiamate Hsp-70 (he shock proteins). Si è visto infatti che trattando
cellule in coltura al calore, il corredo proteico era completamente diverso da quello presente
a temperature diverse. Queste sono state chiamate Hsp-70 e il loro ruolo è quello di
sostituire le proteine che sono state denaturate, aiutando il raggiungimento della
conformazione.

3. Infine sono state


evidenziate anche le chaperonine
(strutture più grandi formate da
più chaperon). Queste strutture a
forma di cono cavo, presentano
due diverse zone. Una prima zona,
nata dall’unione di due zone più
piccole, ognuna contenente 7
chaperon, costituisce una camera
chiamata GroEL (viola). La seconda
zona (in giallo) è formata da altri 7 chaperon e costituisce un cappuccio chiamato GroES.
Nelle chaperonine entra la proteina non foldata, viene consumato ATP, ed esce foldata. Se
non dovesse foldarsi ripete il ciclo nuovamente.
I due enzimi del folding
Sono stati evidenziati due enzimi che aiutano il folding.

Disolfuro isomerasi
Noi abbiamo detto che molte proteine
contengono residui di cisteina, ma abbiamo anche
detto che non tutte quelle che li hanno formano
ponti S-S. Immaginiamo una proteina con un certo
numero di ponti che sta provando a foldarsi
partendo da una struttura lineare. Se durante
questo avvolgimento, due cisteine, che nella
proteina foldata non devono formare ponti, si
vengono a trovare vicine formano il ponte
bloccando la struttura prima che si foldi. A questo
punto arriva questo enzima che va a rompere tutti
i ponti S-S che si sono formati durante
l’avvolgimento. Ovviamente l’enzima non
riconosce quelli giusti da quelli sbagliati e rompe
tutti i ponti disolfuro. Se un ponte disolfuro si trova
nella posizione sbagliata significa che la proteina nel suo ripiegamento non ha ancora raggiunto la
conformazione termodinamicamente più stabile, perciò viene rotto e la proteina continua il suo
avvolgimento. Quando la proteina raggiunge la conformazione stabile e contiene ponti S-S l’enzima
continua a romperli ma con un effetto nullo. Perché le cisteine rimarranno vicine e il ponte
continuerà a formarsi.

Peptidil propil cis trans-isomerasi


Tutti i legami peptidici sono nella configurazione trans. Vi è comunque un legame peptidico cui
partecipa la prolina con il suo gruppo imminico (gruppo amminico secondario), che non avendo
l’NH, ma semplicemente l’N, può avere da un punto di vista termodinamico la stessa stabilità, sia
che si trovi in posizione trans che in posizione cis. Anche se in alcune proteine noi troviamo legami
peptidici con legami cis, e la probabilità termodinamica è la stessa di trovarlo in trans, le proteine
che noi conosciamo sono quasi tutte con legami peptidici trans.
Per quelle proteine che formano legami peptidici cis, lì dove vi è un residuo di prolina, occorre avere
un enzima che stabilisca il legame.

Circa il 25% delle proteine che produciamo non funzionano perché non correttamente foldate e
vengono eliminate, in caso contrario generano una serie di patologie. Un esempio è l’Alzheimer.
Un esempio di proteina alterata è il CFTR, responsabile della fibrosi cistica.

Proteine intrinsecamente disordinate


- Queste proteine non hanno un nucleo idrofobico, hanno invece molti aa carichi e molti
residui di prolina, che tendono a distruggere le strutture ordinate.
- Il disordine strutturale e l’elevata densità di carica possono facilitare la funzione di
spaziatore, isolante o di collegamento di alcune proteine all’interno di strutture molto più
complesse di cui fanno parte.
- Altre possono comportarsi da spazzini che legano a sé ioni o piccole molecole da conservare
o da eliminare.
- La carenza di una struttura ordinata permette alla proteina d’interagire con partner diversi.
- Alcune agiscono da inibitori di altre proteine avvolgendole con modalità differenti.
- La proteina p27 svolge un ruolo chiave nel controllare la divisone cellulare nei mammiferi,
essa avvolge e quindi inibisce l’azione di alcune proteine chinasi che favoriscono la divisione
cellulare. In molti tumori sono stati riscontrati livelli bassi di p27 (più i livelli di p27 sono bassi
più la prognosi è grave per i malati di cancro).

Definizioni:
- Proteine semplici: sono formate solo dalla sequenza amminoacidica
- Proteine coniugate o complesse: oltre alla sequenza amminoacidica contengono molecole
diverse (metalloproteine, glicoproteine, emoproteine. Il gruppo non proteico si chiama
gruppo prostetico.

Le proteine plasmatiche
Il sangue è un fluido attraverso il quale si realizza il trasporto di sostanze nutritive, gas, ormoni e
prodotti di rifiuto. Esso partecipa al controllo acido-base, alla regolazione del bilancio della
pressione osmotica e, anche, alla regolazione della temperatura corporea e alla difesa per opera
degli anticorpi, ovvero le immunoglobuline. Il sangue trasporta cellule specializzate che difendono i
tessuti periferici da infezioni e malattie. L’organismo umano contiene 5L di sangue, che
corrispondono, circa, all’8% del peso corporeo. Il sangue si divide in:

- Una parte corpuscolare: costituisce il cosiddetto valore ematico, che corrisponde circa al 40-
45%. Esso è formato da globuli rossi, globuli bianchi e piastrine;

- La parte liquida corrisponde alla parte restante, che altro non è che il plasma,
fondamentalmente formato d’acqua e i componenti principali sono delle proteine (circa 7g
ogni 100ml di plasma) e altre sostanze che sono trasportate dal citosol. Il plasma si ottiene
da un campione di sangue per aggiunta di un anticoagulante, perché se noi non
aggiungessimo questo agente, dopo un certo periodo si verrebbe a formare il coagulo, noi
anche in questo caso potremo separare la parte liquida dalla parte corpuscolare, attraverso
una centrifugazione, però il surnatante, la parte liquida, che rimane quando non abbiamo
aggiunto l’anticoagulante, non si chiamerà plasma, bensì siero. La differenza principale tra
siero e plasma sta soprattutto nella mancanza nel siero, di un’importante proteina
plasmatica che partecipa al processo di coagulazione, ovvero il fibrinogeno, che durante la
coagulazione si trasforma in fibrina. In conclusione, il siero sarebbe il plasma defibrinato. In
realtà, nel siero non vi è soltanto il fibrinogeno, ma ci sono anche altre proteine che hanno
partecipato al processo di coagulazione e di conseguenza verranno trovate solo nel plasma,
e non nel siero. Inoltre, possiamo dire che nel siero troveremo le albumine e le globuline, se
invece analizzassimo il plasma troveremo le albumine, le globuline e il fibrinogeno.

Le proteine plasmatiche costituiscono il 6-8% del plasma e si dividono in:

• Albumine, che da sole nel plasma, costituiscono circa il 55-60% di tutte le proteine
plasmatiche. Esse sono omogenee, ovvero sono tutte molecole identiche e svolgono le
stesse funzioni. Svolgono varie funzioni come:
La regolazione della pressione osmotica, o meglio, quella parte della pressione osmotica
che dipende dalle macromolecole. La pressione osmotica, in generale, dipende da tutte le
particelle in soluzione, quali che siano le loro dimensioni molecolari. Ciò avviene in un
ambiente, dove vi è una membrana semipermeabile che può consentire il passaggio di
determinate sostanze. I nostri vasi sanguigni li possiamo considerare come se fossero delle
membrane semipermeabili, attraverso cui l’acqua e piccoli ioni possono passare. Non
riescono invece a passare macromolecole, che restano nel plasma e negli spazi esterni dei
vasi e che hanno un controllo importante nella regolazione della pressione osmotica e
colloido-osmotica (oncotica).

La pressione osmotica dipende: dal movimento dell’acqua, generato da differenze di


concentrazioni dei soluti; dalla concentrazione delle particelle non diffusibili e non dalla loro
massa; essa è la somma algebrica della concentrazione di tutti i soluti disciolti. I responsabili
della pressione osmotica sono fondamentalmente, le albumine responsabili per più del 50%
della regolazione osmotica, per un semplice motivo, esse, tra le proteine plasmatiche, sono
le più piccole e quindi presenti in grande quantità. Inoltre, le albumine, hanno il punto
isoelettrico più basso (intorno a 5), e a pH fisiologico (7,4) hanno un certo numero di cariche
negative (circa 18). Queste cariche negative per il principio di Gibbs-Donnan, richiamano ioni
con cariche positive, e quindi la loro azione sulla pressione osmotica, in parte è diretta, in
quanto particelle in soluzione, ma in parte indiretta, perché richiamano cationi.

Ad esempio, potrebbe accadere una diminuzione delle concentrazioni delle albumine


dovuto al mancato richiamo di acqua, e ciò accade nel digiuno spinto, attraverso perdita di
proteine tramite il filtro renale, si arriva all’edema. L’edema è la fuoriuscita di acqua dai vasi,
verso gli spazi interstiziali, che colpisce soprattutto gli arti inferiori del corpo, come quando
si hanno le caviglie gonfie;

Svolgono anche la funzione di trasporto, trasportano una quota dello ione Ca2+, acidi grassi
liberi, come i lipidi (trigliceridi, fosfolipidi, gli esteri del colesterolo). Con alcoli e i lipidi
viaggiano in circolo sotto forma di lipoproteine plasmatiche, trasportate da alcune globuline.
Gli acidi grassi liberi, quando sono in circolo, sono legate alle albumine, le quali hanno tre
tipologie di siti, uno ad alta affinità, uno a media e uno a bassa affinità, attraverso i quali si
possono legare un grande numero di acidi grassi. Questo complesso albumina-acidi grassi,
lo possiamo riscontrare nel circolo ematico, nel momento in cui è avvenuto un processo di
lipolisi periferica. I trigliceridi, in questo processo, verranno scissi da specifici enzimi, e
raggiungeranno i tessuti che li possono utilizzare a scopo energetico. Trasportano anche
un’altra sostanza importante, ovvero la bilirubina, essa deriva dal catabolismo dell’EME, ed
è un pigmento biliare, che viene eliminato attraverso la bile.

• Globuline, costituiscono circa il 35-40%, e si dividono in α1, α2, β, γ-globuline. Esse non sono
omogenee, ma ognuna presenta delle bande che si possono separare attraverso la tecnica
elettroforetica. Ad esempio, nel picco delle α1, in realtà ci sono proteine diverse con funzioni
diverse, stessa cosa accade anche con le altre specie di globuline. Tutte le varie specie, alla
fine finiscono insieme, perché hanno un rapporto di massa analogo, e che quindi, sottoposte
a un’azione di un campo elettrico, migrano con una velocità simile e finiscono tutte in una
determinata frazione;

• Fibrinogeno, esso è presente nel plasma.


Per riassumere, esse svolgono varie funzioni:
- Funzione di trasporto, composti poco solubili o che si perderebbero attraverso il filtro renale,
viaggiano in circolo legate a specifiche proteine plasmatiche;
- Funzione di coagulazione, essa avviene solo nel plasma e non nel siero;
- Funzione immunitaria, come le immunoglobuline e gli anticorpi;
- Attività enzimatiche, come le molecole proteiche, che agiscono da inibitorio regolatore di enzimi.

Tecnica dell’elettroforesi
L’elettroforesi è un processo attraverso il quale molecole cariche si separano sotto l’azione di un
campo elettrico, migrando a velocità diverse, e la diversa velocità nelle proteine plasmatiche nasce
dal fatto che hanno un diverso rapporto carica/massa. In conclusione, la velocità è direttamente
proporzionale alla carica, inversamente proporzionale alla massa e dipende anche dalla forma di
queste molecole.
Le globuline, non migrano più velocemente, sicché,
quando noi sottoponiamo queste proteine ad una
tecnica elettroforetica, vengono fuori varie bande. La
tecnica viene eseguita a un pH di 8,8 o 9, un pH più
alto del punto isoelettrico di tutte le proteine
plasmatiche, quindi tutte quante avranno una carica
negativa (le proteine sono elettroliti anfoliti e siamo
noi a stabilirne la carica e l’entità della carica, a
seconda del pH). Questa figura ci fa vedere come,
partendo da destra verso sinistra, essendo tutte
cariche negativamente, il deposito viene fatto
nell’estremità del polo negativo, tutti vanno verso il
polo positivo, e queste bande, attraverso un processo di colorazione, evidenzieranno la banda che
si è mossa di più, ovvero quella dell’albumina e poi delle altre. Mentre il picco delle albumine è un
picco omogeneo, le altre, invece, contengono proteine diverse, che finiscono in un’unica banda,
solo perché hanno un rapporto carico/massa analogo.

Le cromoproteine
Le cromoproteine si dividono in:
- Emoglobinaà è una proteina di trasporto ed è la più conosciuta proteina allosterica. Gli
eventi cooperativi giustificano una serie di funzioni che, una proteina priva di essi, non
potrebbe svolgere. L’emoglobina è usata come modello, per capire come funziona un enzima
allosterico, che si trova in punti cruciali dei processi metabolici. Questo tipo di
cromoproteine sono colorate, perché il gruppo prostetico, presente nell’emoglobina
assorbe nel visibile. Noi sappiamo dalle tecniche spettroscopiche, che tutto ciò che assorbe
nel visibile è colorato. Trasporta anche l’ossigeno;
- Mioglobina à è una proteina che trasporta il legame ossigeno;
- Citocromià sono delle cromoproteine molto importanti, soprattutto, nel processo di
fosforilazione ossidativa, dove le nostre cellule producono o si approvvigionano di ATP;
- Enzimi eminici à Alcuni enzimi, come gli enzimi eminici catalasi o perossidasi, sono
anch’esse delle cromoproteine.
Mioglobina ed emoglobina
Noi sappiamo che i primi esseri viventi che abitarono sulla terra, vivevano in un ambiente privo di
ossigeno, esso fu prodotto dai cianobatteri e in un secondo momento, dalla fotosintesi clorofilliana.
I primi esseri viventi, non avendo l’ossigeno a loro disposizione, mettevano in atto, ai fini della
produzione di energia, dei meccanismi di tipo fermentativo. Questo tipo di meccanismo è rimasto,
anche, quando si è formato l’ossigeno, infatti, noi esseri umani, per produrre ATP, facciamo
riferimento alla fosforilazione al livello del substrato, che è un meccanismo ossigeno-indipendente,
e alla fosforilazione ossidativa, che è un meccanismo ossigeno-dipendente.

Per esempio, nel nostro muscolo, durante un’intensa contrazione, accade che le contrazioni delle
fibre muscolari restringono il numero delle arterie, in queste condizioni si realizza una situazione di
ipossia, che nel caso in cui la contrazione fosse fortemente intensa, potrebbe diventare anossia.
Tuttavia, deve continuare a contrarsi per produrre energia ed interviene un tipo di meccanismo
fermentativo, che può continuare a produrre ATP, anche in assenza di ossigeno.

La comparsa dell’ossigeno sulla terra ha comportato inizialmente dei problemi, perché l’ossigeno è
una sostanza fortemente ossidante, e quindi per alcuni esseri viventi non è stato molto semplice. In
seguito, i loro organismi si sono evoluti, e grazie alla presenza di ossigeno è stato possibile estrarre
da quella che è la molecola carburante principale, il glucosio, una quantità di ATP che è di 15/16
volte maggiore rispetto a quella che si può ricavare dalla stessa molecola di glucosio, in assenza di
ossigeno. In assenza di ossigeno, noi possiamo utilizzare, a scopo energetico, solamente il glucosio,
che è il principale carburante per le nostre cellule; mentre non possiamo utilizzare altri nutrienti,
quali: i lipidi, le proteine e gli amminoacidi che derivano dalle proteine. Se volessimo ottenere ATP
dai lipidi e/o dalle proteine, lo possiamo fare solo in presenza di ossigeno.

I vertebrati hanno selezionato due meccanismi per rifornire, in maniera adeguata, tutte le cellule di
O2 :
• Un sistema circolatorio, indispensabile per organismi di dimensioni maggiori di 1mm3,
ovvero per organismi molto piccoli, che comunque utilizzano ossigeno (molti batteri sono
aerobici) e in questo modo l’ossigeno presente nell’aria, può entrare per semplice diffusione.
Quini era necessario trovare un processo che permettesse al gas di raggiungere le parti e i
tessuti più profondi e per far si che ciò accadesse, sono state messe appunto, delle molecole
trasportatrici di ossigeno, che permettono di orientare la solubilità nell’acqua di questo gas.
Queste molecole permettono di aumentare la solubilità del gas in 1L di H2O a 37°.

Nel corpo noi abbiamo 5L di sangue, e sappiamo che in 1L di acqua a 37°, la nostra
temperatura corporea, si può solubilizzare 3,2 ml di ossigeno, una quantità assolutamente
insufficiente, per quelle che sono le esigenze di ossigeno di cui tutte le cellule hanno bisogno,
ai fini della produzione di ATP (come vedremo, il grosso dell’ossigeno verrà sprecato nel
processo di fosforilazione ossidativa). Invece, 1L di sangue, solubilizza 220ml di ossigeno, una
quantità che è 70 volte maggiore, ciò accade, perché nel sangue è presente una proteina
deputata a riconoscere il legame ossigeno, in maniera tale, da aumentarne la sua solubilità,
questa molecola è l’emoglobina, una molecola intraeritrocitaria. Gli eritrociti maturi sono
delle cellule prive di organelli sub cellulari, prodotti dal midollo osseo e definiti come
contenitori di emoglobina (in realtà contiene altre cose, che sono funzionali al ruolo degli
eritrociti, cioè quello di trasportare e far funzionare bene l’emoglobina). Le proteine
trasportatrici di ossigeno che hanno avuto maggior successo durante l’evoluzione, è
l’emoglobina.
Nel nostro sangue, esiste un’altra molecola, che lega nel nostro organismo l’ossigeno che è
la mioglobina, che si trova nelle fibre muscolari rosse. Noi abbiamo due fibre muscolari:
- Quelle rosse, il quale colore è determinato dalla presenza della mioglobina, usano
l’ossigeno, in virtù di questo deposito che posseggono, ma che si consuma nell’ordine di
secondi;
- Quelle bianche, contengono una quantità molto inferiore di mioglobina o quasi niente, esse
si utilizzano a scopo energetico nei sistemi fermentativi, quindi glicolisi.

La mioglobina e l’emoglobina vengono


studiate in comparazione. Questa figura ci fa
vedere la comparazione strutturale e ci aiuterà
a capire la comparazione funzionale. Infatti,
ruoli e funzioni sono totalmente diversi, tanto
che l’emoglobina non può svolgere il ruolo
della mioglobina e viceversa. La prima
differenza strutturale è che la mioglobina è un
monomero, una singola catena polipeptidica,
formata da 153aa; l’emoglobina è un
tetramero, formato da 4 catene polipeptidiche
a 2 a 2 uguali, 2α e 2β, le α di 141aa in 7 regioni
ad α-elica e le β 146aa in 8 regioni ad α-elica.
Nonostante, la differenza nel numero e nella sequenza degli aa che compongono le catene
polipeptidiche, la conformazione spaziale è pressoché identica. Nella mioglobina, abbiamo solo un
gruppo prostetico (tra il punto G e H), e ciò implica che essa può legare una sola molecola di
ossigeno; nell’emoglobina ciascuna subunità contiene un suo gruppo prostetico, un suo gruppo
eme.

Mioglobina ed emoglobina sono proteine coniugate, costituite da una parte proteica, la globina
(come la neuroglobina a livello celebrale, che svolge un ruolo importante nell’ipossia (consente una
vita celebrale anche di qualche minuto in più) e un gruppo prostetico, il ferroprotoeme, che è
saldamente legato, tramite un legame forte, alla componente proteica. Esso è alloggiato in una tasca
dell’emoglobina e responsabile dei legami reversibili dell’ossigeno.

Durante lo sviluppo dell’organismo umano si susseguono diverse forme di emoglobina che


ripropongono le varie espressioni dell’evoluzione della molecola:
- L’emoglobina embrionale, si ha durante il primo trimestre di vita intra uterina e inizialmente
si hanno catene ζ2ε2, che hanno catene aa diverse, però danno origine alla stessa
conformazione;
- L’emoglobina fetale, essa circola nel nostro sangue a partire dal secondo trimestre di
gravidanza fino alla nascita, essa è prodotta dal fegato, ed è formata da 2 catene α e 2 γ, una
piccola quota di emoglobina fetale noi la produciamo tutta la vita;
- L’emoglobina adulta, per il 98% è l’α2β2 (HbA). Se fossero effettuate delle analisi, nel nostro
sangue troveremo una piccola percentuale 2/3% di HbA2, che è un’emoglobina formata da
due catene α e 2 δ, e noi troviamo questa quota di emoglobina aumentata nei portatori sani
di talassemia o anemia mediterranea.
N.B. Si potrebbe trovare anche la simbologia HbA1, in particolari HbA1c, che non è l’HbA. La
prima non è altro che un’emoglobina normale, ma è quella parte dell’emoglobina che è
glicosidata, o glicata, essa viene dosata per avere una retrospettiva di come si è mantenuta
la glicemia negli ultimi 3-4 mesi (un globulo rosso è 100/120 giorni). I valori normali sono
intorno al 5%, perché la glicosidazione dell’emoglobina è una reazione non catalizzata da
enzimi, avviene in base alla legge di azione di massa. Il glucosio presente nel sangue, può
legarsi a tante proteine attraverso la reazione di glicosidazione spontanea. Se la
concentrazione di emoglobina-glicata è 5% vuol dire che si è normoglicemici, se è superiore
a 6,5% allora si è diabetici.

Qui, si vede come varia la sintesi delle varie


catene che noi riscontriamo nelle varie
emoglobine che si susseguono. Noi vediamo che
la catena α è quella che non spunta
immediatamente. La catena β si comincia a
sintetizzare durante la vita intra uterina. La γ,
quella fetale prodotta dal fegato, c’è anche se
cala, ma non si annulla mai. La δ che si sintetizza
dopo la nascita, si mantiene a livelli molto bassi.
La conformazione dell’emoglobina cambia,
consistentemente, quando si passa
dall’emoglobina deossigenata a ossigenata.

Una forma di emoglobina con il Fe3+ particolare, è quella che può legare lo ione cianuro. Il cianuro
è un veleno perché si lega al citocromo ossidasi, che è l’ultimo enzima della catena respiratoria, cioè
quel processo in cui noi produciamo ATP, chiamata fosforilazione ossidativa.
Nell’avvelenamento da cianuro, si somministrano delle sostanze fortemente ossidanti per forzare
la formazione di metaemoglobina dall’emoglobina, la metaemoglobina tende a legare il cianuro con
maggiore affinità rispetto al citocromo ossidasi, formando la cianmetaemoglobina, che viene
metabolizzata e poi eliminata e contemporaneamente si somministra un altro sale che lega il
cianuro, staccandolo dal citocromo ossidasi.

Per ricapitolare:
Funzione mioglobina:
- Costituisce un deposito di O2, che è presente nelle fibre muscolari rosse
Funzioni dell’emoglobina:
- Trasporta l’ossigeno dai polmoni ai tessuti;
- Trasposta CO2 dai tessuti ai polmoni, e l’emoglobina la lega dalla componente proteica;
- Funzione tampone, dove possiamo considerare l’emoglobina la molecola principe nella
regolazione dell’equilibrio acido-base del nostro sangue.
Il gruppo EME
Derivazione chimica
Il gruppo prostetico EME
deriva dalla molecola
porfina, che è una molecola
modello. Essa ha una
struttura tetrapirrolica,
formata da 4 anelli pirrolici
tenuti insieme da ponti
metinici. E’ una struttura
planare, che è data da tutti
i doppi legami presenti. La
porfina è un ibrido di
risonanza, dove ci sono
legami singoli al posto dei
doppi e legami doppi al
posto dei singoli.

Questa molecola non esiste in natura, ma ci fa capire quali sono le caratteristiche di questa molecola
tetrapirrolica. Nel gruppo EME c’è l’apertura alla porfirina. Le porfirine, rispetto alle porfine,
nascono dalla sostituzione di questi 8 H sostituibili con gruppi chimici di natura diversa, che possono
essere i gruppi metilici, vinilici, pirrolici, acetilici, per cui abbiamo diversi tipi di porfirine.

Le porfirine che ci riguardano, che hanno il gruppo prostetico


dell’emoglobina, sono le protoporfirine, in maniera specifica,
l’isomero 9, perché in base ai sostituenti, possiamo avere
diversi isomeri. Ad esempio, le 1-protoporfirine, gli 8H sono
sostituiti da 4 sostituenti di un tipo e 4 di un altro, quando sono
diversi a 4 a 4, possiamo avere fino a 4 isomeri. Nella
protoprfirina-9 gli 8H idrogeni sono sostituiti: quattro da
gruppi metilici in posizione 1,3,5,8, due da gruppi vinilici in
posizione 2,4 e due da radicali propionici in posizione 6,7; in
base alle 8 posizioni disponibili per la sostituzione dei gruppi,
possiamo avere fino a 15 isomeri diversi.
La protoporfirina-9 diventa gruppo EME in una sequenza di
reazione detta sintesi dell’EME, e quando in questa struttura tetrapirrolica entra uno ione Ferro
(l’ultima tappa catalizzata dall’enzima EME-sintetasi o ferrochelatasi) contemporaneamente
vengono espulsi due protoni, per cui il ferroprotoeme detto EME, è una molecola fortemente
planare in virtù di tutti i doppi legami ed elettricamente neutra, perché le due cariche positive del
ferro sono bilanciate dall’espulsione di due protoni.
Il Fe2+, in base alla sua configurazione elettronica, può formare fino a 6 legami di coordinazione:
covalenti coordinati, donatori-accettori, legame dativo. Forma 4 legami con gli N degli anelli pirrolici,
e quindi sono 4 legami che si trovano perfettamente sul piano dell’EME; gli altri 2 legami di
coordinazione, il Fe2+ li forma in maniera perpendicolare al piano. Il 5 legame di coordinazione, il Fe
lo forma con un altro atomo di N, che appartiene a un anello imidazolico di un residuo di istidina,
chiamato istidina F8.

L’unica struttura secondaria nelle globine è l’α-elica di Pouling. Questi segmenti ad α-elica,
occupano circa il 75% dell’intera struttura, perché la restante parte è dato dai gomiti, dai
cambiamenti di direzione o da alcuni frammenti delle estremità amino-terminale, di conseguenza
l’istidina F8, è l’ottavo segmento dell’elica F. Quindi, questo quinto legame di coordinazione è quello
che lega saldamente il gruppo EME alla componente proteica. In tutte le catene α, β, γ, che hanno
le emoglobine, c’è sempre un residuo di istidina. Tra il gruppo prostetico e la componente proteica
si possono formare delle interazioni elettrostatiche tra le carche negative dei propinati e degli aa
con carica positiva, ma sono dei legami deboli, che non influiscono molto. Il 6° legame di
coordinazione si trova dall’altra parte del piano dell’EME ed è quello che il Fe2+ forma con O2 o
comunque con una molecola neutra, e quando si lega all’ossigeno, si parla di emoglobina ossigenata,
quando invece, lo libera, si parla di emoglobina deossigenata.

Non si utilizzano i termini ossidata o ridotta, perché il Fe2+ resta invariato anche quando si lega
all’ossigeno; può capitare che diventa Fe3+, ma questa terza carica positiva non è bilanciata, il gruppo
EME assume una carica positiva, non è più in grado di legare l’ossigeno e lo molla immediatamente,
e tende a legare l’acqua, una molecola polare, oppure il principale anione che troviamo in circolo
che è lo ione Cl-. Il Fe2+, potrebbe anche ossidarsi, ma i globuli rossi posseggono un sistema capace
di ridurre il Fe e fargli riprendere la sua funzione. Il Fe2+ può legare altre molecole neutre, come CO,
formando la carbossiemoglobina, che per questo motivo è un veleno. Nell’ossiemoglobina tutti e 6
i legami di coordinazione sono impegnati e mettono in compartecipazione il doppietto elettronico;
invece quando l’emoglobina cede l’ossigeno, sono impegnati i 5 legami di coordinazione. Abbiamo
detto precedentemente, che il 5 legame di coordinazione lo forma con l’istidina, che si trova in
posizioni specifiche, che ci sta a indicare che è un amminoacido totalmente conservativo. L’ossigeno
si lega in maniera irreversibile al sesto legame di coordinazione.
Dal momento in cui l’ossigeno si lega al Fe2+ dell’EME, e dal momento che possiamo sintetizzarlo,
quale è il motivo di sintetizzare una casa, quando infondo è sufficiente un mattone per la sua
funzionalità?
Esso si può spiegare tramite un esperimento svolto in laboratorio, dove si vede il comportamento
del gruppo EME isolato. Il gruppo EME isolato, è in grado di legare l’ossigeno, ma tuttavia, avviene
immediatamente l’ossidazione del Fe2+ a Fe3+. Allora, notiamo, che nel gruppo EME, il cui Fe ai fini
di legame dell’ossigeno, deve rimanere allo stato equivalente, rimane equivalente se si trova in un
ambiente opportuno che è creato dalla componente proteica. L’insieme della componente proteica
prostetica genera una struttura capace di legare l’ossigeno in maniera reversibile.

Ruolo della globina


Un gruppo EME isolato non può funzionare, la componente globina, è la componente proteica che
conferisce delle proprietà che un gruppo EME isolato non avrebbe:

La componente proteica è la globina.


Nell’emoglobina, le catene hanno
tutte la stessa conformazione
spaziale in tutti i vertebrati, perché vi
sono punti cruciali con uguali
amminoacidi, e altri punti con
amminoacidi diversi ma
caratteristiche simili, che danno vita a
strutture spaziali uguali, funzionali al
trasporto di ossigeno.

Il gruppo EME è piccolo rispetto al resto dell’emoglobina.


Da solo può legare l’ossigeno, ma per poco tempo, formando un dimero col Fe2+ che si ossida a Fe3+
con rilascio immediato dell’ossigeno a causa dell’eccesso di carica positiva dell’EME, che ricercherà
cariche negative, sarà in seguito la componente proteica a rafforzare i legami con l’ossigeno. Per
evitare l’ossidazione del Fe ci sono anche l’istidina F8, che è prossimale perché si lega con il Fe, e
l’istidina E7 (la settima del segmento E) detta distale, che non ha legami con il Fe. Le istidine sono
idrofobiche, in questo caso sono messe in posizione speculare l’una rispetto all’altra. Quindi, è la
componente proteica che, grazie alle caratteristiche idrofobiche, impedisce l’ossidazione del Fe e il
rilascio di ossigeno. L’istidina E7, dal piano dell’ossigeno, non lega il Fe, ma diminuisce l’affinità con
il CO verso il Fe, al quale si può legare anche NO e CO2. La forza del legame O≡C-Fe, è maggiore del
legame Fe-O=O. L’istidina E7 rende angolato il legame del CO con Fe (120°), e così diminuisce
l’affinità con il Fe e verso il CO (affinità cala da 25000 al 210), rendendo il legame più debole di
prima. Nel corpo umano vi è solo una reazione che produce CO, cioè il catabolismo dell’EME.
L’istidina E7 svolge anche un’altra funzione: forma un legame a idrogeno con l’ossigeno, impedendo
che quest’ultimo formi la specie tossica, anione superossido O2-.
Curve di saturazione di emoglobina e mioglobina
Esse svolgono funzioni differenti: la mioglobina conserva l’ossigeno a livello muscolare; mentre
l’emoglobina lo trasporta da polmoni e tessuti.

Nelle curve di saturazione noi possiamo osservare come varia la saturazione di questi due pigmenti
respiratori, al variare della pressione parziale di ossigeno.
Nella curva di saturazione della mioglobina, nelle ordinate
abbiamo la percentuale di saturazione, nelle ascisse abbiamo la
pressione parziale di ossigeno. In questo grafico, viene
rappresentata un’iperbole rettangolare ed è una proteina che ha
un’elevata affinità con l’ossigeno. L’affinità di una proteina con
un ligante, nel caso specifico dell’ossigeno, viene data da un
valore, che sarebbe la Po2, in grado di dare la semisaturazione. La
curva mostra che a P50, ha una saturazione di 2Torr, significa che
a O l’ossigenazione è 0, ma che a 50 si è raggiunta la
semisaturazione, e dopo si arriva quasi al massimo della
saturazione.

Si può vedere come la curva della mioglobina sia


un’iperbole rettangolare, mentre quella
dell’emoglobina è una sigmoide.
Analizziamo la Po2 nei polmoni a 100torr e nel
tessuto adiposo a 40torr, dove entrambe le
proteine analizzate, sono completamente
saturate da O2 nei polmoni. Nel tessuto a riposo,
la mioglobina è saturata ancora circa al 100%,
l’emoglobina al 65%, ovvero ha rilasciato 1/3 del
suo carico, a causa della minore affinità verso
l’ossigeno rispetto alla mioglobina (se essa fosse
stata adibita al trasporto di ossigeno ai tessuti, ci
lascerebbe asfissiare). L’affinità tra proteina e ligando (O2) si analizza con la costante dissociativa
chiamata P50, che analizza la saturazione della proteina al 50%. L’emoglobina nel tessuto adiposo
rilascia circa 1/3 di ossigeno, cosa che la mioglobina non potrebbe fare perché dovrebbe
raggiungere valori più bassi di pressione, quindi rimane saturata di O2. Il fatto che l’emoglobina
rilasci solo questa parte del carico è importante: maggiore è l’attività, maggiore sarà il consumo di
ossigeno, ciò produce nel tessuto una Po2 minore e quindi dalla P50 della mioglobina, l’emoglobina
rilascia più ossigeno.
La mioglobina è un deposito di ossigeno nelle fibre muscolari rosse (il colore è dato dalla
cromoproteina); le fibre muscolari bianche sono prive di mioglobina, dove l’energia viene generata
in assenza di ossigeno (processo fermentativo glicolitico). L’emoglobina nel muscolo da l’ossigeno
alla mioglobina, che rilascia O2 a Po2 più bassa, in condizioni di ipossia o anossia. Non a caso la
mioglobina è maggiore nei mammiferi, soprattutto nella grande fibra muscolare (come le balene
dove la mioglobina permette di stazionare a lungo sott’acqua).

Nel grafico, la emoglobina ha una curva sigmoidale che mostra il fenomeno allosterico tra le 4 unità
dell’emoglobina. Dalla curva dell’emoglobina si vede che all’inizio ha una difficoltà nel saturarsi, poi
si impenna grazie all’evento cooperativo. Immaginiamo l’emoglobina priva di ossigeno e
un’emoglobina che ha già legato 3 ossigeni nei 4 siti disponibili. Avendo solo una molecola di
ossigeno in base al calcolo probabilistico è l’emoglobina vuota che potrebbe riceverla più
facilmente. In realtà, accade che grazie all’evento cooperativo sarà l’emoglobina già saturata ad
accettare l’ossigeno, questo perché all’inizio l’emoglobina (vuota) ha poca affinità per l’O2, piano
piano però ogni subunità avrà un’influenza positiva sulle altre, aumentando l’affinità tra le altre.

Equazione di Hill (n di Hill)


Perché l’emoglobina ha una curva sigmoidale e non iperbolica come la mioglobina ed è più spostata
a destra nel grafico? Ciò perché la molecola sarebbe stata sicuramente meno affine per l’ossigeno,
ma comunque, non vi sarebbe stato l’effetto cooperativo che aumenta o diminuisce l’affinità in base
al caso dovuto. Archibald Hill, studiò il grado di cooperatività per l’emoglobina (Hb) e mioglobina
(Mb), e vide che una proteina non allosterica come l’Mb ha una “n di Hill” (parametro di Hill) pari a
1. In generale, n>1 per cooperatività positiva e n<1 per cooperatività negativa. (1-y rappresenta il
100% meno il grado di saturazione)

In assenza di cooperatività la
pendenza è di 45%(Mb). La
pendenza di Hb è maggiore di
45°, dove per una molecola
tetromerica, la n varia da 1 a 4
(2,8 per la natura). La Mb ha
n=1 senza cooperatività. Per
n>1 la cooperatività è
positiva, per 0<n<1 sarà
negativa, n sarà il rapporto tra
l’ordinata e l’ascissa. (n=y/x)

Ma che vantaggio ha l’evento cooperativo? La saturazione varia più rapidamente rispetto alla
situazione con siti proteici indipendenti. La cooperatività aumenta di circa 2 volte il rilascio e il
guadagno di ossigeno dell’Hb, quindi la sua affinità e il lavoro svolto risultano molto più efficienti. Il
rilascio dipende dalla Po2 dei distretti e ciò si può analizzare dalla sigmoide di affinità

Effettori allosterici influenzanti l’emoglobina (Effetto Bohr)


Il rilascio di ossigeno viene influenzato anche dalla cooperatività di Hb, connessi a determinati
effettori allosterici che condizionano un sito dell’Hb. L’unico effettore positivo per Hb è l’O2, perché
oltre a essere un substrato influenza l’affinità per esso stesso. Esistono però, anche, effettori
negativi, cioè H+, CO2 e il 2,3-bisfosfoglicerato (prodotto dalla glicolisi eritrocitaria). Gli H+ vengono
trattati dall’effetto di Bohr, che studiò tale effettore negativo. L’affinità dell’ossigeno aumenta
all’aumentare del pH.
Diciamo che una cellula produce metaboliti acidi durante
l’attività metabolica, abbassando il pH.
L’Hb, in due distretti diversi a parità di Po2, rilascia di più dove
il pH è minore, ciò vuol dire che l’affinità tra Hb e ossigeno
viene abbassata all’aumentare di H+ nel sito di interesse.
Il corpo umano è interessato da reazioni di decarbossilazione
(rilascio di CO2). L’Hb è influenzato anche dall’anidride
carbonica, infatti, dove troviamo un distretto con più CO2 (a
parità di Po2) l’Hb rilascia più O2. Quindi, quando l’Hb va dai
polmoni ai tessuti rilascia O2 e attacca CO2 e H+, viceversa nei
polmoni, l’insieme di tali eventi si chiama effetto Bohr.

2,3 bisfosfoglicerato
Alla fine degli anni ’60, analizzando il sangue per le trasfusioni, si vide che nel conservarlo, più tempo
passava, più si avevano problemi nella trasfusione del sangue. Si vide che negli eritrociti vi era una
specie che influenzava il rilascio di O2, tale specie si attacca alla deossiemoglobina stabilizzandola:
Hb-DPG + 4O2 ⇄ Hb(O2)4 + DPG

La concentrazione del DPG è equimolare all’Hb nel corpo umano, ciò vuol dire che
il loro legame è in rapporto 1:1. Aumentare DPG significa spostare l’equilibrio verso
sinistra. Tale scoperta permise di capire l’adattamento ad alte quote, dove l’area
rarefatta produce un adattamento del corpo: si produce più DPG che permette il
rilascio di più O2 ai tessuti e aumenta la resistenza. Grazie al DPG
si capì perché l’affinità è maggiore tra O2 e Hb fetale, rispetto alla
Hb adulta (causa del fatto che l’Hb fetale riesce ad attraversare la
placenta della madre). Si vide, anche, che il sito di attacco del DPG
è tra le 2 catene β dell’Hb, attraverso legami ionici, ciò è dovuto
alle 4 cariche negative del DPG, a pH fisiologico, a causa del
gruppo C=O dell’acido glicerico e ai radicali fosforici in posizione 2
e 3, mentre tra le catene β dell’Hb ci sono 3 gruppi carichi positivi
a sinistra e 3 a destra negativi, grazie alla presenza dei gruppi
amminici. Ecco spiegato il perché delle interazioni ioniche.

Nella Hb fetale le catene β sono sostituite dalle γ, che hanno solo


4 cariche positive, in poche parole, un amminoacido basico delle
catene β, è sostituito da uno neutro nella catena γ. Quindi, si capì che il sangue conservato nelle
sacche, dopo un determinato tempo non poteva essere più usato a causa della diminuzione di DPG
nel sangue, con spostamento dell’equilibrio a destra, con mancato rilascio di O2. Il problema non si
risolse nemmeno aggiungendo una quantità in eccesso di DPG nelle sacche, perché nelle membrane
eritrocitarie, non vi è un enzima traslocasi per trasportare il DPG aggiunto dall’esterno verso
l’eritrocita, a causa del fatto che è un composto carico. Allora si è deciso di aggiungere: glucosio,
carbonio e inosina o adenosina (sono entrambi dei nucleosidi).

L’inosina è formata da ipoxantina che è legata al ribosio; l’adenosina è formata da adenina legata al
ribosio. Questi composti non sono carichi, ma una minima parte di essi passa la membrana e dopo
reazioni produce il DPG. Oltre gli aspetti allosterici, anche la temperatura è funzione della
saturazione di O2: più bassa è la temperatura, più l’Hb si lega all’O2 e viceversa. Quindi, il gradiente
della temperatura è relativo all’affinità con l’ossigeno, ma essa non è un modulatore allosterico.
Ossigenazione e deossigenazione

Gli effettori allosterici negativi dell’emoglobina, non si vanno a legare in maniera casuale, ma si
legano a siti geneticamente codificati, perché queste proteine sono già geneticamente predisposte
per essere regolate. Il trifosfoglicerato ha un sito tra le due catene β, che lega tramite delle
interazioni elettrostatiche, sfruttando le 4 cariche negative a pH fisiologico e il sito che lo lega, è
dato da 3 amminoacidi con catena laterale contenente cariche positive, β1 β2. Il trifosfoglicerato si
lega alle catene, attraverso 2 legami salini, e stabilizza la forma T. Un effettore allosterico negativo
sposta l’equilibrio da R à T, che agisce legandosi in siti specifici; mentre un effettore allosterico
positivo sposta l’equilibrio da T à R, l’O2 è l’unico fattore allosterico positivo dell’emoglobina,
perché non solo si lega e fa da substrato, ma man mano che si lega favorisce gli altri legami. Quando
l’emoglobina a livello polmonare lega l’ossigeno, e passa dalla forma ossi alla forma deossi, tutte le
conformazioni, fanno si che lo spazio tra le due catene β si restringa e ciò comporta l’espulsione del
2,3-trifosfoglicerato. Quando siamo in alta montagna e noi aumentiamo la concentrazione del 2,3-
trifosfoglicerato, l’equilibrio è spostato verso sinistra, ovvero verso la forma ossigenata e viceversa.
Altri effettori allosterici negativi sono la CO2 e H+.

Funzione degli effettori allosterici


Perché l’O2 influenza il legame di Hb con sé stesso?
Analizziamo come, chimicamente, ogni unità del Hb s’influenza a vicenda. Se analizziamo le catene
α isolate, ognuna di esse si comporta come la Mb, senza cooperatività, mostrando curve iperboliche
in riferimento alla saturazione di O2; se, invece, analizziamo le catene β isolate, spontaneamente si
uniscono in un tetramero (β4), ma sempre senza mostrare cooperatività. I primi esperimenti fatti
nel 1937 resero evidente l’effetto cooperativo. Haurowritz, preparò cristalli di deossiemoglobina e
notò che i cristalli si frantumavano in presenza di ossigeno, ciò voleva dire che l’Hb in presenza di
O2 cambiava la propria struttura. Attraverso i raggi X, si vide che durante l’ossigenazione, lo spazio
tra le catene β si restringeva, e si vide come 2 sub-unità oscillavano di circa 15° rispetto alle altre 2.

Durante l’ossigenazione, avveniva una modifica del Hb, in un processo chiamato transizione
allosterica, ciò vale per ogni proteina allosterica, e le due forme della transizione vengono chiamate
forma T, meno attiva, e R (tesa e rilassata), più attiva. Le due forme del Hb sono la deossigenata e
l’ossigenata. Per la deossiemoglobina, si è visto, che tutti e 4 gli amminoacidi carbossiterminali delle
4 sub-unità sono immobilizzati da legami salini, mentre, nell’ossiemoglobina le 4 estremità sono
libere di muoversi.

L’amminoacido 141 della catena α1


terminale è un’arginina (aa basico), e si è
visto che nella deossiemoglobina si
formava un legame ionico come l’aa
iniziale dell’altra catena α2, inoltre,
avendo la catena –R carica positivamente
(ha un gruppo guanidico), poteva legarsi
ionicamente anche con il gruppo
carbossile dell’aa 126 dell’altra catena α2.
Quindi, le due catene α1 e α2, interagiscono le une con le altre. Simili interazioni avvengono per le
catene β: l’aa terminale della catena β, l’istidina (146, aa basico) forma un ponte salino con la lisina
40 dell’α2, mentre la β2 fa lo stesso con la lisina 40 dell’α2. L’istidina della β1, che ha un anello
imidazolico con carica positiva, forma un secondo ponte salino con l’asportato della stessa catena.
Da ciò si capisce che la deossiemoglobina si trova irrigidita da tali interazioni.

L’O2 è un effettore allosterico positivo, detto anche omotropico, perché funge anche da substrato,
rompe i legami salini, spostando l’equilibrio R⇄T verso la forma R. Durante l’’ossigenazione, si
rompono i legami salini, ciò è relativo al 6° legame di coordinazione del Fe. Se analizziamo la Hb
senza O2, il Fe è leggermente più in alto rispetto al piano dell’EME, diretto verso l’istidina prossimale,
a causa dei suoi 4e- spaiati. Quando arriva l’ossigeno, nel sesto legame coordinativo, a causa della
diminuzione del raggio atomico e vincendo la repulsione tra l’anello imidazolico e il piano dell’EME,
il Fe si posiziona planarmente. Così il Fe tira a sé l’istidinaF8 (HisF8), cui è legata, variando la struttura
terziaria delle sub-unità che si è ossigenata, causando la rottura dei legami ionici della quaternaria,
così facendo, la seconda sub-unità ha il gruppo EME più esposto all’ossigenazione, e ciò produrrà,
attraverso i legami con altri atomi di ossigeno, un effetto a catena che romperà tutti i legami ionici.

Quindi quando si ossigena la prima sub-unità, la molecola è sotto forma T, mentre quando si
ossigena la quarta, la molecola non è più compatta, ed è sotto forma R. Durante il posizionamento
planare del Fe, lo spostamento della catena produce l’espulsione della tirosina, il penultimo aa della
catena, a causa del mancato spazio per contenere il suo anello benzenico. Diciamo che, durante
l’ossigenazione, si rompono sempre più legami salini, così da facilitare l’accettazione di O2 man
mano che si va avanti, anche per questo l’ossigeno è un effettore allosterico positivo.

Perché il DPG influenza il rilascio di O2?


l DPG si lega solo alla deossiemoglobina, tra due catene β, con 6 cariche positive con le sue 4 cariche
negative. Le 6 cariche positive sono 3 per ogni catena, date dal gruppo amminico terminale delle
catene β, ovvero, la lisina EF6 (il 6° aa del segmento del gomito tra le catene E ed F) e l’istidina H21
(21° aa del segmento H). Il DPG forma, così, ulteriori legami salini che si rompono durante
l’ossigenazione, ma che prima di tale evento, stabilizzano la forma I della Hb. Quindi il suo ruolo di
modulatore allosterico negativo consiste nello stabilizzare la forma allosterica meno attiva (ogni
composto che sposta l’equilibrio R⇄T verso la forma I, è un modulatore allosterico negativo). Il DPG,
come la CO2 e l’H+, sono effettori allosterici eterotropici.

Perché la CO2 influenza il rilascio di O2?


Essa si lega all’Hb, ai gruppi amminici privi di carica, tramite la reazione:
R-NH2 + CO2 ⇄ R-NHCOO- + H+
Si passa così da carbonati a carboamminocomposti, così i gruppi amminici neutri adesso sono
negativi, si posizionano vicino altre cariche positive, formando altri legami salini, rafforzando la
forma T del Hb. Oltretutto, la CO2 svolge un’altra azione: essa è potenzialmente un acido e quando
si produce nelle cellule può entrare nell’eritrocita, e tramite l’enzima carbonico-anidrosi, produce
H2CO3:
CO2 + H2O ⇄ H2CO3
L’ H2CO3 si dissocia in HCO3 e H , così produce un altro effettore negativo, l’H+, che si somma a tutti
- +

gli altri H+ prodotti da altre reazioni:


H2CO3 ⇄ H+ + HCO3-

Perché gli H+ influenzano il rilascio di O2?


Da un punto di vista chimico, l’H+ si lega alla catena di aa con siti protonabili, i quali sono i residui di
istidina e i gruppi amminici terminali. Si è visto che per ogni mole di ossigeno che l’Hb lega ai
polmoni, stechiometricamente, si rilasciano circa 0,5 moli di H+ e viceversa a livello tessutale.
Quando l’Hb va nei tessuti, la maggiore perdita di H+ presente, può protonare l’His 146, terminale
nelle catene β, ciò fa si che il suo anello imidazolico assuma una carica positiva, e di conseguenza,
fa si che si possa legare all’asportato 94 della stessa catena, spostando l’equilibrio R⇄T verso la
forma T, aumentando il numero di ponti salini. Anche l’aa amminoterminale delle catene α
partecipa alla formazione di un ponte salino, questo perché il suo gruppo amminico è protonabile.
Quindi l’aumentata concentrazione idrogenionica favorisce la formazione dei ponti salini e favorisce
la forma T, legando gli H+, l’Hb funge da sistema tampone, infatti a livello tessutale funge da base
legando H+, al livello polmonare, funge da acido, rilasciandoli. Sono stati elaborati 2 modelli di
transizione allosterica:

Modelli della transazione T-R


Alcuni enzimi di fattori allosterici sono attivi in T e completamente attivi in R e viceversa. La
conversione da TàR e da RàT si chiama transizione allosterica. Sono stati dei prodotti dei modelli,
ovvero:

-Il modello concertato di Monod: In questo modello non esistono forme intermedie, e il modello
viene applicata all’emoglobina. La forma T sarebbe data dai quadratini, e la forma R da 4 cerchietti.
Secondo questo modello, R è del tutto nulla per questo il modello viene chiamato simmetrico,
perché mantiene la sua simmetricità costante. In base a questo modello, la transizione nasce da uno
spostamento di equilibri preesistenti, questo perché, osservando la figura i 4 quadratini vuoti e i 4
cerchietti vuoti, di conseguenza stiamo parlando di due emoglobine, una nella forma T e una nella
forma R, senza il legame con l’ossigeno. Osservando l’immagine, possiamo notare che la freccia che
va verso i quadrati è più grande, quella che va verso i cerchietti è più piccola. Essendo che esiste un
equilibrio preesistente, per cui, se l’emoglobina è deossigenata nel 99,9% lo troviamo sotto forma
di quadratini, ma non si esclude che in una molecola di ossiemoglobina possa essere nella forma R.
A mano a mano che si va legando l’ossigeno, si accorcia un poco la freccia che va verso l’alto, e si
allunga la freccia che va verso il basso, significa che i legami di una prima molecola, sposta un
equilibrio che preesisteva e che prima era spostato in un altro senso. Tuttavia, quando arriviamo
alla forma R, secondo questo modello, non escludiamo che ci possa essere una molecola nella forma
T. L’emoglobina non segue questo modello, e nemmeno l’altro. Il modello nasce per quegli enzimi
allosterici che lo seguono.

-La teoria di Koshland: Questo modello prevede che ci siano delle forme intermedie, e in assenza
del ligando, non ci sono degli equilibri preesistenti che vengono spostati, ma è il ligando che facilita
la transizione. In base questa forzatura applicata all’emoglobina, possiamo dire che inizialmente
essa segue la teoria di Koshland e dopo quella di Monod.

Il cerchio è il legame
con O2, il quadrato no.
Pian piano che O2 si
lega, si generano
strutture con
probabilità maggiori di legare altro O2. I numeri sotto sono i nomi ipotizzati per le specie intermedie
del modello di Koshland.
Tamponi biologici
Il tampone biologico più importante nel nostro sangue è la coppia HCO3-/H2CO3, ma indirettamente,
contribuisce a questo sistema tampone l’emoglobina che ha donato protoni, perché il pH del nostro
sangue che è circa 7,4, è necessario che il rapporto HCO3-/H2CO3 o anche CO2, sia di 20:1 e deve
mantenersi costante, senza variazione significativa. Questo rapporto c’è perché l’emoglobina ha
drenato gli ioni H+. Un altro tampone biologico, che agisce a livello renale è quello dei fosfati H2PO4-
/HPO42- che ha un pka circa di 6, ed è vicino al pH fisiologico del sangue. Un’alcalosi respiratoria,
ovvero iperventilazione, accade quando si scende sott’acqua, che serve per alcalinizzare il nostro
sangue in maniera tale, che possiamo resistere di più sott’acqua.

Sistemi tampone fisiologici

Come sappiamo, un eritrocita, nei tessuti periferici, viene influenzato dalla quantità di CO2 presente.
Dopo aver rilasciato l’ossigeno, l’anidride carbonica si diffonde nei vasi, entra nell’eritrocita e, grazie
alla carbonico-anidrosi, di cui si è parlato prima, si scinde secondo la reazione:
CO2 + H2O ⇄ H2CO3

Grazie all’Hb, per la reazione H2CO3 ⇄ H+ + HCO3-, sottraendo l’H+ ai siti in questione, l’equilibrio si
sposta verso destra, cioè verso la dissociazione del H2CO3 (ricordiamo che i siti protonabili citati
erano l’His 146 delle catene β e l’aa dell’ammina terminale delle catene α). Così HCO3- annienta la
concentrazione all’interno dell’eritrocita e attraverso il plasma, avviene il trasporto degli anioni,
ovvero, per ogni HCO3-, che a causa del gradiente di concentrazione, va nel plasma, uno degli anioni,
Cl-, entra nella cellula. Ciò fa si, che la CO2 prodotta dai siti periferici, viene convertita in ione HCO3-
, che raggiungerà, attraverso il sangue, i polmoni.
Il trasporto di CO2, sotto forma di HCO3-, prende il nome di trasporto isoidrico (una aliquota di CO2
va ai polmoni come gas disciolto, ma è solo il 3-4%, perché se tutta l’anidride carbonica fosse
trasportata come gas, si creerebbero emboli che potrebbero portare alla morte; ad evitare ciò è
l’Hb). A livello polmonare, l’Hb, libera H+ formando H2CO3, a causa dell’equilibrio sopra mostrato, il
quale grazie alla carbonico-anidrosi, produrrà CO2 liberandola a livello polmonare. Si libera anche
H2O, e durante il processo, diminuendo la concentrazione intro-eritrocitoria di HCO3-, quest’ultima
passa dentro l’eritrocita, dal plasma, e il Cl- passa dall’eritrocita al plasma, a causa del gradiente di
concentrazione. Questa è la funzione tampone svolta dall’Hb.

Quali altri fattori regolano il mantenimento del pH nelle cellule?


La regolazione del pH è importante per le funzioni svolte da molti enzimi e per molte proteine, il
cui stato di ionizzazione è variabile. Ricordiamo che l’omeostasi cellulare è quella funzione che ha
lo scopo di mantenere in equilibrio le varie funzioni dell’organismo. Se il pH fisiologico (7,4) si
abbassasse, ciò causerebbe acidosi. L’alcalosi è il processo inverso. I sistemi tamponi fisiologici più
importanti sono:

1) Bicarbonati, cioè il rapporto HCO3-/H2CO3. Sappiamo che la CO2 viene trasportata per il 15% come
carbonati, per il 5% o meno sotto forma di gas disciolto e per il restante 80% sotto forma di HCO3-.
Il pH a 7,4 si raggiunge quando il rapporto HCO3-/H2CO3 è di 20:1, ciò vuol dire che se aumentiamo
H+, una quota di HCO3-, si converte in H2CO3, viceversa nell’alcalosi. Questo è il tampone principale
del nostro corpo (sempre grazie all’azione del Hb). Se ci riferiamo, invece, all’Hb, parliamo di
acidosi/alcalosi respiratoria, ma abbiamo anche l’acidosi/alcalosi generata da un diabete
scompensato, o a causa di un digiuno o a causa della produzione di elementi acidi come i corpi
chetonici (acidosi metabolica).
Analizziamo l’acidosi/alcalosi respiratoria:
-Acidosi respiratoria: Sappiamo che eliminiamo CO2 a livello polmonare. Se il corpo va incontro a
ipoventilazione, a causa di determinati traumi, aumenta nel corpo la CO2 non eliminata, ciò causa
l’aumento del rapporto HCO3-/H2CO3. In queste condizioni, il rene compensa l’ipoventilazione
assorbendo più HCO3- a livello del tubo renale ed eliminando H2PO4- (curva di acidosi).
-Alcalosi respiratoria: Se il corpo va incontro a iperventilazione, viene eliminata più CO2 e il rapporto
HCO3-/H2CO3 diminuisce, anche in questo caso sarà il rene a compensare.

2) Fosfati, agiscono a livello renale, l’H3PO4 può instaurare i seguenti equilibri:


H3PO4 ⇄ H2PO4- ⇄ HPO42- ⇄ PO43-
La coppia tampone che funzione a livello fisiologico è H2PO4-/HPO42-, avendo un pka2=6,3 vicino al
valore fisiologico. A livello renale se tendiamo all’acidosi, si elimina H2PO4-, se tendiamo all’alcalosi
eliminiamo HPO42-.

3) Proteine, avendo gruppi protonabili, in minima parte partecipano alla regolazione del pH.

Carbossiemoglobina e metaemoglobina

Quando l’Hb lega CO parliamo di carbossiemoglobina (ricordiamo che il CO lega in alternativa l’O2
al 6° legame del Fe, mentre la CO2 si lega ai gruppi amminici privi di carica nella parte proteica
dell’Hb). Se immaginassimo che l’Hb avesse contemporaneamente 2 molecole di CO e 2 di O2 nel
sangue, ciò produrrebbe problemi per l’effetto allosterico negativo: infatti, visto che l’affinità Hb/CO
è di gran lunga maggiore rispetto a quella di Hb/O2, l’Hb non lascerebbe andare la CO e di
conseguenza nemmeno l’O2, così l’Hb resta nella forma R, che in questo caso non è un fatto positivo.
La metaemoglobina è l’Hb che presenta il Fe2+ dell’EME ossidato a Fe3+, dove l’EME non riesce a
tenere bene l’O2, così vi è una 3° carica positiva che richiede un anione, come Cl-, o si deve legare
all’acqua. Tuttavia, nell’eritrocita vi è un sistema “metaemoglobina-reduttasi”, dove come agenti
riducenti si possono usare il NADPH. L’eccesso di metaemoglobina è dato dal mancato
funzionamento di quest’ultimo. In ospedale, permettere la formazione di metaemoglobina, è utile
nel caso di avvelenamento di CN-, che legandosi al citocromo ossidasi, ultimo enzima della catena
respiratoria, blocca la formazione di ATP. La metaemoglobina può legare il CN-, sottraendolo alla
citocromo-ossidasi formando la ciano-meta-emoglobina, prodotto non tossico.

Emoglobine patologiche
Sono state evidenziate circa 500 emoglobine patologiche, cioè che hanno subito mutazioni alle
catene α e β a causa della sostituzione di un aa con un altro. In realtà, non tutte provocano problemi
all’organismo, a causa del fatto della sostituzione che avviene. Alcune invece, danno problemi seri
e una di queste è l’Hb legata all’anemia falciforme. Le talassemie non sono Hb patologiche, perché
legate a mutazioni geniche dovute alla mancata genesi di una catena α e β, e non alla sostituzione
di un aa con un altro. L’HbS, dell’anemia falciforme, è legata ad una forma a falce di globuli rossi a
livello capillare. È causata dalla sostituzione di un residuo di acido glutamminico (idrofilico), con un
residuo di valina (idrofobica) nella posizione 6 delle catene β. Quando l’Hb va dalla ossi- alla deossi-
, so produce un impilamento delle molecole di Hb che produce nei capillari periferici la forma a falce,
causando una minore solubilità nella deossiemoglobina HbS, rispetto alla forma deossi-HbA (il
fenomeno di formazione del polimero che prende il nome di sicring).
Negli individui omozigoti si pone il problema, mentre gli eterozigoti sono prevalentemente portatori
sani. L’evento di impilamento si ha quando l’Hb va dai polmoni ai tessuti in cui rilascia O2 e passa
alla forma deossi. A causa della sostituzione avvenuta sulla superficie dell’Hb, essa reagisce con
un’altra molecola del Hb tramite le zone di sostituzione chiamato punto appiccicoso, verso un’altra
aa presente normalmente nell’Hb, attraverso interazioni idrofobiche, causando la polimerizzazione.
L’aggregato molecolare allora precipita, causando la forma a falce nell’eritrocita. Esso produce la
mancanza dell’elasticità normalmente posseduta e la tendenza a occludere i vasi sanguigni,
oltretutto i globuli rossi diventano deboli e la loro membrana tende a rompersi (anemia= mancanza
di eritrociti). Questa patologia è presente soprattutto nelle persone di colore, a causa della presenza
di portatori sani (eterozigoti) che non hanno i problemi di cui risentono i veri malati. Essi, a
differenza dei totalmente sani, possono resistere alla malaria.

Nel tempo questo comportò una selezione, ecco perché in Africa, sono molte le persone che sono
portatori sani di HbS, perché diffondendosi, causava la morte dei malati di HbS, ma non dei
portatori. Un metodo per combattere l’anemia falciforme è alcalinizzare il sangue, così da
aumentare la quota di ossiemoglobina rispetto alla deossi. Visto che è proprio quest’ultima a
produrre il processo di impilamento, quando è presente l’HbS, la diminuzione di forma deossi,
impedirà il processo di polimerizzazione, ciò causa dei problemi respiratori, che verranno
compensati da una maggiore di Hb.

Sintesi dell’EME
L’eritrocita, avendo una vita breve, circa 100-120 giorni, è presente in un uomo di 70kg nella
quantità pari a 3x1018 eritrociti in 5L di sangue. Il corpo distrugge 3x106 eritrociti al secondo, e ogni
eritrocita ha 3x108 molecole di Hb. L’EME si produce negli eritrociti, nel midollo osseo, però essi non
sono ancora maturi, ovvero presentano ancora organelli. La sintesi dell’EME inizia nei mitocondri,
continua nel citosol e finisce nel mitocondrio. Alla base vi è la glicina che reagisce con il succinil-
CoA, grazie all’enzima ala sintetasi. Il succinil-CoA fa parte del ciclo di Krebs ma può sfuggire al ciclo
e andare incontro a due processi metabolici: il primo è la partecipazione alla sintesi dei corpi
chetonici, dove diventa succinato e torna nel ciclo, il secondo è la sintesi dell’EME.

1. La prima tappa riguarda l’alasintetasi che lega la glicina e il succinil-CoA, il quale viene inibito
dall’EME. Quando l’ultimo prodotto subisce uno dei primi reagenti del processo, si parla di
retro-inibizione tipo feedback.

2. L’acido delta-aminalevulinico, formatosi nella prima parte del processo, esce dal
mitocondrio verso il citosol. Le due molecole di acido delta-aminalevulinico, attraverso
l’enzima aladeidrotasi, formando il porfobilinogeno (PBG) rilasciando H2O, il quale presenta
un anello pinolico. La produzione di PBG è influenzata dalla presenza di metalli pesanti come
il Pb, che influenza l’azione dell’aladeidrotasi. Ottenute 4 molecole di PBG, dopo
deamminazione, si ottiene un uroporfirina; la decarbossilazione successiva ci darà una
coproporfina.

3. La coproporfina entra nel mitocondrio e attraverso varie ossidazioni e decarbossilazioni si


ottiene la protoporfina-9 che subirà l’inserimento di Fe da parte dell’enzima ferrochelatasi
espellendo 2 protoni.
Degradazione del gruppo EME
Quando un eritrocita completa il suo corso, viene eliminato dagli organi emocateretici, coma la
milza, il fegato, ma il tutto avviene anche nel midollo osseo. La degradazione dell’Hb comporta il
recupero degli aa, in buona parte (l’Hb viene degradato da enzimi proteolitici a livello lisosomiale).
Dall’EME bisogna recuperare il Fe, esso è un elemento prezioso tra le proteine che ne impediscono
la perdita, come la transferrina che lo porta in circolo impedendo la sua filtrazione renale.
L’emopressina, un α2-globulina, che evita la perdita dell’EME; l’aptoglobina lega l’Hb in uscita dagli
eritrociti per evitare la perdita attraverso il flusso renale.
La prima reazione della degradazione dell’EME riguarda l’emeossigenosi, un enzima, che in presenza
di O2, un citocromo e un agente riducente, il NADH, rompe un ponte metinico, portando ad una
struttura tetropirrolica aperta, e il ponte metinico rotto fuoriesce come CO. L’apertura dell’EME
genera un composto chiamato biliverdina, che attraverso la biliverdina-reduttasi (riduzione NADH
dipendente) che sposta due idrogeni, formando bilirubina. Biliverdina e bilirubina sono i
componenti biliari, cioè prodotti dal catabolismo dell’EME, da eliminare (da non confondere con
acidi e basi biliari che sono prodotti dal catabolismo del colesterolo e sono da recuperare). Pigmenti
biliari come bilirubina influenzava il colore e l’odore di feci e urina. La bilirubina è altamente
liposolubile e relativamente tossica, e viene trasportata dai tessuti extraepatici al fegato che si
occupa del suo smaltimento, attraverso le albumine, che le rendono idrosolubile, li avviene la
glucuronico-coniugazione della bilirubina, attraverso l’acido glucuronico (derivato dal glucosio).

L’acido glucuronico nasce ossidando il gruppo –OH del glucosio in posizione 6. Nel nostro corpo in
realtà non vi è l’enzima che produce quest’ultima reazione, ma vi è un altro enzima, il quale
trasforma l’UDP-glucosio (il glucosio legato a questo nucleotide) in UDP-glucuronica.
Quest’ultimo attraverso l’UDP-glucuronil-transferasi che si lega ai residui propionici di quello che
era l’EME, formando la bilirubina-diglicuronide. La glucuronio-coniugazione è un processo di
detossificazione ottenuto dal fegato, il quale agisce sia su prodotti di derivazione endogena che
esogena. La bilirubina-diglicuronide adesso è idrosolubile, ma nell’intestino e attraverso i batteri
della flora batterica che staccano l’acido glucuronico della bilirubina e la convertono in
urobilinogeno che finisce nelle urine e diventa urobilina, colorando di giallo le urine. L’urobilinogeno
non riassorbito, diviene stercobilinogeno, poi stercobilina e viene eliminato con le feci,
conferendone il colore caratteristico. L’aumentata concentrazione di bilirubina in circolo causa il
fenomeno chiamato ittero.

I bambini, nei primi giorni di vita, possono presentare un ittero neonatale a causa della mancata
quantità necessaria di enzima glucuronil-transferasi, così vi è un normale ittero che viene eliminato
automaticamente dopo circa 10 giorni, grazie alla produzione di maggior enzima. Abbiamo detto
che la bilirubina si trova nel corpo sotto 2 forme: trasportata dalle albumine (indiretta) e glucurono-
coniugata (diretta). I termini diretta e indiretta nascono dal fatto che una è direttamente rilevabile,
e l’altra necessita di particolari accorgimenti per la sua rivelazione, come l’uso di alcol. La divisione
serve perché dosando la bilirubina nel sangue, permette di definire il tipo di ittero che è diviso in:
⁃ Pre-epatico: È dato da un emolisi massiva (rottura degli eritrociti), che causa l’aumento di
Hb da degradare e quindi, ciò causa l’aumento di bilirubina in circolo, quasi esclusivamente
nella forma indiretta;
⁃ Epatico: Nasce a causa di un danno epatico, dove non si riesce più a portare a termine la
glicurano-coniguazione (cirrosi epatica) e anche in questo caso si trova in circolo la bilirubina
indiretta;
⁃ Post-epatico: È generato dalle occlusioni delle vie biliari, dove la bilirubina analizzata è quella
diretta, che non potendo andare nell’intestino, rientra in circolo.
Enzimi
Quasi tutte le reazioni del corpo vengono catalizzate dagli enzimi. Il catalizzatore velocizza la
reazione, come sappiamo, in tempi biocompatibili. Alla fine della reazione, un enzima non si
degrada, ma rientra in circolo per svolgere ancora il suo ruolo. Gli enzimi possono essere di natura
proteica e non, quest’ultimi sono filamenti singoli di RNA ad attività catalitica, chiamati ribozimi,
che si pensa che fossero i catalizzatori iniziali dell’uomo, poi sostituiti da quelli proteici. Un enzima
funge come un catalizzatore qualsiasi:

La reazione esoergonica presenta una determinata energia di


attivazione, che si abbassa in presenza di un catalizzatore, così
saranno maggiori le particelle che produrranno la suddetta
reazione, assumendo lo stato transitorio.

Tuttavia, gli enzimi sono diversi dai catalizzatori chimici generali:


⁃ Hanno un potere catalitico enormemente maggiore, velocizzando la reazione;
⁃ Hanno un enorme specificità, molte volte assoluta, e stereospecificità, svolgendo l’azione
solo per un determinato isomero;
⁃ Possono essere regolati e reagiscono in condizioni moderate di temperatura, pH, e
pressione;
⁃ Possono variare al variare delle concentrazioni dei substrati, al variare di modulatori
allosterici, attraverso un controllo genico, attraverso l’interazione con proteine regolatrici,
attraverso tagli proteolitici reversibili, attraverso modifiche covalenti.

Gli enzimi vengono codificati da 4 numeri (codice enzimatico), normalmente gli enzimi hanno il
suffisso –asi, e nel nome descrivono il substrato relativo e la reazione catalizzata (la lattico-
deidrogenosi deidrogena l’acido lattico formando l’acido piruvico). Gli enzimi sono stati suddivisi in
6 classi, quindi il primo dei 4 numeri del codice enzimatico è compreso tra 1 e 6, il secondo numero
indica la sottoclasse, il terzo la sotto-sottoclasse e il quarto indica la cronologia di inserimento nel
codice enzimatico. Le classi principali sono:

1. Ossidoreduttasi à Catalizzano le redox. Tra le sottoclassi abbiamo: deidrogenosi, ossidosi,


ossigenosi, perossidosi.

2. Transferasi à Catalizzano il trasferimento di gruppi chimici da un donatore a un accettore.


Le sottoclassi sono: transaminasi, transacilasi, transglicosidasi, transfosforilasi, transmetilasi,
a seconda del gruppo chimico trasferito. Interessanti sono le transfosforilasi, che
trasferiscono un gruppo fosforico tra le sotto-sottoclassi di queste, abbiamo le chinasi che
catalizzano la fosforilazione di un substrato e ha come donatore l’ATP. La reazione è:
ATP + X ⇄ ADP + XFosfato
3. Idrolasi à Catalizzano le idrolisi, in cui l’accettore dei gruppi scissi è l’acqua. Tra le
sottoclassi vi sono le fosfotasi, glicosidasi, peptidasi lepasi, amidasi. Interessanti sono le
fosfatasi: esse catalizzano reazioni opposte a quelle catalizzate dalle chinasi. Infatti le
reazioni catalizzate dalle chinasi sono reversibili. Ad esempio la glucochinasi catalizza la
reazione:
ATP + Glucosio ⇄ ADP + Glucosio-6-fosfato
Tale reazione è termodinamicamente irreversibile, ma biologicamente reversibile, cioè
ottenuto il glucosio-6-fosfato si può riottenere glucosio libero attraverso la glucosio-6-
fosfotasi. Quindi le fosfotasi idrolizzano radicali fosforici ottenuti dalle chinasi o altre
reazioni.

4. Liasi à Catalizzano la rottura di legami C-C, C-O, C-N, senza avere reazioni ossidative, ne
idrolitiche. Tra le sottoclassi vi sono le decarbossilasi.

5. Isomerasi à Catalizzano reazioni di isomerizzazione. Tra le sottoclassi vi sono le


cistransismorasi, transferasi intramolecolari.

6. Ligasi o sintetasi à Catalizzano i processi anabolici, dove da piccole molecole ne


otteniamo di più complesse. Tali reazioni termodinamicamente sfavorite sfruttano ATP.

Il primo evento di una reazione enzimatica è la formazione del complesso enzima-substrato:


E + S ⇄ ES ⇄ E + P
L’esistenza di ES è stata dimostrata osservando il tutto con la cristallografia a raggi X o tramite il
microscopio elettronico (per enzimi che hanno substrati della loro grandezza o più grandi, come il
DNA-polimerasi, glicogeno-sintetasi o glicogeno-fosforilasi). Questa è un’osservazione diretta, ma
anche indirettamente si può fare, analizzando per esempio la variazione delle proprietà fisiche
dell’enzima, nella formazione del complesso ES, o attraverso l’analisi della variazione di
caratteristiche spettroscopiche dell’enzima stesso.

La vera prima prova indiretta dell’esistenza di ES fu la


realizzazione di un grafico nel quale si è visto che
all’aumentare di S, aumenta la velocità della reazione in
maniera lineare, senza catalisi enzimatica. In presenza di un
enzima invece, all’aumentare di S, la velocità aumenta in
maniera esponenziale, attraverso un’iperbole, dove abbiamo
una variazione degli ordini cinetici, partendo da una situazione
dove S e velocità sono correlati linearmente, fino ad arrivare
ad una reazione di ordine 0, in cui la velocità non dipende più
da S; tale velocità prende il nome di v-max, dove all’aumentare
di S la velocità non aumenta più. Il raggiungimento di v-max è
dato dall’effetto saturazione, quella fase in cui tutto l’enzima
è coinvolto nella catalisi a causa di un valore elevato di S e quindi non si possono raggiungere
velocità maggiori. Ovviamente v-max è solo un valore ipotetico, in cui S tende a infinito, quindi non
raggiungibile in laboratorio. In una reazione enzimatica, la velocità può misurarsi analizzando la
comparsa di prodotti nel tempo, o la scomparsa del substrato nel tempo. Teoricamente, è uguale
ma praticamente è diverso.

Se in laboratorio analizzassimo la catalisi enzimatica e vediamo una certa quantità di substrato, pari
ad esempio 100, e dopo un certo periodo se ne consuma una quantità di 1 o 2, arrivando a 99 o 98,
clinicamente non è possibile riuscire a dividere il risultato finale della quantità iniziale, visto che le
2 concentrazioni (100 e 99) sono simili. Molto più facile è, invece, analizzare la formazione di
prodotto nel tempo, supponendo che esso sia 0 all’inizio, perché mentre nel caso di substrato vi è
una differenza, tra 100 e 99 del 2% circa (i valori sono simili), nel caso del prodotto la differenza tra
0 e 1, cioè la comparsa di prodotto è del 100%.

