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IL VOCABOLARIO DI LATINO ( IL RACCONTO DI UNA VITA )

Biagio Cilento

A mia madre, ai miei figli Raffaele, Nicola ed Andrea, a mio nipote Francesco

Premessa

Chi dovesse leggere queste poche righe, siano esse appunti autobiografici, un diario o semplicemente il racconto di una vita o qualsiasi altra cosa si voglia, dovrebbe sapere dallinizio che io non ho avuto nessuna pretesa di essere uno scrittore e di non esserlo mai stato. Ci che ho raccolto sono cose semplici, emozioni, riflessioni episodi che hanno caratterizzato buona parte della mia vita, della mia giovinezza in particolare, e che ancora oggi mi accompagnano e di cui sono fiero ed orgoglioso. Possono anche essere lette come una risposta a mio figlio Andrea, che spesse volte mi ha chiesto perch custodissi con tanta cura e gelosia, tra le mie vecchie cose, un vocabolario di latino: un vecchio Campanini e Carboni. Credo che ognuno di noi, alle soglie della terza et, dovrebbe potersi misurare con le parti trascorse della sue prime due e tentare un resoconto scritto di quei pezzi di vita trascorsi, perch questa operazione aiuterebbe a capire meglio tante cose. Questo scritto dunque, al di l dalla velleit letteraria, credo che abbia certamente un effetto terapeutico, in quanto richiede lo sforzo di analizzare tutti gli eventi che hanno concorso a formare ci che effettivamente sono oggi. Una risultante derivante dalleducazione ricevuta, dalle esperienze infantili ed adolescenziali. In breve la fatica di essere uomini.

Biagio Cilento

Linfanzia, la casa, la famiglia

Il vento soffiava, tra gli spiragli e le fessure dellunico balcone con un ritmo monotono, a tratti sibili gelidi che rendevano ancora pi tetre e fredde le lunghe giornate invernali. I vetri, sporcati soltanto dalle impronte di piccole mani e resi opachi dal vapore di un alito innocente, erano retti soltanto da righelli di stagnola logorati dal tempo e non pi in perfetta tenuta. Da quel balcone si stagliava il palazzo del de Gennaro, circondato da grosse palme e da alberi di ulivo le cui cime erano continuamente piegate da folate di tramontana, con i suoi grandi finestroni di vetro colorato e sempre chiusi che riflettendo gli ultimi flebili raggi di sole rendevano pi triste ci che restava di una giornata invernale che stava per concludersi. Quello era lunico e sempre uguale paesaggio che si presentava ai miei occhi ogni qualvolta, seduto accanto ad un vecchio braciere di rame, con poca carbonella accesa, distoglievo lo sguardo da un libro di latino o da una pagina dellEneide. Spesse volte, nel voltare lo sguardo mi perdevo distratto e allora tutto quello spettacolo finiva con lo scomparire e io, rapito da quel mare di solitudine e di tristezza, totalmente assente mi vedevo immedesimato in uno dei racconti mitologici che stavo studiando con tanto di spada in pugno in groppa ad un magnifico cavallo bianco. Amavo quei momenti di solitudine nei quali piaceva perdermi e sognare ad occhi aperti cose impossibili. A farmi tornare nella realt ci pensava mia madre, che carezzandomi dolcemente, dopo aver dato un rapido sguardo allorologio, mi preannunciava il ritorno di pap dal lavoro. Si sarebbe andati, finalmente, tutti a consumare lunico pasto caldo della giornata. Lo diceva con tanta gioia quasi fosse una festa. Intanto, dal cucinino subito fuori delluscio di casa, o meglio dallunica stanza che ci fungeva da soggiorno, camera da letto e sala da pranzo, giungeva il profumo di polenta con broccoli o di pasta e fagioli.

Fuori, il vento soffiava sempre pi minaccioso e gelido col calar della sera. Un freddo che sentivi giungere fino alle ossa e che ti arrossava il naso e le dita delle mani e dei piedi protetti dall'unico paia di scarpe, che era gi stato pi volte dal ciabattino con ferite non pi facilmente rimarginabili, che a stento riuscivano a riparare. Dopo cena, ci si raccoglieva tutti intorno al braciere ad ascoltare qualche fatterello che mamma sapeva raccontare molto bene o narrarci episodi della sua giovinezza, spesso poco piacevoli. Mamma era rimasta orfana di madre ancora in tenera et ed era cresciuta e maturare in fretta per poter accudire alla casa e spesso badare anche ai pochi animali da soma nella stalla, essendo mio nonno di professione carrettiere. Della sua infanzia e della sua giovinezza dunque poteva raccontare ben poche cose, ma riusciva a farci partecipare a quei racconti con vivo interesse senza sembrarne turbata anzi esprimendo una serena felicit e laver dedicato tutta se stessa alla sua famiglia era stata per lei la sua massima aspirazione. Lunico a crearle qualche problema dei suoi cinque figli ero io, ma non perch fossi particolarmente cattivo o perch non volessi studiare, perch dei cinque, io era quello che veniva su con qualche problema di salute, quello che aveva maggior bisogno di cure e pure di affetto. Affetto e cure che mia madre mi ha dato fino al suo ultimo respiro e cos bene da aver riempito tutta la mia vita. E a lei oggi che devo tutto: il suo amore, le sue premure, i suoi preziosissimi consigli mi mancano moltissimo ed a lei e al suo ricordo che principalmente dedico queste poche pagine. E un ricordo cos forte che a volte ho limpressione di sentirmela a fianco e forse veramente cos.

Mio padre

Anche di pap sento la mancanza e non che il nostro rapporto sia stato facile, anzi tutt' altro. Belluomo, otto anni pi giovane di mamma di cui era molto innamorato; amava trascorre buona parte del suo tempo libero al circolo a giocarsi quei pochi preziosissimi spiccioli che tratteneva per s dalla busta paga ogni fine mese. Spiccioli che appunto, siccome pochi, finivano sempre troppo presto, contribuendo cos ai suoi sbalzi di umore che finivano col renderlo irascibile ed intrattabile, tanto che spesso, per un nonnulla volavano scapaccioni. Il pi vulnerabile ero io, forse perch il pi grande e forse anche perch gli venivano in mente marachelle passate e mai punite. Allora gi botte fino a farmi sanguinare il labbro o il naso e la smetteva solo allora, lasciandomi sul viso oltre qualche livido, il profumo di saponette Lux con le quali spesso era solito lavarsi le mani. Questa operazione mio padre la faceva solitamente prendendomi per mano e portandomi nellandrone, sulle scale, lontano dagli sguardi di mia madre. Sapeva bene che se lo avesse visto, gli si sarebbe avventata addosso come una tigre. Come avrei mai potuto rivolgermi a lui ed aprirmi nel momento del bisogno? Come potevo essere aiutato e soprattutto compreso? Quante volte ho desiderato avere con lui un rapporto amichevole, un rapporto che forse a noi due avrebbe aiutato a superare tanti piccoli grandi problemi e a me farmi sentire pi sicuro e pi forte. Io ce la mettevo tutta, ma i risultati non erano dei migliori. Ho tentato di tutto con lui, ma sempre con scarso risultato. Avere un padre per amico credo che sia la massima aspirazione per un adolescente, ma a me, in parte fu preclusa. Cerano anche momenti belli che trascorrevo insieme con lui. Questo accadeva quando si andava a caccia sul monte Faito, alla posta alla beccaccia. Ci si alzava alle tre del mattino e si partiva con un pezzetto di pane in saccoccia. Io lo seguivo per i sentieri della montagna come un vero cane da caccia. Al ritorno, mi faceva portare la doppietta in spalla, che insieme a qualche tordo appeso alla cintola, mi facevano sentire pieno di
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orgoglio e molto spesso invidiato dai miei compagni di gioco. Erano quelle le uniche occasioni che mi si presentavano per poter scambiare quattro chiacchiere con mio padre. Ricordo qualche rara carezza e ancora pi raramente, laver camminato al suo fianco con la sua mano poggiata sulla mia spalla: bastava solo questo, ed era cos poco, a rendermi felice e a farmi sentire sicuro e protetto, ma forte allo stesso tempo. Dio! Quanto ho amato quei momenti rari e quanto ne sento ora la mancanza. Anche durante gli ultimi anni della sua vita, quando colpito da un male incurabile che lo vedeva consumarsi giorno dopo giorno, quando mi vedevo impotente e disperato non sapendo come poterlo aiutare, carezzandogli i capelli cercavo di fargli capire quanto bene gli volessi e che avrei dato volentieri la mia vita per lui se questo avesse potuto salvarlo. Poco prima di spirare volle vedermi: poche parole e una forte stretta di mano, quasi volesse farsi perdonare di non avermi dato abbastanza. Non si rese conto che con quell ultimo gesto mi aveva gi dato tutto.

La nostra stanza

Tra un fatterello e un altro, il tempo passava e il piccolo braciere diventava sempre pi freddo, si faceva presto lora per dormire. Un po di trambusto animava ancora la piccola stanza, prima che la giornata si concludesse definitivamente. Lettini pieghevoli in ferro comparivano allimprovviso, nascosti durante il giorno da tende, e vi prendevano posto le mie due sorelle, che soddisfatte della giornata trascorsa con la maestra di taglio e cucito, si rannicchiavano luna accanto allaltro per meglio difendersi dal freddo, in attesa che il sonno ristoratore le consegnasse ai sogni di tutte le ragazze di allora. Io dormivo in un altro lettino che dividevo con mio fratello minore e nel quale ci si poteva a malapena girare, correndo il rischio di finire sul pavimento, tanto era stretto per noi due. Appena la stanza piombava nel silenzio e nel buio, illuminata soltanto da un piccolo lumicino elettrico montato su di una statuetta in argento che raffigurava il sacro Cuore, restavo immobile con gli occhi sbarrati a pensare cosa avrei fatto da grande. Valutavo i miei progetti, tutto quello che avrei voluto fare per guadagnare tanti soldi per offrire una vita migliore alla mia famiglia. Volevo dimostrare a mio padre che valevo qualcosa. Volevo ripagare mia madre delle tante privazioni e dei tanti sacrifici che faceva. Ma soprattutto volevo dimostrare a me stesso, con abnegazione ed ostinata caparbiet, che nella vita si pu riuscire e limportante era non abbattersi mai. Ero il primogenito e mi sentivo in dovere di dare una mano, di contribuire a tirare il carro, un fardello che, col passare del tempo diventava sempre pi gravoso ed era una sensazione che mi faceva sentire quasi in colpa. Quello che non sono mai riuscito a capire era come faceva mia madre a tirare avanti tutta la famiglia, amministrando quel poco che mio padre riusciva a portare a fine mese. La paga di mio padre era la misera paga di un modesto tornitore e noi vivevamo in un modesto decoro, senza mai contrarre una sola lira di debito con chicchessia, nonostante questo tutti noi andavamo a scuola. Con larrivo del sonno, tutta la stanza piombava in un silenzio profondo, cadenzato soltanto dal ticchettio di una vecchia sveglia che scandiva inesorabilmente il tempo che passava, o dal rumore di qualche molletta da
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bucato, che il vento faceva battere sullinferriata del balcone. Il silenzio, quel buio appena rischiarato dalla luce di quel lumicino, quei rumori lievi, mi facevano paura, com' normale in tutti i bambini, allora infilavo la testa sotto le coperte e, bench fossimo tutti in una sola stanza, avevo limpressione che ci fosse sempre qualche presenza estranea tra noi. La stessa sveglia che cullava il nostro sonno, ci svegliava con il suo stonato scampanellio, alle sei del mattino. Mamma andava subito nel cucinino a preparare la colazione a pap che si recava al lavoro puntualmente con la navetta delle sei e quaranta, poi preparava un po di caff dorzo, con la quale faceva la zuppa a noialtri, solo di tanto in tanto con laggiunta di poco di latte. Le dita dei piedi nudi a contatto con il pavimento gelido si contraevano facendo correre un brivido lungo la schiena e allora ti veniva voglia di infilarti nuovamente sotto le coperte. Era solo il profumo dell' orzo e del pane appena affettato sulla tavola che ci faceva alzare. Mi infilavo rapidamente i calzini rattoppati alla meglio, le scarpe e subito dopo fuori dall uscio a lavarsi con lacqua fredda, a turno, nellunico grosso tino di terracotta che fungeva da vasca da bagno, da deposito per panni sporchi e da lavatrice.

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Il vocabolario di latino

Spesse volte mi piaceva trascorrere ore intere, seduto fuori delluscio di casa a guardare mia madre, che chinata su quel grosso tino, con quelle sue braccia nude per nulla intirizzite dal freddo. Lavava lenzuola, camicie, pantaloni e indumenti intimi, per poi stenderli tutti, magari approfittando di una giornata di sole e occupando il poco spazio che ci spettava, facendo bene attenzione a non sconfinare nello spazio dei vicini per evitare inutili polemiche. Spesso canticchiava qualche vecchia canzone napoletana con voce chiara e melodiosa e che probabilmente le ricordava qualcuna delle poche giornate felici della sua giovent. Poi appena si accorgeva che la stavo osservando, estasiato, quasi rapito da quel suo modo di fare sempre allegro e pieno di calore, abbozzava un sorriso di compiacimento mostrando una dentatura bianca perfettamente allineata. Com' era bella mia madre. La vicina, di casa si soffermava anch' essa a guardarla per un attimo prima di scendere le scale e sicuramente avr invidiato quella donna che, malgrado i tanti problemi e il tanto da fare con una famiglia numerosa trovava anche il tempo di sorridere e di essere felice. Era molto brava nel riuscire a capire i miei stati danimo, quando ero triste o quando volevo farmi perdonare qualche malefatta. Mi apriva quelle sue grandi braccia nelle quali trovavo calore e rifugio e senza riuscire a nasconderle niente le raccontavo ogni cosa, ed ho continuato a fare fino a pochi anni fa , quando altre braccia avrebbero dovuto farlo o almeno tentare ma con scarso risultato. Unico svago di quella donna era di fumare mezza nazionale ogni tanto che io stesso andavo a comprarle di contrabbando e dalla quale faceva fare anche a me una boccata di nascosto, dopo aver sorseggiato un poco di caff, quando si riusciva ad averne in casa. Altre volte si faceva accompagnare per una piccola passeggiata alla villetta comunale o a guardare l'arrivo dei tram da Castellammare o da Sorrento, la cui fermata era proprio davanti al vicolo dove abitavamo. Fu proprio durante una di queste passeggiate che le feci notare che aveva la gonna con un lembo strappato e che forse sarebbe stato opportuno acquistarne una nuova al mercatino rionale, visto che di rattoppi ne aveva gi tanti e che mi - mi pento ora a dirlo- mi vergognavo quasi di starle a fianco. Mi guard in silenzio poi, abbozzando il suo solito tenero sorriso,
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mi cinse la spalla con il suo grosso braccio e chinando il capo mi sussurr dolcemente figlio mio, con i soldi della gonna devo comprarti il vocabolario di latino. Al momento non dissi una parola, ma mi si form un grosso nodo alla gola tanto da impedirmi persino di ingoiare, poi guardandola fisso negli occhi feci a me stesso solenne giuramento, che da grande avrei fatto tutto il possibile per offrirle una vita migliore, che le avrei comprato tutto ci che avrebbe desiderato e che non avrebbe mai potuto avere, che l'avrei ripagata dei tanti sacrifici. Oggi mi rendo conto di esserci riuscito soltanto in parte anche se lei non mi ha mai chiesto n mi ha mai fatto capire di aver desiderato qualcosa. se non il vederci crescere sani ed onesti, nel corpo e nell'animo, e d'esserci fatti onore a scuola e nella vita. Io non avevo capito che solo e soltanto questo era tutto quello che una donna come mia madre avesse potuto desiderare immensamente. Conservo ancora gelosamente quel vecchio vocabolario di latino, anche se un po' malridotto, spesso lo prendo tra le mani e dopo aver sfogliato alcune pagine ingiallite lo stringo forte al petto, chiudo gli occhi ed ho la sensazione per pochi istanti, di trovarmi ancora tra quelle braccia e di sentirne le carezze.