La formazione del complesso ES si analizza nel sito attivo, presente nella proteina ligante, che è
l’enzima stesso, grazie al ripiegamento della struttura terziaria, costituita in quel punto da gruppi
chimici affini a quella della proteina da legare. Il sito attivo di una proteina qualsiasi riconosce una
specie X e la rilascia in un determinato punto dell’organismo in base della legge di azione di massa,
cioè in base alla concentrazione della specie interessata e in base all’affinità tra proteina e specie
target: l’affinità proteina-target è una costante, le concentrazioni sono delle variabili e al diminuire
di tale variabile, si favorisce il rilascio di X nel sito. L’enzima è più complesso. Il sito attivo dell’enzima
invece, lega la specie X, ma la rilascia come Y, dopo una serie di trasformazioni, a causa della
presenza di gruppi chimici con funzioni diverse nel sito attivo, divisi in:
⁃ Gruppi di riconoscimento, responsabile del legame e del riconoscimento del substrato
⁃ Gruppi catalitici, partecipanti direttamente alla formazione e rottura dei legami chimici.

Vedremo che, tra 20 aa proteici, tutti possono partecipare alla funzione di riconoscimento, ma non
tutti alla funzione catalitica, bensì solo quelli che presentano nelle catene –R gruppi chimici tali da
formare o rompere legami. Le proprietà del sito attivo sono:
1. Occupano una parte relativamente piccola della molecola enzimatica, quindi pochi aa
formano tale porzione (circa il 5% di una catena polipeptidica, dove il restante 95% è causa
della nascita e struttura del sito attivo, ogni aa contribuisce all’enzima totale). Interessante
è dire che, nel sito attivo, maggiore è il numero di interazioni che si forma, più grande sarà il
ΔG guadagnato a più facilmente si abbassa l’energia di attivazione, e quindi più velocemente
decorre la reazione;
2. Hanno una struttura tridimensionale e ciò spiega la stereospecificità e la specialità assoluta
di molti enzimi, il che ci porta a dire che i legami relativi all’interfaccia enzima-substrato non
stanno su nessun punto, nessuna linea e nessun piano;
3. Si lega al substrato in base a legami deboli, dove, ripetiamo, maggiori sono i legami, maggiori
sono sia l’affinità che il ΔG guadagnato per abbassare la barriera energetica d’attivazione;
4. Raggiungono il CORE idrofobico della proteina enzima, che si realizza grazie alla presenza di
una struttura terziaria, dove la formazione di legami ionici può essere rafforzata o indebolita,
per spostamenti minimi della proteina stessa;
5. La loro specialità dipende dagli atomi da cui è formato, e maggiore è il numero di contatti
enzima-substrato, maggiore è la specificità
6. La loro affinità è relativa, oltre che al numero di legami, anche alla forza dei legami stessi.
Essa, vedremo, viene analizzata sperimentalmente in base alla costante di Michaelis-Menten
(KM), e maggiore è l’affinità enzima-substrato minore è la concentrazione di substrato
richiesta affinché la reazione possa avvenire.

Uno dei primi modelli proposti per gli enzimi era quello di Fischer, il modello chiave-serratura,
l’enzima rappresentava la serratura e il substrato rappresentava l’enzima. Questo modello non è
molto funzionale come invece lo è il modello dell’adattamento indotto. In questo si ha una certa
tendenza, da parte del sito attivo, a riconoscere il substrato e a formare determinati legami chimici.
Il primo modello non funziona bene poiché si dovrebbe avere una perfetta compatibilità, tra enzima
e substrato, non permessa dai legami chimici che destabilizzano il substrato. l’enzima in base alle
modificazioni strutturali che subisce, di fatto, non stabilizza il substrato ma il suo stato di transizione.
Tutto ciò può essere spiegato tramite l’enzima metallasi (CHE NON ESISTE).

Stato di transizione = momento molecolare transitorio in cui alcuni eventi (rottura o formazione di
un legame, comparsa di carica) devono procedere fino al punto in cui il composto può diventare
prodotto o tornare substrato
L’enzima stabilizza l’intermedio instabile e determina i suoi effetti combinandosi temporaneamente
con i reagenti in modo da promuovere il loro ingresso nella condizione reattiva dello stato di
transizione.

Sappiamo quindi che questi enzimi sono catalizzatori potenti, e sappiamo che abbassa l’energia di
attivazione dei substrati. Ma quali sono i vari fattori che influenzano l’abbassamento dell’energia di
attivazione?
- Perdita di entropia: la formazione del complesso ES da orgine ad una perdita di entropia.
Prima di legarsi E ed S possono muoversi liberamente con moti di traslazione e rotazione. Al
loro confronto la struttura ES è molto più ordinata e quindi a più bassa entropia;
- Perdita di H2O di idratazione: nella formazione del complesso ES, i substrati perdono le
molecole di acqua di idratazione. La desolvatazione aumenta l’energia del complesso ES
rendendolo più reattivo;
- Destabilizzazione elettrostatica: la destabilizzazione elettrostatica del substrato può
derivare dalla presenza di cariche dello stesso segno nel sito attivo. Se tale repulsione di
cariche avviene nel corso della reazione, la destabilizzazione elettrostatica può provocare un
aumento della velocità di reazione.

I meccanismi generali della catalisi enzimatica


Catalisi acido-base: la catalisi acida generale è il processo in cui il trasferimento temporaneo di un
protone da un raggruppamento acido abbassa l’energia libera dello stato di transizione di una
reazione. La catalisi basica generale implica un aumento della velocità per sottrazione temporanea
di un protone da parte di una base. È un meccanismo enzimatico comunemente impiegato grazie
alla capacità di un enzima di sistemare alcuni gruppi catalitici in prossimità dei corrispettivi substrati.

NB. Tutti e 20 gli aa possono contribuire a dare gruppi di riconoscimento, per quanto riguarda i
gruppi catalitici, solo alcuni aa possono partecipare.
Relativamente alla catalisi acida abbiamo: acido glutammico e acido aspartico, lisina e arginina,
citosina, istidina, serina e tirosina.

Catalisi covalente: questa implica un aumento della velocità di reazione mediante formazione
transitoria di un legame covalente tra gruppi catalitici dell’enzima e il substrato. è detta catalisi
nucleofila, perché il legame covalente di forma grazie alla reazione di un gruppo nucleofilo (che
dona doppietti elettronici) presente sull’enzima e un gruppo elettrofilo (che accetta i doppietti
elettronici) sul substrato. Durante questo tipo di catalisi l’enzima sottrae o dona al substrato un
gruppo chimico (diverso dal protone) per poi cederlo o recuperarlo da un secondo substrato.

Buoni gruppi nucleofili: azoto imidazolico dell’istidina; ammino gruppo della lisina; gruppo tiolico
della cisteina; gruppo -OH della serina; gruppo -COOH del glutammico o aspartico.

Catalisi favorita da ioni metallici: nei metalloenzimi (enzimi che richiedono ioni metallici come
cofattori) gli ioni metallici partecipano alla catalisi attraverso tre modalità differenti:
1. Si legano al substrato in modo da orientarlo correttamente per la reazione;
2. Partecipano a reazione REDOX mediante il cambiamento reversibile del numero di
ossidazione dello ione metallico;
3. Stabilizzano elettrostaticamente o proteggono le cariche negative.

Effetti dell’enzima sul substrato


Prossimità: nelle reazioni biomolecolari l’enzima lega e trattiene vicine le molecole dei substrati (o
parti di essi) che altrimenti sarebbero libere di muoversi nella soluzione. Il risultato è l’aumento
localizzato della concentrazione e il conseguente aumento della velocità di reazione.

Orientamento: l’enzima lega, trattiene le molecole e le dispone in modo da porre nella posizione
ottimale gli atomi dei substrati che devono reagire creando la corretta angolazione.

Gli effetti prossimità e orientamento si hanno anche per i gruppi catalitici dell’enzima. Nella reazione
non catalizzata, essendo l’urto tra le molecole casuale, risulta poco probabile che avvenga anche
con l’opportuno orientamento.

Orientamento degli orbitali: l’azione dell’enzima non è limitata al raggiungimento della posizione
ottimale fra gli atomi dei substrati ma consiste anche nell’allineare gli orbitali fino a porre gli atomi
che devono reagire nel giusto angolo di legame. Maggiore è la precisione nell’allineamento degli
orbitali, maggiore sarà la potenza catalitica dell’enzima. L’alta precisione nell’allineamento degli
orbitali indotto degli enzimi spiega perché piccole variazioni conformazionali delle molecole
enzimatiche siano associate ad alte variazioni dell’attività catalitica.

Secondo Koshland gli effetti prossimità e orientamento, sebbene contribuiscano ad aumentare la


velocità di reazione, non sarebbero sufficienti ad elevarla fino a 10^8 volte. Questo autore ritiene
che l’orientamento determinato dall’enzima sugli atomi che devono reagire (dell’enzima e del
substrato) non si limiti a porre gli atomi vicini e di fronte, ma sia molto più preciso ed arrivi ad
allineare gli orbitali fino a porre gli atomi che devono reagire nel giusto angolo di legame. Maggiore
sarà la precisione dell’allineamento maggiore sarà la potenza catalitica.
Fattori che regolano la velocità della reazione enzimatica
Prima di descrivere questi fattori bisogna dire che sono fattori regolati quando stiamo lavorando in
vitro.

- Concentrazione
se una concentrazione costante di enzima si fa reagire con
incrementate concentrazioni si substrati, risulta una
cinetica del tipo: gli enzimi esibiscono una cinetica di
saturazione, cioè la velocità aumenta con l’aumento di
concentrazione di S, ma raggiunge una velocità massima
(Vmax) quando l’enzima è saturato dal substrato.

Nella figura vediamo la velocità di reazione in funzione della


concentrazione di substrato di cui abbiamo parlato prima.

- Temperatura
Aumentando la temperatura aumenta l’energia cinetica e
quindi l’energia di attivazione. Si raggiunge un massimo in
cui comunque la velocità diminuisce, poiché l’enzima
essendo una proteina termolabile questa di denatura. Per
alcuni enzimi si è visto che comunque la temperatura
ottimale è di 40°C, anche se il nostro organismo è intorno
ai 37°C. Questo si spiega perché l’enzima vive di più con
temperature più basse, perciò lavora ad una temperatura
più bassa ma la sua vita media si allunga

- pH

Per alcuni enzimi piccole variazioni di pH possono portare a


grandi variazioni di velocità enzimatica.

Enzimi che contengono nella loro struttura molecole di natura non proteica
Alcuni enzimi sono dotati da una cosa diversa dalla sequenza aa, e quindi possono contenere metalli
o coenzimi.
- Oloenzimi = costituiti da una parte proteica (apoenzima) e una porzione non proteica
(cofattore o coenzima).

Quando il cofattore è un composto organico prende il nome di coenzima. Questa molecola è più o
meno legata alla componente proteica, alcune infatti sono legati tramite legami covalenti, in altri
casi si ha un legame temporaneo, attivo solo durante la reazione alla fine della quale si staccherà e
ritornerà ad essere il coenzima per un'altra reazione. Quindi possiamo fare questa differenza
all’interno dei coenzimi, la maggior parte sono saldamente legati e quindi sono veri e propri gruppi
prosterici, altri si liberano e diventare coenzimi di altri enzimi.
Queste molecole organiche derivano dalle vitamine, composti essenziali per il nostro organismo.
Coenzimi trasportatori di idrogeno
Questi intervengono in reazioni catalizzate da ossido-reduttasi. Questi coenzimi sono
fondamentalmente 3 e sono i coenzimi piridinici (NAD e NADP), i coenzimi flavinici (FAD e FMN) e
soltanto in 3 reazioni particolari l’acido lipoico.

Coenzimi piridinici
Il nicotinammide adenina dinucleotide (a cui ci si riferisce spesso con la formula NAD o NADH, a
seconda dello stato di ossidazione) o difosfopiridin nucleotide (DPN) è una biomolecola il cui ruolo
biologico consiste nel trasferire gli elettroni, quindi nel permettere le ossido-riduzioni. È
un coenzima ossidoriduttivo. Derivano dalla vitamina PP (vitamina B3 o niacina).
Il NAD è una struttura di-
nucleotidica. Il nucleotide
come sappiamo è formato
da una base azotata, da uno
zucchero e da uno o più
radicali solforici. In realtà
questo di-nucleotide ha un
nucleotide tipico (quello in
basso) legato al fosfato
dell’altro nucleotide che
non è un nucleotide tipico.
La differenza tra il NAD e
NADP sta nel fatto che il
NADP rispetto al NAD ha un
fosfato in più. Queste sono
le forme ossidate e
normalmente noi le
indichiamo con una carica
+ +
positiva, NAD e NADH , non perché la molecola nel suo complesso sia carica positivamente, ma con
questo più indichiamo l’azoto tetravalente dell’anello pirimidinico.
Quando il coenzima piridinico passa da una forma ossidata ad una forma ridotta, lega uno ione
idruro (un protone e due elettroni), allora questa carica positiva si perde e di fatto le forme ridotte
si chiamano NADH + H+. Lo ione idruro deriva da un substrato che è stato ossidato, ma questo in
realtà ha perso due ioni idrogeno, solo che uno di questi due protoni viene legato dal coenzima
piridinico.
Quando un coenzima piridinico si ossida:

S1H2 + E1NAD+ ßà S1 + E1NADH + H+

Il substrato s1 reagisce con un enzima che contiene il NAD, solitamente in una reazione reversibile,
il substrato viene ossidato per deidrogenazione perdendo due protoni, ma il NAD lega
semplicemente uno ione idruro. Quando poi questa reazione di ossidazione è finita questo NADH +
H+ si può staccare dall’enzima, perché è un coenzima che si è legato tramite interazioni deboli.
Questo una volta staccato può diventare il coenzima di un altro enzima, ma questa volta essendo
ridotto può partecipare a reazioni di riduzione del substrato, con la sua contemporanea ossidazione.

S2 + E2NADH + H+ ßà S2H2 + E2NAD+


Tutto questo vale anche per il NADP. Questi due coenzimi, NAD e NADP, nonostante partecipino
alle reazioni con lo stesso meccanismo, hanno ruoli completamente diversi

Meccanismo
Normalmente queste reazioni di deidrogenazioni vedono la sottrazione o la aggiunga di due atomi
di idrogeno allo stesso atomi di carbonio, e in particolare le reazioni catalizzate da queste
deidrogenasi vedono durante la reazione la trasformazione di un gruppo alcolico primario, che per
deidrogenazione diventa un gruppo aldeidico, o la trasformazione di un gruppo alcolico secondario
che per deidrogenazione diventa un gruppo chetonico.

Ruoli all’interno del metabolismo


Nonostante il meccanismo per questi enzimi sia lo stesso, il loro ruolo nel metabolismo è
fondamentalmente diverso. Le reazioni NAD dipendenti sono fondamentalmente reazioni che
avvengono nel mitocondrio, per cui durante la degradazione dei nutrienti, i processi
degradativi/metabolici si associano a ossidazioni, molte delle quali dipendenti da enzimi che
utilizzano coenzimi piridinici. La maggior parte delle reazioni NAD dipendenti si realizzano nel
mitocondrio.
Il NADH+H+ che deriva dall’ossidazione dei substrati, all’interno del mitocondrio, ha un destino ben
preciso, quello di accedere al primo complesso della catena respiratoria, che è quel processo che
porta alla formazione del grosso dell’ATP di cui abbiamo bisogno. Quindi il primo complesso della
catena respiratoria si chiama NADH-deidrogenasi. Normalmente all’interno di una cellula il rapporto
NAD/NADH è a favore del NAD, in modo da essere subito pronto per essere ridotto e
immediatamente ossidato dai complessi della catena respiratoria (fosforilazione ossidativa). Questo
è il ruolo fondamentale del NAD.
Il NADP ossida pure il substrato, solo che la maggior parte delle reazioni NADP dipendenti sono
citosoliche, nel citosol avvengono i principali processi biosintetici. Queste reazioni sono
accompagnate da reazioni riduttive. L’agente riducente per eccellenza nei processi biosintetici è il
NADPH+H+, non a caso nelle cellule noi troviamo questo secondo coenzima piridinico maggiormente
nella forma ridotta.
I coenzimi piridinici
Si può sfruttare il comportamento spettrofotometrico, non solo per valutare la deidrogenasi, che
sfrutta i coenzimi piridinici, ma per valutare anche enzimi che non sono deidrogenasi, che non
utilizzano coenzimi piridinici, ma che possono formare un prodotto utilizzabile da una deidrogenasi
che utilizza tali coenzimi. Per sfruttare la reazione di una transaminasi, sono degli enzimi che ci
dosano nel nostro sangue, il cui incremento di concentrazione è associato a patologie epatiche. Le
transaminasi che noi andiamo a dosare nel laboratorio di analisi sono essenzialmente due: la GOT
(glutammico ossalacetica transaminasi) e la GPT (glutamminico piruvica-transaminasi), esse sono
delle ammino-transferasi, appartengono alla seconda classe di enzimi e catalizzano una reazione
all’equilibrio, che vede l’intervento di un amminoacido che reagisce con un chetoacido,
l’amminoacido dona un gruppo amminico al chetoacido e il rapporto tra le costanti di velocità è
uguale a 1. I prodotti che si otterranno sono: dall’amminoacido donatore si forma il chetoacido
corrispondente e dal chetoacido accettore, si forma l’amminoacido corrispondente, quindi non
varia il loro rapporto. Il ruolo di questi enzimi è quello di equilibrare la reazione.
Osserviamo una reazione alanina transaminasi:
Come è fatto il kit di questo enzima? Esso comprende alanina e a-chetoglutarato, in elevate
concentrazioni perché dobbiamo essere sempre in condizioni saturate, comprende anche una
grande quantità di NADH+H+, contiene anche una grande quantità di lattico deidrogenasi estratta.
La reazione parte aggiungendo una quantità di
siero, a mano a mano che la reazione procede si
forma l’acido piruvico dell’alanina, ma siamo in
presenza di una grande quantità di NADH+H+ per
cui, durante la formazione dell’acido piruvico,
quest’ultimo reagisce con NADH e da origine
all’acido lattico + NAD+. In questa reazione,
intervengono due enzimi: la transaminasi che
vogliamo dosare nel campione biologico, ma la
velocità della reazione dipende anche dalla lattico-
deidrogenasi, che fa abbassare l’assorbanza. Ma il
kit prevede che ci sia una grande quantità di lattico
deidrogenasi, per annullare l’eventuale variazione
che ci potrebbe essere. Immaginiamo che il valore normale di lattico-deidrogenasi sia 1, il kit ne
contiene 100; supponiamo che in un determinato campione ne ha 101, in un campione alterato ne
ha il doppio, ovvero 202, ma non cambia nulla perché il kit ne contiene una quantità tale da far si
che le variazioni di lattico-deidrogenasi che sono presenti nei campioni, non inficino la velocità della
reazione. La potenzialità di laboratorio, che questa conoscenza ci da è
Con il sistema di una reazione accoppiata, stiamo sfruttando il diverso comportamento
spettrofotometrico dei coenzimi piridinici, non soltanto per dosare le deidrogenasi che utilizzano
coenzimi piridinici, ma anche per dosare enzimi il cui prodotto possa partecipare a una reazione
deidrogenasica che vede l’intervento di un coenzima piridinico, che sia il NAD o il NADP. È
importante che le variazioni di assorbanza siano costanti, perché solo così siamo sicuri di essere in
una reazione di ordine zero.

Coenzimi flavinici
Nelle vitamine noi distinguiamo due grandi gruppi:

• Le vitamine liposolubili: sono 4 e sono la vitamina A che ha un ruolo importante nella visione
crepuscolare e deriva dai caroteni; la vitamina D, non è una vera e propria vitamina, ma è un
ormone; la vitamina E sono degli antiossidanti; la vitamina K, che è un chinone.

• Le vitamine idrosolubili.
I coenzimi flavinici sono due: la FMN (flavin-mononucleotide) e il FAD (flavin-adenin-dinucleotide).
A differenza dei coenzimi piridinici, questi coenzimi sono più o meno saldamente legati alla
componente proteica, talvolta anche con legami covalenti.

Nella struttura della FMN vi è la presenza di un


anello isoallosazinico e dal ribitolo, un polialcol
a 5 atomi di carbonio. Vengono chiamati
nucleotidi perché nel ribitolo si cera una specie
di forzatura, come se fosse un ribosio. La FMN
si ottiene dalla riboflavina che è la vitamina B2,
ATP dipendente.

Il FAD è una struttura più complessa perché è


dinucleotidica, considerando come base
azotata l’anello isoallosazinico.

Come meccanismo classico delle deidrogenasi dipendenti dai coenzimi flavinici, gli atomi di
idrogeno vengono sottratti a due atomi di carbonio adiacenti, formando un doppio legame.
Questi coenzimi sono veri e propri gruppi prostetici, quindi, quando un enzima a FAD o FMN viene
ridotto, deve essere l’intero enzima che deve partecipare alla sua reossidazione.

L’acido lipoico
Esso è il terzo coenzima che interviene nelle reazioni di deidrogenazione.

L’acido lipoico non è una vera e propria vitamina, perché in realtà noi
possiamo produrlo in una certa misura. L’acido lipoico, è un acido
ottanoico, solo che a livello del carbonio 6 e del carbonio 8 (carbonio
W), ha due gruppi sulfidrilici quando è in forma ridotta oppure un
ponte disolfuro quando è in forma ossidata. Per cui questo composto
può comportarsi come un coenzima che può cedere o accettare
idrogeno. L’acido lipoico lega saldamente un enzima e oscilla tra la
forma ossidata e quella ridotta

Questo composto interviene soltanto in tre reazioni:

• Decarbossilazione ossidativa dell’acido piruvico;


• Decarbossilazione ossidativa dell’a-chetoglutarato;

• Decarbossilazione ossidativa dei cheto acidi a catena ramificata à Coinvolgono un processo


multienzimatico formato da tre enzimi e coinvolgono 5 cofattori contemporaneamente, uno
di questi è l’acido lipoico.

La vitamina B1, detta anche tiamina, è una


vitamina che gioca un ruolo importante nelle
stesse reazioni dove interviene l’acido
lipoico. La reazione di trasformazione da
enzima a coenzima è una reazione in cui la
vitamina reagisce con l’ATP e cede due
fosfati, cede un pirofosfato e si libera AMP,
la reazione prende il nome di
pirofosfochinasi e il prodotto ottenuto
prende il nome di difosfotiamina. La parte
attiva di questo enzima è l’anello diazolico,
che libera uno ione, formando un
carbanione ed esso può legare una serie di
molecole durante la fosforilazione
ossidativa.

La formazione del CoA è molto più complessa, è composto dall’acido pantotenico che è la vitamina.
Il gruppo reattivo importante è il gruppo sulfidrilico, SH-CoA. Tutti gli acidi grassi che devono essere
degradati a scopo ossidativo, o che devono servire per formare lipidi, sono metabolicamente attivi
esclusivamente sotto forma di acetiltioS-CoA. L’energia per la formazione del legame deriva dalla
scissione di ATP in AMP e pirofosfato, quindi tutte le volte che noi vogliamo attivare un acido grasso
e formare il suo corrispondente acetiltioS-CoA dobbiamo consumare una molecola di ATP ma, non
in una reazione dove l’ATP viene trasformato in ADP, ma in una reazione che trasforma l’ATP in
AMP, e ha un costo di due legami ad alta energia.

La vitamina B6 la possiamo trovare sotto tre forme:

• La piridossina o piridossolo e porta un gruppo aldeidico;


• La forma aldeidica, tridossale;
• La forma amminata, ovvero la piridossammina.

Tutte e tre le forme le possiamo trovare sotto forma fosforilata. La


vera forma coenzimatica è la forma aldeidica fosforilata. È la
vitamina principe nel metabolismo amminoacidico. Le transaminasi
sono PLP dipendenti, anche la glicina è PLP dipendente.
La vitamina H, detta anche biotina, è formata da un anello imidazolico e da uno tiofenico, legato a
sua volta ad una catena carboniosa a 5 atomi di carbonio ed è
saldamente legata a un residuo di lisina dell’apoenzima. Quando
questo composto viene degradato, il legame tra il carbossile della
biotina e del residuo di lisina è talmente forte, viene liberata la
biotina legata alla lisina, che prende il nome di biocitina. La
vitamina interviene nelle reazioni di carbossilazione. Il coenzima
attivo è quello che ha legato l’anidride carbonica, a formare il composto intermedio chiamato CO2-
biotina enzima. In questa reazione si consuma a monte una molecola di ATP. Questa vitamina viene
prodotta dai batteri della flora batterica.

L’acido folico, esso si trova nelle foglie e non soltanto. Ha una struttura abbastanza complessa, è
formata da un derivato della piridina, dall’acido
paraminabenzoico, esso è simile alla sulfanilamide, e da uno o
più residui di acido glutammico. La forma coenzematicamente
attiva è quella che ha in basso l’acido folico e in alto l’acido
tetraidrofolico, ovvero la trasformazione del folico in coenzima,
avviene in due tappe in cui si ha una doppia riduzione e sono
entrambe NADPH dipendente. L’acido folico inizialmente viene
ridotto a diidrofolico e ulteriormente ridotto a tetraidrofolico.
Questo coenzima interviene nel trasporto di unità
monocarboniose a vari livelli di ossidazione, ed è molto
importante anche nella sintesi dell’anello purinico, dove il carbonio 2 e quello 8, prevede
l’intervento dell’acido folico, quindi si ha una sintesi nucleotidica, ovvero sintesi di DNA ovvero
moltiplicazioni di cellule. Un’altra reazione importante è la trasformazione del diosso-NP in diosso-
TNP, essa è l’unica base azotata presente nel DNA. L’acido folico interviene anche nella sintesi di un
acido essenziale, ovvero della serina, glicina. Quest’acido non lo assumiamo, ma è prodotto dai
batteri, essi la sintetizzano e la sulfanilamide, che è un sulfanilamidico, è un inibitore competitivo
perché compete con il paramidebenzoico nella sintesi, per cui i sulfanilamidici ammazzano i batteri
e non disturbano le nostre cellule. In carenza di acido folico si andrebbe incontro a una forte anemia,
essa può essere responsabile della spina bifida che è la mancata chiusura del tubo neurale, per cui
alle donne incinte viene somministrato l’acido folico per prevenire il tutto.
Tra le unità monocarboniose a vario livello di ossidazione, si trova il metile, in realtà l’acido folico
non utilizza il metile nelle sue reazioni, ma altre unità monocarboniose. Trasporta il metile solo in
una reazione, l’acido folico è strettamente legato all’azione della metionina come agente metilante,
e si mette anche in mezzo un terzo reagente che è la vitamina B12. Per far si che la metionina agisca
come agente metilante, in una reazione ATP dipendente, in cui l’ATP cede l’adenosina e libera tutti
e tre i fosfati si forma la S-adenosin-metionina, che rappresenta l’agente metilante. In una metil-
transferasi specifica, si può generare l’omocisteina, ed essa può essere riconvertita in metionina e
quindi deve recuperare il metile che ha perso, e viene ceduto dall’acido folico sotto forma di metil-
tetraidro-folato. Ad esempio, nei batteri, l’acido folico, sotto forma di metil-tetraidro-folato cede
direttamente il metile all’omocisteina. Negli organismi superiori, uomo compreso, il metile viene
sempre ceduto dall’acido folico sotto forma di metil-tetraidro-folato ma non lo cede direttamente
alla metionina, ma lo passa prima alla vitamina B12, che può agire in forma metilata. Una forma
coenzimatica della vitamina B12 è la metil-cobalamina, di conseguenza l’acido folico cede il metile
alla cobalammide, che diventa metil-cobalamina ed essa lo cede alla omocisteina formando la
metionina. Questa è l’unica reazione dove la vitamina B12 interviene in forma metilata. La molecola
principe delle metilazioni è la metionina. Un incremento di omocisteina causa problemi
cardiocircolatori.

La vitamina B12 o cobalamina, ha una struttura tetrapirrolica per certi aspetti simile alla struttura
dell’EME, al centro vi è un atomo di cobalto, col 5° impegnato con il
benzimidazolo e nel 6° legame di coordinazione vi è un ossidrile o il
cianuro nella vitamina libera. Le forme coenzematicamente attive
sono o il metil-cobalamina o la 5-idrossi-adenosin-cobalamina, un
nucleoside. La metil-cobalamina interviene solo in due reazioni, una è
sopracitata l’altra è quando interviene nell’organismo del propionato.
Tuttavia, la sua manifestazione carenziale nelle anemie è da
ricondurre all’acido folico. L’anemia si può generare anche per un
male assorbimento della vitamina, per questo motivo questa vitamina
viene immessa nel nostro corpo tramite punture, l’assorbimento
prevede la presenza di una glicoproteina gastrica, prodotta dalla
parete dello stomaco, chiamato fattore intrinseco di Castle. La
vitamina B12, viene prodotta in maniera esclusiva solo dai batteri, ma
noi la introduciamo, anche, attraverso la carne.

La cinetica enzimatica
I parametri cinetici più importanti sono due:

• La KM o costante di Michaelis-Menten à Questa costante è un parametro che noi


possiamo misurare in laboratorio e corrisponde alla concentrazione di substrato in grado
di dare ½ VMAX Essa è espressione dell’affinità dell’enzima per il substrato, essa dipende
da una costante di velocità, la K1 e dipende dai gruppi di posizionamento. Ipotizzando
che una reazione enzimatica coinvolga un solo substrato e un solo prodotto, procede:
l’enzima si combina con il substrato dando l’enzima substrato, quest’ultimo per catalisi
interna da l’enzima prodotto che si decompone. Gli studi affrontati nel 1910 da
Michaelis-Menten, vengono fatti in regimi di Vi, ovvero la tangente all’inizio dell’iperbole
rettangolare che descrive tale cinetica, dove la concentrazione varia col tempo. Quando
la concentrazione dei composti presi in
esame, è bassa, il grado di formazione del
complesso-substrato dipende dall’affinità
dell’enzima con il substrato, che dipende
dal tipo di legame che si forma tra enzima e
substrato. Maggiore sarà l’affinità, minore
sarà la concentrazione del substrato
necessario per saturare l’enzima e
raggiungere VMAX. L’affinità tra un enzima
e il substrato si determina dalla KM che
indica il rapporto tra le costanti di
decomposizione e quelle di formazione
del complesso enzima-substrato. La
costante da cui dipende l’affinità
dell’enzima per il substrato è la K1,
maggiore sarà la K1 maggiore sarà
l’affinità. La costante responsabile del
potere catalitico è K3, ovvero nel momento in cui si è formato il complesso enzima-
substrato, tale potere dipende da questa costante. Quindi, affinità e potere catalitico
dipendono da costanti di velocità e gruppi chimici diversi, di conseguenza sono
indipendenti tra loro. La K1 dipende dai gruppi di posizionamento e la K3 da gruppi
catalitici. L’affinità noi la potremo conoscere dai valori di K1, ma non siamo stati in grado
di dare dei valori a queste costanti di velocità. Allora, gli scienziati hanno studiato un
processo matematico per arrivare a stabilire cosa si può calcolare. Mentre, nessuna delle
costanti di velocità è calcolabile, tramite dimostrazioni sperimentali, si può calcolare un
rapporto di tre costanti: (K2+K3)/K1. Loro hanno dimostrato che questo rapporto è
misurabile è che da la concentrazione del substrato che da un mezzo di max, facendo
delle prove di incubazione dove l’unica variabile è la concentrazione del substrato,
aumentandola fino a far raggiungere la curva una pseudo-saturazione. Quindi per ogni
valore di S vediamo a quanto corrisponde V, tracciamo la curva, tracciamo la retta che
asintoticamente corrisponde a VMAX, andiamo a metà che è ½ VMAX e vediamo a quanto
corrisponde la costante. Possiamo notare che nella formula K1 si trova a denominatore
e già possiamo dire che c’è un rapporto di proporzionalità inversa tra la KM e l’affinità.
Per semplicità si elimina il complesso EP, perché gli studi si compiono a condizioni di V
iniziale, quando virtualmente la concentrazione di P è trascurabile. L’enzima può esistere
in due stati, o liquido o sotto forma di complesso enzima-substrato. In presenza di
concentrazioni non saturanti, la velocità della reazione dipende da K3x(complesso
enzima-substrato). In presenza di concentrazioni saturanti del substrato, tutto l’enzima
è sotto forma di S, quindi K3xVMAX. Alcuni enzimi sono chiamati a equilibrio rapido, dove
K3 aveva un valore molto più basso di K2, e così facendo Michaelis-Menten levarono
anche il valore di K3 perché era trascurabile, dove la KM corrisponde alla costante di
dissociazione.
Nella fase iniziale S è grande e P è trascurabile, e si è notato che in tutte le reazioni
catalizzate da un enzima c’è un momento che la concentrazione di S raggiunge una
concentrazione costante, in quanto la velocità di formazione da E+S eguaglia la velocità
di decomposizione sia da ESàE+S e da ESàE+P, e questo momento viene chiamato
stato stazionario. La velocità di formazione corrisponde a K1xExS e la velocità di
evoluzione è K2xES+K3xES. La formula di Michaelis-Menten è Vi= VMAXxS/KMxS. Se noi a
Vi sostituiamo ½ VMAX arriveremo a dimostrare che KM=S.

• La VMAX àesprime il potere catalitico e V è proporzionale alla concentrazione


dell’enzima. Tuttavia, esiste un parametro costante che indica il potere catalitico, il
numero di turnover. Esso esprime la quantità di substrato trasformato in prodotto da
parte di una molecola di enzima o da una mole di enzima (Un numero di Avogadro di
molecole di enzima).

Questi due fattori ci consentono di capire come funziona un enzima all’interno di una cellula laddove
ci sono specifiche concentrazioni di substrato. Si presuppone che gli enzimi lavorino a V/2max in
condizioni di una cellula.
Immaginando che un enzima che raggiunge un equilibrio nella prima parte della reazione abbia un
potere catalitico molto basso (ad equilibrio rapido). Per questo ipotetico enzima, la km può essere
anche k2/k1 se k3 è molto basso. Questo concetto può essere esteso a tutte le proteine liganti diverse
da enzimi.
Tutte queste proteine hanno un equilibrio tra proteina+ligando=proteina/ligando, allora il concetto
di affinità visto per gli enzimi (e che abbiamo chiamato Km), può essere esteso a tutte le proteine
liganti. In quel caso, però, K3 non c’è, quindi Km coincide con la costante di dissociazione, ovvero
k2/k1.

Da un punto di vista grafico, quando noi facciamo il grafico V contro s commettiamo un piccolo
errore: noi non raggiungiamo mai la Vmax, perché sappiamo che non è possibile raggiungerla.
Se noi facciamo il reciproco dell’equazione di Michaelis-Menten, viene fuori l’equazione di una retta.
Questa equazione, chiamata equazione di Lineweaver-Burk. Questa equazione è un sistema di
graficazione che non cambia nulla dal punto di vista sperimentale rispetto alla precedente, ma la
graficazione piuttosto che di V contro S viene fatta per 1/V contro 1/S. Viene fuori un grafico che,
per gli enzimi che hanno un’affinità costante, la curva è espressa da una linea retta, essendo il
reciproco dell’equazione di un’iperbole l’equazione di una retta. L’esperimento è lo stesso di prima,
cambia solamente il grafico. La retta va ad intersecare l’asse delle Y in un punto in cui 1/S è uguale
a zero, matematicamente lo avremmo con S=infinito, ma otteniamo la Vmax senza fare una prova
che raggiunga realmente Vmax, in quanto questo punto non lo otteniamo sperimentalmente, ma
graficamente. Questo grafico risolve quindi il problema della soggettività per cui possono esserci
fonti di errore per le prove nel grafico V contro S.

Gli studi cinetici vengono fatti con un solo substrato e un solo prodotto, ma in genere gli enzimi
reagiscono con reazioni di tipo B-B, due substrati e due prodotti. Estendendo ciò che abbiamo detto
ad un enzima che utilizzi due substrati e porti alla formazione di due prodotti. Questo enzima non è
detto che debba avere per i due substrati la stessa affinità; ha quindi Km diverse per A e per B, ma
allora come facciamo a calcolare la Km? Piuttosto che fare una serie di prove di incubazione si fanno
due serie. Nella prima si valuta la km dell’enzima ad esempio per A: metto A crescente, mentre B a
concentrazioni saturante (molto elevata), calcolo la Km per A. Faccio un’altra serie variando B e
mettendo A saturante, così trovo le due Km. Prirand vide che questi enzimi si possono distinguere
in: reazioni sequenziali (i substrati devono combinarsi con l’enzima prima che possa avvenire la
reazione chimica e il rilascio dei prodotti) e le reazioni prive di sequenza o a ping-pong (interviene il
primo substrato, questo trasferisce o si prende all’enzima un pezzo e questo prodotto viene
rilasciato; interviene il secondo substrato che si riprende il pezzo dall’enzima o lo lascia nuovamente,
lasciandolo invariato e generando il secondo prodotto. Durante la reazione si forma un enzima con
una situazione intermedia che ha o un pezzo in più o uno in meno).

La sequenziale si può dividere in: ordinata e random. Nel primo caso, se i substrati sono A e B si
devono legare in questo ordine; si può spiegare perché il sito attivo è già pronto per ricevere A m
non per B, o perché c’è bisogno di un gruppo chimico ceduto da A, o perché c’è stato un
adattamento indotto dopo che A si è legato per cui questa variazione conformazionale consente
anche a B di legarsi. Così come è ordinato l’ingresso dei substrati è ordinata la fuoriuscita dei
prodotti. Esistono però anche le sequenziali random, in cui E può legare indifferentemente A o B, si
forma sempre un complesso ternario e queste reazioni sono casuali sia in ingresso del substrato che
in fuoriuscita di prodotto. Ovviamente si legherà prima quello con maggiore concentrazione o
maggiore affinità.
Inibizione enzimatica
Questa parte non ha nulla a che vedere con il fisiologico, in questo caso. L’uso di inibitori non
fisiologici ha delle funzioni: due funzioni di carattere scientifico e una di carattere applicativo.
Abbiamo capito sperimentalmente il meccanismo di azione di molti enzimi attraverso l’uso di
inibitori chimici non fisiologici. Un’altra funzione analoga è che in un processo metabolico fatto da
più tappe era importante sistemare in ordine i vari enzimi del processo, l’uso di inibitori non
fisiologici consente che, inibendo un enzima di una via metabolica, se quello è inibito tutto ciò che
segue smette di mandare avanti il processo. Così siamo riusciti a capire l’ordine degli enzimi nei
processi metabolici. La causa scientifico -applicativa, la terza, è la più importante. In farmacologia,
l’uso di farmaci (sintetici e non), sono regolatori non fisiologici di enzimi. Un farmaco viene
ipotizzato, studiato, cercando di sintetizzare una molecola che blocchi un enzima. La base chimica
della farmacologia si basa sull’uso di inibitori non fisiologici. Gli inibitori possono agire in maniera
reversibile o irreversibile. L’interazione enzima-substrato è massima quando il substrato raggiunge
lo stato di transizione. Gli inibitori reversibili sono stati distinti in: competitivi, non competitivi (misti)
e incompetitivi. Gli inibitori reversibili possono essere ad esempio il DFP (diisopropilfluorofosfato) è
adoperato per la produzione di insetticidi, va a bloccare l’attività dell’acetilcolinesterasi, che
degrada l’acetilcolina che è il principale neurotrasmettitore di tipo eccitatorio. L’aspirina, ad
esempio, però è un sintomatico che impedisce la sintesi delle prostaglandine, responsabili della
temperatura elevata. La penicillina, invece, si lega ad un enzima importante per la sintesi della
parete cellulare dei batteri.
Si intende inibizione competitiva quando l’inibitore compete con il substrato per il sito attivo.
Normalmente è una molecola simile al substrato che talvolta si lega ai gruppi di riconoscimento
ancora meglio del substrato, tuttavia non riesce ad interagire coi gruppi catalitici. Questo tipo di
inibizione, da un punto di vista cinetico, fa variare la Km, anche se è una variazione apparente (non
varia l’affinità dell’enzima e del substrato).
Un inibitore non competitivo puro si va a legare in un sito diverso dal sito attivo e non modifica
l’interazione tra substrato ed enzima. Viene fuori una variazione dei parametri cinetici diversa, varia
Vmax, ma non la Km. Esistono gli inibitori incompetitivi che sono quelli che si vanno a legare non
all’enzima libero, ma al complesso enzima-substrato impedendo che si possa liberare il prodotto. Lo
studio degli inibitori reversibili o irreversibili ha quindi questa utilità, inoltre molti sono di tipo
sintetico, ma non per questo meno importanti.

Meccanismi di regolazione fisiologica enzimatica


Tutte le reazioni che avvengono nel nostro organismo sono catalizzate da enzimi e la regolazione
dei processi metabolici si effettua regolando l’attività dell’enzima. Meccanismi generali attraverso
cui possiamo controllare gli enzimi: meccanismi che regolano la concentrazione totale dell’enzima o
del substrato (variandola sappiamo che la velocità della reazione enzimatica è direttamente
proporzionale alla concentrazione di un enzima), meccanismi che regolano l’efficienza catalitica di
un enzima, attivandolo o inibendolo ma senza parlare di inibitori non fisiologici, ma fisiologici. Ci
può essere un controllo genico, controllo tramite velocità di degradazione, controllo allosterico
(sono regolati omotropicamente dal substrato ed enotropicamente da composti che
fisiologicamente si vanno a legare ad enzimi geneticamente codificati). Un effetto allosterico
positivo sposta l’equilibrio da una forma attiva a una forma R).

Un altro meccanismo di controllo è la modificazione covalente reversibile, o controllo tramite


proteine regolatrici (alcuni enzimi interagiscono con altre proteine che possono essere stimolatrici
o inibitrici), attraverso attivazione protolitica (meccanismo irreversibile) che è un po’ come quello
visto per l’insulina; sono enzimi che nascono con catene polipeptidiche più grandi inattive che
diventano attive dopo uno o più tagli proteolitici. C’è anche un controllo tramite una diversa
compartimentazione, che non è casuale.

I meccanismi che regolano la concentrazione totale degli enzimi o dei substrati


Quando parliamo di enzimi induttivi, ovvero la cui sintesi può
essere indotta, il controllo può avvenire sulla trascrizione (dal
DNA passa all’RNA messaggero), sulla stabilità dell’RNA
messaggero (che può essere degradato più rapidamente o
riattivato) o sul processo di traduzione, che avviene al livello
del sistema ribosomiale di sintesi proteica, ovvero la tappa
successiva dopo la trascrizione. Per agire sulla concentrazione
di un enzima si può agire anche sulla degradazione della
proteina. Se andiamo alla degradazione, c’è un sistema che si
realizza a livello proteosomale (il proteosoma è un sistema di
degradazione fisiologica delle proteine e che si realizza a
livello citosolico, più regolato di quello a livello lisosomiale, e
avviene regolando il proteasoma. Perché una proteina possa
essere degradata deve essere marcata in una reazione di
ubiquitinazione. L’ubiquitina è una piccola proteina che, da
specifici enzimi, viene legata ad altre proteine; se una
ubiquitinazione avviene una volta questo può a regolare la
funzione di quella proteina; se è poliubiquitinata avviene per marcatura per essere degradata dal
proteosoma.). [svedberg: unità di sedimentazione, 10-13 s] I proteosomi sono dei complessi
macromolecolari che degradano le proteine poliubiquinate.

L’attivazione per taglio proteolitico irreversibile


È un tipo di regolazione che verrà approfondita nella digestione. I principali enzimi proteolitici
agiscono a livello intestinale e il grosso di questi enzimi è prodotto a livello del pancreas esocrino;
se il pancreas producesse questi enzimi già attivi, una volta prodotti degraderebbero le proteine
della stessa cellula che l’ha prodotta (ad esempio in una pancreatite) provocandone la distruzione.

Le caspasi sono degli enzimi che a volte intervengono nell’apoptosi, morte cellulare programmata.
La cellula che deve morire deve smantellare la propria struttura, attivando gli enzimi che la
distruggono. Anche gli enzimi della coagulazione del sangue subiscono questo tipo di modificazione
covalente irreversibile, ad esempio la protrombina viene tagliata diventando trombina e
trasformando il fibrinogeno in fibrina, il coagulo che fa da tappo per le emorragie. Questi sono una
serie di enzimi prodotta in forma pre-enzimatica e attivati dove serve.

Il controllo dell’attività enzimatica attraverso la regolazione della concentrazione dei substrati


C’è un controllo della produzione dei substrati e uno della utilizzazione dei substrati. Spesso i
substrati possono essere di più enzimi e a seconda di quel processo che deve avvenire in quel
momento vengono regolati gli enzimi e quindi il substrato viene utilizzato.

Il controllo tramite proteine regolatrici


Alcuni enzimi si attivano o si inibiscono interagendo con proteine regolatrici. Abbiamo esempi di
proteine G (possono essere eterotrimeriche, cioè formate da tre subunità alfa, beta e gamma, e
monomeriche). Nel meccanismo di reazione dell’insulina l’irsfosforilato reagisce con altre proteine
attivandole (irs=substrato recettore dell’insulina).
Le proteine G eterotrimetiche sono formate da alfa, beta e gamma, collegate a recettori a sette
eliche transmembrana. Quando un biosegnalatore si lega al suo recettore, succede che questo
recettore subisce la modificazione conformazionale, fa avvenire una reazione nella subunità alfa
della proteina G, questa subunità si stacca e se è stimolatrice, muovendosi lungo la membrana, va
ad interagire con un enzima di membrana lo stimola (o lo inibisce a seconda del carattere).

La calmodulina o calciomodulina è una piccola proteina che si lega a ioni calcio, e attraverso delle
calcio atpasi quando la cellula è a riposo il calcio viene pompato in un sistema di trasporto attivo a
livello del reticolo endoplasmatico. Le camchinasi invece sono delle proteine chinasi
calciocalmodulina dipendenti (prot. Chinasi: un enzima che va a fosforilare una proteina bersaglio).
Quando queste camchinasi vengono attivate dalla calmodulina, che a sua volta si va a legare alle
cam quando si è liberato il calcio, tutto è quindi una successione della liberazione e del repentino
incremento della concentrazione di calcio a livello citosolico.

La regolazione per compartimentazione di enzima o substrato


Ad esempio, questo avviene nel carbamilfosfatosintetasi, un enzima che forma il carbamilfosfato,
un composto molto piccolo formato da una molecola di NH3, una di CO2 e una di fosfato. Esistono
due enzimi chiamati carbamilfosfatosintetasi, uno si trova nel mitocondrio dell’epatocita, l’altro nel
citosol di tutte le cellule. La compartimentazione riguarda l’unica cellula che le ha entrambe. Il
problema della compartimentazione nasce da un particolare problema del fegato, ovvero quello di
avere entrambe gli enzimi che, se si trovassero nello stesso ambiente, accadrebbe qualcosa di non
funzionale.

A che serve l’enzima mitocondriale dell’epatocita? È deputato alla sintesi del carbonio fosfato che
serve alla sintesi dell’urea. L’urea è quel composto altamente solubile e privo di tossicità che gli
organismi uroterici formano utilizzando l’ammoniaca, che è un composto poco solubile e
tossicissimo per il cervello. Questo processo avviene a livello epatico e parte dal carbamilfosfato che
si produce nel mitocondrio dell’epatocita. A livello citosolico c’è una carbamilfosfato sintetasi che
sintetizza sempre carbamilfosfato, che serve alla sintesi di nucleotidi pirimidinici e poi gli acidi
nucleici. Il turnover degli acidi nucleici è lento, quindi da un punto di vista qualitativo è importante,
ma non quantitativo.

La sintesi dell’urea è invece notevolissima come processo da un punto di vista quantitativo. Se ci


fosse un solo enzima, in pratica non resterebbe carbamilfosfato per la sintesi dell’anello
pirimidinico, in quanto verrebbe interamente utilizzato per la sintesi dell’urea. Allora l’evoluzione,
a livello epatico, ha risolto il problema con la compartimentazione.
Anche la glucosio-6-fosfatasi, l’enzima che rende reversibile la fosforilazione del glucosio, che è
irreversibile da un punto di vista termodinamico. Nel citosol può avvenire sia una reazione chinasica
che fosfatasica. Nel dopopasto, al fegato arriva una massa di glucosio dall’intestino che deve essere
fosforilata e metabolizzata. Tra un pasto e l’altro, quando tutte le cellule dell’organismo prendono
glucosio dal sangue (quindi andremmo in ipoglicemia) il fegato rifornisce di glucosio il sangue. Lo
prende dalla glicogenolisi (il glicogeno è un deposito di glucosio epatico che si forma nel dopopasto
e viene consumato tra un pasto e l’altro), ma se siamo digiuni va scomparendo, per questo il fegato
utilizza la gluconeogenesi, cioè la sintesi di glucosio dai metaboliti non glucidici (fondamentalmente
gli amminoacidi). Questo enzima è compartimentizzato per evitare che, se i due enzimi fossero nello
stesso ambiente, quando è necessario che si degradi il glicogeno per sintetizzare nuovo glucosio,
che va nel citosol e deve uscire, se fosse attiva la chinasi esso verrebbe nuovamente fosforilato e
non uscirebbe. C’è quindi un meccanismo di controllo che permette di avere uno o l’altro.

Meccanismi di regolazione enzimatica nel dettaglio


Mostreremo i particolari meccanismi che riguardano in particolare tutte le proteine, se queste sono
proteine enzimatiche riguarderanno allora anche gli enzimi.

• Fosforilazione – è uno dei meccanismi più importanti, è una reazione di esterificazione


• Adenilazione – reazione in cui interviene l’ATP, scinde l’acido adeninico e libera il
pirofosfato
• ADP-ribosilazione – alcune proteine possono essere ADP-ribosilate, ovvero alcunei
enzimi usano il NAD come substrato, scegli l’ADP ribosio e si libera la nicotinammide.
• Metilazione – l’agente metilante per eccellenza è la S-adenosil metionina (SAM)

La fosforilazione: un importante modifica covalente reversibile del mondo metabolico


Questa reazione viene catalizzata da specifiche chinasi, specie che vivono a spese dell’ATP.
Ovviamente se un enzima viene fosforilato da una chinasi, quando l’enzima deve tronare allo stato
non fosforilato si richiede una specifica chinasi.
⁃ La glicogeno fosforilasi: questo è un enzima che degrada il glicogeno, lo zucchero che ne
deriva avvia una glicolisi per fornire ATP al muscolo addetto alla contrazione muscolare.
Questa forma è attiva quando la proteina è fosforilata;
⁃ La glicogeno sintasi: sintetizza il glicogeno rifornendo il sangue. Quando tra un pasto e l’altro
la glicemia tende ad abbassarsi il fegato degrada il glicogeno messo da parte per rinstaurare
la glicemia. Questa forma è inibita quando la proteina è fosforilata al contrario della prima.
Questi due enzimi sono quindi controllati in maniera sovrapposta, vengono fosforilati entrambi
quando deve avvenire la degradazione e vengono defosforilati entrambi quando si deve fare la
sintesi.

Enzimi allosterici: la regolazione allosterica


Le due forme attive e in attive che abbiamo visto sopra possono essere controllate allostericamente,
per cui la forma inattiva è in realtà meno attiva. Questo per dire che un meccanismo di controllo
enzimatico non esclude un altro tipo di meccanismo enzimatico che un enzima può avere.

Un enzima allosterico è un enzima formato da più subunità che collaborano fra di loro, e possono
essere controllati da effettori allosterici che possono essere positivi o negativi.
Questi enzimi non seguono la cinetica di Michaelis-Menten, ma così come abbiamo visto anche nel
caso dell’emoglobina il substrato oltre ad essere tale, è un effettore allosterico positivo che mette
in atto un evento cooperativo. Da un punto di vista cinetico vedremo quindi curve analoghe a quelle
dell’emoglobina e della mioglobina.

Questi enzimi rappresentano il primo o uno dei primi enzimi della via metabolica. Catalizzano
processi reversibili e spesso si presentano informe isoenzimatiche.

- Effetto cooperativo positivo: l’affinità dell’oligomero verso l’effettore aumenta quando uno
o più subunità dell’oligomero stesso hanno già legato l’effettore;
- Effetto cooperativo negativo: l’affinità dell’oligomero verso l’effettore diminuisce quando
una o più subunità dell’oligomero stesso hanno già legato l’effettore.
È bene fare una distinzione tra gli eventi cooperativi, positivi o negativi, e la cooperazione da parte
degli effettori allosterici, positivi o negativi. Sono cose separate che rispondono ad esigenze diverse.
Noi sappiamo per definizione che le proteine allosteriche transitano da una configurazione T ad S.
Un effettore allosterico positivo sposta l’equilibrio dalla forma T alla forma R, e lo può fare
attraverso due modalità, o si lega alla forma T promuovendo lo spostamento verso la forma R o si
lega alla forma R stabilizzandola. Quello negativo agisce al contrario. Ricordiamo che si parla di
effetti omotropici quando effettore e substrato sono uguali, mentre si parla effetti eterotropici
quando l’interazione avviene tra molecole diverse.

- Es. La 6-fosfofruttochinasi (o PFK, o Fosfofruttochinasi 1) è un enzima della glicolisi,


appartenente alla classe delle transferasi. La sua regolazione è fondamentale nella glicolisi,
dove catalizza la fosforilazione di F6P a F1,6BP. L'enzima è
controllato allostericamente dal fruttosio 2,6-bisfosfato la cui produzione a partire
dal fruttosio 6-fosfato è controllata da un enzima chiamato fosfofruttochinasi 2 situato in
una catena polipeptidica, detta enzima tandem. L'attivazione della fosfofruttochinasi 1 è
inoltre favorita dalla presenza di AMP, dell'ADP, del fruttosio 2,6-bisfosfato, del fosfato
inorganico e dello ione ammonio, che rimuovono l'inibizione allosterica operata da ATP e
dal citrato.
La maggior parte degli enzimi allosterici sono regolati dallo stesso substrato con effetto omotropico
positivo, cooperativo positivo. Negli enzimi allosterici cooperativi la regolazione da substrato risulta
più pronta
La presenza dell’evento cooperativo positivo serve ad
amplificare un fenomeno. Da questa figura per passare da un
valore di V all’altro (frecce nere). Un evento cooperativo
positivo serve a far variare V in misura maggiore ma con una
minore variazione di S. (∆S è maggiore nella curva rossa e

minore in quella blu).


Questi rappresentano dei casi limite:
A bassi valori di concentrazione la
velocità aumenta molto più
lentamente rispetto alla normale
curva iperbolica di Michaelis-Menten
(curva a). Non appena la concentrazione del substrato aumenta, però, la curva si impenna e ciò
consente alla velocità di raggiungere il suo valore massimo più rapidamente. Per un enzima che
presenti la classica curva iperbolica occorre un aumento di concentrazione del substrato di circa 81
volte per passare da un livello di attività del 10% ad uno del 90%. Per un enzima che presenti una
curva sigmoide basterà̀ che la concentrazione del substrato aumenti di 9 volte o anche meno
(secondo la pendenza della curva). Se pur in maniera rarissima, esiste un evento cooperativo
negativo, in cui per passare dal 10 al 90% di Vmax, si richiede una variazione di concentrazione di
6541 volte. Un vento cooperativo si può quantizzare attraverso la n di Hill di cui abbiamo già parlato.
Retroinibizione a feedback
Avremmo modo di vedere che a volte il prodotto terminale di un processo metabolico agisce da
effettore allosterico negativo del primo enzima dello stesso processo. Questo processo si realizza
quando noi abbiamo una via metabolica formata da x tappe, la cui ultima tappa inibisce la
trasformazione che avviene nella prima tappa.
Per esempio, il gruppo EME è un effettore allosterico negativo dell’alasintetasi, il primo enzima che
condensa la glicina con l’acido succinico. Questo tipo di controllo rientra nel controllo allosterico.

Non bisogna confondere questo tipo di retroinibizione con la retroinibizione da prodotto. La


seconda si verifica quando A si trasforma in B, e B è un effettore allosterico negativo dello stesso
enzima che l’ha prodotto. Tutto ciò controllato dalla concentrazione dei due.
Un altro tipo di controllo è rappresentato dalla regolazione da segnali energetici (rapporto ATP/ADP)

Un particolare controllo allosterico si realizza da parte di alcuni effettori allosterici, positivi o


negativi, in enzimi formati da più subunità diverse fra di loro (subunità catalitiche e subunità di
regolazione).

Regolazione ormonale
Gli ormoni regolano il metabolismo controllando l’attività di determinati enzimi tramite uno dei
meccanismi riportati

L’esempio tipico è quello della lattico


deidrogenasi (LDH): questo è un tetramero
che trasforma l’acido lattico in acido
piruvico o viceversa. Noi possediamo 5
diverse forme enzimatiche, tutte
tetrameriche ma formate da due diverse
subunità, H (heart) e M (muscle).

Questa trasformazione serve essenzialmente a riossidare il NADH a NAD, utile nella glicolisi che
continua a procedere anche in assenza di ossigeno. L’acido lattico che poi viene rilasciato dal
muscolo in fase di rilassamento viene riconvertito in acido piruvico.

Complessi multienzimatici
Degli esempi sono il piruvico deidrogenasi e l’alfachetoglutarico deidrogenasi. Sono entrambi
formati diversi da tre diversi enzimi, codificati da geni diversi che si trovano in cromosomi diversi,
ciascun enzima con la propria identità e catalizzano una specifica reazione. Quando però questi
enzimi si trovano nello stesso ambiente intracellulare, evidentemente hanno gruppi chimici che
favoriscono delle interazioni attraverso legami deboli, per formare quello che noi chiamiamo
complesso multienzimatici.

Questo complesso agisce come una catena di montaggio e gli enzimi sono combinati in modo tale
che uno dei tre enzimi trasforma il substrato in prodotto, e questo prodotto viene liberato nello
stesso ambiente in cui è presente il residuo catalitico del secondo enzima. Il prodotto del primo
enzima diventa quindi subito substrato del secondo e il prodotto del secondo diventa substrato del
terzo. Si realizza quindi questa catena di montaggio che velocizza la reazione.
Non bisogna confondere gli enzimi multifunzionali con i complessi multienzimatici. Un enzima
multifunzionale ha un'unica catena polipeptidica, formata da più domini. Il più importante è
l’enzima tandem.

Enzimologia clinica
Sono quegli enzimi che dosiamo nei campioni biologici a fine diagnostico. Abbiamo enzimi
plasmaspecifici, si trovano a livello plasmatico. Questi sono specifici e la loro concentrazione deve
essere opportuna per il ruolo che devono svolgere. Per esempio, la pseudocolinesterasi è un enzima
in base alla cui concentrazione viene dosato l’anestetico usato durante un intervento chirurgico.
Altri tipi di enzimi sono quelli cellulari. Una piccola concentrazione di questi possiamo trovarla anche
nel sangue oltre che nelle cellule, poiché durante il trasporto la cellula li riversa nel sangue.
Ovviamente questo è sintomo di un malfunzionamento della cellula e quindi di una patologia più o
meno grave.
Gli zuccheri
Gli zuccheri sono le sostanze organiche più presenti in natura. Nel corso degli anni si è visto che gli
zuccheri non hanno solo una funzione energetica e strutturale, ma adesso esiste un linguaggio
saccaridico che vede come determinate sequenze oligosaccaridiche presenti in glicoproteine,
glicolipidi e altri zuccheri, possono agire da agenti di informazione.

Dal punto di vista chimico sono sostanze ternarie con un rapporto non sempre idrogeno-ossigeno
di 2:1. Li dividiamo in: monosaccaridi e loro derivati, oligosaccaridi (disaccaridi) e polisaccaridi.
Sono sostanze solubili in acqua e possono essere aldosi o chetosi.

Monosaccaridi
Glucosio
Il glucosio è un monosaccaride aldeidico; è il composto organico più diffuso in natura È uno degli
zuccheri più importanti ed è usato come fonte di energia sia dagli animali che dalle piante. Il glucosio
è il principale prodotto della fotosintesi ed è il combustibile della respirazione. Il glucosio è uno
zucchero aldoesoso perché la sua molecola è composta da sei atomi di carbonio (-esoso) e contiene
un gruppo carbonilico aldeidico -CHO tipico delle aldeidi (aldo-). La sua forma più stabile è quella in
cui uno dei gruppi ossidrile si lega al carbonio C1 del gruppo aldeidico (-CHO) a formare un anello a
6 atomi, un anello piranosico, la cui struttura è riportata in figura.
La proprietà, forse più importante per le forme di vita superiori, è la sua ridotta tendenza (rispetto
ad altri zuccheri esosi) a reagire con i gruppi amminici delle proteine. Questa reazione
(detta glicazione o glicosilazione non enzimatica) riduce o annulla l'attività di molti enzimi ed è
responsabile di numerosi effetti a lungo termine del diabete, quali la cecità e la ridotta
funzione renale. La bassa reattività del glucosio verso la glicosilazione è dovuta al suo prevalente
permanere nella forma ciclica, meno reattiva.
Nella respirazione, attraverso una serie di reazioni catalizzate da enzimi, il glucosio
viene ossidato fino a formare biossido di carbonio e acqua; l'energia prodotta da questa reazione
viene usata per produrre molecole di ATP.
Fruttosio
Il fruttosio (o fruttoso), zucchero semplice, è un monosaccaride isomero topologico (o
costituzionale) del glucosio, dal quale si differenzia in quanto chetoso anziché aldoso.
Il fruttosio è il più noto ossichetone a sei atomi di carbonio (chetoesoso). Come tutti i monosaccaridi
a catena sufficientemente lunga (≥ 4 atomi di carbonio), allo stato cristallino le sue molecole si
trovano in forma emiacetalica, termodinamicamente più stabile della corrispondente forma aperta.

Derivati dei monosaccaridi


- Esteri fosforici: gli zuccheri in quanto tali sono metabolicamente inerti, sono invece
metabolicamente attivi in seguito a fosforilazione. Come vedremo, il glucosio, può
attraversare le membrane attraverso specifiche traslocasi chiamate GLUT, mentre gli esteri
fosforici vengono fermati, in quanto le cariche negative che si porta dietro il fosfato,
impediscono a questo glucosio fosforato di poter attraversare la membrana. Il problema
fosforilazione non interessa solo il glucosio ma riguarda tutti i monosaccaridi che
incontreremo in tutti i processi metabolici.

- Aminozuccheri: il più importante è la glucosamina. Questa a livello del carbonio due


piuttosto che avere un gruppo alcolico secondario, presenta un gruppo amminico. Un altro
aminozucchero è la galattosamina. Questi composti sono componenti di polisaccaridi
particolari, soprattutto di quelli che hanno una funzione strutturale e che insieme a
specifiche proteine vanno a costituire l’ossatura della matrice extracellulare.
Il grosso della glucosamina si trova in forma acetilata, dopo l’intervento dell’acetil-
coenzimaA, a formare la N-acetil-glucosamina.

- Deossizuccheri: rivestono un ruolo importante all’interno del DNA.

- Prodotti di riduzione: se andassimo a ridurre il gruppo aldeidico del glucosio formiamo un


polialcol come il sorbitolo.

- Prodotti di ossidazione: se andassimo ad ossidare o il gruppo aldeidico a carbossilico si


forma l’acido gluconico (acidi onici). Se andassimo a ossidare il gruppo alcolico primario
formiamo gli acidi uronici (acido glucuronico).

- Deossi-amminoderivati: componenti oligosaccaridiche di alcune glicoproteine o alcuni


glicolipidi. Questi contengono tracce di acido sialico. (difficile che li chieda-tutti quelli vist)

Caratteristiche riducenti degli zuccheri


Uno zucchero riducente è uno zucchero qualsiasi che, in soluzione, possiede un gruppo
aldeidico o chetonico. Ciò consente allo zucchero di agire come agente riducente. Affinché uno
zucchero possieda attività riducente è necessario che possa esistere in una forma a catena aperta
con un gruppo aldeidico o chetonico. I monosaccaridi che contengono un gruppo aldeidico sono
noti come aldosi, e quelli con un gruppo chetonico sono noti come chetosi. Molti zuccheri esistono
in una forma ciclica e in soluzione si stabilisce un equilibrio in cui una catena subisce l'apertura.
Sotto è riportato l'equilibrio tra la forma ciclica e la forma a catena aperta del maltosio.

Le aldeidi possono essere ossidate in una reazione redox, con l'altro reagente che di conseguenza viene ridotto.
Anche se un chetone non può essere direttamente ossidato, un chetoso può essere convertito in una aldeide
attraverso una tautomeria che porta alla formazione di un gruppo carbonilico all'estremità della catena.
Pertanto, anche i chetosi sono zuccheri riducenti.

Reazioni colorimetriche
Solitamente la colorimetria è utilizzata nell’analisi quantitativa e consiste nella misura
dell’assorbimento di una radiazione nel visibile.
Le sostanze che interessano la colorimetria devono essere colorate o colorabili con l’aggiunta di
additivi: la lunghezza d’onda più appropriata della radiazione incidente corrisponde al colore
complementare a quello mostrato dalla sostanza in esame in modo da consentire il massimo
dell’assorbimento.
Acido glucuronico
È l’acido uronico del
glucosio, che quindi deriva
dall’ossidazione del gruppo
alcolico primario del
glucosio a carbossile. Alla
reazione non partecipa il
glucosio libero ma l’UDP-
glucosio. Quando gli
zuccheri devono
partecipare a processi
biosintetici intervengono in
forma uridinata, ovvero, il
glucosio reagisce con
l’UDP, formando l’UDP-
glucosio, questo viene
ossidato ad ADP-
glucuronico e questo inizia
il suo processo.

In questa foto si può osservare come dal UDP-glucosio si può sintetizzare la vitamina C, anche se
oggi abbiamo perso la possibilità di sintetizzarla e dobbiamo assumerla dall’esterno. Quando
studieremo i nucleotidi, vedremo che questi intervengono in vari processi metabolici sempre in
forma uridinica.

Forma acetalica ed emiacetalica


Il glucosio, come altri zuccheri, chiude l’anello formando un emiacetale e solo una piccola quantità
di forma aldeidica rimane in equilibrio con la forma emiacetalica in soluzione. Occorre osservare che
la chiusura dell’anello converte il carbonio aldeidico in un carbonio emiacetalico asimmetrico. Per
cui in soluzione si avranno 2 emiacetali, in equilibrio con l’aldeide; essi sono detti a e b. Questi
composti vengono detti anomeri, e nel caso del glucosio il C-1 viene detto carbonio anomerico.

Disaccaridi
Saccarosio
È il disaccaride più abbondante nel mondo biologico. È ottenuto prevalentemente dal succo della
canna da zucchero e dalla barbabietola da zucchero. Nel saccarosio, il carbonio 1 dell’alfa-D-
glucopiranosio è legato al carbonio 2 del beta-D-fruttofuranosio con un legame alfa-1,2-glicosidico.

Si noti che il glucosio è un acido a sei termini


(piranosio), mentre il fruttosio è un ciclo a
cinque termini (furanosio). Dato che
entrambi i carboni anomerici del glucosio e
del fruttosio partecipano alla formazione del
legame glicosidico, il saccarosio è uno
zucchero NON riducente.
Maltosio
Il maltosio ha questo nome perché è presente nel malto, il succo che si ottiene dalla fermentazione
dell’orzo e di altri cereali. Il maltosio è costituito da due molecole di D-glucopiranosio unita da un
legame alfa-1,4- glicosidico. Quelle seguenti sono rappresentazioni del beta-maltosio, cosi chiamato
perché l’-OH sul carbonio anomerico dell’unità di glucosio di destra è beta.
Il maltosio è uno zucchero
riducente, perché il gruppo
emiacetalico dell’unità di D-
glucopiranosio di destra è in
equilibrio con l’aldeide libera, che
può venir ossidata ad acido
carbossilico.

Lattosio
Il lattosio è il principale zucchero
presente nel latte. È costituito da
un’unità di D-galattopiranosio legata al
carbonio 4 del D-glucopiranosio con un
legame beta-1,4-glicosidico. Il lattosio è
uno zucchero riducente.

Cellobiosio
Il cellobiosio è un disaccaride formato per condensazione da due
molecole di D-glucosio attraverso un legame glicosidico (acetalico)
1β−4'. Poiché possiede un legame emiacetalico libero, è uno zucchero
riducente e dà mutarotazione.Il cellobiosio è l'unità strutturale che si
ripete nella cellulosa. La presenza del legame 1β−4', e l'assenza, nella
maggior parte dei mammiferi, di specifici enzimi β-glicosidasi per la
degradazione del legame, rendono pertanto la cellulosa non
assimilabile.

Polisaccaridi
Sono molecole ad alto peso molecolare e costituite da catene ramificate di polisaccaridi. Sono poco
solubili in acqua e per idrolisi enzimatica liberano i costituenti. Si dividono in omopolisaccaridi
(semplici) ed eteropolisaccaridi. Gli ultimi sono formati solitamente da due derivati di monosaccaridi
che si alternano. Dal punto di vista biologico di dividono sempre in polisaccaridi di riserva e di
sostegno.

Ammido
Le piante usano l’amido per immagazzinare energia. Viene separato
in due polisaccaridi principali: l’amilosio e l’amilopectina. L’idrolisi
completa porta al D-glucosio. L’amilosio è costituito da catene
continue, non ramificate, contenenti fino a 4000 unità di D-glucosio,
mentre la amilopectina ne contiene 10000, legate da legami alfa-
1,4-glicosidici ed è una catena ramificata.
Glicogeno
Il glicogeno è un polimero (omopolimero) del glucosio. È l'analogo dell'amido, un altro polimero
molto ramificato del glucosio. Nell’uomo, il glicogeno funge da riserva energetica glucidica. Esso
viene depositato prevalentemente nel fegato e nel muscolo scheletrico, tuttavia è presente anche
in altri tessuti, tra cui cuore, reni e tessuto adiposo. I legami tra unità di glucosio successive sono α
(1-4) per la maggior parte, anche se sono presenti legami α (1-6). Si tratta quindi di
un polisaccaride ramificato, con un peso molecolare molto elevato.
Degradazione del glicogeno:
Il glicogeno è una molecola che al momento
del bisogno può andare incontro ad una
demolizione, per produrre glucosio, utile
alle vie glicolitiche dell'organismo; ma altre
volte è lo stesso glucosio che può risultare in
eccesso e può dunque essere stipato sotto
forma di glicogeno. La degradazione del
glicogeno è catalizzata dalla glicogeno
fosforilasi. Questo enzima viene attivato
da adrenalina o glucagone.
Il processo di demolizione del glicogeno consta di tre fasi, nella prima opera un enzima chiamato
glicogeno fosforilasi. La Glicogeno Fosforilasi catalizza la reazione in cui il Legame Glicosidico (α1 –
4), che lega due residui di Glucosio nel Glicogeno, viene attaccato dal Fosfato Inorganico. La
Glicogeno Fosforilasi agisce ripetitivamente sull'estremità non riducente della ramificazione del
Glicogeno (o dell'Amilopectina) fino a che non arriva a quattro residui di Glucosio dall'inizio di una
ramificazione (α1 –6). In queste condizioni l'azione della Glicogeno Fosforilasi si ferma.
Cellulosa
È il polisaccaride più largamente diffuso nelle piante. è lineare costituito da unita di D-glucosio
legate con legami beta-1,4-glicosidici. Le fibre di cellulosa sono costituite da fasci di catene
polisaccaridiche parallele unite da legami a idrogeno tra i gruppi ossidrilici su catene adiacenti.
(scarsa solubilità in acqua ed elevata resistenza meccanica). Gli essere umani non riescono a smaltire
la cellulosa perché non hanno l’enzima (beta-glucosidasi) che catalizza l’idrolisi dei legami beta-
glucosidici (noi abbiamo l’alfa).

Chitina
La chitina, scoperta dal chimico e farmacista francese Henri Braconnot nel 1811, è uno dei principali
componenti dell'esoscheletro degli insetti e di altri artropodi, della parete cellulare dei funghi, del
perisarco degli idroidi ed è presente anche nella cuticola epidermica o in altre strutture superficiali
di molti altri invertebrati. Dopo la cellulosa, la chitina è il più abbondante biopolimero presente in
natura.

Glicosaminoglicani
I glicosaminoglicani, o glicosamminoglicani, (noti anche come GAGs o mucopolisaccaridi), sono
lunghe catene "non ramificate" formate da unità disaccaridiche che continuano a ripetersi in ordine
determinato alternando un amminosaccaride, cioè contenente un gruppo funzionale amminico (-
NH2) al posto di un semplice gruppo funzionale idrossilico (-OH) in un monosaccaride in genere
acido.
I glicosamminoglicani,
legandosi a proteine per
andare a formare
i proteoglicani, sono molecole
tipiche della sostanza
fondamentale amorfa che
compone la matrice
extracellulare dei tessuti
connettivi, conferendo alcune
delle loro caratteristiche
tipiche, come appunto la
capacità di idratarsi
abbondantemente.

I GAG che spesso sono legati a proteine formando proteoglicani sono sintetizzati nell'apparato del
Golgi dove in seguito a modifiche post-trascrizionali le unità disaccariche vengono aggiunte ai core
proteici.
Fa eccezione però l'acido ialuronico, che non essendo parte di proteoglicani ma trovandosi libero,
viene prodotto da enzimi presenti sulla superficie esterna della membrana plasmatica direttamente
in sede extracellulare.

Lipidi
Sono esteri di alcoli mono o polivalenti con acidi grassi (lipidi semplici). In aggiunta a questi
componenti possono contenere anche altri composti (lipidi complessi). Sono insolubili in acqua e
solubili nei solventi organici. Anche questi hanno una tripla funzione: funzione energetica, come
sappiamo il potere calorico dei grassi è circa il doppio rispetto al potere calorico di zuccheri e
proteine, e il motivo sta nel fatto che sono sostanze più ridotte e quindi più ossidabili; funzione
strutturale: alcune strutture lipidiche possono comportarsi da ormoni o intervenire come
biosegnalatori.

Si dividono in base alla loro funzione in:


• Lipidi di deposito con funzione di riserva localizzasti prevalentemente nel tessuto adiposo
(semplici). Sono situati e sparsi nel tessuto sottocutaneo.
• Lipidi strutturali che costituiscono i complessi lipoproteici delle biomembrane (complessi).

I lipidi si classificano in base alla loro struttura in:


• Lipidi semplici: gliceridi (grassi neutri); cere; steridi.
• Lipidi complessi: fosfolipidi (glicerofosfolipidi; sfingofosfolipidi), glicolipidi (cerebrosidi;
solfatidi; gangliosidi).
Acidi grassi

Sono tutti insolubili e viaggiano legati alle albumine. In alto abbiamo una serie di acidi grassi saturi.
I più importanti sono l’acido palmitico e l’acido stearico. L’acido palmitico non è altro che la sintesi
degli acidi grassi. Questo significa che noi produciamo solo acido palmitico, poi questo viene
allungato, accorciato o denaturato per formare altri acidi grassi, oltre a quelli introdotti con
l’alimentazione. Un'altra classe importante è rappresentata dagli acidi grassi insaturi. Più è elevato
il numero di insaturazione, più si abbassa il punto di fusione, e di conseguenza, se vogliamo che i
nostri lipidi siano semiliquidi o liquidi a temperatura ambiente, devono avere un basso punto di
fusione. L’insaturazione è importantissima in quelli che costituiscono i binari lipidici delle
biomembrane, perché queste rivestono ruoli importanti se hanno una giusta fluidità. La fluidità
dipende dal numero e dal grado di acidi grassi che costituiscono i lipidi complessi delle membrane.

Noi siamo in grado di sintetizzare qualche acido grasso insaturo. Per esempio, dall’acido palmitico,
attraverso una desaturasi, possiamo formare il palmitoleico. Dallo stearico possiamo formare l’acido
oleico. L’enzima desaturasi ha però un limite, non riesce a produrre doppi legami dove manca tra il
carbonio omega e il punto di insaturazione almeno cinque CH2. Siccome molti acidi grassi insaturi e
polinsaturi hanno molti doppi legami più vicini al carbonio omega, questi sono per noi acidi grassi
insaturi.

Questi acidi grassi polinsaturi servono anche perché sono precursori di tutti i così detti ormoni
‘’locali’’, e che sarebbero i cosi detti eicosanoidi, strutture a 20 atomi di carbonio il cui composto
principale è l’acido arachidonico. Noi non abbiamo riserve di acido arachidonico, ma questo si trova
tra i costituenti della membrana contribuendo alla fluidità. Tuttavia, quando in una cellula c’è
l’esigenza di avere un eicosanoidi, interviene sui fosfolipidi di membrana una fosfolipasiA2, un
enzima, che stacca l’acido arachidonico e attraverso varie vie arriva alle cellule. Per esempio,
l’azione infiammatoria dei cortisoni inibisce la fosfolipasiA2, che evita il trasferimento dell’acido, e
che a sua volta, evita la formazione delle prostaglandine attraverso la cicloossigenasi, quelle che
solitamente sono agenti infiammatori.
Gliceridi
I gliceridi sono esteri del glicerolo, composto a tre atomi di
carbonio. Ciascuno di questi gruppi alcolici viene
esterificato con un carbossile di un acido grasso. Si forma
così un trigliceride assolutamente insolubile, che viene
trasferito in circolo attraverso le glicoproteine.

Ovviamente i gliceridi sono trigliceridi se tutti e tre gli acid grassi sono stati esterificati, ma
ovviamente esistono gliceridi che hanno delle forme
intermedie (monogliceridi, diglicerdi). Queste forme
non sempre sono forme intermedie. Possono essere
semplici quando gli acidi grassi sono tutti uguali, o
misti quando gli acidi grassi legati al glicerolo sono
diversi.

Costituiscono il principale materiale di riserva e


svolgono anche una funzione protettiva (meccanica e
termica) ed una estetica (talvolta).

Cere
Sono esteri di alcoli monovalenti superiori con acidi grassi a lunga catena. La più importante è la
cera d’api. Le cere nell’organismo umano hanno un ruolo limitato, si ha la produzione di queste
solo nel padiglione auricolare. La caratteristica delle cere è quella di essere molecole
idrorepellenti/idrofobiche. Nel padiglione auricolare si deve mantenere il timpano anidro, poiché
questo agendo come la membrana di un tamburo deve vibrare a patto che sia perfettamente
disidrata. Nel mondo animale e vegetale hanno sicuramente una funzione più importante.

Gli steridi
Sono esteri di alcol particolari chiamati steroli, che possiedono in genere un solo gruppo alcolico e
quindi un acido grasso. Il colesterolo è il più importante zoosterolo. Svolge tantissime funzioni
importanti, tant’è che il fegato ne sintetizza parecchie quantità qualora non se ne introduca a
sufficienza.
Si crea inoltre un equilibrio tra quello che
introduciamo con l’alimentazione e quello prodotto.
L’ipercolesterolemia è ciò che può essere dannoso, ma
non il colesterolo di per sé. La struttura parte dal
ciclopentan-peridrofenantrene, che è un po’ il modello
di tutte le sostanze steroidee. Se volessimo descrivere
la struttura del colesterolo, esso ha: la struttura del
ciclopentan-peridrofenantrene con un gruppo alcolico
(da cui la desinenza -olo), è una sostanza lipofila ma
non è un lipide, tuttavia è un alcol. Diventa un lipide
quando il suo gruppo alcolico esterifica un acido
grasso, diventando così steride. C’è un gruppo alcolico
in pos. 3, un doppio legame tra i C 5 e 6, due metili in
10 e 13 e una catena isottilica satura in pos. 17.
Il colesterolo quando esterifica un acido grasso forma un lipide semplice, lo steride. L’esterificazione
del colesterolo avviene attraverso un enzima, l’ACAT (acilcolesteroloaciltrasferasi). Normalmente,
l’acido grasso che si lega al colesterolo è insaturo (o oleico o palmitoleico), ma quali sono le funzioni
del colesterolo? Alcune funzioni le svolge in quanto tale e altre come precursore di altre molecole.

Il colesterolo libero è componente di tutte le membrane biologiche. Le membrane sono formate da


lipidi complessi e sono caratterizzate da una certa fluidità, che dipende proprio dal numero e dal
grado di insaturazione degli acidi grassi componenti dei lipidi complessi della membrana. Il
colesterolo funge da modulatore della fluidità della membrana; se in una certa zona della membrana
la membrana è eccessivamente rigida, a causa di un eccesso di acidi grassi saturi (hanno una
struttura lineare e tendono ad interagire tra di loro formando interazioni idrofobiche), il colesterolo
la rende più fluida, e viceversa.

Un altro ruolo del colesterolo è quello di essere il componente delle guaine mieliniche, quelle guaine
che stanno attorno alle terminazioni nervose (guaina che fa si che la conduzione nervosa avvenga
lungo la linea e non si perda). Il colesterolo è anche precursore di molecole importanti, anche di
tutti gli ormoni steroidei. Questi ormoni appartengono sostanzialmente a diverse categorie, tra cui
gli ormoni steroidei. Le classi di ormoni steroidei sono: ormoni corticali (quelli della corteccia del
surrene, della parte corticale, che produce due categorie di corticosteroidi: i cortisonici, di azione
antiinfiammatoria e immunosoppressiva, in quanto spostano gli amminoacidi verso la sintesi di
glucosio e non proteine). La corteccia del surrene, oltre che a produrre i glucocorticoidi, produce
anche i mineralcorticoidi, tra cui l’aldosterone, che interverrà nella regolazione del metabolismo
salino-idrico e nel metabolismo di sodio e potassio. Questi sono gli ormoni della corteccia del
surrene, per quanto riguarda l’altra grande categoria sono gli ormoni sessuali, prodotti dalle gonadi.
[Anche le donne producono una piccola quota di ormoni sessuali maschili]. Oltre agli ormoni sessuali
e della corteccia del surrene c’è un altro ormone che deriva il colesterolo, la vitamina D3, che regola
il metabolismo del calcio e del fosfato.

Il grosso del colesterolo, oltre ad essere precursore degli ormoni steroidei, è precursore anche degli
acidi e sali biliari. Da un punto di vista quantitativo viene trasformato in acidi e sali biliari (da NON
confondere con i pigmenti biliari, che derivano dal catabolismo dell’eme), che vengono
immagazzinati nella bile e riversati a livello intestinale. Non esiste un processo di degradazione del
colesterolo, in quanto viene trasformato in ormoni steroidei e acidi e sali biliari.

Acidi e sali biliari


Vengono prodotti a livello epatico; gli acidi prodotti dall’epatocita sono due: l’acido colico e il
chenodesossicolico, vengono chiamati acidi biliari primari. Questi acidi primari, una volta riversati
nell’intestino, vengono immagazzinati nella colecisti e nella cistifellea (che in genera non riversa in
maniera costante il contenuto nell’intestino, ma solamente quando introduciamo il cibo). Gli acidi
biliari primari, una volta nell’intestino, vengono trasformati in secondari, che sarebbero l’acido
desossicolico e litocolico. In realtà questa trasformazione non è operata da enzimi nostri, ma da
enzimi prodotti dalla flora batterica intestinale. I primari, prima di essere immersi nell’intestino,
vengono coniugati con la glicina (a formare gli acidi glicolici), un ennesimo esempio di un ruolo non
proteico di un amminoacido proteico, o con la taurina (per gli acidi taurocolici), che è un derivato
della cisteina.

Quando vengono riversati a livello intestinale, si formano i sali biliari. L’idrogeno è sostituito dal
sodio o dal potassio formando il glico- o il taurocolato di sodio o di potassio. Il ruolo di questi
composti è di partecipare alla digestione e all’assorbimento dei lipidi e delle sostanze lipofile. In
realtà, non sono i responsabili della digestione (che sono le lipasi). La digestione dei lipidi può non
essere completa. Mentre la degradazione degli amminoacidi è completa, così come quella dei
polisaccaridi, quella dei lipidi può non essere completa in quanto, essendo sostanze liposolubili,
anche se parzialmente digeriti possono attraversare le membrane delle cellule endoteliali anche per
trasporto passivo, essendo la membrana delle cellule un binario lipidico che può lasciar passare per
semplice trasporto passivo sostanze lipofile. Questa digestione avviene, anche se non completa; gli
acidi e sali biliari agiscono da tensioattivi. Le gocce di lipidi che introduciamo con l’alimentazione
tendono a formare fase con il liquido intestinale, che è essenzialmente acquoso, per cui tendono ad
unirsi tra di loro ed esporre la minore superficie possibile all’acqua. Una grossa goccia di olio può
essere attaccata dalle lipasi semplicemente a livello delle superficie; questi sali, insieme alla
peristalsi intestinale, fanno si che la grossa goccia venga divisa in una miriade di goccioline, ciascuna
delle quali può essere attaccata dalle lipasi, esponendo così una superficie complessiva
enormemente maggiore rispetto a quella della grossa goccia.

L’azione combinata di acidi e sali biliari che agiscono da saponi e delle lipasi, fa si che la digestione
dei lipidi avvenga in tempi abbastanza rapidi. (In assenza di cistifellea, il fegato continua a produrre
la bile, semplicemente non viene immagazzinata, ma riversata costantemente, che porta ad avere
una digestione leggermente più lunga).
(Il colesterolo “buono” e “cattivo” è un termine improprio per identificare due diverse lipoproteine,
che svolgono entrambi ruoli importanti, ma il “colesterolo cattivo” è legato alle LDM e l’altro alle
HDM, ma è sempre colesterolo, non cambia di struttura, bensì la concentrazione delle due
determina se “buone” o “cattive”).

Dopo aver svolto il loro ruolo di tensioattivi, il grosso di questi acidi e sali biliari viene riassorbito,
creando la circalzion enteroepatica (dall’intestino al fegato). In pratica questi vengono riciclati più
volte nel corso della nostra giornata. Siccome non c’è il riassorbimento totale, una piccola quota
viene persa ed eliminata con le feci (soprattutto il litocoico). Questa piccola quota di colesterolo
perduta con le feci costituisce in realtà il grosso del colesterolo che si perde. Questa piccola parte
perduta viene rimpiazzato o dall’alimentazione o dalla sintesi. Il riassorbimento favorisce anche
l’assorbimento di ciò che deriva dalla degradazione dei lipidi, ma anche delle sostanze liposolubili,
tra cui anche le vitamine liposolubili.

La vitamina D3
È un ormone steroideo. È responsabile insieme ad altri due ormoni non steroidei del metabolismo
del calcio e del fosfato. Il metabolismo di calcio e fosfato ha una particolare importanza; questi due
ioni vengono regolati in maniera contrapposta da tre ormoni: la vitamina D3, il paratormone e la
calcitonina (due ormoni peptidici). Lo ione calcio svolge tantissime funzioni, quali la
neurotrasmissione, la contrazione muscolare e tutta una serie di attività enzimatiche. Il calcio e il
fosfato sono componenti della matrice delle ossa e dei denti.

Questi due ioni vengono regolati in maniera contrapposta perché hanno delle variazioni fisiologiche
molto limitate (es. [Ca]=10mg ogni 100ml di sangue e non può subire grandi oscillazioni), inoltre, se
aumenta la concentrazione dell’uno deve abbassare quella dell’altro, perché si rischierebbe di
formare sali insolubili di fosfato di calcio, che precipitando provocherebbe danni a livello cardiaco.
Se, invece, diminuisce la concentrazione di calcio, si va incontro alla tetania, che porta al blocco
della muscolatura liscia e quindi dei centri respiratori. Se invece si ha un’ipercalcemia si hanno
problemi di tipo cardiaco. Nel nostro organismo c’è circa 1kg di calcio, quasi tutto presente nell’osso
sotto forma di cristalli di fosfato di calcio; 1g circa in tutte le cellule e 0.5g a livello ematico, che può
legarsi alle albumine e fungere da deposito.

La vitamina D3 deriva dal colesterolo (nella figura, viene indicato il 7-deidrocolesterolo, in realtà
sarebbe più giusto dire che nella sintesi del colesterolo, che il 7-deidrocolesterolo può ridursi a
colesterolo ed è quindi il precursore immediato del colesterolo). Il 7-deidrocolesterolo subisce una
reazione fotolitica (si trova a livello della pelle) dai raggi UVB e viene trasformato in vitamina D3
(colecalciferolo); la reazione consiste nell’apertura dell’anello B del 7-deidrocolestorolo. Questa
vitamina si può produrre dal nostro corpo o può essere anche assunta dal cibo, in entrambi i casi il
colecalciferolo segue lo stesso destino, ovvero arriva a livello del fegato.

Questo composto non è ancora l’ormone attivo, arriva a livello epatico e subisce una prima
idrossilazione attraverso una idrossilasi, e si forma il 25-idrossicolecalciferolo. Dal fegato,
trasportato da un’altra specifica globulina, arriva al rene, dove subisce un’ulteriore idrossilazione al
livello del C1 attraverso l’enzima 1-idrossilasi, formando il calcitriolo (1,25-idrossicolecalciferolo)
che è l’ormone attivo. Questo ormone attivo ha tre organi bersaglio: l’intestino, il tessuto osseo, i
tubuli renali. [si è visto che regola anche processi di proliferazione cellulare e altri ruoli].

Una volta attiva, può subire un’ulteriore idrossilazione in posizione 24 perdendo la sua attività ed
eliminata con la bile. Cosa fa il calcitriolo?
Il suo organo principale è l’intestino; il calcio assorbito con l’alimentazione deve essere assorbito a
livello intestinale. Questo trasporto può essere un trasporto passivo attraverso le tie junctions che
è però irrisorio. Il trasporto importante a livello intestinale è strettamente dipendente dal calcitriolo,
perché esso, a livello intestinale, promuove la sintesi di RNA messaggeri che codificano per proteine
vettrici del calcio, ovvero l’assorbimento avviene attraverso specifiche proteine la cui sintesi è sotto
il controllo di questo ormone steroideo. In assenza di vitamina D, queste proteine non vengono
assorbite e non viene assorbito calcio. Una piccola quantità di calcio viene però viene perduta
attraverso il filtro renale. In carenza di vitamina D l’assorbimento del calcio quindi non avviene,
perciò si va in contro a rachidismo nei bambini e all’osteomalacia per gli adulti, ovvero la perdita
della parte inorganica dell’osso.
A livello delle ossa agisce promuovendo il rimaneggiamento osseo. L’osso non è un pilastro fisso,
bensì un tessuto in continuo rimaneggiamento, nonostante non abbia un turnover elevatissimo
come altri tessuti. La vitamina D ha un’azione ipercalcemizzante a livello intestinale, nel tessuto
osseo svolge un’attività maggiore per gli osteoclasti, al livello del tubulo renale favorisce il
riassorbimento del calcio e del fosfato.

Calcitonina e paratormone
Regolano insieme il metabolismo del calcio, un elemento essenziale per la contrazione muscolare,
per la trasmissione degli impulsi nervosi e per la robustezza delle ossa, che possono essere
considerate un vero e proprio “serbatoio” di tale elemento. L’azione della calcitonina è di inibire la
fuoriuscita del calcio dalle ossa, quella del paratormone di stimolarla. In tal modo la concentrazione
ematica del calcio viene mantenuta costante ed eventuali variazioni sono molto limitate.
[nell’osteomalacia la parte organica dell’osso è regolata, viene a mancare la parte inorganica
dell’osso, mentre nell’osteoporosi è tutto il tessuto osseo che perde la consistenza; il bilancio
organico/inorganico rimane uguale, viene meno nella sua interezza. Nel caso del rachidismo o
osteomalacia, se introduciamo meno calcio, siccome la concentrazione del calcio ionico è
indispensabile per la vita, il paratormone lo prende dalle ossa.].
Il paratormone: è un altro ormone ipercalcemizzante, come la vitamina D3, viene prodotto dalle
paratiroidi, parte da 115 amminoacidi (perde prima un peptide segnale e poi un esapeptide) e arriva
a 84, ovvero la parte attiva dell’ormone. Il paratormone ha sempre i tre tessuti bersaglio del
calcitriolo: l’osso (favorisce il rimaneggiamento osseo a favore degli osteoclasti, per cui la sua azione
ipercalcemizzante avviene demolendo l’osso e portando il calcio in circolo) a livello dei tubuli renali
(favorendo il riassorbimento del calcio e l’eliminamento del potassio, a differenza della vitamina D
che favorisce il riassorbimento di entrambi) agisce anche a livello intestinale in maniera indiretta,
tramite il calcitriolo (favorisce la sintesi della 1-idrossilasi, l’enzima che catalizza l’idrossilazione in
pos. 1 che trasforma il calcidiolo in calcitriolo, per cui c’è anche una regolazione di tipo feedback, se
aumenta la concentrazione di vit. D diminuisce la sintesi dell’1-idrossilasi e diminuisce l’immissione
in circolo di paratormone e viceversa). I due ormoni ipercalcemizzanti sono calcitriolo e
paratormone, che vengono controbilanciati dalla calcitonina.

La calcitonina viene prodotta essenzialmente dalla tiroide, ma anche dalla paratiroide. E’ un piccolo
peptide di 32 aa. Con un ponte s-s, e ha due organi bersaglio: l’osso (facendo l’opposto del
paratormone, favorendo la calcificazione ossea) e a livello del tubulo renale (favorisce l’eliminazione
sia del calcio che del fosfato), ma non ha azione né diretta né indiretta a livello intestinale.

Lipidi complessi
Glicerofosfolipidi

In aggiunta agli alcoli ed acidi grassi si aggiunge


qualcos’altro. I glicerofosfolipidi hanno la struttura del
glicerolo, tuttavia sono dei fosfolipidi. Si parte dal
glicerolofosfato (la forma metabolicamente attiva del
glicerolo, che si può ottenere per fosforilazione attraverso
la glicerol-chinasi o da un metabolita della glicolisi in tutti gli
altri tessuti) ha un fosfato nel gruppo alcolico primario in
posizione 3. Il glicerofosfolipide più semplice è l’acido
fosfatidico, è fatto da: glicerolo, fosfato in posizione 3, due
acidi grassi (non tre) normalmente uno saturo in posizione 1 e uno insaturo in posizione 2. Questo
acido fosfatidico è un precursore della sintesi del fosfolipide completo. La x legata al fosfato prevede
che, a questo fosfato, si leghi un qualcosa che in genere è un alcol, a formare una serie di
glicerofosfolipidi. C’è una sola eccezione ai due acidi grassi (uno saturo e l’altro insaturo), ed è la
dipalmitoilfosfatidilcolina (ovvero una molecola di glicerolo, due molecole di acido palmidico e un
acido fosforico legato ad una colina). Questa è un’eccezione perché ha due acidi grassi saturi, e si
trova a livello degli alveoli polmonari e svolge una funzione di surfactante, ovvero favorisce gli
scambi gassosi (scambi tra l’ossigeno che entra e la CO2 che esce). La fosfatidilcolina è uno dei
glicerofosfolipidi più rappresentati; quando c’è la colina legata alla x dei glicerofosfolipidi questi
composti prendono il nome di lecitine (al plurale perché non si ha un acido saturo e insaturo
specifico, ma sono fosfolipidi che hanno legato al fosfato la colina).
Possiamo inoltre avere l’etanolammina
(fosfatidinetanolammina) o la serina
(fosfatidilserina), oppure il lioenositolo (un
poliaclol). Nel caso di colina, etanolammina e
serina notiamo che l’etanolammina può derivare
dalla serina, perdendo CO2 e quindi con una
decarbossilazione (possiamo trasformare la
fosfatidilserina in fosfatidiletanolammina, che è
una delle vie di sintesi più diffuse); si può
convertire un fosfolipide nell’altro.
L’etanolammina e la colina (ovvero la
fosfatidiletanolammina può essere trasformata in
fosfatidilcolina con la 3 metilazione SAM
dipendente).

Sfingolipidi
Non hanno l’ossatura del glicerolo (come i trigliceridi o i glicerofosfolipidi). Si dividono in
sfingofosfolipidi e glicolipidi (in pratica, dei lipidi complessi, che sono fosfolipidi e glicolipidi, nei
fosfolipidi possiamo avere i glicerofosfolipidi e gli sfingofosfolipidi, mentre i glicolopidi dipendono
tutti dalla sfingosina (?)). La sfingosina o sfingolo (a 16, 18 o 20 atomi di C) è fatta da una catena
idrocarburica, un doppio legame in trans tra i C 4 e 5 e 2 gruppi alcolici e un gruppo amminico. Gli
sfingolipidi devono avere acidi grassi, ma in realtà l’unico acido grasso presente non è legato a
nessuno dei due gruppi alcolici ma è legato con legame carboammidico al gruppo ammidico, in
realtà non risponde quindi alla definizione di esteri di alcoli mono o polivalenti con acidi grassi.
L’acido grasso non è legato con un legame estereo ma con un legame ammidico.
Il ceramide è l’unione dello sfingolo con un solo acido grasso (come l’acido fosfatidico). La
biomembrana è un binario di lipidi complessi, che hanno una componente idrofobica (due acidi
grassi) e una testa idrofilica (il fosfato con la x). Gli sfingolipidi hanno pure una testa idrofilica, negli
sfingofosfolipidi il gruppo alcolico primario è legato al fosfato che è legato a sua volta alla colina (o
all’etanolammina) a formare una sfingomielina. Questi sono lipidi anfipatici o anfifilici, cioè hanno
componente idrofobica e idrofilica. Le code idrofobe degli sfingolipidi sono l’acido grasso e la catena
idrocarburica della sfingosina.

Glicolipidi
Si dividono in cerebrosidi, solfatidi e gangliosidi. Sono lipidi che hanno una porzione idrofilica e
idrofobica, sono quindi anfipatici. I glicolipidi sono tutti sfingolipidi (a livello del gruppo alcolico
primario è legato uno zucchero al posto del fosfato). Il principale cerebroside è il galattocerebroside
(lo zucchero legato al gruppo alcolico primario è il galattosio). Ovviamente, il galattosio, essendo
fortemente idrofilico funge da testa idrofilica Possiamo trovare il glucosio, il lattosio, circa il 15/20%
di questi cerebrosidi sono solfatidi (cerebrosidi nei quali alcuni gruppi ossidrilici del monosaccaride
sono stati sostituidi da acido solforico). I glicolipidi più complessi sono i gangliosidi che, piuttosto
che avere un monosaccaride o un disaccaride hanno una catena oligosaccaridica complessa, molti
dei quali hanno uno o più residui di acido sialico (deossiamino zucchero) avendo sialogangliosidi e
asialogangliosidi, ma tutti hanno una catena oligosaccaridica più o meno complessa. Tra i glicolipidi
ci sono quelli da cui dipendono i gruppi sanguigni.
Le membrane biologiche
Le strutture delle membrane sono degli ambienti cellulari ben definiti perché non sono
semplicemente dei setti separatori, ma svolgono varie funzioni:

• Ci sono delle proteine che hanno enzimi e che catalizzano le reazioni;


• Proteine recettoriali che sono in grado di riconoscere e legare biosegnalatori che
provengono dall’esterno;
• Ci sono proteine presenti nelle membrane in grado di interagire con le proteine della matrice
extracellulare o con proteine di cellule vicine con conseguente formazione di tessuti;
• Ci sono proteine che sono delle traslocasi di membrane, dove delle cellule non potrebbero
attraversare autonomamente la membrana;
• Le membrane hanno una loro elasticità, per cui è possibile che si modificano durante la
crescita di una cellula;
• Hanno la capacità di rompersi e di auto sigillarsi.

Il modello universalmente accettato è il cosiddetto “mosaico fluido”. È composto da un doppio


strato di lipidi complessi nei quali, in superficie o in profondità, galleggiano proteine di varie classi.
Il nome nasce dal fatto che in queste strutture vi sono presenti dei legami deboli, che consentono
di muoversi in maniera laterale, mentre sono più difficili i movimenti da uno strato all’altro. La
membrana ha struttura asimmetrica sia per la diversa composizione dei lipidi, che si trovano nel
foglietto esterno e nel foglietto interno, sia per la diversa composizione delle proteine dei sistemi
proteici che sono presenti nella membrana.

Le molecole costituenti la membrana sono:

• I fosfolipidi;
• Le proteine;
• Le glicoproteine;
• I glicolipidi;
• Il colesterolo.
La grande differenza di concentrazione di vari composti noi la troviamo all’esterno e all’interno di
una cellula. Ad esempio il sodio è una molecola prevalentemente extracellulare e la concentrazione
che noi troviamo all’esterno è circa 15 volte maggiore di quella interna. Per far si che ci siano queste
differenze di concentrazione, ci devono essere delle molecole presenti nella membrana,
responsabili di questi passaggi, e che ovviamente debbano avvenire contro i gradienti di
concentrazione. È chiaro che se un sistema di trasporto segue le leggi dell’osmosi, all’equilibrio, la
concentrazione interna e quella esterna devono essere uguali. Nelle membrane, dette anche
complessi lipoproteici insolubili, il rapporto lipidi/proteine è circa 1:1.

Si è capito che il modello


universale era quello a
mosaico fluido facendo
delle valutazioni di come
composti anfipatici si
comportano in presenza di
acqua. Le molecole
anfipatiche presentano le
testine idrofiliche e le
codine idrofobiche.
Quando una molecola
anfipatica ha una testa la
cui sezione è maggiore
rispetto alla coda
spontaneamente tende a formare micelle. Si viene a formare la struttura bilayer per avere una
struttura termodinamicamente più stabile, ma avrebbe tutte le componenti idrofobiche a contatto
con l’acqua e di conseguenza sarà stabilità. La stabilità si ottiene nel momento in cui questo bilayer
si chiude su sé stesso a formare una vescicola, detta anche liposoma.

I fattori che determinano la fluidità della membrana sono:


• La temperatura, se noi aumentassimo la temperatura, il mosaico fluido andrebbe verso la
situazione più disordinata. A temperatura corporea, queste membrane hanno una struttura
ordinata, se invece si abbassasse la temperatura, il sistema si irrigidirebbe;
• La lunghezza delle catene aciliche;
• Le insaturazioni degli acidi grassi;
• Il colesterolo;
• Le proteine.

Abbiamo detto che la membrana ha una struttura


asimmetrica, che è dovuta a vari fattori ad esempio la
diversa distribuzione dei lipidi complessi. Tutti i componenti
del vivaio della membrana non sono distribuiti in maniera
uguale tra lo strato interno e quello esterno. Osservando il
grafico, nello strato esterno fanno da padrone la
fosfatidilcolina e la sfingomielina, invece nello strato interno
noi troviamo la fosfatidiletanolammina e la fosfatidilserina.
Quindi si può vedere la forte asimmetria presente nei
fosfolipidi, ma per motivi ben precisi. Portiamo l’esempio
della fosfatidilserina che si trova nello strato interno,
quando la cellula va incontro al meccanismo di poptosi, un primo evento è la fuoriuscita di residui
della fosfatidilserina verso lo strato esterno, e i macrofagi che riconoscono la cellula che ha
esternato la fosfatidilserina mette in atto il processo di suicidio cellulare. Si vengono a formare dei
corpi poptodici che vengono presi dai macrofagi portandoli ad una morte pulita della cellula senza
avere rimasugli. I fosfoinositidi sono presenti in piccole quantità nello strato interno, non hanno una
funzione strutturale ma intervengono nei processi di biosegnalazione.

Il modello del mosaico fluido, dove tutte le componenti


lipidi e proteine, sono tenute insieme da legami deboli,
osservando la figura possiamo vedere come la diffusione
laterale non catalizzata è molto lenta. Quando un lipide
complesso deve passare da uno strato all’altro, lo fa con
un movimento chiamato flip-flop. Se guardassimo il caso
in alto il punto (a), il perno rosso deve passare dal lato
esterno al lato interno, che se non fosse catalizzato,
sarebbe un evento molto lento. Mentre la diffusione
laterale non catalizzata (c), essendo una struttura fluida
a temperatura ambiente, può essere molto veloce, a
meno che non ci siano legami covalenti che ancorano
altre proteine e lo spostamento del perno rosso sarà
molto veloce. Tuttavia la traslocazione trasversale o flip-
flop può avvenire anche in maniera catalizzata,
altrimenti non si spiegherebbe come mai noi abbiamo
prevalentemente fosfatidilcolina e sfingomielina nella
parte esterna, perché nel tempo e in assenza di enzimi,
la concentrazione all’interno e all’esterno, per quanto
lenti possono essere questi passaggi non catalizzati, si arriverebbero a eguagliare per fattori naturali.
Allora, per mantenere questa diversità della composizione lipidica, sono necessari degli enzimi che
svolgono questo determinato ruolo. Quando i lipidi sono sintetizzati a livello di reticoli
endoplasmatico, la massimatura si ha a livello dell’apparato di Golgi e durante la sintesi di questi
lipidi complessi inizialmente si trova in una situazione opposta di quella che poi si riscontra nella
membrana, pertanto quando questi lipidi vanno inseriti nella membrana è necessario l’intervento
di determinati enzimi, detti flippasi, essi trasportano i lipidi dal lato esterno verso il lato interno
della membrana, però per fare tale spostamento richiede dell’energia, l’ATP. Vi sono degli enzimi
che sono in grado di fare il processo inverso, ovvero portare verso l’esterno quei lipidi complessi,
essi prendono il nome di floppasi, anche essi richiedono energia e vengono detti ATPasi e
trasportano dal lato citosolico esterno fosfatidilcolina e sfingomielina. In aggiunta a questi due
enzimi, esistono le scramblasi che non consumano ATP, ma sono in grado di equilibrare la
distribuzione di lipidi complessi da uno strato all’altro che reagiscono in entrambi i sensi.

Le proteine di membrana

Le proteine possono essere:

• Intrinseche o integrali à Per separarle occorrono trattamenti energici con agenti chimici o
detergenti. Esse quando si purificano, essendo che hanno delle componenti idrofobiche che
potrebbero interagire tra di loro, occorre usare dei solventi organici nei tamponi.
• Estrinseche o periferiche à Per separarle, bastano trattamenti blandi con alta forza ionica
o pH, come delle concentrazioni 1M di cloruro sodico perché è sufficientemente forte per
rompere il ponte a idrogeno o le interazioni elettrostatiche, che sono le interazioni con le
quali questo tipo di proteine interagisce con la membrana.

La membrana eritrocitaria

Il modello più studiato membrana plasmatica è la membrana eritrocitaria, per la facilità con
la quale la possiamo ottenere in laboratorio.

Meccanismo di trasporto di membrana

La membrana cellulare è in grado di permettere il passaggio di sostanze in maniera selettiva grazie


a meccanismi di trasporto. Ricordiamo che il doppio strato lipidico costituisce una barriera di
passaggio di tutte le molecole
polari cariche, mentre permette il
passaggio di piccole molecole
polari prive di carica. Le sostanze
idrofobiche passano invece bene
il doppio strato senza causare
problemi, come i gas O2, CO2, N2.

Le modalità con cui una molecola può superare il vivaio lipidico sono due:
v Trasporto passivo à Il trasporto passivo a sua volta si divide in:

Ø Diffusione facilitata à Questo genere di diffusione che permette l’attraversamento


della membrana a quelle determinate molecole che non potrebbero attraversarla sia
in un senso che nell’altro e seguono le leggi dell’osmosi. Il meccanismo avviene per
le sostanze idrofiliche ed eventualmente cariche e ciò è possibile grazie a delle
specifiche proteine di membrana che agiscono da permeasi o traslocasi e che
agiscono secondo diversi modelli. In quanto proteine, hanno dei siti attraverso cui
sono in grado di riconoscere e legare le varie
sostanze e soltanto esse possono passare
attraverso specifiche traslocasi. Nella
diffusione facilitata da un punto di vista
cinetico ponendo nelle ordinate la velocità di
trasporto e in ascisse la concentrazione della
sostanza che deve essere trasportata, la
differenza tra un trasporto passivo e uno
facilitato ha delle analogie con una reazione
non catalizzata. Nel trasporto passivo, la
velocità è direttamente proporzionale alla
concentrazione, e ciò lo individuiamo nella retta; se invece il trasporto prevede il
coinvolgimento di una traslocasi, il trasporto seguirà la cinetica di saturazione e la
velocità si muoverà come un’iperbole rettangolare, come avviene nelle reazioni
catalizzate da enzimi.

Ø Diffusione passiva à Essa è consentita solo a quelle sostanze che possono


attraversare autonomamente la membrana, come i gas o sostanze idrofobiche. Esse
la attraversano senza coinvolgere alcun componente della biomembrana e ciò
avviene seguendo le leggi dell’osmosi, ovvero nel momento in cui la concentrazione
di questa sostanza all’interno e all’esterno si eguaglia, non si avrà più un trasporto
netto, ed esso è un equilibrio dinamico.

Di molto aiuto, per capire al meglio come funzionavano le traslocasi, furono i peptidi ionofori. Questi
peptidi si ottengono dalla sintesi di funghi, batteri, e hanno una serie amminoacidica molto
particolare. Essi furono utilizzati come trasportatori di ioni a livello di
membrane di fosfolipidi sintetiche, ad esempio la valinomicina, è un
peptide che ha una struttura a ciambella, con all’esterno aa di tipo
idrofobico, all’interno aa che hanno caratteristiche idrofiliche, essa ha
una grande affinità con il potassio. Allora, nel momento in cui si mette
il K da un lato della membrana dove, precedentemente non si era
aggiunta la valinomicina, non attraversa la membrana; però se lo
poniamo a contatto con la valinomicina grazie ai suoi gruppi
idrofobici, permette l’attraversamento della membrana. Questo
esperimento è dipendente dalla temperatura, se noi abbassassimo la
temperatura la membrana si irrigidirebbe e non permetterebbe il passaggio di potassio.

Un altro peptide ionoforo, in grado di far passare il potassio, è la gramicidina A. Essa assume nello
spazio una struttura ad a-elica, all’esterno abbiamo aa idrofobici, all’interno idrofilici. Questo tipo
di traslocasi, a differenza del precedente costituisce una specie di foro o canale attraverso il quale
passa il potassio, questo processo è indipendente dalla temperatura, se invece variassimo lo
spessore del vivaio non si verrebbero a creare quei canali.

I meccanismi di passaggio di membrana si dividono ancora in:


• Uniporto à Una traslocasi che
agisce con tale meccanismo, permette il
passaggio di una molecola dal lato
all’altro della membrana.

• Cotrasporto che si divide in:

Ø Simporto à Esso è il meccanismo


attraverso il quale una molecola può
attraversare la membrana in un senso a
patto che nello stesso senso passi
un’altra molecola.

Ø Antiporto à Esso è il meccanismo attraverso il quale un composto può attraversare


in un senso, a patto che un altro composto attraversi nel senso opposto. Un esempio
che possiamo fare è lo ione bicarbonato, che nei tessuti si viene a formare il legame
con il bicarbonato che si va formando va nel plasma e la conseguente entrata del
cloro, mentre nei polmoni è il contrario.
v Trasporto attivo à Il trasporto attivo prevede sempre il coinvolgimento delle componenti
di membrana, ma questo genere di traslocasi agisce contro le leggi dell’osmosi consumando
ATP, e consente di spostare delle sostanze contro il gradiente elettrochimico. Essi sono
unidirezionali. Il sistema di trasporto attivo più importante è la pompa Na-K ATPasi, questa

pompa si trova in tutte le cellule del nostro organismo, eccetto per il cervello. Il 25% circa
dell’ATP che noi produciamo, derivante dalla degradazione di tutto ciò che noi introduciamo
tramite l’alimentazione, serve al funzionamento di tale pompa. Questa pompa è un
tetramero, con due sub-unità a e due sub-unità b, che contro i livelli di concentrazione,
caccia fuori il sodio e mette dentro il potassio. Per ogni molecola di ATP scissa, 3 ioni sodio
vengono espulsi e contemporaneamente 2 ioni di potassio entrano. È un sistema di antiporto
ed elettrogenico, perché ogni 3 cariche positive che escono 2 cariche positive entrano, ed è
responsabile della polarizzazione di tutte le membrane delle nostre cellule. Il sistema della
pompa può assumere due conformazioni. Il ciclo inizia con la proteina che ha una grande
affinità per il sodio e lega il Na, anche se all’interno c’è ne poco, nel momento in cui si lega
con il sodio si attiva l’attività chinasica della pompa che consuma una molecola di ATP e in
seguito, viene fosforilato un residuo amminoacidico delle sub-unità a. Nel momento in cui il
sistema si è fosforilato, cambia di conformazione e non ha alcuna affinità con il Na e lo libera,
anche se la concentrazione di sodio all’esterno è notevole, e questa conformazione è
particolarmente affine con il potassio che nel momento in cui si lega, si attiva l’attività
fosfatasica e quando si stacca il fosfato, si ritorna alla conformazione iniziale che non ha
alcuna affinità con il potassio e viene liberato. Vi sono molte altre pompe, come ad esempio
la pompa allo iodio che agisce al livello della ghiandola tiroidea, oppure le pompe protoniche
al livello del nostro stomaco responsabile del pH acido.
Esistono due tipi di trasporto attivo:

• Primario à Il trasporto attivo primario è quello della pompa Na-K, per cui quando si
pompano sostanze da una zona a più bassa
concentrazione, verso una a più alta concentrazione si
consuma ATP.

• Secondario à Il trasporto secondario è un cotrasporto,


il simporto. Per esempio un composto può andare contro
il livello di concentrazione se trascinato da un simporto con
un altro composto che va secondo gradiente di
concentrazione, con una variazione di concentrazione
maggiore. Un esempio di trasporto attivo secondario è ciò
che avviene a livello intestinale e del tubo renale, perché il glucosio entra contro il gradiente
trascinato dal Na, vi è un simporto sodio-glucosio e il sodio muovendosi secondo il proprio
gradiente, fornisce l’energia per trasportare il glucosio, ma contro il suo gradiente. L’ATP non
si usa direttamente nel trasporto sodio-glucosio, ma si usa nella Na-K ATPasi.

Gli acidi nucleici

Gli acidi nucleici sono polimeri di nucleotidi. I nucleotidi sono sostanze formate da una base azotata,
che possono essere purine o pirimidine (le purine sono formate da un doppio anello eterociclico, un
anello pirimidinico e uno imidazolico; mentre le pirimidine sono composte da un singolo anello) da
uno zucchero a 5 atomi di carbonio, che può essere il ribosio o il desossiribosio, e da uno o più
radicali fosforici. I nucleotidi o acidi nucleici sono due e sono DNA e RNA, sono due differenti
tipologie di polimeri. Il DNA come zucchero ha il deossiribosio, mentre RNA ha il ribosio, e l’altra
differenza sta nelle basi azotate, nel RNA è presente l’uracile mentre nel DNA si ha la timina. I
nucleotidi non sono solo un mattone costitutivo di acidi nucleici, ma svolgono anche molte funzioni
biologiche. L’ATP è un nucleotide, e quando ad esempio gli zuccheri devono partecipare a processi
biosintetici, devono agire in forma uripilata, quindi devono reagire prima con UTP. I nucleotidi li
abbiamo visti anche nel FAD e nel NAD, o nei nucleotidi guaninici in forma di proteine G. Nella
struttura dei polinucleotidi, i nucleotidi si mettono insieme attraverso legami fosfodiesterici, e la
loro ossatura dipende dal legame tra il carbonio 5’ di uno zucchero e il carbonio 3’ dell’altro. Ogni
acido nucleico ha una sequenza nucleotidica ben precisa, ha una struttura primaria e per
convenzione si parte dal numerare dall’estremità 5’ libero verso l’estremità 3’ libera. Gli acidi
nucleici sono dei poli-anioni per le cariche negative dei fosfati. Parlando del DNA, esso è composto
da una doppia elica destrorsa di due catene polinucleotidiche, che da una maggiore stabilità
termodinamica, la doppia elica si appaia con un sistema anti parallelo e con un perfetto
appaiamento delle basi (adenina-timina, guanina-citosina tenute insieme rispettivamente da 2 e 3
ponti ad idrogeno). Si può avere anche una struttura secondaria dove la doppia elica ha una
maggiore stabilità. Si viene a formare un’ossatura di fosfato-zucchero e le basi azotate che si
impilano all’interno hanno caratteristiche di idrofibicità, per cui questa struttura nello spazio
aumenta la stabilità termodinamica della struttura. Quando si viene a creare questa struttura, si
generano dei solchi. Le molecole di DNA sono le molecole più grandi presenti nel nostro corpo, essa
è ripiegata all’interno del nucleo dove i filamenti sono compattati. I filamenti si compattano già con
l’elica destrorsa, ma la cromatina che viene impacchetta nel DNA, vede questa molecola avvolta a
delle proteine basiche dette istoni presenti negli eucarioti. Gli istoni sono delle proteine basiche che
contengono un sacco di residui di lisine e arginine, che con le cariche positive stabilizzano le cariche
negative di questo polianione, questi ottameri istonici vanno a compattare il DNA che si avvolge.
L’RNA è un polinucleotide a singolo filamento che talvolta può ripiegarsi a formare delle forcine, e
l’appaiamento avviene tra adenina-uracile. Abbiamo diverse forme di RNA:

• RNA ribosomiale che è il più grande e che insieme alle proteine costituisce ribosomi a livello
dei quali avviene la sintesi delle proteine;

• RNA transfer ha una struttura a quadrifoglio, ciascuna dei quali va a riconoscere uno
specifico amminoacido e seguendo le informazioni del RNA messaggero, i singoli
amminoacidi vengono disposti nella sintesi delle proteine;

• RNA messaggero, sono quelli che trasferiscono l’informazione dal DNA al ribosoma che
durante il processo di trascrizione danno le informazioni.

Processi di trasduzione del segnale


Sono quei meccanismi attraverso i quali le cellule sono in grado di riconoscere un segnale che
proviene dall’esterno e dare una risposta a questo segnale. Sono presenti in tutte le cellule, sia negli
organismi monocellulari che negli eucarioti. Gli stessi batteri, attraverso dei recettori di membrana,
sono in grado di avvicinarsi al cibo, allontanarsi da sostanze tossiche ecc.
Negli organismi superiori l’integrazione funzionale dei vari organi è resa possibile da informazioni
che vengono diramate per via nervosa o per via umorale. Sebbene funzionalmente distinti, questi
due sistemi di informazione e regolazione sono fra di loro strettamente coordinati da un comune
centro di controllo, ovvero l’ipotalamo, e da interdipendenti sistemi di effettori cellulari. Ci
occuperemo fondamentalmente di ormoni, che sono dei biosegnalatori che regolano i processi
metabolici. L’equilibrio che sta alla base di una cellula o di un organismo si basa sul controllo dei vari
processi che possono avvenire in questa cellula. Gli ormoni che approfondiremo sono i
biosegnalatori che regolano i processi metabolici, ma i biosegnalatori possono essere anche fattori
di crescita, che legandosi a specifici recettori inducono la cellula bersaglio non a modificare i processi
biologici di tipo metabolico, ma a far si che da una cellula madre si formino due cellule figlie
(trasduce il meccanismo di tipo proliferativo). Esistono anche dei fattori di morte; all’interno di una
cellula sono presenti i geni che codificano per l’apoptosi, esistono dei biosegnalatori che inducono
questo processo o dall’esterno o dall’interno della cellula stessa (se ha subito dei danni irreparabili).
Altri biosegnalatori possono essere i neurotrasmettitori che, legandosi a specifici recettori,
inducono la neurotrasmissione.

Quindi i biosegnalatori sono tutti quei tipi di molecole che, legandosi a specifici recettori presenti in
specifiche cellule bersaglio, possono invocare una risposta di vario tipo. Questi messaggeri vengono
detti messaggeri primari. Gli ormoni e i fattori di crescita e differenziamento sono quindi messaggeri
chimici (messaggeri primari) che regolano lo sviluppo ed il differenziamento cellulare e coordinano
l’attività di cellule e tessuti nell’organismo adulto. I messaggeri primari esplicano la loro azione sulle
cellule bersaglio, dotate di recettori capaci di riconoscere il segnale e di dispositivi molecolari atti a
tradurre lo stimolo in idonee modificazioni metaboliche e funzionali. Quindi, le risposte indotte dai
messaggeri primari hanno come risultato quello di adattare l’organismo alle condizioni imposte
dall’ambiente esterno o interno. Tale adattamento, che tende a preservare l’organismo nelle
condizioni fisiologiche ottimali, viene indicato con il termine di OMEOSTASI. Perché un segnale
(primo messaggero) che giunge sulla cellula possa essere trasdotto, la cellula deve possedere alcuni
requisiti:
• essere capace di riconoscere il biosegnalatore
• essere capace di trasformarlo in un segnale intracellulare (molto spesso è un secondo
messaggero, ma non sempre); il primo messaggero è sempre altamente specifico, il secondo
potrebbe non esserlo. Biosegnalatori diversi legandosi in recettori altamente specifici
possono evocare lo stesso tipo di risposta.
• essere capace di elaborare una risposta citoplasmatica o nucleare adeguata.

Nella figura abbiamo una cellula che secerne un composto chimico che
arriva sulla cellula bersaglio, e la cellula bersaglio è tale se possiede per
quel biosegnalatore un recettore specifico. Il recettore specifico può
essere sulla membrana e tutto questo accade per biosegnalatori
idrosolubili (non possono facilmente attraversare il binario lipidico).

I biosegnalatori liposolubili possono facilmente attraversare la


membrana e possono trovare un recettore intracellulare (che può
essere citosolico o nucleare), che si lega al biosegnalatore dando origine
al meccanismo di risposta. La cellula è quindi bersaglio solo se possiede
lo specifico recettore. I recettori sono sempre di natura proteica perché
le proteine posseggono un sito in grado di riconoscere e legare una
specifica molecola di natura proteica o non.

Meccanismi di risposta

Segnalazione endocrina: è tipica degli ormoni. Gli ormoni sono il prodotto di ghiandole endocrine
(o a secrezione interna), ovvero ghiandole che producono qualcosa che viene riversato nel circolo
ematico; poiché il circolo ematico raggiunge tutte le cellule del nostro organismo, anche il composto
riversato può raggiungere tutte le cellule del nostro organismo. Come vedremo, non agirà su tutte
le cellule, ma soltanto su quelle che possiedono un recettore per quel biosegnalatore. Le ghiandole
endocrine sono diverse da quelle esocrine che riversano il proprio prodotto all’esterno dello
organismo o in parti dell’organismo comunicanti con l’esterno (es. ghiandola sudorifera, salivare, il
pancreas). Questo tipo di segnalazione è tipica degli ormoni.

Segnalazione paracrina: tipica dei neurotrasmettitori e degli ormoni locali. Si intende segnalazione
paracrina quando una cellula che produce un biosegnalatore lo riversa sempre all’esterno, ma non
nel circolo ematico, bensì nella matrice extracellulare e trova la cellula bersaglio adiacente, perché
diversi tessuti sono formati da citotipi diversi! Una segnalazione paracrina prevede che la cellula che
produce il biosegnalatore lo riversi nella matrice extracellulare e, adiacente a questa cellula sia
presente un altro citotipo, che possiede i recettori e conseguentemente la cellula bersaglio è
adiacente a quella che ha prodotto il biosegnalatore.

Segnalazione autocrina: la cellula che produce il biosegnalatore è essa stessa cellula bersaglio, solo
che il biosegnalatore deve sempre essere riversato all’esterno, cioè a livello della matrice
extracellulare, e i recettori si trovano sulla membrana cellulare della stessa cellula che l’ha prodotta.
La cellula è essa stessa bersaglio dei biosegnalatori.
Segnalazione giustacrina: particolare tipo di segnale che in realtà non prevede un biosegnalatore,
ma che alcune proteine della membrana modificando la loro conformazione fanno si che
determinati segnali possano andare da proteine della matrice verso proteine del citoscheletro e
viceversa, ma non c’è un vero biosegnalatore, ma una proteina di membrana che subendo una
modificazione conformazionale si comporta in maniera diversa.

Caratteri generali della biosegnalazione

Sensibilità e specifiicità
La prima tappa del processo è il legame del biosegnalatore al recettore; questi recettori sono
altamente specifici e sensibili, normalmente il biosegnalatore può reagire a concentrazioni
picomolari. Sono sufficienti piccole quantità di biosegnalatore per scaricare una risposta massiva.
Questa affinità nasce dall’affinità che ha il biosegnalatore nei confronti del recettore e quindi dalla
sua costante di dissociazione, che ha lo stesso significato della Km, solo che è (k2/k1). C’è
un’altrettanta notevole specificità: un recettore riconosce sempre e comunque il suo biosegnalatore
e non una molecola simile, anche se essa si trova a concentrazioni milioni di volte superiore.
L’elevatissima specificità nasce anche da un’altra caratteristica del processo di biosegnalazione: una
cellula è bersaglio di un biosegnalatore se possiede il recettore. Se un biosegnalatore ha recettori
soltanto su alcune cellule, il sangue può portarlo in tutte le cellule dell’organismo, ma soltanto
quelle che hanno il recettore possono legarlo. Un’ulteriore specificità si ha dalle caratteristiche
metaboliche che hanno le cellule. L’adrenalina, ad esempio, è un ormone che risponde a stimoli
nervosi. Essa è prodotta dalla midollare del surrene. Essa agisce principalmente su tessuto
muscolare, il fegato e l’adipocita. Sia nel fegato che nell’adipocita ci sono recettori per l’adrenalina.
L’adrenalina risponde ad uno stimolo nervoso (viene chiamato l’ormone dello stress), anche perché
la midollare del surrene, durante lo sviluppo embrionale, nasce dalle stesse cellule da cui nasce il
tessuto nervoso. L’adrenalina, rispondendo allo stimolo, deve promuovere processi degradativi per
fornire alle cellule le energie che serviranno alla fuga. In entrambi i tessuti promuove questi
processi, ma quali sono i depositi specifici? Nel fegato c’è il deposito di glicogeno (si trova molto
concentrato). La degradazione del glicogeno porta alla formazione di glucosio che viene poi
trasportato ai muscoli. Per produrre energia, il muscolo può utilizzare il glucosio, ma anche la beta
ossidazione degli acidi grassi. Ecco spiegato il motivo per cui l’adrenalina ha recettori a livello
dell’adipocita dove promuove la glicolisi periferica. Questa specificità consiste che a livello del
fegato promuove una glicogenolisi perché lì c’è glicogeno, a livello dell’adipocita promuove una
lipolisi perché lì ci sono trigliceridi, ma entrambi vanno verso lo stesso scopo, ovvero fornire al
muscolo l’ATP per potere combattere o fuggire. Il fegato non ha trigliceridi di deposito, quindi
l’adrenalina promuove la glicogenolisi, mentre nell’adipocita la lipolisi.

Amplificazione
I processi di biosegnalazione sono caratterizzati da una forte amplificazione, anche di diversi ordini,
nel senso che talvolta una singola molecola di biosegnalatore attiva un sistema (es. enzima) il quale
trasforma, ad esempio, un numero indefinito di substrati in prodotti, ciascuno dei quali va ad
attivare un altro enzima. Normalmente, i processi di biosegnalazione, mettono in atto una cascata
enzimatica che provoca un’amplificazione del segnale notevolissima, per cui da un singolo
segnalatore si possono coinvolgere milioni di metaboliti.
Modularità
Ci sono delle proteine coinvolte nel processo di biosegnalazione che possono a loro volta regolare
e intervenire su proteine diverse. A loro volta queste proteine diverse (o proteine partner che
possono interagire con la prima proteina) possono certe volte interagire e certe no. Immaginiamo
che una proteina partner di una prima proteina, che viene attivata in un processo di
biosegnalazione, può avere una modificazione covalente reversibile, ad esempio essere fosforilata
o non fosforilata. Supponiamo che nel primo caso interagisca e nel secondo no. La prima proteina
non reagisce sempre con la seconda, ma solo se essa è fosforilata (ovviamente questo non è un fatto
casuale, ma ampiamente regolato).

Desensibilizzazione/adattamento
Tutto questo serve ad evitare che un segnale, se perdura nel tempo o se è eccessivo, crei una
situazione opposta a quella che si voleva modificare. Se il segnale è eccessivo, è necessario che la
cellula abbia dei meccanismi di desensibilizzazione/adattamento.

Integrazione
Tra segnali che possono essere diversi e, talvolta, contrastanti. Una cellula contiene diversi tipi di
recettori; se contemporaneamente alla cellula arriva un segnale che gli impone di aumentare la
concentrazione di un composto o di variare il potenziale di membrana, ma contemporaneamente
riceve un altro segnale che dice esattamente l’opposto, i due segnali vengono integrati e la
variazione della concentrazione e del potenziale di membrana sarà una variazione che prevede
l’integrazione dei due segnali tra loro contrastanti.

Tipi di segnalatori
Ormoni: sono messaggeri secreti da ghiandole endocrine specializzate, che viaggiano con la
corrente sanguigna fino a raggiungere le loro cellule bersaglio.
L’ipotalamo, e in particolare l’ipofisi, hanno un ruolo importantissimo nella regolazione di questi
processi. L’ipofisi è divisa in una parte anteriore (che produce ormoni di natura glicoproteica, come
il somatotropo ovvero l’ormone della crescita, l’omone luteinizzante che agisce sulla produzione di
ormoni steroidei, l’ACTH che agisce sulla corteccia del surrene e produce glucocorticoidi e
mineralcorticoidi, il TSH che agisce sulla tiroide per la produzione di T3 e T4 e la prolattina), una
intermedia, e una posteriore che non produce ormoni, ma immagazzina ormoni prodotti
dall’ipotalamo (in particolare vasopressina e ossitocina).
Alla midollare del surrene si arriva senza passare dall’ipotalamo e qui viene prodotta l’adrenalina (o
epinefrina).

Neurotrasmettitori: sono sintetizzati da cellule


nervose, immagazzinati in vescicole, secreti
dopo segnalazione nella fessura sinaptica e sono
riconosciuti da recettori che si trovano su
bersagli a breve distanza (con una postsinapsi).
Alcuni neurotrasmettitori sono l’acetilcolina (che
è il principale neurotrasmettitore di tipo
eccitatorio), il GABA (il principale neuroinibitore)
e l’adrenalina (che è sia un ormone che un
neurotrasmettitore).
Mediatori locali: vengono rilasciati dalle cellule e agiscono con meccanismi di tipo paracrino. Fattori
di crescita, citochine interleuchine, eicosanoidi (protaglandine, prostacicline, trombossano derivano
dagli eicosanoidi)

I recettori
Sono sistemi specializzati nel riconoscimento dei segnali. Abbiamo recettori di membrana (tipici
delle sostanze idrosolubili) e recettori intracellulari (tipici delle sostanze liposolubili) che possono
essere piccole molecole segnale idrofobiche, le quali molecole, essendo idrofobiche, viaggiano in
circolo legati a speciali proteine carrier (come albumine o globuline che agiscono favorendo la
solubilizzazione nel liquido acquoso plasma di sostanze idrofobiche, dopo di che trovano i recettori
all’interno della cellula). I recettori di membrana possono essere: a sette eliche di membrana, enzimi
(una volta che si lega il biosegnalatore si attiva l’attività enzimatica e l’enzima catalizzerà una
reazione), canali ionici, di adesione. I recettori possono essere citosolici, ma sono prevalentemente
nucleari.

I recettori accoppiati a proteine g sono sempre a sette eliche transmembrana, che in pratica hanno
sempre una componente extracellulare, dove è presente il sito in grado di riconoscere e legare il
biosegnalatore, attraversano la membrana sette volte attraverso alfa-eliche di Pauling di circa 20 a
28 aa., una componente intracellulare. Questi recettori, all’interno della cellula, sono legati alle
proteine di tipo G. Queste proteine sono sempre eterotrimeriche, ovvero formate da tre subunità
diverse fra di loro: una alfa, beta e gamma. Esistono, però, proteine G monomeriche (ad esempio
nel meccanismo di biosegnalazione dell’insulina).Queste proteine hanno tutte una caratteristica,
ovvero legare nucleotidi guanilici e in particolare legano lo GDP (guanosina di-fosfato, che è un
nucleotide difosfato) quando sono inattive, e lo GTP (guanosina tri-fosfato) quando invece sono
attive. Questo meccanismo è sempre costante, sia che la proteina sia monomerica o eterotrimerica.
Una volta attivate queste proteine, si muovono all’interno della membrana alla quale sono ancorate
attraverso un residuo di acido palmitico e possono poi interagire con un enzima effettore (che
possono attivare o inibire), o con un recettore canale, aprendolo o chiudendolo. Questi recettori
collegati a proteine g sono responsabili ad altri tipi di segnalazione che prevedono la funzione della
visione, dell’olfatto o del gusto.

Fondamentalmente adrenalina e glucagone sono quelli che di più intervengono nel metabolismo e
che sfruttano lo stesso meccanismo di biosegnalazione; utilizzano lo stesso meccanismo di
biosegnalazione, ma non rispondono allo stesso stimolo. L’adrenalina risponde ad uno stimolo di
tipo nervoso, il glucagone risponde ad uno stimolo umorale (ovvero la variazione di concentrazione
di un composto nel nostro sangue, in questo caso il glucosio) ed è un ormone iperglicemizzante, che
viene messo in circolo quando, tra un pasto e l’altro, tutte le cellule attingono al glucosio del sangue
e deve fare risollevare le quantità di glucosio nel sangue. Sono recettori diversi che, attraverso un
meccanismo simile, inducono entrambe alla glicogenolisi.

Recettori a enzima à dal punto di vista strutturale hanno una componente extracellulare che
presenta il sito del biosegnalatore, una transmembrana, e quella intracellulare (il cosiddetto
trasduttore) che catalizza una specifica reazione enzimatica. Nel recettore a sette eliche
transmembrana il recettore non è un enzima, qui il recettore è esso stesso un enzima che è inattivo
quando non è legato il biosegnalatore; quando questo si lega, l’enzima subisce una modificazione
conformazionale che attiva il trasduttore intracellulare, il quale catalizza una specifica reazione. Ce
ne sono di due tipologie:
• TK o a tirosinachinasi: ha un’attività tirosinachinasica che va a fosforilare residui di tirosina
di proteine bersaglio (non di tirosine libere), le quali, una volta fosforilate, saranno attivate
o inbite, cioè daranno inizio al processo di biosegnalazione. Un tipico recettore a TK è il
recettore dell’insulina.
• ad attività guanilatociclasica: catalizza la reazione di trasformazione dello GTP in GMP
ciclico, che agisce da secondo messaggero e attiverà specifiche proteine chinasi, le quali
andranno a fosforilare specifiche proteine bersaglio.

Recettori canale à sono i più semplici e sono quelli che si possono aprire o chiudere e lasciare
passare degli ioni. Questi recettori possono essere a sbarramento di ligando (cioè che si aprono
quando si lega un biosegnalatore) ma anche a sbarramento di potenziale (che si aprono o si
chiudono quando varia il potenziale della membrana).

Recettori di adesione à (come le integrine), ovvero proteine che possono modificare la loro
conformazione facendo variare i rapporti tra proteine della matrice extracellulare e proteine del
citoscheletro in un senso o nell’altro.
Questo per quanto riguarda i recettori di membrana sono biosegnalatori di tipo idrofilico i quali
inducono una risposta nella cellula bersaglio senza neanche entrare, ma semplicemente legandosi
ad una componente esterna extracellulare di un recettore di membrana.
Esistono dei biosegnalatori di tipo liposolubile che trovano il recettore a livello del nucleo e, più
raramente, nel citosol, e questi recettori sono sempre delle proteine che interagiscono con il DNA
e, in assenza del legame con il biosegnalatore sono spesso dei repressori genici (che si legano ad
una specifica sequenza di nucleotidi che reprimono la sintesi di specifici RNA messaggeri; quando si
legano al ligando agiscono da fattori di trascrizione. Talvolta, succede il contrario, quindi diciamo
che questi biosegnalatori possono agire da fattori di repressione o di trascrizione regolando a livello
genico la sintesi o l’inibizione di specifici RNA messaggeri che codificheranno per specifiche
proteine.

Il primo messaggero è sempre quello altamente specifico; ormoni diversi o segnalatori diversi
possono invece utilizzare secondi messaggeri uguali. Esempi di secondi messaggeri intracellulari
sono l’AMP ciclico il GMP ciclico il calcio il DAG ecc.

Superfamiglie di recettori di membrana


Recettori a 7-eliche transmembrana
Sono delle proteine integrali caratterizzate da sette tratti di elica attraverso la membrana; il sito
extracellulare riconosce il ligando mentre quello intracellulare riconosce una tipologia di proteine
G. Il processo di segnalazione prevede un’amplificazione del segnale (il recettore è collegato nella
parte interna con tantissime proteine G, ma si indica una nei libri di testo).

La TRASDUZIONE DEL SEGNALE o cascata dell’AMP ciclico


E’ un processo di biosegnalazione che vede come messaggero primario vari ormoni. La cascata
dell’AMP ciclico prende questo nome perché il messaggero secondario è questo composto. Sono
molti i biosegnalatori che utilizzano questo tipo di meccanismo, ma siccome il recettore più studiato
è il #2-adrenergico studieremo la cascata dell’AMP ciclico applicata a questo composto.
L’adrenalina ha recettori in tutte le cellule; i recettori per l’adrenalina sono di 4 tipologie: due alfa
(alfa1 e alfa2) e due beta (beta1 e beta2). Il meccanismo di biosegnalazione tra i due beta è identico,
quindi si può parlare del recettore b-adrenergico per la biosegnalazione in maniera generale. Ci sono
cellule che non hanno questo recettore, possono avere recettori alfa1 e alfa2 adrenergici, che hanno
un meccanismo totalmente diverso da quello a cascata di AMP ciclico (coinvolgono questo ciclo al
contrario).

Il recettore beta adrenergico si lega all’adrenalina, che trova il suo sito abbastanza in profondità,
collegato alla proteina g che è allo stato inattivo (perché la subunità alfa ha legato lo GDP). Quando
si lega l’ormone, questo recettore subisce una modificazione conformazionale, che viene recepita
dalle proteine G, e fa si che la subunità alfa che lega lo GDP si stacchi da esso e leghi uno GTP
presente nel citosol della cellula bersaglio. Questa proteina G eterotrimerica si è così attivata e la
subunità alfa con lo GTP legato si stacca dal dimero beta, gamma e, rimanendo ancorata all’interno
della cellula attraverso un residuo di acido palmitico si muove nella membrana e va ad intervenire
con un altro enzima di membrana che si chiama adenilciclasi (o adenilato ciclasi). Questo è un
enzima che non funziona se non è legato alla proteina G-alfa con lo GTP a sua volta legato. La G che
attiva l’adenilatociclasi si chiama Gs (cioè G stimolatrice), esistono anche delle G inibitrici (che si
attivano sempre quando l’adrenalina si lega al recettore alfa2 adrenergico, l’interazione coinvolge
l’AMP ciclico ma al contrario).

L’adenilatociclasi ha come substrato l’ATP, che viene trasformato in AMP 3’-5’ ciclico (si stacca un
pirofosfato che viene immediatamente degradato da una pirofosfatasi, non si forma un AMP ma un
AMP 3’-5’ ciclico, ovvero il fosfato si lega al ribosio in entrambe le posizioni, facendo una
ciclizzazione del fosfato). L’AMP ciclico è un effettore allosterico positivo di un enzima chiamato
proteina chinasi AMP ciclico dipendente, o PKA. Questa PKA andrà a fosforilare moltissime proteine
bersaglio, molte delle quali
sono enzimi (le andrà a
fosforilare a livello di residui
di serina o treonina) molti di
questi per fosforilazione si
attiveranno oppure altri si
inibiranno, secondo il
meccanismo di modificazione
covalente reversibile
studiato nel controllo di
enzimi. La fosforilazione della
proteina da parte delle PKA
dei residui sono di serina o di
trionina che si trovano in
particolare sequenze
amminoacidiche, chiamate
sequenze consenso; se una
proteina ha tanti residui di
serina o trionina si
fosforilano solo quelli in
sequenze amminoacidiche
ben precise.
La fosfodiesetrasi dei
nucleotidi ciclici può rompere
il legame che il fosfato forma
con la posizione 3’ e lascia il
fosfato semplicemente
legato in 5’ e forma l’AMP, il quale è una molecola che ha le sue funzioni, ma non quella di attivare
la PKA.

La Gs collegata al GDP è spenta e non può attivare l’adenilatociclasi, il contatto Gs con il complesso
recettore-ormone determina la sostituzione di GDP legato con lo GTP e la Gs con GTP legato, si
dissocia dalla subunità beta-gamma; la subunità staccata è attiva. Il GTP legato alla Galfa può essere
idrolizzato dall’attività GTPasica intrinseca della stessa proteina Galfa, in tal modo questa proteina si
autospegne. La subunità alfa inattiva si associa quindi nuovamente alle subunità beta e gamma.
Questa Galfa che si è attivata per scambio GDP con GTP, la sua attività ha una durata temporanea,
cioè c’è un meccanismo di autospegnimento a tempo. Questa subunità alfa ha anche un’attività
enzimatica che è un’attività GTPasica, che è molto lenta e dopo un certo tempo si attiva. Ha quindi
un meccanismo di autospegnimento a tempo. Alcune proteine G modulano l’attività dell’adenilato
ciclasi. Queste proteine possono essere di tipo stimolatorio o inibitorio.

Al centro c’è l’adenilato ciclasi, tutto ciò che c’è a sinistra


è il recettore beta-adrenergico. Il meccanismo della
cascata AMP ciclico è messo in atto da tutta una serie di
biosegnalatori, non solo l’adrenalina.
L’AMP ciclico è effettore allosterico positivo di una
famiglia di proteine chiamate PKA o proteine chinasi AMP
ciclico dipendenti. La PKA è un enzima che fosforila
proteine bersaglio a livelli di residui Serina e, in misura
minore, di treonina; è un tetramero formato da due
subunità alfa, due R e due C. Le subunità R sono subunità
di regolazione, mentre le C quelle catalitiche. Quando la proteina è allo stato inattivo è nella forma
tetramerica e le subunità R hanno delle sequenze amminoacidiche simili alle sequenze consenso,
che si chiamano pseudosubstrato, che si vanno a legare nei siti attivi della subunità catalitiche senza

che però esse possano agire. Allo stato tetramerico la PKA è quindi inattiva. L’attivazione avviene
ad opera dell’AMP ciclico, effettore allosterico positivo prodotto dell’adenilatociclasi; l’attivazione
prevede che ciascuna subunità di regolazione debba legare due molecole di AMP ciclico e quando
quindi 4 molecole di AMP ciclico (due per ciascuna subunità di regolazione) si sono legate, il
tetramero si scinde, resta il dimero delle due unità regolatrici e si liberano le due subunità
catalitiche, le quali adesso hanno il sito attivo libero (che prima era occupato da questa sequenza di
pseudosubstrato presente nell’unità di regolazione) e adesso le due subunità catalitiche possono
andare a fosforilare, a livello delle sequenze consenso, una serie di proteine bersaglio, alcune delle
quali saranno attivate, altre inibite.

Questi processi, all’interno di una cellula bersaglio, possono avvenire pure in maniera
compartimentizzata. La parte verde prende il nome di AKAP, che è una proteina modulatrice che
funge da àncora per le PKA. Queste proteine non sono enzimatiche, ma sono modulatriche, che
possono da una parte legarsi al dimero di regolazione, dall’altra possono avere dei siti al livello del
citoscheletro al livello di membrana, al livello di una membrana mitocondriale. Tutto questo ci dice
come queste reazioni non solo avvengono nella modalità descritta, ma che possono avvenire in un
certo microambiente all’interno della cellula. Si possono realizzare per esempio a ridosso della
parete mitocondriale eppure non riguardare altre zone della cellula.
Gli alfa1 adrenergici sono sempre recettori a sette eliche transmembrana, ma usano la cascata dei
fosfenositidi (non dell’AMP ciclico).

Per tanto tempo si è ritenuto che la cascata dell’AMP ciclico evocata da diversi biosegnalatori di
diversi ormoni, riguardasse esclusivamente la modificazione covalente reversibile di proteine
esistenti nel citosol le quali, per fosforilazione, possono essere attivate o inibite. Molti di questi sono
enzimi. Una ventina di anni fa si è visto che il segnale che è mediato dall’AMP ciclico (quindi dall
PKA), non riguarda esclusivamente variazioni di enzimi o proteine non enzimatiche per
fosforilazione o defosforilazione a livello citosolico, ma anche elementi che si realizzano a livello
genico (del nucleo). La PKA può anche traslocare nel nucleo e fosforilare la proteina CREB, nel
nucleo, una proteina di risposta nucleare all’AMP ciclico la quale, una volta fosforilata, agisce a
livello genico favorendo la trascrizione di specifiche proteine. Questo meccanismo di segnalazione
è quindi molto più ampio rispetto a quanto non si credesse prima.

Meccanismi di ‘’spegnimento’’ del biosegnalatore


Ogni meccanismo di biosegnalazione deve avere un meccanismo di spegnimento che eviti l’”onda
di segnale”. Facciamo l’esempio dell’adrenalina: il biosegnalatore è prodotta dalla midollare del
surrene, che lo produce in casi di stress, ma ovviamente la ghiandola non deve produrre più
adrenalina, quella che si è prodotta prima ha una sua vita media (al livello del nostro sangue degli
enzimi che si chiamano MAO, monoammino-ossidasi, che degradano le monoammine tra cui
l’adrenalina, per cui la sua concentrazione tende a diminuire e, in base alla legge di azione di massa,
quando la concentrazione è elevata si favorisce il legame con il recettore). Se il segnale perdura ed
è necessario, la ghiandola continua a produrre. La concentrazione del biosegnalatore diminuisce, in
base alla legge di azione di massa, viene meno il segnalatore.

La trasduzione di un segnale si può spegnere in vari punti della cascata, ad esempio anche con
l’attività GTPasica intrinseca della proteina G, che defosforila lo GTP a GDP e la alfa si va a rilegare
al dimero beta-gamma.C’è anche la fosfodiesterasi che agisce sull’AMPc, che lo trasforma in AMP e
viene meno il controllo della PKA. Questi sono enzimi a loro volta controllati. (es. il caffè è un
eccitante perché le metilxantine sono inibitrici delle fosfodiesterasi; inibendola mantengono più
elevata la concentrazione di AMPc, mimando l’azione dell’adrenalina). C’è anche una
desensibilizzazione del recettore che serve a modulare il segnale, qualora fosse troppo intenso, e
che modula e decrementa gli effetti anche quando è presente l’adrenalina.; in fine, la tappa
terminale della cascata prevede che le proteine fosforilate dalla PKA possano essere defosforilate
da specifiche fosfatasi. Esistono quindi anche specifiche fosfatasi che defosforilano, la più comune
è la PP1, e conosciamo circa 150 PP1, quindi: o le proteine fosfatasi hanno una minore specificità,
oppure ne conosciamo magari meno di quelle che potrebbero effettivamente esserci.

Ovviamente un mancato autospegnimento di una proteina collegata ad eventi proliferativi (la


adrenalina è comunque un ormone di crescita) avrà come conseguenza un eccesso di proliferazione
(tumori). È chiaro quindi, che la mancata defosforilazione del GTP e GDP porta ad una serie di
patologie tumorali e non. Questa attività di spegnimento, come forse si era accennato prima, è
spesso un’attività insufficiente. Questa attività comunque c’è e funziona, perché aiutata da altre
proteine chiamate GAP (GTPase Activating protein). L’attivazione di questi processi, con conseguente
sviluppo di alcune patologie, possono derivare o da una carente attività GTPasica che la proteina G
ha oppure da un carente funzionamento di una GAP. Questa non svolgendo il proprio ruolo, lascia
attiva la proteina G, continua a farle produrre l’AMPc, attivando ATK anche quando non ce n’è
bisogno. Questo aiuto è importante per tutte le proteine G ma è particolarmente importante per
tutte le proteine G monomeriche, quelle che sono correlate agli eventi proliferativi, piuttosto che
agli eventi di tipo metabolico.

Come vi sono delle proteine che favoriscono lo


spegnimento, vi sono delle proteine che favoriscono l’accensione chiamate GEF che favoriscono lo
scambio GDP-GTP. Quindi non vi è solo l’attivazione, in seguito alla modificazione dimensionale del
recettore, come accade al recettore beta-adrenergico, ma vi sono tutta una serie di proteine G che
sono aiutati anche nell’attivazione.

La Ras à è il prototipo di una piccola famiglia di proteine G, non interviene nel meccanismo di
biosegnalazione della cascata, ma ha un ruolo importantissimo in un meccanismo di proliferazione.

Patologie
Alcuni batteri patogeni che causano il colera producono tossine che hanno le proteine G come
bersaglio, interferendo così sul processo di segnalazione della cellula ospite. La tossina del Colera,
secreta nell’intestino è una proteina eterotrimerica. Questa proteina G perde la sua capacità
GPTasica e conseguentemente è sempre attiva. Questo provoca un efflusso di NaCl che a sua volta
provoca una massiva perdita di acqua attraverso l’intestino come risposta allo squilibrio osmotico.
I sintomi principali del colera sono infatti una grave disidratazione e la perdita di elettroliti, che
possono risultare fatali.
Desensibilizzazione
Vi sono due modalità di spegnimento, la prima, quella classica, prevede la dissociazione della
adrenalina che avviene quando la sua concentrazione diminuisce. Esiste un altro meccanismo che
consente al sistema di modularsi, e quindi di diminuire la sua intensità, anche quando il midollare
del surrene continua a produrre adrenalina, questo sistema desensibilizza il recettore. La cascata
dell’AMPc finisce con l’attivazione della PKA. Questa per i suoi innumerevoli substrati va a
consolidare anche una chinasi chiamata beta-ARK, questa chinasi quando è fosforilata dalla PKA,
viene richiamata a livello della membrana dove è presente il recettore dal dimero beta-gamma.
Questa chinasi arrivata sulla membrana mi va a fosforilare, a livello dell’estremità carbossi-
terminale, il recettore beta-adrenergico, e questo a sua volta, crea un sito per un'altra proteina
chiamata beta-AR. A questo punto avviene un processo di internalizzazione del recettore, che viene
confinato in alcune vescicole cellulari. Questo ovviamente comporta la riduzione del numero di
recettori di membrana. il processo viene chiamato Down Regulation. Tutto questo ovviamente ha
una vita media, per cui tutto ritorna alla normalità.