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Il Natale

Giorni fa, mettendo ordine tra le mie vecchie carte, mi capitato tra le mani un tema d italiano sul Natale svolto da uno dei miei ragazzi quando frequentava le elementari: Natale la pi bella festivit dell'anno vero, riflettendoci , non esiste festivit pi bella e pi sentita, che pi di ogni altra ricorda il calore familiare. Torno subito indietro negli anni, e mi tuffo nei ricordi, quando si attendeva questo periodo festivo non tanto per le due settimane di vacanza a scuola, quanto per potersi ingozzare di zeppole al miele, frutta secca, qualche pezzo di pollo e altri dolcetti fatti in casa. Con l'avvicinarsi poi del 25 di dicembre, anche la speranza di un nuovo paio di scarpe o addirittura di un cappotto, acquistato sempre al mercatino dell'usato di Pugliano diventava una realt. Era chiaro che il tutto veniva programmato prima, tredicesima permettendo. Sin dai primi giorni di dicembre si avvertiva nell'aria una strana sensazione come se qualcosa di grande stesse per accadere. un' atmosfera nuova, pi movimenti nelle strade e nei vicoli rionali , preparativi di bancarelle e di addobbi vari, la comparsa dei primi zampognari e lo scoppio di tanto in tanto di qualche mortaretto confermavano l'avvicinarsi del Santo Natale, la festa pi bella dell'anno. Durante questo periodo ci si sentiva pi buoni , pi tolleranti con i vicini di casa, con i quali si iniziava a parlare di veglioni e delle varie pietanze da portare a tavola la sera della vigilia. Anche io, pervaso da questa atmosfera di bont cercavo di restare pi tempo a casa ad. aiutare la mamma come meglio potevo. Accudivo i fratelli pi piccoli, attingevo l'acqua dal pozzo gi nell' androne, andavo a farle piccole commissioni non senza la speranza di ricavarne degli spiccioli. II richiamo della strada con tutta la sua animosit, era pi forte di ogni altra cosa e verso sera scendevo un poco gi nel vicolo dove con i pochi amici si giocava a nascondino o a carte oppure si accendeva un fuoco e attorno ad esso ci raccontavamo innocenti fatterelli e si facevano progetti per il futuro, di cosa avremmo fatto da grandi. Nei giorni poi, che subito precedevano il Natale, ci si raccoglieva in casa dei vicini a giocare a tombola o a carte. Erano tombolate di quindici o
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venti persone: tutti seduti intorno all'unico braciere o a qualche modesta stufa elettrica. La padrona di casa ad un certo punto interrompeva il gioco portando in tavola l'immancabile zuppiera di zeppole fritte condite con miele e canditi o con confettini colorati, accompagnata da alcune bottiglie di liquore fatto in casa o di vermouth di marca scadente e mentre il tutto veniva consumato in fretta. Lei osservava tutti con sguardo compiaciuto e severo dall'altro capo della tavola e chi pi poteva arraffare arraffava, senza tener conto di alcuna norma di buona educazione, che avrebbe imposto di rispettare un turno o seguire un ordine, ed aspettandosi sempre i soliti complimenti di brava cuoca e di ottima padrona di casa. La vigilia era poi il giorno pi atteso. A svegliarci di buon mattino era il vociare dei ragazzi che lavoravano nel laboratorio di pasticceria proprio sotto casa e il rumore delle fascine che venivano trasportate dalla cantina al forno pronto per essere acceso, oppure i passi veloci dei burrai e i loro brusii che, animatamente con i loro cesti di vimini sottobraccio portavano a Napoli i formaggi del Faito appena lavorati. I vari Staiano, Vanacore, i Guida, i Cuomo, i Savarese e tanti altri che con i loro passi gravi sul basolato di lava del Vesuvio di cui era lastricata la strada, in fila indiana o per due, guardando di tanto in tanto l'orologio, cercavano di recuperare qualche secondo e poter arrivare per primi alla stazione e trovare posto sul primo treno in partenza per Napoli. Mamma di primo mattino preparava la cioccolata calda con fette di panettone fatto in casa, cosa che si faceva soltanto in caso di grandi festivit o compleanni, poi iniziava a preparare il cenone. Si digiunava per tutto il giorno fino alle sei sette di sera poi tutti a tavola ad ingozzarsi a pi non posso, quasi a volersi vendicare delle tante piccolo privazioni subite durante tutto l'anno e consapevoli che per un'altra abbuffata sarebbero dovuti trascorrere altri dodici mesi. Ancora oggi ricordo quei momenti e li rivivo come fossero attuali provando le stesse emozioni di allora, specie quando incontrando vecchi compagni di allora e proprio in occasioni di festivit ricordiamo con piacere quei tempi e non senza un pizzico di nostalgia.

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Ladolescenza, la giovent, gli amici ,il paese

II tre di febbraio, giorno di S. Biagio, i raggi di sole che attraverso i finestrini del balcone tornavano a lambire una parte del lettino dove dormivo, segno inequivocabile della imminente stagione primaverile. Quei pallidi raggi di sole sembravano recare un messaggio di speranza, te li sentivi giungere fino al cuore e sembravano sussurrarti coraggio la brutta stagione invernale passata, sta arrivando la primavera. Che bella stagione la primavera, le giornate pi lunghe, l' aria pi dolce e pi tiepida, la natura tutta che si risveglia dopo il torpore dei mesi invernali. Al mattino, subito dopo colazione e mentre preparavo il fagotto dei libri di scuola, mi soffermavo alcuni minuti ad ascoltare estasiato il cinguettio dei fringuelli che svolazzando da un noce all'altro iniziavano a corteggiarsi per la imminente nidiata. Anch'io avvertivo quel pizzico di euforia, i miei tredici quattordici anni cominciavano a farmi sentire pi maturo, pi uomo, specie con la comparsa sul viso della prima peluria, e cominciavo a guardare le ragazzine con maggior interesse. Gi qualche compagno di scuola di qualche anno pi grande, vantava avventure spesso arricchite con piccole bugie e che io amavo ascoltare cercando di imparare nuove tecniche di conquista. A scuola eravamo soltanto in sei i maschi e circa una ventina di ragazze, tutte abbastanza carine, non che ce ne era qualcuna che mi interessava in particolare, ma cercavo lo stesso di far conquiste, facendo sfoggio di tutta la mia vivacit o con fatterelli o con battute facili, ma quasi sempre con scarso risultato. Riuscivo solo a divertire e a volte diventare anche simpatico ma niente di pi e questo mi amareggiava profondamente. Spesso facevo le mie confidenze pi riservate a Mario, lunico caro e vero amico che avevo e lui mi confidava le sue. Trascorrevamo cos interi pomeriggi insiemi seduti sulle scale del portone di casa a scambiarci opinioni e consigli e a programmare in parte quello che sarebbe stato il nostro futuro e lo facevamo cosi bene che ci sentivamo come due fratelli sempre disponibili ad aiutarsi l'un l'altro.
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Ognuno ascoltava, con interesse i problemi, le ansie, i timori e le aspirazioni dell'altro. Ognuno ascoltava con il cuore e con il cuore cercava di aiutare l'amico. Peccato che tutto fin troppo presto, Mario si arruol giovanissimo nella benemerita dove fece una rapida e brillante carriera e cos per un po - ci perdemmo di vista. Di amici cosi non ne ho pi avuti, alcune volte ci siamo incentrati per caso e, anche se raramente, non abbiamo potuto fare a meno di riandare, anche se per poco, nei ricordi della nostra adolescenza, in Via Canale , tempi in cui bisognava maturare in fretta, e rapidamente crescere e diventare grandi. Ancora oggi lo cerco per potergli parlare di altri problemi , forse ben pi gravi di quelli di allora, problemi forse non di facile soluzione,- ma avrei, se non altro, la certezza di essere capito ed ascoltato con il cuore. Ho accennato prima a Via Canale, dove sono nato e dove ho trascorso la mia infanzia e la mia adolescenza, nel piccolo rione che insieme a piazza S.Ciro, piazzetta mercato piazzetta della Croce, Via Pozzillo e Via Vescovado, rappresentava la parte pi antica e pi caratteristica di Vico Equense. Via Canale, era popolata da una quarantina di famiglie, quasi tutte operaie e artigiane, gente semplice ed onesta, dedita soltanto al lavoro, con un unico obiettivo ti tirare avanti la famiglia quasi sempre abbastanza numerosa , con decoro. Ogni sera la piazzetta si popolava di gente e noi ragazzi con strillando festosamente animavamo l'intero rione, mentre le donne a gruppetti, sedute davanti ai portali dei caseggiati, discorrevano del pi e del meno, attendendo il ritorno dei propri mariti o dei figli dal lavoro mentre un odore di minestra, quasi sempre broccoli o cavoli si spandeva per ogni angolo del vicolo. Solo sul tardi , quando ognuno era rientrato nella propria casa, per ultimo, il rumore degli zoccoli dei muli e il cigolio delle ruote del carretto, annunciavano il rientro di Raffaele il carrettiere. Oggi di quegli scenari dal sapore eduardiano non rimasto pi nulla. Le vecchie famiglie che popolavano il rione sono scomparse mentre buona parte di noi giovani di allora siamo partiti per il mondo alla ricerca di fortuna. Non rimasto niente, neanche il vecchio rione: infatti via Canale non esiste pi. Delle grosse mura ne hanno bloccato gli accessi da ambedue i lati, volute da chiss quale politico o amministratore comunale e chiss per quale scopo. Eppure via Canale sempre stata una piccola importante arteria di collegamento tra via Nicotera, via R.Bosco, piazzetta mercato, con la stazione della Circumvesuviana, agevolando di molto i pendolari che di primo mattino si recavano al lavoro con i primi treni in partenza per Napoli.
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Quello che maggiormente rattrista che i Vicani , sempre attenti ai problemi del loro paese e tanto legati alle proprie tradizioni, abbiano permesso scempi del genere, impassibili e senza un minimo di protesta. Rimane soltanto il ricordo , un caro ricordo del rione dove hai trascorso i primi anni della tua vita, che ti ha visto crescere sano in un ambiente pulito ed onesto tra gente povera e dignitosa, dalla quale venuta fuori una generazione di valenti artigiani , bravi marinai e ottimi professionisti, tra i quali, medici di chiara fama. Qualcuno negli anni ritornato, forse i pi fortunati, e ha investito buona parte dei propri risparmi acquistando parte di ci che rimasto di quei grossi caseggiati, non tanto per una forma di investimento o di business vero e proprio, quanto per poter trascorrere il resto degli anni negli stessi luoghi che lo hanno visto in pantaloncini corti, e dove ha lasciato i ricordi pi belli e pi amari o forse perch troppo legato alle proprie tradizioni o forse ancor di pi per una forma di rivalsa vera e propria rispetto agli anni di privazioni e di miseria.

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Lestate tra il 55 e il 56

Durante l'estate, il nostro paese era letteralmente invaso da comitive di turisti stranieri, il cosiddetto turismo di massa o turismo a basso costo che in Europa faceva la sua prima apparizione, avrebbe modificato gli usi e i costumi degli europei e poi un po pi tardi anche di noi. Francesi, Inglesi, Tedeschi, Danesi e Svedesi si riversavano nel nostro piccolo paese e per tutta la penisola sorrentina,, assetati di sole e di mare. Si apriva, per i giovani del paese, una vera e propria caccia alla bella straniera, anch'essa attratta dalla fama del bel maschio partenopeo. Quasi tutti riuscivano a conquistare la bella francesina o inglesina e a trascorrervi insieme una piacevole settimana di vacanze, specie quando non si avevano materie da riparare a settembre. A sera gli alberghi locali erano sempre assediati, ognuno si recava a prendere la propria conquista, il pi fortunato con la lambretta, non mancando poi di mettersi in mostra seduti ai tavoli dei bar della piazza davanti ad una tazza di caff o una lattina di Coca Cola oppure passeggiando per le vie del centro e balbettando ad alta voce quel poco di francese o inglese sgangherato e scolastico e facendo sfoggio dell'unico paia di jeans rimesso a nuovo per l'occasione: ci si pavoneggiava tenendosi per mano con la ragazza appena conquistata. Per il pi bravo, cio quello che era riuscito ad avere pi avventure con pi straniere e magari con le pi carine era oggetto di orgoglio e di prestigio e per tutto l'anno scolastico e non si faceva altro che raccontare, ai meno fortunati, di quelle avventure arricchite di episodi e situazioni oggi poco interessanti ma per quell' epoca estremamente piccanti. Quelle straniere alte, bionde, alcune di statuaria bellezza, provenienti da paesi all'avanguardia sicuramente per quanto riguardava l'educazione sessuale, fornivano a noi giovani del tempo, in un paese del sud, quel
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necessario bagaglio di informazione e di ammodernamento delle abitudini e dei nostri costumi. Basti pensare alle prime minigonne, che sarebbero apparse di l a poco, o ai primi bikini o ancor di pi a qualche topless. Esse lasciavano in noi, bei ricordi, e alcune volte e non di radoqualche colonia di streptococchi. Infatti alla loro partenza, dopo la settimana di vacanza, tra lacrime, abbracci e scambi di promesse , non erano pochi i dongiovanni che si recavano furtivi in farmacia, con ricetta del medico, causa strani bruciori accompagnati da ancor pi strane perdite dagli organi genitali. Molti di loro hanno poi sposato la loro conquista trasferendosi a Londra, Parigi, Oslo o Berlino, pi che altro perch attratti da buone prospettive di lavoro. I pi fortunati sono riusciti a formarsi una famiglia e ad adattarsi agli usi e ai costumi locali , per molti altri stato un fallimento e non hanno pi fatto ritorno al paese natio, forse per vergogna oppure per non offuscare l'immagine di conquistatore che si erano fatti negli anni passati e di loro non si saputo pi nulla. Sto parlando di anni per me molto brutti, anni amari, forse i pi brutti della mia giovinezza, di quelli che lasciano il segno. Era chiaro che le conquiste pi significative fossero avvenute in spiaggia, dove era sufficiente un piccolo pretesto per attaccar bottone, facendo sfoggio delle poche parole imparate durante l'anno scolastico, per lo pi frasi gi preparate. In realt per, come sempre, a scegliere erano sempre loro, le turiste, ma era chiaro che ad accaparrarsi le pi carine erano i cosiddetti fusti anche se sapevano pronunciare soltanto buon giorno e buonasera. Io ero completamente fuori gioco. Preferivo non scendere proprio in spiaggia non mettermi in mostra e restarmene da solo in disparte con un amaro sorriso sulle labbra e una spina nel cuore. Infatti la vitiligine che mi deturpava in parte il volto e le mani ed alcune parti del torace, con i raggi abbronzanti del sole, finiva col mettere ancora di pi in risalto la differenza di colorazione della pelle creandomi seri problemi di adattamento, specialmente in spiaggia. Chi legge e sente parlare per la prima volta di vitiligine pensa a chiss quale male o quale forma di malattia o disfunzione della pelle. Non n l'una n l'altra. Secondo noti dermatologi mancanza di pigmento e pare sia causato da choc nervoso delle cellule preposte per la sua secrezione. A tutt oggi non se ne conoscono i motivi e non vi alcun rimedio. Dall'et di quattro anni e cio fin dalla comparsa sul viso delle prime chiazze, di problemi ne ho avuti, in modo particolare durante gli anni dell'adolescenza... Non che soffrissi di complessi di inferiorit o di altro, che non mi mai piaciuto mettermi in mostra ed essere oggetto di
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osservazioni curiose,rispondere a domande imbarazzanti e poco delicate o a commenti a volte poco lusinghieri. A soffrirne parecchio era pure mia madre, anche se in silenzio e senza mai lasciare trapelare alcuna emozione. Spesso dava fondo ai pochi risparmi per portarmi da specialisti a Napoli e farmi sottoporre a strane terapie a base di raggi ultravioletti, ma sempre con scarso risultato. Si sentiva quasi in colpa, responsabile di questa mia situazione per il solo fatto di avermi generato e di vedersi impotente dopo aver tentato tutto quanto era possibile, allora, per la scienza medica. Era proprio in quelle occasioni, che carezzandomi il capo, e baciandomi sulla fronte mi insegnava a trasformare il mio difetto fisico in particolarit ma soprattutto mi insegnava a guardarmi entro. Fissandomi sempre con quei suoi grandi occhi neri, quasi a volersi far perdonare quella sua impossibilit a risolvere il mio grosso problema. Non si rendeva conto che era proprio il vederla soffrire in silenzio a causa mia che mi amareggiava moltissimo e che per questo io l'amavo immensamente, ed oggi pi di allora. Oggi incontro tante persone affette da questo inconveniente, sembra quasi diventata la malattia del secolo e che secondo statistiche di noti istituti dermatologici ne affetto l'uno per cento della popolazione europea. Tocca tutte le classi sociali, ricchi, poveri, docenti universitari, medici, noti professionisti , dirigenti di azienda, giovani donne bellissime e persino qualche presidente della repubblica. Pare che la causa scatenante sia lo stress.