Altro meccanismo di biosegnalazione: cascata dei fosforolipidi


Questo meccanismo di biosegnalazione,
ovviamente usato da altri biosegnalatori, è
simile alla cascata dell’AMPc, perché anche
in questo caso i recettori sono recettori di
membrana e quindi tutti legati a proteine
G. Per cui la prima parte è assolutamente
identica e qui la subunità alfa si chiama Gq.
La differenza sta quindi nel fatto che non è
l’adenilatociclasi l’enzima terminale che
viene attivato da questa G, ma è un enzima
diverso ed esattamente una fosfolipasi C
(PLC). Questo enzima agisce su particolari
fosfolipidi, catalizzandone l’idrolisi,
chiamati fosfatidilinositolo 4,5-bisfosfato o
PIP2. Il PiP2 si scinderà in due componenti,
il diacilglicerolo o DAG e l’inositolo 1,4,5-
trisfosfato o IP3.

Come possiamo vedere la cascata dell’AMPc ciclico ha un solo secondo messaggero, mentre la
cascata fosforolipidica ne ha due. Anche questo meccanismo porta all’attivazione della proteina
chinasi C (PKC), questa C deriva dal fatto che è dipendente dal calcio.

• Il DAG, che contiene due acidi grassi, è un composto lipofilo e resta ancorato alla membrana
e riesce ad attivare il PKC anche a concentrazioni molto basse di calcio. Considerando che
nel citosol la concentrazione di calcio è molto piccola per via della presenza delle pompe che
mandano il calcio a livello del reticolo endoplasmatico oppure lo buttano fuori, per cui
quando la cellula è nello stato di riposo, la concentrazione di calcio resta molto bassa.

• L’IP3, che invece è un polialcol, va ad aprire i canali del calcio presenti a livello del reticolo
endoplasmatico, per cui si assiste ad un repentino incremento di calcio. Il calcio finisce a
livello citosolico e immediatamente aumenta la concentrazione di calcio. Questa
concentrazione va ad attivare la PKC. Come abbiamo visto quindi questo fenomeno agisce
in modo sinergico al primo, ma dando un contributo maggiore.

Una volta finito il compito il DAG viene defosforilato torna a glicolipide e il IP3 perde la sua affinità
con il calcio.

Il calcio come messaggero secondario


Il calcio oltre ad attivare, come abbiamo visto l’PKC regola tutta una serie di processi calcio
dipendenti. Anche la trasduzione del segnale calcio dipendente ha inizio nelle zone periferiche delle
membrane associate a proteine G. Il calcio può attivare anche delle proteine chinasi Ca2+
calmodulina-dipendenti (CaM chinasi), tutte proteine che lo legano ad esse. Questo tipo di proteine
hanno tutte una struttura super secondaria, come quella a mano-EF.

Recettori enzimi
Questi come dice la parola stessa, sono essi stesi dotati di un’attività enzimatica a differenza dei
recettori a differenza dei recettori a 7 eliche transmembrana che una volta attivati attraverso una
proteina G, andavano ad attivare enzimi tipo la fosfolipasi. Di questi recettori ne esistono di due
tipologie: recettori dotati di attività tirosina-chinasica (RTK), quindi quelli che hanno la capacità una
volta attivati di fosforilare una proteina bersaglio a livello di residui di tirosina e recettori ad attività
guanilato-ciclasica.

Recettori ad attività tirosina-chinasica


Questi recettori sono maggiormente monomerici, a differenza di quello dell’insulina che era
tetramerico. Questo ultimo è formato da 4 subunità uguali a due a due, alfa e beta. Le due alfa sono
due subunità extracellulari, dove è presente il sito di legame per l’insulina, le due beta hanno una
componente extracellulare, una transmembrana e una intracellulare. Questa ultima parte sarebbe
il trasduttore, cioè la parte del recettore dotata di attività enzimatica. Queste 4 subunità sono
tenute insieme da ponti S-S, ma non possiamo parlare di struttura quaternaria, perché sono legami
forti. Questo recettore tetramerico l’hanno l’insulina e IGF1 (fattore di crescita analogo all’insulina).

Altri recettori di questo tipo sono il VEGF (recettore per fattore di crescita dell’endotelio vascolare)
che favorisce la formazione di nuovi vasi, attivo anche durante l’espansione del tumore. Il PDGF,
fattore di crescita derivato dalle piastrine. L’EGF è il fattore di crescita dell’epidermide. Il TRKA
fattore di crescita che fa moltiplicare alcuni tipi di cellule.

Tutti questi sono deboli peptidi, che hanno specifici


recettori e che agiscono stimolando gli eventi
proliferativi oltre che metabolici. La cosa più
importante di questi recettori monomerici è che per
poter funzionare devono dimerizzare, cosa che non
serve al recettore dell’insulina. Come vedremo il
primo evento in questo meccanismo di
biosegnalazione è un processo di fosforilazione
crociata tra i due trasduttori. Un recettore
tetramerico subisce una deformazione
conformazionale che attiva l’attività enzimatica TK
del trasduttore e come prima cosa avviene un evento
di autofosforilazione crociata cioè, una attività TK di una subunità beta va a fosforilare specifici
residui di tirosina dell’altra, e l’altra va a fosforilare gli stessi specifici residui tirosinici della prima.
Se il recettore invece è monomerico, nel momento in cui si lega il biosegnalatore, un trasduttore
non può fosforilare sé stesso, allora occorre che avvenga una dimerizzazione, per poi avvenire
l’autofosforilazione. Questi fattori di crescita usano tutti lo stesso meccanismo di biosegnalazione,
per cui è chiaro che questo segnale deve arrivare a livello nucleare, la dove vengono attivati i geni
che saranno responsabili degli eventi proliferativi.
Questa figura descrive una cascata di reazioni in cui troviamo anche la MAP-chinasi (chinasi attivate
da mitogeno). In pratica il recettore dopo che si è autofosforilato interagisce con una proteina che
si chiama Grb2 che agisce da mediatore, legandosi da una parte al recettore fosforilato, dall’altro si
lega a un'altra proteina chiamata Sos, che non è altro che una Ras-GEF (proteina che aiuta una
proteina a scambiare GTP con GDP e quindi ad attivarsi.

Alcune proteine che rientrano in questo tipo di meccanismo agiscono da adattatori molecolari, sono
le proteine chiamate SH2, costituite da una sequenza di circa 100 aa, presenti in molte proteine che
si trovano nel citosol. Questo meccanismo coinvolge pure il meccanismo che vede scindere il PIP2
in DAG e IP3, perché agisce attivando una fosfolipasi C però usando l’isoforma gamma, mentre per
quello visto precedentemente si parlava dell’isoforma beta.

Per riassumere:
Prototipo di recettori tetramerici: recettori per l’insulina

Qui troviamo un nuovo termine non visto prima, chiamato Irs (Insulin receptor substrate), le cose
non sono chiarissime, noi conosciamo solo l’Irs1 anche se nelle molecole è presente un Irs2, Irs3 e
così via. Nel meccanismo di biosegnalazione dell’insulina si biforcano due vie, solo perché noi
conosciamo due sole proteine che interagiscono con Irs. Questo Irs una volta fosforilato nel
recettore agisce da centro di nucleazione, di conseguenza interagiranno un fottio di proteine, ma
ripeto, conosciamo solo due interazioni ad oggi.

Nel primo evento avviene sempre un autofosforilazione crociata. Adeso il recettore si è attivato e
può fosforilare il substrato del suo recettore, che sarebbe l’Irs1. Questo una volta fosforilato agisce
da cento di nucleazione richiamando a sé tutte le proteine presenti nel citosol, le quali proteine non
interagiscono con Irs quando non è fosforilato. Tutte queste proteine hanno tutte la stessa sequenza
amminoacidica (SH2).
Adesso vedremmo da una parte l’attività dell’insulina come fattore di crescita, quindi Irs fosforilato
interagire con Grb2, questo con Sos e così via, nella cascata della MAP-chinasi. L’altra via vede
un'altra proteina interagire con Irs e si tratta della IP3-chinasi (IP3K) che agirà sul PIP2.

L’insulina come vedremo regola il metabolismo glucidico, il metabolismo proteico, il metabolismo


lipidico attivando fondamentalmente processi biosintetici. L’insulina definita in due parole dico che
è un ormone ipoglicemizzante e anabolizzante (spinge tutti i processi biosintetici). Noi sappiamo
però che i processi biosintetici sono tutti termodinamicamente sfavoriti (endoergonici) e per
attivarli ci vuole ATP, l’ATP lo produciamo dai processi degradativi, allora se l’insulina deve spingere
le biosintesi deve pure attivare un processo degradativo. Questo processo non è altro che la glicolisi
e il successivo ciclo di Krebs. Quando l’insulina ha attivato la glicolisi ha fornito l’ATP a tutti i processi
biosintetici, ma contemporaneamente degradando glucosio all’interno di una cellula richiama
glucosio e indirettamente ha un’azione ipoglicemizzante.

Prima via di segnalazione: cascata MAP-chinasi


L’insulina si lega alla prima subunità alfa che si trova all’esterno della membrana, avviene la solita
modificazione conformazionale, si attiva l’attività tirosina-chinasica e ciascuna subunità beta va a
fosforilare tre specifici residui di tirosina dell’altra e viceversa. Quando il recettore si è
autofosforilato ora è in grado di etero fosforilare, cioè di fosforilare altre proteine presenti nel
citosol. La proteina (che agisce da substrato) di cui noi ci occuperemo si chiama Irs1 e quando questa
si fosforila agisce da fattore di nucleazione, richiamando a sé molte altre proteine.
La proteina che interagisce con Irs1 in questa via si chiama, come avevamo detto prima, Grb2.
Questa proteina interagisce a sua volta sia con Irs che con un'altra proteina, che fa parte di un
dominio specifico chiamato SH3, chiamata Sos. Questa Grb2 fa quindi da mediatore tra Sos e Irs1.
Sos, che è come sappiamo una Gef, una volta attivata, facilita lo scambio GTP-GDP con la Ras.
Quando Ras si è attivata, attiva una prima proteina chinasi chiamata Raf1, la quale attivata va a
fosforilare un'altra proteina chinasi chiamata ME?. Anche quest’ultima una volta attivata andrà a
fosforilare una terza proteina chinasi chiamata ERK, che entrerà nel nucleo e farà due cose. Andra
per prima cosa a fosforilare una proteina di trascrizione chiamata ELK (il quale a sua volta andrà ad
attivare proteine responsabili della trascrizione, in questo caso, di almeno 100 geni). Quando si
scopri che questa MAP-chinasi veniva a sua volta fosforilata da un'altra proteina, che si chiama MEK,
a questa ultima venne dato il nome di MAP-chinasi-chinasi. Quando si scoprì che questa MEK veniva
fosforilata da un'altra proteina, venne chiamata MAP-chinasi-chinasi-chinasi.
Noi sappiamo che l’insulina ha una grande attività ormonale. L’insulina infatti, viene messa in circolo
come sappiamo nel dopo pasto, ed è in quel momento che siamo ricchi di energia. Gli eventi
degradativi avverranno invece in un momento in cui questa energia si esaurirà, e utilizzeremo le
proteine deposito.

Partendo sempre da Irs fosforilato, questa può interagire sempre con una proteina SH2, chiamata
PI3-chinasi (fosfatidil-inositolo-chinasi). Questa interagendo si attiva e va a fosforilare un fosfatidi
inositolo presente nell’area interna della membrana plasmatica, il PIP2 (questa molecola quindi
partecipa a due meccanismi di segnalazione. Questa fosforilazione avviene al carbonio 3
dell’inositolo per cui il PIP2 diventa PIP3, e con questo nuovo fosfato in più e con questa nuova
carica negativa che sporge verso il citosol adesso il PIP3 richiama a sé un'altra proteina chinasi,
chiamata PKB (o AKT), questa quando interagisce viene a sua volta fosforilata da una proteina
chiamata PIPK1. La PKB una volta attivata avrà i suoi bersagli, ma questo non è ancora chiaro.
Sappiamo che ne fosforila sicuramente una che conosciamo, sappiamo che tutte le azioni che
l’insulina esercita a livello metabolico dipendono da questa cascata di reazioni, ma nulla più.
Immaginiamo un fiume, rappresentato da tutto quello che abbiamo visto fino ad ora, ad un certo
punto questo fiume va sottoterra, per cui non vediamo più cosa succede e non possiamo saperlo
(mi riferisco al ‘’nulla più’’ sopra), e ad un certo punto questo fiume riesce permettendomi di vedere
che succede. Per cui io conosco gli eventi iniziali, che ripeto abbiamo già visto e quelli finali che
vedremo in seguito.

Noi sappiamo che l’insulina attiva la glicogenosintesi,


e almeno in parte questa cosa è chiara. Tra il substrato
della PKB ce n’è uno che conosciamo, chiamato Gsk3
(glicogeno-sintetasi-chinasi-3). Di enzimi che possono
fosforilare la glicogeno-sintetasi ne conosciamo solo
11. Il Gsk3 quando è attiva blocca la glicogeno-sintesi,
l’insulina però attiva la glicogeno-sintesi. Una modalità
che noi conosciamo per capire come l’insulina attiva la
glicogeno-sintesi è che quando la PKB mi fosforila la
Gsk3 la inattiva, in questo modo non può fosforilare la
glicogeno-sintetasi la quale sintetizza il glicogeno.
Questa è l’unica modalità perfettamente chiara, ma
non completa poiché la glicogeno-sintetasi potrebbe
essere fosforilata da altre 10 proteine oltre alla Gsk3.
Azione ipoglicemizzante
Un'altra cosa che conosciamo in modo completo riguarda l’attività dell’insulina si essere
ipoglicemizzante. Immaginiamo un diabetico insulino-dipendente o insulino-indiendente, in
entrambi casi abbiamo iperglicemia, solo che nel primo caso l’iperglicemia dipende dalla carenza di
insulina e a questi soggetti si somministra insulina dall’esterno. Nel secondo tipo di diabete,
l’insulina viene prodotta ma non funziona.
Vediamo ora come funziona questa azione ipoglicemizzante. Spieghiamo la cosa prendendo come
esempio un diabetico di tipo 1 che ha una glicemia di 300, a questo somministriamo dell’insulina e
il valore scende a 100. Dove sono finiti i 200 g/L? Noi sappiamo che il glucosio è entrato nelle cellule
attraverso le Glut, in particolare nella Glut4, che è insulina dipendente. Questa si trova sia nel
tessuto muscolare sia nel tessuto adiposo (adipocita). Quei 200 g/L sono finiti nell’adipocita. La PKB
con un meccanismo che ancora non conosciamo bene a livello dell’adipocita promuove un processo
di up regulation. In pratica la Glut4 si trova sulla membrana ma in questo tipo di tessuto abbiamo 4
diversi punti e poi un altro che si trova nel citosol confinato in alcune vescicole citosoliche. Sappiamo
che l’azione ipoglicemizzante dell’insulina consiste nel favorire la migrazione di questo punto
intracellulare verso la membrana, con la fusione della vescicola (in processo di esocitosi) e
conseguentemente le cellule muscolari dell’adipocita diventano più permeabili al glucosio, perché
prima dell’avvento dell’insulina avevano per esempio 100 Glut4 e dopo l’avvento ne hanno 1000.

Defosforilazione del PIP3 in PIP2


Questa reazione deve essere reversibile, e la reversibilità è
data da una lipido-fosfatasi che nell’uomo si chiama PTEN.
Questa stacca il fosfato in fosfato in posizione 3 del PIP3, lo
riconduce a PIP2 il quale non è più in grado di interagire con
la PKB. Questo PTEN ha un ruolo importante in una serie di
patologie, anche tumorali.

Sempre per ricordare che tutti questi processi avvengono


contemporaneamente e sono collegati:
Recettori ATK
Alcuni recettori di questa famiglia, hanno dei trasduttori che non posseggno capacità intrinseche
tirosina-chiansica, e si fa aiutare da una tirosina-chinasi presente nel citosol, e vengono chiamate
recettori ATK mancati. Questi mettono in atto lo stesso meccanismo dei recettori ATK ma per
funzionare hanno bisogno di un attività presente nel citosol, alla quale si associano solo dopo che si
è legato il biosegnalatore

Eritropoietina à L'eritropoietina o EPO è un ormone (famiglia delle citochine) glicoproteico


prodotto negli esseri umani dai reni e in misura minore dal fegato e dal cervello, che ha come
funzione principale la regolazione dell'eritropoiesi (produzione dei globuli rossi da parte del midollo
osseo). L'EPO è stata prodotta anche in laboratorio e utilizzata come farmaco per curare
le anemie in pazienti affetti da malattie renali o da malattie del sangue, o per permettere un
recupero più veloce dopo la somministrazione di chemioterapia nei pazienti affetti da cancro. Al di
fuori delle indicazioni previste nella scheda tecnica, il farmaco è stato anche impiegato
come sostanza dopante sfruttando la sua capacità di aumentare il numero di eritrociti anche in
soggetti sani come gli atleti al fine di aumentare il trasporto di ossigeno ai tessuti, specie a quello
muscolare scheletrico e cardiaco, e di migliorare quindi la prestazione sportiva.

L’eritropoiesi avviene attraverso un meccanismo JAK/STAT. Tramite le proteine Janus chinasi (JAKs)
e le proteine trasduttrici del segnale ed attivatore della trascrizione (STATs), la via trasduce il segnale
generato dall'attività delle citochine e dei fattori di crescita a una risposta intracellulare, provocata
dall'azione delle proteine STAT attivate, che, una volta nel nucleo cellulare, modificano l'espressione
genica.

Recettori ad attività guanilato-ciclasica


I processi sono simili a quelli visti prima solo che qui
al posto dell’adenina abbiamo la guanina per cui si
parla di GTP al posto di ATP, GMP al posto di AMP e
PKG al posto di PKA.

ANF (fattore natriuretico atriale)


Fattore prodotto dall’atrio del cuore quando si ha un
aumento del volume ematico o della pressione
sanguigna. L’azione natriuretica prevede
l’eliminazione di sodio attraverso l’urina. Il sodio si
circonda da 6 molecole di acqua, per cui uscendo
acqua si abbassa il volume di volume ematico e si
abbassa la pressione sanguigna. C’è un ormone che
ha un azione opposta al ANF ed è l’aldosterone
(azione sodio-ritensiva), questo è l’ipertensivo naturale più forte.
Il recettore di questo ANF si trova a livello dei globuli renali, e la ANF si lega al recettore, questo
produce la GMPc, questo a sua volta attiva le PKG in quella zona e anche queste a loro volta
andranno a fosforilare le proteine di membrana che favoriscono la fuoriuscita di sodio

L’ANF è anche un recettore a livello dell’endotelio vasale, del muscolo liscio che si trova nella parte
intime dei nostri vasi, per cui ha anche una forte azione vaso dilatatrice, il flusso di sangue aumenta
e la pressione diminuisce.
Guanilina
Un altro recettore che ha un’attività guanilato-ciclasica si trova a livello intestinale ed è il substrato
di un peptide prodotto dall’intestino chiamato guanilina. Questo agisce sempre attraverso il GMPc,
attivando la PKG e aprendo un canale per il cloro, regolando la sua fuoriuscita. Questo recettore è
anche il substrato di alcune endotossine prodotte da batteri gramnegativi, soprattutto eschericacoli,
un batterio intestinale. Questo spiega per esempio la diarrea in alcuni soggetti colpiti da un infezione
intestinale

Ossido nitrico
Esiste anche una guanilato-
ciclasi solubile, quindi non di
membrana, che ha come
gruppo prostetico e un
gruppo EME, ed è attivata
dall’ossido nitrico. Questo è
un biosegnalatore, prodotto
in tutte le cellule, capace di
attraversare la membrana ed
avere una serie di funzioni
come quello di vaso
dilatatore. L’ossido nitrico
viene prodotto attraverso un
enzima che si chiama NOS
(ossido nitrico sintetasi),
sono di due tipi, uno
inducibile e uno non
inducibile, ma catalizzano lo stesso tipo di reazioni. Trasformano l’arginina, aa proteico, in citrullina,
aa non proteico, e si produce ossido nitrico. Per esempio, la nitroglicerina ha un effetto dilatatore.
Il viagra funziona allo stesso modo, solo che l’azione vasodilatatoria dura molto di più.

Recettori canali
Sono i recettori più semplici recettori di membrana. I canali si aprono e si chiudono attraverso due
diverse modalità: a sbarramento di ligando, quando il biosegnalatore si lega al ligando, e a
sbarramento di potenziale, il canale si apre e chiude per differenza di potenziale di membrana
(ricordo, gestito da potassioATPasi). Questi recettori sono importanti nel processo di
neurotrasmissione nell’attivazione della placca muscolare. Questi processi si basano sulla
attivazione e inibizione di canali, e quindi su processi di depolarizzazione e ipopolarizzazione di
membrana, che creano un impulso elettrico.

Neurotrasmettitori
Sono biosegnalatori, sintetizzati dalle cellule nervose, immagazzinati in vescicole e secreti dopo
segnalazione nello spazio presinaptico. Questi neurotrasmettitori non sono tutti ionotropici, come
il recettore nicotinico, quindi non funzionano tutti legandosi a recettori canale ma abbiamo anche
recettori metabotropici, come il recettore muscorinico. L’acetilcolina è il principale
neurotrasmettitore di tipo eccitatorio.
Integrine
Sono anche questi recettori di membrana che mettono in collegamento la matrice extracellulare e
il citoscheletro. Sono dimeriche, formate da subunità alfa e beta, e utilizzano un meccanismo
chiamato Giustacchino. Sono anche dette proteine di adesione, poiché riescono a collegare vari tipi
di cellule. Si possono trovare in forma attiva e inattiva. Le proteine che interagiscono con queste
integrine sono il collageno o altri proteoglicani che hanno una sequenza di 3 aa (punto di
riconoscimento). Queste integrine possono anche mediare un segnale che va dall’interno verso
l’interno. Le integrine delle piastrine fanno si che quando si formi un coagulo arrivi un segnale alle
piastrine. Quando una cellula tumorale delle formare una metastasi, questo avviene per un mal
funzionamento di alcune integrine.

Recettori intracellulari
I biosegnalatori che utilizzano questi recettori sono di tipo lipofilo, che possono attraversare il
bilayer fosfolipidico e trovare i recettori soprattutto a livello nucleare e, alcune categorie di questi
ormoni, può trovarli a livello citosolico. I biosegnalatori che utilizzano questo tipo di biosegnalazione
sono gli ormoni steroidei (derivano dal colesterolo, prodotti dalla corteccia del surrene;
glucocorticoidi e mineralcorticoidi. I primi hanno recettori a livello citosolico, ma il meccanismo di
biosegnalazione è sempre lo stesso perché si realizza a livello genico), quelli tiroidei (T3 e T4, quelli
prodotti dalla tiroide) e anche i retinoidi, cioè i derivati della vitamina A (lei e i suoi metaboliti hanno
numerosi interventi nei meccanismi di biosegnalazione).

Tranne i glucocorticoidi (che trovano recettori a livello citosolico) il meccanismo generale prevede
che questi composti liposolubili viaggino in circolo legati a specifiche globuline, che sono tra le
proteine plasmatiche, raggiungendo così tutti i distretti del nostro organismo, potendo si entrare in
tutte le cellule dell’organismo, ma soltanto quelle che possiedono dei recettori possono rispondere
alla presenza di questi biosegnalatori. Il meccanismo classico è: il composto viene trasportato da
specifiche globuline, attraversa il bilayer della membrana plasmatica, poi l’attraversamento della
membrana nucleare e successivamente l’ormone si lega al suo recettore e quando questo recettore
(su di esso ci sono delle proteine che hanno strutture supersecondarie tipiche in quanto
interagiscono con il DNA, per esempio quelle degli ormoni steroidei hanno il motivo strutturale a
dita di zinco) si lega con l’ormone, in genere avviene una dimerizzazione e poi l’interazione con tutta
una serie di proteine che possono essere attivatori o repressori di specifici geni. Pertanto, il
meccanismo si realizza a livello genico e si reprime o meno la sintesi di specifici RNA messaggeri e,
conseguentemente, la sintesi o meno di nuove proteine. Questo meccanismo richiede molto più
tempo rispetto a quelli visti prima; si realizza in maniera più lenta, ma è molto più duraturo. Siccome
l’effetto di un ormone che sintetizza determinate proteine è proporzionale alla vita media di queste,
siccome queste proteine hanno una vita media di giorni, allora l’azione di quest’ormone richiede si
tempi più lunghi, ma è molto più duratura. È totalmente diverso dai meccanismi che innescano
meccanismi che non prevedano l’ingresso del biosegnalatore all’interno della cellula.

Relativamente ai Glucocorticoidi, questi trovano recettori già a livello citosolico. Questo ormone,
trasportato sempre da una specifica globulina, attraversa liberamente il bilayer della membrana
plasmatica e si va a legare a dei recettori che, in assenza dell’ormone, hanno la parte che va a legarsi
al DNA bloccata da alcune proteine (le HSP-90, le heat shock proteins), in particolare due HSP-90, e
quando arriva l’ormone queste si staccherebbero, il complesso ormone-recettore entra nel nucleo
e qui, così come gli altri biosegnalatori che utilizzano questo meccanismo e vanno direttamente nel
nucleo, agiscono a livello genico reprimendo o dereprimendo la sintesi di specifici RNA messaggeri.
Alcune risposte che sono evocate da ormoni di questo tipo (quindi ad esempio steroidei) si
realizzano in tempi estremamente brevi e che non sono giustificati da questo meccanismo classico
(es. gli estrogeni hanno un’azione vasodilatatoria e proteggono in genere le donne dai problemi
cardiocircolatori; questa reazione si è dimostrata realizzarsi in tempi rapidissimi, non si giustificano
quindi queste reazioni che si realizzano a livello genico. Allora si ipotizza che questo meccanismo
non sia il solo e che alcune delle azioni di questi ormoni che avvengono in maniera molto rapida si
possono realizzare quando questi ormoni attraversano la membrana plasmatica, probabilmente
legandosi a recettori non ancora identificati.

Le modalità con cui l’ormone steroideo potrebbe agire sono: il metodo classico, un altro di un
endocitoso, e l’ipotetica presenza di un recettore di membrana per gli ormoni steroidei (non ancora
perfettamente identificato) che giustificherebbe tutti quegli effetti rapidi che sono evocati da
questo tipo di biosegnalatore; è comunque ancora un campo sotto indagine.

[Il tamoxifene è un antiormone utilizzato nella cura del cancro al seno ormonosensibile, ovvero
quando le cellule tumorali vengono nutrite dagli estrogeni. Il tamoxifene è un analogo
dell’estrogeno che si lega al recettore, avviene la dimerizzazione, ma non è poi in grado di interagire
con il co-attivatore e quindi non interagisce al livello genico. Un altro esempio è la pillola del giorno
dopo, un analogo del progesterone, che si lega al suo recettore (necessario per l’impianto dell’ovulo)
impedendone il funzionamento.]
Il metabolismo
Introduzione al metabolismo
Il metabolismo è l’insieme dei processi biochimici ed energetici che si svolgono negli organismi
viventi. Le reazioni enzimatiche sono organizzate in vie metaboliche. Il metabolismo consta di due
espressioni contrapposte: anabolismo e catabolismo.
L’anabolismo comprende tutti i processi biosintetici, mentre il catabolismo comprende tutti i
processi degradativi. Il primo consuma energia mentre il secondo la consuma. Negli animali
prevalgono le reazioni anaboliche, in quanto, a differenza delle piante (che devono sintetizzare da
molecole semplici quali la CO2) gli animali si nutrono di molecole complesse, quindi da un punto di
vista quantitativo il catabolismo costituisce il grosso delle vie metaboliche, rispetto all’anabolismo.

Le cellule hanno un patrimonio di enzimi in grado di catalizzare sia la degradazione che la sintesi dei
composti. La regolazione tra sintesi e degradazione deve essere separata, inoltre ci sono degli enzimi
chiave che regolano sia il processo degradativo che quello sintetico, bisogna inoltre evitare
l’attivazione di processi opposti in quanto risulterebbe in un ciclo futile. Le vie metaboliche sono
regolate a livelli diversi da:
-disponibilità dei substrati (se la [S] è al di sotto della Km la V di reazione dipende dalla [S])
-regolazione allosterica da parte di intermedi metabolici
-regolazione ormonale.
Parlando di esseri viventi distinguiamo gli autotrofi (come le piante, ovvero organismi fotrofi) e gli
eterotrofi (chemotrofi, ovvero si usano strutture già prodotte da altre).
Nel catabolismo utilizziamo carboidrati, grassi e proteine per caricare l’ADP e l’ATP, ridurre il NAD a
NADH ecc. e abbiamo come prodotti CO2, acqua e NH3.
Gli organismi chemotrofi ottengono energia dall’ossidazione di sostanze nutrienti, mentre i fototrofi
la ottengono intrappolando l’energia della luce.
I processi catabolici sono convergenti, dai processi degradativi (di zuccheri, lipidi, proteine) si arriva
ad una molecola comune, mentre i processi anabolici divergono (partono da un composto simile e
divergono). Alcuni processi vengono detti anfibolici (con valenza doppia, catabolica e anabolica,
come il ciclo di Krebs). I processi convergono tutti verso l’acetil-coenzimaA, che viene degradato nel
ciclo di Krebs ad acqua e CO2.

L’energia liberata dal catabolismo è catturata sotto forma di ATP. L’ATP è la corrente energetica
della cellula e il suo ciclo pota l’energia prodotta dalla fotosintesi o dal catabolismo nei processi che
richiedono energia. L’ATP è costituito da adenosina, ribosio, e i tre fosfati: il primo legato con un
legame estereo a bassa delta g di idrolisi, e gli altri due legati con legami fosfanidrilici. L’elevata
energia di idrolisi è dovuta a tre fattori, quali: la repulsione elettrostatica tra le cariche adiacenti con
lo stesso segno, oltre alle cariche nette negativi sugli O- vi è una carica parziale positiva sul fosfato.
Inoltre, quando si forma ADP più fosfato inorganico la reazione di ionizzazione del fosfato con
liberazione di H+ diluisce la concentrazione di uno dei prodotti della reazione e, infine, le forme di
risonanza su cui si può distribuire l’energia sono più numerose tra i prodotti che per i reagenti per
cui si dà a questi ultimi una maggiore stabilità. Questi legami ad alta energia nascono quindi dal
fatto che si ha una maggiore stabilità dei prodotti della reazione rispetto alle molecole di ATP.
Questa instabilità termodinamica non è però chimica. L’idrolisi dell’ATP genera ben tre specie
diverse (ADP, Pi, H+), a partire da due reagenti (ATP e H2O). Aumenta così l’entropia della soluzione
che dipende dal numero di particelle che la compongono. L’ATP non è l’unico composto fosforilato
che ha un Delta G di idrolisi fortemente negativo. Composti quali il fosfoenolpiruvico, la creatina
fosfata, l’1,3-bisfosfoglicerato sono composti che possiedono legami ad elevato DeltaG di idrolisi (e
più elevato rispetto al fosfato Gamma dell’ATP). Ad esempio, il fosfoenolpiruvico, è il composto
biologico con legame chimico più elevato che esiste in natura. Questo dipende dal fatto che si ha
una tautomerizzazione della orma enolica instabile del piruvato nella forma chetonica stabile,
originando quindi un D.G.0’ negativo.

L’ATP in realtà si trova a metà tra composti con legami esterei a bassa energia di idrolisi e composti
con legami a più elevato DG di idrolisi.
Un uomo di dimensioni medie produce e consuma, in condizioni di riposo, circa 40 kg di ATP al
giorno. Se in attività fisica anche 200 Kg.
L’ATP ha tre possibili interventi metabolici: interviene nelle reazioni chinasiche e trasferisce il fosfato
e libera l’ADP; nelle pirofosfochinasi trasferisce il pirofosfato e libera AMP ecc.
Il catabolismo è ossidativo e i substrati perdono equivalenti riducenti giornalmente. Il NAD raccogli
gli equivalenti riducenti rilasciati durante il catabolismo. A molte reazioni biosintetiche si
accompagnano le riduzioni così come le reazioni degradative si accompagnano ad ossidazione. Il
NAD viene ridotto a livello mitocondriale e il suo ruolo è quello di essere ossidato dalla catena
respiratoria e produrre ATP, mentre il NADP viene prodotto a livello citosolico dall’ossidazione di
nutrienti e di substrati e il NADPH è l’agente riducente per eccellenza.

Le vie metaboliche vengono dette lineari (come la glicolisi) che consta di una serie di reazioni in cui
il prodotto di una reazione serve da substrato per la reazione successiva. Altri processi si chiamano
ciclici (ciclo di Krebs) che constano di una sequenza di reazioni, partendo da un metabolita che
reagisce con un altro e, dopo una serie di reazioni, si riproduce quel metabolita iniziale. Nelle vie a
spirale si procede in maniera ciclica, ma dopo un certo numero di reazioni si produce un composto
che non è esattamente quello iniziale, ma è un composto analogo (vd sintesi o degradazione degli
acidi grassi).

Metabolismo glucidico
Partiamo dalla digestione dei carboidrati. I carboidrati che rientrano nella nostra alimentazione
sono: l’amido, che è il polisaccaride di riserva vegetale, il glicogeno presente nel muscolo delle carni,
anche se su di esso bisogna fare un appunto. Il glicogeno viene immagazzinato fondamentalmente
a livello epatico e a livello muscolare, per cui nel muscolo della carne c’è glicogeno. La carne viene
congelata e, conseguentemente, il metabolismo bloccato, l’animale è morto, ma le cellule devono
vivere. Seppure con metabolismo rallentato, le cellule vivono, non vanno subito in putrefazione.
Queste cellule vivono consumando il glicogeno immagazzinato nel muscolo, questo libererà
glucosio, il glucosio andrà in contro a glicolisi e queste cellule (seppure con un metabolismo molto
rallentato) continuano a vivere, in maniera tale da non andare in contro a putrefazione. Pertanto,
la quantità di glicogeno che possiamo assumere con una fetta di carne, dipende dal tempo che è
trascorso da quando l’animale è stato ucciso a quando mangiamo la carne (ovviamente che la carne
abbia un elevato rapporto proteico è fuori discussione). L’amido si trova invece in pane, pasta,
patate ecc. esso è quindi la fonte principale di zuccheri.

La digestione degli zuccheri (amido o glicogeno) inizia già a livello del cavo orale: nella saliva è
presente una $-amilasi in grado di rompere legami $-1,4-glicosidici, formando dei pezzi più piccoli.
L’azione dell’amilasi salivare è limitata per il tempo ristretto che il cibo resta nella bocca; inoltre essa
lavora a pH intorno alla neutralità, una volta che il bolo alimentare finisce nello stomaco dove è
presente HCl, l’azione di questa $-amilasi si blocca istantaneamente. A livello dello stomaco non ci
sono enzimi che rompono legami glicosidici quindi la digestione riprende e si conclude a livello
intestinale. A livello intestinale intervengono diversi enzimi, assolutamente indispensabili perché il
nostro intestino è in grado di assorbire esclusivamente monosaccaridi. Tutti questi zuccheri devono
essere degradati sia ai disaccaridi che ai polisaccaridi. L’ $-amilasi anche qui fa da padrona, ma la
sua origine è pancreatica. Il pancreas è una grossa ghiandola con componente esocrina (produce
enzimi digestivi) e rompe i legami $-1,4-glicosidici, ma non gli 1,6 che si trovano nei punti di
ramificazione del glicogeno e dell’amilopectina. Per far ciò occorre l’amilo-1,6-glicosidasi, ovvero in
grado di rompere legami $-1,6-glicosidici. Questi pezzi che hanno almeno un legame $-1,6-
glicosidico questi pezzi si chiamano destrine, ovvero pezzi derivanti da polisaccaridi, ma che abbiano
almeno un punto di ramificazione. L’ $-amilasi pancreatica ha bisogno dello ione cloro prodotto a
livello gastrico per agire. Attraverso l’azione di tutti questi enzimi si ha la scissione di ciò che
ingeriamo e avviene la totale digestione di questi zuccheri. Soltanto il monosaccaride, infatti, può
essere assorbito. Se l’assorbimento non è totale, questi zuccheri vengono fermentati a livello della
flora intestinale e abbiamo tutta una serie di intolleranze varie. Noi non siamo in grado di rompere
legami beta-glicosidici (tranne quello del lattoso), tuttavia la presenza di fibre alimentari ha un ruolo
fisiologico, non ai fini della digestione, ma quello di richiamare acqua e rendere le feci più morbide
e favorire la peristalsi intestinale. Una volta degradati gli zuccheri la maggior parte di questi è
glucoso, gli altri possono essere galattoso, fruttoso, che possono essere assorbiti attraverso
meccanismi di trasporto già visti.

L’assorbimento del glucosio può avvenire in minima parte da un meccanismo di trasporto che agisce
secondo legge dell’osmosi, ma il grosso del glucosio viene assorbito a livello intestinale dalla pompa
sodio-glucosio, in un sistema di sin-porto sodio dipendente. Questo è un sistema di trasporto attivo
secondario perché l’ATP non viene consumato direttamente da questo sistema, ma viene
consumato dalla sodio-potassio ATPasi che deve buttare fuori il sodio che è entrato con il
meccanismo di sin porto del glucosio. Per ogni molecola di glucosio che entrano, due ioni sodio
entrano pure e poi devono essere espulse consumando ATP, dalla sodio-potassio ATPasi. Una volta
che il glucosio è entrato nella cellula intestinale, attraverso la sua GLUT passa nel sangue. Come il
glucosio, anche il galattosio può entrare con un sistema sodio dipendente, mentre il fruttosio entra
con un suo particolare sistema. Questo sistema sodio dipendente reagisce anche a livello del tubulo
renale e sono i due meccanismi di trasporto attivo sodio-dipendenti del glucosio, da non confondere
con le GLUT, che invece seguono la legge dell’osmosi. Una volta che questo glucosio è stato
assorbito, attraverso la circolazione portale, raggiunge il fegato, qui entra tranquillamente
attraverso la GLUT2, che è tipica del fegato, ed è presente in numero elevatissimo nella cellula
epatica. Questa circolazione portale (vena porta: mette in comunicazione l’intestino con il fegato)
porta il glucosio al fegato e, arrivato lì, essendo l’epatocita molto ricco di GLUT2, anche se non
mangiamo una grande quantità di zuccheri, il grosso di questi entra a livello epatico. Tutte le GLUT
in tutte le cellule dell’organismo agiscono secondo la legge dell’osmosi e sono insulino-indipendenti,
ad eccezione della GLUT4, presente nel tessuto adiposo, nel muscolo scheletrico e cardiaco, che è il
trasportatore regolato dall’insulina. Quindi, tra le varie GLUT, una sola è insulino dipendente
(l’abbiamo visto con il meccanismo di biosegnalazione dell’insulina). Le GLUT sono proteine a 12
eliche transmembrana. La GLUT4 si trova nel pull citosolico, ma soprattutto all’interno delle cellule
dell’adipocita, del muscolo scheletrico e cardiaco in alcune vescicole; il meccanismo messo in atto
dell’insulina, anche se non ancora del tutto chiaro, consiste nella traslocazione di questo pull
citosolico verso la membrana, per cui si ha un processo di Up regulation e questo giustifica perché
un diabetico insulinodipendente che ha una forte iperglicemia se facciamo un’iniezione di insulina
e rifacciamo il prelievo dopo poco tempo la glicemia è ridotta, il glucosio finisce nel muscolo e
nell’adipocita, in quanto questa è l’unica GLUT insulino-dipendente.

Inserisci figura esperimento 53:27 delle colture di adipociti A sinistra, alcune cellule di
adipociti in coltura non sono trattate con insulina, mentre a destra si utilizza una reazione
immunofluorimetrica con un anticorpo che lega le GLUT4 e poi un anticorpo secondario legato ad
un composto fluorescente. In presenza di insulina, la quantità di fluorescenza all’esterno della
cellula è enormemente maggiore rispetto alle cellule interne. Questa fluorescenza sta ad indicare
una presenza di GLUT4 elevata maggiore, che in assenza di insulina non c’è e in presenza di insulina
c’è.

Gli altri monosaccaridi che arrivano al fegato e che sono diversi dal glucosio, seppure in
Concentrazione molto inferiore (fruttosio, galattosio e mannosio) vengono convertiti in glucosio per
cui quando parliamo di metabolismo glucidico, di fatto parliamo di metabolismo del glucosio
(questo non significa che poi, in determinate condizioni, per esempio nella sintesi dei glicolipidi, o
nella sintesi del lattosio nella ghiandola mammaria in funzione, il glucosio viene in caso riconvertito
in galattosio o di altri monosaccaridi).
Comunque, si parte sempre dal glucosio e poi, in caso, esso viene riconvertito nella sostanza di cui
abbiamo bisogno.
Le 4 vie principali alle quali partecipa il glucosio sono le seguenti:
• glucosio che serve alla sintesi di eteropoliosidi (?) glicoproteine che si trovano excircolo alla
matrice extracellulare, quindi una funzione diciamo strutturale
• sintesi di glicogeno, amido, saccarosio che sono materiali di riserva
• ossidazione a livello energetico attraverso la glicolisi
• via dei pentosi, che serve a trasformare il glucosio attraverso una via ossidativa totalmente
diversa per formare riboso-5-fosfato, importantissimo per la sintesi di tutti i nucleotidi, e
quindi degli acidi nucleici RNA e DNA.

Queste sono solamente 4 delle tantissime vie alle quali il glucosio prende parte. (in organismi come
i batteri dal glucosio si può formare tutto)

Fosforilazione del glucosio e defosforilazione del glucosio-6-fosfato


La fosforilazione del glucosio è una reazione catalizzata dalle esochinasi, che stanno per esoso-
chinasi, che catalizzano una reazione termodinamicamente irreversibile che vede il glucosio reagire
con l’ATP (tutte le chinasi avvengono in presenza di magnesio e il vero substrato non è ATP, ma il
complesso ATP-magnesio, che con le sue cariche positive neutralizza le cariche negative dell’ATP e
favorire un attacco nucleofilo al carbonio 6 del glucosio). E’ una reazione termodinamicamente
irreversibile, perché il fosfato passa dall’ATP al quale è legato con un legame ad elevata ∆G di idrolisi
al glucosio-6-fosfato, al quale è legato con un legame estereo a bassa ∆G di idrolisi. Questa reazione
è la prima incontro alla quale va il glucosio, in quanto esso è metabolicamente inerte nella sua forma
e diventa attivo come estere fosforico (questo vale per tutti gli zuccheri), viene così quindi attivato
metabolicamente. Questa fosforilazione, oltre che attivare metabolicamente il glucosio e avviarlo
a uno dei processi metabolici precedentemente indicati, ha anche un altro ruolo, quello di
intrappolarlo all’interno delle cellule, perché il glucosio può entrare e uscire attraverso le GLUT,
ma non esistono traslocasi per gli esteri fosforici degli zuccheri, per cui, quando il glucosio è
diventato glucosio-6-fosfato, è intrappolato e non può passare all’esterno della cellula.

Il genoma umano codifica 4 differenti esochinasi, che sono diversamente distribuite nei vari organi
e tessuti. C’è da dire che però le esochinasi 1, 2 e 3 hanno caratteristiche comuni, mentre la quarta,
detta anche glucochinasi è consistentemente diversa dalle altre tre. Le prime tre sono diversamente
distribuite, ma si trovano un po’ in tutte le cellule, la quarta si trova invece esclusivamente in due
citotipi, dove svolge due ruoli importantissimi. Essa si trova esclusivamente nel fegato e nelle cellule
beta degli isolotti del langherans, dove svolge ruoli specifici sia nella prima che nell’ultima cellula.
Questa è la prima distinzione tra le prime tre e la quarta esochinasi.
Le prime tre hanno una specificità relativa, cioè possono fosforilare il glucosio, ma anche il fruttoso,
il mannoso o la glucosammina, mentre la quarta è esclusiva per il glucosio (prende infatti il nome di
glucochinasi).
Le prime tre sono inibite da prodotto (è un tipo di inibizione che rientra nel controllo allosterico),
parliamo di inibizione da prodotto quando il prodotto di un enzima è esso stesso effettore
allosterico negativo dello stesso enzima che l’ha prodotto. Il glucosio-6-fosfato è un effettore
allosterico negativo dei lisoenzimi 1, 2 e 3. Quando il glucosio viene fosforilato, in una qualunque
cellula, non viene fosforilato per renderlo metabolicamente attivo e conservarlo; esso deve
partecipare ad uno dei processi che lo utilizzano. Tutti questi altri processi che partono dal glucosio-
6-fosfato a loro volta sono regolati attraverso la regolazione degli enzimi chiave dei singoli processi.

Nel momento in cui una cellula non ha più bisogno di glucosio-6-fosfato perché tutti i processi che
partono da questo zucchero si sono, in qualche modo bloccati, perché si sono riempiti, il glucosio-
6-fosfato prodotto dalla esochinasi aumenta di concentrazione, bloccando la sua stessa
fosforilazione, in quanto non c’è motivo di continuare a fosforilare glucosio a glucosio-6-fosfato se
quella cellula in quel momento non ha più bisogno di glucosio-6-fosfato. In questo modo, lo
zucchero che non viene fosforilato rimane permeabile, e così come entra può anche uscire e andare
a beneficio di altre cellule che ne hanno bisogno. La glucochinasi non è invece inibita dal prodotto.
Questo enzima continua a fosforilarlo anche quando la concentrazione di questo composto
aumenta e il suo ruolo, soprattutto a livello epatico, è quello di avviare lo zucchero fosforilato alla
sintesi di glicogeno e quindi riempire il fegato di glicogeno. La glucochinasi è un enzima inducibile,
e non costitutivo rispetto all’esochinasi (attraverso un’alimentazione a base di zuccheri,
introducendo zuccheri aumenta la concentrazione in circolo dell’insulina e con il suo meccanismo
che sfocia a livello del nucleo, ovvero la cascata dell’amp chinasi, tra i geni di cui induce la sintesi c’è
quello della glucochinasi, motivo per cui, ad esempio, il fegato di una persona nordica ha meno
glucochinasi rispetto a quello di un mediterraneo). La differenza principale sta nella kM (costante di
Michelis), ovvero la concentrazione del substrato in grado di dare la velocità semimassimale, la km
degli isoenzimi 1, 2 e 3 ha una Km media intorno a 0,05 mmol. Addirittura, quella che si trova nel
cervello, che è l’organo che vive esclusivamente di glucosio, ma soltanto in condizione particolare,
la km è 0,01 mmol. La km della glucochinasi (o esochinasi 4) è 10 mmol, e se consideriamo la media
delle altre, che è intorno a 0,05, ciò vuol dire che ha una km 200 volte maggiore, il che significa che
ha un’affinità 200 volte minore (se parliamo della media e non quell del cervello).

Cosa ci dice un’affinità così bassa da parte di questa glucochinasi epatica? Il fegato è considerato
l’organo glucostato, ovvero l’organo che regola la concentrazione ematica di glucosio, ovvero la
glicemia. La normoglicemia è intorno a 4,5 mmol; questo significa che questa è una concentrazione
molto elevata per tutte le altre esochinasi, per cui la normo concentrazione di glucosio fa si che il
glucosio possa entrare in tutte le cellule diverse del fegato ed essere immediatamente fosforilato,
perché a quella concentrazione di normoglicemia, tutte e 3 le isochinasi sono praticamente sature
perché hanno una km molto più bassa di 4,5/5 mmol. In considerazione del fatto che il fegato abbia
questo enzima con così bassa affinità, l’unico momento della giornata in cui fosforila il glucosio è
quando ne abbiamo in abbondanza, ovvero nel dopo-pasto.
Il fegato, quindi, prende glucosio solo tra un pasto e l’altro. Quando la glicemia scende a valori
normoglicemici o leggermente più bassi, il fegato non solo non prende glucosio, ma lo cede. Quando
diciamo che il fegato è quindi un organo glucostato, esso regola la glicemia in entrambi i sensi: nel
dopo-pasto, se andassimo a fare un prelievo ematico, tutti avrebbero un’iperglicemia postprandiale,
ma è un’iperglicemia fisiologica in questo caso. In questo momento il fegato si prende tutto il
glucosio che proviene dalla circolazione portale. Il grosso del grasso accumulato nell’adipocita nel
dopo-pasto proviene dall’eccesso di glucoso. Questa glucochinasi con queste caratteristiche (tipica
del fegato, non inibita dal prodotto, indotta dall’insulina e quindi dagli zuccheri, bassa affinità data
da una km di 10 mmol che ci dice che soltanto nell’iperglicemia postprandiale questo enzima
funziona) è quindi molto importante.

La glucochinasi non è regolata del prodotto, ma ha una sua regolazione. Questa prevede che, nel
dopo-pasto, l’enzima sia attivo, mentre tra un pasto e l’altro è preferibile che l’enzima non sia
presente. Anche il glucosio che proviene dalla glicogenolisi o dalla glucogenesi non ha grande
possibilità di essere fosforilato a causa della bassa affinità, però l’organismo umano ha messo in atto
un altro meccanismo di regolazione. Quando la esochinasi non deve funzionare essa viene traslocata
nel nucleo e si va a legare ad una proteina regolatrice, per cui questa fosforilazione (che è citosolica)
di fatto, non avviene. A favorire la traslocazione nel nucleo è il fruttosio-6-fosfato. Quando però
entra il glucosio nella cellula e aumenta la concentrazione di glucosio-6-fosfato, l’esochinasi 4 si
stacca dalla proteina regolatrice, va nel citosol e va a fosforilare il glucosio. È attiva solo quando ci
sono alte concentrazioni plasmatiche, perché il glucosio, attraverso la GLUT-2, entra o esce dal
sangue (a seconda se la concentrazione è maggiore fuori entra e viceversa) e quando i livelli di
glucosio sono bassi, la glucochinasi avviata al nucleo deve interagire con una proteina regolatrice
che la intrappola, inattivandola. Alti livelli di glucosio inattivano la proteina regolatrice, così la
glucochinasi torna nel citosol e fosforila il glucosio. Di fatto, la sua bassa affinità per il glucosio non
gli consente una grande funzione se non siamo in quella fisiologica iperglicemia postprandiale. Una
volta fosforilato il glucosio ha diversi destini precedentemente indicati.

La fosforilazione di glucosio è termodinamicamente irreversibile e, il glucosio fosforilato può essere


avviato a vari processi metabolici. Nonostante questa reazione sia termodinamicamente
irreversibile, tuttavia esiste una reversibilità biologica, ovvero il glucosio-6-fosfato può ridiventare
glucosio libero ma NON attraverso la esochinasi (non esiste una reazione che da glucosio-6-fosfato
+ ADP formi glucosio + ATP), ma attraverso la glucosio-6-fosfatasi. Questa converte il glucosio-6-
fosfato in glucosio libero, però più un fosfato inorganico. Questo enzima è tipico del fegato, ma in
una certa misura anche del rene e dell’intestino, che sono gli unici tre organi che lo possiedono.
Questo enzima può defosforilare il glucosio-6-fosfato staccando il fosfato inorganico e, una volta
glucosio libero, attraverso la GLUT 2 presente nella membrana plasmatica del glucosio, in queste
condizioni in cui la concentrazione è maggiore all’interno e non all’esterno il glucosio esce. Tra un
pasto e l’altro il glucosio non prende perché ha un enzima poco affine, ma dà perché ha un enzima
in grado di dare una reversibilità biologia (ma non chimica) alla reazione di fosforilazione del
glucosio.

La glucosio-6-fosfatasi
Questo enzima si trova a livello del reticolo endoplasmatico, in particolare ha il sito attivo rivolto
all’interno del reticolo endoplasmatico. C’è anche una diversa localizzazione di glucochinasi e
glucosio-6-fosfatasi, perché nel momento in cui deve avvenire la fosforilazione non deve avvenire
la defosforilazione e viceversa, al di là delle Km. Nel dopo-pasto il glucosio entra, viene fosforilato
dalla glucochinasi che è nel citosol e avviato il metabolismo. Tra un pasto e l’altro si abbassa la
glicemia, la glucochinasi è confinata nel nucleo (legata alla proteina regolatrice) e il glucosio-6-
fosfato, ovviamente, non proviene dall’esterno, ma da due processi tipici del fegato: dalla
gliceogenolisi (il fegato immagazzina glicogeno nel dopo-pasto e lo utilizza tra un pasto e l’altro;
questo glicogeno non è però in abbondanza) e il processo di gluconeogenesi (ovvero la produzione
di glucosio da metaboliti non glucidici, quindi gli amminoacidi; viene utilizzato quando finisce il
glicogeno immagazzinato a livello epatico e bisogna mantenere la concentrazione di glucosio nel
sangue).

La glucosio-6-fosfatasi si trova a livello della membrana del reticolo endoplasmatico, con il sito attivo
rivolto verso l’interno del reticolo. Il glucosio-6-fosfato proviene dalla glicogenolisi o dalla
gluconeogenesi. Se il fegato non avesse la glucosio-6-fosfatasi (in considerazione del fatto che il
glucosio-6-fosfato non può attraversare la membrana) non si potrebbe immettere glucosio in
circolo, ma la presenza di questo enzima permette di rilasciare glucosio tra un pasto e l’altro
ripristinando la glicemia. Anche le cellule dell’intestino e del rene, seppur in maniera ridotta,
possono partecipare a ripristinare la glicemia. Questo enzima è un’idrolasi (in presenza d’acqua
stacca il fosfato, non riproduce ATP) e perché esso funzioni il glucosio-6-fosfato deve entrare a livello
del reticolo endoplasmatico, attraverso un trasportatore specifico chiamato T1 [Alcune patologie
legate all’alterazione di questi processi possono derivare o da un mancato funzionamento della
glucosio-6-fosfatasi o dalla carenza di questo trasportatore in assenza del quale il glucosio-6-fosfato
non può entrare nel reticolo endoplasmatico] una volta dentro, la glucosio-6-fosfatasi idrolizza il
fosfato del glucosio e forma glucosio libero + fosfato inorganico ed entrambi possono uscire nel
citosol, attraverso altri due trasportatori specifici, chiamati T2 e T3. Siccome tutto questo avviene
nel momento in cui la glicemia tende ad abbassarsi, il glucosio attraverso la GLUT 2 esce e va nel
capillare sanguigno regolando la glicemia.

La glucochinasi si trova anche nelle cellule &


degli isolotti del langherans. Questi
costituiscono la parte endocrina del
pancreas (che è a sua volta una grossa
ghiandola, la cui parte esocrina produce
enzimi digestivi), che si trovano distribuiti in
tutto il panenchio e, tutti insieme, in peso,
arrivano all’1% del peso del pancreas. Essi
sono caratterizzati da 4 citotipi: cellule alfa,
beta, gamma e delta.
Le cellule alfa producono il glucagone
(ormone opposto all’insulina,
iperglicemizzante) le cellule beta producono
l’insulina (è l’ormone ipoglicemizzante e
anabolizzante per eccellenza), le cellule
gamma il peptide pancreatico (non
sappiamo bene a cosa serva) e le delta la
somatostatina (ormone che ha un’azione
contrastante sia glucagone che insulina, ma
anche l’ormone somatotropo prodotto
dall’ipofisi). La glucochinasi, però, non
l’hanno tutti gli isolotti del langherans, ma
soltanto le cellule beta (oltre all’epatocita).
Ma qual è il ruolo della glucochinasi in
queste cellule beta? L’insulina deve essere
messa in circolo nel dopo-pasto, perché la
sua azione ipoglicemizzante prevede che:
mangiamo, si ha una fisiologica iperglicemia postprandiale, la cellula beta degli isolotti del
langherans percepisce questa iperglicemia e conseguentemente immette in circolo l’insulina che,
attraverso la GLUT 4 presente nell’adipocita e nel tessuto muscolare fa l’up regulation che fa entrare
il glucosio. Ma come fa la cellula beta a riconoscere l’iperglicemia? All’inizio si pensava che fosse la
GLUT 2, tipica del fegato e presente anche nelle cellule beta, le rende molto permeabili al glucosio.
È invece l’esochinasi 4, la glucochinasi, che funge da sensore dell’iperglicemia. La caratteristica
principale è la sua Km elevatissima, che la fa quindi funzionare solamente quando siamo in
iperglicemia.

La figura indica come, partendo dalla glucochinasi, si arriva all’immissione in circolo di insulina. La
glucochinasi (o esochinasi 4) funziona solo quando siamo in iperglicemia, ovvero il momento in cui
la cellula beta deve mettere in circolo l’insulina. Il trasportatore è la GLUT2, si forma glucosio-6-
fosfato, viene avviata la glicolisi, che è seguita dal ciclo di Krebs e quindi dalla fosforilazione
ossidativa e, quindi, da un incremento del rapporto ATP/ADP. Quando questo avviene, esiste un
canale per il potassio che viene inibito dall’ATP, per cui questo canale per il potassio, ATP
dipendente, viene inibito; il potassio NON fuoriesce e tutto questo comporta una depolarizzazione
della membrana.

Quando la membrana viene depolarizzata ci sono dei recettori canale per il calcio che, quando si ha
una depolarizzazione della membrana, si aprono e quindi il calcio entra dall’esterno verso l’interno.
Quando aumenta la concentrazione di calcio vengono attivate le cam-chinasi (proteine chinasi
calciocalmodulino dipendenti) e, alcune di queste, vanno a fosforilare le proteine del citoscheletro
che, una volta fosforilate, favoriranno la migrazione di vescicole contenenti insulina che vengono
fatte migrare e, attraverso questo processo l’insulina viene messa in circolo.
[Se andiamo a fare una curva di insulina in un laboratorio quando facciamo un carico di glucosio
vediamo due diversi picchi di insulina in circolo: uno immediato che segue questo meccanismo, e
un altro dopo circa un’ora dal carico, che è espressione dell’insulina neosintetizzata]
Questa glucochinasi (o isoenzima-4 dell’esochinasi) si trova in due citotipi: nel fegato (spiega perché
il fegato prende glucosio soltanto nel dopo pasto e non tra un pasto e l’altro) e nelle cellule beta
delle isolette del langherans (la presenza di questo enzima così poco affine ha il ruolo di sensore
dell’iperglicemia, attraverso il quale si può mettere in moto questo meccanismo che vede l’aumento
del rapporto ATP/ADP ecc. e quindi la fuoriuscita dell’insulina dalla cellula beta).

Sintesi e degradazione del glicogeno

Il glicogeno è un omo-polisaccaride di-glucosio altamente


ramificato. In questa struttura ramificata le molecole di glucosio sono unite da legami 1,4-alfa-
glicosidici e 1,6-alfaglicosidici. In ogni molecola di glicogeno è presente un’infinità di estremità non
riducenti e in teoria una sola estremità riducente. Le prime facilitano la solubilizzazione del
polisaccaride e contemporaneamente danno agli enzimi biosintetici e degradativi un numero di
punti di attacco maggiori. Per cui una stessa molecola può essere attaccata contemporaneamente
da più molecole enzimatiche. L’unica estremità riducente, in realtà non è disponibile, perché legata
ad una proteina. Vedremo dopo che queste molecole di glicogeno formano grandi complessi
macromolecolari, all’interno dei granuli presenti nel citosol delle nostre cellule, che contengono non
solo il glicogeno, ma anche gli enzimi della loro sintesi/degradazione e tutte le molecole che
partecipano alla sintesi della degradazione.

Una piccola quantità di granuli di glicogeno sono presenti in tutte le cellule, anche se la maggior
parte di questi vengono immagazzinati nel fegato e nel muscolo. Noi complessivamente abbiamo
mezzo chilo scarso di glicogeno, quindi il contributo energetico maggiore è dato dai trigliceridi. Il
contributo di glicogeno però è importantissimo perché il cervello non è in grado di utilizzare gli acidi
grassi, e grassi e aa possono essere degradati ma solo in presenza di ossigeno mentre il glucosio è
l’unico che può essere degradato anche in assenza di ossigeno. Quindi sia il fegato che il muscolo
scheletrico contengono il 95% del glicogeno, ma il ruolo di deposito è diverso nei due tessuti. A fare
la differenza è la presenza nel fegato della glucosio-6-fosfatasi e la sua assenza a livello muscolare.

Il glicogeno muscolare viene considerato un deposito per sé stesso. Durante una contrazione
muscolare, quando si deve trasformare l’energia chimica in meccanica, avviene la glicogenolisi, e
dalla demolizione del glicogeno si forma glucosio-1-fosfato, che isomerizza a glucosio-6-fosfato e
dato che il muscolo non possiede la glucosio-6-fosfatasi, questo glucosio prodotto entra nella
glicolisi e produce ATP. Il deposito epatico invece ha un altro ruolo, che riguarda l’intero organismo,
muscolo compreso. Il fegato in realtà usa il glicogeno quando siamo in ipoglicemia, quado sotto
azione del glucagone, attraverso la cascata della AMPc si attiva la glicogenolisi. Nel fegato è presente
però la glucosio-6-fosfatasi, per cui defosforila il glucosio che poi attraverso la GLUT2 esce a va in
circolo. Il deposito di glicogeno, ricordo che è limitato nel tempo e che può essere consumato anche
nelle 24 h. Il fegato tuttavia, possiede un'altra via che permette il circolo di glucosio anche quando
finisce il glicogeno, ed è quella della gluconeogenesi.

Glicogenosintesi
Come sappiamo la prima tappa di ogni processo
che parte dal glucosio è la sua fosforilazione
catalizzata da un esochinasi, ma di questo ne
abbiamo già discuso. Si parte quindi dalla forma
attiva del glucosio che sarebbe il glucosio-6-
fosfato. Ai fini della Glicogenosintesi questo deve
essere isomerizzato a glucosio-1-fosfato, e questo
avviene attraverso un enzima che si chiama
fosfogluco-mutasi che catalizza ‘isomerizzazione
durante la sintesi e la conversione inversa
durante la degradazione. Questo enzima è un
enzima all’equilibrio e agisce secondo un
meccanismo ben preciso: l’enzima possiede un
residuo di serina fosforilato e la reazione prevede
la formazione di un intermedio, l’enzima reagisce
con il substrato cedendo il fosfato, al carbonio 1 o
6, si forma l’intermedio bi-fosfato e l’enzima si
riprende il fosfato formando il glucosio non
fosfato.
La tappa successiva prevede la reazione del glucosio-1-fosfato con l’UTP per formare uno zucchero
nucleotide, esattamente l’UDPG (UDPglucosio). L’enzima, che si chiama UDPG-pirofosforilasi,
trasferisce UMP dell’UTP al glucosio-1-fosfato, formando UDPG. Questa reazione sarebbe
reversibile, ma di fatto non lo è, e viene spinta verso destra perché nelle nostre cellule è presente
una pirofosfatasi, che la rende irreversibile. L’UDPG è il donatore di glucosio per la sintesi del
glicogeno, e questa reazione che vedremo è catalizzata dalla glicogeno-sintasi. Questa allunga una
qualunque estremità non riducente aggiungendo una molecola di glucosio e liberando UDP. Questo
UDP si dovrà andare a ricarica a spese dell’ATP se vuole continuare a fare questo lavoro. Per ogni
molecola di glucosio aggiunta abbiamo consumato due legami ad alta energia di ATP. In realtà di
questi due legami, quasi sempre, una la recuperiamo perché quando agisce la fosforilasi staccando
un’unità di glucosio da un’estremità non riducente, lega il glucosio ad un fosfato inorganico (Pi) e lo
libera sotto forma di glucosio-1-fosfato. Pertanto, delle due molecole di ATP che abbiamo
consumato una la recuperiamo. Questo recupero avviene se siamo nel muscolo, ma nel fegato
questo non avviene.

La glicogenosintentasi va facendo questa cosa più volte allungando le estremità non riducenti e più
enzimi contemporaneamente fanno si che più rami di questo albero diventino via via più lunghi.
Quando sono abbastanza lunghi di concerto alla glicogenosintasi interviene l’enzima ramificante.
Cosa fa questo enzima? Quando
un’estremità non riducente è formata da
almeno 11 unità di glucosio, ne stacca un
pezzo di 6-7 e forma con queste una
ramificazione nella stessa catena,
attraverso un legame 1,6-glicosidco.
Devono essere almeno 11 perché la
glicogenosintasi è in grado di allungare
estremità non riducenti a patto che il
moncone ne abbia almeno 4.

Raramente le molecole vengono degradate completamente, anche dopo digiuno spinto. La


degradazione totale comunque esiste perché è stato scoperto che può esistere la sintesi ex novo.
Questa sintesi avviene su una molecola proteica, chiamata glicogenina. Questa proteina funge da
Primer per la sintesi ex novo ed è una proteina dotata anche di attività enzimatica. Questa
glicogenica, sempre utilizzando il glucosio proveniente dall’UDPG, lo lega attraverso un legame
glicosidico, tra il gruppo glicosidico del carbonio 1 della prima molecola di glucosio ad un gruppo
ossidrilico di un residuo di tirosina (tirosina 194). La glicogenina non si ferma a legare una prima
molecola di glucosio ma ne lega altre 7 fino a formare un moncone di 8 molecole di glucosio. Arrivati
a questo punto attacca la glicogeno-sintasi e fa il lavoro che sappiamo.

Glicogenolisi
I due processi sintesi e lisi non avvengono contemporaneamente. La glicogenosintesi avviene in un
momento di ricchezza energetica, mentre la glicogenolisi avviene quando per azione
dell’adrenalina, che risponde allo stimolo di fatica fisica, paura o del glucagone che risponde
all’ipoglicemia. vediamo come avviene questo processo:

anche in questo caso l’azione di degradazione richiede l’intervento coordinato di due enzimi, la
glicogeno-fosforilasi (comunemente fosforilasi) e l’enzima de-ramificante. La fosforilasi, che
ovviamente è l’enzima chiave, così come la glicogenosintasi, agisce su una qualunque estremità non
riducente. Questa fosforilasi rompe un legame 1,4-alfa-glicosidico però non agisce come un alfa-
amilasi salivare o pancreatica che rompe il legame liberando l’energia di questi legami sotto forma
di calore, ma agisce con un meccanismo chiamato fosforolitico. Questa agisce in presenza di un
fosfato inorganico e sfrutta una quota di energia del legame alfa-1,4-glicosidico per legare un
glucosio libero ad un fosfato inorganico, accorciando un qualunque ramo dell’unità.

[Un cofattore importante della fosforilasi è il piridossal-fosfato (PLP), praticamente la forma attiva
della vitamina B6. Il grosso della vitamina B6 che osserviamo è legato alla fosforilasi anche se
l’azione prevalente metabolica di questa vitamina la vedremo quando studieremo il metabolismo
amminoacidico.]

La fosforilasi si ferma quando arriva a 4 subunità di glucosio. A questo punto interviene l’enzima de-
ramificante. Questo enzima ha due attività, una transferasica e una glicosidasica. Durante la prima
attività stacca 3 della 4 subunità e le va ad aggiungere ad una qualunque estremità non riducente
già precedentemente accorciata. A questo punto quando resta un solo glucosio legato con un
legame alfa-1,6 l’enzima mette in gioco la seconda attività amilo-1,6-glicosidasica. Questa attività è
in grado di rompere il legame alfa-1,6-glicosidico.

Controllo del metabolismo del glicogeno


La regolazione di questi meccanismi è regolata reciprocamente da interazioni allosteriche e
modificazioni covalenti reversibili (ne abbiamo parlato precedentemente). La regolazione di questi
due meccanismi si svolge su i due enzimi chiave che sono la glicogenosintasi e la fosforilasi. Questi
due enzimi ricordo che agiscono allo stesso modo ma sono forme isoenzimatiche diverse, codificati
da geni diversi e quindi il meccanismo di modificazione covalente reversibile l’hanno in comune e il
meccanismo di controllo allosterico avviene in modo diverso nei due rispecchiando quelle che sono
le funzioni dei due depositi nei diversi organi.

Modificazione covalente della fosforilasi à la fosforilasi passa da una forma inattiva, chiamata B,
ad una forma attiva, chiamata A quando questa è fosforilata. La glicogeno-fosforilasi è un dimero e
la fosforilazione ATP dipendente riguarda due residui di serina. A fosforilare la forma B nella forma
A è un enzima chiamato fosforilasi-Bchinasi attivato dal glucagone e dall’adrenalina. Noi sappiamo
che l’AMPc attiva la PKA e questa tra i suoi innumerevoli substrati ha anche la fosforilasi-Bchinasi.
Non è la PKA che direttamente fosforila la forma B ad A.
Controllo allosterico della fosforilasi muscolare à l’isoenzima muscolare è controllato anche
allostericamente dal Ca, dall’AMP, dall’ATP. La fosforilasi-Bchinasi è un tetramero formato da 4
subunità e la subunità delta non è altro che la calmodulina. Durante una contrazione muscolare il
calcio viene liberato dal reticolo endoplasmatico e il contenuto di calcio aumenta a livello citosolico.
Questo aumento fa si che il Ca si leghi alla subunità delta della fosforilasi-Bchinasi attivando la
glicogeno-fosforilasi anche quando la chinasi non è fosforilata (questo è quindi un controllo
allosterico della fosforilasi-Bchinasi in realtà). Andiamo al controllo della AMP. Durante la
contrazione muscolare si ha il bisogno di ATP, che non si trasforma in AMP ma in ADP. Quando però
vi è un’intensa contrazione muscolare e si consuma molto ATP si produce molto ADP (forma semi
scarica di energia) e si mette a funzionare in modo reversibile un enzima, chiamato miochinasi, che
porta alla formazione di AMP. Questo rappresenta un fattore allosterico positivo per la fosforilasi.
Un fattore allosterico negativo invece è rappresentato dall’ATP che inibisce la forma fosforilata, che
sarebbe attiva se non ci fosse un elevata presenza di ATP. In realtà vi è un ulteriore controllo, dato
dalla glicolisi che avviene durante la contrazione. In assenza di ossigeno porta la glicolisi alla
formazione di lattato. Questo acido lattico può abbassare il pH e comportare un danneggiamento
della cellula muscolare, per esempio un crampo. Durante questa contrazione vi è un altro enzima,
chiamato adenilato-deaminasi, che attivato porta alla formazione di ammoniaca che in qualche
modo tampona l’acidità dell’acido lattico.

Controllo della fosforilasi epatica à qui il controllore è rappresentato dal glucosio. Noi sappiamo
che la glicogenolisi epatica serve fondamentalmente a regolare la glicemia. Tuttavia, quando la
glicemia si ristora non occorre che il glicogeno continui ad essere degradato e allora il glucosio
aumenta la sua concentrazione nel fegato. Quando avviene ciò, la fosforilasi epatica che possiede
dei gruppi chimici in grado di legare il glucosio, attiva la PIP1. La fosforilasi A viene subito
defosforilata e conseguentemente se ne blocca l’attività.

Controllo della glicogenosintasi à questa passa da una forma inattiva, quando è fosforilata ad una
forma attiva quando non lo è. Questa defosforilazione avviene attraverso una proteina fosfatasi
(PIP1) attivata dall’insulina partendo dalla biforcazione che coinvolgeva la PI3-chinasi e la PKB. La
proteina fosfatasi più importante è la Gsk3 che quando viene fosforilata si inattiva bloccando la
glicogenosintetasi. In realtà la Gsk3 è l’enzima più importate ma pare che questo enzima funzioni
soltanto quando un'altra proteina, esattamente la caseina-chinasi2 abbia gia fosforilato alcuni
residui di serina nell’enzima. Oltre alla Gsk3 vi è la PKA, che fosforila la fosforilasi-Bchinasi che mi
attiva la glicogenolisi ma fosforila anche la glicogeno sintetasi che inibisce la glicogenosintesi.

Anche la glicogenosintasi può essere controllata allostericamente. Una volta la fosfasi A e B si


chiamavano anche dipendenti e indipendenti. Quella non fosforilata era indipendente, ma quella
fosforilata se vi era glucosio-6-fosfato era comunque attiva.

La PIP1 che ha un ruolo centrale non solo nel metabolismo del glicogeno è importante anche in altri
metabolismi e per funzionare deve poter interagire con tutti e 3 gli enzimi che abbiamo visto
(glicogeno-fosforilasi; fosforilasi-Bchinasi; glicogeno-sintasi) poiché la PIP1 è quella che defosforila
tutti e tre, mentre la fosforilasi dipende da altri enzimi.
In realtà sappiamo che il controllo è molto più capillare. Il legame che deve avvenire tra il PIP1 e i 3
enzimi viene controllato da una proteina, chiamata GM, che controlla il metabolismo del glicogeno.
Il suo ruolo è quindi quello di far rimanere la PIP1 legata ai 3 enzimi. A sua volta, perché questo
avvenga, la GM deve essere fosforilata a livello di un residuo amminoacidico da parte di una chinasi
che dipende dall’insulina (forse la PKB). Tuttavia, se questa GM viene fosforilata dalla PKA, che è
attivata dalla cascata della AMPc, questa GM si stacca, la PIP1 si stacca dagli altri enzimi e si va a
legare a un’altra proteina inibitrice che a sua volta è fosforilata.
Quando vi è adrenalina infatti, non può avvenire la defosforilazione da parte della PIP1. Rimanendo
fosforilati, attivano la B-chinasi e la fosforilasi B, mantenendo fosforilata e quindi inattiva la
glicogeno-sintasi.

Ciclo di Cori

Studiando il glicogeno si è venuti a conoscenza


di un processo, chiamato ciclo di Cori. Questo
meccanismo mette in relazione il muscolo con il
fegato. Immaginiamo di marcare con
radioisotopi il glicogeno muscolare e di far
avvenire una contrazione muscolare. Si va
inizialmente incontro alla glicogenolisi, il
glicogeno va a sua volta incontro a glicolisi
finendo a lattato. Questo raggiunge il fegato ed
incontra un enzima, la lattato-idrogenasi, che lo
trasforma in piruvato. Il piruvato va incontro a
glucogenesi e viene convertito a glucosio che
entra in circolo. Se il lattato è radioattivo perché
deriva da glicogeno marchiato può ritornare al
muscolo e diventare glicogeno.

Ciclo dell’alanina
Un processo analogo ma più complesso del precedente è il ciclo glucoso-alanina. Questo verrà
compreso meglio quando si tratterà il metabolismo amminoacidico. L’ammoniaca è un composto
neurotossico e normalmente quella in circolo deve avere una concentrazione basse. Per evitare
l’ammoniemia, l’ammoniaca prodotta dai tessuti extraepatici raggiunge il fegato e sarà convertita
in urea, non come ammoniaca libera ma come glutammina. Questa si origina da una reazione tra
glutammato e alanina. Tuttavia, una certa quantità di ammoniaca può essere trasportata
dall’alanina, perché durante una contrazione muscolare si può formare un surplus di ammoniaca
che il muscolo può utilizzare a livello energetico. Questa ammoniaca in più deve sempre raggiungere
il fegato senza raggiungere l’ammoniemia. Non esiste una reazione, che dia alanina dalla somma di
piruvico ed ammoniaca, quindi il discorso è molto più complesso per poterlo capire in questo
momento.
Patologie
Il mancato funzionamento di uno o di alcuni di questi enzimi può portare a delle patologie che si
chiamano glicogenosi.

Metabolismo glucidico
Dal punto di vista quantitativo il processo glicolitico è quello più importante. Il processo avviene nel
citoplasma di tutte le cellule ed è un processo di tipo fermentativo; come vedremo in nessuna delle
tappe del processo glicolitico viene utilizzato l’ossigeno. Questo processo degrada il glucosio, che
sappiamo essere una molecola a 6 atomi di carbonio, in 2 molecole a 3 atomi di carbonio; 2 di acido
lattico se il processo avviene in presenza di ossigeno e 2 di acido piruvico in assenza. Attraverso
questo processo avremmo modo di vedere uno dei 2 meccanismi che ci permettono di produrre
ATP. Noi sappiamo che un meccanismo è la fosforilazione del substrato, che si realizza solo in 3
reazioni, 2 delle quali fanno parte della glicolisi. L’altro meccanismo è la fosforilazione a livello della
catena respiratoria, detta anche fosforilazione ossidativa, che è molto + efficiente a livello
quantitativo ma che riduce la presenza dell’ossigeno, mentre il processo glicolitico no.

I primi organismi comparsi sulla terra usavano questo processo tutt’oggi usato. Da una parte per via
del fatto che esistono tutta una serie di organismi anaerobici che riescono a produrre ATP solo in
questo modo, e dall’altra, vi sono organismi superiori, uomo compreso, che per alcuni processi ne
hanno bisogno. Per esempio, durante la contrazione muscolare, il restringimento delle vene e delle
arterie crea una situazione di ipossia, e per continuare la contrazione si deve continuare a produrre
ATP e si può fare solo con un meccanismo glicolitico.

Dicevo prima che sono 3 le possibili fosforilazioni a livello del substrato: 2 le incontreremo nella
glicolisi e 1 la incontreremo nel ciclo di Krebs (processo mitocondriale). Anche questa ultima
reazione usa il meccanismo usato nella glicolisi però in carenza di ossigeno non possiamo contare
su quella reazione. Il processo di realizza in 10 tappe che si possono dividere in 2: le prime 5
rappresentano l’innesco e viene consumato ATP, mentre nella seconda fase ne produciamo una
quantità superiore a quella bruciata prima. Sebbene questo processo ha come funzione principale
quella di degradare il glucosio e tirar fuori solo una quota parziale dell’energia potenziale (il grosso
dell’energia si trova ancora nelle 2 molecole di acido piruvico) che corrisponde solo a 2 molecole di
ATP (1/15 circa del totale) resta comunque il processo più importante.
Il processo avviene in tutte le cellule, tuttavia in alcuni distretti cellulari questo meccanismo ha un
ruolo e un significato diverso. Il cervello per esempio vive grazie al glucosio (ci servono 100 g al
giorno per farlo funzionare) e utilizza la glicolisi solo come prima fase poiché non basterebbe l’ATP
prodotto. Un altro esempio è l’eritrocita, qui la glicolisi si ha anche quando non serve ATP, ma si
sfrutta questo processo per avere il 2,3-bisfosfoglicerato. In assenza di questo la quantità di
ossigeno rilasciata sarebbe insufficiente. Per cui la glicolisi eritrocitaria ha 2 step in più e
costituiscono quello che viene chiamato il ‘’bypass’’ del 2,3-bisfosfoglicerato. Un altro esempio è il
fegato, dove vengono sintetizzati dei composti che richiedono metaboliti della glicolisi. Ad un certo
punto incontreremo un metabolita che se deviato su altre vie metaboliche, porterebbe ad un
bilancio di 0 o negativo (-2).
Glicolisi
Avviene nel citosol di
tutte le cellule ed è
costituita da 10 reazioni,
che sono le stesse in
tutte le cellule ma
avvengono con velocità
diverse. È possibili
distinguere due fasi, la
prima che scinde una
molecola di glucosio in
due molecole di
gliceraldeide-trifosfato, e
una seconda fase dove
verranno prodotti ATP e
NADH+H+.

Di queste 10 tappe, ce ne
7 in cui la variazione di
energia è una variazione
minima, per cui di fatto le
10 sono reversibili e
quelle 7 coincideranno
con le tappe della
glicogenesi (processo
inverso che porta da 2 di
piruvato ad una di
glucosio). Perché la
glicogenesi possa
avvenire
bisogna allora saltare
quei 3 gradini irreversibili
che avvengono nella
glicolisi e sostituirli con
tappe tipiche della
glicogenesi in cui si ha
una variazione di energia
libera negativa.
I tappa
Abbiamo già visto cosa avviene in questo processo
e come avviene

II tappa

Questa è la vera prima reazione, catalizzata dalla


fosfoglucosio isomerasi. È una reazione di
isomerizzazione, reversibile, che trasforma il glucosio
6-fosfato in fruttosio 6-fosfato. Questa reazione ha
un duplice ruolo, il primo è che il fruttosio-6-fosfato
nella tappa successiva sarà fosforilato a fruttosio-1,6-
difosfato, la trasformazione appena avvenuta infatti
fa comparire un altro gruppo alcolico che può essere
sede di una fosforilazione. Il secondo ruolo è che
l’isomerizzazione attiva il carbonio 3 per una
successiva scissione catalizzata. Stiamo infatti
trasformando una forma piranosica in una forma
furanosica, e questa è più instabile, ma la glicolisi
prevede in una successiva reazione la scissione di
questo composto a 6 atomi di carbonio a due di tre è
più facile rompere il legame C3-4 in una forma
furanosica che in una piranosica

III tappa
Questa tappa in realtà sarebbe la prima vera tappa,
perché questo enzima sarà bloccato, attraverso la
conversione a fruttosio 1,6-bisfosfato. Questo viene
anche chiamato enzima battistrada (ha fatto una
battuta sulle puttane, che battano le strade alle
rotonde) della glicolisi. Ovviamente viene consumata
una seconda molecola di ATP. [quando scriviamo
‘’bis’’ è perché i gruppi sono legati a due atomi di C
differenti, mentre ‘’di’’ sta ad indicare che due gruppi
sono legati allo stesso atomo di C]. Questo enzima è
allosterico per cui sarà regolato da fattori allosterici,
positivi e negativi, ma ne parleremo dopo solo dopo
aver visto tutti i passaggi successivi.
IV tappa

A questo punto il composto viene scisso in due composti ad


opera dell’enzima aldolasi. Anche questa reazione è
reversibile. L’enzima scinde il frittosio-1,6-bisfosfato un due
triosi fosforilati, un aldotrioso e un chetotrioso. La reazione
procederà dalla gliceraldeide 3-fosfato

V tappa
Esiste un enzima chiamato triosio fosfato
isomerasi che isomerizza i due triosi. Perché la
glicolisi abbia un bilancio energetico positivo è
necessario che sia isomerizzato il diidrossiacetone
fosfato e che questa venga convertito a
gliceraldeide-3-fosfato. Ricordiamoci che da
questo momento in poi dovremmo moltiplicare
per due per avere un bilancio di +2. Perché da ogni
gliceraldeide-3-fosfato si formeranno 2 di ATP, entrambe devono proseguire la glicolisi, 2x2=4 meno
2 nella fase di investimento avremmo il bilancio energetico di +2. Questo equilibrio è in realtà
spostato verso il diidrossiacetone fosfato (96:4). Se questo avesse come unica possibilità quella di
convertirsi non avrei altro da fare, ma in realtà ha un’altra possibilità metabolica, ovvero quella di
diventare substrato della glicerolo fosfato deidrogenasi, che riduce il gruppo chetonico in gruppo
alcolico e quindi in glicerolo.

VI tappa
A questo punto la gliceraldeide 3-fosfato diventa substrato
dell’enzima gliceraldeide 3-fosfato deidrogenasi. Questo
enzima catalizza una reazione che porta alla comprensione
della fosforilazione a livello del substrato, ovvero quel
meccanismo attraverso il quale produciamo ATP. La
deidrogenasi è un’ossidazione NAD dipendente, quindi la
gliceraldeide per ossidazione da un acido e il NAD per
riduzione, forma il NADH+H+. questa pero non è una semplice
ossidazione, perché avviene anche una fosforilazione
contemporaneamente, e quest’ultima prevede l’utilizzo di un
fosfato inorganico. Il prodotto della gliceraldeide 3-fosfato
deidrogenasi non è l’acido 3-fosfoglicemico, quale sarebbe il
prodotto di una semplice ossidazione, ma è l’acido 1-3-bisfosfoglicerato.

Questo fosfato in posizione uno è legato attraverso un legame anidridico. L’ossidazione della GAP
(processo esoergonico) e la fosforilazione (processo endoergonico) sono energeticamente
accoppiati. La GAP durante la catalisi si lega covalentemente con il gruppo tiolico SH di un residuo
di cisteina nel sito attivo dell’enzima formando un intermedio tioestere ad alta energia che favorisce
la reazione di fosforilazione che è endoergonica.

La prima reazione è
esoergonica e la seconda è
endoergonica. Il valore
assoluto dei due è però simile.
Se le due reazioni avvenissero
separatamente, la seconda
avrebbe una elevata energia di
attivazione e non avverrebbe a
velocità biologicamente
significativa. I due processi
devono essere accoppiati. Nel
momento in cui abbiamo
trasformato la gliceraldeide 3-
fosfato in acido 1,3-
bisfosfoglicerato, abbiamo una
molecola diversa. Vi è stata una
variazione dei deltG di idrolisi in molti dei legami chimici e un accumulo in un legame particolare.
L’energia totale dei due substrati come somma di energia di tutti i legami chimici è rimasta la stessa.
Quindi, non avviene altro che un rimaneggiamento delle varie energie di legame con un accumulo
nel legame tra il carbonio 1 e il fosfato inorganico (legame ad alta energia).

VII tappa
Non ci stupisce quindi che in questa tappa
l’1,3-bisfosfoglicerato reagendo con l’ADP,
formi ATP. Questo ATP si forma perché il
fosfato legato in posizione uno, era legato
attraverso un legame ad alta energia di
idrolisi, addirittura a più alta energia di idrolisi
dello stesso fosfato.

Noi definiamo fosforilazione a livello del


substrato un meccanismo che comporta, la
formazione di un substrato che possiede un
legame ad alta energia da uno che non lo
possiede, e questo fosfato con legame ad alta
energia deve essere trasferibile a un
nucleoside difosfato per formare un
nucleoside trifosfato, che nella maggior parte dei casi è ATP (in piccola parte GTP).
Questa reazione è aiutata da un enzima la fosfoglicerato chinasi (l’unica chinasi reversibile) perché
il fosfato passa tra due composti entrambi ad elevato deltG di idrolisi (da 1,3-bisfosfoglicerato
all’ATP). [gli eritrociti utilizzano lo stesso meccanismo all’interno di essi]
VIII, IX e X tappa
Qui il 3-fosfoglicerato viene isomerizzato ad acido 2-fosfoglicerato. Questa reazione è catalizzata
dalla fosfoglicerato mutasi, che agisce come la fosfoglucomutasi vista nella sintesi e degradazione
del glicogeno.
A questo punto avviene un’altra
fosforilazione al livello del
substrato catalizzata
dall’enolasi. Nel 2-fofoglicerato
il fosfato non è legato tramite un
legame ad alta energia,
interviene l’enolasi che catalizza
una reazione di deidratazione.

Questa deidratazione è come e


fosse una specie di ossido
riduzione interna alla molecola,
che porta alla formazione del
fosfoenolpiruvato. Questo è il
composto biologico con il
legame a più elevato deltG di
idrolisi che esiste in natura (61,9
KJ*mol) circa il doppio rispetto a quello dell’ATP. La tappa successiva che avviene grazie alla piruvato
chinasi, vede reagire il fosfoenolpiruvato con l’ADP e formare ATP (e piruvato) è una cosa
abbastanza logica. Poiché il fosfato passa da 61,9 a 30,5, quindi in modo irreversibile. Tutto ciò
avviene grazie all’enolasi, poiché anche qui grazie ad un rimaneggiamento dei legami e un
trasferimento di energia da vari legami, verso uno in particolare, porta a tutto ciò. Una delle
spiegazioni che servono a comprendere perché
il fosfoenolpiruvato possiede un elevata energia di idrolisi risiede nella tautomerizzazione dalla
forma enolica a quella chetonica.

La glicolisi quindi si conclude con due molecole di piruvato da una di glucosio e poi il piruvato ha
diversi destini metabolici. In condizioni aerobiche avverrà una decarbossilazione ossidativa che
formerà da due di piruvato due di Acetil CoA, poi le due di Aceti CoA entreranno nel ciclo di Krebs
che è strettamente accoppiato alla catena respiratoria e si arriverà a quelle 32 molecole di ATP
ottenute da una molecola di glucosio. In condizioni anaerobiche il piruvato può andare incontro a
due diversi tipi di fermentazioni. La fermentazione lattica, che è quella che avviene nel muscolo
durante una contrazione o nell’eritrocita 24h, e la fermentazione alcolica, tipica dei saccaromiceti.

[gli studi sulla glicolisi sono nati da interessi economici, partiti da due birrerie inglesi che volevano
produrre la birra migliore, ma non per interessi scientifici] – il professore dice che la birra è acqua
benedetta.

Fermentazione lattica
Avviene in condizioni anaerobiche e prevede che il piruvato venga ridotto, tramite una reazione
NADH dipendente, a 2 molecole di acido lattico. Perché avviene questo? L’acido lattico è importante
o serve a qualcosa? No, è in realtà una specie di pizzo che la cellula paga per poter continuare a
produrre ATP.
La 3-fosfogliceraldeide deidrogenasi, riduce il NAD+ a NADH+H+ e se si vuole che la glicolisi prosegue
questo NADH+H+ deve essere riossidato a
NAD, anche perché le concentrazioni
citosoliche sono molto basse. Il
trasformare il piruvico a lattico serve per
consentire la glicolisi.

Se noi in laboratorio bloccassimo la lattato


deidrogenasi la glicolisi si bloccherebbe a
livello della 3-fofoglicelaldeide
deidrogenasi.

Qualcosa di analogo avviene in altri microorganismi che hanno lo stesso problema, ovvero vivono
in ambienti anaerobici e vivono di glicolisi.

Fermentazione alcolica
Avviene in molti organismi soprattutto nei
saccaromiceti, studiati e sfruttati per le birre, il
vino, il lievito eec.. Alla fine, come vedremo si
produce etanolo che per questi organismi.

Questa fermentazione richiede però due enzimi.


La glicolisi procede secondo le modalità che noi
conosciamo, solo che la piruvato chinasi non
esiste, ma abbiamo la piruvato decarbossilasi.
Enzima che decarbossila il piruvato in
acetaldeide e libera CO2. Poi l’acetaldeide
dall’alcol deidrogenasi viene ridotta ad etanolo.
La riduzione, riossida il NADH a NAD+ .

Bypass del 2,3-bisfosfogicerato


Nell’eritrocita esiste la glicolisi classica che serve a produrre ATP, ma esiste anche il bypass del 2,3-
bisfosfoglicerato. Questo bypass è costituito da due enzimi, da una 2,3-bisfosfoglicerato mutasi e
da una 2,3-bisfosfoglicerato fosfatasi, il primo che lo produce e il secondo che lo degrada.
La mutasi fa si che l’acido 1,3-bisfosfoglicerato piuttosto che trasformarsi in 3-fosfoglicerato,
diventi 2,3 (tramite un intermedio). Ovviamente il fosfato legato alla posizione due non è un
legame ad alta energia, non può essere utilizzato per produrre ATP, ma sappiamo che va a legarsi
tra le due catene beta stabilizzando la forma a T dell’emoglobina e spostando l’equilibrio dalla
forma R alla forma T.
Regolazione della glicolisi
Si realizza sui tre enzimi che catalizzano le tappe irreversibili della glicolisi, una delle quali era la
esochinasi (che in realtà non è una reazione tipica del processo glicolitico, ma è una reazione che
riguarda l’attivazione del glucoso; la possiamo quindi considerare la prima tappa di tutte le vie
metaboliche che partono dal glucosio).

La fosfofruttochinasi è un enzima allosterico, ed è regolata da tutta una serie di effettori allosterici


positivi e negativi. Un controllo di semplice comprensione consiste nel controllo della parte della
carica energetica: l’ATP la inibisce, l’ADP e l’AMP (forme scariche dei nucleotidi adeninici) l’attivano.
È chiaro che se la glicolisi è un processo che serve a produrre ATP, se esso aumenta di
concentrazione non è opportuno che si continui a consumare glucosio per produrre ATP. D’altra
parte, se aumenta la concentrazione delle forme scariche (ovvero diminuzione della forma carica) e
siamo quindi in un momento di necessità energetica, allora il processo deve essere attivato. Altri
due effettori allosterici che controllano questo enzima sono il citrato (che è un effettore allosterico
negativo) e il fruttosio-2,6-bisfosfato (effettore allosterico positivo).

Valutiamo gli effettori allosterici

ATP
Esso non è soltanto un effettore allosterico negativo, ma anche un substrato. Come fa quindi ad
essere contemporaneamente substrato ed inibitore? Un enzima allosterico è fatto da più subunità
che interagiscono tra di loro e che mettono in atto eventi cooperativi e, inoltre, ciascuna subunità
possiede dei siti: catalitici (in grado di riconoscere e legare substrati, che saranno convertiti in
prodotti) e di regolazione (quando gli effettori allosterici si legano, ma non vengono trasformati,
perché le affinità di questi siti per gli effettori allosterici sono gestite sempre da una costante di
dissociazione, K2/K1). Ciascuna subunità di questo enzima possiede due siti per l’ATP: un sito
catalitico (dove l’ATP quando vi si lega cede il fosfato al fruttosio-6-fosfato e viene liberato come
ADP) e l’altro è un sito di regolazione. Per potere capire come fa la stessa molecola a reagire sia da
substrato che da effettore basta capire qual è l’affinità che l’ATP ha per i due siti: l’affinità per il sito
catalitico è gestita dalla Km (K2+K3/K1), mentre quella per il sito di regolazione è gestita dalla
costante di dissociazione; entrambi i siti riconoscono quindi l’ATP, ma con una diversa affinità.

Quale dei due ha la maggiore affinità per l’ATP? Il sito catalitico. Se fosse quello di regolazione
l’enzima non funzionerebbe mai: se esso avesse una maggiore affinità rispetto a quello catalitico
l’enzima sarebbe sempre inibito anche a basse concentrazioni. È quindi maggiore quella del sito
catalitico: quando deve avvenire la glicolisi, l’ATP non è zero, ma è basso; quella poca
concentrazione consente di agire da substrato, la reazione consuma una molecola di ATP, tuttavia
nella fase di recupero la quantità di ATP prodotto sarà maggiore rispetto a quella consumata, con
un bilancio netto di +2. A mano a mano che la concentrazione dell’ATP aumenta, quando raggiunge
una certa concentrazione (adeguata alla costante di dissociazione per il sito di regolazione nei
confronti del quale ha ovviamente un’affinità minore) l’ATP vi si lega, avvengono le modificazioni
conformazionali tipiche degli enzimi allosterici (un equilibrio che si sposta dalla forma R verso la
forma T) e l’enzima diminuisce la sua attività nei confronti del fruttosio-6-fosfato e,
conseguentemente, l’ATP agisce da effettore allosterico negativo, pure essendo un substrato.
Ovviamente, i due ruoli dell’ATP vengono svolti a diverse concentrazioni.
Citrato
Il citrato è un composto prodotto nel mitocondrio (ricorda: la glicolisi è un processo citosolico, e la
fosfofruttochinasi-1 agisce a livello citosolico) ad opera della citrato sintetasi, che è il primo enzima
del ciclo di Krebs. Il citrato viene appunto prodotto per essere consumato dalle reazioni successive
del ciclo di Krebs (ovvero quel processo che completerà la degradazione del piruvato e porterà alla
totale demolizione del glucosio a CO2 e acqua con la formazione delle 30/32 molecole di ATP che
possiamo ottenere quando il glucosio viene totalmente degradato). Il citrato servirà quindi nel
mitocondrio, ma anche il ciclo di Krebs che, accoppiato alla catena respiratoria, è il processo che più
di altri produce ATP. Gli enzimi chiave del ciclo di Krebs saranno inibiti quando il rapporto ATP/ADP
e il rapporto NADH/NAD sono elevati, e saranno attivati quando aumenta ciò che c’è al
denominatore (quindi le forme scariche sia dei nucleotidi adeninici che piridinici). Quando la cellula
si è arricchita di energia, la citrato sintetasi viene rallentata dall’ATP, ma non del tutto bloccata.
Questo perché il citrato continua, seppur più lentamente, a prodursi, ma non viene consumato dalle
tappe successive del ciclo di Krebs e quindi aumenta di concentrazione.

Aumentando di concentrazione, esso raggiunge la concentrazione adeguata ad una sua traslocasi.


Questa è una proteina della membrana mitocondriale interna, che ha nei confronti del citrato una
certa affinità, e soltanto quando il citrato raggiunge una certa concentrazione può fuoriuscire. Nel
momento in cui questo accade, e quindi il citrato dal mitocondrio va nel citosol, questo è un indice
di ricchezza energetica. Una volta fuori, da una parte inibisce l’enzima chiave della glicolisi, dall’altra
sarà effettore allosterico positivo principale dell’enzima chiave della sintesi degli acidi grassi.
Ovviamente, questo è un processo biosintetico che deve avvenire in un momento di ricchezza
energetica e il citrato sarà quindi l’effettore allosterico positivo più importante dell’acetil CoA
carbossilasi, che è l’enzima chiave della sintesi degli acidi grassi.
Non solo il citrato è l’effettore allosterico positivo principale di questo enzima, ma esso, una volta
fuori, sarà scisso da un enzima specifico nelle sue due componenti (che sono l’ossalacetato e l’acetil-
CoA) e l’Acetil-CoA, adesso fuori dal mitocondrio, servirà alla sintesi degli acidi grassi e alla sintesi
del colesterolo. Il citrato, quindi, non solo sarà l’effettore allosterico positivo principale del primo
enzima della sintesi degli acidi grassi, ma a questo enzima fornirà il substrato, che è l’Acetil-CoA,
previa degradazione.

Fruttosio-2,6-bisfosfato

A livello epatico, il principale effettore allosterico positivo della fosfruttochinasi-1. Principale perché
agisce ad una concentrazione molto inferiore rispetto a quanto non facciano gli altri effettori
allosterici (di almeno un decimo) e, di fatto, possiamo sostenere che la glicolisi epatica non avviene
se non in presenza di fruttosio-2,6-bisfosfato. Il fruttosio-2,6-bisfosfato è prodotto dalla
fosfofruttochinasi 2 (la 1 è l’enzima battistrada della glicolisi), che è l’enzima che catalizza una
reazione analoga a quella della 1, perché ha sempre l’ATP e il fruttosio-6-fosfato come substrati, ma
il prodotto non è il fruttosio-1,6-bisfosfato ma il fruttosio-2,6-bisfosfato. Trovare questo fruttosio-
2,6-bisfosfato è stata un’impresa da un punto di vista sperimentale, in quanto è identico all’1,6 e,
agendo da effettore allosterico, agisce a concentrazioni enormemente basse, per cui soltanto con
procedure ad elevate prestazioni (HPLC e UPLC) si è potuto scoprire questo prodotto di un isoenzima
PFK2 piuttosto che PFK1.

E’ importante questo effettore allosterico positivo;


a concentrazione zero la curva di saturazione è
diversa rispetto ad una curva di saturazione più
efficace quando passiamo da 0 a 0,1 micromolare di
fruttosio-2,6-bisfosfato. Chiaramente, l’enzima è
tanto più attivo quanto maggiore è la
concentrazione di fruttosio-2,6-bisfosfato. La
fosfofruttochinasi 2 (la produttrice di questo
effettore allosterico) è un enzima bifunzionale, o
enzima tandem, perché è in grado di catalizzare due
diverse reazioni: l’attività chinasica (cioè quella che
produce furttosio-2,6-bisfosfato) ma è anche
dotato di un’attività fosfatasica (cioè lo stesso
enzima che produce il furttosio-2,6-bisfosfato è in
grado anche di defosforilarlo, e quindi di
riconvertire il furttosio-2,6-bisfosfato che lui stesso
ha prodotto, in fruttosio-6-fosfato, defosforilando e
togliendo il fosfato dalla posizione 2).
La sua azione è chinasica e fosfatasica a seconda dello stato di fosforilazione o defosforilazione di
un terzo dominio (è un enzima tridominiale: con un dominio ha l’attività chinasica, con l’altro quella
fosfatasica e con il terzo è presente un residuo di serina che, quando è fosforilato l’enzima agisce
da fosfatasi, quando è defosfatato l’enzima agisce da fosfatasi). Quindi, questo enzima bifunzionale
agisce da chinasi o da fosfatasi a seconda del suo stato di fosforilazione o defosforilazione.

Il controllo di questo enzima tandem è di tipo ormonale: a fosforilarlo ci pensa la PKA, a


defosforilarlo la PIP1, o fosfoproteina fosfatasi 1. L’ormone che favorisce la glicolisi è l’insulina e,
tutte le volte che c’è un enzima fosforilato dalla PKA, l’insulina sposta il suo equilibrio verso la forma
defosforilata, attivando la PIP1 (fosfoproteina fosfatasi 1) con il meccanismo che sappiamo partire
dalla pi3 chinasi anche se non sappiamo nulla di più. Quando, quindi, siamo in un momento di
iperglicemia (e abbiamo quindi insulina in circolo), l’insulina attiva la glicolisi (l’unico processo
degradativo che attiva, insieme al ciclo di Krebs), per fornire l’ATP per tutti i processi anabolici,
essendo l’insulina l’ormone anabolizzante per eccellenza. L’insulina come attiva la glicolisi?
Favorendo la defosforilazione di questo enzima tandem; quando l’enzima è defosforilato agisce da
chinasi, produce il fruttosio-2,6-bisfosfato (ovvero il principale attivatore della fosfofruttochinasi
epatica) e quindi avviene la glicolisi, successivamente il ciclo di Krebs e la produzione di ATP, che
servirà all’insulina per spingere le biosintesi e, indirettamente, il consumo glicolitico del glucosio
favorisce l’azione ipoglicemizzante dell’insulina.
Qual è l’ormone opposto all’insulina, che deve aumentare la glicemia?
Il glucagone, esso ovviamente aumenta la glicemia con i due meccanismi citati nella glicogenosintesi
e glicogenolisi. In prima battuta il glucagone attiva la glicogenolisi, ma il glicogeno è un deposito
limitato nel tempo, ma quando questo tende a diminuire di concentrazione, l’altra via che ha il
glucagone per aumentare la glicemia è la glucogenesi, che è il processo inverso della glicolisi. Quindi,
mentre l’insulina ne attiva la glicolisi, il glucagone ne attiva la glicogenesi.

Come non attiva questa glicogenesi? Il principale meccanismo di controllo è sempre sulla
fosfofruttochinasi 1 ed è attraverso il fruttosio-2,6-bisfosfato, perché il glucagone, attraverso la
cascata dell’AMPc attiva la PKA, la quale tra i suoi innumerevoli substrati, ha anche la
fosfofruttochinasi 2 che, quando fosforilata dalla PKA, inibisce l’attività chinasica e attiva quella
fosfatasica. Quest’ultima defosforila il fruttosio-2,6-bisfosfato e toglie l’attivatore principale della
glicolisi. Questo fruttosio-2,6-bisfosfato, che è il principale attivatore della glicolisi, è il principale
inibitore della glicogenesi. La trasformazione del fruttosio in fruttosio-1,6-bisfosfato, operata dalla
fosfofruttochinasi 1, sarà resa reversibile biologicamente (non chimica) e avviene qualcosa di
analogo alla fosforilazione del glucosio, che viene reso biologicamente reversibile dalla glucosio-6-
fosfatasi; esiste infatti una fruttosio-2,6-bisfosfato fosfatasi, che riconvertirà il fruttosio-1,6-
bisfosfato in 6-fosfato nel processo glucogenetico.
Il fruttosio-2,6-bisfosfato è il principale effettore allosterico positivo della fosfofruttochinasi 1 e il
principale effettore allosterico negativo della fruttosio-1,6-bisfosfatasi. Per cui, quando c’è
l’insulina, essa favorisce l’attività chinasica, aumenta la concentrazione del fruttosio-2,6-bisfosfato,
aumenta la glicolisi e inibisce la glicogenesi. Quando c’è il glucagone, attraverso la PKA favorisce la
fosforilazione dell’enzima tandem. Questo enzima quando è fosforilato diventa fosfatasi, degrada il
fruttosio-2,6-bisfosfato, toglie l’effettore allosterico positivo alla chinasi e toglie l’effettore
allosterico negativo alla fosfatasi che rende reversibile la reazione della fosfofruttochinasi 1.

Il dimero PFK2 può essere fosforilato o defosforilato. Quando è fosforilato diventa inattiva l’attività
chinasica e attiva quella fosfatasica, quindi va a defosforilare il fruttosio-2,6-bisfosfato e quindi
toglie l’effettore allosterico positivo alla glicolisi e negativo alla glicogenesi. Questo composto
controlla quindi i due enzimi in maniera contrapposta. Mentre la glicolisi avviene in tutti i tessuti, la
glicogenesi è invece un processo fondamentalmente epatico. Quando è attiva l’attività fosfatasica,
si abbassa la concentrazione del fruttosio-6-bisfosfato e, questo abbassamento, inibisce la glicolisi
e stimola la glicogenesi.

Quando, invece, c’è l’insulina, essa attiva la PIP1 e, conseguentemente, l’enzima diventa chinasi
producendo il fruttosio-2,6-bisfosfato che è l’attivatore principale della glicolisi e l’inibitore
principale della glicogenesi. Questa PIP1 può essere anche attivata dallo xiloso-5-fosfato, che è un
metabolita della via dei pentosi fosfati, e attiva (così come fa l’insulina) la PIP1, con un meccanismo
ancora non precisato, e quindi attiva anche l’azione chinasica dell’enzima e, indirettamente, attiva
la glicolisi. [Questo perché la via dei pentosi ha una via degradativa ma che ha un ruolo
fondamentalmente biosintetico e, conseguentemente, attivando la glicolisi aumenterà la
produzione di acetil coenzima a e la sintesi degli acidi grassi e di nucleotidi].

RIEPILOGANDO
- La fosfofruttochinasi 2 è un isoenzima della fosfofruttochinasi: la 1 è l’enzima della glicolisi,
la 2 è un enzima di regolazione (della glicolisi e della glicogenesi) attraverso la produzione o
la degradazione del fruttosio-2,6-bisfosfato. Questo è il principale effettore allosterico
positivo della fosfofruttochinasi 1 e il principale effettore allosterico negativo dell’enzima
che rende reversibile questa reazione e che è invece un enzima della glicogenesi, il fruttosio-
1,6-bisfosfato fosfatasi.

- La fosfofruttochinasi 2 è un enzima bifunzionale (tandem) che ha 3 domini, uno chinasico,


l’altro fosfatasico e l’ultimo di regolazione. Quest’ultimo dominio, ovvero quello di
regolazione, può essere fosforilato o defosforilato e quindi, questo enzima, è controllato con
il meccanismo di modificazione covalente reversibile di fosforilazione e defosforilazione,
mentre la fosfofruttochinasi 1 è un enzima allosterico, controllato da effettori allosterici
positivi o negativi.

- Quando questa fosfofruttochinasi 2 è fosforilata agisce da fosfatasi (viene fosforilata dalla


pka, attraverso la cascata dell’AMPc è attivata dal glucagone, che favorisce la fosforilazione
di questo enzima attivando l’attività fosfatasica, e quindi di degradazione del fruttosio-2,6-
bisfosfato; degradando il fruttosio-2,6-bisfosfato viene meno l’attivazione della
fosfofruttochinasi 1 e quindi l’inibizione della fruttosio-1,6-bisfosfato fosfatasi). Al contrario
l’insulina, favorendo la forma defosforilata di questo enzima, attiva l’attività chinasica, che
produce il fruttosio-2,6-bisfosfato il quale attiva la glicolisi.

Un altro enzima chiave della glicolisi è quello che catalizza la terza reazione irreversibile (abbiamo
già accennato che i meccanismi di controllo non si realizzano sugli enzimi all’equilibrio, bensì sugli
enzimi che catalizzano le tappe irreversibili, e quindi specifiche, di un determinato processo
metabolico). Questo terzo enzima è la piruvato chinasi. Questo enzima è controllato sia
allostericamente che per modificazione covalente reversibile, ma in realtà ci sono diversi enzimi
della piruvato chinasi nel nostro organismo. Di preciso ci sono 3 isoenzimi diversi (e diversamente
distribuiti), codificati da geni diversi, però un meccanismo riguarda tutti e tre questi enzimi, ovvero
un meccanismo di controllo allosterico. Questo meccanismo è analogo a quello della
fosfofruttochinasi 1, quindi per esempio l’ATP (che è un indice di ricchezza energetica) inibisce tutti
gli isoenzimi della piruvato chinasi (così come inibisce la fosfofruttochinasi 1: se essa è stata attivata
produce fruttosio-1,6-bisfosfato e quindi questo fruttosio deve concludere la glicolisi).
Relativamente all’isoenzima epatico, l’isoenzima epatico è controllato anche per fosforilazione e
defosforilazione; viene fosforilato dalla PKA e defosforilato dalla PIP1, quindi allo stesso modo del
precedente enzima.
Il processo è inibito dall’ATP e anche l’acetil-CoA e gli acidi grassi a lunga catena sono altri metaboliti
dai quali le cellule possono tirare fuori energia. L’ATP inibisce e altri metaboliti potenzialmente
energetici (quali l’acetil-CoA e gli acidi grassi a lunga catena) lo inibiscono. Questo è un meccanismo
di controllo allosterico che vale in tutte le cellule.
Relativamente al solo fegato, l’isoenzima è controllato per modificazione covalente reversibile di
fosforilazione e defosforilazione. La fosforilazione, operata dalla PKA (e quindi per effetto del
glucagone), lo inibisce; la defosforilazione operata dalla PIP1 (e quindi direttamente dall’insulina) lo
attiva. Questo vale solamente per l’isoenzima epatico, non di certo per quello muscolare, in quanto
questo è attivato dall’adrenalina. Anche l’adrenalina agisce con il meccanismo dell’attivazione della
PKA attraverso la cascata dell’AMP ciclico, ma se fosse fosforilato l’isoenzima muscolare (e quindi
inibito) l’adrenalina non svolgerebbe il suo compito, quindi l’isoenzima muscolare non è affatto
inibito dalla fosforilazione pka dipendete, anzi se c’è l’adrenalina la glicolisi deve avvenire per fornire
l’ATP per la fuga o il combattimento in quanto l’adrenalina è l’ormone responsabile di questo
processo. Questo controllo di fosforilazione e defosforilazione riguarda quindi l’isoenzima L (da
leader) e non riguarda invece quello muscolare.

I destini metabolici del NADH


Perché la glicolisi continui il NADH prodotto dalla 3-fosfogliceraldeide deidrogenasi deve essere
ossidato nuovamente, tant’è che, in assenza di ossigeno, la fermentazione o lattica o quella alcolica
(che avviene nei saccaromiceti) ha come scopo quello di riossidare il NADH a NAD e consentire alla
glicolisi, l’unico processo che può fornire energia in assenza di ossigeno, di continuare. Di fatti, in
condizioni anaerobiche, il NADH verrà ossidato dalla lattico deidrogenasi, ristabilendo la quota di
NAD+ necessaria affinché la via glicolitica possa continuare. Se siamo però in presenza di ossigeno,
la glicolisi non si conclude al lattato, ma al piruvato. In questo modo si evita di produrre un composto
che ha una sua “tossicità” (l’accumulo di acido lattico a livello muscolare produce un po’ di dolore).
In condizioni aerobiche c’è sempre il problema di riossidare il NADH a NAD e consentire alla glicolisi
di funzionare, però è possibile farlo senza produrre composti potenzialmente tossici e aumentando
le potenzialità energetiche della glicolisi. In condizioni aerobiche, gli elettroni del NADH vengono
trasferiti nel mitocondrio attraverso uno dei sistemi shuttle (o a spoletta) e inviata alla catena
respiratoria degli elettroni.

La membrana mitocondriale interna è assolutamente impermeabile ai nucleotidi piridinici, quindi


non può essere attraversata né dalle forme ossidate né dalle forme ridotte (il NADH prodotto dalla
fosfogliceraldeide deidrogenasi non attraversa la membrana mitocondriale per accedere alla catena
respiratoria. I coenzimi piridinici (ossidati e ridotti) citosolici vengono prodotti e degradati nel
citosol; quelli piridinici (ossidati e ridotti) mitocondriali vengono prodotti e degradati a livello
mitocondriale. Allora cos’è che viene trasferito di questo NADH citosolico verso il mitocondrio?
L’intero coenzima non può attraversare la membrana, ma possono farlo in maniera indiretta gli
equivalenti riducenti, ovvero gli idrogeni che sono stati sottratti alla 3-fosfogliceraldeide e lo ione
idruro del NADH+.

I sistemi di trasporto degli equivalenti riducenti


dal citosol al mitocondrio sono due:
Il sistema a spoletta (o shuttle) del glicerolo-3-
fosfato. Questo è un sistema unidirezionale
che può consentire all’equivalente riducente di
andare dal citosol verso il mitocondrio, ma non
viceversa. Tuttavia, questo sistema è
importantissimo e agisce fondamentalmente a livello del muscolo scheletrico e del cervello. Il
problema è riossidare il NADH a NAD e consentire alla 3-fosfogliceraldeide di funzionare. Questa
riossidazione può avvenire attraverso l’isoenzima citosolico chiamato glicerolo-fosfato-
deidrogenasi. La trasformazione del diossiacetone-fosfato in glicerolo-fosfato può avere utilità nella
sintesi dei trigliceridi o dei glicerofosfolipidi (per quanto riguarda il glicerolo-fosfato), ma può anche
essere utile per un altro ruolo.

Relativamente al sistema a spoletta, si ha la possibilità che gli elettroni che si trovano sul NADH
citosolico possano accedere alla catena respiratoria, che invece è mitocondriale, sapendo che i
nucleotidi piridinici non possono attraversare liberamente la membrana mitocondriale. Questa
glicerolo fosfato deidrogenasi in realtà può passare la membrana mitocondriale esterna (il
mitocondrio ha due membrane: una esterna attraverso la quale può passare qualsiasi cosa che abbia
un PM al di sotto di un certo valore, in quanto è molto ricco di porina, e una membrana
mitocondriale interna). Sulla superficie esterna della membrana mitocondriale interna è presente
un isoenzima mitocondriale di glicerolo fosfato deidrogenasi. Questo isoenzima che non è nella
matrice mitocondriale, ma sulla parte esterna della membrana interna, a differenza dell’isoenzima
citosolico non è NAD dipendente ma è FAD dipendente. In ogni caso catalizza la stessa reazione nel
senso inverso: il glicerolo-3-fosfato attraversa la membrana mitocondriale esterna e, nello spazio
intermembrana trova, sulla superficie esterna della membrana mitocondriale interna, il glicerolo-
fosfato-deidrogenasi mitocondriale, che lo riossida a diidrossiacetone fosfato (e può tornare
nuovamente nel citosol) e il FAD di questo enzima mitocondriale si riduce a FADH2, ma questo è un
enzima della membrana mitocondriale interna e il processo di fosforilazione ossidativa è un
processo che si realizza a livello della membrana mitocondriale interna. Questo FADH2 sarà
riossidato a FAD attraverso una serie di componenti (ad esempio sulla membrana) che
comporteranno la riduzione del coenzima Q a QH2 e, quindi po, la riossidazione del QH2 dal
complesso terzo della catena respiratoria.

Quindi, quando questi due agenti riducenti che prima erano nel citosol trasferite dalla 3-
fosfogliceraldeide sul NAD finiscono su questo FAD che diventa FADH2 (il FAD è in grado di legare 2
idrogeni anche se c’è un intermedio semichinonico con un solo H, mentre nel NAD sono uno ione
idruro più un protone), la riossidazione di questo FADH2 avviene attraverso un enzima che
costituisce un complesso accessorio della catena respiratoria e farà in modo che questi idrogeni,
attraverso il coenzima Q, possano finire al complesso terzo della catena respiratoria, e, quando
questa si concluderà, da questi due idrogeni si formeranno 1,5 molecole di ATP. Se il NADH+H+ viene
ossidato nuovamente dalla lattico deidrogenasi, il bilancio energetico della glicolisi è di +2, invece,
se la glicolisi finisse al piruvato piuttosto che al lattato e se da ogni NADH+H+ prodotto dalla 3-
fosfogliceraldeide deidrogenasi attraverso questo sistema a spoletta questi due enti riducenti
finiscono sulla catena respiratoria, da ogni NADH+H+ si producono 1,5 molecole di ATP e, siccome
sono 2 le molecole di NADH che si producono quando la glicolisi si è biforcata, noi abbiamo TRE
MOLECOLE di ATP da aggiungere alle due che si sono prodotte con il meccanismo di fosforilazione
del substrato. Queste 3, però, sono prodotte con il meccanismo della fosforilazione ossidativa, che
è un meccanismo assolutamente dipendente dall’ossigeno.

Quindi, in assenza di ossigeno il NADH viene riossidato a NAD dalla lattico deidrogenasi (senza il
lattico, ma è come un “pizzo” che la cellula paga per consentire la riossidazione di NADH a NAD e,
quindi, permettere alla glicolisi di funzionare), in presenza di ossigeno, dobbiamo sempre riossidare
il NADH a NAD per consentire alla glicolisi di funzionare, ma piuttosto che produrre un composto
tossico e non avere altro ATP, non produciamo un composto tossico e aggiungiamo potenzialità
energetica alla glicolisi, in quanto questi equivalenti riducenti prodotti dalla 3-fosfogliceraldeide-
deidrogenasi non direttamente, ma attraverso questo sistema a spoletta, entreranno nella catena
respiratoria e, da ciascuno di questi NADH+H+ si produrrà 1,5 molecole di ATP (perché si passa da
un NAD ad un FAD, la quale potenzialità energetica è minore) e, quindi, si formeranno altre 3
molecole di ATP, che sono già di più rispetto alle 2 prodotte dalla glicolisi in assenza di ossigeno (che
però avviene attraverso un meccanismo fermentativo, che è l’UNICO che possediamo per produrre
ATP in assenza di ossigeno).

àQuesto sistema monodirezionale si chiama sistema del glicerolofosfatodiidrossiacetonfosfato,


ed è prevalente nel muscolo scheletrico e nel cervello. [in questo sistema l'enzima glicerolo-3-
fosfato deidrogenasi converte il diidrossiacetone fosfato in glicerolo-3-fosfato, ossidando una
molecola di NADH a NAD+: Il glicerolo-3-fosfato viene poi riconvertito a diidrossiacetone fosfato
dall'enzima di membrana mitocondriale glicerolo fosfato deidrogenasi.]. Utilizzando questi due
diversi isoenzimi glicerolofosfatodeidrogenasi (uno citosolico e uno mitocondriale, uno NAD e l’altro
FAD dipendente).

àUn altro sistema a spoletta ancora più efficiente: questo è un sistema bidirezionale, ovvero può
essere utilizzato in un momento pr portare equivalenti riducenti dal citosol al mitocondrio ed
aumentare le potenzialità energetiche della glicolisi, ma può anche funzionare al contrario quando,
durante la glicogenesi, è necessario che gli equivalenti riducenti dal mitocondrio vadano verso il
citosol, questo sistema prende il nome di malato aspartato (dal sale dell’acido malico). Questo
processo prevale a livello del fegato, del rene e del cuore.
Abbiamo quindi DUE diversi sistemi a spoletta: quello del malato aspartato e quello del
glicerolofosfatodiidrossiacetonfosfato, che hanno entrambe lo stesso problema: trasferire
equivalenti riducenti dal citosol verso il mitocondrio.

Sistema shuttle del malato-aspartato


Vediamo uno dei due ruoli del meccanismo malato aspartato, ovvero trasferire gli equivalenti
riducenti prodotti dalla 3-fosfogliceraldeide-deidrogenasi al mitocondrio per produrre altra energia
e non produrre lattato. In questo caso, gli equivalenti riducenti raggiungono il mitocondrio perché
la malico-deidrogenasi citosolica riduce (in presenza di NADH+H+) l’acido ossalacetico ad acido
malico.

È un enzima malico-deidrogenasi, catalizza una reazione reversibile e, in questo caso, riduce


l’ossalacetico a malico e contemporaneamente riossida un NADH a NAD che, è quello che serviva
perché funzionasse la glicolisi. Il malico può attraversare la membrana mitocondriale, a differenza
dei coenzimi piridinici, con un meccanismo di antiporto che vede il malico entrare e una molecola
di alfa-cheto-glutammico uscire. Il malico, una volta dentro, diventa substrato della malico
deidrogenasi mitocondriale, che è l’isoenzima mitocondriale, che riossida il malico a ossalacetico e
contemporaneamente riduce un NAD a NADH+H+. Che succede quindi? Prima avevamo un NADH
fuori, adesso ce n’è uno dentro, ma NON È lo stesso NADH, ma sono gli equivalenti riducenti che,
dal NADH citosolico sono passati all’ossalacetico, che diventa malico, questo entra e viene riossidato
ad ossalacetico in una reazione NAD dipendente, per cui prima avevamo il NADH fuori e adesso è
dentro.

Questo NADH accederà alla catena respiratoria, ma non al complesso terzo, bensì al complesso
primo e, quando la catena respiratoria parte dal complesso primo, da ogni NADH+H+ che
intraprende la catena respiratoria, non si formeranno 1,5 molecole di ATP, ma 2,5 molecole di ATP,
che porta ad averne 5 piuttosto che 3. Questo fatto spiega la differenza fra 30 e 32 molecole di ATP
che è possibile ottenere da una molecola di glucosio. Quando partiamo dalla glicolisi (o dalla
decarbossilazione ossidativa del piruvato) e passiamo al ciclo di Krebs, dalla completa degradazione
di una molecola di glucosio a CO2 e acqua, otterremo 30 molecole di ATP se gli equivalenti riducenti
sono entrati col sistema diossiacetonefosfato glicerofosfato, o 32 se sono entrate con il sistema
malato aspartato, perché, quando abbiamo trasferito gli equivalenti riducenti nel mitocondrio
attraverso il primo sistema a spoletta, questo ha comportato la riduzione di un FAD a FADH2 e la
riossidazione del FADH2 dalla catena respiratoria porterà a 1,5 molecole di ATP (che per due fa 3).
Quando, invece, gli equivalenti riducenti sono entrambi nel sistema malato aspartato, avevamo
prima un NADH fuori e adesso un NADH dentro, non un FADH2 e le potenzialità energetiche dei
coenzimi piridinici sono maggiori delle potenzialità energetiche dei coenzimi flavinici.
Perché il sistema prende il nome di malato aspartato?
L’ossalacetico che è entrato NON può riattraversare la membrana mitocondriale, in quanto essa è
impermeabile all’ossalacetico, esso infatti può uscire come malico (nella glicogenesi), oppure per
transaminazione con il glutammico forma acido alfachetoglutarico e aspartico, quest’ultimo può
uscire con un antiporto per cui per ogni aspartico che esce un glutammico entra, da qui il nome
malato/aspartato (gli equivalenti riducenti entrano sotto forma di malico e l’ossalacetico che ne
deriva all’interno esce come aspartico; una volta fuori avverrà nuovamente la transaminazione con
l’alfachetoglutarico qualora si formasse il glutammico, nel caso dell’ossalacetico questo può di
nuovo essere ridotto a malico. Ovviamente glutammico e alfa-chetoglutarico entrano ed escono
grazie a questo sistema di antiporto). Il sistema prende il nome di malato-aspartato perché gli
equivalenti riducenti entrano sotto forma di acido malico e, lo scheletro carbonioso (che è
l’ossalacetico) esce sotto forma di aspartato, che è l’amminoacido corrispondente all’acido
ossalacetico.

Al livello del muscolo c’è una piccola quantità di legami ad alta energia che sono immagazzinati nella
fosfocreatina. La fosfocreatina è un composto che si produce nell’ATP + creatina attraverso l’enzima
creatina chinasi (o creatina fosfochinasi). La fosfocreatina è un piccolo deposito di legami ad alta
energia che si trova a livello muscolare, per cui, quando c’è un’intensa contrazione, abbiamo la
glicogenolisi, la fosfocreatina che cede il fosfato all’ADP e forma ATP, la miochinasi (da due molecole
semiscariche di ADP ne forma una carica). Durante il riposo questo piccolo deposito di legami ad
alta energia viene ripristinato.

Effetto Pasteur

Il fatto che la glicolisi venga molto accelerata in assenza


di ossigeno prende il nome di effetto Pasteur. In assenza
di ossigeno la glicolisi deve essere molto più spinta.
Questo fenomeno fu poi spiegato da Warburg in
determinati studi, e si è notato che l’effetto Warburg
influisce anche sullo sviluppo dei tumori. Nei tumori la
glicolisi è molto più spinta che nelle cellule normali, e
questo dipende perché nei tumori (almeno nel primo
periodo di formazione) non c’è una buona
vascolarizzazione; questo porta ad un adattamento da
parte del tumore alla produzione di ATP attraverso la via
glicolitica, per cui in queste condizioni il tumore si autogestisce spingendo al massimo gli enzimi
della glicolisi. In molti tumori la velocità della glicolisi può superare anche di dieci volte quella dei
tessuti normali, questo perché, almeno inizialmente, il tumore non possiede una rete di capillari
adeguata a fare arrivare il giusto quantitativo di ossigeno. La cellula tumorale aumenta di parecchio
la quantità di enzimi glicolitici attraverso un fattore di trascrizione che si chiama HIF1, aumenta la
produzione di traslocasi per il glucosio, tutto perché in carenza di ossigeno il grosso dell’energia
viene fuori da questo processo glicolitico di tipo fermentativo, e si adatta meglio all’acidosi dovuta
dall’acido lattico perché, in carenza di ossigeno, la glicolisi si conclude con l’acido lattico.

In condizioni ipossiche viene prodotto il fattore di trascrizione indotto dall’ipossia, chiamato HIF1
(vale per tutte le cellule, ma per il tumore questa cosa è più spinta). Questo fattore stimola la
produzione di almeno 8 enzimi glicolitici e delle GLUT 1 e 3. Quindi, in pratica, non solo c’è
un’attivazione di questo processo, ma anche un’attivazione a livello genetico, perché queste cellule
tumorali producono una quantità di enzimi glicolitici in quantità enormemente maggiori,
adattandosi a queste situazioni di ipossia.
Un’altra proteina che viene indotta da HIF 1 è il fattore di crescita dell’endotelio vascolare, il VEGF,
che stimola la glicogenesi. Di fatti, in seconda battuta, c’è anche una vascolarizzazione nel tumore,
seppure imperfetta. Questo perché HIF 1 induce anche la sintesi di questo fattore di crescita
dell’endotelio vasale, favorendo la vascolarizzazione del tumore stesso.
La maggiore dipendenza dalla glicolisi delle cellule tumorali suggerisce una strategia nella cura dei
tumori e, molti composti tendono di inibire l’attività delle cellule tumorali inibendo l’attività
glicolitica, sapendo quanto essa sia importante per le cellule tumorali.

La PET si basa sul fatto che le cellule tumorali utilizzino molto più glucosio rispetto ad una normale.
Questa tecnica è una tomografia a base di emissioni. L’elevata velocità della glicolisi tumorale può
essere sfruttata anche ai fini diagnostici per localizzare i tumori. Nella PET viene iniettato il 2-fluoro-
2-deossiglucoso, marcato con una sostanza radioattiva. Questo composto entra attraverso le GLUT,
viene fosforilato attraverso le esochinasi, ma non può essere convertito in fruttosio-6-fosfato e
quindi si accumula in maggiore concentrazione dove viene captato e fosforilato più velocemente. Il
decadimento del fluoro 18 genera positroni che vengono rivelati da uno strumento, permettendo
così la localizzazione di questo composto accumulato in determinate cellule. In condizioni normali
c’è molta emissione di positroni a livello cerebrale, ma non è indice di tumore, ma il cervello si nutre
essenzialmente di glucosio.

La glucogenesi
Diventa indispensabile che ci sia un meccanismo che produca glucosio, esso prende il nome di
gluconeogenesi. L’ormone che favorisce tale processo è il glucadone. Il processo è epatico,
endoergonico e avviene quando siamo a digiuno. I reni e l’intestino danno un contributo minimo
alla produzione di glucosio in tale processo. L’organo che svolge un ruolo fondamentale è il fegato
e viene detto glucostato, ovvero il regolatore della glicemia. Sappiamo che il processo di glucogenesi
è l’opposto della glicolisi, perché le tre tappe irreversibili della glicolisi devono essere bypassate da
altrettante tappe irreversibili della glucogenesi. I 7 enzimi che fanno parte della glucogenesi sono
uguali a quelli della glicolisi, sono reazioni all’equilibrio e sono reversibili. La glucogenesi fa parte di
un processo ancora più grande chiamato gluconeogenesi (sintesi di glucosio da metaboliti non
glucidici). Le molecole gluconeogenetiche sono essenzialmente amminoacidi, previo
allontanamento del gruppo amminico, tutti gli scheletri degli aa sono convertibili in glucosio. Dei 20
aa proteici 18 sono glucogenetici, tranne i due amminoacidi leucina e lisina (i 2 L). Dalla
degradazione di questi due si produce essenzialmente acetil-CoA e come vedremo questa reazione
negli organismi superiore è assolutamente irreversibili.
Ci sono molti altri metaboliti che si possono usare e sono:
• Il lattato à Esso può essere ossidato al
piruvato e poi esso arriva alla glucogenesi;
• Il glicerolo à Esso può provenire dalla
lisi dei trigliceridi o dalla lisi dei
glicerofosfolipidi, il glicerolo può
raggiungere il fegato attraverso il sangue.
Una volta arrivato al fegato, vi è un enzima
che si chiama glicerolochinasi che lo
trasforma in glicerolofosfato, il quale può
essere deidrogenato al diidrossi-acetato-
fosfato. Immaginiamo che due gliceroli
arrivino a due di diidrossi-fosfato, uno dei
due si isomerizza trifosfogliceraldeide,
seguito da una condensazione aldolica si
ottiene il fruttosio 1,6-difosfato e così si
seguono le tappe della glicogenesi che
sono l’inverso della glicolisi;
• Il proprionato à Esso si può ottenere in
parte da alcuni amminoacidi, ma può
derivare anche in piccole quantità dalla
degradazione degli acidi grassi a numeri
dispari di atomi di carbonio.

• La prima tappa à In essa sono incluse


due reazioni: la prima è mitocondriale ed
essa è catalizzata dalla piruvico
carbossilasi, che deve, appunto,
carbossilare l’acido piruvico in presenza di
ioni bicarbonato ad acido ossalacetico. Il
piruvico è un chetoacido a 3 atomi di
carbonio, l’ossalacetico è un chetoacido a
4 atomi di carbonio. Il piruvico deve
entrare nel ciclo di Krebs, il piruvico si può
formare nel citosol attraverso le reazioni di transaminazione o direttamente si forma nel
mitoncodrio. Se si trova nel citosol, il piruvato deve entrare nel mitocondrio attraverso una
traslocasi specifica della membrana mitocondriale interna, diventando il substrato della
piruvato carbossilasi. Questa reazione è biotina dipendente, e prevede il consumo di una
molecola di ATP che diventa ADP + P2. L’ATP non interviene direttamente nella
carbossilazione, ma interviene all’inizio quando si è formato il complesso CO2-biotina-
enzima. L’attivatore allosterico di questa carbossilazione è l’acetil-CoA. Nel momento che il
piruvico entra nel mitocondrio può subire due reazioni che sono una l’opposto dell’altra o
mettere in coda alla glicolisi l’ultima degradazione dell’acido piruvico fino alla formazione
di CO2 e H2O, oppure interrompere e mettere in atto la gluconeogenesi, quindi o può essere
carbossilato o decarbossilato. L’altra faccia della piruvato carbossilasi è quella di produrre
ossalacetico per il ciclo di krebs. Se vi è una grande presenza di acetil-CoA, per essere
smaltito e produrre ATP, deve interagire con l’ossalacetico; l’ossalacetico deriva dall’acido
piruvico, che a sua volta deriva dagli amminoacidi. La carbossilazione avviene in due fasi:
Ø Nel sito catalitico 1 il bicarbonato a spese dell’ATP, reagisce con la biotina per
formare il complesso CO2-biotino-enzima.
Ø Nel sito catalitico 2, il complesso formato precedentemente trasferisce la CO2, dove
l’anidride carbonica viene rilasciata e reagisce con il piruvato formando l’ossalacetato
e il complesso biotina-enzima che deve andarsi a ricaricare di un’altra molecola di
CO2, consumando un’altra molecola di ATP. In conclusione possiamo dire che la
carbossilazione ha consumato un legame ad alta energia proveniente da una
molecola di ATP.

La seconda reazione è o mitocondriale o citosolica ed essa è catalizzata dalla


fosfoenolpiruvico carbossichinasi, prevede che un ossalacetato deve essere riconvertito in
fosfoenolpiruvico, ed è un composto a 3 atomi di carbonio. Questa reazione richiede anche
la presenza del fosfato che è ceduto da uno GTP che diventa uno GDP, e durante questa
reazione l’ossalacetico viene decarbossilato formando il fosfoenolpiruvico. Si libererà CO2
che è la stessa che nella reazione precedente è stata utilizzata nella carbossilazione. La
decarbossilazione a seguito di una carbossilazione è servita a salire quel gradino fortemente
energetico che si richiede per passare dal piruvico al fosfoenolpiruvico, in poche parole sono
stati consumati due legami ad alta energia, uno di ATP con la formazione dell’ossalacetico e
l’altro di GTP nel momento della formazione del fosfoenolpiruvico, ma
contemporaneamente si ha la decarbossilazione e quindi si libera l’energia che abbiamo
immagazzinato nel primo legame chimico e in più l’energia della scissione del GTP al GDP. Vi
sono due modalità per passare dal piruvato al fosfoenolpiruvico:

Ø Nella glicogenesi ci vogliono le sei molecole di ATP (4 di ATP e 2 di GDP) e 2 molecole


di NADH+H+. Il piruvato entra nel mitocondrio, viene carbossilato dalla piruvato
carbossilasi a formare ossalacetico, ma esso non può attraversare la membrana
mitocondriale. L’ossalacetico viene ridotto a malico dalla malico deidrogenasi
mitocondriale, e il malico esce e viene ossidato dalla malico deidrogenasi citosolica,
formando l’ossalacetico. Ciò accade se si parte dal piruvato.
Ø Noi sappiamo che la lattico deidrogenasi è un enzima citosolico, quindi il lattato che
proviene dall’eritrocita, essendo a digiuno, deve essere riossidato a piruvato. Ma
essendo un enzima citosolico, nel momento in cu si riossida il lattato produce un
NADH+H+. A questo punto il piruvato entra, forma ossalacetico, ma a livello
mitocondriale c’è anche un altro enzima che è il PEP idrossichinasi, che può
trasformare l’ossalacetico in fosfoenolpiruvico direttamente nel mitocondrio, di
conseguenza il fosfoenolpiruvico esce e partecipa alla glucogenesi.

La differenza tra questi processi sta: che se noi partiamo dal piruvato è necessario
esportare un NADH+H+, se partiamo dal lattato la lattico deidrogenasi citosolica produce
a priori il NADH+H+.

• In seguito il fosfoenolpiruvico deve diventare 2-fosfoglicerico, ne segue il 3-fosfoglicerico.


Quest’ultimo deve diventare 1,3-bifosfoglicerico attraverso la fosfoglicerol-chinasi, che è
l’unica reazione reversibile. L’1,3-bifosfoglicerico deve essere ridotto al 3-fosfogliceraldeide
nella fosfogliceraldeide idrogenasi che richiedere NADH. In parte questa molecola viene
isomerizzata a diidrossiacetil-fosfato attraverso la trioso-fosfato isomerasi, una di
trifosfogliceraldeide e una di diidrossiacetil-fosfato condensano nella condensazione
aldolica catalizzata dall’aldolasi, per arrivare al fruttosio 1,6-bisfosfato, che rappresenta la
seconda tappa irreversibile della glicolisi.

• La seconda tappa à Questa seconda tappa è catalizzata dal fruttosio 1,6-bisfosfato


fosfatasi, essa è attirata dal citrato. In questo caso non si produce ATP, ma si stacca il fosfato
per diventare fosfato inorganico. Quindi la fosfatasi stacca il fosfato dalla posizione 1, con la
formazione del fruttosio 6-fosfato. Esso è un enzima allosterico ed è regolato in maniera
contrapposta alla fosfofruttochinasi-1, mentre nella fosfofruttochinasi-1 l’ATP inibisce e
l’AMP attira, nella fosfatasi accade proprio l’opposto. Ma essendo il processo
essenzialmente epatico, ha fama nel controllo il fruttosio 2,6-bisfosfato, ovvero quel
composto prodotto dall’enzima tandem bifunzionale, che però in questo caso defosforila e
forma il fruttosio 6-fosfato.

L’enzima bifunzionale è un enzima controllato per modificazione covalente reversibile,


quando è fosforilato, agisce da fosfatasi, quando è defosforilato agisce da chinasi. A
fasforilarlo è la pKa che è attivata tramite il ciclo del glucagone. Anche se la reazione è
principalmente controllata dal glucagone, vi è anche la presenza dei glucocorticoidi che
sarebbero i cosiddetti cortisoni, essi regolano il metabolismo glucidico, soprattutto il
processo nucleoneogenetico. Lo favorisce tramite gli ormoni steroidei a livello genico, nel
caso specifico favoriscono la derepressione del RNA messaggero che codificano per gli
enzimi che rendono repressibili le tappe irreversibili della glicolisi. Tutti gli enzimi di cui
abbiamo parlato in precedenza sono detti enzimi inducibili, indotti dai cartisonici, per cui
questi ormoni hanno un’attività iperglicemizzante (può causare un diabete steroideo).

• La terza tappa à Essa è catalizzata dalla glucosio 6-fosfatasi, esso è presente nel reticolo
endoplasmatico.

La decarbossilazione ossidativa dell’acido piruvico

Il grosso dell’energia che possiamo tirare fuori dal glucosio è insito nelle molecole di piruvato. Delle
30-32 molecole di ATP, ne siamo riusciti a formare 5 o 7, ancora il grosso della potenzialità
energetica deve essere prelevata, e ciò accadrà quando il piruvato entra nel mitocondrio e viene
decarbossilato in
condizione aerobica, è
una reazione di
degradazione perché si
passa da un composto
a 3 atomi di carbonio a
un composto che ne
contiene 2. L’ultima
reazione di
degradazione che si ha
è quella dell’acetato
che avverrà nel ciclo di
Krebs.
• Che cosa accade? à La prima cosa che accade quando il piruvato entra nel mitocondrio,
quando deve essere ulteriormente degradato, è la decarbossilazione ossidativa al complesso
della piruvico deidrogenasi. La carbossilazione avvia il piruvato alla glicogenesi, mentre la
decarbossilazione avvia il piruvato verso il ciclo di Krebs e la formazione dell’acetil-CoA. La
decarbossilazione ossidativa è catalizzata da un complesso multienzimatico chiamato
complesso della piruvico deidrogenasi, esso è composto da tre o più enzimi che a secondo
degli organismi può essere o mitocondriale o citosolico. I tre enzimi prendono il nome di E1,
E2 e E3. In questa reazione intervengono 5 cofattori:
Ø Difosfotiamina (TPP) che è la forma attiva della vitamina B1;
Ø Il coenzima A per formare l’acetil-CoA;
Ø Il NAD;
Ø Il FAD;
Ø L’acido lipoico o acido 6,8-ditio-ottanoico à Rappresenta il gruppo prostetico
dell’enzima E2. L’acido lipoico è legato saldamente a un residuo di lisina.

Tutti e tre gli enzimi E, svolgono lo stesso processo e usano gli stessi coenzimi o cofattori,
però gli enzimi E1 e E2 sono diversi perché riconoscono dei substrati differenti; l’enzima E3 è
molto complesso, perché contiene numerose copie degli enzimi E1 e E2, in numero variabile
a seconda degli organismi in cui sono svolti questi meccanismi, ma inoltre in questo
complesso sono presenti due enzimi, una chinasi e una fosfatasi, che attraverso un
meccanismo di fosforilazione e defosforilazione, regolano E1. E1 è molto importante perché
è l’enzima che avvia il processo, tanto che è controllato sia da E3 ma anche in maniera
allosterica.

Una grande importanza l’ha anche il gruppo sulfidrilico CoA–SH, che è in grado di legarsi col
legame acil-tioestereo a tutti gli acidi grassi, ed è un legame che ha un elevato valore di ΔG.

REAZIONI CATALIZZATE DALL’ENZIMA E1


• La prima reazione à La prima reazione, è catalizzata dall’enzima E1 (piruvato deidrogenasi),
consiste nella decarbossilazione dell’acido piruvico con liberazione di CO2 e si forma
l’acetaldeide che si lega alla TPP e si forma l’idrossietil-TPP.

• La seconda reazione à La seconda reazione è catalizzata dall’enzima E1, che consiste


nell’ossidazione dell’idrossietil-TPP a spese dell’acido lipoico ossidato, che rappresenta il
coenzima dell’enzima E2. L’idrossietil-TPP viene deidrogenata ad acido acetico, il ponte
disolfuro intra catena dell’acido lipoico che viene ridotto dalla deidrogenazione con
formazione di due gruppi sulfidrilici, che non si vedono perché uno non si vede, mentre
l’altro si va a legare con un legame acil-tioestereo al radicale acetilico che deriva dalla
ossidazione dell’acetaldeide.

REAZIONI CATALIZZATE DALL’ENZIMA E2


Il gruppo sulfidrilico legato all’acido acetico svolge una trans acetilasi, ovvero trasferisce il
radicale acetilico che è legato a uno dei due gruppi sulfidrilici, al CoA, formando l’acetil-CoA
e formando l’acido lipoico saldamente legato all’enzima, con i due gruppi sulfidrilici.

REAZIONI CATALIZZATE DALL’ENZIMA E3


Il compito di tale enzima è la diidrolipoil deidrogenasi, ovvero deve deidrogenare
nuovamente l’acido lipoico cosicché ritorni al suo stato ossidato in maniera tale che possa
riprendere il ciclo. L’enzima E3 è una flavo-proteina, per cui deidrogena l’acido lipoico a spese
del FAD, che diventa FADH2, che a sua volta viene riossidato da un NAD che diventa
NADH+H+, il quale si stacca dall’enzima una volta avvenuta la reazione.

Regolazione della piruvico deidrogenasi


Il controllo del complesso è di tipo allosterico, ovvero a regolare tale complesso sono:
Ø Il rapporto ATP/ADP à L’ATP è un inibitore, l’ADP è un attivatore;
Ø Il rapporto Acetil-CoA/CoA;
Ø Il rapporto NADH/NAD.

Questo è un complesso che serve a decarbossilare l’acetil-CoA, quindi ha scopo energetico.


Tutto ciò che è al numeratore è un inibitore, mentre al denominatore sono attivatori. Al
controllo allosterico si aggiunge anche un controllo mediante modificazione covalente, che
riguarda E1, una specifica proteina chinasi fosforila e inattiva l’enzima E1, e una specifica
fosfoproteina fosfatasi che rimuove il fosfato da E1, attivandolo.
La chinasi è un enzima allosterico, che è attivato dall’ATP, quando i valori di ATP sono elevati,
il complesso viene inattivato. L’ATP interviene due volte, sia come fattore allosterico
negativo di E1, sia come fattore allosterico positivo della chinasi che fosforila E1.
Nel muscolo il Ca, rilasciato durante la contrazione, attiva il complesso.

Il ciclo di Krebs
Abbiamo detto che nella decarbossilazione ossidativa del piruvato siamo a livello
mitocondriale, e l’acetil-CoA adesso avrà accesso al ciclo di Krebs, che è quel processo dove
convergono tutti i meccanismi degradativi. Glicolisi, acidi grassi e amminoacidi, alla fine
arrivano alla formazione dell’acetil-CoA, perché tutti i processo catabolici convergono nella
produzione di tale complesso. Nel ciclo di Krebs, si formerà tutto quell’ATP che è possibile
tirare fuori dagli zuccheri e dagli amminoacidi. (N.B. QUANDO IL PROFESSORE CHIEDE IL
CICLO DI KREBS, NON SI PARTE MAI DAL PARLARE SOLO DELL’ACETIL-CoA, MA DOBBIAMO
SPAZIARE E DIRE DA QUALI PROCESSI DERIVA ED EVITARE DI PARLARE SOLO DEL FATTO
CHE DERIVI DALL’ACIDO PIRUVICO). Il processo del ciclo di Krebs rappresenta la tappa
terminale dell’intero catabolismo e definito anfibolico (un processo che ha una doppia
valenza tanto degradativa che biosintetica), e in esso vedremo due decarbossilazioni, e
l’acido acetico a due atomi di carbonio, non ci saranno più e quindi si ha la completa
degradazione dell’acetil-CoA. In realtà, se marchiamo radiattivamente con il C14 l’acido
acetico, le prime due decarbossilasi non libereranno CO2 marcato. Il processo si articola in 8
tappe, esso è molto aperto, tanto in entrata che in uscita, ovvero un metabolita intermedio
che proviene da un altro processo metabolico si può inserire nel ciclo saltando le tappe che
lo precedono, ma i metaboliti possono anche fuoriuscire e andare verso altri processi.

Il processo inizia con la condensazione dell’acetil-CoA con l’ossalcetato, che è un cheto acido a 4
atomi di carbonio, per formare un composto a 6 atomi di carbonio che è l’acido citrico, esso verrà
isomerizzato e in seguito inizieranno delle reazioni di decarbossilazione. In questo processo
abbiamo 3 tappe irreversibili: la prima, la terza e la quarta tappa. Il meccanismo di controllo del
processo si realizzerà sulle tappe irreversibili. Attraverso la condensazione che si realizza nella prima
tappa il metile dell’acetile, che è difficile da metabolizzare, reagisce con il gruppo chetonico
presente nel carbonio 2, viene trasformato in metilenico che è molto più utilizzabile dai nostri
enzimi.

• Prima tappa; La citrato sintasi à La citrato sintasi catalizza la condensazione dell’acetil-CoA


con l’ossalcatetato, e si tratta di una vera e propria condensazione di Claisen. Il metile
dell’acetile reagisce con il gruppo carbonilico dell’ossalacetato, si forma un intermedio che
è il citroil-CoA, che non si libera perché è ancora
legato all’enzima, e in una reazione idrolitica, che
richiede una molecola di acqua, e così si forma l’acido
citrico. Nella condensazione di claisen si viene a
formare un composto a 6 atomi di carbonio da due
composti dei quali uno ne contiene 2 e l’altro 4 atomi
di carbonio, di conseguenza stiamo formando un legame chimico, una reazione biosintetica.
Le reazioni biosintetiche sono reazioni endoergoniche, ma qui si ha un ΔG complessivo
negativo, questo perché la condensazione è stata spinta termodinamicamente dal legame
acil-tioestereo dell’acetil-CoA.

Quando a valle le altre due tappe saranno inibite perché saranno elevati i vari rapporti
ATP/ADP NADH/NAD, l’acetato sintetasi viene inibita ma non bloccata, perché anche
lentamente verrà prodotto citrato, il citrato aumenta di concentrazione perché non viene
drenato, arriva alla concentrazione adeguata e ideale per la costante di dissociazione per la
sua traslocasi, così fuoriesce e va nel citosol e ciò indica ricchezza energetica, tale citrato sarà
l’effettore allosterico principale del primo enzima (ATP Citrato liasi, la liasi rompe il legame
C-C. Normalmente quando si rompe un legame chimico, non si consuma ATP, in questo caso
accade il contrario, quando rompiamo il legame chimico l’energia che si libera non è
sufficiente a riformare il legame acil-tioestereo dell’acetil-CoA, e pertanto l’enzima, per
riformare l’acetil, richiede una molecola di ATP. Ciò accade perché quando si sintetizza
sfruttiamo un legame ad alta energia presente nell’acetil.)della via di sintesi degli acidi grassi.
Oltre al citrato, nel citosol verrà scisso e si riformerà ossalacetico e acetil-CoA e quest’ultimo
sarà il metabolita iniziale sia della sintesi degli acidi grassi che della sintesi del colesterolo,
sono entrambi processi che partono dall’acetil-CoA ma sono biosintetici. Entrambi i processi
avvengono in ricchezza energetica e sono citosolici. In tutti i processi mitocondriali, l’acetil-
CoA non può fuoriuscire direttamente, ma esce il citrato nel momento in cui il ciclo di Krebs
a valle è bloccato per un momento di ricchezza energetica, se tutto ciò non accade il citrato
viene metabolizzato dalla seconda tappa del ciclo di Krebs per arricchire la cellula di ATP.

• Seconda tappa; L’aconitasi à Questa tappa consiste nell’isomerizzazione dell’acido citrico


in acido isocitrico. L’enzima che catalizza tale isomerizzazione è un enzima all’equilibrio e
prende il nome di aconitasi e serve a spostare il gruppo ossidrilico, in un posto dove la tappa
successiva è più facilitata nell’ossidarlo trasformando il gruppo alcolico secondario in un
gruppo chetonico in una reazione NAD dipendente.
L’aconitasi agisce prima sottraendo una molecola di
acqua e poi aggiungendola nuovamente alla fine,
quando lo sottrae leva -OH e –H agli atomi di
carbonio adiacenti e quando li riaggiunge, sono
inseriti in maniera invertita formando l’isocitrasi. La
reazione è all’equilibrio, e tale equilibrio è fortemente spostato verso il citrato.