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La mia prima ragazza

Allet di diciassette anni ho avuto la mia prima ragazza, la mia prima esperienza amorosa ed stato con lei che ho goduto le prime emozioni di un bacio appassionato, quasi rubato, dietro un carretto o un portone o in una stradina di sera al buio. Si realizzavano cos i primi sogni, il piacere di stringere a te una ragazza per la prima volta e sentirti finalmente uomo, insomma la prima cotta. Aspettare per delle ore sotto la sua finestra in attesa di un cenno e attendere che uscisse per qualche commissione e poter stare un poco insieme: Parlare del futuro e fare progetti tenendosi per mano, momenti molto belli specie quando il calore e l'affetto che dai ti viene ricambiato con la medesima intensit. Ci lasciammo dopo alcuni mesi senza apparenti motivi, pare che ai genitori della ragazza di tanta poesia non importasse proprio nulla. Cercavano un marito per la loro figliola a breve termine e prima che avessi potuto farlo io di acqua sotto i ponti ne sarebbe dovuta scorrere tanta. Assaporavo, quindi, ancora troppo giovane, le prime delusioni e le prime amarezze che pure possono scaturire da un rapporto cosi bello. Pi avanti negli anni ho imparato alcune cose e credo che ve ne siano ancora tante da imparare sui rapporti con il sesso cosiddetto debole. Cos'abbia poi di debole una donna non sono mai riuscito a capirlo, ed quasi sempre lei a tenere i fili di un rapporto mentre, quando vuole, sa essere assai pi forte di noialtri maschi. Guai a farle capire che ne sei troppo innamorato, significherebbe essere alla sua merc anima e corpo, e quando vuole sa farti soffrire fino a spezzarti il cuore. Le persone con una certa sensibilit d'animo, le quali non esitano ad esternare subito i propri sentimenti, le proprie ansie, le proprie emozioni e tutto quanto di pi bello si portano dentro, corrono il rischio, quasi sempre, di passare da momenti di gioia immensa a momenti di profonda costernazione. Forse perch non comprese subito o forse, perch mal comprese. Nel corso della mia
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giovent capitato spesse volte di perdere amicizie molto significative che avrebbero potuto dare inizio a storie interessanti, per il solo fatto di aver messo troppo entusiasmo nell'esprimere i propri sentimenti anche se con onest e sincerit; senza altri fini se non quello di poter contare su qualcuno, entrare in un angolo del suo cuore e rimanerci in silenzio. Vivere sapendo di essere importante per qualcuno su cui poter contare in ogni momento credo sia il desiderio di tutti. Ti aiuta ad affrontare la vita con maggior coraggio e a superarne i momenti difficili. Purtroppo pero, tutto ci non sempre riesce e molte volte, questo, oltre a ferirti profondamente, ti vale anche la qualifica di immaturo. A questo punto vale la pena di citare una massima da un manoscritto di un filosofo Americano trovato nella chiesa di S. Paolo a Baltimora nel 1692 Sii sempre te stesso sopratutto non fingere negli affetti e neppure sii cinico riguardo all amor , perch a dispetto di tutte le aridit e disillusioni esso perenne come 1 erba. Sto parlando di anni in cui prima che una ragazza ti dicesse di si dovevi prima farle una corte accanita e ancor prima che potessi infilarle una mano tra il reggiseno ti ci dovevi almeno fidanzare ufficialmente. Oggi se uno ci riflette un po', si rende conto che forse era quasi tutto pi bello allora, e che tutta, questa ventata di civilt e di progresso, che ci ha investito in questi ultimi anni, tutta questa apparente fasulla emancipazione in tutti i campi per un certo senso non credo abbia migliorato di molto il modo di vivere rispetto a quel periodo,o almeno non ci ha resi pi civili. Durante l'estate di quegli anni,- sembrer strano, trovavo spesso rifugio nei libri di scuola. Infatti oltre a riparare l'immancabile matematica , mi piaceva immergermi nei libri di storia e di letteratura italiana in special modo mi piacevano Foscolo e Leopardi; avevo un obiettivo: diplomarmi e iniziare a lavorare seriamente, volevo navigare e volevo fare presto soldi e carriera in modo da poter tirare via da quell' unica stanza tutta la mia famiglia e offrir loro una vita pi agiata. Volevo dimostrare a mia madre che non aveva riposto invano le sue speranze. Aveva gi pagato a caro prezzo la povera donna, l'aver sposato un uomo di otto anni pi giovane di lei, un uomo che aveva bisogno pi di una madre che di una moglie con tutte le responsabilit che questa cosa comportava per la sua vita e per la nostra.

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Il mare, il deserto

Ho accennato prima alla via del maresi, perch allora il mare rappresentava l'unica fonte di guadagno rapida e sicura. Quasi ogni famiglia della penisola sorrentina con Torre del Greco e Castellammare comprese, mandava- anche a costo di grossi sacrifici- il primogenito all'istituto nautico di Piano di Sorrento. Una volta conseguito il diploma di capitano di lungo corso o di macchinista navale, con pochi anni di navigazione specie se su navi petroliere, ti potevi risollevare dalle miserie del dopoguerra. Durante i cinque anni di frequenza ognuno di noi faceva grossi progetti, sognando carriere brillanti su ponti di comando o in sala macchine,traversate oceaniche piene di fascino e di mistero e avventure con ragazze esotiche dall'ombellico scoperto. Si assaporava anche la gioia del ritorno a casa, dopo lunghi viaggi, pieni di orgoglio e con le valige colme di tante cose a volte interessanti a volte inutili cianfrusaglie. Ognuno ascoltava con grande interesse i racconti avventurosi di qualcuno pi anziano che al suo ritorno da lunghi viaggi, tornava all'istituto per salutare vecchi insegnanti o pi che altro per mostrare qualche capo di vestiario americano. Raccontando avventure con fanciulle sudamericane o mediorientali, magari arricchite da contorni pi piccanti. Tutte quei racconti venivano seguiti con grande interesse e restavano oggetto dei nostri discorsi per parecchie settimane. Fino all'arrivo di qualcun altro che ne raccontava delle nuove. Molti di noi, poi, si sono subito resi conto che la realt era ben diversa. Il mare ha sempre avuto, indubbiamente, il suo fascino, un qualcosa di infinitamente bello, un qualcosa che con il tempo ti entra nel sangue e te ne innamori tanto da non poterne fare pi a meno, come per una bella donna ma come ogni bella donna sa essere anche amaro e cattivo. Un oceano in tempesta, di paura ne fa venire tanta. Ti senti sballottato per giorni interi di qua e di l come chiuso in una scatola di latta mentre onde maestose dalla cresta frastagliata dai venti impetuosi ti vengono incontro minacciose. Quasi a mettere a dura prova il tuo coraggio di uomo e di marinaio. Preoccupato e sbigottito, osservi dall'obl ben sigillato, uno spettacolo che potrei definire unico al mondo. Solo allora ti rendi conto della maestosit delle forze della natura e di tutta la loro potenza e che la nave, per quanto possa essere grande e modernamente attrezzata, rimane a
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malapena un piccolissimo guscio di noce alla merc di tanta forza sovrumana. E proprio in quei momenti, che ti torna in mente la casa, la famiglia, il paese, tutte le persone care. Poi quasi rapito da tanto sbigottimento alzi gli occhi al cielo sempre grigio e minaccioso, e pensi a Nostro Signore in tutta la Sua grandezza ed a Lui che ti rivolgi con preghiera semplice e silenziosa. Val la pena ricordare alcuni versi di un poeta arabo del 700 Bisogna essere perduti nell'immensit dell' oceano o del deserto per sapere che cosa sia la solitudine dove non canta n un albero n un uccello, nell'aridit delle pietre e della sabbia Colui che non conosce questo non pu dire di essere mai rimasto solo". Ed proprio da questa solitudine povera e silenziosa che nasce la speranza e la preghiera anche per i pi renitenti, una preghiera che tutto trasforma in comunione ed in amore. LA vita di mare,quindi,non fatta solo di emozionanti avventure o di spettacoli maestosi che soltanto un oceano pu dare, come ad esempio il sorgere della luna nuova nell Atlantico o i favolosi tramonti dell oceano Indiano, ma anche di grandi rischi e di privazioni. Dopo alcuni anni, ti rendi conto che ti manca qualcosa. Che non ti bastano pi le lettere della mamma, dei fratelli o di qualche amico, senti che ti manca un qualcosa che ti faccia sentire pi vivo, pi forte, un qualcosa che ti dia una ragione in pi per tutti i sacrifici una ragione per la quale valga la pena questa vita. Un qualcosa che ti faccia sentire meno solo in tanta immensit e alla quale tu possa dedicare una parte dei tuoi pensieri, specie di sera sotto le stelle. Volevo una famiglia mia : una moglie, dei figli che mi accogliessero quando tornavo a casa. Per il navigante il concetto famiglia, ha significati un po' particolari, sa che la scelta errata della propria compagna gli costerebbe molto caro e che gli renderebbe la lontananza ancor pi amara e pesante. Nasce, quindi la necessit di una scelta accurata ed attenta di quella che sar in futuro la, propria consorte e cio una ragazza semplice ed onesta, affettuosa e senza tanti grilli per la testa, disposta a dividere i rischi e le privazioni della lontananza anche per lunghi periodi e che al ritorno si dedichi a lui anima e corpo, facendogli dimenticare con le sue dolcezze le fatiche e le amarezze di mesi di duro lavoro. Pi di ogni altra cosa che sia una buona, educatrice dei propri figlioli ed un ottima amministratrice, responsabilit assai gravose e spesso mal sopportate. Con il passar degli anni poi, ti rendi conto che la fatica della lontananza da cosi grandi affetti diventa sempre pi pesante e a volte, tuo malgrado, nasce la necessit di cambiare professione, che anche se meno lucrosa, ti consenta almeno di assaporare la gioia incomparabile del ritorno a sera a casa .La mia vita di navigante, quindi, non durata a lungo. Dieci anni circa di navigazione effettuati su vecchie carrette e su navi petroliere sulle quali ho girato buona parte del mondo. Oltre a permettermi di guadagnare qualche soldo in pi questa magnifica professione mi ha consentito,durante i lunghi viaggi, di visitare tanti paesi,di conoscere tante genti diverse, di impararne
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usi e costumi e sopratutto a rispettarne le tradizioni, gli usi e i costumi molto diversi dai nostri.

Il Giappone

Nell'aprile del 1964 una grossa compagnia di navigazione americana cercava ufficiali di macchina e di coperta da inviare in Giappone ad assistere ai lavori di trasformazione di alcune navi petroliere di loro gestione. Questi lavori consistevano nell'aumentare la portata dello stivaggio attraverso l'aggiunta di tanche laterali e centrali lasciando invariata la potenza dell'apparato motore. La chiusura del canale di Suez a causa della guerra dei sei giorni tra Egitto ed Israele aveva segnato una grave crisi nei trasporti marittimi per il medio ed estremo oriente costringendo le navi a fare il periplo dell'Africa. Molte societ di armatori preferivano mettere in disarmo le loro navi, altre invece, le pi forti, preferivano aumentare la portata delle loro navi e rientrare cos nei costi sostenuti con viaggi pi lunghi.. Avevo da poche settimane conseguito con esito brillane gli esami di patentino presso la Capitaneria di porto di Cagliari che mi autorizzava a svolgere le mansioni di ufficiale di macchina su navi nazionali ed estere di qualsiasi tipo e tonnellaggio. Risposi all'annuncio della AFRAN con scarso entusiasmo, nulla faceva presagire la speranza o la fortuna di avere un ingaggio. Sicuramente gli altri concorrenti avrebbero avuto certamente esperienze professionali superiori alle mie. Dopo circa un'ora di attesa , una graziosa segretaria mi fece accomodare nell'ufficio del responsabile. La conoscenza di qualche lingua mi ha sempre aiutato nella vita, forse fu per questo motivo, o forse per simpatia o per semplice fortuna, fatto fu che dopo dieci minuti di colloquio, questo grosso signore americano nello stringermi la mano mi disse che l'ingaggio era mio e che nello spazio di una settimana sarei dovuto partire per il Giappone. II tempo necessario per il disbrigo delle pratiche necessarie e tutto fu pronto in pochi giorni. Si avverava cosi, una parte dei miei sogni. Non credevo ai miei occhi, ancor oggi mi domando del perch tra tutti quelli che si erano presentati, ed erano veramente tanti fui scelto proprio io : chiss, forse perch ero il pi giovane, forse perch si leggeva sul mio viso che ero desideroso di quel lavoro o forse solo per semplice fortuna.. Quando lasciai lufficio, alcuni che mi avevano
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preceduto nel colloquio, mi guardarono con sguardi pieni di interrogativi, altri con invidia, altri con un sorriso ironico, altri non mancarono di accennare al solito raccomandato. Nemmeno mi voltai, tanto mi sentivo felice, fiero ed orgoglioso. Avevo quasi l'impressione di camminare senza toccare con i piedi per terra, come sospeso, leggero come una piuma. Guardavo diritto davanti a me e con passo veloce verso la stazione a prendere il primo treno in partenza, non vedevo l'ora di raccontare tutto a mia madre. Come ho gi detto: in pochissimi giorni preparai tutti i documenti necessari e alla firma del contratto ricevetti. Oltre al biglietto dell'aereo, un congruo bonus in dollari per spese generali. II 17 di aprile partivo da Napoli per Hiroshima . Un viaggio molto stressante, ma la gioia che avevo dentro e l'ansia di arrivare era tanta che non mi fecero dormire per tutta la durata del viaggio. Finalmente, per la prima volta, mi imbarcavo su una nave cos lontana e non per partire subito, ma per rimanervi alcuni mesi per lavori, mentre alloggiavamo in albergo in un paese sconosciutissimo ma di cui avevo sentito tanto parlare e che era sempre stato nei miei sogni di ragazzo. Finalmente conoscevo l estremo oriente e il Giappone . Questo paese dalle mille risorse, dalla gente fiera e orgogliosa, legata alle loro millenarie tradizioni, laboriosa ed intelligente, leale onesta e molto ospitale. Gente meravigliosa, donne dal fascino misterioso e discreto. All'arrivo ad Hiroshima era ad attendermi un auto inviata dall'agenzia che mi condusse a Kure, una cittadina distante una ventina di km, ed esattamente al Semba Hotel. Dopo aver sbrigato le pratiche di rito mi ritirai nella mia camera e senza neanche spogliarmi mi buttai sul letto, ove rimasi fino al mattino successivo. A svegliarmi ci penso una graziosa vecchina che in punta di piedi e con molto tatto nel porgermi una tazzina di caff, cercava di spiegarmi in un pessimo inglese, che in sala mi attendevano due signori. I due primi ufficiali della nave, giunti qualche settimana prima, aspettavano di conoscermi per accompagnarmi al cantiere Kawasaki per presentarmi alle maestranze locali ed assegnarmi quelle che, da quel momento, sarebbero state le mie mansioni. Questi signori essendo di grado pi alto alloggiavano in un albergo pi grande insieme al comandante e al direttore di macchina della nave. II Semba Hotel era una modesta pensione tutta in legno a due piani, molto pulita ed accogliente con al centro un minuscolo giardino ricco di fiori variopinti e pini nani, con l'immancabile vasca di pesciolini rossi alimentata da un piccolo rigagnolo d'acqua corrente. Gli avventori pochissimi, per lo pi uomini d'affari o agenti di commercio . La proprietaria, miss Saito, per non farmi sentire a disagio mi faceva pranzare un po dopo, aspettando che tutti gli avventori fossero usciti , facendosi in quattro per prepararmi tutto quello che di buono sapeva cucinare, purtroppo sempre a base di riso, che io con un piccolo sforzo di finzione dimostravo di gradire. Ogni mattino, dopo colazione, veniva l'autista del cantiere a prendermi con l'auto aziendale e con la stessa facevo ritorno a
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sera in pensione. Man a mano che i giorni passavano cominciavo a capire quella gente e ad adattarmi alle loro usanze, anche se non senza difficolt. Come ad esempio mai entrare in casa con le scarpe e a sera andare in sala da pranzo indossando una specie di kimono. Degli appositi zoccoli di legno erano sistemati in uno scaffale all'ingresso e mentre mi accingevo ad andare in camera- a cambiarmi, la vecchina o mamasan, mi preparava, il bagno caldo con sali profumati e spesse volte era lei stessa ad insaponarmi la schiena aspettandosi poi i soliti complimenti che dimostrava di gradire molto con lievi inchini. Ci che non riuscivo a capire, all'inizio, era il perch di strani sorrisetti ogni qualvolta mi strofinava il petto. Soltanto in un secondo momento compresi che la causa era dovuta alla folta peluria che mi copriva parte del torace e delle cosce, cosa che per i giapponesi veniva considerato simbolo di grande virilit. Qualche problema nasceva al sabato pomeriggio e sopratutto la domenica. Di divertimenti ve ne erano molti, ma da solo mi annoiavo e ci non era sfuggito a Miss Saito che tra l'altro era l'unica persona in albergo a parlare un poco di inglese. Spesse volte mi faceva accompagnare dai suoi due figli a fare picnic ad Hondo park, un grazioso isolotto poco distante al quale si accedeva attraverso un minuscolo ponticello di legno. Si era in primavera inoltrata e le giornate erano stupende, con un clima dolce simile alle giornate primaverili in penisola sorrentina. La gente portava i bambini fuori a giocare e ogni famiglia faceva ben attenzione a non lasciare nel parco cartacce o altri rifiuti, cosa che ognuno sistemava in appositi contenitori ordinatamente. Anche le radioline a transistor erano tenute a basso volume per non disturbare chi era venuta a godere un po' di tranquillit o anche solo per discorrere fra di loro era cosi e lo facevano cos a bassa voce che difficilmente se ne distinguevano le voci. Le donne discorrevano tra loro con compostezza, senza gesticolare, coprendosi il viso,di tanto in tanto, con un piccolo ventaglio di seta quasi a voler nascondere un delicato sorriso. Gli uomini le precedevano con fare patriarcale scambiandosi rispettosi inchini. Restavo colpito da quella educazione tale educazione,e da quei modi di fare tanto gentili e raffinati, da tanta civilt. Da buon napoletano cercai di insegnar loro a cucinare gli spaghetti al filetto di pomodoro cotti al dente, evitando di mangiarli sempre scotti e per giunta di contorno alla solita bistecca. Di tanto in tanto canticchiavo qualche vecchia canzone napoletana che tutta la famiglia Saito ascoltava estasiata, ringraziandomi poi con calorosi applausi.. Purtroppo neanche questo bastava, mancava ancora qualcosa e lo aveva capito anche la proprietaria della pensione.