L’aconitasi contiene un centro Fe-S, sono dei centri in cui sono presenti atomi di Fe
coordinati con zolfo, come ad esempio zolfo di cisteina ma anche con zolfo metallico. Questo
centro nell’aconitasi, ha un ruolo molto importante perché fornisce all’enzima sia gruppi di
riconoscimento che gruppi catalitici. Nelle cellule esistono due tipi di isoenzimi di aconitasi,
uno mitocondriale che ha il ruolo che ha nel ciclo di krebs, e uno citolosico che serve anche
a formare l’isocitrato con una reazione NADP dipendente, che agisce da agente riducente
soprattutto nelle biosintesi riduttive (come la sintesi del colesterolo e degli acidi grassi).
Nelle cellule dell’aconitasi citosolica, dove la concentrazione del Fe è bassa, l’aconitasi perde
il suo centro, perde la sua attività catalitica e acquisisce un nuovo ruolo nella regolazione
dell’omeostasi del ferro.

• Terza tappa; L’isocitrico deidrogenasi à L’isocitrico deidrogenasi catalizza la


decarbossilazione ossidativa dell’isocitrico in α-chetoglutarico. Siamo in presenza di un
composto a 6 atomi di carbonio, e attraverso l’isocitrico, prima viene deidrogenato in una
reazione NAD dipendente o NADP dipendente se parliamo dell’isocitrico deidrogenasi
citosolica che arriva al livello mitocndriale. Dalla deidrogenazione dell’isocitrico, si forma un
intermedio che si chiama ossal-succinico che resta legato all’enzima, tanto che non si libera
mai, e poi per effetto di uno iono manganese che sottrae un elettrone, l’ossal-succinico viene
decarbossilato, quindi libera CO2 e forma l’α-chetoglutarico che è a 5 atomi di carbonio.

• Quarta tappa; L’α-chetoglutarico deidrogenasi à L’α-chetoglutarico deidrogenasi catalizza


la decarbossilazione ossidativa dell’α-chetoglutarico a succinil-CoA, liberando un’altra
molecola di Co2 e riducendo un’altra molecola di NAD a NADH+H+. Questa decarbossilazione
ossidativa è identica alla decarbossilazione
dell’acido piruvico, quindi si può dire che è
catalizzata da un processo multienzimatico,
formato da 3 enzimi E1 E2 e E3, che utilizza 5
coenzimi, con le stesse modalità della piruvico
deidrogenasi, con l’unica differenza che l’E1
riconosce l’α-chetoglutarico; l’E2 trasferisce un
radicale succinilico; l’E3 è uguale in tutti i processi, che riossida l’acido lipoico ridotto. L’α-
chetoglutarico in presenza di NAD e CoA e i 5 coenzimi si forma:

Ø Da un composto a 5, si forma un composto a 4 atomi di carbonio, ovvero il succinil-


CoA con un elevato ΔG di idrolisi e si riduce una molecola di NAD e le molecole di
idrogeno passano all’acido lipoico, poi al FAD e poi al NAD.
In realtà si possono formare 3 complessi, uno è quello dell’acido citrico, proveniente
dell’α-chetoglutarico deidrogenasi, quella del complesso della piruvico deidrogenasi
e infine, in maniera analoga, vengono decarbossilati ossidativamente gli scheletri
carboniosi dei chetoacidi degli amminoacidi a catena ramificata (valina, leucina e
isoleucina).
• Quinta tappa; La succinil-CoA sintetasi àIl succinil-CoA, come l’acetil-CoA, ha un legame
acil-tioestereo con un elevato ΔG d’idrolisi, e
questo legame verrà utilizzato per formare una
molecola di ATP o GTP e un nucleoside trifosfato.
Questa reazione si può inserire tra le
fosforilazioni a livello del substrato che sono 3,
due della glicolisi e una del ciclo di Krebs, ma
questa reazione è inserita in una reazione
strettamente dipendente dalla catena
respiratoria e di per se non richiede O2, di fatto
non si può contare su questa molecola di ATP se
non siamo in presenza di ossigeno, e quindi si
tengono in considerazione solo le altre due
reazioni della glicolisi. I nucleotidi sono i mattoni
costitutivi degli acidi nucleici e di conseguenze
ATP GTP CTP e UTP sono i 4 mattoni con cui si
sintetizza l’RNA. La reazione si realizza in 3 tappe:

Nella prima tappa il succinil-CoA reagisce con un
fosfato inorganico, si libera il CoA e si forma un
succinil-fosfato, mantendendo un legame ad alta
energia.
Nella seconda tappa il succinil-fosfato dona il radicale fosforico o il residuo di istidina
dell’enzima, formando un fosfo-istidina-enzima sempre con un legame ad alta
energia e libera il succinato.
Nella terza tappa il fosfato viene trasferito dal residuo di istidina ad un gruppo
fosforico terminale di GDP o ADP, a seconda di quale dei due isoenzimi interviene,
formando o GTP o ATP. Otteniamo infine il succinico.
Essa a grosso modo è da considerare una reazione a livello del substrato.

• Sesta tappa; La succinico deidrogenasi à La succinico deidrogenasi è un’ossidazione FAD


dipendente, che prevede la rimozione di un idrogeno e comporta la riduzione di una
molecola di FAD. L’enzima trasforma il succinico trasforma in fumarico e riduce il FAD in
FADH2, esso si riossida a spese del centro Fe-S
presenti nel complesso, e questi centri trasferiranno
gli elettroni all’enzima Q che utilizzando i protoni
diventerà QH2 e trasferirà gli elettroni al complesso 3.
Essendo che questo enzima è l’unico FAD dipendente,
possiamo dire che i gruppi flavinici sono dei veri e propri gruppi prostetici saldamente legati;
il NADH che si è liberato nella piruvico deidrogenasi si stacca e va ad inserirsi nella catena
respiratoria a livello di un complesso e da inizio alla catena respiratoria alla fine della quale
si produrranno 2,5 molecole di ATP. Quando invece si va a ridurre, come in questo caso, un
nucleotide flavinico che sia FMN o FAD, esso è strettamente legato all’enzima per cui il
processo di riossidazione non riguarda il coenzima ma riguarda l’intero complesso.

• Settima tappa; La fumarasià Il fumarico nella reazione della fumarasi viene idratato, così
che il legame C-C viene idratato per formare l’acido malico.

• Ottava tappa; La malico deidrogenasi à Il ciclo di Krebs si conclude con una malico
deidrogenasi che è una reazione di ossidazione, che ossida il malico ad ossalacetico e con
una conseguente riduzione del NAD a NADH+H+.

In conclusione possiamo dire che da un acetato si producono 2 CO2, 1 GTP o ATP e 4 coenzimi ridotti,
ovvero 3 NADH+H+ e un FADH2. Da ogni NADH+H+ si possono formare 2,5 molecole di ATP, da un
FADH2 1,5 molecole di ATP, quindi in totale da ogni acetil-CoA che viene degradato dal ciclo di Krebs
si possono formare 10 molecole di ATP (3x2,5= 7,5+1,5+1 molecola di ATP o GTP= 10).
Si possono ottenere 30-32 molecole di ATP solo nel momento in cui le molecole ottenute dall’acetil-
CoA si sommano alle molecole di ATP della glicolisi.

Guardiamo il ciclo di Krebs sotto il punto di vista biosintetico à Molti organismi possono scappare
dal ciclo di Krebs e andare in altre reazioni o il ciclo può essere riempito da altre reazioni che
vengono chiamate reazioni anaplerotiche, che servono a bilanciare ciò che può scappar via dal ciclo.
Il citrato può fuoriuscire in ricchezza energetica, e poi viene scisso per formare l’acetil-CoA; l’α-
chetoglutarico è un cheto acido del glutammico, e quindi attraverso una transaminazione si forma
il glutammico che può formare a sua volta la glutammina per amidazione. La transaminazione
catalizza una reazione reversibile e quindi la possiamo considerare come una reazione anaplerotica.
Il succinil-CoA può scappare via attraverso due metodi: il primo è quando il succinil-CoA esce
reagisce con la glicina per formare l’acido delta-aminolevulinico, che va verso l’EME e quindi esce
definitivamente; la seconda è quando si formeranno i corpi chetonici, prodotti dal fegato che non li
può utilizzare, fuoriescono e vengono utilizzati da altri tessuti (muscolo cardiaco e muscolo
scheletrico o anche il cervello), l’acido aceto-acetico utilizza questi corpi, e tale enzima trasferisce il
CoA dal succinil-CoA all’acido aceto-acetico che diventa aceto-acetico-CoA, che viene scisso
immediatamente in due molecole di acetil-CoA ed entrano nel ciclo di Krebs.
Come reazioni anaplerotiche ci sono:

• La piruvato carbossilasi, è la prima tappa della glucogenesi. Questa carbossilazione


va vista da due punti di vista, una è la prima tappa della glucogenesi, ma dall’altra
parte è la principale reazione anaplerotica del ciclo di Krebs, tanto che l’effettore
allosterico della piruvato carbossilasi è l’acetil-CoA;
• La fosfoenol-piruvato serve per formare il fosfoenol-piruvico dalla glucogenesi, che
catalizza una reazione reversibile, e la possiamo vedere al contrario per produrre
ossalacetato (reazione anaplerotica);
• La PEP carbossilasi;
• L’enzima malico trasforma il piruvato + ione bicarbonato + NADPH in malico + NADP,
oppure al contrario, il malico + NADPH. È l’enzima più importante per la produzione
a livello citosolico per il NADPH.

Regolazione del ciclo di Krebs à La regolazione avviene dai tre enzimi che catalizzano le reazioni
irreversibili. Sono enzimi inibiti dall’alta concentrazione di ATP e attivati dal ADP.

Il ciclo del gliossilato (o dell’acido gliossilico)

La reazione di decarbossilazione ossidativa del piruvato è una reazione assolutamente irreversibile.


Per sintetizzare glucosio si necessita del piruvato, ma l’acetil-CoA che è il prodotto terminale
dell’intero catabolismo non può essere riconvertito in piruvato. Ciò non accade nelle piante
(gliossisomi collegati nel mitocondrio) o nei batteri che lo possano convertire nuovamente in
glucosio, bypassano le reazioni che producono CO2 e viene utilizzato un altro acetil-CoA. Gli enzimi
che intervengono in questo processo e che noi non possediamo, sono due: l’isocitrico liasi e la
malico sintetasi. Nel ciclo di Krebs può accadere che il citrico isomerizza a isocitrico, solo che
quest’ultimo diventa substrato di un altro enzima che prende il nome di isocitrico liasi, che scinde
l’isocitrico in acido succinico e acido gliossilico che è un composto a due atomi di carbonio. L’acido
gliossilico reagisce con un’altra molecola di acetil-CoA, e con la malico sintetasi forma una molecola
di acido malico. In conclusione, abbiamo usato due molecole di acetil-CoA, uno che è entrato tramite
la via principale del ciclo di Krebs, dopo si è liberato sotto forma di gliossidato che attraverso la
malico sintetasi condensa con acetil-CoA formando malico che va incontro alla glucogenesi per
diventare saccarosio o amido. Nei batteri avviene tutto nello stesso ambiente e la succinico
deidrogenasi che segue una sua reazione dove può essere fosforilata o defosforilata.

Fosforilazione ossidativa
Questo meccanismo ormai è universalmente accettato che si realizza attraverso quello che noi
chiamiamo processo chemiosmotico. Questo processo chemiosmotico spiega non soltanto tutta la
fosforilazione ossidativa ma spiega anche la fotofosforilazione (figura b) che sta alla base della
fotosintesi clorofilliana.
Qui il meccanismo consiste
nell’ossidazione dell’acqua a O2
e gli elettroni vengono accettati
dal NADPH, fornito0 dal NADP+ +
H+, e questo processo dipende in
maniera assoluta dalla luce,
perché è lei che fornisce l’energia
per far avvenire questo
meccanismo.

Figura b

Pur essendo diversi questi processi di conversione dell’energia molto simile che è appunto chiamato
chemiosmetria.

Nella fosforilazione la riduzione dell’ossigeno ad acqua avviene grazie gli elettroni forniti dal NADH
e dal FADH2 che noi abbiamo ridotto durante l’ossidazione del substrato. la fosforilazione come
vedremo è un processo mitocondriale che sfrutta tutta una serie di complessi glicoproteici presenti
all’interno della membrana mitocondriale interna. Questi complessi sono responsabili del
trasferimento degli elettroni presenti nei coenzimi piridinici e flavinici ridotti, attraverso una serie
di reazioni esoergoniche. L’energia prodotta da queste reazioni non sarà immagazzinata in molecole
chimiche, come avveniva nella fosforilazione del substrato, ma sarà immagazzinata in quello che
viene chiamato gradiente elettrochimico, e servirà per pompare protoni dalla matrice mitocondriale
allo spazio intermembrana. Quando poi questi protoni rientreranno a livello della matrice
utilizzando un quinto complesso chiamato ATPsintetasi.
Qualcosa di simile avviene
nei cloroplasti. Qui il
gradiente elettrochimico
si crea al contrario e i
protoni vengono pompati
dall’esterno verso
l’interno, sempre
sfruttando l’energia di
trasferimento di elettroni
partendo da luce. Dopo
diche anche nella sintesi
clorofilliana vi è un
complesso responsabile
del passaggio dei protoni,
e con un sistema analogo
a quello della
fosforilazione si formerà
l’ATP.
Pop-up - Anatomia del mitocondrio
Il mitocondrio ha una membrana esterna ed una
interna. La membrana esterna è ricca di una
proteina porina, che forma dei pori attraverso i
quali possono passare tutte le molecole che
hanno un peso molecolare inferiore a 5mila unità
di massa atomica. Poi vi è uno spazio
intermembrana e una membrana mitocondriale
interna. Questa membrana interna, impermeabile
alla maggior parte delle piccole molecole, riesce a
far passare solo delle molecole per cui esiste una
appositi traslocasi, è di dimensioni enormemente
maggiori rispetto all’esterna, q la sua dimensione
è data dal fatto che quella interna forma tutta una serie di ripiegamenti che vengono
chiamate creste mitocondriali. Ogni cellula ha un determinato numero di mitocondri e più la
cellula utilizza ossigeno, hanno sempre un numero sempre più elevato di mitocondri. Ogni
mitocondrio possiede inoltre migliaia di sistemi con il quale può produrre ATP. Per sistemi
intendiamo i complessi 1,2,3 e 4 più il 5 responsabile della produzione di ATP. Il mitocondrio
quindi rappresenta una centrale energetica per la cellula.

I complessi che troviamo all’interno della membrana hanno una certa dimensione e i
movimenti sono limitati, a far si che si possano muovere esistono dei componenti mobili
della catena respiratoria, che sono un coenzima liposolubile, il coenzima Q (anche detto
ubichinone), e una proteina idrosolubile che è il citocromo C.

La fosforilazione ossidativa costa di due fasi:

Una fase ossidoriduttiva esoergonica


Gli elettroni vengono raccolti e trasportati dai coenzimi, vengono ceduti ai complessi ossidoriduttivi
che si trovano nella membrana mitocondriale interna, i quali complessi sono ordinati secondo
potenziali redox gradualmente
positivi. Quindi potremmo
immaginare la catena
respiratoria come formata da una
serie di anelli messi in ordine di
potenziale di riduzione che
finisce all’ossigeno. Lungo questi
anelli si realizzeranno una serie di
reazioni redox, tutte quante
esoergoniche. Una quota di
questa energia servirà a pompare
dei protoni dalla matrice allo
spazio intermembrana contro i
gradienti di concentrazione. Si
creerà cosi questa forza motrice
che servirà poi per far avvenire la
seconda fase.
Il primo complesso serve a riossidare il NADH+H+ che si forma a livello mitocondriale e
sappiamo come molte deidrogenasi che abbiamo incontrato e che incontreremo sono NADH
dipendenti. Dopo di che abbiamo questo secondo complesso, il succinato deidrogenasi,
l’unico enzima del ciclo di Krebs che si trova nelle membrane. Questi due complessi
cederanno poi gli elettroni al coenzima Q, il componente più ricco delle membrane
mitocondriali interne, e in virtù della sua liposolubilità si può muovere tranquillamente nel
binario lipidico. A questo punto gli elettroni vengono portati al complesso III, l’ubichinone
citocromo C reduttasi, questo si ridurrà a spese dell’ubichinone e a sua volta si riossiderà a
spese dell’altro componente mobile, il citocromo C. Questo citocromo C trasferirà gli
elettroni al complesso IV, il citocromo ossidasi, che a sua volta li trasferirà all’ossigeno
molecolare completando la catena respiratoria.

Una fase fosforilativa Endoergonica.


È una fase in cui l’energia ricavata dallo spostamento degli elettroni viene usata per
generare ATP. L’evento si realizza facendo entrare i protoni nella matrice attraverso il
complesso ATPsintetasi.

NADH DEIDROGENASI
Trasferimento di uno ione idruro da NADH a FMN. I due elettroni passano attraverso una
serie di centri ferro-zolfo fino all’ubichinone che si riduce. QH2 diffonde all’interno del doppio
strato lipidico. Il trasferimento di elettroni porta anche all’espulsione dalla matrice di protoni
(4H+ per ogni coppia di e-) con un meccanismo non ancora noto. Il flusso protonico (pompa
protonica) produce un potenziale elettrochimico tra i
due lati della membrana che conserva parte
dell’energia rilasciata dalle reazioni esoergoniche di
trasferimento degli elettroni.

SUCCINATO DEIDROGENASI
Gli elettroni si muovono dal succinato a FAD, quindi
attraversano tre centri Fe-S fino all’ubichinone. Il
gruppo eme B presente nel complesso non si trova
nel percorso diretto degli elettroni. Può̀ servire a
proteggere dalla formazione di ROS catturando
elettroni che “escono” dal sistema muovendosi dal
succinato a O2. Questo complesso non pompa
elettroni.
UBICHINONE CITOCROMO C REDUTTASI
Questo complesso contiene dei citocromi. Noi di
citocromi ne avevamo parlato parlando di
cromoproteine nell’emoglobina. Esistono anche
dei citocromi che incontreremo anche per gli
enzimi che contengono il gruppo heme.
Sappiamo che questo gruppo heme può
svolgere funzioni diverse a seconda della
componente proteica alla quale si lega.
Nei citocromi il gruppo heme agisce da
trasportatore di elettroni in quanto il ferro di
questo gruppo heme oscilla alternativamente
da uno stato ferroso ad uno ferrico.
Questo complesso quindi contiene dei citocromi
c e b e dei centri Fe-S, un po' diversi dagli altri.
Anche questo complesso rappresenta una
pompa protonica, vengono pompati 4 protoni
nello spazio intermembrana

Ciclo dell’ubichinone (ciclo Q)


Noi nella prima parte della catena respiratoria abbiamo visto che c’è lo scambio di idrogeno,
partendo da due idrogeni del NADH+H+, lo stesso quando il succinico diventa fumarico, per cui
questa prima parte si può considerare transidrogenasica. La seconda parte invece che coinvolge i
citocromi, la fase detta
transielettronasica, passiamo
da composti che trasportano
due elettroni a composti che
trasportano un elettrone. Per
cui a livello del complesso III vi
è una serie di reazioni per cui
questo coenzima Q viene
riossidato attraverso due
diverse vie. Questo è un
processo molto complesso
che prende il nome di ciclo Q.
questo ciclo serve a
giustificare come si può
passare da un composto che
trasporta due protoni e due
elettroni a composti che
trasportano semplicemente
un elettrone. Quando un coenzima Q ridotto cede un solo elettrone, forma una struttura
semichinonica, e questa forma non sarebbe ne adatta ad essere riossidata, ne adatta ad essere
ridotta. Allora a questo punto il ciclo Q serve a far si che da due forme semichinoniche se ne formi
una totalmente ridotta e una totalmente ossidata. Quella totalmente ossidata può essere ridotta da
un complesso I, II o da quelli accessori e quella ridotta cederà l’elettrone al citocromo C.
CITOCROMO OSSIDASI
Il complesso IV contiene 2 gruppi heme, il citocromo a il citocromo a3,
e due atomi di rame Cua e Cub, che come il ferro nei centri Fe-S e nei
gruppi heme, servirà al trasporto di elettroni. Questo complesso
serve a riossidare il citocromo C a spese dei componenti presenti in
esso. Il citocromo C che trasporta un elettrone alla volta viene prima
riossidato dal Cua (che da 2+ passa ad 1+), il Cua poi si riossida a spese
dell’hemea e questo a sua volta si riossiderà a spese della subunità
formata da hemea3 e Cub. In pratica l’hemea3 lega l’ossigeno ricevendo
il primo elettrone. Questo complesso è una pompa protonica che in
realtà pompa solo 2 protoni. Nella figura sono 4 perché i protoni
pompati sono per due coppie di elettroni, perché solo con 2 coppie di
elettroni si formano due molecole di acqua. Per evitare ciò si
potrebbe scrivere ½ O2 e una molecola di H2O.

In totale quindi i protoni pompati in questa fase della catena respiratoria sono 10, 4 dal primo
complesso, 4 dal terzo e 2 dal quarto. Questi protoni provocano una variazione del ph di 0,25 che
causerà una certa forza elettromotrice che servirà per la seconda parte del processo in cui si dovrà
produrre ATP.

Formazione di specie reattive dell’ossigeno


Nonostante la loro formazione deve essere evitata, noi sappiamo che quando la catena respiratoria
non funziona, ovvero quando non vi è un giusto flusso di elettroni, ovvero un rallentamento, si ha
uno sbilanciamento nella catena. Questo provoca la formazione di specie reattive dell’ossigeno,
soprattutto quando l’ubichinone è nella forma semichinonica che ha un elettrone spaiato, può
reagire con l’ossigeno molecolare e formare un O2-. Si sa che una bassa percentuale di ossigeno può
non partecipare correttamente alla catena respiratoria e formare specie reattive (0,2% ok – 2% si
muore). Ovviamente non si può escludere che una quantità di ROS si produca, soprattutto a livello
del complesso I o nel ciclo Q, un mitocondrio di un organismo sano, possiede un sistema che ci
difende da questo. Questo sistema
viene chiamato SOD (superossido
dismutasi), questi catalizzano la
dismutazione dello ione
superossido a perossido, che è
sempre una specie reattiva ma
meno tossica. Noi abbiamo però
degli enzimi come la perossidasi o il
glutatione perossidasi, che
trasforma il perossido in acqua a
spese del glutatione che si riossida
a glutatione ossidasi. Questo
glutatione viene ripristinato e
ridotto dalla glutatione reduttasi,
enzima NADPH dipendente.
Complessi accessori
In realtà il coenzima Q può accettare
elettroni non solo dal complesso 1 e dal
complesso 2 ma può accettare elettroni
da altri complessi, chiamati complessi
accessori, per cui la catena respiratoria
può partire anche da questi. La glicerolo
3-fosfato deidrogenasi mitocondriale è
una flavoproteina localizzata sulla
faccia esterna della membrana
mitocondriale interna che incanala gli
elettroni nella catena respiratoria
riducendo direttamente il coenzima Q.
Un altro complesso accessorio è l’acil-
CoA deidrogenasi (enzima che catalizza
la prima tappa della β- ossidazione degli
acidi grassi). Gli elettroni passano dal
FADH2 legato all’enzima ad una
flavoproteina (ETF, electron transfer
flavoprotein) che poi li trasferisce ad
un’altra proteina che contiene oltre al
FAD anche un centro FeS
(ETF:ubichinone ossidoreduttasi).
Quest’ultima è in grado di trasferire gli
elettroni all’ubichinone riducendolo a
QH2. Vi è un altro complesso non
riportato che si chiama diidoorotrato
deidrogenasi. Questi complessi non
sono pompe protoniche.

Centri ferro-zolfo

I centri Fe-S, come sopra accennato


agiranno da trasportatori di
elettroni, dato che il ferro oscillerà
da ferroso a ferrico e viceversa.
Questi centri sono di diverse
tipologie, il più semplice è costituito
da un atomo di ferro coordinato a 4 atomi di zolfo provenienti da residui di cisteina. Poi ne abbiamo
uno più complesso in cui vi sono due atomi di Fe, ciascuno coordinato con 4 atomi di zolfo, di cui
due sono in comune e sono metallici, e poi un altro ancora più complesso con 4 atomi di zolfo che
oltre ad essere legati a residui di cisteina contengono molti più atomi di zolfo inorganico del
precedente modello.
Il coenzima Q
Il coenzima Q chiamato anche ubichinone, per via dell’anello
benzochinonico, si può trovare in tre forme. all’anello
benzochinonico è legata una catena isoprenica. Noi l’anello non lo
possiamo sintetizzare ma la catena isoprenica si, e vedremo come
sintetizzarla nella sintesi del colesterolo. Il benzochinone con catena
laterale isoprenoide
può accettare un solo elettrone, trasformandosi in un radicale
semichinonico, oppure può accettare due elettroni trasformandosi
nella forma completamente ridotta (Ubichinolo). Come le
flavoproteine, può mettere in relazione processi a due elettroni con
altri ad un elettrone. È di piccole dimensioni ed idrofobico; può quindi
diffondere liberamente nella membrana mitocondriale interna e può
agire da ponte tra trasportatori di elettroni meno mobili trasporta sia
elettroni che protoni (importante ruolo nel processo di
accoppiamento tra flusso elettronico e movimento protonico).
L’ubichinone ha una forma simile alla vitamina K. Questa vitamina è
chiamata antiemorragica, perché partecipa al processo di
coagulazione del sangue.

Citocromo C

Proteine con una elevata capacità di assorbire la luce visibile


dovuta alla presenza di un gruppo prostetico EME
contenente FERRO. Tre classi di citocromi (a, b e c) distinguibili in base allo spettro di assorbimento
Il gruppo eme dei citocromi a e b è saldamente legato alla proteina ma senza legami covalenti. Il
gruppo eme dei citocromi c è legato covalentemente a residui di cisteina della proteina. Il potenziale
standard di riduzione del ferro all’interno dell’eme dipende dalle sue interazioni con le catene
laterali della proteina, quindi è diverso in ogni tipo di citocromo
Meccanismo dell’accoppiamento chemiosmotico
Esso accoppia la fase esoergonica ossidoriduttiva alla fase endoergonica fosforilativa. Anche
durante un corretto funzionamento delle catene respiratorie, ma in misura minore, si formano delle
specie reattive dell’ossigeno, il cui accumulo, se avvenisse, potrebbe comportare gravi
danneggiamenti di strutture proteiche, strutture di acidi nucleici… Ciò comporterebbe grossi danni
alle membrane cellulari.
Pertanto, è necessario che
questi composti non si
accumulino (anche se una
piccolissima quantità potrebbe
avere un ruolo fisiologico nello
stimolare da parte delle cellule
meccanismi di riparazione). Se
questi composti si dovessero
formare in una quantità
maggiore, noi possediamo i
meccanismi di protezione di
queste specie reattive
dell’ossigeno.

Il meccanismo più importante è quello che vede un intervento importante da parte del sistema
redox del glutatione, tripeptide che può oscillare da una forma ossidata a una ridotta e che ha un
ruolo importante nel proteggerci dal perossido di idrogeno, che a sua volta si è formato o dalla
superossido dismutasi che ha eliminato l’'() (anione superossido) dal quale potrebbe derivare lo
ione ossidrile che è ancora più reattivo. Il
glutatione quindi, non solo ci protegge dalle
specie reattive dell’ossigeno, ma protegge tutta
una serie di proteine, che in seguito a reazioni

di ossidazione hanno perso dei gruppi sulfidrilici


di proteine di membrana. Ci sono cellule, che più
di altre, sono soggette a questi processi e
danneggiamenti dovuti alle specie reattive
dell’ossigeno, è il caso del globulo rosso che può
andare incontro a processi di perossidazione dal
momento che contiene molto ossigeno; ma è
anche il caso della cornea dell’occhio che è
sempre a contatto con l’ossigeno.
Il glutatione nella forma ridotta va ad eliminare
il perossido di idrogeno attraverso questa perossidasi e trasforma la specie reattiva dell’ossigeno in
acqua. Ma d’altra parte, tutta una serie di gruppi sulfidrilici di proteina di membrana vengono ridotti
dal glutatione ridotto, ripristinando quella che è la funzione di queste proteine.
Il glutatione, che si è ossidato agendo da agente riducente, deve a sua volta essere ridotto
nuovamente e ciò avviene ad opera della glutatione reduttasi che è NADPH dipendente. Quindi il
NADPH non serve solo alle biosintesi riduttive, ma è un agente riducente in senso lato (funzione
nettamente diversa del NADH il cui ruolo è quello di intervenire nel complesso con la catena
respiratoria). Il grosso delle biosintesi riduttive è citosolico e il grosso del NADPH si produce nel
citosol. Una quota del NADPH serve a livello mitocondriale dove non serve per le biosintesi riduttive
ma per la protezione della specie reattive dell’ossigeno.

• GSH = glutatione

• GSSG = glutatione disulfide

• NADP+ = forma ossidata di NADPH


• NADPH = nicotinammide adenina
dinucleotide fosfato

Come altro può essere prodotta l’acqua ossigenata?


L’acqua ossigenata non proviene solo dalla superossido dismutasi, ma abbiamo anche alcune
reazione fisiologiche, seppure non importantissime, relative al metabolismo degli amminoacidi.
Esistono in teoria degli enzimi capaci di desaminare gli amminoacidi: la levo e la destra amminoacidi
ossidasi (L-amminoacidi/D-amminoacidi ossidasi). Le ossidasi sono delle ossido reduttasi che
hanno come accettore l’ossigeno molecolare, sono una sottoclasse delle ossido reduttasi. Anche se
questi enzimi funzionano poco, in realtà la D-amminoacidi ossidasi è molto efficiente, ma sappiamo
che i nostri amminoacidi sono levo non destri. Quindi la funzione della D-amminoacidi ossidasi è
quella che: nel caso entri un amminoacido destro presente in batteri o funghi viene
immediatamente eliminato per evitare che possa costituire proteine, le quali inevitabilmente
sarebbero delle proteine sbagliate. Invece, la L-amminoacidi ossidasi, che in teoria sarebbe l’enzima
desaminante principale perché desaminerebbe tutti gli amminoacidi, di fatto ha una KM talmente
elevata che non funziona.
Quindi la quantità di H2O2 che deriva da questi enzimi è relativamente minima.

C’è un altro enzima che interviene dal catabolismo dei nucleotidi che è la xantina ossidasi, che
produce acqua ossigenata.

Oltre la glutatione perossidasi, che agisce in presenza di un agente riducente che è il NADPH + H+, vi
è un altro enzima chiamato catalasi che, con un meccanismo diverso, elimina il perossido d’idrogeno
con un processo che vede due molecole di acqua ossigenata che vengono trasformate in due di
acqua e una di ossigeno. La catalasi e la perossidasi (NON è la glutatione perossidasi) sono i
cosiddetti enzimi eminici (emina=ferro nello stato ossidato) in cui il Fe3+ è indispensabile per il loro
funzionamento.

Ossigenasi
L’ossigeno che noi respiriamo e che poi viene trasportato dall’emoglobina serve fondamentalmente
come accettore finale degli elettroni della catena respiratoria. Tuttavia l’ossigeno può servire anche
nelle reazioni catalizzate da altre sottoclassi di ossido reduttasi chiamate ossigenasi. Esistono sia le
mono che le diossigenasi, anche se quest’ultime sono meno importanti. Solo una ha un certo ruolo
che si chiama triptofano pirrolasi che è un enzima che interviene nel catabolismo del triptofano e
questa diossigenasi fa si che in due atomi di carboni adiacenti dove è presente un idrogeno vengono
aggiunti due atomi di ossigeno di un’unica molecola e si vengono a formare due gruppi ossidrili.
Sono molto più importanti le monossigenasi dette idrossilasi che servono a formare gruppi
ossidrilici. Sappiamo ad esempio che la fenilalanina può essere trasformata in tirosina, ovvero la
para-idrossifenilalanina. Per formare il gruppo ossidrilico, le monossigenasi usano un atomo di
ossigeno, ma siccome l’altro atomo non può rimanere allo stato atomico, in presenza di un donatore
di idrogeno (NADPH+H+) che trasporta due atomi di idrogeno, quest’atomo di ossigeno si libera
sotto forma di acqua. (Es. sintesi dell’adrenalina= 3 reazioni di idrossilazione)

Tutto ciò ci fa capire perché non è semplice calcolare il numero di molecole di ATP prodotte a livello
mitocondriale. Si hanno dei valori approssimativi, perché a livello mitocondriale, una parte dell’ATP
prodotto può essere consumato, e non è detto che tutto l’ossigeno debba servire come accettore
finale della catena respiratoria. Ma il grosso dell’ATP deriva da questo processo.

Completiamo la fosforilazione ossidativa


Abbiamo già visto che nella fase ossidoriduttiva esoergonica, una quota dell’energia è stata
immagazzinata non in substrati con legami ad alta energia come nella fosfatazione del substrato,
ma è stata immagazzinata
sotto forma di un gradiente
elettrochimico chiamato forza
motrice protonica. Sfruttando
questa forza motrice
protonica come si può
ottenere ATP? Attraverso il
meccanismo della
fosforilazione ossidativa.

L’energia utilizzata per lo spostamento dei protoni viene usata perché quest’ultimi cercano di
rientrare nella matrice mitocondriale interna affinché si possa ristabilire un differenziale di
potenziale, ma non possono perché la cresta mitocondriale interna è impermeabile. I protoni
riescono a passare attraverso il complesso ATP-sintetasi (Complesso V). Vi sono 4 complessi
responsabili della fase ossidoriduttiva; di questi quattro, 3 sono pompe protoniche.
I complessi I, III e IV pompano rispettivamente 4,4 e 2 protoni nello spazio intermembrana, si crea
un potenziale chimico che è dovuto allo spostamento dell’H+, ma si crea anche un potenziale
elettrico perché il protone è carico positivamente. I protoni rientreranno attraverso il complesso V
(FOF1 ATPasi).
Il complesso V è formato fondamentalmente da due porzioni:
1. La porzione FO che costituisce il poro
immerso nella membrana mitocondriale
interna attraverso cui i protoni rientreranno.
Il pedice O sta ad indicare il fatto che questo
poro è inibito dall’oligomicina. Essa inibisce il
rientro dei protoni e di conseguenza si
inibisce la sintesi dell’ATP. Le due cose sono
strettamente collegate. Inoltre se blocchiamo
la sintesi dell’ATP si blocca anche il
trasferimento degli elettroni. FO è formato da
tre tipologie di subunità ed esattamente:
• una subunità a àessa ha due
semicanali: uno che va dallo spazio
intermembrana, ricca di protoni,
verso il centro della membrana circa e l’altro che va dal centro della membrana
alla matrice. Attraverso questi due avverà il rientro dei protoni attraverso un
meccanismo di catalisi rotazionale farà girare il cerchio formato dalle subunità c;
• due subunità b (b2);
• un numero variabile di subunità c (da 8 a 15)à doppie eliche idrofobiche
immerse nel doppio strato della membrana e che girano quando i protoni
rientrano attraverso dei semicanali presenti nella subunità a. Questa subunità
girerà come una specie di turbina (velocità di circa 6000 giri/min) che farà girare
anche la subunità gamma di F1, la quale alternativamente andrà in contatto con
gli spicchi dell’arancia facendo in modo che essi possano modificare la loro
conformazione a seconda se sono o meno in contatto con la subunità gamma.
Animali superiori hanno meno subunità, mentre animali inferiori hanno più
subunità.

2. La porzione F1 in cui 1 sta ad indicare che fu il primo fattore di accoppiamento scoperto negli
anni ’60. Esso è collegato al foro e sporge verso la
matrice mitocondriale. F1 è formato da cinque tipi diversi
di subunità in numero di nove. Quelle più grandi di
dimensione sono 3 subunità alfa che si alternano con 3
subunità beta (che contengono il sito di sintesi dell’ATP)
costituendo come “gli spicchi di un’arancia”. Le beta
sono uguali tra di loro, hanno la stessa sequenza
amminoacidica, tuttavia la loro conformazione cambia al
variare col contatto con gamma. Questa diversa
conformazione farà assumere alle beta un ruolo diverso.
Le 3 subunità beta alternativamente passano da:
• Una che legava ATP;
• Una che legava ADP;
• Una vuota.
Inoltre sono presenti una subunità gamma, delta ed
epsilon. Essa è quindi formata in totale da 9 subunità.
Come fa un flusso protonico di rientro a trasformarsi in un legame chimico?
Difatti il flusso protonico di rientro non
serve a formare il legame chimico, tuttavia
esso è indispensabile affinché il sistema
funzioni.
La reazione in cui l’ATP si trasforma in ADP +
fosfato inorganico è irreversibile, perché
sappiamo che l’ATP ha un legame ad alta
energia dal momento che i prodotti hanno
una maggior stabilità termodinamica dei
reagenti. Inoltre i prodotti nella realtà sono
3, perché un fosfato libera un protone e
quindi si ha una maggiore stabilizzazione con
delle forme di risonanza. Tutto ciò vale
dovunque ma NON a livello del sito catalitico
delle subunità beta del F1.

Nel sito di F1, la reazione ADP + fosfato


inorganico à ATP + H2O è reversibile. La
variazione di energia libera è pressoché
uguale a zero ed è stato dimostrato in
subunità beta isolate, in assenza di flussi
protonici e catene respiratorie, in cui viene
usata dell’acqua pesante e si vede che questa
reazione avviene ripetutamente tanto che il
fosfato che si libera ha fino a 4 atomi di
ossigeno. In altre parole la motivazione della
reversibilità di questa reazione nasce dal fatto che il sito attivo di F1 stabilizza l’ATP molto più
dell’ADP.

Una classica reazione enzimatica endoergonica ha come principale barriera energetica da superare
è il raggiungimento dello stato stazionario. La reazione catalizzata dall’ATP-sintasi ha come barriera
energetica il rilascio di ATP dall’enzima e non la sua formazione.
La stabilizzazione dell’ATP in questo sito è data da una notevolissima forza di legame, la quale
stabilizza l’ATP tanto quanto i suoi prodotti di degradazione. Questa reazione è reversibile, quindi
l’ATP si può formare tranquillamente perché la variazione di energia libera è nulla, ma il legame è
talmente forte che questa subunità quando ha formato l’ATP di fatto non lo può mollare. Lo mollerà
solo perché c’è il flusso protonico di rientro.
QUINDI il flusso protonico di rientro NON serve a fornire l’energia per sintetizzare l’ATP, perché
l’energia è data dalla forza di legame con cui il sito attivo lega l’ATP stesso stabilizzandolo, MA servirà
a far modificare la conformazione di questa subunità che è legata all’ATP, facendola passare da
una conformazione che ha una grandissima affinità per l’ATP ad una che ha una bassa affinità per
l’ATP e quindi capace di liberarlo.
Da che cosa è data la forza di legame?
Il legame molto forte dell’ATP all’enzima F1 fornisce una quantità di energia di legame che abbassa
l’energia libera dell’ATP legata all’enzima a valori simili dell’ADP e del fosfato inorganico. Quindi la
stabilizzazione attraverso questo forte legame di ATP rende la variazione di energia libera in quel
sito pressoché zero. L’ATP-sintasi rende l’ATP stabile quanto i suoi prodotti di idrolisi, legando più
saldamente l’ATP e fornendo così l’energia necessaria per la sua sintesi.
F1 lega l’ATP con un’affinità con una costante di dissociazione pari a 10-12 M, maggiore di quella con
cui lega l’ADP (10-5 M). Questa differenza delle costanti è praticamente l’energia fornita da un
legame chimico ed è circa 40 kJ/mol à energia sufficiente a spostare l’equilibrio verso la formazione
di ATP (ne basterebbero 30,5).

Anche se l’ATP-sintasi porta all’equilibrio dell’ATP con i suoi prodotti di idrolisi, l’ATP sintetizzato
lascia l’enzima solo in presenza di un gradiente protonico. Pertanto l’energia libera richiesta per il
rilascio di ATP e fornita dalla forza motrice protonica dalla continua sintesi di ATP, l’enzima deve
effettuare un ciclo tra una forma che lega saldamente l’ATP e una dove lo rilascia.

Catalisi rotazionale (il motore più piccolo al mondo -cit)


QUINDI la subunità comincia il ciclo legando l’ADP e il fosfato inorganico prendendolo dalla matrice
Le subunità c, grazie al flusso protonico di rientro, ruotano, e passano da una conformazione che ha
legato l’ADP ad una che forma l’ATP (β-ATP), ma lo lega molto saldamente. Questa forza di legame
fornisce l’energia per rendere la reazione reversibile. Successivamente le subunità beta cambiano
di conformazione per mollare l’ATP (β-
vuota).
Ogni volta che si completa un giro si
producono 3 molecole di ATP.
Un altro ciclo idi catalisi nizia quando
la subunità assume la conformazione
β-ADP, legando ADP e fosfato
inorganico.

La modificazione conformazionali alla base di questo meccanismo sono dovuti al passaggio di


protoni attraverso l’Fo dell’ATP-sintetasi. Ogni rotazione di 120° pone la subunità gamma in contatto
con una diversa subunità beta, ed è proprio questo a costringere la subunità beta ad assumere la
conformazione β-vuota.

Nel sito attivo di F1 la reazione ATPà ADP+fosfato inorganico è reversibile. Il problema è appunto
liberare l’ATP fortemente stabilizzato e legato con una costante di dissociazione bassa e di
conseguenza con una forza di legame particolarmente elevata. Quindi la subunità passa da una
conformazione ad alta affinità ad una a bassa affinità mollando l’ATP. COME FA A CAMBIARE
CONFORMAZIONE?
Lo fa perché c’è il flusso protonico di rientro che fa ruotare le subunità c, ma anche la gamma, che
costituisce lo stelo e che andando a contatto con le 3 subunità beta fa cambiare la loro
conformazione.
Cosa fa ruotare l’anello di subunità c di Fo e, di conseguenza, cos’è che fa ruotare lo “stelo” gamma?
Il processo che fa ruotare questo anello, con
una velocità di 100 giri/s, è il flusso protonico
di rientro.
Il protone che entra va ad incontrare un
residuo di aspartato (o glutammato) che si
trova a livello di una subunità c. A sua volta,
l’aspartato ha formato un’interazione
elettrostatica con un residuo di arginina, per
cui c’è un legame tra la carica negativa del
carbossile dell’aspartato con la carica
positiva dell’epsilon-amminogruppo di un
residuo di arginina. Il protone che entra nel
semicanale dal lato P (=lato positivo) rompe
questa interazione elettrostatica e va a protonare il carbossile dell’aspartato e questo sposta
l’arginina. Quest’ultima va a formare il legame elettrostatico con l’aspartato della subunità c
adiacente, il quale era protonato e di conseguenza libera il protone (dal lato N) e forma l’interazione
elettrostatica. Il protone liberato dall’aspartato rientra attraverso il semicanale che da metà della
membrana va verso la matrice mitocondriale.
Questa operazione è ripetuta n volte fa girare questo anello formato da subunità c e di conseguenza
anche il “gambo” gamma che va a far modificare la conformazione delle subunità beta.

’accoppiamento chemiosmotico permette stechiometrie espresse da numeri non interi per il


consumo di ossigeno e la sintesi di ATP (2,5). Per determinare il valore di rapporto
fosfato/ossigeno è complicato dal fatto che i mitocondri consumano ATP in varie reazioni e
consumano ossigeno anche per scopi indipendenti dalla fosforilazione ossidativa. Quindi questo
rapporto deve essere corretto in base a questi accorgimenti.
Si è stabilito che il numero di protoni pompati fuori per coppia di elettroni sia 10 per ogni NADH e 6
per il succinato. Invece, il numero di protoni necessari per la sintesi di una molecola di ATP sia pari
a 4. Uno di questi serve per trasportare l’ATP fuori dal mitocondrio e ADP e fosfato dentro.

Se vengono pompati fuori 10 protoni e ne rientrano 4 all’interno, il rapporto P/O è 2,5 quando il
donatore è il NADH. Quando, invece, il donatore è il succinato, il rapporto P/O è 1,5. Comunque
sono valori suscettibili di variazione. Tuttavia questo sistema è quello che, più di ogni altro, fa in
modo che le nostre cellule si possano approvvigionare di ATP a patto che ci sia l’ossigeno.

Perché una quota di questo flusso protonico serve al trasporto attivo? (di ATP, di ADP e a tutta una
serie di fenomeni di trasporto attivo)
Il trasporto attivo secondario è favorito dalla differenza di
carica o di concentrazione di composti che stanno
all’interno e all’esterno di una membrana. Questo flusso
protonico, che i complessi della catena respiratoria
creano, serve anche a fenomeni di trasporto.

L’ATP che viene prodotto all’interno del mitocondrio serve


fondamentalmente all’esterno del mitocondrio, perché
quest’ultimo è la centrale energetica dove avvengono
processi degradativi che non consumano ATP, anzi si cerca
una base per la sintesi dell’ATP. Questi processi di consumo di energia sono citosolici o di membrana
cellulare o di altre membrane.
L’ATP prodotta dalla catena respiratoria deve uscire, come lo fa? Con un traslocasi che agisce con
un meccanismo di antiporto che, per ogni molecola di ATP che fuoriesce dal mitocondrio, una
molecola di ADP entra.

Da cosa è favorito questo antiporto ATP-ADP?


L’ATP ha 4 cariche negative, l’ADP ne ha
3. Per cui la fuoriuscita di un composto
con una carica negativa in più, è favorita
dall’ambiente elettronegativo che c’è
nella membrana, per cui questo
gradiente elettrico favorisce questo
antiporto. Laddove c’è una maggiore
carica negativa è più facile che questo si
allontani neutralizzando il sistema. Il
sistema ATP-ADP traslocasi dissipa un
po' del gradiente elettrochimico.

Affinché si formi una molecola di ATP, non basta l’ADP, ci


vuole il fosfato inorganico. Quest’ultimo entra nel
mitocondrio con un simporto, per cui l’H2PO4- entra in
presenza di un protone, per cui anche questo diventa il
favorito dalla forza motrice protonica. Questo perché, per
ogni ioni fosfato che entra, un protone deve entrare à e
questo è favorito dallo spostamento di protoni da una
zona a più alta concentrazione ad una a concentrazione più
bassa.

Tutto ciò è valido anche per molti altri fenomeni di


trasporto, perché la membrana mitocondriale interna è
impermeabile a tutto, tranne a tutte quelle sostanze che,
nella membrana stessa, godono di una traslocasi. E sono
un sacco queste sostanze, tra cui gli amminoacidi e i chetoacidi. Tutti questi processi sono favoriti
dal gradiente elettrochimico.

Regolazione della fosforilazione ossidativa


Esso è un processo che è collegato a tutti i processi degradativi, i quali servono a produrre ATP, per
cui è chiaro che il processo che più di altri produce ATP dipende fondamentalmente dal substrato
che deve essere trasformato in ATP, ovvero l’ADP, la cui concentrazione aumenta quanto più
l’organismo ha bisogno di energia e diminuisce quando è a riposo.
La regolazione della fosforilazione ossidativa è il processo regolato dal fabbisogno energetico
cellulare. La velocità della respirazione è limitata dalla disponibilità di ADP, quale accettore del
gruppo fosforico. La dipendenza del consumo di ossigeno da parte dell’ADP viene chiamata
controllo da accettore. Esso è il principale regolatore di questo processo.
Un altro modo di valutare lo stato energetico della cellula è con il rapporto di azione di massa del
sistema ATP-ADP, cioè il rapporto tra ATP a numeratore e ADP + fosfato inorganico a denominatore.
Di norma questo rapporto è molto elevato, ma quando il consumo di ATP aumenta e questo
rapporto tende ad incrementare, avendo una maggiore disponibilità di ADP, la velocità della
respirazione aumenta determinando la rigenerazione di ATP.
La sintesi di ATP continua fino a quando il rapporto di azione di massa non raggiunga il suo valore
massimo. Ovviamente anche la velocità di ossidazione delle sostanze nutrienti è regolata di
conseguenza, in sostanza l’ATP viene prodotto alla stessa velocità con cui viene consumato per tutte
le attività che richiedono energia. L’ATP va inibire tutti i processi come: la glicolisi, il ciclo di Krebs…
essi sono invece attivati dall’ADP e dall’AMP.

Quindi, concentrazioni alte di ATP o basse di ADP e AMP rallentano la glicolisi, l’ossidazione del
piruvato, il ciclo di Krebs e la fosfatazione ossidativa. Tutti questi processi vengono invece accelerati
quando aumento il consumo di ATP, con il conseguente incremento di concentrazione di ADP e
AMP.

Disaccoppiamento
La fosfarilazione ossidativa può essere disaccoppiata dal trasporto di elettroni e questo può
avvenire:

• Staccando, con grandi detergenti, F1 da FO. Attraverso diversi esperimenti di laboratorio è


stato possibile isolare F1 da FO e si è visto che il primo quando viene isolato ha un’attività
ATPasica non ATPsintetasica, perché può catalizzare anche la reazione inversa se ci fosse un
flusso protonico al contrario.

• Attraverso composti chimici come il


2,4-dinitrofenolo. Quest’ultimo è
altamente idrosolubile ed è un acido
debole. Questo composto,
somministrato come farmaco,
attraversa le membrane in virtù della
sua idrosolubilità, attraversa la
membrana mitocondriale esterna
dove trova il gradiente protonico
formato dalla catena respiratoria.
Essendo un acido debole, viene
protonato, attraversa la membrana
interna dove c’è una concentrazione
protonica minore, e si deprotona. Può
ritornare indietro e rifare lo stesso procedimento dissipando il gradiente elettrochimico.
Questa dissipazione, costringeva le persone che ingerivano questo composto a degradare e
catabolizzare più nutrienti per produrre quell’ATP che il 2,4-dinitrofenolo impediva di
produrre. Questo composto quindi aveva un’azione dimagrante, ma una serie di persone
dimagrirono parecchio. Per questo fu immediatamente tolto dalla circolazione.
Un altro esempio sono i peptidi ionofori, come la valicromicina che fa passare il potassio
attraverso la membrana sintetica e dissipa la parte elettrica del gradiente elettrochimico,
disaccoppiando la catena respiratoria.
• Disaccoppiamento fisiologicoà esiste un tessuto laddove il disaccoppiamento della catena
respiratoria è funzionale al
ruolo di questo tessuto.
Questo processo si chiama
termogenesi, esso ha un suo
cuore fisiologico, in grado di
produrre calore se si trova in
condizioni di ipotermia. È ciò
che sta alla base degli animali
che si ibernano, come l’orso
à tutto il grasso che
accumulano deve servire a
produrre quell’ATP che serve
alla vita, a produrre l’acqua
(cammelli-dromedario). Nella
maggior parte dei mammiferi,
uomo compreso, i neonati hanno un tipo di tessuto adiposo chiamato tessuto adiposo
bruno, perché il grasso normalmente è bianco (vacuoli di trigliceridi), mentre in questo
tessuto adiposo vi sono numerosi mitocondri che contengono i citocromi. In questo tessuto
l’ossidazione dei nutrienti non viene utilizzata per produrre ATP, ma per la termogenesi,
necessaria a mantenere costante la temperatura corporea. I mitocondri di questo tessuto
hanno, nella loro membrana interna,
una speciale proteina chiamata
termogenina. Essa costituisce una via
di ritorno alla matrice per i protoni in
alternativa al complesso FOF1. I
protoni possono rientrare saltando il
complesso V, essendo responsabili
della termogenesi.
In tal modo, invece di formare ATP,
l’energia viene dissipata sotto forma
di calore, come appunto quel calore
necessario alla sopravvivenza degli
animali in letargo.

Recentemente sono stati scoperti gli adipociti beige, una via di mezzo tra i bianchi e i bruni. Vi sono
delle squadre di ricerca che tentano di trasformare i bianchi in beige, i quali hanno un certo numero
di mitocondri con citocromi, e quindi dissipare una quota di energia sotto forma di calore ed avere
di conseguenza un’azione dimagrante. Si cercano delle sostanze naturali capaci di indurre tale
equilobrio.

Esistono anche degli inibitori della catena respiratoria che sono serviti per valutare la sequenza della
reazione.
Ultimo processo del metabolismo glucidico à via dei pentosi (definita anche Shunt dell'Esoso
monofosfato o via del fosfogluconato)

È una via che avviene nel citosol e che condividi molti metaboliti intermedi con gli altri due processi
citosolici: glicolisi e glicogenesi. È una via degradativa del glucosio, quindi alternativa alla glicolisi,
ma con un ruolo totalmente diverso.
• La glicolisi è un processo degradativo che serve per produrre energia e a preparare altri
composti da cui si tirerà fuori altra energia (piruvato).
• La via dei pentosi è un processo degradativo ma che ha un ruolo biosintetico, perché serve
a formare, fondamentalmente, due composti:
o Pentosi (ribosio-5-fosfato) che servono
alla sintesi dei nucleotidi e di conseguenza
alla sintesi degli acidi nucleici. Parlando di
nucleotidi non si intendono solo quelli
purinici e pirimidinici, ma anche NAD, FAD e
acido pantotenico à tutti quei nucleotidi
coenzimi che regolano il metabolismo.
I pentosi li possiamo assumere anche con
l’alimentazione, perché presenti nei
nucleotidi delle cellule.
o NADPH + H+ à quel coenzima piridinico
ridotto che ha un ruolo importante nei
processi di biosintesi riduttive (RICORDA à i
processi degradativi si accoppiano alle
ossidazioni; i processi di biosintesi si
accoppiano alle riduzioni). Hanno un ruolo
importante nel proteggerci dalle specie
reattive dell’ossigeno o nelle reazioni di
idrossilazione che prevedono l’intervento
del NADPH.

La via dei pentosi avviene un po' in tutte le cellule. A tutte le cellule servono i pentosi, però alcune
hanno ritmi moltiplicativi maggiori, altre hanno ritmi moltiplicativi minori. È chiaro che attivare la
via dei pentosi, ai fini della funzione dei pentosi è diversa a seconda del ritmo moltiplicativo. Ci sono
cellule che attivano la via dei pentosi perché hanno più bisogno di pentosi e meno di NADPH, cellule
che hanno bisogno di più NADPH e meno di pentosi, ma un po' dell’uno e un po' dell’altro servono
a tutte le cellule.
Gli scopi sono diversi:
1. I pentosi servono di più, per la sintesi dei nucleotidi e degli acidi nucleici, per quelle cellule
che hanno un rapido ritmo moltiplicativo à cellule del midollo osseo, della pelle, della
mucosa intestinale, ma anche dei tumori.
2. Altre cellule che hanno un ritmo moltiplicativo più lento, hanno più bisogno di NADPH, come
il fegato. Esso, nel dopo pasto, sintetizza molti acidi grassi che poi esporta e rimanda
all’adipocita. Quest’ultimo sintetizza un sacco di acidi grassi; anche la ghiandola mammaria,
durante la lattazione, deve produrre i grassi presenti nel latte.

La via dei pentosi è costituita da due fasi:


1. Una fase ossidativa à è irreversibile e produce pentosi e NADPH.
o Essa prevede due ossidazioni in successione, la prima è catalizzata dall’enzima
glucosio-6-fosfato deidrogenasi (il glucosio interviene in questo modo, perché è
l’unica forma metabolicamente attiva è lo zucchero fosforilato). Il glucosio-6-fosfato,
in questa via, viene ossidato direttamente à è quindi un’ossidazione diretta del
glucosio. Dal momento che l’enzima non è NAD dipendente, ma è NADP dipendente,
produce NADPH e trasforma il glucosio-6-fosfato in 6-fosfoglucone-lattone.
Quest’ultimo è un intermedio che, tramite la lattonasi, forma l’acido 6-
fosfogluconico (gli acidi onici sono quelli che si ottengono dai monosaccaridi per
ossidazione del gruppo glicosilico).
o Il secondo enzima si chiama 6-
fosfogluconico deidrogenasi, c’è una
seconda ossidazione in successione
che è NADP dipendente. Quindi, in
queste due reazioni iniziali della via dei
pentosi, si ossidano in successione nel
substrato prima il glucosio-6-fosfato e
poi il 6-fosfogluconico con la
liberazione di due molecole di
NADPH+H+. Esse servono alle
biosintesi riduttive degli acidi grassi,
colesterolo o ormoni steroidei.
o L’acido 6-fosfogluconico viene
idrogenato, forma un intermedio
instabile che per decarbossilazione
forma il ribulosio-5-fosfato.

o Quest’ultimo può essere isomerizzato a ribosio-5-fosfato (aldopentoso), in una


reazione all’equilibrio, e questo servirà alla sintesi dei nucleotidi purinici, pirimidinici,
sintesi di DNA, RNA…
o QUINDI, attraverso questa fase ossidativa, abbiamo formato 2 molecole di
NADPH+H+ e una di ribosio-5-fosfato.
o Il processo si potrebbe fermare qua.
Se in una cellula, in un determinato
momento metabolico, serve NADPH e
ribosio, in un rapporto 2:1, il processo
è finito. Ma potrebbero capitare, in
cellule diverse, esigenze diverse. Ad
esempio può aver bisogno del
NADPH+H+ e non deve sintetizzare
nucleotidi e acidi nucleici à allora
cosa si fa con il ribosio-5-fosfato? Dal
momento che non esistono depositi
di questa molecola, quest’ultima dalla
fase non ossidativa può essere
riconvertita in glucosio. Il ribulosio-5-
fosfato, attraverso un altro tipo di
isomerasi, un’epimorasi, può diventare xilulosio-5-fosfato (sia il ribulosio che lo
xilulosio sono due chetopentosi).

Bilancio stechiometrico à partiamo da 6 esosi, ovvero da 6 glucosio-6-fosfato, i quali, con


le prime due reazioni di ossidazione formeranno 6 pentosi. Quest’ultimi hanno
complessivamente 30 molecole di anidride carbonica. Con 30 atomi di carbonio possiamo
formare 5 esosi. Se tutto questo si conclude, delle 6 molecole di esosi iniziali, dal momento
che 5 le abbiamo recuperate, una non c’è più perché si è trasformata in 6 molecole di CO2.
Ciò si verifica perché la seconda tappa della via dei pentosi prevede la decarbossilazione.

2. Una fase non ossidativa à reversibile perché ricicla i pentosi che non servono e li riconverte
in esosi. Ciò accade perché i pentosi servono solo alla sintesi dei nucleotidi, il glucosio invece
ha utilizzazioni molto più vaste. Si realizza in tre tappe ed è caratterizzata da tre enzimi:

o Transchetolasi 1 à essa fa
reagire una molecola di ribosio
con una di xilulosio; in particolare
trasferisce un’unità bicarboniosa
dallo xilulosio sul ribosio. Dallo
xilulosio si forma la gliceraldeide-
3-fosfato (metabolita intermedio
della glicolisi e della
glicogenensi). Dal ribosio si forma
il sedoeptulosio-7-fosfato, un
eptoso.
N.B. la transchetolasi è
strettamente dipendente dalla
vitamina B1, agisce con un
meccanismo formando un carboanione.

o Transaldolasi à trasferisce un
frammento tricarbonioso (frammento di
diidrossiacetone) dal sedoeptulosio-7-
fosfato sulla gliceraldeide-3-fosfato e
forma: dalla gliceraldeide il fruttosio-6-
fosfato; mentre dal sedoeptulosio si
forma l’eritrosio-4-fosfato.
o Transchetolasi 2 à l’eritrosio-4-
fosfato reagisce con un’altra
molecola di xilulosio-5-fosfato, il
meccanismo è lo stesso di quello
della prima transchetolasi. Un
frammento bicarbonioso dallo
xilulosio passa all’eritrosio e si forma
altro fruttosio-6-fosfato
dall’eritrosio. Dallo xilulosio si forma
sempre la 3-fosfogliceraldeide.
o Se partiamo da 6 molecole di
glucosio-6-fosfato, si formerà dell’altro fruttosio e un’altra gliceraldeide-3-fosfato.
Una delle due si isomerizza, attraverso la trioso fosfato isomerasi, in diidrossiacetone
fosfato, con condensazione aldolica e formazione di fruttosio 2,6-bisfosfato. Tutti
questi metaboliti possono salire, attraverso la glicogenesi e diventare glucosio-6-
fosfato che ritorna alla prima fase della via ossidativa, qualora alla cellula servisse
ancora NADPH, oppure scendere con la glicolisi.

Le 3 esigenze che può avere una cellula:


1. In una cellula servono NADPH e ribosio contemporaneamente in rapporto stechiometrico di
2:1 à LA VIA DEI PENTOSI SI CONCLUDE CON LA FASE OSSIDATIVA.
2. Ad una cellula servono NADPH ma non i pentosi à AVVIENE SIA LA FASE OSSIDATIVA CHE
QUELLA NON OSSIDATIVA, che riconverte i pentosi in esosi.
3. Immaginiamo una cellula in rapido ritmo moltiplicativo che ha bisogno di pentosi, ma non di
NADPH. Come fa la via dei pentosi a risolvere questo problema? Dobbiamo guardare la fase
non ossidativa al contrario, partendo dal fruttosio-6-fosfato e dal glucosio-6-fosfato.
Arriviamo quindi ad avere lo xilulosio che viene isomerizzato a ribosio. à NON AVVIENE LA
FASE OSSIDATIVA MA AVVIENE SOLO QUELLA NON OSSIDATIVA OPERANDO ALL’INVERSO.

È la richiesta di NADPH a controllare il destino del glucosio-6-fosfato, perché se il NADPH serve per
i processi di biosintesi riduttiva viene consumato e più se ne forma, ma se il NADPH aumenta di
concentrazione inibisce il primo enzima della via dei pentosi, la glucosio-6-fosfato deidrogenasi.
L’insulina induce quest’enzima anche a livello genico, perché attiva tutti i processi che partono dal
glucosio.
Quest’enzima provoca la formazione di NADPH, questo riducente protegge le cellule da danni
ossidativi dovuti, ad esempio, da alcuni farmaci. La carenza di NADPH provoca l’emolisi degli
eritrociti a causa di un aumento della perossidazione lipidica.
A livello citosolico, il NADPH è prodotto essenzialmente da questi due enzimi della via dei pentosi e
dall’enzima malico (da non confondere con la malico deidrogenasi), il cui ruolo è quello di
trasformare il malico in piruvato + CO2, ma soprattutto di ridurre il NADP in NADPH+H+.
Quest’ultimo, nel citosol, per il 90-95% proviene dagli enzimi della via dei pentosi e dall’enzima
malico; per una piccola percentuale dall’isocitrato deidrogenasi citosolica.
FAVISMO à è una malattia emolitica che prende questo nome perché le persone affette da questa
patologia vanno incontro a delle crisi emolitiche quando consumano
fave, ma anche alcuni farmaci. Il favismo è una carenza di glucosio-6-
fosfato deidrogenasi. Le crisi emolitiche nascono dal fatto che la
carenza di NADPH, implica una carenza di quel fattore che serve alla
glutatione deidrogenasi e perossidasi e conseguentemente, i globuli
rossi, che sono più esposti all’ossigeno e alle specie reattive
dell’ossigeno, in carenza di NADPH possono andare incontro ad
emolisi. Fortunatamente di questa malattia ci sono diverse
gradazioni, ci sono situazioni intermedie anche in Sicilia.
Il problema delle fave è legato ad una sostanza in esse presente, dimicina, che induce la
formazione di specie reattive dell’ossigeno e quindi la carenza di NADPH si fa sentire di più.

Digestione e adsorbimento dei lipidi


Con l’alimentazione, oltre che introdurre zuccheri, introduciamo anche lipidi. Fondamentalmente
introduciamo trigliceridi (animali e vegetali), oli e grassi. In una certa misura introduciamo anche
esteri del colesterolo e lipidi complessi.

La digestione dei lipidi INIZIA nel primo tratto dell’intestino, a livello duodenale. A livello gastrico
esiste in realtà una lipasi ma che di fatto funziona solo nel primo periodo della nostra vita quando il
pH del nostro stomaco non è ancora abbastanza acido, dopodiché non funziona più.

Non è del tutto corretto parlare di COMPLETA DIGESTIONE dei lipidi perché, mentre gli zuccheri
devono essere completamente degradati perché nel nostro intestino possono servire soltanto i
monosaccaridi, le proteine in teoria dovrebbero essere tutte degradate perché il nostro intestino
dovrebbe assorbire solo amminoacidi, ma questo purtroppo non vale sempre perché alcuni peptidi
vengono assorbiti (e da qui vengono alcune intolleranze). Per quanto riguarda i lipidi, anche se la
digestione e la degradazione riguarda oltre il 90% dei lipidi, in realtà non è assolutamente necessario
che avvenga la totale degradazione perché essendo sostanze lipofile possono tranquillamente
attraversare la membrana a livello intestinale e quindi non è necessario che si verifichi questa totale
degradazione e digestione. Per cui anche in minima parte anche i lipidi parzialmente digeribili e
quelli indigeribili possono essere esclusi.

Questa digestione si verifica a scapito degli enzimi pancreatici (dal momento che il pancreas è
esocrino e produce enzimi digestivi), tra questi vi sono:

1. Dal momento che nella nostra alimentazione introduciamo praticamente trigliceridi,


l’enzima principale della digestione dei lipidi è la lipasi pancreatica. Essa è in grado di
rompere i legami esterei quando sono formati da un acido grasso e da un gruppo alcolico
primario; la lipasi pancreatica stacca prima semplicemente l’acido grasso in posizione 1 e 3,
lasciando l’acido grasso in posizione 2 e formando quindi un 2-monogliceride che può essere
assorbito. Quando questo accade, la risintesi dei trigliceridi a livello intestinale vede
l’immissione di acidi grassi diversi in posizione 1 o 3. Se viene staccato anche quello in
posizione 2 dal colesterolo esterasi allora tutti e tre devono essere rimessi.
2. La colesterolo esterasi, altro enzima prodotto dal pancreas che scinde gli esteri del
colesterolo, il gruppo alcolico del colesterolo in posizione 3, è un gruppo alcolico secondario.
Questo enzima, anche se con minore efficienza, può staccare anche l’acido grasso in
posizione 2 dei monogliceridi e quindi formare
glicerolo e tutti gli acidi grassi.

3. Un altro ruolo molto importante lo ha la


fosfolipasi A2 che he permette il rilascio
degli acidi grassi in posizione 2 dei fosfolipidi.

Tutto questo viene fatto dagli enzimi digestivi, ma un


ruolo importante lo hanno i sali e gli acidi biliari. I sali
biliari, prodotti dal fegato e immagazzinati dalla
cistifellea, che vengono immessi a livello duodenale
sotto l’azione della policisti chenile, ormone locale prodotto a livello gastro-intestinale, che spreme
la cistifellea a riversare gli acidi e i sali biliari. Questi ultimi aiutano la digestione perché sono dei
tensioattivi che abbassano la tensione superficiale e fanno si che da quelle grandi gocce lipidiche,
che tenderebbero a fare fase e che si formerebbero a livello intestinale, si formino delle
microgoccioline aumentando enormemente la superficie di attacco degli enzimi lipolitici.

Ciò che deriva dalla degradazione


lipidica viene assorbita dall’enterocita
della cellula intestinale e una volta al
suo interno, i trigliceridi, che sono stati
degradati prima, vengono riassemblati
e riprodotti. Dal momento che
sintetizzare i trigliceridi ha un costo,
perché il glicerolo che deve
sintetizzare il trigliceride deve essere
attivato sulla norma di glicerolo
fosfato, questo comporta un consumo
di energia che può essere una
molecola di ATP che interviene nella
glicerolo chinasi, ma a livello epatico e
qua siamo nell’intestino.
Nell’intestino, il glicerolo fosfato viene
preso dalla glicolisi, non utilizzando
questo composto a scopo energetico.
Quando i trigliceridi vengono
risintetizzati all’interno
dell’enterocita, esso se ne deve
allontanare sottoforma di una
lipoproteina plasmatica (complessi
lipoproteici solubili che consentono ai
lipidi di viaggiare nel nostro sangue).
Noi già sappiamo che alcune proteine
hanno la funzione di trasporto, come
le lipoproteine e l’emoglobina. Delle
lipoproteine plasmatiche ci sono
diverse classi e sono formati da una
componente proteica e una lipidica. Questi grossi vagoni molecolari non contengono strutture con
legami covalenti, ma sono tutti legami deboli. Esse devono stare in soluzione o in sospensione (per
i vagoni più grossi), per fare ciò tutti i lipidi che sono assolutamente privi di gruppi idrofilici, ovvero
i trigliceridi e gli esteri del colesterolo, stanno nel core idrofobico di queste microgoccioline. Mentre
la parte esterna che deve stare in soluzione nel liquido acquoso, ovvero nel plasma, è resa solubile
dalla componente microfilica dei lipidi anfipatici, ovvero dei lipidi complessi come fosfolipidi e
glicolipidi che hanno la componente idrofobica e idrofilica. Quest’ultima componente riveste la
parte esterna di questi vagoni molecolari e ciò consente loro di poter viaggiare nel circolo linfatico
ed ematico. Quindi ciascuno di questi lipidi complessi ha una testa idrofilica e due codine che sono
i due acidi grassi se parliamo di glicerolo fosfolipidi o un acido grasso e la catena sfingosidica se
parliamo di sfingolipidi. È presente anche il colesterolo libero, seppure è una molecola
fondamentalmente idrofobica, tuttavia ha un gruppo idrofilico, che è il gruppo alcolico in posizione
3. Il colesterolo libero si affaccia verso la parte esterna e con il corpo più grosso verso la parte
interna, tutto ciò aiuta alla solubilizzazione di questo complesso. Infine c’è la componente proteica
che espone verso la superficie esterna gli amminoacidi idrofilici e verso la superficie interna gli
amminoacidi idrofobici. La funzione di queste apoproteine contenute nelle lipoproteine plasmatiche
non è quella di contribuire in una certa misura alla solubilità, ma hanno funzione diverse e
indispensabili per la regolazione del
metabolismo:
• Alcune attivano la lipoproteina lipasi,
che è quell’enzima presente nei
capillari del muscolo e dell’adipocita
che deve degradare i trigliceridi;
• Alcune sono degli inibitori;
• Altre sono riconosciute dai recettori,
come le LDL che prima di entrare
nella cellula sono riconosciute da un
recettore che riconosce l’Apo-B100
che è una componente proteica
presente nel LDL e nel VLDL. In
quest’ultimo non è esposta, mentre
nel primo è esposto e in questo modo tutte le cellule si approvvigionano di colesterolo
attraverso un’internalizzazione recettore mediata.
Tra queste apoproteine vi è l’APOE che promuove la rimozione delle VLDL e dei chilomicroni,
esistono diverse isoforme di questa APOE, tra le quali la APOE4 che è presente nel siero di
determinate persone e si è visto esserci una relazione tra il contenuto di APOE4 e il morbo di
Alzheimer. Una persona con un contributo maggiore di APOE4 ha una probabilità maggiore di
contrarre questo morbo.

Le lipoproteine plasmatiche si
dividono in diverse classi che
differiscono per la densità che nasce
dal rapporto lipidi-proteine/proteine-
lipidi. Ovviamente sono più dense
quelle che hanno un maggior
contenuto proteico e sono meno
dense quelle che hanno un maggior
contenuto lipidico. Maggiore è il
rapporto lipide/proteina, minore è la
densità, maggiore sarà la dimensione
dei vagoni molecolari. Noi sappiamo
che i lipidi li raggruppiamo in:
fosfolipidi, colesterolo libero, colesterolo esterificato e trigliceridi. Ogni lipoproteina ha una diversa
composizione lipidica da cui deriva una diversa funzione. Queste percentuali sono orientative e
variabilissime, non di grandi quantità, perché queste lipoproteine plasmatiche mentre stanno in
circolo in realtà non c’è solo la sottrazione di passeggeri da parte dell’enzima, ma queste
lipoproteine sono sempre in continuo rimaneggiamento. In pratica si scambiano passeggeri tra di
loro sia di natura lipidica che proteica e scambiano passeggeri con tutte le cellule dell’organismo.

1. Chilomicroni à Veicola i lipidi di origine esogena e che viene introdotta a livello intestinale
e che veicolano i lipidi di origine alimentare. I chilomicroni sono quelli che hanno il minor
contenuto proteico (1-2%). La loro densità è minore delle VLDL. I chilomicroni hanno
fondamentalmente trigliceridi di origine esogena, perché rispecchiano quelli che sono i lipidi
della nostra alimentazione. Il loro ruolo è quello di trasferire ai vari organi e tessuti (adiposo
e muscolare) i trigliceridi della nostra alimentazione. Essi hanno una vita media di circa 5
minuti, da quando vengono sintetizzati a quando finiscono nel flusso ematico. Questo non
significa che nel dopo pasto, dopo 5 min, noi non li
abbiamo più, ma ciò dipende da quanto dura il pasto, da
quanto dura la digestione…
I chilomicroni sono costituiti da una parte interna
costituita essenzialmente da trigliceridi, poi vi è la parte
esterna in cui è presente anche il colesterolo. Molto
importante nei chilomicroni sono l’APOC2 e la proteina
APOB48. La prima è l’attivatore della lipoproteina lipasi,
cioè di quell’enzima che degrada i trigliceridi presenti sia
nei chilomicroni che nel VLDL presenti nei capillari di
adipociti e muscoli. L’APOB48 è una proteina particolare
sintetizzata dall’intestino, chiamata così perché ha una
dimensione che coincide con il 48% dell’APOB100. Quindi
il gene che codifica per l’APOB100 (proteina presente
nelle LDL e che servirà nell’internalizzazione perché è
quella riconosciuta dai recettori) ha subito una delezione
nel corso dell’evoluzione e la lunghezza di questa
sequenza di DNA è stata accorciata del 52%. Questa
APOB48 è indispensabile perché altrimenti questo
vagone molecolare non può partire e andare nel
circolo linfatico. Infatti gli individui che hanno una
carenza nella sintesi di questa proteina, i
chilomicroni si formano e restano a livello
intestinale, infarcendo di grassi l’intestino. Quando
i chilomicroni perdono totalmente i loro trigliceridi
diventano residui dei chilomicroni e vengono
chiamati remnants. Questi vanno al fegato dove
vengono internalizzati attraverso dei recettori specifici per questi residui e poi il fegato
riutilizzerà ciò che è rimasto di componente proteica o di altri lipidi per fare altro.

2. VLDL= Lipoproteine a bassissima densità. Hanno un 10% di contenuto proteico. Esse sono
sintetizzate per il 90% dal fegato (da una dieta ricca di zuccheri) e per un 10% dall’intestino
anche a digiuno. Nel fegato, nel dopo pasto, riempito il deposito di glicogeno, si è arricchito
di energia, l’acetil-CoA che deriva dal glucosio in eccesso, quando il ciclo di Krebs sarà
bloccato sarà avviata la sintesi degli acidi grassi. Quest’ultimi vengono inglobati in trigliceridi
e glicerofosfolipidi e si forma un vagone molecolare a livello epatico chiamato VLDL e va in
circolo. A questo punto subirà lo stesso destino del chilomicrone, con la differenza che nel
chilomicrone alla fine si formeranno i residui che vengono captati dal fegato, dalle VLDL si
formano prima le IDL e poi le LDL.
Come i chilomicroni, hanno come componente principale i trigliceridi, ma in misura minore,
ed è anche presente l’APOC2 come attivatore della lipasi lipoproteica.
Il ruolo delle VLDL è quello di distribuire ai tessuti i trigliceridi di origine endogena, quelli che
il fegato ha sintetizzato nel dopo pasto utilizzando un eccesso di glucosio (non può utilizzare
i lipidi, perché questi non vanno nel fegato ma vanno direttamente all’adipocita e al muscolo
attraverso i chilomicroni). Il fegato quindi prima ha sintetizzato gli acidi grassi, poi li ha
assemblati in trigliceridi e poi li ha allontanati sottoforma di VLDL. Se non facesse ciò
porterebbe alla degenerazione grassa del fegato e del pancreas.
La vita media delle VLDL è molto più lunga di quella dei chilomicroni, questo nasce dal fatto
che l’interazione dei chilomicroni con le lipasi lipoproteiche è maggiore rispetto a quella che
si ha con le VLDL. Inoltre di lipasi lipoproteica ci sono isoenzimi diversi che hanno una diversa
KM. Hanno una maggiore affinità per i trigliceridi che siano trasportati dai chilomicroni o
dalle VLDL quelli del muscolo cardiaco e scheletrico; hanno una minore affinità quelli
dell’adipocita. Se ad esempio ingeriamo una piccola quantità di lipidi, come una gocciola di
olio, questi lipidi andranno a beneficio di quei tessuti che hanno più bisogno energetico,
muscolo cardiaco e scheletrico. Se la quantità di lipidi è abbondante, come anche quella di
trigliceridi in circolo e di conseguenza raggiungerà la KM dell’adipocita. Inoltre
l’immagazzinamento dei trigliceridi nell’adipocita è favorito dall’insulina, mentre il
glucagone e l’adrenalina favoriranno la scissione di questi trigliceridi. In particolare
l’adrenalina fornisce al muscolo energia per “combattere o fuggire”, il glucagone per fornire
al fegato l’energia per poter spingere la glucogenesi (processo fortemente endoergonico) e
per fornire al muscolo metaboliti alternativi al glucosio in una situazione di carenza di
glucosio.
3. IDL= le lipoproteine a densità intermedia tra le VLDL e le LDL. Ma sono dei metaboliti di
passaggio, la cui vita media è di secondi. Esse si formano dalle VLDL dopo che hanno ceduto
ai tessuti parte del loro contenuto trigliceride.

4. LDL= Lipoproteine a bassa densità. Hanno un 20% di contenuto proteico. Hanno come
componente fondamentale il colesterolo esterificato, il loro ruolo è quello di distribuire alle
cellule dei tessuti il colesterolo esterificato. Le LDL non sono prodotte da un organo ma
derivano dal metabolismo intravasale delle VLDL. Quindi il fegato produce le VLDL, questi
trasferiscono i trigliceridi ai tessuti adiposo e muscolare e man mano che perdono trigliceridi
diventano prima IBL (alcune delle quali ritornano al fegato e vengono ricaricate), oppure se
le IBL continuano a perdere trigliceridi diventano LDL, perché avendo perduto i trigliceridi, il
colesterolo diventa il lipide principale e le LDL che si formano, che non solo ha perso
trigliceridi ma vi sono anche scambi di componenti apo, trasportano il colesterolo ai tessuti
periferici.
Tutte le cellule possono ricevere
colesterolo dall’esterno attraverso le
LDL, ma dal momento che tutte le cellule
possono anche sintetizzare il colesterolo
mediante un processo epatico, vi sarà un
equilibrio tra quello che arriva da fuori e
quello sintetizzato. Se tutto funziona
bene se ne arriva di più, se ne sintetizza
di meno e se ne sintetizzi di più, ne arriva
di meno. Esse costituiscono quindi la via
di andata del colesterolo. Si parla di
“colesterolo cattivo” quando si ha un
eccesso di LDL a livello ematico, ciò porta a delle malattie cardiocircolatorie. Ricordiamo che,
se nelle giuste quantità, ha un sacco di
ruoli importanti: è un componente delle
biomembrane regolandone la fluidità e il
funzionamento; è il precursore degli acidi
e Sali biliari; è il precursore di tutti gli
ormoni steroidei. Tutte le cellule si
approvvigionano di colesterolo dalle LDL,
ma alcune ne hanno più bisogno:
• il fegato perché, oltre che
utilizzare il colesterolo per le
proprie membrane come fanno
tutte le cellule, è qui che vengono
prodotti acidi e sali biliari dal colesterolo e poi eliminati a livello intestinale, riassorbiti
nel circolo enteroepatico, ma una quota si perde;
• la corteccia del surrene e le gonadi ne hanno bisogno per produrre gli ormoni
steroidei.
Le LDL hanno dimensioni più piccole ed entreranno nelle cellule mediante un recettore. Esse
sono caratterizzate dalla presenza dell’APOB100 che consente il metabolismo intracellulare,
spesso questa è l’unica proteina delle LDL. Questa viene riconosciuta da uno specifico
recettore sulla superficie cellulare (è una grossa proteina la cui componente principale è
extracellulare, una piccola trasmembrana e una parte
ancora più piccola con componente intracellulare). La
parte extracellulare ha tutta una serie di porzioni, di cui
quella più esterna con il sito di legame per l’APOB100
ed altre porzioni con caratteristiche particolari.
Quindi la LDL si va a legare a questo recettore che si
trova in tutte le cellule, perché tutte possono assumere
colesterolo dall’esterno. Hanno più recettori sulla
membrana quelle cellule che hanno più bisogno di
colesterolo. I recettori non sono distribuiti in maniera
uniforme sulla membrana ma si trovano in alcune fossette rivestite dalla proteina clatrina.
Essa rivesta dall’interno queste fossette laddove si ha una abbondanza di recettori. La LDL
con la sua APOB100 si va a legare al recettore, la fossetta rivestita tende a chiudersi, si forma
una vescicola rivestita dall’esterno di clatrina e forma un endosoma che si va a fondere con
un lisosoma (organello subcellulare dove sono presenti degli enzimi degradativi). A livello
lisosomiale l’APOB100 viene degradato in amminoacidi e il colesterolo viene degradato in
acidi grassi, il recettore spesso viene liberato e riciclato tornando sulla membrana e poi il
colesterolo esterificato viene scisso e si forma colesterolo libero.
Attraverso questo processo le cellule aumentano la concentrazione di colesterolo libero
preso dall’esterno attraverso le LDL. Una volta che questo colesterolo libero si è liberato dal
lisosoma regola il proprio metabolismo a livello di 3 condizioni diverse:
• una coda di colesterolo che si è liberato si va ad esterificare con acidi grassi (acido
linoleico) attraverso l’enzima ACAT (=acilcolesterolo aciletransferasi) e produce
all’interno di ogni cellula un piccolo deposito di colesterolo esterificato;
• il colesterolo va a regolare la sua stessa sintesi;
• il colesterolo va a regolare la sintesi del recettore per la LDL.
Negli ultimi due casi il colesterolo, invece di agire allostericamente, agisce a livello genico
reprimendo la sintesi delle RNA messaggero che codificherà per l’enzima chiave della sintesi
del colesterolo: l’HMG-CoA reduttasi. In base alla concentrazione di colesterolo, il
colesterolo stesso va ad inibire la sintesi dell’enzima chiave per la sua sintesi. Sempre a livello
genico il colesterolo va a reprimere la sintesi del recettore delle LDL, per cui più una cellula
è ricca di colesterolo meno altro colesterolo entrerà dall’esterno. Tutto ciò spiega l’equilibrio
che si viene a creare tra il colesterolo che viene sintetizzato e quello che viene portato
dall’esterno mediante la LDL.

5. HDL= Lipoproteine ad alta densità. Hanno circa


un 50% di contenuto proteico. Esse sono prodotte
principalmente dal fegato e in misura minore
dall’intestino. Quando nascono hanno una forma
discoidale e sono caratterizzate dalla presenza
dell’enzima LCAT (=lecitina-colesterolo aciltransferasi è
una apoproteina che consente la funzione delle HDL).
Esse hanno come contenuto principale i fosfolipidi. Le
HDL costituiscono la via di ritorno del colesterolo,
perché sulla superficie delle HDL esiste una proteina
che è un enzima che catalizza una reazione che vede
come substrato da una parte il colesterolo e dall’altre la
lecitina (=fosfolipide). Questa reazione è quella
responsabile dell’esterificazione del colesterolo libero e quindi del suo sversamento
all’interno dell’HDL. LCAT piglia un acido grasso in posizione 2 della lecitina e va ad
esterificare il colesterolo, che a questo punto non ha più il gruppo -OH idrofilico, diventa
totalmente idrofobico e dalla superficie della lipoproteina viene internalizzato, la lecitina
diventa lisolecitina. A poco a poco, la lipoproteina da discoidale si va riempendo di
colesterolo e diventa sferoidale. Quando è piena di colesterolo va al fegato a scaricare con
un sistema che riguarda un recettore particolare che non necessita l’internalizzazione. Si
parla di un recettore di scambio SR-BI che non coinvolge l’endocitosi come per le LDL.
Quando quest’ultima si lega al recettore SR-BI sulla membrana plasmatica dell’epatocita e
dei tessuti steroidogenici (surrene e gonadi), questi recettori promuovono un trasferimento
del colesterolo e di altri lipidi dall’HDL all’interno delle cellule. L’HDL svuotata si dissocia dal
recettore , passa di nuovo in circolo, diventa nuovamente discoidale per estrarre colesterolo
dalle cellule sovraccariche e dalle LDL, costituendo così la via di ritorno del colesterolo.
Con HDL si parla quindi di
“colesterolo buono”
perché costituendo la via di
ritorno, guiderà il
colesterolo in eccesso dal
tessuto o dalle placche
adenomatose che si
formano a livello delle
arterie al fegato.
Le HDL recuperano il
colesterolo in eccesso dalle
membrane delle cellule
periferiche dei tessuti riportandolo al fegato e realizzando in questo modo il trasporto
inverso del colesterolo. È proprio questo che costituisce il motivo per cui maggiore è il
contenuto di HDL minore è il rischio di andare incontro a patologie cardiocircolatorie, perché
riportando il colesterolo indietro lo tolgono dall’eccesso delle cellule e dalle placche che si
potrebbero formare. Il fegato utilizza questo colesterolo per formare acidi e sali biliari.
Vi sono anche le VHDL, le lipoproteine ad altissima densità, che noi abbiamo messo insieme
alle HDL.
N.B. Perché si parla di colesterolo buono e colesterolo cattivo?
Perché nel laboratorio di analisi non abbiamo un kit che dosa le HDL e le LDL, ma abbiamo un kit che dosa
colesterolo. Tecnicamente si prende un campione di sangue, dosiamo il colesterolo totale con un kit e conosceremo
la quantità di colesterolo totale. Dobbiamo conoscere come è distribuito in tutte le lipoproteine plasmatiche
(tranne i chilomicroni, dato che quando andiamo a fare le analisi del sangue, a digiuno perché la digestione dei
lipidi più indaginosa rispetto quella degli zuccheri, in circolo abbiamo le LDL, le HDL e le VLDL; tranne in alcune
patologie specifiche che si chiamano dislipidemia che prevede il non metabolismo dei chilomicroni. In questi casi o
in quelli in cui si ha un elevato contenuto di trigliceridi nel sangue, quando si preleva il sangue e centrifughiamo il
siero, questo invece di essere giallo è bianco perché i chilomicroni essendo delle particelle molto grandi diffrangono
la luce), ma il grosso si trova nelle LDL (cattivo), poi nelle HDL (buono)ed infine nelle VLDL (neutro). Per sapere il
valore dei tre addenti che costituiscono il colesterolo totale si utilizza una tecnica di laboratorio in cui, nello stesso
siero dove abbiamo misurato il colesterolo totale, si utilizzano dei reagenti che fanno precipitare le VLDL e le LDL;
in modo che dopo la centrifugazione, nel sopranatante rimangono solo le HDL. Dal momento che quest’ultime
rappresentano il colesterolo buono, più elevato è il contenuto di HDL minore è il fattore di rischio.
Un altro kit fa precipitare le HDL e le VLDL, lascia le LDL sopranatanti.
Maggiore è il rapporto LDL/HDL maggiore è il fattore di rischio, ma ai fini delle malattie cardiocircolatorie, non è
sufficiente parlare solo del colesterolo, ma ai fini dell’infarto vi sono una serie di altri fattori. L’infarto è
fondamentalmente un problema maschile, anche per le donne con colesterolemia più elevata di un uomo,
perché gli estrogeni le proteggono.
Le lipoproteine ossidate si aggregano e aderiscono alla matrice extracellulare, poi arrivano nei
monociti, ovvero nei globuli bianchi che vengono attratti dall’area in cui si sono depositate queste
lipoproteine ossidate. Il monocita si differenzia in macrofago, poi diventa una cellula schiumosa
e piano piano si vanno a depositare all’interno delle arterie formando la placca aterosclerotica o
ateromatosa che va ad occludere i rami delle arterie coronarie. A volte queste placche si staccano
e vanno ad occludere i vasi cerebrali, da qui l’ictus. Queste placche sono ricche di APOB100,
proteina delle LDL.

METABOLISMO DEI LIPIDI


Al contrario dei glucidi, i quali dalla degradazione dei polisaccaridi arrivano al fegato, solo alcuni
acidi grassi a corta catena che derivano da lipidi, come quelli del latte, arrivano direttamente al
fegato perchè hanno una certa solubilità. Il grosso dei lipidi non va al fegato. Cosa succede?

1. I Sali biliari emulsionano i grassi nell’intestino tenue formando micelle miste.

2. Le lipasi intestinali degradano i resti del glicerolo.

3. Gli acidi grassi e gli altri prodotti della degradazione penetrano la mucosa intestinale e
vengono convertiti in glicerolo, vengono quindi risintetizzati.

4. Dopodiché questi residui di glicerolo vengono incorporati insieme a colesterolo e


apoliproteine (=lipoproteine plasmatiche prive dei lipidi) nei chilomicroni. Essi vengono
prodotti dall’intestino (quest’ultimo oltre a risintetizzare i lipidi prodotti dall’alimentazione,
sintetizza la componente proteica).

5. Inizialmente vanno nel ciclo linfatico e attraverso il dotto toracico vengono riversati nel
circolo ematico a livello della succlavia sinistra. Dopodiché saranno distribuiti a dei tessuti,
ma in realtà ad acchiappare questi trigliceridi presenti nei chilomicroni sono
fondamentalmente due tessuti: adiposo e muscolare (scheletrico e cardiaco). Nel tessuto
adiposo per immagazzinarli tra un pasto e un altro, nel tessuto muscolare per organizzarli,
per degradare gli acidi grassi, ovviamente non parliamo di un muscolo con un’intensa
contrazione, ma un muscolo a riposo o un muscolo tra una contrazione e un’altra. Questi
due tessuti hanno gli enzimi che degradano i lipidi presenti nei chilomicroni, ma anche nelle
VLDL (che hanno diversa nascita e morte, ma stesso metabolismo). Questo enzima si chiama
lipoproteina lipasi o lipasi lipoproteina. Essa con un processo di esocitosi esce da queste
cellule, attraversa la membrana, attraversa gli strati esterni dei vasi e si va ad ancorare ad
una componente oligosaccaridica di alcune glicoproteine della membrana delle cellule
dell’endotelio vasale (parete interna dei vasi).

6. In realtà questo enzima non si trova all’interno dei chilomicroni o delle VLDL, ma viaggiano
nei capillari sanguigni e a livello dei capillari che irrorano questi tessuti. Mentre questi vagoni
molecolari (chilomicroni/VLDL) passano possiamo immaginare un vagone con dei
passeggeri. L’enzima legato al vagone molecolare “infila una mano nel finestrino” e prende
uno dei passeggeri, che non è altro che un trigliceride. Quest’ultimo viene degradato e
mentre l’adipocita organizza nuovamente gli acidi grassi in trigliceridi (quindi li risintetizza);
il muscolo cardiaco scheletrico li scinde e si acchiappa l’acido grasso e lo degrada. Quindi
man mano che questi vagoni vanno viaggiando, perdono passeggeri finché i chilomicroni non
perderanno tutti o quasi tutti i trigliceridi e diventeranno un’altra cosa. Una cosa analoga
accadrà nelle VLDL prodotti dal fegato che viaggiando sempre in circolo raggiungono tutte
le strutture dell’organismo ma soltanto nei capillari dell’adipocita e nei capillari del tessuto
muscolare c’è questo enzima, per cui anche questi perderanno i trigliceridi. Però dai VLDL si
formerà qualcosa di diverso rispetto ai chilomicroni.
Quindi la lipoproteina lipasi attivata nei capillari da una apoproteina presente nei
chilomicroni, converte i residui di glicerolo in acido grasso e glicerolo.

7. Gli acidi grassi entrano nella cellula e: l’immagazzinamento e la riesterifazione degli acidi
grassi avviene nell’adipocita; mentre gli acidi grassi vengono ossidati per ricavare energia o
vengono degradati per ottenere ATP nelle cellule muscolari.
SINTESI DEI TRIGLICERIDI
Quando i lipidi sono stati degradati a livello del lume intestinale, nella cellula intestinale sono stati
risintetizzati à è un processo di sintesi endoergonico.
Questo processo che descriveremo vale sia per la risintesi dei trigliceridi nel dopo pasto
nell’intestino, ma vale anche nella sintesi dei trigliceridi nell’adipocita, nell’epatocita.

La sintesi dei trigliceridi parte dal glicerolo fosfato (forma attiva del glicerolo) che può essere
prodotto in diversi modi:
• attraverso la glicerolo chinasi (gliceril chinasi) che è una fosforilazione ATP dipendente, ma
questo è un enzima principalmente del fegato e in misura molto piccola del rene. Tutte le
cellule, anche quelle intestinale o dell’adipocita, non hanno la glicerolo chinasi, prendono il
glicerolo fosfato dal diidrossiacetone fosfato prodotto nella glicolisi per azione della
glicerolo 3-fosfato deidrogenasi NAD-dipendente localizzata nel citosol.

• C’è un’altra via per la formazione del glicerolo fosfato specifica dell’adipocita che è la
gliceroneogenesi, essa è una forma incompleta di glicogenesi (che è un processo
essenzialmente epatico in cui dal piruvato si può tornare indietro direttamente al glucosio e
in questo passaggio si arriva al trifosfogliceraldeide e al diidrossiacetone fosfato). In questo
processo, quando si arriva al diidrossiacetone fosfato, questo può essere trasformato in
glicerolo fosfato. Quindi nell’adipocita, che è dove maggiormente vengono prodotti
trigliceridi, può avere glicerolo fosfato o dalla glicolisi o dalla gliceroneogenesi.

Gli acidi grassi devono essere prima attivati e trasformati in acetil-CoA (=aciltioesteri del coenzima
A). Quindi il glicerolo fosfato reagisce prima con un acil-CoA attraverso un’acil trasferasi e forma
prima l’acido lisofosfatidico e con un’altra acil trasferasi aggiunge il secondo acido grasso, sempre
prendendolo dall’acil-CoA. L’energia per formare il legame estereo è l’energia inclusa nel legame
aciltioestereo che è ad elevata DG di idrolisi. Quindi si forma l’acido fosfatidico che va incontro ad
una fosfatasi che stacca il fosfato e infine si aggiunge, con una terza acil trasferasi, il terzo acido
grasso (sempre preso dall’acil-CoA) e si forma il triacil glicerolo.

Siccome un acido grasso per diventare acil-CoA consuma due legami ad alta energia, per formare
un trigliceride ci vogliono 6 legami ad alta energia (due per ciascuno acido grasso) più quello
ipotetico del glicerolo fosfato che può essere un ATP se partiamo dalla glicil chinasi, o può essere
tutto quello che si potrebbe formare dal glicerolo fosfato se seguisse le tappe della glicolisi. Sarà
una sola molecola di ATP che interviene ma si libera come AMP e non come ADP; quindi è come se
si consumassero due molecole di ATP che si liberano sotto forma di ADP. Dal punto di vista
energetico sono la stessa cosa.

Nella cellula intestinale esiste anche un processo di sintesi che parte dal 2-monogliceride, prodotto
dalla lipasi pancreatica che può essere assorbito. Quando l’intestino risintetizza il trigliceride
partendo dal 2-monogliceride, quell’acido grasso non glielo stacco, ma lo lascia lì. Questo è un
processo più breve e meno dispendioso, perché si sfrutta questo legame estereo già esistente.

A questo punto i trigliceridi vengono riprodotti a livello intestinale ed allontanati, attraverso il ciclo
linfatico, sottoforma di chilomicroni, i quali poi passeranno dal ciclo linfatico a quello ematico.

A livello intestinale avviene prima la degradazione dei trigliceridi e poi la risintesi, all’interno della
cellula intestinale, con un consumo consistente di energia.
Perché avviene tutto questo?
La motivazione sembra essere che: ogni organismo, con questa degradazione e risintesi, che
ovviamente non comporterà la stessa posizione degli acidi grassi, à ci sarà un riarrangiamento che
serve a far si che ogni specie abbia dei grassi con un’impostazione particolare degli acidi grassi che
sia specifica per ogni specie.
Lipolisi periferica
Parliamo quindi dell’uso, tra un pasto e un altro, dei trigliceridi che sono stati immagazzinati
nell’adipocita, il quale li ha ricevuti per via dei chilomicroni o via VLDL o, per una certa misura, per
via di quelli che si è sintetizzato da solo.

La lipolisi periferica dei trigliceridi, immagazzinati nell’adipocita, avviene tra un pasto e l’altro
quando a farla da padrona sono ormoni come:
• L’adrenalina, che risponde a stimoli nervosi e dà un indice/stimolo di necessità energetica.
Tra i metaboliti che noi possiamo degradare per produrre energia, sicuramente gli acidi
grassi immagazzinati nell’adipocita svolgono un ruolo importante.
• Il glucagone che risponde a stimoli umorali, ovvero quando la glicemia tende ad abbassarsi
e conseguentemente si ha la glicogenolisi, la lisi dei trigliceridi in deposito e, se
quest’esigenza continua c’è la glucogenesi (processo epatico ed endoergonico, dove il
fegato deve prendere energia dagli acidi grassi). Il glucagone attiva comunque, senza
arrivare alla glucogenesi, la lipolisi periferica per fornire ai tessuti, come quello del muscolo
scheletrico, che possono utilizzare metaboliti alternativi al glucosio stesso.

N.B. al contrario di quest’ultimi due, l’insulina, che inibisce la fosfodiesterasi, è l’ormone che viene
messo in circolo nel dopopasto quando avvengono le cose opposte, ovvero non quando avviene la
lipolisi periferica, ma quando avviene l’immagazzinamento degli acidi grassi negli adipociti.

L’adrenalina e il glucagone attivano con con l’AMP ciclico l’adenilato ciclasi, aumenta la
concentrazione di GMP ciclico che va ad attivare la proteina chinasi PKA. Quest’ultima, tra i suoi
innumerevoli substrati, ha anche l’enzima LIPASI ADIPOLITICA, detta anche HSL (=Hormone-
sensitive lipase). È vero che a fare da padrone nell’attivazione di questo enzima sono glucagone ed
adrenalina, ma questi attivano un sacco di enzimi.

L’HSL è attivata anche da tanti altri ormoni, come l’ormone della crescita (somatotropo, prodotto
dall’ipofosi anteriore) favorisce la lipolisi periferica. Durante l’accrescimento naturalmente serve
una notevole sintesi proteica per aumentare le dimensioni; inoltre la sintesi proteica è un processo
fortemente endoergonico e di conseguenza
serve molta energia che può essere tirata
fuori dai lipidi immagazzinati.
Altri ormoni prodotti dall’ipofisi sono le
ipolisine che favoriscono la lipolisi periferica.

Indirettamente si possono considerare


anche gli ormoni tiroidei e quelli della
corteccia del surrene possono favorire la
lipolisi periferica.
QUINDI non vi sono solo adrenalina e
glucagone che favoriscono questo processo,
ma vi sono tutti questi altri ormoni che
contribuiscono.
In che cosa consiste questo processo?
All’interno dell’adipocita è presente un grossissimo
vacuolo lipidico, infatti se si vede questa cellula al
microscopio ci accorgiamo che ha una forma un po'
strana, perché da un lato sono racchiusi tutti gli organelli
subcellulari tipici di una cellula eucariota, mentre
dall’altro lato si vede questo grande vacuolo.
Quest’ultimo è circondato da una proteina perilipina
che protegge il vacuolo, e i trigliceridi che sono in esso
racchiusi, da una lipolisi che non sia perfettamente
controllata. Quindi questa perilipina fa si che i trigliceridi
possano essere scissi e attaccati solo quando realmente
ce n’è bisogno.

1. Il glucagone agisce sul suo recettore (a sette eliche transmembrana).

2. Con il meccanismo della cascata dell’AMP ciclico, ATP viene trasformato in AMP ciclico.

3. Si attiva la PKA.
4. La PKA tra i suoi substrati ha la HSL che attiva in forma fosforilata (e inattiva in forma
defosforilata). Quando cessa la necessità di degradare trigliceridi di deposito, l’equilibrio
sarà spostato verso la forma defosforilata. A defosforilare quest’enzima è la PP1 o
fosfoproteina fosforidasi 1 che è controllata dall’insulina.

5. La PKA va a fosforilare la perilipina, perché se non lo fosse, l’HSL fosforilante attiva non
potrebbe penetrare all’interno del vacuolo lipidico. È necessaria questa doppia
fosforilazione. Essa è sempre catalizzata dalla proteina chinasi AMP ciclico dipendente, che
fosforila tanto l’enzima che è attivo quando è fosforilato, tanto la perilipina che una volta
fosforilata consente all’HSL di entrare e consente anche alla proteina CGI di staccarsi. Questo
distacco avviene quando la perilipina di fosforila ed è questa proteina che attiva la
trigliceride lipasi.

6. Questa agisce quindi sui triacilglicerolo formando il diacilglicerolo.

7. Il diacilglicerolo viene ulteriormente degradato dall’HSL, che intanto è stata fosforilata e


attivata, e forma i monogliceridi.

8. A questo punto si attiva una monogliceridi lipasi e conseguentemente dal fu-trigliceride si


forma glicerolo e 3 acidi grassi.

9. Il glicerolo fuoriesce dall’adipocita, non ha bisogno di trasportatori, perché, in virtù dei suoi
gruppi alcolici, è perfettamente solubile. Il glicerolo, per via ematica, raggiungerà il fegato,
unico organo che può riutilizzarlo, attivandolo a glicerolo fosfato, perché il fegato possiede
la glicerolo chinasi.
Gli acidi grassi, che sono a lunga catena perché il potere calorico (ovvero la quantità di ATP
che possiamo tirar fuori dall’acido grasso) è strettamente correlato alla lunghezza dell’acido
grasso. Più lungo è questo, più sarà grande la quantità di ATP che potremo tirar fuori.
Gli acidi grassi hanno il carbossile che è un gruppo idrofilico, ma la lunga catena idrofobica li
rende delle sostanze idrofobiche.
Quando gli acidi grassi sono liberi, una volta riversati a livello ematico, si legano alle albumine
(che costituiscono il grosso delle proteine plasmatiche e hanno diverse funzioni tra le quali
quella di trasporto). Non confondiamo questo complesso acidi grassi liberi – albumine con
le lipoproteine plasmatiche che trasportano lipidi.
Le albumine possono legare un certo numero di acidi grassi liberi, almeno una decina, in
quanto possiedono per gli acidi grassi liberi dei siti, che si distinguono ad alta/media/bassa
affinità.
Quindi, quando troviamo acidi grassi liberi in circolo, sappiamo da dove vengono, dove
stanno andando e che fine faranno, perché li troviamo solo dopo la lipolisi periferica e se
questa c’è stata vuol dire che ci troviamo in un momento di necessità energetica.

10. Gli acidi grassi entrano nelle cellule attraverso un trasportatore specifico per gli acidi grassi.
Una volta in circolo raggiungono i tessuti che possono raggiungere (ovvero tutti tranne il
cervello, perché non possono passare dalla barriera emato encefalica) e a secondo delle
dimensioni, il tessuto muscolare è quello che più di altri utilizzerà questi acidi grassi. Però
anche il fegato li può usare per produrre quell’energia che può essere utile anche per la
glucogenesi.
11. Il destino di questi acidi grassi legati alle albumine è quello della beta ossidazione, ovvero
quello di essere degradati per produrre energia. Si avrà quindi la formazione di acetil
coenzima A, quindi ciclo di Krebs, quindi catena respiratoria.

Cosa succede al glicerolo e agli acidi grassi?


Il glicerolo libero per essere attivato non può che farlo a livello epatico dove c’è la glicerolo chinasi,
quindi viene trasformato in glicerolo fosfato. Quest’ultimo, in un momento di necessità energetica,
perché se c’è stata la lipolisi periferica non c’è certo l’insulina in circolo, ma ci sono ormoni come
adrenalina e glucagone ed è probabile che questo glicerolo fosfato sarà ossidato a idrossiacetone
fosfato, il quale sarà isomerizzato a trifosfogliceraldeide. Il suo destino sarà quello di proseguire le
tappe della glicolisi e produrre ATP, anche se la quantità di ATP che possiamo tirare fuori dal
glicerolo è limitato perché si possono ottenere 2 molecole di ATP.

Per quanto riguarda la beta ossidazione degli acidi grassi: esso è un processo fortemente
esoergonico, perché il potere calorico dei grassi, in virtù dei loro componenti principali, ovvero gli
acidi grassi, è circa il doppio di quello degli zuccheri e amminoacidi. Ciò nasce dal fatto che sono
strutture fortemente ridotte e la quantità di ATP che si può produrre è direttamente proporzionale
alla possibilità di ossidare i nutrienti. Più una sostanza è ossidabile, maggiore è il suo potere calorico.
Se andiamo a vedere la struttura degli acidi grassi, che è fortemente ridotta (un metile, un
determinato numero di CH2 e il carbossile), non si può fare nessun paragone con lo scheletro degli
zuccheri e degli amminoacidi dove sono presenti gruppi alcolici e sono quindi scheletri parzialmente
ossidati, quindi meno ossidabili e di conseguenza con un minore potere calorico.

La beta ossidazione degli acidi grassi è un processo mitocondriale in cui l’acido grasso proviene dalla
lipolisi periferica (o se parliamo dell’acido grasso del muscolo cardiaco o scheletrico trasportato dai
chilomicroni o dalle VLDL).
L’acido grasso, che attraverso un suo specifico trasportatore attraversa la membrana plasmatica,
arriva a livello citosolico dove deve essere attivato (per essere poi metabolizzato), perché gli acidi
grassi come tali sono metabolicamente inerti. La forma attiva degli acidi grassi è quella di
aciltioestere del coenzimaA, questo è valido sia che gli acidi grassi servono per sintetizzare lipidi sia
che devono essere degradati. L’attivazione dell’acido grasso è una reazione dispendiosa, perché
consuma due legami ad alta energia.

Il processo di attivazione avviene


mediante enzimi che si chiamano
acilcoenzimaA sintetasi. Ne esistono
tre isoforme che agiscono con acidi
grassi a corta/media/lunga catena.
Dopo la lipolisi periferica, parliamo di
acidi grassi a lunga catena, perché
abbiamo immagazzinato acidi grassi
che potevano avere un potere calorico
maggiore.
Il meccanismo di questi isoenzimi è lo
stesso; esso consiste in una reazione
che vede l’acido grasso reagire prima
con l’ATP, si libera un pirofosfato, si
forma un intermedio che si chiama
acilAMP o aciladenilato che resta ancora legato all’enzima. Per spostare l’equilibrio verso destra, il
pirofostato viene immediatamente scisso da una pirofosfatasi inorganica e libera l’energia insita in
questo pirofosfato, perché il fosfato gamma è legato al fosfato beta con un legame ad elevata ∆G
di idrolisi.
A questo punto l’aciladenilato reagisce con il coenzima A e forma l’acilcoenzima A e libera l’AMP.

Dal momento che si è consumata una molecola di ATP, ma che questo non si è liberato come ADP,
ma come AMP, ecco qui i due legami ad alta energia che vengono consumati affinché l’acido grasso
sia attivato. Questi poi andranno sottratti nel bilancio complessivo, quando vedremo la quantità di
ATP che possiamo tirar fuori dalla completa degradazione dell’acido grasso.

L’AMP che si libera deve reagire con l’ATP e formare due di ADP. Queste ultime diventeranno ATP
con o la fosforilazione a livello del substrato o a livello della catena respiratoria.
L’acil coenzima A che si è prodotto a livello citosolico, deve attraversare le due membrane
mitocondriali perché il processo avviene a livello della matrice mitocondriale. Gli acidi grassi a corta
catena possono attraversare la membrana mitocondriale senza aver bisogno di particolari
trasportatori. Ma gli acidi grassi con più di 14 atomi di carbonio, ovvero la maggior parte di quelli
che si hanno dopo la lipolisi periferica, non possono attraversare direttamente, ma lo possono fare
attraverso un sistema chiamato sistema
navetta o shuttle della carnitina.
La carnitina ha una piccola catena
idrocarburica con un azoto tetravalente
in cui troviamo tre metili. Il processo di
sintesi avviene su una proteina primer e
su un residuo di lisina, avviene la
trimetilazione catalizzata da 3 molecole
di S-adenosil metionina.
Successivamente questa lisina che ha
subito questa trimetilazione viene
idrolizzata e viene staccata. Subisce un
ulteriore processo per arrivare a formare
la carnitina.

N.B. Il carnitene è un farmaco che viene utilizzato dai cardiopatico e a volte dagli atleti. Esso contiene
carnitina e serve a migliorare il consumo respiratorio di acidi grassi.

Quindi attraverso questo sistema shuttle della carnitina consente agli acidi grassi di entrare nella
matrice mitocondriale dove si realizzeranno tutti quei processi della beta ossidazione degli acidi
grassi.
Il processo vede prima l’acil coenzima A nel citosol formato come è stato descritto prima, poi si
forma un estere con la carnitina, questa acilcarnitina entra e poi all’interno del mitocondrio si deve
riformare l’acil coenzima A. Tutto ciò serve a far si che i pull di coenzima A citosolico non si mescolino
con i pull di coenzima A mitocondriale. Quello nel mitocondrio servirà per questo processo, alla
formazione dell’acetil coenzima A da parte del piruvato, mentre quello a livello citosolico servirà
fondamentalmente alla sintesi degli acidi grassi o ad altri processi biosintetici.

Sulla membrana mitocondriale esterna un enzima chiamato carnitina aciltransferasi 1 che


trasforma l’acil coenzima A in un estere della carnitina chiamato acilcarnitina, mantenendo il
legame ad alta energia. A questo punto, l’acilcarnitina, attraverso una translocasi che si trova a
livello della membrana mitocondriale interna, esce con un sistema di antiporto per cui, per ogni
acilcarnitina che entra, una carnitina libera esce, in modo che il contenuto di carnitina resta
pressoché costante.
Una volta che l’acil carnitina si trova all’interno, da un altro enzima che si chiama acil carnitina
transferasi 2, si stacca la carnitina, si lega ad un coenzima A mitocondriale e si forma un acil
coenzima A, ma stavolta siamo nel mitocondrio.
Prima avevamo un acil coenzima A nel citosol, ora ne abbiamo uno mitocondriale.

Questo sistema, oltre a mantenere separati i due pull di coenzimaA, rappresenta anche il punto di
controllo del destino degli acidi grassi. Che significa?
Il processo di degradazione è mitocondriale, il processo di sintesi di lipidi è citosolico. Quindi
controllando questo sistema di shuttle della carnitina, se questo shuttle funziona, l’acido grasso
entra nel mitocondrio e il suo destino è segnato à viene degradato. Se invece, siamo in un
momento in cui gli acidi grassi non devono essere degradati, ma anzi quelli che vengono sintetizzati,
serviranno alla sintesi dei lipidi (processo citosolico), il sistema della carnitina viene bloccato e di
conseguenza l’acido grasso non può entrare nel mitocondrio, e il suo destino sarà biosintetico
piuttosto che degradativo.
L’ingresso nella matrice mitocondriale mediato dalla carnitina è una tappa limitante per
l’ossidazione degli acidi grassi.

La carnitina acil transferasi 1 viene inibito dal malonil-CoenzimaA, che è un metabolita della sintesi
degli acidi grassi, evitando che l’acido grasso che stiamo neo sintetizzando possa entrare nel
mitocondrio.

Le tre fasi complessive sono:


1. Beta ossidazione.
2. L’acetil coenzima A, che deriva dalla beta ossidazione, entra nel ciclo di Krebs.
3. Riossidazione dei coenzimi piridinici e flavinici nella fosfatazione ossidativa.

N.B. la degradazione di tutti i nutrienti, che sia glucosio via piruvato e acetil coenzima A, che siano
gli acidi grassi attraverso questo processo, che sia lo scheletro carbonioso di tutti gli amminoacidi,
alla fine tutto il catabolismo converge verso questa molecola che è l’acetil coenzima A, il cui destino
principale è quello del ciclo di Krebs e successiva catena respiratoria.

Processo di beta-ossidazione per gli acidi grassi saturi


È un processo a spirale degradativa, ovvero che si realizza in 4 tappe, che per certi aspetti sono
analoghe a quelle del ciclo di Krebs, quando dal succinato si arriva all’ossalacelato. Rispecchiano la
stessa motivazione biologica, ovvero quella di produrre coenzimi piridinici e flavinici ridotti e
conseguentemente la loro riossidazione nella catena respiratoria con formazione di ATP.
Alla fine di un primo ciclo, si può vedere che un acido grasso, quale sia la sua lunghezza inziale, viene
accorciato di un’unità bicarboniosa. Avendo due atomi di carbonio in meno, ricomincia il processo,
il quale si ripete n volte in base alla lunghezza dell’acido grasso da cui siamo partiti.

Il bilancio complessivo dipenderà dal numero di atomi di carbonio di cui è formato quell’acido
grasso, ma anche dalle eventuali insaturazioni. Per ogni doppio legame presente in un acido grasso,
il bilancio energetico sarà diminuito di 1,5 molecole di ATP. Ciò si verifica perché, la presenza di un
doppio legame significa avere meno atomi di idrogeni da togliere via nella reazione di idrogenazione
e quindi minore potere calorico, perché quest’ultimo nasce dalla possibilità di ossidare un substrato,
di ridurre un coenzima. Viene meno una deidrogenazione.
Ricordaà gli acidi grassi insaturi e polinsaturi hanno una notevole importanza sia come componenti
nei lipidi di membrana da cui dipende la fluidità; ma anche i trigliceridi di deposito non possono
essere tutti acidi grassi saturi, altrimenti i nostri vacuoli lipidici
sarebbero solidi o semisolidi. Ci vuole sempre una certa
quantità di acidi grassi insaturi che abbassano il punto di fusione
e rendono questi lipidi allo stato semifluido o fluido.

Questo è un esempio di spirale degradativa dove si parte da una


struttura con 14 atomi di carbonio, che dopo un giro diventano
12, dopo due giri diventano 10 e così via… gli acidi grassi di cui
parliamo, se c’è stata la lipolisi periferica, lo scopo è certamente
quello energetico.
A questo punto andiamo a vedere tutte le reazioni che si verificano nella beta ossidazione:

1. La prima reazione vede l’acido grasso intervenire in


un’ossidazione catalizzata da un enzima che si chiama
acil coenzima A deidrogenasi. Questo è un enzima
della matrice mitocondriale ed è FAD-dipendente per
cui il composto viene ossidato e si forma un trans-∆2-
enoil-coenzimaA, detto anche acil coenzima A α,β-
insaturo. Gli idrogeni che sono stati sottratti finiscono
sul FAD che diventa FADH2. Come per la catena
respiratoria, questa è una reazione FAD dipendente,
ma di un enzima che non è di membrana. Per risolvere
il problema, vi è uno dei complessi accessori della
catena respiratoria. Questa flavoproteina con il suo
FAD ridotto, FADH2, viene riossidato da un’altra
flavoproteina che è l’ETF. Il FAD di questo ETF viene
riossidato da un complesso accessorio della catena
respiratoria che si trova sulla parte interna della
membrana mitocondriale interna, che sarebbe l’ETF
ubichinone ossidoreduttasi. Per cui gli idrogeni
passano dal FADH2 dell’ETF al FAD dell’ETF ubichinone
reduttasi, il quale scaricherà gli idrogeni sul coenzima
Q, il quale poi andrà verso il complesso terzo (questa
è una delle modalità di inizio della catena
respiratoria).

2. Avviene un’idratazione, in cui l’enoil-coenzimaA-idratasi formerà un isomero levo (i doppi


legami di tutti gli acidi grassi naturali sono tutti cis), mentre questo intermedio è trans. A
questo punto interviene un secondo enzima che è un enoil coenzima A idratasi, per cui il
doppio legame che si è formato dalla prima deidrogenazione, adesso si trasforma in un
legame singolo e quindi abbiamo la formazione di un L-β-idrossi-acil-coenzimaA o 3-idrossi-
acil-coenzimaA. Adesso nella catena è presente un atomo di ossigeno, in particolare vi è un
ossidrile che deriva da una molecola di acqua, il cui potere calorico è zero.

3. Vi è una seconda ossidazione che toglie questi due idrogeni (deidrogenasi). Dobbiamo
ricordare che le deidrogenasi dipendenti dai coenzimi flavinici, deidrogenano un composto
togliendo due idrogeni dai carboni adiacenti formando un doppio legame. Quando invece la
deidrogenasi è NAD o NADP dipendente, si ha la trasformazione di un gruppo alcolico
secondario in gruppo chetonico, o un gruppo alcolico primario in aldeide, con sottrazione di
due idrogeni a livello dello stesso atomo di carbonio. Con questa seconda ossidazione
abbiamo il β-idrossi-acil-coenzimaA deidrogenasi che è NAD dipendente, si riduce un NAD+
in NADH + H+ e si forma un gruppo chetonico. Abbiamo così il β-chetoacil-coenzimaA.

4. Il β-chetoacil-coenzimaA, da parte di un enzima che si chiama tiolasi, in presenza di un


coenzimaA libero, questo legame viene rotto e si forma un acil-coenzimaA con due atomi di
carbonio in meno e un acetilcoenzimaA. Quest’ultimo può immediatamente entrare nel ciclo
di Krebs e produrre 10 molecole di ATP. L’acido grasso accorciato di due atomi di carbonio
può riprendere la serie di queste 4 reazioni fino alla sua completa degradazione.
Mentre la degradazione avviene per sottrazione di unità bicarboniose, la sintesi degli acidi grassi
avviene per aggiunte di unità bicarboniose. Ma vi sono delle variazioni, perché i processi non sono
uno l’opposto dell’altro, perché hanno metaboliti, coenzimi, localizzazioni diversi. La beta
ossidazione è un processo mitocondriale, mentre la sintesi è citosolico.

Immaginiamo di valutare il bilancio energetico dell’acido grasso saturo più comune che si riscontra
nei nostri lipidi, ovvero l’acido
palmitico (16 atomi di C).
Dalla beta ossidazione di una
molecola di acido palmitico avremo
un bilancio netto di 106 molecole di
ATP. In realtà dalla completa
ossidazione del palmitronil coenzima
A non si ottengono 106, ma 108
molecole di ATP. Ma dobbiamo
sottrare quei due legami ad alta
energia che abbiamo usato per
l’attivazione dell’acido palmitico ad
acil-coenzima A.
• Per degradare un acido grasso a
16 atomi di carbonio, il ciclo si deve
ripetere 7 volte. In ogni giro si forma
un FADH2 e dalla catena respiratoria
si formerà 1,5 molecole di ATP; si formerà anche un NAD+ + H+ e dalla catena respiratoria si
formeranno 2,5 molecole di ATP. Quindi in totale si avranno 28 ATP che deriveranno dalla
riossidazione di FADH2 e NAD+ + H+ che si riducono nel processo.
• Abbiamo formato 8 molecole di acetil coenzima A, ciascuno dei quali, entrando nel ciclo di
Krebs, produrrà 10 molecole di ATP. Le 3 ossidazioni NAD dipendenti, 1 FAD dipendente, più
una a livello del substrato del succin-coenzimaA fanno 10. Se abbiamo formato 8 molecole
di acetil.coenzimaA, da ciascuna se ne possono formare 10, quindi avremo 80 molecole di
ATP.
• 80+28=108, a questo dobbiamo sottrarre i due che abbiamo utilizzato per l’attivazione.
• Bilancio netto di 106 ATP.

Processo di beta ossidazione per acidi grassi insaturi


Dobbiamo distinguere i monoinsaturi dai polinsaturi, perché devono intervenire enzimi diversi.
Cominciamo da un acido grasso monoinsaturo, come l’acido oleico a 18 atomi di carbonio, derivante
dallo stearico con un solo doppio legame tra gli atomi di carbonio 9 e 10. Il doppio legame è nella
configurazione cis.

1. Questo acido grasso inizia


la beta ossidazione partendo
dal carbossile e subirà tre cicli
di beta ossidazione.

2. Ad un certo punto, però,


piuttosto che avere un doppio
legame nella configurazione
trans tra gli atomi di
configurazione α e β, che è il
metabolita classico della beta
ossidazione, noi ritroviamo un
doppio legame cis tra gli atomi
di carbonio β e γ.

3. Interviene un enzima, che


è un’isomerasi, che trasforma
in una sola botta un doppio
legame β,γ-cis in un doppio
legame α,β-trans.

4. Dopo questa isomerizzazione, il processo può continuare attraverso l’idratazione, con la


formazione del β-idrossicil-coenzimaA e la successiva ossidazione NAD dipendente. È venuta
meno la deidrogenazione FAD dipendente. Ciò sta a significare che per ogni doppio legame
presente in un acido grasso, noi avremo una molecola di ATP in meno. Meno idrogeno da
togliere, meno possibilità di ossidare, minore potere calorico. Tuttavia, resta sempre una
molecola ad elevato potenziale energetico.
Le cose si fanno più complicate quando si ha a che fare con acidi grassi polinsaturi, in cui i doppi
legami possono comportare un altro problema. Facciamo l’esempio dell’acido linoleico che possiede
due doppi legami. Inizialmente il processo avviene come descritto precedentemente, dopo un certo
numero di cicli, ad un certo ci ritroviamo questi due doppi legami entrambi cis ed entrambi in
posizione non corretta. Qui interviene, oltre all’enzima detto per il caso dell’acido grasso
monoinsaturo, un altro enzima.

Interviene quell’isomerasi come nel caso precedente, che trasforma il primo doppio legame da β,γ-
cis a α,β-trans. Consente al processo di portare avanti un altro ciclo.
Relativamente all’altro doppio legame interviene una reduttasi NADPH dipendente. Essa riduce
questo doppio legame, quindi non c’è più l’insaturazione, e il processo continua.
Ciò ha comportato il consumo di
NADPH + H+, che anche se non
interviene nella catena
respiratoria, attraverso una trans-
idrogenasi potrebbe essere
+
formato da un NADH + H .

Quindi questo doppio legame ha


comportato la perdita di 2,5
molecole di ATP. Tuttavia, una
volta che è stato saturato,
interviene quello FAD dipendente.
Quindi di quei 2,5 ATP, 1,5 si
recupera.
Abbiamo perso una molecola di
ATP, ma questo ci ha permesso
comunque di beta ossidare gli acidi
grassi polinsaturi.

Ovviamente questo acido grasso


polinsaturo ha un potere calorico
leggermente più basso del
corrispondente acido grasso
saturo, dal momento che l’ATP
dipende dalla possibilità che il
substrato hanno di essere ossidati
e i coenzimi ridotti di essere
riossidati nella catena respiratoria.

N.B. Sono sempre doppi legami in posizione cis, mentre gli enzimi della beta ossidazione
riconoscono quelli trans.
Processo di beta ossidazione per acidi grassi a numero dispari di atomi di carbonio
Questi possono provenire da alcuni vegetali o da alcuni grassi presenti negli animali marini che sono
oggetto della nostra alimentazione. Essi vengono beta ossidati esattamente come gli acidi grassi a
numero pari di atomi di carbonio. L’unica differenza sta nel fatto che quando arriviamo alla fine,
piuttosto che avere un acido grasso a 4 atomi di carbonio, che è il butirril coenzima A, abbiamo un
acido grasso a 5 atomi di carbonio, ovvero il pentoil coenzima A.

Quest’ultimo, subendo l’ultimo


processo di beta ossidazione,
libera l’acetil coenzima A e
libera un frammento a tre atomi
di carbonio che è il propionil
coenzima A.

Vediamo quindi il metabolismo


del propionil coenzima A, il
quale può derivare da acidi
grassi a numero dispari di atomi
di carbonio, ma può derivare
anche dal catabolismo di alcuni
amminoacidi glucogenetici. Il
propionil coenzima A è l’unica
parte potenzialmente
glucogenetica di un acido
grasso.

Il metabolismo del propionil coenzima A si verifica in poche tappe:


1. La prima reazione a cui va incontro è una carbossilazione biotina dipendente, in cui
interviene lo ione bicarbonato, si consuma una molecola di ATP per formare il complesso
CO2 più l'enzima. Da un composto a 3 atomi di carbonio si forma un complesso a 4 atomi di
carbonio che è il D-metilmalonil-coenzimaA.
2. Quest’ultimo viene prima isomerizzato da un’epimerasi in L-metilmalonil-coenzimaA.
3. L’isomero levo, a questo punto, viene trasformato da una mutasi in succinil-coenzimaA in
una reazione di isomerizzazione che è una delle due reazioni che osserviamo in cui interviene
la vitamina B12.
4. Il succinil-coenzimaA va nel ciclo di Krebs.

N.B. per essere certi che l’anemia derivi da una carenza di vitamina B12, si va a dosare nel sangue o
nelle urine l’acido metil-malonico, perché se troviamo questo acido vuol dire che non si è convertito
in succinil-coenzimaA.

Il succinil-coenzimaA può essere teoricamente l’unica componente glucogenetica degli acidi grassi
a numero dispari di atomi di carbonio.
Concludendo
Sappiamo che la beta ossidazione è un processo
prevalentemente mitocondriale, ma in una certa misura,
si realizza anche in altri organelli subcellulari che possono
essere i perossisomi o i gliossisomi. Questi ultimi li
hanno le piante, noi possiamo parlare della beta
ossidazione perossisomale, che serve ad accorciare acidi
grassi a catena molto lunga (a 24/26 atomi di carbonio)
che non possono entrare nel sistema di shuttle della
carnitina.

Fisiologicamente, un acido grasso a catena molto lunga o anche a catena ramificata, che sono
presenti in alcuni vegetali, subiscono prima un accorciamento a livello perossisomale,
successivamente fuoriescono dal perossisoma e possono continuare a livello mitocondriale con il
processo visto prima.

C’è una differenza tra la beta


ossidazione perossisomale e
quella mitocondriale, ovvero la
prima ossidazione che è sempre
FAD dipendente, ma
la prima deidrogenazione non è
catalizzata da una deidrogenasi
ma da un’ossidasi (che sono delle
ossidoreduttasi che trasferiscono
direttamente l’idrogeno
all’ossigeno molecolare). Da
questa reazione si forma sempre
un FADH2 ma che viene scaricato
su un ossigeno molecolare e
quando un ossigeno molecolare
riceve due elettroni e due protoni
forma il perossido di idrogeno.
Quest’ultimo poi deve essere
degradato da una
catalasi/perossidasi per formare
acqua e quindi da questa reazione
non possiamo produrre energia.
Tuttavia, è stato utile per
accorciare questi acidi grassi che
non potrebbero essere utilizzati
dal sistema mitocondriale.

Successivamente, le reazioni avvengono allo stesso modo, si forma un NADH + H+ che però non può
avere accesso alla catena respiratoria, perché siamo nel perossisoma. Quindi questo NADH + H+
potrà mandare i componenti riducenti alla catena respiratoria tramite uno dei sistemi a spoletta.
L’acetil-coenzimaA poi deve essere esportato e può subire altre reazioni. È quindi un processo meno
efficiente, dal punto di vista energetico.

Negli alcolisti, questo processo è più spinto, perché il mitocondrio si arricchisce di NADH + H+ , tirato
fuori dall’alcol etilico, e pare che la beta ossidazione perossisomiale pigli il sopravvento rispetto a
quella mitocondriale. Ciò causa una maggiore produzione di specie reattive dell’ossigeno, come il
perossido di idrogeno.

Controllo della beta ossidazione


Il controllo della beta ossidazione
avviene soprattutto sulla carnitina
acil transferasi 1, tuttavia la
seconda deidrogenasi, quella
NADH dipendente, dipende molto
dal rapporto NADH/NAD. Maggiore
è questo rapporto, più questo viene
inibito.
In più la PKA che non soltanto va a
fosforilare enzimi attivandoli o
inibendoli che si trovano a livello
citosolico, ma va anche a fosforilare
la proteina Kreb che fa passare a
livello nucleare il segnale che
proviene dal glucagone e
dall’adrenalina. Questo Kreb, una
volta fosforilato, agisce a livello genico aumentando la sintesi di enzimi che intervengono nel
processo di beta ossidazione.
Oltre ad esserci un controllo sull’ingresso degli acidi grassi, sulla regolazione della seconda
deidrogenasi, c’è anche un controllo a livello genico.

L’acetil-coenzimaA
Questo composto proviene dalla degradazione di tutti i nutrienti. Il processo che più di altri lo utilizza
è il ciclo di Krebs. Tuttavia, l’acetil-coenzimaA può servire anche per processi biosintetici, che sono
fondamentalmente la sintesi degli acidi grassi e la sintesi del colesterolo. Questi sono processi
citosolici che partono dall’acetil-coenzimaA, in cui quest’ultimo, che viene prodotto quasi
esclusivamente a livello mitocondriale, dovrà fuoriuscire a livello di citrato.

Il citrato che si sintetizza a livello del ciclo di Krebs non per uscire, ma per continuare. Ma sappiamo
anche che il ciclo di Krebs è bloccato a valle e allora il citrato fuoriesce e inibisce la glicolisi, attiva la
sintesi degli acidi grassi e fornisce a questi processi biosintetici l’acetil-coenzimaA.

Esiste però una sintesi mitocondriale che è esclusiva del fegato e che porta alla formazione dei corpi
chetonici. Vi sono esclusivamente 3 corpi chetonici, che fisiologicamente noi li produciamo a livello
epatico, ma in piccolissima quantità. I corpi chetonici rappresentano una fonte speciale di energia
per certi tessuti.
Il fegato sintetizza questi corpi
chetonici, ma manca l’enzima
chiave della loro metabolizzazione.
Per cui, il fegato li produce, li
esporta e questa poca quantità di
corpi chetonici vengono utilizzati
dal muscolo cardiaco e dal muscolo
scheletrico con formazione di ATP e
di energia, perché poi si formerà
l’acetil-coenzimaA.

In condizioni di digiuno spinto o di


diabete scompensato, in cui nel
primo caso non si dispone di
glucosio, mentre nel secondo caso il
sangue, ricco di zuccheri, ma le
cellule sono affamate, perché è
l’insulina che consente l’ingresso del glucosio nel muscolo e nell’adipocita o la corretta
metabolizzazione negli altri tessuti dove l’insulina non interviene all’ingresso, ma interviene nel
metabolismo. In queste condizioni il fegato produce una quantità maggiore, e non più fisiologica, di
corpi chetonici. In questo modo si porta l’organismo alla situazione di acidosi/chetoacidosi/acetone
che se non compensata adeguatamente può anche portare alla morte.

Questo è un discorso a cui possono andare incontro i bambini, per il somatotropo. In questi casi si
deve somministrare tanto zucchero per migliorare il ciclo di krebs, perché è la carenza di
ossalacetato che smista le acetil-coenzimaA in eccesso, che proviene dalla beta ossidazione, verso
la sintesi dei gruppi chetonici. Perché l’ossalacetato deriva dalla prima reazione anaplerotica del
ciclo di krebs, ovvero la piruvato carbossilasi. Il piruvato deriva dal glucosio, per cui, durante il
digiuno, l’ossalacetato viene spinto verso la glucogenesi, viene meno l’ossalacetato per complessare
l’acetil-coenzimaA a citrato. L’eccesso di acetil-coenzimaA viene dirottato verso un processo che è
la sintesi dell’ubichinone. Non è la sintesi degli acidi grassi o del colesterolo perché questi processi
che richiedono molto NADPH. Quest’ultimo è prodotto dalla via dei pentosi, che nasce sempre dal
glucosio o dall’enzima malico, che parte sempre dal glucosio.

Dal punto di vista fisiologico, i corpi chetonici prodotti dai mitocondri epatici dall’acetil-
coenzimaA sono:
1. Acetoacetato
2. β-idrossibuttirato
3. Acetone (ma in misura minore)
Sono fonti di energia per il muscolo cardiaco e scheletrico, ma anche per il cervello in condizioni di
digiuno spinto, in cui quindi i corpi chetonici possono attraversare la membrana encefalica.
Normalmente il cervello non ha
gli enzimi della chitolisi, ma nel
digiuno spinto ne reprime la
sintesi e può utilizzare
un’alternativa al glucosio. In
queste condizioni quindi può
risparmiare glucosio e utilizzare a
scopo energetico i corpi
chetonici. Ma se parliamo di
cervello, parliamo di NON
fisiologico, mentre se parliamo di
muscolo cardiaco e scheletrico
parliamo anche di quella piccola
concentrazione che
fisiologicamente tutti producono.

La chetogenesi è strettamente correlata alla lipolisi periferica e alla beta ossidazione. Dall’acetil-
coenzimaA si forma l’acido acetoacetico, dal quale si forma il β-idrossibutirrico, mentre l’acetone si
forma in quantità minori. Il fegato non può utilizzare i corpi chetonici, quindi fuoriescono.
Il β-idrossibutirrato viene ossidato ad acetoacetato, il quale viene scisso in due di acetil-coenzimaA
che andranno nel ciclo di krebs e porteranno alla formazione di ATP.
Questo vale sia nel fisiologico che nel patologico, ma si devono distinguere le due cose.
Chetogenesi à fisiologico
È un processo esclusivo del mitocondrio dell’epatocita, parte dalla condensazione di due molecole
di acetil-coenzimaA, che attraverso un enzima, che è una tiolasi, catalizza un po' la reazione inversa
dell’ultima reazione della beta ossidazione. Si forma l’acetoacetil-coenzimaA che è un composto
fortemente instabile. L’equilibrio di questa reazione è fortemente spostato verso la scissione.

Uno dei motivi per cui avviene la chetogenesi è la liberazione del coenzimaA che può servire al
mitocondrio per produrre l’acetil-coenzimaA anche dal piruvato o dalla beta ossidazione.

La seconda reazione prevede l’aggiunta di una terza molecola di acetil-coenzimaA per formare un
composto a sei atomi di carbonio che è il β-idrossi-β-metilglutaril-coenzimaA o 3-idrossi-3-
metilglutaril-coenzimaA. Questo composto ha una sua stabilità.

Queste prime tappe coincidono con quelle della sintesi del colesterolo, ma qui siamo nel
mitocondrio dell’epatocita, lì siamo nel citosol di tutte le cellule.

Quando si forma il β-idrossi-β-metilglutaril-coenzimaA, adesso c’è una liasi che stacca l’acetil-
coenzimaA e ora si ha l’acido acetoacetico. Questa aggiunta e sottrazione di acetil-coenzimaA di
fatto serve a togliere il coenzimaA all’aceto-acetil-coenzimaA. Quest’ultimo è instabile, mentre
quello che si forma è stabile.

L’acido acetoacetico viene ridotto a il β-idrossibutirrato, che è il corpo chetonico che si forma in
maggiore quantità nel fegato. Però l’acetoacetato può anche formare l’acetone attraverso una
reazione di decarbossilazione che può essere anche spontanea quando vi sono grandi quantità di
acetoacetato, e quindi non stiamo più parlando di fisiologico. Questa reazione potrebbe anche
essere catalizzata da una carbossilasi.

Comunque la quantità di acetone, per quanto riguardala fisiologica produzione dei corpi chetonici,
è virtualmente zero. L’acetone si produce solo quando siamo in situazione di chetoacidosi, ma è
sempre quello che si produce in quantità minore rispetto agli altri 3. Tuttavia, è l’unico che riusciamo
a percepire con il naso. L’acetone è la spia, ma la causa della morte è data dagli altri due corpi
chetonici che sono acidi e, con la chetoacidosi con l’abbassamento del pH, si hanno del pKa
incompatibili con la vita.

Chetolisi
Questi corpi chetonici possono essere utilizzati con la chetolisi. Il fegato manca dell’enzima chiave
della chetolisi, per cui i corpi chetonici vanno in circolo e sono utilizzati dagli organi che li possono
utilizzare (sempre a livello fisiologico) à muscolo cardiaco e scheletrico, con il patologico ci
aggiungiamo il cervello.

La chetolisi consiste nel fatto che il il β-idrossibutirrato può essere deidrogenato ad acetoacetato e
si forma un NADH + H+, che significano 2,5 molecole di ATP (reazione reversibile di ossidazione e
riduzione). Lo scopo è quindi trasformare l’acetoacetato in aceto-acetil-coenzimaA. L’enzima che
manca al fegato è la tioforasi o il β-chetocil-coenzimaA-transferasi che trasforma l’acetoacetato in
aceto-acetil-coenzimaA prendendo il coenzimaA dal succinil-coenzimaA. Questo tessuto è presente
nei tessuti che utilizzano i corpi chetonici.
Quindi in questo processo,
interviene il succinil-
coenzimaA, si libera sotto
forma di succinato e ha
trasformato l’acetoacetato
in aceto-acetil-coenzimaA
che immediatamente viene
scisso in due di acetil-
coenzimaA. Qui si formano
20 molecole di ATP, e ha
perso l’unico ATP che si
forma dal succinil-
coenzimaA, per cui
abbiamo un bilancio di 19
molecole di ATP a cui
dobbiamo aggiungere i 2,5
di prima.
Biochimica 10 Dicembre

Sintesi degli acidi grassi


Tra i due processi, quello che fu scoperto e chiarito per prima fu la beta ossidazione. Dal momento
che anche la sintesi avveniva per somma di unità bicarboniose, mentre la beta ossidazione è la
sottrazione di queste unità, inizialmente si pensava che questi due processi fossero uno l’opposto
dell’altro. La somiglianza in questi due processi la si riscontra anche nella sequenza dei processi,
perché quella della sintesi degli acidi grassi è uguale e opposta alla sequenza della beta ossidazione.
Infatti, un ciclo di beta ossidazione si realizza in quattro tappe (ossidazione, idratazione, ossidazione
e scissione); nella sintesi avvengono esattamente le stesse tappe ma al contrario:
• Condensazione;
• Riduzione;
• Deidratazione;
• Riduzione.

In realtà oltre queste somiglianze, ci sono molte differenze tra i due processi.
Noi sappiamo che il grosso delle calorie noi lo immagazziniamo del nostro tessuto adiposo sotto
forma di grasso, per cui possiamo stare digiuni per settimane mantenuti da questo sistema.

DIFFERENZE:
1. Diversa localizzazione à la sintesi avviene nel citosol, come la maggior parte dei processi
biosintetici. La degradazione avviene nel mitocondrio come avvengono tutti i processi
degradativi ad eccezione della glicolisi. La sintesi degli acidi grassi avviene dopo un pasto
ricco di carboidrati, la degradazione avviene a digiuno. Nella sintesi il rapporto
insulina/glucagone è elevato, nella degradazione è basso.

2. Gli intermedi della sintesi sono legati sempre a gruppi sulfidrilici, però, mentre quelli della
degradazione sono tutti acil-tioesteri del CoA, qui invece sono legati due gruppi sulfidrilici.
Uno che appartiene a un gruppo sulfidrilico di una cisteina della proteina che interviene nella
sintesi, e l’altro che appartiene ad una proteina, che in realtà è un dominio, dell’acido grasso
sintasi che ha come gruppo prostetico la 4-fosfopantoteina, che non è altro che una porzione
del coenzimaA.

3. Gli enzimi della beta ossidazione sono quattro enzimi diversi presenti nella matrice
mitocondriale. Mentre, per quanto riguarda l’enzima che sintetizza a livello citosolico, esso
è un enzima multifunzionale. È una grande catena polipeptidica che contiene diversi domini
in grado di catalizzare tutte le reazioni del processo biosintetico. Un dominio porta il gruppo
prostetico sopra citato, che possiede il gruppo sulfidrilico dove i vari intermedi metabolici si
vanno a legare.
N.B. prima non si parlava di enzima multifunzionale, ma di complesso multienzimatico
formato da enzimi diversi e da una proteina trasportatrice perché allora il processo era stato
descritto in escherichia coli. In realtà, nei batteri ancora oggi le cose stanno così, ma negli
organismi superiori è avvenuto un processo di fusione genica ed adesso c’è un’unica grande
proteina che catalizza queste 4 tappe.

4. Mentre le due ossidazioni della beta ossidazione sono una FAD e l’altra NAD dipendente, e
questi coenzimi ridotti accederanno per vie diverse alla catena respiratoria, le due riduzioni
che avvengono a livello citosolico nella sintesi richiedono entrambe come agente riducente
il NADPH. Ciò è a conferma del fatto che la differenza tra NAD e NADP è che le reazioni NAD
dipendenti sono prevalentemente mitocondriali e il NAD ridotto ha come destino principale
l’accesso alla catena respiratoria; mentre le reazioni NADP dipendenti sono
prevalentemente citosoliche e il NADP ridotto agisce da agente riducente e una grande
quantità viene consumata nei processi di biosintesi riduttiva. Quest’ultimi sono i processi di
sintesi degli acidi grassi e sintesi del colesterolo.

5. Nella biosintesi, l’acetil-CoA che viene utilizzato, solo una molecola interviene come tale,
mentre le altre molecole non interverranno come acetil-CoA ma come malonil-CoA
(intermedio della sintesi).

Noi parliamo di sintesi ex novo di acidi grassi, in realtà sintetizziamo un unico acido grasso, ovvero
l’acido palmitico (acido grasso saturo più comune).
Quindi è l’unico acido grasso che possiamo sintetizzare? Attraverso questo processo di sintesi ex
novo si! Nella realtà, una volta che abbiamo sintetizzato questo acido grasso possiamo allungarlo,
in teoria anche accorciarlo, possiamo desaturarlo formando i corrispondenti acidi monoinsaturi (dal
palmitico al palmitoleico etc), ma le desaturasi non possono produrre doppi legami in punti vicini al
metile terminale perché questi che si formerebbero sono acidi grassi insaturi ed essenziali (che noi
non possiamo produrre).

Come sintetizziamo l’acido palmitico?


Sappiamo che questo è formato da 16 atomi di carbonio, abbiamo quindi bisogno di 8 molecole di
acetil-CoA (che si produce nel mitocondrio, perché proviene dal piruvato che proviene dalla glicolisi,
ma potrebbe provenire anche dal catabolismo degli amminoacidi se abbiamo fatto una dieta
iperproteica à proviene dal glucosio/amminoacidi in eccesso).
Di queste otto, solo una interverrà come acetil-CoA, le rimanenti interverranno come malonil-CoA.
Pertanto, il processo prima di iniziare, deve prevedere la formazione di malonil-CoA dall’acetil-CoA.
Ciò si verifica attraverso un enzima che si chiama acetil-CoA carbossilasi o malonil-CoA sintetasi un
processo di carbossilazione biotina dipendente, quest’enzima che ancora non è quello che va a
sintetizzare l’acido grasso ma quello che produce questo metabolita indispensabile, costituisce il
punto di regolazione.
Il punto chiave di regolazione non avviene sulla sintesi dell’acido grasso ma sulla sintesi del malonil-
CoA.
Se noi utilizziamo 7 molecole di malonil-CoA significa 21 atomi (7x3) di carbonio più 2 quelle di acetil-
CoA, fanno 23 atomi di carbonio, ma noi dobbiamo arrivare a 16.
In realtà succede che:
• L’acetile viene carbossilato a malonile in una reazione biotina dipendente, il che richiede una
molecola di ATP per ogni carbossilazione.
• Durante la prima condensazione del primo acetile con il malonile, o di ciò che si forma con
gli altri malonili, avviene una decarbossilazione e la CO2 che viene liberata è la stessa che
viene utilizzata prima nel processo di carbossilazione. Siccome quest’ultimo richiede ATP, la
domanda è: che senso ha carbossilare per poi decarbossilare?
La motivazione è spingere termodinamicamente un processo che altrimenti sarebbe
sfavorito.
• A guidare termodinamicamente l’allungamento della catena vi sono il potere riducente del
NADPH e la decarbossilazione del malonile. La catena si allunga fino a 16 atomi per formare
l’acido palmitico e arrivati a questa lunghezza, gli enzimi non sono più in grado di allungarlo.
Quindi l’acido palmitico si stacca e si libera.
• L’acido palmitico verrà successivamente utilizzato in processi di sintesi lipidica. Per evitare
che il palmitico possa entrare nel mitocondrio ed essere degradato il malonil-CoA è un
inibitore della carnitina-acil-transferasi 1.

Coma fa l’acetil-CoA a uscire dal mitocondrio ed andare nel citosol?


Esce via citrato perché la membrana
mitocondriale interna è impermeabile
all’acetil-CoA. Il citrato si forma nella
prima tappa del ciclo di Krebs dalla
condensazione dell’acetil-CoA con
l’ossalacetato. Il citrato, ovviamente non
si forma per uscire, ma per continuare le
tappe del ciclo di Krebs. Ma quando il
rapporto ATP/ADP è elevato e il rapporto
NADH/NAD è elevato, l’isocitrico
deidrogenasi e l’!-chetoglutarato
deidrogenasi si inibiscono; la citrato
sintetasi rallenta ma non si blocca, il
citrato aumenta di concentrazione
raggiunge la costante di dissociazione
della sua traslocasi à il citrato esce.
Una volta che esce, agisce da effettore allosterico negativo della glicolisi perché il citrato è un
inibitore allosterico della fosfofruttochinasi 1.
Il citrato è il principale effettore allosterico positivo della acetil-CoA carbossilasi o della malonil-CoA
sintetasi. Esso inoltre fornirà a quest’enzima il substrato. In particolare, prima di essere scisso agisce
come effettore allosterico positivo (e negativo della fosfofruttochinasi1). Esso viene scisso da un
enzima che si chiama ATP citrato liasi. Perché ci vuole ATP per scindere?
Perché non c’è voluto ATP nella condensazione perché si è sfruttato il legame acil-tioestereo
dell’acetil-CoA, ma adesso ci vuole ATP, perché nella scissione si deve formare l’ossalacetico e
l’acetil-CoA. Siccome entrambe le reazioni sono esoergoniche, una quota di energia si perde sotto
forma di calore, nella scissione non c’è più energia sufficiente a riformare il legame acil-tioestereo
dell’acetil-CoA, sicché richiede una molecola di ATP.

A questo punto l’acetil-CoA è pronto per la sintesi degli acidi grassi, ma si è formato l’ossalacetico
che deve rientrare nel mitocondrio. Viene quindi ridotto a malato (sistema malato-aspartato), e può
rientrare secondo due modalità:
1. L’ossalacetico viene ridotto a malico
dalla malico deidrogenasi citosolica.
Entra e viene riossidato ad ossalacetico
e ricondensato con un acetil-CoA per
formare citrato.
2. Ma se in questo momento occorre
molto NADPH à il malato, piuttosto
che rientrare come malico, rientri
come piruvato, in quanto è diventato
substrato dell’enzima malico.
Quest’ultimo, nel citosol, trasforma il
malico in piruvato, avviene quindi una
decarbossilazione ossidativa durante la quale si verifica
la riduzione di un NADP in NADPH, perché l’enzima
malico è NADP dipendente e non NAD dipendente. Da
calcoli effettuati con una certa imprecisione, si ritiene
che dei 14 NADPH che serviranno alla sintesi degli acidi
grassi, la metà provenga orientativamente dalla via dei
pentosi e l’altra metà provenga dall’enzima malico.
Quindi quest’ultimo deve supportare la biosintesi degli
acidi grassi producendo quel NADPH che il processo
necessita, dal momento che non serve soltanto l’acetil-
CoA, ma anche NADPH. Per questo processo di
biosintesi riduttiva, per ogni molecola di palmitato che
viene sintetizzato, si richiedono 14 molecole di NADPH.
In minima parte, anche l’isocitrico deidrogenasi citosolico NADP dipendente può contribuire
a fornire un po' di NADPH.
Se questo si verifica, il piruvato che rientra, per ridiventare ossalacetato e partecipare a
questo ciclo, deve essere carbossilato dalla piruvato carbossilasi, la quale richiede un’altra
molecola di ATP.
Tutto ciò ci fa capire che il bilancio di sintesi degli acidi grassi sia fortemente endoergonico,
che richiede un FOTTIO di ATP. Perché secondo questo metodo, per ogni acetil-CoA che
fuoriesce, si consumano 2 molecole di ATP: una dell’ATP-citratoliasi e l’altra dalla piruvato
carbossilasi. Un altro ATP si consumerà all’interno con l’acetil-CoA carbossilasi e poi i 14
NADPH, teoricamente sono 14 NADH attraverso le transidrogenasi, e ogni NADH significa 2,5
molecole di ATP. Se facessimo la somma complessiva di ATP che si richiede per formare
l’acido palmitico, essa sarebbe ben maggiore delle 106 molecole che otteniamo dalla
degradazione. L’ATP che si richiede nella sintesi è sempre maggiore di quello che si richiede
nella degradazione dello stesso composto, perché tutti i processi devono avere ∆# negativi.
Cosa succede all’acetil-CoA una volta fuori?
Esso deve essere carbossilato a malonil-CoA, dal momento che su 8 molecole di acetil-CoA solo una
reagisce come tale, le altre intervengono sotto forma di malonil-CoA. Già questo significa 7 molecole
di ATP, perché questa carbossilazione è biotina dipendente à significa una molecola di ATP quando
si forma il complesso CO2 biotina-enzima e quindi successivamente alla carbossilazione non
richiederebbe ATP.

Le carbossilasi hanno due siti.


In un primo tempo, la biotina
legata ad un amminoacido si
lega allo ione bicarbonato e
poi passa all’altro sito e va a
carbossilare l’acetile a
malonile. Abbiamo visto una
cosa simile del piruvato ad
ossalacetato o del propionil-
CoA a metil-malonil-CoA.
A questo punto è presente l’acido grasso sintetasi, è un unico enzima multifunzionale che presenta
più domini, ciascuno dei quali in grado di catalizzare una delle reazioni necessarie a questo processo.
Tra i domini ce ne è uno chiamato ACP (in escheria coli era una
proteina a sé) che significa acil carrier protein. È la proteina
trasportatrice di acili che ha un gruppo SH importante che non è della
proteina, ma di un gruppo prostetico della proteina (4-fosfo-
pantoteina) che non è altro che una porzione del CoA. Quest’ultima si
lega all’ACP. La 4-fosfo-pantoteina è invece legata a un residuo di
serina di quel dominio.