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Aiko

Una sera tornando dal cantiere, la signora Saito mi chiese con molto garbo se non avessi avuto niente in contrario di cenare in compagnia di un ospite della pensione. Fu cosi che conobbi Aiko una graziosa ragazza di circa diciannove anni che lavorava come promotrice di prodotti cosmetici e che ogni settimana veniva a Kure da Okayama per il suo giro, restando un paio di giorni soltanto. Cercai subito di familiarizzare facendo sfoggio del poco di lingua che ero riuscito ad imparare durante le poche settimane di permanenza,mentre la signora Saito cercava di tradurre ogni tanto, facendoci da interprete assai compiaciuta. Lindomani invitai la ragazza per una passeggiata per la cittadina, cosa che lei accett volentieri. Andammo a cinema e dopo ad ascoltare un po' di musica alla casa da t. Chiss perch a volte a favorire la comprensione tra due persone, anche se di cultura diversa, proprio la musica.. Basta il suono di una chitarra o di un violino, basta una bella voce ad accomunare persone di lingua e costume diverso, sembrer strano ma proprio cosi. L'indomani al ritorno a sera mi tocca nuovamente di cenare da solo. Aiko aveva terminato il suo giro ed era partita lasciandomi i suoi saluti e tanta gratitudine per la bella serata trascorsa insieme . Dopo circa una settimana, nel sedermi davanti alla solita bistecca notavo sul viso della signora uno strano sorrisetto. Mi osservava con una certa curiosit, pi del solito, e mi ronzava intorno con la scusa di pulire,di spostare una sedia o una posata. Con piccoli passi svelti e con movimenti molto garbati mi lanciava maliziose occhiate coprendosi le labbra per nascondere il solito sorriso. Ben presto mi resi conto del perch di quel comportamento. Nell alzare il tovagliolo scoprii un piccolo biglietto con un piccolo fiore di gelsomino stampigliato in un angolo e sul quale era scritto una sola parola AIKO. In un primo momento non riuscivo a capire, chiesi alla signora Sito e lei mi spieg che Aiko era tornata e aspettava che io landassi a prendere, non sapendo se dopo una settimana io gradissi ancora la sua presenza a tavola . Mi precipitai subito verso la sua camera ove in Kimono e seduta sui talloni, a testa bassa, mi salutava scartabellando tra le mani un piccolo dizionario GiapponeseItaliano. La salutai dandole il benvenuto alla loro maniera, con un lungo e riverente inchino le porsi la mano ed insieme andammo in sala da pranzo seguiti dallo sguardo compiaciuto della padrona di casa. Ogni anno a Maggio, in Giappone , si festeggia il ciliegio in fiore. I negozi restano chiusi per tutta la giornata e le scolaresche si riversano per le strade
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addobbate con lampioncini e bandierine di carta colorata, insieme ai loro insegnanti e genitori. Tutti ad applaudire gruppi di marjrettes che al suono di pifferi e tamburi marciavano festose.. Quella mattina anche io ed Aiko ci prendemmo una vacanza,salimmo su un grosso autobus e ci recammo ad Hiroshima . Citt bellissima costruita con i pi moderni criteri di architettura anche se di tanto in tanto si notavano ancora i segni lasciati dall'esplosione atomica dell'ultimo conflitto. Ruderi lasciati positivamente dalle autorit , quasi come monito alle future generazioni affinch non dimenticassero mai lo scempio arrecato da quell esplosione. Al centro il Peace Museum che oltre a migliaia di foto raccoglie testimonianze di ci che stata una delle pi grandi vergogna della storia. All'ingresso del museo le foto a grandezza naturale di tutti gli scienziati che presero parte alla costruzione della bomba con sotto una scritta in varie lingue: Giapponesi! Questi i volti e i nomi degli scienziati che hanno contribuito alla distruzione delle citt di Hiroshima e Nagasaki . Tra quei nomi figurava anche quello di un nostro connazionale Enrico Fermi. Confesso che come italiano non potei fare a meno di provare vergogna.

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Hiroshima

Strade larghe con traffico ordinato e sui marciapiedi puliti una miriade di persone s'incrociava senza urtarsi, rispettosa della segnaletica. Uomini d'affari che discutevano a bassa voce, senza gesticolare e che poi si salutava con ossequiosi inchini, sempre con tale compostezza ed educazione che tanto distingue questo popolo. I negozi arredati con gusto e sempre illuminati a giorno, mettevano in mostra le loro mercanzie pi preziose. Quasi sempre all'interno personale femminile che ti accoglieva con graziosi sorrisi. Ragazze bellissime, specie nei negozi di perle di Hondori e Nakadori Street, le due strade pi importanti di Hiroshima, dove spesso le commesse erano assai pi belle delle perle coltivate che ti mostravano su panni di velluto rosso o verde, a migliaia. Passeggiammo per quasi tutta la mattinata, pranzammo in un tipico ristorante locale tutto a base di riso e pesce, e per la prima volta assaggiai il t tipico giapponese fatto con alghe marine. Dicono che faccia bene allo stomaco, ma posso assicurare di non aver mai bevuto in vita mia bevanda pi nauseante. A sera andammo al circo, sotto un enorme tendone si esibivano incontri di lotta libera, ed esercizi ginnici alla sbarra e al trapezio . Aiko ogni tanto dal suo piccolo dizionario tirava fuori qualche parola d' italiano, che al momento non aveva alcun senso ma che io fingevo di gradire con un sorriso, cercando di risponderle con il poco di lingua che ero riuscito ad imparare. Eravamo seduti l'uno accanto all'altra, molto vicini, e ogni qualvolta le parlavo lei abbassava leggermente la testa, quasi a vergognarsi dei suoi occhi a mandorla. Non immaginava che buona parte del suo fascino era proprio l, in quei due piccoli meravigliosi occhi, neri come il carbone e cosi pieni di espressioni e di luminosit. Anche durante tutta la passeggiata camminava al mio fianco facendo bene attenzione di restare un passetto dietro di me. E' tipica usanza giapponese, per una donna, restare sempre un piccolo passo dietro al proprio compagno in segno di rispetto. Spesse volte rallentavo l'andatura per restare sempre allineati e ci volle non poco a farle capire che pur apprezzando tale atteggiamento per me era lo stesso, anzi preferivo sentirmela vicino. Tanto che per ultimo mi decisi a prenderla per mano, e cosi restammo fino all'arrivo a Kure. Ormai era diventata una normale routine di lavoro inserire Kure nel suo giro di affari. Ogni gioved mattina arrivava puntuale al Semba Hotel lasciandomi un
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segnale del suo arrivo, come ad esempio un biglietto o un fiore di gelsomino sul cuscino della mia camera. Ogni gioved, al ritorno dal cantiere, erano le prime cose che notavo con molta gioia. Non era una grande bellezza, viso un po' appiattito, non molto alta ma per il resto ben fatta a parte i seni molto piccoli. Non amava truccarsi il viso con creme e rossetti anche se curava moltissimo l'estetica delle mani. Usava un profumo molto delicato che sapeva di gelsomino e che io percepivo subito appena lei era in albergo. Molto dolce, dai modi gentili e raffinati, ricca di educazione, molto legata alle proprie tradizioni, labbra carnose, dal sorriso semplice e misterioso nello stesso tempo, che ogni volta scopriva una dentatura bianchissima perfettamente allineata. Ebbene questa minuscola giapponesina mi attraeva molto,tanto da farmi lasciare il cantiere un po' prima ogni gioved pomeriggio. Amava farmi dei piccoli modesti regali,ogni tanto, che accettavo con piacere, piccoli giocattoli di legno o vasetti di creme da barba . Un giorno mi regalo una cornice con dentro una sua foto, che ancora conservo molto gelosamente. Spesse volte non uscivamo, restavamo in albergo ad ascoltare vecchi dischi di Nato Ring Cole o di Armstrong oppure in camera sua dove piano piano mi insegnava un po' di lingua giapponese che io imparavo molto rapidamente, tanto da riuscire a mettere insieme alcune frasi. Sembrava assai compiaciuta di ci, anche se per esprimere altre cose non era affatto necessario parlare. Aiko spesso mi toccava il naso, me lo carezzava delicatamente cominciando dalla fronte. Non sono mai riuscito a capirne il significato. Forse l'unica spiegazione sta nel fatto che questa gente ha il setto nasale piccolo e schiacciato che spesso provoca loro problemi di respirazione oltre che di estetica e che insieme alle palpebre, fa provare a questo popolo meraviglioso una sorte di complesso di inferiorit nei riguardi di noi occidentali, tanto che, soprattutto oggi, le donne si sottopongono a dolorosi interventi estetici pur di modificare i loro lineamenti per renderli simili ai nostri. II nostro rapporto, per tutta la durata della mia permanenza in Giappone si limit soltanto a questo. Per i giapponesi la stretta di mano e il bacio sulle labbra sempre stato considerato una scambio di batteri, anche se oggi le cose sono cambiate in alcuni paesi del sud esiste ancora questa consuetudine e cio limitare i saluti e le dimostrazioni di affetto ad un semplice e riverente inchino. Ad Aiko avevo cercato di far capire che in un rapporto d coppia il bacio essenziale perch rafforza i sentimenti ed come voler trasmettere con il proprio respiro una parte della propria anima nel corpo dell'altro. Su ci la trovai molto consenziente, trov cosi piacevole baciarsi che ogni qualvolta tornava era la prima cosa che mi chiedeva di fare, ancor prima di chiedermi come stavo. Non vi stato altro tra di noi, per Aiko io ero il primo ragazzo, consapevole che ben presto sarei dovuto partire non me la sentii di rischiare di lasciarla nei guai, forse perch avevo visto troppi film americani con situazioni del genere, forse perch provavo della tenerezza per quella minuscola orientale. Anche
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perch sapevo che in Giappone il senso dell'onore ancora molto alto e che ben presto tra di noi ci sarebbero stati alcuni oceani e qualche continente Una settimana prima della partenza, giunse dall'Italia il resto dell'equipaggio della nave e con esso ci trasferimmo tutti a bordo in modo da completare l'allestimento e iniziare ad espletare ognuno le proprie mansioni,compresi i turni di guardia. Dopo tante settimane erano finite le vacanze o meglio era finita la pacchia come soleva dire il comandante ogni qualvolta si andava a pranzo. Riabituarsi alla vita di bordo era un po' duro. Il giorno prima della partenza da Kure, Aiko venne appositamente da Okayama ed insieme trascorremmo tutto il pomeriggio. Facemmo un po' di shopping in modo da spendere gli ultimi Yen rimasti. Ricordo che comprai una macchina fotografica, una collana di perle e tanti souvenir da portare a casa . Aiko mi regal un ventaglio di seta da portare a mia madre e una sua piccola miniatura, pregandomi di non dimenticarla e di scrivere di tanto in tanto. Un po' impacciato, pi che emozionato, stavo cercando di dire qualcosa, ma lei prontamente, nel poggiarmi il palmo della mano sulle labbra, mi preg di non dire nulla .Di non fare promesse che poi non avrei potuto mantenere. Mi abbracci teneramente, mentre due grosse lacrime le scendevano per le guance. Rivivo ancora oggi, dopo circa trenta anni, le emozioni di quei momenti solo a ricordarli. Dopo circa un anno, dalla mia partenza da Kure, ricevetti una lettera scritta un po' in italiano un po' in inglese dove, Aiko , mi ricordava che in Giappone si festeggiava nuovamente il ciliegio in fiore ma che questa volta il suo cuore era molto triste. Confesso che il mio primo pensiero fu quello di prepararmi le valige, salire sul primo aereo per Hiroshima e andare dove mi portava il cuore. Non me la sentii, sopratutto lasciare mia madre che forse non avrei mai pi rivisto. In Giappone non sono pi tornato,anche se con Aiko siamo rimasti in corrispondenza per diversi anni. E 1970 che non ricevo pi sue notizie, forse avr cambiato citt oppure si sar formata una famiglia e il ricevere mie notizie avrebbe potuto crearle qualche problema. Spesse volte torno con il pensiero a rivivere quei momenti meravigliosi che tanto hanno inciso sul mio carattere e sulla mia educazione. Forse, pi avanti negli anni, torner a rivisitare quei luoghi a me tanto cari e chiss se con un pizzico di fortuna potr rincontrare quella minuscola giapponesina.

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Sahara Algerino: Hassir'Mel

Anche il deserto, come gli oceani, ha il suo enorme fascino. Durante i miei due anni di lavoro ad HassirMel nel Sahara Algerino ho potuto constatare di persona quanto sia affascinante questa immensit di sabbia e di pietre che i venti lavorano continuamente, dando loro le forme pi strane. Spazi infiniti e silenzi profondi, rotti soltanto dal sibilo dei venti caldi,che con il loro soffiare costante e la loro potenza, riescono a spostare intere dune di sabbia da una zona ad un' altra trasformando continuamente il paesaggio. Nel deserto c' vita, questo potr sembrare strano a chi si dovesse trovare per la prima volta per lavoro o per turismo nel Sahara. Immerso in questo mare di silenzio e di solitudine, tra pietre aride e sabbia lucente, sotto un sole impietoso in un cielo sempre terso di un azzurro intenso, vivono intere mandrie di dromedari ed enormi greggi di pecore e capre. Brucando la poca erba che trovano assai ricca di sostanze nutrienti e dissetanti, riescono a sopravvivere garantendo a loro volta la vita a piccoli gruppi di nomadi che a secondo dei periodi si spostano continuamente da un' oasi all'altra con tutte le loro masserizie. Infatti, il latte, i datteri e ogni tanto un po' di carne di montone o di dromedario costituiscono elementi essenziali per la sopravvivenza di queste genti. Sono proprio queste poche cose che offrono, insieme ad un po di pane azzimo, al viandante turista o pellegrino che si trovasse a passare davanti ai loro accampamenti. L'ospitalit per questa gente sacra, l'ospite considerato come messo di Allah. Durante la mia permanenza nel deserto, durante i lavori di montaggio del Gasdotto Algeria-Italia, vivendo quasi sempre a contatto con gruppi di nomadi che lavoravano al nostro campo base, mi sono capitati numerosi episodi e credo che qualcuno valga la pena di essere raccontato.

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Le nozze di Mohamed

Uno degli addetti alle pulizie in cucina prende moglie, la prima moglie. Raramente gli arabi fanno partecipare europei a cerimonie cosi solenni, sono molto gelosi delle loro usanze, io sono stato uno dei pochi fortunati. Vuoi perch trattavo con molta umanit questa gente, vuoi perch all'ora della preghiera li facevo smettere di lavorare un po prima in modo che avessero il tempo necessario di fare le pulizie al proprio corpo prima di pregare. Spesse volte pregavo anche io insieme a loro, si perch nel deserto ho riscoperto la preghiera, ho imparato a pregare Dio. Forse stato proprio questo il motivo dellinvito di Mohamed alle proprie nozze. Attorno ad alcuni grossi fuochi, ogni tanto alimentati con sterco di dromedario essiccato dove venivano arrostiti alcuni montoni uccisi per l'occasione, sedevano da una parte i familiari dello sposo e dall'altra quelli della sposa. Soltanto i maschi. Le donne erano intente a preparare la sposa , che io non sono mai riuscito a vedere in viso, sotto una grossa tenda nera tutta addobbata di nastri colorati. Ad un certo punto un gruppo di nomadi anziani, parenti dello sposo, lascia il proprio posto per andare a sedere accanto ad un fuoco pi grande dove stavano seduti i parenti della sposa. Iniziano cos le trattative per il contratto finale. Io me ne sto in disparte sempre guardingo ad osservare silenzioso e non nascondo anche con un po di paura. Soltanto a contratto concluso con baci e abbracci, vengo a sapere che il povero Mohamed ha dovuto pagare al futuro suocero un dromedario, otto capre e alcune migliaia di dinari locali, pari a poche centinaia di migliaia di lire italiane e che la sposa aveva appena compiuto gli undici anni det.. Dopo alcuni minuti lo sposo, tutto raggiante e coperto da un grosso mantello bianco, si avvia verso la tenda nuziale sputando di tanto in tanto un liquido rossastro che gli viene dalla masticazione di una miscela di tabacco ed erbe aromatiche, secondo antiche tradizioni beduine molto eccitanti. Fa uscire tutte le donne, che, anche se anziane, sono sempre con il viso coperto dal tradizionale velo , entra e chiude la tenda dall'interno. A questo punto la cosa pi strana: i nomadi seduti
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attorno ai fuochi iniziano a battere con dei bastoni su grossi coperchi di latta facendo un frastuono infernale e come se non bastasse irrompono al centro del campo alcuni guerrieri nei loro costumi tradizionali che in groppa a dei meravigliosi purosangue, veloci come il vento lasciano partire alcune scariche a salve da vecchi fucili da caccia. II tutto tra le urla festose delle donne che emettono un suono gutturale stridulo prodotto dalla vibrazione della lingua. Tutto il campo un via vai di gente che urla e suona a pi non posso. Io rimango seduto al mia posto, immobile ed affascinato, e soltanto alla fine apprendo che le urla e tutto il baccano servivano a coprire le eventuali grida di dolore della povera sposa che veniva deflorata con brutale e disumana violenza. Dopo circa mezz'ora di permanenza sotto la tenda i tamburi tacciono e lo sposo tutto raggiante in volto, inorgoglito dalla sua provata mascolinit, esce per andare a sedere nuovamente vicino ai, parenti e a raccontare come andata. Tutte le donne anziane che prima avevano preparato la ragazza ritornano nuovo sotto la tenda e ne escono subito dopo mostrando agli invitati tutti un piccolo batuffolo di cotone macchiato di sangue, a dimostrare la illibatezza della fanciulla. A questo punto ricomincia il baccano e si conclude il contratto nuziale definitivamente. Si da cosi inizio al banchetto a base di carne di montone con riso lesso, datteri e una specie di biscotti dolci, pane azzimo accompagnato da brocche di latte di capra. Se per puro caso, per difetti di imene, o per anemia o per qualsiasi altro motivo di disfunzione della povera sposa, non si fossero viste quelle poche gocce di sangue significava che la ragazza non era vergine pertanto lo sposo con i propri familiari ritenendosi offeso ed imbrogliato rompeva il contratto. Quasi sempre, in casi del genere, la discussione tra le parti durava tutta la notte e spesse volte finiva a coltellate. Quella stata l'unica e sola volta che ho partecipato a feste del genere.

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Una persona che non dimenticher mai

Ogni venerd si celebrava la festa cranica era il giorno equivalente alla nostra domenica. Usufruivamo di mezza giornata di riposo che ognuno trascorreva a leggere, scrivere a casa oppure giocando a carte o facendo delle piccole escursioni in Land Rover, fino alle oasi di Metlilli o Ghardaia senza per allontanarsi troppo. Fu appunto al ritorno da una di queste gite che al campo base mi capito di incontrare una persona, venuta appositamente da Algeri a farci visita: un missionario dei Peres Blanches. Giovane, sui trentacinque anni, molto colto, sempre sorridente, ogni venerd pomeriggio veniva a celebrarci la Santa Messa percorrendo circa mille km i pista desertica..Sempre disponibile ascoltava con interesse, ma sopratutto con il cuore, le nostre storie, quasi sempre poco belle, riuscendo a trovare parole di conforto e di incoraggiamento facendo sfoggio del suo sorriso aperto e rassicurante. Con don Agostino instaurammo subito un rapporto di cordiale ed affettuosa amicizia, e lo aspettavamo tutti con trepidazione per poterci confessare ed ascoltare la Santa Messa. Spesso pernottava da noi, ero io stesso a preparagli un alloggio che anche se modesto, dimostrava di gradire sempre con piacere. Diceva che quelle poche ore trascorse tra noi gli davano la sensazione di sentirsi in Italia. Il primo Natale in Algeria tocc a me, essendo uno degli ultimi arrivati, insieme ad altri sei tecnici italiani. Fui costretto a rimanere di guardia al campo. Ebbene pur avendo gi vissuto esperienze del genere durante i miei pochi anni di marinaio, posso assicurare che trascorrere il Natale lontano dai propri cari una fatica che l'animo umano non riesce a sopportare tanto facilmente. A questo punto ecco entrare in scena don Agostino. Questo giovane missionario trascorse tutto il periodo Natalizio al campo a farci compagnia, facendoci pesare meno la lontananza Ricordo che durante una passeggiata gli chiesi come mai
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un giovane colto e pieno di vita trascorresse lunghi periodi in posti tanto lontani, quasi dimenticati da Dio, percorrendo migliaia di Km e senza non poca fatica per celebrare la Messa ad un piccolo gruppo di espatriati costretti a quel duro lavoro dalle necessit della vita. Sarebbe potuto restare ad Algeri presso la Nunziatura Apostolica dove svolgeva funzioni di segretario, con tutte le comodit con laria condizionata e magari tra gente del suo stesso livello socio culturale, oppure tornarsene nella sua Vicenza e trascorrere il Natale con i suoi che tanto amava. Invece si ferm con noi e per un attimo guardandomi e poi poggiandomi il braccio sulla spalla e con il suo solito sorriso, mi disse Non puoi immaginare la gioia che provo e 1'appagamento che provo nel sacrificare poche ore della mia vita per gli altri, percorrerei anche diecimila Km se fosse necessario per celebrare la Messa sia pure per uno di voi soltanto. Poi riguardo al posto dimenticato da Dio continu cos Non esistono posti dimenticati da Dio,pi questi sono lontani e pi Dio vicino a te,. infatti egli ora qui con te mano nella mano, la tua bagnata di sudore la sua di sangue. La notte di Natale improvvisammo un altare all'aperto sulla sabbia rossa del deserto illuminato soltanto dal chiarore della luna e delle stelle tra le quali si vedeva nitida nella notte tersa del deserto la costellazione della Croce del Sud.. Tutti insieme cantammo il "Tu scendi dalle stelle" mentre si celebrava la Messa di mezzanotte. A cantare vi era anche chi non entrava in una Chiesa da pi di trenta anni. Un esperienza unica che fa parte dei miei ricordi pi cari e non manco mai di ricordare nelle mie lettere la figura di Sua Eminenza don Agostino Marchetto. Gi perch don Agostino alcuni anni fa stato consacrato vescovo di Astigi e alla cerimonia io e la mia famiglia avemmo l' alto onore di partecipare. Dopo lAlgeria stato nunzio apostolico in quasi tutto il continente Africano compreso il Madagascar e le isole Mauritius , attualmente nunzio apostolico a Minsk in Bielorussia quale primo ambasciatore del Papa dove svolge la sua missione con lo stesso entusiasmo e la stessa forza di allora.. Sono sicuro che di persone cos non se ne incontrano tutti i giorni, ma quando ti capita proprio nei posti pi strani ed impensati, lontani dalla cosiddetta civilt. Sono proprio loro che, animati da spirito di iniziativa pronti ad affrontare ogni sorta di privazione e sacrifici, ricchi soltanto di altruistica bont e armati di fede cristiana, fanno riacquistare la fede in Cristo a chi l' ha persa e la rafforzano in quelli che ce lhanno debole. Fortunatamente esistono ancora sacerdoti di questo genere. L' aver incontrato questo giovane missionario, nel deserto del Sahara, in un'oasi sperduta lontano dal mondo, in un momento tra i pi difficili della mia vita, quando ti abbandonavano speranza e fiducia, quando
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sentendoti solo e lontano dagli affetti pi cari persino la fede vacillava, stato per me una grande fortuna, e un po come accade in quei racconti del Reader's Digest posso poter dire che Agostino una persona che non dimenticher mai.

Il ricordo dei compagni di scuola

Amo molto trascorrere parte del mio tempo libero tra le mie vecchie cose libri di scuola vecchie litografie, foto ingiallite dal tempo e tanti altri oggetti . Sotto lo sguardo attento di Andrea , che nel vedermi rassettare con tanta cura vecchie cianfrusaglie, non pu fare a meno di domandarmene il perch, sapendo che ad ognuna di esse legata una storia,interessante o meno, ma che comunque fa parte di ricordi a me molto cari. Ci sediamo, sul divano, l'uno accanto all'altro e con una vecchia foto del 1952 tra le mani,comincia a chiedermi curioso. Sa bene mio figlio Andrea che a me piace raccontare e ricordare ed io lo faccio con piacere, specie se chi mi sta davanti sa ascoltare pazientemente. Dietro la vecchia foto una scritta : classe II F S. Agnello di Sorrento anno scolastico I952/53. La classe, una mista,composta in buona parte da ragazze. Infatti su circa 22 alunni noi maschi eravamo soltanto in otto. Con alcuni di essi ci siamo incontrati spesso negli anni, chi in giro per il mondo come me, chi invece si dedicato all'attivit commerciale seguendo le orme paterne, chi ha preferito non fermarsi al diploma conseguendo la laurea e oggi un brillante manager, chi meno fortunato e ancor giovane passato a miglior vita, stroncato dal male del secolo. Con le ragazze stato meno facile incontrarsi avendo buona parte di esse intrapreso la carriera dell'insegnamento nei vari istituti della penisola sorrentina: Laura, Maddalena, Giovanna, Franca, Mariagrazia, Anna, Lidia, Margherita e varie Maria, le ricordo tutte come fosse ieri eppure sono passati da allora, pi di quaranta anni.. Chiss perch quando ci si incontra dopo tanto tempo sempre con immenso piacere, come rivivere un po della nostra prima giovinezza. Appena subito dopo i primi convenevoli, comincia tutta una serie di: ti ricordi di questo o di quello del professore di italiano o della professoressa di matematica, per concludere con un breve sommario di quello che stata l nostra
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vita. Si avverte la necessit di volersi aprire ad un vero e sincero amico come ad un fratello, riconoscere che anche laltro ha un origine e una storia comune con te, e lasciarsi andare a raccontare cose personali anche se non ti vengono chieste.

Margherita

Cos mi ricordo di Margherita che sent il bisogno di scaricarsi un po dell'amarezza che si portava dentro: voleva semplicemente essere capita, o essere seguita con il cuore. Si passava spesso la mano tra i capelli o si aggiustava l'ultimo bottone del golfino, come voler mascherare in parte quel suo invecchiamento dovuto al tempo che era passato per entrambi, ma anche a delusioni e dispiaceri, l 'aver perso qualche figlio in tenera et o forse con problemi di droga e non sapere come fare per tirarlo fuori. E mentre lei raccontava, io per qualche attimo con la mente ritornai a quel lontano 1952, quando lei con il nasino all'ins e la coda di cavallo, con due piccoli seni che appena le gonfiavano il grembiule di scuola, con le labbra pulite, appena umettate e lucidate dal burro di cacao, con due occhi grandi e luminosi e il visino rosso sempre sorridente, nessuno di noi sapeva ancora cosa ci avrebbe riservato la vita. Ora li davanti a me, un po trasandata, a raccontare le sue pene fissandomi sempre coi suoi begli occhi grandi ma questa volta bagnati di lacrime.

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Suor Giuseppina

Quante storie, quanti ricordi, a volte piacevoli a volte un po amare, ma sempre struggenti e profondamente umane. Mio figlio guarda la foto e ascolta il mio racconto, cos gli mostro unaltra ragazzina. Vedi questa ragazza alta poco pi di un soldo di cacio con due lunghe trecce e che si nasconde dietro le compagne quasi a non volersi far ritrarre dal fotografo ? Si chiamava Anna Gi,si chiamava, non perch fosse morta ma perch ha cambiato il suo nome da ragazza in Suor Giuseppina. E L'unica che ha preso i voti ed rimasta nel convento delle Suore Della Parit in S. Agnello,dove era gi ospite sin dal 1950. Con Anna ci siamo incontrati poco tempo fa ,cosi quasi per caso. Subito mi ha riconosciuto e nel salutarmi calorosamente non ha mancato di ricordarmi, quando seduto al banco subito dietro di lei, la tormentavo tirandogli le piccole trecce. Ebbene parlare di Anna e del lavoro che svolge attualmente, trovare le parole adatte per definire la missione che questa piccola grande suora svolge, non impresa da poco. Insieme ad altre due o tre consorelle si occupa del collegio della Purit che raccoglie neonati abbandonati, bambini tolti alla custodia dei genitori causa maltrattamenti, ragazze madri e chiunque bussi alle porte convento per chiedere aiuto. Gestisce il tutto con piccole sovvenzioni e modeste offerte di cittadini. E riuscita ad accudire fino a cinquantatre neonati . Ogni tanto vado a farle visita: mi riceve nel suo piccolo salottino dove un grosso Crocifisso troneggia alla parete e sembra quasi volerti dire che i modi per amarlo e servirlo sono tanti, oltre la preghiera, ma che certamente l'opera di Suor Giuseppina la pi gradita, la pi nobile la pi grande. Quando esci dal convento ti senti pi tranquillo, quasi come se un velo di serenit e di pace fosse penetrato in te. Ti rendi conto allora che non esiste opera pi bella dell'onorare la propria vita. Che viverla sacrificandola per il bene degli altri. Ho dato ad Anna l' appellativo di piccola grande suora,
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perch sono fermamente convinto che non esiste persona pi alta di chi si dona agli altri. Fissando con sguardo sempre pi attento alla vecchia foto, piano piano si ha limpressione di esserne risucchiati e di tornare indietro nel tempo, di ritornare in mezzo a loro e di rivivere quei momenti. Sono tutti li davanti a me: Caccioppoli, Carbone,Cinque, Marnilo, De Maio, Russo, Montella, Pollio. Visi puliti dagli sguardi onesti e sinceri non ancora imbruttiti dalla cattiveria, dall'invidia e dalle ingordigie della vita. Mi rivedo in mezzo a loro felice e spensierato, ancora senza sogni nel cassetto, con l'unica preoccupazione di come poter racimolare un sei in latino o in matematica.. Vorrei poterli abbracciare tutti, vorrei poter chiedere loro scusa se qualche volta ho commesso ingenue mancanze, stringerli tutti in un forte abbraccio collettivo, specie chi ora non pi tra noi. Poter dire loro: voglio a tutti voi un gran bene .

Sono passati pi quaranta anni da allora e di cose ne sono successe, tante e tali da aver inciso profondamente sulla nostra vita. Di una cosa per sono certo, gli eventi non hanno mutato i nostri cuori, anche quelli dei meno fortunati. Lo dimostra il fatto che ogni qualvolta ci si incontra, non si pu fare a meno di stringersi in un caloroso fraterno abbraccio che certamente non ha bisogno di parole. Nel riporre la foto, dissi ad Andrea che un giorno anche lui avrebbe ricordato in questo modo i suoi compagni di scuola.

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Luned 23 Gennaio 1995: la malattia