Un altro dominio di questo enzima multifunzionale, possiede un altro


SH, che non è altro che un gruppo sulfidrilico di una cisteina. I vari
metaboliti, a mano a mano che si sintetizza l’acido grasso, passeranno
da un gruppo sulfidrilico all’altro. Quindi sono sempre legati a un
gruppo SH, ma mentre nella beta ossidazione era il gruppo sulfidrilico
del CoA (sotto forma di acil-tioesteri del CoA), questa volta invece
fanno la spola tra il gruppo sulfidrilico principale, che è quello dell’ACP,
e un gruppo sulfidrilico “di parcheggio” che è quello della cisteina. Lo
chiamiamo di parcheggio perché, alternativamente, dopo la reazione
il metabolita intermedio viene “parcheggiato” e poi ripreso
successivamente.
In realtà, il sistema funziona come un dimero, perché dal momento che c’è una certa distanza tra il
gruppo sulfidrilico della cisteina e quello dell’ACP, se due acido grasso sintasi si accoppiano con un
sistema testa-coda, in pratica i metaboliti che devono passare dal gruppo sulfidrilico principale a
quello di parcheggio (e viceversa); quando due acido grasso sintetasi si accoppiano si vede che i due
gruppi sulfidrilici dello stesso enzima sono molto lontani e non c’è possibilità di passarsi metaboliti.
Quando due si accoppiano il gruppo SH della cisteina di uno dei due enzimi collabora con il gruppo
ACP dell’altro e viceversa. In questo modo, contemporaneamente si vengono a sintetizzare due
molecole di acido palmitico.

Nei batteri e nelle piante, il complesso è formato da sei enzimi diversi più l’ACP. Nel lievito è formato
da due polipeptidi diversi, nei vertebrati è un’unica catena polipeptidica, un unico enzima
multifunzionale.

Tutti i processi che partono dall’acetil-CoA:


• Sintesi dei gruppi chetonici (mitocondriale) e avviene solo nell’epatocita;
• Sitensi del colesterolo è citosolica e avviene in tutte le cellule;
• Sintesi degli acidi grassi.
In questi 3 processi, c’è sempre la condensazione di due molecole di acetil-CoA, solo che nella sintesi
degli acidi grassi, in realtà condensano una di acetil-CoA e una di malonil-CoA. Si deve fare una
considerazione di tipo termodinamico.

La condensazione di due molecole di acetil-CoA per formare l’acetoacetil-CoA è una reazione


sfavorita termodinamicamente (equilibrio spostato verso la scissione). Per la sintesi dei corpi
chetonici e per quella del colesterolo, l’equilibrio si sposta verso destra sommando una terza
molecola di acetil-CoA. In questo modo si lega all’unica molecola di acetoacetil-CoA in un equilibrio
fortemente spostato verso le due di acetil-CoA; per cui sottraendo sempre da uno si sposta
l’equilibrio verso la sintesi di un composto a 6 atomi di carbonio che è il $-idrossi-$-metilglutaril-
CoA. Le prime tappe della sintesi del colesterolo coincidono con le prime tappe della sintesi dei corpi
chetonici, però la sintesi del colesterolo è citosolica e avviene in tutte le cellule, quella dei corpi
chetonici avviene solo nel mitocondrio dell’epatocita.

La condensazione di questa terza molecola per formare un composto stabile e spostare l’equilibrio
verso destra in una reazione termodinamicamente sfavorita.

La strategia usata dall’evoluzione nella sintesi degli acidi grassi è un po' diversa, ma il problema è
sempre lo stesso: spingere termodinamicamente una reazione termodinamicamente sfavorita. Qui,
piuttosto che condensare due di acetil-CoA che è termodinamicamente sfavorita, si condensa una
di acetile più una di malonile e contemporaneamente alla condensazione avviene la
decarbossilazione.

Quindi, prima abbiamo carbossilato un acetile a malonile consumando una molecola di ATP e
immagazzinando una quota dell’energia nel legame chimico che si ha nel malonile. Quando poi si
condensa l’acetile con il malonile, e subito dopo si verifica la decarbossilazione, quest’ultima libera
quell’energia che sposta l’equilibrio verso destra, ovvero verso la condensazione. La CO2 che si
libera è la stessa che si è utilizzata prima e sappiamo che per carbossila si è consumato ATP. Quindi
la carbossilazione seguita da decarbossilazione è servita per spostare l’equilibrio.
La sequenza della sintesi degli acidi grassi
Quando si formerà il palmitato,
quest’acetil-CoA in giallo darà gli
atomi di carbonio 15 e 16. In
particolare, il metile di questo
acetile sarà il metile omega
dell’acido palmitico.

Il processo inizia con l’acido


grasso sintasi che con l’SH
dell’ACP si acchiappa l’acetil-CoA
e lo va a parcheggiare nel gruppo
SH della cisteina. Resta libero l’SH
dell’ACP e si va a pigliare il primo
malonile. Forma quindi prima
l’acetil-ACP e ora il malonil-ACP.
Quest’ultimo va a pigliare l’acetile
che è parcheggiato, avviene la
condensazione e la
decarbossilazione e si forma
l’acetoacetil-ACP. Tutto viene
legato al gruppo sulfidrilico
principale.

L’acetoacetil-ACP, con questo


braccio mobile della 4-
fosfopantoteina, va incontro ad
una prima riduzione NADPH
dipendente che avviene in un
altro dominio della stessa
molecola. A questo punto si forma
un $-idrossiacile-ACP.

Vediamo appunto le reazioni della


beta ossidazione al contrario.
Infatti la seconda ossidazione NAD
dipendente trasformava un
gruppo ossidrilico in uno
chetonico; qua abbiamo un
gruppo chetonico trasformato in
uno ossidrilico.
Poi avviene una deidratazione e
si forma un doppio legame.
Si forma un alfa,beta-insaturo

Avviene una seconda riduzione.

Abbiamo quindi trasformato,


attraverso queste tre reazioni
dopo la condensazione,
l’acetoacetato (acido grasso a 4
atomi di carbonio insaturo) lo
abbiamo trasformato nell’acido
grasso saturo a 4 atomi di
carbonio à acido butirrico.
Abbiamo quindi formato il
butirril-ACP.

Quando questa serie di quattro reazioni si è completata, il butirril-ACP va a parcheggiare l’acido


butirrico sull’SH della cisteina e si va a prendere il secondo malonile. Si forma il malonile-ACP, va
dov’era parcheggiato il butirrile, si lega a questo (decarbossilazione) e forma un acido grasso a 6
atomi di carbonio insaturo à riduzione à deidratazione à riduzione à si forma l’acido esanoico
legato all’ACP che viene parcheggiato nell’SH di parcheggio e si va a pigliare l’altro malonile.
Questo procedimento si ripete 7 volte fino a formare il palmitoil-ACP. A questo punto, con un
meccanismo, che ancora non si capisce come funziona, questo palmitoil-ACP viene scisso da un altro
dominio che ha l’attività idrolasica, scinde il legame tioestereo, libera l’acido palmitico e il sistema
torna a essere libero.
N.B. 6 molecole di acqua e non 7, perché una viene utilizzata nell’idrolisi del palmitoil-ACP.

Regolazione del processo


Il punto principale della regolazione di questo processo è l’acetil-CoA carbossilasi. L’acetil-CoA è
formato da 21 protomeri, a sua volta, ogni protomero è formato da 3 subunità che sono diverse nei
batteri, ma nell’uomo fanno parte di un unico polipeptide.

Questo enzima è sempre più attivo quanto più polimerizza, raggiungendo dimensioni visibili dal
microscopio elettronico. Quando invece le subunità si staccano, questo enzima è meno attivo e
subisce diverse modalità di controllo:
1. Controllo allosterico attraverso effettori positivi e negativi;
2. Controllo per modificazione covalente e reversibile di fosforilazione e defosforilazione.
Quando un enzima è fosforilato dalla
PKA, questa è attivata da ormoni tipo
adrenalina e glucagone, che
attraverso la cascata dell’AMP-ciclico,
intervengono in processi degradativi.
Mentre l’insulina favorisce la forma
defosforilata di tutti quegli enzimi che
sono stati fosforilati dalla PKA,
attivando la PP1. Dal momento che noi
stiamo parlando di un enzima
biosintetico, è attivo in forma
defosforilata. Al contrario la forma
fosforilata è attiva per enzimi
degradativi.

Il citrato è un effettore allosterico positivo dell’enzima perché ne facilita la polimerizzazione. In


presenza di acetil-CoA o in assenza di citrato, la forma polimerica si dissocia, inattivandosi nei
protomeri costituenti.

Il palmitoil-CoA e il malonil-CoA possono essere effettori allosterici negativi, perché se quest’ultimo


non viene drenato dalla sintesi degli acidi grassi, e la sua concentrazione aumenta, così come la
concentrazione del palmitoil-CoA, con una specie di retroinibizione di tipo feedback da parte del
palmitico o con una specie di inibizione da prodotto da parte del malonil-CoA, il processo viene
inibito. Se aumenta la concentrazione del palmitico si favorisce la depolimerizzazione.
Essi sono quindi inibitori allosterici favorendo la forma monomerica.

Anche il glucagone e l’adrenalina, innescano la fosforilazione e quindi l’inattivazione, mentre


l’insulina favorisce la forma defosforilata attivando la PP1.

La fosforilazione, che inattiva l’enzima, può essere catalizzata sia da PKA (dipendente da adrenalina
e glucagone), sia da AMP chinasi (chinasi che viene attivato dall’AMP che è la forma più scarica del
nucleotide adenilico). Quando l’AMP aumenta siamo in una situazione di notevole povertà. Questa
chinasi AMP dipendente va a fosforilare l’acetil-CoA carbossilasi.

Quindi la fosforilazione PKA o AMPK dipendente inibisce la defosforilazione PP1 dipendente.

Allungamento della catena dell’acido grasso


Possiamo allungare la catena dell’acido palmitico e ottenere l’acido stearico. La sintesi avviene a
livello di reticolo endoplasmatico. Si realizza con le stesse modalità della sintesi detta prima, però
non c’è un acido grasso sintetasi che si complessa, in pratica si parte da un malonil-CoA e da alcuni
enzimi che in successione catalizzano le 4 reazioni viste prima.

L’acido palmitico a 16 atomi di carbonio, utilizzando un altro malonil-CoA e la sequenza di reazioni


viste prima, diventa acido stearico a 18 atomi di carbonio. Quest’ultimo può diventare con un
discorso analogo a 20/22 atomi di carbonio.
Siamo in grado anche di desaturare l’acido stearico in acido oleico o l’acido palmitico a palmitoleico.
Solo nelle piante è possibile che avvengano le desaturazioni che porteranno agli acidi grassi
polinsaturi.
Le desaturasi che i nostri enzimi sono capaci di catalizzare sono quelle lontano dal carbonio omega,
perché le nostre desaturasi possono agire e possono produrre un doppio legame a patto che tra il
carbonio omega e il doppio legame che sono in grado di produrre ci sono almeno 5 CH2. Questo
non accade per gli acidi grassi polinsaturi che sono essenziali.

Affinché l’acido palmitico diventi palmitoleico, la reazione prevede l’intervento di un ossigeno


molecolare e di un’ossigenasi. In presenza di ossigeno e di un donatore di idrogeno (NADH +H+)
vengono sottratti due atomi idrogeno, che insieme agli altri due atomi di idrogeno ceduti dal NADH
+H+ e una molecola di ossigeno formano due molecole d’acqua. Questa reazione è catalizzata da
una monossigenasi che consente ad un acido grasso saturo di diventare insaturo con un enzima che
si chiamo desaturasi in grado di produrre doppi legami in posizioni particolari.
SINTESI DEL COLESTEROLO
Anche questo processo biosintetico avviene a livello citosolico, in particolare a livello del reticolo
endoplasmatico. È un processo di biosintesi riduttiva che parte dall’acetil-CoA, in cui occorre molto
ATP e NADH +H+.
Questo colesterolo servirà per molte cose. È un componente di tutte le membrane. Tutte le cellule
lo possono sintetizzare o ricevere dall’esterno attraverso le LDL con l’internalizzazione recettore
mediato. Il colesterolo, oltre ad essere un componente delle biomembrane, è un precursore degli
ormoni steroidei e sessuali e degli acidi e Sali biliari.

La sintesi del colesterolo si verifica in 4 fasi:

1. La prima fase, che avviene nel citosol, è quella che da tre molecole di acetil-CoA si forma
l’acido melavonico che è un composto a 6 atomi di carbonio.
Le prime tappe coincidono con quelle della sintesi dei corpi chetonici. Quest’acido deriva dal
$-idrossi-$-metilglutaril-CoA che viene ridotto dall’HMG-CoA reduttasi, che è la tappa
limitante e di controllo principale della sintesi del colesterolo (l’HMG-CoA reduttasi è il sito
di azione dei farmaci, statine, che abbassanno la colesterolemia). Esso è il recettore delle
LDL, quando questo non si sintetizza è la causa dell’ipercolesterolemia.
• All’inizio partiamo dall’acetil-CoA che con una condensazione forma l’acetoacetil-
CoA. Sappiamo che questa reazione è fortemente spostata verso la scissione.
• Per questo motivo aggiungiamo una terza molecola di acetil-CoA e formiamo il $-
idrossi-$-metilglutaril-CoA.
• Quest’ultimo, mediante una doppia riduzione NADPH dipendente, forma l’acido
mevalonico. Esso è la forma ridotta dell’HMG-CoA.
2. La seconda fase serve a formare, dall’acido melavonico, l’unità isoprenica di base.
Quest’ultima è a 5 atomi di carbonio, da cui derivano tutte le sostanze isoprenoidi naturali.
In particolare cosa succede?
• L’acido mevalonico viene prima fosforilato da una melavonato chinasi ATP
dipendente e forma il 5-fosfomelavonico.
• Una seconda fosforilazione ATP dipendente forma il 5-pirofosfo-melavonico.
• Una terza fosforilazione ATP dipendente forma un intermedio che decarbossila e di
conseguenza siamo passati da un composto a 6 atomi di carbonio ad uno a 5. Questo
composto si chiama isopentenil-piro-fosfato.
• Questa è un’unità isoprenica di base che può isomerizzare in un’altra unità isoprenica
che si chiama dimetil-allil-piro-fosfato.
• Da queste unità isopreniche di base non si può formare solo il colesterolo e i suoi
derivati, ma anche le gomme naturali, i dolicoli (sostanze che intervengono nella
sintesi delle glicoproteine), il Q10, la vitamina A, la vitamina E, la vitamina K…

3. La terza fase vede:


• La condensazione testa-coda di un’unità isoprenica di isopentenilpirofosfato e una
di dimetilallilpirofosfato;
• Si libera un pirofosfato e si forma un composto a 10 atomi di carbonio che si chiama
geranilpirofosfato.
• Quest’ultima condensa con un’altra di isopentenil e si forma un composto a 15 atomi
di carbonio che si chiama farnesilpirofosfato.
• Due molecole di farnesilpirofosfato condensano insieme a formare un composto a
30 atomi di carbonio che è lo squalene (isolato per la prima volta dal fegato di uno
squalo). In questa condensazione si utilizza del NADPH. Questo composto è ancora
lineare.
• Lo squalene in presenza di altro NADH + H+ forma un intermedio: 2,3-epossido. Da
questo si formano i fitosteroli (nelle piante), quelli presenti nei funghi e gli zoosteroli
presenti negli animali, che formano prima il lanosterolo.

4. Nella quarta fase vi è la trasformazione dello squalene, prima in lanosterolo e poi in


colesterolo (che ha 27 atomi di carbonio).

Occorrono 18 molecole di acetil-CoA per formarne una di colesterolo, che significano 36 atomi di
carbonio di partenza. Poi ci sono 6 decarbossilazioni e si arriva a 30 (squalene) e si arriva a 27 con
20 reazioni molto complesse che trasformano il lanosterolo in colesterolo. I tre atomi di carbonio
escono fuori sotto forma di decarbossilazione.

Come è regolata l’HMG-CoA reduttasi?


Esso può essere fosforilato e defosforilato. Siccome è un enzima biosintetico, quando è fosforilato
è inibito, quando è defosforilato è attivato.
Lo fosforila o la PKA (glucagone-adrenalina) o la AMP chinasi.
Lo defosforila la PP1 (insulina).
Il colesterolo regola la sua stessa sintesi.
Questi controlli di modificazione
covalente hanno un ruolo, ma a
quanto pare hanno un ruolo molto
più importante la regolazione
della sintesi e della degradazione
dell’enzima.

Prima si riteneva che il colesterolo


agisse da effettore allosterico
negativo, poi si è visto che agisce a
livello genico dereprimendo la
sintesi dell’enzima o favorendo la
degradazione dell’enzima. Il
controllo principale non è quello di
fosforilazione e defosforilazione,
ma quello di sintesi e degradazione
dell’enzima.

Il più importante regolatore della


sintesi del colesterolo è un
fattore/regolatore di trascrizione
chiamato SREBP. Quando i livelli
di colesterolo sono elevati,
questa proteina è inattiva in
quanto confinata nel reticolo
endoplasmatico associata ad
un’altra proteina chiamata SCAP,
che a sua volta è ancorata sulla
membrana del reticolo
dall’interazione con un’altra
proteina ancora chiamata INSIG
che dipende dall’insulina.

SCAP e INSIG agiscono da sensori


degli steroli, quindi quando c’è
molto sterolo reggono gli steroli,
tengono legata questa proteina
nel reticolo endoplasmatico e il tutto è inattivo.

Quando si abbassa la concentrazione di steroli, questi si staccano, il complesso SCAP e INSIG viene
trasferito nel golgi, dove una scissione proteolitica rilascia un frammento che entra nel nucleo e
attiva la trascrizione di molti geni tra cui l’HMG-CoA reduttasi del recettore delle LDL e di altre
proteine coinvolte nella sintesi dei lipidi.
Quindi il controllo principale di questo enzima
non è a livello di modificazione covalente
reversibile (che pure c’è), ma è a livello della
sua vita media. Nel senso che la sua sintesi
viene derepressa quando il colesterolo è basso,
mentre l’enzima viene degradato dal sistema
proteosomale quando il colesterolo è elevato.

Questa proteina SREBP legata a Scap e Insig


che hanno lo sterolo legato, per cui sono tutte
a livello di reticolo endoplasmatico. Quando il
colesterolo si abbassa, Insig viene degradata,
Scap e SREBP se ne vanno a livello
dell’apparato di golgi, qui un’attività
proteolitica stacca il dominio regolatore che va
nel nucleo e viene stimolata la trascrizione
dell’HMG-CoA reduttasi, ma anche di un altro
notevole numero di enzimi correlati al
metabolismo lipidico, come l’acetil-CoA
sintetasi, l’acetil-CoA carbossilasi…

Le statine sono gli inibitori dell’enzima HMG-CoA reduttasi. Sono diversi farmaci che sono analoghi
al mevalonato e quindi agiscono da inibitori perché sfruttano la struttura dell’acido mevalonico.

Sintesi di glicerofosfolipidi e sfingolipidi


Parlando dei glicerofosfolipidi, si parte sempre dal glicerolo-fosfato che può provenire dalla glicolisi
(diidrossiacetonefosfato), o a livello epatico dalla glicerolo-chinasi o nell’adipocita dalla
gliceroneogenesi.

Una volta formatosi il glicerolo-fosfato, si legano due acidi grassi e si forma l’acido lisofosfatidico e
poi l’acido fosfatidico. Quest’ultimo se perde il fosfato, forma il digliceride e quindi il trigliceride.
Oppure può servire per la sintesi del glicerofosfolipide.

I principali glicerofosfolipidi sono: fosfatidil-colina, fosfatidil-etanol-amina, fosfatil-serina,


fosfatidilinositolo.
La sintesi ex novo prevede che:

1. La colina e l’etanolamina vengono prima


fosforilati da una colina chinasi o etanoammina
chinasi e si forma la fosfocolina e la
fosfoetanolammina.

2. Lo CTP interviene nella


sintesi dei lipidi, per cui le
fosfocoline e le fosfoetanolamine
reagiscono con lo CTP e formano il
CDP-colina e il CDP-etanolamina.

3. A questo punto,
quest’ultimi reagiscono con il
diacilglicerolo, si libera una
molecola di CMP e si forma la
fosfatidil-colina e la
fosfatidil-etanol-amina.
Per quanto riguarda invece l’inositinolo, il discorso è
un po' diverso. Perché il CTP reagisce con il digliceride
e forma il CDP-digliceride.
Dopo di che, il CMP viene scambiato con l’inositolo e
si forma il fosfatidilinositolo.

Quest’ultimo può essere fosforilato due volte per


formare il PP2.

Per quanto riguarda la fosfatidilserina,


non esiste una sintesi ex novo. Essa si
forma per interscambio delle basi. Una
volta formatasi la fosfatidilcolina e la
fosfotidiletanolamina dalla via
principale, la serina può scambiarsi con
la colina o con la etanolamina per
formare la fosfatidilserina.

La fosfatidilserina per decarbossilazione può


formare la fosfotidiletanolamina, la quale,
attraverso tre metilazioni SAM dipendenti può
formare la fosfatidilcolina.
Nella sintesi dei fosfolipidi, il problema non è semplicemente mettere la colina, l’etanolamina o
l’inositolo, ma è anche dato dagli acidi grassi che possono essere scambiati nei vari lipidi presenti
nelle membrane. Per cui, attraverso delle fosfolipasi (reazioni di deacilazione e reacilazione) si può
modificare i vari fosfolipidi, non solo cambiando la testa polare, ma anche la catena idrofobica.

Per quanto riguarda gli sfingolipidi, la cosa più


importante è formare la sfingosina che si trova negli
sfingofosfolipidi e nei glicolipidi. La sfingosina si
forma dal palmitoil-CoA più la serina, che in presenza
di piridossalfosfato, trasformato in un’aldimmina. Si
ha una condensazione seguita da una
decarbossilazione, per cui si forma la sfingosina a 18
atomi di carbonio (16+3-1).

In realtà non si forma direttamente la sfingosina, ma


si forma prima il 3-chetodiidrosfingolo che viene
ridotto a diidrosfingolo che poi reagisce con l’acil-
CoA e poi viene ossidato e deidrogenato fino a
formare il ceramide (base di tutti gli sfingolipidi).

Questo ceramide si può formare attraverso due vie:


1. Reagisce con CDP-colina, si libera CMP e si forma
la sfingomelina.
2. Attraverso la fosfatidilcolina che libera il
diacilglicerolo e reagisce con la ceramide.

I glicolipidi agiscono in forma uridilata la componente lipidica, quindi il ceramide reagisce con l’UDP-
glucosio e forma il glucoceramide o il galattoceramide.
Metabolismo amminoacidico
Questo è il meccanismo degradativo degli amminoacidi. Questo processo bisognerebbe dividerlo in
due parti:
1. Quelli che riguardano un po' tutti gli amminoacidi, e quindi quella parte che tutti gli
amminoacidi hanno in comune, ovvero il carbonio chirale con il gruppo amminico e
carbossilico;
2. I singoli amminoacidi (a gruppi) avranno dei processi degradativi autonomi. Noi questi non
li faremo, ma ci interessa sapere se durante questi, si formano dei composti importanti.
Sappiamo già che dallo scheletro di tutti gli amminoacidi si possono formare, in prima
battuta, metaboliti del ciclo di krebs (tutti quelli glucogenetici), e tutti ulteriormente
degradati danno origine all’acetil-CoA.

Non considerando la sintesi proteica, che è ovviamente il ruolo principale degli amminoacidi, noi ci
occuperemo del loro catabolismo e in particolare quello che riguarda un po' tutti gli amminoacidi:
reazioni che riguardano il gruppo !-amminico e quelle che riguardano il gruppo !-carbossilico che
caratterizzano tutti gli amminoacidi.

Quando vengono degradati gli amminoacidi? Gli amminoacidi che vengono degradati possono avere
tre origini:
1. Il normale turnover delle proteine che prevede degradazione e risintesi. Ciò comporta che
quando una proteina finisce la sua vita media, questa viene degradata e la maggior parte
degli amminoacidi che derivano dalla loro degradazione vengono riciclati per la sintesi delle
proteine.

2. Possono essere degradati per scopo energetico, grazie alla presenza del gruppo amminico (è
questo che li diversifica dagli zuccheri e dai lipidi).
Se introduciamo più proteine rispetto a quello che ci servono (dieta iperproteica) nel nostro
organismo non sono presenti depositi di amminoacidi à ciò che è in eccesso viene
degradato e trasformato in energia, convertito in zuccheri o in lipidi.

3. Ciò può avvenire anche nel digiuno spinto o nel diabete non controllato. Nel primo caso,
quando abbiamo esaurito le riserve di glicogeno, i trigliceridi di deposito saranno la nostra
fonte principale di sostentamento energetico, tuttavia sappiamo che dai trigliceridi non si
può formare glucosio e pertanto è chiaro che bisogna demolire le proteine più importanti
nel nostro organismo e meno importanti in quel momento, come quelle della massa
muscolare, per potere fornire amminoacidi per la sintesi delle proteine a vita media breve
più indispensabili per la vita di quanto non siano quelle muscolari e formare glucosio da
fornire al cervello.
Ad esempio, l’urea, prodotto terminale del catabolismo azotato, si incrementa nel nostro
organismo o se mangiamo troppo o se mangiamo niente, perché in entrambi i casi si attinge
agli amminoacidi in eccesso nel primo caso e in difetto nel secondo per togliere il gruppo
amminico, trasformarlo in un composto non tossico che è l’urea e utilizzare lo scheletro
carbonioso per formare glucosio o energia.
Enzimi della degradazione delle proteine
La degradazione delle proteine avviene a livello gastro-intestinale, inizia nello stomaco e si conclude
a livello duodenale. Ovviamente la degradazione delle proteine viene effettuata da enzimi
proteolitici, che possono essere distinti in due grandi categorie:
1. Le endopeptidasi che vanno a rompere i legami peptidici all’interno delle proteine,
formando dei peptidi grandi o piccoli.
2. Le esopeptidasi che si possono distinguere in:
a. Amminopeptidasi à vanno a staccare l’amminoacido ammino-terminale dai peptidi
che si sono ottenuti dalle endopeptidasi.
b. Carbossipeptidasi à vanno a staccare l’amminoacido carbossi-terminale dai peptidi
che si sono ottenuti dalle endopeptidasi.

Una volta che tutte le proteine sono state degradate e si sono formati gli amminoacidi liberi,
vengono assorbite a livello intestinale e, come accade per il glucosio, attraverso il circolo portale
raggiungeranno il fegato. Per certi versi c’è una somiglianza con la degradazione degli zuccheri, cosa
che non accade per i lipidi.

Tutti gli enzimi proteolitici sono prodotti in forma inattiva di zimogeni o di proenzimi. È un
meccanismo di controllo in cui un enzima che viene prodotto in forma inattiva, diventa attivo
laddove deve funzionare attraverso dei tagli proteolitici irreversibili. Questo riguarda quasi tutti gli
enzimi proteolitici: quello prodotto a livello gastrico pepsinogenoàpepsina e comincia a degradare
le proteine già a livello dello stomaco; quelli prodotti dal pancreas esocrino che produce enzimi
digestivi (enzimi proteolitici, enzimi lipolitici, enzimi glicolitici, questi agiscono a livello duodenale
(pH neutro o leggermente superiore à si ha un innalzamento del ph, rispetto a quello dello
stomaco, dovuto ad un’altra funzione del pancreas esocrino che produce bicarbonato, attraversa il
dotto pancreatico e riversa gli enzimi che ha prodotto in forma inattiva insieme al bicarbonato à in
modo che il pH sia ottimale per gli enzimi che dovranno completare la digestione proteica).

Nel pancreas vengono prodotti tutti questi enzimi in forma inattiva per proteggere il pancreas stesso
da una prematura attivazione di questi enzimi che provocherebbero l’autodigestione della
ghiandola pancreatica (quello che accade nella pancreatite acuta), inoltre si produce anche un
peptide che ha un’attività antitripsinica, dal momento che la tripsina è il primo che si attiva e che fa
attivare anche gli altri.

Oltre questi enzimi prodotti in forma inattiva da parte dello stomaco o dal pancreas esocrino, a
livello delle cellule della mucosa intestinale si producono altre ammino peptidasi e dipeptidasi che
completeranno la degradazione degli amminoacidi. Le cellule della mucosa hanno una vita media
brevissima, si desquamano e si risintetizzano in continuazione, per cui questi enzimi non sono solo
all’interno della cellula, ma anche nel lume.
Come avviene la digestione?
Essa inizia nello stomaco, dove
l’enzima proteolitico qui prodotto è
la pepsina, che viene in realtà
prodotta sotto forma di
pepsinogeno. In pratica, nel
momento in cui iniziamo a mangiare,
lo stomaco produce un fattore che si
chiama gastrina che favorisce sia la
produzione di pepsinogeno, che di
HCl che ha un ruolo importante.
Il pepsinogeno prodotto dalla parete
dello stomaco viene trasformato in
pepsina un po' per il pH acido, perché
lo stomaco ha prodotto anche HCl,
ma anche per un’azione
autocatalitica. Quel poco di pepsina che si produce per il pH acido agisce sul pepsinogeno
convertendolo in pepsina.
Quest’enzima è un’endopeptidasi che degrada le proteine rompendo i legami peptidici interni,
avendo una certa preferenza per i legami cui contribuiscono gli amminoacidi aromatici.

La parete intestinale produce anche un muco, l’HCl, ma c’è una azione settica importantissima, cioè
tutti i batteri presenti nel cibo appena arrivano a livello gastrico vengono ammazzati. Questo ci
protegge da un sacco di infezioni. Inoltre il pH acido denatura tutte le proteine che abbiamo
introdotto nella nostra alimentazione e ciò fa perdere la conformazione nativa, favorisce la
linearizzazione e favorisce l’attacco della pepsina e degli ulteriori enzimi proteolitici.
Lo stomaco produce anche il fattore intrinseco di Castle che è indispensabile per l’assorbimento
della vitamina B12, ma produce anche una gastrina che stimola la secrezione gastrica.

Un’azione importante, sotto controllo della gastrina,


è l’attivazione della pompa protonica. Esso è un
sistema in grado di produrre acido cloridrico. Da che
cosa derivano l’H+ e il Cl-? Da un sistema di trasporto
attivo.
A livello della cellula della parete, l’anidrasi carbonica
idrata l’anidride carbonica formando acido carbonico.
Questo si scinde in H+ e bicarbonato. Con un sistema
analogo a quello degli eritrociti: lo ione bicarbonato
esce ed entra lo ione cloro e poi c’è un ATPasi H+-K+
che fa uscire l’idrogenione e fa uscire pure il cloro, ed
entra potassio.
Questa pompa protonica ha una stechiometria di 2 H+
e 2 K+.

N.B. Vi sono dei farmaci inibitori di queste pompe protoniche (omoprazolo) quando si ha
un’iperacidità.
La pepsina contribuisce moderatamente alla degradazione delle proteine, questo lo dimostra il fatto
che alcune persone che hanno l’achilia gastrica (patologia per cui non producono HCl) o persone
che hanno subito un intervento chirurgico e hanno perso una parte dello stomaco, in realtà
continuano a digerire le proteine, anche se avviene più lentamente, utilizzando gli enzimi che
agiscono a livello duodenale.

Il primo enzima prodotto dal pancreas che viene attivato è la tripsina che deriva dal tripsinogeno e
quest’attivazione avviene a livello duodenale ad opera di un enzima prodotto dalle pareti
dell’intestino tenue che si chiama enterochinasi/enteropeptidasi.

La tripsina attivata sarà la responsabile della


trasformazione del chimotripsinogeno in
chimotripsina, della proalastasi in alastasi,
della procarbossipeptidasi A e B nelle
rispettive carbossipeptidasi.

La tripsina rompe i legami peptidici interni,


ma favorendo i legami peptidici cui
partecipano gli amminoacidi basici. La
chimotripsina, come la pepsina, quelli
aromatici.
Tripsina e chimotripsina hanno una notevole
analogia nella struttura primaria, sono
enzimi a serina, ovvero hanno nel sito attivo
una serina responsabile degli eventi
catalitici.

La digestione sarà alla fine completata dalle


ammino peptidasi e dalle ammino
dipeptidasi.
Così gli amminoacidi liberi vengono assorbiti dalle cellule epiteliali attraverso sistemi di trasporto
specifico.

Come avviene l’assorbimento degli amminoacidi?


Avviene con un sistema di simporto sodio dipendente
analogo a quello del glucosio (sistema di trasporto attivo
secondario). Gli amminoacidi entrano con un simporto
con il sodio e questo sistema è favorita dalla grande
concentrazione di sodio all’esterno rispetto all’interno. È
di tipo secondario perché non consuma direttamente
ATP, ma questo viene consumato dalla sodio-potassio
ATPasi che deve buttare fuori il sodio che è entrato per
far entrare gli amminoacidi.
Questi trasportatori sono parecchi, fin ora ne sono stati
identificati 6 che, sempre con lo stecco meccanismo
sodio dipendenti, sono trasportatori di amminoacidi
acidi, basici, neutri…
Questi trasportatori sono stati evidenziati e studiati in tempi relativamente recenti. Prima si
conosceva un altro sistema di trasporto che era quello del ciclo del gamma-glutammile. Prima si
riteneva che questo sistema fosse l’unico di trasporto attivo che consentisse l’assorbimento degli
amminoacidi sia a livello intestinale che a livello del tubulo renale, dove avviene un riassorbimento
degli amminoacidi. (patologie pediatricheà ammine acidurie con cui i bambini eliminano
amminoacidi con l’urina)
Questo sistema, in realtà, a livello intestinale non ha alcuno ruolo; ha un minimo ruolo a livello del
tubulo renale, dove esistono anche quelli di prima.

Questo ciclo ci serve a capire come viene sintetizzato il glutatione. Esso non può essere sintetizzato
dal sistema ribosomiale di sintesi proteica, perché sappiamo che il glutatione è in realtà gamma-
glutammin-cistenil-glicina. Il glutatione viene sintetizzato da due enzimi particolari che mettono
insieme i tre amminoacidi.
Questo sistema di trasporto utilizza il
glutatione che lega l’amminoacido attraverso
l’enzima gamma-glutamil-transpeptidasi
(gamma-GT). L’enzima stacca l’acido
glutammico del glutatione con l’amminoacido
e libera la cisteinilglicina. Quest’ultima viene
scissa in cisteina e glicina.
L’altro enzima, oxoprolinasi, stacca
l’amminoacido e libera il glutammico in forma
ciclizzata di oxoprolina e occorrono molecole
di ATP per rompere la oxoprolina e
trasformarla in glutammato. (curiosità)
A questo punto, il glutammico, la cisteina e la
glicina devono formare il glutatione. Questo è
un sistema di trasporto attivo perché l’ATP
viene consumato per riformare il glutatione
che era entrato con questo sistema. Per fare ciò, occorrono 3 molecole di ATP:
• Una per trasformare la oxoprolina in glutammato, ma ai fini della sintesi del glutatione non
ci interessa questo ATP;
• Glutammato + cisteina in presenza di un enzima che utilizza una molecola di ATP forma la
gamma-glutammilcisteina.
• Con il glutatione sintetasi, si fa reagire la gamma-glutammilcisteina con la glicina e un’altra
molecola di ATP per formare il glutatione.

Dopo un pasto, l’intestino degrada le proteine, gli amminoacidi vanno al fegato o distribuiti in tutte
le cellule, le quali poi li riutilizzaranno per la sintesi delle proteine. Quello che è in eccesso possono
essere usate per formare glucosio o grassi.
Durante il digiuno, le proteine della massa muscolare possono essere usate e degradate per
produrre amminoacidi, per la sintesi delle proteine più importanti per la vita e glucosio.

Il destino catabolico degli amminoacidi prevede sempre l’allontanamento del gruppo amminico. Si
formano i alfa-chetoacidi che entrano nel ciclo di krebs, mentre l’ammoniaca sarà organicata e
quella in eccesso sotto forma di urea.
Reazioni che riguardano il gruppo amminico
Per poter usare lo scheletro carbonioso degli amminoacidi, si deve allontanare il gruppo amminico
e ciò può avvenire secondo due diverse modalità:

1. La transaminazione (reazione a ping-pong)à prevede il trasferimento del gruppo amminico


da un amminoacido donatore ad un chetoacido accettore con formazione del chetoacido
corrispondente all’amminoacido donatore e l’amminoacido corrispondente al chetoacido
accettore. Questa reazione in realtà non altera il numero complessivo di amminoacidi e di
chetoacidi. Questa reazione ha un ruolo di far variare, in base alle esigenze della cellula, i
pull amminoacidici e chetoacidici. Oltre a questo ruolo generale, questa transaminazione, se
accoppiata alla desaminazione, in un processo chiamato transdesaminazione, ed è la via
principale attraverso cui tutti gli amminoacidi perdono il gruppo amminico sotto forma di
ammoniaca.

Nella transaminazione non è prevista la liberazione del gruppo amminico, perché la reazione
dipende dal coenzima PLP che è la forma attiva della vitamina B6. Durante il processo, il PLP
è legato saldamente ad un residuo di lisina dell’enzima, quando interviene prima
l’amminoacido donatore, si forma il PLP con il suo gruppo aldeidico legato al gruppo
amminico formando la base di Schiff, dopodiché l’enzima stacca il chetoacido; interviene il
secondo chetoacido che si va a legare al gruppo amminico della PLP. Poi l’enzima ritorna
come prima, come anche la PLP. La reazione è reversibile e il rapporto tra le costanti di
velocità è uguale a 1. Teoricamente le transaminazioni potrebbero riguardare varie coppie
di amminoacidi e chetoacidi, ma di fatto una coppia che interviene sempre è quello
glutammico--alfa-chetoglutammico.

L’unico enzima che realmente funziona e svolge un ruolo importantissimo nello spostare
l’equilibrio dagli amminoacidi ai chetoacidi è la glutammico deidrogenasi. Libera
l’ammoniaca dall’acido glutammico formando alfa-chetoglutarico e ammoniaca libera.

I restanti 19 amminoacidi per contribuire al pull dello ione ammonio con le


transdesaminazioni. L’amminoacido X transamina con alfa-chetoglutarico e si forma il
chetoacido corrispondente. L’alfa-chetoglutarico diventa glutammico e attraverso la
glutammico deidrogenasi libera il gruppo amminico che era precedentemente dell’altro
amminoacido.
In questo modo controllando la desaminazione di un solo amminoacido e un solo enzima
(glutammico deidrogenasi) controlliamo l’intero metabolismo amminoacidico tanto in
entrata che in uscita perché quest’enzima catalizza una reazione reversibile. In un senso
catalizza la desaminazione ossidativa dell’acido glutammico con formazione di alfa-
chetoglutarico e ammoniaca, nel senso opposto catalizza l’aminazione riduttiva per formare
il glutammico. L’equilibrio è più spostato verso la desaminazione.

Perché con la glutammico deidrogenasi controlliamo l’intero metabolismo in entrata e in


uscita? Perché l’alternativa sarebbe che ogni amminoacido proteico e non possedesse un
enzima desaminante. Ciò comporterebbe la presenza di un gene specifico che codifichi un
RNA messaggero specifico che codifichi la sintesi di una proteina specifica. In questo modo
con un solo gene controlliamo tutto.
Quindi in uscita, tutti gli amminoacidi con un solo enzima possono contribuire al pull dello
ione ammonio, mentre in entrata che succede?
Immagiamo di avere un chetoacido e noi vorremmo formare l’amminoacido corrispondente.
Quest’ultimo si può formare quando l’ammoniaca libera reagisce con l’alfa-chetoglutarico e
forma glutammico. Quest’ultimo transamina con questo chetoacido e l’ammoniaca libera
diventa il gruppo alfa-amminico dell’amminoacido (anche essenziale).

N.B. il PLP interviene anche con lo stesso meccanismo anche nella decarbossilazione degli
amminoacidi, dove cambia solo l’enzima. Il PLP legato all’enzima reagisce sempre con il gruppo
amminico, formando la base di schiff, dopodiché in base alle caratteristiche dell’enzima o si stacca
il gruppo amminico o quello carbossilico o avvengono isomerizzazioni.

Le cellule contengono diversi transaminasi (o ammino-transferasi), ma la maggior parte sono


specifiche per l’alfa-chetoglutarico come accettore del gruppo amminico. Differiscono
invece per la specificità dell’altro substrato
che è l’amminoacido donatore.
Le transaminasi che vengono più dosate nei
laboratori di analisi sono la GOT (glutammico
ossalacetico transaminasi) e la GPT
(glutammico piruvico transaminasi dove si
forma l’alanina). Coppie molto importanti
anche negli altri metabolismi.

2. La desaminazione à questa libera ammoniaca. Di enzimi desaminanti ce ne sarebbero


parecchi. Esistono due meccanismi generali di desaminazione:
a. Desaminazione ossidativa à prevede una deidrogenazione seguita dalla perdita del
gruppo amminico sottoforma di ammoniaca. C’è la glutammico deidrogenasi, enzima
mitocondriale (soprattutto epatico), è l’unico enzima che può usare
indifferentemente il NAD e il NADP. Anche se normalmente usa il NAD durante la
desaminazione e il NADPH durante l’aminazione riduttiva. Il fatto che è mitocondriale
ci dice che il NADH che si produce andrà a livello del complesso primo della catena
respiratoria.
In teoria esistono altre due desaminazioni ossidative: la destra-amminoacido
ossidasi FAD dipendente e la levo-amminoacido ossidasi FMN dipendente. Essendo
delle ossidasi il FADH2 e l’FMNH2 cederebbero gli idrogeni all’ossigeno molecolare
formando perossido di idrogeno. La destro-amminoacido ossidasi ha il ruolo di
eliminare amminoacidi della serie destro che eventualmente formerebbero proteine
sbagliate. La levo sarebbe l’enzima più importante, ma ha una KM tanto alta da non
funzionare. Con queste ossidasi avviene prima una deidrogenazione con cui si forma
un imminoacido che poi spontaneamente in presenza di acqua, forma il chetoacido
e libera ammoniaca.

b. Desaminazione non ossidativa à esistono degli enzimi che catalizzano una


desaminazione non ossidativa di tre amminoacidi: serina deidratasi, treonina
deidratasi, cisteina desulfidrasi. Tutti e tre, anche se per i primi due si tratta di un
unico enzima, sono PLP dipendenti. Inoltre non hanno una KM tale da avere un ruolo
importante, tuttavia hanno un ruolo funzionamento.
Dalla serina deidratasi avviene prima una deidratazione e si forma un intermedio che
poi libera l’ammoniaca e si forma il piruvato. Dalla treonina si forma l’alfa-
chetobutirrato e dalla cisteina si forma il piruvato.

GLUTAMMICO DEIDROGENASI
È un enzima allosterico e catalizza la seguente reazione:

Si forma prima un intermedio che è l’iminoglutammico


che poi spontaneamente, in presenza di acqua, libera
ammoniaca e l’alfa-chetoglutarico.

L’effettore allosterico positivo è l’ADP a conferma del fatto che quando siamo in condizioni di
povertà energetica, l’ADP è un sensore di povertà energetica e la desaminazione viene attivata e la
formazione di NADH+H+ a livello mitocondriale significa 2,5 molecole di ATP.

L’effettore allosterico negativo non è l’ATP ma lo GTP, che indica sempre un momento di ricchezza
energetica.

Dal momento che il glutammico è l’unico amminoacido che di fatto può desaminare facilmente
attraverso la glutammico deidrogenasi, parliamo della transdeaminazione.
Tutti gli amminoacidi transaminano con l’alfa-chetoglutarico e poi il glutammico attraverso la
glutammico deidrogenasi libera l’ammoniaca che direttamente è liberata dal glutammico ma
indirettamente proviene dall’amminoacido che ha transaminato con l’alfa-chetoglutarato.

Per gli amminoacidi diversi dall’acido


glutammico si ha bisogno dell’azione
combinata dell’ammino transferasi e della
glutammico deidrogenasi.
L’ammoniaca interverrà nella sintesi dell’urea. Essa ha un carbonile e due gruppi
amminici. Quando noi eliminiamo con le urine, la molecola più rappresentativa delle urine
è proprio l’urea dal momento che è una molecola altamente solubile, noi possiamo
eliminarne grandi quantità in piccoli volumi risparmiando acqua.
Ogni molecola di urea di fatto elimina una molecola di CO2 e due molecole di
ammoniaca. Di queste due, una deriva dall’ammoniaca libera che deriva dal
glutammico deidrogenasi, l’atra deriva dall’aspartato. Quindi anche
l’aspartato ha un ruolo molto importante nel metabolismo dello ione ammonio, ma sappiamo che
esso autonomamente non può desaminare. Ma questo non significa che anche il secondo gruppo
amminico non può derivare dall’ammoniaca libera.

L’ammoniaca libera per aminazione riduttiva va ad aminare l’alfa-chetoglutarico a glutammico, il


quale transamina con l’ossalacetico e forma aspartico, il quale interviene nell’urogenesi e cede il
secondo gruppo amminico.

Destino dello ione ammonio


Lo ione ammonio deriva fondamentalmente dalla reazione della glutammico deidrogenasi, dal
momento che i gruppi amminici di tutti gli amminoacidi vengono convogliati attraverso la
transaminazione sul glutammico. Nelle nostre cellule l’ammoniaca può avere 3 destini e sono solo
3 le possibilità di organicare l’ammoniaca, di cui una fa da padrona che è quella che serve per la
sintesi dell’urea.
Anche se oltre il 90% dell’ammoniaca derivi dal catabolismo amminoacidico e indirettamente dalla
glutammico deidrogenasi; una quota di quest’ammoniaca può derivare dal catabolismo di altre
sostanza azotare, ovvero dei nucleotidi purinici e in particolare dell’AMP.

Parlando della glicogenolisi, tra le reazioni che possono avvenire a livello muscolare durante una
intensa contrazione, c’è la miochinasi che può trasformare due di ADP in una di ATP e una di AMP.
In queste condizioni può incrementarsi l’attività dell’adenilato deaminasi che va a demanire l’AMP
in IMP+ammoniaca e in quel momento il problema di quest’ultima era quello di tamponare l’acido
lattico che viene prodotto da un’intesa contrazione muscolare.
Ma questa quantità di ammoniaca che deriva dall’AMP è minima rispetto a quella che deriva dalla
glutammico deidrogenasi.

Vediamo le reazioni di organicazione dell’ammoniaca:


1. Reversibilità della glutammico deidrogenasi;
2. Un’altra è catalizzata dalla glutamina sintetasi che è un sistema di trasformare in
glutammico in glutamina che gioca un ruolo importante nel metabolismo dello ione
ammonio. Si ha quindi la trasformazione del glutammico nella sua semiamide. La glutamina
si può sintetizzare da glutammico + ammoniaca, reazione catalizzata dalla glutamina
sintetasi che consuma una molecola di ATP. Si produce quest’amminoacido soprattutto nei
tessuti expraepatici. Uno dei principali ruoli della glutammina è quello che l’ammoniaca che
si produce nei tessuti extraepatici deve andare in circolo per arrivare al fegato, dove avverrà
l’urogenesi, senza che questo comporti un aumento dell’ammonimia. Sappiamo che lo ione
ammonio non solo è poco solubile ma è anche tossico soprattutto per il cervello. Gli
amminoacidi hanno, tra i ruoli non proteici, quello di trasportare l’ammoniaca per non
incrementare l’ammonimia. Quindi l’ammoniaca deve essere trasformata in qualcosa di
pocco tossico per essere trasportata attraverso il sangue e raggiungere il fegato. In virtù di
questo ruolo, l’amminoacido più concentrato a
livello ematico è la glutammina. La glutammina
sintetasi catalizza la reazione di amidazione per
la formazione di glutammina che avviene in
due tempi:
a. Il glutammico reagisce con l’ATP, sempre
ad opera della glutammina sintetasi, e si forma
un intermedio che è il gamma-glutamilfosfato.
b. Quest’ultimo per effetto dello stesso
enzima reagisce con l’ammoniaca libera e
forma la glutammina.
Una volta arrivata
nel fegato la
glutammina deve
scindere
l’ammoniaca, deve
avvenire una
reazione inversa, che è catalizzata dalla glutaminasi che è presente nel fegato e nel rene. Ma
la reazione di prima non è reversibile, non si riproduce la molecola di ATP. La glutaminasi, in
presenza di acqua è un’idrolasi che stacca il gruppo amminico formando ammoniaca e
glutammico. Questa ammoniaca sarà organicata nella terza via di organicazione.

La sintesi della glutammina ha tanti altri ruoli, non solo quello di trasporto di ammoniaca (
• Intanto è uno dei 20 amminoacidi.
• Contiene nella sua struttura dei neurotrasmettitori, per questo a livello cerebrale è
molto importante, infatti la glutammina perdendo il gruppo amminico diventa
glutammico che è un neurotrasmettitore di tipo eccitatore e quando il glutammico
viene decarbossilato forma il GABA che è il principale neurotrasmettitore di tipo
inibitore.
• Ha un ruolo a livello renale la glutaminasi che serve per i momenti di acidosi e qui la
glutammina interviene nel processo di recupero della riserva alcalina. In queste
condizioni si ha la tendenza all’abbassamento del pH ematico, a livello renale viene
derepressa la sintesi della glutaminasi, la quale scinde la glutammina in glutamminico
e ammoniaca. Questa lega un H+ e agisce da base, viene eliminato sottoforma di ione
ammonio. Quest’azione tampone non è l’unica cosa, perché lo ione ammonio elimato
dalle urine viene usato come controione per lo ione sodio. L’eliminazione di ione
ammonio fa recuperare sodio, l’assorbimento di sodio fa recuperare bicarbonato, il
quale può tamponare gli H+ trasformandosi in acido carbonico. La glutaminasi agisce
due volte.
• La glutammina interviene in un sacco di reazioni dei nucleotidi in cui interviene come
glutammina e si libera come glutammico, reazioni di trasferimento del gruppo
amminico dalla semiamide per la sintesi dei nucleotidi pirimidici, purinici,
amminozuccheri. La glucosammina si forma dall’UDP-glucosio e dalla glucosammina,
senza che si liberi ammoniaca. Quest’ultima interviene nella sintesi dell’anello
purinico e una sola volta in quello pirimidinico.
• Nelle piante c’è l’asparagina sintetasi; mentre nell’uomo si può formare facendo
reagire la glutammina con l’aspartico.
Le due reazioni di organicazione dell’ammoniaca sull’alfa-chetoglutarico che forma
glutammico e questo più ammoniaca che forma glutammina possono avvenire in
successione che comporta l’organicazione di due molecole di ammoniaca.

Anche l’alanina può trasportare l’ammoniaca dal muscolo al fegato con il ciclo dell’alanina o
ciclo di Cori. Ma l’alanina non può organicare direttamente l’ammoniaca, allora il
glutammico transamina con il piruvico e forma l’alanina e questa va a livello epatico e per
transaminazione forma nuovamente il glutammico. Il glutammico deidrogenasi forma
l’ammoniaca e va nell’urogenesi e dal piruvico si può tornare al glucosio.

La glutamina sintetasi è un enzima allosterico che viene inibito da tutta una serie di composti
che, mediante una sorta di retroinibizione di tipo feedback, possono derivare dalla
glutamina. Quest’ultima servirà a cedere il gruppo amminico presente nell’anello purinico e
pirimidinico oppure nella sintesi di alcuni amminoacidi.
Nei microrganismi e nelle piante la glutammina sintetasi è inibita dal triptofano, come
prodotto terminale.

I livelli fisiologici di ammoniaca sono 0,1 mg a livello plasmatico. Superando certi valori si va
incontro all’iperammonimia che provoca il coma epatico. Coma significa perdita di
conoscenza à si chiama così perché nasce da un danno cerebrale che nasce da un cattivo
funzionamento del fegato. Nella maggior parte i cirrotici (quelli che hanno avuto un danno
epatico importante), in cui si prevede via via la scomparsa degli epatociti sostituiti dai
fibroblasti, muoiono di iperammonimia che causa il coma epatico.

La neurotossicità per il cervello nasce dal fatto che se incrementa l’ammonimia, questa ha
solo 3 vie di organicazione, fa aumentare le altre 2 reazioni che sono presenti in tutti i tessuti,
ma particolarmente a livello cerebrale. Perché lo ione ammonio è un composto tossico per
gli organismi viventi (soprattutto animali, perché nelle piante non hanno un metabolismo
dell’azoto significativo)?
• Se si incrementa l’ammonimia, si incrementa l’aminazione riduttiva dell’alfa-
chetoglutarico a glutammico e la successiva trasformazione del glutammico in
glutammina. Siccome si parte dall’alfa-chetoglutarico, quest’ultimo è un metabolita
del ciclo di krebs e il cervello vive di glicolisi e di ciclo di krebs, quindi se glielo
sottraiamo blocchiamo quel processo che più di altri gli consente di produrre ATP,
indispensabile per i processi di neurotrasmissione.
• La glutammina di per sé non sarebbe un composto tossico, ma siccome la glutammina
sintetasi è particolarmente abbondante negli astrociti (cellule del cervello, il quale ha
più citotipi che formano cellule diverse) e siccome la glutammina è un composto
osmoticamente molto attivo, sembra che questo richiami acqua e si è vito che nelle
persone che muoiono per iperammonimia si ha un incremento della pressione
intracranica per eccessivo richiamo di acqua a livello cerebrale.
• La carenza di glutammico che si è trasformato in glutammina provoca una deplezione
dei neurotrasmettitori, come il glutammico e il GABA.
• Lo ione ammonio interferisce in quanto catione in tutti i processi di polarizzazione e
depolarizzazione di membrana che si basano sul passaggio di anioni e cationi
attraverso le membrane.
In base a come gli organismi eliminano questo composto particolarmente tossico si dividono
in 3 categorie, in cui l’evoluzione ha scelto una di queste vie in base alla disponibilità di acqua.
1. Ammonioterici à eliminano l’ammoniaca prodotta, fondamentalmente dal
catabolismo amminoacidico, direttamente come tale. Sono i pesci che producono
ammoniaca e a mano a mano che si produce, in bassa concentrazione e con minima
solubilità, viene regolata in circolo, nella concentrazione di 0,1 mg in 100 ml,
attraverso le branchie che sono in rapporto con l’acqua all’esterno che contiene una
quantità di ammoniaca minore. Di fatto l’ammoniaca non si accumula mai.
2. Urioterici à che la trasformano in urea. Per la maggior parte degli organismi, uomo
compreso, viene trasformata l’ammoniaca in urea altamente solubile e privo di
tossicità. Possiamo formare anche soluzioni di urea 12 M come agente denaturante.
Ad esempio, i carnivori che hanno come alimentazione fondamentalmente proteine,
che vengono usate per formare le loro proteine, ma il grosso degli amminoacidi
servirà come fonte di sostentamento energetico. Si avrà quindi una grande
produzione di urea.
3. Uricoterici à che hanno come prodotto terminale del catabolismo azotato l’acido
urico. Sono i rettili e gli uccelli. I primi vivono in ambienti aridi dove l’acqua scarsaggia,
l’acido urico viene prodotto come prodotto terminale del catabolismo proteico in una
situazione semisolida, quindi il risparmio di acqua è massimo. Gli uccelli in teoria
avrebbero l’acqua, ma devono andare in volo, hanno le ossa cave e devono essere
leggeri, se dovessero trasportare anche l’acqua che serve per eliminare l’urea, questo
sarebbero poco valido, perché ci sarebbe un peso in più.
Inoltre entrambi sono ovipari e, quando all’interno dell’uovo l’organismo si deve
sviluppare non è prevista acqua. Quindi si pone questo problema dell’acqua. Nella
schiusa delle uova si trovano dei cristallini di acido urico che ha prodotto l’embrione
per eliminare l’ammoniaca.
L’acido urico, dal punto di vista chimico, è una purina. Anche noi produciamo l’acido
urico, ma non come prodotto terminale del catabolismo azotato, ma come prodotto
terminale del catabolismo dei nucleotidi purinici. Quando si trova in eccesso, dal
momento che è difficilmente solubile, si va incontro alla gotta e che è caratterizzato
da dolori articolari, perché i cristallini vanno a livello delle articolazioni.
Gli uccelli e i rettili hanno lo producono quindi da entrambi i catabolismi.

3. Quella quantitativamente più importante è quella catalizzata dalla carbamilfosfato sintetasi


1 (enzima esclusivo del mitocondrio dell’epatocita). C’è anche la due che non usa
l’ammoniaca libera, ma che usa la glutammina che ha già organicato l’ammoniaca. La 1 serve
per la sintesi del carbamilfosfato che sarà usato alla conversione dell’ammoniaca in urea.
Ciclo dell’urea
Come sappiamo l’ammoniaca è un composto neurotossico. Abbiamo visto che una piccola
concentrazione di ammoniaca è fisiologico che ci sia e tra le tre reazioni di organicazione
dell’ammoniaca due la utilizzano (glutammico deidrogenasi e dell’importante reazione catalizzata
dalla glutammina sintetasi che richiede ammoniaca perché dal glutammico si possono formare 6
glutammine, che non solo servono al trasporto dell’ammoniaca ma è coinvolta come ora vedremo
in un importante reazione). Ovviamente il grosso dell’ammoniaca deve essere eliminata e molti
animali possiedono vari meccanismi di eliminazione.
Gli animali in base alla disponibilità di acqua vengono divisi in
- Ammoniotelici, se hanno una grande disponibilità di acqua. Questi sciolgono l’ammoniaca in
acqua, nonostante la sua bassa solubilità, per cui l’ammoniaca prodotta viene subito
eliminata.
- Ureotelici se ne hanno poca e questi la trasformano in una molecola priva di tossicità e
altamente solubile che consente di eliminare ammoniaca in grande quantità ma attraverso
piccoli volumi.
- Uricotelici che non ne possiedono. Questi eliminano ammoniaca in uno stato semisolido
addirittura cristallino, ovvero sotto forma di acido urico. questo acido è una purina, e per
questi animali oltre ad essere il prodotto terminale del catabolismo purinico è anche il
prodotto finale del metabolismo amminoacidico.

Ogni molecola di urea ogni volta che viene eliminata con l’urina si porta dietro
due molecole di ammoniaca e una di anidride carbonica. L’ammoniaca nel ciclo
dell’urea non interviene come tale ma sotto forma di carbammilfosfato, e per la
sua sintesi si chiedono due molecole di ATP. Esistono due enzimi chiamati
carbammilfosfato sintetasi, quella 1 si trova esclusivamente nel mitocondrio dell’epatocita e
produrrà il carbammilfosfato che serve nel ciclo dell’urea ma ne abbiamo una seconda che si trova
ne citosol di tutte le cellule e servirà alla sintesi dei coenzimi piridinici (compartimentazione).

- La carbammilfosfato sintetasi 1, utilizza l’ammoniaca come fonte di azoto e rappresenta la


terza reazione di organicazione dell’ammoniaca ed è un enzima allosterico che non funzione
se non in presenza di glutammato (questo passaggio richiede 2 molecole di ATP).

- La carbammilfosfato sintetasi 2, non utilizza l’ammoniaca libera ma utilizza la glutammina


(questo passaggio richiede 3 molecole di ATP, una necessaria alla formazione della
glutammina).

Meccanismo della carbammilfosfato sintetasi 1 e sintesi del carbammilfosfato


Da un punto di vista quantitativo questo processo è sicuramente più importante dell’altro. Il
processo inizia a livello mitocondriale perché i primi due enzimi sono tipici del mitocondrio. La prima
molecola di ATP serve ad attivare il bicarbonato, proveniente dalla CO2. Questa CO2 a sua volta
essendo nel mitocondrio deriva o dalla piruvato decarbossilasi o dal ciclo di Krebs che ha due
reazioni di decarbossilazione. Questo bicarbonato viene fosforilato formando un carbossifosfato e
reagisce con l’ammoniaca. Si libera il fosfato inorganico e si forma il carbamato, questo consumando
un seconda molecola di ATP forma il carbamil fosfato che può iniziare il ciclo.

Questo enzima come dicevamo è un enzima allosterico e richiede come effettore allosterico positivo
la N-acetil-glutammato (sintetizzata da un enzima chiamato N-acetil-glutammato sintetasi che
sintetizza questa molecola e che fa anche da fattore allosterico positivo per l’arginina).
Il ciclo
Il ciclo ha inizio con l’ornitina, amminoacido non proteico. Il suo ruolo più importante è essere il
metabolita di questo ciclo però incontreremo l’ornitina come precursore delle poliammine. Questo
amminoacido è basico, non essenziale, perché noi lo sintetizziamo a partire dell’acido glutammico.
Questa ornitina entra nel mitocondrio e reagisce con il carbammilfosfato, attraverso un l’ornitina-
trans-carbammilasi, anch’esso un enzima tipico del mitocondrio dell’epatocita. Questa seconda
reazione forma un altro amminoacido non proteico, la citrullina, che fuoriesce tramite un sistema
di antiporto, per cui ogni citrullina che esce una ornitina entra. Una volta fuori questa reagisce con
l’acido aspartico, attraverso un enzima che si chiama argininosuccinato sintetasi, che le condensa a
formare l’arginino-succinato. Questa reazione consuma una molecola di ATP la quale non si libera
come ADP, ma come AMP e fosfato inorganico, consumando due legami ad alta energia. Al
momento questo ciclo ha già consumato 4 legami ad alta energia ma vedremo anche che questo
dispendio si ridurrà quando si formerà nella tappa successiva un particolare metabolita. L’argino-
succinato, grazie ad una particolare liasi, la argininosuccinasi, scinde il composto in acido fumarico
e arginina.

Il fumarico in questo momento di trova nel citosol, ma sappiamo che esso è un metabolita del ciclo
di Krebs, nel quale diventa substrato della fumarasi. Esiste anche un isoenzima citosolico della
fumarasi che idrata il fumarico a malico, questo sappiamo che può entrare nel mitocondrio
attraverso il meccanismo malato aspartato, e verrà deidrogenato ad ossalacetato, attraverso il
meccanismo che conosciamo. Questo NADH può accedere al complesso primo della catena
respiratoria, formando 2,5 molecole di ATP e riducendo la spesa energetica del ciclo dell’urea (4-
2,5= 1,5 molecole di ATP consumate al momento).

Ritorniamo all’arginina, questa sotto effetto di un enzima che si chiama arginasi, viene scisso in urea
e ornitina che riprende il ciclo. Arginasi non è un enzima esclusivo del fegato e l’arginina si trova in
tutte le cellule, è possibile che una piccola percentuale di urea si possa formare anche nei tessuti
exstraepatici.

Regolazione del ciclo


La regolazione avviene fondamentalmente a due livelli. Il livello più importante nasce dalla
concentrazione degli enzimi, la cui concentrazione varia molto in funzione dell’alimentazione. Le
persone che hanno una dieta iperproteica hanno una maggiore concentrazione di questi enzimi nel
loro fegato, un po' come il discorso della glucochinasi. Ma anche nel digiuno spinto si è visto che la
concentrazione di questi enzimi si incrementa. L’altro tipo di controllo riguarda la carbamil-fosfato
sintetasi 1 da parte dell’acetil-glutammato.

Decarbossilazione di amminoacidi
Abbiamo detto che le reazioni che riguardano il gruppo amminico sono la reazione di
transaminazione ed eliminazione. Gli amminoacidi possono anche partecipare alle reazioni di
decarbossilazione, processo a cui vanno incontro tutti gli aa, e che è catalizzata da specifiche
amminoacidi-decarbossilasi. Questa reazione è sempre dipendente dal piridossalfosfato, il quale
reagisce con il suo gruppo aldeidico sempre e comunque con il gruppo amminico degli aa, formando
la base di schiff, solo che l’enzima è una carbossilasi e non una transaminasi. È chiaro che se noi
leviamo il carbossile ad un amminoacido rimane il gruppo amminico, formando un ammina. Queste
ammine hanno degli importanti ruoli metabolici, e queste ammine vengono chiamate ammine
biogene (putrescina, cadaverina e così via).
Stranamente la putrescina, che è stata studiata nei fenomeni di putrefazione, ha un nome
completamente errato, poiché durante gli eventi proliferativi la putrescina è importantissima.

Esempi di prodotti importanti ottenuti dalla


decarbossilazione di amminoacidi proteici
La decarbossilazione della lisina e dell’ornitina portano alla formazione delle diammine. Dalla lisina
si forma la cadaverina e dall’ornitina si forma la putrescina.
La putrescina chimicamente non è altro che l’1,4-diamminobutano e questo si ottiene attraverso
l’ornitina decarbossilasi, che è l’enzima che ha vita più breve di tutti (10 min). Questo è un enzima
che viene considerato marker degli eventi proliferativi, quindi tumori o crescita. Noi quando
andiamo a vedere in un terreno di cultura se la cellula sta proliferando o meno dosiamo l’ODC
(ornitina decarbossilasi). In realtà la putrescina è una poliammina che da vita a altri due poliammine,
la spermidina e la spermina. Questi sono policationi che servono a stabilizzare l’DNA durante la sua
replicazione.

Interviene la s-adenosin-metionina (SAM) che noi conosciamo come donatore di metili, ma in


questo momento ha un ruolo completamente diverso, la vedremo infatti come donatore di gruppi
propil-amminici. In realtà interviene la SAM decarbossilata che reagisce con la putrescina (4 atomi
di C e 2 gruppi amminici) e forma la spermidina (7 atomi di C e 3 gruppi amminici). La reazione si
ripete con un'altra SAM decarbossilata a formare la spermina (10 atomi di C e 4 gruppi amminici).
Ovviamente quando la SAM decarbossilata cede il gruppo propil-amminico resta come S-metil-
adenosina.

Metabolismo dei nucleotidi


A differenza delle altre classi di metaboliti i nucleotidi insieme alle loro basi azotate, non sono
richieste nell’alimentazione. Il nostro organismo è infatti di sintetizzare nucleotidi a partire da
precursori a basso peso molecolare in quantità sufficienti per le proprie esigenze. Come vedremo i
responsabili di questa sintesi ex novo, sono fondamentalmente gli amminoacidi. Esistono però delle
così dette vie di recupero. Oggi vedremo che non vengono sintetizzate prima le basi azotate, poi i
nucleosidi e poi i nucleotidi, ma vengono sintetizzati direttamente i nucleotidi. Tuttavia, quando
questi nucleotidi si degradano esistono delle vie di recupero che possono riconvertire i nucleosidi o
i nucleotidi o anche le basi azotate. L’azoto presente nel nucleo pirimidinico o purinico deriva dagli
amminoacidi e il ribosio dalla via dei pentosi.

Anche per i nucleotidi ce qualcosa di analogo a quello che accade agli aa. Questi hanno un ruolo nel
metabolismo energetico (ATP), mediatore fisiologici, messaggeri, componenti di coenzimi,
intermedi nella sintesi degli zuccheri, e poi effettori allosterici di una mare di attività enzimatiche.

Nessuno vi chiederà la sintesi del nucleotide purinico! (‘’perché io non so il nome e mi sono rifiutato
di impararlo, per cui no fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te’’)

Nucleotidi purinici
Nella sintesi dell’anello purinico avviene pezzo per pezzo sul ribosio fosforilato che
a sua volta è stato attivato. Alla fine di questo processo in realtà non si forma né
AMP né GMP, ma si forma l’IMP che ha come base l’ipoxantina che è comunque
una purina. Quando abbiamo formato questo nucleotide attraverso due reazioni
distinte trasformiamo l’IMP in GMP e AMP. Per passare dall’IMP all’AMP interviene
l’aspartato, in una reazione analoga a quella del ciclo dell’urea che portava da
aspartato a fumarico. Mentre per passare da IMP a GMP vi sono due reazioni, quella che porta da
ipoxantina a xantina e poi si dona il gruppo amminico da parte della glutammina.
L’origine degli atomi di carbonio – 2 atomi di carbonio e 1 di azoto derivano dalla glicina, e quindi
questa dona tutta sé stessa nella sintesi dell’anello purinico. Gli altri 3 atomi di carbonio derivano,
1 da una anidride carbonica e 2 dal metabolismo delle un unità monocarboniose (acidi folici). 1 azoto
deriva dall’aspartato che interverrà in una reazione analoga a quella che abbiamo visto nella sintesi
dell’urea, e 2 atomi di azoto sono dati dalla glutammina, in una reazione in cui entra come
glutammina ed esce come glutammato. (4 N e 5 C).

Anello pirimidinico

Anello pirimidinico – in questo il grosso lo dà l’aspartato. Questo ha 4 atomi di


carbonio ma in realtà nell’anello pirimidinico noi ne troviamo 3 più l’azoto, l’altro
atomo di carbonio e di azoto nascono dal carbamil-fosfato prodotto dalla -
fosfato-sintetasi 2. Il ribosio-5-fosfato deve intervenire ( e questo vale sia per i
coenzimi purinici che pirimidinici) in forma attivata, il 5-fosfo-ribosil-1-pirofosfato.
Il ribosio-5-fosfato reagisce con l’ATP, si libera AMP e il pirofosfato di lega a livello
del carbonio 1.

Per la sintesi dei nucleotidi pirimidinici prima si sintetizza l’anello e poi si ci impiccica il ribosio
mentre per i purinici al contrario.

Nucleotidi pirimidinici La loro sintesi è molto più semplice. Si parte dal carbamil-fosfato prodotto
dalla 2 che reagendo con l’aspartato forma il carbamil-aspartato. Questo va incontro a deidratazione
e ciclizzazione che forma il diidroorotato. La diidroorotato deidrogenasi lo converte in acido orotico
e questo reagisce con PRPP per mezzo della orotato fosforibosiltransferasi e da orotidina-5-
monofosfato (OMP) e pirofosfato. L'OMP è decarbossilata perdendo CO2 dalla OMP decarbossilasi
e trasformata in uridina-5-monofosfato (UMP). L'orotato fosforibosiltransferasi e l'OMP
decarbossilasi si trovano su un unico complesso proteico, l'UMP sintasi, la cui deficienza provoca
aciduria orotica ereditaria. L'OMP decarbossilasi è inibita da UMP, cioè dal suo prodotto. L'UMP
reagisce con ATP per mezzo dell'UMP chinasi per dare uridina-5-trifosfato (UTP) e ADP+P. L'UTP
reagisce con la glutammina e ATP per mezzo della CTP sintetasi per dare citosina-5-trifosfato (CTP),
ADP+P e glutammato

Vediamo come passare dai ribonucleotidi si formano i deossiribonucleotidi


Questa riduzione del ribosio a deossiribosio avviene dalle forme di nucleosidi difosfato. L’ADP
diventa deossi-ADP, lo GDP diventa deossi-GDP e cosi via. Per far avvenire questa riduzione, si deve
togliere un ossigeno, liberando una molecola di acqua. ovviamente serve un donatore di idrogeno
ovvero il NADPH+H+. L’enzima che lavora di chiama ribonucleotide reduttasi.
La ribonucleotide reduttasi (RR o RNR, conosciuta anche come ribonucleoside difosfato reduttasi) è
un enzima che catalizza la formazione di deossiribonucleotidi a partire da ribonucleotidi.
La reazione serve a fornire basi azotate per la sintesi del DNA, ed è conservata in tutti gli organismi
viventi. I substrati dell'enzima sono: ADP, GDP, UDP e CDP, anche se alcune ribonucleotide reduttasi
accettano anche CTP. Il meccanismo della reazione è il seguente:
ribonucleoside difosfato + tioredossina ⇄ 2ʹ-deossiribonucleoside difosfato +
tioredossina disolfuro + H2O
Questa è la via principale, l’altra vede l’intervento del glutatione.
Il glutatione ovviamente deve agire in forma ridotta e questa riduzione sarà fatta dal NADPH. In
questa strada però anziché intervenire la tioredossina interviene il la glutaredossina ma che catalizza
alla fine lo stesso giochetto.
Per completare parliamo dell’ultimo nucleotide, quello che ha la timina e che è indispensabile per
la sintesi del DNA. Il deossi TMP deriva dal deossi UMP, che a sua volta deriva dal deossi UDP che
deriva dall’UDP. Il passaggio da UMP a TMP è una reazione di metilazione. In questa non interviene
la SAM ma interviene l’acido folico, ma questo sappiamo che può esistere in forma metilata, ma in
una sola reazione, quella di ricarica dell’omocisteina a metionina. Qui interviene non come metil-
tetraidrofolato ma come metilen-tetraidrofolato. Il metilene non può formare il gruppo metilico.
Qui allora interviene un enzima chiamato metilato sintetasi che indirizza il gruppo metilenico
dell’unita monocarboniosa trasportata dell’acido folico, però dato che serve un metile e quindi un
idrogeno interviene la forma attiva non come tretraidrofolico ma come diidrofolato. A questo punto
ci sarà un enzima che andrà a riconvertire il diidrofolato in tetraisdrofolato per continuare il ciclo.

Metabolismo idrico salino


La vasopressina (ADH) e l’ossitocina sono prodotti a livello encefalico e vengono depositati
nell’ipofisi posteriore. Questa vasopressina poi viene immessa in circolo quando ci sono alcuni
recettori, chiamati osmo-recettori, si attivano. La vasopressina richiama acqua ristabilendo la
pressione e agendo con la cascata dell’AMPc. L’attivazione di questa porta all’attivazione della PKA
che porta alla fosforilazione di alcune proteine chiamate acquoporine, a livello del tubolo renale che
una volta attivate, favoriscono l’ingresso dell’acqua.

L’altro ormone che regola il metabolismo idrico salino è l’aldosterone. Questo è un ormone
steroideo prodotto dalla corteccia del surrene e che agisce attraverso un sistema particolare
chiamato sistema renina-angiotensina-aldosterone. L’aldosterone non agisce direttamente sulla
molecola di acqua come la vasopressina ma ha un azione sodio ritensiva, ogni atomo di sodio è
circondato da 6 molecole di acqua e quindi indirettamente richiama acqua. L’aldosterone ha un
azione opposta all’ANF (azione natriuretica, eliminazione di sodio) di cui abbiamo già parlato.
A livello dei glomeruli renali ci sono delle cellule nell’apparato iuxtaglomerulare che producono un
enzima chiamato renina. In pratica queste cellule quando vedono che c’è una pressione sanguigna
bassa agiscono immettendo in circolo questo enzima, che andrà ad interagire con una grossa
proteina chiamata angiotensinogeno, tagliandola e trasformandola in angiotensina 1 (pezzo di 10
aa). Questo a sua volta viene trasformato in un peptide di 8 aa (angiotensina II), perdendo due aa
attraverso un enzima chiamato ACE (enzima di conversione). Questa favorisce la secrezione
dell’aldosterone.

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