Ho sempre avuto un carattere aperto e gioviale, dalla battuta facile, sempre disponibile al sorriso, un qualcosa che ti nasce dal di dentro. A volte basta una giornata di sole, il canto di un uccello, un bel tramonto o una bella canzone a cancellare ogni sorta di malinconia e di tristezza. Purtroppo, non sempre questo genere di atteggiamenti desta simpatia negli altri. Esistono alcune persone non facili da individuare e per fortuna non in gran numero, che si portano dentro ogni sorta di monomanie e di complessi. Gente incapace di amare e di gioire, di saper godere anche di un semplice sorriso, incapace di saper apprezzare i momenti belli che ti offre questo bene cosi grande e prezioso che la vita , con tutte le sue meraviglie e le sue magie. Sebbene senza aver fatto loro il bench minimo torto, senza aver arrecato scortesia alcuna , spesso ti tolgono il saluto e quando li incontri cambiano addirittura strada evitando anche un semplice sguardo. Se ne stanno da soli, rigirando tra le mani qualche pagina di giornale, cosi soltanto per darsi un tono o quasi a voler far capire agli altri di voler restare da soli, vittime soltanto dell'ipocondria e dell incapacit di comunicare che si portano dentro. Eppure basterebbero poche sedute da un buon psicanalista a risolvere tanti loro problemi. L' incomunicabilit poi, quasi sempre accompagnata da una buona dose di cattiveria e di invidia appunto verso quelle persone -sempre disponibili,allegre e che gioiscono con poco. A mano a mano che passano gli anni va via un po di vita e con essa un po di entusiasmi, ma il carattere rimane, anche quando cominciano ad affacciarsi acciacchi, pi o meno gravi. E cos caro Andrea accadde che un triste giorno, mi trovai faccia a faccia con la malattia. Cominci con delle semplici visite presso il medico di famiglia molto scrupoloso, il quale, non convinto di un esame me ne fa fare altri e poi altri ancora. Ogni volta cera sempre qualcosa
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che non convinceva. Dopo mesi di esami del sangue e di radiografie varie, e di visite presso luminari della medicina, ebbi la sentenza. La prima domanda che ti viene da fare al professore quanto mi resta ancora da vivere; al che il medico senza guardarti negli occhi, come a vergognarsi di dirti una bugia, cerca di tranquillizzarti prescrivendoti antidolorifici e qualche controllo ogni fine mese. Uscii dallo studio un poco frastornato, demoralizzato, mi pareva che tutta quella carica di vitalit e di voglia di fare che tanto aveva caratterizzato la mia vita fino ad allora scomparve dun sol colpo. Da quel preciso istante la mia vita fu determinata dai tempi di evoluzione della malattia e comunque fossero andate le cose a me non sarebbe rimasto molto da vivere. Mano a mano che passavano i giorni avevo l'impressione di entrare in un isolamento quasi totale. Diffidenza, curiosit, paura di contagio e falsa commiserazione furono le prime cose che notavo negli altri. Alcune anche nelle persone pi vicine. In quelle che avrebbero dovuto colmare la solitudine interiore con tutto l'affetto ed il calore di cui un uomo nelle mie condizioni avrebbe avuto bisogno. Credo che la tenerezza e l'affetto siano le prime cure per tutti i mali, a volte con risultati addirittura superiori agli ultimi ritrovati della medicina. Piano piano si smorzava in me la gioia di vivere. Pensavo al passato e alla vita vissuta e a tutte le cose che avevo fatto e a quelle che ancora avrei voluto fare. Cominciai, a perdere entusiasmi ed interessi: in poche parole cominci a sentirti una nullit. Pensavo e te caro Andrea e a tutti voi Tu studiavi ancora e avevi ancora molto bisogno di me. Pensavo alla gioia immensa ed alla tenerezza che avrebbe potuto darmi l'abbraccio di un nipotino. Vederlo crescere sano e forte, giocare con lui. Si dice che le cattive notizie non giungono mai da sole, anche stavolta tanto per non smentire il proverbio la mia triste diagnosi giunge insieme alla notizia della perdita del lavoro. Ho sempre considerato il lavoro la parte pi importante nella vita di un uomo, spesso anche pi importante della stessa famiglia II lavoro onore e dignit, specie per chi gli ha dedicato tutto se stesso,cercando di affermarsi dando quel senso di agiatezza alla propria famiglia. Ma quando sei in disgrazia il tutto si risolve con: una stretta di mano, qualche parola di elogio e di incoraggiamento, qualche modesto assegno, uno sguardo dispiaciuto appena velato di falsa ed ipocrita commiserazione. Sono stati il grazie che una grande e potente azienda mi tribut per averle dedicato met della propria vita lavorativa. Mi veniva quasi da ridere nel leggere negli occhi di chi mi stava davanti un certo imbarazzo nel non riuscire a trovare una
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forma anche semplice modo di dire spiacenti non abbiamo pi bisogno di lei. Forse lo dissero anche,forse dissero anche tante altre belle frasi, sicuramente gi preparate. Frasi di circostanza che si dicono in quei momenti, ma la mia mente era assente, molto lontana. In quei pochi minuti non trovandosi davanti il solito dipendente avvilito e piagnucoloso sicuramente pensarono di trovarsi davanti ad una persona superba e irriconoscente: loro non sapevano cosa stavo passando. Con una calorosa stretta di mano ed un leggero sorriso appena velato di malinconia uscii con la stessa dignit con la quale ero entrato quindici anni prima. Dopo alcune settimane di forzato riposo, cominciarono a comparire i primi sintomi del male, strane coliche addominali che insieme ad una repentina perdita di peso affievolivano sempre di pi le mie speranze. Consapevole della gravit della situazione mi resi subito conto che nei mesi successivi avrei patito atroci sofferenze che mi avrebbero consumato piano piano fino alla morte. II leggere negli occhi dei miei ragazzi,sempre umidi,dolore e costernazione mi rendeva ancor pi penose ed amare le giornate che sembravano interminabili.

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Marted 20 Febbraio 1995

La notte dormivo pochissimo,con lo sguardo sempre fisso al soffitto. Non potevo e non dovevo arrendermi cosi, lasciare che il male mi consumasse poco a poco senza, tentare qualcosa, non dovevo rassegnarmi. Il volto di padre Pio da Pietralcina, da un dipinto ad olio attaccato alla parete, pareva guardarmi fisso dalla sua folta barba. Questo grande santo, santo vero, santo italiano, con i suoi grandi occhi pieni di amore e di sofferenza,sembrava incoraggiarmi a non arrendermi, a non rassegnarmi e a lottare perch solo lottando si pu vincere. II mattino seguente, mi alzai di buon ora, e mi recai a Vico, il mio paese natale, come se qualcosa o qualcuno mi spingesse a farlo. Chiesi consiglio ad un vecchio medico di famiglia che dopo aver dato una rapida occhiata alle analisi ed alle radiografie mi sugger di sottopormi, senza indugio, al trapianto del fegato prima che fosse troppo tardi. II 27 di Febbraio partivo per Torino, presso un grosso ospedale sicuramente tra i pi attrezzati d'Italia per interventi del genere. II primario del centro trapianti mi visit accuratamente e dopo ever intuito l'entit del mio male mi prescrisse una serie di esami da farsi presso il centro stesso. Con il passar dei giorni mi resi subito conto di essere capitato nel posto giusto. Educazione e pulizia oltre ad una grande professionalit, mi restituirono speranza e fiducia.. Un equipe medica meravigliosa che lavorava fino a 15 ore al giorno alternandosi anche di notte con perfetto sincronismo, formata da giovani specialisti e da un corpo infermieristico altrettanto giovane e preparato, davano all'ammalato spesso ridotto gi a larve umane quel senso di fiducia e di coraggio tali da far ritornare un filo di speranza anche nei cuori pi affranti. Rimasi a Torino alcune settimane durante le quali fui sottoposte ad una serie di esami alcuni di essi molto dolorosi ma necessari prima di essere sottoposto
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all'intervento di trapianto appena si rendeva disponibile un organo compatibile. Spesso dovevo sottopormi ad esami abbastanza delicati che richiedevano una certa preparazione, come spogliarmi completamente ed essere depilato anche nelle parti pi intime. Alla paura non mancava un senso di imbarazzo e di vergogna, specie quando chi doveva prepararmi era una bella infermiera poca pi che ventenne che con mani esperte e con gran professionalit e delicatezza, cercava di mettermi a mio agio, tutto accompagnato quasi sempre dal solito sorriso, dolce e spontaneo. E' in momenti come questi che ti rendi conto di cosa sia veramente un bel sorriso e di quanto sia importante . Non costa niente e rende molto, arricchisce chi lo riceve senza nulla togliere a chi lo dona, nessuno abbastanza ricco per farne a meno o abbastanza povero per non meritarlo. Esso sembra volerti suggerire sii sereno,fa in modo che il tuo cuore non soccomba alla paura del dolore, alle tante preoccupazioni che in questo momento ti assillano, perch noi stiamo vegliando su di te e non ti abbandoneremo. Terminata la serie di analisi mi detto di essere stato messo a ruolo e di attendere la chiamata dall'ospedale appena fosse giunto il mio turno. Inizi cosi una snervante attesa che si protrasse per circa sette mesi. Le giornate mi ridiventarono interminabili. Bench fiducioso, spesse volte forti coliche addominali non facevano presagire nulla di buono. Amano a mano che le settimane passavano non riuscivo ad accettare la situazione di inoperosit, cosa che mi capitava per la prima volta nella vita. Il vedermi messo da parte, il restare inattivo per delle settimane, per dei mesi, il sentirmi un essere inutile in un momento in cui avrei potuto ancora dare il meglio di me stesso, credo sia stato per me pi doloroso delle coliche stesse.

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Agosto

Finalmente una telefonata dall'ospedale mi inform che entro quindici giorni avrei dovuto trovarmi a Torino. essendo prossimo il mio intervento di trapianto epatico. La domenica 27 Agosto, con la fronte appoggiata al finestrino,osservavo la pista mentre i motori con il loro rombo assordante si preparavano a lasciare l'aereo-porto di Capodichino II cuore mi batteva forte nel petto quasi a volerne uscire mentre giovanili emozioni e fantasmi del passato mi tornano in mente. In un attimo raggiungemmo la quota di circa duemila metri di altitudine in volo per le Molinette, ove mi aspettavano per restituirmi ad una nuova vita. Non ero abbattuto, anzi partivo fiducioso. Erano tante le preghiere rivolte alle persone care che tenevo in paradiso e forse avevano ascoltato le mie suppliche: sarei ritornato ne ero sicuro . Man mano che la terra si allontanava, un ultimo sguardo a Napoli al mare al Vesuvio che scompariva alla mia destra verso sud. Chiusi gli occhi e con la testa poggiata allo schienale riandai per un attimo a Pietralcina, mi tornarono in mente via, Canale, l'infanzia bella ed amara insieme, i vecchi compagni di scuola, il sorriso aperto e sincero di qualche persona cara che per ultima nell'augurarmi buona fortuna mi aveva accompagnato con la luminosit dei suoi occhi. Mi torn in mente il volto di mia madre, col suo sguardo rassicurante come per dirmi vai tranquillo io ti sar sempre vicino. Ricordai i suoi forti abbracci ogni qualvolta tornavo dai miei lunghi viaggi di marinaio. Quando magrissimo dovevo pregarla prendendola in giro scherzando -di non stringermi troppo altrimenti correvo il rischio di rompermi qualche costola e lei mi
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stringeva ancora di pi e pi stringeva e pi rideva divertita. La stessa cosa la dissi ai ragazzi prima di partire e loro, con gli occhi rossi di pianto papa torna presto noi tutti ti aspetteremo con ansia. Molte volte, durante il corso della vita si ricevono dei colpi tanto duri che si ha l'impressione di non aver pi la forza di rialzarsi. Io per avevo ancora speranza, come se fossi sorretto da una forza che mi veniva da dentro, una forza sovrannaturale. Era la forza alimentata dalla fede, alla quale mi aggrappavo con tutta la mia disperazione e con tutte le poche energie che mi rimanevano. Soltanto dopo, soltanto quando si superato tutto e si ritorna di nuovo in piedi, solo allora si avverte dentro una tranquillit ed una pace che ti fanno dimenticare il passato, e i suoi dolori, i rancori, i torti, le amarezze e ogni forma di cattiveria subiti. Il passato rimane l, non si dimentica niente, ma come se la serenit raggiunta te lo facesse guardare con altri occhi. Cos era accaduto a me. Mi sentivo in pace con tutti e avrei voluto gridarlo ai quattro venti.

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Il trapianto Mercoled 10 ottobre

Le settimane precedenti lintervento le trascorsi a Torino in day hospital, e mi sembrarono interminabili. Le ore non passavano mai. Facevo trascorrere il tempo con lunghe passeggiate al Valentino, osservando immobile lo scorrere dell acque del Po. In albergo tenevo la mente impegnata leggendo quotidiani, scribacchiando su qualche enigmistica o guardando la televisione. Qualsiasi programma andava bene, l'importante era non pensare. Ogni mattino mi recavo in ospedale al reparto trapianti epatici dove,in un grande salone, si riunivano tutti i trapiantati di fegato in attesa di visita di controllo e con loro scambiare quattro chiacchiere. Per lo pi erano meridionali: siciliani, napoletani, pugliesi, calabresi e qualche sardo. Cera chi era stato operato da alcuni mesi chi da poche. settimane, venivano sottoposti a visite di controllo gi precedentemente programmate per poter seguire le funzionalit del nuovo organo e dell'intero organismo. Io chiedevo e loro rispondevano tutti alla stesso modo alle domande che rivolgevo loro con garbo e delicatezza Non ho sofferto non ho avvertito alcun dolore. Mi sento bene se fossi come rinato Qualcuno raccontava di essere giunto in ospedale addirittura in coma epatico e di non ricordare nulla, di essere ritornato in ottima forma e di aver ripreso la vita normale, anzi meglio di prima. La famiglia, il lavoro, la buona tavola, sempre con una certa cautela insomma l'interesse alla vita. Mi raccontavano tutto ci anche per incoraggiarmi e tirarmi su col morale. Ben sapevano il dramma che stavo vivendo e nell' attesa l' ansia che a volte ti chiudeva la gola in una morsa mentre nel petto qualcosa ti batteva forte. Loro lo sapevano molto bene, avevano avuto anche loro quei momenti, e in molti il ricordo era tangibile e vicino. Tutti trovavano parole di elogio e di stima, di riconoscenza e di ammirazione per quel gruppo di giovani specialisti che li
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seguivano con tanta assiduit e professionalit. Tutto questo mi infondeva un tale coraggio e una tale forza da farmi sentire ogni giorno pi sicuro e fiducioso. Sentivo dentro di me come un qualcosa che mi ripeteva sempre ce la farai,ce la farai. Per tutta la durata degli esami clinici, della degenza e dell'intervento stesso, due cose non mi hanno mai abbandonato: la fiducia nei medici e la presenza spirituale di Padre Pio da Pietralcina. Qualcuno potrebbe anche pensare che io esageri a raccontarlo o che sia stato soltanto suggestione . Chi mi conosce bene per sa che non sono mai stato n uno stinco di santo n un bigotto, anzi per niente un buon cristiano, ma posso affermare con assoluta certezza e senza alcuna ombra di dubbio di aver avvertito la presenza del frate di Pietralcina accanto al mio lettino durante tutto il periodo trascorso all'ospedale delle Molinette di Torino. Verso le diciannove del quattro ottobre, ricevetti la telefonata dall'ospedale entro unora al massimo il ricovero Era la voce inconfondibile dello stesso primario che mi annunciava finalmente la reperibilit di un fegato compatibile e che mi sarebbe stato trapiantato entro il mattino seguente. Dio! Quanto avevo aspettato di sentire quella voce. Avvertii per tutto il corpo una vampata di calore, non sapevo se ridere o piangere. Non sapevo se quello che avvertivo era gioia, spavalderia o un senso di paura allo stesso tempo. Era come vedere materializzata la fine di un incubo. Provavo la stessa cosa che avevo avvertito al mio primo imbarco, quando ricevetti il telegramma dell'armatore che mi invitava ad andare a Ravenna per imbarcare in qualit di allievo ufficiale su di una vecchia carretta che faceva viaggi di legname dal Mar nero per Alessandria dEgitto. Durante la notte fui affidato alle cure preparatorie di personale altamente qualificato. Tutte giovani infermiere dagli cchi dolcissimi e dai visi indimenticabili, che consapevoli del mio stato d'animo e del mio disagio, cercavano amorevolmente di tranquillizzarmi rendendomi meno penosa la attesa che mi separava dall'intervento. Alle ore 7,30 del mattino del quattro ottobre, giorno di S. Francesco D'Assisi, entro in sala operatoria per nulla turbato.- Ad attendermi l'equipe al completo, alcune domande di rito da parte dello stesso primario il professor Salizzoni, mentre mi preparava per l'anestesia. Dopo alcuni secondi mi vedo nudo, disteso su di un tavolo di legno, al centro di un grande spiazzo circondato da una fitta siepe di rovi dalla quale facevano capolino di tanto in tanto, volti scolpiti nella pietra.. Tutte facce uguali, prive di espressioni, come scavate nella roccia, con grosse cicatrici sulle guance. Cerco di coprire con le mani le mie nudit, quasi a voler sfuggire a quegli sguardi indiscreti.
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Poi, pi nulla l'oblio totale. Verso le ore 16 fui trasportato in sala di rianimazione dove dopo pochi minuti avrei riaperto gli occhi. A svegliarmi definitivamente il ticchettio di un piccolo ramo di betulla che la brezza serale che scendeva dalle Alpi e che lambiva questa parte della citt, faceva picchiare continuamente sui vetri della finestra della camera. Un flebile raggio di sole, gi autunnale, filtrando attraverso i rami dell'albero mi giungeva fino al minuscolo lettino, sembra quasi accarezzarmi le ginocchia e sussurrarmi dolcemente "bentornato". Comincia a tastarmi, e a muovermi lentamente. Sentivo strani tubicini di drenaggio che fuoriescono da varie parti del corpo mentre osservavo incuriosito il gocciolio lento delle numerose flebo appese ad appositi attrezzi con i vari segnali di allarme. Ero ancora vivo, si, la cosa meravigliosa non manc di meravigliarmi. Dio era stato buono con me. Chiss perch noi meridionali spesso mischiamo sacro e profano, e corriamo subito in chiesa a chiedere grazie soltanto nei. momento del bisogno, raccomandandoci sopratutto al Signore. Non me ne vogliano i professori Salizzoni ed Andorno., se mai dovessero leggere queste memorie. Mi ero completamente affidato nelle loro mani pieno di fiducia e sicuro di un brillante risultato, ma non avevo potuto fare a meno anche io, di recarmi in chiesa nello stesso ospedale delle Molinette pochi minuti prima del ricovero. Volgevo lo sguardo su quel grosso Crocifisso al centro dell'Altare e gli chiedevo silenziosamente con nodo alla gola di accompagnare la mano che da li a poche ore mi avrebbe aperto l'addome.

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La ripresa

I giorni passava lenti ed io lentamente riacquistavo le mie energie. L'organismo iniziava ad adattarsi al nuovo organo e a dare i primi risultati positivamente. Qualche dolorino fastidioso non mancava, era principalmente dovuto alla posizione supina a letto e alle suture interne ed esterne, per fortuna d lieve entit e subito debellato con farmaci appropriati e dalle amorevoli cure dell'assiduo personale infermieristico. Ci che maggiormente mi rimasto impresso di questa esperienza era ed ancora passati gli anni- l'assiduit con la quale gli specialisti seguivano i ricoverati durante tutto il periodo di degenza in sala di rianimazione. Ogni notte il silenzio veniva interrotto soltanto da qualche lamento o dal passo felpato del prof. Andorno o da quello veloce dello stesso primario, il prof. Salizzoni. Li sentivi parlottare sotto voce con l'infermiere di turno e bench aguzzassi attentamente l'udito non sono mai riuscito a capire una sola parola. Poi si fermavano sull'uscio di ogni stanza ad osservare i propri pazienti. Quegli sguardi davano a noi trapiantati un effetto superiore a qualsiasi altro farmaco Erano sguardi che ti rassicuravano nel corpo e nello spirito. Potevi riposare serenamente, perch sapevi che c'era chi vegliava su di E cos trascorreva un'altra notte e unaltra ancora e ancora altre. I primi giorni di degenza in sala d rianimazione, sono stati i pi sofferti sia fisicamente che psicologicamente. Le sonde e i numerosi tubicini che uscivano da. tutte le parti del mio corpo, collo compreso, non mi permettevano di cambiare posizione a letto. I miei occhi continuavano a fissare il soffitto e la parete di fronte sempre alla ricerca, di qualcosa o di qualcuno, che non cera mai. Di tanto in tanto roteavo lo sguardo, come un camaleonte per fissare il telefonino portatile sul comodino accanto al letto, aspettando che con uno squillo mi portasse una voce amica. Dopo il terzo giorno. ricevetti la visita dei miei figli. Arriv per primo mio figlio Nicola che prestava servizio al comando di La Spezia.
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Venne con permesso speciale Dopo essersi assicurato del mio stato di salute e che il mio fisico era in ripresa, seppure lentamente, mi mise al corrente della sua brillante carriera e del suo proposito di partire volontario in missione o per il Kossovo o per il Sinai. Nicola, al contrario degli altri miei due figli, raramente lascia trasparire emozioni interiori, anche a costo di soffrire maggiormente, non. esterna ansie timori e a volte riesce a mascherare anche dolore fisico. Conoscendolo bene e sapendo che non amava sentir parlare di sofferenze e d disagi cercavo di deviare i discorsi su altri argomenti. Sembravamo due vecchi amici che si incontrano dopo molto tempo e discorrono di sport e di donne.: con lui soprattutto di donne. La visita di Lello, invece fu un po particolare. Appena entr nella mia stanza rimase quasi scioccato, stentava a riconoscermi. Si avvicin e nel tentativo d sollevarmi sulle braccia mi sussurr Dio mio come ti hanno conciato Dovetti tranquillizzarlo con qualche battuta di spirito, cosa che a me sempre venuto spontaneo anche nei momenti tragici e forse proprio per questo mio modo di fare sono riuscito a vincere anche il male. Gli chiesi di sedersi sul letto accanto a me anche se il regolamento lo vietava, e tenendolo per mano e gli feci capire che la loro visita mi aveva fatto immensamente piacere ed era stata molto importante. Perch fino a quel momento mi aveva assillato la paura di morire senza averli rivisti o senza aver prima chiesto loro perdono. Perdono per non aver avuto abbastanza, tempo da. Dedicargli, perdono per le incomprensioni e le superficialit con cui spesso avevo discusso qualche loro richiesta trascurando le loro esigenze di ragazzi. Mi ero trovato in condizioni tali che i problemi di lavoro e poi quelli sopraggiunti avevano determinato grosse incomprensioni in famiglia, che, come spesso succede si scaricavano su di loro poveri ragazzi e qualche volta gi anche botte da orbi. Ma volevo rappacificarmi con loro anche per aver spesso violato i loro sogni di adolescenti con incomprensioni e indifferenza. Lello aveva capito perfettamente tutto ci e con un ulteriore tentativo d sollevarmi tra le braccia, con gli occhi umidi, mi disse Papa non hai mancato in niente e anche quando me le hai date io ti ringrazio perch lo stesso perch sono servite a farmi maturare e a diventare uomo Sapevo che mentiva.

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Mi riapproprio del mondo

Dopo 16 giorni di degenza fui dimesso. Ero stato completamente rimesso a nuovo e a tempo di record. Qualche breve raccomandazione da parie del prof. Andorno e una calorosa stretta di mano. Quella fu l'unica volta che vidi sorridere quel meraviglioso medico. Lasciai l'ospedale nel pomeriggio inoltrato. Torino era avvolta in una leggera foschia umida , tipica di quella stagione l'aria era ancora tiepida e un profumo di caldarroste che giungeva da un caldarrostaio subito fuori dell'ospedale mi fece avvertire lautunno. Mi fermai per un attimo ad osservare il traffico intenso ordinato di quella citt e il via vai delle centinaia di persone che entravano ed uscivano dalle Molinette con i loro problemi, i loro affanni ma anche,le loro gioie come quella che provavo io in quel momento. Tra non molto anche io avrei ripreso il ritmo di vita normale, con maggior forza e vitalit. Mi sentivo dentro come una persona nuova, pi sereno, meno teso, pi buono, tutto il corpo era pervaso da sentimenti di pace e di bont. Non potevo fare a meno di ripetere a me stesso di quanto il mondo fosse meraviglioso, proprio come il ritornello di una canzone di Domenico Modugno che mi ritornava in mente ad intervalli costanti. Malgrado potessi muovermi lentamente e soltanto a piccoli passi e malgrado qualche dolore che ancora avvertivo continuavo a ripetere dentro di me: meraviglioso. Percorsi poche centinaia di metri fino alla fermata del tram e mi sentii subito molto stanco. La piccola borsa da viaggio, bench contenesse poche cose, era diventata un fardello sempre pi pesante da portare costringendomi a frequenti soste. La mascherina, asettica che mi era stata consegnata in ospedale poco prima di uscire mi creava qualche problema nella respirazione ma era assolutamente necessaria. Non mi importava nulla che la gente mi guardasse incuriosita e si spostasse al mio passaggio fissandomi chi come
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fossi un appestato chi con uno sguardo pieno di commiserazione. Qualcuno addirittura, si avvicin per chiedermi cosa mi fosse capitato qualche altro invece solo per semplice curiosit. Io li tranquillizzavo subito con un semplice sorriso di riconoscenza. Nonostante tutto ero felice perch stavo per ritornare a, casa mia. e il mondo mi appariva cos bello che non potevo fare a meno di ripetermelo. Camminavo dando limpressione di uno che si era appena destato da un lungo sonno. Dopo qualche mese di pantofole avevo l'impressione di avere ai piedi un paio di sci. I pantaloni molto larghi e il giubbotto a vento comprato al mercatino rionale poche settimane prima del ricovero in ospedale mi davano la sensazione di non trovarmi nei miei panni. Mi passai una mano tra i capelli lunghi e mi toccai il viso ossuto e smunto coperto da una piccola peluria dura come il ferro. Era mai possibile che in cosi poco tempo sette o otto settimane fossi dimagrito cos tanto? Cominciavo ad avere una esatta percezione di me e della mia immagine, non dovevo essere un gran che presentabile ma in cuor mio ero felice.. Man mano che mi avvicinavo alla, fermata del tram che mi avrebbe portato allaeroporto, il mio sguardo si soffermava sulle cose pi banali, pi semplici, con lo stesso interesse di un bambino che muove i primi passi: il rincorrersi di due colombi, il raspare di un gatto tra le buste della spazzatura, o lo sguardo quasi compiaciuto di un cane che aveva appena fatto i propri bisogni sull'aiuola davanti ad una casa. Mi soffermai per pochi attimi davanti ad un edicola per un rapido sguardo alle copertine dei settimanali e provai le stesse emozioni di quando facevo ritorno a casa dopo dieci mesi di imbarco sulle petroliere Avevo lo stesso famelico desiderio di notizie: volevo voracemente sapere e conoscere cosa fosse accaduto durante la mia assenza: i fatti di cronaca, di politica, di economia. La pace ancora lontana nei paesi dellex Iugoslavia, le stragi e i massacri in Bosnia. Ricordo che ne acquistai alcuni e li sfogliai subito con attenta bramosia sotto lo sguardo un poco incuriosito dell'edicolante. Respirai a pieni polmoni laria fresca di quel tardo pomeriggio dautunno guardandomi intorno e riappropriandomi di nuovo del mondo. Mi riabituavo lentamente ma con gioia alla presenza della gente intorno a me quasi fossi stato uno che era stato in totale solitudine o nel deserto del Sahara o in una sperduta isola del Pacifico. Era bello tutto questo.

L'aereo delle 19,30 decoll in perfetto orario dalla Malpensa per portarmi finalmente a casa..
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Il ritorno in famiglia

Fare ritorno nuovamente in famiglia, al paese, alle persone care dopo tutto ci che avevo passato mi provoc sentimenti e sensazioni non facilmente descrivibili. Un insieme di gioia e confusione un misto bellissimo deuforia ed eccitazione. Napoli illuminata vista dall'alto ancora pi bella, la stessa Napoli che appena, qualche mese prima mi aveva visto partire con il cuore colmo di paure, incertezze, speranze mi riaccoglieva, con l'aiuto del Signore, facendomi festa con le sue luci e il suo meraviglioso disordine. All'arrivo ad attendermi trovai Andrea il pi piccolo, si fa per dire, che mi corse incontro con le braccia aperte e gli occhi umidi. Credo di aver pianto anche io, non so se di gioia o di commozione. Ancora una volta dovetti raccomandare a quel fusto alto un metro e ottanta, circa, di non stringere troppo perch ci che era rimasto di me si sarebbe potuto scucire tutto dun colpo. Lui sorrise teneramente, era felice di riabbracciare suo padre. Prima, di entrare in auto,un rapido sguardo al via vai frenetico dei viaggiatori e al gesticolare dei tassisti per accaparrarsi i clienti migliori, poi subito via nel caos della, citt. Sui marciapiedi tutto intorno si scorgevano gi pronte le prime bancarelle per le prossime festivit natalizie tutte addobbate di palloncini e lampadine colorate mentre per i negozi gi comparivano le prime- coppie di zampognari che prenotavano le novene per la festa dellImmacolata. Ad ogni semaforo unamiriade di scugnizzi sia napoletani che di colore cercavano di vendere le loro povere mercanzie: fazzolettini di carta, sigarette, deodoranti e altre cianfrusaglie mentre altri, senza alcun permesso si buttavano sul cofano per lavarti i vetri noncuranti del fatto che il verde fosse appena scattato, in un frastuono di trombe e clacson. Dallo specchietto retrovisore scorgevo il viso minaccioso degli altri autisti, qualcuno urlava improperi accompagnati da gesti poco urbani, ma i ragazzi sembravano averci fatto 1abitudine e quindi
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non si scomponevano per niente continuando il loro lavoro indisturbati in quel caos infernale.Contavano rapidamente sul palmo della mano i pochi spiccioli guadagnati e si preparavano al prossimo segnale di stop. Osservavo tutto ci con curiosit, come se fosse la prima volta: Dio quanto mi era mancato tutto questo! Con il trascorrere del tempo riacquistai sempre maggior energie e con esse peso e forma Ai controlli periodici gli specialisti riscontravano buoni risultati, sin dalle prime settimane anche se il pericolo rigetto poteva essere sempre in agguato almeno per i primi mesi. A poco a poco ripresi i miei impegni di lavoro e con esso riacquisto poco per volta voglia di fare, sempre con maggiore mordente e determinazione. Finalmente lavoro e famiglia occupavano nuovamente la mia mente e il mio cuore.

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I parenti

Si dice che nei momenti di maggior bisogno s conosce il cuore degli amici o dei parenti. E un proverbio come tanti, al quale non s da importanza fino a quando non ci si trova in una situazione di estremo bisogno. Allora e soltanto allora si scopre a proprie spese che i proverbi non falliscono quasi mai. Capii che io ero un problema, capii in un attimo che solo io era laiuto vero per me stesso e tutto il resto era solo trita convenzione, se non addirittura falsit e ipocrisia. Nessuno riesce a capire il dramma che si porta dentro uno che ha subito un esperienza del genere: essere aperto, essere frugato dentro mentre tu sei come morto su un tavolo operatorio, il sentirsi in un certo senso violato anche se per il tuo bene, in fondo sempre il tuo corpo che stanno tagliando e questo il corpo lo porter sempre in una sua intima memoria. In fondo la gente non vuole sentire i mali e le sofferenze degli altri e cos tutti dopo una frettolosa accoglienza festosa - prendevano le distanze da me e la cosa pi triste era che tra queste persone cerano anche quelle che avrebbero dovuto esserti pi vicine. Forse perch pensavano non ci fosse pi alcun rimedio, forse che non ci fosse pi nulla da fare e che comunque sarei morto. Forse pensavano che avrei potuto chiedere soldi e che certamente non avrei potuto restituire In parole povere mi ritrovai pi solo che mai. A volte pu essere anche un bene prendere le distanze da questo genere di persone cosi ti eviti quel fastidioso ed ipocrita scambio di convenevoli saluti quando ti capita di incontrarne qualcuna. Cominciarono cos ad evitarmi un po tutti quelli che prima sembravano avermi accolto con grande gioia, anche perch credo che mi dessero per spacciato, che avessi i giorni contati, insomma ero gi quasi morto per loro. Nonostante fosse tutto passato, nonostante la mano ferma di un eccellente chirurgo e la Misericordia, di Dio Onnipotente mi avessero restituito a nuova vita, te li ritrovavi davanti per strada quasi tutti i giorni iettatori e
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menagramo con la loro finta cortesia a chiedermi come stavo o come mi sentivo soltanto per semplice curiosit, e leggevo in quelle domande una punta di delusione e cattiveria gratuita come se li avessi fregati in qualcosa come se avessi deluso ogni loro aspettativa Quando rispondevo di sentirmi in ottima forma sia fisica che psichica,: mi guardavano un po incuriositi, abbozzavano un lieve sorriso, sapete di quelli a met labbra, a denti stretti, quasi a volermi dire ma perch vuoi imbrogliarci, tu stai male, tu devi star male, perch vuoi deluderci, uno come te, con quello che ha avuto sarebbe dovuto morire e invece tu stai ancora qui. E dopo alcuni secondi, non ancora soddisfatti, che fai ora ? Stai lavorando? Sei in pensione ?" Come vivi ? A questo punto io scoppiavo in una fragorosa risata e con. una pacca sulla spalla accennavo ad un grosso premio di assicurazione o meglio ancora ad un inaspettato terno al lotto che mi permetteva una vita da nababbo. A quel punto il sorriso scompariva immediatamente dalle labbra dell'amico o del parente. Poi, continuando in maniera ironica, mi accostavo ancor di pi al suo viso e guardandolo fisso negli occhi gli sussurravo a mezza voce che notavo delle strane venature giallastre nelle sue pupille, sintomatiche fuori ogni ombra di dubbio a seri problemi alle vie biliari. E gli consigliavo immediatamente di farsi delle analisi. Detto da uno che come che era stato quasi per morire non era una cosa da prendere sottogamba. Ero certo di avergli rovinato la giornata e quella diventava la mia unica soddisfazione, ma soprattutto lunico modo per non farlo pi avvicinare. Fortunatamente per me, i fatti prima detti non mi hanno trovato completamente impreparato in quanto avevo gi fatto esperienze amare con la cattiveria umana in passato. Sono comunque cose che lasciano il segno e che difficilmente si dimenticano e ancor pi difficile il riuscire a perdonale. Pochi mesi dopo, durante un incontro pastorale presso il convento di S. Francesco di Assisi a Vico Equense, chiesi a Padre Giovanni , un vecchio caro e saggio che aveva educato quasi tutta la giovent del paese, soprattutto quella della mia generazione e quella immediatamente poco, cosa bisognasse fare per poter essere un buon cristiano. Dopo avermi ascoltato attentamente per alcuni minuti, lanziano frate mi chiese di trovare la forza di perdonare, non di capire, ma di perdonare senza riserva alcuna. Bisognava fare il primo passo verso coloro che hanno mancato, aprendo loro le braccia e il proprio cuore, perch sono loro che hanno bisogno di essere aiutati e confortati, pagare con affetto e perdono la cattiveria e le ingiustizie ricevute. Gli risposi che ero andato al convento proprio per quel motivo: poter trovare la forza di perdonare perch,
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malgrado tutta la mia buona volont, fino ad allora non vi ero ancora riuscito. Allora Padre Giovanni cingendomi la spalla con il suo braccio, mi disse: Figliolo, ti capisco bene, cos difficile anche per me che sono un sacerdote figuriamoci per te, perci ti dico di pregare il Signore sempre con maggior vigore e fede affinch te ne dia la forza. Soltanto quando ci sarai riuscito potrai forse dirti un buon cristiano

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Don Alberto Cadolini Ogni qualvolta che ci capita di notare un manifesto a lutto ci soffermiamo per un attimo a leggere, non tanto il nome quanto l'et del deceduto. Poi,se il deceduto persona conosciuta, qualche breve commento con l'occasionale vicino, che legge pure lui per curiosit e la cosa finisce l. Tutta la vita, quindi, di quella persona nei commenti e nei giudizi di poche parole di chi legge quel misero manifestino. Era una brava persona, non lo era, bevevo, giocava,era un violento,era ricco,era povero era un buon padre di famiglia, era malato, aveva debiti ecc. ecc, poi il giudizio finale quasi a voler assolvere, con quella ipocrita indulgenza, tutti i piccoli peccati di quel poveretto. Tutto sommato era una brava persona, un poveraccio quasi a voler lasciare quel manifesto con un segno di perdono e di carit. Se invece, la persona deceduta un amico un caro e buon amico le cose cambiano E' capitato a me qualche tempo fa a Piano di Sorrento, mentre attraversavo il corso principale, di leggere di sfuggita il nome Don Alberto Cadolini. Ho bloccato l'auto, noncurante del traffico, e dopo essermi accostato ho letto con stupore quel necrologio: Don Alberto Cadolini non pi. Non mi ero sbagliato dunque era proprio lui, don Alberto , il caro e tanto amato don Alberto, mio carissimo amico. Un brivido di gelo mi ha attraversato subito la schiena come se qualcuno mi avesse infilato attraverso il collo della camicia un cubetto di ghiaccio. Con lo sguardo fisso su quel nome non ho potuto fare a meno di tornare indietro ai ricordi di alcuni anni, quanto quel sacerdote professore aveva fatto per me e tanti altri come me in circa cinquanta anni di insegnamento: tutti gli studenti dellIstituto Nautico si ricordavano di lui. Ho conosciuto don Alberto alle scuole medie a nel millenovecentocinquanta e poi all'istituto nautico Nino Bixio di Piano di Sorrento, dove stato mio insegnante di religione fino al millenovecentosessanta. Ma i nostri rapporti di stima ed amicizia sono continuati anche dopo. Gi, perch noi, i suoi allievi di sempre, come soleva, chiamarci venivamo seguiti attentamente anche dopo il diploma, sia nella carriera che nella vita familiare. Sembrer paradossale ma ricordava i nomi di tutti i suoi allievi sin dal millenovecentoquarantasei. Ha seguito le carriere di tutti noi: in marina mercantile, marina militare o nell'industria. Chiedeva sempre di tutti e di tutti si informava sulle condizioni di salute o sui
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rapporti con la famiglia e gli si illuminava il viso di gioia quando le notizie erano buone e soffriva e si rattristava quando non lo erano. Insegnare all'istituto nautico, nell'immediato dopoguerra non era impresa facile, per un insegnante di religione, in quanto la religione non veniva considerata materia di giudizio e quindi non rilevante per il voto di profitto a fine anno scolastico. Il fatto poi che generalmente l'ora di religione capitava nell'orario scolastico per ultima, ragion per cui il povero sacerdote ci trovava stanchi ed affamati e quindi poco attenti e poco interessati alle sue argomentazioni. Poi cera anche un altro fattore molto importante e cio che molti allievi avevano ripreso gli studi dopo il conflitto mondiale e in alcuni casi parecchi di loro superavano in et gli stessi insegnanti rendendo il compito di insegnare ancora pi difficile. Don Alberto aveva capito tutto ci e ne era perfettamente cosciente e con il suo modo di fare semplice e cordiale riusciva a trasformare quella che poteva sembrare un'ora di noia in un'ora di piacevole rilassamento ed apprendimento. Con grande dolcezza e tranquillit riusciva a spiegare in maniera semplice i passi della Bibbia con parole e commenti suoi da trasformarli in racconti veri e propri insomma venivamo rapiti da quel suo modo di narrare. Ci faceva entrare in prima persona in quei racconti, facendoci dimenticare orario e stanchezza. Spesso terminava la lezione un poco prima dell'orario e ascoltava attentamente i nostri commenti e le nostre eventuali lagnanze verso qualche altro professore, magari troppo severo o un poco avaro di voti, ma solo poche volte mi ricordo, e per qualche caso speciale si impegnava a spendere qualche buona parola per noi con un suo collega. Succedeva quando qualcuno di noi riceveva note di condotta sul registra di classe o qualche punizione pi o meno severa che avrebbe potuta pregiudicare lanno scolastico solo allora si ricorreva a don Alberto. L'indomani mattina, ancor prima di entrare in classe si recava in presidenza dal buon preside lingegnere Alberto Carrino, che accontentava sempre, facendosi promettere, pero, maggior impegno e seriet dai suoi allievi. Il preside Carrino , comunque, non avrebbe mai rifiutato nulla a don Alberto sia per il suo modo paterno di fare sia per la grande stima ed amicizia che li univa. Don Alberto non diceva di no a nessuno. Accoglieva tutti anche dopo l'orario delle lezioni con il suo sorriso aperto e cordiale, ascoltava attentamente le lamentele e non mancava mai di dare buoni consigli o di farsi in quattro ad aiutare i suoi allievi. Anche quando si sentiva stanco o stava poco bene. Non l'ho sentito mai lamentarsi, neanche quando il male aveva gi minato il suo poderoso fisico. Come ho gi accennato prima, don Alberto ha seguito i suoi allievi che sono stati
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tantissimi, anche dopo il diploma. Li ha seguiti nella vita e nella carriera e l'ho visto soffrire intensamente quando veniva a sapere che qualcuno di noi aveva avuto qualche problema con la propria moglie, oppure di i lavoro, o di altro: noi eravamo sempre i suoi ragazzi. Nel millenovecentosettantasei ho avuto, anche io, seri problemi col mio lavoro perch la cattiveria umana non ha mai limite In pratica avevo perso il lavoro al quale tenevo tanto e con esso stavo per perdere anche la famiglia Trascorrevo momenti di dolore e di angoscia profonda per situazioni createsi indipendentemente la mia volont e dalle quali non sapevo proprio come venirne fuori per puro caso, un pomeriggio d'estate incontrai don Alberto a Vico Equense. Ci abbracciammo affettuosamente e subito dopo aver notato nel mio sguardo tanta tristezza volle sapere tutto. Mi diede appuntamento per la sera stessa a casa sua a Piano dove mi ascolt ancora per un altro paio d'ore. Ad un certo punto, dopo aver compreso che fare. la guerra ai mulini a vento non avrebbe risolto assolutamente nulla prese carta e penna e scrisse un biglietto per un suo carissimo amico sacerdote direttore della Stella Mari di Taranto: don Raffaele Pepe.e scrisse: Caro Raffaele, il latore del presente Biagino un mio caro allievo che ha bisogno di essere ascoltato ti prego di fare qualcosa per lui se ti sar possibile* Ma sopratutto ascoltalo con il cuore Tuo Alberto Conservo ancora quel biglietto tra i miei ricordi pi cari..Dal millenovecentosettantasei al millenovecentosettantanove sono stato in Algeria da dove di tanto in tanto gli mandavo mie notizie per incontrarlo poi nel millenovecentonovantadue presso la Fincantieri di Castellammare di Stabia in occasione di un varo. Ogni tanto ci sentivamo per telefono e mi ero ripromesso di fargli visita, ma il male che subdolamente stava minando il mio fisico mi lasciava sempre meno tempo. Avrei voluto essere presente almeno ai suoi funerali, accompagnarlo nel suo ultimo viaggio e spendere qualche parola di gratitudine, ma sicuramente lo avr fatto, qualcuno dei suoi numerosi ex allievi presenti anche se avrei voluto tanto poter dire qualcosa anch'io. Gli avrei voluto dire:Caro don Alberto, grazie per tutto quello che hai fatto; ora lasci un enorme vuoto nei nostri cuori, anche grazie alla tua opera che la marina mercantile italiana si arricchita di valenti ufficiali che tanto onore e dignit hanno portato alla penisola Sorrentina. Sono stati i tuoi insegnamenti che hanno formato il nostro carattere ed arricchito il nostro spirito. Tutti noi ti dobbiamo tanto e non ti dimenticheremo.
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II fischio severo del vigile mi fece capire che stavo bloccando il traffico!Lasciai Piano con una stretta al cuore e gli occhi umidi avevo perso un grande amico.

Francesco e La terza et

Quando si supera la soglia dei sessanta anni cominciamo a pensare di essere entrati nella fase della tersa et quindi, alle. porte della vecchiaia;ma la terza et non solo una questione di anni. Essa comincia soltanto quando smettiamo di svolgere lattivit che abbiamo sempre svolto. Quando non siamo pi costretti a lavorare per vivere e a timbrare ogni mattino il cartellino presenza in fabbrica oppure ad aprire e chiudere la serranda di un negozio. Quando andiamo in pensione, quando la societ nel suo insieme decreta che non siamo pi utili e dobbiamo metterci da parte, solo allora comincia la terza et . Assistiamo allo scorrere della vita quotidiana come spettatori e non siamo pi i protagonisti del mondo. Secondo me restare in ozio, inattivi, un fattore assolutamente negativo. L'inattivit avvilisce, apre rapidamente le porte alla vecchiaia e fa morire il corpo e la mente. Vi sono tantissimi hobbies, giardinaggio, meccanica, modellismo, collezionismo oppure se te lo permettono continuare con la propria attivit. Insomma ingegnarsi sempre a fare qualcosa, una qualunque cosa purch ti mantenga impegnato senza per questo essere obbligato a farlo. In altre parole essere partecipi della vita ma con serenit e senza ansie inutili. Le contraddizioni della vita le ammettiamo, non le giustifichiamo ma soprattutto le accettiamo con occhio attento e benevole tolleranza confrontandole al nostro passato. E in questa fase dellesistenza che analizziamo spesso, la nostra vita quasi fosse uno spettacolo o un romanzo, aprendo il cuore alle riflessioni e ad un esame attento e critico .Nel rivedere la nostra vita molte volte ci paniamo la domanda se ci riteniamo soddisfatti oppure no. Tutti noi a questi punto, avremo la consapevolezza. di aver perso delle occasioni, di aver commesso errori . Certamente il passato non va dimenticato completamente perch esso fa parte del nostro fardello di esperienze,ma neanche bisogna dargli eccessivo peso perch il ricordo appassionato delle esperienze passate pu soffocare il presente e avvilire il futuro.
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Ormai ci che fatto fatto e tutti i momenti vissuti sia quelli belli che quelli amari acquistano alla mia et un valore puramente estetico. L'importante lessere consapevole di aver fatto tutto ci che la nostra coscienza riteneva giusto fosse fatto. Cos facendo acquistiamo, con un piccolo sforza, la tranquillit e la serenit , che ci permetter di godere la terza et come una stagione felice della nostra vita, anzi forse la pi felice, perch si acquista la giusta distanza dalle cose. Durante i periodi bui e tristi della nostra vita, siamo pi coinvolti dal mondo. Quando noi siamo costretti a subire l' arroganza e la protervia di chi ci impartisce ordini o ci richiede prestazioni, provocandoci sofferenze psicologiche e morali, dispiaceri dai quali possono sollevarci le persone a noi pi vicine e che ci infondono tanta umana rassegnazione. Coraggio vedrai che il Signore prima o poi premier le tue sofferenze. Alle persone che hanno perso un congiunto ancora giovane o in tenera et si dir: II Signore passeggiando in un prato fiorito ha voluto cogliere il fiore pini bello. A chi invece, avr perso urna persona cara avanti negli anni gli si dir: il Signore ha voluto premiarlo portandolo con se in Paradiso. Ognuno di noi credente, sa che prima o poi ricever il giusto premio alle sue sofferenze, perch il Signore sempre misericordioso. Gi sappiamo bene che la vita stessa un dono meraviglioso, anche se spesso dimostriamo di non apprezzarla abbastanza vivendola male. Io da parte mia, posso ritenermi pi fortunato degli altri perch il dono stupendo della vita l'ho ricevuto due volte. Come ho gi detto nelle pagine precedenti; sei anni fa, il Signore nella Sua infinita Misericordia, mi ha guarito da un male terribile e questo a rafforzato ancora di pi in me il suo di Lui e la mia fede. Ma a trasformare completamente e in meglio questa mia stagione della vita stato l'arrivo di Francesco. Vi chiederete: ma chi Francesco? Ebbene Francesco non soltanto il mio primo nipotino, non soltanto un bellissimo bambino dagli occhi vispi e dal sorriso ricco di tenerezza, intelligente ed affettuoso. Francesco gioia, speranza desiderio di un domani migliore. Francesco l'ansia del nuovo giorno per poterlo stringere in un tenero abbraccio o poterlo soltanto ascoltare per telefono. Francesco tutto questo e molto di pi di quanto potessi aspettarmi dalla vita ed la consolazione pi grande per chi come me si sta affacciando alla soglia della terza et. Dopo essere nato una seconda volta. Per farla breve, Francesco stato per me come una
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folata di vento daprile che cancella ogni tristezza e malinconia col profumo di primavera.

Conclusioni

Quanto ho cominciato a scrivere queste brevi riflessioni sulla mia vita, lho fatto partendo dalla descrizione della villa De Gennaro che vedevo dalla finestra della mia unica stanza, ora che sto volgendo alle conclusioni ritorno nuovamente alla mia memoria e ai miei ricordi pi lontani e a quella villa da dove partito il mio ricordo. Perch solo il ricordo che rende possibile qualsiasi presente e qualsiasi futuro. Questi miei ricordi li ho voluti scrivere non per velleit letteraria, ma semplicemente perch dovevo, anzi sentivo, in qualche modo la necessit di dovere oggettivare sulla pagina scritta episodi determinanti della mia vita, specialmente quelli che per me sono stati i pi dolorosi, ma anche i pi significativi. Dovevo potermi in qualche modo ritrovare e contemplare serenamente ci che era, era stato ed ancora continua ad essere il mio mondo e la mia vita. Cos con la memoria ritorno alla villa de Gennaro. Qualche famiglia benestante. come i Cosentino, i Di Palma ed i nobili de Gennaro, se ne stavano in disparte sempre chiusi nei loro palazzi. Ricordo, come fosse ora, che soltanto la domenica mattina, la nobil donna Clementina De Gennaro si recava ad ascoltare la prima messa quella delle sette e trenta nella piccola chiesa dellAddolorata. All'uscita dalla Chiesa vi era, ad attenderla, una. schiera di ragazzi che dopo averle baciato la mano le augurava buona domenica. La nobildonna, compiaciuta regalava, ad ognuno di noi- ero anche io tra quella schiera- una. moneta da cinque lire . Si ricordava sempre di tutti noi, e se qualcuno mancava s preoccupava subito di chiedere notizie, invitando tutti ad impegnarsi di pi con lo studio e ad essere sempre ubbidienti in famiglia. La Signorina Clementina viveva nella sua balla villa circondata da un grande giardino coltivato a frutta insieme al fratello, il giudice Tommasino, principe di Cantalupo ed alla sua fedele governante Rosina. Di tanto in tanto veniva a farle visita uno
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dei fratelli, l'avvocato Francesco quasi sempre accompagnato dal figlioletto Tommaso che portava dunque il nome dello zio. Lavvocato era alto, imponente, sempre molto elegante col suo fare severo quasi militare, non amava che il figlio si fermasse a giocare con noialtri coetanei quasi a volergli ricordare la sua posizione sociale. Al piccolo Tommaso di tutto ci non importava, nulla, e appena poteva, sgaiattolava dalla villa e veniva a giocare a palla con tutti noi. Si divertiva tanto a comportarsi come un vero scugnizzo, noncurante della sua nobilt II tutto sotto lo sguardo compiaciuto delle mamme del rione che vedevano i loro figli giocare con il signorino de Gennaro. Con Tommaso i rapporti di stima ed amicizia sono durati nel tempo e sono stati sempre pi forti. Eravamo molto legati io e Tommaso e ci si interessava luno dellaltro con fraterna ed antica amicizia: salute, lavoro, affanni, gioie anche quando gli impegni d lavoro mi portavano a vivere in paesi diversi o i suoi impegni politici lo tenevano severamente impegnato:Tommaso non era solo nobile di nome, ma lo era soprattutto di cuore . Sempre disponibile verso gli altri, sempre pronto, senza mai voltare le spalle a. chi gli chiedeva un consiglio o un aiuto concreto. Tommaso era il ragazzone di sempre: buono, generoso, disponibile allo scherzo senza mai far pesare la sua posizione sociale, anche quando ricopr la carica- di primo cittadino di Vico Equense. Tommaso rimasto cos fino allultimo, fino a quando un male terribile lo ha portato via strappandolo prematuramente allaffetto dei suoi cari, dei suoi amici, della sua citt. --------------- Ricordo ogni cosa della nostra adolescenza e della nostra giovent, in un paese che non era ancora caotico, dove era possibile ancora giocare per strada, dove era possibile ancora sentire profumi nellaria. Ricordo la povert di quel tempo che era sempre dignitosa e mai vergognosa, ricordo lonest della mia famiglia e di tutte le altre famiglie. Ricordo i ricordi di un tempo perduto irrimediabilmente perch non torner pi e nel ricordo e in questa scrittura ho voluto dar fondo alla malinconia che sempre mi ha accompagnato e ancora mi accompagna anche nei momenti di gioia, perch attraverso tutto quello che ho scritto e tutto quello che mi resta ancora da vivere che io ho la percezione di Dio e della sua immensa grandezza.

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